Filosofia del Surrealismo

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ferdinand alquié

filosofia del surrealismo

rumma editore

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al la memoria di joe bousquet, di pierre sire e al mio amico rené nelli che mi hanno insegnato che la poesia è anche verità.

indice

introduzione di angelo trimarco

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premessa

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il progetto surrealista

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la speranza e l'amore esistenza e letteratura esperienza e sistema

31 41 53

la rivolta e la rivoluzione

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il rifiuto surrealista surrealismo e marxismo la derealizzazione

67 81 93

l'attesa e l'interpretazione dei segni

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l'amore la poesia e l'incontro la lucidità

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l'immaginazione

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l'immaginario e il reale l'immaginario e la bellezza l'immaginario e il surreale

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note

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introduzione

ragioni di una rilettura

Il silenzio con il quale, salvo rare eccezioni, è stata investita la difficile vicenda del surrealismo potrebbe essere assunto, per molti aspetti, a campione di un modo di lavorare della nostra critica e della nostra storiografia. Le ragioni di questo silenzio sono oggi, naturalmente, allo scoperto. Un silenzio che ha aggredito non solo il surrealismo ma l'intera avanguardia. In questa prospettiva, infatti, anche gli esempi di una diversa attenzione e sensibilità per certe avventure culturali hanno fortemente ridimensionato l'esperienza surrealista. Si pensi, per tutti, a Carlo Bo, attivo in ltal ia dal 1935 ( 1). li suo Bilancio del surrealismo (2) del '44 (che ancora oggi resta l'unico volume dedicato a Breton e ai surrealisti dalla nostra cultura), certamente più articolato e disteso, più informato rispetto agli interventi precedenti, non è tuttavia meno riduttivo. Anche quando a chiusura di bilancio, afferma che « il suo (del surrealismo) infinito e notturno lavoro d'investigazione ci fa sempre più coscienti delle nostre esigenze e ci lascia sull'orlo della prima figurazione vuole dirci un nome ma ci lascia di fronte a noi stessi fino alla fine, senza timore di dovere sostituire all'angoscia la disperazione. Ma la disperazione non è già un moto attivo della verità? ».

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Il fatto è che Carlo Bo punta la sua ricerca ad enucleare temi e profili propriamente poetici, le figure singole, badando poco ad Individuare le ragioni e i problemi storico-culturali sottesi all'esperienza surrealista. Hegel, Marx, Freud sono assenti dalla sua indagine (3), pur essendo, come avverte la migliore storiografia degli ultimi anni, i nuclei difficili ai quali Il surrealismo ha saldato la sua intricata e appassionata vicenda. Tuttavia, in relazione al contesto critico nel quale si è compiuto, lo sforzo di Bo è certamente notevole. Nel '40 Curzio Malaparte afferma, senza esitazione, « che il surrealismo (non il nome, ma la cosa) è prima greco e italiano che francese. In Francia esso è un atteggiamento di data recente, un'etichetta nuova a cosa antica» (4). Ma, a parte il balordo sciovinismo di Malaparte, il surrealismo in questi anni è vissuto alla macchia. Falqui lo ha segnalato per tempo (5). La stessa bibliografia di Vigorelli nel numero del 15 gennaio del 1940 di Prospettive, interamente dedicato al surrealismo, lo testimonia ampiamente (6). Testimonia una vocazione al silenzio. Il fatto è che la storia delle interpretazioni critiche, della ricognizione della « verità » di cui un arco di cultura reca notizia è sempre estremamente articolata, mobile. Non è mai a senso unico. La difficoltà nasce perché l'itinerario storiografico è sempre segno di possibilità che si offrono, di scelte che di volta in volta si è chiamati a compiere. Le oscillazioni e gli slittamenti di senso, perciò, vanno opportunamente dislocati all'interno di una più ampia e complessa tessitura culturale, secondo componenti dialettiche che ne mettano in luce la radicale storicità. Nella nostra cultura, le risposte date ai problemi, tra il '10 e il '30 (ed anche oltre), non sono certamente favorevoli a comprendere le avances del surrealismo. Nei casi più irritanti, poi, Freud è paragonato a Sherlock Holmes e la psicanalisi è abbassata a « un puro materialismo » deterministico, il cui colore è nella sessualità e nella fagìa (7). Così come la buona famiglia della cultura ignora, volontariamente o in malafede, Marx, e per Hegel si limita all'accertamento di ciòche-è-vivo e di ciò-che-è-morto. La cultura italiana ufficiale, dunque, scarta, a questo riguardo, un nodo essenziale e vitalissimo. Mentre proprio in questo reticolo di relazioni è intervenuta la letteratura più recente, per riempire, contro il rischio di svuotamenti ed elusioni, la forza e il senso del discorso di Breton, Ernst, Eluard, Artaud. Da un'angolatura

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più stretta, poi, (della comprensione del lavoro artistico) i tempi non sono, allo stesso modo, favorevoli al surrealismo, che esplicitamente tematizza il rifiuto dell'arte come purezza incontaminata, assoluta, dichiarandosi, anzi, antiartistico e antiletterario. La letteratura è un'idiozia, il peggiore dei mali. L'arte come scrittura vergine è inconcepibile. Bisogna fare irruzione nella vita e contaminare l'esperienza della scrittura con il calore del mondo. Ma la incomprensione per la sfida surrealista va certamente inscritta in una più vasta fenomenologia del rifiuto. Nel rifiuto di tutta l'avanguardia, che, per moventi diversi, vive e si alimenta non soltanto nelle concezioni idealistiche (variamente pronunciate) ma anche in quelle marxiane, che ancora oggi, nel caso migliore, continuano a leggere l'avanguardia storica (e quella dei nostri giorni) come segni e sintomi di una situazione socio-politica e culturale estremamente negativa (8). Un rapporto sulla questione non può che riaprirla. Negli ultimi quattro o cinque anni, è in corso infatti, una rilettura (o una lettura?) del surrealismo. L'editoria più accorta va presentando i testi significativi del movimento. Così come è nell'aria la notizia di interpretazioni duttili e sensibili. D'altra parte anche nel concreto operare artistico si parla, a torto o a ragione (più a torto che a ragione, stando ai risultati e alle motivazioni teoriche), di revival surrealista. E qualche recente rassegna ad ampio respiro, anche se utilissima per l'informazione, ha tradito vizi assai remoti, spostando il problema dal livello storico a quello metastorico. Dilatando il surrealismo, infatti, oltre i confini della sua temporalità si corre il grosso rischio di assegnargli una falsa eternità. L'invito a una rilettura del surrealismo ci viene dalle zone della filosofia, da tempo interessata alle proposte teoriche di Breton e del suo gruppo. Un gruppo che troppo spesso ha patito vertigini, un sodalizio difficile i cui obiettivi, ripresi e negati, non sono mai a portata della mano. Mentre gli storici dell'arte e della letteratura (più precisi e più disponibili) si sono limitati e si limitano - le eccezioni tuttavia non mancano - ad attraversare il surrealismo rimanendo fedeli ad una lettura preoccupata della specificità dei linguaggi, i filosofi, da parte loro, hanno scavato nel fondo, la complessa intelaiatura culturale che sta alle spalle e dentro il corpo del surrealismo, i temi, attualissimi, che agita e dibatte, le solu-

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zlonl che ha Inventato e inseguito, la forza con la quale si è dato a sconvolgere un ben ordinato e accettato diagramma di valori. Adorno, Alquié, Merleau-Ponty, Marcuse, da punti di osservazione diversi, hanno tentato, in questi ultimi anni, un densissimo approccio al surrealismo, un incontro che non rimane né di episodio né di comodo, ma occasione essenziale: una verifica e un confronto che servono ad esemplificare larghissimi impianti teorici e posizioni di scelta culturale. Si ritiene che queste ricerche, insieme a quella fondamentale di Blanchot, ricostruiscano la storia del surrealismo in una direzione francamente orientata verso un'antropologia meno filistea e umanamente fondata.

" Certo, abbiamo acquistato una coscienza diretta delle forme di vita e di pensiero esotiche, che ai nostri predecessori mancava; ma ciò non dipende anche dal fatto che il surrealismo - cioè un momento evolutivo interno alla nostra società - ci ha trasformato la sensibilità, in quanto ha avuto il merito di scoprire, o di riscoprire, in seno ai nostri studi, un lirismo e una probità? » (9). In qualunque modo si voglia interpretare questo celebre passaggio di Lévi-Strauss è certo che indica una ben definita direttiva di marcia. La volontà del surrealismo di sconvolgere una nozione di «uomo» e di «ragione» troppo a lungo accettata, e la proposta di una nuova antropologia. Un'insoddisfazione e un disagio, del resto, comune alla fronda culturale francese di questo giro di anni: incomincia l'esodo dal bergsonismo alla fenomenologia e alla scuola sociologica. Altri si rivolgono, invece, ad Hegel e all'idealismo tedesco (reinterpretati), oppure, come Bachelard, affrontano il riesame del ruolo della filosofia e della scienza e, insieme, dei loro rapporti (1 O). L'abbandono, dynque, della cultura filosofica ufficiale e l'interesse per la sociologia e l'antropologia, per la psichiatria (che avrà grande valore per Breton e i surrealisti) sono segno e volontà di una costante tensione verso il reale, il concreto, il Kern delle cose. La stessa insoddisfazione è alla base delle proposte surrealiste. La formazione di Breton, Ernst. Artaud è nelle linee essenziali la stessa. Si profila come scacco cocente del sapere costituito. Cresce come ansia di liberazione, come ricerca oltre le formule, dell'intera vicenda dell'umano.

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La vivace querelle tra Lévi-Strauss e Caillois [11) richiama, oggi, l'attenzione sui rapporti tra antropologia e surrealismo: rapporti, evidentemente, non occasionali o sommari, ma scambi in profondità, intenzioni mai rimosse. Il punto in comune, in definitiva, va colto in questo bisogno di acquistare, soffrendo, una realtà altra, occultata, rimossa o combattuta dalla ragione ufficiale. Una vita evocata oltre gli strumenti e le maschere del la ragione ammalata, aridamente scientifica o strumentalmente politica, oltre la quiete del mondo costituito. L'immaginario, il mito, il corpo: i nuovi temi che sollecitano la ricerca e orientano le prove, smentiscono la pianificazione dell'esistenza. Le vertigini dell'inconscio, le fasce inesplorate di Freud non sono una fuga verso il nulla o l'ignoto, ma i modi nuovi per comprendere le stesse ragioni della coscienza. In questo senso la follia, il delirio, gli stati di allucinazione non possono essere banalmente archiviati come stati patologici, ma vanno intesi come percorsi immediatamente evocativi e stati di accesso a un più vero e completo modo di vivere il mondo. Il surrealismo, dunque, si impregna degli umori di una cultura in formazione, che rinnega, con decisione, la sclerosi della situazione di fatto. Alla crescita e alla elaborazione di questa civiltà il surrealismo ha dato un rigore incisivo e determinante, contribuendo, con un assiduo commercio con le forze nuove (sociologia, antropologia, psichiatria, psicanalisi) e con i fermenti più vitali della filosofia, a smarrire definitivamente un'immagine antropologica scaduta e, più specificamente, una notizia di arte e di fare-arte ambigua e insignificante. In questo clima di rinnovamento della cultura francese il surrealismo [che è senz'altro un'etichetta troppo larga e comprende esperienze assai diverse e dilatate nel tempo) trova una sua precisa collocazione. All'interno compie una azione sicura di corrosione e, nello stesso tempo, promuove e sollecita valori comodamente esorcizzati.

Nella direzione di una nuova antropologia, dunque, una riconsiderazione del surrealismo incontra definitivamente un punto di svolta. Siamo lontani dal fenomeno di « giovani borghesi turbolenti (che) vogliono distruggere la cultura perché sono

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stati resi colti " (12), o, come pretende Camus, da una .. rivolta assoluta, insubordinanzione totale, sabotaggio In piena regola» (13). Allo stesso modo è difficilmente accettabile la tesi di Hans Sedlmayr, per il quale il « motivo dominante della produzione surrealista è il caos assoluto »: « il surrealismo è, in sostanza, l'ultimo frettoloso passo verso lo sfacelo dell'arte e dell'uomo, sfacelo che Nietzsche aveva già sperimentato quando, nel 1881, scrisse il suo frammento L'uomo pazzo ». Per Sedlmayer il surrealismo è un « sub-realismo »: « apertamente oltreggia Dio e l'uomo, i morti e i vivi, la bellezza e la morale, la struttura e la forma, la ragione e l'arte ». E', appunto, il caos. A sostegno di questa ipotesi, Sedlmayr stralcia dai testi surrealisti un nutrito elenco di frasi-scandalo, come: « Non esiste un ordine rivoluzionario, esiste solo disordine e follia» (14). Si tratta per tutte di interpretazioni viziate e parziali che si lasciano, fondamentalmente, sfuggire le più profonde ragioni della provocazione surreali sta: soprattutto i'intenzione di individuare una realtà o un rapporto col mondo oltre la regola istituita e la misura astratta dei nostri comportamenti, la volontà caparbia di svuotare l'oggetto, di compiere, come suggerisce Alquié, la « derealizzazione » del mondo. Il rifiuto del mondo, della sua « realtà », la polemica all'ovvio, alla quotidianità degli oggetti, all'univoco rigore delle cose, agli stessi strumenti che usiamo per comprenderle o aggredirle, alle tecniche sempre più scaltrite che appronta il dominio incontrastato della ragione, che, in una vuota e pericolosa solitudine, ingabbia la realtà e smarrisce la pienezza del mondo e se stessa nel mondo, sono i colpi della lotta che Breton, Ernst, Artaud, giorno dopo giorno, non si stancano di condurre. Il punto è, dunque, per i surrealisti, di rifiutare il mondo come orizzonte di oggettività rigidamente e inequivocabilmente definibili, come, universo logico che nella sua pretesa alla chiarezza e alla verità minaccia in effetti una profonda lacerazione, la opacità ottusa dell'insignificante, del mondo lontano ed estraneo alla partecipazione e alla vita, astratto dalla coscienza che nel vivo lo pone, lo riconosce, lo esiste. Si tratta di rinnegare o negare la ragione che rifiuta la vita, che volontariamente si svuota ad una parvenza e a una illusione di se stessa, che ha perduto il più vero e profondo senso del mondo: e non per un astratto vitalismo, ma per ragionare vivendo, attraverso la dissacrazione del suo falso pro-

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dotto, attraverso lo svuotamento progressivo e spietato dell'oggetto inerte, del reale identico a sé, posto e istituito per i valori del normale e dell'utile. In questo senso la derealizzazione e la erotizzazione, come modalità nuove che i surrealisti affidano al nostro essere-al-mondo, non sono una fuga dalla realtà e dalla razionalità, ma il gesto di riconquista di una ragione-nel-mondo, della ragione che vive: un gesto di amore per il mondo perduto, estraneo, separato dalla nostra volontà di esistere. Il « grande metodo » dei surrealisti è, appunto, la ricerca di fasce vitali, profonde, ignote e abbandonate, o, nel migliore dei casi, offerte all'intervento e alla vivisezione di tecniche specialistiche. L'inconscio, l'infanzia (mai promossa a paradiso perduto), il sogno, l'immaginario, il delirio (e tutti i media adottati per esprimerli) sono utilizzati dai surrealisti, con varia coscienza e maturità, per dare scacco al mondo. La derealizzazione del mondo e le tecniche in adozione mettono in gioco il difficile problema dei rapporti del surrealismo con Freud e la psicanalisi. Rapporti per i quali l'errore più grossolano è stato quello di cercare nei surrealisti una incondizionata fedeltà a Freud e alla psicanalisi. Ogni proposizione surrealista, si è detto, risponde fedelmente e si incastra con le teorie freudiane. Dal versante opposto ci si è sforzati di sottolineare, invece, le profonde differenze che esistono tra il metodo analitico e la nozione di inconscio e di profondo elaborata da Breton. Ma difensori e critici mostrano gli stessi errori di impostazione: la volontà di ritrovare in un'esperienza estremamente eccedente come quella surrealista la lettera dei metodi e delle finalità della concezione freudiana e la riduzione sommaria del surrealismo ad una sorta di letteratura psicanalitica.

li nodo fondamentale è, per il surrealismo, quello di inserirsi in un più complesso gioco di relazioni, all'interno di una cultura che, come si è visto, si sforza di ritrovare l'uomo e di dare senso al mondo. Ed è in questa circolazione di idee che Breton e i surrealisti hanno incontrato la psicanalisi, offrendo al profondo di Freud una chiarificazione e un'esistenza totalmente trasposta.

li rifiuto del mondo, la sua derealizzazione, ha come contrappunto linguistico la negazione di una concezione imitativa

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dell'arte. Il rigetto di una mentalità, quella aristotelica, che costituisce Il fondamento della civiltà occidentale. Perciò per I surreallstl l'Oriente non è solamente un romantico nostos o« la patria dei Saggi, è anche il ricettacolo di forze selvagge, la patria eterna dei barbari, dei grandi distruttori, nemici della cultura, dell'arte, delle piccole manifestazioni ridicole degli Occidentali' (15). La logica a due valori muore in Oriente. Nella Lettera alle scuole di Budda, si legge che « l'Europa logica schiaccia lo spirito infinito tra i martelli a due termini, essa apre e richiude lo spirito ». Per minare alla radice l'imitazione, Breton e i surrealisti escogitano una nappa linguistica, capace di rompere la struttura repressiva della logica a due valori. Viene invocata, come antidoto la « suprema passività dello spirito ». La scrittura automatica, l'attività paranoico-critica, il frottage, la crudeltà di Artaud sono le tecniche elaborate per un incontro più deciso con una realtà che non è destinata più a contemplarsi come in uno specchio. Ha scritto lucidamente Breton che « si trattava di sventare, sventare per sempre la coalizione delle forze che vigilano perché l'inconscio sia incapace di qualsiasi eruzione violenta: una società che si sente minacciata da ogni parte come la società borghese pensa infatti, e a ragione, che una tale eruzione possa esserle fatale. I procedimenti tecnici che il surrealismo ha proposto a questo scopo non potrebbero naturalmente avere ai suoi occhi altro valore se non di sonda e non si può pensare a farli valere se non come tali » (16). Gli oggetti surrealisti sono, perciò l'esempio più preciso della negazione della logica aristotelica. L'oggetto, infatti, pur conservando la sua configurazione, cambia radicalmente segno. Viene ribaltato, spaesato in una condizione autre. E' un colpo mortale alle stesse strutture della società borghese, orgogliosa dei suoi prodotti. Cambiando segno, l'oggetto perde, quindi, le sue valenze logiche e, insieme, le sue funzioni. Mentre esibisae, sempre più chiaramente delle realtà che sfuggono o che premeditatamente vengono imprigionate. Come avverte Adorno « quel che il surrealismo aggiunge alle immagini delle cose reali è quel che noi abbiamo perduto dopo la nostra infanzia ». Secondo Adorno, infatti non è tanto il simbolismo inconscio a imparentare il surrealismo alla psicanalisi, ma piuttosto il « tentativo di mettere a nudo, mediante vere e proprie esplosioni, certe esperienze infantili» (17).

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Sulvador Dalì consegna, invece, al "vischioso ", al « morbido " Il ruolo della negazione: il rifiuto di un tempo di cultura ohe, Inesorabile, si avvia verso una civiltà della macchina. In questo caso l'oggetto non muta soltanto di segno e di funzione, ma perde, anche, la consistenza e la stabilità. Mentre rinvia ai nostri desideri profondi, occultati, ai nostri birmgni vitali, primari. L'irritazione dello spirito mediante il frottage risponde, nelle intenzioni di Ernst, a una stessa finalità: suscitare immagini scavate nel profondo, mitici archetipi. Il mito, del resto, costituisce il nucleo che fonda l'esperienza Arnstiana, che gli consente di andare oltre la ragione analitica. Sul fronte della poesia e dell'azione drammatica, poi, la scrittura automatica e la crudeltà ritrovano la falda perduta del vitale. Il vissuto e il precategoriale giocano un tempo decisivo. « La scrittura automatica tendeva a eliminare i condizionamenti, a sospendere i termini intermedi, a respingere ogni mediazione ,, ( 18). E' una scrittura discontinua ( 19), precisa ancora Blanchot. Una scrittura che vive in un clima di opinioni che è comune alle scienze più avvedute: infatti la discontinuità della materia, il principio di indeterminazione sono nozioni che la fisica elabora in questi stessi dintorni di tempo. Anche il teatro di Artaud è essenzialmente il luogo in cui la mimesis si dissolve e muore. Perciò « il teatro della crudeltà non è una rappresentazione. E' la vita stessa in ciò che ha di irrapresentabile » (20). Il teatro della crudeltà è tensione verso uno spazio totale, globale: un luogo dove la parola perde i suoi privilegi e i suoi connotati ontologici. In questo senso ha ancora ragione Derrida quando insinua che un parricidio è all'origine della crudeltà: " una mano protesa contro il detentore abusivo del logos, contro il padre, contro il Dio di una scena soggetta al potere della parola e del testo ,, (21). La parola, perciò, muore come logos ma non come parola. Anzi, in quanto parola, acquista una forza nuova, Artaud scrive nel Primo Manifesto che « avendo preso coscienza di questo linguaggio nello spazio, linguaggio di suoni, di grida, di luci, di onomatopee, il teatro è tenuto a organizzarlo, creando coi personaggi e con gli oggetti dei veri e propri geroglifici, e servendosi del loro simbolismo e delle loro corrispondenze in rapporto a tutti gli organi e su tutti i piani ,, [22). In questo relazionarsi di piani, il corpo acquista un rilievo sconosciuto. E insieme i movimenti, i gesti, i segni che costituiscono il « nuovo linguaggio fisico ", capace di avvicinarsi al « nucleo fragile e irrequieto ,, della vita.

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Il salto dal teatro occidentale al teatro orientale è legato appunto a " un'Idea fisica e non verbale » del teatro. E' legato, esplicitando ancora il discorso, al rifiuto di una cultura che fa del logos Il suo fondamento. Il telos del primitivo e del mitico (che Artaud sente quanto Ernst), la tensione verso le " società senza storia », che l'antropologia riporta alla luce, sono contributi radicali « per allargare infinitamente i confini della cosiddetta realtà ». Protesta « contro la cultura come concetto a se stante, quasi che esistesse la cultura da un lato e la vita dall'altro; come se l'autentica cultura non fosse mezzo raffinato per comprendere ed esercitare la vita (23) . In questa direzione anche il viaggio al paese dei Tarahumara, e le notizie che Artaud ci reca, (un documento scarsamente considerato), testimoniano una precisa vocazione antropologica (24). L'immaginazione è lo strumento, del tutto rinnovato, di cui i surrealisti si servono per rompere l'oscura grossezza del mondo. « L'immaginazione surrealista - awerte Alquié - diventa più che forza realizzatrice, potere di rifiuto, di derealizzazione, di selezione, di scelta, di significazione e di comprensione ». L'immaginazione diventa, così, coscienza immaginifica, una modalità che vince la solitudine e la separatezza. La tensione massima del surrealismo è, infatti, tensione verso la totalità intesa come relazione: la stessa coscienza è relazione che impedisce all'uomo di rinchiudersi nel già posseduto, nella specificità del suo fare attuale. Ed è appunto questa volontà di relazione che consente a Breton e al suo · gruppo di porsi oltre il silenzio del solipsismo e, al tempo stesso, di rifiutare l'ansia di una « socialità » soffocante. Sono ben noti i rapporti che Breton ha intrattenuto con l'establishment comunista: il congresso degli scrittori nel 1935, è un documento estremamente significativo. Da quest' angolaziqne ci sembra fuori misura l'intervento di Hauser, il quale individua proprio in questa " smania di universalismo e relazionismo », come ironicamente sottolinea, una ricaduta antiumanistica. « In un mondo in cui tutto può diventare significativo, e tutto in egual misura, non è più eccezionale la posizione dell'uomo, e la psicologia non svolge più lo speciale compito assegnatole dalla letteratura dell'Ottocento » (25). Ma il fatto è che ai surrealisti importa proprio smontare questo privilegio umanistico che una lunga tradizione continua ad assegnare all'uomo nella nostra civiltà.

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Alquié, a differenza di una nutrita schiera di interpreti, è convinto che il surrealismo sia stato eccessivamente prudente « nell'affermazione ontologica », dal momento che « riduce l'uomo a sé, e rigetta tutto ciò che lo trascende ». Ma si affretta ad aggiungere che il surrealismo non è sulla strada di una « mistica del superuomo », come pensa Carrouges, né verso un « super-umanismo », nato dal romanticismo, secondo Gabriel Rey. A questo riguardo, Alquié richiama il tema bretoniano della mortalità dell'uomo, e la sua grandezza che, pascalianamente, coincide con la sua miseria. Né va trascurata, come suggerisce ancora Breton, « l'evidente sproporzione tra la vastità delle aspirazioni dell'uomo e i limiti individuali della sua vita ». Al punto che Naedeau e Dupré hanno alluso ad un « pessimismo surrealista ». Per Alquié, dunque, il surrealismo rappresenta, nella storia dell'umanismo, un progetto ardito per « rendere all'uomo tutti i suoi diritti alla felicità e al libero uso delle sue passioni ». Ma, nello stesso momento, Alquié si domanda se l'uomo si può savare senza ricorrere all'al di là. Giacché è convinto che « è nell'affermazione metafisica della trascendenza che l'uomo trova la sua più autentica verità n. Nel difficile e complesso percorso surrealista Ferdinand Alquié individua alcuni punti di contatto con la verità metafisica della trascendenza, se riesce ad affermare che Breton, suo malgrado, si fa « messaggero della trascendenza » e, ancora, a dichiarare che sebbene « s'ispira a Engels... ritrova Platone ». Tuttavia Alquié, pur rinvenendo nel progetto surrealista (che resta profondamente umano e non metafisico) delle tensioni verso la trascendenza, mai però approfondite (anzi eluse), rimane fedele al suo compito di storico che accerta i fatti e le motivazioni da cui sono sollecitati. E perciò non fa slittare l'articolato movimento surrealista verso la metafisica. « Il surrealismo può condurre a questa filosofia. Ma questa filosofia non è la filosofia del surrealismo », egli confessa amaramente ma con onestà. La filosofia del surrealismo, che come lo stesso Alquié ci ha insegnato non è un sistema compatto di verità, è una ricerca condotta sulla storia dell'uomo e « ridotta » alle sue drammatiche proporzioni. Una filosofia che cerca di stabilire, nel temenos dell'uomo, rapporti meno ambigui con il mondo e che incessantemente sperimenta altre tecniche e altri strumenti, altri sistemi linguistici. « Il surrealismo - concludia-

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mo ancora con Ferdinand Alquié - derealizza il mondo oggettivo, se non con l'affermazione dell'Essere, almeno in nome di una felicità attesa: incontri e segni indicano che, per comprendere il Mondo, ci sono altre vie che non quelle dello sterile intellettualismo e annunciano una venuta il cui presentimento ha almeno il merito di impedire il sonno a coloro che si rassicuravano misurando il reale con le condizioni di un'esperienza scientifica ». angelo trimarco

(1) C. BO, Nota sul surrealismo, in «Circoli», aprile 1935. Nel marzo del '37 su Frontespizio, Bo pubblica Recentissime sul surrealismo. (2) C. BO, Bilancio del surrealismo, Padova 1944. Nello stesso anno dà alle stampe anche un'Antologia del Surrealismo (Edizioni di Uomo, Milano). In apertura si legge un utile avvertimento. « Ho preferito dare al lettore un quadro il più posibile ricco e sicuro, superando d'altra parte un concetto puro di scuola fissa e cercando di non ripetere l'errore di Georges Hugnet, il quale nella sua bella antologia di dieci anni fa rimaneva troppo ossequioso agli anatemi e alle condanne di Breton •. Converrà dare anche qualche esempio del suo metodo di operare. « Una poesia che si fa con tutto e con tutti ». « li lettore ... cerchi di abbandonarsi alla prima corrente delle parole, alle prime luci degli atteggiamenti vitali di questa poesia, e se fosse possibile a confondere e annullare i nomi, a fare a meno dei caratteri e delle forme personali, per risentire fino in fondo il respiro di una poesia che voleva distruggere la pigrizia della perfezione e i giuochi ·illustrati e putrefatti del sentimento trasferito sul piano della commedia letteraria ». (3) Miche! David, che in Letteratura e psicanalisi, Milano 1967, ci offre un'analisi pregevole e ironica della fortuna di Freud e della psicanalisi in Italia, ricorda che nel Bilancio di Bo « il nome di Freud appare forse due volte, e quello di psicanalisi, mai » (p. 279). (4) C. MALAPARl'f:. Il surrealismo e l'Italia, in «Prospettive», 15 gennaio 1940. Del resto lo sciovinismo di Malaparte è presente anche in un articolo dallo stesso titolo apparso sul « Corriere della Sera» del 12 ottobre '37. (5) E. FALQLII', Rassegna della stampa, in « Italia letteraria », 25 maggio 1930. (6) Nella rassegna bibliografica, Vigorelli sente il bisogno di precisare che « anzitutto occorrerebbe allineare tutte, o quasi, le opere surrealiste e non quelle teoriche e critiche, appena-perchè in fondo in ogni testo surrealista vi è continuamente una descrizione (per una definizione) del surrealismo ». (7) F. FLORA, Congedo a Freud, ora in Civiltà del Novecento, Bari 1949, 3 ed. con agg., p. 173. Sulle polemiche suscitate dal saggio di Flora, sulla

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posizione di Flora nell'ambito della cultura neoidealistica (e sul punto di vista del neoidealismo) si rinvia a David, Letteratura e psicanalisi cit., in particolare Ragioni di una « resistenza n: l'idealismo italiano e la pslcanalisi. (8) Oltre a Lukàcs e ai numerosi suoi seguaci (senz'altro più schematici e meno intelligenti), va segnalata la posizione estremamente negativa di Della Volpe (Non credo ... che l'avanguardia, anche nei suoi aspetti migliori, si opponga alla civiltà capitalistica, chè essendo questa in tutte le sue manifestazioni individualistica, l'avanguardia ne è il prodotto legittimo»). E lo stesso Goldmann non è meno perentorio, malgrado le apparenze (e le aspettative). L. GOLDMANN, Per una sociologia del romanzo, trad. it., Milano, 1967 e Le due avanguardie, trad. it., Urbino, 1966. (9) C. LÉVI-STRAUSS, Razza e storia e altri studi di antropologia, trad. it., a cura di P. Caruso, Torino, 1967, p. 77. (10) Su questi problemi si può leggere utilmente il libro di S. MORAVIA, La ragione nascosta, Firenze, 1969 (ricco di notizie bibliografiche). (11)Cfr. S. MORAVIA, op. cit. (12) J. P. SARTRE, Situations Il, Paris 1948 (il brano è tradotto da Fortini, Il movimento surrealista, Milano, 1963, p. 194. (13) A. CAMUS, L'uomo in rivolta, trad. it., Milano, 1958, p. 108. (14) H. SEDLMAYR, Perdita del centro, trad. it., Torino, 1967, pp. 177-180. L'autore ha più distesamente analizzato la posizione del surrealismo in Ober Sous-und Surrealismus ora in Der Tod des Lichtes, Salzburg, 1964 (pp. 40-62). (15) M. NADEAU, Storia del surrealismo, trad. it., Roma, 1948, p. 112. (16) A. BRETON, Manifesti del surrealismo, trad. it., introd. di G. Neri, Torino, 1966, pp. 160-161. (17) T. W. ADORNO, Ruckbliekend auf del Surrealismus ora in Noten zur Literatur 1, Frankfurt am Main, 1958 (trad. Fortini, cit., p. 201). (18) M. BLANCHOT, Lo spazio letterario, trad. it., introd. di J. Pfeiffer, Torino, 1967, p. 154. (19) M. BLANCHOT, Le demain joueur (sur l'avenir du surréalisme) in « Nouvelle Revue Française », aprile 1967, interamente dedicata a Breton e al movimento surrealista. (20) J. DERRIDA, prefazione a A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio, trad. it., Torino, 1968, pp. X-Xl. (21) J. DERRIDA, cit., p. XVI. (22) J. DERRIDA, cit., pp. XVIII-XIX. (23) A. ARTAUD, cit., p. 111. (24) A. ARTAUD, Al paese dei Tarahumara e altri scritti, a cura di Maxwell e Rugafiori, Milano, 1966. (25) A. HAUSER, Il Manierismo, trad. it., Torino, 1965, p. 347.

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premessa

Si preferisce di solito rimproverare l'autore per non aver trattato soggetto diverso da quello prescelto. Il lettore non si. preoccupa di quello che gli si vuol fare intendere: è tutto preso dal proprio progetto e dal proprio desiderio. Sin dall'inizio, devo avvertire che non si tratta di una storia del Surrealismo, come nell'opera di M. Nadeau, che traccia questa storia con l'aiuto di documenti utili e numerosi, né come negli Entretiens, in cui André Breton ripercorre, questa volta dall'interno, l'avventura del suo spirito e quella del movimento al quale si è ispirato. Inoltre non ho intrapreso uno studio delle fonti del surrealismo. Certamente il surrealismo ha delle cause, e queste possono ricercarsi sia nelle opere accolte e ammirate dai surrealisti sia negli scritti a cui si oppongono e di cui rovesciano le affermazioni. E' un fatto che un autore non approva un'idea, non si oppone ad una tendenza se non in nome di quelle esigenze che, prima di ogni altra scelta, lo condizionano dall'interno: da queste esigenze, appunto, e dai loro fini essenziali sono partito per capire il surrealismo. Mi pare che soltanto esse possano farne comprendere la lezione originale e insostituibile. Del resto, ho rinunciato allo studio delle tecniche del surrealismo e di ciò che potrebbe essere la sua estetica

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o la sua poetica. Mi si potrebbe certamente obiettare che in tal modo ho trascurato la questione principale. Ma quelli a cui interessano questi problemi possono scriverne. Il mio unico scopo è invece di parlare della filosofia del surrealismo. Filosofia del surrealismo, del resto, non vuole significare filosofia surrealista. Con troppa facilità si potrebbe obiettare che i surrealisti non sono dei filosofi in senso stretto: si sono essenzialmente espressi attraverso la poesia e la pittura. I tempi nostri purtroppo sono inclini a confondere filosofia e arte. Ma confondono anche molto facilmente la filosofia e le scienze. Per distinguere, dunque, quella da queste, è necessario comprendere che la filosofia è il processo che riguarda l'uomo nella sua totalità e non un sistema riferito agli oggetti. E' chiaro, in tal senso, che la ricerca surrealista abbia insieme qualcosa di non letterario e di non scientifico, che tenda all'osservazione e all'esplorazione di campi trascurati dalla fisica come dalle arti. I suoi procedimenti sono irriducibili tanto ai metodi razionali quanto a formulazioni propriamente estetiche. Inoltre il surrealismo comporta una vera teoria dell'amore e della vita, della immaginazione, dei rapporti dell'uomo con il mondo. Tutto ciò presuppone una filosofia che mi sono sforzato di enucleare. Non ci si stupisca, quindi, che, senza limitarmi a lui, abbia accordato una particolare attenzione ad André Breton, che del movimento surrealista è stato più che il capo la coscienza intellettuale e riflessa. Mi dispiace di non assegnare anche ad altri il rilievo che meritano nei rispettivi settori e di non chiarire di quanto sia ad essi debitore lo stesso Breton. So bene che il surrealismo · non è sorto soltanto per opera di André Breton e che questi ha preteso non di creare e di definire la verità surrealista, ma anzi di esprimerla e di esserle fedele. Ma solo nella sua opera questa verità raggiunge la maggiore chiarezza. Del resto, la d!ilfinizione stessa del surrealismo diventerebbe difficile se la si distinguesse dall'insieme delle idee espresse da Breton. Se ci si. chiedesse chi sia stato o no surrealista si andrebbe incontro a problemi insolubili, che rischierebbero di essere soltanto una vuota querelle, poiché è certamente impossibile ogni riferimento a un « in sé » del surrealismo. Poiché coloro che si sono separati da Breton hanno, generalmente, cessato anche di definirsi surrealisti, mi è sembrato che si potesse considerare il pensiero di Breton come l'essenza e la norma della filosofia del surrealismo senza fare torto

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ad alcuno. Tuttavia le idee di ciascuno di quelli che hanno abbandonato il « gruppo » surrealista richiederebbero studi particolari. Sarebbe molto interessante vedere, nelle concezioni di Salvador Dalì o di Mirò, quanto spetti e quanto sfugga al surrealismo. C'è uno humour surrealista in Raymond Queneau, una fantasia surrealista in Jacques Prévert. Anzi la bellezza surrealista si ritrova nelle opere di autori che non hanno avuto rapporti con il movimento surrealista. L'atmosfera dei racconti di Kafka, estranei, semi-soprannaturali, e così difficilmente spiegabili con la cosciente intenzione del loro autore, è, in più d'un punto, paragonabile all'atmosfera del surrealismo, e l'emozione che suscita ne « La clé » di Yassu Gauclère lo sconvolgente capitolo intitolato « Les deux lettres » è quella stessa degli incontri e del caso oggettivo. Non potevo pensare di estendere l'esame a tanti problemi. Quest'opera non è, dunque, sotto nessun aspetto, uno studio di storia letteraria. li surrealismo è qui considerato nel suo sforzo verso la sola verità. Indubbiamente Breton ha parlato, all'inizio del Secondo Manifesto, dell'« assurda distinzione del bello e del brutto, del vero e del falso, del bene e del male ». Ma ha aggiunto, nella sua « Enquete sur l'amour », che « il perseguire la verità » è « alla base di ogni attività utile », e la sua opera è ricca di richiami continui alla moralità, alla bellezza: Breton non si indigna, dunque, contro quanto si è soliti chiamare bello, vero e bene, se non in nome d'un bello, di un vero, di un bene da lui giudicati più autentici. E se, per realizzare l'uomo, rifiuta tutti i dualismi, la sua fedeltà all'esperienza umana, la sua sincerità, la sua lucidità, lo portano, in molti casi, a ritrovare le verità messe in luce dai filosofi dualisti. Infine, dichiarandosi nemico della metafisica, Breton giunge spesso, per vie proprie, alle verità che essa insegna. Infatti il surrealismo, preoccupato della liberazione totale, non accetta mai completamente l'idea secondo cui la coscienza è, nel tempo, divenuta infelice, e può, dunque, sfuggire alla sua infelicità. Se insiste sull'alienazione sociale, se spera dal futuro la salvezza, il surrealismo si accorge anche che l'infelicità della coscienza non è solo legata alla sua storia, ma alla sua eterna condizione. La sua presa di coscienza dell'uomo lo induce in tal modo, su molti punti, a ritrovare lo spirito della metafisica e ad opporsi comunque alla corrente di un'epoca in cui nessuno si preoccupa più dell'assenza essenziale, in cui ognuno misura la sua speranza a quanto può realizzare domani e in cui la forza e il fatto diventano le norme dell'azione. Tuttavia il surrealismo, che

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rifiuta ogni al di là distinto da questo mondo e professa una dottrina dell'immanenza, è, nella sua sfiducia nel Mondo oggettivo, messaggero di una qualche trascendenza. Ecco perché non mi è stato difficile mettere d'accordo la mia ammirazione per André Breton e quella per Platone, Descartes e Kant. Del resto, quanto dico non impegna che me stesso, ed è chiaro che non credo di essere, per alcuna ragione, un portavoce del surrealismo. E' dall'esterno che mi sono sforzato di svolgere la filosofia. Non pretendo di averne mantenuto tutta la ricchezza, nè di averlo spiegato. Meditando su quei temi che, nel surrealismo, possono essere oggetto di una riconsiderazione razionale, spero soltanto di non averlo tradito.

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il progetto surrealista

la speranza e l'amore

« Hai ragione, mi disse, l'ombra qui presente è uscita poco fa a cavallo. Le redini erano parole d'amore, credo. Ma poiché le narici della nebbia e i sacchetti d'azzurro ti hanno condotto a questa porta che batte in eterno, entra e accarezzami su questi gradini cosparsi di pensiero » (1).

Se questo libro prende l'avvio dalle antiche parole con cui André Breton sogna le carezze di una serva amorosa, non è soltanto perché il testo di Poisson Soluble mi ha suscitato, a vent'anni, una emozione e una speranza decisive. Poisson Soluble, ancora oggi, mi sembra, se non la più valida, certamente la più significativa opera surrealista: in ogni caso un'opera chiave. Dal brano citato si comprende come la qualità e la precisione dell'espressione non siano particolarmente ricercate. Breton, forse, non ha ancora raggiunto quella perfezione linguistica che, nel 1949, gli impedirà di credere che Rimbaud sia stato sedotto per un istante da associazioni mediocri come « gatti artigliati, spose ipocrite, mammut furiosi » (2). Da questo punto di vista si giustificherebbero di più in Poisson Soluble « l'abito nero impeccabile » e i « bei seni bianchi e palpitanti » (3). Ma la ricerca che affiora in Poisson Soluble non riguarda una qualità estetica isolabile.

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I diversi plani di attività non si distinguono, il testo tende a produrre un'emozione e una speranza che si rivolgono all'uomo nella sua interezza. E so bene che l'emozione e la speranza di Breton sono stati, fin dall'origine, emozione e speranza davanti alla bellezza. A volte sembra perfino che il Manifesto cerchi nella sola bellezza il criterio del valore dell'immagine (4). Ci vorrà molto tempo prima che Breton, perfettamente consapevole del senso che assume la Bellezza in sé, scriva in Flagrant Délit: « La bellezza è, in questo campo, il grande rifugio » (5). Poisson Soluble, maturato « in cinque anni di attività sperimentale » (6), è, ad una ricognizione critica, un punto di partenza e non un punto di arrivo. Breton non parla mai, in questo testo, della bellezza come rifugio né pone problemi di analisi o di riflessione. Perciò la bellezza, separata dalla vita, divenuta spettacolo, sembra letteraria. In questo senso la letteratura viene rifiutata. « Fate astrazione, dice il Manifesto, del vostro genio, del vostro talento e di quello di tutti gli altri. Dite a voi stessi che la letteratura è una delle strade peggiori che portano a tutto » (7). La bellezza, non oggettivabile, può essere còlta soltanto in un'emozione che diremmo esistenziale, se questa parola non evocasse oggi un clima ben diverso. Ci basterà chiamarla « vitale », ricordandoci che lo scopo ultimo di Breton è quello di raggiungere « la vera vita » (8). E' bene ricordare tuttavia che la vita non ha qui il senso che le hanno attribuito le scienze biologiche, ma proprio il senso filosofico di esistenza. Vivere non è necessariamente esistere. Alla fine del primo Manifesto Breton scrive: « La vita e la morte sono soluzioni immaginarie. L'esistenza è altrove » (9). Dunque, prima di ogni evoluzione critica e di ogni autoriflessione, il surrealismo ci propone la speranza di esistere proiettando l'esistenza in una specie di al di là della vita naturale; al di là, pertanto, immanente ad essa, non posteriore, e che sembra svélarsi a chi voglia cogliere il Mondo sotto l'aspetto del meraviglioso. Che questa speranza si sia materializzata, fin dal principio, in gioie sensualmente amorose, ce lo confermano il testo citato e le pagine di Poisson Soluble, in cui le immagini femminili si succedono incessantemente. « Mi vennero incontro molte servette vestite di una sottoveste aderente, di un raso colore della luce » (1 O). « Non si era più girata verso di me e senza l'improvvisa lucentezza del suo polpaccio, che mi indicava ogni tanto la strada, avrei

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perduto per sempre la speranza di toccarla. Avevo deciso di raggiungerla quando si girò verso di me e aprendo il mantello mi scoprì la sua nudità più seducente degli uccelli » (11). Mi sembra che non sia superfluo, in un'epoca in cui si condanna l'emozione surrealista con l'astiosa sensibilità da boyscout deluso, insistere sullo stupendo erotismo (benché un po' feticista e ossessivo, come tutto ciò che annuncia la passione) della maggior parte dei testi automatici di Breton. Quando scrive: « Ridurremo l'arte alla sua più semplice espressione: l'amore » (12), Breton è fedele a Platone, che identifica l'emozione per la bellezza con l'emozione erotica, sempre avvertita come sconvolgimento (13). E' necessario dunque non ridurre il desiderio che anima il surrealismo a un desiderio di appagamenti sensuali. In Poisson Soluble, invece, l'emozione amorosa appare come l'unico scopo della ricerca umana, perché contiene tutta l'oscurità, tutti i problemi e .tutta l'ambiguità dell'uomo. Certamente, nel 1924, la nozione dell'amore, come quella della Bellezza, non è stata ancora analizzata a fondo dai surrealisti. Le donne di Poisson Soluble non sono le amanti facili dei romanzi libertini. Annunciano la nuova Eva, la donna che è sempre oltre i nostri desideri (14). Sono il legame, il ponte tra la veglia e il sogno e sembrano prometterne la riconciliazione. Perciò Breton si preoccupa di situarle in un elemento insolito, per esempio « in fondo all'acqua ». « Non si può immaginare il numero di donne che vagano in quelle profondità, nostre mutevoli invitate. Sono vestite naturalmente di vetro. Alcune aggiungono a questo comune abbigliamento bizzarro qualche accessorio più vivace: trucioli di legno sul cappello, veli sottili di ragnatela, guanti e ombrello» (15). Breton, insieme a loro, può dunque affermare che sulla terra non c'è cuore (16). Può perfino annunciare la sua assenza e il suo ritorno « a tutte quelle » che gli « resteranno fedeli » senza « averlo conosciuto ». « Pettinatevi per lui, pettinatevi continuamente, non chiede altro. Non c'è, ma ritornerà presto ... » (17). Così, quali che siano gli arricchimenti e le incertezze che la concezione surrealista dell'amore dovrà in seguito conoscere, sembra che uno dei primi tentativi delle ricerche di Breton sia stato il desiderio di esistere nell'amore e di incontrare con l'amore la felicità. Tutto questo è chiaro in Poisson Soluble ed è perciò inesatto parlare, come spesso è accaduto, di pessimismo surrealista (18). Fatta eccezione del testo

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nove e forse del testo dodici, tutto indica, in Poisson Soluble, che il desiderio della felicità colora i movimenti dello spirito e precede, in particolare, gli atteggiamenti di negazione e di rivolta che sono, della felicità, i contrari. Senza dubbio, cronologicamente, il surrealismo è succeduto alla negazione dada. Ma Breton, nel movimento dadaista, non si è trovato mai a suo agio: nella sua rivolta e nella sua negazione non ha visto i mezzi necessari alla realizzazione positiva dell'uomo. Mentre è proprio questa realizzazione il suo scopo principale. E' questa realizzazione che lo attira e sembra fargli segno dal cielo: « Vedete quei meravigliosi cavalieri. Lanciano dall'alto, da lontano, da dove non si è sicuri di ritornare, quel laccio meraviglioso che sono le braccia di una donna » ( 19). Breton non si chiede ancora, come farà più tardi, « quale speranza riponete nell'amore? » (20). Per Breton, l'amore, l'emozione, la speranza e la felicità non sono che una sola cosa: e senza dubbio questo ottimismo non è generale. Poiché i testi di scrittura automatica esprimono profondamente la personalità del loro autore, non bisogna meravigliarsi se si trovano, nella Révolution Surréaliste, testi di angoscia, di orrore o di disperazione. « Tutto di voi morirà anche il suono delle vostre corde e le corde sanguinanti delle vostre ossa del vostro amore immondo immondo immondo ... » scriverà Pi erre Unik (21). E CI.-A. Puget, dopo avere evocato in un momento di estasi un amore crocefisso, conclude il suo testo con il ritorno di una delusione amorosa, che mi sembra inseparabile da un movimento di riflessione critica o da qualche senso di colpa: « Ah! questo fumo, queste ceneri nella mia bocca ... Ossidiana! succuba immonda! Dunque, eri ancora tu » (22). Ma in Breton questi movimenti, questi sentimenti sono rari: è lui che dà forza al surrealismo. La speranza meravigliosa e rapita che genera le immagini di Poisson Soluble si ritroverà in Nadja o in Amour fou. Si può dunque dire che, complessivamente, i testi di scrittura automatica sono calati nella vita da uno slancio di speranza. Questa speranza fa apparire vuote e inopportune le considerazioni estetiche e le gerarchie letterarie. Certamente il cattivo gusto non è assente nelle numerose pagine scritte allora sotto l'impulso di Breton. Ma Breton aveva detto: « Nel cattivo gusto della mia epoca mi sforzo di andare più lontano di qualsiasi altro » (23). Si scriveva senza timore, senza ritegno. Se si è mai realizzata la famosa « poesia fatta da tutti », è accaduto proprio in quel momento. Molti credevano, allora,

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non senza ingenuità, alla fine della letteratura e di ogni differenza di valore esteticamente fondato o almeno si pensava che letteratura e valori cedessero il posto all'uomo totale. Sarebbe estremamente interessante seguire il percorso del gruppo surrealista, il cui Manifesto dichiara che « essi hanno fatto professione di surrealismo assoluto » (24). Si scoprirebbe, in alcuni, tra operazioni in apparenza molto differenti, una singolare identità d'ispirazione. Breton appare, già tra il 1924 e il 1926, come il poeta dello stupore, della fiducia nell'uomo, dell'universalizzazione della felicità con la discesa sulla terra del meraviglioso amore. Eluard e Aragon, benché non abbiano ancora scelto, come faranno più tardi, la sottomissione dell'individuo alla Storia e allo Stato, apportano invece alla concezione surrealista delle revisioni che, considerate nelle loro conseguenze, si riveleranno come la sua pura e semplice negazione. Questa è la differenza che Eluard stabilisce nella « prefazione» di Les Dessous d'une vie ou la Pyramide humaine (25) tra il testo surrealista, il sogno e il poema: differenza del resto ripresa nella Revolution Surréaliste, dove appunto questi tre generi vengono distinti. Dei poemi, scrive allora Eluard, "è indispensabile sapere che sono l'espressione d'una volontà ben definita, l'eco di una speranza o di una disperazione formulata ». Georges Hugnet trova questa analisi " molto giusta » (26): e in effetti lo è dal punto di vista della logica, del l'estetica tradizionale e del buon senso comune, cioè dal punto di vista di tutto ciò che il surrealismo aveva cominciato a superare. Certamente, nessuno, prima di Breton, aveva confuso un sogno con un poema: distinguerli non richiedeva una grande scoperta, ma il semplice ritorno all'opinione comune. L'affermazione di Eluard, formulata nel 1926, non poteva avere, così, che un senso: rinunciare alla ricerca - nuova e costitutiva del surrealismo dell'unità di testi in apparenza così diversi come la descrizione di un sogno, una pagina di scrittura automatica e un poema. E' chiaro che uno dei problemi essenziali posti al surrealismo sarà quello dello statuto della bellezza: la distinzione di Eluard non è che il ritorno all'idea di un valore estetico separabile dall'esistenza, idea che si può certo considerare valida, ma che porta, bisogna confessarlo, ad una concezione della bellezza contemplata e non posseduta, della bellezza come spettacolo e non come vita, cioè della rinuncia alla felicità. Siamo di fronte al concetto classico della bellezza.

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I poemi di Eluard hanno ritrovato subito un modello classico di bellezza, ammirevole certamente sotto ogni profilo, ma riconoscibile da lettori totalmente estranei al surrealismo: Tes yeux sont revenus d'un pays arbitraire Où nul n'a jamais su ce que c'est qu'un regard Ni connu la beauté des yeux, beauté des pierres ... Le soleil aveuglant te tient lieu de miroir Et s'il semble obéir aux puissances du soir C'est que ta tete est close, 6 statue abattue ... (27) Le soir trainait des armes blanches sur nos tetes Le courage brulait les femmes parmi nous ... (28) Souvenirs de bois vert, brouillard où je m'enfonce, J'ai refermé les yeux sur mai, je suis à toi. .. (29)

e: Camme le jour dépend de l'innocence Le monde entier dépend de tes yeux purs... (30) versi che ho trovato identici a quelli pronunciati, in punto di morte, dalla Fedra di Racine: Et la mort, à mes yeux dérobant la clarté, Rend au jour, qu'ils souillaient toute, sa pureté (31). L'opposizione di Aragon e di Breton sembra ancora più grave. « Non abbiamo talento » (32), dichiara Breton, e ama considerarsi come un registratore o come uno specchio. « Vi offro ciò che ho fatto e ciò che non ho fatto » (33). Invece la sola idea che il talento possa essere universalizzato suscita, evidentemente, in Aragon il più vivo furore: « Col pretesto che si tratta di surrealismo, scrive, il primo cane venuto si crede autorizzato a paragonare le piccole cochonneries alla vera poesia, che' è meravigliosamente comodo per l'amor proprio e la stoltezza » (34). E, quindi, inevitabilmente, la speranza e la felicità non trovano, in Aragon, migliore accoglienza. « Non c'è speranza », « non c'è niente da attendere », « non c'è paradiso, di nessuna specie » (35). E ancora: « vi sembra che la felicità sia uno scopo della vostra vita? Vi sembra che esista? » (36). A questo punto forse si dirà che nello stesso Breton la ricerca della felicità sembra a volte condannata. « Alla felicità non

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voglio sacrificare niente: il pragmatismo non è per me », scrive in Les Pas perdus (37), e nel Manifesto: cc Ridurre !'immaginazione in schiavitù, forse anche a costo di ciò che viene chiamato sommariamente felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi» (38). E' facile comprendere che « ciò che grossolanamente si chiama felicità » non è la felicità come l'intende Breton, la felicità che non potrebbe sopravvivere al sacrificio dell'amore. E' il pragmatismo che Breton condanna, come egli stesso dice, la ricerca calcolata e calcolatrice d'una felicità limitata e prudente, che rinuncia al sogno e alle esigenze essenziali del desiderio. La maggior parte degli uomini, preoccupata da questa felicità, è disposta a separare la bellezza dalla vita, a considerarla astratta e formale, ad appenderla ai muri per contemplarla la domenica, vivendo, per tutto il resto della settimana, la vita di tutti e, come dice Breton, cc la vita dei cani » (39). Ma immagini vere e proprie della felicità attraversano incessantemente, a sprazzi, Poisson soluble: squarci dai quali la si può scorgere con l'estasi e la emozione sconvolgente che l'accompagnano. cc Figlia del sepolcro azzurro, giorni di festa, forme suonate dall'angelus dei miei occhi e della mia testa quando mi sveglio, usi delle province infiammate, mi portate il sole delle falegnamerie bianche, delle segherie mecchaniche e del vino. E' il mio pallido angelo, sono le mie mani così sicure. Gabbiani del paradiso perduto! » (40). Senza voler proporre un'interpretazione religiosa del surrealismo, tuttavia si può sottolineare che viene usata la parola cc paradiso », che il termine « salvezza » si incontra fin dalla terza pagina del Manifesto, che si dice, più avanti, che la poesia cc porta in sé la perfetta compensazione delle nostre miserie » e che soltanto essa è capace di cc spezzare il pane del cielo per la terra » ( 41). Non esiteremo ad aggiungere che Poisson Soluble sembra confermare, meglio di qualsiasi altro testo, non l'affermazione di Gide cc che l'uomo è fatto per la felicità e che la natura ce lo insegna» (42), ma proprio quella di Bossuet all'inizio delle sue Méditations sur l'Evangile: « Lo scopo dell'uomo è di essere felice» (43). Perciò « la natura » non insegna niente a una immaginazione la cui sola aspirazione è di superarla. Ma la felicità è inseparabile dal concetto stesso di questa immaginazione, concetto che Breton ha definito superbamente quando ha scritto: cc Libertà, colore d'uomo » (44).

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Breton vuole trovare la felicità in questo mondo e solo in esso, e vuole cercarla con l'amore. Dell'atteggiamento religioso, che condanna, conserva soltanto l'aspirazione umana. Il paradiso ritrovato deve essere quello della vita quotidiana, della vita quotidiana trasfigurata: in Poisson Soluble è il paradiso di Parigi, di una Parigi continuamente trasformata nel più splendido e luminoso luogo d'amore. « Piazza Porte Manteau, dove stamattina tutte le finestre sono aperte, è percorsa dai taxi liberi e dalle automobili dei padroni. Ad ogni piano, belle scritte a lettere d'argento reclamizzano i nomi dei banchieri e dei corridori celebri » (45). « La donna dai seni di ermellino era all'ingresso del passaggio Jouffroy, nella luce delle canzoni. Non si fece pregare e mi seguì» (46). « Avevamo in fitto un lussuoso appartamento ammobiliato e vi davamo ogni sera meravigliosi ricevimenti. L'entrata della Porte Albinos, nel suo vestito a strascico lungo, faceva sempre colpo» (47). «L'automobile muoveva ora le sue mani guantate di caucciù sui mobili della camera-Parigi» (48). « Il paesaggio di Parigi, usignolo del mondo, variava di minuto in minuto e fra le cere dei suoi parrucchieri proiettava i suoi graziosi alberi primaverili » (49). « Uno dei poli magnetici della mia strada dovrebbe essere, e lo sapevo da molto tempo, la pubblicità luminosa di Longines, all'angolo tra rue de la Paix e Piace de l'Opèra » (50). I romantici, profondamente nostalgici della religione, sognavano la partenza, il folklore, l'esotismo: svelavano così l'intimo legame che unisce, nell'uomo, il desiderio di un altro mondo con il desiderio di un mondo che è altrove nello spazio e nel tempo. Per i surrealisti la vera vita è la vita presente. « Mi sono sempre imposto di non pensare all'avvenire ~. dice Breton (51): Parigi sostituisce dunque Venezia e le foreste dell'America, il presente svela all'uomo la totalità dei suoi poteri. Aragon può così deridere l'ardente desiderio della partenza, dell'avventura, dell'evasione (52), e Breton può scrivere: « Parigi, come la vostra mano, è aperta per svelarvi l'avvenire» (53). Si sa bene quanto durerà per Breton questa magia parigina: tutti i lettori di Nadja ricordano l'evocazione della « statua di Etienne Dolet, in piazza Maubert » (54) o del « manifesto luminoso di Mazda sui grandi boulevards » (55). A proposito di Pont Neuf, La Clé des champs distingue, con più rigore di qualsiasi altro testo, ciò che nell'emozione di Breton dipende dal paesaggio da « ciò che è accaduto qui o là», dall'analogia, dalle corrispondenze, dalle magiche causalità (56). Si intuisce che

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una delle ragioni che hanno spinto Breton a identificare l'avventura e la vita quotidiana è stato un avvertimento del paesaggio urbano in forme femminili: « Se si attribuisce per un istante alla Senna, come a una donna, il gesto di lasciar scivolare lungo il suo fianco il braccio piegato contro la fronte ... » (57). Ecco l'origine più profonda del sentimento, sempre costante in Breton: la strada può e deve essere per lui il luogo di incontri essenziali. « La strada, che credevo capace di dare alla mia vita sorprendenti svolte, la strada con le sue inquif>tudini e i suoi sguardi, è il mio vero elemento: come in nessun altro luogo vi respiravo il soffio dell'incertezza» (58) scrive Breton nel 1924. E nel 1952, ricordando a Andrè Parinaud « la sollecitazione» dei suoi diciassette anni, parla « dei profondi nascosti pensieri, secondo la casualità della strada, che mette in gioco ciò che gli riguarda intimamente », ciò che « è strettamente legato » al suo « destino » (59).

Un'ispirazione analoga spiega alcune pagine del Paysan de Paris, dove talvolta non sembra originale e dove diversi capitoli dedicati a Parigi tendono ad una sensualità tutta fisica, a volte perfino gastronomica, che fa pensare di più alla sensualità di Léon Daudet in Paris vécu (60). Aragon è di una autenticità insospéftabile quando parla delle donne e della voluttà: il feticismo del biondo (61), le vertigini del piacere (62), il turbamento per la prostituzione (63) gli ispirano pagine veramente splendide. Penso che l'emozione amorosa di Aragon, penetrata di libertinaggio e esposta alla sconcertante vertigine del presente, ha svolto, con quella di Breton e di Eluard, un ruolo determinante nell'elaborazione dell'erotismo surrealista. Ma in Aragon e in Eluard Parigi e la Natura si trasformano in immagini femminili. In Breton sono avvolte di femminilità, permettendo così alla speranza di diventare attesa e all'attesa di assumere un valore e un significato ontologici. Si può essere certi - scriverà Breton in Nadja - che « non passeranno più di tre giorni senza vedermi andare e tornare, nel tardo pomeriggio, per il boulevard Bonne-Nouvelle, tra la tipografia del Matin e il boulevard de Strasbourg. Non so perché, ma è proprio là che i miei passi mi portano, mi reco quasi sempre senza uno scopo determinato, senza nulla di definito che questo oscuro dato: che è là che accadrà» (64). In questo testo, per quanto sotto certi aspetti appaia ricco di inquietudine, è difficile non sentire l'eco di una speranza

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positiva e del presentimento che la felicità può essere scoperta nella vita quotidiana. Ora il problema della scoperta della felicità umana in questa vita, attraverso il solo mutamento del nostro atteggiamento verso di essa, è un problema che tutta l'età cristiana ha trascurato, dal momento che il Cristianesimo riteneva possibile la felicità soltanto nell'ordine soprannaturale. Per trovare insieme la ricerca della felicità e la nozione di un Mondo autosufficiente bisogna ritornare all'antichità pagana. La soluzione antica, come si vede nello Stoicismo, è ancor sempre di rinuncia. Qui, invece, la speranza è possessiva, non sacrifica niente del desiderio e sembra attendere tutto da qualche misterioso accordo tra le nostre esigenze e il corso degli eventi. Questa speranza preesiste ad ogni progetto cosciente, ad ogni metodo definito: ecco perché ne abbiamo cercato la prima espressione nei capitoli di Poisson Soluble. Aragon afferma che « il valore documentario » di un testo surrealista « è quello di una fotografia » (65). Contemplando come una fotografia Poisson Soluble si scopre Breton tutto preso da un'attesa che, in origine, è giustificata soltanto da un'irriducibile ma irrazionale certezza: la possibilità di scoprire in ogni cosa un segno dell'amore.

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esistenza e letteratura

Il surrealismo è vita. Al surrealismo non interessa fare letteratura, vuole esprimere le capacità umane, vuole amare, sperare, scoprire. Georges Hugnet scrive: « Dalla letteratura e, si potrebbe dire, dalla carta, la poesia, con il surrealismo, è scivolata nel bel mezzo della vita. Non è più un'arte, un momento dello spirito, ma è la vita, è lo spirito » (66). Jean Paulhan, a questo proposito, accusa il surrealismo e, con esso, il realismo, di malafede. Paulhan non vuole né un « documento umano » né un « documento sovrumano». « Mi stupisco, scrive, di vedervi cominciare con una menzogna, tuttavia voi scrivete e non l'ignorate» (67). Bisogna ammettere con Paulhan che il problema del rapporto con l'estetica e la letteratura sarà il più grave fra tutti quelli sollevati dall'atteggiamento surrealista. Ma il solo fatto che i surrealisti abbiano scritto non basta a porre questo problema. Una nota diplomatica, un ultimatum, una prescrizione medica, un testo di diritto, una lettera di ingiurie sono degli scritti. Come pretendere che siano, soltanto per questo, opere letterarie? Bisognerebbe, quindi, che il loro autore, allontanandosi per un istante dal suo scopo principale, abbia pensato al linguaggio in quanto tale, non diciamo neppure dal punto di vista della forma o della retorica, ma per chiedersi se fosse

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adatto al suo fine. Non è certamente letterario l'atteggiamento di chi parla o scrive per informare, per intimidire, per suscitare una passione, per guarire, per offendere, per riferire un'esperienza, senza mai considerare autonomamente il linguaggio che gli serve da tramite. E bisogna fare attenzione a non attribuire all'autore di un testo la visione estetica del lettore. Il lettore affronta il testo quando già è stato scritto e dunque come una testimonianza del passato. Ora, l'acquisizione del passato è sempre, in qualche misura, estetica: la storia e il tempo hanno qui realizzato per noi, e senza di noi, questa separazione dal vissuto che è la condizione originaria della visione dell'arte. Ma l'opera d'arte, ritenuta tale da noi, lo è stata anche per l'autore solo se ha assunto quel distacco da essa che rende possibile lo spettacolo: così il pittore finisce di dipingere per guardare la sua pittura. Gli operai che costruivano il Pont du Gard non lo consideravano un monumento romano che abbellisse il paesaggio: costruivano un acquedotto. Allo stesso modo, l'ispirazione di molti testi surrealisti può essere rtirovata solo rifiutando di interpretare questi testi secondo i principi dell'estetica e interpretandoli, invece, con lo stato d'animo dell'amatore di rovine archeologiche. Così tutte quelle pagine che, nelle opere surrealiste, sono racconti di esperienze pongono prima di tutto un problema di verità e di significato. Ci si può chiedere se queste pagine siano belle, ma non è certamente il problema essenziale. Il problema, come per un trattato di fisica, è di sapere se l'esperienza narrata è trascritta oggettivamente, è di scoprire il suo significato e la sua portata. Si prenda in esame il racconto con cui termina L'amour fou (68). Il 20 luglio 1936, verso le tre del pomeriggio, Breton e sua moglie scendono da un autocarro « in prossimità di una piccola spiaggia nei dintorni di Lottient, il Fort Bloqué ». Si incamminano sulla sabbia, ma ben presto sono colti da un senso di angoscia e di avvi1imento che li separa. Breton lancia delle pietre contro gli uccelli marini che lo irritano. Scorge una casa lugubre, un recinto delimitato da un graticcio. Attraversando un ruscello, prova il « desiderio panico di tornare indietro». Poi, superato il fortino, riappare la calma: « ... non ci fu difficile convenire, confessa Breton, che il tormento che avevamo sofferto era infondato e che, in realtà, niente metteva in pericolo il nostro amore ». Ora, al suo ritorno a Lorient, Breton apprende dai

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suoi parenti che il ruscello attraversato è il Loch e la casa che hanno visto la « villa del Loch » dove Michel Henriot uccise la sua giovane moglie con un colpo di fucile da caccia. Nelle dependances di questa casa Henriot si dedicava all'allevamento delle volpi argentate. Molto prima dell'assassinio, Miche! Henriot e sua moglie erano affettivamente separati, come lo fu Breton, per un istante, da colei che amava. « Michel Henriot aveva l'abitudine di ammazzare col fucile, per puro piacere, gli uccelli marini ». E Breton mise « in fuga, a colpi di pietra, quegli stessi uccelli ». Il giorno precedente, un amico aveva prestato alla moglie di Breton due opere: La Renarde di Mary Webb, e La Femme changée en renard di David Garnett. Questi due volumi, e solo questi, erano stati presi in Bretagna. Infine Breton, ritornando su quegli stessi luoghi, si accorse che « il recinto che era servito per le volpi era chiuso » non come aveva creduto di vedere, « da un traliccio metallico, ma ... da un muro di cemento » che impediva totalmente dall'esterno la vista « delle gabbie di traliccio metallico » che effettivamente erano appoggiate a quel muro, ma all'interno. « Dunque» per Breton, « quel 20 luglio, fu come se quel muro si fosse mostrato trasparente ». Aggiungiamo che il fortino al di là del quale era cessato il malessere era stato una volta l'abitazione di Michel Henriot e di sua moglie. Così i limiti stessi della tragedia anteriore furono quelli in cui Breton e sua moglie sembrarono vittime « di emanazioni deleterie, di emanazioni che si ricollegano al principio stesso della vita morale ». Breton può pensare che « lo specchio dell'amore tra due esseri » è soggetto « ad appannarsi per circostanze del tutto estranee all'amore e a rilucere ancora non appena si siano dileguate ». Chi non condividerebbe che i problemi letterari, posti nel modo in cui il testo è stato scritto, sono senza interesse? Una narrazione goffa e sterile, che ci parlasse degli stessi fatti, avrebbe lo stesso valore. Ciò che importa è il contenuto, non la forma con la quale si esprime questo contenuto. I ricordi di Breton sono esatti e completi? Quale probabilità ha in questo fatto la pura coincidenza? Dagli avvenimenti narrati si può concludere che certi luoghi abbiano un alone magico suscettibile di dissolvere la nostra libertà, di abbandonarci a strutture tragiche ma impersonali modellando i nostri gesti, modificando i nostri pensieri e i nostri sentimenti, strutture capaci perfino di cambiare il nostro amore in un'angosciosa estraneità? Questi i problemi, i soli che sollevi questa avventura.

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E quanti altri racconti contenuti nelle opere surrealiste ci allontanano allo stesso modo dalla letteratura, suscitando problemi che possiamo ritenere scientifici o filosofici, ma che certamente non sono estetici! A questo punto bisogna ricordare che i surrealisti hanno voluto esplorare dapprima l'inconscio, la follia, gli stati di allucinazione, le « frasi più o meno parziali, che, all'avvicinarsi del sonno e in piena solitudine, diventano percettibili per lo spirito» (69), le immagini che accompagnano queste frasi (come per Breton « la visione confusa di un uomo che cammina tagliato in due, a mezza altezza, da una finestra perpendicolare all'asse del suo corpo») (70). Per scoprire queste immagini, per sentirne la forza, i surrealisti si disponevano in uno stato di passività, facevano appello al sonno ipnotico: è« l'onda dei sogni » (71), «l'entrata dei medium» (72), l'esplorazione di tutti gli stati che possono essere chiamati « stati secondi ». René Crevel, nel 1922, confessò a degli amici di « essere stato iniziato allo spiritismo da una certa signora D .... », in occasione di un incontro amichevole. Furono subito organizzate delle sedute in comune. Crevel si addormenta, parla con « enfasi declamatoria, interrotta da sospiri, che assume a volte toni canori » e quando si sveglia « non ricorda il suo racconto » (73). Poi è la volta di Desnos che nel sonno scrive e disegna rispondendo alle domande: D R D R D R

-

Che sai di Péret? Morirà in un vagone pieno di gente. Sarà assassinato? Sì. Da chi? (disegna un treno, un uomo che cade dallo sportello). Da un animale. D - Da quale animale? R - Un nastro azzurro, mia dolce vagabonda (74). !

In una di queste sedute, Benjamin Péret « si alza di scatto e, senza che nessuno glielo abbia detto, si getta sulla tavola e fa finta di nuotare » (75). Senza dubbio ci si chiederà se non è il caso di pensare a qualche simulazione. Personalmente, sono scettico sulla realtà dei sonni ipnotici. Comunque la rapidità del discorso sembra escludere ogni artificio. Perciò gesti e discorsi traducono la profonda personalità di ciascuno, l'angoscia di cui è già preda Crevel, il « gusto romantico del naufragio » (76) di Desnos. E non basta. Ci si

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spiega ancora come i « sonni ipnotici » non tardino a provocare nei soggetti che vi si sottopongono profondi turbamenti e a liberare « un'attività impulsiva molto pericolosa» (77). Accade che Crevel e molti altri tentano di impiccarsi. Desnos inseguirà Eluard con un coltello e dovrà essere riportato alla ragione. Alla fine, Breton supera queste esperienze, ma non abbandona la fonte che le ispirava. Infatti l'attività del Bureau de recherches surréalistes continuerà al 15 di rue de Grenelle diretta da Francis Gérard e Antonin Artaud. A questo proposito, e giustamente, Nadeau commenta: « I surrealisti si trovano, nella loro ricerca, nella stessa situazione di uno scienziato che procede su un terreno sconosciuto, sostenuto soltanto da una ipotesi che crede giusta, ma che è necessario verificare » (78). Si potrebbe tutt'al più obbiettare che l'ipotesi dei surrealisti non è chiaramente formulata e che le loro esperienze somigliano piuttosto a ciò che Claude Bernard chiama « esperimenti per vedere» (79). E' il caso del viaggio fatto da Breton, Aragon, Morise e Vitrac, viaggio senza uno scopo determinato, nell'attesa di non si sa quale avventura. Partirono da Blois, « città scelta a caso sulla carta» (80). Ma, diretta o no da ipotesi precise, l'attività surrealista sfugge alla retorica. Si sforza di allargare l'esperienza umana, di interpretarla al di fuori dei limiti e dei quadri di uno stretto razionalismo, di prendere, in poche parole, le misure dell'uomo. Per questo non ricorre al linguaggio, ma a molti altri mezzi: studiando il messaggio automatico (81), Breton invoca le immagini visuali di Herschel, la visione di Watt, la sfera di cristallo delle veggenti, le forme e le scene che ai suoi allievi Leonardo da Vinci faceva ricercare sui vecchi muri, i modelli di scrittura ornata che Marce! Til comunicava a Flournoy, l'architettura di Ceval, l'acquaforte di Victorien Sardou, « la Maison de Mozart nel pianeta Giove », i disegni medianici (82) , la trasformazione, agli occhi di Thérèse d'Avila, della sua croce di legno in crocefisso di pietre preziose. Nessuno di questi messaggi è verbale, né di competenza della letteratura. li surrealismo è ricerca di una via di conoscenza e di salvezza, è attenzione a tutto ciò che solleva l'uomo al di sopra di se stesso. Vuole sottrarsi alle «costrizioni che opprimono il pensiero condizionandolo » (83), alla tirannia delle leggi del mondo sensibile, allo spirito critico, ai tabù della morale comune, a tutto ciò che corregge e impedisce, e vuole ritrovare ancora una volta la libertà totale del-

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l'uomo. Infatti l'amore meraviglioso, la speranza d'esistere, il turbamento delle strade, che danno al surrealismo il suo colore, non sono senza rapporto con l'attività sperimentale dell'epoca dei sonni ipnotici (Poisson Soluble è posteriore a quest'epoca). In ogni caso è in gioco il potere di accedere al mondo del sogno, poiché quest'ultimo appare come il luogo in cui potrebbero essere mantenute le promesse dell'amore e della bellezza nella realtà quotidiana. Quando Breton insinua che, se nella sfera di cristallo delle veggenti non si scorge niente, può esserci «una cattiva volontà» (84), aggiunge: «penso che bisogna non essere mai stati soli, non aver avuto mai il tempo di cedere alla meravigliosa speranza di far sorgere dalla totale assenza la reale presenza dell'essere amato, per non accarezzare, almeno teoricamente, con l'occhio, questo oggetto anonimo e illogico fra tutti gli altri, questa sfera vuota in piena luce, che, nell'ombra, nasconde ogni cosa » (85). Non è ancora tempo di parlare di « sintesi » tra il mondo reale e quello del sogno, né della loro unità, ma, come dirà Breton, di « un modo per passare liberamente», e «come se bastasse premere un bottone» (86), dall'uno all'altro. Il prestigio di Desnos, citato anche in Nadja (87), deriva dalla facilità con la quale opera il passaggio tra i due mondi. La libertà surrealista consisterà sempre in questa stessa facilità: l'oggetto surrealista, sottratto al suo significato utilitario, i giochi surrealisti, in cui una risposta qualsiasi è accoppiata a una precisa domanda, non hanno altro scopo che quello di sensibilizzare lo spirito a un simile richiamo, di persuaderlo che fa male a trascurare il suo potere di ritornare, quando gli piace, a_l paese dove, secondo lo stupendo verso di Baudelaire, tutto gli avrebbe parlato nella « sua dolce lingua natia » (88). Ma non sfuggiamo al problema del linguaggio posto da Paulhan. In effetti, sottratta al linguaggio, la esperienza surrealista sarebbe,1 potuta divenire mistica, spiritica, occultista. Ora, sin dal principio, Breton sottolinea la sua diffidenza nei riguardi dello spiritismo, da cui mutua soltanto i metodi, e si rifiuta di ammettere la qualità esogena degli spiriti occulti (89). Aragon, lontano dal considerare la poesia come un segno dell'aldilà, riduce l'aldilà alla poesia (90). Breton, nel 1947, è ancora più prudente nei confronti del problema dei rapporti tra il surrealismo e la magia. Infatti: « Intendiamo lasciare - scrive - agli specialisti dell'occultismo la responsabilità di decidere, libri alla mano, se un certo numero di

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opere poetiche ... siano state scritte in stretto rapporto ai principi che i suoi adepti considerano la prima dottrina religiosa, morale e politica dell'umanità o se ne derivino in maniera più o meno cosciente o se tendano, intuitivamente, a ricercarli per altre vie» (91). Si contenta di aggiungere che « oggi tutto accade come se queste opere poetiche e plastiche, relativamente recenti, avessero sugli spiriti un potere che supera in tutti i sensi quello dell'opera d'arte » ... « come se queste opere fossero segnate dal sigillo della rivelazione» (92). Si aggiunga che Breton non si è mai abbandonato al sonno ipnotico (93) e che la tendenza all'autocontrollo e alla lucidità ha allontanato da questa pratica gli altri membri del gruppo. Preferisce a qualsiasi altro messaggio il messaggio verbale. « Le ispirazioni verbali - continua - sono di gran lunga più ricche di significato visivo e più resistenti all'occhio di quanto possano esserlo le immagini visive propriamente dette » (94). Nel surrealismo, dunque, la scrittura automatica si sostituisce sempre più a qualsiasi altro mezzo di investigazione (come, nell'elaborazione del metodo di Freud, la libera associazione sostituisce l'ipnosi). Come evitare di «salvare soltanto quelle porzioni del messaggio meglio riuscite?» (95). Pertanto, nel 1933, Breton se ne indigna. La frase citata all'inizio del suo studio sul Messaggio automatico: « Oh, no, no, io scommetto Bordeaux Saint-Augustin ... questo è un quaderno » (96) è certamente scelta per il suo valore non letterario. Preoccupato di proclamare « l'eguaglianza totale di tutti gli uomini normali davanti al messaggio subliminale» (97), Breton condanna « la esecrabile rivalità poetica » e afferma che l'atteggiamento estetico, « istintivo negli uomini sensibili al valore poetico, ha avuto l'irritante conseguenza di dare al soggetto-registratore una presa immediata su ciascuna delle parti del messaggio registrato» (98). Ma più tardi, nel 1952, Breton dirà che « ciò non ha tanta importanza come sembra» (99). Infatti, fin dal 1933, egli riconosce, forse non senza qualche contraddizione con l'idea dell'uguaglianza davanti al messaggio, che l'ipnosi libera i talenti e favorisce lo slancio di facoltà che non sono necessariamente simili in tutti gli uomini (100). Quanto alla ricerca sperimentale, non si può forse temere che il surrealismo abbia conosciuto una specie di degradazione che va dal messaggio automatico alla scrittura automatica e dal la scrittura automatica al poema?

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Indubbiamente la risposta dovrebbe essere affermativa da parte di quelli che ricollegano il surrealismo all'occultismo. Penso invece che l'assottigliamento apparente dell'esperienza surrealista e la sua riduzione al linguaggio sono stati non una degradazione, ma un ritorno alla sua essenza, che è la poesia. La poesia è, in effetti, il legame che unisce il mondo della realtà quotidiana e quello del sogno meraviglioso. E questo legame è l'unico mezzo per chi voglia conservare lucidità e non interpretare i segni del trascendente nel linguaggio di un dogmatismo ipotetico, magico o religioso. Certamente, non voglio affatto decidere l'avvenire del surrealismo, né prevedere ciò che Breton penserà e dirà in futuro. Ma è possibile affermare che la matrice del surrealismo non può ricondursi all'esoterismo. Le conoscenze che la gioventù dell'epoca dei sonni ipnotici aveva in questo campo dovevano essere molto limitate. Si è visto Crevel testimoniare una recente e superficiale iniziazione spiritica. Al contrario, nel momento stesso in cui dichiara: « Il demone che mi possiede non è affatto il demone letterario» (101). a Breton, estraneo e come assente ai corsi del P.C.N., (allora era studente in medicina), non resta che frequentare i poeti. Si appassiona a « ciò che di più raro abbiano potuto produrre la poesia e l'arte» (102). Breton ammira soprattutto i« modi», la «qualità», la « nobiltà di espressione» (103). Mentre compone poemi alla Mallarmé: D'or vert les raisins murs et mes futiles voeux Se gorgeant de clarté si douce qu'on s'étonne Au délice ingénu de ceindre tes cheveux, Plus belle, à n'envier que l'azur monotone ... (104). Va a trovare Valéry a Vielé-Griffin e alla fine di l'Amour fou scriverà a sua figlia: « Siete nata dal solo scintillio di ciò che fu, assai tardi per me, l'esito della poesia alla quale mi ero dedicato in gioventù, della poesia che ho continuato a servire, disprezzando tutto ciò che non è poesia» (105). E Aragon, che non fu sempre fedele alla poesia, scrive nel suo Traité du Style: « Certo, leggo, ho questa passione che sembra ridicola. Mi piacciono le belle poesie, i versi sconvolgenti e ciò che è al di là dei versi. Non sono insensibile a queste povere meravigliose parole lasciate nella nostra notte da uomini che non ho conosciuto. Amo la poesia» (106). Per i surrealisti, il passaggio alla poesia non fu, dunque, né

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una caduta né un passo avanti: fu un ritorno, un ritorno a ciò che non avevano mai lasciato. Ma è necessario non confondere poesia e letteratura. I surrealisti rifiutano la letteratura in nome della stessa poesia. La poesia è il dominio del meraviglioso e « il meraviglioso è sempre bello, qualunque meraviglioso è bello, di bello non c'è che il meraviglioso» (107). La poesia non ci interessa come racconto ci trasforma con l'emozione che desta. La poesia è il luogo della nostra libertà e ci permette di dare a ogni cosa la forma dei nostri desideri. L'impresa di cogliere le forze profonde del nostro spirito « può essere considerata tanto di competenza dei poeti quanto degli scienziati» (108). Breton, invece, condanna il romanzo (109) e lo condanna perché è aneddoto, perché necessariamente logico, perché il suo oggetto è per noi esterno, perché in esso ogni carattere umano è necessariamente coerente e determinato, perché la costruzione vince l'emozione immediata. « Voglio che si taccia quando si cessa di sentire», scrive Breton (110). Dunque se Breton, rifiutando la letteratura, accetta la poesia, è perché questa gli appare ontologica, vitale. Gli sembra che la poesia possegga le chiavi della libertà, che contenga il messaggio della felicità umana, nella misura in cui è linguaggio originario, il solo vero linguaggio che esprima l'essere e crei il suo oggetto. Il poeta non è l'esteta o colui che diverte, ma colui che promette, rivela e realizza. La sua promessa, la promessa della « vera vita », Breton l'ha trovata prima nelle emozioni deliranti per il verso di Rimbaud: « Ma quanto è salubre il vento!», per quello di Mallarmé che riprende Poe: «Allora, siccome la notte invecchiava » e, forse, più di qualsiasi altra cosa, nel consiglio di una madre a sua figlia in un racconto di Louys: « Diffidare ... dei giovani che passano nelle strade con il vento della sera e le polveri alate » (111). Da quel momento confessa la sua « profonda insensibilità di fronte a spettacoli naturali e opere d'arte che » non gli « procurino immediatamente un turbamento fisico caratterizzato dalla sensazione di una piuma strofinata alle tempie capace di suscitare un vero fremito » e pensa alla bellezza « esclusivamente a fini passionali » (112). Tra l'emozione poetica e il piacere erotico Breton non trova che « differenza di gradazione» (113). Poi, chiedendosi ciò che veramente dà e rivela la poesia, cerca di allargarne i confini ed è a questo punto che ritrova una esigenza morale di universalità. L'estetica,

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già condannata come non vitale, origine della separazione tra l'opera e la vita, è inoltre rigettata come fondamento delle differenze di valore che impediscono a tutti gli uomini di aspirare alla poesia. Breton, come tutti quelli che pensano di universalizzare un godimento o una conoscenza, enuncia un metodo: la scrittura automatica (114). Si tratta di scrivere senza soggetto prestabilito e senza controllo logico, estetico o morale e fare esprimere tutto ciò che tende a diventare linguaggio, impedito dalla nostra attività cosciente. Tutto in noi è discorso e tendenza al discorso: ma la coscienza riduce i nostri discorsi solo a quelli che ispira e controlla, mentre fa della nostra vita, delle nostre angosce, dei nostri gesti, un linguaggio incompreso, solitario e sempre più disperato al punto da non sembrare più linguaggio. Con la scrittura automatica Breton vuole liberare e manifestare quel discorso essenziale che è l'uomo. Questo metodo avvicina il surrealismo alla scienza per la quale soltanto si può veramente parlare di metodo, di universalità e di rivelazione di un logos fino ad allora nascosto. Pertanto, cedendo ai necessari postulati di ogni scienza, Breton oggettiva il suo scopo e parla del « funzionamento reale» del pensiero, che, per lui, la scrittura automatica potrebbe rivelare. li Manifesto così definisce il surrealismo: « Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia con qualsiasi altro mezzo, il funzionamento reale del pensiero ... ». li surrealismo si fonda sulla fiducia nella realtà superiore di certe forme di associazioni prima trascurate ( 115). Tuttavia, perché il funzionamento inconscio del pensiero è detto più reale del suo funzionamento razionale? In che modo « certe forme di associazioni » possiederebbero una « realtà superiore » a quella del nesso logico e dell'attenzione? Sembra che a queste domande non si potrebbero dare risposte soddisfacenti e che il linguaggio di Breton, poiché vuole essere scientifico, risulti inadeguato. Monnerot, giustamente stupito dell'espressione « funzionamento reale », suggerisce di sostituire il termine « realtà » con il termine « valore ». Breton rinvia, come egli stesso scrive, « a una gerarchia di valori elaborata contro l'abbandono di certe qualità umane che non sono più considerate», aggiungendo: « E' fin troppo certo che un discorso interiore o un flusso di immagini che ci si è presentato prima, malgrado e senza di noi, non potrebbe,

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senza una parai izzante confusione, chiamarsi pensiero e essere riconosciuto, da principio, superiore a quanto si produce diversamente ... Se l'oscuro non avvolge quanto vi è di più prezioso, se l'oppresso non ha più valore di ciò che l'opprime, che cosa resta dell'oscuro e dell'oppresso, della loro aspirazione al supremo impero sulle nostre anime? ... » (116). Senza accettare più l'espressione « funzionamento reale » del pensiero (nata senza dubbio sotto l'influenza della concezione psicanalitica, la quale accorda all'inconscio una «realtà» ontologica che la coscienza possiederebbe in piccola parte), credo che si potrebbe rispondere alla fondamentale domanda di Monnerot sostituendo agli illusori gradi di realtà del pensiero i gradi di realtà dei mondi ai quali rinvia il pensiero. In effetti, il pensiero automatico è considerato più reale in quanto partecipa della poesia che, a sua volta, rivela il mondo della surrealtà: mondo al quale Breton, nel Manifesto, accorda una « realtà assoluta » e questa volta legittimamente, nella misura in cui questo mondo opera la sintesi tra il mondo visibile e il mondo immaginario (117). Per accettare questa interpretazione, bisogna ancora rinunciare a vedere nella poesia una « magia senza speranza "· « L'essenza stessa della magia, suggerisce Monnerot, non è altro che credenza notturna nell'efficacia del desiderio del sentimento». «Ma quando la poesia è soltanto se stessa, l'operazione non s'accompagna a quell'attesa del risultato grazie alla quale la magia somiglia alla scienza. La poesia è magia per la magia, magia senza speranza ... , l'incantesimo cessa di cercare il suo scopo al di fuori di se stesso, il richiamo non attende di essere esaurito, la poesia è preghiera all'assenza» (118). Con queste formule, Monnerot definisce una poesia senza dubbio limitata al campo dell'immaginario e in tal modo concepita. Si può sostenere che tale dovrebbe essere ogni poesia, ma tale non fu certamente la poesia surrealista, almeno nel suo progetto iniziale. Non si contentò di « surdéterminer ,, il fenomeno « attraverso un senso poetico » che permettesse « di vederlo completamente diverso» sovrapponendosi all'utile. Non cercò « soddisfazioni sostitutive» (119). Nata da questo linguaggio originario col quale si esprime, prima di ogni riflessione, l'esigenza essenziale dell'uomo, la poesia surrealista volle trasformare la vita e, come vedremo, perfino il Mondo: è nota l'influenza che la rivoluzione esercitò sul surrealismo. Non diciamo che un tale progetto sia stato coerente o realizzabile: è stato il progetto fondamentale del surrealismo,

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progetto in cui convergevano senza distinzione la poesia, l'esistenza, l'amore e la speranza. Malgrado un lessico abbastanza confuso, in cui la parola arte qualche volta significa ciò che Breton condanna e qualche volta ciò che approva, la posizione surrealista è, dunque, molto chiara. Ciò che Breton non accetta e rifiuta sotto il nome di letteratura è una bellezza separata dalla vita, dall'amore, dalla speranza umana: la bellezza formale di tutto ciò che esprime senza creare, di tutto ciò che racconta senza trasformare. Nella lettera a Rolland de Rénéville, Breton manifesta la sua indignazione per essere stato accusato di ritornare alla « poesia-mezzo di espressione » ( 120). Per Breton, la poesia è sempre stata vita e ha sempre rispecchiato il mondo che bisogna realizzare e la libertà dell'uomo che questo mondo realizzerà. Una delle prime poesie di Breton, scritta nel 1913 e dedicata a Valéry, unisce all'erotismo del meraviglioso: Mais d'elle extasiée en blancheur dévetue Que les réalités n'ont encore asservie ..... il tragico interrogativo: De qui tiens-tu l'espoir? D'où ta foi dans la vie? (121). Se questa domanda fosse stata rivolta al Breton del 1924, crediamo che avrebbe certamente risposto: dalla poesia stessa.

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r esperienza e sistema

L'opposizione fra poesia « mezzo di espressione » e poesia « attività dello spirito » è stata sostenuta da tutti i membri del gruppo surrealista. Ma senza dubbio non ha avuto per tutti lo stesso significato. L'intervento di Tristan Tzara, Essai sur la situation de la poésie (122). tutto fondato su questa opposizione, sembra tradurre, malgrado alcune concordanze, uno stato d'animo ben diverso da quello di Breton. In verità, Tzara non nasconde di essere indifferente all'emozione-rivelazione e di detestare il meraviglioso: sembra che la sua unica preoccupazione sia quella di conciliare lo spirito demolitore di Dada, al quale non ha rinunciato, con un preteso materia1ismo dialettico superficialmente tratto da Engels. In questo contesto è difficile scorgere il ruolo del rapimento e della stessa significazione poetica. Le sole citazioni contenute nel saggio sono: hop! hop! hop! (Burger) e Ah! Eh! Hé! Hi! hi! hi! Oh! Hu! hu! hu! hu! hu! (Charles Lassailly) Siamo ben lontani dal vento di Rimbaud e dalla notte che

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invecchia di Mallarmé! Tzara è rimasto fermo al 1921, quando in Littérature assegnava a Baudelaire, Nerval, Poe il voto più basso: -25 e -1 a Rimbaud (123). Credo che questi contributi abbiano aiutato a mascherare, agli occhi di molti, il valore positivo e umano che il surrealismo attribuì sempre alla vera poesia. E si dirà forse che riconoscendo questo valore il surrealismo si riaccosta alla tradizione stessa della letteratura. Tuttavia, è vero soltanto nella misura in cui i grandi scrittori non sono mai stati, secondo certe ipotesi, partigiani dell'insostenibile dottrina dell'arte per l'arte. Se Breton, desideroso di cambiare la vita, li recupera, non è perché è lui stesso a svuotare il suo progetto. E' perché essi sono preoccupati di innalzare l'uomo, di proporre un ideale di dignità e di grandezza in cui l'esigenza dell'uomo non sia più schernita. Si sa che Breton, come critico, ha sempre sostenuto il primato del punto di vista morale. E' guidato da un'esigenza etica, da una concezione generale dell'esistenza e della condizione umana: per queste esalta o condanna opere letterarie, quadri, films, e non si limita ad una analisi formale. Ma quale vero scrittore ha mai rifiutato questo criterio? Se si è opposta l'arte alla morale, è perché quest'ultima è stata confusa con gli sciocchi pregiudizi dei bigotti che attaccarono il Tartufe, dei giudici che condannarono Baudelaire. E' evidente invece che proprio nelle opere di Molière e di Baudelaire si ritrovano non soltanto il valore estetico, ma anche l'autentica moralità. La vera bellezza è sempre morale e rivela ciò che deve essere l'uomo. Accettando i versi del Tartufe riproviamo l'ipocrisia, e l'emozione che ci ispira l'audacia di Don Juan ci fa riconoscere una natura libera da pregiudizi e quindi generosa. Il sublime dell'eroismo corneliano è indissolubilmente estetico e morale e Bénichou ha dimostrato che la letteratura del diciassettesimo secolo rispecchia un lungo dibattito sul rapporto tra l'uomo e i1 valori (124). Infatti la grandezza dell'eroe corneliano è ben presto contestato dal naturalismo di Molière, dal pessimismo di La Rochefoucauld e dall'intransigenza dei giansenisti, per i quali l'amore di sé è il principio di ogni virtù. La letteratura non è stata mai l'opera di puri esteti, preoccupati soltanto di problemi tecnici e formali, e neanche di sostenitori di un'arte « moralizzatrice » destinata a diffondere precetti religiosi o programmi politici. Ogni bellezza parla dell'uomo, dice ciò che l'uomo deve essere. Su questo punto Breton non ha innovato.

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Non per questo rinnega la maggior parte della tradizione letteraria. Nel Manifesto, cercando quali scrittori sono stati surrealisti prima di lui, ricorda, non senza riserve, Dante e Shakespeare, e trova del surrealismo in Young, Swift, Sade, Chateaubriand, Constant, Hugo, Desbordes-Valmore, Bertrand, Rabbe, Poe, Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Jarry, Nouveau, Saint-Pol-Roux, Fargue, Vaché, Reverdy, St. J. Perse, Roussel (125). Si accenna appena a Lautréamont, che più tardi doveva divenire il maestro incontestato. Il suo è considerato un caso « appassionante ,, [ 126). Mancano riferì menti al romanticismo tedesco, ai suoi inizi e ai suoi contributi: a Novalis, Holderlin, Nerval, William Blake. Breton non si ispirerà mai a questi ultimi, eppure un giorno li riconoscerà suoi predecessori: il suo è un progetto personale, autonomo. Le matrici culturali le ritrova soprattutto in certi autori francesi. Le sue scelte, infatti, sono condizionate non tanto dalla forma e dalla scrittura adottate quanto dalla loro concezione del1'uomo: perciò Marceline Desbordes-Valmore, interamente dedito all'amore, può stare accanto a Roussel, Rimbaud e Reverdy e perciò Sade, mai rinnegato, è considerato « surrealista nel sadismo», cioè nell'essenza stessa del suo atteggiamento e della sua emozione. In questa direzione il orogetto di Breton si chiarisce e si precisa. La bellezza promette la riconciliazione dell'uomo con se stesso: annuncia i tempi nuovi, tempi in cui la ragione non si opporrà più alla totalità del desiderio. Nel 1933, Breton potrà intraprendere il cammino aperto da Lautréamont e da Rimbaud, cammino che [contrariamente a quello dello spiritismo, che vuole « dissociare la personalità psicologica del medium ») « si propone invece di unificarla» (127). All'epoca dei sonni ipnotici bisognava ritrovare un legame tra il mondo del reale e quello dell'immaginario. Ora bisogna confonderli e scoprire, così, l'unità fondamentale dell'uomo che è la loro fonte comune e il terreno di origine della loro opposizione. La natura di una tale ambizione spiega la rottura di Breton con la tradizione classica [dalla quale, credo, riprenda in senso molto generale il progetto morale). In questa prospettiva rifiuta l'idea di separazione, di distinzione e quindi di rinuncia. Anche in questo senso, le divergenze estetiche non sono che la conseguenza e il risultato di divergenze morali. 11 classicismo opponeva, nell'opera d'arte, forma e contenuto: Racine o La Fontaine non esitavano a riprendere temi antichi

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per rlproporll In forme nuove. La concezione surrealista di una bellezza sconvolgente e vitale fa crollare una tale analisi cosi come l'Idea surrealista della passività del dettato della scrittura automatica e la valorizzazione integrale dei brani cosi costruiti sono la negazione della separazione tra l'ispirazione, che tutt'al più fornisce all'opera una materia prima, e Il lavoro metodico e selettivo che, secondo Boileau, deve seguirla. Ma le distinzioni classiche tra forma e contenuto, tra Ispirazione e creazione non erano che conseguenza della convinzione di una separazione più profonda, questa volta morale, che metteva l'uomo contro se stesso. La tradizione classica, infatti, separa la ragione, la sola veramente umana e che ci eleva al di sopra degli animali, dagli istinti e dai sentimenti comuni all'uomo e alle bestie e legati al corpo. E' perciò necessario sottomettere alla ragione la parte inferiore del nostro essere. Breton rifiuta questa concezione e questo rifiuto condiziona gli altri. Ad ogni separazione dell'uomo, Breton, in nome della sua speranza nell'amore e nella felicità, oppone l'unità dello spirito e del desiderio. Tale sintesi doveva definitivamente negare la separazione tra l'uomo e il Mondo, prodotto di una ragione scientifica, la quale aveva iniziato la determinazione oggettiva del reale con il rifiuto di ogni costruzione affettiva o immaginativa. In questo senso, la concezione cartesiana è capovolta. Certamente l'esperienza dell'insoddisfazione è comune a Breton e a Descartes. Quando Carrouges, commentando Breton, sottolinea che se « l'uomo è consapevole della inferiorità e della mediocrità del suo essere è perché prova nel suo intimo la presenza delle virtualità infinite che sono indelebilmente impresse nell'animo umano, anche se troppo spesso se ne dimentica » (128) è, forse inconsciamente, fedele a Descartes. Ma Descartes ha meditato soprattutto sul rigore della scienza razionale e tecnica, sulla consistenza del mondo oggettivo. Ricollega dunque l'infinito delle nostre virtualità all'infinito dell'attualit~ divina: infinito che trascende il Mondo in cui viviamo e di cui la nostra coscienza ci fa awertire soltanto la realtà e l'inaccessibilità. L'essere unificato sognato da Breton può dunque essere presentito soltanto nel Dio cartesiano, che non è sottomesso né alle verità logiche né alle strutture razionali: le ha liberamente create. L'uomo cartesiano resta nel mondo e non può impadronirsene se non sottomettendosi alle sue leggi e accettando soprattutto i vincoli della ragione. In Breton, invece, si tratta di scoprire l'infinito

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nei nostri stessi poteri, di attualizzare direttamente, e secondo il desiderio, la totalità di questi poteri, considerati capaci di sconvolgere l'intimo ordine del reale: reale con il quale questi poteri hanno una certa segreta affinità. Il dominio della natura da parte dell'uomo assume un nuovo significato. Siamo qui più vicini alla speranza magica che alla speranza scientifica. Non si tratta più di ricostruire tecnicamente il Mondo accettando le leggi oggettive e rifacendo le cose secondo processi propriamente meccanici. diversi da quelli della Natura, ma si tende ad uno sconvolgimento che allo stesso tempo trasformi il Mondo e cambi la vita. La speranza in un simile sconvolgimento suppone l'affinità delle potenze costruttrici dell'Universo e dei principi che reggono i nostri pensieri ed esige la liberazione delle forze comuni all'uomo e alla Natura, forze di cui il desiderio ci fornisce una immagine molto approssimativa. Dunque, al classicismo e alla separazione, Breton preferisce il romanticismo e la sintesi. Attesa estatica del futuro, interpretazioni del meraviglioso come segno di un aldilà pur sempre umano, desiderio di recupero del passato, preoccupazione di togliere ogni divieto per raggiungere « la vita della presenza e solo della presenza» (129). speranza di cambiare il mondo liberando il desiderio: questi i motivi che inducono Breton a condannare gli scrittori che parlano di ascesi o di dualismo e a preferire quelli che promettono la riconciliazione dell'uomo con il Mondo e con se stessi, rendendo al linguaggio e all'espressione la forza originaria. Si sa che il problema della riconciliazione è stato affrontato anche da Hegel. Hegel ha sognato un Sapere assoluto che l'arte e la religione annunciano e preparano e in cui lo spirito, scoprendosi come totalità, si determinerebbe fonte comune della Natura, dell'uomo e della storia umana. Qui tutte le contraddizioni e le opposizioni sono superate. Tuttavia non crediamo che il progetto di Breton sia quello di Hegel e ci sembra che la confusione di questi due progetti, che per un certo verso è responsabile dell'ostinazione che i surrealisti dimostrarono nel dirsi sostenitori della dialettica marxista, sia soprattutto servita al surrealismo. In molte occasioni Breton ha ribadito la sua ammirazione per Hegel. E senza dubbio molte formule hegeliane relative alla sintesi dialettica e all'identità dei contrari hanno potuto sedurlo e sembrargli capaci di esprimere le sue esigenze poetiche. Inoltre, desideroso di non tradire la causa dell'emanci-

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pazlone del proletariato, ma obbligato a reagire contro la semplificazione del marxismo e lo scientismo neo-positivista Impropriamente chiamato « materialismo dialettico», Breton è stato spinto a sottolineare la struttura hegeliana delle analisi di Marx e a chiarire e valorizzare Marx attraverso Hegel. In questo modo Breton ha approfondito la sua intuizione o almeno ritrovato uno spirito simile al suo? Non lo penso. Breton sente il dovere di affermare e sostenere i diritti dell'uomo nella sua individualità ed è per una specie di evidenza non concettuale che ne scorge il valore. In Position politique il surrealismo renderà omaggio « alla facoltà individuale che illumina nella grande ignoranza, nella grande oscurità collettiva» (130) e, fin dai tempi del Manifesto, Breton sembra invidiare i pazzi che gustano « tanto il loro delirio da sopportare che abbia valore soltanto per loro » ( 131). Chi non riconoscerebbe in ciò la stessa definizione di quanto Hegel condanna? Hegel preferisce sempre la storia all'individuo, il linguaggio discorsivo all'evidenza intuitiva, la verità universalizzata alla certezza individuale. E, purtroppo, proprio in Hegel noi troviamo la fonte prima di questo disprezzo dell'uomo che tanti marxisti oggi deplorano. Senza dubbio, per scorgerla, bisogna rinunciare a ridurre la filosofia di Hegel al suo contenuto strettamente esplicito. Una dottrina agisce e s'impone non tanto per il significato letterale delle sue affermazioni concettuali, quanto per i tentativi e le profonde strutture, prodotto non sempre consapevole dello stesso autore, e che a volte non appaiono chiare se non nelle conseguenze pratiche o storiche del suo pensiero. Wolfgang Paalen, in ogni caso, non si inganna quando, alla domanda « Apritevi a Hegel » risponde: « No, perché la sua filosofia permette di giustificare tutti i regimi totalitari » (132). Certamente l'autocritica fatta in nome di norme estranee alla coscienza, l'organizzazione di processi in cui l'accusato è reo confesso e confonde il suo discorso con quello dei suoi accusatori, dimenticando ogni certezza intuitiva, ogni verità interiore, ogni ideale umano distinto dall'ordine, fanno parte di un mondo specificamente moderno, di cui Hegel non aveva affatto previsto l'orrore. Bisogna convenire, però, che, quando afferma che l'Essere è riducibile al linguaggio e all'universalità, Hegel è senza dubbio preoccupato di liberarsi della propria solitudine: si manifestano il terrore di avere ragione senza l'approvazione di tutti, il desiderio appassionato e quasi panico di essere riconosciuto dall'altro, la preoccupa-

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r zione di sfuggire alla radicale infelicità della coscienza. Ma si sa dove conducono e dove hanno condotto questo terrore, questo desiderio e questa preoccupazione. Umani e commoventi in sé, essi generano sempre la disumana e odiosa tirannia. Infatti, i diritti della libertà sono inseparabili dai diritti della solitudine. Negando il valore della solitudine, Hegel distrugge la libertà: per lui, avere ragione contro il Mondo, la Storia e la Società significa ancora aver torto. Una convinzione individuale, quale che sia l'evidenza che la genera, non potrebbe essere una verità. Il solo fondamento possibile della verità è, per Hegel, la partecipazione delle coscienze, il linguaggio razionale è il principio unico dell'accordo universale. In nome dell'«autocoscienza universale», Hegel respinge ogni richiamo al sentimento e all'intuizione, critica I'« anima bella» che crede di trovare in sé l'assoluto divino, l'accusa di follia e ne considera astratta e formale l'esigenza morale. Breton invece scrive: è nella morale « che ho sempre trovato i miei principali temi di esaltazione» (133). Quindi, non capisco come abbia ripreso, nel Second Manifeste, una frase nella quale Hegel dichiara che« nella sfera della moralità, in quanto questa si distingue dalla sfera sociale, non v'è che una convinzione formale » (134). « Non è più il caso di esaminare se questa convinzione formale sia sufficiente - aggiunge Breton e di voler a tutti i costi limitarsi a questa, non fa onore né all'intelligenza né alla buona fede dei nostri contemporanei ». Ma Breton non preferì forse la convinzione morale formale alla convinzione sociale che Hegel chiama « vera convinzione»? Secondo la norma del testo di Hegel, citato con elogio da Breton, non bisognerebbe, in alcuni conflitti tra Breton e il partito comunista, dare ragione a quest'ultimo? In ogni caso, niente è meno hegeliano di quest'altra frase del Second Manifeste: " Ancora oggi nel mondo, nei licei, nelle stesse officine, nelle strade, nei seminari e nelle caserme vi sono dei giovani puri, che rifiutano l'abitudine. E' ad essi che mi rivolgo ... » (135). In questo meraviglioso appello, in cui l'individuo afferma la totalità dei suoi diritti e si ribella alla costrizione sociale, quali che siano il nome o l'aspetto che assume quest'ultima, si ritrova questa volta l'autentica voce di Breton, più vicina a quelli che rinnega che a quelli a cui si appella. In effetti, Breton non ha mai subordinato l'evidenza del dovere alle esigenze del sistema. Tende dunque ad una

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unlversalltà più kantiana che hegeliana. In ogni caso, questa universalità non sacrifica niente della convinzione interiore e del valore dell'individuo e non pretende di " conservarli » " superandoli » secondo le celebri formule della mistificazione dialettica. L'amore di Breton per Hegel, riaffermato nei recenti Entretiens ( 136), non può, pertanto, ed è chiaro, sostenersi su un puro malinteso. Ha soprattutto una radice passionale nella reazione del giovane Breton contro i sarcasmi antihegeliani del suo professore di filosofia, il positivista André Cresson. Anche il lato titanico e un po' mostruoso dell'opera di Hegel doveva esercitare su Breton una seduzione positiva. Ma senza dubbio Breton non poteva che ammirare in Hegel la volontà di negare ogni trascendenza o, che è la stessa cosa, la volontà di proiettare ogni trascendenza su un piano orizzontale. " La trasformazione della vecchia metafisica in Logica, scrive Hyppolite commentando Hegel, significa la negazione di un essere trascendente che la ragione potrebbe conoscere ma che sarebbe un mondo intelligibile di fronte a questa ragione. L'assoluto è soggetto, non sostanza; l'Assoluto è la conoscenza speculativa della Logica. Dio non è accessibile che nella pura conoscenza speculativa, è soltanto in questa conoscenza, ed è soltanto questa stessa conoscenza. La teologia dava realtà all'intelligibile al di là dell'intelligenza. La logica hegeliana non conosce né cosa in sé, né mondo intelligibile. L'Assoluto non si pensa che nel mondo fenomenico e non altrove, il pensiero assoluto si pensa nel nostro pensiero ed è nel nostro pensiero che l'essere si manifesta come pensiero e come senso ... » (137). Il desiderio, fondamentale in Breton, di distruggere la religione senza lasciar cadere pertanto l'esigenza religiosa dell'uomo, doveva dunque, a questo punto, realizzarsi. In effetti, il progetto di perdere per ~empre la religione e la metafisica si è maturato nel XIX secolo e non, come ci insegnano i testi scolastici, nel XVIII. Questo progetto non poteva realizzarsi che attraverso la divinizzazione della storia. Nel XVIII secolo metafisica e religione negate dal di fuori si mantenevano nella loro propria originalità. Nella Dialettica trascendentale di Kant viene per la prima volta formulata l'idea che l'illusione della ragione deve essere meno confutata che compresa: tuttavia Kant, non rivolge mai questa comprensione contro la libertà del soggetto conoscente. Con Hegel, infine, che pretende di

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ricomprendere tutte le affermazioni che precedettero il suo sistema in una verità più ampia da cui soltanto possono trarre i I loro significato, ogni evidenza, separata dal soggetto individuale giudicante, si integra in una dialettica cosmologica, ogni coscienza individuale è dissolta e ogni tentativo fatto dagli uomini per scoprire un principio trascendente del giudizio, una verità superiore alla storia è condannato. La dimensione verticale dell'uomo, che il XVII secolo aveva accuratamente difesa, è negata. Bisognerebbe, pertanto, sapere se una tale impresa realizzi l'uomo totale, restituendogli tutta la sua forza o se piuttosto perda la sola libertà che l'uomo possa effettivamente raggiungere. L'affermazione di un principio trascendente del giudizio, di una verità superiore alla storia, permette la rivolta e la resistenza contro l'ordine sociale: in Descartes, il contatto dello spirito individuale con l'infinito, fonda contemporaneamente la certezza e la libertà di questo spirito. Negando la possibilità di un tale appello, Hegel disarma la coscienza. Nelle prigioni del!'« ancien régime », l'accusato poteva almeno far appello a un assoluto atemporale, disconosciuto dai giudici. Nella prigione hegeliana, e sotto l'impero di una storia il cui solo termine sarà l'Assoluto, non potrà che prepararsi a confessare, davanti alla giustizia dello Stato, che la sua rivolta e la sua certezza solitaria erano soltanto illusione ed errore. Breton ha sempre condannato la trascendenza e la metafisica, ma, nel suo intimo, mi sembra che non le abbia mai abbandonate. Bisogna diffidare del contenuto esplicito delle formule: egli non rinvia che a un sistema di concetti, espressione sempre approssimativa e astratta di un atteggiamento umano che è il solo a restare fondamentale. Ogni affermazione trova il suo valore nell'esperienza ed è l'atto dell'intendere che fornisce alle idee contenuto e valore. Spesso si oppone l'ambiguità della tendenza a precisare l'idea, mentre invece è l'idea che, isolata dal vissuto, resta ambigua. Così, in Hegel, l'idea dell'uomo unificato e totale contribuisce alla formazione del clima proprio del XIX secolo, clima reazionario e anti-individualista, che rafforza le affermazioni peraltro poco hegeliane di de Maistre e di Bonald. In questa prospettiva valgono la storia e lo Stato, la rivendicazione individuale è condannata: l'uomo attende la sua salvezza dal lo Stato e dalla Chiesa. Breton l'attende, invece, dall'uomo stesso, dai suol desideri e dalle sue estasi. In Breton il fondamento della

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certezza è individuale, l'infinito è ribelle al controllo di una ragione logica e non si lascia ridurre a un linguaggio discorsivo. Se, in Breton, Dio non fosse negato, tutto ciò sarebbe cartesiano. La poesia prende qui il posto della « meditazione » cartesiana. La poesia porta il peso di tutta l'attesa dell'uomo e raccoglie l'eredità della religione. Il progetto di Breton, perciò, assume la forma di una speranza irriducibile, ma razionalmente non giustificata. Per Hegel, la storia è il luogo del linguaggio e lo strumento dell'universalità. Per Breton l'uomo si annuncia nel segno e nelle meravigliose speranze che vi si esprimono. La poesia non tenta di disporsi in una logica che le darebbe il suo senso, ma diviene essa stessa alogica e conferisce al Mondo un significato nuovo. Invece di attendere la realizzazione dei suoi desideri dal corso della storia sottomettendosi, per ritrovarvi più ricqhezze di quanto non ne contenga il sogno, ignora i compromes'si e oppone al gioco della politica una chiarezza che non sacrifica niente del desiderio. Perciò si può dire che contenga una sorta di eternità. In ogni caso è difficile distinguervi la volontà, tesa verso il futuro, dal rimpianto, carico del passato: è indissolubilmente attesa e nostalgia. « Ogni paradiso non è perduto », dice una poesia di Clair de Terre (138). E in un'altra, una fanciulla, « adoratrice del paese ricalcato sui tuoi profumi » ( 139), ci fa pensare al desiderio baudelairiano di andare a vivere « nel paese che ti rassomiglia » (140). Il primo Manifesto dichiara: « Lo spirito che si immerge nel surrealismo rivive con esaltazione la migliore parte della sua infanzia ... Forse è l'infanzia che si avvicina di più al la vera vita ... l'infanzia in cui tutto concorreva ... al possesso efficace e senza rischi di se stessi » ( 141). La felicità assume l'aspetto di qualcosa che coincide con il proprio essere, la sola che consenta ciò che Breton chiama fede: fede the lo svolgimento temporale della vita ha spezzato e la cui purezza va ritrovata. « Abbiamo tanta fede in ciò che la vita ha di più precario, cioè nella vita reale, che alla fine questa fede si perde » (142). Ma « ogni mattina si incamminano dei fanciulli spensierati. Tutto è vicino, le peggiori condizioni materiali sono eccellenti. I boschi sono bianchi o neri, non si dormirà mai » (143). Non c'è bisogno di sottolineare il carattere non hegeliano di questi testi: affermano il valore di ciò che Hegel chiama l'immediato,

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di ciò di cui tutta la filosofia di Hegel ha cominciato a dimostrare la radicale povertà, poiché, secondo Hegel, ogni ricchezza deriva dalla mediazione e appartiene al concetto. Breton non ha mai fatto della nostalgia uno scopo e ha perfino rifiutato la ricerca proustiana del tempo perduto, pur sempre dominata, anch'essa, dall'amore dell'[nfanzia e dal senso dell'estasi. Ma ciò che separa allora Breton da Proust e gli impedisce di soccombere a una metafisica dell'eterno non è certo la logica hegeliana. Piuttosto è una es[genza kantiana di universalità, il rifiuto di riservare a pochi privilegiati questo mondo delle meraviglie che, secondo il suo desiderio, deve diventare il mondo di tutti gli uomini. Per questo Breton condanna l'estetismo, e, innamorato dell'infanzia, non ci parla mai della sua infanzia. Non si parla che di se stessi, la poesia si rivolge a tutti e vuole trasformare l'uomo. Nel1'esperienza poetica Breton ritrova dunque, più che un presentimento del futuro, un contatto dell'individuo con l'universale: perciò, piuttosto che sottomettersi alla tota Iità del la storia, l'esperienza surrealista permette di giudicare la storia in qualche modo secondo una norma eterna. " li surrealismo - si legge in Medium (144) - è l'incontro dell'aspetto temporale del mondo con i valori eterni: l'amore, la libertà e la poesia». Perciò la posizione morale di Breton resta più cartesiana che hegeliana. Suppone tuttavia una tensione difficile a sostenersi: si vedrà spesso il surrealismo, perciò, esitare, a volte contraddirsi di fronte alle prove difficili. Le sue esitazioni, le sue contraddizioni saranno tuttavia, concettuali e nell'ordine del solo discorso. Secondo lo spirito, riveleranno la continuità di una esigenza unica, che il surrealismo non ha smentito. A differenza dei discepoli di Hegel, Breton, rifiutando il giudizio di uno Stato o di un partito, sostiene i diritti solitari di un pensiero che scopre in se stesso la sua prima certezza. La verità che egli enuncia è, in tal modo, metafisica, e non è un caso, se le parole sur-realismo e meta-fisica hanno la stessa struttura. Certamente i modi di esprimersi della metafisica e del surrealismo sono completamente diversi. Ma, poiché molti filosofi post-hegeliani hanno abbracciato il partito dei politici e dei tiranni, dedicandosi al miserabile compito della giustificazione delle cose che sono, è compito del la poesia ritrovare il significato della filosofia e di ricordare agli uomini ciò che deve essere.

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la rivolta e la rivoluzione

il rifiu1o surrealista

Si è spesso parlato di nichilismo surrealista. " Rivolta assoluta, - scrive Camus - insubordinazione totale, sabotaggio come regola, humor e culto dell'assurdo, il surrealismo, nella sua originaria intenzione, si definisce come il processo di tutto sempre da ricominciare » ( 1). I surrealisti " hanno creduto di poter esaltare l'assassinio e il suicidio" (2). « Questi frenetici volevano una rivoluzione qualunque, una qualsiasi cosa che li traesse dal mondo di bottegai e di compromesso in cui erano costretti a vivere. Non potendo avere il meglio, preferivano il peggio. In questo erano nichilisti" (3). Si aggiunga un po' di teologia e il nichilismo diventerà satanismo. Secondo Gengenbach, « è certo che i surrealisti raggiungono Lucifero » (4). E un prete, amico di Claude Mauriac, « avendo un giorno ricevuto da un signore bene intenzionato una documentazione completa sul surrealismo ... ebbe l'impressione che arrivasse direttamente dal l'Inferno " (5). In verità, sono poco qualificato a decidere su ciò che proviene dall'Inferno e su ciò che non ne proviene. Ma Claude Mauriac nota, molto giustamente, che « bisogna credere in Satana per pensare di servirlo " e che « Breton si interessa troppo agli uomini per potersi occupare degli angeli, fossero anche angeli decaduti " {6). Certamente il surrealismo ha

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moltiplicato le ingiurie contro i preti, contro la Chiesa e contro Dio stesso. Non bisogna dimenticare che nel 1947, il testo di A la niche les glapisseurs de Dieu ricorda le prime violenze della rivoluzione surrealista. Ma non si tiene abbastanza conto del fatto che, quando si tratta di valutare il significato di questi insulti, deve essere innanzitutto posta la questione della fede in Dio. Si dice spesso che una bestemmia suppone la fede. E' un giudizio affrettato. Certamente perché una bestemmia abbia il suo significato letterale e logico bisogna supporre l'esistenza di colui al quale essa è rivolta, cioè Dio. Ma se il bestemmiatore ha dichiarato la non esistenza di Dio, si è obbligati a dare un significato diverso al le sue intenzioni e a non invocare più il satanismo. I surrealisti hanno detto esplicitamente che ai nostri occhi le bestemmie " sono evidentemente prive di ogni obbiettivo sul piano divino ma ... continuano ad esprimere la nostra irriducibile avversione per qualsiasi essere inginocchiato » (7). Di conseguenza bisogna riconoscere che non si tratta di cercare qui la vertigine di una libertà in rivolta che rifiuta di sottomettersi a un Dio del quale riconosce l'esistenza. La bestemmia surrealista non ingiuria Dio, ma i credenti: vuole sconvolgere la loro coscienza, distruggere un rispetto che è ritenuto vano, un'idea senza oggetto, sostituire ciò che i surrealisti considerano un errore con la verità delI 'uomo, con la sua realtà, unica fonte dei valori. Così, in Breton, la negazione teorica di Dio precede l'antireligione: è l'effetto di un dubbio più che di una rivolta. Certamente si può pensare che Breton si inganna negando Dio, ma non si può pretendere che bestemmiando scelga il partito del male o del nulla. Sceglie invece il bene e l'Essere. Su questo punto Claude Mauriac ha ragione quando scrive che Breton « non ama che i I bene e non vive che per esso » (8). Ma le cosè non sono così semplici: l'ordine di dipendenza della negazione teorica di Dio e della rivolta contro Dio che si suppone esistente non è facile a definirsi. Una rivolta originaria può essere la fonte di una negazione teorica che diventa allora passionale e in malafede. « Spesso - nota Carrouges sotto l'ateismo affiora l'antiteismo, cioè non più l'assenza pura e semplice della fede, ma un conflitto furioso tra la fede e l'odio contro Dio » (9). E' perfettamente vero. Ma per risolvere questi problemi in

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ogni caso particolare bisognerebbe capire l'atteggiamento di un autore meglio di quanto l'abbia capito lui stesso: a questo punto il critico deve diventare " prometeico " e considerarsi come Dio nel giorno del Giudizio. Al contrario, fra i numerosi testi di tono profetico raccolti da Carrouges a sostegno della teoria di una letteratura dominata dal desiderio dell'uomo di sostituirsi a Dio, vorrei, con minore ambizione, che si facesse una distinzione tra quelli nati dalla rivolta e quelli prodotti da una negazione teorica. La celebre formula di Nietzsche: « Dio è morto, ora vogliamo che viva il Superuomo • (10) ,può avere due significati opposti. E non comprendiamo come Carrouges possa citare nel la stessa pagina e considerare equivalente la frase di Bakunin: « Anche se Dio esistesse bisognerebbe sopprimerlo» e quella di Dostoievski: « Se Dio è, tutta la volontà gli appartiene e al di fuori della sua volontà non posso fare più nulla. Se Dio non è, tutta la volontà mi appartiene e devo proclamare la mia volontà » (11). Alla frase di Bakunin e a quella di Georges Bataille, citata anche da Carrouges: " E' Dio che vorrei poter dilaniare? » non riesco a dare alcun significato (il lettore vorrà scusare la mia mancanza di penetrazione per quanto riguarda il satanismo). Quanto al testo di Dostoievski, non vedo la ragione di contraddirlo: enuncia, al di fuori di ogni ribellione luciferina, i due termini di un'alternativa razionale. Breton ha scelto il secondo. Dunque, pensando alla non esistenza di Dio, Breton logicamente ritiene che ogni volontà appartenga all'uomo. Un ateo non potrebbe pensare diversamente. E' necessario distinguere completamente l'ateismo surrealista dal satanismo romantico al quale il primo è stato spesso avvicinato. Secondo Carrouges Breton fa « appello alle potenze delle tenebre », accetta « la nozione di una maledizione primitiva», ricorre alle « forze maledette umane e sovrumane », per dare alla « rivolta cosmica una potenza vittoriosa », vede in Dio « un Essere di vendetta e di aggress.ione » (12). li quadro del satanismo, malgrado l'affermazione in sé contraddittoria della possibile vittoria della rivolta cosmica, non può che essere disperato. Se Dio esiste, se è fonte di ogni realtà, che significato ha, in effetti, la rivolta contro di Lui? Questa rivolta non può che fallire; consiste, per l'uomo, nell'andare verso il nulla. Ora, non si può andare verso il nulla se non per un orgoglio che porta ad un gusto teatrale: l'eroe luciferino offre agli altri uomini la visione della sua nera

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« silhouette » che scende agli inferi come Don Juan nell'ultimo atto, in un supremo atteggiamento di sfida. Ma niente è più estraneo all'essenza del surrealismo quanto l'idea di una bellezza-spettacolo, fosse anche uno spettacolo nero. Il progetto surrealista è fatto di speranza positiva, è sforzo di realizzazione e impazienza d'essere. In effetti, se Dio non esiste, la rivoluzione concreta che si instaurerà nel mondo degli uomini non va più pensata nel clima della dannazione e della bestemmia. Non si tratta di iniziare contro l'Essere una lotta disperata, ma di vincere ciò che è differente dal l'Essere. Il surrealismo rimprovera all'idea di Dio di limitare l'uomo, di impedirgli di attuare la conquista della totalità dei suoi poteri. Qui non vi è satanismo, ma fiducia nell'umanismo, cioè negazione di ogni trascendenza dell'Essere sull'uomo, affermazione che, poiché realtà e valore sono relativi all'uomo, le sue azioni non possono essere limitate (13). Quindi per il fatto che l'umanismo è teoricamente affermato, la rivolta contro Dio non è più la rivolta disperata contro l'Essere, ma la rivolta contro le illusioni che, secondo Breton, impediscono all'uomo di realizzarsi.

Ancora una volta si può dire che Breton si sbaglia. Ma lo spirito che lo anima è quello dell'amore, della speranza e della fiducia nella nostra libertà. Tuttavia non si possono trascurare i numerosi testi surrealisti che giustificano l'interpretazione di Carrouges né il gusto di Breton per l'umore nero e per il nichilismo. Quando Breton scrive, in Amour fou: « Il solo amore esistente è quello carnale », si può, in un primo momento, sperare che si scagli contro i divieti di una morale sessuale fatta di pregiudizi, in nome di un umanismo consapevolmente accettato. Ma poi aggiunge: « Adoro, e non ho mai cessato di adorare la tua ombra velenosa, la tua ombra mortale ». Quindi la frase seguente: J Verrà un giorno in cui l'uomo saprà riconoscerti come il suo solo padrone e onorarti anche nelle misteriose perversioni di cui ti circondi » (14), senz'altro può considerarsi satanica e collocarsi, di conseguenza, in una logica che, suo malgrado, ci riconduce alla religione che Breton pretende di combattere. Se l'ombra dell'amore carnale è velenosa e mortale, si può ritrovare la Vita altrove che nell'amore divino? L'augurio formulato da Breton in Point du jour che ritorni non la colomba « ma il corvo» (15) e l'affermazione di Arcane 17 (in cui allo stesso modo è cantata « la

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vita in ciò che ha di più invitante ») ( 16). secondo la quale Lucifero genera " poesia e I ibertà » ( 17). condurrebbero ogni interprete rigoroso a simili conclusioni. Come interpretare questi testi, se non vogliamo considerarli delle pure esercitazioni letterarie, senza significato? Gracq, che ha giustamente dimostrato che la parola « nero » (presente in romanzo nero, museo nero, lavatoio nero, diamante nero, Dio nero, ecc.) « polarizza negativamente, in rapporto al l'attrazione luciferina, tutti i campi magnetici sui quali sventola la bandiera di Breton », giudica che questa parola « .•• ha per i surrealisti tutta la carica galvanica di cui è capace » in rapporto « al sacrilegio» e« alla profanazione» (18). Ma il sacrilegio suppone la fede e quindi come conciliarlo con la speranza senz'altro positiva e la moralità della coscienza surrealista, moralità che può essere sostenuta soltanto nella misura in cui Dio è teoricamente negato? Può darsi che rispondere a questa domanda non sia facile. Crediamo che per spiegare l'apparente nichilismo di Breton bisogna prima riconoscere un ruolo alle influenze esterne al surrealismo propriamente detto e al peso che ha avuto fin dall'origine. Il prestigio del romanticismo tedesco, l'esperienza puramente negativa del movimento Dada si uniscono, in Breton, all'interiorizzazione di Vaché per il quale il senso della sconfitta sembrava dominante. Victor Crastre ha precisato l'opposizione tra Vaché e il surrealismo in modo decisivo: « Il surrealismo dà all'uomo largo credito: Vaché no. li surrealismo crede nel futuro, anche il più lontano, Vaché considera solo il presente: ha ucciso il futuro perché si è ucciso. Il surrealismo, infine, trova nel mistero una porta aperta: Vaché invece chiude tutte le porte» (19). Tuttavia Breton ha scritto: «Vaché è surrealista in me» (20). E Gracq, commentando questa espressione, ritiene che Breton è stato « letteralmente attraversato,, dallo «spirito» di Vaché (come del resto da quello di Sade, Lautréamont, Jarry ecc ... ) (21). Non vi è dubbio che Breton sia stato « attraversato » dallo spirito di Vaché e sia caduto sotto il suo potere. Ci si può chiedere, invece, se, anche in Breton, Vaché sia riuscito ad essere surrealista. Vaché gli ha fornito una varietà di immagini nelle quali lo stesso Breton ha provato una certa difficoltà ad esprimersi. L'incidente alla prima delle Mamelles de Tirésias, quando Vaché entrò nella sala impugnando una pistola, è senza dubbio l'origine della celebre affermazione del

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« Il più semplice atto surrealista consiste nello scendere nel le strade, rivoltella in pugno, e sparare a caso, finché si può, sulla folla " (22). Questa frase è stata citata troppe volte e gli sciocchi non hanno, del surrealismo, compreso che questa.

Second Manifeste:

Resta il fatto che è stata scritta da Breton ed è in contrasto con la sua speranza meravigliosa. Infatti ogni volta che affiora l'influenza di Vaché, si avverte in Breton una sorta di conflitto interiore e al tempo stesso quasi una condizione di possesso: il dialogo tra il poeta rapito e colui che lo negava, irridendo nel 1916 le sue propensioni letterarie, è continuato a lungo, nello stesso Breton, dopo la morte di Vaché. Al movimento che ispira Poisson Soluble si oppone allora un'ironia amara e un disprezzo: il singolare capitolo di Pas perdus intitolato Jacques Vaché (23) ci sembra che evidenzi, meglio di qualunque altro, questo conflitto: gli esiti dell'automatismo restano validi ma il ritmo contrastante comporta una specie di negazione che viene a interrompere incessantemente l'ispirazione. E nelle pagine della « confessione sdegnosa », anche esse dedicate a J. Vaché, l'entusiasmo, la curiosità « che si esercitano appassionatamente sugli esseri » (24) trovano continuamente la loro contropartita in qualche delusione. « Se c'è la morte, quale verità può esserci? », si chiede Breton imitando Tolstoi. E si rifiuta di adattare la sua esistenza « alle condizioni derisorie, in questo mondo, di ogni esistenza » (25). E conclude: « Ecco perché mi sembra che tutto ciò che si può realizzare nel campo intellettuale testimoni sempre il peggiore servilismo o la più completa malafede. Per quanto mi riguarda amo soltanto le cose incompiute » (26). Infatti Vaché non avrebbe sensibilizzato Breton se la rivolta, in lui, non 1 avesse avuto accenti di disperazione. Inoltre è difficile trascurare l'angoscia profonda che spesso invade i surrealisti: se ~i è manifestata in particolare in pochi, spingendo nel 1935 Crevel al suicidio, è stata, tuttavia, intimamente vissuta da tutti. Il primo numero della Révolution surréaliste (27) enumera tutti i casi di suicidio segnalati dalla cronaca in un certo tempo e apre la famosa inchiesta: il suicidio è una soluzione? La dichiarazione del 27 gennaio 1925, del resto abbastanza contradditoria, parla del carattere «completamente disperato della rivoluzione surrealista » (28).

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« Del gusto conosco solo il disgusto » scrive Pierre Naville nel numero 3 della Révolution surréaliste (29). Senza dubbio, fin dal numero 4, Breton, assumendo la direzione della rivista, ricorda il « principio originario del progetto surrealista » e ritorna alla speranza positiva: « Vogliamo e avremo l'al di là della nostra vita. Per ottenerlo, basta ascoltare soltanto la nostra impazienza e restare, senza reticenza, agli ordini del meraviglioso» [30). Ma nello stesso numero, ben diverso è il tono di Aragon: «Maledico la scienza ... Siamo l disfattisti dell'Europa ... Risveglieremo dovunque i semi della confusione e del malessere. Siamo quelli che stenderemo sempre la mano al nemico» (31). Qual è, dunque, questa forza di negazione pura che, nella coscienza surrealista, si oppone alla speranza positiva dell'umanismo e alla estasi dell'amore meraviglioso? Penso che non si possa negare il motivo di confusa colpevolezza che originariamente si è accompagnato al rifiuto surrealista. E senza dubbio questo motivo è presente in qualsiasi rivolta passionale. E' il caso di aggiungere: in qualsiasi rivolta, quale che sia? Non credo. Una rivolta come negazione totale ma chiaramente motivata mi sembra impossibile. E' una rivolta della stessa ragione: della « ragion pratica », in senso kantiano, che rifiuta l'iniquità del fatto. Ma la rivolta totale, come anche la coscienza rivoluzionaria assunta dai surrealisti, è necessariamente sintesi di creazione e distruzione, di amore e odio, di gelosia e senso di giustizia, di generosità e crudeltà. La rivolta non può allora giustificarsi completamente, non può chiarirsi e coincidere con se, la si può soltanto vivere. A meno che non si creda, come in effetti suggerisce la propaganda politica, che in un conflitto tutto il bene sia da una parte e il male dall'altra, a meno che non si giustifichi questa arbitraria affermazione come a volte in malafede è stato tentato, con la considerazione di qualche superiore interesse o del futuro della storia (interesse o futuro che si suppongono conosciuti dai capi militari o dai feaders di un movimento, di cui perciò basterebbe eseguire gli ordini, bisogna confessare che ogni rivolta è per lo meno rischio morale e che le immagini in cui si esprime ci turbano profondamente soltanto in quanto sono sostanzialmente oscure. Il rischio morale della rivolta come assoluta negazione non ha fondamento logico, malgrado le mistificazioni: è un rischio che non si può correre e non si può accettare se non con l'aiuto della passione. Perciò Breton dichiara: « Che resta della rivolta svuotata del suo contenuto passionale?» (32).

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Infatti la rivolta surrealista, se è stata morale nella sua essenza, si presenta spesso come un sorta di furore sacro. li testo (firmato da Artaud, Boiffard, Leiris, Masson e Naville) del 2 aprile 1925 è a questo riguardo emblematico. Si afferma « che, prima di ogni esigenza surrealista o rivoluzionaria, essi sono dominati da un certo stato di furore » ed « è sulla via di questo furore che hanno più possibilità di raggiungere ciò che si potrebbe chiamare illuminazione surrealista » (33). Il principio del rifiuto surrealista è affettivo e vissuto, è protesta dell'uomo nella sua totalità, decisione di distruggere ciò che lo costringe e lo limita. Ma, nell'uomo, ogni furore si sente oscuramente colpevole e rischia di ritorcersi contro se stesso. Tra il furore e il suicidio non c'è che un passo. li furore lascia apparire un'ambivalenza essenziale e vi si ritrova, per uno strano ma necessario capovolgimento, il dualismo che in partenza il surrealismo voleva evitare. li surrealismo afferma l'unità dello spirito e del desiderio, rifiuta di dissociare l'uomo e oppone dunque al mondo una rivolta che si sprigiona dalla totalità dell'essere. Poiché la ragione fronteggia il desiderio, il surrealismo, la discredita, la identifica con gli oggetti che bisogna negare opponendole lo spirito, secondo il titolo di Crevel: l'Esprit contre la Raison (34). Tuttavia la riflessione non riesce a costituire la base o a diventare la misura della rivolta. E credo che in molti casi questo atteggiamento abbia impedito ai surrealisti di scorgere la fondatezza della loro stessa rivolta e di -prendere coscienza del la sua possibile giustificazione. Infatti i surrealisti, giustamente, spesso hanno rifiutato la ragione, così Breton aveva ragione quando pensava che nessun filosofo, nessun poeta avesse preso posizione di fronte alla guerra, e che tra ti 1914 e il 1918 nessun intellettuale francese fosse stato all'altezza della situazione. La delusione procuratagli da questa indifferenza, che trovò la sua espressione, per esempib, nel 1921 con « l'atto di accusa» contro Barrès, era razionale e perfino ragionevole. Ma la sua delusione, pur razionale, lascia il posto al furore in tutte le manifestazioni che segnano gli inizi del movimento surrealista: insulti a Madame Aurei al banchetto dato da Polti, ingiurie ad Anatole France nella pubblicazione Un cadavre, lettera a Claudel, zuffe al banchetto dato da Saint-Pol-Roux. In tutti questi casi in cui i surrealisti manifestano il loro disgusto e il loro odio per i miti della società in cui vivono,

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la loro intenzione resta comunque morale. Ricordando gli insulti lanciati contro la «famiglia», la «patria» e la « religione », e perfino contro il « lavoro » e I'« onore », Breton scrive: « Ricordavamo bene i sacrifici umani che questi dei avevano richiesto e richiedevano ancora » (35) e aggiunge: .. li mondo ci scandalizzava » (36). Ma il surrealismo in tal mondo non operò una critica razionale simile a quella che Voltaire rivolse al fanatismo [che tanto lo scandalizzava). I surrealisti erano « in agguato » (37). « Certi propositi di Lautréamont e di Rimbaud - scrive Breton - si staccavano a lettere di fuoco dal loro messaggio. Erano per noi vere parole d'ordine e non intendiamo soprassedere alla loro esecuzione ,, (38). Senza dubbio Artaud è colui che ha vissuto, con più violenza, il furore del rifiuto che prese tutto il gruppo. Ma tutti accettano la violenza del lo scandalo e la sua illuminazione. Soltanto la passione allora realizza l'unità del desiderio e dello spirito. Come potrebbe un movimento dello spirito dirigersi verso il bene o verso il male, una volta bandita la luce della ragione e respinte le distinzioni dell'intelletto? Negato perfino Dio, l'uomo conserva tutti i suoi diritti? La stessa ambizione del suo illimitato desiderio non lo condanna al fallimento? Sono domande non formulate esplicitamente ma che affiorano dai testi dello « scandalo » del primo periodo. I problemi che suscitano riescono, in un certo senso, a dissociare l'unità dell'uomo e a mantenere sempre nel surrealismo un'ambiguità essenziale. Così, per quanto riguarda la liberazione dai tabù sessuali (campo in cui la ragione dovrebbe invece bastare a vincere il pregiudizio), Breton, dopo aver parlato in Amour fou dell'ombra velenosa e mortale dell'amore carnale, che malgrado tutto egli adora, aggiunge: « Non sono ancora riuscito a ottenere dal genio della bellezza che sia sempre lo stesso con le sue ali chiare o con le sue ali oscure ... Sono rimasto fanciullo rispetto a ciò che mi augurerei di essere e questo fanciullo che è in me non ha completamente dimenticato il dualismo tra il bene e il male » (39). E' questo un testo particolarmente significativo, poiché in Breton l'infanzia non è più considerata come il paradiso da ritrovare, ma l'ostacolo a quella vera sintesi che non potrebbe ritrovarsi - e Breton se ne accorge forse per la prima volta - in un'affetti-

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vità sempre pronta a lacerarsi ma in una riconciliazione che solo la ragione può farci presentire. La colpevolezza, anche confusa, diventa subito paura: promuove, allora, con l'idea di un possibile castigo, la conoscenza e ci ricorda la nostra condizione mortale. L'immagine dell'eroe nero ritorna così ad ossessionare la speranza dei surrealisti e con essa il timore a volte panico di cui fu preda Leiris al tempo degli scandali e che ha descritto in modo tanto commovente e sincero (40). In questo modo la coscienza surrea1ista assume una dimensione drammatica. Non è il caso di ricordare che il surrealismo ha esercitato una critica globale e che una delle sue preoccupazioni è stata quella di continuare la lotta contro la religione cominciata nel XVIII secolo, senza accettarne però la limitazione volteriana dell'uomo a una ragione scettica e arida? Volendo riconquistare l'uomo nella sua totalità, compreso ciò che di autentico ha la sua emozione religiosa, il surrealismo ritrova, senza credere in Dio, la vertigine davanti al male. Era dunque fatale che incontrasse sulla sua strada colui che nel XVIII sec. ebbe lo straordinario merito di mettere la speranza naturalista davanti alle proprie responsabilità: il marchese di Sade. Qui la violenza contro la società, contro la religione e contro il mondo ritrova la sua fonte originaria in ciò che il desiderio ha di più profondo, di più puramente naturale. Ma, nello stesso tempo, è evidente che non ci potrebbe essere ordine nel desiderio, poiché il desiderio è violenza, trasforma gli altri in mezzi e può, indifferentemente e senza alcun controllo della ragione, commuoversi della sua sofferenza o provocarla per piacere, esasperarla e raggiungere una sorta di cielo del godimento davanti al suo supplizio e alla sua agonia. Nessuno ha dimostrato più chiaramente di Sade l'ambivalenza del sentimento e l'ambiguità di questa idea della natura umana che molti suoi contemporanei avevano accolto con tanta leggerezza. Ma nessuno è più oscuro di Sade moralista. Che cosa vuole dire? Che cosa ci suggerisce? Nella sua opera le parole « cattivo » e « scellerato » sono usate ora con significato di lode ora con quello di biasimo. Non riconosce altro dio che la voluttà ma le attribuisce sempre qualche crimine. Certamente, non voglio tentare di spiegare Sade, anzi devo confessare che nei suoi riguardi non ho ancora un'opinione definitiva. Ma bisogna riconoscere che con Sade il desiderio umano giunge a prendere coscienza di sé con una lucidità

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e una libertà mal conosciute dal secolo in cui visse. E' difficile decidere se Sade sia per l'ordine o per l'istinto: in ogni caso, insegna che l'istinto dell'uomo può essere soddisfatto solo nella sregolatezza e così, a suo modo, Sade raggiunge la verità kantiana secondo la quale non c'è, e non può esserci, una morale del sentimento, un'ordine delle passioni. Ed è con emozione che penso al coraggio di Sade che, durante il Terrore, si è scagliato contro la pena di morte, quando i discepoli di Rousseau e della buona Natura facevano cadere, in nome della virtù, tante teste. A questo punto è evidente che il messaggio inumano di Sade conteneva senza dubbio un'umanità più profonda di qualsiasi altro discorso filantropico. Ma nessuno può vantarsi ancora di avere scoperto la chiave di questo messaggio e i surrealisti, cercando - come Sade - il senso della rivolta nell'intensità del desiderio, hanno vissuto la verità di Sade più di quanto l'abbiano compresa. Breton ha sempre insistito sul contributo che gli scritti di Sade hanno dato alla presa di coscienza del l'uomo: « E' stata necessaria - dice parlando di Sade - la volontà dei veri analisti quando questi vog I iono allargare, superando ogni pregiudizio, il campo della conoscenza umana, per cogliere le aspirazioni fondamentali di questo pensiero» (41). Ma invece di sforzarsi di chiarire il significato dell'opera di Sade, il surrealismo ha preferito invitarci alfa sua lettura, presentarci lo spettacolo di azioni crudeli e accrescere così il senso della nostra esistenza con il solo turbamento dell'emozione che nasce allora in noi. Così, nel film L'Age d'or di Bunuel e Dalì l'eroe, prima di andare dalla donna amata, scaraventa a terra un cieco con un violento calcio. Cosa vuole significare questa immagine? E' chiaro che non ci consiglia di colpire i ciechi, come immaginarono - penso pochi sciocchi, ma è chiaro anche che non vuole offrirci soltanto uno spettacolo esteticamente sconvolgente o disorientante. Ogni commento laboriosamente discorsivo come quello che rivelasse la condanna implicita di una pietà sempre interessata o ipocrita, deve essere ugualmente escluso: non si tratta di una riedizione delle Maximes di La Rochefoucauld. Dunque, qual'è lo scopo di questa emozione che avvertiamo, non senza violenza, insieme alla nostra presa di coscienza e che concorre a questa esplorazione, a questo recupero con la forza di tutti i suoi poteri, che è il fine essenziale del surrealismo? I surrealisti non hanno mai detto

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chiaramente se approvano o sconfessano l'atto propriamente sadico. Assumono l'atto sadico e ci trasmettono il turbamento della sua tentazione, ci fanno vivere una rivolta totale, rivolta contro la vita, contro le condizioni stesse dell'esistenza, contro tutto ciò che reprime il desiderio e l'amore. I surrealisti adottano un atteggiamento analogo nei riguardi di Lautréamont, l'altro Sade che è sparito anche lui così misteriosamente, lasciando un'opera piena della crudeltà e della vertigine del crimine. Breton scrive: « Non è ancora venuto il momento di studiare il contributo morale dell'opera di Ducasse » (42). Si limita a notare che questa opera « infligge un clima tropicale alla sensibilità », esprime una " rivelazione totale che sembra vada oltre le possibilità umane ». Cerca di ritrovare, per dipingere Lautréamont, i colori contraddittori di cui si servì Swinburne per dipingere Sade: « Questa cloaca è tutta intrisa di azzurro». cc Le espressioni fol1ia - dice ancora Breton - prova attraverso l'assurdo, macchina infernale, che sono state usate e perfino riprese, a proposito di una tale opera, dimostrano proprio che la critica ha dovuto, presto o tardi, desistere dal suo scopo » (43). Il che significa che il senso dell'opera di Sade e di Lautréamont non può essere elevato a sistema. Malgrado ciò riconosciamo l'importanza di questa opera e vediamo come ci allontana dalla semplice speranza di felicità, che resta - credo - il principio fondamentale del surrealismo, speranza che Poisson Soluble ci rivela in tutta la sua purezza. Dopo aver letto Sade e Lautréamont, possiamo dire con il Breton di Poisson Soluble: cc Ah! come sono belli i paralleli sotto la perpendicolare di Dio,, (44), o ancora: « Vicino a Dio il quaderno di questo castello era aperto su un disegno di ombre, di piume e di iride » (45)? cc Ora è la dolcezza - scrive Breton - che aleggia nel viale simile ad una salina sotto le in$egne luminose ... », cc Serve della debolezza, serve della felicità, le donne abusano della luce quando ridono senza ritegno » (46). Ma Sade ci insegna che il desiderio che ci fa vedere nelle donne le possibili cc serve della felicità » può, se ci abbandoniamo ad esso, farne le schiave del piacere. E gli Chants de Maldoror rafforzano questa vertigine. Si rivela la violenza essenziale della Natura, l'infinità dei bisogni umani, la lotta delle coscienze, l'insolubile dramma della passione. L'uomo totale, desideroso e appassionato, appare in una tensione quasi insostenibile e come dilaniato

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tra la sua divinizzazione e il suo annientamento. Dunque il suo rifiuto si sdoppierà nella dimensione del reale e in quella dell'immaginario. Questa scissione, questa oscillazione e la disperata speranza del la loro futura riunificazione ormai saranno la spinta essenziale allo sviluppo del surrealismo e l'origine tragica delle sue esitazioni.

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surrealismo e marxismo

" Trasformare il mondo, ha detto Marx, cambiare la vita, ha detto Rimbaud: queste due parole d'ordine hanno per noi lo stesso significato » (47). Con queste intenzioni si conclude il discorso che Breton doveva pronunziare (ma non gli fu possibile) al congresso degli scrittori rivoluzionari, a Parigi, nel giugno del 1935. E nel dibattito con Aimé Patri a proposito de L'Homme révolté di Camus (48). André Breton dichiara che « tutto il cammino psicologico del surrealismo è stato guidato » da questa " ansia di unificazione ». Così Breton afferma che, oggetto della sua volontà più profonda, la realizzazione dell'unità dell'uomo è possibile con l'incontro delle due vie opposte alle quali ci impegna il nostro desiderio: quella dell'immaginario, della poesia e, forse, della follia e quella della scienza, del l'attività pratica e dell'azione politica. Ma volere ad ogni costo unificare queste due vie non significa necessariamente riuscire ad attuare questa unificazione e neanche dimostrare che è possibile. Può la forza del surrealismo aver altra fiducia che non sia quella scoperta nello stesso desiderio, nell'esigenza umana, sempre uguale a se stessa, che si trova all'origine del cammino intrapreso da Rimbaud e da Marx? Il surrealismo vuole essere fedele totalmente a questo desiderio originario che è, però, già contrad-

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dlttorlo e precario. Potrà quindi seguire le due opposte vie in cui ci spinge? Certamente lo scopo del marxismo e quello della poesia surrealista sono gli stessi: la liberazione dell'uomo. Ma lo stesso Breton dice: « Ai miei occhi la finalità delle cose non è data dalla ragione che la pone, ma dai mezzi usati per raggiungerla» (49). Ora, i mezzi che il desiderio usa per raggiungere i suoi scopi sono fondamentalmente differenti a secondo che si sottometta o no alla ragione. E' celebre la frase di Bacone: « Si può comandare alla Natura solo obbedendo alle sue leggi ». Questa è la condizione della tecnica. Presuppone l'attesa, proroga il godimento del suo scopo, accetta di piegarsi alle necessità delle cose, si forza di conoscere queste necessità e modella la propria azione sulla loro struttura. In ciò è riconoscibile la natura del lavoro e della politica e si capisce perché il marxismo, che è una teoria politica, dovesse vedere nel lavoro il rapporto fondamentale tra l'uomo e la Natura. Ma il desiderio può prendere un'altra strada: quella dell'immaginario, che derealizza allora questo mondo, dimentica le sue leggi e appaga se stesso contrastandolo. E' la via dell'emozione, del sogno, della chimera, della poesia e del delirio. L'opposizione delle due vie a cui ci impegna il desiderio crea nel surrealismo una tensione dolorosa tra l'esigenza politica di un'azione efficace e l'esigenza di una liberazione totale da ogni costrizione. Se ci sono uomini giunti alla rivoluzione attraverso la riflessione sulla storia o sull'economia, Breton non è fra questi. Il suo punto di partenza è la rivolta pura, l'emozione violenta e, come lui stesso dice, « lo scatto, l'esaltazione e la fierezza » che gli procura, da fanciullo, « la scoperta », in un cimitero, « di una semplice lapide su cui era inciso in lettere di fuoco la superba iscrizione: NE' DIO NE' PADRONE ,, (50). Egli ha scelto da tempo la bandiera rossa, ma continua " a fremere ancora » all'evocazione della bandiera nera (51). « Aprite le prigioni, sqiobilitate l'esercito», proclamava il numero 2 della Révolution surréaliste. E « guerra al lavoro » aggiungeva il numero 4 (52) .. Una delle giustificazioni della scrittura automatica, nel 1933, sarà ancora il rifiuto di «correggere» e di «correggersi» (53) e, quindi, il rifiuto di ogni costrizione e di ogni ordine. Tuttavia non credo che il surrealismo marxista abbia ceduto a questa tensione: la separazione tra i surrealisti e i comunisti è stata troppo semplicisticamente spiegata con l'incom-

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patibilità tra l'azione e una rivolta che conduce alla evasione del sogno. Ma significa dimenticare che l'affermazione surrealista della profonda unità del sogno e dell'azione non è la riduzione pura e semplice dell'azione al sogno. Si trascurano, ancora, i continui sforzi dei surrealisti per raggiungere risultati efficaci e si sottovaluta la volontà rivoluzionaria che spinse, per esempio, il poeta Benjamin Péret ad arruolarsi e a combattere in Spagna. In verità se fosse esistito un partito rivoluzionario e nello stesso tempo non totalitario, voglio dire un partito che non pretendesse di dominare tutte le forme dell'attività spirituale, il surrealismo vi avrebbe senz'altro aderito. In ogni caso i surrealisti lo hanno sempre cercato; ne sono la prova, per esempio, gli incontri tra Breton e Trotsky (54) e la nostalgia che esprime l'Ode à Charles Fourier (55). Arcane 17 evoca con rimpianto il tempo in cui « non si erano ancora prodotte lacerazioni nel proletariato » (56). Si può ritenere, perciò, che non fu colpa di Breton se non poté mai svolgere un'attività specificatamente politica. Breton, senza dubbio, non è mai fuggito davanti al le difficoltà che la realtà oppone alla speranza del meraviglioso. Se ha sostenuto, contro certi marxisti, che tra l'uomo e la Natura ci sono dei rapporti fondamenta I i diversi da quello del lavoro, non ha disconosciuto l'alienazione dell'uomo in un lavoro che gli sfugge e lo trasforma in oggetto. Ma altri profondi disaccordi dividevano la filosofia del surrealismo e la dottrina marxista. li surrealismo crede alla libertà dello spirito: « Tra tanti mali che ereditiamo - si legge nel Manifesto - bisogna riconoscere che ci è lasciata la più ampia libertà di spirito » (67). Descartes trovava la prova della nostra libertà nella esperienza che ne abbiamo, Breton scopre la prova della I ibertà del suo spirito nella propria rivolta. li fatto che l'uomo giudichi la materia e la storia non prova che il suo spirito è superiore alla materia e alla storia? Si ritrova, come condizione originaria e necessaria dell'emancipazione dello spirito, la negazione surrealista di ogni realtà che può costringere lo spirito dal di fuori e senza che esso ne abbia coscienza. Descartes ha negato la trascendenza di Dio, Breton nega quella della Materia, della Storia, della Società e di ogni in-sé posto come radicalmente anteriore alla coscienza e che la rende schiava. Egli non può dunque ammettere, neanche nella problematica speranza di una liberazione dello spirito rinviata alla fine dei tempi, questo primato della materia, dogmaticamente affermato dai marxi-

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sti, e non può neppure ammettere la spiegazione integrale dell'individuo e delle sue idee attraverso la storia e la società. A questo proposito, Rupture inaugurale, firmato nel 1947 dai membri del nuovo gruppo surrealista, contiene una critica pertinente del materialismo storico e dimostra l'indipendenza, almeno relativa, della vita del pensiero dai suoi condizionamenti economici: " La dottrina morale del Cristianesimo, sanzionata in tutti i paesi civili da un comune e costante diritto profano, si esprime nel Decalogo che resta l'essenza della rivelazione di Mosè. I marxisti dovrebbero dedurne che nessun cambiamento importante si è prodotto nell'economia, da quando Mosè fu chiamato sul Sinai. La logica di Aristotele - per lasciare il terreno dei costumi - non è più quella di Eraclito, ma è quella di Kant. Ne dedurranno i marxisti che fra Eraclito e Aristotele ci furono delle modifiche nell'economia più importanti di quelle che si sono prodotte tra Aristotele e Kant? » (58). Su questo punto i principi del pensiero surrealista e quelli del pensiero marxista si contrappongono radicalmente. Basta considerare i primi rapporti tra surrealisti e comunisti per capire l'incompatibilità di questi principi, che, senza dubbio, nella Révolution d'abord et toujours (59) sono affermati contemporaneamente: " Siamo in rivolta contro la storia », dicono i firmatari, che reclamano in effetti una libertà fondata sulle « loro più profonde necessità spirituali ». Ma, d'altra parte, scrivono anche: u Non siamo utopisti: questa Rivoluzione la consideriamo solo sotto il profilo sociale "· In verità, i gruppi che avevano firmato in comune questo manifesto (La Révolution surréaliste, Clarté, Philosophies, Correspondance) (60), entrarono in collisione. Breton intende sostenere nella sperata unificazione l'autonomia propria del surrealismo, di cui i comunisti contestano la legittimità. Poi Naville spinge i surrealisti a scegliere e teme che il loro incontro con il proletariato sia accidentale: « Il surrealismo - scrive - quando elogia la vita del sogno, dello spirito orientale in quanto contemplazione » •.. " si dirige, apparentemente guidato da principi morali, in una direzione che può metterlo da un momento all'altro in contraddizione con le più elementari necessità della rivoluzione proletaria » (61). Naville allude qui alla speranza nell'Oriente, espressa più volte da Breton e che ispirò diversi testi surrealisti come L'Adresse au Dalai-Lama o la Lettre aux écoles du Bouddha (62) e cerca, senza dubbio a torto, di limitare le manifestazioni del surrealismo. Tuttavia la sua critica è valida da un punto di vista

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strettamente materialista. In effetti, secondo il materialismo storico, solo la trasformazione materiale della società potrà produrre forme di pensiero che non possono essere anticipate o descritte. La rivoluzione diventa, dunque, necessariamente il solo compito dell'uomo. E' evidente che Breton non accetta mai questo punto di vista: per lui la rivoluzione è soltanto uno dei compiti dell'uomo e questo stesso compito non ha senso che alla luce del suo fine, che deve essere pensato o sentito come indipendente dai mezzi usati per raggiungerlo. E questo fine, se per noi non può essere oggetto di una comprensione del tutto positiva, può essere già scoperto e concepito nell'esigenza del desiderio umano e nell'esperienza delle nostre libertà. Perciò Breton, nel 1926, confutando l'ostilità manifestatagli dai comunisti, scrive in Légitime défense: « Non c'è nessuno di noi che non si auguri il passaggio del potere dalle mani della borghesia a quelle del proletariato. Nel frattempo, è pur sempre necessario, secondo noi, che continuino le esperienze della vita interiore e, ben inteso, senza alcun controllo esterno, neanche marxista» (63). Così comincia tra il surrealismo e il comunismo un dialogo molto rivelatore: non si può parlare di semplice conflitto perché, per molto tempo, almeno, i surrealisti si dichiararono amici del partito comunista, al quale aderiranno nel 1927 Aragon, Breton, Eluard, Péret e Unik e neppure si può parlare di profondo accordo. Nello stesso anno, Au grand Jour fa prevedere i conflitti che si aggraveranno in seguito e sfoceranno nella rottura di Bréton con i suoi vecchi amici che resteranno o ritorneranno al partito comunista. In verità la tensione oscillante che avvicina e contrappone surrealisti e comunisti esiste nello stesso marxismo. Perciò non bisogna superficialmente affermare, come spesso è stato fatto, che il surrealismo, in sé estraneo al marxismo, ha attraversato il marxismo e se ne è allontanato. I lavori di Maximilien Rubel hanno stabilito che Marx ha aderito al socialismo prima ancora di costruire una filosofia materialista e vi ha aderito in nome di una esigenza propriamente etica. « Dall'insegnamento marxista - scrive Rubel - si sprigiona un patetico appello all'individuo, all'umano nell'uomo, appello che non ha niente di dottrinale né di speculativo ma che è un'esigenz3 etica, un'esortazione al totale mutamento (64). In questo senso si può dire che il punto di partenza di Marx e quello di Breton coincidono. Marx ha costruito una dottrina

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storico-economica, che non è del tutto incompatibile con l'affermazione della legittimità della stessa esigenza che è stata il suo punto di partenza e la sua ragione d'essere. In ogni caso, se si può ancora sostenere, come fa precisamente Rube!, che in Marx stesso c'è incompatibilità tra esigenza etica e sistema (di cui, personalmente, non sono certo), il « marxismo » che succede a Marx sembra, per la logica dei suoi postulati materialisti, assolutamente ribelle a ogni dimensione propriamente morale o metafisica. Dunque, coloro che come Breton sono portati al marxismo da un'esigenza etica, si trovano in i,rna situazione molto diversa da quella che conobbe Marx. Incontrano una dottrina già costituita, difesa o sostenuta da organizzazioni potenti e tiranniche, che hanno codificato le loro idee e che esigono dall'intellettuale che desidera partecipare alla loro lotta una completa schiavitù intellettuale e spirituale. Certamente si può rimproverare a Breton di avere accettato, tra il 1928 e il 1932, (dimostrando quindi una certa incoerenza) da queste organizzazioni, preoccupato di non rompere con esse, molte proposte teoriche del « materialismo dialettico », che non avevano attinenze con il suo stesso pensiero e con la verità, mentre si è dimostrato severo con quelli che continuavano a dire che la liberazione sociale dell'uomo era per loro meno interessante dell'emancipazione dello spirito. Ma come non riconoscere la tragica situazione in cui è venuto a trovarsi? Abbandonare completamente i marxisti significava per lui rinunciare alla realizzazione del suo progetto di liberazione effettiva dell'uomo, sacrificare l'azione concreta e ritornare all'arte come rifugio. Sottomettersi alle consegne del partito comunista significava abbandonare la ricerca per ripetere passivamente i risultati delle ricerche altrui. Perciò ne9li anni dopo il 1928, il surrealismo cercherà di sottomettersi alla parola d'ordine del partito comunista che gli sembra ancora la sola organi21azione che lotti efficacemente per la trasformazione della condizione materiale degli uomini e, nello stesso tempo, svilupperà, come una specie di antidoto, il gusto per l'avventura e per la ricerca pura. Nadja, Le Grand Jeu, Et les seins mouraient, il Traité du style nel 1928, L'Amour, la Poésie, La Grande Gaieté nel 1929, Ralentir Travaux, Artine, L'lmmaculée Conception nel 1930, dimostrano che in Breton, Char, Péret, Aragon e Eluard il desiderio di libertà spirituale non è soffocato dal dogmatismo materialista. Tuttavia la tensione è insostenibile: ben presto si dovrà operare una scelta.

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Nel 1935, la rottura tra surrealisti e partito comunista sarà completa (65). Il dramma vissuto da Breton e dai suoi am1c1 non è proprio solo dei surrealisti: è il dramma di tutti gli intellettuali comunisti o tentati dal comunismo. L'analisi generale delle SU9 condizioni ci allontanerebbe dal nostro argomento. E' necessario però ricordare che questo dramma non nasce dal conflitto tra l'azione e il sogno, come spesso è stato sostenuto, nè, come affermano i comunisti, dalla opposizione tra una volontà rivoluzionaria e un desiderio di conservazione sociale. Infatti nessuno, che io sappia, ha stabilito il legame che il cogito cartesiano, l'analisi kantiana o la libera attività creatrice in pittura, condannata dai comunisti, possono avere con il sogno e con l'atteggiamento politico reazionario; nessuno ha dimostrato in che modo la banalità del realismo estetico o la mediocrità della filosofia che affiora in libri come La Pensée o La Nouvelle critique possano servire la causa del proletariato. Il dramma dell'intellettuale tentato dalla politica comunista nasce in realtà dall'incompatibilità tra le evidenze interne che gli si impongono, come ad ogni uomo che pensi liberamente e sinceramente, e una dottrina esterna già fatta, contraria a queste evidenze, e dei cui errori nemmeno avverte l'utilità alla causa politica ed economica che questa dottrina pretende servire. La storia di questo dramma, l'analisi delle esitazioni che ha provocato, la descrizione delle sofferenze che ha generato non hanno ancora trovato il loro acuto interprete. In effetti coloro che soffrono tal i lacerazioni (e ve ne sono anche nel partito comunista) preferiscono condannarsi reciprocamente piuttosto che cercare di riconoscere l'identità del loro problema. Così Dionys Mascolo muove al surrealismo delle critiche che dovrebbe muovere, sembra, a se stesso, poiché - come nota Breton - le conclusioni di Mascolo e quelle dei surrealisti riguardo ai rapporti tra l'arte e la rivoluzione sono perfettamente identiche (66). Ma senza dubbio, in questi casi, molti condannano pubblicamente in altri ciò che essi stessi intimamente ritengono vero. Il coraggio dei surrealisti, la loro imparzialità e l'accettazione della loro solitudine appaiono così, ancora una volta, rari ed esemplari. In quanto rivoluzionari, i surrealisti non dimenticano mai gli scopi della rivoluzione e giudicano ogni forma di azione secondo questi scopi. Si afferma che il lavoro è il rapporto

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fondamentale tra l'uomo e la Natura? I surrealisti, a questo proposito, ricordano l'insopprimibile esigenza della loro coscienza che è e vuole essere coscienza estasiata. Affermano dunque che il vero scopo del lavoro è quello di liberare l'uomo dal lavoro e di condurlo ai valori della conoscenza, della contemplazione e del piacere. Si vuole trasferire, come purtroppo è oggi moda, il sacro sul piano politico? I surrealisti che conservano intatto, grazie alla poesia, il senso della totalità umana, rifiutano questa degradante mutilazione: il loro desiderio, in cui vive tutta la grandezza e il bisogno dell'uomo, supera sempre gli oggetti limitati a cui si pretende ridurlo. Senza volerlo, e forse senza saperlo, il surrealismo si incarica così di un compito che, in ogni tempo, è stato della filosofia. A differenza di Hegel, subordina la storia a una coscienza capace di giudicare la storia, quando dichiara che la coscienza ha dei diritti imprescrittibili, che la verità non deve essere annullata dinanzi alla realtà di fatto, che il fine non giustifica i mezzi. Breton emette, in effetti, dei giudizi il cui principio ultimo non può essere trovato che nell'affermazione dell'infinità dello spirito, della sua superiorità su ogni oggetto possibile e su ogni concetto definibile. Questa affermazione è identica al cogito cartesiano. Breton non cessa mai di essere rivoluzionario e dà all'idea di rivoluzione il solo fondamento possibile: poiché l'idea stessa di rivoluzione suppone la dimensione verticale con la quale lo spirito, rifiutando di coincidere con la storia, la giudica, la supera, afferma che lo stato attuale delle cose è insostenibile e dichiara che la rivoluzione è un bene. Rifiutando la trascendenza dello spirito, non si può che ritornare alla consacrazione di ciò che è. E' ciò che fanno i comunisti, Breton lo capisce benissimo: « Ci si può chiedere di diffondere questa capacità illimitata di rifiuto che è tutto il segreto de~ progresso umano, per abbandonarci alla meraviglia di ciò che accade senza di noi, all'altro capo della terra? » (67). Non vi è, pertanto, un ritorno di Breton a Descartes o a Kant. I suoi principi, in effetti, non sono filosofici, ma artistici. Lo indignano non tanto la caricatura che i comunisti fanno dei grandi filosofi, prima ancora di coprirli di ingiurie, ma gli sconcertanti articoli della Komsomolska1a Pravda (68), i « soggetti vietati ai pittori dal ministro della Cultura ungherese »,

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(« Gli eroi del lavoro sono seduti nel loro palco a teatro », " Il primo trattore arriva al villaggio », « Una donna poliziotto fa attraversare la strada a un fanciullo •, ecc ... ) (69) « l'incapacità, accompagnata dal delirante bisogno del sospetto e della denunzia ", dimostrata dai critici d'arte sovietici (70), la nullità delle opere esaltate, le penose dichiarazioni di Zamouchekine (• Cézanne è da condannare, Matisse non sa disegnare, Picasso è putrificante », ecc ... ) (71) e, infine, l'atteggiamento degli stessi Picasso e Matisse, « che sono pronti ad avallare col loro nome un'impresa che dia il colpo mortale alla coscienza e alla libertà artistica alle quali si è sempre ispirata la loro vita » (72). Ciascuno scopre la verità secondo la propria strada: la strada di Breton è meno illuminata dalla riflessione metafisica che dal senso della bellezza, ma è tuttavia fedele alla verità metafisica.

Ma questa è una strada di tensione e di lacerazione. Breton, costretto a ritornare all'idea dell'importanza che nell'arte hanno la forma e la tecnica, ad affermare l'autonomia dell'arte e la sua indipendenza dalla storia, e dunque. in una certa misura, la sua eternità, a riconoscere, per esempio, che nel caso di Gourbet o di Rimbaud, e prima e dopo la Comune « i grandi temi del poeta e del l'artista sono sempre stati la fuga del tempo, la natura, la donna, l'amore, il sogno, la vita e la morte » (73), non riesce a separare completamente la causa dell'arte da quella della rivoluzione. E' convinto che l'arte può essere utilizzata come una « arma che, nel declino della società borghese, si rivolge contro questa società » (74). Esalta le opere « annunciatrici », che assumono « in rapporto • alle situazioni storiche che le hanno prodotte " « l'aspetto di una polena » (75). Perché dunque è necessario che la borghesia, detestata da Breton, accolga favorevolmente la novità artistica, quando gli organi ufficiali del comunismo apprezzano esclusivamente quadri in tutto simili a quelli dei pittori accademici della fine dell'ultimo secolo o versi che gli stessi Déroulède e François Coppée non avrebbero forse pubblicato? Non vi è dunque nessun legame tra la volontà di rivoluzione sociale e la volontà di rivoluzione culturale? Non esiste - si chiede Breton - « un'arte che sia capace di giustificare la sua tecnica avanzata con il fatto stesso di essere al servizio di una disposizione mentale di sinistra. E' vano tentare di individuare

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una relazione di causa e di effetto tra questa disposizione mentale e questa tecnica? (76). Breton riflette sul paragone tra David, pittore ufficiale della Rivoluzione francese, la cui arte è deplorevolmente accademica, e Courbet, rivoluzionario in politica e in pittura, ma che si è sempre rifiutato di dipingere scene rivoluzionarie o soggetti di propaganda. « Per quanto riguarda Courbet - scrive allora Breton - è giocoforza riconoscere che tutto accade come se egli avesse ritenuto che la profonda fede nel miglioramento del suo mondo interiore dovesse riflettersi in ogni cosa da lui evocata; apparire indifferentemente nella luce di un orizzonte o di un ventre di capriolo da lui dipinto » (77). Progetto esemplare, che indica ad ogni intellettuale, ad ogni artista, i suoi doveri. Cioè di seguire, in tutta libertà, la necessità del genio, l'evidenza dei sentimenti e dei pensieri. Si può, in effetti, pretendere di emancipare gli uomini quando si tradisce la bellezza e la verità? E' sorprendente constatare che Breton sia quasi il solo, nella nostra epoca, a porre una domanda così semplice, essenziale. Comunque si concepisca il rapporto tra lo sviluppo sociale e la liberazione dell'individuo, sembra che ogni rivoluzionario dovrebbe sforzarsi di realizzare, almeno nella sua coscienza, la sintesi tra il suo desiderio di liberazione sociale e la sua preoccupazione di liberazione spirituale. Le ragioni che lo spingono alla ribellione politica contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo possono essere separate dall'indignazione che nel rivoluzionario suscita Io spettacolo dello stato penoso in cui sono ridotti certi uomini, suoi simili? E questo stato penoso non comprende allo stesso tempo l'errore che li sommerge, il cattivo gusto di cui si compiacciono o la miseria materiale e la fame di cui soffrono? Dunque in che modo il rivoluzionario consapevole potrebbe conciliare ,Il suo desiderio di vedere l'uomo elevato a una più alta dignità, e, rifiutando lo sfruttamento degli uomini, accettare che li s.i inganni e che si faccia loro provare ammirazione per ciò che non ha valore? In che modo ammettere con Breton che la parola d'ordine « maggiore coscienza » sia completa, e che, invece, alla parola d'ordine «maggiore coscienza sociale» sia necessario aggiungere anche «maggiore coscienza psicologica?» (78). I fatti dimostrano tuttavia che molti nostri contemporanei sono insen-

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sibili a queste evidenze o a questi doveri. Si considerano partigiani dell'emancipazione degli uomini ma non esitano a mentire agli uomini. Bisogna dunque credere - come fanno alcuni - che siano in realtà al servizio di un nuovo asservimento? Bisogna I imitarsi a pensare che, considerando come urgente solo il compito politico, cerchino, sul piano culturale, soltanto il consenso dalla massa e, quindi, mirando più in basso, accettino in filosofia i pregiudizi del senso comune e in arte il gusto degli amatori di croste? In ogni caso, l'attività di questi " intellettuali » (secondo l'espressione che prediligono) farebbe pensare che, contrariamente agli insegnamenti del marxismo, non c'è nessun rapporto tra il cammino della storia e lo sviluppo della cultura. Se è così, bisognerebbe confessare che il carattere di promessa o di anticipazione, proprio delle più significative opere d'arte, non deve affatto essere interpretato in funzione di un avvenire storico. Che cosa prometterebbe, che cosa annuncierebbe dunque l'opera d'arte e, per esempio, la bellezza di quella luce che Courbet, come ricorda Breton, fa nascere sul l'orizzonte e sul ventre di un capriolo? O un « immaginario " senza rapporto con una qualsiasi esistenza o un « altro mondo » nel senso religioso. Ma si sa che i surrealisti rifiutano questa disperazione e anche questa fede. Jean-Louis Bédouin (che, d'altra parte, secondo me, un po' superficialmente ritiene che « uno dei più chiari " atteggiamenti sia quello che voglia trasformare al tempo stesso realtà economiche e realtà psicologiche (79) ricorda, nel suo saggio su Breton, che la rivoluzione deve essere fatta non più soltanto « contro un regime capitalistico ma anche contro una civiltà cristiana » (80). Sembra dunque che i surrealisti siano condannati (ma chi, oggi, se voglia contemporaneamente essere sincero e non andare oltre il puro sapere, non subisce la stessa sorte?) a porre incessantemente la domanda che assilla Breton e con lui, penso, tutti gli artisti e tutti i filosofi del nostro tempo. Perché il pensiero politico di sinistra è legato alla cultura più reazionaria e più retriva? Perché la rivolta dell'uomo contro le costrizioni che lo opprimono sembra incompatibile con la rivoluzione?

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la derealizzazlone

René Nelli mi diceva un giorno parlando di Breton: « Ha ragione in un mondo che ha torto Ho riflettuto spesso su questa frase. Tuttavia, benché io sia poco portato per la filosofia hegeliana, mi chiedo se è permesso dare torto al mondo e al corso degli eventi. Non contiene forse la realtà più ricchezza dei nostri pensieri? E la norma del la verità, che è quella dei nostri giudizi, è defìnibile al di fuori del suo rapporto con il Mondo stesso? In questo senso, ci si potrebbe chiedere se Breton è stato influenzato in senso positivo dalle difficoltà che gli ha causato il Mondo contemporaneo, dall'opposizione che in questo Mondo si manifesta dovunque tra le esigenze eterne dell'uomo e i suoi desideri politici e se, proiettando nel futuro la dimensione propria dell'immaginario, non abbia sacrificato troppo al mito della storia. Certamente questo mito ci è così costantemente ricordato dai filosofi che si è tentati di credere che faccia parte del reale e che il nostro spirito è - come dicono alcuni - « immerso » nella storia e nella società. Ma bisogna guardarsi dal confondere il reale con l'idea che ne hanno i contemporanei. Un'idea non diventa falsa solo perché è contestata da pochi gruppi. Infatti l'idea del la distinzione di due ordini sembra verificata, più di qualsiasi altra, dalla realtà attuale: 0 •

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mai la storia dello spirito è stata più separata dalla storia po1itica. Mai nello Stato la ragione si è sentita pù solitaria. Dunque è lecito pensare che non c'è niente di comune tra la profonda insoddisfazione che l'uomo avverte davanti alla sua condizione necessaria e le rivendicazioni, giuste senza dubbio ma interessate e quindi indissolubilmente legate al desiderio e al risentimento, che sono all'origine dell'attività rivoluzionaria. La rivendicazione è essenzialmente tecnica e assume significato quando si danno condizioni che potrebbero soddisfarla. La rivolta pura, invece, è metafisica e opporrebbe al nostro universo, se non fosse animata dalla speranza di un altro mondo, una realtà che non è, e non potrebbe essere, un mondo. Ma Breton si sforza di sostenere contro tutti l'unità dell'idea di rivolta e di rivoluzione. Teme che la loro dissociazione ci riconduca a quel dualismo che rifiuta. Fedele all'esigenza essenziale della coscienza umana, che è esigenza di Altro, si rifiuta allora di cadere in uno storicismo che sarebbe consacrazione del fatto. Ma insoddisfatto del carattere negativo della pura metafisica (che sostiene l'affermazione dell'Altro, pur lasciandolo indeterminato) e rifiutando di fare dell'Altro " un altro mondo » nel senso religioso, è costretto a rimettersi al tempo e ad attendere dal futuro, sotto forma di uno stato terrestre futuro, la realizzazione della sua speranza. Tutti gli spiriti liberi e ben condotti scoprono, tuttavia, la medesima verità. L'esemplare fedeltà di Breton all'autenticità dell'esigenza umana doveva dunque condurlo ai margini della sua disillusa fiducia nelle realizzazioni rivoluzionarie, a ritrovare, con i suoi mezzi, l'equivalente delle grandi affermazioni metafisiche. Infatti le metafisiche appaiono sempre per qualche lato come opere di derealizzazione del Mondo e della sua struttura scientifica e logica. La teoria cartesiana della creazione delle verità eterne sostiene, al di là di ogni Natura conoscibile, un Essere totalmente indipendente non soltanto dalle leggi fisiche che regolano le cose, ma dalle esigenze della nostra logica. Descartes può affermare così che il Mondo è una favola, un discorso privo di realtà ontologica nel pieno senso della parola. Anche Kant, opponendo l'essere al fenomeno, l'inconoscibile cosa in sé all'universo conosciuto, pone il discorso scientifico su un piano che non è quello della realtà. Ora la nozione di surrealtà in Breton tende precisamente a sottrarre la realtà autentica al dominio della

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conoscenza razionale e della logica. Breton, come i metafisici, scorge che ìl Mondo è discorso oggettivo e oppone l'esistenza al discorso, l'Essere, la cui coscienza è infinita, alle leggi necessarie e quindi metafisicamente contingenti dell'universo della scienza. Rivela, così, proprio come Descartes, che la facoltà di negare, principio di ogni rifiuto dell'uomo, non è soltanto intellettuale, interna al giudizio e non trova la sua unica origine nella non-convenienza logica dei concetti o degli oggetti conosciuti, ma ha la sua fonte in quel desiderio essenziale che definisce l'uomo, desiderio che 5i confonde con la sua Iibertà (Descartes, in effetti, non fa distinzione tra volontà e libertà e, ammettendo che l'anima è una, dichiara che « tutti i suoi appetiti sono della volontà ») (81). La derealizzazione metafisica e la derealizzazione surrealista del mondo presentano tuttavia una differenza essenziale. Certamente Descartes è molto vicino al sogno surrealista e già alle soglie della vita della veglia, quando scrive a Balzac: « Dopo che il sonno ha portato a passeggio i1 mio spirito nei boschi, nei giardini e in palazzi incantati, in cui provo tutti i piaceri descritti nelle favole, confondo insensibilmente i sogni del giorno con quelli della notte. E quando mi accorgo di essere sveglio, è soltanto perché il mio appagamento è più perfetto e perché i miei sensi vi partecipano » (82). Il punto essenziale di Descartes, tuttavia, consiste non nella derealizzazione delle cose, ma nella conquista razionale di una realtà che non avverte, fin da prìncipio, come l'Essere. Dunque la derealizzazione del mondo conoscibile e l'istituzione del suo fondamento sono una medesima cosa: il Dio di Descartes è nello stesso tempo l'Essere che manifesta che niente di ciò che è creato merita completamente il nome di sostanza e colui che, in quanto verità, fonda tuttavia, una conoscenza certa della Natura. La filosofia dr Kant, che pure distingue l'oggetto scientificamente conosciuto dalla cosa in sé fonda ugualmente un ordine scientifico rigoso e certo. La soluzione per Descartes e per Kant è dunque il dualismo. Ma Breton, rigettando il dualismo, non può cercare al di fuori del mondo questo Essere non logico al quale aspira. Dovendo invece, scoprirlo in questo mondo, non glì è possibile conservare al dato conoscibile solidità e struttura. E' nello stesso mondo conoscibile o nel dato che deve fare apparire i prestigi della surrealtà. La difficoltà, che nei metafisici classici si risolve con la distinzione di due piani, d1venta qui conflitto

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all'interno dell'ordine ormai unico e orizzontale del Mondo. Quindi si capisce perché il tema hegeliano dell'opposizione e della sua risoluzione dialettica abbia potuto tentare il surrealismo. Breton è però più lontano da Hegel che da Descartes. La soluzione di Hegel è una sintesi mentale e razionale. Quella di Breton avviene a livello di un'esistenza che la speranza nella vera vita ci rivela, immediatamente, come irriducibile ad ogni forma concettuale: esistenza che, perciò, è molto più vicina al cogito e all'Essere cartesiano che alla sintesi hegeliana. In effetti, nel surrealismo, la derealizzazione è sempre l'esito di un'esperienza e non utilizza il discorso razionale se non per negarlo, contraddicendo le sue leggi costitutive. Non risulta mai da un ordine di ragioni. Mette in luce, oltre ogni logica, questa profonda tensione che coincide con la presa di coscienza dell'uomo totale, del1'uomo quale è. Benché il contesto sia diverso, più estetico che etico o religioso, l'esperienza surrealista presenta qualche analogia con quella di Kierkegaard. Kierkegaard ha scoperto la soggettività attraverso la rivolta contro il Sistema, rifiutando di parteciparvi. Ora, il sistema hegeliano si era discreditato vedendo nell'uomo politico (e in un certo momento, in Napoleone) il filosofo stesso. Nel momento in cui nasce il surrealismo, il discorso umano si era ugualmente discreditato con una giustificazione derisoria della guerra, con un'abietta compiacenza per valori ai quali, malgrado drammatiche sofferenze che è più comodo dimenticare, ci si contenta di ritornare. Moralisti da salotto, che non hanno mai abbandonato i salotti in nome della correttezza, della convenienza e delle buone maniere, negano l'amore e la vita a quelli che ritornano dalla morte. Allora, dopo l'intermezzo Dada, esito di una negazione in cui si esprime solo l'ironia disincantata di una prima fatica e il cui declino è annunciato fin dal 1921, esplode la rivolta surrealista. La facoltà di negare vi si esprime con una violenza senza precedenti. Tutto è negato. L'uomo stabilisce le sue rivendicazioni, che devono essere soddisfatte immediatamente e senza preoccuparsi delle necessità della logica. E' un ritorno al le origini stesse del desiderio che si pone a norma suprema. Certamente è ancora un allargamento della coscienza, un tentativo, di fronte alla potenza tecnica del-

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l'uomo, di cui la guerra ha rivelato nello stesso tempo la vastità e il cattivo orientamento, di elevare la coscienza degli scopi alla coscienza dei mezzi. Ma ciò si realizza non senza una radicale contestazione delle necessità alle quali precisamente la coscienza dei mezzi asserve l'uomo. I rifiuti e le polemiche surrealiste si rivolgono, in modo elettivo, alla giustificazione dei mezzi e al motto tristemente celebre: "E' necessario farlo». E' così, pensiamo, che il surrealismo è portato a insorgere contro il logos razionale, contro la struttura immanente delle cose, a passare dal rifiuto del discorso degli uomini al rifiuto di quel discorso che costituisce il Mondo della percezione e della scienza. li surrealismo del resto, ritrovando il significato profondo del Mundus est fabula cartesiano, vede che questi discorsi non sono in fin dei conti che un solo e medesimo discorso: « La mediocrità del nostro universo - si chiede in effetti Breton - non dipende essenzialmente dal nostro potere di enunciazione? » (83). E aggiunge: « Che cosa mi trattiene dallo sconvolgere l'ordine delle parole, dall'attentare in questo modo all'esistenza completamente apparente delle cose? » (84). Breton non ha mai potuto farsi de[f 'azione una concezione propriamente politica, perché, ogni volta che delle difficoltà lo hanno costretto a scegliere tra efficacia pratica e poesia, ha scelto la poesia, per evitare innanzitutto quelle « giustificazioni » di cui la letteratura di guerra aveva fornito esempi così degradanti e di cui è piena l'educazione repressiva e per evitare ancora quei procedimenti inseparabili da ogni apprendistato. Rimbaud aveva già detto: « Ho orrore di tutti i mestieri. Maestri e operai, tutti contadini, ignobi I f. La mano che scrive vale la mano che ara. - E' un secolo in cui la mano è tutto! - lo non avrò mai la mia mano » (85). Il surrealismo proclamando «guerra al lavoro» (86) è sulla linea di Rimbaud. Così il desiderio, che la tecnica subordina alle sue misure e alle sue regole di efficienza, ritorna al suo progetto originario di derealizzazione. Quelli che vogliono vedere nella rivolta surrealista un certo satanismo diranno a questo punto che dopo essersi ribellato contro il Dio padre, la cui immagine è sempre legata a quel la del padre effettivo, che dà al fanciullo ordini contrari ai suoi desideri, il surrealismo si ribella contro il Verbo così come ['intende Malebranche, cioè contro l'ordine stesso che è poi l'ordine delle cose. L'identità, nei due casi, della parola «ordine,, è ricca di significato e

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Kant ha dimostrato che, per essere ipotetico (se vuoi questo, fai quello), l'imperativo tecnico è comunque, per la volontà, un imperativo. In effetti la ragione, se in un certo senso è interiore all'uomo, se costituisce per l'uomo un potere di emancipazione e di critica nei riguardi di ogni autorità che gli si impone arbitrariamente, se nella tecnica stessa appare come uno strumento al servizio dei suoi bisogni, resta estranea all'uomo nella misura in cui questi, nella ricerca della sua unità, coincide con il desiderio. La ragione si confonde con le leggi delle cose che si impongono a noi e alle quali bisogna sottomettersi, assume l'aspetto dell'esteriorità. Per questo Descartes diceva che ogni comprendere razionale è un patire (87). La ragione diventa così ciò che irrita la nostra impazienza. E' per sua essenza un necessario tornare indietro: se voglio entrare in una stanza la cui porta si apre verso di me, per aprirla, devo fare prima un passo indietro e, dunque, per soddisfare il mio desiderio, devo andare in senso inverso al suo. li desiderio puro sarebbe in questo caso la collera che si propone di rompere la porta scagliandovisi contro. Non c'è dubbio che il surrealismo abbia, a volte, preferito alla ragione la violenza della collera, cioè l'autenticità del desiderio puro. Tuttavia non bisogna credere che abbia scelto l'assurdo: vuole soltanto che il desiderio umano non si dimentichi e non si perda nei meandri di un patire che, come capita sempre, finisce per privare l'azione del suo scopo, sposta l'ammirazione sulla tecnica e riduce il sacro al politico. « Chi sa, si chiede invece Breton, se così contribuirei ad abbattere questi trofei concreti, così odiosi, a gettare un maggiore discredito su questi esseri e queste cose di ragione? Molte macchine sapientemente costruite rimarrebbero in disuso: sa'rebbero elaborati scrupolosamente piani regolatori di immense città che per tutta la nostra vita ci sentiremmo incapaci di realizzare, ma che darebbero sistemazione almeno alle capitali presenti e future.

Automi assurdi e perfezionatissimi, del tutto spersonalizzati, diventerebbero il modello dell'azione n (88). L'odio di Breton per le macchine si esprimeva già in Poisson « Getteremo in fondo alle acque le macchine che

Soluble:

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non servono più e anche quelle che incominciavano a servire e sarà un piacere vedere il fango paralizzare voluttuosamente ciò che funzionava così bene. Noi siamo creature di relitti. .. Ci metteremo ai posti di comando di queste cattive navi costruite sul principio della leva, dell'argano e del piano inclinato. Azioneremo i comandi, per assicurarci che tutto è perduto » (89). « Tutto ciò che il cuore desidera può sempre ricondursi all'immagine dell'acqua », ha detto Claudel. E Gaston Bachelard, che cita questa frase, sottolinea che Claudel sogna di trovare in seno alla Terra « una vera acqua essenziale, un'acqua sostanzialmente religiosa. Questo lago sotterraneo sognato dal poeta visionario darà così un cielo sotterraneo » (90).

Senza dubbio, in Breton, il mondo dell'acqua è anche, sotto molti aspetti, oggetto di una fondamentale speranza. L'acqua non è legata (come spesso accade, secondo Bachelard) alla purificazione, ma piuttosto alla fluidità del desiderio. E oppone ad un mondo di rigidi corpi, i cui oggetti si possono costruire come macchine, un mondo simile alla nostra infanzia in cui non regnino le soffocanti leggi della ragione. Quest'acqua si manifesta incessantemente, in mille forme diverse, negli scritti più autentici di Breton. Nel primo capitolo di Poisson Soluble (91) si parla di fontane magiche, di uccelli marini, di rugiada, di traspirazione degli astri, di poisson-nacelle, di fiumi, di fiori, di eco di piogge e di lacrime, di animai i acquatici, di una donna che si specchia in una pozzanghera, di una cascata che mi d[vide dal teatro della mia vita, di mari in cui si raccolgono rami di corallo rosso e Breton scrive in maniera significativa: «Ora lei dorme, di fronte all'infinito dei miei amori, davanti a questo specchio che i soffi terrestri appannano. E' quando dorme che mi appartiene veramente ». Così, per essere posseduti dal desiderio, il mondo deve essere privato della durezza della sua struttura fisica e la donna del la durezza del1a sua coscienza. Il sogno derealizza il mondo, il sonno sottrae la donna al dominio di quella ragione che, ne[la veglia, dà coerenza e misura alla sua condotta e, perciò, reprime le sfrenate esigenze dell'amante. Dalì ha esasperato questo desiderio di derealizzazione e di possesso. Come Breton, Dalì percepisce l'affinità tra l'acqua

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e la fluidità dell'oggetto che il desiderio fa suo. Esaltando il " modem' style » dell'architettura del 1900, vi scorge le « dure ondulazioni dell'acqua scolpita », la « scultura dei riflessi, nell'acqua, delle nuvole al crepuscolo realizzata con immenso e confuso mosaico multicolore e rutilante, delle iridiscenze puntiniste con l'acqua in tutte le sue forme, zampillante, traboccante, stagnante, luccicante, sfiorata dal vento». Dunque Dalì cerca di sostituire nelle arti plastiche, a un'emozione il cui principio si dovrebbe ancora ricercare nelle leggi proprie della visione, e quindi in qualche modo nella ragione, un'emozione gustativa legata a ciò che il desiderio umano ha di più primitivo, di più irrazionale, che nega il suo oggetto: la fame. Dalì ci parla della bellezza « commestibile » dell'architettura del modem' style. « La base molle di questa colonna - avverte - sembra dirci: mangiatemi ». E sottolinea fra le caratteristiche generali del fenomeno il« deprezzamento profondo dei sistemi intellettuali », la "totale incoscienza estetica »; « l'odio della realtà », « l'abbondante fioritura delle tendenze incoscienti erotico-irrazionali », e, dopo aver sognato delle grotte a cui si accederebbe « attraverso porte fatte di fegato di vitello », conclude: « La bellezza sarà commestibile o non sarà affatto» (92). Questa poetica spiega il carattere vischioso e irrazionale delle celebri strutture molli di Dalì, e, per esempio, di quei mostri che sembrano espandersi e fondersi come formaggi ben stagionati (93). E' chiaro che, secondo la legge del desiderio-fame, che non può possedere se non distruggendo ciò che desidera, l'oggetto è portato a negare se stesso per meglio offrirsi a noi: l'orologio molle, diventando simile al camembert, nega la sua struttura di orologio, perché un oggetto molle non potrebbe avere un meccanismo 1di orologeria. L'oggetto molle è la negazione di ogni macchina e quindi di ogni tecnica. Dalì è, tuttavia, il solo che abbia strettamente legato la derealizzazione all'essenza digestiva e come dice, « cannibale » del desiderio umano. Certamente in tutti i surrealisti la derealizzazione come la rivolta non è che un mezzo. Per l'uomo, e l'uomo totale, fatto di appetito e di ragione, si tratta di affermare la sua unità e la totalità dei suoi diritti. Ma il desiderio, così come

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l'intendono i surrealisti, è spesso meno possessivo che curioso e rapito: il mondo del meraviglioso, al quale deve condurci la poesia, non si riduce al paese delle leccornie caro ai bravi bambini ghiotti. Ci promette estasi più rivelatrici. Dunque, il surrealismo, per derealizzare il mondo quotidiano, deve implicare tecniche diverse dalla fluidificazione. Queste tecniche fanno ricorso molto spesso alla sorpresa e allo spaesamento: l'oggetto rifiuta il suo significato deludendo la nostra attesa abituale. La chitarra con le spalline o l'Ultramobile (il tavolino dalle gambe femminili) di Kurt Seligmann, il ferro da stiro irto di punte di Man Ray (94) sono innanzitutto degli oggetti destituiti del loro significato, inadeguati alla loro finalità tecnica per lasciare apparire quella finalità senza scopo che, secondo Kant, è propria della bellezza. Breton fa l'esempio di Marce! Duchamp " che va dagli amici a mostrare una gabbia senza uccelli che sembra per metà riempita di zollette di zucchero. Nel sollevarla, gli amici si meravigliano che sia così pesante e si accorgono che le zollette di zucchero non sono altro che pezzi di marmo che Duchamp, a sue spese, aveva fatto ridurre a quelle dimensioni » (95). Da parte mia penso che questo scherzo sia un esempio provocato dalla delusione dinanzi al reale che è all'origine di ogni tentativo metafisico. Si sa quanto Breton sia sensibile alla bellezza della filosofia di Berkeley che, per aver negato l'esistenza della materia, è una filosofia della derealizzazione (96). Ma mentre il metafisico subisce la delusione della « poca realtà », come la chiama Breton, tenta di stabilire su basi solide il mondo che sente sfuggirgli, il surrealista tenta volontariamente di provocare il crollo del dato. Si sforza di provocare una " crisi fondamentale dell'oggetto » (97), a " spaesare la sensazione » (98) e questo compito di disintegrazione è il primo che il surrealista propone per la poesia: " Guardate - dice Breton - quanta importanza la poesia dà al possibile, e quest'amore all'inverosimile. Ciò che è, ciò che potrebbe essere, quanto tutto ciò, le sembri insufficiente! Natura, la poesia nega i tuoi regni: cose, le vostre proprietà non la interessano. E' insoddisfatta finché non ha steso la sua mano negatrice su tutto l'universo » (99). Un'analisi di tutti i procedimenti con i quali la poesia sur-

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realista tende a derealizzare il mondo con la rottura dei rapporti logici che si possono scoprire fra i suoi oggetti, e negli oggetti stessi (in effetti un oggetto non è che un insieme di qualità legate da rapporti costanti, da vere leggi), ci persuaderebbe facilmente che, per i surrealisti, non potremmo ritrovare la coscienza originaria, e per così dire infantile, in cui si manifesta il rapporto originario tra lo spirito e le cose, se, prima di tutto, non avessimo incominciato a distruggere i risultati di quella solidificazione razionale e verbale della nostra esperienza, che per la maggior parte degli uomini costituisce la realtà.

li linguaggio in cui si è cristallizzata la ragione sarà sottoposto a una dura prova e saranno elogiati tutti quelli che, prima del surrealismo, vi hanno ritrovato un senso paralogico: così Jean-Pierre Brisset afferma che « tutte le idee enunciate con suoni simili ... si riferiscono ... di principio ad uno stesso oggetto » e conclude (se è il caso di parlare di conclusione), per quanto riguarda le parole « denti, bocca », che i denti chiudono l'entrata della bocca (i denti la chiudono) e che i denti sono l'aiuto, il sostegno della bocca (l'aiuto nella bocca) ecc ... (100). Picabia, consapevole della portata delle sue scoperte, è lodato per « essere stato il primo a comprendere che tutti gli accostamenti di parole, senza eccezione, erano leciti e che il loro valore poetico era tanto più grande quanto più gratuiti o più irritanti apparissero a prima vista » (101). Si fa ricorso alla stessa follia. Dopo aver ricordato la definizione che Kraepelin dà degli stati paranoici, stati che riguardano « in dipendenza di cause interne e secondo un'evoluzione continua, l'insidioso sviluppo di un sistema delirante durevole e impossibile a sconfiggere e che si determina con una conserva'.zione completa della chiarezza e dell'ordine nel pensiero, nella volontà e nell'azione », Breton dichiara che « gli artisti hanno in comune con i paranoici un certo numero di ... disposizioni ». E aggiunge: " L'artista sfugge in gran parte alla tirannia degli oggetti ed evita di cadere nella vera psicosi, nella misura in cui è capace di riprodurre, oggettivare, con la pittura o con qualsiasi altro mezzo, gli oggetti esterni di cui subisce dolorosamente la costrizione ». Questa psicosi non cessa pertanto di tentare il surrealismo, che fa sua l'attività paranoico-critica di Dalì, « metodo spon-

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taneo di conoscenza Irrazionale basato sull'assoclazlone Interpretativa critica del fenomeni dellrantl " ( 102). Sono noti i capitoli dell'lmmaculée Conceptlon intitolati Les Possessions ( 103). in cui Breton e Eluard simulano I 'imbecillità, la mania acuta, la paralisi generale, il delirio d'interpretazione e la demenza precoce. a Dichiariamo - scrivono gli autori - di esserci divertiti in questo insolito esercizio del nostro pensiero. Abbiamo preso coscienza di risorse fin'allora insospettabili in noi » (104). Senza dubbio, lo spirito non è invitato ad annegare nel delirio ma, al contrario, a " dominare a suo piacere le principali idee deliranti senza che ciò comporti per lui una durevole alterazione » {105). li surrealismo è fedele alla " lunga immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi » profetizzata da Rimbaud nella lettera del 15 Maggio 1871. Non contento di sconvolgere le strutture verbali, il surrealismo rovescia e modifica l'atteggiamento fondamentale della coscienza, fa prevalere il principio del piacere sul principio della realtà, esalta la maggiore libertà della visione nel percepire ciò che vuole, e quella della coscienza nel conferire agli oggetti il senso che sceglie. Breton ci racconta di aver conosciuto al centro psichiatrico della seconda armata, a Saint-Dizier, un malato che affermava che la guerra n era un simulacro e che gli obici erano finti e le ferite apparenti » (106). li discorso di questo malato e « l'impossibi I ità di farlo desistere da queste idee » ,, suscitarono» in Breton « una grande impressione ». « Senz'altro - aggiunge Breton - in tutto ciò vi è una certa tentazione ». E in effetti, come non essere tentati dai poteri di una immaginazione che in questo caso bisognerebbe definire non più creatrice o riproduttrice, ma negatrice o derealizzatrice, se, questa facoltà ha permesso a un solo uomo di negare tutto l'orrore della guerra del '14-'18 e di non vedervi che un gigantesco spettacolo, una splendida mistificazione. Così il desiderio e l'istinto umano, quando i metodi di trasformazione politica della realtà si dimostrano deludenti, inventano o scoprono un mondo in cui possono soddisfarsi. Questo mondo è forse quello del sadismo, se è vero che il valore dell'atto sadico, per molti consiste non nella realizzazione ma nell'immaginazione. Certamente è quello del sogno, del quale i I surrealismo ha sempre esaltato ] 'Universo, capace

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di svuotare e sconvolgere il nostro. E' nella stessa veglia, il mondo del meraviglioso, dei castelli e dei fantasmi così amati da Breton e da Julien Gracq. L'avvertenza al lettore che precede Au chateau d'Argo! evoca il repertorio sempre avvincente dei castelli vacillanti, dei suoni, delle luci degli spettri e dei sogni » ( 107). E Breton, al principio di Nadja, estende la derealizzazione dal campo dell'oggetto a quello dello stesso io. Chiedendosi: « Chi sono? », egli arriva, seguendo l'associazione dell'adagio popolare, a chiedersi con chi «va» e ad apparire, così, a se stesso « nel ruolo di un fantasma» (108). La crisi dell'oggetto diventa così crisi del soggetto e della totalità del reale. «

In questa derealizzazione universale, non c'è dubbio che l'humour, particolarmente ciò che i surrealisti chiamano humour noir, non ha un ruolo privilegiato. Senza voler dare qui una definizione dell'humour, che Breton dichiara impossibile e senza mettere in discussione l'interpretazione psicologica che ne dà Freud, che vi vede soprattutto il rifiuto dell'io « a lasciarsi scalfire, a lasciarsi imporre la sofferenza dalle realtà esterne» (109), si può sottolineare il carattere di inesistenza di cui l'humour investe ogni realtà. Breton cita la frase di Pierre Piobb: « Il riso ... è ai limiti del nulla, ci garantisce il nulla » (110) e il Dictionnaire abrégé du surréalisme riporta la definizione dell'humour data da Jacques Vaché: « lo credo che sia una sensazione - stavo per dire un senso - dell'inutilità teatrale (e senza gioia) di tutto » ( 111). Senza dubbio ogni percezione estetica suppone una derealizzazione originaria, una rottura con l'atteggiamento di presa di possesso immediato del reale. Non posso emettere un giudizio su un paesaggio dipinto soltanto se so eh~ il quadro che lo rappresenta non è una finestra aperta sulla campagna, su un'opera teatrale solo se penso che l'azione alla quale assisto non è un'azione reale [altrimenti salirei sul palcoscenico, come l'ingenuo contadino, per impedire gli assassinii e denunciare i complotti alle vittime). Questa derealizzazione estetica, per cui lo spirito ritorna in sé, è la sola che permetta alla percezione estetica di non essere follia. Tuttavia la percezione estetica lascia in noi una traccia diretta del soggetto trattato, una sorta di semi-credenza, riconoscibile, per esempio, nel de-

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siderio che un romanzo sia a lieto fine o che un dipinto sia in rapporto al la cosa rappresentata. Ma la lettura di un testo di humour noir richiede una seconda derealizzazione, come una negazione di secondo grado, una negazione della negazione. Jules Vuillemin mi parlava un giorno dell'indignazione che aveva suscitato in un uomo semplice, visi bi Imente incapace di assumere davanti a questo testo l'atteggiamento necessario, la lettura di Mauvais vitrier di Baudelaire (testo in cui Baudelaire racconta di aver fatto salire a casa sua, ad arte, un vetraio e di averlo mandato via perché non possedeva dei vetri colorati che facessero « vedere la vita bella » e di aver rotto, non appena il vetraio fu in strada, tutti i vetri lasciando poi cadere un vaso di fiori) (112). La stessa derealizzazione si ha nel progetto di Swift che utilizza i figli dei poveri come carni da servire alla tavola dei ricchi (113) o nel racconto di Al lais che ci dice di aver " riso di cuore » assistendo al " trapasso », da lui provocato, della sua vicina (114). Progetto e racconto assolutamente intollerabili. L'humour noir ci chiede così una singolare messa in gioco di ciò che si potrebbe chiamare la nostra apprensione negatrice e suppone che siamo in grado di comprendere ogni cosa in senso contrario o almeno in un senso falso. Sotto questo profilo il surrealismo trova la sua terra di elezione nell'opera stupenda e sempre incompresa di Alfred Jarry, del la quale i surrealisti furono i primi a capire l'importanza. Ma la dereal izzazione non è fine a se stessa o mezzo di evasione. In quanto tale, non basta né a trasformare il mondo, né a cambiare la vita, ma almeno, grazie all'indefinibilità del reale, al quale per vie diverse conduce, permette una presa di coscienza che ci vietavano e le categorie e le necessità della scelta pratica. Tutte le nostre tendenze (compresa, ben inteso, la tendenza alla crudeltà) si rivelano qui nella foro contraddizione. Tuttavia, come nota Gracq, non si tratta di « fondere degli elementi che urlano ancora per essere stati awicinati in una specie di eclettismo » sincretico (115). Bisogna piuttosto scoprire l'ambivalenza essenziale che non esclude l'unità della coscienza affettiva. Bisogna riconoscere l'uomo vero, il suo spirito nelle sue complesse possibilità, i suoi desideri infiniti. Bisogna considerare qualsiasi compito intrapreso per trasformare l'universo o cambiare la vita.

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Ecco perché il film l'Age d'or supera di gran lunga la dolorosa inconsistenza dei films di propaganda, in cui si cerca di condurre lo spettatore ad aderire all'idea rivoluzionaria in nome della morale e della condizione spirituale proprie di quella società che si pretende di volere distruggere e in cui si esprime puntualmente, come nel romanzo Veillées des chaumières, la classica e puerile distinzione tra i buoni e i cattivi, concedendo ai buoni tutte le virtù e ai cattivi tutti i vizi. Nel surrealismo l'uomo si rivela al contrario nella concretezza del suo essere misterioso. E' chiaro che ora giudicheremo ogni intenzione secondo l'infinità della coscienza originaria e fondamentale: coscienza che preesiste a ogni acquisizione e a ogni elaborazione, coscienza da cui derivano la rappresentazione del reale e quella dell'immaginario, coscienza il cui avvicinarsi basta a gettare nei nostri lucidi progetti il più grande turbamento. Ed è in questa coscienza che sono sempre ricercate l'unità, la riconciliazione dell'uomo con il reale e con se stesso. Dopo avere lodato le « esperienze di disintegrazione » di Picasso, Breton tenta di definire « quel punto in cui la creazione artistica, che ha lo scopo di esprimere l'ostilità che anima il desiderio dell'essere verso il mondo esterno, riesce ad adeguare l'oggetto esterno a questo desiderio e, quindi, a conciliare con l'essere, in una certa misura, questo stesso mondo» (116). Ma la riconciliazione dell'uomo con il reale e con se stesso non viene ricercata nella suprema sintesi che illuminerà la fine dei tempi, dopo aver messo in gioco tutte le mediazioni razionali. Non viene ricercata nel lavoro, concepito come realizzazione dell'unificazione suprema dell'uomo e della Natura, in un senso ritrovato e come una finalità, che solo l'alienazione sociale avrebbe fatto perdere. Lo spirito supera I~ ragione. Anche in una società senza classi il lavoro richiede sforzo, limitazione a un compito specializzato, sottomissione alle leggi della tecnica: in ogni caso mai quel rapimento e quel piacere che esige la coscienza non mistificata dell'uomo. Per i surrealisti ogni progetto, ogni sforzo, ogni ragione, ogni struttura raggiungeranno l'oggetto e si situeranno nell'esteriorità del mondo che l'uomo sente inadeguato. Quindi la sublime realtà dell'uomo basta a derealizzare questo stesso mondo, nell'impaziente attesa di quella surrealtà che,

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sola, potrebbe appagare un desiderio già rivelato, nella sua totalità, dagli insaziabili stupori della nostra infanzia. Alla base del surrealismo non c'è la ragione hegeliana o il lavoro marxista: c'è la libertà.

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l'attesa e l'interpretazione dei segni

l'amore

La derealizzazione del mondo quotidiano nei surrealisti è stato sempre in funzione di una speranza positiva di possesso e di scoperta. Il surrealismo non è fuga nel l'irreale o nel sogno, ma tentativo di penetrare in un mondo più reale dell'universo logico e obiettivo. E' facile, dunque, avvicinare la sua più profonda esigenza all'attesa dell'al di là e confondere la coscienza surrealista con la coscìenza religiosa: sono entrambe ricerche dell'Essere e attribuiscono grande importanza all'adorazione. Ma, a differenza dell'al di là religioso, l'al di là surrealista non può situarsi né oltre questo mondo né oltre la nostra vita. E' paradossalmente un al di là immanente, immerso negli esseri stessi, la cui esperienza ci dà l'apparenza, la cui percezione ci dà il senso della presenza. L'al di là si manifesta, da sempre, in situazioni che tutti gli uomini possono vivere e in cui ] 'oggetto, che sembra superare se stesso, si rivela nel lo stesso tempo come quotidiano e quasi-sacro, naturale e sconvolgente. Breton dichiara che « la sorpresa», che, secondo lui, « deve essere ricercata per se stessa, incondizionatamente », « esiste in un solo oggetto, nel groviglio del naturale e del sovrannaturale {1). Ecco perché l'amore, intendiamo qui l'amore-passione, occupa subito, nelle intenzioni surrealiste, il O

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primo posto. Vi si ritrovano tutti i momenti prestigiosi del1'Universo, tutti i poteri della coscienza, tutta la forza del sentimento. Nell'amore si effettua la sintesi suprema del soggettivo e dell'oggettivo e ci viene reso quel rapimento che le lacerazioni surrealiste sembravano rendere impossibile. I surrealisti attendono dall'amore la grande rivelazione. La loro preoccupazione morale sembra spesso non meritarla. Char scrive: « Nel campo della surrealtà, l'uomo privilegiato » non può che essere preda « del la sua divorante ragione di vita: l'amore » (2). Ma l'amore non può essere fine a se stesso, poiché nella sua più profonda intenzione è amore di ciò che ama. Già nel Convivio, Socrate rifiuta, in questo senso, l'elogio retorico che Agatone ha pronunziato dell'amore: l'amore - dice - è amore dell'altro da sé, tende verso ciò che non ha. Così sono bandite tutte le forme di narcisismo: l'amore vero è amore dell'altro, amare è uscire da sé e non amarsi amando. Il surrealismo non sfugge a questa logica. Vede spesso nell'amore l'oblio di sé: « Essa ama, e le piace dimenticarsi » scrive Eluard {3). Esalta l'essere amato, cioè la donna, che nella scala dei valori surrealisti prende il posto di Dio (4). Moltissimi sono i testi in cui si esprime questa adorazione rapita. Ascoltiamo Aragon: « Dolce donna del vento, falciatrice di luci, tu, i cui capelli puri giungono di frodo ai miei occhi per una strada di comete ... » (5). « Donna, tu sostituisci ogni forma. Appena dimentico un po' questo abbandono, riappari e tutto muore ai tuoi passi. Ai tuoi passi nel cielo un'ombra mi circonda. Ai tuoi passi verso la notte perdo disperatamente il ricordo del giorno. Meravigliosa sostituta, sei la sintesi di un mondo meraviglioso, del mondo naturale. Quando chiudo gli occhi, sei tu che rinasci: sei il muro e la sua apertura, sei orizzonte e presenza. Eclissi totale.i Luce. Miracolo. Si può pensare a ciò che non è miracolo, quando il miracolo è là nel suo vestito notturno? Così a poco a poco, l'universo si cancella per me, mentre dalle sue profondità sorge un fantasma adorabile, una grande donna, finalmente delineata, che appare dovunque. Nulla mi separa da lei nel più saldo aspetto di un mondo che muore ... Montaigne, sarete solo lo sfondo lontano di questa donna. Non sono che una goccia di pioggia sulla sua pelle, la rugiada. Passa attraverso le mie mani l'acqua simile alle lacrime, donna infinita di cui sono completamente bagnato.

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Passa attraverso il mio cielo, il mio silenzio, le mie vele » (6). Non c'è neanche bisogno di avvicinare queste pagine ai più noti testi della mistica cristiana: ne sono l'esatta trasposizione e nel lo stesso tempo if capovolgimento. Perché qui è la donna che sorge al tramonto del mondo, a cui si sostituisce e che poi ritrova per contenerlo e contenermi, diventando così quella realtà essenziale nella quale « movemur et sumus "· La mistica dell'obbedienza e della sottomissione è anch'essa vicina a quella della partecipazione e dell'assimilazione. « Chi è? Chi mi chiama? Cara, mi arrendo, vengo. Ecco le mie labbra. Allora si nasconde. E poi dopo. lo naturalmente, non difficile. Dannato, dannato. Possa sprofondare; battimi, annullami. Sono la tua creatura, la tua vittoria, la mia sconfitta » (7). Anche in Eluard la donna amata appare negatrice del l'Universo, Ses rèves en pleine lumière Font s'évaporer les soleils (BI, poi ciò che lo riempie, l'ordina e l'anima: J'entends vibrer ta voix dans tous les bruits du monde (9) ... Et des jours et des nuits réglés par tes paupières ( 1O). infine ciò che lo crea e mi crea ... Auréole du temps, berceau notturne et sur, Et si je ne sais plus tout ce que j'ai vécu, C'est que tes jeux ne m'ont pas toujours vu . ... Gomme le jour dépend de I 'innocence Le monde entier dépend de es jeux purs Et tout mon sang coule dans leurs regards (11). Per Breton la donna è spesso il termine di un simile processo mistico. Mettendo fine alla serie dei presagi meravigliosi che l'annunciano prende il posto dell'assoluto: « ••• ti sei sostituita alle forme che mi erano più familiari, così come a parecchi aspetti del mio presentimento ... Tutto ciò che so è che questa sostituzione di persona si ferma a te, perché niente ti è sostituibile e, davanti a te, doveva per me finire da tempo immemorabile questa successione di enigmi terribili o affascinanti.

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Tu non sei un enigma per me. Dico che tu mi allontani per sempre dall'enigma, Poiché tu esisti, come tu sola sai esistere ... » ( 12). Ma non si potrebbe nascondere che questa concezione dell'amore, se ha ispirato testi lirici stupendi, offre filosoficamente le più gravi difficoltà. Anche senza adottare le critiche religiose alla concezione surrealista dell'amore bisogna riconoscere che è difficile sostituire, nelle aspirazioni umane, l'Essere o l'Assoluto con la donna. Infatti l'esigenza del desiderio si dirigerà verso la donna in generale e raggiungerà, nell'instancabile ricerca del libertinaggio, un'astrazione e un'idea, oppure l'amore-passione ci persuaderà che ogni valore risiede nell'unica donna amata. Ma, in questo caso, la nostra coscienza conserverà sempre tanta lucidità da denunciare l'errore di una credenza così contraria alla ragione, introducendo nuovamente, nell'esperienza dello amore, il dolore e il sentimento della separazione. li surrealismo ha sempre oscillato tra l'amore ideale e quello della femminilità. Fra tutti i poemi, Eluard predilige, in modo sintomatico, le pagine delle Mémoires d'outre-tombe, in cui Chateaubriand confessa che, nella ricerca dell'amore come « felicità suprema», aveva inventato una donna con tutte quelle che aveva viste: « Aveva l'aspetto, i capelli e il sorriso della straniera che mi aveva abbracciato; le diedi gli occhi di una certa ragazza del villaggio, la freschezza di un'altra. I ritratti delle nobildonne del tempo di Francesco I, Enrico IV e di Luigi XIV che ornavano il salone, mi avevano fornito altri tratti, ed ero stato ispirato perfino dalle varie Madonne che avevo visto nelle chiese» (13). In una esperienza diversa ma analoga, Eluard scopre, in vari incontri, un'unica femminilità.i Et c'est toujours le meme aveu, la meme jeunesse, les memes yeux purs, le meme gest ingénu de ses bras autour de man cou, la meme caresse, la meme révélation. Mais ce n'est jamais la meme femme. Les cartes ont dit que je la rencontrerai dans la vie, mais sans la reconnaitre (14). Tuttavia se la donna amata è una chimera nata dalla mia immaginazione o una presenza astratta incapace di incarnarsi

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r completamente e di essere riconosciuta in un solo corpo, non bisognerà confessare che l'amore, la cui idea - dichiara Breton - è « capace di riconciliare ogni uomo ... con la Idea della vita ,, [15), promette più di quanto non offra? Non ci dà il suo oggetto: eccoci ridotti, ancora una volta, all'attesa. E la speranza nell'amore, che anima dall'avvio il surrealismo, diventa speranza nella speranza. Si capisce la preoccupazione che ispira nel 1929 l'Enquete sur l'amour che pone precisamente questa domanda: « Quale speranza riponete nell'amore? " ( 16). Bisogna riconoscere che nel rispondere a questa domanda i surrealisti prevalentemente ussumono un atteggiamento lirico: e si trovano in un circolo vizioso (17). Come evitare questo circolo, a meno che non si dichiari che la donna amata non è soltanto quella che rassomiglia all'Amabile, ma è lo stesso Amabile? Se ci si rifiuta di sottoscrivere un'affermazione così paradossale, se ci si abbandona completamente alla passione cieca, se, d'altra parte, non si vuole ricadere in un gretto naturalismo che si limita a considerare l'emozione erotica un 'illusione senza oggetto, espressione di tendenze potenti ma del tutto prive di luce, bisognerà proprio considerare l'amore come il segno di una realtà che supera ciò che ci dà l'esperienza: un essere individuale chiaramente inferiore a tanti altri. E' un ritorno a Platone, per il quale l'approfondimento riflessivo dell'attesa dell'amore ci conduce sempre alla scoperta di qualche valore impersonale e, finalmente, a quel mondo delle Idee che, origine della nostra anima, non è questo mondo. In questo senso Platone considera i I li bertinagglo non certamente sensuale, ma pieno, in ogni sua esperienza, di emozione erotica, più vicino all'essenza dell'amore che all'amore esclusivo e fedele. In effetti il libertinaggio ci evita di confondere la bellezza che ci sconvolge con uno qualsiasi degli esseri attraverso i quali momentaneamente si è manifestata. Personalmente non sono mai riuscito a sottrarmi a questa logica: se la Bellezza è capace di commuoverci a tal punto in esseri diversi non è quindi distinta dalle sue incarnazioni e ad esse superiore? E non bisogna allora ammettere che nell'amore si manifesta un certo al di là? Breton non è di questo parere. Preoccupato di evitare ogni trascendenza, subordina l'amore all'essere individuale che costituisce il suo oggetto presente e si attiene di conseguenza all'amore esclusivo e unico. « Ho scelto, in amore - scrive - la forma passionale ed esclusiva "· E, ricordando

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che questa concezione è contraria a « quella degli scettici o a quella dei I ibertini più o meno dichiarati », nota che la maggior parte delle dispute nate sul surrealismo sono state « derminate » da un « profondo disaccordo su questo punto» (18). Questa posizione conduce Breton ad affermare l'eternità dell'amore: « Dire che l'atto sessuale determina una caduta di potenziale amoroso tra due esseri, caduta che, verificandosi ad ogni atto, porterebbe progressivamente ad un impoverimento, è un terribile sofisma. Così l'amore si esporrebbe al fallimento nella misura in cui cerca la sua stessa realizzazione ... L'essere, qui, sarebbe chiamato a perdere per un altro, a poco a poco, il suo carattere ideale e sarebbe ricondotto suo malgrado all'essenza ... Niente è più insensibile e più desolante di questa concezione» (19). Desolante: ma come evitarla? Non c'è che un solo modo: ritornare alla concezione cristiana per la quale l'amore si volge alla sostanza stessa dell'essere amato e, per essere più chiaro, alla sua persona. Ma, per condannare il libertinaggio, non bisogna più mettere alla radice dell'amore l'emozione per la bellezza e lo sconvolgimento passionale. Breton non lo fa. La sua filosofia non è personalistica, il suo amore è lontano mille miglia dalla « caritas » cristiana, lo sconvolgimento sensuale davanti al bello occupa per lui un posto preminente. Dunque si può stabilire, come vuole Breton, una distinzione radicale tra l'amore esclusivo e l'amore libertino? Piuttosto non converrebbe distinguere nello stesso libertinaggio la vana ricerca di gioie fisiche o di piacere di conquista e di dominio (sensazioni che non ci fanno superare il livello dell'ingordigia o della sordida volontà di potere) e l'autentico rapimento, l'adorazione che ci fa perdere coscienza, sentimenti che non potrebbero essere separati da ciò che l'amore ha di più profondo e che manifestano la sua essenza. Breton confessa « di aver sofferto a lungo per difenderà validamente » la sua concezione dell'amore contro i libertini (20). Infatti poco convicenti sono i testi dell'Amour fou dedicati a questo problema, sia che cerchino di trovare cause sociali e morali (21) al declino dell'amore, sia che invochino l'autorità di Engels, che afferma che « l'amore sessuale individuale », nato dalla monogamia, è « il più grande progresso morale compiuto dall'uomo nei tempi moderni » (22). Sembrano riferirsi molto meno all'esperienza dell'amore che a

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una certa idea dell'amore. Ed è legittimo aspettarsi da questa idea che essa altro non sia che un pregiudizio. In ogni modo quando Breton dichiara che l'amore, così come lo concepisce, « deve vincere • (23), si limita a formulare un augurio. « Ciò che ho amato, dice ancora Breton, che l'abbia o meno conservato, l'amerò sempre » (24). Sembra difficile dare a questa affermazione un senso che vada oltre la decisione: non esprime, in ogni caso, alcuna verità, poiché lo stesso Breton dichiara di avere amato, successivamente o con passione, più donne. La pluralità delle donne amate « alcune per anni, altre per un giorno» (25) è evocata al principio dell'Amour fou. Appaiono sedute di fronte a dei personaggi « vestiti di nero » che rappresentano Breton nel l'atto di amarle. Stando alla logica di questa prima immagine, si ritroverebbe quella discontinuità radicale che in altri testi Breton ha stabilito tra i vari momenti del la sua vita e non si porrebbe il problema del rapporto tra gli amori successivi di uno stesso amante. Ma il racconto è diverso: « Entra un uomo ... le riconosce: una dopo l'altra o tutte contemporaneamente? ». Questa semplice domanda introduce di nuovo, almeno a titolo d'ipotesi, l'idea di un'essenza comune a tutti gli amori successivamente provati. Tuttavia Breton rifiuta ancora questa idea dichiarando che l'amante non scoprirà « in tutti quei visi di donne che un solo viso: l'ultimo viso amato » (26). Eccoci di nuovo davanti all'amore unico: le donne precedentemente amate non sarebbero per l'amante che l'annuncio e la promessa del la donna attualmente amata. Soltanto lei è dunque veramente amata, le altre sono state amate per illusione e, se si può dire, in rapporto a lei. Ma per Breton è molto difficile accogliere questa concezione più commovente che vera. Secondo lui, l'amante, scoprendo fra tutti i visi delle donne amate « un solo viso. l'ultimo viso amato », parimenti non riconosce, fra tutti i visi degli uomini che stanno loro di fronte, « che se stesso ». Ora, in ciò il testo è incoerente: perché il parallelismo fosse mantenuto Breton avrebbe dovuto ridurre tutti i personaggi maschili da lui evocati non all'amante « se stesso .. , ma all'amante attuale, all'ultimo amante. Poiché altro è affermare l'identità del mio io attraverso gli amori successivi che ho provato, altro è pretendere che tutti questi amori non abbiano realtà e finalità che nell'ultimo di essi. Nel secondo caso si sostiene che un solo

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essere è stato veramente amato e uno solo veramente amante. Nel primo si riconosce che l'amante è stato sempre lo stesso, amando più volte. Si accetta dunque una certa trascendenza dell'io in rapporto ai suoi amori successivi. E il correlativo di questo amante unico non può dunque essere l'ultima donna amata, ma un modello presente in tutte le donne amate. In questo senso, è significativo vedere che Breton, pur senza rinunciare alla sua idea dell'ultimo viso amato, scrive che « l'essere amato è, quindi, quello in cui si compongono un certo numero di qualità particolari considerate più attraenti del le altre e apprezzate separatamente, in un secondo momento, negli esseri in qualche modo prima amati. E' da notare che questa affermazione avalla dogmaticamente la nozione popolare di questo o di quel tipo di donna o di uomo » (27). Le nozioni di qualità e di tipo ci riconducono, tuttavia, e questa volta senza possibilità di ritorno, a una concezione platonica per la quale nessun essere concreto e finito potrebbe sostituire l'Amabile e diventare lo scopo unico dell'Amore. Ecco che si ripropone sempre il nostro problema: se la donna amata non è l'oggetto unico e sufficiente dell'amore, quale altra realtà può esserlo? A che cosa rinvia? Di che cosa l'amore è attesa? Quale speranza bisogna riporre nell'amore?

li Convivio di Platone, che presenta - credo - tutte le ipotesi possibili relative alla natura di un amore che si incarna in una forma fisica (cioè di ogni amore diverso dalla « caritas » cristiana), dà, a queste domande, una risposta intenzionalmente orientata verso l'unicità e la finitezza: la risposta di Aristofane. (Naturalmente Platone non la condivide). Aristofane dichiara che un tempo gli uomini erano fatti di due esseri umani messi insieme: avevano quattro mani, quattro gambe, due visi. Questi esseri avevano una grande forza e un irilmenso orgoglio. Vollero attaccare gli dei. Zeus, per evitare la loro rivolta e per indebolirli, li tagliò in due. Dunque l'uomo attuale non è che una metà di essere. Questa è la fonte originaria dell'amore. Ciascuno cerca ciò da cui è separato, la metà che ha perduto e, negli slanci d'amore, cerca di ritrovare l'unità che fu sua. La logica delle immagini doveva condurre Breton, che tende così a valorizzare l'umano e quindi la finitezza, a ritrovare questo mito. La sua aspirazione a « possedere la verità in un'anima e in un corpo » « ••• basta a fargli intendere l'allegoria secondo la

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quale ogni essere umano è stato gettato nella vita per cercare un essere dell'altro sesso, e uno solo, che gli sia sotto tutti i punti di vista accoppiato, al punto che l'uno senza l'altro appaia come il prodotto di dissociazione, di dislocazione di un blocco di luce » (28). Così si giustifica il tema dell'amore-riconoscimento. « Prima di conoscerti, scrive Breton -; suwia! queste parole non hanno senso. Tu sai bene che quando ti ho vista per la prima volta, ti ho riconosciuta senza la più piccola esitazione » (29). Il verso di Eluard: « Non ci siamo riuniti al di là del passato » (30) traduce la stessa certezza. In questo senso bisogna dire che l'amore annuncia ancora una verità personale e fondamentale, il mio insostituibile destino. Nelli ha messo in luce questo aspetto dell'amore surrealista. « Se i surrealisti, scrive, valorizzano la donna e l'amore, lo fanno in nome del destino inconscio, che si cerca nello stesso tempo nell'amico e nell'amica e per provare che non si può amare che un essere capace di incarnare, di simboleggiare il nostro destino terrestre o, per lo meno, di attraversarlo» (31). « Volere amare - continua Nelli - è dunque innamorarsi di un determinismo che, invece di passare al di sopra delle nostre teste, s'interiorizzerà in noi, ci metterà al mondo e ci farà assistere alla nostra apparizione » (32). Ma Nelli capisce bene che l'amore surrealista è ancora altro: oblio dei nostri limiti, « negazione dell'individuo a vantaggio di un mondo oggettivo che dell'individuo è i I contrario » (33). C'è un'ispirazione, credo, logicamente poco conciliabile con la precedente: alla donna, unica e sufficiente, oggetto di un amore che non rivela che lei e me, alla donna di cui Eluard può scrivere Nous jonions au soleil à la pluie à la mer A n'avoir qu'un regard qu'un ciel et qu'une mer les n6tres (34). succede la donna che è diversa da lei e da me, che incarna un valore universale e racchiude, in una specie di eternità, il segreto del Mondo. E' questa la donna « che ha sempre affascinato i poeti, perché su di lei il tempo non ha presa» (35), la donna dalla « vocazione trascendente», la donna che ci darà la « salvezza terrestre " (36) , la donna che permette a Breton di scrivere: « La grande maledizione è finita, tutta la potenza rigeneratrice del mondo risiede nell'amore umano » (37), e infine la donna-chiave, in cui Breton scorge

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l'immagine stessa del segreto, di uno dei grandi segreti della natura » (38). E' chiaro che perciò la donna annuncia l'ordine della verità impersonale e, in ogni caso, qualcosa che supera la propria realtà situandosi al di là di essa. Dunque, come affermare ancora che l'amore « che ... riconosce il suo oggetto in un solo essere », realizza « al massimo grado la fusione dell'esistenza e dell'essenza?» (39). In questo amore, invece, la contingenza esistenziale è superata dall'essenza, essenza della bellezza e della verità espressa dall'essere amato. Non evitiamo il platonismo.

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La concezione surrealista è, dunque, perfettamente chiara: rifiuta la ridicola spiegazione dell'amore umano con l'istinto sessuale, afferma che l'amore, lungi dall'essere una vana o ingannatrice esaltazione al servizio degli interessi della specie, come affermano i biologi, possiede un senso, dà una valida rivelazione, esprime ciò che Breton, rinunciando al vocabolario materialista, chiama in Arcane 17 « la vita spirituale » (40). Ma questa concezione resta ambigua quando bisogna precisare il significato dell'amore. L'amore annuncia, ma che cosa annuncia? li mio destino? L'avvenire della storia, come a volte si può pensare quando Breton chiede di rimettere il «potere» (41) nelle mani delle donne, oppure l'Eternità rappresentata dalla donna-bambina (42) o anche il segreto stesso del Mondo? A questo punto bisogna rìprendere l'ansiosa domanda di Nadja: « Chi è? chi è? siete voi?, Nadja? E' vero che l'al di là, tutto l'al di là sia in questa vita? Non vi sento. Chi è? Sono io solo? Sono io stesso? » (43). Così il surrealismo, descrivendo l'esperienza umana dell'amore con una esattezza e un'acutezza prima forse sconosciute, non riesce veramente a chiarirla. Eluard scrive: Tu es l'eau détournée de ses abimes Tu es lfìl terre qui prend racine Et sur laquelle tout s'établit . ...Tu sacrifies le temps A l'éternelle jeunesse de la fiamme exacte Qui voile la nature en la reproduisant. Femme tu nats au mond un corps toujours pareil le tien Tu es la ressemblance (44). Qual'è il senso di questi versi? A che cosa rassomiglia la donna amata? Riproduce o nasconde quella natura di cui è la

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fonte? Stando al significato letterale, Eluard sembra concludere con la Natura il cerchio delle corrispondenze, e, riducendo la Natura stessa alla donna, afferma che questa, mettendo al mondo « un corpo sempre uguale », non rassomiglia che a sé. Ma è proprio in ciò che si esprime una certa disperazione. Niente caratterizza meglio l'emozione amorosa delle sensazioni di somiglianza che il poeta avverte nell'amata: in effetti l'amata è la somiglianza essenziale. Ma Platone ha ragione di affermare che questa somiglianza non è sufficiente, che queste sensazioni devono essere spiegate e che l'amante deve elevarsi dalle somiglianze al modello che vale per sé e che non rinvia ad altro. Questo vuol dire che l'amore ci invita a superare l'amore e ci conduce a ciò che non è amore. Secondo Platone, l'amore non è un Dio, ma soltanto una mescolanza: non ha valore che per il suo scopo. Ora, sostiene Breton, « non c'è soluzione al di fuori dell'amore" (45). Ma ci si può limitare all'amore, se l'amore non conosce ciò di cui è amore? Se ci si rivolge solo ali 'amore, la speranza di Poisson Soluble non rischia di comprendere solo l'assenza e di insabbiarsi nel sogno e nell'irrealtà? I Poémes à la mystérieuse di Desnos sembrano proprio tradurre una tale disperazione: O douleurs de l'amour! Gomme vous m'étes nécessaires et comme vous m'étes chères Mes yeux qui se ferment sur des larmes imaginaires, mes mains qui se tendent sans cesse vers la vide ... (46) J'ai tant revé de toi que tu perds ta réalité ... J'ai tant revé de toi que mes bras habitués en entreignent ton ombre à se croiser sur ma poitrine ne se plieraient pas au contour de ton corps, peut-étre ... J'ai tant revé de toi, tant marchè, parlé, couché avec ton fantome qu'il ne me reste plus peut-étre, et pourtant, qu'à étre fantome parmi les fantomes ... (47). E' dunque necessario, se non si vuole rinunciare alla speranza, che l'idea stessa dell'amore sia approfondita, le sue promesse siano chiarite, che la bellezza e l'incontro, che suscitano l'emozione amorosa, siano disposte a svelare il loro segreto. Si sa con quanta passione:- con quanta ostinazione il surrealismo si è sforzato di scoprire questo segreto.

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la poesia e l'incontro

La luce, dice Breton, "ha tre vie: la poesia, la libertà e l'amore » (48). Queste vie sono diverse? Se ci si limita al significato delle parole, poesia, libertà, amore, sembrano opposte. La poesia, come la libertà, è il potere di creare o almeno di dare un senso nuovo ad ogni oggetto. L'amore è, invece, sottomissione passiva, adorazione di ciò che è. Ma, in realtà, amore, poesia, libertà si riconciliano nel surrealismo per la loro stessa ambiguità: ciascuna di queste parole esprime tutta la realtà dell'uomo. L'amore è oblio di sè: ma non per questo è principio di accettazione del mondo oggettivo. E' oblio in presenza dell'essere amato, il cui viso sembra chiedere la distruzione del mondo logico nel quale l'amore vive e chiede che gli venga reso un Universo conforme a sé, il famoso " paese che ti rassomiglia » di Baudelaire (49). L'amore è, così, inseparabile dalla rivolta, giacché esprime la nostra libertà fondamentale. E questa stessa libertà non è, malgrado qualche apparenza, un potere di scelta del tutto arbitrario. Esprime, piuttosto, quanto in me c'è di più metafisico, che proprio il mondo oggettivo e sociale soffoca, costringe o per lo meno limita. Breton ha sempre creduto alla realtà di un io più profondo

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dell'Io cosciente e quotidiano. In Nadja, nei primi capitoli, egli suppone: cc Ciò che considero manifestazioni oggettive della mia esistenza, manifestazioni più o meno deliberate, non è, nei limiti di questa vita, che un'attività il cui vero campo mi è completamente sconosciuto " (50). Se tutto è lecito, se sono possibili gli accostamenti più inattesi, resta il fatto che la poesia conserva, nel surrealismo, il significato essenziale di un'esplorazione e di una rivelazione: le immagini poetiche come presagi arricchiscono l'esperienza umana, i surrealisti ascoltano il dettato che rivela il loro inconscio come Paul Eluard cc ascolta » la donna amata (51), l'automatismo poetico simile a quello del sogno ci dà notizie di noi, dell'Universo intero e ci offre una sorta di verbo profetico. In questo senso la ricerca è ontologica. Il surrealismo vuole sopprimere « ciò che, fisicamente, come si dice, ci vieta di veder chiaro » e il suo segreto « sta nel fatto che noi siamo persuasi che qualche cosa è nascosto dietro » gli oggetti visibili (52). Breton dichiara ancora che, in Eluard, la scelta « delle parole che egli riunisce, nell'ordine in cui le riunisce", « avviene ... attraverso » il poeta, ma non è il poeta che opera la scelta (53). E' evidente che per il surrealismo non si tratta di dare libero sfogo a una fantasia priva di senso, ma di svelare la natura delle cose e quella degli uomini. La derealizzazione non ha il compito di favorire queste scoperte. Se la « surrealtà » è « funzione della nostra volontà di spaesamento totale » è perché dal « sacrificio cosciente " dell'utilità essenziale delle cose « si deducono certe proprietà trascendenti che si ricollegano a questa utilità in un altro mondo dato o che può essere dato »: mondo in cui « le vite passate, presenti, future si fondono in una vita che è la vita » (54). Certamente l'arbitrario sembra essere spesso la fonte dell'invenzione surrealista e sembra, a volte, che sia perfino ricercato per sé. E' permesso, dice Breton, « intitolare Poesia ciò che si ottiene con la riunione gratuita, per quanto possibile ... di titoli e frammenti di titoli ritagliati dai giornali " (55). Si conoscono i giuochi surrealisti: « Sedetevi in cinque intorno a un tavolo. Ciascuno scriva, senza che gli altri vedano, su un foglio il sostantivo che dovrà servire da soggetto a una frase. Passate il foglio piegato in modo che non si veda la parola scritta al vostro vicino di sinistra, nello stesso tempo in cui riceverete dal vostro vicino di destra il foglio da lui preparato nello stesso modo ... Al sostantivo che voi ignorate date un aggettivo ... Continuate così anche per il verbo, poi per il

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complemento etc ... L'esempio, diventato classico, e che ha dato il nome al gioco, consiste nella prima frase ottenuta in questo modo: Il cadavere squisito berrà il vino nuovo » (56). Il dialogo surrealista, accoppiando domande e risposte formulate separatamente, è fondato su questi principi: « Che cos'è il suicidio? Parecchi campanelli assordanti », « Che cos'è la voluttà di vivere? E' una biglia nella mano di uno scolaro». Ancora: «Se non ci fosse la ghigliottina. - Le vespe si toglierebbero il corsetto » (57). « Se tutti i cavalli avessero per ferri delle amanti - li cuore delle amanti cesserebbe di battere » (58). Diverse pagine di Champs magnétiques di André Breton e Philippe Soupault sono costituite da due soliloqui che si incontrano e si intrecciano (59). Benché lasci più posto alla scelta individuale, il procedimento dei collages presenta delle analogie con le tecniche precedenti. Nella sua esposizione di collages, nel 1920, Max Ernst usava « l'elemento fotografico incollato su un disegno o una pittura, l'elemento disegnato o dipinto sovrapposto a una fotografia, l'immagine ritagliata e incorporata in un quadro o in un'altra immagine, la fotografia pura e semplice di una serie di oggetti ben sistemati resi incomprensibili dalla fotografia » (60). Dopo il 1920, Max Ernst si è dedicato esclusivamente ai collages puri: in La femme 100 tetes, infatti, non compaiono suoi disegni. Aragon dunque può dichiarare che perciò « l'arte ha perduto la sua individualità » (61) e può considerare il collage un vero « processo alla personalità ». • Le tappe significative di questo processo, aggiunge Aragon, (Duchamp dipinge i baffi alla Gioconda e la firma, Cravan firma un orinatoio, Picabia firma una macchia di inchiostro che intitola La Santa Vergine), sono per me le conseguenze logiche del gesto iniziale del collage. Si sostiene, così, sia la negazione della tecnica, come nel collage, sia quella dell'autore. li pittore, se è il caso di chiamarlo ancora così, non è più, come per un processo di generazione, legato al suo quadro da una misteriosa relazione fisica» (62). « I dialoghi surrealisti, Il cadavere squisito, i collages, tendono dunque a generare il capolavoro senza autore » (63), risultato del caso e dell'incontro, capolavoro significativamente preannunciato dalla famosa formula di Lautréamont: « Bello come l'incontro fortuito su un tavolo operatorio di una macchina da cucire con un ombrello ". Ma è proprio in questa misura, che, per i surrealisti, l'emozione estetica si avvicina all'emozione amorosa e si confonde

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con essa. In effetti non bisogna credere che l'incontro fortuito sia valido per se stesso e perchè fortuito. Quello che stupisce, invece, è che, fortuito all'origine, diventa creatore di bellezza. Così il suo risultato appare sotto il segno di una finalità che non l'ha originato. In questo modo il surrealismo sembra confermare le sue tesi quando, ponendo in modo nuovo l'eterno problema della ispirazione, afferma che nel poeta l'illuminazione succede alla creazione. Si sa che, in questo senso, Breton si è scagliato contro il « preteso potere visionario del poeta ». Scrive: « No, Lautréamont, Rimbaud non hanno visto, non hanno goduto a priori ciò che descrivevano. Come dire: non lo descrivevano. Negli oscuri meandri dell'essere, nell'atto dello scrivere, si limitavano a sentir parlare confusamente di certe opere fatte o da farsi, senza capirle meglio di noi quando le leggiamo per la prima volta. L'illuminazione viene dopo » (64). Qualunque sia l'opinione che si possa avere sul procedimento della creazione poetica è chiaro che, nel dialogo surrealista o nel cadavere squisito, l'illuminazione, come suggerisce Breton, viene dopo. Dunque, non ci si può più limitare a dire che il poeta è un ispirato incosciente, che lascia parlare in lui una specie di dio. In questo caso questo dio deve essere o negato o scoperto. Ora la fonte dell'illuminazione surrealista può essere cercata in due modi. Vi si può scorgere la prova della potenza del nostro spirito, capace di dare significato e valore alle cose. Riprendiamo qui il gioco surrealista delle domande e delle risposte: per eliminare ogni bellezza propria a ciascuna delle frasi create (i surrealisti non l'hanno fatto sempre), useremo come esempi i nostri esercizi personali. Si dovrà convenire che in partenza niente è più banale ed esatto, niente è meno poetico o rivelatore della seguente serie di domande e risposte: Che cos'è un cappello? Ciò con cui ci si copre la testa. Che cos'è un piatto? Un piccolo recipiente in cui si mangia. 1Che cosa è l'alba? li sorgere della luce. Che cosa è uno specchio? Ciò che ci rinvia la nostra immagine. Che cosa è un gendarme? Il tutore dell'ordine. Che cosa è un radiatore? Un tubo riempito di acqua calda. Che cosa è un lampione a gas? Una luce delle strade. Che cosa è il sogno? Un'illusione del sonno. Se, ora, invertiamo le domande e le risposte, otteniamo: « Che cosa è un cappello? Un piccolo recipiente in cui si mangia. Che cosa è un piatto? Ciò con cui ci si copre la testa. Che cosa è l'alba? Ciò che ci rinvia la nostra immagine. Che cosa è uno specchio? li sorgere della

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luce. Che cosa è un gendarme? Un tubo riempito di acqua calda. Che cosa è un radiatore? li tutore dell'ordine. Che cosa è un lampione a gas? Un'illusione del sonno. Che cosa è un sogno? Una lampada delle strade ». In questi esempi colpisce il fatto che nessuna delle risposte ottenute appare allo spirito come sprovvista di senso. Per realizzare o per dare questi significati diversi lo spirito deve soltanto cambiare atteggiamento. Le risposte normali trovano il loro significato nell'atteggiamento logico dello spirito. Le risposte ottenute con il procedimento dell'inversione trovano il loro significato sia nel l'atteggiamento umoristico dello spirito (Che cos'è un gendarme? Un tubo riempito d'acqua calda), sia nel suo atteggiamento lirico (Che cos'è il sogno? Una lampada delle strade), sia nel suo atteggiamento magico (Che cos'è l'alba? Ciò che ci rinvia la nostra immagine), etc ... Si potrebbe dunque concludere che lo spirito riceve dalla sua stessa forza la ragione della sua solitudine. Se può dare un significato a ogni cosa, certamente non potrà mai trovare nel mondo il segno di qualche cosa diversa da sé. L'ordine che scoprirà sarà sempre il suo ordine, la bellezza che contemplerà sarà sempre la sua stessa bellezza. L'esperienza surrealista è stata spesso interpretata in questo senso: se il surrealismo vuole avvicinare, nelle sue immagini, la realtà più lontana, non è forse perché ha una fiducia il I imitata nella forza del lo spirito? Non è per questa ragione che Dalì si è autodefinito « Principe dell'intelligenza catalana, immensamente ricco » (65) e che Mesens ha scritto Voulez-vous un trésor caché Voici cinq doigts Voici une main Voici cinq doigts et cinq chemins Et voici cinq trésors cachés (66). In questo caso la libertà surrealista è, nella sua essenza, potere di andare in qualunque direzione e di creare valori. Il surrealismo giustifica l'assiologia di Raymond Polin, per il quale l'uomo è il creatore dei valori che non hanno significato che per lui, e relativamente a lui (67). Ma la libertà surrealista è meno libero arbitrio che fedeltà al destino. Ecco perché l'illuminazione poetica è più che invenzione di un significato, scoperta di una presenza. Breton insiste sempre sulla passività dello spirito. La creazione è

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meno cara della rivelazione, perciò gli incontri suscitati dalla arte cedono spesso il passo, nel surrealismo, agli incontri provocati dalla vita. In ogni caso non sono separabili ed è la vita che dà all'arte il suo significato e la sua serietà. Alla fine di Nadja la bellezza è detta sconvolgente perché mette in questione il nostro rapporto col mondo: tutta l'opera ha evidenziato questo punto di vista, provocando l'emozione del lettore con la evocazione di incontri reali, la cui narrazione è destinata a dare, meglio di ogni confessione che mutua le sue luci dall'introspezione, la sensazione di ciò che « è » Breton. In effetti Breton, chiedendosi « chi sono » e desideroso di comunicare al lettore la sua risposta ( « Per me, scrive Breton, continuerei ad abitare la mia casa di vetro ») (68), riferisce in Nadja, « gli episodi più significativi » della sua vita « concepita al di fuori del suo piano organico, ora abbandonata al caso, in misura maggiore o minore, e ora sottratta alla » sua « influenza »: la vita che lo introduce « nel mondo quasi proibito degli accostamenti improwisi, delle pietrificanti coincidenze, delle reazioni proprie di ciascun uomo, degli accordi armoniosi, dei lampi che farebbero vedere, ma vedere, se non fossero più rapidi degli altri » (69). « Mi limiterò qui a ricordare, continua Breton, ciò che mi è capitato senza che io lo volessi » (70): è evidente che Breton dà importanza soltanto alla passività. Il suo scopo non è quello di stabilire la potenza dello spirito che dà senso agli incontri: attende dallo spirito dei segni. Nadja termina proprio con l'immagine del « messaggio » (71). li problema non è dunque letterario o meglio l'emozione poetica non è che un modo del turbamento che l'uomo prova davanti ad ogni « segnale ». Breton è seduto con Nadja in piazza Dauphine. Lo sguardo di Nadja « si posa sulle case. Vedi, laggiù quella finestra? E' nera come tutte le altre. Guarda bene. Fra un minuto si illuminerà. Sarà rossa. Il minl,lto passa. La finestra s'illumina. Ci sono, infatti, delle tendine rosse» (72). In un altro luogo, alle Tuileries, Nadja, davanti a un getto di acqua, ritrova l'analogia presente in una vignetta dei Dialoghi tra Hylas e Philonous, che Breton ha letto da poco: analogia, in verità raramente notata, tra il movimento di un getto d'acqua e quello dei pensieri umani (73). Ecco degli incontri che è difficile spiegare con la coincidenza e che, come gli incontri dell'arte, producono bellezza, generano un'emozione che appare proprio come il segno di una finalità oggettiva o, almeno, di un senso creato

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non soltanto dagli uomini. Questa finalità, questo senso suppongono, nel reale, un ordine che sia la loro origine. Dunque, quale ordine diverso dalla causalità quotidiana ci si manifesta? Questo problema, più di qualsiasi altro, ha preoccupato il surrealismo. « Potete dire, chiedono Breton e Eluard in Mi• notaure, quale sia stato l'incontro più importante della vostra vita? Fino a che punto questo incontro vi ha dato, vi dà l'impressione del fortuito? del necessario? ». lo stesso ho risposto a queste domande secondo un razionalismo sfiduciato: a) L'incontro del la donna che amo. b) Questo incontro mi ha dato e mi dà l'impressione del necessario (altrimenti non posso considerarlo un incontro). Ma questa impressione è criticabile. Innanzi tutto deriva dal fatto che lo spirito tende a considerare necessaria ogni cosa. Inoltre, poiché la donna amata vive nel la mia memoria e nel la mia coscienza, poiché i miei ricordi non affiorano che nella misura in cui li evoca e poiché, infine, ricordo soltanto gli avvenimenti della mia vita in cui è presente, il mio passato non può annunciarmi che la sua venuta, la vita presente mi sembra che non abbia altro senso che quello che questa donna le dà. Ma non vedo, in ciò, che un'esigenza razionale a priori e un meccanismo passionale. Non avendo nessuna ragione valida per credere alla necessità dell'incontro della donna amata, considero questo incontro un vero incontro, lo considero come fortuito» (74). Ma è chiaro che non parlavo di nessun fatto analogo a quelli evocati da Breton. Joè Bousquet dà alle stesse domande delle risposte sconvolgenti. Nella primavera del 1917, nella battaglia dello Chemin des Dames, egli sparò, malgrado il parere contrario dei suoi soldati, su due tedeschi e provocò così una reazione e un combattimento in cui uno dei suoi uomini, il sergente Canet, fu ferito alla colonna vertebrale. Il sergente Canet, che morì il giorno dopo, ebbe per Bousquet parole di astioso rimprovero: " Sotto terra, mi porterai, sotto terra! ». Un anno più tardi, Bousquet venne ferito allo stesso modo e restò inchiodato al letto per sempre. Bousquet aggiunge di aver potuto dare al la sua vita un significato nuovo grazie al l'amicizia di Claude Estève, nato in un

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villaggio dell'Aude, chiamato Canet. Lo stesso Estève, che anche per me è stato un meraviglioso amico, doveva morire nell'anno in cui Bousquet rispondeva all'inchiesta di Minotaure. La vita di Bousquet è stata, più di qualsiasi altra, piena di questi segni. Bousquet mi ha assicurato che parecchi episodi riportati nella Tisane de Sarments non avevano niente di fantastico. Così, egli si rappresentava la morte sotto forma di una raccoglitrice di sarmenti. Un giorno Bousquet mascherò la sua amica da contadina e trovò in lei una somiglianza con la raccoglitrice di sarmenti e glielo confessò senza rivelarle, naturalmente, di quale arrière-pensée fosse carica la sua affermazione. L'amica impallidì e disse: « Non pensavo che avrei dovuto passare davanti al cimitero. Non oserei mai ». Il giorno dopo « la poverina » fu investita da una « camionetta » che « trasportava una bara vuota » (75). E' inutile continuare con questi esempi. L'importante sarebbe scoprire il senso da attribuire a questi fatti. In Nadja, Breton dichiara di esserne stato « testimone sconvolto » (76). Questi fatti, dice ancora, « presentano ogni volta tutte le apparenze di un segnale, senza che si possa sapere quale segnale sia » (77). Breton si limita a concludere che in piena solitudine gode ancora di « inverosimili complicità » e non è « mai solo al timone della nave » (78). Ciò basta per non attribuirgli l'idea di una libertà che fosse per il soggetto scelta del tutto arbitraria del cammino della propria vita. Ma non basta per decidere se la sua filosofia deve essere considerata come un soggettivismo, e perfino uno psicologismo, in cui il soggetto, dinanzi a se stesso, non potrebbe ricevere che messaggi emessi in realtà da lui stesso o come un rea1ismo magico, in cui gli incontri dovrebbero essere visti come i segni di una esteriorità trascendente. Nell'Amour fou, Breton sembra esitare tra queste due vie. Infatti scrive che soltan~ « il preciso riferimento, del tutto cosciente, allo stato emozionale del soggetto nel momento in cui si sono prodotti tali fatti può fornire una reale base di valutazione » (79). D'altra parte, segnalando il « bisogno di considerare lo svolgimento della vita oggettiva indipendente da ciò che costituisce spiritualmente la mia individualità », egli aggiunge, « mi è stranamente difficile ammettere che questo spettacolo si organizzi all'improvviso solo per me e non tenda, in apparenza, che a conformarsi alla rappresentazione anteriore che ne ho ricevuto » (80). Breton sembra credere

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ulle lusinghe di un rapporto, tra tutti sconvolgente, dell'uomo con il mondo delle cose"· Tuttavia, perché, volendo procisare il suo pensiero, dichiara che il termine « révélalolre ,, da lui usato non è stato interpretato " nella sua accozione metafisica », ma è il solo che « possa tradurre l'inelJllagliabile emozione » che ha provato? (81). Certamente Ureton intende spesso la parola « metafisica ., in un significato deteriore, rifiutandosi sempre di confondere la sua miperienza con un'esperienza mistica e perfino con l'esperlcmza ermetica. Ecco perché è difficile seguire Carrouges quando considera la poesia surrealista una continuazione doll'alchimia (82). L'« alchimia della parola », cara a Rimbuud, non potrebbe permettere un'azione diretta sulla matoria e quando Breton dichiara che bisogna prendere queste purole « alla lettera » (83) non dimentica tuttavia che il linuuaggio manipola i nomi delle cose e non le cose stesse. La trasformazione operata dal l'alchimia della parola è trasformazione della nostra coscienza, « ricreazione di uno stato che non ha niente da invidiare all'alienazione mentale » (84). Per questo Breton, lontano dall'assimilare la sua ricerca a quella della pietra filosofale, assimila piuttosto la ricerca della pietra filosofale a una liberazione dell'immaginazione: " La pietra filosofale è ciò che ha permesso all'immaginazione dell'uomo di prendersi sulle cose una meravigliosa rivincita ,, (85). Resta il fatto che, se si limitasse alla traRformazione puramente mentale e all'emozfone soggettiva, Il surrealismo svuoterebbe gli incontri del loro senso di segnale e non potrebbe vedere che illusionì nell'impressione di rivelazione che suscitano. Ancora una volta l'attesa sur. realista sarebbe un'attesa senza oggetto. Per risolvere questo problema non basta invocare il famoso punto supremo in cui si confondono, per ìl surrealismo, il soggettivo e l'oggettivo: significherebbe, secondo noi, assimilare l'esperienza surrealista a un'esperienza mistica sovrumana, pretendere che ci collochi in una realtà, della quale la nostra realtà soggettiva e il mondo oggettivo non sarebbero che i due aspetti. « Tutto ci fa credere, - scrive Breton - che esiste un certo punto dello spirito nel quale la vita e la morte, i I reale e l'immaginario, ì I passato e i I futuro, il comunicabile e l'incomunicabile, l'alto e il basso cessino d'essere percepiti contraddittoriamente. Ora, il surreallsmo spera di determinare questo punto e non tende ad altro ,, (86) . Senza dubbio, come afferma Carrouges, questa

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idea « deriva dalla tradizione ermetica ", « si trova nella Cabala ed ha un ruolo essenziale in Zohar » (87). Ma è difficile ammettere con lui che l'idea degli ermetici sia passata nel surrealismo senza subire cambiamenti, sia diventata « il punto fondamentale della cosmologia surrealista » (88). Ed è difficile considerare che il surrealismo si sia qui limitato a sopprimere la « presenza divina nascosta nel profondo » (89), a laicizzare l'idea secondo la quale ci sarebbe un « punto di origine della Creazione, il punto di azione nel quale Dio creò il mondo e in cui tutto è contenuto ab ovo » (90). Breton non ha laicizzato soltanto l'idea mistica del punto supremo. Da cosmologica sembra che Breton l'abbia resa psicologica: non parla forse di un punto supremo « dello spirito »? Breton assegna come fine all'attività surrealista non la scoperta, ma, che è diverso, « la speranza della determinazione di questo punto"· « Ho parlato, dirà del resto nell'Amour Fou, di un certo punto sublime nella montagna. Non mi sono posto il problema di stabilirmi in quel punto. Altrimenti da quel momento non sarebbe stato più subi ime ed io non sarei stato più un uomo » (91). Mai la lucidità e l'umanismo di Breton sono stati espressi con maggiore precisione. Il problema del cosiddetto « caso oggettivo » (92) deve essere posto dal punto di vista dell'uomo, punto di vista che Breton non ha mai preteso di superare. Del resto, è soltanto da questo punto di vista che si dà il problema se il suo mistero è, secondo il pensiero di Breton, quello « dell'incontro di una causalità esterna e di una finalità interna» (93). Nell'illuminazione ontologica non ci sarebbe più un rapporto tra la causalità esterna e la finalità interna, ma un'identità. E' importante dunque non capovolgere l'ordine. Breton parte dagli incontri, se ne stupisce e cerca di interpretarli. Partendo da essi cerca di determinare il punto supremo. Sono gli incontri che glielo manifestano. Ma I lo spirito critico di Breton gli vieta di confondere il significante con il significato. Breton non sa che cosa è l'Essere. Non sa neanche a priori ciò che soddisferà il suo desiderio, e, per esempio, che il cucchiaio trovato e comprato al mercato delle pulci sarà l'oggetto che corrisponderà al suo desiderio di possedere « la scarpetta perduta da Cenerentola » (94). Egli attende e confessa a volte che solo l'attesa « è magnifica » (95). Infatti l'incontro, proprio come l'amore, se è rivelazione, è ancora attesa, perché ignoriamo quale sia il suo vero significato. E' la stessa realtà del

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mondo? E' il miraggio del nostro desiderio? L'attesa è propria dell'esperienza surrealista, del rapimento della scoperta, non potrebbe essere completamente soddisfatta, poiché non può lnsciar posto a ciò che sarebbe una vera conoscenza. Alcuni vorrebbero vedere senza dubbio Breton decidersi, esprimere infine ciò che attende, affermare che l'ha scoperto o confessare che rinuncia a scoprirlo, pronunciarsi sul senso oggettivamente rivelatore o puramente soggettivo e illusorio degli incontri. Breton non risponde e continua a interrogarsi. E' debolezza? E' forza? Assistiamo al fallimento del surrealismo, nlla definitiva delusione della sua speranza originaria? O Invece, constatando la sua ambiguità, riusciamo a capire ciò che il suo messaggio ha di più autentico e di più profondo? Siamo giunti senz'altro al problema essenziale che, filosoficamente, pone il surrealismo. Ma quante forze, quanti rapimenti (e forse anche quale pigrizia) c'invitano ad eluderlo! Davanti alla loro tentazione anche il progetto di questo libro appare contestabile: dando un significato filosofico al surrealismo non si rischia di svuotarlo della sua realtà? Quanto sarebbe più facile rileggere Nadja e abbandonarsi al suo fascino e non decidere se il sogno ci apre al reale o se ò fine a se stesso e commuoversi senza rispondere quando la finestra di piazza Dauphine si illumina di rosso o quando il oetto d'acqua delle Tuileries richiama la vignetta dei Dialoghi tra Hylas e Philonous. Così, senza dubbio, Breton va per le strade di Parigi, immaginando negozi con la scritta BoisCharbons (96), assiste, al Théatre des Deux-Masques, a quella singolare e assurda pièce in cui, all'apertura della cassetta del pronto soccorso, appare il corpo insanguinato di · una bambina « con la testa reclinata » (97), ascolta infine, comprendendole confusamente, le misteriose parole di NadJa: « Che orrore! Vedi che cosa passa fra gli alberi? L'azzurro e il vento, il vento azzurro " (98). " Non è questo ... Ma, dimmi, perché devi andare in prigione? Che cosa avrai fatto? Anche io sono stata in prigione. Chi ero? Molti secoli fa. E tu, allora, chi eri?» (99). Chi ha partecipato al surrealismo potrà dargli un significato diverso da quel lo che lo stesso surrealismo si è dato? Come uscirà da questa compenetrazione del sogno, della veglia, della poesia, della follia la cui confusione annuncia, promette, turba ma non permette di sapere? Ogni passo verso la chiarezza non sarà astrazione e tradimento? E tuttavia un segno ci incoraggia. Breton non è riuscito ad amare Nadja. Nadja ha amato Breton e lo consi-

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dera come il Sole (100). Così anche in Nadja la follia aspira alla lucidità e sembra presentire che le ricchezze in essa rinchiuse non saranno pienamente rivelate che nella presa di coscienza, e, se si può dire, a livello della ragione. Questa ragione non è la ragione tecnica o scientifica, che il surrealismo ha sempre considerata incapace di contenere la ricchezza del Mondo, ma una ragione nuova in cui l'uomo nella sua interezza potrebbe ritrovare la sua immagine, ragione alla quale il surrealismo, come Goethe in punto di morte, ha chiesto incessantemente sempre più luce. Il surrealismo ha aperto il cammino verso questa ragione, non come a volte è stato creduto, mutuando da Hegel una dialettica lontana dal suo scopo, ma mostrando che lo stesso contatto con l'immediato ha una sua chiarezza. E la chiarezza è sempre la stessa, che la si cerchi negli incontri fortuiti, nella poesia o nell'amore. Prima del surrealismo lo stupore nato dagli incontri era abbandonato alla superstizione, l'amore alla psicologia, l'emozione poetica alla letteratura. Il surrealismo ha stabilito che queste condizioni contenevano tutte la stessa attesa, che rivelavano, in modo analogo, il rapporto tra l'uomo e il reale.

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la lucidità

"Chi è? chi è? Siete voi, Nadja? E' vero che l'al di là, tutto I 'al di là sia in questa vita? Non vi sento. Chi è? Sono io solo? Sono proprio io? ». Abbiamo già citato questa frase. Ma come non citarla ancora se, a nostro avviso, mai il patetico è stato unito a tal punto al lucido desiderio di sapere? Breton, che vuole recuperare tutti i poteri dell'uomo senza rinunciare ad alcuna parte della realtà umana, stabilisce qui che il proprio dell'uomo è l'interrogare e, come si dice oggi, il mettere in questione il Mondo e se stesso. E' attesa, non scoperta. Breton rigetta ogni determinazione conservando, nella sua fede dell'amore unico, un poco di quella disponibilità che gli faceva scrivere in Pas Pérdus: « Ogni notte in albergo, lasciavo aperta la porta della mia camera, nella speranza di svegliarmi finalmente accanto a una compagna che non avessi scelto» (101). Rifiuta ogni dogmatismo, scientifico o religioso. La sua attesa può essere, come dice Carrouges, « una forma profana della speranza eterna » (102): una speranza senza fede, senza adesione a un contenuto particolare. In questo senso non bisogna contentarsi di confessare che il surrealismo non dà risposta ai suoi problemi. Bisogna dire che questa mancanza di risposta rivela solo l'autenticità dell'uomo. Ogni risposta non è alienazione della

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libertà e tradimento di quell'uomo totale affermato dal surrealismo? L'uomo non è, prima di ogni linguaggio, contatto con l'altro, altro che egli non può mai ridurre a oggetto di conoscenza? Non è il segno, in questo Mondo, di una presenza non conosciuta? Il surrealismo, che vuole restituirci la coscienza totale, offrircela nella sua purezza originaria, non può che liberarla da tutte le ipotesi implicite nel modo come, in passato, si è definita. Tra quelle ipotesi vi sono l'esistenza di Dio, le teorie e le leggi elaborate dalla scienza che interpongono tra uomo e uomo l'oggettività del mondo in cui il desiderio non si riconosce. Se il surrealismo difende l'infanzia contro gli adulti che maltrattano o istruiscono i fanciulli, la follia contro coloro che rinchiudono i pazzi ( 103), « l'amore meraviglioso » contro la « sordida vita » (104), è perché crede che la ragione adulta, la ragione sociale, quotidiana non solo opprime l'uomo ma lo tradisce. E ancora, ogni presa di coscienza dell'uomo sembra insufficiente in rapporto alla sua esigenza e alla sua realtà. Perciò P.O. Lapie ha scritto: « Non solo non è la società a permettere la libertà, ma neanche l'individuo: non dipende dalla sua volontà cosciente, ma emana da lui» (105). Perciò il surrealismo si appropria tutta la realtà che il pensiero umano congela. li surrealismo non vuole perdere la ragione. Ama tutto ciò che la ragione ci fa perdere. Quello che la ragione ci fa perdere non è soltanto un insieme di ipotesi illogiche, ma è anche quella originaria autenticità che è assenza di ipotesi e di problemi. Senza dubbio è difficile scorgere il legame tra la concezione dell'uomo come interrogazione e la concezione dell'uomo come totalità, che sembrano essere le concezioni del surrealismo. Ma la difficoltà nasce in quanto si vuole risolvere a livello concettuale un problema la cui soluzione non può esser~ che un'esperienza, l'esperienza inesprimibile e originaria della realtà umana. Spinoza si è sforzato di conciliare, sul piano del divino, l'unità e la totalità, enunciando il principio: omnis determinatio negatio. Noi crediamo che, per scegliere la realtà dell'uomo, sia necessario riprendere questa proposizione. Poiché ogni determinazione dell'uomo, che in un primo momento sembra lo arricchisca, limita e dunque nega la sua realtà così singolare. Non c'è nulla che dimostri meglio come questa realtà non sia quella di una cosa [giacché una cosa si arricchisce con le sue determinazioni),

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r ma quella di una. libertà. Descartes deriva il « sum " dal " cogito " e il cogito dal dubbio che è negazione del mondo oggettivo: l'essere dell'uomo appare così come l'essere stesso di questa negazione. La negazione derealizzante, antioggettiva, antidogmatica e l'affermazione dell'uomo hanno, In Breton, lo stesso legame. E' l'uomo che illumina le cose e le illumina in quanto egli non è cosa, ma assoluta disponibilità: solo a questa condizione, l'uomo può essere luce e luce che illumina tutto. Non bisogna cercare in questo nessuna sottigliezza dialettica. La dialettica è totalizzante, trova l'assoluto " alla fine », in una sintesi che contiene l'insieme delle determinazioni che ha superato. Con il surrealismo si torna all'origine: l'unità dell'uomo si scopre nell'immediato, si dà a noi come unità di un niente, si attende tutto dal Mondo e accetta ogni avventura. Perciò Breton rifiuta una riualsiasi specializzazione: « Il surrealismo, scrive, è esistito In quanto il suo sforzo è stato la negazione a priori della specializzazione " (106). Credo che questa concezione dell'uomo definisca meglio il surrealismo di quanto abbia fatto la sua visione del mondo. Mi è difficile seguire Carrouges quando Inserisce il progetto surrealista nel contesto di un grande progetto prometeico, con il quale l'uomo vorrebbe attribuirsi tutta la sfera religiosa (107), e lo stesso mi accade per Pastoureau, quando sembra attendere dal surrealismo una nuova Weltanschauung, destinata a sostituire la visione cristiana dell'Universo ( 108). Altrove Pastoureau parla in verità di una Weltanschauung del l'ambivalenza ( 109) : ora la nozione dell'ambivalenza ci riconduce alla realtà umana, realtà che ammette le contraddizioni non perché le superi dialetticamente, ma perché preesiste a tutte le tesi e le r · antitesi che la ragione può opporre e alle quali solo la ragione dà un senso .. L'ammirazione che molti surrealisti hanno avuto per Eraclito può essere così spiegata. « Eraclito, scrive Char, è, fra tutti, colul che, rifiutandosi di spezzettare il prodigioso problema, l'ha ricondotto ai gesti, all'intelligenza e alle abitudini dell'uomo senza attenuarne l'importanza, interromperne la complessità, comprometterne il mistero, limitarne la freschezza. Egll sapeva che la verità è nobile e che l'immagine che la rivela è la tragedia. Non si limitava a definire la libertà, la tcoprlva insopprimibile » (110). E Char, anche se ha abbandonato il surrealismo, ne ha conservato la nozione del, l'umano. La frase con la quale Pierre Berger inizia il suo

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saggio ( 111) : « Se abitiamo in un lampo, questo è il cuore dell'eterno », esprime quella precarietà e nello stesso tempo quella preminenza che il surrealismo attribuisce sempre all'uomo e che sono come il segreto di ogni poesia atea e senza dubbio di ogni poesia vera. Infatti ogni poesia è atea nel suo principio originario, atea nella misura in cui è irrazionale o non scientifica. Non pretendiamo, è chiaro, che ogni poeta sia ateo, né che l'ateismo abbia valore e neanche che questo sconosciuto, questo Essere che ogni poesia e ogni arte esprimono non sia Dio. Ma che sia o no Dio, spetta al filosofo decidere. Dicendo che è Dio, nominandolo, determinandolo, il poeta supera la propria conoscenza e cessa di essere poeta. Egli enuncia un'affermazione teorica che non è più di sua competenza e può apparire quindi poeticamente arbitraria. E senza dubbio la poesia classica presenta nello stesso tempo, e come confusi, l'evidenza poetica e il significato oggettivo che già specifica e snatura questa evidenza. E' un fatto che questo genere di poesia non ci commuove e consideriamo poetico il suo linguaggio solo in quanto scorgiamo, sotto il significato razionale, che in un primo momento ci si impone, l'altro significato, il significato originario. Pensate, dice Roxane a Bajazet, « che voi non respirate perché vi amo » (112). Ciò significa logicamente: la nostra vita è nelle mie mani e potrei farvi morire, ma l'amore che nutro per voi mi impedisce di farlo. E' chiaro che se Roxane si esprimesse così, farebbe un discorso poeticamente vuoto. Le parole di Roxane, hanno dunque, oltre al loro significato logico, un significato poetico che si ritroverà nel tema surrealista dell'amore che crea l'essere amato. E conviene notare che questo amore è il senso letterale, e non interpretato, del verso. Allo stesso modo quando Racine scrive: Astre dont le soleil n'est que l'ombre grossière Sacré jour, dont le jour emprunte sa clarté ( 113). I

è chiaro che vuole logicamente intendere che la realtà del Mondo dipende dal Verbo divino. Ma questo sole che si tramuta in ombra, questa luce che sembra essere riflessa da uno specchio, illuminata da un'altra luce, l'unica vera luce, dissolvono il mondo quotidiano in una concezione che è quella stessa della derealizzazione surrealista. Perciò l'ateismo dei surrealisti e la loro fiducia nella sola poesia sono inscindibili. Senza dubbio molti eccessi, quale quello di Marce( Noli, che scrive a Stanislas Fumet: « Baudelaire catto-

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r lico? credente? In che modo allora sarebbe stato poetà? » (114), hanno mascherato più che chiarito questo legame, questa unìtà. Ma diventerà cMaro se si pensa che il surrealismo, creando una poesia oggettivamente non interpretabile, ha messo in luce l'essenza di ogni poesia. Benjamin Péret ha avuto, in questa purificazione, un ruolo essenziale, con le sue immagini evidenti e prive di senso logico, come il " grido stridente delle uova rosse ,, (115), immagini che scoraggiano ogni spiegazione razionale o scolastica. Qui, l'assurdo diventa verità incontestabi1e. In effetti, se si potuto affermare che la poesia era menzogna, è perché è stata confusa con l'interpretazione presente nella sua espressione originaria, comprendendola a livello concettuale. Così M. Maynial, commentando il verso di Nerval:

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Et la grotte fatale aux l6tes imprudents pensa che il poeta confonda la grotta della Sibilla cumana, o quella del lago di Averno a cui allude, con la grotta del Cane, a Bagnoli, che è fatale « per le sue emanazioni di anidride carbonica» (116). Si può dire che tutti i commenti alla poesia non costituiscano problema. Etiemble, uno degli spiriti più liberi del nostro tempo, ha cercato di scoprire l'origine e di rintracciare la genesi di tutti gli errori commessi nell'interpretazione di Rimbaud ( 117). Sono d'accordo con lui che non si possa comprendere un poeta senza rifiutare le immagini e le interpretazioni precedenti. Ma penso anche che nell'opera di Rimbaud non ci sia alcun vero significato, che si opponga a tutte le false interpretazioni denunciate da Etiemble: vero significato che potrebbe essere definito in rapporto a ciò che Rimbaud avrebbe voluto effettivamente dire. Più esattamente mi sembra che ciò che Rimbaud ha voluto dire abbia solo un interesse aneddotico e non interessi che l'uomo-Rimbaud, la cui conoscenza, secondo me, è irrilevante. « La vera vita è assente. Noi non viviamo » (118), scrive Rimbaud. Vuole dire che la vita vera è quella del paradiso cristiano? Condanna l'alienazione sociale che fa dell'uomo uno schiavo? Non lo so. Ma so che se Rimbaud si fosse limitato a dire: " lo voglio andare in cielo » o « Attendo tutto dalla società futura », le sue dichiarazioni non avrebbero più Importanza di quelle pronunciate quotidianamente dai rivoluzionari o dai catechisti. Se le parole di Rimbaud commuovono a tal punto, è perché ritrovano una verità assoluta a livello dell'esperienza fondamentale in cui si rivela quel-

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l'esperienza separata dall'Essere che è l'esistenza umana. E questa verità non oggettiva, non ipotetica, è la fonte di tutte le affermazioni che se ne possono trarre e dalle quali una può aver soddisfatto la lucida coscienza di Rimbaud. Potevano i cristiani aspirare al cielo e i politici alla rivoluzione se prima non fossero stati uomini e non avessero attinto le loro certezze in una coscienza originaria che, prima di ogni ipotesi e di ogni speranza, è coscienza dell'insoddisfazione e dell'attesa? Solo questa coscienza è certa e solo il linguaggio che la esprime è senza mistificazioni e senza errori: è solo questo il linguaggio originario. Tutti i significati limitati che sono stati attribuiti alle parole di Rimbaud, anche se storicamente fosse stabilito che Rimbaud abbia voluto dare alle sue parole questo o quel significato, rinviano a quella realtà indefinibile che è l'uomo, di cui la poesia è espressione diretta. Così la poesia dice tutto, o, se si vuole, non dice niente. Una cosa è certa: non si limita a dire qualcosa, dire qualcosa è sempre parlare secondo l'oggetto e, dunque, abbandonare il livello della realtà umana come unità e totalità. Dare un significato logico alle parole di un poeta significa abbandonare l'autenticità per il discorso, l'essere per l'oggetto, il certo per il probabile. La poesia e la critica metafisica, di cui noi crediamo che ritrovi il progetto, non possono mentire. Esprimono l'Essere e l'uomo, nella misura in cui rifiutano il linguaggio oggettivo e, con esso, ogni ipotesi e ogni alienazione. Dunque non bisogna meravigliarsi che il surrealismo abbia potuto giudicare, secondo le leggi della poesia, tutte le affermazioni umane, religiose, esoteriche, scientifiche o politiche. Certamente non rifiuta quanto di vero contengono: ci sembra che Breton, del tutto lontano dalla caustica critica volteri.\:lna, conservi l'adorazione della religione medesima e l'idea che il Principio riposto al di là delle cose appartenga alla nostra coscienza o alla nostra vita. Si sente portato verso gli eretici cristiani (119) e Monnerot, con molta acutezza e misura, ha potuto associare cc gnostici e surrealisti» (120). Il surrealismo è tentato dall'occultismo: cc Il procedimento di scoperta artistica », scrive Breton, è cc vincolato alla forma e agli stessi mezzi di progresso dell'alta magia » (121). Della scienza il surrealismo ha tutta la luce, anche quando questa luce sembra dissolvere i prestigi del suo progetto. Ci si è

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meravigliati quando Breton, dopo aver definito il surrealismo « creazione di un mito collettivo" (122), ha dichiarato agli studenti dell'Università di Vale: " Bisogna ripulire quest'immensa e oscura regione dell'io dove si gonfiano smisuratamente i miti ,, , e ha chiesto cc un intervento nel la vita mitica che assumesse, in grande scala, l'aspetto di un risanamento » (123). Ma non bisogna dimenticare l'uso costante, nel surrealismo, dei metodi freudiani. Senza temere che la spiegazione psicanalitica svuoti l'emozione del meraviglioso e le promesse delle coincidenze o riduca il mistero della bellezza all 'i Ilusione dei nostri desideri, Breton interpreta pazientemente i suoi sogni (124), spiega la forza delle immagini di Lautréamont ricorrendo cc alla chiave dei simboli sessuali,, (125) e tende infine a illuminare gli incontri e lo stato di sorpresa rapita in cui anneghiamo chiedendoci una sorte di selezione parziale nella ricchezza infinita del dato esteriore. Nota che in tali esperienze, proprio come nel sogno, cc il desiderio che, nella sua essenza, è lo stesso, si impossessa di ciò che può essere utile alla sua soddisfazione » (126). Abbiamo visto Breton mutuare dal marxismo il metodo critico e la speranza di liberazione dell'uomo. Ma rifiuta tutto ciò che, nelle affermazioni religiose, occultiste, scientifiche o marxiste gli sembra limiti, costringa e determini l'uomo. I tabù sessuali del cristianesimo gli sembrano intollerabili. Le credenze occultiste gli sembrano dubbie. Arcane 17 mostra " ogni riserva » nei confronti dello « stesso principio » dell'esoterismo (127). Al l'ispirazione oggettivistica della scienza, al suo « realismo positivista ,, e alla sua " ragione ottusa » Breton oppone una « ragione vera e senza eclissi» (128) e « l'appetito di una conoscenza universale da riscoprire,, (129). Infine, alle teorie di Hegel e di Marx che vedono nel lavoro il rapporto fondamentale tra l'uomo e la Natura, contrappone l'estasi dell'amore e la luce del l'attesa. " La vita che consideriamo guadagnata ritorna allo stato che aveva per noi nell'infanzia: è vita perduta. Perduta per i giochi, perduta per l'amore» (130). « Non serve a niente essere vivo, se bisogna lavorare. L'avvenimento che ciascuno di noi attende, cioè la rivelazione del significato della propria vita ... non si paga con Il lavoro» (130). In questa prospettiva è proprio l'uomo, colto dalla poesia nella sua evidenza originaria e non alienata, che permette di

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scorgere l'insufficienza di tutte le idee, di tutte le immagini e del Mondo stesso in cui lo si vuole rinchiudere. In Légitime Défense Breton, dopo aver accolto il programma comunista, nota che « abbiamo delle lacune che non possono essere colmate dalla speranza » riposta « nel trionfo del comunismo: l'uomo è nemico irriducibile dell'uomo, la noia finirà col mondo, ogni certezza nella vita e nel l'onore è vana etc .... ? ». Pensa che la fede comunista « presuppone come qualsiasi altra fede un certo stato di grazia» (132). E in effetti uno stato di grazia è sempre necessario per sollecitare l'esigenza infinita dello spirito umano a riconoscere il suo oggetto in qualche determinazione, in qualche finitezza. La fede che spinge il cristiano a confessare che Gesù-uomo è Dio suppone proprio l'accettazione di una tale limitazione. In quasto senso Breton rifiuta ogni grazia: niente di quanto può essere offerto alla nostra esperienza o definito dal nostro pensiero può soddisfare la sua attesa. Il desiderio umano supera ogni oggetto e non è soddisfatto da alcuna fede: il suo appello è senza limiti. Marcel Raymond, dopo aver notato che la nostra civiltà, fondata « su una concezione razionale e positiva dell'universo e della vita », « ha separato l'uomo dall'universo e da una parte di se stesso", dichiara che i poeti, « nella misura in cui si sforzano di fare dell'atto poetico un'operazione vitale, esercitano, nella nostra società, una funzione compensatrice» ( 133). Altrettanto potrebbe dirsi per i metafisici, se, nella società, incontrassero un certo favore. La metafisica moderna nasce con Descartes e si spiega come reazione allo sconvolgimento causato nella coscienza umana dall'avvento della tecnologia. Nel Medio Evo l'oggetto era considerato un essere, la Natura poteva giungere a Dio, ogni cosa aveva un valore, uno scopo. L'uomo poteva dunque amare il mondo sensibile che gli veniva offertq. Mondo, certamente non divinizzato, ma neanche separato dalla verità divina della quale era testimonianza e alla quale permetteva di elevarsi. Il progetto tecnologico, invece, svalorizza una Natura che l'uomo vuole sottomettere, che non considera più come essere e alla quale non può più riconoscere fini propri. Nasce la scienza meccanica, in cui gli avvenimenti del mondo sono privati delle loro qualità e ridotti a spostamenti di materia. Ma mentre i materialisti si limitano a questa desolante concezione riducendo l'essere a quella natura inumana che è pur sempre, ed essi lo dimenticano, risul-

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tato dell'operare umano, Descartes oppone al Mondo, considerato una favola, l'Essere di Dio, di cui è manifestazione la nostra coscienza. Questo Essere è così poco riducibile alle povertà dello spazio esteso, che, invece, non possiamo elevarci al suo pensiero se non comprendendo che la struttura del mondo fisico, anche quando ci sembra razionalmente necessaria, è il risultato del tutto arbitrario della sua volontà. Per altre vie, ma con uguale forza, Kant affermerà l'irriducibilità dell'Essere a ogni oggetto scientificamente conosciuto. Tuttavia la metafisica è negativa: afferma l'essere senza qualificarlo, permette all'uomo di sapere che il mondo meccanicistico non è l'Essere, ma non lo sostituisce con un altro rnondo. La coscienza umana non si è dunque accontentata di questa compensazione ascetica. Dell'Essere, che la scienza lo aveva rapito, ha voluto ritrovare il segno in ogni cosa. Di qui la nascita, fin dal XVII secolo, del meraviglioso: dapprima timido, prendendo la forma della magia, il meraviglioso diventa, con il romanticismo, la fonte stessa di una poesia che, piuttosto che opporsi al la scienza, pretende di superarla sul proprio terreno, di diventare una conoscenza e una conoscenza più profonda della conoscenza scientifica, più vicina all'EsHore. La conoscenza scientifica separa l'io e l'universo, universo che lo stesso io pone come oggetto. La conoscenza poetica nega questa separazione, permette una fusione per la 11uale il soggetto umano, che la conoscenza positiva condannuva alla solitudine, penetra tutti i segreti del Mondo. Il sogno, l'inconscio riacquistano i loro diritti, il pensiero partecipa a tutti i movimenti del reale, l'uomo sente in sé la vita universale. Così si realizza, come dice Marce! Raymond, « il 1ogno di un universo magico, in cui l'uomo non si sentirebbe distinto dalle cose, in cui lo spirito regnerebbe senza intermediario sui fenomeni, al di là di ogni via razionale» (134). Ma crediamo che nel movimento della poesia moderna il surrealismo occupa un posto del tutto particolare, intermediario tra l'ottimismo romantico e la critica metafisica. Insiste meno 1ul valore della conoscenza che potrebbe offrire la poesia che llll suo potere di trasformazione soggettiva. Accetta la psica, nallsl e riduce, con il suo aiuto, l'illuminazione cosmologica : 11 desiderio soggettivo. Si pronuncia con prudenza sulla portata delle sue esperienze e aggiunge, al [a loro emozione, una Interrogazione critica. Dubita, e per questo dubbio diventa un umanlsmo più ancora che una cosmologia magica. Come nella , metafisica critica, anche nel surrealismo, è l'uomo l'unico prin-

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cipio della verità e del giudizio. Il surrealismo non è, dunque, come si è detto, un'esasperazione del romanticismo. Non si limita a continuare Novalis, d'Arnim o Blake. L'esperienza romantica è invece sottoposta al criterio della lucidità. E il linguaggio spontaneo e originario del surrealismo esprime, più ancora che i misteri della Natura, l'inconscio dell'uomo. In nome dell'uomo abbiamo visto il surrealismo rigettare ogni trascendenza, quella di Dio, della società e delle sue costrizioni, della materia autosufficiente. Ma l'uomo sarebbe tradito se fosse ridotto a sé: la sua coscienza sarebbe di nuovo confusa con una cosa. L'uomo è contatto con l'Altro e solo in questo senso può amare. Non credo che si possa essere d'accordo con Breton quando afferma che l'idea, secondo la quale l'amore cessa quando l'essere amato « non si sottrae più », debba essere « molto spesso un residuo ... di una atavica educazione religiosa che veglia affinché l'essere umano sia sempre pronto a differire il possesso della verità e della felicità» (135). Poiché l'amore si rivolge non ad un oggetto, ma a un essere, vi sarà sempre qualcosa che gli sfuggirà: ogni essere è libero e contiene una certa infinità, è dunque inesauribile e, in senso stretto, inconoscibile. Perciò la religione ha ragione di avvertirci che nulla di determinato soddisferà del tutto la nostra attesa: su questo punto non c'inganna, anzi è perfettamente fedele alla realtà dell'uomo. Ora il surrealismo ritrova questa fedeltà nella maggior parte delle sue affermazioni. La speranza surrealista, se si presenta, secondo Aragon, come « immensa ed ingenua" (136) lascia subito apparire quella malinconia che con tanta forza esprime il quadro di Giorgio de Chirico « Malinconia e mistero di una strada» (137). Dopo aver cantato« il meraviglioso mezzogiorno », Crevel aggiunge: « Ora è tardi, misteriosa. Tu sei la passante. Bisogna dirci addio. Domani ripartirai verso le tue neqbie d'origine » (138). Così l'essere si sottrae. Per l'uomo l'espressione « è tardi » ha un significato. E l'addio dei surrealisti non riesce neanche a diventare un « a Dio ». In Arcane 17 Breton dichiara che l'uomo si vanta a torto« di essere il grande eletto della creazione ». « Tutto ciò che l'evoluzionismo, scrive, ha potuto rivelargli sulla sua origine e sulle necessità biologiche generali, che assegnano un termine alla durata stessa della sua specie, resta di fatto lettera morta. L'uomo continua a vedere e ad agire come se queste rivelazioni, che feriscono il suo orgoglio, non esistessero. Perfino i

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limiti che i filosofi hanno assegnato alle capacità del suo intelletto appaiono formali e, nel suo intimo, non lo dissuadono dal disporre delle cause finali come se si riferissero necessariamente a lui " ( 139). Per questo la speranza surrealista è diversa dalla speranza religiosa che non vuole superare nella romantica illusione della fusione tra l'uomo e l'Essere. Vuole essere invece più misurata, più riservata, vuole ulteriormente contenersi accettando i limiti e i criteri del sapere. In queste pagine spesso ho avvicinato i poeti surrealisti a Platone, Descartes e Kant: non perché voglia ridurre all'unità tutto ciò che amo. E vorrei che se ne convenga. Ma piuttosto perché riesco ad amare soltanto quelli che rifiutano di fare affermazioni oltre la loro certezza, quelli che riconoscono di essere uomini in tutti i loro discorsi. In Breton, come nei veri filosofi, si ritrovano una stessa verità, una stessa fedeltà all'uomo come interrogazione, come problema: il dogmatismo lascia il posto alla ricerca dell'Essere. La poesia, se ci libera dal tecnicismo, se, rivelando che un oggetto può assumere significati diversi, mostra la fragilità del positivismo e la radicale povertà di una visione fisica del Mondo, non pretende però di darci tutte le chiavi, di aprirci tutte le porte. Non diventa un nuovo dogmatismo. li suo compito è la nostra libertà. Noi seguiamo da uomini la sua via, cerchiamo di capire le sue rivelazioni, ci sforziamo con essa di decifrare la vita « come un crittogramma » (140). L'ispirazione del surrealismo è stata la speranza. Di fronte alle difficoltà, il surrea1ismo non ha scelto né I 'i 11 usi on e della scoperta, né il pessimismo dell'abbandono. Si è elevato a una maggiore coscienza. E' diventato riflessione sulla speranza.

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l'immaginazione

l'immaginario e il reale

La speranza immagina in opposizione al reale una condizione migliore. « La speranza o la disperazione, scrive Eluard, sono per chi sogna a occhi aperti, per il poeta, l'atto stesso dell'immaginazione " (1). Riflettere sulla speranza significa, dunque, tentare di scoprire il rapporto tra il reale e l'immaginario. Il surrealismo ha denunciato" il carattere fittizio delle vecchie antinomie » (2) e si è proposto di " conciliare queste opposizioni, ritenute a torto irrisolubili, deplorevolmente svuotate nel corso dei secoli, veri labirinti della sofferenza: opposizione tra follia e ragione ... tra sogno e azione ... tra rappresentuzione mentale e percezione fisica " (3). Sf potrebbe credere c:he, per il surrealismo, il rapporto tra il reale e l'immaginario eia un rapporto di pura identità. Significherebbe dimenticare lo lucidità surrealista: il surrealismo usa soltanto " l'allucinazione volontaria " (4) e se si sforza « perché la distinzione tra il soggettivo e l'oggettivo perda necessità e valore», lo fa " al riparo di ogni delirio » (5). L'identità del reale e dell'immaginario, liberando « l'ombra e la preda fuse in un unico aquarcio di luce " (6), è senza dubbio presentata dai surreallsti come una sorta di ideale. Ma potrebbe essere ottenuta aoltanto in quel punto sublime che Breton ritiene sovrumano. Dunque il surrealismo, molto spesso, si contenta " di gettare

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un filo tra i mondi, fin troppo dissociati, della veglia e del sonno, della realtà esterna ed interna » (7), di descrivere e di analizzare degli stati la cui « analogia » con il sogno è tale che « è impossibile » non « essere stupiti » (8). Ma in Breton resta la tensione. Non c'è soluzione definitiva che permetta all'uomo un riposo senza inquietudine. Più esattamente questa soluzione vale soltanto per quelli che, rinunciando alla speranza, e dunque all'immaginario, fanno della realtà quotidiana la misura della loro vita. A volte Breton invidia la gente che folleggia la domenica sulle rive della Marna. « E' per questa gente, scrive, che ci sono le fragole nei boschi » (9). Nel surrealismo, invece, l'immaginario incessantemente frantuma la compagine del dato, lo supera, evocando l'inaccessibile al quale, ormai, bisognerà sforzarsi di ricondurre il reale stesso. « Non c'è modello, scrive Eluard, per chi cerca ciò che non ha mai visto» (10). « L'immaginazione non tende all'imitazione. E' la fonte e il torrente che non si risale» (11). Quando l'uomo immagina non coincide più con il Mondo nè con se stesso. E nessun sonno gli è più permesso. Ma che cosa bisogna intendere per immaginazione? Descartes condanna l'immaginazione perché gli sembra che partecipi della falsità della conoscenza sensibile, Pascal perché vede in essa un potere spontaneo di sintesi. Voltaire distingue l'immaginazione che riproduce e quella che inventa, Malebranche quella che dipende dall'anima e quella che dipende dal corpo. Infatti il termine « immaginazione » designa le operazioni e gli stati più diversi: stati ipnagogici, deliri, sogni, creazione estetica, invenzione tecnica o scoperta scentifica. A volte l'immaginazione ci si impone e sembra ingannarci: così nell'allucinazione o nel sogno. A volte è lo strumento del nostro progresso verso la verità o il nostro autocontrollo. Dunque, l'immaginazione ha una unità? E' un atteggiamento? Uno stato? Le1 immagini esistono o bisogna parlare di una coscienza immagnifica. Qual'è il ruolo dell'attività e della passività spirituale? E quale è questa forza che, presente in noi, tuttavia ci supera e ci libera dal dato e pertanto si impone alla lucidità nostra della coscienza? Queste difficoltà, relative alla natura psicologica dell'immaginazione, si ritroveranno nell'interrogazione surrealista. Ma i surrealisti, presi dall'importanza dell'immaginazione e della sua essenza, si chiedono anche quale sia il suo rapporto con il reale. Bisogna dire che l'immaginazione costruisce o che rivela? Jacques Hérold pone

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r il problema: « L'immaginazione è ciò che tende a diventare reale, dice André Breton (12), l'immaginazione è anche ciò che è, ma è sconosciuto » (13). Seguendo Giordano Bruno, secondo il quale« è inconcepibile che la nostra immaginazione e i I nostro pensiero superino la Natura e che nessuna realtà corrisponda a questa possibilità continua di spettacolo nuovo» e riprendendo l'idea di Nerval: " la immaginazione umana non ha inventato niente che non esista in questo o in altri mondi » (14), Breton dichiara a proposito del "paesaggio mentale » proprio dei quadri di Yves Tanguy: « Quelli che, per rassicurarsi, si ostinano a parlare di atmosfera sottomarina o d'altro dimenticano semplicemente che la facoltà di sviluppo dell'immaginazione artistica è in strettissima relazione con la varietà dei fenomeni del Cosmo. Se a New York, per esempio, mi si rivela lo splendido fenomeno conosciuto col nome di aurora boreale, tutto accade come se si inseguissero vertiginosamente i cieli di Tanguy, che come me non ha mai visto prima questa aurora. Significa che lo spirito di Tanguy è in comunicazione permanente con il magnetismo terrestre» (15). Quindi è a livello dell'immaginazione che bisogna, in ultima analisi, porre il problema del soggettivismo o dell'oggettivismo surrealista, dell'importanza puramente psicologica o, invece, cosmologicamente rivelatrice della poesia. L'immaginazione crea un reale tutto proprio? Esprime un reale che non conosciamo? C'è nel surrealismo una strada che conduce dall'immaginario al reale e un'altra che lascia il reale per l'immaginario. Si possono seguire entrambe contemporaneamente? La loro dualità è apparente o ci condurrà, ancora una volta, alla lacerazione? La concezione surrealista, secondo cui « l'immaginario è ciò che tende a diventare reale" (16), è ricalcata sulla causalità stessa del desiderio: il desiderio tende infatti a realizzare ciò che immagina. Ma forse il surrealismo, fin dal primo momento, non ha visto il desiderio alla origine di questa aggressione dell'uomo da parte di immagini che gli si impongono, lo spaventano e lo costringono. Queste immagini lo hanno turbato prima ancora che le riconoscesse come il risultato delle sue profonde tendenze. Quando Breton, riprendendo le parole di Baudelaire, nota che le immagini surrealiste, simili a quelle dell'oppio, si offrono all'uomo « spontaneamente, dispoticamente» (17), quando si commuove al sottotitolo del film Nosferatu: « quando fu dall'altro lato del ponte, i fantasmi gli

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vennero incontro» (18), egli si abbandona alla scrittura automatica oppure si mette ad ascoltare frasi che sbattono «contro il vetro » (19), conosce senza dubbio e accetta l'idea di Freud secondo la quale ogni sogno è desiderio realizzato. Ma, ancora più direttamente, riprende una teoria che ha dominato l'insegnamento filosofico fino al 1935, teoria secondo la quale l'immaginazione è una facoltà " realizzante », poiché le immagini tendono da sé ad imporsi a noi e a porsi come reale (20). Questa teoria, nata dal cartesianesimo, si ritrova nelle opposte filosofie di Taine e di Bergson. Infatti, per Taine e per Bergson le immagini possiedono una forza propria che tende a realizzarle. li problema perciò è di capire non perché certe immagini si realizzano, ma perché non si realizzano tutte. Taine invoca qui il potere « riduttore » della sensazione, che, più intensa e più forte dell'immagine, le impedisce di porsi come reale. Bergson ricorre all'attività selettiva del corpo condizionata dalle necessità dell'azione. I cartesiani, ponendo normativamente lo stesso problema, avevano cominciato ad opporre il controllo della ragione al pericolo dell'aggressione delle immagini alla nostra coscienza. I surrealisti invece si preoccupano di allontanare tutto ciò che si oppone al libero ritorno delle immagini: norme di una ragione logica, preoccupazione dell'utile, misura morale. Ma rovesciando questo aspetto della filosofia cartesiana ne accettano la concezione teorica e lo schema psicologico. Ammettono, dunque, in modo più o meno esplicito, i postulati di questa concezione: identità di natura tra sensazione e immagine, esistenza propria dell'immagine, capacità di realizzazione inerente all'immagine. Per me molte affermazioni surrealiste non possono spiegarsi che a partire da tali postulati. Così parlando dei personaggi di Arnim, Breton dichiara che non riproducono se non " certe proprietà delle immagini ottiche che oscillano tra la virtualità e la realtà ». Afferma che, per i romantici tedeschi, l'oggetto« non conosce di fatto nessuna stabilità tra il reale e l'immaginario » e che del resto la creazione artistica « non sarà mai tanto certa da permettere tra queste due soluzioni, la reale e l'immaginaria, una totale discriminazione » (21). Ma, nello stesso testo, Breton scorge il legame di queste concezioni con ciò che chiama « l'enorme errore di Fichte », « che consiste nel credere che il pensiero attribuisca l'essere (l'oggettività) alla sensazione spaziale ». La sua fedeltà verso il materialismo doveva dunque ispirargli

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una certa diffidenza nei riguardi di « quella maniera di concepire il mondo esterno che tende a farlo dipendere dalla sola potenza dell'Io e che equivale praticamente a negarlo » (22). Inoltre, mentre maturava il surrealismo, la psicologia contestava che ci fosse identità di natura tra immagine e sensazione e sottoponeva a critica severa gli esempi classici di confusione soggettiva tra sensazione e immagine. Quanto alla percezione normale, la psicologia riteneva che delle immagini fossero state erroneamente considerate sensazioni. Così il correttore di bozze non vede come reali le immagini delle lettere che mancano in una parola: la teoria della forma ha fatto giustizia dell'interpretazione atomistica che ha permesso, per un lungo periodo, di pensare che fosse così. La parola non viene letta grazie alla percezione preliminare di ciascuna delle parti che fisicamente la costituiscono. E' oggetto di una percezione confusa, rettificabile, ma completa fin dal principio. Del resto anche supponendo che la percezione normale produca le immagini che aggiunge al dato, niente proverebbe che queste immagini traggono da se stesse la loro forza: potrebbero trarla, come già pensava Hume, dalla vivacità delle sensazioni alle quali sono associate. Quanto allo stato patologico di allucinazione psico-sensoriale, nessuno limmette più, sembra, che una semplice immagine possa ottenere la piena e ferma adesione che si dà alla percezione reale. L'immagine attinge la sua forza dagli atteggiamenti motori, dalle sensazioni cinestesiche provocate dai cambiamenti di posizione degli organi sensoriali, dal delirio: perciò l'allucinazione resta povera, fissa, immobile, strana ed estranea. In genere scompare in presenza del medico. Ogni azione cosciente sembra escluderla. La sua spaziai izzazione è incerta. Molto spesso è sfumata e appiattita. Piuttosto che vicina è lontana ed è il caso di credere che, presentandosi ai malati che sognano il mondo più di quanto lo percepiscano, confermi la loro debolezza percettiva più che la potenza delle loro immagini. Perciò il surrealismo ha dato un altro significato alla fiducia nella capacità realizzatrice dell'immaginazione. Spesso sembra che cerchi la forza realizzatrice dell'immaginazione non all'interno dell'immagine, ma nel contesto in cui essa al dà: contesto che le dà il suo significato e che appare come risultato di un desiderio. Alla teoria del l'allucinazione e delle Immagini isolate che s'impongono da sé, i surrealisti prefe-

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riscono, allora, la concezione freudiana del sogno. Certamente questa concezione ammette ancora che le immagini che invadono la nostra coscienza possano essere considerate percezioni, tuttavia non spiega la loro realizzazione né per loro forza interna, né con la generica interpretazione che le immagini sarebbero prodotte da sensazioni provate durante il sonno: queste ipotesi, care a Bergson, sono state abbandonate. Per Freud infatti il sogno ha una struttura e una ricchezza particolari, ha un significato e una finalità. Il sogno, guardiano del sonno, non si limita a trascrivere arbitrariamente le sensazioni provate: per eliminarle, quando ne è minacciato, le inserisce nel contesto della sua narrazione evitando il risveglio. La sua incoerenza è soltanto apparente. Si sa che Freud, interpretando i sogni, cioè riportandoli dal loro contenuto manifesto allo psichismo latente che esprimono, ha scoperto alla loro origine il desiderio: questo desiderio può essere parziale e in conflitto con la coscienza e le forze, che allo stato di veglia lo rimuovono, sono ancora, nel sonno, tanto potenti da mascherarlo. Così il sogno costituisce da solo una coscienza completa, distinta dalla coscienza percipiente. Questa è retta dal principio di realtà, quella dal principio del piacere. Breton ha ripreso spesso le proposte di Freud sul la teoria del sogno: in Les Vases communicants, applicando una sorta di psicanalisi alla singolare condizione di chi per parecchi giorni sogna a occhi aperti in preda alla disperazione, ricorre alle nozioni di « condensazione », di « spostamento », di « sostituzione » (23). Si affermerà certamente che applicando a uno stato di veglia il metodo freudiano dell'interpretazione dei sogni, Breton si oppone alle idee fondamentali della psicanalisi. Invece di mettere in rapporto il pensiero onirico o delirante al pensiero razionale, scopo di ogni psichiatra, non vuole, da surrealista, abbattere le barriere chet separano il sogno e la veglia e farli apparire come due « vasi comunicanti »? Ma non bisogna dimenticare che Freud nella Psicopatologia della vita quotidiana dimostra come nella stessa condizione di veglia affiorino i segni dei nostri desideri inconsci e che Breton, nella sua analisi dei Vases communicants, anche se riconosce le stesse leggi alla percezione normale e al sogno, non confonde la stabilità delle sintesi psichiche strutturate secondo il principio di realtà con la fluidità di quelle in cui regna il solo principio del piacere. Chiarisce come il desiderio taglia « nel vivo la

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r stoffa » del la realtà e come, per realizzare i suoi scopi nel la veglia, dispone di tecniche simili a quelle "di cui dispone per realizzarsi quando l'uomo dorme 11 (24): ecco perché " i materiali che il desiderio utilizza " possono essere « materiali reali, cose prese dal vivo». Dunque Breton non dimentica che il mondo esterno esiste, non cessa mai di " dargli fiducia ,, e si limita, quando la rigidità del reale lo minaccia, .. a estrarre dall'ambiente, a esclusione di tutto il resto 11 , ciò che deve servire al la ricostituzione del suo io. Critica, invece di approvarlo, il pensiero di Pascal: " Senza fede, nessuno sa con certezza se veglia o dorme 11 • « Che cosa è, si chiede, questo processo intentato al la vita reale col pretesto che il sonno dà l'illusione di questa vita, illusione scoperta al risveglio, se nel sonno la vita reale, ammesso che sia illusione, non è affatto criticata né considerata illusoria?». Infine spiega la ricostruzione onirica del mondo sottolineando che " tutto può essere immagine e che il più piccolo oggetto, al quale non è accordato un ruolo simbolico, particolare, è suscettibile di rappresentare qualunque cosa » (25). Si vede che la teoria dell'immaginazione ora richiamata da Breton non è quella che nel 1933 lo portava ad esaltare Thérèse d'Avila per aver considerato " nello stesso tempo immaginativa e sensoriale ,, la visione della sua croce di legno trasformata in crocifisso di pietre preziose, e a dichiarare che " la percezione e la rappresentazione - che normalmente per l'adulto sembrano contrastare così radicalmente - devono essere considerate soltanto prodotti di dissociazione di una facoltà unica ed originaria, giustificata dall'immagine eidetica e di cui troviamo traccia nell'uomo primitivo e nel fanciullo ,, (26). Va notato, infine, che se la psicanalisi « è giunta ad attribuire un significato chiaro » alle improvvisazioni automatiche, tuttavia " si è ben lontani dal chiarire a quali condizioni possa essere pienamente valido un testo o un disegno automatico » (27). Dalì riprenderà il rigore di questa concezione originaria per la quale, come avviene in parecchi pittori surrealisti, le immagini interne turbano le nostre percezioni. Perciò nell'esprimere visivamente la percezione interna, Dalì si oppone alla psicanalisi e alla sua interpretazione delle sintesi oniriche. « Tutta la mia ambizione sul piano pittorico, scrive Dalì, consiste nel materializzare con grande rabbiosa precisione le immagini della concreta irrazionalità ... immagini che

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non sono spiegabili provvisoriamente né riducibili a sistemi d'intuizione logica né a meccanismi razionali. Le immagini della concreta irrazionalità sono dunque le immagini autenticamente sconosciute ... superano il dominio dei fantasmi e delle rappresentazioni virtuali psicanalizzabili » (28). Breton, invece, non cede mai all'irrazionalità delle immagini. Dà sempre importanza al controllo e alla lucidità, al significato morale delle opere. Cerca di scoprire il senso di ogni produzione automatica e vuole aggiungere alla ricchezza dell'inconscio la luce della coscienza. Perciò Breton preferisce la concezione freudiana, che cerca questa forza in un desiderio che vuole esprimersi, e in cui, in fin dei conti, il delirio è considerato dal punto di vista medico [dello psicanalista, cioè di colui che, invece di considerare dall'esterno la produzione delirante, ne scopre il significato), alla concezione secondo la quale la forza di realizzazione sembra appartenere alla stessa immagine (concezione che ha un valore assoluto e di mistero e in cui il delirio è vissuto dal malato che ne è la vittima). Senza dubbio, è difficile separare nel surrealismo queste due concezioni dell'immaginazione: si compenetrano e non appaiono mai chiaramente distinte. Tutte e due, infatti, implicano la fiducia nella capacità di realizzarsi dell'immaginazione, la necessità, per il poeta, di abbandonarsi " mani e piedi legati » alle sue combinazioni (29). Dunque il surrealismo, al contrario di Valéry (30), contando sulla inesausta produzione della scrittura automatica per la definitiva pulizia della stalla letteraria", volendo « aprire le chiuse » (31), non poteva non comprendere che la teoria che accorda ogni realtà all'immaginazione è più completa, più decisiva di quella che vede nell'immagine il prodotto di qualche motivazione inconscia. «

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Perciò Breton non vi rinuncia mai completamente e gli è difficile qualche volta rispondere agli argomenti di Dalì, che, da parte sua, quando dichiara che l'attività paranoico-critica considera le immagini « in un insieme coerente di rapporti sistematici e significativi » (32), sembra essere in parte d'accordo con Breton. Tuttavia credo che sostanzialmente le due concezioni della immaginazione che ispirano il surrealismo sono radicalmente opposte, essendo l'una espressione di una specie di naturalismo cosmologico, l'altra di

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r un umanismo. Se l'immagine possiede in sé un potere di realizzazione, bisogna dire che l'uomo ne è attraversato. Ci troviamo in presenza, secondo le parole di Herschel, « di un pensiero, di un'intelligenza che funziona in noi, ma distinta dal la nostra personalità » (33). E qui che il « sono pensato » di Rimbaud (34) acquista tutta la sua forza: simile alla monade leibniziana, l'uomo realizzerebbe, in ogni suo atto, un destino concepito al di fuori di sé e di cui sarebbe l'involontaria espressione. E' la stessa idea di Novalis, secondo la quale, come nota Nelli, la forma di un flore sarebbe « della stessa natura della flora della nostra immaginazione » essendo le « forze formatrici delle piante» analoghe a quella che, per esempio, " ci fa sognare ». Ma non posso essere d'accordo con Nelli quando afferma che l'essenza del surrealismo è quella di concepire, « superando l'opposizione materialismo-idealismo», l'immaginario come «naturale» (35). Breton non poteva giustificare un romanticismo naturalistico in cui la libertà umana non avrebbe avuto più posto. Certamente non abbandona l'idea del destino e riduce, in un certo senso, l'idea della libertà. Ma non può precisamente operare questa riduzione se non in quanto il nostro destino è, per lui come per Freud, il risultato delle nostre profonde tendenze, che sono, in noi, volontà e quindi modi di libertà. Dunque tutto è cambiato. Il nostro destino e le immagini che lo manifestano continuano senza dubbio ad imporsi, come dall'esterno, alla nostra lucida coscienza. Ma il destino e le immagini derivano pur sempre da un io fatto di desideri e questa « immagine " che è la « mia vita » (36] esprime la mia personalità profonda e la mia spontaneità individuale. L'immaginazione surrealista non si riduce a un potere che prolungherebbe in noi la forza stessa della Natura: ancora una volta il surrealismo, per il necessario sviluppo delle idee freudiane e dunque del razionalismo critico che accoglie, si separa dal romanticismo. Per il romanticismo, come nota Christian Sénéchal, « il sogno non è che uno dei numerosi stati in cui l'anima umana, ritrovando l'unità perduta, entra in comunicazione con la natura nella sua globalità, dunque con la divinità .... L'anima ... è creatrice perché partecipa della potenza della natura ». Per Schubert, la natura « è l'originale del mondo dei sogni. .. un mondo di sogno che si è materializzato » (37). E questo naturalismo spiega il persistere, a prima vista paradossale, nei romantici, di una con-

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cezione della immaginazione di origine cartesiana. Per Descartes, come per i romantici, l'immaginazione è in effetti la natura che irrompe nel nostro pensiero. I cartesiani e lo stesso Spinoza, la cui influenza sui romantici è stata decisiva, considerano, è vero, questa intrusione della Natura nel pensiero come fonte di errore. La verità viene acquisita nella coerenza di una ragione prima di tutto distinta da ogni vincolo col mondo: per i romantici, invece, l'immaginazione è rivelazione. Ma di diversa opinione sul valore dell'immaginazione, cartesiani e romantici e, come abbiamo visto, anche Taine e Bergson, sono invece d'accordo sulla sua natura. Con Freud il clima è ben diverso. Albert Béguin nota che tra la concezione romantica dell'inconscio e la teoria freudiana c'è « tutto l'abisso che separa una mistica da uno psicologismo puro ». Secondo me, bisogna andare ancora più lontano. E scorgere che i I freudismo invece di restare, come dice Béguin, " nella pura tradizione razionalista » (38), si ricollega, malgrado il suo vocabolario spesso associazionista, al pensiero moderno che doveva giungere, con la fenomenologia, a negare l'immagine in quanto tale per sostituirle la libertà e l'attività significante di una coscienza immaginifica. Una concezione umanistica, con l'uomo centro delle cose e principio dei propri pensieri, si sostituisce a una visione cosmologica e panteistica. Come negare che il surrealismo non partecipi al massimo grado a questo spirito nuovo se l'immaginazione diventa più che forza realizzatrice, potere di rifiuto, di derealizzazione, di selezione, di scelta, di significazione e di comprensione? L'immaginazione surrealista rifiuta il dato e lo derealizza, il desiderio sceglie, nella vita quotidiana, ciò che lo appaga, e, rotti i rapporti logici della percezione, tutti gli accostamenti sono permessi e sono fonte di luce. Si può concepire una tale immaginazione altrimenti che a partire dalla coscienita dell'uomo, e non riconoscere che in ciò Freud ha svolto per i surrealisti il ruolo di Kant e li ha condotti, in una sorta .di nuova rivoluzione copernicana, a spiegare tramite il soggetto ciò che credevano da principio frutto della sola Natura? Il surrealismo, dal significato psicologico, passa sempre più al significato poetico della parola immagine: all'immagine-presentazione sostituisce l'immagine-paragone, e, proprio come Reverdy, crede che " solo lo spirito » riesca a comprendere i rapporti che la costituiscono (39). « Lo spirito, dice in questo senso Breton, riesce eccezionalmente

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o cogliere il più debole rapporto che può esistere tra due oggetti presi a caso », il più piccolo oggetto « è suscettibile di rappresentare qualsiasi cosa ». « Paragonare due ogr,etti che siano il più lontano possibile l'uno dall'altro o, con qualsiasi altro metodo, metterli a confronto in maniera insolita e sorprendente, è il più alto compito a cui la poesia possa aspirare. Deve tendere sempre più a esercitare il suo potere unico e ineguagliabile ... " (40). Senza dubbio, lontani da una filosofia del [a Natura approdiamo a una filosofia dello Spirito, del linguaggio e della libertà. E questo Spirito, questo linguaggio, questa libertà sono incommensurabili con la nostra coscienza: la coscienza e l'inconscio vi si esprimono ugualmente, il desiderio occupa un posto essenziale e a volte perfino il pensiero appare collettivo o universale. Questo pensiero ha tutti i caratteri del pensiero umano. E' legato alla riflessione che ci permette di liberarci dal dato e di affermare la nostra autonomia: sceglie, comprende, inventa. Non è il cammino che conduce dall'immagine al reale, la forza cieca e naturale che incarna le forme, è, piuttosto, la facoltà liberatrice che ci permette di passare dal reale all'immagine stessa.

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l'immaginario e la bellezza

E' difficile attribuire al razionalismo un suo ruolo. Il surrealismo, introducendo nella sua concezione dell'immaginazione un elemento di coscienza critica, non è costretto a rinunciare al suo progetto fondamentale, a giustificare l'attività scientifica e tecnica, l'unico modo possibile, a livello della conoscenza oggettiva, per il quale l'immaginario possa diventare reale? Se l'immagine nasce dalla rottura con l'adattamento spontaneo e vitale, dal rifiuto dell'adesione immediata, non potremo ritrovare il reale partendo dall'immagine se non affermando ancora di più la nostra separazione originaria dalla natura e sottoponendo il nostro desiderio alle leggi della nostra rappresentazione. A livello della pura spontaneità e dell'istinto, si può concepire un 'azione che prolunghi direttamente l'affezione. Ma proprio a questo livello non esistono immagini propriamente dette. Le sensazioni dolorose, tattili, olfattive, gustative, che esprimono in noi la natura animale, non sono affatto delle immagini, non possono neanche essere ricordate sotto forma di immagini, e, perciò, non sono fonti di comportamento riflesso. In questi casi l'oggetto è contro di noi, quasi confuso col nostro corpo. Non c'è alcuna distanza tra noi e l'oggetto. Si spiega quindi l'aspetto ancora affettivo e vissuto di queste

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sensazioni e il carattere spontaneo, istintivo delle reazioni che ne derivano: brusche ritrazioni della mano, inspirazioni, nausee. Il prodursi di un'azione propriamente umana è, invece, legato allo sviluppo delle sensazioni auditive e visive. Queste sensazioni si trasformano facilmente in immagini e ciò, come ha dimostrato M. Pradines, perché sono già immagini. M. Pradines, studiando la differenziazione che dalla originaria sensibilità affettiva fa nascere una sensibilità propriamente rappresentativa, stabilisce in effetti che la rappresentazione è possibile nella misura in cui gli oggetti, dei quali c'informano le nostre sensazioni uditive e visive, restano a una certa distanza: il nostro adattamento alla nuova situazione può perdere allora ogni carattere di urgenza corporea. Spesso anche il mondo sentito o visto non interessa i nostri bisogni. In ogni caso, supera il nostro interesse affettivo. Se dunque, quando le immagini dolorose, tattili, olfattive o gustative sono così rare e vaghe, ci sono tante immagini visive e uditive che ricordano con precisione gli oggetti assenti, è perché le sensazioni visive e uditive, quasi inaffettive, stanno già a significare l'allontanamento e quindi l'assenza degli oggetti che ci rappresentano. L'immagine appare, nella stessa sensazione, con il gioco,' la distanza, la possibilità, per il soggetto, di distrarsi dalla sua percezione e di costituirla come spettacolo. Dall'immagine derivano la conoscenza scientifica e l'azione riflessa. Separare l'oggetto dalla sintesi vissuta in cui si dà, costituirlo come rappresentazione, è avere la possibilità di scoprire le leggi oggettive, che non sono che la struttura di questa stessa rappresentazione. L'acustica e l'ottica sono nate perché l'uomo, cessando di guardare la cosa attraverso le qualità, come fa l'animale, ha isolato dapprima suoni e colori, a titolo di immagini. E la scienza delle leggi dell'oggetto rende a sua volta possibile l'azione tecnica, la realizzazione indiretta del desiderio umano con l'osservazione dei rapporti che la ragione ha scoperto e con la sbttomissione della nostra impazienza alle leggi della fisica. Ora, se ciò è vero, l'immagine, che ci sembrava in un primo momento l'alimento e il sostegno della speranza surrealista, diventa al contrario la fine di quella« vita della presenza» (41), che il surrealismo ha sempre voluto cercare. E questo spirito, la cui libertà, invece di prolungare l'atteggiamento naturale e vitale, lo rovescia, per giungere alla rappresentazione, sembra rivelarsi come quello stesso spirito che il surrealismo

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ha continuamente criticato. In questo mondo della scienza e della tecnica a cui ci porta questo spirito come potrebbero trovare posto le forme che aspirano a realizzarsi? Come, dieci anni più tardi, il poema Tournesol potrebbe incarnarsi in quella « notte del girasole » così essenziale al destino di Breton (42)? Ormai la separazione, da cui è nata l'immagine, farà sempre sentire la sua disperata rottura: l'immaginario, piuttosto che essere penetrato dal calore del desiderio, sarà illuminato dalle luci della ragione. Cesseranno ogni « fremito », ogni emozione, ogni conoscenza che sia amore. Potremo ormai, come si augura Breton, " prendere coscienza sempre più chiara e, al tempo stesso, più appassionata del mondo sensibile » (43), oppure, come dice Jean Brun, sostenere che la sensazione è « più di un matrimonio magico » e che supera comprendendolo « il vibrante psichismo che ha presieduto alla sua nascita »? (44). Invece sembra che, costituendo l'immagine, abbiamo rinunciato, una volta per tutte, a questa presa affettiva delle cose, la sola che potesse mantenere un contatto diretto con il loro essere. E si è perduta anche quella natura medievale, in continuità con l'essere e con l'uomo, di cui gli alchimisti tentavano di ritrovare i segreti: la tecnologia non fa le cose come le fa la Natura. Nata dalla costituzione dell'oggetto attraverso la rottura con l'ontologico, può ritrovare il reale solo attraverso la ragione. Qui tutto è linguaggio e il linguaggio non potrà mai del tutto ritorcersi contro il linguaggio, per lasciare apparire ciò che traduce simbolicamente. Tutto è visione, e chi non comprenderebbe che la visione non è possibile che a distanza? L'essenza stessa dello sguardo umano introduce nella conoscenza visiva una certa separazione. Certamente il progresso della nostra percezione, facendo apparire la qualità in quanto tale, è anche l'origine della visione e dell'audizione artistica. M. Pradines nota perciò che la sensibilità rappresentativa, dopo essersi differenziata dalla sensibilità originaria, si divide a sua volta, e lascia apparire una specie di affettività seconda, di sensibilità propriamente estetica. I sensi della vista e dell'udito, per natura inaffettivi, possono allora dare luogo a nuovi piaceri, indipendenti dalla soddisfazione di ogni bisogno, e propri dell'uomo. Un colore, un suono possono già ispirarci un vero rapimento (45). Così nasce un tipo di emozione che raggiungerà la sua piena ricchezza quando sarà provocata non da un puro elemento sensibile, ma da rapporti di linee, di colori, di suoni, rapporti

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da noi contemplati in modo disinteressato, distaccato da ogni utilità pratica, da ogni finalità realistica. Tuttavia, chi non vedrebbe che da questa angolazione estetica siamo sulla via di una bellezza formale, di una bellezza-spettacolo, che il surrealismo ha sempre condannata? Il surrealismo, se è nemico di un'arte piattamente realistica, non è però partigiano di un'arte formale e non rappresentativa. Non giudica le opere secondo il criterio di una qualsiasi sezione aurea. I quadri surrealisti non sono sinfonie di colori e di forme. Certamente il surrealismo è sempre molto attento alla qualità dell'espressione e afferma che « in arte, l'emozione soggettiva, qualunque sia la sua intensità, non crea direttamente » (46}. Ma, secondo il surrealismo, per rendere creatrice l'emozione non basta organizzare la sua espressione con calcolo. Bisogna invece ricondurla « a quel vivo focolare da cui non può sprigionarsi » (47), che non lo si potrebbe scoprire se non ritornando a quella facoltà originaria « di cui si scopre traccia nel primitivo e nel fanciullo » e che « allontana la maledizione di una barriera invalicabile tra il mondo interno e il mondo esterno ». Questa facoltà, crede Breton, " è la salvezza che l'uomo » deve « ritrovare » (48}. « Un'opera può essere considerata surrealista soltanto se l'artista si sia sforzato di raggiungere il campo psico-fisico totale (di cui la coscienza non è che una debole parte} » (49}. Tutto sta ad indicare, quindi, che la vera vocazione del surrealismo avrebbe dovuto condurlo alla rinuncia di tutto ciò che nell'immaginazione è separazione, distanza, analisi e rifiuto? E il surrealismo poteva legittimamente superare questo automatismo che, trascurando ogni riflessione e ogni libero progetto, lascia che si esprima in noi un'attività puramente naturale? Penso di sì e penso che ancora una volta il surrealismo, assumendo la contraddizione che sembra contenere, rivela la profondità del suo progetto e la sua fedeltà all'uomo. In verità, la difficoltà, su questo punto, è 9naloga a quella incontrata da Bergson quando, presentendo che l'istinto animale contenesse il segreto della vita, doveva riconoscere che questo segreto è ignorato dall'istinto, poiché non ne ha coscienza. Dunque, la rivelazione del segreto non la si può attendere che da una misteriosa illuminazione dell'istinto operata dalla stessa intelligenza. Nel surrealismo si vede anche la conoscenza razionale andare alla ricerca dell'al di qua e prepararsi ad accoglierlo. L'al di qua, da parte sua, turba la nostra chiara visione positiva. Ma qualunque sia la strada seguita, che si vada dal reale al-

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!'immaginario o dall'immaginario al reale, resta il fatto che I 'i I luminazione suppone il rapporto dei due campi e nasce dal loro incontro. Certamente i surrealisti evocano sempre con rimpianto questa fusione originaria alla quale la nostra visione oggettiva del mondo ci ha fatto rinunciare. Non si accontentano dell'alienazione, della mutilazione, che suppone la tecnologia. Amano l'infanzia in quanto " l'assenza di ogni rigore conoscitivo ... apre la prospettiva di diverse vite, vissute contemporaneamente » (50). Ma non vogliono tornare alla notte. Si augurano che le forze della notte vengano alla luce e perciò vengano a turbare un giorno immemore di esse. I fantasmi, di cui sperano il ritorno, non possono essere visti da noi, non possono manifestarsJ come forze della notte che per effetto di qualche luce che si illumina. Infatti, il fantasma che è stato visto una sera, in piazza Pigalle, da de Chirico, Aragon e Breton, aveva l'aspetto « di un fanciullo che veniva a vendere fiori » (51). Si sa con quanta insistenza Breton sia ritornato sull'idea di una « facoltà unica, originaria » di cui « la percezione fisica e la rappresentazione mentale " sarebbero « prodotti di dissociazione " (52). Tuttavia Breton può -credere che questa facoltà sia esistita a titolo di facoltà autocosciente? Può desiderare un ritorno positivo a uno stato passato dell'uomo o dell'umanità? Credo invece che l'originalità della sua posizione sia nell'apparente indeterminazione che suppone di fronte alla durata reale, indeterminazione che non consente di decidere se il sentimento è di rimpianto, di attesa storica o di speranza nel lo stesso presente. In ogni caso, ciò che sembra certo è che il rapporto della condizione surrealista, come l'incoscienza, il sogno, il godimento puro, con i dati immediati, è sempre un rapporto che lascia vivere un margine di esteriorità, un rapporto di appartenenza parziale, in cui l'immediato è desiderato piuttosto che raggiunto, e, per dirla con Descartes, toccato piuttosto che compreso. Il surrealismo è semi-rivelazione, o, se si preferisce, rivelazione di una notte in cui non si vuole completamente entrare, di un giorno la cui luce non può neanche soddisfarci, e che, del resto, perderebbe il suo significato di giorno se cessasse di illuminare degli oggetti di cui l'essere non è luce ma opacità. La coscienza surrealista è dunque soprattutto " relazione » e nasce sempre da una relazione. Nella maggior parte dei testi surrealisti affiora il sogno, ma questo sogno ci commuove solo nella misura in cui non ci abbandoniamo interamente ad esso.

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Il sogno è meraviglioso per i I contatto che ha con le verità di ragione, verità che turba e dalle quali è illuminato. Perciò Benjamin Péret non esita a far vivere ai suoi personaggi veri problemi logici e ad introdurre nei suoi più torbidi racconti i dettagli più esatti. « La sua emozione era intensa, avrebbe raggiunto subito il suo scopo e il singolare personaggio che gettava bacinelle dalla finestra gli avrebbe spiegato perché l'estate succede alla primavera? Il tempo di versare una lacrima per sua sorella morta l'anno scorso e batté contro la porta che gli era stata indicata. Il canto del gallo fu quasi subito seguito da un belare impazzito ... Bussò alla porta per la terza volta, ma il silenzio fu completo. Era perplesso: tuttavia, se una bacinella fosse caduta ai suoi piedi, bisognava proprio che qualcuno l'avesse lanciata? ... La fiamma di una candela gli permise di vedere la stanza in cui era da poco entrato. Sul pavimento c'era un'aiuola di erba verde, ben curata e innaffiata ,, (53). L'utilizzazione di parole ambigue o almeno difficili a comprendersi, tanto che sono necessarie delle note esplicative (Così ad esempio: « étre employé du noir: etre les feuilles qui font de l'ombre », « jouerla sève: s'enfuir » « fraises: grosses: grosses gouttes de pluie », « brOleur: solei(»,« chapeau: ciel»} (54), giunge allo stesso risultato: il linguaggio sposa il sogno e diventa simile ai discorsi fatti talvolta a fatica. E si sa che i dati dell'automatismo scorrono, molto spesso, nei surrealisti, in una sintassi coerente e corretta: la coscienza e la ragione collaborano dunque con l'incoscienza e la gratuità. Allo stesso modo, la pittura surrealista distrugge l'oggetto visibile, ma, rimanendo pur sempre una cosa vista, ci ricorda le leggi della visione. Il surrealismo non si presenta dunque come un ritorno all'immediato, ma come un contatto con l'immediato, cosa completamente diversa. Questo contatto può assumere la forma dell'attesa, poiché l'attesa non può essere provata che da colui c~e non possiede ciò che spera. Diventa spesso nostalgia, ·1a nostalgia di chi sostanzialmente non vuole il ritorno di ciò che la suscita. Meglio, è l'essenza della poesia ed è allora, nel presente, che viene vissuta questa semi-appartenenza, questa promessa istantanea di non si sa che cosa. Il sogno si confonde con la veglia, la coscienza affettiva con la coscienza intellettiva. Lo spirito entra in rapporto con l'Altro. Ecco perché è amore. Così si spiegano molte apparenti oscurità del surrealismo. Lo abbiamo visto tentato dal sadismo. Ma la tentazione del

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sadismo non è sadismo, come il puro godimento non è amore. Il godimento nega l'Altro o lo dimentica. L'amore è riconoscimento dell'Altro come altro da sé, e, in questo senso, ho sempre pensato che se Breton non ha potuto amare Nadja è perché Nadja non era per lui « l'altro », ma il surrealismo stesso con il quale si identificava. Per Nadja, invece, Breton era l'Altro perché Breton era la ragione. E allo stesso modo l'immaginazione dell'atto sadico non è un atto sadico: è conoscenza di sé e quindi superamento di ciò che, in noi, è sadismo con una lucidità che, per conoscere, deve saper mettere a distanza. Il fascino del sogno non è il sogno, è accrescimento di coscienza in un essere al quale il quotidiano rischia di far perdere il senso del meraviglioso. Ed è così, penso, che va inteso il recupero totale dei poteri umani richiesto da Breton. « Bisogna ricordare, dice, che l'idea di surrealismo tende semplicemente al recupero totale della nostra forza psichica con un mezzo che non è altro che vertiginosa discesa in noi, illuminazione sistematica delle zone nascoste e oscuramento progressivo delle altre zone, un andare continuo in piena zona vietata » (55). Confesso che « l'oscuramento progressivo delle altre zone » mi sembra che sia una metafora per esprimere la rivolta contro la tirannia dell'oggettività. La lotta contro la censura, che ci impedisce di conoscerci, non sarà, in effetti, condotta a termine, se la si colpisce soltanto nella sua struttura morale, ma anche nella sua alleanza con il principio di realtà, il cui effetto più evidente è quello d'impedire la relazione del soggettivo con l'oggettivo. Dunque soltanto distruggendo la solidità logica dell'oggetto il surrealismo potrà ritrovare la nostra realtà. Ma ritrovare ciò che siamo non è perdere la coscienza: è aumentare la nostra coscienza. E la nostra coscienza si accresce con relazioni sempre nuove, relazioni che impediscono all'uomo di limitarsi, di alienarsi in una attività parziale. L'uomo concepisce i[ mondo solamente a livello di oggettività scientifiche? Il surrealismo ricorda i diritti del meraviglioso. Si perde nel lavoro? Il surrealismo gli parla di piacere o di rapimento. A ogni sintesi troppo rapida il surrealismo oppone delle tecniche di disintegrazione. Ma, se lo spirito si perde, il surrealismo ritorna all'integrazione e alla sintesi. Ci consiglia l'abbandono all'automatismo, poi ci invita a sdoppiarci, a prendere coscienza di quanto accade in noi quando scriviamo. Così continua questa « illumina-

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zione sistematica », lotta continua contro la limitazione e l'oblio. Tutto teso nel ritrovare la totalità delle nostre forze, amante dell'essere e non del nulla, il surrealismo vuole liberare il pensiero da ogni ordine inteso come misura del pensiero stesso. Il surrealismo afferma che il pensiero è fonte di ogni ordine e non vuole che si annienti in un'esperienza notturna che sarebbe pura fusione con l'al di qua. Anzi, vuole ritrovare con l'aiuto della psicanalisi il significato dell'al di qua e di tutto ciò che è ai margini della coscienza. L'atteggiamento del surrealismo nei riguardi dell'al di là è soggetto alla stessa riserva. Accoglie la promessa non l'illusione di possesso. li dubbio viene sempre a salvare la lucidità e la libertà dello spirito giudicante e il surrealismo si mostra, così, perfettamente fedele a una delle prime affermazioni di Breton: « La sola parola libertà è tutto ciò che mi esalta ancora » (56). Poiché lo spirito libero non può mai confondersi del tutto con ciò che è altro da sé, non potrebbe, dunque, considerare la sua fede una conoscenza. Quindi il caso oggettivo non è considerato che « come indice di una possibile riconciliazione degli scopi della natura con quelli dell'uomo davanti ai suoi occhi » (57). L'incontro dell'oggettività con la soggettività è ricondotto al meraviglioso, la sintesi del presente e del futuro avviene nell'immaginario e la poesia si eleva così alla pura essenza. Avvertendo che mai la poesia « è stata tanto pienamente gustata .. come in tempo di guerra, Breton aggiunge: « E' facile riconoscere in questo fenomeno la manifestazione di quella stessa necessità di un 'detour par l'essence' che si prova ogni volta che è in pericolo l'esistenza individuale o anche la sopravvivenza di ogni possibilità particolare nel quadro di questa esistenza » (58). E' questa un'affermazione di tono platonico. Ora, in tale clima, la speranza, l'attesa, la nostalgia assumono necessariamente la forma della sola bellezza e non possono essere vissute che in un'emozione estetica. E' in questo senso che la concezione surrealista della bellezza non può essere del tutto separata dalla teoria platonica e anche dalle analisi di Kant relative al giudizio estetico e al giudizio teleologico. Come Platone, Breton vede nella bellezza l'annuncio di un ritorno, di una scoperta ontologica, di una riconciliazione. Ma l'Essere, così avvicinato, non è mai veramente colto. Perciò il progetto surrealista è fedele alla riflessione kantiana che si stupisce di una apparenza di finalità, ma non ne afferma la realtà.

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Nella concezione kantiana della bellezza c'è un presentimento dell'ontologia, non l'ontologia. « Ogni arte e ogni natura, scrive a questo proposito Gaetan Picon, nella misura in cui ci danno un'impressione estetica, appaiono come una rivelazione diretta del soprasensibile, almeno come un'allusione; se non come una garanzia almeno come una postulazione dell'assoluto» (59). Questa postulazione dell'assoluto l'abbiamo incontrata varie volte nel surrealismo. Ma in verità la rivelazione surrealista non pretende mai di giungere alla conoscenza. Il surrealismo non accetta mai l'idea secondo la quale l'emozione estetica implica una conoscenza superiore alla conoscenza scientifica. Più che conoscenza l'arte è, per il surrealismo, posizione di valori. Certamente la coscienza umana passa presto dalla posizione di valori all'affermazione teorica: così si spiega la nostra adesione al sogno, così nascono i deliri, in cui l'affermazione dei valori, desiderati dal malato e necessari al la sua vita, porta con sé la credenza nell'esistenza di un mondo in cui tali valori si possono realizzare. li surrealismo utilizza il sogno e il delirio, non li subisce. L'adesione all'immaginario non è mai completa o piuttosto si pone al la coscienza solo come adesione e non come comprensione della realtà. Appare come bella e in essa la bellezza è riconosciuta come tale. La bellezza surrealista è lo stesso immaginario che rifiuta di essere ricondotto ad altro da sé e di superarsi in una finalità trascendente. Emile Bouvier ha notato che « la nozione di pura bellezza letteraria è presente ... in tutte le ricerche contemporanee ». « Lo choc emozionale della pura bellezza letteraria, aggiunge, basta a se stesso. Questo criterio della perfezione sostituirà i vecchi canoni intellettuali: fedeltà della riproduzione o adesione razionale. La bellezza non sarà più l'adeguarsi dell'opera al suo oggetto, ma la capacità di produrre emozioni letterarie pure » (60). Bouvier chiama qui " letterario » ciò che i surrealisti chiamano «poetico». I surrealisti, infatti, rigettano, sotto il nome di bellezza « letteraria ", la bellezza-espressione e la bellezza-spettacolo. Rifiutano l'espressione cosciente e calcolata, poiché il poeta, in attesa di un linguaggio del quale ignora il significato, è incessantemente superato dalla sua rivelazione. Così come negano lo spettacolo contemplato e distaccato della vita: l'al di qua dei nostri desideri inconsci viene continuamente a turbare i disegni della nostra ragione e la speranza nella riconciliazione del soggettivo con l'og-

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gettivo mette in gioco l'intero destino del! 'uomo. Agi i occhi dei surrealisti, la bellezza-spettacolo, che ignora la morte e non dà soluzioni ai problemi dell'uomo, ha ricevuto, al tempo della crisi di coscienza del periodo post-bellico, una ferita che non si rimarginerà. Breton si rivolge, dunque, a una bellezza in cui si possano ritrovare tutti i problemi, tutte le angosci e dell'uomo, una bellezza «convulsiva», « erotico-velata », « esplosivo-fissa », « magico-circostanziale » (61). Non c'è dubbio che, in questo caso, l'arte si propone nuovi fini, si carica di una speranza infinita, diviene, insieme all'amore, il solo messaggio dell'attesa dell'uomo. Ma la bellezza, come nota Bouvier, non può essere superata, non fa posto alla conoscenza. Il suo campo è la speranza e non il possesso, l'analogia e non l'identità. I misteriosi legami delle cose non si scoprono che come simboli. La bellezza diventa bellezza pura, non in quanto separata dal mondo, ma perché tutti i problemi del mondo sono, per l'uomo, contenuti in essa, in modo che non possa più rinviare ad altro che la trascenda o almeno non possa dire, sotto forma di discorso razionale, ciò a cui rinvii. Una bellezza di tal genere non è più interpretabile. Non è soluzione ma è il problema che il sapere umano non potrebbe superare. E' la forma ultima della speranza agli occhi di chi non vuole ammettere di non sapere. E' la prova che nelle circostanze più tragiche, più opprimenti, appare e riluce qualcosa che condanna la disperazione. Così, scrive Breton, « l'opera di Watteau ha ... il vanto di farci scongiurare tutto ciò che di sconvolgente potrebbe avere la considerazione dell'egoismo e della cattiveria degli uomini nei periodi di gravi crisi ... tutta questa epoca atroce siamo sempre più spinti a vederla attraverso il suo sogno. Dipingendo l'apparato bellico di allora: i tricorni, gli oggetti del corredo militare, i baschi, canta ciò che rutila agli occhi delle ragazze e le dispone in modo che risalti la leggerezza della figura e il palpito della gola ... Così ogni tempesta, o primo raggio di sole, svanisce e si annulla in una perla » (62). Questa è la bellezza raggiunta attraverso l'arte, che non è certamente salvezza attraverso la letteratura, ma attraverso la bellezza. Il misticismo, il dogmatismo religioso, la follia di Gérard de Nerval, che credeva di entrare in rapporto « con il coro degli astri che partecipa » alle sue «gioie» e ai suoi « dolori » (63), trovano nell'uomo la loro giusta misura. Poiché l'uomo può e deve superare tutto ciò in cui si è perduto, limitato, alienato. Ma non può superare se stesso.

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l'immaginario e il surreale

Nel sistema hegeliano l'Arte è il momento dell'immediatezza dello spirito assoluto. E' superata soltanto dal la Religione rivelata e dalla Filosofia. Breton non crede alla Religione e giudica il sapere Assoluto impossibile. E' interessato dunque soltanto all'Arte. Ma l'Arte si assume qui tutte le responsabilità della Religione e della Filosofia. Certamente sarà sempre facile affermare che il surrealismo, in quanto fa uso di parole, è letteratura: vuole assumere d linguaggio alla sua scaturigine e portarlo al la sua totale pienezza, preferisce il messaggio verbale alle immagini visive. La scrittura, anche se automatica, è pur sempre scrittura. Ma basta paragonare, per esempio, le preoccupazioni retoriche e grammaticali di Valéry e quelle di Breton per valutarne la differenza. " L'obiettivo principale deve essere una maggiore emancipazione dello spirito e non una maggiore perfezione formale », scrive Breton. Si interessa alle opere di Raymond Abellio, Malcom de Chazal, Jean-Louis Bouquet, André Pieyre de Mandiargues, Maurice Raphael, Paroutaud, per cercarvi « la penetrazione del mondo attraverso la via occulta ", « la rivelazione di un nuovo fantastico », « la criptestesia lirica dei bassifondi », « il timore del futuro » (64). Breton si fa promotore di una morale, la cui regola essenziale è: « A ciascuno secondo i propri desideri » (65). Si propone di modificare

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la condizione sociale ed è attento alla condizione umana. Identifica il linguaggio con l'uomo per farne, secondo Maurice Blanchot, « la libertà umana che agisce e si manifesta » (66). Per cercare una via di salvezza, si pone i problemi dell'insolito, dei momenti privilegiati dell'estasi e dell'illuminazione, attende il sogno, vuole ricostruire l'amore (67). Il progetto fondamentale di Breton, dal 1924 in poi, malgrado i suoi diversi aspetti, non è dunque letterario. E se sembra giungere alla sola considerazione della bellezza, è perché la coscienza della bellezza è oggi quella che permette di comprendere il più adeguatamente possibile l'autenticità dell'uomo. Giacché l'uomo moderno, poiché ha perduto la fede religiosa e la possibilità di comprendere la metafisica, è indotto a trasformare l'arte in vita, a chiedere alla bellezza il senso del suo destino. L'arte non più superata, come in Hegel, dalla religione e dal sapere filosofico, appare allora come il momento supremo dello spirito. Tuttavia ogni coscienza tende a un oggetto, si definisce attraverso ciò di cui è coscienza. Qual è dunque, nel surrealismo, il correlativo della coscienza estetica? Dire che è la bellezza significa senza dubbio non dire niente, costruire uno pseudo-oggetto, raddoppiare inutilmente la coscienza estetica del suo riflesso. Perciò Breton, rispondendo a André Parinaud, dice che « gli artisti, come i poeti moderni, non cercano necessariamente la bellezza » (68) e sostiene sempre il carattere assolutamente soggettivo della coscienza estetica. In arte, aggiunge, tutto dipende dalla libertà con la quale l'immaginazione « giunge a mettersi in scena e a non mettere in scena che se stessa» (69). Secondo Breton la pittura moderna in questo senso si adegua alla poesia e non considera « la natura che nel suo rapporto con il mondo interiore della coscienza ». E' « seguita dalla scultura, come attestano l'esperienza di Giacometti e quella di Arp » (70). Ora, un'arte che non si sottoponga più al criterio dell'esteriorità non si può dire che aspiri a una bellezza-oggetto, a una bellezza oggettivamente definibile (71). Come raggiungere una tale bellezza, se la dobbiamo distinguere nello stesso tempo dall'oggetto fisico in cui si può incarnare e dall'emozione in cui si rivela? E' chiaro, invece, che la bellezza si confonde, in quanto tale, con il sentimento del bello e che, inoltre, non si può parlare di una coscienza della bellezza allo stesso modo in cui si parla della coscienza di una realtà oggettiva. La bellezza non è distinta dalla co-

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scienza che se ne ha. E' un modo di prendere coscienza delle cose. Se non si confonde con l'individualità del gusto, la sua universalità resta, secondo Kant, quella di una disposizione soggettiva: deriva da un accordo, da un'armonia tra le facoltà comuni a tutti gli uomini. Tuttavia, se si vuole uscire da questo stesso soggettivismo e ritenere che la bellezza conduce alla Verità o al Bene, bisognerà allora, secondo l'esempio di Platone, dare come correlativo alla coscienza del Bello un mondo delle Idee, la cui realtà non sia estetica e considerare che la nostra emozione estetica traduce il ricordo e il presentimento di questo Mondo. Il surrealismo rifiuta tutto ciò. La coscienza surrealista non si pone come coscienza di una verità concettuale o di un valore morale trascendente. Qual'è dunque, ancora una volta, il correlativo di questa coscienza estatica, attenta, inquieta, di questa coscienza religiosa che non si orienta più verso alcun contenuto dogmatico o rivelato, di questa coscienza metafisica che non crede più alla metafisica? Questo correlativo è il surreale. Perciò si può dire che il surreale è il fine della coscienza surrealista: sta a questa coscienza come l'oggettività fisica sta alla coscienza scientifica, come l'Essere di cui spesso fa le funzioni sta alla coscienza metafisica. Ed è in questo senso che, a volte, ho avvicinato il surrealismo al platonismo. Comunque, è molto difficile definire il surreale, se la coscienza al la quale corrisponde rifiuta di essere contemplativa e deve conservare quella libertà, quella disponibilità che, per i surrealisti, non si potrebbe perdere senza che l'uomo si perda e senza le quali si ricadrebbe nuovamente nell'alienazione. Tutte le apparenti esitazioni del surrealismo derivano, senza dubbio, da questa difficoltà. Se, infatti, per definire la surrealtà guardiamo al surreale stesso, saremo portati a trasformarlo in oggetto, a parlarne come di una cosa: non si eviterà allora il dogmatismo, religioso o ermetico. Se, invece, ci dedicheremo alla descrizione e allo studio della sola coscienza del surreale, non supereremo lo psicologismo. Questa volta, faremo del la coscienza stessa una cosa o un oggetto. La tratteremo come gli psichiatri trattano la coscienza dei folli e come i sociologi quella dei primitivi. La ricchezza, il senso, il potere di rivelazione inerenti alla coscienza surrealista saranno così perduti. Il surrealismo ha sempre voluto evitare questo doppio pe-

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ricalo, perciò non lo si può ridurre né a un oggettivismo né a un soggettivismo. Nel 1924 Breton definisce la surrealtà come « una sorta di realtà assoluta » (72). Ma l'assoluto è precisamente ciò di cui non si può parlare senza renderlo relativo al linguaggio. Parlando dell'assoluto si ricade necessariamente in un atteggiamento religioso. Certamente le religioni si sono formate da esperienze analoghe a quelle invocate dai surrealisti: religioni che hanno dato come correlativo alla coscienza che viveva tali esperienze un dogma affermato e determinato, o, semplicemente, una verità definibile sul piano dell'oggetto, alla quale, ormai, bisognava credere. Così questo Altro, verso il quale la coscienza dell'uomo per sua struttura si dirige, è sempre ridotto al linguaggio: diventa un altro mondo. Il surrealismo vuole conservare l'essenza della coscienza religiosa rifiutando ciò che considera come sua alienazione. Ammette e riconosce ogni aspirazione umana e lo stesso atteggiamento di Pascal gli sembra « tra i più ingiustificabili sul piano emotivo » (73). Ma rifiuta ogni dogma, ogni contenuto formulato, ogni discorso propriamente cosmologico, perché, come si è visto, Breton non accetta mai la visione del reale che ci propongono occultisti o ermetici. Ma il surrealismo accetta quella coscienza primitiva di cui ci ha sempre parlato? Certamente, come nota Monnerot, « il surreale o meraviglioso a cui tendono i surrealisti può evocare senza inammissibile abuso di linguaggio il mondo immaginario-reale di certi primitivi, e siamo assaliti dalle analogie tra ciò che vivono i primitivi e ciò a cui tendono i surrealisti » (74). Resta il fatto che « vivere » e « tendere » suppongono degli atteggiamenti molto diversi. Mentre per i primitivi « tra il surreale e la vita ordinaria non c'è scissione, ma continuità» ... « il surrealista invoca l'esperienza possibile del surreale contro la vita quotidiana e contro i quadri sociali che la comprendono, la determinano e c,1,e non tollerano niente al di fuori di essa » (75). L'insolito è per il primitivo « più spesso nefasto che fasto » (76). P~r Breton l'insolito risveglia la speranza. Bisogna, dunque, convenire che la coscienza surrealista non è più primitiva di quanto sia religiosa. Il rinvio dei surrealisti alla coscienza primitiva non ci permette di scoprire che noi stessi. Infatti, ancora una volta, altro è trovarsi allo stadio della coscienza immediata, altro è volervi ritornare, provarne la nostalgia, supporre « che l'uomo, originariamente in possesso di certe chiavi che lo tenevano in

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stretta comunione con la natura, le abbia perdute, e da allora, sempre più febbrilmente, si ostina a provarne altre che non aprono » (77). Nel surrealismo il rinvio alla coscienza primitiva è sempre funzione di ciò che è diventata la coscienza moderna. Si tratta di disalienare uno spirito che si è perso nella sola considerazione della realtà oggettiva e che ha fatto dell'esperienza scientifica e tecnica una delle possibili esperienze, la misura di ogni realtà. Perciò il surreale, che per il primitivo si confonde con il reale oggettivo, appare qui come ciò che derealizza un reale quotidiano, al quale, tuttavia resta immanente. Ma il surrealismo rifiuta ancora di più di fare della coscienza primitiva, sognante o delirante, un oggetto di studio, una cosa. Sa che non si può comprendere una coscienza se non restando fedeli al suo scopo: si sforza quindi, continuando a interrogarsi sul valore delle rivelazioni, di ritrovare quella esperienza originaria da cui sono nati i miti, le religioni, le credenze. Fin dal tempo del Manifesto, Breton rifiuta di ricondurre il sogno « a una parentesi ", oppone la somma dei suoi momenti alla somma dei « momenti di veglia », si chiede se il sogno dell'ultima notte non sia una continuazione del « sogno della notte precedente », è ansioso di sapere se il turbamento provocato da certe donne non trovi le sue radici in ciò che collega queste donne al nostro sogno. Vuole scoprire « la chiave di questo corridoio» (78) e niente indica meglio la sua preoccupazione quanto il costante ritorno, nella sua opera, della parola « chiave »: così i personaggi dell'Amour fou posseggono « le chiavi delle situazioni » (79) e Breton considera il desiderio come « il grande portatore di chiavi (80). li sogno, le tendenze che vi si esprimono, delle quali le più profonde, come ha dimostrato la psicanalisi, costruiscono il nostro destino, sono, dunque, continuamente interrogati dal surrealismo. Non si tratta di evasione e, ancor meno, di fantasticherie. Si tratta di trovare il senso della nostra esistenza, di chiarire il nostro destino, scoprendo un principio di ordine e di coordinazione distinto dal la ragione. In seguito Breton allarga la sua indagine: la estende alla follia, alla coscienza mitica, all'emozione degli incontri. Convinto che « il destino delle comunità umane si valuta in funzione del potere che vi esercitano i miti », spiegando con l'assenza di tali miti il crollo « della Francia del 1939-1940, che i suoi rappresentanti uffiO

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cieli avevano portato verso lo scetticismo e il disgusto » (81), attribuisce alla coscienza mitica un valore di contatto con quella surrealtà dalla quale, più o meno oscuramente, egli attende la salvezza dell'uomo. Invece di chiedersi da un punto di vista psicologico, come tanti moderni da Benjamin Constant in poi, se ama o no, Breton cerca il significato dell'amore, da un punto di vista metafisico. In lui tutto è movimento verso altro, appello, attesa di un segnale. E tutti i surrealisti partecipano a questa ricerca. Victor Brauner si dichiara « imperatore del reame del mito personale » (82). Aragon riconosce che l'essenza dell'evoluzione del suo pensiero è « un meccanismo, in tutto analogo alla genesi mitica ». « L'uomo - per lui - è pieno di dei come una spugna immersa in pieno cielo » (83). Condanna la psicologia, che ci induce « a dimenticare l'abisso e i tormenti dell'infinito » (84). Cerca di entrare in comunicazione con « la divinità intuita » (85). Frequenta « i luoghi sacri » (86). Scorge dappertutto e perfino « nei riquadri rossi e bianchi della tovaglia d'altare » « l'inconoscibile che traspare » (87). Coglie nelle frasi più banali « parole insensate che parlano della felicità» (88). In questa ricerca del surreale di Aragon c'è, senza dubbio, una certa esagerazione, una certa provocazione e anche una velata ironia, una certa volontà umoristica, che rendono difficile l'esatta valutazione della sua vera intenzione (89). Le Paysan de Paris, più che un appello al surreale, si presenta come una critica del surreale per la sua riduzione all'amore: « Continuerò, si chiede Aragon ... , questa falsa descrizione di un parco in cui passeggiavano, una sera, tre amici? Perché? Tu aleggiavi su questo parco, sulle persone, sul pensiero. Sono posseduto dalla tua traccia, dal tuo profumo » (90). Ma pare che Aragon ci dia una interpretazione metafisica dell'amore, che ci conduce a una forma di surrealtà: « Ora sono pronto a credere a ogni cosa. Spuntino ,fiori al suo passaggio, crei la luce dalla notte, e tutte le fantasmagorie dell'ebbrezza e dell'immaginazione, tutto ciò non avrebbe niente di straordinario. Se non amano, è perché ignorano » (91). L'amore non è considerato come uno stato vissuto, ma come « un'apertura verso » e dunque come una coscienza. Ritroviamo il movimento che permette a Eluard di scrivere: Et je ne sais plus tant je t'aime Lequel de nous deux est absent (92),

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che fa dire a Georges Hugnet: Tous ses gestes amorcent des lumières et moissonnent (93) che permette infine a Breton di vedere nella donna una sintesi dei misteri della Natura e nell'amore una preparazione alla conoscenza di tutte le realtà che contiene: Ma femme à la chevelure de feu de bois Aux pensées d'éclairs de chaleur A la taille de sablier ... Ma femme aux tempes d'ardoise de toit de serre Et de buée aux vitres Ma femme aux épaules de champagne Et de fontaine à tetes de dauphins sous la giace ... Ma femme aux aissel les de martre et de fenes De nuit de la Saint-Jean ... Ma femme aux moflets de moelle de sureau ... Ma femme au cou d'orge imperlé Ma femme à la gorge de Val d'or De rendez-vous dans le lit meme du torrent Aux seins de nuit ... Ma femme au sexe d'algue et de bonbons anciens ... Ma femme aux yeux de savane ... (94). Così lo stato poetico non è mai considerato dai surrealisti come uno stato: è vissuto e pensato come interrogazione, come problema, come direzione, come semi-scoperta e, secondo Monnerot, come « brancolamento verso » (95). E' in questa misura che spesso, desiderosi di lasciare che la soggettività invada l'oggettività, dominandofa, i surrealisti evitano lo psicologismo: non trascurano mai il carattere intenzionale della coscienza e mai l'io si chiude in sé e si contenta, in una specie di cieco egoismo, del godimento e del piacere. Ossessionato da un n pavimento le cui striature erano state accentuate da mille lavaggi », Max Ernst si decide a « interrogare il simbolismo di questa ossessione ». Trae allora « dalle tavole del pavimento una serie di disegni, vi mette sopra, a caso, dei fogli di carta », che comincia « a strofinare con una punta di piombo •. Inventa così la tecnica del frottage con la quale intensifica « l'irritabilità delle facoltà dello spirito » e interroga « ogni sorta di materia ... le foglie e le loro nervature, i bordi sfilacciati di una tela di sacco » prima di riunire i risultati nella sua Histoire natu-

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relle (96). E' nota l'importanza che il surrealismo ha sempre dato al suggerimento di Leonardo da Vinci che raccomandava « ai suoi discepoli, alla ricerca di un soggetto originale, di guardare a lungo un vecchio muro fatiscente. Non tarderete, diceva loro, a notare a poco a poco delle forme, delle scene che si preciseranno sempre di più ,, (97). In tutto ciò si esprime la stessa attesa, la stessa organizzazione di « percezioni a tendenza oggettiva », che chiamano « imperiosamente, nella realtà esterna, qualche cosa che sia loro corrispondente » (98), la stessa volontà di scoperta e di decifrazione. Infatti ogni oggetto, anche evidente, sembra dapprima nasconderci la sua vera realtà. Questa non si rivela che alla nostra inquieta attenzione. E' ciò che esprime l'opera di Magritte che ci fa vedere chiaramente una donna nuda e la circonda della frase: « io non vedo la ... nascosta nella foresta » (99). Le ruisseau en cette boucle meme camme en nulle autre de tous les ruisseaux Est maitre d'un secret qu'il ne peut faire notre à la volée scrive in questo senso Breton. Mais rien n'est vérifié tous ont peur nous-memes Avons presque aussi peur Et pourtant je suis sur qu'au fond du bois fermé à clé qui tourne en ce moment contre la vitre S'ouvre la seule clairière (100}. Si vede fino a che punto Breton prende sul serio la coscienza poetica dell'attesa, dell'annuncio: ogni percezione appare in un primo momento come una sorta di vuoto che la surrealtà riempie a metà. Tuttavia la preoccupazione di distinguere analogia,ipoetica da analogia mistica costringe sempre Breton a dichiarare che l'analogia poetica è " del tutto empirica » e « non presuppone affatto, attraverso la trama del mondo visibile, un universo invisibile che tende a manifestarsi ,, (101). Il surreale non è dunque il soprannaturale ed è per questo che, malgrado l'inquietudine metafisica della coscienza surrealista, non può essere considerato come il correlativo di una coscienza religiosa o di una coscienza mistica, ma soltanto di una coscienza artistica. Certamente la concezione che i surrealisti hanno dell'arte, il cui potere di

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riscatto non viene ma idimenticato, rende questa coscienza al tempo stesso estetica e morale. L'immagine analogica, dichiara Breton, « si muove tra due realtà presenti, in un senso determinato, che non è affatto reversibile. Dalla prima realtà alla seconda, rivela una tensione vitale verso la salute, il piacere, la quiete, la grazia resa, gli usi consentiti. Il depressivo e [i peggiorativo sono i suoi nemici mortali » (102). L'unico critierio è lo stato vissuto dall'uomo e non lo scopo desiderato. Breton dichiara che l'esigenza sentita « potrebbe essere di ordine etico », ma, temendo di attribuire le conquiste del surrealismo « alla gloria di un qualsiasi al di là ", non ammette di considerarla un'esigenza metafisica. Ancora una volta la speranza non conosce ciò di cui è l'attesa. La volontà di non superare l'uomo che ha impedito al surrealismo di preferire all'amore l'oggetto dell'amore e al desiderio l'oggetto del desiderio, lo costringe ora a contentarsi della bellezza che prima non era che promessa, a considerarla " il grande rifugio » (103). La critica ha spesso rimproverato al surrealismo le sue esagerazioni. Da parte mia sono piuttosto colpito dal suo eccesso di prudenza nell'affermazione ontologica. Sempre sulla via del platonismo e della metafisica, dubita del mondo del le Idee e nega Dio. Se a volte, mancandogli l'essere amato, Breton passa « dall'essere all'essenza» e «dalla persona collettiva della donna .. deduce « l'idea che tutto non è perduto ", è sempre un ripiego e « per lo spirito è impossibilità di ritornare all'essere», che è sempre considerato un essere particolare (104). Tentato poi dall'occultismo, se non dalla religione, il surrealismo resta ai limiti della credenza e rifiuta ogni formulazione precisa di fede. Del resto sembra ignorare il significato della parola fede e, comprendendo molto bene che la realtà che si esprime con le religioni e i miti non può essere conosciuta, non è capace di decidere se possa o no essere creduta. Opponendosi a tutti i sistemi oggettivi in nome della speranza e preoccupato di non dare alla speranza un contenuto che ci riporrebbe sul piano dell'oggetto, il surrealismo rifiuta anche di dare un senso metafisico al suo scopo. In questo modo, pur rispettando il carattere intenzionale della coscienza, il surrealismo riduce l'uomo a sé e rigetta tutto ciò che lo trascende. Non che faccia del l'uomo un Dio, come pensa Carrouges, o anche un superuomo. Da parte mia, mi

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· è difficile credere che il surrealismo, come dice Gabriel

Rey, sia un « superumanismo » nato dal romanticismo (105). Breton ci ricorda spesso che l'uomo è mortale e che, come per Pascal, la sua grandezza coincide con la sua miseria. Non dimentica « l'evidente sproporzione tra la vastità delle aspirazioni dell'uomo e i limiti individuali della sua vita» (106). Ma ci si può chiedere allora se l'umanismo surrealista non contenga, malgrado il suo progetto fondamentale, delle profonde ragioni di disperazione. Maurice Nadeau, Guy Dupré hanno parlato di pessimismo surrealista (107). L'estasi davanti al meraviglioso, che costituisce la condizione del surrealismo, basta a distinguerlo filosoficamente dall'umanismo esistenzialista, oggi, tanto condiviso? D'altra parte rifiutando il cieco epicureismo che consisterebbe nel godere la speranza, il desiderio, l'amore come stati privi di significato, non si è necessariamente portati al tema esistenzialista della angoscia e di una coscienza che si apre sul niente? Liberata da ogni trascendenza e da ogni dimensione verticale, la libertà surrealista, sovrana di un mondo incantato, a cui conferisce i significati più inquietanti e più promettenti, non è la stessa libertà esistenzialista la cui ultima parola è di confondersi con la situazione che la contiene? In verità, la coscienza meramente umanista, la coscienza desiderosa di non riconoscere niente al di fuori dell'uomo, non sa mai molto bene se lo slancio che la trasporta verso la vita è di speranza o di disperazione. Dire che l'uomo è tutto, non significa dire che di fronte a lui c'è soltanto il nulla? Certamente il surrealismo rappresenta, nella storia dell'umanismo, il progetto più ardito, più totale che sia mai stato concepito per rendere all'uomo tutti i suoi diritti alla felicità e il libero uso delle sue passioni. Ma si può salvare l'uomo senza fare ricorso all'al di là? Il surreale ci darà una ragione di vita se non si specifica dal lato della trascendenza, col rischio di avvicinarsi il soprannaturale? E il surrealismo, discreditando a ragione ogni al di là verbalmente e dunque oggettivamente qualificato, non avrebbe dovuto sostituirgli un surreale che avesse di questo almeno il peso ontologico? E' paradossale servirsi delle tecniche dello spiritismo senza credere almeno al principio dello spiritismo, usare il linguaggio dell'occultismo senza aderire alla sua ispirazione, venerare le superstizioni senza simpatizzare con il goffo omaggio che, attraverso la loro apparente puerilità, la coscienza dell'uomo rende all'ignoto, avvicinarsi, infine, alla metafisica riconducendo la

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sua evidenza a quella della sola bellezza. Queste tecniche, questo linguaggio, questo approccio, sempre inadeguati rispetto alla forma che assumono e, se si può dire, alla loro oggettivazione, traducono tuttavia un'esigenza che il surrealismo suscita ma rischia di deludere. Coloro che hanno abbandonato l'attesa meravigliosa per la disperazione o per sottomettersi ciecamente alle forze della storia, non sono state le vittime di questa filosofia dell'immanenza che il surrealismo nel suo scrupolo umanista, non ha mai voluto rinnegare? Da parte mia, credo che è nell'affermazione metafisica della trascendenza che l'uomo trova la sua più autentica verità. E so che al riparo di ogni superstizione e di ogni dogmatismo questa affermazione può essere integralmente fondata con la ragione: ] 'eterna critica filosofica, dimostrando che ogni oggetto conosciuto non ha senso e realtà che relativamente alla nostra conoscenza, basta a stabilire la trascendenza dell'Essere a titolo di suprema certezza. Ma l'evidenza surrealista non è metafisica: vuole restare umana e, perciò, poetica. Nondimeno, fra i poeti, i surrealisti sembrano quelli più vicini alla metafisica. Più esattamente rivelano che, a parte la metafisica, la poesia è il cammino che conduce più vicino alla verità, a condizione che il suo linguaggio resti scrupolosamente fedele alla verità dell'uomo. Di questa scrupolosa fedeltà, l'opera di André Breton è senza dubbio, in questo secolo, l'esempio migliore e perfetto. Perciò Breton appare, suo malgrado, come un messaggero della trascendenza. S'ispira a Engels, ma ritrova Platone. Dichiara che vorrebbe che la sua vita « non lasciasse dietro di sé altro mormorio che quel lo del canto di un esploratore, un canto per ingannare l'attesa» (108). Ma piuttosto che ingannare l'attesa, le parole di Breton la dirigono verso il suo scopo essenziale. Confusione dell'oggetto e dell'Essere, della filosofia e del sistema, oblio della morte e oblio dell'amore, riduzione della conoscenza alla scienza positiva e dei poteri dell'uomo all'azione tecnica, preoccupazione puramente estetica della forma e esercizi di stile, abbandono falsamente giustificato ai crimini della storia, tutte queste forme moderne dell'abdicazione dello spirito vengono scosse dal suo messaggio. li surrealismo derealizza il mondo oggettivo, se non con l'affermazione dell'Essere, almeno in nome di una felicità attesa: incontri e segni indicano che, per compren-

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dere il Mondo, ci sono altre vie che non quelle dello sterile intellettualismo e annunciano una venuta il cui presentimento ha almeno il merito di impedire il sonno a coloro che si rassicuravano misurando il reale con le condizioni di un'esperienza scientifica. Nell'inquietudine che ci ispira una coincidenza, nella luce di una analogia in cui si rivela, per esempio,' l'affinità tra un viso e un paesaggio, comprendiamo che l'interpretazione quantitativa del reale non potrebbe fare a meno della sua interpretazione « qualitativa » ( 109). Breton attende dalla rivoluzione che « la precarietà del tutto artificiale della condizione sociale » non nasconda più « la precarietà reale » della « condizione umana ». Si può dire che dopo il surrealismo niente occulta più questo bisogno « che non ha posto nel tempo » (110) con il quale l'uomo si definisce. Tuttavia bisogna riconoscere che, strappandoci al divertissement della conoscenza oggettiva e a quella della storia, il surrealismo non ci abbandona all'inquietudine propriamente metafisica. Il surreale non appare come un segno dell'Essere. Risulta sempre, entro i limiti dell'umano, dal rapporto tra i I desiderio e la rappresentazione. Certamente il conflitto tra il desiderio e la rappresentazfone costituisce proprio il dramma essenziale dell'uomo giunto alla conoscenza oggettiva. A livello istintuale il desiderio è struttura e dà forma all'ambiente. La coscienza primitiva conserva ancora questo contatto diretto con la Natura, quando si dedica ai riti magici. Ma il prevalere della rappresentazione visiva che suppone la distanza dall'oggetto, l'avvento di un'intelligenza analitica che distrugge ogni forma e vuole ricomporre il reale secondo le sue leggi, restituiscono il desiderio alla sua solitudine e ci impegnano in una storia in cui tutto porterà ormai il segno della separazione. Qui il fine si distingue dal mezzo, ogni azione suppone l'attesa e la subordinazione del principio del piacere al principio di realtà. La tendenza, abbandonata dalla forma che la conteneva, deve sottomettersi a regole astratte e l'uomo scorge al di fuori di sé quella immagine del Mondo del la quale ormai deve tener conto. Per porre fine a questa lacerazione, il surrealismo vuole riconciliare il desiderio e la rappresentazione. Ma nonostante la sua speranza nel futuro, concepisce questa riconciliazione soprattutto sotto il segno di un ritorno all'al di qua. Non che voglia,

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per essere esatti, ritornare a una problematica autocoscienza originaria, ma, accettando di definire l'uomo come l'essere che immagina, vedendo nell'immaginazione il segno più evidente della nostra libertà, il surrealismo spera di sottomettere nuovamente alle forze del desiderio tutte quelle immagini che si sono costituite dalla rottura con il desiderio stesso. Il surrealismo cerca di spezzare la coerenza delle immagini stabili che costituiscono il Mondo oggettivo, il Mondo della scienza e della ragione positiva con l'irruzione di immagini folli di cui non sa, del resto, se manifestano la forma dei nostri bisogni o i I capriccio della loro spontaneità. E' alla ricerca di oggetti che misteriosamente vengono a riempire la nostra attesa ( 111) e, quando li scopre, costruisce una sorta di contro-oggetti, che, negando le leggi fisiche, esprimono i nostri desideri inconsci o si prestano a un funzionamento simbolico che mette in gioco le nostre tendenze sessuali (112). Si abbandona all'automatismo, accetta il delirio, perché nel delirio il desiderio si è già impadronito della rappresentazione e si lascia tentare dal sadismo, in cui la pura esigenza soggettiva si irrita a tal punto per l'esteriorità e l'indipendenza dell'immagine amata che non esita a spezzarla e a distruggerla. E' questa, infatti, l'ultima parola dell'uomo restituito a sé. Tuttavia si possono trarre altri insegnamenti dai nostri dolori, dalla nostra solitudine. Rinunciando al " verde paradiso degli amori infantili» (113). molti filosofi hanno meditato sull'essenza stessa della separazione che comporta ogni immagine, ogni rappresentazione oggettiva. Se il nostro sguardo non vede che a distanza, se ogni conoscenza oppone al soggetto un oggetto, se ogni pensiero vive in un tempo che contiene l'ora della nostra morte, non bisogna riconoscere che la nostra condizione ci significa, fino all'evidenza, quella insostituibile assenza, quella trascendenza dell'Essere, alle quali rinvia ogni vera metafisica? La scienza dimentica l'assenza dell'Essere. La poesia ci consola producendo, nell'immaginazione, quell'illusione di immanenza chiamata bellezza. La metafisica è discorso sull'assenza. In essa lo spirito si separa dall'uomo, rifiuta di considerarlo un principio, si eleva all'incomprensibile al di là che l'uomo non contiene ma manifesta. li surrealismo può condurre a questa filosofia. Ma questa filosofia non è la filosofia del surrealismo.

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note

il progetto surrealista

(1) André Breton, Poisson Soluble, testo n. 1, pp. 79-80, Paris, 1924.

(2) André Breton, Lettre à Combat del 19 maggio 1949, riprodota alla fine di Flagrant délit (Thésée 1949) e ripresa, con questo stesso testo, in La clé des champs, Paris 1953, p. 173. (3) « lo in quell'abito nero impeccabile che in seguito non ho più lasciato » [Poisson Soluble, testo n. 1, p. 81) e « era stato ammesso senz'altro che i bei seni bianchi e palpitanti non potevano mai essere di una creatura vivente simili a quelle che ricorrono nei nostri desideri» (ibid. testo 3, p, 88).

(4) « Il valore dell'immagine dipende dalla bellezza della scintilla ottenuta », Manifeste du Surréalisme, Paris, 1924.

(5) Flagrant Délit, in la Clé des champs, p .136. (6) A. Breton, Entretiens, N.R.F., 1952 p. 77. Cfr. inoltre Il. Existence et littérature. (7) Manifeste du Surrealisme, cit., pp. 47-48. (8) (Ciò che più si avvicina alla « vera vita» è forse l'infanzia], ibid. p. 63. Breton riprende l'esp1·essione di Rimbaud: « La vera vita è assente » (Une saison en enfer, Délires, I).

(9) lbid., p. 74. (10) Poisson Soluble, testo n. 1, p. 79. (11) Poisson Soluble, testo n. 22, p. 141. (12) Poisson Soluble, testo n. 7, p. 100. (13) Sul delirio amoroso: Platone, Fedro, p. 249 e seg.

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( 14) • Un nuovo corpo, un corpo come non si era mai visto, mai accarezzato ... », • la barca partita all'inseguimento della nuova Eva non era più tornata ... •: • Era al di là dei nostri desideri...•, Poisson Soluble, testo n. 3, p. 88. ( 15) Polsson Soluble, testo n. 7, p. 98. (16) • Non sono con il cuore sulla terra», Poisson Soluble, testo n. 26, p. 158. (17) Poisson Soluble, testo n. 23, pp. 145-46. (18) Esprimo precise riserve sul preteso « pessimismo surrealista». A. Breton, Risposta a Jean Duché, Figaro Littéraire del 5 ottobre 1946 (ripresa in Entretiens, p. 248). (19) Poisson Soluble, testo n. 7, pp. 97-98. (20) Inchiesta in La Révolution Surréaliste, n. 12, 15 dicembre 1929. (21) La Révolution surréaliste, n. 8, 1 dicembre 1926, articolo di Pierre Unik, p. 3. Cfr. nel numero 7, l'articolo di Antonin Artaud, L'incudine delle forze: « L'odore del nulla, un tanfo d'assurdo, il letame della morte ... Anche io non attendo che il vento. Si chiami amore o miseria, mi farà naufragare su una spiaggia di ossa •· (22) lbid., articolo di Cl. A. Puget, pp. 3-4. (23) Manifeste du Surréalisme, cit., p. 27. (24) Vedi ibid., p. 42. Sono: Aragon, Baron, Boiffard, Breton, Carrive, Crevel, Delteil, Desnos, Eluard, Gérard, Limbour, Malkine, Morise, Naville, Noli, Péret, Picon, Soupault, Vitrac. (25) Paul Eluard, Les dessous d'une vie ou la Pyramide humaine, 1926. Cfr., Donner à Voir, Paris, 1939, p. 147. (26) G. Hugnet, Introduzione alla Petite Anthologie poétique du Surréalisme, J. Bucher, 1934, p. 21. Del resto Hugnet sa molto bene che il surrealismo si propone una finalità contraria a questa distinzione e nota che c'è un punto in cui il poema « coincide con il sogno e l'automatismo• e • si confonde con essi •. (27) Paul Eluard, Capitale de la douleur, Paris, 1926, « L'égalité des sexes », p. 49. (28) lbid. « Denise disait aux merveilles •, p. 65. [29) lbid., « Ta bouche aux lévres d'or •, p. 140. (30) lbid., • La courbe de tes yeux », p. 143. [31 J Racine. Phèdre, atto V, scena VII. (32) Breton, Jlllanifeste du Surréalisme, p. 45. (33) lbid., p .. 71. (34) Aragon, Traité du style, Paris, 1928, p. 188. (35) lbid., p. 85. (36) lbid., p. 105. (37) A. Breton, Les pas perdus, N.R.F., 1924, p. 8. (38) A. Breton, Manifeste, p. 9. (39) A. Breton, Manifeste, p. 12. (40) A. Breton, Poisson Soluble, testo n. 1, p. 77. Una poesia di Clair de terre (1923) aveva già il titolo: « Tout paradis n'est pas perdu ».

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(41) A. Breton, Manifeste, p. 30. (42) Entretiens, p. 220. Questa frase, che Gide lesse a Breton, gll sembrò « abbastanza contestabile». (43) Bossuet, Méditations sur l'Evangile, Premier jour ».

«

Sermon sur la Montagne,

(44) A. Breton, Le revolver à cheveux blancs, « Les Cahiers Libres », 1932. « Il n'y a pas a sortir de là », p. 56. Questa poesia era glà apparsa In Clair de terre (1923). (45) Poisson Soluble, testo n. "11, p. rn9. (46) lbid., testo n. 26, p. 153. (47) (48) (49) (50) (51)

lbid., testo n. 26, p. 157. lbid., testo n. 28, p. 163. lbid., testo n. 18, p. 129. Poisson Soluble, testo n. 32, p. 180. A. Breton, Les Pas perdus, p. 7. (52) « Ci sono ancora dei mezzani che parlano con una serietà veramente papaie della loro partenza » (Traité du style, p. 81) ; « I furbi che spalancano gli occhi quando pronunciano la parola awentura » (ibid., p. 82); « ... l'evasione. Dolce prospettiva, sempre meno drammatica, a misura che si generalizza e diventa più idiota » (ibid., p. 82). (53) « Le corset mystère », in Le Revolver à cheveux blancs, « Cahiers Libres », 1932, p. 31 (Il poema, qui ripreso, è molto anteriore ed era apparso, nel 1919, in Mont de Piété, Sans Parei I). (54) Breton, Nadja Paris, 1928, p. 31. (55) Breton, ibid., p. 165. (56) Così, sulla piazza Dauphine: « E', senza timore di sbagliare, il sesso di Parigi che si profila sotto queste ombre. Il suo vello brucia ancora, qualche volta in un anno, per il supplizio dei Templari che vi fu consumato il 13 marzo 1313, e che, secondo alcuni, pare sia restato a lungo nel destino rivoluzionario della città ». • Le Pont-Neuf •, in La clé des champs, p. 232. (57) lbid., p. 230. (58) Breton, Les Pas perdus, p. 12. (59) Breton, Entretiens, p. 10. (60) « Ci sono dei vini il cui gusto non è cattivo, ma che sono in un certo senso leggeri. Il palato non li sente. Fuggono. Non ne resta alcun ricordo. Questo non è il caso del vino di Certa: caldo, robusto, generoso e veramente gagliardo • (Aragon, Le paysan de Paris, Paris, 1926, p.95). Cfr.: • Questa zuppa, vero pancotto con cipolle, veniva servita bollente ... sotto uno strato, spesso e compatto, di gruviera e parmigiano. Era una zuppa gratinata, di color giallo oro ... » (Léon Daudet, Paris vécu, I serie, Paris, 1929). (61) Le paysan de Paris, p. 49. « Ho morso per un intero anno capelli di felce ... » ecc. (62) « Voi avete incontrato queste donne pazze di cui le prime del NordSud verso le cinque. Quante volte al dito della viaggiatrice avete notato una fede? Eppure nulla, nulla ella cercava se non questo passeggero

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sregolamento dei sensi. Il cielo umano ha i suoi lampi che non si possono seguire con lo sguardo •· lbid., pp. 64-65. (63) • O mia cara immagine di ossa, eccomi: che tutto si decomponga nel palazzo delle illusioni e del silenzio. La donna sposa docilmente le mie volontà, e le previene ... • lbid., p. 130. (64) A. Breton, Nadja, p. 38. (65) Traité du style, pp. 188-189. (66) G. Hugnet, Introduzione alla Petite Anthologie poétique du Surréalisme, pp. 18-19. (67) J. Paulhan, Les fleurs de tarbes, Paris, 1941, pp. 38-39. (68) A. Breton, L'amour fou, Paris, 1937, da p. 149 a p. 166. (69) A. Breton, Manifeste, pp. 31-32 (e Entrée des Médiums). (70) A. Breton, Manifeste, pp. 35-36. (71) L. Aragon, Une vague de reves, pubblicato in • Commerce » n. 2 (1924-25). (72) A. Breton, Entrée des médiums, in • Littérature » (ripreso in Les pas perdus, da p. 147 a p. 158). (73) A. Breton, Les pas perdus, pp. 152-153. (74) lbid., p. 156. (75) lbid., p. 158. (76) A. Breton, Entretiens, p. 84 (77) Entretiens, p. 90. (78) M. Nadeau, Histoire du Surréalisme, Paris, 1945, p. 91. (79) C. Bernard, lntroduction à l'étude de la médicine expérimentale, parte I, cap. I, parag. 5. (80) A. Breton, Entretiens, p. 75. (81) A. Breton, « Le message automatique », in Point du jour, Paris, 1934, pp. 217-251. (82) A. Breton ha riprodotto parecchi di questi dise~ni in « Minotaure », pp. 3-4. (83) A. Breton, Entretiens, p. 79. (84) A. Breton, Point du jour, p. 219. (85} lbid., p. 220. (86} A. BreJon, Entretiens, p. 83. (87) A. Breton, Nadja, Paris, 1928, pp. 36-37. « Chi non ha visto la sua matita posarsi sul foglio senza la minima esitazione, con prodigiosa rapidità e le sue stupefacenti equazioni poetiche ... non può concepire quello che tutto ciò comportava allora, e l'assoluto valore d'oracolo assunto dalla cosa». (88) Baudelaire, L'invitation au voyage, in « Les Fleurs du Mal ». (89) A. Breton, Point du jour, p. 237. (90) L. Aragon, Traité du style, p. 208: « Solo significato della parola Al di là, tu sei nella poesia ... •. (91) A. Breton, Devant le rideau, Introduzione a « Le surréalisme en 1947 •

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(presentazione dell'Esposizione internazionale del surrealismo, Maeght), testo ripreso in La clé des champs, p. 94. (92) lbid., p. 95. (93) Cfr. Les pas perdus, p. 158. (94) A. Breton, Point du jour, p. 246. (95) A. Breton, Entretiens, p. 82. (96) A. Breton, Point du jour, p. 217. (97) lbid., p. 241. (98) lbid., p. 244. (99) A. Breton, Entretiens, p. 82. (100) Citando e approvando il prof. Lipps, Breton dichiara: « L'ipnosi non è che la ragione negativa dei talenti che si manifestano sotto la sua influenza; la loro fonte reale si trova in tendenze, facoltà o disposizioni preesistenti ma ostacolate ... l'ipnosi si limita a liberarle ». E la scrittura automatica sembra realizzare e un mezzo sicuro per favorire lo sviluppo delle facoltà psichiche, e particolarmente del talento artistico » (Point du jour, pp. 242-243). ( 101) A. Breton, Entretiens, p. 1O. (102) A. Breton, Entretiens, p. 11. (103) lbid., p. 12. (104) Poema pubblicato in Phalange, 1914, e ripreso in Mont-de Piété. (105) L'amour fou, p. 170. (106) L. Aragon, Traité du style, pp. 60-61. (107) A. Breton, Manifeste, p. 24. (108) A. Breton, Manifeste, p. 18. (109) lbid., pp. 12 sgg. (110) lbid., p. 14. (111) A. Breton, L'amour fou, p. 14. Cfr. il poema« Foret Noire » in Montde Piété. (112) A. Breton, L'amour fou, p. 12. (113) lbid., p. 13. (114) Anche il Dìscours de la Méthode di Descartes si proponeva di universalizzare una scienza che assicurasse all'uomo un dominio (nel caso di Descartes, il dominio tecnico della Natura). (115) Manifeste, p. 42. (116) J. Monnerot, La poésie moderne et le sacré, Paris, 1945, pp. 41 e 42. (117) « Credo alla futura risoluzione di questi due stati, in apparenza cosi contraddittori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà », Breton, Manifeste, pp. 23-24. (118) J. Monnerot, La poésie moderne et le sacré, pp. 17-18. (119) J. Monnerot, ibid., p. 16. (120) A. Breton, Point du jour, p. 124. (121) Poesia in Mont-de Piété (1913) citato in Entretiens, p. 8.

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(122) T. Tzara, Essai sur la situation de la poésie in « Le surréalisme au servlce da la Révolution », n. 4, dic. 1931. (123) Cfr. • Littérature », marzo 1921 e Breton, Entretiens, p. 66. (124) P. Bénichou, Morales du Grand Siècle, Paris, 1948. (125) Manifeste, pp. 43-44. (126) Manifeste, p. 42. (127) A. Breton, Point du jour, p. 240. (128) M. Carrouges, André Breton et Ies données fondamentales du surréalisme, Paris, 1950, p. 10. (129) A. Breton, Plutot la vie, poesia in « Clair de terre », ripresa in • Le Revolver à cheveux blancs, p. 67. (130) A. Breton, Position politique du Surréalisme, Paris, 1930, p. 24. (131) Manifeste, cit., p. 10. (132) Risposta a Ouvrez-vous?, in • Médium », novembre 1953, p. 12. (133) Les pas perdus, p. 10. (134) A. Breton, Second manifeste du Surréalisme, Paris, 1930, p. 24. (135) lbid., p. 19. (136) Il metodo di Hegel, dice Breton, « ha impoverito tutti gli altri. Per me, dove non funziona la dialettica hegeliana, non c'è pensiero nè speranza di verità ». (Entretiens, p. 152). (137) J. Hyppolite, Logique et existence, Paris, 1953, pp. 70-71 (Le frasi in corsivo sono di Hegel). (138) Poesia ripresa in • Le revolver à cheveux blancs », p. 65. (139) Rendez-vous, poesia di « Clair de terre » ripresa in • Le revolver à cheveux blancs », p. 54. (140) Baudelaire, lnvitation au voyage in « Le Fleurs du mal ». (141) Manifeste, cit., p. 63. Cfr. « Questa patria perduta della libertà mentale in cui potevamo, fanciulli, errare, giocare ... ». André e Marce! Jean, • Mourir pour la patrie », in « Le surréalisme au service de la Révolution », n. 6, p. 47. (142) Manifeste, cit., p. 7. (143) lbid., p. 8. (144) «Medium», nuova serie n. 1, novembre 1953, p. 16.

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la rivolta e la rivoluzione

( 1) A. Camus, L'homme révolté, Paris, 1951, pp. 118-119. (2) lbid .. p. 120. (3) lbid., p. 122. (4) E. Gengenbach, Surréalisme et christianisme, Gengenbach, 1938, p. 14. (5) C. Mauriac, André Breton, Editions de Flore, 1949, p. 160. (6) C. Mauriac, cit., p. 162. (7) A la niche des glapisseurs de Dieu, Editions surréalistes, 1948, p. 13. (8) C. Mauriac, cit., p. 162. (9) M. Carrouges, La mystique du Surhomme, Paris, 1948, p. 34. (10) Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra (trad. frane. di Betz), p. 258. (11) M. Carrouges, La mistique du Surhomme, cit., p. 34. (12) M. Carrouges, André Breton et les données fondamentales du surréalisme, Paris, 1950, p. 39. (13) Chiamo qui e umanismo » ciò che Gabriel Rey nomina « super-umanismo ». Dire che « ogni cosa è immanente all'uomo, che tutto può essergli integrato, la Natura e lo Spirito, il naturale e il soprannaturale, il reale e il surreale», significa in effetti, per Rey, essere • superumanista. (cfr. G. Rey, Humanisme et surhumanisme, l-lachette, 1951, p. 255). E' un problema di lessico. Forse Rey non insiste abbastanza sulla lucidità critica del surrealismo, che questa opera tenterà di mettere in luce. (14) A. Breton, L'amour fou, p .108. (15) A. Breton, Point du jour, p. 84. [16) A. Breton, Arcane 17, New-York, 1945, p. 11.

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(17) lbld., p. 175. (18) J. Gracq, André Breton, Paris, 1948, da p. 39 a p. 41. (19) V. Craste, André Breton, Arcanes 1952, p. 43. (20) A. Breton, Manifeste, p. 44. Sull'influenza, sempre considerevole, di Vachè sul surrealismo, cfr. per esempio, in « Medium », n. 3 (maggio 1954), p. 37, l'articolo di Jean Schuster: « Tout de mème, tout de mème! ». (21) J. Gracq, cit., p. 31. Anche J. L. Bédouin pensa che « fondamentalmente Vaché non è lontano da Breton • (J. L. Bédouin, André Breton, Parla, 1950, p. 51). Personalmente sono di parere contrario. (22) A. Breton, Second Manifeste, cit., p. 12. (23) A. Breton, Les pas perdus, pp. 67-72. (24) A. Breton, Les pas perdus, p. 9. (25) A. Breton, Les pas perdus, p. 8. {26) A. Breton, les pas perdus, p. 24. (27) la Révolution surréaliste, n. 1, I dicembre 1924. (28) 11 testo di questa dichiarazione si trova in Nadeau, Histoire du surréalisme, pp. 104-105 e Documents surréalistes, pp. 42-43. ( (29) la Révolutlon surréallste, n. 3, 15 aprile 1925. (30) A. Breton, « Pourquoi je prenda la direction de la Révolution surréaliste •, La Révolution surréaliste, n. 4, luglio 1925. (31) Aragon, Estratti di una conferenza citata in La Révolution surréaliste, n. 4. (32) Dialogo tra A. Breton e Aimé Patri, in « Arts •, 16 novembre 1951. (33) Questo testo si trova in Pierre Naville. la Révolution et les intellectuels, Parìs, 1927, pp. 98-99. Naville non indica i firmatari: questi sono menzionati, in un estratto del testo citato da Nadeau in Histoire du Surréalisme, cit. li testo è stato comunicato a Nadeau da Raymond Oueneau. (34) R. Crevel, L'esprit contre la raison, « Cahiers du Sud », 1928. (35) A. Breton, Entretlens, p. 91. (36) lbid., p. 92. (37) A. Breton, Entretiens, p. 93. (38) lbld., p. 93. (39) A. Breton, L'amour fou, p. 108. (40) Vedere per esempio Michel Lelris, L'ige d'homme, Paris, 1939 e l'inizio di Aurol'll, Paris, 1946. L'estratto di L'ige d'homme citato da Nadeau (Hlstoire du surréalisme, pp. 305-306) è su questo punto particolarmente significativo. (41) A. Breton, Anthologie de l'humour noir, Paris, 1950, p. 31. (42) A. Breton, Les pas perdus, p. 83. (43) A. Breton, Anthologie de l'humour noir, pp 141-142. (44) A. Breton, Polsson Soluble, p. 85. (45) lbid, p. 77. 1

(46) lbld., p. 83.

(47) A. Breton, Posltion politlque du surréalisme, cit., p 97.

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(48) Cfr. « Arts •, 16 novembre 1951. (49) lbid. (50) A. Breton, Arcane 17, p. 25. (51) lbid., p. 22. Cfr. « La claire tour,. (in La clé des champs, pp. 271-274), dove si trova un elogio incondizionato dell'anarchia. (52) I due numeri sono del 1925. (53) Cfr. Point du jour, p. 218. (54) Cfr., « Visite à Léon Trotsky », in Breton, La clé des champs, p. 42. (55) A. Breton, Ode à Charles Fourier, Paris, 1947. (56) A Breton, Arcane 17, p. 23. (57) A. Breton, Manifeste, cit., p. 9. (58) Rupture inaugurale, Editions surréalistes, Paris, giugno 1947, pp. 8 e 9. Questo stralcio è di Henri Pastoureau: cfr. « Pour une offensive de grand style contre la civilisation chrétienne », in Le surréalisme en 1947, p. 81. (59) La révolution surréaliste, n. 5, 15 ottobre, 1925. Questo manifesto è stato redatto in occasione della guerra del Marocco. (60) Oltre ai membri di questi gruppi, avevano firmato il testo Hermann Closson, Henri Jeansons, Pierre de Massot, Raymond Queneau e Georges Ribemont-Dessaignes. (61) Pierre Naville, La révolution et !es lntellectuels, p. 145. (62) Questi testi pubblicati nel numero 3 della Révolution surréaliste, sono ripresi nei Documents surréalistes di Nadeau, pp. 31-34. (63) A. Breton, Légitime défense, in La Révolution surréaliste, n. 8, 1 dicembre 1926. (64) Maximilien Rubel, lntroduc1ion à l'Ethique marxienne, in Karl Marx, Pages choisies pour un èthique socialiste, Paris, 1948, p. XLIV. (65) Cfr. il « Discours au congrés des écrivains », giugno 1935, in Position politique du surréalisme, pp. 83-97. (66) Cfr. Dionys Mascolo, Le Communisme, Paris, 1953, pp. 230-235, e Breton, • A la bonne heure », in Medium, novembre, 1953, p. 2. (67) A. Breton, Position politique du surréalisme, p. 11. (68) lbid., pp. 115-118. (69) Cfr. La clé des champs, p. 267. (70) lbid., p. 268. (71) lbid., p. 269. (72) lbid., p. 271. (73) A. Breton, Posltion politique du surréalisme, cit., p. 34. (74) lbid., p. 92. (75) lbid., p. 93. (76) lbid., pp. 23-24. Su questo problema cfr. Gaetan Picon, L'ecrivain et son ombre, Paris, 1953, pp. 143 sgg. (77) lbid., p. 31. (78) A. Breton, Positlon politique du surréalisme, p. 53.

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(79) (80) (81) (82) (83) p. 31 (84)

J.-L. Bédouln, André Breton, Seghers, 1950, p. 31. lbld., p. 29. Descartes, Les passions de l'ame, art. 47. Descartes, Lettre à Balzac del 15 aprile 1631. A. Breton, lntroduction au discours sur le )Jeu de réalité, Paris, 1927, (Ripreso in Point du jour, p. 25). lbld., p. 32 (e in Point du jour, p. 26).

(85) A. Rimbaud, Une saison en enfer. (86) La révolution surréaliste, n. 4, 15 luglio 1925. (87) lntellectio enim proprie mentis passio est (Descartes a Regius, maggio 1941). (88) A. Breton, lntroduction au discours sur le peu de réalité, pp. 34-35 (in Point du jour, p. 29). (89) A. Breton, Poisson Soluble, pp. 100-101. (90) G. Bachelard, L'eau et le reves, Paris, 1942, p. 203. (91) A. Breton, Poisson Soluble, pp. 77-83. (92) S. Dalì, « De la beauté terrifiante et comestible de l'architecture modern's style » in Minotaure, numeri 3-4 (1933). (93) Cfr., per esempio, S. Dalì, La conquete de l'irrationel, Editions surréaliste, Paris, 1935, tavola 8. (94) Cfr. la riproduzione di questi oggetti, in Dictionnaire abrégé du surréalisme, Galerie des Beaux-Arts, 1938, pp. 12-13 e 28. (95) A. Breton, Les pas perdus, pp. 197-198. (96) Cfr., per esempio, A. Breton, Nadja, p. 116. (97) A. Breton, Position politique du surréalisme, p. 125. (98) lbid., p. 138. (99) A. Breton, lntroduction au discours sur le peu de réalité, pp. 27-28, e in Point du jour, p. 22. (100) André Breton, Anthologie de l'humour noir, Paris, 1950, pp. 189 e sgg. (101) (102) (103) Paris, (104) (105) (106) (107) (108) (109) (110) (111) (112)

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lbid., p. 241. lbid., pp. 319-320. A. Breton e P. Eluard, L'lmmaculée conception, Editions surréalistes, 1930, pp. 27-67. lbid., p! 30. lbid., p. 28. A. Breton, Entretiens, p. 30. Cfr. Point du jour, p. 70. J. Gracq, Au chàteau d'Argo!, Paris, senza data, p. 10. A. Breton, Nadja, prime pagine. A. Breton, Anthologie de l'humour noir, p. 14. lbid., p. 9. Dictionnaire abrégé du surréalisme, p. 14. Cfr. questo testo in Anthologie de l'humour noir, pp. 109-111.

(113) lbid., Jonathan Swift, Modeste proposition, pp.22-27. (114) lbid., Alphonse Allais, Plaisir d'été, pp. 183-187. (115) J. Gracq, André Breton, p. 84. La frase citata e discussa da Gracq è di Jules Monnerot, La poésie moderne e le sacré, p. 95. (116) A. Breton, « Picasso dans son élément •, in Point du jour, p. 197.

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l'attesa e l'interpretazione dei segni

(1) A. Breton, L'amour fou, pp. 122-123. (2) R. Char, « La action de la justice est éteinte », in Le marteau sans maitre, Paris, 1945, p. 27. (3) P. Eluard, L'amour, la poésie, Paris 1929, p. 12. (4) Sarane Aléxandrian vuole trovare «l'estasi» nell'unione con la donna, in quello che chiama « l'abbam:lono carnale D, (Cfr. « Amour révolte et poésie •, in Le Surréalisme en 1947, p. 101) Ma egli parla, forse senza logica, del « viso che promette l'infinito D di colei che ama. Ama dunque questo viso o l'infinito che promette? (5) L. Aragon, Le paysan de Paris, p. 157. (6) lbid., pp. 209-211. (7) L. Aragon, lbid., p. 214. (8) P. Eluard, Capitale de la douleur, p. 55. (9) lbid., p. 140. (10) P. Eluard, Les yeux fertiles, G.L.M., 1936, p. 69. (11) P. Eluard, Capitale de la douleur, p. 143. (12) A. Breton, Nadja, pp. 210-211. (13) P. Eluard, Le meileur choix de poèmes est celui que l'on fait pour sai, Paris, 1947, pp. 11-12. (14) P. Eluard, « La dame de carreau ", in Les dessous d'une vie ou la pyramide humaine, 1919-1926, ripreso in Donner à voir, Paris, 1939, p. 12. (15) A. Breton, e Enquète sur l'amour •, in La Revolution surréaliste, n. 12, 15 dicembre 1929.

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(16) lbld. (17) Cosl la risposta di Eluard: « La speranza di amare sempre, qualunque cosa succeda all'essere amato•, ibid., p. 71. (18) Testo della seconda edizione di Arcane 17, ripreso in Entretiens, p. 140. (19) A. Breton, L'amour fou, pp. 134-135. (20) Cfr. Entretiens, p. 140. (21) A. Breton, L'amour fou, p. 135. (22) ldib., p. 112. (23) lbid., p. 172. (24) lbid., p. 171. (25) lbid., p. 9. (26) lbid., p. 11. (27) lbid., p. 12. (28) A. Breton, Arcane 17, p. 41. Nel numero 4 (gennaio 1955) di Médium, Breton ci parla « della necessità di ricostituzione dell'Androgino primordiale » (p. 4). (29) lbid., p. 35. (30) P. Eluard, Les yeux fertiles, p. 57. (31) R. Nelli, L'amour et les mythes du coeur, Hachette, 1952, p. 140. (32) lbid., p. 144. (33) lbid., p. 145. (34) P. Eluard, Les yeux fertiles, p. 70. (35) A. Breton, Arcane 17, p. 96. (36) lbid., p. 72. (37) lbid., p. 80. (38) lbid., p. 135. (39) lbid., p. 40. (40) lbid., p. 1_38. (41) lbid., p. 92. (42) lbid., p. 96. (43) A. Breton, Nadja, p. 190. (44) P. Eluàrd, Les yeux fertiles, p. 75. (45) A. Breton, Point du jour, p. 75. (46) R. Desnos, Corps et Biens, Paris, 1930, p. 99. (47) lbid., p. 101. (48) A. Breton, Arcane 17, p. 176. Cfr. lbid., p. 83. (49) C. Baudelaire, • lnvitation au voyage » in Les Fleurs du mal. (50) A. Breton, Nadja, pp. 7-8. (51) « Toute ma vie t'écoute ». P. Eluard, Capitale de la douleur, p. 140. (52) A. Breton, Point du jour, p. 90. (53) lbid., p. 69.

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(54) A. Breton: • Avis au lecteur • per La femme 100 tètes di Max Ernst, ripreso in Point du jour, pp. 82-83. (55) A. Breton, Manifeste, p. 65. (56) G. Hugnet, Petite anthologie poétique du surréallsme, p. 151. (57) lbid., pp. 153-155. (58) Variétés, Bruxelles, giugno 1929, p. 10. (59) A. Breton e Ph. Soupault, Les champs magnétiques, Au Sans Pareli, 1921, • Barrieres ». (60) L. Aragon, La peinture au défi, Paris, 1930, p. 22. (61) lbid., p. 1B. (62) lbid., pp. 14-15. (63) Questo • anonimato poetico •, come dice Hugnet, è particolarmente ricercato in Ralentir travaux (Edltlons Surréalistes, 1930), raccolta di poesie scritte in collaborazione da Breton, Char e Eluard. (64) A. Breton, Les pas perdus, p. 246. (65) Dictionnalre abrégé du surréalisme, p. 9. (66) E.L.T. Mesens, « A tort ou à raison •, in La femme complète (fuori commercio), 1933. (67) Cfr. Polin, La créatlon des valeurs, Paris, 1946. (68) A. Breton, Nadja, p. 20. (69) lbid., p. 22. (70) lbid., p. 25. (71) ibid., p. 215. (72) lbid., p. 107. (731 lbid., pp. 115-116. (74) Minotaure, nn. 3-4, 1933, p. 102. (75) J. Bousquet, La tisane de sarments, Paris, 1936, pp. 46-68. (76) A. Breton, Nadja, p. 24. (77) lbid., p. 23. (7B) lbid. (79) A. Breton, L'amour fou, p. 5B. (BO) lbid., p. 59. (81) lbid., pp. 60-61. (82) M. Carrouges, A. Breton et les donnés fondamentales du surréalisme, pp. 64 e sgg. (83) A. Breton, Second Manifeste, p. 68. (84) lbid., p. 71. (85) lbid., p. 69. (86) lbid., p. 10. (87) M. Carrouges, A. Breton et les donnés fondamentales du surréalisme, p. 24. (88) lbid., p. 20. (89) lbid., p. 30.

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(90) lbld., p. 24. (91) A. Breton, L'amour fou, p. 171. (92) lbid., p. 129. Cfr. Les vases communicants, p. 109; Entretiens, p. 136. (93) Minotaure (3-4). "Enquète », p. 101. (94) A. Breton, L'amour fou, p. 48. (95) lbid., p. 41. (96) A. Breton, Nadja, p. 33. (97) lbid., p. 56. (98) lbid., p. 108. (99) lbid., p. 113. (100) lbid., p. 148. (101) A. Breton, Les pas perdus, p. 12. (102) M. Carrouges, op. cit., p. 61. (103) Cfr., Nadja, pp. 178 e sgg.; Point du jour, pp. 115 e sgg., ecc. (104) Cfr. il testo dell'inchiesta sull'amore ripreso in Entretiens, p. 139. « Credete alla vittoria dell'amore meraviglioso sulla vita sordida o della vita sordida sull'amore meraviglioso? ». (105) P.-0. Lapie, « L'insurrection surréaliste », Cahiers du Sud, gennaio, 1935, p. 53. (106) A. Breton, Les vases communicants, Paris, 1932, pp. 101-102. (107) Cfr. M. Carrouges, La mystique du surhomme, Paris, 1948, Introduzione. (108) H. Pastoureau, « Pour une offensive de grand style contre la civilisation chrétienne », in Le surréalisme en 1947, pp. 78 e sgg. (109) H. Pastoureau, « Sade, précurseur d'une Weltanschauung de l'ambivalence », in Almanach surréaliste du demi-siècle, La Nef, 1950, pp. 39 e sgg. (110) R. Char, Introduzione alla Traduction d'Héraclite d'Ephèse di Yves Battistini, Cahiers d'Art, 1948, pp. 12-13. (111) P. Berger, René Char, Seghers, 1951, p. 11. (112) Racine, Bajazet, atto li, scena I. (113) Jean Racine, Hymmes traduites du bréviare romain, « Le lundi à Laudes ». (114) Cfr. « çorrespondance ", La révolution surréaliste, 1 dicembre 1926, p. 26. (115) B. Péret, « Tete à gifles », in De derrière les fagots, Editions surréalistes, 1934, p. 17. (116) E. Maynial, Anthologie des poétes du XIX siècle, Hachette, p. 268. (117) Etiemble, Le mythe de Rimbaud, voli. 3 (di cui uno da pubblicare). Paris. (118) A. Rimbaud, Une saison en enfer, « Délires », 1. (119) Cfr. Entretiens, p. 261. (120) J. Monnerot, La poésie moderne et le sacré, pp, 78 e sgg. (121) A. Breton, Arcane 17, pp. 153-154.

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(122) A. Breton, Position politique du surréalisme, p. 13. (123) Situation du surréalisme entre !es deux guerres. Cfr. In La clé dea champs, pp. 72-73. Cfr. l'opinione diversa di Georges Batallle In " L'absence de mythe », Le surréalisme en 1947, p. 65. (124) Cfr. Breton, les vases communicants, pp. 33-73 (125) lbid., p. 63. (126) lbid., p. 128. (127) (128) (129) (130)

A. Breton, Arcane 17, p. 152. A. Breton, La clé des champs, p. 62. lbid., p. 67. A. Breton, L'amour fou, p. 117.

(131) A. Breton, Nadja, p. 74. (132) A. Breton, Point du jour, p. 40. (133) M. Raymond, De Baudelaire au surréalisme, Paris, 1940, p. 12. (134) M. Raymond, op. cit., p. 15. (135) A. Breton, l'amour fou, p. 75. (136) « Certe parole determinano delle rappresentazioni che superano la rappresentazione fisica. Le Buttes-Chaumont facevano nascere in noi un miraggio ... Ogni oscurità si dileguava per una speranza immensa e ingenua», Aragon, Le paysan de Paris, p. 165. (137) Quadro riprodotto, ad esempio, in Hugnet, Anthologie, p. 97. (138) R. Greve[, Babylone, Paris, 1927; testo citato in Hugnet, ibid., p. 67. (139) A. Breton, Arcane 17, pp. 55-56 (Preciso che non considero, come Breton, le rivelazioni del trasformismo come verità stabilite). (140) A. Breton, Nadja, p. 150.

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!'Immaginazione

(1) P. Eluard, Donner à voir, Paris, 1939, p. 81. (2) A. Breton, Second Manifeste, p. 9. (3) A. Breton, La clé des champs, p. 71. (41 A. Breton, Point du jour, p. 90. (5) Ibidem, p.250. (6) A. Breton, L'amour fou, p. 40. (7) A. Breton, Les vases communicants, p. 102. (8) lbid., p. 122. (9) lbid., p. 99. (10) P. Eluard, Donner à voir, pp. 79-80. (11) lbid., p. 81. (12) li testo esatto di Breton è: • L'immaginario è ciò che tende a diventare reale•. (13) J. Hérold, « L'oeuf obéissant, l'oeuf désobéissant • in Le surréallsme en 1947, p. 86. (14) Cfr. A. Breton • Génèse et perspective artlstiques du surréalisme •, 1941, in Le surréalisme et la peinture, Brentano's, 1946, p. 79; e C. Mauriac, André Breton, p. 213. (15) lbid., citato in Yves Tanguy, Pierre Matisse, New-York, 1946, p. 30. Ctr. Eluard, • tout éxiste, tout est visible •• in La rose publlque, Parla, 1934, p. 68.

(16) A. Breton, • li y aura une fois •, in Le Revolver à cheveux blanc1, p. 11.

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(17) A. Breton, Manifeste, p. 58. (18) A. Breton, Les vases communicants, p. 50. (19) A. Breton, Manifeste, p. 35. (20) Cosl nel suo Vocabulaire de psychologie, Dugas cita, come tipo di Immagine auditiva, le voci di Giovanni d'Arco; come tipo di immagine visiva: le visioni di Giovanna d'Arco; come tipo di immagine gustativa; il gusto d'arsenico che Flaubert ebbe in bocca per parecchi giorni, dopo avere descritto l'awelenamento di Emma Bovary; come tipo di immagine olfattiva: l'odore di zolfo dei dannati che sentiva Ignazio di Loyola quando pensava all'inferno; come tipo di immagine tattile: l'esempio, citato da Malebranche, di una serva che, vedendo sanguinare il piede del suo padrone, « sentì un dolore così acuto allo stesso punto che fu obbligata a stare a letto tre o quattro giorni di seguito ». Per Dugas, l'immagine ha un carattere essenzialmente « allucinatorio». (Cfr. L. Dugas, Vocabulaire de psychologie, Hachette, p. 69). (21) A. Breton, Introduzione ai « contes bizarres », di Achim d'Arnim, citata in Point du jour, pp. 167-169. (22) lbid. (23) A. Breton, Les vases communicants, p. 130. (24) lbid., pp. 123-124. (25) A. Breton, Les vases communicants, pp. 123-129. (26) A. Breton, Point du jour, pp. 250-251. (27) Ibidem, p. 224. (28) S. Dali, La conquete de l'irrationel, Editions surréalistes, 1935, pp. 1215 (Abbiamo rispettato l'ortografia di Dalì per la parola irrazionalità). (29) A. Breton, « Le merveilleux contre le mystère », in La clé des champs, p. 11. (30) Su questa opposizione cfr. Yves Duplessis, Le surréalisme, « Oue sais-je? », Paris, 1950, p. 52. (31) A. Breton, Point du jour, pp. 226-227. (32) S. Dalì, La conquete de l'irrationel, p. 17. (33) Citato da Breton, Point du jour, p. 219. (34) lbid., p. 171. (35) Cfr. R. Nelli, L'amour et les mythes du coeur, p. 140. (36) « Può darsi che la mia vita non sia che un'immagine di questo genere», Breto~ Nadja, p. 8. (37) Cfr. Eine verkéirperte Traumwelte. Cfr. C. Sénéchal « Le reve chez les romantiques », in Le rornantisrne allémand, numero speciale dei Chahiers du Sud, maggio-giugno 1937, pp. 86-88. (38) A. Béguin, Les romantiques allernands et l'inconscient, lbid., p. 96. (39) « L'immagine forte nasce dall'awicinamento spontaneo di due realtà distanti di cui soltanto lo spirito ha colto i rapporti » e « L'immagine è una creazione pura dello spirito», Pierre Reverdy, Le gant de crin, Pian, 1927, pp. 34 e 32. (40) A. Breton, Les vases comrnunicants, p. 129. (41) Cfr. A. Breton, Le revolver à cheveux blancs, p. 67.

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(42) Cfr. A. Breton, L'amour fou, p. 80. (43) A. Breton. Ou'est-ce que le surréalisme?, Henriquez, 1934. (44) J. Brun, " Le problème de la sensation et le surréalisme », in Le surréalisme en 1947, p. 89. (45) Sulla concezione del soggetto dell'immaginazione di M. Pradines, cfr. M. Pradines, Traité de psychologie général, P. U. F., I' e Il volume. (46) A. Breton, Position politique du surréalisme, p. 37. (47) lbid. (48) A. Breton, La clé des champs, p. 71. (49) A. Breton, Le surréalisme et la peinture, p. 94. (50) A. Breton, Manifeste, pp. 7-8. (51) A. Breton, Le surréalisme et la peinture, pp. 43-44. (52) A. Breton, La clé des champs (che riprende un testo di Point du jour), p. 78. (53) B. Péret, « La demie de onze Heures », in Au 125 du boulevard Saint-Germain, Littérature, 1923. (54) Note aggiunte da B. Péret al testo « Les parasites voyagent », in Mort aux vaches et au champs d'honneur. Testo citato, prima della pubplicazione, da Hugnet, Anthologie, pp. 121-122. (55) A. Breton, Second Manifeste, p. 23. (56) A. Breton, Manifeste, p. 9. (57) A. Breton, La clé des champs, p. 73. (58) A. Breton, Arcane 17, p. 29. (59) G. Picon, L'écrivain et son ombre, Paris, 1953, p. 124. (60) E. Bouvier, lnitiation à la lìttérature d'aujourd'hui, la Renaissance du Livre, 1927, pp. 198-200. (61) A. Breton, L'amour fou, p. 26. (62) A. Breton, Arcane 17, pp. 32-34. (63) G. de Nerval, Aurélia, 11, 6. (64)A. Breton, Entretiens, pp. 290-291. (65) A. Breton, Entretiens, p. 264. (66) lbid., p. 236. (67) « L'amore umano è da ricostruire, come il resto ». A. Breton, Les vases communicants, p. 13'7. (68) A. Breton, Entretiens, p. 298. (69) A. Breton, Position politique du surréalisme, p. 34. (70) lbid., p. 132. (71) E' in questo senso che Breton condanna ciò che egli chiama « l'errore di Mallarmé », diffida • delle combinazioni completamente esteriori, come la misura, il ritmo, le rime • (Position poli1ique du surréallame, pp. 136-137), nega che " l'emancipazione dello stile » possa "consistere In un lavoro di laboratorio condotto astrattamente sulle parole •, ed è lnte• ressato soltanto a quello che chiama • la sostanza» dell'opera (Polnt du jour, pp. 52-53).

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(72) (73) (74) (75) (76) (77)

A. Breton, Manifeste, p. 24. A. Breton, Arcane 17, pp. 24-25. J. Monnerot, La poésle moderne et le sacré, pp. 105-106. ldlb., p. 119. lbld., p. 123. A. Breton, Entretiens, p. 248. (78) A. Breton, Manifeste, pp. 19-22. (79) A. Breton, L'amour fou, p. 7. (80) A. Breton, Entretiens, p. 248. (81) lbid., p. 258. (82) V. Brauner, « Proclamation •, in Le surréalisme en 1947, p. 27. (83) L. Aragon, Le paysan de Paris, p. 143. (84) lbid., p. 192. (85) lbid., p. 193. (86) lbid., p. 208. (87) lbid., p. 218. (88) lbid., p. 231. (89) lbid., p .191. (90) L. Aragon, Le paysan de Paris, p. 212. (91) lbid., p. 217. (92) P. Eluard, L'amour, la poésie, p. 34. (93) G. Hugnet, La belle en dormant, Cahiers lìbres, 1933, cfr. Petite anthologie, p. 103. (94) A. Breton, L'union libre, (1931) anche in A. Breton, Poèmes, Paris, 1948, pp. 65-67. (95) J. Monnerot, La poésie moderne et le sacré, p. 168. (96) M. Ernst, • Comment on force l'inspiration », in Le surréalisme au service de la Révolution, n. 6, p. 45. (97) A. Breton, Point du jour, pp. 220-221. (98) A. Breton, Position politique du surréalisme, pp. 164-165. [99) La riproduzione di quest'opera si trova in Hugnet, Petite anthologie, p. 144. (100) A. Breton, Fata Morgana, Editions des Lettres Françaises BuenosAires 1942; ripteso in Poèmes, Paris, p. 186. (101) A. Breton, « Signe ascendant », in La clé des champs, p. 113. (102) lbid., p. 115. (103) lbid., p. 136. [104) A. Breton, Les vases communicants, pp. 85-86. (105) G. Rey, Humanisme et surhumanisme, pp. 253 e seg. (106) A. Breton, Entretiens, p. 266. (107) M. Nadeau, Histoire du surréalisme, p. 260: « Secondo questo pessimismo vitale, ... come sembrano irrisori l'uomo, il mondo, Dio, la vita e

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le molteplici soluzioni dell'uomo per liberarsi dall'incubo ». Guy Dupré ritiene che « il desiderio dell'eremita nero di Croisset: demoralizzare » è stato « completamente soddisfatto » e parla dei • poteri malefici • di Breton, che, d'altronde, egli ammira profondamente (v. « André Breton, le grand indésiderable » in Arts, 29 ottobre • 4 novembre 1953). Credo, al contrario, all'ottimismo surrealista. Ma non sono certo che l'ottimismo e la speranza riescano, nel surrealismo, a fondersi filosoficamente. (108) A. Breton, L'amour fou, p. 41. (109) A. Breton, Entretiens, p. 296. Contrapponendo in questo modo scienza e arte, Breton rinvia ad un articolo di Paalen, Le grand malentendu. (110) A. Breton, Les vases communicants, p. 164. (111) Così la mezza-maschera scoperta da Giacometti e Breton al mercato delle pulci. Cfr. Breton, L'amour fou, p. 44. (112) Così, in un oggetto di Giacometti, • una sfera di legno in cui è incisa una forma femminile è sospesa con una sottile corda di violino al di sotto di una mezzaluna di cui una punta sfiora la cavità. Lo spettatore istintivamente è spinto a far scivolare la sfera sulla punta, cosa che la lunghezza della corda gli consente solo parzialmente ». Le surréalisme au service de la révolution, n. 3, p. 17. Cfr., nello stesso numero, un catalogo di oggetti surrealisti e parecchi testi dedicati a questi oggetti. (« La cultura dello spirito, scrive Dalì, si identficherà con la cultura del desiderio»). E, alla fine del numero, le fotografie di oggetti costruiti da Giacometti, Valenti ne Hugo, André Breton, Gala Eluard, e Salvador Dalì. (113) C. Baudelaire, Les Fleurs du Mal, « Moesta et errabunda ».

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