Il surrealismo in filosofia: verso uninutile poesia?

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ISBN 978-88-6797-324-8 Copertina: Lorenzo Puliti Sviluppo ePub: Elisa Baglioni In copertina: Vladimir Kush, Butterfly Apple goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing Fateci avere i vostri commenti a: [email protected] Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: [email protected] L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani riprodotti nel presente volume. Seguici su [image “facebook” file=image/Facebook.png] facebook [image “facebook” file=image/Twitter.png] twitter [image “newsletter” file=image/newsletter.png] newsletter [image “ebookextra_fmt” file=image/flipboard.png] flipboard: goware [image “ebookextra_fmt” file=image/eboolextra_fmt.jpeg] blog Presentazione“Silenzio … rumore: e la filosofia cerca l’origine. La trova? Si perde. Dinnanzi alla ragione tutto appare ordinato, ma poi crolla. Comincia la poesia: e più che la realtà ci sembra quasi un surrealismo. La più importante considerazione surrealista della filosofia è il totale assoggettamento alla dimensione immaginifica. Ogni tipo di verità, tale in quanto tangibile, è trascesa a vantaggio della metafora. Ma questo non è certo un libro di filosofia! Nella filosofia contemporanea vale l’involucro e raramente si guarda al seme che c’è all’interno: questo seme è la poesia. Nessuno può mettere a tacere il pensiero, men che meno il pensiero stesso, perché se è vero che a Roma abbiamo incontrato il primo umanesimo, adesso è tempo di congedarlo verso un rinnovato surrealismo del pensiero: «solo i dettagli sono interessanti»”. (Thomas Mann) L’autore [image file=image/Leonardo_Caffo_di_Isabella_Pers.jpg] Ritratto di Isabella Pers Leonardo Caffo , PhD - filosofo, research fellow presso il

Labont: laboratorio di ontologia dell’Università degli studi di Torino, ha fondato e diretto le riviste “Animal Studies” e “Rivista Italiana di Filosofia Analitica Jr” – co-dirige la rivista “Animot: l’altra filosofia” . Tra i suoi libri, Il maiale non fa la rivoluzione (Sonda, 2013), Margini dell’umanità (Mimesis, 2014), Naturalism and Constructivism in Metaethics (Cambridge SP 2014), Il bosco interiore (Sonda, 2015) e A come Animale (Bompiani, 2015). Scrive per “Huffington-Post Italia” e con goWare dirige la collana “Noi Animali”, collabora con la rivista “e-mood” e ha pubblicato due libri tra cui, con Valentina Sonzogni, Un’arte per l’altro (2013), oggi tradotto in diverse lingue. Surrealismo e FilosofiaA Nino, tra le scarpe, e un sorriso da bambino Atto primoNelle belle toilette, tra boa di piume, mussole, aigrette, corsetti e strascichi Manlio Sgalambro 1Senz’altro questo è il primo tentativo surrealista in filosofia. S’è fatta arte surrealista seguendo precetti filosofici, ma mai il contrario. 2Procediamo ora ad una confusa sistematizzazione della filosofia che proponiamo. Confusa, ovviamente, per chi non conosce il pennello di André Breton e il teatro di Antonin Artaud. Della filosofia contemporanea conosciamo le scuole, le estrazioni, i preconcetti … talvolta i volti. Dicotomicamente divisa, da un lato pende la filosofia della ragione, dall’altro quella della poesia. La filosofia surrealista è senza storia: non si giustifica. Si presta in quanto concetto donato da uno verso un altro. 31924. Anno della pubblicazione del Manifesto surrealista (evviva). Automatismo psichico puro per mezzo del quale ci si propone di esprimere, o verbalmente, o per iscritto, o in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza d’ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori d’ogni preoccupazione estetica o morale. Se togliessimo la parola “morale” da questo pezzo del manifesto, senz’altro, avremmo un ottimo punto di partenza per la nostra filosofia. Sul funzionamento reale del pensiero si

può dire molto, coscienti che non diremmo praticamente niente di più di quanto è stato già detto. La prima mossa teorica del surrealismo è il risvolto di raso dei frac. Buone maniere contro le ottime maniere della macchina sociale: un luccicante miraggio di Proust, e del tempo perso a scrivere la Ricerca del tempo perduto. 4Ovunque vi sia solo ragione, matematizzazione della varietà esistenziale, non rimane nessuna speranza. Non vogliamo qui riproporre una disputa, quanto più alcuni pensieri interindividuali. Come potremmo rendere algebra il suicidio di Werther? Testare la giustizia del gesto attraverso l’utile? Lo schifo assalirebbe Goethe – al di là dello stupore che provò dinnanzi alla pianta famosissima in quel di Palermo. Lavando in un bagno gelido il razionalista possiamo salvare ciò che resta del suo sentimento. Vive per dovere il pensatore di ragione? Un ordine tassativo – master argument – che impone questa sofferenza? Ci si precipita verso la porta che si chiama via di fuga: la malattia che Kant chiama medicina è la messa in salvo della vita tramite i dettami della morale. [Cuccurucu Paloma – Like a Rolling Stone]. Appare come vana illusione la realtà tappezzeria descritta a suon di bacchetta e lavagna luminosa – ricordo un uomo grigio apparire nei miei sogni insieme al ricordo di mio nonno, del mio primo cadavere. Forse il filosofo della notte delle vacche nere roderà della sovranità illimitata: ma il mondo del servo è senza spirito. 5La più importante considerazione surrealista della filosofia è il totale assoggettamento alla dimensione immaginifica. Ogni tipo di verità, tale in quanto tangibile, è trascesa a vantaggio della metafora. Nella ricerca dell’immagine surreale ognuno cerca il suo pezzo di universo, ma nessuno ne farebbe mai un problema comune. Questa consapevolezza idiosincratica non nega la verità to court – e di certo il sale rimane cloruro di sodio anche senza l’angoscioso pullulare di libri ermeneutici. Ma nella vita mentale, che attraversa da Nord a Sud esperienze tristi e meste, altro non rimane che dire la propria. Sistemate le questioni in un’enorme enciclopedia rimane il bisogno del tempo per prepararsi a morire: una fisioterapia socratica che sostituisca alla pratica, la filosofia della pratica. 6C’è un quadro di Francis Picabia, avanguardista surrealista, che si chiama Balance. A guardarlo di straforo sembra la solita

merda d’artista: copri la puzza e il gioco è fatto. Ma facendo lo sforzo di una contemplazione più tenace e critica si può osservare il mistero della vita nelle cinque sfere attraversate dalle forme regolari che dovrebbero essere parti d’una bilancia. Se accumunato a Matisse e Picasso, questo quadro “semplice” e senza effetti apparenti, perde la sua completa originalità. L’etica del dipinto si fonda su una totale critica alla fondazione della metafisica dei costumi. Uno potrebbe dire che non vede che palle e, quand’anche per una particolare predisposizione artistica sarete attratti da Balance, non capirete quando sto per dirvi. Nella semplicità serena delle sue forme il dipinto suppone la necessità del candore; se fosse versi direbbe senz’altro: Come l’erba d’inverno invisibile nel campo coperto di neve l’airone bianco nella sua propria forma tiene celato il suo corpo (San Sho Doei) La necessità stessa di titolarsi, come una firma doppia nell’angolo destro, trapela il volto di una domanda ulteriore. Esiste un equilibrio? Possiamo realmente bilanciare gli epifenomeni esistenziali? Le parole, inafferrabili frecce denotative, sono misurabili come un chilo di pasta asciutta? L’economia di scambio di Picabia impone l’assoluto gesto artistico: il dare del fruitore, per nulla ricevere. Un affidarsi cieco alla linee tracciate in un chissà quando, da un chissà chi, verso un chissà dove. Sullo sfondo beige della bilancia che non c’è appare il viso cupo di Thoreau, e la sua casa libertaria sul lago ghiacciato di Walden. Come un gioiello a Concord proteggeva la libertà dagli equilibri e dai compromessi ed allora, anche in pittura, la proporzione di misura di Balance cede all’irregolarità della sfere che quasi diventano spirali di chiaro scuri e nessuno sfugge all’irregolarità, ritrovata incoerenza, della vita nella Via Lattea. Anche la natura è in questo quadro – il suo essere illuminata dall’umana interpretazione. Puoi vedere un cannone insanguinato come abc della società, ma il pendere della bilancia verso il movimento di una singola ape non lascerà spazio all’insondabile marcio dell’architettura umana. La psicanalisi è un mito tenuto vivo dall’industria dei divani.

(Woody Allen) Si discute e si ci impegna tutti a portare per il giorno dopo alcuni pezzettini di materiale da proiettare per vedere che cosa succederà. (Bruno Munari) Francis Picabia, Balance (1919) [image file=image/balance.jpg] 7Lo stato di polizia auspicato dal Comunismo sta alla salvezza dell’umano come questo libro sta al trattato di moda e costumi. L’etica del lavoro è l’ossimoro più sgradevole che sia stato partorito, lo scacco alla conoscenza umana della sua stessa Natura. Quando intrapresi la strada difficile del pensiero puro, rifiutando le offerte di lavori concreti, mi vidi dipingere come pazzo urlante di Edvard Munch. Pensando al soldo come oggetto di assoluta realizzazione l’animale umano ha dimenticato il suo statuto di vivente naturale. Aggirandosi come fantasmi incravattati per le città, i borghesi del popolo si fanno grandi eredi di coloro che furono e che più non sono. Meschini e miserabili producono l’inutile per potersi comprare l’inutile – rispettano il prossimo loro come sé stessi, porgono felici l’altra guancia, rispettano il padre e la madre, non scopano la donna dell’amico e corrono veloci verso una cassa di legno. (La prende in mogano? Si, la gradisco). 8Comandamento undici: onora il tuo buco del culo. 9Prodigatosi a fare del bene l’umano ha deciso, per ovvia esclusione, di lasciare delle zone grigie di male diffusamente sparso. Nel surrealismo che attraversiamo a tentoni, l’uomo del bene è un mangiadischi inceppato: prodotto di un fattore finito e dunque presto esaurito – «el camino es siempre mejor que la posada» (Cervantes) – caro cristiano che aspiri al cielo. Criticate pure il clochard avvinazzato che guercio vi osserva nelle grandi auto blu. Ne studierete le patologie, le forme ultime della sua dipendenza dall’alcol. E la vostra, che dipendenza è la vostra? Le vostre misere usanze da vacanza al mare e domenica allo stadio sono la normalizzazione del neoencefalo? Risiede forse nella pelle di visone appesa alle grucce la realtà dell’uomo? Osservando il clochard chiedetegli in prestito gli occhi, e se riuscite un pezzo di cuore. 10Nella filosofia contemporanea vale l’involucro, raramente si guarda al seme che c’è all’interno. Questo gusto orrido per

l’estetismo esagerato è tipico della società dello spettacolo. L’astuta mossa dell’analitica dei giorni nostri risiede nell’imbellettare l’assurdo: truccare smodatamente quattro concetti sputati, e cagarli fuori in delle ordinatissime slide (rigorosamente in inglese sgrammaticato). Una critica rigorosa a questo modo di procedere è presente già in Marcuse, ma trova il suo compimento solo nella contemplazione dei quadri surrealisti. Non è solo la forma di un sillogismo ordinato lo spettacolo del pensiero, anche le ballerine appena indossate da danzatrici newyorkesi si legano bene ad un’idea di intelletto. Dipanandosi nei meandri dell’adolescenza l’esistenza appare semplice, come un sillogismo appunto. Da premesse vere, seguono vere conclusioni. In fondo tutta la razionalità maniaca è un tentativo (maldestro) di ancoraggio alla fiaba: ciò che sapevamo fin da bambini … ben poco la vita adulta può aggiungere al tesoro infantile di scoperte. (Cesare Pavese, Feria d’Agosto) Si cresce realmente? Questa è la domanda della filosofia – parafrasata su vari livelli. Corrono a piedi scalzi sui verdi prati, i bambini di ogni colore, e gridano stupefatti la purezza dell’umano. L’età adulta è una rovina. Atto secondoInserisci una citazione, fa sempre molto effetto e a cena puoi dirlo agli amici. (Io, proprio io) 1Animale vuol dire massacro. Animalità vuol dire: what else? In tutte le creature alberga il mistero del creato, ed «in tutti i corpi, cioè da un elefante fino ad una formica; da un verme fino a Sadasiva (Sivopadhyaya). (BhGAS, v, 19; SSV, I, 1) Meditando su qualsiasi individuo animale, la filosofia surrealista, «grazie alla vuota Potenza, diventa vuoto: chi medita si identifica con il vuoto» (Vijnanabhairava, XVII). La definizione di animalità si riflette sulla paradossale struttura circolare che risulta dall’animale (umano) che la classifica. L’animale viene scisso in due elementi: il Mysterium, che definisce l’ignoto delle creature altre che diversamente da noi esperiscono il mondo, e lo Schifo che, per contrappasso, giudicano quello stesso ignoto concetto terribile.

2L’animalità è circolare, tuttavia, in un modo stranamente selettivo: istituisce una relazione fra essere e immaginare per cui, l’essere bestia istituisce la bestialità e questa, a sua volta, definisce l’essere della bestia. La storia di un termine, dice Agamben, coincide spesso con la storia delle sue traduzioni o del suo impiego nelle traduzioni, e non è forse un caso l’uso del termine animale che, in tutte le lingue, e con l’analisi che a tal proposito Jacques Derrida compie (L’animale che dunque sono), comprime ontologicamente l’infinita variabilità della vita in un’unica e mortificante parola aristotelica. 3La surrealista antispecista è una sfida ai disarmanti modi di difendere le bestie a cui possiamo assistere oggi. Intellettuali da strapazzo sognano di fare filosofia alle spalle della Tragedia, e qualche attivista spera che la rivoluzione per la vita che verrà passi dal piatto. Il problema fondamentale del voler cambiare una società che vive di morte animale dal suo interno è l’incostanza. Gli incostanti sbagliano logica e nel futuro commetteranno altri errori. (Yamamoto Tsunetomo, Hagakure, 1, 71) Tale mancanza si vede nel gesto di chi dice che tutto è male, ma poi sguazza dentro la piscina del dolore. L’unica salvezza degli animali è la morte. La nostra, la loro. 4Il libro segreto dei samurai da cui viene la citazione di Tsunetomo è una rara perla misconosciuta e profonda. Il filosofo surrealista è samurai – deve agire senza esitare, senza mostrare segni di stanchezza né il minimo scoraggiamento fino a missione compiuta (parafrasi di Ivi, 1, 29, corsivo mio). Ora, non è chiaro quale sia la missione: I tassisti sono proprio dei froci. Non ce n’è uno che si fermi agli incroci. (Michel Houellebecq, Le particelle elementari) 5La missione è la morte (marcita) del pensiero attraverso un suo ultimo atto di fatica immensa. L’esaurimento nervoso dell’umano concettualizzare. L’ancoraggio alla vita che stiamo potendo esperire è un’amarezza agitata dell’umanità che non riesce a sfuggire dai falsi confort delle città. L’inganno a cui non abbiamo resistito si chiama differenza. La verità, quella che potrebbe dar equilibrio al colpo di tacco surrealista, è solo questa: ognuno di noi è l’altro. Quel che vi era d’inebriante

nella natura sociale dell’umano, la società, istituzionalizzata a cazzotti, lo impiglia nei meandri del legale. Non fare questo e quello, per questa e quella punizione. La filosofia della scelta, critici della civiltà docet, è divenuta filosofia della professione. Tutta la zoé è stata scaricata sul bios – sulle specializzazioni della vita artificiale che ricoprono i piani alti del grattacielo crepuscolare di Max Horkheimer. Dai piani bassi di quello stesso grattacielo, in cui inizia il vero fondamento della miseria, dobbiamo ripartire: dall’animale in quanto animale e nulla di più. Prendendo coscienza che l’uomo, come diceva Carmelo Bene, non è nient’altro che tubo digerente comincia il sentiero che, massacrando a calci il pudore, conduce alla falsificazione della omnia vanitas ed alla verità. L’individuo è ormai appagato solo se adempie al compito che gli viene assegnato, pescando a caso, e che smuove dal letto ogni mattina fino alla morte: il lavoro. L’animale non ha la sveglia. Non viaggia sui treni, non compra vestiti (ma è vestito, come dice Derrida), e vive solo di quello che serve a vivere. In ogni rapporto a due zampe primeggia il fare, come risposta a tutte le inquietudini. Governo del fare, sapere fare… Altro che sapere aude, vecchio criticone di Königsberg. 6La cultura insegnata nelle società dell’animale cittadino è bieco servizio all’intelligenza senza dande. All’inizio e alla fine di uno starnuto, nella paura, nel dolore o davanti un precipizio, fuggendo da una battaglia, nell’eccitazione del desiderio, all’inizio e alla fine della fame, è presente l’essere del brahman. (Vijnanabhairava, XCII) Brahman è animalità – dove ivi è fondata la vita in ogni sua forma – dove qualsiasi archeologia del sacerdozio che testimonia delle cose ultime è possibile. La divulgazione odierna altro non è che conoscenza del tremendo – respinge nell’inganno e lì si resta per chissà quanto. In un enorme bordello, tra cognac e donne vendute, tra musica jazz e panetti di coca, albergano le verità nascose della società cattolica occidentale, o di quella orientale tendente al Nirvana. Bocca/fica …100 euro! 7Nella Genealogia della morale, il buon Nietzsche morto abbracciando un cavallo, dimentica completamente una critica

genealogica al concetto di “dovere”, sbilanciando tutto sulla coppia da telefilm: “bene-male”. Almeno il buon Kant, le cui Critiche Nietzsche avrebbe dovuto esplorare più approfonditamente, che il “dovere” fosse fondamento ultimo dell’etica moderna, se n’era accorto. Il dovere, che trasforma il contingente in necessario, è completamente battuto da un pensiero surrealista. 8Manlio Sgalambro, che non è solo il paroliere di Battiato, dice che alla compiutezza animale del Sé (che di nulla ha bisogno, come abbiamo discusso in precedenza), si contrappone l’autonomia dell’individuo/cittadino che insegue i propri bisogni. Nell’individuo (uomo sociale), sempre secondo il filosofo senza laurea, giace un autocompiacimento per i processi accumulazione, produzione, e consumo. La vita umana è un metallo prezioso, che il cittadino ha rinchiuso in un forziere sepolto nella profondità degli oceani lontani. Anche la cognizione del dolore è vincolata alla brutalità della routine – e si pensi a come René Magritte, maestro del surrealismo, riuscisse a comunicare attraverso immagini quanto stiamo dicendo. In Les amants (1928), il poeta belga, simboleggia tutta la brutalità effimera dell’amore sociale. Apparentemente persi in un bacio profondo, i due amanti giacciono senza nome coperti nel volto, simboleggiando una tipica visione surrealista delle persone come non luoghi. Anche in amore, in quello specifico stato esistenziale irripetibile, la società dello spettacolo inserisce il fattore della variabilità perpetua. Il detto di spirito ossimorico – “morto un Papa se ne fa un altro” – potrebbe essere recepito positivamente solo da un minorato, eppure è bellamente accettato. Perfetta è oramai l’imperfezione del sentimento verso un individuo unico ed irripetibile. Magritte è un disperato che stringe la cravatta al collo dell’amante maschile per legarlo, anche se per metafora, ai doveri che seguiranno quel bacio in uno spazio metafisicamente irrealizzabile: un capitello fa squarcio nel buio dell’etere nero, e il rosso abito da sera della signora qualunque trapela una spalla. Spalla come sensualità antropica, e come cibo se riferita al maiale che è altro tipo di senza nome – e lo è perché letteralmente non esiste: ogni maiale, nelle umane iconografie, è in ogni altro maiale.

E non è un caso che lo stesso René, nel viaggio verso lo sterco dell’anima, si fermi a tracciare i bordi del False Mirror (1928) in cui si perdono i contorni dell’osservazione. Così si intravede lo sguardo con gli occhi del surrealismo, spogliato delle false specificità attribuite dai maggiordomi del sistema capitalistico. L’azzurro del cielo che risiede in un occhio come un altro è spezzato dal punto nero che dovrebbe puntarci. Ma a nessuno mai appartiene quell’occhio, che pure osserva e controlla ogni movimento dei cittadini che adesso, visti dall’alto della prospettiva di una Flatlandia, diventano anch’essi senza nome sostituibili in pacchetti ben organizzati da altri individui nel non luogo che è la città. L’occhio di Magritte è un enorme Panopticon che silenzioso fa percepire il suo giudizio ai partecipanti al gioco perverso del sociale. La vita diviene tutto un “avrei voluto”, “avrei potuto”, e le nostre tragedie giornaliere svaniscono in un bicchiere di Malvasia prima di andare a letto – senza dormire – in preda all’insonnia anche mentre sogniamo. Le forme sottili e sfumate delle palpebre del False Mirror diventano ingredienti della nostra alienazione – verso il sogno mesto ed erotico della Donna che si bagna (1925). Un volto rosso, che sa di imbarazzo compiaciuto per l’essere osservata dal falso occhio, e che aspetta di essere coperto con il sacchetto bianco che oscurava il bacio degli amanti da cui siamo partiti. Sul pavimento stabile della bagnante desnuda, giace altrettanto rosso d’imbarazzo lo spermatozoo che diverrà altro uomo, e dovrà imparare che in una discussione è meglio esprimersi in modo appropriato qualunque sia l’argomento. (Yamamoto Tsunetomo, Hagakure, 1, 150) Così anche lui, in culo a Socrate, dimenticherà il saper di non sapere. René Magritte, Les amants (1928) [image file=image/les_amants.jpg] René Magritte, False Mirror (1928) [image file=image/false_mirror.jpg] René Magritte, Donna che si bagna (1925) [image file=image/donna_che_si_bagna.jpg] 9La risposta surrealista a Magritte è senza dubbio Salvador Dalí. In La persistenza della memoria (1931) la dissolvenza del tempo

che, tra convenzione e meccanica quantistica, svanisce in un ramo secco, sfida l’amore, seppur mortificato, non ancora dissolto dal buon René. La paura della caducità dell’esistente svanisce sulla soglia atterrita se eliminiamo il fattore tempo – lo stesso contare tesse una trama che mina il quotidiano degli irretiti individui. Bruscamente interrotto dalla riflessione sulla temporalità, Dalí emerge baffuto nel suo Autoritratto da capitan uncino, e supera l’osservazione e la riproduzione realistica degli oggetti: specularmente alla nostra filosofia che trascende la (follia) ordinaria dell’esplicazione dei concetti. L’acuita coscienza sottostante l’arte di Salvador Dalì rifiuta la logica e la civiltà a favore di una totale libertà di espressione in cui, appurata l’impossibilità di vedere con gli occhi, inizia l’esperimento della visione cerimoniale. Ogni foglia è degna di filosofia – non esiste gerarchia di pensiero. Il passato è spezzato via come la polvere dal comodino – piena di ninnoli e fragilità diviene la storia dei senza tempo – e come ne Il volto della guerra (1940-41) gli occhi e la bocca si riempiono di morti, a loro volta venuti dai morti, fino ad eliminare la narrazione e raggiungere la Natura. La pittura surrealista ebbe una funzione reazionaria nei confronti della rappresentazione così come oggi, la filosofia surrealista, dovrà esserlo verso i concetti. Sepolti in eleganti tombe i nostri morti possiamo prepararci a raggiungerli – abbandonata la domanda che rende enti i deformi (come ti chiami?), ci perderemo la linea storica che è parte di una millenaria sopraffazione. Quando il Colossus (1954) tornerà a vedere dopo il bagliore, la libertà falsa della sua sorella statua donata dalla Francia agli U.S.A, sarà ormai svanita negli sterminati campi animali del “tutto uguale”. In questo modo il futuro non è più aspettativa nostra, ma diventa il presente degli altri: nessuno, con Hobbes, potrà più contare nel risultato delle proprie azioni. Come gli zingari sono stati i nomadi dello spazio, gli umani tutti nei dipinti di Dalì divengono nomadi del tempo. Il movimento avviene seduti di fronte ad un piatto di cavolfiori fumanti, e ad una caponatina in divenite: Dasein della verdure. Beatus Dominicus migravit ad Christum – che ha rotto la storia in due è l’ha resa scomponibile come un Lego qualsiasi. La Rosa meditativa (1958) restituisce dignità alle piccole cose di cui

abbiamo goduto in passato, gli amanti sono ora mano nella mano e col volto scoperto. Sembrano quasi ombre che generano altre ombre, figure agitate e che si muovono daccapo, penetrando la bontà della rosa che circola, nella sua interezza, nel cielo che ricopre d’azzurro una terra ancora piatta per chi, cieco da dentro, non potrà mai vederla sferica. Così, a poco a poco, si fa la filosofia del surrealismo: il lettore la assimila e lo scrittore la domina. Si tinge a lutto il divertissement per idioti (i filosofi del sabato) che contemplano il vano parlare di Gilles Deleuze, e si colora di luce profonda la superstizione della ragione. Ben concimata la filosofia diviene per tutti, salva ogni chi, e riscopre ogni dove. L’eterno di Severino appare immediatamente comprensibile, squagliano per sempre gli orologi appassiti del caro Dalì, la storia stampata nel senza tempo non mostrerà più solo l’oggi ma anche la genesi e la sua fine: Domiziano stringe la mano di Napoleone, Obama tende il braccio a Nerone. Profeta occidentale diviene il filosofo: salva e secolarizza. Salvador Dalí, La persistenza della memoria (1931) [image file=image/memoria.jpg] Salvador Dalí, Soft self portrait (1941) [image file=image/uncino.jpg] Salvador Dalí, Il volto della guerra (1940-41) [image file=image/volto_gueraa.jpg] Salvador Dalí, Rosa meditativa (1958) [image file=image/rosa.jpg] 10Il vociare delle donne per le vie di Milano è insula foga. Forse le sopporteresti in un locale di lap dance. Si rendono oggetti che cercano altri oggetti volti a saziare i loro inutili bisogni. In tutte le immense connessioni di Spengler – in cui il buddhismo diviene socialismo, passando per lo stoicismo – non troverebbero spazio in nessuna figura retorica, queste donnine, se non in quella della sineddoche: sono parole al posto di altre che restringono il senso dell’umanità tutta. Zivilisation – I lost my imagination. 11Il Nirvana socialista di Spengler incuriosisce gli audaci. Il Nirvana surrealista è evoluzione naturale delle sue preziose intuizioni: trattenersi reciprocamente dalla violenza attraverso l’ausilio del pessimismo. Spesso s’accusano i pessimisti. Questi non sono, tuttavia, che dei convinti realisti. Non ci si frena mai dalla violenza per compassione: etimologie imbecilli

ed heideggeriane a parte (com-passione, e infinite seghe mentali sul trattino), la compassione fa schifo: è l’individuo che fa pena e si rivela inerme, pronto ad essere colpito dal soffio del vento gelido. E gelido è anche il pensiero, quando osservi una lucciola comprare condom di dubbia qualità e fazzoletti per asciugare lo sperma ad un cassa di un drugstore di periferia; quando vedi un gatto leccarsi le ferite sul ciglio di una strada di città in cui tutto ciò che esiste si chiama pericolo; quando vedi il povero coricarsi in macchina coprendosi con i cartoni; quando ripensi al cielo terso della Polonia in cui squagliavano i fumi semiti; quando osservi lo sguardo della mucca violentata per le tue mozzarelle; quando ti vedi invecchiare e morire le mani; quando la donna che hai amato per cinquant’anni svanisce nella cenere che siamo e che saremo; quando nessuno comprende il tuo dolore; quando con i soldi si compra la “felicità”; quando Kant muore nel piscio dell’Alzheimer; quando accetti un lavoro vile e schifoso perché di passione non si campa; quando la Mafia spara ai bambini; quando capisci che stai per crepare di un male incurabile e ti si chiede di pregare; quando il prete si incula tua figlia; quando … quando … Dolore, morte, fame, sete prendono il sopravvento anche per le donnine di Via della Spiga: volontà di impotenza. L’annuncio del cuore che cede è un “tutto è compiuto”. La differenza tra rimorsi e rimpianti diventa sinonimia efficace a struggerti l’animo, o ciò che resta di questo quando stai per far visita al nulla di cui, diceva Epicuro, non potrai neanche avere paura non essendo presente. Tuttavia, lo scrittore di lettere felici, dimenticava la ferocia del morire. Che della morte si potrebbe pure non parlare – ma il morire logora ogni particella del sopravvissuto. Nascere oggi è un grande sberleffo, e criminale è chi si macchia di tale scherno. Se abortire è immorale, partorire è davvero osceno. Batte ancora la cassa vuota della coscienza, svuotata dai vestiti imbellettati per il matrimonio in villa dall’amica di lui, e diviene un mezzo di imposizione sottaciuta dello scorrere dell’inferno. Dio esiste per consolare i poveracci nella promessa di un poi che non ci sarà. La vita, e il filosofo surrealista lo sa, proprio come l’amore nella Maison d’un artiste è passata dall’interesse per i soggetti,

a quello per i mobili. Arredate pure le vostre vite di armadi e biblioteche, consolatevi che almeno gli spazi domestici possano colmare l’horror vacui dell’esistenza terrena. Fate figli per saturare le vostre mancanze, credendo che avendo altri acquisterete dell’altro. Proiettando nei pargoli le aspirazioni svanite, i genitori falliscono due volte: nel ricordo e nel fallimento del figlio, che non riesce perché autore di un sogno non suo. Poi, forti di copie conformi, tentano una scrittura privata chiamata (auto) biografia: da morti sepolti sollevano i coperchi del “tabuto”, chiedono gentilmente carta e penna al becchino sterratore, e cominciano a mentire sul proprio vissuto – il calamaio si piega e si fa macigno. Atto terzoUn uomo col cazzo giusto e la mente giusta non esiste al mondo, mettiamocelo in culo e nella testa, mio bel mocassino che aspetti la tua cera umana