Filosofia attiva 2
 8858330315, 9788858330319

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2

FILOSOFIA

Enzo Ruffaldi - Francesca Nicola

2 FILOSOFIA ATTIVA DALL’UMANESIMO ALL’IDEALISMO

PROFILO A DOPPIO PASSO: LEZIONE E STUDIO ATTIVO ARGOMENTAZIONE E INTERDISCIPLINARITÀ PER IL NUOVO ESAME DI STATO ATTUALITÀ E CITTADINANZA AUDIOMAPPE E POWERPOINT

M E N TO RE N D I P P A UN VO TO P E R O E I N C L U S I PE NS A M O A U TO N

IL PROGETTO ▶ Profilo a doppio passo per un apprendimento guidato e attivo: il testo di profilo è sempre accompagnato, sulla pagina di destra, dai Materiali per l’apprendimento attivo, ossia facilitatori didattici, schede e attività volti a motivare lo studio, ad arricchirlo, a renderlo autonomo e attivo. ▶ Argomentazione e interdisciplinarità per il nuovo Esame di Stato: attività legate al debate e al contraddittorio, ricostruzione nei

brani della struttura argomentativa, fascicolo laboratoriale dedicato al testo argomentativo, schede e spunti di percorsi interdisciplinari sono momenti specificamente studiati per la competenza argomentativa e le prove scritte e orali del nuovo Esame di Stato. ▶ Attualità e cittadinanza: Pensare il presente (a fine modulo) offre percorsi che partono da temi contemporanei, con particolare riferimento alla cittadinanza attiva.

STRUMENTI DIDATTICI Didattica inclusiva: mappe con font ad alta leggibilità, schemi, ricostruzioni argomentative, sintesi. Classe capovolta: nelle schede e in Pensare il presente, spunti di ricerca in modalità classe capovolta. Compiti di realtà: nelle schede e in Pensare il presente, proposte operative di compiti di realtà. Clil In tre fascicoli, uno per anno, attività in inglese per temi. Competenze: esercizi per competenze nel profilo, nel Laboratorio e nella sezione finale Pensare il presente. Esame di Stato: spunti interdisciplinari per l’orale del nuovo Esame di Stato e un fascicolo apposito per prepararsi alla prima prova di tipologia B e C. Cooperative learning: nelle schede e in Pensare il presente, spunti di ricerca in modalità cooperativa. Fact checking: nelle schede e in Pensare il presente, spunti per attività di indagine critica.

IL MULTIMEDIALE Libro in digitale interattivo (myLIM): il libro in digitale comprensivo di tutti i contenuti integrativi e interattivi, fruibile anche offline. Per il docente, disponibile su chiavetta. SCOPRI+: video e audio e i materiali extra del volume sono fruibili inquadrando la pagina con la fotocamera di smartphone o tablet.

Audiomappe: le mappe più significative sono visualizzabili e “raccontate” con lettura espressiva. PowerPoint: l’intero corso è offerto in slide sintetiche in PowerPoint. Dizionario operativo: per capire i concetti mediante definizioni e attività. WebTV: spezzoni filmici con schede didattiche. Socrate: il tutor online di filosofia che guida lo studente nella comprensione di testi filosofici con suggerimenti e aiuti personalizzati. Le palestre di Cloudschooling: attività multimediali per ripassare e prepararsi. Portale di filosofia e scienze umane: uno spazio dove trovare approfondimenti, testi per ogni livello, esercizi, video e link utili (filosofiascienzeumane.loescher.it).

Enzo Ruffaldi - Francesca Nicola

FILOSOFIA ATTIVA 2. DALL’UMANESIMO ALL’IDEALISMO

IL LIBRO IN DIGITALE Questo corso è distribuito sulla piattaforma myLIM per computer e tablet.

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2020

ISBN 9788858330319 In alcune immagini di questo volume potrebbero essere visibili i nomi di prodotti commerciali e dei relativi marchi delle case produttrici. La presenza di tali illustrazioni risponde a un’esigenza didattica e non è, in nessun caso, da interpretarsi come una scelta di merito della Casa editrice né, tantomeno, come un invito al consumo di determinati prodotti. I marchi registrati in copertina sono segni distintivi registrati, anche quando non sono seguiti dal simbolo .

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Nonostante la passione e la competenza delle persone coinvolte nella realizzazione di quest’opera, è possibile che in essa siano riscontrabili errori o imprecisioni. Ce ne scusiamo fin d’ora con i lettori e ringraziamo coloro che, contribuendo al miglioramento dell’opera stessa, vorranno segnalarceli al seguente indirizzo: Loescher Editore Sede operativa - Via Vittorio Amedeo II, 18 10121 Torino - Fax 011 5654200 - [email protected] Loescher Editore Divisione di Zanichelli editore S.p.a. opera con Sistema Qualità certificato secondo la norma UNI EN ISO 9001. Per i riferimenti consultare www.loescher.it L’opera è frutto di un lavoro comune degli autori, che ne hanno insieme elaborato e discusso ogni parte. Per quanto riguarda il volume 2, Enzo Ruffaldi è autore dei moduli 2, 3, 4, 6, 8 e 10; Francesca Nicola è autrice dei moduli 1, 5, 7 e 9. A Gian Paolo Terravecchia si devono le schede Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito. Coordinamento editoriale: Francesco Pastorelli Redazione: Valentina Luchelli, Francesco Pastorelli Rilettura delle bozze: Enrico Ferratini Progetto grafico: Tuna Bites - Bologna Ricerca iconografica: Maurizio Dondi Consulenza didattica: Lianella Achenza, Carla Andreozzi, Vincenzo Ariano, Marta Ceresini, Paolo Dall’O’, Libero Federici, Paolo Giordani, Emanuela Magno, Sabrina Marini, Maria Matteini, Fausto Melissano, Elia Pais, Elsa Paris, Carolina Pellegatta, Emanuela Petrucci, Lorella Poffa, Alessandro Polito, Lucia Roggeroni, Samanta Selvaggi, Elly Sperolini, Cristina Tanghetti, Cinzia Terlizzi, Marco Turbanti, Caterina Zagatti. Cartografia: Studio Aguilar - Milano, riviste da Erik Fadel - Suno (No) Impaginazione: Emanuela Diana - Torino Fotolito: Walter Bassani - Bascapè (PV) Copertina: Davide Cucini - Emanuela Mazzucchetti Stampa: Sograte Litografia - Città di Castello (PG)

Diamo di seguito l’elenco sintetico delle referenze. Per i riferimenti completi alle singole immagini del volume, consultare la pagina web dedicata all’opera nel catalogo Loescher. Agenzie fotografiche © 123RF; © Alamy Italia Stock Photos and Image; © Alinari Archives; © Bridgeman Images; © Getty Images; © ICPonline; © Leemage; © Mondadori Portfolio; © Scala Archives; © Shutterstock. Musei e gallerie Achilleion, Corfù; Archive of the Berlin-Brandenburg Academy of Sciences and Humanities, Berlino; Alte Nationalgalerie, Berlino; Bayerische Staatgemaeldesammlungen, Monaco; Biblioteca Casanatense, Roma; Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze; Biblioteca Nazionale Braidense, Milano; Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze; Bibliotheca Bodmeriana, Cologny; Bibliothèque Nationale de France, Parigi; Bibliotheque Publique et Universitaire, Ginevra; Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlino; Birmingham Public Libraries, Birmingham; British Library, Londra; Cattedrale di S. Maria Assunta, Parma; Centraal Museum, Utrecht; Deutsche Fotothek, Dresda; Duomo, Siena; Fitzwilliam Museum, Cambridge; Frick Collection, New York; Galerie Jean-François Heim, Parigi; Galleria Borghese, Roma; Galleria degli Uffizi, Firenze; GAM, Torino; Gemäldegalerie, Berlino; Gleimhaus Museum der deutschen Aufklärung, Halberstadt; Graphische Sammlung Albertina, Vienna; Hamburger Kunsthalle, Amburgo; Houghton Library, Cambridge, Massachusetts; Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze; John Noott Galleries, Broadway Worcestershire; Kunsthistorisches Museum, Vienna; MBLWHOI Library, Woods Hole; Musée Antoine Lecuyer, San Quintino; Musée Carnavalet, Parigi; Musee Condé, Chantilly; Musée des Beaux-Arts, Lione; Musée de Tessé, Le Mans; Musée d’Histoire de Lyon, Lione; Musée du Louvre, Parigi; Musée National du Château de Versailles et du Trianon, Versailles; Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles; Musei Vaticani, Roma; Museo Civico di Storia Naturale, Milano; Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze; Museo del Prado, Madrid; Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, Roma; Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli; Museo Statale Ermitage, San Pietroburgo; Museum Folkwang, Essen; Museumslandschaft Hessen Kassel - Neue Galerie, Kassel; Narodna Galerija, Lubiana; National Maritime Museum, Greenwich; National Portrait Gallery, Londra; National Portrait Gallery, Washington; New York Public Library, New York; Palazzo Arese Borromeo, Galleria delle Arti Liberali, Cesano Maderno; Palazzo Ducale, Venezia; Palazzo Vecchio, Firenze; Petit Palais, Parigi; Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia; Rijksmuseum, Amsterdam; Santa Maria in Trastevere, Cappella Altemps, Roma; Schloss Charlottenburg, Berlino; Scottish National Portrait Gallery, Edimburgo; Staatliche Kunsthalle Karlsruhe, Karlsruhe; Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie, Francoforte; Tartu University Library, Tartu; The Metropolitan Museum of Art, New york; Zentralbibliothek Zürich, Zurigo.

Indice

III

1. Il Rinascimento La rete dei concetti e dei problemi 2 Uno sguardo d’insieme 3 Il contesto storicoculturale 4

1. Umanesimo e Rinascimento • L’uomo rinascimentale • Umanisti e filologi

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8 14

• Platonismo, aristotelismo e naturalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

6

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > filosofia per immagini L’uomo al centro: l’icona del rinascimento 7 > intersezioni L’invenzione della prospettiva 7 • L’invenzione dell’anatomia 9 > filosofia per immagini L’arte sacra desacralizzata 13 • ermete: un pagano in una chiesa cristiana 17 •

La scuola di Atene 19 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Umanesimo e rinascimento 7 > La filosofia e il presente Quanti maghi nella tua città? 11 • Lessico e concettualizzazione Secolarizzazione 11 > pensiero critico La figura dell’intellettuale 13 > Lessico e concettualizzazione Mecenatismo 13 > La filosofia e il presente Scienza, potere e trasparenza 13 > pensiero critico La creatività nel rinascimento: genio individuale o pratica sociale? 15 > La filosofia e il presente il trattato Sulla famiglia 15 > Lessico e concettualizzazione filologia / esegesi 15 • il naturalismo 19 per CApire MegLio L’uomo è l’artefice della propria sorte 9 • il pensiero magico 11 • La disputa fra platonici e aristotelici 19

2. I platonici

20

• Niccolò Cusano

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20

• Marsilio Ficino

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MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Mappa concettuale La conoscenza secondo Cusano 21 > Lessico e concettualizzazione La dotta ignoranza 21 > Argomentazione il metodo della matesi 23 > Lessico e concettualizzazione L’infinito 23 > Mappa concettuale La gerarchia della realtà secondo ficino 25 > Lessico e concettualizzazione L’anima 27 > La filosofia e il presente

L’originalità dell’intellettuale e dell’artista 29 per CApire MegLio Che cosa è una congettura 21 • L’uomo come

copula mundi 27 LA pAroLA Ai teSti T1 Cusano La conoscenza è inesauribile 21 ApprofondiMenti > filosofia per immagini La coincidenza degli opposti: amore sacro e amore profano 23 • L’influsso dell’Accademia sulla pittura rinascimentale 25 > intersezioni ficino, la magia e la psicanalisi T2 ficino Effetto placebo e talismani magici 29

In d Ic e

IV

3. Aristotelici e naturalisti • Pietro Pomponazzi

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• Telesio e la filosofia della natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 • Giordano Bruno

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• Tommaso Campanella

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38 44

30

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio perché a volte (in certi luoghi) gli uomini si trasformano in lupi 31 • L’uso politico della religione 33 • L’arte combinatoria 39 • Urbanistica e magia 45 CoMpetenZe > pensiero critico il determinismo T3 pomponazzi Il destino di ogni uomo è scritto nelle stelle 31 > Argomentazione La doppia verità 33 > Lessico e concettualizzazione Sensismo 35 • il panpsichismo 35 > Mappa Concettuale natura e morale in telesio 37 > filosofia e cittadinanza il sensismo etico: L’importanza di vedere le vittime 37 > pensiero critico La mnemotecnica è utile allo studio? 39 > filosofia e cittadinanza giordano Bruno martire del libero pensiero 41 > Lessico e concettualizzazione il panteismo 43 > Mappa concettuale il sistema religioso di Bruno 43 > Lessico e concettualizzazione teleologia 47 • il sensus inditus 47 > Mappa concettuale

La conoscenza secondo Campanella 47 LA pAroLA Ai teSti T4 pomponazzi La coincidenza fra stoicismo e cristianesimo 33 • T5 telesio La ragione è un senso imperfetto 35 • T6 Bruno L’infinito dell’universo 41 • T7 Campanella L’educazione nella città del Sole fra pedagogia e utopia 49 ApprofondiMenti > intersezioni etica etologica: le basi percettive della pietà 37 > per saperne di più La mnemotecnica 39 • Campanella in rete 45 • La finta pazzia di Campanella 45 • La pedagogia sensistica: imparare dalle immagini 49

4. Riforma e Controriforma • Erasmo • Lutero

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• Calvino

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• La Controriforma . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

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MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > filosofia per immagini Bosch e la devotio moderna 51 > per saperne di più La follia e le navi dei folli 53 • La diffusione del calvinismo 59 > per saperne di più gli amish 61 per CApire MegLio perché la Chiesa scoraggiava la lettura della Bibbia? 51 • riformare: un termine con significati diversi 55 • Le differenze tra la religiosità protestante e quella cattolica 57 •

il calvinismo e l’etica del capitalismo 61 CoMpetenZe > filosofia e cittadinanza L’invenzione della stampa e i suoi effetti 51 > Lessico e concettualizzazione predestinazione 57 > La filosofia e il presente Le confessioni protestanti minori 61 > filosofia e cittadinanza La divisione orizzontale tra europa del nord e del Sud 63 > La filosofia e il presente La Chiesa attuale non è più quella tridentina 63 LA pAroLA Ai teSti T8 Lutero Le tesi sulle indulgenze 55 • T9 La teologia cattolica delle indulgenze 55 • T10 Calvino

La predestinazione 59

5. Rinascimento e politica • Machiavelli

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• Tommaso Moro e il pensiero utopistico

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66 72

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MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione realismo/Utopia 65 • Machiavellico / Machiavellismo 65 > La filosofia e il presente fra etica e politica: problemi attuali 67 > pensiero critico La politica: una scienza che deve tener conto della fortuna 69 > filosofia e cittadinanza La ragion di Stato nelle società democratiche 71 • il principe oggi: la partitocrazia T13 gramsci Il moderno principe: il partito 73 > pensiero critico Un’utopia è realizzabile? 75 > Lessico e concettualizzazione Utopia / distopia 75 Attività > flipped classroom Un’occasione per migliorare le proprie

opinioni 65 ApprofondiMenti > per saperne di più Moro: il santo patrono degli

uomini politici 73

6. Il Rinascimento europeo: Montaigne • Scetticismo e relativismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

76

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO

per CApire MegLio il saggio come genere letterario 77 ApprofondiMenti > intersezioni il concetto psicologico moderno

di identità 77 LA pAroLA Ai teSti T14 Montaigne Il contenuto dei Saggi 77 CoMpetenZe > pensiero critico Montaigne pioniere dell’animalismo 79 Attività > Webquest Un esperimento di antropologia al rovescio T15 Montaigne La stranezza degli europei 79

Test di autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

2. La rivoluzione scientifica Le domande della filosofia 82 La rete dei concetti e dei problemi 84 Uno sguardo d’insieme 85 Il contesto storico-culturale 86

1. La rivoluzione astronomica • Rivoluzione scientifica e autorità aristotelica . . . . . . 88 • Il modello aristotelicotolemaico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 • La rivoluzione copernicana . 90 • Tycho Brahe • Keplero

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MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO

ApprofondiMenti > per saperne di più Le radici rinascimentali della rivoluzione astronomica 89 • il neoplatonismo di Keplero 95 per CApire MegLio La meccanica di Aristotele 89 • il moto per Aristotele 91 • il cosmo aristotelico-tolemaico 91 • il sistema copernicano e quello ticonico 93 CoMpetenZe > Mappa concettuale il superamento del modello aristotelico-tolemaico 91 > Lessico e concettualizzazione eliocentrismo 93

2. Francesco Bacone: la fondazione di un nuovo sapere • Un nuovo sapere e un nuovo metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 • Gli idòla della conoscenza ......... 98 • Il Novum Organum

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100

• L’esperienza e il metodo 100 • Il metodo induttivo

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102

• L’oggetto della ricerca scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 • L’inventario del sapere umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 • L’utopia tecnologica . . . . . . . . . 108

88

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MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > filosofia per immagini il frontespizio della Grande

Instaurazione 97 LA pAroLA Ai teSti T1 Bacone Lo scopo della ricerca scientifica 97 • T2 Bacone Gli idòla 99 • T3 Bacone Gli scienziati come api 101 • T4 Bacone Il metodo induttivo 105 • T5 Bacone La storia delle arti e dei mestieri 107 • T6 Bacone L’importanza di un inventario del sapere 107 • T7 Bacone La Casa di Salomone 109 CoMpetenZe > pensiero critico i pregiudizi e la conoscenza 99 > Mappa concettuale il metodo induttivo di Bacone 103 > Lessico e concettualizzazione Metodo induttivo 103 > filosofia e cittadinanza

tecnologia, etica e diritti dei cittadini 109 per CApire MegLio Le istanze 103 • La natura della cosa 105

V In d Ic e

per CApire MegLio il rapporto tra etica e politica 67 • il realismo politico 67 • La ragion di Stato 69 LA pAroLA Ai teSti T11 Machiavelli La verità effettuale e l’etica del politico 69 • T12 Machiavelli L’uomo politico sia volpe e leone 71

In d Ic e

VI

3. Galilei: la nascita della scienza moderna • Vicenda scientifica e biografica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 • La ragione, la scienza e la fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 • Le osservazioni astronomiche e la nuova visione del cosmo . . . . . . . . . . . . . . . 114 • L’astronomia e la fisica

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116

• Gli esperimenti con i piani inclinati e il principio di inerzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 • Il metodo sperimentale: sensate esperienze e certe dimostrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120

110

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > filosofia e cinema due film su galilei 111 > filosofia per immagini Le osservazioni di galilei 115 > per saperne di più

il Dialogo sopra i due massimi sistemi 117 Attività > rielaborazione due film a confronto 111 > rielaborazione 123 LA pAroLA Ai teSti T8 galilei Il libro della natura 113 • T9 galilei La sensata esperienza e le necessarie dimostrazioni 113 • T10 galilei Il gran naviglio 119 • T11 galilei Il metodo sperimentale 121 per CApire MegLio La parallasse 115 • L’esperimento mentale della carrozza 117 • i piani inclinati di galilei 123 • Qualità soggettive e oggettive 123 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Metodo sperimentale 121 > Mappa concettuale il metodo sperimentale di galilei 123

• Possibilità e limiti della conoscenza scientifica . . . . 122

4. Newton • La vita e le opere

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• L’indagine sulla luce e il metodo sperimentale

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124 124

• Il problema del metodo induttivo e la conoscenza scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 • L’indagine matematica della natura e il sistema del mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 • La legge di gravitazione universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 • Il tempo e lo spazio • La materia

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MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > per saperne di più La royal Society 125 > per saperne di più newton e gli scienziati dell’epoca 127 • teoria corpuscolare e ondulatoria della luce 127 • L’Ottica del 1704 139 per CApire MegLio gli esperimenti di newton sulla luce 125 • L’ontologia matematica 131 • L’atomismo 137 LA pAroLA Ai teSti T12 newton Le regole del filosofare 129 • T13 newton La piccola luna 135 • T14 voltaire La mela di Newton 135 • T15 newton La struttura della materia 137 • T16 newton

Dio agisce nell’universo 139 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Metodo induttivodeduttivo 131 > Mappa concettuale il metodo induttivo-deduttivo 133 Attività > rielaborazione 133

• La religione e la metafisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138

LAVORO SUL TESTO T17 Bacone L’esigenza del metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 T18 galilei Esperienza e «certe dimostrazioni» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 T19 galilei Qualità primarie e secondarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 T20 galilei Il cannone e la carrozza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 T21 newton Il metodo induttivo-deduttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

Itinerari di lettura online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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LABORATORIO

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PENSARE IL PRESENTE

154

3. Il razionalismo Le domande della filosofia 160 La rete dei concetti e dei problemi 162 Uno sguardo d’insieme 163 Il contesto storico-culturale 164

1. Cartesio: il metodo del razionalismo • L’esigenza di un nuovo sapere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 • Il metodo

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166

• Il dubbio metodico

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• Il cogito cartesiano

...........

170

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• Cogito, ergo sum

• Le idee, le cose e Dio

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174

• Il razionalismo cartesiano: le idee fondano la conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178 • Le idee e il mondo: la fisica deduttiva e il meccanicismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182 • Il corpo, l’anima, le passioni: il dualismo cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio Che cos’è il metodo deduttivo? 167 • perché l’intuizione? 169 • dio, le idee e la realtà 177 • L’esempio della cera 179 • discutiamo il concetto: sostanza 181 LA pAroLA Ai teSti T1 Cartesio Il sapere umano 169 • T4 Cartesio I diversi tipi di idee 175 • T6 Cartesio La conoscenza della natura mediante il metodo deduttivo 185 • T7 Cartesio La macchina-

uomo 187 ApprofondiMenti > intersezioni Cartesio e la matematica 169 > per saperne di più Le critiche di Arnauld e gassendi 173 •

Meccanicismo e automi 189 Attività > rielaborazione 171 • 179 • L’anima, il corpo, le passioni: la mappa concettuale 189 CoMpetenZe > La filosofia e il presente il dubbio cartesiano • T2 Cartesio Il sogno e la realtà • T3 Cartesio Il genio maligno 171 > Lessico e concettualizzazione Cogito 173 > Argomentazione Cogito 173 > Lessico e concettualizzazione idea 175 > Argomentazione T5 Cartesio L’idea di Dio 177 > Mappa concettuale il razionalismo 179 > Lessico e concettualizzazione Sostanza 181 • fisica deduttiva 183 > Mappa concettuale La fisica deduttiva di Cartesio 183 > Lessico e concettualizzazione Anima / Corpo 187 > La filosofia e il presente La morale degli androidi 191

2. Spinoza: Dio, la natura, la razionalità dell’universo • Il metodo della conoscenza e la sua finalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192 • Deus sive natura

.................

• Gli attributi e i modi • Un Dio impersonale

194

........

198

..........

198

• Il posto dell’uomo nel mondo e il rapporto anima-corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200

166

192

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO LA pAroLA Ai teSti T8 Spinoza La finalità della filosofia 193 • T9 Spinoza Il vero messaggio delle Scritture 199 • T10 Spinoza

L’etica non riguarda la virtù o i vizi, ma le leggi della natura 201 •

T11 Spinoza Volontà, appetito e cupidità 203 • T12 Spinoza Come una pietra che rotola… 205 • T13 Spinoza La libertà della mente 211 • T14 Spinoza La mia felicità richiede quella degli altri 213 per CApire MegLio il metodo geometrico 195 • il problema della sostanza 195 • L’individuo e il tutto 199 • etica prescrittiva o descrittiva 201 • L’amor Dei intellectualis 211

In d Ic e

QUESTIONI DI ATTUALITA` Che cos’è la bioetica? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 PRO&CONTRO «Dai diamanti non nasce niente…» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 FILOSOFIA E CITTADINANZA La ricerca scientifica deve essere libera? Controllo sociale e diritti dei cittadini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157

VII

In d Ic e

VIII

• La meccanica delle passioni

......................

202

• I generi della conoscenza e la via verso la beatitudine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206 • Conoscenza ed etica

.........

208

• L’individuo, la società, lo Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212

CoMpetenZe > Argomentazione Spinoza critico di Cartesio 195 > Lessico e concettualizzazione necessario, contingente 197 • panteismo 197 > Mappa concettuale La sostanza secondo Spinoza 197 • Sostanza, attributi, modi 199 • La deduzione delle passioni 203 > La filosofia e il presente È possibile conciliare libertà e determinismo? 207 > Mappa concettuale Le modalità della conoscenza 209 > Argomentazione il dominio sulle passioni 209 > Mappa concettuale i generi della conoscenza 211 • La filosofia e il presente T16 Spinoza I diritti delle

donne 215 Attività > rielaborazione Salvarsi insieme T15 éluard Non verremo alla mèta ad uno ad uno 213 > Webquest La questione femminile nel mondo 215

3. Leibniz: razionalismo e ottimismo metafisico • La sostanza individuale e il suo significato . . . . . . . . . . . . . 216 • Le ricerche logiche e matematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218 • La logica e la monade: il «concetto completo» e la sostanza individuale . . . . . 220 • La fisica e la monade: la forza viva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222 • Materia, tempo e spazio . . . 224 • La biologia e la monade: la vita è ovunque . . . . . . . . . . . . . . . 224 • Le monadi come sostanze individuali viventi . . . . . . . . . . . 224 • I rapporti tra le monadi e l’armonia prestabilita . . . . 228 • Il problema del male e la libertà: la Teodicea . . . . . 232

216

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio Che cosa significa affermare la «sostanza individuale» 217 • Che cos’è un linguaggio formale? 219 • La monade

specchio dell’universo? 227 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Monade 217 • verità di ragione e verità di fatto 221 > Argomentazione La materia è un fenomeno, non una sostanza 223 > Lessico e concettualizzazione percezione, appercezione, appetizione 225 > Mappa concettuale La fisica di Leibniz 225 > Lessico e concettualizzazione Armonia prestabilita 229 > La filosofia e il presente il mondo come sistema e l’effetto farfalla 231 > pensiero critico La critica di voltaire al «migliore dei mondi possibili» 233 > Lessico e concettualizzazione

piccole percezioni 237 ApprofondiMenti > intersezioni il calcolo infinitesimale 219 > per saperne di più dio nella filosofia di Leibniz 231 > filosofia e cinema Sliding Doors 235 LA pAroLA Ai teSti T17 Leibniz La sostanza individuale comprende tutti i propri predicati 221 • T18 Leibniz I corpi non sono solo estensione 225 • T19 Leibniz La monade 227 • T20 Leibniz I «piccoli Iddii» 229 • T21 Leibniz il palazzo dei destini 233 Attività > rielaborazione 227

• Razionalismo contro empirismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 236

LAVORO SUL TESTO T22 Cartesio La conoscenza dei sensi non è scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238 T23 Cartesio Il Discorso sul metodo: dal dubbio metodico alla certezza di sé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240 T24 Cartesio La macchina uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 242 T25 Spinoza Lo studio geometrico delle passioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244 T26 Leibniz L’automa spirituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245

Itinerari di lettura online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

247

LABORATORIO

248

PENSARE IL PRESENTE

254

QUESTIONI DI ATTUALITA` Se il comportamento può essere studiato e spiegato, come può l’uomo essere libero?

.................................................................

254

FILOSOFIA E CITTADINANZA Libertà e responsabilità giuridica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 258

IX In d Ic e

4. Hobbes e l’empirismo classico Le domande della filosofia 262 La rete dei concetti e dei problemi 264 Uno sguardo d’insieme 265 Il contesto storico-culturale 266

1. Hobbes e il materialismo • Il teorico dell’assolutismo . . . . . . . . . . . . . . . . . 268 • Il programma e il metodo di ricerca • I corpi e la fisica

..............

268

................

272

• La conoscenza: dalle sensazioni al pensiero

...

272

• La conoscenza operativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274 • L’antropologia e l’etica . . . . 276 • La politica: homo homini lupus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 278

268

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Mappa concettuale La conoscenza secondo Hobbes 269 > Lessico e concettualizzazione Materialismo e meccanicismo 273 > pensiero critico il nominalismo di Hobbes e gli inganni del linguaggio 275 > Lessico e concettualizzazione politica 275 > Mappa concettuale Le passioni umane 277 > Lessico e concettualizzazione Assolutismo 279 •

totalitarismo 281 LA pAroLA Ai teSti T1 Hobbes L’esigenza di un metodo 269 • T2 Hobbes Conosciamo solo ciò che possiamo creare 271 • T3 Hobbes Ragionare è calcolare 271 • T4 Hobbes Annichilimento e ricostruzione del mondo 273 • T5 Hobbes L’etica e la politica sono scienze 275 • T6 Hobbes La deduzione delle passioni 277 ApprofondiMenti > filosofia per immagini il frontespizio del Leviathan 279 > intersezioni La descrizione del totalitarismo 281

• Lo Stato assolutistico . . . . . . 278 • La religione

..........................

280

2. Locke: il fondatore dell’empirismo inglese • Monarchia costituzionale, liberalismo ed empirismo . 282 • La conoscenza parte dai sensi: idee semplici e complesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284 • I problemi dell’empirismo e la funzione del linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 290 • Il quarto libro del Saggio: il mondo, l’io, Dio . . . . . . . . . . . . . . 292 • Il pensiero politico . . . . . . . . . . . 294 • La tolleranza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296

282

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio il criticismo di Locke 283 • Le conseguenze della

critica alla sostanza 289 LA pAroLA Ai teSti T7 Locke Ciò che possiamo conoscere 285 • T8 Locke La critica dell’idea di sostanza 287 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione empirismo 285 > Mappa concettuale dalle idee semplici alle idee complesse 287 > Argomentazione Locke e l’idea di dio T9 Locke La critica all’idea di Dio 293 > Lessico e concettualizzazione Liberalismo 295 > filosofia e cittadinanza La divisione dei poteri nella Costituzione italiana 295 > Lessico e concettualizzazione tolleranza 297 > filosofia e cittadinanza

Stato laico e libertà di culto 297 ApprofondiMenti > per saperne di più Modi semplici e misti 289 Attività > Compito di realtà il cattivo uso del linguaggio 291 > Cooperative learning i diversi sistemi costituzionali 297

X

3. Berkeley: contro il materialismo

In d Ic e

• Esse est percipi

...................

298

298

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO LA pAroLA Ai teSti T10 Berkeley Esse est percipi 299

4. Hume: per una scienza dell’uomo • Il Trattato sulla natura umana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 • La teoria della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302 • Il mondo e l’io . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 306 • Lo scetticismo e la conoscenza come probabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 308 • La morale del sentimento

....................

310

300

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio il metodo sperimentale 301 • Le idee per Hume 303 CoMpetenZe > Mappa concettuale La teoria della conoscenza in Hume 303 > Lessico e concettualizzazione Associazionismo 303 • Morale del sentimento 311 > pensiero critico Spiegare la religiosità 313 Attività > rielaborazione Leggi la mappa concettuale 303 ApprofondiMenti > per saperne di più verità di ragione e verità di fatto T11 Hume Relazione tra idee e fatti 305 > filosofia e cinema

La continuità dell’esperienza 309 LA pAroLA Ai teSti T12 Hume Rendere coerente l’esperienza 307 • T13 Hume L’io è un fascio di percezioni 307 • T14 Hume La morale non è un fatto ma un sentimento 311

LAVORO SUL TESTO T15 Hobbes Lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 314 T16 Locke Lo stato di natura è regolato da leggi naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 316 T17 Hume La causalità non è un nesso necessario tra i fatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317 T18 Hume Lo scetticismo moderato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 320 T19 Hume Il sentimento del piacere e del dolore come fondamento della morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322

Itinerari di lettura online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

323

LABORATORIO

324

PENSARE IL PRESENTE

330

QUESTIONI DI ATTUALITA` CHE COSA C’È FUORI DALLA NOSTRA MENTE?

...............................

330

PRO&CONTRO Assolutismo e liberalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332 FILOSOFIA E CITTADINANZA Il liberalismo nella Costituzione italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333

XI In d Ic e

5. Pascal e il problema religioso dopo Cartesio Le domande della filosofia 336 La rete dei concetti e dei problemi 338 Uno sguardo d’insieme 339 Il contesto storico-culturale 340

1. Ragione e fede: il problema religioso dopo Cartesio • Due questioni problematiche

....................

342

• La soluzione occasionalista

.....................

344

• La posizione del libertinismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 346 • Pierre Bayle

.........................

348

342

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > filosofia e cittadinanza il Seicento e l’invenzione femminile dei salotti culturali 343 > Lessico e concettualizzazione Secolarizzazione 343 • Laicità 347 • Ateismo 349 > pensiero critico Senza dio, tutto è permesso? T2 Sartre La libertà umana si fonda

sull’ateismo 349 per CApire MegLio il dio dei filosofi e il dio cristiano 343 Attività > Compito di realtà psicologia dei casi fortuiti 345 ApprofondiMenti > per saperne di più L’eziologia: la scienza delle cause 345 > intersezioni La denigrazione del libertinismo 347 > per saperne di più figure di libertini: il mito di don giovanni 347 •

Un martire dell’ateismo 351 LA pAroLA Ai teSti T1 Malebranche Solo Dio è causa di ogni movimento 345 • T3 Bayle Una società di atei è possibile 351

2. Blaise Pascal

352

• Tra matematica e fede . . . . 352 • Libero arbitrio e grazia divina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 354 • Spirito di geometria e spirito di finezza . . . . . . . . . . . . . . . 356 • I limiti della ragione

.......

358

• L’esistenza di Dio . . . . . . . . . . . . . . . 360 • La condizione umana

......

360

• La necessità della fede cristiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362 • Il divertissement

...............

364

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > intersezioni pascal e la pascalina 353 > per saperne di più Le suore ribelli di port royal 355 • i solitari di port royal 355 > intersezioni La mente è inseparabile dal corpo 357 > per saperne di più L’esistenzialismo 365 per CApire MegLio Le Lettere provinciali 355 • de Molina e la grazia

sufficiente 357 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Condizione esistenziale 357 > pensiero critico T5 pascal Una giustificazione razionale dei miracoli? 359 > Mappa concettuale La scommessa 361 > pensiero critico Le critiche alla scommessa su dio 361 > La filosofia e il presente

Una vita per chattare? 365 LA pAroLA Ai teSti T4 pascal Le ragioni del cuore 359 • T6 pascal Si diventa credenti per abitudine 359 • T7 pascal L’infinitamente piccolo 361 • T8 pascal L’uomo è una canna pensante 363

Test di autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 366

In d Ic e

XII

LAVORO SUL TESTO T9 pascal La ragione e il cuore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367 T10 pascal Differenza fra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 368 T11 pascal Il divertissement e la noia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370

PENSARE IL PRESENTE

374

QUESTIONI DI ATTUALITA` L’esperienza della malattia può essere creativa? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374 FILOSOFIA E CITTADINANZA Le diverse anime della Chiesa cattolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 376

6. L’Illuminismo e Rousseau La rete dei concetti e dei problemi 378 Uno sguardo d’insieme 379 Il contesto storicoculturale 380

1. I caratteri dell’Illuminismo • La luce della ragione

.......

382

• La nuova concezione politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384 • L’economia di mercato: il liberismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 386 • La rifondazione del sapere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388 • La religione non dogmatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 390

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione ragione (Lumi della ragione) 383 > Argomentazione La giustificazione della divisione dei poteri T1 Montesquieu La divisione dei poteri 385 > Lessico e concettualizzazione fisiocrazia 387 • deismo 391 ApprofondiMenti > per saperne di più Althusius e grozio 383 • L’economia come scienza 387 > filosofia per immagini il frontespizio

dell’Encyclopédie 389 per CApire MegLio Assolutismo e mercantilismo 383 • idee della rivoluzione francese 385 • Liberalismo e liberismo 387 LA pAroLA Ai teSti T2 diderot L’enciclopedia secondo Diderot 389 • T3 voltaire Deismo e tolleranza 391

2. L’Illuminismo in Francia • L’impegno civile degli intellettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392 • Voltaire

..................................

392

• Diderot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394 • Sensismo e materialismo . . . 395 • La nascita delle scienze umane e sociali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 400

382

392

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > filosofia per immagini i salotti e i caffè 393 > per saperne di più Buffon 395 > filosofia per immagini Le metafore

dei filosofi: l’uomo-orologio 397 LA pAroLA Ai teSti T4 voltaire Contro l’intolleranza 393 • T5 Condillac L’origine delle funzioni intellettive 397 • T6 Helvétius Educazione e società 399 • T7 d’Holbach Il materialismo e l’uomo 401 • T8 Cabanis Lo studio fisiologico del pensiero 403 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Materialismo 395 > Argomentazione il paradosso dio 401

comparativo 403 Attività > flipped Classroom La nascita delle scienze umane 401

3. Oltre l’Illuminismo: Rousseau • I Discorsi e la critica all’Illuminismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404 • La teorizzazione della democrazia: Il contratto sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408 • La pedagogia

.........................

412

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > per saperne di più La polemica tra rousseau e gli illuministi 405 • La pedagogia dell’Emilio 413 LA pAroLA Ai teSti T10 rousseau Le scienze nascono dai vizi umani 405 • T11 rousseau La statua di Glauco 407 • T12 rousseau Il popolo come individuo collettivo 411 • T13 rousseau L’uomo

nasce buono, la società lo corrompe 413 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Sentimento 407 • volontà generale 409 > filosofia e cittadinanza Liberalismo e democrazia 409 > Lessico e concettualizzazione natura 413 > Mappa concettuale La pedagogia di rousseau 415

4. L’Illuminismo in Europa • L’Illuminismo in Inghilterra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 416 • L’Illuminismo italiano • L’Illuminismo tedesco

.... ....

418 420

404

416

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Mappa concettuale L’illuminismo in europa 417 per CApire MegLio La morale del sentimento 417 • La pena secondo

Beccaria 419 Attività > Compito di realtà La pena di morte nel mondo 421

Itinerari di lettura online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

421

Test di autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422

XIII In d Ic e

per CApire MegLio Materialismo e meccanicismo 397 • Lo studio della mente 399 • Materialismo metafisico e pratico 399 • Che cos’è la cultura? 401 • il metodo comparativo • T9 degérando Il metodo

In d Ic e

XIV

7. Vico e la scienza storica del Settecento La rete dei concetti e dei problemi 424 Uno sguardo d’insieme 425 Il contesto storicoculturale 426

1. Vico

428

• Verum ipsum factum • La Scienza nuova

.......

428

................

430

• Le leggi della storia

.........

432

• La sapienza poetica

..........

436

• L’andamento della storia

...

438

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > filosofia e cittadinanza democrazia e studi umanistici 429 > Mappa concettuale Conoscenza umana e divina 431 > Lessico e concettualizzazione Storicismo 431 > filosofia e cittadinanza revisionismo e negazionismo 433 > Mappa concettuale filosofia e filologia 433 > Lessico e concettualizzazione fantasia 435 Attività > Webquest Studi umanistici e nuove professioni 429 per CApire MegLio il valore della prudenza 431 • Libertà umana e provvidenza 439 • Corsi e ricorsi storici 439 ApprofondiMenti > intersezioni vico e l’antropologia 433 • L’universale fantastico e l’archetipo 437 > per saperne di più L’estetica

in vico 437 LA pAroLA Ai teSti T1 vico Il linguaggio del mito 437

2. La storiografia dell’Illuminismo • La storia come progresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 440 • L’Illuminismo francese

.

442

• La storiografia tedesca

..

444

440

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione progresso 441 > pensiero critico La metafora dell’orologio 441 > Mappa concettuale Storiografia

francese e storiografia tedesca 445 per CApire MegLio Le quattro epoche di sviluppo della civiltà 443 •

turgot e la fisiocrazia 443 ApprofondiMenti > filosofia e cinema La maschera di ferro 443 • per saperne di più Condorcet e la rivoluzione francese 445

Test di autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

446

XV In d Ic e

8. Kant Le domande della filosofia 448 La rete dei concetti e dei problemi 450 Uno sguardo d’insieme 451 Il contesto storico-culturale 452

1. Gli scritti precritici

454 MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > per saperne di più La nuova prospettiva

filosofica 455 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione fenomeno 455

2. La Critica della ragion pura • Il fondamento della conoscenza • La ragion pura

...............

456

.....................

462

• L’estetica trascendentale

...................

464

• L’analitica trascendentale e le categorie dell’intelletto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 464 • La deduzione trascendentale

...................

468

• Lo schematismo trascendentale e i princìpi sintetici dell’intelletto puro . . . . . . . . . . . . 470 • La dialettica trascendentale

...................

476

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio Universale e necessaria oppure probabile? 457 • i giudizi 459 • La costruzione della realtà 469 • La conoscenza per Kant 471 • il problema del noumeno 475 ApprofondiMenti > per saperne di più Le tre domande di Kant 457 •

Lo spazio e il tempo come intuizioni pure 465 LA pAroLA Ai teSti T1 Kant Come sono possibili i giudizi sintetici a priori? 459 • T3 Kant La conoscenza è soltanto fenomenica 465 • T4 Kant Sensibilità e intelletto 467 • T5 Kant Lo schema trascendentale 471 • T6 Kant Il principio causale 473 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione Criticismo 461 > pensiero critico Conoscenza fenomenica e idealismo T2 Kant Contro l’idealismo 463 > Lessico e concettualizzazione trascendentale 463 • estetica trascendentale 465 • Categoria 467 • io penso 469 > Mappa concettuale L’analitica trascendentale 473 > Lessico e Concettualizzazione noumeno 475 > Mappa concettuale La teoria della conoscenza 477 > Lessico e concettualizzazione dialettica trascendentale 477 > pensiero critico La nostra idea di mondo 479 > Argomentazione Le prove dell’esistenza di dio 479 > pensiero critico Le domande della metafisica T7 Kant La metafisica come esigenza 481

3. La Critica della ragion pratica • Massime e imperativi

....

484

• Le condizioni della morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 486 • L’antinomia della ragion pratica e i postulati della morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 492 • Il primato della ragion pratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 494

456

482

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > per saperne di più Le domande delle tre Critiche T8 Kant Il compito della filosofia 483 • intersezioni filosofia e cinema 487 • per saperne di più La Fondazione della metafisica dei costumi 491 LA pAroLA Ai teSti T9 Kant L’universo e la morale 483 • T10 Kant Il superamento dell’antinomia della ragion pratica 493 • T11 Kant Inno al dovere 495 CoMpetenZe > Mappa concettuale La morale 485 • Lessico e concettualizzazione imperativo categorico 485 • imperativo categorico 485 • dovere 489 • pensiero critico La libertà come postulato 493 per CApire MegLio i princìpi morali 485 • Le morali non formali 487 •

La morale dell’intenzione 489 Attività > Compito di realtà Le scelte morali 491

In d Ic e

XVI

4. La Critica del giudizio • Il giudizio estetico: il bello e il sublime . . . . . . . . . . . 498 • Il giudizio teleologico: la finalità della natura

496 MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Mappa concettuale La Critica del giudizio 497 > Lessico e concettualizzazione giudizio riflettente 497 > Argomentazione L’uomo

fine della natura 503 ..

500

ApprofondiMenti > per saperne di più Arte e natura in Kant 499 > filosofia per immagini il sublime 501 Attività > rielaborazione 499 > flipped classroom immagini

del sublime 501 LA pAroLA Ai teSti T12 Kant Il sublime è in noi 501 • T13 Kant Newton e il filo d’erba 503 • T14 Kant La finalità della natura 503

5. La storia, la politica e la religione

504

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > filosofia e cittadinanza Merito e solidarietà T15 Kant

L’insocievole socievolezza 505

LAVORO SUL TESTO T16 Kant La rivoluzione copernicana nella conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 506 T17 Kant I giudizi sintetici a priori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 509 T18 Kant L’isola della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 511 T19 Kant La formalità della legge morale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513 T20 Kant L’arte disinteressata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514 T21 Kant L’uomo come scopo finale della natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 515

Itinerari di lettura online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 517 LABORATORIO

518

Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito Condizione necessaria e condizione sufficiente

PENSARE IL PRESENTE

.............................................................................................

521 525

QUESTIONI DI ATTUALITA` Scelte razionali e dilemmi morali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 525 PRO&CONTRO Gli a priori sono universali? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 527 FILOSOFIA E CITTADINANZA La pace universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 528

XVII In d Ic e

9. Romanticismo e idealismo La rete dei concetti e dei problemi 532 Uno sguardo d’insieme 533 Il contesto storicoculturale 534

1. Le premesse del Romanticismo • Lo Sturm und Drang • Goethe

.........

536

.....................................

538

• Schiller

...................................

540

• La filosofia della fede e della storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 542

536

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio Cosa si intende per romanticismo? 537 • il romanzo di formazione 539 • La differenza fra estetica ed estetismo 541 • La religiosità romantica 543 • Lo spinozismo 545 ApprofondiMenti > filosofia per immagini La Zattera della medusa: l’icona della nuova sensibilità 537 > per saperne di più I dolori del giovane Werther 539 > intersezioni Le ricerche scientifiche di goethe 539 > per saperne di più Harder: la coincidenza fra pensiero e linguaggio 543 > intersezioni Antropologia linguistica 545 CoMpetenZe > filosofia e il presente La permanenza dei tratti

del romanticismo nel mondo attuale 537 LA pAroLA Ai teSti T1 Schiller Il gusto e la moralità 541

2. Temi e figure del Romanticismo • Caratteri generali del Romanticismo . . . . . . . . . . . . . 546 • Figure del Romanticismo tedesco ed europeo . . . . . . . . . . 554 • La revisione del kantismo

........................

558

546

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > filosofia per immagini i temi del romanticismo in pittura 547 > intersezioni i generi della musica romantica 551 • per saperne di più L’amore romantico 551 > filosofia per immagini L’uomo e la storia 553 • il romanticismo tedesco e il circolo di Jena 555 • L’ermeneutica 555 > filosofia per immagini La partecipazione al risorgimento greco 557 > per saperne di più romanticismo e

tradizionalismo in francia 557 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione totalità 549 > Mappa concettuale il dibattito sulla cosa-in-sé 559 per CApire MegLio gli indizi della totalità: il non finito, lo schizzo, il frammento 549 • il concetto di popolo 553 • La fortuna alterna delle fiabe 553 • La filosofia politica del romanticismo italiano 557 • La rappresentazione 559 • Le premesse dell’idealismo 559

3. L’idealismo etico di Fichte • L’adesione critica al kantismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 560 • La filosofia dell’Io

............

566

• L’umanizzazione del mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 567 • I tre princìpi della Dottrina della scienza . . . . . 568 • La libertà come superamento del Non-Io . . . . 576

560

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > La filosofia e il presente Una filosofia per giovani 561 > Mappa concettuale L’alternativa fra dogmatismo e idealismo 565 > Lessico e concettualizzazione idealismo etico 565 > pensiero critico L’attivismo fichtiano 567 > Argomentazione L’io penso e l’io puro a confronto 567 > Mappa concettuale i tre princìpi della dottrina della scienza 569 • L’io, il non-io e l’autocoscienza 571 > Argomentazione L’esistenza degli altri 575 > pensiero critico perfezionamento e felicità 577 > Mappa concettuale i due periodi del pensiero politico di fichte 581 > Lessico e concettualizzazione nazione-popolo 583

XVIII

• La missione dell’intellettuale . . . . . . . . . . . . . . . 578

In d Ic e

• La politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 580 • L’ultima fase del pensiero fichtiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 582

per CApire MegLio Saggio di una critica di ogni rivelazione 563 • il problema della libertà umana nelle tre Critiche di Kant 563 • il difetto del dogmatismo 565 • il rapporto fra io e non-io 571 • La montagna come non-io e l’invenzione dell’alpinismo 573 • il processo dialettico 573 • Umanizzare se stessi: il caso della schiavitù 575 • Che cos’è l’immaginazione produttiva? 575 • La funzione dello Stato 581 • il fondamento dello Stato etico 581 LA pAroLA Ai teSti T2 fichte L’uomo deve sottomettere la natura o rispettarla? 569 • T3 fichte L’autocoscienza o intuizione intellettuale 571 • T4 fichte La tensione verso un perfezionamento infinito 577 • T5 fichte Il ruolo pubblico del dotto 579 ApprofondiMenti > intersezioni educazione fichtiana e pestalozzi 579 > intersezioni fichte e il nazionalismo 583

4. L’idealismo estetico di Schelling • La fase fichtiana

................

584

• La filosofia della natura (fisica speculativa) . . . . . . . . . . . 588 • L’idealismo trascendentale

...................

592

• La filosofia dell’arte . . . . . . . . 594 • La filosofia dell’identità . . . 596 • La filosofia della libertà . . . 598 • La filosofia positiva (ultima fase) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 600

584

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Mappa concettuale La filosofia di Schelling 585 > Lessico e concettualizzazione Assoluto 587 > Mappa concettuale

L’Assoluto come sintesi indifferenziata di natura e spirito 587 • La filosofia della natura 589 > filosofia e cittadinanza L’ecologia profonda 591 > Mappa concettuale L’idealismo trascendentale 593 > Lessico e concettualizzazione trascendentale / trascendente 593 > Mappa concettuale La filosofia dell’arte 595 > Lessico e concettualizzazione identità 597 > Mappa concettuale La filosofia dell’identità 597 > Argomentazione dalla filosofia dell’identità alla filosofia della libertà 599 > Mappa concettuale La filosofia della libertà 599 • L’ultimo Schelling 601 ApprofondiMenti > per saperne di più il mesmerismo e la scoperta dell’ipnotismo 589 > intersezioni L’elettrofisiologia 589 > per saperne di più il difficile rapporto con la filosofia di Hegel 601 LA pAroLA Ai teSti T6 Schelling L’organismo non è spiegabile in modo meccanicistico 591 per CApire MegLio L’intuizione produttiva 593 • La storia: un dramma in cui gli attori recitano liberamente 595 • L’arte è sintesi di razionalità e intuizione, di materiale e ideale 595 • La critica hegeliana al principio di identità 597 • La svolta religiosa 597 • Le dottrine tradizionali sulla creazione del male nel mondo 599 • L’indeducibilità dell’esistente dal razionale 601

Test di autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 602

XIX In d Ic e

10. Hegel Le domande della filosofia 604 La rete dei concetti e dei problemi 606 Uno sguardo d’insieme 607 Il contesto storico-culturale 608

1. La formazione filosofica e le opere giovanili • L’Assoluto e la realtà • Le prime opere

........

610

....................

612

610

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO ApprofondiMenti > per saperne di più gli scritti giovanili 611 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione religione popolare 613 > La filosofia e il presente Amare gli altri e amare il prossimo T1 Hegel

Ama il prossimo tuo 613 LA pAroLA Ai teSti T2 Hegel L’amore come unificazione di finito e

infinito 615

2. I capisaldi della filosofia hegeliana • Razionalità, dialettica e verità del reale . . . . . . . . . . . . . . . . 618

616

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione fenomenologia 617 • Spirito 617 > Mappa concettuale i capisaldi del pensiero hegeliano 619 > Lessico e concettualizzazione dialettica 621 • Sostanza 623 per CApire MegLio Che cos’è lo Spirito 617 • razionale e reale 619 LA pAroLA Ai teSti T3 Hegel La filosofia come civetta 619 • T4 Hegel Un esempio di dialettica 621 • T5 Hegel La sostanza come

soggetto 623

3. Il viaggio della coscienza • La coscienza

.........................

624

• L’autocoscienza e la ragione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 626 • La seconda parte della Fenomenologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 630

624

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO per CApire MegLio La storia dentro di noi 625 CoMpetenZe > Mappa concettuale La Fenomenologia dello Spirito 625 > filosofia e cittadinanza La funzione del lavoro 627 > Argomentazioni La contraddittorietà della legge morale T7 Hegel L’obbligo di dire

la verità 629 LA pAroLA Ai teSti T6 Hegel La coscienza infelice 627 ApprofondiMenti > per saperne di più Le interpretazioni della

Fenomenologia dello Spirito 631

4. La filosofia come sistema • La logica

.................................

634

• La filosofia della natura . . . 640 • La filosofia dello Spirito

...

642

......

642

........

644

• Lo Spirito soggettivo • Lo Spirito oggettivo

632

ApprofondiMenti > per saperne di più il sistema hegeliano 633 • i tre momenti della morale 647 • i tre momenti della società civile 649 •

Lo spiritualismo in italia 657 CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione idea 633 > Mappa concettuale La logica 635 > Lessico e concettualizzazione natura 641 > Mappa concettuale Lo Spirito soggettivo 643 • Lo Spirito oggettivo 645 > pensiero critico La morale e il diritto 647 > Lessico e concettualizzazione eticità 647 > filosofia e cittadinanza Lo Stato etico e il totalitarismo 649 > Lessico e concettualizzazione Spirito del popolo 651 • individui cosmico-storici 653 • Astuzia della ragione 653 > Mappa concettuale Lo Spirito assoluto 655 > La filosofia e il presente Hegel e l’insegnamento della filosofia 655

In d Ic e

XX

• La concezione della storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 652 • Lo Spirito assoluto

...........

654

LA pAroLA Ai teSti T8 Hegel La logica come pensiero del mondo 635 • T9 Hegel Identità e contraddizione 637 • T10 Hegel L’idea 639 • T11 Hegel La concezione negativa della natura 641 • T13 Hegel Conoscere lo spirito 643 • T14 Hegel Come nasce una costituzione 651 • T15 Hegel La libertà come fine ultimo della storia 651 • T16 Hegel Gli individui cosmico-storici e l’astuzia della ragione 651 per CApire MegLio L’inizio della logica 637 • Meccanicismo, chimismo, teleologismo 639 • La natura nel sistema hegeliano T12 Hegel Il fine della natura è lo Spirito 641 • Spirito soggettivo / oggettivo / assoluto 643 • Che cos’è lo Spirito oggettivo 645 • La società civile e lo Stato 649 Attività > rielaborazione 645

LAVORO SUL TESTO T17 Hegel Ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 658 T18 Hegel Il vero è l’intero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 660 T19 Hegel Il lavoro e l’autocoscienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 661 T20 Hegel L’eticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663 T21 Hegel Reale e razionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 664

Itinerari di lettura online . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 666 LABORATORIO

667

Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito La fallacia di falsa disgiunzione

PENSARE IL PRESENTE

.............................................................................................................................

670 674

QUESTIONI DI ATTUALITA` Cultura e comunità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 674 PRO&CONTRO L’ideale e l’esistente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 676 FILOSOFIA E CITTADINANZA Lo Stato etico, il pericolo totalitario e la questione dei valori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 677

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 679

1. Il Rinascimento

Lezione in PowerPoint

LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. Umanesimo e Rinascimento 2. I platonici 3. Aristotelici e naturalisti 4. Riforma e Controriforma 5. Rinascimento e politica 6. Il Rinascimento europeo: Montaigne

LA RETE DEI SAPERI antropologia • Dal confronto con i diversi

all’esigenza di una scienza dell’uomo pedagogia • Una città per imparare sociologia • La dimensione sociale della sessualità nelle utopie rinascimentali

I TESTI • T1 Cusano La conoscenza è inesauribile • T2 Ficino Effetto placebo e talismani magici • T3 Pomponazzi Il destino di ogni uomo è scritto nelle stelle • T4 Pomponazzi La coincidenza fra stoicismo e cristianesimo • T5 Telesio La ragione è un senso imperfetto • T6 Bruno L’infinità dell’universo • T7 Campanella L’educazione nella Città del Sole fra pedagogia e utopia TEST DI AUTOVALUTAZIONE

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO COMPETENZE / La filosofia e il presente, Lessico e concettualizzazione, pensiero critico, Mappa concettuale, Argomentazione, Filosofia e cittadinanza pEr CApIrE MEgLIo LA pAroLA AI tEStI AttIvItà / Flipped classroom, Webquest ApproFonDIMEntI / Filosofia per immagini, Intersezioni, per saperne di più

• T8 • T9 • T10 • T11 • T12 • T13 • T14 • T15

Lutero Le tesi sulle indulgenze La teologia cattolica delle indulgenze Calvino La predestinazione Machiavelli La verità effettuale e l’etica del politico Machiavelli L’uomo politico sia volpe e leone Gramsci Il moderno principe: il partito Montaigne Il contenuto dei Saggi Montaigne La stranezza degli europei

2

La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Che cos’è l’uomo? • Da che cosa dipende il suo destino? • Come possiamo conoscere la natura? • Qual è il rapporto dell’uomo con Dio? • La Chiesa è necessaria? • Come nascono gli Stati? Come devono essere governati? • È possibile una società più giusta?

2

I CONCETTI DA RIPASSARE • Neoplatonismo • Immanenza / Trascendenza • Ipostasi • Grazia • Politica

3

I CONCETTI CENTRALI • Filologia • Naturalismo • Magia • Infinito • Macrocosmo / Microcosmo • Anima • Predestinazione • Realismo politico • Ragion di Stato • Utopia

4

I NUOVI PROBLEMI • Qual è il posto dell’uomo nell’universo? • Come è possibile controllare la natura? • Su che basi si fonda la società? • Qual è la funzione dell’arte? • È possibile la convivenza fra religioni diverse?

PENSARE IL PRESENTE • L’uomo e la natura • Giordano Bruno e il libero pensiero

• L’homo faber sui • L’uomo come microcosmo

Uno sguardo d’insieme A

pprofondendo le conquiste operate dall’Umanesimo, e in particolare lo sviluppo della filologia, il rinascimento inaugura una nuova cultura caratterizzata da alcuni tratti peculiari. Il primo di questi è l’attenzione all’uomo, ai suoi problemi e alla vita sociale; una svolta rispetto alla mentalità medievale, focalizzata unicamente sul problema di Dio. Ugualmente innovativa rispetto all’epoca precedente è l’attenzione per la natura, verso la quale i rinascimentali sentono un trasporto particolare, quasi una forma di amore. Anche il pensiero magico, comune a quasi tutti i filosofi dell’epoca, va inquadrato in questo interesse per la natura, che ancora non si avvale delle pratiche scientifiche. Altrettanto comune è intendere la rinascita vissuta in questo periodo come un ritorno alla perfezione degli antichi; una prospettiva antimoderna che giustifica la ripresa del platonismo e dell’aristotelismo, che hanno come centri di diffusione rispettivamente

Firenze e padova, ma anche dell’epicureismo (in particolare con Lorenzo valla) e dello scetticismo (con Michel de Montaigne). La politica rompe il legame di dipendenza dalla religione e dalla morale, caratteristico del Medioevo, affermandosi, con niccolò Machiavelli, come vera e propria scienza autonoma. Al suo realismo politico fa da contraltare la nascita di visioni utopistiche, come la Citta del Sole di tommaso Campanella e l’Utopia di tommaso Moro. La propensione rinascimentale a cercare nel passato la soluzione ai problemi attuali si esprime anche nella Riforma protestante, fautrice di un ritorno alla semplicità della Chiesa primitiva. La riforma cambia radicalmente il quadro culturale dell’Europa, dando origine al proliferare di nuove religioni al nord (luteranesimo, calvinismo, anabattismo ecc.) e alla ristrutturazione della Chiesa romana (Controriforma).

centralità dell’uomo

uomo = copula mundi

Audiomappa pensiero magico amore per la natura

RINASCIMENTO

recupero degli antichi

umanesimo filologico rinnovamento politico

rinnovamento religioso

naturalismo

Telesio, Bruno, Campanella

platonismo

Ficino

aristotelismo

Pomponazzi

scetticismo

Montaigne

autonomia della politica

Machiavelli

nascita dell’utopismo

Campanella, Moro

Riforma protestante

luteranesimo calvinismo

Controriforma cattolica

3

4

Il contesto storico-culturale Un momento di passaggio Dalla fine del trecento si assiste a una vera e propria svolta della civiltà che nel secolo successivo matura in una nuova era, il rinascimento, che vede l’Italia come paese all’avanguardia. Si tratta di un periodo di trasformazioni sociali, politiche e religiose talmente radicali da essere considerato da molti storici come il punto di passaggio tra la fine del Basso Medioevo e l’avvento del mondo moderno.

La nascita degli Stati nazionali A oriente si afferma la popolazione turca degli ottomani, che con la caduta di Costantinopoli (1453) mettono fine all’Impero romano d’oriente e danno inizio a un nuovo potente Impero musulmano. In occidente, come risposta all’esigenza di un’autorità centrale capace di coordinare e pacificare la miriade di forze feudali diffusesi dopo la fine del Sacro romano impero (887), nascono le monarchie nazionali (Francia, Inghilterra e Spagna le principali). rette da un sovrano che regna su un territorio i cui abitanti condividono origini, lingua, storia e costumi, le monarchie si impegnano in lunghi conflitti. Il più importante scoppia fra Francia e Inghilterra (la cosiddetta guerra dei cent’anni, 1337-1453) per concludersi intorno al 1453 con la vittoria della Francia. A questa frammentazione politica si aggiunge la perdita del potere universale del papato, che dal 1305, con lo spostamento della sede papale ad Avignone, non condiziona più in maniera decisiva le scelte politiche dei diversi regni.

In Italia: l’epoca delle Signorie In questo quadro, la situazione dell’Italia centrale e settentrionale è per certi versi particolare. Qui, a partire dall’anno Mille, si sviluppano nuovi centri urbani (i Comuni), vere e proprie città-Stato con leggi e magistrature autonome. Dalla fine del Duecento, però, le istituzioni comunali entrano in crisi. Ai conflitti interni e alle tensioni sociali fra popolo grasso (imprenditori, mercanti, professionisti)

e popolo minuto (bottegai e artigiani) si aggiungono le difficoltà economiche e la crisi demografica prodotte dalla Grande peste (la peste nera del trecento). In cambio della pace interna, il potere è attribuito a un’unica persona, il Signore (da qui la parola «Signoria»), che concentra in sé tutta l’autorità e amministra il potere attraverso una burocrazia che risponde unicamente a lui.

Firenze: la culla del Rinascimento Uno dei luoghi più importanti del rinascimento è Firenze, la cui storia si intreccia indissolubilmente con quella della famiglia Medici. Dall’inizio del Quattrocento la borghesia mercantile e finanziaria fiorentina si sostituisce agli artigiani del settore manifatturiero, che fino a quel momento avevano costituito la forza economica della città. Affermatisi come prestatori di denaro e sfruttando abilmente le circostanze politiche e le reti clientelari di familiari e amici, i Medici diventano una delle famiglie più ricche d’Italia tanto da essere considerati di fatto dai loro concittadini “signori di Firenze”. Dal 1434 Cosimo e soprattutto in seguito il fratello Lorenzo (detto il Magnifico), per consolidare il loro potere chiamano in città i maggiori artisti dell’epoca, che lavorando accanto agli intellettuali rifondano le basi della cultura sui modelli della classicità.

La pace di Lodi oltre a consolidarsi, le Signorie lottano per difendersi dalla minaccia delle mire espansionistiche altrui sia militarmente sia con una competizione simbolica. nonostante decenni di lotte, però, nessun grande Signore riesce a imporsi sugli altri: questa perenne instabilità porta a un graduale impoverimento delle Signorie. La situazione diviene talmente grave che, nel 1454, per merito della mediazione politica di Lorenzo il Magnifico, i signori italiani decidono di concludere un accordo (pace di Lodi), che pone fine alla guerra tra la repubblica di venezia e il Ducato di Milano, stabilendo

Londra Cues

Noyon

1337-1453 guerra dei cento anni

Magdeburgo Wittenberg Eisleben

Rotterdam

1400

Treviri

1401-64 Cusano

Parigi

Ginevra

5

Zurigo

1425

Trento Padova

Venezia

Firenze

1450 Roma

1455 gutemberg inventa la stampa

Nola 1469-1527 Machiavelli Cosenza

1475

Stilo

1482 Ficino, Theologia platonica

un nuovo equilibrio nella Penisola che durerà mezzo secolo. È un periodo di incomparabile splendore per l’Italia, che con il suo sviluppo culturale ed economico diventa il centro della cultura umanistica e rinascimentale europea. Tuttavia, il Paese è preda delle mire espansionistiche delle monarchie straniere, in particolare di quella francese e spagnola. Gli Stati italiani, soprattutto dopo la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559 tra Francia e Spagna, entrano progressivamente sotto la sfera d’influenza spagnola. Tale situazione rimarrà sostanzialmente immutata per oltre 150 anni.

LA CULTURA E I LUOGHI DEL RINASCIMENTO EUROPEO La cultura umanistico-rinascimentale riflette spesso sul rapporto tra natura e razionalità. Una delle maggiori correnti culturali in tal senso è quella neoplatonica, che si sviluppa a Firenze con Ficino. Ma la riflessione più grandiosa e innovativa sulla natura è quella panteistica data da Bruno, che gira l’Italia (Venezia e Roma, dove trova la morte) e l’Europa (Parigi e Londra). La ricerca di nuovi princìpi è presente non solo all’interno dell’indagine naturalistica, ma anche politica, con Machiavelli, che a Firenze fonda una scienza politica autonoma e aderente ai fatti e alla natura dell’uomo. L’epoca è scossa infine dalla riforma luterana, che, sviluppatasi in Germania ad opera del monaco Martin Lutero, segna la nascita della corrente protestante, rinnovata da Calvino a Ginevra e diffusasi in Francia, Olanda e Inghilterra.

1492 scoperta dell’America

1500 1511 Erasmo, Elogio della pazzia 1517 95 tesi di Lutero 1519 morte di Leonardo da vinci

1509-88 telesio 1513 Machiavelli, Il principe 1516 Moro, Utopia

1525

1548 nasce Bruno

1550 1562 inizio delle guerre di religiose

1568-1639 Campanella

1575 1582 Montaigne, Saggi Bruno, La cena delle ceneri

1600 Bruno muore sul rogo

1586 telesio, De rerum natura iuxta propria principia

1600

1625 1633 condanna di galilei

1650

1620 Campanella, De sensu rerum et magia

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• Sintesi

1

Umanesimo e Rinascimento

La storiografia ha discusso a lungo il rapporto fra Umanesimo e rinascimento; oggi prevale l’idea che siano due aspetti diversi dello stesso fenomeno: l’Umanesimo viene prima e ha un carattere prevalentemente letterario, il rinascimento viene dopo ed è prevalentemente filosofico. entrambi, però, pongono al centro l’uomo. Con il termine «Rinascimento» ➝ 1 si indica una fase storica piuttosto breve, dalla seconda metà del xv secolo ai primi decenni del xvi (fra la pace di Lodi del 1454 e l’esplodere del conflitto religioso nel 1517), caratterizzata dall’emergere di una cultura specifica, non più medievale ma non ancora compiutamente moderna. Anche se nella seconda metà del Cinquecento si estende Oltralpe dando origine anche a un Rinascimento francese e inglese, il Rinascimento è un’esperienza essenzialmente italiana e ha il suo centro di massima fioritura a Firenze, già da tempo punto di riferimento della vita letteraria e della rivoluzione culturale umanista. Con «Umanesimo» ➝ 2 invece si intende il periodo immediatamente precedente al Rinascimento, all’incirca dall’epoca di Giotto (1267-1337), durante il quale la fioritura rinascimentale è anticipata da un rinato interesse per le humanae litterae, ovvero per le discipline umanistiche (letteratura, poesia, retorica, filologia). Il termine «Rinascimento» è un’invenzione moderna, ma coglie bene lo spirito dell’epoca caratterizzandolo come il bisogno di ripristinare una antica grandezza, una perfezione originaria andata persa nello scorrere dei secoli. Il Rinascimento è prima di tutto una rivoluzione artistica, un nuovo modo di vedere ➝ 3 il mondo prima ancora che di ripensarlo filosoficamente. Non a caso esso esprime il massimo delle sue possibilità nelle arti visive, plastiche e pittoriche. La filosofia non è quindi l’unico motore di questa rivoluzione spirituale, ma certo contribuisce al suo delinearsi, soprattutto attraverso la ridefinizione di quattro idee fondamentali: l’uomo, la natura, la storia, Dio.

◀ Raffaello Sanzio, Tre Grazie, 1504-05, olio su tavola (Chantilly, Musée Condé).

Materiali per l’apprendimento attivo 1. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

2. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

UMANESIMO E RINASCIMENTO Per molto tempo i termini «Umanesimo» e «Rinascimento» sono stati usati come sinonimi. Vengono distinti solo dall’Ottocento, su suggerimento dello storiografo svizzero Jacob Burckhardt (1818-97). nell’opera La civiltà del Rinascimento in Italia (1860), egli caratterizza l’Umanesimo come un movimento esclusivamente filologico-letterario, in contrapposizione a un Rinascimento eminentemente filosofico-scientifico, considerando il primo come causa e premessa del secondo. Oggi però questa interpretazione è rifiutata da diversi storici, come ad esempio eugenio Garin (1909-2004), che ha respinto ogni separazione o contrapposizione schematica tra le due fasi storiche collegandole piuttosto, in un rapporto dialettico, come due diversi aspetti di un’unica civiltà. 3. APPrOFONDIMeNTI > Intersezioni

L’INveNZIONe DeLLA PrOsPeTTIvA nello scritto Le vite dei più eccellenti pittori (1550) Giorgio Vasari (1511-74) racconta che Paolo Uccello rispondesse alla moglie che lo invitava a dormire: «Oh, che cosa dolce è questa prospettiva!». Il fascino speciale esercitato sui rinascimentali dall’invenzione di questo metodo per rappresentare, in due dimensioni (su un foglio), la tridimensionalità dello spazio e quindi le distanze relative degli oggetti che lo occupano è stato spiegato dallo storico dell’arte tedesco erwin Panofsky (1892-1968). nella Prospettiva come forma simbolica (1927) egli analizza come ogni epoca culturale abbia sviluppato un proprio modo di rappresentare lo spazio, che può dunque essere inteso come la «forma simbolica» di quella cultura. Si sofferma a lungo sulla differenza fra la spazialità antica e la spazialità rinascimentale: la prima si basa su un’idea di spazio finito, non omogeneo, mentre nella seconda si afferma l’idea di uno spazio infinito, omogeneo e sistematico, e dunque da costruire mediante regole geometrico-matematiche. con l’invenzione della prospettiva rinascimentale, conclude Panofsky, lo spazio è matematizzato e l’arte si fa scienza.

1 UMa n eS IMO e RIn aS c IMe n tO

L’UOMO AL CENTRO: L’ICONA DEL RINASCIMENTO Questo piccolo disegno a penna di Leonardo da Vinci è una delle immagini più iconiche della storia. Lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, visto che compare anche sulle monete da 1 euro. È anche una potente immagine simbolica del Rinascimento, un vero e proprio logo della spiritualità umanistica. noto come “uomo vitruviano”, perché ispirato al Trattato di architettura di Vitruvio, dimostra come un corpo umano possieda proporzioni ideali potendo essere inscritto sia in un quadrato, simbolo della dimensione terrestre, sia in un cerchio, tradizionale rimando grafico al cielo e alla perfezione divina. In sostanza dunque Leonardo vi mette in forma l’identità fra microcosmo e macrocosmo, fra uomo e universo, un concetto filosofico al centro della cultura rinascimentale. Ma è anche una figura paradigmatica del rapporto rinascimentale tra arte e scienza, due attività a partire dalla seconda metà del Quattrocento fortemente congiunte.

7

8

L’uomo rinascimentale

1. I L RI N ASCI M E N TO

Al cuore della cultura rinascimentale vi è la rivalutazione dell’uomo, della sua esperienza terrena, delle sue capacità e delle sue virtù, tutti tratti che il pensiero medievale aveva posto in secondo piano. L’uomo rinascimentale si sente prima di tutto libero; sa di essere l’artefice di se stesso, tanto da definirsi fabbro della propria sorte ➝ 4 . Non più oppresso dal peccato originale, sente di non essere predisposto al male e peccatore per natura, ma di poter scegliere e progettarsi contando sul suo libero arbitrio; la sua fortuna dipende solo da lui. Ne consegue che egli non ha più bisogno di Dio per realizzarsi e che non è più disposto a una vita di rinunce in cambio di una ricompensa nell’aldilà. Nel giro di pochi decenni, le questioni su cui per otto secoli avevano dibattuto gli scolastici (la natura di Dio, il destino dell’anima, la peccaminosità dell’uomo) scompaiono dall’orizzonte culturale, soppiantate da problemi di ordine morale, politico ed estetico. Con un capovolgimento totale della posizione tradizionale, gli umanisti volgono le spalle all’ideale ascetico medievale; ritengono inutile, se non dannosa per la comunità, la vita dell’anacoreta. La ricerca del piacere e della felicità terrena non sono più considerate peccato. Quella del Rinascimento è quindi una società disinibita, molto più dei secoli che la precedono ma anche di quelli che seguono. Riconoscersi come un uomo integrale significa infatti sentire di avere un corpo, accettarlo e apprezzarlo per la sua bellezza. Da Giotto in poi il tema che maggiormente impegna pittori e scultori è il corpo umano, prima conquistandone una rappresentazione realistica, poi idealizzandolo in forme perfette quanto quelle classiche. Torna a essere legittima persino la rappresentazione della nudità maschile e femminile, anche se non lo rimarrà per molto, come dimostra la vicenda dei nudi di Michelangelo nella Cappella Sistina, ricoperti nel 1564 perché tornati già a essere scandalosi. Attenzione per il corpo significa anche benessere, sessualità e salute, e non a caso la scienza medica rinascimentale è la prima a rifiorire e ad accrescersi con l’invenzione dell’anatomia ➝ 5 . Il Rinascimento è anche l’epoca dei trattati e dei manuali: se ne producono su ogni argomento che in qualche modo possa migliorare la condizione umana. La rinascita dell’uomo rinascimentale è la rinascita dell’uomo nel mondo: non solo egli è pienamente inserito nella natura, ma la indaga e cerca di dominarla con tutti i mezzi, inclusa la magia. Il tratto che però caratterizza meglio il Rinascimento è probabilmente l’amore per la natura. Sebbene non ancora padrone di trasformarla attraverso la scienza e la tecnica, l’uomo del Rinascimento vede nella natura soprattutto uno spettacolo, qualcosa che è sufficiente osservare per provare gioia, piacere, emozioni e persino insegnamenti morali (i comportamenti animali, ad esempio, sono letti come simboli di virtù e di vizi). Ai rinascimentali la natura appare come una scoperta, perché i medievali l’avevano trascurata per rinchiudersi nell’interiorità personale, come voleva Agostino, o interpretata come un libro scritto da Dio, e dunque l’occasione per celebrare il Creatore (è il caso dei neoplatonici della scuola di Chartres). Come ogni mondo scoperto recentemente, la natura va prima di tutto esplorata. Non a caso il Rinascimento è l’epoca delle mappe, delle carte geografiche che indirizzano Colombo alla scoperta del Nuovo Mondo e delle carte astronomiche delineate da Copernico nel saggio Sul movimento dei corpi celesti (1543), che scardina il sistema tolemaico ponendo il Sole al centro del Sistema solare.

Materiali per l’apprendimento attivo

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4. PER CAPIRE MEGLIO

5. APPROFONDIMENTI > Intersezioni

L’INVENZIONE DELL’ANATOMIA Permettendo l’esplorazione dell’interno del corpo umano, un mondo complesso e sostanzialmente sino ad allora sconosciuto, l’invenzione dell’anatomia avvenuta nel Rinascimento ha un peso culturale non inferiore alla rivoluzione astronomica o alla scoperta delle americhe. Fino al xvi secolo, infatti, l’anatomia (se si escludono le ricerche private di Leonardo da Vinci) come le altre discipline si appoggiava esclusivamente sul sapere degli antichi studiosi e in particolare dei filosofi naturali. La svolta si ha con il trattato Sulla fabbrica del corpo umano (1543) del medico fiammingo andrea Vesalio (1514-64), corredato da tavole magnifiche e per la prima volta scientificamente precise. da questo momento il medico smette di basarsi solo sulle teorie e introduce la pratica: a essere letto è anche il corpo e non più solo il libro. È un’impresa prettamente rinascimentale anche nel metodo, perché Vesalio si avvale della collaborazione dei pittori della scuola di tiziano, a Venezia. Significativo è inoltre il titolo dell’opera, che interpreta il corpo umano come una fabbrica, ossia come una bottega rinascimentale, il luogo in cui artisti e dipendenti organizzavano la produzione artistica collaborando fra di loro e dividendosi i compiti (proprio come fanno gli organi, i muscoli e le ossa).

▶ Andreas Vesalius, De humani corporis fabrica, Tavola anatomica dei muscoli, 1543 (Roma, Biblioteca Casanatense).

Pur sviluppando verso la natura un atteggiamento fondamentalmente estetico, cioè mirato a valorizzarne la bellezza, il Rinascimento non rinuncia comunque a tentare di trasformarla, sia con uno sviluppo delle tecniche che prefigura l’imminente rivoluzione scientifica, sia soprattutto con le armi della magia e dei suoi derivati (alchimia, astrologia, cabala, occultismo). La magia è infatti parte costitutiva del pensiero rinascimentale, tanto che è difficile distinguere fra maghi professionisti, come il tedesco Corne-

1 UMa n eS IMO e RIn aS c IMe n tO

L’UOMO è L’ARTEFICE DELLA PROPRIA SORTE nella sua formula latina, homo faber ipsius fortunae, questa massima è assunta dai rinascimentali come la sintesi del loro modo di vivere, nuovo e originale. Sebbene non implichi di per sé un rifiuto di dio (un passo che nessun rinascimentale si sente di compiere), essa significa rompere con la mentalità medievale che vedeva il modo migliore per glorificare dio nel deprezzare l’uomo, insistendo sul tema del peccato originale. Un uomo artefice di se stesso non è condizionato da nulla di esterno, innato o trascendente.

1. I L rI N AsCI M e N TO

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lio Agrippa (1486-1535) o lo svizzero Teofrasto Paracelso (1493-1541) e filosofi come Marsilio Ficino e Giordano Bruno, non solo teorici del pensiero magico ma anche personalmente ossessionati dal loro oroscopo e, come vedremo, intenzionati a porsi in contatto, seppure ognuno a modo suo, con le influenze astrali. I rinascimentali distinguono tuttavia la figura del mago, detentore di una conoscenza (formule e pratiche che costringono la natura ad agire in un certo modo), da quella riprovata e perseguitata dello stregone, detentore di un potere particolare, quasi sempre malefico, che emana direttamente dal suo corpo ➝ 6 ➝ 7. Lette con rispetto, ma anche con spirito critico, le opere classiche divengono oggetto di uno studio filologico teso alla ricostruzione della loro forma originale, al di là delle modificazioni subite nel tempo. Oltre che dello spazio, nel Rinascimento muta anche la percezione del tempo. Entrambi cominciano a essere compresi, scanditi e misurati con maggior precisione perché di essi l’uomo rinascimentale comincia a fare un uso pratico. Se il tempo agricolo nel Medioevo era regolato dalla natura, il tempo della nuova economia coincide con il denaro ed è quantificato nelle merci prodotte, nei salari e nei profitti. Cambia di conseguenza anche la percezione della storia. Vi è una suggestiva analogia fra la conquista della prospettiva ottica, che permette di rappresentare esattamente le distanze fra gli oggetti, e l’affermarsi di una prospettiva storica, che colloca gli eventi del passato in relazione alla loro distanza dal presente. È anche questa una novità: il Medioevo infatti aveva letto le opere dei greci come se fossero contemporanee, al punto da correggerle quando le riteneva sbagliate. L’Umanesimo muta l’approccio nello studio delle opere antiche. Polemizza contro l’opera di fraintendimento cui il Medioevo ha sottoposto i classici, adattandoli a esigenze proprie e piegandoli a interpretazioni estranee alle teorie avanzate dagli autori antichi, che al contrario ora appaiono comprensibili solo se collocate nel loro contesto di nascita. Bisogna però aggiungere che, se è vero che i rinascimentali sentono con urgenza la necessità di rompere con il recente passato e di superare il Medioevo, è altrettanto vero che concepiscono l’avanzamento come un ritorno all’antico. Con una bella metafora, Giordano Bruno descrive il suo tempo come una pianta amputata ma non ancora morta, il cui il tronco, ancora vivo dopo molti secoli bui, ricomincia ora a germogliare. In questo senso, la mentalità rinascimentale differisce notevolmente dalla nostra; le rimane estranea, infatti, l’idea moderna di progresso, ossia di uno sviluppo continuo e direzionato della storia, in cui nuovi miglioramenti si accumulano a quelli precedenti senza interruzioni. L’Umanesimo procede quindi alla rivalutazione degli studia humanitatis, considerati come essenziali per la formazione dell’uomo, e all’imitazione dei classici artistici e letterari greci e latini. Riletti, tradotti e reinterpretati, i classici diventano modelli sia per i loro contenuti (insegnamenti filosofici, morali, scientifici) sia per lo stile: ne derivano un nuovo gusto estetico e nuove modalità di espressione letteraria. A partire dal xvi secolo si avvia un processo di progressiva secolarizzazione: tramontata la concezione teocentrica medievale, il centro dell’esistenza si sposta da Dio all’uomo, un uomo che, pur rimanendo religioso, è più interessato all’aldiquà che all’aldilà. L’Umanesimo non contesta il cristianesimo ma lo trasforma dall’interno cercando di adattarlo alla sua visione del mondo. Certamente contesta la religiosità dei secoli precedenti, in particolare l’ascetismo, la fuga dal mondo nei monasteri e la sistematica svalutazione dell’umano tipiche del Medioevo. Tuttavia non nega la fede e non vede nella religione un attacco alla dignità umana, come avverrà durante l’Illuminismo. Punta invece a una co-

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6. PER CAPIRE MEGLIO

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IL PENSIERO MAGICO nonostante la varietà delle sue espressioni concrete, la magia rinascimentale è caratterizzata da questi princìpi: 1) l’animismo universale: in tutti gli enti naturali circola uno spirito impalpabile e invisibile che li governa e vivifica; 2) il panpsichismo: fra gli enti naturali si instaurano rapporti di simpatia e antipatia simili a quelli umani, politici e psicologici; il sale, ad esempio, va d’accordo con l’acqua e in essa si scioglie, ma l’olio si comporta al contrario; certi metalli si uniscono fra loro creando una lega, ma altri rifiutano di fondersi assieme; 3) l’organicismo: tutti gli enti naturali sono collegati fra loro formando un complesso organico e vivente, e ciò rende possibile ottenere effetti a distanza. come in un corpo umano un dolore a un piede può provocare un mal di testa, sebbene non vi si siano rapporti diretti fra i due organi, così un’operazione magica può determinare conseguenze su persone non presenti.

▲ L’uroboro, il serpente che si morde la coda, da Synosius, trascrizione di Theodore Palecanos, 1478 (Parigi, Biblioteca Nazionale).

7. COMPETENZE > La filosofia e il presente

QUANTI MAGhI NELLA TUA CITTÀ? Secondo il sociologo Max Weber (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904) uno dei fenomeni più significativi della cultura moderna è il cosiddetto «disincanto del mondo», ovvero il progressivo affermarsi di una organizzazione razionale dell’esistenza e la parallela scomparsa della magia e della religione, superate dalla diffusione di massa della mentalità scientifica, con la quale sono incompatibili. È una tesi che, pur essendo diventata un classico della letteratura sociologica, è stata recentemente messa in discussione dall’insorgere dei fondamentalismi religiosi e dalla constatazione che, a ben vedere, la magia non è mai davvero scomparsa. Lo dimostra la presenza nelle nostre città di cartomanti, sensitivi, astrologi, veggenti, parapsicologi, medium, ritualisti e lettori di tarocchi. 8. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

SECOLARIZZAZIONE detta anche mondanizzazione, la secolarizzazione indica il processo attraverso cui il pensiero e la pratica religiosi, assieme alle istituzioni a essi connesse, perdono progressivamente il loro potere normativo sulla società: la scienza, l’economia, l’educazione non sono più modellate dai princìpi religiosi. nato con la fine del Medioevo, il fenomeno accompagna tutta la modernità, con un’accelerazione dopo la rivoluzione industriale dell’Ottocento. esistenza tra i nuovi valori e una religiosità rinnovata, riportata alle origini eroiche e alla rettitudine morale della Chiesa primitiva, un’esigenza che trova espressione nel movimento della devotio moderna e nelle correnti dell’umanesimo cristiano, il cui esponente più noto è Erasmo da Rotterdam. Ma è un tentativo fallimentare, perché alla fine nel Rinascimento è più forte la tendenza a passare da una visione teocentrica del mondo, che pone Dio al centro dell’interesse e relega l’uomo a una condizione marginale, a una visione antropocentrica, in cui è l’uomo al centro e Dio alla periferia. Il mutamento della spiritualità rinascimentale va quindi nel senso della secolarizzazione ➝ 8 , ovvero della sistematica riduzione del sacro al mondano, del religioso al laico, dell’interiorità alla socialità.

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L’affievolirsi del senso di trascendenza religiosa si esprime anche in una progressiva umanizzazione di Cristo ➝ 9 particolarmente evidente nelle arti visive. Nel Medioevo, Cristo era raffigurato come il Pantocratore, l’onnipotente Signore dell’universo, e ogni accenno alla sua dimensione umana era considerato inopportuno. Ora invece ci si interessa alle sue vicende terrene, soprattutto alla sua nascita, cominciando a celebrare il Natale, e alla sua storia familiare, con particolare attenzione ai personaggi dei Vangeli sino ad allora mai valorizzati: il padre carnale Giuseppe, i nonni Giacobbe e Anna. I protagonisti del Rinascimento sono gli intellettuali. Pur essendo protetti da sovrani, nobili e talvolta papi, questi letterati, artisti, filosofi, scienziati e architetti diventano figure sociali autonome che gravitano attorno a nuovi luoghi di diffusione della cultura. Come conseguenza diretta di questi cambiamenti mutano anche i luoghi della produzione culturale e si impone una nuova figura di intellettuale ➝ 10 . Le università, in cui insegnavano prevalentemente ecclesiastici e monaci mendicanti (francescani e domenicani), perdono la loro centralità, anche perché lo sviluppo degli Stati nazionali toglie alla Chiesa di Roma la possibilità di controllarle. I nuovi intellettuali rinascimentali sono laici e provengono direttamente dalle borghesie cittadine che controllano i Comuni e Principati italiani, condividendone i valori e lo stile di vita. Spesso si avvalgono del mecenatismo ➝ 11 dei signori, che li mantengono presso la corte mossi sia dalla curiosità personale per la letteratura e le scienze, sia dal desiderio di accrescere il proprio prestigio grazie alla presenza di celebrità nel loro entourage. Altro ambiente in cui gli uomini di cultura si incontrano, si confrontano e si stimolano a vicenda sono le Accademie, istituti a carattere privato e volontario in cui si entra per cooptazione (cioè per decisione di quanti sono già membri) e in cui i massimi esperti di un campo del sapere svolgono ricerche avanzate, non di tipo educativo, con modalità di lavoro collettive e paritarie. La prima fra le Accademie è quella neoplatonica, fondata nel 1462 a Firenze da Marsilio Ficino, il cui successo determina un immediato fenomeno imitativo. L’Accademia Romana, fondata nel 1466, dura invece solo due anni perché il papa ordina la sua chiusura, l’incarcerazione e la tortura dei letterati accademici che sposavano posizioni anticlericali estreme e inusuali nel Rinascimento (volevano ripristinare il paganesimo precristiano). Nel secolo seguente l’esperienza delle Accademie sarà estesa all’ambito scientifico, dando origine a istituzioni più stabili: nel 1583 nasce ad esempio l’Accademia della Crusca e nel 1603 quella dei Lincei, ancora oggi esistenti e operanti rispettivamente nel campo della linguistica e della scienza. In questo contesto cambia anche la figura del filosofo, che perde un po’ della sua specificità confondendosi sempre di più con quella dell’intellettuale e dell’esperto. In particolare viene meno l’idea che la filosofia debba essere un’attività disinteressata e meramente contemplativa. È vero che tale concezione era tipica della cultura greca, che tanto si cerca di recuperare, tuttavia occorre ricordare sempre che l’incontro del Rinascimento con la classicità è selettivo: alcuni contenuti sono recepiti, altri tralasciati, e tra questi vi è l’inutilità pratica del filosofare. Ora si comincia piuttosto a considerare il sapere come una fonte di potere, prima di tutto verso la natura, che comincia a essere trasformata dalle tecnologie, ma anche per il sapiente stesso, che può usare le proprie conoscenze a suo vantaggio ➝ 12 . ◀ Michelangelo Buonarroti, Monumento a Lorenzo de’ Medici, 1524-34, marmo, particolare con il ritratto ideale del Duca d’Urbino (Firenze, Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo).

Materiali per l’apprendimento attivo 9. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

10. COMPETENZE > Pensiero critico

LA FIGURA DELL’INTELLETTUALE con il Rinascimento nasce la figura dell’intellettuale laico, cioè dell’uomo colto che usa la sua superiore competenza nel campo artistico, letterario o filosofico per produrre opere significative per la comunità. Sconosciuta nel Medioevo, quando tutta l’attività intellettuale era gestita da ecclesiastici, questa figura diventerà ancor più importante a partire dal xvii secolo e ancora oggi molto si discute sul suo ruolo, che molti intendono come coscienza critica della società: ci si aspetta che siano gli intellettuali a denunciare le storture del vivere civile. 11. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

MECENATISMO con il termine «mecenatismo» si indica l’attività di sostegno di attività artistiche e culturali e, più nello specifico, nei confronti degli stessi artisti coinvolti in tali attività. Prende il nome da Gaio cilnio Mecenate, scrittore e uomo politico romano (69-8 a.c.) che, quando si ritirò a vita privata, visse circondato da artisti, scrittori e poeti, proteggendo e incoraggiando i migliori. Oggi il mecenatismo è in gran parte costituito dalle sponsorizzazioni, ossia dal finanziamento di un evento di pubblico da parte di un’impresa economica privata a scopi pubblicitari. 12. COMPETENZE > La filosofia e il presente

SCIENZA, POTERE E TRASPARENZA con la nascita delle prime scoperte scientifiche si pone anche il problema di garantire da una parte la loro diffusione, così che tutti possano approfittarne, dall’altra una giusta remunerazione dello scopritore, che lo ripaghi per gli sforzi e la ricerca compiuti. Oggi si cerca di ottemperare queste esigenze con il sistema dei brevetti e il diritto di copyright, ma nel Rinascimento divulgare una nuova tecnica o la soluzione di un quesito scientifico significava perdere ogni vantaggio economico che poteva derivarne. ne conseguiva una situazione non certo favorevole allo sviluppo della scienza come impresa collettiva: ad esempio, quando un matematico inventava un modo per risolvere una particolare equazione sfidava i colleghi a fare altrettanto e dava pubbliche dimostrazioni della sua superiore competenza, ma si guardava bene dallo svelare il segreto del suo procedimento. Il 13 febbraio 2019 il Parlamento, il consiglio e la commissione europea hanno raggiunto un accordo sulla cosiddetta direttiva sul copyright digitale. attorno ad essa si è scatenato un acceso dibattito. consideri più importante la circolazione delle informazioni o che chi le produce abbia il giusto compenso?

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L’ARTE SACRA DESACRALIZZATA Per i rinascimentali la bellezza del corpo, oltre che estetico, è anche un valore etico e persino religioso, tanto da investire addirittura le figure di cristo e della Madonna: l’arte sacra rinascimentale considera una forma di devozione rappresentare la bellezza corporea di Cristo e della Vergine, al punto che spesso attribuisce a queste figure valenze erotiche, con opere che sarebbero state giudicate irriverenti nei secoli precedenti e che lo furono in quelli successivi. Innovativa è anche la rappresentazione di Gesù bambino, considerata blasfema nel Medioevo perché ritenuta una degradazione della divinità. nel Rinascimento, per ribadire la sua appartenenza all’umanità, si rappresenta Gesù addirittura in fasce e con i genitali in evidenza o mentre è allattato dalla Madonna. Funzionale all’umanizzazione di cristo è anche il tema della passione sulla croce, che diventa occasione per descrivere gli effetti devastanti della sua agonia.

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Umanisti e filologi Tre letterati umanisti, Petrarca, Salutati e Alberti, anticipano i temi della nuova mentalità. Al centro dei loro scritti emerge l’uomo, còlto sia nella sua individualità intima e nei suoi conflitti interiori, sia nella sua dimensione sociale, in cui agisce come una forza attiva e trasformatrice. Dal punto di vista filosofico i letterati umanisti di maggior interesse sono tre. Il primo è Francesco Petrarca (1304-74), ben conosciuto per il suo Canzoniere, 365 poesie che descrivono la storia del suo amore per Laura e il suo sviluppo spirituale. Quanto però tale sentimento vivesse in lui in modo conflittuale è mostrato nel Secretum (1347-53), un diario segreto non destinato a essere letto, il cui vero titolo è Il conflitto segreto dei miei affanni. Frutto di un’intensa crisi religiosa, il testo è in forma di dialogo filosofico e mette in scena due figure, Petrarca stesso e sant’Agostino, che egli considerava un maestro e una guida, tanto da portare sempre con sé una copia delle Confessioni. Al loro confronto assiste una donna bellissima, allegoria della Verità. Dopo una disamina dei sette peccati capitali, con particolare attenzione all’accidia, il dialogo si conclude con una considerazione della gloria terrena e dell’amore per Laura: mentre il poeta considera entrambe passioni positive, il santo le giudica distrazioni che allontano dalle cose divine. È la radiografia di un conflitto dilaniante e senza soluzioni. Diviso fra religione e felicità terrena, fra spiritualità e desiderio di fama, Petrarca vede l’essenza dell’uomo nel dissidio interiore, un tema prettamente rinascimentale. Per certi versi affine a quella di Petrarca è la riflessione del suo amico e ammiratore Coluccio Salutati (1331-1406), per trent’anni Cancelliere della Repubblica fiorentina e animatore della vita politica e culturale della città. Anche egli, infatti, vive con angoscia il progressivo venir meno della religiosità medievale, caratterizzata dalla capacità di credere nei misteri con fede assoluta. Di fronte alla morte, egli si chiede, come credere alla promessa di un’effettiva reincarnazione? Se anche l’anima sopravvive, il corpo conoscerà il disfacimento e senza l’unità fra corpo e spirito la persona umana non ha più senso. La religione può offrire solo un palliativo psicologico per rendere meno angosciosa tale consapevolezza. Del resto, Coluccio non ha intenzione di lasciarsi paralizzare da speculazioni sul destino ultraterreno. L’intellettuale, sostiene, non deve infatti chiudersi in se stesso ma operare in modo da «giovare all’umana società con l’esempio e con l’opera» (E. Garin, Filosofi italiani del Quattrocento, Le Monnier, Firenze 1942, p. 97), e la fede religiosa deve essere vissuta come testimonianza attiva e come solidarietà umana operosa. Proprio in questa ottica, nel saggio Sulla nobiltà delle leggi e della medicina (1399), Coluccio critica ogni forma di sapere contemplativo e teorizza la superiorità della giurisprudenza e della politica, proprio perché legate alla prassi della vita civile. A lungo considerato come il modello dell’umanista, Leon Battista Alberti (1404-72) anticipa invece la poliedricità di Leonardo da Vinci, l’“uomo universale” ➝ 13 del Rinascimento, dotato di una versatilità che gli consente di primeggiare nei più svariati ambiti culturali. Anche Alberti è infatti matematico, scienziato, musicista, pittore e archeologo, pedagogo ➝ 14 ma anche scrittore d’arte, letterato e più in generale uomo di cultura dotato di una conoscenza enciclopedica. Più che altro, però, ambisce a essere architetto, perché, argomenta nel saggio Sull’arte di costruire (1452), l’architettura è la massima fra le arti, l’unica in grado di unire l’amore per la bellezza alla ricerca della funzionalità e del benessere. Con l’Umanesimo i classici diventano modelli non solo per i loro contenuti ma anche per la loro forma. Ne deriva un grande sforzo filologico per riportare i testi antichi a una forma il più possibile vicina a quella originale. L’aspetto dell’Umanesimo che più interessa la filosofia è la nascita della filologia ➝ 15 . Prima ancora che una scienza, essa rappresenta una pratica che concretizza l’idea stessa di Rinasci-

Materiali per l’apprendimento attivo 13. COMPETENZE > Pensiero critico

14. COMPETENZE > La filosofia e il presente

IL TRATTATO Sulla famiglia Tra i tanti trattati sui più svariati argomenti, Alberti ne scrive uno dedicato all’educazione dei padri. Spetta al padre vigilare affinché i figli si impegnino più possibile in attività formative reprimendo la tendenza all’ozio, che egli giudica il peggior pericolo educativo. Egli propone una pedagogia fondata sull’attivismo. A suo avviso bisogna educare i bambini, già nella più tenera età, a sopportare la fatica, a resistere al freddo e al caldo (senza usare né il cappello né le scarpe); e più tardi ad alternare lo studio con dure esercitazioni sportive, fonte di salute ma anche di tenacia caratteriale. Vanno inoltre proibiti i giochi sedentari, come gli scacchi, che non comportano fatica. Applicando la stessa logica Alberti aggiunge che fra i castighi sono ammissibili anche quelli violenti, perché rafforzano la virilità. Alla base di questo modello formativo, in cui l’esercizio fisico è accostato allo studio intellettuale, vi sono due ideali centrali nel Rinascimento: da una parte l’idea che lo scopo dell’essere umano sia la trasformazione del mondo attraverso la propria operosità; dall’altra la concezione della personalità come frutto di uno sviluppo integrale e armonico. È un’idea estremamente moderna e alla base delle riflessioni pedagogiche più recenti, per le quali il fine dell’educazione è la fioritura di tutte le dimensioni della vita (intellettuale, estetica, etica ecc.). 15. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

FILOLOGIA/ESEGESI Dal greco phílos (“amico”, “amante”) e lógos (“discorso”, “linguaggio”), quindi letteralmente “amore per la parola”, la filologia è la disciplina che studia i documenti testuali antichi o appartenenti a culture diverse per ricostruirne il significato originario. Oltre alle analisi linguistiche, la filologia prende in esame anche il contesto culturale in cui i testi sono prodotti, tuttavia il suo obiettivo si limita a ricostruirne l’autenticità, senza azzardare ipotesi sul loro significato. mento: ciò che appassiona maggiormente i filologi umanisti, infatti, è rovistare nelle cantine polverose dei monasteri benedettini più sperduti per scoprire manoscritti dimenticati, che essi vedono come tesori dell’antica sapienza. Bisogna però riuscire a leggerli, cosa non facile

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LE CREATIVITÀ NEL RINASCIMENTO: GENIO INDIVIDUALE O PRATICA SOCIALE? Gli intellettuali del Rinascimento si caratterizzano per la loro straordinaria versatilità: artisti come Leonardo da Vinci, ma anche Michelangelo e tanti altri, sono al contempo geniali scultori, pittori, architetti, poeti, letterati e inventori. Incarnano quindi alla perfezione il concetto di uomo universale, applicato a una persona particolarmente erudita e che eccelle in molteplici campi. Utilizzando approcci differenti, svariate ricerche hanno cercato di approfondire la peculiare creatività di questi individui straordinari. Alcuni (ad esempio Il Cervello di Leonardo. Ritratto non ortodosso del più grande genio della storia di Leonard Shlain, 2016) hanno interpretato gli incredibili successi raggiunti da Leonardo attraverso l’ottica delle neuroscienze, riconducendoli a una conformazione particolare del suo cervello, dotato di un corpo calloso (la parte che mette in comunicazione i due emisferi, sede di competenze diverse) particolarmente pronunciato. Seppur affascinanti, studi come questi appaiono quasi come il tentativo di ricondurre la genialità a qualcosa di tangibile e comprensibile. Cosa sia la creatività è però una questione misteriosa, difficilmente risolvibile e che interessa diverse aree disciplinari. Gli scienziati sociali sottolineano che essa ha bisogno di determinati fattori sociali e culturali. Al di là della genialità individuale, ad esempio, la propensione a sperimentare vari generi tipica degli artisti e filosofi rinascimentali è strettamente legata all’ideale enciclopedico della loro epoca: in assenza dell’approccio specialistico che sarà instaurato solo più tardi con la ricerca scientifica, essi concepivano la cultura come il sapere tutto di tutto.

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sia per il deperimento dei materiali sia per la grande varietà di grafie, abbreviazioni ed errori introdotti spesso involontariamente dai monaci copisti. Il rinvenimento di tantissimi nuovi manoscritti porta con sé anche la possibilità di confrontare due manoscritti diversi della stessa opera e i filologi si accorgono che le discrepanze sono spesso notevoli, mettendo in atto un lavoro di ricostruzione investigativa che si avvale di competenze linguistiche, storiche e critiche per confutare errori e cattive interpretazioni accumulatesi nel millennio medievale e per riportare alla luce il testo originario. Non basta conoscere Platone; bisogna risalire al vero Platone. Padre della filologia è Lorenzo Valla (1407-57). Come filologo egli deve la sua fama all’opuscolo su La donazione creduta con falsità e asserita falsamente di Costantino (1440), in cui denuncia come falso storico il documento su cui la Chiesa di Roma fondava la legittimità del suo potere temporale, ossia il decreto con cui l’imperatore romano Costantino (272-337) avrebbe donato a Silvestro, vescovo di Roma, i territori del Lazio, base del futuro Stato della Chiesa. Con un’attenta analisi linguistica e con argomentazioni di tipo storico, Valla dimostra che la Donazione di Costantino fu in realtà redatta nell’viii secolo, probabilmente da esponenti della curia romana. Valla è conosciuto anche per un saggio Sul piacere (De voluptate) in cui avanza la tesi ardita che il cristianesimo possa essere conciliato con l’epicureismo, poiché entrambe sono filosofie improntate al perseguimento della felicità e del piacere, seppur di natura diversa (celesti per il cristianesimo e mondane per l’epicureismo). Valla conclude che è assurdo immaginare che la felicità ultraterrena debba essere conquistata con l’infelicità terrena: la pratica ascetica mutila inutilmente l’uomo, mentre un’esistenza allegra non preclude in alcun modo il paradiso. Anche se la sua proposta di rivalutare l’epicureismo troverà pochi seguaci nel Rinascimento, si può dunque dire che Valla coglie bene due esigenze tipiche della sua epoca: il vitalismo, cioè la voglia di vivere in modo pieno ed eroico, e l’edonismo, ossia la ricerca del benessere. La riscoperta rinascimentale del pensiero degli antichi non si limita ai classici latini e greci. La considerazione straordinaria riservata a Ermete Trismegisto dimostra anche un forte interesse per l’Egitto, visto in chiave mitica ed esoterica come una cultura millenaria e dotata di un sapere superiore a quello contemporaneo. Oltre a grandi successi, la filologia rinascimentale incappa però anche in fallimenti clamorosi, il più grave dei quali riguarda i testi di Ermete Trismegisto ➝ 16 . Si tratta di diciassette trattati giunti in Occidente insieme agli intellettuali greci in fuga da Costantinopoli, caduta nelle mani dei turchi (1453), e firmati da un antico sapiente egiziano (Ermete Trismegisto), tanto prestigioso quanto poco conosciuto: Agostino ne aveva parlato nel De civitate Dei, per condannarne l’invito alla pratica della magia, ma riconoscendone anche la sapienza. Eppure ben poco si sapeva di questo autore mitico, se non che fosse vissuto prima dell’età greca, anzi addirittura prima di Mosè (xiii secolo a.C.). Cosimo il Vecchio riesce ad acquistarne i trattati e il fatto che Marsilio Ficino tralasci la traduzione di Platone per dedicarsi ad essi sottolinea la reputazione di questo autore. Il fatto è che Ermete Trismegisto è un filosofo virtuale, inesistente, come sarà poi scoperto nel 1614 dal filologo francese Isaac Casaubon (1559-1614). L’autore delle opere ermetiche fu infatti uno scrittore pagano, probabilmente greco, vissuto nel ii-iii secolo d.C.; non quindi un antichissimo profeta, come il testo lascia intendere. Al fine di aumentare il prestigio del suo scritto, questo ignoto autore lo aveva attribuito a un’autorità di sua invenzione, Hermes, il nome greco del mitico sapiente egiziano Toth, di cui aveva parlato Platone attribuendogli l’invenzione della scrittura (Trismegisto è invece solo un appellativo; significa semplicemente “tre volte grande”).

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16. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

Ficino e gli umanisti cadono però nell’inganno e ravvisano in Ermete un ineguagliabile profeta. L’ignoto autore, in realtà, tutto era tranne che un profeta: aveva semplicemente avuto buon gioco nel fingersi tale predicendo con parole ambigue la venuta di Cristo semplicemente perché questa era già avvenuta da due secoli. Resta il fatto che, pur rappresentando un errore filologico eclatante, l’incorporazione dell’ermetismo nella filosofia rinascimentale è un fattore decisivo per la giustificazione e lo sviluppo della magia e dell’occultismo, dell’esoterismo e delle speculazioni sulla lingua sapienziale. Probabilmente il vero autore era infatti uno gnostico, non pregiudizialmente ostile al cristianesimo ma fautore di un suo superamento in favore di una religiosità sincretica, in cui confluissero dottrine neoplatoniche e manichee, culti egiziani e orientali, dottrine magiche, occulte e sapienziali. Un tratto sincretico che ritroviamo anche nella magia rinascimentale.

Platonismo, aristotelismo e naturalismo

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Nel rinascimento si sviluppano due grandi e opposte correnti filosofiche: il neoplatonismo, che pretende di raggiungere la verità con strumenti sovrarazionali, e il neoaristotelismo, che al contrario punta a una rinascita della ricerca razionale e naturalistica. A queste si aggiunge il naturalismo, che si concentra sullo studio della natura intesa come una totalità vivente retta da propri princìpi. Pur concordi sulla necessità di ripristinare l’antica saggezza, i rinascimentali si dividono su quale filosofo potesse meglio esprimerla. La maggior parte sceglie Platone, per ragioni molteplici. Per la sua tensione verso il soprannaturale (il mondo delle idee), ad alcuni appare come il più conciliabile con il cristianesimo; per lo stesso slancio altri lo considerano il più adatto a esprimere le inquietudini del presente e il senso di muoversi verso una verità che non è data; altri ancora vedono in lui l’antagonista irriducibile della scolastica aristotelica che aborrono. Bisogna anche aggiungere che Platone, nella sua completezza, è una novità recente: se il Medioevo conosceva solo il Timeo, il Fedone e il Menone, nel Rinascimento tutti i dialoghi platonici sono disponibili e vengono tradotti direttamente dalla lingua madre,

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ERMETE: UN PAGANO IN UNA ChIESA CRISTIANA nel rinascimentale Duomo di Siena è possibile ammirare uno dei pavimenti intarsiati più belli d’Italia. Ma anche uno dei più strani. Composto in quasi sei secoli, dal Trecento all’Ottocento, si compone di più di 60 scene che mostrano personaggi appartenenti a tradizioni culturali e spirituali differenti, non solo cristiani ma anche pagani. I tentativi di interpretazione dell’insieme delle scene e dei temi del mosaico non sono arrivati a una spiegazione univoca. Sicuramente però il pavimento segue un percorso iniziatico di scoperta e di conoscenza interiore che non a caso parte proprio con il tassello che rappresenta ermete trismegisto. con un turbante in testa (in un immaginario stile egizio), egli consegna un libro a due uomini (l’Oriente e l’Occidente). La mano sinistra poggia su una tavola su cui è iscritto un passo del corpus hermeticum che descrive la premonizione dell’incarnazione di dio nel mondo sotto forma di un «figlio». Un’immagine in cui è forte il richiamo all’antica sapienza degli egizi e che mette in luce la commistione tra filosofia pagana e cristiana tipica dell’ermetismo rinascimentale.

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il greco. Interpretarli correttamente nella loro specificità è però un’altra cosa, e vi si arriverà solo nei secoli seguenti. Il platonismo rinascimentale infatti è un assemblaggio multiforme di dottrine platoniche, neoplatoniche, pitagoriche e gnostiche, tutte riviste alla luce del cristianesimo. Di Platone, ad esempio, non viene mai presa in considerazione la motivazione politica e non si colgono le differenze con Plotino, anche quando sono eclatanti, come nel caso della valutazione delle arti. I docenti delle università optano invece per Aristotele come filosofo di riferimento. Sono soprattutto quelli di Padova, dove lo studio dello Stagirita era cominciato già nel xiii secolo. Anch’essi sono mossi dall’intento di recuperare il vero Aristotele e procedono a una nuova edizione delle sue opere, filologicamente più corretta e soprattutto in grado di smentire l’interpretazione cristianeggiante elaborata nel Medioevo da Tommaso d’Aquino. Infatti, mentre i neoplatonici puntano a una conciliazione con il cristianesimo, gli aristotelici anti-scolastici apprezzano in Aristotele soprattutto la capacità di spiegare il mondo senza ricorrere a princìpi superiori e religiosi. Più che a una rinascita religiosa, quindi, sono interessati a una rinascita scientifica, o per lo meno a una libera ricerca naturalistica. Seppur non arrivando a una contestazione aperta del cristianesimo, anche per sfuggire alla censura dell’Inquisizione, approdano però su rive decisamente laiche, in particolare per quanto riguarda la questione spinosa della mortalità dell’anima: alcuni ripropongono l’averroismo sostenendo l’esistenza di un intelletto collettivo separato, e in quanto tale, immortale, mentre concepiscono l’individuo concreto come mortale. Altri, denominati alessandristi, non solo ritengono l’individuo mortale, ma negano anche l’esistenza di un intelletto immortale; per loro nulla sopravvive al corpo e l’anima è solo una funzione dell’organismo, indissolubilmente legata ad esso. Tra i sostenitori di Platone e di Aristotele nasce una celebre disputa ➝ 17 ➝ 18 per stabilire chi fra i due filosofi sia stato più grande e si sia avvicinato maggiormente alla verità, ma dalla fine del Quattrocento, grazie soprattutto a Marsilio Ficino e a Pico della Mirandola, prevale un’interpretazione “concordista” secondo la quale le divergenze fra i due grandi erano più di metodo e di linguaggio che di contenuto. Vi è poi nel Rinascimento una terza corrente filosofica importante, la corrente naturalistica ➝ 19 , sostenuta da tutti quegli autori che, pur apprezzando intuizioni specifiche di Platone e Aristotele, vedono nel platonismo e nell’aristotelismo sistemi di pensiero irrigiditi dai quali è necessario emanciparsi in vista di un’osservazione autentica e senza pregiudizi della natura. D’altra parte però neppure questi autori rinunciano a trovare nell’antichità la leva filosofica necessaria al rinnovamento che propugnano, individuandola sia nelle filosofie presocratiche (Telesio) sia nella sapienza originaria e precristiana degli egiziani (Giordano Bruno).

Guida allo studio • Quali differenze si possono rilevare

• Qual è il ruolo giocato dalla riscoperta

fra Umanesimo e rinascimento? E quali somiglianze? • Di che cosa si occupa la filologia? • Quali sono i successi della filologia rinascimentale? • Che cosa caratterizza il rinascimento rispetto al Medioevo?

dei classici? • Qual è il rapporto dei rinascimentali con la religione? • In quali correnti si suddivide la filosofia rinascimentale? • Chi era Ermete trismegisto?

Materiali per l’apprendimento attivo

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17. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

18. Per CAPIre MeGLIO

LA DIsPUTA FrA PLATONICI e ArIsTOTeLICI La disputa tra platonici e aristotelici ha inizio con Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452) che, ponendo l’accento sull’aspetto religioso e metafisico di Platone, esalta la funzione unificatrice del platonismo: il sistema filosofico di Platone può portare all’unità di tutte le credenze e religioni (Delle differenze fra Platone e Aristotele, 1439). Gli risponde Giorgio di trebisonda detto il Trapezunzio (1395-1472/73) che sostiene la necessità di recuperare la mentalità naturalistica di aristotele, contrapponendo dunque il naturalismo razionale aristotelico alla metafisica religiosa di Platone (Confronto delle filosofie di Platone e Aristotele, 1458). Basilio Bessarione (1403-72) tenta di conciliare le posizioni più rigidamente platoniche con quelle più rigidamente aristoteliche. nel Quattrocento sostiene la possibilità di una sintesi fra razionalità metafisica platonica e razionalità naturalistica aristotelica nel cristianesimo. 19. COMPeTeNZe > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

IL NATUrALIsMO Il naturalismo è la concezione secondo la quale la natura ha in se stessa i propri princìpi, le leggi che ne regolano il comportamento, come recita il titolo dell’opera principale di Bernardino telesio (1509-88), De rerum natura iuxta propria principia, in cui si propone appunto una spiegazione della natura secondo i propri princìpi. Il naturalismo rinascimentale si articola in diverse accezioni: Bruno si richiama alla tradizione neoplatonica affermando la presenza di dio nella natura, fino ad avvicinarsi a un vero e proprio panteismo; campanella, richiamandosi alla magia rinascimentale, sottolinea la razionalità della natura, che è animata in ognuno degli esseri che ne fanno parte; Pomponazzi assume invece come riferimento per il proprio naturalismo il pensiero aristotelico. Le diverse accezioni convergono nel considerare la natura come guidata da princìpi razionali e quindi comprensibile per l’uomo.

1 UMa n eS IMO e RIn aS c IMe n tO

la Scuola di atene nel 1510 Raffaello, nel dipingere il grande affresco dal titolo la scuola di atene, è assistito da una commissione di teologi, filosofi e letterati, fra cui l’umanista Pietro Bembo. Possiamo quindi apprezzare l’opera, che rappresenta la folla degli antichi sapienti mentre passeggiano filosofando, non solo per il suo valore estetico, ma anche per quello documentario, come una testimonianza visiva della cultura filosofica rinascimentale e in particolare delle sue due tendenze dominanti. al centro dell’intera composizione compaiono infatti Platone e aristotele, circondati dai loro numerosi discepoli. tutte le linee prospettiche convergono verso di loro e i loro volti sono gli unici a stagliarsi sullo sfondo del cielo, indicando con un gesto della mano il loro principale ambito di interesse: verso l’alto Platone, verso la Terra Aristotele. anche gli altri personaggi identificabili sono collocati in base al rapporto con i due grandi maestri: a sinistra osserviamo i personaggi di tendenza mistica e neoplatonica come Orfeo e Pitagora. Sulla destra i filosofi della natura e gli scienziati come tolomeo, euclide e Zoroastro. Si sottintende così che tutte le numerose varianti del pensiero greco possono essere ricondotte ai due approcci fondamentali simboleggiati. d’altra parte, i due grandi si guardano, sembrano quasi conversare fra loro ed esprimono un ideale di reciprocità e di complementarietà. Il vero messaggio dell’opera è dunque la possibilità di conciliare in un unico ideale di sapienza la tradizione platonica e quella aristotelica.

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• Sintesi

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I platonici

Niccolò Cusano

Mappa

Nella sua opera maggiore, la dotta ignoranza, Cusano si concentra sulle capacità conoscitive dell’uomo: egli può venire a conoscenza delle cose incerte solo attraverso il paragone con le cose certe. Ma poiché è certo solo ciò che è finito, l’infinito è inconoscibile. Il primo passo verso la ricerca della verità consiste dunque nell’essere consapevoli della propria ignoranza. Nicolaus Krebs, italianizzato in Niccolò o Nicola Cusano (1401-64), nasce a Cues (da cui il soprannome “Cusano”), una piccola città vicino a Treviri, in Germania. Egli riceve una formazione classica che completa all’Università di Heidelberg, ma come tutti gli intellettuali dell’epoca è attratto dalla cultura italiana. A Padova si iscrive alla facoltà di diritto, dove, in un ambiente permeato dai fermenti del nuovo secolo, acquista familiarità con il latino e studia i classici, Platone in particolare. A venticinque anni sceglie però di farsi prete e inizia una brillante carriera diventando prima vescovo di Bressanone, poi cardinale e infine legato papale in Germania, Paesi Bassi e Boemia. Svolge dunque un ruolo pastorale, diplomatico e istituzionale di primo piano nella Chiesa del suo tempo, assumendo posizioni aperte al dialogo, alla trattativa e alla non-violenza. Nel suo testo più conosciuto, La dotta ignoranza (1440), Cusano parte da un problema prettamente gnoseologico: se la conoscenza procede sempre da ciò che già si sa verso le cose nuove, si può dedurre che essa consiste nello stabilire proporzioni sempre nuove fra il noto e l’ignoto. L’acquisizione di nuove nozioni, aggiunge Cusano, risulta certamente facile quando si affrontano problemi vicini e simili a quelli già conosciuti; quando però l’obiettivo è troppo ambizioso e si pretende di indagare questioni lontane dalle conoscenze attuali, allora bisogna riconoscere la nostra incapacità di comprendere ➝ 20. Lo schema che Cusano tratteggia contiene alcune implicazioni. La prima sta nel sottolineare il carattere aperto della conoscenza, sempre perfettibile e non delimitabile in sistemi dogmatici fissi: se conoscere è avanzare nell’ignoto, allora è sempre una ricerca, la formulazione di congetture ➝ 21 in un susseguirsi che non prevede alcun punto definitivo. Riproponendo a suo modo la maieutica socratica, Cusano afferma quindi (ed è questa una seconda implicazione del suo filosofare) la necessità di una dotta ignoranza ➝ 22 , ovvero di una consapevolezza dei limiti del sapere umano. Con una metafora efficace egli spiega che, se si paragona la verità a un cerchio, l’intelletto umano è simile a un poligono inscritto in un cerchio: per quanto si aumenta il numero dei lati, esso non coinciderà mai con la circonferenza ➝ 23 . Allo stesso modo, per quanto possa progredire, la mente non comprenderà mai la verità in modo così preciso da non poterla comprendere meglio all’infinito.

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20. COMPETENZE > Mappa concettuale

2 I P L atOn Ic I

LA CONOSCENZA SECONDO CUSANO conoscenza

conoscenze acquisite

conoscenze facilmente acquisibili

conoscenze possibili

infinito

inconoscibilità di Dio

21. PER CAPIRE MEGLIO

ChE COSA è UNA CONGETTURA Una congettura è un indizio probabile, cioè una proposizione la cui verità è stata dimostrata solo in alcuni casi, della quale non si riesce a dimostrare la falsità in nessun caso e che perciò si presume vera in tutti i casi, senza peraltro la certezza che lo sia effettivamente. Secondo cusano, tutto il sapere umano ha una natura congetturale ed è quindi sempre provvisorio. 22. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

LA DOTTA IGNORANZA con cusano, è la terza volta nella storia che l’ignoranza diventa un tema di riflessione filosofica, sempre assumendo una particolare sfumatura di significato. Socrate, il primo a indicarne il valore, l’intendeva come «sapere di non sapere», ossia una corretta disposizione della mente, l’attitudine psicologica e conoscitiva ad andare oltre le (apparenti) ovvietà in vista di una verità sempre cercata e mai posseduta totalmente. Di santa ignoranza parlano poi i mistici medievali, e in particolare Bonaventura da Bagnoregio (1221 ca-1274), rifacendosi alla tradizione della teologia negativa: in questo caso essa esprime il riconoscimento dell’inadeguatezza della mente umana a capire sia la natura del divino sia la verità delle cose terrene, concludendo con un declassamento del valore attribuito alla razionalità. Con Cusano l’ignoranza diventa dotta, costituendo così un ossimoro (la figura retorica che accosta parole di significato contrario). Qui la sfumatura rispetto a Socrate è che l’ignoranza è messa in rapporto con l’infinità della conoscenza possibile, ed esprime quindi la consapevolezza del valore necessariamente parziale di ogni sapere. 23. LA PAROLA AI TESTI

T1 Cusano La conoscenza è inesauribile Utilizzando una metafora geometrica, com’è tipico del suo stile di pensiero, Cusano paragona l’intelligenza umana a un poligono inscritto in una circonferenza, che rappresenta la verità. Aumentando il numero dei lati, il poligono si avvicina sempre più alla circonferenza, ma non coinciderà mai pienamente con essa.

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La verità non ha gradi, né in più né in meno, e consiste in qualcosa di indivisibile; sicché ciò che non sia il vero stesso, non può misurarla con precisione, come il non-circolo non può misurare in circolo, la cui realtà è qualcosa di indivisibile. Perciò l’intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto precisa da non poterla comprendere in modo più preciso, all’infinito; ed ha con la verità un rapporto simile a quello del poligono col circolo: il poligono inscritto, quanti più angoli avrà tanto più risulterà simile al circolo, ma non si renderà mai eguale ad esso, anche se moltiplicherà all’infinito i propri angoli, a meno che non si risolva in identità col circolo. (N. Cusano, La dotta ignoranza, I, iii, 10, a cura di G. Santinello, Rusconi, Milano 1988, p. 72)

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Dalla concezione epistemologica di Cusano scaturiscono conseguenze metafisiche di vasta portata: la molteplicità degli enti reali è contenuta nell’infinità di Dio, che di tali enti è il principio come «coincidenza degli opposti». Anche se non arriverà mai a possedere interamente la verità, l’uomo può progredire all’infinito nella conoscenza avvalendosi soprattutto della matematica e della geometria. Recuperando temi del pitagorismo, Cusano afferma che la struttura dell’universo è matematica e Dio ha compiuto la creazione organizzando la realtà secondo modelli matematici. Questi, però, possono essere creati anche dalla mente umana, che così facendo, imita l’opera del Creatore. La matematica di cui parla Cusano, tuttavia, ha un contenuto molto diverso da quello che noi gli attribuiamo: è, piuttosto, una matesi, ossia una matematica filosofica che attribuisce ai numeri e alle figure geometriche significati filosofici e concettuali. Per Cusano fra ciò che la mente umana non è in grado di comprendere vi è anche la natura di Dio. Riproponendo e ampliando i temi della teologia negativa, inaugurata nella tradizione occidentale da Dionigi Aeropagita nel v-vi secolo, egli afferma infatti che Dio è definibile come l’ente in cui si realizza la coincidenza degli opposti, ossia la copresenza di elementi contrastanti: in lui convivono il più e il meno, il massimo e il minimo, il punto e la circonferenza, la velocità infinita e la quiete assoluta; ogni cosa e il suo contrario. Il principio di non contraddizione non si applica dunque a Dio ➝ 24. Se Cusano elabora la dottrina della coincidentia oppositorum solo in relazione a Dio, è importante notare che i pensatori rinascimentali si impadroniranno del concetto applicandolo oltre il campo teologico ➝ 25 . Marsilio Ficino, ad esempio, ne fa uno strumento di analisi della condizione umana, a suo avviso caratterizzata dalla copresenza di nature opposte, lo spirito e il corpo. Gli alchimisti vi vedono invece il segreto della trasmutazione dei metalli in oro e cercano di realizzarla nei loro laboratori mischiando fra loro sostanze chimiche ritenute incompatibili. Si può dire che persino i filosofi rinascimentali abbiano perseguito la conciliazione fra gli opposti tentando una fusione fra platonismo e aristotelismo, fra cristianesimo e magia, fra arte e scienza. Secondo Cusano anche il rapporto fra Dio e il mondo può essere pensato in termini di coincidenza degli opposti, più in particolare fra un principio di contrazione e uno di esplicazione. Dio include e contrae in sé tutte le cose: è come l’uno rispetto ai numeri, come il punto rispetto alle figure geometriche. È pertanto un universo implicito, poiché contiene in sé in forma di unità tutto ciò che nel mondo esiste in modo molteplice. Viceversa, il mondo è l’esplicazione di questa unità: ogni sua parte non è altro che una determinazione della divinità, lo specificarsi in concrete, molteplici e imperfette individualità di ciò che in Dio esiste in modo unitario, semplice e perfetto. Sono elaborazioni intellettuali che si rifanno a Platone e in particolare al rapporto fra il mondo delle idee e la realtà materiale. Cusano, però, con un’associazione mentale innovativa, le applica a un diverso campo del sapere, la cosmologia. Infatti, se da una parte l’universo è l’esplicazione di Dio e dall’altra Dio comprende in sé tutto l’universo, ne consegue che Dio e mondo devono condividere gli stessi attributi, se pure in modo diverso. E dato che Dio è infinito, lo è anche l’universo che, in quanto tale, non può quindi avere un centro ➝ 26. Per Cusano il mondo ha ovunque il suo centro, perché Dio è ovunque e in nessun luogo. E la Terra non è circondata dalla sfera delle stelle fisse; è essa stessa una stella come tutte le altre, sulle quali vivono altri esseri di cui non sapremo mai nulla. ▶ Maestro della Vita della Vergine, Ritratto di Nicola Cusano, 1480 ca, particolare (Colonia, altare maggiore della cappella dell’ospedale San Nicola).

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24. COMPETENZE > Argomentazione

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IL METODO DELLA MATESI nelle Congetture (1441), proponendo di riflettere sulla figura riportata a lato, cusano usa il metodo della matesi per dimostrare che dio è al di là del principio di contraddizione. Ricostruiamo insieme la sua argomentazione, ricca di analogie: 1) la retta e il cerchio sono figure diverse, anzi fra loro opposte: l’una è dritta, l’altra è curva. È quindi ovvio pensare che sia impossibile farle coincidere. 2) tuttavia, se si estende un cerchio all’infinito, la sua circonferenza si appiattisce sempre più, sino a diventare una retta. 3) La retta e la circonferenza trovano dunque la loro coincidenza nell’infinito. 4) nell’infinito, pertanto, il principio di non contraddizione non si applica, perché gli opposti convivono. 5) Si può allora concludere che Dio, essendo infinito, sintetizza tutte le determinazioni dell’essere, comprese quelle che si oppongono e si escludono.

▶ Tavola 10 sulle grandezze dei corpi celesti, tratta dall’opera Harmonia macrocosmica.

25. APPrOFONDIMeNTI > Filosofia per immagini

LA COINCIDeNZA DeGLI OPPOsTI: AMOre sACrO e AMOre PrOFANO La teoria della coincidentia oppositorum, elaborata da cusano solamente in relazione a dio, è estesa dai pensatori rinascimentali ben oltre l’ambito teologico. Investe, ad esempio, anche la rappresentazione dell’amore. Recuperando il legame posto da Platone tra amore sensuale e amore per la sapienza, i rinascimentali vi vedono un ideale di coincidenza tra carnalità e spiritualità, fra amore profano e amore sacro, giustificando anche per questa via l’avvento di una nuova mentalità che rivaluta il corpo, i desideri e le passioni. Lo mostra bene l’omonimo quadro di tiziano (Amor Sacro e Amor Profano). Le due figure femminili rappresentate alludono probabilmente alla duplice natura di venere: la donna vestita di bianco rappresenterebbe il lato di Venere carnale e dedito alla bellezza, mentre l’altra simboleggerebbe l’amore più alto e spirituale. ▶ Tiziano, Amor sacro e Amor profano, ca 1515, olio su tela (Roma, Galleria Borghese).

26. COMPeTeNZe > Lessico e concettualizzazione

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L’INFINITO L’universo aristotelico-tolemaico è finito, limitato dal cielo delle stelle fisse. La rivoluzione copernicana supera il geocentrismo, ma non la concezione di un universo “chiuso”. L’affermazione dell’infinità dell’universo avviene invece in ambito filosofico a partire da niccolò cusano (1401-64), che precede niccolò copernico (1473-1543) di oltre settant’anni. Richiamandosi alla tradizione neoplatonica, egli afferma che l’universo è explicatio di dio e come tale non può che conservarne la natura infinita, perché esso è la divinità stessa dispiegata nello spazio. L’infinità dell’universo verrà più tardi ripresa da Giordano Bruno, che ne deriverà anche un nuovo modo di intendere l’uomo e la morale. credere in un universo infinito significa infatti avere un nuovo atteggiamento verso la conoscenza, non basato su verità definitive ma sullo spirito di ricerca, come già sottolineava cusano parlando di «dotta ignoranza», intesa come conoscenza che si amplia sempre di più senza però raggiungere mai un punto di arrivo.

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Marsilio Ficino Ficino passa alla storia per l’incarico affidatogli da Cosimo de’ Medici di tradurre le opere di Platone, recentemente acquistate in Grecia. Per poterle tradurre il mecenate gli mette a disposizione una villa presso Firenze, l’Accademia platonica, che diviene un luogo di ferventi incontri culturali e di propulsione del neoplatonismo. Nato a Figline Valdarno, Marsilio Ficino (1433-99) compie studi di grammatica e retorica ma anche di medicina, sebbene non eserciterà mai la professione. Dopo un breve periodo di insegnamento all’università, a circa quarant’anni entra nello stato clericale, e diventa prima parroco e poi canonico della cattedrale fiorentina. La sua vita cambia quando Cosimo de’ Medici gli affida l’incarico di organizzare in una villa che egli stesso mette a disposizione a Careggi, nei pressi di Firenze, una nuova Accademia platonica che faccia rivivere i fasti di quella antica. Inaugurata nel 1462, è una delle iniziative di maggior successo del Rinascimento ➝ 27 , perché crea un nuovo tipo di istituzione culturale. A Careggi si forma infatti un sodalizio di dotti, seguaci della filosofia platonica, ammiratori di Ficino e delle sue brillanti letture pubbliche di Platone. Oltre a Giuliano de’ Medici e Lorenzo il Magnifico, alle discussioni partecipano gli intellettuali più in vista di Firenze come Pico della Mirandola, Poliziano, Leon Battista Alberti, Bartolomeo Scala e Cristoforo Landino. Le dottrine che vi si elaborano innovano la filosofia, soprattutto attraverso la riscoperta di Platone. Per la loro forte attenzione dedicata ai problemi dell’estetica influiscono soprattutto sulle arti visive, ispirando il lavoro di artisti come Sandro Botticelli, Antonio e Piero del Pollaiolo, Leonardo da Vinci, Perugino e Luca Signorelli. Nonostante questi successi, nel 1523 l’Accademia è sciolta perché i suoi membri sono accusati di aver congiurato contro il cardinale Giulio de’ Medici. Tre sono le attività cui Ficino si dedica: quella di traduttore, quella di pensatore e filosofo e quella di mago. Tre campi che nella sua opera risultano quasi inscindibili. Ficino propone una struttura gerarchica dell’Essere, di chiara derivazione platonica, ma introduce una centralità dell’uomo impensabile nel platonismo antico: l’uomo possiede una natura intermedia che fa da ponte tra la sfera divina e quella terrena. Oltre ai testi di Ermete Trismegisto, che abbiamo già considerato, Ficino traduce in latino tutti i dialoghi di Platone, le Enneadi di Plotino, le opere dei suoi seguaci neoplatonici (Porfirio, Proclo, Giamblico) e i testi fondamentali del misticismo cristiano, in particolare le opere dello Pseudo-Dionigi. È un elenco che delinea con chiarezza il suo progetto filosofico: trovare un punto di incontro fra filosofia e religione, cioè fra la tradizione platonica (smussando le differenze fra Platone e Plotino) e il cristianesimo. Un programma ben espresso già nel titolo del suo testo principale, Teologia platonica (1482). L’incontro è realizzato ipotizzando una struttura gerarchica della realtà scandita in cinque livelli ➝ 28 : 1) Dio; 2) il mondo degli angeli e delle intelligenze celesti; 3) il livello delle anime (del mondo, delle cose, dell’uomo); 4) il mondo delle qualità e delle forme; 5) la materia e i corpi. Si tratta di una successione che ricorda la dottrina delle ipostasi di Plotino, ma che da questa si distingue per tre importanti motivi. Il primo è che non si tratta di emanazioni ma di livelli diversi della creazione divina, il che mette in salvo il principio fondamentale del cristianesimo, cioè la creazione divina. Il secondo è che la materia e i corpi sono inclusi nello schema metafisico della realtà, se pure al livello più basso, a differenza di quanto ipotizzato da Plotino, per il quale la materia, come il buio, era puro non essere.

Materiali per l’apprendimento attivo

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27. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

Audiomappa

28. COMPETENZE > Mappa concettuale

LA GERARChIA DELLA REALTÀ SECONDO FICINO prima ipostasi

Dio

seconda ipostasi

terza ipostasi

mondo angelico intelligenza

quarta ipostasi

anima

mondo delle qualità e delle forme

quinta ipostasi

materia

anima del mondo

mondo intelligibile e divino

può espandersi verso

può espandersi

verso ANIMA DELL’UOMO

mondo sensibile e materiale

La terza e più importante differenza riguarda il posto dell’anima: terza in ordine di successione, per Ficino occupa un’area mediana e intermedia, ponendosi quindi come il nodo di congiunzione fra il mondo superiore intellegibile e quello inferiore del mondo fisico. L’anima per Ficino è anima razionale: coincide con il principio di razionalità che regola la realtà e le dà vita secondo i modelli delle idee. Non è, quindi, propria solo dell’uomo ma anche di tutto ciò che è organizzato secondo ragione, ossia del mondo e delle sfere celesti.

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L’INFLUSSO DELL’ACCADEMIA SULLA PITTURA RINASCIMENTALE Botticelli dipinge la Nascita di Venere (1484) in base a un programma discusso con Ficino e la concepisce come un’allegoria delle sue dottrine. Venere che esce dalle acque rappresenta sia il mito pagano della nascita della dea dal mare sia il rito cristiano del battesimo, che comporta una rinascita dell’anima attraverso la funzione purificatrice dell’acqua. L’atteggiamento casto e privo di spunti erotici di Venere allude alla semplicità e alla purezza necessarie nell’ascesa verso lo spirituale. I venti personificati sulla sinistra, anch’essi nudi e in posa lasciva, rappresentano l’amore sensuale, il soffio della passione. La figura sulla destra, una ninfa delle Ore, è invece pesantemente vestita e cerca di nascondere la nudità di Venere avvolgendola con un mantello, simbolo dell’amore spirituale. anche qui, come in Amor Sacro e Amor Profano di tiziano, vi è quindi una perfetta simmetria fra l’amor sacro e l’amor profano, due princìpi contrari ma complementari. I fiori che si diffondono nell’aria simboleggiano la necessità e la fecondità di entrambi gli atteggiamenti.

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Anche gli animali, in quanto esseri viventi hanno un’anima propria, esattamente come l’hanno (anche se meno senziente) i quattro elementi (fuoco, terra, acqua, aria). Perfino i vegetali, i minerali e il pianeta Terra nel suo complesso, pur non avendo un’anima propria, sono pervasi dall’anima del mondo ➝ 29 , un elemento speciale che egli chiama «spirito» e che immagina come una sostanza materiale sottilissima che permea tutti i corpi, siano essi naturali, umani o celesti. È operando su questo «spirito» universalmente diffuso che il mago riesce a produrre fenomeni lontani nello spazio. Poiché fra tutti gli esseri sussiste una completa interdipendenza, per la quale ognuno ha bisogno dall’altro, le anime costituiscono il tramite che mette in rapporto gli individui di ogni ordine, congiungendoli in un unico principio. Inserendosi fra i corpi sensibili, senza essere corporee né sensibili, le anime dominano i corpi, ma continuano ad aderire al divino. Da una parte sono lo specchio delle cose divine, dall’altra la vita delle cose mortali. La posizione dell’uomo in questo scenario è privilegiata ma anche problematica e per certi versi persino angosciante. Da una parte, infatti, l’anima umana, in cui la razionalità si esprime in massimo grado, è l’anello centrale della catena del mondo, la «copula mundi» ➝ 30 , cioè il luogo in cui si uniscono gli opposti, la spiritualità e la fisicità. Ma leggendo in altro modo la stessa realtà, si può dire che l’uomo possiede una natura strutturalmente conflittuale, in cui l’amore per il divino convive con la passionalità mondana, l’intelligenza con l’istinto. Rifacendosi alla dottrina platonica, Ficino interpreta l’amore come una forza circolare che, attraverso la bellezza, mette in comunicazione Dio e gli uomini: da una parte, con un atto di amore, Dio irradia la propria bellezza sul mondo; dall’altra, contemplando la bellezza del mondo, che è specchio di quella divina, l’uomo si avvicina a Dio. Per Ficino l’attività con cui l’anima dell’uomo progredisce nella spiritualità è l’amore. Nel saggio Sull’amore riprende le teorie di Platone, che identificava eros come la forza in grado di far comunicare il mondo sensibile con quello intelligibile. Rileggendo tale dottrina in senso cristiano, Ficino vede nell’amore la forza che connette Dio e mondo: da una parte Dio forma e governa il mondo per un atto d‘amore, dall’altra è per amore che il mondo tende verso Dio. In questa spiritualità circolare («circuitus spiritualis»), l’uomo ha una funzione centrale: è grazie al suo potere di ascendere, mediante un atto d’amore, la scala dei gradi della realtà che l’anima giunge a una sorta di immedesimazione in Dio, attraverso la quale essa si fa eterna. Poiché la meta ultima dell’amore è riunirsi a Dio e poiché Dio si manifesta nella bellezza, l’amore dell’uomo, quando vuole appagare il suo desiderio di ascesa al divino, è anche desiderio di bellezza.

◀ Benedetto Crespi, detto il Bustino, Ritratto di Marsilio Ficino, olio su tela (Milano, Pinacoteca Ambrosiana).

Materiali per l’apprendimento attivo 29. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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30. PER CAPIRE MEGLIO

L’UOMO COME copula mundi che l’uomo occupi una posizione privilegiata nel creato è un’idea ampiamente diffusa presso i rinascimentali e a esprimerla nel modo più completo è Pico della Mirandola (1463-94) in un opuscolo Sulla dignità dell’uomo (1487). Racconta Pico che dio creò ogni specie vivente dotandola di una qualità particolare, cioè della capacità di raggiungere l’eccellenza in un determinato campo: alla volpe assegnò l’astuzia, alla pecora la mansuetudine e così via. Quando però alla fine giunse all’uomo, accorgendosi di aver esaurito le virtù disponibili, decise di dotarlo di tutte le qualità, ma solo in parte. L’uomo è quindi il riassunto della natura, un compendio vivente del resto del creato: è l’essere in cui tutto si congiunge (copula mundi). Per questo è anche particolarmente adattabile: non ha un habitat specifico come gli altri animali, ma è capace di colonizzare gli ambienti più diversi e si modella in base ai luoghi come un camaleonte. Mentre le altre creature sono caratterizzate da un’essenza specifica, l’uo▲ Cristofano dell’Altissimo, Ritratto di Pico della Mirandola (Firenze, Galleria mo può assumerle tutte. da ciò deriva una pardegli Uffizi). ticolare potenza che lo rende superiore persino agli angeli, i quali, se pure dotati di natura spirituale, non hanno la possibilità di contaminarsi con il mondo materiale. dalla sua condizione di medietà metafisica deriva la responsabilità etica dell’uomo, che può scegliere fra tre possibilità: degradarsi verso la bestialità annullando la propria spiritualità; tentare un’elevazione ascetica verso il divino abbandonando il mondo; oppure espandere il proprio essere facendo dell’amore per la natura un’occasione di crescita spirituale.

Nel linguaggio delle personificazioni mitologiche caro a Ficino, esistono due Veneri, Urania e Pandemia. La prima esprime l’amore per il divino che si sviluppa nella mente e che si traduce nella contemplazione della bellezza spirituale; la seconda esprime la bellezza divina che si realizza nel mondo corporeo e che, percepita con i sensi, consente all’uomo di risalire a Dio. Entrambi i tipi di amore sono onorevoli e degni di lode. Particolarmente dirompente sarà però il secondo: la capacità di cogliere il sublime nella natura diviene un principio valido anche sul piano estetico, che i pittori legati all’Accademia mettono in atto in opere in cui, come

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L’ANIMA «Anima» deriva dal greco ánemos, che significa “vento”, “soffio”. Indica il principio vitale, presente, secondo la tradizione aristotelica ripresa dalla scolastica, in tutti gli esseri viventi, nei quali però si distingue in vegetativa (per le piante), sensitiva (per gli animali) e razionale (per l’uomo). Ognuna svolge anche le funzioni inferiori, ed è quindi unica. nel Rinascimento ci si richiama tuttavia soprattutto alla tradizione platonica, secondo cui l’intero universo è dotato di anima (l’anima del mondo), che conferisce vitalità a tutti gli esseri, anche a quelli apparentemente inanimati.

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nel caso di Botticelli, ogni singolo fiore diventa fonte di meraviglia. L’amore per la bellezza delle cose giunge a un livello eroico nell’artista ➝ 31 , esprimendosi come furore creativo, la capacità di lasciarsi ispirare alla base di ogni attività intellettuale e artistica creativa. Per Ficino la magia e l’astrologia non sono manifestazioni di superstizione, ma tecniche pienamente legittime che cercano di capire le logiche misteriose dell’universo (l’astrologia) o di realizzare il dominio dell’uomo sulla natura (la magia). Ficino è anche un teorico del pensiero magico, che considera un corollario necessario della dottrina neoplatonica, per la quale l’universo è un organismo unico. Per Ficino i cieli e la Terra sono strettamente connessi da uno scambio costante di forze: come in un uomo la spiritualità si concentra negli occhi, così le stelle vanno considerate come occhi del cielo, da cui emanano raggi e influenze che pervadono ogni cosa. Tutto, quindi, è saturo di questo spirito celeste, ma non tutte le cose lo veicolano con la stessa efficacia. Alcune, che vi riescono in modo particolare, diventano una sorta di diapason, perché si sintonizzano su una vibrazione cosmica e riescono a ritrasmetterla con particolare potenza. Mago è chi conosce e sa sfruttare le proprietà naturali di queste particolari sostanze, che Ficino rintraccia con precisione. I colori, ad esempio, riescono a influire sull’umore e sulla psicologia dell’uomo perché ognuno di essi è saturo di una particolare qualità dello spirito celeste che vibra in sintonia con pianeti diversi: il verde rasserena, il rosso eccita e il giallo acuisce la mente. Lo stesso vale per i profumi, capaci di evocare scenari fantastici e illusioni sensoriali, e a maggior ragione per la musica e la danza, le cui influenze sulla spiritualità dell’ascoltatore erano note già a Platone. Ma oltre a queste generiche corrispondenze astrali, il mago sa riconoscere la qualità spirituale e celeste delle piante e delle sostanze minerali, usandole con profitto nella confezione di droghe e farmaci: la noce moscata contiene la qualità dei raggi solari, la menta le qualità combinate del Sole e di Giove ecc. Soprattutto, però, la magia di Ficino si affida alla potenza delle immagini: se adeguatamente strutturate nella composizione, nei colori e nelle forme, e se fatte oggetto di una contemplazione prolungata e ripetuta nel tempo, queste costituiscono il miglior strumento per captare le influenze astrali. Non a caso i quadri che egli progetta assieme a Botticelli sono concepiti come veri e propri talismani, capaci di influire automaticamente e positivamente su chi li osserva. Lo stesso Ficino, per curare la propria malinconia, fa dipingere sul soffitto della sua camera da letto uno schema planetario con congiunzioni astrali a suo dire terapeutiche ➝ 32 .

Guida allo studio • Secondo Cusano Dio è conoscibile? • Che rapporto esiste per Cusano fra finito e

infinito? • Che cosa si intende con coincidenza degli

opposti? • perché secondo Cusano è solo attraverso

l’ignoranza che si giunge alla conoscenza di Dio? • Quale ragionamento porta Cusano ad affermare l’infinità dell’universo?

• Qual è il posto assegnato all’uomo da

Ficino? • Che cosa significa dire che l’uomo è copula mundi? • Con quali argomenti Ficino giustifica la magia? • In che cosa consiste il pensiero magico? • perché la filosofia di Ficino fu tanto influente sull’arte del rinascimento?

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31. COMPETENZE > La filosofia e il presente

▶ Raffaello Sanzio, La scuola di Atene, affresco, 1509-11, particolare (Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura).

32. APPROFONDIMENTI > Intersezioni

FICINO, LA MAGIA E LA PSICOANALISI Ficino è un filosofo molto amato e studiato dagli psicoanalisti moderni come carl Gustav Jung (1875-1961) o James Hillman (1926-2011), che è giunto addirittura a definirlo un precursore della psicoanalisi. Le sue speculazioni magiche infatti si ponevano il problema di come i fenomeni naturali sono interpretati dall’animo umano e non, come è invece tipico della scienza, di che cosa siano realmente. Guardando il mondo con l’ottica dell’esperienza psicologica Ficino giunge a scoprire importanti meccanismi che regolano la mente umana. Per la prima volta nella storia, ad esempio, egli intuisce quello che i medici e gli psicologi contemporanei chiamano effetto placebo, come dimostra il seguente brano.

T2 Ficino Effetto placebo e talismani magici

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Peraltro io sono del parere che l’intenzione dell’immaginazione abbia il suo peso su immagini e medicine, non tanto al momento della preparazione, quanto in quello dell’applicazione: ad esempio, se un tale, a quel che si dice, porta indosso un’immagine fatta nei modi debiti, o certamente se, facendo uso analogo di una medicina, desidera intensamente soccorso da quella e crede senza ombra di dubbio e spera con incrollabile fermezza, da questo atteggiamento deriva certo il massimo di incremento all’aiuto che essa può dare. (M. Ficino, De vita, III, xx, a cura di A. Biondi e G. Pisani, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1991, p. 363)

Guida alla lettura. Il placebo è una sostanza priva di specifici princìpi attivi ma somministrata da un medico a un malato come se avesse effettive proprietà curative. In alcuni casi, e solo se il malato ripone grande fiducia nel suo effetto, il finto farmaco riesce a migliorare lo stato di salute. Ficino scopre questo meccanismo psicologico, lo attribuisce alla potenza dell’immaginazione e ne estende l’applicazione anche al caso dei talismani: se si nutre una fiducia incondizionata nella loro potenza, essi diventano effettivamente potenti.

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L’ORIGINALITÀ DELL’INTELLETTUALE E DELL’ARTISTA È proprio vero che gli artisti sono tutti pazzi? Da dove viene questa idea? Su quali basi storiche e filosofiche poggia? Le prime descrizioni di artisti dal comportamento non proprio ortodosso si moltiplicano proprio nel cinquecento. Sul piano sociale, il proliferare di questi atteggiamenti è stato letto come una manifestazione di disagio da parte degli artisti di fronte al loro passaggio di status: non più artigiani, ma neanche pienamente affermati come dotti e intellettuali. Sul piano culturale, invece, il fenomeno affonda le radici nella cultura neoplatonica e in particolare nell’opera di Marsilio Ficino. egli individua la peculiarità dell’uomo di genio nella malinconia, considerata all’epoca una patologia psicologica simile alla depressione, da cui deriverebbe la tendenza ad agire in modo non convenzionale. Pur particolarmente presente nei nati sotto il segno di Saturno, per Ficino, la malinconia è una conseguenza inevitabile del lavoro intellettuale. egli stesso ne soffriva e si curava suonando la lira.

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• Sintesi

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Aristotelici e naturalisti

Pietro Pomponazzi Oltre che docente e commentatore dei testi aristotelici Pomponazzi è un protagonista attivo del suo tempo: a lui si deve l’avvio di una riflessione profonda sull’autonomia della filosofia rispetto all’autorità dogmatica della Chiesa. Pietro Pomponazzi (1462-1525) nasce a Mantova in una famiglia nobile. Si laurea in medicina all’Università di Padova e insegna poi a Bologna e Padova, le due università in cui gli studi aristotelici sono più approfonditi. Non a caso il saggio su Gli incantesimi (1556) parte da un presupposto prettamente aristotelico: il cosmo e l’universo hanno un ordine razionale e necessario che deriva da Dio, tanto che ogni fenomeno naturale, per quanto straordinario, dipende da una causa razionalmente indagabile. Perfino quelli che comunemente vengono definiti miracoli in realtà spesso sono solo fenomeni infrequenti o provocati da cause ignote che non hanno niente a che fare con entità soprannaturali quali i dèmoni ➝ 33 . Dio però, aggiunge Pomponazzi, dopo aver creato il mondo, non interviene più direttamente su di esso. In quanto eterno, immateriale e immobile, egli non può esercitare la propria azione sul mondo sublunare, corruttibile, materiale e in movimento. Si avvale dunque di enti intermediari incorruttibili, materiali, eterei e in movimento: i corpi celesti. Gli incantesimi, i prodigi magici e gli effetti portentosi di determinate piante o sostanze si spiegano con l’invisibile ma potente influenza che i corpi celesti esercitano sulla Terra. Infatti, argomenta Pomponazzi, nel cosmo tutto è collegato in una scala gerarchica, per cui il volere superiore di Dio giunge sino ai gradi inferiori, sulla Terra, passando per quelli intermedi. Dio quindi usa come tramite della sua azione il movimento degli astri. Di essi bisogna conoscere razionalmente l’andamento avvalendosi di una scienza specifica, l’astrologia. Per Pomponazzi essa può contribuire a spiegare l’ordine razionale e necessario del mondo, incluse le vicende storiche degli uomini ➝ 34 . Al momento del loro formarsi, infatti, i grandi movimenti sociali, come la nascita di uno Stato o di una religione, sono sempre caratterizzati da congiunzioni astrali favorevoli e sono quindi all’inizio costellati di eventi eccezionali e portentosi. Tale capacità miracolistica, tuttavia, decade mano a mano che sbiadiscono le novità storiche da essi introdotte e i movimenti, concluso il loro ciclo storico, si avviano alla fine. È una legge astrologica da cui per Pomponazzi si può dedurre anche l’imminente fine del cristianesimo, dimostrata dalla sua minore capacità di produrre prodigi, ben lontana dall’effervescenza miracolistica che aveva caratterizzato la Chiesa primitiva.

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33. PER CAPIRE MEGLIO

34. COMPETENZE > Pensiero critico

IL DETERMINISMO Pomponazzi vede nell’astrologia il modo in cui si concretizza il destino dell’individuo, e ne deduce una visione deterministica della realtà umana: nessuno ha la possibilità di mutare la data della propria morte, decisa dalle particolari congiunzioni astrali presenti al momento della nascita. ecco la sua argomentazione:

T3 Pomponazzi Il destino di ogni uomo è scritto nelle stelle

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Che Socrate viva cento anni, gli è stato dato dalle stelle che dominavano al momento della sua nascita secondo le loro congiunzioni, opposizioni e tutti gli altri rapporti che sono descritti nei libri di astrologia. E, a mio parere, quei corpi stellari agiscono sulle cose inferiori attraverso qualità che dispongono in un certo modo la materia del feto di Socrate. In base a queste qualità Socrate vivrà cento anni, come si diceva, e non potrà evitare di vivere cento anni: e se sopravverranno degli impedimenti (per esempio, malattie o altre disgrazie), vuol dire che altre stelle contrarie avranno preso il predominio sulle prime e le avranno superate. (P. Pomponazzi, Il fato, il libero arbitrio, la predestinazione, II, 7, IV/12-13, trad. it. di V. Perrone Compagni, Aragno, Torino 2004, p. 433)

L’argomentazione di Pomponazzi, seppur suggestiva, è ricca di spunti problematici. Proviamo a riflettervi alla luce di alcune considerazioni del filosofo della scienza Karl Popper (1902-94). Questi sostiene che l’astrologia non è una scienza non tanto per l’incapacità di produrre prove, quanto per l’atteggiamento metodologico dei suoi sostenitori che la immunizzano da ogni possibile confutazione introducendo in continuazione «ipotesi ad hoc», cioè soluzioni contrarie alla regola generale ma ammesse per spiegare un caso anomalo. È il caso di questo brano, in cui Pomponazzi sostiene che una morte precoce di Socrate non possa in ogni caso smentire la predizione astrologica di una sua lunga vita. Lo fa usando l’ipotesi generale (l’influsso delle stelle) anche per spiegare l’eventuale anomalia di una predizione non confermata. Ma procedendo in questo modo, direbbe Popper, non è mai possibile trovare un argomento che ci convinca di avere torto.

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PERChé A VOLTE (IN CERTI LUOGhI) GLI UOMINI SI TRASFORMANO IN LUPI nel discutere della diffusa ma errata interpretazione di alcuni eventi come miracoli, Pomponazzi esamina in particolare il fenomeno della metamorfosi di uomini in animali, attestata nella cultura greca sia da Omero, che narra dei compagni di Ulisse tramutati da circe in maiali, sia dalla diffusa credenza che gli abitanti dell’arcadia si trasformassero in lupi quando attraversavano un certo stagno. Già agostino nella Città di Dio e tommaso nell’opuscolo Sulla potenza di Dio avevano discusso questi fenomeni, ed entrambi li avevano interpretati come una prova dell’esistenza dei dèmoni; un’ipotesi riproposta nel xv secolo nel Martello delle streghe (Malleus maleficarum), il manuale usato nei processi dell’Inquisizione per indagare sulle opere di stregoneria. La questione era quindi di scottante attualità. dopo aver escluso un intervento dei dèmoni, nella cui esistenza non crede affatto, Pomponazzi avanza una serie di possibili spiegazioni naturalistiche. La metamorfosi in animali potrebbe trovare una spiegazione nell’uso di droghe, perché alcune di queste, nota il filosofo, producono allucinazioni: chi le assume ha la netta percezione di essere effettivamente un animale. Forse quindi i compagni di Ulisse riferivano un’esperienza falsa ma soggettivamente vissuta come vera. È più probabile però, aggiunge, che si tratti della virtus loci, ossia la caratteristica posseduta da certi luoghi di causare, sotto l’influsso di determinate influenze astrali, una repentina distruzione di una forma e l’acquisizione di un’altra, un fenomeno, aggiunge il filosofo, solo apparentemente contro natura, che in realtà ci appare un miracolo solo per via della sua straordinaria rapidità.

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Essendo strettamente legato alla sensibilità, l’intelletto umano non è in grado di conoscere l’assoluto. Pertanto, se esiste un’anima immortale, non è cosa che possa essere dimostrata. Al limite, ammette Pomponazzi, vi si può credere mediante la fede. Ciò che a Pomponazzi preme dimostrare con queste argomentazioni è che tutto nell’universo è spiegabile in base alla ragione, senza dover far ricorso al diretto intervento di entità soprannaturali, metafisiche o religiose. E questo è a suo avviso il vero insegnamento che si deve trarre dallo studio di Aristotele, come dimostra nella sua opera più importante, il trattato Sull’immortalità dell’anima (1516). All’epoca è un testo giudicato scandaloso: basti pensare che viene bruciato in piazza, a Venezia, e che l’autore è accusato di eresia; solo l’intervento del cardinale Pietro Bembo gli evita guai peggiori. Tale accanimento si spiega col fatto che, nel testo, Pomponazzi smentisce l’interpretazione di Tommaso d’Aquino, e ribadisce che, seguendo Aristotele o anche solo la semplice ragione, non si può affermare l’immortalità dell’anima poiché essa non può in alcun modo fare a meno del corpo. L’anima infatti esercita due funzioni, la funzione sensitiva, con cui percepisce le cose, e quella intellettiva, con la quale ci ragiona su. Nel primo caso deve obbligatoriamente utilizzare gli organi di senso (gusto, tatto, udito, vista) e nel secondo non può fare a meno di riferirsi ai corpi esterni su cui ragionare: la ragione quindi non può sussistere solo in forma astratta, ossia come una pura potenzialità logica, ma ha bisogno di oggetti su cui applicarsi. Senza un corpo e senza un mondo esterno la mente non è in grado di funzionare. Ne consegue che l’ipotesi di un’anima immortale è priva di senso. Per lo meno dal punto di vista filosofico, perché Pomponazzi si affretta a precisare che le verità di ragione non sono mai certe ma solo probabili, mentre le verità di fede sono dogmi eterni che il credente deve comunque accettare. È un argomento in cui traspare l’ansia di evitare la censura e che sembra proporre una «doppia verità», utilizzando una scappatoia intellettuale solitamente attribuita ad Averroè e ai filosofi averroisti ➝ 35 . Qualunque considerazione religiosa che riguardi le pene dell’inferno o i premi del paradiso rappresenta un danno, in quanto condiziona dall’esterno una scelta etica che, per essere autentica, deve necessariamente essere libera. Ma se nulla rimane dopo la morte, che cosa obbliga gli uomini a vivere cristianamente? Che cosa rimane della morale se cade la prospettiva di un premio o di un castigo eterno? Tutto, secondo Pomponazzi, e anzi la morale stessa ne risulterebbe rafforzata. Infatti, ottenere la virtù con la minaccia di una punizione o con la promessa di un dono diminuisce il merito morale, che al contrario brilla quando si compie in modo disinteressato una buona azione. Il premio essenziale della virtù è dunque la virtù stessa, che rende l’uomo felice. Viceversa, il malvagio non ha bisogno di attendere le fiamme dell’inferno per soffrire per le sue colpe, che sconta già in questo mondo a causa del disordine interiore che lo domina ➝ 36 . Infine, nel saggio su Il fato, il libero arbitrio, la predestinazione (1520), Pomponazzi riesamina il problema teologico della libertà umana, ossia di come il libero arbitrio degli individui possa coesistere con la prescienza (conoscenza del futuro) divina dei loro comportamenti. Se in Dio conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero, l’uomo si muove in un mondo dove tutto è già determinato. Passando in rassegna le proposte avanzate nella storia per risolvere questa questione spinosa, egli indica come più plausibile la dottrina stoica, cioè la credenza nel fato, vale a dire nell’esistenza di un destino inevitabile cui non si può fare altro che adeguarsi ➝ 37 . Il fato stoico, tuttavia, esprimeva la necessità di un lógos impersonale, mentre il Dio cristiano è un creatore volontario, quindi responsabile anche del male presente nel mondo e nelle singole esistenze. Per Pomponazzi la difficoltà di pensare a Dio come autore del male è risolvibile ipotizzando che anche quest’ultimo sia in realtà necessario, e quindi non un male. In ciò che è vivo non tutto può essere perfetto: anche nel corpo umano, ad esempio, le parti nobili devono convivere con quelle impure, senza le quali del resto le prime non potrebbero sopravvivere.

Materiali per l’apprendimento attivo

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35. COMPETENZE > Argomentazione

36. PER CAPIRE MEGLIO

L’USO POLITICO DELLA RELIGIONE La prospettiva naturalistica di Pomponazzi per quanto riguarda la morale, cioè il suo sganciarsi da ogni fondamento metafisico, lo porta ad affermare un uso politico della religione. Se il vizio e la virtù sono premio e pena di se stessi, egli argomenta, non vi è alcun bisogno di ammettere premi e pene ulteriori. Ma per gli individui che non sono in grado di regolare autonomamente la propria condotta, che tra l’altro sono la maggioranza, la morale non basta. Occorre che il legislatore, che si interessa del bene comune più che della verità, li inganni facendo loro credere che esistano premi e pene nell’aldilà. È una tesi che avvicina Pomponazzi alla riflessione del suo contemporaneo Machiavelli: le religioni non sono né vere né false, ma utili o dannose alla convivenza civile. non vi è quindi differenza fra cristianesimo e altri religioni. tutte rappresentano fenomeni storici soggetti a un ordine naturale che determina il loro sorgere e tramontare all’interno delle vicende cosmiche. 37. LA PAROLA AI TESTI

T4 Pomponazzi La coincidenza fra stoicismo e cristianesimo Pomponazzi considera lo stoicismo la migliore descrizione della condizione umana e individua nel concetto di fato una correlazione con l’idea cristiana di onniscienza divina; se Dio già conosce il futuro delle persone, non rimane ad esse alcuna possibilità di cambiarlo.

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Secondo l’opinione degli stoici, tutte le cose sottostanno al fato, in quanto sono tutte previste e preordinate da Dio; e giacché sono così preordinate, esse così accadranno e non ci può essere nulla, di esterno o di nuovo, in universale o in particolare, che si possa sottrarre a tale predisposizione. Da ciò deriva che nulla sia casuale o imprevisto in rapporto alla divina provvidenza e che ogni cosa che è in noi non deriva in alcun modo da noi, ma solo da Dio che così dispone e preordina. Infatti la nostra volontà non muove da se stessa se non perché è mossa così da Dio, giacché è strumento di Dio. Negare Dio o dubitare della sua esistenza, come Protagora, è la peggiore delle pazzie. Ma anche pensare che Dio esista ma non predisponga di tutte le cose e in particolare degli uomini, come ammisero Epicuro e Cicerone, equivale a dire che il fuoco esiste ma non ha la capacità di scaldare. (P. Pomponazzi, De fato, libro II, cap. 7, in Grande antologia filosofica, vol. VI, Marzorati, Settimo Milanese 1988, p. 72)

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LA DOPPIA VERITÀ Grazia alla teoria della doppia verità, Pomponazzi è in grado di difendersi efficacemente dagli attacchi che inevitabilmente scaturirono all’indomani della pubblicazione del suo scritto sull’anima. Egli sapeva a cosa andava incontro, per questo si cautelò, riuscendo a respingere tutte le accuse mosse dalla curia sostenendo, sulla scia di Averroè, che non esistono due verità, ma due piani distinti di un’unica Verità: il piano più semplice della fede e della religione e quello più complesso destinato ai dotti e ai filosofi che utilizzano la ragione. Proviamo a ricostruire gli snodi principali della sua argomentazione: 1) l’anima non può esistere né operare se non unita al corpo, e come tale è mortale; 2) essa però è immortale nel suo desiderare di superare il dato corporeo e di raggiungere l’immortalità; 3) tale immortalità è però accettabile solo per le verità di fede, non per la filosofia; 4) a livello religioso rimane quindi valido il dogma cristiano della sua immortalità.

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Telesio e la filosofia della natura Telesio propone un metodo per studiare la natura decisamente innovativo: piuttosto che dedurne il funzionamento a partire da princìpi metafisici, secondo le interpretazioni di Aristotele comunemente accettate all’epoca, occorre osservarla e descriverla, cercando in essa le regole che la animano. Bernandino Telesio (1509-88) è l’iniziatore del naturalismo, la corrente della filosofia rinascimentale che considera la natura un mondo indagabile in base ai suoi stessi principi, senza l’ausilio di alcuna dottrina metafisica. Egli, però, non subisce le terribili persecuzioni di cui soffriranno i suoi due grandi seguaci, Bruno e Campanella. La sua, infatti, è la vita di uno studioso, abbastanza tranquilla e ricca di riconoscimenti. Nato a Cosenza da famiglia nobile, studia fisica, filosofia e medicina a Padova, dove si addottora nel 1535. Si ritira poi a meditare in un convento benedettino e scrive una sola opera in tutta la vita, il De rerum natura iuxta propria principia (La natura secondo i propri princìpi, 1565-86). È un successo, tanto che papa Gregorio XIII lo invita a Roma per esporne il contenuto. Solo dieci anni dopo la sua morte si capisce quanto le sue dottrine siano esplosive e il De rerum natura è messo all’indice. Eppure l’aspetto innovativo del pensiero di Telesio era già ben espresso nel titolo della sua opera: è possibile capire la natura solo se la si considera come un mondo a sé, autonomo, retto su princìpi propri e in base a questi spiegabile. Un’idea che si allontana dall’intera storia della filosofia, che in tutte le sue correnti ha sempre considerato la natura come il banco di prova di teorie metafisiche o comunque slegate dall’osservazione diretta. E un’idea che implica la necessità di liberarsi dai pregiudizi che oscurano la mente per riconquistare la capacità di un’osservazione oggettiva dei fatti. È vero che Telesio, come vedremo, non supera l’orizzonte culturale della magia, tuttavia questo suo insistere sull’autonomia della natura e sulla necessità di una sua osservazione oggettiva sono semi che contribuiscono all’incipiente sviluppo del pensiero scientifico. Non a caso fra i suoi seguaci, oltre a Bruno e Campanella, vi è anche Galilei. L’indagine conoscitiva, che deve partire dai sensi, dimostra l’esistenza in natura di due forze agenti, il caldo e il freddo. Dalla loro tensione si genera tutto ciò che esiste nell’universo. Abolita in un colpo l’intera fisica aristotelica, ma anche le speculazioni della scolastica e del neoplatonismo ficiniano, Telesio propone una spiegazione della natura che per la sua semplicità ricorda quelle dei presocratici. Tutto è spiegabile in base a tre princìpi, dei quali uno, la materia, è passivo mentre gli altri due, il caldo e il freddo, sono attivi e determinano il divenire: il caldo dilata, conferisce energia e produce il movimento; il freddo restringe, condensa le cose e dà loro l’immobilità; il massimo caldo sta nel fuoco e nel Sole, mentre il massimo freddo è nella Terra, ferma al centro dell’universo. Secondo Telesio basta l’interazione fra queste due forze agenti per spiegare tutti i fenomeni fisici: il calore agisce sulla Terra fredda e dallo scontro fra queste due forze si generano tutti gli enti. Ma anche i fenomeni psicologici e morali sono da ricondurre alla stessa dinamica. Sempre all’azione del caldo e del freddo è infatti riconducibile quel grado minimo di sensibilità che per Telesio accomuna tutti gli esseri. Impostando temi che verranno poi approfonditi da Campanella, egli anticipa i princìpi del sensismo ➝ 38 , la teoria gnoseologica che fonda la conoscenza sull’attività dei cinque sensi (non sulla razionalità ➝ 39 ) e del panpsichismo ➝ 40: a suo avviso tutte le cose del mondo possiedono una sensibilità propria, una propria intelligenza e quindi un’anima. Tutti gli esseri viventi, infatti, intrattengono relazioni sensibili con l’ambiente che li circonda e vivono proprio in quanto sono capaci di distinguere tra ciò che è utile alla loro sopravvivenza e ciò che invece è nocivo. Seppur in grado minimo, perfino

Materiali per l’apprendimento attivo 38. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

39. LA PAROLA AI TESTI

T5 Telesio La ragione è un senso imperfetto Che la razionalità sia la facoltà superiore dell’intelletto, l’unica in grado di raggiungere la verità, è stata l’idea portante della filosofia sin dalla sua nascita. Telesio, però, la rifiuta e pone le capacità percettive al primo posto.

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Appare chiaro che è la stessa sostanza quella che sente e quella che ragiona, e che la intellezione viene dopo un senso. Pur essendo le stesse, [la sensazione e l’intellezione] avvengono in modo diverso, perché anche se sono le stesse cose che si espongono all’anima che le percepisce, lo fanno però in modo molto diverso. Le cose presenti agiscono sull’anima stessa e la mutano, per cui essa per percepirle deve solo ricevere ed attendere la loro azione, cioè nel raggiungerle e nel vederle deve attendersi e fermarsi ad esse. Mentre quelle che sono lontane e nascoste e non agiscono su di essa, se non le vedesse mai o non le raggiungesse o non ricevesse le loro azioni, non le percepirebbe mai. Un’altra via pertanto e un’altra conoscenza di esse in un altro senso che deve essere indagato con la ragione. (B. Telesio, La natura secondo i suoi princìpi, VIII, xvi, a cura di L. Franco, La Nuova Italia, Firenze 1976, pp. 243-44)

Guida alla lettura. Telesio descrive la ragione come una specie di senso a distanza: vedere e capire sono funzioni di una stessa operazione mentale, applicata nel primo caso a oggetti vicini e ben delineati, nel secondo a quelli lontani, oscuri o solo parzialmente noti. L’unica conoscenza vera avviene attraverso la sensazione immediata, che mette in rapporto diretto con le cose, e la ragione va usata solo quando tale rapporto è impossibile. Inoltre, la ragione consiste nell’uso dell’analogia e della generalizzazione per attribuire alle cose non ancora ben conosciute le qualità già riscontrate nelle cose note; la sua funzione, quindi, si riduce a manipolare il ricordo di sensazioni passate applicandole a sensazioni presenti. 40. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

IL PANPSIChISMO «Panpsichismo» deriva dal greco pân, “tutto” e psyché, “anima” e si riferisce a ogni prospettiva filosofica per cui l’intera realtà è animata. È una concezione sostenuta in particolare da telesio, secondo cui tutte le cose hanno sensazioni, dato che la sensibilità deriva dai due princìpi dinamici, il caldo e il freddo, ed essi sono in tutti gli esseri, pure in quelli che appaiono come non viventi. anche secondo campanella tutto è animato e tutte le cose hanno sensibilità, in particolare gli astri, che vedono attraverso la luce e quindi conoscono tutto ciò che illuminano. Il panpsichismo determina inoltre una corrispondenza tra tutti gli esseri, che vengono considerati da molti filosofi rinascimentali come parti di un unico organismo, al quale la tradizione neoplatonica attribuisce anche un’anima universale. le sostanze che formano il mondo minerale, erroneamente definite non viventi solo perché incapaci di muoversi, dimostrano sensibilità e quindi conoscenza. Anche i sassi, ad esempio, percepiscono il livello minimo della sensazione, lo scambio di calore con l’ambiente. Agli oc-

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SENSISMO Il sensismo è la dottrina gnoseologica che considera ogni contenuto della conoscenza derivato dall’esperienza sensibile, sia direttamente sia attraverso la rielaborazione di percezioni passate conservate nella memoria, escludendo così che nella mente possano esservi contenuti non riconducibili a ciò che si è visto o udito (ad esempio presenti innatamente già dalla nascita).

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chi di Telesio, dunque, gli oggetti non sono elementi inerti manipolabili a piacimento dall’uomo, ma centri di attività dotati di una propria energia vitale e intrattenenti con il resto del mondo rapporti di tipo psicologico, non dissimili da quelli umani e sociali. Per Telesio persino la morale si fonda sui sensi: il piacere e il dolore, che vengono dal contatto delle cose con l’anima-calore, sono i princìpi di bene e male che fondano l’etica. Bene è ciò che conserva lo spirito-calore, male è ciò che lo distrugge. Fortemente innovativo, in particolare, è il tentativo di Telesio di spiegare su queste basi naturalistiche e sensistiche la vita morale dell’uomo ➝ 41 . Analizzarla iuxta propria principia significa rinunciare a un’etica prescrittiva, evitare cioè di stilare una lista di valori desunti da convinzioni filosofiche o religiose cui gli individui dovrebbero adeguarsi per essere considerati virtuosi. Per Telesio la vita morale necessita invece di un punto di vista mai assunto dalla filosofia, cioè di un’etica puramente descrittiva: è sufficiente osservare i comportamenti umani concreti per scoprire le leggi che governano il loro senso morale. Tutti gli esseri tendono alla propria conservazione e al proprio accrescimento. Tutto ciò (cose o eventi) che favorisce questi processi produce una dilatazione dell’anima, una sensazione di calore, alla quale si associa una reazione di piacere (il «bene»). Al contrario, tutto ciò che provoca una contrazione dell’anima è associato al freddo e a una sensazione di dolore (il «male»). Bene e male sono dunque conseguenze della reazione dell’anima a eventi specifici e hanno quindi un fondamento esclusivamente naturale. In questo sforzo di oggettività, Telesio giunge a considerare gli esseri umani come agenti ecologici, vale a dire come esseri viventi che si regolano in modo da ottimizzare le loro relazioni con l’ambiente, e per questo la sua dottrina sembra suggestivamente anticipare l’etologia contemporanea ➝ 42 ➝ 43 . Come per tutti gli esseri, anche per l’uomo il bene massimo sta nella conservazione di se stesso, motivo per cui egli chiama virtuoso ciò che aiuta a conservarsi e provoca piacere, malvagio ciò che distrugge e provoca dolore. Nei termini della metafisica telesiana, che non a caso sono gli stessi del linguaggio comune, il bene è ciò che scalda l’anima, e quindi ciò che conferisce energia alla persona permettendole di espandersi, mentre il male è ciò che gela il cuore, rattrappendo l’individuo e chiudendolo in se stesso. La sensibilità etica dell’individuo è dunque una funzione della sua sensibilità percettiva, che per Telesio rimane la principale forma di conoscenza. Ad esempio, è una cosa ben diversa e ben più sconvolgente assistere a un delitto sanguinoso che sapere della sua esistenza; così come non si può veramente partecipare al dolore degli altri senza percepirne le manifestazioni con gli occhi e con l’udito. La virtù è per Telesio ciò che favorisce la conservazione dell’individuo, e il saggio è colui che ottimizza questa preservazione di sé con un attento calcolo dei piaceri e con il controllo delle passioni, evitando ogni eccesso dannoso. Lo stesso principio si estende alla comunità creando un sistema capace di autoregolarsi ed etichettando come immorali quei comportamenti individuali che attentano alla coesione sociale. Ma se tutto, compresa l’intera vita morale e intellettuale dell’uomo, si spiega in base a princìpi naturali, che posto hanno Dio, l’anima e la religione nella filosofia di Telesio? In effetti il suo pensiero potrebbe farne benissimo a meno, tanto che compaiono solo alla fine del suo trattato, suscitando il sospetto che ne tratti solo per evitare conflitti con la Santa Inquisizione. La dimensione religiosa, egli afferma, è l’unica qualità esclusiva dell’essere umano e non può in alcun modo trovare spiegazione in un modello naturalistico dato che consiste essenzialmente in un’aspirazione verso il soprannaturale. Il fatto che esista implica dunque l’esistenza di un’anima divina e immortale, una forma superaddita, cioè “aggiunta” o “imposta” da Dio agli esseri umani. Tale anima però, proprio perché aspira a un bene inconoscibile dai sensi, non condiziona in alcun modo la loro vita intellettuale e morale.

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

41. COMPETENZE > Mappa concettuale

TELESIO: IL NATURALISMO implica che la natura va studiata attraverso i princìpi immanenti alla natura stessa

la fisica si basa su princìpi naturali ne consegue che

la gnoseologia si basa su princìpi naturali la morale si basa su princìpi naturali

cioè

cioè

cioè

il mondo fisico è generato dall’azione di caldo e freddo sulla materia la conoscenza si basa sulle sensazioni (sensismo) bene è ciò che suscita piacere; male, ciò che provoca dolore

42. APPROFONDIMENTI > Intersezioni

ETICA ETOLOGICA: LE BASI PERCETTIVE DELLA PIETÀ Dato che siamo abituati a pensare ai princìpi etici come valori spirituali se non addirittura religiosi, può riuscire difficile immaginare una loro origine nell’attività percettiva. Eppure questa prospettiva è oggi assunta dall’etologia, la scienza, strettamente imparentata con l’evoluzionismo darwiniano, che studia i comportamenti umani comparandoli sistematicamente con quelli animali. L’austriaco Konrad Lorenz (1903-89), in un saggio su Il cosiddetto male (1963), ha esaminato le origini percettive della pietà e del suo contrario, l’aggressività, mettendo in luce la presenza di meccanismi percettivi inibitori dell’aggressività di natura sia comportamentale sia fisiologica. del primo tipo sono i segnali che comunicano la volontà di arrendersi o sanciscono una sudditanza: piangere, abbassare lo sguardo e la testa, mostrare le palme aperte in segno di pacificazione. al secondo tipo appartengono i tratti morfologici presenti nei neonati di moltissime specie animali, compreso l’uomo: occhi grandi e rotondi, guance paffute, fronte ampia, pelle morbida e rosea, movimenti maldestri e impacciati, aspetto buffo. Per Lorenz esiste una potente pressione psicologica istintiva, innata, biologicamente determinata e universale, cioè presente in tutte le specie animali, a bloccare la propria aggressività e a trattare con benevolenza tutti gli esseri viventi (anche quelli di altre specie), che ostentano tali tratti o comportamenti: solo una crudeltà eccezionale permette di uccidere un neonato o un adulto che implora perdono. Questi schemi inibitori, tuttavia, non funzionano a distanza e si esercitano solo all’interno di una relazione ravvicinata e percettiva; un conto è sapere che un bambino sta morendo, ben altra cosa è assistere alla sua agonia. 43. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

IL SENSISMO ETICO: L’IMPORTANZA DI VEDERE LE VITTIME L’interpretazione su basi sensistiche dell’istinto della pietà sviluppata da Konrad Lorenz assume un significato drammatico se posta in relazione allo sviluppo della tecnologia bellica. nel corso della storia, infatti, sono state inventate armi capaci di uccidere a una distanza sempre maggiore fra l’aggressore e la vittima, passando dal coltello, alla lancia, alla freccia, alle armi da fuoco, ai bombardamenti aerei e oggi ai droni telecomandati. Mano a mano che è diminuita la percezione visiva delle vittime, l’istinto che sollecita la pietà è venuto meno e la distruttività bellica si è fatta sempre più indiscriminata. È una tendenza apparentemente inarrestabile, nota Lorenz, e non fa ben sperare per lo sviluppo dell’umanità. Rifletti sul tema del rapporto fra informazione e guerra. In che modo l’esposizione quotidiana, mediata dai giornali e dalla televisione, dei conflitti in corso nel mondo influisce sulla nostra capacità di percepire il dolore delle vittime?

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NATURA E MORALE IN TELESIO

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Giordano Bruno

Mappa

Giordano Bruno è considerato da molti il filosofo che, più di tutti, ha varcato ogni limite. Una considerazione che si adatta bene non solo alla sua produzione filosofica e al suo carattere ribelle, ma anche al suo genio precoce. Fra i filosofi del passato Giordano Bruno gode della particolarità d’essere non solo studiato ma anche amato. La sua statua nella piazza romana di Campo dei Fiori, in cui fu bruciato il 17 febbraio 1600, si dice distogliendo lo sguardo dal crocifisso mostratogli per un estremo pentimento, rimane ancora oggi un punto di riferimento per i movimenti anticlericali e new age (vedremo il perché) e anche a livello accademico è spesso difficile distinguere fra quelli che si limitano a studiarne la dottrina e quelli che invece ne condividono i princìpi basilari. Ciò accade perché Bruno (1548-1600), oltre che di un pensiero profondo, è dotato anche di una personalità eccezionale, per meglio dire eccessiva sotto ogni aspetto. È, per cominciare dall’infanzia, un “mostro della memoria”. Nato povero a Nola, nei pressi di Napoli, riceve un’istruzione perché si fa notare per l’eccezionale capacità mnemonica: riesce addirittura a ripetere parola per parola una predica appena ascoltata. È una dote naturale, ma nel tempo Bruno la incrementa ulteriormente studiando e praticando la mnemotecnica (ars memorandi) ➝ 44 ➝ 45 , un’antica tecnica che prevede di trasformare in immagini i concetti astratti da ricordare. Bruno compila lunghi elenchi di imagines agentes, ossia di immagini che per essere ricordate devono essere tanto strane e straordinarie da colpire l’immaginazione e le passioni (basti pensare che tali tecniche erano vietate dai riformati puritani). Bruno non si limita a questo, ma scopre anche la possibilità di fondere questi sistemi di archiviazione mnemonica con l’arte dell’invenzione combinatoria inventata tre secoli prima da Raimondo Lullo (1235-1315), mistico e alchimista catalano celebre per aver suggerito un modo per esplorare associazioni innovative fra le idee ➝ 46. Da questi studi Bruno ricava grande fama, tanto che il re di Francia Enrico III lo invita a corte per una dimostrazione del suo metodo, che egli poi riassume in un saggio divulgativo intitolato Le ombre delle idee (De umbris idearum). Ma l’approfondimento di queste tecniche è molto complicato e porta Bruno a compilare una gran quantità di testi, in lingua latina, tanto astrusi da essere ancora oggi oggetto di ricerche esegetiche. Ciò di cui egli va in cerca è, diremmo noi, un algoritmo della genialità, cosa non facile a scoprirsi. spirito irrequieto, Bruno vive una vita leggendaria, tempestosa e tragicamente intensa, culminata con una messa a morte che lo ha reso il simbolo della libertà di pensiero. Eppure questa attività di potenziamento della mente costituisce solo una parte marginale degli interessi di Bruno, che è autore anche di una produzione letteraria importante: Il candelaio, Lo spaccio della bestia trionfante, la Cabala del cavallo pegaseo, Degli eroici furori. Sono dialoghi morali in cui, con un linguaggio irridente che si spinge sino al sarcasmo e alla trivialità, esprime il suo odio per i benpensanti, gli accademici e i pedanti. Coloro cioè che gli hanno rovinato la vita. Condotto a Napoli a studiare, infatti, Bruno deve entrare per forza nell’ordine domenicano, ma già a 18 anni è cacciato dal convento sia perché avanza i primi dubbi sulle verità di fede, sia per il suo carattere ribelle. Egli stesso, nel Candelaio, si descrive di «fisionomia smarrita; par che sii in contemplazione delle pene dell’inferno, par sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far come fan gli altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d’ottant’anni, fantastico com’un cane ch’ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla» (Il candelaio, Mondadori, Milano 1994, p. 16). È una vena antisociale della sua personalità che contribuisce a farlo cacciare da tutte le città in cui si rifugia nel lungo vagabondaggio in cui si riduce la sua vita. A Parigi

Materiali per l’apprendimento attivo 44. COMPETENZE > Pensiero critico

45. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

LA MNEMOTECNICA Su invito del re di Francia enrico III, Bruno redige Le ombre delle idee (De umbris idearum) un trattato sulla tecnica della memoria artificiale. Già usata dagli oratori romani per memorizzare i discorsi da pronunciare in pubblico, essa prevede due tappe, la prima delle quali consiste nel trasformare i concetti da ricordare in rappresentazioni visive in vario modo ad essi collegate. La seconda tappa prevede di disporre nella giusta successione queste «immagini mnemoniche» (imagines agentes) lungo un percorso familiare, ad esempio la successione delle stanze nella propria casa. Pronunciando il discorso, l’oratore seguirà mentalmente il percorso a lui ben noto, ritrovando nella sequela di luoghi le immagini depositate, veri e propri promemoria visivi. È da questa tecnica che deriva l’uso linguistico di presentare i concetti con la locuzione «in primo luogo…». 46. PER CAPIRE MEGLIO

L’ARTE COMBINATORIA La tecnica dell’invenzione combinatoria di Bruno consiste nel disporre su una circonferenza le immagini potenti (agentes) che riassumono i concetti chiave di un determinato campo del sapere. Se poi attorno al centro di questa ruota concettuale si dispone un triangolo, un quadrato o altre forme geometriche basilari si ottengono gli schemi grafici corrispondenti alle associazioni che collegano i concetti nelle argomentazioni valide. Se poi tali forme schematiche vengono fatte ruotare in modo casuale si ottengono associazioni ancora possibili ma mai esplorate, quindi per lo meno stimolanti.

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LA MNEMOTECNICA è UTILE ALLO STUDIO? Per «mnemotecnica» si intende l’insieme delle regole e dei metodi usati per memorizzare rapidamente e più facilmente informazioni difficili da ricordare, sfruttando la capacità dell’essere umano di ricordare le informazioni trasformandole in immagini o in storie, o associandole a specifiche emozioni. La mnemotecnica è ancora oggi praticata e in rete vi sono molti siti che promettono grandi risultati dal suo apprendimento. È quindi utile che uno studente se ne impadronisca? non molto, avvertono i pedagogisti. Infatti, creare e fissare nella memoria un’immagine capace di significare parecchi concetti spesso richiede più sforzo del ricordarli approfondendo i rapporti logici che li collegano. Il ricorso a queste tecniche risulta però fruttuoso quando si tratta di mandare a memoria nomi, date, combinazioni di numeri e altre nozioni specifiche. In questo caso l’associazione a un’immagine, a un luogo o a un’emozione risulta utile. Prova a fare questo semplice esercizio: chiedi a un tuo compagno di darti una combinazione di numeri da imparare a memoria. associa a ogni numero che va dall’uno al dieci un oggetto, ad esempio: 1: una candela, 2: un cigno, 3: una molla, 4: una sedia con un omino seduto sulla destra, 5: un gancio, 6: una ciliegia, 7: una falce, 8: un pupazzo di neve, 9: un palloncino, 10: una botte. associa alla combinazione che devi ricordare le immagini corrispondenti. ad esempio per 4960 basterà visualizzare una sedia con sopra un palloncino e una ciliegia che cadono dentro una botte. Lascia riposare l’immagine per un po’. dopo qualche giorno prova a ripercorrerla con la mente: molto probabilmente avrai memorizzato anche la combinazione numerica.

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arriva preceduto da grande fama di mnemotecnico, mago e filosofo, ma in breve è accusato di diffamazione, processato e scomunicato. Passa allora in Inghilterra ed entra in rapporti con la corte, ma dopo qualche mese gli accademici di Oxford si accorgono che una sua prolusione alla Università ripeteva parola per parola un testo di Ficino. Accusato di plagio, Bruno cade in disgrazia e poco tempo dopo deve scappare in Germania, inseguito da una seconda scomunica. Lì insegna per due anni e forse cerca di organizzare i suoi seguaci in una setta di “giordanisti”. Ma per motivi sconosciuti a Praga nel 1589 viene nuovamente scomunicato: è l’unico intellettuale noto ad aver collezionato ben tre scomuniche: cattolica, calvinista e luterana. Ricercato dalle polizie religiose di tutta l’Europa, accetta l’invito di un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, desideroso di apprendere l’arte mnemotecnica. Tutto consiglierebbe prudenza ma il suo scandaloso comportamento induce l’ospite a denunciarlo all’Inquisizione. Portato a Roma, Bruno subisce un lungo processo che si conclude con la condanna al rogo.

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Bruno approva con entusiasmo la rivoluzione copernicana e la rende ancora più radicale, inserendola in un mondo senza centro e senza confini: l’universo è infinito, costituito da infiniti mondi e infiniti sistemi solari simili a quello in cui viviamo. e come potrebbe essere altrimenti, dal momento che infinita è la sua causa, ovvero Dio? Film

Come ben descrive il film Giordano Bruno, di Giuliano Montaldo, per la cultura del suo tempo Bruno è un intellettuale pericoloso ➝ 47 . In primo luogo vi è il suo insistere, anche sotto minaccia di tortura, sul fatto che l’universo sia infinito ➝ 48. Egli se ne è convinto interpretando le recenti scoperte astronomiche di Copernico alla luce delle meditazioni di Cusano: se la Terra non è ferma ma si muove attorno al Sole, che altro non è che una stella fra le tante, allora il cosmo cessa di avere un centro, la Terra diventa un pianeta come gli altri e i sette cieli descritti dall’astronomia tolemaica non sono più gli strati di un manto divino che la protegge. Questi cieli anzi, continua Bruno, non esistono affatto, e ogni stella del firmamento è circondata da sistemi come il nostro. Ne risulta in primo luogo un universo infinito e quindi omogeneo, non più distinguibile fra una sfera divina e una umana. La cosmologia cessa così di essere una dimostrazione scientifica della differenza fra il celeste e il terrestre, fra il sacro e il mondano. In secondo luogo, la nuova astronomia implica che il nostro non sia l’unico mondo, protetto e amato da Dio; un corollario che la dominante cultura religiosa vive con angoscia e che nella generazione seguente porterà al processo contro Galilei. È difficile per noi capire quanto tale mutamento fosse a quell’epoca conturbante e destabilizzante. In terzo luogo, se l’universo è infinito, Dio non può esserne fuori, perché in rapporto all’infinità non può esservi alcun “oltre”. È improbabile che un mondo senza un centro, senza limiti, senza un principio e una fine, in cui probabilmente vivono innumerevoli altre specie simili a quella umana, sia stato creato dal nulla da una Persona divina, come racconta la Genesi. Salta così il dogma della creazione, e a cascata ne consegue il crollo dell’intero edificio religioso giudaico-cristiano. Bisogna ripensare Dio, afferma Bruno, come la coincidenza fra due entità: una Mens super omnia (una “mente al di sopra di tutto”), ovvero un principio razionale trascendente, superiore ed estraneo alle cose, e una Mens insita omnibus (una “mente presente in tutte le cose”), ossia un principio razionale immanente, presente e attivo in tutte le cose. Dio è sia l’intelletto ordinatore di tutto ciò che è in natura, sia la natura stessa, che risulta così divinizzata. Il primo di questi aspetti è compatibile con la tradizione cristiana, ma Bruno aggiunge che da questo punto di vista Dio, proprio perché trascendente, rimane fuori dalla nostra portata, così come è stato ben argomentato dalla teologia negativa e dalla tradizione neoplatonica. Conoscere Dio, in questo senso, sarebbe come pretendere di capire chi sia uno scultore basandosi solo su una opera.

Materiali per l’apprendimento attivo 47. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

48. LA PAROLA AI TESTI

T6 Bruno L’infinità dell’universo A Londra, Bruno è invitato a esporre le sue idee sulle dottrine di Copernico in una riunione conviviale svoltasi il giorno delle Ceneri, il primo giorno di Quaresima. Da questa occasione prendono spunto i cinque dialoghi che formano La cena delle ceneri.

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[a] Cossì conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che son quelle tante centenaia de migliaia, ch’assistono al ministerio e contemplazione del primo, universale, infinito ed eterno efficiente. [b] Non è più impriggionata la nostra raggione coi ceppi de’ fantastici mobili e motori otto, nove e diece. Conoscemo, che non è ch’un cielo, un’eterea reggione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze, per comodità de la participazione de la perpetua vita. Questi fiammeggianti corpi son que’ ambasciatori, che annunziano l’eccellenza de la gloria e maestà de Dio. [c] Cossì siamo promossi a scuoprire l’infinito effetto dell’infinita causa, il vero e vivo vestigio de l’infinito vigore; ed abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi, se l’abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesimi siamo dentro a noi; non meno che gli coltori degli altri mondi non la denno cercare appresso di noi, l’avendo appresso e dentro di sé, atteso che non più la luna è cielo a noi, che noi alla luna. (G. Bruno, La cena delle Ceneri, Dialogo primo, in Dialoghi italiani, a cura di G. Aquilecchia, Sansoni, Firenze 1958, p. 34)

Guida alla lettura. a) nello spazio infinito vi sono infiniti corpi celesti, così come infinito è dio (l’«eterno efficiente»). b) L’universo è unitario (non quindi diviso in due parti, una divina e una terrestre) e così come la terra non è più avvolta nelle sfere celesti, così la conoscenza si è liberata dai pregiudizi. c) Siamo quindi in grado di capire che il mondo è infinito perché tale è la causa che l’ha prodotto (dio), e che se dio coincide con il mondo, allora è anche dentro ogni uomo, così come lo è per tutte le altre creature viventi sugli altri corpi celesti.

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GIORDANO BRUNO MARTIRE DEL LIBERO PENSIERO Inaugurata nel 1989, in un periodo in cui la politica dello Stato italiano era ispirata a un deciso anticlericalismo, la statua di Giordano Bruno in Campo dei Fiori, nell’esatto luogo in cui fu arso vivo, è diventata il simbolo della libertà di pensiero contro ogni forma di censura. Il filosofo volge le spalle al cupolone ed è rappresentato con un cappuccio scuro, sotto il quale si scorge un volto tenebroso e con gli occhi rivolti in basso; si narra, infatti, che abbia distolto lo sguardo dal crocifisso che gli veniva mostrato per un estremo pentimento. Lo ribadisce anche l’annuncio della sua esecuzione fatto affiggere dalle autorità sui muri di Roma il 19 febbraio 1600: «Giovedì mattina in campo di Fiori fu abbruciato vivo quello scellerato frate domenichino da nola: heretico ostinatissimo. et avendo di suo capriccio formati diversi dogmi contro la nostra fede, volse ostinatamente morir in quelli, lo scellerato. et diceva che moriva martire et volentieri, et che se ne sarebbe la sua anima ascesa con quel fumo in Paradiso. Ma ora egli se ne avvede se diceva la verità». da allora campo dei Fiori è divenuto il luogo simbolo di molte battaglie e manifestazioni libertarie, ad esempio quelle in favore della laicizzazione dello Stato e del divorzio.

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Dio è invece accessibile alla mente umana nella sua seconda forma, l’aspetto che più interessa Bruno. Significa che la materia non è un principio passivo a cui un’attività esterna plasmatrice o creativa conferisce una forma. La materia possiede in se stessa le forme, le produce autonomamente, le manda fuori di sé così come da una patata crescono i germogli, e da questi cresceranno le foglie di una nuova pianta. La natura è Dio stesso, è la virtù divina che si manifesta nelle cose. Risulta allora giustificato ciò che più preme a Bruno, ovverosia la possibilità di vedere il divino nel mondo, o meglio ancora di apprezzare il mondo per la sua divina magnificenza. Molti aspetti del pensiero di Bruno, dal suo antiaristotelismo al suo anticristianesimo, si inquadrano nella tradizione dell’ermetismo rinascimentale e in particolare nel recupero dell’antica religione magica degli egizi. Divinizzare la natura significa però tornare al panteismo ➝ 49, a un animismo primitivo che interpreta i fenomeni naturali come effetti della divinità; un’operazione incompatibile con il cristianesimo ➝ 50. Bruno ne accetta le conseguenze e abbandona la speranza, prettamente rinascimentale, di conciliare la religiosità cristiana con una rinnovata visione della natura in grado di riconoscerle il prestigio e l’autonomia che le spetta. È dunque il primo ad assumere posizioni dichiaratamente anticlericali: il cristianesimo è repugnante e assurdo, una forma di asinità demente, uno strumento di manipolazione di massa usato dai potenti che ribalta i valori della ragione, perché pone il mondo in contrasto con Dio, come se seguissero fini diversi, come se potesse esistere una giustizia divina contraria a quella umana. Bruno giunge perfino a satireggiare sulla figura di Cristo, paragonandola al mitico centauro Chirone (un mostruoso cavallo dalla testa umana) per il fatto di racchiudere due nature, umana e divina, nella stessa persona. D’altra parte però non gli sembra sufficiente neanche tornare alle filosofie precristiane, platoniche o aristoteliche, perché già in esse era operante il germe malefico della scissione fra il divino e il naturale. Il ritorno per Bruno deve essere ben più radicale; bisogna, egli afferma, rivalutare la religione egiziana, tornare all’idolatria, se pure in una versione consapevole. Se Dio è presente in tutte le cose, allora qualsiasi ente naturale può diventare oggetto di devozione, anche un sasso, una statua o un mazzo di cipolle, basta che il credente sia conscio di adorare nella cipolla il dio che è inseparabilmente presente in essa. Facendo propria la cultura ermetica derivante dalle traduzioni di Ermete Trismegisto, Bruno ipotizza l’esistenza di una sapienza antica e originaria, precedente addirittura all’epoca di Mosè (xiii secolo a.C.) e concretizzatasi nell’antico Egitto, del quale, comunque, come tutti i rinascimentali, egli non ha notizie precise, e che anzi immagina in forme favolose. L’atteggiamento del filosofo per Bruno non deve essere tanto quello del sapiente, ovvero di colui che agisce mosso dalla sola razionalità, quanto piuttosto quello del furioso, che guidato dall’amore si getta a capofitto nelle contraddizioni del mondo. Nel dialogo Degli eroici furori (1585), Bruno si sofferma sul mito di Atteonte, il cacciatore che, per aver contemplato la sua preda, la dea Diana, è trasformato in un cervo, diventando egli stesso selvaggina. Bruno vi vede una metafora del rapporto fra l’uomo (il cacciatore) e la natura (la dea): chi riesce a contemplarne l’essenza infinita e divina viene a sua volta trasformato, diventa egli stesso partecipe della vitalità inesauribile che attraversa tutte le cose e si affranca dalla condizione umana immedesimandosi pienamente nello spirito cosmico. Al vertice della spiritualità, per Bruno, non vi è quindi l’abbandono mistico del mondo, ma il suo esatto contrario, ossia la capacità di immergersi totalmente nella natura sino a percepirne l’infinità, un’esperienza che muta l’uomo dalle fondamenta e gli conferisce poteri di tipo magico. Affinché tale trasformazione sia possibile, è però necessario che l’uomo sia mosso da un

Materiali per l’apprendimento attivo

Dizionario operativo

49. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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IL PANTESIMO «Panteismo» deriva dal greco pân, “tutto” e theós, “Dio” e significa quindi “tutto è Dio”. Secondo cusano, l’universo è explicatio di dio, quindi è dio stesso in quanto spazializzato. ne consegue che l’universo ha gli stessi predicati di dio, tra i quali l’eternità e l’infinità. Bruno, distinguendo invece la causa dal principio (la prima non rimane nell’effetto, come quando colpisco una palla determinandone il movimento; il principio invece permane nell’effetto, come il seme che diventa pianta), afferma che Dio è causa ma anche principio e in quanto tale è immanente, permane nella natura anche se non si identifica completamente con essa. Audiomappa

50. COMPETENZE > Mappa concettuale

IL SISTEMA RELIGIOSO DI BRUNO trascendenza

DIO

consiste in una coincidenza di due opposti

secondo il principio di da cui mens deriva super omnia

mens insita omnibus

da cui deriva

secondo il principio di immanenza

inconoscibilità di Dio

riconoscibilità di Dio nella natura

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e quindi

e quindi

teologia negativa

panteismo che giustifica politeismo, religione egiziana

Utilizzando lo schema mentale della coincidenza degli opposti, tipico della cultura rinascimentale, Bruno pretende di conciliare due concetti teologici antitetici: la trascendenza, cioè la diversità fra dio e il mondo, e l’immanenza, cioè l’identità fra dio e mondo. di questi due aspetti del divino, è il secondo, incompatibile con il cristianesimo, ad attrarre maggiormente il suo interesse: se dio è un’intelligenza (mens) presente in tutte le cose (insita omnibus), allora ogni cosa, anche la più povera o comune, può essere considerata una testimonianza della divinità, giustificando così il panteismo religioso.

«eroico furore» verso la natura, dove «eroico» va inteso come un’aggettivazione di Eros, e non significa quindi “eccezionale”, ma “passionale”, “sensibile”. Bruno traduce qui in termini naturalistici la dottrina platonica che attribuisce all’amore e alla contemplazione della bellezza una capacità di elevazione spirituale: il filosofo deve essere un «furioso d’amore», deve essere mosso da un’ansia di ricerca oltre ogni limite, andare come Atteonte a caccia della sua preda, ovvero prendere d’assalto la natura e cercare di dominarla con le armi della magia.

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Tommaso Campanella Filosofo, mago, astrologo, profeta e agitatore politico, anche Tommaso Campanella, come Giordano Bruno, mostra un carattere impetuoso e vive una vita da fuggitivo, inseguito dalle accuse di eresia. Anche nel pensiero di Giovanni Domenico Campanella ➝ 51 (1568-1639), come per Bruno, non è possibile scindere la dimensione filosofica da quella politica: la sua biografia infatti è segnata dai ripetuti e sempre fallimentari tentativi di realizzare la propria utopia. Nato in una famiglia povera a Stilo, in Calabria, prende gli ordini domenicani non ancora quindicenne assumendo il nome di Tommaso. La sua formazione culturale e più in generale la sua intera esistenza sono condizionate dalla lettura del De rerum natura iuxta propria principia di Telesio, un testo che gli rivela la possibilità di una visione del mondo alternativa a quella ufficiale. Trasferitosi a Napoli, in difesa di Telesio scrive alcuni saggi (Philosophia sensibus demonstrata, 1589, e De sensu rerum et magia, 1590) che attirano su di lui gli strali della censura. Dopo un anno di carcere fugge a Firenze, Bologna e infine a Padova, dove conosce Galileo Galilei. Si interessa di magia naturale e arti occulte, tanto da conquistarsi una fama di eretico e quindi le attenzioni dell’Inquisizione. Nel 1593 è nuovamente arrestato e portato a Roma, dove resta in prigione per alcuni mesi; torturato, è costretto all’abiura e condannato a ritirarsi in un piccolo convento calabrese. In Calabria, però, il combattivo frate domenicano radicalizza la sua posizione. Sogna una Repubblica ideale, comunistica e al contempo teocratica, cristiana ma anche magica, che descriverà poi nel suo testo più celebre, La città del Sole (1602) ➝ 52 , e nel 1599 inizia a tessere una congiura per realizzarla in Calabria. La cospirazione però viene scoperta quasi subito e gli varrebbe la condanna a morte da parte del tribunale dell’Inquisizione, che però Campanella riesce a tramutare in ergastolo fingendosi pazzo ➝ 53 . In carcere, dove resta 27 anni (1599-1626), riesce a scrivere La città del Sole e le altre opere minori, pur fra enormi difficoltà materiali e intellettuali che lo costringono a venire a patti con le autorità. Nel 1626 il governo spagnolo lo libera anche perché nel frattempo, forse per opportunità, egli sostiene che la monarchia spagnola poteva essere lo strumento dell’unificazione politica e religiosa dell’umanità. Affidato alla custodia del Sant’Uffizio di Roma, Campanella comincia tuttavia a rivolgere verso la monarchia francese le stesse speranze politiche poste in precedenza nella corona spagnola e, quando a Napoli si scopre una nuova congiura antispagnola organizzata da un suo discepolo, è costretto a rifugiarsi a Parigi, dove vive fino alla morte. Campanella sintetizza nel suo pensiero gli elementi della filosofia rinascimentale: opposizione all’aristotelismo, esaltazione della dignità umana e concezione dinamica dell’essere. Campanella, in quanto domenicano, si forma sui testi di Aristotele ma la lettura di Telesio lo converte presto a un anti-aristotelismo rigoroso e polemico: egli sostiene che è l’egemonia culturale di Aristotele e del suo seguace cristiano, Tommaso, la causa di tutti i mali del tempo, dall’esplodere della Riforma protestante alla nascita del machiavellismo. Bisogna quindi emancipare il cristianesimo da Aristotele, rifondandolo su una nuova base filosofica, che Campanella individua in un naturalismo sensistico di tipo telesiano corretto alla luce del Timeo, il testo di Platone dedicato alla scienza. Da Telesio, Campanella desume in primo luogo la gnoseologia sensistica: tutta la conoscenza si riduce alla sensibilità, sia perché tutti i contenuti intellettivi consistono in una rielaborazione di percezioni pregresse, sia perché solo l’esperienza sensibile può precisare ciò che rimane oscuro nella conoscenza concettuale. Ribaltando l’intera tradizione filosofica, egli sostiene che i concetti veicolano informazioni e verità di grado inferiore rispetto alle sensazioni, perché essendo generici sono anche più imprecisi. Ad esempio una forma in movimen-

Materiali per l’apprendimento attivo 51. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

52. Per CAPIre MeGLIO

UrBANIsTICA e MAGIA campanella descrive la città del Sole nei minimi particolari, quasi fosse realmente esistente e visitabile, e la concepisce come uno strumento magico per attirare sugli abitanti gli influssi benefici degli astri. Posta su una collina in un’ampia pianura deserta, essa è strutturata per gironi concentrici, tanto che vista dall’alto somiglia all’immagine tolemaica del cosmo. Questi gironi sono sovrapposti e hanno uno sviluppo ascensionale, formando una struttura simile a una piramide o a una montagna. nel punto più alto della città è posto il tempio, in cui il Grande Metafisico opera le congiunzioni astrali più favorevoli. campanella descrive un tempio circolare con una grande apertura nel soffitto, così da permettere l’ingresso delle influenze astrali. Sull’altare sono collocati un mappamondo e 7 lampade planetarie, che il Grande Metafisico dispone in associazioni di volta in volta favorevoli alla comunità. a dimostrazione di come la magia fosse strettamente connaturata alla mentalità rinascimentale, nel 1628 campanella fu invitato a operare lo stesso rito magico da papa Urbano VIII, spaventato dalle voci che profetizzavano la sua morte imminente a causa di cattive associazioni astrali. 53. APPrOFONDIMeNTI > Per saperne di più

LA FINTA PAZZIA DI CAMPANeLLA La fama di campanella è dovuta anche al suo eroico comportamento durante le torture. Il codice penale dell’Inquisizione, come del resto quello oggi in vigore nello Stato italiano, prescriveva la sospensione della pena per i criminali infermi di mente. Lo stesso codice, tuttavia, prevedeva che la loro pazzia fosse verificata sottoponendoli a tortura, nell’idea, al tempo avvallata dalla scienza, che la follia comporti anche l’insensibilità al dolore (anestesia). L’eroico campanella riesce ad attuare la finzione: risponde ossessivamente «dieci cavalli bianchi» a tutte le domande e soprattutto scoppia a ridere ogni qual volta le torture diventano più dolorose. L’accanimento dell’Inquisizione verso campanella deriva anche dal fatto che il suo progetto insurrezionale non era irrealistico: metteva in conto una rivolta popolare contro il malgoverno spagnolo prevedendo anche l’aiuto dei turchi, che in quel periodo costituivano una reale minaccia alla cristianità ed essendo stanziati in Medio Oriente avrebbero potuto sbarcare facilmente in calabria. to intravista da lontano rimane confusa e può essere concettualizzata solo in modo generico come un animale; solo avvicinandoci, e quindi aumentando le nostre capacità percettive, possiamo precisarne sempre meglio la natura, ad esempio indentificando prima un essere umano e poi una persona conosciuta. In campo conoscitivo, ai sensi spetta dunque sia la prima sia l’ultima parola: solo ricorrendo ad essi si possono verificare o confutare le conoscenze incerte. Al riguardo Campanella cita efficacemente Cristoforo Colombo: dopo secoli di fumose discussioni sulla grandezza della Terra è bastato che un uomo si decidesse a risolverle con l’esperienza, ossia mettendosi in mare, per scoprire l’esistenza di un nuovo mondo.

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CAMPANELLA IN RETE Tutti i testi di Campanella, assieme a molti articoli sul suo pensiero e sulla sua figura, sono disponibili gratuitamente nell’Archivio dei filosofi del rinascimento curato dall’Università degli Studi di Roma tre, sul sito www.iliesi.cnr.it/atc.

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Ma se la conoscenza si riduce a sensazione, prosegue Campanella, bisogna ammettere che tutti gli esseri viventi, compresi gli animali e le piante, sono capaci di conoscere. Si potrebbe obiettare che la conoscenza di cui sono capaci gli animali, le piante e i minerali differisce da quella umana in quanto inconsapevole, ossia il frutto di automatismi istintivi e non finalizzati a uno scopo. Coerentemente con la sua gnoseologia, Campanella rifiuta questa obiezione appellandosi prima di tutto all’esperienza concreta: basta osservare senza pregiudizi un cane mentre cerca la sua preda per capire che il suo comportamento è guidato da esperienze precedenti e si avvale di indizi (un silenzio improvviso, la fuga degli uccelli, un ramo rotto) per formulare ipotesi investigative. A diversi livelli, quindi, tutti gli esseri mostrano di dirigersi consapevolmente verso una finalità, interagendo nel modo più appropriato con l’ambiente circostante. È così affermato il principio del teleologismo universale ➝ 54 : ogni cosa in natura si muove per un fine, e l’esperienza suggerisce che lo faccia consapevolmente. L’intera realtà è pervasa di sensibilità e tutte le cose sono dotate di vita, anima e conoscenza. È il principio fondamentale del pensiero magico, di cui Campanella è fra i massimi teorici. Questa conoscenza universale, inoltre, implica sempre un soggetto consapevole di se stesso. Sul piano razionale questo è dimostrabile approfondendo il modo in cui le sensazioni si producono. Lo spirito senziente presente nell’uomo non sente il calore, ma sente prima di tutto se stesso: sente il calore in quanto è modificato dal calore. Traducendo il pensiero di Campanella, uno stesso gelato può essere sentito come piacevolmente fresco in estate e insopportabilmente freddo in inverno, perché ciò che percepiamo non è direttamente la sua temperatura ma la modificazione che questa produce sul nostro stato. Bisogna quindi ammettere che le informazioni sul mondo esterno fornite dal sensus additus (senso aggiunto) prendono senso solo in rapporto a un sensus inditus ➝ 55 , vale a dire un senso interno, una percezione innata che l’anima ha di se stessa. Non potremmo ad esempio pensare l’esistenza delle cose se non sentissimo noi stessi di essere esistenti, e questa è una nozione originaria, innata, un’evidenza non dimostrata ma vissuta. E la stessa centralità del soggetto è individuabile in ogni conoscenza. Senza coscienza di se stessi non può esservi conoscenza del mondo esteriore: è un’affermazione che negli stessi anni Cartesio riprende e amplifica ➝ 56 . Appoggiandosi al naturalismo sensistico di Telesio, Campanella costruisce una grandiosa metafisica: il mondo è governato da tre «primalità»: la potenza, la sapienza e l’amore, nella città del sole personificati dai tre Ministri, Pon, sin e Mor. Dall’animismo universale Campanella deriva una metafisica nota come dottrina delle tre primalità. Essa consiste nell’ipotesi che ogni anima sia costituita dalla somma di tre tendenze fondamentali: il «poter essere», il «saper essere» e il «voler essere», ovvero la potenza, la sapienza e l’amore. Ogni cosa è ciò che è perché può esserlo; è dotata di sapienza perché ha coscienza di sé e delle proprie necessità; infine, vuole essere ciò che è, ama se stessa e desidera in ogni modo conservarsi. Se nel mondo non regna un’armonia universale è perché queste tre tendenze positive sono ostacolate da altrettante negative, cioè legate al non essere: l’impotenza, l’insipienza e l’odio. Alle tre primalità che governano il mondo corrispondono le tre figure della Trinità cristiana. Infatti, nonostante le persecuzioni subite, Campanella rimane saldo nella fede e anzi concepisce la sua ricerca naturalistica come propedeutica a una rifondazione della religione su basi scientifiche, ovvero, dal suo punto vista, non aristoteliche. E non smette di considerare il cattolicesimo come la più autentica fra tutte le confessioni, perché la più naturale, cioè la più conforme alla ragione, a patto che trovi la forza per riformarsi, liberandosi dagli abusi che al momento ne corrompono la struttura e tornando al rigore morale della Chiesa pri-

Materiali per l’apprendimento attivo

Dizionario operativo

54. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

55. COMPeTeNZe > Lessico e concettualizzazione

IL SenSuS indituS Il sensus inditus corrisponde al sentire noi stessi come esseri senzienti, cioè all’avere la coscienza che le sensazioni provengono dall’esterno ma modificano il nostro io e quindi conosciamo noi stessi in quanto modificati dalle sensazioni. Si tratta della coscienza del soggetto conoscente, che anticipa la formulazione di cartesio relativamente al cogito, la consapevolezza di esistere come esseri pensanti. Audiomappa

56. COMPeTeNZe > Mappa concettuale

LA CONOsCeNZA seCONDO CAMPANeLLA

che attesta

le verità innate e autoevidenti

fra cui spiccano

le 1) 2) 3)

primalità potere sapere volere

sensus inditus

UOMO

la realtà interiore dell’anima coesistono

sensus additus

che attesta

che influisce su la realtà esterna

producendo

producendo

la conoscenza umana

la conoscenza animale

mitiva. Anche per Campanella, in quanto uomo del Rinascimento, la soluzione sta dunque nel ripristino di una grandezza antica e dimenticata. È per dimostrare questi assunti che egli mette mano alla Città del Sole, un testo che propone un esperimento mentale: si immagini una città governata da un principe-filosofo-sacerdote detto Sole o Grande Metafisico, assistito da tre prìncipi subordinati che rappresentano le tre primalità, chiamati Pon, Sin e Mor, cioè potere, sapienza e amore. Si immagini poi che la religione praticata da questi solari sia dettata dalla pura ragione e non si opponga quindi alle scoperte degli scienziati. Ebbene, descrivendo la vita sociale di questa comunità perfetta, Campanella può concludere che l’unica differenza rispetto a un’autentica società cristiana è la mancanza dei sacramenti. Quello dei solari sarebbe un ritorno alla religiosità naturale, alla dimensione spirituale universale e innata che sta a fondamento di tutte le confessioni storiche e che coincide quasi perfettamente con il cattolicesimo, purché diverso da quello aristotelizzato che lo aveva condotto in carcere.

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TELEOLOGIA Si dicono «teleologiche» (dal greco télos, “fine”, “scopo” e lógos, “discorso”) le dottrine filosofiche che assumono il principio del finalismo universale, cioè che spiegano la realtà umana e naturale solo come la realizzazione, più o meno compiuta, di uno scopo e quindi di un progetto predefinito. con la sola eccezione di democrito e di epicuro, tutti i pensatori antichi hanno condiviso, se pure in vario modo, un’interpretazione teleologica del mondo (vedi l’Intelligenza ordinatrice di anassagora e di Platone e il finalismo di aristotele, per cui ogni sostanza, se non ostacolata, tende al proprio fine, cioè a raggiungere il suo «luogo naturale»). anche lo stoicismo e poi il cristianesimo hanno riaffermato il teleologismo elaborando il concetto di provvidenza, un intervento di origine divina che indirizza il mondo verso un bene crescente. Il teleologismo inizia a essere rifiutato nel Rinascimento, ad esempio da telesio, e, con la sola (ma importante) eccezione di Hegel nella prima metà dell’Ottocento, non è più professato dai pensatori moderni.

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Ogni singolo aspetto della vita dei solari è rigidamente regolato, incluse le unioni. A questa disciplina, che quasi annienta le libertà individuali, fa eccezione l’educazione dei giovani, che Campanella immagina come particolarmente libera e giocosa. Ma come vivono i solari? L’esperimento mentale della città del Sole diventa per Campanella l’occasione per descrivere una società immaginaria, inserendosi nel filone utopistico iniziato da Platone con la Repubblica, testo che del resto egli conosce molto bene. Di derivazione platonica sono ad esempio i temi dell’abolizione della famiglia (dall’età di tre anni i solari sono separati dalla propria famiglia e cominciano a essere istruiti da maestri) e degli accoppiamenti procreativi programmati a tavolino dalla comunità (eugenetica). Innovative, invece, sono le idee di non ammettere alcuna divisione di classe e di attribuire pari dignità alle professioni liberali o meccaniche. Come per Tommaso Moro, anche per Campanella tutti dovrebbero lavorare, ma non più di quattro ore al giorno, cioè quanto basterebbe a produrre una ricchezza sociale superiore all’attuale se tutti lavorassero. Campanella elabora questa stima analizzando la città di Napoli, in cui nel Seicento su settantamila abitanti, solo quindicimila lavoravano. Le intuizioni più geniali che presenta nella città del Sole sono però d’ordine pedagogico ➝ 57 e derivano direttamente dall’approccio sensistico della sua filosofia. Contrario a ogni erudizione libresca, egli immagina una città-testo, nella quale vivere significa istruirsi automaticamente. Infatti, come le pagine di un libro, ogni cerchia di mura illustra visivamente attraverso simboli e pitture, una diversa area della conoscenza ➝ 58 .

◀ Luca della Robbia, Cantoria, marmo, 1431-38, particolare con putti che suonano le trombe (Firenze, Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore).

Guida allo studio • Con quali argomenti Pomponazzi nega

• perché secondo Bruno si dovrebbe tornare

l’esistenza dei miracoli? • In che cosa consiste il naturalismo di Telesio? • Che cosa si intende con «sensismo»? • Perché la filosofia di Bruno è incompatibile con il cristianesimo?

• In che cosa consiste l’arte della memoria? • Che cosa significa il termine «teleologia»? • Quali innovazioni Campanella suggerisce

alla religione egiziana?

alla pedagogia? • per quali motivazioni Campanella scrive La città del Sole?

Materiali per l’apprendimento attivo 57. LA PAROLA AI TESTI

Pur nella forma dell’utopia, Campanella introduce temi pedagogici di estrema modernità, che per la loro capacità visionaria vanno ben al di là della cultura rinascimentale.

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Dopo gli tre anni li fanciulli imparano la lingua e l’alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono nell’officine dell’arti, cosidori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l’inclinazione. Dopo li sette anni vanno alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima lezione, e in quattro ore tutte quattro le squadre si spediscono; perché, mentre gli altri si esercitano col corpo, o fan gli pubblici servizi, gli altri stanno alla lezione. Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre scienze, e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell’arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e quello è tenuto di più gran nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null’arte imparano e stanno oziosi e tengon in ozio e lascivia tanti servitori con roina della Republica. (T. Campanella, La città del Sole, a cura di G. Ernst e L. Salvetti Firpo, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 12)

Guida alla lettura. Al di là dell’irrealizzabilità pratica, è evidente l’aspetto rivoluzionario delle proposte pedagogiche di Campanella: elaborare un progetto educativo universale valido per tutti i cittadini, non differenziato in base al ceto di appartenenza o al genere sessuale (persino per quanto riguarda l’addestramento militare); superare il verbalismo e la riduzione di ogni sapere alla retorica tipici dell’Umanesimo; porre al centro dell’insegnamento i saperi scientifici, tecnici, manuali e naturalistici, relegando a un ruolo sussidiario la cultura classica; focalizzare l’apprendimento sull’osservazione e l’esperienza diretta, opportunamente stimolati da un ambiente adeguato; enfatizzare il coinvolgimento motivazionale dei giovani, eccitandone la curiosità con esperienze coinvolgenti accuratamente predisposte; superare la distinzione fra studio e svago, rendendo il primo piacevole e il secondo istruttivo; ridurre il ruolo del docente alla semplice assistenza del processo di autoapprendimento messo in atto dall’alunno stesso. 58. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

LA PEDAGOGIA SENSISTICA: IMPARARE DALLE IMMAGINI Sui gironi della città del Sole sono rappresentati tutti i saperi, secondo l’ideale enciclopedico tipico dell’epoca. Sul primo si trovano all’esterno una carta geografica del mondo con la segnalazione dei diversi riti, tradizioni e lingue, e all’interno le figure della geometria euclidea e le principali formule della matematica. nel secondo sono illustrati i minerali, le gemme, gli alberi e le erbe corredate delle loro proprietà curative; nel terzo si trovano le immagini della fauna marina; nel quarto tutte le specie di uccelli, rettili e insetti; nel quinto gli animali terrestri in ordine gerarchico, iniziando dai mammiferi; nel sesto, infine, le arti umane, gli inventori, le macchine belliche e gli strumenti scientifici. nella città del Sole non vi sono genitori e neppure maestri, perché la scuola rientra fra le istituzioni abolite da campanella. L’istruzione dei più giovani, sia maschi che femmine, è affidata a un gruppo di quattro anziani, i quali in realtà si limitano ad accompagnare i ragazzi nei loro vagabondaggi cittadini e a rispondere alle loro domande, sempre numerose perché stimolate dalle meravigliose pitture sulle mura.

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T7 Campanella L’educazione nella città del Sole fra pedagogia e utopia

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• Sintesi • Mappa

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Riforma e Controriforma

Le origini della Riforma protestante vanno cercate indietro nel tempo. Già dal 1100 era cresciuta l’insofferenza per il disordine morale della Chiesa e della gerarchia ecclesiastica preparando il terreno per la nascita, alla fine del xIv secolo, del movimento conosciuto come devotio moderna. Anche la Chiesa, in quanto istituzione, risente del nuovo clima culturale umanistico, ma in senso negativo: la progressiva mondanizzazione dei valori tipica del Rinascimento ha pian piano trasformato la curia in una corte e i papi hanno iniziato a comportarsi come sovrani cercando di espandere lo Stato della Chiesa con l’uso delle armi. Il papa stesso non esita a trasformarsi in condottiero militare. Proprio per sostenere questa politica di potenza, la Chiesa di Roma si impegna nella costruzione di grandiose opere pubbliche e religiose, come la basilica di San Pietro promossa dal papa Leone X, finanziate attraverso il mecenatismo e la vendita delle indulgenze, ossia la remissione dei peccati ottenuta anche con il pagamento di somme di denaro, praticata con modalità tanto dissacranti da scatenare la ribellione di Lutero, come vedremo. Questa decadenza dei costumi si associa a problemi strutturali: il nicolaismo, ossia il concubinato degli ecclesiastici (il termine ricorda il diacono Nicola, citato negli Atti degli Apostoli per aver criticato il celibato ecclesiastico); la simonia, ossia la compravendita di cariche ecclesiastiche; il malcostume dei sacerdoti (libertà sessuale, ubriachezza, corruzione) e la loro ignoranza, dovuta alla mancanza di una formazione professionalizzante. Nel Medioevo poteva accadere, ad esempio, che un curato di campagna non conoscesse il latino e che quindi operasse i riti liturgici in modo non dissimile a un mago, pronunciando formule di cui non capiva il significato. La necessità di una riforma della Chiesa che andasse verso un ritorno alla purezza del cristianesimo antico è quindi un’esigenza avanzata da molti umanisti e tra il xiv e il xv secolo si esprime nella devotio moderna ➝ 59 , un movimento di rinnovamento religioso che assume come manifesto spirituale la Imitazione di Cristo, un’opera recente ma di autore ignoto (forse il tedesco Tommaso da Kempis, 1380-1471), che invita al «disprezzo del mondo e di tutte le sue vanità», come recita il titolo del primo libro. Il movimento, diffusosi prima in Germania e poi in Francia, Spagna e Italia, propone il ritorno a una dimensione intima e personale della religiosità, in opposizione alle ritualità devozionali collettive di stampo medievale. Più che le processioni, per la devotio moderna sono utili il raccoglimento, la meditazione e l’imitazione di Cristo come modello di vita. Soprattutto è cruciale la lettura personale della Bibbia ➝ 60 ed è esattamente questo il principale fattore di contrasto con la Chiesa, che insiste invece sul riservare tale possibilità solo al clero, nonostante il fatto che la diffusione della stampa a caratteri mobili ➝ 61 abbia ormai prodotto un’ampia diffusione dei testi.

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59. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

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BOSCh E LA devotio moderna La spiritualità della devotio moderna è spesso messa in relazione con la pittura di Hieronymus Bosch (1450 ca-1516 ca), il geniale ed enigmatico artista olandese che inventa uno stile unico al mondo. È una pittura fortemente condizionata dal senso etico. nelle sue opere gli esseri umani appaiono deformati dai loro vizi, abbassati dall’esercizio del male al rango di animali o di vegetali, a volte perfino di mostri. non a caso egli apparteneva alla confraternita della nostra diletta Signora, un’associazione fondata nel 1318 che comprendeva uomini e donne, laici ed ecclesiastici, dediti al culto della Madonna e a opere di carità e che tentava di mettere in pratica i princìpi della imitazione di cristo.

▲ Hieronymus Bosch, Ecce homo (Gand, Museum voor Schone Kunsten).

60. PER CAPIRE MEGLIO

PERChé LA ChIESA SCORAGGIAVA LA LETTURA DELLA BIBBIA? Oggi può sembrare strano che durante il Medioevo e poi nel xv e xvi secolo la chiesa cattolica abbia cercato di sfavorire la lettura della Bibbia e dei Vangeli da parte dei fedeli. era una posizione motivata da diversi fattori. Il primo era la diffidenza verso le traduzioni nelle lingue volgari, accusate a quel tempo di travisare l’autenticità del testo antico per la mancanza di termini adeguati a esprimere concetti teologici. Il secondo e fondamentale motivo era che, leggendo il testo sacro, il fedele poteva essere indotto a interpretarlo in modo personale e soggettivo, costruendosi così una “religiosità su misura”. La chiesa cattolica invece, a differenza di quelle cristiane riformate, non ha mai rinunciato al magistero della fede, cui spetta, sotto la guida dello Spirito Santo, di interpretare il senso corretto delle Scritture, e a cui ogni fedele cattolico deve attenersi. 61. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

L’INVENZIONE DELLA STAMPA E I SUOI EFFETTI L’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte del tedesco Johann Gutenberg nel 1455 è un evento paragonabile all’attuale rivoluzione comunicativa prodotta dalla diffusione del computer. Prima di tutto dal punto di vista quantitativo: oggi la rete web mette tutto il sapere a disposizione, ma un fenomeno analogo si è verificato con la nascita del libro tipografico. nel giro di cinquant’anni infatti si stampano 30.000 titoli con una tiratura superiore ai 12 milioni di copie. Per la prima volta tutto il sapere antico e recente fu messo a disposizione degli studiosi. Ma è dal punto di vista qualitativo che la veicolazione della cultura e delle informazioni attraverso la stampa ha avuto gli effetti più profondi, come ha messo in luce il sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-80) in La galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico (1962). Studiando il rapporto che intercorre fra il contenuto delle informazioni e il mezzo (medium) che le veicola, egli pone tra gli effetti a lungo termine della nascita della stampa una lunga serie di fenomeni, come la standardizzazione delle culture, lo sviluppo del nazionalismo politico e il senso di alienazione psicologica tipico dell’uomo moderno.

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Erasmo Erasmo da Rotterdam critica le istituzioni ecclesiastiche, sostenendo la necessità di una profonda riforma religiosa e morale basata sul ritorno alle fonti del cristianesimo, contro le influenze della scolastica. Fortemente interessato a un rinnovamento della Chiesa è Erasmo da Rotterdam (1466-1536), il più importante umanista nordico del xvi secolo. Rimasto orfano in giovane età, viene educato in un convento agostiniano, dove riceve un’istruzione classica. Ordinato sacerdote, inizia a viaggiare in tutta Europa: in Francia, in Italia (dove si laurea in teologia) e in Inghilterra, dove stringe amicizia con Tommaso Moro. Ottiene una cattedra di greco all’Università di Cambridge, ma non sopporta l’ambiente accademico e riprende quindi a viaggiare per le capitali europee stabilendosi definitivamente a Basilea. Erasmo si dichiara cattolico, ma alla sua morte è seppellito nella chiesa protestante di Basilea, mentre le sue opere cominciano a essere bruciate per ordine dell’Inquisizione insieme a quelle di Lutero. È difficile, in effetti, collocare il suo pensiero nel quadro del feroce antagonismo religioso che caratterizza il suo tempo: l’erasmismo, la corrente dell’Umanesimo cristiano che lo assume come guida spirituale, propugna sostanzialmente un compromesso fra il papato e le Chiese riformate e l’instaurazione di un regime di tolleranza religiosa. Il suo nome, per i contemporanei, è soprattutto connesso a un metodo: anche quando è favorevole a una dottrina, egli è sempre contrario alla sua versione dogmatica o estrema. A spaventare Erasmo sono infatti il fanatismo, il settarismo e la partigianeria insofferente alle obiezioni, che egli cerca di ostacolare rivestendo le proprie argomentazioni con uno stile caustico e irridente: l’ironia, egli pensa, è sempre il miglior farmaco per questi estremismi religiosi. Pur anticipandone molte posizioni, Erasmo non si schiera a favore di Lutero, di cui non apprezza l’intransigenza. Erasmo è contrario alla pretesa del papa di concedere indulgenze e giudica pericolose per una fede sana e consapevole le forme popolari di devozione religiosa tipiche del cattolicesimo come il culto dei santi e delle reliquie, i voti e le mortificazioni corporali, i pellegrinaggi e le processioni. Sostenendo le tesi della devotio moderna, propugna un ritorno alla spiritualità schietta e incontaminata della Chiesa primitiva, quella dei primi secoli. Come ciò sia attuabile lo spiega nel Manuale del milite cristiano (1502): bisogna abbandonare tutte le sottili questioni teologiche discusse dagli scolastici, prive di senso e addirittura pericolose perché valorizzano l’arte della disputa e non la carità cristiana, e tornare (o cominciare) a leggere i Vangeli e la Bibbia. Solo il ritorno alla lettura personale delle Scritture può consentire il rinnovamento della coscienza cristiana, purché ovviamente il testo di tali Scritture sia conforme all’originale. Erasmo considera negativamente la diffusione delle lingue nazionali. Come filologo confronta l’originale greco del Nuovo Testamento con la versione latina e ufficiale dalla Chiesa e nel 1516 pubblica una nuova edizione critica in cui evidenzia le distorsioni operate dalla tradizione scolastica. Nonostante queste critiche alla Chiesa romana, e nonostante le pressioni di Lutero, che nel 1519 lo invita ad aderire alla Riforma, Erasmo sceglie di non schierarsi e anzi ingaggia con il fondatore della Riforma un’aspra polemica, pubblicando nel 1524 un saggio Sul libero arbitrio, al quale pochi anni dopo Lutero risponde con uno scritto Sul servo arbitrio. Impregnato di una cultura umanistica che celebra la dignità umana, Erasmo non riesce ad accettare l’idea che l’uomo sia tanto intrinsecamente degenerato da non potersi salvare con le sue sole forze. Propone quindi di considerare la grazia divina come causa principale della salvezza, ma di ammettere accanto ad essa anche una causa secondaria, cioè le buone

Materiali per l’apprendimento attivo 62. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

opere compiute in base al libero arbitrio. È Dio che salva, ma l’uomo deve collaborare al suo progetto. Le convinzioni pacifiste di Erasmo trovano forma compiuta nel Lamento della pace (1517), nel quale la personificazione della Pace denuncia l’assurdità della guerra, la più tragica tra le follie umane, un oltraggio alla ragione umana. Alla violenza e alla sopraffazione va sempre contrapposta l’arma della ragione discorsiva: la pace, quindi, non è solo assenza di guerra, ma anche un esercizio di virtù morale. Nell’elogio della follia, Erasmo passa in rassegna tutti i vizi umani, incarnati in vari personaggi, con una satira feroce che non risparmia né re né papi. L’uso di Erasmo della satira come critica corrosiva è ben evidente nell’Elogio della follia (1511) ➝ 62 . Protagonista è la personificazione della follia, che elogia se stessa producendo esempi per dimostrare quanto sia utile per la felicità dell’essere umano. Il sarcasmo si indirizza in primo luogo verso i potenti, i principi, i nobili e gli ecclesiastici, ma non risparmia i retori, gli alchimisti, i giocatori d’azzardo e le altre figure tipiche della società rinascimentale. La follia ha ampio spazio nella vita della Chiesa, come dimostrano le pratiche corrotte della cu-

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LA FOLLIA E LE NAVI DEI FOLLI Lo straordinario successo dell’Elogio della follia di Erasmo si spiega anche con il grande interesse dei rinascimentali per la nozione di «follia». È stato il francese Michel Foucault (1926-84) a mettere in luce questo aspetto della loro cultura in Storia della follia nell’età classica (1961). nel Medioevo, i folli, pur privi di diritti e marginalizzati, non erano oggetto di particolari preoccupazioni sociali; solo nel Rinascimento essi cominciano a essere considerati pericolosi per la vita comunitaria, perché rappresentano l’anti-ragione, ossia il sovvertimento di ciò che rende tale l’essere umano, motivo per cui vengono sistematicamente allontanati dalla comunità. L’effetto pratico di questo ostracismo è che, per sopravvivere, i folli si riuniscono in bande che vagano senza alcun controllo depredando i contadini isolati. Il pazzo diventa così una figura tipica dell’immaginario rinascimentale, il soggetto di numerose opere d’arte come la Stultifera navis (La nave dei folli), un’operetta satirica dell’umanista tedesco Sebastian Brandt (1458-1521) diventata celebre, più che per il testo, per le illustrazioni di albrecht dürer (14711528). essa racconta il viaggio navale conclusosi con un naufragio di un gruppo di folli in cerca dell’utopistico paese di cuccagna. Foucault precisa che la «nave dei folli» non era totalmente un parto della fantasia. al contrario, era piuttosto comune allontanare i «matti» dalla comunità dei “normali” affidandoli a gente di mare per farli trasportare in un’altra regione, venderli come schiavi o più semplicemente buttarli in mare: «accadeva spesso che venissero affidati a battellieri: a Francoforte, nel 1399, alcuni marinai vengono incaricati di sbarazzare la città di un folle che passeggiava nudo; nei primi anni del xv secolo un pazzo criminale è spedito nello stesso modo a Magonza. talvolta i marinai gettano a terra questi passeggeri scomodi ancor prima di quanto avevano promesso; ne è testimone quel fabbro di Francoforte, due volte partito e due volte ritornato, prima d’essere ricondotto definitivamente a Kreuznach. Le città europee hanno spesso dovuto veder approdare queste navi di folli» (Storia della follia, Rizzoli, Milano 1963, pp. 16-17).

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ria romana e le pratiche di vita dei monaci mendicanti, che, secondo Erasmo, si affannano a vivere in povertà quando il vero valore del cristianesimo risiede nella carità. Particolarmente grottesca è la descrizione dei «grammatici», cioè degli insegnanti tradizionali, che del resto erano un bersaglio ricorrente di canzonature corrosive nella letteratura dell’epoca: famelici, meschini, sadici e resi sordi dagli schiamazzi, i maestri vivono in ambienti luridi che non bisognerebbe chiamare scuole ma luoghi di tortura.

Lutero Nonostante le istanze di trasformazione religiosa verso un ritorno alla purezza evangelica, è Lutero a innescare nel 1517 la «Riforma protestante» che, partendo da una critica radicale della prassi e della dottrina ecclesiastica, finisce per spaccare la cristianità. Martin Lutero (1483-1546) nasce in Sassonia, in una famiglia agiata: il padre vorrebbe avviarlo agli studi giuridici, ma il giovane invece prende i voti nell’ordine agostiniano. Come atto di inizio della Riforma protestante ➝ 63 , di cui egli è l’indiscusso protagonista, si pone il 31 ottobre 1517, alla vigilia di Ognissanti, data in cui egli affigge sul portale della cattedrale di Wittenberg le sue 95 tesi ➝ 64, perché siano discusse dai confratelli. La polemica divampa immediatamente, anche grazie alla nuovissima arte della stampa che viene sfruttata con sorprendente abilità: opuscoli, libelli, invettive, apologie, incisioni satiriche comprensibili anche agli illetterati dilagano in tutta Europa. Le 95 tesi affrontano in primo luogo il problema delle indulgenze, non tanto per le sue scandalose applicazioni pratiche, quanto sotto l’aspetto dottrinario. Lutero mette in discussione in particolare il potere della Chiesa di rimettere i peccati, garantito non dai Vangeli ma dalla tradizione, cioè dalle dottrine elaborate dai Padri della Chiesa. La soluzione di Lutero, la Riforma, è prettamente di tipo rinascimentale perché propone il ripristino di una perfezione originaria. Ciò che gli umanisti trovano nell’arte e nella cultura greco-romana, Lutero lo trova nei testi fondamentali e nella spiritualità della Chiesa primitiva. Egli opta dunque per un fondamentalismo, ossia per tornare ai fondamenti della fede assumendo come rivelazione solo il Testo sacro; ad esso bisogna rimanere il più fedeli possibile, pena il dissolversi della tensione morale del messaggio originario in una pletora di interpretazioni sempre più compiacenti verso le debolezze umane. eliminata l’autorità della Chiesa, Lutero pone il credente davanti alla Bibbia come unica fonte e norma della sua fede. Tra Dio e l’uomo non rimane più alcun intermediario: il fedele legge ed esamina liberamente i libri sacri, traendone verità e leggi che poi applica alla propria vita. La dottrina teologica di Lutero si concentra su alcuni punti cardine. Il primo e più importante è il libero esame dei testi. Ogni credente può e deve assumersi la responsabilità di leggere e cercare di capire il Vecchio e il Nuovo Testamento; anzi deve fare di questa meditazione solitaria lo strumento fondamentale della sua crescita spirituale. Ne deriva un’interiorizzazione dell’esperienza religiosa che favorisce un rapporto diretto fra uomo e Dio nell’intimità della coscienza, saltando la mediazione della Chiesa. Quanto alla possibilità di interpretazioni soggettive del testo, sta solo all’umiltà dei fedeli attenersi al parere degli esperti e dei teologi, i quali, da parte loro, sono chiamati a individuare i punti sui quali si registrano maggiori convergenze interpretative. Per stabilire queste concordanze di fede, nella seconda metà del xvii secolo si organizzano numerose assemblee di predicatori riformati, nelle quali le interpretazioni teologiche vengono approvate dopo un libero confronto. È il primo esempio di pratica democratica destinata a influire sulla cultura politica dei Paesi protestanti, differenziandoli sempre più da quelli cattolici.

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63. PER CAPIRE MEGLIO

64. LA PArOLA AI TesTI

T8 Lutero Le tesi sulle indulgenze Ecco alcune fra le più significative tesi sulle indulgenze proposte da Lutero alla discussione pubblica.

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Tesi n. 5) Il papa non può né vuole rimettere altre pene, fuori di quelle che ha imposto o per volontà sua o delle leggi ecclesiastiche; […] 8) I canoni penitenziali sono imposti soltanto ai vivi; nulla va imposto ai moribondi in virtù dei medesimi; […] 10) Agiscono male e con ignoranza quei sacerdoti che riservano ai moribondi pene canoniche in purgatorio; […] 27) Predicano l’uomo coloro che dicono che, subito, come il soldino ha tintinnato nella cassa l’anima se ne vola via; […] 32) Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che credono di essere sicuri della loro salvezza sulla base delle lettere di indulgenza. (M. Lutero, 95 tesi sulle indulgenze, in Scritti religiosi, Bari, Laterza 1958, pp. 6-7)

Guida alla lettura. Lutero mette in luce lo scandaloso aspetto commerciale delle indulgenze. nella ventisettesima proposizione allude allo slogan pubblicitario usato per promuovere la loro vendita: «appena il soldo in cassa ribalta / l’anima via dal Purgatorio salta»; una dottrina che “predica l’uomo” (non dio, cioè, ma gli interessi materiali della chiesa). Soprattutto, però, mette in discussione il potere stesso di concedere indulgenze, in cui ravvisa un tentativo della chiesa di sostituirsi al giudizio divino, arrogandosi competenze prive di ogni base nelle Sacre Scritture.

T9 La teologia cattolica delle indulgenze Dopo il Concilio di Trento, la Chiesa ha abbandonato le pratiche venali connesse alle indulgenze, ma rivendica, ancora oggi, il potere di concederle, un potere che considera affidatole da Cristo stesso.

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L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi. […] L’indulgenza si ottiene mediante la Chiesa che, in virtù del potere di legare e di sciogliere accordatole da Gesù Cristo, interviene a favore di un cristiano e gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché ottenga dal Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali dovute per i suoi peccati. Così la Chiesa non vuole soltanto venire in aiuto a questo cristiano, ma anche spingerlo a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità. (Catechismo della Chiesa cattolica, 1471, 1478; consultabile sul sito www.vatican.va)

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RIFORMARE: UN TERMINE CON SIGNIFICATI DIVERSI Oggi «riforma» è sinonimo di «modernizzazione»; «riformare» significa progredire, andare avanti. tra xv e xvi secolo con il termine «riforma» si intendeva tutt’altro: si trattava infatti di un “ritorno all’antica forma”. «Riformare» significava sì migliorare, ma purificando, sfrondando il cristianesimo da tutte le incrostazioni che l’avevano modificato e reso quasi irriconoscibile. era con lo sguardo rivolto al passato, a quell’antica forma di purezza e perfezione rappresentata dal cristianesimo delle origini, che i «riformatori» chiedevano a gran voce un rinnovamento della chiesa di Roma. Si tratta dunque di un atteggiamento culturale profondamente affine a quello che caratterizza l’Umanesimo e il Rinascimento: il ritorno ai classici, latini e greci, non è altro che l’idealizzazione di un modello di perfezione perduta a cui ispirarsi ed eventualmente da eguagliare, ma mai superare. È solo con il xviii secolo e l’Illuminismo che il «mito delle origini» viene definitivamente soppiantato dal mito del progresso e da una concezione dello sviluppo storico lineare e progressiva.

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Il principio del libero esame comporta di conseguenza la necessità di tradurre le Sacre Scritture nelle lingue nazionali, le uniche comprese dal popolo. Lutero coordina un gruppo di esperti che in dodici anni (1522-34) riscrive la Bibbia e il Vangelo in un tedesco comprensibile persino ai bambini. I sei volumi della Bibbia di Lutero sono dunque alla base della lingua nazionale tedesca, sino ad allora suddivisa in vari dialetti (così come la Divina Commedia lo è per l’italiano). È una scelta importante, sia perché annulla il divieto cattolico di tradurre le Scritture nelle lingue volgari, sia perché comporta importanti conseguenze sociali, rendendo necessaria l’alfabetizzazione di massa: acquisire la capacità di leggere diventa un dovere religioso, la condizione minima per la salvezza dell’anima. Le comunità riformate si pongono quindi l’obiettivo di assicurare a tutti i cittadini-fedeli l’istruzione di base, dando così avvio alle prime istituzioni scolastiche statali.

Le conseguenze dogmatiche della Riforma Le conseguenze sul piano dogmatico di queste innovazioni sono notevoli. Lutero riduce i sacramenti da sette a due, il battesimo e l’eucarestia, gli unici che considera attestati espressamente dalle Scritture. Più in generale, i sacramenti devono essere considerati come meri atti simbolici, privi del valore sacrale che la Chiesa attribuisce loro, e non sono efficaci in se stessi, ma dipendono dalla qualità morale sia del celebrante sia del ricevente. L’eucarestia ad esempio è una rievocazione dell’ultima cena del Signore e l’ostensione dell’ostia non produce il miracolo della transustanziazione, cioè del mutamento ontologico del pane nel corpo di Cristo, che i protestanti equiparano a una credenza magica. Perfino la messa è posta in discussione e sostituita con altre liturgie, come cene o preghiere comunitarie. Venendo meno il sacramento dell’ordinazione, i sacerdoti non possiedono più alcuna qualità distintiva rispetto ai semplici fedeli e sono dunque sostituiti dai pastori, comuni fedeli cui spetta guidare le preghiere collettive e amministrare la comunità. Abolita ogni funzione mediatrice della Chiesa, Lutero infatti nega ogni differenza all’interno della comunità cristiana tra laici e sacerdoti: tutti i credenti, in quanto battezzati, sono sacerdoti. L’abolizione del celibato permette loro di sposarsi, come fa lo stesso Lutero con Katharina von Bora, una monaca cristiana tedesca convertitasi al protestantesimo (dal loro matrimonio nacquero sei figli). Il rifiuto della tradizione comporta infine la negazione del culto della Madonna, della venerazione dei santi, della credenza nel purgatorio e della validità dell’arte sacra, dietro le quali secondo Lutero si nascondono forme primitive o addirittura pagane di religiosità, come il culto delle immagini e delle statue. Per Lutero l’azione dell’uomo, immerso in una condizione di peccato, non possiede alcuna rilevanza. Solo Dio attraverso il sacrificio di Cristo, può intervenire a liberarlo. L’unico atteggiamento fecondo è dunque nutrire una fede incondizionata nella grazia divina. Una visione che si scontra con quella di erasmo, che invece insiste sulla fiducia nell’uomo e sulla sua capacità di compiere il bene seguendo l’esempio di Gesù. Sul piano prettamente teologico, il ritorno ai fondamenti riporta in primo piano i temi del peccato originale e della salvezza per sola fede. Citando le Lettere apostoliche di Paolo di Tarso, Lutero argomenta che nessuna buona opera compiuta nella vita terrena può assicurare il paradiso, perché ciò ridurrebbe la religione a un mero sistema etico; per la salvezza occorre invece la fede, ossia la decisione di credere nella promessa della vita eterna e della reincarnazione, garantite dal mistero dell’incarnazione di Cristo. Lutero insiste in particolare sul tema dell’insufficienza delle buone opere in vista della salvezza. Il credente non se ne deve gloriare, perché in realtà esse non sono frutto del suo libero arbitrio, cioè di una sua decisione volontaria e consapevole. Riprendendo passi di san

Materiali per l’apprendimento attivo 65. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

66. Per CAPIre MeGLIO

Le DIFFereNZe FrA LA reLIGIOsITà PrOTesTANTe e QUeLLA CATTOLICA Le differenze fra la sensibilità religiosa riformata e quella cattolica sono evidenti nelle liturgie e nel diverso arredamento delle chiese. Quelle protestanti sono prive di statue e di immagini, ad eccezione del crocifisso: non sono luoghi sacri e consacrati, ma semplici spazi in cui si riunisce la comunità dei fedeli. Se pur variabili a seconda delle diverse confessioni riformate, le liturgie protestanti si caratterizzano inoltre per lo scarso ruolo affidato ai pastori officianti e per il peso del canto corale dei fedeli. Lutero attribuiva infatti alla musica e al canto il potere di elevare spiritualmente l’anima umana avvicinandola al divino. Paolo ma anche di Agostino, soprattutto quelli forgiati nella polemica contro l’eretico Pelagio, Lutero ripropone la centralità teologica del peccato originale e delle sue conseguenze antropologiche: l’uomo è intimamente corrotto dal peccato, incapace di compiere opere buone se non con l’aiuto della grazia divina. Il fedele deve quindi ringraziare Dio per avergli conferito, per sua grazia, la forza di compierle. Per questa via Lutero giunge ad ammettere la predestinazione ➝ 65 , ossia il principio, poi approfondito da Calvino, per cui i destini umani seguono disegni orientati da Dio stesso verso la salvezza o la condanna. La radicalità di queste tesi si esprime pienamente nella controversia fra Lutero ed Erasmo sul libero arbitrio. La contrapposizione è totale e riguarda il centro dell’esperienza religiosa, che Erasmo pone nel suo contenuto etico, valorizzando in questo modo l’importanza della responsabilità, della volontà e delle scelte umane, mentre Lutero la colloca invece nella dimensione della fede, individuando come virtù massima del credente l’accettazione obbediente della volontà divina. Si scontrano così due concezioni antropologiche incompatibili: da parte di Erasmo vi è la fiducia nell’uomo e nella sua capacità di compiere il bene; da parte di Lutero la considerazione pessimistica dell’intrinseca peccaminosità dell’uomo, incapace di salvarsi senza l’aiuto di Dio. Lutero sintetizza la sua visione con un’immagine efficace: la volontà umana non è altro che un animale da soma. Se Dio sale in sella, la volontà va dove Dio vuole. Se il cavaliere è invece Satana, la volontà va dove vuole il demonio. In ogni caso, la scelta del cavaliere non è libera. Dio e Satana si combattono strenuamente per la salvezza o la dannazione dell’anima, che porta o sopporta il peso del cavaliere ➝ 66.

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PREDESTINAZIONE Dal latino prae-destinare, «predestinazione» è la teoria secondo la quale tutto è deciso prima. Secondo Lutero, la predestinazione riguarda in particolare il destino umano, deciso fin dall’inizio da Dio. Infatti, in seguito al peccato originale, tutti gli uomini sono peccatori, quindi destinati alla dannazione e soltanto l’intervento attivo di Dio, mediante la sua grazia, può salvare i singoli. Con Calvino la predestinazione assume un significato ontologico. Se nel mondo, argomenta Calvino, potesse accadere qualcosa di non voluto da Dio, Egli non sarebbe più onnipotente, perché non tutto dipenderebbe da Lui. È Dio quindi che decide tutto, la salvezza e anche la dannazione (si parla perciò di «doppia predestinazione»), ma anche il comportamento di ognuno. Per questo nel comportamento possiamo cogliere i segni della salvezza: chi agisce per il bene lo fa perché è tra gli eletti.

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Calvino Se Lutero dà avvio alla protesta contro la corruzione e il malaffare della Chiesa romana, Calvino, usando Ginevra come laboratorio, attua un’altra riforma che si distacca formalmente da quella messa in moto dal monaco tedesco. Nato a Noyon, in Francia, Giovanni Calvino (nome italianizzato di Jean Cauvin, 1509-64) studia filosofia e diritto a Parigi, ma è costretto a lasciare la Francia per essersi espresso a favore della Riforma. Nel 1536 pubblica la Christianae religionis institutio, tradotta subito in francese, in cui espone i princìpi della sua visione. Si rifugia quindi in Svizzera, prima a Basilea e poi a Ginevra, dove le sue idee trovano terreno fertile: con le Ordinanze ecclesiastiche del 1541 questa città diventa sede di un importante esperimento teologico-politico. Qui infatti Calvino realizza una teocrazia ispirata alla Riforma. Pone a capo della comunità un concistoro, formato da dodici anziani e da dieci pastori, che oltre ad adempiere ai normali compiti amministrativi sorveglia la moralità dei cittadini e la condotta degli ecclesiastici. Tutta la vita sociale viene controllata: sono vietati i giochi d’azzardo, gli spettacoli, le feste e i banchetti, gli abiti lussuosi e dai colori sgargianti; i peccatori sono esclusi dalla comunione ed emarginati dalla vita pubblica. In questa “repubblica di santi” non è ammesso il dissenso religioso: il caso del medico spagnolo Michele Serveto, bruciato sul rogo dai calvinisti per aver negato il dogma trinitario, scuote l’opinione pubblica europea, confermando che l’intolleranza è in questo periodo un male universale, comune sia ai cattolici sia ai riformati. A partire da Ginevra il calvinismo si diffonde in alcune regioni della Francia, in Ungheria, in Transilvania e nei Paesi Bassi, assumendo però connotazioni sociali differenti ➝ 67 . Il pensiero di Calvino è strettamente associato alla dottrina della predestinazione: seguendo criteri insondabili dall’uomo, Dio concede la grazia e la salvezza ai prescelti, indipendentemente dai loro meriti. L’accumulazione dei beni materiali non è solo il segno della predestinazione ma anche un esercizio da realizzare con impegno. Anche per Calvino la Sacra Scrittura è la sola fonte della parola divina; rispetto a Lutero, però, egli accentua il tema dell’onnipotenza di Dio. Credere, come i cattolici, che il paradiso sia assicurato a chi vive onestamente compiendo buone opere per Calvino è un’insostenibile e arrogante predeterminazione della volontà di Dio, che in questo modo sarebbe costretto a decidere entro i limiti di ciò che la giustizia terrena considera buono. Al contrario, aggiunge Calvino, accettare sino in fondo l’idea di onnipotenza comporta proprio l’imprevedibilità dei criteri con cui Dio concede la salvezza, perché non si può escludere che egli possa accordarla a chi a noi appare peccatore e viceversa. Inoltre, se Dio è veramente onnipotente, nulla avviene nel mondo senza la sua volontà. Quindi è a Lui che va il merito delle opere buone compiute dagli uomini, mentre a chi è stato concesso compierle spetta solo di ringraziarlo per il dono ricevuto. D’altra parte, però, la logica impone che da Dio dipendano anche le opere che agli occhi umani sembrano cattive, altrimenti l’onnipotenza divina risulterebbe compromessa. Su questo punto problematico Calvino dissente da Lutero. A suo avviso infatti bisogna ammettere una doppia predestinazione ➝ 68: alla nascita di ogni uomo, Dio sceglie con un imperscrutabile giudizio chi destinare alla salvezza e chi alla dannazione; la vita di ognuno si svolgerà di conseguenza. Gli eletti non cessano, quindi, di essere peccatori, ma per la grazia ricevuta da Dio acquisiscono coscienza del loro peccato e riescono a superarlo con la penitenza. Il saper compiere opere buone è quindi una prova della benevolenza di Dio, un segno, socialmente ben evidente, che sancisce l’appartenenza alla ristretta schiera degli eletti.

Materiali per l’apprendimento attivo 67. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

68. LA PAROLA AI TESTI

T10 Calvino La predestinazione La credenza nella predestinazione è il tratto distintivo del calvinismo rispetto alle altre confessioni cristiane, incluso il luteranesimo.

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Chiunque vorrà considerarsi uomo timorato di Dio, non oserà negare la predestinazione, per mezzo della quale Dio ha assegnato gli uni a salvezza e gli altri a condanna eterna; molti, invece, la avvolgono in svariati cavilli, in particolare coloro che la vogliono fondare sulla prescienza. Diciamo sì che egli prevede tutte le cose come le dispone; ma dire che Dio elegge o respinge in quanto prevede questo o quello, significa confondere tutto. Quando attribuiamo una prescienza a Dio, vogliamo dire che tutte le cose sono sempre state e rimangono eternamente comprese nel suo sguardo, tanto che nella sua conoscenza nulla è futuro o passato, ma ogni cosa gli è presente, e talmente presente che non l’immagina come attraverso qualche apparenza, così come le cose che abbiamo nella memoria quasi ci scorrono dinanzi agli occhi per mezzo dell’immaginazione, ma le vede e guarda nella loro verità, come se fossero davanti al suo volto. Affermiamo che una tal prescienza si estende sul mondo intero e su tutte le creature. Definiamo predestinazione il decreto eterno di Dio, per mezzo del quale ha stabilito quel che voleva fare di ogni uomo. Infatti non li crea tutti nella medesima condizione, ma ordina gli uni a vita eterna, gli altri all’eterna condanna. Così in base al fine per il quale l’uomo è creato, diciamo che è predestinato alla vita o alla morte. (G. Calvino, Istituzione della religione cristiana, III 21, par. 5, vol. II, a cura di G. Tourn, Utet, Torino 1971, pp. 110-11)

Guida alla lettura. calvino afferma l’esistenza di una doppia predestinazione, con la quale dio assegna ad alcuni uomini la salvezza eterna e ad altri la dannazione già al momento della loro nascita. Una posizione radicale che i medievali avevano cercato di ammorbidire con la teoria della prescienza divina, che conciliava la libertà umana con l’onnipresenza divina: essa esclude che dio predestini il comportamento degli individui, liberi di scegliere fra bene e male, ma al contempo postula che, nella sua onniscienza, già sappia in anticipo ciò che essi liberamente sceglieranno.

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LA DIFFUSIONE DEL CALVINISMO Sebbene la vicenda di Calvino sia strettamente legata all’esperienza di Ginevra, la religione da lui fondata si diffonde ben presto in altri Paesi (Francia, Scozia, Ungheria, Germania, transilvania) assumendo connotati politici ben diversi. In Olanda, in particolare, il calvinismo sviluppa un esemplare regime di tolleranza politica e religiosa, che ancora oggi caratterizza questa nazione. calvinisti sono anche gli ugonotti francesi, sconfitti nelle guerre di religione che insanguinano il Paese fra il cinque e il Seicento, i puritani protagonisti della Gloriosa rivoluzione inglese del 1688 e i coloni fondatori delle prime colonie nel nuovo Mondo. Se si aggiunge che anche nell’anglicanesimo inglese sono presenti elementi di calvinismo (misti ad altri di origine luterana), si può notare che la diffusione di questa religione coincide con l’area dell’europa in cui nell’epoca moderna si sono sviluppati la democrazia e il capitalismo.

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Venuta meno la distinzione cattolica fra vita laica ed ecclesiastica, il calvinismo non intende più la vocazione come una chiamata di Dio alla vita sacerdotale, ma come una speciale inclinazione naturale verso un’arte o una professione, un’eccezionale capacità misurabile sulla base del successo sociale ottenuto, a sua volta quantificabile con la remunerazione percepita. Attraverso una serie di slittamenti concettuali, il calvinismo instaura un nesso fra la grazia divina e la ricchezza prodotta con il proprio lavoro. È un modo di considerare la ricchezza, la povertà e il lavoro non solo nuovo ma anche storicamente molto influente, perché contribuisce a formare l’etica del capitalismo, come ha dimostrato il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) nel saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904) ➝ 69. Vi sono ad esempio uomini che dimostrano una vocazione precoce; sin da giovani hanno ben chiaro quale sia il loro progetto di vita e riescono a perseguirlo sino all’eccellenza, quasi fossero nati per questo. Seguendo il principio della doppia predestinazione, il ragionamento si svolge anche al contrario: esistono persone senza vocazioni o attitudini particolari, propensi per natura all’incertezza e votati al fallimento sin da giovani, qualunque professione intraprendano. Sono tutti segni evidenti che la loro esistenza non si avvale dell’aiuto della grazia divina. L’insuccesso e la povertà diventano così l’indizio di una colpa, lo stigma di una condanna divina. Il ribaltamento dei valori cattolici tradizionali è completo: il lavoro non è più una maledizione divina e la povertà monacale non è più un modo eroico di vivere la fede. Nei territori della Confederazione svizzera la Riforma si diffonde a cominciare da Zurigo, negli anni a partire dal 1523. A promuoverla è soprattutto Zwingli, il quale riforma sia la Chiesa sia la città senza che una sola goccia di sangue sia versata. Sacerdote, di formazione umanista, Huldrych Zwingli (1484-1531) studia i testi di Lutero ed elabora i contenuti teologici della sua dottrina intorno al rifiuto del celibato ecclesiastico e della venerazione delle immagini, e intorno al principio dell’autorità delle Sacre Scritture. Agendo di comune accordo con le autorità cittadine, tra il 1524 e il 1525 Zwingli riforma ampiamente la Chiesa di Zurigo: ordina la soppressione delle immagini nei santuari; abolisce il celibato dei preti; smantella i conventi e ne destina i beni alla pubblica assistenza; abolisce la messa sostituendola con un rito estremamente semplice e spoglio; abroga il sacramento dell’eucarestia, negando in esso qualsiasi presenza reale del Signore e ritenendolo unicamente un rito che commemora l’Ultima Cena; attacca inoltre la pratica del servizio militare mercenario cui i contadini svizzeri più poveri si dedicavano in gran numero, ritenendola indegna di un buon cristiano, e ne ottiene l’abolizione. L’esperimento di Zwingli a Zurigo suscita apprensioni nei cantoni cattolici della Svizzera, dominati da una forte aristocrazia guerriera che vede con ostilità la propaganda di Zwingli contro i mercenari e guarda con timore i successi della sua Riforma anche in altre città (per esempio Berna e Basilea). Nel 1531 un esercito cattolico assale Zurigo e riporta una schiacciante vittoria nella Battaglia di Kappel, dove muore lo stesso Zwingli. È l’11 ottobre 1531. La sua morte arresta l’espansione del movimento, che finisce praticamente per confluire nel calvinismo ➝ 70 ➝ 71 .

◀ Henriette Rath, Ritratto di Giovanni Calvino, xvi secolo, miniatura (Ginevra, Bibliothèque Publique et Universitaire).

Materiali per l’apprendimento attivo 69. PER CAPIRE MEGLIO

70. COMPETENZE > La filosofia e il presente

LE CONFESSIONI PROTESTANTI MINORI Questa trattazione non prende in esame le numerosissime confessioni minori nate dalla Riforma. citiamo solo l’anabattismo, promotore del battesimo solo in età adulta (e quindi del misconoscimento di quello neonatale) ma anche dell’egualitarismo sociale e della comunanza dei beni, dell’abolizione del danaro e della non violenza come pratica politica, del rifiuto di ogni potere statale in nome dell’autogoverno delle comunità locali. Sono temi che anticipano questioni tipiche della modernità, e infatti l’importanza dell’anabattismo non sta tanto nella breve e drammatica esperienza di Münster, la città tedesca in cui gli anabattisti riescono a prendere il potere nel 1534 per essere sterminati dopo un anno e mezzo dai lanzichenecchi inviati dal principe-vescovo cattolico della regione (con l’approvazione dei protestanti); essa risiede invece nell’aver proclamato per la prima volta il rifiuto dello stato moderno, inaugurando una tendenza culturale storicamente feconda, rintracciabile sia nelle comunità religiose che si rifanno alla sua eredità (i mennoniti, i quaccheri, gli hutteriti) sia in ideologie politiche ancora attuali come l’anarchismo o il comunismo. 71. APPrOFONDIMeNTI > Per saperne di più

GLI AMIsh esegui una ricerca in rete per documentarti sugli amish, una comunità religiosa oggi diffusa in alcuni Stati del nord america che ha mantenuto molte credenze professate dagli anabattisti e ha conservato gli usi e i costumi sociali del Seicento, quando i fondatori giunsero dall’europa per sfuggire alle persecuzioni. Conservatori e tradizionalisti, gli amish parlano un dialetto chiamato «tedesco della Pennsylvania», vivono in comunità appartate, sono fautori di una rigida rinuncia a ogni forma di violenza, negano la legittimità dello Stato, delle tasse, del servizio militare e della scuola pubblica; non votano e si rifiutano di giurare in tribunale. Il loro stile di vita è raccontato in Witness. Il testimone, un film di Peter Weir del 1985 vincitore di due premi Oscar o, più di recente, nel reality Breaking Amish.

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IL CALVINISMO E L’ETICA DEL CAPITALISMO Dalla religiosità calvinista deriva un tipo d’uomo che vive religiosamente la propria professione mondana, costruendo con il proprio lavoro opere buone e socialmente utili, nel successo delle quali vede un segno della salvezza cui spera d’essere destinato, senza pertanto poterne mai avere la certezza. La ricchezza economica che deriva dall’eccellenza professionale è quindi una specie di termometro della grazia divina; la sua accumulazione, dunque, per i primi imprenditori del capitalismo, non è finalizzata al risparmio, al lusso o al mecenatismo; la logica religiosa della predestinazione li spinge a reinvestire continuamente la ricchezza acquisita in nuove imprese economiche, allargando così la base del capitalismo e mantenendo, al contempo, uno stile di vita austero, se non addirittura ascetico, misto a una perenne insoddisfazione per i risultati economici conseguiti, che per quanto eclatanti rimangono pur sempre una spia, un indizio della volontà divina, comunque imperscrutabile. Sono temi su cui il calvinismo realizza una vera rivoluzione rispetto alla tradizione cristiana medievale, per la quale il lavoro era o una condanna divina conseguente al peccato originale o una forma di penitenza per l’espiazione dei propri peccati.

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La Controriforma Per riconquistare la propria autorità politico-religiosa la Chiesa cattolica, riuniti i propri rappresentanti nel Concilio di Trento (1545-63), riorganizza la vita ecclesiale, ribadisce la sua autorità nell’interpretazione delle Sacre Scritture e rafforza la sua disciplina interna. Sorpresa dalla rapidità con cui le tesi luterane si diffondono, la Chiesa cattolica reagisce alla Riforma con lentezza, sia perché è travagliata al suo interno da posizioni diverse rispetto alla necessità di una riforma ecclesiastica, sia per l’assenza di una dottrina chiara su alcuni dei punti in questione. Per questo, solo nel 1545 papa Paolo III convoca il Concilio di Trento, i cui lavori si prolungano sino al 1563. Dopo aver ribadito nelle prime sessioni i dogmi criticati dai protestanti (sulla grazia, la fede e la salvezza, i sacramenti), il Concilio procede alla Controriforma, cioè alla riorganizzazione della Chiesa cattolica ➝ 72 . I provvedimenti sono numerosi e riguardano tutti i livelli dell’istituzione. Il latino è confermato come lingua della Chiesa e l’unica Bibbia ortodossa è la Vulgata latina di san Girolamo; la lettura delle Scritture spetta solo al clero e i sacramenti sono fissati nel numero di sette. La curia romana è ristrutturata con la creazione di 15 congregazioni al servizio del papa. Il ruolo dei vescovi è profondamente modificato dall’obbligo di risiedere nella propria diocesi e di impegnarsi personalmente nella pastorale (senza più quindi affollare il Vaticano trasformandolo in una corte). Con l’unica eccezione del rito ambrosiano per l’arcidiocesi di Milano, tutti i numerosissimi riti locali sono aboliti e uniformati al rito romano, con una specificazione minuziosa di gesti, parole e oggetti da usare nella celebrazione della messa e dei sacramenti. Particolare importanza è data alla formazione dei sacerdoti, sia culturale che morale, cui si fa fronte con la creazione di una nuova istituzione formativa, il seminario. Su suggerimento del cardinale Carlo Borromeo, una commissione di teologi redige il Catechismo romano; inizialmente pensato come un manuale per la formazione teologica dei sacerdoti, diventa l’espressione ufficiale dell’ortodossia. Si inventano poi nuove istituzioni: la Congregazione dell’Indice, con il compito di mantenere aggiornato l’elenco dei libri proibiti, e l’Inquisizione o Sant’Uffizio, tutt’oggi esistente con il nome di Congregazione per la Dottrina della Fede. La repressione intellettuale portata avanti dalla Controriforma ha effetti particolarmente gravi nelle università. Sono annullate tutte le tradizionali cariche rappresentative degli studenti e dei docenti, sottoposti entrambi al diretto controllo di un ecclesiastico. Ai laureati nelle università sotto il controllo della Chiesa (perfino ai medici e agli scienziati) è imposta la professione di fede cattolica e l’obbligo di fare la comunione almeno due volte l’anno. Si fondano, inoltre, nuovi ordini monastici specializzati in un campo specifico della carità cristiana: i teatini, i somaschi, i barnabiti, le orsoline. Soprattutto, su iniziativa di Ignazio di Loyola (1491-1556) nel 1534 nasce la Compagnia di Gesù, ossia l’Ordine dei gesuiti. Esso si distingue rispetto alla tradizione monastica per il porsi alle dirette dipendenze del papa (quindi non dei vescovi, a livello locale), dipendenza espressa in un quarto voto (obbedienza al papa) aggiunto ai tre consueti (povertà, obbedienza e castità). Questa strutturazione verticale intende espressamente imitare quella degli eserciti e determina anche l’organizzazione interna dei gesuiti: essi obbediscono tutti a un preposto, il Generale dell’ordine, e ai superiori locali da lui designati, ai quali spetta l’elezione a vita del suo successore. L’obbedienza deve essere assoluta e non ostacolata da opinioni personali; come affermano le Costituzioni della Compagnia (paragrafo 547), il buon gesuita si lascia governare dai superiori «come se fosse un corpo morto» («perinde ac cadaver») ➝ 73 .

Materiali per l’apprendimento attivo

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72. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

Rifletti su come questa idea di due europe diverse influenzi il dibattito politico attuale, determinando due retoriche contrapposte, una anti-italiana e anti-greca e una all’opposto anti-tedesca. 73. COMPETENZE > La filosofia e il presente

LA ChIESA ATTUALE NON è PIù QUELLA TRIDENTINA Il concilio di trento rinnova profondamente la chiesa cattolica stabilendo strutture organizzative e orientamenti duraturi, destinati a permanere lungo tutta l’epoca moderna. tuttavia, la chiesa attuale non è più quella tridentina, perché il Concilio Vaticano II (1962-65) ha apportato innovazioni decisive. ad esempio, il rapporto con le altre religioni non è più improntato alla competizione. Oggi, la chiesa romana riconosce il ruolo che tutte le confessioni religiose, anche non cristiane, hanno nel contribuire all’elevazione morale del genere umano, e ammette la presenza di «semi di verità» anche nelle altre fedi cristiane (protestanti, ortodosse), con le quali ha iniziato un difficile processo di riconciliazione. anche la liturgia è oggi diversa da quella stabilita al concilio di trento: la messa è celebrata nelle lingue nazionali (non più in latino); l’officiante non volge più le spalle ai fedeli ma si rivolge a loro e li coinvolge in preghiere comuni e canti corali; anche i laici (uomini e donne) partecipano alle liturgie come lettori del Vangelo. e alla fine della messa è stato introdotto un nuovo gesto simbolico, lo scambio di un segno di pace fra i fedeli; significa che la chiesa individua nella difesa della pace un valore trasversale e universale, sancito dall’etica cristiana ma perseguito anche dai laici e persino dai non credenti di buona volontà.

Guida allo studio • Quali sono gli obiettivi della devotio

• Con quali argomenti Calvino sostiene la

moderna? • Che cosa si intende con il termine «indulgenza»? • Quali sono i punti fondamentali della dottrina luterana? • Che cosa significa il termine «transustanziazione»? • perché la Chiesa cattolica si opponeva alla lettura individuale della Bibbia?

predestinazione delle anime? • Quali sono le caratteristiche del governo instaurato da Calvino a ginevra? • Quali sono le misure introdotte dalla Chiesa cattolica con la Controriforma? • Qual è la posizione di Erasmo nella disputa fra la Chiesa romana e Lutero?

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LA DIVISIONE ORIZZONTALE FRA EUROPA DEL NORD E DEL SUD Sino al xvi secolo l’europa era sempre stata pensata come un’entità unitaria e delimitata da una frontiera verticale, l’ideale barriera contro i popoli barbari invasori provenienti dall’est. con il concilio di trento, e poi con la drammatica sequenza di guerre di religione che si concludono nel 1648 con la pace di Westfalia, si determina un tratto importante e ancora oggi di grande attualità dell’europa moderna: la divisione orizzontale fra un’area del Sud, mediterranea e cattolica, e un’Europa del Nord, riformata, più solidamente democratica e protagonista della rivoluzione industriale. È una divisione che, da religiosa, acquista progressivamente tratti culturali, spesso stereotipati: a un nord europa razionale e rigoroso si contrapporrebbero i popoli mediterranei, più passionali e imprevedibili.

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• Sintesi • Mappa

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Rinascimento e politica

Tra Quattro e Cinquecento si sviluppano due diversi modi di leggere la realtà politica: il realismo e l’utopismo. Apparentemente distinti, in realtà sono alimentati da uno stesso humus: i cambiamenti repentini delle strutture sociali e dei rapporti di potere. La filosofia del Rinascimento è caratterizzata da diverse antinomie: ragione e follia, caso e necessità, libertà e fortuna, particolare e universale. Fra queste vi è anche la dicotomia realismo-utopia, corrispondente a due diversi modi di interpretare e di rielaborare la realtà politica. Da un lato, vi è il machiavellismo ➝ 74 , ossia la dottrina del realismo politico, che emerge con particolare evidenza nel capitolo xv del Principe, per cui è necessario, in politica, attenersi alla verità effettuale delle cose, concentrandosi su come esse sono e non su come dovrebbero essere. Dall’altro lato, però, il Rinascimento vede il proliferare di utopie positive ➝ 75 , ossia di opere che descrivono uno Stato ideale e perfetto ma inesistente, che presto danno origine a un nuovo genere letterario. La concomitanza di due visioni così distanti della politica è facilmente spiegabile tenendo conto che anche il pensiero utopico non è affatto slegato dalla realtà. Al contrario, esso tende a fiorire proprio nei periodi di crisi o di grandi trasformazioni: ogni cambiamento porta sempre con sé la crisi dei vecchi valori e il sorgere di situazioni problematiche. Così, nel Rinascimento le sconvolgenti e inedite conseguenze delle guerre d’Italia, della scoperta del Nuovo Mondo e della crisi religiosa creano nuove marginalità e nuove ingiustizie sociali, rispetto alle quali gli scritti utopici sono sia una risposta che una denuncia. Le città immaginarie e fantastiche descritte, regolate dai diritti di uguaglianza, libertà e redistribuzione della ricchezza, rappresentano un ideale politico al quale aspirare ma anche una critica feroce alla nuova economia e alla ricchezza di pochi che crea povertà per molti ➝ 76 .

◀ Niccolò Machiavelli, Il Principe, xvi secolo (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana).

Materiali per l’apprendimento attivo 74. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

▶ Cartina di Utopia inserita nella prima edizione (1516) di Utopia di Tommaso Moro.

75. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

MAChIAVELLICO / MAChIAVELLISMO Machiavelli appartiene a quel ristretto gruppo di uomini che può vantarsi di aver dato origine, con il proprio nome, a una nuova parola: «machiavellico». È un termine che possiede una sfumatura negativa: lo si usa per indicare una persona o un atteggiamento privi di scrupoli morali, con particolare riferimento alla frase (in realtà mai scritta da Machiavelli) «il fine giustifica i mezzi». La critica verso la filosofia politica di Machiavelli inizia subito. Già la Controriforma condanna decisamente il suo pensiero, inserendone tutte le opere nell’Indice dei libri proibiti e, poco dopo la sua morte, sorge un vero e proprio movimento di «anti-machiavellismo», che rifiuta la separazione tra politica e morale. Il pensatore fiorentino viene accusato di cinismo e di spregiudicatezza, di immoralità nella politica.

76. ATTIVITÀ >

Film

Flipped classroom

UN’OCCASIONE PER MIGLIORARE LE PROPRIE OPINIONI La politica pone problemi su cui quasi tutti, anche se giovani o digiuni di filosofia, possiedono già un’opinione. Il film Mister Smith va a Washington, di Frank Capra, mette a confronto due visioni differenti della politica: da una parte la politica come mestiere e dall’altra la politica come missione per la comunità. Che cosa è per te la politica? E chi fa politica deve essere animato da passione come Mr. Smith, il protagonista del film, o è preferibile che resti con i piedi per terra e amministri l’esistente? È più importante che un politico sia onesto o che sia competente nel fare buone leggi? Dopo aver approfondito lo studio di Machiavelli verifica se le tue idee iniziali sono cambiate o se sono rimaste le stesse.

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REALISMO / UTOPIA nel Rinascimento, con Machiavelli, la politica si rende indipendente dalla morale e dalla religione. Essa va infatti studiata in riferimento alla natura umana e alla realtà effettuale, cioè alla situazione concreta, non alle norme morali e religiose cui doveva ispirarsi secondo molti dei filosofi medievali. Il realismo consiste quindi nel partire dall’analisi, dallo studio e dalla comprensione dei processi reali, invece che dai desideri o dagli imperativi morali. Nello stesso periodo, però, fiorisce anche la letteratura utopistica, cioè la descrizione di società che non esistono in nessun luogo (dal greco ū, “non” e tópos, “luogo”: Utopia è il titolo dell’opera di Tommaso Moro che dà inizio al genere).

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Machiavelli La teoria politica di Machiavelli non è astratta, ma scaturisce dal rapporto diretto con la realtà storica in cui è coinvolto in prima persona: grazie agli incarichi svolti nella Repubblica fiorentina egli scatta una fotografia della crisi dell’Italia a lui contemporanea. Che cos’è la politica? Richiede speciali competenze o è praticabile da tutti? Deve sottostare all’etica o in questo campo il fine giustifica i mezzi? E quali sono le qualità di un buon politico? È importante che egli sia onesto e incorruttibile? Oppure conta solo che realizzi il bene dei concittadini? Qualunque sia la risposta a queste domande, dobbiamo a Machiavelli l’averle formulate, ponendo così per primo nella storia moderna la politica come problema. Niccolò Machiavelli (1469-1527) non è personalmente un uomo politico, ma progetta la sua vita sia nel ruolo di osservatore degli eventi politici del suo tempo, sia nel ruolo di storico, ossia di osservatore delle politiche praticate nel passato. Nasce a Firenze in una famiglia nobile ma non ricca, e dopo aver ricevuta una buona educazione umanistica si impiega subito come segretario della Repubblica fiorentina, un incarico che gli procura una buona competenza negli affari di Stato, anche per le numerose missioni all’estero: in Francia, alla corte di Luigi XII, presso Cesare Borgia, il papa e l’imperatore Massimiliano in Germania. Il rientro dei Medici a Firenze nel 1512 segna però la fine della sua carriera di consulente politico. Confinato in campagna, prima sintetizza le sue esperienze nel Principe (1513), la sua opera più importante, poi approfondisce i suoi interessi storici nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-19) e nei Dialoghi dell’arte della guerra (1519-20). Nel 1520 riprende una modesta attività al servizio dei Medici, dai quali riceve l’incarico di scrivere le Istorie fiorentine, la storia della città. Dopo la cacciata dei Medici da Firenze, nel 1527 cerca invano di ritornare al servizio della restaurata Repubblica e muore poco dopo. Agli scritti politici affianca una notevole attività letteraria: il poema satirico L’asino d’oro e due commedie, Clizia e La mandragola (1518), capolavoro del teatro rinascimentale. Machiavelli è unanimemente considerato colui che, per primo, ha concepito la politica come una scienza: non solo chi governa deve necessariamente disinteressarsi delle logiche della morale, ma l’analisi politica permette di riconoscere i meccanismi che puntualmente l’uomo tende a ripetere nel corso della storia. La politica, afferma Machiavelli, è una tecnica, una scienza come le altre ma diversa da tutte, avendo sia oggetto sia metodi propri. In particolare essa va distinta dall’etica ➝ 77 ➝ 78 , dalla religione e dalla filosofia, con le quali è bene non intrattenga alcun rapporto, nonostante nella storia sia fino ad ora accaduto il contrario. Il fine di questa scienza nuova sta infatti nel conservare lo Stato, garantendo così il bene eminente dei cittadini, la loro sicurezza, e la stabilità della compagine sociale. Questi sono valori in se stessi, si autogiustificano e non hanno bisogno d’essere dedotti da metafisiche superiori. La politica è dunque autonoma e trova in se stessa le ragioni del suo essere. Riguardo al metodo, invece, la scienza politica deve fondarsi sul realismo ➝ 79 , ossia sulla non facile capacità di considerare i fenomeni sociali per quello che sono, ovverosia nella loro realtà effettiva e non in rapporto a un ideale, a un sistema religioso o a un’utopia. Machiavelli non teorizza sulla malvagità, non ne individua cioè cause specifiche (ad esempio il peccato originale o un difetto di natura), si limita a constatarne empiricamente gli effetti sulla realtà. Ingrati, volubili e dissimulatori, gli uomini fuggono dai pericoli e sono avidi di guadagno; la molla che li spinge è l’interesse materiale e non valori sentimentali, disinteressati e nobili. Solo lo Stato, quindi, può costituire un argine all’egoismo che, lasciato libero, disgregherebbe ogni comunità in un caos di spinte individualiste contrapposte le une alle altre.

Materiali per l’apprendimento attivo 77. PER CAPIRE MEGLIO

78. COMPETENZE > La filosofia e il presente

FRA ETICA E POLITICA: PROBLEMI ATTUALI La separazione fra etica e politica che caratterizza gli Stati democratici è un tratto estremamente conflittuale delle società moderne, perché nell’agire pratico la distinzione è spesso problematica. attualmente, nell’era della globalizzazione, questa separazione è particolarmente difficoltosa nel campo delle relazioni internazionali fra gli Stati e i popoli, un’area della politica in cui la debolezza delle istituzioni ripropone su vasta scala i problemi di convivenza che furono all’origine dell’affermarsi dei moderni Stati liberal-democratici. ecco due questioni assai dibattute su cui puoi provare a interrogarti: Uno Stato democratico ha il dovere di intervenire negli affari interni di un altro Stato, violando così il principio di non ingerenza, quando i politici che governano quest’ultimo ledono gravemente la libertà e i diritti minimi dei propri concittadini? In casi estremi, il fine di difendere minoranze minacciate di genocidio giustifica il ricorso a una guerra umanitaria? 79. PER CAPIRE MEGLIO

IL REALISMO POLITICO Il realismo politico non è una giustificazione dell’immoralità. anche Machiavelli considera cattivo chi uccide o non mantiene la parola; però egli individua per la politica un ordine di giudizi autonomo e regolato su altri criteri: non il bene o il male, ma l’utilità o il danno sociale. nel commettere azioni deplorevoli, infatti, un governante può essere personalmente malvagio ma attuare provvedimenti efficaci e risultare così un buon uomo politico. al contrario, un principe cristiano sarebbe politicamente pessimo se, pur di non uccidere o compiere malvagità, lasciasse perire lo Stato. È questo il senso della celebre massima attribuita (erroneamente) a Machiavelli per cui «in politica, il fine giustifica i mezzi». ▶ Attribuito a Bartolomeo Veneto, Ritratto di Cesare Borgia, primo decennio xvi sec. (Roma, Museo nazionale del Palazzo di Venezia).

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IL RAPPORTO FRA ETICA E POLITICA Dal momento che sia l’etica sia la politica riguardano la sfera dell’azione, i loro rapporti sono da sempre oggetto di un confronto critico. Anche oggi si raffrontano due prospettive, la prima delle quali è quella platonico-cristiana. Partendo dall’idea che l’etica si fondi su un sapere superiore, essa sostiene la subordinazione della politica: il suo compito si riduce a rendere concretamente operative nella società le finalità che l’etica dimostra necessarie, imprescindibili. La seconda comincia ad affacciarsi nei secoli xvi e xvii sia per impulso della riflessione di Machiavelli sia per lo scoppio delle guerre di religione, che dimostrano come le società moderne siano caratterizzate da una pluralità di orientamenti etico-religiosi, facendo così cadere la pretesa platonico-cristiana che la politica debba realizzare “il bene”, inteso come un valore unico, indiscutibile e dedotto da principi trascendenti. La politica si sgancia quindi dall’etica: il suo scopo non è più modellare la società verso un fine, ma permettere la sopravvivenza della società stessa, favorendo il più possibile la convivenza fra i cittadini. In questa concezione, che guida le moderne democrazie, il compito dello Stato sta nel garantire che ognuno possa vivere secondo i propri princìpi etici, purché non in contrasto con la legge.

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Tra uomini siffatti, un governante eticamente superiore andrebbe rapidamente incontro alla rovina. Se a volte è importante che egli appaia buono, onesto e magnanimo, non è affatto necessario che lo sia veramente. Qualora le circostanze lo richiedano, secondo il principio della ragion di Stato ➝ 80 egli può, e anzi deve, ricorrere perfino alla crudeltà e alla violenza; non è infatti pertinente alla valutazione politica se egli sia stato giusto o crudele, coerente o menzognero ➝ 81 . Per Machiavelli a dominare la politica sono due forze antagoniste: la fortuna, incostante e volubile, e la virtù umana, che è in grado di contenerla e di piegarla ai propri fini. Le vicende umane sono dunque l’esito del conflitto fra la capacità dei politici e i condizionamenti oggettivi che non si possono cambiare. Per Machiavelli la politica è la più difficile e complicata fra le scienze, perché agisce in un contesto perennemente mutevole. Anche il miglior uomo politico, di conseguenza, dovrà sempre il suo successo alla fortuna ➝ 82 , cioè a una serie di fattori indipendenti dalla sua volontà e a volte del tutto casuali. È significativo che Machiavelli non citi mai la provvidenza. Egli esamina la possibilità che effettivamente le vicende del mondo siano programmate da un disegno divino indirizzato a un fine, che è poi la visione agostiniana della storia, dominante nel Medioevo, ma la scarta per due ragioni. La prima, suggerita dalla sua esperienza fattuale, sta nell’estrema mobilità delle vicende politiche, soprattutto quelle a lui contemporanee, caratterizzate da un accavallarsi repentino di eventi inusitati e spesso contradditori, incompatibile con una programmazione superiore. La seconda è che affidarsi alla provvidenza, così come al destino o alla buona sorte, significherebbe assumere una prospettiva fatalista, rinunciando alla propria libertà e alla possibilità di trasformare il mondo; condizionamenti che Machiavelli, come uomo del Rinascimento (quindi faber ipsius fortunae), non può accettare. La fortuna con cui il politico deve confrontarsi è piuttosto il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, svincolate da ogni finalità trascendente. La fortuna, tuttavia, stabilisce solo per metà le vicende umane, afferma Machiavelli, e la variabilità che la contraddistingue può essere ridotta con l’esercizio della virtù politica, ossia di quella speciale competenza posseduta dai grandi uomini di Stato che egli descrive come un complesso di varie qualità. Una di queste è la capacità di massimizzare gli effetti della fortuna, quando gli eventi imprevisti sono positivi: saper cogliere le buone occasioni è la principale qualità di un uomo politico. Le sue doti rimangono solo potenziali se egli non sa sfruttare le situazioni concrete per affermarle, e viceversa l’occasione resta pura potenzialità se un politico virtuoso non sa approfittarne. Per dirla nei termini della scienza aristotelica: le circostanze sono, per Machiavelli, la materia su cui il politico imprime una forma. Fa parte delle sue virtù, dunque, anche il saper ribaltare le occasioni negative nel loro contrario, trasformando una condizione sfortunata in un motivo di gloria: occorreva, ricorda Machiavelli, che gli ebrei fossero schiavi in Egitto perché potesse emergere quel grande condottiero di popoli che fu Mosè; così come fu necessario che gli ateniesi fossero dispersi nell’Attica e i persiani sottomessi ai medi perché potessero rifulgere le virtù di Teseo e di Ciro.

◀ Santi di Tito, Ritratto di Niccolò Machiavelli, seconda metà del xvi secolo, olio su tavola (Firenze, Palazzo Vecchio).

Materiali per l’apprendimento attivo 80. PER CAPIRE MEGLIO

81. LA PAROLA AI TESTI

T11 Machiavelli La verità effettuale e l’etica del politico Nel capitolo xv del Principe, Machiavelli affronta il tema più spinoso del trattato: qual è il comportamento nei confronti dei suoi sudditi più adatto a un politico che voglia mantenere il proprio potere e lo Stato saldo?

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Resta ora a vedere quali debbano essere e modi e governi di uno principe con sudditi o con li amici. E perché io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancora io, non essere tenuto prosuntuoso, partendomi, massime nel disputare questa materia, dalli ordini delli altri. Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa che alla imaginazione di essa. E molti si sono imaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero. Perché egli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si doverrebbe fare impara più tosto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene ruini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, e usarlo e non l’usare secondo la necessità. (N. Machiavelli, Il principe, cap. xv, in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano 1964, vol. X, pp. 101-02)

Guida alla lettura. Se vivessimo in un mondo giusto e perfetto, il principe potrebbe possedere soltanto qualità positive ed essere sempre benevolo verso i suoi sudditi. Ma un tale mondo esiste solo nella fantasia, e nella realtà effettiva (fattuale), dominata dalla malvagità umana, conviene al principe imparare a non farsi condizionare da preoccupazioni etiche o religiose. 82. COMPeTeNZe > Pensiero critico

LA POLITICA: UNA sCIeNZA Che Deve TeNer CONTO DeLLA FOrTUNA Un tratto che caratterizza il periodo storico attuale è il crescente discredito dell’attività politica, che si tende a considerare non più come una scienza praticabile solo da professionisti, ma come un servizio civile che qualunque cittadino di buon senso può e deve prestare alla comunità. Un buon argomento per sostenere il contrario è però offerto dalla riflessione di Machiavelli sulla fortuna. essa suggerisce, infatti, che un politico deve operare scelte efficaci pur non potendo conoscere appieno tutte le variabili che determinano il mondo presente e il suo immediato futuro, deve saper intuire lo «spirito» del suo tempo e far fronte all’imprevedibilità degli avvenimenti, nel momento stesso in cui avvengono. ci sono quindi buoni argomenti per sostenere che la politica sia fra tutte le scienze la più difficile, perché ha come oggetto una situazione sempre in mutamento.

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LA RAGION DI STATO Quello della «ragion di Stato» è il principio che esime un decisore politico dall’osservare le leggi e gli permette quindi di compiere scelte illecite, dal punto di vista sia del diritto internazionale sia di quello interno, nelle situazioni in cui la sopravvivenza e la sicurezza dello Stato sono in pericolo. Sebbene Machiavelli non usi mai questa locuzione, egli rimane un autore fondamentale nella vasta trattatistica che sul tema della ragion di Stato si sviluppa fra il Cinquecento e il Seicento. Il punto di riferimento dei filosofi della politica di questo periodo, come Giovanni Botero (1544-1617), autore di un trattato Sulla ragion di Stato e delle cause di grandezza delle città (1589), è Tacito, che, soprattutto nelle sue Storie aveva descritto in modo esplicito gli arcana imperii, cioè i compromessi e i risvolti oscuri che spesso accompagnano l’agire degli uomini di potere.

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Perché possa avere successo nel mondo reale, l’uomo politico deve avere alcune qualità specifiche: capacità di previsione, duttilità, astuzia, forza, spregiudicatezza e capacità di interpretare il contesto in cui è immerso. È vero che la fortuna è come un fiume, che quando è in piena travolge tutto, ma proprio per questo gli argini vanno costruiti prima delle piene. Il politico, di conseguenza, può opporsi alla fortuna anche attraverso la capacità di previsione, ossia il calcolo accorto e improntato al pessimismo di ciò che potrebbe accadere. Nei momenti quieti egli deve prevedere i futuri rovesci e predisporre per tempo i necessari ripari. La qualità principale di un buon politico, però, è la duttilità, ossia la capacità di far fronte ai mutamenti della fortuna, adattando il proprio comportamento alle esigenze oggettive, alle situazioni, ai contesti. La duttilità è una dote auspicabile ma assai rara negli uomini e nei politici in particolare. Il buon esito nell’operare in un certo modo, infatti, rende difficile adattarsi a moduli diversi, anche quando sono richiesti dal mutare della situazione. È questo il motivo per cui, secondo Machiavelli, i politici hanno successo soprattutto quando le circostanze sono conformi alle loro doti naturali. Rimane il fatto che, se in periodi di pace sono preferibili leader prudenti, quando la situazione cambia vi è necessità di leader audaci, e se il principe non è abbastanza duttile lo Stato va in rovina. Chi è destinato a gestire il potere politico deve quindi essere educato secondo norme molto particolari, tese a insegnargli a muoversi in un mondo in cui la malvagità è prevalente. Il principe, afferma Machiavelli con una celebre metafora, deve acquisire le qualità della volpe e del leone ➝ 83 , ovvero l’astuzia, che comprende l’arte dell’inganno, e la forza, che si esercita con la violenza. Nei casi di forza maggiore, quando entra in gioco la ragion di Stato, egli deve saper usare la crudeltà e il tradimento. In questo esercizio spregiudicato del potere trova posto anche l’uso della religione a fini della manipolazione psicologica delle masse ➝ 84. Soprattutto, il politico deve capire di volta in volta quale sia la più efficace fra queste strategie, il che richiede la capacità non facile di «riscontrarsi con i tempi», cioè di saper interpretare la storia nel momento in cui essa si fa, cogliendone così le tendenze determinanti per il prossimo futuro. Il politico potrà acquisire queste competenze tramite la preparazione teorica, ossia la conoscenza delle leggi generali dell’agire politico ricavabile dallo studio della storia. Ma molto di più conta la capacità di applicare queste leggi ai casi concreti, ai comportamenti degli avversari, al mutare dei rapporti di forza, all’incidenza degli interessi privati. Così come conta la determinazione a mettere in pratica ciò che si è disegnato. La virtù politica è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche, di teoria e di pratica. il principe esamina i diversi tipi di stato retti da un principe e, con una ricca serie di esempi storici tratti dal mondo antico e da quello moderno, approfondisce in che modo questi dovrebbe agire per rafforzare il proprio governo. Il ricorso all’esempio degli antichi rivela la forma politica ideale di governo: la repubblica romana, fondata sulla libertà e sui buoni costumi. Queste considerazioni generali sulla scienza politica sono applicate da Machiavelli alla realtà effettuale nel Principe, l’opera per cui è maggiormente conosciuto e in cui egli analizza la crisi in cui verte l’Italia a lui contemporanea. È una crisi politica, in quanto l’Italia non presenta quei solidi organismi statali unitari che caratterizzano le maggiori potenze europee e appare al contrario frammentata in una serie di principati, Stati regionali deboli e instabili. Ma è anche una crisi militare, perché questi principati si fondano ancora su milizie mercenarie e su compagnie di ventura anziché su eserciti cittadini, gli unici che, secondo Machiavelli,

Materiali per l’apprendimento attivo 83. LA PAROLA AI TESTI

Le azioni di un uomo politico non devono essere giudicate in base alla loro bontà o malvagità, ma solo per l’efficacia, la quale può includere, se necessario, sia l’astuzia sia la forza.

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a) Dovete, adunque, sapere come sono dua generazioni di combattere: l’uno con le leggi, l’altro con la forza: quel primo è proprio dell’uomo, quel secondo è delle bestie: ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. b) Pertanto, a uno principe è necessario sapere usare bene la bestia e l’uomo. Questa parte è suta insegnata ai principi copertamente dagli antichi scrittori; li quali scrivono che Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro che sotto la sua disciplina li custodissi. Il che non vuol dire altro, aver per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura, e l’una senza l’altra non è durabile. c) Sendo, dunque, uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perché il lione non si difende da lacci, la golpe non si difende da lupi. Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottirre e’ lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. (N. Machiavelli, Il principe, xviii, in Tutte le opere, a cura di A. Artelli, Sansoni, Firenze 1971, p. 383)

Guida alla lettura. a) Machiavelli dà per scontato che anche le leggi, oltre alla forza, siano uno strumento di lotta politica. È un esempio del suo sforzo di attenersi alla verità effettuale, senza ingentilire la realtà: il mondo della politica è sempre dominato dalla conflittualità individuale e sociale; è un’arena in cui si svolge una continua guerra fra concittadini, più spesso per vie legali, a volte con la guerra. b) Machiavelli ha una predilezione per le metafore che esprimono il concetto di ambiguità, come l’immagine di chirone, metà bestia e metà uomo; l’indeterminatezza, infatti, è in un uomo politico una qualità positiva, perché gli permette di adattarsi a situazioni storiche sempre mutevoli. c) Il consiglio rivolto al principe di essere sia astuto come la volpe sia forte, e all’occorrenza anche crudele, come il leone è uno dei passi più celebri del Principe. Machiavelli prosegue spiegando che, se gli torna utile, il principe non deve tener fede alle promesse e ai giuramenti. 84. COMPeTeNZe > Filosofia e cittadinanza

LA rAGION DI sTATO NeLLe sOCIeTà DeMOCrATIChe nelle società democratiche le teorie della ragion di Stato sono state rifiutate in nome del principio dello stato di diritto, per il quale tutti i cittadini, compresi i politici al potere, devono sottostare alle leggi. Questo principio non è facilmente conciliabile con l’altro che impone ai politici di salvaguardare la sicurezza pubblica. nella costituzione italiana la questione è regolamentata dall’articolo 96: «Il Presidente del consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato o della camera dei deputati». nel 1989 questa norma è stata rivista affidando la decisione di procedere contro un ministro in carica alla magistratura ordinaria; le camere, però, si riservano il diritto di non autorizzare il processo nel caso in cui l’inquisito abbia commesso un reato, nell’esercizio delle sue funzioni di governo, «per la tutela di un interesse costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico». Questa norma è stata applicata una sola volta quando il Senato ha negato l’autorizzazione a procedere per il ministro dell’Interno, accusato di aver abusato dei suoi poteri «privando della libertà personale 117 migranti giunti in porto sulla nave diciotti».

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T12 Machiavelli L’uomo politico sia volpe e leone

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possano garantire la fedeltà, l’ubbidienza, la serietà di impegno. È infine una crisi morale, perché i valori che danno fondamento al vivere civile sembrano scomparsi, o comunque si sono molto affievoliti. Per tutti questi motivi, come hanno dimostrato le guerre succedutesi dopo la calata dei francesi nel 1494, gli Stati italiani sono prossimi a perdere la loro indipendenza politica e a divenire satelliti delle potenze europee che si stanno disputando il territorio della penisola. Cosa deve fare un politico in una situazione di tale turbamento, in cui sembrano crollare le fondamenta stesse su cui si regge la comunità? In queste situazioni eccezionali, afferma Machiavelli, si rende necessaria una «riduzione ai princìpi», cioè un ritorno alla condizione originaria. Si tratta, ancora una volta, del tema dominante del Rinascimento: l’energia per sfuggire alla decadenza può essere trovata solo rinnovando le motivazioni antiche, le virtù dei padri fondatori. All’Italia deve riuscire il miracolo compiuto dalla Chiesa, che sul finire del Medioevo si sarebbe spenta se non fosse stata “ridotta ai suoi princìpi” da san Francesco e da san Domenico, che con la povertà e l’esempio della vita di Cristo le hanno restituito la sua forza primitiva. Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi è una concezione naturalistica: Machiavelli è convinto che l’uomo sia un fenomeno naturale e che i suoi comportamenti non varino nel tempo, esattamente come non variano il corso del Sole e delle stelle. Per questo, studiando il comportamento umano attraverso le fonti storiche, si possono suggerire le linee di condotta oggi più efficaci. Gli uomini, dice Machiavelli, «camminano sempre per vie battute da altri» (Principe, e díscorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Le Monnier, Firenze 1848, p. 16). Ma quale può essere la riduzione ai princìpi capace di risolvere la crisi dell’Italia? Dallo studio della storia della patria, Machiavelli ricava l’indicazione dell’antica Repubblica romana, a suo avviso il momento originario e fondante della nostra comunità, in cui il senso civico, lo spirito di sacrificio, l’amore per la patria, l’orgoglio e l’onore non erano ancora stati sostituiti da un atteggiamento scettico, rinunciatario e fatalistico. L’importante comunque, in termini immediati, è che l’Italia superi la dimensione politica dei principati regionali e ritrovi l’unità necessaria per contrastare gli Stati più forti e organizzati. Un evento che sarebbe possibile, secondo Machiavelli, solo se un nuovo principe, più fortunato del Valentino (Cesare Borgia, duca di Valentinois), riuscisse a imporsi sugli altri e a trascinare dietro di sé il popolo ➝ 85 .

Tommaso Moro e il pensiero utopistico Avvocato, scrittore e uomo politico di grande prestigio, Tommaso Moro vive un’esistenza caratterizzata da molti riconoscimenti, almeno fino al suo rifiuto verso la pretesa di enrico vIII di farsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, che gli costa la vita. Tommaso Moro (italianizzazione di Thomas More, 1478-1535) nasce a Chelsea, un sobborgo di Londra. A Oxford compie studi classici, destinati ad appassionarlo tutta la vita e che condivide con l’amico Erasmo. Compie una carriera importante sia come avvocato, arrivando fino alla carica di membro del Consiglio Reale, sia come politico, tanto che nel 1529 è nominato cancelliere del Regno di Inghilterra. La svolta decisiva della sua vita si ha nel 1532, anno in cui Moro si dimette perché non accetta l’Atto di supremazia, con il quale il re Enrico VIII diventava capo della Chiesa d’Inghilterra. Accusato di alto tradimento, è incarcerato nella Torre di Londra e condannato alla decapitazione, nel 1535 ➝ 86.

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85. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

T13 Gramsci Il moderno principe: il partito

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Il moderno principe, il mito-principe, non può essere una persona reale, un individuo concreto; può essere solo un organismo; un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione. Questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula di cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali. (A. Gramsci, Note su Machiavelli, XXX, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 20-21)

Gramsci era un marxista e in questo passo allude ai partiti comunisti della prima metà del secolo scorso. Prova a riflettere su questa questione: la volontà collettiva di cui parla Gramsci si esprime oggi nella stessa forma storica, ovvero nei partiti su base territoriale? Quali altre forme di organizzazione politica stanno emergendo nell’epoca di Internet e che cosa distingue questi movimenti di opinione dai partiti tradizionali? 86. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

MORO: IL SANTO PATRONO DEGLI UOMINI POLITICI Tommaso Moro è diventato nella modernità il simbolo vivente della integrità e della coerenza politica. Egli infatti avrebbe potuto facilmente salvarsi, se solo avesse accettato l’imposizione del re rinunciando alla fedeltà alla Chiesa cattolica. Ma tenne fede alla sua coscienza e si dimostrò magnanimo anche in punto di morte. «Muoio come buon servo del Re», furono le sue ultime parole, «ma anzitutto come servo di Dio». Lo stesso re, che era legato a Moro da stima e amicizia, riconobbe la sua integrità morale risparmiandogli le torture che all’epoca precedevano le esecuzioni pubbliche. La Chiesa lo ha dichiarato santo nel 1935 e Giovanni Paolo II patrono dei politici e dei governanti. La vicenda umana di Moro ha ispirato numerosi film, il più celebre dei quali, vincitore di sei premi Oscar, è Un uomo per tutte le stagioni (1966) diretto da Fred Zinnemann. Film

◀ Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Tommaso Moro, 1527, olio su tavola (New York, Frick Collection).

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IL PRINCIPE OGGI: LA PARTITOCRAZIA In una democrazia vi possono essere leader più o meno popolari, ma il loro ruolo politico non è certo paragonabile a quello del principe di Machiavelli. Antonio Gramsci (1891-1937) ha proposto di individuare il «moderno principe» non in un uomo ma nei partiti politici.

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In utopia Moro descrive un’ isola immaginaria dotata di un’organizzazione sociale, economica e politica ideale. Un’isola che non c’è, ma che gli serve per mettere in luce, per contrasto, i limiti dell’Inghilterra all’inizio del xvi secolo. Oltre che alla sua vicenda biografica, la fama di Tommaso Moro è dovuta anche all’opera De optimo reipublicae statu, deque nova insula Utopia (1516), conosciuta più semplicemente come Utopia ➝ 87 . Pubblicata in latino, ma subito tradotta in molte lingue volgari, è un dialogo (come la Repubblica di Platone, da cui si ispira) fra Moro e un portoghese di nome Raffaele Itlodeo. Originario del Portogallo, questi gli racconta di essersi unito ad Amerigo Vespucci durante i suoi quattro viaggi nelle Americhe e di essere infine arrivato a Utopia, un’isola in cui avrebbe vissuto per cinque anni. È evidentemente una finzione letteraria. Utopia non esiste, come Moro sembra suggerire attraverso i sottili giochi linguistici con cui la descrive: il fiume più grande si chiama Anidro (senza acqua) e il suo principe Adelmo (senza popolo); la sua capitale è Amauroto (città nascosta), e lo stesso Itlodeo che la descrive significa “raccontatore di bugie”. Utopia si compone di due libri. Il primo racconta l’incontro a una festa tra l’autore, Raffaele, e un terzo personaggio di nome Pietro Gilles (umanista olandese amico di Moro e di Erasmo da Rotterdam). Appartatisi per parlare di lettere e filosofia, commentano in particolare il viaggio di Raffaele. È l’occasione per un dialogo animato sulla società inglese del loro tempo. Oggetto di critica sono le crudeltà commesse dai soldati e le pecche della giustizia: il controllo dei giudici da parte del sovrano, l’ipocrisia delle corti e un sistema giudiziario ingiusto che punisce duramente, perfino con la pena di morte, anche i reati minori determinati dalla miseria. Alla base di tutte queste vessazioni vi sono le diseguaglianze sociali create dalla transizione da una società rurale a un’organizzazione socio-politica borghese. Moro si scaglia contro le violenze compiute dai nobili nei confronti dei contadini per costringerli a vendere le loro piccole proprietà che, adibite a pascolo per produrre lana, consentono di realizzare grandi profitti. Ricorda inoltre che, senza giustizia sociale, non possono esserci pace e sicurezza: «Per quel che riguarda il rapporto fra miseria e sicurezza, poi, direi che chi identifica la pace con la povertà della gente è proprio fuori strada: chi, infatti, s’azzuffa più dei mendicanti? Chi desidera mutamenti più ardentemente di quelli insoddisfatti della vita che stanno conducendo? Chi, infine, è più disposto a ribaltare tutto (sperando d’averne qualche vantaggio) di quelli che non hanno nulla da perdere?» (Utopia, libro I, Laterza, Roma-Bari 1970, p. 53). Al secondo libro dell’opera è affidata la presentazione del progetto riformatore dell’autore ➝ 88: Raffaele inizia a descrivere Utopia dal punto di vista geografico e urbanistico, politico, istituzionale, sociale, economico e in parte culturale. L’isola è divisa in 54 città (che ricordano le 54 contee inglesi) le quali, a differenza dell’Inghilterra, sono riuscite a risolvere i loro contrasti instaurando una forma di governo particolare: da un punto di vista amministrativo, l’isola è governata da un principe, che rappresenta il suo popolo e coordina le istituzioni. Il governo è affidato a magistrati eletti a rotazione dai rappresentanti di ogni famiglia. Gli abitanti godono del principio (rivoluzionario per l’epoca) di libertà di parola e di pensiero e di tolleranza religiosa, a eccezione degli atei, che seppur non puniti sono fatti oggetto di disprezzo degli abitanti e non possono accedere alle cariche pubbliche. Dal punto di vista economico Utopia si basa sull’agricoltura, che fornisce tutto quello che serve per il consumo. Poiché il commercio è vietato, i cittadini non possiedono denaro ma si servono dei magazzini generali. La proprietà privata è abolita, i beni sono in comune e la città è pianificata in modo tale che tutti gli edifici siano costruiti in egual modo. Anche il numero dei figli è stabilito in modo tale che rimanga lo stesso numero di persone. I bambini sono accuditi e allevati in sale comuni e sono le stesse madri a occuparsene. Il popolo è impegnato a lavorare la terra circa sei ore al giorno, dedicando il resto del tempo allo studio della musica, astronomia e geometria e al riposo.

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87. COMPETENZE > Pensiero critico

88. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

UTOPIA / DISTOPIA Moro descrive un’isola che, se esistesse, sarebbe caratterizzata da bellezza, bontà e perfezione. egli gioca quindi con la pronuncia del termine «utopia»: la particella greca ū o ou in inglese si pronuncia esattamente come eu, che significa “bello”, “buono”. Il contrario di «utopia» è invece «distopia», un termine oggi diffuso nel linguaggio, il cui significato ruota attorno al prefisso greco dys, che indica il male in opposizione a eu. Sono distopiche tutte le rappresentazioni di un futuro che, in contrapposizione all’utopia, descrivono una situazione sociale, politica o tecnologica negativa. La distopia ha nutrito un intero filone letterario che ha ambientato i propri romanzi in un futuro in cui i problemi della società attuale sono esasperati. Uno dei più conosciuti è 1984 di George Orwell (1903-50). Oggi questo filone è vivo soprattutto nelle serie televisive, come The Black Mirror, che racconta un futuro dove la tecnologia ha preso il sopravvento; I racconti dell’ancella, che mostra cosa succederebbe se un gruppo di fanatici religiosi prendesse il potere negli Stati Uniti; The Man in the High Castle, che dipinge un incubo in cui Hitler ha vinto la Seconda guerra mondiale, non a caso tratto da un capolavoro della letteratura distopica, La svastica sul sole di Philip K. dick.

Guida allo studio • Secondo Machiavelli, il principe deve usare

la natura sia dell’uomo sia della bestia. Perché? • Per Machiavelli qual è il fine della politica? • In che cosa consiste il realismo politico? • Quale deve essere, secondo Machiavelli, il rapporto fra etica e politica?

• Quali sono le finalità della politica secondo

Machiavelli? • per Machiavelli è meglio che il principe sia

amato o temuto? • Che cosa significa che il principe deve essere volpe e leone? • Che cosa si intende con il termine «utopia»? • Come vivono gli abitanti di Utopia?

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UN’UTOPIA è REALIZZABILE? nel linguaggio ordinario di solito si dice «utopistico» un progetto che non ha alcuna possibilità di essere realizzato. In questa accezione, l’utopia si avvale di tutte le risorse dell’immaginazione e ha dato origine a una variegata serie di generi letterari (fantascienza, fantasy ecc.). Ma non è questo il senso con cui in genere i filosofi hanno prodotto opere utopistiche. considera i tre esempi che hai già studiato, la Repubblica di Platone, la Città del Sole di campanella e l’Utopia di Moro: nessuna di esse propone soluzioni tanto fantasiose da non poter essere realizzate, anche se, d’altra parte, ciò richiederebbe grandi mutamenti, se non addirittura una rivoluzione, nei costumi sociali e politici. ciò che distingue un’utopia filosofica da una narrativa fantastica è proprio questa potenziale realizzabilità, che nel corso della storia si è a volte rivelata non solo potenziale. non sono poche, infatti, le proposte che, giudicate utopistiche nei secoli passati, si sono realizzate nella modernità; si pensi ad esempio al fatto che tutte le religioni siano ugualmente rispettate in uno Stato, o che i cittadini non siano divisi per il rango di nascita fra nobili e plebei, o che tutti i bambini abbiano diritto all’istruzione, e tante altre cose ancora. da questo punto di vista, quindi, l’utopia filosofica appare come il tentativo di prefigurare un futuro possibile e migliore, quasi perfetto, ma ancora compatibile con le capacità umane.

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• Sintesi

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Il Rinascimento europeo: Montaigne

Scetticismo e relativismo Dopo una formazione umanistica, a quasi quarant’anni Montaigne si ritira in isolamento immergendosi nello studio dei classici e nella scrittura dei Saggi. Michel Eyquem de Montaigne (1533-92) nasce a Bordeaux, in una famiglia di mercanti. Dopo la laurea in giurisprudenza intraprende la carriera politica come consigliere presso il Parlamento di Bordeaux, ma a 38 anni si ritira nel suo castello, dove rimane appartato per il resto della sua vita dedicandosi alla stesura dei Saggi (Essais), che amplia e rivede continuamente. Nel 1580 spezza il suo isolamento con un viaggio in Francia, Svizzera, Germania e Italia, raccogliendo le annotazioni nel Diario del viaggio in Italia attraverso la Svizzera e la Germania, pubblicato solo nel 1774. Ripresi gli incarichi pubblici, diventa sindaco della sua città, ma muore nel 1592, senza aver terminato la revisione finale dei suoi Saggi. Testimone della crisi di valori dell’Europa della seconda metà del Cinquecento, Montaigne elabora una concezione scettica del mondo. La sua è più una filosofia di vita che una dottrina teorica: si deve rimanere fedeli alla mutevolezza del vivere e alla concretezza dell’esperienza. Montaigne ha una formazione umanistica ma non erudita; legge i classici, ma li commenta alla luce della sua esperienza di vita, segnata dal declino dell’ottimismo tipico del primo Rinascimento e dalla drammatica crisi di valori originata dalle guerre di religione (1562-98), contrassegnate in Francia da un particolare fanatismo. È in questo clima che Montaigne elabora una forma di scetticismo sia gnoseologico sia etico. Da un punto di vista gnoseologico, Montaigne osserva che la scienza non poggia su un fondamento valido, perché le sue conclusioni derivano da presupposti considerati veri ma indimostrabili. Anche i sensi possono ingannare, per cui occorre una facoltà superiore, la ragione, che dimostri vera l’attività sensibile; ma anche la ragione, a sua volta, ha bisogno di essere convalidata da altre motivazioni razionali, e così all’infinito. Dal punto di vista etico lo scetticismo di Montaigne si concretizza nella convinzione che i princìpi della morale cambiano nel tempo e da Paese a Paese. Mentre gli antichi scettici sospendevano il giudizio (epoché), nei Saggi il giudizio è continuamente espresso. Ma è un giudizio duttile, dato di volta in volta nell’esame di una specifica situazione ➝ 89. L’unico giudizio che Montaigne propone con fermezza è la necessità di leggersi dentro, alla ricerca di se stessi, secondo un modello socratico ➝ 90 e di raccontarsi con sincerità ➝ 91 .

Materiali per l’apprendimento attivo

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89. PER CAPIRE MEGLIO

90. APPROFONDIMENTI > Intersezioni

IL CONCETTO PSICOLOGICO MODERNO DI IDENTITÀ Più un diario personale che un breviario di saggezza, i Saggi riflettono l’interiorità di Montaigne, che egli descrive usando l’immagine del retrobottega: ogni individuo ha una stanza anteriore, di fronte alla strada, dove si incontra e interagisce con gli altri, ma ha anche bisogno di potersi ritirare nella stanza sul retro, quella del sé più privato. nel passaggio continuo da una stanza all’altra sta il cuore dell’identità umana. Anticipando le conquiste della psicologia moderna, Montaigne la interpreta come un mosaico provvisorio, incomprensibile e affascinante di un «io» che varia secondo le contingenze. Una identità mutevole, frammentaria e diversificata, che non si può descrivere in maniera compiuta e definitiva, ma solo «di giorno in giorno, di minuto in minuto». 91. LA PAROLA AI TESTI

T14 Montaigne Il contenuto dei Saggi Nella dedica al lettore con cui si aprono i Saggi, Montaigne esplicita quale sarà il contenuto del testo: se stesso.

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Questo, lettore, è un libro sincero. Ti avverte fin dall’inizio che non mi sono proposto, con esso, alcun fine, se non domestico e privato. Non ho tenuto in alcuna considerazione né il tuo vantaggio né la mia gloria. Le mie forze non sono sufficienti per un tale proposito. L’ho dedicato alla privata utilità dei miei parenti e amici: affinché dopo avermi perduto (come toccherà loro ben presto) possano ritrovarvi alcuni tratti delle mie qualità e dei miei umori, e con questo mezzo nutrano più intera e viva la conoscenza che hanno avuto di me. Se lo avessi scritto per procacciarmi il favore della gente, mi sarei adornato meglio e mi presenterei con atteggiamento studiato. Voglio che mi si veda qui nel mio modo d’essere semplice, naturale e consueto, senza affettazione né artificio: perché è me stesso che dipingo. (M.E. de Montaigne, Al lettore, in Saggi, Bompiani, Milano 2012, p. 3)

Guida alla lettura. La sincerità con cui Montaigne dichiara di volersi raccontare è legata alla scelta di proporsi come un esempio di umanità comune. egli pone domande che riguardano chiunque proprio perché vengono da una persona qualsiasi, e fornisce risposte dotate di un valore universale ma non prescrittivo.

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IL SAGGIO COME GENERE LETTERARIO L’influenza dell’atteggiamento scettico di Montaigne sugli Essais emerge con evidenza già nel titolo stesso; derivato dal verbo essayer (“provare, saggiare, sperimentare”, “rischiare”), esso si riferisce a un progetto conoscitivo che procede per prove ed errori, provvisorio ed esplorativo, a un’attitudine intellettuale di interrogazione continua. non a caso, egli inaugura il genere letterario del saggio, che ancora oggi è inteso come una breve composizione in prosa che tratta un argomento in un modo piuttosto informale e personale. Vi è poi lo stile. In un periodo storico in cui la lingua ufficiale è ancora il latino, Montaigne scrive in francese, motivando così questa scelta: «Io scrivo il mio libro per pochi uomini e per pochi anni. Se avessi dovuto trattare una materia destinata a durare nel tempo, l’avrei affidata ad una lingua più stabile» (Saggi, Bompiani, Milano 2012, p. 1825). Volutamente composti con una forma aperta e frammentaria, i Saggi non forniscono una trattazione sistematica del pensiero, ma procedono per temi, in una sorta di vagabondaggio della scrittura che si allontana da ogni pretesa sistematica.

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Sono riflessioni che riecheggiano suggestioni epicuree e aristoteliche: non prescrivono una ricetta valida una volta per tutte, ma fanno appello al giusto mezzo, alla conoscenza dei propri limiti, al non eccedere nel giudizio, all’acquisire misura, di volta in volta, a seconda delle circostanze mutevoli che la vita ci mette davanti. Lo scetticismo di Montaigne non preclude il credere nell’esistenza della verità, né porta a un ritiro dal mondo. Dai suoi scritti emerge la necessità di intrattenere legami con il mondo degli altri per poi tornare all’interiorità del sé. Montaigne incoraggia il contatto con gli altri, da cui si può imparare molto di utile. Per farlo, sostiene il viaggio, la lettura (in particolare dei libri di storia) e le conversazioni con gli amici. Il pensatore francese apre così l’uomo moderno alla diversità, orientando per primo la curiosità dell’essere umano non più solo verso le scoperte scientifiche, che in quegli anni proliferavano, ma anche verso i suoi stessi simili e persino verso gli animali. Egli mostra una sensibilità particolare per l’epoca, quasi moderna, per il mondo animale. Non solo è ricordato per il suo “dispiacere” nei confronti della sofferenza degli animali, ma è spesso indicato come un padre dell’anti-specismo, il movimento filosofico, politico e culturale che si oppone alla superiorità umana sulle altre specie animali ➝ 92 . Montaigne estende la sua curiosità anche agli abitanti del Nuovo Mondo, sino a quel momento considerati selvaggi e descritti come bestiali e disumani. Nel saggio dedicato ai «cannibali» (capitolo xxxi del libro I dei Saggi), parlando delle popolazioni delle due Americhe, Montaigne elabora due profonde riflessioni. In primo luogo, le popolazioni del Brasile, o, come le chiama Montaigne, «i miei cannibali», portano a riflettere sul problema delle condizioni minimali richieste perché sia possibile la vita in società, in altre parole a chiedersi quale sia la natura del legame sociale. È un quesito su cui Hobbes, Locke e Rousseau costruiranno la filosofia politica dei secoli xvii e xviii. In secondo luogo, questi popoli spingono Montaigne a interrogarsi sulla varietà dei costumi umani. Il filosofo francese ne esalta la dignità culturale, apprezzando la loro purezza e naturalezza ➝ 93 . Inaugurando uno sguardo nuovo, quello di chi cerca di comprendere più che di giudicare, afferma che non esiste fede o costume, per bizzarro, anomalo o persino rivoltante che appaia, che ricollocato nel suo contesto non trovi una spiegazione. È una dichiarazione di relativismo, un atteggiamento che rifiuta qualsiasi criterio assoluto in base al quale una cultura è autorizzata a emettere un giudizio su culture differenti: «ognuno chiama barbarie quello che non è conforme ai suoi usi» (Saggi, Bompiani, Milano 2012, p. 373). Non a caso a Montaigne si possono far risalire le moderne scienze etno-antropologiche e psico-pedagogiche, che interpretano i comportamenti umani in relazione al contesto in cui sono messi in atto. Montaigne dedica molta attenzione all’educazione dei bambini. Applicando anche in questo ambito un atteggiamento scettico, sostiene il valore dell’esperienza concreta sull’apprendimento astratto. «È meglio una testa ben fatta che una testa ben piena», scrive Montaigne nei Saggi (Ivi, p. 269), intendendo con la seconda espressione una mente affollata di nozioni e con la prima un intelletto autenticamente capace di saggezza, virtù e bontà. È una critica dell’educazione scolastica del suo tempo. Contrapponendosi al tradizionale curriculum umanistico, fondato sullo studio dei testi, egli propone un sapere che nasce dai viaggi e che ha il mondo come libro di scuola. In questo percorso formativo, per il filosofo francese è fondamentale la figura del precettore, un maestro di vita in grado di guidare il fanciullo insegnandogli sia i suoi punti di forza sia le sue debolezze e il modo per superarle. La relazione con l’allievo non deve essere basata sull’autorità, ma sul dialogo e sulla volontà di imparare l’uno dall’altro.

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92. COMPETENZE > Pensiero critico

elabora come esperimento mentale un mondo in cui gli uomini e tutti gli animali abbiano gli stessi diritti. Sarebbe ancora possibile la sussistenza umana? 93. ATTIVITÀ >

Webquest

UN ESPERIMENTO DI ANTROPOLOGIA AL ROVESCIO Montaigne riferisce le impressioni di alcuni nativi americani che, portati in Europa al tempo del re Carlo IX, reagiscono con perplessità di fronte alle usanze locali. Non solo si stupiscono che molti uomini adulti si assoggettino a un fanciullo (Carlo IX salì al trono francese nel 1560 a soli dieci anni e regnò fino al 1574), ma, osservando le grandi differenze socio-economiche presenti in Francia, si meravigliano che le persone costrette a vivere nella miseria tollerino tale ingiustizia senza ribellarsi.

T15 Montaigne La stranezza degli europei

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Dissero che prima di tutto trovavano molto strano che tanti grandi uomini, con la barba, forti e armati, che stavano intorno al re […] si assoggettassero a obbedire a un fanciullo, e che invece non si scegliesse piuttosto qualcuno di loro per comandare; in secondo luogo (essi hanno una maniera di parlare secondo la quale chiamano gli uomini la metà degli altri) che si erano accorti che c’erano fra noi uomini pieni fino alla gola di ogni sorta di agi, e che le loro metà stavano a mendicare alle porte di quelli, smagriti dalla fame e dalla povertà; e trovavano strano che quelle metà bisognose potessero tollerare una tale ingiustizia, e che non prendessero gli altri per la gola o non appiccassero il fuoco alle loro case. (M.E. de Montaigne, Saggi, I, xxxi, a cura di F. Garavini, Adelphi, Milano 1966, p. 284)

Guida alla lettura. nel brano si racconta un vero e proprio esempio di «antropologia al rovescio» in cui, per una volta, sono gli “altri” che osservano e descrivono la società in cui viviamo. Puoi imbatterti in qualcosa di simile cercando su Youtube le immagini di un curioso documentario inglese dal titolo Selvaggio a chi? (in originale Meet The Native): cinque abitanti delle isole Vanuatu in Melanesia (a nord e nord est dell’australia) lasciano per la prima volta il loro villaggio sperduto per approdare nel Regno Unito. armati di videocamera filmano luoghi, abitudini e modi di vivere delle diverse tribù britanniche: classe operaia, ceto medio, alta società. Si perdono nella giungla urbana di Manchester e conoscono perfino il principe Filippo. Sono tutte esperienze che ai loro occhi appaiono decisamente bizzarre, spingendo noi spettatori a riflettere sulla società in cui viviamo. Guida allo studio • In che cosa consiste lo scetticismo

• Che cosa si intende con il termine

professato da Montaigne? • Qual è la novità nel suo modo di considerare i cosiddetti “selvaggi”?

«specismo»? • Perché Montaigne vede nel viaggio il miglior strumento educativo dei giovani?

6 IL RIn aS c IMe n tO e UROP eO: MOn ta IG n e

MONTAIGNE PIONIERE DELL’ANIMALISMO Seguendo la sua impostazione scettica, Montaigne sostiene che il difetto che impedisce una comunicazione fra uomini e animali potrebbe essere più degli uomini che delle bestie. Il fatto che non capiamo i loro messaggi non significa che essi non sappiano comunicare, e perfino ragionare. esistono poi ambiti in cui gli animali sono addirittura superiori agli uomini, ad esempio nell’amicizia, nel rapporto con la natura e nella fedeltà. Basterebbe considerare la guerra: di tutto il creato, sottolinea, solo l’uomo massacra i suoi simili. Se poi guardiamo alla bellezza, aggiunge, essa è relativa. del resto se l’uomo fosse l’essere più bello, perché gli animali che gli assomigliano di più, come le scimmie, sono a detta di tutti anche i più brutti? È un pensiero innovativo ma problematico.

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Test di autovalutazione 16. Bruno recupera in chiave naturalistica

UMANESIMO E RINASCIMENTO

la dottrina platonica dell’amore come strumento di elevazione spirituale.

1. Mentre l’Umanesimo si occupa dell’uomo, il Rinascimento si interessa solo alla natura.

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2. Fra i successi della filologia vi è la riscoperta di Ermete trismegisto.

problema di natura etica.

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4. La dotta ignoranza consiste nella consapevolezza dei limiti del sapere umano.

7. Ficino ipotizza una struttura gerarchica della realtà scandita in cinque livelli.

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11. per telesio l’interazione caldo/freddo spiega 12. telesio nega che la natura possa essere interpretata secondo i suoi stessi princìpi.

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21. Fra i princìpi della riforma protestante vi è che la salvezza si raggiunge solo con la fede. che ogni fedele legga la Bibbia. devono essere formati nei seminari.

25. Erasmo condivide con Lutero l’idea che l’uomo goda di un libero arbitrio.

26. Calvino afferma che Dio predestina all’inferno alcuni uomini e non altri.

RINASCIMENTO E POLITICA sottostare alla morale. dalla fortuna, secondo Machiavelli.

29. Il termine «utopia» significa “luogo che non c’è”. V

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15. Secondo Bruno, modificando la natura, l’homo faber collabora con Dio.

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28. La politica non può essere influenzata

14. La concezione religiosa di Bruno è mutuata da Aristotele, che ne fa il motore immobile dell’universo.

V

27. Machiavelli nega che la politica debba

13. Secondo telesio tutte le cose possiedono una capacità sensitiva.

F

20. La riforma protestante ha conseguenze

nell’eucaristia è presente gesù con il suo corpo e il suo sangue.

10. pomponazzi crede nella magia ma afferma

i fenomeni fisici ma non quelli psicologici.

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24. Il Concilio di trento stabilisce che

9. per pomponazzi l’influenza degli astri

l’inesistenza dei miracoli.

definita come sensistica.

23. Il Concilio di trento stabilisce che i sacerdoti

ARISTOTELICI E NATURALISTI suggerisce un rafforzamento del cristianesimo.

F

22. Secondo i protestanti non è importante

8. La realizzazione dell’uomo, per Ficino, consiste nell’ascesa mistica verso il divino.

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19. La filosofia di Campanella può essere

disastrose per l’unità della Chiesa.

6. Ficino riprende dal platonismo antico l’idea della medietà dell’essere umano.

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RIFORMA E CONTRORIFORMA

5. per Cusano il principio di non contraddizione si applica anche a Dio.

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18. Campanella non propone di abbandonare il cattolicesimo, ma di riformarlo liberandolo dall’aristotelismo.

3. La riflessione di Cusano parte da un

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17. L’universo, per Bruno, non può essere infinito, perché così equivarrebbe a Dio.

I PLATONICI

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30. Montaigne contrasta lo scetticismo dilagante nella cultura del suo tempo.

2. La rivoluzione scientifica

Lezione in PowerPoint

LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA • LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. La rivoluzione astronomica 2. Francesco Bacone: la fondazione di un nuovo sapere 3. Galilei: la nascita della scienza moderna 4. Newton: una nuova immagine del cosmo e della fisica

LA RETE DEI SAPERI sociologia • Le accademie scientifiche: la loro

organizzazione, il loro ruolo

sociologia • L’immagine dell’universo e il senso

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO CoMpEtEnzE / Mappa concettuale, Lessico e concettualizzazione, pensiero critico, Filosofia e cittadinanza pEr CApIrE MEgLIo LA pAroLA AI tEStI AttIvItà / rielaborazione ApproFonDIMEntI / per saperne di più, Filosofia per immagini, Filosofia e cinema

dell’esistenza

scienza • Come procede la scienza: confutazioni

o rivoluzioni?

I TESTI • T1 Bacone Lo scopo della ricerca scientifica • T2 Bacone Gli idòla • T3 Bacone Gli scienziati come api • T4 Bacone Il metodo induttivo • T5 Bacone La storia delle arti e dei mestieri • T6 Bacone L’importanza di un inventario del sapere • T7 Bacone La Casa di Salomone • T8 Galilei Il libro della natura • T9 Galilei La sensata esperienza e le necessarie dimostrazioni • T10 Galilei Il gran naviglio LABORATORIO • PENSARE IL PRESENTE

• T11 • T12 • T13 • T14 • T15 • T16 • T17 • T18 • T19 • T20 • T21

Galilei Il metodo sperimentale Newton Le regole del filosofare Newton La piccola luna Voltaire La mela di Newton Newton La struttura della materia Newton Dio agisce nell’universo Bacone L’esigenza del metodo Galilei Esperienza e «certe dimostrazioni» Galilei Qualità primarie e secondarie Galilei Il cannone e la carrozza Newton Il metodo induttivo-deduttivo

82

Le domande della filosofia QUALI SONO I LIMITI DELLA SCIENZA? Bacone aveva una grande fiducia nello sviluppo della scienza per il miglioramento della vita umana, ma era cosciente anche dei pericoli insiti in esso, tanto da prevedere, accanto alla libertà di ricerca, il controllo nella divulgazione e nell’applicazione tecnologica.

1

La ricerca scientifica deve essere controllata dalla morale e dalla legge? Chi ne stabilisce i limiti? ➤ L’utopia tecnologica, p. 108 ➤ Questioni di attualità: Che cos’è la bioetica? ➤ Filosofia e cittadinanza: La ricerca scientifica

deve essere libera? ➤ Scheda 22

IL METODO DELLA RICERCA SCIENTIFICA È ANCORA QUELLO INDUTTIVO? Al CERN di Ginevra vengono fatte scontrare particelle ad alta velocità per studiare quali altre particelle si formano. Ma gli scienziati cercano particelle non ancora osservate, però previste dalla teoria, quindi non partono dall’esperienza ma cercano di produrla.

2

Qual è, oggi, il metodo della ricerca scientifica? ➤ Il Novum Organum, p. 100 / Il metodo induttivo, p. 102 ➤ Il metodo sperimentale: sensate esperienze e certe

dimostrazioni, p. 120 ➤ Il problema del metodo induttivo e la conoscenza

scientifica, p. 128 ➤ Schede 19, 27, 34, 35, 37, 45, 47

83

CHE IMPORTANZA HA LA TECNOLOGIA NELLA NOSTRA VITA QUOTIDIANA? Bacone auspicava che la scienza migliorasse la vita quotidiana, mediante le applicazioni tecnologiche. oggi è diventata pervasiva ben al di là di quanto previsto da Bacone. Come sta cambiando la nostra vita quotidiana? Ci sono dei rischi? Come potremmo gestirla meglio?

3

Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi dei nuovi media? ➤ L’utopia tecnologica, p. 108 ➤ Scheda 22 ➤ T5, T7

L’UOMO DEVE ESSERE IL PADRONE DELLA NATURA? Bacone auspicava che, mediante la scienza, l’uomo ponesse la natura al proprio servizio, modificandola nel modo a lui più vantaggioso, producendo nuove specie vegetali e modificando quelle animali. oggi i problemi ambientali che stanno emergendo suggeriscono un atteggiamento più prudente, più in armonia con la natura.

4

È importante la salvaguardia dell’ambiente? Che cosa dovremmo fare per garantirla? ➤ L’utopia tecnologica, p. 108

84

La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Possiamo determinare qual è la struttura dell’universo? • Come deve procedere la scienza? Che importanza ha l’autorità degli antichi? E quale l’esperienza diretta? • Che rapporto deve esserci tra la ricerca scientifica e le Sacre Scritture? • Quale metodo dobbiamo seguire nella ricerca scientifica? • La scienza può contribuire al miglioramento della vita individuale e sociale?

I CONCETTI DA RIPASSARE • Geocentrismo • Sfere celesti • Luoghi naturali • Finalismo o teleologismo • Primo motore immobile

3

I CONCETTI CENTRALI • Eliocentrismo • Metodo induttivo • Metodo sperimentale • Metodo induttivo-deduttivo • Meccanicismo • Gravitazione universale • Atomismo

2

4

I NUOVI PROBLEMI • La conoscenza è oggettiva? • Le leggi formulate dalla scienza hanno una validità universale? • Lo sviluppo scientifico contribuisce al progresso dell’umanità? • La scienza deve essere materialistica? • La scienza deve essere deterministica?

PENSARE IL PRESENTE • Questioni di attualità Che cos’è la bioetica? Analizziamo il problema a partire dal film Gattaca - La porta dell’universo, per considerare poi i pricipali problemi legati allo sviluppo della biologia

• Filosofia e cittadinanza La ricerca scientifica deve essere libera? Anche oggi ci sono istituti preposti al controllo etico della scienza. Vediamo quali e come viene affrontato il problema della ricerca scientifica nella Costituzione italiana

Uno sguardo d’insieme L

a nuova scienza non costituisce semplicemente un approfondimento e un’estensione della conoscenza, ma una profonda ridefinizione del modello, o paradigma, del sapere in generale. I cambiamenti più significativi riguardano i seguenti ambiti. • Il meccanicismo. platone e Aristotele spiegavano il divenire sulla base delle cause finali. Il cristianesimo medievale si richiamava a questi pensatori, accentuandone il carattere teleologico. La nuova scienza si basa invece sul presupposto che le uniche cause da considerare per la spiegazione scientifica sono quelle di tipo meccanico. • La scienza al servizio della pratica. Il Medioevo distingueva nettamente il sapere inteso come ricerca senza finalità pratiche (definito «liberale») dalle arti meccaniche, considerate «servili». A partire dal rinascimento la conoscenza si lega strettamente all’applicazione pratica. Ma è con la nuova scienza, e particolarmente con Bacone, che la tecnologia diventa una delle finalità principali della ricerca. • La valorizzazione delle arti meccaniche. La scienza del Seicento definisce e adotta il meto-

do sperimentale, che ha bisogno della tecnica per costruire esperimenti in cui le variabili in gioco possano essere misurate con esattezza. • Le accademie. Il nuovo sapere scientifico non trova spazio nelle università, ancora controllate dalla Chiesa. nel Seicento sorgono però nuovi centri della ricerca e del sapere, finanziati da associazioni o dalle stesse monarchie nazionali e voluti dalla nuova classe borghese, perché il nuovo sapere si traduce in conoscenze e in tecnologia direttamente applicabili all’economia mercantile e manifatturiera. Con le accademie il nuovo modello di sapere si caratterizza, oltre che per il metodo, anche per la ricerca collaborativa e cumulativa. • Il nuovo metodo. La possibilità di una ricerca comune si fonda sulla caratteristica principale del nuovo metodo, l’uso della matematica e la quantificazione dei fenomeni studiati. Se Bacone considera ancora la matematica semplicemente come uno dei tanti settori della conoscenza, per galilei essa costituisce il linguaggio stesso dell’universo e lo strumento fondamentale di ogni ricerca.

Audiomappa IL SAPERE TRADIZIONALE è caratterizzato da

LA NUOVA SCIENZA propugna

finalismo

meccanicismo

scienza teorica

scienza al servizio della pratica

utopia tecnologica di Bacone

disprezzo per le arti meccaniche

valorizzazione delle arti meccaniche

Galilei si interessa al sapere dei capomastri

sapere posseduto da pochi

sapere cumulativo e collaborativo

determinazioni qualitative

determinazioni quantitative

diffusione delle accademie; importanza del metodo di ricerca sviluppo e applicazione della matematica

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Il contesto storico-culturale Un periodo di repressioni La rivoluzione astronomica e scientifica che segna l’inizio dell’età moderna si sviluppa in un’Europa divisa e agitata dalle guerre di religione, dalla grande frattura della Riforma protestante e dalla repressione cattolica della Controriforma. I grandi pensatori sono spesso anche i grandi perseguitati: Copernico evita la condanna della Chiesa grazie a una prefazione alla sua opera scritta dal teologo protestante Andreas osiander in cui l’eliocentrismo viene presentato come una ipotesi matematica per semplificare i calcoli astronomici ma senza alcun riferimento alla realtà; giordano Bruno, condannato al rogo dall’Inquisizione, è arso vivo in Campo dei Fiori, a roma; Galilei si salva dalla stessa fine al prezzo di una dolorosa abiura e trascorre il resto dell’esistenza agli arresti domiciliari, isolato dal mondo e dalla ricerca scientifica.

Le guerre di religione Dalla morte di Copernico, nel 1543, e quella di galilei, nel 1642, le guerre di religione si susseguono ininterrotte. nel 1545 si apre il Concilio di Trento, che si concluderà nel 1563 sancendo la definitiva frattura tra l’Europa cattolica e quella protestante. tale frattura troverà espressione nelle guerre di religione: la lotta tra cattolici e ugonotti in Francia; lo scontro armato tra il paladino della Controriforma, Filippo II di Spagna, e l’Inghilterra protestante di Elisabetta e, parallelamente, ancora tra Filippo II e i Paesi Bassi spagnoli, che diventeranno indipendenti nel 1648; infine la Guerra dei Trent’anni, che devasta l’Europa e in particolare la germania, tra il 1618 e il 1648.

La rivoluzione scientifica e la nuova economia Queste divisioni corrispondono grossomodo a quella tra un’Europa legata ancora a un modello agricolo e aristocratico e una proiettata invece verso un’economia manifatturiera

e borghese. Sarà la seconda a prevalere e l’asse politico del continente si sposterà dai paesi mediterranei a quelli atlantici. In particolare, proprio in Inghilterra, il paese economicamente più sviluppato nella nuova direzione, si afferma la rivoluzione scientifica, il cui sviluppo è favorito e in qualche modo richiesto proprio dall’economia manifatturiera. Insieme a Bacone e Newton, però, tra i padri della rivoluzione scientifica troviamo un italiano, galileo Galilei. L’Italia occupa un posto particolare in questo processo di sviluppo: lo ha anticipato nell’età comunale e poi nel rinascimento, dove è stata la culla della nuova economia e probabilmente il Paese più avanzato economicamente e culturalmente in Europa. non avendo raggiunto però un’unità nazionale, è stata sopravanzata dai paesi che potevano contare sull’appoggio di uno Stato centrale, prima la Spagna, poi la Francia e l’Inghilterra, diventando sempre più marginale e dominata dalla Chiesa romana e da un processo di ritorno al passato, protagonista di una vera e propria “rifeudalizzazione”. Queste contraddizioni trovano una rappresentazione nella vicenda di galilei, fondatore della scienza moderna e al tempo stesso perseguitato, costretto all’abiura e poi all’isolamento da una Controriforma che non è tale solo dal punto di vista religioso, ma anche politico e sociale.

Un nuovo sapere In generale, la rivoluzione scientifica andrà di pari passo con la nuova economia manifatturiera, che necessita di un sapere pratico, da applicare ai processi produttivi, ai trasporti ecc. La nuova scienza è finalizzata infatti al miglioramento della vita umana, mediante applicazioni tecnologiche delle nuove teorie, e alla fondazione di un sapere scientifico autonomo dalla religione e dal principio di autorità, in nome di una ricerca fatta sulla natura e non sui libri. Il confronto tra le due concezioni del sapere troverà espressione in una delle opere principali di galilei, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.

1450

1475

Cambridge

Praga

1469 Lorenzo il Magnifico signore di Firenze

Cracovia

Graz Padova Pisa

87

Bologna Firenze

1500 1517 95 tesi di Lutero

1521-56 Carlo v imperatore

1525 1543 Copernico De revolutionibus orbium coelestium

1550 1561 nasce Bacone 1564 nasce galilei

1575 LA NUOVA SCIENZA DI GALILEI E NEWTON tra il Cinquecento e il Seicento alcuni scienziati, come Copernico (polacco che studia a Cracovia, Bologna e padova), sostenitore dell’eliocentrismo, e Keplero (che insegna a graz e a praga), scopritore delle tre leggi del moto dei pianeti, sono alla base di una rivoluzione che investe i fondamenti del metodo scientifico e mette in crisi le tradizionali credenze (come quella geocentrica) professate dalla Chiesa. L’inglese Bacone propone un metodo induttivo, basato sull’esperienza, che però non riesce a slegarsi dalla cosmologia tradizionale, di derivazione aristotelica. Galilei, invece, matematico toscano che insegna prima a pisa e a padova, per trasferirsi infine a Firenze, con l’uso del cannocchiale e ricorrendo a strumenti matematici, riesce definitivamente a mettere in crisi la cosmologia tradizionale, dimostrando l’inesistenza di una distinzione tra mondo lunare e mondo sublunare. Questo processo giunge a compimento con l’inglese Isaac Newton, che, dopo gli studi compiuti a Cambridge, scopre la legge di gravitazione universale e le tre leggi della dinamica. Con il metodo newtoniano la matematica diventa l’unico strumento che possa dare un fondamento allo studio della natura.

1600 1610 galilei, Sidereus Nuncius 1620 Bacone, Novum Organum 1626 muore Bacone

1625 1632 galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo

1633 processo a galilei 1637 Cartesio, Discorso sul metodo

1642 morte di galilei,

1650 nascita di newton 1655 Hobbes, De corpore

1662 fondata a Londra la royal Society

1675

1677 pubblicazione postuma dell’Etica di Spinoza 1687 newton, Philosophiae naturalis principia mathematica

1700

1725 1727 muore newton

1750

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• Sintesi

1

La rivoluzione astronomica

Rivoluzione scientifica e autorità aristotelica La rivoluzione astronomica è parte di quella scientifica e si impone contro la concezione aristotelica sostenuta dalla Chiesa cattolica. La rivoluzione astronomica è un aspetto della più vasta rivoluzione scientifica ➝ 1 che rinnova profondamente non solo la visione dell’universo ma la stessa concezione del sapere, dovendo imporsi contro il principio di autorità, in nome di una ricerca condotta non sui libri ma sulla natura e affidata non ai grandi filosofi dell’antichità e neppure alle Sacre Scritture, ma alla ragione umana. L’autorità con la quale la nuova teoria deve confrontarsi e scontrarsi è principalmente quella aristotelica, fatta propria da una Chiesa cattolica che si trova a contrastare la Riforma protestante e per questo ancor più decisa a difendere il sapere consolidato. D’altra parte, il geocentrismo tradizionale sembrava affermato anche da alcuni passi della Bibbia, tanto che i sostenitori della nuova astronomia verranno condannati come eretici.

Il modello aristotelico-tolemaico L’universo aristotelico-tolemaico è geocentrico, formato da sfere che sorreggono e trasportano i diversi corpi celesti. Per la teoria dei luoghi naturali, i quattro elementi noti sono tutti nella sfera della Terra, mentre i corpi celesti sono costituiti da un solo elemento. Per questo sono perfetti, non soggetti a corruzione né al divenire. Il moto delle sfere è prodotto da un motore immobile, Dio. Il modello che verrà superato dalla rivoluzione astronomica è stato proposto nel iv secolo a.C. da Aristotele e poi perfezionato dall’astronomo Claudio Tolomeo, divenendo, in questa forma, il modello cosmologico fatto proprio dalla filosofia scolastica e dalla Chiesa cattolica. Esso si basa su alcuni punti centrali, il cui superamento definitivo si avrà soltanto con Newton: 1. Il geocentrismo, giustificato da Aristotele con la teoria dei luoghi naturali ➝ 2 . In base ad essa, ognuno degli elementi fondamentali (terra, acqua, aria, fuoco) tende verso un luogo che gli è proprio per natura: la terra verso il punto più basso possibile, l’acqua subito sopra e così via. L’universo ha forma sferica e il punto “più basso” in una sfera è il centro. Dato che

Materiali per l’apprendimento attivo 1. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

2. Per CAPIre MeGLIO

LA MeCCANICA DI ArIsTOTeLe La teoria dei luoghi naturali è basata sul senso comune: possiamo constatare facilmente che una pietra immersa nell’acqua va in basso, mentre se immergiamo una vescica piena d’aria e l’apriamo in acqua, l’aria tende verso l’alto, come anche il fuoco, nell’aria, sale verso l’alto. Contro questa teoria, che lega il movimento al peso dei corpi, andrà la nuova meccanica, come vedremo parlando di Galilei. Egli affermerà, in particolare, che tutti i corpi cadono alla stessa velocità (ossia con la stessa accelerazione) indipendentemente dal peso e che la resistenza dell’aria rende più o meno veloce la loro caduta. la terra (elemento), l’acqua ecc. sono sulla Terra (pianeta), questa deve essere posta al centro della sfera dell’universo. 2.La non infinità dell’universo. Per i filosofi greci l’infinito è l’irrazionale; ciò che è razionale, al contrario, deve avere un limite. Dato che l’universo non può essere irrazionale, esso è finito e, essendo perfetto, avrà la forma del solido perfetto, la sfera.

1 L a RIvoLuz IoN E aS T RoN oMIC a

LE RADICI RINASCIMENTALI DELLA RIVOLUZIONE ASTRONOMICA Quando si parla di “rivoluzione” si fa riferimento a un cambiamento radicale e improvviso. La rivoluzione astronomica lo è per molti aspetti, ma trova anche i propri presupposti nel Rinascimento. In particolare, niccolò Cusano affermava l’infinità dell’universo «senza centro e senza periferia» e dei mondi che lo popolano, per di più abitati da esseri intelligenti, togliendo quindi alla Terra la propria centralità. Anche altre filosofie rinascimentali mettevano in dubbio il geocentrismo e l’universo finito di aristotele. Dopo Copernico, ma prima di Galilei, Giordano Bruno proponeva una visione dell’universo moderna, legando la nuova concezione al superamento del principio di autorità e delle superstizioni antiche, facendone lo strumento e il simbolo di un rinnovamento della mentalità in generale. anche la più vasta rivoluzione scientifica ha le proprie radici nel Rinascimento. In particolare, vanno ricordati i seguenti aspetti: 1) l’affermarsi, nel corso del Quattrocento, della cosiddetta «cultura delle botteghe». Le botteghe degli artigiani sono al tempo stesso delle scuole di specializzazione e dei laboratori di ricerca, dove si inventano e si sperimentano nuove tecniche in tutti i campi, dalla pittura alla lavorazione dei tessuti; 2) l’alchimia e la magia, che conoscono un rapido sviluppo nel Quattrocento e nel Cinquecento, non sono in contrasto con la futura rivoluzione scientifica, ma la preparano. Esse partono infatti dal presupposto che l’uomo possa modificare la natura, in quanto è regolare e basata su princìpi, conoscendo i quali è possibile dominarla. I metodi sono radicalmente diversi da quelli che si affermeranno con la nuova scienza, ma la fiducia nella razionalità della natura e nell’intervento umano rappresentano una netta frattura con la concezione medievale secondo cui la natura è controllata da Dio e l’uomo può soltanto subirla, senza pretendere né di capirla né tanto meno di modificarla; 3) la diffusione e l’importanza che assume nel Rinascimento la filosofia neoplatonica costituisce un elemento importante della nuova scienza. Il neoplatonismo infatti afferma l’esistenza di un’anima del mondo, che garantisce la razionalità della natura, ma soprattutto teorizza la struttura matematica dell’universo, concezione attorno alla quale ruota la rivoluzione scientifica che, sia con Galilei sia con Keplero, fa riferimenti più o meno diretti al neoplatonismo.

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2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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3. La struttura a sfere concentriche. Essendo la sfera il solido perfetto, tutti i corpi celesti saranno disposti su sfere ordinate l’una nell’altra, fino alla sfera più ampia, quella delle stelle fisse, che le racchiude tutte. 4.L’assenza del vuoto. È necessario che ci siano delle sfere perché per Aristotele non esiste il vuoto, essendo lo spazio il contenitore dei corpi (e anche perché il vuoto è assimilato al nulla, cioè al non essere). Quindi tutto l’universo deve essere pieno. D’altra parte, i corpi celesti devono essere sorretti da qualcosa, quindi la teoria di un universo “pieno” è rafforzata. 5. Il dualismo. Per la teoria dei luoghi naturali, i quattro elementi, avendo come proprio luogo naturale il basso (anche se l’acqua meno della terra e l’aria meno dell’acqua devono comunque disporsi, in forma sferica, uno sopra l’altro), essi sono tutti al centro dell’universo, cioè sulla Terra. Le sfere superiori, non potendo contenere questi elementi e non esistendo il vuoto, devono essere costituite da un quinto elemento, l’etere. Il divenire è dato dalla mescolanza degli elementi, dinamica dalla quale nascono gli aggregati, che muoiono quando gli elementi si separano per formare altri corpi. Ma allora, dato che nelle sfere superiori c’è un solo elemento, non può esservi aggregazione né disgregazione, cioè nascita o morte. Quindi i “cieli” (le sfere superiori) sono perfetti e immutabili, mentre la Terra è il luogo dell’imperfezione, della nascita e della morte. 6.Il Primo Motore Immobile. Per Aristotele ogni movimento richiede un motore in atto ➝ 3 . Ogni sfera è mossa da quella che la racchiude, ma deve esistere un motore che muova la sfera delle stelle fisse e che a sua volta non si muova, altrimenti dovremmo ipotizzare un altro motore e così via all’infinito. Tale «motore immobile» è Dio, il che rende la teoria aristotelica ancora più in sintonia con il pensiero della Chiesa. Riassumendo ➝ 4 , il cosmo aristotelico vede la Terra al centro, circondata dalla sfera della Luna, poi da quella di Mercurio, e così via fino a quella di Saturno, il pianeta più lontano tra quelli allora conosciuti, infine dal cielo delle stelle fisse. Anche la sfera del Sole ruota intorno alla Terra, collocandosi tra quella di Venere e quella di Marte. Questo modello non descrive però in modo corretto il moto dei corpi celesti, le cui orbite non sono circolari. Per Aristotele, invece, il moto dei corpi celesti, perfetti, non può che essere quello circolare, anche perché si muovono in quanto trascinati dalle sfere celesti. Per spiegare il moto apparente come una combinazione di più moti circolari, Aristotele teorizza l’esistenza di oltre 40 sfere per risolvere il moto dei 9 corpi celesti allora conosciuti (8 più il cielo delle stelle fisse), numero che viene portato a 55 da Tolomeo ➝ 5 .

La rivoluzione copernicana L’eliocentrismo di Niccolò Copernico all’inizio venne diffuso come una mera ipotesi matematica. La teoria di riferimento della Chiesa cattolica viene messa in discussione proprio da un canonico, Mikołaj Kopernik, ovvero Niccolò Copernico (1473-1543), amministratore della cattedrale di Frombork, una cittadina polacca di poche migliaia di abitanti. Copernico conserva però l’incarico per poco tempo, dedicandosi invece agli studi di astronomia che approfondisce anche in alcune università italiane. L’opera che presenta la sua rivoluzionaria teoria, il De revolutionibus orbium coelestium, viene pubblicata nel 1543, poco prima della morte dell’autore, con una premessa dovuta ad Andreas Osiander ma non firmata e quindi per molto tempo attribuita allo stesso Copernico, che presenta prudentemente il contenuto come una semplice ipotesi matematica per semplificare i calcoli delle orbite dei pianeti, ma senza nessuna pretesa di descrivere veramente l’universo.

Materiali per l’apprendimento attivo

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3. PER CAPIRE MEGLIO

4. per Capire MeGLio

iL CosMo aristoteLiCo-toLeMaiCo Una rappresentazione semplificata del sistema geocentrico. In realtà Tolomeo prevedeva moti particolari, per ricondurre i moti apparenti dei pianeti, che non sono circolari, alla combinazione di un numero più o meno elevato di sfere, in modo che nell’universo esistessero soltanto moti circolari, considerati perfetti.

5. CoMpetenze > Mappa concettuale

Il suPeraMenTo del Modello arIsToTelIco-ToleMaIco Il modello aristotelico-tolemaico sarà superato gradualmente, mediante un percorso che si concluderà solo verso la fine del Seicento con la sistemazione della nuova concezione dell’universo e della nuova fisica ad opera di newton. Ricostruiamo qui sotto i passaggi più significativi. geocentrismo

sfere solide

moto circolare

è superato da

è superato da

è superato da

perfezione dei cieli e dualismo

è superato da

primo motore immobile

è superato da

teoria dei luoghi naturali

è superato da

universo finito, assenza di vuoto

è superato da

Copernico

Brahe

Keplero

Galilei

Galilei

Newton

Newton

teorizzando

teorizzando

teorizzando

eliocentrismo

orbite

orbite ellittiche

teorizzando

omogeneità dell’universo

teorizzando

nuova concezione del moto, principio di inerzia

teorizzando

gravitazione universale

teorizzando

universo infinito, vuoto interstellare

1 L a RIvoLuz IoN E aS T RoN oMIC a

IL MOTO PER ARISTOTELE Partendo dal principio secondo cui ogni cambiamento ha una causa, e il moto è una forma di cambiamento, Aristotele afferma che ogni movimento richiede qualcosa che lo muova e che la causa perdura finché dura l’effetto. Quindi, ad esempio, se lanciamo un sasso, esso dovrebbe cadere a terra non appena lascia la nostra mano. Il moto continua perché la mano spinge l’aria che continua per un po’ a spingere il sasso. Come vedremo, una delle innovazioni maggiori di Galilei sarà la teoria della conservazione del moto, contro la meccanica di Aristotele. Come si nota da questa osservazione e dalla precedente, astronomia e meccanica sono strettamente legate: la trasformazione dell’una si legherà a quella dell’altra, come risulterà evidente in Galilei e in newton.

2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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Copernico afferma l’eliocentrismo ma conserva molti aspetti del sistema aristotelico-tolemaico, in particolare l’esistenza delle sfere cristalline. L’eliocentrismo richiede però più moti della terra (di rivoluzione, di rotazione, di traslazione), aprendo la strada a nuove teorie di meccanica e fisica. La tesi centrale è l’eliocentrismo: il Sole è al centro dell’universo e la Terra gira intorno ad esso, come gli altri corpi celesti ➝ 6 . Si tratta in realtà della sola innovazione rispetto al sistema aristotelico-tolemaico, insieme al superamento del dualismo, dato che la Terra è un corpo come gli altri: per il resto vengono conservati il sistema delle sfere cristalline, l’universo finito, chiuso dal cielo delle stelle fisse e il complesso sistema di sfere secondarie, riducendone il numero di poche unità. Il decentramento della Terra, però, implica una serie di conseguenze rivoluzionarie: il moto intorno a se stessa, per giustificare il giorno e la notte e il moto apparente dei corpi celesti, e il moto di rivoluzione intorno al Sole. In questo modo emergono problemi non risolvibili all’interno della fisica aristotelica. In primo luogo, la nuova fisica entra in contrasto con il senso comune, spiegando ciò che vediamo (il moto del Sole e degli altri corpi intorno alla Terra) come l’effetto di ciò che non viene percepito (il moto di rotazione della Terra), il che costringe a porsi in un’ottica completamente diversa da quella tradizionale. Inoltre, secondo gli avversari della teoria copernicana, il moto della Terra avrebbe dovuto produrre una serie di fenomeni che in realtà non si danno (un forte vento in senso contrario al moto, la caduta dei corpi spostata verso Occidente, e così via). Bisognerà aspettare Galilei per la soluzione di questi problemi, grazie a una profonda trasformazione della meccanica e dell’intera teoria fisica. Nell’immediato, la conseguenza più appariscente è comunque il superamento del geocentrismo e forse ancor di più la possibilità di confutare la visione aristotelico-tolemaica del cosmo: diventa possibile, per gli astronomi, analizzare i dati delle osservazioni astronomiche non per trovare conferme di una teoria indiscutibile, ma per ipotizzarne altre.

GuIda allo sTudIo • Quali sono le principali novità

dell’eliocentrismo, rispetto al sistema aristotelico-tolemaico? • In che cosa, invece, rimane una sostanziale continuità?

• Quali nuovi problemi vengono sollevati

dalla teoria copernicana?

Tycho Brahe Brahe, in seguito alle osservazioni sulle comete, nega l’esistenza delle sfere. propone un modello cosmologico che cerca di conciliare geocentrismo ed eliocentrismo. Il primo a percorrere la nuova strada è Tycho Brahe (1546-1601), astronomo danese che nel 1598 fu chiamato a Praga come astronomo imperiale. Ebbe come assistente Keplero, al quale lasciò un’imponente mole di dati raccolti nel proprio osservatorio-laboratorio presso Praga, dati fondamentali per gli sviluppi dell’astronomia. Più in generale, egli elabora una teoria che tenta di conciliare il geocentrismo e l’eliocentrismo. Al centro del cosmo resta la Terra, intorno alla quale orbita il Sole. Gli altri pianeti non orbitano però intorno alla Terra, ma allo stesso Sole, che costituisce così il centro di un proprio sistema, che non include però la Terra. Questo sistema a due centri, che fu detto

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Dizionario operativo

6. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

7. per Capire MeGLio

iL sisteMa CoperniCano e queLLo tiConiCo vediamo i due sistemi a confronto.

▲ Il sistema copernicano conserva molte delle caratteristiche di quello aristotelico-tolemaico. Introduce però i movimenti della Terra, che costringeranno in prospettiva a rimettere in discussione il vecchio sistema.

▲ Il sistema ticonico cerca di conciliare il sistema geocentrico e quello copernicano. Elimina le sfere celesti, introducendo il concetto di «orbita», il percorso dei pianeti senza alcun sostegno solido.

«ticonico», esclude l’esistenza delle sfere cristalline, soprattutto grazie all’osservazione delle comete, il cui percorso avrebbe dovuto attraversarle. Proprio questa è la grande novità introdotta da Brahe ➝ 7 . Egli sostituisce le sfere con le orbite dei pianeti, aprendo in questo modo interessanti prospettive e sollevando la domanda su quale sia la forza che tiene in orbita i pianeti, venuto meno l’appoggio delle sfere.

1 L a RIvoLuz IoN E aS T RoN oMIC a

ELIOCENTRISMO L’eliocentrismo è la teoria che pone il Sole (in greco, élios) al centro dell’universo. È stata formulata in età moderna da Copernico nel 1543. L’eliocentrismo si contrappone al geocentrismo, affermato dal sistema aristotelico-tolemaico e fatto proprio dalla Chiesa oltre che dal senso comune dell’epoca. Per Copernico il Sole è al centro dell’intero universo, che conserva le principali caratteristiche di quello aristotelico-tolemaico: è finito, chiuso dal cielo delle stelle fisse, i corpi celesti sono sostenuti da sfere concentriche e vengono conservati anche gli accorgimenti precedenti (epicicli, eccentrici e deferenti) per ricondurre alla perfezione del movimento delle sfere le orbite, che in realtà sono ellittiche. Nonostante queste continuità, la teoria copernicana può essere giustamente definita una rivoluzione, perché per spiegare le apparenze costringe a ipotizzare che la Terra possieda più movimenti, principalmente quello di rotazione e quello di rivoluzione. In prospettiva, questi moti spingeranno a mettere in dubbio l’esistenza delle sfere cristalline, aprendo nuovi problemi relativamente alle modalità e alla causa del moto dei corpi celesti. Sono i problemi da cui partirà Keplero, che attribuirà la causa del moto dei corpi celesti al Sole che, ruotando su se stesso, spingerebbe con i propri raggi i diversi pianeti.

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2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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Keplero Keplero afferma l’ellitticità delle orbite, scoprendo che il moto della terra non è costante ma varia a seconda della distanza dal sole. Consapevole della necessità di individuare una forza che funga da motore per spiegare il moto dei pianeti, Keplero la trova nel sole. egli formula anche una legge che mette in relazione i tempi di rivoluzione dei pianeti e la loro distanza dal sole. Le ricerche di Brahe, cui partecipa in prima persona, aprono la strada alla rivoluzione di Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630), un astronomo tedesco. Nel 1596 pubblica il Mysterium cosmographicum e dal 1599, diviene assistente di Brahe, cui succede nel 1601 come matematico e astronomo imperiale a Praga. Keplero riafferma l’eliocentrismo, cui ha cercato inutilmente di convertire lo stesso Brahe. Abbandonata la teoria delle sfere cristalline, viene meno anche la necessità di ricondurre il moto dei pianeti alla risultante di più orbite circolari. Keplero allora, riorganizzando e completando le osservazioni di Brahe, traccia le orbite effettive dei pianeti, constatando che non sono circolari ma ellittiche. Osserva anche che il loro moto non è uniforme, ma risulta più veloce quanto più il pianeta è vicino al Sole (perielio) e più lento alla massima distanza dal Sole (afelio). Questa osservazione apre un problema importante: un moto non inerziale, come è quello accelerato, richiede necessariamente un motore. Keplero lo individua nel Sole, parlando a volte dei raggi che spingerebbero i pianeti, a volte di una energia emanata comunque dal Sole, anch’esso in moto rotatorio. In ogni caso, tale energia sarebbe più forte con il ridursi della distanza, spiegando quindi la variazione di velocità. Keplero è esplicitamente un neoplatonico ➝ 8 ed è quindi convinto che l’universo abbia una struttura matematica. Per questo, la disposizione dei corpi celesti e le reciproche distanze non possono essere casuali ma devono essere ricondotte a rapporti matematici. In un primo momento immagina che le loro orbite siano inscritte o circoscritte nei cinque solidi regolari menzionati nel Timeo di Platone: il cubo, il il tetraedro, il dodecaedro, l’icosaedro e l’ottaedro, spiegandone l’ampiezza in questo modo, poi giunge alla formulazione di una vera e propria legge. L’importanza di Keplero è legata anche al fatto che organizza le proprie osser▲ Artista sconosciuto, Giovanni Keplero vazioni in tre leggi, che segneranno una tapnel 1610. pa fondamentale nella storia dell’astronomia: 1. le orbite dei pianeti sono ellissi, di cui il Sole occupa uno dei fuochi; 2. la velocità di ogni pianeta varia in modo tale che una retta congiungente il Sole e il pianeta percorre («spazza») in uguali intervalli di tempo uguali porzioni di superficie; 3. i quadrati dei tempi di rivoluzione dei pianeti sono direttamente proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole. La nuova concezione astronomica, da Copernico a Keplero, pone importanti problemi di meccanica e di fisica, per rispondere alle obiezioni di chi afferma che se la Terra ruotasse su se stessa dovrebbero manifestarsi effetti che non ci sono e per spiegare il movimento dei corpi celesti, che si muovono nello spazio senza poggiare su sfere solide e mostrano un movimento

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8. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

non inerziale, che deve trovare una propria spiegazione. La rivoluzione astronomica si salderà quindi, a partire da Galilei, con la nascita della nuova fisica, con un processo che troverà un importante punto di arrivo nella teoria di Newton, in grado di unificare meccanica e astronomia, fisica terrestre e fisica celeste.

GuIda allo sTudIo • Quali conseguenze deduce Brahe dallo

studio delle comete? • Keplero considera le orbite ellittiche, invece di ricondurle a una combinazione di circoli. Quali sono i vantaggi di questa concezione? Quali nuovi problemi sorgono?

• Spiega la seconda legge di Keplero. • Quali motivi neoplatonici sono presenti in

Keplero?

1 L a RIvoLuz IoN E aS T RoN oMIC a

IL NEOPLATONISMO DI KEPLERO L’universo di Keplero è ancora un universo «chiuso», non infinito, e la centralità del Sole è basata anche su considerazioni filosofiche. Egli definisce infatti il Sole «Signore del cielo», motivando quindi il proprio eliocentrismo con il seguente ragionamento: «Il Sole in verità è al centro del mondo, è il cuore del mondo, la fonte della luce, la fonte del calore, l’origine della vita e del movimento del mondo. Ma sembra evidente che l’uomo debba astenersi di buon grado da quel trono regale» (Discussione col Nunzio Sidereo, Dissertatio, in Discussione col Nunzio Sidereo e Relazione sui quattro satelliti di Giove, Bottega d’Erasmo, Torino 1972, p. 69). Le ricerche di Keplero si appoggiano ai dati osservativi raccolti da Brahe e si basano sulla convinzione, di derivazione neoplatonica, che l’universo abbia una struttura matematica. Fin dagli scritti giovanili Keplero aveva cercato di individuare una legge che spiegasse la disposizione dei pianeti e la loro distanza dal Sole. Nella sua prima opera, Mysterium cosmographicum (1596) aveva ipotizzato che le orbite, immaginate ancora come circolari, fossero inscritte o circoscritte ai cinque solidi regolari di cui parlava anche platone nel Timeo: il cubo, il tetraedro, il dodecaedro, l’icosaedro e l’ottaedro (vedi figura). più tardi si rende conto che questa ipotesi è incompatibile con i dati, oltre che con l’ellitticità delle orbite, ma non rinuncia alla ricerca di una relazione matematica che spieghi la disposizione dei pianeti, giungendo alla formulazione della terza legge.

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• Sintesi • Mappa

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Francesco Bacone: la fondazione di un nuovo sapere

Un nuovo sapere e un nuovo metodo Bacone sostiene la necessità di fondare un nuovo sapere, avente carattere cumulativo e finalizzato al miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo. per far ciò, sono necessari un nuovo metodo e un programma di ricerca comuni. Francis Bacon (1561-1626), italianizzato in Francesco Bacone, intraprende inizialmente una brillante carriera politica che lo porta a ricoprire dal 1618 la carica di Lord Cancelliere. Appena un anno dopo, però, un’accusa di corruzione lo costringe ad abbandonare la politica. Da allora si dedica esclusivamente ai propri studi, pubblicando nel 1620 il Novum Organum, seguito poi da altre opere. Bacone è considerato il padre del sapere moderno anche se il suo pensiero è lontano da quello più propriamente scientifico di Galilei o di Newton, da cui lo separano la poca importanza che dà alla matematica e la mancata espressione delle leggi naturali in linguaggio matematico. Egli si propone esplicitamente come il fondatore di un nuovo sapere ➝ 9 , merito che gli sarà riconosciuto dagli illuministi, i quali lo apprezzeranno soprattutto per l’uso del metodo induttivo e per la stesura di un inventario del sapere umano molto vicino all’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. In un certo senso, Bacone traccia il progetto di ciò che gli illuministi realizzeranno. Bacone si sofferma sulla necessità di un sapere che sia orientato al miglioramento della vita umana mediante la conoscenza e il controllo della natura ➝ 10 . Per far ciò è però necessario rifondare il sapere, mediante alcuni semplici passaggi: 1. sgombrare il campo dalle false credenze e dagli ostacoli alla conoscenza; 2. definire un nuovo metodo per poter studiare la natura e comprenderne le leggi; 3. tracciare un inventario del sapere in modo da poter colmare le lacune e definire un programma di ricerca comune; 4. avviare una ricerca collaborativa, che consenta cioè, grazie al metodo comune e all’inventario delle conoscenze, di coordinare il lavoro degli scienziati per sviluppare conoscenze cumulative e non alternative come spesso è successo in passato.

Materiali per l’apprendimento attivo 9. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

Ci sembra che gli uomini non conoscano bene né le loro ricchezze né le loro forze: delle prime hanno una stima eccessiva, delle seconde un’idea troppo bassa. Così avviene che essi, attribuendo un valore eccessivo alle arti già acquisite, non cerchino oltre; oppure, disistimando più del giusto le loro forze, le consumino in cose di poco conto e non le mettano invece alla prova in quelle imprese che più importano. Per questo le scienze hanno le loro colonne fatali: perché gli uomini non sono spinti a penetrare più oltre né dal desiderio né dalla speranza. (La grande instaurazione, Prefazione, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, p. 521)

▶ F. Bacone, Frontespizio dell’opera Instauratio magna, 1620, incisione.

10. LA PAROLA AI TESTI

T1 Bacone Lo scopo della ricerca scientifica La filosofia rinascimentale è caratterizzata da una forte unione tra uomo e natura: il primo è il microcosmo che riflette il macrocosmo, influenzato nel suo destino e nella sua personalità dagli astri e da ciò che avviene nell’universo. Con Giordano Bruno (1548-1600) si afferma un vero panteismo, ma anche negli altri filosofi rinascimentali la consonanza tra l’anima umana e quella dell’universo, o con la presenza di Dio nell’universo, è marcata. Con Bacone il rapporto cambia: non c’è più identità con la natura, ma la necessità di dominarla e di piegarla alle esigenze dell’uomo, come manifestazione della rivoluzione tecnologica e manifatturiera che prelude a quella industriale.

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Ritenendo di esser nato per servire l’umanità e pensando che l’occuparsi del bene comune faccia parte di quei doveri che sono di pubblico dominio, aperti cioè a tutti come l’acqua o l’aria, mi chiesi che cosa potesse essere maggiormente utile agli uomini e a quali compiti io stesso fossi per natura più idoneo. Fra i benefici che possono esser fatti all’umanità non ne ho trovato nessuno che sia più meritorio della scoperta di cose nuove e del perfezionamento delle arti dalle quali viene migliorata la vita degli uomini. [...] Ma soprattutto mi parve che se qualcuno riuscisse non solo a dar luogo a una qualche invenzione particolare, per utile che essa sia, ma ad accendere una luce nella natura che col suo stesso sorgere illuminasse quelle regioni che sono al di là di quelle già conosciute e che poi, sempre più innalzandosi, potesse svelare e mettere a nudo i segreti più riposti, questi, io penso, sarebbe davvero il propagatore del dominio dell’uomo sull’universo, il campione della libertà e il soggiogatore della necessità. (F. Bacone, Sull’interpretazione della natura, Prefazione, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, p. 125)

2 F RA n C ES CO BACOn E: L A FOn DA z IOn E D I Un n U OVO SAP E R E

IL FRONTESPIZIO DELLA grande inStaurazione Nel frontespizio è rappresentata la navicella dell’ingegno umano nell’atto di oltrepassare le colonne d’Ercole. In apertura a quest’opera Bacone fa cenno alle «colonne fatali» che la scienza esita a voler superare. Scrive, infatti:

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2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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Gli idòla della conoscenza Per rifondare il sapere è necessario liberarci dagli idòla che possono deformare la nostra conoscenza della realtà, legati alla natura umana, alle nostre caratteristiche individuali, alle convenzioni e in particolare al linguaggio, infine alle teorie filosofiche del passato. Per fondare un nuovo sapere bisogna prima di tutto liberarci dal principio di autorità e dalla soggezione nei confronti degli antichi. Per quanto essi siano grandi, noi possiamo partire da dove loro sono arrivati e andare ancora più avanti. Siamo, suggerisce Bacone riprendendo una fortunata metafora di Bernardo di Chartres, dei nani sulle spalle di giganti: più piccoli di loro, ma in grado di guardare più lontano. La conoscenza degli antichi deve riguardare il loro sapere, non la loro autorità. Al contempo, dobbiamo imparare dalla natura, non dai libri. Nello studio diretto della natura, però, la nostra mente può vedere in modo deformato a causa di idòla, di fantasmi (potremmo dire di pregiudizi) che si frappongono tra noi e la realtà. Bacone suddivide questi ostacoli in quattro tipologie ➝ 11 . 1. Gli idòla tribus, gli idoli della tribù cui apparteniamo, sono quelli che derivano dalla natura umana: il nostro intelletto è fatto in un certo modo e conosce di conseguenza la realtà dal proprio punto di vista. Ad esempio, tendiamo a mettere nella natura più regolarità di quanta non ce ne sia in realtà. 2. Gli idòla specus (idoli della spelonca) derivano dalla caverna in cui siamo rinchiusi, cioè dalle nostre caratteristiche individuali, dall’educazione ricevuta, dalle abitudini acquisite. Tutto ciò fa sì che consideriamo più importanti certe cose piuttosto che altre, orientando perciò la nostra conoscenza. 3. Gli idòla fori, gli idoli del fòro, ovvero la piazza pubblica, derivano dai rapporti sociali, interpersonali e in particolare dal linguaggio. Esso serve per comunicare con gli altri, ma al tempo stesso può ingannarci, creando addirittura entità fittizie che però consideriamo reali proprio perché esistono nel linguaggio, come il «primo mobile», le sfere celesti e così via. 4. Gli idòla theatri (idoli del teatro) derivano dai sistemi filosofici, che, simili a rappresentazioni teatrali, raffigurano la realtà in modo suggestivo ma con scarso contenuto conoscitivo ➝ 12 . Gli idòla non sono semplicemente false convinzioni di cui possiamo liberarci facilmente. Secondo Bacone «gli idoli e le false nozioni che sono penetrati nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti in modo da rendere difficile l’accesso alla verità, ma addirittura (una volta che quest’accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia anche nella stessa instaurazione delle scienze: a meno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano per quanto è possibile contro di essi» (Ivi, p. 559).

GuIda allo sTudIo • Qual è il programma generale di Bacone? • In che cosa consiste il momento

preliminare?

• Che cosa sono gli idòla? • Ricorda i quattro tipi di idoli e spiega più in

dettaglio gli idòla fori.

Materiali per l’apprendimento attivo

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11. LA PAROLA AI TESTI

L’analisi degli idòla si sviluppa in due direzioni complementari: da una lato è una riflessione sui fattori soggettivi, connessi alla natura umana (idòla tribus) o alle specificità individuali (idòla specus), che impediscono od ostacolano una conoscenza oggettiva della natura; dall’altro lato è una radicale critica del sapere precedente, sia di quello che fa ormai parte del senso comune e delle convenzioni sociali ed è veicolato dal linguaggio stesso (idòla fori) sia di quello derivante dalle filosofie del passato (idòla theatri).

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Gli idoli della tribù sono fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribù o razza umana. […] L’intelletto umano è simile a uno specchio che riflette irregolarmente i raggi delle cose, che mescola la sua propria natura a quella delle cose e le deforma e le travisa. Gli idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle aberrazioni proprie della natura umana in generale) ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e della conversazione con gli altri, o della lettura di libri e dell’autorità di coloro che vengono onorati e ammirati, o a causa della diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo già condizionato e prevenuto oppure sgombro ed equilibrato. […] Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto e dalle reciproche relazioni del genere umano: li chiamiamo idoli del foro a causa del commercio e del consorzio degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra straordinariamente l’intelletto. D’altra parte le definizioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si sono provveduti e con le quali si sono protetti in certi casi, non sono in alcun modo servite di rimedio. Anzi, le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a innumerevoli e vane controversie e finzioni. Vi sono infine gli idoli che sono penetrati nell’animo degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state accolte e create come altrettante favole presentate sulla scena e recitate, che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. (F. Bacone, La grande instaurazione, Novum Organum, i, XLI-XLIV, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, pp. 560-61)

12. CoMpetenze > pensiero critico

i preGiudizi e La ConosCenza L’analisi che Bacone fa degli idòla conserva molti motivi di interesse. Essi sono pregiudizi profondamente radicati in noi, come lenti deformanti che falsano la nostra percezione della realtà, come gli specchi di cui parla Bacone. Prova a chiederti in che modo gli idòla ricordati da Bacone sono presenti, come uno schermo deformante, nel tuo modo di vedere e di valutare la realtà. Soffermati in particolare sugli idòla specus, cioè quelli legati alla tua individualità, e sugli idòla fori, specie quelli legati al linguaggio. Un’importante corrente della filosofia del Novecento, la filosofia analitica, assume come oggetto proprio l’analisi del linguaggio, per individuarvi i fraintendimenti dai quali nascono falsi problemi che ci tengono prigionieri come mosche in una bottiglia, incapaci di trovare la via d’uscita, secondo una celebre immagine suggerita dal filosofo novecentesco Ludwig Wittgenstein. prova a fare una ricerca in Internet con la frase: «pregiudizi del linguaggio», oppure, in modo più circoscritto e ancora più attuale: «forme di discriminazione nel linguaggio».

2 F Ra N C ES Co BaCoN E: L a FoN Da z IoN E D I uN N u ovo Sap E R E

T2 Bacone Gli idòla

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

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Il Novum Organum Bacone paragona gli scienziati alle api, che traggono dal mondo la materia prima loro necessaria (il nettare, cioè l’esperienza), rielaborandola però in modo attivo (con la ragione). Il metodo muove dall’esperienza, procede in modo induttivo e deve consentire una ricerca collaborativa e cumulativa. Esso si articola in cinque fasi: la raccolta dei dati nelle tavole; la formulazione delle prime ipotesi; il loro controllo mediante esperimenti; l’individuazione dei princìpi generali; la loro applicazione tecnologica. Gli idoli della conoscenza sono come specchi deformanti, che alterano la realtà. Tuttavia, se ne prendiamo coscienza, possiamo distinguere che cosa deriva dalla nostra mente e che cosa dalla natura, arrivando a conoscerla quindi senza pregiudizi. Per una conoscenza proficua è però essenziale definire un metodo, come era l’Organon aristotelico, ma completamente nuovo. Si tratta infatti di un metodo che muove dall’esperienza e procede in modo induttivo, cioè andando dal particolare al generale, al contrario di quello aristotelico che procedeva in modo deduttivo, mediante il solo ragionamento. L’esperienza, però, non dà di per sé la conoscenza, ma va trattata, rielaborata mediante un procedimento adeguato. Con una immagine suggestiva ➝ 13 , Bacone afferma che gli scienziati non devono essere come le formiche, che raccolgono ciò che trovano e lo conservano, né come i ragni, che traggono da sé stessi la tela della propria conoscenza, ma come le api, che raccolgono il nettare dei fiori per trasformarlo in miele. Allo stesso modo, gli scienziati devono raccogliere l’esperienza, organizzarla, rielaborarla e ricavarne la conoscenza della natura che permetta poi di modificarla in modo da migliorare la nostra esistenza.

L’esperienza e il metodo L’esperienza è il punto di partenza della conoscenza, ma va rielaborata mediante un metodo del quale Bacone descrive i passaggi. Si tratta prima di tutto di raccogliere l’esperienza in modo sistematico e standardizzato, così da disporre di materiale già pronto per l’elaborazione successiva e per fare in modo che esso possa essere utilizzato da chiunque. Bacone dà infatti molta importanza al lavoro d’équipe, sia nel senso che un singolo scienziato deve coordinare le ricerche di più collaboratori, sia perché le ricerche condotte devono poter essere utilizzate e controllate da altri scienziati, anche a distanza, per procedere in modo coordinato. Come vedremo più avanti, per Bacone la ricerca scientifica dovrebbe coinvolgere idealmente tutti gli scienziati dei diversi Paesi, in un progetto complessivo che garantisca il progresso dell’umanità nel suo insieme. Per far ciò, i dati devono essere comparabili e cumulabili, quindi raccolti secondo protocolli, come si direbbe oggi, cioè procedure standardizzate. Le fasi di questa attività di ricerca sono le seguenti: 1. osservazione sistematica; 2. formulazione delle prime ipotesi (prima vendemmia); 3. esperimenti per confermare o meno le ipotesi iniziali; 4. individuazione dei princìpi generali; 5. applicazione tecnologica dei princìpi per modificare la natura. Vediamo in modo più analitico questi passaggi. Per rendere più concreta l’esposizione, seguiamo l’esempio di Bacone, che analizza le diverse fasi in relazione alla ricerca sulla natura del calore: che cos’è il calore, come lo si può produrre e come lo si può utilizzare?

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13. LA PAROLA AI TESTI

Bacone è considerato come il padre o almeno il precursore dell’empirismo, la teoria che fonda la conoscenza sull’esperienza. Egli critica gli empirici perché, come le formiche, raccolgono semplicemente i dati. Occorre invece rielaborarli. Si tratta quindi di un empirismo attivo, che parte, sì, dall’esperienza, ma non si ferma ad essa.

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Coloro che trattarono le scienze furono o empirici o dogmatici. Gli empirici, come le formiche, accumulano e consumano. I razionalisti, come i ragni, ricavano da se medesimi la loro tela. La via di mezzo è quella delle api, che ricavano la materia prima dai fiori dei giardini e dei campi, e la trasformano e la digeriscono in virtù di una loro propria capacità. Non dissimile è il lavoro della vera filosofia che non si deve servire soltanto o principalmente delle forze della mente; la materia prima che essa ricava dalla storia naturale e dagli esperimenti meccanici, non deve esser conservata intatta nella memoria ma trasformata e lavorata dall’intelletto. Così la nostra speranza è riposta nell’unione sempre più stretta e più santa delle due facoltà, quella sperimentale e quella razionale, unione che non si è finora realizzata. (F. Bacone, La grande instaurazione, Novum Organum, i, XCV, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, pp. 607-08)

1. Le tavole Le osservazioni devono essere registrate mediante «tavole», cioè schede distinte in tre tipologie: • le tavole della presenza, in cui si registrano i casi in cui il fenomeno compare (i raggi del Sole, il fuoco, i fulmini, la lana e altri tessuti che riscaldano il corpo ecc.); • le tavole dell’assenza in prossimità, dove vengono registrati i casi in cui ci saremmo attesi il fenomeno, che però non compare: ad esempio se in un primo momento associamo il calore alla luce (raggi del Sole), registreremo qui il caso dei raggi lunari o delle lucciole, dove compare la luce senza il calore; • le tavole dei gradi, che registrano le circostanze in cui il fenomeno varia di intensità.

2. La prima vendemmia A partire dai dati raccolti nelle tavole, si formulano le prime ipotesi, procedendo in modo induttivo, cioè partendo dalle esperienze specifiche per arrivare a ipotesi generali. Ad esempio, escludiamo per quanto detto sopra la correlazione tra la luce e il calore, e proseguiamo escludendo altre possibili correlazioni fino a individuare ciò che compare sempre in associazione con il calore, senza tavole di assenza in prossimità che possano vanificare eventuali ipotesi. Nel caso del calore, si perviene all’ipotesi che esso sia sempre associato al movimento.

3. Esperimenti per confermare o meno le ipotesi iniziali Si organizzano esperimenti in cui l’ipotesi è sottoposta a controllo, analizzando vari tipi di movimento per verificare se e in che misura compare il calore, in quali circostanze aumenta o diminuisce variando il movimento ad esso associato e così via.

2 F RA n C ES CO BACOn E: L A FOn DA z IOn E D I Un n U OVO SAP E R E

T3 Bacone Gli scienziati come api

2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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Bacone chiama gli esperimenti istanze e li intende in modo diverso da come verranno considerati da Galilei o da Newton. Ne traccia una complessa tipologia, che va dalle istanze cruciali, cioè esperimenti che consentono di decidere tra ipotesi contrapposte, ad altre che difficilmente riconosceremmo oggi come esperimenti, ad esempio le istanze evocanti, per far emergere le qualità nascoste dei corpi ➝ 14 .

4. Individuazione dei princìpi generali Si arriva in questo modo a individuare la definizione generale. Nel nostro caso, «Il caldo è un moto espansivo, trattenuto, che opera mediante le parti minori del corpo. Ma la nozione di espansione va così determinata: che espandendosi in tutte le direzioni, tende contemporaneamente verso l’alto. Anche l’operare mediante le particelle va così determinato: non è fiacco, ma vivace e impetuoso» (La grande instaurazione, Novum Organum, ii, XX, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, p. 687).

5. Applicazione tecnologica dei princìpi per modificare la natura In questo modo abbiamo individuato la natura del calore. La definizione formulata è però al tempo stesso operativa (Bacone la definisce disponente), perché indica che cosa dobbiamo fare per produrlo e come possiamo utilizzarlo, applicando i risultati della nostra ricerca a tecnologie in grado di produrre calore dal movimento o viceversa ➝ 15 .

Il metodo induttivo Il metodo induttivo parte dall’esperienza per ricavarne le prime ipotesi, da controllare con esperimenti per giungere a teorie generali. Da esse deriveranno applicazioni tecnologiche che fungeranno anche da ulteriore verifica. Abbiamo fatto più volte riferimento al metodo induttivo ➝ 16 , che viene esplicitamente definito da Bacone e considerato quello proprio della scienza. Pur partendo dall’osservazione, non si tratta però, come abbiamo visto, di descrivere in modo uniforme tutto ciò che si osserva. Bacone critica il metodo della semplice raccolta delle esperienze definendolo «enumerazione semplice», cioè il semplice elenco delle osservazioni. È invece essenziale selezionare e rielaborare i dati, guidati dal metodo, per non smarrirsi nelle «selve dell’esperienza». Fin dall’inizio della scienza moderna, quindi, il metodo induttivo si differenzia nettamente dalla semplice esperienza.

▶ Statua di Francis Bacon (Francesco Bacone) sulla facciata posteriore della Royal Academy of Arts a Londra.

Materiali per l’apprendimento attivo

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14. PER CAPIRE MEGLIO

Audiomappa

15. COMPETENZE > Mappa concettuale

IL METODO INDUTTIVO DI BACONE Ricostruiamo i passaggi principali del metodo di Bacone.

IL NUOVO METODO

si articola in

le tavole

osservazione sistematica

la prima vendemmia

formulazione prime ipotesi

gli esperimenti

istanze, domande alla natura

la teoria

schematismo e processo latenti. Definizione generale

le applicazioni tecnologiche

anche come verifica

16. COMPETENZE > lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

METODO INDUTTIVO per ampliare la conoscenza, la scienza parte da ciò che è osservabile, distinguendosi in questo dalla filosofia scolastica, che spesso supportava le proprie affermazioni non con l’osservazione bensì basandosi sull’autorità e sui libri del passato. Il metodo scientifico, che è induttivo, parte dall’esperienza per arrivare a generalizzazioni, a leggi che possono essere applicate a casi diversi da quelli osservati. ad esempio, se il ghiaccio di cui ho esperienza fonde sempre a zero gradi centigradi, ne concludo che quella è la temperatura di fusione del ghiaccio in generale. Le cose non sono però così semplici. prima di tutto bisogna considerare che l’esperienza di per sé non è significativa: deve essere trattata in modo opportuno, o mediante procedure standardizzate di raccolta dei dati, come suggerisce Bacone con le sue «tavole», o mediante la quantificazione dei dati per poterli elaborare in forma matematica, come faranno Galilei e Newton. Inoltre, il passaggio da un numero finito di osservazioni alla formulazione di leggi universali presenta notevoli difficoltà logiche. per questo il metodo induttivo verrà corretto con l’uso di esperimenti, cioè di esperienze costruite in base alle ipotesi generali. In questo modo l’esperienza non sarà semplicemente oggetto di osservazione, ma anche strumento di convalida o meno delle teorie.

2 F Ra N C ES Co BaCoN E: L a FoN Da z IoN E D I uN N u ovo Sap E R E

LE iStanze Facciamo qualche esempio per capire meglio gli esperimenti ricordati. Poniamo di dover decidere se le maree sono causate dal moto rotatorio della Terra, che agita l’acqua degli oceani come quelle di un catino, oppure dalla forza di attrazione della Luna. Un esperimento cruciale consisterà nel controllare se l’acqua si alza contemporaneamente sulle due sponde di un oceano, o se si abbassa su una quando si alza sull’altra. nel primo caso varrà l’ipotesi dell’attrazione lunare, nel secondo caso l’altra. Le istanze citanti, termine ripreso dal linguaggio giuridico, sono quelle finalizzate a far comparire ciò che è invisibile, sia perché nascosto da altri corpi, sia perché troppo piccolo per stimolare i sensi. Tra le cose invisibili, Bacone colloca anche lo spirito, nella convinzione che ogni corpo ne contenga uno. È allo spirito che Bacone riconduce ogni forma di vita. Si tratta evidentemente di residui rinascimentali, che si mescolano a intuizioni moderne, presenti entrambi nel lungo elenco delle istanze.

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Bacone paragona il metodo induttivo a una via in salita e in discesa: si parte dall’osservazione che viene raccolta e rielaborata mediante le tavole; poi si scende di nuovo verso l’esperienza, per applicare ciò che si è scoperto; dalla verifica e dalle applicazioni tecnologiche sorgono nuovi problemi e quindi si sale di nuovo verso princìpi generali, e così via. L’importante è che il processo sia graduale, che non si giunga immediatamente a teorie generali, ma che ogni ipotesi sia messa alla prova mediante esperimenti, confrontandola continuamente con l’esperienza. Le stesse applicazioni tecnologiche, che devono essere considerate tra le finalità principali della ricerca, da un lato sono finalizzate al miglioramento della vita umana, ma dall’altro lato costituiscono anch’esse delle verifiche, perché se funzionano vuol dire che le nostre ipotesi e ciò che ne discende corrisponde a verità ➝ 17 .

GuIda allo sTudIo • Dai una definizione del metodo induttivo.

Da quali momenti è caratterizzato? • Che cosa sono le «tavole»? Quali sono? Che funzione hanno nella ricerca?

• Che cos’è la «prima vendemmia»? • Che cosa sono le «istanze»? • perché il metodo induttivo viene definito

da Bacone una via «in salita e in discesa»?

L’oggetto della ricerca scientifica Alla fine si perverrà alla scoperta della natura del fenomeno studiato, articolata nel processo latente, cioè la dinamica che regola la trasformazione, e nello schematismo latente, la struttura del fenomeno. Conoscendone la natura, sarà possibile modificarla e utilizzarla in applicazioni tecnologiche. La ricerca, per Bacone, è finalizzata soprattutto alla produzione tecnologica, ma per arrivare a una effettiva comprensione del fenomeno studiato, che consenta poi un utilizzo pratico, occorre individuarne la «natura», che egli definisce, con termine aristotelico, «forma», anche se con significato molto diverso da quello classico. Non si tratta infatti di un principio metafisico, ma di qualcosa che è più simile alla struttura del fenomeno studiato, quasi nel senso della struttura chimica ➝ 18 . Per comprendere e cambiare la natura del fenomeno, è necessario conoscerne due aspetti: lo schematismo latente e il processo latente. Anche in questo caso le interpretazioni non sono univoche. Si tratta di aspetti “latenti”, cioè non immediatamente visibili, che lo scienziato deve portare alla luce con osservazioni ed esperimenti. Lo schematismo latente può essere letto come la struttura dei corpi. Bacone lo presenta come qualcosa di nuovo, mai cercato prima, paragonandolo allo studio dell’anatomia degli organismi, che però è palese mentre lo schematismo è nascosto. Esso è presente anche negli elementi semplici, come il ferro o una pietra. Si potrebbe pensare all’intuizione della struttura molecolare, dato che per Bacone, conoscendolo, è possibile «dotare un corpo dato di una nuova natura o tramutarlo convenientemente e con successo in un corpo nuovo» (Ivi, ii, VII, p. 646). Si tratta di qualità che non possono essere scoperte neppure mediante il fuoco o la distillazione, ma con la ricerca e con il metodo induttivo: bisogna passare, afferma Bacone, «da Vulcano a Minerva, se si vogliono portare alla luce le vere connessioni dei corpi e i loro schematismi» (Ivi, ii, VII, p. 647), cioè da procedimenti di analisi meccanica a procedimenti di analisi razionale. Anche il processo latente riguarda la trasformazione della natura delle cose e in questo caso gli esempi di Bacone sono più semplici e confermano l’interpretazione cui accennavamo

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17. LA PAROLA AI TESTI

Bacone definisce il metodo induttivo come una via in salita e in discesa: dall’esperienza si sale agli assiomi, da questi si torna all’esperienza per interpretarla e comprenderla meglio. È però importante che nel risalire dall’esperienza alle leggi generali il ricercatore proceda con gradualità e senza saltare direttamente alle conclusioni: il metodo deve fornire all’intelletto non ali, ma piombo e pesi.

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La via da percorrere, infatti, non è piana, ma in salita e in discesa: prima si sale agli assiomi, poi si discende alle opere. Non si deve tuttavia permettere che l’intelletto salti e voli dai particolari agli assiomi più lontani e generali (tali sono i cosiddetti principî delle arti e delle cose), per poi provare e verificare gli assiomi medi alla luce della immobile verità di quelli. Finora si è proceduto così, in parte perché l’intelletto seguiva questa via per un impulso naturale, in parte perché a ciò lo avevano abituato le dimostrazioni di tipo sillogistico. Si potrà bene sperare dalle scienze solo quando, attraverso una scala vera, per gradi continui, senza salti o interruzioni, si potrà salire dai particolari agli assiomi minori, da questi ai medi, poi agli altri superiori, e finalmente agli assiomi più generali. Gli assiomi più bassi, infatti, non differiscono molto dalla nuda esperienza. Quelli più alti o più generali (parlo di quelli di cui disponiamo attualmente) sono concettuali e astratti, privi di ogni solidità. Gli assiomi medi, invece, sono veri, solidi e vivi: ad essi sono affidate le speranze e le fortune degli uomini. Su di essi, infine, si fondano gli assiomi più generali, tali però da non essere astratti, ma da essere veramente limitati dagli assiomi medi. All’intelletto degli uomini, pertanto, non sono da aggiungere ali, ma piombo e pesi per impedirgli di saltare e di volare. Ciò finora non è stato fatto; quando ciò sarà fatto si potranno nutrire più alte speranze sul destino delle scienze. (F. Bacone, La grande instaurazione, Novum Organum, i, CIII-CIV, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, pp. 612-13)

Guida alla lettura. Il processo induttivo deve avvenire per gradi continui, nel senso che gli assiomi generali non devono essere ricavati direttamente dall’esperienza ma da assiomi di minor livello di generalità. Una prima elaborazione dell’esperienza è data per esempio dalle tavole che, raccogliendo i singoli casi, prospettano già una loro interpretazione. Da qui Bacone è risalito alle ipotesi esplicative del fenomeno osservato, per esempio il calore stesso. Il piombo e i pesi di questa metafora particolarmente densa sono costituiti dai momenti del metodo, che impongono verifiche e controlli nei vari passaggi, la raccolta di dati sufficienti prima di procedere a generalizzazioni, e in una parola impediscono di passare dalla semplice raccolta di casi particolari a leggi generali, senza aver percorso i gradini intermedi. 18. per Capire MeGLio

La natura deLLa Cosa Bacone usa diverse espressioni per indicare l’oggetto della ricerca che permette l’effettiva comprensione del fenomeno studiato: parla, come abbiamo visto, di «forma», ma anche di «natura naturante», di «fonte di emanazione». Quando passa dalle definizioni agli esempi e alle applicazioni, diventa però più chiaro. Egli scrive infatti che chi conosce le forme può «scoprire e produrre cose che ancora non sono state realizzate» (Ivi, ii, p. 641-42) o ancora «generare una qualche natura e introdurla in un dato corpo» (Ivi, ii, p. 642). Sembra quindi riferirsi a trasformazioni di tipo chimico, come esemplificherà poi nella descrizione dei laboratori di ricerca della Nuova Atlantide, la sua utopia tecnologica di cui parleremo più avanti.

2 F Ra N C ES Co BaCoN E: L a FoN Da z IoN E D I uN N u ovo Sap E R E

T4 Bacone Il metodo induttivo

2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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sopra: tra i processi latenti rientrano, ad esempio, la fermentazione del vino o la trasformazione del latte in formaggio. Ovviamente la ricerca non deve semplicemente descrivere questi fatti, ma scoprire che cosa avviene nella cosa durante la fermentazione, quale ne è il “processo nascosto”, in modo da padroneggiarlo e applicarlo anche ad altri ambiti. La scienza di Bacone mira quindi a dominare la natura, a trasformarla, finalizzandola al miglioramento della qualità della vita. Nell’immediato i suoi metodi e la marginalità della matematica lo escluderanno dalla nuova scienza che andrà affermandosi con Galilei e con Newton, ma nel Settecento, con lo sviluppo delle nuove scienze, dalla chimica alla biologia, la sua figura sarà rivalutata.

GuIda allo sTudIo • Qual è, per Bacone, lo scopo della scienza? • Che cos’è lo schematismo latente? E il processo latente? • Qual è la finalità dello studio della natura delle cose?

L’inventario del sapere umano La scienza deve essere intesa come sistema: sarà necessario fare l’inventario di tutte le conoscenze consolidate in ambito scientifico, ordinarle in modo sistematico e individuare i settori ai quali applicare la ricerca. in questo modo sarà possibile coordinare l’attività di tutti gli scienziati per un sapere collaborativo e cumulativo. La rivalutazione di Bacone nel Settecento è legata al fatto che egli viene considerato il precursore dell’Enciclopedia illuministica, che trae ispirazione dalla Preparazione alla storia naturale e sperimentale. In quest’opera Bacone si propone, senza tuttavia portarla a termine, ma tracciandone soltanto il programma, una storia del sapere umano, limitatamente a quello scientifico e tecnologico, senza considerare invece quello filosofico, teologico ecc. Il suo proposito è ambizioso: la storia “naturale” riguarda tutto ciò che l’uomo ha scoperto della natura e tutte le tecniche che ha messo a punto per modificarla e utilizzarla. Si va dalla storia delle terre e dei mari nelle loro trasformazioni (oggi parleremmo di geologia), alla storia dei corpi celesti, delle diverse specie di animali, alla storia dei metalli e delle tecniche della loro lavorazione, alla storia del corpo umano, delle malattie e delle cure, alla storia di tutte le diverse tecniche, dalla coltivazione agraria alla panificazione, dalla storia del vino a quella della tessitura e della tintoria, della lavorazione del cuoio, della costruzione dei vasi, fino alla storia dei giochi e delle diverse forme di spettacolo ➝ 19 . Questo programma richiama da vicino, in effetti, la settecentesca Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri e spiega la rivalutazione illuministica di Bacone. Il suo intento, però, va oltre la documentazione dei fenomeni elencati. Egli intende definire un vero e proprio inventario quanto più possibile completo delle conoscenze umane perché serva da base per coordinare la ricerca scientifica a livello planetario. Una volta completata questa rassegna, sarà possibile decidere quali settori del sapere restano scoperti, su quali concentrare la ricerca, come distribuire i campi di interesse tra i diversi team di ricerca, per procedere in modo coordinato e sistematico ➝ 20. Bacone propone dunque la prospettiva moderna di una scienza intesa come un sistema i cui diversi campi devono essere coordinati tra loro, di un sapere cumulativo e collaborativo, caratterizzato da un programma di ricerca unitario, a livello globale.

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19. LA PAROLA AI TESTI

La storia naturale non riguarda solo la scienza ma anche le arti e le tecniche. Le arti vanno intese ovviamente in senso lato, come le diverse attività dell’uomo, come le téchnai greche. Tutto ciò che modifica la natura, infatti, dall’agricoltura alla produzione della polvere da sparo, costringe la natura stessa, nel momento in cui si trasforma, a rivelare i propri segreti. Le diverse arti devono perciò essere considerate anche come esperimenti che consentono una comprensione scientifica della realtà.

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Fra tutte le parti della storia ora elencate, la più utile è la storia delle arti: essa mostra le cose in movimento e conduce più direttamente alla pratica. Ancora: essa strappa la maschera e il velo dalle cose naturali che sono spesso occultate o oscurate sotto la molteplicità delle figure e delle apparenze esterne. Le vessazioni dell’arte sono infine, in certo modo, simili ai legami e alle manette di Proteo, perché rivelano gli sforzi e i conati originari della materia. I corpi infatti rifiutano la distruzione o l’annullamento, di fronte ai quali assumono forme differenti. Nella compilazione di questa storia delle arti bisognerà dunque far uso di una diligenza grandissima. Essa potrà apparire a qualcuno meccanica e poco liberale, ma ogni arroganza e ogni disdegno vanno lasciati da parte. Saranno poi da preferire, fra le arti particolari, quelle che presentano, preparano e trasformano i corpi naturali e i materiali dei corpi; come l’agricoltura, l’arte culinaria, la chimica, l’arte del tingere, la lavorazione del vetro, dello smalto, dello zucchero, della polvere da sparo, dei fuochi artificiali, della carta e simili. (F. Bacone, Preparazione alla storia naturale e sperimentale, V, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, p. 807)

20. La paroLa ai testi

T6 Bacone L’importanza di un inventario del sapere La ricerca scientifica non può essere opera del singolo studioso. Perché siano proficui, però, gli sforzi comuni devono essere coordinati in un disegno organico. La storia prima è la grande enciclopedia del sapere che presenta l’inventario delle scoperte e delle invenzioni e rende possibile questo progetto.

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A questo punto è necessario ripetere ancora una volta quanto più volte abbiamo affermato: se anche tutti gli ingegni di tutti i tempi si fossero riuniti o dovessero riunirsi nel futuro, se anche tutto il genere umano si fosse dedicato o si dovesse dedicare nel futuro alla filosofia, se anche tutto il mondo fosse sempre stato o fosse da ora in avanti composto solo da accademie, collegi e scuole di dotti, tuttavia, senza una storia naturale e sperimentale come quella da noi concepita, né le scienze né la filosofia avrebbero compiuto o potrebbero compiere un progresso degno della razza umana. Invece, non appena questa storia della natura sarà stata preparata e compiuta, e quando saranno stati aggiunti anche gli esperimenti ausiliari e apportatori di luce (alcuni si presenteranno da soli nel corso dell’interpretazione, altri si dovranno ricavare appositamente) l’investigazione della natura e di tutte le scienze si ridurrà a un lavoro di pochi anni. (F. Bacone, Preparazione alla storia naturale e sperimentale, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, p. 800)

GuIda allo sTudIo • Perché è necessario un inventario del sapere umano? • Di quali aspetti del sapere si occupa Bacone? E quali invece trascura? • In che senso il sapere deve essere cumulativo e collaborativo?

2 F RA n C ES CO BACOn E: L A FOn DA z IOn E D I Un n U OVO SAP E R E

T5 Bacone La storia delle arti e dei mestieri

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

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L’utopia tecnologica Bacone tratteggia, nella nuova atlantide, un’utopia tecnologica, nella quale gli scienziati organizzano la ricerca in modo coordinato, per assicurare a tutti gli uomini la liberazione dai bisogni naturali. Abbiamo visto l’importanza della tecnica nel pensiero di Bacone. È un’altra differenza rispetto a Galilei e Newton, che considerano prioritaria la conoscenza e la scoperta delle leggi della fisica e solo in un secondo momento le applicazioni tecnologiche. Per Bacone invece la scienza deve mirare soprattutto al miglioramento della vita umana. Le applicazioni tecnologiche, inoltre, sono anche un importante momento di verifica, perché se una teoria è in grado di produrre applicazioni funzionanti, allora ha compreso la natura dei fenomeni studiati, cioè è vera. In un breve ma denso romanzo, Bacone immagina come potrebbe essere un mondo dominato dalla ricerca scientifica e tecnologica, per assicurare una vita felice alla popolazione. L’opera, intitolata La Nuova Atlantide, viene pubblicata postuma, nel 1627. Viene narrata in prima persona dal protagonista, in viaggio per mare dal Perù al Giappone. La nave sulla quale viaggia finisce nel mezzo di una tempesta e fa naufragio in un’isola non segnata sulle carte, Bensalem, la Nuova Atlantide. Il gruppo di viaggiatori viene ospitato dagli abitanti dell’isola che fanno loro conoscere la propria civiltà tecnologica ➝ 21 . Alla ricerca è dedicato un ampio complesso noto come Casa di Salomone, dove sono raccolti numerosi studiosi che lavorano in équipe, con compiti diversi, coordinati dai Padri della Casa di Salomone. Ci sono scienziati che raccolgono dati, altri che fanno esperimenti, altri ancora che viaggiano in incognito in tutto il mondo per aggiornarsi sulle ricerche compiute in altri luoghi, altri, infine, detti «Interpreti della natura» che, utilizzando questi materiali, realizzano nuove invenzioni. Spetta però ai Padri vagliarle per decidere quali vanno pubblicizzate e diffuse e quali invece devono essere tenute segrete, per periodi più o meno lunghi, finché la popolazione non sia pronta per riceverle. La ricerca quindi è libera, mentre la divulgazione dei risultati e delle tecnologie è soggetta a controllo ➝ 22 . La Casa di Salomone ospita decine di laboratori, dove si sviluppano ricerche descritte minuziosamente da Bacone, molte delle quali appaiono straordinariamente attuali. Ci sono stanze dove l’aria è condizionata in vario modo per sperimentarne gli effetti sulla salute; c’è la produzione di piante modificate mediante «innesti e inoculazioni», per ricavarne piante inesistenti in natura e per trasformare una pianta in un’altra; ci sono laboratori per «colorare la luce» e per produrre «ogni sorta di inganni e illusioni ottiche nelle figure, grandezze, movimenti e colori e a proiettare ogni genere di ombre». Il fine della ricerca è «la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo», quindi, come si diceva, un fine pratico, secondo il quale la conoscenza deve in primo luogo essere utile, deve migliorare la vita e non soltanto ampliare gli orizzonti del sapere. Per l’importanza data alla tecnologia e alla ricaduta pratica delle conoscenze, la filosofia di Bacone è considerata l’espressione della nuova società borghese e manifatturiera.

GuIda allo sTudIo • Di che cosa parla la Nuova Atlantide? • Qual è l’importanza della tecnologia per Bacone? • Come è organizzata la ricerca nella Nuova Atlantide?

Materiali per l’apprendimento attivo 21. LA PAROLA AI TESTI

Il brano descrive l’organizzazione della Casa di Salomone, il centro della ricerca scientifica e il cuore stesso della Nuova Atlantide. I laboratori e i settori di ricerca qui presentati anticipano in alcuni casi progetti che si realizzeranno in seguito o, addirittura, che si stanno realizzando oggi. La ricerca è in ogni caso finalizzata al miglioramento della qualità della vita umana mediante il dominio della natura.

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Disponiamo anche di alcune stanze che chiamiamo camere di salute dove condizioniamo l’aria per renderla salubre e adatta alla cura di varie malattie e alla conservazione della salute. [...] Abbiamo costruito poi grandi frutteti e giardini dalle diverse colture, nei quali non guardiamo tanto alla bellezza quanto alla varietà del terreno e alla sua idoneità alla coltivazione di piante ed erbe diverse [...]. In questi stessi frutteti e giardini facciamo nascere artificialmente piante e fiori più presto o più tardi della stagione in cui esse nascerebbero naturalmente e li facciamo fiorire e fruttificare più rapidamente del normale. Siamo in grado anche di ottenere piante molto più grandi delle normali, e i frutti di queste piante sono più grandi, più dolci e differenti di gusto, profumo, colore e forma dagli altri della specie originaria. E molti di questi frutti così trattati acquistano virtù medicinali. Conosciamo anche dei sistemi per far nascere, mediante combinazioni di terreni, varie piante senza semi, per produrre nuove specie di piante diverse dalle comuni e infine per trasformare una pianta in un’altra. Disponiamo anche di parchi e di recinti per animali e uccelli di ogni tipo, i quali ci servono non tanto come spettacolo curioso, quanto per esperimenti di dissezione, mediante i quali gettiamo luce sugli studi intorno al corpo umano. In questo campo abbiamo raggiunto straordinari risultati, come la continuazione della vita quando diversi organi, che voi considerate vitali, sono morti e asportati, la resurrezione di corpi che all’apparenza sembrano morti e così via. (F. Bacone, La Nuova Atlantide, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, pp. 857-58)

22. CoMpetenze > Filosofia e cittadinanza

teCnoLoGia, etiCa e diritti dei Cittadini Il problema sollevato da Bacone è di stretta attualità: la ricerca scientifica deve essere completamente libera o alcuni ambiti eticamente sensibili devono essere regolamentati dallo stato? La risposta a tale quesito è ancora oggi sul tavolo, per così dire: la proposta di Bacone (libertà assoluta per la ricerca ma controllo sulla divulgazione dei risultati e sulle applicazioni concrete) non è l’unica possibile. Ad esempio, oggi è vietata anche la ricerca, con correlata sperimentazione, sulla clonazione umana, o sulla produzione di esseri subumani in provetta, come a volte si ipotizza, per adibirli a lavori pericolosi o degradanti. Molti di questi problemi sono affrontati da una branca specifica, che interessa la filosofia e la biologia, la bioetica. Essa si occupa di tutte le applicazioni della scienza che hanno a che fare con la vita: la fecondazione assistita e la fecondazione in vitro nelle sue varie forme; la manipolazione genetica, a fini sia terapeutici (correzione di difetti genetici) sia di produzione di miglioramenti nella specie (eugenetica); l’eutanasia (“buona morte”), cioè la possibilità di scegliere di morire se in condizioni particolari di malattia o di sofferenza; il cambiamento di sesso e così via. alcune di queste tecniche sono permesse quasi ovunque, altre sono proibite in assoluto (clonazione umana), altre sono permesse in alcuni paesi e proibite in altri. Fai una ricerca in Internet per sapere dove sono permesse quelle ricordate sopra.

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T7 Bacone La Casa di Salomone

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• Sintesi • Mappa

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Galilei: la nascita della scienza moderna

Vicenda scientifica e biografica Galilei è considerato il padre della scienza moderna. La sua vicenda biografica fa capire come il nuovo sapere si sia scontrato con la società tradizionale e con la Chiesa cattolica, rappresentando una rivoluzione non soltanto sul piano scientifico, ma anche per una nuova visione del mondo e per la centralità della ragione umana. Galilei ➝ 23 ➝ 24 , più ancora di Bacone, è considerato il padre della scienza moderna, soprattutto perché a lui è attribuibile, come vedremo, il metodo sperimentale, caratterizzato dalla quantificazione dei dati, dalla verifica delle ipotesi e dalla formulazione di leggi anch’esse espresse in termini matematici, mediante equazioni. La vicenda scientifica di Galilei si intreccia strettamente con quella politica e culturale e mostra come il nuovo sapere sia anche un nuovo modo di intendere la società e l’autorità, caratterizzandosi non soltanto per le nuove conoscenze, ma per una nuova mentalità che ritiene centrale la ragione umana e non più il principio di autorità o la fede, portando così a compimento gli ideali umanistici. Con la fede Galilei ha un rapporto molto stretto: è profondamente cattolico e amico personale di cardinali, ma rifiuta il condizionamento della ricerca scientifica da parte della religione. Nato a Pisa nel 1564, Galileo Galilei studia a Firenze, insegna per alcuni anni a Pisa per trasferirsi infine, nel 1592, a Padova, presso la cui università insegna matematica. In questa città si dedica allo studio dell’astronomia, usando il cannocchiale, dando conto delle proprie osservazioni nel Sidereus Nuncius, pubblicato nel 1610. Nello stesso anno si trasferisce a Firenze, chiamatovi da Cosimo II de’ Medici come matematico di corte. Nel 1616 la Chiesa condanna la teoria copernicana, ammonendo lo stesso Galilei a non seguirla. Lo scienziato prosegue le proprie ricerche di fisica, pubblicate nel Saggiatore, e quelle astronomiche, che riguardano anche lo studio del moto per giustificare i moti della Terra previsti da Copernico. Nel 1632 pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui sostiene apertamente le tesi copernicane. Viene denunciato al Santo Uffizio, sottoposto a processo, condannato e deve rinnegare le sue convinzioni scientifiche mediante un’abiura formale e pubblica. Ha salva la vita ma è costretto all’isolamento nella propria villa di Arcetri, presso Firenze, con il divieto di fare ricerche e di pubblicare. Riesce a far avere alle stampe i manoscritti che costituiranno l’ultima sua opera, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, pubblicata nel 1638 in Olanda.

Materiali per l’apprendimento attivo 23. APPROFONDIMENTI > Filosofia e cinema

24. ATTIVITÀ >

Rielaborazione

DUE FILM A CONFRONTO Se puoi, procurati i due film e guardali. In alternativa, cerca altre informazioni in Internet, poi svolgi la seguente attività: • I due film sono molto diversi: il primo è più attento al contrasto ragione-fede e alla repressione religiosa; il secondo mette in rilievo gli aspetti sociali e le conseguenze rivoluzionarie, anche sul piano politico, della nuova scienza, soprattutto per il superamento del principio di autorità. Traccia un confronto articolato tra i due film.

3 G a L IL E I: L a N aS C ITa D E L L a S C IE N z a M o D E RN a

Film

DUE FILM SU GALILEI La vita di Galilei è per più versi esemplare, perché è segnata dal contrasto tra la libertà di pensiero, che diventerà uno dei diritti fondamentali del mondo moderno, e l’ultimo periodo della Controriforma e della repressione violenta di ogni cambiamento. Parallelamente, offre materia di riflessione sul contrasto tra la passione per la conoscenza, da un lato, e il timore delle conseguenze sociali che spesso colpiscono le idee innovative, dall’altro. Per questa ricchezza di motivi, la vita di Galilei è diventata oggetto di rappresentazioni teatrali e di film. vediamo brevemente i due film più noti, uno dei quali tratto da un lavoro teatrale di Bertolt Brecht (1898-1956). Il primo è Galileo Galilei di Liliana Cavani (1968). Il film si sofferma sulla vita di Galilei fino all’abiura del 1633, concentrandosi in particolare sulle diverse fasi del processo, considerato sia dal punto di vista psicologico, con il dramma vissuto da Galilei, cattolico fervente ma anche scienziato convinto delle proprie idee, sia dal punto di vista storico, con la descrizione dell’operato dell’Inquisizione e del clima oscurantista che si viveva nell’Italia dell’epoca. Nella vicenda di Galilei, sempre al centro del racconto, si rivela in tutte le sue sfumature il contrasto tra scienza e fede e ancor di più tra l’esigenza del cambiamento e la repressione. Nel dramma di Brecht, prima opera teatrale con il titolo di Vita di Galileo (193839), poi film per la regia di Joseph Losey (Galileo, 1975), si pone l’accento soprattutto sugli aspetti sociali. Si sottolinea la portata innovativa del nuovo sapere, che non sconvolge soltanto la conoscenza, ma gli stessi rapporti sociali, perché al principio di autorità corrisponde il dominio dell’aristocrazia e al nuovo sapere una democratizzazione della società, o almeno una messa in discussione delle antiche ingiustizie. al tempo stesso la figura di Galilei viene descritta in termini meno eroici: è timoroso del dolore e della tortura, delude i suoi allievi accettando l’abiura. Sembra uscire sconfitto sul piano morale, ma in realtà il suo allievo più intransigente, andrea, quello maggiormente deluso dall’abiura, che avrebbe voluto la difesa delle proprie idee e il martirio, capisce che Galilei non ha ceduto per paura, ma per poter continuare le proprie ricerche. Il film si conclude, infatti, con Galilei che affida ad andrea, di passaggio ad arcetri prima di recarsi in olanda, il manoscritto della sua ultima opera, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, scritto di nascosto e che verrà pubblicato a Leida nel 1638.

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2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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La ragione, la scienza e la fede La Bibbia non rivela verità scientifiche, ma morali. Le verità scientifiche vanno trovate nel grande libro della natura, mediante la ragione. va rifiutato il principio di autorità. La condanna del copernicanesimo e di Galilei da parte della Chiesa è motivata dal fatto che le tesi principali, cioè l’immobilità del Sole al centro del mondo e la Terra in moto intorno ad esso, sono considerate contrarie alle Sacre Scritture e dunque eretiche. Galilei ha un profondo rispetto per le Sacre Scritture, ma ritiene che in esse Dio parlasse per essere compreso dalla gente dell’epoca, che credeva ovviamente alla immobilità della Terra. Nella Bibbia, a suo parere, non dobbiamo cercare verità scientifiche, ma teologiche e morali, mentre quelle scientifiche devono essere lette non nei libri della Bibbia, ma nel grande libro della natura ➝ 25 . Anche la ragione è data all’uomo da Dio e quindi, se bene usata, deve condurci alla verità. Ma mentre le Scritture hanno dovuto adattarsi al periodo in cui sono state scritte, la ragione segue il suo corso, condizionata soltanto dai dati dell’esperienza. Quindi, quando ragione e Scritture sono in contrasto, è alla prima che bisogna affidarsi per comprendere il disegno di Dio ➝ 26 . È il caso, appunto, dell’immobilità della Terra oppure della sua centralità o meno nell’universo. Scienza e fede devono essere separate, ognuna ha il proprio campo di applicazione all’interno del quale si muove seguendo i propri princìpi. Tra questi, per la scienza le spiegazioni di ciò che accade vanno ricondotte a cause efficienti. Galilei rifiuta il teleologismo, cioè le cause finali, e soprattutto la possibilità di ricorrere ad esse per le spiegazioni scientifiche. Non si può spiegare l’universo in funzione dell’utilità per l’uomo dei diversi corpi celesti, tanto da arrivare, come fanno alcuni aristotelici, a negare l’esistenza della moltitudine di stelle che si rivelavano essere le galassie, all’osservazione con il telescopio, perché esse non sarebbero di alcuna utilità per l’uomo. Le argomentazioni contro l’autorità delle Scritture in ambito scientifico, valgono a maggior ragione nei confronti dell’autorità dei filosofi del passato, in particolare di Aristotele. Galilei rifiuta il principio di autorità, anch’esso legato inevitabilmente alle conoscenze e alle convinzioni dell’epoca in cui i filosofi hanno scritto. Se Aristotele fosse vivo oggi, e potesse conoscere quello che noi conosciamo, sicuramente sarebbe d’accordo con le nuove teorie, rifiutando egli stesso quelle formulate due millenni prima.

◀ Canocchiale e lente di Galileo Galilei, xvi-xvii secolo (Firenze, Museo Galileo, Museo della Scienza).

GuIda allo sTudIo • Perché Galilei è condannato dalla Chiesa? • Perché il copernicanesimo è condannato

dalla Chiesa solo nel 1616?

• Che cosa pensa Galilei delle Sacre Scritture?

La Bibbia contiene verità scientifiche rivelate da Dio?

Materiali per l’apprendimento attivo

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25. LA PAROLA AI TESTI

Lotario Sarsi è lo pseudonimo con il quale il gesuita Orazio Grassi pubblica un saggio sulle comete, in polemica con Galilei, che riprende il nome dell’autore ben sapendo chi si celi dietro di esso. In realtà, Galilei è dalla parte del torto, sostenendo che le comete sono aberrazioni dovute ai raggi del Sole, mentre Grassi sostiene trattarsi di corpi celesti. Ma quello che importa è il metodo: Grassi ricorre ad argomentazioni generiche che si appoggiano anche all’autorità degli antichi. Egli ha intitolato il proprio saggio Libra astronomica ac philosophica, dove la libra è la stadera, la bilancia dei commercianti. Ad esso Galilei risponde con Il Saggiatore, che è il bilancino di precisione degli orafi, per sottolineare la natura matematica del metodo scientifico, caratterizzato dalla quantificazione accurata.

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Parmi, oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza, che nel filosofare sia necessario appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda; e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando furioso, libri ne’ quali la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. (G. Galilei, Il Saggiatore, Feltrinelli, Milano 1965, p. 38)

26. La paroLa ai testi

T9 Galilei La sensata esperienza e le necessarie dimostrazioni Dio ha dato all’uomo due fonti di conoscenza, le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni, i sensi e la ragione. Ce li ha dati proprio perché possiamo conoscere la natura, mentre la parola delle Scritture doveva di necessità riflettere le conoscenze dei popoli cui era rivolta, per comunicare loro insegnamenti morali.

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Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella doverebbe essere riserbata all’ultimo luogo: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come oservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all’intendimento universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all’incontro, essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d’operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura ch’avesser nelle parole diverso sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi com’ogni effetto di natura. (G. Galilei, Lettera a don Benedetto Castelli, Firenze, 21 dicembre 1613, in Opere, a cura di F. Brunetti, Utet, Torino 1964, vol. I, p. 527)

3 G A L IL E I: L A n AS C ITA D E L L A S C IE n z A M O D E Rn A

T8 Galilei Il libro della natura

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

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Le osservazioni astronomiche e la nuova visione del cosmo Convinto sostenitore della teoria copernicana, Galilei osserva mediante il cannocchiale fenomeni celesti che la confermano: le fasi di Venere, le asperità della Luna, i satelliti di Giove ecc. Ne emerge un universo molto diverso da quello aristotelico-tolemaico. Le osservazioni che avrebbero sicuramente fatto cambiare parere ad Aristotele sono quelle con il cannocchiale, alla base della nuova visione del cosmo che emerge dalle opere di Galilei. Nel Sidereus Nuncius Galilei riporta osservazioni rivoluzionarie, documentate da molti disegni di ciò che andava osservando con il cannocchiale (strumento che non aveva inventato, ma aveva perfezionato, trasformandolo in un telescopio). Egli osserva prima di tutto un universo molto più vasto di quanto si potesse immaginare in precedenza, popolato da migliaia e migliaia di stelle che, per di più, non mostravano fenomeni apprezzabili di parallasse ➝ 27 e che quindi dovevano essere lontanissime, molto più di quanto il sistema aristotelico-tolemaico lasciasse supporre. Galilei studia poi a lungo la superficie della Luna, seguendo per molte ore le ombre che si disegnano al confine tra la zona illuminata e quella buia. Sono frastagliate, come disegnate dalla cresta di montagne progressivamente illuminate dal Sole ➝ 28. La Luna, quindi, non è un corpo perfetto e incorruttibile, ma simile alla Terra. Inoltre, Galilei osserva e documenta le fasi di Venere, simili a quelle della Luna, incompatibili con l’ipotesi geocentrica ma spiegabili nella prospettiva eliocentrica. Infine, egli osserva e descrive quattro satelliti di Giove, riportandone le posizioni notte dopo notte, dimostrando in questo modo che ruotano intorno al pianeta come un Sistema solare in miniatura. Anche questi satelliti sono incompatibili con il sistema delle sfere cristalline e costituiscono un’ulteriore prova a favore del sistema copernicano, anzi di un sistema eliocentrico più sofisticato rispetto a quello di Copernico, senza sfere cristalline, appunto. Tuttavia Galilei conserva le orbite circolari, nonostante le teorie di Keplero. Galilei lo stima e ne conosce bene le teorie; ha intrattenuto con lui una corrispondenza e anche una polemica a distanza sulla spiegazione delle maree. Galilei mette dunque in discussione, con le proprie osservazioni astronomiche, alcuni dei capisaldi dell’universo aristotelico-tolemaico: • le dimensioni limitate, anche se non giunge ancora, come farà più tardi Newton, ad affermarne l’infinità; • il dualismo, dato che la Luna mostra la stessa natura della Terra, e di conseguenza l’inalterabilità dei corpi celesti. Galilei afferma anzi che se fossero davvero globi immutabili come diamanti, sarebbero di gran lunga inferiori alla Terra, che ospita tante forme di vita; • l’esistenza delle sfere cristalline, attraverso la scoperta dei satelliti di Giove; • il geocentrismo, attraverso l’osservazione delle fasi di Venere; • più tardi dimostrerà, mediante l’osservazione delle macchie solari, che anche il Sole, considerato dallo stesso Keplero come qualcosa di speciale, come signore dell’universo, è un corpo come gli altri, soggetto al cambiamento. Molte di queste scoperte erano già acquisite, dall’eliocentrismo di Copernico alla negazione delle sfere cristalline da parte di Brahe. La novità di Galilei, però, è di aver dato a queste affermazioni una base osservativa, quindi reale: non un’ipotesi per semplificare i calcoli, come era stata presentata la teoria copernicana, ma la descrizione vera del mondo. Molto probabilmente il processo a Copernico, con la conseguente condanna, viene celebrato nel 1616 e non nel 1543 perché si intendevano condannare indirettamente le ricerche di Galilei, che aveva dato a quelle teorie astratte una base osservativa e sperimentale.

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27. PER CAPIRE MEGLIO

28. APPROFONDIMENTI > Filosofia per immagini

LE OSSERVAZIONI DI GALILEI pur essendo considerato il prototipo dello scienziato moderno, Galilei è uomo dai molteplici interessi e di una poliedricità tipica del Rinascimento. È un buon osservatore e un buon disegnatore, oltre che musicista, competenze di cui si avvale nella ricerca scientifica. La presenza evidente di rugosità, depressioni e montagne riportate nei disegni che Galilei esegue dall’osservazione diretta della Luna tramite il telescopio dimostravano per via sperimentale che l’astro non godeva affatto della geometrica perfezione strutturale attribuitagli dall’astronomia tolemaica (1). Le immagini mostrano l’evoluzione delle fasi di venere: si tratta di un’osservazione fondamentale, perché la loro presenza era incompatibile con il geocentrismo e confermava la centralità del Sole nel sistema solare (2).

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◀ Immagini da Siderus Nuncius, 1610.

GuIda allo sTudIo • Perché le osservazioni galileiane con il cannocchiale sono importanti? • Che cosa dimostrano le osservazioni della Luna? E quelle relative alle fasi di Venere? • Che cosa dimostra lo studio delle macchie solari?

3 G a L IL E I: L a N aS C ITa D E L L a S C IE N z a M o D E RN a

LA PARALLASSE La parallasse è lo spostamento apparente di un oggetto quando si cambia il punto di osservazione. È tanto maggiore quanto più l’oggetto è vicino all’osservatore. Misurando la posizione di una stella da due luoghi distanti, possiamo calcolare la sua distanza. La posizione viene misurata mediante l’angolo che si forma tra lo strumento di osservazione e la stella, con un punto di riferimento intermedio. In realtà, data la distanza delle stelle, la parallasse si misura non da luoghi diversi sulla superficie, ma da punti diversi dell’orbita di rivoluzione della Terra, cioè misurando la posizione angolare della stella (punto di riferimento) in periodi diversi dell’anno, a sei mesi di distanza l’uno dall’altro. per far ciò, occorre conoscere il diametro dell’orbita terrestre intorno al Sole. ai tempi di Galilei, la parallasse poteva essere misurata solo per stelle vicine, da luoghi distanti sulla superficie terrestre, e risultava significativa soltanto per distanze non troppo elevate. Il fatto che l’angolo relativo fosse nullo indicava che la stella era molto lontana dalla Terra.

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L’astronomia e la fisica La teoria copernicana richiede che la Terra si muova intorno al Sole e intorno al proprio asse, ma questi movimenti non vengono percepiti. Mediante una serie di esperimenti mentali, Galilei ridefinisce il concetto di moto: se per aristotele il moto richiede un motore in atto, per Galilei, una volta impresso in un corpo, il moto si conserva se non intervengono cause contrarie. per questo, il movimento al suolo è proprio anche di tutti i corpi con essa solidali, per cui il moto relativo di un corpo verso la terra prescinde da questo moto comune. ne risulta la relatività galileiana: all’interno di un sistema, non è possibile impiantare esperimenti per dimostrare se il sistema stesso si muove di moto uniforme oppure è immobile. La teoria copernicana, anche nella versione galileiana senza sfere, solleva però una serie di problemi che non riguardano i cieli, ma le conseguenze sulla Terra, soprattutto per il moto di rotazione. Secondo gli oppositori, se si compisse, tale moto dovrebbe produrre una serie di fenomeni che in realtà non si verificano, confermando quindi l’immobilità della Terra. Buona parte del Dialogo sopra i due massimi sistemi ➝ 29, e in particolare l’intera Giornata seconda, è dedicato alla soluzione di questi problemi. Da qui, emergeranno i tratti principali della nuova meccanica galileiana, che confuterà quella aristotelica, fino ad allora dominante, affermando tra le altre cose la cosiddetta «relatività galileiana» e la legge di inerzia. Vediamo in dettaglio i diversi passaggi. A causa del moto della Terra verso est, una palla di cannone sparata verso est dovrebbe percorrere un tratto minore rispetto a una palla lanciata con la stessa forza verso ovest. Infatti, mentre la palla è in aria il cannone si sposta verso est, inseguendo così la prima palla e riducendo lo spazio intermedio, allontanandosi invece dalla seconda, che quindi percorrerebbe uno spazio maggiore. Ancora, lanciando un peso dall’alto di una torre, esso non dovrebbe cadere in modo perpendicolare ad essa, ma con una traiettoria spostata verso ovest, perché mentre è in aria la Terra ruota verso est e con essa la torre. Galilei confuta uno per uno questi argomenti, mediante una serie di esperimenti mentali, cioè fatti con il solo ragionamento, senza ricorrere a esperienze concrete. Per l’obiezione del cannone, ricorre all’esperimento della carrozza: immaginiamo di trovarci su una carrozza e con due arcieri che lanciano una freccia nelle direzioni opposte, una nel senso del moto della carrozza e l’altra in direzione contraria. Fermiamo la carrozza nel momento esatto in cui le due frecce toccano terra. Quale sarà più lontana dalla carrozza? Intuitivamente potremmo rispondere: quella lanciata verso il retro, perché la carrozza si sarà allontanata. In realtà cadono alla stessa distanza, perché quando partono hanno la velocità della carrozza: questa velocità si somma al moto per quella lanciata in avanti, si sottrae per quella lanciata indietro ➝ 30. Un ragionamento simile vale per il grave lasciato cadere dall’alto di una torre, già affrontato e risolto da Giordano Bruno, al quale però Galilei non fa riferimento. Immaginiamo di lasciar cadere una palla da cannone dalla torretta di una nave che sta procedendo con moto costante, veloce quanto si voglia. Quando è sulla torretta, la palla ha la stessa velocità della nave. Se la lascio andare, conserva tale velocità, continuando a spostarsi come la nave e cadendo esattamente ai piedi dell’albero maestro. Se la Terra fosse in moto, quindi, non si produrrebbe nessun effetto diverso da quello che accadrebbe se fosse ferma. ◀ Frontespizio dell’opera Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo Galilei, edizione G.B. Landini, Firenze 1632 (Milano, Biblioteca Nazionale Braidense).

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29. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

30. PER CAPIRE MEGLIO

L’ESPERIMENTO MENTALE DELLA CARROZZA Rappresentiamo graficamente il ragionamento di Galilei. Siano C la carrozza nella posizione iniziale, C1 la stessa carrozza nella posizione finale, a la freccia scagliata in avanti, B quella scagliata indietro. Sia v = 20 la velocità della carrozza. Sia v=10 la velocità delle frecce, in ragione della forza impressa loro dall’arciere. Nel caso della freccia lanciata nella stessa direzione in cui procede la carrozza, la velocità della freccia si somma a quella della carrozza, dunque va = 20 + 10 = 30. Nel caso della freccia lanciata indietro, in direzione opposta al moto della carrozza, la velocità della freccia si sottrae da quella della carrozza, dunque vB = 20 - 10 = 10. pertanto, dopo un’unità di tempo la carrozza si sarà spostata di uno spazio pari a 20, dal punto C al punto C1. Nello stesso tempo, la freccia a si troverà nel punto a1, cadendo a una distanza di 30 dalla partenza, mentre la freccia B nel punto B1, cadendo a una distanza di 10 dalla partenza. Ciascuna freccia scagliata con la stessa forza cade dunque alla stessa distanza dalla carrozza (= 10), indipendentemente dal moto di quest’ultima. Lo stesso vale per il moto delle palle di cannone rispetto alla superficie della Terra.

B a c

B1

c1

a1

0

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20

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IL dialogo Sopra i due maSSimi SiStemi Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano è probabilmente il libro più conosciuto di Galilei. nel dialogo vi sono tre personaggi: Salviati, che difende le teorie copernicane, l’alter ego di Galilei; Simplicio, aristotelico e difensore del sistema aristotelico-tolemaico; Sagredo, che funge da arbitro, anche se è un po’ di parte, simpatizzando per le tesi di Salviati, giudicate più convincenti. L’opera è divisa in quattro giornate. nella prima si parla della nuova astronomia mettendola a confronto con la vecchia. Con questo tema si intreccia indissolubilmente quello del rapporto tra fede e ragione. Galilei contesta tutti i principali aspetti della vecchia concezione del cosmo, negando il finalismo, la centralità dell’uomo e la pretesa superiorità dei Cieli in quanto incorruttibili. Se essi fossero privi di cambiamento, anche se bellissimi, sarebbero infatti inferiori alla Terra, che produce erbe, frutti, animali, insomma la vita con tutta la sua ricchezza e la sua bellezza. Nella seconda giornata, Salviati dimostra che l’eventuale moto rotatorio della Terra non produrrebbe gli effetti ipotizzati dagli aristotelici, stabilendo princìpi fondamentali come la relatività galileiana e il principio di inerzia. Nella terza giornata si torna a parlare dell’universo, sostenendone la vastità e i cambiamenti che in esso si verificano. viene esposto il sistema copernicano, soffermandosi anche sul moto di rivoluzione della Terra. La quarta giornata, infine, è dedicata interamente alle maree, secondo Galilei provocate dal moto di rotazione della Terra, anzi una delle prove di tale moto. Cita e contesta la teoria di Keplero, secondo cui le maree sono invece prodotte dall’attrazione lunare.

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La nuova concezione del moto e la relatività galileiana Il problema di fondo è la concezione del moto di Aristotele. Secondo Aristotele, ogni moto richiede un motore in atto, per cui quando cessa l’impulso del motore, anche il moto cessa immediatamente. Galilei dimostra, con gli esperimenti menzionati, che il moto si conserva, una volta impresso, e che occorre spiegare unicamente l’accelerazione o la decelerazione, non il moto costante. Inoltre, tutti gli oggetti all’interno del sistema sono solidali con esso e quindi indifferenti al suo moto, se uniforme. Egli afferma così il principio che verrà detto «relatività galileiana», secondo cui dall’interno di un sistema privo di riferimenti esterni, non siamo in grado di stabilire se il sistema è fermo o in moto rettilineo uniforme. Anche in questo caso Galilei propone un esperimento mentale, il «gran naviglio»: se siamo nella stiva di una nave, tutti i moti che possiamo osservare, dal lancio di una palla a un salto in qualsiasi direzione e così via, avvengono nello stesso modo sia se la nave sia ferma sia se proceda con moto uniforme ➝ 31 . La funzione degli esperimenti mentali è legata alla razionalità della natura: se comprendiamo la causa di un fenomeno, possiamo essere sicuri di poter produrre o spiegare l’effetto anche senza esperimenti. «Intendi ragione e non ti bisogna esperienza», scriveva Leonardo da Vinci. Galilei è su questa stessa linea, per quanta importanza dia all’esperienza.

Gli esperimenti con i piani inclinati e il principio di inerzia Dal principio della conservazione del moto, Galilei ricava la dimostrazione del principio di inerzia, mediante esperimenti su piani inclinati completati però dal ragionamento e dallo sviluppo delle formule matematiche che li descrivono. Ovviamente Galilei non fa soltanto esperimenti mentali. Tra i più conosciuti vi sono quelli con i piani inclinati per studiare l’accelerazione. Anche in questi casi, però, egli ricorre a esperimenti mentali seppur per un altro motivo: se infatti l’esperimento mentale serve, nell’esempio della nave, per semplificare le cose, perché si sarebbe potuto fare davvero quell’esperimento, in questi casi l’esperimento mentale è indispensabile per «difalcare l’esperienza dagli impedimenti della materia», ipotizzando condizioni che non potrebbero essere riprodotte in concreto. Nei piani inclinati una sfera che scende aumenta la propria accelerazione, una che sale la vede diminuire. Che cosa succederebbe in un piano non inclinato? Se la sfera vi arrivasse con una certa velocità, mancando cause di accelerazione e di decelerazione, dovrebbe conservare il proprio moto indefinitamente. Ciò in realtà non avviene, perché di fatto non si può eliminare completamente l’attrito dell’aria e del piano. Se si potesse farlo, allora si avrebbe un moto senza fine. Galilei quindi, facendo ricorso sia a esperimenti mentali sia a esperimenti reali, giunge a determinare il principio di inerzia, anche se non usa questa espressione: un corpo prosegue nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, finché non interviene qualche causa per modificarlo, come verrà formalizzato più tardi da Newton. Ad esso, Galilei giunge anche in un altro modo. Negli esperimenti sui piani inclinati, ci sono delle variabili che vanno quantificate, trasformandole in grandezze, in numeri: l’inclinazione del piano, il tempo, il peso delle sfere e, appunto, l’attrito dell’aria e del piano stesso. Le ultime due non sono parte del rapporto tra velocità e tempo che definisce l’accelerazione (che è appunto la variazione della velocità rispetto al tempo). Andrebbero quindi eliminate. Galilei cerca di ridurle levigando quanto più possibile il piano e le sfere, ma non può azzerarle in concreto. Lo può fare però nei calcoli, ponendo pari a zero le loro grandezze.

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31. LA PAROLA AI TESTI

L’esperimento mentale del «gran navilio» illustra in modo chiaro il principio della cosiddetta «relatività galileiana», in base alla quale non è possibile, mediante esperimenti fatti all’interno di un sistema, stabilire se quel sistema è immobile o in movimento, purché ovviamente il moto sia uniforme.

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Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all’amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentamente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima, né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con piú forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l’opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con piú fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell’orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d’incenso si farà un poco di fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non piú verso questa che quella parte. (G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata seconda, Einaudi, Torino 1970, pp. 227-28; consultabile in www.liberliber.it)

Guida alla lettura. Con questo esperimento e con il principio ricordato, Galilei sottrae ai sostenitori del geocentrismo gran parte dei loro argomenti. Il sistema copernicano richiedeva infatti il moto della Terra e gli oppositori obiettavano che esso avrebbe comportato una serie di fenomeni che non si verificavano: un grave lasciato cadere da una torre sarebbe caduto spostato verso occidente (la goccia che cade nel vaso), gli uccelli avrebbero volato con difficoltà verso oriente (le farfalle e gli altri insetti), i proiettili di due cannoni di uguale potenza che sparassero in direzioni opposte lungo un parallelo percorrerebbero distanze molto diverse (la cosa gettata all’amico nel senso del moto della nave o in direzione contraria), e così via. La stiva simula la Terra e con questo esperimento Galilei dimostra che tali effetti non si verificano in nessun caso.

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T10 Galilei Il gran naviglio

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Il metodo di ricerca di Galilei si fonda su esperimenti controllati tramite la tecnologia e misurati e quantificati con strumenti matematici. Abbiamo quindi individuato gli aspetti fondamentali del metodo di ricerca galileiano: esperimenti costruiti con un apparato tecnologico per controllare le variabili in gioco e la matematica usata sia per quantificarli, sia per mostrarne il comportamento mediante il calcolo. Questi esperimenti e le equazioni che li esprimono portano a un’altra tesi apparentemente sorprendente, ma che deriva appunto da calcoli e da ragionamenti. Se l’accelerazione dipende dal rapporto tra velocità e tempo, allora, come abbiamo detto, l’attrito dell’aria non conta. Se le cose stanno così, però, se due corpi cadessero nel vuoto, avrebbero la stessa accelerazione indipendentemente dal peso, a differenza di quanto sosteneva Aristotele. In altri termini, una piuma e un blocco di marmo lasciati cadere contemporaneamente da una torre, toccherebbero terra nello stesso momento. Anche in questo caso non è possibile riprodurre le condizioni fisiche, ma possiamo usare un esperimento mentale. Supponiamo di lasciar cadere da una torre due blocchi di marmo uguali, di forma cubica. Essi cadranno con la stessa accelerazione, e toccheranno il suolo con una certa velocità. Immaginiamo adesso che, durante la caduta, i due blocchi vengano a contatto e si uniscano. Che cosa succederebbe? Nel momento in cui si uniscono raddoppierebbe l’accelerazione? Evidentemente no, continuerebbero a cadere con la stessa accelerazione e toccherebbero il suolo, uniti, con la stessa velocità che avevano quando erano separati. Eppure il loro peso è raddoppiato. Quindi, accelerazione e velocità finale sono indipendenti dal peso. Anche in questo caso, il ragionamento permette di superare i limiti dell’esperienza per giungere a conclusioni certe.

GuIda allo sTudIo • Perché Galilei ricorre spesso a «esperimenti

mentali»? Qual è la loro funzione? • Quali erano le principali obiezioni contro il moto di rotazione della Terra? • Perché la concezione galileiana del moto risolve le obiezioni contro il moto di rotazione? Quali esperimenti propone?

• Che cosa si intende per «relatività

galileiana»? • Come perviene Galilei alla definizione del

principio d’inerzia?

Il metodo sperimentale: sensate esperienze e certe dimostrazioni il metodo sperimentale è induttivo, ma rispetto a quello teorizzato da Bacone vede la centralità della matematica, sia nella quantificazione dei dati e nella costruzione degli esperimenti, sia nell’espressione delle leggi naturali sotto forma di equazioni. Nei paragrafi precedenti abbiamo considerato diversi aspetti del metodo galileiano. Sembra opportuno quindi raccoglierli in modo organico per comprendere meglio le caratteristiche e l’importanza del nuovo metodo, articolato, come scrive Galilei, in «sensate esperienze e necessarie dimostrazioni» e che possiamo definire sperimentale ➝ 32 ➝ 33 . Possiamo riassumerlo in pochi passaggi, ognuno dei quali richiede però un approfondimento: 1. esperienza come momento iniziale («sensate esperienze»), tradotta in dati quantitativi; 2. prime ipotesi; 3. costruzione di esperimenti che consentano di misurare il cambiamento quantitativo delle variabili studiate in relazioni alle condizioni via via stabilite;

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32. LA PAROLA AI TESTI

Per Galilei lo stesso Aristotele, a differenza degli aristotelici, basava le proprie ricerche sull’esperienza, cercando poi il modo di dimostrarla, non semplicemente di descriverla. Aristotele usò il metodo deduttivo, che parte dai princìpi generali per derivarne poi la spiegazione dell’esperienza, per esporre ciò che aveva scoperto per via induttiva, partendo cioè dall’esperienza.

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Simplicio. Aristotile fece il principal suo fondamento sul discorso a priori, mostrando la necessità dell’inalterabilità del cielo per i suoi principii naturali, manifesti e chiari; e la medesima stabilì doppo a posteriori, per il senso e per le tradizioni degli antichi. Salviati. Cotesto, che voi dite, è il metodo col quale egli ha scritta la sua dottrina, ma non credo già che e’ sia quello col quale egli la investigò, perché io tengo per fermo ch’e’ proccurasse prima, per via de’ sensi, dell’esperienze e delle osservazioni, di assicurarsi quanto fusse possibile della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezi da poterla dimostrare, perché così si fa per lo più nelle scienze dimostrative; e questo avviene perché, quando la conclusione è vera, servendosi del metodo resolutivo, agevolmente si incontra qualche proposizione già dimostrata, o si arriva a qualche principio per sé noto; ma se la conclusione sia falsa, si può procedere in infinito senza incontrar mai verità alcuna conosciuta, se già altri non incontrasse alcun impossibile o assurdo manifesto. (G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata prima, Einaudi, Torino 1970, p. 63; consultabile in www.liberliber.it)

33. CoMpetenze > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

Metodo speriMentaLe Gli esperimenti sono esperienze costruite in base a ipotesi o teorie, per mettere a confronto le teorie stesse con l’esperienza. Bacone parla di esperimenti in un senso molto ampio, facendo rientrare in questa categoria anche le trasformazioni naturali, come la fermentazione del vino o la trasformazione del latte in formaggio. Il metodo sperimentale in senso proprio viene elaborato però da Galilei. Esso presuppone infatti la quantificazione dell’esperienza, che Bacone non prende in considerazione, e la riduzione delle ipotesi a rapporti numerici tra variabili. Date queste premesse, è possibile organizzare esperienze (che sono costruite dallo scienziato) in modo che varino soltanto i fenomeni sui cui rapporti sono state formulate ipotesi. Ad esempio, Galilei ipotizza una relazione tra tempo e velocità nella caduta dei gravi. Predispone allora piani inclinati per misurare questa relazione e stabilire se è regolare o meno. I piani e le sfere che vi rotolano sono fatti in modo da neutralizzare le altre variabili coinvolte ma inessenziali: gli uni e le altre sono fatti degli stessi materiali, sono perfettamente levigati per ridurre al minimo l’attrito e così via. Fatto ciò, si predispongono strumenti per poter misurare con esattezza le velocità e i tempi, che sono le variabili da correlare. A questo punto, l’esperimento darà o meno conferma della relazione matematica esistente tra queste variabili. Il ricorso a esperimenti rende importante l’uso della tecnica, per costruire strumenti di osservazione e di misura quanto più precisi possibile. Gli esperimenti introducono nel metodo induttivo della scienza un momento deduttivo: si parte dall’osservazione e si formulano ipotesi generali (induzione), dalle quali si ricavano esperimenti (momento deduttivo) che consentono di confrontare le ipotesi con l’esperienza. 4. rielaborazione dei risultati per arrivare alla formulazione di leggi universali, nella forma di equazioni matematiche, che spieghino le esperienze («certe dimostrazioni»); 5. ulteriori controlli e/o applicazioni delle leggi individuate per nuove tecnologie.

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T11 Galilei Il metodo sperimentale

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In linea di massima, il metodo scientifico è induttivo, come quello teorizzato da Bacone: parte dall’esperienza per arrivare alla formulazione di leggi universali. Galilei introduce però nuovi e importanti passaggi: gli esperimenti intesi in modo diverso rispetto a Bacone e un uso molto centrale della matematica. Gli esperimenti prevedono l’individuazione delle variabili correlate, nell’ipotesi di ricerca, al fenomeno studiato, quantificandole in modo esatto, anche mediante appositi strumenti. Consideriamo ad esempio gli esperimenti sui piani inclinati ➝ 34 . Essi vengono usati per rallentare la caduta dei gravi in modo da poterne misurare la variazione di velocità durante la caduta. I piani sono costruiti con meticolosa precisione, sono levigati accuratamente, così come le sfere che vengono fatte rotolare lungo di essi. Per misurare con esattezza la variazione di velocità, Galilei pone a distanza regolare alcuni campanelli che con il loro suono segnalano l’istante esatto in cui la sfera passa per un punto dato. Per misurare accuratamente i tempi, inventa poi orologi ad acqua, con una precisione al decimo di secondo. Grazie agli esperimenti, si stabilisce un circolo virtuoso tra l’esperienza e la teoria ➝ 35 : l’esperienza suggerisce correlazioni tra variabili, che vengono quantificate e fatte variare in esperimenti successivi, mettendo continuamente alla prova e perfezionando le ipotesi, fino a individuare la correlazione con il fenomeno studiato che consente di formulare la legge vera e propria, cioè l’ipotesi che ha superato tutti i controlli e che spiega il fenomeno, nel nostro caso l’accelerazione. Qui si inserisce l’altro uso fondamentale della matematica, ignorato da Bacone e centrale per la scienza moderna: le ipotesi e le leggi vengono espresse in forma matematica, mediante equazioni. La legge sull’accelerazione dice che la velocità aumenta in funzione del tempo, ma questa ne è solo la traduzione verbale. In realtà la legge sull’accelerazione è un’equazione: a = ΔV/Δt, cioè l’accelerazione è uguale alla variazione della velocità divisa per la variazione del tempo ➝ 36 . La scienza moderna vede in Bacone un importante precursore, ma essa nasce solo con l’applicazione della matematica alla quantificazione delle variabili negli esperimenti, e con l’espressione matematica delle leggi della natura. Cioè con Galilei e Newton.

Possibilità e limiti della conoscenza scientifica La conoscenza scientifica è limitata ai fenomeni quantificabili, ma in questo ambito è perfetta, perché oggettiva. Il metodo sperimentale e matematico di Galilei presenta altre differenze rispetto a quello di Bacone: circoscrive l’ambito della conoscenza possibile, limitandola ai fenomeni quantificabili ➝ 37 , mentre per Bacone tutta la realtà poteva essere studiata e trasformata; al tempo stesso, però, Galilei stabilisce che di ciò che possiamo conoscere abbiamo una conoscenza perfetta, tale che neppure Dio può averla più chiara. Paragonando la conoscenza umana a quella divina, Galilei distingue tra conoscere extensive e intensive. Per estensione, il sapere divino è infinito mentre quello dell’uomo è limitato, ma dal punto di vista intensive, quindi per la qualità della conoscenza negli ambiti limitati, sono identici, perché ciò che può essere conosciuto scientificamente è conosciuto oggettivamente, come è in realtà, e in questo caso non può esserci, potremmo dire, una conoscenza più vera del vero.

Materiali per l’apprendimento attivo

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34. PER CAPIRE MEGLIO

Audiomappa

35. COMPETENZE > Mappa concettuale

Il MeTodo sPerIMenTale dI GalIleI mediante sensate esperienze

IL METODO SPERIMENTALE

quantificazione dei dati

si basa su mediante necessarie dimostrazioni

36. ATTIVITÀ >

che consentono ragionamenti matematici

ipotesi esperimenti

formulazione della legge come rapporto matematico tra variabili

Rielaborazione

riassumi il paragrafo mediante la lettura della mappa concettuale. 37. PER CAPIRE MEGLIO

QUALITÀ SOGGETTIVE E OGGETTIVE Nell’ambito della sensazione, Galilei distingue tra qualità primarie e secondarie. Le prime sono oggettive, poiché appartengono all’oggetto, cioè alle cose; le seconde sono invece soggettive, perché dipendono dai nostri sensi. ad esempio, la dimensione, la forma, il peso e così via sono qualità oggettive; i colori, i sapori, gli odori e così via sono qualità soggettive. Solo le prime possono costituire il fondamento dell’osservazione scientifica, che può muoversi soltanto nell’ambito di ciò che è quantitativo. per chiarire questo concetto, Galilei invita a immaginare la nostra mano che passa ora su una statua di marmo, ora su un corpo vivente. L’azione è la stessa, ma nel corpo vivente, passando in certe aree come le piante dei piedi, provocherà solletico, il quale, però, non è una proprietà oggettiva della mano, ma una proprietà soggettiva che dipende dal corpo toccato e che quindi è diversa da un soggetto all’altro.

GuIda allo sTudIo • Perché il metodo galileiano è definito anche

sperimentale? • perché gli esperimenti di galilei sono diversi da quelli di Bacone? • perché la matematica è importante, nel metodo di galilei?

• Quali sono i limiti della conoscenza

scientifica? • Che differenza c’è tra conoscenza extensive

e conoscenza intensive?

3 G a L IL E I: L a N aS C ITa D E L L a S C IE N z a M o D E RN a

I PIANI INCLINATI DI GALILEI Uno dei piani inclinati di Galilei, conservato presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze. Si notano chiaramente i campanelli fissati da Galilei per poter misurare in modo preciso il passaggio della sfera da determinati punti. I campanelli possono essere facilmente spostati per posizionarli agli intervalli voluti, in modo da misurare gli spazi percorsi nella stessa unità di tempo. In questo modo era possibile misurare l’incremento dello spazio percorso, cioè l’accelerazione.

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• Sintesi

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Newton: una nuova immagine del cosmo e della fisica

La vita e le opere In un’Europa ormai diversa da quella conosciuta da Galilei, Newton spicca tra i più influenti scienziati del suo tempo. Isaac Newton nasce nel 1642, l’anno stesso della morte di Galilei. Quando diventa professore di matematica al Trinity College di Cambridge, all’età di 27 anni, la situazione politica e culturale in Europa è radicalmente cambiata dai tempi di Galilei. La pace di Westfalia, del 1648, segna la fine delle guerre di religione e inaugura una vera e propria laicizzazione dell’Europa: terminano la caccia alle streghe e i roghi dell’Inquisizione, salvo pochissimi casi sporadici; vengono riconosciute altre religioni oltre alla cattolica; il sistema copernicano è ormai prevalente nella comunità degli scienziati e la ricerca scientifica non trova più ostacoli nella religione. Newton si afferma ben presto come uno degli scienziati più importanti dell’epoca, prima con la pubblicazione di un metodo per il calcolo infinitesimale (che lo porrà in conflitto con Leibniz, che rivendicava la priorità della scoperta), poi con l’importante saggio Sui colori, nel 1671, infine con l’opera principale e rivoluzionaria, i Principi matematici della filosofia naturale, nel 1687. Nel 1703 diviene presidente della Royal Society di Londra ➝ 38 , una delle più prestigiose società scientifiche d’Europa, e nel 1704 dà alle stampe l’ultima sua opera di argomento scientifico, l’Ottica. Alla sua morte, nel 1727, lascia una grande quantità di inediti, di contenuto religioso e alchemico, che vedranno la luce solo nel Novecento.

L’indagine sulla luce e il metodo sperimentale Le prime ricerche di newton sono relative all’ottica, nel cui ambito egli perviene ad alcune importanti conclusioni: la luce bianca è composta da raggi di colori diversi; i raggi dei diversi colori hanno differenti angoli di rifrazione. La diversità cromatica è ricondotta a una caratteristica matematica (l’angolo di rifrazione), per cui il colore può essere trattato come fenomeno fisico, distinto dalla percezione soggettiva. egli formula poi, ma solo come ipotesi probabile, la teoria della natura corpuscolare della luce. La ricerca sulla luce è la prima indagine scientifica di Newton ed è importante sia per il metodo sia per i risultati. Il metodo è quello sperimentale. Newton infatti procede alla scomposi-

Materiali per l’apprendimento attivo 38. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

39. PER CAPIRE MEGLIO

GLI ESPERIMENTI DI NEWTON SULLA LUCE

▶ Isaac Newton durante un esperimento: usa un prisma per frazionare un fascio di luce bianca in uno spettro di colori. Accanto a lui, il suo compagno di università John Wickins.

zione dei raggi luminosi facendoli penetrare in una stanza oscura mediante una piccolissima fessura, poi facendo in modo che attraversino un prisma, prima di raggiungere uno schermo bianco ➝ 39 . La luce bianca, scomposta dal prisma, disegna sullo schermo una forma oblunga, colorata con i colori dell’iride. Ogni colore si dispone in una determinata area, corrispondente a un preciso angolo di rifrazione della luce nel prisma. Misurando quest’angolo di rifrazione è dunque possibile far corrispondere a ogni colore una grandezza numerica specifica.

4 N EW ToN: uN a N uova IMMaG IN E D E L Co S M o E D E L L a F I S I C a

LA ROyAL SOCIETy nel 1703 newton viene eletto presidente della Royal Society, carica che ricoprirà fino alla morte (1727). Nel Seicento e nei primi decenni del secolo successivo le accademie svolgono un ruolo importante nella promozione del nuovo sapere, in alternativa alle università. La Royal Society nasce da un gruppo di scienziati, che a partire dal 1645 incominciano a incontrarsi per discutere insieme le idee di Bacone, secondo il modello di ricerca collaborativo che Bacone stesso aveva indicato. Si costituisce ufficialmente nel 1660 in seguito al riconoscimento da parte della restaurata monarchia degli Stuart con Carlo II. a differenza dell’Académie Française, voluta nel 1635 da Richelieu e finanziata direttamente dallo Stato, il riconoscimento della monarchia non comporta sovvenzioni pubbliche. La Royal Society resterà una libera associazione privata, anche se in pochi decenni conquisterà un grande prestigio a livello europeo. Il nome originario è «Royal Society of London for the promotion of Natural Knowledge» (“Società reale di Londra per la promozione della conoscenza della natura”). Le ricerche sono orientate verso le scienze naturali e finalizzate soprattutto allo sviluppo tecnologico (industria tessile, agricoltura, miniere); tuttavia non mancano ricerche di carattere teorico nei campi più diversi, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla matematica. Nel giro di pochi anni la Royal Society diventa il punto di riferimento di gran parte del mondo scientifico inglese, tanto che nel 1665 si decide di fondare una rivista, «philosophical Transactions», per ospitare i numerosi contributi nel campo delle scienze che fanno capo alla società. La Royal Society, oltre a essere stata una delle prime accademie, è anche tra le più longeve, dal momento che continua tuttora la propria attività.

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2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

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Proprietà quantitative e proprietà quantificabili In questo modo, Newton scopre che i colori sono una proprietà della luce bianca e non dei corpi, come molti ritenevano all’epoca ➝ 40. Inoltre sviluppa la concezione di Galilei secondo cui la scienza può conoscere solo fenomeni quantitativi. Per Galilei, i colori sono percezioni soggettive, mentre ad esempio la dimensione è una proprietà oggettiva delle cose. Possiamo trattare scientificamente, e quindi conoscere, soltanto le qualità oggettive, proprie dei corpi, non i colori, gli odori, i suoni e così via. Newton condivide questa impostazione, ma i suoi studi sulla luce portano a quantificare una proprietà che sembrava soggettiva. Non esistono perciò proprietà qualitative (soggettive) e quantitative (oggettive), ma proprietà che, per essere trattate scientificamente, devono essere quantificate. Non si parlerà dunque di proprietà quantitative, ma di proprietà quantificabili. Se troviamo l’approccio per quantificarle, possiamo trattarle scientificamente. Newton distingue nettamente tra una fisiologia del colore e una fisica del colore: la percezione del colore non è oggetto di scienza, la sua quantificazione, individuando l’angolo di rifrazione corrispondente, sì.

La natura della luce La teoria della luce formulata da Newton è importante anche per un altro aspetto. Egli è un convinto atomista e crede che la luce sia composta da corpuscoli e non da onde come invece si riteneva perlopiù nella sua epoca. Cartesio, ad esempio, considerava la luce un’onda e ne spiegava la trasmissione attraverso uno spazio che, a suo parere, era pieno. Per Newton, invece, lo spazio è vuoto, ma la luce può propagarsi senza problemi perché costituita da particelle, che possono viaggiare attraverso il vuoto. La teoria corpuscolare e quella ondulatoria della luce continueranno a essere difese alternativamente dai diversi scienziati, fino a oggi, quando sono considerate entrambe valide in contesti diversi ➝ 41 .

◀ Pelagio Palagi, Newton scopre la rifrazione della luce, particolare, 1827, olio su tela (Brescia, Pinacoteca Tosio).

GuIda allo sTudIo • Che cosa scopre Newton, analizzando la

luce bianca? • Come arriva a questa scoperta? • Perché la scoperta che la luce bianca è composta da più raggi di diversi colori è così importante?

• In che cosa vengono modificate le teorie di

galilei sulla quantificazione dei fenomeni? • Qual è la differenza tra l’approccio

sensoriale e quello fisico agli stessi fenomeni?

Materiali per l’apprendimento attivo 40. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

41. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

TEORIA CORPUSCOLARE E ONDULATORIA DELLA LUCE Nel Seicento la riflessione sulla natura della luce diviene sempre più importante via via che acquistano centralità le ricerche sugli strumenti ottici per amplificare la visione, in particolare i telescopi. Cartesio cerca di spiegare la propagazione della luce secondo le leggi della meccanica. Dato che esclude la presenza del vuoto, la luce può essere considerata un’onda che si propaga attraverso la materia sottile che riempie tutto lo spazio, con una dinamica simile alle onde nell’acqua e a quelle sonore nell’aria. huygens ne riprende le teorie fisiche e dà un fondamento autorevole alla teoria ondulatoria della luce, contrapponendosi esplicitamente a Newton. Questi sostiene invece l’esistenza del vuoto interplanetario, incompatibile con la teoria ondulatoria, e avanza di conseguenza l’ipotesi, pur senza dimostrarla, sulla natura corpuscolare della luce, riconducendola alla teoria atomica propria della struttura della materia in generale. Le due teorie, ondulatoria e corpuscolare, coesisteranno fino all’enunciazione, nel 1927, da parte del fisico Niels Bohr, del principio di complementarità. Esso afferma che la luce, così come altri fenomeni atomici e subatomici, possono essere considerati sia onde sia particelle, a seconda dei tipi di esperimenti che facciamo e del modo in cui li studiamo. Le due teorie fanno capire aspetti diversi del mondo subatomico. Il fatto che siano in ultima analisi alternative, impone soltanto di non applicarle contemporaneamente alla spiegazione degli stessi fenomeni, ma di considerarle, appunto, come complementari. ▶ Ritratto in bianco e nero del fisico danese Niels Henrik David Bohr in piedi di fronte a una lavagna piena di formule e calcoli.

4 N EW ToN: uN a N uova IMMaG IN E D E L Co S M o E D E L L a F I S I C a

NEWTON E GLI SCIENZIATI DELL’EPOCA La seconda metà del Seicento vede il moltiplicarsi delle ricerche scientifiche e Newton non è che la figura preminente tra numerosi scienziati attivi all’epoca, che ebbero con lui rapporti a volte amichevoli, a volte conflittuali. Ricordiamo brevemente i principali. Robert hooke (1635-1703), matematico e fisico inglese, si scontra in almeno tre occasioni con Newton: una prima volta per la controversia sulla teoria dei colori, secondo Hooke determinati dalla materia dei corpi su cui la luce, per sua natura bianca, si riflette; una seconda volta a proposito della natura della luce, che Hooke considera, in base alla teoria ondulatoria, come movimento dell’etere; infine, a proposito della paternità della legge di gravitazione, che Hooke, a lungo impegnato nello studio delle forze centripete, rivendica per sé. Hooke fu presidente della Royal Society dal 1677 all’anno della sua morte (1703), quando Newton fu chiamato a succedergli nell’importante incarico. anche Christiaan huygens (1629-95) nel suo Trattato sulla luce sostiene la teoria ondulatoria della luce, la cui propagazione implicherebbe l’esistenza di un corpo rigido, l’etere. Huygens si contrappone a Newton anche per la concezione della fisica in generale, in quanto egli sostiene il modello cartesiano e di conseguenza nega l’esistenza del vuoto e sostiene la teoria dei vortici per spiegare il movimento dei pianeti. Edmond halley (1656-1742), matematico e astronomo, contribuisce alla diffusione dei Principi di Newton. Ne applica la teoria gravitazionale alla determinazione dell’orbita delle comete, dimostrando tra l’altro l’influenza dell’attrazione di Giove, che ne spiega le perturbazioni. Fornisce una base sperimentale all’intuizione di Newton secondo cui l’orbita delle comete può essere descritta come una conica.

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2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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Il problema del metodo induttivo e la conoscenza scientifica Newton è consapevole dei problemi posti dal metodo induttivo: il passaggio da un numero limitato di casi osservati a una legge avente carattere universale non è fondato su una necessità logica. Per superare tale difficoltà integra il proprio metodo con alcune regole del filosofare. Il metodo sperimentale è fondamentalmente induttivo. Newton però è consapevole dei problemi che l’induzione presenta per la conoscenza scientifica. La scienza deve infatti individuare leggi universali, ma il metodo induttivo si basa su un numero di casi limitato, per quanto ampio, quindi non può mai fornire la certezza che le tesi che se ne ricavano abbiano validità universale. Un esempio che fa capire meglio il problema è l’osservazione dei cigni: è possibile che per mesi o per anni riusciamo a vedere soltanto cigni bianchi, sentendoci autorizzati a concludere, alla fine, che «tutti i cigni sono bianchi», salvo trovare un cigno nero il giorno dopo. Per risolvere questo problema, Newton propone quattro regole, considerando valide le quali siamo legittimati a usare questo metodo. In particolare, delle Regole del filosofare, come le chiama Newton, due riguardano direttamente l’induzione, la seconda e la terza. La seconda afferma l’uniformità della natura: effetti simili sono prodotti dalle stesse cause, e quindi è possibile generalizzare il nesso causale. La terza afferma invece l’omogeneità della natura, sostenendo che le proprietà invarianti dei corpi, come ad esempio l’impenetrabilità, sono proprie di tutti i corpi. Quindi la natura è fatta dappertutto nello stesso modo e segue gli stessi nessi causali, sia qui che sulla Luna o su Marte, consentendo quindi la generalizzazione di ciò che possiamo accertare induttivamente. Si tratta però di una soluzione fragile, perché le regole, come tali, non sono dimostrabili e quindi non possiamo essere sicuri che sia sempre corretto applicarle. Anche le altre due regole, pur con questi limiti, sono importanti. La prima afferma la semplicità della natura, per cui se individuiamo una causa non occorre cercarne altre. Serve per sgombrare il campo dalle ipotesi di filosofi e teologi che sostenevano la possibilità di individuare spiegazioni metafisiche accanto a quelle fisiche. La quarta stabilisce che le proposizioni ricavate dai fenomeni mediante il procedimento induttivo possono essere smentite solo da fenomeni contrari e non da ipotesi astratte ➝ 42 .

«Non invento ipotesi» In questo modo la scienza viene separata dalla filosofia, nonostante Newton parli ancora nel titolo della sua opera principale, come usava all’epoca, di «filosofia naturale» e, come abbiamo appena visto, definisca «regole del filosofare» quelle di cui si è detto. Precisa però che nella scienza occorre basarsi sui fatti, spiegare sperimentalmente i fenomeni e non inventare ipotesi. Parlando della forza di gravità, Newton sostiene che è possibile descriverla e individuarne la legge che ne spiega il comportamento, ma non si può ricavare dai fenomeni la natura di questa forza. La domanda sulla natura di questa forza è quindi destinata a restare senza risposta. In un celebre brano, egli afferma: «In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni e sono rese generali per induzione. [...] Ed è sufficiente che la gravità esista di fatto, agisca secondo le leggi da noi esposte, e spieghi tutti i movimenti dei corpi celesti e del nostro mare» (Principi matematici della filosofia naturale, Scolio generale, a cura di A. Pala, Utet, Torino 1965, pp. 795-96).

Materiali per l’apprendimento attivo

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42. LA PAROLA AI TESTI

Le Regole proposte da Newton rispondono a due ordini di problemi: la prima e l’ultima stabiliscono criteri per distinguere la filosofia sperimentale da quella speculativa; le due centrali superano le difficoltà legate al procedimento induttivo, consentendo di generalizzare le osservazioni empiriche. regola i. Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni. Come dicono i filosofi: La natura non fa nulla invano, e inutilmente viene fatto con mol5 te cose ciò che può essere fatto con poche. La natura, infatti, è semplice e non sovrabbonda in cause superflue delle cose. regola ii. Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere. 10 Come alla respirazione nell’uomo e nell’animale, alla caduta delle pietre in Europa e in America; alla luce nel fuoco domestico e nel Sole; alla riflessione della luce sulla terra e sui pianeti. regola iii. Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a 15 tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi. Infatti, le qualità dei corpi non si conoscono altrimenti che per mezzo di esperimenti, e perciò devono essere giudicate generali tutte quelle che, in generale, concordano con gli esperimenti; e quelle che non possono essere diminuite non possono essere nemmeno 20 sottratte. […] Abbiamo sperimentato che molti corpi sono duri. Ora, la durezza del tutto nasce dalla durezza delle parti, quindi a buon diritto, concludiamo che non soltanto sono dure le particelle indivise di quei corpi che vengono percepiti ma anche di tutti gli altri. Deduciamo che tutti i corpi sono impenetrabili non con la ragione, ma col senso. Gli oggetti che maneggiamo vengono riscontrati impenetrabili, ne concludiamo che 25 l’impenetrabilità è una proprietà dei corpi in generale. […] Infine, se, in generale, per mezzo di esperimenti e di osservazioni astronomiche, risultasse che tutti i corpi che girano intorno alla Terra sono pesanti, e ciò in relazione alla quantità di materia in ciascuno di essi, che la Luna è pesante verso la Terra in relazione alla propria quantità di materia, e il nostro mare, a sua volta, è pesante verso la Luna, e 30 che tutti i pianeti sono pesanti l’uno rispetto all’altro, e che la pesantezza delle comete verso il Sole è identica, allora, si dovrà dire che per questa regola tutti i corpi gravitano vicendevolmente l’uno verso l’altro. […] regola iv. Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono, nono35 stante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni. Questo deve essere fatto affinché l’argomento dell’induzione non sia eliminato mediante ipotesi. (I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale, iii, Regole del filosofare, a cura di A. Pala, Utet, Torino 1965, pp. 603-07)

4 n EW TOn: Un A n UOVA IMMAG In E D E L CO S M O E D E L L A F I S I C A

T12 Newton Le regole del filosofare

2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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Quali ipotesi devono essere rifiutate Per capire il senso del rifiuto newtoniano delle ipotesi, conviene partire dalla definizione di scienza sperimentale. Gli esperimenti non sono ovviamente delle semplici osservazioni ma, come avevano chiarito sia Bacone sia Galilei, modi di porre domande alla natura per costringerla a dare risposte. Gli esperimenti riguardano perciò il comportamento della natura, producono dei fatti, indicano come agiscono le forze, ma non sono in grado di rivelare la natura dei corpi o di tali forze. Newton ha rinunciato alla prospettiva baconiana di conoscere la forma delle cose, lo schematismo latente o il processo latente, per muoversi invece in una prospettiva galileiana, occupandosi unicamente di quantità e di variazioni – misurabili – degli aspetti quantitativi. Da questo punto di vista, ciò che la scienza può conoscere è il modo di agire delle forze della natura, e non la loro essenza. Quindi, non interessa sapere che cosa è la gravità, ma come agisce.

Che cosa può conoscere la scienza? La prospettiva di Newton non è però, d’altro canto, puramente fenomenistica. La legge di gravitazione e quelle del moto sono leggi della natura, non modi soggettivi di concepirla. Questi aspetti, a differenza della natura dei corpi, possono essere però osservati e sottoposti a esperimenti. Questa possibilità è il criterio che discrimina l’ambito della conoscenza scientifica da quello delle «ipotesi». Le teorie ricavate per induzione da esperimenti sono, come suggerisce anche la quarta regola, scientificamente fondate, e quindi possono essere discusse, o eventualmente confutate, sulla base di altri esperimenti; quelle nate al di fuori di questo contesto si collocano su un piano diverso, estraneo alla conoscenza scientifica, e in questo senso vengono denominate «ipotesi». GuIda allo sTudIo • Qual è il problema del metodo induttivo?

• In che senso newton parla della semplicità

Come lo risolve Newton? • Che cosa afferma la regola della uniformità della natura?

della natura? perché è un principio metodologico importante? • Quali ipotesi vanno rifiutate nella scienza?

L’indagine matematica della natura e il sistema del mondo Dall’osservazione sperimentale si perviene alla formulazione di princìpi generali, cui si accompagnano definizioni e assiomi; da questi si deducono poi i fenomeni osservabili, in modo da dimostrarne la necessità e la ragion d’essere. il metodo di newton è induttivo-deduttivo, unendo alla generalizzazione dei dati sperimentali la deduzione dei diversi fenomeni che ne costituisce la spiegazione. in questo modo, egli ricava le diverse leggi del moto. La soluzione dei problemi legati al metodo induttivo non è quella delle Regole, ma sarà definita da Newton, in modo molto più ambizioso e ampio, in quello che possiamo chiamare «metodo induttivo-deduttivo», che costituirà il modello della ricerca scientifica almeno fino alla fine dell’Ottocento ➝ 43 . Newton sviluppa tale metodo nella sua opera principale il cui titolo, Principi matematici della filosofia naturale, indica aspetti importanti del modo con cui intende procedere. Intanto si afferma quella che uno dei principali studiosi della rivoluzione scientifica seicentesca, Alexandre Koyré, definisce «ontologia matematica» ➝ 44, secondo cui per la ri-

Materiali per l’apprendimento attivo 43. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Dizionario operativo

44. per Capire MeGLio

L’ontoLoGia MateMatiCa «ontologia» è il discorso sull’essere, cioè sul fondamento della realtà, sulla sua struttura. L’espressione «ontologia matematica» indica che la struttura dell’essere è quantitativa, cioè che per la scienza esiste soltanto ciò che può essere quantificato e trattato in modo matematico. per Koyré si tratta di una rivoluzione epocale del pensiero, che riassume con le seguenti parole: […] si assiste alla matematizzazione (geometrizzazione) della natura e, quindi, alla matematizzazione (geometrizzazione) della scienza. […] Questo, a sua volta, implica la scomparsa – o la violenta espulsione – dal pensiero scientifico di tutti i ragionamenti fondati sul valore, sulla perfezione, sull’armonia, sul significato, e sul fine, poiché questi concetti, da adesso in poi semplicemente soggettivi, non trovano posto nella nuova ontologia. In altre parole, le cause finali o formali come criteri di spiegazione spariscono – o vengono respinte – dalla nuova scienza mentre subentrano al loro posto le cause efficienti e materiali. Soltanto queste ultime sono ammesse nel nuovo universo della geometria ipostatizzata ed è solo in questo mondo astratto-reale (archimedeo), dove i corpi astratti si muovono in uno spazio astratto, che le leggi dell’essere e del movimento della nuova scienza – la scienza classica – appaiono valide e vere. È facile adesso comprendere perché la scienza classica – come spesso è stato detto – ha sostituito a un mondo di qualità un mondo di quantità: come già aristotele sapeva perfettamente, non vi sono infatti qualità nel mondo dei numeri, né in quello delle figure geometriche. Le qualità non trovano posto nel regno dell’ontologia matematica. (a. Koyré, Studi newtoniani, Einaudi, Torino 1972, pp. 7-8) Quindi per Koyré, con Galilei e con Newton cambia la concezione stessa della scienza, che non deve più occuparsi del senso del mondo ma studiare ciò che è quantificabile secondo rapporti matematici, ricercando unicamente cause meccaniche (efficienti).

4 N EW ToN: uN a N uova IMMaG IN E D E L Co S M o E D E L L a F I S I C a

METODO INDUTTIVO-deduttivo newton affronta i problemi sollevati dal metodo induttivo, e in particolare il passaggio problematico dall’osservazione di un numero finito di eventi alla formulazione di leggi universali. Propone una soluzione costruendo un imponente sistema deduttivo, che nei Principi matematici della filosofia naturale definisce «sistema del mondo». Esso consiste di una serie di leggi ricavate per induzione (la legge di gravitazione universale e le tre leggi del moto), di alcuni assiomi e di una serie di definizioni (tra cui quella di massa e quelle di tempo e di spazio assoluti). a partire da questi assunti teorici, secondo Newton, è possibile dedurre tutti i fenomeni fisici, sia celesti che terrestri. venendo dedotti, i fenomeni sono al tempo stesso spiegati, perché si individuano le premesse da cui derivano. ad esempio, Newton deduce le leggi di Keplero a partire dalla gravitazione universale e dagli altri princìpi, spiegando in questo modo non soltanto che le orbite sono ellittiche ecc., ma perché le cose devono stare così e non potrebbero essere diversamente. Questo procedimento consente anche di convalidare le leggi ricavate per via induttiva, perché, se da esse è possibile dedurre la spiegazione dei fenomeni e se questi fenomeni sono confermati dai fatti, le leggi risultano confermate. Il sistema del mondo di Newton resterà per due secoli l’orizzonte fondamentale della ricerca scientifica nell’ambito della fisica e non solo. Esso presenta tuttavia delle criticità, perché assume definizioni che non sono state dimostrate. In particolare, le nozioni newtoniane di spazio e tempo assoluti verranno superate dalla teoria della relatività, che ridefinirà in termini completamente nuovi anche quella di massa.

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2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

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cerca scientifica esiste soltanto ciò che è traducibile in termini matematici, cioè quantitativi. Si tratta di un principio seguito già da Galilei, ma Newton ne fa esplicitamente uno dei fondamenti del proprio sistema. Inoltre, la matematica costituisce anche il riferimento metodologico dell’opera. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare pensando al metodo sperimentale, l’analisi della natura viene infatti sviluppata da Newton in modo deduttivo. Ovviamente i princìpi generali da cui muove sono stati individuati induttivamente, a partire da osservazioni ed esperimenti, ma egli procede poi deducendo da essi le diverse leggi dell’universo fisico. Nei primi due dei tre libri in cui si articola l’opera, Newton non parla della spiegazione di fenomeni empirici, ma unicamente delle definizioni generali e dei rapporti matematici che è possibile stabilire tra le diverse leggi del moto. Newton parte quindi da assiomi e definizioni, per ricavare poi da questa complessa costruzione teorica la spiegazione dei fenomeni osservabili, organizzati nel Sistema del mondo che dà il titolo alla terza parte. Come si diceva, ai princìpi generali Newton perviene a partire da esperimenti e osservazioni, quindi possiamo definire il suo metodo «induttivo-deduttivo», dove però il momento deduttivo ha un’importanza non secondaria. Tra le definizioni da cui Newton muove, alcune saranno di grande importanza per lo sviluppo della fisica, altre invece saranno contestate all’inizio del Novecento, dando luogo alla teoria della relatività. Newton definisce in particolare i concetti di tempo, di spazio e di massa. L’ultimo è di decisiva rilevanza per la costruzione dell’intera meccanica newtoniana. Precedentemente la materia veniva definita come estensione (Cartesio) o come corpo pesante (Galilei), cioè un grave in cui il peso era una qualità inseparabile dal corpo stesso. La massa, invece, viene definita come la misura della quantità di materia ricavata dal prodotto della densità per il volume. In questo modo viene separata dal concetto di peso, che dipenderà, come vedremo, dalla forza gravitazionale.

Le tre leggi del moto Procedendo in modo deduttivo, Newton definisce le tre leggi del moto, in parte già scoperte da Cartesio e da Galilei, ma adesso dedotte dal sistema e quindi spiegate oltre che inserite in una struttura unitaria che collega tutte le diverse leggi della fisica in un insieme coerente. La prima legge è quella di inerzia, già intuita da Galilei e formalizzata da Cartesio, secondo la quale «Ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse» (Principi matematici della filosofia naturale, a cura di A. Pala, Utet, Torino 1965, p. 113). La seconda, già formulata da Galilei, riguarda la composizione del movimento: «Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata impressa» (Ivi, p. 114). Solo la terza legge, quella di azione e reazione, è formulata per la prima volta da Newton: «Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte» (Ivi, p. 115). Da queste leggi, unitamente alle definizioni iniziali, Newton deduce corollari e teoremi che coprono la spiegazione di ogni movimento, sia terrestre che celeste. Per proporre soltanto un esempio, non essendo possibile un’analisi articolata, si ricorderà il teorema della composizione delle forze, secondo il quale se a un corpo vengono applicate due forze che agiscono in direzioni diverse, il corpo si muoverà lungo la diagonale del parallelogramma che ha per lati le direzioni delle forze applicate. La grande novità dell’approccio di Newton consiste nel dedurre le diverse leggi, costruendo così un completo e coerente «sistema del mondo», in cui tutti i fenomeni trovano una loro spiegazione. Deducendo una legge, infatti, non soltanto si dice come funziona, ma si

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

45. COMPETENZE > Mappa concettuale

parte dall’esperienza

che si generalizza con le

che consentono la

quattro regole

perché induttivo

IL METODO è DI NEWTON

cui seguono i

controlli sperimentali

e la

formulazione di leggi

formula ipotesi perché deduce i deduttivo

46. attivitÀ >

quantifica i fenomeni

fenomeni

dalle

leggi generali

ricavate dalla

induzione

rielaborazione

ripercorri il paragrafo mediante la lettura della mappa concettuale. discuti la collocazione del riquadro sulle «quattro regole». Qual è la loro funzione? la posizione nella mappa la esprime correttamente? se lo ritieni opportuno, suggerisci e disegna correzioni o integrazioni. dà anche la ragione, la spiegazione del suo comportamento. Un esempio particolarmente significativo a tale proposito è la deduzione delle leggi di Keplero. Keplero aveva ricavato le proprie leggi fondamentalmente per via induttiva. Registrando notte dopo notte le posizioni dei diversi pianeti ne aveva tracciato le orbite, constatando che esse erano ellittiche e non circolari. Adesso, invece, Newton ricava l’ellitticità delle orbite dalla combinazione della forza di gravità e della forza centrifuga, dandone così una spiegazione e mostrando non solo che le orbite sono ellittiche, ma che devono esserlo, per cause ben precise. Lo stesso vale per gli altri fenomeni. Quindi il metodo deduttivo è la vera soluzione dei problemi del metodo induttivo. Infatti se da princìpi e leggi, ricavati per via induttiva e quindi non dimostrabili, è possibile dedurre conseguenze che portano fino alla spiegazione coerente di tutti i fenomeni fisici osservabili, allora possiamo considerare tali princìpi e leggi veri ➝ 45 ➝ 46.

GuIda allo sTudIo • Perché e a che proposito Koyré parla di

• Che cosa significa «metodo induttivo-

«ontologia matematica»? • In che senso la matematica costituisce anche un modello metodologico?

• Che importanza ha nel metodo di newton

deduttivo»? il momento deduttivo?

La legge di gravitazione universale La legge di gravitazione universale, ricavata anch’essa deduttivamente, stabilisce che tutti i corpi si attraggono con una forza direttamente proporzionale alle masse e inversamente proporzionale al quadrato delle distanze. tale legge vale allo stesso modo per i corpi celesti e per quelli terrestri. in questo modo newton unifica la meccanica celeste e quella terrestre. Una delle leggi più importanti che Newton ricava mediante questo procedimento è la legge di gravitazione universale. Essa deriva dai princìpi del moto applicati alla forza cen-

4 n EW TOn: Un A n UOVA IMMAG In E D E L CO S M O E D E L L A F I S I C A

IL METODO INDUTTIVO-deduttivo

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2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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centripeta, della quale si sapeva già che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Unendo a questi princìpi il concetto di massa così come era stato definito da lui stesso, ne ricava la legge secondo cui la forza di attrazione tra due corpi è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato delle distanze, cioè: F = G (m1. m2) / d2. Questa legge non vale soltanto per i corpi celesti, ma per tutti i corpi: Newton unifica la fisica terrestre a quella celeste, rette entrambe dalle stesse leggi. Ne dà una dimostrazione visiva, suggerendo di immaginare una piccola luna in orbita intorno alla Terra a una distanza prossima a quella dei monti più alti, per cui se venisse meno la forza centrifuga, cadrebbe su quelle montagne seguendo le stesse leggi di una pietra caduta da una cima ➝ 47 ➝ 48. Dalla legge di gravità, Newton deriva importanti conseguenze. In primo luogo, dato che la forza gravitazionale è proporzionale alla massa, il peso di un oggetto di uguale massa sarà diverso sulla superficie di pianeti di massa diversa. Inoltre, conoscendo l’orbita dei pianeti, dalla quale si ricava il rapporto tra forza gravitazionale verso il Sole e forza centrifuga, possiamo calcolarne massa e densità. Ancora, la forza gravitazionale agisce anche tra i diversi corpi del Sistema solare: in questo modo, Newton dà ragione delle irregolarità delle orbite di alcuni pianeti. Infine, la gravità spiega le maree mediante l’attrazione lunare, senza dover ipotizzare «simpatie» o forze misteriose per evitare le quali Galilei aveva cercato di spiegarle con il moto rotatorio della Terra. Come si vede da questi esempi, Newton costruisce il «sistema del mondo» dando ragione dei diversi fenomeni, ricondotti all’interno di un quadro unitario che li spiega. GuIda allo sTudIo • Qual è la formula della legge di gravitazione universale? • In che senso Newton unifica la fisica terrestre e quella celeste? • Quali conseguenze derivano dalla legge di gravitazione universale?

Il tempo e lo spazio Tra le definizioni generali che newton pone a fondamento del proprio sistema, sono particolarmente importanti quelle relative al tempo assoluto e allo spazio assoluto, concepiti come riferimenti invarianti delle durate e dei moti. Tra le definizioni iniziali, Newton inserisce anche quelle dello spazio e del tempo, considerati come “assoluti”, cioè come lo sfondo immobile in cui avvengono tutti i fenomeni osservabili. Riprendiamo un esempio di Newton per capire meglio questa ipotesi e i problemi cui darà luogo. Immaginiamo un marinaio che passeggia su una nave, andando da prua a poppa, mentre la nave è spinta dal vento verso occidente e la Terra si muove per il moto di rotazione verso oriente. Come possiamo descrivere il moto del marinaio? Se la velocità del marinaio è di 1 unità, quella della nave di 10 unità e quella della Terra di 10010 unità, allora il marinaio si muove di 1 unità rispetto alla nave, di 9 unità rispetto alla costa. La sua velocità assoluta è però di 10001 unità, cioè la propria velocità, più quella della Terra, meno quella della nave che va in direzione opposta. Ma è una velocità rispetto a che cosa? Bisogna immaginare, dietro al marinaio, alla nave e alla Terra, uno sfondo uniforme e immobile, lo spazio assoluto, sul quale vanno proiettati tutti i moti relativi. Proprio l’idea di uno spazio assoluto, indipendente dalle cose che contiene e immobile, verrà messa in discussione dalla teoria della relatività nel 1905 e più ancora dalla relatività generale del 1916, rimanendo tuttavia fino ad allora il punto di riferimento incontestato della fisica. Anche il tempo assoluto è indipen-

Materiali per l’apprendimento attivo

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47. La paroLa ai testi

4 N EW ToN: uN a N uova IMMaG IN E D E L Co S M o E D E L L a F I S I C a

T13 newton La piccola luna Il brano mostra la struttura matematica e deduttiva dell’opera di Newton. Il ragionamento di Newton è che se la forza che tiene i corpi in orbita fosse diversa dalla gravità che causa la caduta delle pietre sulla Terra, allora la piccola luna cadrebbe con una forza doppia. La forza di gravità vale quindi sia per la fisica celeste sia per quella terrestre.

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proposizione iv. teorema iv. La Luna gravita verso la Terra, ed è sempre distratta dal moto rettilineo e trattenuta nella sua orbita dalla forza di gravità. [...] scolio. La dimostrazione della proposizione può essere svolta più ampiamente nel seguente modo. Se intorno alla Terra ruotassero numerose lune, come avviene nel sistema di Saturno o di Giove [...]. E se la più bassa di esse fosse piccola, e toccasse da vicino le cime dei monti più alti, la sua forza centripeta, per effetto della quale è trattenuta nell’orbita, sarebbe esattamente uguale alle gravità dei corpi sulle cime di quei monti [...], e accadrebbe che la medesima piccola luna, se venisse privata di tutto il moto col quale prosegue lungo la propria orbita, per la mancanza di forza centrifuga per effetto della quale era trattenuta nell’orbita, cadrebbe sulla Terra con la medesima velocità con la quale cadono i gravi sulle cime di quei monti, e ciò a causa dell’uguaglianza delle forze per causa delle quali cadono. E se la forza per effetto della quale quella piccola luna più bassa cade, fosse diversa dalla gravità, e contemporaneamente quella piccola luna gravitasse sulla Terra come i corpi sulle cime dei monti, la medesima piccola luna, riunite entrambe le forze, cadrebbe con una velocità doppia. Per la qual cosa, poiché entrambe le forze, quelle dei corpi pesanti e quelle delle lune, sono dirette verso il centro della Terra, e fra loro sono simili ed uguali (per le regole I e II), avranno la medesima causa. Pertanto, la forza, per effetto della quale la Luna è trattenuta nella propria orbita, sarà quella stessa che siamo soliti chiamare gravità; e ciò affinché la piccola luna sulla cima del monte o non manchi di gravità o non cada con una velocità doppia di quella con cui i gravi sono soliti cadere. (I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale, iii, Proposizioni, a cura di A. Pola, Utet, Torino 1965, pp. 619-23)

48. LA PAROLA AI TESTI

T14 Voltaire La mela di Newton La mela di Newton fa parte ormai dell’immaginario collettivo per rappresentare la scoperta della gravità e più in generale come esempio dell’importanza del caso unito alla genialità nella scienza.

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Avendo distrutto, per tutte queste ragioni e per altre ancora, i vortici del cartesianesimo, Newton disperava di poter mai apprendere se esiste un principio segreto della natura, che causa il moto dei corpi celesti e nello stesso tempo la gravità sulla terra. Ritiratosi nel 1666 in campagna vicino a Cambridge, un giorno, mentre stava passeggiando nel suo giardino, vide dei frutti cadere da un albero e si abbandonò a profonde meditazioni su quella gravità, di cui invano i filosofi hanno cercato tanto a lungo la causa, mentre i profani non suppongono nemmeno che celi un mistero. Si disse tra sé e sé: “Nel nostro emisfero, da qualunque altezza cadano questi corpi, la loro caduta avverrebbe certamente secondo la progressione scoperta da Galileo; e gli spazi percorsi da loro corrisponderebbero al quadrato dei tempi. Questo potere che fa cadere i gravi resta il medesimo senza nessuna sensibile diminuzione a qualunque profondità ci si trovi in fondo alla terra o sulla montagna più alta. Perché tale potere non dovrebbe estendersi fino alla luna? E, se è vero che esso si estende fin lassù, non

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2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

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dente dal divenire che il tempo misura. Scrive Newton: «Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno» (Ivi, pp. 101-02).

GuIda allo sTudIo • Che cos’è lo spazio assoluto? • Che rapporto c’è tra il tempo assoluto e la durata?

La materia Secondo Newton, la materia è composta da atomi, tenuti insieme dalla forza di gravitazione, o comunque da una forza della stessa natura di quella gravitazionale. Nell’epoca in cui scrive Newton, la fisica di Cartesio gode ancora di ampia diffusione non solo in Francia, ma anche in Inghilterra. Newton vi si oppone decisamente, contestandone il presupposto fondamentale: l’identificazione dello spazio con la materia, che implicava da un lato l’inesistenza di uno “spazio vuoto” e dall’altro lato la divisibilità all’infinito della materia, come lo era l’estensione in geometria. Per Newton, invece, lo spazio è vuoto, privo di materia, e la materia stessa è composta da particelle indivisibili, gli atomi ➝ 49. Egli dimostra la prima tesi mediante il ragionamento e i calcoli: uno spazio non vuoto opporrebbe resistenza al moto dei pianeti, rallentandoli, e di tale fenomeno dovremmo trovare traccia nei calcoli delle velocità orbitali, che non presentano invece nulla di simile. Influenzerebbe inoltre i campi gravitazionali dei diversi corpi celesti, e anche questa eventuale conseguenza è smentita dai calcoli. Bisogna dunque, conclude Newton, «vuotare i cieli di ogni materia» se vogliamo «assicurare il moto regolare e durevole dei pianeti e delle comete» (Ottica, III, I, in Scritti di ottica, a cura di A. Pala, Utet, Torino 1978, p. 575). Anche a livello degli aggregati di atomi è necessario ipotizzare il vuoto. La compattezza dei corpi, nonostante la loro natura granulare, è garantita dalla forza gravitazionale, che agisce anche a livello, diremmo oggi, molecolare; tuttavia la possibilità di separare le diverse parti indica comunque l’esistenza del vuoto anche all’interno dei corpi solidi. Newton, in realtà, parla di una forza simile a quella gravitazionale, che potrebbe essere anche la stessa, ma mancano esperimenti in grado di dimostrarlo e quindi si astiene da un giudizio definitivo. Ritiene comunque che la materia sia costituita da corpuscoli, compresa la luce, e che tali corpuscoli siano indivisibili. Infatti, argomenta, «se i corpi composti sono tanto duri quanto sappiamo essere alcuni di essi, e tuttavia contengono molti meati e sono formati da particelle giustapposte, le particelle semplici che sono prive di meati e che non furono mai divise, devono essere molto più dure» (Ivi, p. 592) e di fatto indivisibili ➝ 50.

GuIda allo sTudIo • Con quali argomenti Newton sostiene l’esistenza del vuoto nell’universo? • Come giunge alla formulazione della teoria atomica? • Che cos’è che tiene uniti gli atomi per formare i corpi?

Materiali per l’apprendimento attivo

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(Voltaire, Lettere filosofiche, XV, Rusconi Libri, Milano 2019; edizione digitale)

49. LA PAROLA AI TESTI

T15 Newton La struttura della materia Supponendo che i corpi siano costituiti da atomi, cioè da unità discrete, resta da spiegare quale forza li leghi insieme a costituire i corpi solidi. Newton ipotizza che essa sia simile a quella gravitazionale. Dimostra poi la composizione atomica della materia con una serie di argomentazioni che seguono il procedimento induttivo e la generalizzazione a tutti i corpi delle proprietà osservabili in quelli sui quali è possibile condurre esperimenti.

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Le particelle di tutti i corpi duri omogenei, essendo strettamente a contatto l’una dell’altra, aderiscono insieme con molta forza. E per spiegare come ciò possa avvenire, qualcuno ha inventato gli atomi uncinati, il che significa immiserire il problema; altri ci dicono che le particelle sono tenute saldamente insieme dalla quiete, cioè mediante una qualità occulta o meglio mediante nulla [...]. Io invece dalla coesione dei corpi desumerei che le loro particelle si attraggono l’un l’altra per effetto di una certa forza, che è straordinariamente forte nel contatto immediato, che a piccole distanze produce quegli effetti chimici di cui abbiamo prima parlato e che lontano dalle particelle non arriva a produrre alcun effetto percepibile da parte dei sensi. Sembra che tutti i corpi siano composti da particelle dure: perché altrimenti i fluidi non solidificherebbero, come fanno l’acqua, l’olio, l’aceto e lo spirito o l’olio di vetriolo per effetto del freddo; il mercurio mediante i fumi di piombo [...]. Sembra che anche i raggi di luce siano corpi duri; perché altrimenti non potrebbero conservare proprietà diverse in parti diverse. E perciò la durezza può essere considerata come la proprietà di tutta la materia semplice. Questo sembra così evidente come l’universale impenetrabilità della materia. Tutti i corpi, infatti, fin dove arriva la nostra esperienza, o sono duri o possono diventarlo; e non abbiamo nessuna prova della generale impenetrabilità, oltre una larga esperienza che non presenta nessuna eccezione sperimentale. Ora, se i corpi composti sono tanto duri quanto sappiamo essere alcuni di essi, e tuttavia contengono molti meati e sono formati da particelle giustapposte, le particelle semplici che sono prive di meati e che non furono mai divise, devono essere molto più dure. Infatti, essendo tali particelle dure riunite insieme, possono a mala pena toccarsi, l’una con l’altra, solo in pochi punti, e perciò possono venire separate da una forza molto minore di quella richiesta per rompere una particella solida le cui parti sono in completo contatto senza pori o intervalli che possano indebolirne la coesione. (I. Newton, Ottica, III, Questione 31, in Scritti di ottica, Torino, Utet 1978, pp. 591-92)

50. per Capire MeGLio

L’atoMisMo La struttura discreta della materia, composta di atomi indivisibili, viene ricavata per induzione dall’osservazione e dagli esperimenti. una volta dimostrato, infatti, che la solidità, l’impenetrabilità ecc. sono caratteristiche di tutti i corpi sui quali è possibile compiere esperimenti, la terza «regola del filosofare» autorizza a ritenere queste qualità proprie di tutta la materia, anche dei singoli corpuscoli che la compongono, nonostante che questi sfuggano, per le loro dimensioni, all’osservazione diretta. Newton intuisce in modo sorprendente la struttura molecolare e atomica della materia, che all’epoca non poteva ovviamente essere osservata.

137 4 N EW ToN: uN a N uova IMMaG IN E D E L Co S M o E D E L L a F I S I C a

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è allora molto probabile che esso la trattenga nella propria orbita e ne determini il moto? Ma se la luna obbedisce a questo principio, quale che sia, non è anche molto ragionevole credere che gli altri pianeti siano pure soggetti a esso?

2. L a ri voLuz i on e sCi e n t i Fi Ca

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La religione e la metafisica La perfezione dell’universo richiede, per Newton, l’esistenza di Dio, cioè di una intelligenza ordinatrice. Anche gli aspetti fisici dell’universo presuppongono non solo l’esistenza, ma l’intervento di dio. in particolare, l’entropia richiede l’intervento periodico di dio per ripristinare la quantità complessiva di moto. Newton sarà considerato lo scienziato per antonomasia, ma in realtà si è occupato di alchimia e ha scritto molti saggi di religione e di esegesi biblica. Tutti questi materiali, però, sono rimasti inediti e hanno visto la luce solo dopo il 1946, quando John Maynard Keynes (18831946), che li aveva acquisiti, ne fece dono all’Università di Cambridge. Da questi scritti è emersa una figura diversa dallo scienziato “puro”: in essi compare addirittura un Commentario alla Tavola Smeraldina, attribuita a Ermete Trismegisto. Comunque, il fatto che nessuno di questi scritti sia stato pubblicato da Newton testimonia forse la sua volontà di lasciare separati i due ambiti, la scienza e la religione. Ci sono però alcuni aspetti in cui queste due sfere si toccano ed emergono dalle pubblicazioni scientifiche. Secondo Newton, la scienza può spiegare solo i fenomeni ma non il senso del mondo e il teleologismo che, a suo parere, in esso è evidente. Accanto a questa esigenza, egli propone anche una prova per dimostrare l’esistenza di Dio. Newton parla infatti di entropia, sottolineando che in ogni urto si perde una certa quantità di energia e che quindi l’energia complessiva dell’universo diminuisce gradualmente. Se esso continua a funzionare regolarmente, è necessario ipotizzare che periodicamente Dio intervenga per ripristinare l’energia perduta ➝ 51 . Newton indica addirittura ogni quanto tempo deve avvenire questo intervento, e si parla di pochi secoli, non di migliaia o di milioni d’anni. Per questo intervento continuo di Dio, richiesto dalla stessa teoria di Newton, Leibniz lo accuserà di aver concepito Dio come un orologiaio pasticcione, perché ha costruito un meccanismo che necessita di continue revisioni e messe a punto. Paradossalmente, anche se Cartesio pone Dio al centro della propria filosofia e Newton è considerato il modello dello scienziato moderno, la fisica del primo è molto più laica. Cartesio infatti attribuisce a Dio la creazione della materia e il moto iniziale, poi ogni aspetto dell’universo viene spiegato in modo meccanico, senza fare più riferimento alla sua azione. Per Newton, invece, Dio interviene costantemente e addirittura la sua azione, come nel caso dell’entropia, è necessaria per spiegare alcuni aspetti della natura, di cui le leggi universali non darebbero ragione. Anche in una delle sue opere principali, l’Ottica del 1704 ➝ 52 , Newton parla di Dio, definendolo «Signore dell’universo» che regge e governa tutte le cose, teorizzando anche un convinto teleologismo: lo spazio viene definito il «sensorio di Dio», mediante cui Egli percepisce continuamente tutto l’universo, intervenendo in esso per la realizzazione dei propri fini. Secondo Newton, la stessa perfezione dell’universo e delle sue leggi è una prova dell’esistenza di Dio. Per queste considerazioni, l’Illuminismo lo considererà un precursore del deismo.

GuIda allo sTudIo • Perché, secondo Newton, Dio deve

intervenire a intervalli regolari nell’universo? • Quale critica viene rivolta a Newton da Leibniz per la sua concezione del rapporto Dio-mondo?

• Perché nonostante l’interesse per la

religione e per il finalismo, newton è stato considerato per secoli lo scienziato per antonomasia?

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51. LA PAROLA AI TESTI

La fisica lascia aperti due problemi fondamentali: quello dell’origine del movimento e quello della sua conservazione. Diversamente da Cartesio, infatti, Newton ritiene che la quantità complessiva di movimento non si conservi, ma subisca un decadimento. Per spiegare l’origine e la conservazione del moto sosterrà la necessità di introdurre un diverso principio, ossia di ipotizzare l’intervento di Dio.

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In tal modo l’universo naturale sarà strettamente conforme a se stesso e semplicissimo, producendo tutti i grandi movimenti dei corpi celesti per effetto dell’attrazione di gravità, che è scambievole tra quei corpi; e quasi tutti i movimenti minori delle loro particelle per effetto di un’altra forza di attrazione e di repulsione che è scambievole fra le particelle. La forza d’inerzia è quel principio passivo a causa del quale i corpi persistono nel loro stato di moto o di quiete ne ricevono un moto proporzionale alla forza impressa e resistono tanto quanto gli altri corpi resistono loro. In conseguenza di questo solo principio però non ci sarebbe mai potuto essere nel mondo alcun movimento. Per mettere i corpi in movimento era necessario un altro principio; ed ora che si muovono è necessario un altro principio che ne conservi il movimento. Infatti, dalle varie composizioni dei due moti appare sicuro che nel mondo non c’è sempre la stessa quantità di movimento. (I. Newton, Ottica, in Scritti di ottica, a cura di A. Pala, Utet, Torino 1978, p. 598)

Guida alla lettura. Mediante la forza di gravitazione universale e di una forza simile responsabile della coesione degli atomi a formare i corpi materiali, newton ritiene di poter spiegare i moti presenti nell’universo e le rispettive leggi. Restano però aperti due problemi: da dove ha avuto origine il movimento? Come può conservarsi? La prima questione è legata alla conservazione del moto che non ne spiega però l’origine; la seconda all’entropia, cioè alla decadenza del moto in seguito al fatto che in ogni urto se ne perde una parte, per quanto piccola. Per spiegare entrambi i problemi, newton ipotizza la necessità dell’intervento di Dio, aprendo quindi una falla nel rigido meccanicismo che sembrerebbe contraddistinguere la sua concezione della fisica. 52. approFondiMenti > per saperne di più

L’ottica deL 1704 L’Ottica, pubblicata nel 1704, raccoglie scritti dal 1675 in poi, presentando le teorie sulla luce, sui colori e sull’angolo di rifrazione che li caratterizza, basandosi su una serie di esperimenti, preceduti però, nel primo dei tre libri che compongono l’opera, da definizioni e assiomi da cui vengono derivate le proposizioni principali. Si conclude con le Questiones, notazioni non sistematiche su problemi suggeriti e raccolti nell’arco di quasi trent’anni. Molte delle Questiones concernono l’ottica e chiariscono i princìpi proposti nell’opera. altre, invece, soprattutto le ultime, affrontano, muovendo dalla natura della luce, la costituzione del mondo fisico, delineando in particolare due teorie: l’esistenza del vuoto e la composizione atomica della materia. ▶ Frontespizio dell’Ottica di Newton, Londra 1704.

4 N EW ToN: uN a N uova IMMaG IN E D E L Co S M o E D E L L a F I S I C a

T16 Newton Dio agisce nell’universo

LAVORO SUL TESTO

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• T17

Bacone L’esigenza del metodo • T18 Galilei Esperienza e «certe dimostrazioni» • T19 Galilei Qualità primarie e secondarie

T17

• T20

Galilei Il cannone e la carrozza • T21 Newton Il metodo induttivodeduttivo

Bacone L’esigenza del metodo

l’universo è come un labirinto che non può essere esplorato in maniera casuale sulla base dell’esperienza. È necessario un metodo che renda sistematica la conoscenza. a volte le argomentazioni vengono sviluppate attraverso immagini, come fa spesso Bacone. In questo breve brano, le metafore e le immagini sostituiscono le argomentazioni e sono di immediata comprensione.

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edificio dell’universo, per la sua struttura, appare all’intelletto umano che lo contempla come un labirinto dove si presentano da ogni lato molteplici vie ambigue, fallaci somiglianze di cose e di segni, spirali e nodi avvolti e complicati delle nature. Il cammino deve perpetuamente compiersi all’incerta luce del senso che talora è sfolgorante, talora opaca, attraverso le selve dell’esperienza e dei fatti particolari. Anche coloro che si offrono (come abbiamo detto) come guide per il cammino vi sono essi stessi avvolti e aumentano il numero degli errori e degli erranti. In una situazione così aspra bisogna disperare del giudizio umano sia per quanto riguarda la sua propria forza, sia per quanto concerne i casi fortunati nei quali esso si può trovare. Né l’eccellenza degli ingegni, per quanto grande sia, né il caso negli esperimenti, per quanto spesso si verifichi, potranno vincere queste difficoltà. I passi devono essere guidati da un filo conduttore: l’intera via, fin dalle prime percezioni dei sensi, dev’essere costruita con metodo sicuro. (F. Bacone, La grande instaurazione, Prefazione, in Scritti filosofici, a cura di P. Rossi, Utet, Torino 1975, p. 526)

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DISCUTERE IL TESTO

Bacone scrive in modo facile e gradevole, perché usa spesso esempi, metafore, immagini che rendono visivamente evidenti i concetti di volta in volta presentati. In questo brano le immagini sono combinate in una scenografia che potremmo disegnare senza difficoltà: la natura-labirinto, rischiarata a tratti e in modo irregolare dalla luce dei sensi, nel tentativo di aprirci un varco tra le selve dell’esperienza. L’alternativa è la costruzione di una strada sicura che percorra il labirinto, senza che ogni volta si debba ricominciare a cercare daccapo la giusta via.

L’esigenza di un metodo sistematico è legata alla possibilità di avanzare continuamente nella scienza, rendendo possibile collaborare e portare avanti ricerche comuni, tra ricercatori con compiti diversi, dalla raccolta dei dati alla loro rielaborazione alla formulazione di nuove teorie. L’ideale di Bacone è una scienza cumulativa e collaborativa. È ancora attuale questa concezione? La scienza, oggi, si muove in questo modo?

COMPRENDERE IL TESTO

• In che senso Bacone parla di «selve» dell’esperienza? • perché l’universo è paragonato a un labirinto?

T18

Galilei Esperienza e «certe dimostrazioni»

Quello riportato nel brano è uno degli «esperimenti mentali» più celebri di Galilei e costituisce un passaggio fondamentale per illustrare la nuova concezione del movimento. simplicio, l’interlocutore aristotelico, tenta di confutare il moto terrestre sostenendo che, se la Terra si muovesse, un grave lasciato cadere dall’alto di una torre dovrebbe cadere spostato verso occidente, come un grave lasciato cadere dall’alto dell’albero maestro di una nave cade verso poppa, perché la nave continua ad andare intanto che il grave precipita. salviati, il personaggio che riporta le idee di Galilei, gli chiede se ha mai fatto questa esperienza, secondo lui chiaramente falsa. IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

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alviati Benissimo. Avete voi fatta mai l’esperienza della nave B? Simplicio Non l’ho fatta; ma ben credo che quelli autori che la producono, l’abbiano diligentemente osservata: oltre che si conosce tanto apertamente la causa della disparità, che non lascia luogo di dubitare C. Salviati Che possa esser che quelli autori la portino senza averla fatta, voi stesso ne sete buon testimonio, che senza averla fatta la recate per sicura e ve ne rimettete a buona fede al detto loro: sì come è poi non solo possibile, ma necessario, che abbiano fatto essi ancora, dico di rimettersi a i suoi antecessori, senza arrivar mai a uno che l’abbia fatta; perché chiunque la farà, troverà l’esperienza mostrar tutto ’l contrario di quel che viene scritto D: cioè mostrerà che la pietra casca sempre nel medesimo luogo della nave, stia ella ferma o muovasi con qualsivoglia velocità. Onde, per esser la medesima ragione della Terra che della nave, dal cader la pietra sempre a perpendicolo al piè della torre non si può inferir nulla del moto o della quiete della Terra E. Simplicio Se voi mi rimetteste ad altro mezo che all’esperienza, io credo bene che le dispute nostre non finirebber per fretta; perché questa mi pare una cosa tanto remota da ogni uman discorso, che non lasci minimo luogo alla credulità o alla probabilità. Salviati E pur l’ha ella lasciato in me.

Per Simplicio, una pietra lasciata cadere dalla coffa di una nave, cadrà verso poppa. Salviati gli chiede se ha mai fatto questa esperienza B. Simplicio risponde che è riportata in testi autorevoli di autori che l’hanno sicuramente fatta C. Salviati contesta che ciò sia avvenuto, perché l’affermazione è falsa, come dimostrerà D. infatti la pietra cadrà sempre sulla perpendicolare, quindi se una pietra cade ai piedi di una torre da cui è stata lanciata, ciò non dice nulla sul moto della Terra E.

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Simplicio Che dunque voi non n’avete fatte cento, non che una prova, e l’affermate così francamente per sicura? Io ritorno nella mia incredulità, e nella medesima sicurezza che l’esperienza sia stata fatta da gli autori principali che se ne servono, e che ella mostri quel che essi affermano. Salviati Io senza esperienza son sicuro che l’effetto seguirà come vi dico, perché così è necessario che segua F; e più v’aggiungo che voi stesso ancora sapete che non può seguire altrimenti, se ben fingete, o simulate di fingere, di non lo sapere. Ma io son tanto buon cozzon di cervelli, che ve lo farò confessare a viva forza. [...] Salviati [...] Però ditemi: quando voi aveste una superficie piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l’acciaio, e che fusse non parallela all’orizonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo, lasciata in sua libertà che credete voi che ella facesse? non credete voi (sì come credo io) che ella stesse ferma G? Simplicio Se quella superficie fusse inclinata? Salviati Sì, ché così già ho supposto. Simplicio Io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro ch’ella si moverebbe verso il declive spontaneamente H. [...] Salviati Così sta. E quanto durerebbe a muoversi quella palla, e con che velocità? E avvertite che io ho nominata una palla perfettissimamente rotonda ed un piano esquisitamente pulito, per rimuover tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii: e così voglio che voi astragghiate dall’impedimento dell’aria, mediante la sua resistenza all’essere aperta, e tutti gli altri ostacoli accidentarii, se altri ve ne potessero essere I. Simplicio Ho compreso il tutto benissimo: e quanto alla vostra domanda, rispondo che ella continuerebbe a muoversi in infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano, e con movimento accelerato continuamente; ché tale è la natura de i mobili gravi, che vires acquirant eundo [acquistano forza andando, movendosi]: e quanto maggior fusse la declività, maggior sarebbe la velocità J. Salviati Ma quand’altri volesse che quella palla si movesse all’insú sopra quella medesima superficie, credete voi che ella vi andasse? Simplicio Spontaneamente no, ma ben strascinatavi o con violenza gettatavi K. Salviati E quando da qualche impeto violentemente impressole ella fusse spinta, quale e quanto sarebbe il suo moto? Simplicio Il moto andrebbe sempre languendo e ritardandosi, per esser contro a natura, e sarebbe più lungo o più breve secondo il maggiore o minore impulso e secondo la maggiore o minore acclività L. Salviati Parmi dunque sin qui che voi mi abbiate esplicati gli accidenti d’un mobile sopra due diversi piani; e che nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente descende e va continuamente accelerandosi, e che a ritenervelo in quiete bisogna usarvi forza; ma sul piano ascendente ci vuol forza a spignervelo ed anco a fermarvelo, e che ’l moto impressogli va continuamente scemando, sì che finalmente si annichila. Dite ancora di più che nell’un caso e nell’altro nasce diversità dall’esser

Salviati si appresta a dimostrare la propria tesi con un esperimento mentale F.

se ponessimo una sfera su una superficie inclinata, allora essa starebbe ferma G?

No, scenderebbe lungo il piano H. se la sfera e il piano fossero perfettamente lisci e se potessimo eliminare anche l’attrito dell’aria, allora fino a quando continuerebbe a muoversi la sfera I? La sfera continuerebbe a muoversi finché durasse la declività del piano, di moto accelerato J. e che cosa succederebbe se la sfera fosse spinta in salita, lungo il piano K?

allora la sfera andrebbe progressivamente decelerando L.

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(G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata seconda, Einaudi, Torino 1970, pp. 176-82; consultabile in www.liberliber.it)

quindi la sfera accelera in un piano declive e decelera in un piano acclive M. Allora che cosa farebbe in un piano né acclive né declive N?

allora la sfera resterebbe ferma O. Se alla sfera fosse dato del moto in una direzione, che cosa farebbe P? allora continuerebbe a muoversi in quella direzione Q.

e continuerebbe a muoversi all’infinito R. [Salviati-Galilei ha dimostrato in questo modo il principio di conservazione del moto, estraneo alla fisica aristotelica] anche la nave si muove su un piano né in salita né in discesa, quindi conserverebbe il proprio movimento, se non ci fossero gli «ostacoli esterni» S. ma anche la pietra, muovendosi con la nave, possiede lo stesso moto T; tale moto non verrebbe meno una volta lasciata cadere, quindi si muoverebbe con la stessa velocità della nave perciò cadrebbe ai piedi dell’albero, non verso poppa U.

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la declività o acclività del piano, maggiore o minore; sì che alla maggiore inclinazione segue maggior velocità, e, per l’opposito, sopra ’l piano acclive il medesimo mobile cacciato dalla medesima forza in maggior distanza si muove quanto l’elevazione è minore M. Ora ditemi quel che accaderebbe del medesimo mobile sopra una superficie che non fusse né acclive né declive N. Simplicio Qui bisogna ch’io pensi un poco alla risposta. Non vi essendo declività, non vi può essere inclinazione naturale al moto, e non vi essendo acclività, non vi può esser resistenza all’esser mosso, talché verrebbe ad essere indifferente tra la propensione e la resistenza al moto: parmi dunque che e’ dovrebbe restarvi naturalmente fermo. Ma io sono smemorato, perché non è molto che ’l signor Sagredo mi fece intender che così seguirebbe O. Salviati Così credo, quando altri ve lo posasse fermo, ma se gli fusse dato impeto verso qualche parte, che seguirebbe P? Simplicio Seguirebbe il muoversi verso quella parte Q. Salviati Ma di che sorte di movimento? di continuamente accelerato, come ne’ piani declivi, o di successivamente ritardato, come negli acclivi? Simplicio Io non ci so scorgere causa di accelerazione né di ritardamento, non vi essendo né declività né acclività. Salviati Sì. Ma se non vi fusse causa di ritardamento, molto meno vi dovrebbe esser di quiete: quanto dunque vorreste voi che il mobile durasse a muoversi? Simplicio Tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie né erta né china. Salviati Adunque se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimente senza termine, cioè perpetuo R? Simplicio Parmi di sì, quando il mobile fusse di materia da durare. [...] Salviati Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, è un di quei mobili che scorrono per una di quelle superficie che non sono né declivi né acclivi, e però disposta, quando le fusser rimossi tutti gli ostacoli accidentarii ed esterni, a muoversi, con l’impulso concepito una volta, incessabilmente e uniformemente S. Simplicio Par che deva esser così. Salviati E quella pietra ch’è su la cima dell’albero non si muov’ella, portata dalla nave, essa ancora per la circonferenza d’un cerchio intorno al centro, e per conseguenza d’un moto indelebile in lei, rimossi gli impedimenti esterni? e questo moto non è egli così veloce come quel della nave T? Simplicio Sin qui tutto cammina bene. Ma il resto? Salviati Cavatene in buon’ora l’ultima conseguenza da per voi, se da per voi avete sapute tutte le premesse. Simplicio Voi volete dir per ultima conclusione, che movendosi quella pietra d’un moto indelebilmente impressole, non l’è per lasciare, anzi è per seguire la nave, ed in ultimo per cadere nel medesimo luogo dove cade quando la nave sta ferma U […].

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Questo esperimento mentale espone una nuova concezione del moto rispetto alla fisica aristotelica. Secondo aristotele, ogni moto richiede un motore in atto, quindi viene meno non appena cessa la causa che lo produce. Galilei afferma invece il principio della conservazione del moto: una volta impresso, il moto si conserva finché non intervengono cause contrarie. Questa è la base del principio di inerzia, già affermato da Cartesio ma per motivi filosofici e non fisici. La conservazione del movimento fa sì che tutti i corpi all’interno di un sistema possiedano lo stesso moto del sistema stesso (relatività galileiana) e che quindi i moti reciproci rimangano gli stessi, sia che il sistema si muova, sia che stia in quiete. Ne consegue che tutte le argomentazioni degli aristotelici, su presunti fenomeni che avrebbero dovuto verificarsi se la Terra fosse in moto, vengono meno. COMPRENDERE IL TESTO

• Qual è la tesi iniziale di Simplicio?

• perché di fatto ciò non potrebbe essere constatato? • Che velocità orizzontale avrebbe la pietra lasciata andare dalla coffa? DISCUTERE IL TESTO all’epoca di Galilei, per il senso comune sembrava assurdo immaginare che la Terra girasse intorno a se stessa e intorno al Sole. Galilei parla di fisica e di meccanica, anche nel brano che abbiamo appena letto, ma in realtà sta rivoluzionando, letteralmente, la visione del mondo dell’epoca, mettendo anche in discussione certezze consolidate e l’autorità di aristotele e della Chiesa stessa. Leggendo i suoi testi, dobbiamo sempre considerare questa valenza profonda, al di là dell’affermazione di leggi naturali e di princìpi come quello di inerzia che adesso ci sembrano ovvi. anche oggi, però, la scienza è molto più avanzata rispetto al senso comune e sta cambiando la visione del mondo. Quali teorie scientifiche ti sembra che vadano in questa direzione?

• perché un corpo in moto su una superficie piana conserverebbe il proprio moto all’infinito?

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Galilei Qualità primarie e secondarie

alcune qualità, secondo Galilei, fanno parte della cosa stessa (quindi sono oggettive), come la forma, la figura, la posizione ecc. altre, invece, come i colori, i sapori ecc., dipendono dai sensi di chi conosce (sono quindi soggettive). Per spiegare questa differenza, Galilei ricorre all’immagine della mano che tocca una statua o un corpo vivente. IL PERCORSO ARGOMENTATIVO

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er tanto io dico che ben sento tirarmi dalla necessità, subito che concepisco una materia o sostanza corporea, a concepire insieme ch’ella è terminata e figurata di questa o di quella figura, ch’ella in relazione ad altre è grande o piccola, ch’ella è in questo o quel luogo, in questo o quel tempo, ch’ella si muove o sta ferma, ch’ella tocca o non tocca un altro corpo, ch’ella è una, poche o molte B, né per veruna imaginazione posso separarla da queste condizioni C; ma ch’ella debba essere bianca o rossa, amara o dolce, sonora o muta, di grato o ingrato odore, non sento farmi forza alla mente di doverla apprendere da cotali condizioni necessariamente accompagnata D: anzi, se i sensi non ci fussero scorta, forse il discorso o l’immaginazione per se stessa non v’arriverebbe già mai E. Per lo che vo io pensando che questi sapori, odori, colori, etc., per la parte del suggetto nel quale ci par che riseggano, non sieno altro che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, sieno levate ed annichilate tutte queste qualità F; tuttavolta però che noi, sì come gli abbiamo imposti nomi particolari e differenti da quelli de gli altri primi e reali accidenti, volessimo credere ch’esse ancora fussero veramente e realmente da quelli diverse.

Nel momento stesso in cui concepisco una sostanza corporea, non posso fare a meno di pensarla associata ad alcune qualità, come le dimensioni, la forma, il movimento o la quiete e così via B; dunque queste qualità devono far parte della sostanza corporea stessa C. Non la avverto invece necessariamente connessa a colori, sapori, odori ecc D. anzi, se non avessi i sensi non arriverei mai ad attribuire alle cose tali qualità E. Di conseguenza queste qualità non dipendono dalle cose ma dai sensi e dal soggetto senziente F.

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Immaginiamo, ad esempio, di passare la mano ora su una statua ora su un uomo vivo G; il moto della mano e il toccamento saranno gli stessi in entrambi i casi H, ma il tocco della mano avrà effetti diversi sul corpo vivente rispetto alla statua, producendo sul primo solletico I. Il solletico quindi è proprio dei sensi del corpo vivente, non della mano che lo tocca J, infatti una reazione simile è prodotta anche da un foglio di carta che tocchi un corpo vivente K. Lo stesso si deve dire delle qualità come i colori, i sapori, gli odori, che sono nei nostri sensi e non nelle cose L.

(G. Galilei, Il Saggiatore, Feltrinelli, Milano 1965, pp. 261-62)

CoMprendere iL testo

• Quali sensazioni dipendono dall’oggetto? • E quali, invece, dal soggetto? • Che cosa dimostra l’esperimento mentale della mano? disCutere iL testo

A proposito dei colori, che Galilei annovera tra le sensazioni soggettive, newton compirà una vera rivoluzione:

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essi possono essere ricondotti a proprietà oggettive individuando l’angolo di rifrazione di ognuno dei colori che compongono lo spettro solare. La trasformazione in qualità oggettiva è legata alla quantificazione: ciò che è misurabile, quantificabile, è oggettivo, quindi anche le qualità soggettive possono essere rese oggettive se passiamo dalla percezione alla quantificazione. perché questo cambiamento di prospettiva è così importante?

Galilei Il cannone e la carrozza

Il brano che segue affronta un tema simile a quello di t18 e ne trovi la rappresentazione grafica nella scheda 30. Il problema della rotazione della Terra è ovviamente di importanza fondamentale per la dimostrazione del sistema copernicano, ma è anche fondamentale perché fa emergere una nuova concezione della meccanica, basata sulla conservazione del movimento e sul principio di inerzia, concetti innovativi rispetto alla fisica aristotelica.

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alviati Veramente il dubitar vostro non è senza ragione, e forse il Copernico stesso non ne dovette trovar scioglimento di sua intera sodisfazione, e perciò per avventura lo tacque; se ben anco nell’esaminar l’altre ragioni in contrario fu assai conciso, credo per altezza d’ingegno,

iL perCorso arGoMentativo Contro il moto di rotazione della Terra venivano proposti vari argomenti: se ci fosse, un grave cadrebbe

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Io credo che con qualche essempio più chiaramente spiegherò il mio concetto. Io vo movendo una mano ora sopra una statua di marmo, ora sopra un uomo vivo G. Quanto all’azzione che vien dalla mano, rispetto ad essa mano è la medesima sopra l’uno e l’altro soggetto, ch’è di quei primi accidenti, cioè moto e toccamento, né per altri nomi vien da noi chiamata H: ma il corpo animato, che riceve tali operazioni, sente diverse affezzioni secondo che in diverse parti vien tocco; e venendo toccato, verbigrazia, sotto le piante de’ piedi, sopra le ginocchia o sotto l’ascelle, sente, oltre al commun toccamento, un’altra affezzione, alla quale noi abbiamo imposto un nome particolare, chiamandola solletico: la quale affezzione è tutta nostra, e non punto della mano I; e parmi che gravemente errerebbe chi volesse dire, la mano, oltre al moto ed al toccamento, avere in sé un’altra facoltà diversa da queste, cioè il solleticare, sì che il solletico fusse un accidente che risedesse in lei J. Un poco di carta o una penna, leggiermente fregata sopra qualsivoglia parte del corpo nostro, fa, quanto a sé, per tutto la medesima operazione, ch’è muoversi e toccare; ma in noi, toccando tra gli occhi, il naso, e sotto le narici, eccita una titillazione quasi intollerabile, ed in altra parte a pena si fa sentire. Or quella titillazione è tutta di noi, e non della penna, e rimosso il corpo animato e sensitivo, ella non è più altro che un puro nome K. Ora, di simile e non maggiore essistenza credo io che possano esser molte qualità che vengono attribuite a i corpi naturali, come sapori, odori, colori ed altre L.

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e fondato su maggiori e più alte contemplazioni, nel modo che i leoni poco si muovono per l’importuno abbaiar de i picciol cani. Serberemo dunque l’instanza de gli uccelli in ultimo, e ’n tanto cercheremo di dar sodisfazione al signor Simplicio nell’altre, col mostrargli, al modo solito, che egli stesso ha le soluzioni in mano, se bene non se n’accorge. E facendo principio da i tiri di volata, fatti, col medesimo pezzo polvere e palla, l’uno verso oriente e l’altro verso occidente, dicami qual cosa sia quella che lo muove a credere che ’l tiro verso occidente (quando la revoluzion diurna fusse del globo terrestre) dovrebbe riuscir più lungo assai che l’altro verso levante B. Simplicio Muovomi a così credere, perché nel tiro verso levante la palla, mentre che è fuori dell’artiglieria, viene seguita dall’istessa artiglieria, la quale, portata dalla Terra, pur velocemente corre verso la medesima parte, onde la caduta della palla in terra vien poco lontana dal pezzo. All’incontro nel tiro occidentale, avanti che la palla percuota in terra, il pezzo si è ritirato assai verso levante, onde lo spazio tra la palla e’l pezzo, cioè il tiro, apparirà più lungo dell’altro quanto sarà stato il corso dell’artiglieria, cioè della Terra, ne’ tempi che amendue le palle sono state per aria C. Salviati Io vorrei che noi trovassimo qualche modo di far una esperienza corrispondente al moto di questi proietti, come quella della nave al moto de i cadenti da alto a basso, e vo pensando la maniera. Sagredo Credo che prova assai accomodata sarebbe il pigliare una carrozzetta scoperta, ed accomodare in essa un balestrone da bolzoni a meza elevazione, acciò il tiro riuscisse il massimo di tutti, e mentre i cavalli corressero, tirare una volta verso la parte dove si corre, e poi un’altra verso la contraria, facendo benissimo notare dove si trova la carrozza in quel momento di tempo che ’l bolzone si ficca in terra, sì nell’uno come nell’altro tiro; ché così potrà vedersi per appunto quanto l’uno riesce maggior dell’altro D. Simplicio Parmi che tale esperienza sia molto accomodata; e non ho dubbio che ’l tiro, cioè che lo spazio tra la freccia e dove si trova la carrozza nel momento che la freccia si ficca in terra, sarà minore assai quando si tira verso il corso della carrozza, che quando si tira per l’opposito. Sia, per esempio, il tiro in se stesso trecento braccia, e ’l corso della carrozza, nel tempo che il bolzone sta per aria, sia braccia cento: adunque, tirandosi verso il corso, delle trecento braccia del tiro la carrozzetta ne passa cento, onde nella percossa del bolzone in terra lo spazio tra esso e la carrozza sarà braccia dugento solamente; ma all’incontro nell’altro tiro, correndo la carrozza al contrario del bolzone, quando il bolzone arà passate le sue trecento braccia e la carrozza le sua cento altre in contrario, la distanza traposta si troverà esser di braccia quattrocento E. Salviati Sarebbec’egli modo alcuno per far che questi tiri riuscissero eguali? Simplicio Io non saprei altro modo che col far star ferma la carrozza. […] Salviati Mi ero scordato di domandar con che velocità si suppone, pur in questa esperienza particolare, che corra la carrozza. Simplicio La velocità della carrozza bisogna supporla di un grado, in comparazione di quella dell’arco, che è tre.

non ai piedi di una torre ma spostato verso occidente, gli uccelli volerebbero con maggiore fatica verso oriente, un cannone avrebbe una gittata molto maggiore sparando verso Ovest che verso Est. L’esperimento mentale della carrozza confuta l’ultima tesi B. Tesi di Simplicio: se un cannone spara verso oriente allora esso segue il moto della Terra perciò la palla cade a breve distanza se spara verso occidente allora il cannone si allontana dalla palla perciò essa cade più lontano a causa dello spazio percorso dalla Terra C. Esperimento mentale di Salviati: se da una carrozza scoperta una balestra sparasse una volta in direzione del moto e una in direzione contraria allora potremo vedere quale tiro va più lontano D. L’esperimento è adatto per discutere il problema. Il tiro sarà minore quando indirizzato verso il moto della carrozza. Ad esempio, se il tiro è di 300 braccia e la carrozza si muove di 100 allora la distanza percorsa dalla freccia sarà di 300 - 100 braccia quando la freccia è lanciata nella direzione in cui va la carrozza invece sarà di 300 + 100 nel caso opposto E.

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Guida aLL’anaLisi

CoMprendere iL testo

Anche l’esperimento mentale della carrozza si basa sulla relatività galileiana, chiarito nella scheda 31 (Il gran naviglio). Si parte dal presupposto della conservazione del movimento, dalla quale consegue che tutti gli elementi di un sistema in moto rettilineo uniforme conservano la stessa velocità, per cui i moti relativi sono indipendenti da quello generale del sistema. non possiamo quindi stabilire con esperimenti all’interno del sistema, senza riferimenti esterni, se esso sia in moto o in quiete.

• nell’ipotesi iniziale di Simplicio, scagliando due frecce con la stessa forza da una carrozza in movimento, una nella direzione del moto l’altra in direzione opposta, dovrebbero cadere a distanze diverse dalla carrozza. Quale cadrebbe più lontana? Perché?

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• Come fa Salviati a dimostrare che invece cadrebbero alla stessa distanza? Ripercorri i passaggi argomentativi.

Newton Il metodo induttivo-deduttivo

abbiamo visto che newton è consapevole dei problemi del metodo induttivo e di come proponga, a partire dalle leggi individuate con tale metodo, un procedimento deduttivo che ne legittimi l’universalità. In questo brano vengono esposte tutte le tappe del percorso che ha seguito nella definizione del metodo e che tornano nell’organizzazione della sua opera principale.

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oi [...] esaminiamo non le arti ma la filosofia, e scriviamo non sulle potenze manuali ma su quelle naturali, e trattiamo soprattutto quelle cose che riguardano la gravità, la leggerezza, la forza elastica, la resistenza dei fluidi e le forze di ogni genere sia attrattive che repulsive. Per questa ragione proponiamo questi nostri princìpi matematici di filo-

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Ma se la carrozza si muove, allora si muovono anche tutte le cose che vi stanno sopra F, quindi anche l’arco e la freccia G. se la freccia è scagliata con 3 gradi di velocità e la carrozza procede di un grado, allora la freccia scagliata nella direzione del moto procede con 4 gradi di velocità H, invece quella scagliata in direzione contraria, procede con 2 gradi di velocità I. ma questa diversa velocità compenserà il moto della carrozza, quindi le frecce cadranno alla stessa distanza della carrozza J. Lo stesso vale per il cannone, quindi le due palle cadranno sempre alla stessa distanza, indipendentemente (G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata seconda, dall’eventuale moto Einaudi, Torino 1970, pp. 206-09; consultabile in www.liberliber.it) terrestre K.

Salviati Sì, sì, così torna il conto giusto. Ma ditemi: quando la carrozza corre, non si muovono ancora con la medesima velocità tutte le cose che son nella carrozza F? Simplicio Senza dubbio. Salviati Adunque il bolzone ancora, e l’arco, e la corda su la quale è teso G. Simplicio Così è. Salviati Adunque, nello scaricare il bolzone verso il corso della carrozza l’arco imprime i suoi tre gradi di velocità in un bolzone che ne ha già un grado, mercé della carrozza che verso quella parte con tanta velocità lo porta, talché nell’uscir della cocca e’ si trova con quattro gradi di velocità H; ed all’incontro, tirando per l’altro verso, il medesimo arco conferisce i suoi medesimi tre gradi in un bolzone che si muove in contrario con un grado, talché nel separarsi dalla corda non gli restano altro che dua soli gradi di velocità I. Ma già voi stesso avete deposto che per fare i tiri eguali bisogna che il bolzone si parta una volta con quattro gradi e l’altra con due: adunque, senza mutar arco, l’istesso corso della carrozza è quello che aggiusta le partite, e l’esperienza è poi quella che le sigilla a coloro che non volessero o non potessero esser capaci della ragione J. Ora applicate questo discorso all’artiglieria, e troverete che, muovasi la Terra o stia ferma, i tiri fatti dalla medesima forza hanno a riuscir sempre eguali, verso qualsivoglia parte indrizzati K.

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sofia. Sembra infatti che tutta la difficoltà della filosofia consista nell’investigare le forze della natura a partire dai fenomeni del moto e dopo nel dimostrare i restanti fenomeni a partire da queste forze. A questo mirano le proposizioni generali delle quali abbiamo trattato nel libro primo e secondo. Nel terzo libro, invero, ho esposto un esempio di ciò al fine di spiegare il sistema del mondo. Ivi, infatti, dai fenomeni celesti, mediante le proposizioni dimostrate matematicamente nei libri precedenti, vengono derivate le forze della gravità, per effetto delle quali i corpi tendono verso il sole e i singoli pianeti. In séguito da queste forze, sempre mediante proposizioni matematiche, vengono dedotti i moti dei pianeti, delle comete, della luna e del mare. Volesse il cielo che fosse lecito dedurre i restanti fenomeni della natura dai princìpi della meccanica col medesimo genere di argomentazione. Infatti, molte cose mi spingono a sospettare che essi tutti possano dipendere da certe forze per effetto delle quali le particelle dei corpi, per cause non ancora conosciute o si urtano fra di loro e si connettono secondo figure regolari o si respingono e recedono l’una dall’altra: per le quali forze ignote, i filosofi fin qui invano indagarono la natura. Spero in verità che, o a questo modo di filosofare, o ad un altro più vero, i princìpi qui posti possano apportare qualche luce. (I. Newton, Principi matematici della filosofia naturale, Prefazione dell’autore, a cura di A. Pala, Utet, Torino 1965, pp. 56-57)

GUIDA ALL’ANALISI

COMPRENDERE IL TESTO

L’opera principale di newton si intitola Principi matematici della filosofia naturale. In questo brano newton spiega il titolo, sottolineando che non si occupa semplicemente dell’intervento sulla natura («potenze manuali») ma di comprenderne le leggi generali. Il problema centrale è proprio questo: non possiamo arrivare a spiegare le leggi naturali mediante il solo metodo induttivo. Esso costituisce comunque un momento indispensabile, ma deve essere completato. newton dà una descrizione efficace del nuovo metodo. Si parte da quello induttivo-sperimentale, per ricavarne leggi (proposizioni generali). Fin qui siamo nell’ambito del metodo induttivo. a partire da queste leggi, però, si «dimostrano» i restanti fenomeni, deducendoli da questi princìpi generali. Nel terzo libro, si costruisce quindi in modo deduttivo il sistema del mondo, cioè la spiegazione di tutti i principali fenomeni fisici. Deducendoli, al tempo stesso li si dimostra, perché si indicano le cause generali da cui derivano. In chiusura, Newton esprime l’auspicio di poter definire, grazie a questo metodo, anche le forze atomiche e molecolari che stava studiando, ipotizzando che gli atomi fossero tenuti insieme a comporre i corpi da forze simili a quella gravitazionale, ma senza riuscire a individuarle con chiarezza.

• Quali sono le espressioni che fanno riferimento al metodo deduttivo? • a che cosa si riferisce quando parla, nell’ultimo capoverso, di «forze ignote»? DISCUTERE IL TESTO

Nell’epistemologia (la disciplina che si occupa della conoscenza scientifica) del Novecento si afferma ormai in modo unanime che il metodo della ricerca scientifica non è induttivo ma induttivo-deduttivo, come sosteneva Newton. È anzi principalmente deduttivo, perché si cercano particelle e tipi di energia previsti dalle teorie ma non osservabili di per sé nell’esperienza. un filosofo del Novecento, Karl popper, ha criticato apertamente la validità dell’induzione, sostenendo che la scienza procede per «congetture e confutazioni», cioè per ipotesi non necessariamente derivate dall’esperienza e controlli che, essi sì, sono basati sull’esperienza stessa. L’esperienza continua a essere importante nel metodo scientifico, non, però, come momento iniziale, ma come strumento di controllo. Scrivi le tue osservazioni su questo tema, eventualmente dopo aver letto in Internet qualche recensione del volume Congetture e confutazioni di popper.

Itinerari di lettura online

T1 (da BACONE, La grande instaurazione), L’esigenza del metodo T2 (da BACONE, La grande instaurazione), La teoria degli idòla T3 (da BACONE, La grande instaurazione), Formiche, ragni e api T4 (da BACONE, La grande instaurazione), Le caratteristiche del metodo induttivo T5 (da GALILEI, Il Saggiatore), La struttura matematica dell’universo T6 (da GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo), Esperienza e «certe dimostrazioni» T7 (da NEWTON, Ottica), Il metodo induttivo T8 (da NEWTON, Nuova teoria sulla luce e sui colori), Il metodo sperimentale T9 (da NEWTON, Princìpi matematici della filosofia naturale), Le regole del filosofare T10 (da NEWTON, Princìpi matematici della filosofia naturale), La deduzione delle leggi di Keplero

2. SCIENZA E FEDE La rivoluzione scientifica si sviluppa nella sua prima parte contemporaneamente alla Controriforma. Essa

entra perciò in contrasto con il principio di autorità e con la cosmologia aristotelico-tolemaica, fatta propria dalla Chiesa romana. Di conseguenza, Galilei si trova ad affrontare una dura battaglia per affermare la nuova visione del cosmo e della conoscenza, rivendicando l’autonomia della ragione dalla fede. più tardi, invece, sarà lo stesso Newton, in scritti che resteranno inediti fino al secolo scorso, a ipotizzare l’intervento di Dio nell’universo per garantirne la conservazione della quantità complessiva di moto, continuamente ridotta dall’entropia.

T11 (da GALILEI, Lettera a don Benedetto Castelli), Le Sacre Scritture e la scienza

T12 (da GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo), Contro il finalismo

T13 (da NEWTON, Ottica), Il teleologismo T14 (da NEWTON, Ottica), I limiti e i compiti della filosofia naturale

3. L’UTOPIA TECNOLOGICA DI BACONE Bacone lega strettamente la ricerca scientifica e l’applicazione tecnologica. Il nuovo sapere, del quale nel Novum organum cerca di definire il metodo, è importante nella misura in cui può contribuire a migliorare le condizioni di vita dell’uomo. Egli descrive le potenzialità di questa prospettiva nella Nuova Atlantide, il sogno utopistico di una scienza orientata verso le applicazioni tecnologiche. In questo breve scritto Bacone sembra anticipare alcune invenzioni che si realizzeranno dopo molto tempo, in qualche caso addirittura ai nostri giorni. T15 (da BAConE, La Nuova Atlantide), La Casa di Salomone T16 (da BAConE, La Nuova Atlantide), L’organizzazione della ricerca

L AVORO S UL T ES TO

1. IL METODO DELLA NUOVA SCIENZA Anche se la concezione di una natura regolata da leggi, comprensibile e prevedibile, era andata affermandosi già nel Rinascimento, per poter parlare di una rivoluzione scientifica era indispensabile un nuovo metodo, che aprisse la strada allo studio razionale della natura. Questa svolta si compie nel corso del Seicento, con la definizione del metodo sperimentale, a opera di Bacone, di Galilei e infine di Newton. In questo itinerario particolarmente ampio (dieci brani) in considerazione dell’importanza del tema, ripercorriamo lo sviluppo di questo metodo e i problemi che è stato necessario superare prima che assumesse, con Newton, una fisionomia definitiva.

149

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

150

Laboratorio CONCETTUALIZZARE RIVOLUZIONE SCIENTIFICA 1. completa gli schemi sul metodo scientifico. Parlando del metodo induttivo, Bacone scrive: «La via da percorrere, infatti, non è piana, ma in salita e in discesa» (La grande instaurazione, Novum Organum, i, parr. 103-05, in Scritti filosofici cit., p. 612). Lo schema che segue riassume le caratteristiche del metodo proprie in generale porta a

ipotesi

della scienza del Seicento. Completalo, inserendo nelle caselle uno dei concetti riportati nella tabella. abbina poi a ognuno di essi l’autore che lo ha trattato in modo più esplicito o approfondito.

attraverso

si formulano

• ............................

• r apporti quantitativi tra variabili

esperienza

esperimenti

che consentono

applicazioni • r apporti matematici • natura del mondo • tecnologia

• ...............................

• ...............................

• tavole • quantificazione

• istanze • cimento

conceTTI

leggi

• ...............................

auTorI

deduzione dei fenomeni esperimenti mentali prima vendemmia sensate esperienze

GALILEI E NEWTON 2. abbina le definizioni ai relativi concetti. 1. Sensate esperienze

2. 3. 4. 5. 6.

Conservazione del moto Relatività galileiana Qualità primarie Qualità secondarie Quantificazione

7. Teoria atomica

a. all’interno di un sistema non è possibile dimostrare con esperimenti meccanici se il sistema stesso è fermo o in moto uniforme b. Esistenti realmente nell’oggetto c. Esperienze fatte con i sensi d. La materia è costituita da particelle indivisibili e. prodotte dal soggetto f. Ricondurre le qualità a variabili misurabili, rendendole così misurabili oggettivamente g. un corpo in moto rettilineo uniforme conserva il proprio movimento finché non intervengono forze contrarie

COMPRENDERE

151

3. Indica quali delle seguenti frasi sono vere e quali false: 1. Keplero afferma che il Sole è al centro di tutto l’universo. 2. Bacone usa il metodo induttivo, sostenendo che la conoscenza scientifica deve partire dall’esperienza.

V

V

F

F

3. Bacone paragona gli scienziati alle formiche, che raccolgono pazientemente i chicchi di grano così come gli scienziati V F raccolgono i dati dell’esperienza. 4. osservando la Luna con il telescopio, Galilei dimostra che non esistono le sfere cristalline.

V

5. Galilei dimostra che anche se la Terra girasse su se stessa non ne seguirebbero effetti visibili.

V

F

6. Secondo Galilei non è possibile una conoscenza oggettiva.

V

F

7. Il metodo di Newton può essere definito «induttivo-deduttivo».

V

F

8. Newton teorizza l’esistenza di un tempo e di uno spazio assoluti.

V

F

9. Secondo Newton, Dio esiste ma non interviene nell’universo.

V

F

F

ARGOMENTARE COPERNICO 4. nella sua opera principale, La rivoluzione delle sfere celesti, copernico sostiene la nuova teoria astronomica con un’argomentazione che qui proponiamo. ricostruiscila ordinando in modo opportuno le proposizioni che seguono: a. ammettendo un moto della Terra su se stessa, da occidente a oriente b. ciò spiegherebbe tutti i moti apparenti c. come avviene durante la rivoluzione quotidiana dei cieli, che sembrano girare intorno alla Terra d. essi ritengono impensabile che possa muoversi

e. gli studiosi in generale ritengono che la Terra sia immobile al centro dell’universo f. infatti il movimento può dipendere dal moto dell’oggetto oppure da quello del soggetto che lo percepisce g. perciò è più probabile che si muova la Terra, contenuta nei cieli, piuttosto che i cieli che la contengono h. però non possiamo considerare dimostrata questa tesi i. quando il soggetto e l’oggetto si muovono uniformemente nella stessa direzione, il moto non viene percepito l. quindi se la Terra si muovesse, percepiremmo un moto analogo, ma in direzione opposta, in tutto l’universo

PROBLEMATIZZARE BACONE 5. rifletti sulle questioni poste seguendo le domande-guida. Pregiudizi e rapporti interpersonali Bacone parla dei pregiudizi soprattutto in relazione alla conoscenza della natura, ma essi valgono anche nella conoscenza degli altri e hanno conseguenze dirette in ambito etico.

• Discuti con i tuoi compagni le quattro tipologie degli idòla in questa chiave. ad esempio, gli idòla specus possono riferirsi al fatto che ciò che riguarda direttamente noi è più importante di ciò che riguarda gli altri; gli idòla theatri si riferiscono anche alle ideologie, che ci fanno giudicare una persona in base alla sua affinità o meno, ad esempio, con le nostre convinzioni politiche. Formula altri esempi su questi e sugli altri idòla.

L A B ORATORIO

RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

152

Prepararsi all’interrogazione Confronto tra filosofi 1. LA NUOVA COSMOLOGIA

copernico

Brahe

Keplero

Galilei

newton

Conservazione di aspetti del sistema tolemaico

Innovazioni

Sfere cristalline Universo finito Moto circolare come moto perfetto Geocentrismo dell’universo universo finito Moto circolare come moto perfetto universo finito

Eliocentrismo Moti della Terra

orbite e non sfere Eliocentrismo per tutti i pianeti a eccezione della Terra Eliocentrismo orbite ellittiche Moto causato da una forza fisica (raggi solari) universo finito omogeneità dell’universo Fisica dei gravi (il moto inerziale prove fisiche della struttura copernicana del cosmo: dei corpi che ruotano intorno alla – fasi di venere Terra è quello circolare): è più un – osservazioni della Luna limite che un’analogia con il sistema – pianeti di Giove aristotelico. – macchie solari universo infinito Forza gravitazionale e spiegazione del moto dei pianeti unificazione della fisica celeste e terrestre

2. IL METODO: GALILEI E BACONE Bacone

Galilei

l’esperienza I dati osservativi Il metodo

È il punto di partenza, ma può essere fuorviante se non trattata in modo opportuno. Da trattare in modo sistematico mediante le Devono essere di tipo quantitativo «tavole». (importanza della matematica). Induttivo. Induttivo, ma a volte l’inferenza razionale va oltre l’esperienza e dimostra una tesi (esperimenti mentali). Gli Tutte le esperienze che trasformano i fenomeni, Esperienze costruite ad hoc, agendo su esperimenti anche quelle spontanee o naturali. variabili misurabili. Fine della Scoprire la «natura» della cosa per poterla Individuare la relazione matematica tra ricerca modificare. variabili.

3. IL METODO: GALILEI E NEWTON Galilei

I dati osservativi Il metodo

Newton

possono essere studiati scientificamente soltanto quelli quantitativi.

Tutti i dati possono essere quantificati, se si riesce a distinguere l’aspetto percettivo da quello fisico (v. i colori). Induttivo, con qualche concessione implicita Individua i problemi dell’induzione e segue un all’inferenza razionale (esperimenti mentali). metodo induttivo-deduttivo. Esperienze costruite ad hoc, agendo su variabili misurabili.

Gli esperimenti Fine della Individuare leggi naturali, intese come relazioni matematiche tra variabili. ricerca

Confronto tra idee Prepararsi all’interrogazione

153

4. LA COSMOLOGIA

P RE PA RA RS I A L L’In T E RROG A z IOn E

Confronto tra filosofi definizione

Il termine «cosmologia» deriva dal greco kósmos, «ordine», «mondo» e lógos, «discorso». Significa quindi lo studio del mondo come sistema ordinato, retto da leggi. Il termine viene introdotto in filosofia da Wolff, alla fine del Settecento, ed è poi ripreso e reso d’uso comune da Kant. La nuova cosmologia, nata con Copernico, fa riferimento, in positivo o in negativo, a platone e ad aristotele.

Platone

Illustra la propria teoria cosmologica nel Timeo. Il cosmo ha una struttura matematica, poiché i quattro elementi fondamentali (terra, acqua, aria e fuoco) vengono modellati dal Demiurgo sulla base dei solidi regolari, riconducibili a loro volta a triangoli. Il cosmo ha anche un’intelligenza immanente, un’anima del mondo. Il secondo aspetto è stato particolarmente importante nel Rinascimento, il primo viene fatto proprio dagli scienziati: Keplero è esplicitamente neoplatonico, Galilei considera l’universo, secondo la celebre frase del Saggiatore, come un libro «scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola».

aristotele

afferma la teoria dei luoghi naturali, secondo cui ognuno dei quattro elementi fondamentali ha un luogo specifico che tende a raggiungere se il suo movimento non viene contrastato. Quello della terra è il basso, che in una sfera (qual è l’universo) è il centro. La Terra (pianeta), essendo fondamentalmente terra (elemento) è quindi al centro dell’universo. L’acqua circonda la terra, l’aria l’acqua e il fuoco l’aria: tutti gli elementi sono quindi al di sotto del cielo della Luna, che è il luogo dell’imperfezione perché c’è la mescolanza degli elementi e quindi la nascita e la morte. Il resto dei cieli è composto da un unico elemento (infatti non può esistere il vuoto) e quindi non è soggetto al divenire: è perciò perfetto, incorruttibile, immortale.

copernico

afferma l’eliocentrismo, lasciando però sostanzialmente immutato il resto del sistema aristotelico-tolemaico. L’eliocentrismo presuppone l’introduzione dei due movimenti principali della Terra, quello di rotazione e quello di rivoluzione. In questo modo vengono sollevati importanti problemi astronomici, fisici e meccanici: come è possibile che la Terra compia ogni giorno una rotazione completa su se stessa senza produrre effetti visibili (un forte vento in direzione contraria al moto, la caduta dei gravi non perpendícolare, ma spostata verso occidente ecc.)?

Keplero

Supera la credenza che aveva caratterizzato tutta l’antichità e il Medioevo: la circolarità dei moti dei corpi celesti, in quanto perfetti. Introdurre orbite ellittiche e a diversa velocità nei diversi punti (accelerate al perielio, rallentate all’afelio) costringe però a ipotizzare la presenza di un motore, responsabile del movimento. Keplero lo individua erroneamente nei raggi solari, che agiscono con più forza quando il corpo è più vicino al Sole, spiegando così la diversa velocità orbitale.

Galilei

Supera i problemi legati alla rotazione terrestre dimostrando che all’interno di un sistema non è possibile determinare con esperimenti meccanici se il sistema stesso è in quiete o in moto uniforme (relatività galileiana). Se la Terra ruotasse, quindi, non ci sarebbe nessun effetto visibile. per arrivare a questo risultato, supera anche la nozione aristotelica di moto, come comunicato in ogni momento da un motore in atto, introducendo la teoria della conservazione del movimento (moto inerziale).

newton

afferma per la prima volta in ambito astronomico l’infinità dell’universo (sostenuta in ambito filosofico già da Cusano, in epoca moderna). Individua nella gravitazione universale la forza che spiega i moti sia dei corpi celesti sia dei corpi sulla Terra, superando definitivamente la teoria aristotelica dei luoghi naturali.

Pensare il presente

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

154

Questioni di attualità Il Seicento è il secolo della rivoluzione nella fisica e nell’astronomia. Soltanto nel secolo successivo incomincerà a svilupparsi la biologia e si dovrà aspettare l’Ottocento per i primi studi sulla genetica. Tuttavia Bacone, nella Nuova Atlantide, sembra anticipare entrambe queste scienze, come anche la chimica, sia pure in ambito fantascientifico. Egli parla infatti della possibilità di creare nuove specie di piante e di animali, della produzione di nuovi organi umani per trapianti, e così via. Proprio per il potere che la scienza acquisisce nella sua visione, Bacone prevede che vi siano organismi di controllo sulle applicazioni tecnologiche. Oggi si ripropongono sia il sogno sia i pericoli immaginati da Bacone. Nell’ambito della genetica, in particolare, la mappatura completa del genoma apre la possibilità di intervenire per modificare singoli geni, eliminando così malattie genetiche, ma lasciando aperta la porta anche per ogni tipo di miglioramento dell’essere umano. Ma tutto ciò è lecito? Quali problemi morali solleva questa prospettiva? Partiamo da un film e da alcune domande. Gattaca. La porta dell’universo è una pellicola girata da Andrew Niccol nel 2001. È ambientata in una società del futuro dove la popolazione è suddivisa, in base all’analisi genetica compiuta alla nascita, in valid e in-valid. Solo i primi possono accedere alle professioni che richiedono alta affidabilità. Il protagonista, non-valido, cercherà di realizzare il proprio sogno di diventare astronauta, nonostante che tale professione gli sia preclusa. Il tema di fondo è l’eugenetica, cioè il miglioramento degli individui mediante l’ingegneria genetica. La famiglia del protagonista vive il momento di passaggio: il primo figlio è concepito naturalmente, il secondo mediante la fecondazione artificiale e l’ingegneria genetica. I problemi che Gattaca pone riguardano le possibilità e i rischi dell’ingegneria genetica e i limiti del suo uso. Nel film non ci sono limiti, tanto che la società stessa è strutturata gerarchicamente premiando gli individui frutto della manipolazione genetica e quindi senza i “difetti” (legati alla salute fisica e mentale) della concezione naturale. Gli sviluppi della biologia e della genetica pongono importanti problemi etici, che hanno portato alla nascita di un nuovo settore di studi, la bioetica, cioè l’etica applicata alle questioni della vita (dalla natura dell’embrione e l’aborto alla liceità morale dell’eutanasia, passando per le diverse forme di manipolazione genetica, inclusa la clonazione). I problemi posti dalla bioetica sono problemi “di confine”, e richiedono l’apporto di più discipline – da un lato medico-scientifiche, dall’altro filosofiche – per essere posti in modo

Che cos’è la bioetica?

Film

▲ Fotografia al microscopio elettronico di un embrione dopo 4 giorni dalla fecondazione: è composto da 16 cellule ed è ancora protetto dalla membrana pellucida.

Per riflettere Tra i materiali online del manuale, puoi trovare un percorso intitolato Sviluppo della biologia e bioetica. In esso vengono approfonditi, tra gli altri, i seguenti argomenti: • L’ingegneria genetica: è lecito o meno intervenire sul patrimonio genetico? Se sì, soltanto per correggere gravi malformazioni oppure anche per introdurre miglioramenti nell’individuo? • La questione dell’embrione: deve essere considerato una persona fin dal concepimento o no? È moralmente lecito l’aborto? • Che cos’è la fecondazione artificiale? Deve essere soggetta o meno a limitazioni? • Che cosa sono le cellule staminali? È lecito utilizzare quelle embrionali? • Potrebbe essere consentita la clonazione? • È moralmente lecita l’eutanasia? Leggilo e organizzate in classe un dibattito sull’argomento. nella Web TV e tramite l’app SCOPRI+ trovi anche una scheda e uno spezzone video del film di argomento bioetico Gattaca, ricordato in apertura. puoi utilizzare anche questi materiali e, se vuoi, guardare il film per intero per arricchire la riflessione sull’argomento.

155 P E n SA RE IL P RES E n T E

corretto. Scrive a tale proposito lo studioso di bioetica Paolo Cattorini: «Si pensi al problema dell’embrione. La domanda: “è l’embrione una persona umana?” non può ricevere risposta da una sola scienza. Infatti l’embriologo sa molto bene che cosa sia la vita che nasce da una fecondazione e quali siano le fasi in cui l’embrione passa dallo stadio di zigote a quello di blastocisti per poi divenire feto e così via, ma non ha mai trovato nei suoi testi scientifici la spiegazione di che cosa si intenda per persona umana. Viceversa il filosofo (o il teologo), che conosce la storia del concetto di persona e il dibattito speculativo contemporaneo al riguardo, non è in grado, in quanto filosofo, di utilizzare scientificamente un microscopio e può non conoscere le recenti acquisizioni della genetica. Solo se le due discipline si mettono allo stesso tavolo (oppure si incontrano nella stessa mente al lavoro), si confrontano, mettono in tensione le proprie prospettive e cercano concetti e criteri intermedi (che consentano di reinterpretare eticamente i dati della scienza e di cimentare, alla prova dei fatti, le teorie etiche), è possibile avviarsi verso la soluzione del problema» (Bioetica clinica e consulenza filosofica, Apogeo, Milano 2008, pp. 8-9).

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

156

Pro&Contro

«Dai diamanti non nasce niente…»

Il titolo riprende i versi della celebre canzone di Fabrizio de André Via del Campo, che potrebbero fare da colonna sonora alla polemica ingaggiata da Galilei contro la perfezione dei cieli dell’universo aristotelico-tolemaico. Quale universo è più perfetto? Quello che non muta o quello che genera la vita? Leggi questo confronto tra Simplicio e Sagredo nel Dialogo galileiano.

Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuire per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile, etc., ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d’arena o […] un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non fusse in natura, e quella stessa differenza ci farei che è tra l’animal vivo e il morto; ed il medesimo dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. (G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata prima, a cura di L. Sosio, Einaudi, Torino 1975, pp. 73-75)

La presunta perfezione dei corpi celesti si identifica con la mancanza di mutamento e quindi di nascita e di morte, cioè della vita. Sagredo mette in dubbio che si possa parlare di perfezione a proposito di una condizione sterile, che non produce nulla e invece di imperfezione per la Terra, soggetta al divenire ma feconda e ricca di specie viventi. Sagredo respinge il finalismo insito nelle affermazioni di Simplicio. perché i corpi celesti, perfetti e inalterabili, dovrebbero essere stati creati per servire alla Terra, che è considerata dagli aristotelici il meno nobile tra tutti.

Adunque la natura ha prodotti ed indrizzati tanti vastissimi, perfettissimi e nobilissimi corpi celesti, impassibili, immortali, divini, non ad altro uso che al servizio della Terra, passibile, caduca e mortale? al servizio di quello che voi chiamate la feccia del mondo, la sentina di tutte le immondizie? e a che proposito far i corpi celesti immortali etc., per servire a uno caduco etc.?

E non è dubbio alcuno che la Terra è molto più perfetta essendo, come ella è, alterabile, mutabile, etc., che se la fusse una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, durissimo ed impassibile. Ma quanto queste condizioni arrecano di nobiltà alla Terra, altrettanto renderebbero i corpi celesti più imperfetti, ne i quali esse sarebbero superflue, essendo che i corpi celesti, cioè il Sole, la Luna e l’altre stelle, che non sono ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno d’altro per conseguir il lor fine, che del moto e del lume. (Ibidem)

Simplicio concede che l’alterazione sia condizione della vita e che quindi la Terra sia più perfetta così com’è che se fosse un diamante inalterabile. Ciò vale però, aggiunge, soltanto per la Terra, mentre gli altri corpi celesti non sono destinati a ospitare la vita e dunque in essi l’alterazione sarebbe soltanto un difetto Simplicio replica con la semplice affermazione, non dimostrata, che tutti gli esseri viventi sulla Terra sono al servizio dell’uomo, che dunque è il fine per cui è ordinato tutto l’universo. La concezione aristotelica accettata dalla Chiesa, pur considerando la Terra imperfetta, ne fa il centro dell’universo e fa dell’uomo lo scopo dell’intera creazione.

Perché noi chiaramente veggiamo e tocchiamo con mano, che tutte le generazioni, mutazioni, etc., che si fanno in Terra, tutte, o mediatamente o immediatamente sono indrizzate all’uso, al comodo ed al benefizio dell’uomo; per comodo de gli uomini nascono i cavalli, per nutrimento de’ cavalli produce la Terra il fieno, e le nugole l’adacquano; per comodo e nutrimento de gli uomini nascono le erbe, le biade, i frutti, le fiere, gli uccelli, i pesci […]. Or di quale uso potrebber esser mai al genere umano le generazioni che si facessero nella Luna o in altro pianeta? (Ibidem)

(Ibidem)

Secondo Sigmund Freud (1856-1939), la rivoluzione astronomica ha prodotto una «umiliazione cosmologica», togliendo all’uomo la sua centralità nell’universo. ad essa hanno fatto seguito l’umiliazione «biologica» prodotta dalla teoria di Darwin e quella «psicologica» dovuta alla sua stessa psicoanalisi. Ciò spiegherebbe le forti resistenze verso queste tre teorie. Galilei, negando per bocca di Sagredo il teleologismo sostenuto da Simplicio, sembra rafforzare questa «umiliazione». È davvero così? L’uomo, nella nuova concezione dell’universo, ha davvero una dignità minore?

Filosofia e cittadinanza

Nei film su Galilei ricordati nella scheda 23, emerge con evidenza il pesante controllo cui era sottoposta, all’epoca, la ricerca scientifica. Oggi la Costituzione riconosce che «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» (art. 33), nel quadro di un incoraggiamento della ricerca in generale: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica» (art. 9). Tuttavia, riconoscere la libertà della scienza e del suo insegnamento non vuol dire rinunciare a regolamentarne l’ambito. Alcuni problemi, infatti, assumono rilievo sociale ed è doveroso un intervento legislativo. Così, ad esempio, la legge 194, del 1978, depenalizza l’aborto, rendendolo possibile nelle strutture sanitarie pubbliche, indicando al tempo stesso un percorso assistito perché la donna possa giungere a una scelta consapevole. Recentemente, la cosiddetta “Legge sul Testamento Biologico” (n. 219/2017), in vigore dal 31 gennaio 2018, consente di indicare per iscritto i trattamenti che il soggetto consente o meno nei suoi confronti, nel caso in cui si trovi nell’impossibilità di intendere e di volere, per incidente o malattia. I problemi etici posti dallo sviluppo della scienza vanno al di là della biologia. Riguardano ad esempio la difesa dell’ambiente, i limiti allo sviluppo dell’intelligenza artificiale o piuttosto le modalità della ricerca, la sperimentazione sugli animali e a maggior ragione sugli uomini, fino alla difesa della privacy al tempo di Internet, quando i dati sensibili degli individui sono sempre maggiormente soggetti all’acquisizione, anche con modalità implicite (cioè senza chiedere esplicitamente il consenso) non soltanto per fini pubblicitari ma anche, ad esempio, per monitorare le intenzioni di voto o addirittura per orientare l’espressione dello stesso. Dato lo sviluppo sempre più rapido della scienza, nuovi problemi sorgono continuamente. Per monitorarli, fin dal 1990 è stato istituito, a livello governativo, il Comitato nazionale per la bioetica (CNB, bioetica.governo.it/it/), cui si aggiungono commissioni specifiche all’interno del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), come la Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica (www.cnr.it/it/ethics). Analoghi organismi esistono a livello di Unione Europea, nell’intento di creare linee di azione condivise tra tutti i Paesi che la compongono. Leggiamo alcuni brani del documento «Orizzonte Europa», che indica gli ambiti della ricerca incoraggiati e finanziati dall’Unione per il periodo 2021-27.

5

Nello specifico, Orizzonte Europa rafforzerà le basi scientifiche e tecnologiche dell’Unione al fine di contribuire ad affrontare le principali sfide globali del nostro tempo e favorire il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Al tempo stesso, il programma migliorerà la competitività dell’Unione, compresa quella del settore industriale europeo. Orizzonte Europa contribuirà inoltre a realizzare le priorità strategiche dell’Unione e a sostenere lo sviluppo e l’attuazione delle politiche dell’Unione.

La finalità è quindi quella di coordinare e orientare la ricerca scientifica e tecnologica dei diversi Paesi, in modo da creare un orizzonte comune. Il piano di coordinamento e di sviluppo prevede però anche limiti alla ricerca scientifica, escludendo esplicitamente dai finanziamenti alcuni settori. In particolare, l’art. 14 recita:

P E n SA RE IL P RES E n T E

La ricerca scientifica deve essere libera? Controllo sociale e diritti dei cittadini

157

2. L A RI VOLUZ I ON E SCI E N T I FI CA

158

5

Non sono finanziati i seguenti ambiti di ricerca: a) le attività finalizzate alla clonazione umana a fini riproduttivi; b) le attività volte a modificare il patrimonio genetico degli esseri umani che potrebbero rendere ereditaria tale alterazione; c) le attività volte a creare embrioni umani soltanto a fini di ricerca o per l’approvvigionamento di cellule staminali, anche mediante il trasferimento di nuclei di cellule somatiche.

Il successivo art. 15 disegna i limiti etici e le modalità di controllo per i programmi di ricerca:

5

10

1. Le azioni svolte nell’ambito del programma rispettano i principi etici e la pertinente normativa nazionale, dell’Unione e internazionale, fra cui la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e relativi protocolli aggiuntivi. Si presta particolare attenzione al principio di proporzionalità, al diritto al rispetto della vita privata, al diritto alla protezione dei dati personali, al diritto all’integrità fisica e mentale della persona umana, al diritto a non subire discriminazioni e all’esigenza di garantire elevati livelli di protezione della salute umana. […] 3. Le proposte sono sistematicamente vagliate al fine di individuare le azioni che sollevano questioni etiche gravi o complesse e di sottoporle a una valutazione etica. […] 6. Le azioni non ammissibili sotto il profilo etico possono essere respinte o interrotte in qualsiasi momento.

L’orientamento è dunque quello di stabilire forme di controllo permanenti per monitorare il rispetto dei criteri etici stabiliti e per evidenziare immediatamente nuovi problemi etici che possono emergere dalle ricerche scientifiche.

Attività Leggi il documento «Orizzonte Europa» per gli anni 2021-2027, che puoi trovare in Internet cercandone il nome su un motore di ricerca. Soffermati in particolare sugli articoli 14, 15, 16 del Regolamento. (pp. 39-40 del primo documento)

Compito di realtà Chiedi ai tuoi compagni quali sono gli ambiti di ricerca che sarebbe opportuno: a. proibire (ad esempio, la clonazione umana?); b. regolamentare in modo rigoroso (ad esempio, la sperimentazione di nuovi farmaci su soggetti volontari?). Compila una tabella raccogliendo i due elenchi in due colonne separate. Verifica poi in Internet se si tratta o meno di temi su cui esiste una sensibilità diffusa (puoi inserire come stringa di ricerca «liceità della clonazione umana» oppure «clonazione umana» e «etica», o simili). Concludi esponendo sinteticamente i risultati delle due ricerche e le tue considerazioni in merito.

3. Il razionalismo

Lezione in PowerPoint

LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA • LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. Cartesio: il metodo del razionalismo 2. Spinoza: Dio, la natura, la razionalità dell’universo 3. Leibniz: razionalismo e ottimismo metafisico

LA RETE DEI SAPERI psicologia • Sogno o son desto? I dubbi di

Cartesio e della psicologia contemporanea diritto • Libertà di pensiero e libertà di espressione psicologia • “Piccole percezioni” e percezioni subliminali I TESTI • T1 Cartesio Il sapere umano • T2 Cartesio Il sogno e la realtà • T3 Cartesio Il genio maligno • T4 Cartesio I diversi tipi di idee • T5 Cartesio L’idea di Dio • T6 Cartesio La conoscenza della natura mediante il metodo deduttivo • T7 Cartesio La macchina-uomo • T8 Spinoza La finalità della filosofia • T9 Spinoza Il vero messaggio delle Scritture • T10 Spinoza L’etica non riguarda la virtù o i vizi, ma le leggi della natura • T11 Spinoza Volontà, appetito e cupidità • T12 Spinoza Come una pietra che rotola… • T13 Spinoza La libertà della mente • T14 Spinoza La mia felicità richiede quella degli altri LABORATORIO • PENSARE IL PRESENTE

MATERIALI PER L’APPRENDIMENTO ATTIVO COMPETENZE / La filosofia e il presente, Lessico e concettualizzazione, Argomentazione, Mappa concettuale, pensiero critico pEr CApIrE MEgLIo LA pAroLA AI tEStI AttIvItà / rielaborazione, Webquest ApproFonDIMEntI / Intersezioni, per saperne di più, Filosofia e cinema

• T15 Éluard Non verremo alla mèta ad uno ad uno

• T16 Spinoza I diritti delle donne • T17 Leibniz La sostanza individuale comprende • T18 • T19 • T20 • T21 • T22 • T23 • T24 • T25 • T26

tutti i propri predicati Leibniz I corpi non sono solo estensione Leibniz La monade Leibniz I «piccoli Iddii» Leibniz Il palazzo dei destini Cartesio La conoscenza dei sensi non è scientifica Cartesio Il Discorso sul metodo: dal dubbio metodico alla certezza di sé Cartesio La macchina-uomo Spinoza Lo studio geometrico delle passioni Leibniz L’automa spirituale

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Le domande della filosofia I SENSI E LA RAGIONE Il senso comune ci dice che conosciamo con i sensi, sui cui materiali opera poi la ragione, rielaborandoli. Però sappiamo che esistono illusioni ottiche e altri inganni dei sensi. Inoltre, la sensazione stessa è “intrisa di teoria”, perché guardiamo le cose sempre da determinate prospettive, in base alle nostre convinzioni e ai nostri valori.

1

Conosciamo con i sensi o con la ragione? ➤ Il metodo, p. 166 / Il dubbio metodico, p. 168 / Il cogito

cartesiano, p. 170 ➤ Razionalismo contro empirismo, p. 236 ➤ Schede 1, 14, 17, 19, 28 ➤ T3, T4, T22

L’APPARENZA E LA SOSTANZA In un celebre brano [➤ T22], Cartesio invita a immaginare il favo di un alveare, dolce di miele, profumato, ruvido al tatto, e a pensare poi allo stesso oggetto che, avvicinato al fuoco, si scioglie e perde tutte le qualità precedenti. eppure è ancora la stessa cera, che non era però l’insieme delle sensazioni, bensì qualcosa di diverso, che si conserva anche quando la cera è sciolta. Al di là delle sensazioni, che cambiano e spariscono, è la ragione a dirci che cos’è che non cambia nella cera, quale ne è la sostanza.

2

Qual è la struttura razionale della realtà, al di là dell’apparenza conoscibile con i sensi? ➤ Il razionalismo cartesiano, p. 178 ➤ Deus sive natura, p. 194 / I generi della conoscenza e la via

verso la beatitudine, p. 206 ➤ Razionalismo contro empirismo, p. 236 ➤ Schede 16, 17, 18, 29, 33, 35, 51, 52, 56, 57 ➤ T22

161

MATERIA E PENSIERO Il razionalismo stabilisce una dicotomia tra materia e pensiero, considerandole realtà distinte. In particolare, Cartesio li considera due sostanze indipendenti, mentre per Spinoza, pur essendo distinti, sono modi dell’unica sostanza divina. Leibniz, infine, mette in discussione l’esistenza stessa della materia. Questa dicotomia apre molti problemi, relativamente al rapporto tra materia e pensiero, tra mente e corpo, tra ragione (espressione del pensiero) e passioni (espressione del corpo, della fisicità).

3

Qual è il rapporto tra mente e corpo? E quello tra ragione e passioni? ➤ Il metodo, p. 166 / Il dubbio metodico, p. 168 / Il cogito

cartesiano, p. 170 / Il corpo, l’anima, le passioni, p. 186 ➤ Gli attributi e i modi, p. 198 / Conoscenza ed etica, p. 208 ➤ La fisica e la monade: la forza viva, p. 222 ➤ Schede 22, 23, 24, 25, 26 ➤ T19, T25

RAZIONALITA ` E DETERMINISMO Per il razionalismo, il metodo scientifico per eccellenza è quello deduttivo. ma se tutto è spiegabile deduttivamente, compreso il comportamento umano, il libero arbitrio diventa problematico. Infatti, se possiamo dedurre il comportamento a partire da princìpi generali, allora, come nella dimostrazione di un teorema matematico, le conclusioni non possono essere diverse da come sono, quindi il comportamento è necessario e non possiamo ammettere la possibilità di scegliere.

4

L’uomo è libero? Può decidere che cosa volere? E può decidere che cosa fare? ➤ Le idee e il mondo: la fisica deduttiva e il meccanicismo, p. 182 ➤ La meccanica delle passioni, p. 202 ➤ Le monadi come sostanze individuali viventi, p. 224 / La libertà, p. 234 ➤ Schede 23, 25, 26, 40, 41, 42, 43, 44, 46, 47, 64, 67, 70 ➤ T24, T25, T26 ➤ Questioni di attualità: Se il comportamento può essere spiegato e stu-

diato, come può l’uomo essere libero? ➤ Filosofia e cittadinanza: Libertà e responsabilità giuridica

162

La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Su che cosa si basa la conoscenza? • I sensi sono affidabili? • Le idee derivano dalle sensazioni? • Se non derivano dalle sensazioni, allora sono innate? • Esiste Dio?

2

I CONCETTI DA RIPASSARE • Sensazioni • Sostanza • Anima • Meccanicismo • Finalismo (teleologia)

3

I CONCETTI CENTRALI • Ragione • Deduzione/metodo deduttivo • Idee • Percezione/appercezione • Monade • Teodicea

4

I NUOVI PROBLEMI • Che cos’è la sostanza? • Materia e pensiero sono sostanze distinte? • Qual è il rapporto tra anima e corpo? • L’uomo è libero di volere?

PENSARE IL PRESENTE • Questioni di attualità Se il comportamento può essere spiegato e studiato, come può l’uomo essere libero? Per il razionalismo, la realtà è razionale e può essere spiegata razionalmente. La conoscenza avviene in modo deduttivo, procedimento che implica che ciò che esiste non potrebbe essere diversamente da com’è, ad esempio come avviene quando dimostriamo un teorema geometrico. Ma, allora, come è possibile affermare la libertà dell’uomo, che è la condizione perché si possa parlare di morale?

• Filosofia e cittadinanza Libertà e responsabilità giuridica La legge presuppone la libertà di volere, senza la quale non potrebbe esservi colpa. In alcuni casi, però, la legge stessa ammette che la libertà del soggetto è limitata o compromessa da una serie di situazioni che vengono prese in esame, e che riducono o cancellano la colpa e determinano la non punibilità, sul piano penale, anche se resta la responsabilità civile verso eventuali danneggiati.

Uno sguardo d’insieme I

l razionalismo, una delle grandi tendenze filosofiche del Seicento, è caratterizzato dalla fiducia nella ragione come fondamento della conoscenza e dalla speculare svalutazione dell’esperienza, che ci mostra la realtà nei suoi aspetti fenomenici, non significativi e non scientifici. Cartesio propone l’esempio del Sole, del quale abbiamo due rappresentazioni distinte: ai sensi, il Sole appare come una sfera grande quanto un pugno e vicina alla terra; l’astronomia, invece, sulla base di concetti e di princìpi, quindi di idee, ci dice che è molto più grande della terra e molto distante da essa. Le idee, perciò, interpretano l’esperienza e la rendono significativa, cioè ci fanno conoscere la verità al di là delle apparenze. Inoltre, possiamo comprendere l’esperienza solo se abbiamo già, in noi, idee che ci consentono di rielaborarla, come quella di estensione, di figura ecc. ma se queste idee danno un significato all’esperienza, non possono derivare da essa. La conclusione è che le idee sono innate e costituiscono il fondamento e il presupposto della conoscenza. Partendo da idee generali per

ricavare da esse la spiegazione dell’esperienza, il razionalismo adotta un metodo deduttivo. Il metodo deduttivo viene applicato anche al piano morale: le passioni possono essere ricavate l’una dall’altra a partire da quella fondamentale, identificata di solito con il principio di conservazione del proprio essere. viene però introdotto un dualismo, più o meno accentuato, tra passioni e ragione. Le prime possono essere descritte sulla base del meccanicismo, mentre la seconda è libera. Si pone allora il problema di spiegare il rapporto tra questi due ambiti e in particolare se, e in che modo, la ragione può influenzare il meccanismo delle passioni (e quindi, in definitiva, se siamo liberi o meno di decidere il nostro comportamento). Il problema del libero arbitrio si pone all’interno del razionalismo anche in relazione alla cosiddetta prescienza divina: se dio è un essere razionale e necessario, la sua azione nel mondo si svolgerà secondo una necessità provvidenziale. ma quanto l’uomo può dirsi libero se tutto è già preordinato?

Audiomappa RAZIONALISMO l’innatismo

afferma che ambito gnoseologico

in cui si sostiene

il metodo deduttivo l’importanza della nozione di sostanza

La ragione è il fondamento della conoscenza

in ambito etico

in cui si sostiene

la deduzione della moralità

la subordinazione delle passioni alla ragione

ambito religioso

in cui si sostiene

la centralità dell’idea di Dio nel sistema filosofico

163

164

Il contesto storico-culturale Razionalismo ed empirismo

l’empirismo risulta strettamente legato alle trasformazioni in senso borghese della società, ed esprime quindi lo spirito pratico che fa della conoscenza uno strumento per risolvere problemi concreti. non a caso, il padre dell’empirismo, Locke, è anche il padre del liberalismo, la concezione politica caratteristica della borghesia.

nell’europa del Seicento si affermano, parallelamente alla rivoluzione scientifica, due grandi tendenze filosofiche, il razionalismo e l’empirismo. Il razionalismo, che trova i suoi massimi rappresentanti in Cartesio, Spinoza e Leibniz, sostiene che la conoscenza avviene a partire dalla ragione, mediante idee che interpretano i dati sensoriali e danno loro significato. Proprio per questo, non possono derivare dall’esperienza stessa ma debbono essere innate, come sostiene Cartesio, o in ogni caso a priori (ovvero anteriori a ogni esperienza). Per l’empirismo, al contrario, ogni conoscenza ha la propria origine nell’esperienza, incluse le idee generali che ordinano l’esperienza stessa e che derivano da una combinazione di idee semplici corrispondenti alle sensazioni. Le due tendenze ricordate hanno una distribuzione geografica abbastanza precisa: il razionalismo si afferma soprattutto nel continente, mentre l’empirismo domina inizialmente in Gran Bretagna (con Locke), per poi diffondersi in Francia soltanto nel secolo successivo, con l’Illuminismo. tale distribuzione non è casuale, dato che

La paura della condanna della Chiesa nella prima metà del Seicento si afferma progressivamente una nuova mentalità laica, sancita dalla Pace di Westfalia (1648), che afferma la libertà di culto e il principio della sovranità dello Stato, all’origine del diritto internazionale contemporaneo. Prima della Pace di Westfalia, però, la cultura della Controriforma è ancora dominante nei Paesi cattolici: la condanna di galilei nel 1633 evidenzia come la Chiesa tema fortemente ogni tesi volta a distinguere tra il dominio della scienza e quello della fede. In olanda, il filosofo francese Cartesio, che stava in quegli anni lavorando a un suo trattato sul mondo, rinuncia a pubblicarlo nel timore che anche le sue posizioni possano essere condannate.

Stoccolma

Londra

La Flèche

Amsterdam L’Aia

Parigi

Hannover

Berlino

Magonza Norimberga

Verso un sapere sistematico

165

1500

Il razionalismo condivide con l’empirismo l’esigenza di rifondare l’intero sapere, a partire dalla ricerca di un nuovo metodo che costituisca la base di una nuova conoscenza, in sostituzione di quella fondata sul principio di autorità. nel razionalismo questa istanza trova espressione nell’esigenza di ricostruire un nuovo sapere sistematico, che ridefinisca tutti gli ambiti della conoscenza: secondo una felice immagine di Cartesio, non si tratta di restaurare il vecchio sapere, ma di abbatterne interamente l’edificio per ricostruirlo dalle fondamenta, rappresentate dal nuovo metodo.

1545-63 Concilio di trento

1550

1596 nasce Cartesio

1600 1620 Bacone, Novum Organum 1623 galilei, Il Saggiatore

1632 nasce Spinoza 1633 processo a galilei

1648 Pace di Westfalia 1649 Cartesio, Le passioni dell’anima ▲ Cristiano Banti, Galileo Galilei davanti al Tribunale dell’Inquisizione Romana, 1857.

1637 Cartesio, Discorso sul metodo 1646 nasce Leibniz

1650

1650 muore Cartesio 1656 scomunica di Spinoza

1677 morte di Spinoza e pubblicazione dell’Etica 1686 Leibniz rende pubblica la scoperta del calcolo infinitesimale

L’EUROPA RAZIONALISTA L’esigenza di sistematizzazione già emersa in francia e in olanda con Cartesio e con Spinoza, si raffina e si congiunge, in Leibniz, con l’evoluzione sempre più rapida del pensiero scientifico. Leibniz è il rappresentante di questo aspetto della cultura; egli è un intellettuale al servizio di vari principi tedeschi – prima l’elettore di magonza, poi i duchi di Hannover – in posizioni che gli consentono di svolgere congiuntamente attività di studioso, di diplomatico al servizio dei propri signori, di politico lungimirante che concepisce piani di lunga portata, di organizzatore culturale.

1689 Inghilterra: Bill of rights; Locke, Lettera sulla tolleranza

1695-97 Bayle, Dizionario storico-critico

1700 1710 Leibinz, Saggi di teodicea

1714 Leibniz, Monadologia

1717 Leibniz muore

1740-86 federico II regna in Prussia

1750

166

• Sintesi • Mappa

1

Cartesio: il metodo del razionalismo

L’esigenza di un nuovo sapere Accanto a un nuovo metodo scientifico, nel seicento si sente l’esigenza di un nuovo metodo della conoscenza, che darà il via, con Cartesio, alla filosofia moderna. Nel Seicento si afferma l’esigenza della ridefinizione dell’intero sapere. In modo più radicale, si tende a ridefinire il metodo della conoscenza, cioè il modo in cui costruire il sapere stesso. Bacone e Galilei rifondano il metodo della scienza, ponendo alla base l’esperienza rielaborata mediante gli esperimenti e inaugurando il metodo sperimentale. In Cartesio l’esigenza di un nuovo metodo della conoscenza si coniuga con una critica radicale al sapere tradizionale. Se Bacone e soprattutto Galilei possono essere considerati i padri della nuova scienza, con Cartesio, come vedremo, inizia la filosofia moderna.

Il metodo

mappa

il sapere tradizionale non ha reso possibile una conoscenza cumulativa e certa. È necessario perciò rifondarlo, mediante un metodo che consenta di costruirlo su basi solide. tra le scienze del passato, l’unica che mostra caratteri di scientificità è la matematica, che viene assunta come modello. il metodo matematico si basa sull’intuizione e sulla deduzione. questo deve essere il metodo della conoscenza in generale. Cartesio, che ha frequentato il collegio gesuita di La Flèche, uno dei migliori dell’epoca, passa in rassegna i propri studi e, mediante essi, l’intero sapere tradizionale, dalla teologia alla filosofia, dalla poetica alle scienze in generale. Tutti questi saperi non hanno prodotto conoscenze condivise né un sapere cumulativo, cioè tale da accrescersi generazione dopo generazione, ma teorie che erano in contraddizione tra di loro e che ogni volta ripartivano daccapo. L’unico sapere che mostra invece princìpi saldi e un progresso nelle conoscenze è quello matematico e in particolare la geometria, il cui metodo deduttivo, quindi, va analizzato per capire se può essere applicato e dare risultati simili anche negli altri ambiti della conoscenza ➝ 1 . Questa analisi, prima ancora che nel celebre Discorso sul metodo, viene sviluppata da Cartesio nelle Regole per la guida dell’intelligenza, scritte intorno al 1628.

Materiali per l’apprendimento attivo

Cartesio

un’esposizione più articolata del proprio pensiero, in latino, nelle Meditationes de prima philosophia (Meditazioni metafisiche); quando nel 1641 pubblica tale opera, la fa seguire da sette gruppi di Obiezioni ricevute dai più noti filosofi dell’epoca, e dalle relative Risposte. dopo le Meditazioni, cartesio lavora a un’esposizione sistematica del suo pensiero, che esce nel 1644 col titolo Principia philosophiae. Seguono alcuni anni di aspre polemiche, durante i quali è in corrispondenza con la principessa palatina elisabetta: le lettere a elisabetta riguardano soprattutto questioni morali, quelle stesse questioni che sono al centro del trattato Le passioni dell’anima, l’ultima opera pubblicata da cartesio, nel 1649. Invitato dalla regina cristina di Svezia, trascorre a Stoccolma l’ultimo anno della sua vita.

1. PER CAPIRE MEGLIO

ChE COS’è IL METODO DEDUTTIVO? I principali metodi della ricerca sono quello induttivo e quello deduttivo. Il primo parte dalle osservazioni empiriche, generalizzandole per arrivare alla formulazione di leggi generali. ad esempio, dall’osservazione che tutti i corpi che ho immerso in acqua si sono bagnati, posso inferire che tutti i corpi immersi in acqua si bagnano. Il secondo muove invece da princìpi generali per ricavarne conclusioni particolari, o comunque di un minore livello di universalità, come avviene in matematica, dove ricaviamo i teoremi partendo da assiomi e postulati (per una definizione più ampia, si veda il Modulo 2, scheda 16 e la voce nello Schedario operativo online). Il metodo deduttivo presenta alcuni vantaggi importanti: • consente di formulare verità universali, cioè valide in qualsiasi tempo e per tutti gli uomini (si pensi ad esempio al teorema di Pitagora); • consente di spiegare le verità scoperte: ricavandole da altre, se ne individuano anche le ragioni; • consente di stabilire verità necessarie, che non possono essere altrimenti da come sono. Il metodo deduttivo solleva però anche dei problemi: • se tutto ciò che conosciamo deduttivamente si presenta come necessario, allora non possiamo ammettere la libertà, neppure nella spiegazione del comportamento umano; • dobbiamo individuare princìpi di partenza assolutamente certi, altrimenti tutta la nostra costruzione crolla. Per capire meglio i vantaggi del metodo deduttivo, pensa all’uso che ne fa newton [➤ p. 130]. newton individua anche vantaggi e problemi del metodo induttivo, con il quale è opportuno confrontarlo per comprenderlo meglio. Può esserti utile a questo scopo rileggere la scheda lessicale Metodo induttivo-deduttivo, a p. 131.

167 1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

René Descartes (1596-1650), latinizzato in Cartesius e quindi italianizzato in Cartesio, nasce a La Haye, in Touraine, da una famiglia della piccola nobiltà. Compie i suoi studi secondari nel celebre collegio gesuita di La Flèche, arruolandosi in seguito nell’esercito come «gentiluomo volontario» e prestando servizio in Olanda e in Germania. Abbandonata la carriera militare, viaggia per l’Europa fino al 1628, quando si stabilisce in Olanda. Risalgono probabilmente a

quest’anno le Regole per la guida dell’intelligenza: si tratta di un’opera lasciata incompiuta, in cui cartesio formula le «regole» che dovrebbero consentire una ricostruzione del sapere universale. negli anni successivi cartesio si occupa di metafisica, poi di fisica. nel 1633, quando sta per pubblicare la sua fisica, con un trattato che avrebbe dovuto intitolarsi Il mondo, sopravviene la condanna di Galilei. Per timore di subire una sorte simile, cartesio rinuncia a pubblicarlo. Lo scritto uscirà postumo, diviso in due parti, Il mondo e L’uomo. nel 1637 cartesio pubblica, come introduzione ad alcuni lavori scientifici, il Discorso sul metodo, che comprende una ricostruzione del proprio itinerario filosofico sino alla formulazione di tesi metafisiche. dopo pochi anni egli dà

3. I L RA Z I ON A L I SM O

168

In apertura d’opera, Cartesio presenta una prospettiva che secondo molti studiosi segna la nascita della filosofia moderna: il sapere non dipende dagli oggetti di volta in volta conosciuti, ma dalla mente umana che conosce ➝ 2 . Ne consegue che non esistono tanti metodi diversi in relazione ai diversi ambiti della conoscenza, bensì un unico metodo che poi si articolerà in settori specifici, ma che deve essere definito in modo unitario. Cartesio spiega questo concetto mediante una similitudine: il sapere è come la luce del Sole che rende visibili i diversi oggetti. Essa è sempre la stessa e non cambia in base agli oggetti, pur illuminando ora piante, ora animali, ora persone e così via. Da ciò deriva anche un’altra conseguenza: il metodo e la struttura generale del sapere devono essere stabiliti da un solo individuo, così come una casa, per essere armoniosa e funzionale, deve avere un solo architetto, anche se poi le singole parti saranno affidate ad artigiani diversi. Il metodo matematico si basa su verità evidenti (assiomi e postulati) dalle quali vengono ricavate tutte le altre conoscenze (teoremi, corollari ecc.), procedendo in modo deduttivo ➝ 3 . Da questa impostazione, derivano due questioni principali da affrontare: come è possibile individuare verità iniziali evidenti, sicuramente vere, e come procedere per ricavare da esse tutto il resto della conoscenza? Per il primo aspetto Cartesio sottolinea l’importanza dell’intuizione ➝ 4 che consente di individuare idee «chiare e distinte», che, come tali, appaiono sicuramente vere. La questione sarà ripresa nel Discorso sul metodo, costituendone uno dei momenti centrali. Il procedimento deduttivo viene articolato nelle Regole nei tre momenti dell’analisi (la scomposizione di ogni problema nei suoi elementi costitutivi), della sintesi (la ricomposizione del problema una volta chiarite le singole parti) e della revisione, per controllare che non sia stato omesso nulla e che non siano stati fatti errori. Nell’opera, non compiuta, vengono discusse altre regole, ma la questione del metodo troverà la sua completa definizione nel Discorso ad esso dedicato.

Il dubbio metodico Il carattere deduttivo del metodo cartesiano impone che il sapere si fondi su verità assolutamente certe. Per questo egli suggerisce di applicare alla conoscenza il dubbio metodico, in modo da eliminare ogni possibile inganno. Il dubbio non riguarda però la morale. Il Discorso sul metodo è forse l’opera più nota di Cartesio. La ricerca di un nuovo sapere, e di verità indubitabili che ne siano a fondamento, impone una profonda revisione di tutte le nostre certezze, per verificarne, alla luce della ragione, la consistenza. Si tratta di un’operazione che ognuno dovrebbe fare almeno una volta nella vita, sottolinea Cartesio, passando in rassegna tutte le false opinioni e i pregiudizi che sono penetrati dentro di sé fin dall’infanzia e che si accettano per veri senza averli mai messi in discussione. In modo ancora più radicale, dobbiamo sottoporre ad analisi gli strumenti stessi dai quali deriva la nostra conoscenza, per verificarne l’attendibilità o meno. In questo percorso, dobbiamo quindi, inizialmente, dubitare di tutto, di ogni apparente certezza, di ogni nostra conoscenza. Si tratta però, aggiunge Cartesio, di un dubitare che deve guidarci verso una conoscenza certa, che possa resistere anche al dubbio più radicale. Il dubbio deve cioè essere inteso come un modo per arrivare alla verità, esso deve essere «metodico», in quanto è un metodo per evitare false conoscenze e per giungere invece a qualcosa di indubitabile. Il dubbio, però, riguarda la conoscenza e non può essere esteso alla prassi e ai princìpi del comportamento. Infatti, possiamo vivere senza conoscenze certe, ma non possiamo vivere senza agire, cioè senza fare delle scelte che devono seguire princìpi definiti. D’altra parte,

Materiali per l’apprendimento attivo

169

2. LA PAROLA AI TESTI

La filosofia di Cartesio determina una svolta che caratterizzerà il pensiero moderno: l’accento viene posto sul soggetto conoscente e non sull’oggetto della conoscenza. Tutte le scienze sono riconducibili al sapere umano, quindi l’uomo deve essere posto al centro della ricerca.

5

10

15

C’è negli uomini l’abitudine che, ogniqualvolta riconoscono una certa somiglianza tra due cose, attribuiscono nei loro giudizi ad entrambe, anche in ciò in cui sono diverse, quello che hanno scoperto di vero di una delle due. Così, confrontando erroneamente le scienze, che consistono interamente in una conoscenza della mente, con le arti, che richiedono una certa pratica e consuetudine del corpo, e vedendo che le arti non devono essere apprese tutte contemporaneamente dallo stesso uomo, ma che riesce più facilmente eccellente esecutore colui che ne esercita una sola, poiché le stesse mani non possono applicarsi a coltivare i campi e a suonare la cetra, o a più attività così diverse, tanto egregiamente quanto ad una sola di esse: hanno creduto lo stesso anche delle scienze, e distinguendole a seconda della diversità degli oggetti, hanno ritenuto che dovessero essere indagate ognuna singolarmente presa e a prescindere da tutte le altre. In ciò certamente si sono ingannati. Infatti poiché tutte le scienze non sono altro che sapere umano, che rimane sempre uno e identico, per diversi che siano gli oggetti a cui viene applicato, né da essi acquisisce maggiori distinzioni di quante ne acquisisca la luce del sole dalla varietà delle cose che illumina, non è necessario costringere le menti entro alcun limite; infatti la conoscenza di una sola verità non ci allontana dal trovarne un’altra, come invece accade con la pratica di una sola arte, ma anzi ci è utile. (R. Cartesio, Regole per la guida dell’intelligenza, a cura di L. Urbani Ulivi, Bompiani, Milano 2000, pp. 140-41)

3. approFondiMenti > Intersezioni

Cartesio e La MateMatiCa Cartesio si interessa di matematica anche nello specifico. In particolare, il suo nome è legato alla geometria analitica, che il filosofo tratta nelle appendici del Discorso sul metodo. Il Discorso, infatti, era posto come introduzione a tre saggi scientifici che ne costituivano l’applicazione, La diottrica, Le meteore, La geometria. nell’ultimo, geometria e algebra vengono unite in modo da rappresentare equazioni su un piano, individuato dalle due rette chiamate appunto «assi cartesiani». In questo modo, le espressioni algebriche trovano una rappresentazione geometrica e le figure geometriche anche complesse (parabole, iperboli ecc.) possono essere tradotte in equazioni algebriche. a cartesio si deve anche la riformulazione in termini moderni dei simboli algebrici, con l’utilizzo delle prime lettere dell’alfabeto per rappresentare valori noti e delle ultime per indicare le incognite. Introdusse anche l’esponente per indicare l’elevazione a potenza. 4. per Capire MeGLio

perChé L’intuizione? nel metodo cartesiano, accanto al procedimento deduttivo viene assegnato un ruolo centrale anche all’intuizione. tra deduzione e intuizione c’è una forte relazione di complementarità. Infatti il metodo deduttivo, procedendo dal generale verso il particolare, non può dimostrare i propri punti di partenza, i quali dunque non possono essere individuati in modo deduttivo. La soluzione proposta da cartesio è l’intuizione, che ci presenta quelle che lui definisce «idee chiare e distinte» come vere di per sé, senza bisogno di dimostrazione.

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

T1 Cartesio Il sapere umano

3. i L ra z i on a L i sM o

170

finché non abbiamo risolto il problema della conoscenza, non possiamo stabilire con certezza ciò che è giusto e ciò che non è giusto fare: in mancanza di una morale fondata sulla conoscenza, dobbiamo darci comunque princìpi per orientare il comportamento. Cartesio parla di una morale provvisoria. Riprendendo l’immagine della casa (il nuovo sapere da edificare), egli sostiene che se demoliamo la nostra abitazione per edificarla di nuovo su fondamenta più solide, dobbiamo comunque procurarci un alloggio finché la nuova casa non è pronta. Allo stesso modo, dobbiamo individuare princìpi provvisori che ci consentano comunque di vivere insieme agli altri. In particolare, Cartesio stabilisce tre massime: 1) «obbedire alle leggi e ai costumi del mio Paese, conservando fedelmente la religione in cui Dio mi ha fatto la grazia di essere educato fin dall’infanzia, e regolandomi in tutto il resto secondo le opinioni più moderate» (Discorso sul metodo, Parte terza, in Opere, Laterza, Bari 1967, p. 306); 2) «agire con quanta più ferma risolutezza mi fosse possibile, e di seguire con altrettanta costanza, una volta orientato in un certo senso, anche le opinioni più dubbie come se fossero state certissime» (Ivi, p. 307); 3) «vincere me stesso piuttosto che la fortuna, e mutare i miei desideri piuttosto che l’ordine del mondo» (Ibidem). Si tratta di una morale decisamente prudente che rispecchia l’atteggiamento di moderazione e di fondamentale disinteresse di Cartesio per il coinvolgimento politico.

Il cogito cartesiano Cartesio analizza l’attendibilità delle fonti della nostra conoscenza. Sia i sensi sia la ragione possono ingannarci, perciò le relative conoscenze non sono affidabili. Ciò che conosciamo sembra derivarci dall’esperienza, cioè dai sensi. Spesso però i sensi ingannano, quindi dovremmo mettere in dubbio tutto ciò che abbiamo appreso tramite essi ➝ 5 . È vero nondimeno che ci sono esperienze sensoriali delle quali è difficile dubitare: se, ad esempio, può succedere che vedendo una persona da lontano questa ci sembri qualcuno che conosciamo, ma poi avvicinandoci ci accorgiamo di esserci sbagliati; tuttavia la stanza che ci circonda con i suoi mobili e la sedia su cui siamo seduti ci appaiono come evidenti e indubitabili. Radicalizzando il dubbio, Cartesio sottolinea però come succeda a volte di sognare una situazione simile, che nel sogno appare vera al di fuori di ogni sospetto, per poi accorgersi, al risveglio, che si trattava solo di un’illusione. Come possiamo essere allora sicuri che ciò che pensiamo di vedere e di sentire non sia un sogno? Dobbiamo pertanto dubitare dei sensi come fonte di conoscenza. La ragione sembra più affidabile; tuttavia molte volte ci accorgiamo di ragionamenti scorretti, fatti da noi stessi o da altri: in un primo momento ci sembrano veri, poi, analizzandoli meglio, scopriamo in essi degli errori. Constatato che anche la ragione ci trae in inganno, dobbiamo concludere che essa non è uno strumento di conoscenza affidabile. Ciononostante ci sono verità, come quelle della logica o della matematica, che appaiono indubitabili e che tali sarebbero anche nel sogno: «sia che io vegli o che dorma, due e tre uniti insieme formeranno sempre il numero cinque, e il quadrato non avrà mai più di quattro lati» (Meditazioni metafisiche, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, p. 202). Neppure queste verità, però, possono sottrarsi del tutto al dubbio. Cartesio propone un’ipotesi che fa parlare i commentatori di «dubbio iperbolico». Supponiamo, scrive Cartesio, che esista un Dio malvagio, un «genio maligno» onnipotente come Dio ma impegnato ad ingannarci. Potrebbe, allora, farci credere che «2 + 3 = 5» sia una verità indubitabile, mentre la vera realtà è diversa, senza che abbiamo modo di capirlo. L’intera matematica potrebbe essere una costruzione di questo genio maligno per farci vivere nell’inganno; e la stessa realtà nel suo insieme potrebbe essere un’illusione costruita proprio per ingannarci ➝ 6 .

Materiali per l’apprendimento attivo 5. ATTIVITÀ >

171

Rielaborazione

6. COMPETENZE > La filosofia e il presente

IL DUBBIO CARTESIANO Cartesio propone due situazioni-limite in cui verità che ci appaiono evidenti sono in realtà ingannevoli: il sogno e l’esistenza di un’entità ostile, che voglia intenzionalmente ingannarci.

T2 Cartesio Il sogno e la realtà

5

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Quante volte m’è accaduto di sognare, la notte, che io ero in questo luogo, che ero vestito, che ero presso il fuoco, benché stessi spogliato dentro il mio letto? È vero che ora mi sembra che non è con occhi addormentati che io guardo questa carta, che questa testa che io muovo non è punto assopita, che consapevolmente di deliberato proposito io stendo questa mano e la sento: ciò che accade nel sonno non sembra certo chiaro e distinto come tutto questo. Ma, pensandoci accuratamente, mi ricordo d’essere stato spesso ingannato, mentre dormivo, da simili illusioni. E arrestandomi su questo pensiero, vedo così manifestamente che non vi sono indizi concludenti, né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno, che ne sono tutto stupito; ed il mio stupore è tale da esser quasi capace di persuadermi che io dormo. (R. Cartesio, Meditazioni metafisiche, Prima meditazione, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, p. 201)

T3 Cartesio Il genio maligno

5

Io supporrò, dunque, che vi sia, non già un vero Dio, che è fonte sovrana di verità, ma un certo cattivo genio [genium aliquem malignum] non meno astuto e ingannatore che possente, che abbia impiegato tutta la sua industria ad ingannarmi. Io penserò che il cielo, l’aria, la terra, i colori, le figure, i suoni e tutte le cose esterne che vediamo, non siano che illusioni e inganni, di cui egli si serve per sorprendere la mia credulità. (R. Cartesio, Meditazioni metafisiche, Prima meditazione, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, p. 203)

Film

Cartesio parla di esperienze-limite, che tuttavia sono tutt’altro che paradossali. La prima è comune a tutti gli individui: quando sogniamo, siamo convinti della realtà dei sogni e ci accorgiamo della loro natura soltanto al risveglio. Questo tema, tra l’altro, era stato sviluppato due anni prima della pubblicazione del Discorso sul metodo in un dramma teatrale del drammaturgo spagnolo Pedro Calderón de la Barca intitolato La vita è sogno (1635). Un buon esempio della seconda ipotesi di Cartesio è il film di fantascienza matrix (1999). nella pellicola sono macchine intelligenti a condizionare le menti umane per far loro percepire una realtà fittizia, molto diversa da quella effettiva. Rivolgendosi al protagonista neo, inizialmente scettico di fronte a questa rivelazione, un altro personaggio centrale del film, Morpheus, afferma: «Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? e se da un sogno così non ti dovessi più svegliare, come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?». È lo stesso dubbio sollevato da cartesio. Puoi trovare la sequenza di Matrix da cui è tratta la citazione in «Imparo sul web» o direttamente tramite l’app Scopri+.

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

Proponi degli argomenti per confutare la tesi di cartesio secondo la quale se i sensi qualche volta ci ingannano, allora potrebbero ingannarci sempre e quindi sono inaffidabili.

3. I L RA Z I ON A L I SM O

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Cogito, ergo sum Anche nel dubbio più radicale esiste una verità indubitabile: il dubbio è infatti pensiero e, se penso, non posso non esistere: cogito, ergo sum. Ricorrendo a un’immagine per esemplificare il suo concetto, Cartesio paragona la mente a un cestino pieno di mele (le nostre certezze), che potrebbero essere tutte corrotte da una sola mela marcia. Dobbiamo allora svuotare completamente il cestino, esaminare ogni mela e mettervi di nuovo solo quelle che non presentano il minimo segno di corruzione. Dopo aver svuotato il cestino, Cartesio ha scartato gran parte delle mele che conteneva, perché tutte esposte al sospetto che fossero false verità, certezze ingannevoli. Tuttavia esso non resta vuoto: una verità riesce a superare il dubbio metodico e anche quello iperbolico, legato all’ipotesi del genio maligno. Infatti nel momento stesso in cui dubito, penso. Posso negare che ai miei pensieri corrisponda qualcosa, quindi che essi siano veri, ma non possono non esistere come pensieri. E se ci sono pensieri, ci deve essere qualcuno che li pensa, cioè devo esistere io come soggetto pensante. Cogito, ergo sum ➝ 7 (penso, dunque sono), conclude Cartesio. Questa verità è tale anche se sto sognando, anche se il mondo è un’immagine prodotta dal genio maligno per ingannarmi: se anche non esistesse nulla, esisterei io come essere pensante ➝ 8 . Se esisto come soggetto del pensiero, posso concluderne però che esisto unicamente come sostanza pensante, come res cogitans. Si determina in questo modo un netto dualismo tra pensiero e materia (res extensa). Il percorso seguito fin qui conduce Cartesio a quella rivoluzione che segna la nascita della filosofia moderna: la centralità del soggetto conoscente. La filosofia non parte dal mondo, dalla ricerca del fondamento della realtà, ma dal soggetto, che diventa egli stesso il fondamento del sapere, anche se in Cartesio non della realtà, come avverrà più tardi con l’idealismo. A questo punto però Cartesio prosegue la propria argomentazione con un passaggio che verrà criticato sia dai contemporanei sia in seguito. Il ragionamento condotto fin qui dimostra unicamente l’esistenza di un soggetto pensante, quindi (è questo il passaggio controverso) di una sostanza pensante. Ciò vuol dire, secondo Cartesio, da un lato che non abbiamo dimostrato la nostra esistenza come corpo, dall’altro che il pensiero è una sostanza, cioè una realtà esistente, anzi una realtà che sussiste di per sé, che non ha bisogno d’altro (se non di Dio che l’ha creata) per esistere e per essere spiegata. Un filosofo contemporaneo di Cartesio, Thomas Hobbes, al quale egli aveva spedito le Meditazioni metafisiche per riceverne osservazioni, obietta che colui che pensa potrebbe anche essere un corpo, un individuo materiale, e non una sostanza pensante. Infatti, se dico «passeggio, dunque sono», non posso concludere da questo che sono una passeggiata ➝ 9 ! Cartesio risponde che il pensiero non può dipendere da altro, ribadendone il carattere sostanziale e separandolo nettamente dalla materia, caratterizzata dall’estensione e definita per questo res extensa, sostanza estesa. Si stabilisce così un rigido dualismo tra pensiero e materia, in particolare nell’uomo, dove il pensiero equivale allo spirito e la materia al corpo. Questo dualismo, criticato da molti filosofi anche contemporanei e che il filosofo Gilbert Ryle definirà, in un’opera del 1949, il «mito del fantasma nella macchina», è fondamentale per Cartesio perché gli consente di risolvere importanti problemi. Le dinamiche della materia possono infatti essere spiegate in modo meccanicistico, in base a leggi immutabili e al nesso di causa-effetto, per cui ogni evento naturale ha una causa che lo determina e lo spiega. Senza questo presupposto non sarebbe possibile uno studio scientifico della natura. Se però applicassimo questa prospettiva anche all’uomo, dovremmo negarne il libero arbitrio, la volontà, la possibilità di scegliere.

Materiali per l’apprendimento attivo

dizionario operativo

7. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

8. COMPETENZE > Argomentazione

cogito Ripercorriamo l’argomentazione di cartesio Posso dubitare di tutto quindi

ma

se dubito penso

non posso dubitare della mia esistenza

e

in quanto

se penso sono sostanza pensante (res cogitans)

9. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

LE CRITIChE DI ARNAULD E GASSENDI altre critiche sono mosse a cartesio anche dai filosofi francesi antoine arnauld e Pierre Gassendi. Il primo lo accusa di ragionamento circolare: il cogito viene considerato vero perché è un’idea evidente, ma il criterio dell’evidenza verrà dimostrato solo in seguito, proprio a partire dal cogito. Il secondo obietta che la proposizione «penso, dunque sono» è una forma abbreviata di sillogismo in cui c’è una premessa sottintesa, «tutto ciò che pensa, esiste», che non è stata dimostrata. «Se dubito, penso; se penso, sono; quindi sono una sostanza pensante»: questo, in sintesi, è il ragionamento di cartesio. Quale ti sembra, anche alla luce delle critiche che hai letto, il punto debole dell’argomentazione di cartesio? Quali altre argomentazioni potresti contrapporgli? Separando le due sostanze, possiamo invece applicare le spiegazioni meccanicistiche soltanto alla natura fisica (res extensa), che quindi è studiabile scientificamente, mentre lo spirito umano (res cogitans) rimane libero di volere e di scegliere, salvando la possibilità di una morale, di una ricompensa o di un castigo nell’aldilà, e così via. GuIda allo sTudIo • Che caratteristiche deve avere, secondo

Cartesio, il metodo della filosofia? • Perché la matematica costituisce un modello?

• Perché Cartesio parla di dubbio «metodico»? • Che cos’è il «dubbio iperbolico»? • Quale certezza indubitabile viene

individuata da Cartesio?

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

cogito Cogito, in riferimento a Cartesio, deriva dall’espressione cogito, ergo sum che rappresenta il punto di arrivo della ricerca di una certezza indubitabile su cui fondare il proprio sistema filosofico. Si colloca alla fine del percorso del dubbio metodico, la strada intrapresa dal filosofo francese per individuare tutti i possibili inganni delle facoltà conoscitive umane. cartesio prende come modello della conoscenza il metodo matematico, deduttivo, che garantisce la verità di ciò che deriviamo in modo corretto dalle premesse, purché queste siano vere. da qui l’esigenza di una verità iniziale indubitabile. Il ragionamento che porta alla certezza di sé garantisce però unicamente l’esistenza del pensiero e non ancora quella della materia. Per questo cartesio parla di res cogitans, di sostanza pensante come certezza iniziale. Il cogito, quindi, è usato spesso come sinonimo di pensiero, di res cogitans, ma anche nel significato di certezza indubitabile. In questo secondo senso, il ragionamento di cartesio si richiama a uno analogo di agostino: nella polemica contro gli scettici, il vescovo d’Ippona giungeva alla verità inconfutabile che, per quanto io possa dubitare di tutto, per il fatto che dubito e che eventualmente mi inganno, comunque esisto. Si fallor sum, se mi inganno sono, conclude agostino.

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3. i L ra z i on a L i sM o

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Le idee, le cose e Dio Partendo dalla verità indubitabile della certezza di sé come essere pensante, Cartesio intraprende, procedendo con metodo deduttivo, la costruzione del proprio sistema, a partire dall’analisi delle idee presenti nel pensiero. L’esistenza di cose reali corrispondenti alle idee avventizie non può trovare la propria giustificazione nei sensi. Cartesio ne trova il fondamento in dio. se esiste e dato che è infinitamente buono, non può permettere che mi inganni quando ho l’idea chiara e distinta di una cosa come esistente. Cartesio è pervenuto alla certezza di sé come essere pensante come fondamento della propria filosofia, il cui oggetto, quindi, sarà costituito dalle idee ➝ 10 che formano la res cogitans e non dal mondo, della cui esistenza non siamo ancora certi. Analizzando tali idee, possiamo suddividerle in tre classi ➝ 11 : 1. Le idee innate, che ci appaiono come presenti in noi da sempre, indipendentemente dall’esperienza, come quelle della logica o della matematica. 2. Le idee avventizie, che ci sembrano provenire da una realtà esterna, in quanto sorgono in noi indipendentemente dalla nostra volontà (anche se dobbiamo ancora dimostrare che ad esse corrisponda effettivamente una realtà esterna). 3. Le idee fattizie, costruite da noi unendo altre idee, come quella della sirena, dell’ippogrifo ecc. Tutte le idee, in quanto idee, sono vere. Anche l’idea di ippogrifo è vera, dato che posso pensarla ed è in me. Resta però aperto il problema se alle idee corrisponda o meno una realtà separata dal soggetto, cioè una realtà oggettiva. Detto in termini più tecnici, le idee sono sempre vere, ma ciò che viene detto delle idee, cioè i giudizi e in particolare quelli relativi alla loro esistenza, non è necessariamente vero, o meglio, non può essere considerato tale. L’esistenza delle idee della logica o della matematica, e in generale di quelle innate, non riferibili all’esperienza, riguarda solo il pensiero; alle idee avventizie dovrebbe invece corrispondere una realtà esterna, la cui esistenza deve però ancora essere dimostrata, perché per adesso abbiamo a che fare soltanto con il pensiero, con la res cogitans. La soluzione del problema dell’esistenza di una realtà esterna corrispondente alle idee avventizie proposta da Cartesio presenta un altro dei passaggi argomentativi che susciteranno critiche e perplessità. Tra le diverse idee, dichiara Cartesio, ne troviamo una diversa da tutte le altre: l’idea di Dio. Io ho in me, scrive il filosofo francese, l’idea di «una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente, onnipotente, e dalla quale io stesso, e tutte le altre cose che sono (se è vero che ve ne sono di esistenti), siamo stati creati e prodotti» (Ivi, p. 225). Questa idea non deriva dall’esperienza e si presenta, al tempo stesso, come distinta da me, come non prodotta dalla mia mente. Infatti non è possibile che io, essere finito e imperfetto, possa aver prodotto l’idea di un essere infinito e perfetto. Ma proprio perché quest’idea non può essere prodotta da me, deve aver origine da un essere effettivamente esistente. Questa argomentazione, secondo Cartesio, prova da sola l’esistenza di Dio. ◀ Anonimo svizzero, San Cristoforo e il donatore Niklaus Eberler, 1516, olio su tavola, particolare dal pannello della pala (Digione, Musée des Beaux-Arts).

Materiali per l’apprendimento attivo 10. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

11. LA PAROLA AI TESTI

T4 Cartesio I diversi tipi di idee Le idee possono essere suddivise in innate, avventizie e fattizie. Le prime derivano da noi stessi, le seconde sembrano essere provocate da qualcosa di esterno e le ultime sono costruite da noi. Cartesio si sofferma sulle idee avventizie, interrogandosi per loro tramite sull’esistenza di una realtà esterna, cui esse sembrano rimandare.

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Ora, di queste idee alcune mi sembrano nate con me [innatae], altre estranee e venute dal di fuori [adventitiae], altre ancora fatte ed inventate da me stesso [factitiae]. Infatti la facoltà di concepire una cosa, una verità, o un pensiero, sembra non venirmi da altro che dalla mia natura; ma se odo adesso qualche rumore, se vedo il sole, se sento caldo, fino ad ora ho giudicato che queste sensazioni provenissero da cose esistenti fuori di me; ed infine mi sembra che le sirene, gl’ippogrifi e tutte le altre simili chimere siano finzioni ed invenzioni del mio spirito. Ma egualmente, forse, potrei persuadermi che tutte queste idee siano del genere di quelle che chiamo estranee, e che vengono dal di fuori, oppure che esse siano tutte nate con me, ovvero che siano state tutte fatte da me; poiché non ho ancora chiaramente scoperto la loro vera origine. E ciò che ho principalmente da fare in questo luogo è di considerare, riguardo alle idee che mi sembrano venire da oggetti posti fuori di me, quali sono le ragioni che mi obbligano a crederle simili a questi oggetti. La prima di queste ragioni è che mi sembra che ciò mi sia insegnato dalla natura; e la seconda, che sperimento in me stesso, che queste idee non dipendono dalla mia volontà; perché sovente esse si presentano a me mio malgrado, come ora, sia che lo voglia, sia che non lo voglia, io sento del calore, e per questa ragione mi convinco che questa sensazione, ovvero quest’idea del calore, è prodotta in me da una cosa differente da me, cioè dal calore del fuoco presso il quale mi trovo. E non vedo nulla che mi sembri più ragionevole che il giudicare che questa cosa estranea invia ed imprime in me, piuttosto che altro, un’immagine simile a sé. (R. Cartesio, Meditazioni metafisiche, Terza meditazione, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, pp. 218-19)

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

IDEA Come abbiamo visto nel primo volume, Platone usa due termini diversi, idéa ed êidos, il primo traducibile appunto come «idea», il secondo come «forma». Il primo termine è riconducibile alla radice ideîn, che significa «vedere», ed è questo il senso del termine nella filosofia moderna. L’idea è una rappresentazione mentale cui però, per il razionalismo, corrisponde una realtà. Per cartesio le idee sono contenuti mentali, la cui verità, cioè l’esistenza di una realtà ad esse corrispondente, è garantita da dio. In Spinoza, invece, esse esistono realmente come modi del pensiero, che come si vedrà è uno degli attributi della sostanza divina. Le idee sono rappresentazioni razionali della realtà, che non possono derivare dalle sensazioni e che quindi sono innate. Per dimostrare che le idee non possono derivare dall’esperienza, cartesio propone un esempio: l’idea di Sole che deriva dalla ragione (dalle conoscenze astronomiche), come un corpo celeste lontanissimo e molto più grande della terra, è molto diversa dalla rappresentazione del Sole che possiamo ricavare dalle sensazioni, che ce lo mostrano come più piccolo della nostra mano che può schermarlo; l’idea di Sole non può quindi derivare da esse.

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3. I L RA Z I ON A L I SM O

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L’esistenza di Dio garantisce la verità delle idee chiare e distinte. L’esistenza di Dio ➝ 12 costituisce il passaggio per risolvere il problema della verità delle idee avventizie, cioè dell’esistenza di una realtà distinta dal soggetto che esse rispecchiano. Infatti se Dio esiste e se è infinitamente buono, non può volere che io mi inganni, né può permettere che un ipotetico genio maligno lo faccia. Dio diventa così il garante della veridicità della conoscenza. Non, però, di quella sensoriale, perché i sensi sono imperfetti e ci fanno conoscere in modo parziale o erroneo la realtà. Ad esempio, la percezione che abbiamo del Sole ce lo rappresenta come un corpo piccolo, tanto che la nostra mano può nasconderlo, che ruota intorno alla Terra. La vera conoscenza del Sole avviene grazie alle teorie astronomiche, che lo descrivono, correttamente, come un corpo molto più grande della Terra e immobile, intorno a cui la Terra stessa gira, contro le evidenze dei sensi. La verità garantita da Dio, quindi, riguarda le idee e in particolare quelle che ci si presentano come chiare e distinte: chiare perché evidenti di per sé; distinte perché separabili da altre. Tutte le idee chiare e distinte, secondo Cartesio, sono vere ➝ 13 . A questo punto, però, i presupposti da cui era partito Cartesio si rovesciano, letteralmente: dal dubbio metodico, cioè dalla possibilità che tutto ciò che pensiamo di conoscere sia falso, alla impossibilità dell’errore perché contraddirebbe la natura stessa di Dio, la sua onnipotenza unita alla sua bontà. L’errore dipende dalla nostra volontà, che accetta come chiare e distinte idee che non lo sono.

Le prove dell’esistenza di Dio Per l’importanza che l’esistenza di Dio ha nel proprio sistema, Cartesio aggiunge altre prove a quella principale considerata in precedenza. Varie sono le prove, attinte al vastissimo lascito filosofico della scolastica, che Cartesio adduce per dimostrare la corrispondenza fra l’idea di Dio e l’esistenza di Dio in sé. Se l’uomo si fosse creato da se stesso, si sarebbe fornito di tutte le perfezioni di cui possiede l’idea; se, invece, ne possiede solo l’idea, significa che esse esistono e sono realizzate in un Essere superiore, che ha creato l’uomo e il mondo «a sua immagine». Riprendendo l’argomento antologico di sant’Anselmo, Cartesio afferma che, se esaminiamo l’idea di Dio, troviamo una connessione necessaria tra l’idea di un Essere sommamente perfetto e l’idea di esistenza: l’esistenza è connessa all’essenza di Dio allo stesso modo in cui all’idea di triangolo è inerente l’essere la somma dei suoi angoli uguale a due retti. In confronto alle prove dell’esistenza di Dio tradizionalmente ammesse, quelle di Cartesio sono espressione di un approccio molto diverso. Le prove enunciate dal tomismo sono a posteriori, cioè prendono le mosse dal mondo per arrivare a Dio come suo autore. Per Cartesio, al contrario, dobbiamo ancora dimostrare l’esistenza stessa del mondo. Le idee avventizie, infatti, esistono certamente, ma non possiamo ancora essere sicuri che corrisponda loro una realtà esterna ad esse speculare. Tale certezza è garantita proprio da Dio, la cui esistenza, quindi, non può essere dimostrata a partire dal mondo.

◀ Ritratto di Renato Cartesio, 1596-1650 (Parigi, Bibliothèque des Arts Decoratifs).

Materiali per l’apprendimento attivo 12. COMPETENZE > Argomentazione

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T5 Cartesio L’idea di Dio

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

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Ma si presenta ancora un’altra via per ricercare se, tra le cose di cui ho in me le idee, ve ne siano alcune che esistano fuori di me. Cioè, se queste idee son considerate solamente in quanto sono certe maniere di pensare, io non riconosco tra loro alcuna differenza o ineguaglianza, e tutte sembrano procedere da me d’una stessa maniera; ma, considerandole come immagini, di cui le une rappresentano una cosa e le altre un’altra, è evidente che esse sono differentissime le une dalle altre. Perché, in effetti, quelle che mi rappresentano delle sostanze sono senza dubbio qualche cosa di più, e contengono in sé (per così dire) maggior realtà oggettiva, cioè partecipano per rappresentazione ad un numero maggiore di gradi di essere o di perfezione, di quelle che mi rappresentano solamente dei modi o accidenti. Di più, quella per la quale io concepisco un Dio sovrano, eterno, infinito, immutabile, onnisciente, onnipotente e creatore universale di tutte le cose che sono fuori di lui, quell’idea, dico, ha certamente in sé più realtà oggettiva di quelle, da cui mi sono rappresentate le sostanze finite. Ora, è una cosa manifesta per luce naturale, che deve esserci per lo meno tanto di realtà nella causa efficiente e totale, quanto nel suo effetto: perché, donde l’effetto può trarre la sua realtà, se non dalla propria causa? e come questa causa potrebbe comunicargliela, se non l’avesse in se stessa? E da ciò segue non solamente che il niente non potrebbe produrre nessuna cosa, ma anche che ciò che è più perfetto, cioè che contiene in sé maggior realtà, non può essere una conseguenza ed una dipendenza del meno perfetto. (R. Cartesio, Meditazioni metafisiche, Terza meditazione, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, pp. 220-21)

il percorso argomentativo 1. Le idee differiscono le une dalle altre per ciò che rappresentano: un’idea può avere una maggiore «realtà oggettiva» di quanta ne abbia un’altra idea. Ma 2. L’idea di dio ha maggiore realtà oggettiva di ogni altra idea. InOLtRe 3. nella causa vi deve essere almeno tanto di realtà quanto ve ne è nell’effetto. QUIndI 4. L’idea di dio non può provenire da alcuna sostanza finita: l’idea di una sostanza infinita non può provenire che da una sostanza infinita. 13. per Capire MeGLio

dio, Le idee e La reaLtÀ Il filosofo francese Blaise Pascal (1623-62) rimprovererà a cartesio di aver considerato dio in modo impersonale, rivendicando al contrario la sua dimensione esistenziale, cioè vicina alla nostra vita, in quanto «dio di abramo, dio di Isacco, dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei dotti», cioè un dio-persona, vicino all’uno, presente nella storia. nella filosofia di cartesio, dio ha un ruolo centrale ma, come nota Pascal, ce l’ha più come passaggio logico che non come presenza nella vita dell’uomo. cartesio è partito dalla certezza del cogito, cioè di sé come sostanza pensante, come insieme di idee, aprendo così il problema dell’esistenza del mondo esterno, del quale abbiamo idee che non necessariamente debbono corrispondere a cose. dio risolve tale problema: se esiste e se è infinitamente buono, non può permettere che ci inganniamo; pertanto tutte le idee chiare e distinte che abbiamo debbono essere vere, cioè ad esse deve corrispondere una realtà oggettiva, distinta dalla nostra mente. ciò implica, come conclude cartesio, che il mondo esterno esiste così come lo conosciamo.

3. I L RA Z I ON A L I SM O

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Il razionalismo cartesiano: le idee fondano la conoscenza La conoscenza ha origine dalla ragione e procede in modo deduttivo, spiegando l’esperienza e non partendo da essa. I sensi ci fanno conoscere i fenomeni, che cambiano e non sono essenziali, mentre la ragione ci fa conoscere il fondamento della realtà, la sostanza. Ci sono due sostanze distinte e indipendenti: la res cogitans e la res extensa. La conoscenza, per Cartesio, muove dalle idee e non dalle sensazioni. La comprensione e la spiegazione della realtà avviene mediante il procedimento deduttivo: partendo dalle idee chiare e distinte deriviamo la spiegazione (razionale) dei diversi aspetti della realtà. I sensi servono solo come conoscenza delle cose particolari alla luce delle spiegazioni date dalla ragione, che ci fa comprendere scientificamente le cose stesse. Cartesio è uno dei maggiori rappresentanti del razionalismo ➝ 14 , la teoria secondo cui la conoscenza avviene mediante la ragione e non a partire dall’esperienza: le idee precedono l’esperienza e la interpretano scientificamente. Ma che cosa significa questa affermazione? Abbiamo visto che con i sensi conosciamo, ad esempio, il Sole in modo errato. Se alziamo gli occhi al cielo e guardiamo il Sole, percepiamo un corpo molto più piccolo della Terra, più piccolo di noi stessi e della nostra mano che può schermarlo, nascondendolo interamente. Ci sembra inoltre relativamente vicino, ad esempio quando al tramonto sembra toccare l’orizzonte, e non molto caldo, tanto che possiamo sopportarne agevolmente i raggi. L’astronomia ci fa conoscere, invece, la vera realtà del Sole, le sue dimensioni, la distanza effettiva dalla Terra, il suo calore. Ma l’astronomia conosce il Sole a partire da teorie, cioè da idee. La conoscenza razionale del Sole, dataci dall’astronomia, descrive e spiega la realtà effettiva, a differenza delle sensazioni. Consideriamo un altro esempio, proposto da Cartesio nelle Meditazioni metafisiche [➤ T22]. Se teniamo in mano un pezzo di cera preso da un alveare, possiamo percepirne il profumo, il sapore del miele che conteneva, la sonorità se ne sfreghiamo le celle con un dito e così via. Ma queste sensazioni non ci dicono in realtà che cos’è il pezzo di cera. Infatti, se lo avviciniamo alla fiamma del caminetto davanti a noi, la forma cambia, il profumo e il sapore spariscono, la sonorità viene meno, la cera si scioglie: l’aspetto e le sensazioni che percepiamo cambiano completamente. Quello che pensavamo di conoscere della cera dell’alveare era in realtà sbagliato. Per conoscerla veramente dobbiamo andare oltre le apparenze, i fenomeni che percepiamo con i sensi e individuare la realtà che permane in tutti gli stati che essa può assumere. Questa realtà viene conosciuta dalla ragione, in base alla quale sappiamo che la cera non è il profumo, il sapore o il suono che emette, ma è fondamentalmente estensione; questa è la sola cosa che permane in ogni cambiamento possibile ➝ 15 ➝ 16 . Quello che è vero per il Sole e per la cera, lo è per ogni altra realtà: i sensi ci ingannano, non tanto per le illusioni e per gli errori veri e propri, ma perché ci fanno conoscere gli aspetti superficiali delle cose, non la loro natura razionale, che è invece il fondamento di ogni conoscenza vera e, potremmo dire, della conoscenza scientifica. ◀ Simbolo del Sole fuso con una rosa dei venti, cartografia, xvi secolo, da Atlante di Carte marine (Genova, Biblioteca Universitaria di Genova).

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

14. COMPETENZE > Mappa concettuale

la fonte di ogni conoscenza

che sono

innate

ne deriva

che

razionalismo

sono nel soggetto

importante è

prove dell’esistenza di Dio

l’idea di Dio garantisce la

RES COGITANS

formata da

idee

fattizie

avventizie

che

che

sono costruite dal soggetto derivano dal mondo esterno

pongono il problema della

corrispondenza tra pensiero e realtà

Leggiamo la mappa concettuale Cartesio ha dimostrato l’esistenza di sé come res cogitans, costituita da idee. Da qui derivano due conseguenze: le idee sono il fondamento della conoscenza, e quindi abbiamo il razionalismo; dobbiamo proseguire la nostra indagine analizzando le idee che compongono la res cogitans. Questa analisi ci porta a individuare le idee avventizie, che derivano non da noi ma dall’esterno. Che cosa ci garantisce però l’esistenza di un mondo esterno e la verità delle idee avventizie? Come abbiamo visto, tale garanzia è data da Dio, che è quindi fondamentale nella filosofia di cartesio, anche se come esigenza logica, non come Dio-persona vicino all’uomo. 15. ATTIVITÀ >

Rielaborazione

Prova a discutere l’esempio del Sole e quello della cera alla luce del senso comune. Puoi giungere a conclusioni diverse? hai comunque bisogno di usare il concetto di sostanza, oppure puoi farne a meno? Riesci a trovare altri esempi di conoscenze sensoriali che appaiono in contrasto con le conoscenze scientifiche? 16. per Capire MeGLio

L’eseMpio deLLa Cera In questa celebre immagine, e nel ragionamento che a partire da essa si sviluppa, possiamo cogliere l’intimo significato del razionalismo. cartesio non nega che i sensi ci facciano conoscere le cose: il pezzo di cera preso dall’alveare sa davvero di miele e odora davvero di fiori. ciò che conosciamo attraverso i sensi, però, non è la vera realtà. Il piano metafisico e quello scientifico rimangono invisibili agli occhi. Quando la cera, riscaldata, subisce la metamorfosi, che cosa è che continuiamo a conoscere? e quindi, che cos’è la cera, indipendentemente dall’aspetto fenomenico che percepiamo con i sensi? Il risultato dell’esperimento descritto, in termini di contenuto, è che l’estensione è il predicato che caratterizza la materia, definita per questo res extensa; dal punto di vista del metodo, la conclusione è che la conoscenza non deriva dai sensi e dall’immaginazione, ma dalla ragione e dall’intelletto.

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

IL RAZIONALISMO

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3. i L ra z i on a L i sM o

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Cartesio definisce come «sostanze» sia la materia sia il pensiero. in questo modo può affermare la libertà della coscienza. La sua definizione della sostanza sarà però contestata sia all’interno del razionalismo sia dall’empirismo. La materia è caratterizzata dall’estensione, che ne costituisce la natura, ed è quindi definita da Cartesio «sostanza estesa». Il termine «sostanza» ➝ 17 indica in filosofia il fondamento di una determinata realtà, la sua natura, ciò che la definisce e la fa essere. Nella sua opera più sistematica, I princìpi della filosofia (1644), Cartesio definisce la sostanza ciò che sussiste di per sé e non ha bisogno d’altro per esistere. Il profumo e la dolcezza della cera rimandano alla materia, senza la quale non potrebbero sussistere: essi non possono esistere di per sé bensì hanno bisogno d’altro. La materia che si manifesta mediante questi fenomeni oppure in altro modo quando la cera si scioglie, rimane, invece, ed è definita dal fatto di essere estesa, e per questo è definita res extensa. Il pensiero, al contrario, non ha estensione ed è caratterizzato dal fatto di pensare, quindi viene definito da Cartesio res cogitans. Il fatto che materia e pensiero siano sostanze indipendenti giustifica il dualismo di cui parlavamo sopra e consente a Cartesio di distinguere nettamente i loro ambiti e le leggi che li governano: da un lato abbiamo la materia, regolata da leggi meccaniche e studiabile in base al principio di causa-effetto; dall’altro il pensiero, che invece è libero e si autodetermina. In questo modo, la distinzione di cui aveva parlato Cartesio nelle opere precedenti risulta fondata su argomenti più solidi ed è possibile riferire alle due diverse sostanze diversi attributi, riservando la libertà alla sola res cogitans. Il problema della sostanza è particolarmente importante perché è legato alla possibilità di conoscere o meno la realtà in modo oggettivo. Per questo verrà affrontato, all’interno del razionalismo, con critiche radicali alla definizione di Cartesio e, all’interno dell’empirismo, alla stessa nozione di sostanza. Cartesio stesso è consapevole dei limiti della propria definizione, perché in senso proprio soltanto Dio non ha bisogno d’altro per sussistere, mentre pensiero e materia non potrebbero esistere senza la creazione divina. Egli corregge perciò la propria definizione, considerando «sostanza» ciò che non ha bisogno d’altro, a eccezione dell’intervento di Dio, per esistere. Spinoza critica questa specificazione, riprendendo la prima definizione e concludendone che unica sostanza è Dio, il quale coincide con tutto ciò che esiste. Per le obiezioni mosse a Cartesio dall’interno del razionalismo, puoi approfondire le considerazioni di Spinoza, secondo il quale esiste un’unica sostanza [➤ Deus Sive natura, p. 194], e di Leibniz, che invece ammette l’esistenza di infinite sostanze individuali, le monadi [➤ p. 224]. Gli empiristi negheranno invece l’esistenza della sostanza o in ogni caso la possibilità di conoscerla. A questo proposito è particolarmente articolata la critica di Locke ➝ 18 .

GuIda allo sTudIo • Perchè le idee chiare e distinte sono vere? • Quali tipi di idee individua Cartesio? Perché

l’idea di dio è diversa da tutte le altre? • Perché l’esistenza di dio è così importante nella filosofia cartesiana? • In che senso il dio di Cartesio è impersonale?

• Come viene definita da Cartesio la

sostanza? • Perché Cartesio viene definito un

razionalista? • Che cosa vuole dimostrare Cartesio con

l’immagine della cera? • Perché la conoscenza sensoriale non corrisponde alla verità?

Materiali per l’apprendimento attivo 17. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

18. PER CAPIRE MEGLIO

DISCUTIAMO IL CONCETTO: SOSTANZA Il concetto di «sostanza» è fondamentale in filosofia perché dà risposta a importanti problemi. Il suo contrario – seguendo il pensiero di aristotele – è «accidente», dal latino accidens, che significa “ciò che accade”. Gli accidenti sono gli aspetti della realtà che cogliamo con la percezione, la sostanza invece è la vera realtà della cosa. ad esempio, Socrate può essere più o meno grasso, con i capelli bianchi o senza capelli, con la barba o meno, vestito con una tunica o con un mantello ecc. tutti questi sono «accidenti», mentre la «sostanza» è l’identità di Socrate, ciò che lo caratterizza e che, a differenza degli accidenti, non cambia. La vera conoscenza, la conoscenza razionale, non è pertanto legata agli accidenti (conosciuti con i sensi) bensì alla sostanza. d’altra parte, essa è il fondamento della realtà, in questo caso di Socrate, perché ne garantisce la continuità al di là dei cambiamenti che subisce e dei modi in cui appare. Viene in mente l’esempio della cera: anche in essa cambiano gli accidenti, eppure resta cera. Per rispondere alla domanda «che cos’è la cera?» bisogna andare oltre gli accidenti (i dati sensoriali) e individuare la sostanza (la conoscenza razionale). cartesio intende la sostanza in un’accezione ancora più ampia di quella aristotelica: non come il fondamento dei singoli individui, della loro identità, ma come il fondamento della realtà nel suo insieme. essa è ciò che non rimanda ad altro e che quindi costituisce la spiegazione razionale della realtà. In questo senso, come abbiamo visto, viene definita come ciò che non ha bisogno d’altro, eccetto dio, per esistere. Ma con ciò si deve intendere che non ha neppure bisogno d’altro per essere spiegata e compresa razionalmente, perché possiede princìpi propri che caratterizzano tutta la realtà che da essa deriva. così, i princìpi della res extensa caratterizzano tutto il mondo materiale e consentono di comprenderlo razionalmente. In questo quadro, il dualismo cartesiano consente una netta separazione dello spirito (res cogitans) e della materia e permette di applicare il meccanicismo alla seconda, in modo da poterla studiare scientificamente, ma non alla prima, per salvaguardare la libertà che è condizione stessa della moralità. ▶ L’albero degli esseri e delle sostanze, copia di un’incisione su legno della Cuer de Philosophie, tradotto dal latino in francese, su richiesta di Filippo il Bello, re di Francia.

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SOSTANZA La sostanza è il fondamento della realtà (dal latino substantia, “ciò che sta sotto”). nel razionalismo è il fondamento ultimo di tutto ciò che è. Viene definita come «ciò che non ha bisogno d’altro per sussistere» e quindi è l’essere necessario, che non dipende da altro. In questo senso, conviene cartesio, soltanto Dio è propriamente sostanza. Possiamo però considerarne un’accezione più limitata, definendola come «ciò che non ha bisogno d’altro, eccetto dio, per sussistere». In questo senso, cartesio parla di «sostanza pensante» (res cogitans) e di «sostanza estesa» (res extensa), spirito e materia. Ognuna è fondamento di un aspetto della realtà, il pensiero e la materia, i quali, essendo sostanze diverse, costituiscono realtà separate, soggette a leggi diverse. In particolare, la materia è soggetta a un rigido meccanicismo, mentre lo spirito è caratterizzato dalla libertà di volere.

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Le idee e il mondo: la fisica deduttiva e il meccanicismo La conoscenza del mondo parte dalle idee chiare e distinte che abbiamo sulla materia. Essa è estensione (res extensa) cui si aggiunge il movimento. Dati questi punti di partenza, la fisica di Cartesio procede in modo deduttivo, ricavando dalle premesse le leggi e la spiegazione della struttura dell’universo. Nel meccanicismo di Cartesio si ritrova un’ottica simile a quella della rivoluzione scientifica che si sta affermando negli stessi decenni con Bacone e con Galilei. Cartesio è però lontano dal metodo sperimentale che ne è alla base. Anche Bacone mette in guardia dalle «selve dell’esperienza» in cui è facile smarrirsi senza la guida di un metodo adeguato, e Galilei invita a «difalcare l’esperienza dagli impedimenti della materia» mediante gli esperimenti. Per la nuova scienza, cioè, l’esperienza va corretta alla luce della ragione, ma costituisce comunque il punto di partenza, la materia da rielaborare per produrre conoscenza, così come le api, nella metafora di Bacone, succhiano il nettare dei fiori e lo trasformano per produrre il miele. Per Cartesio, invece, la scienza deve seguire il metodo deduttivo della matematica, partendo dall’idea di materia come sostanza estesa ➝ 19 . Questa definizione esclude la presenza del vuoto, dato che l’estensione, cioè lo spazio, è materia. Inoltre, essendo estensione, la materia, come lo spazio euclideo, è divisibile all’infinito, quindi non ci sono atomi. Infine, essendo estensione, la materia, come lo spazio geometrico, è infinita. Alla materia deve aggiungersi il movimento, che non essendo un predicato della materia deve provenire da altro. Oltre alla materia, nell’universo, non c’è che Dio, il quale deve pertanto essere l’origine del movimento, che lo comunica alla materia stessa. Dato che Dio è perfettissimo, egli non può correggere le proprie decisioni, perciò la quantità di movimento che ha dato inizialmente alla materia dovrà persistere in eterno, senza aumentare né diminuire. Da questo ragionamento, Cartesio deduce la legge di conservazione del moto. Abbiamo visto nel Modulo precedente che Galilei giunge alla stessa conclusione per via sperimentale. La fisica di Cartesio si rivela ricca di intuizioni moderne, ma, dopo aver conosciuto una certa fortuna, verrà superata nel corso del Seicento proprio per il rifiuto del metodo sperimentale. Dati la materia e il movimento, le particelle che costituiscono la prima non possono che muoversi in modo vorticoso, circolare, provocando l’addensamento delle particelle più estese verso il centro e di quelle più piccole nella periferia. L’universo è di conseguenza composto di vortici di materia, il centro di ognuno dei quali è un corpo celeste. Il Sole è al centro di un vortice che costituisce il Sistema solare, intorno al quale si formano altri vortici, i pianeti, che girano nel vortice del Sole ➝ 20. La teoria dei vortici spiega anche l’azione reciproca tra i corpi celesti senza dover ipotizzare forze immateriali, perché i vortici si toccano e s’influenzano l’uno con l’altro per contatto diretto, secondo le leggi della meccanica. Ogni pianeta, e così pure la Terra, è trascinato dalla materia fluida che costituisce il vortice in movimento intorno al Sole. Seguendo la sua impostazione, secondo cui ogni cosa si può spiegare in base ai princìpi generali ammessi inizialmente, Cartesio tratta i vari argomenti che venivano dibattuti nel confronto tra sistema tolemaico e sistema copernicano: stelle nuove, diversa velocità dei pianeti, macchie solari, comete.

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19. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

Audiomappa

20. CoMpetenze > Mappa concettuale

La FisiCa deduttiva di Cartesio

materia

che è

quindi

spiegano scientificamente la natura

estensione

FISICA DEDUTTIVA

i cui

princìpi generali

sono

forma

che

movimento

il vuoto non esiste

organizza la materia

con

leggi meccaniche

si applicano anche al comportamento degli animali

i origine divina • dbasato • del motosulle leggi

Leggiamo la mappa concettuale La conoscenza razionale parte dalle idee generali relativamente all’oggetto della conoscenza, procedendo poi per via deduttiva. La ragione ci dice che la materia è res extensa, cioè estensione e forma. ad essa si aggiunge il movimento, dato da dio. Se la materia è estensione, allora non esiste il vuoto, perché sarebbe comunque estensione, quindi materia. date queste premesse, se ne può dedurre l’intera struttura fisica dell’universo.

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FISICA DEDUTTIVA La conoscenza razionale del mondo non deriva dall’esperienza ma deve essere ricavata in modo deduttivo partendo da idee generali. Cartesio muove dalla definizione della materia come res extensa. ciò implica che essa coincida con lo spazio e quindi che non esista uno spazio vuoto. Inoltre, se la materia è estesa, essa è anche divisibile e perciò devono esserci parti di varia grandezza. Se a queste considerazioni applichiamo le leggi del moto, ne deduciamo una materia originaria senza spazi vuoti, divisa in frammenti diseguali. date queste condizioni, le leggi del moto determineranno un movimento rotatorio della materia, con il formarsi di vortici nel cui centro si disporranno le parti più pesanti. Sviluppando quest’analisi cartesio ricostruisce la struttura generale dell’universo e ritiene possibile proseguirla fino a dedurre tutti i fenomeni fisici. Se tali fenomeni sono deducibili, però, non possono essere diversamente da come sono. dalla fisica deduttiva consegue quindi un rigido meccanicismo, per cui anche il comportamento degli animali e dello stesso corpo umano (il discorso vale soltanto per la materia, non per il pensiero) è spiegabile sulla base di meccanismi e di cause efficienti, senza spazio per la volontà e per la libertà.

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La favola del mondo Per sottolineare il carattere deduttivo del proprio metodo, Cartesio presenta la fisica come una favola, come un universo ricostruito a partire dalle leggi meccaniche della natura, date le quali la materia non può che organizzarsi in un universo in tutto simile a quello esistente. Cartesio introduce il procedimento deduttivo che stiamo analizzando con un espediente che ce ne fa cogliere la prospettiva. Egli sottolinea che il mondo è stato creato da Dio secondo il racconto biblico, ma aggiunge che possiamo immaginare di ricostruirne la genesi e lo sviluppo a partire da poche leggi generali, perché in questo modo possiamo capirne a fondo la natura ➝ 21 . In altre parole, Cartesio non deduce la descrizione del mondo, in tutti i suoi multiformi aspetti, ma la struttura razionale della realtà. Dati i princìpi e le leggi del moto, l’organizzazione dell’universo non avrebbe potuto essere diversa da come è attualmente, perché da essi consegue in modo necessario. Infatti, scrive Cartesio, questi princìpi e queste leggi sono tali che «anche se supponessimo il caos dei poeti, cioè un’intera confusione di tutte le parti dell’universo, si potrebbe sempre dimostrare che, per loro mezzo, questa confusione deve a poco a poco ritornare all’ordine che esiste attualmente nel mondo» (I princìpi della filosofia, Parte terza, par. 47, in Opere cit., vol. 2, p. 143). Cartesio propone quindi di mettere tra parentesi il mondo così come esiste e come è stato creato da Dio, per «venirne a vedere un altro, nuovissimo, che farò nascere in suo cospetto negli spazi immaginari» (Il mondo, Theoria, Roma 1983, p. 56). Cartesio propone dunque di costruire un mondo immaginario, come «una favola», dalla quale però possa trasparire la verità. Partendo da princìpi certi e dalle leggi ad essi connesse, il mondo ricostruito non potrebbe infatti essere diverso da quello realmente esistente, perché sia nel nostro mondo immaginario sia in quello reale tutto ciò che esiste deriva necessariamente dai princìpi e dalle leggi, e in base ad essi può essere ricostruito e spiegato in modo deduttivo.

Una fisica meccanicistica La fisica di Cartesio è meccanicistica. Gli animali sono considerati simili a macchine e anche il corpo umano agisce secondo cause, in modo meccanico e deterministico. Tutto ciò che possiamo dedurre, però, non può essere diversamente da com’è. Se dai princìpi della geometria derivo il teorema di Pitagora, non posso immaginare che in qualche triangolo rettangolo il rapporto tra i cateti e l’ipotenusa sia diverso da quello dimostrato nel teorema. Ma, allora, tutto ciò che accade nell’universo accade in modo necessario, può essere spiegato razionalmente ed esclude l’intervento di qualsiasi volontà che possa decidere qualsiasi cosa. Questo determinismo riguarda anche il comportamento degli animali, equiparati alle macchine e agli automi meccanici che nel Seicento andavano diffondendosi. Lo stesso comportamento umano, per quanto è riferibile alla materia, cioè al corpo, rientra nello stesso determinismo: tutto può essere spiegato razionalmente in base a cause che producono effetti. Ogni comportamento non è che il risultato di leggi e di cause che possiamo individuare e a partire dalle quali possiamo spiegarlo. La fisica di Cartesio afferma quindi un rigido meccanicismo che la pone nella stessa prospettiva di quella degli scienziati. Anzi, si può dire che sia più rigorosa di quella di Newton, che doveva far ricorso all’intervento continuo di Dio per correggere l’entropia. Inoltre, l’assenza di vuoto implica che ogni parte della materia possa influire su qualunque altra secondo le leggi meccaniche, eliminando tutte le influenze a distanza, in particolare quelle animistiche, e le influenze tra i corpi secondo una «simpatia» universale. Contro ogni interpretazione finalistica, Cartesio critica esplicitamente la concezione tradizionale secondo cui Dio, nella creazione, avrebbe fatto ogni cosa in vista dell’uomo. L’eventuale fine propostosi da Dio non è conoscibile né deve costituire parte della spiegazione del

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21. LA PAROLA AI TESTI

La fisica cartesiana avrà molta diffusione nel Seicento, contrapponendosi a quella di Galilei e di Newton. La differenza principale risiede nel metodo: per Cartesio l’esperienza non è significativa se non alla luce delle idee, che ne dimostrano la razionalità. Occorre dunque partire dalle idee (la materia come res extensa, il movimento, la grandezza ecc.), dalle quali vengono dedotte via via le caratteristiche che deve avere l’universo. Solo in un secondo momento, l’esperienza può confermare queste conclusioni, ma è il procedimento deduttivo a spiegarne la razionalità.

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Qualcuno, da capo, potrà domandare donde ho appreso quali sono le figure, grandezze e movimenti delle particelle di ogni corpo, molte delle quali ho qui determinate proprio come se le avessi viste, benché sia certo che non ho potuto percepirle con l’aiuto dei sensi, poiché confesso che esse non sono sensibili. Al che io rispondo che ho, innanzi tutto, considerato in generale tutte le nozioni chiare e distinte che possono essere nel nostro intelletto riguardo alle cose materiali, e che, non avendone trovate altre, se non quelle che abbiamo delle figure, delle grandezze e dei movimenti, e delle regole, secondo le quali queste tre cose possono essere diversificate l’una dall’altra, le quali regole sono i princìpi della geometria e delle meccaniche, ho giudicato che necessariamente bisognava che tutta la conoscenza che gli uomini possono avere della natura fosse tratta solo da quello; poiché tutte le altre nozioni che abbiamo delle cose sensibili, essendo confuse ed oscure, non possono servire a darci la conoscenza di nessuna cosa fuori di noi, ma piuttosto possono impedirla. In seguito di che, ho esaminato tutte le principali differenze, che possono trovarsi tra le figure, grandezze e movimenti dei diversi corpi, che solo per la loro piccolezza restano al disotto della sensibilità, e quali effetti sensibili possono essere prodotti dalle diverse maniere con cui essi si mescolano insieme. E in appresso, quando ho trovato simili effetti nei corpi che i nostri sensi percepiscono, ho pensato che essi avevano potuto essere così prodotti. Poi ho creduto che lo fossero stati senza alcun dubbio, quando mi è sembrato essere impossibile trovare in tutta l’estensione della natura nessun’altra causa capace di produrli. (R. Cartesio, I princìpi della filosofia, parte iv, par. 203, in Opere, vol. 2, Laterza, Bari 1967, p. 364)

mondo. Cartesio non esclude una finalità dell’universo; anzi, dato che è stato creato da Dio, essa deve esservi. Ma la nostra conoscenza è limitata alla ragione e alle idee delle cose percepite, per cui essa non può individuare possibili cause finali. Nella fisica, occorre considerare soltanto le cause efficienti, cioè quelle che producono i vari fenomeni. Di conseguenza, nonostante la centralità di Dio nella metafisica cartesiana, l’universo viene interpretato in modo rigorosamente meccanicistico. Per questi motivi, la fisica di Cartesio avrà molta influenza nel corso del Seicento, rivaleggiando con quella di Galilei e di Newton, ma per il rifiuto del metodo sperimentale e della quantificazione dei dati (Cartesio dà importanza al metodo matematico ma non usa, poi, la matematica nella ricerca) verrà ben presto abbandonata in ambito scientifico. GuIda allo sTudIo • Quali sono i princìpi di partenza della fisica

cartesiana? • Perché una fisica deduttiva implica il determinismo?

• Che cosa dice la teoria dei vortici? • In che senso la fisica di Cartesio è

meccanicistica? • Il meccanicismo vale anche per l’uomo?

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T6 Cartesio La conoscenza della natura mediante il metodo deduttivo

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Il corpo, l’anima, le passioni: il dualismo cartesiano Anche il comportamento dell’uomo, come quello degli animali, è regolato da reazioni meccaniche. L’uomo, però, non è soltanto corpo, ma anche anima che ubbidisce a princìpi completamente diversi: l’anima infatti, essendo libera, è capace di volere. Nella nuova fisica tratteggiata da Cartesio viene sgombrato il campo da ogni residuo medievale e rinascimentale: non ci sono forze occulte, non c’è un’anima del mondo o altri princìpi vitalistici; tutto avviene in modo razionale e necessario, ogni evento può essere spiegato in base a cause. In questa costruzione, il punto centrale problematico è la spiegazione dell’uomo e del suo comportamento. Nell’uomo sono congiunte res extensa e res cogitans, la prima regolata dal meccanicismo e dalla necessità, la seconda, invece, dal pensiero e dalla libertà. Corpo e anima convivono nello stesso essere e in qualche misura interagiscono: noi desideriamo (anima) di muovere un braccio (materia) e il braccio si muove; una fiamma tocca il nostro dito (materia) e proviamo dolore (anima) ➝ 22 . Alla spiegazione dell’uomo Cartesio dedica il Trattato sull’uomo e la Descrizione del corpo umano, rimasti inediti, e Le passioni dell’anima, pubblicato nel 1649, pochi mesi prima della morte. Nel secondo viene descritto il corpo degli animali e dell’uomo, sottolineando per l’uomo la netta separazione tra anima e corpo e la possibilità di spiegare tutti i moti corporei a partire dalla disposizione delle parti che lo compongono, come avviene nei meccanismi artificiali ➝ 23 . «Mentre, allorché ci sforziamo di conoscere più distintamente la nostra natura, possiamo vedere che la nostra anima, in quanto è una sostanza distinta dal corpo, non ci è conosciuta che per il fatto solo che pensa, vale a dire, che intende, vuole, immagina, si ricorda, sente, poiché tutte queste funzioni sono delle specie di pensieri; e che, poiché le altre funzioni, che alcuni le attribuiscono, come quelle di muovere il cuore e le arterie, di digerire i cibi nello stomaco, e simili, che non contengono in esse alcun pensiero, non sono che dei movimenti corporei; e poiché è cosa più ordinaria che un corpo sia mosso da un corpo, che non che sia mosso da un’anima, abbiamo meno ragione di attribuirle ad essa che non a quello» (Descrizione del corpo umano, in Opere scientifiche, vol. 1, Utet, Torino 1966, p. 192). L’anima, dunque, è nettamente distinta dal corpo e i movimenti di questo, cioè il comportamento umano, è spiegabile a partire dalla disposizione degli organi, né più né meno di quello animale e in modo rigidamente meccanicistico. Il dualismo tra res extensa e res cogitans diventa nell’uomo dualismo tra anima e corpo, che apre importanti problemi in ambito morale. Infatti, se il movimento del corpo dipende unicamente da cause meccaniche, esso è determinato e non può essere influenzato dalla volontà. Però il movimento del corpo non è altro che il comportamento, quindi nell’ottica di Cartesio si stabilisce un contrasto, quasi un paradosso, perché il comportamento è determinato ma la volontà, in quanto relativa all’anima (res cogitans) è libera. Tuttavia, una volontà libera che non può modificare il comportamento è impotente e soprattutto nel comportamento non ci sarebbe nessun merito e nessuna colpa, cioè nessuna dimensione morale. Cartesio cercherà quindi di recuperare un rapporto tra anima e corpo, tra mente e comportamento.

Materiali per l’apprendimento attivo 22. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

23. LA PAROLA AI TESTI

T7 Cartesio La macchina-uomo Cartesio immagina il corpo umano come una macchina nella quale tutte le funzioni possono essere spiegate in modo meccanico, senza nessun intervento della volontà.

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Dopo di ciò, desidero che voi consideriate tutte le funzioni da me attribuite a questa macchina, come la digestione dei cibi, il battito del cuore e delle arterie, la nutrizione e la crescita delle membra, la respirazione, la veglia e il sonno; la percezione della luce, dei suoni, degli odori, dei sapori, del calore, e di altre qualità del genere da parte degli organi di senso esterni; l’impressione delle loro idee nell’organo del senso comune e dell’immaginazione, il ricordo o l’impronta di queste idee nella memoria, i moti interni degli appetiti e delle passioni; e infine i movimenti esterni di tutte le membra, che seguono così a proposito sia l’azione degli oggetti che si presentano ai sensi, sia le passioni e i ricordi che si trovano nella memoria, tanto da imitare il meglio possibile quelli di un uomo vero: desidero, ripeto, che voi consideriate tutte queste funzioni, in questa macchina, come derivanti naturalmente solo dalla disposizione dei suoi organi, né più, né meno come i movimenti di un orologio, o di un altro meccanismo automatico, derivano da quella dei suoi contrappesi e delle sue ruote; in modo che, nel caso di tali funzioni, non occorre pensare in essa nessun’altra anima vegetativa o sensitiva, né alcun altro principio vitale e di movimento, oltre al suo sangue e ai suoi spiriti, agitati dal calore del fuoco che brucia incessantemente nel suo cuore che è della stessa natura di tutti i fuochi contenuti nei corpi privi di anima. (R. Cartesio, Il mondo, cap. XVIII, in Il mondo ovvero Trattato della luce e L’uomo, Theoria, Roma 1983, pp. 173-74)

Guida alla lettura. anche il corpo umano è una macchina, interamente comprensibile a partire da princìpi meccanici. Nel trattato incompiuto e uscito postumo Il mondo, Cartesio si sofferma lungamente, con un ricco apparato iconografico, sulla descrizione dei riflessi automatici e sulla spiegazione puramente fisica della fisiologia e del comportamento. Il corpo umano è paragonato a un orologio, il cui funzionamento è riconducibile ai movimenti «dei suoi contrappesi e delle sue ruote».

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ANIMA / CORPO Mediante la propria ricerca, Cartesio perviene al cogito, ergo sum, cioè alla certezza di sé come sostanza pensante. Si stabilisce in questo modo un dualismo tra pensiero e materia, che, essendo sostanze diverse, hanno caratteristiche completamente indipendenti. Per l’uomo, questo dualismo si traduce nella separazione tra anima e corpo, l’una res cogitans, l’altra res extensa. Il corpo, come la materia in genere, è sottoposto alle leggi naturali e quindi al meccanicismo, per cui i comportamenti, anche i più complessi, sono spiegabili sulla base di cause efficienti, come quelli di qualsiasi macchina. L’anima, al contrario, è libera di volere, ma non può agire direttamente sul corpo. L’interazione è possibile soltanto operando sulle risposte automatiche che determinano le reazioni del corpo e ciò può avvenire, secondo Cartesio, mediante la creazione, attraverso una lunga opera di condizionamento, di abitudini che prendano il posto delle risposte meccaniche.

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La ghiandola pineale Tra l’anima e il corpo c’è tuttavia interazione ed essa avviene nella ghiandola pineale. L’anima può condizionare la risposta automatica della ghiandola, plasmando, mediante l’abitudine, risposte diverse da quelle istintive. Infatti sussiste un’interazione tra anima e corpo, nelle sensazioni e nelle passioni così come nei movimenti volontari. Nell’ultimo scritto, Le passioni dell’anima ➝ 24 , Cartesio ne propone una spiegazione originale. Diversamente da quanto potremmo supporre, data la distinzione tra anima e corpo, l’anima «è veramente congiunta a tutto il corpo» (Le passioni dell’anima, art. 30, in Opere, vol. 2, Laterza, Bari 1967, p. 419) ma essa non risiede nel cervello o in altre parti, essendo priva di estensione. Il cervello produce invece gli «spiriti animali», fluidi che raggiungono tutte le parti del corpo recependo le sensazioni e comunicando ai muscoli gli impulsi del movimento. Nel cervello c’è una ghiandola particolare, che è posta alla base ed è l’unica parte non doppia del cervello: la ghiandola pineale o epifisi. Proprio per questa sua unicità, secondo Cartesio essa svolge la funzione di riunire le impressioni degli organi sensoriali doppi (occhi, orecchie) per ricavarne una sensazione unica. Per la stessa ragione, attraverso essa deve avvenire l’influenza dell’anima sugli spiriti animali (atti volontari) e di questi su quella (sensazioni e passioni). Ma come avviene questo contatto? Immaginiamo, suggerisce Cartesio, che un animale feroce venga verso di noi. Nei nostri occhi si formano due immagini della belva che, attraverso i nervi ottici, producono due immagini corrispondenti nel cervello. Qui confluiscono nella ghiandola pineale che le unifica. L’immagine eccita negli spiriti animali la passione del timore e della paura, e gli spiriti producono nei muscoli i movimenti che determinano l’allontanamento dalla sorgente delle immagini, cioè la fuga. Non tutti gli uomini, però, reagiscono in questo modo. Alcuni affrontano il pericolo, invece di allontanarsene. In tutti i casi, afferma Cartesio, la reazione avviene in modo meccanico, senza l’intervento della volontà, e dipende dalla particolare disposizione di ogni singolo soggetto ➝ 25 . Pur non potendo modificare questo automatismo, l’anima può però modificare la disposizione della ghiandola pineale in modo da orientarla verso certe risposte piuttosto che verso altre, ad esempio verso il coraggio. Mediante l’esercizio e l’abitudine, infatti, può facilitare certe associazioni, congiungendo ad esempio la fuga con la vergogna e l’affrontare il pericolo con l’approvazione degli altri. Questa associazione determina, pian piano, il dilatarsi di certi canali e il restringersi di altri, in modo che, di fronte al pericolo, il moto degli spiriti animali, indipendente dalla volontà, segua le vie che la volontà, mediante l’esercizio, ha prodotto nel cervello. In termini più semplici, l’anima non determina il comportamento immediato, ma costruisce, possiamo dire, il carattere, la disposizione a determinate reazioni. Tutto ciò viene ricondotto da Cartesio a modifiche di tipo fisiologico, mediante le quali l’anima trasforma i meccanismi che determinano le diverse reazioni agli stimoli esterni. In questo modo, Cartesio conferma il meccanicismo ma lo concilia con la responsabilità morale, con la colpa e con il merito: non siamo responsabili delle nostre azioni singolarmente prese, ma siamo responsabili di come abbiamo plasmato il nostro modo di reagire, da cui le reazioni dipendono. Al tempo stesso, però, il comportamento può essere spiegato in modo meccanico, come azione degli spiriti animali indipendenti dalla volontà e dall’anima. Anche Aristotele faceva dipendere le virtù dalle abitudini che riusciamo a creare e quindi dal modo in cui forgiamo il nostro carattere. Cartesio riprende in parte questa prospettiva, ma collegandola, possiamo dire, alla fisiologia del cervello e del sistema nervoso.

Materiali per l’apprendimento attivo 24. ATTIVITÀ >

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Rielaborazione

comunichino mediante la ghiandola pineale

l’anima

CARTESIO

ritiene che

Trattato sull’uomo

il corpo

l’abitudine

possa modificare

l’associazione stimolo/risposta

Le passioni dell’anima

25. APPROFONDIMENTI > Per saperne di più

MECCANICISMO E AUTOMI Il meccanicismo trova una corrispondenza nello sviluppo, nel Seicento, della tecnica, che giunge a costruire macchine e apparati complessi che conferiscono alla materia l’impressione di una vitalità e di una intenzionalità riconducibili però al gioco di rotelle, leve, cavi e ingranaggi di vario tipo. Tra le altre cose, Pascal costruisce la prima calcolatrice meccanica, la «pascalina», rapidamente potenziata nel corso del secolo. nello stesso periodo, il teatro barocco fa sempre più uso delle macchine, già introdotte nel secolo precedente, ma che adesso diventano a volte addirittura protagoniste della scena, come nelle pièces à machine, opere teatrali scritte in funzione degli effetti speciali ottenibili con apposite macchine. anche i giochi d’acqua diventano complessi e quasi animati, grazie a meccanismi articolati e temporizzati. Ma ciò che suscita maggiore meraviglia sono gli automi meccanici, che non sono un’invenzione seicentesca (ne esistevano già nel mondo antico e nel Rinascimento), ma adesso raggiungono una diffusione e un grado di perfezione e di verosimiglianza impensabili nel passato. In Francia, nel 1649, un artigiano realizza un piccolo cocchio, con cavalli e personaggi animati, e nella seconda metà del secolo si ha notizia di animali meccanici che si muovono e mangiano e di automi semoventi. non sono ancora automi complessi come quelli del Settecento, quando ne verranno realizzati alcuni capaci di suonare strumenti musicali, oppure di scrivere, o ancora di giocare a scacchi, ma il meccanicismo della scienza moderna trova comunque in essi quasi la rappresentazione materializzata delle proprie ipotesi. Il Seicento vede anche il perfezionamento di un vero simbolo del meccanicismo, l’orologio. nella 1656 viene progettato da christiaan Huygens (1629-95), grazie alle precedenti ricerche di Galilei, il primo orologio a pendolo e dal 1675 le ricerche dello stesso Huygens consentono la realizzazione dei primi orologi da tasca con movimento a molla.

▶ Visione dell’interno della calcolatrice meccanica chiamata «pascalina», progettata da Blaise Pascal nel 1642 (Parigi, Musée des Arts et Métiers).

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L’ANIMA, IL CORPO, LE PASSIONI: LA MAPPA CONCETTUALE Ricostruisci il percorso argomentativo di cartesio mediante la lettura della seguente mappa concettuale.

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Le passioni Le passioni, se non regolate dalla ragione, derivano in modo necessario l’una dall’altra; le loro dinamiche possono essere ricostruite in modo deduttivo, a partire da sei passioni semplici e dalla loro combinazione. Nella stessa prospettiva Cartesio interpreta il contrasto, la lotta tra ragione e passioni. Non si tratta, osserva, di scindere l’anima in una parte superiore e in una inferiore, come spesso è stato fatto in passato. Le passioni derivano infatti dal corpo, che agisce sulla ghiandola pineale mediante gli spiriti animali. Anche l’anima agisce sulla stessa ghiandola, determinando così il contrasto che spesso avvertiamo in noi. Prendendo coscienza di queste dinamiche, conclude Cartesio, possiamo plasmare e controllare le passioni. Non tutti però riescono a farlo e nella maggior parte degli uomini prevalgono i meccanismi naturali, non modificati dall’anima. In questi casi, le passioni seguono il loro corso naturale, che può essere ricostruito e spiegato mediante il procedimento deduttivo. Tutte le passioni sono orientate verso la conservazione del proprio essere, in quanto, scrive Cartesio, «la funzione di tutte le passioni consiste solo nel disporre l’anima a volere ciò che la natura ci indica come utile, e a perseverare in questa volontà» (Le passioni dell’anima, art. 52, in Opere cit., vol. 2, p. 436). Cartesio individua sei passioni semplici: meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza. Da esse hanno origine tutte le altre, individuabili per deduzione. Per esempio, dal desiderio hanno origine la speranza o il timore a seconda che si consideri più o meno probabile il conseguimento di ciò che si desidera. Le sei passioni principali vengono minutamente analizzate dal punto di vista fisiologico. Nell’amore, il battito del polso è «regolare e molto più ampio e più forte del solito» e si sente «un dolce calore nel petto» e «la digestione è molto rapida». Al contrario «nell’odio, noto che il polso è più disordinato e più debole e spesso più affrettato; che si prova non so quale alternarsi di freddo e di caldo aspro e pungente nel petto; che lo stomaco vien meno alla propria funzione, e inclina a vomitare ed eliminare i cibi ingeriti» (Ivi, art. 98, pp. 457-58). Queste dinamiche vengono ricondotte al moto degli spiriti animali suscitati dalle diverse passioni. Ad esempio, nell’amore «l’impressione suscitata da quel pensiero nel cervello conduce gli spiriti animali, mediante i nervi del sesto paio, verso i muscoli che sono intorno agl’intestini e allo stomaco, nel modo richiesto perché il succo dei cibi, che si converte di nuovo in sangue, passi rapidamente nel cuore senza fermarsi nel fegato» (Ivi, art. 102, p. 459), spiegando così perché l’amore favorisca una buona digestione. L’analisi di Cartesio approfondisce in modo minuzioso tutti gli aspetti fisiologici legati alle sei passioni principali, dai tremiti al rossore, dal languore al riso. Le passioni sono importanti, perché segnalano all’organismo e all’anima ciò che è utile e ciò che è dannoso all’individuo, suscitando amore oppure odio e spingendo a reagire di conseguenza. In assenza di un intervento della volontà, che richiede consapevolezza e impegno perché si muove nel tempo lungo della creazione di abitudini, l’analisi delle passioni viene ricondotta in un ambito deduttivo e meccanicistico, come faranno nello stesso periodo, anche se da prospettive diverse, Hobbes e Spinoza ➝ 26 . D’altra parte, se adeguatamente controllate dalla ragione, le passioni sono un’importante risorsa per l’anima, capaci di produrre «le maggiori dolcezze» nella vita, così come, però, «le maggiori amarezze». La saggezza può far sì «che esse cagionino soltanto mali molto sopportabili, e perfino tali che sia sempre possibile volgerli in gioia» (Ivi, art. 212, p. 519). GuIda allo sTudIo • Perché nella filosofia cartesiana si pone con tanta forza il problema del rapporto anima/corpo? • Come sono definite da Cartesio le passioni? • La volontà può influenzare il comportamento? Se sì, come? • Come viene sviluppata da Cartesio l’analisi delle passioni?

Materiali per l’apprendimento attivo 26. COMPETENZE > La filosofia e il presente

LA MORALE DEGLI ANDROIDI La prospettiva di Cartesio, che considera il corpo umano come una macchina e le passioni che ne determinano molti aspetti del comportamento come degli automatismi, richiama il dibattito recente sull’intelligenza artificiale e sulle macchine “intelligenti” immaginate per un futuro non lontano. In un film del 1999, l’uomo bicentenario, tratto da un romanzo di Isaac asimov, si narra di un robot evoluto, andrew, che presenta delle anomalie di funzionamento, manifestando sentimenti e provando emozioni. La ditta produttrice lo considera difettoso e vorrebbe smantellarlo, ma la famiglia Martin, che lo aveva acquistato come domestico, non acconsente e insiste per tenerlo. andrew studia e impara il comportamento umano, fino a mettere in discussione la propria natura meccanica e a intraprendere una lunga battaglia legale per il riconoscimento dello status di uomo e di cittadino con i diritti e i doveri ad esso connessi. L’organismo preposto a decidere, il congresso mondiale (siamo in un’epoca in cui l’umanità è unita sotto un unico governo), si esprime in modo negativo, perché la natura artificiale di andrew lo rende di fatto immortale, condizione che non sarebbe accettata dagli altri uomini. andrew allora decide di sottoporsi a un’operazione che ne cambia la struttura interna, producendo un metabolismo soggetto a invecchiamento e a decadenza. all’età di duecento anni, ormai umanizzato anche nell’aspetto esteriore, andrew ripete al congresso la propria richiesta che questa volta, quando ormai è in punto di morte, viene accolta. Il problema dell’intelligenza artificiale si lega non soltanto alla possibilità che le macchine abbiano un’intelligenza talmente evoluta da produrre l’autocoscienza, ma anche alla prospettiva che possano provare passioni, emozioni e sentimenti simili a quelli degli esseri umani. Questo aspetto è proposto in un celebre film, io, robot, anch’esso tratto da un racconto di asimov, che si apre con l’enunciazione delle «tre leggi della robotica», immaginate da asimov per inserire all’interno dei robot intelligenti una forma di coscienza che impedisca loro di nuocere agli uomini. La prima legge impone che un robot non possa mai nuocere a un essere umano; la seconda che debba ubbidire agli uomini, purché l’ordine non contrasti con la prima legge; la terza che debba difendere la propria esistenza, purché ciò non sia in contrasto con le prime due leggi. anche in questa pellicola, per un difetto di costruzione, uno dei robot, Sonny, può provare emozioni e sognare. Se non hai visto questi film, cerca in Internet la trama e alcune analisi, in modo da individuare i problemi etici che sollevano e discutili. allarga poi la tua ricerca ad altri film sull’intelligenza artificiale (ad esempio A.I. di Steven Spielberg), approfondendo la questione se l’intelligenza e la coscienza possano essere prodotte artificialmente oppure no. considera i film che hai selezionato come “esperimenti mentali” per analizzare la tesi cartesiana di una differenza irriducibile tra mente e corpo. Gli androidi sono sicuramente soltanto materia. È possibile che, aumentando la complessità dei chip neurali, arrivino ad avere coscienza e ragione? È quindi possibile che ragione e coscienza siano sorte nell’essere umano in seguito al processo evolutivo? Oppure esse sono connesse, come sostiene cartesio, a qualcosa di irriducibile alla materia, che non può essere prodotto né dall’evoluzione né dalla tecnica, per quanto elaborata?

1 c a RteS IO: IL Me tOd O d e L Ra Z IOn a L IS M O

Film

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• Sintesi

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Spinoza: Dio, la natura, la razionalità dell’universo

Il metodo della conoscenza e la sua finalità Spinoza definisce un metodo di ricerca indirizzato soprattutto allo studio dell’etica per conseguire la felicità. per raggiungerla, occorre liberarsi dai falsi beni mediante la conoscenza. L’unica opera pubblicata da Spinoza durante la propria vita si intitola Trattato sull’emendazione dell’intelletto (e sulla via per dirigerlo nel modo migliore alla vera conoscenza delle cose). Il lungo sottotitolo esplicita l’intento di quest’opera, considerata quasi un “discorso sul metodo” per chiarire le modalità e la finalità della conoscenza. In apertura, Spinoza mette in dubbio la tradizione e le opinioni diffuse, però non relativamente al sapere bensì al modo di condurre la propria vita. Viene posto in evidenza, fin dal principio, il fine pratico (cioè relativo alla prassi, ai princìpi del comportamento) del Trattato. Spinoza prende in esame ciò che gli uomini considerano bene e male, sottolineando come i fini che solitamente si perseguono nella vita (onori, ricchezze, piacere) non costituiscano in realtà il vero bene e non diano la felicità ➝ 27 . Anticipando le tesi che verranno sviluppate e argomentate nell’opera, Spinoza indica come fine della propria ricerca la conoscenza della natura umana e della natura in generale, raggiungendo la «conoscenza dell’unione che la mente ha con l’intera natura» (Trattato sull’emendazione dell’intelletto, 13, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 29). Si tratterà poi di rendere gli altri partecipi di ciò, perché «è costitutivo della mia felicità anche adoperarmi a che molti intendano la stessa cosa che intendo io», dandosi da fare per «formare una società tale quale è desiderabile, affinché il maggior numero possibile pervenga a quel fine con l a massima facilità e sicurezza; inoltre si deve por mano a una filosofia morale, così come a una dottrina relativa all’educazione dei fanciulli; ed essendo la salute non piccolo mezzo per raggiungere tale fine, bisogna predisporre una scienza medica completa; e poiché molte cose difficili sono rese facili per mezzo della tecnica, con la quale possiamo guadagnare molto tempo e agio, non si deve trascurare in nessun modo la ▲ Monumento di Baruch Spinoza ad Amsterdam. meccanica» (Ibidem). Queste brevi frasi disegnano l’intero program-

Materiali per l’apprendimento attivo

Spinoza

contrasto che lo vede opposto a Guglielmo II d’Orange per la guida della Repubblica delle Sette Province Unite. nel 1670 Spinoza pubblica il Tractatus theologico-politicus, ispirandosi anche alla politica repubblicana di de Witt. Questi ha la peggio nel contrasto con la casata degli Orange e nel 1672 è linciato dalla folla aizzata dagli avversari politici. nel 1673 a Spinoza viene offerta una cattedra di filosofia presso l’Università di Heidelberg, che però egli rifiuta per il timore di perdere la propria libertà di pensiero. Il Tractatus è condannato pubblicamente dalle autorità olandesi nel 1674 e Spinoza rinuncia l’anno successivo alla pubblicazione dell’Ethica. Muore nel 1677, per una malattia polmonare causata probabilmente dalla polvere di vetro che aveva respirato per tutta la vita a causa del suo mestiere.

27. LA PAROLA AI TESTI

T8 Spinoza La finalità della filosofia Il breve brano apre il trattato, affermando la finalità pratica della ricerca filosofica. L’opera, rimasta incompiuta, può essere intesa come una propedeutica all’ethica, che realizzerà il raggiungimento della «gioia continua e suprema» auspicata in queste righe.

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Dopo che l’esperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che frequentemente si incontrano nella vita comune sono vane e futili, e quando vidi che tutti i beni che temevo di perdere e tutti i mali che temevo di ricevere non avevano in sé nulla né di bene né di male, se non in quanto l’animo ne era turbato, decisi infine di ricercare se si desse qualcosa che fosse un bene vero e condivisibile, e dal quale soltanto, respinti tutti gli altri, l’animo fosse affetto; anzi, se esistesse qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno una gioia continua e suprema. (B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto, 1, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 25)

Guida alla lettura. L’oggetto dell’opera è la conoscenza, non, però, considerata in relazione all’oggetto da conoscere, ma alle modalità della stessa. Si passa attraverso l’emendazione dell’intelletto per giungere a un sapere che dia una risposta ai problemi etici. conoscenza ed etica sono strettamente congiunte perché il nostro modo di vedere la realtà determina il raggiungimento della serenità, prima, della beatitudine, poi. ma di ricerca di Spinoza: conoscere la natura, l’uomo e sé stessi, indicando la strada che porta a tale conoscenza. In tal modo si può raggiungere la felicità, che per essere completa deve essere comune a tutti, mediante un ordinamento sociale e politico che la faciliti. Questo sarà anche il nostro percorso espositivo, che affronterà la metafisica, la teoria della conoscenza, l’etica e la politica.

193 2 S P In OZ a: d IO, L a n at URa, L a Ra Z IOn a L Ità d e L L’U nI V e R S O

Spinoza nasce nel 1632 ad Amsterdam da una famiglia ebrea di origine spagnola. Studia nella scuola della comunità ebraica, imparando la lingua e approfondendo la conoscenza del Talmud, anche se non sembrano attendibili le notizie che lo vogliono indirizzato a diventare rabbino. Successivamente apprende il latino ed entra in rapporto con l’ambiente libertino (cioè con intellettuali laici che affermavano la libertà di

opinione e l’indipendenza della filosofia dalla religione). Forse anche per queste frequentazioni e sicuramente per le sue idee non ortodosse, viene processato dalla comunità ebraica, nel 1656, e scomunicato con una durissima condanna. Isolato, si trova costretto a lasciare amsterdam e si stabilisce vicino a Leida, in un piccolo villaggio. a questi anni risalgono la prima esposizione sistematica del suo pensiero, il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità, e il Tractatus de intellectus emendatione, rimasto incompiuto ma che circola tra gli studiosi che iniziano a raccoglierglisi intorno a lui. Vive del proprio lavoro di tornitore di lenti e stabilisce contatti epistolari con molti intellettuali, in particolare Henry Oldenburg e Robert Boyle. trasferitosi all’aia, prende le parti di Johan de Witt nel

3. i L ra z i on a L i sM o

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Deus sive natura

mappa

La sostanza è unica, infinita, eterna. essa coincide con dio che è anche natura, in un tendenziale panteismo che vede la realtà come una totalità, dove tutto ciò che esiste è razionale e necessario. Come Cartesio, anche Spinoza ritiene che la conoscenza avvenga per via deduttiva, a partire da idee generali autoevidenti. Egli segue in modo ancor più rigoroso il metodo geometrico, mutuato dagli Elementi di Euclide. Nella sua opera principale, Ethica ordine geometrico demonstrata (Etica dimostrata con ordine geometrico), muove da definizioni, assiomi e postulati per ricavarne teoremi e corollari ➝ 28 . Il punto di partenza non può che essere il fondamento dell’essere, cioè la sostanza così come era intesa da Cartesio ➝ 29 . Cartesio aveva radicalizzato la definizione di sostanza, considerando tale ciò che sussiste di per sé, e può essere concepita indipendentemente da qualsiasi altra cosa. In questo senso, Socrate non è più «sostanza», perché esiste grazie ai suoi genitori, e per definire Socrate ho bisogno di riferirlo ad altro, dato che è un uomo, un animale, un essere vivente ecc. Se applichiamo coerentemente la definizione di sostanza come «ciò che sussiste di per sé e non ha bisogno d’altro per essere concepita», allora possiamo considerare «sostanze» solo le realtà generalissime, pensiero ed estensione, cui tutti gli esseri devono venir riferiti. Pensieri, idee, sentimenti, immagini e così via esistono solo in quanto pensiero; alberi, animali, uomini, montagne, mari ecc. esistono soltanto in quanto estensione. Lo stesso Cartesio, però, aveva colto un’incongruenza nel proprio ragionamento, perché tutti gli esistenti derivano in ultima istanza da Dio che li ha creati, quindi, a rigore, l’unica sostanza, cioè l’unica cosa che sussiste di per sé e non ha bisogno d’altro per essere concepita, è Dio. Cartesio aveva aggirato la difficoltà correggendo la propria definizione di sostanza, aggiungendo che dobbiamo intendere come tale «ciò che non ha bisogno d’altro, eccetto Dio, per sussistere». In questo modo possiamo parlare di tre sostanze: Dio stesso, la res cogitans e la res extensa. Spinoza riprende invece la prima definizione cartesiana di «sostanza», sviluppandola in modo rigoroso, fino a concludere che soltanto Dio è sostanza, traendo da ciò importanti conseguenze e in ultima analisi una nuova visione della realtà. Seguiamo le sue argomentazioni ➝ 30 .

Le proprietà della sostanza se analizziamo le proprietà della sostanza, concludiamo che soltanto dio è sostanza. Ma se esiste una sola sostanza, essa è una, infinita, eterna, quindi comprende tutta la realtà. ne consegue che dio si identifica con la natura. L’Ethica ordine geometrico demonstrata è l’analisi dei princìpi del comportamento dimostrati, come suggerisce il titolo, con metodo geometrico. I primi libri non riguardano però l’etica, ma la metafisica e la conoscenza. Soltanto a partire dal terzo libro, su un totale di cinque, si inizia a parlare di etica. Coerentemente con il metodo deduttivo, i princìpi del comportamento umano devono essere dedotti da quelli più generali, relativi alla struttura della realtà e alle modalità con cui la conosciamo. È però importante ricordare che il punto di arrivo dell’analisi di Spinoza è l’etica e in particolare l’individuazione della via che può condurre l’uomo alla felicità. Questo intento è già implicito in quella che molti critici considerano la prima opera di Spinoza, il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità: si parte da Dio inteso come totalità e in questo orizzonte si studia l’uomo per individuarne le condizioni che possono condurlo alla felicità.

Materiali per l’apprendimento attivo 28. PER CAPIRE MEGLIO

29. PER CAPIRE MEGLIO

IL PROBLEMA DELLA SOSTANZA Il concetto di «sostanza» ha una lunga storia filosofica. come suggerisce il nome (dal latino sub stantis, ciò che sta sotto) è il sostrato degli esseri che conosciamo mediante i sensi e si colloca al di là di ciò che attraverso i sensi possiamo conoscere. tale fondamento conferisce stabilità e identità all’esistente: ad esempio, di Socrate conosco con i sensi le apparenze, i fenomeni, che però cambiano continuamente. Socrate è dapprima un bambino, poi cresce diventando un giovane, poi un uomo, infine un vecchio. In tutti questi cambiamenti, talmente radicali che lo rendono irriconoscibile a distanza di molto tempo, qualcosa rimane invariato, per cui posso parlare sempre dello stesso individuo. ciò che corrisponde a questa permanenza è la «sostanza». così viene concepita dalla tradizione greca e in particolare da aristotele. In questo senso, si parla di «sostanza» in relazione ai singoli individui. aristotele riferisce i diversi enti a tre tipi di sostanza: la sostanza sensibile ed eterna (i cieli); la sostanza sensibile e peritura, cioè i diversi individui composti da materia e forma; la sostanza non sensibile ed eterna, cioè dio come primo motore immobile. nella filosofia posteriore il concetto di sostanza si riferisce sempre più spesso ai significati generali piuttosto che ai singoli individui. con cartesio, il riferimento agli individui si perde completamente e la sostanza viene definita come il fondamento della realtà o, in modo più tecnico, come «ciò che sussiste di per sé, senza bisogno d’altro per esistere». egli individua di conseguenza tre sostanze: quella pensante, quella estesa e quella divina. Ognuna costituisce il fondamento degli individui di un determinato ambito, eccetto ovviamente dio. abbiamo quindi la res extensa come fondamento di tutti gli individui materiali e la res cogitans come fondamento di tutte le idee. come vedremo, questa suddivisione verrà contestata da Spinoza, che supererà il dualismo cartesiano, affermando l’esistenza di un’unica sostanza. 30. COMPETENZE > Argomentazione

SPINOZA CRITICO DI CARTESIO Riassumiamo schematicamente la critica di Spinoza a cartesio. cartesio definisce la sostanza «ciò che sussiste di per sé», QUIndI sostanza è ciò che non è necessario riferire ad altro perché sussista. Ma sia il pensiero, sia l’estensione non sussistono di per sé, InFattI derivano da dio, QUIndI soltanto dio può essere definito sostanza. ne cOncLUdIaMO che esiste un’unica sostanza, dio.

2 S P In OZ a: d IO, L a n at URa, L a Ra Z IOn a L Ità d e L L’U nI V e R S O

IL METODO GEOMETRICO Spinoza afferma, fin dal titolo della sua opera principale, di voler assiomi definizioni trattare l’etica con il metodo dei geometri, cioè partendo da postulati definizioni e assiomi generali per ricavarne la spiegazione della realtà. Si tratta, come per cartesio, del metodo deduttivo, proteoremi corollari prio del razionalismo. cartesio indica la validità del metodo della matematica, dichiarando di farlo proprio, ma procede poi in modo informale, seguendo un percorso deduttivo senza però la formalizzazione della matematica. Spinoza invece applica rigorosamente la formalizzazione della geometria alla propria analisi. Una volta stabiliti definizioni, assiomi e postulati, ne ricava altre proposizioni che dimostra facendo riferimento alle asserzioni iniziali e via via a dimostrazioni precedenti. Il suo stile, nell’Etica, consiste nell’indicare i riferimenti mediante cui costruire argomentazioni che deducono dalle proposizioni di partenza altre proposizioni, logicamente implicate dalle prime.

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3. i L ra z i on a L i sM o

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Spinoza riprende l’argomento ontologico per dimostrare l’esistenza di Dio. Dio è l’unica sostanza e come tale è eterno e infinito. Coincide con la natura che è intrinsecamente razionale. Il primo libro dell’Etica si apre con otto definizioni e sette assiomi, dai quali vengono poi dedotte le proposizioni (equiparabili a teoremi), per ognuna delle quali si dà la dimostrazione in riferimento agli assiomi e alle definizioni, oppure a proposizioni già dimostrate. Tra le definizioni, è particolarmente importante quella di sostanza: «Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé, ossia ciò il cui concetto non esige il concetto di un’altra cosa, a partire dal quale debba essere formato» (Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 787). Non dipendendo da altro, e quindi non derivando da altro, la sostanza è causa di se stessa, causa sui, e come tale non può non esistere. Richiamando una variante dell’argomento ontologico, che anche Cartesio aveva fatto proprio, Spinoza dimostra così l’esistenza della sostanza come fondamento di sé. A questo argomento, Spinoza ne aggiunge un altro, anch’esso presente in Cartesio: non avendo noi il proprio fondamento in noi stessi, poiché siamo contingenti, dobbiamo sussistere in qualcosa che esista in modo necessario, cioè una sostanza ➝ 31 . Il successivo passaggio di Spinoza consiste nel dimostrare che la sostanza, così definita, non può che essere increata, dato che è causa sui ed è necessaria, mentre se fosse creata avrebbe una causa e sarebbe contingente; in quanto increata, non può che essere eterna, altrimenti verrebbe ad essere per una causa esterna a se stessa; deve inoltre essere infinita, altrimenti ci sarebbe qualcosa che la limita e da cui dipenderebbe; ma se è infinita deve essere unica e quindi non possiamo ammettere l’esistenza di più sostanze, come aveva fatto Cartesio. Se la sostanza ha queste caratteristiche, essa coincide con Dio, che però, in quanto unico, è la totalità. Esso è dunque anche natura: «Deus sive natura», Dio ossia la natura, scrive Spinoza. È una visione panteistica ➝ 32 , in cui universo infinito e Dio coincidono ➝ 33 . Cogliamo in questa rappresentazione della realtà l’eco dello stoicismo greco, anche se profondamente rivisto. Per Spinoza, come per gli stoici, Dio, così inteso, non ha nessuna individualità, come quella attribuitagli dalla tradizione ebraico-cristiana, né, di conseguenza, alcuna volontà, e neppure, infine, alcuna possibilità di un intervento provvidenziale nelle cose della natura o nella storia degli uomini. Dio è la natura, è la totalità, tutto è Dio e Dio è tutto. Il riferimento più immediato è la filosofia di Giordano Bruno e la sua concezione immanentistica della divinità, dell’universo come «infinito effetto de l’infinita causa». Come Bruno, anche Spinoza distingue Dio come causa delle cose, definendolo natura naturans, dall’effetto, cioè dagli esseri esistenti, definito natura naturata. È una distinzione che può richiamare alla mente quella di Bruno tra Dio come mens super omnia e Dio come mens insita omnibus, ma in realtà la somiglianza è solo apparente: in Bruno la prima espressione rappresenta un ultimo residuo dell’affermazione della trascendenza divina, anche se corretta dalla seconda; mentre in Spinoza l’immanenza non viene in alcun modo sfumata e la distinzione riguarda soltanto l’attività e il risultato, entrambi immanenti. Come natura naturans Dio è la razionalità dell’universo e ne esprime le leggi che producono tutta la realtà, e, in quanto leggi, la producono in modo necessario, altrimenti il Dio-natura non sarebbe perfetto e immutabile. Per questa via, Spinoza disegna un universo retto da leggi razionali e necessarie, come quello delineato dalla rivoluzione scientifica, anche se fondato su una base metafisica.

Materiali per l’apprendimento attivo

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31. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

32. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

PANTEISMO Il termine «panteismo» deriva dal greco pan, “tutto” e theós, “Dio”, e significa quindi “tutto è Dio”. Secondo nicola cusano (1401-64), l’universo è explicatio di dio, quindi è dio stesso in quanto spazializzato. ne consegue che l’universo ha gli stessi predicati di dio, tra i quali l’eternità e l’infinità. Giordano Bruno (1548-1600) distingue invece la causa dal principio: la prima non rimane nell’effetto, come quando colpisco una palla determinandone il movimento; il principio invece permane nell’effetto, come il seme che diventa pianta. Dio è causa ma anche principio e in quanto tale è immanente, permane nella natura anche se non si identifica completamente con essa. Per Spinoza, essendo la sostanza unica, essa deve identificarsi sia con Dio sia con la natura. Audiomappa

33. COMPETENZE > Mappa concettuale

La sOsTaNZa sECONDO sPiNOZa è necessaria la sostanza è ciò che è in sé ed è concepito per sé infatti

quindi

non può non esistere

è unica è increata è eterna

non ha bisogno d’altro per esistere

perciò

è infinita

quindi

è la totalità, l’intera realtà, cioè è Dio che è anche natura

2 S P IN oz A: D Io, l A N At urA, l A rA z IoN A l Ità D e l l’u NI v e r S o

NECESSARIO, CONTINGENTE «necessario», in filosofia, significa che non può non essere e non potrebbe essere diversamente da come è. «contingente», al contrario, è ciò che esiste ma potrebbe non essere, o essere diversamente da come è. Facciamo qualche esempio: è contingente che io esista, se non fossi nato non ci sarebbe nessuna contraddizione; per essere meno drastici, è contingente che io sia padre, o che insegni filosofia, o che abbia i baffi. Se ognuna di queste cose fosse diversa da come è non ci sarebbe nessuna contraddizione. Questo ragionamento vale per tutti gli esistenti di cui ho esperienza: i singoli animali, le singole piante, i singoli oggetti sono tutti contingenti, potrebbero non esserci o essere diversamente da come sono. Invece, che la somma degli angoli interni di un triangolo equivalga a un angolo piatto o che la somma dei quadrati costruiti sui cateti di un triangolo rettangolo sia equivalente al quadrato costruito sull’ipotenusa, o che A = A sono necessari. non posso immaginare che non siano, né che siano diversamente da come sono. Come si vede dagli esempi, nell’ambito dell’esistente concreto non c’è nulla di necessario; per proporre qualcosa di questo tipo devo ricorrere a verità logiche o matematiche. Spinoza sostiene che la sostanza è necessaria e di conseguenza non può non essere; in questo modo, con una variante dell’argomento ontologico, ne dimostra l’esistenza.

3. i L ra z i on a L i sM o

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Gli attributi e i modi Pensiero ed estensione sono attributi della sostanza divina. Essi si manifestano in individui che sono soltanto modi, cioè modificazioni, modi di essere dell’estensione (i singoli corpi) e del pensiero (le idee). Tutto ciò che noi conosciamo deve essere riferito a Dio, che coincide con l’intera realtà. Essendo infinito, egli ha infiniti attributi ma l’uomo ne conosce soltanto due, il pensiero e l’estensione, le idee e la materia. Pensiero ed estensione non sono quindi, come affermava Cartesio, res, cioè sostanze, ma attributi dell’unica sostanza divina. In questa prospettiva, trova immediata soluzione il problema sollevato dal dualismo cartesiano, cioè il rapporto tra pensiero e materia. Essi non sono che aspetti diversi della stessa realtà e quindi si corrispondono, pur non essendo riducibili l’uno all’altro. Facciamo qualche esempio. Quando penso di muovere un braccio e il braccio si muove, non c’è nessun nesso di causalità tra i due eventi, ma un semplice parallelismo: al movimento del braccio, che appartiene all’attributo estensione, corrisponde l’idea del movimento, relativo al pensiero. I due eventi sono i due lati della stessa medaglia, per questo è logico che accadano insieme, pur non essendo l’uno causa dell’altro. Rispetto agli attributi, le esistenze individuali non sono che loro modi di essere. I corpi sono i modi dell’estensione, le idee sono i modi del pensiero. Possiamo paragonare i modi alle onde del mare: sembrano possedere una propria individualità, infatti ogni onda è diversa dalle altre e ha caratteristiche proprie, ma in effetti non sono che modificazioni, modi di apparire, della superficie del mare. Le onde quindi non hanno una realtà propria, non sono sostanze, ma semplici modi di manifestarsi del mare, che è estensione e come tale è un attributo della sostanza divina ➝ 34 . Anche gli uomini non sono che modi di attributi diversi: dell’estensione i corpi, del pensiero le menti ➝ 35 . Quelli che ci appaiono come individui sono definiti «modi finiti». Da essi si distinguono i «modi infiniti». Neppure essi esistono di per sé, ma solo come manifestazioni degli attributi. I modi infiniti non corrispondono però agli individui, ma a proprietà degli attributi, come la quiete o il moto relativamente all’estensione, oppure l’intelletto o la ragione in riferimento al pensiero. Si tratta quindi di modalità generali, che si traducono poi in singoli individui. Per riprendere l’esempio del mare come immagine della sostanza, le correnti marine sono paragonabili ai modi infiniti, le singole onde a quelli finiti.

Un Dio impersonale nella visione di spinoza, dio non è, come nella tradizione ebraico-cristiana, una “persona”, che sceglie il suo popolo, che interviene nella storia e nella vita degli uomini, che li punisce o li ama e così via. dio è la totalità, è la natura e l’universo, ne costituisce l’ordine complessivo e la razionalità immanente. Partendo da queste premesse, nel Trattato teologico-politico Spinoza sviluppa una critica radicale alla concezione giudaica e cristiana della divinità. Spinoza muove da una domanda di ordine pratico: si chiede perché il professarsi cristiani si traduca spesso in un comportamento antitetico rispetto ai princìpi dichiarati. Ne individua la responsabilità principale proprio nella Chiesa, nel suo attribuirsi il diritto di amministrare la religione in nome di Dio, che si traduce in brama di potere e ricerca di piaceri terreni. Si chiede poi quale sia il fondamento di questo potere, iniziando un’analisi delle Sacre Scritture che dovrebbero giustificare le pretese della Chiesa stessa. A tal fine propone un’interpretazione storica delle Scritture, riconducendole al contesto in cui sono state prodotte e al popolo ebraico della cui cultura l’Antico Testamento è espressione. In questa prospettiva, individua nella Bibbia incoerenze e

Materiali per l’apprendimento attivo

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34. PEr CaPirE MEGLiO

Audiomappa

35. COMPETENZE > Mappa concettuale

sOsTaNZa, aTTriBuTi, MODi la sostanza è unica quindi noi conosciamo solo due degli infiniti attributi

pensiero

idee che si estrinsecano nei modi

comprende tutta la realtà estensione

corpi

36. La ParOLa ai TEsTi

T9 spinoza Il vero messaggio delle Scritture Spinoza separa nettamente il messaggio morale dalle teorie scientifiche desumibili dalle Sacre Scritture. Il secondo aspetto è puramente accidentale e legato all’epoca in cui sono stati scritti i diversi libri. In questo modo, il filosofo pone il fondamento per una radicale separazione tra ragione e fede: soltanto la prima deve guidare la conoscenza in generale, e in particolare la conoscenza scientifica della natura.

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[…] l’intento della Scrittura non fu di insegnare le scienze: da questo, infatti, possiamo dedurre facilmente che essa esige la sola obbedienza e condanna non l’ignoranza, ma la disobbedienza. Inoltre, poiché l’obbedienza verso Dio consiste nel solo amore del prossimo (compie la Legge, infatti, come dice Paolo in Romani 13, 8, chi ama il prossimo per obbedire a Dio), ne consegue che la Scrittura non raccomanda altra scienza se non quella necessaria a tutti gli uomini, affinché possano obbedire a Dio secondo questo precetto; quella scienza che, se ignorata, rende necessariamente gli uomini ribelli, o almeno senza la disciplina dell’obbedienza. Le altre speculazioni che non tendono direttamente a questo fine, sia che concernano la conoscenza di Dio o la conoscenza delle cose naturali, non toccano la Scrittura e perciò si debbono separare dalla religione rivelata. (B. Spinoza, Trattato teologico-politico, XIII, 3, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 634)

contraddizioni, riduce le profezie a indicazioni di vita e non a rivelazioni soprannaturali e contestualizza la pretesa degli ebrei di essere il popolo scelto da Dio, riconducendola a motivazioni storiche. Il messaggio delle Sacre Scritture, in ciò che in esse è universale e non legato alle vicende storiche, riguarda unicamente l’ambito morale e non la conoscenza scientifica della natura ➝ 36 .

2 S P IN oz A: D Io, l A N At urA, l A rA z IoN A l Ità D e l l’u NI v e r S o

L’iNDiviDuO E iL TuTTO la visione di Spinoza contrasta con il senso comune: noi ci avvertiamo come individui, ognuno con la propria personalità, con la propria storia, con la propria interiorità. Proviamo però, per un attimo, a proiettare noi stessi nell’evoluzione della vita sulla Terra, iniziata tre miliardi di anni fa o forse più. È un flusso che ha prodotto miriadi di individui, ognuno dei quali è di per sé paragonabile a un’onda in un grande fiume che scorre incessantemente. Se consideriamo la nostra esistenza come quella di un singolo organismo nello sviluppo della specie umana che a sua volta è un momento di un’evoluzione molto più ampia, allora possiamo intuire quello che vuol dire Spinoza. Si tratta di un esempio non spinoziano (l’evoluzione della specie è un concetto molto più recente), ma che può servire per capire il rapporto tra gli individui e la totalità, così come lo interpreta Spinoza.

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Delle Sacre Scritture, Spinoza contesta in particolare l’interpretazione finalistica di Dio e della natura, orientati verso l’uomo come creatura privilegiata nel cosmo. Alle Sacre Scritture, spogliate come si è detto dell’abito sacrale di «parola di Dio» e ricondotte al contesto storico in cui sono nate, Spinoza oppone la ragione, mediante la quale possiamo conoscere la natura e l’ordine geometrico che la regola. Tale ordine sarebbe violato e messo in discussione dai miracoli, la cui veridicità è quindi radicalmente contestata dal filosofo olandese, in quanto esprimerebbero una contraddizione nella natura e nella divinità. In definitiva, molta parte dell’interpretazione ufficiale delle Sacre Scritture va ricondotta a vera e propria superstizione, anzi ha contribuito a crearla e a farla penetrare nella mentalità del popolo. GuIda allo sTudIo • Qual è la finalità della conoscenza? • Perché secondo Spinoza la sostanza è

unica? Quali conseguenze ne derivano? • Perché dio si identifica con la natura? • In che cosa consiste la differenza tra natura

naturans e natura naturata? • da che cosa deriva la razionalità della natura?

• Che cosa sono pensiero ed estensione nella

filosofia di Spinoza? • In che modo viene superato il dualismo cartesiano? • Che cosa sono i modi? • Qual è la principale differenza tra il dio biblico e il dio di Spinoza?

Il posto dell’uomo nel mondo e il rapporto anima-corpo Tra materia e pensiero non c’è nessun rapporto causale, ma soltanto coincidenza, parallelismo, perché ogni evento ha contemporaneamente una manifestazione fisica e una mentale. L’uomo non è dunque un essere speciale, il “signore del creato”, ma è un essere naturale da considerare come parte della totalità, del Dio-natura a cui tutto deve essere ricondotto. Come abbiamo visto, non esistono sostanze individuali e quindi i singoli uomini non sono che modi della sostanza divina. Spinoza conserva la distinzione tra anima e corpo, che sono entità distinte, poiché il corpo è un modo dell’attributo divino dell’estensione e l’anima del pensiero. Come per Cartesio, tra il corpo e l’anima non c’è dunque nessuna interazione. Spinoza non afferma però un dualismo, poiché pensiero ed estensione sono attributi dell’unica sostanza e quindi esprimono da punti di vista diversi la stessa realtà. Tra materia e pensiero, e quindi tra anima e corpo, sussiste un parallelismo: sono indipendenti in quanto non sono l’uno causa dell’altra, ma si corrispondono perché sono aspetti della stessa realtà, come le due facce della stessa moneta. Come abbiamo già visto, nella prospettiva di Spinoza, quando penso di muovere un braccio ed esso si muove, si verifica un evento che è, contemporaneamente, sia mentale sia fisico. Il lato mentale è il pensiero di muovere il braccio, il lato fisico è il movimento del braccio, ma il primo non è causa del secondo, semplicemente esprimono modi diversi della stessa realtà. «L’ordine e la connessione delle idee sono identici all’ordine e alla connessione delle cose», recita la proposizione VII della seconda parte dell’Etica.

Le passioni Le passioni sono parte della natura umana, quindi non vanno condannate o combattute, ma comprese, procedendo con lo stesso metodo deduttivo impiegato per la conoscenza di dio e della natura. Il parallelismo di Spinoza è l’esatto contrario del dualismo di Cartesio. Corpo e mente sono, sì, distinti e indipendenti l’uno dall’altra, in quanto modi di attributi diversi (estensione e pen-

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37. La ParOLa ai TEsTi

Tutto ciò che accade, compreso il comportamento umano, si inscrive nella razionalità universale, perciò non dipende dalla volontà dei singoli, ma dalle leggi naturali che sono espressione di tale razionalità. Altrimenti alcuni aspetti del Dio-natura sarebbero irrazionali [➤ T25].

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La maggior parte di coloro che hanno scritto sugli affetti e sul modo di vivere degli uomini sembrano trattare non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono al di fuori della natura. Anzi, sembrano concepire l’uomo nella natura come un impero in un impero. Credono infatti che l’uomo, più che seguirlo, turbi l’ordine della natura, che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro che da se stesso. Attribuiscono, inoltre, la causa dell’impotenza e dell’incostanza umane non alla comune potenza della natura, ma a non so quale vizio della natura umana, che pertanto piangono, deridono, disprezzano o, come avviene per lo più, detestano; e chi sa denigrare nel modo più arguto o eloquente l’impotenza della mente umana è ritenuto quasi divino. (B. Spinoza, Etica, Terza parte, Prefazione, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 895)

38. PEr CaPirE MEGLiO

ETiCa PrEsCriTTiva O DEsCriTTiva Si definisce «descrittiva» la teoria etica che non intende dare valutazioni morali né dettare norme, ma analizzare il comportamento per individuare le motivazioni e le dinamiche delle scelte o degli orientamenti dei soggetti. Sono in genere descrittive le scienze sociali, nel momento in cui prendono in esame valori e motivazioni. Si tratta quindi di spiegare e comprendere il comportamento e i princìpi che lo ispirano e non di valutarlo o indirizzarlo. Al contrario, l’etica «prescrittiva» si pone in genere il problema di definire ciò che è «bene» e ciò che è «male», dettando di conseguenza norme e prescrivendo criteri o regole per orientare i soggetti verso le scelte ritenute preferibili e allontanarli da quelle ritenute negative. È tipicamente prescrittiva l’etica dei Dieci comandamenti, che vieta e comanda determinati comportamenti, così come lo sono la maggior parte delle teorie etiche filosofiche.

siero), ma gli attributi esprimono la stessa sostanza e si ricongiungono in essa. Corpo e mente sono quindi la stessa cosa considerata da punti di vista diversi e pertanto sono in stretta corrispondenza, come i due lati di un foglio di carta. Per questo, a differenza di Cartesio, Spinoza dà molta importanza al corpo. Anche le passioni, riferibili al corpo, devono essere accettate e studiate, senza condannarle ma con l’intento di comprenderle. Nella Prefazione della terza parte dell’Etica, Spinoza sottolinea come le passioni debbano essere analizzate con lo stesso metodo deduttivo riservato alla metafisica, in modo da comprenderle razionalmente ➝ 37 . La loro dinamica è infatti determinata da rapporti di causa ed effetto, senza l’intervento della volontà. Il loro studio è scientifico e il comportamento dell’uomo, almeno in prima istanza, è deterministico. A questo livello (vedremo più avanti che non è il punto di arrivo) l’etica di Spinoza è descrittiva e non prescrittiva, cioè analizza le cause e le dinamiche delle passioni, senza giudicarle ➝ 38 . Sembra riproporsi anche in Spinoza, come in Cartesio, il problema della responsabilità morale e della libertà: se le passioni possono essere spiegate scientificamente, non è possibile che possano essere cambiate dalla volontà, che derivino quindi da una scelta libera, che come tale non sarebbe prevedibile. Anche Spinoza, come vedremo proporrà una soluzione di questo problema.

2 S P IN oz A: D Io, l A N At urA, l A rA z IoN A l Ità D e l l’u NI v e r S o

T10 spinoza L’etica non riguarda la virtù o i vizi, ma le leggi della natura

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La meccanica delle passioni spinoza studia le passioni con metodo geometrico, partendo da quella fondamentale, la tendenza a perseverare nel proprio essere, e deducendo da essa via via tutte le altre. Essendo deducibili, le passioni sono spiegabili razionalmente e il comportamento è deterministico. In prima istanza, l’etica di Spinoza è descrittiva: non si tratta di condannare o di lodare, né di biasimare o deridere, ma di intelligere, di capire. «Tratterò dunque della natura e delle forze degli affetti, come anche del potere della mente su di essi, con lo stesso metodo con il quale nelle parti precedenti ho discusso di Dio e della mente, e considererò le azioni e gli appetiti umani come se si trattasse di linee, di superfici o di corpi» (Etica, Terza parte, Prefazione, in Opere cit., p. 896). L’«affetto», termine con il quale Spinoza indica genericamente sentimenti e passioni, cioè tutto ciò che mente e corpo “sentono”, è così definito (definizione III): «Per affetto intendo le affezioni del corpo, dalle quali la potenza di agire dello stesso corpo è aumentata o diminuita, favorita o inibita e, simultaneamente, le idee di queste affezioni» (Ivi, p. 897). L’affetto riguarda ovviamente, per il parallelismo tra estensione e pensiero, contemporaneamente il corpo e l’anima. Il punto di partenza dell’analisi di Spinoza è enunciato nella proposizione VI: «Ciascuna cosa, per quanto è ad essa possibile, è spinta a perseverare nel suo essere» (Ivi, p. 905). Ciascuna cosa, argomenta Spinoza, è un modo di un attributo divino, mediante cui agisce la stessa potenza di Dio, quindi tende a perseverare nel proprio essere. Posto ciò, la nostra mente considererà gli affetti come positivi o negativi a seconda che favoriscano o minaccino la conservazione di sé. I primi causano gioia, i secondi tristezza. Di conseguenza, come recita la proposizione XXVIII, «Noi siamo spinti a promuovere il darsi di tutto ciò che immaginiamo conduca alla gioia; siamo invece spinti a rimuovere o distruggere tutto ciò che le si oppone o che immaginiamo conduca alla tristezza» (Ivi, p. 923). La dinamica degli affetti può essere ricostruita a partire da queste pulsioni fondamentali: la conservazione di sé, la gioia e la tristezza. Ciò che è oggetto del nostro appetito viene giudicato buono, ciò che è oggetto della nostra avversione, in quanto connesso alla tristezza e quindi alla minaccia di sé, è giudicato cattivo ➝ 39 . Spinoza rovescia in questo modo la tradizionale idea del bene e del male, eliminando anche dal comportamento umano ogni finalismo. Il bene non è ciò cui tende il nostro comportamento, ma noi chiamiamo buono ciò che desideriamo. Ora, il fatto di desiderarlo o meno non dipende da valutazioni morali, ma dal meccanismo analizzato sopra: lo desideriamo perché favorisce la conservazione di sé. Dunque, partiamo dal principio della conservazione di sé; ciò che la favorisce provoca in noi gioia, quindi la desideriamo e chiamiamo l’oggetto di questo desiderio «bene». «Bene» è il nome che diamo all’oggetto del desiderio, che vogliamo per le cause dette e non come finalità morale dell’azione. Spinoza non parla di «desiderio» ma usa due termini distinti: «appetito» e «cupidità» (cupiditas). «Appetito» rende meglio di «desiderio» la pulsione verso qualcosa in senso causale e non finalistico. La «cupidità» è l’appetito accompagnato dalla coscienza di sé, ovvero dalla coscienza di avere un determinato appetito ➝ 40. Il rovesciamento del modo di considerare ciò che è buono e ciò che non lo è segna la distanza tra un’etica prescrittiva e una descrittiva. Con la prima espressione si intende l’etica fondata su norme, su indicazioni di ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare. Ciò presuppone che il bene e il male siano definiti prima della norma e che la norma indichi il fine da conseguire, cioè il raggiungimento del bene o il rifiuto del male. Un’etica prescrittiva tipica è ad esempio quella dei Dieci comandamenti: onora il padre e la madre, non ammazzare, non rubare ecc. L’etica descrittiva esclude invece un giudizio morale e intende soltanto descrivere, appunto, il comportamento, o meglio individuarne le cause e spiegarlo, come fa Spinoza.

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Audiomappa

39. COMPETENZE > Mappa concettuale

ciò che la favorisce produce

piacere

che causa

gioia

che determina

CONSERVAZIONE DI SÉ ciò che la ostacola produce

desiderio

che determina dolore

che causa

tristezza

avversione

quindi è

quindi è

bene

male

Leggiamo la mappa concettuale. ogni essere tende per natura alla conservazione di sé. Ciò che la favorisce causa gioia, per cui lo desideriamo e lo consideriamo buono. Al contrario, ciò che minaccia la conservazione di sé produce tristezza, determinando avversione e una valutazione morale negativa. Il bene e il male sono conseguenze di queste dinamiche e non motivazioni delle nostre scelte. 40. La ParOLa ai TEsTi

T11 spinoza Volontà, appetito e cupidità Queste poche righe segnano la nuova prospettiva di Spinoza verso l’etica: il comportamento dipende da leggi che devono essere comprese razionalmente e non da prescrizioni che possiamo decidere di seguire o meno.

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Questa pulsione, quando è riferita soltanto alla mente, si chiama volontà; ma quando è riferita insieme alla mente e al corpo si chiama appetito. Questo non è altro che la stessa essenza dell’uomo, dalla cui natura segue necessariamente ciò che serve alla sua conservazione; perciò l’uomo è determinato a fare tali cose. Inoltre, tra l’appetito e la cupidità non vi è altra differenza se non che la cupidità si riferisce per lo più agli uomini in quanto sono consapevoli dei loro appetiti, e perciò può essere così definita: la cupidità è l’appetito con la coscienza di sé. Da tutto ciò è reso evidente che noi non siamo spinti verso qualcosa, non lo vogliamo, non l’appetiamo né desideriamo perché giudichiamo che sia buono; ma giudichiamo buono qualcosa perché siamo spinti verso di esso, lo vogliamo, lo appetiamo e lo desideriamo. (B. Spinoza, Etica, Terza parte, prop. IX, Scolio, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 907)

Guida alla lettura. Spinoza sta parlando di un’unica dinamica, la pulsione a perseverare nel proprio essere che, come abbiamo visto, è quella fondamentale, dalla quale derivano tutte le passioni. egli indica questa pulsione con tre termini diversi. Se la consideriamo in riferimento alla mente si chiama «volontà». Questa parola così densa di significato nella nostra tradizione, che dovrebbe essere espressione del libero arbitrio, è considerata da Spinoza una semplice pulsione naturale, che deriva da leggi altrettanto naturali. Ma se deriva da leggi, essa non può essere in un modo o nell’altro, e pertanto non può essere una scelta, come comunemente la intendiamo. Spinoza la considera in congiunzione anche con il corpo e in questo caso la chiama «appetito». Questo termine dà maggiormente il senso di una pulsione che non viene scelta dal soggetto, ma viene subita (è una passione), e ciò vale evidentemente anche per la volontà, che è l’appetito considerato come stato mentale. In questa visione deterministica si apre tuttavia una porta, che fa presagire la soluzione di Spinoza al ▶▶

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La DEDuZiONE DELLE PassiONi

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3. i L ra Z i ON a L i sM O

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Egli procede lungo questa strada con metodo deduttivo. Proseguendo il percorso che abbiamo iniziato a tracciare, riconduce alle pulsioni fondamentali tutte le altre passioni, deducendole via via da quelle precedenti. Dal principio fondamentale secondo cui ogni cosa tende a perseverare nel proprio essere, si deduce il desiderio verso ciò che favorisce la conservazione e l’espansione di sé, che determina gioia, e la ripulsa verso ciò che le ostacola, che chiamiamo tristezza. Da ciò che produce gioia deriva il piacere, da ciò che produce tristezza il dolore. Verso gli eventi o le persone che producono piacere proviamo amore; verso chi provoca dolore proviamo odio. Procedendo in questa analisi, vengono dedotti tutti gli altri affetti. La speranza, ad esempio, deriva dall’attesa di eventi che possono produrre piacere; il timore dall’attesa di eventi che possono produrre dolore. Dall’analisi di spinoza risulta un’etica descrittiva, in cui il bene e il male non sono valori primari, ma conseguenze di dinamiche determinate dalle reazioni naturali ad eventi che favoriscono o meno la conservazione di sé, provocando le passioni senza la possibilità di un libero arbitrio. Da quanto abbiamo visto, derivano alcune importanti conseguenze: 1. il bene e il male non sono valori in sé che dobbiamo perseguire o fuggire. «Per bene – scrive Spinoza – intenderò ciò che sappiamo con certezza esserci utile» (Etica, Quarta parte, in Opere cit., p. 975). Quindi il bene è definito in relazione all’utile, cioè a partire dall’affetto primario della conservazione di sé; 2. l’analisi etica non stabilisce astrattamente ciò che è bene o ciò che è male, prescrivendo poi norme per conseguire il primo e fuggire il secondo, ma spiega il comportamento umano mostrandone i meccanismi che lo regolano. L’etica di Spinoza è dunque, sotto questo aspetto (scopriremo presto che non è l’unico) descrittiva, cioè spiega il comportamento senza pretendere di regolarlo tramite norme; 3. tutto ciò che può essere dedotto accade necessariamente, non può essere diverso da com’è, quindi il comportamento umano è determinato, può essere spiegato individuando le leggi che lo regolano e dunque non rimane spazio per il libero arbitrio. A proposito dell’ultimo punto, Spinoza paragona il comportamento umano a una pietra che, mossa da una causa, rotola lungo un pendio ➝ 41 . Chiaramente il suo moto non è libero nel senso che diamo al libero arbitrio, ma se la pietra fosse cosciente di sé e desiderasse rotolare, considererebbe libero, cioè voluto, il proprio moto. L’illusione del libero arbitrio, secondo Spinoza, «consiste soltanto nell’essere gli uomini consapevoli del loro appetito e ignari delle cause dalle quali sono determinati» (Lettera a Schuller, ottobre 1674, in Opere cit., p. 1484). Spinoza ha infatti dimostrato che il comportamento umano può essere compreso e spiegato, che deriva da cause e che può essere dedotto ricostruendo razionalmente la dinamica degli affetti. L’uomo è libero in quanto agisce per necessità di natura e non per costrizione esterna, ma in questo senso non si può parlare di libero arbitrio, cioè di decidere di volta in volta il proprio comportamento, di scegliere tra alternative possibili. Anche nelle pagine dell’Etica il libero arbitrio viene negato con forza. Spinoza afferma: «In natura non si dà nulla di contingente, ma tutto è determinato dalla necessità della natura divina a esistere e a operare in un certo modo» (Etica, Prima parte, in Opere cit., p. 817). Qui comprendiamo che la negazione del libero arbitrio deriva dalla concezione metafisica di Spinoza. La natura-Dio è razionale, tutto ciò che vi avviene non può avvenire diversamente, quindi non c’è contingenza, cioè non esiste nulla che avrebbe potuto non essere o essere in modo diverso da come è. Ma la contingenza, cioè la possibilità che un evento si verifichi o meno, è condizione fondamentale per il libero arbitrio. Se non c’è contingenza, se tutto avviene secondo ragione, allora è contraddittorio poter scegliere che una cosa o un evento siano in un modo piuttosto che in un altro. La conclusione è espressa nella proposizione XXXII: «La volontà non può essere chiamata causa libera, ma soltanto necessaria» (Ivi, p. 819) .

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41. La ParOLa ai TEsTi

T12 spinoza Come una pietra che rotola… Il libero arbitrio non esiste, perché tutto è razionale e quindi avviene secondo ragione, anche se spesso non sappiamo coglierne le cause.

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Dico libera quella cosa che esiste e agisce per sola necessità della sua natura; invece coatta quella che è determinata da altro a esistere e agire secondo una certa e determinata maniera. Ad esempio, Dio esiste liberamente, sebbene necessariamente, perché esiste per la sola necessità della sua natura. Allo stesso modo Dio intende sé stesso e assolutamente tutte le cose in modo libero, perché intendere tutto segue dalla sola necessità della sua natura. Vedi pertanto che non pongo la libertà in una libera decisione, ma nella libera necessità. Ma scendiamo alle cose create, le quali tutte sono determinate da cause esterne a esistere e ad agire in una certa e determinata maniera. Per comprenderlo chiaramente, concepiamo una cosa semplicissima. Ad esempio, una pietra riceve una certa quantità di moto da una causa esterna che la spinge, in virtù della quale, in seguito, cessando la spinta della causa esterna, continuerà necessariamente a muoversi. Questa permanenza della pietra nel moto è dunque coatta, non perché è necessaria, ma perché deve essere definita per l’impulso della causa esterna. E quel che qui si intende della pietra deve essere inteso di qualsiasi realtà singola, anche se è concepita composta e atta a più funzioni, perché ogni cosa è determinata necessariamente da una qualche causa esterna a esistere e ad agire in una certa e determinata maniera. Ora supponi, per favore, che la pietra, mentre continua a muoversi, pensi e sappia che tende, per quanto può, a continuare a muoversi. Questa pietra, poiché è cosciente soltanto della sua pulsione e a questa non indifferente, crede di essere liberissima e di non perseverare nel moto per nessun’altra causa che non sia la sua volontà. Questa è quell’umana libertà che tutti si vantano di avere e che consiste soltanto nell’essere gli uomini consapevoli del loro appetito e ignari delle cause dalle quali sono determinati. Così il bambino crede di volere liberamente il latte; il fanciullo irato di volere la vendetta e il timido la fuga. (B. Spinoza, Lettera a Schuller, ottobre 1674, in Opere, Mondadori, Milano 2007, pp. 1483-84)

Guida alla lettura. Per Spinoza, libertà non è il contrario di necessità o di regolato da leggi. Anzi, proprio se determinato dalle sole leggi di ragione e di natura il comportamento è libero. l’ultima frase del primo capoverso chiarisce tutto: la libertà non è libertà di volere, ma di seguire la necessità, che è anche razionalità, senza coercizioni esterne. la similitudine della pietra che rotola chiarisce plasticamente questi concetti. la pietra rotola per cause meccaniche e non potrebbe fare diversamente, ma se avesse coscienza e se pensasse di voler rotolare come in effetti fa, si sentirebbe libera. Gli uomini pensano di determinare liberamente il corso dei propri eventi perché non conoscono la razionalità del tutto, non conoscono le cause che li determinano.

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problema del libero arbitrio e, più in particolare, al fatto che la filosofia possa indicare una via verso la felicità, nonostante il fatto che tutto ciò che accade sia determinato. l’uomo, infatti, è spinto sì dagli appetiti, tuttavia di essi può diventare cosciente. In questo caso, Spinoza parla di «cupidità». essere coscienti di sé e degli appetiti che ci determinano è la condizione per razionalizzarli e per assumere nei loro confronti un atteggiamento che, pur non negandoli, può condurci a viverli serenamente.

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Nell’ultimo libro dell’etica spinoza supera il determinismo, affermando la possibilità di iniziativa del soggetto e recuperando uno spazio per la libertà. L’analisi degli affetti viene sviluppata nella terza parte dell’Etica e soprattutto nella quarta, intitolata Della schiavitù umana, ovvero della forza degli affetti. L’uomo è schiavo nella misura in cui il suo comportamento non è libero, ma è regolato dalla dinamica degli affetti, che agiscono meccanicamente, in modo simile a quanto affermava Cartesio nelle Passioni dell’anima. Cartesio recuperava poi la possibilità dell’anima di agire sul comportamento, plasmando le reazioni meccaniche della ghiandola pineale mediante l’abitudine. La filosofia di Spinoza non ammette nessuna azione dell’anima sul corpo, dato che sono modalità parallele di due attributi distinti, il pensiero e l’estensione. La quinta parte dell’Etica, però, si intitola Della potenza dell’intelletto, ossia dell’umana libertà. Ma come è possibile parlare di libertà a partire dalle premesse che abbiamo considerato ➝ 42 ? Per comprendere a fondo la risposta di Spinoza è opportuno fare un passo indietro e ricordare una delle sue prime opere, il Trattato sull’emendazione dell’intelletto. Esso non tratta in modo specifico di etica, ma della conoscenza. È comunque ormai chiaro che nella filosofia di Spinoza tutto è collegato, trattandosi di un sistema deduttivo nel quale, come abbiamo visto nell’opera principale, si giunge all’etica solo partendo dai princìpi generali e quindi dal piano metafisico.

I generi della conoscenza e la via verso la beatitudine

mappa

Nella conoscenza possiamo distinguere diversi generi, che ci fanno comprendere diversamente la realtà. se arriviamo a coglierne l’unità e la razionalità, la nostra mente si libera dal condizionamento delle passioni e possiamo raggiungere uno stato di beatitudine. Lo scopo del Trattato sull’emendazione dell’intelletto è la ricerca di «una gioia continua e suprema», che vada oltre i beni apparenti che incontriamo nel corso dell’esistenza. Si tratta dunque di una ricerca che parte dall’esperienza quotidiana ma la supera. Spinoza propone di esplorare diversi livelli di conoscenza, con l’intento di avvicinarci sempre maggiormente a quella totalità che è la chiave di lettura di tutta la sua filosofia. Il suo panteismo, come quello di Bruno, non significa soltanto l’identità di Dio e della natura, ma quella del singolo con il tutto, oltrepassando la percezione di sé quale individuo autosufficiente (come se l’onda potesse avere una propria esistenza separata dal mare) per ricongiungersi con la totalità e acquisire, come scriverà Spinoza alla fine di questo processo, il punto di vista dell’eternità. Vedere le cose sub specie aeternitatis è il punto di arrivo che dà anche la «gioia continua e suprema» di cui si parlava sopra. Questa teoria della conoscenza viene ripresa nel libro V dell’Etica, dove viene congiunta più strettamente con l’elevazione morale che accompagna i diversi livelli della conoscenza. La conoscenza è quindi legata all’Etica, questa volta considerata dal punto di vista di ciò che l’uomo può fare per andare oltre la dinamica meccanicistica delle passioni. Nella seconda parte dell’Etica viene proposta la teoria dei diversi generi di conoscenza, già esposta, con qualche variante, nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto, mediante i quali la ragione e l’intelletto superano le passioni.

Materiali per l’apprendimento attivo 42. COMPETENZE > La filosofia e il presente

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È POssiBiLE CONCiLiarE LiBErTÀ E DETErMiNisMO? Iniziamo la nostra riflessione partendo da un film di Steven Spielberg del 2002, minority report (“rapporto di minoranza”). In esso si parla di una società futura in cui tre veggenti (Pre-Cogs, cioè “pre-cognitivi”) sono in grado di prevedere reati gravi, in particolare gli omicidi. Intorno a questa loro capacità, viene organizzato un corpo di polizia che provvede ad arrestare i potenziali autori di crimini prima ancora che li commettano. Questo scenario solleva due importanti temi di riflessione filosofica. Il primo apre a un paradosso: riguarda la possibilità di prevedere il futuro perché esso in qualche modo è già stabilito, mostrando però al tempo stesso, con l’attività della squadra speciale, che può essere modificato. Infatti, grazie alle segnalazioni dei Pre-Cogs, gli omicidi sono praticamente scomparsi. Il secondo problema è la liceità di arrestare (e recludere) persone che in realtà non hanno commesso nessun crimine, anche se, per le segnalazioni dei Pre-Cogs, erano in procinto di compierlo. Il film solleva in modo interessante il problema del contrasto tra determinismo e libertà, presente in Spinoza. tale questione si pone oggi con particolare forza perché lo sviluppo delle scienze umane ha fatto sempre più luce sulle leggi psicologiche e sociologiche che determinano o influenzano il comportamento umano, confermando per un verso le tesi di Spinoza, secondo cui il comportamento è determinato da leggi, ma aprendo per contro il problema sulla legittimità di valori e norme etiche mettendo in discussione la possibilità per l’individuo di scegliere. In altri termini, se il comportamento umano può essere spiegato e compreso scientificamente, che senso ha parlare di libertà? e, se non si può parlare di libertà, che senso ha educare, trasmettere valori, emanare leggi che promuovano certi comportamenti e ne condannino altri? una corrente psicologica molto diffusa nella prima metà del Novecento, il behaviorismo o comportamentismo, sostiene che tutti i comportamenti umani, anche quelli più complessi, sono riconducibili a risposte involontarie a stimoli semplici, come la salivazione del cane di Pavlov. Il fisiologo russo Ivan Pavlov (1849-1936) sottopose un cane a un esperimento: somministrò all’animale pezzi di carne subito dopo il suono di un campanello, finché la reazione fisiologica della salivazione associata alla vista della carne si produsse anche al solo suono del campanello. Questo è un riflesso condizionato. Sviluppando questo dato, a partire dal 1913 lo psicologo statunitense John Watson (1878-1958) propose la teoria secondo la quale ogni comportamento, anche molto complesso, può essere scomposto in una serie di atti semplici, ognuno dei quali può essere indotto mediante opportuni condizionamenti, fino a determinare, senza l’intervento della volontà, comportamenti anche molto complessi e considerati moralmente rilevanti. Sviluppando questa teoria, il comportamentista Burrhus skinner (1904-90) teorizzò la possibilità di plasmare in questo modo ogni aspetto della personalità, fino a immaginare una società utopistica in cui il controllo razionale dell’educazione, dell’organizzazione sociale e di ogni altro stimolo avrebbe prodotto individui pacifici, facendo scomparire ogni forma di crimine o di disonestà. Per Skinner, cioè, possiamo organizzare razionalmente i nostri condizionamenti, in modo da modificare il futuro secondo le nostre intenzioni; possiamo quindi controllare i condizionamenti in modo da essere formati da circostanze che noi stessi abbiamo ▶▶ programmato.

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I tre generi di conoscenza Il primo genere è legato al corpo ed è quindi costituito in primo luogo dalle sensazioni, in particolare da quelle del nostro stesso corpo e dalle sue modificazioni. Queste stabiliscono l’identità tra corpo e mente, dato che le sensazioni del corpo si traducono in immagini mentali («La mente non conosce sé stessa se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo», prop. XXIII; Etica, Seconda parte, in Opere cit., p. 864). Le sensazioni implicano passività (vengono ricevute) e la conoscenza che producono è confusa o meglio, per usare il lessico spinoziano, «inadeguata». Un’idea è inadeguata quando da essa non possono essere dedotte tutte le proprietà della cosa. Dalle sensazioni derivano le immagini, che le generalizzano ma senza arrivare a una conoscenza adeguata. Se percepiamo una palla, ne abbiamo un’immagine e possiamo accostarla ad altri oggetti sferici, ma da ciò non deriviamo le proprietà della sfera, come avviene invece nella conoscenza geometrica. Il secondo genere di conoscenza deriva dalla ragione. La geometria è una conoscenza di questo tipo in quanto, riprendendo l’esempio precedente, la conoscenza geometrica della sfera ci consente di dedurne tutte le proprietà, ad esempio l’equidistanza di ogni punto della superficie dal centro. Più in generale, il secondo genere consiste in «nozioni comuni e idee adeguate delle proprietà delle cose». Anche nella conoscenza di primo genere ci formiamo idee comuni, come ad esempio quella di uomo, di albero e così via: dato che la mente umana non può immaginare contemporaneamente un numero infinito di corpi, quando conosciamo molti uomini, tendiamo a non considerare le differenze ricordando solo gli aspetti comuni, che riuniamo in un’immagine generica. Tale immagine resterà nella nostra mente in sostituzione della precedente molteplicità di uomini. In questo modo, però, ognuno avrà un’idea diversa degli stessi universali e tali idee saranno inadeguate, perché non basate sul concetto, sulle caratteristiche razionali dalle quali è possibile dedurre le proprietà degli uomini. Le idee adeguate sono, invece, quelle che definiscono le proprietà della cosa, da cui si possono ricavare tutte le altre caratteristiche, come avviene per le figure geometriche. Il terzo genere di conoscenza viene definito da Spinoza «scienza intuitiva» (Ivi, p. 877). Essa coglie direttamente le essenze e ne vede l’unità profonda nella comune sostanza divina ➝ 43 .

Conoscenza ed etica raggiungendo i generi superiori di conoscenza, possiamo prendere coscienza delle nostre passioni e neutralizzare il loro influsso negativo sulla nostra mente. Ne comprendiamo la necessità ma al tempo stesso ci liberiamo dall’investimento emotivo che causa turbamento e infelicità. Anche se il comportamento umano è determinato da cause e quindi è necessitato, l’uomo può conoscere i propri affetti e prenderne coscienza. La libertà consiste proprio nella coscienza della necessità, perché in questo modo ci liberiamo dalle passioni che accompagnano i nostri accadimenti (amore, odio, ira ecc.). In ciò consiste la potenza dell’intelletto ricordata nel titolo del libro V (Della potenza dell’intelletto, ossia dell’umana libertà). In questa parte conclusiva dell’Etica i tre generi della conoscenza vengono riferiti alle tre tappe mediante le quali possiamo raggiungere la beatitudine, coronando così lo scopo iniziale dell’opera. Il primo passo consiste nel neutralizzare la componente affettiva delle passioni, la loro capacità di coinvolgerci mentalmente. «Se separiamo un’emozione o affetto dell’animo dal pensiero della causa esterna e l’associamo ad altri pensieri, allora l’amore e l’odio verso la causa esterna, come anche le fluttuazioni dell’animo che sorgono da questi affetti, saranno annullati», afferma la proposizione II (Etica, Quinta parte, in Opere cit., p. 1055). Mediante questo distacco, giungiamo a comprendere razionalmente (e non a subire emotivamente,

Materiali per l’apprendimento attivo

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43. COMPETENZE > Mappa concettuale

LE MODaLiTÀ DELLa CONOsCENZa sensazioni inadeguata immagini

CONOSCENZA ragione adeguata intelletto

44. COMPETENZE > argomentazione

iL DOMiNiO suLLE PassiONi l’uomo può prendere coscienza delle passioni e della loro necessità MA AllorA può separare le passioni dal loro oggetto, DI CoNSeGueNzA le libera dalla componente affettiva, QuINDI può studiarle razionalmente, chiedendosi se giovino o meno alla conservazione di sé. Se sono in contrasto con la conservazione di sé, AllorA può distaccarsene, DI CoNSeGueNzA raggiungere la serenità. come avveniva in precedenza) le passioni, che in questo modo cessano però di essere tali, cioè di essere “patite”, subite: «L’affetto-passione cessa di essere passione appena ne formiamo un’idea chiara e distinta» (Ivi, p. 1056). Ad esempio, se proviamo odio verso una persona perché la consideriamo responsabile di un danno nei nostri confronti, dobbiamo analizzare la passione che proviamo (l’odio), chiedendoci se essa giovi o meno alla conservazione del nostro essere; ci rendiamo allora conto che la passione in sé (a prescindere dall’oggetto che la produce) è negativa per il nostro benessere e per la nostra emotività. In questo modo, le circostanze resteranno immutate (l’individuo non può decidere i fatti né le proprie azioni), ma il nostro stato mentale cambierà radicalmente, cessando di subire la passione per raggiungere un atteggiamento attivo che favorisce la serenità. Questo processo è facilitato dalla conoscenza scientifica della dinamica degli affetti, esposta nella parte III dell’Etica. Anzi, una conoscenza di questo tipo produce una prospettiva nuova verso tutte le passioni, che la mente comprende e con ciò stesso controlla, eliminandone la componente affettiva senza la quale non possono più dominarci ➝ 44. La conoscenza generale delle dinamiche delle passioni (e non la semplice analisi di una singola passione) produce una conoscenza adeguata della realtà, che ci appare quale realmente è, cioè come una totalità in cui tutto è concatenato in una razionalità universale. «La mente può fare in modo che tutte le affezioni del corpo, o le immagini delle cose, si rife-

209 2 S P IN oz A: D Io, l A N At urA, l A rA z IoN A l Ità D e l l’u NI v e r S o

Film

ti sembra convincente questa soluzione che cerca di conciliare libertà e determinismo? Argomenta la tua risposta, anche evidenziando, eventualmente, gli aspetti che ti convincono e quelli che non ti sembrano fondati. Come puoi vedere più avanti, anche Spinoza propone, in modo diverso, la possibilità di recuperare uno spazio per la libertà all’interno di una visione deterministica. Nelle Questioni di attualità, alla fine del Modulo, vengono approfonditi altri aspetti di questo importante tema, prendendo in esame anche altre possibili soluzioni.

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riscano all’idea di Dio» (prop. XIV; Ivi, p. 1065), scrive Spinoza, dove «Dio» sta ovviamente per la sostanza infinita, cioè per la totalità. La conoscenza razionale di sé porta a una conoscenza universale che si traduce in un superamento di tutte le passioni e della stessa individualità, e in un amore intellettuale verso il Dio-tutto che costituisce la beatitudine. Afferma Spinoza nella proposizione XV: «Chi intende chiaramente e distintamente sé stesso e i propri affetti ama Dio e tanto più quanto più conosce sé stesso e i propri affetti» (Ivi, p. 1065), specificando poco dopo che questo tipo di conoscenza «genera inoltre amore verso la realtà immutabile ed eterna della quale siamo davvero tutti partecipi» (Ivi, p. 1069). La conoscenza di terzo genere, quella intellettiva della totalità, costituisce anche il punto di arrivo della morale, la realizzazione della virtù e insieme della beatitudine. «Intendere le cose mediante il terzo genere di conoscenza costituisce la suprema pulsione della mente e la suprema virtù», scrive Spinoza (prop. XXV; Ivi, p. 1072); e subito dopo: «Da questo terzo genere di conoscenza nasce il supremo acquietamento possibile della mente» (prop. XXVII; Ivi, p. 1073) ➝ 45 . La conoscenza intellettiva ricongiunge la mente a Dio: «La nostra mente, in quanto conosce sé e il corpo sotto l’aspetto dell’eternità, ha necessariamente la conoscenza di Dio, sa di essere in Dio e di essere concepita per mezzo di Dio» (prop. XXX; Ivi, p. 1075). Mediante l’amor Dei intellectualis, mente e Dio, individuo e totalità, si congiungono, raggiungendo lo stato che per l’individuo coincide con la beatitudine. «L’amore intellettuale della mente verso Dio è lo stesso amore di Dio, con il quale Dio ama sé stesso, non in quanto è infinito, ma in quanto può essere esplicato mediante l’essenza della mente umana considerata sotto l’aspetto dell’eternità; cioè, l’amore intellettuale della mente verso Dio è parte dell’amore infinito con il quale Dio ama sé stesso» (prop. XXXVI; Ivi, p. 1079). La beatitudine coincide con la virtù, raggiunta mediante l’amore intellettuale per Dio, come recita la proposizione conclusiva dell’Etica: «La beatitudine non è il premio della virtù, ma la virtù stessa; e non ne godiamo perché inibiamo gli impulsi, al contrario, perché ne godiamo possiamo inibire gli impulsi (prop. XLII; Ivi, p. 1085) ➝ 46. Qualche riflessione conclusiva. Spinoza disegna un imponente e affascinante panteismo, in cui Dio coincide con la natura, non però nel senso che Dio è materiale, quanto che la natura è divina, è razionalità che attraversa e anima la materia senza distinguersi da essa: razionalità e materia sono la stessa cosa, come pensiero ed estensione. Se l’individuo riesce a cogliere questa totalità razionale, allora la necessità del tutto e di ogni aspetto in esso gli appare come la cosa più logica e razionale, accetta tutto perché capisce tutto razionalmente e ne coglie la necessità nel disegno d’insieme. È come, lasciando la fedeltà a Spinoza a vantaggio di una migliore comprensione, se vedessimo noi stessi nel contesto della storia evolutiva dell’universo e della vita sulla Terra, come abbiamo detto nella scheda 34: se riusciamo a vedere tutto l’universo e la sua storia, abbracciando tutto questo processo, allora riusciremo anche a cogliere la necessità del tutto e a provare una profonda serenità, la beatitudine di cui parla Spinoza ➝ 47 .

GuIda allo sTudIo • Qual è il rapporto tra anima e corpo in

• Che cosa sono il bene e il male nell’etica di

Spinoza? Perché si parla di parallelismo? • Come vengono considerate le passioni? Perché si parla di etica descrittiva? • Qual è la passione fondamentale? Come vengono spiegate le altre passioni, con quale metodo?

Spinoza? • Qual è lo spazio per il libero arbitrio secondo Spinoza? • Come possiamo raggiungere la beatitudine? • Che cos’è l’amor Dei intellectualis?

Materiali per l’apprendimento attivo

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45. La ParOLa ai TEsTi

Secondo Spinoza, il comportamento è determinato dalle passioni e compito dell’etica è semplicemente quello di descriverlo e spiegarlo. È però possibile prendere coscienza delle passioni e razionalizzarle. L’intento non è quello di liberarsi dalle passioni, ma dalla schiavitù che altrimenti implicano.

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Con questo ho portato a termine tutto ciò che volevo mostrare riguardo alla potenza della mente sugli affetti e alla libertà della mente. Ne risulta con evidenza quanto valga il sapiente e quanto sia più potente dell’ignorante, che è mosso dal solo impulso. L’ignorante, infatti, non solo è spinto qua e là in molti modi dalle cause esterne e non raggiunge mai un vero acquietamento dell’animo, ma vive quasi inconsapevole di sé, di Dio e delle cose: e appena cessa di patire, cessa anche di esistere. Il saggio, invece, considerato come tale, difficilmente è turbato nell’animo; ma, consapevole di sé, di Dio e delle cose per una certa eterna necessità, non cessa mai di esistere, possedendo sempre il vero acquietamento dell’animo. (B. Spinoza, Etica, Quinta parte, prop. XLII, Scolio, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 1086)

Guida alla lettura. Questo breve brano conclude l’Etica, ricordando l’intento che Spinoza si era proposto, cioè quello di descrivere le passioni, mostrando come possono renderci schiavi ma anche come la mente abbia la capacità di liberarcene. liberarsi dalle passioni non significa però sopprimerle, bensì, al contrario, capirne a fondo la necessità e la dinamica. Isolando la passione (ad esempio l’odio) dall’oggetto cui si riferisce, possiamo analizzarla in sé, nelle conseguenze che provoca nel nostro stato d’animo, comprendendo quanto sia controproducente. In questo modo, pur senza cambiare i fatti e le circostanze, possiamo modificare il modo di vivere le passioni, controllandole e neutralizzandole invece di subirle. 46. PEr CaPirE MEGLiO

L’amor dei intellectualiS Il concetto di «amore intellettuale di Dio» è particolarmente complesso perché riassume in sé diverse questioni. vediamo intanto che cosa significa questa espressione. essa indica uno stato mentale, raggiunto attraverso le tappe corrispondenti ai diversi generi di conoscenza, che ci permette di conoscere Dio. Ciò, però, significa conoscere anche la natura, conoscere la totalità. Questa conoscenza viene conseguita mediante l’intelletto, come intuizione, come visione diretta, come contemplazione. Ci sentiamo cioè parte del tutto, e sentiamo quindi la razionalità e la bontà dell’intera realtà considerata nel suo insieme, come un’unica sostanza, potremmo quasi dire (ma non in senso letterale) come un unico organismo. Amiamo Dio nel senso che amiamo tutta la realtà, ne amiamo la razionalità, la necessità, l’armonia. Questo stato di beatitudine porta al superamento della nostra individualità e delle passioni che ne turberebbero l’animo, come leggiamo nelle righe conclusive di T13. 47. COMPETENZE > Mappa concettuale

i GENEri DELLa CONOsCENZa riassumiamo i tre generi della conoscenza e la condizione morale corrispondente Generi della conoscenza

condizione morale

Sensazioni

Subiamo le passioni.

ragione

Neutralizziamo la componente affettiva delle singole passioni, comprendendone la razionalità e la necessità.

Intelletto

vediamo le cose dal punto di vista dell’eternità e comprendiamo la razionalità del tutto. Amor dei intellectualis da cui deriva la beatitudine.

2 S P IN oz A: D Io, l A N At urA, l A rA z IoN A l Ità D e l l’u NI v e r S o

T13 spinoza La libertà della mente

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L’individuo, la società, lo Stato il raggiungimento della beatitudine non è un processo ascetico da compiere individualmente. spinoza ne sottolinea il carattere corale, comunitario, e accenna anche alle condizioni per costruire una società che favorisca tale percorso comune. Si raggiunge la beatitudine mediante il potere dell’intelletto, anche se ciò non ne fa una questione individuale. Punto di arrivo dell’intelletto è infatti la conoscenza sub specie aeternitatis, ma questo significa prendere coscienza del tutto di cui siamo parte. Tale cammino è stato tracciato già nella Prefazione del Trattato sull’emendazione dell’intelletto, che ne percorre anche gli sviluppi. Il sommo bene, scrive Spinoza, consiste nel pervenire all’unità del tutto e alla «conoscenza dell’unione che la mente ha con l’intera natura» (Trattato sull’emendazione dell’intelletto, 13, in Opere cit., p. 29). Non si tratta, però, soltanto di sentirsi in comunione con gli altri uomini. Spinoza sottolinea che la felicità si raggiunge insieme agli altri e il raggiungimento di questo fine è favorito da una società organizzata in modo da garantire al maggior numero possibile benessere e sicurezza, mediante lo sviluppo della tecnica e della medicina ➝ 48 ➝ 49. Questa analisi viene sviluppata in particolare nel Trattato politico. Punto di partenza del Trattato è la tendenza naturale di ogni individuo a conservare il proprio essere. Seppure non pessimistica come quella di Hobbes, anche la visione dello stato di natura di Spinoza sottolinea la tendenza degli individui a imporsi sugli altri e a sottometterli. Tuttavia, essi si renderanno presto conto che il loro potere e la loro sicurezza possono aumentare se si uniscono ad altri, e diventeranno tanto maggiori quanto più numerosi saranno gli uomini che vi aderiscono. Per far ciò, però, è necessario stabilire una legge comune e un comune governo, al quale tutti dovranno asservirsi, rinunciando al proprio potere individuale. Nasce in questo modo lo Stato, che prende il nome di democrazia se il compito di «sbrigare gli affari pubblici» (Trattato politico, II, 17, p. 1117) appartiene a un’assemblea composta dalla moltitudine, di aristocrazia se l’assemblea è composta da alcuni membri scelti, di monarchia se il potere è affidato a un unico individuo. Prima ancora di queste differenze nella gestione del potere politico, con lo Stato nasce una società civile, data dalle relazioni tra i cittadini che costituiscono un unico corpo, e i cui princìpi sono simili in tutte le forme politiche. In primo luogo, ogni individuo è subordinato alla società civile, che stabilisce il diritto, e anche il bene e il male. Per Spinoza il bene e il male non esistono in ambito etico, perché ogni comportamento appartiene alla razionalità collettiva. Una volta nata, è la società civile a stabilire il diritto, imponendo come «bene» il comportamento conforme ad esso e come «male» il contrario. La società civile esercita quindi una grande influenza sui singoli, modellandone in qualche misura anche le coscienze, tanto che, secondo Spinoza, le virtù e i vizi dei cittadini dipendono in grande misura da come è organizzata la società civile. Per favorire la virtù lo Stato, oltre a garantire la pace e la sicurezza della vita, deve promuovere anche la concordia tra i cittadini. La pace e la sicurezza non costituiscono infatti il fine esclusivo dello Stato, perché altrimenti dovremmo considerare buono anche uno Stato dispotico. Invece, e qui Spinoza si allontana nettamente da Hobbes, «se la pace è servitù, barbarie e deserto, nulla è per gli uomini più miserevole della pace» (Trattato politico, VI, 4, p. 1139). Oltre a condannare la tirannia, Spinoza considera negativo in generale il governo di uno solo, cioè la monarchia: il sovrano potrebbe agire più per la propria sicurezza che per quella della collettività; inoltre, il carattere e gli eventuali vizi dell’unico governante potrebbero essere disastrosi per lo Stato. In uno Stato aristocratico, anche se il rischio di comportamenti orientati verso i propri interessi, da parte dei governanti, è ridotto, esso sussiste comunque. Se i governanti fossero

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48. La ParOLa ai TEsTi

Spinoza tocca qui due aspetti molto importanti: non si può raggiungere la beatitudine da soli e per arrivarci insieme è necessario costruire una società che lo consenta.

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Questo è dunque il fine al quale tendo: acquisire tale natura e sforzarmi affinché molti l’acquisiscano con me. Ciò significa che è costitutivo della mia felicità anche adoperarmi a che molti altri intendano la stessa cosa che intendo io, affinché il loro intelletto e la loro cupidità convengano pienamente con il mio intelletto e la mia cupidità. Perché questo avvenga, è necessario intendere della natura quanto basta per acquisire tale natura; poi è necessario formare una società tale quale è desiderabile, affinché il maggior numero possibile pervenga a quel fine con la massima facilità e sicurezza; inoltre si deve por mano a una filosofia morale, così come a una dottrina relativa all’educazione dei fanciulli; ed essendo la salute non piccolo mezzo per raggiungere tale fine, bisogna predisporre una scienza medica completa; e poiché molte cose difficili sono rese facili per mezzo della tecnica, con la quale possiamo guadagnare molto tempo e agio, non si deve trascurare in nessun modo la meccanica. (B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto, 14-15, in Opere, Mondadori, Milano 2007, p. 29)

Guida alla lettura. Si può leggere in queste righe quasi un progetto di riforma sociale. Al primo posto l’istruzione, perché chi non conosce non può arrivare all’amor Dei intellectualis; quindi «è necessario intendere della natura quanto basta per acquisire tale natura», cioè bisogna conoscere la natura abbastanza da poter cambiare la nostra stessa natura. occorre poi l’educazione dei fanciulli, senza trascurare una base di benessere diffuso, garantito dalla medicina e dallo sviluppo tecnologico. 49. aTTiviTÀ >

rielaborazione

saLvarsi iNsiEME

T15 éluard Non verremo alla mèta ad uno ad uno Il raggiungimento della «salvezza», intesa in senso laico, insieme e non da soli è ricorrente nella storia della letteratura. tra i tanti esempi, ne scegliamo uno particolarmente sintetico e denso, una nota poesia di Paul Éluard (1895-1952): Non verremo alla mèta ad uno ad uno, ma a due a due. Se ci conosceremo a due a due, noi ci conosceremo tutti, noi ci ameremo tutti e i figli un giorno rideranno della leggenda nera dove un uomo lacrima in solitudine. Commenta questa poesia, ricordando anche qualche altro autore che ha espresso lo stesso concetto. scelti unicamente in base alle loro capacità e se fossero quindi davvero, come vorrebbe l’etimologia, i migliori (àristos), lo Stato aristocratico sarebbe senza dubbio quello preferibile. Così però in genere non è; anzi, è probabile che i migliori vengano addirittura esclusi, in modo che i governanti siano accondiscendenti verso i potenti. Spinoza prende, infine, in considerazio-

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T14 spinoza La mia felicità richiede quella degli altri

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ne lo Stato democratico, ma l’opera si interrompe e resta incompiuta. Nelle ultime pagine, tuttavia, vengono esclusi dalla partecipazione alla vita politica i servi, i bambini e anche le donne ➝ 50 ➝ 51 . Qualunque sia la forma dello Stato, esso non può però comprimere i diritti naturali dei cittadini, e in particolare la libertà di pensiero, centrale nell’analisi di Spinoza. Nel Trattato teologico-politico essa è difesa sia verso i pregiudizi e le imposizioni religiose, sia verso il potere politico. Tale libertà è legata direttamente alla natura razionale dell’uomo e la sua compressione equivarrebbe a negare tale natura, riducendo gli individui allo stato animalesco. Abbiamo già analizzato il Trattato teologico-politico relativamente all’interpretazione della Bibbia, considerata un libro storico, senza nessuna verità scientifica ma da leggere unicamente per le indicazioni morali che propone. Spinoza sottolinea anche come i testi religiosi, interpretati in modo fuorviante e considerati come la parola di Dio, abbiano costituito una fonte di superstizione, soprattutto popolare, e un serio ostacolo al libero pensiero. Alle presunte “verità di fede” derivate da una cattiva lettura della Bibbia, Spinoza contrappone le verità della ragione, espressione della natura umana e della stessa sostanza divina. La ragione implica la libertà di pensiero, che deve essere riconosciuta e difesa anche dallo Stato. «Nessuno – scrive Spinoza – può trasferire a un altro il suo diritto di natura, ossia la sua facoltà di ragionare liberamente e di giudicare ogni cosa, né può esservi costretto» (Trattato teologico-politico, XX, 1, in Opere cit., pp. 724-25). Le libertà di pensiero e di espressione sono talmente importanti che Spinoza definisce «violentissimo quello Stato in cui è negata a tutti la libertà di dire e insegnare ciò che sentono; sarà invece moderato quello in cui questa libertà è concessa ad ognuno» (Ivi, XX, 4, p. 726). Lo Stato democratico è considerato da Spinoza «il più naturale e il più vicino alla libertà che la natura concede a ognuno» (Trattato teologico-politico, XVI, 11, in Opere cit., p. 668). Esso non viene analizzato nel Trattato politico, che si interrompe proprio laddove si inizia a parlarne, ma era stato descritto nel Trattato teologico-politico, nel cap. XVI che ricostruisce il complessivo sviluppo dell’umanità, dallo stato naturale ai diversi sistemi politici. Nella democrazia, pur dovendo sottomettersi al volere della collettività, nessuno è servo o suddito, perché, argomenta Spinoza, è tale «chi è trascinato dal suo desiderio e non può vedere o compiere nulla di ciò che gli è utile; mentre è libero soltanto chi vive, con tutto il suo animo, per la sola guida della ragione» (Trattato teologico-politico, XVI, 10, in Opere cit., p. 667). Nella democrazia si realizza, mediante l’uguaglianza, la massima unità tra tutti i membri del corpo sociale. La finalità politica si ricongiunge con quella etica, dal momento che l’amor Dei intellectualis presuppone e implica la comunione con gli altri uomini. Nell’ultimo libro dell’Etica leggiamo: «Questo amore verso Dio non può essere contaminato né da invidia né da gelosia; ma è tanto più alimentato, quanti più uomini immaginiamo uniti con Dio dallo stesso vincolo di amore» (prop. XX; Etica, Quinta parte, in Opere cit., p. 1067).

GuIda allo sTudIo • Qual è la funzione della politica per Spinoza? Qual è il fine della vita sociale? • Quali sono le libertà fondamentali che lo Stato deve garantire? • Perché la libertà di pensiero è così importante?

Materiali per l’apprendimento attivo 50. COMPETENZE > La filosofia e il presente

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T16 spinoza I diritti delle donne

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Forse qualcuno domanderà: ma le donne sono in potestà degli uomini per natura o per istituzione? Se fosse infatti per sola istituzione, nessuna ragione ci costringerebbe a escluderle dal governo. Ma se consideriamo la stessa esperienza, vedremo che tale esclusione è dettata dalla loro debolezza. In nessun luogo uomini e donne governano insieme. Anzi, dovunque esistano uomini e donne, gli uomini governano e le donne sono governate, e per questa ragione i due sessi vivono in concordia. Le Amazzoni, al contrario ‒ è fama che un tempo regnassero ‒, non permettevano che gli uomini risiedessero sul loro territorio: nutrivano solo le figlie e uccidevano tutti i maschi che partorivano. Certo, se le donne fossero per natura uguali agli uomini, se avessero pari forza nell’animo e nell’ingegno (nel quale ingegno consiste soprattutto la potenza umana, e quindi il diritto), in così tante e diverse nazioni se ne troverebbe almeno qualcuna in cui gli uomini e le donne siano insieme al governo, e qualche altra dove le donne governino sugli uomini, cercando di educarli in modo che risultino inferiori per ingegno. Ma poiché questo non accade in nessun luogo, è senz’altro lecito affermare che le donne non hanno per natura un pari diritto con gli uomini, ma debbono necessariamente ubbidire agli uomini. (B. Spinoza, Trattato politico, XI, 4, in Opere, Mondadori, Milano 2007, pp. 1216-17)

Spinoza concede molto ai pregiudizi dell’epoca relativamente alla condizione femminile, argomentando per di più la propria posizione per dimostrare l’inferiorità della donna. Nelle ultime righe, però, sembra intuire il problema, quando nota che se le donne governassero gli uomini, farebbero in modo da educare gli uomini «in modo che risultino inferiori per ingegno». Dunque, dopo aver sostenuto che le donne sono inferiori per natura, ammette che è l’educazione a rendere inferiori o meno. Si noti inoltre che, contrariamente al proprio modo di procedere, Spinoza basa le argomentazioni su dati empirici, sostenendo in definitiva che le donne sono inferiori agli uomini perché dappertutto sono gli uomini a governare. Prova a controbattere le argomentazioni di Spinoza. 51. aTTiviTÀ >

Webquest

La QuEsTiONE FEMMiNiLE NEL MONDO la nostra Costituzione prevede la completa uguaglianza, nei diritti e nei doveri, tra uomini e donne. Ma non dappertutto è così. • Fai una ricerca in Internet, inserendo la stringa «diritti delle donne nel mondo». • visualizza le immagini e analizza le cartine geografiche che mostrano la condizione della donna nei diversi Paesi. • Documentati sull’attività dell’organismo dell’oNu sulla condizione delle donne (United Nations Commission on the Status of Women, in sigla uNCSW). • Cerca e leggi la «Convenzione delle Nazioni unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne». Al termine delle tue ricerche, esponi le tue considerazioni in un testo scritto. • Seguendo lo stesso itinerario, puoi organizzare con i tuoi compagni una ricerca di gruppo, suddividendovi i compiti, e concludere l’attività con una presentazione in Power Point o simili.

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• Sintesi • Mappa

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Leibniz: razionalismo e ottimismo metafisico

La sostanza individuale e il suo significato il problema principale di Leibniz è la ridefinizione della nozione di sostanza. Contro il dualismo di Cartesio e il panteismo di spinoza, egli afferma l’esistenza della sostanza individuale, la monade. Come per Cartesio e per Spinoza, il problema di fondo di Leibniz è la definizione della sostanza come fondamento della realtà, sia sul piano ontologico, cioè dell’essere, sia su quello gnoseologico, relativo cioè alla conoscenza e alla comprensione razionale del tutto. Le definizioni di Cartesio e di Spinoza avevano fatto della sostanza qualcosa di indifferenziato. Cartesio aveva ridotto tutta la realtà a due sostanze, oltre a Dio, la materia (res extensa) e il pensiero (res cogitans). Spinoza aveva fatto della materia e del pensiero predicati di un’unica sostanza, coincidente con Dio e con la natura, cioè con la totalità del reale. In entrambe queste interpretazioni, l’individuo scompare. Spinoza considera i singoli corpi e le singole menti dei semplici modi dell’estensione e del pensiero, non riconoscendo un fondamento sostanziale alla individualità. In Cartesio l’io diviene centrale come fondamento di ogni conoscenza («penso, dunque sono», da cui deriva tutto il resto), ma si tratta di un io impersonale, che non fa riferimento ai singoli individui, come Cesare o Socrate o alle persone concretamente esistenti. L’intento di Leibniz, al contrario, è quello di riaffermare l’identità individuale, considerando Cesare, Socrate e qualunque altro individuo come sostanze. Ciò significa affermare che ogni singolo individuo ha in se stesso il proprio fondamento ontologico, la propria ragion d’essere e al tempo stesso la possibilità di una comprensione razionale ➝ 52 . Il fondamento ontologico dell’individuo, cioè il considerarlo sostanza, è affrontato da Leibniz già nel suo primo scritto pubblico, a soli 17 anni, nel 1663, la Disputatio metaphysica de principio individui, che gli vale il baccellierato (corrispondente più o meno alla nostra laurea breve) presso l’Università di Lipsia, alla quale si era iscritto due anni prima. Leibniz non parla nei suoi primi scritti di «monade» ➝ 53 . Quello che è uno dei termini più caratteristici della sua filosofia farà la propria comparsa soltanto nel 1695, in una lettera al matematico de l’Hôpital. Tuttavia fin dall’inizio Leibniz affronta il problema della «sostanza individuale», usando questa espressione che equivale concettualmente a quella di «monade». L’affermazione della «sostanza individuale» con le implicazioni che comporta è il punto centrale della filosofia di Leibniz e uno dei più difficili da capire. Corrisponde a ciò che in ambito logico egli definisce il «concetto completo». La prospettiva filosofica di Leibniz si intreccia infatti strettamente con le sue ricerche logiche e matematiche. Conviene partire proprio da esse per capire meglio il problema.

Materiali per l’apprendimento attivo

Leibniz

sull’intelligenza umana di locke. Nel 1710 pubblica i Saggi di teodicea, sulla giustizia divina e l’armonia prestabilita, in cui viene presentata la controversa tesi che il mondo esistente, essendo stato scelto da Dio tra tutti quelli che avrebbe potuto creare, è «il migliore dei mondi possibili». Nel 1714 scrive la celeberrima Monadologia. l’ultimo periodo della vita di leibniz è segnato dalla controversia con Newton sulla priorità nell’invenzione del calcolo infinitesimale. Muore ad Hannover nel 1716.

52. PEr CaPirE MEGLiO

ChE COsa siGNiFiCa aFFErMarE La «sOsTaNZa iNDiviDuaLE» Cartesio parlava di tre sostanze distinte: Dio, la res cogitans e la res extensa, riconducendo alla seconda lo spirito e tutte le manifestazioni del pensiero e alla terza tutte le cose materiali, prive, singolarmente, di una propria sostanzialità. Spinoza aveva ridotto tutto a un’unica sostanza, il Dio-natura, rispetto alla quale tutte le cose esistenti erano modi dei predicati pensiero ed estensione. Scompare in queste filosofie l’individuo (è la critica che Pascal muove a Cartesio), sdoppiato in anima e corpo, per Cartesio, o dissolto nella totalità per Spinoza. una delle preoccupazioni principali di leibniz è proprio quella di recuperare la sostanzialità individuale. Che cosa vuol dire e che conseguenze comporta questo recupero? Significa che ogni singolo individuo, essendo sostanza, ha in sé la ragione della propria esistenza e quindi che può essere studiato razionalmente. la comprensione razionale della realtà non riguarda perciò soltanto la struttura generale del reale, ma ogni singola esistenza. In una lettera ad Antoine Arnauld dell’aprile 1687, leibniz scrive: «Ciò che non è veramente un essere, non è veramente un essere», indicando con i corsivi che l’unità e l’unicità (l’identità) sono il fondamento della sostanza. 53. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

MONaDE Il termine «monade», usato dai pitagorici e poi ripreso da Nicola Cusano e da Giordano Bruno, deriva dal greco monás, monádos, che significa “semplice”, “non scomponibile”; la radice è mónos (“solo”, “unico”). entrambi i significati sono presenti nell’uso che leibniz fa del termine. la monade è semplice e, in quanto tale, isolata, e non ha nessun rapporto con le altre monadi, almeno direttamente. la monade è la sostanza individuale, inestesa e immateriale, di tutti gli esseri dell’universo, fino a Dio, monade suprema, che però non differisce, per la sostanza, dal resto del creato. la monade di leibniz supera il dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa (l’unica sostanza è la monade, che include anche Dio, che per Cartesio è invece una terza sostanza), e riafferma il valore dell’individualità contro la concezione spinoziana, che risolve ogni essere nella sostanza divina. la monade è definita da leibniz «atomo psichico»: «atomo», in quanto indivisibile e costituente elementare della realtà, «psichico» perché dotata di percezione; è detta anche entelechìa (dal greco entelés, “compiuto”, “perfetto” e échein, “possedere”, quindi “ciò che è compiuto”), in quanto autosufficiente, compiuta in sé.

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Nato a lipsia nel 1646, Gottfried Wilhelm leibniz studia diritto e filosofia. Nel 1666 scrive il saggio Dissertatio de arte combinatoria, in cui emerge l’interesse per la logica, fondamentale per

i successivi sviluppi del suo pensiero. tra il 1672 e il 1676 leibniz, che dal 1670 è consigliere dell’elettore di Magonza luigi Filippo, ha la possibilità di soggiornare in vari paesi europei, stringendo legami con i maggiori studiosi dell’epoca. la prima esposizione sistematica del pensiero di leibniz è il Discorso di metafisica, del 1686, che contiene già tutti i temi fondamentali della sua filosofia. tra il 1703 e il 1705 scrive i Nuovi saggi sull’intelletto umano, un’analisi dettagliata del Saggio

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Le ricerche logiche e matematiche Nei suoi primi scritti di logica, Leibniz sviluppa il progetto di individuare tutti i concetti semplici, esprimendoli con numeri primi, in modo che combinandoli si possano ricavare concetti complessi costituiti dalla composizione dei primi. in questo modo, pensava di poter ricondurre i ragionamenti a calcoli, risolvibili in modo univoco come avviene in aritmetica. Leibniz è un intellettuale poliedrico, che si occupa di una pluralità di ambiti del sapere: non solo filosofia, ma anche storia, geologia, teologia fisica, politica, diritto, linguistica, matematica e logica ➝ 54 . Uno dei suoi progetti prevede l’unificazione di tutto il sapere umano mediante la logica, attraverso un’operazione tentata in gioventù e che, pur da lui abbandonata, influenzerà la filosofia successiva. Egli cerca di definire una caratteristica universale (characteristica universalis), cioè un linguaggio formale ➝ 55 in cui ogni concetto sia rappresentato da un numero. I numeri primi avrebbero espresso i concetti semplici. In questo modo, si sarebbero superate le ambiguità e la pluralità dei linguaggi, operando invece mediante un linguaggio formalizzato e universale, come quello della matematica. I concetti complessi sarebbero stati rappresentati da numeri i cui fattori corrispondevano ai concetti semplici che li costituivano. Così, ad esempio, rappresentando il concetto di «animale» con il numero 2 e quello di «razionale» con il numero 3, il concetto complesso di «uomo» sarebbe stato rappresentato dal numero 6, dalla cui analisi (scomposizione in fattori) potevano essere ricavati i concetti semplici ricordati sopra. Mediante la characteristica sarebbe stato possibile formalizzare la conoscenza, in modo da sostituire le discussioni sui problemi filosofici con semplici calcoli, che avrebbero permesso di determinare in modo univoco la verità. Ogni paralogismo, ovvero ogni ragionamento fallace, nota Leibniz, verrà smascherato come un errore di calcolo e «quando sorgeranno delle controversie, non ci sarà maggior bisogno di discussione tra due filosofi di quanto ce ne sia tra due calcolatori. Sarà sufficiente, infatti, che essi prendano la penna in mano, si siedano a tavolino e si dicano reciprocamente (chiamato, se loro piace, un amico): calcoliamo!» (Sulla scienza universale o calcolo filosofico, in Scritti di logica, Zanichelli, Bologna 1968, p. 237). La realizzazione di questo progetto si rivelò ben presto impraticabile, perché avrebbe richiesto l’inventario di tutti i concetti esistenti. Da esso emerge però una concezione della verità che è la chiave di lettura della filosofia di Leibniz. Infatti, se scomponendo un concetto nei suoi fattori ne ricaviamo tutte le caratteristiche, cioè tutto ciò che possiamo dirne, ossia tutti i suoi predicati, allora il concetto contiene in sé tutte le proprie determinazioni, cioè tutti i predicati che possiamo attribuirgli con verità. È la nozione di concetto completo, che verrà approfondita nel prossimo paragrafo.

GuIda allo sTudIo • Che cos’è per Leibniz la sostanza? Quali critiche rivolge a Cartesio e a Spinoza? • Che conseguenze ha l’affermazione della sostanza individuale? • Che cos’è la caratteristica universale? In che cosa consiste il progetto dei primi scritti di Leibniz?

Materiali per l’apprendimento attivo 54. aPPrOFONDiMENTi > Intersezioni

55. per Capire MeGLio

Che Cos’È un LinGuaGGio ForMaLe? Il linguaggio formale si distingue da quello naturale, cioè la lingua che parliamo. In questo caso abbiamo una pluralità di lingue e all’interno di ognuna molti termini hanno più significati o diverse sfumature di significato che richiedono un’interpretazione per essere compresi. Se dico ad esempio «luigi gioca con le carte» posso descrivere una partita a briscola tra luigi e altri giocatori, oppure luigi che fa un solitario con le carte, o ancora luigi che gioca a fare un collage, o addirittura posso immaginare luigi come un amministratore delegato di una società che fa operazioni poco corrette con i documenti contabili. un linguaggio formale è composto da simboli univoci, la cui combinazione è disciplinata da regole sintattiche rigide. l’esempio per eccellenza è il linguaggio matematico, comprensibile ovunque senza possibilità di equivoci. Anche i linguaggi di programmazione sono linguaggi formali. Il tentativo di leibniz consiste nel formalizzare il linguaggio dei ragionamenti, riconducendolo allo stesso rigore di quello matematico, anzi, nelle sue prime esperienze, traducendolo in linguaggio matematico. la formalizzazione del linguaggio procederà, anche grazie a leibniz, nell’ambito della logica formale, che, iniziata già con Aristotele, nel Seicento conosce importanti sviluppi.

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iL CaLCOLO iNFiNiTEsiMaLE In ambito matematico, leibniz è considerato il padre del calcolo infinitesimale, anche se perviene alla sua formulazione contemporaneamente a newton e tra i due sorge una lunga disputa sulla priorità della sco▲ Macchina calcolatrice di Leibniz. perta. leibniz e Newton giungono alla definizione del calcolo infinitesimale in modo indipendente e la disputa sulla priorità non è inizialmente alimentata da loro ma da studiosi vicini all’uno o all’altro. In particolare, la controversia esplode nel 1710, quando il matematico scozzese John Keill (1671-1721) pubblica un articolo in cui accusa apertamente leibniz di plagio nei confronti di Newton. Prima di allora c’era stato qualche scambio di lettere tra leibniz e Newton, in cui si sollevava molto velatamente la questione ma si riaffermava la profonda stima reciproca. All’articolo di Keill, però, leibniz risponde con sdegno, pretendendone le scuse. Nel frattempo Newton è diventato presidente della royal society ed è proprio questo organismo a dirimere la questione, nominando una commissione con il compito di dare una risposta definitiva. Il rapporto, pubblicato nel 1712, riconosce la priorità di newton, ma è falsato dal fatto che egli stesso ne è il principale estensore. oggi gli studiosi propendono a riconoscere a entrambi la paternità del calcolo infinitesimale, anche in considerazione del fatto che vi pervennero per strade diverse e in relazione a problemi di diverso tipo, prevalentemente geometrici leibniz (la misurazione della superficie delimitata da curve di equazioni nel piano cartesiano), prevalentemente fisici Newton (la misurazione di velocità e accelerazioni). D’altra parte in leibniz (e anche in Newton) il calcolo infinitesimale si lega strettamente al nuovo modo di considerare l’infinito, introdotto nella fisica da Newton con la nuova concezione dell’universo e da leibniz in ambito metafisico con la nuova concezione della sostanza. In entrambi i casi i nuovi procedimenti matematici sono talmente correlati con l’insieme della teoria da far propendere decisamente per ricerche e scoperte autonome, senza nessun plagio. Inoltre, il nuovo modo di intendere l’infinito era andato già delineandosi a partire da Cusano e da Bruno e faceva quindi parte dell’orizzonte dell’età moderna: non più l’infinito come irrazionalità, proprio di gran parte della tradizione greca e scolastica, ma un infinito conciliabile con la razionalità tanto da poter essere “calcolato”, cioè trattato in modo matematico.

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La logica e la monade: il «concetto completo» e la sostanza individuale

mappa

Dagli studi di logica, Leibniz trae la convinzione che la verità è sempre deduttiva, in quanto il soggetto contiene già in sé tutti i propri predicati. Come ulteriore conseguenza, il concetto tra i propri predicati include gli accadimenti e le azioni. Leibniz parla a tale proposito di «concetto completo», che costituisce il lato logico di ciò che sarà la monade in ambito ontologico. Leibniz muove dal principio logico secondo cui praedicatum inest subiecto (“il predicato è incluso nel soggetto”) e quindi il concetto completo di un individuo è quello che comprende tutti i predicati che riguardano quell’individuo. Ogni affermazione che possiamo fare di Pietro, ad esempio che è un discepolo di Cristo o che è stato il primo papa, deve in un certo qual modo far parte di Pietro, se le affermazioni «Pietro è discepolo di Cristo» o «Pietro è stato il primo papa» sono vere. Il concetto completo include tutti i predicati del soggetto, che comprendono non soltanto le sue qualità ma anche tutti gli accadimenti che lo riguardano. I giudizi veri sono quelli che attribuiscono a un soggetto un predicato che ad esso inerisce, falsi quelli che gli attribuiscono un predicato che gli è estraneo. Questo principio appare condivisibile senza difficoltà in relazione a quelle che Leibniz definisce «verità di ragione», cioè quelle che sono tali necessariamente, ad esempio quelle della logica e della matematica. Che la somma degli angoli interni di un triangolo sia uguale a un angolo piatto o che, in un cerchio, la distanza di ogni punto della circonferenza dal centro sia la stessa sono verità di ragione il cui contrario sarebbe contraddittorio ed esse sono dunque necessariamente vere. Constatiamo in quest’ultimo esempio che il concetto di cerchio comprende l’equidistanza dei punti della circonferenza o il rapporto tra la misura della circonferenza e quella del raggio ➝ 56 . Queste verità sono a priori, non hanno bisogno dell’esperienza per essere conosciute. Il principio dell’inerenza del predicato nel soggetto vale, per Leibniz, anche per le verità di fatto, come ad esempio «Pietro rinnega Cristo» o «Cesare passa il Rubicone». Queste verità sono definite «di fatto» perché si presume che non possano essere ricavate mediante il ragionamento a partire dal soggetto, ma soltanto accertate storicamente come fatti, come avvenimenti. Come tali, nel pensiero comune, sono contingenti, a differenza delle altre che sono invece necessarie. Per Leibniz, invece, il concetto completo di Pietro comprende anche il tradimento di Cristo e quello di Cesare il passaggio del Rubicone. La differenza tra verità di ragione e verità di fatto è che, nel primo caso, possiamo derivare il predicato dal soggetto mediante un numero finito di passi (come avviene, ad esempio, nelle dimostrazioni matematiche), mentre nel secondo sarebbe necessario un processo infinito. Per l’uomo, quindi, la differenza rimane, ma Dio può cogliere nel concetto di Cesare ogni verità, compreso l’attraversamento del Rubicone. La conseguenza più interessante di questa posizione è che al concetto completo corrisponde l’essere completo, al piano logico quello ontologico: «Stando così la cosa, possiamo dire che la natura di una sostanza individuale o di un essere completo, è di avere una nozione così completa, da essere sufficiente a comprendere e a farne dedurre tutti i predicati dal soggetto al quale la nozione è attribuita» (Discorso di metafisica, viii, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, p. 71) ➝ 57 .

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56. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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vEriTÀ Di raGiONE E vEriTÀ Di FaTTO le verità di ragione sono quelle razionali in sé e tali che non possono non essere come sono. In altri termini sono necessarie e, nel linguaggio di leibniz, vere in tutti i mondi possibili. Non possiamo immaginare un mondo in cui gli angoli interni di un triangolo non siano uguali a un angolo piatto o in cui A non sia uguale a se stesso. Sono conoscibili con procedimento deduttivo, in un numero finito di passaggi. Ciò equivale a dire che possono essere dimostrate. le verità di fatto sono quelle contingenti, che potrebbero essere diversamente da come sono o non essere affatto e che non possono essere dimostrate deduttivamente ma soltanto accertate come «fatti», appunto. Che Platone abbia la barba è una verità di fatto, accertabile con l’esperienza. Queste sono le definizioni dei due tipi di verità. tuttavia, per leibniz le cose non stanno così, perché il concetto completo di qualsiasi essere include tutti i suoi predicati, compresi quelli contingenti o «verità di fatto». Fa parte del concetto di Cesare che attraversi il rubicone e di quello di Platone di avere la barba. tuttavia, essendo queste verità contingenti, possiamo immaginare altri mondi in cui Cesare non passi il rubicone e Platone non abbia la barba. Sarebbero però altri individui, nel cui concetto completo sarebbero comprese queste caratteristiche. Anche le verità di fatto, quindi, possono essere ricavate dal concetto completo e dimostrate, però con un procedimento all’infinito proprio solo di Dio e precluso all’uomo, il quale può conoscerle soltanto mediante l’esperienza o la testimonianza storica. 57. La ParOLa ai TEsTi

T17 Leibniz La sostanza individuale comprende tutti i propri predicati Il predicato è sempre compreso nel soggetto e il giudizio non fa che esplicitare questa inerenza. La conoscenza è sempre analitica (deriva dall’analisi del concetto) e a priori (anteriore a ogni esperienza). Per «predicato» Leibniz intende non soltanto le qualità, ma tutto ciò che si riferisce al soggetto, per cui, se potessimo intendere compiutamente il concetto di «Alessandro Magno», vi ritroveremmo i segni di tutto ciò che ha fatto e che farà.

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È ben vero che, quando parecchi predicati si attribuiscono al medesimo soggetto, se questo soggetto non si attribuisce più ad alcun altro, lo si chiama sostanza individuale. […] Bisogna, quindi, che il termine del soggetto racchiuda sempre quello del predicato, in modo tale che colui che comprendesse perfettamente la nozione del soggetto dovrebbe anche giudicare che il predicato gli appartiene. Stando così la cosa, possiamo dire che la natura di una sostanza individuale o di un essere completo, è di avere una nozione così completa, da essere sufficiente a comprendere e a farne dedurre tutti i predicati dal soggetto al quale la nozione è attribuita. […] Dio, mentre vede la nozione individuale o ecceità di Alessandro, vi vede al tempo stesso il fondamento e la ragione di tutti i predicati che ad essa si possono con verità attribuire, come, per esempio, che egli vincerà Dario e Poro, fino a riconoscervi a priori (e non per esperienza) se egli sia morto di morte naturale o di veleno, cose che noi non possiamo sapere se non dalla storia. Così, quando si considera bene la connessione delle cose, si può dire che, in ogni momento, si trovano nell’anima di Alessandro Magno le tracce di tutto ciò che gli è accaduto ed i segni di tutto ciò che gli accadrà, nonché le tracce di tutto ciò che accade nell’universo, sebbene appartenga solo a Dio il riconoscerle tutte. (G.W. Leibniz, Discorso di metafisica, viii, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, pp. 70-71)

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anche le verità di fatto, pur non essendo necessarie, hanno una propria spiegazione razionale individuata da Leibniz nel principio di ragion sufficiente. Quindi, nella sostanza individuale «Cesare» sono compresi, da sempre, tutti gli accadimenti che la riguarderanno, dalla conquista della Gallia al passaggio del Rubicone, dalla vittoria su Pompeo alla morte mediante ventitré pugnalate. Leibniz giustifica questa posizione a partire dal concetto (come definito da Cartesio) di sostanza, intesa come ciò che sussiste di per sé, senza aver bisogno d’altro, eccetto Dio, per esistere e per essere compresa. Se Cesare non contenesse in sé tutti i propri predicati, dipenderebbe da soggetti o eventi esterni che lo determinerebbero e quindi non potrebbe essere considerato una sostanza. Concludendo, il concetto di Cesare è «completo» in quanto ad esso ineriscono tutti i predicati che è possibile attribuirgli e l’individuo Cesare è una sostanza in quanto comprende in sé tutto ciò che lo riguarda, dalle qualità che lo caratterizzano agli eventi che lo interessano lungo tutto l’arco della propria esistenza. È un primo passo verso la nozione di «monade», come verrà definita da Leibniz la sostanza individuale. Pur essendo contingenti, anche le verità di fatto hanno una loro ragion d’essere. Mentre le verità di ragione sono basate sul principio di identità e non possono essere diversamente da come sono, le verità di fatto sono spiegate dal principio di ragion sufficiente, secondo il quale di ciascuna cosa singola esiste una ragione perché accada, o perché sia in un certo modo piuttosto che altrimenti. Nell’universo ipotizzato da Leibniz ogni essere e ogni accadimento è razionale, nulla avviene per caso e senza spiegazione.

La fisica e la monade: la forza viva in ambito fisico, Leibniz sostiene che la sostanza deve essere immateriale, perché altrimenti risulterebbe, in quanto estesa, divisibile all’infinito. La sostanza elementare è energia e l’apparenza materiale dei corpi è solo fenomeno. La critica che Leibniz rivolge a Cartesio riguarda, oltre alla nozione di sostanza, anche la fisica. Dalla rigida separazione tra materia e pensiero, entrambi considerati come sostanze autonome, Cartesio aveva derivato un rigido meccanicismo relativamente alla res extensa, cioè alla natura, meccanicismo che Leibniz non accetta. Egli afferma al contrario una concezione della natura come vivente e come teleologicamente orientata, cioè mossa da cause finali più che da cause efficienti, meccaniche. Questo cambiamento di prospettiva passa attraverso una ridefinizione del concetto di moto e, più nello specifico, del concetto di inerzia, uno dei fondamenti della fisica cartesiana. Quello che Leibniz definisce «il memorabile errore di Cartesio» consiste nell’identificare la forza con il moto. Cartesio sosteneva la conservazione della quantità di moto (dato dal prodotto della massa per la velocità), mentre ciò che si conserva è in realtà la forza viva, data dalla massa per il quadrato della velocità. Le conseguenze sono importanti. Nell’ipotesi di Cartesio, ad esempio, un corpo fermo non ha energia, mentre secondo Leibniz esso possiede comunque una forza, come è dimostrato dalla sua resistenza al movimento, che aumenta con l’aumentare della massa. Quindi anche corpi privi di moto, cioè apparentemente inerti, hanno energia. Anzi, per Leibniz, rovesciando le tesi di Cartesio, è dubbio che i corpi abbiano estensione, che implicherebbe la loro divisibilità all’infinito (ciò che è esteso può essere per definizione diviso), mentre sicuramente hanno energia, tanto che le realtà elementari possono essere definite atomi di energia. Leibniz accentuerà sempre più questo aspetto, tanto da identificare le realtà semplici (le monadi) con le sostanze spirituali ➝ 58 . Questa concezione viene approfondita in un breve trattato del 1695, intitolato Nuovo sistema della natura, della comunicazione delle sostanze e dell’unione esistente tra l’anima e il corpo. In esso

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58. COMPETENZE > argomentazione

La MaTEria È uN FENOMENO, NON uNa sOsTaNZa leibniz afferma l’immaterialità delle sostanze individuali e quindi l’inesistenza della materia come sostanza. ripercorriamo la sua argomentazione: la materia, in quanto res extensa, è divisibile AllorA dovremmo ammettere una divisibilità all’infinito MA tale divisibilità è improponibile, poiché devono esistere componenti elementari INoltre la materia non è inerte ma possiede energia QuINDI gli atomi elementari hanno energia e non hanno estensione PerCIò non possono essere considerati materiali, nel senso cartesiano del termine, ma devono essere considerati come atomi psichici Ne DerIvA che ciò che ci appare come materia non è una sostanza, ma un fenomeno.

▶ Gottfried Wilhelm von Leibniz, La monadologia e altri scritti filosofici.

Leibniz traccia la propria visione della natura, accennando ormai esplicitamente alle sostanze spirituali che la costituiscono. L’universo di Leibniz si caratterizza come fortemente orientato in senso teleologico, dominato dalla figura di Dio come punto di riferimento e fine fondamentale, e animato da un’infinità di sostanze spirituali. Tra esse, quelle autocoscienti, gli spiriti, hanno una posizione privilegiata e sfuggono al meccanicismo, che può invece essere impiegato per spiegare i fenomeni relativi alle monadi semplici.

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Guida alla lettura. Sia per le verità di ragione sia per le verità di fatto il soggetto contiene tutte le proprie determinazioni. Per le seconde dobbiamo far ricorso a una conoscenza diretta soltanto per i limiti delle possibilità umane, ma in linea di principio la conoscenza è sempre analitica. Da qualsiasi concetto potremmo ricavare tutte le determinazioni che a esso ineriscono e che contiene in sé. ogni soggetto, dunque, contiene in sé tutti i propri predicati, cioè, sul piano ontologico, ogni sostanza deve contenere tutte le proprie determinazioni, il proprio passato e il proprio futuro. Come sul piano logico ogni termine viene analizzato esplicitandone i predicati che implicitamente gli ineriscono, sul piano dell’essere ogni sostanza sviluppa le proprie determinazioni, già presenti in essa fin dall’inizio, e mediante i diversi accadimenti non fa altro che estrinsecare se stessa. la sostanza individuale, scrive leibniz, è un «concetto completo», ha in sé già tutto ciò che diverrà e che farà, e nulla può aggiungersi dall’esterno o in modo fortuito.

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Materia, tempo e spazio Le monadi sono inestese e quindi immateriali. Materia, tempo e spazio sono fenomeni, non sostanze. Nella prospettiva di Leibniz, le monadi sono sostanze spirituali, «atomi psichici» ➝ 59 . Restano allora da spiegare i fenomeni del mondo fisico: la materia, lo spazio e il tempo. Le monadi sono attività nella misura in cui hanno appercezioni e passività nella misura in cui hanno solo percezioni. Quando le percezioni sono dominanti e le appercezioni assenti, si ha l’impressione della materialità anche se, non essendo le monadi estese, non si può parlare di materia in senso proprio. La materia, afferma Leibniz, è un fenomeno ben fondato, ma rimane comunque un fenomeno, cioè qualcosa che è percepito come materia ma non lo è come sostanza. Quelli che appaiono come corpi fisici sono aggregati di monadi. Se le monadi sono tutte dello stesso livello e se in esse domina la dimensione inconscia della percezione, allora possiamo parlare di corpi inorganici, come le pietre. Se invece gli aggregati sono organizzati sotto una monade dominante in cui sono presenti o prevalgono appercezioni, cioè la coscienza, possiamo parlare di organismi, a vari livelli a seconda del grado di coscienza, di appercezione, della monade dominante, dagli animali all’uomo ➝ 60. Come la materia, anche lo spazio e il tempo sono fenomeni e non realtà sostanziali: lo spazio è «un ordine di coesistenze», il tempo è «un ordine di successioni», si legge in una lettera a Samuel Clarke (1675-1729) del 1716 (in Scritti filosofici cit., vol. 1, p. 312). Contrapponendosi al tempo e allo spazio assoluti di Newton, Leibniz ne afferma la relatività, come rapporto tra le monadi ➝ 61 .

La biologia e la monade: la vita è ovunque Le recenti scoperte in ambito biologico rafforzano la convinzione leibniziana di un universo popolato di sostanze individuali, viventi, composte di energia e dotate di percezione (atomi psichici). Questa visione spirituale della natura, anche negli aspetti apparentemente materiali e inerti, è rafforzata in Leibniz dagli sviluppi della biologia in seguito alle osservazioni al microscopio, strumento inventato dall’olandese Anthony van Leeuwenhoeck che nel 1676 osservò esseri viventi invisibili a occhio nudo, i batteri, da lui definiti animalcula (“piccoli animali”). Le osservazioni al microscopio consolidarono la teoria, fatta propria da Leibniz, della preformazione, secondo la quale l’uovo e il seme hanno già tutte le caratteristiche dell’individuo che si manifesteranno progressivamente secondo lo sviluppo. Questa concezione caratterizzerà fortemente la natura delle monadi, così come verrà precisata da Leibniz, in particolare nella Monadologia.

Le monadi come sostanze individuali viventi La monade è inestesa e quindi immateriale, semplice, non può nascere né perire se non per l’intervento diretto di Dio. La monade è un «atomo psichico», un’unità vitale, capace di percezioni (inconsce) e di appercezione (la coscienza), propria delle monadi superiori. Tutte queste diverse prospettive di ricerca trovano una sintesi nella Monadologia, una breve opera scritta nel 1714 ma pubblicata solo nel 1720, postuma, in cui vengono ripresi e compiutamente definiti concetti in parte presenti già nel Discorso di metafisica.

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59. La ParOLa ai TEsTi

Ammettere l’esistenza di una dimensione psichica in ciò che ci appare come materia non cambia i fenomeni, che dunque possono essere studiati dal punto di vista fisico. D’altra parte, nota Leibniz, sarebbe errato concepire i corpi solo come estensione e movimento, perché queste qualità potrebbero essere soggettive come i colori o i sapori. È dunque necessario ammettere qualcosa di diverso dalla materia, che dia ai corpi la loro ragion d’essere.

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Ma per riprendere il filo delle nostre considerazioni, credo che colui il quale mediterà sulla natura della sostanza, che ho spiegata poco sopra, troverà che la natura dei corpi non consiste tutta e soltanto nell’estensione, cioè nella grandezza, nella figura e nel movimento e che bisogna necessariamente riconoscervi qualcosa che abbia rapporto con le anime e che comunemente si chiama forma sostanziale, sebbene non cambi nulla nei fenomeni, come accade per l’anima delle bestie, ammesso che l’abbiano. Si può anche dimostrare che la nozione della grandezza, della figura, del movimento, non è poi così distinta come s’immagina e che racchiude qualcosa di immaginario e di relativo alle nostre percezioni, come accade (sebbene in grado maggiore) per il colore, il calore e altre qualità simili, delle quali si può dubitare se si trovino realmente nella natura delle cose fuori di noi. Ed è perciò che qualità di questo genere non possono costituire alcuna sostanza. E se nei corpi non vi fosse altro principio di identità di quello che abbiamo detto, un corpo non potrebbe sussistere più di un istante. (G.W. Leibniz, Discorso di metafisica, xii, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, p. 75)

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60. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

PErCEZiONE, aPPErCEZiONE, aPPETiZiONE tutte le monadi sono viventi e tutte percepiscono le altre monadi, anche se in modo indiretto. esse hanno cioè dentro di sé la percezione di tutto ciò che accade nell’universo, anche se in modo confuso e inconscio. Conoscono invece consapevolmente alcune cose. le «percezioni» indicano la conoscenza inconscia, mentre quella consapevole costituisce le «appercezioni», che riguardano la coscienza o l’autocoscienza. Il rapporto tra questi due stati interiori definisce la posizione gerarchica delle monadi. Al livello più basso troviamo le monadi che non hanno appercezioni ma soltanto percezioni e costituiscono ciò che appare come materia, corpo. Poi abbiamo le anime, che hanno alcune appercezioni, come gli animali; poi gli spiriti, nell’uomo, con appercezioni sempre più estese e l’autocoscienza; infine, al vertice, la monade suprema, Dio, che è soltanto appercezioni senza nessuna percezione, cioè senza nessuna conoscenza inconscia. Durante la propria esistenza, le monadi sono spinte a passare da percezioni ad appercezioni, in diversa misura a seconda del proprio livello gerarchico. l’appetizione è la spinta che muove questo processo e che è particolarmente forte nell’uomo. Audiomappa

61. COMPETENZE > Mappa concettuale

La FisiCa Di LEiBNiZ leggi e commenta la mappa concettuale. inestese

LE SOSTANZE sono INDIVIDUALI immateriali

quindi

quindi

non esiste uno spazio oggettivo

infatti

infatti la materia è fenomeno

lo spazio è l’ordine delle monadi

i corpi sono aggregati di monadi

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T18 Leibniz I corpi non sono solo estensione

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La monade è definita come «sostanza semplice» e ne vengono esplicitate le caratteristiche ➝ 62 ➝ 63 . Le monadi non sono estese, quindi non possono dissolversi, anzi, essendo immateriali, «non possono cominciare né finire, cioè, possono iniziare solo per creazione e finire per annientamento» ad opera di Dio (Monadologia, 6, I, in Scritti filosofici cit., vol. 1, p. 283). Esse corrispondono sul piano ontologico al «concetto completo». Per questo, ed è la loro caratteristica principale per comprendere il sistema di Leibniz, non dipendono l’una dall’altra, non dipendono da nulla di esterno ma ognuna ha in sé tutti gli elementi che ne determinano la natura e lo sviluppo. «Le monadi – scrive Leibniz con una espressione diventata celebre – non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare o uscire» (Monadologia, 7, in Scritti filosofici cit., vol. 1, p. 283). Il filosofo continua spiegando che: «Gli accidenti non possono staccarsi dalle sostanze, né passeggiare fuori di esse» (Ibidem). Quindi le monadi sono sostanze individuali che hanno in sé anche tutti i loro accidenti, così come il soggetto deve avere in sé tutti i propri predicati. In concreto, ciò significa che ogni essere, ad esempio Alessandro Magno, ha già in sé tutto ciò che gli accadrà nell’arco dell’intera esistenza. Tuttavia, ciò che Alessandro è dipende da tutta la storia del mondo macedone e greco, ciò che farà avrà conseguenze, più o meno evidenti, su tutta la storia futura e in qualche modo Alessandro, nel suo essere, nel suo agire e negli eventi che lo riguardano, è connesso con l’intera storia dell’umanità e con l’intero universo. Ciò che vale per Alessandro, però, vale, a livelli diversi, per ogni singolo individuo: anche il più anonimo degli esseri umani dipende per quello che è dalla storia precedente dell’umanità e influenza, anche se in modo infinitesimale (ma le quantità infinitesimali erano ben conosciute da Leibniz!) tutta la storia futura. Lo stesso vale, sebbene sia più complicato da comprendere, per ogni singola monade, anche non umana. Ogni monade è comunque vivente e ognuna, scrive Leibniz, è uno specchio che riflette l’intero universo. Se così non fosse, non si potrebbero spiegare i legami che essa ha con tutte le altre monadi, pur essendo priva di finestre. Vedremo più avanti come ciò è possibile, secondo Leibniz, e quale visione della realtà ne risulta. La questione si può riassumere in due proposizioni apparentemente inconciliabili, ma entrambe vere: 1. ogni monade è in connessione con tutte le altre, è influenzata da tutte le altre e al tempo stesso le influenza, in misura più o meno significativa; 2. nessuna monade agisce in modo diretto su altre monadi, né subisce l’azione diretta di altre monadi. Ognuna è chiusa in se stessa, non ha finestre ➝ 64.

GuIda allo sTudIo • In che senso la sostanza contiene tutte le

• Perché materia, spazio e tempo sono

proprie determinazioni? • Qual è la differenza tra verità di ragione e verità di fatto? • Quali aspetti della fisica concorrono alla definizione della sostanza individuale? e quali aspetti della biologia? Quali caratteristiche della sostanza ne risultano?

fenomeni? • Quali sono le caratteristiche principali della monade? In che senso «non ha finestre»? • Che rapporto c’è tra «percezione» e «appercezione»? Quali dinamiche della monade sono spiegate da questo rapporto? • In che senso Leibniz parla di una gerarchia delle monadi?

Materiali per l’apprendimento attivo

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62. La ParOLa ai TEsTi

La monade è immateriale, inestesa, semplice e come tale non può né nascere né morire se non per l’intervento diretto di Dio.

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1. La monade, della quale parleremo, non è altro che una sostanza semplice, che entra nei composti; semplice, cioè, senza parti. 2. E debbono esservi sostanze semplici, perché ve ne sono di composte; il composto non essendo altro che un ammasso o aggregatum di semplici. 3. Ora, laddove non ci sono parti, non c’è né estensione, né figura, né divisibilità possibili. Queste monadi sono i veri atomi della natura e, in una parola, gli elementi delle cose. 4. Non è da temere alcuna dissoluzione e non è concepibile alcun modo per il quale una sostanza semplice possa naturalmente estinguersi. 5. Per la stessa ragione non c’è alcun modo per il quale una sostanza semplice possa avere un’origine naturale, perché essa non può formarsi per composizione. 6. Così si può affermare che le monadi non possono cominciare né finire, cioè, che possono cominciare solo per creazione e finire per annientamento: mentre ciò che è composto, comincia o finisce per parti. (G.W. Leibniz, Monadologia, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, p. 283)

63. aTTiviTÀ >

rielaborazione

spiega le diverse caratteristiche della monade, ricostruendo le argomentazioni di Leibniz in T19. 64. PEr CaPirE MEGLiO

La MONaDE sPECChiO DELL’uNivErsO? la concezione secondo cui ogni monade è uno specchio dell’intero universo non è di immediata comprensione. l’esempio di Alessandro Magno può renderla plausibile perché siamo consapevoli che tutta la storia successiva sarebbe stata diversa se egli avesse operato diversamente. Possiamo accettare anche che ciò sia valido per ogni singolo uomo, anche il più anonimo, perché in ogni caso la sua personalità dipende da altri e, in modo sempre più impercettibile via via che aumenta la distanza temporale, dall’intera storia dell’umanità; le sue azioni modificano gli altri con una reazione a catena che si affievolisce con il passare del tempo senza però scomparire del tutto. Ma la visione di Leibniz va oltre questi esempi, comprendendo non soltanto tutti gli uomini, ma anche ogni singolo animale, ogni pianta, ogni monade che fa parte anche degli aggregati inorganici, come le pietre, i metalli e così via. a questo livello la comprensione risulta meno immediata. È necessario guardare a esigenze logiche, fondamentali nella filosofia di leibniz. Questa teoria concilia prima di tutto l’isolamento delle monadi con la loro stretta connessione stabilita da Dio al momento della creazione. Si tratta di una connessione interna a ogni monade, che presuppone dunque la rappresentazione, in ognuna, di tutte le altre. Soltanto ammettendo questo presupposto, infatti, ci si può rendere conto dell’interazione tra le monadi, altrimenti impossibile. Inoltre, tale tesi risponde anche a un’esigenza teologica: l’infinità degli universi, moltiplicati dalle sostanze individuali, accresce la gloria di Dio. Infine, leibniz può così giustificare un universo vitalistico, dove la materia è solo l’apparenza, la manifestazione fenomenica di esseri in cui prevale la dimensione inconscia, o esiste essa soltanto, ma che sono comunque viventi e rispecchiano anch’essi l’universo e Dio. Si tratta di una visione vitalistica e spirituale della realtà, che consente a leibniz di evitare il dualismo cartesiano eliminando la materia come sostanza.

3 l e IB N Iz: rA z IoN A l IS Mo e ot t IMIS Mo M e tA F IS I Co

T19 Leibniz La monade

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I rapporti tra le monadi e l’armonia prestabilita

mappa

Le monadi non hanno finestre, perciò non possono agire l’una sull’altra; sono però connesse, tanto che ognuna rispecchia in sé tutto l’universo, e il cambiamento anche di un solo evento nella vita di una monade produrrebbe cambiamenti in tutte le altre. dio, sin dalla creazione del mondo, regola le monadi in modo che alla rappresentazione dell’azione di ognuna corrisponda la rappresentazione dell’azione subita da parte delle altre: questa è l’armonia prestabilita. La soluzione della contraddizione apparente tra la connessione tra le monadi e il loro isolamento è la teoria dell’armonia prestabilita ➝ 65 , mutuata dalla nozione di «concetto completo» che abbiamo discusso in precedenza: così come ogni concetto contiene in sé tutti i propri predicati, ogni singola monade contiene in sé tutte le proprie qualità e tutti gli accadimenti passati, presenti e futuri, cioè, più o meno direttamente, l’intero universo. «Ogni sostanza individuale esprime, alla sua maniera, tutto l’universo e nella sua nozione sono compresi tutti i suoi eventi, con tutte le loro circostanze e tutta la serie delle cose esterne», scrive Leibniz, e aggiunge: «ogni sostanza è come un mondo intero e come uno specchio di Dio o di tutto l’universo che essa esprime a suo modo, press’a poco come una medesima città è rappresentata diversamente a seconda delle differenti posizioni in cui si trova colui che la guarda» (Discorso di metafisica, ix, in Scritti filosofici cit., vol. 1, p. 72). Ogni monade è specchio dell’universo, ha in sé tutte le proprie determinazioni, ma non ne è cosciente. Tutte le conoscenze possibili sono innate, nulla proviene dall’esterno, ma siamo consapevoli solo di una parte limitata della nostra interiorità, mentre la gran parte è inconscia. Sviluppandosi, la sostanza individuale diventa consapevole via via di una parte sempre maggiore del proprio inconscio, e questo corrisponde ad acquisire nuove conoscenze, che non derivano però dall’esperienza o dai sensi, ma consistono nello scoprire progressivamente la propria interiorità e nel diventare sempre più coscienti dei propri contenuti inconsci. Come abbiamo visto, Leibniz chiama «percezione» l’esistenza di contenuti interni, ma inconsci, «appercezione» la coscienza di tali contenuti e «appetizione» l’impulso che spinge a passare dalla percezione all’appercezione. In questo modo, possiamo comprendere come ogni monade cambi continuamente, pur essendo isolata da tutte le altre: prende man mano coscienza dei propri contenuti inconsci, che passano dalla percezione alla appercezione. Possiamo dire che conosce e scopre il mondo dentro di sé. A seconda del grado di coscienza in relazione ai contenuti inconsci, la monade è più o meno attiva dal punto di vista psichico, e si può tracciare una vera e propria gerarchia tra le monadi, da quelle in cui esistono solo percezioni (inconsce) e che appaiono come materia, a quelle organizzate come organismi vegetali e poi animali, sempre più evoluti, fino all’uomo, dove l’appercezione è molto ampia, variando comunque da individuo a individuo. Anche se tale passaggio è graduale e rappresenta un continuum, possiamo comunque distinguere tipologie generali di monadi: le monadi semplici, con un grado di appercezione inesistente o minimo; le anime, che hanno appercezioni accompagnate da memoria (corrispondenti agli animali); gli spiriti ➝ 66, cioè le monadi razionali (gli uomini e le nature superiori). ◀ Monumento a Gottfried Wilhelm Leibniz, dettaglio (Lipsia, Leibniz ScienceCampus).

Materiali per l’apprendimento attivo 65. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

66. La ParOLa ai TEsTi

T20 Leibniz I «piccoli Iddii» La visione dell’universo che emerge dalla filosofia di Leibniz è indubbiamente suggestiva. Egli recupera in chiave moderna il vitalismo rinascimentale, ma è quanto di più lontano si possa immaginare dal panteismo: l’universo è ordinato in modo gerarchico, con al vertice Dio e gli uomini in posizione privilegiata, come «piccoli Iddii».

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Però io giudicavo che non si dovessero confondere indifferentemente con le altre forme od anime, né gli spiriti né le anime dotate di ragione, che appartengono ad un ordine superiore, e godono di una perfezione incomparabilmente superiore a quelle che sono immerse nella materia e che, a mio avviso, si trovano ovunque e rispetto alle quali quelle sono come piccoli Iddii, aventi in sé qualche raggio della luce della Divinità. Ed è perciò che Dio governa gli Spiriti come un Principe governa i suoi sudditi o come un padre che abbia cura dei suoi figli, mentre delle altre sostanze dispone come un ingegnere maneggia le sue macchine. Così gli spiriti hanno leggi particolari, che li pongono al di sopra delle rivoluzioni della materia, grazie all’ordine voluto da Dio stesso, e si può dire che tutto il resto del creato è fatto per loro, poiché le rivoluzioni stesse sono predisposte alla felicità dei buoni ed al castigo dei malvagi. (G.W. Leibniz, Nuovo sistema della natura, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, pp. 192-93)

Guida alla lettura. Nonostante l’uniformità della natura, tutta ricondotta a un’unica sostanza, leibniz stabilisce tra le monadi una gerarchia che le differenzia in modo sensibile. In particolare, gli spiriti, cioè le monadi razionali (gli uomini), si differenziano nettamente dalle altre, in virtù del prevalere della coscienza (le appercezioni), che ne fa dei «piccoli Iddii», rendendoli simili a Dio più delle altre monadi. In questo modo si recupera anche la possibilità di una spiegazione meccanicistica dell’universo per le monadi inferiori e invece di una spiegazione spirituale, morale, per quelle superiori. Nonostante il superamento del dualismo cartesiano a livello ontologico (cioè di sostanze diverse), esso viene riproposto in ambito morale.

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arMONia PrEsTaBiLiTa le monadi sono sostanze semplici, ognuna delle quali è isolata dalle altre. ogni monade, però, riflette come in uno specchio tutte le altre monadi, che quindi entrano nell’ambito delle sue percezioni. Il problema del rapporto tra le monadi viene risolto da leibniz mediante la teoria dell’armonia prestabilita, che egli spiega con l’immagine di due orologi. Se due orologi segnano costantemente la stessa ora, ciò può essere spiegato in tre modi diversi: uno agisce sull’altro (meccanicismo), oppure qualcuno interviene continuamente per accordarli (occasionalismo) o ancora l’orologiaio che li ha costruiti li ha fatti così bene che, pur funzionando in modo indipendente l’uno dall’altro, segnano la stessa ora. l’ultima spiegazione è quella dell’armonia prestabilita: Dio accorda dall’eternità tutte le monadi, prima ancora di crearle, in modo che un osservatore esterno abbia l’impressione che esse interagiscano, mentre ognuna conserva la propria indipendenza. Nella descrizione fisica dell’universo possiamo infatti continuare ad applicare il nesso di causalità, perché tutto avviene come se le monadi interagissero, mentre in realtà si tratta della modificazione dello stato interno di ognuna. Nonostante il dichiarato isolamento tra le monadi, esse sono strettamente interconnesse, tanto che se un solo evento relativo a una singola monade fosse diverso da come è, avremmo un mondo nel suo insieme diverso dall’attuale.

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Al vertice troviamo Dio ➝ 67 , la cui natura non è diversa sostanzialmente dalle altre: è una monade, nella quale però tutto è coscienza, esiste solo appercezione e nessuna percezione inconscia. Ma che cosa intendiamo parlando di animali o di uomini? Non si tratta di monadi, che sono inestese e innumerevoli. Ogni singolo animale o uomo è in realtà composto da moltissime monadi, che sono organizzate a comporre un organismo, cui dà unità una monade dominante, l’anima per gli animali, lo spirito per l’uomo. La monade dominante conferisce un’identità all’aggregato e fa sì che si possa parlare di Pietro, di Cesare, cioè di singoli individui, ognuno dei quali è un aggregato organizzato di monadi. La natura della monade, che abbiamo considerato, spiega anche gli innumerevoli rapporti tra di esse, pur senza influenze dirette. La rappresentazione dell’universo di ogni monade è infatti perfettamente coordinata con quelle di tutte le altre, per cui, ad esempio, nel momento in cui Cesare è pugnalato da Bruto non avviene un contatto reale, ma la monade Cesare si rappresenta l’azione di Bruto e prende coscienza in sé delle conseguenze, mentre nello stesso momento la monade Bruto prende coscienza dentro di sé della rappresentazione del colpo di pugnale inferto a Cesare. Si tratta quindi di mutamenti concomitanti degli stati interni delle due monadi, e insieme di quelle dei congiurati e poco dopo del popolo romano che prenderà coscienza della morte di Cesare e così via per le innumerevoli altre conseguenze. In definitiva, l’universo interiore di ogni monade è sincronizzato con quelli di tutte le altre, tanto che si ha l’impressione di un’interazione concreta tra di esse, mentre si tratta solo di stati di coscienza concordanti. Tale concetto è definito da Leibniz armonia prestabilita. Dio, all’atto della creazione, ha visto l’insieme delle monadi e dei loro rapporti, stabilendo tra essi una corrispondenza perfetta. La teoria dell’armonia prestabilita non spiega soltanto i rapporti tra le monadi, ma dà una soluzione anche al problema lasciato aperto da Cartesio, cioè al rapporto tra anima e corpo. Per spiegare meglio la propria posizione, Leibniz ricorre all’immagine di due orologi che segnano costantemente la stessa ora, chiedendosi quali siano le spiegazioni possibili. Potremmo ipotizzare che uno degli orologi agisca sull’altro: è quanto sostengono il senso comune e la fisica degli scienziati, che ricorrono a cause meccaniche; oppure potremmo supporre che un artigiano agisca continuamente sui due orologi per accordarli, come fa l’occasionalismo, che afferma l’azione continua di Dio per spiegare l’accordo tra anima e corpo; ma la spiegazione più convincente è quella dell’armonia prestabilita, secondo la quale i due orologi sono costruiti con tale maestria che procedono in modo sincronico senza che ci sia un rapporto né reciproco né mediante soggetti esterni tra i due. Dio, artigiano perfetto, ha creato tutte le monadi in modo che tra le anime e i corpi corrispondenti ci sia un’armonia stabilita fin dall’inizio (armonia prestabilita). In questo modo si spiega la corrispondenza, ad esempio, tra il contatto con la fiamma e la sensazione di dolore, o tra la volontà di muovere un braccio e il movimento effettivo. Non solo, l’armonia prestabilita spiega anche l’accordo tra tutte le monadi, come dicevamo sopra. L’universo creato da Dio è un mondo perfetto, dove le innumerevoli monadi si rappresentano tutte le altre con una sincronia perfetta, in modo che i cambiamenti interni di ognuna corrispondano a cambiamenti reciproci nelle altre ➝ 68.

GuIda allo sTudIo • Che tipo di rapporto sussiste tra le monadi? • Che cos’è l’armonia prestabilita? • Quali sono le diverse tipologie di monadi? Per che cosa differiscono?

Materiali per l’apprendimento attivo 67. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

68. CoMpetenze > La filosofia e il presente

iL Mondo CoMe sisteMa e L’eFFetto FarFaLLa la filosofia di leibniz è complessa e in alcuni passaggi di non immediata comprensione. le monadi, in particolare, da un lato sono caratterizzate dal più completo isolamento, ma dall’altro rappresentano il massimo della connessione reciproca. Infatti, la teoria dell’armonia prestabilita fa sì che un cambiamento minimo in un singolo essere produca la trasformazione, in misura minore o maggiore, di tutto il mondo. oggi questa interconnessione viene espressa dalla nozione di «sistema». Si parla di sistema proprio per sottolineare un insieme di elementi talmente interconnessi da costituire un tutto unitario, in cui ogni singolo fattore influenza gli altri. Ad esempio, si parla di «sistema economico» o di «ecosistema» e così via. Nella filosofia di leibniz l’insieme delle monadi costituisce un unico «sistema», in cui ogni minimo cambiamento produce conseguenze sull’intero universo. Questa interconnessione ricorda abbastanza da vicino il cosiddetto «effetto farfalla», teorizzato dal matematico e meteorologo statunitense Edward Norton Lorenz (1917-2008). egli elaborò un modello matematico che dimostrava come un minimo cambiamento nelle condizioni dell’atmosfera terrestre potesse avere conseguenze importanti anche in località molto distanti. espresso con un’immagine, un battito d’ali in Australia può provocare un uragano, dopo una serie di passaggi, negli Stati uniti. ormai l’idea che tutto sia interconnesso a livello mondiale, sia relativamente all’ecosistema, sia relativamente ad altri aspetti della vita quotidiana, dall’economia alla politica, dalle innovazioni tecnologiche alle migrazioni, è entrato nel nostro modo di pensare. ovviamente non si vuol dire che leibniz abbia anticipato la nozione di sistema o l’effetto farfalla, ma rilevare che partendo da questi concetti che ci sono familiari possiamo capire meglio la sua filosofia.

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DiO NELLa FiLOsOFia Di LEiBNiZ Nella filosofia di Cartesio, Dio è una sostanza nettamente distinta dalle altre, la res cogitans e la res extensa. Spinoza aveva riunificato le tre sostanza cartesiane, riconducendole tutte a quella divina, coincidente con la natura. Anche leibniz unifica le sostanze, però mediante un percorso inverso. esiste infatti, per leibniz, un solo tipo di sostanza, per cui Dio e la monade più bassa non si differenziano dal punto di vista ontologico, non sono cioè sostanze diverse. le loro qualità, essendo la monade Dio interamente appercezione, cioè coscienza pura, differiscono in modo infinito, ma la loro natura è simile. le sostanze, in leibniz, sono però moltiplicate all’infinito, in un pluralismo diametralmente opposto al monismo di Spinoza. Si tratta tuttavia di una pluralità gerarchicamente ordinata, per cui anche l’universo di leibniz, come quello di Spinoza, è fortemente unitario, tendendo tutto verso Dio, vertice e fine dell’intera realtà. un altro aspetto avvicina leibniz e Spinoza, allontanandolo da Cartesio. Abbiamo visto che per il filosofo francese Dio è essenziale per garantire la veridicità delle idee chiare e distinte e quindi l’esistenza di un mondo esterno corrispondente alle idee avventizie. Dopo questa assunzione, però, tutto viene spiegato indipendentemente dall’azione di Dio, tanto che la sua fisica è più “laica” di quella di Newton, che ricorre invece a Dio per compensare l’entropia. In leibniz, invece, come in Spinoza, dio garantisce la razionalità dell’universo e lo ordina. In Spinoza ciò avviene mediante l’immanenza di Dio nella natura; per leibniz dio crea il mondo scegliendolo tra i molti possibili. tale scelta, però, deriva dalla sua stessa natura e quindi non è propriamente libera, bensì segue dalla razionalità e dalla bontà di Dio. Per leibniz, come per Spinoza, la realtà deriva da Dio in modo razionale e necessario, anche se il primo sottolinea l’atto della creazione, il secondo l’immanenza.

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Il problema del male e la libertà: la Teodicea Dato che Dio è infinita bontà ed è onnipotente, il mondo che ha creato deve essere il migliore dei mondi possibili. La conciliazione di questa tesi con il problema del male è oggetto della teodicea. La teoria dell’armonia prestabilita è alla base della risposta di Leibniz a un problema che sorge all’interno di ogni teoria creazionistica: se il mondo è opera di un essere onnipotente e infinitamente buono, perché c’è il male? Dato che esiste, o Dio non può impedirlo e quindi non è onnipotente, oppure non vuole impedirlo e allora non è infinitamente buono. È il problema che Leibniz affronta nella Teodicea, neologismo che significa letteralmente “giustizia di Dio”, dal greco théos (dio) e díke (giustizia), da intendere però anche come “giustificazione di Dio” rispetto all’esistenza del male. Il titolo per intero recita infatti: Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine del male, opera scritta nel 1705 e pubblicata nel 1710.

Il migliore dei mondi possibili dio ha necessariamente creato il migliore dei mondi possibili, anche se noi non possiamo conoscerlo nella sua totalità e quindi alcuni aspetti, isolati dal resto, possono apparirci come negativi. nell’allegoria del «palazzo dei destini», Leibniz mostra come la scelta di dio non avrebbe potuto essere diversa dalla creazione del mondo realmente esistente. La soluzione proposta da Leibniz è complessa: si richiama da un lato all’armonia prestabilita, dall’altro alle leggi della logica e alle verità di ragione che abbiamo considerato inizialmente. Il nucleo centrale della sua soluzione è proposto mediante una metafora contenuta nello scritto Sull’origine radicale delle cose. Immaginiamo di avere davanti un enorme dipinto, di cui riusciamo a scorgere una porzione minima, non più di un pollice quadrato: ciò che vediamo ci apparirà come un caos informe di colori, mentre, se potessimo contemplare l’intero dipinto, ne vedremmo la bellezza e l’armonia, cui concorre anche quello che a noi appariva un caos informe. Similmente accade per il mondo, in cui anche ciò che a noi appare “male” deve avere una sua ragion d’essere nell’insieme. Questa ragion d’essere viene chiarita nella Teodicea. Le verità di ragione sono valide anche per Dio, che non può decidere in assoluta libertà quale mondo creare, ma deve necessariamente scegliere «il migliore dei mondi possibili» ➝ 69. Secondo Leibniz, infatti, un Dio onnipotente vede immediatamente, prima della creazione, tutte le monadi del mondo che potrebbe essere creato, tutte le loro connessioni, il male e il bene che presenterà nel corso del suo intero sviluppo. Davanti al suo intelletto infinito si presenteranno dunque tutti i mondi possibili, cioè non contraddittori, che saranno un’infinità, perché il minimo cambiamento in uno qualsiasi degli esseri produrrà un mondo diverso. Leibniz esemplifica questa teoria con una suggestiva allegoria, il «palazzo dei destini», proposta nella Teodicea ➝ 70 . Nel palazzo dei destini è possibile vedere tutti i mondi possibili, rappresentati da appartamenti disposti in una piramide: al vertice vi è un unico appartamento, poi via via di più, senza una base perché i mondi possibili sono infiniti. In ogni appartamento c’è un grande libro, che contiene i destini di ogni individuo presente in quel mondo. Cercando il passo che corrisponde a un individuo e ponendovi sopra il dito, si possono vedere tutti i particolari della sua esistenza. Leibniz immagina, ad esempio, che Tarquinio il Superbo, conosciuto il suo destino nefasto, chieda a Giove di cambiarlo e di diventare un tranquillo agricoltore invece che re di Roma. Si eviterebbe in questo modo un male, per Tarquinio, ma cambierebbe l’intera storia di Roma, che non caccerebbe il re, non diventerebbe una repubblica e così via, producendo un mondo peggiore. Il mondo in cui Tarquinio si comporta in modo malvagio

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69. COMPETENZE > Pensiero critico

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La CriTiCa Di vOLTairE aL «MiGLiOrE DEi MONDi POssiBiLi» la teoria del «migliore dei mondi possibili» solleverà, nell’immediato e in seguito, molte critiche, a volte ironiche o addirittura sarcastiche, come quella di voltaire (1694-1778) nel romanzo filosofico candido o l’ottimismo, pubblicato nel 1759. In esso sono narrate le tragicomiche avventure di Candido, educato da un filosofo leibniziano, Pangloss, che non rinuncia alla sua tesi neppure di fronte al terremoto di Lisbona del 1755, che i nostri personaggi si trovano a vivere in prima persona. Pangloss cerca di giustificare razionalmente anche il terremoto. Nelle vicende che accompagnano l’evento, il filosofo viene impiccato in un autodafé (una cerimonia pubblica) dell’Inquisizione, organizzato per far cessare il terremoto colpendo gli infedeli che, secondo l’Inquisizione, avevano provocato l’ira di Dio. In realtà, Pangloss sfuggirà alla morte e ritroverà Candido alla fine del romanzo, che si conclude con la celebre frase: «Bisogna coltivare il proprio giardino», cioè occuparsi con impegno della propria realtà circoscritta e limitata piuttosto che dei problemi universali. l’invito finale di Candido a coltivare il proprio giardino fa seguito a un discorso di Pangloss teso a convincerlo che quello che gli è successo è stato in fin dei conti un bene. leggi l’ultima pagina del romanzo, dal colloquio con il derviscio (puoi trovare il passo in Google libri, scegliendo la traduzione di Nicola Cieri del 2017) e commentala, discutendo sia la tesi dell’ottimismo, del pessimismo o di un’indifferenza simile a quella di Giacomo leopardi per il destino umano che si coglie nelle parole del derviscio, sia la tesi di Candido sull’importanza di coltivare il proprio giardino, o il proprio orticello. 70. La ParOLa ai TEsTi

T21 Leibniz Il palazzo dei destini Leibniz immagina un palazzo che racchiuda tutti i mondi possibili, in modo da poterli paragonare con quello esistente e constatare che, per quanto possano sembrare migliori in alcuni particolari, non lo sarebbero nell’insieme. Nel «palazzo dei destini» è possibile modificare un singolo tratto del mondo attuale, ad esempio la personalità di Sesto, per visualizzare il mondo corrispondente.

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Teodoro fa il viaggio fino ad Atene: gli si ordina di dormire nel tempio della Dea. Durante il sogno, si trova trasportato in un paese sconosciuto. Qui c’era un palazzo di splendore inimmaginabile e di grandezza immensa. La Dea Pallade appare alla porta, circondata dai raggi di una maestà smagliante. [...] Ella tocca il volto di Teodoro con un ramoscello di olivo, che teneva ▲ Il fisico Brian Greene teorizza nella mano. Di colpo egli diventa capace di sostenere il mondi paralleli simili l’uno all’altro, divino splendore della figlia di Giove e di tutto ciò che però, a differenza dei mondi possibili di Leibniz, tutti realmente esistenti. Lei gli deve mostrare. Giove che vi ama (così Lei dice), vi ha affidato a me perché vi istruisca. Ecco il palazzo dei destini, dei quali io ho la custodia. Qui ci sono le rappresentazioni non solo di quanto accade, ma anche di tutto ciò che è possibile: Giove, avendole passate in rivista all’inizio del mondo esistente, ha trasformato le possibilità in mondi, scegliendo il migliore di tutti. A volte egli torna a vedere questi luoghi, per prendersi il piacere di ricapitolare le cose e di rinnovare la propria scelta, della quale non può mancare di compiacersi. Io non ho che da parlare e noi vedremo tutto un mondo che

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ed è cacciato dal popolo romano è quindi migliore di quello in cui Tarquinio è felice. L’allegoria si conclude con la rappresentazione della teoria del migliore dei mondi possibili. Nessuno dei mondi possibili, essendo composto da creature imperfette, può essere perfetto. Essendo onnipotente, Dio conosce tutte le conseguenze di ogni minimo cambiamento ed essendo infinitamente buono non può che scegliere il mondo migliore tra quelli possibili, quello in cui «la più grande varietà (possibile) è congiunta col massimo ordine (possibile); il terreno, il luogo, il tempo sono i meglio preparati; la maggior quantità d’effetti è prodotta con le vie più semplici; nelle creature si trovano la maggior potenza, la maggior conoscenza, la maggior felicità e bontà che l’universo potesse ammettere» (Princìpi della natura e della grazia fondati sulla ragione, par. 10, in Scritti filosofici cit., vol. 1, p. 279) ➝ 71 .

La libertà il comportamento umano riguarda le verità di fatto, che sono contingenti. Ogni azione e il suo contrario sarebbero quindi entrambi possibili. in questo modo si giustifica il libero arbitrio. di fatto, però, il mondo creato da dio è preordinato e in esso nessun particolare di alcuna monade potrebbe essere diverso da come è, altrimenti si avrebbe un altro mondo. La libertà rimane perciò soltanto teorica. La teoria del «migliore dei mondi possibili» propone la soluzione del problema del male ma ne genera immediatamente un altro, quello della libertà. Nel «migliore dei mondi possibili», infatti, tutto è concatenato, nessun particolare potrebbe cambiare senza produrre cambiamenti, sia pur minimi, in tutto il mondo, che sarebbe quindi diverso. Ne risulta un determinismo che esclude qualsiasi scelta individuale. Se Giuda decidesse di non tradire Cristo, si produrrebbe un mondo diverso, ma allora non sarebbe più il migliore tra quelli possibili, scelto da Dio, in cui il tradimento avviene. Lo stesso accadrebbe se Tarquinio il Superbo rinunciasse ad essere re di Roma o se Alessandro non sconfiggesse Dario, ma sarebbe così anche se il più anonimo degli individui decidesse, ad esempio, di andare al cinema anziché passare la serata in casa. Leibniz cerca di recuperare la possibilità del libero arbitrio riprendendo la distinzione tra verità di ragione e verità di fatto. Le seconde non sono necessarie, tanto è vero che possono cambiare in mondi diversi. L’armonia prestabilita, pur coordinando in modo univoco tutte le monadi, inclina senza necessitare, sostiene Leibniz, e quindi lascia spazio alla responsabilità individuale. Si tratta però di una giustificazione soltanto teorica della libertà: di fatto, nel mondo esistente, niente può essere diversamente da come è. A proposito del tentativo di Leibniz di giustificare la libertà, Immanuel Kant (1724-1804) parlerà della «libertà del girarrosto», vale a dire la libertà di un automa che si muove da sé, ma secondo un programma predefinito (Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 213).

GuIda allo sTudIo • Che cos’è la Teodicea? Quali sono i problemi

che affronta? • Perché quello esistente deve essere il «migliore dei mondi possibili»?

• Come si spiega in esso l’esistenza del male? • Si può parlare di libertà a proposito del

comportamento umano?

Materiali per l’apprendimento attivo

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(G.W. Leibniz, Teodicea, iii, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, pp. 728-31)

Guida alla lettura. leibniz si richiama al dialogo di lorenzo valla (1407-57), De libero arbitrio, nel quale, criticando alcune posizioni del De consolatione philosophiae di Severino Boezio (480-526), l’autore cerca di conciliare la prescienza divina con la libertà umana. leibniz ne riassume l’ultima parte e si propone di continuarlo. uno dei personaggi del dialogo, lorenzo (valla) suggerisce di immaginare che Sesto tarquinio, che sarà l’ultimo re di roma con l’appellativo di tarquinio il Superbo, recatosi a Delfi per consultare l’oracolo di Apollo, riceva come risposta: «Povero e bandito dalla patria, ti accadrà di perdere la vita». Sesto si reca a Dodona, presso il tempio di Giove, per chiedere al Dio di mutare la propria sorte. Giove gli dice che se avesse rinunciato a divenire re di roma, le Parche gli avrebbero filato un nuovo destino, rendendolo saggio e felice. Sesto, per la sua ambizione, rifiuta, tornando a roma. Dopo la sua partenza, teodoro, sacerdote di Giove, chiede al Dio perché, per la sua bontà e onnipotenza, non ha cambiato la volontà di Sesto. la risposta, conclude Giove, si trova ad Atene, nel tempio di sua figlia Pallade, dove teodoro vede il palazzo dei destini: un Sesto tarquinio non ambizioso avrebbe fatto parte di un mondo diverso, ma Dio non può che scegliere il migliore dei mondi possibili, quello realmente esistente, dove Sesto si comporta in modo indegno e viene cacciato da roma. 71. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia e cinema Film

Sliding doorS Il tema dei mondi possibili, simili al nostro salvo piccoli particolari che però determinano differenze ampie, è stato trattato da molti film. Analizziamo i due più noti e più vicini all’argomento: il classico Sliding Doors e il più recente Mr. Nobody. Sliding doors è un film britannico del 1998, diretto da Peter Howitt. la protagonista, Helen, appena licenziata, si dirige in fretta verso la metropolitana. Il fatto che riesca o meno a prendere la corsa, prima che la porta scorrevole si chiuda, determina due diversi destini che vengono mostrati dal film in parallelo, per poi ricongiungersi nel finale. Nel primo caso, Helen giunge a casa prima del previsto e trova il fidanzato che la sta tradendo con lydia, la sua ex. Helen lo lascia e si rifà una nuova vita con James, conosciuto in metropolitana. Nel secondo caso, quando Helen giunge a casa in ritardo lydia ha già lasciato l’appartamento. Seguono due diverse vicende, due «mondi possibili», prodotti dal cambiamento di quell’unico dettaglio, legato ad arrivare alla fer▶▶ mata della metropolitana un secondo prima o un secondo dopo.

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mio Padre poteva produrre e nel quale si trova rappresentato tutto ciò che si può domandare, e con questo mezzo si può anche sapere ciò che accadrebbe, se questa o quest’altra possibilità dovesse esistere. […] Gli appartamenti costituivano come una piramide; a misura che si procedeva verso la cima, erano sempre più belli e rappresentavano mondi sempre più perfetti. Giunge infine nel più alto dove terminava la piramide e che era il più bello di tutti; infatti la piramide aveva un inizio, ma non una fine; aveva un vertice, ma non una base; perciò andava crescendo all’infinito. Ciò era perché (come spiegò la Dea) in una infinità di mondi possibili, c’è sempre il migliore di tutti, altrimenti Dio non sarebbe affatto determinato a crearne alcuno; ma non ce n’è alcuno che non ne abbia uno meno perfetto al di sotto di lui; perciò che la piramide scende all’infinito.

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Razionalismo contro empirismo Leibniz è un razionalista e polemizza con l’empirismo di Locke nei nuovi saggi sull’intelletto umano. La conoscenza scientifica è sempre deduttiva e avviene a partire da idee generali che non possono essere derivate dall’esperienza. esse devono perciò esistere nell’uomo fin dalla nascita, anche se solo come potenzialità che andranno definendosi in seguito (innatismo virtuale). Secondo il razionalismo la conoscenza è innata e l’esperienza può avere al più la funzione di risvegliarla. L’empirismo, come vedremo nel prossimo Modulo, è invece la teoria secondo la quale ciò che conosciamo deriva dai sensi e dall’esperienza, i cui dati vengono poi rielaborati dalla ragione, che non può produrre però da sola le idee. Il maggiore rappresentante dell’empirismo all’epoca è John Locke (1632-1704), che ha scritto un testo intitolato Saggio sull’intelletto umano, partendo dalla tesi secondo la quale la mente è inizialmente una tabula rasa, un foglio bianco, su cui l’esperienza lascia i propri segni, sui quali lavora poi l’intelletto per produrre le idee. Leibniz polemizza con Locke, scrivendo i Nuovi saggi sull’intelletto umano (1703), nei quali riprende, usando la forma del dialogo, tutte le tesi sostenute dal filosofo inglese, per confutarle una ad una. Per conciliare in una certa misura l’innatismo con l’esperienza, Leibniz propone la teoria dell’innatismo virtuale: le idee generali non possono derivare dall’esperienza, poiché sono esse che organizzano i dati dell’esperienza rendendoli significativi; d’altra parte non possono neppure essere già presenti in noi fin dalla nascita, dato che i bambini nei primi anni di vita non sembrano conoscerle. Esse sono in noi come disposizioni che l’esperienza attiverà via via. nessun individuo è cosciente di tutta la propria interiorità; permane sempre una zona inconscia, più o meno vasta. neppure della maggior parte delle nostre sensazioni siamo coscienti, anche se poi esse producono in noi conoscenze che avvertiamo chiaramente. Ciò avviene ugualmente per i motivi che orientano il nostro comportamento. Questa teoria presuppone che in noi ci sia una dimensione della quale non siamo coscienti, come d’altra parte è ipotizzato dalla concezione delle percezioni e delle appercezioni: ogni monade ha in sé tutto l’universo, ma come insieme di percezioni inconsce, che soltanto progressivamente e parzialmente diverranno coscienti. Approfondendo questa prospettiva, Leibniz parla di «piccole percezioni» ➝ 72 delle quali non siamo consapevoli, ma che producono in noi cambiamenti anche importanti. Immaginiamo di essere in riva al mare e di sentirne il rumore. È una sensazione chiara, ma da che cosa dipende? Si compone, nota Leibniz, del rumore delle singole onde, che però non saremmo in grado di percepire singolarmente. O meglio, non ci rendiamo conto di sentire il rumore della singola onda, ma in qualche modo dobbiamo udirlo, dato che avvertiamo il rumore d’insieme, che non può essere dato, per così dire, da una somma di zeri. Quin-

◀ J. Locke, frontespizio del Saggio sull’intelligenza umana, pubblicato nel 1689.

Materiali per l’apprendimento attivo

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• Se puoi, guarda i due film (che sono piacevoli e interessanti) o almeno cerca recensioni e critiche in Internet. Quando te ne sei fatto un’idea, commentali in relazione al tema delle scelte che hai fatto nella vita e che hanno condizionato quello che è accaduto dopo. rifletti anche sull’importanza delle scelte che puoi fare nel futuro: possono influenzare soltanto gli eventi o anche il tuo modo di essere, la tua personalità? dizionario operativo

72. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

PiCCOLE PErCEZiONi Non tutte le percezioni che abbiamo raggiungono la coscienza, anzi, la maggior parte rimangono inconsce, producendo nondimeno dei risultati. Ad esempio, percepiamo il rumore del mare pur senza essere coscienti di percepire le singole onde. In questo modo, leibniz respinge le argomentazioni degli empiristi, secondo i quali non possono esserci idee innate, altrimenti ne saremmo consapevoli. Al tempo stesso, però, apre interessanti prospettive di ricerca sulla dimensione inconscia della conoscenza. di le singole percezioni sono inconsce, mentre il loro insieme è chiaramente avvertito. Lo stesso avviene per il verde di un prato, dato dalla somma delle percezioni dei singoli fili d’erba che però non avvertiamo uno a uno in modo cosciente, e così via. La medesima dinamica, sottolinea Leibniz, riguarda il nostro comportamento. In base al principio di ragion sufficiente, infatti, nulla accade senza ragione. Quando non individuiamo tale ragione, è perché consiste nel risultato di una miriade di pulsioni interne, che non avvertiamo singolarmente, ma che nell’insieme producono le nostre scelte e le nostre azioni. Queste osservazioni fanno di Leibniz un precursore della scoperta dell’inconscio, dimensione che, come abbiamo visto, è quella prevalente nelle monadi. Leibniz riconosce una certa validità anche alla conoscenza mediante l’esperienza, cioè per induzione. È questa la conoscenza propria della vita quotidiana. La conoscenza scientifica è invece di tipo deduttivo ed è basata sulla ragione: soltanto in questo modo possiamo dimostrare la necessità delle leggi della natura e dei princìpi della matematica.

GuIda allo sTudIo • Quali sono le critiche di Leibniz

all’empirismo? • Che cos’è l’innatismo virtuale? In che senso «l’intelletto è innato»?

• Che cosa sono le «piccole percezioni»? • Che rapporto hanno le «piccole percezioni»

con le teoria della conoscenza? Quali aspetti spiegano? esse riguardano soltanto la conoscenza o anche l’ambito morale?

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mr. nobody, un film del 2009 del regista belga Jaco van Dormael, narra le ultime ore di vita dell’ultimo mortale, trasmesse in mondovisione a un’umanità che ha ormai sconfitto l’invecchiamento. Nemo Nobody ripercorre sul letto di morte il proprio passato, soffermandosi su alcune scelte che hanno orientato in modo alternativo la sua esistenza. In una delle scene più significative, ad esempio, si trova alla stazione subito dopo il divorzio dei suoi. la madre è sul treno e lo supplica di salire per partire con lei, il padre è sulla banchina e gli grida di restare. la storia segue le conseguenze di ognuna delle alternative, biforcandosi in seguito quando Nemo si trova a fare scelte altrettanto importanti, sovrapponendo più storie dei diversi mondi possibili.

LAVORO SUL TESTO

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• T22

Cartesio La conoscenza dei sensi non è scientifica • T23 Cartesio Il Discorso sul metodo: dal dubbio metodico alla certezza di sé

T22

• T24

Cartesio La macchina-uomo • T25 Spinoza Lo studio geometrico delle passioni • T26 Leibniz L’automa spirituale

Cartesio La conoscenza dei sensi non è scientifica

Per dimostrare che la conoscenza del mondo non può fondarsi sui dati sensoriali, Cartesio invita a considerare un pezzo di cera appena preso da un alveare. Tutte le sue qualità sensibili (la forma, il profumo ecc.) svaniscono quando si pone vicino al fuoco, ma resta pur sempre un pezzo di cera: esso non è perciò definito dalle qualità sensibili, che possono anche mutare radicalmente senza che cessi di essere ciò che è. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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ominciamo dalla considerazione delle cose più comuni, e che noi crediamo di comprendere nel modo più distinto, cioè i corpi che tocchiamo e vediamo. Io non intendo parlare dei corpi in generale, perché queste nozioni generali sono d’ordinario più confuse, ma di qualche corpo in particolare B. Prendiamo, per esempio, questo pezzo di cera, che è stato proprio ora estratto dall’alveare: esso non ha perduto ancora la dolcezza del miele che conteneva, serba ancora qualcosa dell’odore dei fiori, dai quali è stato raccolto; il suo colore, la sua figura, la sua grandezza sono manifesti; è duro, è freddo, lo si tocca, e, se lo colpite, darà qualche suono C. Infine, tutte le cose che possono distintamente far conoscere un corpo, s’incontrano in questo. Ma ecco che, mentre io parlo, lo si avvicina al fuoco: quel che vi restava di sapore esala, l’odore svanisce, il colore si cangia, la figura si perde, la grandezza aumenta, divien liquido, si riscalda, a mala pena si può toccarlo, e benché lo si batta, non renderà più alcun suono D. Ma la cera stessa resta dopo questo cambiamento? Bisogna confessare ch’essa resta;

Per capire se la conoscenza sensoriale è attendibile, consideriamo la conoscenza dei corpi B. ad esempio consideriamo le qualità di un pezzo di cera preso da un alveare: è dolce, profumato, se sfregato emette un suono C ma se lo avviciniamo al fuoco, allora perde tutte queste qualità infatti si scioglie e resta soltanto una massa informe D

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però la cera rimane E quindi la cera non è l’insieme delle qualità sensoriali (dolcezza, odore ecc.) F. se ragioniamo su ciò che resta costante nella cera G

allora dobbiamo concludere che è l’estensione H

ma l’estensione è definita dall’intelletto, dalla ragione I

quindi la conoscenza avviene con l’intelletto e la ragione, non con i sensi J.

(R. Cartesio, Meditazioni metafisiche, Seconda meditazione, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, pp. 210-12)

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In questa celebre immagine, e nel ragionamento che a partire da essa si sviluppa, possiamo cogliere l’intimo significato del razionalismo. Cartesio non nega che i sensi ci facciano conoscere le cose: il pezzo di cera

preso dall’alveare sa davvero di miele e odora davvero di fiori. Ciò che conosciamo attraverso i sensi, però, non è la vera realtà. Il piano metafisico e quello scientifico rimangono invisibili agli occhi.

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e nessuno può negarlo. Che cosa è, dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in questo pezzo di cera? Certo non può esser niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l’odorato o la vista o il tatto o l’udito si trovan cambiate, e tuttavia la cera stessa resta E. Forse era ciò che io penso ora: la cera cioè non era né quella dolcezza del miele, né quel piacevole odore dei fiori, né quella bianchezza, né quella figura, né quel suono, ma solamente un corpo, che poco prima mi appariva sotto queste forme, e che adesso si presenta sotto altre F. Ma, parlando con precisione, che cosa è ciò che immagino, quando la concepisco in questa maniera? Consideriamolo attentamente, e, allontanando tutte le cose che non appartengono alla cera, vediamo quanto resta G. Certo non resta altro che qualcosa di esteso, di flessibile, di mutevole. Ora, che cosa vuol dire: flessibile e mutevole? Non significa forse che io immagino che questa cera, essendo rotonda, è capace di divenir quadrata, e di passare dal quadrato in una figura triangolare? No di certo, non è questo, poiché io la concepisco capace di ricevere un’infinità di simili cangiamenti, e non saprei, tuttavia, percorrere quest’infinità con la mia immaginazione; e, per conseguenza, questo concetto che ho della cera non si ottiene per mezzo della facoltà d’immaginare H. Ma che cos’è questa estensione? Non è, essa pure, sconosciuta, poiché nella cera che si fonde aumenta, e si trova ad essere ancora più grande quando è intieramente fusa, e molto più grande ancora, quando il calore aumenta di più? Né io concepirei chiaramente e secondo verità che cosa è la cera, se non pensassi ch’essa è capace di ricevere maggior numero di variazioni, secondo l’estensione, di quel che io non abbia mai immaginato. Bisogna, dunque, che ammetta che con l’immaginazione non saprei concepire che cosa sia questa cera, e che non v’è se non il mio intelletto che la concepisca: io dico questo pezzo di cera in particolare, poiché, per la cera in generale, la cosa è ancor più evidente I. Ora, qual è questa cera, che non può essere concepita se non dall’intelletto o dallo spirito? Certo è la stessa che io vedo, tocco, immagino, e la stessa che conoscevo fin da principio. Ma, e questo è da notare, la percezione, o l’azione per mezzo della quale la si percepisce, non è una visione, né un contatto, né un’immaginazione, e non è mai stata tale, benché per lo innanzi così sembrasse, ma solamente una visione della mente, la quale può esser imperfetta e confusa, come era prima, oppure chiara e distinta, com’è adesso, secondo che la mia attenzione si porti più o meno verso le cose che sono in essa, e di cui essa è composta J.

l’esperimento proposto da Cartesio serve per superare gradualmente la conoscenza sensoriale (che si rivela come illusoria perché cambia con il cambiare dello stato della cera), per conseguire quella razionale, relativa ai predicati invariabili, che permangono cioè nel cambiamento. Il risultato dell’esperimento descritto, in termini di contenuto, è che l’estensione è il predicato che caratterizza la materia, definita per questo res extensa; dal punto di vista del metodo, la conclusione è che la conoscenza non deriva dai sensi e dall’immaginazione, ma dalla ragione e dall’intelletto.

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COMPrENDErE iL TEsTO

• Quali qualità ha la cera appena estratta dall’alveare? Conserva queste qualità quando si scioglie? • Quale esperienza si riferisce alla conoscenza sensoriale? Quale a quella razionale? • Quali qualità ha la cera alla luce della ragione? DisCuTErE iL TEsTO

• Per Cartesio esiste continuità o frattura tra la conoscenza sensoriale e quella razionale? e a tuo parere, che rapporto c’è tra i due tipi di conoscenza?

T23

• Anche oggi la conoscenza sensoriale è distinta da quella scientifica. Il mondo dell’esperienza non è fatto di atomi, di campi di forze ecc., ma di qualità percepibili con i sensi. Possiamo accostare la conoscenza razionale di Cartesio a quella scientifica? Quali sono le analogie e le differenze tra questi due ambiti? • Cartesio mette in dubbio la conoscenza sensoriale anche mediante altre immagini. Ad esempio, pensiamo a come ci appare il Sole: sembra più piccolo della nostra mano, che può schermarlo, e sembra vicino a noi; mentre l’astronomia ce ne dà la conoscenza scientifica. oppure immaginiamo di guardare dalla finestra e di vedere degli uomini che passano nella strada sottostante: in realtà non vediamo uomini, ma soltanto «dei cappelli e dei mantelli, che potrebbero coprir degli spettri o degli uomini finti, mossi solo per mezzo di molle» (in Opere cit., vol. 1, p. 212). I due esempi mettono in evidenza diversi limiti dei nostri sensi: da un lato, conoscenze reali ma non razionali e perciò da rielaborare; dall’altro, la possibilità che la realtà percepita sia diversa da quella reale. Commenta questi due esempi, discutendo se la conoscenza sensoriale è parziale ma attendibile oppure se potrebbe essere del tutto illusoria.

Cartesio Il Discorso sul metodo: dal dubbio metodico alla certezza di sé

Il brano riporta il nucleo centrale della ricerca di cartesio nel Discorso sul metodo: dall’affermazione del dubbio metodico, per essere certi della solidità del fondamento della conoscenza (condizione essenziale nel metodo deduttivo), alla scoperta di una verità che nessun dubbio possa mettere in discussione. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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on so se debbo intrattenermi su le prime meditazioni ch’io feci allora, poiché esse sono talmente metafisiche e così poco comuni che forse pochi le troveranno di loro gradimento; pure, son costretto a parlarne, affinché ognuno possa giudicare se sono abbastanza ben fondati i princìpi posti a base della mia filosofia. Dianzi1 ho spiegato la ragione per cui nei costumi è talvolta necessario adottare e seguire anche le opinioni più incerte come se fossero certissime: questo l’avevo notato da gran tempo B.

1. Dianzi: nella Terza parte, appena precedente, Cartesio ha esposto la cosiddetta morale provvisoria: anche se possiamo mettere tutto in dubbio e vivere per qualche tempo senza certezze, non possiamo farlo in ambito pratico, perché dobbiamo comunque scegliere alcuni princìpi sui quali regolare il nostro comportamento.

Nel comportamento dobbiamo seguire anche opinioni incerte B

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ma nel ricercare la verità va negato ciò che è soggetto al minimo dubbio C in modo da raggiungere verità indubitabili D quindi dobbiamo considerare false le sensazioni E perché i sensi talvolta ci ingannano F. ugualmente dobbiamo diffidare dei ragionamenti G perché alcuni cadono in errore anche nei ragionamenti più semplici H. ugualmente dobbiamo dubitare di ciò che crediamo reale I perché spesso nel sonno concepiamo le stesse cose J. ma anche nel dubbio più profondo non posso dubitare di esistere come essere pensante K

quindi sono una sostanza pensante L. dunque sono un’anima distinta dal corpo M.

(R. Cartesio, Discorso sul metodo, Quarta parte, in Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1967, pp. 150-52)

GuiDa aLL’aNaLisi

Nel brano è esposto il passaggio fondamentale del ragionamento di Cartesio: si parte dal dubbio metodico, per eliminare tutte le possibili cause di errore, per giungere alla scoperta della verità indubitabile, la certezza di sé come essere pensante. proprio per le modalità che portano a questa formulazione, però, possiamo affermare la nostra esistenza soltanto relativamente

al pensiero. Deriva da qui l’affermazione dell’esistenza di una res cogitans distinta dalla materia che solleverà molte critiche da parte dei contemporanei. Per Cartesio, però, questa distinzione, come abbiamo visto nel profilo, è fondamentale, perché in questo modo può trattare in modo meccanicistico la natura, accettando quindi il presupposto fondamentale per poterla studia-

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Ma, poiché io allora intendevo di dedicarmi soltanto alla ricerca della verità, ritenni necessario far tutto il contrario: rigettare, cioè, come interamente falso tutto ciò in cui potessi immaginare il menomo dubbio C, per vedere se, così facendo, alla fine, restasse qualcosa, nella mia credenza, di assolutamente indubitabile D. Intanto: poiché i nostri sensi talvolta ci ingannano E, volli supporre non esserci nessuna cosa che fosse quale essi ce la fanno immaginare F. E poiché ci sono uomini che cadono in abbagli e paralogismi ragionando anche intorno ai più semplici argomenti di geometria G, pensai ch’io ero soggetto ad errare come ogni altro, e però respinsi come falsi tutti i ragionamenti che avevo preso sin allora per dimostrazioni H. In fine, considerando che gli stessi pensieri, che noi abbiamo quando siam desti, possono tutti venirci anche quando dormiamo benché allora non ve ne sia alcuno vero I, mi decisi a fingere che tutto quanto era entrato nel mio spirito sino a quel momento non fosse più vero delle illusioni dei miei sogni J. Ma, subito dopo, m’accorsi che, mentre volevo in tal modo pensare falsa ogni cosa, bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa. Per cui, dato che questa verità: Io penso, dunque sono, è così ferma e certa che non avrebbero potuto scuoterla neanche le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accogliere senza esitazione come il principio primo della mia filosofia. Poi, esaminando con attenzione ciò che ero, e vedendo che potevo fingere, sì, di non avere nessun corpo, e che non esistesse il mondo o altro luogo dove io fossi, ma non perciò potevo fingere di non esserci io, perché, anzi, dal fatto stesso di dubitare delle altre cose seguiva nel modo più evidente e certo che io esistevo K; laddove, se io avessi solamente cessato di pensare, ancorché tutto il resto di quel che avevo immaginato fosse stato veramente, non avrei avuto ragione alcuna per credere di esser mai esistito: ne conclusi esser io una sostanza, di cui tutta l’essenza o natura consiste solo nel pensare, e che per esistere non ha bisogno di luogo alcuno, né dipende da cosa alcuna materiale L. Questo che dico «io», dunque, cioè, l’anima, per cui sono quel che sono, è qualcosa d’interamente distinto dal corpo, ed è anzi tanto più facilmente conosciuto, sì che, anche se il corpo non esistesse, non perciò cesserebbe di esser tutto ciò che è M.

re scientificamente, salvando al tempo stesso la libertà umana, legata alla res cogitans che ubbidisce a leggi diverse rispetto alla materia, res extensa.

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COMPrENDErE iL TEsTO

• Qual è il problema da cui muove il brano? • Perché nella ricerca della verità non possiamo seguire opinioni dubbie? • Perché dobbiamo diffidare dei sensi? • perché dobbiamo diffidare della ragione? • Qual è la verità di cui non possiamo dubitare? perché? DisCuTErE iL TEsTO

«sostanza pensante», distinguendo da essa il corpo (punto 12). Ne segue il dualismo, caratteristico della sua filosofia, tra mente e corpo, realtà nettamente separate, che seguono leggi diverse, la prima libera di volere, il secondo soggetto al determinismo delle leggi meccaniche. Quali problemi intende risolvere Cartesio con questa distinzione? Pensi che questa separazione sia ancora attuale? Documentati sul «problema mente-corpo» (cercalo in Internet anche nella forma inglese «mind-body problem») per constatare l’importanza che ha ancora oggi nel dibattito filosofico. esprimi la tua opinione in proposito.

• L’approccio cui Cartesio sottopone le nostre facoltà conoscitive è definito «metodico», perché è un metodo per arrivare alla verità. Può essere importante anche per noi sottoporre ad analisi critica le certezze che abbiamo fin dall’infanzia per verificare che abbiano davvero un fondamento razionale?

• l’immagine a fianco descrive l’esperimento mentale di Putnam (proposto dal filosofo Hilary Putnam nel 1981), noto anche come «problema del cervello in una vasca».

• Il ragionamento di Cartesio giunge alla dimostrazione (punti 10 e 11) della propria esistenza come esseri pensanti. Da qui, Cartesio deriva la conclusione di

Approfondiscilo mediante una ricerca in Internet e discutilo.

T24

Cartesio La macchina-uomo

nel Discorso sul metodo cartesio accenna a un’altra sua opera, L’uomo, mai pubblicata in vita per timore di condanne da parte della chiesa. In essa espone una visione meccanicistica del corpo umano, considerato come una macchina i cui movimenti (ma anche le sensazioni, le passioni, la memoria ecc.) possono essere spiegati come i meccanismi che animavano gli automi all’epoca diffusi negli spettacoli di piazza.

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vevo spiegato queste cose in tutti i loro particolari nel trattato che allora avevo in animo di pubblicare. E avevo mostrato quale dev’essere la conformazione dei nervi e dei muscoli del corpo umano per far sì che gli spiriti animali abbiano la forza di muovere dall’interno le sue membra: così come vediamo le teste che, recise da poco, si muovono ancora e mordono la terra sebbene non siano più animate. Avevo fatto vedere, inoltre, quali mutamenti debbono avvenire nel cervello per determinare la veglia, il sonno e i sogni; in qual modo la luce, i suoni, gli odori, i sapori, il calore e tutte le altre qualità degli oggetti esteriori vi possono imprimere idee diverse per mezzo dei sensi; come possono anche inviarvi le loro idee la fame, la sete e le altre passioni interiori; che cosa dobbiamo intendere per senso comune1, dove tali idee vengono accolte, e per la me1. senso comune: è da intendere secondo il significato aristotelico, come il senso che unifica più stimoli per comporre le percezioni che dipendono dall’unione di sensazioni diverse.

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È possibile studiare il corpo umano per spiegarne tutti i movimenti, le sensazioni, la memoria, la fantasia B perciò il comportamento umano può essere spiegato senza presupporre la volontà C quindi il corpo umano può essere considerato come una macchina, alla stregua degli automi artificiali D. se esistessero macchine simili a un animale E allora non potremmo distinguerle da animali viventi F. invece potremmo sempre distinguere macchine simili ai nostri corpi da uomini viventi G infatti nessuna macchina potrebbe usare il linguaggio come un uomo vero H. inoltre nessuna macchina potrebbe fare ciò che fa un essere dotato di ragione I in quanto le macchine sono ripetitive J invece la ragione si adatta a ogni diversa circostanza della vita K.

(R. Cartesio, Discorso sul metodo, Quinta parte, in Opere, vol. 1, Utet, Torino 1967, pp. 167-69)

COMPrENDErE iL TEsTO

• Come spiega Cartesio il movimento dei corpi e i diversi stati fisici e psichici, dalla memoria alla fantasia? • Perché non è strano paragonare il funzionamento del corpo umano a quello delle macchine? • Se una macchina ben costruita imitasse il comportamento di un animale, sarebbe comunque possibile capire che si tratta di una macchina?

• e se invece imitasse il comportamento di un uomo, potremmo renderci conto che non siamo davanti a un vero essere umano? • Quali mezzi potremmo usare per capire se abbiamo a che fare con un essere umano o con una macchina?

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moria che le conserva; che cos’è l’immaginazione, la quale può cambiare variamente tali idee e comporne di nuove, e al tempo stesso, distribuendo variamente gli spiriti animali nei muscoli, muovere le membra in tanti modi diversi, quanti son quelli del nostro corpo, sia in rapporto agli oggetti esteriori, e sia in rapporto alle passioni interne B, senza intervento della volontà C. Il che non sembrerà affatto strano a coloro i quali, sapendo quanto diversi automi o macchine semoventi può costruire l’industria umana con l’impiego di pochissimi pezzi in confronto alla grande quantità di ossa, muscoli, nervi, arterie, vene e altre parti che compongono il corpo di ogni animale, considereranno questo corpo come una macchina che, essendo stata fatta dalle mani di Dio, è incomparabilmente meglio ordinata, ed ha in sé movimenti tanto più meravigliosi di quelli che mai gli uomini possono inventare D. Mi ero qui fermato a far vedere in modo particolare che, se ci fossero macchine aventi organi e figura di scimmia o di altro animale privo di ragione E, noi non avremmo nessun mezzo per riconoscere la differenza F; mentre, se ve ne fossero che somigliassero al nostro corpo e imitassero le nostre azioni quanto meglio fosse possibile, noi avremmo pur sempre due mezzi certissimi per riconoscere che esse non sono affatto per ciò dei veri uomini G. Il primo è che non potrebbero mai valersi di parole o di altri segni, componendoli come noi facciamo per esprimere agli altri i nostri pensieri: poiché si può ben immaginare una macchina che profferisca delle parole, e anzi ne profferisca alcune riguardanti azioni corporali che producano qualche alterazione nei suoi organi, come domandare qualcosa, se toccata in una parte, o gridare che le si fa male se toccata in altra parte, e simili cose; ma non già che essa disponga le parole diversamente per rispondere a tono a tutto quello che uno può dirle, come, invece, saprebbe fare anche l’uomo più idiota H. Il secondo mezzo è che, anche se facessero alcune cose ugualmente bene e anzi meglio di noi, esse inevitabilmente sbaglierebbero in alcune altre, e si scoprirebbe così che non agiscono per conoscenza, ma solo per una disposizione dei loro organi I. Soltanto la ragione, infatti, è uno strumento universale, che può servire in ogni specie di circostanze, e tali organi, invece, hanno bisogno di una particolare disposizione per ogni azione particolare J: sì che è come impossibile che ce ne siano tanti e così diversi in una macchina da farla agire in ogni occasione nel modo che agiamo noi con la nostra ragione K.

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DisCuTErE iL TEsTO

3. i L ra Z i ON a L i sM O

• Il problema di distinguere una macchina, per quanto sofisticata, da un essere umano si è riproposto nel Novecento in seguito allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. A questo fine, nel 1950 Alan turing (191254) ha messo a punto un noto test che prende il suo nome. Sai in che cosa consiste? eventualmente documentati in Internet. Pensi che oggi sarebbe ancora sufficiente per riconoscere se l’interlocutore è una macchina o un essere umano? • In un celebre film del 1982, Blade Runner del regista ridley Scott, si ripropone il problema illustrato da Cartesio: la necessità di riconoscere come tali macchine talmente sofisticate da essere simili a esseri umani sia nell’aspetto sia nel comportamento. In una celebre sequenza, un operatore sottopone un

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individuo a un test per scoprire se si tratta di un «replicante». trovi la sequenza nel sito loescher.

Film

osserva la sequenza. A tuo parere, che cosa ha smascherato il replicante, inducendolo a reagire violentemente? • Hai visto o conosci altri film sull’intelligenza artificiale? usi gli “assistenti personali” dei diversi sistemi operativi (Siri, Cortana, Google Assistant ecc.)? Che cosa pensi dell’intelligenza artificiale? È ipotizzabile che possa raggiungere quella umana o addirittura andare oltre, oppure tra uomini e macchine resterà sempre una differenza qualitativa, come sostiene Cartesio?

Spinoza Lo studio geometrico delle passioni

spinoza intende trattare l’etica «secondo l’ordine geometrico», cioè in modo deduttivo. Partendo da princìpi generali, si «dimostra» l’etica, che quindi non contiene né prescrizioni né indicazioni di comportamento, ma unicamente la spiegazione razionale di ciò che necessariamente è. ovviamente questo modello esclude ogni volontà di scelta, ogni libero arbitrio, perché tutto accade in modo razionale e necessario e niente, neppure il comportamento individuale, potrebbe essere diversamente da com’è. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

L 5

10

a maggior parte di coloro che hanno scritto sugli affetti e sul modo di vivere degli uomini sembrano trattare non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono al di fuori della natura B. Anzi, sembrano concepire l’uomo nella natura come un impero in un impero. Credono infatti che l’uomo, più che seguirlo, turbi l’ordine della natura, che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro che da sé stesso. Attribuiscono, inoltre, la causa dell’impotenza e dell’incostanza umane non alla comune potenza della natura, ma a non so quale vizio della natura umana, che pertanto piangono, deridono, disprezzano o, come avviene per lo più, detestano; e chi sa denigrare nel modo più arguto o eloquente l’impotenza della mente umana è ritenuto quasi divino C. […]

Si tratta erroneamente di affetti e del modo di vivere come se non fossero cose naturali B

perché si pensa che l’uomo sia padrone delle proprie azioni indipendentemente dalla natura C

20

25

invece la natura è razionale ed è sempre la stessa D perciò le sue leggi sono sempre le stesse e agiscono ovunque E quindi anche gli affetti sono soggetti a leggi F

ne consegue che devono essere studiati in modo rigoroso, come per le cose geometriche G.

(B. Spinoza, Etica, Terza parte, Prefazione, in Opere, Mondadori, Milano 2007, pp. 895-96)

GuiDa aLL’aNaLisi

l’incipit espone le teorie con cui Spinoza è in disaccordo, quindi le tesi ivi contenute vanno rovesciate: gli affetti sono cose naturali, che seguono l’ordine della natura. vanno quindi compresi e spiegati e non giudicati come se l’uomo fosse libero di decidere le proprie azioni, cosa che invece non è. Questa posizione viene argomentata da Spinoza nella seconda parte del brano. Spinoza considera la natura come regolata da leggi non soltanto negli aspetti fisici, ma anche relativamente agli affetti e al con-

T26

seguente comportamento umano. Infatti tutto nella natura è razionale e quindi conoscibile mediante la ragione, in modo deduttivo, come avviene per la geometria. Ma ciò che può essere spiegato in modo deduttivo deve necessariamente essere com’è. Così come la somma degli angoli interni di un triangolo è 180 gradi, e non si può decidere che siano 170 o 190, allo stesso modo le passioni e gli affetti hanno una loro razionalità che non può essere modificata dalla volontà individuale.

Leibniz L’automa spirituale

l’uomo possiede una volontà ma non può decidere quale avere, perché le sue volizioni sono determinate da tutta una catena di eventi e di cause anteriori. la scelta è l’ultimo anello di una catena che determina la volontà in modo univoco. Perciò, nonostante le azioni umane siano contingenti, esse sono preordinate e, dal momento in cui dio sceglie il mondo da creare, ogni minima azione che in esso avverrà è già parte del concetto di questo mondo e si realizzerà in modo certo. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

P 5

er quanto si riferisce alla volizione, è qualcosa di improprio dire che essa è un oggetto della volontà libera B. A parlare rettamente, noi vogliamo agire e non vogliamo volere, altrimenti potremmo dire che vogliamo avere la volontà di volere, e così via, all’infinito. Del pari noi non seguiamo l’ultimo giudizio dell’intelletto pratico, quando ci determiniamo a volere; ma seguiamo sempre, volendo, il risultato di tutte le incli-

Parliamo erroneamente di volizione e di volontà libera B

245 l Avoro S ul t eS to

15

Questo è il mio ragionamento: in natura non si dà nulla che possa essere attribuito a un suo difetto. La natura, infatti, è sempre la stessa e la sua virtù e potenza di agire sono ovunque una e medesima D; cioè, le leggi e le regole della natura, secondo le quali tutte le cose avvengono e si mutano da una forma all’altra, sono ovunque e sempre le stesse. Perciò uno e medesimo deve anche essere il modo di intendere la natura di qualunque cosa, cioè mediante le leggi e le regole universali della natura E. Dunque gli affetti dell’odio, dell’ira, dell’invidia ecc., considerati in sé, conseguono dalla stessa necessità e potenza della natura dalla quale conseguono le altre cose singole F. Perciò ammettono cause certe, mediante le quali si comprendono, e hanno proprietà determinate degne della nostra conoscenza al pari delle proprietà di qualunque altra cosa, dalla cui sola contemplazione traiamo diletto. Tratterò dunque della natura e delle forze degli affetti, come anche del potere della mente su di essi, con lo stesso metodo con il quale nelle parti precedenti ho discusso di Dio e della mente, e considererò le azioni e gli appetiti umani come se si trattasse di linee, di superfici o di corpi G.

3. i L ra Z i ON a L i sM O

246

10

15

20

25

nazioni che derivano sia dalle ragioni sia dalle passioni, il che accade, spesso, senza un esplicito giudizio dell’intelletto C. Tutto, dunque, nell’uomo è certo e predeterminato, come del resto, ovunque, e l’anima umana è una specie di automa spirituale D, benché le azioni contingenti in generale, e le azioni libere in particolare, non siano perciò necessarie di una necessità assoluta, che sarebbe veramente incompatibile con la contingenza E. Così né la futurizione in sé stessa, per quanto sia certa, né la previsione infallibile di Dio, né la predeterminazione delle cause, né quella dei decreti di Dio, distruggono per nulla quella contingenza e quella libertà F. Questo viene riconosciuto per la futurizione e la previsione, nel senso già spiegato, e poiché il decreto di Dio consiste unicamente nella decisione di scegliere, dopo aver paragonato tutti i mondi possibili, il migliore, e di ammetterlo all’esistenza con un Fiat onnipotente, insieme a tutto ciò che quel mondo contiene, è chiaro che questo decreto non cambia niente nella costituzione delle cose e le lascia tali e quali erano nello stato di pure possibilità, il che è come dire che non cambia niente né nella loro essenza o natura, né nei loro stessi accidenti, rappresentati in modo perfetto nell’idea di quel mondo possibile. Così ciò che è contingente e libero resta tale non meno sotto i decreti di Dio, che sotto la previsione G.

infatti il volere non è che il risultato di tutte le nostre inclinazioni C quindi l’uomo è predeterminato e l’anima è una specie di automa spirituale D anche se alcune azioni rimangono contingenti E ma solo in quanto potrebbero essere diversamente da come sono F anche se una volta che Dio ha creato il mondo, tutte le contingenze potenziali si realizzano in modo definitivo, pur restando contingenti G.

(G.W. Leibniz, Teodicea, Parte prima, 51, in Scritti filosofici, vol. 1, Utet, Torino 1967, pp. 488-89)

GuiDa aLL’aNaLisi

In leibniz il problema del libero arbitrio si pone perché nel mondo creato da Dio tutto è connesso e il minimo cambiamento determinerebbe il cambiamento del mondo nel suo insieme. Nel decidere quale mondo creare tra gli innumerevoli possibili, Dio ne valuta l’intero sviluppo e quindi sa già che cosa farà o subirà il più piccolo degli esseri. Proprio per questo, però, ogni singola scelta è determinata e l’uomo è un «automa spirituale». leibniz cerca di recuperare uno spazio per la libertà umana, basandosi sul fatto che gli eventi del mondo e

gli atti degli individui sono contingenti, cioè potrebbero essere diversamente da come sono. Mentre in nessuno dei mondi possibili la somma degli angoli interni di un triangolo può essere diversa da un angolo piatto, posso immaginare dei mondi non contraddittori in cui Cesare non passi il rubicone o Alessandro non sconfigga Dario. Si tratta però di una libertà solo teorica, perché Dio non può che scegliere il migliore dei mondi possibili, e quindi tutto ciò che avviene in esso non può accadere diversamente.

Itinerari di lettura online

T1 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) Partire dalle

poi nell’edizione definitiva le loro obiezioni e le risposte di Cartesio. Nell’itinerario di lettura vengono analizzati questi diversi aspetti stilistici, mettendone in luce il significato filosofico.

T13 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) Un’esperienza personale, da discutere con altri

T14 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) Parlare della propria esperienza

T15 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) Immergersi in una situazione

4. dIfferenze dI sTIle

T3 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) I sensi e la ra-

Cartesio usa diversi stili filosofici, ognuno dei quali ha le proprie finalità e la propria ragion d’essere. In questo itinerario mettiamo a confronto uno stesso contenuto, la celebre dimostrazione del cogito, ergo sum, in opere diverse per stile.

gione

T16 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) le Meditazio-

T4 (da leIBNIz, Nuovi saggi sull’intelletto umano) L’innati-

ni e il cogito

smo virtuale

T17 (da CArteSIo, Discorso sul metodo) Il Discorso sul metodo e il cogito

idee

T2 (da CArteSIo, Meditazioni metafisiche) I sensi non ci fanno conoscere la realtà delle cose

T5 (da CArteSIo, Discorso sul metodo) La matematica come modello

T6 (da SPINozA, Etica) Il metodo deduttivo

2. LA RAGIONE E LE PASSIONI

T18 (da CArteSIo, dai Princìpi della filosofia) I Princìpi e il cogito

5. sPInoza: eTIca e lIberTà

Sul piano etico, il razionalismo enfatizza il contrasto tra le passioni e la ragione, affermando la necessità di superare le prime per affermare la seconda. le passioni, però, fanno parte della natura umana e come tali possono essere spiegate e comprese, procedendo in modo deduttivo. In quanto dedotte, tuttavia, si presentano come necessarie, aprendo la riflessione sull’esistenza o meno del libero arbitrio.

l’olanda del Seicento è uno dei Paesi più tolleranti dell’epoca, tanto che lo stesso Cartesio vi trova rifugio per essere al riparo da possibili condanne da parte della Chiesa. Spinoza, che pure è perseguitato dalla comunità ebraica per motivi religiosi, deriva dalla propria filosofia un’appassionata difesa della libertà di pensiero che ne fa un precursore, per questo aspetto, del liberalismo di locke.

T7 (da CArteSIo, Il mondo) La macchina-uomo

T19 (da SPINozA, Trattato teologico-politico) Il fine dello stato è la libertà

T8 (da CArteSIo, Le passioni dell’anima) Le passioni fondamentali e la loro connessione

T9 (da CArteSIo, Le passioni dell’anima) L’importanza dell’abitudine

T10 (da SPINozA, Etica) Lo studio geometrico delle passioni

T11 (da SPINozA, Etica) Passioni e affetti T12 (da leIBNIz, Teodicea) l’automa spirituale

3. Un esemPIo dI razIonalITà fIlosofIca: le MEDITAZIONI dI carTesIo le Meditazioni metafisiche di Cartesio sono un’opera particolare, per lo stile usato, che tende a coinvolgere il lettore, facendolo partecipe delle proprie meditazioni. Per questo, Cartesio ricorre spesso al racconto delle proprie esperienze e fa largo uso di esempi e immagini. Inoltre quest’opera, dopo la prima scrittura, è stata fatta circolare tra gli studiosi più in vista dell’epoca, raccogliendo

T20 (da SPINozA, Trattato teologico-politico) stato e dissenso

T21 (da SPINozA, Trattato teologico-politico) le vittime del fanatismo religioso

6. leIbnIz e «Il mIglIore deI mondI PossIbIlI» una delle teorie più note e più discusse di leibniz è quella secondo la quale il nostro è il migliore dei mondi possibili. Discende in modo logico dalle sue premesse: se Dio, onnipotente e infinitamente buono, ha scelto il nostro tra tutti i mondi logicamente possibili, esso deve essere il migliore, altrimenti Dio non avrebbe agito per il meglio. oltre alla giustificazione logica, leibniz dà anche una rappresentazione allegorica di questa tesi, mediante il viaggio di teodoro nel «palazzo dei destini». Nel lungo brano online ne seguiamo il racconto.

T22 (da leIBNIz, Teodicea) Il palazzo dei destini

l Avoro S ul t eS to

1. IL RAZIONALISMO E LA CONOSCENZA Il problema centrale della filosofia nel corso del Seicento è la riflessione sul metodo della conoscenza per la fondazione di un nuovo sapere. In questa ricerca si definiscono tre direzioni distinte: il razionalismo, l’empirismo e la nuova filosofia della scienza. Il razionalismo si basa sul presupposto che la conoscenza derivi da idee che non possono essere ricavate dall’esperienza, perché sono esse a legittimare l’esperienza stessa e a conferirle significato. la fonte della conoscenza è la ragione, che conosce il fondamento metafisico della realtà e alla luce di questo spiega anche il mondo fisico, procedendo con metodo deduttivo simile a quello geometrico.

247

3. i L ra Z i ON a L i sM O

248

Laboratorio CONCETTuaLiZZarE raZiONaLisMO 1. completa questa sintesi generale del razionalismo inserendo le seguenti parole: morale • Dio • religione • deduttivo • conoscenza • ragione • subordinare • passioni • l’innatismo

dell’etica, sia della

.....................................,

.....................................

sia

Per il pri-

e l’importanza della nozione di

sostanza. Per l’etica, sottolinea la possibilità di dedurre la .................................... da princìpi generali e la necessità di ..................................... le ............................... alla ragione. Per quanto riguarda la religione, infine, afferma la centralità dell’idea di ................................................

.....................................,

che producono

c. Proposizioni necessarie: le proposizioni

mo aspetto afferma ....................................., il metodo .....................................

la base di

l’effetto in quanto finalità dell’azione.

Il razionalismo sostiene che la ..................................... è il fondamento sia della

b. Finalismo: spiegazione degli eventi sul-

...................................

dà luogo a contraddizione.

d. Proposizioni

esistenziali:

...................................................................,

il cui contra-

rio ........................................ senza contraddizione. e. verità di ragione: sono ..................................... e la loro negazione sarebbe contraddittoria. f. verità di fatto: verità che possono essere .. ...................................,

ma il cui contrario o la cui

negazione sono possibili. g. Monade: sostanza

.....................................,

contiene dentro di sé una

nel sistema filosofico.

proposizioni

che

..............................

dell’intero universo dal proprio punto di vi-

LEiBNiZ 2. Facendo riferimento alla filosofia di leibniz, completa le definizioni inserendo le seguenti espressioni: cause finali • dal loro movimento • contingenti • individuale e immateriale • il cui contrario • rappresentazione • universali e necessarie • resistenza al movimento • è possibile • cause efficienti • accertate mediante l’esperienza

sta particolare. h. Forza: energia posseduta da tutti i corpi, indipendentemente

....................................................,

in quanto si manifesta, ad esempio, anche come

.....................................

(spostamento). Car-

tesio sbaglia nell’identificare la forza con il movimento.

a. Meccanicismo: spiegazione degli eventi sulla base di

...................................................,

che

precedono l’effetto.

arGOMENTarE CarTEsiO 3. Riordina questo celebre brano di Cartesio, in modo da ricostruire l’argomentazione che porta all’affermazione del cogito.

a. Ma, subito dopo, m’accorsi che, mentre volevo in tal modo pensare falsa ogni cosa, bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa.

Sequenza .......................................................................................

a. Se la ............................ è ciò che sussiste di per sé e può essere concepita indipendentemente da ogni altra cosa, allora essa deve essere .....................................,

infinita ed eterna. Quindi

non può esistere che una sola sostanza, la quale coincide necessariamente con .......................................................

b. Se la sostanza è unica, allora non può esistere una

.....................................

distinta da Dio.

Quindi la sostanza è Dio ma anche natura. Ma allora Dio ..................................... con la natura, sono un’unica realtà. c. Se pensiero ed

.....................................

sono attri-

buti dell’unica sostanza divina, allora anche anima e

.....................................

sono aspetti

della stessa realtà. viene così superato il dualismo di ..................................... Allora anche le .....................................,

che riguardano il corpo,

sono razionali e vanno

.....................................

senza pretendere di rimuoverle. Perciò Spi-

sPiNOZa

noza analizza le

4. completa i seguenti ragionamenti, riferibili a spinoza, utilizzando le parole riportate prima di essi:

miche delle passioni, senza giudicarle.

.....................................

e le dina-

corpo • cause • natura • unica • estensione • sostanza • Cartesio • studiate • passioni • Dio • coincide

PrOBLEMaTiZZarE rEaLTÀ 5. rifletti sulle questioni poste seguendo le domande-guida. Esiste una realtà materiale? l’idea che l’intera realtà sia un inganno può sembrare paradossale. Se ci pensiamo bene, però, noi possiamo avere la certezza di ciò che proviamo, ma non la certezza che ciò che proviamo derivi da oggetti reali esterni, incluso il nostro corpo. Hai visto il film Matrix (usa 1999)? In esso si immagina che gli uomini vivano una realtà virtuale, indotta dagli stimoli di un programma

(Matrix, appunto) gestito da un computer, e la ritengano a tutti gli effetti la vera realtà. In definitiva, le sensazioni sono reazioni cerebrali che potrebbero essere indotte anche da stimoli elettrici o chimici.

• Discuti questo tema con i tuoi compagni. È possibile che la nostra percezione della realtà sia illusoria? Come possiamo dimostrare il contrario? la realtà virtuale potrebbe simulare con mezzi artificiali esperienze ritenute a tutti gli effetti reali dal soggetto che le vive?

• Qual è, in questo scenario, la funzione del dubbio iperbolico cartesiano?

249 l A B orAtorIo

b. e poiché ci sono uomini che cadono in abbagli e paralogismi ragionando anche intorno ai più semplici argomenti di geometria, pensai ch’io ero soggetto ad errare come ogni altro, e però respinsi come falsi tutti i ragionamenti che avevo preso sin allora per dimostrazioni. c. Per cui, dato che questa verità: Io penso, dunque sono, è così ferma e certa che non avrebbero potuto scuoterla neanche le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accogliere senza esitazione come il principio primo della mia filosofia. d. In fine, considerando che gli stessi pensieri, che noi abbiamo quando siam desti, possono tutti venirci anche quando dormiamo benché allora non ve ne sia alcuno vero, mi decisi a fingere che tutto quanto era entrato nel mio spirito sino a quel momento non fosse più vero delle illusioni dei miei sogni. e. Intanto: poiché i nostri sensi talvolta ci ingannano, volli supporre non esserci nessuna cosa che fosse quale essi ce la fanno immaginare. (Discorso sul metodo, Iv, in Opere, I, laterza, Bari 1967, p. 151)

3. i L ra Z i ON a L i sM O

250

Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito Cartesio e la nuova stagione della retorica Dopo secoli di oblio della retorica, il 1958 è stato un anno di svolta. Sono usciti infatti sia il Trattato dell’argomentazione di Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, sia Gli usi dell’argomentazione di Stephen Edelston Toulmin. Questi due libri hanno aperto una nuova stagione per la retorica. Il Trattato dell’argomentazione è stato quello dei due che ha riscosso un successo maggiore. In esso, gli autori imputano a Cartesio la plurisecolare crisi della retorica. Il libro infatti si apre, proprio nelle primissime righe, con un illuminante riferimento al filosofo francese: «La pubblicazione d’un trattato dedicato all’argomentazione e la ripresa in esso di un’antica tradizione, quella della retorica e della dialettica greche, costituiscono una rottura rispetto a una concezione della ragione e del ragionamento, nata con Descartes, che ha improntato di sé la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli» (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, trad. it. di C. Schick, Einaudi, Torino 1989, p. 3).

I due autori ricordano poi come Cartesio, nella prima parte del Discorso sul metodo, vada alla ricerca di dimostrazioni, cioè di ragionamenti che portano a conclusioni necessarie, condotte a partire dall’evidenza attraverso passaggi chiari e distinti. Questa impostazione non lascia spazio all’argomentazione, cioè al ragionamento che porta a conclusioni plausibili. Infatti, fornita una dimostrazione, non c’è altro da dire. Detto altrimenti, per come il matematico Cartesio intende impostare la filosofia, non c’è più spazio per il verosimile, perché la dimostrazione, per sua natura, porta a conclusioni definitive. Certo, in realtà, quelle che Cartesio ha presentato come dimostrazioni sono tutt’altro che definitive e, del resto, sono state oggetto di critiche e rifiuti. Egli ha però indicato un orizzonte ideale, un approccio generale dell’indagine filosofica. L’epoca moderna, infatti, profondamente influenzata da lui, ha cercato di svolgere la filosofia more geometrico. Si è trattato di un approccio largamente diffuso, pur con importanti eccezioni, come la filosofia di Pascal. Dopo la pubblicazione del Trattato dell’argomentazione, si sono susseguiti numerosi lavori che mostrano come il dimostrabile è solo un’isola, rispetto all’enorme continente dell’argomentabile e si dedicano a quest’ultimo. Tra i più recenti contributi svolti nello studio della retorica, va fatto almeno riferimento alla ripresa critica dello studio delle fallacie, degli stili dialettici, dello studio della pratica dialogica e delle sue regole. Il centro dell’attenzione della nuova retorica è posto nel momento argomentativo, che è però solo un momento, per quanto importante, di quanto studiato dalla retorica classica. In genere, anche sull’argomentazione, il patrimonio classico viene ampiamente ripreso, sia pur criticamente.

attività • Perelman e Olbrechts-Tyteca affermano di ricollegarsi alla tradizione retorica e dialettica greca. Sulla base dello studio di terza, avanza delle ipotesi motivate su quali possono essere gli autori ai quali essi fanno implicitamente riferimento. • La retorica classica distingue cinque momenti che l’oratore deve curare per svolgere un bel discorso: inventio, dispositio, elocutio, actio e memoria. Cerca su Internet in che cosa consistono e poi prepara un discorso in cui spieghi quale di essi, dovendo scegliere, ritieni più importante e perché.

Prepararsi all’interrogazione Confronto tra filosofi 1. La METaFisiCa Cartesio

Spinoza

Leibniz

la sostanza

Ciò che non ha bisogno di nessuna cosa creata per esistere. Ci sono tre sostanze: Dio, la sostanza pensante (res cogitans) e la materia o sostanza estesa (res extensa).

Ciò che sussiste di per sé (ciò che non ha bisogno d’altro per esistere). C’è, di conseguenza, un’unica sostanza, Dio.

Ciò che contiene in sé tutte le proprie determinazioni. Ci sono infinite sostanze (monadi), tutte individuali.

dio

È il garante della veridicità delle idee chiare e distinte. Non agisce sull’universo, se non all’atto della creazione.

Coincide con la natura (panteismo). Infatti, dato che Dio è infinito, non può esservi nulla di distinto da lui.

È la monade suprema, quindi è individuo tra gli individui. Crea le monadi, accordandole fin dall’inizio tra sé (armonia prestabilita).

l’universo

È res extensa e come tale è regolato da leggi immutabili e ogni accadimento è determinato da cause efficienti (meccanicismo).

L’universo coincide con Dio, quindi è completamente razionale e ogni cosa esiste o accade in modo necessario.

La materia è in realtà energia. Ci appaiono come materiali le monadi con un livello massimo di percezione e minimo di appercezione. L’universo è quindi costituito da sostanze spirituali.

Cartesio

Spinoza

Leibniz

le sensazioni

Le sensazioni non ci fanno conoscere la vera realtà (esempio del Sole).

Corrispondono ai corpi, che sono modi dell’attributo estensione.

Le monadi non hanno sensazioni, essendo chiuse in se stesse. Ciò che chiamiamo sensazione è un prendere coscienza di uno stato d’animo, non di una realtà esterna.

le idee

Costituiscono la res cogitans e vengono classificate come innate, avventizie e fattizie.

Sono modi dell’attributo pensiero. Dato che pensiero ed estensione sono attributi della stessa sostanza, le idee corrispondono ai corpi (parallelismo).

le idee sono innate, ma di esse diventiamo coscienti via via, con un passaggio dalla percezione (dimensione inconscia) all’appercezione (dimensione cosciente).

2. La CONOsCENZa

251

3. i L ra Z i ON a L i sM O

252

I corpi Sono estensione (res Sono modi dell’attributo Sono aggregati di monadi, Prepararsi all’interrogazione extensa). Anche i corpi estensione. I corpi che appaiono come materiali quellotra umano) sono Confronto filosofi

organici (compreso

appaiono come individuali soltanto in quanto modi di manifestarsi dell’estensione, come le onde del mare appaiono come individui ma sono parte di un’unica realtà.

in quanto mancano di appercezione. Gli organismi sono organizzati da una monade egemone, l’anima.

la coscienza È lo stato naturale della res cogitans, purché usiamo un metodo corretto per la conoscenza e non scambiamo per idee chiare e distinte quelle che invece sono confuse.

Si raggiunge mediante la liberazione dalle passioni, giungendo a vedere noi stessi e il mondo sub specie aeternitatis.

È l’appercezione, che aumenta via via che diventiamo consapevoli delle nostre percezioni inconsce. Il grado di coscienza determina la natura delle monadi, nella distinzione principale tra monadi semplici, anime e spiriti.

Cartesio

Spinoza

Leibniz

Il bene e il male

Bene è ciò che favorisce la conservazione di sé, male ciò che la ostacola.

Bene è ciò che favorisce la conservazione di sé, male ciò che la ostacola.

Nel mondo c’è la maggiore quantità di bene possibile, compatibilmente con l’imperfezione delle creature.

le passioni e la ragione

la ragione può controllare le passioni modificando le reazioni meccaniche della ghiandola pineale, attraverso la creazione di abitudini.

Il comportamento umano è determinato dalle passioni, riconducibili alla conservazione di sé. Il saggio conosce questo meccanismo e si libera dalla schiavitù delle passioni, non modificando il comportamento ma raggiungendo la serenità.

le passioni equivalgono alla percezione, che è passività; gli spiriti (come l’uomo) possono arrivare a una sempre maggiore appercezione, prendendo coscienza di sé.

Il libero arbitrio

Non esiste relativamente alle singole azioni ma possiamo condizionare i meccanismi che determinano le nostre reazioni.

Non esiste, tutto è necessario. Possiamo però raggiungere una consapevolezza della necessità del tutto che equivale alla libertà.

l’uomo è libero nel senso che il comportamento è contingente e quindi potrebbe essere diversamente da come è, ma nel mondo scelto da Dio tutto ciò che avverrà è determinato. Non c’è quindi libertà nel senso comune del termine.

estensione e quindi il loro comportamento è determinato in modo meccanicistico.

3. L’ETiCa

Confronto tra idee Prepararsi all’interrogazione

253

4. MENTE/COrPO

P re PA rA rS I A l l’IN t e rroG A z IoN e

Confronto tra filosofi definizione

Il problema del rapporto mente/corpo è stato formulato in termini diversi nella storia della filosofia: mente/corpo, anima/corpo, spirito/corpo (o anche, più in generale, spirito/materia). la dizione che abbiamo scelta è quella che rispecchia meglio il problema così come è posto nella filosofia moderna («anima» ha assunto, dopo l’avvento del cristianesimo, forti connotazioni religiose e «spirito» ha riferimenti filosofici specifici – spiritualismo, idealismo –, pur essendo usato anche come sinonimo di mente, soprattutto in Francia dove esprit ha questo duplice significato).

Cartesio

Per Cartesio il pensiero è res cogitans, nettamente distinta dal corpo che è una diversa sostanza, la res extensa. le due sostanze sono regolate da princìpi diversi: il corpo è determinato da cause efficienti, il pensiero è libero. In realtà, però, è il corpo che agisce e lo fa in modo meccanicistico, determinato dalle passioni, a partire dalla conservazione di sé. per trovare una soluzione al rapporto tra anima e corpo, Cartesio ricorre alla ghiandola pineale, dove gli «spiriti» che determinano le reazioni meccaniche del corpo possono essere influenzati dall’anima, mediante la creazione di abitudini. Non è però ben chiaro come ciò possa avvenire, dato che in ultima analisi anche l’ipofisi è materiale e quindi è corpo, con cui il pensiero non potrebbe interagire. Il problema verrà ripreso dopo Cartesio, e in particolare anche da Spinoza e da leibniz.

Malebranche

una prima soluzione al problema sollevato da Cartesio viene proposta da Nicolas Malebranche [➤ p. 344], che riprende la distinzione di Cartesio negando che tra le due sostanze possa esservi rapporto. Ciò che a noi appare l’azione dell’anima sul corpo (come quando penso di muovere un braccio ed esso si muove) o del corpo sull’anima (come quando mi ferisco un dito e provo dolore) è determinato in realtà dall’intervento divino, che trova nell’affezione di una delle sostanze l’occasione per determinare la reazione corrispondente nell’altra (occasionalismo).

spinoza

I corpi e le idee sono i modi individuali degli attributi della sostanza, l’estensione e il pensiero. essi sono perciò aspetti diversi della stessa realtà e corrispondono quindi l’uno all’altro. Si parla in questo caso di parallelismo e l’azione della mente sul corpo (e viceversa) non ha bisogno di spiegazioni. È infatti logico che un evento mentale e uno fisico (il desiderio di muovere il braccio e il movimento) avvengano contemporaneamente, essendo la stessa cosa vista rispettivamente come modo dell’estensione o del pensiero.

leibniz

Per leibniz le uniche sostanze sono le monadi e i corpi non sono altro che monadi in cui manca qualsiasi appercezione (coscienza) e predomina la percezione, cioè il livello inconsapevole (ma potremmo anche usare il termine «inconscio»). la gerarchia delle monadi è infatti data dal grado di coscienza, o dal rapporto tra percezione e appercezione. Dove esiste soltanto percezione inconscia abbiamo le monadi che appaiono come materia, poi abbiamo, in una gradualità con infinite posizioni intermedie (ogni monade è diversa dalle altre), le anime (proprie degli animali), gli spiriti e infine Dio, la monade suprema in cui esiste soltanto appercezione.

3. i L ra Z i ON a L i sM O

254

Pensare il presente Questioni di attualità Se il comportamento può essere spiegato e studiato, come può l’uomo essere libero? Il razionalismo pone un problema importante: se il comportamento umano può essere spiegato razionalmente, come è possibile la libertà? Sembrerebbe infatti che ciò che è spiegabile razionalmente non possa avvenire diversamente da come è, ma il libero arbitrio implica al contrario la possibilità di scegliere tra comportamenti diversi, anche alternativi. Il problema è ancora oggi di attualità, anzi si pone con particolare forza parallelamente allo sviluppo sempre maggiore delle scienze dell’uomo, dalla sociologia alla psicologia all’antropologia culturale, con le loro diverse articolazioni. Esse partono infatti dal presupposto che del comportamento umano si possa fare scienza, quindi se ne possano trovare cause o motivazioni che lo spieghino razionalmente. Tale presupposto esclude completamente il libero arbitrio? O possiamo ancora parlarne? Ed eventualmente, in che modo e in che misura?

1. Partiamo da un film Minority Report, un film del 2002 di Steven Spielberg, affronta in modo originale l’argomento. È ambientato nella Washington del 2054 e narra di tre sensitivi (Pre-Cogs, “pre-cognitivi”) che sono in grado di prevedere futuri omicidi. Le loro capacità vengono utilizzate dalla polizia, che, in base a una legge speciale, può arrestare i presunti criminali prima che commettano il delitto previsto dai Pre-Cogs. Si delineano paradossi etici e giuridici: se è possibile prevedere il futuro, esiste una responsabilità etica o giuridica in chi commette un delitto? E ancora: che legittimità ha una legge che consente l’arresto di persone che non hanno commesso nulla di illegale? Di fronte alla drastica riduzione statistica dei crimini da quando è stato adottato questo sistema, opinione pubblica e autorità politica sono inclini ad accettare queste contraddizioni. Un giorno, però, il comandante stesso dell’unità pre-crimine, Anderton, viene accusato dai Pre-Cogs di essere in procinto di commettere un delitto. Sottrattosi all’arresto, Anderton

potremo più controllare la veridicità di questa supposizione. Lo stesso, suggerisce Anderton, accade per la prevenzione di delitti arrestando i presunti colpevoli: non può esserne dimostrata la colpevolezza, ma siamo convinti che senza l’arresto il delitto sarebbe avvenuto. In quest’ottica la causalità, come suggeriva Hume, non è un nesso necessario tra i fatti e la sua necessità non è dimostrabile, però vi crediamo e agiamo come se fosse tale. Il nesso causale, concludeva Hume, non può essere dimostrato, ma fa parte del nostro modo di vedere le cose, per cui non possiamo prescinderne. È un’abitudine ormai consolidata che usiamo automaticamente per interpretare la realtà. Possiamo giudicarlo non sulla base di dimostrazioni logiche, ma del dato probabilistico che in genere “funziona”, consentendo di fare previsioni e di prendere decisioni nelle scelte pratiche che ci troviamo a fare.

2. La causalità nelle scienze sociali Nella filosofia della scienza del Novecento si è discusso a lungo il tema se la spiegazione scientifica debba riguardare cause dalle quali segue necessariamente un effetto. Questa concezione è nota come «meccanicismo». Ha conosciuto una notevole diffusione all’inizio del secolo, tanto da influenzare anche la psicologia, dove si è affermato il cosiddetto «comportamentismo» (o, con il termine inglese equivalente, behaviorismo). Si tratta di una concezione basata su alcuni presupposti forti: la psicologia non può studiare gli stati interni della coscienza, ma soltanto il comportamento; ogni comportamento può essere spiegato individuandone le cause, come avviene nel condizionamento mediante stimoli che producono risposte. L’esempio classico è l’esperimento condotto dal fisiologo russo Ivan Pavlov (1849-1936), che induce la salivazione in un cane, presentandogli per più volte un pezzo di carne subito dopo il suono di un campanello, finché il solo suono del campanello determina la risposta fisiologica della

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inizia una propria indagine che lo porta a scoprire che in questa previsione esiste un “rapporto di minoranza”, cioè uno dei tre Pre-Cogs non concordava sulla premonizione. Non seguiremo gli sviluppi della vicenda, rimandando alla scheda online e alla sequenza presenti nella Web TV. Prendiamo invece in esame la sequenza riportata online, in cui lo stesso Anderton cerca di rendere plausibile a un membro di una commissione ministeriale il paradosso di arresti eseguiti senza che sia stato ancora commesso un crimine. Anderton lancia una delle palle che i Pre-Cogs usano per comunicare le loro premonizioni in una serpentina e il membro della commissione l’afferra istintivamente al volo, impedendone la caduta. Che cosa è successo? La palla, destinata a cadere, in realtà non è caduta perché è stata presa al volo. Ma ciò è stato fatto nella certezza che altrimenti sarebbe caduta, anche se in realtà, avendola afferrata, non

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salivazione. Secondo il principale teorico del comportamentismo, John Watson (1878-1958), anche i comportamenti più complessi dell’uomo, dai sentimenti al ragionamento, possono essere ricondotti a una serie di condizionamenti elementari, molto numerosi ma concettualmente non differenti da quelli del semplice riflesso condizionato, come abbiamo visto nella scheda 42. All’interno delle scienze sociali, però, il meccanicismo ha suscitato perplessità, proprio per l’impossibilità di conciliarlo con il libero arbitrio. Si sono quindi affermate modalità di spiegazione del comportamento che, pur tenendo ferma la necessità di comprenderlo razionalmente, non conducessero al determinismo. Una delle più note è riassumibile nel concetto, formulato da Max Weber (1864-1920), di «imputazione causale». In questa prospettiva, la causalità non va intesa come un nesso che determina necessariamente gli eventi, ma come un approccio metodologico per comprenderne la razionalità. Ad esempio, se voglio spiegare l’unificazione tedesca ad opera di Otto von Bismarck, dovrò prendere in considerazione la situazione in Germania e in Europa alla metà dell’Ottocento e in questo quadro potrò individuare le cause di questo evento. Le cause mi permetteranno di spiegarlo storicamente, ma non lo hanno determinato in modo necessario: nello stesso periodo, altri eventi e altre scelte avrebbero potuto determinare un esito diverso, del quale, allora, avremmo a posteriori spiegato la razionalità mediante l’individuazione delle cause. In questo modo si salva la razionalità della spiegazione storico-sociale, evitando il determinismo.

3. Atteggiamenti, orologi e nuvole In questa prospettiva, ci si preclude però la possibilità di avanzare previsioni, che è una caratteristica importante della scienza. Una soluzione di questo problema è la teoria secondo la quale i fatti sociali, culturali e psicologici sono sempre di tipo disposizionale. È un fatto di questo tipo, ad esempio, la descrizione del vetro come «fragile». Con ciò, non dico che il bicchiere che ho in mano si romperà, ma che è soggetto a farlo in certe condizioni. In modo simile, il sistema culturale determina disposizioni, orientamenti a reagire in un determinato modo a determinati eventi, ma non implica relazioni deterministiche, necessarie, tra cause ed effetti. Questa concezione trova il proprio fulcro teorico nel concetto di «atteggiamento», diventato sempre più centrale, nel corso del Novecento, sia in psicologia e psicologia sociale, sia in antropologia culturale.

attività esprimi il tuo parere argomentato in un testo scritto.

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Gli atteggiamenti sono disposizioni a reagire secondo modalità predefinite a determinati eventi-stimolo. Quelli individuali si formano in relazione alle esperienze personali, mentre quelli culturali si formano storicamente all’interno di una comunità e vengono trasmessi mediante il processo inculturativo ai nuovi membri, che li interiorizzano come parti della propria personalità. Intendere i comportamenti individuali e sociali come la conseguenza di disposizioni delle quali possiamo individuare l’origine, consente di spiegarli razionalmente evitando però il determinismo. La tendenza a produrre certe risposte non è mai necessaria. Gli atteggiamenti costituiscono sistemi flessibili e dinamici, che orientano in certe direzioni lasciando però un margine per l’iniziativa e le scelte personali. Risulta così possibile spiegare le decisioni di un individuo sulla base dell’ambiente in cui è cresciuto, dell’educazione, delle esperienze personali e così via, senza però negare la possibilità di scelte diverse. La previsione si basa, possiamo dire, su probabilità più o meno elevate, che consentono una certa affidabilità, ma non su una necessità e quindi su certezze assolute, lasciando sempre una certa flessibilità. Questa flessibilità nel quadro però di spiegazioni razionali sembra essere ben espressa dalla metafora di Karl Popper (1902-94), che paragona la differenza di questa concezione rispetto al meccanicismo, a un universo costituito da nuvole rispetto a uno costituito da orologi. Gli orologi rappresentano ovviamente il meccanicismo e quindi le spiegazioni basate su rapporti causali necessitanti. Le nuvole sono concettualmente più complesse. Immaginiamo una “nuvola” di moscerini. Ogni individuo si muove in un modo imprevedibile singolarmente, ma la nuvola mantiene una propria unità e i suoi spostamenti sono prevedibili in base alle condizioni climatiche, al calore o all’umidità e insomma a fattori che possono essere studiati razionalmente. Possiamo dire quindi dove, più o meno, andrà la nuvola, pur non potendo prevedere il movimento di ogni moscerino. Lo stesso possiamo affermare per le nuvole vere e proprie. Anche in questo caso, non possiamo prevedere il movimento delle singole molecole di vapore acqueo, ma possiamo con buone probabilità prevedere il movimento della nuvola o del sistema nuvoloso nel suo insieme. «Con buone probabilità», però, non vuol dire «con certezza», come insegna la meteorologia. Anche nell’ambito sociale possiamo prevedere certi comportamenti (ad esempio, l’orientamento di voto o quello relativo ai consumi) ma senza mettere in dubbio la libera volontà dei singoli individui. Resta aperta allora una domanda di fondo: il margine di incertezza dipende dalla nostra incapacità di individuare tutte le cause e gli effetti che meccanicamente producono, oppure da una effettiva libertà di volere? Nel caso della nuvola, ovviamente, la risposta è la prima. E nel caso del comportamento umano, individuale o collettivo?

3. i L ra Z i ON a L i sM O

258

Filosofia e cittadinanza Libertà e responsabilità giuridica Se dal punto di vista epistemologico libertà e libero arbitrio sollevano i problemi che abbiamo considerato in precedenza, dal punto di vista giuridico il libero arbitrio costituisce il fondamento stesso della legge. A differenza di quelle naturali, le leggi giuridiche contemplano infatti la possibilità di essere violate, quindi la possibilità dell’individuo di scegliere se seguirle o meno. Sono previste perciò sanzioni per chi decide di contravvenirle. Questo presupposto è talmente forte che la legge stabilisce che se un individuo commette un fatto senza essere in grado di scegliere, se cioè è «incapace di intendere o di volere», allora non si applicano oppure sono sensibilmente ridotte le pene previste in caso di violazione della legge. Questa scelta da un lato è coerente con lo spirito delle leggi, che puniscono diversamente un fatto se procurato con intenzione o in modo inconsapevole, ma suscita anche una serie di domande. Si parla di colpa se l’azione è intenzionale, o di dolo, se invece l’autore non le ha intenzionalmente volute. Se non sussiste la capacità di intendere e di volere, chi commette un reato non è imputabile e quindi non possono essere applicate le sanzioni e le pene previste dalla legge. Vediamo che cosa prevede il Codice penale a proposito dell’incapacità di intendere o di volere: Art. 85. Capacità d’intendere e di volere. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere. Art. 86. Determinazione in altri dello stato d’incapacità allo scopo di far commettere un reato. Se taluno mette altri nello stato d’incapacità d’intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato d’incapacità. Art. 87. Stato preordinato d’incapacità d’intendere o di volere. La disposizione della prima parte dell’articolo 85 non si applica a chi si è messo in stato d’incapacità d’intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa. Art. 88. Vizio totale di mente. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere. Art. 89. Vizio parziale di mente. Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita.

259 P e N SA re Il P reS e N t e

Art. 91. Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d’intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore. Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, la pena è diminuita. Art. 92. Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata. L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l’imputabilità. Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata. Art. 93. Fatto commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti. Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti. Art. 94. Ubriachezza abituale. Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza. L’aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze. Art. 95. Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti. Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89. Art. 96. Sordomutismo. Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d’intendere o di volere. Se la capacità d’intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita. Art. 97. Minore degli anni quattordici. Non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni. Art. 98. Minore degli anni diciotto. È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della patria potestà o dell’autorità.

3. i L ra Z i ON a L i sM O

260

Sono considerati «incapaci di intendere e di volere» tutti i soggetti di età inferiore ai 14 anni e inoltre tutti coloro che agiscono in stato di inconsapevolezza, ad esempio perché sotto l’effetto di alcool o di droghe. In questo caso, però, la legge prevede che la responsabilità (e quindi l’imputabilità) resti se è stato l’individuo stesso a causare il proprio stato, ad esempio decidendo liberamente di assumere droghe o una quantità eccessiva di alcool. La ratio della legge è chiara: l’individuo ubriaco non è padrone dei propri atti, ma lo era quando ha deciso di bere in eccesso. Anche la mancanza di imputabilità in caso di incapacità di intendere o di volere ubbidisce a una logica comprensibile e condivisibile: chi non è in grado di valutare il valore o il disvalore sociale di ciò che sta facendo (incapacità di intendere) o di decidere consapevolmente, non può essere considerato colpevole di un’azione. Rimane, in genere, la responsabilità civile (l’obbligo di risarcire il danno) ma non può esservi responsabilità penale (la pena prevista per il reato). A partire da qui, però, si aprono interrogativi e controversie. Chi stabilisce che, al momento del reato, il soggetto era incapace di volere? Lo stabilisce il giudice sulla base di perizie e in molti casi di cronaca questa decisione è sembrata dipendere anche dalla possibilità dell’imputato di pagare avvocati capaci o di produrre perizie di parte prestigiose. Comunque, l’incapacità di intendere e di volere deve essere accertata caso per caso, con perizie che non possono in genere seguire parametri del tutto obiettivi, ma che lasciano sempre un margine di discrezionalità sia ai periti, sia ai giudici. Tale margine è legato alla difficoltà di accertare lo stato mentale del soggetto ma può aprire la strada a recriminazioni e contestazioni che in alcuni casi hanno assunto un certo rilievo nell’opinione pubblica. Un caso a sé, tanto da essere stato regolamentato recentemente in modo specifico, è l’omicidio stradale. La guida in stato di ebrezza, come abbiamo visto, non solleva il soggetto dalle proprie responsabilità, ma in ogni caso esclude l’intenzionalità per cui l’eventuale omicidio non è volontario, ma sempre colposo. Di conseguenza si prevedono pene non molto severe. Questa situazione è cambiata dal marzo 2016, quando è stato introdotto nel codice penale il nuovo reato di «omicidio stradale», che prevede pene crescenti a seconda del grado di responsabilità del conducente che si rende responsabile di omicidio: pene da 2 a 7 anni se il fatto è conseguenza di gravi violazioni del Codice della strada; da 5 a 10 anni se chi provoca la morte è in stato di ebrezza lieve; da 8 a 12 anni se è in stato di ebrezza grave (tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro). La pena può essere aumentata fino a 18 anni nel caso in cui ci siano più vittime. Il reato di omicidio stradale distingue questa fattispecie dall’omicidio colposo in genere. È giusto che in questo caso la responsabilità di chi lo compie sia considerata maggiore di chi provoca involontariamente un omicidio con altre modalità? A sostegno della legge si è argomentato che un veicolo può essere pericoloso come un’arma e che quindi porsi alla guida in stato alterato per ebrezza o droghe, produce di per sé una situazione di grave pericolo e di omicidio potenziale. In che misura concordi con queste argomentazioni? La legge è stata introdotta soltanto nel 2016: è stata a tuo parere una decisione opportuna, oppure il legislatore ha ceduto alla pressione dell’opinione pubblica, in seguito a fatti di cronaca amplificati dalla stampa? Documentati sulla legge (Legge 41 del 23 marzo 2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale numero 70 del 24 marzo) con una ricerca in Internet, prima di rispondere.

4. Hobbes e l’empirismo classico

lezione in PowerPoint

LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA • LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. Hobbes e il materialismo 2. Locke: il fondatore dell’empirismo inglese 3. Berkeley: contro il materialismo 4. Hume: per una scienza dell’uomo

La rETE DEi saPEri antropologia • L’esigenza di una scienza dell’uomo psicologia • L’associazionismo sociologia • La tolleranza religiosa da Locke a

voltaire a oggi

I TESTI • T1 Hobbes L’esigenza di un metodo • T2 Hobbes Conosciamo solo ciò che possiamo creare • T3 Hobbes Ragionare è calcolare • T4 Hobbes Annichilimento e ricostruzione del mondo • T5 Hobbes L’etica e la politica sono scienze • T6 Hobbes La deduzione delle passioni • T7 Locke Ciò che possiamo conoscere • T8 Locke La critica dell’idea di sostanza • T9 Locke La critica all’idea di Dio • T10 Berkeley Esse est percipi • T11 Hume Relazione tra idee e fatti LABORATORIO • PENSARE IL PRESENTE

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO ComPetenze / mappa concettuale, Lessico e concettualizzazione, Pensiero critico, Argomentazione, filosofia e cittadinanza Per CAPIre megLIo LA PAroLA AI teStI AttIvItà / Compito di realtà, Cooperative Learning, rielaborazione APProfondImentI / filosofia per immagini, Intersezioni, Per saperne di più

• T12 Hume Rendere coerente l’esperienza • T13 Hume L’io è un fascio di percezioni • T14 Hume La morale non è un fatto ma un sentimento

• T15 Hobbes Lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti

• T16 Locke Lo stato di natura è regolato da leggi naturali

• T17 Hume La causalità non è un nesso necessario tra i fatti

• T18 Hume Lo scetticismo moderato • T19 Hume Il sentimento del piacere e del dolore come fondamento della morale

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Le domande della filosofia LA CONOSCENZA INIZIA DAI SENSI. MA CHE COSA CONOSCONO DELLA REALTA ` LE SENSAZIONI? Le sensazioni sono stimoli materiali, ma si traducono in immagini, rielaborate poi dall’intelletto. non possiamo sapere, quindi, se ciò che conosciamo corrisponde davvero alla realtà.

1

La nostra conoscenza rispecchia la realtà o la ricostruisce? ➤ la conoscenza: dalle sensazioni al pensiero, p. 272 ➤ la conoscenza parte dai sensi, p. 284 ➤ la teoria della conoscenza, p. 302 / lo scetticismo e

la conoscenza come probabilità, p. 308 ➤ Questioni di attualità: Che cosa c’è fuori dalla nostra

mente? ➤ Schede 7, 19, 21, 32, 35 ➤ T7, T8, T12, T18

QUAL È IL RAPPORTO TRA LA VOLONTA ` E LE PASSIONI? Secondo Hobbes, la volontà non è libera, ma è orientata dalle passioni, correlate in modo meccanicistico l’una all’altra a partire da quella fondamentale, la conservazione del proprio essere.

2

È possibile uno studio scientifico delle passioni? ➤ l’antropologia e l’etica, p. 276 ➤ la morale del sentimento, p. 310 ➤ Schede 10, 40 ➤ T6, T14, T19

263

QUAL È IL RAPPORTO TRA IL LINGUAGGIO E LE COSE? Locke parla di «essenze nominali» per indicare il fatto che diamo unità a un insieme di sensazioni indicandole con un unico nome.

3

Il linguaggio crea le cose? Se sì, può anche indurci in errore nella conoscenza della realtà? ➤ I problemi dell’empirismo e la funzione del lin-

guaggio, p. 290 ➤ Schede 7, 23

L’UOMO HA DIRITTI NATURALI INALIENABILI? Secondo Locke, alcuni diritti si fondano sulla ragione e fanno dunque parte della natura stessa dell’uomo. Per questo, lo Stato non può sopprimerli. Sulla base del rispetto di tali diritti, è possibile una convivenza pacifica anche senza uno Stato, a differenza di quanto sosteneva Hobbes.

4

I diritti sono stabiliti dallo Stato, o alcuni sono innati e non possono essere alienati? Quali sono i diritti naturali che lo Stato deve sempre garantire? ➤ lo Stato assolutistico, p. 278 ➤ Il pensiero politico, p. 294 ➤ Filosofia e cittadinanza: Il liberalismo nella Co-

stituzione italiana ➤ Schede 12, 13, 15, 25, 26, 27, 28 ➤ T15, T16

264

La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Quali sono gli strumenti umani per la conoscenza? • Come funzionano? • Che cosa ci permettono di conoscere? • Su che cosa si fonda l’etica? • Come nascono la società e il potere politico?

3

I CONCETTI CENTRALI • Materialismo • Empirismo • Criticismo • Impressioni • Nominalismo • Associazionismo • Antropologia • Assolutismo • Liberalismo

2

I CONCETTI DA RIPASSARE • Innatismo • Sensazioni • Fenomeno • Idee • Oggettivo / Soggettivo • Deduzione • Intuizione • Scetticismo

4

I NUOVI PROBLEMI • La realtà è quale noi la conosciamo? • È possibile una scienza dell’uomo? • Qual è la funzione del linguaggio? • Possiamo conoscere l’esistenza di Dio? • Come va considerata la religione?

PENSARE IL PRESENTE • Questioni di attualità Che cosa c’è fuori dalla nostra mente? In che misura possiamo essere sicuri che ciò che conosciamo con i sensi corrisponda davvero alla realtà così come esiste indipendentemente da noi?

• Filosofia e cittadinanza Il liberalismo nella Costituzione italiana La tradizione liberale, nata nel Seicento, ha dominato i due secoli successivi e anche nelle costituzioni attuali possiamo trovarne importanti tracce, in particolare nell’affermazione dei diritti dell’individuo.

Uno sguardo d’insieme L

a filosofia inglese del Seicento e del Settecento è caratterizzata dal materialismo (teoria in base alla quale ogni aspetto della realtà, anche di quella spirituale, è riconducibile alla materia). da esso deriva, in Hobbes, l’importanza dell’esperienza nella conoscenza, che però non è in grado di fondare un sapere certo: generalizzando casi particolari non si può infatti dimostrare la necessità delle conclusioni. tale teoria, applicata al linguaggio, porta Hobbes a una teoria nominalistica, per la quale le parole sono solo delle convenzioni. In questo quadro, con Locke si afferma l’empirismo, la concezione secondo la quale la conoscenza ha origine dall’esperienza. Da essa, secondo Locke, derivano idee semplici, che il nostro intelletto combina per formare idee complesse. Abbiamo due conseguenze importanti: a) prima ancora di chiederci che cos’è la realtà, dobbiamo indagare su quali strumenti abbiamo a disposizione per conoscerla e che cosa ci consentono di conoscere; b) le idee complesse sono una costruzione della nostra mente e quindi non hanno una corrispondenza oggettiva (Locke critica in particolare l’idea di sostanza). nell’empirismo fondamentale è il problema del linguaggio. Infat-

Audiomappa limiti della conoscenza

quindi

265

ti, se le idee sono costruite dal soggetto, il nome diviene particolarmente importante perché le caratterizza e consente di comunicarle. proprio per questo, però, può falsare la nostra visione della realtà. La riflessione sul linguaggio evidenzia uno dei problemi centrali dell’empirismo, la mancanza di criteri oggettivi per poter stabilire la verità o meno delle proposizioni. Berkeley porterà alle estreme conseguenze il carattere soggettivo e fenomenico della conoscenza, affermando che esiste soltanto ciò che è percepito. Secondo hume la conoscenza è costituita da impressioni che si trasformano in idee semplici; dall’associazione delle idee semplici derivano le idee complesse, cui non corrisponde un fondamento oggettivo; in particolare, Hume critica il nesso causale, considerandolo come una idea complessa giustificata solo dall’abitudine. Esso non ha una validità teoretica ma ha un’utilità pratica; di conseguenza, pur non potendo dimostrarne la necessità, ci comportiamo come se fosse oggettivo. Se dunque la conoscenza ha una valenza pratica, sul piano teoretico deve prevalere un atteggiamento scettico, che non pretenda di spingersi oltre le certezze sensoriali.

funzione del linguaggio

in

probabilismo

in

Hobbes, Locke

Hume

quindi

afferma EMPIRISMO

mediante

idee semplici (Locke)

unite da

intelletto

conoscenza basata sull’esperienza

idee complesse

perché é

impressioni / idee semplici (Hume)

quindi conosciamo conoscenza soggettiva

formano

fenomeni

associazione unite mediante

ma allora

esse est percipi (Berkeley)

formano

266

Il contesto storico-culturale La storia inglese nel periodo che intercorre tra la vita di Hobbes (1588-1679) e quella di david Hume (1711-76), la gran Bretagna passa dall’assolutismo monarchico degli Stuart alla monarchia costituzionale, conquistata con la sanguinosa rivoluzione del 1642 e con quella pacifica del 1689, per vivere infine, a partire dalla metà del Settecento, le profonde trasformazioni legate alla rivoluzione industriale. gli anni della prima rivoluzione vedono sul continente la conclusione dell’ultima grande guerra di religione – la guerra dei trent’anni – che segna, con la Pace di Westfalia (1648), l’affermazione della libertà di coscienza in materia religiosa. ma i trattati della pace di Westfalia segnano anche la laicizzazione della politica: nonostante la forte ostilità del papa, vengono sottoscritti anche dalla cattolicissima Austria e dalla Spagna, che era stata fino ad allora il braccio armato della Controriforma europea.

Economia e cultura In questo periodo in Inghilterra, grazie all’affermazione politica della borghesia, riceve un forte impulso la trasformazione economica che prelude alla rivoluzione

industriale. Questa trasformazione porta con sé uno sviluppo scientifico e tecnologico i cui presupposti teorici conducono a una ridefinizione del sapere in direzione antimetafisica. Si tratta di una nuova concezione della conoscenza, iniziata e teorizzata da Bacone: un sapere operativo e finalizzato al miglioramento della vita umana, sia attraverso lo sviluppo di una scienza sperimentale, sia mediante l’applicazione dell’analisi filosofica alla sfera umana e sociale. di questa trasformazione si fanno interpreti newton e Locke.

La Scozia e i suoi filosofi nel Settecento, parallelamente al delinearsi, in gran Bretagna, delle dinamiche che preparano e accompagnano la rivoluzione industriale, sorgono nuovi orientamenti di cui diventano protagonisti alcuni filosofi scozzesi, che in parte sono in polemica con la cultura inglese, in parte ne condividono idee e valori. La Scozia, infatti, dopo lunghi contrasti viene unita dal 1707 politicamente all’Inghilterra. nel corso del secolo xviii, Glasgow diventa il centro commerciale più importante del mare del Nord per le costruzioni navali e l’importazione del tabacco. Le Università di Glasgow e Edimburgo rappresentano importanti centri culturali; a Glasgow insegna a lungo filosofia morale Francis Hutcheson (1694-1746) che, sviluppando tesi già sostenute da shaftesbury, afferma la presenza nell’uomo di un «senso morale», grazie al quale ognuno è in grado di volere spontaneamente il bene pubblico. Così la discussione sul rapporto fra interesse individuale e interesse collettivo diventa centrale sia nel dibattito filosofico sia nella prima formulazione delle teorie economiche, come mostrano le opere di david Hume e di adam smith (1723-90).

◀ Gerard Terborch, La ratifica della pace di Westfalia a Münster, 1648, olio su rame (Amsterdam, Rijksmuseum Amsterdam).

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1500 Glasgow Edimburgo

Dysert

Dublino

Malmesbury

Oxford

1550 La Flèche

1555 pace di Augusta

Parigi Vienna 1588 nasce Hobbes 1598 Editto di nantes

Torino

1600 1610 galilei, Sidereus Nuncius 1632 nasce Locke

I LUOGHI E I PROTAGONISTI L’empirismo si afferma soprattutto in Gran Bretagna (anche se avrà larga diffusione nella Francia illuministica). Questa corrente di pensiero rivendica l’importanza dell’esperienza nel processo conoscitivo, proponendo quindi un metodo induttivo. hobbes, nato a Malmesbury, vive per molti anni a parigi temendo i pericoli della guerra civile inglese. Anche Locke (che insegna a oxford) viaggerà in Europa per motivi politici: tra il 1674 e il 1679 si rifugerà in Francia, dal 1683 al 1689 sarà invece in Olanda. Berkeley, nato in Irlanda, a Dysert, studia a Dublino ed è fautore del principio secondo cui le cose esistono solo nella percezione. hume, scozzese nativo di Edimburgo, viaggia per incarichi diplomatici (parigi, La Flèche, vienna, torino).

◀ Statua di David Hume davanti alla Cattedrale di St Giles (Edimburgo, Royal Mile Street).

1641 Cartesio, Mediazioni metafisiche

1648 pace di Westfalia

1650 1651 Hobbes, Leviatano 1655 Hobbes, De Corpore 1677 Etica di Spinoza (postuma)

1679 muore Hobbes

1688-89 Inghilterra, «gloriosa rivoluzione»

1690 Locke, Saggio sull’intelligenza umana

1700 1704 muore Locke

1700 Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano 1710 Berkeley, Trattato sui princìpi della conoscenza

1711 nasce Hume

1715 morte di Luigi XIv 1739-40 Hume, Trattato sulla natura umana

1750 1760-80 rivoluzione industriale in Inghilterra 1776 Muore Hume 1789 inizia la rivoluzione francese

1800

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• Sintesi

1

Hobbes e il materialismo

Il teorico dell’assolutismo hobbes vive all’epoca del regno degli stuart e della dittatura di Cromwell ed è il principale teorico dell’assolutismo. Thomas Hobbes (1588-1679) vive durante un periodo di grandi trasformazioni in Inghilterra: la rivoluzione del 1642, che si conclude con la decapitazione di Carlo I, la successiva repubblica (Commonwealth of England), dominata dal potere assolutistico di Oliver Cromwell, la seguente restaurazione monarchica degli Stuart, con Carlo II, nel 1660. Non vedrà invece la seconda rivoluzione, la «rivoluzione gloriosa», che segnerà la fine dell’assolutismo. E dell’assolutismo egli è il principale teorico, sia nella forma della monarchia degli Stuart, sia in quella repubblicana (ma di fatto dittatoriale) di Cromwell, cui guarda con favore.

Il programma e il metodo di ricerca il programma di ricerca di hobbes muove dalla fisica, per studiare poi l’uomo e infine il cittadino. Il pensiero politico di Hobbes, che con la sua opera del 1651, il Leviatano, ha rappresentato la teorizzazione più nota dell’assolutismo, si inserisce in un programma di ricerca enunciato fin dall’inizio degli anni Quaranta, articolato in tre opere fondamentali: De corpore (Il corpo; 1655), De homine (L’uomo; 1658), De cive (Il cittadino; 1642), quindi la fisica, l’antropologia e la teoria sociale e politica. Tale programma è preceduto, nel primo capitolo (La filosofia), da una sorta di “discorso sul metodo” ➝ 1 , che analizza gli strumenti a disposizione dell’uomo per la conoscenza, il modo in cui utilizzarli e gli ambiti che essi ci consentono di conoscere. L’approccio è dunque simile a quello di Cartesio o di Bacone e più in generale di un’epoca caratterizzata da cambiamenti profondi e dalla necessità di una rifondazione del sapere ➝ 2 .

◀ Charles Landseer, Cromwell nella battaglia di Naseby nel 1649, 1851, olio su tela (Berlino, Alte Nationalgalerie).

Materiali per l’apprendimento attivo

Hobbes

thomas Hobbes (1588-1679) dopo l’università, si pone, come facevano all’epoca gli intellettuali non facoltosi, al servizio di una famiglia aristocratica come precettore;

in seguito: il De corpore (1665) e il De homine (1658). Nel De cive, Hobbes inizia a esporre la teoria assolutistica dello Stato, che si espliciterà compiutamente nel Leviatano (1651). Quando in Inghilterra iniziano le prime turbolenze che porteranno alla rivoluzione, Hobbes si trasferisce prima a Parigi poi in olanda. Ritorna in patria nel 1651, quando il potere è saldamente nelle mani di Cromwell, che realizza l’assolutismo politico teorizzato nell’opera pubblicata nello stesso anno.

Audiomappa

1. COMPETENZE > Mappa concettuale

la conoscenza secondo HoBBes LA RAGIONE È IL FONDAMENTO DELLA CONOSCENZA

come metodo deduttivo

come metodo induttivo che va

che va dalla causa all’effetto

dall’effetto alla causa

ma solo se

perché

conosciamo le cause (i princìpi)

non conosciamo i princìpi come per

come per la matematica, l’etica, la politica

le scienze della natura dove

dove è possibile conoscere il vero

la conoscenza è solo probabile

2. La ParOLa ai TEsTi

T1 hobbes L’esigenza di un metodo In apertura del De corpore, Hobbes propone questa illuminante immagine per sottolineare la necessità di un metodo che, come avvenne per l’agricoltura, renda sistematica e non occasionale la produzione di frutti cioè, fuor di metafora, di un sapere sistematico.

5

Mi sembra che oggi la filosofia si trovi tra gli uomini nella stessa situazione in cui si narra che nei tempi antichi si trovassero il frumento ed il vino. C’erano, infatti, dall’inizio, le viti e le spighe, sparse qua e là per i campi, ma nessuna seminagione. Perciò si viveva di ghiande o, se qualcuno osava mettere mano a bacche sconosciute e tali che destavano dubbio, lo faceva a danno della sua salute. Similmente, la filosofia, cioè la ragione naturale, è innata in ogni uomo; ognuno, infatti, ragiona fino ad un certo punto e su alcune cose; ma, quando c’è bisogno di una lunga serie di ragioni, per la mancanza di un giusto metodo, quasi di seminagione, deviano, i più, e cadono in errore. (Th. Hobbes, Il corpo, parte I, i, 1, in Elementi di filosofia, Utet, Torino 1972, p. 69)

269 1 Hob b eS e IL mAT e RIA L IS mo

resterà in questo ruolo per trent’anni, prevalentemente con la famiglia del barone Cavendish. Con il suo pupillo effettua ben tre viaggi in Europa venendo a contatto con gli ambienti intellettuali più in vista in Germania, in Francia, e in Italia: conosce personalmente Cartesio, Mersenne e Galilei. Il primo importante scritto, che circola in edizione privata nel 1642 è il De cive, ripubblicato poi ad Amsterdam nel 1647; questo libro costituisce la terza sezione di un manuale di filosofia le cui prime due sezioni saranno scritte

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

270

il metodo per eccellenza usato da hobbes è quello matematico, cioè deduttivo, che può essere applicato soltanto agli ambiti di cui possiamo conoscere i princìpi costitutivi. La natura, invece, è conosciuta per via induttiva, a partire dai sensi, ma in questo caso la conoscenza è soltanto probabile e non sicuramente vera. Come Cartesio, anche Hobbes guarda alla matematica come al modello della conoscenza, da cui ricavare un metodo valido in generale. Il metodo della matematica è deduttivo: parte da princìpi generali, da definizioni, assiomi e postulati, per derivarne via via, mediante il solo ragionamento, tutte le possibili conseguenze. Caratteristica del metodo deduttivo è che ciò che possiamo derivare dai princìpi generali mediante il ragionamento è sicuramente vero e al tempo stesso è universale, ossia vale per ogni esperienza possibile. Il teorema di Pitagora, per fare un esempio, non può essere messo in dubbio e non possiamo immaginare che sia vero in Inghilterra ma non in Spagna, o che sia vero oggi ma non tra cent’anni. Problema fondamentale del metodo deduttivo è che esso si regge sulla verità dei princìpi generali e che può dimostrare tutto ma non i princìpi da cui muove. Ne consegue, secondo Hobbes, che è possibile applicarlo soltanto agli ambiti della realtà di cui si conoscono con certezza i princìpi. Ma quali sono questi ambiti? Quelli che noi stessi produciamo, conclude Hobbes. La geometria è la scienza deduttiva per eccellenza e i suoi princìpi sono prodotti dagli uomini, così come quelli dell’aritmetica. Noi, però, conosciamo i princìpi anche di altre scienze, e precisamente di quelle che derivano dal nostro comportamento: la morale e la politica. Anche in questi casi non si ha a che fare con una realtà esistente prima dell’uomo e indipendentemente da lui, ma con qualcosa che egli stesso produce; dipende quindi da lui, cioè da noi stessi e noi conosciamo bene la nostra natura perché è il nostro stesso essere. Insieme alla matematica, quindi, anche la morale e la politica sono scienze deduttive, nel cui ambito possiamo conoscere con certezza, in modo vero. Il vero per Hobbes, come poi sarà per Giambattista Vico, coincide con il fare: possiamo conoscere come vero solo ciò che noi stessi facciamo ➝ 3 . Diversamente vanno le cose nella conoscenza di ciò che non è prodotto da noi, cioè della natura. In questo caso non possediamo i princìpi generali e quindi dobbiamo procedere mediante il ragionamento a posteriori, induttivo. Le conclusioni cui potremo pervenire con questo metodo, però, non potranno mai essere sicuramente vere, ma soltanto probabili. In questo ambito, dato che tutto è corpo, la conoscenza inizia dai sensi, i cui dati sono rielaborati dalla ragione, che interpreta la realtà calcolando, nel senso matematico del termine. Un esempio proposto da Hobbes chiarisce questa dinamica: se vediamo qualcosa in lontananza possiamo dire che è un corpo; avvicinandosi la vediamo muoversi e diciamo che è una cosa animata, sommando corpo e movimento. Infine, avvicinandoci ancora, comprendiamo che è razionale e allora sommiamo questa qualità alle precedenti concludendo che è un uomo, cioè: corpo + animale + razionale ➝ 4 . La scienza, sia procedendo deduttivamente sia induttivamente, ha come oggetto il rapporto tra le cause e gli effetti: il metodo deduttivo muove dalle cause agli effetti, mentre quello induttivo risale dagli effetti alle cause. Conoscendo le cause, gli effetti possono essere determinati con certezza, e quindi la conoscenza è vera; conoscendo gli effetti, le cause sono solo ipotizzabili e dunque la conoscenza è probabile. GuIda allo sTudIo • Quali sono le tappe del programma di ricerca di Hobbes? • Qual è il metodo per eccellenza della conoscenza? • Che tipo di conoscenza producono i sensi?

Materiali per l’apprendimento attivo

271

3. La ParOLa ai TEsTi

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Delle arti, alcune sono dimostrabili, altre indimostrabili; e dimostrabili sono quelle in cui la costruzione dell’oggetto d’indagine è in potere dell’artista stesso, il quale, nel corso della sua dimostrazione, non fa altro che dedurre le conseguenze della sua personale operazione. La ragione è che la scienza di ogni oggetto deriva da una precognizione delle cause, della generazione e della costruzione del medesimo; e, di conseguenza, dove le cause sono conosciute v’è posto per la dimostrazione, ma non ve n’è là dove le cause sono da ricercare. Pertanto la geometria è dimostrabile, poiché le linee e le figure a partire dalle quali ragioniamo sono tratte e descritte da noi stessi; e la filosofia civile è dimostrabile, perché noi stessi facciamo la comunità. Tuttavia, dal momento che non conosciamo la costruzione dei corpi naturali, ma la ricerchiamo negli effetti, non si può affatto dimostrare quali siano le cause da noi ricercate, ma soltanto quali possano essere. (Th. Hobbes, The English Works of Thomas Hobbes of Malmesbury, in A. Child, Fare e conoscere in Hobbes, Vico e Dewey, trad. it. di M. Donzelli, Guida, Napoli 1970, p. 19)

4. La paroLa ai testi

T3 Hobbes Ragionare è calcolare Il ragionamento consiste nel combinare insieme i concetti, come in un calcolo matematico. Hobbes propone qui alcuni esempi di questa tesi. Ogni conoscenza filosofica può essere ricondotta a calcolo.

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In che modo, poi, noi, con la mente, senza parole, con tacita riflessione ragionando, siamo soliti addizionare e sottrarre, si deve mostrare con uno o due esempi. Se uno, dunque, da lontano, vede qualcosa oscuramente, anche se non è stato imposto alcun vocabolo, ha tuttavia di quella cosa la stessa idea per la quale, imponendo ora dei nomi, dice che quella cosa è un corpo. Quando la cosa si è avvicinata ed egli in un determinato modo la vede ora in luogo ora in un altro, avrà di essa un’idea nuova, per la quale ora chiama questa cosa animata. Da ultimo, quando, trovandosi in prossimità di quella cosa, ne vede la figura, ne ascolta la voce e coglie le altre cose che sono i segni di una mente razionale, si forma una terza idea, anche se finora non c’è stato un suo nome, la stessa, cioè, per la quale diciamo che qualcosa è razionale. Finalmente, quando, vista la cosa completamente e distintamente, la concepisce nella sua totalità come una, la sua idea è composta da quelle precedenti, e la mente compone le idee predette nello stesso ordine in cui nel discorso questi singoli nomi: corpo, animale, razionale, sono composti in un unico nome: corpo animato razionale o uomo. […] Ancora: se uno vede un uomo che gli sta vicino, ne concepisce una idea totale; se invece lo segue solo con gli occhi, mentre si allontana, perderà l’idea di quei tratti caratteristici che erano i segni della ragione, mentre l’idea di animato resterà ancora dinanzi agli occhi, sì che dall’idea totale di uomo, cioè corpo animato razionale, è sottratta l’idea razionale e rimane quella di corpo animato; in seguito, poco dopo, per la maggiore distanza, si perderà l’idea di animato, resterà soltanto l’idea di corpo e, alla fine, per la distanza, non può più essere visto e l’idea nella sua totalità svanisce dagli occhi. (Th. Hobbes, Il corpo, parte I, i, 3, in Elementi di filosofia, Utet, Torino 1972, pp. 71-72)

1 HoB B eS e Il MAt e rIA l IS Mo

T2 hobbes Conosciamo solo ciò che possiamo creare Secondo Hobbes possiamo conoscere con sicurezza solo ciò che noi stessi facciamo, ponendone i princìpi e quindi potendo partire da essi. La natura può essere invece conosciuta solo a partire dall’esperienza e quindi possiamo solo ipotizzarne cause e princìpi. La conoscenza di essa è dunque soltanto più o meno probabile, mai sicuramente vera, cioè dimostrata.

4. H oB B e s e L’e M p i ri sM o CL assi Co

272

I corpi e la fisica La fisica è una scienza induttiva e quindi non dà luogo a una conoscenza sicuramente vera. È però possibile ipotizzarne alcuni caratteri generali dai quali dedurre la struttura del mondo, anche se i diversi aspetti possono essere conosciuti soltanto tramite l’esperienza. L’universo è fatto da Dio e dunque non possiamo conoscerlo in modo deduttivo. Possiamo, però, individuarne per via ipotetica i princìpi costitutivi, dai quali poi ricavare la struttura generale della realtà. Per raggiungere questo risultato, Hobbes ricorre a un singolare esperimento mentale: facciamo partire la «filosofia naturale» da un «finto annichilimento del mondo» (Il corpo, in Elementi di filosofia, Utet, Torino 1972, p. 145). Immaginiamo che si annienti tutto ciò che esiste e che rimanga soltanto un uomo. Che cosa potrebbe conoscere? Intanto le idee di ciò che aveva conosciuto prima e, con esse, la convinzione che gli fossero derivate da qualcosa di esterno. Avrà perciò anche l’idea di uno spazio che, seppure adesso vuoto di cose, è comunque esterno al suo essere. Avrà anche il ricordo che in quello spazio si muovevano dei corpi e quindi avrà l’idea di tempo come, scrive Hobbes, «fantasma del moto» «secondo il prima e il dopo» (Ivi, p. 148), così come lo spazio è il fantasma delle cose, cioè ciò che resta delle cose quando vengono annichilite. Immaginiamo adesso che si crei di nuovo qualcosa. Si tratterà di qualcosa di esterno a noi (all’uomo rimasto dopo l’annichilimento, come soggetto in generale), esistente nello spazio e nel tempo, quindi in moto ➝ 5 . Gli elementi costitutivi della realtà sono quindi lo spazio, il tempo, il corpo e il movimento. Posto ciò, possiamo ricostruire con il ragionamento tutti gli aspetti fondamentali del mondo fisico. Non si tratta però di un vero metodo deduttivo (soltanto Dio potrebbe conoscere deduttivamente la natura) ma di ipotesi per spiegare ciò che conosciamo a posteriori, cioè con l’esperienza. Ma nel mondo fisico tutto ciò che accade dipende comunque da cause precise, da corpi che si muovono nello spazio causando il moto di altri corpi e così via. La fisica che ne risulta è caratterizzata quindi da due presupposti: il materialismo, perché abbiamo a che fare soltanto con corpi, e il meccanicismo ➝ 6 , perché tutto ciò che accade è l’effetto di cause efficienti, cioè che precedono l’effetto e lo determinano. Posti questi princìpi generali, che non possiamo dimostrare ma che possiamo considerare plausibili perché confermati dal ragionamento, i diversi aspetti della natura, ovvero le singole realtà esistenti possono essere conosciute soltanto mediante i sensi.

La conoscenza: dalle sensazioni al pensiero L’unica fonte di conoscenza degli oggetti fisici è costituita dai sensi. Le sensazioni ci danno sempre conoscenze soggettive e particolari. possiamo generalizzarle con i nomi e i concetti, mediante i quali astraiamo dalle percezioni particolari per conservare soltanto gli aspetti generici e comuni a tutti. I diversi corpi che compongono la realtà fisica possono essere conosciuti, proprio perché materiali ed esterni a noi, soltanto mediante i sensi. Quindi, per Hobbes la conoscenza perfetta è deduttiva, ma quella del mondo esterno è induttiva e parte necessariamente dalle sensazioni e dall’esperienza. La sensazione è il solo strumento che abbiamo per conoscere i singoli corpi. Essa però presenta due limiti: è soggettiva, cioè diversa da individuo a individuo, ed è particolare, cioè a partire da essa non possiamo formulare proposizioni universali. Mediante la sensazione non conosciamo le cose come sono in sé, oggettivamente, ma conosciamo i cambiamenti che inducono in noi e che sono diversi da individuo a individuo. Una volta

Materiali per l’apprendimento attivo

273

5. La ParOLa ai TEsTi

Come Cartesio, anche Hobbes inizia la fisica con l’ipotesi dell’annichilimento del mondo, così da individuarne i costituenti elementari per poi ricostruirlo procedendo in modo deduttivo. Tuttavia, in questo modo possiamo individuarne solo alcuni aspetti generali, e in particolare l’esistenza dei corpi, del movimento, dello spazio e del tempo indipendentemente da noi. La conoscenza dell’universo fisico richiede invece l’esperienza.

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Nella maniera migliore (come è stato mostrato sopra) faccio cominciare la filosofia naturale dalla privazione, cioè da un finto annichilimento del mondo. Ma, supposto tale annichilimento di tutte le cose, qualcuno, forse, mi chiederà se non rimarrebbe qualcosa intorno a cui un uomo (l’unico che sottraiamo all’annichilimento di tutte le cose) possa filosofare o pienamente ragionare, o che possa imporre, per ragionare, un nome a qualcosa. Dico, dunque, che, a quell’uomo, del mondo e di tutti i corpi che prima del loro annichilimento aveva guardato con gli occhi ed aveva percepito con gli altri sensi, rimarranno le idee, cioè la memoria e l’immaginazione delle grandezze, dei movimenti, dei suoni, dei colori ecc. ed anche del loro ordine e delle loro parti: e tutte queste cose, sebbene siano unicamente idee e fantasmi, tuttavia gli appariranno come esterne e niente affatto dipendenti da un potere della mente. (Th. Hobbes, Il corpo, parte II, vii, 1, in Elementi di filosofia, Utet, Torino 1972, pp. 145-46)

6. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

MateriaLisMo e MeCCaniCisMo Il materialismo è la teoria che afferma l’esistenza della materia come unica realtà esistente. Secondo Hobbes tutto è corpo e non ha senso parlare di sostanze spirituali. Il pensiero è riconducibile a una funzione del cervello, senza la necessità di riferirlo a una sostanza spirituale, l’anima. Lo stesso dio, che per Hobbes esiste, non può che essere materiale. Hobbes entra in polemica con Cartesio, che sosteneva l’esistenza di una sostanza pensante (res cogitans) distinta dalla materia. nella sua celebre obiezione alle tesi cartesiane, riportata dallo stesso Cartesio in appendice alle Meditazioni metafisiche, critica il cogito, ergo sum, sostenendo che il pensiero potrebbe essere prodotto da un corpo. Altrimenti, aggiunge ironicamente, per il fatto che passeggio dovrei concludere: «Quindi sono una passeggiata». In realtà sono un corpo che passeggia, così come potrei essere un corpo che pensa. Hobbes riprende invece il meccanicismo cartesiano, cioè la spiegazione del comportamento, anche umano, sulla base di cause efficienti, negando il libero arbitrio. Egli generalizza però il meccanicismo, che Cartesio limitava alla res extensa (la materia), a tutta la realtà. cessata la stimolazione sensoriale diretta, la conoscenza della cosa non svanisce, bensì rimane come fantasma nella nostra mente, come immagine, che è «una sensazione illanguidita» (Ivi, p. 383). La sensazione produce quindi conoscenze frammentate e individuali, tendenzialmente incomunicabili agli altri. Possiamo però superare questi limiti mediante il linguaggio. Dando a un insieme di sensazioni un nome, noi le fissiamo, le trasformiamo in oggetti che possono essere trattati, nella nostra mente, come realtà stabili e che possono essere comunicate agli altri. In relazione alla nostra esperienza abbiamo a che fare solo con singoli individui identificati da nomi propri, ma mediante la ragione possiamo astrarre da alcune caratteristiche legate alla nostra particolare esperienza e conservare solo quelle generi-

1 HoB B ES E IL MaT E RIa L IS Mo

T4 hobbes Annichilimento e ricostruzione del mondo

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

274

che, definendo così nomi comuni, che designano classi di cose. In questo modo possiamo comunicare con gli altri, parlando di cavalli e di mele e non soltanto del cavallo e della mela conosciuti da me individualmente. Ancora, in questo modo possiamo produrre concetti, cioè rappresentazioni mentali non direttamente legate alla nostra esperienza particolare e sulle quali quindi possiamo sviluppare ragionamenti. Le esperienze sono quindi il punto di partenza della conoscenza del mondo esterno, ma vengono rielaborate dalla ragione, combinandole come in un calcolo, come abbiamo visto: l’uomo come corpo + animale + razionale, l’animale come uomo - razionale e così via. Anche il metodo induttivo, quindi, si basa sulla ragione, sebbene non possa condurre a conoscenze vere, ma soltanto probabili. I ragionamenti non operano però sulle cose, ma sulle parole. Quindi, conclude Hobbes, la verità o la falsità riguardano soltanto le parole e le proposizioni, non le cose ➝ 7 .

La conoscenza operativa La conoscenza deduttiva è operativa, perché si riferisce agli ambiti di cui noi stessi generiamo i princìpi e che quindi siamo in grado di produrre. «vero» e «fare» coincidono. La verità raggiunta mediante i sensi e il linguaggio è però sempre più o meno probabile e mai certa. Possiamo invece conoscere con certezza soltanto gli ambiti della realtà prodotti dagli uomini, in particolare il comportamento individuale e quello collettivo ➝ 8 . Hobbes chiarisce la differenza tra conoscenza induttiva e deduttiva (o, potremmo dire, operativa, cioè derivante dal fare) mediante l’esempio del cerchio. Posso ricavare il concetto di cerchio osservando cose rotonde e generalizzando, ma in questo modo non potrò dire di conoscere veramente che cos’è il cerchio. Se invece lo genero, mediante un compasso, allora ne conosco le caratteristiche geometriche, e in particolare l’equidistanza di tutti i punti della circonferenza dal centro. Tracciando poi il diametro e il raggio, potremmo conoscere che cosa sono davvero, qual è il loro rapporto e così via. Ragionando sulle operazioni e sulla figura che abbiamo prodotto, saremmo in grado di ricavare per via deduttiva, senza l’osservazione di cose circolari cioè senza ricorrere all’esperienza, tutte le diverse proprietà del cerchio. Lo stesso possiamo fare per il mondo umano, del quale conosciamo i princìpi. È quindi possibile fondare l’antropologia, la morale e la politica ➝ 9 come scienze deduttive e produttive, che conducono alla conoscenza vera e non solo probabile dell’oggetto di studio. Hobbes rovescia le tesi della rivoluzione scientifica: lo studio della natura non è scientifico, perché deve affidarsi al metodo induttivo, mentre lo è quello delle produzioni umane, che può essere condotto con metodo deduttivo.

GuIda allo sTudIo • Perché per Hobbes dobbiamo usare sia il

metodo deduttivo sia quello induttivo? In quali ambiti? • Che ruolo ha la sensazione nella conoscenza?

• Qual è la funzione del linguaggio? • In che senso la conoscenza si identifica con

il fare? • La politica può essere considerata una

scienza? Perché?

Materiali per l’apprendimento attivo

275

7. COMPETENZE > Pensiero critico

8. La paroLa ai testi

T5 Hobbes L’etica e la politica sono scienze Le verità di fatto sono quelle accertabili con l’esperienza ma non derivabili da princìpi generali noti. Etica e politica, invece, sono scienze deduttive perché possiamo conoscerne a priori i princìpi, dato che noi stessi le produciamo.

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Per scienza si intende la verità dei teoremi, cioè la verità delle proposizioni generali, cioè la verità delle conseguenze. Ma, quando si tratta di una verità di fatto, non si dice propriamente scienza, ma semplicemente cognizione. E, perciò, quella scienza per la quale sappiamo che un teorema proposto è vero, è una cognizione derivata dalle cause, o dalla generazione dell’oggetto, attraverso un retto ragionamento. Al contrario, la scienza, per la quale sappiamo solo che è possibile che un teorema sia vero, è una cognizione derivata attraverso un ragionamento legittimo, dall’esperienza degli effetti. […] Inoltre, la politica e l’etica, cioè la scienza del giusto e dell’ingiusto, dell’equo e dell’iniquo, può essere dimostrata a priori; ed infatti i principi per i quali si sa che cosa sono il giusto e l’equo, l’ingiusto e l’iniquo, cioè le cause della giustizia, le leggi e le convenzioni, sono cose che abbiamo fatto noi stessi. Infatti, prima della stipulazione dei patti e dell’istituzione delle leggi, non c’era tra gli uomini, più che tra le bestie, né giustizia né ingiustizia alcuna, forma alcuna né di bene né di male pubblico. (Th. Hobbes, L’uomo, x, 4-5, in Elementi di filosofia, Utet, Torino 1972, p. 589-91)

9. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

poLitiCa «Politica» deriva da pólis, “città” ed è considerata l’arte di governare la città-Stato. Hobbes è il primo filosofo moderno a ritenere esplicitamente la politica come una scienza, anche se la sua riflessione si inserisce in un dibattito che risale almeno a machiavelli, il quale aveva segnato la progressiva emancipazione della politica dalla morale e dalla religione. Hobbes sostiene qualcosa in più: la scienza è sempre deduttiva e il metodo deduttivo può essere applicato soltanto se conosciamo i princìpi generalissimi dell’ambito studiato, dato che non consente di dedurre i princìpi stessi. Per la politica e per l’etica, che riguardano gli uomini, i princìpi sono nella stessa natura umana, che possiamo conoscere quindi in modo certo.

1 Hob b eS e IL mAT e RIA L IS mo

iL NOMiNaLisMO Di hOBBEs E GLi iNGaNNi DEL LiNGuaGGiO le parole non corrispondono alle esperienze se non per convenzione. I nomi non rimandano a nessuna essenza, non hanno una realtà propria, sono semplicemente strumenti che usiamo per comunicare. Ciò ovviamente vale anche per il linguaggio in generale e per questo la concezione di Hobbes può essere ricondotta al nominalismo, per il quale i nomi hanno significato unicamente per l’accordo tra gli uomini. In questo modo, però, mediante il linguaggio sostituiamo a realtà fisiche (oggetto dell’esperienza) dei segni (le parole), per cui quando parliamo (o pensiamo) non abbiamo più a che fare con realtà fisiche ma con segni e con simboli. Perciò, afferma Hobbes, la verità è nelle parole e non nelle cose. Per questo il linguaggio, continua Hobbes, è uno strumento importante per la convivenza e per la stessa azione umana, ma espone anche a rischi, perché si sostituisce all’esperienza diretta e può farci credere a cose che non esistono o che, comunque, non possiamo conoscere.

4. H oB B e s e L’e M p i ri sM o CL assi Co

276

L’antropologia e l’etica

mappa

La morale è deducibile dalla natura umana, caratterizzata dalla tendenza a conservare la propria esistenza e a espandere il «movimento vitale». Ciò che concorre a questo scopo provoca piacere ed è definito «bene». Ciò che ostacola il movimento vitale provoca dolore e viene definito «male». a partire da queste reazioni involontarie è possibile ricostruire tutte le passioni e spiegare il comportamento, il quale non è libero ma è la risultante di tali meccanismi. Il punto di partenza del mondo umano, quindi della morale, della società e dello Stato, è la conoscenza della natura umana, cioè l’antropologia, intesa in senso lato come studio dell’uomo. Secondo Hobbes, l’uomo tende in primo luogo all’autoconservazione e avverte quindi come favorevole ad essa tutto ciò che espande la propria energia o, come scrive Hobbes, il proprio «movimento vitale», mentre avverte come avverso tutto ciò che lo riduce o lo contrasta. L’uomo è dunque per natura fondamentalmente egocentrico, considera se stesso come centrale e riferisce gli altri a se stesso. A partire da questi princìpi fondamentali, è possibile ricostruire tutte le passioni umane e la loro dinamica ➝ 10 . Ciò che aumenta il movimento vitale è positivo, quindi desiderabile, produce piacere, è considerato bene e nei suoi confronti proviamo amore. Il contrario avviene per ciò che lo contrasta. Come si vede, il «bene» e il «male» sono alla fine di una catena di reazioni naturali, non all’inizio; in altre parole noi non agiamo per realizzare ciò che è bene o per fuggire ciò che è male, ma chiamiamo «bene» o «male» ciò che favorisce o minaccia la nostra conservazione. Il comportamento è il punto di arrivo di una serie di meccanismi che lo determinano. Da questa impostazione derivano importanti conseguenze: 1. il bene e il male non sono originari ma costituiscono reazioni naturali a ciò che favorisce o meno il nostro movimento vitale; 2. la morale non consiste nell’individuazione di valori ai quali improntare la volontà, ma nella descrizione di ciò che determina il comportamento; 3. infine, ma è la conseguenza principale, non si può parlare di libertà di scelta, di libero arbitrio. La libertà, afferma Hobbes, è la mancanza di impedimenti esterni, ma la mia volontà non è libera, perché deriva da una serie di cause che possiamo ricostruire. Nel momento in cui si considera lo studio del comportamento umano come una scienza deduttiva, in cui tutto deriva da cause che determinano i vari effetti, non esiste ovviamente nessuna volontà libera. Infatti, se qualcosa può essere dedotto, cioè ricavato da princìpi generali e derivato da essi, non può essere diversamente da com’è. La morale di Hobbes è quindi meccanicistica, perché è ricondotta a un rapporto di cause ed effetti. Proseguendo questa analisi, è possibile descrivere tutte le diverse passioni, mostrando come derivino necessariamente l’una dall’altra e come trovino sempre la propria spiegazione, senza mai chiamare in gioco la volontà ➝ 11 .

GuIda allo sTudIo • Qual è la pulsione fondamentale della natura umana? • da che cosa dipendono il bene e il male? • Perché a proposito della filosofia di Hobbes si parla di «meccanicismo morale»?

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

10. COMPETENZE > Mappa concettuale

PRINCIPIO ORIGINARIO

è

autoconservazione quindi

ciò che aumenta il movimento vitale

ciò che riduce il movimento vitale

è

è

positivo (desiderabile)

negativo (da evitare)

produce

produce

piacere

dolore

è considerato

è considerato

bene

male

11. La ParOLa ai TEsTi

T6 hobbes La deduzione delle passioni Procedendo con metodo deduttivo, Hobbes propone una spiegazione delle singole passioni, derivandole da quelle principali e differenziandole in base a criteri stabiliti, come la probabilità di raggiungere ciò che si desidera o di evitare ciò che si teme, il tipo di oggetto verso cui sono rivolte ecc.

5

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Queste semplici passioni chiamate appetito, desiderio, amore, avversione, odio, gioia e afflizione, hanno i loro nomi diversificati per diverse considerazioni. In primo luogo, quando si succedono l’un l’altra, vengono chiamate diversamente sulla base dell’opinione che gli uomini hanno della probabilità di raggiungere ciò che desiderano: in secondo luogo, sulla base dell’oggetto amato o odiato […]. Infatti l’appetito, congiunto con l’opinione che si conseguirà, è chiamato speranza. Lo stesso, senza tale opinione, disperazione. L’avversione, con l’opinione di un nocumento da parte dell’oggetto, timore. La stessa, con la speranza di evitare quel nocumento per mezzo della resistenza, coraggio. Il coraggio subitaneo, ira. La speranza costante, confidenza in noi stessi. La disperazione costante, diffidenza verso noi stessi. L’ira per un grande nocumento arrecato ad un altro, quando comprendiamo che lo si è arrecato ingiustamente è detta indignazione . Il desiderio del bene per un altro, benevolenza, buon volere, carità. Se è per l’uomo in generale, buona natura. (Th. Hobbes, Leviatano, I, vi, La Nuova Italia, Firenze 1976, pp. 53-54)

1 HoB B eS e Il MAt e rIA l IS Mo

LE PassiONi uMaNE

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4. H oB B e s e L’e M p i ri sM o CL assi Co

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La politica: homo homini lupus L’analisi della società muove dalla condizione dell’uomo allo stato di natura. in esso ciascuno possiede un diritto illimitato su tutte le cose e perciò entra inevitabilmente in conflitto con gli altri. per uscire dalla precarietà dello stato di natura gli uomini, guidati dalla ragione, stipulano un patto in base al quale ciascuno rinuncia a ogni diritto demandandolo a un sovrano. Se ognuno considera bene ciò che favorisce la propria conservazione ed espande il proprio spirito vitale, allora il bene cambia da individuo a individuo ma soprattutto ognuno agisce in funzione di sé, cercando di assoggettare gli altri alle proprie esigenze. La visione antropologica di Hobbes è pessimistica: l’uomo è un essere egoista, è lupo per l’altro uomo (homo homini lupus), tende ad aggredire per avvantaggiare se stesso. Lo stato di natura, di conseguenza, è caratterizzato da una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes). Si tratta però di una situazione di perenne incertezza, nella quale, se ognuno è lupo, è al tempo stesso circondato da lupi, pronti a minacciarne la sopravvivenza. La ragione allora impone di mettere fine a questo stato di cose. Ciò è possibile soltanto se ognuno rinuncia al proprio diritto su tutto, richiedendo agli altri lo stesso impegno. Nello stato di natura, per Hobbes, non esistono diritti né doveri reciproci, ma l’uomo è comunque un essere razionale e si rende conto che l’imperativo principale, per la propria stessa sopravvivenza, è quello di cercare la pace. A tal fine, la ragione detta tre leggi: evitare il conflitto e cercare la pace; rinunciare al proprio diritto su tutto; rispettare i patti. Sulla base di queste leggi, ognuno rinuncia al proprio diritto per affidarlo a un uomo, o a un’assemblea di uomini, che garantisca la pace e la conservazione di ognuno. Si stabilisce così un vero e proprio patto, dal quale ha origine il potere politico. Hobbes lo riassume in questa formula: «io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso, a quest’uomo, o a questa assemblea di uomini a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile» (Leviatano, II, xvii, La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 167).

Lo Stato assolutistico il sovrano accentra in sé tutti i poteri ed estende il proprio controllo anche sulla religione. Le leggi che il sovrano emana costituiscono pure i fondamenti della moralità di ognuno, la cui individualità viene assorbita nello stato stesso, preconizzando il totalitarismo. La teoria del patto sociale costituisce la base della politica di Hobbes. Il patto non può che prevedere da parte di ognuno la rinuncia a ogni diritto, altrimenti sorgerebbero continuamente rivendicazioni e conflitti. Si stabilisce di conseguenza, per volere dei contraenti, un’entità superiore a ogni singolo individuo, un potere che ha il compito di organizzare ogni aspetto della vita sociale. Hobbes teorizza uno Stato assoluto ➝ 12 , cioè sciolto (absolutus) da ogni legame, da ogni condizionamento, che non dipende quindi da nessuno se non dal sovrano, cioè dalla persona o dall’assemblea cui è stato demandato il potere. Lo Stato, così inteso, è paragonato al Leviatano, un mostro biblico, simile a un gigantesco rettile provvisto di zampe, superiore per forza e per ferocia a ogni altra belva, che si nutre di ogni essere, compresi gli uomini. Nel Leviathan (Leviatano), pubblicato nel 1651, Hobbes espone la propria concezione politica, che il frontespizio dell’opera rappresenta in forma allegorica ➝ 13 . Il sovrano è formato da innumerevoli individui, tutti uniti a comporre una sola identità. Questa immagine sintetizza più concetti. Lo Stato è un individuo, cioè ha una propria identità e una propria personalità. Costituendo lo Stato, gli individui danno vita a un’entità superiore, che li unisce e al tempo stesso li annulla come individui. Infatti, la volontà

Materiali per l’apprendimento attivo 12. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

13. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia per immagini

iL FrONTEsPiZiO DEL leviathan La parte superiore del frontespizio del Leviathan rappresenta il sovrano come un re il cui corpo è composto da innumerevoli individui, a significare che solo unendosi sotto un sovrano il popolo può trovare e affermare la propria identità. La spada e il pastorale sono i simboli del potere politico e di quello religioso, che devono essere riuniti sotto il potere del sovrano.

dello Stato coincide con quella del sovrano, il cui potere è assoluto con un solo limite: non può disporre della vita dei sudditi, anzi ha l’obbligo di garantire loro sicurezza, sia all’interno, sia contro i nemici esterni. Nel caso in cui il sovrano non sia all’altezza di questo compito e metta in pericolo la vita dei singoli o della collettività, allora, e solo allora, la collettività ha il diritto di ribellarsi, non contro il potere ma contro l’individuo non all’altezza del proprio compito, sostituendolo con un altro. Nell’immagine è rappresentato un altro concetto importante. Il sovrano impugna nella mano destra la spada, segno del potere politico, e nella sinistra il pastorale, simbolo del potere religioso, a significare che concentra in sé entrambi i poteri, altrimenti l’uno sarebbe limitato dall’altro. Converrà ricordare che in Inghilterra il re era anche capo della Chiesa anglicana, nata con lo scisma del 1534. L’assolutismo statale teorizzato da Hobbes, oltre a escludere la divisione tra potere politico e religioso, non prevede neppure la separazione dei poteri politici: potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono tutti concentrati nelle mani del sovrano, perché ogni divisione ne limiterebbe il potere e aprirebbe alla possibilità di conflitti.

1 Hob b eS e IL mAT e RIA L IS mo

assOLuTisMO l’assolutismo è la concezione politica secondo la quale il potere sovrano deve essere indipendente da ogni possibile controllo o condizionamento da parte di altri poteri della società. Per superare lo stato di natura, con i pericoli che comporta per la conservazione di sé, è necessario che ognuno rinunci a ogni diritto, demandando ogni potere al sovrano. Il potere deve quindi essere assoluto (dal latino absolutus, “sciolto”, libero da ogni legame, cioè non condizionato da altro). Per Hobbes, dunque, il sovrano deve concentrare in sé tutti i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e deve esercitare sia il potere politico sia quello religioso. la sovranità dello Stato e la subordinazione dei singoli ad essa implicano il superamento dei privilegi feudali e il passaggio da una società di ceti a una di classi. un ceto (si pensi agli «ordini» feudali) è un segmento della società che ha diritti e doveri propri, diversi dagli altri gruppi della società. la divisione in classi, invece, implica differenziazione economica ma non di diritti. Con l’assolutismo moderno si afferma l’uguaglianza del diritto e la riduzione di tutti a sudditi, sottoposti in modo paritario alle stesse leggi. Sul piano politico, l’assolutismo esclude la divisione dei poteri, e quindi ovviamente l’esistenza di un parlamento con potere legislativo. Pur condividendo la teoria contrattualistica propria del giusnaturalismo e del liberalismo, Hobbes sostiene che il contratto ha il solo scopo di fondare un’autorità comune e quindi uno stato, il quale non deve in seguito essere sottoposto ad alcun vincolo. L’assolutismo nega pertanto la legittimità di una costituzione che stabilisca i limiti del potere sovrano.

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4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

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Tuttavia, nell’immagine proposta da Hobbes si nasconde un significato ancora più profondo. Abbiamo visto che l’uomo con il patto sociale rinuncia a ogni diritto e anche alla possibilità di decidere del bene e del male; d’altra parte, allo stato naturale, il bene è reputato tale da ognuno in considerazione di sé e non esiste pertanto una morale. Quando nasce lo Stato politico, ognuno deve considerare bene ciò che le leggi prevedono, rinunciando a una propria valutazione morale e modellando la propria coscienza sulle leggi dello Stato. La morale è quindi posteriore rispetto al potere politico ed essa è questo stesso potere interiorizzato dai sudditi, è il potere che diventa anche coscienza. Per questo aspetto nella concezione di Hobbes è stato visto, oltre alla teorizzazione coerente dell’assolutismo, anche qualche germe del totalitarismo che segnerà tragicamente il Novecento ➝ 14 ➝ 15 . L’assolutismo di Hobbes verrà ben presto superato dal liberalismo di Locke, che diventerà la concezione politica dominante nel Settecento e nell’Ottocento. Esso presenta comunque, per l’epoca, molti elementi di modernità. In primo luogo, afferma che il potere deriva dal popolo, mediante il patto, e non da Dio. Si tratta della concezione nota come «contrattualismo», che vede un precursore in Johannes Althusius (1557-1638) e una teorizzazione organica nel pensiero di Ugo Grozio (1583-1645). La teoria di Hobbes costituisce, inoltre, un superamento del diritto feudale, affermando l’assoluta uguaglianza dei sudditi, tutti soggetti alle stesse leggi e agli stessi doveri. Infine, lo Stato, per quanto non possa essere controllato dai sudditi, è però al loro servizio, nasce per garantirne la sicurezza, tanto che in particolari condizioni, come abbiamo visto, può essere rovesciato da una rivolta popolare. La teoria di Hobbes è un primo passo verso una concezione moderna del potere e dello Stato, completata poi da Locke, teorico del liberalismo, e da Rousseau, teorico della democrazia.

La religione il potere politico ingloba in sé anche quello religioso. Dato che Dio è corpo, anche Dio deve essere materiale. hobbes non nega l’esistenza di Dio, però non possiamo conoscerne la natura. Come abbiamo visto, Hobbes è contrario al potere religioso autonomo, sostenendo che esso debba essere nelle mani del sovrano. È ostile anche a forme di organizzazione separate dallo Stato, perfino se ad esso sottoposte, e dunque a chiese, sette, congregazioni religiose, oltre a qualsiasi tipo di organizzazione laica che possa in qualche modo prefigurare poteri con una certa autonomia e con un’influenza propria sugli individui, pur soltanto a livello morale. Egli considera la religione positiva come una forma di ignoranza delle cause naturali, nel passato, e come una forma di superstizione, nei periodi più recenti. Non è però ateo e nel Leviatano cerca di conciliare il materialismo con l’esistenza di Dio. Dato che tutto è corpo, anche Dio deve essere materiale. In questo caso, però, dovrebbe essere soggetto all’imperfezione e al divenire. Hobbes accenna a queste difficoltà ma non propone soluzioni, affermando che la natura di Dio va oltre le possibilità della conoscenza umana.

GuIda allo sTudIo • Quali sono le condizioni dell’esistenza nello

• Perché Hobbes è considerato il teorico

stato di natura? • Che cosa suggerisce la ragione per superare la precarietà dello Stato di natura? • Che cosa prevede il patto?

dell’assolutismo? • Che cos’è e che cosa simboleggia il Leviatano? • Quali sono i rapporti tra morale e diritto, in Hobbes?

Materiali per l’apprendimento attivo 14. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

film

Leggi il libro oppure guarda il film, cercando di individuare le strutture (la psicopolizia per perseguire gli psicoreati, il controllo mediante i televisori, la propaganda, la neolingua, la manipolazione sistematica dell’informazione ecc.) usate dal regime per plasmare le coscienze dei cittadini. 15. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

TOTaLiTarisMO È opportuno distinguere tra un uso storico e uno filosofico del termine «totalitarismo». In senso storico, il termine è circoscritto ad alcuni regimi novecenteschi, in particolare al nazismo, al fascismo e, anche se con sostanziali diversità, allo stalinismo. Il totalitarismo è legato ai regimi di massa e si accompagna al culto della personalità del capo. Sul piano filosofico, si può parlare di concezione totalitaria, come fa Karl Popper, già a proposito della teoria politica di Platone, ma soprattutto in riferimento a Hegel. «Totalitarismo» indica comunque in generale la completa preminenza dello stato, che annulla la società civile. Nessun aspetto della vita dei cittadini è autonomo rispetto all’intervento statale, dalla vita economica alla religione, dai diritti, non riconosciuti se non nella misura in cui lo Stato li concede, all’ideologia. Il tratto specifico dello Stato totalitario, ciò che lo distingue dalla dittatura, consiste però nell’identificazione morale che richiede (o impone) ai cittadini. La stessa coscienza individuale deve conformarsi ai valori etici dello stato, il singolo deve sentirsi parte di un organismo che lo supera, in cui si identifica e che si sostituisce alla sua stessa personalità individuale. Il sistema politico che Hobbes delinea contiene marcati tratti di tipo totalitario, soprattutto nell’identificazione della morale individuale con il diritto stabilito dal sovrano.

1 Hob b eS e IL mAT e RIA L IS mo

La DEsCriZiONE DEL TOTaLiTarisMO Non è qui possibile affrontare, neppure marginalmente, i totalitarismi storici, realizzatisi soprattutto nel novecento, con il fascismo, il nazismo e il comunismo, in particolare quello del periodo staliniano. Accenniamo però a un famoso romanzo di George Orwell, 1984, che ne individua bene gli aspetti caratteristici. Il totalitarismo differisce dalla dittatura in quanto questa usa la forza per costringere gli individui a seguire leggi imposte dal potere, mentre il totalitarismo intende plasmare la società e le coscienze, usando inizialmente la forza e anche il terrore, per giungere però, alla fine, a ottenere adesione e consenso. Questi tratti sono messi bene in luce nel libro di orwell e nel film che ne è stato tratto (uscito proprio nel 1984) diretto da michael Radford. 1984 (pubblicato nel 1949, alludeva nel titolo a un futuro ancora lontano) è un romanzo distopico, poiché descrive un’utopia negativa. Nel 1984 la Terra è divisa in tre grandi unità politiche totalitarie, l’oceania, l’eurasia e l’estasia. La capitale dell’oceania è Londra, dove è ambientata l’azione. È dominata da un partito unico capeggiato dal Grande Fratello, la cui presenza è pervasiva: tutta la popolazione è tenuta sotto controllo mediante televisori con telecamera, che portano costantemente il Grande Fratello in ogni casa e al tempo stesso sorvegliano ogni individuo. Gran parte della storia è centrata su una residua dissidenza; uno dei rappresentanti, una volta catturato, viene torturato fisicamente e sottoposto a una serie di condizionamenti psicologici in modo da conquistarne l’adesione sentita al sistema, perché convertire i dissidenti, cambiarne la coscienza, è ancora più importante che eliminarli.

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• Sintesi

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Locke: il fondatore dell’empirismo inglese

Monarchia costituzionale, liberalismo ed empirismo Locke teorizza la monarchia costituzionale e il liberalismo ed è ricordato come il padre dell’empirismo inglese. il suo punto di partenza è l’analisi degli strumenti di cui l’uomo dispone per conoscere, in modo da circoscrivere i problemi che si possono risolvere e definire quelli che non ha senso porsi. La vicenda biografica di John Locke (1632-1704) si intreccia strettamente con quella politica dell’Inghilterra, segnata dalla rivoluzione violenta del 1642-49 e da quella pacifica (alla quale prende direttamente parte) del 1688-89, quando si afferma la monarchia costituzionale, da lui teorizzata. Le due rivoluzioni sono determinate dall’ascesa della borghesia, la cui concezione della società si contrappone a quella conservatrice della nobiltà e prende il nome di «liberalismo», anch’esso teorizzato da Locke. La filosofia di Locke comprende e interpreta questi profondi cambiamenti storici. Ma egli è conosciuto anche come il fondatore dell’empirismo inglese, una teoria destinata ad essere riproposta più volte, fino ad oggi. Locke stesso racconta, nell’introduzione dell’opera in cui espone questa concezione filosofica, il Saggio sull’intelletto umano, come ne ebbe inizialmente l’idea. Stava discutendo con alcuni amici su un argomento del quale non venivano a capo e sul quale non raggiungevano un accordo. Pensò allora che stavano seguendo un percorso sbagliato e che prima di affrontare determinati argomenti, occorreva chiedersi quali fossero gli strumenti di cui l’uomo disponeva per conoscere la realtà e, di

◀ Statua di John Locke.

Materiali per l’apprendimento attivo

Locke

in senso liberale. Tra il 1689 e il 1690, Locke pubblica le sue opere maggiori: il Saggio sull’intelletto umano, i Due trattati sul governo, scritti prima della «Gloriosa rivoluzione», preparandola e teorizzando la monarchia costituzionale, e la Lettera sulla tolleranza, nella quale afferma la netta separazione tra Chiesa e Stato. Negli anni successivi pubblica un saggio pedagogico (Pensieri sull’educazione, 1693) e si occupa in modo particolare della questione religiosa, con le altre lettere sulla tolleranza (particolarmente importante la Terza lettera, del 1692) e con La ragionevolezza del cristianesimo, in cui teorizza una religione non dogmatica, fondata sui valori morali e civili piuttosto che sulle verità di fede, anticipando il deismo illuministico.

16. PEr CaPirE MEGLiO

iL CriTiCisMO Di LOCkE la prospettiva filosofica che assume come oggetto gli strumenti della conoscenza, chiedendosi che cosa e come l’uomo può conoscere, è designata con il termine «criticismo». Con esso si indica l’indagine sulle possibilità e i limiti della conoscenza umana, per la quale ci si chiede non che cosa sia la realtà, ma in che misura e come gli strumenti che abbiamo a disposizione ci consentano di conoscerla. Il criticismo verrà compiutamente definito da Immanuel kant (1724-1804), anche se nella sua Critica della ragion pura egli accuserà Locke di voler derivare dall’esperienza i concetti generali e lo considererà soltanto come un rappresentante dell’empirismo. Pur se in un senso diverso rispetto a Kant, si può comunque parlare di “criticismo” in Locke, intendendo questo termine nel senso ampio chiarito all’inizio. Una delle conseguenze principali del criticismo è la necessità, una volta determinati i limiti della conoscenza umana, di rinunciare ad affrontare ciò che non è conoscibile a partire dagli strumenti che l’uomo possiede, e in particolare l’intero ambito tradizionalmente compreso nella metafisica.

conseguenza, che cosa della realtà egli potesse conoscere con sicurezza e che cosa, invece, andasse oltre le sue possibilità. Gli strumenti che l’uomo ha a disposizione sono i sensi e quindi egli può conoscere a partire dall’esperienza e può comprendere solo ciò che ricade in questa sfera; i problemi che invece esulano dall’esperienza, come ad esempio l’immortalità dell’anima o l’esistenza di Dio, non rientrano nell’ambito delle cose che si possono conoscere. Locke rovescia la prospettiva tradizionale: invece di partire dalle cose conoscibili, vanno studiati gli strumenti della conoscenza. Prima di osservare le cose, afferma Locke con una bella metafora, bisogna studiare l’occhio che le guarda ➝ 16 .

283 2 LoC K e: IL FoN DAToRe D e L L’e mP IRIS mo IN G L eS e

Nato a Wrington, vicino a bristol, John Locke (1632-1704) studia prima alla Westminster School, poi, dal 1652, presso l’Università di oxford, dove stringe amicizia con Robert boyle, suo insegnante, che esercita una forte influenza su di lui, sia per il metodo di studio della natura, sia per il suo pensiero religioso. Nel 1658, l’anno stesso in cui Locke ottiene il titolo di master of Arts, la morte di Cromwell apre un periodo di conflitti politici e

religiosi, segnati dal fanatismo e dall’intolleranza e conclusisi con la restaurazione della monarchia degli Stuart. A questo periodo risalgono i due Trattati sul magistrato civile (1660 e 1662), che segnano il definitivo abbandono delle simpatie giovanili per un assolutismo mutuato da Hobbes e la prima definizione di una prospettiva liberale, fondata sull’affermazione di diritti naturali inalienabili, sottratti all’intromissione del potere politico. L’incontro con Lord Anthony Ashley Cooper, futuro conte di Shaftesbury, del quale diviene segretario e uomo di fiducia, segna nel 1667 una svolta determinante nella sua vita. All’epoca importante uomo politico, esponente del partito whig, Shaftesbury conduce una battaglia di rinnovamento

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Se assumiamo questa prospettiva, conclude Locke, rinunciamo a porci domande alle quali non possiamo dare risposte ma al tempo stesso siamo in grado di conoscere ciò che è nelle nostre possibilità, che è tutto ciò che ci serve per condurre rettamente la nostra esistenza ➝ 17 . Locke illustra questa posizione con alcune similitudini. Il nostro intelletto può essere paragonato a una lampada all’interno di una biblioteca molto vasta: non è in grado di illuminarla tutta, ma può consentirci di leggere il libro che abbiamo davanti. Oppure, possiamo paragonarlo a uno scandaglio. La profondità del mare (la realtà) è al di fuori della nostra portata, non possiamo sondarla, tuttavia lo scandaglio ci consente di sapere quando il fondale diventa troppo basso e può costituire un pericolo per la navigazione. In questo modo, pur non permettendoci di conoscere l’intero fondale marino, esso ci consente di navigare in sicurezza, senza finire sugli scogli. Dobbiamo quindi fare oggetto di indagine gli strumenti stessi che abbiamo a disposizione per conoscere, in modo da ricavarne il massimo nelle conoscenze che ci servono per vivere bene, evitando di invischiarci in problemi per la soluzione dei quali non abbiamo mezzi sufficienti.

La conoscenza parte dai sensi: idee semplici e complesse Tutte le nostre conoscenze hanno origine dall’esperienza, sia esterna (sensazione) sia interna (riflessione). non esistono idee innate. La mente, alla nascita, è una tabula rasa e riceve successivamente ogni contenuto dall’esperienza. L’intelletto opera sulle idee semplici in vari modi, producendo le idee complesse di sostanza, di modo e di relazione. Le idee complesse non rispecchiano la realtà ma sono costruzioni soggettive. vengono quindi meno l’oggettività e l’universalità della conoscenza, aprendo rilevanti problemi filosofici. Gli strumenti immediati della conoscenza, quelli che ne stanno all’origine, sono i sensi. Locke critica aspramente l’innatismo di Cartesio e soprattutto dei cosiddetti “platonici di Cambridge”, una corrente che andava affermandosi in quegli anni in Inghilterra. Per lui la mente, alla nascita, è una «tabula rasa», priva di ogni contenuto, premessa fondamentale dell’empirismo ➝ 18 . Sono le sensazioni, quindi l’esperienza, a tracciare poi in essa linee e figure. Le esperienze si depositano nella nostra mente non, ovviamente, come cose, ma come idee. Lo studio della mente inizia quindi dall’analisi delle idee, intese semplicemente come l’immagine mentale delle sensazioni. Le idee che derivano direttamente dalle sensazioni sono dette semplici. Ad esse vanno aggiunte quelle che hanno origine dall’esperienza interna, cioè dalla riflessione, che può essere comunque ricondotta all’esperienza esterna dal momento che riflettiamo sulla presenza in noi di contenuti che hanno avuto origine da essa. Le idee semplici costituiscono i materiali o, potremmo dire, i dati sui quali interviene l’intelletto per rielaborarli. Le diverse idee semplici vengono unite per formare le idee complesse. L’intelletto è quindi attivo, ma agisce solo su materiali provenienti dall’esterno. Per capire quali operazioni compie, dobbiamo considerare le idee complesse e chiederci come sono state connesse le idee semplici per ottenere tali risultati. Procedendo in questo modo, possiamo distinguere tre tipi di idee complesse e altrettante operazioni dell’intelletto:

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17. La ParOLa ai TEsTi

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Quando avremo conosciuto le nostre forze, conosceremo anche tanto meglio ciò che potremo intraprendere con speranza di successo; e quando avremo esaminato con cura i poteri delle nostre menti, e avremo visto, in qualche modo, quello che ce ne possiamo attendere, non saremo portati né a rimanere in uno stato di ozio, disperando di poter mai conoscere alcuna cosa, senza mettere in alcun modo al lavoro i nostri pensieri; né, d’altro lato metteremo tutto in dubbio, e negheremo credito ad ogni conoscenza, col pretesto che vi sono cose che non siamo in grado di comprendere. Torna di estremo vantaggio al marinaio conoscere la lunghezza della fune della sua sonda, anche se egli non possa scandagliare, per mezzo della sonda che possiede, tutte le diverse profondità dell’oceano. È bene che sappia che la fune è lunga abbastanza per toccar fondo in certi punti del mare, che a lui importa conoscere per ben dirigere la sua rotta, e per evitare i bassifondi che potrebbero farlo andare in secca. Non è affar nostro in questo mondo conoscere tutte le cose, bensì quelle che riguardano la condotta della nostra vita. Se dunque possiamo trovare i criteri mediante i quali una creatura ragionevole, quale è l’uomo, considerandolo nello stato in cui si trova in questo mondo, può e deve condurre le sue opinioni, e le azioni che ne dipendono; se possiamo giungere a tanto, non dobbiamo farci un cruccio se altre cose sfuggono alla nostra conoscenza. Queste considerazioni mi fecero venire la prima idea di lavorare al presente Saggio sull’intelligenza umana. Poiché mi misi in mente che il primo passo per soddisfare la mente dell’uomo in numerose indagini, alle quali egli stesso è molto portato a dedicarsi, sarebbe stato quello di raggiungere una veduta complessiva della nostra intelligenza, di esaminarne i poteri, e di vedere a quali cose essi possano applicarsi. (J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana, Introduzione, 1, parr. 6-7, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 24-25)

18. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

eMpirisMo l’empirismo è la teoria che individua nell’esperienza la sola fonte della conoscenza. Nato in Grecia con Sesto empirico (ma anche Democrito ed epicuro pongono l’esperienza al centro della conoscenza), l’empirismo viene riaffermato nell’età moderna da Locke. Egli paragona la mente alla nascita a una tabula rasa progressivamente riempita dalle sensazioni, rielaborate poi dall’intelletto a formare le idee complesse. L’empirismo parte dunque dai fenomeni (ciò che appare, ciò che possiamo conoscere con i sensi) e proprio per questo mette in dubbio l’oggettività della conoscenza, dato che essa è sempre relativa al soggetto conoscente. Con l’empirismo diventa di conseguenza problematica la corrispondenza tra le nostre sensazioni e le idee che ne deriviamo, da un lato, e la realtà dall’altro, tanto che Berkeley, come vedremo, identifica l’esistente con ciò che viene percepito (esse est percipi), mettendo in luce le contraddizioni che in questo modo vengono a determinarsi. a. le sostanze, ottenute mediante l’unione di più idee semplici. Ad esempio, una mela è una sostanza, risultante dall’unione del colore rosso, della sensazione tattile di liscio, della forma tondeggiante ecc.;

2 LoC K e: IL FoN DAToRe D e L L’e mP IRIS mo IN G L eS e

T7 Locke Ciò che possiamo conoscere L’intelletto non può conoscere tutto, ma occorre delimitarne l’ambito e, in questi limiti, le possibilità. Serve conoscere le possibilità della nostra mente per evitare due rischi: la metafisica, cioè la presunzione di poter spiegare la vera essenza delle cose, e lo scetticismo, che ci condurrebbe alla passività.

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b. i modi, ricavati dall’intelletto astraendo alcune caratteristiche presenti in esperienze diverse. Ad esempio, il colore rosso è un modo, ricavato per astrazione come qualità presente nelle ciliegie, nel sangue, in un tramonto e così via; c. le relazioni, ottenute connettendo più idee, come avviene ad esempio nel rapporto di causa-effetto ➝ 19 . L’analisi di Locke è molto articolata e per ognuna di queste tipologie affronta problemi importanti della filosofia tradizionale. Vediamoli in dettaglio.

Le sostanze Nelle filosofie di Cartesio e Spinoza, la sostanza occupava una posizione centrale, costituendo il fondamento ultimo della realtà: Cartesio affermava il dualismo tra res cogitans e res extensa, cioè tra sostanza pensante e sostanza estesa; Spinoza affermava invece l’esistenza di un’unica sostanza, quella divina, di cui pensiero ed estensione costituivano semplici attributi. Anche al di fuori della centralità assunta nel razionalismo, la sostanza costituiva un concetto centrale nella filosofia classica, rappresentando il fondamento stabile e razionale della realtà, qualcosa che “sta sotto” (sub stantis) i fenomeni, i dati sensoriali considerati come semplici manifestazioni, come apparenze. La sostanza garantisce l’identità della cosa, permane nel tempo al di là del cambiamento degli «accidenti». Socrate è Socrate sia da giovane sia da vecchio, nonostante che tutto sia cambiato nel suo aspetto esteriore, perché la sostanza permane. La funzione della sostanza è anche quella di unificare i dati sensoriali dando ad essi una realtà stabile, una identità. Il colore, il sapore, la consistenza liscia al tatto, tutte queste sensazioni sono tenute insieme dalla «sostanza mela», cioè da qualcosa che non percepiamo con i sensi ma che comprendiamo con la ragione come fondamento delle apparenze, dei fenomeni. Locke mette in discussione l’esistenza della sostanza a partire proprio da questa funzione unificante. Noi percepiamo effettivamente il colore, il sapore, la superficie liscia, la forma tondeggiante ecc. Tuttavia, da questi dati non possiamo concludere che siano sostenuti da “qualcosa” che non vediamo. Per esemplificare questa posizione, Locke racconta l’aneddoto di un saggio indiano cui venne chiesto su che cosa poggiasse il mondo. «Su un enorme elefante», rispose. Quando gli si chiese su che cosa poggiasse l’elefante, rispose: «Su una gigantesca tartaruga». E quando ancora gli si chiese su che cosa poggiasse la tartaruga, dovette ammettere che si trattava di qualcosa che non conosceva affatto ➝ 20. Il mondo, in realtà, non poggia su nulla e lo stesso avviene per le sensazioni. Sotto al colore, al sapore, alla forma ecc. non c’è una sostanza su cui poggi il mondo delle sensazioni o, se c’è, non possiamo conoscerla.

◀ Incisione del 1876 che illustra il mito cosmologico indiano secondo il quale la Terra è sostenuta da elefanti in piedi su una tartaruga che galleggia nell’Oceano Universale.

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

19. COMPETENZE > Mappa concettuale

LA CONOSCENZA

si basa su

si basano su

sensazioni

rielaborate idee semplici

dall’intelletto mediante

unione producendo

astrazione producendo

idee di sostanze

idee di modo

relazione producendo idee di relazione

Segui la mappa concettuale nello studio del paragrafo, individuando di volta in volta i diversi passaggi e le relazioni tra di essi. Scrivi sotto alle ultime caselle gli esempi di idee complesse proposti nel testo. 20. La ParOLa ai TEsTi

T8 Locke La critica dell’idea di sostanza L’intelletto unisce più idee semplici formando un’unica idea complessa, alla quale dà un nome. In seguito considera l’idea così formata come un’idea semplice e tende perciò a riferirla a un ipotetico sostrato al quale essa inerisca. Nasce così l’idea di sostanza, che non è altro che una costruzione della nostra mente.

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Poiché, come ho già spiegato, la mente è provvista di un gran numero di idee semplici, che le vengono recate dai sensi così come si trovano nelle cose esterne, o dalla riflessione sulle sue proprie operazioni, essa osserva altresì che un certo numero di queste idee semplici vanno costantemente assieme; e poiché si presume che esse appartengano ad una medesima cosa, e le parole sono adattate alla comune comprensione, e di esse si fa uso per un rapido scambio, queste idee, così riunite in un solo soggetto, vengono chiamate con un nome solo. Ma poi, per disattenzione, siamo portati a parlarne considerandola come una sola idea semplice, mentre invece si tratta di una complicazione di molte idee messe insieme. E questo, come ho già detto, perché non sappiamo immaginare in qual modo queste idee semplici possano sussistere da sole, e pertanto ci abituiamo a supporre un qualche substratum nel quale esse effettivamente sussistano e di cui siano il risultato: e quello chiamiamo, perciò, sostanza. Per cui, se alcuno voglia consultare se stesso nei riguardi della sua nozione di una pura sostanza in generale, troverà che non ne possiede altra idea se non quella di una supposizione di un qualche sconosciuto sostegno di quelle qualità che sono capaci di produrre in noi delle idee semplici; qualità che vengono comunemente chiamate accidenti. Se a qualcuno venisse domandato, quale sia il soggetto cui si trovano inerenti il colore o il peso, non avrebbe niente da dire se non che si tratta di parti estese e solide; e se gli si domandasse a che cosa sia inerente questa solidità e questa estensione, egli non si troverebbe in una posizione molto migliore di quell’indiano già ricordato il quale, dopo che ebbe detto che il mondo è sostenuto da un grande elefante, si sentì chiedere su che cosa poggiasse l’elefante; al che rispose: su una grande tartaruga; ma poiché si insisteva per sapere che cosa sostenesse questa tartaruga dalla schiena così ampia, rispose: qualcosa, che non sapeva che fosse. (J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana, libro II, 23, parr. 1-2, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 325-26)

2 loC K e: Il FoN DAtore D e l l’e MP IrIS Mo IN G l eS e

DaLLE iDEE sEMPLiCi aLLE iDEE COMPLEssE Analizziamo mediante una mappa concettuale la dinamica della formazione delle conoscenze secondo locke.

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Quindi, per noi, la mela è l’insieme delle sensazioni che il nostro intelletto raggruppa dando loro unità sotto il concetto di «mela», che non rimanda a nulla di oggettivo, di realmente esistente, ma è soltanto un’idea costruita dalla nostra mente per semplificare il mondo dei fenomeni e per comprenderli meglio ➝ 21 .

I modi Anche le idee di modo sono prodotte da operazioni della nostra mente sulle idee semplici, ma con una dinamica diversa: le sostanze sono costruite unendo diverse sensazioni concomitanti, le idee di modo sono costruite invece separando alcune qualità dalle situazioni in cui sono percepite e considerandole in quanto tali, cioè astraendole. Ad esempio, separiamo un colore da ciliegie, rose e sangue e costruiamo per astrazione l’idea di «rosso», che è un modo di essere delle cose percepite ma che non consideriamo una cosa esistente in modo autonomo come avviene per le sostanze. Anche in questo caso l’analisi di Locke è ricca di motivi di interesse. Vengono infatti considerati «modi» anche predicati della realtà che hanno un valore morale, come il piacere, il dolore, il potere ecc. Si tratta, anche in questi casi, di idee prodotte dal nostro intelletto a partire da insiemi di percezioni (le singole realtà concrete) da cui vengono astratte. Ne consegue che non possiamo parlarne in generale, ma sempre in relazione a situazioni concrete. Le generalizzazioni, anche in questo caso, non rimandano a realtà esistenti ma costituiscono un nostro modo di organizzare le sensazioni, cioè la realtà così come la percepiamo. Sono idee di modo, per Locke, anche lo spazio e il tempo, che proprio nello stesso periodo Newton definiva come «assoluti», cioè come esistenti indipendentemente dalle estensioni e dalle durate particolari. Si tratta di una prima messa in discussione delle certezze della scienza, che proseguirà e diventerà più radicale con Hume ➝ 22 .

Le relazioni Le relazioni riguardano ovviamente il rapporto tra fenomeni diversi e rimandano in primo luogo al rapporto di causa ed effetto, fondamento della scienza fisica, da Galilei a Newton. Anche il rapporto causale è un’idea complessa costruita dal nostro intelletto congiungendo fenomeni che non necessariamente sono tali nella realtà, oggettivamente. Si tratta di una posizione che ha importanti conseguenze, perché minerebbe alla base la possibilità stessa di leggi della natura universali e necessarie. Locke però non sviluppa questa intuizione, che verrà successivamente ripresa e approfondita da Hume.

GuIda allo sTudIo • Quali sono le fonti della conoscenza, per

• Che rapporto esiste tra le idee complesse

Locke? • Che cosa sono le idee semplici? da dove derivano? • Come si passa dalle idee semplici a quelle complesse? • Quali sono le operazioni dell’intelletto?

e la realtà? Possono essere considerate oggettive? • Come vengono considerati il tempo e lo spazio? • Perché e in che termini Locke critica l’idea di sostanza?

Materiali per l’apprendimento attivo 21. PEr CaPirE MEGLiO

22. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

MODi sEMPLiCi E MisTi Locke distingue tra modi semplici e modi misti. I primi sono ottenuti per ripetizione di una stessa idea (per esempio un numero come ripetizione di più unità). Sono definiti «semplici» appunto perché rielaborano una sola idea. I secondi derivano invece dalla rielaborazione di più idee, unite a formare un’idea complessa, intesa comunque come qualità di più cose e non come sostanza. Locke fa riferimento, ad esempio, all’idea di bellezza, che «consiste in una certa composizione di colori e figure, che fa piacere a chi la guarda» (Saggio sull’intelligenza umana cit., libro II, 12, par. 5, p. 171) o quella di furto, «che essendo un mutamento nel possesso di una qualche cosa, senza il consenso del proprietario, mutamento che avviene in modo clandestino, contiene, come è evidente, una combinazione di varie idee di specie diverse» (Ibidem). Come si vede, la nozione di «modo» è molto estesa e comprende tutte le idee che possono essere predicate delle cose, o meglio, delle idee di sostanza. In termini più consueti, possiamo considerarli appunto come «predicati». I modi semplici sono senza dubbio quelli più importanti, e tra essi rientrano l’idea di spazio, di durata, di numero, e, in ambito diverso, il piacere, il dolore e il potere. Si noti che Locke non distingue tra le idee relative agli oggetti e quelle relative all’ambito morale o politico, in quanto il meccanismo della loro formazione è sempre lo stesso: si parte in ogni caso da idee semplici, che vengono rielaborate. Le idee morali, così come il piacere e il dolore, hanno origine dalla riflessione piuttosto che dall’esperienza sensoriale.

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LE CONsEGuENZE DELLa CriTiCa aLLa sOsTaNZa Nel momento in cui locke afferma che la sostanza è un’idea complessa costruita dal nostro intelletto, apre una serie di problemi che torneranno più volte nella successiva storia del pensiero. La filosofia precedente, considerando la sostanza come esistente di per sé e conoscibile con la ragione, affermava anche che la conoscenza razionale è oggettiva, cioè ha un proprio ancoraggio nella realtà ed è indipendente da noi. Locke sostiene invece che conosciamo solo le sensazioni, i fenomeni, che poi unifichiamo per “costruire” le sostanze. Le sensazioni però dipendono dai nostri organi di senso, cioè da noi. ma, allora, chi ci garantisce che esse corrispondano alla realtà o addirittura che corrispondano a qualcosa? Non potrebbero essere prodotte semplicemente da stimolazioni della nostra mente? Si ripropone la possibile ipotesi, ▲ Lorenzo Niles Fowler, paradossale, del «cervello nella vasca»: non avvertiremmo nessuFrenologia, xix secolo, na differenza tra sensazioni e stimoli prodotti artificialmente nel ceramica (Londra, nostro cervello. Di fatto, dunque, vengono messe in discussione Stationer Hall). la conoscibilità e l’esistenza stessa del mondo, o almeno la sua esistenza continuativa, stabile, indipendente dalle percezioni che ne abbiamo. In pratica, però, viviamo e agiamo in un mondo fondamentalmente stabile. Locke distingue l’ambito teorico da quello pratico: secondo la nota similitudine, il nostro intelletto, come uno scandaglio, non può conoscere il fondo del mare, ma può garantirci una navigazione sicura. La funzione delle sostanze viene svolta da quelle che Locke chiama «essenze nominali» [➤ p. 290]: noi unifichiamo una serie di fenomeni, dando loro un nome, che conferisce loro unità e stabilità. In questo modo, possiamo considerare l’esperienza come stabile e continua, pur senza ipotizzare l’esistenza di sostanze misteriose.

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I problemi dell’empirismo e la funzione del linguaggio alcuni dei problemi sollevati dall’empirismo, in particolare il venir meno dell’oggettività e dell’universalità della conoscenza, vengono superati mediante l’uso del linguaggio, del quale Locke analizza la funzione. L’empirismo, come abbiamo accennato, apre importanti problemi. Quello principale è che viene meno l’oggettività della conoscenza. Noi non conosciamo «cose» esistenti fuori di noi, ma soltanto fenomeni, cioè dati sensoriali. Sicuramente dietro questi dati c’è una realtà materiale distinta da noi (Locke ne è convinto, anche se in teoria i dati sensoriali potrebbero essere illusori), ma non possiamo conoscerla come realmente è, non possiamo conoscerne la «sostanza» o il «fondamento» o cose del genere. L’empirismo, ed è un secondo problema, rifiuta la metafisica, cioè l’esistenza di qualcosa che vada al di là dei fenomeni, di ciò che vediamo e tocchiamo con mano. Per essere più precisi, nega la possibilità di conoscere tale realtà qualora esistesse. Negando la possibilità di una conoscenza oggettiva, ne mette in discussione anche l’universalità: ognuno conosce con i propri sensi e quindi non si può parlare di realtà universali, di essenze, di conoscenza valida per ogni uomo in ogni tempo, o almeno non si può parlarne in relazione alla realtà empirica. Ad esempio, non esiste «il cavallo» come entità, ma soltanto i singoli cavalli che ognuno conosce nella propria esperienza. Nonostante ciò, possiamo comunicare le esperienze, parlare di cavalli o di altri concetti. Ciò avviene, per Locke, grazie alla funzione che svolge il linguaggio. Le parole, a differenza delle sensazioni, rendono generale l’esperienza: noi possiamo eliminare dalle nostre conoscenze i riferimenti specifici, spaziali e temporali, che le rendono uniche, e renderle generali, in modo che gli altri possano riferirle ad esperienze simili, anch’esse generalizzate. In questo modo diamo una realtà a concetti come «cavallo», «mela» ecc. Non esiste nessuna sostanza «cavallo» o «mela», tuttavia, così come il nostro intelletto unifica sensazioni per produrre l’idea di sostanza, il linguaggio generalizza esperienze particolari per produrre qualcosa che indichi un’intera classe e che Locke chiama «essenze nominali»: «essenze» perché si riferiscono alla totalità degli individui di una classe, come le essenze (di uomo, di cavallo ecc.) della tradizione filosofica; «nominali» perché non sono realmente esistenti (ad esempio come la «forma» aristotelica) ma sono costruite nel linguaggio, per intenderci e per poterci comunicare esperienze. Il linguaggio viene così a svolgere una funzione fondamentale: rielabora le esperienze rendendole comunicabili, dando ad esse un base comune. Mediante il linguaggio costruiamo una rappresentazione della realtà nella quale ci riconosciamo congiuntamente. Così come crea un mondo comune, però, il linguaggio può produrre realtà illusorie e creare falsi problemi. Infatti, dato che finiamo per attribuire alle parole riferimenti oggettivi, possiamo credere all’esistenza di entità per cui abbiamo inventato dei nomi che non rimandano a realtà esistenti, ma della cui esistenza il linguaggio stesso ci convince. Locke dedica un intero libro (su quattro) del Saggio sull’intelletto umano al linguaggio e ai danni derivanti da un suo cattivo uso ➝ 23 . GuIda allo sTudIo • In che modo il linguaggio può contribuire a risolvere i problemi posti dall’empirismo? • Che cosa sono le «essenze nominali»? • Perché il linguaggio può essere fonte di inganni ed errori?

Materiali per l’apprendimento attivo 23. aTTiviTÀ >

Compito di realtà

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iL CaTTivO usO DEL LiNGuaGGiO l’analisi di locke sui problemi, sui fraintendimenti e a volte sulle mistificazioni cui può dar luogo un cattivo uso del linguaggio è molto attuale. Vediamone gli aspetti principali. In generale, l’imperfezione del linguaggio determina spesso una certa oscurità e imprecisione nell’uso delle parole. Ci sono però, scrive Locke, errori e negligenze deliberate, che è opportuno analizzare. 1. «In primo luogo, il primo abuso di questa specie, quello più tangibile, è l’uso di parole senza aver idee chiare e distinte o, il che è peggio, l’uso di segni senza che ci sia alcunché di significato» (Saggio sull’intelletto umano, libro III, 10, par. 2, Utet, Torino 2004, p. 569). Locke fa riferimento a molti termini filosofici, o a parole usate in modo generico (ad esempio, molti usi di termini astratti, come saggezza, gloria, grazia ecc). Locke spiega l’origine di questi errori: l’uomo dovrebbe partire dalla propria esperienza e formarsi da sé le idee complesse, per un corretto apprendimento del linguaggio; invece non appena compie le prime esperienze gli vengono insegnate le parole corrispondenti alle idee complesse prima che possa ricavarle egli stesso da ciò che conosce. In questo modo, tali parole restano astratte, usate più per conformismo che per conoscenza autentica. Di conseguenza, le nostre argomentazioni sono spesso generiche e vuote di significato. Dopo aver ricordato, «in secondo luogo», come un altro abuso consista nell’incostanza nell’uso delle parole, Locke prosegue la propria analisi. 2. «In terzo luogo, un altro abuso del linguaggio consiste nell’affettazione dell’oscurità, o applicando parole vecchie a significati nuovi e insoliti o introducendo termini nuovi e ambigui senza definirli o ancora mettendoli assieme in modo da confondere il loro significato ordinario» (Ivi, p. 572). Di solito, prosegue Locke, chi ha poche idee e non ha proposte chiare, tende a usare un linguaggio poco comprensibile per mascherare la debolezza delle proprie argomentazioni. […] 3. «In quarto luogo, un altro grande abuso delle parole consiste nel prenderle per cose. Sebbene questo in qualche grado accada a tutti i nomi in generale, più particolarmente accade a quelli delle sostanze. Sono particolarmente soggetti a questo abuso gli uomini che per lo più costringono i loro pensieri entro un determinato sistema e si abbandonano alla ferma credenza nella perfezione di una data ipotesi; si persuadono con ciò i termini di quella sètta sono tanto adatti alla natura delle cose da corrispondere perfettamente alla loro esistenza reale» (Ivi, p. 576). Questo punto sembra particolarmente importante. L’empirismo, per i motivi che abbiamo considerato, alimenta il dubbio e la necessità di continue verifiche di ciò che pensiamo. Infatti, se la conoscenza è soggettiva e se le idee complesse sono nostre ricostruzioni, non possiamo prenderle per la realtà e di conseguenza per la verità. Considereremo i nomi e le teorie come strumenti per capire meglio la realtà e per orientarci in essa. ma se siamo, invece, conviti che i nomi corrispondono alla sostanza reale delle cose, siamo convinti di essere nel vero e che chi la pensa diversamente sia in errore: è un atteggiamento che porta al fanatismo e all’intolleranza, il contrario di ciò che raccomanda Locke. Ci fermiamo qui, per non rendere troppo lunga l’esposizione. Se vuoi, puoi proseguire da solo la lettura dell’interessante analisi di Locke. ma anche utilizzando solo queste prime indicazioni, puoi svolgere il seguente compito: Scegli un argomento d’attualità del quale si sta discutendo, tale che sia suscettibile di più interpretazioni. Può essere un tema politico, religioso, etico ecc. Analizza interpretazioni diverse, prendendole da quotidiani, da siti web, da trasmissioni televisive o da altre fonti. Analizza alcuni degli interventi di diverso orientamento, cercando di individuare in essi, se ci sono, gli errori, intenzionali o meno, ricordati da Locke. Riporta i punti che hai individuato con un tuo commento accanto, rielaborando poi questi appunti in una relazione sulle falsificazioni prodotte dal linguaggio.

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Il quarto libro del Saggio: il mondo, l’io, Dio

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Locke non trae dalle sue premesse le conseguenze scettiche che sembrerebbero implicite. Egli sostiene l’esistenza di due gradi di conoscenza: quella intuitiva, che conduce ad affermare l’esistenza dell’io, e quella dimostrativa, che consente di affermare l’esistenza di Dio. ad esse si aggiunge quella sensoriale che attesta l’esistenza oggettiva della realtà esterna. La critica alla sostanza, ricondotta a un’idea complessa non esistente oggettivamente, o non conoscibile, coinvolgerebbe anche il mondo nel suo insieme, l’io e Dio stesso. Infatti, se tutto è riducibile a insiemi di fenomeni che il nostro intelletto unifica per costruire le diverse cose, lo stesso dovrebbe valere per le entità ricordate e Locke sviluppa in questa direzione la propria analisi nei primi tre libri che compongono il Saggio, mettendo esplicitamente in discussione l’idea di sostanze spirituali, che quindi non rientrano nell’esperienza, e la stessa idea di Dio. L’idea di un essere infinito, onnipotente ed eterno si ottiene semplicemente amplificando le idee semplici che ricaviamo dall’esperienza (estensione, potere e durata) e riferendole a una sostanza unitaria ➝ 24 . Nel quarto libro del Saggio, però, Locke rivede queste posizioni, cercando di stabilire un fondamento per poter parlare di un’esistenza reale del mondo, dell’io e di Dio. Definita la conoscenza come la percezione della concordanza o discordanza tra le idee, il filosofo inglese la riconduce a tre metodi: sensoriale, intuitivo, deduttivo. Il primo riguarda le sensazioni. Locke distingue le qualità primarie (solidità, estensione, figura e mobilità) da quelle secondarie, come i colori, gli odori e i sapori. Mentre le seconde derivano dai nostri organi di senso, le prime sono riconducibili alle cose stesse e quindi ci attestano la loro esistenza oggettiva. Egli distingue, inoltre, tra le percezioni attuali e il loro ricordo, sottolineando che abbiamo chiara la differenza e che quindi le prime devono derivare da una realtà esterna. Infine, non possiamo decidere se provare o meno le diverse sensazioni: anche questo dimostra l’esistenza oltre ogni ragionevole dubbio di un mondo esterno. L’idea dell’io deriva invece dall’intuizione: l’esistenza dell’io deriva dalla consapevolezza che abbiamo delle operazioni della nostra mente, dei nostri stati d’animo, delle sensazioni interiori, come quelle di dolore o di piacere. Si tratta in definitiva di un’estensione dell’argomento cartesiano: penso, sono cosciente di me, avverto dolore e piacere, quindi sono. L’esistenza di Dio è dimostrata mediante un ragionamento deduttivo: avendo certezza del nostro essere, dobbiamo ammettere che esso abbia una causa e, per non procedere all’infinito, dobbiamo ammettere l’esistenza di una causa prima incausata. Si tratta di una ripresa della via ex causa della scolastica. In questo modo, Locke evita esiti scettici, anche se la critica alla sostanza e alla metafisica non vengono sconfessate. Il recupero dell’esistenza del mondo, dell’io e di Dio sembra rispondere più all’esigenza di orientarsi nella prassi senza far venire meno i fondamentali punti di riferimento, piuttosto che al superamento delle analisi precedenti.

GuIda allo sTudIo • Come viene dimostrata l’esistenza di un mondo esterno oggettivo? • Come viene dimostrata l’esistenza dell’io? e quella di dio? • Quali sono le modalità della conoscenza di cui parla Locke?

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24. COMPETENZE > argomentazione

T9 Locke La critica all’idea di Dio

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Se io mi convinco di conoscere alcune poche cose, e forse alcune di esse, o tutte, imperfettamente, posso formarmi l’idea di conoscerne il doppio e questa idea posso raddoppiarla ancora, altrettante volte per quante volte posso aggiungere al numero; e così posso estendere la mia idea di conoscenza estendendone il raggio a tutte le cose esistenti o possibili. Altrettanto potrò fare per ciò che si riferisce al conoscerle più perfettamente, ossia al conoscere le loro qualità, poteri, cause, conseguenze, relazioni, ecc., finché non sia perfettamente conosciuto tutto ciò che è in esse, o che in qualunque modo si può ad esse riferire; e così posso foggiarmi l’idea di una conoscenza infinita, o senza limiti. Altrettanto si può fare con il potere, finché non si raggiunga l’idea di un potere che chiameremo infinito; e così della durata dell’esistenza senza principio o fine, e con ciò foggiare l’idea di un essere eterno. Foggeremo la migliore idea di Dio di cui siano capaci le nostre menti a seconda del grado o proporzione con cui sapremo attribuire l’esistenza, il potere, e la saggezza e tutte le altre perfezioni (di cui possiamo avere alcuna idea) a questo Essere Sovrano che chiamiamo Dio e che è tutto sconfinato e infinito: e tutto questo si ottiene, dico, amplificando quelle idee semplici che abbiamo ricavate dalle operazioni delle nostre menti, mediante la riflessione; oppure, mediante i nostri sensi, dalle cose esterne; fino a raggiungere quell’ampiezza cui l’infinità può portarle. (J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana, libro II, 23, par. 34, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 346-47)

ricostruiamo l’argomentazione di locke: 1. Io sono consapevole di conoscere poche cose e imperfettamente, 2. però posso costruire l’idea di conoscerne il doppio e poi, aggiungendo via via ancora la stessa quantità, arrivare all’idea di una conoscenza infinita; 3. lo stesso posso fare per la perfezione della conoscenza, formando l’idea di una conoscenza perfetta; 4. con un’operazione simile, posso amplificare il mio potere limitato, fino a giungere all’idea dell’onnipotenza; 5. posso fare la stessa operazione con il tempo e lo spazio di cui ho esperienza, formandomi, per aggiunte successive, le idee dell’infinità e dell’eternità; 6. posso infine unire tutte queste idee nell’unica idea di un essere onnisciente, onnipotente, eterno, infinito. 7. Se a questa idea complessa do un nome, Dio, attribuendo ad essa l’esistenza 8. posso quindi convincermi della sua realtà. La conclusione è implicita nel brano. Locke non soltanto equipara l’idea di Dio a quella delle altre sostanze, considerandola quindi inconoscibile nella sua eventuale esistenza oggettiva, ma descrive anche il meccanismo che ci porta a costruire questa idea. Successivamente, dimostrerà invece l’esistenza reale di Dio.

▶ Frontespizio del Saggio sull’intelligenza umana, pubblicato nel 1689.

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LOCkE E L’iDEa Di DiO Nel libro II del Saggio sull’intelletto umano, locke estende la critica all’idea di sostanza anche all’esistenza di Dio, con queste argomentazioni.

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Il pensiero politico

mappa

Locke è il fondatore del liberalismo. La società è in grado di autoregolamentarsi anche senza potere politico, che nasce per garantire a tutti i diritti naturali. Per impedire che esso divenga dispotico, è necessaria la divisione dei poteri. I Due trattati sul governo, e soprattutto il secondo, pongono le basi teoriche del liberalismo, una concezione politica che sarà fatta propria dalla borghesia fino a tutto l’Ottocento e oltre ➝ 25 . Anche Locke, come Hobbes, basa la propria teoria politica sull’analisi dello stato di natura, interpretandolo però in modo radicalmente diverso. Già in questa condizione, l’uomo possiede infatti diritti naturali inalienabili, il cui rispetto è dettato dalla ragione. Essi includono la conservazione di sé e al tempo stesso il riconoscimento di questo diritto anche agli altri, l’uguaglianza tra tutti gli uomini, e la libertà, nel rispetto di quella altrui. Tra i diritti naturali, Locke comprende anche la proprietà privata, ma limitatamente a quella acquisita mediante il proprio lavoro; quella ereditata o ottenuta in altro modo può essere invece limitata e regolamentata dalle leggi dello Stato. L’uomo potrebbe vivere pacificamente anche in assenza di uno Stato. L’organizzazione politica diventa necessaria soltanto quando l’aumento della popolazione rende l’organizzazione della società troppo complessa per autogestirsi. La nascita dello Stato non comporta però la rinuncia degli individui ai propri diritti. Al contrario, esso nasce per garantirli meglio e trae la propria legittimazione dal loro rispetto. Locke distingue nettamente tra società civile e potere politico: la prima comprende i rapporti spontanei tra i cittadini, le loro relazioni economiche e sociali, che restano autonome dal potere politico, il quale, d’altra parte, ha compiti specifici e uno spazio circoscritto. Le attribuzioni della società civile e quelle del potere politico sono regolate da un patto tra i cittadini, la costituzione, che obbliga tutti, compreso lo stesso sovrano. Essa deve prevedere il rispetto e la difesa dei diritti naturali, in particolare la libertà e l’uguaglianza. Lo Stato disciplina per legge diritti e doveri, ma non può interferire nell’area della libertà del singolo, che è libero nel pensiero, nell’espressione dello stesso, nello svolgimento della propria attività e in tutto ciò che non è espressamente vietato dalle leggi comuni. Per impedire che la sovranità si imponga sulla società e diventi dispotica, il potere deve essere articolato. Locke prevede esplicitamente la divisione dei poteri, tra quello legislativo, quello esecutivo e quello federativo, riguardante cioè

◀ Frontespizio della prima edizione di Two Treatises of Government (Due trattati sul governo) di John Locke, pubblicata anonima nel dicembre 1689.

Materiali per l’apprendimento attivo 25. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

26. CoMpetenZe > Filosofia e cittadinanza

La divisione dei poteri neLLa CostituZione itaLiana La Costituzione italiana è divisa in tre parti: i Princìpi fondamentali, la Parte prima, relativa ai Diritti e doveri dei cittadini; la Parte seconda, che tratta dell’Ordinamento della repubblica, e un’appendice conclusiva sulle Disposizioni transitorie e finali. La divisione dei poteri è regolamentata nella Parte seconda. Il potere legislativo è esercitato dal Parlamento, costituito da due assemblee elettive, la Camera dei deputati e il senato della repubblica. Per diventare definitiva, una legge deve essere approvata nello stesso identico testo sia dalla Camera dei deputati, sia dal Senato. Dato che le due Camere hanno le stesse funzioni e concorrono in egual misura all’approvazione di tutte le leggi, si parla di «bicameralismo perfetto». In altri Stati che prevedono due Camere, invece, le due assemblee hanno funzioni diverse e solo in casi particolari la stessa legge deve essere approvata dai due rami del Parlamento. Si parla allora di «bicameralismo imperfetto», come ad esempio negli Stati Uniti d’America. Il potere esecutivo è affidato a un governo, costituito da un presidente del Consiglio e da ministri. Il governo deve avere però la fiducia delle due Camere, pena la decadenza. per questa supremazia del parlamento, la nostra è definita «Repubblica parlamentare». Si differenzia dalla «Repubblica presidenziale», in cui il governo è presieduto dal capo dello Stato o da lui nominato, come avviene negli usa e in Francia. La magistratura, infine, costituisce «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» (art. 104). una figura a sé è il presidente della repubblica, che in Italia non ha nessuno dei tre poteri ma simboleggia l’unità della Repubblica e delle istituzioni.

i rapporti della nazione con gli altri Stati, in particolare la guerra e i trattati internazionali. Il potere giudiziario, invece, sarà teorizzato come indipendente dagli altri da Montesquieu (1689-1755), durante l’Illuminismo francese ➝ 26 .

2 LoC K E: IL FoN DaToRE D E L L’E Mp IRIS Mo IN G L ES E

LiBEraLisMO Il liberalismo è una delle principali concezioni politiche, teorizzata da locke e destinata a imporsi nell’ottocento, proseguendo poi fino a oggi. Si basa su un sostanziale ottimismo antropologico, che considera l’uomo un essere ragionevole, in grado di stabilire regole per una convivenza pacifica anche prima della fondazione di un patto politico e della nascita dello Stato. esistono infatti diritti naturali (si parla perciò di giusnaturalismo, teorizzato già verso la fine del xvi secolo) che si fondano sulla natura umana e quindi sono condivisi da ogni individuo. Quelli fondamentali sono la conservazione della propria esistenza, la libertà e la proprietà privata. Su questa base è possibile un’organizzazione sociale indipendentemente dall’esistenza di un potere politico, che diventa necessario quando le dimensioni della società richiedono la presenza di un potere comune. Da queste premesse derivano conseguenze importanti: lo stato ha poteri limitati e non deve invadere i liberi rapporti tra i cittadini, che costituiscono la società civile, in grado di autoregolarsi relativamente ai rapporti economici e interpersonali; l’individuo conserva la propria autonomia dallo Stato in ambito morale ed è tenuto unicamente al rispetto delle leggi comuni, conservando per il resto le proprie libertà (di parola, di pensiero, di associazione, di stampa ecc.) e la propria indipendenza; il potere dello stato non è assoluto e deve sottostare a una costituzione, che ne stabilisca i limiti e ne determini l’articolazione, separando in particolare il potere legislativo da quello esecutivo.

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La costituzione stabilisce le prerogative e i limiti di ogni potere ➝ 27 . Quello esecutivo (il governo) appartiene al re, mentre quello legislativo è proprio di un’assemblea di rappresentanti eletti dai cittadini, il parlamento. Locke teorizza in questo modo la monarchia costituzionale, il sistema politico prevalente in Europa fino alla Prima guerra mondiale. Se il re non rispetta la carta costituzionale o va contro gli interessi del popolo, questi ha il potere di destituirlo, come avvenne in Inghilterra nel 1688-89, con la deposizione di Giacomo II e l’incoronazione di Guglielmo III e di Maria II Stuart, che nel 1689 firmarono il Bill of Right, la dichiarazione dei diritti, inaugurando di fatto una monarchia costituzionale.

La tolleranza Locke sostiene la libertà di coscienza in materia religiosa: l’individuo, in quanto cittadino, è tenuto al rispetto delle leggi dello stato, che però non può imporre un culto e deve rispettarne la coscienza e la possibilità di associarsi liberamente in una Chiesa. Lo Stato liberale teorizzato da Locke è laico: ambito politico e ambito religioso devono restare separati. Locke afferma quella che all’epoca veniva definita «tolleranza» ➝ 28. Non si tratta semplicemente, come lascerebbe intendere il significato attuale del termine, di non attuare persecuzioni contro religioni minoritarie, ma di affermare la libertà di culto e quella di pensiero in materia religiosa. Per Locke, la fede riguarda unicamente la coscienza dei cittadini e nella sua concezione politica questa è uno spazio esclusivo dell’individuo, che lo Stato non deve in alcun modo invadere; anche in questo caso si trova in antitesi con le teorie di Hobbes. La posizione di Locke, già enunciata nel Saggio sulla tolleranza, viene riaffermata nella più importante Lettera sulla tolleranza, scritta nel 1685, l’anno in cui sale al trono il cattolico Giacomo II che riaprirà il contrasto con il parlamento, fino alla «Rivoluzione gloriosa» del 1688-89. In questo scritto Locke riafferma la libertà di pensiero e di culto, sottolineando con forza l’indipendenza della coscienza individuale dalla sfera d’azione dello Stato. Allo stesso modo, l’adesione a una Chiesa, di qualsiasi professione, non deve interferire con i diritti e i doveri dell’individuo in quanto cittadino, né per avere privilegi né per subire restrizioni. Il criterio da adottare è il seguente: in ambito religioso, è lecito tutto ciò che lo è per il cittadino, ed è proibito ciò che è tale per le leggi dello Stato ➝ 29 . La «tolleranza» di Locke, anche per il contrasto nell’Inghilterra di Giacomo II, ha un importante limite: non sono permesse confessioni religiose che riconoscano come capo della Chiesa un sovrano straniero. Locke si riferisce ovviamente ai cattolici che, riconoscendo nel papa il proprio capo, dovrebbero fedeltà a un sovrano straniero e non a quello d’Inghilterra. La laicità di Locke si concilia con una visione religiosa esposta nella Ragionevolezza del cristianesimo. In quest’opera del 1695 egli afferma che il cristianesimo, spogliato dai dogmi e dalle interpretazioni storiche, coincide con un’etica della ragione; esso afferma cioè princìpi di amore e di rispetto per gli altri che coincidono con quelli suggeriti dalla ragione umana. Come abbiamo visto, Locke sostiene nel Saggio sull’intelletto umano l’esistenza di Dio, slegandola però da ogni confessione religiosa e da ogni dogma. Per questi due aspetti, cioè la credenza in un Dio non confessionale e la coincidenza della morale razionale con lo spirito del cristianesimo, Locke verrà considerato dai filosofi illuministi come il padre del deismo. GuIda allo sTudIo • Che rapporto sussiste per Locke tra la

• Quali devono essere i rapporti fra Stato e

società civile e lo Stato? • Come viene giustificata la divisione dei poteri? Quali sono i tre poteri dello Stato?

• Qual è il rapporto tra i doveri del cittadino

Chiesa? e quelli del fedele?

Materiali per l’apprendimento attivo 27. aTTiviTÀ >

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Cooperative learning

28. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

TOLLEraNZa A partire dalla riforma protestante, e ancora all’epoca di Locke, il termine si riferisce all’ambito religioso e indica la tesi che il potere politico debba astenersi dalla repressione violenta del dissenso religioso. Il problema è particolarmente sentito nell’Inghilterra del Seicento, per l’atteggiamento intollerante adottato in più occasioni dagli Stuart. Nella seconda metà del secolo si sviluppa un vero e proprio movimento, nato in seno all’anglicanesimo, che fa della conquista della tolleranza politica il proprio obiettivo generale. Si chiama «latitudinarismo» e sostiene che i dogmi, spesso motivo o pretesto della repressione, non sono l’aspetto più importante della religione, in primo luogo perché sono oscuri e non è possibile stabilire, a tale proposito, una verità dimostrabile razionalmente; in secondo luogo, perché l’essenziale, nella religione, è il significato morale, sul quale le diverse Chiese concordano. Una posizione simile sarà sostenuta, all’interno dell’Illuminismo francese, dai deisti. Nell’ambito dell’Illuminismo, il termine «tolleranza» assumerà il significato politico di rispetto del dissenso e della diversità dei punti di vista. 29. CoMpetenZe > Filosofia e cittadinanza

stato LaiCo e LiBertÀ di CuLto Locke afferma due princìpi importanti e strettamente correlati: la laicità dello stato e la libertà di culto. La nostra Costituzione afferma la laicità dello Stato all’art. 7, che dichiara l’indipendenza tra Stato e Chiesa. Questo articolo è l’unico “aperto”, cioè che rimanda a una legge esterna, i patti lateranensi. Sono i Patti stipulati nel 1929 tra lo Stato fascista e la Chiesa cattolica. molte delle forze politiche presenti nell’Assemblea costituente, proprio per questa origine, votarono contro questo articolo, che venne però approvato grazie alla convergenza su di esso dei voti della Democrazia cristiana e di quelli del Partito comunista italiano, allora capeggiato da Togliatti. La scelta di Togliatti, fortemente contestata dai partiti laici, fu dettata probabilmente dalla necessità di raggiungere una collaborazione tra forze cattoliche e comuniste, contrapposte dal punto di vista ideologico. I Patti lateranensi vennero poi modificati nel 1984, cambiando quindi la valenza di questo articolo, in senso maggiormente laico. Al di là di queste vicende particolari, la Costituzione afferma comunque con forza la libertà di culto, sia nell’art. 3, dove si sostiene che la diversità religiosa non deve essere causa di discriminazioni, sia in modo più specifico nell’art. 8, dove si sancisce la libertà di tutte le confessioni religiose, con lo stesso limite sottolineato da Locke: i loro statuti non devono essere in contrasto con l’ordinamento giuridico italiano. Un criterio simile regola il diritto di professare la propria fede religiosa, purché non preveda «riti contrari al buon costume» (art. 19).

2 LoC K e: IL FoN DAToRe D e L L’e mP IRIS mo IN G L eS e

i DivErsi sisTEMi COsTiTuZiONaLi Formate due gruppi di lavoro, uno dei quali ricercherà le diverse Costituzioni dei principali Paesi della unione europea (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Austria, Grecia, Scandinavia, Polonia, ungheria), l’altro di alcuni dei principali Paesi del resto del mondo (Gran Bretagna, Stati uniti, russia, Cina, India, Australia, Brasile, egitto, Israele). • Per ognuna, raccogliete in una scheda i seguenti dati: tipo di ordinamento (repubblicano, monarchico ecc.), divisione dei poteri, organo che esercita ogni potere. • Individuate, tra le repubbliche, quali sono parlamentari o presidenziali, monocamerali o bicamerali e, tra queste, quelle regolate da un bicameralismo perfetto o meno. • discutete infine sui vantaggi e gli svantaggi dei diversi sistemi indicati nell’ultimo punto.

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• Sintesi • Mappa

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Berkeley: contro il materialismo

Esse est percipi Berkeley sviluppa le tesi di Locke fino a giungere all’immaterialismo. Le sensazioni sono solo in noi, non possiamo riferirle a una materia esterna. posso dire che le cose esistono solamente quando qualcuno le percepisce. per dare continuità al mondo è necessario presupporre che esso sia percepito continuamente da qualcuno, dio. I potenziali problemi dell’empirismo cominciano a emergere già nei suoi immediati sviluppi, paradossali, con George Berkeley (1685-1753). Egli muove dalle tesi di Locke, rifiutando però la distinzione tra qualità primarie e secondarie. Dato che tutte le qualità delle cose sono percepite, sia la figura sia il colore, sono tutte riconducibili a sensazioni che diventano idee della nostra mente. Le qualità sono quindi tutte «secondarie», non possiamo riferirne alcune alle cose e altre ai nostri sensi. Ma allora, come possiamo essere certi dell’esistenza di un mondo esterno? Possiamo parlare di «cose» soltanto nel momento in cui le percepiamo. Il sostrato delle «cose», allora, non è la materia, ma unicamente la mente di chi le percepisce. Alla materia possiamo riferire la critica che Locke ha mosso alla sostanza: è un sostrato che noi ipotizziamo, ma non abbiamo modo di conoscerlo, perché la nostra conoscenza si ferma alle sensazioni e alle idee che ne derivano. Per questa via, Berkeley giunge alla negazione della materia, che per lui, vescovo anglicano, costituisce il presupposto del materialismo e quindi dell’ateismo. Posto dunque che, come recita la sua celebre affermazione, «esse est percipi», cioè essere è essere percepito, dovremmo negare l’esistenza di ciò che non viene percepito da qualcuno. Ne risulterebbe un mondo discontinuo, privo di una realtà stabile. L’albero che è davanti a me esiste nel momento in cui lo guardo, cessa di esistere se chiudo gli occhi, torna a esistere se li riapro. Per evitare paradossi di questo tipo, dobbiamo presupporre, secondo Berkeley, che tutto ciò che esiste venga percepito in modo continuativo da qualcuno, che ovviamente non può che essere onnipotente e onnipresente, cioè Dio ➝ 30. Ecco dunque che l’empirismo, coerentemente sviluppato, porta, secondo Berkeley, alla negazione del materialismo, all’affermazione dello spiritualismo e alla dimostrazione dell’esistenza di Dio. GuIda allo sTudIo • Su quali aspetti dell’empirismo insiste Berkeley? • Qual è il significato dell’espressione «esse est percipi»? • In che modo si giunge da essa alla dimostrazione dell’esistenza di dio?

Materiali per l’apprendimento attivo

Berkeley

I risultati di questo lavoro critico trovano espressione nel Saggio sulla visione, del 1709, diretto principalmente contro Newton, e soprattutto nel Trattato sui princìpi della conoscenza umana (1710), che già nel titolo manifesta il riferimento polemico a Locke. berkeley ne ripresenta i concetti in forma divulgativa nei Dialoghi tra Hylas e Philonous, pubblicati nel 1713.

30. La ParOLa ai TEsTi

T10 Berkeley Esse est percipi Questo brano riassume i punti focali della filosofia di Berkeley. In apertura egli dimostra, radicalizzando l’empirismo, che non possiamo parlare di cose ma solo di percezioni. Nella parte conclusiva, riprendendo la tesi secondo cui esse est percipi, dimostra che, se vogliamo ammettere l’esistenza delle cose continuativa e indipendente dai singoli individui, dobbiamo convenire che esse esistono solo in quanto percepite attualmente da Dio.

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Tutti riconosceranno che né i nostri pensieri né i nostri sentimenti né le idee formate dall’immaginazione possono esistere senza la mente. Ma per me non è meno evidente che le varie sensazioni, ossia le idee impresse ai sensi, per quanto fuse e combinate insieme (cioè, quali che siano gli oggetti composti da esse), non possono esistere altro che in una mente che le percepisce. Credo che chiunque possa accertarsi di questo per via intuitiva, se pensa a ciò che significa la parola «esistere» quando vien applicata ad oggetti sensibili. Dico che la tavola su cui scrivo esiste, cioè che la vedo e la tocco – e se fossi fuori del mio studio direi che esiste intendendo dire che potrei percepirla se fossi nel mio studio, ovvero che c’è qualche altro spirito che attualmente la percepisce. […] L’esse delle cose è un percipi, e non è possibile che esse possano avere una qualunque esistenza fuori dalle menti o dalle cose pensanti che le percepiscono. […] Certe verità sono così immediate, così ovvie per la mente che basta aprir gli occhi per vederle. Tra queste credo sia anche l’importante verità che tutto l’ordine dei cieli e tutte le cose che riempiono la terra, che insomma tutti quei corpi che formano l’enorme impalcatura dell’universo non hanno alcuna sussistenza senza una mente, e il loro esse consiste nel venir percepiti o conosciuti. E di conseguenza, finché non vengono percepiti attualmente da me, ossia non esistono nella mia mente né in quella di qualunque altro spirito creato, non esistono affatto, o altrimenti sussistono nella mente di qualche Eterno Spirito: poiché sarebbe assolutamente incomprensibile, e porterebbe a tutte le assurdità dell’astrazione, l’attribuire a qualunque parte dell’Universo un’esistenza indipendente da ogni spirito. (G. Berkeley, Trattato sui princìpi della conoscenza umana, Laterza, Bari 1984, pp. 32-34)

Guida alla lettura. l’argomentazione di Berkeley può essere così sintetizzata: 1. le sensazioni possono esistere solo in una mente che le percepisce. 2. Infatti, esse est percipi, essere vuol dire essere percepito. 3. Ma, allora, le cose non percepite non esistono. 4. Se vogliamo evitare il paradosso di un mondo che esiste in modo intermittente, dobbiamo ammettere l’esistenza di un essere che percepisce attualmente tutte le cose, ovvero Dio. 5. Quindi è Dio che, percependole in modo continuativo, dà l’esistenza alle cose.

299 3 b e RK e L ey: CoN T Ro IL mAT e RIA L IS mo

George Berkeley (1685-1753), teologo e vescovo, è impegnato

nella lotta contro il materialismo responsabile, a suo parere, dell’ateismo. Gli atei, secondo il filosofo, trovano importanti punti di riferimento nelle teorie di Newton e di Locke, e berkeley decide di approfondirne lo studio per poterle combattere. egli non è, quindi, propriamente un empirista, ma cerca anzi di svilupparne le tesi per confutare definitivamente il materialismo.

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• Sintesi

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Hume: per una scienza dell’uomo

Il Trattato sulla natura umana Come per Locke, anche per hume la filosofia deve muovere dallo studio del soggetto conoscente, non limitandosi però all’analisi del solo intelletto, bensì allargandola all’intera natura umana, della quale Hume intende fondare una vera e propria scienza. David Hume (1711-76), nato a Edimburgo, è il rappresentante principale della «scuola scozzese» che vede tra i propri protagonisti Adam Smith (1723-90) e Thomas Reid (1710-96), per ricordare solo i maggiori. La Scozia nella seconda metà del Settecento diventa il cuore dell’Illuminismo britannico e Hume, oltre alle opere principali, scrive numerosi saggi su argomenti di attualità, raccolti nei Saggi morali e politici, del 1741, poi ampliati in successive edizioni, e i fortunati Discorsi politici del 1752. Tali opere hanno fin dall’inizio una grande diffusione e sono un esempio di questa partecipazione dell’intellettuale ai problemi dell’attualità politica e sociale che, insieme ad altri tratti, fa di Hume il massimo rappresentante dell’Illuminismo britannico. La sua opera principale, il Trattato sulla natura umana, indica fin dal titolo una diversa prospettiva rispetto al Saggio sull’intelletto umano di Locke. L’esposizione del programma di ricerca delineato nel Trattato ricorda quella di Locke, ma anche in questo caso con un diverso focus. Locke affermava di voler indagare le potenzialità dell’intelletto umano per individuare i problemi che potevano essere utilmente affrontati, Hume sostiene che è necessario conoscere la natura umana per derivarne i diversi saperi, la loro estensione e le loro caratteristiche. In entrambi i casi, quindi, si parte dallo studio del soggetto conoscente, però Hume si propone esplicitamente non l’indagine dell’intelletto, bensì la fondazione di una scienza della natura umana, a partire dalla quale ricostruire non soltanto la conoscenza possibile, ma anche la morale, la società e la politica. Lo studio dell’uomo deve utilizzare il metodo sperimentale proprio delle scienze della natura, anche se in questo caso gli esperimenti non saranno tanto reali quanto mentali. Verranno ipotizzate situazioni costruite per individuare i comportamenti possibili e trarre conclusioni sulle dinamiche che regolano il comportamento umano nel suo insieme ➝ 31 . Il Trattato sulla natura umana, in tre libri, viene pubblicato in Francia tra il 1734 e il 1737, ma non ha molto successo. Hume decide allora di rielaborarlo in forma di saggio, dividendo il materiale in due opere più snelle, la Ricerca sull’intelletto umano (1748) e la Ricerca sui princìpi della morale (1751). Seguiremo questa divisione anche nell’esposizione del suo pensiero, senza però dimenticare che sono parte di un progetto complessivo unitario.

Materiali per l’apprendimento attivo

Hume

politica dell’epoca, Hume scrive su argomenti di attualità nei Saggi morali e politici, del 1741, e nei Discorsi politici del 1752. a partire dal 1752 è Conservatore della biblioteca della facoltà di legge di Edimburgo, incarico che gli consente di sviluppare i suoi interessi sulla storia d’Inghilterra, pubblicando un’opera in sei volumi sull’argomento (Storia d’Inghilterra, edita tra il 1754 e il 1761). Le sue posizioni in materia di religione trovano espressione nei Dialoghi sulla religione naturale, che usciranno solo postumi, e in un saggio edito nel 1757, dal titolo Storia naturale della religione.

31. PEr CaPirE MEGLiO

iL METODO sPEriMENTaLE Il metodo sperimentale applicato alle scienze umane è molto diverso rispetto a quello di Galilei e di Newton. In Hume non c’è nessuna pretesa di quantificazione né di uso di formule matematiche per esprimere leggi, e neppure il proposito di formulare leggi universali. Nelle pagine del filosofo scozzese c’è, invece, un uso ripetuto di esperimenti mentali o, meglio, di esperienze ipotetiche su cui riflettere per ricavarne indicazioni generali. C’è, soprattutto, l’osservazione di molti casi particolari dai quali desumere generalizzazioni che non hanno però alcuna pretesa di universalità. Sarebbe più corretto parlare di metodo induttivo, come sembra attestare il passo che segue, nel quale Hume, dopo aver formulato i princìpi associativi, che vedremo più avanti nel Profilo, si chiede se non possano esisterne altri. Leggiamo la sua risposta: «ma che questa enumerazione sia completa, e che non vi siano altri princìpi di associazione all’infuori di questi, può essere difficile da provare in modo soddisfacente per il lettore, o anche per noi stessi. Tutto quello che possiamo fare in questi casi, è di scorrere parecchi esempi, di esaminare accuratamente il principio che lega i differenti pensieri l’uno all’altro e di non fermarci finché non abbiamo reso il principio il più generale possibile. più casi esamineremo e più cura impiegheremo e tanto maggiore sicurezza potremo acquistare che l’enumerazione elaborata come risultato dell’insieme è completa ed esauriente» (Ricerca sull’intelletto umano, III, in Opere filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1987, 4 voll., vol. 2, p. 23).

▶ Felix Parra, Ritratto di Galileo Galilei che spiega le sue teorie all’Università di Padova, 1873.

301 4 HuME: p E R uN a S C IE N z a D E L L’uoMo

David Hume (1711-76) nasce a Edimburgo, quattro anni dopo l’unificazione della Scozia con l’Inghilterra. In seguito a questo evento, la Scozia conosce un rapido sviluppo economico, che produce nel corso del

Settecento una vera rinascita culturale, della quale saranno interpreti, tra gli altri, lo stesso Hume, Thomas Reid e adam Smith. Il motivo ispiratore dell’opera di Hume è il progetto di costruire una scienza dell’uomo sulla base del metodo induttivo, proprio della fisica. In questa direzione va la sua prima opera, il Trattato sulla natura umana, in tre libri, scritto in Francia fra il 1734 e il 1737. I temi del Trattato vengono riproposti in due distinti volumi, i Saggi sull’intelletto umano, del 1748 (in seguito ripubblicati con il titolo Ricerca sull’intelletto umano) e la Ricerca sui princìpi della morale (1751). Impegnato nella vita

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

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La teoria della conoscenza La conoscenza deriva dai sensi, che producono impressioni. Esse vanno distinte dalle idee, che sono impressioni sbiadite. Dalle impressioni derivano idee semplici che si uniscono in base alle leggi associative: somiglianza, contiguità nel tempo e nello spazio, causalità. L’associazione riguarda le idee e non le cose, perciò non possiamo conoscere la realtà in quanto tale. anche il nesso causale è una legge associativa e non una legge della realtà. Quindi hume mette in discussione l’oggettività della causalità e il metodo induttivo che generalizza le osservazioni in base alla regolarità della natura garantita dalla causalità. La conoscenza non riguarda per Hume soltanto l’intelletto, ma la natura umana nel suo complesso, coinvolgendo, come vedremo, anche il comportamento e le abitudini ➝ 32 ➝ 33 . Hume è un empirista e muove quindi dal presupposto che l’unica fonte della conoscenza sono le sensazioni. Dobbiamo però distinguere tra impressioni e idee: le prime sono quelle che proviamo nell’esperienza diretta; le seconde sono l’immagine dell’esperienza e vengono definite come «sensazioni illanguidite» ➝ 34 , che hanno perso la propria vivacità. Alle sensazioni immediate corrispondono le idee semplici, che si uniscono successivamente a formare le idee complesse. Le operazioni che conducono dalle une alle altre non sono però svolte intenzionalmente dall’intelletto, ma rimandano a una dinamica più complessa. Occorre infatti spiegare (un problema che Locke non aveva approfondito) perché, se le idee complesse sono il risultato dell’attività del soggetto, esse si presentano come universali, o almeno come simili nella maggior parte degli uomini. Tutti abbiamo un’idea affine di una mela, di un albero o anche di fatti complessi, come ad esempio di un temporale o di altri eventi naturali. Per spiegare questa similarità, Hume teorizza quello che verrà definito «associazionismo» ➝ 35 , che sarà ripreso da molte correnti della psicologia anche contemporanea. L’associazione tra le diverse idee non è dovuta all’attività intenzionale dell’intelletto, ma a una dinamica che si stabilisce tra le idee stesse, a una «dolce forza», come la definisce Hume, simile per certi versi alla forza di gravità, che attrae reciprocamente alcune idee semplici, le quali si uniscono a formare idee complesse senza nessuna consapevolezza dell’individuo, quasi per un processo naturale, legato cioè alla natura umana. Locke ipotizzava l’azione dell’intelletto per unire le idee; però, obietta Hume, non possiamo parlare inizialmente di un intelletto, ma soltanto di percezioni e di idee semplici. Come avviene nelle scienze naturali con la gravitazione universale, anche l’associazione tra le idee semplici è regolata da leggi che la ricerca deve individuare. Per far ciò, possiamo partire dalle idee complesse e identificare il tipo di associazione che le ha formate. Procedendo in questo modo, possiamo concludere che le leggi associative sono tre: la somiglianza, la contiguità nel tempo e nello spazio e la relazione di causa-effetto. Dall’associazione per somiglianza derivano le idee delle qualità delle cose (le cose rosse si assomigliano per un determinato aspetto, ma lo stesso vale, ad esempio, per quelle belle), che Hume chiama «modi». Dall’associazione per contiguità spaziale e temporale derivano le idee di sostanze, poiché le idee che si presentano contemporaneamente e in un luogo determinato tendono a unirsi in un’unica idea alla quale diamo un unico nome. Ad esempio, le sensazioni di colore, forma, sapore ecc. che sperimento contemporaneamente si associano nell’idea di «mela». Ma al nome che do a quest’associazione non corrisponde alcuna sostanza, bensì solo un «fascio di sensazioni» che non rimandano ad altro. Se la critica alla sostanza non si discosta da quella già formulata da Locke, più radicale è quella al principio di causalità, che Locke aveva appena accennata e che Hume porta fino alle sue conseguenze più radicali.

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

32. COMPETENZE > Mappa concettuale

impressioni

L’ESPERIENZA

produce si uniscono in base a idee sono ricordo sbiadito delle impressioni

33. aTTiviTÀ >

sono

percezioni immediate dei fenomeni

leggi associative sono somiglianza contiguità causalità

e formano

idee complesse come

sostanza mondo io causa-effetto

sono

relazioni tra idee

rielaborazione

LEGGi La MaPPa CONCETTuaLE usa la mappa concettuale nello studio del capitolo, ritornandovi ogni volta che viene presentato un nuovo argomento, che individuerai nella mappa stessa. In questo modo ti sarà più facile seguire il percorso argomentativo e le relazioni tra i diversi concetti. 34. PEr CaPirE MEGLiO

LE iDEE PEr huME Per Hume le idee semplici non sono generate da noi, né tanto meno sono contenuti mentali innati. esse sono soltanto l’immagine mentale prodotta dalle sensazioni, cioè ricordi delle esperienze. Quando ci bruciamo con il fuoco proviamo una sensazione vivida, ma nella nostra mente rimane un’immagine molto meno forte di questa esperienza. Se vediamo un albero, la sensazione è vivace, se ricordiamo di averlo visto, rievocandolo, l’immagine è meno forte, «illanguidita», come dice Hume. Per l’empirismo e così per il filosofo scozzese, non abbiamo a che fare direttamente con le cose, ma con le sensazioni che proviamo (le impressioni) e con le idee che ne derivano, quindi sempre con dati soggettivi. 35. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

assOCiaZiONisMO Secondo Locke le sensazioni producono rappresentazioni mentali (idee) semplici, che vengono poi combinate dall’intelletto per formare le idee complesse. Hume obietta però che se la conoscenza si basa sull’esperienza non possiamo ipotizzare fin dall’inizio l’esistenza di un intelletto, per di più provvisto di una serie di facoltà che ne spieghino le azioni sulle idee semplici. egli spiega quindi il passaggio dalle idee semplici a quelle complesse mediante leggi associative, che determinano l’unione di più idee senza interventi di entità esterne, come l’intelletto. Le idee tendono a unirsi secondo una forza paragonabile a quella di gravitazione, sulla base di leggi che possono essere ricondotte alle seguenti: somiglianza, contiguità nel tempo e nello spazio, causalità. Le idee che tendono quindi ad associarsi, fondendosi in un’idea unica, sono quelle simili, quelle che si presentano regolarmente contigue nello spazio e nel tempo, e infine quelle che si presentano legate da un vincolo di causalità. A proposito della causalità, Hume sottolinea che si tratta di una legge associativa e non di un rapporto reale tra i fatti, e di conseguenza non si può farne un principio regolativo della natura.

4 HUme: P e R UN A S C Ie N z A D e L L’Uomo

La TEOria DELLa CONOsCENZa iN huME

303

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

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il nesso causale è una nostra credenza che si forma in seguito all’abitudine, tuttavia esso è importante per vivere e non possiamo decidere se credervi o meno. Nell’osservare due eventi di cui uno è ritenuto causa dell’altro, ad esempio una palla da biliardo che ne colpisce un’altra, provocandone il movimento, noi possiamo in realtà dire soltanto che il primo evento precede il secondo (c’è quindi una successione nel tempo), ma non possiamo in nessun modo stabilire una relazione necessaria tra il primo evento e il secondo. In altri termini, possiamo constatare che la palla A ha colpito la palla B e che successivamente la palla B si è mossa, ma non possiamo dire che si è mossa a causa dell’urto. La necessità presupposta dal vincolo causale è del tutto ipotetica; si tratta ancora una volta di un sostrato dei fenomeni che non possiamo conoscere, perché la nostra conoscenza si limita ai fenomeni stessi. Hume propone un «esperimento mentale» a sostegno di questa tesi. Se un novello Adamo [➤ T17], cioè un individuo adulto e razionale, ma del tutto privo di esperienza, si trovasse davanti a un biliardo e osservasse una palla che va verso un’altra, non potrebbe dedurre da questi dati il movimento della seconda palla dopo l’urto, proprio perché non c’è un nesso necessario tra i due fatti. Potrebbe soltanto constatarlo e, dopo varie esperienze in cui la seconda palla si muove quando è urtata dalla prima, potrebbe formarsi in lui l’idea del nesso causale tra i due fenomeni. Tale nesso però non è nelle cose. Da che cosa dipende, allora? Proprio dal ripetersi dell’esperienza, cioè dall’abitudine. Qui si completa la rivoluzione di Hume nella teoria della conoscenza: non sono i fatti ad essere legati da un nesso necessario quale il principio di causalità, ma sono le idee ad associarsi secondo questo nesso e in noi si forma l’abitudine ad aspettarci il secondo evento quando si verifica il primo. La causalità non è però un nesso tra gli eventi, ma una credenza che si sviluppa in noi in seguito all’abitudine, accompagnata da una sorta di istinto naturale nel concepire la natura come regolare, per cui non possiamo decidere se credere o no alla causalità, anche se il nostro intelletto la mette in dubbio. Bisogna però considerare che il nesso causale è alla base della regolarità della natura e della possibilità stessa di leggi naturali universali. La prima conseguenza delle tesi di Hume è dunque che la regolarità della natura è una nostra credenza, non una realtà oggettiva. Che il Sole domani sorgerà – afferma Hume – è un’ipotesi, il che vuol dire che non possiamo essere certi che domani il Sole sorgerà ➝ 36 . Se viene meno il nesso causale, viene però messa in discussione anche la legittimità del metodo induttivo che è il fondamento della scienza: per quanto numerose siano le nostre esperienze (ad esempio sul sorgere del Sole), esse non fanno altro che rafforzare la nostra credenza fondata sull’abitudine, ma non dimostrano la necessità che due eventi siano legati dalla causalità, quindi non possono costituire il fondamento di leggi universali. Il nesso causale non è dimostrabile, tuttavia non possiamo fare a meno di credervi. Di conseguenza non è dimostrabile la regolarità della natura, ma ad essa facciamo comunque affidamento nella prassi. Il nesso causale, in altri termini, non è una verità ma una credenza, deriva dalle leggi associative e quindi dalla natura umana e non da una necessità oggettiva. Nelle scienze naturali, e più in generale nella conoscenza del mondo, non si può dunque parlare di verità, ma solo di certezza. Mentre la verità è la corrispondenza tra le nostre idee e la realtà oggettiva, la certezza è una condizione psicologica, che riguarda il soggetto conoscente e non le cose. La certezza è importante, perché ci consente di vivere e di progettare la nostra azione. Noi viviamo come se il Sole debba sorgere domani, come se colpendo una palla da biliardo con un’altra la seconda debba muoversi e così via. La conoscenza, quindi, riguarda l’intera natura umana e la prassi, non il solo intelletto e la verità.

Materiali per l’apprendimento attivo

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36. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

T11 hume Relazione tra idee e fatti

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Tutti gli oggetti della ragione e della ricerca umane si possono naturalmente dividere in due specie, cioè relazioni di idee e materia di fatto. Alla prima specie appartengono le scienze della geometria, dell’algebra e dell’aritmetica; e, in breve, qualsiasi affermazione che sia certa intuitivamente o dimostrativamente. Che il quadrato dell’ipotenusa sia uguale al quadrato dei due cateti è una proposizione che esprime una relazione fra queste figure. Che tre volte cinque sia uguale alla metà di trenta esprime una relazione fra questi numeri. Proposizioni di questa specie, si possono scoprire con una semplice operazione del pensiero, senza dipendenza alcuna da qualche cosa che esista in qualche parte dell’universo. Anche se non esistessero in natura circoli o triangoli, le verità dimostrate da Euclide conserverebbero sempre la loro certezza ed evidenza. Le materie di fatto, che sono la seconda specie di oggetti dell’umana ragione, non si possono accertare nella stessa maniera, né l’evidenza della loro verità, per quanto grande, è della stessa natura della precedente. Il contrario di ogni materia di fatto è sempre possibile, perché non può mai implicare contraddizione e viene concepito dalla mente colla stessa facilità e distinzione che se fosse del pari conforme a realtà. Che il sole non sorgerà domani è una proposizione non meno intelligibile e che non implica più contraddizione dell’affermazione che esso sorgerà. Invano tenteremo, dunque, di dimostrare la sua falsità; se essa fosse falsa dimostrativamente, implicherebbe contraddizione e non potrebbe mai esser distintamente concepita dalla mente. (D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, IV, 1, in Opere filosofiche, vol. 2, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 31-32)

Hume sottrae quindi al proprio scetticismo la logica e la matematica, cioè le conoscenze in cui abbiamo a che fare soltanto con idee e non con la realtà empirica. Quello che mette in discussione è proprio la possibilità di conoscere scientificamente la natura, cioè quelle scienze naturali che sembravano aver trovato in Newton la propria consacrazione. Le tesi di Hume apriranno un problema filosofico che troverà una proposta di soluzione solamente con Immanuel Kant (1724-1804), che prenderà le mosse proprio dall’apparente contraddizione tra la fisica newtoniana, che sembrava costituire il modello per eccellenza della conoscenza scientifica e la dimostrazione dell’esistenza di leggi universali (come la legge di gravitazione), e i dubbi scettici di Hume, che Kant considera legittimi, ma risolvibili e superabili. ▶ Carl Friedrich Hagemann, Busto di Immanuel Kant, 1801, marmo (Amburgo, Hamburger Kunsthalle).

GuIda allo sTudIo • Qual è lo scopo della filosofia di Hume? • Qual è la differenza tra impressioni e idee? • Come si passa, secondo Hume, dalle idee

semplici a quelle complesse?

• Qual è il rapporto tra le idee complesse e la

realtà? • perché Hume critica il principio di causalità? Quali aspetti contesta? In quale ambito gli riconosce validità?

4 HUme: P e R UN A S C Ie N z A D e L L’Uomo

vEriTÀ Di raGiONE E vEriTÀ Di FaTTO la formulazione di questa tesi, solo apparentemente paradossale, è contenuta in un brano che sottolinea la differenza tra relazioni tra idee e materia di fatto:

4. H oB B e s e L’e M p i ri sM o CL assi Co

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Il mondo e l’io hume applica la critica alla sostanza anche al mondo: in questo caso, ciò che sicuramente esiste sono le percezioni che proviamo, non le sostanze o realtà oggettive. Nonostante ciò, crediamo nel mondo, ma si tratta, come per la causalità, di una fiducia che ha funzione pratica e non conoscitiva: serve per dare stabilità e continuità all’esperienza. Lo stesso vale anche per la nozione di identità personale e di io. L’io non è altro che «un fascio di percezioni», e la sua esistenza come identità stabile è una nostra credenza con finalità pratiche. La critica alla sostanza, ricondotta ad associazione di idee, riguarda anche due sostanze particolari, che Locke, come abbiamo visto, non aveva osato mettere in discussione: il mondo esterno e l’io. Se viene meno la sostanza come riferimento oggettivo delle sensazioni, come possiamo dimostrare che esiste effettivamente una realtà materiale persistente anche quando non viene percepita? Hume, evidentemente, non è indifferente alla radicalizzazione operata da Berkeley, seppur non ne condivide gli esiti. Anche Hume respinge la distinzione di Locke tra qualità primarie e secondarie, che permetteva di giustificare un mondo esterno. In verità, non è possibile dimostrare l’esistenza di una realtà non percepita da noi, ma non è neppure possibile dubitare della sua esistenza, perché essa costituisce il fondamento di ogni nostra conoscenza e di ogni azione. L’apparente contraddizione si scioglie riprendendo la distinzione tra verità e credenza: la prima tesi riguarda la verità, la seconda la credenza. Si tratta, in questa nuova prospettiva, non di dimostrare l’esistenza di un mondo esterno, ma di spiegare la credenza in esso come una realtà stabile e indipendente dalle nostre sensazioni. Anche in questo caso, Hume propone un esperimento mentale ➝ 37 . Immaginiamo di ricevere una lettera da un amico lontano. Anche se le nostre percezioni riguardano soltanto il foglio che abbiamo davanti, dobbiamo inserire nella nostra esperienza una serie di ipotesi per renderla coerente: l’esistenza del Paese dal quale scrive il mio amico, di navi che abbiano trasportato lui e poi la lettera che ha scritto, di un sistema postale che mi ha consentito di ricevere la missiva e così via. L’esperienza è data da percezioni non collegate tra loro e dunque non potremmo da esse concludere l’esistenza continuativa del mondo e degli oggetti che lo compongono. In questo modo, ogni esperienza apparirebbe irrazionale e incomprensibile. Sulla base della memoria e di una serie di assunzioni derivanti dall’esperienza passata, tendiamo allora a connettere percezioni separate, in modo da dare continuità al mondo. Ancora una volta, stiamo parlando del modo in cui siamo fatti noi e di come funziona la nostra natura, non del mondo esterno in quanto tale. Lo stesso ragionamento vale anche a proposito dell’identità personale. Non posso neppure dire di me stesso che sono una sostanza, cioè qualcosa che persiste indipendentemente dai fenomeni. Io, afferma Hume, non sono che «un fascio di percezioni»: percepisco i miei stati d’animo, le mie sensazioni, le mie idee, e tutte queste cose mi si presentano come unitarie. Però cambiano continuamente, quindi io cambio con loro, cioè non c’è un «io» come realtà stabile. O, meglio, non posso dimostrare che ci sia, ma, ancora una volta, non posso non presupporlo, riferendo ad esso anche tutti i miei ricordi, se voglio rendere coerente la mia esperienza. Anche l’esistenza dell’io, quindi, riguarda la credenza e la prassi, non la verità: non posso dimostrare che è una sostanza con una propria identità, ma non posso vivere concretamente senza presupporre l’esistenza di un’identità stabile e continuativa ➝ 38 .

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37. La ParOLa ai TEsTi

4 HuMe: P e r uN A S C Ie N z A D e l l’uoMo

T12 hume Rendere coerente l’esperienza L’esperimento mentale di Hume parte da un’esperienza banale, passando però immediatamente a considerare tutto ciò che dobbiamo presupporre perché essa abbia significato. Non possiamo fare a meno di ipotizzare un mondo esterno e per di più una serie di eventi che ne fanno parte, per dare significato a ogni nostra esperienza, per quanto circoscritta.

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Io sono seduto nella mia camera con la faccia rivolta al fuoco, e tutti gli oggetti che colpiscono i miei sensi sono contenuti in pochi metri intorno a me. […] Mentre sono ancora seduto e rivolgo per la mente questi pensieri, sento ad un tratto un rumore, come di una porta che gira sopra i suoi cardini, e poco dopo vedo il portiere che avanza verso di me. Ciò mi dà occasione a molte riflessioni e nuovi ragionamenti. Anzitutto, io non ho mai osservato che quel rumore possa provenire da altro fuorché dal movimento di una porta, e quindi concludo che il presente fenomeno sarebbe in contraddizione con tutte le precedenti esperienze, qualora io non ammettessi che la porta, che ricordo dall’altra parte della camera, continua ad esistere. […] Ma non è tutto. Io ricevo una lettera: aprendola, vedo dal carattere e dalla firma che viene da un amico che mi dice esser distante duecento leghe. È evidente che non posso mai rendermi ragione di questo fenomeno in conformità della mia esperienza in altri casi, senza far passare nella mia mente tutto il mare e il continente che ci separano, e senza supporre gli effetti e l’esistenza continuata dei corrieri e dei battelli, conforme alla mia memoria e osservazione. I fenomeni, dunque, del portiere e della lettera, sotto un certo aspetto sono in contraddizione con l’esperienza comune, e possono esser giudicati come obiezioni alle massime riguardanti la connessione tra cause ed effetti. Io, infatti, sono abituato a udire un certo suono nello stesso tempo che vedo un certo oggetto in movimento; in questo caso, invece, non ho ricevuto le due percezioni insieme. Sì che queste due osservazioni sono contrarie, a meno ch’io non supponga che la porta rimanga ancora, e che sia stata aperta senza ch’io ne abbia avuto la percezione. E questa supposizione, da principio arbitraria e ipotetica, acquista forza ed evidenza per essere la sola che possa conciliare quella contraddizione. Di questi casi se ne offrono continuamente nella mia vita, e mi spingono a supporre una continuata esistenza degli oggetti al fine di collegare le passate con le presenti loro apparizioni, e dare loro quella reciproca unione che ho trovato per esperienza convenire alla loro particolare natura e alle circostanze. Io sono, così, naturalmente portato a considerare il mondo come qualcosa di reale e di durevole, che mantiene la sua esistenza anche quando cessa di esser presente alla mia percezione. (D. Hume, Trattato sulla natura umana, I, IV, 2, in Opere filosofiche, vol. 1, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 209-10)

38. La paroLa ai testi

T13 Hume L’io è un fascio di percezioni Non possiamo conoscere noi stessi, ma soltanto le percezioni che proviamo in un dato momento. L’«io» non è altro, in realtà, che un fascio di percezioni sempre mutevoli. Le nozioni di «semplicità» e di «identità» che sono alla base della credenza nell’«io», non hanno nessun fondamento nell’esperienza.

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Per parte mia, quando mi addentro più profondamente in ciò che chiamo me stesso, m’imbatto sempre in una particolare percezione: di caldo o di freddo, di luce o di oscurità, di amore o di odio, di dolore o di piacere. Non riesco mai a sorprendere me stesso senza una percezione e a cogliervi altro che la percezione. Quando per qualche tempo le mie percezioni sono assenti, come nel sonno profondo, resto senza coscienza di me stesso, e si può dire che realmente, durante quel tempo, non esisto. E se tutte le mie percezioni

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Lo scetticismo e la conoscenza come probabilità Pur negando che si possa giungere attraverso l’esperienza alla conoscenza della sostanza o di leggi generali, hume non contesta l’utilità del conoscere per la vita e per il benessere umano. Le conoscenze però non sono mai certe, ma più o meno probabili. Hume porta alle estreme conseguenze i presupposti dell’empirismo, senza le prudenze di Locke che aveva recuperato, come abbiamo visto, l’esistenza del mondo, dell’io e di Dio. Come abbiamo appena visto, l’esperienza effettivamente percepita è frammentaria, non dimostra di per sé l’esistenza di un mondo così come lo conosciamo. Siamo noi a completare l’esperienza e a costruire l’immagine del mondo, per renderla coerente. Lo stesso avviene per la nosttra identità, per il nostro «io». Non possiamo parlarne come di una sostanza, ma neppure come di un’entità stabile, identica a se stessa nel tempo. In realtà, possiamo dire di noi stessi che siamo soltanto l’insieme delle percezioni che proviamo, le quali cambiano in ogni momento. Anche la nostra identità è una costruzione ➝ 39 . La posizione di Hume può quindi essere definita scettica. Hume non sostiene però uno scetticismo radicale. Il suo può essere definito scetticismo moderato. La conoscenza umana ha limiti precisi, perché è feconda soltanto se circoscritta all’esperienza e ai fenomeni. Lo scetticismo moderato si propone di tracciare questi limiti, per definire, al loro interno, un metodo per la conoscenza dell’uomo e per la costruzione del sapere. La discriminante tra l’ambito del conoscibile e dell’inconoscibile è costituita appunto dall’esperienza: di ciò che non rientra in essa non si può dare scienza. Gli scritti di Hume eserciteranno un’influenza importante su Kant, che farà propria, in particolare, questa conclusione, pur inserendola nel contesto di una riflessione ovviamente diversa. Il limite delle possibilità conoscitive umane è però, per Hume, duplice. Da un lato ciò di cui non si ha esperienza è inconoscibile, dall’altro lato, nei casi in cui ci sia esperienza, non conosciamo mai le «cose», ma esclusivamente le impressioni esercitate sui nostri sensi. La corrispondenza tra esse e una realtà esterna non può mai essere dimostrata come un nesso necessario, ma ipotizzata per via induttiva: è, cioè, soltanto probabile. Di conseguenza, non ci sono verità dimostrabili relativamente al mondo. Ci sono però certezze, che non riguardano l’ambito teoretico ma quello pratico. In altri termini, non possiamo dimostrare che ci siano sostanze, che ci sia un legame causale tra eventi ecc., ma viviamo come se queste cose esistessero. Tra il piano teoretico, dove si impone lo scetticismo, e quello pratico, dove dobbiamo affidarci alle certezze, c’è però una mediazione. Se è vero che la conoscenza non è mai oggettiva e dimostrabile, essa però è più o meno probabile. Non possiamo essere certi che la neve sia fredda, ma possiamo considerarlo altamente probabile, così come non possiamo essere certi di contrarre la malaria viaggiando in un Paese tropicale, ma possiamo considerarlo come possibile, che vuol dire relativamente probabile. La nostra conoscenza del mondo esterno ha dunque vari gradi di probabilità, pur escludendo la verità, e questa probabilità si salda con la certezza, cioè ci autorizza a fare affidamento sulla conoscenza quanto basta per vivere, un po’ come la lampada o lo scandaglio di Locke ci permettevano di svolgere certe attività, pur non svelandoci tutto. Queste posizioni riaprono alla possibilità di leggi scientifiche, considerandole non come verità indubitabili ed eterne, ma come più o meno affidabili, da utilizzare anche per prevedere eventi futuri ma restando sempre pronti a rivederle e a ricercarne di migliori.

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(D. Hume, Trattato sulla natura umana, I, IV, 6, in Opere filosofiche, I, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 264-65)

39. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia e cinema

Film

La CONTiNuiTÀ DELL’EsPEriENZa Sarebbe possibile vivere un’esistenza fatta soltanto di percezioni, senza ricordi che diano continuità all’esperienza? memento, un film del 2000 per la regia di Christopher Nolan, sembra rappresentare uno degli esperimenti mentali cui ricorre spesso Hume nella propria ricerca. Il protagonista, Leonard Shelby, sembra aver perso la memoria a breve termine e dimentica tutte le proprie esperienze nel momento in cui vengono meno le percezioni dei diversi fatti. Shelby deve allora registrarli in un’infinità di post-it, appunti, foto scattate con una Polaroid, ma anche frasi scritte sul proprio corpo, materiali che riordina continuamente per ricostruire la propria esistenza intorno a una continuità che i ricordi non gli danno. In ogni nuova situazione, deve ricercare le note delle esperienze precedenti a essa correlate, per ogni persona deve ricostruire grazie ai foglietti gialli e alle foto chi è e che rapporti ha avuto con lei… Ne risulta, anche nell’andamento del film, una realtà frammentata, evanescente e continuamente ricostruita. Se sostituiamo ai foglietti i ricordi non organizzati dall’abitudine, che si presentano come frammenti che dobbiamo riordinare, l’analisi di Hume risulta più chiara: noi viviamo in un mondo di percezioni, di istanti separati l’uno dall’altro, che ricuciamo continuamente, completando i vuoti, per rendere coerente la nostra esperienza. Questo processo diviene automatico grazie all’abitudine, che rimette via via a posto i foglietti dei nostri ricordi senza un intervento intenzionale da parte nostra. Altrimenti, il mondo sarebbe per noi un insieme di flash, di cose che esistono e cessano di esistere continuamente, come aveva sostenuto berkeley. Di fronte a questa eventualità, il protagonista chiosa: «devo convincermi che quando chiudo gli occhi il mondo continua ad esserci» e «tutti abbiamo bisogno di ricordi che ci rammentino chi siamo». GuIda allo sTudIo • Possiamo dimostrare l’esistenza di un

mondo esterno indipendente dalle nostre percezioni? • Perché dobbiamo presupporlo?

• Come viene definito l’io? • Qual è la funzione dell’identità personale? • Perché a proposito di Hume si parla di

«scetticismo moderato»?

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fossero soppresse dalla morte, sì che non potessi più né pensare né sentire, né vedere, né amare, né odiare, e il mio corpo fosse dissolto, io sarei interamente annientato, e non so che cosa si richieda di più per far di me una perfetta non-entità. Se qualcuno, dopo una seria e spregiudicata riflessione, crede di avere una nozione differente di se stesso, dichiaro che non posso seguitar a ragionare con lui. […] noi non siamo altro che fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento. I nostri occhi non possono girare nelle loro orbite senza variare le nostre percezioni. Il nostro pensiero è ancora più variabile della nostra vista, e tutti gli altri sensi e facoltà contribuiscono a questo cambiamento; né esiste forse un solo potere dell’anima che resti identico, senza alterazione, un momento. La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. Né c’è, propriamente, in essa nessuna semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti, qualunque sia l’inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella semplicità e identità. E non si fraintenda il paragone del teatro: a costituire la mente non c’è altro che le percezioni successive: noi non abbiamo la più lontana nozione del posto dove queste scene vengono rappresentate, o del materiale di cui è composta.

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La morale del sentimento

mappa

La morale di hume è descrittiva, perché vuole spiegare il comportamento e non dettare norme. i fatti non hanno nessun significato etico: il bene e il male non sono nei fatti, ma nella reazione del soggetto ai fatti. tale reazione non dipende dalla ragione, ma è un sentimento spontaneo (morale del sentimento). Ciò che produce piacere è considerato buono, ciò che produce una reazione negativa cattivo. tale sentimento deriva da una naturale «simpatia», da un sentire comune che spiega come la morale, pur essendo soggettiva, non sia individuale. La morale è parte della scienza dell’uomo e dunque ad essa viene applicato lo stesso metodo sperimentale (o induttivo) seguito fin qui da Hume. Ne consegue che egli non intende stabilire norme o princìpi da seguire, ma unicamente descrivere i motivi del comportamento umano e le dinamiche che lo regolano. Allo stesso modo, non intende stabilire che cosa sia bene e che cosa sia male, ma che cosa considerano tale gli uomini e perché. Si tratta di una morale descrittiva, volta a indagare l’uomo e il suo comportamento per comprenderli meglio e non per stabilire valori o princìpi. Come la ricerca sull’intelletto, anche quella sulla morale parte dal presupposto che essa non si basi solo sulla ragione umana, ma che coinvolga l’intera natura dell’uomo. In particolare, come vedremo, la morale è dettata molto più dal sentimento che dalla ragione ➝ 40. Punto di partenza è una tesi generale che verrà chiamata più tardi «legge di Hume». Essa afferma che non possiamo derivare norme dai fatti. I fatti avvengono e possono soltanto essere descritti. Contengono situazioni e comportamenti, non norme morali. Consideriamo ad esempio, suggerisce Hume, un omicidio premeditato. Un uomo colpisce la vittima con un coltello, la lama affonda nel petto, ne esce sangue, la vittima cessa di vivere. Questo è tutto ciò che possiamo trovare nel fatto. Non c’è, in esso, nessun significato morale. Tale significato è in chi assiste a questa scena, o la sente descrivere; esso è nella sua reazione. La morale è in noi, non nei fatti ➝ 41 . Bisogna però aggiungere una considerazione altrettanto importante: tale reazione non è basata sulla ragione. Assistendo a questo fatto o sentendolo descrivere, noi non pensiamo: l’omicidio è immorale perché un nostro simile viene privato della vita, inoltre in questo modo viene messa in pericolo la convivenza civile ecc. Noi proviamo immediatamente un moto di ripulsa, un sentimento di condanna. L’omicidio, per noi, è male proprio perché suscita questo sentimento; noi “sentiamo” che è da condannare, prima ancora di ragionare sul perché. Lo stesso avviene in positivo, se assistiamo a una scena di altruismo, a un’opera buona: sentiamo che è bene, il fatto cui assistiamo ci fa star bene come l’altro ci faceva star male, provoca una nostra reazione positiva come l’altro ne produceva una negativa. Quindi la morale è fondata in ultima istanza sul sentimento: consideriamo male ciò che provoca in noi una reazione dolorosa, bene ciò che produce in noi sentimenti di piacere. Il sentimento morale non è senza motivazioni, che Hume analizza. Esso dipende da una «simpatia» verso i nostri simili, nel significato letterale del termine per cui sentiamo insieme a loro, ci immedesimiamo in ciò che provano. Questo sentire comune spiega la socialità dell’uomo e il fatto che esso è proprio della natura umana chiarisce come sia comune alla generalità degli uomini, anche se con sfumature diverse legate ai luoghi e ai tempi. Pur essendo soggettiva, quindi, la morale non è individuale, perché ognuno reagisce agli stessi eventi in modo simile.

◀ William Redmore Bigg, The Charitable Lady: la dama, accompagnata dai suoi figli, veste abiti di moda nel 1780.

Materiali per l’apprendimento attivo 40. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

41. La ParOLa ai TEsTi

T14 hume La morale non è un fatto ma un sentimento L’azione più efferata non mostra in sé, in quanto fatto, un significato morale, per scoprire il quale bisogna spostare l’osservazione dall’oggetto (il fatto in sé) al soggetto e alle reazioni che l’oggetto suscita in esso. Il significato morale consiste dunque nel sentimento che un fatto desta in noi.

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Prendiamo un’azione ritenuta viziosa, ad esempio un omicidio premeditato; esaminiamola da tutti i punti di vista e vediamo se riusciamo a scoprire il dato di fatto, o esistenza reale, che chiamiamo vizio. In qualsiasi maniera la prendiate troverete solo certe passioni, motivi, volizioni e pensieri; non vi sono altri dati di fatto. Il vizio sfuggirà completamente fino a quando considerate l’oggetto. Non potrete mai scoprirlo fino a che non volgerete la vostra riflessione al vostro cuore in cui troverete che è sorto un sentimento di disapprovazione nei confronti di questa azione. Ecco allora un dato di fatto, ma oggetto del sentimento e non della ragione. Esso si trova in voi, non nell’oggetto. Così, quando dichiarate viziosa un’azione o un carattere, non intendete dire niente altro che, data la costituzione della vostra natura, voi provate un senso o un sentimento di biasimo nel contemplarli. Il vizio e la virtù possono, perciò, essere paragonati ai suoni, ai colori, al caldo e al freddo che, secondo la filosofia moderna, non sono qualità degli oggetti, ma percezioni della mente; questa scoperta in morale, così come l’altra in fisica, deve essere considerata come un rilevante progresso delle scienze speculative, sebbene anch’essa come l’altra abbia in pratica un’influenza minima o nulla. Niente può essere più reale o interessarci di più che i nostri sentimenti di piacere e dolore, e se questi sentimenti sono favorevoli alla virtù e sfavorevoli al vizio, non occorre certo niente altro per regolare la nostra condotta e il nostro comportamento. (D. Hume, Trattato sulla natura umana, III, I, 1, in Opere filosofiche, vol. 1, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 495-96)

Guida alla lettura. Il brano espone la «legge di Hume»: dai fatti non è possibile ricavare nessuna norma morale; l’unico aspetto da cui può derivare la morale è la nostra reazione ai fatti. Il brano esemplifica anche lo stile argomentativo di Hume. muove dalla descrizione di un’esperienza possibile, come modello logico intorno al quale costruire la propria riflessione: invita a immaginare la scena di un omicidio, cercando tra i fatti osservabili ciò che può essere considerata una connotazione morale. L’analisi dell’esperienza proposta porta alla conclusione che per individuare un senso morale non bisogna guardare ai fatti, ma alle reazioni del soggetto.

4 HUme: P e R UN A S C Ie N z A D e L L’Uomo

MOraLE DEL sENTiMENTO Hume esclude che la morale possa essere derivata dai fatti, né d’altra parte che possa basarsi su princìpi religiosi. Più in generale, il filosofo scozzese collega la morale con il progetto più ampio di analisi della natura umana, sostenendo che la finalità della filosofia non è quella di determinare norme morali, ma di capire da che cosa dipendono le scelte degli uomini. Si tratta quindi di una morale descrittiva, che intende cioè delineare e spiegare perché gli uomini si comportano in determinati modi, e non prescrittiva, come lo sono le morali che indicano norme da seguire. Sviluppando l’analisi in questa direzione, Hume conclude che le nostre scelte dipendono dalla nostra natura e in particolare dal sentimento morale, che ci fa provare reazioni positive di fronte a comportamenti virtuosi e reazioni negative, di disgusto o di contrarietà, davanti a comportamenti malvagi. Quindi chiamiamo «buone» le azioni che provocano in noi reazioni positive, «cattive» quelle che producono reazioni negative. La morale non è comunque individuale, perché la natura degli uomini è simile e quindi anche le reazioni sono, in genere, dello stesso tipo.

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L’estetica, la politica e la religione Il bello, come il buono, è per Hume soggettivo: non è nelle cose ma nelle reazioni del soggetto che le percepisce. Esiste però, in relazione alla comune natura umana, un sentire comune, per cui sussiste un accordo di massima nelle questioni di gusto. Non si tratta di stabilire in che cosa consista il bello, ma di concentrare l’attenzione, piuttosto che sull’oggetto estetico, sullo spirito umano. È per la struttura stessa del nostro essere che alcune forme o qualità vengono considerate piacevoli, altre spiacevoli. Hume pone la morale e l’estetica su un piano simile, perché entrambe sono basate sul sentimento del gusto. Anche la morale, infatti, è conseguenza di un sentimento positivo o negativo che sorge in noi quando assistiamo a un evento e tale sentimento è della stessa natura di quello estetico. Il sentimento del bello, come quello del buono, cambia da epoca a epoca e da popolo a popolo, ma i princìpi di fondo restano gli stessi perché legati alla natura umana. Quindi anche il bello è soggettivo, ma su di esso c’è un’intesa tra gli uomini perché simile è la nostra natura. Ugualmente la politica può essere ricondotta alla natura umana. L’uomo, come abbiamo visto a proposito della morale, non soltanto è socievole ma manifesta empatia con i propri simili. Da questa empatia derivano anche doveri naturali, non solo diritti come affermava Locke, e tra questi soprattutto la solidarietà, l’amore per i figli, la pietà, la gratitudine. Questi sono doveri naturali, accanto ai quali ne nascono poi storicamente altri, legati all’educazione e connessi alle diverse società. Anche in questo caso c’è un tessuto unitario comune a tutti gli uomini, accompagnato da varianti dipendenti dai luoghi e dai tempi. L’organizzazione politica (lo Stato) non nasce da un patto ma da una convenzione, sulla base del riconoscimento collettivo della sua utilità: essa stabilisce, per il conseguimento dell’utile collettivo, doveri e valori, che vengono trasmessi mediante l’educazione ai nuovi membri. La convenzione viene in questo modo accettata e interiorizzata, come abitudine o costume. Dato che l’unione si basa soprattutto sul sentimento e sulla convenzione, Hume critica il giusnaturalismo e la teoria di un patto costitutivo della comunità o dello Stato, poiché presuppone come fondamento solo la razionalità e soprattutto poiché pretende di spiegare la nascita dello Stato a partire da princìpi generali che non è possibile dimostrare. L’analisi della religione è in Hume molto articolata. Essa non verte sull’esistenza o meno di Dio, ma sull’esistenza della fede e della religiosità, come manifestazioni umane che vanno spiegate.

◀ Samuel Wale, La scuola di Parson, 1740 ca, un maestro insegna ai bambini della classe medio alta inglese.

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42. COMPETENZE > Pensiero critico

Ritieni che questa sia un’ottica ancora attuale per analizzare il fenomeno religioso? Pensi che quest’ottica sia conciliabile con la fede, oppure presuppone una posizione atea o quanto meno agnostica? Fai riferimento a fatti recenti che illustrino il grado di tolleranza o meno delle religioni contemporanee. Individua gli articoli della nostra Costituzione che parlano di religione e argomenta la questione se si possa parlare o meno (e in che misura) di tolleranza.

Hume confuta le prove tradizionali dell’esistenza di Dio, in particolare la necessità di una causa prima incausata per evitare il regresso all’infinito nella spiegazione dell’esistente. Nel momento in cui passiamo da cause naturali a una causa prima, andiamo oltre l’esperienza, cioè oltre la nostra conoscenza possibile, cosa che non possiamo fare. È un fatto comunque che il sentimento religioso sia molto diffuso. Esso è legato, argomenta Hume, al sentimento di precarietà dell’esistenza umana, continuamente aperta alla possibilità della morte. La religione è, in questa prospettiva, un meccanismo psicologico di sicurezza. Ha dunque un carattere pratico, può servire per dare fiducia e tranquillità, ma non possiamo collegare ad esso pretese conoscitive ➝ 42 . Nel ripercorrere la storia della religione (Storia naturale della religione, 1757) Hume spiega il passaggio dal politeismo al monoteismo come la garanzia maggiore offerta da un Dio unico e onnipotente in risposta alle ansie esistenziali dell’uomo. La sua analisi si estende alle conseguenze sociali delle diverse religioni, soffermandosi in particolare sulla necessità di bandire le persecuzioni e di affermare la tolleranza. In questa prospettiva, la religione preferibile (anche se criticabile nella sua pretesa di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio) è il deismo, perché determina il massimo della tolleranza.

GuIda allo sTudIo • Che cosa significa «morale del sentimento»?

• Che cos’è il «gusto»? È individuale o simile

Quale ruolo viene assegnato alla ragione, in ambito morale? • In che senso si parla di «morale della simpatia»?

in tutti gli uomini? • Perché nasce la società? e lo Stato? • Come viene spiegata da Hume la religione?

4 HUme: P e R UN A S C Ie N z A D e L L’Uomo

sPiEGarE La rELiGiOsiTÀ Hume affronta anche l’analisi della religione dal punto di vista della scienza dell’uomo, chiedendosi cioè non se Dio esista o meno, ma che cosa sia la religiosità dal punto di vista sociale. Si tratta di un approccio molto moderno, presente anche nell’Illuminismo francese e che aprirà la strada alla nascita delle scienze dell’uomo indipendenti dalla filosofia. L’analisi di Hume va in più direzioni, tutte innovative: 1. ricerca delle cause psicologiche e culturali della religiosità, come meccanismo di sicurezza esistenziale; 2. studio della storia delle religioni per ricostruirne la logica interna e lo sviluppo, considerandole quindi come un aspetto del pensiero umano; 3. analisi delle conseguenze sociali delle diverse fedi: in che misura producono o sollecitano comportamenti socialmente positivi oppure negativi? e, in modo più specifico, in che misura favoriscono o meno la tolleranza?

LAVORO SUL TESTO

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• T15 • T16 • T17 • T18 • T19

Hobbes Lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti Locke Lo stato di natura è regolato da leggi naturali Hume La causalità non è un nesso necessario tra i fatti Hume Lo scetticismo moderato Hume Il sentimento del piacere e del dolore come fondamento della morale

Hobbes Lo stato di natura è guerra di tutti contro tutti T15

Lo stato di natura è caratterizzato dalla contesa, determinata da una serie di cause che Hobbes analizza in modo articolato. ne deriva una condizione di guerra di tutti contro tutti. Questa condizione rende impossibile qualsiasi attività economica, qualsiasi progresso, ed espone continuamente l’individuo al rischio di perdere la vita, provocando una situazione di estrema precarietà. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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osicché nella natura umana troviamo tre cause principali di contesa: in primo luogo, la competizione, in secondo luogo, la diffidenza, in terzo luogo la gloria B. La prima fa sì che gli uomini si aggrediscano per guadagno, la seconda per sicurezza, e la terza per reputazione. Nel primo caso gli uomini usano violenza per rendersi padroni delle persone di altri uomini, delle loro donne, dei loro figli, del loro bestiame; nel secondo caso per difenderli; nel terzo caso per delle inezie, come una parola, un sorriso, un’opinione differente, e qualunque altro segno di scarsa valutazione, o direttamente nei riguardi delle loro persone, o di riflesso nei riguardi della loro parentela, dei loro amici, della loro nazione, della loro professione o del loro nome C. Da ciò è manifesto che durante il tempo in cui gli uomini vivono senza un potere comune che li tenga tutti in soggezione, essi si trovano in quella condizione che è chiamata guerra e tale guerra è quella di ogni uomo

esistono tre cause di contesa tra gli uomini B. la prima è la competizione per cui gli uomini cercano di impadronirsi delle cose altrui. la seconda è la diffidenza per cui cercano di difendersi dalle aggressioni altrui. La terza è la gloria per cui si aggrediscono per reputazione, anche per delle inezie C.

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(Th. Hobbes, Leviatano, I, xiii, La Nuova Italia, Firenze 1976, pp. 119-20)

quindi senza un potere comune gli uomini vivono nello stato di guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo D. infatti la guerra non è solo battaglia aperta ma anche timore che essa avvenga, così come il cattivo tempo non è solo temporale, ma tempo perturbato in genere E. perciò il tempo in cui gli uomini vivono in guerra è anche tempo in cui vivono senza sicurezza F; quindi non c’è sviluppo economico né civile né culturale e c’è continuo timore; quindi la vita è misera e breve G.

GuiDa aLL’aNaLisi

COMPrENDErE iL TEsTO

locke e Hobbes seguono uno schema di analisi simile: partono dalla descrizione di un ipotetico stato di natura per poi derivarne la formazione dello Stato politico. locke non è mosso da un intento storico ma logico, nel senso che non pretende di ricostruire come sono andate le cose ma di mostrare la connessione tra lo stato originario e l’organizzazione politica. In questo modo è possibile stabilire quali diritti esistevano originariamente, quali si sono conservati, quale funzione deve essere svolta dallo Stato, da chi e come deve essere gestito il potere, e così via. Si tratta, in poche parole, di analizzare gli elementi costitutivi dello Stato, di fondarne la legittimità. Il punto di partenza dei due filosofi è profondamente diverso e, di conseguenza, differisce anche la loro teoria del potere e del rapporto con i cittadini. Hobbes muove da una concezione molto pessimistica della natura umana, descritta con espressioni divenute celebri, come «homo homini lupus» o quella che troviamo nel brano, «bellum omnium contra omnes». Lo stato di natura è caratterizzato da una contesa perenne che mette continuamente a rischio la vita di ognuno. L’esigenza di sicurezza è dunque la motivazione principale del patto sociale che istituisce il potere politico.

• Quali sono le tre cause di contesa proprie della natura umana? • Quale risultato producono complessivamente? • Quale sarebbe il rimedio per superare questo stato? • Quali conseguenze negative porta lo stato di guerra? DisCuTErE iL TEsTO

Nel brano cogliamo il pessimismo di Hobbes, secondo il quale allo stato di natura (cioè senza una organizzazione sociale e politica) l’uomo sarebbe in una condizione di lotta continua verso tutti gli altri. Hobbes pone le basi dell’assolutismo, dato che a suo parere solo la rinuncia di ognuno a tutti i propri diritti, per affidare il potere a un unico sovrano (individuo o assemblea), può far cessare il conflitto. Il sovrano detta poi le leggi che devono valere per ogni individuo anche come norma morale. Locke sosterrà invece che la legge regola soltanto il comportamento verso gli altri, mentre la morale riguarda unicamente i singoli cittadini. Quale di queste prospettive ti sembra più convincente? La legge deve stabilire anche valori morali che ognuno deve far propri, oppure è sufficiente attenersi

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contro ogni altro uomo D. La guerra, infatti, non consiste solo nella battaglia o nell’atto del combattere, ma in un tratto di tempo, in cui è sufficientemente conosciuta la volontà di contendere in battaglia; perciò la nozione del tempo va considerata nella natura della guerra, come lo è nella natura delle condizioni atmosferiche. Infatti, come la natura delle condizioni atmosferiche cattive non sta soltanto in un rovescio o due di pioggia, ma in una inclinazione a ciò di parecchi giorni insieme, così la natura della guerra non va considerata nel combattimento effettivo, ma nella disposizione verso di esso che sia conosciuta e in cui, durante tutto il tempo, non si dia assicurazione del contrario. Ogni altro tempo è pace E. Perciò tutto ciò che è conseguente al tempo di guerra in cui ogni uomo è nemico ad ogni uomo, è anche conseguente al tempo in cui gli uomini vivono senz’altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire loro F. In tale condizione non c’è posto per l’industria, perché il frutto di essa è incerto, e per conseguenza non v’è cultura della terra, né navigazione, né uso dei prodotti che si possono importare per mare, né comodi edifici, né macchine per muovere e trasportare cose che richiedono molta forza, né conoscenza della faccia della terra, né calcolo del tempo, né arti, né lettere, né società, e, quel che è peggio di tutto, v’è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve G.

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alle leggi nel proprio comportamento sociale, decidendo poi da soli i propri valori e le proprie convinzioni? Argomenta la risposta, tenendo presente che, da un

lato, l’interiorizzazione della legge comporta rischi di dipendenza del cittadino dallo Stato e, dall’altro, una società non può mantenere la propria coesione se non ci sono almeno alcuni valori generali condivisi.

Locke Lo stato di natura è regolato da leggi naturali

T16

Lo stato di natura è caratterizzato dalla libertà, regolata dal diritto naturale, e dall’uguaglianza di tutti gli individui. esso non è la guerra di tutti contro tutti immaginata da Hobbes, ma è disciplinato da una serie di leggi naturali che lo rendono ordinato e autosufficiente. È basato, in particolare, sull’uguaglianza, sulla libertà, sulla conservazione della propria vita e dei propri beni, diritti riconosciuti da Locke come naturali. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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er ben intendere il potere politico e derivarlo dalla sua origine, si deve considerare in quale stato si trovino naturalmente tutti gli uomini B, e questo è uno stato di perfetta libertà di regolare le proprie azioni e disporre dei propri possessi e delle proprie persone come si crede meglio, entro i limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di nessun altro C. È anche uno stato di eguaglianza, in cui ogni potere e ogni giurisdizione è reciproca, nessuno avendone più di un altro, poiché non vi è nulla di più evidente di questo, che creature della stessa specie e dello stesso grado, nate, senza distinzione, agli stessi vantaggi della natura, e all’uso delle stesse facoltà, debbano anche essere eguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione D [...]. Ma sebbene questo sia uno stato di libertà, tuttavia non è uno stato di licenza: sebbene in questo stato si abbia la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri averi, tuttavia non si ha la libertà di distruggere né se stessi né qualsiasi creatura in proprio possesso, se non quando lo richieda un qualche uso più nobile, che quello della sua pura e semplice conservazione E. Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che obbliga tutti: e la ragione, ch’è questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano consultarla, che, essendo tutti eguali e indipendenti, nessuno deve recar danno ad altri nella vita, nella salute, nella libertà o nei possessi, perché tutti gli uomini, essendo fattura di un solo creatore onnipotente e infinitamente saggio, tutti servitori di un unico padrone sovrano, inviati nel mondo per suo ordine e per i suoi intenti, sono proprietà di colui di cui sono fattura, creati per durare fin tanto che piaccia a lui, e non ad altri; e, poiché siamo forniti delle stesse facoltà e partecipiamo tutti d’una sola comune natura, non è possibile supporre fra di noi una subordinazione tale che ci possa autorizzare a distruggerci a vicenda, quasi fossimo tutti gli uni per uso degli altri, come

È necessario comprendere lo stato in cui gli uomini si trovano in natura per comprendere il potere politico e per derivarlo dalla sua origine B. lo stato di natura è caratterizzato dalla libertà di disporre di sé e delle proprie cose purché si rispettino i limiti delle leggi di natura C. lo «stato di natura» è di uguaglianza poiché persone uguali per natura debbono essere identiche per ogni altro aspetto D. Pur essendo uno stato di libertà tuttavia «stato di natura» non vuol dire licenza perché non si è liberi di distruggere sé o gli altri a meno che non debba essere fatto per fini superiori E. infatti lo stato di natura è regolato dalla legge di natura, che è la ragione la quale insegna che nessuno deve recar danno agli altri

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(J. Locke, Due trattati sul governo, II, parr. 4-6, Utet, Torino 1982, pp. 229-32)

perché gli uomini sono tutti uguali e indipendenti e sono creature dell’unico Dio, dal quale soltanto dipendono F. così come ciascuno è tenuto a conservare se stesso, allo stesso modo ognuno è tenuto a rispettare gli altri, a meno che non sia in gioco la sua stessa conservazione G.

GuiDa aLL’aNaLisi

Confrontando questo brano con T15, emerge immediatamente la differenza tra il pensiero di Hobbes e di Locke. Per Locke lo stato di natura non è conflittuale e di conseguenza lo Stato non è una condizione per la sopravvivenza dell’individuo. Il diritto naturale è di per sé sufficiente per garantire la pace, la giustizia e anche la collaborazione tra gli uomini, anche in assenza di un potere politico costituito. Si può affermare che per Locke l’uomo ha, per natura, una coscienza che gli consente di distinguere il bene dal male e ad essa dovranno adeguarsi le leggi positive; mentre per Hobbes la coscienza si forma successivamente alla nascita dello Stato, mediante l’interiorizzazione delle leggi stesse. COMPrENDErE iL TEsTO

• perché è necessario chiedersi quali siano le condizioni dello stato di natura? • Da che cosa è caratterizzato, per Locke?

• Nello stato di natura, la libertà è completa? • Che cos’è la legge di natura? • Che cosa prescrive? DisCuTErE iL TEsTO

Secondo Locke la legge di natura, cioè quella dettata dalla ragione, è sufficiente per garantire una convivenza pacifica, nel cui ambito ognuno è libero, purché rispetti l’analoga libertà altrui. Questo è il fondamento per affermare l’esistenza dei diritti che oggi vengono definiti «civili», o anche «libertà negative», perché lo Stato le garantisce non intervenendo. Sono le diverse forme di libertà: personale, di pensiero, di movimento, di confessione religiosa e così via. Questi diritti sono ancora oggi a fondamento della nostra Costituzione. Rintracciali tra i Princìpi fondamentali e nella Parte prima. Diritti e doveri dei cittadini, e commentali brevemente.

Hume La causalità non è un nesso necessario tra i fatti

T17

La critica al principio di causalità viene condotta da Hume con l’esempio di una palla da biliardo in movimento che ne urta una seconda, la quale a sua volta si mette in moto. solo l’esperienza ci induce a stabilire un nesso causale tra il movimento della prima e quello della seconda palla, mentre non è possibile alcuna dimostrazione razionale della congiunzione causa-effetto. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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cco una palla di biliardo che sta ferma su un tavolo ed un’altra palla che si muove verso di essa con rapidità; le due palle si urtano e quella delle due che prima era ferma, ora acquista un movimento. Questo è un esempio della relazione di causa ed effetto tanto perfetto quanto ogni al-

Il fatto: una palla da biliardo ne colpisce un’altra. possiamo considerarlo un caso emblematico di

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gli ordini inferiori delle creature sono fatti per noi F. Come ciascuno è tenuto a conservare se stesso e non abbandonare volontariamente il suo posto, così, per la medesima ragione, quando non sia in gioco la sua stessa conservazione, deve, per quanto può, conservare gli altri, e non può, se non nel caso di far giustizia d’un offensore, sopprimere o menomare a un altro la vita o quanto contribuisce alla conservazione della vita, come la libertà, la salute, le membra del corpo o i beni G.

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tro di quelli che noi possiamo conoscere sia per mezzo della sensazione che della riflessione. Perciò esaminiamolo B. È evidente che le due palle si sono toccate l’una con l’altra prima che il movimento fosse comunicato alla seconda e che non vi fu intervallo fra l’urto e il movimento della seconda palla. Perciò la contiguità nel tempo e nello spazio è una circostanza richiesta perché operi una causa qualunque. È del pari evidente che il movimento che è causa precede il movimento che è effetto. Pertanto la priorità nel tempo è un’altra circostanza che si richiede per ogni causa C. Ma questo non è tutto. Facciamo la prova con altre palle qualsiasi della stessa specie in circostanze uguali e troveremo sempre che l’impulso dell’una produce il movimento nell’altra. Ecco quindi una terza circostanza, quella cioè della congiunzione costante fra la causa e l’effetto. Qualunque oggetto simile alla causa produce sempre qualche oggetto simile all’effetto D. In questa causa non posso scoprire nulla, oltre a queste tre circostanze della contiguità, della priorità e della congiunzione costante. La prima palla è in movimento e tocca la seconda; immediatamente la seconda si mette in movimento, e quando faccio la prova con la stessa o con palle simili, nella stessa circostanza o in circostanze simili, trovo che dopo il movimento e l’urto dell’una segue sempre il movimento dell’altra. Per qualunque lato io giri la cosa, e per quanto la esamini, non vi posso trovare nulla di più E. Questo è il caso che si verifica quando sia la causa che l’effetto sono presenti ai sensi F. Vediamo ora su che cosa si fonda la nostra inferenza quando noi concludiamo dalla presenza di uno di essi che l’altro è esistito o esisterà G. Supponiamo che io veda una palla che si muove in linea retta verso un’altra; immediatamente concludo che esse si urteranno e che la seconda si metterà in movimento H. Questa è l’inferenza dalla causa all’effetto; e di questa natura sono tutti i ragionamenti che facciamo nella condotta della vita; su ciò si fonda tutta la nostra credenza nella storia e di qui deriva tutta la filosofia, con la sola eccezione della geometria e dell’aritmetica. Se potessimo spiegare l’inferenza che ricaviamo dall’urto delle due palle, saremmo anche in grado di dare spiegazione di quest’operazione della mente in tutti gli altri casi I. Se un uomo fosse creato, come Adamo, nel pieno vigore della sua intelligenza, egli senza esperienza non sarebbe in grado di inferire dal movimento ed impulso della prima palla il movimento della seconda J. […] Sarebbe stato quindi necessario per Adamo (salvo il caso di un’ispirazione divina) aver avuto esperienza dell’effetto che ha tenuto dietro all’urto delle due palle. Egli avrebbe dovuto vedere, in più casi, che quando una palla ne urta un’altra, la seconda si mette sempre in movimento. Se avesse visto un numero sufficiente di casi di questo genere, ogni volta che vedesse una palla muoversi verso un’altra, concluderebbe sempre senza esitazione che la seconda si metterà in movimento. Il suo intelletto anticiperebbe la sua vista e formerebbe una conclusione conforme alla sua passata esperienza K.

relazione causa-effetto. Analizziamolo B. Tra il movimento della prima palla e quello della seconda c’è contiguità nel tempo e nello spazio. inoltre c’è priorità del primo evento rispetto al secondo C. infine se proviamo con altre palle allora troviamo sempre una congiunzione costante tra causa ed effetto D.

però in quello che chiamiamo nesso causaeffetto non troviamo nulla di più della contiguità, della priorità e della congiunzione costante E. quindi queste tre caratteristiche descrivono correttamente ciò che possiamo constatare con l’esperienza F. ma che cosa succede se pretendo di inferire il secondo evento al verificarsi del primo G? Ad esempio, se vedo una palla che va verso un’altra, allora ne inferisco l’urto e il moto della seconda H. Dalla fiducia in questo nesso deriva tutta la nostra conoscenza, ad eccezione della matematica I. se un uomo, come Adamo, fosse razionale ma senza esperienza, allora non potrebbe inferire dal moto della prima palla quello della seconda J. infatti soltanto dopo aver visto più volte la seconda palla muoversi dopo l’urto, potrebbe prevedere il moto della seconda a partire da quello della prima K.

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(D. Hume, Estratto del Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, vol. 4, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 9-12)

quindi tutti i ragionamenti basati sul nesso causa-effetto si fondano sull’esperienza e sulla supposizione che il corso della natura sia uniforme ma è legittima questa supposizione L? Il nostro Adamo non potrebbe mai dimostrare la regolarità della natura; infatti il corso della natura può cambiare, dato che possiamo immaginare senza contraddizione tale cambiamento; quindi non possiamo dimostrare che il futuro debba essere conforme al passato M. infatti tutti gli argomenti per dimostrare la regolarità della natura si basano sulla regolarità della natura, perciò cadono in un circolo vizioso N.

dunque è soltanto l’abitudine a indurci a credere che il futuro sia conforme al passato. infatti non c’è nulla nel moto della prima palla che mi autorizzi a concludere il moto della seconda se non le esperienze ripetute, cioè l’abitudine O. quindi l’abitudine è la vera guida della vita e della conoscenza umane P.

GuiDa aLL’aNaLisi

Lo stile argomentativo di Hume è coerente con la prospettiva empirista. Egli non ricorre a dimostrazioni deduttive, come fanno ad esempio Cartesio o Leibniz. Parte dall’osservazione dei fatti, li analizza, li scompo-

ne nei costituenti elementari (che corrispondono alle idee semplici) e risale da essi a conclusioni generali. Seguiamo questo procedimento nel brano proposto. Osservazione di un evento causale. Hume analizza

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Ne segue, allora, che tutti i ragionamenti che riguardano la causa e l’effetto sono fondati sull’esperienza e che tutti i ragionamenti che derivano dall’esperienza sono fondati sulla supposizione che il corso della natura continuerà ad essere uniformemente lo stesso. Noi concludiamo che cause simili, in circostanze simili, produrranno sempre effetti simili. Può essere ora opportuno considerare che cosa ci induce a formulare una conclusione di portata così infinita L. È evidente che Adamo, con tutta la sua scienza, non sarebbe mai stato in grado di dimostrare che il corso della natura deve continuare ad essere uniformemente lo stesso e che il futuro deve essere conforme al passato. Ciò che è possibile non si può mai dimostrare che è falso; ed è possibile che il corso della natura possa cambiare, dal momento che noi possiamo concepire tale cambiamento. Ma io dico di più ed affermo che Adamo non sarebbe riuscito a provare con argomenti probabili qualsiasi che il futuro deve essere conforme al passato M. Tutti gli argomenti probabili sono fondati sulla supposizione che vi sia conformità fra il futuro ed il passato e perciò non possono provare tale supposizione. Questa conformità è una questione di fatto e, se deve essere provata, non ammetterà altra prova che non sia quella tratta dall’esperienza. Ma la nostra esperienza del passato non può provare nulla per il futuro, se non in base alla supposizione che ci sia una somiglianza fra passato e futuro. Perciò questo è un punto che non ammette affatto prova di sorta e che noi diamo per concesso senza prova alcuna N. Noi siamo determinati soltanto dall’abitudine a supporre che il futuro sia conforme al passato. Quando vedo una palla di biliardo che si muove verso un’altra, la mia mente è immediatamente spinta dall’abitudine verso il consueto effetto ed anticipa la mia vista concependo la seconda palla in movimento. Non c’è nulla in questi oggetti, astrattamente considerati, ed indipendentemente dall’esperienza, che mi porti a formulare una simile conclusione; ed anche dopo che io abbia avuto esperienza di molti effetti di questo genere che si siano ripetuti, non c’è argomento che mi determini a supporre che l’effetto sarà conforme all’esperienza passata. I poteri in forza dei quali operano i corpi sono del tutto sconosciuti. Noi percepiamo soltanto le loro qualità sensibili; e quale ragione abbiamo per ritenere che gli stessi poteri saranno sempre congiunti con le stesse qualità sensibili O? Non è dunque la ragione la guida della vita, ma l’abitudine. Essa soltanto muove la mente, in tutti i casi, a supporre il futuro conforme al passato. Per quanto facile possa sembrare questo passo, la ragione non sarebbe mai in grado di compierlo per tutta l’eternità P.

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un tipico evento interpretabile come relazione di causa-effetto, il movimento di una palla da biliardo e quello di una seconda palla urtata dalla prima. Che cosa osserviamo? La contiguità nel tempo e nello spazio di due eventi, la priorità di uno rispetto all’altro, la congiunzione costante. Questo è tutto ciò che possiamo constatare mediante l’osservazione empirica. Confronto dell’ipotesi da analizzare con l’esperienza. Il passaggio successivo consiste nel confrontare con l’esperienza l’ipotesi che vogliamo esaminare (l’esistenza di un nesso causale). In questo caso, accanto ai fatti si esaminano le attese del soggetto. Mentre prima si descriveva un’osservazione, ora si tenta di spiegare l’attesa di un evento prima che si verifichi, perché è associato a un altro che osservo (quel che si dice «inferenza»). Si tratta di un meccanismo che non riguarda solo questo evento, ma viene applicato a molti altri ambiti dell’esistenza. L’evento descritto è quindi un modello per capire come funziona in generale il nesso causa-effetto. Confutazione dell’ipotesi mediante l’esperienza. Hume presenta ancora un fatto possibile, da intendere anch’esso come un modello euristico, una specie di esperimento mentale nel significato galileiano del termine. Adamo rappresenta un uomo provvisto normalmente di ragione ma del tutto privo di esperienza, in quanto creato già adulto da Dio. Se Adamo osservasse per la prima volta l’evento descritto sopra, non potrebbe inferire dal movimento della prima palla quello della seconda. Solo dopo un certo numero di osservazioni, in Adamo si formerebbe l’aspettativa del secondo evento al verificarsi del primo. Prime conclusioni. Dalle esperienze analizzate Hume ricava alcune conclusioni: il nesso di causa-effetto deriva dall’esperienza e non può essere dimostrato. esso presuppone che il futuro sia simile al passato, cioè che la natura sia regolare: viene quindi presupposto ciò che in realtà si sarebbe dovuto spiegare, ossia la regolarità dell’esperienza («è sempre stato così»). Questa deve essere quindi considerata un presupposto indimostrabile. La sua spiegazione, in altri termini, non

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deve essere cercata con una dimostrazione razionale ma in meccanismi di tipo diverso. Conclusione generale. La regolarità che attribuiamo ad alcuni fenomeni non dipende dal nesso causale ma dall’abitudine. Non posso infatti in nessun modo dimostrare razionalmente che il movimento della seconda palla si produrrà ogni volta che verrà colpita dalla prima. La regolarità della natura, che costituisce l’orizzonte obbligato della nostra esperienza, non deriva dalla ragione (e quindi non è una qualità delle cose) ma dall’abitudine, cioè dalle esperienze ripetute. L’abitudine è dunque la guida della nostra azione. COMPrENDErE iL TEsTO

• Da quale esperienza parte Hume? Perché è un modello del nesso causale? • Quali circostanze possiamo constatare oggettivamente nella situazione descritta? • Tra queste, c’è il nesso causale, che implica necessità? • Perché Hume fa riferimento proprio ad Adamo e non ad altri individui? • Perché al punto 13 siamo di fronte a un circolo vizioso? • Da che cosa dipende il nesso causale? DisCuTErE iL TEsTO

Il nesso causale, cioè la teoria secondo la quale alcuni eventi sono legati da un nesso necessario per cui dato l’uno necessariamente si produce l’altro, è alla base dell’interpretazione meccanicistica della natura, secondo la quale, come scriveva Laplace (17491827), un’intelligenza che potesse conoscere lo stato presente dell’universo in ogni suo aspetto potrebbe prevederne tutto lo sviluppo futuro. Il meccanicismo è stato il fondamento della fisica fino all’inizio del Novecento, quando è stata definita la teoria dei quanti. Cerca in Internet «teoria quantistica» e leggi i primi articoli, in modo da avere un’idea, anche se per grandi linee, di questa nuova concezione.

Hume Lo scetticismo moderato

Pur negando la possibilità di una conoscenza oggettiva, Hume dichiara la funzione pratica del sapere. anche se in nessun caso è possibile affermare una verità indubitabile, alcune proposizioni appaiono più probabili di altre. la “probabilità” non può essere un criterio di verità, dato che non esclude sul piano logico il contrario, ma può utilmente guidare il comportamento.

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n’altra specie di scetticismo moderato che può esser di vantaggio all’umanità e che può essere il risultato naturale dei dubbi e degli scrupoli pirroniani [gli scettici, in quanto seguaci di Pirrone di Elide], è la limitazione delle nostre ricerche a quei soggetti che sono più adatti alle ristrette capacità dell’intelletto umano. L’immaginazione dell’uomo è naturalmente grandiosa, si compiace di tutto quanto è remoto e fuori dell’ordinario, e spazia senza controllo nei più remoti angoli dello spazio e nei più distanti confini del tempo, per sfuggire agli oggetti che la consuetudine le ha reso troppo familiari. Chi ha corretto discernimento adotta il metodo contrario evitando tutte le ricerche distanti e grandiose, si limita alla vita quotidiana ed a quei soggetti che rientrano nella pratica e nell’esperienza d’ogni giorno, lasciando gli argomenti più sublimi agli abbellimenti dei poeti e degli oratori, o agli artifici dei preti e dei politici. Per spingerci ad una decisione così salutare, nulla può servire di più che il convincerci radicalmente una volta per tutte della forza del dubbio pirroniano e dell’impossibilità che qualche cosa di diverso dal forte potere dell’istinto naturale ce ne possa liberare. Coloro che hanno inclinazione alla filosofia, continueranno sempre le loro ricerche, perché osservano che, oltre al piacere immediato che deriva da questa occupazione, le deliberazioni che si prendono in filosofia non sono che le riflessioni della vita di ogni giorno, rese metodiche e più accurate. Ma essi non saranno mai tentati di andare al di là della vita comune, fintantoché considereranno l’imperfezione delle facoltà di cui si servono, il loro ambito ristretto e l’imprecisione delle loro operazioni. Mentre non possiamo dare una ragione soddisfacente del perché crediamo, dopo mille esperimenti, che una pietra cadrà o che il fuoco brucerà, possiamo forse rimanere soddisfatti di qualche risoluzione che possiamo prendere, riguardo all’origine dei mondi e per l’eternità? (D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, XII, 3, in Opere filosofiche, vol. 2, Laterza, Roma-Bari 1987, p. 172)

GuiDa aLL’aNaLisi

COMPrENDErE iL TEsTO

Anche se afferma l’impossibilità di una conoscenza metafisica, Hume non nega la possibilità della conoscenza in generale. La sua posizione è simile a quella di Locke, che paragonava l’intelletto a uno scandaglio che i marinai usano per misurare la profondità dei fondali: non ci fa conoscere il mare, ma rende sicura la navigazione. Locke, come abbiamo visto, recupera la possibilità di certezze metafisiche, dal mondo all’io a Dio. Hume resta fedele all’empirismo, conservando quindi le premesse scettiche, ma senza per questo negare l’utilità della conoscenza per la soluzione dei problemi della vita quotidiana e lasciando anche la strada aperta alla ricerca che, se non ci porterà alla conoscenza delle verità ultime, ci porterà sempre più avanti in quella delle cose utili.

• Perché la posizione di Hume può essere definita «scetticismo moderato»? • Di che cosa dovrebbe occuparsi la conoscenza? • Qual è l’atteggiamento nei confronti dei problemi metafisici che emerge dal brano? DisCuTErE iL TEsTO

Nella storia della filosofia, spesso il dubbio è stato considerato un antidoto al fanatismo, che si fonda invece sulla convinzione che esistono verità indiscutibili e che chi non le accetta deve essere escluso o punito. Come giudichi queste considerazioni?

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Hume Il sentimento del piacere e del dolore come fondamento della morale

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Le scelte morali non hanno mai, in ultima istanza, un fondamento razionale. Possiamo motivarle sulla base di fini parziali, ma non possiamo spiegare oltre un certo punto tali fini. La morale, come il sentimento estetico, è basata sul gusto e non sulla ragione. La ragione ci fa capire i fatti e le relazioni causali, ma è poi il gusto a determinare il sentimento, responsabile della scelta. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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evidente che dei fini ultimi delle azioni umane non si può mai, in alcun caso, render conto per mezzo della ragione; essi si raccomandano interamente ai sentimenti e agli affetti dell’umanità, senza dipendenza alcuna dalle facoltà intellettive B. Domandate ad una persona perché è solita fare degli esercizi fisici; essa vi risponderà di farlo, perché desidera mantenersi in salute. Se voi allora domandate perché desidera la salute, vi risponderà prontamente: perché la malattia è dolorosa. Se voi spingete più in là le vostre ricerche e desiderate conoscere la ragione per cui la persona in questione odia il dolore, è impossibile che essa vi dia mai qualche risposta. Questo è un fine ultimo che non si riferisce mai ad alcun altro oggetto C. Forse alla vostra seconda domanda: perché desidera la salute, la persona in questione può anche rispondere che essa è necessaria per l’esercizio della professione. Se le domandate perché si preoccupa di questo punto, vi risponderà che lo fa perché desidera guadagnare. Se domandate ancora perché, essa vi risponderà che il danaro è lo strumento del piacere. Al di là di questo, è assurdo chiedere una ragione D. È impossibile che vi possa essere un progresso in infinitum e che vi debba sempre essere una cosa come ragione del perché un’altra viene desiderata. Qualche cosa si deve desiderare per se stessa ed in ragione del suo immediato accordo col sentimento e con l’affetto degli uomini. Ora poiché la virtù è un fine, ed è desiderabile per se stessa, senza ricompensa e rimunerazione, soltanto per la soddisfazione immediata che reca, è necessario che ci sia qualche sentimento che la raggiunga, qualche gusto o sensazione interna, o come altro vi piaccia chiamarlo, che distingua il bene ed il male morali e che abbracci l’uno e respinga l’altro E. Così risultano facilmente accertati i confini precisi ed i compiti della ragione e del gusto. La prima ci dà la conoscenza del vero e del falso; il secondo ci dà il sentimento del bello e del brutto, del vizio e della virtù. (D. Hume, Ricerca sui princìpi della morale, Appendice I, par. 5, in Opere filosofiche, vol. 2, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. 309-10)

la valutazione delle azioni umane non dipende dalla ragione ma dai sentimenti e dagli affetti B. se chiedete a qualcuno perché fa esercizi fisici, allora vi risponderà che vuole mantenersi in salute; se gli chiedete perché vuole mantenersi in salute allora vi risponderà che la malattia è dolorosa; se gli chiedete perché vuol fuggire il dolore allora non vi darà risposta, perché evitare il dolore è la spiegazione ultima C. se chiedete a qualcuno perché desidera la salute allora potrà rispondervi che è necessaria per la professione; se gli chiedete perché si preoccupa di ciò allora vi risponderà che fa guadagnare; se chiedete ancora allora vi risponderà che il denaro procura piacere però non andrà oltre D. poiché la virtù è un fine e quindi è desiderabile di per sé allora anch’essa deve riposare su un sentimento mediante cui distinguiamo il bene dal male E.

GuiDa aLL’aNaLisi

La morale è assimilata all’estetica, ed entrambe sono ricondotte al «gusto», inteso come facoltà propria della natura umana, quindi valida in generale. Non si possono dimostrare razionalmente i fini ultimi della nostra azione, che la spieghino interamen-

te. La realizzazione di un’azione morale dipende dal sentire immediato che si tratta di un comportamento giusto, da un’adesione spontanea della volontà a esso. Soltanto il «gusto» può essere movente per l’azione.

Itinerari di lettura online 3. CONOSCENZA E LINGUAGGIO NELL’EMPIRISMO

locke sottolinea l’importanza di studiare il soggetto conoscente per individuare le possibilità e i limiti della conoscenza. In questo modo sarà possibile definire i problemi che l’uomo può affrontare e quelli che sono al di là delle sue possibilità. È un’analisi sull’intelletto umano alla ricerca delle dinamiche della conoscenza. Hume svilupperà questa prospettiva, indagando non soltanto l’intelletto, ma la natura umana nella sua globalità, nella convinzione che la conoscenza abbia a che fare con l’intera persona, con il suo comportamento e con le abitudini che acquisisce, e non soltanto con l’intelletto.

Nell’empirismo diventa particolarmente importante il linguaggio. Infatti, dato che la conoscenza è soggettiva, il linguaggio è il fondamento comune per una condivisione dei significati, cioè per una conoscenza valida intersoggettivamente. Inoltre è proprio il linguaggio a unificare le sensazioni dando loro un’essenza, sia pure nominale, come afferma Locke. ma proprio per l’importanza che ha, il linguaggio può indurci in errore, rendendo reali, per noi, cose che non esistono. Nell’itinerario online analizziamo questi problemi in Hobbes e in Locke.

T1 (da LoCKe, Saggio sull’intelligenza umana), Il criticismo

T11 (da HobbeS, Il corpo), Gli universali

T2 (da HUme, Trattato sulla natura umana), La ricerca

T12 (da HobbeS, Elementi di legge naturale e politica), Il no-

sulla natura umana

minalismo e gli inganni del linguaggio

T3 (da LoCKe, Saggio sull’intelligenza umana), Determina-

T13 (da LoCKe, Saggio sull’intelligenza umana), Essenze

re l’ambito del conoscibile

reali ed essenze nominali

T4 (da HUme, Ricerca sull’intelletto umano), Idee e fatti

T14 (da LoCKe, Silloge del Saggio sull’intelligenza umana),

T5 (da HUme, Ricerca sull’intelletto umano), Lo scettici-

Gli abusi del linguaggio

smo moderato

4. ASSOLUTISMO E LIBERALISMO

2. LA CRITICA DELLA CONOSCENZA OGGETTIVA

L’Inghilterra è attraversata nel Seicento da due rivoluzioni, che ne cambiano radicalmente la fisionomia politica: dall’assolutismo si passa alla monarchia costituzionale e al liberalismo. Questi due sistemi politici sono teorizzati rispettivamente da Hobbes e da Locke. Nonostante l’apparente contrapposizione, ci sono elementi comuni, rappresentati dal contrattualismo e dall’approccio laico alla politica. Assolutismo e liberalismo, in effetti, rappresentano momenti successivi di un unico processo, l’affermazione della borghesia che proprio in Inghilterra prelude alla prima rivoluzione industriale, che si svilupperà nel secolo successivo. Sono molte, però, anche le differenze, che analizziamo nell’itinerario di lettura online.

Riconducendo la conoscenza al soggetto, l’empirismo ne mette in discussione l’oggettività. Non conosciamo le cose in sé, ma come appaiono ai nostri sensi, che producono idee semplici rielaborate a formare quelle complesse. Queste non corrispondono quindi a realtà oggettive, ma sono prodotte da noi. La conclusione alla quale, partendo da questa prospettiva, Locke giungerà, e sulla quale concorderà anche Hume, è che la conoscenza ha soprattutto una finalità pratica, consentendoci di interagire con la realtà per risolvere i nostri problemi. Dovremo però rinunciare alla ricerca di una conoscenza oggettiva e in particolare ammettere l’impossibilità di dare una risposta alle domande metafisiche.

T15 (da HobbeS, Leviatano), Lo stato di natura è guer-

T6 (da LoCKe, Saggio sull’intelligenza umana), Le idee

ra di tutti contro tutti

complesse

T16 (da HobbeS, Leviatano), Il patto

T7 (da LoCKe, Saggio sull’intelligenza umana), La critica

T17 (da HobbeS, De Cive), La moltitudine e lo Stato

dell’idea di sostanza

T18 (da LoCKe, Due trattati sul governo), Lo stato di na-

T8 (da beRKeLey, Trattato sui princìpi della conoscenza uma-

tura

na), Esse est percipi

T19 (da LoCKe, Due trattati sul governo), Il fondamento

T9 (da HUme, Ricerca sull’intelletto umano), Le leggi

di legittimità della proprietà privata

dell’associazione

T20 (da LoCKe, Due trattati sul governo), Origine e ca-

T10 (da HUme, Estratto del Trattato sulla natura umana),

ratteristiche della società civile

La causalità non è un nesso necessario tra i fatti

l Avoro S ul t eS to

1. DALLO STUDIO DEL MONDO ALLO STUDIO DEL SOGGETTO

323

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

324

Laboratorio arGOMENTarE hOBBEs 1. riordina le proposizioni per ricostruirne la sequenza logica. ecco come Hobbes spiega con un esempio il meccanismo della conoscenza come calcolo. a. Finalmente, quando, vista la cosa completamente e distintamente, la concepisce nella sua totalità come una, la sua idea è composta da quelle precedenti, e la mente compone le idee predette nello stesso ordine in cui nel discorso questi singoli nomi: corpo, animale, razionale, sono composti in un unico nome: corpo animato razionale o uomo. b. In che modo, poi, noi, con la mente, senza parole, con tacita riflessione ragionando, siamo soliti addizionare e sottrarre, si deve mostrare con uno o due esempi. c. Quando la cosa si è avvicinata ed egli in un determinato modo la vede ora in un luogo ora in un altro, avrà di essa un’idea nuova, per la quale ora chiama questa cosa animata. d. Da ultimo, quando, trovandosi in prossimità di quella cosa, ne vede la figura, ne ascolta la voce e coglie le altre cose che sono i segni di una mente razionale, si forma una terza idea, anche se finora non c’è stato un suo nome, la stessa, cioè, per la quale diciamo che qualcosa è razionale. e. Se uno, dunque, da lontano, vede qualcosa oscuramente, anche se non è stato imposto alcun vocabolo, ha tuttavia di quella cosa la stessa idea per la quale, imponendo ora dei nomi, dice che quella cosa è un corpo. (Il corpo, parte I, i, 3, in Elementi di filosofia cit., p. 71)

LOCkE 2. ricostruisci l’argomentazione di locke inserendo le seguenti espressioni nel brano: ciò che possiamo conoscere • migliorare • efficiente • servirci nella vita • le potenzialità • problemi pratici • limiti • mente • oggettiva • tutto

Ci lamentiamo dei

..............................................................

della nostra ...................................................................... perché vorremmo conoscere la verità ............................. ......................................... . Se, invece, ci accontentassi-

mo di conoscere ciò che può ........................................... ...........................

, ne saremmo soddisfatti. Succede

spesso che disprezziamo .................................................. ....................

perché non possiamo conoscere ..........

............................................................

. Dovremmo, invece,

accettare i limiti della nostra mente, ma riconoscerne anche ...................................................................... . In questo modo, potremmo applicarci a ............................................................

rendendola sempre più .................

queste potenzialità,

.....................................................

per la soluzione di

.........................

..........

.............................................

.

EMPirisMO 3. ricostruisci l’argomentazione del brano proposto. L’empirismo critica la possibilità di una conoscenza oggettiva, sulla base di argomentazioni che abbiamo riassunto in questo brano. Ricostruiscile, riordinando nel modo opportuno le seguenti frasi: a. a partire da queste considerazioni, si aprono problemi complessi. b. altrettanto radicale è Hume, che nega l’esistenza dell’io e del mondo come realtà stabili, come sostanze, ma mette in discussione anche il principio di causalità, che costituisce il fondamento della scienza, in particolare della fisica. c. Noi percepiamo i fenomeni, cioè l’apparenza delle cose, e non possiamo dire quanto di ciò che conosciamo dipenda dalle cose percepite e quanto dai nostri organi di senso.

huME

a. Ciò che produce piacere è considerato buono, ciò che produce una reazione negativa, cattivo. b. Ciò dimostra che il bene e il male non sono nei fatti, ma nella reazione del soggetto ai fatti. c. Per quanto non sia possibile stabilire princìpi etici universali, esistono dei tratti comuni derivati dalla comune natura umana. d. Per questo, esiste una simpatia spontanea, un sentire con, che è il principale fondamento del consenso morale. e. Secondo Hume i fatti non hanno nessun significato etico: se assistiamo alla scena di un omicidio, non c’è niente nei fatti osservabili che possa essere definito «vizio» o «virtù». f. Tale reazione non dipende dalla ragione, ma è un sentimento spontaneo (morale del sentimento), non argomentabile, che può essere accostato, in un certo senso, al gusto. g. Infatti, tutti gli uomini provano una naturale tendenza a immedesimarsi negli altri e a reagire in modo simile.

4. ricostruisci la concezione morale di Hume, riordinando nel modo opportuno le seguenti frasi:

COMPrENDErE hOBBEs 5. Indica se le seguenti frasi sono vere o false: 1. Hobbes è un materialista, quindi parla di una fisica «deduttiva».

V

F

2. Possiamo conoscere in modo oggettivo V la realtà materiale.

F

3. Tutto ciò che conosciamo è sempre fenomenico.

V

F

4. Il mondo fisico può essere conosciuto V unicamente con i sensi.

F

5. I sensi non ci consentono di formulare V leggi generali.

F

6. La conoscenza può essere ricondotta a un calcolo fatto con le parole.

F

V

7. La conoscenza deduttiva non è scientifica.

V

F

8. Possiamo fare scienza in senso stretto soltanto di ciò di cui conosciamo i princìpi.

V

F

9. La politica può essere scienza.

V

F

huME 6. Indica se le seguenti frasi sono vere o false: 1. Hume, seguendo Locke, intende studiare l’intelletto umano.

V

F

2. Hume intende costruire una scienza dell’uomo.

V

F

3. La conoscenza può avere origine dalle impressioni o dalle idee.

V

F

325 l A B orAtorIo

d. Berkeley si spinge più in là, sostenendo che possiamo essere sicuri che esiste solo ciò che percepiamo, e in generale possiamo parlare dell’esistenza di qualcosa solo se c’è un soggetto che la percepisce. e. Infatti, la conoscenza si basa sull’esperienza e quindi sulle sensazioni, che dipendono però dal soggetto. f. Infatti, se tali organi fossero diversi, cambierebbe la nostra idea del mondo. g. l’empirismo mette radicalmente in discussione la possibilità di una conoscenza oggettiva. h. Per gli stessi motivi, la conoscenza è sempre individuale, anche se possiamo ipotizzare (ma non dimostrare) una certa consonanza, derivante, come ad esempio sostiene Hume, dalla comune natura umana. i. Possiamo parlare, ad esempio, di una «sostanza» dietro ai fenomeni? locke lo nega, anche se non percorre sino in fondo questa analisi, recuperando l’esistenza di Dio, dell’io e del mondo.

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

326

4. le idee derivano dalle impressioni.

V

5. le idee semplici si unificano in base alle leggi associative, formando le idee V complesse. 6. Le leggi associative sono diverse da individuo a individuo.

V

F

F

F

7. Le idee complesse non derivano dai fatti.

V

F

8. Soltanto il metodo induttivo può darci una conoscenza oggettiva della realtà.

V

F

9. Il nesso di causalità non è nei fatti ma deriva dall’abitudine.

V

F

PrOBLEMaTiZZarE LiBErTÀ Di sCELTa

rELaTivisMO ETiCO?

7. rifletti e scrivi sulle questioni poste seguendo le domande-guida.

8. rifletti sulle questioni poste seguendo le domande-guida.

Esiste una volontà libera? Secondo Hobbes l’etica è una scienza deduttiva perché, conoscendone i princìpi, possiamo dedurre in modo necessario i comportamenti. Non esiste, dunque, nessuna libertà di scelta. La libertà è soltanto l’assenza di impedimenti esterni per poter fare ciò che le nostre reazioni naturali ci inducono a fare.

• Che cosa pensi di questa posizione di Hobbes? Noi facciamo delle scelte morali in relazione a ciò che consideriamo «bene» o «male», oppure scegliamo in base a impulsi e a sentimenti, e consideriamo «bene» ciò che per noi è desiderabile e male il contrario? o ancora, entrambe queste posizioni sono valide, in relazione ad ambiti e a circostanze diverse?

• Analizza questi problemi in un testo argomentativo, proponendo esempi delle due posizioni e ragionando su di essi.

Comportamenti morali e approvazione sociale Hume evita il relativismo etico, che sembrerebbe l’ovvia conseguenza della sua concezione morale, ancorando una uniformità di fondo dei sentimenti alla comune natura umana. La «simpatia», il «sentire con», che è un sentimento naturale, è rafforzato poi da un meccanismo sociologico complesso: ognuno di noi è gratificato dall’approvazione degli altri e quindi regola il proprio comportamento sulle reazioni dei propri simili, cercando, spesso in modo inconscio, di ottenere la loro approvazione. Parallelamente la società, per una specie di meccanismo adattivo, fa sì che proviamo sentimenti di approvazione verso ciò che è utile alla società stessa. Il cerchio si chiude: ci piace l’approvazione dei nostri simili, che viene data per comportamenti socialmente positivi nel lungo periodo, così la società può conservarsi e rafforzarsi.

• Ti convince questa spiegazione di Hume? oppure ritieni che il bene e il male siano indipendenti da ogni spiegazione di tipo sociale e riposino su valori assoluti?

Fallacie causali La legge causale, per la quale a ogni causa corrisponde un effetto, è il cuore della fisica classica e di molte idee e comportamenti della vita quotidiana. Nell’elaborazione e nella formulazione di enunciati che riguardano nessi causali capita però di incorrere in fallacie, tanto che ce ne sono di diversi tipi. Vediamone alcuni. Post hoc, ergo propter hoc Alla lettera “dopo questo, perciò a causa di questo”. Si tratta di una fallacia che nasce dall’inferire un nesso causale in quella che è una semplice successione di eventi irrelati. Se, ad esempio, si emette un forte starnuto e salta la luce di casa, si può avere la sensazione di aver causato l’evento, ma sarebbe infondato sostenerlo. Per contrastare la fallacia, si può esibire la vera causa dell’evento (per stare all’esempio, c’erano troppi elettrodomestici accesi), oppure si può mostrare che il secondo evento sarebbe avvenuto anche senza il primo. Lo scetticismo humeano ha esteso il discorso, mettendo in discussione ogni nesso causale sulla base del fatto che non facciamo mai esperienza della causalità, ma sempre di passaggi da un prima a un dopo, e solo la frequenza di certe ripetizioni ci porta a concludere, in maniera però non fondata sui fatti, secondo Hume, che si tratterebbe di un nesso causale. Qui si esce dalla teoria dell’argomentazione e si comincia a fare ontologia. È degno di nota che un “attrezzo” discusso in teoria dell’argomentazione, come la fallacia post hoc, ergo propter hoc, sia addirittura diventato il cardine di una teoria ontologica. Inversione causale Come si può ben capire, si tratta dell’inversione della causa con l’effetto, come quando lo studente dice che non studia la matematica perché non la capisce, e il docente gli spiega che non la capisce perché non la studia. Per contrastare la fallacia, insomma, è necessario mostrare qual è il corretto rapporto causale. Causa errata Si può ritenere che questo tipo di fallacia (noto anche come non causa pro causa, “una non causa come causa”) sia il caso più generale rispetto al quale le due fallacie appena discusse sono casi speciali. Anche poste così le cose, va riconosciuto che vi sono fallacie di causa errata che non sono riconducibili al post hoc, ergo propter hoc, né all’inversione causale. Qualora, ad esempio, si dica che mangiare pastasciutta causa obesità, si incorre in una fallacia di non causa pro causa. Infatti, la semplice assunzione di una quantità appropriata di pastasciutta nell’ambito di un regime dietetico corretto e di un sano stile di vita non è sufficiente a causare l’obesità. Per neutralizzare la fallacia, dunque, si deve mostrare che la causa di per sé non porta all’effetto detto.

attività • Discuti l’enunciato «Le mucche causano l’aumento dell’effetto serra». Vi trovi una fallacia? Se sì, di che tipo? • Discuti l’enunciato «Lo scioglimento della calotta polare artica causa l’innalzamento dei mari». Vi trovi una fallacia? Se sì, di che tipo? • Cerca delle esemplificazioni di fallacia causale nel dibattito pubblico sui media e discutile.

327 l A B orAtorIo

Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

328

Prepararsi all’interrogazione Confronto tra filosofi 1. La METaFisiCa Cartesio

Locke

Hume

Io

una sostanza, conoscibile mediante l’intuizione.

una realtà stabile, conoscibile mediante l’intuizione.

un fascio di percezioni (senza nessun fondamento ontologico).

Il mondo

una realtà oggettiva, come è attestato dalle idee avventizie, la cui verità è garantita da Dio.

una realtà oggettiva, come è attestato dalle sensazioni, nel cui ambito possiamo individuare qualità primarie che dipendono dalle cose e non da noi.

un insieme organizzato di credenze di cui ci fidiamo per poter rendere coerenti le nostre esperienze.

dio

Ha esistenza oggettiva e possiamo dimostrarne l’esistenza mediante prove sia a priori, sia a posteriori.

Ha esistenza oggettiva e possiamo dimostrarne l’esistenza mediante un procedimento dimostrativo.

Posizione scettica: non possiamo in alcun modo dimostrane l’esistenza ma, eventualmente, credere in essa senza alcuna motivazione razionale.

Cartesio

Locke

Hume

l’esperienza

Non ha importanza per la conoscenza.

È il punto di partenza della conoscenza. Dà origine alle idee semplici.

È il punto di partenza della conoscenza. Distinzione tra impressioni e idee.

le idee

Costituiscono la res cogitans, molte sono innate e rappresentano il fondamento della conoscenza.

Quelle semplici sono prodotte dalle sensazioni. Vengono unificate dall’intelletto che produce le idee complesse.

Sono «impressioni sbiadite». Quelle semplici si uniscono in base alle leggi dell’associazione, costituendo le idee complesse.

corrispondenza idee-realtà

Tutte le idee chiare e distinte sono vere, in quanto Dio garantisce la loro corrispondenza con la realtà.

Le idee complesse sono una costruzione del soggetto. Non c’è dunque una corrispondenza con la realtà. È possibile però dimostrare l’esistenza del mondo, dell’io e di Dio.

Le idee complesse derivano dalle leggi associative. Non c’è dunque una corrispondenza con la realtà. L’io è un fascio di percezioni, il mondo lo presupponiamo per rendere coerente l’esperienza, non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio.

2. La CONOsCENZa

Il comportamento Meccanicistico, ma Confronto tra filosofi umano possibilità di intervenire sulle risposte meccaniche mediante la formazione di abitudini. Il bene e il male

Il bene è associato spontaneamente al principio di conservazione di sé, il male alla minaccia dello stesso. possibilità di modificarli mediante l’intervento della volontà.

329 Hume

La libertà è il presupposto della moralità.

Il comportamento dipende da abitudini che si formano in un contesto sociale.

La coscienza del singolo è indipendente dalla società e dallo Stato. Non elabora specifiche teorie etiche.

La valutazione del bene e del male dipende dalle nostre reazioni e non dai fatti. Le reazioni dipendono dalla «morale della simpatia», formata in parte anche mediante le abitudini.

Confronto tra idee 4. La POLiTiCa definizione

«Politica» deriva da pólis (città) e più precisamente da politiké (tèchne), nel significato di (arte del) governo della città, cioè dello Stato. Per capire bene i problemi implicati nella discussione di questo periodo, occorre definire altri concetti. Intendiamo con «diritto naturale» l’insieme delle regole dettate dalla ragione e quindi comune a tutti gli uomini, con «diritto positivo» quelle stabilite dalle leggi dei singoli Stati; in questo ambito, i «diritti naturali» sono universali e inalienabili, in quanto fondati sulla ragione (ad esempio, il diritto alla conservazione di sé e alla libertà), mentre i diritti positivi sono validi nell’ambito dello Stato che li riconosce. Infine, la «società civile» è l’insieme dei rapporti stabiliti liberamente tra i cittadini (in particolare quelli economici), mentre lo Stato è l’ordinamento vincolante per tutti i cittadini.

Hobbes

Lo stato di natura è caratterizzato dalla conflittualità tra gli individui, riassunta dalla celebre espressione homo homini lupus («l’uomo è come un lupo verso l’altro uomo»). Per evitare i rischi legati a questa situazione, tutti rinunciano ai propri diritti e affidano ogni potere al sovrano. In questo modo nasce lo Stato, che è assoluto, cioè non dipende da altri, non prevede la divisione dei poteri (neppure quelli spirituale e temporale), tutti riuniti nel sovrano; gli unici diritti sono quelli positivi (cioè stabiliti per legge); non esiste nessuna autonomia della società civile dallo Stato; infine, la stessa coscienza individuale è subordinata allo Stato perché deve riconoscere come «bene» ciò che è stabilito dalle leggi e come «male» ciò che le leggi vietano.

locke

Lo Stato di natura è caratterizzato dal diritto naturale in base al quale gli individui possono convivere pacificamente. prima della nascita del potere politico, i cittadini si organizzano spontaneamente nella società civile. Lo Stato nasce quando la società è troppo complessa per autogovernarsi. I poteri di ogni organo dello Stato sono stabiliti da un patto che impegna anche il sovrano (costituzione); il potere legislativo è separato da quello esecutivo; i diritti naturali sono inalienabili e nessuna legge può sottrarli ai cittadini; la società civile (in particolare l’economia) deve essere il più possibile autonoma dallo Stato; infine, la coscienza individuale è completamente indipendente dal potere politico, che non può stabilire che cos’è «bene» o «male» ma soltanto ciò che è legale o meno (i cittadini devono rispettare le leggi, ma non debbono necessariamente approvarle moralmente, anzi, possono anche considerarle ingiuste e lottare per cambiarle).

P re PA rA rS I A l l’IN t e rroG A z IoN e

3. L’ETiCa Prepararsi all’interrogazione Cartesio Locke

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

330

Pensare il presente Questioni di attualità Che cosa c’è fuori dalla nostra mente? Il presupposto dell’empirismo è che la conoscenza ha inizio nell’esperienza, mediante sensazioni o, come le chiama Hume, impressioni, ma poi essa si traduce in idee, in rappresentazioni mentali delle sensazioni. Queste vengono unite dall’intelletto, secondo Locke, o si uniscono spontaneamente sulla base delle leggi associative, secondo Hume, ma in ogni caso non abbiamo nessuna garanzia che il contenuto della nostra conoscenza, in particolare le idee complesse, corrisponda effettivamente alla realtà così come esiste. Anzi, la critica di Locke all’idea di sostanza mette in dubbio che vi sia una corrispondenza tra le idee complesse e le cose. Locke è consapevole di questo problema, affermando che possiamo essere sicuri dell’esistenza di qualcosa soltanto quando ne abbiamo la sensazione. Hume, ancor più radicale di Locke, riconduce la conoscenza di ciò di cui non abbiamo esperienza diretta e in particolare il nesso causale, alla credenza derivante dall’abitudine, quindi più a fattori psico-culturali che gnoseologici. Il problema si pone ancora oggi. Vediamolo in due filosofi contemporanei. Il primo è Thomas Nagel (nato nel 1937). Dopo aver descritto l’ipotesi scettica che i sensi ci ingannano e che è impossibile dimostrare l’esistenza di un mondo esterno, perché ciò che vediamo potrebbe essere un’allucinazione o un sogno, egli conclude: «E tuttavia, dopo aver detto tutto questo, devo ammettere che è praticamente impossibile credere seriamente che tutte le cose del mondo intorno a te potrebbero non esistere davvero. La nostra accettazione del mondo esterno è istintiva e potente: non possiamo semplicemente liberarcene tramite argomenti filosofici. Non soltanto noi continuiamo a agire come se esistessero altre cose e persone: crediamo che sia così, anche dopo esser passati attraverso gli argomenti che sembrano mostrare che non abbiamo alcuna ragione per questa credenza. […] Se una credenza nel mondo esterno alle nostre menti ci viene così naturale forse non abbiamo bisogno di ragioni per essa. Possiamo semplicemente lasciare che sia, e sperare che sia giusta. E in effetti è quello che la maggior parte della gente fa dopo aver abbandonato il tentativo di provarla: anche se non possono produrre ragioni contro lo scetticismo non possono neppure vivere con esso» (Una brevissima introduzione alla filosofia, il Saggiatore, Milano 1996, p. 22).

Compito di realtà Nel film menzionato da Savater, Blade Runner, vengono costruiti dei cyborg in tutto e per tutto simili agli uomini, con un proprio passato inserito artificialmente in un chip, per cui essi “ricordano” i vari momenti della propria vita, a iniziare dall’infanzia. Guarda il film o, se non puoi, approfondisci mediante recensioni e critiche alla pellicola l’aspetto del ricordo. Cerca poi, confrontandoti con i tuoi compagni o mediante Internet, altri film in cui l’esistenza di una realtà esterna così come la conosciamo è messa in dubbio e cerca di applicare alle situazioni prospettate nel film la “soluzione” prospettata da Savater in riferimento a Wittgenstein. ecco alcuni film che potrebbero interessarti, per questo compito: Matrix, Atto di forza, The Truman Show; per questi tre film, e per Blade Runner, trovi schede di analisi e alcune sequenze video nella Web-TV Loescher, alla quale hai accesso. Leggi le schede e osserva le sequenze, possono già essere sufficienti per lo svolgimento del compito.

331 P e N SA re Il P reS e N t e

film

Una possibile risposta è formulata da un altro filosofo contemporaneo, Fernando Savater (nato nel 1947). Anch’egli prende sul serio i dubbi scettici: «Nel capitolo precedente abbiamo cercato di spiegare come si giunge a sostenere razionalmente certe credenze, ma lo scettico radicale – forse nascosto dentro di noi – continua a mugugnare le sue obiezioni. Beh, ci dice, d’accordo, voi vi accontentate di sapere perché credete a ciò in cui credete; ma potete spiegarmi perché non credete a ciò in cui non credete? E se fossimo solo cervelli galleggianti in una tinozza piena di un liquido nutritivo, che marziani spietati sottopongono a un esperimento virtuale? E se gli extraterrestri ci facessero percepire un mondo che non esiste, un mondo inventato da loro per ingannarci con false concatenazioni casuali, con falsi paesaggi e false leggi apparentemente scientifiche? E se ci avessero creato nel loro laboratorio solo cinque minuti fa, con finti ricordi di una vita precedente che non esiste (come i replicanti di Blade Runner)? Come possiamo allora essere sicuri di qualcosa, se non siamo neppure in grado di scartare l’idea della falsificazione universale?» (Le domande della vita, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 53). Dopo aver discusso l’argomento, evidenziando che per questa via possiamo giungere ad affermare l’esistenza della nostra sola mente, conclude: «A mio giudizio, l’argomento antisolipsistico più solido è stato fornito da un altro grande pensatore contemporaneo – che fu anche amico e discepolo di Russell – l’austriaco Ludwig Wittgenstein. Secondo lui, non può esistere un linguaggio privato: ogni lingua umana, per essere tale, deve essere compresa dagli altri e ha lo scopo di condividere con loro il mondo dei significati. Dentro di me, da quando comincio a riflettere su me stesso, trovo un linguaggio senza il quale non sarei in grado di pensare e neppure di sognare: un linguaggio che non ho inventato io, un linguaggio che, come tutti i linguaggi, deve essere necessariamente pubblico, vale a dire condivisibile con altri esseri capaci come me di intendere significati e di utilizzare parole. Termini come «io», «esistere», «pensare», «genio maligno» non sono prodotti spontanei di un essere isolato, bensì creazioni simboliche che hanno una loro collocazione nella storia e nella geografia umane […]. Per mezzo del linguaggio, che dà forma alla mia interiorità, posso postulare – devo postulare – l’esistenza di altre interiorità fra le quali si stabilisce il vincolo rivelatore della parola. Sono un «io» perché posso chiamarmi così rispetto a un «tu» in una lingua che poi permette al «tu» di parlare dalla posizione dell’«io». Stabilire l’ambito dei significati linguistici condivisi equivale a definire le frontiere dell’umanità: non sarà proprio qui, nell’umanità, in ciò che condivido con altri esseri capaci di parlare e, pertanto, di pensare, che potrò trovare una risposta migliore alla domanda su che cosa o chi sono?» (Ivi, p. 70).

4. h OB B E s E L’E M P i ri sM O CL assi CO

332

Pro&Contro

Assolutismo e liberalismo

Hobbes e Locke sono i teorici delle principali concezioni politiche del Seicento, l’assolutismo e il liberalismo. Discutiamo ampiamente questo tema nel profilo e nella parte antologica [➤ T15, p. 314 e T16, p. 316]. Ricostruiamo qui un possibile dibattito tra i due, intorno ai punti centrali delle loro concezioni politiche. Hobbes: il potere assoluto La sola via per erigere un potere comune che possa essere in grado di difendere gli uomini dall’aggressione straniera e dalle ingiustizie reciproche, e con ciò di assicurarli in modo tale che con la propria industria e con i frutti della terra possano nutrirsi e vivere soddisfatti, è quella di conferire tutti i loro poteri e tutta la loro forza ad un uomo o ad un’assemblea di uomini che possa ridurre tutte le loro volontà, per mezzo della pluralità delle voci, ad una volontà sola. (Th. Hobbes, Leviatano, a cura di G. Micheli, La Nuova Italia, Firenze 1976, II, XVII, p. 167)

la concezione negativa della natura umana (homo homini lupus) porta hobbes a concludere che l’unico modo per evitare il conflitto e le minacce alla sicurezza di ognuno, sia la rinuncia completa a ogni diritto, per affidarlo a un sovrano che ne disponga senza nessun controllo, salvo il diritto alla ribellione soltanto nel caso in cui venga messa in pericolo la sopravvivenza stessa dei membri della collettività. altro punto di contrasto, collegato al precedente, è la divisione o meno dei poteri. hobbes nega non soltanto quella tra potere esecutivo e legislativo, ma anche quella tra potere politico e religioso. D’altra parte, dopo la riforma anglicana questa era la situazione di fatto che veniva semplicemente giustificata dalla teoria di Hobbes. In questo brano si parla del «diritto della spada», cioè del potere politico, mentre quello religioso è rappresentato dal pastorale: Hobbes volle infatti sul frontespizio del suo saggio politico più noto, il Leviatano, la raffigurazione del sovrano con la spada in una mano e il pastorale nell’altra.

Non può esservi divisione dei poteri Poiché il diritto della spada non è altro che potere di diritto usare a proprio arbitrio della spada, ne segue che l’arbitrio o il giudizio circa il retto uso della spada deve spettare alla stessa persona. Se infatti la potestà di giudicare spettasse a una persona, e la potestà di eseguire, a un altro, non si concluderebbe nulla, perché giudicherebbe invano chi non potesse porre in esecuzione i comandi; e, se li eseguisse per diritto di un altro, non si potrebbe attribuire il diritto della spada a lui, ma all’altro, di cui non sarebbe che un ministro. Dunque ogni giudizio nello Stato spetta a chi ha le spade, cioè a chi ha il potere supremo. (Th. Hobbes, De Cive, a cura di T. Magri, Editori Riuniti, Roma 1979, VI, par. 8, p. 133)

Locke: dalla società civile alla società politica Poiché gli uomini sono, come s’è detto, tutti per natura liberi, eguali ed indipendenti, nessuno può esser tolto da questa condizione e assoggettato al potere politico di un altro senza il suo consenso. L’unico modo con cui uno si spoglia della sua libertà naturale e s’investe dei vincoli della società civile, consiste nell’accordarsi con altri uomini per congiungersi e riunirsi in una comunità, per vivere gli uni con gli altri con comodità, sicurezza e pace, nel sicuro possesso delle proprie proprietà, e con una garanzia maggiore contro chi non vi appartenga. (J. Locke, Due trattati sul governo, a cura di L. Pareyson, Utet, Torino 1982, II, par. 95, p. 297)

Diversa è la concezione antropologica di Locke e diverse sono le sue conseguenze. Gli uomini sono per natura liberi e uguali, e la ragione impone loro il rispetto dei diritti naturali. La nascita dello Stato, di conseguenza, non mette in discussione tali diritti e ognuno conserva la propria libertà nella sfera dei comportamenti che non coinvolgono anche gli altri. per gli interessi comuni, invece, vale il principio delle decisioni a maggioranza, escludendo quindi ogni potere assoluto. Locke sottolinea la necessità di separare il potere legislativo da quello esecutivo, come di fatto avviene nella monarchia costituzionale nata in Gran Bretagna con la Rivoluzione del 1689. Il primo doveva essere esercitato dal popolo, attraverso i propri rappresentanti che costituivano il parlamento. Il secondo poteva essere delegato al re, che doveva comunque rispondere ai cittadini del suo operato e si impegnava a rispettare la Costituzione, espressione del patto che obbligava nello stesso modo il popolo e il sovrano. Dopo la Rivoluzione del 1689, Guglielmo III d’orange e Maria II salirono al trono soltanto dopo aver giurato di rispettare il Bill of Rights.

La divisione dei poteri È il potere legislativo quello che ha il diritto di regolare come la forza della società politica debba esser impiegata per la conservazione della comunità e dei membri di essa. [...] Ma poiché le leggi, che sono fatte una volta e in breve tempo, hanno vigore costante e duraturo, e richiedono una continua esecuzione e osservanza, è necessario che vi sia un potere sempre in funzione che vigili all’esecuzione delle leggi, che son fatte, sì che rimangano in vigore. E così il potere legislativo e il potere esecutivo vengono spesso ad esser separati. (J. Locke, Due trattati sul governo cit., II, par. 143, p. 337)

Filosofia e cittadinanza Locke è considerato il padre del liberalismo, una concezione politica che pone al centro i diritti individuali, dalle diverse declinazioni della «libertà» (di espressione, di parola, di stampa, di credo religioso ecc.) alla proprietà privata derivante dall’attività personale e dal lavoro, come diritto naturale. Nella nostra Costituzione, che è democratica, c’è però un forte nucleo che deriva dalla tradizione liberale, nata con Locke e sviluppatasi poi nei secoli successivi, dominando ▲ Dettaglio della Costituzione degli Stati Uniti d’America: articolo tutto l’Ottocento e restando presente primo, 1789, manoscritto su pergamena. come componente importante anche nei sistemi politici contemporanei, in particolare nel mondo occidentale. Sono riconducibili al liberalismo le cosiddette «libertà negative», dette così perché lo Stato le garantisce semplicemente non intervenendo, quindi senza un impegno diretto ma, secondo un motto caro alla tradizione liberale, «lasciando fare». Per il liberalismo, infatti, l’intervento statale deve ridursi al minimo indispensabile. Il cittadino deve essere lasciato libero di fare tutto ciò che vuole, con l’unico limite di non ledere l’uguale diritto altrui (un altro motto importante è: «la mia libertà finisce dove inizia la tua»). Vediamo più in dettaglio questi diritti, che troviamo nella prima parte della Costituzione, Diritti e doveri dei cittadini: «Art. 13. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. […] È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. Art. 14. Il domicilio è inviolabile. […] Art. 15. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. […] ◀ Foto della prima pagina tratta da uno dei tre originali della Costituzione italiana ora custodito nell’Archivio Storico della Presidenza della Repubblica dopo la consegna da parte della Presidenza del Consiglio avvenuta il 24 giugno 2009.

P e N SA re Il P reS e N t e

Il liberalismo nella Costituzione italiana

333

3. L a Fi LOsOFi a E L a p ól i S

334

Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale […]. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. Art. 17. I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. […] Art. 18. I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. […] Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto […]. Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. […] Art. 22. Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Art. 27. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Nella democrazia, come vedremo meglio nel prossimo Modulo, si affermano anche i diritti positivi, che lo Stato garantisce intervenendo e mobilitando risorse: si parla in particolare del diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute e così via. Per il liberalismo classico, doveva essere il singolo a provvedere a se stesso, procurandosi un lavoro, pagando le scuole per i figli e le cure mediche in caso di malattia.

▲ La Dichiarazione dei Diritti dell’uomo, 20-26 luglio 1789, incisione colorata (Parigi, Bibliothèque Nationale).

attività • Come avrai notato, abbiamo riportato sopra solo una parte dei diversi articoli. Leggi le parti mancanti, che riguardano alcuni limiti per i diritti via via affermati. Ti sembra che questi limiti siano giusti? Quali, in particolare, sarebbe a tuo parere opportuno mettere in discussione? • Fai un breve resoconto di uno o più fatti di cronaca, o eventualmente anche di scelte politiche, che a tuo parere ledono, o potrebbero ledere, uno o più diritti ricordati sopra.

5. Pascal e il problema religioso dopo Cartesio lezione in PowerPoint

LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA • LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. Ragione e fede: il problema religioso dopo Cartesio 2. Blaise Pascal

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO ComPetenze / filosofia e cittadinanza, Lessico e concettualizzazione, Pensiero critico, mappa concettuale, La filosofia e il presente

La rETE DEi saPEri matematica • La pascalina psicologia • L’io, il me, il sé? antropologia • L’abitudine

Per CAPIre megLIo LA PAroLA AI teStI AttIvItà / Compito di realtà APProfondImentI / Per saperne di più, Intersezioni

I TESTI • T1 Malebranche Solo Dio è causa di ogni movimento • T2 Sartre La libertà umana si fonda sull’ateismo • T3 Bayle Una società di atei è possibile • T4 Pascal Le ragioni del cuore • T5 Pascal Una giustificazione razionale dei miracoli?

• T6 Pascal Si diventa credenti per abitudine • T7 Pascal L’infinitamente piccolo • T8 Pascal L’uomo è una canna pensante • T9 Pascal La ragione e il cuore • T10 Pascal Differenza fra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza

• T11 Pascal Il divertissement e la noia

TEST DI AUTOVALUTAZIONE • PENSARE IL PRESENTE

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Le domande della filosofia

CONVIENE MEDITARE SULL’ESISTENZA? Un fiore, il tempo che passa in una clessidra e un cranio nel mezzo. Il discorso è chiaro, e non è per nulla piacevole.

1

Qual è il miglior modo per anestetizzare la paura della morte? Prepararsi bene o non pensarci mai? ➤ la condizione umana, p. 360 ➤ Il divertissement, p. 364 ➤ Scheda 32

È POI VERO CHE SI RAGIONA SEMPRE CON LA TESTA? forse è il sentimento che ci dice cosa è giusto e cosa è sbagliato, e la ragione non fa che giustificare le intuizioni del cuore. Spesso tutto il nostro ragionare si riduce a cedere a ciò che già in qualche modo sentiamo.

2

Ci sono ragioni del cuore che la mente non conosce? ➤ Spirito di geometria e spirito di finezza, p. 356 ➤ I limiti della ragione, p. 358 ➤ T4

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QUANTO TEMPO DELLA NOSTRA VITA PASSIAMO CERCANDO DI NON PENSARE AI PROBLEMI PIÙ IMPORTANTI? Le statistiche dicono che i giovani in particolare dedicano numerose ore della giornata stando compulsivamente sui media elettronici senza uno scopo preciso.

3

Vogliamo veramente fare della vita una perpetua chat in cui tutti parlano anche se nessuno ascolta? ➤ Il divertissement, p. 364 ➤ Schede 32, 33

PUÒ LA MALATTIA STIMOLARE L’ACCRESCIMENTO SPIRITUALE? Come giacomo Leopardi, anche Pascal per tutta la vita fu tormentato da sofferenze fisiche, ma al posto di dolersene indirizzò a Dio una preghiera affinché lo aiutasse a farne un buon uso.

4

Può la sofferenza stimolare la fede o diventare fonte di creatività? ➤ tra matematica e fede, p. 352 ➤ la necessità della fede cristiana, p. 362

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La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Qual è la condizione dell’uomo? • Come possono comunicare il corpo e la mente? • Quale è il rapporto fra fede e ragione?

2

I CONCETTI DA RIPASSARE • Razionalismo • Res cogitans e res extensa • Libero arbitrio, grazia e peccato originale

3

I CONCETTI CENTRALI • Laicità • Ateismo • Condizione esistenziale • Cuore e ragione • Conoscenza intuitiva

4

I NUOVI PROBLEMI • Nella ricerca della verità la ragione è auto-sufficiente o necessita dell’aiuto di Dio? • Esiste una morale laica, ossia indipendente dalla religione?

PENSARE IL PRESENTE • Questioni di attualità L’esperienza della malattia può essere creativa?

• Filosofia e cittadinanza Le diverse anime della Chiesa cattolica

Uno sguardo d’insieme I

l Seicento è un secolo tormentato, interessato da un profondo turbamento politico, religioso e culturale. da una parte è considerato un momento di transizione verso la modernità: la rivoluzione scientifica iniziata alla fine del Cinquecento accelera e, travolgendo completamente la concezione medievale dell’uomo e del cosmo, determina la visione del mondo e il sistema di valori tutt’oggi alla base della nostra cultura. Le osservazioni astronomiche di niccolò Copernico (1473-1543), di Keplero (1571-1630) e soprattutto di galileo galilei (1564-1642) e la formulazione del processo induttivo di Bacone (1561-1626) forniscono all’uomo un nuovo metodo, scientifico e razionale, per interpretare il mondo. non è un caso, che, dal punto di vista filosofico, si assista anche al trionfo del razionalismo cartesiano. dall’altra, il Seicento è anche il secolo delle guerre religiose più sanguinose che la storia europea abbia mai conosciuto. È fra questi due poli, la fede e la ragione, che oscillano le riflessioni dei principali filosofi e pensatori del Seicento, da Cartesio in poi.

I libertini, per la prima volta, sostengono che morale laica e religione cristiana possano essere nettamente separate. La loro causa è assunta da pierre Bayle, che arriva a teorizzare la possibilità che esistano atei virtuosi e una società di atei. gli occasionalisti, al contrario, si oppongono con decisione alla netta separazione fra fede e ragione. Malebranche, il loro esponente più significativo, considera necessaria e conveniente una collaborazione fra religione e filosofia: la conoscenza può avvenire esclusivamente con un atto di intuizione e il solo atto di intuizione ammesso è intuire dio. Anche pascal rifiuta una netta frattura fra la scienza (che si fonda sullo spirito di geometria) e la fede (che si fonda sullo spirito di finezza). Perché possa dialogare con la fede, tuttavia, la ragione umana si deve sottomettere sia al dato sperimentale, storico e fattuale (la scienza non crea, ma riconosce e scopre leggi che già esistono) sia alla verità rivelata («Sottomissione e retto uso della ragione: in ciò consiste il vero Cristianesimo», come recita uno dei suoi Pensieri).

Audiomappa

FRA RAGIONE E FEDE vi è un rapporto di

separazione

libertinismo

Bayle

che sostiene laicità e libertà di pensiero

ateismo virtuoso

conciliazione

superiorità della fede

Pascal

Malebranche

che sostiene che sostiene occasionalismo

ragioni del cuore

insufficienza della ragione

da cui deriva Dio è causa di tutti gli eventi

filosofia della esistenza che dimostra

sia del corpo che della mente

superiorità del cristianesimo

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340

Il contesto storico-culturale La Francia del Seicento: un laboratorio ideologico Pur essendo sconfitta da Carlo v per l’egemonia in Italia (1494-1559), e pur dovendo affrontare una dolorosa guerra civile tra cattolici e ugonotti (1562-98), la Francia del xvii secolo è la potenza europea più popolosa (conta circa venti milioni di abitanti distribuiti su un territorio compatto), più centralizzata e più organizzata. A partire dal 1661 Luigi xIv assume personalmente la guida del regno. Conosciuto anche come il «re Sole», egli governa in modo assoluto al motto di «L’État c’est moi»: accentra nelle sue mani tutti gli affari dello Stato, sostiene l’economia e attua una politica di espansione territoriale. Anche senza usare il pugno di ferro, riesce a limitare le tendenze autonomistiche dell’aristocrazia: costringe infatti i nobili a vivere almeno sei mesi all’anno nell’ozio e nel lusso nella reggia che fa costruire a versailles, mantenendoli così sotto un rigido controllo. per l’intrattenimento sfarzoso e costosissimo di questi altolocati ospiti, ridotti al ruolo di cortigiani, invita i migliori artisti, scrittori e scienziati d’Europa e fonda numerose accademie (belle lettere, pittura, scienze, architettura, musica). Ciò tuttavia non gli impedisce di esercitare su intellettuali e artisti un’attenta sorveglianza. Dalla metà del Seicento, infatti, la monarchia francese è sempre più impegnata a mantenere il controllo assoluto della cultura e di conseguenza della religione (all’epoca strettamente legate). La preoccupazione maggiore è arginare la minaccia della nuova mentalità razionalista proveniente da oltremanica. A dispetto della tregua avviata nel 1598 con l’editto di nantes, che garantiva la libera professione religiosa agli ugonotti (i protestanti francesi, particolarmente pericolosi perché mediamente più aperti e colti dei cattolici), la loro persecuzione inizia nel 1661 e prosegue sistematicamente fino al 1685, anno

in cui l’editto di Fontainebleau annulla gli effetti del precedente editto di nantes: nonostante il divieto di espatrio, 200-300 mila calvinisti sono costretti a emigrare in Inghilterra, olanda, Svizzera e germania. Si tratta di un esodo economicamente oneroso (generalmente a fuggire erano famiglie borghesi dedite ad attività finanziarie, commerciali e artigianali) ma anche di una perdita intellettuale. In esilio gli ugonotti scrivono a proposito della tolleranza e del rapporto tra obbedienza al sovrano e libertà individuale, ponendo le basi della democrazia moderna. È esattamente in questo scenario che Pierre Bayle, cruciale figura di transizione all’Illuminismo, scrive il Commentario filosofico sulla tolleranza (1686). I venti di rinnovamento soffiano però anche all’interno del cattolicesimo francese. La corrente nota come giansenismo, sviluppatasi attorno al monastero di Port royal, nei pressi di parigi, critica non solo la Controriforma, ma anche l’idea di una Chiesa di stato e di uno stato confessionale. pur non facendo presa sul popolo, è un’esperienza che coinvolge diversi intellettuali, fra cui il grande filosofo Blaise Pascal. troppo vicini alle idee protestanti e per via del loro potere culturale, anche i giansenisti sono oggetto di persecuzione. avvalendosi di tre condanne papali (1643, 1653, 1713) il sovrano arriva a distruggere il convento di port royal. morto Luigi Xiv, la politica persecutoria sotto i suoi successori si attenua e molte comunità protestanti sopravvivono sul territorio francese. nel frattempo, la rivoluzione scientifica e il cogito, ergo sum di Cartesio diventano i motori del passaggio a una nuova mentalità che mette in primo piano l’autonomia dell’individuo dalla religione. La libertà di pensiero, la formazione di valori laici (anche se non anticristiani), la valutazione del peccato in un’ottica meno dogmatica, più rilassata e mondana, iniziano a diventare i caposaldi della visione del mondo che, alcuni decenni dopo, diventa nota come illuminismo.

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1600

ParIGI 3

sedan 1

1618-48 guerra dei trent’anni

1620

4 PoRt-Royal

1623 nascita di Pascal

1638 nascita di malebranche

clerMonT-FeRRand 2

1637 Cartesio, Discorso sul metodo

1640 1647 nascita di Bayle

1648 Pace di Westfalia

LA FRANCIA DI PASCAL nel Seicento comincia a diffondersi in Europa il movimento dei libertini (attivo soprattutto in Francia), che rivendica la libertà di pensiero e l’importanza di una separazione tra fede e ragione. tali sono anche gli ideali della filosofia di Bayle, docente di astronomia a sedan 1 e poi costretto a rifugiarsi in Olanda. La filosofia francese è però ancora profondamente impegnata nelle problematiche lasciate aperte da Cartesio: il rapporto mente-corpo è risolto da Malebranche. Il problema religioso è invece centrale nell’attività di Pascal, che nasce a Clermont-Ferrand 2 e vive a Parigi 3 prima di rifugiarsi nel convento di Port-royal 4 : per lui il cristianesimo è l’unica risposta possibile all’inquietudine esistenziale dell’uomo.

1656-57 Pascal, Lettere provinciali

1654 Pascal entra nel convento di Port-royal

1660 1661 Luigi XIv comincia a regnare

1662 morte di Pascal 1670 prima edizione dei Pensieri di Pascal 1674-75 malebranche, La ricerca della verità

1680 1682 Bayle, Pensieri sulla cometa

1685 revoca dell’editto di nantes

1700 1706 morte di Bayle

1715 morte di malebranche

1715 morte di Luigi XIv

1720

◀ Hyacinthe Rigaud, Luigi XIV di Francia, 1701, olio su tela (Parigi, Museo del Louvre).

1740

1740 comincia in Prussia il regno di federico II

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• Sintesi

1

Ragione e fede: il problema religioso dopo Cartesio

Due questioni problematiche Cartesio aveva tentato di risolvere il problema del rapporto fra mente e corpo ricorrendo alla nozione di ghiandola pineale, nella quale avveniva il contatto tra le due dimensioni dell’uomo. Ma questa spiegazione non risolveva il problema di come, fra le due, si possa instaurare un rapporto di reciproca causalità: come può l’anima, incorporea, agire sul corpo materiale? Fra i nodi irrisolti del pensiero di Cartesio, punto di riferimento di tutte le posizioni filosofiche maturate nel Seicento ➝ 1 , spiccano per importanza due questioni, apparentemente molto diverse ma in realtà sovrapponibili. La prima concerne il modo in cui, nell’uomo, possano connettersi la res cogitans (il pensiero) e la res extensa (il corpo). Un problema non facile, poiché le due sostanze sono definite per opposizione: l’una è spirituale, libera e autodeterminata; l’altra è materiale e mossa da input meccanici. Cartesio aveva postulato la possibilità che esse comunicassero fra loro attraverso la ghiandola pineale, ma la soluzione era apparsa debole già ai suoi primi lettori. Elisabetta di Boemia, sua amica, gli scriveva ad esempio di considerare più plausibile l’ipotesi che anche l’anima avesse una materia e una estensione, piuttosto che il fatto che un ente immateriale avesse la capacità di muovere un corpo. La seconda questione problematica della filosofia cartesiana riguarda l’esistenza e soprattutto il ruolo di Dio. Da una parte, nonostante non avesse forti interessi religiosi, Cartesio si considerava credente e anzi un difensore della fede. Non solo affermava che la ragione può provare l’esistenza di Dio, ma addirittura assumeva quest’ultimo come garante della verità delle idee: quando usiamo la ragione con metodo, sosteneva, possiamo essere sicuri di ciò che scopriamo solo perché Dio, onnipotente e buono, non ci può sistematicamente ingannare. Dall’altra, però, Cartesio delineava un mondo autosufficiente in cui tutto poteva essere spiegato senza ricorrere al soprannaturale, una categoria che non trovava più una collocazione all’interno del rigido dualismo fra res cogitans e res extensa. Il Dio che egli aggiungeva a queste due sostanze si riduceva così a un «Dio dei filosofi» ➝ 2 , come dirà Pascal, un garante filosofico, un ente concettuale lontano dalla figura di Cristo. Tant’è vero che la Chiesa calvinista olandese condannò i suoi scritti e quella romana, già nel 1663, li inserì nell’Indice dei libri proibiti. È un dato di fatto che la diffusione del cartesianesimo irrobustirà potentemente la secolarizzazione ➝ 3 dei costumi e della vita sociale.

Materiali per l’apprendimento attivo 1. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

2. per Capire MeGLio

iL dio dei FiLosoFi e iL dio Cristiano la perifrasi «dio dei filosofi» è stata coniata da Pascal per indicare una concezione del divino solo formalmente cristiana ma in realtà diversa e in fondo incompatibile con la religiosità evangelica. Ciò che caratterizza il cristianesimo rispetto a tutte le atre religioni è l’idea che Dio sia una persona, cioè un soggetto dotato di una volontà propria e di amore per le sue creature, che egli guida verso la salvezza aiutandole con la provvidenza. Quello cristiano è un Dio di cui si ha bisogno; quello dei filosofi, e di Cartesio in particolare, è invece un mero concetto, dimostrabile per logica ma irrilevante per le scelte esistenziali. 3. CoMpetenze > Lessico e concettualizzazione

seCoLarizzazione Il termine secolarizzazione (dal latino saeculum, con il significato di “mondo”) è coniato ex novo nel 1648, durante le trattative per la pace di Westfalia, per indicare lo stato giuridico dei beni e dei territori dalla Chiesa in quel momento assegnati a proprietari civili. Nel diritto canonico, invece, indica il ritorno alla vita laica da parte di membri del clero. A partire dal xix secolo passa a indicare il processo di lunga durata, iniziato con la fine del Medioevo, di progressiva autonomia delle istituzioni politico-sociali e della vita culturale dal controllo e dall’influenza della religione e della Chiesa. In questa accezione, la secolarizzazione rappresenta dunque uno dei tratti salienti della modernità occidentale, in cui le istituzioni religiose convivono con una cultura che considera il mondo privo di ogni carattere sacrale.

1 RAg IoN e e f e D e: IL P Rob L e MA Re L Ig Io S o D o P o C ART eS I o

iL sEiCENTO E L’iNvENZiONE FEMMiNiLE DEi saLOTTi CuLTuraLi tutti i filosofi discussi in questo Modulo hanno avuto a che fare, chi più chi meno, con la cultura dei salotti, una forma di socialità intellettuale inventata nel Seicento e ulteriormente sviluppata nel secolo seguente. Il salotto non è un’istituzione, come l’Accademia, ma non è neppure un’attività estemporanea; riunisce periodicamente un nucleo di habitués, ai quali di volta in volta si aggiungono come ospiti intellettuali di riguardo. I rapporti interpersonali nel salotto sono di natura amicale, dunque paritetici e ispirati alla raffinatezza e alla leggerezza dei modi, all’intimità e alla piacevolezza. Centrale è la figura della padrona, che accompagnata da attività ludiche o culturali, convoca e presiede le riunioni, sceglie gli ospiti, organizza le ▲ Jean-Baptiste Charpentier, La famiglia del duca di Penthievre attività e governa la conversazione. o La tazza di cioccolato, 1768, olio su tela (Versailles, Musée du Sebbene riservata a donne apparte- Château). nenti alla borghesia agiata, l’attività culturale salottiera costituisce una tappa nell’emancipazione femminile. Dai salotti infatti nasce un movimento, che diviene poi una moda culturale, la Preziosità, e le donne che ne fanno parte sono chiamate le preziose. Puoi approfondire questo tema in rete cercando notizie su Catherine de Vivonne, marchesa di Rambouillet (1588-65), che ha inventato questa forma di socialità culturale (modificando la propria casa per creare il primo salotto).

343

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

344

La soluzione occasionalista Per l’occasionalismo, che trova la sua formulazione più coerente nell’opera di Nicolas Malebranche, il rapporto fra anima e corpo può spiegarsi unicamente con l’azione di Dio, il quale in occasione di ogni evento li coordina. Un tentativo di risolvere in un colpo questi due problemi è intrapreso dagli occasionalisti, i seguaci più fedeli di Cartesio, fra i quali spicca il francese Nicolas Malebranche (1638-1715). Filosofo, scienziato, ma anche religioso profondamente ispirato da Agostino, nello stesso anno della sua ordinazione sacerdotale (1664) egli legge il Trattato sull’uomo di Cartesio e ne rimane sconvolto, tanto da impiegare i successivi dieci anni tentando di elaborare una dottrina capace di conciliare il pensiero del vescovo d’Ippona e del filosofo francese. Il risultato è un monumentale saggio dal titolo La ricerca della verità (1674), da tutti considerato la summa del suo pensiero. L’idea degli occasionalisti è che il problema del rapporto fra mente e corpo vada approfondito riflettendo sul principio di causa-effetto. Di solito tutti noi interpretiamo sistematicamente ogni evento come l’effetto di una causa che l’ha provocato. In quest’ottica ogni corpo si muove perché è mosso dalla volontà, e gli oggetti del mondo rimangono stabili finché una causa non li trasforma. Ciononostante, fanno notare gli occasionalisti, vi è una grande differenza tra l’evidenza dell’effetto e l’evidenza della sua causa. Mentre infatti l’effetto è certo, nulla assicura che lo sia la causa; fra due fenomeni che consideriamo legati da un nesso causale, in realtà, potrebbe sussistere solo una concomitanza temporale ➝ 4 . Esaminiamo un esempio: ieri faceva freddo e oggi ho la febbre; è del tutto naturale e spontaneo pensare che la causa del mio malanno sia un raffreddore, ma se in seguito scopro di avere un’infezione il rapporto fra freddo e febbre si declassa a una mera coincidenza temporale. La distinzione fra causa e concomitanza temporale posta dagli occasionalisti non è certo una questione priva d’importanza, basti pensare che la prudenza nell’attribuzione delle cause ➝ 5 è ancora oggi un principio fondamentale della scienza. Malebranche, tuttavia, ne trae conclusioni radicali: a suo avviso tutte le connessioni fra cause ed effetti scoperte dalla scienza e anche tutte quelle, innumerevoli, su cui basiamo la vita quotidiana sono false attribuzioni. Lo stesso principio di causa-effetto, aggiunge, non esiste affatto: è una credenza superstiziosa e dal punto di vista religioso persino pericolosa, perché annulla il ruolo di Dio e contribuisce a fornire le basi filosofiche e pseudoscientifiche all’ateismo. A suo avviso, la tendenza ad attribuire la causalità degli eventi alle creature rappresenta infatti un residuo di paganesimo. Secondo Malebranche il rischio è che «causare» possa essere usato come sinonimo o come sostitutivo di «creare»; se ad esempio con una sgarberia provoco un litigio, si può dire sia che ho creato una situazione sia che l’ho causata. Ma è un equivoco linguistico, perché gli uomini non possono in senso stretto «creare» alcunché, essendo questa una prerogativa che spetta solamente a Dio ➝ 6 . In breve, secondo Malebranche, la vera causa di ogni evento fisico e spirituale, e quindi di tutti i fenomeni presenti nell’universo in un dato momento, è sempre e solo l’intervento diretto di Dio. Cade una foglia: Dio l’ha mossa ed è la causa efficiente del fenomeno; il vento è solo una causa apparente. In questo modo la creazione del mondo può essere pensata come una creazione continua: le creature dipendono da Dio in ogni istante della loro esistenza; ogni loro trasformazione equivale a una nuova creazione in parte modificata rispetto alla precedente. Solo Dio ha la capacità di causare un evento, non le sue creature, e se il mondo continua a esistere è solo perché, in ogni istante, Dio vuole che esso esista.

Materiali per l’apprendimento attivo 4. aTTiviTÀ >

Compito di realtà

5. approFondiMenti > per saperne di più

L’ezioLogia: La sCienza deLLe Cause la necessità di una grande cautela nell’attribuzione di cause specifiche ai vari fenomeni si mostra con particolare evidenza nel ragionamento diagnostico, la cui particolarità sta nel dover applicare le teorie mediche generali ai singoli corpi umani, sempre unici e irripetibili per le loro particolarità individuali. La eziologia (dal greco aitìa, “causa” e lógos, “discorso”), la branca della medicina che insegna come procedere nell’attribuzione delle cause, distingue fra una causa sufficiente, quando basta la sua presenza a produrre i sintomi, e una causa efficiente, quando la sua presenza determina con certezza il manifestarsi di una patologia. Ma vi può essere anche una causa sufficiente ma inefficiente quando, nonostante le qualità della causa siano adatte a produrre una determinata patologia, la sua quantità non basta a generare i sintomi. 6. La ParOLa ai TEsTi

T1 Malebranche Solo Dio è causa di ogni movimento Quando ragionano sui rapporti fra causa ed effetto, i filosofi del Sei-Settecento amano fare l’esempio dello scontro fra due bocce. Non è un caso, considerando che il gioco del biliardo da tavolo è un’invenzione di questo periodo, anch’esso frutto della cultura salottiera.

5

10

Stabiliamo che questa boccia si metta in moto e che lungo il suo percorso ne incontri un’altra immobile: l’esperienza ci insegna che immancabilmente quest’ultima si metterà pure in movimento e secondo delle leggi precise sempre esattamente rispettate. Tutto ciò è chiaro per principio. Infatti un corpo non può muoverne un altro senza trasmettergli un po’ della sua forza motrice. Ora, la forza motrice di un corpo in movimento altro non è se non la volontà di Dio creatore che lo conserva successivamente in diversi luoghi. Perciò non è affatto una qualità che appartenga a questo corpo: gli appartengono soltanto le sue modalità; e queste sono inseparabili dalle sostanze. I corpi dunque non possono muoversi vicendevolmente, e il loro incontro è soltanto una causa occasionale della distribuzione del loro movimento. (N. Malebranche, Colloqui sulla metafisica, VII, 11, in Grande antologia filosofica, Marzorati, Settimo Milanese 1968, vol. XIII, p. 680)

guida alla lettura. Malebranche non si chiede come avvenga il rimbalzo fra le due bocce, ma chi sia l’agente di tale movimento. la sua filosofia, in fondo, potrebbe essere riassunta con il detto «Non si muove foglia (o boccia), che Dio non voglia».

1 RAg IoN e e f e D e:IL P Rob L e MA Re L Ig Io S o D o P o C ART eS I o

PsiCOLOGia DEi Casi FOrTuiTi In una classe di 23 alunni si scopre che due studenti festeggiano assieme il compleanno, cioè sono nati nello stesso giorno dello stesso mese dello stesso anno. Come giudichi questa concomitanza temporale? eccezionale oppure normale? Quanto è probabile che un evento del genere si verifichi per caso? Prima di rispondere, considera che la psicologia contemporanea riconosce l’esistenza nella mente umana di una tendenza innata a immaginare che due situazioni concomitanti, per il solo fatto di esserlo, siano sempre legate da una relazione particolare e che, quando questa non appaia chiaramente, si tratti di un caso eccezionale. Sappi invece che non è affatto strano celebrare in classe due compleanni, perché le probabilità che ciò accada sono del 51% (e diventano del 70% in una classe di 30 alunni). Puoi trovare la dimostrazione in rete digitando «paradosso del compleanno» (in realtà non è affatto un paradosso, ma è così chiamato perché appare in questo modo alla mente).

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5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Una metafisica teocentrica Quella che emerge è allora una metafisica teocentrica, che Malebranche corrobora con un ulteriore argomento: se non vi fosse una creazione continua, come potrebbe il mondo conservarsi? Se infatti fosse stato creato e poi abbandonato da Dio, come potrebbe non degradarsi nel tempo, come del resto avviene per tutte le cose fisiche? L’esistere, conclude, non spiega di per sé la persistenza nell’esistere. Per essere conservata in tutti i suoi momenti, una sostanza ha bisogno dello stesso potere e della stessa azione che sarebbe necessaria per produrla di nuovo, come se essa non fosse ancora. Riconfermata in questo modo la necessità di Dio, Malebranche può risolvere facilmente il problema della connessione fra mente e corpo posto da Cartesio. Se (volendo applicare la sua argomentazione a un esempio immediatamente comprensibile) decido di scrivere e premo i tasti della tastiera, non devo attribuire il movimento delle mie mani alla mia volontà: le mie dita si muovono in concomitanza e non a causa della mia volontà. È Dio, che in quest’occasione, come in ogni altra, interviene per muovere il mio corpo, sintonizzando così dall’esterno la mia res extensa con la mia res cogitans, senza che fra queste vi sia stato in realtà alcun rapporto diretto. Fra mente e corpo non vi sono dunque relazioni immediate ma solo una sintonia garantita da Dio. Il dualismo cartesiano è così salvo, liberato dalle difficoltà e conciliato con l’onnipotenza divina.

La posizione del libertinismo

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Nel seicento si sviluppa una corrente di pensiero, il libertinismo, che, per quanto mai realmente unitaria, ha come nucleo principale la critica all’ortodossia religiosa in nome dell’autonomia della ragione da ogni autorità. Se gli occasionalisti cercano in tutti i modi di combinare la fede con la razionalità cartesiana, per i libertini ➝ 7 la rottura fra queste due dimensioni è invece inevitabile. Pur formando una corrente di pensiero composita, i libertini del Seicento sono accomunati dalla critica all’ortodossia religiosa in nome della laicità ➝ 8 e dell’autonomia della ragione. Essi si emancipano da ogni forma di servitù intellettuale, tanto da etichettare il loro movimento ispirandosi ai liberti, termine con cui in epoca romana si designavano gli ex schiavi affrancati dalla servitù. Sviluppatasi nella Francia dei primi decenni del Seicento e in particolare a Parigi, la corrente libertina oscilla tra lo scetticismo e il razionalismo, trovando un comune denominatore nel distacco da ogni religione positiva, anzitutto da quella cristiana. Impegnati in una critica radicale a ogni conformismo, i liberi pensatori ripropongono tutte le filosofie criticate dai benpensanti: l’atomismo di Democrito (materialista e sostenitore del caso), l’edonismo di Epicuro (che pone il valore ultimo nel piacere), il dubbio corrosivo e sistematico degli scettici, il naturalismo desacralizzato rinascimentale, il pessimismo antropologico di Hobbes e persino i princìpi della scienza galileiana, a quei tempi considerata ancora eversiva. Scarsamente propositivo sul piano concettuale, il libertinismo è più che altro un fenomeno di costume, espressione di una reazione libertaria contro la pesante cappa di intolleranza religiosa, politica e intellettuale che oscura la prima metà del Seicento, l’epoca delle più devastanti guerre di religione vissute dall’Occidente. Ma è una reazione elitaria e aristocratica, praticata nei salotti e da cui non consegue alcun impegno civile, tant’è vero che i libertini usano pubblicare le loro scandalose opinioni quasi sempre firmandole con pseudonimi. Nel corso del tempo il termine libertinismo si svuota del suo significato propriamente filosofico e, incarnato da figure celebri come quella di Don Giovanni ➝ 9 , acquista progressivamente quello più generale di dissipazione morale, in particolare in ambito erotico-sentimentale.

Materiali per l’apprendimento attivo

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7. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

8. CoMpetenze > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

LaiCitÀ «Laico» deriva dal greco laikós, letteralmente “appartenente al popolo”, ed è un termine impiegato fin dalle origini all’interno della Chiesa come contrario di «ecclesiastico», per distinguere i fedeli non ordinati sacerdoti dal clero. Nel senso più circoscritto, il termine indica l’affermazione d’indipendenza della fede dalla ragione e quindi la rivendicazione della legittimità della incroyance, della non-credenza. La laicità non è tuttavia incompatibile con la fede: molti libertini sono credenti, ma sostengono che la fede deve restare separata dalla filosofia e non deve influenzare la discussione razionale nei diversi ambiti dell’esistenza e della vita sociale. Di conseguenza, si sostiene anche l’indipendenza della morale dalla religione, della Chiesa dallo Stato, del potere politico da quello ecclesiastico. Alla laicità si accompagnano quindi la libertà di culto e la tolleranza, cioè l’affermazione che il credo religioso non debba essere fattore di discriminazione politica o sociale. 9. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

FiGurE Di LiBErTiNi: iL MiTO Di DON GiOvaNNi Don Giovanni è un personaggio popolare del teatro e della letteratura europea. Creato a partire dal 1617 dalla penna dell’abate Tirso de Molina (L’ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra), trova grande popolarità nella rappresentazione teatrale tragicomica che ne fa Molière nel 1665 (Don Giovanni o Il Convitato di pietra). È però reso immortale dall’opera lirica in due atti di Mozart composta nel 1787 (Don Giovanni ossia Il dissoluto punito). Al centro di oltre cinquecento fra commedie, tragedie, canovacci della Commedia dell’arte, drammi musicali, opere liriche, film, poemi, racconti e romanzi, questa figura di grande seduttore, sprezzante verso la morale e la religione, ha popolato non solo l’immaginario storico-letterario moderno, ma anche il nostro linguaggio quotidiano. basti pensare che, nei dizionari, il termine «dongiovanni» è oggi impiegato per definire uno sciupafemmine o, in senso ironico, chi si atteggia a grande corteggiatore, spesso con scarsa fortuna.

1 RAg IoN e e f e D e:IL P Rob L e MA Re L Ig Io S o D o P o C ART eS I o

La DENiGraZiONE DEL LiBErTiNisMO Per la sua carica anticonformista, il libertinismo ha attirato le critiche della morale dominante, che spesso lo ha volutamente confuso con il libertinaggio, ossia un modo di vivere dissoluto, sfrenato e immorale. Nel xviii secolo, il pittore inglese William Hogarth (1697-1764), in una serie di otto dipinti complessivamente intitolati La carriera di un libertino (1732-33), racconta la storia di Tom Rakewell, un immaginario e dissoluto giovane alla moda che dilapida tutte le sue sostanze al gioco, si sposa per convenienza con una vecchia ereditiera, viene ▲ William Hogarth, Illustrazione per La carriera incarcerato per debiti e termina la sua vita in di un libertino, Tom in manicomio, 1732-35, olio su manicomio, come mostra il quadro qui raffigu- tela (Londra, Sir John Soane’s Museum). rato (l’ultimo di questo proto-fumetto pittorico): a piangere la morte del libertino semi nudo sulla destra vi è solo una ragazza sedotta in gioventù, tra l’indifferenza e i lazzi degli altri ricoverati, mentre le due dame in visita al manicomio (un riferimento al passato del giovane) lo osservano incuriosite (nel Settecento i manicomi erano meta di visite turistiche).

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Pierre Bayle

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spesso associato ai libertini, ma dotato di uno spessore concettuale maggiore, Bayle è il primo a sollevare in modo esplicito il problema del rapporto fra morale e religione: esse sono correlate o devono essere autonome? Figlio di un ministro calvinista, Pierre Bayle (1647-1706) studia in una scuola ugonotta ma si converte al cattolicesimo, salvo ritornare dopo breve tempo alla religione riformata. Diventato docente di filosofia non può esercitare a causa della sua fede religiosa e finisce, come molti altri ugonotti, per trasferirsi nei Paesi Bassi, dove opera come pubblicista: cura in particolare un periodico letterario di grande diffusione «Nouvelles de la République des Lettres» e nel 1697 pubblica il Dizionario storico-critico, la sua opera fondamentale. Qualche anno prima, nel 1682, aveva dato alla stampa i Pensieri sulla cometa, una riflessione sull’ondata di superstizioni e di comportamenti irrazionali provocata dal passaggio di una cometa che, nel 1705, verrà poi dedicata ad Edmund Halley, l’astronomo che ne aveva calcolato l’orbita. Pur scientificamente falsa, la credenza che le comete annuncino sciagure è antica quanto l’astrologia, ma la cosa maggiormente scandalosa per Bayle è come i gesuiti e i fanatici di ogni confessione abbiano sfruttato propagandisticamente l’evento spacciandolo per l’annuncio di imminenti castighi divini, associati strumentalmente ai peccati dei loro nemici. Forzare i miscredenti alla conversione usando le armi dell’inganno o facendo leva su annunci che oggi definiremmo fake news, denuncia Bayle, non è nel vero spirito cristiano. Niente è più abominevole dell’ottenere una conversione religiosa con la costrizione. Se oggi questa ci appare come una convinzione universale, quasi un’ovvietà etica, per il xvii secolo si trattava di un’idea rivoluzionaria, contraria a tutte le tradizioni e smentita da un’attualità in cui erano tornati i roghi dell’Inquisizione, ancor più numerosi che nel Medioevo. Bayle deve quindi dimostrare la validità di questa tesi innovativa, prima di tutto sul piano teologico. I sostenitori dell’intolleranza giustificavano la costrizione e quindi l’uso della violenza o di pressioni economiche e civili contro i miscredenti e gli atei con due argomenti. Il primo si appellava all’autorità di Agostino e delle Scritture. Il vescovo di Ippona, infatti, non aveva esitato a usare la violenza per estirpare le eresie del suo tempo, in particolare quella dei pelagiani e dei donatisti. E a sua volta aveva invocato come giustificazione una parabola nel Vangelo di Luca (14, 15-24), in cui si narra di un padrone che, dopo aver allestito un grande pranzo e constatato come gli invitati avessero disertato l’invito, ordina ai servi di fermare i passanti e di costringerli a entrare (compelle intrare) in casa sua. Nell’interpretazione allegorica elaborata dai teologici cattolici del Seicento (ma condivisa anche da molti calvinisti) si trattava di una chiara esortazione divina a usare qualsiasi mezzo per costringere i miscredenti a entrare nella Chiesa. Bayle dedica uno specifico saggio a questa interpretazione (Commentario filosofico sulle parole di Gesù Cristo «costringili a entrare», 1688) che giudica inaccettabile da un duplice punto di vista: non solo è blasfemo attribuire a Dio un invito a compiere azioni criminali, ma è anche irragionevole. Che nessuno faccia al prossimo ciò che non vorrebbe subire è infatti un principio della morale naturale, universale e sottostante qualsivoglia credo. Un vero cristiano, quindi, non può negare ai seguaci di altre fedi la stessa tolleranza che i primi cristiani giustamente rivendicavano nei confronti delle persecuzioni imperiali. Il secondo argomento avanzato dai sostenitori dell’intolleranza era che l’ateismo ➝ 10 comporterebbe l’immoralità ➝ 11 . Senza i freni inibitori imposti dal credo religioso, infatti, l’uomo sarebbe preda dei propri istinti e non avrebbe più un sistema di regole cui riferirsi per disciplinare il proprio comportamento. Anche la vita sociale ne risentirebbe, diventando

Materiali per l’apprendimento attivo 10. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

11. CoMpetenZe > pensiero critico

senZa dio, tutto È perMesso? la tesi dell’intrinseca immoralità dell’ateismo è stata magistralmente ripresa dallo scrittore russo Fëdor dostoevskij (1821-81). Nel romanzo I fratelli Karamazov, egli fa pronunciare a Ivan Karamazov questa celebre sentenza: «Se Dio e l’immortalità dell’anima non esistono tutto è possibile… Se si distrugge nell’uomo la fede nell’immortalità subito si inaridirà in lui non solo l’amore ma ogni forza vitale. Allora niente sarà immorale, tutto sarà ammesso, persino l’antropofagia» (I fratelli Karamazov, Garzanti, Milano 1979, vol. II, p. 680). Questo celebre passaggio è stato a sua volta oggetto di ampio dibattito. Il filosofo ateo ed esistenzialista Jean-paul sartre (1905-80) lo ha così commentato:

T2 sartre La libertà umana si fonda sull’ateismo

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Dostoevskij ha scritto ‘se Dio non esiste tutto è permesso’. Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo. Effettivamente tutto è permesso se Dio non esiste e di conseguenza l’uomo è “abbandonato” perché non trova né in sé né fuori di sé una possibilità d’ancorarsi […]. Se Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini che legittimeranno la nostra condotta. Così non abbiamo né dietro di noi né davanti a noi, nel luminoso regno dei valori, giustificazioni o scuse. Siamo soli, senza scuse. È ciò che esprimerei dicendo che l’uomo è condannato ad essere libero. Condannato, perché non si è creato da solo, e perciò del resto libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa. […] l’uomo, senza alcun appoggio e senza alcun soccorso, è condannato in ogni momento ad inventare l’uomo […]. (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1946, p. 46)

guida alla lettura. Per Sartre l’ateismo non solo non conduce all’immoralità ma è anzi l’unico fondamento possibile della libertà umana. Senza Dio, cioè senza un sistema di regole etiche pre-codificate cui debba attenersi, egli è «condannato» a essere veramente l’unico responsabile delle sue azioni. l’ateismo diventa quindi un valore positivo, il punto di partenza di una filosofia dell’esistenza.

forse addirittura impossibile. Ragion per cui l’ateismo va non solo combattuto con le idee, ma anche estirpato con ogni mezzo. La risposta di Bayle, molto articolata, segna un punto di non ritorno nella storia della coscienza civile europea e, anticipando temi sviluppati poi da Locke e Spinoza, rappresenta un passo cruciale nel processo di gestazione dell’Illuminismo. La sua forza sta nel basarsi non su argomentazioni filosofiche o teologiche, ma su considerazioni storiche difficilmente contestabili.

1 rAG IoN e e F e D e:Il P roB l e MA re l IG Io S o D o P o C Art eS I o

aTEisMO Il termine «ateo» deriva dal greco théos, “Dio”, preceduto da alfa privativo; è quindi la negazione di Dio. l’ateismo è la concezione di chi nega che Dio esista. Dall’ateismo si distingue, in ambito teorico, l’agnosticismo, (alfa privativo e gnósis, “conoscenza”, quindi “impossibilità di conoscere”), secondo cui non è possibile né affermare né negare l’esistenza di Dio. Secondo Pascal, se ci si professa agnostici bisogna però comunque scegliere, sul piano pratico, se vivere come se Dio ci sia o come se non ci sia; in base a questo ragionamento, l’agnosticismo si avvicina all’ateismo.

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5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Partendo dalla constatazione che l’uomo può arrivare a fare il bene anche negando ogni religione, Bayle sviluppa una difesa del principio di tolleranza talmente importante da farne un pensatore di riferimento per l’illuminismo e per il materialismo ateo dei secoli seguenti. La prima osservazione di Bayle è che molti cristiani non agiscono coerentemente con i princìpi che professano, come dimostra il fatto che i reati contro la società che compiono non sono meno numerosi e meno gravi di quelli compiuti da altri gruppi sociali. Egli suggerisce che la ragione non consiste nel fatto che i cristiani siano particolarmente ipocriti, bensì che tutti gli uomini, di qualunque confessione, regolano il proprio comportamento non tanto in base ai precetti di fede quanto soprattutto all’educazione che hanno ricevuto e all’ambiente sociale in cui vivono. D’altra parte, aggiunge, è altrettanto evidente che vi siano atei virtuosi, come ad esempio Spinoza, scomunicato e perseguitato, ma già celebre per i suoi costumi evangelici. Il fatto poi che esistano addirittura atei martiri, ricorda Bayle riferendosi al recente caso dell’italiano Giulio Cesare Vanini ➝ 12 , dimostra come anch’essi possano vivere in modo eroico i valori dell’onestà, della coerenza e dell’integrità personale. A queste considerazioni si aggiunge la riflessione sul fatto che l’ateismo, per la mancanza di un riferimento a un’entità sovrannaturale, ha il vantaggio di non occultare o misconoscere i princìpi della morale naturale. La conclusione da trarre sul piano teorico da queste evidenze fattuali, stabilisce Bayle, è che bisogna separare la fede dalla morale: i valori che effettivamente ispirano i comportamenti umani sono elaborazioni intellettuali complesse, in cui la cultura e le forme della socialità influiscono molto più dei precetti di fede. Non è quindi affatto impossibile immaginare una società senza religione e formata da soli atei, purché regolata da buone leggi ➝ 13 . Sul piano pratico e sociale la conclusione cui Bayle arriva è altrettanto importante: bisogna che ogni fede riconosca il principio della tolleranza religiosa, che trova il suo fondamento nel diritto di ciascuno di seguire unicamente il giudizio della propria coscienza, diritto che non può essere contrastato o impedito con la violenza anche nell’ipotesi che si tratti di una coscienza che sbaglia. Questo diritto individuale alla libertà di coscienza deve essere protetto dallo Stato, che è tenuto a esercitare un particolare controllo preventivo su tutte le Chiese, perché l’intolleranza è una tentazione presente all’interno di qualunque gruppo religioso che non sia minoritario e poiché esiste un lato oscuro anche nella coscienza religiosa, che si manifesta nel fanatismo e nella superstizione. I governi però, precisa Bayle, non devono esercitare alcuna autorità sulle singole coscienze, perché la logica politica è inconciliabile con quella religiosa. Un buon politico può essere un devoto cristiano nella sfera privata, ma dovrà agire da ateo nella sfera pubblica. La distinzione fra il credente e il cittadino, impensabile nel Medioevo e fondamento della modernità, trova qui la sua prima formulazione.

GuIda allo sTudIo • Quali sono i problemi della filosofia cartesiana

• Qual è il rapporto fra fede e morale all’interno che l’occasionalismo cerca di risolvere? della filosofia di Bayle? • da dove derivano le idee secondo malebranche? • Secondo Bayle che ruolo deve assumere lo Stato verso la religione? • A quali scuole filosofiche si rifanno i libertini?

Materiali per l’apprendimento attivo

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12. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

▶ Eugenio Maccagni, Busto di Giulio Cesare Vanini, 1886 (Lecce, Villa Comunale Giuseppe Garibaldi).

13. La ParOLa ai TEsTi

T3 Bayle Una società di atei è possibile Nei Pensieri sulla cometa Bayle attacca la strumentalizzazione di questo fenomeno celeste finalizzata a instillare nella credulità popolare la fede e a mantenere il controllo sociale. Almeno un terzo delle pagine dell’opera è dedicato alla moralità degli atei.

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È ormai evidente che una società di atei potrebbe svolgere ogni attività civile e morale come qualsiasi altra società, ammesso che anche in essa si puniscano severamente i delitti e si connettano a certe determinate azioni i sentimenti dell’onore e dell’infamia. Il fatto d’ignorare l’esistenza di un primo Essere creatore e conservatore dell’universo non impedirebbe ai membri di questa società di essere sensibili alla gloria e al disprezzo, alla ricompensa e alla pena, così come a tutte le passioni umane, e nemmeno soffocherebbe in loro tutti i lumi della ragione, e anche fra gli atei si potrebbero vedere persone oneste nel commercio, caritatevoli versi i poveri, nemiche dell’ingiustizia, fedeli ai loro amici, aliene nell’offendere, indifferenti ai piaceri della carne, incapaci di fare un torto a qualcuno: la spinta a compiere tutte queste belle azioni, che certamente riscuoterebbero il plauso della gente, sarebbe il desiderio di essere lodati e il tornaconto di procurarsi amici e protettori in caso di bisogno. Le donne farebbero della castità il loro punto d’onore, quale mezzo infallibile per ottenere amore e stima da parte degli uomini. (P. Bayle, Pensieri sulla cometa, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 322)

guida alla lettura. Il fulcro dell’argomentazione di Bayle è che la coscienza morale, naturale e innata nell’uomo, è più profonda di quella religiosa. Se molti cristiani agiscono virtuosamente per evitare un castigo o per guadagnarsi una ricompensa, anche chi non crede in Dio può agire rettamente, essendo guidato dalla paura delle punizioni terrestri e dal rispetto per il prossimo. Così Bayle non può che auspicare l’applicazione della tolleranza religiosa, anche nei confronti di una possibile e per nulla utopica «società di atei».

1 rAG IoN e e F e D e:Il P roB l e MA re l IG Io S o D o P o C Art eS I o

uN MarTirE DELL’aTEisMO Il caso di Giulio Cesare vanini (1585-1616) impressiona l’opinione pubblica del Seicento. È un frate carmelitano, ma anche un naturalista, un medico, un po’ mago, ma soprattutto un libero pensatore fortemente anticlericale, tanto da definire impostori sia Mosè, sia Gesù, sia Maometto. Per queste sue idee è costretto a fuggire dal convento di Padova, in cui era stato ordinato, per rifugiarsi in Inghilterra e poi in Francia. Nel 1616 è condannato per ateismo: prima gli viene tagliata la lingua, poi è strozzato e infine bruciato.

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• Sintesi

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Blaise Pascal

Tra matematica e fede Matematico, fisico e filosofo, ma anche inventore e scrittore raffinato, nei suoi brevi 39 anni Pascal anticipa i grandi temi della filosofia esistenzialista. Allo stesso tempo coltiva un intenso spirito religioso, con profonde conseguenze sul suo pensiero: di fronte ai problemi esistenziali solo il cristianesimo riesce a dare una risposta adeguata. Pascal è un ottimo matematico, un fisico ma anche un geniale inventore (molto nota è la sua «pascalina» ➝ 14 , la prima macchina per il calcolo numerico), ma vive queste sue competenze eccezionali con un forte disagio psicologico, dapprima per non poterle approfondire appieno per problemi di salute e in seguito per la convinzione che esse fossero devianti rispetto all’impegno nella fede. Malfermo sin da giovane, tormentato in particolare da forti emicranie, per tutta la vita Pascal è sollecitato dai medici al riposo e allo svago, soprattutto a non concentrarsi su difficili problemi matematici per non aggravare le sue terribili cefalee. Ma la conversazione nei salotti lo annoia e quindi ogni tanto, pur con grandi sensi di colpa, egli torna all’interpretazione matematica del mondo, che tanto gli è cara. È dalla passione per il gioco d’azzardo che nasce la sua riflessione sul problema del calcolo delle probabilità, una questione che indaga inventando la prima ruota della roulette e scrivendo un saggio Sulle proprietà cicliche delle combinazioni nel calcolo delle probabilità. Ma la vita di Pascal è segnata soprattutto da due eventi chiave: due conversioni religiose che, come vedremo nelle prossime pagine, lo introducono gradualmente a una spiritualità sempre più intensa e motivata. Sulla scia di queste esperienze, e dopo aver rischiato la vita in un incidente, trascorre ampi periodi di ritiro spirituale presso l’abbazia di Port Royal. Qui inizia a lavorare assiduamente al progetto di una Apologia del cristianesimo, mai terminata e i cui frammenti verranno pubblicati postumi con il titolo di Pensieri. Ma la salute è ormai minata e nel 1662 Pascal muore prima di aver compiuto i 40 anni. ◀ Adrien Manglard, Festa a Maccarese in onore di San Giorgio, particolare con giocatori d’azzardo, 1756, olio su tela (Roma, Museo di Roma).

Materiali per l’apprendimento attivo

Film

Pascal

convalida la teoria del fisico e matematico evangelista torricelli (1608-47) che realizzando un barometro a mercurio aveva per primo misurato la pressione atmosferica. Questa invenzione implicava l’esistenza del vuoto, che però contraddiceva le teorie della fisica antica, in particolare di Aristotele. Come mostra il film Blaise Pascal, di roberto rossellini, attraverso prove sperimentali, ad esempio utilizzando una siringa immersa in un recipiente d’acqua, Pascal mostra che esiste un’analogia tra i fenomeni prodotti dalla pressione dei liquidi e quelli dovuti alla pressione dell’aria (il peso dell’aria fa salire l’acqua nella siringa). l’esistenza del vuoto è così dimostrata.

14. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

PasCaL E La PasCaLiNa la pascalina è la prima macchina intelligente della storia, l’antenato del computer. Pascal la costruisce a 23 anni per aiutare il padre nei calcoli matematici necessari nella sua professione di esattore delle tasse. Il meccanismo contiene al suo interno otto rotelle fra loro collegate in modo che un giro completo di quelle di destra provochi l’avanzamento di un solo scatto in quelle a sinistra. Ciò permette di compiere in via automatica le operazioni di addizione e sottrazione, le uniche che la pascalina è in grado di compiere. D’altra parte, la versione finale della macchina (nel corso degli anni Pascal costruisce 50 prototipi sempre più complessi) prevede rotelle con un numero variabile di denti (10, 12, 20) per adattarsi al complicato sistema monetario francese. l’inventiva di Pascal è di certo una dote personale, ma si inquadra bene nello spirito del tempo, in cui l’imperante razionalismo e i primi successi della scienza spingono persino i filosofi ad appassionarsi ai problemi della tecnica. Di fatto, l’esperienza della pascalina sarà proseguita da un altro filosofo, leibniz (1646-1716), che implementerà nel meccanismo anche le operazioni di moltiplicazione e divisione.

◀ Blaise Pascal con la macchina addizionatrice (pascalina) da lui inventata nel 1642/45. Incisione con colore aggiunto in seguito, tratta da Jean-Gaffin Gallon, Macchine e invenzioni approvate dalla Royal Academy of Sciences, vol. 4, Parigi 1735.

353 2 B l A IS e PAS C A l

Blaise Pascal (1623-62) nasce a Clermont-Ferrand, in Francia. orfano di madre dall’età di tre anni, è educato a casa dal padre etienne, un borghese agiato, matematico di talento e amministratore delle finanze, che progetta per il figlio un

curriculum personalizzato di studi umanistici e in cui sono bandite le materie scientifiche. etienne è un educatore illuminato ed elabora un progetto formativo fondato sul valore positivo della curiosità. riesce bene nei suoi sforzi, perché il giovane Blaise, a 12 anni, proprio spinto dalla curiosità (e dal gusto del proibito) decide di occuparsi di matematica e senza alcuna preparazione riesce a risolvere autonomamente alcuni problemi di geometria euclidea. Si rivela così un bambino prodigio: a soli 17 anni pubblica il suo primo scritto, il Saggio sulle coniche, che costituisce un importante contributo alla geometria proiettiva, e pochi anni dopo

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Libero arbitrio e grazia divina Nel corso del seicento si recupera la riflessione sul rapporto fra libertà umana (il libero arbitrio), salvezza e grazia divina. Contro i gesuiti di Luis de Molina, che davano maggior importanza alle opere umane, i giansenisti cercano di riportare la Chiesa cattolica all’austerità di costumi delle origini e rivalutano il ruolo della grazia divina in vista della salvezza. Il primo evento fondamentale della vita spirituale di Pascal sembra casuale: per curare una frattura del padre Etienne, in casa Pascal si trasferiscono due chirurghi aderenti al movimento giansenista, e grazie a loro il giovane Blaise, a 23 anni, scopre un nuovo modo di intendere la fede. Fondatore del movimento è il vescovo fiammingo Cornelis Jansen (15851638), italianizzato in Giansenio, autore di un testo capitale dal titolo Augustinus (1641). Il giansenismo è un movimento fondamentalista che si ripropone di tornare alle dottrine agostiniane dell’attualità del peccato originale, dell’insufficienza delle buone opere in ordine alla salvezza eterna e dell’imperscrutabilità dei criteri con cui Dio concede la grazia, senza escludere che fra questi vi sia anche la predestinazione. Ne scaturisce una religiosità intensa ma fortemente pessimista: l’uomo è strutturalmente tendente al male e incapace di salvarsi con le sue sole forze; l’unica libertà di cui gode consiste nell’astenersi dal commettere il male, motivo per cui non deve inorgoglirsi per le sue buone azioni ma lodare Dio per averlo spinto a compierle. La salvezza va quindi cercata nella fede e nel ritorno alle pratiche dell’introspezione e della meditazione solitaria a suo tempo consigliate da Agostino. Essa risiede in un rapporto diretto fra Dio e uomo, un rapporto che di fatto relativizza il ruolo della Chiesa e che somiglia molto al principio luterano della libera lettura dei Testi. La pubblicazione dell’Augustinus, che ottiene immediato successo, dà il via a una lunga serie di dibattiti polemici. Sebbene infatti Giansenio non contesti l’autorità della Chiesa romana, alcuni punti della sua dottrina, come l’insistenza sulla fede in contrapposizione alle buone opere e la possibilità della predestinazione, appaiono pericolosamente simili a quelli calvinisti, tanto che nel 1650 l’episcopato francese richiede al papa un giudizio e tre anni dopo Innocenzo X condanna come eretiche cinque loro proposizioni. Guidati da Antoine Arnauld (1612-94), fratello di Angélique e Agnès Arnauld, badesse di Port Royal ➝ 15 , i giansenisti replicano che le cinque proposizioni sono eretiche, ma che né Giansenio, né alcun suo seguace le ha mai sostenute. Vescovi e teologi riesaminano allora le tesi contestate e nel 1654 dichiarano che sono state realmente insegnate da Giansenio. L’anno seguente, per stroncare definitivamente le discussioni, papa Alessandro VII impone a tutti i credenti un formulario di sottomissione che implica la condanna delle cinque proposizioni. Alcuni si rifiutano di sottoscriverlo, altri lo fanno, sottolineando però che ciò non implica di fatto il rifiuto di Giansenio. La querelle si prolunga sino al 1713, quando papa Clemente XI condanna le opere dell’ultimo dei giansenisti, Pasquier Quesnel (1634-1719), l’erede spirituale di Arnauld. Negli stessi anni, Luigi XIV, con l’approvazione del papa, ordina la completa distruzione dell’abbazia di Port Royal. Anche Pascal interviene nella disputa. Diventato assiduo frequentatore di Port Royal, in cui si è fatta monaca sua sorella Jacqueline e in cui si riuniscono altri «solitari» ➝ 16 come lui, pubblica con lo pseudonimo di Louis de Montalte le Lettere provinciali (1656-57) ➝ 17 , così chiamate perché egli le immagina scritte a un amico di provincia per informarlo sulle novità culturali della capitale. Pascal polemizza con i più solleciti accusatori del giansenismo, i gesuiti, e soprattutto contro il «molinismo» ➝ 18 , un indirizzo teologico proposto dal gesuita spagnolo Luis de Molina (1535-1600) che in quegli anni godeva di un certo successo nella Chiesa (sarà condannato dal Sant’Uffizio solo nel 1665).

Materiali per l’apprendimento attivo 15. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

16. approFondiMenti > per saperne di più

i soLitari di port royaL Nell’ala riservata ai laici del monastero di Port Royal si riuniscono i «solitari», un gruppo di intellettuali desiderosi di ritirarsi temporaneamente dal mondo e di vivere, pur senza legarsi con voti monastici, un’esperienza di solitudine, silenzio, studio e preghiera. Un frutto di questo sodalizio intellettuale è la Logica di Port Royal, con cui convenzionalmente si indica La Logica o l’arte di pensare (1662) di Pierre Nicole (1625-95) e Antoine Arnauld (1612-94), quest’ultimo teologo e matematico come Pascal. Si tratta di un manuale di teoria della conoscenza aggiornato con le innovazioni introdotte da Cartesio: infatti, dopo i capitoli dedicati al concetto, al giudizio e al ragionamento, tradizionali in questo tipo di saggi, è dato ampio spazio alla questione del metodo, cioè al modo di condurre la mente alla formulazione di idee chiare e distinte. 17. per Capire MeGLio

Le lettere provinciali Le Lettere a un provinciale (Lettres écrites par Louis de Montalte à un Provincial de ses amis et aux R.R. Pères Jésuites), meglio note come Le provinciali, sono una serie di diciotto lettere. Le prime dieci, scritte da Pascal sotto lo pseudonimo di Louis de Montalte, sono indirizzate a un amico. Dalla decima in poi si rivolgono direttamente ai gesuiti. Nelle prime quattro Pascal affronta il problema teologico della «grazia sufficiente» e della «grazia attuale», ribadendo la necessità di una morale intransigente; nelle successive sei attacca direttamente la casistica che pretende di giudicare le azioni secondo le circostanze, abbandonando i princìpi evangelici e favorendo il lassismo morale; nelle ultime otto l’attacco si fa frontale e l’indignazione subentra all’ironia. La portata storica di quest’opera, tuttavia, va ben al di là della specifica polemica contro i gesuiti. Non solo le lettere pongono alcuni quesiti fondamentali sulla vita morale dell’uomo, ma ad esse sono riconosciute qualità letterarie che ne fanno ancora oggi un grande classico. 18. Per CAPIre MeGLIO

De MOLINA e LA GrAZIA sUFFICIeNTe Riprendendo le teorie di Pelagio, contro cui Agostino aveva duramente combattuto, il gesuita De Molina sostiene che Dio da una parte offre a tutti gli uomini la possibilità di ▶▶

2 b L A IS e PAS C A L

LE suOrE riBELLi Di POrT rOyaL Fondato nel 1204 dai cistercensi nella malsana vallata della Chevreuse, vicino a versailles, il monastero di Port-royal-des-Champs diventa una prestigiosa istituzione spirituale e culturale a partire dal 1609, quando angélique arnauld si fa badessa a 18 anni. Dopo essere stata monacata controvoglia a 8 (come allora si usava nella nobiltà), la giovane decide di prendere sul serio l’abito che indossa e imprime una rigorosa moralizzazione della vita conventuale, sino ad allora disordinata e corrotta. Inaspettatamente, l’austerità della regola attira consensi e le 12 monache del 1609, nel 1625 sono già 84. Identificato, con ragione, come un centro di propulsione del giansenismo, nella seconda metà del secolo xvii il convento di Port Royal è oggetto di una feroce persecuzione sia da parte della Chiesa (per ragioni teologiche) sia dalla monarchia (per ragioni politiche, non potendo il regime assolutistico tollerare sperimentazioni sociali fuori dal suo controllo). esso diventa anche la sede di un’eroica resistenza delle monache. Servono ben 200 uomini armati per scacciare le 12 suore “più pericolose”, che attuano quella che oggi chiameremmo «disobbedienza civile»; verranno imprigionate, deportate e costrette a morire senza sacramenti. La rivolta di queste monache «pure come angeli, orgogliose come Lucifero, ribelli come demoni» (secondo le descrizioni dell’epoca) costituisce la più radicale affermazione di consapevolezza femminile di tutto il Seicento, e finirà per colpire l’immaginario dell’epoca.

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5. pas C a L e i L p roB L e M a re L i G i oso d op o Ca rt e si o

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Spirito di geometria e spirito di finezza Pur accettando il metodo razionalistico in ambito scientifico, pascal ritiene che la ragione è incapace di comprendere la realtà e il senso della vita, che solo il cuore e la fede possono spiegare. vi sono due forme di conoscenza: lo «spirito di geometria», ossia la conoscenza scientifica e analitica ottenuta con procedimenti geometrici e razionali e lo «spirito di finezza», ossia la conoscenza esistenziale e spirituale dell’uomo. Come fa vedere il film di Rossellini, la riflessione filosofica e religiosa di Pascal inizia con una critica al pensiero scientifico, da cui pure egli è fortemente attratto. Pur accettando il metodo matematico di Cartesio per quanto riguarda la scienza della natura, Pascal lo rifiuta per Film quanto concerne la conoscenza del mondo interiore dell’uomo ➝ 19 . A suo avviso, infatti, se la realtà naturale può essere scomposta nelle sue singole parti e ricomposta in modo da essere compresa più chiaramente, la condizione esistenziale ➝ 20 non può essere studiata in questo modo: essa rimane impenetrabile in un’oscurità misteriosa irriducibile all’indagine razionale. Per quanto affascinanti, la fisica e la matematica non coincidono dunque con la sapienza; essendo un prodotto dell’uomo, che è un essere limitato, rappresentano anch’esse una forma di conoscenza limitata. Il metodo sperimentale, su cui si fondano, può lavorare solo su realtà fisiche, tangibili, e in particolare sulle loro qualità oggettive e misurabili. Nulla può rispetto al pensiero e alle componenti soggettive dell’esperienza. La scienza, per usare alcuni suoi esempi, può dire qualcosa sulla piuma e sul piede ma non sul solletico; sulla forma della mela, ma non sul suo sapore; sull’intensità del suono, ma non sulla percezione che ne ha il soggetto che ode. Più in particolare la ragione, che nella filosofia di Cartesio era onnipotente, per Pascal incontra almeno tre limiti. Il primo sta nella priorità dell’esperienza: la ragione non può elaborare aprioristicamente leggi generali pretendendo che la realtà vi si conformi, come spesso tende a fare la scienza cartesiana; al contrario è dall’esperienza che la scienza deve partire, per individuare i fenomeni da sottoporre ad analisi, e all’esperienza deve alla fine ritornare, per sottoporre a prova le ipotesi formulate. Il secondo limite della ragione risiede nell’indimostrabilità dei princìpi primi che tutte le scienze assumono come base di partenza. È un aspetto particolarmente evidente nella matematica e nella geometria, le scienze deduttive per eccellenza, i cui assiomi non sono ricavabili dal ragionamento e neppure possono essere provati per via sperimentale. Che tra due punti sia possibile tracciare una e una sola retta (il primo postulato della geometria euclidea), è una verità acquisibile solo per intuizione, ossia attraverso la capacità di cogliere ciò che è vero ed evidente, una facoltà che Pascal denomina esprit de finesse. In netta contrapposizione allo esprit de géométrie, ovvero il metodo matematico e il ragionare cartesiano astratto e logico che procede con chiarezza e distinzioni, lo «spirito di finezza» si fonda sull’intuito, si avvale dell’esperienza, dà il meglio di sé a contatto con la vita e riesce a cogliere il vero avvalendosi anche del sentimento e della fantasia. Il terzo e più consistente limite del pensiero scientifico, però, sta nell’incapacità di dar conto del mondo umano. Se nella conoscenza della natura la ragione è arbitra e indipendente, nelle questioni morali, sociali e religiose essa è praticamente impotente. In questi ambiti, infatti, la matematizzazione dei fenomeni in cui eccelle lo esprit de géométrie è del tutto inutile, perché a decidere dell’esistenza umana non è la fredda razionalità calcolatrice ma la volontà delle persone, un fattore non deducibile o descrivibile con algoritmi, anzi spesso del tutto imprevedibile. I problemi esistenziali (Chi sono io? Qual è il senso della mia vita?) si possono dunque affrontare solo mobilitando l’esprit de finesse, l’acutezza psicologica che, sebbene propriamente non ragioni, riesce istintivamente a comprendere meglio della ragione stessa.

Materiali per l’apprendimento attivo

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19. APPrOFONDIMeNTI > Intersezioni

LA MeNTe è INsePArABILe DAL COrPO Per Pascal il dualismo radicale tra anima e corpo e tra mente e cuore di Cartesio non regge. Attingendo sia dalla visione biblica sia dalla filosofia cattolica tradizionale, egli si pone contro Cartesio, Platone e gli gnostici e precorre l’idea odierna di embodied mind (mente incarnata), cioè di una mente strettamente connessa al corpo e da esso inseparabile anche dal punto di vista teorico. Secondo i fautori di questa teoria, di cui puoi trovare notizie sul web digitando «filosofia del corpo», la cognizione è sempre incarnata: il modo in cui giudichiamo, ragioniamo, pensiamo, costruiamo concetti, parliamo, dipende anche dal modo in cui percepiamo, dalle azioni che compiamo e dalle interazioni che il nostro corpo intrattiene con l’ambiente circostante. Non a caso la vera intelligenza artificiale si avrà quando la robotica sarà in grado di costruire macchine dotate di un corpo, ossia di proprie abilità sensoriali e motorie.

▶ Nicolas Regnier, Giovane donna allo specchio o Vanità, 1626, olio su tela (Lione, Musee des Beaux-Arts).

20. COMPeTeNZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

CONDIZIONe esIsTeNZIALe Cartesio, e in generale il razionalismo, privilegiano un punto di vista universale per spiegare la struttura ontologica della realtà o quella fisica dell’universo, trascurando i singoli individui e l’esistenza concreta. Pascal rimprovera proprio al metodo deduttivo di Cartesio di non dare risposta a due questioni fondamentali: l’individuazione dei princìpi e la spiegazione dell’esistenza umana. Con Pascal l’esistenza concreta dell’uomo, così come è vissuta e avvertita singolarmente, diventa l’oggetto privilegiato della riflessione filosofica, in polemica con i grandi sistemi filosofici che pretendono di dare una risposta a ogni aspetto della realtà ma pongono in secondo piano l’individuo. Nel corso della storia della filosofia questo interesse verso l’esistenza e verso la condizione umana si ripresenterà, fino a diventare uno degli orientamenti filosofici più importanti del Novecento, con il nome di «esistenzialismo».

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scegliere liberamente fra il bene e il male, dall’altra concede loro la salvezza giudicandone le opere. Per i giansenisti particolarmente scandalose sono le conseguenze di questo pensiero in campo etico. l’uomo tratteggiato da Molina possiede infatti una grazia sufficiente che, se accompagnata alla buona volontà, rappresenta tutto quello che serve per ottenere la salvezza eterna. una tesi che la Compagnia di Gesù aveva posto come il cuore del suo proselitismo, orientato a trattenere nella Chiesa il maggior numero possibile di fedeli, senza troppo badare alla religiosità interiore. tale visione per il giansenismo, fautore di un rigorismo morale e religioso senza compromessi, coincideva con un vero e proprio «lassismo morale».

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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I limiti della ragione Per Pascal il cristianesimo non è completamente riportabile nei limiti dell’intelletto umano. il cuore, e non la ragione, è l’organo della fede. Per Pascal, oltre che inutile, la ragione cartesiana diventa addirittura pericolosa nel campo delle scelte di fede. Otto secoli di scolastica dimostrano l’impossibilità della teologia razionale: l’esistenza di Dio non può essere provata come si fa con i fenomeni naturali e nessuno è mai riuscito a convertire un ateo con sottili ragionamenti logici. D’altra parte, se si riuscisse a dimostrare veramente l’esistenza del Creatore, o se addirittura egli decidesse di rendersi visibile agli uomini, ciò non sarebbe affatto un bene, perché annullerebbe in un colpo la libertà umana. Negare Dio diventerebbe infatti impossibile, mentre la libertà di credere o non credere, su cui si fonda la responsabilità morale e religiosa, presuppone l’ignoranza. Per questo Dio si è rivelato ma al contempo si cela, è un Deus absconditus, che «gioca a nascondino» (dice Pascal) con l’uomo: si mostra solo quanto basta per far intuire la sua presenza nascosta. La scelta della fede è quindi una decisione della volontà, del sentimento e dell’intuizione. Il proprium dell’uomo non è il cogito di Cartesio, ovvero la mente, ma il cuore. Pascal ha ben presente le Confessioni di Agostino, e la sua insistenza sulle ragioni del cuore ➝ 21 è forse un ricordo del libro VIII in cui Agostino sintetizza così il momento culminante della sua conversione: «una luce quasi di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono» (Le confessioni, VIII, 12, 29, Città Nuova, Roma 2009, p. 195). Bisogna però precisare che nella tradizione agostiniana il cuore rappresenta il baricentro intellettuale e morale della persona, il ricettacolo della grazia, il luogo dell’incontro con Dio nell’intimo dell’uomo. In Pascal, invece, il termine coeur rimanda sì al sentimento, ma riguarda anche la conoscenza. Esso esprime un concetto a metà strada tra il fervore e l’intuizione. Per Pascal, la conversione è sempre un salto netto che implica il riconoscimento delle verità di fede così come sono espresse nelle Sacre Scritture, comprese quelle che paiono inconciliabili con la scienza, come la possibilità delle profezie e dei miracoli ➝ 22 . Del resto, nell’eccitata religiosità di Port Royal i prodigi non sono infrequenti: il più celebre, il miracolo della santa spina, ha come protagonista la giovane nipote dello stesso Pascal, che ne rimane ovviamente molto impressionato. Sofferente di una grave fistola lacrimale, guarisce in modo improvviso e inspiegabile dopo aver accostato l’occhio malato alla reliquia di una spina di Cristo, conservata nella chiesa di Port Royal. Ma se la fede è una scelta del cuore, cosa può favorirla? Cosa rispondere a chi dice «Io vorrei possedere la fede, ma sono fatto in modo tale da non poter credere»? Nel Seicento, tale questione è al centro di una vivace polemica fra gesuiti e giansenisti. I primi insistono sulla necessità che tutti i fedeli, specialmente quelli tiepidi, si accostino con la maggior frequenza possibile alla comunione, come se la fruizione del sacramento facilitasse di per sé l’accesso alla virtù. Contro questa riduzione della religiosità a mera ritualità, interviene Antoine Arnauld, capo riconosciuto del movimento giansenista francese. Nel saggio Sulla comunione frequente (1643) Arnauld sostiene che la pratica della comunione frequente è contraria alla disciplina della Chiesa antica, in quanto il sacramento deve essere una ricompensa della virtù e non un mezzo per conquistarla, quasi fosse un farmaco o un’operazione magica. Pascal concorda con l’amico, ma approfondisce il discorso arrivando a esiti diversi: l’assunzione della fede è una scelta che deve riguardare tutta la persona nel suo complesso, l’anima ma anche la macchina del corpo, gli automatismi della sua res extensa, ossia il complesso di abitudini che solidificano la fede e la rendono impermeabile al dubbio. A chi è incredulo o tiepido egli consiglia quindi di imitare con il corpo coloro che hanno già ricevuto il dono della fede, facendo tutto come se fossero fervidi credenti, pregando con assiduità e concentrazione. In fondo, conclude Pascal, si diventa cristiani o pagani per abitudine ➝ 23 .

Materiali per l’apprendimento attivo

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21. La ParOLa ai TEsTi

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T4 Pascal Le ragioni del cuore Il passo che affronta le ragioni del cuore è uno dei frammenti più conosciuti della filosofia pascaliana. Ma non si riferisce a un vago sentimentalismo, quanto piuttosto a una diversa forma di ragione. Il titolo dato postumo ai Pensieri appare dunque più che mai appropriato: si tratta infatti di una meditazione estesa sulla coscienza umana e su che cosa significhi pensare.

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Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce: lo si osserva in mille cose. Io sostengo che il cuore ama naturalmente l’Essere universale, e naturalmente sé medesimo, secondo che si volge verso di lui o verso di sé; e che s’indurisce contro l’uno o contro l’altro per propria elezione. Voi avete respinto l’uno e conservato l’altro: amate forse voi stessi per ragione? (B. Pascal, Pensieri, Città Nuova, Roma 2003, p. 61)

guida alla lettura. In questo brano Pascal suggerisce che, a suo avviso, l’essere umano è in grado di cogliere la verità non solo attraverso la ricerca logico-razionale, ma anche applicando l’introspezione del cuore. Questa, tuttavia, non agisce irrazionalmente, ma secondo quello che nella storia della filosofia è stato spesso indicato come «pensiero noetico» (dal greco noûs, “intelletto”) o «intuizione intellettuale». È una forma di conoscenza che permette una conoscenza immediata e diretta della verità. 22. CoMpetenze > pensiero critico

T5 pascal Una giustificazione razionale dei miracoli?

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A proposito delle profezie, dei miracoli, delle divinazioni per mezzo di sogni, dei sortilegi, ecc. Se in tutte queste cose non ci fosse mai stato nulla di vero, nessuna sarebbe mai stata creduta. Quindi, anziché concludere che non ci sono veri miracoli perché ce ne sono tanti falsi, bisogna al contrario affermare che ci sono certamente veri miracoli, poiché ce ne sono di falsi, e che ce ne sono di falsi perché ce ne sono di veri. (B. Pascal, Pensieri, Città Nuova, Roma 2003, p. 398)

l’argomentazione di Pascal non regge dal punto di vista logico. Affermare «ci sono falsi miracoli perché ce ne sono di veri» equivale a dire che le monete false esistono solo perché ci sono quelle vere. Ma dire, al contrario, che ci sono veri miracoli perché ce ne sono stati di falsi, come afferma Pascal, equivale a dire che le monete sono vere solo perché esistono i falsari, e che cesserebbero d’esserlo se questi scomparissero. oppure che gli uFo devono necessariamente esistere, perché sono stati oggetto di migliaia di falsi avvistamenti. 23. La paroLa ai testi

T6 pascal Si diventa credenti per abitudine Pascal è convinto che un tratto caratteristico del cristianesimo è quello di avere delle prove, una caratteristica che lo pone in netta superiorità rispetto alle altre religioni. Al di là delle prove intellettuali, tuttavia, un peso determinante nel salto verso la fede è giocato dall’abitudine.

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Perché non bisogna disconoscerlo: noi siamo automatismo altrettanto che spirito. E da ciò viene che strumento di persuasione non è soltanto la dimostrazione. Quanto poche son le cose dimostrate! Le prove convincono solamente l’intelletto. L’abitudine genera le prove più efficaci e più credute: piega l’automa, il quale trascina l’intelletto senza che questo se ne renda conto. Su quali dimostrazioni riposa la nostra convinzione che domani tornerà a splendere il sole, o che un giorno moriremo? Eppure, c’è cosa più fermamen-

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5. pas C a L e i L p roB L e M a re L i G i oso d op o Ca rt e si o

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L’esistenza di Dio Dio esiste o no? secondo Pascal tutti dobbiamo rispondere a questa domanda, nessuno escluso. anche chi decide di non scegliere, infatti, in realtà opera una scelta. Bisogna dunque scommettere sulla posta che minimizza la perdita e massimizza il guadagno: l’esistenza di Dio. Ai dubbiosi e ai liberi pensatori, infine, Pascal propone il celebre argomento della scommessa ➝ 24 ➝ 25 . In un immaginario dialogo in seconda persona, invita uno scettico a scegliere tra la fede e l’incredulità in Dio analizzando la situazione come se fosse coinvolto in un gioco d’azzardo. Conviene scommettere sull’esistenza di Dio, perché il possibile guadagno è molto superiore all’eventuale perdita: si vince una ricompensa infinita (l’eternità in Paradiso), mentre, nel caso in cui Dio non esistesse, a rischio vi è solo una piccola perdita (i piaceri terreni cui bisogna rinunciare durante la vita mortale). Puntando sull’inesistenza di Dio, invece, si rischia una perdita infinita (le gioie del Paradiso) e una punizione altrettanto infinita (le pene dell’Inferno) per un guadagno limitato (l’opportunità di godere per qualche anno delle delizie mondane). Bisogna dunque scommettere senza esitare sull’esistenza di Dio ed è illogico fare il contrario. Molto si è discusso su questo argomento; forse troppo, dato che in definitiva si tratta solo di un passo isolato nei Pensieri, non certo di una dottrina organica. Si è fatto notare quanto sia irriverente giocare d’azzardo con il divino, o come, offrendo un argomento logico-razionale, Pascal sembri qui smentire la convinzione che alla fede si giunga ascoltando prioritariamente le ragioni del cuore. In realtà, ciò che a Pascal preme sottolineare è il fatto che questa scommessa non si può evitare. Tutti gli uomini sono tenuti a farla, poiché tutti devono scegliere tra il vivere come se Dio ci fosse e il vivere come se Dio non ci fosse. Nessuno può sottrarsi a questa scelta, giacché non scegliere equivale di fatto a una scelta negativa.

La condizione umana

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Pascal riflette sulla morte, su Dio, sull’infinito, sulla natura dell’universo, sui limiti della ragione e sul significato della vita. tutti temi che, a loro volta, possono essere considerati la variante di un unico grande tema: la condizione umana. Riflettendo sui limiti della scienza Pascal giunge a una visione innovativa della dimensione umana. Il pensiero scientifico, sostiene, è incapace di comprendere l’infinitamente grande, ossia l’universo nella sua interezza e complessità: anche se si sforza di dilatare le proprie concezioni al di là degli spazi immaginabili, non riuscirà mai a capire come possa esistere una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo. Ma d’altra parte la scienza è incapace di comprendere anche tutto ciò che per la sua piccolezza sfugge alla percezione umana. Pascal invita qui a considerare un acaro ➝ 26 , così piccolo da suggerire l’esistenza di mondi minuscoli in cui vivono forme biologiche impercettibili all’occhio ma altrettanto complesse di quelle visibili. Anche nell’infinitamente piccolo, egli sostiene, esistono infiniti universi, ciascuno con il suo firmamento, i suoi pianeti, la sua terra, nelle stesse proporzioni del mondo “naturale”. I limiti della conoscenza scientifica dell’uomo rendono visibile la sua condizione di medietà tra il grande e il piccolo. È una visione innovativa e importante nella storia della cultura: l’uomo non è più al vertice del creato, ultimo e insuperabile scalino nella scala degli esseri. Mantiene sì una posizione privilegiata, ma la sua grandezza sta nella medietà, nel suo collocarsi fra due infiniti, due abissi che non può dominare.

Materiali per l’apprendimento attivo

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te creduta? Dunque, è l’abitudine a persuadercene; ed è lei a fare tanti cristiani, a fare i Turchi, i pagani, i mestieri, i soldati, ecc.

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(B. Pascal, Pensieri, Città Nuova, Roma 2003, p. 427)

Guida alla lettura. Questo passo di Pascal, che sottolinea il peso determinante dell’abitudine nell’acquisizione della fede religiosa, è particolarmente sorprendente, considerando che anticipa di molto le riflessioni prodotte più recentemente dall’antropologia e dalla storia delle religioni. Entrambe le discipline, dalla fine dell’ottocento, hanno riflettuto sul ruolo fondamentale che la routine e la ripetizione hanno nell’esperienza religiosa, tanto da coniare a proposito il concetto di «ripetizione rituale»: come nel cristianesimo, in tutte le religioni, comprese quelle più arcaiche, il rituale religioso attraverso la ripetizione di gesti, suoni e parole serve a mettere in comunicazione l’uomo con il sacro. Audiomappa

24. COMPETENZE > Mappa concettuale

La sCOMMEssa credo in Dio

non credo in Dio

se Dio esiste allora guadagno infinito (Paradiso)

se Dio non esiste

Dio non esiste

allora

allora

perdita minima (rinuncia ai vizi mondani)

guadagno minimo (godimento dei vizi mondani)

Dio esiste allora perdita massima (Inferno)

25. COMPETENZE > Pensiero critico

LE CriTiChE aLLa sCOMMEssa su DiO la scommessa su Dio si è attirata nel tempo diverse critiche. una delle più feroci è quella di voltaire (1694-1778), che definisce l’argomentazione «indecente e infantile»: è inammissibile, sostiene il filosofo illuminista, ridurre questioni della massima gravità al calcolo probabilistico dei giochi d’azzardo. Solo perché qualcuno mi promette che godrò di un grande beneficio, aggiunge, non significa che sia vero. Supponiamo per esempio che un indovino mi dica di avere il presentimento che vincerò la lotteria. Naturalmente spero che abbia ragione, ma dovrei essere disposto a scommettere sulla sua preconoscenza? e se sì, quanto? Denis Diderot (1713-84) rincara la dose, sottolineando che l’argomento di Pascal (meglio credere che non credere) si applicherebbe altrettanto bene a qualsiasi altra religione. Altri ancora hanno notato che, applicando la logica di Pascal, si dovrebbe concludere che più estreme sono le promesse di una religione, e dunque più terribili le pene previste per i peccatori e più gaudiose le delizie paradisiache, maggiori sono i motivi per scommettere sull’esistenza di Dio. un’argomentazione che, potenzialmente, potrebbe prestare il fianco al fanatismo. 26. La ParOLa ai TEsTi

T7 Pascal L’infinitamente piccolo Pascal invita a contemplare l’universo nella sua immensità per prendere coscienza, di fronte ad esso, della limitatezza della condizione umana. Ma c’è un altro infinito che ci sgomenta, l’infinitamente piccolo. L’uomo, ritornato a sé, consideri quel che è in confronto a quel che esiste. Si veda come sperduto in questo remoto angolo della natura; e da quest’angusta prigione dove si trova, intendo dire l’universo, impari a stimare al giusto valore la terra, i reami, le città e se stesso. Che cos’è un uomo nell’infinito?

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5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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La precarietà dell’uomo La medietà dell’uomo è anche il fondamento della sua psicologia, caratterizzata dalla precarietà, dal barcamenarsi tra un polo e l’altro della sua esistenza: tra il volere e l’avere, tra il desiderare e l’ottenere, tra la possibilità e l’azione, tra la carne e lo spirito. Se si concentra solo sulla sua piccolezza l’uomo diventa scettico da un punto di vista gnoseologico (rinuncia cioè a cercare la Verità) e relativista dal punto di vista morale (ponendo bene e male sullo stesso piano rinuncia a cercare il Bene). Se al contrario si concentra solo sulla propria grandezza, non può che farsi superbo, vanitoso e orgoglioso. Da una parte l’umanità capisce la miseria della propria condizione, dall’altra intuisce la possibilità della perfezione. Può fare molte cose, ma non può fare tutto, eppure sogna l’onnipotenza. L’uomo di Pascal è dunque profondamente moderno. Lacerato da contraddizioni insanabili, è dominato dall’inquietudine esistenziale, ben resa dalla celebre metafora che lo descrive come una canna pensante ➝ 27 , un essere fragile ed esposto alle intemperie ma capace di resistervi, perché dotato di pensiero.

La necessità della fede cristiana

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Per Pascal solo la fede cristiana è capace di spiegare l’infelicità umana e di porvi rimedio: l’uomo, creato da Dio perfettamente libero e felice, ha in seguito perso la propria condizione originaria per propria colpa. Non può dunque trovare la felicità senza la fede. Questa, però, non scaturisce dalla ragione, ma è un dono divino, che comporta il salto in un ordine di cose meta-razionale. La medietà è dunque il fondamento della natura umana e nel suo riconoscimento sta la prima tappa di un percorso di fede. Solo il cristianesimo parla all’uomo conoscendone la reale condizione e descrivendolo alternativamente sia come polvere sia come immagine di Dio; solo il cristianesimo dimostra perché egli sente che dovrebbe essere diverso da quello che è, recuperare una natura più perfetta di cui sente di aver goduto un tempo. È la nostalgia dell’Eden che spiega la perenne frustrazione dell’uomo, sempre alla ricerca dell’infinito e della felicità. E la teologia del peccato originale, che Pascal riprende nella versione agostiniana, rende perfettamente conto della miserevole condizione umana, del senso di colpa che nasce dal considerare la propria imperfezione, del fatto che i nostri sogni di santità devono fare i conti con un’istintiva tendenza al peccato, al male verso gli altri e verso se stessi. In definitiva, osserva Pascal, il cristianesimo, pur essendo una fede, e quindi basandosi solo sull’esprit de finesse, riesce a dar conto della realtà umana più di qualunque tradizione filosofica o scienza basata sull’esprit de géométrie. Nella fede vi è un potenziale conoscitivo superiore alla ragione, tanto che l’unica filosofia possibile è una meta-filosofia (così la chiama Pascal) capace di fungere da cerniera tra ragione e religione, cercando risposte ovunque, non solo nei trattati di logica ma anche nei dogmi, nei simboli e nelle narrazioni delle Sacre Scritture. Riguardo le condizioni che rendono possibile la salvezza, Pascal ribadisce la visione agostiniana: dopo il peccato originale, l’uomo non può più salvarsi da solo. E sviluppa questa posizione usando accenti simili a quelli sviluppati nello stesso periodo da Hobbes nel Leviatano (1651): come l’uomo allo stato di natura, così l’uomo che ancora non ha incontrato Dio è dominato dall’egocentrismo e dall’aggressività verso i consimili. Pascal fa propria l’idea che senza religione non possa esistere morale e che quindi l’ateo non possa essere virtuoso: soltanto la grazia divina gli permette di superare l’innata corruzione spirituale prodotta dal peccato originale. Diventiamo buoni solo con l’aiuto di Dio. Dio quindi non può essere quello distillato dalle speculazioni di Cartesio. Il Dio dei filosofi e degli scienziati, utile solo per spiegare l’origine del mondo o il suo funzionamento, non serve a nessuno. Serve piuttosto un Dio-persona con cui parlare, cui rivolgere le proprie preghiere e a cui sottomettersi con devozione.

Materiali per l’apprendimento attivo

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(B. Pascal, Pensieri, Città Nuova, Roma 2003, p. 156)

Guida alla lettura. Di fronte alla grandezza dell’universo l’uomo è un nulla, mentre è un tutto in confronto al nulla dello «scorcio di atomo». l’uomo è dunque un qualcosa di mezzo tra il nulla e il tutto, un essere incomparabilmente più grande e complesso di una formica ma, in confronto alla totalità dell’universo, qualcosa di più piccolo di un acaro. È un’immagine estremamente efficace della condizione “mediana” di noi uomini, per nostra stessa natura destinati alla conoscenza ma anche incapaci di conoscere tutto. 27. La ParOLa ai TEsTi

T8 Pascal L’uomo è una canna pensante In un pensiero rimasto famoso, Pascal afferma che l’uomo è una canna che pensa, intendendo con ciò esaltare l’importanza del pensiero e, contemporaneamente, mettere in rilievo la fragilità della condizione umana.

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L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. È in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale. (B. Pascal, Pensieri, Città Nuova, Roma 2003, p. 162)

guida alla lettura. Esattamente come un giunco, anche l’uomo è impotente davanti all’universo ed è soggetto a ogni tipo di intemperie: può morire, essere maltrattato dal vento o schiacciato. Al contrario di una canna, però, egli ha un vantaggio, costituito dalla facoltà di pensare, che ne fa l’unico essere autocosciente in natura, sancendone la superiorità rispetto a tutte le altre creature. È così poeticamente ma efficacemente espressa la concezione duale di Pascal sull’uomo, soggetto ontologicamente e strutturalmente debole, ma, poiché autocosciente, forte allo stesso tempo.

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Ma per presentargli un altro prodigio altrettanto meraviglioso, cerchi, tra quel che conosce, le cose più minute. Un àcaro gli offra, nella piccolezza del suo corpo, parti incomparabilmente più piccole: zampe con giunture, vene in queste zampe, sangue in queste vene, umori in queste zampe, gocce in questi umori, vapori in queste gocce; e, suddividendo ancora queste ultime cose, esaurisca le sue forze in tali concezioni, sicché l’ultimo oggetto cui possa pervenire sia per ora quello del nostro ragionamento. Egli crederà forse che sia questa l’estrema minuzia della natura. Voglio mostrargli là dentro un nuovo abisso. Voglio raffigurargli non solo l’universo visibile, ma l’immensità naturale che si può concepire nell’àmbito di quello scorcio di atomo. Ci scorga un’infinità di universi, ciascuno dei quali avente il suo firmamento, i suoi pianeti, la sua terra, nelle stesse proporzioni del mondo visibile; e, in quella terra, animali e, infine, altri àcari, nei quali ritroverà quel che ha scoperto nei primi. E, trovando via via negli altri le stesse cose, senza posa e senza fine, si perda in tali meraviglie, che fanno stupire con la loro piccolezza come le altre con la loro immensità. Invero, chi non sarà preso da stupore al pensiero che il nostro corpo – che dianzi non era percepibile nell’universo, che a sua volta era impercettibile in seno al Tutto – sia ora un colosso, un mondo, anzi un tutto rispetto al nulla, al quale non si può mai pervenire?

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Il divertissement Creando un falso senso di sicurezza che nasconde l’abisso o il vuoto interiore, i divertissements ci impediscono di riconoscere la nostra miseria. Come si è visto, il dramma psicologico dell’uomo non sta tanto nella sua insufficienza quanto nella dolorosa consapevolezza di esserlo. È una percezione destabilizzante cui gli individui cercano di sfuggire in ogni modo. Posti di fronte all’infinito, che li inquieta sottolineandone la piccolezza, fanno di tutto non per affrontare il problema ma per abolirlo o per dimenticarsene: se riuscissero a fermarsi per un istante e guardare onestamente dentro di sé, argomenta Pascal, riconoscerebbero la loro disperazione. Per questo passano la maggior parte del tempo a nascondere a se stessi la loro condizione, ad auto-ingannarsi. La cosa che maggiormente temono è mettersi a pensare. Il principale dispositivo con cui tentiamo di proteggerci dall’angoscia è il divertissement (dal latino devertere, “deviare”, “volgere altrove”), un termine che Pascal introduce nel vocabolario filosofico per indicare l’insieme delle occupazioni in cui l’individuo si impegna per riempire la mente, così da non affrontare il problema dell’esistenza ➝ 28 . Queste “distrazioni” possono portare a comportamenti immorali o colpevoli, ma più spesso consistono in attività di intrattenimento, come i giochi di società, le chiacchere salottiere ➝ 29 o in passatempi innocenti ma non edificanti (lo sport, la scherma). Ancora più frequentemente si cerca il divertissement in occupazioni per nulla divertenti, come accumulare ricchezze, compiere imprese audaci o dedicare la propria vita alla scienza, attività non riprovevoli in sé, ma che lo diventano quando servono a stordirci. Un’alternativa ancor peggiore del divertissement è per Pascal la noia, lo stare in pieno riposo, senza passioni e senza affari da sbrigare. Per l’uomo non vi è nulla di più insopportabile, perché lo stare soli con se stessi cercando tuttavia di non pensare produce malinconia, tristezza e disperazione. Nella filosofia pascaliana la fuga da se stessi nel divertissement è un impulso psicologico tanto potente da aver plasmato la società, la quale si è andata strutturando in modo da sollecitare l’individuo verso occupazioni continue oppure offrendogli l’agognato stordimento nelle forme dello svago e dell’intrattenimento. La visione pessimistica della natura umana si accompagna dunque in questo autore a una radicale critica alla società e ai suoi finti valori. Le uniche situazioni in cui il divertissement diventa impraticabile sono quelle della malattia e della sofferenza, come ben sa lo stesso Pascal, tormentato fin dalla giovinezza da mali insopportabili e morto precocemente, ad appena 39 anni.

GuIda allo sTudIo • In che cosa consiste la teoria della grazia difesa

da Pascal nelle Lettere provinciali? • Quale contrapposizione esprime il binomio concettuale esprit de géométrie e esprit de finesse? • In che cosa consiste la natura duplice dell’uomo? • Quali sono i due infiniti tra i quali l’uomo è sospeso? • A quali princìpi è in grado di accedere la facoltà del cuore? • Che cosa intende Pascal quando sostiene che dio «gioca a nascondino»?

• Che cosa rende il cristianesimo superiore alle

altre religioni? • Se la fede è una scelta del cuore, cosa può fare

l’uomo per favorirla? • Quali temi della riflessione pascaliana

anticipano la filosofia esistenzialista? • Quale celebre metafora impiega Pascal per

descrivere la condizione umana? • Attorno a quale principio psicologicoesistenziale dell’uomo si è andata plasmando la società, e con quali conseguenze?

Materiali per l’apprendimento attivo 28. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

▶ Jean Paul Sartre.

29. CoMpetenze > La filosofia e il presente

una vita per Chattare? Anche se la parola divertissement si traduce con “divertimento”, filosoficamente la si può intendere come una “fuga da sé” o come un “oblio e stordimento di sé”. È un concetto estremamente moderno, che si applica benissimo anche al mondo di oggi. Pascal parla delle conversazioni vuote di contenuto tipiche dei salotti, ma oggi probabilmente parlerebbe delle chat e delle chiacchiere (oggi diremmo del gossip), forse ancor più vuote di contenuto, veicolate dagli attuali mezzi di comunicazione. Applica a te stesso, con rigore, le sue considerazioni: quanto tempo della tua giornata passi al telefonino? Cosa spinge a un suo uso smodato? Il chattare continuamente non è forse la forma più attuale di divertissement, cioè di stordimento, che gli uomini hanno a disposizione? oppure, al contrario, pensi che queste siano raccomandazioni moralistiche, tipiche di educatori di vecchia generazione? Prova a formulare argomenti validi a sostegno di entrambe queste tesi.

2 b L A IS e PAS C A L

film

L’EsisTENZiaLisMO le riflessioni di Pascal sui modi in cui l’individuo cerca l’oblio di se stesso anticipano i temi dell’esistenzialismo, una corrente della cultura contemporanea che riunisce filosofi e letterati di diversa impostazione intellettuale, sia credenti che laici, accomunati dal porre come oggetto della ricerca il rapporto fra il singolo e la propria vita e tra il singolo e la propria morte. Fra questi, particolarmente affine a Pascal, per la comune fede religiosa, è il danese søren kierkegaard (1813-55), che sviluppa in particolare il tema dell’angoscia, il sentimento doloroso (ben diverso dalla paura, che si prova di fronte a un oggetto determinato), originato dalla considerazione di esseri liberi, ma al contempo incapaci di compiere scelte fondamentali. Sul tema della noia ritornerà anche il filosofo tedesco arthur schopenhauer (1788-1860), che vi vede l’unica alternativa al dolore e alla sofferenza. È però soprattutto nelle opere letterarie che si sono sviluppate le più acute indagini su questo stato d’animo di indifferenza e di mancanza di significato, accompagnato dalla conturbante percezione dello scorrere del tempo, in particolare nel romanzo La nausea (1938) di Jean paul sartre (1905-80); La peste (1947) di Albert Camus (1913-60) e La noia (1960) di Alberto Moravia (1907-90). Il problema esistenziale della morte e della sopravvivenza o meno dell’anima è anche al centro di numerosi film. fra questi Decalogo I di Krzysztof Kiéslowski, che racconta di un fisico e professore universitario separato dalla moglie e costretto a crescere il figlio da solo. grande appassionato di computer, egli è convinto che tutta la vita possa essere descritta matematicamente attraverso l’uso del computer e che non esiste alcuna dimensione trascendente della realtà: alla morte il cervello smette semplicemente di funzionare. L’incontro casuale del figlio con un cane morto congelato in strada scatena nel piccolo un interesse per il mondo trascendente, che lo porta a farsi domande sul senso della morte. Attraverso i personaggi il regista mette in scena la contrapposizione fra scienza e fede nel rispondere ai dubbi e alle domande dell’esistenza.

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5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Test di autovalutazione 18. Le Lettere provinciali sono un tentativo

raGiONE E FEDE: iL PrOBLEMa rELiGiOsO DOPO CarTEsiO 1. La laicità coincide con il rifiuto della religione.

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2. I libertini sostengono la separazione della filosofia dalla morale.

3. I libertini sono atei.

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6. Al cuore dell’occasionalismo vi è una dottrina teocentrica che individua in dio l’unica causa di tutto ciò che avviene.

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11. In più occasioni la Chiesa cattolico-romana condanna la dottrina teologica giansenista come eretica e vicina al protestantesimo.

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13. Per Bayle l’ateismo è preferibile alla fede.

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14. ogni fede, sostiene Bayle, porta con sé la possibilità che da essa si sviluppino il dogmatismo e l’intolleranza.

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BLaisE PasCaL 16. Per Pascal solo il cristianesimo è in grado di dare una risposta adeguata al senso dell’esistenza.

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del cristianesimo non fornendo prove razionali dell’esistenza di Dio, ma presentando il cristianesimo come l’unica risposta V coerente all’enigma dell’uomo.

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21. Pascal ritiene che la fede cristiana necessiti

22. mentre non può comprendere l’infinitamente grande, l’uomo può al contrario afferrare l’infinitamente piccolo.

24. L’uomo è in se stesso duplice, caratterizzato

25. nei Pensieri pascal vuole provare la verità

26. Credere in Dio equivale a scommettere in V

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27. per pascal, al contrario che nel campo filosofico, nel sapere scientifico è possibile operare una regressione all’infinito dei concetti.

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28. Dimostrando una correlazione fra la pressione

15. Bayle sostiene che alcuni fatti naturali abbiano il carattere di un presagio divino, ossia che implichino una particolare connessione con la provvidenza divina.

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qualcosa di cui non si è sicuri.

12. Bayle intende dimostrare che l’ateismo è superiore alla fede.

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da miseria e grandezza e continuamente conteso fra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande.

10. Il giansenismo è caratterizzato da un forte ritorno al pensiero di tommaso d’Aquino.

dell’uomo, Pascal insiste allo stesso tempo sui rischi gnoseologici e religiosi di una assolutizzazione della ragione.

limite di non spiegare l’esistenza umana. V

9. Al cuore delle riflessioni dei giansenisti vi è la discussione teologica sui rapporti tra libertà dell’uomo e grazia divina, che essi approfondiscono in chiave anti-agostiniana.

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23. per pascal la filosofia cartesiana ha il grande

8. Il giansenismo, nel particolare contesto in cui sorge, assume una connotazione esplicitamente a favore dell’autorità papale.

che ha per oggetto le cose esteriori o gli enti astratti della matematica e che procede dimostrativamente.

di abitudine alle pratiche religiose, le quali fortificano l’uomo.

7. malebranche sostiene che i movimenti corporei hanno come causa ultima la volontà umana.

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20. Pur considerandola ciò che sancisce la grandezza

5. L’occasionalismo è un tentativo di risolvere il problema dell’interazione anima-corpo.

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19. Lo spirito di finezza è la ragione scientifica,

4. Per malebranche la conoscenza sensibile è in grado di giudicare come sono le cose in se stesse.

di orientare l’opinione pubblica cristiana a favore della critica dei gesuiti verso le dottrine di giansenio.

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29. Sino all’ultimo, pascal lavora a un’incompiuta Apologia del cristianesimo, di cui i più celebri frammenti pubblicati postumi con il titolo Pensieri costituiscono il materiale preparatorio.

30. Le Lettere provinciali costituiscono un capolavoro di profondità e umorismo con le quali pascal dà il suo appoggio alla dottrina molinista.

17. Il divertimento è per gli uomini una “fuga da sé” positiva, perché consente loro di allontanare il pensiero dagli interrogativi sulla vita e V sulla morte.

atmosferica e il livello del liquido contenuto nel tubo barometrico, pascal, ancora giovanissimo, riesce a smentire l’esperienza di torricelli.

LAVORO SUL TESTO

Pascal La ragione e il cuore • T10 Pascal Differenza fra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza • T11 Pascal Il divertissement e la noia • T9

T9

Pascal La ragione e il cuore

In questo famoso brano dei Pensieri Pascal ridimensiona il ruolo della ragione come unica facoltà conoscitiva, aggiungendo un’altra facoltà, il cuore, con cui si conoscono i «princìpi primi». È frequente che l’espressione «ragioni del cuore» venga erroneamente fatta coincidere con un vago sentimentalismo o con il campo irrazionale delle emozioni e delle passioni. leggendo attentamente il frammento, si comprende come Pascal si riferisca piuttosto a un altro tipo di ragione, che nella storia della filosofia, fin dai tempi di Platone, è indicato come «pensiero noetico» (dal greco noèin, “intuire”, “comprendere”) o come «intuizione intellettuale»: la conoscenza intuitiva e diretta delle cose, che si distingue dal ragionamento discorsivo.

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oi conosciamo la Verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore. In quest’ultimo modo conosciamo i princìpi primi; e invano il ragionamento, che non vi ha parte, cerca d’impugnare la certezza. I pirroniani, che non mirano ad altro, vi si adoperano inutilmente. Noi, pur essendo incapaci di darne giustificazione razionale, sappiamo di non sognare; e quell’incapacità serve solo a dimostrare la debolezza della nostra ragione, e non come essi pretendono, l’incertezza di tutte le nostre conoscenze. Infatti, la cognizione dei primi princìpi – come l’esistenza dello spazio, del tempo, del movimento, dei numeri –, è altrettanto salda di qualsiasi di quelle procurateci dal ragionamento. E su queste conoscenze del cuore e dell’istinto deve appoggiarsi la ragione, e fondarvi tutta la sua attività discorsiva. (Il cuore sente che lo spazio ha tre dimensioni e che i numeri sono infiniti; e la ragione poi dimostra che non ci sono due numeri quadrati l’uno dei quali sia doppio dell’altro. I princìpi si sentono,

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5. Pas Ca L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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le proposizioni si dimostrano, e il tutto con certezza, sebbene per differenti vie). Ed è altrettanto inutile e ridicolo che la ragione domandi al cuore prove dei suoi primi princìpi, per darvi il proprio consenso, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proposizioni che essa dimostra, per indursi ad accettarle. Questa impotenza deve, dunque, servire solamente a umiliare la ragione, che vorrebbe tutto giudicare, e non a impugnare la nostra certezza, come se solo la ragione fosse capace d’istruirci. Piacesse a Dio, che, all’opposto, non ne avessimo mai bisogno e conoscessimo ogni cosa per istinto e per sentimento! Ma la natura ci ha ricusato un tal dono; essa, per contro, ci ha dato solo pochissime cognizioni di questa specie; tutte le altre si possono acquistare solo per mezzo del ragionamento. Ecco perché coloro ai quali Dio ha dato la religione per sentimento del cuore sono ben fortunati e ben legittimamente persuasi. Ma a coloro che non l’hanno, noi possiamo darla solo per mezzo del ragionamento, in attesa che Dio la doni loro per sentimento del cuore: senza di che la fede è puramente umana, e inutile per la salvezza. (B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, pp. 58-59)

GuiDa aLL’aNaLisi

la ragione, ci dice Pascal, è lo strumento fondamentale di cui gli uomini dispongono per comprendere la realtà, ma non è signora assoluta. Per funzionare deve riconoscere i propri limiti: da un lato, essa è impotente davanti a ciò che la precede (l’evidenza), che non può essere oggetto di dimostrazione, perché è il punto di partenza di ogni discorso possibile; dall’altro, essa si ferma necessariamente davanti a ciò che la supera, la totalità

della realtà, a cui la ragione aspira ma da cui è sempre superata. Non rimane, per la ragione, che fondarsi su una conoscenza che derivi dall’istinto e dal cuore. Il termine coeur, tuttavia, non ha nulla della connotazione sentimentale che la parola ha assunto nel linguaggio attuale. Indica piuttosto la capacità originaria di riconoscere l’evidenza, con un significato simile a quello che assume l’espressione common sense in inglese.

Pascal Differenza fra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza

T10

concettualmente affine alla distinzione fra cuore e ragione è quella fra lo spirito di finezza e quello di geometria, ossia tra due tipi d’intuizione, quella dei matematici e quella degli uomini di mondo che si muovono agevolmente nelle relazioni umane. si tratta della differenza di capacità umane che Pascal ha incontrato nella sua stessa biografia, contraddistinta dall’esperienza dei salotti parigini e dall’impegno scientifico.

N 5

el primo i principi sono tangibili, ma lontani dal comune modo di pensare, sicché si fa fatica a volger la mente verso di essi, per mancanza di abitudine; ma, per poco che la si volga a essi, si scorgono pienamente; e solo una mente affatto guasta può ragionar male sopra principi così tangibili che è quasi impossibile che sfuggano.

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(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, pp. 5-6)

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Nel campo della conoscenza, afferma Pascal, esistono due possibili forme di comprensione, che a loro volta partono da fondamenti diversi. lo «spirito di geometria», ossia la conoscenza analitico-scientifica, si ottiene con procedimenti perfettamente geometrici e razionali, ma allo stesso tempo lontani dall’uso comune. l’altra forma di conoscenza, data dallo «spirito di finezza», è la conoscenza esistenziale dell’uomo, dei moti della sua anima, dei princìpi che ne governano la sfera spirituale. Questa conoscenza lavora in maniera sintetica: si rivolge ai princìpi e fenomeni di “uso comune” riuscendo a coglierli nella loro interezza e complessità.  Lo spirito di geometria non è sufficiente per compren-

dere la realtà, poiché non arriva a capire i fondamenti dell’esistenza umana. ogni scienza che non consideri l’uomo è dunque una scienza inutile, se non addirittura dannosa. D’altra parte, se lo spirito di geometria senza lo spirito di finezza è sterile e vano, lo spirito di finezza senza lo spirito di geometria è debole, non potendo discendere fino ai princìpi più profondi e più veri dell’uomo. La scienza (che si fonda sullo spirito di geometria) e la filosofia (che si fonda sullo spirito di finezza) non sembrano quindi poste da Pascal in reciproca contraddizione, ma appaiono piuttosto come due campi complementari e necessari l’uno all’altro.

369 l Avoro S ul t eS to

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Nello spirito di finezza i principi sono, invece, nell’uso comune e dinanzi agli occhi di tutti. Non occorre volgere il capo o farsi violenza: basta aver buona vista, ma buona davvero, perché i principi sono così tenui e così numerosi che è quasi impossibile che non ne sfugga qualcuno. Ora, basta ometterne uno per cadere in errore: occorre, pertanto, una vista molto limpida per scorgerli tutti e una mente retta per non ragionare stortamente sopra principi noti. Tutti i geometri sarebbero, quindi, fini se avessero la vista buona, giacché non ragionano falsamente sui principi che conoscono; e gli spiriti fini sarebbero geometri se potessero piegare lo sguardo verso i principi, a loro non familiari, della geometria. Se, dunque, certi spiriti fini non sono geometri, è perché sono del tutto incapaci di volgersi verso i principi della geometria; mentre la ragione per cui certi geometri difettano di finezza è che non scorgono quel che sta dinanzi ai loro occhi e che, essendo usi ai principi netti e tangibili della geometria, e a ragionare solo dopo averli ben veduti e maneggiati, si perdono nelle cose in cui ci vuol finezza, nelle quali i principi non si lascian trattare nella stessa maniera. Infatti, esse si scorgono appena; si sentono più che non si vedano; è molto difficile farle sentire a chi non le senta da sé: sono talmente tenui e in così gran numero che occorre un senso molto perspicuo e molto delicato per sentirle e per giudicarne poi in modo retto e giusto secondo tale sentimento, senza poterle il più delle volte dimostrare con ordine rigoroso, come nella geometria, perché non se ne possiedono nella stessa maniera i principi e volerlo fare sarebbe un’impresa senza fine. Bisogna cogliere la cosa di primo acchito con un solo sguardo, e non per progresso di ragionamento, almeno sino a un certo punto […].

5. Pas Ca L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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T11

Pascal Il divertissement e la noia

con questi frammenti, in assoluto fra i più noti dei Pensieri, ci troviamo di fronte a uno degli argomenti di Pascal più attuali. egli analizza la causa che si cela dietro al continuo desiderio umano di distrarsi e di non pensare. una riflessione che ben si accorda con l’epoca storica di Pascal: costruendo la reggia di Versailles, con le sue feste e i suoi banchetti sfarzosi, luigi XIV aveva innanzitutto provocato la distrazione dei nobili dalle faccende politiche. Ma è anche una riflessione più viva che mai in questa nostra epoca segnata dal dominio dei mezzi di comunicazione e di “distrazione” di massa.

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uando mi sono messo talvolta a considerare le diverse agitazioni degli esseri umani e i pericoli e le pene a cui si espongono, alla Corte, in guerra, da cui nascono tante liti, tante passioni, imprese ardite e spesso malvagie, ecc., ho scoperto che tutta l’infelicità degli esseri umani deriva da una sola cosa e cioè non saper restarsene tranquilli in una camera. Un uomo che possieda tanto da vivere, se sapesse starsene con piacere a casa propria, non se ne allontanerebbe per andare sul mare o all’assedio di una piazzaforte. Si compera così a caro prezzo un grado nell’esercito soltanto perché riuscirebbe insopportabile non muoversi dalla città; e si cercano le conversazioni e lo svago dei giuochi soltanto perché non si può rimanere a casa propria con piacere. Ma, quando ho meditato la cosa più a fondo, e dopo aver trovato la causa di tutti i nostri mali, ne ho voluto scoprire le ragioni, mi sono reso conto che ce n’è una realissima: l’infelicità naturale della nostra condizione debole e mortale, e talmente misera che nulla ci può consolare, allorché ci riflettiamo con attenzione. (B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, pp. 150-54)

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ulla è così insopportabile all’uomo come essere in un pieno riposo, senza passioni, senza faccende, senza svaghi, senza occupazione. Egli sente allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. E subito sorgeranno dal fondo della sua anima il tedio, l’umor nero, la tristezza, il cruccio, il dispetto, la disperazione. [...] La dignità regale non è forse di per sé così grande per se stessa da render felice chi la possiede con la sola visione di quel che è? Bisognerà distrarlo da quel pensiero, come la gente comune? Vedo bene che, per render felice un uomo, basta distrarlo dalle sue miserie domestiche e riempire tutti i suoi pensieri della sollecitudine di ballar bene. Ma accadrà il medesimo con un re, e sarà egli più felice attaccandosi a quei frivoli divertimenti anziché allo spettacolo della sua grandezza? E qual oggetto più soddisfacente si potrebbe dare alla sua mente? Non sarebbe far torto alla sua gioia occupare il suo animo a cercare di adattare i suoi passi al ritmo d’una musica o di mettere a segno una palla, invece di lasciarlo godere tranquillo la contemplazione della gloria maestosa che lo circonda? Se ne faccia la prova: si lasci un re completamente solo, senza nessuna soddisfazione dei sensi, senza nessuna occupazione della mente, senza compagnia, libero

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(B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, p. 157)

GuiDa aLL’aNaLisi

Anche i re, esattamente come gli altri uomini, hanno bisogno di distrarsi dalle questioni esistenziali più angosciose. Anche per loro, che apparentemente non avrebbero alcuna ragione di provare sconforto, vale lo stesso meccanismo psicologico difensivo che si applica a ogni individuo: solo evitando di annoiarsi, e dunque di rimanere soli con se stessi, si riesce a scansare il pensiero della morte. Soffocandolo sotto il frastuono provocato dal chiacchiericcio e da un forsennato vortice di attività e di svaghi, l’uomo trova una forma di serenità. Ma è una serenità provvisoria: presto si è gettati nella realtà e non si può evitarla troppo a lungo. l’argomentazione di Pascal è stata recentemente recuperata dal linguista, filosofo e scienziato della comunicazione americano Noam Chomsky (nato nel

1928), che ha in più occasioni teorizzato l’esistenza di una vera e propria strategia della distrazione. A suo avviso l’elemento principale del controllo sociale consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, inondandolo di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. tale strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze scientifiche, economiche, psicologiche, neurobiologiche e cibernetiche. Si tratta di una manipolazione della volontà e della continua distrazione delle coscienze che non lascia agli individui alcun tempo per pensare e interessarsi alle conoscenze essenziali al di fuori delle proposte già date.

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di pensare a sé a suo agio; e si vedrà che un re privo di distrazioni è un uomo pieno di miserie. Così si evita con cura un tal caso, ed esso ha sempre intorno a sé un gran numero di persone che badano a far seguire agli affari di Stato gli svaghi e che predispongono piaceri e giuochi per riempire tutto il tempo in cui resterebbe altrimenti in ozio, dimodoché non resti mai un vuoto. Ossia, i re son circondati da persone che si prendono una cura singolare di evitare che restino soli e in condizione di pensare a loro stessi, ben sapendo che, se ci pensassero, sarebbero infelici, nonostante che siano re. In tutto questo discorso, parlo dei re cristiani non in quanto cristiani, ma solo in quanto re.

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

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Laboratorio Prepararsi all’interrogazione Confronto tra filosofi 1. PasCaL E CarTEsiO Cartesio

Pascal

dio

Garante della veridicità delle idee «chiare e distinte». Creatore dell’universo e principio del movimento.

Il Dio-persona vicino all’uomo, il «Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei dotti» (Memoriale).

ragione e fede

Sono indipendenti, nella filosofia conta soltanto la prima.

la fede dà risposta ai problemi esistenziali che la ragione non può risolvere.

la conoscenza

Si basa unicamente sulla ragione e in particolare sul metodo deduttivo (matematico).

Accanto alla ragione (esprit géométrique) è importante l’intuizione (esprit de finesse), accanto alla ragione sono importanti le ragioni del cuore, «che la ragione non conosce» (Pensieri).

2. La rELiGiONE DEi GEsuiTi E QuELLa Di PasCaL Gesuiti

Pascal

Importanza dei riti e dell’esteriorità.

Importanza della dimensione interiore.

Casuismo: i comandamenti e i precetti si adattano alle varie circostanze.

I comandamenti sono universali e devono essere comunque seguiti.

lassismo: religione concessiva, conciliabile con gli affari e con la vita quotidiana.

rigorismo: l’adesione al cristianesimo si presenta come una vera conversione, che cambia completamente la propria esistenza.

tendenza a usare la religione per soddisfare le esigenze personali, ponendo l’accento su aspetti diversi con persone diverse.

la religione è vista in modo univoco, richiedendo in ogni caso un forte coinvolgimento personale.

religiosità istituzionalizzata e conciliabile con la società borghese.

religiosità come dimensione individuale o di piccole comunità.

Confronto tra idee Prepararsi all’interrogazione

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3. iL PrOBLEMa Di DiO

P re PA rA rS I A l l’IN t e rroG A z IoN e

Confronto tra filosofi definizione

l’ambito della filosofia che ha come oggetto lo studio di Dio si chiama teologia.

Si distingue tra una teologia positiva e una teologia negativa, la prima come 1. PLaTONE E PiTaGOra

discorso su Dio che ne individua alcuni attributi, sulla base della ragione e della Pitagora mentre la seconda poggia sulla convinzione Platone rivelazione, che l’uomo non può conoscere Dio può dire solociciò che non è (non male, non eè da materiale come si conosce Mediante la epurificazione allontaniamo dalleèsensazioni ciò che ecc.). è Allaindividuale teologia negativa è di la solito connesso atteggiamento la verità? e liberiamo ragione con laun quale conosciamo esistenziale l’universale.verso la fede, in base al quale Dio non viene cercato con la ragione, ma dentro di sé, nella Qual è la vera Il numero, che necome definisce la ai problemi le della idee, propria tra le quali propria esperienza, risposta vita.sono Alla teologia essenza delle cose? positiva struttura è il limitante le ideeè di razionale, solito associata una concezioneparticolarmente più sistematica importanti della religione, che limita e consente valori e quelle matematiche. Nel inserita in unl’illimitato sistema filosofico che di dà risposta anche ai problemi metafisici, comprenderlo. Timeo illaprimo stessaatteggiamento struttura dell’universo gnoseologici, cosmologici ecc. Schematicamente rimanda ricondotta alla matematica a Platone, si afferma con sant’Agostino, lo sièritrova in erasmo e in Pascal.eIlnelle «dottrine non la matematica secondo, invece, rimanda ad Aristotele, viene precisato dascritte» san tommaso, e lo ha un’importanza centrale. ritroviamo nel razionalismo del Seicento (Cartesio, Spinoza, leibniz).

Qual è il rapporto tra Individua Cartesio l’animainè Dio immortale e dopo la morte del corpo torna adelle incarnarsi un essere la soluzione al problema della veridicità idee, diinfronte anima e corpo? più o meno elevato da in base alla purificazione raggiunta durante la non vita.può Il corpo al «dubbio iperbolico» lui stesso ipotizzato. Dio, in quanto verace, è legato ainé,sensi, alle passioni in genere è legata ingannarmi in quanto infinitaebontà, può all’individualità; permettere che l’anima altri lo faccia. laalla ragione e di alla dimensione conoscenza sia mente dell’etica. conclusione Cartesio è cheuniversale le idee chesia si della presentano alla mia come «chiare e distinte» debbono essere necessariamente vere. Dio è il creatore dell’universo fisico e dà ad esso il movimento iniziale, senza però intervenirvi in 2. PLaTONE E ParMENiDE seguito: la fisica è spiegata sulla base di un rigido meccanicismo. pascal che cos’è l’essere?

Parmenide

Platone

Il Dio cartesiano è il Dio della ragione, il Dio dei filosofi. Quello di Pascal è «il Dio l’essere èildistinto è distinto dall’esistente, da ciò di Abramo», Dio del dall’esistente, cristianesimo. Non è, l’essere cioè, un’entità impersonale, la cui da ciò che conosciamo con i sensi. che conosciamo con i sensi. È costituito esistenza è affermata sulla base di un’esigenza logica, ma è una realtà storica unico, non ha origine né fine, è dalle cheper sono molteplici ma cheÈ dà risposta a problematiche esistenziali. Nonidee, si può, Pascal, dimostrare immutabile. ognuna ha le caratteristiche dell’essere l’esistenza di Dio, perché la ragione ha limiti precisi e non può comprendere parmenideo, immutabile e non l’infinito. Il ragionamento deduttivo, l’esprit de géométrie, èpuò farci capire soloha origine né fine. alcune cose. Dio lo si avverte invece con il cuore, con l’esprit de finesse, cioè lo si intuisce in deriva quantodalla offresensazioni una spiegazione della paradossale condizione dell’uomo, Qual è il rapporto la dóxa ed è pura apparenza, la verità si raggiunge con che avverte la propria miseria ma insieme la propria grandezza, come, per tra opinione (dóxa) e la ragione. ricordare un’altra sua celebre espressione, «un re decaduto». verità (alétheia)?

come si raggiunge la Spinoza Spinoza Attraverso ragione (il lógos),cartesiana di Attraverso ragione discorsiva muoveladalla definizione sostanza,laintesa come ciò che non verità? Parmenide anche dellacioè, in altri (diánoia) e l’intelligenza (noésis). ha ma bisogno d’altroparla per sussistere, termini, come causa di se stessa. da parte della dea Dike. perché tutte le altre lo presuppongono. Ma,rivelazione così definita, solo Dio è sostanza, Spinoza disegna quindi una grandiosa visione panteistica, in cui tutti gli esseri che cosa è possibile che è, perché ogni altro Dire che le Socrate è Platone non nonSoltanto sono che «modi» dell’unica sostanza, così come onde, non che sembrano dire dell’essere? predicato implicherebbeindividuali, il non essere significa il non essere possedere caratteristiche non sono altro predicare che modificazioni dell’unica (se dicessi Socrate saggio, dell’essere,e ma predicare la diversità superficie del che mare. I corpièsono modi dell’estensione le idee sono modi del direi che è sciocco, ma in questo Socrate da la pensiero, ednon estensione e pensiero non sonodisostanze maPlatone. attributiQuindi dell’unica modo predicherei non essere è possibile. sostanza divina. Dio èil tutto, coincide con lapredicazione natura, la quale si manifesta alla dell’essere). conoscenza umana come una molteplicità di individui che nascono e muoiono, ma essi non sono altro che espressione di una realtà unica e unitaria. Leibniz

la visione spinoziana fa scomparire l’individualità riducendola a modo, cioè a manifestazione dell’estensione o del pensiero. Partendo dal principio di ragion sufficiente, Leibniz recupera l’individualità della sostanza, moltiplicandola all’infinito. Secondo la sua prospettiva, ogni individuo percepibile è in realtà un aggregato di monadi che sono «atomi psichici», entità inestese ognuna delle quali rispecchia in sé l’intero universo. Dio è la monade suprema, che crea le altre monadi e le accorda in modo che gli eventi percepiti dall’una corrispondano a quelli percepiti dalle altre senza tuttavia un’azione reciproca, ma solo su un piano ideale (teoria dell’armonia prestabilita).

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

374

Pensare il presente Questioni di attualità L’esperienza della malattia può essere creativa? Cosa può esservi di positivo in un disturbo fisico? Pascal, che di malanni soffre dall’infanzia sino alla prematura morte, affronta questo tema e sintetizza le sue riflessioni in un breve opuscolo, Preghiera per chiedere il buon uso delle malattie (1659). È una preghiera rivolta non ai ▲ Pain & Sickness, 1987, opera realizzata da un ragazzo di 16 anni afflitto da medici ma a Dio, e riguarda emicrania presente nella galleria d’arte dedicata ai sintomi dell’emicrania, più le malattie dell’anima Migraine Action Art Collection (www.migraineart.org.uk) promossa che quelle del corpo. Il medidall’ente benefico nazionale, Migraine Action. co può offrire solo una guarigione fisica, ma la salute che interessa a Pascal è quella che viene dalla grazia, è la guarigione dal peccato e la salvezza eterna. Così, ribaltando il comune modo di pensare, egli sostiene che la vera malattia è quella di chi, in perfetta salute fisica, dimentica la sua condizione di peccatore miserevole. E al contrario, la sofferenza fisica è uno strumento di salvezza, un aiuto divino in soccorso di coloro che hanno il cuore indurito da una vita edonistica. La malattia è espiazione dei peccati, ma anche un’occasione per parlare con Dio; è uno strumento conoscitivo che consente di guardare con lucidità alla propria vera situazione.

1. La malattia di Pascal Ma di quale patologia soffriva Pascal? I medici che lo visitarono non giunsero mai a una diagnosi definitiva, tanti e diversi erano i sintomi di cui si lamentava: dolori diffusi, emicranie, irritabilità, prostrazione generale, persistenti disturbi digestivi e, a partire dal 1647, una semiparalisi che lo costrinse all’uso delle stampelle. Nel corso della storia, basandosi sulle testimonianze riportate nei suoi scritti, non pochi medici hanno tentato di risolvere il quesito diagnostico, avanzando l’ipotesi della tisi, che aveva decimato i suoi ascendenti materni, oppure di una neuroastenia accompagnata da una forte tendenza all’ipocondria. Solo all’inizio del secolo scorso il progresso della medicina ha permesso di attribuire un significato diagnostico ad alcuni sintomi lamentati da Pascal, come dimostra la ricerca dell’oftalmologo francese René Onfray (1876-1968) intitolata L’abime de Pascal (L’abisso di Pascal, 1923). Il filosofo

2. L’arte emicranica Si tratterebbe, secondo l’oftalmologo, di un buco nero nel suo quadro visivo provocato dalla emicrania con aura, una sindrome neurologica scoperta all’inizio del Novecento caratterizzata dal fatto che lo scoppio di una terribile cefalea è preceduto dalla “aura”, cioè da un susseguirsi di distorsioni visive e allucinazioni che per circa 15 minuti si sovrappongono al campo visivo come se si stesse assistendo a un film. È possibile, argomenta Onfray, che anche certe stranezze riscontrabili nel manoscritto dei Pensieri siano dovute ad attacchi di questa patologia: in un foglio, ad esempio, compaiono disegni autografi di distorsioni visive, linee a zig-zag e punti scintillanti (fosfeni) tipici dell’aura. Oggi lo sappiamo con certezza perché queste allucinazioni, che si presentano sempre in forme simili, sono state catalogate con precisione e sono diventate oggetto di una specifica categoria artistica, la cosiddetta arte emicranica, riservata ai pazienti che rappresentano in opere pittoriche le loro allucinazioni pre-emicraniche. Digitando «migraine art» (o «arte emicranica») in un motore di ricerca puoi trovare decine di illustrazioni allucinatorie, come quella che puoi vedere nella pagina precedente, in cui un paziente ha rappresentato se stesso mentre, in preda a un attacco di vomito, vede la stanza trasformata da linee zigzaganti e alla sua destra un buco nero che interpreta come un’inquietante figura umana.

Per riflettere oggi i neurologi sono convinti che alcuni celebri intellettuali del passato abbiano sofferto come Pascal di emicrania con aura: fra i filosofi vi sono Kant, Nietzsche e Freud; fra gli scienziati Gerolamo Cardano, linneo, Darwin; fra i pittori Giorgio de Chirico e suo fratello Savinio; fra i letterati lewis Carroll, l’autore di Alice nel Paese delle meraviglie. e ciò pone un problema che per essere irrisolvibile sul piano scientifico possiamo ben chiamare filosofico: quanto la loro creatività fu influenzata dal vivere un’esperienza strana, inspiegabile, unica ma ricorrente, una sequenza allucinatoria che deformava il mondo circostante pur mantenendo tratti fortemente realistici?

Per sperimentare Basta chiudere gli occhi e stropicciarli dolcemente con le dita: non è difficile e neppure pericoloso sperimentare il grado minimo dei fenomeni allucinatori, ossia i fosfeni, i punti di luce irradiante usualmente chiamati «stelline». Ma se hai gli occhi chiusi, come possono prodursi questi lampi luminosi? Come può il cervello creare scintille di luce? E cosa accade se persisti nell’esperimento per qualche minuto? Prova e confronta la tua esperienza con questo quadro di de Chirico. ▶ Giorgio de Chirico, Sole sul cavalletto, 1973, olio su tela (Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico).

375 P e N SA re Il P reS e N t e

andava soggetto alla ricorrente e terribile esperienza di vedere una cavità, un precipizio o una voragine scura e senza fondo spalancarsi sul pavimento alla sua sinistra. Ne rimaneva a tal punto spaventato che per rassicurarsi di non cadere in questo abisso spostava una sedia o un mobile su quel lato, tanto che, suggerisce Onfray, la sua insistenza nei Pensieri sulla metafora dell’inghiottimento nell’infinito potrebbe essere legata a queste sue esperienze.

5. Pas C a L E i L P rOB L E M a rE L i G i OsO D OP O Ca rT E si O

376

Filosofia e cittadinanza Le diverse anime della Chiesa cattolica Il contrasto tra Pascal (e i giansenisti) e i gesuiti espresso nelle Lettere provinciali dimostra come la Chiesa cattolica sia una realtà complessa e da sempre attraversata da un animato dibattito interno, legato sia a questioni teologico-dottrinali sia ai diversi punti di vista su quale debba essere il rapporto fra la Rivelazione e il mondo in perenne cambiamento in cui la comunità dei fedeli vive. Soprattutto per quanto riguarda questo secondo aspetto, il dibattito interno alla Chiesa cattolica oggi è più vivo che mai e si incarna nello scontro fra la linea di ▲ Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco. papa Francesco, considerata progressista, e quella più conservatrice dei tradizionalisti, soprattutto statunitensi. Proprio dagli Stati Uniti è partita l’accusa di eresia contro il pontefice in merito alle sue posizioni espresse in Amor laetitia (l’esortazione apostolica di Francesco del 2016 che raccoglie il suo pensiero sulla famiglia) che aprono uno spiraglio sulla possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati e di ammettere la contraccezione in alcuni casi specifici (ad esempio per le donne esposte al virus Zika in Asia, in Africa e nel Pacifico). Sono aperture fortemente criticate anche dai vescovi africani, che rispetto alla morale sessuale mostrano una posizione da sempre conservatrice (recentemente si sono espressi anche contro l’immigrazione di massa dall’Africa, invitando i loro conterranei a restare e creare ricchezza). È una posizione impossibile da ignorare tenendo conto del fatto che l’Africa rappresenta il continente dove i cattolici crescono di più per numero. Rimangono, invece, fuori da questo conflitto interno alla Chiesa temi scottanti come il celibato dei preti, l’aborto e i matrimoni fra persone omosessuali, rispetto ai quali il papa si è dichiarato favorevole al mantenimento della prassi attuale della Chiesa.

Per riflettere Consulta la lettera sottoscritta da quattro cardinali (raymond Burke, Carlo Caffarra, Walter Brandmüller, Joachim Meisner) in cui si chiede al papa di rispondere con un sì o con un no ad alcune questioni dottrinali che, secondo i firmatari, Amoris laetitia non chiarirebbe (i dubia, “dubbi”). estrapola i cinque quesiti posti e prova a fornire una risposta. Puoi usare questi punti come base per ampliare la tua riflessione maturando una posizione personale sui temi spinosi su cui la Chiesa sembra oggi dividersi. Puoi reperire la lettera in rete, ad esempio all’indirizzo: https://notizie.tiscali.it/esteri/articoli/divorziati-4-cardinali-contro-papa-lettera-testo/ Usando i dati messi a disposizione ufficialmente dalla Santa Sede (si veda https://press.vatican. va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2017/04/06/0222/00505.html) prova a disegnare una mappa geografica della distribuzione dei cattolici nel mondo. Scoprirai che la Chiesa cattolica sta crescendo in alcuni continenti precedentemente ritenuti impenetrabili e sta perdendo “consensi” nei luoghi tradizionali della sua storia.

6. L’Illuminismo e Rousseau

lezione in PowerPoint

LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. I caratteri dell’Illuminismo 2. L’Illuminismo in Francia 3. Oltre l’Illuminismo: Rousseau 4. L’Illuminismo in Europa

La rETE DEi saPEri economia • Il liberismo e la nascita dell’economia come scienza psicologia • Il sensismo e la nascita della psicologia antropologia • Il riconoscimento della “cultura” e la nascita dell’antropologia pedagogia • L’attivismo pedagogico di rousseau I TESTI • T1 Montesquieu La divisione dei poteri • T2 Diderot L’enciclopedia secondo Diderot • T3 Voltaire Deismo e tolleranza • T4 Voltaire Contro l’intolleranza • T5 Condillac L’origine delle funzioni intellettive • T6 Helvétius Educazione e società • T7 D’Holbach Il materialismo e l’uomo TEST DI AUTOVALUTAZIONE

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO ComPetenze / Lessico e concettualizzazione, Argomentazione, filosofia e cittadinanza, mappa concettuale Per CAPIre megLIo LA PAroLA AI teStI AttIvItà / flipped classroom, Compito di realtà APProfondImentI / Per saperne di più, filosofia per immagini • T8 • T9 • T10 • T11 • T12 • T13

Cabanis Lo studio fisiologico del pensiero Degérando Il metodo comparativo Rousseau Le scienze nascono dai vizi umani Rousseau La statua di Glauco Rousseau Il popolo come individuo collettivo Rousseau L’uomo nasce buono, la società lo corrompe

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La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Come è possibile migliorare la vita umana e la società? • Come possiamo combattere l’ignoranza e la superstizione? Come possiamo spiegare la condizione umana? • Qual è il ruolo della ragione per il progresso? • Qual è il ruolo degli intellettuali nella società?

2

I CONCETTI DA RIPASSARE • Ragione • Empirismo • Sensazioni • Meccanicismo • Liberalismo • Contrattualismo

3

I CONCETTI CENTRALI • Materialismo • Sensismo • Dispotismo illuminato • Progresso • Deismo • Democrazia

4

I NUOVI PROBLEMI

PENSARE IL PRESENTE

• La ragione può risolvere tutti i problemi della conoscenza? • Qual è l’importanza del sentimento? • Come dobbiamo considerare la natura? • La scienza e la tecnica contribuiscono davvero al progresso? • È possibile una società democratica?

• Un film contro la pena di morte • Diritti civili, politici e sociali • Beccaria contro la pena di morte • La virtù è un modo di essere o un comportamento utile ad altri?

Uno sguardo d’insieme E

spressione culturale della nuova realtà economica che dall’Inghilterra va progressivamente diffondendosi in Europa, l’Illuminismo è legato all’ascesa sociale della borghesia e allo sviluppo della scienza e della tecnologia. La nuova realtà, la cui filosofia costituirà, con l’empirismo e con il liberalismo, il punto di riferimento principale dell’Illuminismo europeo, si era affermata già nella seconda metà del Seicento in Inghilterra. L’Illuminismo sostiene prima di tutto, contro il principio di autorità, il diritto di sottoporre le concezioni sociali, politiche e culturali all’esame critico della ragione: ogni uomo deve avere il coraggio e la responsabilità di servirsene in modo autonomo (secondo il motto kantiano sapere aude). È quindi prima di tutto una lotta per l’emancipazione dalla vecchia concezione del sapere, una battaglia di idee che trova i suoi strumenti nelle gazzette e nei caffè (che contribuiscono con la loro diffusione alla creazione di un’opinione nazionale), formando progressivamente un nuovo modo di pensare e una ridefinizione del sapere stesso, finalizzato

al miglioramento della società e del benessere individuale e collettivo. L’Illuminismo costituisce una nuova e organica visione del mondo, in contrapposizione polemica con quella aristocratica dell’ancien régime, e si articola nel profondo rinnovamento di tutti i settori della conoscenza. nella religione si condanna il dogmatismo per affermare il deismo e la tolleranza; in campo etico, si sostiene l’indipendenza dei valori morali dalla religione e si avvia uno studio sociologico dei valori stessi, mettendoli in rapporto con le caratteristiche della società che li esprime; nella politica il punto di riferimento è costituito, con alcune varianti, dalle teorie del liberalismo inglese, mentre in ambito economico si afferma una particolare accezione del liberismo, la fisiocrazia. nell’ambito della conoscenza propriamente detta, il nuovo sapere trova espressione nella Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, corredato da 12 volumi di tavole che documentano visivamente e concretamente gli argomenti trattati. uso responsabile della ragione � uso pratico della ragione � impegno dell’intellettuale � formazione dell’opinione nazionale �

Audiomappa comporta

sviluppo scientifico e tecnologico

ascesa della borghesia

empirismo e liberalismo inglesi

sono alla base dell’

autonomia della ragione ILLUMINISMO

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sapere aude benessere collettivo � � �

pamphlets gazzette caffè

che sostiene

ridefinizione del sapere

comporta

nuova economia politica � modello liberale inglese per lo Stato � deismo o religione naturale in ambito religioso � un sapere pratico relativo alla scienza e alla tecnica �

fisiocrazia Montesquieu tolleranza Encyclopédie

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Il contesto storico-culturale Rinascimento e Illuminismo L’Illuminismo, come il rinascimento, è una delle grandi epoche in cui viene ridefinita la visione del mondo dell’occidente. molti dei concetti che lo caratterizzano nascono in epoca rinascimentale e trovano nell’Illuminismo e nella rivoluzione francese il proprio punto d’arrivo: dal giusnaturalismo al contrattualismo, dallo spirito laico alla sovranità popolare, dalla critica al principio d’autorità alla necessità di costruire un nuovo sapere finalizzato al miglioramento delle condizioni di vita degli individui e al progresso della società. tale continuità ha una spiegazione storica: rinascimento e Illuminismo sono il momento iniziale e quello conclusivo di uno stesso processo, lo sviluppo della nuova economia borghese e della corrispondente mentalità, in lotta con l’aristocrazia non solo per il predominio politico, ma anche per quello sociale e culturale.

Illuminismo e Rivoluzione francese L’Illuminismo è un movimento borghese e liberale che culmina però nella rivoluzione francese, una vera fucina di idee e di movimenti politici, dove per alcuni anni predomina la componente democratica e popolare, che terminerà prima nel terrore, poi nella restaurazione termidoriana e napoleonica. da tutti gli sconvolgimenti rivoluzionari e imperiali, riemergeranno le radici liberali di cui dicevamo prima: la repubblica democratica giacobina e l’Impero lasceranno il posto, dopo il periodo di assestamento, alla monarchia costituzionale, il suffragio universale a quello censitario, l’uguaglianza effettiva a quella giuridica.

L’Illuminismo in Inghilterra e in Francia L’Illuminismo esprime la nuova visione del mondo della borghesia, in contrapposizione

all’ancien régime, dominato dal potere e dalla mentalità aristocratici. pur propagandosi in molte aree dell’Europa, la sua diffusione corrisponde abbastanza fedelmente a quella della nuova economia manifatturiera e mercantile, che anticipa la rivoluzione industriale. Le nuove idee nascono infatti in inghilterra, dove però la borghesia aveva già vinto, alla fine del Seicento, la propria rivoluzione politica: tale affermazione consente la diffusione delle idee dell’Illuminismo senza ulteriori conflitti, rendendole quasi universalmente accettate. In Francia, invece, al crescente potere economico e culturale della borghesia, si contrappone un potere politico ancora saldamente in mano alla nobiltà che, con Luigi Xv, ha riacquistato gli antichi privilegi e il controllo delle province che Luigi XIv era riuscito a strapparle. Qui l’Illuminismo si presenta come una vera e propria battaglia d’idee, come una nuova visione del mondo ormai largamente diffusa nonostante l’opposizione di un potere che proibisce la pubblicazione dell’Enciclopedia, ordina la distruzione delle opere di Diderot, La Mettrie, Helvétius, d’Holbach e di tanti altri intellettuali, perseguita voltaire e costringe all’esilio La Mettrie, brucia pubblicamente, per ordine del parlamento parigino, il Sistema della natura di d’Holbach e l’Emilio di rousseau.

La Germania e l’Italia Anche in Lombardia e in alcuni principati tedeschi lo sviluppo della borghesia e delle nuove attività economiche è paragonabile a quello francese, sia pure circoscritto a un ambito regionale. Anche qui l’Illuminismo si presenta come uno scontro tra due mentalità e due culture opposte, quella aristocratica e quella borghese o, in termini più generali, quella d’ancien régime e quella progressista.

Halle

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1700

Marburgo Parigi

Bordeaux

Ginevra

1712 rousseau nasce a ginevra 1719 Defoe, Robinson Crusoe

Milano

1720 1721 Montesquieu, Lettere persiane 1725 termina il regno di pietro I in russia

Napoli

L’ILLUMINISMO E L’EUROPA nel Settecento l’Illuminismo definisce in europa nuovi paradigmi del sapere. tra i maggiori filosofi illuministi troviamo Montesquieu (che studia diritto a Bordeaux); voltaire, simbolo dell’intellettuale impegnato, propugnatore dello spirito di tolleranza e dell’idea che il divenire storico si basi sull’idea di progresso; Diderot, padre della massima impresa editoriale dell’Illuminismo, l’enciclopedia. Illuminista fu anche, per un certo periodo, rousseau, nativo di Ginevra (si trasferirà poi a Parigi, ma vivrà anche in campagna e soggiornerà in inghilterra presso Hume). In Gran Bretagna particolarmente vivace è la scozia, dove si afferma la «filosofia del senso comune» di reid. In Italia i due centri più importanti sono Milano e Napoli. A Milano opera Beccaria, autore di un trattato contro la pena di morte e la tortura noto in tutta Europa; a napoli spiccano le figure di Genovesi e Filangieri, il primo fondatore della moderna economia politica, il secondo esperto di studi giuridici e storici. In Germania l’Illuminismo ha come temi principali di riferimento la metafisica e la religione, grazie a filosofi come Wolff (che insegna a Marburgo e Halle) e Lessing.

◀ Statuetta di porcellana dipinta raffigurante Voltaire e Federico il Grande di Prussia, 1780 ca (Tula, Museo Statale d’Arte).

1734 voltaire, Lettere filosofiche

1740 1741 rousseau parte per parigi

1740-86 Federico II regna in prussia

1748 La Mettrie, L’uomo macchina Montesquieu, Lo spirito delle leggi 1754 Condillac, Trattato delle sensazioni

1760 1762 rosseau, Emilio e Contratto sociale

1760-80 rivoluzione industriale in Inghilterra 1764 voltaire, Dizionario filosofico Beccaria, Dei delitti e delle pene

1766 rousseau visita Hume in Inghilterra

1774 goethe, I dolori del giovane Werther 1778 rousseau muore in Francia

1780

1787 Costituzione degli Stati Uniti d’America

1781 Kant, Critica della ragion pura

1789 inizio della rivoluzione francese

1800

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• Sintesi • Mappa

1

I caratteri dell’Illuminismo

La luce della ragione L’illuminismo presenta tratti comuni ai diversi pensatori. La fiducia nella ragione, la centralità dell’uomo, il superamento del principio di autorità nella conoscenza, la sovranità popolare in politica, il liberismo in economia, la laicità nei rapporti con la religione. Pur nelle diverse articolazioni nazionali, l’Illuminismo presenta tratti comuni che ne fanno un movimento riconoscibile. Il principale, che gli dà il nome, è la fiducia nella ragione ➝ 1 , nel “lume della ragione”, ben riassunta da Kant nella celebre definizione che ne dà: «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo» (Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Utet, Torino 1965, p. 141). L’intelletto di cui parla Kant, la ragione, che è la base dell’Illuminismo, non è quella del razionalismo e dei grandi sistemi metafisici, ma piuttosto quella che Locke paragona a una lanterna all’interno di una grande biblioteca, che non può illuminare per intero ma che ci consente di leggere i libri accanto a noi, quelli che ci interessano. Una ragione capace di rischiarare la vita, di liberarla dalle tenebre del principio di autorità e di costituire uno strumento grazie al quale l’uomo diventa maggiorenne, impara a pensare e a gestire la propria vita e il proprio mondo. L’Illuminismo costituisce in effetti una rottura con il passato, l’inizio di una nuova mentalità, di una nuova visione del mondo. La nuova visione del mondo si sostanzia nella costruzione globale di un nuovo sistema di idee che riguarda sia l’ambito della conoscenza sia le diverse aree della vita politica, economica, religiosa e civile. L’uscita dallo stato di minorità rimanda a una nuova centralità dell’uomo, paragonabile a quella assunta nel Rinascimento. Esso deve diventare il fulcro di ogni attività, basandosi sulla ragione e sulla capacità di pensare con la propria testa. Nell’ambito del sapere, ciò significa il superamento del principio di autorità, che vedeva nei testi classici la garanzia della verità. È una battaglia intrapresa nel Rinascimento, portata avanti da Bacone e dagli scienziati e che adesso trova il proprio coronamento. In politica, significa mettere al centro la sovranità popolare, con un movimento che ha le proprie radici in Althusius e in Grozio ➝ 2 , passa da Spinoza e da Locke per arrivare all’affermazione del liberalismo e ai primi esperimenti storici di democrazia.

Materiali per l’apprendimento attivo 1. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

2. approFondiMenti > per saperne di più

aLthusius e GroZio Althusius (Johannes Althusius, 1557-1638) è considerato il primo teorico della sovranità popolare. Afferma che Dio conferisce la sovranità al popolo, che poi può delegarla ma ne resta sempre il detentore. In questo modo rovescia la concezione medievale, secondo cui la sovranità procede dall’alto verso il basso. ugo Grozio (1583-1645), richiamandosi ad Althusius, teorizza un diritto naturale, cioè basato sulla ragione umana, indipendente da qualsiasi autorità. In quanto giustificato dalla ragione, esso è proprio di tutti gli uomini. Da ciò derivano due conseguenze: il diritto si fonda su se stesso, cioè sulla propria razionalità e non sull’autorità; i diritti naturali, cioè giustificati dalla ragione (in primo luogo la libertà), sono connaturati a ogni uomo in quanto essere razionale e quindi inalienabili. 3. per Capire MeGLio

assoLutisMo e MerCantiLisMo l’assolutismo è la concezione politica secondo la quale tutti i poteri devono essere nelle mani di un solo organismo (il re o un’assemblea); ad esso è legato un forte accentramento statale che si esprime sul piano economico nel mercantilismo, teoria che prevede l’intervento dello stato nell’economia, il controllo dei dazi, il finanziamento di opere pubbliche ecc. Il liberalismo rovescia questi presupposti, affermando la monarchia costituzionale e la divisione dei poteri dal punto di vista politico, il ruolo minimo dello Stato in economia, lasciata alla libera iniziativa privata. In realtà questi due sistemi non sono in contrapposizione ma in continuità: il primo si afferma quando l’economia borghese è ancora debole e ha bisogno del sostegno dello stato, ma rappresenta comunque una rottura con l’ordinamento feudale e con il predominio dell’aristocrazia. Il secondo esprime il momento successivo, con una borghesia sufficientemente forte da partecipare alla guida dello Stato, mediante l’elezione del parlamento, e in grado di gestire in prima persona l’economia.

Dal punto di vista economico significa condannare la centralità dello Stato, propria del mercantilismo e dell’assolutismo ➝ 3 , per affermare l’iniziativa individuale e il libero mercato, nell’ottica del liberismo.

1 I C a RaT T E RI D E L L’IL LuMIN IS Mo

raGiONE (LuMi DELLa raGiONE) la concezione della ragione nell’Illuminismo è sensibilmente diversa rispetto a quella sostenuta dai filosofi che abbiamo definito «razionalisti». In essi, questo termine si riferiva al fatto che la conoscenza non può basarsi sull’esperienza, ma deve partire dalle idee della ragione, che sono l’unico fondamento possibile di una conoscenza rivolta all’universale. l’Illuminismo intende invece la ragione in un senso diverso. essa è lo strumento per la conoscenza in generale. la maggior parte dei philosophes, dei pensatori illuministi, è empirista. la ragione è lo strumento per sviluppare un sapere utile per l’uomo, quello scientifico e tecnologico, che ha origine dalle sensazioni e dall’esperienza. la sua finalità è dunque prevalentemente pratica. Ma la ragione è soprattutto lo strumento critico, per pensare in modo autonomo, i cui “lumi”, appunto, sgombrano il campo dalle superstizioni e dalle false credenze del passato. l’Illuminismo, come dice Kant, è, grazie proprio alla ragione così intesa, «l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso» (in Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, utet, torino 1965, p. 141). È la liberazione dal principio di autorità e la fiducia nelle possibilità umane e nel progresso.

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6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

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Dal punto di vista religioso si afferma una concezione laica dello Stato e una visione antidogmatica della fede, che attiene alla libertà di coscienza dei singoli. L’Illuminismo prepara la Rivoluzione del 1789, che però va oltre queste premesse, affermando in alcune sue componenti la concezione democratica e quella socialista ➝ 4 in politica, il controllo dello Stato sull’economia, l’ateismo. Si tratta tuttavia di una parentesi, quella del predominio giacobino. Dopo di esso, le concezioni più radicali passeranno in secondo piano, mentre quelle liberali riprenderanno forza dopo il periodo della Restaurazione, dominando tutto l’Ottocento. Analizziamo più in profondità i punti elencati sopra.

La nuova concezione politica L’illuminismo si muove nel solco del liberalismo, affermando la divisione dei poteri e la monarchia parlamentare, il contrattualismo e il giusnaturalismo, l’esistenza di diritti naturali inalienabili, primo tra tutti la libertà. sostiene però come momento di passaggio il dispotismo illuminato, in cui il sovrano usa il potere per realizzare riforme progressiste. L’Illuminismo guarda al liberalismo di Locke e all’Inghilterra della «rivoluzione gloriosa» e della monarchia costituzionale. Fa propri i princìpi del contrattualismo e del giusnaturalismo, affermando l’esistenza di diritti naturali che le leggi dello Stato non possono mettere in discussione, in particolare la libertà, declinata in tutte le sue forme: di pensiero, di parola, di stampa, di associazione. La coscienza individuale è indipendente dall’azione dello Stato, che deve essere quanto più limitata possibile, lasciando invece spazio alla società civile, cioè a rapporti autogestiti tra i cittadini sia in ambito economico sia in ambito culturale. Il principio cardine del rapporto tra i cittadini e il potere è l’uguaglianza di fronte alla legge: tutti i cittadini hanno pari diritti e pari doveri, abolendo gli ordini feudali e ogni forma di discriminazione per nascita. L’organizzazione politica deve prevedere la divisione dei poteri, sulla base di una costituzione che vincoli anche l’azione del sovrano. Montesquieu darà un’interpretazione moderna delle teorie di Locke, teorizzando l’indipendenza del potere politico, di quello legislativo e di quello giudiziario. Il potere legislativo deve essere esercitato dal popolo, attraverso i suoi rappresentanti ➝ 5 . Il liberalismo fa proprio il principio della sovranità popolare, correggendolo però in modo da limitare la partecipazione attiva a coloro che contribuiscono, con il pagamento delle tasse, al mantenimento dello Stato. Si stabilisce di conseguenza il diritto di voto censitario, limitato cioè a chi paga una certa quantità di tasse. Tale quantità varia sensibilmente, di solito, per l’elettorato attivo (diritto di votare, di eleggere) e passivo (diritto di essere eletto), di modo che l’esercizio concreto del potere politico è limitato a una ristretta minoranza. All’interno di queste coordinate generali, molti illuministi sostengono il cosiddetto «dispotismo illuminato» come passaggio dall’ancien régime al nuovo Stato. Ritenendo il popolo ancora non maturo, a causa dell’oscurantismo clericale che ne ha impedito la presa di coscienza, si afferma la necessità di un periodo di passaggio in cui il sovrano accentra in sé il potere per porre in essere le riforme necessarie per costruire il nuovo Stato liberale. Non si tratta quindi di un ritorno all’assolutismo, ma di una variante del liberalismo.

◀ Ritratto anonimo di Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, 1728, olio su tela (Versailles, Musée National du Château).

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4. PEr CaPirE MEGLiO

5. COMPETENZE > argomentazione

La GiusTiFiCaZiONE DELLa DivisiONE DEi POTEri

T1 Montesquieu La divisione dei poteri Montesquieu, richiamandosi a Locke, teorizza la divisione dei poteri, considerando anche il potere giudiziario come indipendente dal legislativo e dall’esecutivo.

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Esistono, in ogni Stato, tre sorte di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, il potere esecutivo di quelle che dipendono dal diritto civile. In base al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati. Quest’ultimo potere sarà chiamato il potere giudiziario, e l’altro, semplicemente, potere esecutivo dello Stato. [...] Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per attuarle tirannicamente. Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore. (Montesquieu, Lo spirito delle leggi, XI, 6, Utet, Torino 1973, vol. I, pp. 275-77)

ricostruiamo l’argomentazione di Montesquieu: la libertà politica deriva dalla certezza della propria sicurezza, Ma se il potere legislativo e quello esecutivo fossero uniti allor a non vi sarebbe libertà PercHÉ ci sarebbe il timore che si facciano leggi tiranniche per attuarle in modo tirannico, Ma se il potere giudiziario fosse unito al legislativo

allor a non vi sarebbe libertà PercHÉ il potere sulla vita dei cittadini sarebbe arbitrario In QuanTo il giudice sarebbe anche legislatore, Ma se il potere giudiziario fosse unito all’esecutivo allor a non vi sarebbe libertà PercHÉ il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore.

1 I C A rAt t e rI D e l l’Il luMIN IS Mo

iDEE DELLa rivOLuZiONE FraNCEsE Alcuni ideali democratici verranno proclamati nel periodo giacobino, anche se il terrore ne impedirà in gran parte la realizzazione. Si tratta ad esempio del suffragio universale, dell’assistenza medica garantita a tutti, dell’istruzione obbligatoria e gratuita, dell’imposizione di prezzi amministrati (calmiere) sui beni di prima necessità. le idee socialiste, invece (abolizione della proprietà privata, uguaglianza di fatto tra tutti i cittadini…) saranno teorizzate ma mai applicate.

6. L’i L LuM i n i sM o e rousse au

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L’economia di mercato: il liberismo in economia, l’illuminismo guarda al liberismo, teorizzato da adam smith, basato sulle leggi di mercato e sulla divisione del lavoro. in Francia si afferma la fisiocrazia, una variante del liberismo che dà maggiore importanza all’agricoltura rispetto alla manifattura. Il liberismo è la teoria economica del liberalismo ➝ 6 e come questo nasce in Inghilterra. I princìpi generali sono affermati da Locke: la proprietà privata come diritto naturale e inalienabile, l’indipendenza dell’economia dallo Stato e la libertà economica dei cittadini. La teoria economica ➝ 7 vera e propria è però formulata nel Settecento da Adam Smith (1723-90). Egli sostiene che l’economia si sviluppa nel modo migliore se lasciata libera di seguire le proprie leggi, senza interferenze politiche. Tali leggi sono quella di mercato e la libera concorrenza. La prima afferma che i prezzi delle merci (e anche del lavoro, che è oggetto di scambio come le merci) dipendono dal rapporto tra la domanda e l’offerta: una domanda più bassa dell’offerta determina una diminuzione del prezzo, una domanda più alta dell’offerta ne determina l’aumento. La libera concorrenza prevede che in un mercato libero, senza interferenze statali, sarà il mercato stesso a determinare il successo dei produttori migliori e a regolare nel modo migliore possibile la società. Infatti, argomenta Smith, ognuno deve essere libero di scegliere il mestiere che preferisce. Però, se un individuo sceglie di fare il calzolaio e non è sufficientemente abile, gli altri calzolai produrranno scarpe migliori e in meno tempo, quindi potranno vendere prodotti migliori a prezzi più bassi. In questo modo il nostro individuo fallirà e dovrà alla fine scegliere un mestiere in cui sia sufficientemente abile da reggere la concorrenza. Così, come per l’intervento di una mano divina, ognuno finirà per fare il mestiere nel quale può dare un contributo maggiore alla società e, al tempo stesso, garantirà il proprio successo personale. Questa sinergia tra interesse individuale e interesse collettivo costituisce il frutto maggiore della libera concorrenza. Smith, che scrive nel periodo in cui in Gran Bretagna si sta diffondendo la prima rivoluzione industriale, teorizza anche la moderna divisione del lavoro, mediante un esempio diventato famoso. Immaginiamo, dice, cento operai che producono spilli, partendo dalla materia prima, un lungo filo di metallo. Se ognuno di loro compie tutto il processo produttivo, deve tagliare un pezzetto di filo della giusta lunghezza, affilare la punta, ricavare da un altro pezzetto di filo la capocchia e infine saldarla sulla punta. In questo modo riuscirà a produrre 6 o 7 spilli in una giornata lavorativa. Se invece uno si occupa solo di tagliare il filo, un altro solo dell’affilatura e così via, la produzione giornaliera per operaio crescerà in modo significativo, perché ognuno compirà in modo più rapido l’operazione nella quale si specializzerà. Smith preconizza quindi il passaggio dalla vecchia manifattura alla moderna fabbrica. Anche l’Illuminismo francese prende come riferimento il liberismo, reinterpretandolo in una nuova teoria economica, la fisiocrazia ➝ 8 . Il termine significa “potere della natura” e ciò va inteso in due sensi: in quello prettamente liberistico, secondo cui l’economia deve seguire le proprie leggi naturali e quindi essere libera dal controllo statale; ma anche in senso più specifico, come prevalenza, nell’economia di uno Stato, della produzione agricola, legata alla natura, su quella industriale. Il periodo illuministico conoscerà importanti riforme che modernizzeranno l’agricoltura e la ricerca scientifica su nuove tecniche agrarie, nuove sementi e nuove coltivazioni. Il teorico della fisiocrazia è François Quesnay (1694-1774), autore di molte delle voci economiche dell’Encyclopédie e dell’opera Tableau économique (Quadro economico, 1758). In essa applica all’economia il metodo statistico, raccogliendo dati ed elaborandoli, contribuendo così allo sviluppo dell’economia come scienza.

Materiali per l’apprendimento attivo

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6. per Capire MeGLio

▶ Edmond Mennechet, Jean Jacques Rousseau, illustrazione da Le Plutarque Francais, 1836.

7. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

L’ECONOMia COME sCiENZa Con Adam Smith l’economia diventa una vera e propria scienza, autonoma dalla filosofia. Nell’intento di comprendere perché alcune nazioni siano più ricche di altre (la sua opera principale si intitola Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, 1776), Smith distingue nella merce un valore d’uso, dato dall’utilità che possiamo ricavarne, e un valore di scambio, che è il suo valore di mercato, il prezzo nei processi di compravendita. I due valori non coincidono: l’acqua, ad esempio, ha un elevato valore d’uso ma un basso valore di scambio, a differenza dell’oro, il cui valore d’uso è molto limitato mentre quello di scambio è elevato. Il secondo, a differenza del primo, è quantificabile ed è il solo che ci interessa nell’analisi economica. l’economia può essere quindi trattata con strumenti matematici, condizione fondamentale, all’epoca, per poterla considerare una scienza. Il valore di scambio dipende da diversi fattori che Smith prende in esame, il principale dei quali è la quantità di lavoro necessaria per produrre la merce. la causa della ricchezza delle nazioni è quindi la quantità di lavoro che ognuna è in grado di impiegare. 8. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

FisioCraZia Deriva dai termini greci phýsis, “natura” e kratos, “potere”, indicando quindi il potere della natura, da intendere sia in senso letterale, come ambiente naturale, coltivazioni, sia per indicare leggi naturali in grado di regolare l’economia. la fisiocrazia è infatti una teoria economica simile al liberismo inglese, che si diffonde in Francia a partire dalla metà del Settecento. Come il liberismo, sostiene che l’economia deve autoregolarsi in base alle proprie leggi, a partire da quella della domanda e dell’offerta, senza interventi statali. A differenza dal liberismo, però, assegna una preminenza, nell’economia, alla natura e quindi all’agricoltura rispetto all’industria e al commercio.

1 I C A rAt t e rI D e l l’Il luMIN IS Mo

LiBeraLisMo e LiBerisMo Il liberalismo è la teoria politica cui corrisponde il liberismo dal punto di vista economico. Il presupposto comune è la centralità dell’individuo, che ha in sé la ragione e i princìpi morali per decidere e per convivere pacificamente con gli altri. Alla centralità dell’individuo si lega l’importanza della libertà, declinata come diritto fondamentale da cui derivano le libertà particolari: di pensiero, di opinione, di parola, di stampa ecc. C’è dunque un ottimismo di fondo sulla natura umana e sulla capacità di autoorganizzazione della società. Gli individui sono in grado di organizzarsi mediante accordi e contratti tra i singoli. l’intervento dello stato deve essere ridotto al minimo, perché la società è in grado di raggiungere spontaneamente, mediante l’utilità reciproca alla collaborazione, un equilibrio pacifico e costruttivo. Allo stesso modo, come abbiamo visto, l’economia si autoregola mediante le proprie leggi, senza necessità di interventi politici. una delle libertà fondamentali è la proprietà privata, diritto politico e insieme fondamento dell’economia. Il liberalismo ha scardinato il sistema feudale della stratificazione sociale decisa dalla nascita, ponendo al centro la capacità individuale e l’uguaglianza giuridica tra i cittadini. Costituirà il nucleo principale della rivoluzione francese, dove entrerà in contrasto con una nuova concezione politica, quella democratica, teorizzata da rousseau.

6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

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La rifondazione del sapere L’illuminismo privilegia il sapere pratico, orientato al miglioramento della vita umana. il punto di riferimento è la scienza della natura, al cui metodo si cercherà di ricondurre i diversi saperi, compresi quelli relativi alla società e all’uomo. il nuovo sapere trova espressione nell’enciclopedia, un’opera collettiva cui partecipano tutti i maggiori intellettuali dell’epoca. Essa è concepita come «dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri», sottotitolo che ne esplicita il programma. Il vecchio sapere basato sulla teologia e sulla metafisica, con al centro il principio di autorità e in particolare gli scritti aristotelici, era stato contestato almeno a partire dal Rinascimento ed era stato messo in crisi dalla nuova scienza di Galilei e di Newton. L’Illuminismo non solo completa questo superamento, ma afferma una concezione completamente nuova del sapere, che mette da parte la teologia e la metafisica per privilegiare invece il sapere pratico, raggiungibile dall’uomo e orientato al miglioramento concreto dell’esistenza. Si tratta quindi di privilegiare la scienza e la tecnica, ma anche di ripensare in modo nuovo il sapere relativo all’uomo e alla società. Nel corso del Settecento si teorizza la possibilità di uno studio scientifico dell’ambito umano, basandolo, come le scienze naturali, sull’osservazione dei fatti e sulla formulazione di teorie confrontabili con i dati empirici. Con il liberismo e con la fisiocrazia l’economia incomincia a essere trattata come una scienza, basata su leggi proprie; Montesquieu cercherà di spiegare scientificamente i diversi sistemi giuridici e più in generale le dinamiche sociali, Helvétius cercherà di dare un fondamento scientifico alla pedagogia. Nel corso del secolo, inoltre, vengono poste le basi della sociologia (con Montesquieu), della psicologia (con i cosiddetti idéologues, che studiano le idee, o meglio il funzionamento della mente che le produce) e dell’antropologia culturale. La Société des Observateurs de l’homme, nata verso la fine del secolo, nonostante la sua breve vita rappresenta la sintesi di queste istanze, proponendosi appunto lo studio scientifico dell’uomo in tutti i suoi diversi aspetti, estendendo le proprie ricerche anche alle popolazioni non europee. Il simbolo del nuovo sapere, sia per i contenuti sia per l’elaborazione basata sulla collaborazione tra studiosi, è l’Enciclopedia illuministica ➝ 9 . Già nel titolo (Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri) mette al centro il sapere tecnologico e scientifico, chiamando a collaborare all’impresa i maggiori intellettuali dell’epoca. Anche se la prospettiva di una rifondazione del sapere era nell’aria, la realizzazione concreta del progetto è legata a circostanze abbastanza fortuite. Un libraio parigino, André Le Breton, che intende tradurre un’enciclopedia pubblicata in Inghilterra in due volumi nel 1728, la Cyclopaedia, di Ephraim Chambers, nel 1750 affida il compito a Diderot e a d’Alembert. Essi però abbandonano il progetto di semplice traduzione, proponendo la creazione di una nuova e ben più ampia enciclopedia ➝ 10 . Per sostenere il nuovo disegno, che non può più essere finanziato solo dal libraio, Diderot diffonde la presentazione dell’opera, chiedendo di sottoscrivere un abbonamento, anticipandone così il costo (oggi parleremmo di crowdfunding). Il primo anno raccoglie immediatamente oltre mille sottoscrittori, che arriveranno poi a 4500, un numero imponente per l’epoca, che indica quanto la ridefinizione del sapere fosse un’esigenza diffusa. Il primo volume dell’opera esce nel 1751, seguito dal secondo l’anno successivo. Fin dall’inizio, tuttavia, l’Encyclopédie incontra notevoli ostacoli: immediata è la condanna dei gesuiti, cui fa seguito quella del papa e infine quella del Consiglio di Stato del Regno di Francia, nel 1752. Tuttavia, l’opera trova difensori anche nelle alte cariche politiche, le pubblicazioni riprendono e, dopo l’espulsione dei gesuiti, nel 1762, vedono la luce gli ultimi dieci volumi. Complessivamente, la monumentale opera nella sua edizione definitiva conta 21 volumi, cui se ne aggiungono 12 di tavole (nella prima edizione, 17 volumi di testo e 11 di tavole, cui si aggiun-

Materiali per l’apprendimento attivo 9. approFondiMenti > Filosofia per immagini

▶ Ch. N. Cochin, allegoria della ragione nel frontespizio della Grande Enciclopedia, 1764.

10. La ParOLa ai TEsTi

T2 Diderot L’enciclopedia secondo Diderot La voce «Enciclopedia» consente a Diderot di esplicitare gli intenti dell’opera, descrivendo le caratteristiche del nuovo sapere: deve essere sistematico, per conservare ciò che di buono le generazioni passate hanno prodotto, ma soprattutto critico, distinguendo le conoscenze che corrispondono alla natura e servono agli uomini, dal falso sapere, che non deve trovar posto nell’opera.

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Enciclopedia, questa parola significa concatenazione di conoscenze; è composta dalla preposizione greca en (in), e dai sostantivi kúklos (circolo), e paideía (conoscenza). In effetti, lo scopo d’una Enciclopedia è di unificare le conoscenze sparse sulla faccia della terra; di esporne il sistema generale agli uomini con i quali viviamo, e di trasmetterlo a quelli che verranno dopo di noi; affinché le opere dei secoli passati non siano state inutili per i secoli successivi, affinché i nostri nipoti, divenendo più istruiti, possano essere nello stesso tempo più virtuosi e più felici, e affinché noi non scompariamo senza aver ben meritato dal genere umano [...]. Ci siamo resi conto che l’Enciclopedia poteva essere tentata solo in un secolo filosofico, che questo secolo era giunto, che la fama, rendendo immortali i nomi dei suoi realizzatori, non avrebbe forse disdegnato di prendersi cura dei nostri; e ci siamo sentiti rianimati dal pensiero consolante e dolce che si sarebbe parlato ancora di noi anche quando fossimo scomparsi; dal mormorio voluttuoso, che ci faceva presentire nella bocca di qualche nostro contemporaneo ciò che avrebbero detto di noi gli uomini per la cui istruzione e felicità ci siamo sacrificati, e che stimiamo e amiamo, benché non esistano ancora. (D. Diderot, Enciclopedia. Testi scelti, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 77)

1 I C A rAt t e rI D e l l’Il luMIN IS Mo

iL FrontespiZio deLL’encyclopédie Nei secoli passati si usava condensare il significato di un’opera in un’immagine allegorica posta nel frontespizio di un volume. l’immagine che introduce l’Enciclopedia è particolarmente complessa e interessante. A partire dall’alto si individua dapprima un tempio ionico, una specie di santuario in cui si vede la verità che irradia luce e al contempo disperde nuvole nere. la verità è coperta di veli. A svelarla provvedono, nel senso letterale del termine, la ragione e la Filosofia, le due figure sulla destra, la prima togliendo e la seconda addirittura strappando il velo che la occulta. Nella parte in alto a sinistra dell’immagine vi è l’allegoria dell’Immaginazione che reca una ghirlanda di fiori per abbellire e incoronare la verità. Sotto di lei il disegnatore ha posto i diversi generi letterari: la poesia, l’epica, la drammatica, la satira e la pastorale. Al di sotto di queste stanno, infine, le arti imitative: la Musica, la Pittura, la Scultura e l’Architettura. Inginocchiata ai piedi della verità, la teologia, riconoscibile dalla Bibbia nella mano sinistra. Più sotto, sul lato destro dell’immagine, si dispongono dall’alto in basso, la Memoria, la Storia Antica e Moderna. Ancora più sotto, la Geometria, l’Astronomia e la Fisica. Infine, in basso, l’ottica, la Botanica, la Chimica e l’Agricoltura. Chiude la composizione, sul fondo, l’insieme delle Arti e delle Professioni che derivano da queste scienze.

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sero 4 volumi di supplementi e uno di illustrazioni). L’Encyclopédie è organizzata in modo sistematico, con un ordinamento alfabetico delle voci. Mancano le voci relative alla metafisica e anche quelle relative alla politica e alla religione sono estremamente prudenti e circoscritte. In tutte le voci, anche quelle apparentemente neutre, traspare la critica all’ancien régime, alla monarchia assoluta, al dogmatismo, al clero e al sapere tradizionale in genere. Molta attenzione è riservata alle diverse scienze, alle arti e ai mestieri. L’apparato delle tavole entra negli aspetti tecnici delle diverse attività, raffigurando ad esempio i diversi attrezzi agricoli, quelli del fabbro, del falegname, con una precisione e una meticolosità che evidenziano il carattere pratico del nuovo sapere. L’Illuminismo rinnova anche gli studi storici, dando spazio alla ricostruzione della civiltà delle diverse epoche, dei costumi e della cultura intesa nel suo significato antropologico. Per altro verso, la storiografia illuministica si alimenta del mito del progresso, basato sullo sviluppo della scienza e della tecnica. La storia dell’Occidente viene ricostruita valorizzando i periodi in cui il sapere è stato libero, producendo i suoi frutti migliori, come è avvenuto in particolare nel Rinascimento, e illustrando altri in cui il dogmatismo ha determinato una stasi, come nel periodo medievale. In ogni caso, però, il progresso costituisce la chiave di lettura della storia e consente una visione ottimistica del futuro.

La religione non dogmatica in ambito religioso si afferma il deismo, contro il dogmatismo e l’intolleranza, per sostenere la libertà di culto, dato che la religione deve riguardare unicamente le singole coscienze. La forma di religione più diffusa tra gli illuministi è il deismo ➝ 11 , che afferma la possibilità di dimostrare razionalmente, a partire dalla perfezione dell’universo, l’esistenza di un Dio come architetto dello stesso. Questo è però tutto ciò che la ragione è in grado di provare, mentre l’adesione all’una o all’altra delle diverse religioni positive riguarda unicamente la coscienza individuale, senza che la ragione possa privilegiarne una a danno delle altre. In ogni caso, sono da condannare tutti i dogmi, cioè le verità di fede considerate assolute e indiscutibili anche quando vanno contro la ragione, e la persecuzione religiosa in ogni forma, anche come semplice discriminazione: lo Stato deve essere laico e non privilegiare né condannare nessuna religione, purché, come già aveva affermato Locke, i suoi princìpi non vadano contro le leggi. La religiosità affermata dal deismo è dunque strettamente legata alla tolleranza, intesa come affermazione della libertà di pensiero e di culto ➝ 12 . Anche in questo caso, non mancano però le articolazioni. Accanto a concezioni dichiaratamente atee, sostenute da filosofi come Diderot, La Mettrie, Helvétius, d’Holbach, troviamo l’affermazione, con Rousseau, della cosiddetta «religione del cuore», una visione simile per alcuni aspetti al deismo, ma basata sull’esistenza di Dio come espressione di un sentimento e non come verità dimostrata dalla ragione. GuIda allo sTudIo • da che cosa prende il nome l’Illuminismo? • Qual è la concezione politica principale, nell’Illuminismo? • Che cos’è il dispotismo illuminato? • Quali sono i tratti principali della fisiocrazia? Che cosa la distingue dal liberismo? • Che cos’è il deismo? • Perché l’Encyclopédie può essere considerata il simbolo dell’Illuminismo?

Materiali per l’apprendimento attivo 11. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

▲ Ritratto del filosofo irlandese John Toland.

12. La paroLa ai testi

T3 voltaire Deismo e tolleranza Secondo Voltaire, la superiorità del deismo (o teismo) rispetto alle religioni positive consiste soprattutto nello spirito di tolleranza che ne deriva.

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Il teista è un uomo fermamente convinto dell’esistenza di un Essere supremo buono e potente, che ha formato tutte le creature estese, vegetanti, sensibili e pensanti; che perpetua la loro specie, che punisce senza crudeltà i crimini, e ricompensa con bontà le azioni virtuose. Il teista non sa come Dio punisca, come favorisca, come perdoni, poiché non è così temerario da vantarsi di conoscere le azioni di Dio; ma sa che Dio agisce, e che è giusto. […] Unanime in questo principio col resto dell’universo, non aderisce a sètte, che si contraddicono tutte. La sua religione è la più antica e la più diffusa; infatti la semplice adorazione di un Dio ha preceduto ogni altro sistema del mondo. Parla una lingua che tutti i popoli comprendono, mentre essi non si comprendono tra loro. Ha fratelli da Pechino fino alla Caienna, e fra questi annovera tutti i saggi. Crede che la religione non consista né in opinioni d’una metafisica incomprensibile, né in vani apparati, ma nell’adorazione e nella giustizia. Fare il bene, ecco il suo culto; essere sottomesso a Dio, ecco la sua dottrina. Il maomettano gli grida: «Guai a te se non fai il pellegrinaggio alla Mecca!». «Mal te ne incolga», gli dice un recolletto [frate di un ordine francescano] «se non fai un viaggio alla Madonna di Loreto!» Egli ride di Loreto e della Mecca; ma soccorre l’indigente e difende l’oppresso. (Voltaire, Dizionario filosofico, Newton Compton, Roma 1991, p. 287)

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DEisMO Il deismo, inaugurato da locke e da Newton, aveva trovato in Gran Bretagna una sua definizione organica ad opera di John Toland (1670-1722), filosofo irlandese che aveva interpretato il cristianesimo alla luce della ragione, rifiutando i dogmi, che non esistevano nel cristianesimo primitivo ma erano stati introdotti successivamente dalla Chiesa. voltaire dimostra l’esistenza di Dio partendo dalla fisica newtoniana e dalle osservazioni fatte dallo scienziato inglese negli scolii dell’Ottica: la perfezione del mondo rimanda a un architetto che lo ha progettato e realizzato; l’universo non può derivare dal caso, ma deve essere opera di un’intelligenza. Del deismo, o «teismo» come preferisce chiamarlo (ma usando questo termine come sinonimo del primo), voltaire sviluppa soprattutto il concetto di tolleranza, in contrapposizione con le religioni positive che, fondandosi sui dogmi, spingono alla condanna di chi ha un diverso credo. Particolarmente violenta è la sua polemica contro la Chiesa cattolica, responsabile di secoli di massacri in nome della fede e di assurdità sul piano dei dogmi. «Écrasez l’infâme» era il suo motto nei pamphlets anticlericali, dove l’“infame” era appunto la Chiesa di roma.

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• Sintesi • Mappa

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L’Illuminismo in Francia

L’impegno civile degli intellettuali in Francia l’illuminismo esprime anche la lotta della borghesia contro l’aristocrazia e molti intellettuali prendono posizione pubblica contro l’ancien régime. scrivendo sulle gazzette e pubblicando opere divulgative, animando salotti e caffè, gli intellettuali raggiungono un vasto pubblico, contribuendo alla creazione di una opinione nazionale consapevole. Anche se è un movimento europeo, l’Illuminismo trova uno sviluppo privilegiato in Francia, perché questo Paese si trova in una posizione particolare: ha una borghesia molto sviluppata, con un’economia manifatturiera e mercantile seconda solo a quella inglese, ma al tempo stesso vive ancora in un regime politico aristocratico che ne ostacola lo sviluppo. Qui, di conseguenza, l’Illuminismo presenta una carica rivoluzionaria che non conosce in Inghilterra, dove la borghesia è al potere, né nel resto d’Europa, dove è ancora troppo debole. Proprio per questo, in Francia prende particolare rilievo la figura dell’intellettuale engagé, “impegnato” nel dibattito pubblico e nella lotta contro l’ancien régime. I philosophes ruotano intorno al grande progetto dell’Encyclopédie, partecipano a un programma comune e si impegnano nella lotta delle idee mediante pubblicazioni dirette al grande pubblico, di carattere per lo più divulgativo e comunque non specialistico. Durante il Settecento i lettori delle gazzette e degli scritti divulgativi aumentano progressivamente, raggiungendo anche la media e piccola borghesia, mentre si diffondono i salotti e i caffè ➝ 13 , dove si sviluppa un dibattito pubblico sempre più intenso. In questo modo si forma un’opinione pubblica consapevole, che sarà il vero motore della Rivoluzione del 1789.

Voltaire voltaire fa proprie le idee liberali e politicamente sostiene il dispotismo illuminato per realizzare riforme progressiste. Le sue analisi storiche mettono in luce la civiltà e la mentalità delle diverse epoche. È anticlericale e sostiene il deismo come garanzia di tolleranza religiosa. Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet (1694-1778), è il philosophe per eccellenza, quasi il simbolo dell’intellettuale impegnato. Svolge un’importante opera divulgativa, anche in ambito scientifico (Elementi della filosofia di Newton, 1737). Perseguitato per i suoi scritti satirici, dal 1726 al 1729 è in esilio in Inghilterra, dove conosce l’ambiente liberale e forma le proprie idee illuministiche, il costituzionalismo, l’affermazione delle libertà civili, la tolleranza, il deismo ➝ 14 .

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13. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia per immagini

Anicet Charles gabriel Lemonnier, Lettura della tragedia L’orphelin de la Chine di Voltaire nel salotto di Madame Geoffrin, 1812, olio su tela (rueilmalmaison, musee du Chateau de Bois-Preau).

Il Café des Incroyables, un elegante luogo d’incontro degli illuministi di Parigi, in un’incisione del 1796 (versailles, musée national du Chateau).

14. La ParOLa ai TEsTi

T4 voltaire Contro l’intolleranza In questo brano, Voltaire coniuga il liberalismo con la tolleranza, mostrando la negatività sociale e la mancanza di fondamento dell’intolleranza.

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Il diritto naturale è quello che la natura indica a tutti gli uomini. Avete allevato vostro figlio: egli vi deve rispetto perché siete suo padre, riconoscenza perché siete suo benefattore. Avete diritto ai prodotti della terra coltivata con le vostre mani. Avete fatto o ricevuto una promessa: questa va mantenuta. Il diritto umano non si può in nessun caso fondare che su questo diritto di natura; e il grande principio, il principio universale di tutt’e due è in tutto il mondo questo: «Non fare ciò che non vorresti fosse fatto a te». Ebbene, non si vede come, seguendo tale principio, un uomo possa dire a un altro: «Credi in quello che io credo, e che non puoi credere; altrimenti morrai!» È quanto si dice nel Portogallo, nella Spagna, a Goa. In qualche altro paese ci si accontenta di dire: «Credi, o ti aborrisco; credi, o ti farò tutto il male possibile! Mostro, che non segui la mia religione, tu non hai nessuna religione; bisogna che i tuoi vicini, la tua città, la tua provincia provino orrore di te!» Se questa condotta fosse conforme al diritto umano, il Giapponese dovrebbe esecrare il Cinese, che a sua volta dovrebbe aborrire il Siamese […] e tutti insieme si precipiterebbero contro i cristiani, che così a lungo si sono divorati tra loro. Il diritto all’intolleranza è, dunque, assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; anzi, è più orribile, perché le tigri sbranano soltanto per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi. (Voltaire, Scritti filosofici, Laterza, Bari 1972, vol. I, pp. 398-99)

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i saLOTTi E i CaFFÈ I principali e più caratteristici luoghi dell’elaborazione filosofica in età illuministica sono il caffè e il salotto, dove, soprattutto a Parigi, si incontrano abitualmente i pensatori, per discutere le proprie idee, fuori degli ambiti tradizionali delle accademie e delle corti, e lontano dal controllo delle autorità. Per quanto riguarda i salotti, un aspetto interessante è il fatto che molti di essi sono condotti da donne colte e letterate, che avevano così l’occasione di uscire dalla tradizionale condizione di isolamento. Alle discussioni partecipavano assiduamente, oltre che filosofi e letterati, anche scienziati, ingegneri, imprenditori e politici.

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Dopo il ritorno in Francia, viaggia più volte in vari Paesi europei. Dal 1749 al 1752 è alla corte di Federico II, come consigliere del sovrano che lo considerava suo maestro, realizzando quell’ideale di dispotismo illuminato teorizzato dallo stesso Voltaire. Tornato in Francia, diviene il punto di riferimento dell’Illuminismo e collabora a lungo con l’Encyclopédie. Voltaire, come abbiamo accennato, teorizza il dispotismo illuminato, riassunto nel famoso motto «tout pour le peuple, rien par le peuple», cioè tutto per il popolo (riforme illuminate) ma senza coinvolgere il popolo, il quale, ottenebrato da secoli di oscurantismo clericale, non è in grado di comprendere il proprio interesse. Nelle sue analisi storiche (Il secolo di Luigi XIV, 1751) è attento più ai costumi e alla mentalità dell’epoca che ai fatti militari o diplomatici. Dalle sue opere emerge la fiducia nel progresso umano, uno dei punti fermi dell’Illuminismo, che può essere interrotto, come è avvenuto durante il Medioevo, ma non arrestato. La sua opera di divulgazione filosofica passa anche attraverso una forma nuova di comunicazione, il romanzo e il racconto filosofici. Il romanzo principale è Candido o dell’ottimismo, 1759, dove critica in modo sarcastico la teoria leibniziana del «migliore dei mondi possibili», facendo passare il protagonista attraverso una serie di sventure, sempre nella convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Voltaire è fortemente anticlericale ed è tra i principali sostenitori del deismo, di cui sottolinea soprattutto lo spirito di tolleranza, perché libero da dogmi e da verità da imporre con la forza.

Diderot Diderot elabora un materialismo vitalistico, con una chiara influenza spinoziana. rifiuta però il meccanicismo morale, sostenendo la possibilità del libero arbitrio. Denis Diderot (1713-84) è il coordinatore del progetto dell’Encyclopédie, intrapreso con d’Alembert, poi proseguito da solo quando l’amico e collaboratore si ritira per timore delle conseguenze delle condanne politiche ed ecclesiali dell’opera. A differenza di Voltaire, che non elabora una filosofia autonoma facendo proprio l’empirismo di Locke, di cui è divulgatore, egli propone una propria concezione filosofica. Nella Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono (1749) afferma un materialismo fortemente impregnato dal panteismo spinoziano, considerando la natura, nella sua lunga storia, come l’unica realtà esistente. Nelle opere successive, richiamandosi alle teorie di Buffon ➝ 15 , considera la natura in evoluzione e provvista di una sensibilità immanente che si manifesta nei processi chimici. Il materialismo non lo conduce però a un determinismo morale come avviene in Helvétius (Confutazione di Helvétius, 1773). L’uomo è un essere completamente naturale ma non può essere assimilato agli animali, dato che presenta una complessità molto maggiore. Proprio questa complessità legittima l’ipotesi del libero arbitrio, che tuttavia Diderot non dimostra. Tutta la sua filosofia è improntata alla prudenza e al dubbio e pur avanzando tesi nette, non le presenta come verità ma come ipotesi sempre aperte alla revisione.

◀ Louis-Michel Van Loo, Ritratto di Denis Diderot, 1767, olio su tela (Parigi, Musée du Louvre).

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15. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

16. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

MateriaLisMo come il materialismo di Hobbes, anche quello illuministico si articola su due piani complementari: metafisico e morale. Dal primo punto di vista, la teorizzazione più rigorosa è quella di d’Holbach. nella sua opera principale, il Sistema della natura (1770) delinea una visione dell’universo in cui la materia si organizza e si sviluppa sulla base unicamente delle leggi naturali, senza nessuna necessità di ammettere, per spiegarla, né una causa prima (Dio) né finalità verso le quali dovrebbe essere indirizzata. Dal punto di vista morale, la rappresentazione emblematica del materialismo è L’uomo macchina (1748), in cui La Mettrie descrive tutti i diversi aspetti del comportamento umano riconducendoli a cause efficienti, equiparandolo quindi a quello di una macchina, sia pure molto complessa. Sulla stessa linea si muove d’Holbach, mentre altri filosofi illuministi, pur accettando un materialismo di fondo, cercano di recuperare spazio per il libero arbitrio, come fanno ad esempio Diderot, condillac e, in parte, Helvétius.

Sensismo e materialismo L’illuminismo sviluppa l’empirismo per affermare il sensismo da un lato, il materialismo dall’altro. Il principale punto di riferimento della filosofia illuministica è l’empirismo di Locke, sviluppato però in modo coerente fino ad approdare al sensismo di Condillac e a un rigoroso materialismo ➝ 16 con La Mettrie, d’Holbach e Helvétius. Locke aveva lasciato aperti diversi problemi. Il primo, affrontato come abbiamo visto anche da Hume, è l’esistenza di un intelletto capace di una serie di operazioni indipendentemente dall’esperienza. Da dove avevano origine le funzioni dell’intelletto? Dovevano essere considerate proprie dell’intelletto stesso? Ma allora si rischiava di tornare a una forma di innatismo, quella appunto sviluppata da Leibniz in polemica con Locke: «nulla è innato nell’intelletto se non l’intelletto stesso», quindi le funzioni che gli consentivano di rielaborare le idee semplici.

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BuFFON Nel Settecento è ancora salda la periodizzazione biblica che fissa l’origine dell’universo e della vita intorno al iv millennio a.c., seguendo la datazione ricavabile dalle Scritture. In questo tempo limitato, non poteva esservi nessuno spazio per la trasformazione delle specie viventi, che venivano considerate, seguendo anche in questo caso la tradizione biblica, come create individualmente da Dio e quindi «fisse» (il «fissismo», professato dalla chiesa e dalla maggior parte dei naturalisti, sosteneva che le specie non si modificano). Georges Louis Leclerc, conte di Buffon (1707-88) è tra i primi a mettere in discussione la datazione tradizionale, riscrivendo la ▲ Ritratto di Georges Louis storia della Terra e degli organismi viventi nella monumentale Leclerc, Conte de Buffon, 1788, Storia naturale, in 36 volumi pubblicati tra il 1749 e il 1789. In essa incisione. afferma che la vita ha avuto origine circa 150.000 anni fa e che le specie non sono fisse, ma si trasformano, lentamente, l’una nell’altra, tanto che tutti gli animali attuali potrebbero derivare da un progenitore comune. Si tratta ancora di ipotesi non documentate, se non con osservazioni sulla crosta terreste e sull’anatomia di alcune specie animali. Le idee evoluzionistiche diventeranno più esplicite con Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829).

6. L’i L LuM i n i sM o e rousse au

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Condillac Condillac si richiama all’empirismo di Locke, sostenendo però che anche le idee di riflessione sono riconducibili a quelle di sensazione, ed esemplifica le proprie teorie mediante la celebre similitudine della statua animata: via via che acquisisce i vari sensi, la statua sviluppa anche le funzioni proprie dell’intelletto, che derivano quindi dai sensi stessi. Etienne Bonnot de Condillac (1715-80) propone una soluzione originale: anche le funzioni dell’intelletto hanno origine dall’esperienza ➝ 17 . Si tratta di un’ipotesi, e per dimostrarla Condillac propone un celebre esperimento mentale: quello della statua animata. Immaginiamo, scrive nel Trattato sulle sensazioni (1754), di trovarci di fronte a una statua di marmo, ovviamente del tutto inerte. Supponiamo adesso che ad essa venga dato il senso dell’odorato e solo quello. Il suo sarà un mondo di odori, che riempiranno tutta la sua esperienza. Ma anche solo quest’unico tipo di sensazioni produrrà una serie di capacità nella statua: ricorderà gli odori passati distinguendoli da quelli attuali, insieme al ricordo si formerà l’abilità di confrontare sensazioni diverse, e quindi il senso della differenza e quello del divenire. Adesso aggiungiamo un altro senso, il tatto. La statua avvertirà immediatamente la differenza tra la percezione di toccare gli oggetti e quella di toccare se stessa, perché in questo caso avvertirà contemporaneamente di toccare e di essere toccata. Questa sensazione particolare determinerà la coscienza di essere diversa dagli oggetti esterni, cioè produrrà la coscienza di sé. Proseguendo in questa analisi, Condillac mostra come, parallelamente all’attivazione degli altri sensi, sorgono nella statua funzioni sempre più complesse, fino a quelle di unione delle sensazioni, di categorizzazione delle stesse, di giudizio, in una parola tutte le funzioni ipotizzate da Locke come proprie dell’intelletto. Quindi tutto ha origine dalle sensazioni, non soltanto le idee semplici ma, in modo più mediato, anche le facoltà dell’intelletto che le uniscono a formare idee complesse, comprese quelle di piacere e di dolore che a loro volta fondano la morale. Condillac era un abate e forse anche per questo non derivò dal sensismo il materialismo, dimostrando anzi nelle opere successive l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. Partendo dall’empirismo e dal sensismo, approdano invece al materialismo gli altri filosofi che abbiamo ricordato.

La Mettrie La Mettrie formula un rigoroso materialismo e un meccanicismo che riguarda anche il comportamento umano. L’uomo è paragonato a una macchina, le cui reazioni non dipendono dalla volontà ma da meccanismi di tipo fisico. Julien Offroy de La Mettrie (1709-51) si richiama, oltre che al sensismo, al meccanicismo di Cartesio, spogliato però di ogni dualismo: l’uomo è soltanto materia il cui comportamento è spiegabile sulla base delle leggi che regolano la materia, come sosteneva Cartesio ma solo in relazione alla res extensa, cioè al corpo. Per La Mettrie l’anima non esiste, quindi il comportamento è interamente regolato dal meccanicismo, dal rapporto di causa-effetto, in cui gli effetti, cioè i comportamenti, sono riconducibili a cause meccaniche che lo studioso deve individuare ➝ 18 . Per illustrare la propria tesi, La Mettrie ricorre a un’analogia, parlando di homme machine (Uomo macchina, 1748). L’uomo è a tutti gli effetti una macchina, più complessa di quelle artificiali e anche di quelle che costituiscono gli animali, ma non dissimile da esse nella sostanza. Il suo comportamento è riconducibile a reazioni meccaniche: alla conservazione di sé e alla sensazione di piacere connessa a ciò che lo favorisce, a quella di dolore legata a ciò che la ostacola. Da queste è possibile derivare non soltanto le altre passioni ma anche ogni singolo comportamento, escludendo quindi il libero arbitrio ➝ 19 .

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17. La paroLa ai testi

Il sensismo di Condillac prende le mosse dall’empirismo di Locke. Ne amplia però l’analisi, proponendosi di individuare l’origine delle facoltà dell’anima.

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Locke distingue due fonti delle nostre idee, i sensi e la riflessione. Sarebbe più esatto riconoscerne una soltanto, sia perché la riflessione nel suo principio è la sensazione stessa, sia perché è più il canale attraverso il quale le idee derivano dai sensi che la fonte delle idee stesse. Questa inesattezza, per leggera che possa sembrare, diffonde molta oscurità nel suo sistema: infatti lo mette nell’impossibilità di svilupparne i principi. Così questo filosofo si accontenta di riconoscere che l’anima percepisce, pensa, dubita, crede, ragiona, conosce, vuole, riflette, che siamo convinti dell’esistenza di queste operazioni perché le troviamo in noi stessi e contribuiscono agli sviluppi delle nostre conoscenze. Ma non ha sentito la necessità di scoprirne il principio e la genesi, non ha sospettato nemmeno che potessero essere soltanto abitudini acquisite. Sembra che le abbia considerate come qualcosa di innato e dice soltanto che si perfezionano con l’esercizio. (E.B. de Condillac, Trattato delle sensazioni, in Opere, trad. it. di G. Viano, Utet, Torino 1976, p. 559)

18. PEr CaPirE MEGLiO

MaTEriaLisMO E MECCaNiCisMO Spesso materialismo e meccanicismo sono associati, pur essendo concetti diversi. Il materialismo è la concezione secondo la quale l’unica sostanza è la materia e tutto è riconducibile ad essa, anche le funzioni psichiche che sono proprie del cervello. Il meccanicismo è la concezione secondo cui ogni cambiamento è riconducibile a una causa efficiente, quindi anteriore, che lo determina. tutto ciò che avviene è perciò determinato da cause che lo fanno essere quello che è, escludendo il libero arbitrio. Il meccanicismo è un postulato fondamentale della scienza della natura, perché è il presupposto dell’esistenza di leggi naturali. Infatti non si potrebbe parlare di leggi universali e necessarie se ammettessimo la libera volontà o il caso. Molti filosofi si pongono il problema di come conciliare il meccanicismo della natura con il libero arbitrio, che appare irrinunciabile per poter parlare di responsabilità morale, di etica, di diritto ecc. Infatti, se presupponiamo che il comportamento è determinato da cause efficienti, nessuno agisce volontariamente e quindi non si può parlare di azioni buone o cattive, così come non sono buone o cattive né l’azione del Sole che feconda il terreno né quella della valanga che uccide un uomo. 19. approFondiMenti > Filosofia per immagini

Le MetaFore dei FiLosoFi: L’uoMo-oroLoGio Per Cartesio gli animali sono semplici macchine biologiche. la Mettrie estende l’analogia all’uomo stesso, che è una macchina non diversa, se non per complessità, dagli animali e dalle piante. l’idea che l’uomo sia solo una specie di macchina era già stata avanzata dai filosofi materialisti greci, leucippo e Democrito. la Mettrie si rifà a questa tradizione, di cui condivide la negazione di ogni forma di finalismo e di processi “spirituali” non spiegabili con cause materiali. Per gli antichi si trattava solo di una vaga similitudine (l’uomo come aggregato semovente di atomi), ma la Mettrie, che vive nel secolo in cui nasce la tecnologia moderna, la trasforma in una complessa metafora, paragonando l’uomo alla macchina più complessa del suo tempo. «Il corpo umano è un orologio, ma immenso e costruito con tanto artificio e abilità che se la ruota adibita a indicare i secondi si ferma quella dei minuti continua a girare e a compiere ▶▶

2 l’Il luMIN IS Mo IN F rA N C IA

T5 Condillac L’origine delle funzioni intellettive

6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

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Helvétius helvétius condivide la prospettiva materialistica, dando però molta importanza, nel determinare il comportamento umano, ai condizionamenti dell’ambiente. una società giusta, politicamente ben organizzata, produrrà individui morali e felici. Anche Claude-Adrien Helvétius (1715-71) prende le mosse dal sensismo di Condillac, ma lo sviluppa traendone importanti prospettive di analisi. Infatti, se l’esperienza forma non soltanto i contenuti dell’intelletto ma l’intelletto stesso, allora dovremo approfondirne le dinamiche, cioè il modo in cui le diverse esperienze favoriscono o meno lo sviluppo delle facoltà intellettive (Dello spirito, 1758) ➝ 20. Si tratta quindi di studiare le relazioni tra l’ambiente in cui l’individuo si sviluppa da una parte e l’azione educativa intenzionale dall’altra. Di conseguenza, Helvétius sostiene che per lo sviluppo positivo degli individui è importante sia una società ben amministrata, sia un’educazione programmata intenzionalmente, approfondendo quindi l’analisi politica e sociale da un lato, la pedagogia dall’altro. Se questi fattori saranno studiati adeguatamente e organizzati nel migliore dei modi, allora, scrive Helvétius, «è certo che i grandi uomini, che ora sono il frutto di un cieco concorso di circostanze, diventerebbero opera del legislatore, e che, lasciando meno da fare al caso, un’eccellente educazione potrebbe moltiplicare all’infinito nei grandi imperi e i talenti e le virtù» (Dello spirito, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 180). Incomincia a definirsi la prospettiva che porterà alla nascita delle scienze umane e sociali: comprendendo l’interazione tra l’uomo e l’ambiente, è possibile organizzare razionalmente la società e l’educazione in modo da ottenere risultati previsti e voluti ➝ 21 . Gli uomini, conclude Helvétius, nascono uguali: sono la società e l’educazione a determinare le differenze: «l’ineguaglianza di spirito che si riscontra tra gli uomini dipende dunque dal governo sotto il quale vivono, dal secolo, più o meno felice, in cui nascono, dall’educazione più o meno buona che ricevono» (Ivi, p. 162). Anche per Helvétius, come per La Mettrie, il comportamento dipende quindi da fattori prevedibili e modificabili. Per entrambi, di conseguenza, non si può parlare di un’etica prescrittiva ma soltanto descrittiva, per comprendere le dinamiche del comportamento e non per dettare norme da seguire.

D’Holbach D’holbach estende il materialismo all’interpretazione dell’intero mondo naturale, sostenendo che tutto può essere spiegato sulla base delle leggi naturali. in quest’ottica non c’è posto per Dio, la cui esistenza viene anzi esplicitamente negata sulla base dell’esistenza del dolore e delle malattie, che Dio, se esistesse, non potrebbe permettere. La Mettrie e Helvétius sostengono un materialismo pratico, relativamente all’essere umano e al suo comportamento, senza però teorizzarlo su un piano metafisico ➝ 22 , operazione sviluppata invece in modo coerente da Paul Henry Dietrich d’Holbach (1723-89), filosofo di origine tedesca ma naturalizzato francese. La sua indagine si estende all’intero sistema della natura (Sistema della natura, ossia delle leggi del mondo fisico e del mondo morale, 1770). La natura, argomenta d’Holbach, ha in se stessa la propria ragion d’essere, senza necessità di ricorrere a ipotesi teleologiche o a un’intelligenza ordinatrice. Le leggi che la regolano ne spiegano infatti le caratteristiche e lo sviluppo. Non solo non è necessario presupporre l’esistenza di Dio per spiegare la natura, ma è possibile dimostrarne razionalmente la non esistenza: un essere onnipotente e infinitamente buono è infatti inconciliabile con il male nel mondo e con la precarietà della condizione umana. Para-

Materiali per l’apprendimento attivo

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20. PEr CaPirE MEGLiO

LO sTuDiO DELLa MENTE la lingua francese non ha due termini distinti per «spirito» e «mente»: esprit ha entrambi questi significati, e nell’analisi di Helvétius prevale soprattutto il secondo. Nell’opera Dello spirito, infatti, Helvétius si sofferma sull’influenza che hanno l’ambiente e l’educazione nella formazione delle capacità intellettuali. Il saggio è suddiviso in quattro discorsi: il primo ha il titolo Sullo spirito in se stesso, il secondo Sullo spirito in rapporto alla società e il terzo Se lo spirito debba essere considerato un dono della natura o un effetto dell’educazione. la risposta a questa domanda sottolinea ovviamente l’importanza dell’educazione ed esplicita il significato di «spirito» come “mente”. la quarta parte, infine, dedicata in modo specifico all’educazione, si conclude sottolineando che una formazione ben organizzata farebbe sì che gli uomini intellettualmente geniali, che sono un’eccezione, diventerebbero la norma, moltiplicando «i talenti e le virtù». 21. La paroLa ai testi

T6 helvétius Educazione e società Helvétius stabilisce uno stretto rapporto tra società e formazione degli individui, tanto da escludere, in chiusura del proprio trattato, che in Stati dispotici possano nascere uomini di genio.

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L’arte di formare gli uomini è in ogni paese così strettamente legata alla forma del governo, che è forse impossibile fare alcun cambiamento considerevole nell’educazione pubblica senza farne nella costituzione stessa degli Stati. L’arte dell’educazione non è che la conoscenza dei mezzi adatti a formare corpi più robusti e più forti, spiriti più illuminati e animi più virtuosi. Quanto al primo scopo dell’educazione, è dai Greci che bisogna prendere esempio, in quanto essi onoravano gli esercizi del corpo (che costituivano anche una parte della loro medicina). Quanto ai mezzi per rendere gli spiriti più illuminati e gli animi più forti e virtuosi, una volta mostrata l’importanza della scelta degli oggetti da fissare nella memoria e la facilità con la quale si possono accendere in noi passioni forti e dirigerle al bene generale, ritengo di aver sufficientemente indicato al lettore illuminato il piano che bisognerebbe seguire per perfezionare l’educazione pubblica. (C.-A. Helvétius, Dello spirito, Editori Riuniti, Roma 1970, p. 171)

22. per Capire MeGLio

MateriaLisMo MetaFisiCo e pratiCo Quando parliamo di «materialismo pratico» ci riferiamo alla prassi, al comportamento. Qui, «pratico» vuol dire proprio relativo alla prassi. In altri termini, ci poniamo nella prospettiva di spiegare il comportamento umano partendo dal presupposto che tutto sia materia e quindi che il comportamento stesso possa essere spiegato a partire da cause materiali (fisiche, fisiologiche, biologiche ecc.). Il «materialismo metafisico» riguarda invece la spiegazione dell’intera realtà in termini di sola materia, quindi la struttura stessa del reale, il suo sviluppo, la sua ragion d’essere sono ricondotti alla materia. Di conseguenza, la materia si giustifica da sé (senza richiedere alcuna creazione), presenta una propria razionalità (ciò che chiamiamo «natura»), possiamo ricostruirne lo sviluppo mediante dinamiche interne, senza ricorrere alla provvidenza divina o ad altre cause trascendenti, e così via.

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il suo corso, e anche la ruota dei quarti d’ora continua a muoversi come pure le altre, anche quando le prime, arrugginite o disturbate da una causa qualsiasi, hanno interrotto il loro cammino». Così scrive in L’uomo-macchina, il suo testo più celebre, cui farà seguire il meno noto L’uomo-pianta, in cui estende l’analogia al mondo vegetale: l’uomo è una «pianta mobile e semovente», una specie di “orologio” biologico che non necessita di alcun orologiaio.

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dossalmente ➝ 23 , proprio questa precarietà e la paura della morte alimentano il sentimento religioso che a sua volta nutre lo spirito clericale, fonte di oscurantismo e di infelicità per l’uomo. La religione va combattuta, per eliminarne le conseguenze negative sia in ambito sociale, sia esistenziale. Dal materialismo metafisico ➝ 24 , d’Holbach deriva una concezione meccanicistica del comportamento, riconducibile anch’esso a leggi deterministiche, a partire dal principio di conservazione di sé e al piacere e al dolore connessi a ciò che lo favorisce o lo ostacola, come abbiamo già visto in altri filosofi.

GuIda allo sTudIo • Che rapporto stabilisce voltaire tra il

deismo e la tolleranza? • Come giustifica voltaire il dispotismo illuminato? Che rapporti ci sono tra questo regime e il liberalismo? • Come si caratterizza il materialismo di diderot? • Che cos’è il sensismo?

• A chi si richiama Condillac? In che senso ne

radicalizza il pensiero? • Perché La mettrie parla di «uomo-

macchina»? • Chi studia in modo particolare l’influenza

dell’ambiente sulla personalità? • Perché a proposito di d’Holbach si parla di «materialismo metafisico»?

La nascita delle scienze umane e sociali L’interesse per l’uomo che caratterizza l’Illuminismo, si traduce nell’esigenza di un approccio scientifico alla psiche e alla società. Si delineano, seppure in modo embrionale, le scienze dell’uomo che conosceranno un grande sviluppo nei secoli successivi ➝ 25 .

Montesquieu e la sociologia Nelle lettere persiane Montesquieu immagina che due persiani scrivano dell’Europa: ne emerge uno sguardo dall’esterno della cultura europea e una critica delle istituzioni dell’epoca. Nel saggio lo spirito delle leggi, il filosofo francese ricerca le cause della differenza tra le diverse costituzioni e i diversi sistemi giuridici, anticipando la sociologia. Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755) getta le prime basi di quelle che diventeranno, nell’Ottocento, l’antropologia culturale e la sociologia. Lo fa con le sue opere principali, le Lettere persiane (1721) e Lo spirito delle leggi (1748). Nella prima opera, immagina di aver ritrovato le lettere che due persiani, Usbek e Rica, in visita in Europa, scrivono in patria, raccontando le loro impressioni di viaggio. Montesquieu costruisce un singolare esperimento: descrivere l’Europa vista con gli occhi di una diversa cultura ➝ 26 , rovesciando i resoconti diffusi all’epoca degli europei che descrivevano le culture di altri Paesi. La cultura europea viene osservata e raccontata come una «cultura altra», relativizzandone i valori. Montesquieu suggerisce la tesi che, come le culture degli altri Paesi appaiono agli europei strane o incomprensibili, così apparirebbe quella europea agli occhi di un individuo proveniente da un’altra realtà. Il confronto con il diverso, che andava acquisendo sempre maggiore rilievo, diventa relativizzazione di sé stessi. Montesquieu utilizza la finzione letteraria anche come critica alle istituzioni e ai costumi dell’ancien régime, collocandosi quindi in pieno nel clima illuministico, ma non trascura neppure un approccio antropologico.

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23. COMPETENZE > argomentazione

24. La ParOLa ai TEsTi

T7 D’holbach Il materialismo e l’uomo La natura ha in sé le proprie leggi e il motore del proprio sviluppo, l’uomo è un essere naturale, parte del tutto e soggetto alle stesse leggi.

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L’uomo è l’opera della natura, esiste nella natura, è sottomesso alle sue leggi, non può affrancarsene, non può, anche col pensiero, uscirne; vanamente il suo spirito vuole slanciarsi al di là dei limiti del mondo sensibile, è sempre costretto a rientrarvi. Per un essere formato dalla natura e circoscritto da essa, non esiste alcunché al di là del grande tutto di cui fa parte e di cui sente le influenze; gli esseri, che si suppongono al di sopra della natura o distinti da essa, sono sempre chimere, delle quali non sarà mai possibile formarci delle idee veritiere, non piú che del luogo che occupano e del loro modo di agire. Non c’è e non può esserci alcunché fuori della cerchia che racchiude tutti gli esseri. (P.H.D. d’Holbach, Sistema della natura, Utet, Torino 1778, p. 87)

25. attivitÀ >

Flipped classroom

La nasCita deLLe sCienZe uMane Sulla nascita delle scienze nella Francia illuministica puoi trovare un ampio percorso nei materiali online del manuale, in imparo sul Web, dal titolo «la nascita delle scienze umane e sociali». leggilo con attenzione, segnandoti i punti poco chiari o interessanti, i primi per chiedere in classe spiegazione all’insegnante, i secondi da proporre alla discussione con i tuoi compagni. 26. per Capire MeGLio

CHe Cos’È La CuLtura? Qui si parla di «cultura» in senso antropologico, che è molto diverso dal significato comune del termine, inteso come “insieme di conoscenze”. l’antropologia culturale studia appunto la cultura intesa come il modo di essere di una popolazione, come l’insieme dei suoi valori, delle sue tradizioni, dei costumi. Ma, oltre a questo, la cultura è una visione del mondo, un insieme di disposizioni verso la realtà, per cui, ad esempio, alcune popolazioni considerano la donna soggetta all’uomo, altre invece affermano l’uguaglianza di genere, alcune popolazioni considerano un dovere la vendetta privata, altre ritengono che la giustizia possa essere amministrata solo dallo Stato, alcune popolazioni considerano doveroso collaborare con gli altri e aiutare chi ne ha bisogno, altre considerano un valore l’individualismo, e così via per tutti gli altri aspetti della vita.

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iL ParaDOssO DiO Il paradosso evidenziato da d’Holbach è più chiaro se ne esplicitiamo l’argomentazione: se Dio esistesse allora sarebbe onnipotente e sarebbe infinitamente buono, PerÒ allora non permetterebbe l’esistenza del male; Ma il male esiste QuIndI Dio non può esserci; Ma PoIcHÉ esistono il male e la morte allora gli uomini sentono il bisogno dell’esistenza di Dio Per proteggersi dal male, MenTre l’esistenza del male paradossalmente è la prova della non esistenza di Dio.

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Nell’opera Lo spirito delle leggi egli teorizza la moderna divisione dei poteri. L’impianto generale però è di tipo sociologico: le caratteristiche delle diverse costituzioni e dei diversi sistemi legislativi vengono spiegate riconducendole alle differenze territoriali, climatiche, economiche tra i diversi Paesi. Non si parla quindi di un diritto astratto, ma della spiegazione della logica sottesa ai diversi sistemi giuridici in relazione a fattori di tipo sociologico.

Gli idéologues e la psicologia Gli idéologues studiano la produzione delle idee e quindi più in generale il funzionamento della psiche, considerandola strettamente legata al corpo, come è dimostrato dai fenomeni di somatizzazione. in questo modo anticipano la nascita della psicologia. Anche i philosophes, come abbiamo visto, ricercano una spiegazione del comportamento umano, riconducendolo a variabili studiabili oggettivamente, quali l’ambiente e l’istruzione. Le dinamiche psichiche vengono approfondite in modo più specifico, preludendo alla nascita della psicologia come scienza autonoma, dai cosiddetti idéologues, che si occupano in particolare dell’origine e delle dinamiche relative alle idee, cioè alla psiche. Gli idéologues si orientano verso l’analisi dei rapporti tra processi fisiologici e psichici, studiando nello specifico la stretta correlazione tra il physique e il moral che sensisti e materialisti avevano affermato sul piano teorico. Di particolare interesse sono le ricerche del medico Pierre-Jean-Georges Cabanis (1757-1808). Egli studia la stretta interazione tra corpo e psiche descrivendo il fenomeno della somatizzazione, per cui dinamiche psichiche non risolte si manifestano a livello organico. Reciprocamente, molti disturbi della personalità possono essere ricondotti a cause organiche. Cabanis studia ad esempio il disagio adolescenziale, spiegandolo a partire dai cambiamenti ormonali che caratterizzano questo periodo ➝ 27 .

Les Observateurs de l’homme e l’antropologia culturale La società degli osservatori dell’uomo intende raccogliere tutti gli studiosi che si interessano a un approccio scientifico alla mente e al comportamento. essi si occupano in particolare dell’analisi delle diverse popolazioni, comparandone le culture e precorrendo l’antropologia culturale. Le diverse prospettive di analisi dell’uomo che avevano preso corpo nel corso del Settecento, trovano una organica sintesi nel progetto che si costituisce intorno a Louis-François Jauffret (1770-1850), che nel 1799 fonda a Parigi la Société des Observateurs de l’homme. Si tratta di un organismo che raccoglie studiosi di diverse discipline, filosofi, medici, naturalisti, geografi, storici ecc., con l’intento di coordinare le ricerche per un approccio unitario allo studio dell’individuo, delle comunità e dell’interazione tra processi psichici e culturali e l’ambiente fisico e sociale. Gli “Osservatori dell’uomo” si occupano in particolare dello studio dei popoli non europei, ponendo le basi per la nascita dell’antropologia culturale. Mettono a punto metodi per lo studio della cultura, tra cui quello comparativo (analizzare istituzioni simili in contesti culturali diversi) ➝ 28 , quello partecipativo, che prevede di vivere per alcuni anni presso le popolazioni studiate, e sottolineano l’importanza di analizzare il linguaggio perché in esso si esprimono il modo di pensare e la visione del mondo dei diversi popoli. GuIda allo sTudIo • Perché montesquieu può essere considerato un antesignano della sociologia? • Che cosa studiano gli idéologues? di che cosa si occupa Cabanis? • Perché gli “osservatori dell’uomo” anticipano l’antropologia culturale?

Materiali per l’apprendimento attivo

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27. La paroLa ai testi

Il pensiero è il prodotto del cervello, così come lo stomaco produce i succhi gastrici. E come lo stomaco scompone e rielabora le sostanze nutritive, in modo simile il cervello scompone e rielabora le sensazioni, producendo in questo modo tutto il complesso mondo “spirituale” dell’uomo.

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Per farsi una giusta idea delle operazioni da cui risulta il pensiero occorre considerare il cervello come un organo particolare destinato specificamente a produrlo: proprio come lo stomaco e gli intestini sono adibiti a operare la digestione, il fegato a filtrare la bile, le parotidi e le ghiandole mascellari e sublinguali a preparare i succhi salivari. Arrivando al cervello, le impressioni lo fanno entrare in azione, come gli alimenti giungendo nello stomaco lo eccitano a produrre una secrezione più abbondante di succo gastrico e a effettuare i movimenti che favoriscono la loro dissoluzione. La funzione propria dell’uno è di percepire ogni impressione particolare, di collegarvi dei segni, di combinare le varie impressioni, di paragonarle tra loro, di trarne giudizi e determinazioni; così come la funzione dell’altro è di agire sulle sostanze nutritive, la cui presenza lo stimola a dissolverle e ad assimilarne i succhi al nostro corpo. […] Tutto ciò risolve completamente la difficoltà sollevata da coloro i quali, considerando la sensibilità come una facoltà passiva, non comprendono come giudicare, ragionare, immaginare, non sia altro che sentire. Questa difficoltà scompare quando in queste diverse operazioni si riconosce l’azione del cervello sopra le impressioni che gli sono trasmesse. (P.J.G. Cabanis, Rapporti tra il fisico e il morale dell’uomo, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 61-62)

28. PEr CaPirE MEGLiO

iL METODO COMParaTivO Per spiegare in concreto il metodo comparativo, Joseph-Marie Degérando (1772-1842), autore del saggio Considerazioni sui vari metodi da seguire nell’osservazione dei popoli selvaggi, scrive:

T9 Degérando Il metodo comparativo

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L’uomo quale si mostra a noi, negli individui che ci circondano, si trova modificato contemporaneamente da mille circostanze diverse: dall’educazione, il clima, le istituzioni politiche, i costumi, le opinioni stabilite, le conseguenze dell’imitazione, l’influenza dei bisogni artificiali che si è creato. In mezzo a tante cause diverse che si riuniscono per produrre questo grande ed interessante effetto che è l’uomo noi non potremo mai enucleare l’azione precisa che appartiene a ciascuna di esse, se non troveremo dei termini di paragone in grado di isolare l’uomo dalle circostanze particolari nelle quali egli si offre a noi, e di togliergli quelle forme accessorie sotto le quali l’arte ha celato in qualche modo ai nostri occhi l’opera della natura. (J.-M. Degérando, Considerazioni sui vari metodi da seguire nell’osservazione dei popoli selvaggi, in S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento, Appendice, Laterza, Roma-Bari 1978, p. 278)

In concreto, se vogliamo individuare la causa, ad esempio, della poligamia, compareremo le popolazioni che la consentono, per individuare se tra di esse ci sono fattori comuni, come ad esempio il clima, oppure il tipo di economia, o ancora la demografia ecc. reciprocamente, possiamo comparare popolazioni simili, ad esempio, dal punto di vista dell’ecosistema (popolazioni di montagna che vivono di pastorizia, poniamo) per individuare se esistono tra esse tratti comuni e non presenti in altre culture, che potremo riferire allora al territorio e all’attività economica che in esso praticano. Il metodo comparativo sarà uno dei principali dell’antropologia culturale nella seconda metà dell’ottocento e nei primi decenni del secolo successivo.

2 l’Il luMIN IS Mo IN F rA N C IA

T8 Cabanis Lo studio fisiologico del pensiero

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• Sintesi • Mappa

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Oltre l’Illuminismo: Rousseau

rousseau si colloca per alcuni aspetti nell’orizzonte dell’illuminismo, che supera però per altri, anticipando numerosi temi del romanticismo. Rousseau ha un rapporto ambivalente con l’ambiente illuministico: ne condivide alcuni orientamenti di fondo, collabora per qualche anno all’Encyclopédie ed è amico personale di Diderot. Ben presto però arriva a una frattura con l’amico e con l’ambiente illuministico in generale, in particolare con Voltaire, con il quale polemizza a più riprese ➝ 29 . Parallelamente entra in polemica anche con alcune delle idee di fondo dell’Illuminismo, a partire dalla centralità della ragione, cui contrappone invece il sentimento. Anche dal punto di vista politico, va oltre il liberalismo teorizzando una democrazia diretta, in cui il popolo possa partecipare attivamente alle decisioni. Contro il mito del progresso, rivaluta lo stato di natura, alimentando il mito del «buon selvaggio», cioè l’affermazione della superiorità morale dell’uomo che vive allo stato di natura rispetto a quello «civilizzato». Tuttavia, Rousseau non rinnega l’Illuminismo, ma va oltre, rappresentandone per alcuni aspetti il coronamento, per altri il superamento, in una direzione che anticipa il Romanticismo. Analizziamo con ordine questi diversi aspetti.

I Discorsi e la critica all’Illuminismo Nel discorso sulle scienze e sulle arti, rousseau sostiene che le scienze nascono per soddisfare vizi e che quindi il progresso scientifico costituisce in realtà un regresso morale. nel discorso sull’origine dell’ineguaglianza individua nell’istituzione della proprietà privata l’origine dei peggiori mali sociali. Nel 1750 Rousseau scrive il Discorso sulle scienze e sulle arti, in risposta al concorso bandito dall’Accademia di Digione sul tema Se la rinascita delle scienze e delle arti ha contribuito a migliorare i costumi. Secondo Rousseau, le scienze e le arti non hanno contribuito affatto a migliorare i costumi, anzi, sono nate proprio per soddisfare i peggiori vizi e, sviluppandosi, li hanno amplificati. La geometria nasce dall’avidità, per misurare i terreni sui quali veniva affermata la proprietà; l’astronomia ha origine dall’astrologia e quindi dalla superstizione; la retorica e l’eloquenza hanno origine dal bisogno di primeggiare nella società; la morale stessa, poi, ha la propria origine nell’orgoglio dell’uomo, che ritiene se stesso arbitro del bene e del male. La conclusione è che lo sviluppo della civiltà è andato di pari passo con la decadenza morale e le diverse scienze hanno in varia misura contribuito ad accrescere e a rendere socialmente accettabili i vizi peggiori ➝ 30.

Materiali per l’apprendimento attivo 29. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

30. La ParOLa ai TEsTi

T10 rousseau Le scienze nascono dai vizi umani Le scienze nascono dai vizi e sono alimentate dai vizi perché, come diceva anche Bernard de Mandeville (1670-1733), se non ci fossero i vizi verrebbero meno. La relazione tra morale e orgoglio si rifà alla tradizione biblica del peccato originale, che fu appunto peccato di orgoglio, in quanto l’uomo volle farsi giudice del bene e del male.

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L’astronomia è nata dalla superstizione; l’eloquenza dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione, dalla menzogna; la geometria dall’avarizia; la fisica da una vana curiosità; tutte, e la morale stessa, dall’orgoglio umano. Le scienze e le arti debbono dunque la nascita ai nostri vizi: noi dubiteremmo meno dei loro vantaggi, se la dovessero alle nostre virtù. Il loro vizio d’origine è ancor troppo riprodotto nei loro oggetti. Che faremmo delle arti, senza il lusso che le alimenta? Senza l’ingiustizia degli uomini, a che servirebbe la giurisprudenza? Che diverrebbe la storia, se non vi fossero tiranni, guerre, cospiratori? Chi vorrebbe, in una parola, passar la vita in sterili contemplazioni, se ciascuno, null’altro consultando che i doveri dell’uomo e i bisogni della natura, non avesse tempo che per la patria, per gli infelici e per gli amici? (J.-J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti, parte II, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, pp. 9-10)

3 oLTrE L’IL LUMIn IS Mo: roUS S E AU

La POLEMiCa Tra rOussEau E GLi iLLuMiNisTi Dopo la collaborazione all’Enciclopedia per voci sulla musica, con i due Discorsi i rapporti tra rousseau e i philosophes diventano tesi. Anche l’amicizia con Diderot entra in crisi e tra il 1756 e il 1758 si arriva alla rottura vera e propria. Nel 1756, rousseau scrive la Lettera sulla provvidenza, contro il Poema sul disastro di Lisbona e sulla legge di natura, in cui voltaire ironizzava, prendendo spunto dal terremoto che aveva colpito quella città, sulla concezione leibniziana del «migliore dei mondi possibili» e sull’esistenza di una provvidenza nella storia. Secondo rousseau è l’uomo che, in quanto essere libero, ha introdotto il male nel mondo; e anche a proposito di disastri naturali, egli chiama in causa responsabilità degli uomini, almeno per quanto riguarda la gravità delle conseguenze: se non si costruissero grandi città, se gli uomini non fossero tanto attaccati ai propri averi da esitare a fuggire al momento del pericolo, i terremoti farebbero meno danni. la polemica con gli autori dell’Enciclopedia si fa più diretta ed esplicita in occasione della pubblicazione, nel 1757, del settimo volume dell’opera. Per la voce Ginevra, d’Alembert, dopo aver mosso alcune critiche in ▼ Jean-Jacques Rousseau, filosofo campo religioso, affronta una questione per quei tempi mol- e pedagogista svizzero, in una to rilevante: la liceità o meno delle rappresentazioni tea- stampa settecentesca. trali. A Ginevra sono proibite come fonte di corruzione dei costumi; ma voltaire invita attori e organizza rappresentazioni teatrali in privato e Diderot e voltaire sono ormai celebri autori di opere teatrali. Sulle pagine dell’Enciclopedia d’Alembert sostiene la causa dell’introduzione del teatro nella città di Ginevra: rousseau scrive e pubblica nel 1758 una lunga lettera a d’Alembert (Lettera sugli spettacoli), in cui si fa paladino della morale, della religione e dei costumi di Ginevra, minacciati dalla cultura parigina. la lettera crea molto scalpore, anche perché il distacco definitivo dagli autori dell’Enciclopedia avviene proprio in un momento in cui l’opera è sotto accusa.

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6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

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Le critiche suscitate da questo saggio creano i primi attriti con l’ambiente illuministico, destinati ad accentuarsi con il secondo Discorso, scritto in risposta a un bando della stessa Accademia e anch’esso premiato: il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, pubblicato nel 1755. In esso Rousseau mette in discussione la concezione politica dell’Illuminismo, che guardava a Locke e faceva del liberalismo, anche nella versione francese rappresentata dalla fisiocrazia, il proprio punto di riferimento. Rousseau esordisce con il celebre passaggio che rovescia i presupposti del liberalismo e la pretesa di considerare la proprietà privata un diritto naturale: «Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: questo è mio, e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, omicidi, quante miserie ed orrori non avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i piuoli e colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: “Guardatevi dall’ascoltare questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti, e che la terra non è di nessuno!”» (Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 60). Si tratta di un vero e proprio rovesciamento del liberalismo: la proprietà privata non solo non è un diritto naturale, ma costituisce anzi l’origine di tutti i mali sociali. La critica di Rousseau è però ancora più radicale e investe l’altro presupposto forte della concezione politica illuministica: il contrattualismo. L’immagine di un uomo razionale, che decide di cooperare con gli altri per utilità, organizzando le istituzioni in grado di produrre una pacifica convivenza, è illusoria, è semplicemente la proiezione della mentalità dell’uomo attuale in uno stato, quello naturale, che presumibilmente era molto diverso. L’uomo naturale, probabilmente, non era guidato dalla ragione ma dal sentimento ➝ 31 e tendeva verso gli altri, come chiarirà meglio nel Contratto sociale e nell’Emilio, non per un calcolo utilitaristico, ma per un sentimento spontaneo di comprensione e di pietà, un po’ come affermava Hume parlando di «simpatia». Si trattava di un sentimento che univa gli individui tra sé e li legava al tempo stesso alla natura. Rousseau delinea in quest’opera il «mito del buon selvaggio», un’immagine dell’uomo allo stato di natura che è buono e disinteressato. Non si tratta dell’uomo «primitivo», che anche per Rousseau era presumibilmente guidato da sentimenti egoistici simili a quelli descritti da Hobbes, ma del «selvaggio», cioè delle popolazioni che venivano in quel periodo studiate nelle Americhe e in Africa, organizzate in tribù ma prive di proprietà privata e di una individualità che li contrapponesse agli altri, con i quali costituivano anzi un’entità unitaria, un’identità collettiva. Con una celebre immagine, Rousseau paragona l’opera della civiltà su quest’uomo ideale a quella del mare che corrode e corrompe l’immagine di un Dio fino a renderla simile a quella di una belva ➝ 32 .

◀ Jean-Jacques Rousseau, Emilio vince la corsa, illustrazione per Emilio o dell’educazione (Emile ou de l’education), 1762 (La Haye).

Materiali per l’apprendimento attivo 31. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

▶ L’ educazione dell’uomo inizia alla nascita: le madri con i loro figli accanto a un busto di Rousseau in omaggio al filosofo svizzero, xviii secolo (Collezione privata).

32. La ParOLa ai TEsTi

T11 rousseau La statua di Glauco L’uomo moderno è trasformato in profondità dalla secolare abitudine alla vita sociale e da tutti i pregiudizi conoscitivi e morali che ne derivano. È come la statua di un dio, deformata dal mare e dal tempo al punto da assomigliare all’immagine di una belva. Non è più possibile rintracciare l’immagine originaria, cioè l’uomo come doveva essere prima dell’incivilimento e della vita associata.

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Come conoscere la fonte della disuguaglianza fra gli uomini, se non si comincia dal conoscere se stessi? e come l’uomo verrà mai a capo di vedersi tal quale natura l’ha formato, attraverso tutti i cangiamenti che la successione dei tempi e delle cose ha dovuto produrre nella sua costituzione originaria; e di svincolare ciò che deve alla propria essenza intima da ciò che le circostanze ed i suoi progressi hanno aggiunto o mutato nel suo stato primitivo? Simile alla statua di Glauco, che il tempo, il mare e le procelle avevan talmente sfigurato, che somigliava meno a un dio che ad una bestia feroce, l’anima umana, alterata in seno alla società da mille cause senza posa rinascenti, dall’acquisto di una moltitudine di conoscenze e d’errori, dai cangiamenti sopravvenuti nella costituzione dei corpi, e dall’urto continuo delle passioni, ha, per così dire, mutato d’aspetto, fino al punto di esser quasi irriconoscibile; e non vi si ritrova più, in luogo d’un essere operante sempre secondo principi certi e invariabili, in luogo di quella celeste e maestosa semplicità che il suo autore vi aveva impressa, se non il deforme contrasto della passione che crede ragionare e dell’intelletto delirante. (J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine della disuguaglianza, Prefazione, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, pp. 38-39)

3 oltre l’Il luMIN IS Mo: rouS S e Au

sENTiMENTO Pur senza ripudiare l’importanza data dall’Illuminismo alla ragione, rousseau rivendica l’importanza del sentimento, in nome di quel recupero della dimensione naturale che significa anche rivalutazione di tutte le componenti della personalità umana e non soltanto della ragione. In particolare, il sentimento è importante nell’educazione, dove rousseau sostiene la specificità dell’infanzia e quindi la necessità che il bambino non sia considerato un adulto in miniatura, guidato soltanto da una ragione ancora immatura. È importante anche nella teoria sociale e politica, costituendo il fondamento della nozione di «popolo», come comunità basata su una storia e una lingua comuni che determinano un sentire comune (la volontà generale) e una solidarietà che costituisce la base della concezione democratica. È altresì il fondamento della religione, non più il deismo illuministico basato soltanto su considerazioni razionali, ma una «religione del cuore» basata sul sentimento interiore. la rivalutazione del sentimento è uno degli aspetti che fa di rousseau un precursore del romanticismo.

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6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

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La teorizzazione della democrazia: Il contratto sociale secondo rousseau il patto che sancisce l’uscita dallo stato di natura non istituisce immediatamente uno stato, ma un’associazione di uomini con regole, intenti e valori comuni, cioè un popolo, considerato come una sorta di individuo collettivo che ha una propria visione del mondo e una propria volontà. rousseau distingue tra una volontà di tutti e una volontà generale. La seconda esprime intenti, valori e atteggiamenti comuni verso il mondo e gli altri, e in questo senso anticipa la nozione romantica di popolo, ma anche quella attuale di «cultura», in senso antropologico. il concetto di popolo fonda quello di democrazia, di cui rousseau è considerato il teorico. La tesi che la civiltà sia decadenza viene ripresa nella frase di apertura dell’opera in cui Rousseau espone in modo sistematico la propria concezione politica, Il contratto sociale. «L’uomo è nato libero, ‒ esordisce Rousseau ‒ e dappertutto è in catene. Quegli, che si crede padrone degli altri, non è mai meno schiavo di essi. Come s’è operato questo cambiamento? Io l’ignoro. Che cosa può renderlo legittimo? Credo di poter risolvere questo problema» (Del contratto sociale, in Opere cit., p. 279). La sua analisi muove proprio da questa domanda. Ricostruiamone i diversi passaggi. La critica al contrattualismo viene chiarita: prima che un popolo stipuli qualsiasi patto, occorre che un popolo esista. La prima domanda non è quindi, come volevano Grozio e Hobbes: «Come nasce lo Stato?», ma un’altra, ad essa preliminare: «Come nasce un popolo?». In questa prospettiva, argomenta Rousseau, emerge più chiaramente che la società non nasce da un patto, come si poteva immaginare per uno Stato, guardando alle diverse carte costituzionali come patti scritti tra sovrano e popolo. La nascita di un popolo è un fatto storico, che si crea progressivamente, a partire dai rapporti di affetto che danno vita alla famiglia. Rapporti simili legano diverse famiglie che vivono assieme, finché l’insieme delle famiglie è troppo ampio per una convivenza spontanea. A questo punto si può ipotizzare che si stabilisca un patto, ma non quello politico da cui ha origine lo Stato, bensì quello basato sulla solidarietà da cui ha origine una società. Stringendo i rapporti reciproci tra i membri, questo patto determina una comunanza di intenti, una volontà comune, dalla quale ha origine un popolo. Rousseau concepisce il popolo come un’identità collettiva ben diversa da quella immaginata da Hobbes, quando, nel frontespizio del Leviathan, dipinge il sovrano come costituito da una moltitudine di uomini unita sotto la sua autorità in un unico individuo. Per Rousseau, il popolo trova espressione non nel sovrano, ma nella volontà generale ➝ 33 , in un volere comune che esprime una comune visione del mondo, un sentire collettivo. In questo modo, Rousseau anticipa il moderno concetto di cultura inteso appunto come comune visione del mondo, come atteggiamenti simili di fronte alle diverse vicende esistenziali. Questa identità collettiva fonda i doveri di solidarietà propri della concezione democratica, quella fraternité che affiancherà la liberté e l’égalité della Rivoluzione francese. La concezione democratica fa propri i valori del liberalismo, aggiungendo però ad essi nuovi diritti e nuovi doveri ➝ 34 . Seguiamo il ragionamento di Rousseau. Egli distingue tra volontà generale e volontà di tutti. Consideriamo ad esempio la società francese. Essa comprende ceti e classi che hanno interessi diversi e spesso contrapposti. La volontà di tutti è la conciliazione di questi diversi interessi in modo da evitare conflitti e garantire la collaborazione. La volontà di tutti trova espressione nella legge e riflet-

Materiali per l’apprendimento attivo 33. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

34. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

LiBEraLisMO E DEMOCraZia Il liberalismo e la democrazia costituiscono ancora oggi i principali sistemi politici, seguiti dalla maggior parte dei Paesi, soprattutto in occidente. Mentre durante la rivoluzione francese e poi nel corso dell’ottocento sono risultati contrapposti, nelle moderne costituzioni spesso convivono in una forma mista, che riprende dal liberalismo la centralità delle libertà personali (i diritti civili) e dalla democrazia i doveri di solidarietà e l’uguaglianza nei diritti politici. Per capire meglio le caratteristiche di queste due concezioni, seguiamo la classificazione dei diritti proposta ma thomas H. Marshall (1893-1981). egli li classifica in tre tipologie: • diritti civili, detti anche «libertà negative», perché lo Stato li garantisce non intervenendo. Sono la libertà di pensiero, di parola, di stampa, di associazione ecc. Sono al centro della concezione liberale ma vengono ripresi anche da quella democratica; • diritti politici, cioè la partecipazione alle decisioni dello Stato, che si traducono soprattutto nel diritto di voto, attivo quando è espresso per eleggere rappresentanti, passivo se riguarda il diritto di candidarsi e di essere eletti. Il liberalismo lo lega al censo, cioè assegna questo diritto solo a chi contribuisce con le tasse al mantenimento dell’apparato statale. Si stabilisce una soglia a partire dalla quale si ha l’elettorato attivo e una molto più alta per l’elettorato passivo, in modo che solo le classi più elevate possono eleggere i rappresentanti politici e solo quelle molto elevate possono ricoprire cariche elettive. la democrazia afferma invece il suffragio universale, inizialmente soltanto maschile, poi anche femminile; • diritti sociali, o «libertà positive», perché lo Stato le garantisce mobilitando risorse, spesso ingenti. riguardano i diritti che danno a tutti pari opportunità e garantiscono una vita dignitosa, come quello all’istruzione, al lavoro, all’assistenza sanitaria ecc. Storicamente, il liberalismo li nega, sostenendo che ognuno deve provvedere a se stesso, la democrazia li afferma con forza, in nome dell’uguaglianza di fatto e della solidarietà.

3 oltre l’Il luMIN IS Mo: rouS S e Au

vOLONTÀ GENEraLE l’idea che il patto sociale implichi la rinuncia alla propria particolare volontà e la sottomissione a una «volontà positiva di tutti in generale» è già stata espressa da Samuel Pufendorf (1632-94), un giurista e filosofo tedesco che ha teorizzato un doppio patto, il primo da cui ha origine la società, il secondo da cui nasce lo stato. In rousseau, comunque, il concetto di «volontà generale» presenta significati originali, in particolare relativamente ai due aspetti che seguono. 1. rousseau distingue tra una «volontà di tutti» e una «volontà generale». la prima non riguarda tanto i singoli quanto le associazioni parziali (economiche o politiche) all’interno della società. la «volontà generale» viene in questo modo contrapposta al modello liberale, che vedeva nella società civile, con la sua varietà di interessi contrapposti, il fulcro dell’organizzazione politica. Per rousseau, al contrario, il patto sociale esprime, nella volontà generale, un sentire comune dei cittadini, e dunque l’associazione crea una comune visione della vita: in termini schematici, il cuore della sua concezione non è la nozione di Stato ma quella di popolo. 2. la «volontà generale» non è soltanto espressione di un sentire comune, ma forma la moralità dei singoli. Al rapporto tra il patto sociale e il diritto, sottolineato da tutti i contrattualisti, rousseau aggiunge quello tra la volontà generale e l’etica, che ricorda tesi hobbesiane e va contro, invece, il giusnaturalismo e le interpretazioni liberali, per i quali l’ambito morale e quello politico devono essere nettamente distinti.

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te l’ottica liberale, che stabilisce diritti individuali che trovano il proprio limite nel rispetto di quelli altrui e reciprocamente garantiscono l’individuo dalla violazione dei propri diritti da parte degli altri. È una società costituita da individui distinti e isolati che nondimeno si rispettano e collaborano. Però la Francia ha anche una storia comune, una lingua parlata da tutti che riflette un comune modo di pensare e di vedere la realtà. Al di là della diversità di interessi c’è una comunanza di intenti e di scopi che trova espressione nella volontà generale. Essa è il comune sentire che fa di una società un popolo. Anche in questo caso, Rousseau anticipa motivi del Romanticismo, quando al concetto di «nazione» (espressione della volontà di tutti, nel senso visto sopra) si sostituisce quello di «patria», inteso non soltanto come espressione di legami politici, ma relativi al sentimento e alla comune mentalità ➝ 35 . Una volta che un popolo si è formato, allora possiamo ipotizzare che si sia dato un’organizzazione politica che trova espressione nella costituzione che regola le diverse istituzioni dello Stato. Da questo doppio passaggio derivano le caratteristiche della concezione democratica, a iniziare dall’uguaglianza di tutti i cittadini, non soltanto di fronte alla legge, ma nella partecipazione alle decisioni e alla gestione del potere. Rousseau teorizza non solo il suffragio universale, ma una forma di democrazia diretta che vede nell’assemblea, cui partecipano tutti i cittadini e non i rappresentanti, l’organo legislativo. «Il popolo inglese – scrive – crede bensì di essere libero, ma si sbaglia di grosso; non è tale che durante l’elezione dei membri del Parlamento: appena questi siano eletti, esso è schiavo, non è più niente» (Del contratto sociale, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 322). Per poter consentire la partecipazione diretta, lo Stato deve avere dimensioni ridotte: Rousseau guarda come modello alla sua Ginevra, prevedendo poi forme federative per comporre unità nazionali, ma solo con poteri limitati, circoscritti fondamentalmente alla politica estera. Il potere quindi appartiene al popolo, che esercita direttamente quello legislativo. Il potere esecutivo, però, deve essere demandato a un organismo più snello, che possa prendere decisioni in tempi rapidi. Il governo è quindi nominato dall’assemblea, ma non costituisce un potere autonomo, dato che può essere revocato in qualsiasi momento dal popolo. Lo Stato ipotizzato da Rousseau ha una forte valenza etica, sia perché la partecipazione diretta forma la coscienza sociale dei cittadini, sia perché ognuno si riconosce nell’identità comune ed è animato da uno spirito di solidarietà verso gli altri. In nome della solidarietà e dell’identità comune, a ognuno devono essere garantiti diritti che ne assicurino una vita dignitosa: sono i diritti propri della democrazia, che più tardi saranno definiti «sociali», come quello al lavoro, all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alla pensione, diritti estranei alla concezione liberale. Durante la Rivoluzione francese saranno fatti propri dai giacobini, che si richiameranno largamente alle teorie di Rousseau.

GuIda allo sTudIo • Quali tesi sostiene rousseau nel Discorso

• In che cosa differisce il contrattualismo di

sulle scienze e sulle arti? Perché tali tesi sono in contrasto con l’Illuminismo? • da che cosa ha origine la disuguaglianza? Perché questa tesi lo allontana ulteriormente dall’Illuminismo?

Locke dalle teorie politiche di rousseau? • Che cos’è la «volontà generale»? • Che rapporto c’è tra «volontà generale» e democrazia? • Che cos’è la democrazia diretta? perché rousseau ne è sostenitore?

Materiali per l’apprendimento attivo

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35. La ParOLa ai TEsTi

Il patto da cui ha origine lo Stato, presenta in Rousseau alcune analogie con quello teorizzato da Hobbes, ma il potere non viene delegato a una persona o a un organismo, bensì rimane al popolo. Di fronte ad esso, però, il singolo individuo diventa marginale, tanto che qualche critico ha scorto anche in Rousseau il pericolo di totalitarismo che abbiamo già visto in Hobbes.

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Se dunque si escluda dal patto sociale ciò che non fa parte della sua essenza, si troverà ch’esso si riduce ai termini seguenti: «Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere, sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi tutti in corpo riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto». Immediatamente, in cambio della persona privata di ciascun contraente, quest’atto di associazione produce un corpo morale e collettivo, composto di tanti membri quanti voti ha l’assemblea; il quale riceve da questo stesso atto la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà. Questa persona pubblica, che si forma così dall’unione di tutte le altre, prendeva altra volta il nome di città e prende ora quello di repubblica o di corpo politico, il quale è chiamato dai suoi membri Stato, in quanto è passivo, sovrano in quanto è attivo, potenza nel confronto coi suoi simili. Riguardo agli associati, essi prendono collettivamente il nome di popolo, e si chiamano particolarmente cittadini in quanto partecipi dell’autorità sovrana, e sudditi in quanto sottomessi alle leggi dello Stato. (J.-J. Rousseau, Del contratto sociale, libro i, 6, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 285)

Guida alla lettura. la parte iniziale del contratto sembra riproporre la formula di Hobbes, ma ne differisce per alcuni aspetti importanti: per rousseau, i contraenti non rinunciano ai loro diritti, ma li mettono in comune; inoltre, non li affidano a un potere impersonale e separato, ma alla «volontà generale», della quale gli individui vengono così a far parte come di un tutto. Il costituirsi di una realtà metaindividuale, di un «io comune», è il punto centrale della concezione politica di rousseau. Da notare i diversi attributi della volontà generale a seconda degli aspetti che di volta in volta si considerano, e attraverso cui viene riassorbito — e reinterpretato sotto questo nuovo concetto — il lessico della filosofia politica. Lo Stato è passivo in quanto istituzione che amministra l’esistente, la sovranità è attiva perché detta nuove leggi, intervenendo sull’esistente per modificarlo; gli associati sono contemporaneamente cittadini e sudditi, ma è ovvio che l’ultimo termine ha il significato etimologico di «soggetto», in questo caso alle leggi, e non il significato politico dell’ancien régime; anzi, la nozione di «cittadinanza» come diritto di partecipare in modo paritario all’elaborazione delle regole comuni è dovuta, in epoca moderna, soprattutto a rousseau. ▶ Frontespizio della prima edizione italiana di Del contratto sociale, o Principj del diritto politico di JeanJacques Rousseau, nella traduzione di Giovanni Mennini, 1796 (Parigi, stamperia di F. Honnert).

3 oLTrE L’IL LUMIn IS Mo: roUS S E AU

T12 rousseau Il popolo come individuo collettivo

6. L’i L LuM i n i sM o e rousse au

412

La pedagogia L’emilio è una delle opere più importanti nella storia della pedagogia. rousseau ricostruisce il processo educativo dettato dalla natura, sia in quanto scandito dalla natura stessa di Emilio (riconoscimento della specificità dell’infanzia), sia perché avviene a contatto con la natura e con le cose, sulla base dell’esperienza diretta dell’allievo e della sua partecipazione attiva. una parte specifica dell’emilio è dedicata all’educazione religiosa, affermando la «religione del cuore». Nell’Emilio, la propria opera pedagogica, Rousseau immagina di educare un singolo allievo, organizzandone la vita a contatto della natura, per i primi anni isolato dalla società. Il motivo dello stato di natura come ottimale e della civiltà come degenerazione torna con forza nell’incipit dell’opera: «Tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo» (Emilio, libro I, in Opere cit., p. 350) ➝ 36 . Come la democrazia è la forma di governo che meglio conserva i valori di libertà e di solidarietà dello stato naturale, così nell’educazione dei singoli occorre individuare i mezzi per conservare le caratteristiche di questo stato, pur adattandole a una realtà che non è più quella naturale e che quindi impone dei cambiamenti. Rousseau basa la propria concezione educativa sulla natura ➝ 37 come criterio di riferimento. Tale scelta si traduce in tre importanti princìpi, che fanno di lui il primo pedagogista dell’età contemporanea: 1. la concezione del bambino come un essere specifico, con la propria natura diversa da quella dell’adulto, con i propri bisogni da rispettare e da seguire nel processo educativo, in cui il sentimento precede la razionalità; 2. la centralità del bambino, che deve essere protagonista della propria educazione, mediante l’attività e l’esperienza in prima persona; 3. la formazione a contatto della natura, lontano dalla società e dalle sue distorsioni. Per il primo aspetto, possiamo parlare della scoperta dell’infanzia. Ancora Locke, nonostante la modernità di alcune sue tesi educative, considerava il bambino come un adulto in miniatura, provvisto di una razionalità più debole che andava potenziata. Per Rousseau, al contrario, nel bambino dominano prima i bisogni e le pulsioni, più tardi i sentimenti e soltanto a partire da una certa età, non prima dei 10-12 anni, la ragione. L’educazione deve quindi basarsi sull’intuizione, sulle immagini e sull’esperienza prima che su attività che richiedano astrazione ➝ 38 . Per il secondo aspetto, Rousseau può essere considerato un precursore dell’attivismo: il bambino impara facendo, mediante esperienze dirette, risolvendo problemi pratici. Perché capisca i punti cardinali e l’importanza dell’orientamento, Rousseau conduce il proprio allievo, Emilio, in un bosco, fingendo di perdersi in esso all’ora di pranzo. Affamato e inizialmente quasi disperato, il bambino cercherà allora di risolvere il problema, comprendendo praticamente come orientarsi. Anche gli altri apprendimenti si baseranno su esperienze o su situazioni costruite dal maestro, ma sempre orientate a suscitare l’iniziativa dell’alunno, non a comunicare un sapere verbale. Il terzo punto è quello più controverso. Rousseau immagina di educare un solo allievo, Emilio, isolandolo inizialmente dagli altri bambini e soprattutto dagli adulti, programmando e dirigendo ogni fase della sua formazione. Emilio cresce in campagna, a contatto della natura, isolato fino all’adolescenza. Conoscerà poi una ragazza, Sofia, scelta dall’istitutore, imparerà il mestiere che questi considererà più adatto alla sua formazione, quello di falegname, e soltanto dopo le nozze con Sofia il legame con il maestro si allenterà, pur senza cessare del tutto. Si tratta quindi per un verso di una situazione ideale e non generalizzabile, per altro verso di una educazione apparentemente centrata sul bambino ma in realtà pesantemente eterodiretta.

Materiali per l’apprendimento attivo

413

36. La ParOLa ai TEsTi

Tutto è bene nello stato di natura e degenera in seguito all’intervento dell’uomo, che modifica tutti gli esseri viventi, addomesticando gli animali e trasformando la vegetazione. Dato lo sviluppo della civiltà, non è però più proponibile un semplice ritorno allo stato di natura.

5

10

Tutto è bene uscendo dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo. Egli sforza un terreno a nutrire i prodotti propri d’un altro, un albero a portare i frutti d’un altro; mescola e confonde i climi, gli elementi, le stagioni; mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo; sconvolge tutto, altera tutto, ama le deformità, i mostri; non vuol nulla come l’ha fatto la natura, neppure l’uomo; bisogna addestrarlo per sé, come un cavallo da maneggio; bisogna sformarlo a modo suo, come un albero del suo giardino. Senza di ciò, tutto andrebbe peggio ancora, e la nostra specie non vuol essere formata a mezzo. Nello stato in cui oramai le cose si trovano, un uomo, abbandonato a se stesso fin dalla nascita, sarebbe fra gli altri il più alterato di tutti. I pregiudizi, l’autorità, la necessità, l’esempio, tutte le istituzioni sociali nelle quali ci troviamo sommersi, soffocherebbero in lui la natura e non metterebbero nulla al suo posto. Essa si troverebbe come un arboscello che il caso fa nascere in mezzo ad una strada, e che i passanti fanno perire presto, urtandolo da ogni parte e piegandolo in tutti i sensi. (J.-J. Rousseau, Emilio, libro I, in Opere, Sansoni, Firenze 1972, pp. 350-51)

37. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

natura la natura assume in rousseau un valore paradigmatico, cioè deve servire da modello per il comportamento e per le scelte dell’uomo. In questo senso si può parlare più correttamente di «naturalità», indicando con questo termine il modo di vivere e di rapportarci agli altri che avevamo prima dell’inizio della civiltà, quando vivevamo «allo stato di natura», appunto. Con questa espressione, però, rousseau non intende la condizione animalesca, ma si riferisce piuttosto al «buon selvaggio», cioè allo stadio dello sviluppo dell’umanità in cui già esistono forme associative e tecniche di utilizzazione della natura (agricoltura e allevamento), ma non c’è ancora la proprietà privata, non ci sono le scienze e le tecniche e gli uomini vivono in armonia gli uni con gli altri e con l’ambiente naturale. oggi non è più possibile ritornare a questa situazione, ma la naturalità deve costituire un modello per l’affermazione di un forte senso della libertà, dell’individualità e dell’indipendenza di ognuno e al tempo stesso per il recupero di una solidarietà sociale che con lo sviluppo della civiltà è andata perduta. la concezione della natura di rousseau ne coglie anche la spiritualità e anticipa temi che saranno poi sviluppati dal romanticismo. 38. approFondiMenti > per saperne di più

La pedaGoGia deLL’emilio rousseau è considerato il padre della pedagogia moderna e ha anticipato alcune prospettive che verranno riprese nel Novecento. vediamo più in dettaglio gli aspetti principali. Il modello di riferimento di rousseau è l’uomo naturale, e il processo educativo, iniziando dalla nascita, quando ancora la società non ha esercitato il proprio condizionamento negativo, consente di realizzarlo. lo sviluppo del bambino deve avvenire secondo natura, senza pretendere di affrettare i tempi della sua maturazione. rousseau afferma la specificità dell’infanzia, che ha caratteristiche diverse rispetto all’età adulta. l’educazione dei sensi. la critica di rousseau al razionalismo illuminista caratterizza la parte dell’Emilio in cui egli si pone il problema del momento e dei modi più opportuni perché il fan- ▶▶

3 oltre l’Il luMIN IS Mo: rouS S e Au

T13 rousseau L’uomo nasce buono, la società lo corrompe

6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

414

Nell’Emilio, Rousseau espone anche la propria concezione religiosa, affidata alla Professione di fede del vicario savoiardo, quasi un racconto nel racconto, che determinerà poi la condanna dell’intera opera da parte della Chiesa e delle autorità statali. Rousseau racconta all’allievo la propria esperienza. Dopo la fuga da Ginevra arriva a Torino, dove incontra il “vicario savoiardo”, il quale aiuta il giovane e ne conquista la fiducia. Poi, una mattina, all’alba, lo conduce su una collina presso Torino, mostrandogli la bellezza della natura e invitandolo a “sentire” Dio con il cuore, piuttosto che dimostrarlo con la ragione come volevano i deisti. Si parla a tale proposito di “religione del cuore”, contrapponendola a quella “della ragione” dell’Illuminismo. Anche in questo caso Rousseau si allontana dall’Illuminismo per anticipare il Romanticismo.

La Nuova Eloisa il problema dell’educazione viene trattato anche nel romanzo epistolare giulia o la nuova eloisa. Il problema dell’educazione è trattato da Rousseau anche in un’altra opera, in forma di romanzo, Giulia o la nuova Eloisa, pubblicato un anno prima dell’Emilio. Il titolo rimanda alla storia medievale del monaco e filosofo Abelardo e del suo amore per Eloisa. Anche nel romanzo di Rousseau, la protagonista si innamora del proprio precettore, ma viene costretta dal padre a sposare un nobile. Il romanzo si sviluppa nel contrasto tra l’amore spontaneo, naturale e le convenzioni imposte dalla società. Si tratta di un romanzo epistolare, che raccoglie 163 lettere che Giulia e il suo precettore si scambiano in un periodo di dodici anni. Il matrimonio di Giulia, nonostante il dolore per la separazione dalla persona amata, è sereno e vede la nascita di due bambini. Giulia parla a lungo, nelle sue lettere, della loro educazione, anticipando molti temi dell’Emilio: il riconoscimento della specificità dell’infanzia, la necessità di un ruolo attivo del discente, l’apprendimento mediante l’esperienza diretta ➝ 39 .

Le opere autobiografiche In seguito alla pubblicazione dell’Emilio, Rousseau è attaccato, oltre che dagli Illuministi con i quali ormai è in aperto contrasto, anche dai calvinisti di Ginevra e dal mondo cattolico. Per rispondere alle numerose critiche e per fare un bilancio della propria vita, Rousseau pone mano ad alcune opere autobiografiche: Le confessioni, Rousseau giudice di Jean-Jacques e Le fantasticherie di un passeggiatore solitario, tutte pubblicate postume. L’intento prevalente di queste opere non è la difesa dalle accuse, ma la ricerca di se stesso, la riflessione sulla propria esistenza: Rousseau ripercorre la genesi delle proprie opere informandoci sulle circostanze in cui sono nate e sull’intento che si proponevano, riprende in modo personale i temi della natura, del legame con essa, del sentimento che ci avvicina alla sua spiritualità e a Dio.

GuIda allo sTudIo • Perché rousseau considera lo stato di

natura come un modello? • Quali sono i princìpi pedagogici fondamentali dell’Emilio?

• Qual è la religiosità proposta nella

Professione di fede del vicario savoiardo? Perché si parla di «religione del cuore»?

Materiali per l’apprendimento attivo

▶▶

Audiomappa

39. COMPETENZE > Mappa concettuale

La PEDaGOGia Di rOussEau l’autosufficienza

quindi attivismo

che possiede la libertà il modello dell’educazione

è

l’uomo naturale per il quale

l’educazione è uno sviluppo delle disposizioni naturali religione naturale

centralità del bambino, che impara facendo

andare dall’esperienza al pensiero astratto che consiste in

formare individualità forti ma aperte agli altri importanza del sentimento

415 3 oLTrE L’IL LUMIn IS Mo: roUS S E AU

ciullo impari a «ragionare». Fino ai dodici anni, l’istruzione di emilio è basata interamente sull’esercizio dei sensi. Il bambino impara attraverso i sensi, non è in grado di «ragionare». o, almeno, non è in grado di ragionare come gli adulti pretendono che faccia o sugli argomenti su cui gli adulti, quando lo istruiscono, pretendono che ragioni; i fanciulli, dice rousseau, «ragionano molto bene di tutto ciò che conoscono e che si riferisce al loro interesse presente e sensibile» (Emilio, in Opere cit., p. 409). ogni insegnamento deve partire dall’esperienza e guidare alla formazione graduale di idee e teorie. tra i sei e i dodici anni, emilio si eserciterà nell’uso del proprio corpo e dei propri sensi. Imparerà a saper valutare le proprie forze, a scegliere gli strumenti adatti per ciò che vuole fare, a muoversi nel buio, a giudicare delle distanze attraverso la vista. Imparerà anche a disegnare e si occuperà di geometria non con ragionamenti astratti, ma in base alle esperienze che viene facendo su figure disegnate con cura. l’importanza dell’esperienza. tra i dodici e i quindici anni, emilio ha energie sovrabbondanti rispetto ai suoi bisogni. È questa l’età per imparare; ma che cosa e come imparare? In primo luogo, l’attenzione di emilio sarà rivolta a ciò che può osservare guardandosi intorno: la sua istruzione partirà da tale attività di osservazione, l’utilità sarà il criterio che guiderà la scelta delle conoscenze da acquisire, utilità di cui egli dovrà rendersi conto attraverso una diretta esperienza. Il bambino deve imparare a domandare, per ogni cosa che gli si chiede di imparare, «à quoi cela est-il bon?», “a che cosa è utile?”. In altri termini, l’apprendimento deve basarsi su una motivazione autentica, su un interesse reale del bambino. Sapersi orientare, ad esempio, può essere riconosciuto utile quando ci si trovi ad aver smarrito la strada nel bosco mentre si ha fame e si vorrebbe essere a casa. In questa età emilio conosce un solo libro: Robinson Crusoe. emilio s’immedesimerà in robinson e vorrà imparare a fare da sé tutto ciò che gli serve. Praticherà l’agricoltura, frequenterà officine e vorrà cimentarsi in diversi mestieri; imparerà, insieme al precettore, il mestiere di falegname. l’età dei problemi morali e religiosi. con l’adolescenza si manifestano sentimenti e passioni. Emilio ha, a questo punto, bisogno degli altri. Le passioni non sono un male; piuttosto che prevenirle o combatterle, ci si dovrà proporre di orientarle e guidarle. In quest’età, Emilio comincerà a formarsi delle nozioni di bene e di male, a formulare giudizi morali, a esaminare se stesso sulla base dei suoi rapporti con gli uomini. Il compimento di questo processo sarà l’assunzione di consapevolezza dell’ordine del mondo e del posto dell’uomo in tale ordine: egli avrà, quindi, bisogno di una religione. rousseau non affronta direttamente il problema dell’educazione religiosa di Emilio, ma inserisce a questo punto il racconto di un proprio incontro, nel corso dei vagabondaggi giovanili, con il «vicario savoiardo», di cui si è detto.

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• Sintesi

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L’Illuminismo in Europa

L’Illuminismo riguarda gran parte dell’Europa, ma in misura diversa: rappresentando l’espressione della nuova società borghese in contrapposizione con quella aristocratica, dimostra particolare forza nei Paesi in cui la nuova economia è più sviluppata, la Gran Bretagna e la Francia in primo luogo ma anche alcune regioni della Germania e alcuni Stati della penisola italiana ➝ 40.

L’Illuminismo in Inghilterra in Gran Bretagna l’illuminismo costituisce il pensiero dominante, sia in ambito filosofico, con l’empirismo di Hume, con la «filosofia del senso comune» di reid e con le teorie dei moralisti inglesi, sia in quello economico, con il liberismo di smith. In Gran Bretagna le idee illuministiche iniziano a maturare già nel Seicento, ritrovandosi nel pensiero di Locke e di Newton, che costituiranno importanti punti di riferimento dell’Illuminismo francese. Nel Settecento, il principale filosofo illuminista è Hume, ma questa concezione conosce importanti sviluppi anche in altri pensatori, sia inglesi sia scozzesi. L’Illuminismo scozzese vede la nascita del liberismo economico con Adam Smith, di cui si è detto, e della «filosofia del senso comune» di Thomas Reid (1710-96). Reid distingue tra sensazioni (il caldo e il freddo) e percezioni (di una casa, di un albero). Le prime sono soggettive, ma il senso comune ci dice che alle seconde corrispondono cose separate da noi, quindi sono oggettive. Ciò è sufficiente per liberare la filosofia dai dubbi dell’empirismo senza dover ipotizzare idee innate come faceva il razionalismo. La certezza dell’esistenza oggettiva delle cose fa parte delle nozioni comuni, presenti in tutti gli uomini, così come è presente in ognuno la coscienza, che ci fa distinguere il bene dal male. Si tratta, secondo Reid, di evidenze che non occorre dimostrare e che non ha senso negare. Richiamandosi a Newton e a Locke, l’Illuminismo britannico formula in modo organico il deismo. L’irlandese John Toland (1670-1722) sostiene la possibilità di dimostrare l’esistenza di Dio sulla base della sola ragione. La ragione costituisce anche il fondamento della morale naturale per i cosiddetti “moralisti inglesi”. Anthony Ashley Cooper, terzo conte di Shaftesbury (1671-1713) considera la morale come una reazione spontanea a certi eventi, parlando di «morale del sentimento», secondo una prospettiva che sarà ripresa da Hume ➝ 41 . Fondandosi sulla ragione e sulla natura umana, la morale è indipendente dalla religione. Shaftesbury si fa sostenitore di un deismo che pone l’accento soprattutto sulla tolleranza religiosa.

Materiali per l’apprendimento attivo

417

40. COMPETENZE > Mappa concettuale

con Gran Bretagna

l’empirismo

Hume

il liberismo

Smith

la filosofia del senso comune

Reid

la teoria del senso morale

Shaftesbury

con Napoli

si sviluppa in

L’ILLUMINISMO EUROPEO

a

le teorie sul progresso civile e la ragione

Genovesi

le teorie del progresso

Filangieri

Italia «Il Caffé» Milano con

Beccaria

la filosofia razionale

Wolff

la natura e la religione

Lessing

il sentimento estetico

Mendelsshon

con Germania

41. PEr CaPirE MEGLiO

La MOraLE DEL sENTiMENTO la morale viene intesa da shaftesbury come una reazione naturale, spontanea a certi atti, per cui consideriamo «male» ciò che suscita in noi raccapriccio, paura, ripulsa, mentre al contrario riteniamo «bene» ciò che è piacevole, ciò che ci produce in noi contentezza, serenità. Il bene e il male non dipendono dunque da norme o da princìpi generali, ma dipendono da qualcosa di simile al sentimento del gusto in base al quale definiamo belle o brutte certe cose. Il sentimento morale è della stessa natura e quindi è anch’esso naturale.

▶ Simon Gribelin, Anthony Ashley-Cooper, terzo Conte di Shaftesbury, 1702-11 ca, incisione.

4 l’Il luMIN IS Mo IN e uroPA

L’iLLuMiNisMO iN EurOPa

6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

418

Francis Hutcheson (1694-1746) afferma il deismo e sostiene che la morale si basa su un «senso morale» che fa parte della natura umana alla stregua degli altri sensi: ci sono sensi interni, come quello della dignità, quello sociale e quello morale, appunto. Esso è diverso dalla simpatia, perché è riferito anche a persone che odiamo, e dall’utilità, perché siamo in grado di riconoscere la malvagità di un’azione anche se essa ci procura vantaggio. Dell’Illuminismo britannico fa parte anche il teorico del liberismo, Adam Smith, di cui si è detto. La morale del liberismo viene illustrata dal filosofo olandese, naturalizzato inglese, Bernard de Mandeville (1670-1733), con il celebre apologo La favola delle api (1705). Egli immagina che Giove, cedendo alle suppliche di api oneste, elimini ogni vizio dall’alveare, rendendo tutte le api buone e prive di vizi. Da questa situazione però deriva una disastrosa crisi: nessuno più desidera il superfluo, nessuno prende iniziative, nessuno aspira ad arricchirsi. La conclusione è che la prosperità economica si alimenta proprio grazie ai vizi, all’ambizione, al soddisfacimento di desideri che nutrono l’iniziativa privata e i costumi, per cui, potremmo dire, i vizi privati si traducono in benessere sociale.

L’Illuminismo italiano in italia l’illuminismo si afferma solo in alcune città, in particolare a Napoli e a Milano. Qui ruota intorno alla rivista «il Caffè», animata dai fratelli verri, e trova il principale rappresentante in Cesare Beccaria, che condanna la tortura e la pena di morte. In Italia l’Illuminismo si afferma in poche aree: la Lombardia e la Toscana, le più sviluppate economicamente del Paese e interessate dalle riforme progressiste degli Asburgo e di Pietro Leopoldo, e Napoli, dove per alcuni decenni Carlo di Borbone, il futuro Carlo III re di Spagna, tenta di realizzare riforme progressiste in un tessuto socioeconomico ancora dominato dall’aristocrazia.

L’Illuminismo napoletano La cultura napoletana è rinnovata già nella prima metà del Settecento da Pietro Giannone (1676-1748) e Giambattista Vico (1668-1744). Il primo è uno storico che mette al centro l’analisi delle istituzioni invece dei fatti legati alle vicende diplomatiche e militari, in una direzione ripresa con più ampio respiro filosofico dal secondo. L’Illuminismo napoletano in senso proprio vede come protagonisti Antonio Genovesi (1713-69) e Gaetano Filangieri (1752-88). Allievo di Vico, Genovesi si richiama anche all’empirismo inglese, sottolineando in particolare, come Locke, il ruolo della ragione e il suo contributo al progresso civile. In questa prospettiva, ottiene la fondazione presso l’Università di Napoli della prima cattedra in Europa di economia, considerandola però come finalizzata al bene della comunità e quindi orientata da valori etici. Nella società sono presenti due forze: l’amore di sé (definito come «forza concentriva») e l’amore per gli altri («forza diffusiva»). Esse possono essere armonizzate mediante l’educazione, per un rapporto equilibrato tra egocentrismo e socialità. Filangieri si occupa principalmente di diritto (Scienza della legislazione, 1780-91), considerandolo come lo strumento in mano al sovrano per garantire la felicità al popolo.

L’Illuminismo milanese I punti di riferimento dell’Illuminismo milanese sono il giornale «Il Caffè» e l’Accademia dei Pugni, animati dai fratelli Alessandro (1741-1816) e Pietro Verri (1728-97). Il giornale si occupa di politica, di economia e di critica letteraria, ma contribuisce anche alla divulgazione scientifica, con articoli sulla fisica e sulla scienza in generale.

Materiali per l’apprendimento attivo 42. PEr CaPirE MEGLiO

Del circolo illuministico milanese fa parte anche Cesare Beccaria (1738-94), la cui opera Dei delitti e delle pene (1764) conosce un’eccezionale diffusione in tutta Europa e apre un dibattito sulla pena di morte e sull’uso giudiziario della tortura. Beccaria combatte entrambe. La tortura non serve per far confessare i colpevoli, anzi i criminali di solito sono più abituati al dolore e in grado di resistere meglio degli innocenti, che sono spinti a confessare anche delitti non commessi pur di evitare la sofferenza. La pena di morte, poi, non serve come deterrente perché chi sa di poter esservi condannato sarà disposto a tutto pur di non essere catturato, anche a uccidere ancora; inoltre, argomenta Beccaria, usando la pena di morte lo Stato rende lecito l’omicidio, trasmettendo ai cittadini il messaggio che in alcuni casi può essere una cosa buona, un valore. Lo Stato entra in contraddizione con se stesso, perché considera l’omicidio il delitto peggiore e poi diventa a sua volta omicida. I deterrenti maggiori non consistono nella crudeltà della pena, ma nella certezza della pena stessa e nella prevenzione ➝ 42 . Il Granducato di Toscana è retto, dal 1765 al 1790, da Pietro Leopoldo di Lorena, poi imperatore con il nome di Leopoldo II. Egli realizza importanti riforme agrarie, sposando la fisiocrazia e facendo della Toscana uno degli Stati più avanzati dal punto di vista agricolo, con l’inizio della bonifica di vaste aree paludose della Maremma. Favorisce lo sviluppo dell’Accademia dei Georgofili, nata nel 1753, dedita alla ricerca con criteri scientifici in ambito agrario, coinvolgendola nella gestione delle riforme agrarie. Il suo nome è legato soprattutto alla riforma giuridica che spazza via i residui feudali e abolisce la tortura e la pena di morte (1786), realizzando quindi, primo Stato al mondo,

4 L’IL LUMIn IS Mo In E UroPA

La PENa sECONDO BECCaria In chiusura del proprio trattato, Beccaria enuncia un “teorema generale” che riassume la sua concezione della pena: «perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi». Analizziamo insieme gli aggettivi utilizzati da Beccaria: • la pena deve essere pubblica perché funga da deterrente ma anche per evitare abusi. All’epoca infatti non c’era l’obbligatorietà del processo e si poteva essere arrestati anche senza motivo. In Francia, ad esempio, fino alla rivoluzione francese esistevano le lettres de cachet, ordini di arresto firmati dal re e che non potevano essere contestati; • la pena deve essere pronta, cioè comminata in tempi rapidi, altrimenti perde la propria funzione deterrente; un processo che può durare anni, come a volte avviene ancora in Italia, non spaventa come una condanna immediata; • necessaria, quindi non arbitraria né per mancanze di poco conto; • la minima possibile e proporzionata ai delitti. la pena non deve infierire, non deve essere considerata come una vendetta, ma deve essere la minima possibile, anche se ovviamente proporzionata alla gravità del delitto commesso; • infine, dettata dalle leggi, quindi non arbitraria né discrezionale. Mentre il primo aspetto è legato soprattutto all’epoca di Beccaria, il secondo è ancora attuale, perché il giudice ha spesso, sia in Italia sia soprattutto in altri Paesi, un margine di discrezionalità molto elevato. Ciò è motivato dal fatto che le circostanze influiscono a volte sensibilmente sulla gravità del reato, ma può esporre ad arbitrii e anche a corruzione.

419

6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

420

l’ideale di Beccaria. Il 30 novembre, giorno dell’emanazione della Riforma criminale toscana, è stato scelto come giorno della “Festa della Toscana”, celebrata tutti gli anni ➝ 43 .

L’Illuminismo tedesco L’Illuminismo tedesco (Aufklärung, da aufklären, “illuminare”) presenta caratteri diversi rispetto a quello inglese o francese, perché diversa è la società in cui si sviluppa. Sia la Prussia sia l’Austria conoscono una stagione di riforme anche profonde, che si inseriscono però in un contesto in cui la borghesia è ancora debole e la politica è saldamente nelle mani dell’aristocrazia. Le riforme riguardano infatti principalmente la modernizzazione dello Stato e dell’esercito, l’abolizione della servitù della gleba e, nell’Impero asburgico, una forte laicizzazione contro il potere culturale e agrario della Chiesa cattolica. Manca tuttavia la spinta per una trasformazione dell’economia in senso liberista e della politica in senso liberale che segna l’Illuminismo nei Paesi più sviluppati dal punto di vista manifatturiero. Manca anche, di conseguenza, la richiesta di una riforma politica in senso costituzionale e parlamentare. I maggiori rappresentanti dell’Illuminismo tedesco sono Wolff, Lessing e Mendelsshon, oltre a Kant, la cui filosofia supererà l’orizzonte illuministico. In ambito tedesco, l’Illuminismo non rinuncia alla metafisica né tanto meno la combatte, pur sottolineando la centralità della ragione. Dal tentativo di conciliare queste due componenti, Christian Wolff (1679-1754) deriva l’esigenza di fare della filosofia una scienza razionale, fondando la filosofia razionale, la teologia razionale, l’ontologia razionale. La razionalità della scienza è garantita secondo Wolff dal fatto che muove da princìpi a essa interni, dai quali ricava con procedimento deduttivo le conseguenze. Ad esempio, l’etica è razionale nella misura in cui i suoi princìpi sono autofondati e quindi sarebbe vera anche se Dio non esistesse e non ci fosse la speranza di un premio eterno o di un eterno castigo. Il progetto di Wolff di fondare sulla ragione la filosofia, la teologia, la politica, l’etica e il diritto susciterà forti consensi nell’ambiente illuministico, anche se l’orizzonte metafisico e totalizzante in cui si muove, con la pretesa di conoscere e di spiegare ogni aspetto della realtà fisica e metafisica susciterà altrettante critiche, compresa quella di «dogmatismo» da parte di Kant.

Estetica e religiosità Tra gli allievi di Wolff è particolarmente importante Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-62), non tanto per gli scritti di metafisica, ma per l’Aesthetica (1750-58), in cui dà al termine «estetica» il moderno significato di studio del bello, mentre in precedenza era riferito alle sensazioni, dalla radice greca áisthesis, “sensazione”. L’interesse per l’estetica apre l’Illuminismo tedesco al futuro Romanticismo, del quale anticipa alcuni temi, soprattutto la rivalutazione della religiosità, particolarmente presente nelle opere di Gotthold Ephraim Lessing (1729-81) e Moses Mendelsshon (1729-86). Lessing considera l’insieme delle religioni positive come parti di un progetto unitario mediante cui Dio intende educare il genere umano, adattandosi con le varie religioni ai diversi momenti di sviluppo o alle particolarità dei diversi popoli. Il fine è l’educazione morale dell’uomo, secondo dinamiche che nascono dalla religione ma che trovano poi il loro coronamento nella ragione: l’uomo, ad esempio, apprende l’agire morale dal timore del castigo eterno, ma poi lo riscopre nel corso della storia con la ragione, comprendendo che il comportamento secondo la morale è buono di per sé. Nella storia si manifesta quindi un continuo progresso, guidato da una razionalità immanente della quale l’uomo diventa via via sempre più cosciente.

Materiali per l’apprendimento attivo 43. aTTiviTÀ >

421

Compito di realtà

Anche la filosofia di Mendelsshon è legata a temi religiosi, dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio a quella dell’immortalità dell’anima. Di maggiore interesse, perché ripresa poi da Kant, è la distinzione tra il sentimento (legato al bello), l’intelletto (legato al vero) e la volontà (legata al buono). In questo modo Mendelsshon stabilisce l’autonomia dell’estetica dalla ragione. GuIda allo sTudIo • Che cos’è la «filosofia del senso comune»? • Quali sono i principali centri dell’Illuminismo italiano? • Quali tesi sostiene Beccaria nella sua opera più nota, Dei delitti e delle pene? • Quali sono i massimi rappresentanti dell’Illuminismo tedesco? Per quali aspetti è diverso

dal resto dell’Illuminismo europeo?

Itinerari di lettura online 1. UN NUOVO SAPERE

3. LA POLITICA DA MONTESQUIEU A ROUSSEAU

l’Illuminismo rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale. esso mette in discussione il principio di autorità, basando invece la conoscenza sulla ragione. Inoltre, promuove un sapere pratico, indirizzato al miglioramento delle condizioni di vita e non alla conoscenza astratta. Il simbolo di questa nuova concezione è l’Enciclopedia, o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. l’itinerario ripercorre queste diverse componenti.

l’ideologia dominante tra le forze progressiste, nell’Illuminismo, è il liberalismo, che si richiama al pensiero di locke ed è teorizzato in particolare da Montesquieu. Nel corso del secolo si delinea però un’altra ideologia politica, quella democratica, teorizzata da rousseau. Nell’itinerario di lettura confrontiamo queste due concezioni.

T1 (da KANt, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?),

sociologico del diritto

Che cos’è l’Illuminismo

T8 (da rouSSeAu, Contratto sociale), Il popolo come in-

T2 (da DIDerot, Enciclopedia), L’Enciclopedia

dividuo collettivo

T3 (da voltAIre, Dizionario filosofico), La voce «Teista» del Dizionario filosofico

T9 (da rouSSeAu, Contratto sociale), Volontà di tutti e volontà generale

2. SENSISMO E MATERIALISMO

4. STILI DI RAZIONALITÀ. L’AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE

T7 (da MoNteSQuIeu, Lo spirito delle leggi), Lo studio

la filosofia dell’Illuminismo, anche se variegata, è dominata da due tendenze principali, il sensismo e il materialismo. Nell’itinerario si ripercorrono le tappe principali di questo percorso.

l’itinerario di lettura analizza alcuni brani delle opere autobiografiche di rousseau per approfondire alcuni aspetti dell’autobiografia come stile di razionalità filosofica.

T4 (da CoNDIllAC, Trattato sulle sensazioni), La statua

T10 (da rouSSeAu, Confessioni), L’intento delle Con-

animata. Il tatto e la costruzione dell’io

fessioni

T5 (da HelvÉtIuS, Dello spirito), La sensibilità e l’ori-

T11 (da rouSSeAu, Confessioni), La nascita dei due Discorsi

gine del pensiero

T12 (da rouSSeAu, Confessioni), Le reazioni alla pub-

T6 (da lA MettrIe, Uomo-macchina), L’uomo-mac-

blicazione dell’Emilio

china

4 l’Il luMIN IS Mo IN e uroPA

La PENa Di MOrTE NEL MONDO la pena di morte è ancora diffusa nel mondo. Fai una ricerca per individuare in quali Paesi esiste. Distingui tra coloro che la prevedono ma non la applicano da molto tempo, quelli che la prevedono e la applicano regolarmente, quelli infine dove non è applicata da più di un secolo. Disegna una tabella a tre colonne. Nella prima scrivi il nome del Paese che prevede nel proprio sistema giuridico la pena di morte. Nella seconda segna le esecuzioni avvenute nell’ultimo anno per il quale ci sono dati. Nella terza, per i Paesi che la prevedono ma la applicano sporadicamente, indica la data dell’ultima esecuzione capitale.

6. L’i L LuM i N i sM O E rOussE au

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Test di autovalutazione 15. rousseau difende le libertà e i diritti

CaraTTErisTiChE DELL’iLLuMiNisMO FraNCEsE

individuali, rientrando nell’ambito del liberalismo.

1. Il compito dell’intellettuale è quello di guidare il popolo per superare i pregiudizi e per arrivare a pensare con la propria testa.

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6. Il dispotismo illuminato è una concezione politica combattuta soprattutto da voltaire.

8. Secondo i philosophes non è possibile dimostrare l’esistenza di dio, che è una questione di fede individuale.

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i NuOvi iNTELLETTuaLi: i philoSopheS

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21. nella Professione di fede del vicario savoiardo rousseau sostiene una forma di deismo, affermando che il mondo è troppo perfetto per derivare dal caso.

L’iLLuMiNisMO iN iNGhiLTErra, iN iTaLia E iN GErMaNia

23. reid si appella al senso comune soprattutto per dimostrare l’esistenza di Dio. ha le sue radici in quella cartesiana.

26. genovesi si contrappone a vico esaltando V

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il progresso civile contro lo storicismo del secondo.

27. Filangieri auspica una riforma del diritto basata sulla ragione.

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28. nel libro Dei delitti e delle pene Beccaria riconosce l’efficacia della tortura, ma la condanna sul piano morale.

OLTrE L’iLLuMiNisMO: rOussEau

29. Uno dei principali argomenti contro la pena

14. Secondo rousseau si passa dallo stato di natura allo Stato politicamente organizzato mediante un patto che permette la convivenza pacifica tra i contraenti, superando egoismi e lotte.

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20. L’individuo deve vivere il più possibile

a napoli e a Milano.

13. Helvétius ritiene fondamentale l’ambiente di vita per la formazione della personalità.

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25. In Italia l’Illuminismo si diffonde soprattutto

12. La finalità dell’etica secondo La Mettrie è il conseguimento del piacere.

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24. La filosofia del senso comune di reid

11. Secondo La Mettrie l’uomo è una macchina diretta dal cervello, che opera di volta in volta le scelte più giuste, decidendo il comportamento.

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19. L’educazione teorizzata nell’Emilio si basa

sono anticipate da Locke e da newton.

10. L’esperimento mentale della statua di marmo dimostra che non può esistere un’anima immateriale.

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22. In gran Bretagna le concezioni illuministiche

9. Condillac è un sensista, in quanto afferma che tutto deriva dai sensi, sia la conoscenza sia la formazione delle facoltà mentali.

un modello di vita, anche se non è possibile tornare a vivere allo stato di natura.

isolato, perché la società è fonte di vizi.

7. In ambito religioso l’Illuminismo è prevalentemente ateo.

è una democrazia rappresentativa governata dai migliori.

soprattutto sul rapporto con le cose e sull’esperienza diretta.

5. L’Illuminismo considera positivo l’assolutismo monarchico.

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18. La natura per rousseau deve costituire

4. dal punto di vista politico la posizione degli illuministi è prevalentemente di tipo liberale.

sentire che prelude al concetto di «popolo».

17. Secondo rousseau la forma ideale di Stato

3. L’Enciclopedia è rivolta verso un sapere pratico, anche di tipo tecnico.

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16. La volontà generale indica un comune

2. L’Illuminismo, esaltando la ragione, si ricollega al razionalismo filosofico di Cartesio.

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di morte è che lo Stato diventa esso stesso omicida.

30. Wolff elabora un concetto di enciclopedia V

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simile a quello realizzato da Diderot.

7. Vico e la scienza storica nel Settecento LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. Vico 2. La storiografia dell’Illuminismo

La rETE DEi saPEri psicologia • gli stadi dello sviluppo antropologia • L’importanza dei miti pedagogia • Il metodo di studio

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO ComPetenze / filosofia e cittadinanza, mappa concettuale, Lessico e concettualizzazione, Pensiero critico Per CAPIre megLIo LA PAroLA AI teStI AttIvItà / Webquest APProfondImentI / Intersezioni, Per saperne di più, filosofia e cinema

I TESTI • T1 Vico Il linguaggio del mito

TEST DI AUTOVALUTAZIONE

lezione in PowerPoint

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La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • È possibile una scienza dell’uomo? • È possibile una scienza della storia? • Come possiamo studiare il passato? A partire da quali teorie? Usando quali documenti?

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I CONCETTI DA RIPASSARE • Filologia • Progresso

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I CONCETTI CENTRALI • Storicismo • Vero e fatto • Filosofia / filologia • Vero / certo • Corsi e ricorsi • Provvidenza

PENSARE IL PRESENTE • Vico e la questione omerica • Le leggi e la civiltà • L’individuo e la storia

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I NUOVI PROBLEMI • In che misura la storia spiega il presente? • Si può davvero parlare di progresso? • Esiste una razionalità complessiva nel divenire storico?

Uno sguardo d’insieme T

ra il xvii e il xviii secolo, e in special modo con l’opera Scienza nuova di Giambattista vico e poi con gli illuministi, la storia, la ricostruzione di eventi, diventa oggetto di riflessione filosofica. nella Scienza nuova vico stabilisce un principio di identità tra verum (verità) e factum (fatto): si può conoscere solo ciò che si fa. ne consegue che, mentre è impossibile una scienza della natura (perché la natura non è opera dell’uomo), si può invece aspirare a una scienza della storia. Quest’ultima, in quanto prodotto umano, è infatti la sola realtà suscettibile di una conoscenza vera e autentica. essendo prodotta da noi, essa deve seguire le stesse leggi dell’individuo, e quindi studiando noi stessi possiamo individuare le leggi generali dello sviluppo storico. Questi

principi, indagati dalla filosofia, si applicano in modo diverso in ogni epoca e in ogni popolo: alla filosofia va affiancata la filologia, che accerta i fatti mediante l’analisi attenta e rigorosa dei documenti. La concezione vichiana della storia come continuo ripetersi di corsi e ricorsi, in cui tre fasi (età degli dei, età degli eroi, età degli uomini) si susseguono ciclicamente, si fonda sull’idea che le leggi che regolano la storia siano affini a quelle che governano lo sviluppo umano. prendendo spunto da questa equivalenza, gli illuministi conieranno l’idea di progresso; in realtà, però, secondo vico le vicende dell’umanità sono il frutto della convergenza da una parte delle libere decisioni umane, dall’altra dell’intervento della provvidenza.

audiomappa

LA SCIENZA NUOVA = LA STORIA si basa sulla equivalenza

vero = fatto da cui consegue che

la scienza della natura non è possibile

solo la storia può essere una scienza che si struttura in

filologia

filosofia che esplicita

Provvidenza volontà umana

fondata su storia ideale eterna intesa dagli illuministi come progresso

tre età dell’uomo e della storia che seguono corsi e ricorsi

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Il contesto storico-culturale vico nasce in una città (napoli) estremamente colta e all’avanguardia, che dalla fine del seicento fino almeno agli anni settanta del settecento conosce una rigogliosa fioritura culturale ed è attraversata da forti aspirazioni sociali. Intorno alla metà del seicento, l’Italia vive una profonda crisi politica, economica e sociale, legata a doppio filo con la crisi della spagna, allora potenza egemone sulla penisola. particolarmente colpito è il mezzogiorno, stremato dall’esoso fiscalismo spagnolo, dalle guerre e dalla concentrazione della proprietà terriera nelle mani dei latifondisti. Il malcontento dilagante in ampi strati della popolazione provoca rivolte drammatiche come quella guidata da masaniello nel 1647 a napoli. tra la fine del seicento e i primi decenni del settecento, tuttavia, terminata la Guerra di successione spagnola (1702-13), i nuovi equilibri politici portano alcuni mutamenti positivi. In Lombardia e a napoli si insediano gli asburgo, e la fitta rete di relazioni tra vienna, milano e napoli che si instaura sottrae napoli dall’isolamento in cui versava durante il dominio spagnolo, reinserendo la città nel circuito dell’economia e della cultura europee. nel 1734 Carlo di Borbone, figlio di Filippo v di spagna, conquista il regno di napoli e il regno di sicilia togliendoli agli austriaci, e stabilisce a napoli la capitale di uno stato ora tornato sovrano e indipendente. perfetto esempio di “sovrano illuminato” egli si circonda di intellettuali, artisti e politici vicini all’Illuminismo, contribuendo non poco al dinamismo culturale partenopeo, e in particolare alla diffusione di movimenti riformatori illuministici anticuriali, che si vanno a sommare a un clima intellettuale improntato al razionalismo scientifico, in particolare cartesiano, che già verso la fine del seicento era filtrato dall’estero. a cavallo fra seicento e settecento napoli pullula di accademie, ossia luoghi di discussione (quasi sempre tenuti nei salotti di nobili) attorno a questioni di carattere

scientifico, filosofico e religioso, simili alle grandi accademie culturali promosse da Luigi XIv. Una delle più importanti è l’accademia di Medinaceli, nata tra il 1698 e il 1701 attorno a Luis de la Cerda, duca di medinaceli e penultimo viceré spagnolo. In una sala del palazzo reale di napoli egli riunisce intorno a sé i maggiori intellettuali del regno per discutere di lettere, scienze, arti. si conversa anche sull’amministrazione del regno e attorno all’etica del potere, senza escludere argomenti più curiosi come i nuovi strumenti, i fenomeni naturali, le scoperte degli antichisti. alle lezioni partecipano alcuni dei migliori studiosi e scienziati dell’epoca, che elaborano un pensiero politico e laico che sfocerà nel cosiddetto «Illuminismo napoletano». Fra loro pietro Giannone, autore de l’Istoria civile del Regno di Napoli (1723), un’opera che diviene celebre in tutta europa (è ammirata da montesquieu) contraria al potere temporale dei papi e ricca di riferimenti alla filosofia di Cartesio e Gassendi. nello stesso anno torna da roma l’arcivescovo Celestino Galiani (1681-1753), il quale si impegna a diffondere il newtonianesimo contro la fisica cartesiana. a supporto delle loro discussioni, questo gruppo di intellettuali può avvantaggiarsi anche della biblioteca di Giuseppe valletta, giurista e filosofo napoletano, che aveva messo a disposizione testi spesso difficili da reperire: nonostante la censura portata avanti dalla Controriforma, approfittando del porto di napoli, valletta era riuscito ad avere clandestinamente anche libri protestanti olandesi e inglesi. Un repertorio di 18 mila volumi che copriva tutto lo scibile europeo del tempo, e che faceva di napoli un centro di attrazione per visitatori e studiosi. Qualche anno dopo la morte del fondatore, gli eredi decidono di vendere la biblioteca. solo l’intermediazione di vico riesce a scongiurare il rischio che i testi andassero dispersi. egli li cataloga uno a uno, tanto che la sala principale della biblioteca porta ancora oggi il suo nome.

1620

Königsberg

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Parigi 1649 Cartesio, Le passioni dell’anima

1648 pace di Westfalia

1650

1668 vico nasce a napoli

Napoli

1680 1682 Bayle, Pensieri sulla cometa

I PROTAGONISTI DELLA SCIENZA STORICA nel settecento napoli rappresenta un vivace centro intellettuale, dominato dalle figure di vico e di Giannone. Le idee cartesiane, largamente diffuse, vengono da loro rielaborate e criticate al fine di costruire una filosofia concentrata attorno al problema storico. vico in particolare ritiene che la storia sia l’unica scienza conoscibile dall’uomo perché è l’uomo stesso che ne è l’artefice. La scienza storica trova altri protagonisti in Francia e Germania. a parigi operano voltaire, Condorcet e turgot, che ritengono possibile rinvenire una storia universale in cui i popoli seguono la stessa linea di sviluppo. diversa è in Germania la prospettiva di Herder (allievo di Kant a Königsberg), che privilegia lo studio delle specificità dei singoli popoli. ◀ Attribuito a Francesco Liani, Ritratto equestre di Carlo di Borbone, 1760 ca, olio su tela (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte).

1710

1710 vico, De antiquissima Italorum sapientia

1715 muore Luigi XIv 1723 Giannone, Istoria civile del regno di Napoli

1725 prima edizione della Scienza nuova di vico

1739-40 Hume, Trattato sulla natura umana

1740

1744 vico muore a napoli

1735 Carlo di Borbone diventa sovrano del regno delle due sicilie 1740 voltaire, Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni 1744 terza edizione della Scienza nuova

1770 1781 Kant, prima edizione della Critica della ragion pura 1789 prima fase della rivoluzione francese

1784-91 Herder, Idee sulla filosofia della storia dell’umanità 1794 Condorcet scrive il Quadro storico dei progressi dello spirito umano

1800

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• Sintesi • Mappa

1

Vico

in contrapposizione a Cartesio, vico rivalorizza la cultura umanistica: non si può conoscere separando, scindendo e distinguendo. Occorre utilizzare tutte le risorse che l’uomo ha a disposizione, dando loro la stessa dignità. Nel 1699 Vico ottiene la cattedra di retorica presso l’Università di Napoli, un insegnamento poco pagato ma prestigioso, perché gli conferisce il compito di tenere la prolusione inaugurale dell’anno accademico. In queste conferenze (riunite nelle Orazioni inaugurali, e in particolare quella del 1709, Sul metodo di studio dei nostri tempi) egli delinea la sua insofferenza verso il cartesianesimo, in quel periodo diffuso nell’ambiente napoletano. Lo definisce un sapere unilaterale, sia perché vede nella ragione l’unico strumento possibile di conoscenza, sia perché produce una cultura parziale, asfittica e meccanica, che può ottenere successi nelle scienze esatte (logica, matematica, fisica) ma impoverisce quelle umanistiche. Per Vico l’abbandono degli studia humanitatis è pericoloso sotto un duplice aspetto ➝ 1 ➝ 2 . Vi è un rischio individuale e psicologico, perché la fioritura della persona umana necessita lo sviluppo armonico di tutti i rami del sapere, senza specialismi e senza il predominio di alcuna disciplina. Ma nel tecnicismo esasperato vi è anche un pericolo sociale e politico, perché senza gli studi umanistici la cultura cessa d’essere uno strumento di formazione della coscienza civica. Essi sono lo strumento imprescindibile per fare uscire gli individui dalla sfera del privato e per immetterli, come cittadini, nella sfera pubblica. Esprimendosi contro l’erudizione dei sapienti, Vico afferma che i più grandi benefici non derivano dalla «solitudo animorum» (cioè dalla riflessione solitaria), ma solo dall’accrescere il proprio sapere mirando al bene dello Stato, cioè al bene comune dei cittadini. Vanno quindi valorizzate le discipline della socialità, della politica e dello stare insieme, in particolare la retorica e l’eloquenza.

Verum ipsum factum Conosce la causa di qualcosa, e quindi fa veramente scienza, soltanto chi ha causato quella cosa, ossia chi l’ha prodotta. In cosa consiste dunque il vero sapere? Nell’opera L’antichissima sapienza delle popolazioni italiche (1710), Vico affronta il problema ponendo una distinzione d’ordine gnoseologico, ossia fra due modi di conoscere: 1) da una parte vi è l’intendere (intelligere): una conoscenza piena e approfondita di tutto ciò che è rilevante, in particolare la dinamica delle cause da cui scaturisce ciò che si sta esaminando; 2) quando invece non vi è accesso alle cause, si ha il pensare (cogitare), ossia il riflettere sui pochi dati a disposizione per formulare ipotesi che avranno sempre un carattere probabilistico e non definitivo.

Materiali per l’apprendimento attivo

Vico

rimasto per cinque ore privo di sensi. Il medico sentenziò che sarebbe morto o rimasto stupido, ma dopo tre anni di convalescenza il ragazzo poté tornare agli amati studi di grammatica. tuttavia, racconta, questa esperienza lo condizionò per tutta la vita, conferendogli un carattere “malinconico e acre”. Forse, è stato notato, influenzato dalla sua conoscenza dei miti antichi, Vico applicò alla sua stessa esistenza il tema dell’“eroe salvato per miracolo” (come Mosé, il bimbo salvato dalle acque).

1. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

DEMOCraZia E sTuDi uMaNisTiCi Il ruolo da assegnare agli studi umanistici nei curricola scolastici è oggi un problema ancor più urgente e dibattuto che nel Settecento. Infatti, a partire dal secondo Ottocento, con lo sviluppo della rivoluzione industriale e della cultura positivista, l’educazione tecnica e scientifica ha assunto in tutto il mondo un’importanza sempre maggiore rispetto a quella umanistica. Il fenomeno è criticato dai pedagogisti, che individuano nell’eccessivo specialismo un limite alla formazione personale, ma la filosofa americana Martha Nussbaum ne ha anche sottolineato la pericolosità politica in un testo dal titolo significativo: Non per profitto. Perché le democrazie «hanno bisogno» della cultura umanistica (2010). Solo gli studi classici (greco, latino, filosofia, storia, letteratura, arte), sostiene, forniscono quell’apertura mentale che è essenziale per la salute di qualsiasi democrazia: la capacità di pensare in modo critico, di immedesimarsi negli altri arrivando a cogliere le sfumature del comportamento umano, di andare oltre i localismi per affrontare i problemi mondiali come “cittadini del mondo”. 2. aTTiviTÀ >

Webquest

sTuDi uMaNisTiCi E NuOvE PrOFEssiONi Un argomento oggi usato dai sostenitori dell’educazione umanistica è che questa favorisce l’interdisciplinarità e quindi la creatività, competenze sempre più apprezzate nell’era delle tecnologie elettroniche, come dimostrano le biografie dei fondatori di molte applicazioni di successo: Stuart Butterfield (Flickr) ha una laurea in filosofia, Jack Ma (Alibaba) in letteratura inglese, Susan Wojcicki (YouTube) in storia e letteratura, Brian Chesky (Airbnb) in belle arti. È una considerazione interessante che puoi approfondire con una ricerca in rete. Inizia digitando “mente scientifica o umanistica”. Riprendendo la definizione classica di scienza come «scire per causas», cioè “conoscere attraverso le cause”, Vico sostiene che l’intellezione di una cosa può essere acquisita solo da chi l’ha creata, costruita, inventata. Solo chi l’ha prodotta può intenderne pienamente i meccanismi e individuarne le cause: creare, infatti, significa stabilire princìpi innovativi dai quali ricavare conclusioni seguendo il metodo deduttivo che insieme ai razionalisti Vico considera il metodo scientifico per antonomasia. È un principio che già Hobbes aveva sostenuto e che Vico sintetizza con due celebri formule: «il vero e il fatto si convertono l’uno nell’altro e coincidono» (Verum et factum reciprocantur seu convertuntur) e «il vero è il fatto» (verum ipsum factum); si conosce secondo verità solo ciò che si fa.

429 1 VICO

vico nasce a Napoli nel 1668 nella famiglia di un modesto libraio, nella popolarissima Spaccanapoli. Il padre lo inserisce in una

scuola di gesuiti ma il giovane si annoia e studia più di quello che gli viene spiegato. Dopo aver frequentato la facoltà di Giurisprudenza dell’università di Napoli, nel 1699 ottiene la cattedra di retorica. I contemporanei lo descrivono come una persona scontrosa e solitaria. egli stesso, nella Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo (1725), riconosce la sua natura malinconica, ma la attribuisce a un trauma infantile. A sette anni era caduto da una scala battendo la testa ed era

7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

430

solo Dio conosce la verità di tutte le cose. L’uomo non potrà mai raggiungere una vera conoscenza del mondo naturale, né tantomeno afferrare pienamente la sua condizione metafisica. Le sue uniche certezze riguardano ciò che egli stesso ha prodotto. Le conseguenze di questo principio sono numerose e importanti. La prima è che la natura è intelligibile solo da Dio, che ne è il Creatore, l’unico quindi in grado di conoscere il perché delle cose, le cause. Sui fenomeni naturali l’uomo può solo cogitare, ossia cercare di interpretarli alla luce della ragione e di formulare generalizzazioni in base a dati quasi sempre insufficienti. Ogni scienza della natura è destinata a rimanere imperfetta, ipotetica e probabilistica. L’uomo, inoltre, non può neppure capire se stesso. La pretesa che nel «cogito ergo sum» si possa individuare la sostanza metafisica dell’uomo pare a Vico inconsistente: a suo avviso il cogito descrive solo uno stato di coscienza, la consapevolezza di esistere che caratterizza gli uomini; ma nulla di più. Sarebbe più corretto concludere non con «dunque io sono», ma con «dunque io esisto». Cosa certamente vera, ma anche poco interessante, perché consiste nella mera osservazione di un dato di fatto (io esisto). Il problema è invece capire perché esisto. Domanda, questa, cui secondo Vico può rispondere solo Dio, cioè colui che nella creazione e tramite la Provvidenza predispone le cause di tutto, inclusa la natura umana. Sono considerazioni che sul piano filosofico ridimensionano le pretese della ragione di raggiungere verità definitive e sul piano sociale implicano una critica al dogmatismo, se non addirittura all’arroganza, degli scienziati cartesiani. Vico le completa sottolineando il valore della prudenza ➝ 3 . Tra le cose invece che l’uomo può conoscere con certezza vi è la matematica. Essa è una convenzione, poiché il punto o le figure geometriche sono astrazioni concettuali prodotte dall’intelletto umano. Creazioni umane sono anche i sistemi morali, giuridici, filosofici e religiosi, le opere d’arte, i partiti politici e soprattutto la storia a cui, non a caso, Vico dedica la sua opera più importante, La scienza nuova ➝ 4 .

La Scienza nuova il campo in cui l’uomo può davvero conoscere la verità è quello storico. È proprio la storia la «scienza nuova» che vico vuole fondare. La storia è l’oggetto della Scienza nuova, l’opera di cui Vico è più orgoglioso e alla quale lavora fino alla morte (per un totale di tre edizioni, l’ultima nel 1744, poco prima della sua morte). Con essa nasce lo storicismo ➝ 5 , l’orientamento filosofico secondo il quale ogni esperienza umana può essere spiegata ricostruendone la storia. Il testo ha una struttura particolare, indicativa del metodo con cui Vico intende strutturare la nuova scienza. Dopo una lunga introduzione egli presenta una tavola cronologica e un breve riassunto dei più importanti eventi storici accaduti dal diluvio universale alla Seconda guerra cartaginese, citando uomini, leggi, guerre e costumi sociali. I riferimenti, precisi nei limiti delle conoscenze dell’epoca, formano il materiale grezzo su cui Vico riflette nel resto dell’opera, in cui presenta un lungo elenco di «degnità», ossia di verità evidenti assumibili come assiomi fondativi della nuova disciplina. Questa distinzione della Scienza nuova in due parti, una documentativa, l’altra interpretativa, concretizza la diversità fra la filologia e la filosofia, due approcci diversi ma complementari di considerare gli eventi storici. ◀ Frontespizio della Scienza Nuova di Gianbattista Vico, 1744 (Napoli).

Materiali per l’apprendimento attivo

431

3. PEr CaPirE MEGLiO

audiomappa

4. COMPETENZE > Mappa concettuale

CONOsCENZa uMaNa E DiviNa LA CONOSCENZA UMANA

intelligere (conoscere le cause)

cogitare (riflettere sugli effetti)

riguardo al

riguardo al

mondo umano

natura metafisica dell’uomo

mondo naturale

intelligere (conoscere le cause) è in grado di matematica geometria

sistemi giuridici, sociali, politici

storia

5. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

la conoscenza divina

dizionario operativo

sTOriCisMO Il termine «storicismo» indica una corrente filosofica che si diffonde soprattutto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ma che trova già in Vico un importante precursore. Inteso in senso lato, lo storicismo è presente in tutto l’Ottocento, a partire dall’idealismo (soprattutto con Hegel) e dal materialismo di Marx, che considera l’analisi storica fondamentale per la comprensione del presente. Il concetto centrale lo troviamo in una «degnità» di Vico: la natura delle cose consiste nella loro origine e quindi per comprenderle è necessario ricostruirne la genesi e la storia. Questa concezione implica che lo studio delle diverse epoche storiche avvenga a partire dalla visione del mondo e dalla mentalità caratteristiche dell’epoca che stiamo studiando e non in base alle conoscenze e alle convinzioni attuali. Con lo storicismo si apre il problema del relativismo etico, perché ogni epoca ha i propri valori che è necessario rispettare e riconoscere per capirla in profondità. Vico prospetta una soluzione di questo problema che sarà poi ripresa da Hegel e da altri filosofi: ogni epoca ha la propria specificità ma la storia nel suo insieme è un processo con una propria razionalità di fondo che dà un senso unitario ai diversi momenti.

1 VICO

iL vaLOrE DELLa PruDENZa In Sul metodo di studio dei nostri tempi (1709), con il termine prudenza vico non allude alla cautela quanto all’accezione diffusa nel mondo romano di prudenza come attenzione verso i casi individuali. un avvocato o un giudice, ad esempio, non possono applicare la legge meccanicamente, perché in ogni contesto specifico essa dà luogo a variazioni. Allo stesso modo, un medico non può applicare le sue conoscenze manualistiche a qualunque paziente, dal momento che ogni individuo è diverso dall’altro. Sta quindi nella prudenza, ossia nella capacità di individuare le particolarità del caso specifico, la sua bravura.

7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

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solo stabilendo un rapporto di complementarità fra la filologia (che si occupa della documentazione degli eventi storici, ossia il certo) e la filosofia (che mira all’interpretazione della verità, ossia il vero), si può costruire una scienza nuova. La filologia si occupa di ciò che, a livello storico, può dirsi «certo»; si sforza cioè di documentare gli avvenimenti e i processi storici per come sono accaduti ➝ 6 . È quindi una scienza del particolare, il cui obiettivo sta nel delineare la realtà dei singoli eventi storici, cioè nel fornire gli oggetti che la nuova scienza intende studiare e spiegare. Le scienze naturali non hanno bisogno di questa ricerca propedeutica, perché i fenomeni fisici si presentano sempre nello stesso modo; quelli storici, invece, sono in buona parte imprevedibili, perché le scelte degli esseri umani non dipendono solo dalla logica razionale (come vedremo). Ricostruirli è quindi compito della filologia, alla quale Vico assegna finalità che oltrepassano l’ambito linguistico: si tratta di estendere il suo campo d’indagine all’intera produzione culturale e approfondire tutti gli aspetti (giuridici, economici, politici e socioculturali) di un periodo storico. Per svolgere un compito tanto vasto la filologia si avvale della numismatica, dell’architettura, della decifrazione delle epigrafi e in generale di tutto ciò che, agli occhi di un ricercatore, può assumere il valore di indizio di una tendenza storica. Sono, queste di Vico, idee innovative: con esclusione di Machiavelli, nessuno prima di lui aveva ritenuto utile compiere tali sforzi per ricostruire l’effettiva dinamica di eventi passati. Alla filosofia, scienza del vero e dell’universale, spetta invece il compito di individuare le ragioni, le cause che hanno determinato gli eventi storici, al fine di estrarre dal flusso della storia le regole generali, cioè i meccanismi che si presentano, se pure in modi e gradi differenti, in fasi diverse. La possibilità di individuare queste leggi della storia è garantita dal fatto che si tratta delle stesse leggi che governano la natura dell’uomo. Per Vico, seguendo contemporaneamente questi due approcci ➝ 7 , lo studio della storia può diventare veramente una scienza nuova, simile a quelle naturali per la capacità sia di selezionare i propri oggetti con metodi induttivi fondati sull’esperienza (il «certo» della storia), sia di giungere a generalizzazioni tanto precise e potenti (le «degnità») da poterne trarre per via deduttiva il «vero», le leggi che governano il divenire dell’uomo.

Le leggi della storia La scienza storica rivela una legge che ne guida lo svolgersi secondo uno schema triadico: l’età degli dèi, l’età degli eroi e l’età degli uomini. La storia procede con un andamento simile alla crescita degli individui. Dato che l’uomo fonda la storia e dato che l’uomo si sviluppa passando attraverso tre età successive, lo stesso deve avvenire dunque per la storia. Nei cinque capitoli che compongono la seconda parte della Scienza nuova, Vico individua tre tappe fondamentali dell’umanità, alle quali corrispondono tre capacità della mente e tre fasi dello sviluppo umano: l’età degli dèi, dominata dal senso e corrispondente all’infanzia; l’età degli eroi, dominata dalla fantasia e corrispondente alla fanciullezza; l’età uomini, dominata dalla ragione e corrispondente alla maturità. L’evolvere della storia è quindi delineato con un approccio che possiamo definire antropologico ➝ 8 , cioè basato sui cambiamenti delle strutture mentali dell’uomo avvenuti nelle diverse età: gli uomini, secondo Vico, prima sentono senza avvertire (età degli dèi), poi avvertono con animo turbato e commosso (età degli eroi) e infine riflettono con la mente pura (età degli uomini).

Materiali per l’apprendimento attivo

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6. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

Film

Documentati sulla legge che, dal 2016, vieta il negazionismo in Italia e, per saperne di più, guarda la sequenza tratta dal film La verità negata (tramite Scopri+ o accedendo alla WebTv Loescher). 7. COMPETENZE > Mappa concettuale

FiLOsOFia E FiLOLOGia la storia è fatta dall’uomo

LA FILOSOFIA

indaga le

leggi universali

ovvero

lo sviluppo dell’individuo ricapitola quello storico la storia ha un andamento ciclico (corsi e ricorsi)

piano del vero

LA FILOLOGIA

indaga i

prodotti dell’arbitrio umano

diversi da popolo a popolo che sono accertabili con l’analisi del linguaggio, dei miti, delle tradizioni

piano del certo

8. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

viCO E L’aNTrOPOLOGia Molti antropologi, fra cui anche l’etnologo francese Claude Lévi-Strauss (1908-2009), hanno considerato Vico un vero e proprio precursore dell’antropologia, riconoscendogli il merito di aver capito che il mito e la leggenda vanno considerati come portatori di una verità per le popolazioni che li hanno sviluppati, così come lo sono per i bambini. Come il bambino va considerato nella sua realtà specifica, con il suo mondo fantastico, indipendentemente da ciò che sarà da adulto, così i popoli considerati “primitivi” (oggi diremmo non occidentali) con la loro sensibilità e fantasia colgono verità che hanno valore di per sé, indipendentemente dal fatto che assumano o meno una forma razionale. ▶ Claude Lévi-Strauss.

1 VICO

rEvisiONisMO E NEGaZiONisMO Il rapporto tra verità e storia è tanto profondo quanto problematico: non solo, come sostenuto da tucidide, il passato serve a spiegare l’oggi, ma è anche vero il contrario: gli storici ricostruiscono il passato con gli elementi che hanno a disposizione nel presente. Questo comporta che la storia è sempre soggetta a una forma di “revisionismo”, perché la scoperta di fonti inedite e l’elaborazione di nuovi paradigmi interpretativi gettano una luce diversa sugli eventi. In alcuni casi, però, il revisionismo è stato utilizzato come strumento ideologico per falsificare la storia attraverso la fabbricazione di dati fittizi (ad esempio i Protocolli dei Savi Anziani di Sion) o la negazione di dati reali portata avanti dal negazionismo, per cui l’olocausto degli ebrei durante il nazismo non sarebbe mai avvenuto.

7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

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L’età degli dèi L’età degli dèi rappresenta la fase primitiva della storia umana. Privi di raziocinio, ma dotati di forza fisica e di sensibilità, gli uomini (simili a giganti) provano meraviglia verso la natura, identificando le forze naturali con le divinità, a loro volta immaginate come simili all’uomo. Nell’età degli dèi (l’infanzia dei popoli), gli uomini sono orribili nell’aspetto, simili a bestioni, deboli, rozzi e stupidi, perché non ancora in grado di ragionare. Affidandosi esclusivamente ai sensi e alla fantasia ➝ 9 , interpretano il mondo come un gigantesco organismo in cui agiscono forze sovrannaturali da cui si sentono minacciati: i fenomeni naturali catastrofici (eruzioni, terremoti, attacchi di bestie feroci) sono interpretati come punizioni divine, e quelli benefici (il sole, il vento, l’acqua) sono visti come frutto del comando di una divinità, il cui volere può essere scrutato per mezzo di oracoli e di altre forme divinatorie. Gli dèi inoltre sono pensati come simili agli uomini, anche se più potenti. Nasce così, nella forma del politeismo, il primo fenomeno religioso. Il timore prodotto dalle forze naturali fa nascere la tendenza a vivere insieme, a formare famiglie e poi comunità sempre più complesse in grado di sfruttare al meglio le risorse. Per gli stessi motivi il potere comincia a essere conferito agli esperti, ai più bravi, forti e abili. Nascono così i primi padri protettori, sovrani che garantiscono la sicurezza e la stabilità sociale. Ad accelerare l’uscita dalla condizione bestiale, aggiunge Vico, contribuiscono tre novità storiche: la religione, l’istituzione del matrimonio, il ricorso alla sepoltura dei morti.

L’età degli eroi nell’età degli eroi sorgono le prime istituzioni politiche. alla teocrazia si sostituisce il dominio delle classi aristocratiche. predomina la fantasia, che partorisce i grandi miti e la poesia, la cui espressione più alta sono i poemi omerici. All’età degli dèi succede quella degli eroi: uomini che, emancipati dalla paura degli dèi e dei fenomeni naturali, impongono con la forza l’ordine sociale, in modo da evitare la barbarie, fissando anche i primi istituti sociali come la famiglia. Ben presto si fondano comunità non più affidate a pochi uomini, ma repubbliche gestite da uomini nobili, ossia dotati di virtù etiche eccezionali (temperanza, magnanimità, prudenza, fortezza, lungimiranza). La società inizia così a stratificarsi: un gruppo si impone con la forza sugli altri, arrogandosi le qualità che prima spettavano agli dèi. Si afferma la virtù aristocratica (in cui si fondono valore militare, pietà, temperanza e coraggio) sulla quale si formano i governi aristocratico-oligarchici, fondati sul dominio dei pochi sui molti. L’età degli eroi è anche l’età della fantasia, in cui maturano il mito, le favole e la poesia, specialmente l’epica di Omero. L’Iliade, soprattutto (che Vico considera anteriore all’Odissea), non è altro che l’espressione poetica del popolo greco che, ripercorrendo le gesta di antichissimi re ed eroi e i loro princìpi universali ed eterni (la lealtà, la virtù e l’astuzia) indica i valori a cui deve ispirarsi l’umanità.

▶ Ernst Herter, L’Achilleas thniskon (“Achille morente”), 1884 (Corfù, Achilleion).

Materiali per l’apprendimento attivo 9. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

L’età degli uomini L’età degli uomini è dominata dalla ragione: nasce il senso del dovere e si affermano i princìpi della democrazia e della libertà. Vico non insiste tanto sulle differenze fra le prime due età dell’uomo, e spesso le considera nel loro assieme. Il vero salto della civiltà, infatti, avviene con il passaggio all’età degli uomini, in cui sboccia la ragione e si fa chiaro tutto quello che nelle età precedenti era stato intuito fantasticamente e sensibilmente. Nascono il diritto, che assicura la convivenza civile, la filosofia, la logica, l’economia e la politica. Le élite sociali perseguono la giustizia, gli interessi comuni e il rispetto reciproco; le comunità diventano repubbliche democratiche che pur con alcuni limiti (censo, istruzione) non si affidano più alle virtù di pochi ma danno vita a governi e a leggi finalizzati al bene comune. Decade però la capacità poetica che caratterizzava i giganti e gli eroi: la loro facoltà fantastica è incompatibile con quella intellettiva e quindi deperisce. La poesia, di conseguenza, sopravvive solo imitando stili del passato e la cultura si esprime in prosa. A questa tripartizione delle età della storia Vico fa corrispondere tre tipi di governo, di Stati, di leggi, di costumi sociali, di princìpi giuridici e di altre dimensioni della socialità e della psicologia. Questo ordine delinea ciò che Vico chiama «storia ideal eterna», che rappresenta il modello cui gli uomini aspirano e che tendono a sviluppare in un tempo anche molto ampio, dal momento che molte loro singole scelte in apparenza non sono conciliabili con questo. Questa storia ideal eterna è la logica profonda che guida l’evoluzione delle nazioni in senso progressivo, funzionando come una trama di fondo che gli uomini non possono controllare. Secondo Vico, nulla può delineare questo orizzonte meglio delle opere di Platone, il filosofo che, soprattutto nella Repubblica, ha descritto come gli uomini dovrebbero essere, fornendo i criteri con cui è possibile formulare giudizi di valore sul loro operato. Vico dichiara di essersi ispirato anche a Tacito, lo storico che ha saputo descrivere gli uomini nella loro natura effettiva, al di là di ogni ideale. La storia, egli conclude, non può essere solo tacitiana (solo studio di fatti) o solo platonica (visione d’insieme), ma deve sintetizzare entrambe le posizioni, producendo una visione strutturale di fatti concreti.

1 VICO

FaNTasia «Fantasia» deriva dal greco phantasía, “immagine”, “apparizione”, da qui l’uso del termine per indicare la facoltà di rappresentarsi fatti e situazioni reali o meno, soprattutto mediante immagini. vico individua nella fantasia una delle facoltà prevalenti nella prima età dell’uomo. In quest’epoca, essa ha importanza centrale per la conoscenza, perché, come leggiamo nella Degnità XXXvI, «la fantasia tanto è più robusta quanto è più debole il raziocinio». I primi uomini non si rappresentano il mondo sulla base della ragione, ma della fantasia e del sentimento. Non si tratta però di una conoscenza inferiore rispetto a quella scientifica, ma semplicemente diversa. Dalla ragione deriva la scienza, dalla fantasia la poesia. La conoscenza poetica, propria dei primi uomini, costituisce però una visione del mondo completa e coerente, articolata in quelle che Vico definisce metafisica poetica e logica poetica, descrivendo anche una morale, una economia, una politica, una fisica, una cosmologia poetiche. Mediante la fantasia, quindi, i primi popoli elaborano una interpretazione esauriente della realtà, che consente loro di dare una risposta alle diverse domande dell’esistenza.

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7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

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La sapienza poetica vico attribuisce grande importanza alla fantasia, contrapponendola al razionalismo e all’empirismo, che rifiutano tutto ciò che è fantastico in nome rispettivamente della razionalità e dell’esperienza sensibile. Particolarmente innovativo e fecondo è il ruolo che Vico assegna alla poesia nelle prime età dell’uomo. La poesia non nasce dalla ragione, che anzi l’ostacola, ma nella fantasia, e si esprime attraverso metafore e immagini concrete. Irrimediabilmente diversa dalla filosofia, è un modo irrazionale di conoscere la realtà. La poesia nasce assieme al linguaggio, la cui origine, secondo Vico, è dovuta all’esigenza naturale degli uomini di comunicare fra loro; dapprima usarono gesti, poi oggetti simbolici, quindi suoni onomatopeici, infine un linguaggio articolato. Agli inizi, però, questo linguaggio non seguiva le regole convenzionali della grammatica, tanto che le parole possedevano un valore evocativo poi andato perso: non si riferivano agli oggetti del mondo semplicemente indicandoli, ma veicolavano anche il particolare modo, fantastico e religioso, con cui i primi uomini li interpretavano. La capacità espressiva della poesia originaria si avvaleva, secondo Vico, degli «universali fantastici» ➝ 10 , vere e proprie categorie mediante cui gli antichi organizzavano la realtà, tanto che si può parlare di una «logica poetica», cioè una logica pari alla nostra in dignità basata però non su categorie in senso aristotelico ma su immagini ➝ 11 . Di queste (immagini, narrazioni e personificazioni) si serviva il pensiero prima che i concetti fossero delineati dai filosofi: l’idea di astuzia, ad esempio, era rappresentata dalla figura di Ulisse e per alludere al coraggio ci si riferiva alle doti di Achille. Nelle prime età dell’uomo il mondo trovava quindi un’espressione diretta in formulazioni poetiche e fantastiche, ricche di originalità e di inventiva e rivolte più alle capacità intuitive che a quelle logico-intellettive, che nelle società più evolute e razionali si possono solo rimpiangere: non a caso il più grande poeta della lingua italiana, Dante, è vissuto nel Medioevo, un’epoca che Vico considera un ritorno alla barbarie, come vedremo. Oltre che negli universali fantastici, la sapienza poetica degli antichi si esprimeva nelle leggende e nei miti ➝ 12 , dei quali Vico sottolinea, per primo nella storia, lo spessore intellettuale. La tradizione filosofica, infatti, aveva sino ad allora considerato i miti antichi semplici favole illusorie oppure, come Platone, forme imperfette di spiritualità, nella quali il pensiero non si avvaleva ancora di argomenti ma di allegorie e narrazioni esemplificative, che in parte esprimevano una profonda sapienza, in parte la nascondevano. Vico rifiuta queste interpretazioni liquidatorie o riduttive: i miti sono narrazioni corali perché non nascono dallo sforzo creativo di un autore specifico ma dalla fantasia dei popoli, e costituiscono una forma di spiritualità autonoma e indipendente da altre competenze intellettuali. Tutto ciò appare con chiarezza nell’Iliade e nell’Odissea, che Vico, anticipando teorie poi riprese dai romantici nel primo Ottocento, considera opera non di un autore specifico (Omero) ma di tutto il popolo greco.

▶ Jean-Joseph Espercieux, Ulisse riconosciuto dal cane Argo, 1812 ca, marmo.

Materiali per l’apprendimento attivo

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10. approFondiMenti > intersezioni

11. approFondiMenti > per saperne di più

L’estetiCa in viCo Il concetto di universale fantastico ha avuto molta importanza anche nel campo dell’estetica, anticipando di molto le concezioni moderne della poesia e dell’arte. Non a caso nel Novecento il filosofo italiano Benedetto Croce individuerà proprio in Vico il primo pensatore ad aver considerato il bello nella sua piena autonomia e indipendenza da altri valori. Rifiutando il principio del «buongusto» teorizzato da A.G. Baumgarten nell’opera Aesthetica (1750), per cui l’arte deve rielaborare le opere classiche, riflettendo così il bagaglio culturale dell’artista, Vico sostiene che essa germoglia in tutte le persone di spirito nobile, spontaneamente e a prescindere dal loro retroterra culturale; l’arte infatti, che è essenzialmente fantasia e sentimento, incarna un’esigenza primaria dell’anima umana, che precede il pensiero razionale. non è più imitazione ma creazione, espressione spontanea della natura umana. 12. La ParOLa ai TEsTi

T1 vico Il linguaggio del mito Il mito è un «linguaggio fantastico», ossia un linguaggio in cui le cose vengono riferite a sostanze animate, immaginate come divinità. Tale linguaggio è però anche un sistema logico, perchè consente una classificazione della realtà.

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Così Giove, Cibele o Berecintia, Nettunno, per cagione d’esempli, intesero e, dapprima mutoli additando, spiegarono esser esse sostanze del cielo, della terra, del mare, ch’essi immaginarono animate divinità, e perciò con verità di sensi gli credevano dèi: con le quali tre divinità, per ciò ch’abbiam sopra detto de’ caratteri poetici, spiegavano tutte le cose appartenenti al cielo, alla terra, al mare; e così con l’altre significavano le spezie dell’altre cose a ciascheduna divinità appartenenti, come tutti i fiori a Flora, tutte le frutte a Pomona. (G. Vico, Scienza Nuova (1744), libro II, in Opere, a cura di A. Battistini, Mondadori, Milano 2008, p. 283)

Guida alla lettura. le tre divinità principali consentono una prima classificazione e spiegazione delle cose, riferendole al cielo (la cui sostanza è Giove), al mare, con Nettuno, o alla terra. Questa logica fantastica, poi, si articola indefinitivamente in figure minori, sostanze o classi di riferimento di ambiti più specifici, come Flora ecc. L’aspetto importante del linguaggio mitico non è rappresentato dalle divinità in sé, ma dalla classificazione e dai rapporti che esse permettono di stabilire.

1 VICO

L’universaLe FantastiCo e L’arChetipo Vico è un autore molto amato e studiato da quella corrente della psicoanalisi che ha ipotizzato l’esistenza di un inconscio collettivo dell’umanità che si esprime nei miti, nelle favole, nelle leggende e nelle fiabe. I due principali sostenitori di questo indirizzo sono stati il filosofo e psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961) e lo psicoanalista americano James hillman (1926-2011). Entrambi si sono particolarmente interessati al concetto di universale fantastico elaborato da Vico, che considerano un precedente filosofico di quello di archetipo, centrale nelle loro dottrine, con cui designano l’emergenza, nei sogni privati e nelle espressioni di una cultura, di contenuti universali della spiritualità umana.

7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

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L’andamento della storia Il susseguirsi delle tre età della storia rende evidente l’esistenza del progresso, un concetto che trova in Vico la sua prima anticipazione. Anche gli antichi distinguevano tre fasi nella vicenda storica dell’umanità, che denominavano età dell’oro, dell’argento e del bronzo, ma nel loro susseguirsi vedevano una decadenza, non un avanzamento. Persino nel Rinascimento, nonostante lo sprigionarsi di una forte carica innovativa, si è continuato a rintracciare nel passato un modello di perfezione umana non più eguagliabile. Affermando una prospettiva che diventerà centrale nell’Illuminismo del xviii secolo, Vico considera invece il cammino dei popoli come un percorso in continua ascesa. Gli uomini, però, pensano e agiscono soprattutto in base a passioni ed egoismi, che però il più delle volte provocano effetti molto diversi da quelli preventivati. Vico teorizza così per la prima volta il principio che in seguito sarà denominato «eterogenesi dei fini» (una formula coniata dallo psicologo tedesco Wilhelm Wundt, 18321920). Secondo questo principio le azioni umane possono conseguire fini diversi da quelli che persegue chi le compie. L’incivilimento raggiunto dalla specie umana, quindi, dipende non solo dai modesti mezzi umani, ma anche dall’aiuto della Provvidenza divina, e in particolare dalla sua capacità di perseguire un disegno generale avvalendosi di scelte individuali, a volte indirizzate verso altri fini. il percorso storico dell’umanità, pur progressivo e finalizzato a una meta, non è lineare. a fasi di avanzamento possono succederne altre di temporanea decadenza, cosicché il ritorno alla barbarie rimane una possibilità sempre aperta. L’eterogenesi dei fini che caratterizza l’agire umano non sempre è controllata dalla Provvidenza ➝ 13 e quindi può portare anche a conseguenze negative. Inoltre, le conquiste dell’umanità non sono mai definitive e scelte sbagliate possono sempre comportare un regresso, anche nelle società più avanzate. Anche le civiltà che raggiungono i risultati migliori non sono mai definitivamente consolidate, e anzi proprio quando cadono nell’errore di crederlo non si rivolgono più al passato per trarne insegnamento ponendo così le basi per un ritorno alla barbarie. L’incapacità di decidere, da cui conseguono prima la tirannide, poi l’anarchia e infine la guerra civile, è una malattia frequente nelle società avanzate il cui morbo risiede in un razionalismo spinto all’eccesso. Quando la ragione è usata solo in funzione critica, finisce per assumere una carica distruttiva, e conduce allo scetticismo e al relativismo etico. I sintomi sono la preferenza del proprio tornaconto rispetto al bene comune e la laicizzazione della cultura, che intacca il valore della religione come elemento fondante del vivere collettivo. Vico avverte che la seconda barbarie (il ritorno a un’età inferiore che può determinarsi in società avanzate a seguito di una crisi catastrofica) è sempre peggiore dell’originaria barbarie dei giganti: quest’ultima infatti era sanguigna, esprimeva la vitalità di uomini che si accingevano a costruire una civiltà. La seconda invece, venendo dopo la civiltà, è armata degli strumenti della scienza della tecnica: è quindi più fredda ma anche più potente. La storia ha un andamento ciclico: ai corsi seguono i ricorsi, allo stesso tempo sempre nuovi e sempre diversi. La storia delle nazioni, in breve, procede per corsi e ricorsi. Dopo il grande corso della civiltà greco-romana, argomenta Vico, vi è stato il ricorso del Medioevo, lungo ma temporaneo, nel quale i valori del mondo classico sono andati totalmente perduti ➝ 14 . Le leggi storiche individuate da Vico non sono meccanicistiche; indicano tendenze di lungo periodo e comportano numerose eccezioni, perché nelle situazioni specifiche il peso delle scelte soggettive degli uomini non è mai irrilevante. Quindi l’umanità avanza, ma a volte torna sui suoi passi per poi riprendere il cammino: procede con un andamento irregolare:

Materiali per l’apprendimento attivo 13. PEr CaPirE MEGLiO

14. per Capire MeGLio

Corsi e riCorsi storiCi Vico riconosce l’esistenza di società rimaste a uno stadio primitivo e di altre semibarbare in cui la civilizzazione si è bloccata. Per converso, nota che in altre situazioni l’avanzamento è stato rapidissimo: l’America, ad esempio, dopo la scoperta che ne hanno gli europei, è giunta quasi di colpo allo stadio ultimo. E gli ebrei non divennero mai giganti, perché uscirono dallo stato di barbarie originale dopo soli cento anni. E ancora, se pur per motivi diversi, sia la nazione greca nell’antichità sia quella francese nella modernità hanno affrettato il corso della loro storia, passando da uno stato di cruda barbarie a uno di somma raffinatezza. Allo stesso tempo, egli sottolinea, una guerra civile può sempre distruggere anche una repubblica considerata stabile e un eccesso di razionalismo può degenerare nello scetticismo filosofico e nel cinismo politico, con effetti deleteri sulla stabilità dello Stato; esiste dunque anche una barbarie della ragione. Ne è un perfetto esempio il crollo di roma e il ritorno, con il Medioevo, dell’epoca barbarica. In quel caso, all’età primitiva è seguita quella eroica (in cui dominavano i re latini), sfociata poi nell’età degli uomini (la distruzione di Cartagine e il dominio di Roma), dopo la quale l’Impero romano è stato preda delle invasioni barbariche. Il ciclo si ripete: l’età dei barbari del primo Medioevo è seguita dalla fase eroica dei Comuni e da quella umana dell’Illuminismo (in cui vive lo stesso Vico). nel De Antiquissima Italorum sapientia, egli paragona il movimento della storia a quello cardiaco, con la sistole e la diastole al posto di continuità e innovazione. Il procedere per corsi e ricorsi, quindi, non implica che la storia si ripeta periodicamente in modo sempre uguale, come affermavano gli stoici. Essa è sempre uguale e sempre nuova, perché certi eventi che si presentano come nuovi hanno un rapporto di analogia con altri nel passato, cioè sono in parte simili (perché la psicologia degli uomini cambia molto lentamente) e in parte diversi, se non altro perché la coscienza è arricchita dalle esperienze passate.

1 VICO

LiBErTÀ uMaNa E PrOvviDENZa vico è un cattolico convinto e non contesta il modo con cui la filosofia cristiana pensa la storia dell’umanità come orientata in una prospettiva ultraterrena. Anche per lui, come già per sant’Agostino (La città di Dio), la storia ha un inizio, una fine e soprattutto un fine, il definitivo perfezionamento etico, religioso e antropologico della specie umana. Di questo ordine generale della storia solo Dio può essere consapevole, avendone Egli stesso poste le cause originarie nel momento della creazione. Esiste però anche una provvidenza, cioè un intervento divino nel corso della storia che indirizza la vicenda umana verso il meglio, ossia verso la meta finale. L’esistenza della Provvidenza esclude che il divenire storico sia frutto del caso, ma pone il problema della libertà umana: se è Dio a decidere il nostro futuro, le nostre scelte sono allora solo apparenti. Vico, tuttavia, contesta il modo con cui la tradizione filosofica ha considerato la provvidenza e il libero arbitrio umano come alternative reciprocamente escludenti. Fra dio e l’uomo egli intravede un rapporto collaborativo: la Provvidenza non obbliga ma indirizza, guida e insegna; offre opportunità che sta all’uomo cogliere, a volte usando scelte individuali e inconsapevoli per conseguire obiettivi generali. Sintetizzando questi punti, Vico definisce la Scienza nuova come una «teologia civile», cioè uno studio di come Dio interviene nel mondo, aggiungendo però che essa deve essere «ragionata», perché la Provvidenza divina non opera tramite miracoli, come asserisce un’ingenua devozione religiosa, ma attraverso un metodo razionale, cioè favorendo la nascita e lo sviluppo delle istituzioni sociali e civili fondamentali, come ad esempio il matrimonio, che hanno portato alla civilizzazione.

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• Sintesi • Mappa

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La storiografia dell’Illuminismo

La storia come progresso Nell’illuminismo compaiono numerose opere di filosofia della storia incentrate sull’idea di progresso. Gli sviluppi della scienza e l’etica della nascente borghesia portano alla diffusione di un nuovo ottimismo, basato sull’idea di un miglioramento continuo e unilineare delle condizioni del genere umano. Il progresso ➝ 15 è un concetto chiave della modernità, tanto che da alcuni è stato definito la vera «religione della civiltà occidentale». I suoi teorici si sono divisi sulla sua direzione, sul ritmo e sulla natura dei cambiamenti che lo accompagnano. Tutti, però, condividono tre idee-chiave: 1) una concezione lineare del tempo, secondo la quale la storia è orientata verso il futuro; 2) una concezione unitaria della storia, per la quale l’umanità, intesa come un tutto, si sviluppa nella stessa direzione; 3) un ottimismo nelle capacità dell’uomo di agire nella realtà trasformandola in meglio. Queste tre idee chiave sono il frutto della secolarizzazione di una concezione del tempo originariamente cristiana, avviata a partire dal xvii secolo e maturata pienamente nel xviii durante l’Illuminismo. Lo sviluppo delle scienze e delle tecniche, insieme alla scoperta del Nuovo Mondo, preparano il terreno per questa secolarizzazione, favorendo un clima di grande ottimismo sia intellettuale sia scientifico: si sviluppa la convinzione che, grazie alla ragione, l’uomo possa affidarsi solo a se stesso e mettere in atto continui miglioramenti. Il cosmo degli antichi cede gradualmente il posto a un mondo nuovo, geometrico, omogeneo e infinito, governato da leggi di causa-effetto. Il modello che lo rappresenta al meglio è quello meccanico e più in particolare quello dell’orologio che scandisce un tempo diventato omogeneo e misurabile. È una mentalità che va di pari passo con le aspirazioni della borghesia, che si sta imponendo sui mercati nazionali ➝ 16 . Questa idea di progresso cumulabile e necessario comporta da un lato la svalutazione della tradizione, percepita come un ostacolo alla marcia in avanti della ragione (vedi la svalutazione del Medioevo, letto come periodo buio per la cultura e le arti), dall’altro l’idolatria del nuovo: sistematicamente considerato come sinonimo di migliore, il nuovo diventa in breve tempo una delle ossessioni della modernità.

Materiali per l’apprendimento attivo 15. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

▶ Giorgione, Tre filosofi, 1506-08, olio su tela (Vienna, Kunsthistorisches Museum).

16. COMPETENZE > Pensiero critico

La METaFOra DELL’OrOLOGiO Come ricorda lo storico francese Jacques Le Goff (Tempo della Chiesa e tempo del mercante (1977), nel Medioevo si sviluppa un nuovo interesse per la misurazione del tempo, in connessione con il ruolo sempre più rilevante che andava assumendo la figura del mercante. Al tempo della chiesa, scandito dalle campane (solo pochi momenti della giornata) si aggiunge il tempo quantificato e misurato dagli orologi meccanici delle torri comunali, funzionali al mercante che deve pagare a ore e valutare nello stesso modo il prezzo di un manufatto. Nel Seicento e Settecento si arriva a una vera ossessione per gli orologi, che diventano oggetti meccanici privati, nelle singole case (l’orologio a pendolo) o tascabili, talvolta dotati di complicati e scenografici congegni rotanti. Nella costruzione di questi oggetti si realizza il massimo della tecnologia e dell’abilità manifatturiera del tempo, e la passione che essi suscitano a livello sociale si impone anche a livello filosofico, pur declinata in varie forme. Per gli occasionalisti, ad esempio, il mondo nel suo complesso è un grande orologio e Dio il grande orologiaio, che all’inizio del tempo ne ha regolato il meccanismo. attività: è tipico di ogni epoca metaforizzare le proprie credenze attraverso il paragone con la tecnologia più recente. Prova a rendere attuali queste considerazioni analizzando la metafora, oggi centrale, della rete (puoi partire dallo spunto che la stessa parola Web significa proprio ragnatela, intreccio).

▶ Orologio da mensola in stile Luigi XVI, fine del xviii secolo.

2 L A S TORIOG RA F IA D E L L’IL LUMIN IS MO

PrOGrEssO Il termine indica la concezione secondo la quale nella storia umana c’è un miglioramento continuo del sapere e della civiltà in generale, con l’importante corollario che l’età presente è superiore è migliore di quelle precedenti. Il concetto si afferma nel corso dell’Illuminismo, che ricostruisce in questa chiave la storia universale, considerando il Settecento come l’età della ragione per l’umanità. l’idea di progresso è centrale in tutto l’Illuminismo e influenza anche la storiografia, diffondendo la definizione del Medioevo come età buia, che avrebbe segnato un arresto dello sviluppo, ripreso poi a partire dal Rinascimento.

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7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

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L’Illuminismo francese Per voltaire la storia è uno strumento di rinnovamento della società: il confronto con il passato può servire da monito o, come nel caso di Luigi Xiv, da stimolo per le riforme sociali del presente. Voltaire è l’autore che affronta in modo più sistematico l’analisi storica, riassumendo le prospettive presenti nella sua epoca. A lui si deve l’espressione «filosofia della storia», con cui intitola l’introduzione alla sua opera Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1753). Per il filosofo francese, affrontare scientificamente la storia significa prima di tutto assumere un atteggiamento razionalistico di critica delle fonti, in modo da liberare il passato dalle tradizioni mitologiche e dalle invenzioni favolistiche. Il lavoro di ricerca che descrive anticipa la nascita imminente degli storici di professione e della indagine storica come settore specifico del sapere. Inoltre, in contrapposizione alla storiografia tradizionale, incentrata esclusivamente sulle vicende dei sovrani e delle guerre, Voltaire inaugura una storia della società, che approfondisce l’agire degli uomini, nei vari popoli e nelle diverse epoche ➝ 17 , con particolare attenzione per i fenomeni della mentalità collettiva ➝ 18 . In Il Secolo di Luigi XIV (1751), pur offrendo un resoconto attento delle vicende militari e politiche del sovrano, Voltaire espone un approfondimento a tutto campo della situazione economica interna, della Chiesa, ma anche delle arti, della cultura e dei costumi di quell’epoca. Non a caso proprio questa è considerata da molti la prima opera storica moderna: spezzando la tradizione annalistica, la storia non coincide più con una raccolta erudita e cronologica di eventi, ma include la descrizione della situazione complessiva di uno Stato (la Francia di Luigi XIV) in cui la civiltà ha raggiunto il culmine grazie allo sviluppo della scienza e delle arti. Oltre che economista e politico, Turgot è un importante filosofo. dalla sua concezione dell’umanità come un organismo collettivo che diventa costantemente più adulto consegue l’idea della storia come una crescita indefinita che, pur fra errori e fallimenti, procede sempre in avanti. È Anne-Robert-Jacques Turgot (1727-81) che, in due discorsi pronunciati alla Sorbona (Sui progressi successivi dello Spirito umano e Sulla formazione dei governi e l’incrocio delle nazioni. Abbozzo il cui argomento sarà il progresso dello spirito umano, 1750) applica per primo esplicitamente il concetto di progresso. Del tutto indipendentemente da Voltaire (con cui è in disaccordo sul ruolo giocato dal cristianesimo, a suo avviso meritorio nell’aver civilizzato i popoli barbarici) egli considera la storia come una totalità universale, analizzando la quale è possibile ricostruire l’evoluzione progressiva del genere umano. Esattamente come ogni individuo, anche l’umanità vive la sua infanzia dalla quale si allontana progressivamente per entrare nell’“età adulta”. Nelle età primitive tutti gli uomini hanno di fronte pressappoco gli stessi ostacoli e le stesse risorse. Specifiche condizioni ➝ 19 rendono possibile il superamento degli ostacoli e il conseguente utilizzo delle risorse. Da qui nascono le inuguaglianze fra nazioni, che si riflettono sia nelle scienze che nelle arti. Il paradigma della storia come degenerazione è così rovesciato: l’“età del ferro” è all’inizio della storia; l’“età d’argento” quella attuale e l’“età dell’oro” deve ancora venire. In questo processo tutti gli eventi, anche quelli apparentemente negativi, partecipano al movimento che conduce a una sempre maggiore libertà. Stati sorretti da principi illuminati, ad esempio, possono trovarsi in una situazione di progresso maggiore rispetto a quelli confinanti, che quindi verranno molto probabilmente conquistati e civilizzati. È però possibile anche il contrario, ossia che i popoli barbari, attirati dalle ricchezze, attacchino e conquistino uno Stato illuminato. Neanche questa scongiurata possibilità, però, può arrestare il processo di perfezionamento dell’uomo: i barbari stessi, sotto l’influenza dei lumi, adotteranno la civiltà del vinto.

Materiali per l’apprendimento attivo 17. PEr CaPirE MEGLiO

443

LE QuaTTrO EPOChE Di sviLuPPO DELLa CiviLTÀ Il Secolo di Luigi XIV ripercorre il graduale processo di incivilizzazione da un iniziale stato “selvaggio” alle quattro espressioni della civiltà: il primo è la Grecia fra il v e il iv secolo, il secolo di Filippo e di Alessandro, di Pericle, Demostene, Aristotele, Platone, Apelle, Fidia, Prassitele. Segue l’età di cesare e di Augusto a roma, contraddistinta dalla presenza di Lucrezio, cicerone, Tito Livio, Virgilio, orazio, ovidio, Varrone e Vitruvio. La terza epoca illuminata è l’Umanesimo italiano della seconda metà del xv, quando i Medici chiamano a Firenze gli uomini di scienza che i turchi cacciavano dalla Grecia: è il tempo della gloria dell’Italia. Infine vi è il regno di Luigi Xiv, quello più vicino alla perfezione. Dagli ultimi anni del governo di Richelieu a quelli che hanno seguito la morte di Luigi XIV nelle arti, nei costumi, nel governo, e nella filosofia è avvenuta una rivoluzione che inorgoglisce la Francia e che deve servire come stimolo: la proposta di cambiamento che traccia Voltaire si arresta al xvii secolo, ma è implicito che i processi di crescita siano ancora all’opera nel Settecento.

2 L A S TORIOG RA F IA D E L L’IL LUMIN IS MO

18. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia e cinema

La MasChEra Di FErrO Il film La maschera di ferro con Leonardo Di Caprio è basato sul libro di Alexandre Dumas (1802-70) Il visconte di Bragelonne. Concludendo il Ciclo dei moschettieri, il testo si ispira a una vicenda reale: nel 1703, negli archivi della Bastiglia è registrata la morte di un prigioniero noto come «Maschera di Ferro», perché la sua identità era nascosta da una maschera (non di ferro, ma di velluto nero con molle di ferro che la tenevano chiusa). La domanda su chi fosse l’uomo il cui volto doveva restare segreto infiamma la curiosità e la fantasia del popolo e di intellettuali come dumas. Questi, però, si appassiona alla vicenda solo dopo avere letto le ricerche di Voltaire sul caso. Imprigionato per breve tempo alla Bastiglia nel 1717 (aveva composto versi satirici contro il reggente di Francia Filippo D’Orléans e la figlia), il filosofo viene a conoscenza da alcune guardie della storia del misterioso prigioniero. Interrogatosi a lungo sul mistero, ne scrive in una appendice al XXV capitolo del Secolo di Luigi XIV (1751), sostenendo che l’uomo misterioso è un fratellastro o un fratello (forse gemello) del Re Sole. Dumas abbraccia la tesi di Voltaire e mette in scena il tentativo da parte del moschettiere Aramis di scambiare i due fratelli. Il film del 1998 con Leonardo Di Caprio riprende l’impianto di base del romanzo, ma si concede molte libertà rispetto alla storia raccontata nel libro, con un epilogo molto diverso da quello immaginato da Dumas. 19. per Capire MeGLio

turGot e La FisioCraZia Turgot condivide con la fisiocrazia, dottrina economica affermatasi in Francia attorno al 1750, l’idea che la terra è fonte di ogni ricchezza. È l’agricoltura che ha reso «gli insediamenti umani più stabili» e che ha consentito un considerevole miglioramento dell’alimentazione, avviando così a catena una serie di progressi umani. I primi uomini si trasferivano da una parte all’altra con il solo scopo di procacciarsi selvaggina. Attraverso l’esperienza riuscirono a cogliere la regolarità della natura, perfezionando le tecniche (che Turgot chiama «arti») di sfruttamento delle risorse ambientali. Proprio grazie a queste arti gli uomini hanno superato gli ostacoli naturali e temporali. Poiché la terra potenzialmente può nutrire più persone di quante ne necessita la coltivazione, nelle zone più fertili nacquero i commerci e le attività produttive.

7. v i Co e L a sCi e n Z a stori Ca n e L se t t eCe n to

444

Nella filosofia di Condorcet il progresso, inarrestabile, indefinito e illimitato, deve interessare non solo il quadro esteriore dell’esistenza, ma anche quello intellettuale e morale. Nel corso della Rivoluzione francese Jean-Antoine-Nicolas-Caritat, noto come Nicolas de Condorcet (1743-94), scrive il suo Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano (1793). Nonostante sia scritta nel momento in cui assiste al trionfo della tirannia e alla propria rovina personale ➝ 20, l’opera riflette a pieno la concezione ottimistica della storia tipica dell’Illuminismo francese. Nella rivoluzione Condorcet vede infatti la conferma della verità del progresso, che marcia a un ritmo inarrestabile. Osservando il susseguirsi delle dieci epoche umane, da quella tribale a quella dei progressi futuri dell’umanità, si può ricavare uno schema generale dei progressi dell’umanità, che per Condorcet (che oltre che filosofo e politico è anche scienziato) è sottoposto alle stesse leggi causali che troviamo nel mondo fisico: ogni evento è riconducibile a quelli che lo hanno preceduto e ha influenze necessarie sugli eventi futuri. Diversamente da Turgot, di cui è ammiratore e amico, secondo Condorcet il progresso non è solo continuo e irreversibile, ma anche indefinito e illimitato, cioè senza alcun limite prefissato. Nonostante questo, egli riconosce che troppo poco è stato fatto per il progresso morale del genere umano e, dunque, per la sua felicità. Solo in una piccola parte del globo si sono diffusi i lumi, mentre molti popoli versano ancora in condizione di schiavitù, sopraffatti dall’ignoranza e dalla superstizione. È necessario, conclude, migliorare attraverso l’istruzione (che nel suo pensiero assume un ruolo cruciale) sia le condizioni materiali (disuguaglianze economiche, salute fisica e durata della vita) sia quelle intellettuali (lingua e l’ortografia) e morali dell’essere umano.

La storiografia tedesca Herder rivaluta la specificità dei singoli popoli, ognuno dei quali è dotato di una propria spiritualità e visione del mondo, espresse dal linguaggio. Anticipando temi che saranno sviluppati a pieno nel Romanticismo, l’Illuminismo in Germania si pone in contrasto con alcuni tratti dell’Illuminismo francese ➝ 21 . Anche la storiografia, con Gottfried Herder (1744-1803) si muove in questa direzione: contro la concezione astratta e universale tipica del cosmopolitismo illuminista, egli articola uno sviluppo non tanto dell’umanità, quanto dei singoli popoli, ognuno dei quali dotato di caratteristiche, valori e visioni del mondo (Weltanschauung) specifiche. Nello sviluppo dei vari popoli è decisivo il linguaggio. Come il bambino imparando a parlare impara anche a pensare, così i popoli attraverso la lingua comunicano fra di loro e organizzano la realtà. Ne consegue che lingue diverse creano culture e identità diverse. La visione complessiva della storia di Herder è caratterizzata anche da un forte spiritualismo: forze invisibili e spirituali guidano teleologicamente il corso degli eventi. Una concezione provvidenzialistica della storia cui si oppone Kant che, più vicino all’Illuminismo francese, segue lo sviluppo di un’unica umanità (tutti i popoli sono dotati di ragione) e in cui l’uomo gioca un ruolo attivo.

◀ Anton Graff, Ritratto di Johann Gottfried Herder, 1785, olio su tela (Halberstadt, Gleimhaus Museum der deutschen Aufklärung).

Materiali per l’apprendimento attivo

445

20. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

21. COMPETENZE > Mappa concettuale

sTOriOGraFia FraNCEsE E sTOriOGraFia TEDEsCa

ILLUMINISMO FRANCESE si propone

pone al centro

il rinnovamento della storiografia

la nozione di «progresso»

con considerato unitario per l’umanità

lo studio della civiltà, non degli eventi

l’applicazione alla storia del nesso culturale

Voltaire

Condorcet

ILLUMINISMO TEDESCO pone al centro

afferma

la nozione di «popolo»

l’importanza della lingua

colta nella sua specificità e nel suo sviluppo particolare

identità nazionale

2 l A S torIoG rA F IA D e l l’Il luMIN IS Mo

CONDOrCET E La rivOLuZiONE FraNCEsE Condorcet è uno dei pochi grandi illuministi a vivere da protagonista e a pagare sulla sua pelle gli avvenimenti tumultuosi della rivoluzione francese: nel 1789 è tra i costituenti e nel 1792 diviene presidente dell’Assemblea legislativa. Ma dopo la caduta dei girondini sfugge alla cattura nascondendosi nella casa di Madame vernet. È proprio qui che scrive Abbozzo di un ritratto storico dei progressi dello spirito umano, pubblicato postumo nel 1795. Dopo cinque mesi di cattività, convinto di non essere più al sicuro, lascia il suo nascondiglio e cerca di lasciare Parigi. Due giorni dopo è arrestato e imprigionato. Quarantotto ore dopo viene trovato morto nella sua cella. la teoria prevalentemente accettata è che si sia suicidato utilizzando del veleno datogli dall’amico, Pierre Jean Georges Cabanis. Alcuni storici, invece, ritengono che potrebbe essere stato ucciso, forse perché troppo famoso e amato per essere giustiziato.

7. v i CO E L a sCi E N Z a sTOri Ca N E L sE T T ECE N TO

446

Test di autovalutazione 16. Le immagini prodotte dalla fantasia,

viCO

gli “universali fantastici”, hanno una funzione categoriale.

1. vico critica Cartesio per il dualismo fra res cogitans e res extensa.

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2. Il cogito di Cartesio descrive la sostanza metafisica dell’uomo. ciò che è in grado di fare o di riprodurre.

4. solo la matematica, la fisica e la storiografia sono scienze.

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8. La scienza storica è importante, perché per capire i fenomeni bisogna ripercorrerne la genesi.

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21. essendo fatta dagli uomini, la storia

La sTOriOGraFia DELL’iLLuMiNisMO la nozione di «progresso».

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del modo di pensare delle diverse civiltà, non solo degli eventi politici e militari.

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24. turgot interpreta la storia come progressiva

delle scienze naturali e il metodo storico. illuministica e definisce il concetto di «popolo». mentalità, al modo di pensare di ciascun popolo.

28. per Kant l’uomo gioca un ruolo chiave nello sviluppo della storia. V

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15. La religione costituì il fondamento dei primi costumi morali e causa del timore degli dèi.

V

20. La «barbarie seconda» coincide con l’alto

27. per Herder il linguaggio è legato alla

14. vico parla di una «metafisica poetica» in riferimento ai grandi filosofi dell’antichità, in particolare platone e aristotele.

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26. Herder contesta il cosmopolitismo

13. L’età degli dèi è caratterizzata dalla fantasia ed esprime mediante la poesia e i miti una visione del mondo e una filosofia complete.

V

25. Condorcet pone una differenza fra il metodo V

12. L’età degli dèi è caratterizzata dal linguaggio poetico e dunque non può avere né una propria metafisica né una propria logica.

seguito alle influenze reciproche verificatesi durante il corso dei millenni.

affermazione della libertà.

11. La storia si sviluppa mediante tre fasi, corrispondenti a quelle che scandiscono lo sviluppo degli uomini.

F

23. voltaire si interessa anche dei costumi e

10. tra i materiali della ricerca filologica vico include anche lo studio dei miti.

V

22. La storiografia illuminista pone al centro

9. Le leggi dello sviluppo storico cambiano da popolo a popolo.

guidata direttamente da dio a differenza della storia dei «gentili».

non comprende l’intervento di dio.

7. La filologia riguarda solo lo studio del linguaggio e dell’origine delle parole.

F

18. La storia «ideal eterna» è quella degli ebrei,

medioevo.

6. La filosofia, che stabilisce il vero, e la filosofia, che accerta i fatti, sono complementari.

V

19. tra i vari popoli esistono idee uniformi in

5. L’uomo può aspirare a una conoscenza vera del mondo naturale.

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17. secondo vico, omero non è l’autore dell’Iliade e dell’Odissea.

3. L’uomo può conoscere scientificamente solo

V

8. Kant

lezione in PowerPoint

LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA • LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. Gli scritti precritici 2. La Critica della ragion pura 3. La Critica della ragion pratica 4. La Critica del giudizio 5. La storia, la politica e la religione

La rETE DEi saPEri

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO Competenze / Lessico e concettualizzazione, pensiero critico, mappa concettuale, argomentazione, Filosofia e cittadinanza per CapIre meGLIo La paroLa aI testI

sociologia • Il diritto coniugale e il modello

attIvItà / Compito di realtà, rielaborazione, Flipped classroom

antropologia • Il carattere del popolo scienza • La cosmogonia e la cosmologia kantiane

approFondImentI / per saperne di più, Intersezioni, Filosofia per immagini

di famiglia

I TESTI • T1 Kant Come sono possibili i giudizi sintetici a priori? • T2 Kant Contro l’idealismo • T3 Kant La conoscenza è soltanto fenomenica • T4 Kant Sensibilità e intelletto • T5 Kant Lo schema trascendentale • T6 Kant Il principio causale • T7 Kant La metafisica come esigenza • T8 Kant Il compito della filosofia • T9 Kant L’universo e la morale • T10 Kant Il superamento dell’antinomia della ragion pratica LABORATORIO • PENSARE IL PRESENTE

• T11 • T12 • T13 • T14 • T15 • T16

Kant Inno al dovere Kant Il sublime è in noi Kant Newton e il filo d’erba Kant La finalità della natura Kant L’insocievole socievolezza Kant La rivoluzione copernicana nella

• T17 • T18 • T19 • T20 • T21

Kant La formalità della legge morale Kant L’arte è disinteressata Kant L’uomo come scopo finale della natura

conoscenza Kant I giudizi sintetici a priori Kant L’isola della conoscenza

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Le domande della filosofia COME CONOSCIAMO LA REALTA ` secondo Kant la conoscenza è prodotta dalle strutture a priori del soggetto. Con la realtà aumentata vediamo il mondo in modo diverso, con la realtà virtuale vediamo letteralmente un’altra realtà. Il filosofo nagel ha invitato a immaginare come percepisce il mondo un pipistrello. sensi diversi darebbero una diversa immagine della realtà? e ciò è vero anche per intelletti diversi?

1

La tecnologia cambierà, letteralmente, la nostra visione del mondo, il nostro modo di vedere le cose? ➤ l’estetica trascendentale, p. 464 ➤ Schede 11, 12, 13, 15, 24, 25 ➤ T17, T18, T19

ESISTE UNA MORALE UNIVERSALE? nel 1948 l’onu proclama la «dichiarazione universale dei diritti umani». veniva affermata l’universalità di tali diritti, al di là di ogni differenza culturale. paradossalmente, però, all’epoca aderivano all’onu soltanto 58 paesi e di questi 10 non sottoscrissero la dichiarazione, ma si astennero o non votarono.

2

È possibile affermare diritti e valori validi universalmente? ➤ Massime e imperativi, p. 484 / le condizioni della mo-

rale, p. 486 ➤ una morale formale, p. 486 ➤ Schede 32, 34 ➤ T20

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I DILEMMI MORALI: È SEMPRE POSSIBILE DECIDERE SECONDO RAGIONE? L’ostacolo maggiore per omologare i veicoli a guida autonoma non è di natura tecnica ma morale. Se il veicolo dovesse scegliere tra più direzioni, ognuna delle quali suscettibile di provocare vittime, quale algoritmo dovremmo inserire per guidarne la scelta? Investire il minor numero di persone, oppure i più anziani, oppure…

3

Ci sono alternative morali in cui la ragione non può decidere in modo univoco? Che fare allora? ➤ la ragione e la morale del dovere, p. 488 / l’autonomia della morale, p. 490 ➤ Schede 42, 45 ➤ T20 ➤ Questioni di attualità: Scelte razionali e dilemmi morali

È POSSIBILE LA PACE MONDIALE? L’idea di un organismo mondiale in grado di impedire conflitti, affermata da Kant, prese corpo nel primo dopoguerra, con la Società delle nazioni, che non impedì però la Seconda guerra mondiale. Dopo di essa è nata l’onu, ma i conflitti nel mondo sono ancora numerosi.

4

Perché l’Onu non riesce a evitare i conflitti? È male organizzata o è impossibile farlo? ➤ la storia, la politica, la religione, p. 504 ➤ Filosofia e cittadinanza: la pace uni-

versale

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La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Come è possibile la matematica come scienza? • Come è possibile la fisica come scienza? • È possibile la metafisica come scienza? • Qual è il fondamento di una morale universale? • Qual è il senso della vita umana? Esiste un fine nella natura?

2

I CONCETTI DA RIPASSARE

3

• Fenomeno • Sensazioni • Intelletto • Ragione • Appercezione • Leggi fisiche • Categorie

I CONCETTI CENTRALI • A priori / a posteriori • Trascendentale • Criticismo, Noumeno • Concetti puri, Io penso • Imperativo categorico • Etica deontologica • Giudizio teleologico • Sublime

4

I NUOVI PROBLEMI • Se il noumeno non è conoscibile, come possiamo dire che esiste? • L’uomo può realizzarsi moralmente nel mondo? • Esiste una spiritualità immanente nella natura?

PENSARE IL PRESENTE • Questioni di attualità Scelte razionali e dilemmi morali Per Kant il fondamento della morale è la ragione. Ma è sempre possibile scegliere in modo razionale? Che cosa sono i dilemmi morali?

• Filosofia e cittadinanza La pace universale Kant si pone il problema se e a quali condizioni è possibile una pace universale “perpetua”. Alcune delle sue proposte sono ancora attuali.

Uno sguardo d’insieme K

versale presuppone alcuni postulati: la libertà, l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio. La metafisica, condannata come pretesa conoscitiva, viene recuperata da Kant come fondamento della morale. Le due prime Critiche producono due mondi eterogenei: da un lato quello della conoscenza scientifica, basato sulla necessità; dall’altro il mondo morale, basato sulla libertà, senza la quale verrebbe meno ogni responsabilità personale e quindi la morale stessa. Come si conciliano questi due mondi eterogenei? secondo Kant, dobbiamo poter sperare che il mondo non sia solo un meccanismo perfettamente regolato, ma che abbia un «senso» per il soggetto (ovvero l’uomo). È questo l’intento della terza Critica, che ha come oggetto, al pari della prima, la natura, a proposito della quale ora il filosofo si domanda se abbia un senso per noi, per la nostra realizzazione in quanto esseri morali. Kant individua una finalità nella natura, sia relativamente al giudizio di gusto (la bellezza, oggetto del giudizio estetico), sia relativamente all’esistenza di una dimensione teleologica.

ant parte dal presupposto che la matematica e la fisica possono essere considerate legittimamente «scienze», e si chiede quale ne sia il fondamento. per Kant i giudizi della scienza devono essere sintetici a priori (ovvero devono ampliare la conoscenza senza dipendere dall’esperienza). Questo è possibile se l’elemento a priori deriva dal soggetto conoscente stesso. La conoscenza è quindi una sintesi di esperienza e princìpi a priori, che l’indagine filosofica deve individuare. se relativamente alla conoscenza la ragione deve muovere dall’esperienza e non può andare oltre essa, in ambito pratico (ovvero morale) la ragione deve determinare la volontà (attraverso la quale l’uomo agisce come essere morale) indipendentemente da ogni motivazione esterna. La morale deve riguardare solo la forma, e non il contenuto specifico delle azioni, per poter pretendere all’universalità (cioè per essere valida per tutti gli uomini), e deve fondarsi solo su se stessa, cioè essere autonoma, perché altrimenti non dipenderebbe dalla ragione, ma da altri fattori. L’esistenza di una morale autonoma e uni-

attraverso l’individuazione di della

FONDAZIONE DELLA POSSIBILITÀ

della

audiomappa elementi a priori della sensibilità

• stpazio • empo

elementi a priori dell’intelletto

concetti puri o categorie

scienza

morale

sulla base di

imperativo categorico postulati della ragion pratica

trovato attraverso

di un

accordo tra libertà umana e necessità naturale

• fuormale niversale • autonomo • • lDibertà io • immortalità • dell’anima

giudizio estetico (sulla bellezza)

giudizio teleologico (sulla finalità della natura)

451

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Il contesto storico-culturale La Prussia di Federico II La formazione e buona parte della maturità di Kant hanno come sfondo il lungo regno (174086) di Federico ii, il più illuminista dei sovrani, amico personale di voltaire, per molto tempo suo consigliere. Federico II promuove importanti riforme, tra cui spiccano l’abolizione della tortura e della pena di morte, oltre che l’istituzione della scuola elementare obbligatoria. La prussia dell’epoca manca di un tessuto connettivo di piccola e media borghesia paragonabile a quello inglese o francese; ma, se le campagne sono ancora dominate dall’aristocrazia terriera, nelle città, per una lunga tradizione risalente al medioevo, esiste una borghesia mercantile e manifatturiera che sostiene le riforme di Federico ii e ne beneficia. anche in prussia, dunque, l’Illuminismo va di pari passo con lo sviluppo della borghesia e con riforme di impronta liberale, ma si realizza con modalità diverse rispetto alla Gran Bretagna e alla Francia: non ha infatti il vasto sostegno popolare garantito da una classe ormai dominante socialmente ed economicamente, come in Gran Bretagna, né la carica polemica e prerivoluzionaria che assume in Francia, dove la borghesia lotta contro un potere nobiliare restaurato e, dopo la morte di Luigi XIv, ancora più potente. In prussia si realizza piuttosto quel «dispotismo illuminato» teorizzato da voltaire come fase di passaggio per educare il popolo alla partecipazione politica: in realtà, però, il passaggio al liberalismo politico, durante il settecento, non avverrà mai.

Le riforme Come si accennava in apertura, una volta salito al trono nel 1740, Federico II pose mano a riforme importanti. La logica comune che le ispira è la costruzione di uno stato moderno ed efficiente e di un esercito ben organizzato, che farà della prussia una delle principali potenze d’europa. L’esercito servì al sovrano anche per legare a sé l’aristocrazia terriera, gli Junker, cui erano riservate le alte cariche militari. nel rinnovamento dello stato fu coinvolta invece largamente anche la nuova

classe borghese. nel 1763 Federico II introdusse l’istruzione elementare obbligatoria, anche (ma non solo) nell’intento di creare le premesse per formare una classe burocratica efficiente. per dare effettiva unità allo Stato, eliminando le strutture feudali ancora esistenti, soppresse i tribunali regionali, riformando il codice penale e abolendo, come si è detto, la tortura come strumento di indagine e la pena di morte. Con lo stesso intento, Federico II pose mano anche all’unificazione della legislazione civile, realizzando, tra il 1754 e il 1781, un codice civile unico per tutto il regno.

La città di Königsberg Benché non centrale come posizione geografica, Königsberg (la città in cui vive Kant) è un centro importante del regno di prussia: vi era stato incoronato re, nel 1701, Federico I e vi insegna uno dei discepoli principali di Wolff, Franz Albert Schultz (1692-1763). Inoltre, a Königsberg più che altrove, si diffonde il pietismo, una corrente luterana particolarmente rigida attenta più alla coerenza di vita e alla sfera morale che ai riti e ai dogmi: tale corrente influenzerà Kant tramite la madre, fervente seguace.

Il pietismo Il pietismo è un movimento religioso di derivazione luterana, fondato da philipp Jacob Spener nel 1670 a Francoforte. È caratterizzato da un ritorno alla religiosità originaria del luteranesimo, contro la burocratizzazione che aveva progressivamente subito. Il punto centrale era la conversione totale che si manifestava nel fedele che aveva ricevuto la grazia divina e che lo rinnovava profondamente. A tale conversione erano legati un fervore interno e un rigore morale che ne facevano una religione del cuore e della pietas. In Kant ritroviamo l’influenza del pietismo sia nel rigorismo morale, sia nella concezione religiosa, basata sulla contrapposizione tra il male e il bene e sull’idea di una comunità ideale, una «chiesa invisibile», attraverso cui passa il rinnovamento storico della società.

453

1720 1724 Kant nasce a Königsberg

Königsberg

1732 entra nel Collegium Fridericianum

Mohrungen Lipsia Francoforte sul Meno

Breslavia

1740 si iscrive all’università

1740

1739-40 Hume, trattato sulla natura umana

Marbach am Neckar 1746 Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive

L’EUROPA DI KANT Kant vive in pieno il periodo illuministico, ma occorre ricordare che l’Illuminismo tedesco è diverso da quello europeo, e in particolare da quello francese. per i philosophes la ragione differisce da quella cartesiana, in grado di dare una risposta a ogni problema; sulla scia dell’empirismo inglese, la ragione, per gli illuministi francesi, è orientata alla soluzione dei problemi pratici e al miglioramento della vita umana e sociale. Come gli empiristi inglesi, essi rinunciano infatti alla metafisica, per limitare la conoscenza al mondo dell’esperienza. in Germania la tradizione metafisica si conserva vigorosa, prima con Leibniz (Lipsia, 1646-1716), poi con il razionalismo di Christian Wolff (Breslavia, 1679-1754) – che si pone in stretta continuità con Leibniz. razionalismo e pietismo trovano una loro sintesi nel pensiero e nella predicazione di schultz, filosofo, pastore e direttore del Collegium Fridericianum, al quale il giovane Kant sarà iscritto dalla madre. In germania, inoltre, l’Illuminismo viene contestato prima che in altri paesi. A partire dal 1770, grazie a Goethe (Francoforte sul Meno, 1749-1832) e a Herder (Morhungen, 1744-1803), cui si aggiunge qualche anno dopo schiller (Marbach am neckar, 1759-1805), nasce e si diffonde lo Sturm und Drang (“tempesta e impeto”), il movimento letterario e artistico che anticipa e prepara il romanticismo.

1755 rousseau, Discorso sull’origine della diseguaglianza tra gli uomini

1755 Storia universale della natura e teoria del cielo

1760 1764 Beccaria, Dei delitti e delle pene 1770 De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et princiipis

1780 1781 Critica della ragion pura (prima edizione)

1784 Che cos’è l’Illuminismo? 1785 Fondazione della metafisica dei costumi 1787 Critica della ragion pura (seconda edizione) 1790 Critica del Giudizio

1786 Kant è eletto membro dell’Accademia delle Scienze di Berlino 1788 Critica della ragion pratica

1795 Per la pace perpetua 1798 pubblicazione di «Aetenaeum» comincia il romanticismo 1804 Kant muore a KÖnigsberg

1800

1804 napoleone incoronato imperatore

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• Sintesi

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Gli scritti precritici

Gli scritti che precedono la pubblicazione delle tre critiche di immanuel kant vengono definiti precritici. Questi scritti fino al 1762 trattano prevalentemente argomenti scientifici, poi affrontano anche la metafisica, la cui trattazione anticipa alcuni dei temi del criticismo. il saggio Sulla forma e i princìpi del mondo sensibile e intelligibile segna il passaggio al periodo successivo. I primi scritti di Kant sono di argomento scientifico. Tra di essi, è particolarmente importante il saggio Storia universale della natura e teoria del cielo (1755), in cui avanza l’ipotesi che il Sistema solare abbia avuto origine da una nebulosa originaria che si sarebbe evoluta sulla base delle leggi newtoniane, portando alla formazione dei vari pianeti. Riformulata da Pierre Simon Laplace (1749-1827), diverrà nota come «ipotesi Kant-Laplace». Essa è importante perché spiega l’evoluzione dell’universo sulla base delle leggi della fisica, in modo meccanicistico. Dopo il 1762, Kant si interessa sempre più di argomenti filosofici, dalla metafisica (L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, in cui anticipa le critiche all’argomento ontologico poi riprese nella Dialettica trascendentale della Critica della ragion pura), all’estetica (con le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, del 1764, anticipando anche in questo caso alcune tesi poi sviluppate nella Critica del giudizio). Nel 1766, Kant scrive i Sogni di un visionario chiariti con i sogni della metafisica, in cui critica Emanuel Swedenborg (1688-1772), un teologo svedese che affermava di poter parlare con i morti. Kant sottolinea che il vero problema sul quale la filosofia deve concentrarsi consiste nel determinare i limiti della conoscenza umana, e avanza l’ipotesi che non si possa parlare di ciò che non cade sotto i nostri sensi. Si delinea così la nuova concezione della metafisica, che diverrà poi centrale nella Critica della ragion pura: non la scienza delle cause ultime o delle sostanze, ma lo studio dei limiti e della possibilità della conoscenza umana; il soggetto, quindi, e non il mondo, come oggetto della metafisica ➝ 1 . Questa prospettiva viene approfondita nell’opera che segna il passaggio agli scritti “critici”, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (Sulla forma e i princìpi del mondo sensibile e intelligibile), del 1770. Nei fenomeni, afferma Kant, possiamo distinguere un contenuto e una forma: il primo deriva dalle cose, mentre la seconda va ricondotta alle forme a priori (cioè che precedono l’esperienza) dello spazio e del tempo, costitutive della nostra sensibilità. Accanto al fenomeno ➝ 2 Kant ammette però, contrariamente a quanto farà negli scritti critici, la possibilità di conoscere il noumeno, cioè la vera realtà delle cose: mentre il fenomeno è conosciuto dai sensi, il noumeno viene conosciuto dall’intelletto (da qui il nome, dal greco noûs, “intelletto”). Kant torna sulla questione in una lettera del 1772, in cui avanza l’ipotesi di individuare anche nella conoscenza intellettiva alcune strutture a priori, le categorie, e comunica di star lavorando a una «critica della ragion pura», annunciando l’intenzione di pubblicarla entro tre mesi. In realtà, l’opera richiederà molto più tempo e uscirà solo nel 1781.

Materiali per l’apprendimento attivo

Kant

futura metafisica che si presenterà come scienza (1783), seguiti dalla Fondazione della metafisica dei costumi (1785), da una seconda edizione della Critica della ragion pura (1787), con un’importante Prefazione e dalla Critica della Ragion pratica (1788). la Critica del giudizio viene pubblicata nel 1790, seguita dall’opera che procura a Kant i problemi maggiori, La religione entro i limiti della sola ragione (1793), condannata in seguito alla politica conservatrice voluta dal successore di Federico II, Federico Guglielmo II. Nel 1797 pubblica la Metafisica dei costumi, seguita dall’ultima delle grandi opere, l’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798). Prima della sua morte (1804) gli allievi curano la pubblicazione di alcuni suoi corsi accademici: la Logica (1800), la Pedagogia (1803) e altri.

1. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

La NuOva PrOsPETTiva FiLOsOFiCa Nei Prolegomeni a ogni futura metafisica, Kant presenterà il passaggio dalla fase precritica a quella successiva come un “risveglio dal sonno dogmatico”, il cui merito attribuisce soprattutto a hume. egli gli riconosce la radicalità della critica alla metafisica e in particolare al nesso di causa-effetto come una realtà oggettiva. Il problema è la ▲ Interno di un aula legittimità del nesso causale come necessario e non come sempli- di tribunale italiano ce abitudine come affermava Hume. Mettere in discussione un prin- vuota. cipio tradizionalmente accettato dalla metafisica e che costituisce la base della scienza della natura, apre il problema di indagare la legittimità del sapere, non solo la sua esistenza. Si apre quindi l’ottica kantiana di istituire un “tribunale” della ragione, per chiederle conto del fondamento delle proprie pretese conoscitive. 2. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

FenoMeno Dal greco tò phainómenon, “ciò che appare”, il «fenomeno» è ciò che viene conosciuto dal soggetto mediante le sensazioni e non necessariamente corrisponde a ciò che la cosa è, alla «cosa in sé». Fin dall’epoca sofistica, il fenomeno indica la conoscenza soggettiva così come appare al singolo individuo. In Kant, tuttavia, esso costituisce già la sintesi dei dati sensoriali e delle forme a priori della sensibilità e quindi è la realtà come ci appare attraverso le forme a priori. la nostra conoscenza è quindi soggettiva, ma, dato che le forme a priori sono le stesse in tutti i soggetti, è comune a tutti gli uomini, quindi universale. riprendendo una nota metafora, è come se vedessimo la realtà attraverso lenti colorate dello stesso colore: non potremmo mai sapere di che colore è realmente, ma sarebbe comunque simile per tutti gli uomini. la conoscenza fenomenica è quindi comune, ma limitata alla realtà così come ci appare mentre la conoscenza della realtà in sé resta preclusa.

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la vita di Kant non è ricca di eventi significativi e trascorre per intero nella cittadina di Königsberg, nella Prussia orientale, dove nasce nel 1724. Dopo gli studi al collegio Fridericianum si iscrive all’università Albertina di Königsberg, studiandovi scienze naturali e filosofia. Nel 1755 consegue il dottorato e la libera docenza grazie ad alcuni scritti

di argomento scientifico. Nello stesso anno espone anche una nuova teoria cosmologica (Storia universale della natura e teoria del cielo) che verrà poi riformulata in modo indipendente da laplace relativamente alla formazione del Sistema solare e diverrà nota come «ipotesi Kantlaplace». Nel 1770 Kant, che aveva insegnato fino ad allora come libero docente (retribuito direttamente dagli studenti che chiedevano i suoi corsi) diventa professore ordinario, superando un concorso per il quale presenta il saggio De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (Sulla forma e i princìpi del mondo sensibile e intelligibile), che prelude al periodo critico. Nel 1781 pubblica la Critica della ragion pura, il cui scarso successo lo induce a preparare un’edizione divulgativa, i Prolegomeni a ogni

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• Sintesi

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La Critica della ragion pura

Il fondamento della conoscenza kant muove dal presupposto che la matematica e la fisica siano scienze e si chiede quali ne siano i fondamenti. si chiede altresì se la metafisica possa essere scienza. Nel Seicento la necessità di rifondare il sapere aveva posto in primo piano il problema della conoscenza, nell’alternativa tra razionalismo ed empirismo da un lato, nella definizione del metodo scientifico sperimentale dall’altro. Il problema si ripropone nel Settecento, complicandosi però per la contrapposizione tra lo scetticismo di Hume che aveva portato l’empirismo alle sue estreme conseguenze e un metodo scientifico sempre più affidabile, dove la fisica di Newton appariva come il modello della conoscenza e sembrava aver individuato le leggi universali della natura. Newton aveva formulato leggi universali e necessarie, la cui validità sembrava al di sopra di ogni ragionevole dubbio, a partire da quella di gravitazione universale. Hume, però, aveva messo in discussione il principio di causalità, cioè il fondamento stesso della scienza. Per Hume, il principio di causalità non è nelle cose, ma in noi; non possiamo sapere se la natura è regolare, ma dobbiamo presupporlo, dobbiamo crederlo: di conseguenza, la consideriamo regolare senza chiederci come sia in realtà in sé. Ma, se nell’esperienza di tutti i giorni ci comportiamo come se fosse assolutamente certa la regolarità della natura, sul piano teoretico non possiamo giustificare questa convinzione. Che il Sole domani sorgerà, scriveva Hume, è un’ipotesi, cioè non possiamo dimostrarlo. Ma ogni sera andiamo a letto con la certezza che l’indomani il Sole sorgerà, perciò per noi è a tutti gli effetti vero. Kant non dubita dell’esistenza di leggi della natura, in primo luogo di quella della gravitazione universale, ma la semplice esistenza non ne giustifica la legittimità. Una legge della natura, infatti, deve essere universale e necessaria, ma Hume sembrava aver dimostrato che, togliendo la necessità del nesso causale, veniva meno ogni possibile necessità e universalità e la nostra conoscenza non poteva andare oltre una più o meno ampia probabilità ➝ 3 . Si tratta quindi, per Kant, di individuare i fondamenti della conoscenza scientifica, interrogandosi su come essa sia possibile. Come quella scientifica, anche la conoscenza matematica si presentava come indubitabile, e anch’essa caratterizzata da universalità e necessità. Che il quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo sia equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti è vero sempre e ovunque e lo è in modo necessario, non con una probabilità elevata.

Materiali per l’apprendimento attivo 3. PEr CaPirE MEGLiO

4. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

LE TrE DOMaNDE Di kaNT la formulazione delle tre domande non è fatta da Kant esattamente in questi termini. egli si chiede infatti: Com’è possibile una matematica pura?, Com’è possibile una fisica pura?, Com’è possibile la metafisica come disposizione naturale? In attesa di chiarire che cosa indichi il predicato “pura”, possiamo considerare queste domande come equivalenti alla formulazione che ne abbiamo data accanto. Scrive infatti Kant che il problema è quello di investigare «la possibilità dell’uso puro della ragione per fondare e recare in atto tutte le scienze che contengono una conoscenza teorica a priori di oggetti» (Critica della ragion pura, laterza, roma-Bari 2000, p. 44). A proposito della metafisica, invece, sottolinea: «Non v’è dunque alcun dubbio che il suo procedimento finora sia stato un semplice andar a tentoni e, quel che è peggio, tra semplici concetti. Da che deriva dunque che essa non abbia ancora potuto trovare il cammino sicuro della scienza?» (Ivi, pp. 16-7) Il sapere metafisico non si presenta invece altrettanto sicuro. Mentre la matematica e la scienza naturale, infatti, progrediscono sviluppando i risultati precedentemente acquisiti, la metafisica presenta teorie alternative e spesso contrapposte, che non procedono in modo cumulativo. In questo caso, allora, la domanda da porsi non sarà relativa alla sua fondazione come scienza, ma alla stessa possibilità che sia scienza. Da queste considerazioni derivano le tre domande cui Kant intende rispondere con la Critica della ragion pura: • Come è possibile la matematica come scienza? • Come è possibile la fisica come scienza? • È possibile la metafisica come scienza? ➝ 4

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uNivErsaLE E NECEssaria OPPurE PrOBaBiLE? Ci sono alcuni termini che è necessario padroneggiare per capire bene i problemi connessi alla conoscenza. la conoscenza scientifica e matematica viene considerata universale e necessaria. «universale» significa valida per tutti gli uomini in tutti i tempi. le conoscenze di questo tipo si collocano in una dimensione indipendente dai singoli soggetti, che sono infatti legati a un tempo e a uno spazio specifici. Il contrario di universale è «individuale» o «relativo». la conoscenza è individuale quando cambia da individuo a individuo, come quella sensoriale, ed è relativa quando cambia in relazione a qualcosa, ad esempio i diversi popoli, le diverse culture. universale è ad esempio il teorema di Pitagora, perché non possiamo immaginare un luogo e un tempo in cui non sia valido. Di solito, ed è importante considerarlo nel caso di Kant, è particolare (individuale o relativo) ciò che dipende dai sensi o dalle passioni, è universale ciò che dipende dalla ragione, perché si presume che questa sia comune a tutti gli uomini, mentre sensi e passioni cambiano da individuo a individuo. «Necessario» indica ciò che non può essere diversamente da come è. Ne consegue che è universale e che non può non essere. Ciò che è necessario esiste sicuramente ed esiste senza cambiamenti in ogni tempo e in ogni luogo. Il contrario di necessario è «contingente», che significa che esiste ma potrebbe anche non esistere senza contraddizione. tutti noi siamo contingenti, mentre ad esempio i princìpi logici di identità e non contraddizione sono necessari: non potrebbero non essere né potrebbero essere diversamente da come sono. Alcuni filosofi, ad esempio Hume, negano però che ci siano conoscenze universali e necessarie e riconducono la “verità” a concetti diversi, in particolare la probabilità: la nostra conoscenza non sarebbe mai dimostrabile, non sarebbe universale e necessaria, ma semplicemente più o meno probabile.

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Le caratteristiche della conoscenza scientifica

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il sapere è formato da giudizi, ma la scienza non è costituita né da giudizi analitici a priori, come voleva il razionalismo, perché non ampliano la conoscenza, né da giudizi sintetici a posteriori, come sosteneva l’empirismo, perché essi non sono né universali né necessari, come invece devono essere le leggi scientifiche. i giudizi della scienza sono invece sintetici a priori. occorre capire come sono possibili. La filosofia di Kant si pone come erede e sintesi delle principali tendenze dell’età moderna, il razionalismo e l’empirismo, o meglio, come sintesi dei metodi che esse proponevano per la conoscenza. Per individuare il fondamento della conoscenza scientifica, Kant esamina questi metodi. Il razionalismo parte da conoscenze a priori, cioè indipendenti dall’esperienza (ad esempio, le idee innate di Cartesio) per ricavarne analiticamente altre conoscenze, come si procede secondo l’idea tradizionale della matematica, cui Cartesio guarda come modello: da assiomi e postulati si deriva la dimostrazione di teoremi, senza aggiungere nulla che provenga dall’esperienza, ma esplicitando ciò che già era noto. Questo metodo, dunque, procede mediante giudizi analitici a priori ➝ 5 , come quando affermo, riprendendo l’esempio di Cartesio, che tutti i corpi sono estesi. L’estensione è una caratteristica dei corpi, quindi il mio giudizio rende chiaro ciò che potenzialmente già conoscevo, avendo la nozione di corpo. Il grande vantaggio dei giudizi analitici a priori è che sono universali e necessari, il loro limite consiste nel fatto che, prescindendo dall’esperienza, non estendono la conoscenza ma rendono via via più chiaro ciò che è già contenuto nel soggetto. I giudizi dell’empirismo, invece, partono dall’esperienza, generalizzandola mediante il metodo induttivo. Questo metodo procede perciò mediante giudizi sintetici a posteriori, come nella proposizione: tutti i corpi sono pesanti. Nella nozione di “corpo” non è implicita la pesantezza, che constato con l’esperienza. Il suo grande vantaggio è di aggiungere nuove conoscenze a quelle già possedute, mediante la sintesi che deriva dall’esperienza. Il suo limite maggiore è che, partendo dall’esperienza, i giudizi non possono pretendere, come aveva sottolineato Hume, all’universalità e alla necessità. Però le leggi scientifiche sono universali e necessarie ma al tempo stesso estendono la conoscenza. Esse sono quindi sintetiche, ma se vogliono essere universali e necessarie debbono essere a priori. In altri termini, i giudizi della scienza devono essere sintetici a priori ➝ 6 . Tutti i giudizi della scienza e della matematica sono sintetici a priori. Per le scienze naturali, possiamo esemplificare con: ogni cambiamento ha una causa, che aggiunge qualcosa al soggetto, estendendo la nostra conoscenza, ma si presenta come universale e necessario. I giudizi della matematica sembrerebbero invece analitici, tali cioè che il predicato è già contenuto nel soggetto. Tale può apparirmi il giudizio: due unito a cinque equivale a 7 (2 + 5 = 7). Sembrerebbe di poter ricavare il 7 dalla semplice analisi dei primi due termini. In realtà, è sufficiente aumentare il valore dei numeri per renderci conto che non possiamo ricavare il predicato dalla semplice analisi degli addendi (ad esempio 234.678 + 387.897.546 = ?). Dobbiamo procedere al calcolo, quindi operare una sintesi. Le prime due domande iniziali, nella ricerca di un fondamento della conoscenza scientifica, devono perciò essere tradotti nella seguente: come sono possibili giudizi sintetici a priori? Essi devono in qualche modo avere a che fare con l’esperienza, altrimenti non ci sarebbe nessuna sintesi, però non possono consistere in una semplice generalizzazione della stessa, altrimenti non vi sarebbero necessità e universalità. Potremmo dire che servirebbe una conoscenza a priori dell’esperienza, affermazione che, per adesso, sembrerebbe contraddittoria.

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5. per Capire MeGLio

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i GiudiZi I giudizi sono proposizioni dichiarative, cioè che affermano qualcosa della realtà. Sono formati da un soggetto e da un predicato. Nei giudizi analitici il predicato è già implicito nel soggetto e quindi la conoscenza viene resa più chiara ma non estesa. Nei giudizi sintetici, invece, il predicato aggiunge qualcosa al soggetto. I giudizi che prescindono dall’esperienza si dicono «a priori», perché vengono prima dell’esperienza, quelli che muovono dall’esperienza sono invece «a posteriori», cioè sono formulati dopo l’esperienza. 6. La paroLa ai testi

T1 Kant Come sono possibili i giudizi sintetici a priori? La teoria dei giudizi riguarda in realtà la teoria della conoscenza, perché mediante i giudizi uniamo un soggetto con un predicato e quindi formuliamo proposizioni conoscitive. Secondo Kant, il razionalismo procede mediante giudizi analitici a priori, l’empirismo mediante giudizi sintetici a posteriori: i primi sono universali ma non ampliano la conoscenza, i secondi aggiungono invece qualcosa alla conoscenza ma non sono universali. Questo perché partono dall’esperienza, che ne arricchisce il contenuto ma al tempo stesso ne limita la validità, legandoli a un ambito limitato. La conoscenza scientifica, invece, estende la conoscenza ma al tempo stesso garantisce l’universalità. Ciò è possibile perché i giudizi scientifici sono sintetici a priori. Il problema è allora quello di capire come sono possibili questi giudizi.

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I giudizi matematici sono tutti sintetici. Questa proposizione pare sia sfuggita sinora all’indagine di quanto hanno analizzato la ragione umana, e anzi par proprio opposta alle loro congetture, sebbene sia incontestabilmente certa, e molto importante nel seguito. Infatti, poiché si trovava che le deduzioni dei matematici procedono tutte secondo il principio di contraddizione (richiesto dalla natura di ogni certezza apodittica) così si credeva che anche i princìpi fossero conosciuti in virtù dello stesso principio di contraddizione; e in ciò si sbagliavano; perché una proposizione sintetica può sempre esser conosciuta secondo il principio di contraddizione, ma solo a condizione che si presupponga un’altra proposizione sintetica, dalla quale possa esser dedotta; non mai in se stessa. Prima di tutto bisogna notare, che le proposizioni propriamente matematiche sono sempre giudizi a priori, e non empirici, perché portano seco quella necessità, che dalla esperienza non si può ricavare. Se questo non si vuol concedere, ebbene, io limito la proposizione alla matematica pura il cui concetto già include che essa non contiene conoscenze empiriche, ma solo conoscenze pure a priori. Veramente a prima vista si dovrebbe pensare che la proposizione 7 + 5 = 12 sia una proposizione semplicemente analitica, risultante pel principio di contraddizione dal concetto di una somma di sette e di cinque. Ma, se si considera la cosa più da vicino, si trova che il concetto della somma di 7 e 5 non racchiude altro che l’unione dei due numeri in uno solo, senza che perciò venga assolutamente pensato qual sia questo numero unico che raccoglie gli altri due. II concetto di dodici non è punto pensato già pel fatto che io penso semplicemente quella unione di sette e di cinque, io posso analizzare quanto voglio il mio concetto di una tal somma possibile, ma non vi troverò il dodici. […] La proposizione aritmetica è, dunque, sempre sintetica; ciò che si fa tanto più manifesto, quanto più alte sono le cifre che si prendono: perché allora risplende chiaro che noi potremmo girare e rigirare i nostri concetti a piacer nostro, ma, senza ricorrere all’aiuto dell’intuizione, mediante la semplice analisi dei nostri concetti non potremmo trovar

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La rivoluzione copernicana: l’a priori è nel soggetto i giudizi sintetici a priori implicano l’attività costitutiva del soggetto nei confronti dei fenomeni, nella costruzione dell’esperienza. rovesciando la prospettiva filosofica tradizionale, Kant pone quindi al centro della ricerca il soggetto, chiedendosi quali siano le possibilità e i limiti della conoscenza (criticismo). Nel brano T16, tratto dall’importante Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura del 1787, Kant analizza il modo in cui i diversi saperi sono diventati scienza. Consideriamo la geometria. Con gli egizi esiste una tecnica della misurazione, che però non può essere definita scienza: essa parte dall’esperienza, la misurazione dei campi prima delle piene del Nilo, e riorganizza la realtà empirica, cioè traccia di nuovo i confini dei campi, dopo la piena. La geometria come scienza nasce con i greci, quando Talete, ad esempio, non usa il triangolo isoscele per riprodurre la realtà, ma ne definisce a priori le caratteristiche, indipendentemente dall’esperienza. Non importa che il triangolo disegnato sul foglio abbia veramente gli angoli alla base uguali, lo studioso stesso stabilisce che il triangolo isoscele ha questa proprietà, anche se nel disegnarlo non riesce a riprodurla in modo perfetto. E sul triangolo così determinato possiamo fare ragionamenti e scoperte: se sono uguali gli angoli alla base lo saranno anche i lati ad essi adiacenti, potremo dimostrare che la somma degli angoli interni di qualsiasi triangolo deve essere di 180 gradi, potremo dimostrare i vari teoremi: quelli di Talete, quello di Pitagora, quelli di Euclide. Potremo fare tutto ciò con il ragionamento, indipendentemente dall’esperienza e dai triangoli concreti, e le conclusioni cui perverremo avranno valore universale, si applicheranno a ogni triangolo, in ogni luogo e in ogni tempo. La scienza, quindi, non è una descrizione della realtà, ma una costruzione dell’intelletto che può servire per interpretare l’esperienza; la scienza infatti, prima di tutto, fissa caratteristiche e leggi universali perché non dipendono dall’esperienza ma dai princìpi che il soggetto stesso stabilisce. Kant propone allora quella che egli stesso paragona alla rivoluzione copernicana: invece di partire dagli oggetti per chiedersi come fa il soggetto a conoscerli, adattandosi ad essi (la verità come adequatio rei et intellectus), egli rovescia la prospettiva, pone al centro il soggetto e si chiede come gli oggetti si adattano ad esso, cioè alle sue strutture conoscitive. Il problema centrale della conoscenza non consisterà più nelle cose ma nell’esame delle nostre strutture conoscitive e nella conoscenza che ne risulta. Vedremo che proprio le strutture conoscitive dell’uomo costituiscono l’elemento a priori della scienza, cioè la struttura formale che conferisce alla conoscenza la caratteristica della necessità e dell’universalità propria della conoscenza scientifica. La conoscenza, quindi, è insieme esperienza e strutture conoscitive: la prima derivante dalla realtà esterna, le seconde proprie della mente umana. In questo modo, però, la conoscenza riguarda solo indirettamente la realtà in sé: per capire infatti che cosa possiamo conoscere e come lo conosciamo, dovremo studiare soprattutto il soggetto conoscente. Questo orientamento della filosofia, già accennato da Locke, viene definito criticismo ➝ 7 . A differenza di Locke, Kant non si occupa però delle funzioni della mente con approccio psicologico, ma delle condizioni logiche della possibilità di una conoscenza scientifica, della cui esistenza egli non dubita, anzi, dalla quale parte. Il problema, in definitiva, può essere così formulato: quali devono essere le strutture a priori della conoscenza, perché la matematica e la scienza possano risultare fondate, cioè giustificate e spiegate?

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(I. Kant, Critica della ragion pura, Introduzione, V, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 42-44)

Guida alla lettura. ripercorriamo brevemente il percorso argomentativo di Kant. esiste una conoscenza scientifica, tale che accresce i contenuti garantendo al tempo stesso l’universalità delle leggi e dei princìpi che definisce. D’altra parte, però, i giudizi tipici dei metodi recenti non giustificano queste caratteristiche. Infatti i giudizi analitici a priori non arricchiscono la conoscenza, quelli sintetici a posteriori non ne garantiscono l’universalità. I giudizi della scienza, invece, devono essere, per quanto detto sopra, sintetici a priori. Il problema del fondamento della conoscenza scientifica diventa allora quello di capire come siano possibili i giudizi sintetici a priori. 7. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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CriTiCisMO Il criticismo è la prospettiva filosofica che analizza la conoscenza non a partire dall’oggetto da conoscere ma dal soggetto conoscente e dagli strumenti che ha per conoscere. Si può parlare di criticismo anche a proposito di Locke, che parte dallo studio dell’intelletto umano per poter determinare possibilità e limiti della conoscenza. Ma in senso proprio il termine va riferito alla filosofia kantiana che sottopone a critica la ragione, considerandola però nella sua struttura logica e non nei suoi aspetti psicologici come invece fa locke. Kant parte dal presupposto che esistano una conoscenza scientifica (quella della matematica e quella della fisica) e una morale universale e si pone il problema della loro fondazione, ovvero di giustificarne la possibilità. Questo comporta analizzare criticamente la ragione nel suo uso teoretico (Critica della ragion pura) e pratico, cioè relativo alla morale (Critica della ragion pratica). l’analisi verrà poi estesa alla fondazione dell’estetica e della speranza in una finalità generale della natura (Critica del giudizio).

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mai la somma. Altrettanto poco analitico è un qualsiasi principio della geometria pura. Che la linea retta sia la più breve fra due punti, è una proposizione sintetica. Perché il mio concetto di retta non contiene niente di quantità, ma solo una qualità. Il concetto della più breve è dunque interamente aggiunto, e non può essere ricavato con nessuna analisi da quello della linea retta. Qui deve perciò chiamarsi in aiuto l’intuizione, mediante la quale solamente è possibile la sintesi. La fisica (physica) comprende in sé, come principi, giudizi sintetici a priori. Addurrò in esempio soltanto un paio di proposizioni, come quella che in tutti i cangiamenti del mondo corporeo la quantità della materia resta invariata; oppure quest’altra, che in ogni comunicazione di movimento l’azione e la reazione saranno sempre uguali tra loro. In entrambe non soltanto è chiara la loro necessità, e pertanto la loro origine a priori, ma è chiaro altresì che sono proposizioni sintetiche. Giacché nel concetto della materia io non penso la permanenza, ma solo la sua presenza nello spazio, in quanto lo riempie. Perciò io oltrepasso realmente il concetto della materia, per aggiungervi a priori qualche cosa che in quel concetto non pensavo. La proposizione, dunque, non è analitica ma sintetica, e tuttavia pensata a priori; e lo stesso si dica delle altre proposizioni della parte pura della fisica. […] II problema proprio della ragion pura è dunque contenuto nella domanda: COME SONO POSSIBILI GIUDIZI SINTETICI A PRIORI?

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L’anatomia delle strutture della conoscenza La conoscenza è fenomenica, ma le strutture conoscitive sono le stesse in tutti gli uomini, perciò essa è universale, comune a tutti gli uomini e a tutti i tempi. La conoscenza non è relativa alla realtà ma ai fenomeni, cioè all’esperienza rielaborata dalle nostre strutture conoscitive e quindi non necessariamente corrispondenti alle cose stesse ➝ 8 . I fenomeni non corrispondono dunque alla realtà com’è davvero (Kant la chiamerà «cosain-sé» o noumeno), ma alla realtà come la conosciamo, soggettivamente, come affermava Locke. Però le strutture che la rielaborano sono le stesse in tutti gli uomini, perciò la conoscenza è comune. È come se vedessimo la realtà mediante lenti colorate, ad esempio gialle: le cose ci apparirebbero gialle senza poterne conoscere il colore originario, ma apparirebbero a tutti gli uomini dello stesso colore, quindi la conoscenza, pur essendo soggettiva, sarebbe universale. L’analogia è solo approssimativa, ma serve a indicare la strada seguita da Kant per risolvere il problema discusso sopra: la conoscenza è soggettiva, ma trova proprio nelle strutture conoscitive del soggetto il fondamento dell’universalità e della necessità che caratterizzano la matematica e la scienza della natura. Guida allo sTudio • Che cosa sono i giudizi sintetici a priori? • perché rimandano al soggetto come centro della conoscenza? • In che senso Kant parla di «rivoluzione copernicana»?

La ragion pura Nella prima critica, kant analizza le funzioni della conoscenza, distinguendo tra sensibilità, intelletto e ragione. sono trascendentali perché, pur essendo separate dall’esperienza, funzionano solo in relazione ad essa. La ragione di cui si parla è “pura” perché ad essa non è unito nulla di empirico: indica dunque le strutture conoscitive a priori. «Ragione» in questo caso fa riferimento alle strutture conoscitive in generale, anche se questo termine verrà poi usato anche in senso più specifico; «critica» indica che tali strutture vengono analizzate per vagliarne le possibilità e i limiti. Kant distingue tre diverse funzioni della conoscenza: 1) La sensibilità, trattata nell’estetica trascendentale: è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi. 2) L’intelletto, esaminato nell’analitica trascendentale: è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili. 3) La ragione, trattata nella dialettica trascendentale: qui il termine “ragione” assume un significato più specifico, distinto dall’intelletto. Indica la facoltà attraverso cui, tentando di andare oltre l’esperienza, elaboriamo idee che cercano di individuare il senso della realtà. Le tre facoltà sono tutte caratterizzate come «trascendentali». Che cosa significa questo termine? Kant lo usa in molti significati, ma possiamo comunque ricavarne una definizione unitaria ➝ 9 . «Trascendentale» indica facoltà che non derivano dall’esperienza e sono indipendenti da essa, ma che possono funzionare soltanto in relazione all’esperienza. Non c’è conoscenza senza esperienza, ma la sola esperienza non è sufficiente per fondare la conoscenza scientifica, c’è bisogno dell’azione congiunta dell’esperienza e delle strutture che la rielaborano, o che la “pensano”, come dice Kant.

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8. COMPETENZE > Pensiero critico

T2 kant Contro l’idealismo

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Tutto ciò che ci sia dato come oggetto, deve esserci dato nella intuizione. Ma ogni nostra intuizione avviene soltanto per mezzo dei sensi; l’intelletto non intuisce nulla, riflette soltanto. Ora, siccome sensi per quanto testé è stato dimostrato non ci danno a conoscere mai è in niuna parte le cose in sé, ma soltanto i loro fenomeni, e questi poi sono semplici rappresentazioni della sensitività, «così anche tutti i corpi insieme con lo spazio in cui si trovano, devono essere ritenuti per nient’altro che semplici rappresentazioni in noi e non devono esistere altrove che soltanto in pensieri nostri». Or non è questo evidente idealismo? L’idealismo consiste nell’affermazione che non vi sono altri esseri che pensanti; le altre cose che noi crediamo di percepire nella intuizione sarebbero soltanto rappresentazioni negli esseri pensanti alle quali nel fatto non corrisponderebbe alcun oggetto esistente fuori di essi. Io al contrario dico: Le cose ci sono date come oggetti dei nostri sensi esistenti fuori di noi ma nulla sappiamo di ciò che esse siano in sé, bensì, conosciamo soltanto i loro fenomeni, cioè le rappresentazioni che esse producono in noi, eccitando i nostri sensi. Io ammetto, adunque, certamente che fuor di noi ci siano dei corpi cioè cose che quantunque completamente a noi sconosciute perciò che in se esse siano, noi conosciamo per mezzo della rappresentazione che loro influsso sulla nostra sensitività ci fornisce e alle quali diamo la denominazione di corpo, la quale parola quindi significa soltanto il fenomeno di quell’oggetto che è a noi sconosciuto, ma che non per questo è meno reale. Si può, questo, chiamare idealismo? Ne è proprio il contrario. (I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, Laterza, Bari 1967, pp. 77-78)

Kant respinge l’interpretazione idealistica affermando di ammettere l’esistenza di corpi distinti dalla nostra mente. Sottolinea però che sono per noi inconoscibili e che tutto ciò che ne sappiamo sono rappresentazioni nella nostra mente, cioè fenomeni. Nonostante la chiarezza delle sue posizioni non potrà arginare le interpretazioni idealistiche della propria filosofia. 9. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

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trasCendentaLe Il termine veniva usato sia nella filosofia scolastica sia in quella moderna, come sinonimo di «trascendente». Kant ha invece separato nettamente i due significati, intendendo con «trascendentale» ciò che è a priori, e quindi precede l’esperienza, ma deve essere applicato ad essa per poter assolvere la propria funzione conoscitiva. In questo senso, il trascendentale indica le condizioni a priori della conoscenza. In realtà, l’uso del termine non è sempre univoco in Kant. egli parla infatti di «estetica trascendentale» e di «logica trascendentale» per indicare l’analisi delle strutture a priori rispettivamente della conoscenza sensoriale e di quella intellettiva, che rielaborano l’esperienza senza però essere derivate da essa, garantendo la universalità e la necessità della conoscenza scientifica. oltre a riferirsi alle condizioni della conoscenza, «trascendentale» indica in alcuni casi anche le stesse strutture conoscitive, come quando si definisce l’Io penso come «appercezione trascendentale» o quando si parla di «schemi trascendentali».

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CONOsCENZa FENOMENiCa E iDEaLisMO Secondo Kant, possiamo conoscere soltanto i fenomeni, cioè la realtà così come ci appare, non come è in sé. Questa prospettiva lo espone ad essere considerato un idealista tanto che, come vedremo meglio più avanti, il suo pensiero sarà sviluppato in questo senso. egli però fin dall’inizio respinge tali interpretazioni. Già nei Prolegomeni scrive:

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L’estetica trascendentale

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Le strutture a priori della sensibilità sono studiate nell’estetica trascendentale. Esse sono lo spazio, intuizione pura di tutte le percezioni esterne, e il tempo, intuizione pura di tutte le percezioni interne. Già il primo momento della conoscenza, la sensazione, è caratterizzato da elementi a priori. Per questo Kant parla di estetica trascendentale ➝ 10 . Secondo Kant, noi non abbiamo un rapporto diretto con le cose, perché nel momento in cui le percepiamo, abbiamo già rielaborato i dati della sensazione. Tornando alla metafora delle lenti colorate, noi vediamo la realtà gialla, ad esempio, e non possiamo toglierci le lenti per sapere di che colore essa davvero sia. Riprendendo la distinzione posta nella Dissertazione del 1770, Kant distingue nel fenomeno (ciò che conosciamo con i sensi) una materia e una forma: la prima deriva dalle cose, la seconda da noi, ma il fenomeno che conosciamo è già una risultante di questa interazione. Kant dimostra che le forme a priori della conoscenza sensoriale sono lo spazio e il tempo. Infatti, se eliminiamo dalle nostre sensazioni tutti i contenuti materiali (il legno dell’albero che ho davanti, la durezza, il colore ecc.) resta comunque qualcosa nello spazio e percepito in un momento dato ➝ 11 . Spazio e tempo sono intuizioni pure: intuizioni perché sono immediate, non essendo concetti; pure perché non sono commiste all’esperienza. Lo spazio fa riferimento alla collocazione delle cose fuori di noi, mentre il tempo è la successione dei nostri stati d’animo nella percezione, dunque tutto ciò che conosciamo con i sensi passa in ultima analisi attraverso il tempo. Mentre le singole esperienze sono soggettive e individuali, le intuizioni pure, lo spazio e il tempo, sono comuni a tutti gli uomini (come le lenti colorate di cui dicevamo sopra) e dunque sono universali ➝ 12 . La successione delle sensazioni dentro di noi è il fondamento del numero, mentre lo spazio è la condizione della geometria. I due ambiti della conoscenza ad essi corrispondenti, aritmetica e geometria, sono quindi scienze in quanto basate su intuizioni pure che ne fondano, appunto, l’universalità e la necessità.

L’analitica trascendentale e le categorie dell’intelletto Le sensazioni vengono pensate e organizzate dall’intelletto, le cui strutture a priori sono le categorie, organizzate in quattro classi: quantità, qualità, relazione e modalità, ognuna delle quali comprende tre ulteriori categorie. L’analitica trascendentale fa parte della logica trascendentale, che comprende anche la dialettica. Nell’introduzione a questa parte, Kant individua due fonti principali della conoscenza, «la facoltà di ricevere le sensazioni», trattata nell’estetica trascendentale, e quella di «conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni», di cui si parla nell’analitica trascendentale.

◀ Tramonto sull’isola di Elafonisos (Laconia, Grecia) virato in giallo, come quindi apparirebbe se visto attraverso lenti colorate.

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10. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

11. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

LO sPaZiO E iL TEMPO COME iNTuiZiONi PurE Kant dimostra che spazio e tempo sono intuizioni pure nella «esposizione metafisica» dei due concetti. Per lo spazio, sottolinea: a. che non è un concetto empirico, cioè ricavato da esperienze esterne. Infatti, per riferire sensazioni a qualcosa di esterno e per rappresentarle come accanto le une alle altre, devo avere già la rappresentazione dello spazio. lo spazio non deriva dall’esperienza perché l’esperienza stessa è possibile grazie ad esso; b. che è a priori, perché non ci possiamo rappresentare qualcosa che non sia nello spazio, mentre possiamo rappresentarci uno spazio vuoto; c. che non è un concetto discorsivo, perché ci possiamo rappresentare solo uno spazio unico, di cui i singoli spazi sono parti e inoltre ce lo rappresentiamo come infinito. esso è dunque un’intuizione pura. Anche il tempo non è un concetto empirico, perché la simultaneità o la successione lo presuppongono, quindi deve precedere l’esperienza; non si può eliminare il tempo, mentre ci possiamo rappresentare il tempo senza i fenomeni. Come lo spazio anche il tempo non è un concetto discorsivo. 12. La ParOLa ai TEsTi

T3 kant La conoscenza è soltanto fenomenica Anche se, come abbiamo visto nella scheda 8, Kant rifiuta l’idealismo, la conoscenza è comunque fenomenica, soggettiva, non riguarda la cosa in sé ma come appare a noi. Il brano che segue spiega questo aspetto e riassume in modo chiaro l’intero processo della sensibilità.

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Noi dunque abbiamo voluto dire, che ogni nostra intuizione non è se non la rappresentazione di un fenomeno; che le cose, che noi intuiamo, non sono in se stesse quello per cui noi le intuiamo, né i loro rapporti sono cosiffatti come ci appariscono, e che, se sopprimessimo il nostro soggetto, o anche solo la natura subbiettiva dei sensi in generale, tutta la natura, tutti i rapporti degli oggetti, nello spazio e nel tempo, anzi lo spazio stesso e il tempo sparirebbero, e come fenomeni non possono esistere in sé, ma soltanto in noi. Quel che ci possa essere negli oggetti in sé e separati dalla recettività dei nostri sensi ci rimane interamente ignoto. Noi non conosciamo se non il nostro modo di percepirli, che ci è peculiare, e che non è né anche necessario che appartenga ad ogni essere, sebbene appartenga a tutti gli uomini. Noi abbiamo da fare solamente con esso. Spazio e tempo sono le forme pure di esso; la sensazione, in generale, la materia. Quella possiamo conoscerla solo a priori, ossia prima di ogni reale percezione, e perciò la chiamiamo intuizione pura: questa invece è nella nostra conoscenza ciò che fa sì che la si dica conoscenza a posteriori, cioè intuizione empirica. (I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, par. 8, p. 68)

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EsTETiCa TrasCENDENTaLE Il termine «estetica» assume nelle opere di Kant due diversi significati. Nell’estetica trascendentale il termine conserva ancora il significato tradizionale derivante da aisthèsis, “sensazione”, e dunque è lo studio della conoscenza sensoriale. Il termine «trascendentale» indica però la ricerca degli elementi a priori di tale conoscenza, individuati nelle intuizioni pure dello spazio e del tempo. Nella Critica del giudizio, invece, il termine estetica verrà usato nel nuovo significato proposto da Alexander G. Baumgarten (1714-1762) di «analisi del bello e dell’arte».

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Abbiamo quindi intuizioni e concetti: le prime organizzano le sensazioni, i secondi le rielaborano per costruire l’immagine del mondo che conosciamo. In termini semplici, riceviamo dati sensoriali (cromatici, tattili ecc.) e li rielaboriamo costruendo l’oggetto “mela”. L’estetica non tratta però delle sensazioni ma delle intuizioni pure mediante cui le conosciamo (spazio e tempo) e allo stesso modo l’analitica trascendentale non tratta degli oggetti o dei fenomeni, ma degli strumenti logici mediante i quali vengono rielaborate le sensazioni per produrre la conoscenza fenomenica. Questi strumenti sono i concetti puri, o categorie ➝ 13 . Intuizioni e concetti concorrono alla conoscenza: «nessuna delle due facoltà è da anteporre all’altra. Senza sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato, - scrive Kant - e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche» (Ivi, p. 78) ➝ 14 . I concetti puri, o categorie, organizzano dunque i dati sensibili per produrre la conoscenza. Ma come avviene la rielaborazione dei dati sensibili? E quali sono le categorie? Come si ricorderà, Aristotele ne aveva individuate dieci. Kant parte dal presupposto che la conoscenza avviene mediante giudizi, che uniscono un soggetto e un predicato. Ogni tipologia di giudizio (ogni modalità di unione del soggetto con il predicato) richiede una categoria che compia questa operazione. Le categorie corrisponderanno allora ai tipi di giudizi, che erano stati già individuati dalla logica precedente. Kant parte quindi dalla tavola dei giudizi, già definita, facendo corrispondere a ogni giudizio una categoria. Individua in questo modo 12 diverse categorie, suddivise in 4 gruppi: quantità, qualità, relazione, modalità. Vediamo in dettaglio la tavola delle categorie: TaVola dEllE CaTEGoRiE GiudiZi

CaTEGoRiE

quantità

universali particolari singolari

unità pluralità totalità

qualità

affermativi negativi infiniti

realtà negazione limitazione

relazione

categorici ipotetici disgiuntivi

inerenza e sussistenza causalità e dipendenza reciprocità

modalità

problematici assertori apodittici

possibilità-impossibilità esistenza-inesistenza necessità-contingenza

Soffermiamoci in primo luogo sulla derivazione delle categorie dai giudizi. Se affermo che qualcosa esiste («Davanti a me c’è un albero», giudizio affermativo) sto applicando la categoria della realtà, in base alla quale posso, appunto, affermare l’esistenza di una cosa. Se dico «Non esistono cavalli alati» (giudizio negativo), sto applicando la categoria della negazione, e così via.

Materiali per l’apprendimento attivo 13. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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14. La ParOLa ai TEsTi

T4 kant Sensibilità e intelletto Consideriamo il brano da cui è tratta la citazione, in cui Kant spiega in modo molto chiaro la dinamica della conoscenza, articolata in sensibilità e intelletto. Il brano apre la «Logica trascendentale», la sezione della Critica della ragion pura che si occupa dei concetti. Kant stabilisce la loro relazione con la sensibilità: sono due ambiti complementari ma distinti, ognuno dei quali è provvisto delle proprie leggi che vanno indagate separatamente. I concetti non possono che operare su materiale fornito dall’esperienza o, in altre parole, la nostra conoscenza non può andare oltre l’esperienza.

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La nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali è la facoltà di ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), la seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Per la prima, un oggetto ci è dato; per la seconda esso è pensato in rapporto con quella rappresentazione (come semplice determinazione dello spirito). Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra conoscenza; per modo che, né concetti, senza che a loro corrisponda in qualche modo una intuizione, né intuizione, senza concetti, possono darci una conoscenza. Entrambi sono puri o empirici. Empirici, quando contengano una sensazione (che suppone la presenza reale dell’oggetto); puri, invece, quando alla rappresentazione non sia mescolata alcuna sensazione. La sensazione si può dire materia della conoscenza sensibile. Quindi una intuizione pura contiene unicamente la forma in cui qualcosa è intuito, e un concetto puro solamente la forma del pensiero d’un oggetto in generale. Ma solo le intuizioni e i concetti puri possibili sono a priori, gli empirici, soltanto a posteriori. Se noi chiamiamo sensibilità la recettività del nostro spirito a ricevere rappresentazioni, quando è in un qualunque modo modificato, l’intelletto è invece la facoltà di produrre da sé rappresentazioni, ovvero la spontaneità della conoscenza. La nostra natura è cosiffatta che l’intuizione non può essere mai altrimenti che sensibile, cioè non contiene se non il modo in cui siamo modificati dagli oggetti. Al contrario la facoltà di pensare l’oggetto dell’intuizione sensibile è l’intelletto. Nessuna di queste due facoltà è da anteporre all’altra. Senza sensibilità nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. È quindi necessario tanto rendersi i concetti sensibili (cioè aggiungervi l’oggetto nell’intuizione), quanto rendersi intelligibili le intuizioni (cioè ridurle sotto concetti). (I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 77-78)

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CaTEGOria Dal greco kategoréin, “attribuire”, indica i predicati, cioè ciò che può essere attribuito a una sostanza. Più precisamente, a partire da Aristotele, le categorie corrispondono ai predicati generalissimi della realtà, quelli che non sono riconducibili ad altri. Per Aristotele sono dieci, ma Kant ritiene tale elenco non giustificato. Se le categorie corrispondono all’attribuzione di predicati, allora sono riconducibili ai giudizi e quindi deve esserci una categoria per ogni classe di giudizi, che sono dodici. le categorie sono definite anche «concetti puri», perché unificano e organizzano i dati della intuizione sensibile (quindi sono concetti) e sono indipendenti dall’esperienza (puri). A differenza di quanto sosteneva Aristotele, per Kant le categorie non hanno una corrispondenza ontologica, cioè non descrivono la realtà così come essa è, ma sono funzioni dell’intelletto e quindi riguardano soltanto la realtà così come è conosciuta da noi.

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Le categorie sono soggettive, ma sono le stesse per tutti gli uomini. La conoscenza che ne risulta è perciò universale e si presenta come oggettiva, anche se in realtà riguarda solo i fenomeni, cioè la realtà così come appare all’uomo. Consideriamo adesso le caratteristiche e le funzioni dei concetti puri, ossia delle categorie. Rielaborando le sensazioni, le categorie costruiscono gli oggetti della nostra esperienza (non del mondo, ovviamente: Kant non è un idealista), cioè producono l’insieme dei fenomeni che formano la nostra visione della realtà ➝ 15 . In questo modo, Kant risolve i problemi posti dall’empirismo: quello della soggettività e della particolarità delle conoscenze (mentre la scienza vorrebbe l’universalità), quello dell’esistenza o meno di una sostanza e soprattutto quello dell’esistenza della causalità, fondamento della conoscenza scientifica e della possibilità di leggi naturali, universali e necessarie. Consideriamo ad esempio il problema della sostanza. Locke, come si ricorderà, diceva: l’albero che ho davanti è un certo colore, unito a una certa durezza, a un peso specifico, a una forma e a una dimensione. Tutti questi fenomeni sono l’albero, non devo supporre l’esistenza di una sostanza su cui debbano fondarsi. In questo modo, però, come farà notare Hume, non posso parlare dell’albero come di una realtà continua, con una propria identità, perché cambiando le sensazioni che ne ricevo cambia anche l’albero. Le cose non hanno più stabilità e identità. Secondo Kant, la sostanza è data dalla categoria di «inerenza e sussistenza» e quindi ha un proprio fondamento stabile, non nella realtà, ma in noi. Ma esso è uguale in tutti gli uomini e avviene indipendentemente dalla volontà individuale (io non decido se applicare o meno le categorie alle intuizioni; è, per così dire, un processo automatico). Allora, per tutti gli uomini le cose sono in un certo modo, hanno continuità e identità, cioè hanno una sostanza. Un ragionamento simile consente di superare i dubbi posti da Hume a proposito del nesso causale. Egli negava che fosse un nesso necessario tra le cose e Kant accetta questa posizione, aggiungendo però che è stabilito dalla categoria «causalità e dipendenza» e quindi sussiste sicuramente tra i fenomeni, conosciuti da tutti nello stesso modo. Perciò possiamo affermare che è universale e necessario, seppure non possiamo dimostrare che sia oggettivo.

Il rapporto tra le categorie e l’esperienza Perché le categorie possano agire sull’esperienza, esse devono poter agire in modo unitario e devono potersi relazionare con il piano empirico. Tali problemi vengono risolti mediante la deduzione e lo schematismo trascendentali. Come spesso accade in filosofia, la soluzione di un problema ne genera altri. Le categorie conferiscono alla conoscenza l’universalità e la necessità e legittimano quindi le scienze naturali, in particolare la fisica di Newton. Però esse sono concetti puri, funzioni logiche della mente. Come è possibile che possano agire sulle sensazioni empiriche, organizzandole? Perché ciò sia possibile, sottolinea Kant, è necessario soddisfare due condizioni: 1. esse devono agire in modo unitario, su uno spazio comune; 2. esse devono poter influenzare l’esperienza pur restando concetti puri, quindi indipendenti dall’esperienza stessa. Il primo problema viene risolto con la deduzione trascendentale, cioè mediante la coscienza di conoscere; il secondo mediante lo schematismo trascendentale. Vediamo come.

La deduzione trascendentale L’azione delle categorie è possibile a condizione di ammettere uno spazio unitario che le unifichi, un soggetto della conoscenza che Kant chiama «io penso» o «appercezione trascendentale». «Deduzione» è, nel linguaggio giuridico, sinonimo di «giustificazione» e più precisamente

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16. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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iO PENsO Kant lo definisce anche «autocoscienza» o «appercezione trascendentale». È l’unità della coscienza che rende possibile l’esperienza stessa, e la connessione dei diversi fenomeni. È trattato da Kant nella «deduzione trascendentale» come una delle condizioni fondamentali per legittimare la conoscenza. Soltanto se esiste uno spazio logico unitario in cui l’azione delle singole categorie si compone in un tutto, possiamo parlare di conoscenza. Scrive Kant: «l’unità generale e sintetica delle percezioni costituisce appunto la forma della conoscenza, ed essa non è altro che l’unità sintetica dei fenomeni secondo concetti» (Critica della ragion pura, p. 533). l’Io penso, dunque, unifica l’esperienza pensata mediante i concetti puri, in una unità significativa che chiamiamo conoscenza o sapere. In Kant è soltanto una funzione logica unificatrice e, in quanto tale, possiamo parlarne solo in riferimento alla conoscenza. essendo uguale in tutti gli uomini, garantisce una «validità oggettiva», come scrive Kant, alla conoscenza. Non possiamo quindi dare all’Io penso una consistenza ontologica, cioè considerarlo come esistente indipendentemente dalla conoscenza, come invece farà l’idealismo, in particolare con Fichte. indica la dimostrazione della legittimità di una questione di fatto. Ad esempio, posso abitare una casa anche da più anni senza però che sia mia. Di fronte a un tribunale, dovrò giustificare la mia pretesa di esserne il proprietario, mediante l’esibizione di un contratto o avvalendomi di testimonianze ecc. Le categorie operano di fatto sull’esperienza, organizzandola, ma dobbiamo individuare il fondamento che giustifichi questa possibilità. La condizione principale, secondo Kant, è l’esistenza di uno spazio logico in cui l’azione delle categorie diventi unitaria, traducendosi così in conoscenza. Questo spazio logico è la coscienza di sé come soggetto della conoscenza ed è definito da Kant «Io penso» ➝ 16 . Il pensare (l’opera delle categorie) deve avere un soggetto che le tenga insieme in una unità complessiva, altrimenti non si avrebbe esperienza, ma una serie di tasselli senza un significato unitario. L’Io penso viene definito anche «appercezione trascendentale». Si ricorderà la differenza tra percezione e appercezione, importante ad esempio in Leibniz: la prima è la semplice conoscenza, la seconda è la consapevolezza di conoscere e quindi di essere il soggetto della conoscenza. Con «Io», Kant non fa riferimento all’individuo empirico, ma alla autocoscienza in genere come condizione logica della conoscenza. L’Io penso, scrive Kant, è una «funzione dell’intelletto» che conferisce unità al «molteplice delle rappresentazioni date» (Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 112).

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La COsTruZiONE DELLa rEaLTÀ la prospettiva secondo cui la realtà fenomenica è una nostra costruzione a partire da materiali empirici, costituisce una grande innovazione di Kant, da lui stesso paragonata alla «rivoluzione copernicana», e che oggi è largamente condivisa in ambito filosofico, psicologico, antropologico culturale. una delle teorie “trasversali” (accettata in più discipline) oggi più diffuse è il costruttivismo, sostenuto ad esempio in psicologia e in pedagogia da Jean Piaget e in filosofia da John Dewey. Questi in particolare paragona la conoscenza all’opera di un carpentiere che prende dalla realtà empirica i materiali per poi usarli per costruire una casa, cioè qualcosa di diverso rispetto ai materiali stessi. Può essere un’immagine utile per capire la prospettiva di Kant, anche se non va presa alla lettera, perché in Kant le strutture che rielaborano i dati empirici hanno una valenza logica e non psicologica.

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Lo schematismo trascendentale e i princìpi sintetici dell’intelletto puro Gli schemi trascendentali il collegamento tra le categorie, che sono concetti puri, e l’esperienza, eterogenea rispetto ad esse, avviene mediante gli schemi trascendentali, che organizzano la struttura del tempo in modo che i dati sensibili assumano una forma omogenea a quella delle diverse categorie. Finora Kant ha delineato l’anatomia delle strutture conoscitive, cioè gli strumenti che abbiamo a disposizione per la conoscenza ➝ 17 . Si tratta adesso di considerare come questi strumenti agiscono sul piano empirico per dare luogo alla conoscenza propriamente detta. Kant definisce questa parte della Critica della ragion pura giudizio trascendentale, dove per «giudizio» si intende la proposizione conoscitiva, composta da un soggetto e da un predicato. Questa sezione comprende lo schematismo dei concetti puri dell’intelletto, o schematismo trascendentale, e i princìpi sintetici dell’intelletto puro. Lo schematismo trascendentale si propone di spiegare come concetti puri possano strutturare l’esperienza, che riguarda ovviamente il piano empirico. Perché ciò sia possibile, le categorie devono rimandare a forme sensibili che a loro volta diano una dimensione concettuale ai dati empirici, cioè occorre una struttura intermedia tra i concetti puri e la sensibilità. Kant chiama «schema trascendentale» questa realtà intermedia ➝ 18 . Per capire che cosa sono gli schemi trascendentali, consideriamo dapprima uno schema nel senso comune del termine. Può essere considerato come la rappresentazione grafica di un concetto. Posso ad esempio disegnare un cane stilizzato (un cerchio per la testa, due triangoli per le orecchie, un ovale per il corpo, quattro linee per le zampe e una per la coda). Non rappresenta nessun individuo, nessun cane in particolare, ma visualizza le caratteristiche comuni a tutti i cani, cioè il concetto di «cane». Si tratta quindi di una costruzione sensibile (un’immagine) che rappresenta però un concetto. Quale sarà allora lo schema in grado di svolgere una mediazione simile tra i concetti e la sensibilità? I dati sensoriali, come abbiamo visto, sono organizzati secondo le intuizioni pure dello spazio e del tempo, ma mentre lo spazio riguarda soltanto l’esperienza esterna, il tempo si riferisce direttamente a quella interna e indirettamente (in quanto è un’esperienza comunque vissuta dal soggetto) a quella esterna. Quindi il tempo condiziona ogni esperienza possibile. Gli schemi trascendentali sono di conseguenza organizzati secondo il tempo, cioè sono configurazioni del tempo che lo strutturano in modo da dare ai dati sensibili una forma omogenea a quella delle categorie. Per Kant esiste una facoltà specifica, l’immaginazione produttiva, che modella il tempo in modo da renderlo aderente ai concetti puri, “costringendo” quindi le sensazioni a disporsi secondo una certa forma. Ad esempio, lo schema trascendentale della causalità è la successione, poiché solo alle esperienze che possono essere ordinate secondo questo schema temporale può essere applicato il principio causale; lo schema trascendentale della sostanza è la permanenza nel tempo, dato che i fenomeni cui è applicabile questo schema possono essere considerati manifestazione di una sostanza sempre uguale a se stessa; l’azione reciproca implica la presenza contemporanea di due fenomeni. Consideriamo le categorie della modalità: possibilità, esistenza, necessità. La possibilità implica la presenza in un tempo qualsiasi (che ne costituisce quindi lo schema temporale); l’esistenza avviene in un tempo determinato (qui ed ora); la necessità in ogni tempo (non è immaginabile un tempo in cui non esista un ente definibile come necessario). Kant conclude affermando che «le categorie senza schemi sono solo funzioni dell’intelletto per i concetti, ma non rappresentano nessun oggetto» e dunque non potrebbero avere, di per

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17. PEr CaPirE MEGLiO

18. La paroLa ai testi

T5 Kant Lo schema trascendentale Lo schematismo trascendentale è una delle parti più complesse della Critica della ragion pura, ma il brano seguente può aiutarci a comprendere questo passaggio del pensiero di Kant. In primo luogo è necessario giustificare l’azione dei concetti puri sull’esperienza. L’esempio che segue dà immediatamente l’idea dello schema concettuale: da un lato abbiamo il piatto, un oggetto empirico, dall’altra il concetto corrispondente, il circolo geometrico. Manca la dimensione che li congiunge, che nel caso specifico può essere il disegno del circolo, in quanto rappresenta il piatto empirico, da un lato, e il concetto di circolo, dall’altro. Ovviamente qui si esemplifica con uno schema generico: quello trascendentale è altra cosa, ma può essere compreso a partire da qui.

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In ogni sussunzione d’un oggetto sotto un concetto, la rappresentazione del primo deve essere omogenea con quella del secondo, cioè il concetto deve contenere ciò che è rappresentato nell’oggetto da sussumere sotto di esso: perocché questo appunto significa l’espressione, che un oggetto sia compreso sotto un concetto. Così il concetto empirico di un piatto ha omogeneità con quello geometrico puro di un circolo, giacché la rotondità, che nel primo è pensata, nel secondo è intuita. Ma i concetti puri dell’intelletto, paragonati alle intuizioni empiriche (anzi sensibili, in generale) sono affatto eterogenei, e non possono trovarsi mai una qualsiasi intuizione. Or com’è possibile la sussunzione di queste sotto di quelli, e quindi l’applicazione della categoria ai fenomeni, poiché nessuno tuttavia dirà: questa categoria, per es. la causalità, può essere anche intuita per mezzo dei sensi, e contenuta nel fenomeno? Questa domanda così naturale e importante, è propriamente la causa che rende indispensabile una dottrina trascendentale del Giudizio, per mostrare la possibilità, in generale, di applicare i concetti puri dell’intelletto a fenomeni in generale. […] Ora è chiaro che ci ha da essere un terzo termine, il quale deve essere omogeneo da un lato colla categoria e dall’altro col fenomeno, e che rende possibile l’applicazione di quella a questo. Tale rappresentazione intermediaria deve essere pura (senza niente di empirico), e tuttavia, da un lato, intellettuale, dall’altro sensibile. Tale è lo schema trascendentale. (I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 136)

sé, nessun significato conoscitivo. «Questo significato viene ad esse dalla sensibilità, la quale realizza l’intelletto, mentre a un tempo lo restringe» (Ivi, p. 141). Quindi l’intelletto può conoscere soltanto facendo riferimento all’esperienza empirica, mediante gli schemi concettuali, ma la stessa esperienza empirica ne costituisce, come vedremo più avanti, il limite oltre il quale non può andare.

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La CONOsCENZa PEr kaNT Data la complessità del percorso seguito, ricapitoliamo in diversi passaggi i problemi che Kant affronta e le soluzioni proposte. 1. esiste una conoscenza scientifica, cioè universale e necessaria. 2. essa è evidente nella matematica e nelle scienze naturali. 3. occorre però spiegare come sia possibile. 4. la conoscenza scientifica è data da giudizi sintetici a priori. 5. Perciò devono esistere strutture a priori che organizzano l’esperienza. 6. le strutture a priori della sensibilità sono lo spazio e il tempo, la cui azione fonda scientificamente l’aritmetica e la geometria. 7. le strutture a priori dell’intelletto sono le categorie, la cui azione fonda scientificamente la fisica.

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I princìpi sintetici dell’intelletto puro il punto d’arrivo dell’analitica trascendentale è la definizione dei princìpi sintetici dell’intelletto puro, cioè dei princìpi che è necessario seguire per conoscere in modo scientifico. Parlando dei princìpi sintetici dell’intelletto puro, ci riferiamo, scrive Kant, alla «possibilità di giudizi sintetici a priori, nonché delle condizioni e dell’ambito del loro valore» (Ivi, p. 145). Siamo dunque tornati alla domanda iniziale circa il fondamento della conoscenza scientifica che, come abbiamo visto, riposa proprio sulla possibilità di giudizi sintetici a priori ➝ 19 . I princìpi sono le regole d’uso delle categorie, cioè stabiliscono come devono essere applicati all’esperienza i concetti puri per produrre conoscenza oggettiva, cioè universale e necessaria, come deve essere quella scientifica. In termini più semplici, ci indicano come deve essere trattata l’esperienza per poterla conoscere scientificamente. Facciamo un esempio, sia per capire meglio che cosa sono, sia per comprenderne la funzione. Immaginiamo, riprendendo un celebre esperimento mentale di Hume, una palla da biliardo che ne colpisce un’altra, ferma, la quale subito dopo l’urto incomincia a muoversi. Che cosa abbiamo visto? Due eventi in successione, risponderebbe Hume: l’urto e poi il movimento della seconda palla. Tra i due, aggiungerebbe Hume, non c’è nessun nesso causale ma soltanto la nostra abitudine a percepire i due fenomeni come congiunti. Secondo Kant, invece, dobbiamo trattare l’esperienza in base al principio: «Tutti i cangiamenti avvengono secondo la legge del nesso di causa ed effetto» (Ivi, p. 166), cioè ogni cambiamento dipende da una causa che lo spiega. Si tratta dell’affermazione del principio causale come presupposto della conoscenza scientifica. In altri termini: possiamo conoscere scientificamente l’esperienza solo applicando ad essa il principio causale. Nel caso specifico, dobbiamo presupporre che il movimento della seconda palla sia dipeso dall’urto con la prima ➝ 20. Se i princìpi di cui stiamo parlando costituiscono la regola secondo cui dobbiamo applicare le categorie all’esperienza, ce ne sarà uno per ogni categoria e in alcuni casi anche uno generale per un intero gruppo di categorie. Quello di cui abbiamo parlato, infatti, è il principio generale delle categorie di relazione. Vediamo in modo più analitico la tavola dei princìpi che Kant costruisce a partire da quella delle categorie. CaTEGoRiE pRinCìpi sinTETiCi assiomi quantità dell’intuizione anticipazioni qualità della percezione analogie relazione dell’esperienza sostanza causalità reciprocità modalità possibilità esistenza necessità

foRmulaZionE tutte le intuizioni sono quantità estensive tutti i fenomeni hanno una quantità intensiva, cioè un grado connessione necessaria tra le percezioni in ogni cangiamento dei fenomeni la sostanza permane tutti i cangiamenti avvengono secondo il nesso di causa ed effetto tutte le sostanze, in quanto simultanee, sono in una reciprocità universale

postulati del pensiero empirico in generale ciò che si accorda con le condizioni formali dell’esperienza è possibile ciò che si connette con le condizioni materiali dell’esperienza è reale ciò la cui connessione col reale è determinato secondo le condizioni universali dell’esperienza, è necessariamente

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audiomappa

19. COMPETENZE > Mappa concettuale

forme a priori dell’intelletto

L’ANALITICA TRASCENDENTALE

studia le

che sono di 4 tipi

categorie che richiedono

da cui derivano

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l’analiTiCa TRasCEndEnTalE l’analitica trascendentale è molto articolata. ricostruiamone i diversi passaggi in una mappa concettuale che potrai utilizzare per ripercorrerli e comprenderli più a fondo. • quantità • qualità • relazione • modalità

l’Io penso

come

spazio logico unitario

gli schemi trascendentali

come

mediazione con l’esperienza

i princìpi sintetici dell’intelletto puro

che fondano

la fisica come scienza

20. La ParOLa ai TEsTi

T6 kant Il principio causale A proposito dei princìpi sintetici, Kant non usa l’espressione «conoscenza scientifica», ma parla della possibilità di una conoscenza universale e necessaria, un tipo di conoscenza che sappiamo esistere proprio in virtù dell’esistenza delle leggi scientifiche. L’analitica trascendentale, d’altra parte, ha come finalità la fondazione della fisica come scienza. Vediamo però, come esempio significativo, il modo in cui dimostra il principio causale, il lessico e le argomentazioni che usa.

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Io percepisco che i fenomeni seguono l’uno l’altro, cioè che uno stato della cosa è in un tempo, e il suo opposto era nello stato precedente. Io dunque propriamente connetto due percezioni nel tempo. Ora la connessione non è opera del semplice senso e della intuizione, ma qui è il prodotto di un potere sintetico della immaginazione, che determina il senso interno rispetto al rapporto temporale. Ma questa immaginazione può unire in due modi diversi i due detti stati, in guisa che o l’uno o l’altro preceda nel tempo; perché il tempo in se stesso non si può percepire, e in rapporto ad esso non può essere determinato nell’oggetto, per così dire, empiricamente ciò che precede e ciò che segue. Io dunque ho coscienza solo di questo, che la mia immaginazione mette uno stato prima e l’altro dopo, ma non che nell’oggetto uno stato preceda l’altro, o in altre parole: con la semplice percezione resta indeterminata la relazione oggettiva dei fenomeni successivi. Ora, affinché possa esser conosciuta come determinata, la relazione fra i due stati deve essere pensata in modo che ne venga determinato necessariamente qual di essi va posto prima e quale dopo, e non inversamente. Ma il concetto che rechi in sé una necessità dell’unità sintetica, non può essere se non un concetto intellettuale puro, che non si trova nella percezione; e in questo caso è il concetto del rapporto di causa ed effetto, di cui la prima determina nel tempo il secondo come conseguente, e non come qualcosa che potrebbe precedere semplicemente nell’immaginazione (o, in generale non essere punto percepita). Dunque, l’esperienza stessa, cioè la conoscenza empirica dei fenomeni, è possibile solo a patto che sottoponiamo il loro succedersi, e quindi ogni cangiamento, alla legge di causalità; quindi i fenomeni stessi, in quanto oggetti dell’esperienza, sono possibili soltanto secondo questa legge. (I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 167)

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i princìpi sintetici dell’intelletto puro chiariscono che la conoscenza, per essere scientifica, deve essere quantificabile e meccanicistica, deve prevedere la conservazione della materia, e così via. I princìpi sintetici della quantità e della qualità affermano che la conoscenza scientifica presuppone la quantificazione dei dati empirici, nel caso della qualità traducendola in intensità del fenomeno. «I fenomeni – scrive Kant – sono tutti quantità» (p. 150). In questo modo è possibile applicare «la matematica pura, in tutto il suo rigore, ad oggetti dell’esperienza» (p. 151), prosegue Kant, giustificando così uno degli aspetti fondamentali della fisica e delle scienze della natura in generale. A proposito della sostanza, Kant riconosce un altro dei princìpi fondamentali della scienza, la conservazione della materia. Dall’analisi kantiana emerge quindi la legittimazione degli aspetti caratteristici della scienza di Galilei e di Newton: essa è quantitativa e meccanicistica (per l’affermazione del nesso causa-effetto), il che non vuol dire che il mondo abbia queste proprietà, ma che la nostra conoscenza deve seguire tali princìpi, se vuol essere scientifica. In altri termini, risulta in questo modo risolto il secondo dei tre problemi che Kant aveva posto come scopo della Critica della ragion pura: come è possibile la fisica come scienza.

Il problema del noumeno La conoscenza scientifica, derivando dalla rielaborazione dell’esperienza mediante le strutture a priori della sensibilità e dell’intelletto, è sempre fenomenica, cioè rappresenta la realtà così come è vista dal soggetto, non come è in sé. La conoscenza della realtà in sé, del noumeno, è al di là delle nostre possibilità. La fondazione della conoscenza esposta da Kant riguarda la nostra esperienza, cioè il nostro modo di vedere la realtà, attraverso le metaforiche lenti colorate di cui parlavamo. Ma come sarebbe il mondo se ci togliessimo tali lenti, cioè com’è la realtà in sé? Il problema è che non possiamo guardare la realtà senza le lenti colorate, perché sono proprio esse che ci fanno conoscere la realtà. Senza, saremmo ciechi. Immaginiamo, dice Kant, una colomba in volo. Essa avverte la resistenza dell’aria, pensando che potrebbe volare più in alto e con meno fatica se non ci fosse, non rendendosi conto, però, che senza l’aria non volerebbe affatto. Lo stesso avverrebbe al nostro intelletto se cercasse di liberarsi dell’esperienza, senza la quale non vi sarebbe conoscenza. Ne consegue, però, che conosciamo soltanto i fenomeni, cioè ciò che appare, mentre la cosa-in-sé non è conoscibile. Kant la definisce noumeno ➝ 21 , distinguendolo dal fenomeno: il secondo è conosciuto tramite le strutture a priori della sensibilità e rielaborato dalle categorie, il primo non è conoscibile. In un celebre brano, Kant paragona il mondo fenomenico a un’isola che possiamo conoscere a fondo ed esplorare palmo a palmo, circondata però da un mare tempestoso, impossibile da navigare e da esplorare, che rappresenta il mondo noumenico. L’uomo può conoscere la propria isola ma non l’oceano che la circonda [➤ T19] ➝ 22 .

◀ Giambattista Tiepolo, L’Immacolata Concezione, particolare, 1767-68, olio su tela (Madrid, Museo del Prado).

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21. CoMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

nouMeno «Noumeno» deriva da nóumenon, “ciò che può essere pensato”, cioè “intelligibile” in quanto oggetto dell’intelletto (noûs). Kant usa questo termine perché in un primo momento, in particolare nella dissertazione del 1770, era convinto che la «cosa-in-sé» potesse essere conosciuta con l’intuizione intellettiva. Al termine del percorso dell’Analitica trascendentale, invece, giunge alla conclusione che la conoscenza non può andare al di là dell’esperienza, dato che le strutture a priori senza i dati dell’esperienza sono vuote e non possono produrre nulla. Il termine noumeno indica quindi la realtà in sé, distinta dal fenomeno (la realtà così come è conosciuta dal soggetto) e quindi inconoscibile in sede teoretica. Il noumeno è propriamente oggetto della metafisica, che non viene considerata scienza. Kant riafferma però la possibilità di parlare di aspetti noumenici (come l’esistenza di un’anima immortale, di Dio o di una finalità nella natura) nella Critica della ragion pratica e nella Critica del giudizio, anche se in ambiti diversi da quello propriamente conoscitivo. 22. PEr CaPirE MEGLiO

iL PrOBLEMa DEL NOuMENO Se il noumeno non è conoscibile, come possiamo affermarne l’esistenza? È un problema che Kant si pone alla fine dell’analitica trascendentale. Abbiamo visto che nella Dissertazione del 1770 Kant distingueva tra fenomeno e noumeno sostenendo che il primo è conoscibile con i sensi, il secondo con l’intelletto. Adesso, invece, respinge questa tesi: «l’intelletto non può mai sorpassare i limiti della sensibilità, dentro i quali soltanto si sono dati oggetti» (Critica della ragione pura, p. 205). Del noumeno non possiamo parlare in senso positivo, come potenzialmente conoscibile, ma esclusivamente in senso negativo, come limite della conoscenza: «Il concetto di noumeno è dunque solo un concetto limite, per circoscrivere le pretese della sensibilità, e di uso, perciò, puramente negativo. Ma esso tuttavia non è foggiato ad arbitrio, sibbene si connette colla limitazione della sensibilità, senza poter nondimeno porre alcunché di positivo al di fuori del dominio di essa». (Ivi, p. 210) la soluzione della questione del noumeno, come si può vedere, è problematica: Kant riconosce che «il territorio al di là della sfera dei fenomeni (per noi) è vuoto» (Ibidem). Ma allora, come sosterranno i discepoli stessi di Kant, possiamo anche supporre che non esista. In questo caso, il mondo sarebbe unicamente fenomenico cioè, in definitiva, prodotto da noi. Sono le premesse dell’«idealismo», che si proporrà inizialmente come uno sviluppo delle teorie kantiane, nonostante la decisa opposizione di Kant stesso, che già nella seconda edizione della Critica della ragion pura inserisce un paragrafo sulla «Confutazione dell’idealismo», rivolta non contro quello trascendentale per il quale i concetti esistono unicamente nella conoscenza senza però negare una realtà indipendente da essa, ma contro quello materiale, «che dichiara l’esistenza degli oggetti nello spazio fuori di noi o semplicemente dubbia e indimostrabile, o falsa e impossibile» (Ivi, p. 188). Nonostante ciò, l’idealismo verrà presentato, sia dagli immediati epigoni sia dallo stesso Fichte, come uno sviluppo coerente delle tesi kantiane.

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Guida alla lettura. la percezione mi dice semplicemente che un fenomeno avviene prima di un altro, ma non che sono connessi in modo che l’uno preceda l’altro: “precedere” non vuol dire solo venire prima, ma stabilire una successione necessaria, per cui il secondo “segue” il primo. Questa connessione non può derivare dalla percezione, ma deve derivare da un concetto puro, indipendente dall’esperienza. Quindi la conoscenza (potremmo aggiungere: scientifica) dei fenomeni, è possibile soltanto pensandoli come connessi dal rapporto causale.

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L’ottica è ancora simile a quella di Locke, orientata cioè a individuare le condizioni e i limiti della conoscenza, anche se Kant lascerà aperta la porta all’esplorazione di questo mare, non però in ambito conoscitivo, come scienza, ma sul piano morale e su quello del giudizio teleologico, quindi non come certezza ma come «ragionevole speranza» ➝ 23 . Guida allo sTudio • Che cosa significa «estetica

trascendentale»? • In che modo le intuizioni pure fondano la scientificità della matematica? • di che cosa si occupa l’analitica trascendentale? • perché le categorie sono definite «concetti puri»? • In che modo Kant fonda la scientificità della fisica? • Che cos’è la «deduzione trascendentale»?

• perché l’Io penso viene chiamato anche

«appercezione trascendentale»? • Quale problema risolvono gli schemi

trascendentali? • Che cosa sono i princìpi sintetici dell’intelletto puro? • Quali sono le caratteristiche della conoscenza scientifica? • In che senso si può parlare del noumeno, se è inconoscibile?

La dialettica trascendentale

mappa

Quando tentiamo di andare oltre l’esperienza possibile per conoscere la totalità, cadiamo negli errori delle idee della ragione. kant critica le idee di «io» (come sostanza, cioè come anima), di «mondo» e di «Dio», dimostrando l’impotenza della ragione nella conoscenza di questi ambiti. La conoscenza scientifica riguarda soltanto il mondo fenomenico, quello noumenico è invece inconoscibile e quindi non è possibile una metafisica come scienza. La terza delle domande da cui era partito Kant ha dunque una risposta negativa. Tuttavia non è facile rinunciare a conoscere la realtà in sé. Infatti, se la scienza ci dice quali sono le leggi della natura, non dà però nessuna risposta alle domande fondamentali: chi siamo noi, c’è o no una vita dopo la morte del corpo, esiste Dio, e così via. Pur non potendo conoscere l’oceano infinito, l’intelletto pretende di farlo. È però un tentativo destinato al naufragio, almeno sul piano della conoscenza. L’intelletto che cerca di andare oltre i propri limiti viene definito da Kant «ragione» e i suoi tentativi di dare una risposta alle domande metafisiche sono analizzati da Kant nella Dialettica trascendentale ➝ 24 . Le tre idee mediante cui la ragione cerca di cogliere il senso dell’esistenza, sono tre: quella di «io», come totalità dell’esperienza interiore; quella di «mondo», come totalità dell’esperienza esterna; infine, quella di «Dio», come totalità di tutte le esperienze possibili. Mediante queste tre idee, la ragione cerca di unificare l’esperienza e di dare ad essa un senso complessivo. Kant analizza una ad una queste idee.

L’io e i paralogismi della ragione Hume considerava l’io come un fascio di percezioni, quindi continuamente variabile; negava, di conseguenza, che fosse possibile parlare dell’io come di una sostanza, con una propria identità. Kant, come abbiamo visto, afferma l’esistenza dell’Io penso, che non è però sostanza, ma una funzione dell’intelletto. Per quanto riguarda invece l’io individuale, ciò che abitualmente rappresentiamo come unione di anima e di corpo, egli concorda in ultima analisi con Hume. L’io non è sostanza o meglio, appartiene al mondo noumenico e dunque non possiamo

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audiomappa

23. COMPETENZE > Mappa concettuale

Estetica trascendentale

studia

forme pure a priori della sensibilità

organizzano sono

spazio e tempo

sensazioni

schemi trascendentali

Analitica trascendentale

studia

forme pure a priori dell’intelletto

sono

categorie

unificate da

collegano

Io penso

usa la mappa concettuale per ripassare ed esporre i paragrafi precedenti. 24. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

DiaLETTiCa TrasCENDENTaLE la «dialettica trascendentale» è l’analisi delle idee della ragione, che aspira alla conoscenza della totalità dei fenomeni interni (Io), di quelli esterni (mondo) e della totalità incondizionata (Dio). tali idee non hanno un fondamento logico e quindi non sono contenuti positivi di conoscenza. Kant nega quindi che la metafisica, cui tali idee si riferiscono, possa mai diventare scienza. Al tempo stesso, però, afferma che essa è un’esigenza ineludibile dell’animo umano e assegna a tali idee una funzione regolativa, cioè di orientamento della conoscenza verso una sempre maggiore unità.

conoscerlo. Quando la ragione cerca di dimostrare che è sostanza, incorre in un paralogismo, cioè in un errore logico (dal greco para-lógos, “falso ragionamento”). Infatti conferiamo sostanzialità all’Io penso, passando poi a identificarlo con un’anima che accompagnerebbe il nostro io fenomenico (il corpo, che conosciamo come fenomeno), considerandola infine come immortale. Il falso ragionamento consiste dunque nel passare dall’Io penso (come funzione della conoscenza) all’Io come sostanza, passaggio appunto non corretto.

Le antinomie dell’universo Dell’universo possiamo parlare solo nei termini della scienza naturale, quindi riferendoci agli aspetti fenomenici. Nel momento in cui la ragione tenta di andare oltre, per coglierne il senso complessivo, cade in antinomie, cioè nella possibilità di affermare delle tesi e contemporaneamente il loro opposto, senza avere elementi per decidere quale delle due alternative sia vera. L’idea di mondo risulta quindi contraddittoria, o meglio, resta aperta a possibili interpretazioni contrapposte tra le quali è impossibile decidere, perché stiamo cercando di andare oltre i fenomeni per conoscere ciò che è inconoscibile, la cosa-in-sé, la realtà oltre l’esperienza o, per riprendere la metafora iniziale, il mondo al di là delle lenti colorate.

2 lA C RIT IC A DELLA RAG ION PURA

la TEoRia dElla ConosCEnZa riassumiamo in una mappa concettuale la teoria kantiana della conoscenza. la conoscenza è sintesi di sensibilità, le cui strutture a priori sono studiate dall’estetica trascendentale, e intelletto, le cui strutture a priori sono studiate dall’analitica trascendentale. la conoscenza scientifica deve trattare l’esperienza in base ai princìpi sintetici dell’intelletto puro.

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Vediamo schematicamente quali sono queste antinomie. TaVola dEllE anTinomiE Tesi antitesi matematiche Prima antinomia «Il mondo nel tempo ha un «Il mondo non ha né cominciamento cominciamento, e inoltre, per lo né limiti spaziali, ma è, così rispetto spazio, è chiuso dentro limiti». al tempo come rispetto allo spazio, infinito». Seconda antinomia «Nessuna cosa composta nel mondo «ogni sostanza composta nel consta di parti semplici; e in esso non mondo consta di parti semplici, esiste, in nessun luogo, niente e non esiste in nessun luogo se di semplice». non il semplice, o ciò che ne è composto». terza antinomia «Non c’è nessuna libertà, ma tutto modalità «la causalità secondo le leggi nel mondo accade unicamente della natura non è la sola da cui secondo leggi della natura». possono essere derivati tutti i fenomeni del mondo. È necessario ammettere per la spiegazione di essi anche una causalità libera». Quarta antinomia «In nessun luogo esiste un essere «Nel mondo c’è qualcosa che, assolutamente necessario, né fuori o come sua parte o come sua causa, è un essere assolutamente del mondo, come sua causa». necessario». È possibile che il mondo abbia un’origine nel tempo e che sia finito, ma anche che sia infinito ed eterno, ed entrambe le alternative possono essere sostenute da argomenti ma non dimostrate. Ugualmente, possiamo pensare che il mondo sia composto da particelle indivisibili oppure no, e così via ➝ 25 . Kant definisce «matematiche» le prime due antinomie, poiché riguardano quantità, «dinamiche» le altre due, perché riguardano relazioni. La terza, in particolare, pone l’alternativa tra necessità e determinismo: posto che è indispensabile affermare la causalità come fondamento delle leggi di natura, essa riguarda anche il comportamento umano, oppure in questo ambito possiamo affermare la libertà? Si tratta di un problema cruciale, perché se non esistesse libertà non potremmo parlare neppure di moralità, di responsabilità, di bene e male. L’ultima antinomia, infine, riguarda l’esistenza di Dio e anche in questo caso Kant sostiene che non è possibile dimostrarla, quindi che, in ambito conoscitivo, non possiamo scegliere una delle due alternative ➝ 26 . ▶ Thomas Wright, Rappresentazione del cosmo, Le varie costellazioni stellari nel cielo, tavola tratta da Planche tirée d’un ouvrage, 1750.

Materiali per l’apprendimento attivo 25. COMPETENZE > Pensiero critico

26. CoMpetenZe > argomentazione

Le prove deLL’esistenZa di dio Kant prende in esame le prove classiche dell’esistenza di Dio, dimostrandone l’incoerenza. Consideriamo la prova ontologica, o a priori, che risale a sant’Anselmo. essa si articola nei seguenti passaggi: 1. definiamo Dio come l’essere di cui non è possibile pensare nulla di maggiore 2. ma allora il suo concetto include l’esistenza 3. altrimenti potrei pensare un essere con tutte le perfezioni e in più l’esistenza 4. ma allora sarebbe questo l’essere di cui non si può pensare nulla di maggiore, il cui concetto includerebbe l’esistenza Kant obietta: 1. al punto 2. si considera l’espressione “Dio esiste” come analitica, dato che si ricava l’esistenza dal concetto di Dio 2. invece l’esistenza è un predicato sintetico, che va accertato con l’esperienza 3. ma non è possibile accertare con l’esperienza l’esistenza di Dio Kant dà una rappresentazione plastica della propria argomentazione con l’esempio dei cento talleri. Io posso pensare cento talleri con tutti i loro predicati: il colore, la forma, la consistenza, e così via, ma ciò non darà loro esistenza e non potrò certamente spenderli. Kant prende in considerazione anche gli altri due possibili argomenti per dimostrare l’esistenza di Dio. Quello cosmologico risale dalla contingenza del mondo all’esistenza di un essere necessario. Se ogni cosa ha una causa, risalendo sempre più indietro dobbiamo concludere con una «causa prima incausata». Finché restiamo nell’ambito dell’esperienza, dicendo: A è causa di B, il ragionamento è legittimo, ma parlando di «causa prima incausata», facciamo un salto oltre l’esperienza, in modo illecito. l’argomento fisico-teologico, infine, è quello proprio del «deismo», che afferma l’esistenza di Dio come architetto del mondo, il quale è troppo complesso e perfetto per non essere il prodotto di un essere intelligente. Kant guarda con indulgenza a questo argomento, che tuttavia sul piano logico richiede un salto illegittimo oltre l’esperienza, come l’argomento cosmologico, e inoltre al massimo dimostrerebbe l’esistenza di un demiurgo, di un architetto del mondo, non di un creatore.

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La NOsTra iDEa Di MONDO riflettendoci attentamente, ci rendiamo conto che neppure la scienza contemporanea ha trovato ancora risposta alle domande kantiane. l’universo è finito o infinito? Newton ne affermava l’infinità, poi con einstein si è fatta strada l’idea di una curvatura dello spazio e quindi di un universo “finito ma illimitato”, cioè sferico (quindi non infinito) ma ▲ Mappa tridimensionale dell’universo neppure limitato. l’ipotesi corrente è che l’universo abbia che contiene galassie fino a un miliardo avuto origine con il big bang e quindi che sia finito, poiché di anni luce dalla Terra, relizzata dall’astronomo della Texas A&M Lucas è in espansione, e non illimitato, perché presumibilmente Macri e dalla sua équipe. a un certo punto l’espansione si arresterà e l’universo tornerà a contrarsi, fino a collassare su se stesso. Anche l’ipotesi newtoniana degli atomi come costituenti ultimi della materia si è ormai dissolta, ma non sappiamo ancora se essi sono composti in ultima analisi di unità discrete, molto più piccole degli atomi, cioè i quark, o addirittura se la materia non sia in fondo che energia condensata in unità elementari, i quanti, come costituenti ultimi della materia stessa. Considerazioni simili, a un livello ancor più lontano da possibili conclusioni ultime della scienza naturale, riguardano le altre due antinomie.

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La funzione regolativa delle idee di ragione Le idee della ragione, pur non avendo funzione conoscitiva, hanno un uso regolativo, nel senso che ci dicono come organizzare il sapere, spingendoci a una visione sempre più organica e significativa dell’esperienza. La dialettica trascendentale porta quindi alla conclusione che la metafisica non potrà mai essere scienza, perché in essa la ragione vuole andare oltre l’esperienza e quindi non ha funzione conoscitiva. Soltanto l’intelletto è costitutivo dell’esperienza, mediante una sintesi che non può prescindere dall’esperienza stessa e dunque entro i limiti che Kant ha ricostruito e che non possono essere superati. Però, il fatto che non possa essere, né divenire scienza, non implica che la metafisica sia inutile. Essa costituisce comunque un’esigenza dell’uomo, che non può accontentarsi delle risposte della scienza ma vuole andare oltre e, seppure consapevole che non potrà mai avere risposte dimostrate, non può fare a meno di porsi le domande analizzate nella dialettica ➝ 27 . Oltre che come esigenza ineludibile, la metafisica ha altre giustificazioni. Intanto, con Kant, si inaugura un nuovo modo di intenderla: essa non è più, sul piano della conoscenza, la ricerca sull’essere in quanto essere, su Dio o sulla sostanza, ma ha come proprio oggetto le strutture a priori costitutive della conoscenza, le caratteristiche del soggetto conoscente e così via, si occuperà cioè dello studio fondativo del soggetto e del sapere, non del mondo o di realtà trascendenti. Ma alle stesse idee metafisiche che ha criticato nella dialettica trascendentale, Kant ▲ L’eclissi di Luna immaginata dagli indiani Mogol assegna un importante ruolo. Egli nega ogni come un serpente che divora la Luna. Pagina tratta pretesa costitutiva dell’esperienza, cioè ogni dal manoscritto “History of Mogol” di Stefano Nivibus pretesa di conoscenza scientifica, ma assegna Cardeira, xviii secolo (Venezia, Biblioteca Marciana). loro una funzione regolativa. Esse, cioè, non ci dicono che cos’è il mondo, l’anima o Dio, ma indirizzano la conoscenza verso una sempre maggiore integrazione. Ad esempio, l’idea di mondo ci indica che tutti i dati dell’esperienza esterna vanno correlati in una unità tendenziale che dia loro un significato complessivo, nonostante che questo compito non possa mai giungere a termine perché ci condurrebbe oltre l’esperienza possibile. La stessa funzione regolativa ha l’idea di «Io» per l’esperienza interiore e quella di «Dio» per ogni esperienza possibile. Le tre idee, quindi, non ci danno risposte, ma ci indicano la direzione di una ricerca destinata a non avere mai fine.

Guida allo sTudio • Che cosa succede quando la ragione pretende di andare oltre l’esperienza? • perché l’Io non è sostanza? • Che cosa sono le antinomie della ragione? • È possibile dimostrare l’esistenza di dio?

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27. COMPETENZE > Pensiero critico

T7 kant La metafisica come esigenza

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È vero: noi non possiamo, oltre ogni esperienza possibile, dare un concetto determinato di ciò che siano le cose in sé. Ma pur non siamo liberi di sottrarci completamente dal ricercarle, giacché l’esperienza non appaga mai completamente la ragione; essa ci rimanda sempre più indietro nella risposta alle quistioni e ci lascia insoddisfatti riguardo alla completa soluzione di esse, il che ognuno può a sufficienza vedere nella dialettica della ragion pura, che perciò appunto ha il suo buon fondamento soggettivo. Chi può sopportare che, riguardo alla natura della nostra anima, si arrivi fino alla chiara coscienza del soggetto e nello stesso tempo alla persuasione che i suoi fenomeni non possono essere spiegati materialisticamente, senza domandare che cosa allora sia propriamente l’anima, e senza ammettere ad ogni modo, quando a ciò non basta un concetto di esperienza, solo a questo scopo un concetto razionale (di un essere semplice immateriale), sebbene non si possa affatto dimostrare la sua realtà oggettiva? Chi può starsene contento alla semplice conoscenza che ci dà l’esperienza in tutte le quistioni cosmologiche della durata e grandezza dell’universo, della libertà o della necessità naturale, quando, si cominci come si voglia, ogni risposta data secondo principi sperimentali genera sempre una nuova domanda, che richiede a sua volta una risposta, e così dimostra chiaramente che ogni spiegazione fisica è insufficiente ad appagare la ragione? Infine chi non vede, nella completa contingenza e dipendenza di tutto ciò che si può pensare ed ammettere stando solo ai principi della esperienza, l’impossibilità di fermarsi a questi, e non si sente costretto, non ostante ogni divieto di perdersi in idee trascendenti, a cercar ancora, al di là di tutti i concetti che egli può giustificare con l’esperienza, riposo ed appagamento nel concetto di un Essere, la cui idea, riguardando un puro essere intellettivo, sebbene non possa neppure esser contraddetta, certo non può essere, in se stessa, intesa nella sua possibilità, idea senza della quale però la ragione dovrebbe rimaner sempre insoddisfatta? (I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, Laterza, Bari 1967, pp.159-60)

Dunque Kant ammette che la metafisica non ha nessuna pretesa conoscitiva, ma resta comunque come esigenza dell’animo umano. Che cosa pensi di questa posizione? Dovremmo semplicemente lasciar cadere domande come quella sul senso della nostra esistenza, sull’esistenza o meno dell’anima o di Dio, oppure, nonostante il fatto che non potremo mai trovare una risposta definitiva e dimostrabile, è giusto e inevitabile continuare a porsele? Anche se la filosofia non può rispondere a queste domande, può contribuire alla nostra ricerca di una risposta?

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LE DOMaNDE DELLa METaFisiCa Kant demolisce la metafisica tradizionale pur conservando un vero amore per essa. A suo parere, nel suo ambito è possibile formulare le domande che ci interessano davvero, come quelle sulla nostra identità e sul nostro destino, sull’immortalità dell’anima, sull’esistenza di Dio, sul senso del mondo e dell’esistenza. la conclusione di Kant non è la rinuncia a queste domande, ma la consapevolezza che la risposta non è di tipo conoscitivo e quindi non è una “verità” dimostrabile. leggiamo le sue considerazioni sulla metafisica.

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• Sintesi

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La Critica della ragion pratica

La critica della ragion pratica ha come oggetto la morale. si pone in stretta continuità con la prima, perché riprende le domande da questa lasciate aperte e propone una risposta. La seconda Critica kantiana viene pubblicata nel 1788, un anno dopo la seconda edizione della prima Critica, ampiamente rivista e in edizione che resterà poi definitiva. Tra le due opere c’è quindi una stretta continuità, secondo la stessa interpretazione di Kant che parla delle tre Critiche come risposta a domande complementari: che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? che cos’è l’uomo? ➝ 28 La Critica della ragion pratica risponde alla seconda domanda e si occupa quindi del comportamento, della prassi («pratica» vuol dire relativa alla prassi, al comportamento) e dei princìpi ai quali si deve ispirare. Lo stretto legame tra le prime due critiche è espresso in modo esemplare in uno dei brani più noti di Kant, in cui indica due cose che riempiono l’animo di «ammirazione e venerazione»: «il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me», cioè da un lato l’universo, di cui si occupa la conoscenza scientifica, quindi la Critica della ragion pura, dall’altro la coscienza, oggetto della Critica della ragion pratica ➝ 29 . Come vedremo, il rapporto è tanto più stretto in quanto la seconda critica dà una risposta alle domande lasciate aperte nella prima, l’esistenza della libertà, di un’anima immortale e di Dio: ciò che non poteva essere dimostrato dall’intelletto può essere posto come postulato della morale.

◀ I progressi della geografia e dell’astronomia, stampa tedesca a colori, xviii secolo (un astrologo straccia una mappa astrologica superata, dal cielo la mano divina ispira le nuove conoscenze).

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28. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

3 LA C RIt IC A DeLLA RAG ION PRAt IC A

LE DOMaNDE DELLE TrE critiche Kant sintetizza in queste domande la finalità delle tre Critiche nella introduzione alla Logica, pubblicata nel 1800. le aveva già formulate nella Critica della ragion pura (p. 495), senza però l’ultima, «Che cos’è l’uomo?». Nel 1800, afferma che tutte le precedenti potrebbero essere ricondotte a questa, a sottolineare la centralità che nella sua “rivoluzione copernicana” assume l’uomo. le prime tre domande fanno riferimento alle tre Critiche.

T8 kant Il compito della filosofia Kant distingue un concetto scolastico e uno cosmico della filosofia. Il primo la considera come l’insieme delle conoscenze filosofiche, come sono esposte nelle scuole; il secondo riguarda ciò che la filosofia può dire sul mondo e sull’uomo. Si noti il riferimento alla metafisica nel nuovo significato di indagine sulle strutture a priori costitutive della conoscenza.

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Ma per quanto concerne la filosofia secondo il concetto cosmico (in sensu cosmico), la si può chiamare anche una scienza della suprema massima nell’uso della nostra ragione, intendendo per massima il principio interno della scelta tra fini diversi. Nel suo secondo significato, la filosofia è infatti per l’appunto la scienza della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione con lo scopo finale della ragione umana, al quale, in quanto fine supremo, tutti gli altri fini sono subordinati e nel quale devono raccogliersi in unità. Il campo della filosofia in questo significato cosmopolitico si può ricondurre alle seguenti domande: 1) Che cosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi è dato sperare? 4) Che cos’è l’uomo? Alla prima domanda risponde la metafisica, alla seconda la morale, alla terza la religione e alla quarta l’antropologia. (I. Kant, Logica, Laterza, Roma-Bari, 1984, p. 19)

29. La paroLa ai testi

T9 Kant L’universo e la morale Il cielo stellato riassume la Critica della ragion pura e la conoscenza scientifica del cosmo, di una realtà infinita e meravigliosa, di fronte alla quale cogliamo la nostra piccolezza non solo per le dimensioni, ma per la perfezione delle leggi meccaniche che regolano l’intero mondo naturale, e noi stessi come esseri fisici. La legge morale, d’altro canto, afferma la mia libertà e la mia dignità, lasciandomi intravedere una vita che si innalza sull’esistenza materiale e si estende all’infinito.

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Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo, a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti i mon-

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Massime e imperativi kant parte dal dato di fatto dell’esistenza di una legge morale universale, che si esprime nella coscienza, chiedendosi come essa sia possibile. Kant assume l’esistenza di una coscienza in grado di dirci che cosa è bene e che cosa è male come un dato di fatto, così come l’esistenza dell’universo e delle leggi che lo regolano. Non si tratta quindi di dimostrare l’esistenza della morale, ma di individuarne le condizioni che la rendono possibile, in modo analogo a ciò che si è fatto nella prima critica relativamente alla conoscenza scientifica ➝ 30. Anche la risposta riprende l’andamento della prima critica: la morale è possibile sulla base di princìpi a priori che danno forma all’esperienza. In questo caso, però, il rapporto con questi due elementi è rovesciato ➝ 31 . Infatti in primo luogo occorre individuare i princìpi generali e poi da questi derivare le diverse norme. Tra le norme morali possiamo distinguere le massime, considerate valide solo per alcuni, e gli imperativi, ritenuti invece validi per tutti. Gli imperativi possono essere ipotetici, se sono subordinati al raggiungimento di un fine, o categorici, se sono validi senza condizioni. Le norme morali possono essere distinte in massime ed imperativi. Le prime vengono considerate come valide soltanto in riferimento all’individuo o a un gruppo (una famiglia o anche una comunità, una società, una cultura): chi le segue non richiede che tutti gli altri lo facciano. Ad esempio, possiamo sentirci moralmente obbligati a prestare soldi a un amico in difficoltà, senza pretendere che tutti si comportino come noi, o possiamo essere vegetariani senza fare dell’astensione dal consumo di carne un principio universale. Gli imperativi vengono considerati invece come norme fondate sulla ragione e quindi ci aspettiamo che vengano seguiti da ogni essere razionale. Essi vengono distinti da Kant in ipotetici e categorici ➝ 32 . I primi sono soggetti al raggiungimento di una finalità e sono considerati validi solo per chi vuole conseguire tale finalità. Un esempio può essere: se vuoi avere dei buoni voti, impegnati nello studio. Si tratta di un imperativo perché chiunque voglia buoni voti deve impegnarsi nello studio, ma non vale ovviamente per chi non è interessato a conseguire tale scopo. Sono invece categorici gli imperativi che devono essere seguiti comunque, senza condizioni, per la loro intrinseca razionalità e indipendentemente da qualsiasi finalità. Ad esempio, sii onesto, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, e così via. Solo gli imperativi categorici si presentano come universali, perché non sono limitati a situazioni o individui particolari come le massime, né sono subordinati a finalità esterne come gli imperativi ipotetici. Come le leggi della scienza sono giudizi sintetici a priori e ci siamo chiesti come fossero possibili, così la morale si fonda su imperativi categorici e Kant si chiede quali caratteristiche abbiano, in modo da individuare le strutture a priori della morale. Abbiamo visto che gli imperativi categorici, gli unici autenticamente morali, devono essere universali (validi per ogni individuo e in ogni circostanza) e non orientati a scopi esterni (cioè devono potersi giustificare in sé stessi e non in relazione a una finalità). Si tratta allora di individuare le caratteristiche della morale che giustifichino queste caratteristiche. Kant le individua nella formalità e nell’autonomia. ◀ Sergej Kostenko, A lezione, 1891, olio su tela (Kiev, Museo Statale di Arte Russa).

Materiali per l’apprendimento attivo

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20

(I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari 2001, Conclusione, p. 353)

audiomappa

30. COMPETENZE > Mappa concettuale

La MOraLE massime

si articola in

ipotetici sono

imperativi

categorici presuppone

dettata

LA LEGGE dalla MORALE

ragione

deve orientare

per questo è universale

autonoma quindi

libertà

volontà deve prevalere sulla

sensibilità

formale

31. PEr CaPirE MEGLiO

i PriNCìPi MOraLi la conoscenza inizia con l’esperienza per poi individuare, in un momento successivo, i concetti puri e le strutture a priori che fondano la conoscenza scientifica. Per la morale, invece, il procedimento è opposto. essa non può partire dall’esperienza, cioè da circostanze particolari, altrimenti varrebbe soltanto in circostanze simili, mentre, come abbiamo visto, Kant muove dal dato di fatto che esista una morale universale. occorrerà quindi individuare i princìpi generali e da questi derivare le norme morali specifiche. 32. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

iMPEraTivO CaTEGOriCO Kant muove dal presupposto che esista una legge morale universale, come è attestato dalla coscienza. Si tratta di capire quale ne sia la natura. essa consta di norme che si pongono come universali, sono cioè leggi. Si distinguono dalle «massime», che sono indicazioni morali ritenute valide per i singoli, cioè soggettive. le leggi morali sono «imperativi», cioè prescrizioni e comandi, validi per tutti. Alcuni sono «ipotetici», cioè legati a una finalità da raggiungere, come quando dico: “se vuoi essere promosso, studia”. In quanto tali, sono universali ma legati a una condizione. In altri termini, è valido per tutti che per essere promossi è necessario studiare, ma chi eventualmente non desideri essere promosso non ne è obbligato moralmente. la legge morale si presenta invece come un imperativo categorico, cioè valido di per sé, senza condizioni e senza finalità esterne.

485 3 LA C RIT IC A DELLA RAG ION PRAT IC A

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di visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuovamente al pianeta (un semplice punto nell’universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme a fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito.

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Le condizioni della morale Perché possa esistere la morale, occorre ammettere alcune condizioni preliminari. La morale presuppone la libertà, inoltre deve essere formale e autonoma. Perché si possa parlare di morale nel senso chiarito da Kant, occorre accettare alcune condizioni preliminari, che vedremo poi in dettaglio. Prima di tutto è necessario riconoscere la libertà, il libero arbitrio. La terza antinomia dell’idea di mondo presentava l’alternativa tra determinismo e libertà. Sul piano conoscitivo non è possibile dimostrare l’una piuttosto che l’altra, ma sul piano pratico non è possibile negare la volontà libera senza negare al tempo stesso la morale. Infatti, se l’uomo non potesse orientare la propria volontà, non ci sarebbe merito né colpa, non ci sarebbe bene né male: una valanga non è malvagia così come la pioggia che feconda il terreno non è degna di lode, perché non scelgono che cosa fare. Dato che l’esistenza della morale è per Kant un dato di fatto, dobbiamo ammettere anche la libertà. In secondo luogo, la morale deve essere universale. Ciò implica che le sue norme non possano riferirsi a circostanze empiriche ma che debbano essere solo formali, cioè che stabiliscano un criterio per giudicare della moralità della norma senza legarla a un contenuto. Per chiarire meglio la differenza tra una morale prescrittiva e una formale possiamo riferirci all’Antico testamento, per la prima, al Nuovo, per la seconda. L’Antico testamento enuncia una serie di norme e di divieti, i dieci comandamenti. Il Nuovo testamento, invece, contiene un solo ordine: ama il prossimo tuo come te stesso. In questo caso, non possiamo parlare di una norma, ma piuttosto di un criterio, in base al quale riconoscere la moralità della norma che seguiamo nel nostro agire. Se applico tale criterio, non rubo, non uccido ecc., e sono in grado di stabilire da solo che cosa è bene o che cosa è male, senza un elenco di prescrizioni o di divieti. In terzo luogo, la morale si fonda, come abbiamo visto, sulla razionalità della norma, cioè sulla ragione, quindi sull’uomo stesso. Non ho bisogno di comandi esterni, fossero pure divini, ma è la mia ragione a dirmi che cosa è morale e che cosa non lo è. Ne consegue che la morale dipende solo dall’uomo, cioè che è autonoma. La morale, dunque, deve essere formale e autonoma e presuppone la libertà. Vediamo con ordine queste caratteristiche.

Una morale formale L’universalità della morale impone che essa sia formale, priva di contenuto. Deve esprimere il criterio in base al quale poter riconoscere la moralità della norma che si sta seguendo. il criterio che ne risulta è l’universalizzazione della norma per valutarne la razionalità o meno. La morale, per essere universale, prescinde dal contenuto e deve indicare solo la forma in base alla quale giudicare la moralità della nostra azione ➝ 33 . Kant traduce questa esigenza nella legge fondamentale della ragion pratica. L’imperativo categorico non è una norma ma un criterio e quindi, a differenza degli esempi che proponevamo sopra, è unico. Ad esso faremo riferimento per giudicare da noi stessi se la norma che seguiamo è morale o meno. Esso viene formulato da Kant in questo modo: «Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale». Ogni volta che agiamo, seguiamo una massima. Possiamo capire se questa massima è morale o meno chiedendoci che cosa succederebbe se diventasse una legge universale, obbligatoria per tutti gli uomini. Consideriamo un esempio che chiarisce questa prospettiva. Immaginiamo che chieda un prestito a un amico e che trovi difficoltà nel restituirlo. Fare

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33. PEr CaPirE MEGLiO

34. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

Film

FiLOsOFia E CiNEMa Julio Cabrera, nel suo Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film ( Mondadori, Milano 2000) utilizza il celebre film di Fred zinnemann su thomas More, Un uomo per tutte le stagioni (1966), per esemplificare la filosofia kantiana, sottolineandone appunto il riferimento alla morale del dovere. Storicamente, More si oppone al divorzio di enrico vIII e alla nuova Chiesa anglicana, subendo per questo persecuzioni fino alla condanna a morte. Dal film emerge la coerenza con l’imperativo morale della ragione, senza esitazioni né compromessi. Scrive Cabrera: «Per niente eroico, il film mostra un tommaso vulnerabile, sofferente, assolutamente sovrumano sì, ma, allo stesso tempo, serenamente convinto della rettezza della propria posizione, e quasi letteralmente imprigionato in essa, come se dinanzi alla terrificante oggettività della morale non potesse avere altra scelta. In questo senso il suo comportamento potrebbe dirsi sicuramente “kantiano”» (Op. cit., p. 155). - Dopo aver visto il film, o esserti documentato su di esso, commenta alla luce della vicenda la citazione di Cabrera e in particolare la frase «come se dinanzi alla terrificante oggettività della morale non potesse avere altra scelta».

onore al mio impegno richiederebbe un grande sacrificio per me e per la mia famiglia mentre il mio amico non ha un grande bisogno di quel denaro. Mi comporto moralmente se non restituisco il prestito? Applichiamo il nostro criterio: non onorare i propri debiti diventerebbe una legge universale, tutti si comporterebbero così. Ne seguirebbe, però, che nessuno presterebbe più denaro e quindi l’istituto stesso del prestito scomparirebbe. Generalizzare la mia azione ne fa emergere immediatamente l’irrazionalità e quindi l’immoralità. Proprio perché è razionale, la norma non prevede eccezioni. Kant propone un esempio molto più drastico, con riferimento a Thomas More ➝ 34 . Immaginiamo che a un uomo venga chiesto da individui molto potenti di dire il falso per calunniare una persona che vogliono screditare. Egli si oppone. Per questo, viene perseguitato, gli si tolgono tutti i beni, si riduce la sua famiglia alla fame, lo si minaccia di imprigionarlo e persino di ucciderlo. Eppure egli rimane fedele al principio che impone di non mentire e accetta serenamente tutte queste conseguenze. La morale di Kant è molto rigorosa e non ammette eccezioni, per nessun motivo, alle norme che l’imperativo categorico ci indica come razionali.

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LE MOraLi NON FOrMaLi la morale formale di Kant si contrappone a quella dei contenuti, composta cioè di precetti e di prescrizioni che la riconducono all’ambito empirico, compromettendone quindi l’universalità. Il fatto che la morale sia universale implica infatti che sia indipendente dagli specifici contenuti empirici. una morale di questo tipo, infatti, sarebbe valida soltanto in determinate situazioni e non in altre. Kant sottolinea come la formalità consista in criteri da tenere presenti, lasciando poi alla ragione di ogni uomo la loro applicazione nelle circostanze particolari in cui si trova ad agire.

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La ragione e la morale del dovere La volontà umana può essere orientata sia dalla ragione sia dalla sensibilità. Proprio per questo la scelta basata sull’imperativo categorico si impone come un dovere, come qualcosa che la ragione ci indica come giusto, anche se spesso in contrasto con le nostre tendenze naturali. Il rigorismo di Kant deriva dalla considerazione che il comportamento umano può essere determinato da due componenti: la ragione da un lato, la sensibilità dall’altro. Con questo secondo termine Kant intende tutto ciò che non rientra nella ragione: affetti, sentimenti, pulsioni, passioni. Mentre la sensibilità è individuale e quindi particolarizza, la ragione è universale e quindi le norme che ad essa si conformano sono valide per tutti gli uomini e per tutti i tempi. La volontà deve quindi seguire la ragione e non lasciarsi influenzare dalla sensibilità, senza considerare le conseguenze ma unicamente la razionalità della norma. Il nostro comportamento, quindi, deve conformarsi alla ragione semplicemente perché questo è il nostro dovere come esseri razionali, senza altre considerazioni. Per questo la morale kantiana è detta anche morale del dovere ➝ 35 . Per lo stesso motivo, la morale di Kant è considerata una morale dell’intenzione ➝ 36 . Infatti, la moralità o meno della nostra azione non va valutata in base ai risultati conseguiti, ma sulla base dell’intenzione di chi agisce: se intendiamo conformare la nostra volontà alla ragione, allora la nostra azione è morale, anche se in questo modo dovessimo danneggiare qualcuno.

Il rispetto per l’umanità La seconda formula dell’imperativo categorico impone il rispetto dell’umanità, sia in noi sia negli altri. Nella Critica della ragion pratica, Kant identifica l’imperativo categorico con la sola formulazione che abbiamo analizzato sopra. Nella Fondazione della metafisica dei costumi, del 1785, questa formulazione veniva maggiormente articolata ➝ 37 . L’imperativo categorico è unico, ma può essere formulato in vario modo, mettendone in primo piano aspetti diversi. La seconda “formula” dell’imperativo categorico afferma: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo». Nella convivenza civile, ogni persona è anche un mezzo per l’altra: il datore di lavoro è un mezzo per l’operaio perché gli corrisponde lo stipendio, ma anche questi è mezzo per quello, perché gli fornisce mano d’opera; gli alunni sono un mezzo per l’insegnante perché gli assicurano lo stipendio e l’insegnante è un mezzo per gli alunni perché forma il loro sapere; anche i genitori sono un mezzo per i figli perché assicurano loro il mantenimento e viceversa, i figli consentono ai genitori di avere un’assistenza per la vecchiaia, e così via. Kant non esclude tutto ciò, ma afferma che, al di là dell’utilità che gli altri ci possono procurare, bisogna sempre trattarli anche come fini, rispettarne cioè la dignità, l’umanità che è in loro. Lo stesso rispetto lo dobbiamo a noi stessi, indipendentemente dall’autostima, in considerazione dell’umanità che è in noi. ◀ Inghilterra, rivoluzione industriale: interno di una fabbrica inglese a Soho, Birmingham dove James Watt e il suo collega stanno realizzando la macchina a vapore, xix secolo, incisione colorata.

Materiali per l’apprendimento attivo 35. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

36. PEr CaPirE MEGLiO

La MOraLE DELL’iNTENZiONE Per capire meglio il significato della morale del dovere e dell’intenzione, confrontiamola con quella utilitaristica, che si affermerà in Gran Bretagna all’inizio dell’ottocento. Secondo questa morale, dobbiamo cercare di ottenere il maggior bene possibile per il maggior numero di persone. la moralità della nostra azione è dunque data dal risultato. Facciamo un esempio concreto. Siamo in Italia, durante la Seconda guerra mondiale. Nella nostra casa nascondiamo alcuni ebrei, ricercati dai soldati nazisti. Questi bussano alla nostra porta e ci chiedono se stiamo ospitando ebrei. Secondo Kant, l’imperativo morale ci impone di non mentire, perché se tutti mentissero il mondo non sarebbe più affidabile e la società non potrebbe sussistere. Il nostro dovere è dunque quello di dire la verità. Dovremmo quindi dichiarare la presenza dei nostri ospiti. Secondo un utilitarista, al contrario, il bene delle persone che proteggiamo ci impone di mentire, in modo da evitare che vengano uccise o deportate. La morale dell’intenzione va nella stessa prospettiva di quella del dovere, ma suggerisce esempi diversi. Ad esempio, vengo a sapere che il sindaco della mia città prende delle tangenti da un imprenditore locale. Si tratta di un politico disonesto ma molto scaltro, che negli ultimi anni ha favorito lo sviluppo della mia città, creando migliaia di posti di lavoro e facendo così del bene, senza volerlo, a tanta gente. In realtà il suo scopo era unicamente quello di favorire alcuni imprenditori poco onesti. Se lo denuncio, probabilmente dovrà dimettersi e gli imprenditori che aveva favorito andranno in galera, ma ciò produrrà una vera crisi economica nella mia città, con conseguente disoccupazione di molte persone. Secondo Kant, denunciarlo è la scelta migliore, perché l’azione è morale e va seguita a prescindere dalle conseguenze. Ciò che conta è la moralità della mia intenzione. In un’ottica utilitaristica, invece, dovremmo valutare la gravità dei reati e quella delle conseguenze e scegliere se denunciarlo o meno soppesando questi diversi aspetti.

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DOvErE Per Kant la morale è universale in quanto fondata sulla ragione, cioè la norma morale si presenta come la regola del comportamento razionale in relazione a un determinato ambito. Nell’esempio del prestito discusso nel profilo, la norma morale impone la restituzione del debito perché in caso contrario si dissolverebbe lo stesso istituto del prestito, perché diventerebbe irrazionale. Se la norma è morale in quanto razionale, allora, come esseri razionali, dobbiamo seguirla, senza considerare l’utilità o meno né le conseguenze che possono derivare dalla nostra azione. le morali centrate sul dovere, come quella kantiana, vengono dette «deontologiche» e si chiedono che cosa è giusto fare in una determinata situazione. Si distinguono dalle morali «consequenzialistiche», che valutano invece la moralità dell’azione sulla base delle conseguenze, positive o negative per se stessi e per gli altri, che ne derivano.

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L’autonomia della morale La terza formula dell’imperativo categorico afferma l’autonomia della legge morale. essa non deve infatti derivare né da motivi esterni, come l’educazione, la società o la stessa volontà di dio, né da motivi interni, come il piacere o la ricerca della perfezione. La morale è autonoma nella misura in cui si fonda unicamente sulla ragione, sulla razionalità della norma. La terza formula dell’imperativo categorico recita: «non compiere alcuna azione secondo una massima diversa da quella suscettibile di valere come legge universale, cioè tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice» (Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, Utet, Torino 1970, p. 93). Sembra molto simile alla prima e infatti stiamo parlando di formulazioni diverse dello stesso principio. In questo caso, però, Kant sottolinea un altro aspetto dell’imperativo categorico, l’autonomia. La parte più interessante è quella finale: la volontà deve potersi considerare universalmente legislatrice, cioè deve poter considerare se stessa come il fondamento della morale. L’autonomia va intesa nei confronti di autorità esterne, dalla società fino a Dio, ma anche da pulsioni interne, quelle che fanno riferimento alla sensibilità, come abbiamo visto sopra. Kant analizza le varie morali eteronome, mostrandone l’insufficienza. Possiamo riassumere questa rassegna nella seguente tavola. TaVola dEllE moRali ETERonomE motivi soggettivi esterni interni del del dell’educazione del governo sentimento sentimento (Montaigne) civile morale (Mandeville) fisico (Hutcheson) (epicuro)

motivi oggettivi interni esterni della volontà della di Dio perfezione (Crusius e gli (Wolff e gli altri moralisti stoici) teologi)

Le teorie eteronome ritengono che la morale seguita dagli individui (quindi considerata non universale, come invece fa Kant) dipenda da fattori indipendenti dall’uomo, o meglio, dalla ragione. Tra i motivi cui le diverse teorie fanno riferimento, ci sono anche quelli interni, dipendenti quindi dal soggetto ma, appunto, non dalla ragione che per Kant, come abbiamo visto, è il fondamento dell’autonomia della morale. Kant classifica le diverse teorie eteronome a seconda dei fattori che privilegiano, dividendoli in soggettivi (legati ai singoli individui) e oggettivi (riferiti a motivi indipendenti dai soggetti). Tra i primi, possiamo distinguere i motivi soggettivi esterni, cioè relativi ai singoli ma riferibili a ciò che proviene loro dall’esterno. Ad esempio, Montaigne ritiene che la morale derivi dall’educazione, Mandeville dalla società in cui l’individuo vive. Ci sono poi i motivi soggettivi interni, cioè provenienti dallo stesso individuo: Epicuro pensa che consideriamo “bene” ciò che produce in noi piacere, “male” ciò che provoca dolore, Hutcheson, come gli altri moralisti inglesi, ritiene che la morale sia un sentimento della stessa natura di quello estetico, una reazione di gradevolezza o di ripulsa verso fatti o comportamenti. I motivi oggettivi sono ricondotti all’idea di perfezione morale o alla volontà di Dio, come sostengono più o meno tutte le diverse religioni monoteistiche. Neppure la volontà di Dio, secondo Kant, può guidare le nostre scelte morali, altrimenti non sarebbero morali. Se, infatti, facessimo qualcosa perché Dio lo vuole o perché lo prescrivono i Comandamenti, non fonderemmo la moralità della norma sulla ragione e quindi non seguiremmo la morale.

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37. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

38. attivitÀ >

Compito di realtà

Le sCeLte MoraLi registra le scelte morali che compi nell’arco di una settimana e individua per ognuna il motivo o i motivi che l’hanno determinata, cercando di collocarle nella tabella delle morali eteronome oppure riconoscendola come autonoma. Puoi estendere la ricerca e l’analisi anche a scelte compiute da altre persone, compagni di classe, insegnanti, genitori, amministratori locali… per ognuna compila una scheda in cui registrerai la data e il luogo, il soggetto che opera la scelta e le persone coinvolte, la descrizione della scelta morale e l’indicazione dei motivi da cui deriva.

A maggior ragione, non agiremmo moralmente se facessimo qualcosa per assicurarci la salvezza dell’anima, perché agiremmo in modo utilitaristico. La morale del dovere impone di seguire unicamente ciò che è giustificato e dettato dalla ragione ➝ 38 . L’analisi di Kant non esclude ovviamente che molte delle nostre scelte siano riconducibili all’educazione, alla società, alla fede che abbiamo e così via. Afferma però che queste scelte non sono morali, ma di altro tipo e quindi, prima di tutto, non possiamo considerare universali le norme da cui derivano, perché non valgono per chi ha diversa fede religiosa o vive in una diversa società.

Guida allo sTudio • Qual è la differenza tra massime e

• Che cosa vuol dire «autonomia della

imperativi? E tra imperativi ipotetici e categorici? • perché si parla di «formalità» della legge morale? • perché quella kantiana è definita «morale del dovere»? E perché «morale dell’intenzione»?

morale»? • Su che cosa deve fondarsi la morale per essere autonoma? • Che cosa implica considerare l’umanità «sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»?

3 lA C RIT IC A DELLA RAG ION PRAT IC A

La fondazione della metafiSica dei coStumi la Critica della ragion pratica è preceduta e preparata, tre anni prima, dalla Fondazione della metafisica dei costumi (1785). Kant divide la filosofia in tre ambiti: logica, fisica ed etica. Dato che la logica è puramente formale e priva di un oggetto, poiché riguarda unicamente le leggi del ragionamento, la filosofia deve occuparsi della fondazione della fisica e dell’etica. Abbiamo, quindi, una metafisica della natura e una metafisica dei costumi, che hanno come oggetto l’individuazione dei principi fondamentali dei due ambiti, in ognuno dei quali possiamo distinguere una parte razionale e una empirica. Per quanto riguarda l’etica, la parte razionale è la «morale», in quanto consta di norme universali stabilite dalla ragione, quella empirica è «l’antropologia pratica», cioè lo studio dei costumi che cambiano da popolo a popolo e da epoca a epoca, poiché sono legati alle circostanze. Kant dichiara di volersi occupare soltanto del primo ambito (la morale) e di dedicare l’opera soltanto alla sua fondazione, cioè all’individuazione di un principio supremo della moralità, che è il criterio di universalizzazione poi ripreso nell’opera maggiore («mi debbo comportare in modo da poter anche volere che la mia massima divenga una legge universale», in Scritti morali, utet, torino 1970, p. 58).

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L’antinomia della ragion pratica e i postulati della morale L’uomo sente l’esigenza del sommo bene, unione di virtù e felicità, non come causa ma come conseguenza della virtù. Perché esso sia possibile, occorre ammettere alcuni postulati: il primo, generale, è la libertà, ma se vogliamo sperare che alla virtù corrisponda la felicità dobbiamo ammettere anche l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio. Quello che possiamo considerare il piano empirico della morale, cioè il comportamento, deve derivare, come abbiamo visto, da norme conformi all’imperativo categorico e quindi deve essere orientato unicamente dal dovere. Come per la ragione teoretica, una volta determinato l’ambito fenomenico restava tuttavia nell’uomo la tendenza ad andare oltre per attingere alla totalità (mediante le idee di io, di mondo e di Dio), anche nell’ambito della ragion pratica troviamo una tendenza verso il raggiungimento della totalità, che vada oltre il piano del comportamento e delle norme che devono guidarlo. Anche in questo caso, dunque, si parla di dialettica, la dialettica della ragion pratica. Ciò che equivale alla totalità, in ambito pratico è il sommo bene, che viene definito come la sintesi di virtù e felicità. La virtù riguarda l’orientamento della volontà secondo la ragione, mediante tutti i passaggi che abbiamo analizzato fin qui. La felicità, invece, non rientra nella moralità come causa, perché se siamo virtuosi per essere felici non ci comportiamo moralmente, ma seguiamo una morale eteronoma, poiché motivata da altro, ossia da fattori non legati alla ragione e al dovere. Avvertiamo però che alla virtù in qualche modo deve accompagnarsi la felicità. Il rapporto tra virtù e felicità determina la cosiddetta antinomia della ragion pratica: come per la ragion pura, si tratta di una tesi e un’antitesi tra le quali non sembra possibile decidere. Essa vien formulata da Kant come segue: «o il desiderio della felicità dev’esser la causa movente per la massima della virtù, o la massima della virtù dev’esser la causa efficiente della felicità» (Critica della ragion pratica, p. 249). Come abbiamo visto, la prima alternativa (essere virtuosi per raggiungere la felicità) va negata, ma la seconda non è contraddittoria e possiamo quindi sperare che si realizzi. In altri termini, dobbiamo comportarci secondo ragione a prescindere dalla felicità o meno, però possiamo sperare che a un comportamento virtuoso possa far seguito (come conseguenza, non come causa) la felicità ➝ 39 . Ciò non avviene in questa vita, anzi, come abbiamo visto, il rigorismo morale può essere causa di infelicità nell’immediato, ma non possiamo escludere che possa avvenire in una vita futura. Si noti che Kant abbandona qui il terreno di ciò che possiamo dimostrare razionalmente e apre a possibilità che sono soltanto speranze, anche se si tratta di speranze ragionevoli, perché possiamo sostenerle con alcune argomentazioni. Il ragionamento di Kant può essere espresso come segue: se vogliamo sperare che il sommo bene sia possibile, allora dobbiamo ammettere alcune condizioni, senza le quali non se ne potrebbe parlare. Si tratta quindi di postulati, di tesi che bisogna accettare se vogliamo sostenere la conclusione che ne deriva. Il primo postulato, che riguarda però, come abbiamo visto, la moralità in genere e non il sommo bene, è la libertà. Se non fossimo liberi non avrebbe senso parlare di moralità. Però la libertà è anche condizione per il sommo bene, perché se non fossimo liberi non avremmo merito nell’essere virtuosi e dunque non potremmo aspettarci nessuna felicità ➝ 40. Il secondo postulato è l’immortalità dell’anima, dato che la corrispondenza tra virtù e felicità non esiste sicuramente nella vita terrena. L’ultimo postulato afferma l’esistenza di Dio, come garante della possibilità che esista una vita eterna e che in essa possa realizzarsi il sommo bene. L’esistenza di Dio rimane dunque non dimostrabile razionalmente, estranea alla conoscenza scientifica. Essa è un’esigenza morale, una risposta ai nostri problemi esistenziali.

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39. La ParOLa ai TEsTi

L’antinomia della ragion pratica propone una soluzione simile al problema del determinismo nell’ambito della ragion pura, distinguendo tra mondo fenomenico e noumenico. Nel primo ambito non possiamo ammettere la libertà perché vanificherebbe le leggi della natura, ma possiamo recuperarla nel mondo noumenico. Similmente, nel mondo dell’esperienza sicuramente alla virtù non fa seguito la felicità, ma non possiamo escludere che ciò avvenga in un’altra vita, garantita da Dio. Queste soluzioni, però, accentuano un dualismo che si pone come il problema principale della filosofia kantiana.

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Nell’antinomia della ragion pura speculativa si trova un contrasto simile fra necessità naturale, e libertà nella causalità degli eventi del mondo. Esso fu tolto col dimostrare che non c’è un vero contrasto se gli eventi, ed anche il mondo in cui essi avvengono, si considerano (come appunto si deve fare) soltanto quali fenomeni; perché un solo e medesimo essere, agente come fenomeno (anche davanti al proprio senso interno), ha una causalità nel mondo sensibile, che è sempre conforme al meccanismo naturale; ma rispetto allo stesso evento, in quanto la persona agente si consideri nello stesso tempo come noumeno (come intelligenza pura, nella sua esistenza non determinabile secondo il tempo), può contenere un motivo determinante di quella causalità secondo leggi naturali, libero esso stesso da ogni legge naturale. Con la presente antinomia della ragion pura pratica avviene appunto lo stesso. La prima delle due proposizioni, e cioè che la ricerca della felicità produca un motivo d’intenzione virtuosa, è falsa assolutamente; ma la seconda, e cioè che l’intenzione virtuosa produca necessariamente la felicità, non è falsa assolutamente. Siccome, per altro, non solo ho il diritto di concepire la mia esistenza anche come noumeno in un mondo intelligibile, ma nella legge morale ho anche un motivo puro intellettuale determinante della mia causalità (nel mondo sensibile), così non è impossibile che la moralità dell’intenzione abbia una connessione, se non immediata, almeno mediata (mediante un autore intelligibile della natura), e invero necessaria come causa, con la felicità come effetto nel mondo sensibile. (I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 249-51)

40. CoMpetenZe > pensiero critico

La Libertà CoMe postuLato Kant afferma la libertà come postulato della morale, cioè come condizione senza la quale non si potrebbe parlare di morale. Infatti, se il comportamento umano fosse determinato da leggi naturali in modo meccanicistico, allora non vi sarebbe nessuna responsabilità, non vi sarebbero meriti né colpe, tutto semplicemente accadrebbe come deve accadere, come quando in seguito a un terremoto muoiono migliaia di persone: nessuno parlerebbe, se non in senso metaforico, di “terremoto assassino”, perché il terremoto, ovviamente, non può avere la “volontà” di uccidere. Però, di fatto, Kant esclude che si possa dimostrare l’esistenza del libero arbitrio. Dal punto di vista conoscitivo, non possiamo andare oltre la terza antinomia, con le due tesi contrapposte e indecidibili sulla possibilità o meno che oltre alla causalità «secondo leggi della natura» esista anche una «causalità libera». Come abbiamo visto, i principali filosofi del Seicento, da Cartesio a Hobbes, da Spinoza fino a leibniz, negano di fatto che l’uomo possa decidere veramente. Cartesio aveva confinato il determinismo nell’ambito della res extensa, la materia, riconoscendo invece libertà allo spirito, alla res cogitans. Anche nella posizione di Kant si coglie un dualismo di fondo, non tra materia e spirito, ma tra fenomeno e noumeno. In ambito fenomenico, oggetto della conoscenza scientifica, sembra di poter escludere la libertà, come affermano i princìpi sintetici dell’intelletto puro denominati «analogie ▶▶

3 LA C RIT IC A DELLA RAG ION PRAT IC A

T10 kant Il superamento dell’antinomia della ragion pratica

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I postulati della ragion pratica non mettono in discussione l’autonomia della morale: dobbiamo essere virtuosi per seguire la nostra natura di esseri razionali, indipendentemente dall’immortalità dell’anima o dall’esistenza di Dio. La morale kantiana può essere in ogni caso riassunta nel motto «il dovere per il dovere» ➝ 41 . Però sentiamo l’esigenza del sommo bene e per sperare che possa essere soddisfatta dobbiamo ammettere tali eventualità.

Il primato della ragion pratica Tra la prima e la seconda critica sussiste un dualismo: la ragion pura ci presenta un mondo regolato dal meccanicismo e dalla necessità, la ragion pratica impone l’esistenza della libertà. Questo dualismo verrà risolto nella terza critica, ma intanto kant afferma il primato della ragion pratica, cioè il prevalere delle esigenze della morale su quelle della conoscenza. Nelle ultime pagine della Critica della ragion pura, Kant si chiede se non sarebbe preferibile poter conoscere ciò che i postulati della ragion pratica pongono solo come condizione necessaria per il sommo bene. Risponde con un’argomentazione simile a quella del «Dio nascosto» di Pascal: se Dio si mostrasse chiaramente alla ragione in tutta la sua maestà, tutti gli uomini si comporterebbero secondo il suo volere, ma lo farebbero per paura o per meritare la felicità eterna, quindi non secondo la morale, che impone il dovere per il dovere, senza motivazioni di altro tipo. Tutti si comporterebbero bene, ma la condotta dell’uomo «sarebbe mutata in un semplice meccanismo, in cui, come nel teatro delle marionette, tutto gesticolerebbe bene, ma nelle figure non si troverebbe vita alcuna» (Critica della ragion pura, p. 323). La conoscenza resta quindi limitata al mondo dei fenomeni. Kant ha così delineato due mondi profondamente eterogenei: quello della scienza, basato sulla causalità e sul determinismo, in cui non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio o l’immortalità dell’anima, e quello della morale, che esige come condizione, contro il determinismo, che l’uomo sia libero e pone come esigenza la vita eterna e l’esistenza di Dio. Kant propone una prima soluzione del problema già in quest’opera, nella Dialettica della ragione pratica, il cui terzo paragrafo è intitolato: Del primato della ragion pratica nella sua unione con la speculativa. La giustificazione del primato della ragion pratica non sembra però risolvere il problema, perché si limita ad affermare che l’interesse pratico è più importante per l’uomo di quello teoretico «perché ogni interesse, infine, è pratico, e anche quello della ragione speculativa è soltanto condizionato e completo unicamente nell’uso pratico» (Ivi, p. 267). Il problema resta in realtà aperto e riguarda il fatto se al di là del mondo fenomenico, il mondo in sé, quello noumenico, inconoscibile per l’intelletto, possa consentire la moralità e il sommo bene. La soluzione di questo problema costituisce una delle finalità principali della Critica del giudizio.

Guida allo sTudio • Che cos’è l’antinomia della morale? Come viene risolta da Kant? • perché Kant parla di «primato della ragion pratica»? • Quale problema intende risolvere?

Materiali per l’apprendimento attivo

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41. La ParOLa ai TEsTi

T11 kant Inno al dovere Kant distingue tra legalità e moralità. Possiamo agire, scrive, «conformemente al dovere» oppure «per il dovere»: nel primo caso seguiamo la legge morale ma con motivazioni diverse (ad esempio, la ricerca della lode o il timore della pena), nel secondo caso, la moralità: «il valore morale dev’esser posto soltanto in ciò che l’azione avvenga per il dovere, cioè semplicemente per la legge» (p. 177) seguendo i dettami della ragione. La centralità del dovere è sottolineata in questo celebre passo.

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Dovere! nome sublime e grande, che non contieni niente di piacevole che implichi lusinga, ma chiedi la sommissione; che, tuttavia, non minacci niente donde nasca nell’animo naturale ripugnanza e spavento che muova la volontà, ma esponi soltanto una legge che da sé trova adito nell’animo, e anche contro la volontà si acquista venerazione (se non sempre osservanza); innanzi alla quale tutte le inclinazioni ammutoliscono, benché di nascosto reagiscano ad essa; – qual è l’origine degna di te, e dove si trova la radice del tuo nobile lignaggio, che ricusa fieramente ogni parentela con le inclinazioni? radice da cui deve di necessità derivare quel valore, che è il solo che gli uomini si possono dare da se stessi. Non può essere niente di meno di quel che innalza l’uomo sopra se stesso (come parte del mondo sensibile), ciò che lo lega a un ordine delle cose che soltanto l’intelletto può pensare, e che contemporaneamente ha sotto di sé tutto il mondo sensibile e, con esso, l’esistenza empiricamente determinabile dell’uomo nel tempo e l’insieme di tutti i fini (il quale solo è conforme a leggi pratiche incondizionate, come la legge morale). Non è altro che la personalità, cioè la libertà e l’indipendenza dal meccanismo di tutta la natura, considerata però nello stesso tempo come facoltà di un essere soggetto a leggi speciali, e cioè a leggi pure pratiche, date dalla sua propria ragione; e quindi la persona, come appartenente al mondo sensibile, è soggetta alla sua propria personalità, in quanto appartiene nello stesso tempo al mondo intelligibile. Non è dunque da meravigliarsi se l’uomo, come appartenente a due mondi, non debba considerare la sua propria essenza, in relazione alla sua seconda e suprema determinazione, altrimenti che con venerazione, e le leggi di questa determinazione col più grande rispetto. (I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 189-91)

Guida alla lettura. la seconda parte del brano anticipa alcuni temi della Critica del giudizio e afferma al tempo stesso l’indipendenza dell’uomo dal meccanicismo della natura. Il dovere, cioè la possibilità di agire secondo ragione in modo autonomo rispetto a cause esterne, lo innalza al di sopra del mondo fenomenico. Kant riesce così a risolvere la terza antinomia della dialettica trascendentale a favore della «causalità libera», cioè del libero arbitrio. Di conseguenza l’uomo è un essere morale e quindi costituisce il fine della natura. l’uomo appartiene a due mondi, quello fenomenico della scienza e quello noumenico della moralità, che, come vedremo, consentirà di recuperare anche l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio che l’ambito della conoscenza relativa al mondo noumenico non permette di dimostrare.

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dell’esperienza»: se «tutti i cangiamenti avvengono secondo il nesso di causa effetto», allora nella natura non c’è spazio per comportamenti liberi. D’altra parte, se vi fossero, verrebbero meno la necessità e l’universalità delle leggi. In ambito noumenico, invece, dove non c’è conoscenza e dunque verità, possiamo lasciare spazio alla «ragionevole speranza» che l’uomo sia libero e dunque sia un essere morale. Il problema, come abbiamo visto nelle “Questioni d’attualità” del modulo sul razionalismo, è ancora attuale.

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• Sintesi

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La Critica del giudizio

La terza critica cerca di conciliare il meccanicismo del mondo fenomenico con l’esigenza di affermare la libertà come condizione della morale. si tratta, in definitiva, di chiedersi se al di là della spiegazione scientifica, la natura possa, in ambito noumenico, mostrare un senso e una finalità. In termini generali, il problema che si pone a Kant è il significato del noumeno (cioè la realtà in sé, indipendente da noi), o in altri termini: che cos’è la natura? Che posto ha l’uomo in essa? Possiamo andare oltre la conoscenza scientifica della natura, per individuarvi, al di là delle leggi che la regolano, un senso per noi? ➝ 42 Kant formula questa questione con parole diverse, anche se il significato non è dissimile. La conoscenza della natura riposa sulla «legislazione dell’intelletto» e fonda la possibilità di una scienza della natura stessa. All’intelletto si contrappone però la ragione, che afferma la libertà come condizione della morale, in contrapposizione al meccanicismo della scienza. Intelletto e ragione possono essere conciliati dal Giudizio. Del giudizio Kant ha già parlato nella Critica della ragion pura, ma adesso si tratta di considerarlo in altro modo. Nell’ambito della conoscenza, si parla del giudizio determinante: in esso è dato il particolare (la conoscenza sensibile) e l’universale (i concetti puri) e possiamo quindi formulare giudizi conoscitivi sul mondo come è, determinandolo sul piano fenomenico, cioè della conoscenza scientifica. Il giudizio di cui parla la terza critica è invece riflettente ➝ 43 : assume come particolare la sintesi del giudizio determinante (la natura così come la conosciamo) e, partendo da qui, deve cercare l’universale, cioè il senso della natura così come è determinata dalla conoscenza scientifica. Di fronte a un fiore, conosciuto scientificamente dal giudizio determinante, ci chiediamo “perché” è bello, che scopo ha nell’insieme del creato, perché suscita in noi certi sentimenti: questo è l’oggetto del giudizio riflettente. Di fronte alla perfezione della natura, che costituisce una realtà unitaria, ci chiediamo se ha un significato complessivo e qual è il posto dell’uomo in essa. Il giudizio riflettente cerca quindi un significato nella natura in due direzioni complementari: perché accanto alla conoscenza, verso alcuni oggetti avvertiamo un sentimento di bellezza e se in ciò che conosciamo scientificamente c’è anche un significato, una finalità complessiva. Il giudizio riflettente si articola di conseguenza in due ambiti: da un lato il giudizio estetico, relativo alla bellezza, dall’altro il giudizio teleologico, sull’esistenza di una finalità della natura che vada oltre le cause meccaniche che ne spiegano scientificamente il comportamento.

Materiali per l’apprendimento attivo

audiomappa

42. COMPETENZE > Mappa concettuale

bello

estetico

soggettivi ma universali

quando si applica al sublime

IL GIUDIZIO RIFLETTENTE

è

teleologico

finalismo interno

finalità propria di ogni essere vivente

finalismo universale

uomo come fine ultimo della creazione

quando si applica al

la natura sembra organizzata secondo fini

usa la mappa concettuale per organizzare lo studio del capitolo, ritornando a leggerla ogni volta che affronti un nuovo argomento. 43. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

GiuDiZiO riFLETTENTE Il «giudizio riflettente» viene distinto da Kant da quello determinante, proprio della conoscenza scientifica. tecnicamente, un giudizio è dato dall’unione di un soggetto, particolare, con un predicato, universale. Nel «giudizio determinante» (sintetico a priori) entrambi i termini sono dati: il particolare è costituito dall’esperienza, l’universale dalle strutture a priori e la loro sintesi determina gli oggetti così come sono (è la conoscenza scientifica della natura, delle sue leggi e delle sue caratteristiche). Nel giudizio riflettente, invece, il particolare è dato, come oggetto della natura conosciuto dal giudizio determinante, mentre l’universale deve essere cercato. In termini più semplici, il giudizio determinante ci dice come è fatto un fiore e quali cause lo hanno prodotto, quello riflettente parte dal fiore per chiedersi perché la sua vista suscita in noi un sentimento di armonia che chiamiamo bellezza. o ancora, il giudizio determinante ci dice come è fatto l’uomo, come funzionano i diversi organi e come garantiscono la sopravvivenza dell’organismo, il giudizio riflettente, partendo dall’uomo, ci fa porre la domanda se la sua vita (la nostra vita) abbia un senso e una finalità.

▶ Pianta di Hibiscus syriacus chinensis, 1852 ca, disegno.

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La critica del giudizio

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Il giudizio estetico: il bello e il sublime il bello è soggettivo ma universale: dipende dal soggetto, ma è legato al sentimento del gusto, una struttura a priori simile in tutti gli uomini. L’estetica è modellata da kant sulle stesse tipologie delle categorie. Per la qualità, il bello è disinteressato, per la quantità è universale, per la relazione è formale, per la modalità è oggetto di un piacere necessario. Dal bello è distinto il sublime, che è dato dall’immensamente grande o dall’immensamente potente. il sublime non è nelle cose, ma nel sentimento che proviamo di fronte alla grandezza o alla forza della natura.

La rivoluzione copernicana in estetica Una delle innovazioni di Kant, che egli stesso sottolinea, è una vera e propria “rivoluzione copernicana” in filosofia: il soggetto viene posto al centro della conoscenza, modellata dalle sue strutture a priori, e della morale, caratterizzata dall’autonomia e quindi dall’indipendenza da ogni autorità esterna. La stessa prospettiva caratterizza l’estetica. La natura del “bello”, per Kant, è soggettiva: non sono le cose a essere belle, ma è il nostro modo di vederle che le fa essere tali. Non ha senso quindi parlare di “canoni” estetici, cioè delle caratteristiche che devono avere le cose per essere avvertite come belle. La bellezza è in noi ma, come abbiamo già visto per la conoscenza e per la moralità, non è né arbitraria né individuale. Anche il giudizio estetico, infatti, è una sintesi dei dati empirici (gli oggetti naturali) e delle strutture a priori: il giudizio di gusto poggia sul sentimento del gusto che è una struttura trascendentale comune a tutti gli uomini.

Il bello Questa formulazione risolve quella che Kant definisce l’antinomia del gusto: da un lato, de gustibus non est disputandum, dall’altro nel formulare un giudizio estetico si presume che esso valga per tutti gli esseri umani. Per risolvere questa apparente contraddizione, occorre distinguere il piacevole dal bello. Ciò che è piacevole lo è in relazione ai singoli individui: a me piace il cioccolato ma non pretendo che piaccia a tutti, mentre di fronte alla Gioconda provo un sentimento che ritengo sia simile in tutti gli esseri umani. Questa differenza si spiega considerando che il piacevole dipende dalla sensibilità, diversa da individuo a individuo, mentre il bello dipende da una struttura trascendentale (il sentimento del gusto) propria dell’uomo in quanto tale, quindi il giudizio che ne risulta è universale. Il bello è l’accordo della natura con il nostro sentimento di gusto, come se alcuni oggetti della natura fossero orientati al nostro piacere estetico ➝ 44. In quanto struttura trascendentale, anche il sentimento estetico ha delle funzioni specifiche che possono essere analizzate, come Kant fa nella prima parte della critica del giudizio, l’Analitica del bello. In essa individua le caratteristiche del giudizio estetico in relazione alle quattro tipologie delle categorie. Vediamole in dettaglio. 1. Relativamente alla qualità, il bello è «scevro di ogni interesse». Si afferma così l’autonomia del bello, che è indipendente dall’utile, ma anche dal piacevole e persino dal bene. Un dipinto non è bello per il suo valore, o perché rappresenta un soggetto che mi è caro o che mi è ideologicamente vicino, e così via. 2. Relativamente alla quantità, il bello è «ciò che è rappresentato, senza concetti, come l’oggetto di un piacere universale» (Critica del Giudizio, 6, p. 89). Qui l’accento è posto sulla universalità del bello, ma si sottolinea al tempo stesso che il giudizio estetico è «senza con-

Materiali per l’apprendimento attivo

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44. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

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arTE E NaTura iN kaNT l’estetica kantiana riguarda prevalentemente la natura, in particolare relativamente al sublime. tuttavia, anche la sua definizione dell’artista influenzerà fortemente il romanticismo. Possiamo riassumere la posizione kantiana con la frase «il genio è ragione che crea come natura». Nell’artista in quanto tale, accanto all’elemento razionale e intenzionale, sussiste una produttività spontanea per cui l’opera d’arte deve risultare un prodotto naturale, non concettuale, pur essendo conforme a regole che rendono il bello universale.

▲ Joseph Wright of Derby, Paesaggio con arcobaleno, 1794 (Derby, Derby Museum).

la finalità nei prodotti delle arti belle, sebbene sia voluta, deve apparire spontanea; vale a dire, l’arte bella deve presentarsi come natura, sebbene si sappia che è arte. Ma un prodotto dell’arte ha l’apparenza della natura quando sia stata puntualmente ottenuta la conformità alle regole secondo cui soltanto esso può essere ciò che dev’essere, ma senza sforzo, senza che trasparisca la forma scolastica, vale a dire senza che per alcuna traccia si veda che l’artista ebbe la regola sotto gli occhi e le facoltà del suo animo furono inceppate. (I. Kant, Critica del giudizio, 307, laterza, roma-Bari 2002, p. 291) la spontaneità del genio, che dà la regola all’arte come se fosse la stessa natura a darla, è ribadita subito dopo, fissando una prospettiva che influenzerà l’estetica romantica: Il genio è il talento (dono naturale), che dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttrice innata dell’artista, appartiene anche alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell’animo (ingenium) per mezzo della quale la natura dà la regola dell’arte. (Ibidem) 45. aTTiviTÀ >

rielaborazione

Organizza in una mappa concettuale la teoria del bello, facendo in modo che emergano chiaramente le caratteristiche principali dell’estetica kantiana: la formalità, l’autonomia e l’universalità del bello. cetti», cioè non è argomentabile. Non si può spiegare perché un tramonto è bello, lo si sente. 3. La relazione sottolinea la forma dell’oggetto, come relazione tra le parti. Il bello è «la forma della finalità di un oggetto» (Ivi, p. 109) percepita però senza la rappresentazione d’uno scopo. Kant afferma il carattere formale dell’arte, indipendentemente da ogni finalità esterna e dal contenuto. Si distacca così dalla concezione illuministica di un’arte educativa, impegnata, orientata a promuovere valori civili. L’unica finalità dell’arte è l’armonia formale, le finalità esterne possono riguardare l’ambito politico, sociale, religioso ma non quello estetico. 4. Secondo la modalità «il bello è ciò che, senza concetto, è riconosciuto come oggetto di un piacere necessario» (Ivi, p. 149). Si sottolinea ancora l’universalità dell’arte legata al fatto che il piacere che suscita è «necessario», quindi, nell’ambito estetico, non possiamo decidere se qualcosa è bello o no, se è bello lo avvertiamo necessariamente come tale ➝ 45 .

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Possiamo dire che l’analisi di Kant prefigura già, per molti aspetti, la concezione romantica dell’arte, superando decisamente quella illuministica. Tale considerazione è avvalorata anche dallo spazio che Kant dà al sentimento del sublime, che sarà particolarmente valorizzato dal Romanticismo.

Il sublime Kant riprende la distinzione di Burke tra bello e sublime: mentre il bello è armonia e dà piacere, il sublime è disarmonico e sconcerta, turba. Sono sublimi gli spettacoli della natura immensamente grandi o immensamente potenti: la grandezza di una montagna o dell’oceano, oppure la forza sconvolgente di una tempesta, di un’eruzione vulcanica, di un terremoto ➝ 46. Se relativo alla grandezza, parliamo di sublime matematico, se alla forza di sublime dinamico. In ogni caso, gli spettacoli sublimi (purché osservati senza correre pericolo, precisa Kant), ci superano e ci fanno sentire piccoli, ma al tempo stesso risvegliano in noi il sentimento della nostra dignità come esseri pensanti, sembrano annientarci ma suscitano in noi il sentimento dell’infinito. Ancor più del bello, il sublime è un sentimento soggettivo, è nell’animo umano, non nella natura, che ha unicamente la funzione di suscitarlo in noi ➝ 47 ➝ 48.

Il giudizio teleologico: la finalità della natura La natura, al di là del determinismo della fisica, manifesta un finalismo sia a livello dei singoli organismi, sia a livello generale. per questo secondo aspetto, il fine della creazione è l’uomo, poiché è il solo essere morale e quindi il solo che è fine a se stesso, senza rinviare ad altro. Nonostante l’importanza del giudizio estetico e degli elementi dell’estetica kantiana che anticipano il Romanticismo (l’autonomia dalla conoscenza e dalla morale, il formalismo, l’analisi del sublime…) il principale intento della Critica del giudizio è conciliare la moralità e la libertà umane con il determinismo della fisica: questo riguarda la conoscenza scientifica che, come abbiamo visto, è circoscritta all’ambito noumenico. C’è quindi la possibilità che a livello noumenico la natura non solo consenta la nostra realizzazione morale, ma che sia orientata a favorirla. Kant si pone in ultima analisi il problema se il mondo abbia un senso e una finalità che vadano oltre il suo funzionamento in base a leggi naturali, universali e necessarie. Kant chiarisce che il giudizio teleologico è una prospettiva di ricerca problematica che non mette in discussione in nessun modo lo studio scientifico della natura. La scienza si basa infatti su giudizi determinanti, cioè che fanno essere in un determinato modo la natura (fenomenica), mentre la nuova prospettiva riguarda il giudizio riflettente, che cerca di giungere al noumeno senza tuttavia poterlo conoscere. La posizione di Kant rimane quindi prudentemente ancorata alla “ragionevole speranza” che caratterizzava anche la Critica della ragion pratica. ◀ Magaud Antoine Dominique, Allegoria della Scienza, 1854 (Marsilia, Fondation Regards de Provence).

Materiali per l’apprendimento attivo 46. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia per immagini

sublime può essere anche un drammatico naufragio, o meglio: può esserlo la sua rappresentazione, perché l’estetica del sublime presuppone una contemplazione esterna e disinteressata dell’evento catastrofico. se è evidentemente fuori luogo definire «bella» una terribile tempesta, perché in essa non si può rintracciare alcun elemento di armonia o proporzione, la si può apprezzare per la sua sublimità, ossia per la grandiosità delle forze naturali scatenate. Una costante nella pittura del sublime sta nella contrapposizione fra l’immensità dello spettacolo naturale e la piccolezza degli uomini. È una soluzione compositiva coerente con le riflessioni di Kant, per il quale nel sublime l’uomo percepisce, per contrasto, i suoi limiti. ▲ Claude-Joseph Vernet, La tempesta, 1777, olio su tela (Avignone, Musée Calvet).

47. La ParOLa ai TEsTi

T12 kant Il sublime è in noi La poetica del sublime è particolarmente importante in Kant perché ha anche un significato morale: alcuni spettacoli della natura, infatti, provocano in noi reazioni che ci consentono di conoscerci meglio e di porci domande.

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Le rocce che sporgono audaci in alto e quasi minacciose, le nuvole di temporale che si ammassano in cielo tra lampi e tuoni, i vulcani che scatenano tutta la loro potenza distruttrice, e gli uragani che si lascian dietro la devastazione, l’immenso oceano sconvolto dalla tempesta, la cataratta d’un gran fiume, etc., riducono ad una piccolezza insignificante il nostro potere di resistenza, paragonato con la loro potenza. Ma il loro aspetto diventa tanto più attraente per quanto più è spaventevole, se ci troviamo al sicuro; e queste cose le chiamiamo volentieri sublimi, perché esse elevano le forze dell’anima al disopra della mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi una facoltà di resistere interamente diversa, la quale ci dà il coraggio di misurarci con l’apparente onnipotenza della natura. (I. Kant, Critica del giudizio, 28, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 195)

48. attività >

Flipped classroom

iMMaGini deL subLiMe Nel romanticismo la rappresentazione del sublime è ricorrente nell’arte. uno sguardo ad alcune di queste immagini può facilitare la comprensione di questo concetto. Inserisci in un motore di ricerca la stringa “il sublime nell’arte romantica” e commenta le tre immagini che ti sembrano più significative, annotando il nome dell’artista e dell’opera. discuti poi le tue scelte e le tue osservazioni con quelle dei tuoi compagni, confrontando la visione del sublime che ne emerge con quello che ne scrive Kant. ti sembra che anticipasse la concezione romantica del sublime?

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iL suBLiME Il concetto di sublime elaborato da Kant influisce con forza sulle arti visive durante il periodo romantico. Sublime infatti è tutto ciò che è smisurato, grandioso, eccessivo: lo scatenarsi di una tempesta, ma anche l’eruzione di un vulcano, una valanga che tutto travolge, gli abissi dell’oceano, l’oscurità, il vuoto.

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Tale speranza è supportata dall’osservazione di molti aspetti della natura per i quali la sola spiegazione meccanicistica ci lascia insoddisfatti, in particolare gli esseri viventi. Anche un semplice filo d’erba ci fa pensare a qualcosa che va oltre il meccanicismo: non potrà mai esistere, scrive Kant, un Newton dell’erba né tanto meno delle forme di vita più complesse ➝ 49. Se consideriamo un essere vivente, ad esempio un albero, possiamo distinguere in esso tre finalità: l’albero riproduce se stesso, mediante attività che hanno questo scopo (nutrizione, funzione clorofilliana ecc.); riproduce i diversi organi che concorrono alla sua sopravvivenza, come ad esempio le foglie; infine, riproduce la specie e anche in questo caso, secondo Kant, la causa efficiente è distinta da quella finale ed è la seconda a dare un senso al processo. Gli esseri viventi fanno pensare a un progetto intelligente che il meccanicismo non spiega fino in fondo. È come, scrive Kant, se scorgessimo sulla sabbia, in un’isola deserta, la figura di un esagono. Non penseremmo all’azione del vento o di altre cause meccaniche, ma all’opera di un’intelligenza. Molti aspetti della natura, in particolare gli esseri viventi, sono come l’esagono disegnato sulla spiaggia, sono troppo complessi per far supporre che possano essere spiegati soltanto dal meccanicismo ➝ 50. Ma la finalità interna ai singoli esseri non è l’unica alla quale viene fatto di pensare. La natura nel suo insieme, infatti, può essere considerata come una totalità e, come nel singolo organismo le parti concorrono a un fine complessivo, così possiamo ipotizzare una finalità ultima del mondo naturale nel suo insieme. Ora, se c’è uno scopo finale nella natura, deve avere un significato morale, e l’unico essere morale è l’uomo. Per questo, l’uomo deve costituire il fine ultimo e generale della natura, cioè tutta la natura deve essere stata creata per l’uomo ➝ 51 . Kant sta parlando ovviamente dell’uomo come noumeno, quindi tutta questa argomentazione non ha funzione conoscitiva né dimostrativa. Si tratta, ancora una volta, di una ragionevole speranza, sorretta da argomenti razionali ma non dimostrabile. Non possiamo dare una risposta scientifica e definitiva alle domande di senso, ma non possiamo fare a meno di porcele. Il giudizio riflettente teleologico, cioè la riflessione sulla natura, può lasciarci intravedere, nel mondo noumenico, la libertà dell’uomo e l’esistenza di Dio, ma ancora una volta senza poterne affermare la verità. Essa continua ad appartenere alla scienza e, come scienziati, dobbiamo continuare a studiare il mondo senza presupporre cause finali o realtà trascendenti. Ma possiamo aggiungere allo studio scientifico della natura uno sguardo che può condurci oltre i suoi limiti, come poi sosterrà il pensiero del Romanticismo.

Guida allo sTudio • Qual è la differenza tra giudizio

• Quali sono le analogie e le differenze tra il

determinante e giudizio riflettente? • Come è possibile che il giudizio estetico sia universale? • Quali sono le caratteristiche del bello, in riferimento ai tipi di categorie?

bello e il sublime? • In quali sensi si può parlare di giudizio teleologico? perché l’uomo è lo scopo finale della natura?

Materiali per l’apprendimento attivo

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49. La ParOLa ai TEsTi

Mentre la fisica è una scienza e il comportamento della materia inerte può essere spiegato da leggi meccaniche, il mondo organico sfugge a questa possibilità e mostra qualcosa che la fisica non può spiegare. Il mondo della vita costituirà anche per l’idealismo, in particolare per Schelling, la manifestazione di un principio spirituale nella natura.

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È assolutamente certo che noi non possiamo imparare a conoscere sufficientemente, e tanto meno a spiegare gli esseri organizzati e la loro possibilità interna, secondo i principii puramente meccanici della natura; e questo è così certo che si potrebbe dire arditamente che è umanamente assurdo anche soltanto il concepire una simile impresa, o lo sperare che un giorno possa sorgere un Newton, che faccia comprendere sia pure la produzione d’un filo d’erba per via di leggi naturali non ordinate da alcun intento. (I. Kant, Critica del giudizio, 75, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 483)

50. La paroLa ai testi

T14 Kant La finalità della natura Possiamo presumere che esista una spiritualità nella natura, anche se non possiamo conoscerla né dimostrarla, per la razionalità e il finalismo che cogliamo in essa.

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Se qualcuno scoprisse una figura geometrica, per esempio un esagono regolare, disegnata sulla sabbia, in un paese che gli sembra disabitato, la sua riflessione, cercando di farsene un concetto, noterebbe mediante la ragione, se pure oscuramente, l’unità del principio con cui fu prodotta, e, conformemente alla ragione stessa, non giudicherebbe come principio della possibilità della figura la sabbia, il mare vicino, i venti, o anche le impronte dei piedi degli animali; o qualunque altra causa priva di ragione; perché la contingenza dell’accordo della figura con un tal concetto possibile solo nella ragione gli sembrerebbe così infinitamente grande, che sarebbe proprio come se non vi fosse alcuna legge della natura capace di produrlo: e per conseguenza gli sembrerebbe che la causalità di un simile effetto non possa essere contenuta in alcuna causa del semplice meccanismo della natura, ma solo nel concetto dell’oggetto, in quanto concetto che solo la ragione può dare e a cui può confrontare l’oggetto; e quindi che l’effetto possa essere considerato come fine, ma non come un fine naturale, sibbene come un prodotto dell’arte (vestigium hominis video). (I. Kant, Critica del giudizio, 64, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 421)

51. CoMpetenZe > argomentazione

L’uoMo Fine uLtiMo deLLa natura ricostruiamo il ragionamento di Kant. • La natura ci appare come la realizzazione del progetto di un essere intelligente. • Di conseguenza, essa deve avere un senso complessivo. • Quindi deve esistere uno scopo finale della natura. • Ma questo scopo, proprio in quanto finale, non può rimandare ad altro e deve perciò caratterizzarsi come un essere morale. • Infatti solo la moralità – e non il caso o il determinismo – può essere pensata come scopo in sé. • Dato che l’unico essere morale è l’uomo • allora solo l’uomo può venir pensato come scopo della natura.

4 lA C RIT IC A DEL G IUDIzIO

T13 kant Newton e il filo d’erba

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• Sintesi • Mappa

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La storia, la politica e la religione

L’interpretazione kantiana della storia è basata sul progresso, promosso dalla «socievole insocievolezza» che caratterizza l’uomo che, per motivi egoistici, tende a creare aggregazioni sempre più ampie. È necessario superare gli stati nazionali per arrivare a un ordine mondiale che eviti future guerre. La religione, se spogliata dai dogmi, coincide con la morale razionale, andando dalla morale eteronoma dei comandamenti a quella autonoma del vangelo. Una delle opere più note di Kant è il breve saggio Per la pace perpetua, che espone concezioni politiche molto originali per l’epoca. Per capirne meglio la prospettiva, conviene però partire dalla concezione della storia, esposta nell’opera Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico. Il motivo conduttore è quello illuministico del progresso, guidato però non dallo sviluppo scientifico e tecnologico, ma da una sempre più consapevole realizzazione morale. L’uomo è orientato da una pulsione originaria che Kant riprende dalla tradizione liberale, l’insocievole socievolezza ➝ 52 , caratterizzata da un egoismo di fondo che lo porta però, proprio per garantirsi una maggiore sicurezza individuale, a ricercare gli altri e a costituire società sempre più complesse e articolate. Parallelamente, sia negli individui sia nell’umanità, diminuisce gradualmente la componente istintiva e passionale e si afferma la razionalità, dalla quale nascono il diritto, le leggi, la libertà. Inizialmente gli uomini hanno bisogno di essere guidati e sono necessarie le monarchie, sostituite però per la sempre maggiore consapevolezza, per l’autonomia e per l’autodeterminazione, dalle repubbliche e dall’affermarsi della rappresentanza parlamentare. Qui si inserisce lo scritto Per la pace perpetua. Anche a livello mondiale, nei rapporti tra i diversi Stati, devono affermarsi progressivamente la ragione e la dimensione comunitaria, superando i nazionalismi. Kant analizza le condizioni per una pace perpetua, cioè per la soluzione dei conflitti senza ricorrere alla guerra. Si giungerà quindi, progressivamente, a un governo mondiale di Stati federati, con la rinuncia di ognuno a parte della propria sovranità, in particolare nella politica estera. L’analisi della religione, esposta nel saggio del 1793 La religione entro i limiti della sola ragione, si muove su una linea simile. La religione, nei suoi contenuti più autentici, coincide con la morale del dovere, della ragione. Tuttavia la rivelazione e la religione storica sono state importanti perché hanno trasmesso i valori morali a un’umanità ancora incapace di affermarli in modo autonomo. Come per la concezione storica, il motivo conduttore è quello del progresso. Anticamente erano necessari i comandamenti, quindi, possiamo dire, una morale eteronoma, basata su un’autorità esterna, perché gli uomini non sarebbero stati in grado di riconoscere la norma morale in sé stessi. Con Cristo, invece, l’umanità è diventata autonoma, perché i dieci comandamenti sono stati sostituiti dall’unico criterio: «Ama il prossimo tuo come te

Materiali per l’apprendimento attivo

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52. COMPETENZE > Filosofia e cittadinanza

T15 kant L’insocievole socievolezza

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Io intendo qui col nome di antagonismo la insocievole socievolezza degli uomini, cioè la loro tendenza a unirsi in società, congiunta con una generale avversione, che minaccia continuamente di disunire questa società. È questa evidentemente una tendenza insita nella natura umana. L’uomo ha un’inclinazione ad associarsi, poiché egli nello stato di società si sente maggiormente uomo, cioè sente di poter meglio sviluppare le sue naturali disposizioni. Ma egli ha anche una forte tendenza a dissociarsi, poiché egli ha del pari in sé la qualità antisociale di voler tutto rivolgere solo al proprio interesse, per cui si aspetta resistenza da ogni parte e sa ch’egli deve da parte sua tendere a resistere contro altri. Questa resistenza eccita tutte le energie dell’uomo, lo induce a vincere la sua tendenza alla pigrizia e, spinto dal desiderio di onori, di potenza, di ricchezza, a conquistarsi un posto tra i suoi consoci, che egli certo non può sopportare, ma di cui non può neppure fare a meno. Per tal modo si compiono i primi veri passi dalla barbarie alla cultura, che consiste propriamente nel valore sociale dell’uomo; così a poco a poco tutte le attività si sviluppano, si educa il gusto, si pongono mediante una continuata illuminazione le basi di un modo di pensare, che col tempo trasforma in principi pratici le rozze inclinazioni naturali verso una distinzione morale, e la società, da unione Patologica forzata, in un tutto morale. Senza la condizione, in sé certo non desiderabile, della insocievolezza, da cui sorge la resistenza che ognuno nelle sue pretese egoistiche deve necessariamente incontrare, tutti i talenti rimarrebbero in eterno chiusi nei loro germi in una vita pastorale arcadica di perfetta armonia, frugalità, amore reciproco: gli uomini, buoni come le pecore che essi menano al pascolo, non darebbero alla loro esistenza un valore maggiore di quello che ha questo loro animale domestico; essi non colmerebbero il vuoto della creazione rispetto al loro fine di esseri razionali. (I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti politici, Utet, Torino 1956, pp. 127-28)

la nostra Costituzione contiene princìpi che sembrano riprendere l’analisi di Kant, contemperando l’incoraggiamento dell’iniziativa individuale con istanze di solidarietà e di aiuto reciproco. Individua questi due motivi nei princìpi generali e nella Parte prima, titoli I, II, e III della Carta costituzionale. Fai riferimento, per iniziare, all’art. 41. stesso». Si tratta, appunto, di un criterio che chiama ogni uomo ad applicarlo al proprio comportamento per decidere da sé se è morale o meno, in modo simile all’imperativo categorico. Guida allo sTudio • Che cosa intende Kant con l’espressione

• Quale organizzazione dell’umanità prefigura

«socievole insocievolezza»? • In che senso Kant parla di «pace perpetua»?

• Che rapporto c’è tra la religione e la morale?

per realizzarla?

5 l A S torIA, l A P ol It IC A e l A re l IG IoN e

MEriTO E sOLiDariETÀ Il brano che segue mette in evidenza quelle che per Kant sono tendenze contrapposte che nella loro dialettica garantiscono il progresso: da una parte un forte egoismo dell’individuo, dall’altra l’altrettanto forte tendenza a cercare gli altri, anche per motivi utilitaristici. Da queste due tendenze nascono poi il diritto e la moralità, cioè le due forze che tengono unita la società, da una parte mediante la legge, dall’altra mediante una comunanza di valori e di princìpi morali. riconosci queste due tendenze nella tua esperienza quotidiana e nella società in cui vivi? Fai qualche esempio.

LAVORO SUL TESTO

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• T16 • T17 • T18 • T19 • T20 • T21

Kant Kant Kant Kant Kant Kant

La rivoluzione copernicana nella conoscenza I giudizi sintetici a priori L’isola della conoscenza La formalità della legge morale L’arte è disinteressata L’uomo come scopo finale della natura

Kant La rivoluzione copernicana nella conoscenza T16

Kant esamina i diversi ambiti del sapere per capire come siano diventati scienza, e quindi quali caratteristiche debba avere la conoscenza per potersi dire scientifica. la risposta di Kant rappresenta un vero e proprio rovesciamento dell’ottica tradizionale: mentre la filosofia si è in genere chiesta come la nostra mente può adeguarsi all’oggetto, per conoscerlo, converrà invece porre al centro della conoscenza il soggetto e chiedersi come gli oggetti possono adattarsi alla nostra conoscenza. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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a matematica, dai tempi più remoti cui giunge la storia della ragione umana, è entrata, col meraviglioso popolo dei Greci, sulla via sicura della scienza B. Soltanto, non bisogna credere che le sia riuscito così facile come alla logica, dove la ragione ha da fare solo con se stessa, trovare, o meglio aprire a se medesima, la via regia; io credo piuttosto che a lungo (specialmente presso gli Egizi) sia rimasta ai tentativi incerti C, e che questa trasformazione definitiva debba essere attribuita a una rivoluzione, posta in atto dalla felice idea d’un uomo solo, con una ricerca tale che, dopo di essa, la via da seguire non poteva più essere smarrita, e la strada sicura della scienza era ormai aperta e tracciata per tutti i tempi e per infinito tratto D. La storia di questa rivoluzione della maniera di pensare, la quale è stata ben più importante della scoperta della via al famoso Capo, e quella del fortunato mortale che la portò a compimento, non ci è stata traman-

la matematica è diventata scienza con i greci B

infatti presso gli egizi procedeva in modo empirico C

poi un uomo solo operò la rivoluzione D.

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la rivoluzione è consistita nella scoperta dei princìpi delle dimostrazioni geometriche E infatti il primo che dimostrò il triangolo isoscele operò una rivoluzione F perché capì che non doveva semplicemente osservare la figura G ma produrla per mezzo dei suoi stessi concetti inoltre doveva attribuire alla figura ciò che derivava da ciò che egli stesso aveva posto H. Anche la fisica arrivò all’improvviso a diventare scienza dopo che Bacone ne aveva posto i presupposti I

quando Galilei, torricelli e Stahl fecero i loro esperimenti J K perché capirono che la ragione deve guidare la natura mediante i propri concetti J invece di lasciarsi guidare da lei L infatti la sola esperienza non consentirebbe la formulazione di leggi necessarie M quindi occorre avvicinarsi alla natura a partire da princìpi e da esperimenti costruiti in base ad essi N concludendo la fisica è diventata scienza quando la ragione ha cercato nella natura le leggi che derivano dai princìpi che la ragione stessa vi ha posto O.

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data. Ma la leggenda che ci riferisce Diogene Laerzio, il quale nomina il supposto scopritore dei princìpi più elementari delle dimostrazioni geometriche, che, secondo il comune giudizio, non han bisogno di dimostrazione, prova che il ricordo della rivoluzione che si compì col primo passo nella scoperta della nuova via, dové sembrare straordinariamente importante ai matematici, e perciò divenne indimenticabile E. Il primo che dimostrò il triangolo isoscele (si chiamasse Talete o come si voglia), fu colpito da una gran luce F: perché comprese ch’egli non doveva seguire a passo a passo ciò che vedeva nella figura, né attaccarsi al semplice concetto di questa figura, quasi per impararne le proprietà; ma, per mezzo di ciò che per i suoi stessi concetti vi pensava e rappresentava (per costruzione), produrla G; e che, per sapere con sicurezza qualche cosa a priori, non doveva attribuire alla cosa se non ciò che scaturiva necessariamente da quello che, secondo il suo concetto, vi aveva posto egli stesso H. La fisica giunse ben più lentamente a trovare la via maestra della scienza; giacché non è passato più di un secolo e mezzo circa dacché la proposta del giudizioso Bacone di Verulamio, in parte provocò, in parte, poiché si era già sulla traccia di essa, accelerò la scoperta, che può allo stesso modo essere spiegata solo da una rapida rivoluzione precedente nel modo di pensare. Io qui prenderò in considerazione la fisica solo in quanto è fondata su princìpi empirici I. Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso, che egli stesso sapeva di già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta, e, più tardi, Stahl trasformò i metalli in calce, e questa di nuovo in metallo, togliendovi o aggiungendo qualche cosa, fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura J. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con princìpi de’ suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande K; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini L; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno M. È necessario dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i princìpi, secondo i quali soltanto è possibile che fenomeni concordanti abbian valore di legge, e nell’altra l’esperimento, che essa ha immaginato secondo questi princìpi N: per venire, bensì, istruita da lei, ma non in qualità di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piaccia al maestro, sibbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge. La fisica pertanto è debitrice di così felice rivoluzione compiutasi nel suo metodo solo a questa idea, che la ragione deve (senza fantasticare intorno ad essa) cercare nella natura, conformemente a quello che essa stessa vi pone, ciò che deve apprenderne, e di cui nulla potrebbe da se stessa sapere. Così la fisica ha potuto per la prima volta esser posta sulla via sicura della scienza, laddove da tanti secoli essa non era stata altro che un semplice brancolamento O. […]

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Io dovevo pensare che gli esempi della matematica e della fisica, che sono ciò che ora sono per effetto di una rivoluzione attuata tutta d’un colpo, fossero abbastanza degni di nota, per riflettere sul punto essenziale del cambiamento di metodo, che è stato loro di tanto vantaggio, e per imitarlo qui, almeno come tentativo, per quanto l’analogia delle medesime, come conoscenze razionali, con la metafisica ce lo permette P. Sinora si è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi di stabilire intorno ad essi qualche cosa a priori, per mezzo di concetti, coi quali si sarebbe potuto allargare la nostra conoscenza, assumendo un tal presupposto, non riuscirono a nulla Q. Si faccia, dunque, finalmente la prova di vedere se saremo più fortunati nei problemi della metafisica, facendo l’ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza; ciò che si accorda meglio con la desiderata possibilità d’una conoscenza a priori, che stabilisca qualcosa relativamente agli oggetti, prima che essi ci siano dati R. Qui è proprio come per la prima idea di Copernico; il quale, vedendo che non poteva spiegare i movimenti celesti ammettendo che tutto l’esercito degli astri rotasse intorno allo spettatore, cercò se non potesse riuscir meglio facendo girare l’osservatore, e lasciando invece in riposo gli astri S.

allora anche alla metafisica dobbiamo applicare lo stesso metodo P Finora ci siamo mossi nella convinzione che la nostra conoscenza dovesse adattarsi agli oggetti però senza ottenere risultati Q allora proviamo a rovesciare la prospettiva, ipotizzando che gli oggetti debbano adattarsi a noi quindi alle nostre strutture conoscitive R come una nuova rivoluzione copernicana, che ponga il soggetto al centro della conoscenza S.

(I. Kant, Critica della ragion pura, Prefazione alla seconda edizione, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 14-18)

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la geometria costituisce un caso emblematico per comprendere la differenza tra sapere empirico e conoscenza scientifica. Già gli egizi la conoscevano, ma in modo descrittivo: la utilizzavano come strumento per riprodurre la realtà, per ricostruire i confini dei campi dopo le piene del Nilo. essi partivano quindi dalla realtà e si adattavano ad essa. Con i greci avviene una vera e propria rivoluzione: talete non usa il triangolo isoscele per riprodurre la realtà, ma ne definisce a priori le caratteristiche, indipendentemente dall’esperienza. Sul triangolo così determinato possiamo fare ragionamenti e scoperte: se sono uguali gli angoli alla base lo saranno anche i lati ad essi adiacenti, potremo dimostrare che la somma degli angoli interni di qualsiasi triangolo deve essere di 180 gradi, potremo dimostrare i vari teoremi: quelli di talete, quello di Pitagora, quelli di euclide. Anche nella fisica si passa dalla semplice osservazione empirica alla scienza rovesciando il rapporto tra soggetto e oggetto: il primo, invece di essere semplice spettatore dei fatti, con il metodo sperimentale li costruisce e li determina, in base a teorie e ipotesi che egli stesso produce, imponendole poi alla natura. la scienza non può mai derivare da semplici osservazioni, per quanto numerose possano essere. È il problema dell’induzione, sollevato da Hume: posso osservare migliaia di cigni bianchi senza mai incontrarne uno nero, ma la proposizione induttiva «tutti i cigni sono bianchi» non è vera. e se anche lo fosse, per caso, come ad esempio quando dico: «tutti i corvi sono neri», non lo è in modo neces-

sario, come quando dico: «in tutti i triangoli, la somma degli angoli interni è uguale a un angolo piatto». Kant si rende conto che il metodo della scienza non può essere quello induttivo, come voleva Bacone. l’universalità e la necessità possono essere garantite solo da elementi a priori che entrano nel processo conoscitivo. Possiamo applicare anche alla metafisica il principio che ha consentito alla matematica e alla fisica di divenire scienze? tale principio è paragonato da Kant a una nuova rivoluzione copernicana: invece di adeguarci agli oggetti, cercando di rispecchiarli nella conoscenza, occorre porre al centro il soggetto, e verificare l’ipotesi se esistono caratteristiche del soggetto (quindi a priori) che modellano l’esperienza, caratteristiche alle quali gli oggetti devono conformarsi. la metafisica non si dovrà quindi più occupare di come è fatta la realtà, ma delle strutture a priori che sono alla base della conoscenza che ne abbiamo, e quindi del sapere. COMPrENDErE iL TEsTO

Qual è la differenza tra la geometria degli egizi e quella dei greci? Perché soltanto la seconda è scienza? Quando è diventata scienza la fisica? Perché? la sola esperienza può consentire la formulazione di leggi universali e necessarie? In che cosa consiste la rivoluzione copernicana proposta da Kant per la metafisica?

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si parte dall’esperienza, ma si cercano nell’esperienza conferme di teorie. Possiamo definire tale metodo kantiano? oppure è meglio chiamarlo «induttivo-deduttivo» nel senso che abbiamo dato a questa espressione a proposito di Newton? Discuti questa questione.

Kant I giudizi sintetici a priori

Quello che segue è uno dei brani più noti della Critica della ragion pura e forse quello più chiaro ed efficace per comprendere la prospettiva kantiana. mediante la teoria dei giudizi, Kant evidenzia i limiti sia del razionalismo sia dell’empirismo, trovando una terza via che garantisce l’aumento della conoscenza sulla base dell’esperienza, ma anche quella universalità e necessità che solo il razionalismo può assicurare. i giudizi sintetici a priori soddisfano entrambe le esigenze e sono quelli propri di tutte le scienze. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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n tutti i giudizi, nei quali è pensato il rapporto di un soggetto col predicato (considero qui soltanto quelli affermativi, perché poi sarà facile l’applicazione a quelli negativi), cotesto rapporto è possibile in due modi. O il predicato B appartiene al soggetto A come qualcosa che è contenuto (implicitamente) in questo concetto A; o B si trova interamente al di fuori del concetto A, sebbene stia in connessione col medesimo. Nel primo caso chiamo il giudizio analitico, nel secondo sintetico B. Giudizi analitici (affermativi) son dunque quelli, nei quali la connessione del predicato col soggetto vien pensata per identità; quelli invece, nei quali questa connessione vien pensata senza identità, si devono chiamare sintetici. I primi si potrebbe anche chiamarli giudizi esplicativi, gli altri estensivi; poiché quelli per mezzo del predicato nulla aggiungono al concetto del soggetto, ma solo dividono con l’analisi il concetto ne’ suoi concetti parziali, che eran in esso già pensati (sebbene confusamente); mentre, al contrario, questi ultimi aggiungono al concetto del soggetto un predicato che in quello non era punto pensato, e non era deducibile con nessuna analisi C. Se dico, per es.: tutti i corpi sono estesi, questo è un giudizio analitico. Giacché non mi occorre di uscir fuori dal concetto che io unisco alla parola corpo, per trovar legata con esso l’estensione, ma mi basta scomporre quel concetto, cioè prender coscienza del molteplice ch’io comprendo sempre in esso, per ritrovarvi il predicato; questo è dunque un giudizio analitico D. Invece, se dico: tutti i corpi sono gravi; allora il predicato è qualcosa di affatto diverso da ciò che io penso nel semplice concetto di corpo in generale. L’aggiunta d’un tale predicato ci dà perciò un giudizio sintetico E. I giudizi sperimentali, come tali, sono tutti sintetici. Infatti sarebbe assurdo fondare sull’esperienza un giudizio analitico, poiché io non ho punto bisogno di uscire dal mio concetto per formare il giudizio, dunque a ciò non m’è d’uopo alcuna testimonianza dell’esperienza. Che un corpo

Nei giudizi affermativi, il rapporto tra soggetto e predicato è possibile in due modi. o il predicato appartiene già al soggetto o è aggiunto ad esso. Nel primo caso si parla di giudizi analitici, nel secondo di sintetici B. Nei giudizi analitici il predicato è implicito nel soggetto e formulandoli non aggiungiamo nulla ma spieghiamo più chiaramente, nei sintetici il predicato aggiunge qualcosa al soggetto e lo estende C. ad esempio, «tutti i corpi sono estesi» è un giudizio analitico perché il concetto di corpo comprende già l’estensione D invece nel giudizio «tutti i corpi sono pesanti» il predicato aggiunge qualcosa al concetto di corpo perciò è un giudizio sintetico E

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Come abbiamo visto nel Modulo 2, La rivoluzione scientifica (v. in particolare “le domande della filosofia”) il metodo della ricerca scientifica non è, oggi, quello induttivo: quando al CerN di Ginevra si “cerca” per decenni il bosone di Higgs, teorizzato nel 1964 e rilevato per la prima volta nel 2012, evidentemente non

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sia esteso, è una proposizione che vale a priori, e non è un giudizio di esperienza. Infatti, prima di passare all’esperienza, io ho tutte le condizioni del mio giudizio già nel concetto, dal quale posso ricavare il predicato soltanto secondo il principio di contraddizione, e acquistar a un tempo coscienza della necessità del giudizio, che l’esperienza non potrebbe mai insegnarmi F. Al contrario, sebbene nel concetto di corpo in generale io non includa punto il predicato della gravità, quel concetto tuttavia rappresenta un oggetto dell’esperienza mediante una parte di essa, alla quale io dunque posso aggiungere ancora altre parti della stessa esperienza, che non siano appartenenti al concetto. Posso prima conoscere il concetto di corpo analiticamente per le note dell’estensione, dell’impenetrabilità, della forma, ecc., che sono tutte pensate in questo concetto. Ma poi estendo la mia conoscenza, e ricorrendo di nuovo all’esperienza, dalla quale ho tratto il concetto di corpo trovo con le note precedenti legata costantemente anche quella della gravità, e l’aggiungo quindi sinteticamente, come predicato, a quel concetto. Sull’esperienza dunque si fonda la possibilità della sintesi del predicato della gravità col concetto del corpo, perché questi due concetti, sebbene l’uno non sia compreso nell’altro, tuttavia come parti di un tutto, cioè dell’esperienza, che è essa stessa una connessione sintetica delle intuizioni, convengono l’uno all’altro, benché solo in modo accidentale G. Ma nei giudizi sintetici a priori questo sussidio manca assolutamente. Se devo uscire dal concetto A per conoscerne un altro B come legato al primo, su che cosa mi fondo, e da che cosa è resa possibile la sintesi, poiché qui non ho il vantaggio di orientarmi per ciò nel campo dell’esperienza? Si prenda la proposizione: tutto ciò che accade ha la sua causa. Nel concetto di qualche cosa che accade io penso per verità una esistenza, alla quale precede un tempo ecc.; e da ciò si possono trarre giudizi analitici. Ma il concetto di causa sta interamente fuori di quel concetto, e indica alcunché di diverso da ciò che accade, e però non è punto incluso in quest’ultima rappresentazione. Come mai dunque giungo ad affermare, di ciò che accade in generale, qualcosa che ne è affatto diverso, e a riconoscere il concetto di causa sebbene non contenuto in quello, tuttavia come appartenente ad esso, e per di più necessariamente? H Che cos’è qui l’incognita x, su cui si appoggia l’intelletto, quando crede di trovar fuori del concetto A un predicato B, ad esso estraneo, e che, ciò malgrado, stima con esso congiunto? Non può essere l’esperienza, poiché il principio citato aggiunge questa seconda rappresentazione alla prima non solo con universalità maggiore [di quella che può dare l’esperienza], ma altresì con la nota della necessità, e perciò del tutto a priori, e in base a semplici concetti. Ora tutto lo scopo supremo delle nostre conoscenze speculative a priori si fonda su tali princìpi sintetici o estensivi; perché gli analitici sono, sì, importantissimi e necessarissimi, ma solo per giungere a quella chiarezza dei concetti, che è desiderabile per una sicura ed ampia sintesi, come per una conquista realmente nuova I. (I. Kant, Critica della ragion pura, Introduzione, IV, Della differenza tra i giudizi analitici e sintetici, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 39-41)

I giudizi sperimentali sono tutti sintetici infatti sarebbe assurdo ricorrere all’esperienza per un giudizio analitico dato che non ho bisogno dell’esperienza per formularlo F

invece se affermo che un corpo è pesante allora posso farlo solo ricorrendo all’esperienza G

Consideriamo adesso i giudizi sintetici a priori ad esempio “tutto ciò che accade ha una causa”; nel concetto di ciò che accade è implicita l’esistenza ma non il concetto di causa perciò esso è aggiunto al soggetto ma è considerato come sempre congiunto con il soggetto H. Come è possibile una congiunzione non analitica ma considerata universale? non può derivare dall’esperienza infatti questa non ha le caratteristiche di universalità e necessità che diamo a questo giudizio però tutta la nostra conoscenza si fonda su giudizi sintetici a priori I.

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senza nessun ricorso all’esperienza, come quando diciamo che un corpo è esteso. I giudizi della scienza devono essere invece sintetici a priori, ma si tratta di capire come sono possibili, cosa che farà subito dopo. COMPrENDErE iL TEsTO

Da che cosa sono caratterizzati i giudizi analitici a priori? e quelli sintetici a posteriori? Che cosa indica l’espressione «a priori»? e quella «a posteriori»? Perché il giudizio «tutti i corpi sono estesi» è analitico a priori? Perché, invece, «tutti i corpi sono pesanti» è sintetico a posteriori? Perché i giudizi della scienza devono essere sintetici a priori? Perché il giudizio «tutto ciò che accade ha una causa» è di questo tipo?

Kant L’isola della conoscenza

il brano apre il capitolo conclusivo dell’analitica trascendentale. dopo aver approfondito le possibilità conoscitive del nostro intelletto e aver individuato il fondamento della conoscenza scientifica, Kant introduce il concetto di noumeno, limitando l’azione dell’intelletto all’ambito fenomenico. in questo brano, le argomentazioni vengono sviluppate mediante immagini e metafore, quindi è importante individuarne il significato. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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oi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell’intelletto puro B esaminandone con cura ogni parte: ma l’abbiamo anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili C. È la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso D, impero proprio dell’apparenza E, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l’illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo F. Ma, prima di affidarci a questo mare, per indagarlo in tutta la sua distesa, e assicurarci se mai qualche cosa vi sia da sperare G, sarà utile che prima diamo ancora uno sguardo alla carta della regione, che vogliamo abbandonare, e chiederci anzi tutto se non potessimo in ogni caso star contenti a ciò che essa contiene H, o, anche, se non dovessimo accontentarcene per necessità, nel caso che altrove non ci fosse assolutamente un terreno, sul quale poterci fabbricare una casa I, e in secondo luogo, a qual titolo noi possediamo questa stessa regione, e come possiamo assicurarla con-

Il cammino percorso con l’analitica trascendentale B. la conoscenza possibile, oltre la quale l’intelletto non può andare C. Il noumeno D. Il fenomeno E.

le idee della ragione F. Il noumeno può lasciare spazio per ragionevoli speranze G. la conoscenza scientifica dà davvero risposta a tutte le nostre domande H? Dobbiamo davvero rinunciare a indagare oltre I?

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Nonostante il linguaggio tecnico usato da Kant, la differenza tra i due tipi di giudizi è semplice, anche grazie agli esempi proposti. I giudizi sintetici sono quelli dell’empirismo, basati sull’osservazione che scopre qualità degli oggetti non contenute nel concetto degli stessi; quelli analitici sono propri del razionalismo, che ricava il predicato dal soggetto stesso, in cui era già compreso. Né gli uni né gli altri definiscono però la conoscenza scientifica. Infatti quelli analitici non estendono la conoscenza, come invece fa la scienza, mentre quelli sintetici non sono universali e necessari, come devono essere le leggi scientifiche. Kant specifica poi un’altra caratteristica dei giudizi sintetici e analitici: i primi sono a posteriori, perché traggono dall’esperienza i predicati che aggiungono al soggetto, senza che fossero impliciti in esso; i secondi sono invece a priori, perché possiamo individuare il predicato semplicemente ragionando sul soggetto,

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tro ogni nemica pretesa. Sebbene abbiam già risposto sufficientemente a queste domande nel corso dell’Analitica, tuttavia una scorsa sommaria alle soluzioni di essa può rafforzare la nostra convinzione, riunendo i vari momenti di essa in un punto unico. Infatti, noi abbiamo visto che tutto quello che l’intelletto produce da se medesimo, senza prenderlo a prestito dall’esperienza, non lo possiede tuttavia ad altro uso, che per servirsene nella esperienza J. I princìpi dell’intelletto puro, siano essi costitutivi a priori (come i matematici), o semplicemente regolativi (come i dinamici), non contengono invero se non quasi lo schema puro per la esperienza possibile, giacché questa riceve la sua unità soltanto dall’unità sintetica, la quale è conferita dall’intelletto originariamente e spontaneamente alla sintesi dell’immaginazione in rapporto con l’appercezione, e con la quale i fenomeni, come dati per una conoscenza possibile, debbono già a priori essere in relazione e d’accordo. Ma, sebbene queste regole dell’intelletto non solamente siano vere a priori, ma siano anzi la fonte di ogni verità, cioè dell’accordo della nostra conoscenza con gli oggetti, perché contengono il fondamento della possibilità dell’esperienza, come complesso di ogni conoscenza in cui gli oggetti possono esserci dati, tuttavia non ci sembra sufficiente esporre quello che è vero, ma quello altresì che si desidera di sapere K.

le strutture a priori dell’intelletto “funzionano” soltanto in congiunzione con l’esperienza J. Ciò che è «vero» è la conoscenza scientifica, data dall’intelletto, ciò che si desidera sapere è quella data dalla ragione, che va oltre il conoscibile e quindi verrà criticata nella dialettica trascendentale, ma che apre la strada alla possibilità di dire qualcosa sul senso del mondo in ambito morale e teleologico (la finalità della natura) K.

(I. Kant, Critica della Ragion pura, II, L’Analitica dei princìpi, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 199-200)

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COMPrENDErE iL TEsTO

Il vasto oceano tempestoso, che circonda l’isola della verità, è il noumeno, la cosa-in-sé, per noi inconoscibile. Kant rivendica orgogliosamente l’importanza delle proprie ricerche, che esplorano i confini della conoscenza umana mediante una riflessione della filosofia su se stessa, ma indica anche quanto vasto sia ciò che rimane fuori da questi limiti. Il problema del noumeno è uno dei più controversi sia all’interno della filosofia kantiana, sia per l’influenza sulle filosofie dell’epoca. Dal punto di vista di Kant, il noumeno è inconoscibile, ma rappresenta il mondo «vero», il mondo in cui si sviluppa l’azione morale e la vita stessa di ognuno. Anche se è inconoscibile, quindi, non è possibile tacerne. e Kant ne parlerà, sia nella Critica della ragion pratica che, soprattutto, nella Critica del giudizio, dove afferma che il mondo, quello noumenico e non quello costruito dalla scienza, è finalizzato all’uomo che può quindi realizzarsi in esso come essere morale. È vero che Kant ripete continuamente che ciò che si può dire del mondo noumenico non ha valore conoscitivo ed è soltanto una «ragionevole speranza», ma, con questa prudenza, dice molte cose di questa realtà «inconoscibile».

Che cosa rappresenta l’isola? e l’oceano? Qual è il limite della conoscenza possibile? Possiamo conoscere l’oceano? Perché non possiamo rinunciare al tentativo di esplorarlo? DisCuTErE iL TEsTO

la situazione attuale non è molto dissimile da quella tratteggiata da Kant. la nostra isola è diventata molto più vasta, nel senso che il sapere scientifico è andato avanti e ha chiarito molte cose che al tempo di Kant erano ancora oscure, ma l’oceano è ancora inesplorato, cioè le “domande di senso” non hanno ancora risposta. la filosofia deve allora rinunciare a porsele? Secondo molti filosofi contemporanei, sì, e dovrebbe occuparsi solo dei problemi e dei possibili fraintendimenti della conoscenza e del linguaggio. Secondo altri, la metafisica ha ancora uno spazio, anche se non può dare risposte dimostrabili ma, anche oggi, al più “ragionevoli speranze”. o forse, come sostengono altri, può aiutarci a formulare meglio le domande di senso che non possiamo comunque non porci.

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Kant La formalità della legge morale

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e un essere razionale deve concepire le sue massime come leggi pratiche universali, esso può concepire queste massime soltanto come principi tali che contengano il motivo determinante della volontà, non secondo la materia, ma semplicemente secondo la forma B. La materia di un principio pratico è l’oggetto della volontà. Questo è il motivo determinante della volontà, oppure non è. Se è il motivo determinante, la regola della volontà è soggetta a una condizione empirica (la relazione della rappresentazione determinante al sentimento del piacere o del dispiacere), quindi non è una legge pratica C. Ora, di una legge, se si astrae da essa ogni materia, cioè ogni oggetto della volontà (come motivo determinante), non rimane che la semplice forma di una legislazione universale D. Dunque un essere razionale, o non può affatto concepire nello stesso tempo i suoi principi soggettivamente pratici, cioè le sue massime, come leggi universali, oppure deve ammettere che la semplice forma di quelle massime, secondo la quale esse sono atte alla legislazione universale, le faccia per sé sola leggi pratiche E. Quale forma nella massima si adatti alla legislazione universale, quale no, questo lo può distinguere, senza bisogno d’istruzione, l’intelletto più comune F. Io mi son fatto, per es., una massima di aumentare con tutti i mezzi sicuri le mie sostanze G. Ora è nelle mie mani un deposito, e il padrone di esso è morto e non ha lasciato nessuno scritto a questo riguardo. Naturalmente questo è il caso della mia massima H. Ora, io voglio soltanto sapere se quella massima può anche valere come legge pratica universale. Io l’applico dunque al caso presente, e domando se essa può ricevere la forma di una legge, e quindi se io, mediante la mia massima, potrei nello stesso tempo far una legge di questo genere: che ognuno può negare di aver un deposito, la cui consegna nessuno può provare I. Io vedo subito che un tal principio, come legge, distruggerebbe se stesso, perché farebbe sì che non vi sarebbe più alcun deposito J. Una legge pratica, che io riconosca per tale, deve rendersi atta alla legislazione universale; questa è una proposizione identica, e quindi chiara per sé. Ora, se io dico che la mia volontà è soggetta a una legge pratica, non posso addurre la mia inclinazione (per es., nel caso presente la mia cupidigia) come motivo determinante di essa, conveniente a una legge pratica universale; perché quest’inclinazione, ben lungi da poter essere atta a una legislazione universale, deve piuttosto distruggere se stessa nella forma di una legge universale K. (I. Kant, Critica della ragion pratica, parte I, libro I, cap. I, Dei princìpi della Ragion pura pratica, Parte I, I, 1, 4, pp. 55-57, par. 4, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 55-57)

se vogliamo che le leggi morali siano universali allora esse devono essere solo formali B. se un motivo pratico è determinante della volontà allora la volontà è soggetta a una condizione empirica quindi non è una legge C. se astraiamo dalla materia empirica allora non rimane che la forma D quindi o rinunciamo a considerare i princìpi soggettivi come leggi universali oppure dobbiamo considerarli solo per la semplice forma E. dunque dobbiamo riconoscere se la nostra massima si adatta alla forma di una legge universale F. ad esempio, seguo la massima di incrementare i miei averi G. Ho ricevuto una somma in deposito, il proprietario è morto senza lasciare nessuna disposizione su di essa H. In base alla mia massima dovrei tenerla. però la mia massima potrebbe valere come legge universale I? ma in questo caso nessuno farebbe più depositi quindi se la mia massima diventasse legge, allora produrrebbe conseguenze contraddittorie J distruggendo se stessa K.

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nel brano seguente Kant presenta un esempio che chiarisce esemplarmente il rigore della sua concezione morale. l’esempio riguarda un deposito il cui padrone è morto e non ha lasciato disposizioni al riguardo: il fiduciario potrebbe quindi ritenere di poter disporre liberamente di una somma che nessuno reclamerà mai, ma questo comportamento, non è razionale perché se diventasse legge universale distruggerebbe l’istituto stesso del deposito. infatti, se coloro cui è affidato un deposito si comportassero così nessuno più affiderebbe nulla in deposito ad altri.

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COMPrENDErE iL TEsTO

Quando si parla di formalità della legge morale si intendono due cose complementari. Intanto la legge morale non indica contenuti («fai questo, non fare quest’altro»), ma dà un criterio formale per valutare se la massima della nostra azione è una legge morale o meno. In secondo luogo, la formalità della legge riguarda anche la sua completa indipendenza dalle situazioni empiriche, come è illustrato nell’esempio del deposito. È indifferente che io possa trattenere il deposito senza che nessuno possa mai saperlo, così come è indifferente che mi trovi in stato di bisogno, anche estremo. l’unica cosa importante è la forma, cioè la conformità o meno del mio comportamento rispetto alla ragione. la ragione mi dice che sarebbe contraddittorio non restituire il deposito ai legittimi eredi, perché in caso contrario sparirebbe l’istituto stesso del deposito.

la legge morale deve prescindere dalle circostanze. Come si esprime questa esigenza? la formalità della legge è condizione per la sua universalità? Perché? In che cosa consiste il criterio per verificare se la nostra massima deriva da una legge universale? Perché universalizzare la nostra massima ci fa capire se deriva o meno da una legge morale?

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DisCuTErE iL TEsTO

Il criterio di universalizzazione proposto da Kant è anche un criterio di razionalità: se una massima è universalizzabile, e quindi è una legge morale, è anche razionale, in caso contrario l’universalizzazione ne mette in luce l’irrazionalità. Prova ad applicare questo criterio alle tue scelte nell’arco di una giornata e scrivi i risultati.

Kant L’arte è disinteressata

Kant analizza il bello secondo i quattro tipi di categorie. Considerato sotto il profilo della qualità, il bello è disinteressato. non è detto che alle opere d’arte o agli spettacoli della natura non si unisca l’utile, ma ciò non ha alcun rilievo nella valutazione estetica. Così, ad esempio, un campo di grano può piacermi perché sono il proprietario e penso al raccolto, ma il campo di grano non è bello per questo. infatti ogni interesse è particolare, mentre il giudizio sulla bellezza del campo di grano è universale. negli esempi di Kant si sottolinea l’indipendenza dell’arte anche da valutazioni morali o umanitarie: l’arte, se è tale, piace indipendentemente dal fatto che la realizzazione abbia richiesto ingiustizie e morti, indipendentemente dal fatto che sia condivisibile o meno il fine per cui è stata realizzata. le piramidi sono comunque belle, anche se possiamo condannare le modalità adoperate per edificarle.

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detto interesse il piacere, che noi congiungiamo con la rappresentazione dell’esistenza di un oggetto. Questo piacere perciò ha sempre relazione con la facoltà di desiderare, o in quanto movente di essa, o in quanto necessariamente connesso col movente stesso. Ma, quando si tratta di giudicare se una cosa è bella, non si vuol sapere se a noi o a chiunque altro importi, o anche soltanto possa importare, della sua esistenza; ma come la giudichiamo contemplandola semplicemente (nell’intuizione o nella riflessione). Se qualcuno mi domanda se trovo bello il palazzo che mi è davanti, io posso ben dire che non approvo queste cose fatte soltanto per destar stupore, o rispondere come quel Sachem irocchese, cui niente a Parigi piaceva più delle bettole; posso anche biasimare, da buon seguace di Rousseau, la vanità dei grandi, che spendono i sudori del popolo in cose tanto superflue; infine, posso anche facilmente convincermi che, se mi trovassi su di una isola deserta senza speranza di tornar tra gli uomini, e potessi magicamente col solo mio desiderio elevare un sì splendido edifizio, io non mi darei nemmeno questa pena, sol che avessi già una capanna che fosse abbastanza comoda per me. (I. Kant, Critica del Giudizio, Parte I, par. 2, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 73-74)

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i si può concedere ed approvare tutto ciò; ma gli è che non si tratta di questo: si vuol sapere soltanto se questa semplice rappresentazione dell’oggetto è accompagnata in me da piacere, per quanto, d’altra parte, io possa essere indifferente che dal mio rapporto con l’esistenza dell’oggetto, dipende che si possa dire se esso è bello, e che io provi di aver gusto. Ognuno deve riconoscere che quel giudizio sulla bellezza, nel quale si mescola il minimo interesse, è molto parziale e non è un puro giudizio di gusto. Non bisogna essere menomamente preoccupato dell’esistenza della cosa, ma del tutto indifferente sotto questo riguardo, per essere giudice in fatto di gusto. (I. Kant, Critica del Giudizio, parte I, par. 2, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 73-74)

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Kant L’uomo come scopo finale della natura

ogni organismo è un fine in sé, e la natura appare, nella Critica del Giudizio, come dominata in ogni manifestazione da cause finali. nel suo insieme, la natura stessa si presenta come un organismo, come un insieme coordinato e organizzato di parti, dominato dalla progettualità e non dal caso. in questa totalità organizzata deve esserci anche uno scopo finale, un punto prospettico verso cui tutto tende. iL PErCOrsO arGOMENTaTivO

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copo finale è quello che non ne richiede alcun altro come condizione della sua possibilità. Se per spiegare la finalità della natura non si ammette altro principio che il suo semplice meccanismo, non si può domandare per qual fine le cose esistono nel mondo; perché allora, in questo sistema idealistico, non si tratta che della possibilità fisica delle cose (che sarebbe insensato e vano pensare come fini): si potrebbe spiegare questa forma delle cose col caso, o con la cieca necessità, ma in tutti i due modi quella domanda sarebbe vana B. Ma, se ammettiamo il legame finalistico nel mondo come reale, e con esso una specie particolare di causalità, cioè quella d’una causa che agisce intenzionalmente, non possiamo fermarci alla questione di sapere per qual fine le cose del mondo (gli esseri organizzati) hanno questa o quella forma, sono state messe tra loro in questo o quel rapporto dalla natura; quando si è pensato una volta un intelletto, che deve esser considerato come la causa della possibilità di tali forme, quali si trovano effettivamente nelle cose, si deve anche domandare quale principio oggettivo abbia potuto determinare questa intelligenza produttrice ad un effetto di questa specie; principio che è poi lo scopo finale per cui queste cose esistono C. Ho detto avanti che lo scopo finale non è tale che la natura sia sufficiente ad effettuarlo e a produrlo conformemente alla sua idea, perché è incondizionato. Perché difatti non v’è nulla in natura (in quanto essere sensibile) di cui il principio determinante, che si trova nella natura stessa, non sia a sua volta condizionato; e questo vale non soltanto per la natura esterna (materiale), ma anche per la natura interna (pensante), in quanto, s’intende, considero in me soltanto ciò che è natura D. Ma

se pensiamo la natura solo in termini meccanicistici allora non ha senso chiedersi se ha una finalità perché le cose potrebbero essere spiegate in base al caso o alla necessità quindi la domanda sui fini non avrebbe senso B. se possiamo pensare la natura secondo cause finali orientate verso uno scopo complessivo, allora deve essere possibile pensarla come la realizzazione del progetto di un essere intelligente C. infatti la natura non può produrre uno scopo finale perché esso è incondizionato invece nella natura non c’è niente che non sia condizionato sia nella natura esterna (materia) sia in quella interna (pensiero) D.

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una cosa che deve esistere necessariamente, in virtù della sua natura oggettiva, come lo scopo finale d’una causa intelligente, dev’esser tale che, nell’ordine dei fini, non dipenda da nessun’altra condizione che non sia semplicemente la sua idea E. Ora noi non abbiamo nel mondo se non un’unica specie di esseri, la cui causalità sia teleologica, cioè diretta a scopi, e tali tuttavia che si rappresentino la legge secondo cui debbono determinare i propri fini, come posta incondizionatamente da loro stessi e indipendentemente dalle condizioni della natura, eppure come in se stessa necessaria F. L’essere di questa specie è l’uomo, ma considerato come noumeno; è l’unico essere della natura in cui possiamo riconoscere, come suo carattere proprio, una facoltà soprasensibile (la libertà) ed anche la legge della causalità e l’oggetto di questa che egli si può proporre come fine supremo (il sommo bene nel mondo) G. Ora, dell’uomo (e così di ogni essere ragionevole del mondo), in quanto essere morale, non si può domandare ancora per qual fine (quem in finem) esiste H. La sua esistenza ha in se stessa lo scopo supremo, al quale, per quanto è in sua facoltà, egli può sottomettere l’intera natura, e, almeno, rispetto al quale non c’è alcuna influenza contraria della natura, a cui l’uomo debba ritenersi soggetto I. - Ora, se le cose del mondo, in quanto esseri condizionati relativamente alla loro esistenza, abbisognano di una causa suprema che agisca secondo fini, l’uomo sarà lo scopo finale della creazione: perché senza di esso la catena dei fini subordinati l’uno all’altro non avrebbe un vero principio, e solamente nell’uomo, ma nell’uomo in quanto soggetto della moralità, si può trovare questa legislazione incondizionata relativamente ai fini, che rende lui solo capace di essere uno scopo finale, cui la natura sia teleologicamente subordinata J.

ma se qualcosa esiste necessariamente come scopo finale allora non può dipendere da altro che da se stesso E. Nel mondo c’è un solo essere che possa essere fine a se stesso F. Si tratta dell’uomo in quanto noumeno perché è l’unico essere morale e libero G quindi non possiamo chiederci per quale fine esiste l’uomo perché egli è fine a se stesso H quindi l’uomo è scopo supremo della natura perciò egli può sottometterla I. se gli esseri naturali come contingenti hanno bisogno di una causa suprema allora essa non può che essere costituita dall’uomo quindi egli sarà la causa finale della creazione di conseguenza l’intera natura sarà a lui subordinata J.

(I. Kant, Critica del Giudizio, parte II, par. 84, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 553-57)

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Nella Critica del Giudizio non siamo più sul terreno solido della scienza, ma su quello più incerto delle ragionevoli speranze. tuttavia, se avvertiamo l’esigenza di dare un senso alla natura, al di là delle spiegazioni meccanicistiche, dobbiamo supporre che vi sia in essa un senso e quindi una finalità generale. Ma, se le cose stanno così, l’unico fine può essere l’uomo, in quanto libero e morale, e che per questo può costituire un fine in sé. egli solo, infatti, può stabilire da solo i propri fini e non può quindi avere nulla, all’interno della natura, sopra di sé. In questo modo Kant recupera l’esistenza del mondo come realizzazione del progetto di un’intelligenza superiore (Dio), finalizzato all’uomo. COMPrENDErE iL TEsTO

Quale immagine della natura emerge dalla conoscenza scientifica? Perché non può soddisfarci? Quale domanda poniamo?

Perché solo l’uomo può essere scopo finale della natura? DisCuTErE iL TEsTO

È condivisibile l’esigenza di Kant? Sentiamo effettivamente la necessità che ci siano un senso e una finalità nella natura? e se ciò è vero, dobbiamo necessariamente cercare delle risposte o non potremmo, invece, lasciare in sospeso le domande? Kant è in un certo senso vicino alla “religione del cuore” di rousseau, anche se si accosta al problema da una diversa prospettiva. Anche per lui, però, di fronte alla bellezza e alla complessità della natura non possiamo fare a meno di pensare che derivi da un progetto intelligente e, se ammettiamo ciò, ne consegue la necessità che in essa ci siano dei fini. Queste conclusioni non sono però giustificate sul piano conoscitivo, ma unicamente come esigenza soggettiva.

Itinerari di lettura online T7 (da KANt, Critica della ragion pratica), La formalità della legge morale

Kant parla, a proposito della propria filosofia, di una «rivoluzione copernicana», per aver posto al centro della riflessione il soggetto conoscente e non le cose conosciute. È ciò che definiamo «criticismo», che consiste nell’analisi delle condizioni delle possibilità e dei limiti della conoscenza. A differenza di locke, che aveva intrapreso una strada simile, a Kant non interessano le condizioni psicologiche, ma quelle logiche, che muovono dalla considerazione che la conoscenza è una sintesi di dati empirici e di strutture a priori, che egli si propone di individuare.

T8 (da KANt, Fondazione della metafisica dei costumi), L’u-

T1 (da KANt, Critica della ragion pura), La rivoluzione copernicana nella conoscenza: il criticismo T2 (da KANt, Critica della ragion pura), I giudizi sintetici a priori T3 (da KANt, Critica della ragion pura), Le intuizioni pure: spazio e tempo T4 (da KANt, Critica della ragion pura), L’isola della conoscenza

2. LA MORALE DEL DOVERE Anche per la morale, Kant pone al centro il soggetto, individuando nella ragione il fondamento dell’imperativo categorico, guardando al quale deve orientarsi la volontà. In questo modo, Kant può proporre una morale soggettiva, centrata sull’uomo, ma che al tempo stesso è universale e si presenta come indipendente dagli interessi o dalle propensioni dei singoli individui, così come dalla specifica situazione sociale in cui vivono.

T5 (da KANt, Critica della ragion pratica), Le leggi morali T6 (da KANt, Fondazione della metafisica dei costumi), L’imperativo categorico

manità come fine

T9 (KANt, Fondazione della metafisica dei costumi), L’autonomia della morale

T10 (da KANt, Critica della ragion pratica), Inno al dovere T11 (da KANt, Critica della ragion pratica), L’universo e la morale

3. LA BELLEZZA E IL SENSO DEL MONDO Nella Critica del Giudizio Kant cerca di conciliare la visione scientifica, e quindi meccanicistica, del mondo emersa dalla prima Critica, con l’esigenza di trovare in esso un senso per l’uomo, emersa dall’istanza morale della seconda Critica. Questa mediazione è affidata al giudizio riflettente, che muove dal mondo così com’è conosciuto scientificamente per porre domande di senso. la risposta è il giudizio estetico, che spiega perché si può parlare della bellezza nelle cose, e quello teleologico, che ci induce a sperare che l’uomo possa costituire il fine dell’intera creazione. Non si tratta però di una conoscenza fondata, ma di una ragionevole speranza.

T12 (da KANt, Critica del Giudizio), Il giudizio riflettente T13 (da KANt, Critica del Giudizio), «Il piacere che determina il giudizio di gusto è scevro di ogni interesse» T14 (da KANt, Critica del Giudizio), La finalità interna della natura

T15 (da KANt, Critica del Giudizio), L’uomo come scopo finale della natura

l Avoro S ul t eS to

1. IL CRITICISMO E LE CONDIZIONI DELLA CONOSCENZA SCIENTIFICA

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Laboratorio arGOMENTarE kaNT: La CONOsCENZa 1. Ricostruisci l’argomentazione iniziale della filosofia kantiana:: a. Analitico a priori è un giudizio che non amplia la conoscenza ma è universale (è il tipo privilegiato dal razionalismo). b. Kant parte dal presupposto che la matematica e la fisica possono essere considerate legittimamente «scienze», e si chiede quale sia il fondamento di questi saperi, che si presentano come universali. c. Kant propone di conseguenza una vera e propria rivoluzione copernicana, ponendo il soggetto al centro del processo conoscitivo. d. l’ambito della scienza è però limitato all’esperienza e ai fenomeni, mentre non è possibile la conoscenza del noumeno, la cosa-in-sé. e. la conoscenza è quindi una sintesi di esperienza e princìpi a priori, che l’indagine filosofica deve individuare. f. la scienza deve basarsi su giudizi. Ma di che tipo? g. Nella Critica della ragion pura individua e descrive gli elementi a priori dell’intuizione sensibile (spazio e tempo) e dell’intelletto (le categorie) che fondano la matematica e la fisica come scienze. h. Per Kant invece i giudizi della scienza sono sintetici a priori (ovvero ampliano la conoscenza senza dipendere dall’esperienza). i. Sintetico a posteriori uno che dipende dall’esperienza, e quindi non è universale, ma amplia la conoscenza (è il tipo usato dall’empirismo). j. Questo è possibile se l’elemento a priori deriva dal soggetto conoscente stesso. Soluzione: b, ........., ........., ........., ........., j, ........., ........., ........., .........

CONCETTuaLiZZarE kaNT: critica della ragion pura 2. inserisci negli spazi i seguenti concetti in corrispondenza delle relative definizioni: 1. Io penso • 2. Deduzione trascendentale • 3. Noumeno • 4. Categorie • 5. Princìpi sintetici dell’intelletto puro • 6. Analitica trascendentale • 7. Schemi trascendentali a.

...........................................................................................................:

lo studio delle strutture a priori dell’intelletto.

b.

...........................................................................................................:

strutture a priori dell’intelletto.

c.

...........................................................................................................:

la giustificazione della possibilità delle categorie di agire sull’esperienza.

d.

...........................................................................................................:

la coscienza dell’unità della conoscenza.

e.

...........................................................................................................:

la mediazione tra i dati empirici e le categorie.

f.

...........................................................................................................:

le condizioni della conoscenza scientifica della natura.

g.

...........................................................................................................:

il fondamento inconoscibile della realtà fenomenica.

kaNT: critica del giudizio

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l’oggetto • piacere • negativo • determinati • qualità • soggetto • limitato • smisuratamente • oggetti • totalità • quantità • positivo • scopo • indeterminati BELLO somiglianze

SUBLIME

sono privi di uno ............................................................................................. esterno non dipendono dal ............................................................................................. non dipendono da concetti ............................................................................................. dipendono da concetti ......................................................., perché manca l’universale sono giudizi singolari (formulati da ogni singolo individuo) ma universali

differenze

riguarda ciò che è .............................................. deriva dall’illimitato (..................................... ................................................................................................... ............................................... grande o potente) tende a riferirsi a ................................................... tende a considerare la .................................. (simile ai concetti dell’intelletto) (simile alle idee della ragione) si riferisce alla ......................................., alle si riferisce alla ................................ , alla caratteristiche dell’oggetto grandezza o alla potenza dell’oggetto piacere ............................................................

piacere ............................................................

può essere considerato bello ................. è sempre un sentimento del ............... ................................................................................................... ..................................................................................................

COMPrENDErE kaNT: critica della ragion pura 4. Completa le frasi con le seguenti parole: l’intelletto • estendono • rivoluzione copernicana • fisica • a posteriori • soggetto • i limiti • le possibilità • condizioni • l’oggetto • sintetici a priori • facoltà • analitici • sensibilità • scientifica 1. I giudizi ............................................................................................. a priori non sono scientifici perché non ............................. ................................................................ la conoscenza. 2. I giudizi sintetici ............................................................................................. non sono scientifici perché non sono universali. 3. I giudizi della scienza sono ............................................................................................. 4. l’a priori è nel ............................................................................................., perciò il soggetto – e non ........................................ ..................................................... – è il fondamento della conoscenza (cambiamento di prospettiva che Kant paragona alla .............................................................................................). 5. rovesciando la prospettiva filosofica tradizionale, Kant pone quindi al centro della ricerca il soggetto, chiedendosi quali siano ............................................................................................. e .......................................................................... ................... della conoscenza (criticismo). 6. Kant muove dal presupposto che la conoscenza ............................................................................................. è possibile, dato che esistono alcune scienze (la matematica e la .............................................................................................) e ne indaga le ............................................................................................. 7. Kant individua tre ............................................................................................. della conoscenza, che fa oggetto della propria indagine: la .................................................................................., ..................................................................................... e la ragione.

l A B orAtorIo

3. Completa la tabella, sulle differenze e le somiglianze tra bello e sublime, con le parole qui riportate.

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PrOBLEMaTiZZarE LiMiTi DELLa CONOsCENZa 5. Rifletti e scrivi sulle questioni poste seguendo le domande-guida. Le domande senza risposta Nel momento stesso in cui individua i limiti della conoscenza umana, Kant sottolinea che la nostra ragione ha la tendenza naturale ad oltrepassarli. Sappiamo che soltanto la conoscenza scientifica è legittima, ma non possiamo rinunciare alle domande metafisiche, alle domande di senso, anche se pensiamo che non potranno mai avere una risposta dimostrabile.

• Perché, per Kant, le domande metafisiche, anche se non hanno risposta, sono importanti? È vero, secondo te, che la nostra stessa natura ci spinge a porcele? ti è mai capitato di soffermarti sul senso che possono avere il mondo, la vita, la tua esistenza? ritieni importante riflettere su queste questioni e porsi queste domande, oppure è un’inutile perdita di tempo? rispondi mediante un testo argomentato.

MOraLE 6. Rifletti e scrivi sulle questioni poste seguendo le domande-guida. i dilemmi morali Nel brano T6 online (L’imperativo categorico), Kant propone alcuni «dilemmi morali», cioè situazioni in cui dobbiamo scegliere. la scelta non avviene in base a norme precise, che ci dicono che cosa fare in quella situazione (restituisci i debiti, non toglierti la vita ecc.), ma usando la ragione e applicando il principio di universalizzazione della norma.

• Scegli uno degli esempi e scrivi un dialogo con due personaggi, uno che segue il ragionamento kantiano e l’altro che propone argomentazioni per dimostrare la legittimità della tesi opposta. Confronta il tuo lavoro con quello dei tuoi compagni.

7. Rifletti e scrivi sulle questioni poste, seguendo le domande-guida. È possibile una morale universale? Secondo Kant la morale è universale in quanto fondata sulla ragione. I suoi princìpi, cioè, si giustificano perché è possibile sostenerli con ragionamenti validi per ogni uomo. Kant non nega l’esistenza di valori dipendenti dalla cultura, dall’educazione o dalle convinzioni personali, ma definisce «eteronome» (e non universali) le morali di questo tipo, mentre è «autonoma» (e universale) soltanto la morale fondata sulla ragione. Queste considerazioni possono essere proiettate in ambito giuridico, dove esistono leggi diverse in ogni nazione, ma esistono anche atti, come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dall’oNu il 10 dicembre 1948, che ritiene di stabilire diritti validi per tutti gli essere umani e che quindi ogni Stato dovrebbe rispettare.

• Giudichi possibile stabilire diritti di questo tipo, validi per ogni popolo, oppure le diversità culturali sono tali da vanificare simili tentativi?

• Procurati e leggi con i tuoi compagni la Dichiarazione, molto breve, ricordata sopra. In che misura condividete i princìpi in essa enunciati? Possono essere sostenuti con argomentazioni razionali? Provate a formularle.

Condizione necessaria e condizione sufficiente Prendiamo un enunciato, a titolo di esempio: Se sei a Udine (a), allora sei in Italia (b). L’enunciato, ridotto a forma logica, può essere espresso così: «se a allora b» (in formula «a → b», dove a è chiamato «antecedente» e b «conseguente» e « → » è il simbolo logico di implicazione). In esso a è la condizione sufficiente per b (basta essere a Udine, per essere in Italia), mentre b è la condizione necessaria per a (è necessario essere in Italia, per essere a Udine). Si noti che b, nell’esempio fatto, non può essere una condizione sufficiente per a, perché ci sono molti altri posti che sono in Italia, così che non basta trovarsi in Italia per essere a Udine. Inoltre a non è una condizione necessaria per b, perché per essere in Italia non è necessario essere a Udine. Prendiamo ora l’enunciato: x è un numero pari (a1), se e solo se è divisibile per due (b1). Esso può essere espresso così: «a1 se e solo se b1» (in formula a1 ↔ b1). Qui b1 non solo è condizione necessaria di a1, ma è anche sufficiente, perché è necessario che x sia divisibile per due perché sia pari e basta il fatto che x sia divisibile per due perché sia pari. La formula a1 ↔ b1 può dunque essere resa con «se a1 allora b1 e se b1 allora a1» (in formula: (a1 → b1) (b1 → a1)). Per ricordare facilmente cosa va considerato necessario e cosa sufficiente, data la formula generale A → B, si dice: • condizione necessaria ciò che sta dopo il segno di implicazione (→), ossia il conseguente. • condizione sufficiente ciò che sta prima del segno di implicazione (→), ossia l’antecedente. Questo discorso può essere applicato a un passaggio dell’etica di Kant. Parlando del sommo bene, che egli ritiene essere sintesi di virtù e felicità, scrive che «dall’osservanza puntuale delle leggi etiche non ci si può attendere nessuna condizione necessaria, e sufficiente per il sommo bene, di virtù e felicità nel mondo» (I. Kant, Critica della ragion pratica, in Fondazione della metafisica dei costumi e Critica della ragion pratica, trad. it. a cura di V. Mathieu, Rusconi, Milano 19882, pp. 326-27). Il filosofo tedesco mette in guardia contro una connessione necessaria e sufficiente tra felicità e virtù nel mondo. Si capiscono le ragioni di Kant al riguardo se si riflette sul fatto che in questo mondo è vero che la virtù non è condizione necessaria per la felicità, perché si potrebbe verificare il caso che qualcuno sia felice senza essere virtuoso; inoltre, che la virtù non è nemmeno condizione sufficiente per la felicità, perché non basta essere virtuosi per essere felici e, del resto, vi sono controesempi di uomini virtuosi, il cui destino è funestato da catastrofi.

attività • Spiega se, secondo Kant, la virtù è una condizione sufficiente per il sommo bene. • Spiega se, da un punto di vista logico, nella filosofia di Kant il sommo bene è una condizione sufficiente della felicità.

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Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito

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Prepararsi all’interrogazione Confronto tra filosofi 1. kaNT E L’EMPirisMO Locke

Hume

Kant

la conoscenza

si basa sull’esperienza.

si basa sull’esperienza.

è sintesi di esperienza e di elementi a priori.

universalità e oggettività della conoscenza

è soggettiva e individuale; il sapere intersoggettivo si basa sul linguaggio.

è soggettiva e individuale; il sapere intersoggettivo si basa sulle abitudini.

è soggettiva ma universale; l’universalità è garantita dagli elementi a priori.

Giudizi conoscitivi

sintetici a posteriori

sintetici a posteriori

sintetici a priori

la sostanza

è un’idea complessa, non possiamo sapere se esiste nella realtà.

è un’idea complessa, non possiamo sapere se esiste nella realtà.

è una categoria che organizza l’esperienza, non possiamo sapere se esiste nella realtà.

il principio causale

è un’idea complessa ma se ne può dimostrare la corrispondenza con la realtà.

è un’idea complessa, in cui crediamo grazie all’abitudine, ma non ha nessuna necessità logica.

è una categoria che organizza l’esperienza, perciò è universale ma riguarda soltanto il mondo fenomenico.

l’io

se ne può dimostrare l’esistenza mediante l’intuizione.

è un fascio di percezioni, non ha una realtà sostanziale (ontologica).

in ambito conoscitivo, possiamo parlare soltanto di Io penso, che non è una sostanza, e di io fenomenico. In ambito morale dobbiamo ammettere l’esistenza e l’immortalità dell’anima.

il mondo

se ne può dimostrare l’esistenza mediante la distinzione tra qualità primarie e secondarie.

è una realtà che ipotizziamo per rendere coerente la nostra esperienza.

è un’idea della ragione che produce antinomie; possiamo ragionevolmente sperare che sia ordinato per consentire la nostra realizzazione morale, ma senza poterlo dimostrare.

dio

possiamo dimostrarne l’esistenza in base alla ragione deduttiva.

non è possibile dimostrarne l’esistenza.

non possiamo dimostrarne l’esistenza in ambito conoscitivo, ma possiamo ammetterla come postulato della ragion pratica.

la conoscenza si basa su idee innate Confronto tra filosofi e procede in modo deduttivo.

523 Kant

si basa su idee innate e procede in modo deduttivo.

è sintesi di esperienza e di elementi a priori.

universalità e oggettività della conoscenza

la conoscenza è oggettiva e universale, in quanto la verità delle idee è garantita da Dio.

vari livelli di conoscenza a seconda della forza che hanno in noi le passioni; quella sub specie aetenitatis è oggettiva e universale.

è soggettiva ma universale; l’universalità è garantita dagli elementi a priori.

Giudizi conoscitivi

analitici a priori

analitici a priori

sintetici a priori

la sostanza

distinzione tra res cogitans e res extensa

Dio unica sostanza

è una categoria che organizza l’esperienza, non possiamo sapere se esiste nella realtà.

il principio causale

fondamento della res extensa (meccanicismo)

valido per ogni realtà (tutto è razionale)

è una categoria che organizza l’esperienza, perciò è universale ma riguarda soltanto il mondo fenomenico

l’io

il fondamento della conoscenza (cogito, ergo sum): a partire dalla certezza di sé come res cogitans è possibile conoscere il resto.

non esiste come sostanza, è un modo dell’attributo estensione (come corpo) e pensiero (come mente).

in ambito conoscitivo, possiamo parlare soltanto di Io penso, che non è una sostanza, e di io fenomenico; in ambito morale dobbiamo ammettere l’esistenza e l’immortalità dell’anima.

il mondo

possiamo dimostrarne l’esistenza a partire dalle idee avventizie e studiarlo con metodo deduttivo.

coincide con Dio (panteismo); come materia, ne costituisce uno degli attributi (estensione).

è un’idea della ragione che produce antinomie; possiamo ragionevolmente sperare che sia ordinato per consentire la nostra realizzazione morale, ma senza poterlo dimostrare.

dio

se ne può dimostrare l’esistenza con prove sia a priori sia a posteriori.

l’esistenza è inclusa nel concetto, in quanto è l’unica sostanza.

non possiamo dimostrarne l’esistenza in ambito conoscitivo, ma dobbiamo ammetterla come postulato della ragion pratica.

P re PA rA rS I A l l’IN t e rroG A z IoN e

2. kaNT E iL raZiONaLisMO Prepararsi all’interrogazione Cartesio Spinoza

8. k a N T

524

Prepararsi all’interrogazione Hume Kant

3. La MOraLE

fondamento sentimento Confronto tra filosofi

ragione

relazione con i fatti

indipendenza

indipendenza

origine dei valori

abitudine

dovere

rapporto con la società

molto stretto (morale della simpatia)

inesistente (morale dell’intenzione, le conseguenze e l’ambito sociale sono indifferenti)

Confronto tra idee 4. La TEOria DELLa CONOsCENZa definizione

Il termine tecnico per indicare la teoria della conoscenza è gnoseologia, che deriva dal greco gnósis (“conoscenza”) e lógos (“discorso”).

il metodo scientifico

Inaugurato da Bacone come metodo induttivo, parte dall’osservazione e dall’esperienza per arrivare alla formulazione di leggi generali. Galilei introduce la quantificazione dei dati e gli esperimenti (cui aveva fatto riferimento anche Bacone, definendoli istanze, ma in modo meno rigoroso). Si parla allora di metodo sperimentale, o induttivo-sperimentale. Newton si rende conto dei problemi dell’induzione (non è possibile arrivare alla formulazione di leggi universali partendo da un numero finito di casi) e vi aggiunge il momento deduttivo: a partire dalle leggi ricavate per via induttiva si deducono altri fenomeni, confermando, in caso affermativo, la validità delle leggi. Si parla allora di metodo induttivo-deduttivo.

il razionalismo

È inaugurato da Cartesio e seguito da Spinoza e da leibniz. Al di là delle differenze non trascurabili tra questi filosofi, l’elemento comune è la convinzione che l’esperienza da sola non sia in grado di farci conoscere la realtà, se non abbiamo già idee in grado di organizzarla e di renderla significativa. Secondo questa prospettiva, è possibile una conoscenza oggettiva e universale. la conoscenza parte da idee innate e procede in modo deduttivo, sul modello della matematica.

l’empirismo

Contesta l’esistenza di idee innate e sostiene che l’unica fonte della conoscenza è l’esperienza, sia delle cose esterne, sia degli stati d’animo interni. Dall’esperienza derivano sensazioni o impressioni, che nella nostra mente si traducono in idee semplici. Dalla loro unione (dovuta per locke all’attività dell’intelletto e per Hume a leggi associative) derivano le idee complesse, come quelle dei singoli esseri o delle loro qualità ecc. Nell’empirismo il rapporto tra conoscenza e realtà diviene problematico, perché noi siamo certi delle sensazioni e delle idee semplici che ne derivano, ma non abbiamo modo di accertare se alle idee complesse corrispondono realtà oggettive. Inoltre la conoscenza è sempre individuale e al massimo possiamo renderla intersoggettiva (valida per più individui) mediante il linguaggio, ma mai universale.

Kant

Parte da quello che considera un dato di fatto: l’esistenza di giudizi sintetici a priori, come quelli della matematica o delle leggi fisiche, e si pone il problema di fondare questo tipo di sapere, cioè di stabilire le condizioni che lo rendono possibile. Giunge in questo modo a elaborare un’analisi critica (criticismo) delle possibilità e dei limiti della ragione. le conclusioni cui perviene è che è possibile una conoscenza universale, ma limitata all’ambito fenomenico, mentre non possiamo conoscere la cosa-in-sé, cioè il noumeno.

Questioni di attualità Scelte razionali e dilemmi morali 1. La Moral machine La “Moral machine” è un programma online che fa riferimento alla eventualità di decidere, alla guida di un’auto, quale direzione prendere, nella consapevolezza che in ogni caso provocheremo un incidente mortale, dovendo però decidere chi investire. È un problema diventato d’attualità con le auto a guida autonoma, che potrebbero dover affrontare alternative di questo tipo e che quindi devono esser equipaggiate con un software che ne determini la scelta. Ovviamente il programma deve scegliere razionalmente, ma è sempre possibile? Nel sito http://moralmachine.mit.edu/ vengono presentate numerose situazioni in cui scegliere. Come si può vedere, il pulsante in basso permette di accedere alla descrizione che informa sulle caratteristiche delle persone che verranno investite (età, sesso, professione). Inoltre, nel caso specifico si evidenzia che i 5 adulti sulla sinistra stanno attraversando con il rosso, mentre i bambini, la donna incinta e gli animali sulla destra stanno attraversando con il verde. L’auto ha i freni rotti, quindi può solo cambiare direzione e decidere chi investire, ma non fermarsi. Il programma descrive molte situazioni, che presentano alternative di vario tipo. Può essere interessante giustificare in classe le varie scelte. Un dilemma morale simile, noto come Problema del Trolley, formulato nel 1967 dalla filosofa inglese Philippa Foot, propone la scena descritta nell’immagine a lato: un carrello corre lungo un binario e ucciderà cinque persone a meno che noi non azioniamo lo scambio deviandolo su un altro binario dove ucciderà un solo individuo. Proposto come test, la maggior parte delle risposte giustificava l’azionamento dello scambio, sacrificando un individuo per salvarne cinque. Nel 1986, la filosofa statunitense Judith Jarvis Thomson propose la seguente variante, conosciuta come Problema del Footbridge, o “dell’uomo grasso”. In una situazione analoga alla precedente, l’unico modo per fermare il carrello evitando la morte di cinque persone è di gettare

P e N SA re Il P reS e N t e

Pensare il presente

525

8. k a N T

526

Film

giù da una passerella un uomo grasso, il cui corpo fermerebbe il carrello. In questo caso, le risposte sono state unanimemente contrarie all’intervento. Che cosa differenzia così radicalmente le due scelte? Ovviamente non il calcolo costi-benefici, che resta costante, ma il coinvolgimento personale più diretto nel secondo caso. Dal punto di vista morale, però, azionare la leva dello scambio o spingere la persona giù dalla passerella non presenta una differenza significativa. Potremmo dire che la differenza maggiore, più che la motivazione razionale, riguarda il coinvolgimento emotivo, molto maggiore nel secondo caso. Questo esperimento, però, sembrerebbe dar torto a Kant e rivalutare la morale come sentimento. Altro dilemma, che puoi trovare rappresentato nella sequenza del film I am Mother, con una interessante variante: sei un chirurgo e hai in cura cinque pazienti che hanno bisogno di un trapianto di organi diversi per salvarsi, altrimenti sono condannati a morire. Potresti prelevare tutti gli organi necessari dal corpo di un altro malato non grave, provocandone la morte che apparirebbe accidentale. Che cosa fai? Salvi i cinque uccidendo un innocente, o li lasci morire? È possibile in questi casi applicare il principio di universalizzazione di Kant? Se sì, verso quali scelte?

2. Terror. Un esperimento teatrale e cinematografico. Terror. Ihr Urteil, “Terrore. Il tuo giudizio” è il titolo di una fiction televisiva messa in onda da un’emittente tedesca il 21 ottobre 2016. Si tratta dell’adattamento di un’opera teatrale scritta da un avvocato, Ferdinand von Schirach. È la rappresentazione di un dilemma morale. Un pilota di caccia tedesco viene processato perché ha abbattuto, senza autorizzazione, un volo civile con 164 persone a bordo, dirottato da alcuni terroristi sullo stadio del Bayer Monaco mentre era in corso l’incontro di calcio tra la nazionale tedesca e quella inglese. Per il pilota, si trattava di scegliere tra la morte dei passeggeri dell’aereo e quella, oltre che degli stessi passeggeri, di centinaia, forse migliaia di tifosi. Nelle rappresentazioni teatrali, sul palco si celebrava il processo, esponendo le argomentazioni sulla colpevolezza o meno del pilota, senza però pronunciare il verdetto, lasciato al pubblico. Lo stesso venne fatto nella fiction TV, affidando il verdetto al televoto. Il pubblico ha assolto il pilota con circa l’87% dei voti, ma il programma ha sollevato polemiche per il timore che istigasse davvero a celebrare processi affidando la sentenza al popolo invece che a un tribunale, come già, si obiettò, succede frequentemente con i “processi mediatici”, che non valgono come sentenze ma segnano la vita delle persone. Anche nelle rappresentazioni teatrali il pilota è stato sempre assolto, con l’unica eccezione del Giappone, dove è stato condannato perché ha agito contro gli ordini, anche se seguendo la propria coscienza.

Compito di realtà Cerca in Internet “Dilemmi morali”. Scegline tre e sottoponili ai tuoi compagni di classe e ai tuoi amici, fino a raccogliere almeno una ventina di risposte. Analizza se queste sono uniformi o meno, o se divergono in alcuni casi più sensibilmente che in altri. Cerca di individuare i criteri morali ai quali si richiamano le diverse scelte.

Pro&Contro

527

Gli a priori sono universali?

Qui è proprio come per la prima idea di Copernico; il quale, vedendo che non poteva spiegare i movimenti celesti ammettendo che tutto l’esercito degli astri rotasse intorno allo spettatore, cercò se non potesse riuscir meglio facendo girare l’osservatore, e lasciando invece in riposo gli astri. Ora in metafisica si può veder di fare un tentativo simile per ciò che riguarda l’intuizione degli oggetti. Se l’intuizione si deve regolare sulla natura degli oggetti, non vedo punto come si potrebbe saperne qualcosa a priori ; se l’oggetto invece (in quanto oggetto del senso) si regola sulla natura della nostra facoltà intuitiva, mi posso benissimo rappresentare questa possibilità. [...] allora io vedo subito una via d’uscita più facile, perché l’esperienza è un modo di conoscenza che richiede il concorso dell’intelletto, del quale devo presupporre in me stesso la regola prima che gli oggetti mi sieno dati. (I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 17-18)

Il rovesciamento della prospettiva della conoscenza compiuto da kant, passando dalla centralità dell’oggetto da conoscere a quella del soggetto conoscente e delle sue strutture a priori, segna una svolta fondamentale nella filosofia contemporanea. kant traccia limiti precisi alla conoscenza, l’ambito fenomenico, l’isola che possiamo esplorare e conoscere palmo a palmo. tutto il resto, però, è il noumeno avvolto nella nebbia, un mare che non potremo mai conoscere nel senso proprio del termine. Cassirer trasforma l’isola in un continente da esplorare, in una serie di prospettive conoscitive che danno accesso a realtà diverse, nessuna delle quali più vera o più falsa delle altre. Chi ha ragione? Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell’intelletto puro esaminandone con cura ogni parte: ma l’abbiamo anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. È la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell’apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l’illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo. (Ivi, p. 119)

L’uomo non si trova più direttamente di fronte alla realtà; per così dire, egli non può più vederla faccia a faccia. La realtà fisica sembra retrocedere via via che l’attività simbolica dell’uomo avanza. Invece di avere a che fare con le cose stesse, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se medesimo. Si è circondato di forme linguistiche, di immagini artistiche, di simboli mitici e di riti religiosi a tal segno da non poter vedere e conoscere più nulla se non per il tramite di questa artificiale mediazione. (E. Cassirer, Saggio sull’uomo, Armando, Roma 1972, II, p. 80)

Cassirer, che appartiene al movimento neokantiano, accetta la «rivoluzione copernicana» di Kant, ma contesta che le strutture a priori siano di tipo logico e uniche. Secondo Cassirer le strutture a priori sono forme simboliche, diverse per i diversi ambiti della conoscenza, cioè per le diverse forme del sapere. Kant individua le condizioni per la conoscenza scientifica, che poi è la conoscenza tout court. Ciò che si può conoscere, cioè il fenomeno, lo si può conoscere in un unico modo, valido universalmente. Per Cassirer, invece, la conoscenza passa attraverso una pluralità di forme simboliche, che comprendono anche i diversi saperi, ognuno dei quali consente una determinata conoscenza della realtà, diversa da quella degli altri. la scienza è una delle forme simboliche e ci consente di conoscere in un certo modo la natura, mentre la poesia, ad esempio, ce la fa conoscere in modo profondamente diverso. Nella cultura presa nel suo complesso si può osservare il processo di una progressiva autoliberazione dell’uomo. Il linguaggio, l’arte, la religione e la scienza sono tante fasi di questo processo. In esse tutte l’uomo scopre e dimostra un nuovo potere, il potere di costruirsi un mondo proprio, un mondo «ideale». La filosofia non può rinunciare alla ricerca della unità fondamentale di questo mondo ideale, badando però a non scambiare ciò che è uno con ciò che è semplice. Essa non dimentica le tensioni e gli attriti, i forti contrasti e i profondi conflitti fra le varie facoltà dell’uomo [...]. Però questa molteplicità e disparità non attestano una discordia o una disarmonia. Tutte le funzioni si completano e s’integrano a vicenda. Ognuna dischiude un nuovo orizzonte e mostra un nuovo aspetto dell’umanità. (Ivi, xii, p. 374)

P e N SA re Il P reS e N t e

Diversamente da quanto potrebbe apparire in base al senso comune, dal punto di vista scientifico oggi si ammette largamente che la conoscenza avvenga in buona misura a priori. Ovviamente siamo tutti convinti che si debba partire dall’esperienza, ma si è altrettanto convinti che l’esperienza di per sé non sia significativa e che debba essere elaborata mediante strutture a priori. Più difficile sarebbe però l’accordo nella definizione dell’a priori e in particolare ci sarebbe una contrapposizione tra chi, come Kant, afferma che l’a priori è universale e chi invece, come Ernst Cassirer (1874-1945), lega strettamente l’a priori alla formazione mentale del soggetto e quindi alla cultura di appartenenza.

8. k a N T

528

Filosofia e cittadinanza La pace universale Nel 1795 Kant pubblica il breve saggio Per la pace perpetua, giocando con ironia sul significato equivoco della frase, presa dall’insegna di un’osteria olandese sulla quale era dipinto un cimitero. Ovviamente Kant si riferisce a una diversa «pace perpetua», quella possibile mediante un accordo tra i governi del mondo. Il suo «progetto filosofico» è strutturato in articoli preliminari, che stabiliscono le condizioni perché la finalità possa realizzarsi, articoli definitivi, cioè le modalità di realizzazione del progetto, e alcuni supplementi e appendici.

▲ Emil Dörstling, Kant a tavola con i suoi amici, 1892-93.

Gli articoli preliminari sono i seguenti: 1. «Nessun trattato di pace deve essere ritenuto tale se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura». 2. «Nessuno Stato indipendente deve poter essere acquistato da un altro mediante eredità, scambio, compera o donazione». 3. «Col tempo gli eserciti permanenti devono essere aboliti». 4. «Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello Stato». 5. «Nessuno Stato si deve intromettere con la forza nella costituzione di un altro Stato». 6. «Nessuno Stato in guerra deve permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile la reciproca fiducia nella pace futura». Kant analizza in dettaglio i diversi punti e formula la propria proposta per garantire una pace permanente, prevedendo tre condizioni perché possa realizzarsi: 1. «La costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana». 2. «Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di Stati liberi». 3. «Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di una ospitalità universale». Il secondo punto è quello centrale e viene così argomentato da Kant: Per gli Stati che stanno in relazioni reciproche non vi può essere secondo la ragione altra maniera di uscire dallo stato di natura senza leggi, che comporta sempre guerre, se non rinunciando, come gli individui singoli, alla loro selvaggia libertà (senza leggi), sottomettendosi a leggi pubbliche coattive e formando uno stato di popoli (civitas gentium) che si estenda sempre di più, fino ad abbracciare alla fine tutti i popoli della terra. Ma poiché essi, secondo le loro idee sul diritto internazionale, non vogliono aderirvi e rigettano in ipotesi ciò che in tesi è giusto, così all’idea positiva di una repubblica universale (perché non tutto vada perduto) può sostituirsi

Quindi, la soluzione ottimale sarebbe per Kant la costituzione di una vera e propria federazione mondiale, ma dato che ciò è concretamente irrealizzabile si può accettare una soluzione transitoria, costituita da una lega di Stati che respinga ed eviti la guerra. Questa prospettiva è stata ripresa alla fine della Seconda guerra mondiale con la costituzione dell’ONU, il cui Statuto, firmato il 26 giugno 1945, prevede quanto segue: Art. 1. I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace. 2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale. 3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione. 4. Costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni. Art. 2. L’Organizzazione ed i suoi Membri, nel perseguire i fini enunciati nell’art. 1, devono agire in conformità ai seguenti princìpi: 1. L’Organizzazione è fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i suoi Membri. 2. […]

◀ La sede dell’ONU a New York.

529 P e N SA re Il P reS e N t e

solo il surrogato negativo di una lega permanente e sempre più estesa che respinga la guerra e freni il torrente delle tendenze ostili e contrarie al diritto, anche se con il costante pericolo della sua rottura. (I. Kant, Per la pace perpetua, Rizzoli, Milano 2003, pp. 65-66)

8. k a N T

530

3. I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo. 4. I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. 5. […] 6. L’Organizzazione deve fare in modo che gli Stati che non sono Membri delle Nazioni Unite agiscano in conformità a questi princìpi, per quanto possa essere necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. 7. Nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengano essenzialmente alla competenza interna di uno Stato […]. Lo Statuto delle Nazioni Unite per alcuni aspetti è, come ci si aspetterebbe, più avanzato rispetto alle indicazioni kantiane, ad esempio prevedendo anche la soluzione dei problemi «internazionali di carattere economico, sociale, culturale od umanitario» e nell’affermazione dei diritti universali dell’uomo, oggetto poi della nota Dichiarazione del 1948. Per altri versi, però, sembra addirittura più limitato, dato che non prevede l’abolizione, anche se non immediata, degli eserciti nazionali, come invece fa Kant.

attività Confronta le posizioni kantiane e quelle degli articoli dello Statuto dell’oNu riportati sopra, individuandovi sia i punti comuni sia le differenze. esponi questo confronto in un breve saggio scritto, se vuoi leggendo per intero il breve saggio di Kant e lo Statuto dell’oNu, che puoi trovare facilmente in Internet.

9. Romanticismo e idealismo

lezione in PowerPoint

LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. 2. 3. 4.

Le premesse del Romanticismo Temi e figure del Romanticismo L’idealismo etico di Fichte L’idealismo estetico di Schelling

La rETE DEi saPEri antropologia • Il concetto di «popolo» e

lo studio delle tradizioni popolari

psicologia • L’inconscio nella filosofia romantica sociologia • dalla patria al nazionalismo I TESTI • T1 Schiller Il gusto e la moralità • T2 Fichte L’uomo deve sottomettere la natura o rispettarla? • T3 Fichte L’autocoscienza o intuizione intellettuale TEST DI AUTOVALUTAZIONE

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO Competenze / La filosofia e il presente, Lessico e concettualizzazione, mappa concettuale, pensiero critico, argomentazione, Filosofia e cittadinanza per CapIre meGLIo La paroLa aI testI attIvItà approFondImentI / Filosofia per immagini, per saperne di più, Intersezioni

• T4 Fichte La tensione verso un perfezionamento infinito

• T5 Fichte Il ruolo pubblico del dotto • T6 Schelling L’organismo non è spiegabile in modo meccanicistico

532

La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Esiste una razionalità nello sviluppo storico? • Esiste un’identità collettiva che possiamo definire «popolo»? • Ha senso affermare l’esistenza del noumeno se non è conoscibile? • Se non esiste il noumeno, che cos’è il reale? Da dove ha inizio? • Cosa spiega tutto il reale? Che cos’è l’Assoluto? • La natura ha una dimensione spirituale? • L’intelletto spiega tutto? Qual è la funzione del sentimento?

3

2

I CONCETTI DA RIPASSARE • Dialettica • Noumeno • Primato della ragion pratica • Trascendentale • Intelletto / ragione • Popolo

I CONCETTI CENTRALI • Assoluto • Totalità • Spirito • Idealismo • Dialettica • Sehnsucht • Streben

4

I NUOVI PROBLEMI • Com’è possibile superare il dualismo tra Io e Non-Io? • Che rapporto c’è tra Spirito e natura? • L’assoluto è una realtà data oppure è sviluppo? • Qual è il significato della storia umana?

PENSARE IL PRESENTE • È possibile vivere in unità con la natura? • Qual è il rapporto tra linguaggio e identità collettiva? • In che cosa consiste la relazione tra gusto estetico e moralità?

Uno sguardo d’insieme I

l denominatore comune tra romanticismo e idealismo è il superamento della ragione illuministica e kantiana, in nome dell’aspirazione verso l’infinito, inteso come la totalità in cui il finito, (il particolare), è inserito e all’interno della quale acquista significato. Questo senso della totalità, ben espresso dal concetto centrale dell’idealismo, l’assoluto, si sviluppa in una serie di direzioni complementari: • unione del mondo spirituale e del mondo naturale, che si traduce nella spiritualizzazione della natura, presente in Goethe, nei romantici e nella filosofia di schelling. La spiritualità della natura trova espressione nelle liriche di Hölderlin, il quale identifica l’uomo con la natura, affermando la profonda unità del tutto (panismo). novalis, con il cosiddetto «idealismo magico», vede invece nella natura un prodotto della spiritualità umana, che si rivelerà a chi sia capace di coglierla proprio attraverso la natura. Sotto questo aspetto il pensiero di Fichte si distingue dal romanticismo, identificando l’Assoluto soltanto con il soggetto, con l’Io; • unità di tutte le facoltà dell’uomo e rivalutazione degli aspetti a-razionali, in particolare

del sentimento; in ambito letterario l’armonia tra questi diversi aspetti trova espressione nel concetto di «anima bella» di Schiller, mentre dal punto di vista filosofico il rapporto tra ragione e naturalità è approfondito soprattutto da Schelling. Egli identifica la naturalità con la dimensione inconscia, che non può essere colta dalla filosofia, ma solo dall’arte, la quale quindi costituisce il vertice della conoscenza. La rivalutazione dei sentimenti comporta in generale il recupero di tutti gli aspetti non razionali dell’animo umano e invita a un’esplorazione delle diverse dimensioni della psiche umana. nel romanticismo e nell’idealismo si ha la scoperta dell’inconscio, considerato sia come la fonte dell’ispirazione artistica e del sentimento che ci unisce alla natura, sia come una componente non risolta e inquietante dell’uomo e, per Schelling, persino come un aspetto della divinità; • unione spirituale degli individui legati dalla tradizione e dalla comune visione del mondo a costituire un popolo. È un aspetto approfondito soprattutto da Herder e da Fichte, che individuano nel linguaggio una delle componenti fondamentali dell’identità collettiva.

se ne distanzia

unione Io-natura

ASSOLUTO COME TOTALITÀ

esprime

unione ragionesentimenti

unione Io-altri

nei diversi autori

nei diversi autori

nei diversi autori

Audiomappa ichte: l’Assoluto • Fcome soggetto

• G Hoethe: Naturphilosophie • Nölderlin: panismo ovalis: idealismo magico • Schelling: spiritualità della natura • • S Schiller: anima bella chelling: naturalità dell’uomo • (inconscio espresso dall’arte) Fichte, Herder: unità • degli individui nel popolo

(importanza del linguaggio)

533

534

Il contesto storico-culturale alla fine del settecento la Germania si trova in una situazione unica e conflittuale. ancora non esiste come entità nazionale e il suo territorio è frazionato in un gran numero di stati regionali e città indipendenti. ancora non conosce i fermenti della rivoluzione industriale e l’economia rimane fondata su una produzione agricola che determina rapporti sociali non lontani dalla servitù della gleba medievale. ma nonostante questi fattori di arretratezza, la Germania è ormai da alcuni secoli fra i paesi protagonisti della spiritualità occidentale: tedeschi sono giganti del pensiero come Lutero (1483-1546), Leibniz (1646-1716) e Kant (17241804) e tedesche sono alcune università fra le più prestigiose d’europa in campo filosofico e teologico. e la prussia di Federico II, il re filosofo, è diventata un centro culturale di livello europeo, verso cui convergono personalità illustri ed eccentriche come voltaire. Questo sistema da secoli sostanzialmente immobile è ora sconvolto da due avvenimenti, relativamente vicini nel tempo ma di segno contrario. Il primo è lo scoppio della rivoluzione francese, che non produce in

▲ Alcuni sanculotti (sans-culotte), i rivoluzionari francesi che indossavano i calzoni lunghi al posto delle tradizionali culottes.

Germania sconvolgimenti sociali ma infiamma le speranze degli intellettuali che la interpretano come la concretizzazione degli ideali illuministi. Il secondo è la conquista della Germania da parte di napoleone, che nel 1806 entra a Berlino quasi senza incontrare resistenza. È l’avvenimento che sancisce la fine delle illusioni libertarie nate nel 1789: le truppe francesi non vengono a liberare i popoli ma ad assoggettarli, e del resto anche in Francia la rivoluzione sembra produrre fenomeni sociali e politici agli antipodi rispetto agli ideali originari, come il terrore instaurato da robespierre. L’effetto di questi avvenimenti storici è uno shock culturale che nel giro di pochi anni ribalta convinzioni che si supponevano ormai consolidate. Sono gli ideali illuministi, ancora fondamentali nel pensiero di Kant, a essere ora sul banco degli imputati: li si accusa di aver elaborato proprio quella visione riduttiva dell’uomo (laica, materialista, economicista) che ha condotto al disastro. È la molla che determina la prima fase del romanticismo, di tipo essenzialmente negativo e polemico: ogni valore in cui gli illuministi avevano creduto viene sistematicamente ribaltato nel suo contrario. Contro la ragione si pone il «sentimento»; contro la consapevolezza dei propri limiti (il criticismo) si pone la voglia di infinito e di assoluto. A questa fase iniziale ne segue poi una seconda, più matura e propositiva, in cui la visione romantica del mondo si afferma in tutta la sua complessità. Il frutto, sul piano filosofico, è l’idealismo di Fichte, Schelling e Hegel; sul piano sociale è l’imporsi di una cultura che valorizza in un grado mai riscontrato nella storia l’arte, la letteratura, gli istinti, la religione, la spiritualità e il sentimento, a cominciare naturalmente dal più potente, l’amore. Sul piano politico, invece, i risultati non sono coerenti. Se in germania e poi in Italia, il romanticismo alimenta le speranze (spesso utopistiche ed idealistiche) suscitate dai movimenti risorgimentali, in Francia si esprime soprattutto a sostegno della restaurazione e del recupero delle antiche tradizioni.

1740

1740-86 Federico II regna in prussia

Königsberg

Berlino Düsseldorf Weimar Würzburg

Jena

Erlangen

Stoccarda

1760

Lipsia

Tubinga

1762 Fichte nasce a rammenau in sassonia

1780

I LUOGHI DELLA CULTURA ROMANTICA romanticismo e Idealismo sono in ambito artistico-letterario e filosofico l’espressione più autentica della cultura tedesca a cavallo fra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento. Il movimento romantico è preceduto dalla corrente dello Sturm und drang, a cui sono vicini Goethe e schiller. a partire dagli anni settanta del xviii secolo Weimar è un centro culturale di prima importanza, dove vivono goethe, schiller e Herder. Dal punto di vista filosofico inizia negli ultimi anni del secolo una fase di revisione della filosofia kantiana che ha come esponenti di spicco Hamann, originario di Königsberg e, a düsseldorf, Jacobi. La poetica del romanticismo si esprime compiutamente nel circolo che nasce a Jena, e in seguito a Berlino, attorno alla rivista «Athenaeum», fondata nel 1798 dai fratelli August e Friedrich schlegel. molto vicino al circolo dei romantici è novalis, che a Jena segue le lezioni di Fichte. Jena è infatti sede dell’università in cui insegnano i principali esponenti della filosofia del tempo: prima reinhold, pensatore di scuola kantiana, poi i filosofi dell’idealismo, Fichte e schelling. Fichte lascia Jena nel 1799 in seguito alla «controversia sull’ateismo» per recarsi a Berlino, dove contribuirà alla fondazione dell’università nel 1810. nella nuova università ricoprirà la cattedra di teologia schleiermacher. schelling, dopo gli studi a tubinga insieme a Hegel e Hölderlin, insegna presso le Università di Jena, Würzburg, erlangen e infine Berlino, dove, dopo la morte di Hegel, viene chiamato a ricoprire quella che era stata la sua cattedra.

1773-74 goethe, Urfaust

1775 schelling nasce a Leonberg nel Wüttemberg

1789 scoppia la rivoluzione francese

1781 Kant, Critica della ragion pura

1794 Fichte, Fondamento dell’intera dottrina della scienza 1798 i fratelli schlegel fondano la rivista «Athenaeum»

1797 Hölderlin, Iperione

1800 1801 schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale

1808 Fichte, Discorsi alla nazione tedesca 1813 napoleone è sconfitto a Lipsia 1815 napoleone è sconfitto a Waterloo

1804 muore Kant 1806 napoleone sconfigge la prussia a Jena 1810 viene fondata l’Università di Berlino 1814 Fichte muore a Berlino

1820

1840

1854 schelling muore a Bad ragaz in svizzera

1860

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• Sintesi • Mappa

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Le premesse del Romanticismo

Lo Sturm und Drang il romanticismo nasce tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento, ma è anticipato dallo Sturm und drang, un movimento letterario che si sviluppa in Germania tra il 1765 e il 1785. Gli stürmer contestano il razionalismo illuminista, al quale contrappongono il sentimento, la fantasia e la creatività individuale. Il Romanticismo ➝ 1 è un movimento culturale, artistico e letterario ➝ 2 nato fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento in Germania e poi diffusosi in tutta Europa dando origine a varianti nazionali. L’idealismo ne costituisce l’espressione filosofica, ma questa distinzione non era all’epoca ben evidente. Le due tendenze, infatti, condividono lo stesso humus culturale e, sia pure in ambiti diversi, esprimono le stesse esigenze: in polemica contro la razionalità illuminista e il criticismo kantiano, entrambe esaltano la spiritualità e la potenza creativa dell’uomo, entrambe concepiscono la storia come sviluppo razionale ed esprimono un amore particolare per la natura e per l’arte. Inoltre, i protagonisti dei due movimenti sono spesso fra loro in contatto, a volte in rapporti di amicizia e di collaborazione (con l’unica eccezione di Hegel, che pur riprendendo temi del Romanticismo mantiene verso di esso un atteggiamento polemico). La prima contestazione della razionalità illuministica si ha con lo Sturm und Drang (cioè “tempesta e impeto”), dal titolo di un dramma di Friedrich Maximilian Klinger, nato nel 1752 e morto nel 1831; si tratta di un movimento letterario sviluppatosi in Germania fra il 1765 e il 1785, quindi in netto anticipo sul Romanticismo, caratterizzato dal considerare la fede, l’istinto, il sentimento e la fantasia strumenti più efficaci della ragione per capire la realtà. È un’evidente ribellione culturale antilluministica, accentuata, sul piano politico, dall’entusiasmo per le vicende che nel 1776 portano alla proclamazione dell’indipendenza americana. Formatisi leggendo le opere di Rousseau, gli stürmer, un cenacolo di giovani intellettuali inquieti e ribelli, contestano le convenzioni sociali e i modelli classici, insistono sul valore della genialità creativa e individuano nell’arte, in particolare nella letteratura e nel teatro, gli strumenti espressivi più confacenti alla nuova spiritualità. Le idee dello Sturm und Drang influenzano Schiller e Goethe, due autori “di passaggio”, nei quali, cioè, i temi della nuova sensibilità romantica si inseriscono in una cultura ancora per molti versi classicista e illuminista.

Materiali per l’apprendimento attivo 1. PEr CaPirE MEGLiO

2. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia per immagini

la zattera della meduSa: L’iCONa DELLa NuOva sENsiBiLiTÀ L’immagine più riassuntiva della sensibilità romantica è la zattera della medusa, dipinta da Théodore Géricault nel 1818 prendendo spunto dal naufragio della fregata francese Medusa davanti alle coste della Mauritania: su 150 solo 15 persone si salvarono e la tragedia commosse tutta l’Europa. Géricault rappresenta il momento più intenso ed emozionante della vicenda, in cui i naufraghi scorgono la nave di soccorso, che si intravede all’orizzonte, e si protendono verso di essa agitandosi convulsamente. Il loro “slancio verso la salvezza” si comunica a tutta la composizione che (differenziandosi dalla simmetria classica) si sviluppa in una diagonale che va dal cadavere in basso a destra sino allo straccio proteso in alto a sinistra. ▶ Théodore Géricault, La zattera della Medusa, 1818, olio su tela, primo bozzetto (Parigi, Musée du Louvre).

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COsa si iNTENDE CON rOMaNTiCisMO? 1. l’aggettivo «romantico» compare intorno alla metà del Seicento in Inghilterra con un significato negativo, per indicare racconti irreali, simili a quelli cavallereschi, tornati allora di moda. Il termine viene usato in senso positivo da rousseau, prima per descrivere un paesaggio particolarmente suggestivo, poi per indicare il sentimento che esso suscita. Il termine «romanticismo» invece è utilizzato da Friedrich Schlegel (1772-1829) per definire il movimento sorto intorno al circolo di Jena, con un programma preciso sia sul piano estetico sia sul piano filosofico. In questo senso più tecnico, il termine ha un uso circoscritto e indica un preciso modello di pensiero e di vita, una concezione dell’arte, ma anche la filosofia che ne è il fondamento teorico. 2. In un senso più generale e oggi prevalente si parla invece di «romanticismo» in riferimento a un’epoca storica e alle concezioni generali che l’hanno caratterizzata e che hanno influenzato non soltanto l’arte, ma anche la filosofia, la visione del mondo, la concezione della società. Nei vari Paesi europei questa tendenza culturale assume forme molto diverse. Possiamo considerare, ad esempio, Leopardi un romantico? Per alcuni aspetti indubbiamente sì, per altri no. Possiamo dire, in generale, che tra il Romanticismo inglese e quello tedesco ci sono analogie, ma anche molte differenze. 3. In una terza possibile interpretazione «Romanticismo», con la minuscola, indica il modo di fare di chi privilegia il sentimento rispetto a tutto il resto. Forse questa è la componente presente in tutti i «Romanticismi» dei diversi periodi e delle diverse nazionalità, ma si tratta di una caratteristica troppo generica. Sappiamo distinguere i romantici dagli illuministi, ma non esiste probabilmente una definizione valida per tutti. Esistono più «tratti», ognuno dei quali è presente nel movimento nel suo insieme, ma alcuni sono più marcati in Inghilterra, altri in Germania, alcuni sono evidenti nel “primo” Romanticismo, altri nel periodo successivo.

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9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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Goethe in una prima fase giovanile Goethe attraversa una fase romantica che coincide con l’adesione allo «Sturm und drang» ed è ben espressa nel «Werther». il lato romantico di Goethe è però rintracciabile soprattutto nel «faustismo», la tensione dell’uomo a sfidare e a tendere verso l’assoluto. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832), drammaturgo, poeta e scrittore, non è annoverabile nella schiera dei romantici, perché nella maturità è molto critico verso il loro movimento. In gioventù, tuttavia, aderisce allo Sturm und Drang e anzi contribuisce in modo decisivo alla sua poetica con due opere importanti. La prima è il romanzo I dolori del giovane Werther (1774) ➝ 3 , nel quale trova espressione il cosiddetto “diritto del cuore”, cioè l’idea che gli istinti e le passioni non possano essere efficacemente contrastate dalla ragione. Il Werther segna anche la nascita di un nuovo genere letterario, il romanzo auto-biografico, nel quale la storia della propria vita viene non solo raccontata (come nelle biografie tradizionali) ma anche interpretata sino a estrarne il significato e il valore. Molto simile al romanzo di formazione ➝ 4 (anch’esso di invenzione romantica), questo nuovo genere abbandona l’atteggiamento didascalico, tipico di chi cerca di insegnare qualcosa, che caratterizzava la narrativa illuminista e si focalizza sull’introspezione psicologica del soggetto, sulla storia della sua evoluzione spirituale. L’opera più nota di Goethe è il Faust, cui egli lavora per tutta la vita. È la storia di un uomo (Faust, un alchimista) che per realizzare i suoi desideri (conoscere i misteri della natura) viene a patti con Mefistofele (il diavolo) che promette di stare al suo servizio sino alla morte, consentendogli una conoscenza assoluta, al prezzo però della sua anima. La trama è ricavata da un racconto popolare tedesco, ma Goethe la arricchisce con un finale inedito e sconcertante: Faust è sottratto al diavolo da una schiera di angeli e condotto in Paradiso; come dire, esplicita Goethe, che bisogna perdonare qualunque cosa a chi cerca di superare i propri limiti umani, di “andare oltre”, sempre e comunque. I romantici vi vedranno l’espressione più profonda del «titanismo» (o streben), un tratto che, come vedremo, caratterizza la loro mentalità. Contro la scienza newtoniana quantitativa, Goethe propone di indagare la natura qualitativamente, ossia osservandone le forme, alla ricerca del fenomeno originario che le unifica. Goethe contribuisce alla formazione della cultura romantica anche con la sua attività di scienziato. In realtà, anche se egli conduce studi approfonditi e svolge ricerche osservative, tanto da giungere ad alcune scoperte in campo medico e botanico, la sua rimane più che altro una filosofia della natura ➝ 5 . Egli la concepisce in termini organistici, come un essere vivente dotato di un’inesauribile forza primigenia e capace di determinarsi in molti modi, fra i quali sono compresi anche il mondo umano e quello divino. Volendosi distinguere del newtonesimo, fondato sulla riconduzione dei fenomeni a elementi quantitativi e matematicamente misurabili attraverso procedure sperimentali oggettive, Goethe recupera la tradizione teologica panteistica e le dottrine di Plotino, Bruno e Spinoza. Ma va anche oltre: tenta di delineare una morfologia della natura, ossia una descrizione che la interpreti usando effettivamente gli stessi criteri fisiologici con cui parliamo del corpo umano. Nelle osservazioni, soprattutto di ordine botanico, che egli svolge nei due anni di permanenza in Italia (1786-88), raccontati poi in Viaggio in Italia (1817), Goethe cerca nella natura l’equivalente di ciò che nel corpo umano è lo scheletro, la struttura solida e portante. Nel giardino botanico di Palermo individua la Urplanz, cioè la forma della pianta originaria, nella cosiddetta “palma di Goethe”, ancora oggi esistente.

Materiali per l’apprendimento attivo 3. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

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i dolori del giovane Werther i dolori del giovane Werther è il racconto, in forma epistolare, di un amore impossibile, infelice e tragico. la trama è semplice, ma vivacizzata dalle acute osservazioni psicologiche di Goethe. Durante una villeggiatura in campagna, il giovane Werther, di soli vent’anni ma dotato di buona cultura, si innamora di Charlotte, una ragazza di rara bellezza e intelligenza, ma già promessa a un giovane locale, con il quale lo stesso Werther intrattiene un rapporto di amicizia. rendendosi conto di non avere speranza, il protagonista cerca di annullare il sentimento d’amore che lo domina, prima ritornando in città e poi accettando di iniziare la carriera di diplomatico. Ma contro la passione ogni sforzo si rivela inutile: tornato in campagna, Werther una notte bacia Charlotte contro la sua volontà e il giorno dopo si suicida. A partire dal Werther i sentimenti diventano una forza preponderante e travolgente, contro la quale la ragione non può fare nulla.

1 L E P RE MES S E d E L RoMa n T Ic IS Mo

4. PEr CaPirE MEGLiO

iL rOMaNZO Di FOrMaZiONE Il romanzo di formazione (Bildungsroman) è un genere letterario che conosce una grande fortuna nei decenni a cavallo tra il xviii e il xix secolo, particolarmente in Germania. di solito ha una forma narrativa, a volte come ricordo di una persona in età avanzata, come Le confessioni di un italiano di Ippolito nievo (1831-1861), altre volte come racconto in terza persona. La caratteristica che lo contraddistingue è la ricostruzione della vita del protagonista, con l’intento di mostrare il processo che lo porta dall’adolescenza all’età adulta. Spesso il racconto non è in prima persona e si sviluppa secondo una vera e propria trama, come nell’esempio forse più famoso, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe. anche quando, come in questo caso, l’intreccio narrativo è piuttosto articolato, l’elemento psicologico o «spirituale» rimane comunque in primo piano: spesso dopo una gioventù turbolenta o sofferta, il protagonista gradualmente scopre se stesso, il proprio modo di essere, e trova la sua collocazione, il suo posto nel contesto sociale, (il romanzo di Goethe ad esempio si conclude con il matrimonio del protagonista, Wilhelm Meister, con natalia). nel periodo che stiamo considerando è importante anche Enrico di Ofterdingen di novalis, ma nel corso dell’ottocento possiamo trovare esempi di romanzi di formazione anche in Francia, in Gran Bretagna e in altri Paesi. 5. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

LE riCErChE sCiENTiFiChE Di GOEThE l’avversione di Goethe per la fisica newtoniana affiora anche nella sua teoria dei colori. Servendosi di un prisma di cristallo, newton aveva scoperto che la luce è scomponibile in raggi ai cui differenti indici di rifrazione corrispondono, nella percezione soggettiva, i diversi colori. Goethe, al contrario, sostiene che la luce è un fenomeno semplice e che i colori derivano dalla contrapposizione basilare tra il bianco e il nero. È una teoria totalmente infondata sul piano scientifico, espressione della tendenza romantica a ricondurre la molteplicità dei fenomeni a un’unica legge semplice e fondamentale. Più interessanti appaiono le ricerche di Goethe sulla vita delle piante, oggi ripresi dalla neurologia vegetale, un nuovo settore della scienza ben divulgato in Italia dai testi di Stefano Mancuso (Verde brillante. Sensibilità e intelligenza nel mondo vegetale, 2013). Le sue scoperte sono affascinanti e spesso creano insospettati parallelismi fra la vita umana e quella vegetale. Mancuso, ad esempio, afferma che in essa esistono fenomeni simili alle cure parentali: nel folto di una foresta i germogli delle nuove piante non potrebbero svilupparsi per la carenza di luce a livello del terreno, ma vengono “aiutati” dalle piante più anziane che per un certo tempo permettono ad esse di trarre le sostanze di cui hanno bisogno dalle proprie radici.

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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Schiller Johann Christoph Friedrich von Schiller (1759-1805) nasce a Marbach sul Neckar, in Svevia. Dopo due anni di studi di giurisprudenza passa alla medicina, che giudica più vicina alla poesia e alla letteratura. A breve però si dedica a tempo pieno ai progetti editoriali. Partecipa allo Sturm und Drang, di cui il dramma I masnadieri (1782) è una delle opere più rappresentative. Nel 1789 è chiamato come professore di filosofia all’Università di Jena. Pubblica drammi famosi che nel secolo successivo saranno musicati da Verdi e Rossini, Luisa Miller, Don Carlos, Guglielmo Tell e Maria Stuarda. Scrive anche due saggi storici, Storia della rivolta dei Paesi Bassi e alla corona spagnola e Storia della guerra dei 30 anni, che lo fanno diventare lo storico più famoso della sua epoca. L’uomo è per natura unione di sensibilità e razionalità. L’ideale non è dunque sacrificare l’una all’altra, ma riunire entrambe. nell’anima bella tale unione si esprime perfettamente nella grazia. Influenzato profondamente dall’Illuminismo, Schiller incarna con le sue opere la profonda unione fra Sturm und Drang e neoclassicismo. Giunge alla filosofia leggendo le opere di Kant, ma è un illuminista critico, disilluso dalla Rivoluzione francese, nel cui esito tragico vede un ammonimento a rivederne i valori. Di Kant non accetta il rigorismo etico, cioè l’idea che un’azione sia tanto più moralmente valida quanto più si oppone ai desideri e agli istinti di chi la compie, con la conclusione che questi non potrà mai essere al contempo virtuoso e felice. A questa cupa visione del mondo morale, egli contrappone l’esistenza delle «anime belle»: persone in cui la ragione si concilia spontaneamente e senza fatica con il sentimento, cioè con il desiderio di compierlo. Queste persone hanno acquisito un’elevazione spirituale tale che possono lasciarsi guidare dagli affetti e dalle propensioni immediate senza correre il pericolo di compiere scelte morali irragionevoli o contrarie al dovere. L’anima bella, spiega Schiller nel saggio Sulla grazia e la dignità (1793), si riconosce per il possesso di una qualità che egli chiama «grazia». Essa non coincide con la bellezza: una persona può essere fisicamente bella ma goffa, mentre viceversa una brutta può muoversi in modo aggraziato. La grazia, infatti, consiste in un rapporto armonico tra anima e corpo, tra spirito e natura, tra ragione e istinto. È una forma di bellezza creata dagli uomini che si realizza solo raramente, ammette Schiller. La posseggono, infatti, solo i pochi che riescono a sviluppare se stessi in modo integrale, coltivando le capacità logiche ma anche la sensibilità, l’affettività e il sentimento. La filosofia kantiana, conclude Schiller, insistendo sulla doppia natura dell’uomo, cioè sul contrasto fra razionalità e impulsi istintivi, non favorisce ma ostacola tale ricomposizione. La formazione ideale dell’uomo, attraverso l’educazione estetica, coniuga sensibilità e dovere, sensibile e sovrasensibile. Nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795), Schiller spiega che questo sviluppo integrale della persona è favorito da un’educazione estetica, centrata cioè sulla creazione o sulla fruizione di opere d’arte. Nell’attività artistica, infatti, tutte le componenti della natura umana si intersecano. Il bello apre all’uomo la strada verso la ragione, perché gli fa intuire gli schemi su cui si fonda l’armonia, e persino, aggiunge Schiller, verso l’etica ➝ 6 . Infatti, per valutare la bellezza di un’opera d’arte bisogna porsi verso di essa in modo disinteressato, senza lasciarsi influenzare dai propri gusti né dagli interessi personali, poiché, come ha insegnato Kant, l’abitudine a formulare giudizi prescindendo dalla propria soggettività è proprio il fondamento della moralità. Quindi moralità ed estetica si intrecciano: si giunge alla libertà attraverso la bellezza, ed è il non aver capito questa verità che ha portato il mondo alla decadenza. La Rivoluzione francese è fallita perché l’uomo moderno è educato in modo unilaterale e incompleto, alienato nella sua natura da una cultura attenta solo all’utile e al razionale, capace di sviluppare il

Materiali per l’apprendimento attivo 6. La ParOLa ai TEsTi

Il vizio va rifiutato, argomenta Schiller, perché è turpe e ripugnante, veicolo della bruttezza. Ad esso si oppone il gusto, la sensibilità personale che, collaborando con la ragione, prepara il terreno alla virtù rendendo evidente la sgradevolezza estetica dei comportamenti immorali.

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Il gusto esige misura e decoro, rifugge da tutto ciò che è angoloso, duro e violento, e inclina verso ciò che si costituisce in modo lieve e armonico. Che anche nella tempesta della sensibilità noi ascoltiamo la voce della ragione, e poniamo un limite all’erompere della natura, è, notoriamente, richiesto già dal “buon tono”, che altro non è se non una legge estetica di ogni uomo civile. Questa costrizione, a cui si assoggetta l’uomo civile nella manifestazione dei propri sentimenti, gli procura di per sé un certo grado di padronanza sui sentimenti medesimi: lo rende, quanto meno, pronto a interrompere lo stato passionale della sua anima con un atto di autonomia e a trattenere con la riflessione il rapido passare all’azione dei sentimenti. Ora, tutto ciò che spezza la cieca potenza degli affetti non porta ancora con sé la virtù (poiché questa deve essere sempre opera propria), ma fa spazio alla volontà perché si volga alla virtù. (F. Schiller, Sull’utilità morale dei costumi estetici, in Grande antologia filosofica, Marzorati, Settimo Milanese, XVII, pp. 509-10)

7. per capire MeGLio

La differenza fra estetica ed estetisMo Nelle Lettere sull’educazione estetica del genere umano (1975) Schiller individua nella creazione e nella fruizione dell’arte la via per riunire l’intelletto e la sensibilità, due categorie che Kant aveva mantenuto ben distinte, ed anzi posto in opposizione. Secondo Schiller, invece, attraverso la funzione estetica tutti gli aspetti dell’essere umano si ricompongono in un’unità armonica ed è quindi necessario che i giovani siano prima di tutto educati a riconoscere il bello. Ciò significa, a suo avviso, sconfiggere la “tirannia dell’utile”, ossia l’idea che scopo della vita sia produrre, impegnarsi in progetti fattibili migliorando così il mondo, quando invece l’unica possibile elevazione dello spirito nasce dalla contemplazione disinteressata della bellezza e dal conseguente raffinarsi del gusto personale. Queste tesi contribuirono nella seconda metà dell’ottocento alla nascita dell’estetismo, una corrente culturale del tardo Romanticismo. Sebbene etimologicamente simili, i termini «estetica» ed «estetismo» non vanno confusi. Il primo indica quel settore della filosofia che cerca di chiarire quale sia la natura del bello, mentre il secondo indica un modello di vita, una visione complessiva del mondo in cui i valori estetici diventano predominanti anche in campo conoscitivo ed etico. andando ben oltre la funzione pedagogica affidata da Schiller all’arte, l’esteta tardo romantico ha orrore della vita comune, disprezza il lavoro e la fatica, cerca piaceri raffinati ed ha come ideale “fare della propria vita un’opera d’arte”, anche a costo di contravvenire alla morale. cervello ma non il cuore. Secondo Schiller, per superare tale mutilazione vi è bisogno di una sorta di rivoluzione antropologica, che la pedagogia può favorire introducendo nell’educazione la pratica del teatro e soprattutto del gioco. Entrambe queste attività sono prive di utilità immediata e quindi capaci di produrre quel disinteresse per la propria persona su cui si fonda l’etica: «Solo quando si gioca si è veramente liberi», osserva Schiller. Sono tesi che nella seconda metà dell’Ottocento saranno riprese e approfondite dall’estetismo, una corrente culturale tardo romantica caratterizzata dal porre ogni aspetto della vita sotto il dominio dell’estetica, sino a fare della propria esistenza un’opera d’arte (dandyismo) ➝ 7 .

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T1 schiller Il gusto e la moralità

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La filosofia della fede e della storia Contestando il criticismo astratto di kant, hamann sostiene la superiorità della fede sulla ragione, precorrendo così la rivalutazione romantica della religione. Negli ultimi decenni del Settecento, l’Illuminismo comincia a essere contestato anche dal punto di vista religioso ➝ 8 . Ad iniziare la polemica è Johann Georg Hamann (1730-1788), un impiegato di dogana amico di Kant e suo concittadino, giunto alla fede cristiana con una violenta crisi spirituale dopo una giovinezza sregolata. Le sue opere (Memorabili socratici, 1759; Crociate di un filologo, 1762) sono caratterizzate da uno stile simbolico, oscuro e ricco di metafore che rinviano a significati nascosti, giustificando così l’appellativo di “mago del Nord” che egli stesso si attribuisce (e che i contemporanei fecero proprio). È un ermetismo voluto, una sfida rivolta “all’arci lodata ragione”, che per Hamann è solo un mito. Per questo fallisce l’Illuminismo: riducendo l’uomo a pura ragione gli impedisce di percepire la verità della rivelazione divina, espressa nella Bibbia e nei Vangeli, ma anche, aggiunge Hamann, nella natura, nella quale la presenza divina è evidente. Ma tale verità può essere colta non con la ragione ma solo con la fede, che è sentimento del divino. Contrario all’idea di progresso lineare, che porta a giudicare negativamente le epoche passate, herder propone una concezione organicistica della storia, intesa come processo unitario in cui l’umanità realizza progressivamente se stessa. La polemica antilluminista di Hamann è continuata da Johann Gottfried Herder (17441803), suo amico e scolaro di Kant. Al centro delle sue riflessioni egli pone la storia, in cui è sbagliato vedere (come fanno gli illuministi) un incessante sviluppo dall’arretratezza delle epoche passate (irrazionali e viziate da pregiudizi) sino alla superiorità di quella attuale. Come spiega nelle sue Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-1791), la storia è un tutto organico che si attua nel tempo e ogni epoca storica è un momento necessario di questa totalità: l’antico Oriente è stato l’infanzia dell’umanità, la civiltà egizia la sua fanciullezza, la grecità la giovinezza, il mondo romano la virilità, il tardo impero la vecchiaia. Dopo di allora, le invasioni barbariche hanno infuso nuova vitalità al decrepito corpo del genere umano, permettendo una rinascita su basi nuove. La storia è un processo attraverso cui l’umanità realizza se stessa, arricchendosi progressivamente di caratteri tutti ugualmente importanti, incarnati dai diversi popoli e dalle loro differenti culture, che si esprimono prioritariamente nel linguaggio ➝ 9 . L’unità del processo storico è garantita dalla «provvidenza», che si manifesta però non come un intervento diretto di Dio, ma come un’intelligenza divina immanente alle forze stesse che ne promuovono lo sviluppo. rifiutando l’idea che la storia sia determinata dalla provvidenza divina, humboldt suggerisce di considerarla come la realizzazione progressiva della spiritualità umana. Le riflessioni di Herder sulla storia sono approfondite da Wilhelm von Humboldt (1767-1835), un personaggio polie-

◀ Gerhard von Kügelgen, Ritratto di Johann Gottfried Herder, 1809, olio su tela (Tartu, Tartu University Library).

Materiali per l’apprendimento attivo 8. PEr CaPirE MEGLiO

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La rELiGiOsiTÀ rOMaNTiCa la critica romantica alla razionalità strumentale si trasforma anche in interesse per la religione, in cui si scorge un’altra via, alternativa all’arte, per giungere all’Assoluto. Il modello teologico più seguito è quello panteistico, sia nella sua variante naturalistica, che identifica Dio con la natura, sia in quella idealistica, che identifica Dio con lo Spirito e quindi con l’umanità e la storia. A volte, però, il bisogno di religiosità determina l’accettazione di una fede codificata. Non pochi romantici (Schlegel è fra questi), dopo un’iniziale fase agnostica decidono di convertirsi al cristianesimo e spesso prediligono al protestantesimo, giudicato eccessivamente intellettualistico, il cattolicesimo, che valorizza maggiormente l’arte, la devozione popolare e il folklore religioso. Ancor più spesso la religiosità romantica si esprime in un generico “sentimento del divino”, quasi sempre suscitato dalla contemplazione della bellezza e della grandiosità della natura.

1 l e P re MeS S e D e l roMA N t IC IS Mo

9. approFondiMenti > per saperne di più

herder: La CoinCidenza Fra pensiero e LinGuaGGio Il trattato sull’origine del linguaggio, pubblicato da Herder nel 1772, contiene molti spunti ripresi in seguito dalla linguistica moderna. Ad esempio egli considera il linguaggio umano come un sottoinsieme di una categoria più ampia che comprende ogni forma di comunicazione, implicando con ciò che anche gli animali possiedano linguaggi o forme comunicative. Sulla questione della nascita del linguaggio, egli esclude un’origine divina e fra le tante cause possibili sceglie la più semplice, ossia la necessità di comunicare esigenze connesse alla sopravvivenza materiale e, successivamente, di socializzare le conoscenze acquisite. Particolarmente innovativa, è la sua osservazione che il linguaggio coincide con il pensiero: le parole, infatti, non servono solo per comunicare; esse producono anche le immagini mentali con cui si svolge il monologo interiore. Il linguaggio ha quindi una doppia funzione: da una parte permette di comunicare agli altri il proprio pensiero, dall’altra contribuisce in modo essenziale alla sua formazione.

drico: diplomatico, politico e filosofo (oggi si direbbe politologo), diventa ministro dell’educazione nello Stato prussiano, e fonda l’Università di Berlino, ma è anche un grande viaggiatore, un esperto linguista (parla anche il basco, l’azteco, il quechua e il cinese) e un pedagogista influente (in particolare sullo svizzero Pestalozzi). Nella storia egli vede la realizzazione non di un piano divino ma di uno «spirito dell’umanità», un’ideale di perfezionamento cui, più o meno consapevolmente, tendono tutti i popoli, valorizzando aspetti diversi della natura umana e utilizzando strumenti intellettuali a loro più congeniali, a volte non riducibili alla pura razionalità, come la poesia, il mito, la fantasia, il sentimento. humboldt considera linguaggio come realtà storica e creativa, e non come oggetto naturale. Queste riflessioni inducono Humboldt a interessarsi al linguaggio, in cui egli vede lo strumento non di comunicazione del pensiero, ma del suo stesso formarsi. Solo nel linguaggio, che può essere anche rivolto a stessi (monologo interiore), il pensiero si struttura, esce dalla vaghezza intuitiva e si articola in parole e proposizioni, i mattoni con cui il pensiero costruisce se stesso. Il linguaggio è influenzato dall’intelletto, e ciò spiega come le lingue parlate presentino strutture simili, ma dipende anche dalla fantasia, dal sentimento, dalla persona parlante, come dimostra il fatto che una lingua straniera non potrà mai vibrare emotivamente come quella materna. Tutto ciò si tramuta sul piano sociale nella formazione delle lingue

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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nazionali, ognuna delle quali esprime un’originale visione del mondo. Tutte le lingue e tutte le culture sono quindi degne di considerazione: sono tesi che pongono Humboldt fra i padri dell’antropologia linguistica ➝ 10 . anche Jacobi vede nella fede (e non nella ragione) il vero strumento del progresso umano. al contrario di hamann e herder però la sua battaglia contro il razionalismo diventa una dura critica verso il panteismo. Diverso è invece l’indirizzo intrapreso da Friedrich Jacobi (1743-1819). Egli studia a Ginevra, dove approfondisce lo studio di Rousseau (1712-78) e degli illuministi, ma torna poi nella nativa Germania e per alcuni decenni diventa un elemento di raccordo fra gli intellettuali tedeschi, ospitandone alcuni nella sua casa a Düsseldorf e intrattenendo con altri una fitta corrispondenza. Per questo ruolo di organizzatore culturale diventa protagonista di una polemica influente sulla cultura dell’epoca. Nelle Lettere sulla dottrina di Spinoza (1780), riferisce una conversazione avuta con Lessing (1729-81), nella quale il filosofo illuminista, oramai prossimo alla morte (1781), gli aveva confidato la sua conversione allo spinozismo ➝ 11 . Una rivelazione inaspettata, perché la filosofia spinoziana dell’«Uno-tutto» equivale dal punto di vista religioso a un panteismo, è scandalosa per Jacobi, che nella identificazione fra Dio, natura e storia (cioè nel panteismo) vede una negazione di Dio, un sostanziale ateismo. La sua polemica non porta però al risultato sperato, perché stimolando l’interesse per Spinoza (1632-77) finisce con l’irrobustire la tendenza romantica al panteismo. Ma come si è giunti a confondere Dio con la natura? Jacobi accusa il razionalismo illuminista, che cercando di affermare o negare con la sola ragione l’esistenza di Dio ha annullato la sua trascendenza. Egli rivolge la stessa accusa anche al nascente idealismo, perché tentando di ricondurre l’infinito al finito, dimentica l’incommensurabile superiorità del primo sul secondo. Per definire quell’annullamento di Dio come persona distinta dal mondo teorizzato dall’idealismo, conia il termine «nichilismo», destinato a grande fortuna nella filosofia seguente (assumendo però significati diversi). La ragione per Jacobi non è la facoltà argomentativa e discorsiva che procede costruendo gradualmente il proprio oggetto, ma una ragione intuitiva che si apre immediatamente alla verità. Contro l’assolutizzazione della ragione operata dall’Illuminismo e dallo spinozismo, Jacobi rivendica la funzione del sentimento e della fede, in cui vede uno strumento in grado di giungere a verità non dimostrabili per via logica. La fede cristiana, infatti, implica credere nella rivelazione, nei misteri divini, nell’esistenza di un Dio certo ma incognito, irriducibile alle categorie umane. Ma l’atto di fede, se pur non affermabile per via razionale, non per questo è irrazionale; è prodotto da una facoltà mentale che Jacobi definisce «ragione intuitiva», la capacità di cogliere nelle esperienze sensibili e concrete ciò che va oltre la sensibilità e la concretezza. È la stessa facoltà mentale che determina l’apprezzamento estetico, cioè la capacità di riconoscere la bellezza, in se stessa immateriale, nella concretezza delle opere d’arte.

Guida allo sTudio • Lo Sturm und Drang contrappone l’emotività

e il sentimento alla razionalità di quale movimento? • Quale tipo di educazione, secondo schiller, consente all’uomo uno sviluppo armonico?

• Qual è la concezione della storia di Herder? • di quale celebre polemica fu protagonista

Jacobi?

Materiali per l’apprendimento attivo 10. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

11. PEr CaPirE MEGLiO

LO sPiNOZisMO Involontariamente risvegliato da Jacobi, l’interesse verso spinoza cresce sino a diventare un tratto stabile della cultura romantica; nel suo pensiero, infatti, si scorge ora un’anticipazione del concetto di assoluto. Spinoza aveva interpretato l’intera realtà come la manifestazione di un’unica sostanza, un principio determinato solo da se stesso, causa del suo stesso essere, da cui deriva in modo necessario tutto ciò che costituisce il mondo. tale principio è anche ragione di se stesso, ragione di tutto ciò che esiste e fondamento della razionalità umana, attraverso la quale l’esistente diventa conoscibile all’uomo. Agli occhi dei romantici, quindi, lo spinozismo appariva come un’anticipazione della loro propensione a spiritualizzare la natura, e ad abolire le distinzioni fra il mondo umano e quello naturale, vedendo in entrambi l’espressione di un unico principio originario e assoluto. lo spinozismo implica però importanti conseguenze a livello teologico, perché risulta incompatibile con il cristianesimo: Dio è descritto non come una persona distinta dal mondo ma come un principio assoluto, nel quale è compresa anche la natura, e questa coincidenza conduce al panteismo. Jacobi intravede questo pericolo, ma non riesce ad evitare che lo spinozismo conquisti prima i preromantici, Goethe ed Herder (Dio, dialoghi sulla filosofia di Spinoza, 1787), poi, intorno al 1790, tre giovani studenti di teologia dell’università di tubinga: Hölderlin, Schelling e Hegel. lo spinozismo influisce fortemente sulla religiosità dei romantici, modellando la loro mentalità al di là delle scelte confessionali dei singoli pensatori. ◀ Statua di Spinoza a L’Aia.

1 l e P re MeS S e D e l roMA N t IC IS Mo

aNTrOPOLOGia LiNGuisTiCa l’antropologia linguistica parte dal principio che la visione del mondo di un popolo si rivela nelle parole che elabora (cioè nel suo lessico), nella grammatica e nella sintassi. oltre ad elaborare questa teoria, Humboldt è anche il primo ad applicarla: il suo capolavoro è un approfondito studio della lingua Kawi dell’isola di Giava, uno dei testi fondatori dell’antropologia moderna. Nelle opere di Humboldt vi sono però anche intuizioni rivelatesi feconde per la linguistica generale, la scienza che studia come si formano le competenze linguistiche dei parlanti. egli sottolinea le differenze fra l’apprendimento della lingua materna nella prima infanzia e quello delle lingue straniere in età adulta, mettendo in luce l’esistenza di processi mentali ben differenti nei due casi. D’altra parte, il confronto fra le strutture grammaticali e sintattiche delle singole lingue gli suggerisce l’esistenza di una lingua universale, o perlomeno di schemi linguistici comuni e ricorrenti, in cui risiederebbe a suo avviso l’essenza spirituale dell’umanità. Sono tesi che anticipano teorie poi elaborate dalla linguistica, dalla psicologia e dalla neurologia. oggi è universalmente riconosciuta l’esistenza di «una competenza linguistica universale innata» in ogni essere umano, ovvero il fatto che il cervello di un neonato è predisposto ad acquisire come lingua madre una qualsiasi fra tutte quelle parlate sul pianeta, purché sia esposto al suo uso nelle prime fasi del suo sviluppo. Potenzialmente, quindi, potrebbe parlarle tutte.

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• Sintesi

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Temi e figure del Romanticismo

Caratteri generali del Romanticismo Per via delle molte ambivalenze che lo caratterizzano, risulta difficile racchiudere il romanticismo in una definizione. esso va considerato piuttosto come una situazione mentale generale. La definizione di Romanticismo è più complessa di quella di altre epoche culturali, come l’Illuminismo o il Rinascimento, perché in esso non è possibile rintracciare un filo conduttore unico e indiscusso. Certamente preponderante è la categoria del sentimento, al quale del resto si riferisce il linguaggio ordinario, in cui «romantico» è sinonimo di «sentimentale», «poetico», «appassionato», «languido» o «sognante». Questo aspetto è chiaro già ai protagonisti, che in origine introducono il termine per alludere ai romanzi cavallereschi tardo medievali, da loro tanto amati perché ricchi di avventure fiabesche e struggenti storie d’amore. Rimane però, come evidenza contraria, che il frutto più maturo del Romanticismo è, a livello filosofico, il sistema hegeliano, cioè una teoria della ragione assoluta, quanto di più lontano si possa immaginare dal sentimentalismo romantico. Simili ambivalenze si riscontrano in ogni aspetto della cultura romantica: sostiene il primato dell’individuo, ma elabora l’idea di popolo; esalta il passato al pari del Rinascimento, ma guarda ottimisticamente al futuro; si sforza di arrivare a una rappresentazione realistica del mondo, ma poi si rifugia nell’evasione, nel fantastico, nel sogno. La conclusione è che bisogna considerare il Romanticismo non una dottrina o un sistema strutturato e organico, ma una «temperie culturale», un atteggiamento mentale che orienta il pensiero senza però determinarne gli esiti in modo univoco; lo si è definito una «atmosfera dello spirito». Più che di Romanticismo, quindi, bisognerebbe parlare di «fenomeno romantico», a indicare un atteggiamento complessivo che trova espressione nei campi più svariati: pittura ➝ 12 , musica, letteratura, scienza e filosofia. In realtà, vi è forse un tratto che accomuna tutti i romantici, ma è di tipo negativo: il desiderio di opporsi all’Illuminismo, l’ansia di differenziarsi in tutti i modi dal movimento filosofico cui si imputa lo scoppio della Rivoluzione francese e quindi gli sconvolgimenti sociali che ne sono conseguiti. Tutti i romantici sono “antilluministi”, ma naturalmente ci sono molti modi per esserlo. Date queste premesse, qui di seguito esponiamo i tratti più tipici e diffusi della mentalità romantica, avvertendo però che essi si trovano in misura diversa nel pensiero dei singoli autori. Ci limitiamo, inoltre, al Romanticismo tedesco, perché è in Germania che il movimento è nato ed ha avuto la più completa fioritura.

Materiali per l’apprendimento attivo 12. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia per immagini

1. il sentimento della natura Ciò che caratterizza l’atteggiamento romantico verso la natura non è tanto l’apprezzamento della sua bellezza, un valore già ben presente in epoche passate (ad esempio il rinascimento); è piuttosto la tendenza a identificarsi con la natura: la dolcezza è un sentimento che condividiamo con i tramonti e l’alba è la speranza, sia per noi che per la natura. Friedrich porta qui all’estremo questa identificazione: l’albero è rappresentato come un personaggio umano, con un’identità ben definita e una storia, raccontata dall’intreccio dei suoi rami. ▲ Paesaggio nella luce del mattino, 1822, olio su tela (Berlino, Alte Nationalgalerie).

2. L’infinità della natura l’orizzonte sconfinato, contemplato dall’alto di una montagna è per i romantici l’immagine più pregnante dell’infinito. immersi in tale grandiosità, le figure umane quasi scompaiono, ma il crocifisso sulla vetta, che visivamente raggiunge e oltrepassa l’orizzonte, comunica il loro sforzo di protendersi verso una dimensione più elevata. ▲ Mattino sul Riesengebirge, 1810-11, olio su tela (Berlino, Nationalgalerie).

3. il soggetto e l’assoluto Nelle opere di Friedrich i personaggi sono dipinti quasi sempre di spalle. In questo modo cessano di essere individui (non hanno un volto) e diventano l’espressione visiva di ciò che i filosofi idealisti chiamano “soggetto” o “io puro”. Il Sole nascente, l’alba del mondo, verso cui la figura si incammina, e che sembra quasi voler abbracciare, è una metafora evidente dell’assoluto. ▲ Donna che contempla l’alba, 1818, olio su tela (Essen, Museum Folkwang).

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i TEMi DEL rOMaNTiCisMO iN PiTTura Fra gli interpreti del romanticismo vi è Caspar David Friedrich (1774-1840), pittore tedesco in contatto con Goethe e Novalis. Nel suo modo di rappresentare la natura prendono forma alcuni temi tipici della sensibilità romantica.

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il romanticismo è polemico verso la concezione illuministica di ragione, che rinuncia a conoscere l’infinito, la totalità, limitandosi all’analisi del finito. La ragione è però utile quando serve alla ricerca dell’assoluto. Ritroviamo l’ambivalenza cui si è accennato nel modo di porsi dei romantici verso la razionalità. Nei loro scritti abbondano le critiche all’esaltazione che ne faceva l’Illuminismo, ma non per questo essi sposano la sua negazione, l’irrazionalismo, una tendenza che apparirà in filosofia solo un secolo dopo, agli inizi del Novecento. In realtà essi criticano solo il modo con cui l’Illuminismo, e in particolare il criticismo kantiano, avevano utilizzato la ragione, facendone cioè uno strumento per analizzare l’esperienza e a questa rimanere legati, senza cadere nella metafisica. Ma d’altra parte anch’essi apprezzano la ragione, quando è usata per un fine diverso, cioè per andare oltre l’esperienza, per speculare sulla totalità, l’infinito e l’assoluto. In realtà, ciò che preme a tutti i romantici è andare oltre ogni limite, superare la banalità della vita quotidiana, scoprire realtà più profonde nascoste dalle evidenze percettive: se la ragione ostacola questo percorso, va combattuta; se invece si rivela ad esso funzionale (come scoprirà Hegel) va utilizzata a fondo. L’importante è andare oltre lo spazio, il tempo, la determinazione causale degli eventi fisici, il dolore, la caducità e la morte, per giungere all’Eterno, all’Imperituro e all’Immutabile, cioè proprio a quel fondamento metafisico della realtà che Kant e gli illuministi giudicavano impensabile da una mente umana. Il protagonista dell’universo culturale romantico è «l’Assoluto», la totalità ➝ 13 ➝ 14 . Sehnsucht è una parola-chiave dello spirito romantico tedesco: essa esprime al meglio la vita intesa come inquietudine, desiderio e lacerazione tipica del movimento. L’Assoluto può essere cercato, ma mai interamente conquistato. Ne consegue che il romantico non potrà mai sentirsi “appagato”; il tratto dominante della sua psicologia è la «Sehnsucht», un sentimento di malinconia e nostalgia, un’aspirazione struggente verso qualcosa di impossibile che vale comunque la pena di cercare, perché ciò che più conta è la ricerca stessa. Il termine tedesco compone assieme il verbo sehen, “desiderare”, e il sostantivo Sucht, “desiderio”: letteralmente significa quindi “desiderare il proprio desiderio”, tendere verso qualcosa per il piacere che tale tensione produce, indipendentemente dall’effettiva conquista dell’oggetto agognato. Ne deriva una propensione psicologica all’inquietudine, all’insoddisfazione perenne, a volte al pessimismo e alla frustrazione; sentimenti non piacevoli ma comunque preferibili all’atteggiamento di chi si sente appagato dalla propria condizione, da cui deriva ciò che i romantici temono di più, la noia. La consapevolezza di tendere verso l’irraggiungibile si esprime a volte con l’auto-ironia, ossia con l’irridente commiserazione della propria inadeguatezza rispetto all’infinito. Ma altre volte i romantici indulgono a un sentimento contrario, il titanismo, l’atteggiamento di chi caparbiamente sfida forze superiori e tanto più si esalta quanto più diventa consapevole dell’inevitabile sconfitta. I mitici Ercole, Giasone, impegnati in lotte con forze immani e divine, ben rappresentano questa insofferenza verso tutto ciò che limita lo slancio vitale dell’uomo. Più ancora Prometeo, il Titano che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini e per questo fu punito duramente. È una sensibilità che, come vedremo, Fichte sintetizza con un termine specifico: streben, lo sforzo eroico e inesauribile verso il proprio perfezionamento. L’evasione romantica può essere sia spaziale sia temporale, generando da una parte i temi del viaggio e del viandante, dall’altra la nostalgia per un’armonia perduta. L’aspirazione a evadere dal quotidiano e a vivere esperienze fuori della norma, capaci di generare emozioni intense e travolgenti, spinge i romantici a valorizzare tutto ciò che appare eccezionale, fantastico, meraviglioso, atipico, irregolare, lontano, misterioso, magico,

Materiali per l’apprendimento attivo 13. CoMpetenze > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

14. PEr CaPirE MEGLiO

GLi iNDiZi DELLa TOTaLiTÀ: iL NON FiNiTO, LO sChiZZO, iL FraMMENTO totalità, assoluto e infinito sono «concetti limite»; indicano qualcosa a cui si può tendere ben sapendo che non li si potrà mai sperimentare e definire compiutamente. li si può descrivere solo indirettamente, utilizzando analogie e suggestioni, e i romantici escogitarono tecniche e pratiche specifiche per concretizzare quest’operazione mentale. il non finito. Da sempre l’estetica considerava la compiutezza di un’opera un fattore imprescindibile alla sua valutazione: se l’artista non aveva avuto la possibilità di completarla, non aveva alcun senso giudicarla. Per questo, i Prigioni che Michelangelo non aveva avuto tempo di finire erano considerati dagli illuministi solo opere incompiute, interessanti sul piano storico ma non valutabili su quello estetico. I romantici ribaltano questo ragionamento: i Prigioni sono il vertice assoluto della scultura proprio perché non finiti: emergono solo in parte dal marmo lasciando allo spettatore il compito di completare con l’immaginazione la loro forma. Ciò facendo, questi finisce con l’immedesimarsi nella mente di Michelangelo stesso, partecipando in qualche modo alla sua ispirazione creativa. un’opera d’arte non terminata, anche volutamente, può esprime un’idea nella sua assolutezza e totalità, ancor meglio di una rifinita in ogni dettaglio. Lo schizzo. l’apprezzamento del non finito porta anche, in campo pittorico, a un’inedita valorizzazione dei disegni preparatori, degli schizzi in cui l’artista traccia la nascita della sua idea creativa. I pittori paesaggisti continuano a dipingere in studio, ma sempre più spesso preparano le loro opere con abbozzi sul campo, a contatto diretto con la natura. Questi schizzi, sempre più apprezzati nella cerchia degli intenditori, sono l’immediato precedente storico dell’impressionismo, che pur sviluppatosi verso la fine dell’ottocento trova le sue radici nel romanticismo. il frammento. In letteratura la pratica che conduce all’infinito è costituita dai frammenti, dalle brevi annotazioni libere da ogni esigenza di sistematicità nelle quali, nota Schlegel, il pensiero si esprime allo stato nascente per essere sviluppato in seguito, individualmente o in modo collettivo. fiabesco, primitivo, notturno, lugubre o spettrale. Ne conseguono alcuni atteggiamenti tipici, come l’esotismo, la tendenza ad apprezzare tutto ciò che proviene da Paesi lontani, o la celebrazione della figura del viandante, ossia di colui che compie lunghi viaggi senza però, a differenza del viaggiatore, porsi una meta. Ne deriva anche la rivalutazione del Medioevo, che gli illuministi consideravano un’epoca di barbarie e che ora appare come l’esempio di società rispettosa della natura e dei suoi cicli, aperta alla spiritualità mistica e magica, l’esatto contrario del “macchinismo” industriale che in quei decenni si stava affermando, in cui i romantici vedono solo lo sfruttamento dell’uomo e il deturpamento della natura.

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totaLitÀ Il concetto di «totalità» non è specifico della filosofia romantica ma rende bene la prospettiva generale di questo movimento. la realtà nel suo insieme viene vista come una totalità che comprende l’uomo e la natura (in ambito filosofico si parlerà di «assoluto»). Nella natura si coglie una spiritualità immanente che l’avvicina all’uomo, nell’uomo si rivaluta la dimensione naturale, che fa riferimento alle passioni e ai sentimenti. Anche l’uomo viene considerato come totalità, superando il predominio della ragione affermato dall’Illuminismo. vengono rivalutati i sentimenti, che convivono con la ragione in modo armonioso. L’uomo è visto dunque come una realtà complessa e come totalità di ragione e sentimenti. Infine, l’individuo viene colto nella sua unione spirituale con gli altri, definita mediante la nozione di «popolo», già affermata da rousseau. Il popolo è la totalità di tutti gli individui.

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Centrale anche il tema dell’armonia perduta: l’uomo si sarebbe allontanato da un’età dell’oro nella quale avrebbe vissuto in totale armonia con Madre Natura. Un passato vissuto come aulico, intriso di valori come l’armonia, la fedeltà, la lealtà e il coraggio. Per i romantici, l’epoca storica in cui si è realizzata questa condizione ideale è la Grecia classica, verso la quale mostrano una nostalgia che si distingue dalla tendenza imitativa dell’arte classica; ha piuttosto a che fare con il sentirsi esuli da una terra dell’armonia, in cui il divino e l’umano erano uniti, gli dèi erano simili a uomini e vi era un perfetto accordo tra lo spirituale e il materiale. Lo slancio romantico verso l’infinito è anche uno slancio creativo, filosofico, poetico, artistico. nel mondo dell’arte l’uomo è perfettamente libero, immune da ogni costrizione e da ogni limite. Questi atteggiamenti innovativi trovano la loro naturale manifestazione nell’arte ➝ 15 , alla quale i romantici attribuiscono un valore superiore alla filosofia, adducendo i seguenti motivi: 1. L’arte è uno strumento di espressione della soggettività perché mobilita sia la razionalità (le capacità tecniche e progettuali) sia il sentimento. Senza ispirazione, non è vi è arte ma solo artigianato. Essa esprime quindi la totalità della persona. 2. L’arte è una forma superiore di conoscenza, perché consente di travalicare i limiti conoscitivi ed esistenziali nei quali l’animo romantico si sente imprigionato. Essa anticipa il discorso logico e nello stesso tempo lo completa; esprime sfumature di significato che sfuggono alla ragione discorsiva; soprattutto, come l’amore ➝ 16 , dà voce concreta a quella brama o ebrezza di infinito di cui il romantico si sente pervaso. 3. L’arte, infine, è in se stessa creazione, invenzione dal nulla di ciò che era prima inesistente. È quindi un’attività analoga a quella divina e chi la pratica possiede capacità sovraumane, ben superiori al resto dell’umanità. L’artista è equiparato al profeta, perché indica alla società la via da seguire, al sacerdote, perché è in relazione con l’Assoluto, allo scienziato, perché sa intuire le leggi della natura, al filosofo, perché sa utilizzare tutte le facoltà di cui la mente umana dispone. È dunque l’avanguardia dell’umanità, ma il Romanticismo individua un’altra figura superiore: il genio, particolarmente sensibile ai messaggi della natura e capace di comprenderne la forza vivente, rivivendola in sé come un sentimento profondo. La natura romantica è interpretata in termini organicistici, vitalistici, finalistici e spiritualistici. in essa vi è un’energia spirituale che permea la materia, rendendola viva. L’attenzione verso la natura, agli inizi dell’Ottocento, non è una novità, perché già l’Illuminismo e una tradizione di ricerca scientifica ormai consolidata avevano cercato di svelarne i segreti. Nuova però, e antitetica a quella illuministica, è la visione che ne hanno i romantici. La natura non è un meccanismo puramente materiale ma un essere vivente, dotato di un organismo (una totalità nella quale le parti esistono in funzione del tutto, così come il cuore e il fegato sono parte del corpo umano), di un proprio fine immanente (una tensione verso la perfezione simile a quella che muove l’uomo) e di una spiritualità, se pure inconsapevole o dormiente. Sono temi già ben sviscerati dai «filosofi-maghi» del Rinascimento (Ficino, Bruno, Campanella), contro i quali nel Seicento aveva dovuto combattere la scienza (Galileo) e la filosofia della scienza (Cartesio). Il Romanticismo li ripropone in chiave antilluminista e soprattutto li fa rivivere con un’intensità nuova e in qualche modo moderna. La scienza del primo Ottocento, infatti, offre molti spunti ai filosofi della natura romantici: accantonato l’interesse per la meccanica, fiorente nell’Illuminismo, gli scienziati studiano ora i fenomeni dell’elettricità, del magnetismo e della chimica, che sembrano suggerire l’esistenza in natura di forze immateriali. Sulla fine del Settecento viene poi scoperto l’ipnotismo, praticato in Oriente già dall’antichità. Il fenomeno sembra confermare l’esistenza di fluidi invisibili, di natura materiale ma capaci di influire sullo stato mentale degli uomini.

Materiali per l’apprendimento attivo

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15. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

16. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

L’aMOrE rOMaNTiCO dato il valore che accordano ai sentimenti, è comprensibile che i romantici vedano nell’amore un’esperienza fondamentale e lo celebrino come lo strumento più efficace per uscire dalle costrizioni umane ed accedere all’assoluto. nella passione amorosa, infatti, intravvedono una sintesi tra l’anima e il corpo, lo spirito e l’istinto, il sentimento e la sensualità; una coincidenza che altrove si realizza solo nell’arte. L’amore si carica poi di significati simbolici e metafisici: l’unione fisica e spirituale fra un uomo e donna diventa un simbolo dell’universale armonia, della congiunzione uomo-natura, finito-infinito, uno-tutto. Solo nell’estasi amorosa, l’assoluto non è più cercato ma finalmente raggiunto. La celebrazione dell’amore impone una rivalutazione della figura femminile che, per lo meno nelle sue rappresentazioni letterarie, tende ad emanciparsi dal modello tradizionale di matrimonio, personificando una donna nuova e superiore, capace di amare con passione e senza freni. ▶ Francesco Hayez, Il bacio, olio su tela, 1867 (Milano, Pinacoteca di Brera).

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i GENEri DELLa MusiCa rOMaNTiCa Nel mondo romantico la musica è la “regina delle arti”, perché facendo sprofondare l’ascoltatore in un flusso continuo di emozioni gli fa vivere un’esperienza straordinaria, puramente spirituale e sentimentale, permettendogli di staccarsi dalla vita ordinaria e di ricongiungersi con l’infinito e con la propria interiorità. Funzionali a questi obiettivi sono alcuni nuovi generi musicali inventati nell’epoca romantica, come il notturno, una composizione breve, quasi sempre per pianoforte solista, evocativa della notte, del sogno e di stati d’animo crepuscolari. Esempi celebri sono il Sogno di una notte di mezz’estate, di Felix Mendelssohn, e i numerosi notturni di chopin. nasce poi la romanza senza parole, composizione per pianoforte, dal carattere salottiero e dalla forma non sempre del tutto prestabilita, così da lasciare spazio all’impulso dell’ispirazione. ancor più libero è l’improvviso, una composizione solista che tende a dare l’impressione di essere stata scritta di getto, senza rielaborazioni. Per quanto riguarda il canto, i romantici mostrano una predilezione per il lied (in tedesco “canzone”), una composizione per voce solista e pianoforte, nella forma più semplice strutturata in strofe, con una sola melodia invariabilmente ripresa di strofa in strofa. Particolare sviluppo hanno poi la musica a programma, composizioni che tentano di narrare una storia o descrivere un evento con mezzi puramente musicali, e il poema sinfonico, composizione per orchestra che traduce in termini musicali un’idea narrativa come un componimento poetico (i Preludi di Liszt, ispirati a un’ode di alphonse de Lamartine), un romanzo (Don Chisciotte di Richard Strauss) o un testo filosofico (Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, 1896, dal titolo di un’opera del filosofo tedesco Friedrich nietzsche). I generi in cui il Romanticismo raggiunge i massimi livelli sono però la sinfonia e l’opera lirica. Il primo movimento di una sinfonia è generalmente in forma sonata un discorso scandito da fasi attraverso le quali un tema musicale viene prima posto, poi sviluppato e infine concluso, spesso con la riproposizione potenziata del tema iniziale. Beethoven ha portato questo meccanismo compositivo a vette insuperate. L’opera lirica, pur non di invenzione romantica, conosce nell’ottocento un grande sviluppo, amata dai romantici in quanto opera d’arte totale, in cui la musica si unisce al canto, al testo letterario, alla recitazione teatrale, alla coreografia e alla danza.

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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in contrapposizione alle tendenze cosmopolite e universalizzanti dell’illuminismo, in pieno romanticismo nasce il concetto di «nazione», intesa come singolarità di ogni popolo data dalla comunanza di tradizioni, lingua, costumi e religione. I tratti che abbiamo fin qui indicato esprimono soprattutto la soggettività individuale, ma il Romanticismo, con una tipica ambivalenza, esalta anche i valori della collettività. Certo non al modo degli illuministi, che in nome del cosmopolitismo finivano con l’annullare le differenze locali. A questa astratta universalità, si oppongono ora le idee di «popolo» ➝ 17 e di nazione, definiti non più in termini contrattualistici, ossia come conseguenza di un accordo volontario dei cittadini, ma in base a fattori oggettivi, come la lingua, la religione, la razza, il costume, il folklore e le tradizioni popolari ➝ 18 . Ogni popolo e ogni Paese possiede quindi una propria identità distintiva, una storia e una spiritualità particolari che li rendono unici verso cui i soggetti provano un sentimento di appartenenza. Dalla nozione di popolo deriva l’interesse per le tradizioni, il folklore, i miti, le leggende e le favole che ne esprimono la particolare visione del mondo (Weltanschauung). Del concetto di nazione si avvalgono i movimenti risorgimentali che si realizzano in Grecia, in Italia e in Germania. Al contempo, però, soprattutto in Germania, si pongono anche le premesse di ciò che in seguito, dalla fine dell’Ottocento, diventerà il «nazionalismo», cioè l’idea che a una nazione spetti uno speciale primato sulle altre. La concezione provvidenzialistica della storia, che si sviluppa nel romanticismo, prevede la presenza invisibile di una soggettività divina che dirige l’umanità verso mete ignote. A completare questi tratti culturali vi è il culto della storia ➝ 19 , ovviamente interpretata in termini antitetici all’Illuminismo. Se questo aveva posto come soggetto della storia l’uomo, ora i romantici pongono Dio, che la determina sotto forma di «Provvidenza». Ancora una volta, però, le conclusioni ultime sono varie; dalla convinzione che gli eventi storici siano guidati da un’invisibile mano divina deriva sia l’ottimismo riguardo al futuro, sia il giustificazionismo, cioè l’idea che nessun evento passato, anche se terribile e cruento, possa essere oggetto di un giudizio morale.

◀ Caspar David Friedrich, Le fasi della vita, 1834 ca, olio su tela (Lipsia, Museum der bildenden Kunste).

Materiali per l’apprendimento attivo

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17. PEr CaPirE MEGLiO

18. per Capire MeGLio

La Fortuna aLterna deLLe FiaBe Un buon esempio dell’interesse romantico per le tradizioni popolari sta nella rivalutazione delle fiabe per bambini. Questo genere letterario ha grande sviluppo nel Seicento con l’opera di charles Perrault  (1628-1703), autore dei Racconti di Mamma Oca, una raccolta di undici fiabe fra cui Cappuccetto Rosso, La bella addormentata, Pollicino, Barbablù, Il gatto con gli stivali. Questo sviluppo si arresta però nel Settecento, poiché gli illuministi considerano diseducativo proporre ai bambini storie in cui, pur con la leggerezza tipica delle opere rivolte all’infanzia, accadono comunque eventi drammatici e violenti (cappuccetto Rosso è mangiata da un lupo). La naturale fantasia dei più piccoli, a loro avviso, non va eccitata ma al contrario combattuta, perché ostacola lo sviluppo della razionalità. come accade in numerosi altri campi, i romantici ribaltano le convinzioni illuministiche nel loro contrario e valorizzano le fiabe proprio per la loro potenzialità fantastica, per l’assoluto disinteresse ai limiti imposti dalla logica e dal senso comune. I fratelli Grimm (Ludwig Karl Grimm, 1785-1863, e Wilhelm Karl Grimm 1786-1859) pubblicano una monumentale raccolta di fiabe (Hänsel e Gretel, Cenerentola, Il principe ranocchio, Biancaneve). non si limitano, però, a raccogliere storie tramandate oralmente nell’area tedesca ma le studiano come documenti etnografici, vedendovi un aspetto importante della spiritualità del popolo che le ha prodotte. ▶ Jacob e suo fratello Wilhelm Grimm, 1850.

19. approFondiMenti > Filosofia per immagini

L’uoMo e La storia nell’opera Le fasi della vita [➤ p. 552], Friedrich ritrae se stesso di spalle su una spiaggia insieme al figlio e ai nipoti. Tre generazioni cui simbolicamente corrispondono le navi che si avvicinano alla riva, la meta finale dell’esistenza. Quelle piccole e lontane, all’orizzonte, indicano la gioventù; quella mediana allude alla maturità, e la sua maggior grandezza esprime visivamente la pienezza delle forze, mentre quelle più vicine all’approdo finale ritornano a essere di piccole dimensioni, così come gli anziani si incurvano per il peso degli anni. Lo spazio si è trasformato in una misura del tempo, dell’esistenza umana.

2 TE MI E F IG URE d E L RoMa n T Ic IS Mo

iL CONCETTO Di POPOLO Il concetto di «popolo» è una delle nozioni centrali nel pensiero del romanticismo e dell’idealismo. Dal punto di vista politico è di sostegno alle rivendicazioni di unità nazionale, ma è importante anche dal punto di vista scientifico, perché inaugura una serie di ricerche sulle tradizioni popolari, sul linguaggio e sull’identità collettiva da cui nasceranno nuove scienze dell’uomo, come il folklore, l’etnografia e l’antropologia culturale. Il termine «folklore» viene coniato in Inghilterra nel 1846, ma l’equivalente tedesco volkskunde, dal quale è derivato, esisteva già dal 1800. Il significato letterale, “conoscenza del popolo”, indica lo studio di ciò che sopravvive del passato: tradizioni, proverbi, racconti, canti popolari ecc. Al folklore si affiancano l’etnografia, che studia le etnie e i popoli, e l’antropologia culturale, che evidenzia un altro aspetto, la “cultura”, intesa come insieme degli atteggiamenti che compongono la visione del mondo propria di un popolo.

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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Figure del Romanticismo tedesco ed europeo Il Romanticismo tedesco il tema centrale del pensiero di hölderlin è la celebrazione panteistica della natura, intesa come «uno-tutto» in cui l’individuo si deve perdere. Fra i protagonisti del Romanticismo tedesco ➝ 20 spicca Friedrich Hölderlin (1770-1843). Studia a Tubinga, assieme a Schelling e Hegel, con cui rimane legato da amicizia. Si impiega come precettore ma comincia ben presto a mostrare segni di squilibrio mentale. Nel 1806 ha una crisi decisiva, è giudicato incurabile e affidato dai medici a un suo ammiratore disposto a ospitarlo nella propria casa, in cui risiede per 36 anni, sino alla morte. Questa vicenda esistenziale contribuisce a spiegare la sua poetica, che assume il sentimento del dolore come una dimensione metafisica: a soffrire è l’intera realtà, compresa la natura. Nelle poesie scritte tra il 1796 e il 1800 (Al dio del sole; Fantasia a sera; Come il giorno di festa) si esprimono al meglio due tendenze della cultura romantica: il vittimismo, ossia la disposizione a considerarsi vittime della sorte, delle circostanze o dell’ostilità del mondo, e soprattutto il panismo (dal greco pan: “tutto”), la propensione a indentificarsi nella natura, in un rapporto di compenetrazione: bisogna perdersi nella natura per poter ritrovare se stessi come espressione della totalità. Sono temi al centro anche della sua opera più nota: Iperione ovvero l’eremita in Grecia (1797-99). Con Novalis la narrazione razionalista dell’illuminismo è sostituita da una rappresentazione fantasiosa e fiabesca della realtà. Tragica è anche la vita di Novalis (1772-1801) consunto dalla tisi a soli 29 anni. È un animatore del circolo di Jena e a lui si deve una celebre definizione di Romanticismo: conferire al comune un senso più elevato, all’ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita. La sua educazione familiare è improntata a un rigido pietismo (una versione molto interiorizzata e spirituale del luteranesimo) e ciò forse influisce sulla sua poetica, in cui la spiritualizzazione della natura raggiunge i massimi livelli. Nella novella I discepoli di Sais, la natura appare come un essere vivente, animata in ogni suo recesso da un unico «fluido simpatico» (ossia, dall’origine greca della parola: “capace di sentire”); chi la contempla, quindi, può porsi con essa in un rapporto di identificazione: i pensieri, afferma Novalis, possono diventare cose e le cose pensieri. Ad attuare questa trasformazione magica non può essere però il pensiero razionale, ma quello fantastico e sentimentale che si avvale della poesia. Questa, infatti, è creazione pura, come dimostra la sua etimologia (viene dal greco poiein: “fare”); è superiore alla filosofia, perché alla sua produzione contribuiscono sia la coscienza sia le potenzialità inconsce della mente. Solo la poesia, dunque, è vera conoscenza, vera scienza; anzi vera onnipotenza, perché il poeta è un mago, capace con le sue parole di ridestare l’umanità dall’incantesimo cui soggiace e che la induce a credere che la natura sia qualcosa di oggettivo ed esterno all’uomo. per schleiermacher l’esperienza religiosa è un’intuizione soggettiva dell’infinito. L’importanza attribuita all’individualità lo spinge ad approfondire le modalità di interpretazione di un testo (ermeneutica). Va infine citato Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834), docente di teologia prima all’Università di Halle, poi a Berlino. Qui tiene una serie di lezioni sul tema dell’interpretazione, rivalutate agli inizi del Novecento come un’anticipazione della moderna ermeneutica ➝ 21 .

Materiali per l’apprendimento attivo 20. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

▶ Frontespizio della prima uscita della rivista programmatica dei preromantici «Athenaeum», 1798.

21. approFondiMenti > per saperne di più

L’erMeneutiCa Un aspetto del pensiero di Schleiermacher passato inosservato presso i contemporanei ma rivalutato nel novecento riguarda l’ermeneutica, ossia la scienza dell’interpretazione dei testi. Sino ad allora le riflessioni in questo campo erano fortemente condizionate dal contenuto delle opere esaminate: leggendo la Bibbia non si prescindeva dal fatto che in essa è dio stesso a parlare, colui che condizionava ogni possibile interpretazione. Schleiermacher è invece convinto che il processo interpretativo non dipenda dalla natura del testo (storica, giuridica, letteraria o rivelata da dio), ma possieda una logica propria e autonoma. Egli mette in luce l’esistenza del «circolo ermeneutico», ossia una corrispondenza interattiva fra la comprensione di un punto specifico di un testo e la comprensione del significato complessivo di quest’ultimo. Il particolare si spiega alla luce dell’insieme e viceversa: il vero significato di una parola dipende dal contesto in cui è inserita. Un termine scurrile, ad esempio, assume un significato diverso se pronunciato in una situazione di famigliarità o in un’occasione formale. I suoi interessi sono indicati dai titoli delle sue opere: Discorsi sulla religione (1799), La fede cristiana (1822). In contrasto con l’Illuminismo, egli considera la religione un’intuizione dell’infinito nella forma del sentimento, consistente, più esattamente, nel considerare ogni cosa particolare come una parte del tutto, ogni finito come espressione dell’infinito. L’esperienza religiosa si manifesta in forma soggettiva in ogni individuo, che sviluppa in modo singolare la sua intuizione dell’infinito. Le religioni sono quindi tante quanti gli individui, ben oltre il numero delle fedi positive, e ciascuna è pienamente giustificata. L’unica a non esserlo è quella che cerca di comprendere razionalmente Dio, riducendolo così alla finitezza umana.

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iL rOMaNTiCisMO TEDEsCO E iL CirCOLO Di JENa Il movimento romantico nasce a Jena, dove un gruppo di amici, pensatori, poeti, letterati instaura un’intensa e proficua collaborazione intellettuale, rafforzata dalla condivisione di idee e scopi. A coordinare il gruppo sono i fratelli August Wilhelm (1767-1845) e Friedrich schlegel (1772-1829), coadiuvati dalle rispettive mogli, Caroline e Dorothea. Ai due fratelli si deve anche la fondazione nel 1798 della rivista «athenaeum», la cui pubblicazione dura solo due anni ma diventa un potente veicolo di propagazione delle idee romantiche. Si tratta infatti di una produzione collettiva, una sorta di scrittura corale che esprime un nuovo modo di intendere la produzione artistica, per il quale Friedrich Schlegel conia i termini «simfilosofare» (“cofilosofare”) e «simpoetare» (“copoetare”): non la somma di singoli apporti, ma un clima fortemente empatico, in cui le idee e i contributi si stimolano a vicenda, formando un vero e proprio “circuito creativo”. Gli esponenti più significativi del circolo di Jena sono Novalis, Schleiermacher, Caroline Michaelis (1763-1809), ludwig tieck (1773-1853) e Wilhelm Heinrich Wackenroder (1773-1801). Mostrano profonde affinità con il circolo dei romantici anche Hölderlin (che però rimane ufficialmente in disparte) e Schelling, oltre che, almeno in parte, Schiller e Goethe. nel 1801, alla morte di novalis, il gruppo si scioglie e i suoi membri prendono direzioni diverse. Particolarmente significativa è la svolta in senso conservatore di Schlegel, che si converte al cattolicesimo e collabora come consigliere del conte Metternich.

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9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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Il Romanticismo inglese, francese e italiano il inghilterra il romanticismo è anticipato dalla poesia ossianica e mantiene un carattere prevalentemente letterario. Il Romanticismo si diffonde nei Paesi europei in tempi e modalità diverse, non raggiungendo comunque lo spessore filosofico del movimento tedesco. In Inghilterra mostra uno sviluppo indipendente, preceduto già alla metà del Settecento dalla poesia ossianica o sepolcrale, inaugurata dal poeta scozzese James Macpherson (1736-96): sono poemi epici centrali sulla figura di Ossian, un personaggio forse leggendario o forse identificabile con un principe del iii secolo d.C., caratterizzati da ambienti tenebrosi, eroi inquieti, amori tragici e in generale da un esasperato sentimentalismo nostalgico e malinconico. Hanno vasta diffusione in Europa, suscitando l’ammirazione di Goethe e di Foscolo. Le personalità più eminenti del Romanticismo inglese sono accomunate da un destino tragico. John Keats (1795-1821), autore alcune di alcune opere poetiche di successo (All’autunno e Su un’urna greca), muore di tisi a soli 26 anni. George Byron (1788-1824), considerato all’epoca il prototipo stesso del poeta romantico, muore ad appena 36 anni combattendo come volontario per l’indipendenza della Grecia dal dominio turco ➝ 22 . E Percy Bysshe Shelley (1792-1822), poeta anticonformista e ribelle, ispirato dalle teorie dell’anarchico William Godwin (del quale sposa la figlia Mary, futura autrice di Frankenstein), muore a 30 anni per annegamento. Importante è anche lo scozzese Walter Scott (1771-1832), cui si deve l’invenzione del romanzo storico (Ivanhoe, 1819, ambientato nell’Inghilterra del xii secolo). in Francia il romanticismo si diffonde dopo la pubblicazione del saggio sulla cultura tedesca di Madame de staël. In Francia il Romanticismo ➝ 23 si diffonde a seguito della pubblicazione del trattato di Madame de Staël De l’Allemagne (1810), in cui sono esposti con ordine e chiarezza sia la poetica di alcuni poeti eminenti (Goethe e Novalis), sia le idee generali del movimento romantico, sia infine le dottrine filosofiche che lo sorreggono (Kant, Fichte e Schelling) e le implicazioni etiche che ne conseguono. Ciò nonostante, anche in Francia il Romanticismo rimane privo di un riferimento filosofico e si esprime soprattutto con l’opera di letterati, come Victor Hugo (1802-85), Honoré de Balzac (1799-1850) e George Sand (1804-76), nei quali comunque rimangono ancora forti suggestioni e temi di derivazione illuminista. in italia il romanticismo si sviluppa in ritardo ma si connette al movimento risorgimentale assumendo una valenza politica che lo apparenta al caso tedesco e lo distingue da quello inglese e francese. Diverso è il caso dell’Italia, in cui il Romanticismo arriva in ritardo (verso il 1815) e dove la realtà storica è più simile a quella tedesca. Ancor più che in Germania, in Italia il Romanticismo si lega al Risorgimento e alla costruzione di un’identità nazionale ➝ 24. Per contro non troviamo nel Romanticismo italiano il fascino per il mistero e per l’irrazionale, e anche l’esaltazione del sentimento è molto sfumata. I maggiori esponenti del Romanticismo italiano sono Manzoni e, anche se in modo indiretto, Leopardi, che mostra caratteri romantici anche quando vuole marcare la sua distanza da questo movimento, come nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (1818). Il Romanticismo italiano si manifesta invece pienamente nella letteratura patriottica con Silvio Pellico (1789-1854), Niccolò Tommaseo (180274) e soprattutto Giuseppe Mazzini (1805-72).

Materiali per l’apprendimento attivo 22. aPPrOFONDiMENTi > Filosofia per immagini

▶ Eugène Delacroix, Il massacro di Scio, 1824, olio su tela (Parigi, Musée du Louvre).

23. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

rOMaNTiCisMO E TraDiZiONaLisMO iN FraNCia Mentre i romantici tedeschi e italiani si impegnano nei rispettivi risorgimenti, in Francia la situazione politica è ben diversa, caratterizzata dal crollo dell’ideologia napoleonica e dalla restaurazione dell’antico regime. Per questo l’unico movimento filosofico francese che riprende alcuni temi del Romanticismo è il tradizionalismo, un orientamento, come il nome stesso suggerisce, che si richiama ai valori della tradizione. Il suo maggior esponente è Joseph-Marie de Maistre (1753-1821), la cui opera più celebre è Del Papa (1819). L’uomo, egli argomenta, è corrotto dal peccato originale, incapace di salvarsi da solo; deve quindi affidarsi all’autorità, sia politica sia religiosa. L’ordine politico può essere garantito solo dall’assolutismo monarchico, ma per evitare che si trasformi in tirannia deve a sua volta subordinarsi all’autorità divina, rappresentata dal papa, a cui spetta il compito di controllare l’operato dei sovrani, sciogliendo i sudditi dall’obbedienza nel caso in cui si trasformino in despoti. 24. PEr CaPirE MEGLiO

La FiLOsOFia POLiTiCa DEL rOMaNTiCisMO iTaLiaNO La filosofia più rappresentativa a questo proposito è quella di Mazzini (1805-1872), considerato il teorico della concezione democratica. Egli condivide alcuni aspetti sottolineati dai filosofi tedeschi, in particolare l’unità profonda e l’identità comune che si stabiliscono tra i membri di uno stesso popolo. non considera però lo Stato così importante come Fichte o Hegel e rivendica costantemente la libertà dell’individuo, pur cosciente della sua appartenenza a una dimensione comunitaria. ancora più netta è la differenza della filosofia politica tedesca rispetto a Gioberti, a rosmini o a Cattaneo, i quali, anche se con accenti diversi, si richiamano al liberalismo, condannato invece, come vedremo, da Hegel. La differenza di fondo, in estrema sintesi, sta nel diverso rapporto tra l’individuo e lo stato: mentre nella filosofia tedesca, e in quella di Hegel in particolare, il primo è subordinato al secondo, dal quale trae la propria ragion d’essere, nel pensiero risorgimentale italiano la ricerca di un’identità comune si concilia con una costante valorizzazione dell’individuo e della sua libertà.

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La ParTECiPaZiONE aL risOrGiMENTO GrECO la passione politica dei romantici si esprime in un primo tempo in un massiccio sostegno alla causa del popolo greco, impegnato in una lotta d’indipendenza dal dominio turco. In favore della causa greca si forma un movimento d’opinione internazionale, capace di influire sulle scelte diplomatiche dei Paesi europei e fortemente sostenuto dagli intellettuali dell’epoca, non pochi dei quali si uniscono come volontari ai ribelli greci (come poi avverrà nella Guerra civile spagnola, 1936-39). alcuni, come Byron, vi troveranno la morte. Il pittore francese Eugène delacroix (1798-1863) contribuisce a questa battaglia con un quadro che documenta il massacro di scio, un’isola in cui nel 1822 i turchi trucidarono 20000 abitanti. L’avvenimento è descritto in tutta la sua atrocità e la composizione ha una struttura singolare: manca infatti una figura centrale, perché delacroix, al fine di concretizzare in termini pittorici l’idea di popolo, raggruppa i corpi di tutti i condannati in un unico grande amalgama.

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La revisione del kantismo Le critiche al kantismo si concentrano sul problema della cosa-in-sé (il noumeno) che per kant è necessaria, quindi esistente, ma allo stesso tempo inconoscibile. Fra le premesse dell’idealismo vi è anche la vivace discussione che negli ultimi anni del Settecento si sviluppa sulla filosofia kantiana, nella quale si intravede una diversità fra la prima Critica, dedicata al problema della conoscenza, e le altre due, in cui Kant si occupa del giudizio morale e di quello estetico. In queste ultime si intravede un pensiero compatibile con la nuova sensibilità romantica, ma ciò non accade per la Critica della ragion pura. Di quest’ultima il maggior problema ruotava attorno alla «cosa-in-sé», cioè la realtà nella sua effettività noumenica, che Kant ritiene necessaria (perché senza un oggetto la conoscenza non può esistere) e al contempo inconoscibile (perché la mente umana non può prescindere dai modi in cui struttura la percezione e l’intellezione). Ma come è possibile affermare con certezza l’esistenza di una cosa che per definizione non si può conoscere? ➝ 25 . schulze vede nel concetto di noumeno un’incoerenza interna al pensiero kantiano e propone un ritorno allo scetticismo. A porre questa domanda con maggior forza è Gottlob Schulze (1761-1833), che nella trattazione kantiana della cosa-in-sé vede un’incoerenza logica con il resto del suo pensiero: è lo stesso Kant, infatti, a sottolineare come le funzioni percettive e le categorie mentali abbiano senso solo se applicate a oggetti che rientrano nel campo dell’esperienza. Schulze propone di risolvere il quesito tornando allo scetticismo di Hume: possiamo essere certi solo delle nostre rappresentazioni fenomeniche, delle immagini che ci formiamo delle cose, ma sull’esistenza di queste e sul loro effettivo modo di essere non si può ipotizzare alcunchè. reinhold sottolinea l’autonomia delle rappresentazioni mentali sia dall’oggetto rappresentato sia dal soggetto rappresentante. solo di queste si deve occupare la filosofia. Meno radicale è la riflessione di Karl Leonhard Reinhold (1758-1823), focalizzata sul concetto di «rappresentazione». Qualunque sia la realtà noumenica, egli argomenta, abbiamo comunque la certezza che i contenuti della mente consistono solo in rappresentazioni ➝ 26. Ma queste rappresentazioni, solitamente intese come un’area limite in cui il soggetto e l’oggetto si incontrano (oggi diremmo un’interfaccia fra i due), hanno una propria consistenza e autonomia; sono sempre distinguibili sia dalla cosa rappresentata sia dal soggetto che le rappresenta. Compito della filosofia è quindi farsi «scienza delle rappresentazioni», tralasciando come irrisolvibile la questione della determinazione del soggetto e dell’oggetto. È il primo passo verso l’idea che occorre eliminare dalla filosofia ogni elemento che giustifichi la cosa-in-sé, posizione che caratterizzerà l’idealismo. Maimon porta alle estreme conseguenze la convinzione che la cosa-in-sé sia un concetto puramente negativo: essa è una non-cosa, un concetto contradditorio e dunque impossibile. A Salomon Maimon (1735-1800) va il merito di aver inserito in questo dibattito l’ipotesi, destinata a grande successo nell’idealismo ➝ 27 , che la credenza nell’esistenza della cosa-in-sé nasca da una funzione inconsapevole della mente, da un processo psichico che si attua al di sotto della consapevolezza. In Saggio sulla filosofia trascendentale (1790) egli argomenta che, se tutto ciò che è rappresentabile è contenuto nella coscienza consapevole, come asseriva Reinhold, allora la cosa-in-sé, cadendo al di fuori della coscienza ed essendo irrappresentabile, è una “non-cosa”, un concetto contradditorio e quindi impossibile. Ma l’eliminazione totale della cosa-in-sé significa riconoscere che l’intera conoscenza, per quel che riguarda i suoi princìpi e i suoi contenuti, cade nella sfera della coscienza.

Materiali per l’apprendimento attivo

Audiomappa

25. COMPETENZE > Mappa concettuale

Reinhold

Maimon

È la causa delle rappresentazioni ma non può essere oggetto di alcuna esperienza

È inconoscibile

COSA IN SÉ

È un concetto contradditorio (non-cosa)

Non è rappresentabile

È impossibile

Schulze

Di essa non si può dire nulla (scetticismo)

È inconoscibile

26. PEr CaPirE MEGLiO

La raPPrEsENTaZiONE Proviamo a semplificare questa posizione con l’aiuto di un’immagine. Per spiegare la teoria kantiana della conoscenza si ricorre di solito alla metafora secondo la quale l’uomo vedrebbe il mondo attraverso lenti colorate (le strutture a priori). Da un lato c’è il mondo, presumibilmente variopinto o comunque con un proprio colore (le cose-in-sé), dall’altra il soggetto che lo vede attraverso lenti, poniamo, blu. Per lui il mondo è blu e, dato che le lenti sono dello stesso colore per tutti gli uomini, tutti conoscono il mondo nello stesso modo, per cui è possibile affermare l’universalità delle proposizioni scientifiche. Secondo Kant in questo processo ci sono due aspetti: una forma che deriva da noi (le lenti o, fuor di metafora, le strutture a priori della conoscenza) e un contenuto che egli riferisce alla realtà esterna (la cosa-in-sé). Quando reinhold afferma che la conoscenza è rappresentazione intende dire che ciò che il soggetto conosce non è un a priori unito a qualcosa d’esistente oggettivamente, ma soltanto, appunto, la rappresentazione. Ciò che il soggetto conosce, a suo avviso, non è un mondo colorato a cui siano sovrapposte delle lenti blu, ma soltanto le rappresentazioni blu che non siamo in grado di separare dalle lenti stesse: non è lecito dire che ci sia un mondo colorato al di là delle lenti blu, perché il soggetto in realtà vede solo le lenti. 27. PEr CaPirE MEGLiO

LE PrEMEssE DELL’iDEaLisMO Se la cosa-in-sé è un concetto impossibile (Maimon lo paragona alla radice quadrata di un numero negativo), significa che al di fuori della coscienza non c’è nulla: il dato non proviene dall’esterno, ma è ciò di cui, all’interno della coscienza, abbiamo ancora una conoscenza imperfetta e incompiuta. Più precisamente, è l’elemento indeterminato della conoscenza, quel che non è ancora stato determinato dalle forme a priori dell’Io. la distinzione fra soggetto e oggetto diventa quella tra conscio e inconscio all’interno della mente. e ciò spiega perché, nel mondo fuori di noi, troviamo le stesse strutture a priori della nostra conoscenza. la verità, argomenta Maimon, è che il mondo è un’invenzione del nostro inconscio. le premesse dell’idealismo sono così poste. Guida allo sTudio • Quale rapporto fra individuo e assoluto

• Che cosa si intende con «circolo emeneutico»

emerge durante il romanticismo e quali concetti lo esprimono? • Commenta la concezione della natura che emerge in novalis.

• Quali sono le differenze tra la posizione

e a quale autore si fa risalire questo concetto? di reinhold e quella di maimon rispetto al concetto di cosa-in-sé?

2 te MI e F IG ure D e l roMA N t IC IS Mo

iL DiBaTTiTO suLLa COsa-in-sé

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• Sintesi

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L’idealismo etico di Fichte

L’adesione critica al kantismo La filosofia di Fichte parte da un presupposto: porre l’idea pratica della libertà come fondamento di una nuova metafisica che superi il kantismo. Fichte ha 27 anni quando scoppia la Rivoluzione francese, un evento che influisce profondamente nella sua formazione. Ne approfondisce i princìpi studiando Rousseau e ne sostiene la necessità in due scritti (in forma anonima, a causa della censura): Rivendicazione della libertà di pensiero dai prìncipi dì Europa, che finora l’hanno conculcata e Contributi alla rettifica dei giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese, entrambi del 1793. La data è importante, perché precede la svolta della rivoluzione nel terrore giacobino (settembre 1793-luglio 1794), cui seguirà il ritorno all’ordine e poi la restaurazione napoleonica. È un periodo in cui la rivoluzione suscita grandi speranze negli intellettuali europei liberali e Fichte è fra questi uno dei più entusiasti. Decide allora di assumere gli ideali rivoluzionari (libertà, fraternità, uguaglianza) come fondamento della sua dottrina filosofica. Come la Francia ha rotto le catene materiali che soggiogano i popoli, così Fichte si accinge a costruire un “sistema della libertà”, una filosofia che promuova una radicale emancipazione dell’umanità nel suo complesso e favorisca negli individui (e in particolare nei giovani ➝ 28 , ai quali Fichte si rivolge prioritariamente), la libertà di pensare. Ancor più: la libertà di essere ciò che liberamente decidono di essere, superando qualsiasi tipo di condizionamento (naturale, economico, psicologico ecc.). Questo suo anelito a una libertà totale e incondizionata sopravvivrà alla delusione provocata dall’involuzione reazionaria della rivoluzione, solo formalmente impegnata nella liberazione dei popoli che di fatto assoggettava. Fichte, come vedremo, muterà le sue opinioni politiche rivedendole numerose volte in rapporto alle vicende del suo tempo, ma manterrà intatta la passione libertaria, la spinta ad andare oltre ogni limite dell’Io, che costituisce la motivazione ultima del suo filosofare. Ma come è possibile pensare che l’uomo possa liberarsi da ogni condizionamento che lo limita? Proprio per dimostrare la possibilità razionale di quest’ipotesi tanto lontana dal senso comune Fichte sente il bisogno di costruire una nuova metafisica, una nuova visione della realtà che inglobi e superi il kantismo. L’incontro con la filosofia di Kant, e in particolare con la critica della ragion pratica, rivoluziona la vita e il pensiero di Fichte. Fichte trova un secondo stimolo alla sua formazione nel criticismo kantiano, che, a sua avviso, rappresenta nell’ambito del pensiero una rivoluzione altrettanto profonda e libertaria di

Materiali per l’apprendimento attivo

Fichte

Schelling che porterà nel 1806 alla definitiva rottura tra i due. Nel 1806, dopo la rovinosa sconfitta a Jena, Berlino e l’intera Prussia sono invase dalle truppe napoleoniche e Fichte si trasferisce a Königsberg. Qui, con il sostegno del governo prussiano in esilio, si impegna in un’intensa attività patriotica, pubblicando nel 1806 un Dialogo sul patriottismo e nel 1807 Il patriottismo e il suo contrario. l’anno seguente tiene una serie di conferenze pubblicandole poi con il titolo di Discorsi alla nazione tedesca. l’affermazione del primato culturale del popolo tedesco lo rende nuovamente celebre e favorisce la sua nomina, da parte del re, a professore ordinario dell’università di Berlino (fondata proprio in quegli anni), di cui diventa rettore nel 1811. Muore nel 1814, durante un’epidemia di tifo, contagiato dalla moglie, che si prodigava come volontaria nella cura dei malati.

28. COMPETENZE > La filosofia e il presente

uNa FiLOsOFia PEr GiOvaNi Se sei giovane hai un buon motivo per studiare Fichte con particolare attenzione. Infatti, le parti difficili della sua dottrina servono in definitiva a formulare la proposta di una rivoluzione radicale che egli definisce come un “ringiovanimento del mondo”. Egli indirizza questo invito espressamente ai giovani (che in effetti assistevano alle sue lezioni numerosi ed entusiasti), nell’idea che gli adulti siano in genere ormai troppo condizionati dalle proprie abitudini mentali ed esistenziali per rendersi disponibili al cambiamento. Per Fichte “l’adattarsi al mondo” (ciò che egli chiama «dogmatismo») è un vizio morale gravissimo ma inestirpabile dall’animo umano una volta che lo ha colonizzato. Solo i giovani quindi, coloro che ancora stanno progettando se stessi, sono ancora mentalmente liberi e possono immaginare, volere e pretendere (prima di tutto da loro stessi) che il mondo e la società compiano un deciso passo in avanti verso la libertà.

▲ Il filosofo Johann Gottlieb Fichte tiene il suo discorso alla nazione, xilografia.

quella avvenuta in Francia in ambito politico. In una lettera del 1790 dichiara di vivere in un mondo nuovo dopo la lettura della Critica della ragion pratica: princìpi inconfutabili gli appaiono ora smentiti e, al contrario, scientificamente dimostrati altri, come la libertà e il dovere, sino ad allora attribuiti alla soggettività individuale.

561 3 L’Id E a L IS Mo E T Ico d I F Ic HT E

Johann Gottlieb Fichte nasce nel 1762 a rammenau, in Sassonia da una famiglia contadina molto povera, tanto che da fanciullo lavora come guardiano di oche. Grazie al patrocinio di un nobile locale frequenta il ginnasio e poi la facoltà di teologia prima all’università di Jena poi a lipsia. Alla morte del suo benefattore è però costretto ad abbandonare l’università e a guadagnarsi da vivere come tutor itinerante. Nel 1791 si reca a Königsberg per incontrare Kant e l’anno dopo gli invia il suo Saggio di una critica di ogni rivelazione. Per la notorietà ottenuta con quest’opera

(inizialmente attribuita allo stesso Kant), nel 1794 è chiamato dall’università di Jena, dove rimane cinque anni come docente di filosofia. Questa brillante carriera è interrotta nel 1798 a seguito di un articolo intitolato Sul fondamento della nostra credenza nel governo divino del mondo, in cui Fichte riduce l’idea di Dio all’ordine morale della realtà concludendo che si può essere virtuosi anche senza credere in entità soprannaturali. Ciò gli procura un’accusa di ateismo e forti contrasti con il senato accademico. Fichte cerca inutilmente la solidarietà dei colleghi, in nome della libertà di pensiero, ma è osteggiato da tutti (anche da Goethe) ed è costretto alle dimissioni. Nel 1799 si stabilisce a Berlino, dove si guadagna da vivere tenendo lezioni private. Si impegna in una sistemazione organica della sua dottrina pubblicando due successive versioni della Dottrina della scienza, nel 1801 e 1804. Inizia però una polemica con

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È una scoperta che cambia la sua esistenza. Nel 1792 Fichte invia a Kant un manoscritto, un Saggio di una critica di ogni rivelazione, in cui applica le idee del maestro sulla morale al concetto di rivelazione religiosa, riconducendo quest’ultima ai contenuti etici e razionali ➝ 29 . Kant ne rimane impressionato e si adopera perché il lavoro venga pubblicato, ma quando ciò accade, per ignote ragioni, Fichte non compare come autore. E il suo Saggio è così kantiano nel lessico e nelle argomentazioni che l’opinione pubblica lo attribuisce subito al venerabile maestro, ormai quasi ottantenne. Kant interviene per chiarire l’equivoco, ma ormai Fichte è una celebrità. Poco dopo riceve inaspettatamente una chiamata dall’Università di Jena, (all’epoca un importante centro culturale) per assumere la cattedra di Filosofia. secondo Fichte, kant delinea una visione non coerente dell’essere umano, tanto libero in campo etico quanto determinato in quello conoscitivo. E irrisolta rimane anche la questione dell’esistenza del noumeno, la cosa-in-sé. Ciò che Fichte più apprezza della filosofia di Kant è la centralità della dimensione morale: sostenendo il primato della ragion pratica sulla ragion pura, Kant intendeva che la morale rende accessibili (scoprendole come propri postulati) quelle idee che, travalicando i limiti dell’esperienza, la ragione non è in grado di dimostrare: la libertà, l’immortalità, l’esistenza di Dio. È l’idea che l’etica fondi se stessa e si costituisca come un ambito di assoluta libertà e di indipendenza dalla sfera conoscitiva. L’entusiasmo di Fichte per il criticismo non gli impedisce però di vederne i limiti. Già da tempo la dottrina kantiana era considerata contraddittoria sotto due aspetti. Il primo riguardava il rapporto fra la conoscenza e la legge morale. Con le prime due Critiche, infatti, Kant aveva delineato due mondi contrapposti: da una parte quello conoscitivo regolato secondo leggi fisiche necessitanti e limitate al piano fenomenico, dall’altra quello morale fondato sul postulato della libertà ➝ 30 . Il secondo riguardava il concetto problematico di «cosa-in-sé» (noumeno), ossia dell’esistenza di una realtà che l’uomo non può conoscere nella sua oggettività ma che tuttavia determina le sue percezioni. Alcuni pensatori (Reinhold, Maimon, Schulze) avevano tentato di chiarire questa antinomia approfondendone l’aspetto gnoseologico [➤ La revisione del kantismo, p. 558]. Fichte vi vede lo spunto per una critica ancor più radicale del kantismo. supponendo la compresenza di un soggetto e di un oggetto, kant avrebbe solo scalfito ma non infranto il principio dogmatico e il dualismo di origine cartesiana. Fichte affronta il problema della cosa-in-sé in Prima introduzione alla dottrina della scienza (1794). Kant, a suo dire, l’aveva lasciato a metà: anche se aveva teorizzato che non lo si potesse conoscere nella sua oggettività, ma solo come fenomeno (per come appare al filtro degli organi di senso), non aveva messo in dubbio l’esistenza del noumeno. In questo modo, argomenta Fichte, Kant era rimasto intrappolato in una forma di dogmatismo, l’approccio filosofico, assai prossimo al senso comune, di chi assume l’esistente come qualcosa di dato, che ci sta di fronte, a noi autonomo, indipendente e precedente. È l’orientamento su cui si basa la metafisica dualistica cartesiana: “esistono le cose, ed esisto io”, per cui la conoscenza è un processo che, pur nelle sue infinite varianti, prevede sempre due realtà distinte: prima esiste un oggetto (la realtà, il mondo, la natura, gli altri uomini) e poi un soggetto (l’io, l’intelligenza, il sapere) che la esamina. Ma a ben vedere, aggiunge Fichte, il dogmatismo attraversa l’intera storia del pensiero filosofico. Gli empiristi si sono sforzati di arrivare alla natura dell’essere umano partendo dal mondo con il metodo induttivo, ma sono caduti nello scetticismo.

Materiali per l’apprendimento attivo 29. PEr CaPirE MEGLiO

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saGGiO Di uNa CriTiCa Di OGNi rivELaZiONE la tesi di fondo del Saggio di una critica di ogni rivelazione è che la rivelazione risponde a un “bisogno” sentito dagli uomini che già possiedono la legge morale, nei quali però la forza della ragione non è sufficiente a piegare la resistenza degli impulsi sensibili. attraverso la rappresentazione di dio come autore della legge, la rivelazione le fornisce la forza per combattere la sensibilità sul suo stesso terreno. Rimediando dunque a una temporanea debolezza della ragione, e contribuendo a formare la sensibilità, la rivelazione può aiutare gli uomini a progredire verso condizioni morali sempre più elevate. È evidente che Fichte ricalca la prospettiva kantiana, per cui la religione è derivata dalla morale: dio esiste per l’uomo nella misura in cui egli ha esperienza morale.

3 L’Id E a L IS Mo E T Ico d I F Ic HT E

30. PEr CaPirE MEGLiO

iL PrOBLEMa DELLa LiBErTÀ uMaNa NELLE TrE critiche Di kaNT L’idea di Fichte, condivisa da molti intellettuali del suo tempo, è che Kant nelle sue tre Critiche fosse giunto a risultati fra loro contraddittori, delineando immagini diverse e incompatibili della natura umana. nella Critica della ragion pratica Kant dimostra come l’attività morale dell’uomo non sia vincolata da alcuna realtà fenomenica o psicologica. La ragion pratica (cioè l’etica) è totalmente libera e formula in modo assoluto, senza alcuna limitazione, la legge morale universale («l’imperativo categorico»). nella Critica della ragion pura, invece, la conoscenza è descritta come un processo in cui l’uomo non ha modo di intervenire. Essa è frutto di una sintesi fra i contenuti esterni (di natura fenomenica perché giungono da una realtà in se stessa inconoscibile) e le forme a priori del soggetto, sia percettive sia intellettuali (categorie mentali, principio di causa). È vero che questa descrizione fa dell’uomo il “legislatore della natura”, ma è altrettanto vero che la sua conoscenza risulta necessariamente condizionata dalla realtà esterna. È possibile però che l’uomo segua logiche tanto diverse, addirittura opposte, nell’ambito morale e in quello conoscitivo? Può essere libero nel primo e determinato nel secondo? Kant, argomenta Fichte, descrive un uomo che agisce per realizzare la propria esigenza morale senza vincoli, ma in realtà non può farlo in piena libertà, perché opera in un mondo che la sua attività conoscitiva concepisce come determinata dai ferrei meccanismi della necessità. Egli sente il “bisogno” di concepire la natura in accordo con la sua libertà, organizzandola cioè in modo da favorire e non ostacolare tale libertà, ma non può farlo. Lo stesso Kant, del resto, si era reso conto del problema, affrontandolo nella Critica del giudizio. Pur mantenendo valide le conclusioni delle prime due Critiche, aveva individuato nel sentimento, e più in particolare nel giudizio estetico, la facoltà umana che, delineando un diverso rapporto fra l’uomo e il mondo, riesce a conciliare libertà e necessità. nel giudizio estetico, infatti, il soggetto prova immediatamente e intuitivamente il sentimento del bello, cioè dell’accordo fra l’Io, lui stesso, e mondo. Mentre in campo morale il giudizio parte dall’Io e si applica al mondo, e in campo conoscitivo segue il percorso inverso, dalla realtà all’Io, in campo estetico il giudizio ha una dinamica riflettente: parte dall’Io e si applica al mondo, ma poi da questo ritorna all’Io e lo condiziona. In questo ambito si rende possibile la formulazione di un «giudizio teleologico»: l’uomo crede che nella natura operi un principio metafisico capace di organizzare il tutto in vista di una finalità, al di là di ogni spiegazione meccanicistica. Fichte apprezza la soluzione kantiana, in quanto suggerisce che la natura sia in qualche modo subordinata alla legge morale, ma la giudica insoddisfacente, dato che il giudizio riflessivo è puramente estetico e privo di qualunque funzione conoscitiva ed etica.

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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I razionalisti hanno tentato il metodo deduttivo, ma hanno mantenuto il dualismo, incapaci di decidere se sia la res cogitans a fondare quella extensa o viceversa ➝ 31 . Solo l’idealismo, conclude Fichte, abolendo la cosa in sé e facendo del soggetto la realtà originaria, si è opposto al dogmatismo. Per Fichte dogmatismo e idealismo sono due orientamenti di vita che caratterizzano diversamente gli individui, ma il primo è superiore al secondo. Fichte riconosce che né il dogmatismo né l’idealismo confutano l’altro dal punto di vista teoretico, perché entrambi risultano validi per spiegare la realtà, ma aggiunge che le cose cambiano se si passa al piano pratico. Il dogmatismo, infatti, si esprime come realismo in gnoseologia, come naturalismo o materialismo in metafisica, ma si insinua anche in ogni ambito della vita, nella politica e nelle scelte individuali. Ciò che maggiormente lo caratterizza sono le conseguenze che ne derivano sul piano etico. Se l’Io si forma in un mondo che gli preesiste, ne sarà inevitabilmente condizionato, sino alla perdita della libertà morale. Se i comportamenti dell’individuo sono determinati da fattori che non ha liberamente scelto (la condizione economica famigliare, l’educazione ricevuta, gli incontri casuali, la prestanza fisica, la salute, la bellezza), come può esserne poi moralmente responsabile? Il dogmatismo dunque giustifica il determinismo etico, per cui le scelte morali sono limitate dal mondo esterno e non frutto di una libera scelta. Vi è nel crederlo una forte motivazione psicologica, perché così si giustifica l’irresponsabilità e il relativismo etico, ossia l’atteggiamento di chi ragiona in questo modo: «È vero, ho commesso uno sbaglio; ma non l’avrei fatto se non avessi avuto una cattiva educazione, quindi il vero colpevole non sono io, ma la società, le cattive compagnie, il cattivo esempio degli altri, ecc.». Agli occhi di Fichte l’idealismo etico, al contrario, è la posizione di chi rifiuta di assolversi, e si concepisce prima di tutto come un essere libero e totalmente responsabile di sé sul piano morale. Di chi rifiuta di considerarsi condizionato, e anzi riconosce di essere lui il creatore del mondo in cui vive, il suo mondo, frutto delle sue scelte e delle sue relazioni con gli altri. L’idealismo concepisce l’uomo non come un prodotto delle cose, ma al contrario come un produttore del mondo. In ciò consiste, per Fichte, l’essenza della moralità: l’importante non è calcolare il grado di libertà di cui si gode (se si è ricchi o poveri, belli o brutti ecc.), ma, qualunque esso sia, “liberarsi”, cioè rendersi più liberi, andare oltre quelli che appaiono come condizionamenti esterni (ogni persona ha i suoi, diversi per età). La scelta fra i due sistemi etici è soggettiva: dipende dalle inclinazioni personali, dal carattere, dal tipo di uomo che si è. Vi sono uomini istintivamente dogmatici, tendenti ad accettare fatalisticamente le cose e a farne la scusante dei propri comportamenti; altri invece possiedono un senso profondo della libertà e della responsabilità morale. Fra questi due tipi di umanità la comunicazione è difficile, perché sono diverse le visioni del mondo che si sono costruiti. Facciamo un esempio. Dogmatico può essere un ladro che pensa che tutti rubino, e così giustifica il suo reato, ma finisce con il costruirsi un mondo malvagio, finendo con il vedere il male anche dove non c’è. L’onesto, al contrario, giudica la disonestà un’eccezione e vive in un mondo di onesti. Eppure, sostiene Fichte, sul piano etico, la superiorità della scelta idealistica è evidente ➝ 32 . Solo l’idealismo, infatti, si basa sulla libertà e la libertà, come ha dimostrato Kant, è la condizione necessaria della moralità. La scelta etica della libertà giustifica quindi la preferibilità di un sistema filosofico. Per questo la filosofia di Fichte è denominata dagli studiosi «idealismo etico» ➝ 33 , espressione che non ritroviamo nelle sue opere ma che ne evidenzia una delle caratteristiche principali.

Materiali per l’apprendimento attivo

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31. PEr CaPirE MEGLiO

audiomappa

32. COMPETENZE > Mappa concettuale

L’aLTErNaTiva Fra DOGMaTisMO E iDEaLisMO criticismo kantiano pone il problema dell’

ealismo • rgnoseologico aterialismo • mmetafisico comporta eterminismo • dmorale

esistenza della cosa in sé

se si afferma

DOGMATISMO

IDEALISMO

porta a spiegare la realtà è dire che cosa è il mondo

metafisica dell’oggetto

se si nega

comporta

oggettivismo • sgnoseologico piritualismo • smetafisico ibertà in • lambito morale

porta a metafisica del soggetto (dottrina della scienza)

33. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

spiegare la realtà è dire come il soggetto produce il mondo

dizionario operativo

iDEaLisMO ETiCO viene così definito l’idealismo di Fichte, per sottolineare l’importanza che vi assume la dimensione etica. Secondo Fichte, se il noumeno non è conoscibile non possiamo né affermarne l’esistenza né negarla. Si tratta allora di scegliere tra due alternative inconciliabili, perché dall’esistenza del noumeno deriva il dogmatismo (il materialismo), dalla sua negazione l’idealismo. Fichte prende in esame le due alternative, analizzandone le conseguenze. Se ammettiamo l’esistenza di una realtà esterna indipendente da noi dobbiamo derivarne il determinismo in ambito etico, se invece la neghiamo si ha l’affermazione della libertà. Per questo, conclude Fichte, dobbiamo scegliere la negazione del noumeno, cioè l’idealismo. la scelta tra i due sistemi è quindi motivata dalle loro conseguenze etiche, il che spiega l’espressione considerata.

3 l’ID e A l IS Mo e t ICo D I F IC Ht e

iL DiFETTO DEL DOGMaTisMO Anche se non è teoreticamente né dimostrabile né confutabile, per Fichte il dogmatismo, così vicino al senso comune, è un sistema scarsamente filosofico. Infatti esso procede per «enumerazione descrittiva», come fanno le scienze naturali quando rilevano che ci sono stelle, pianeti, satelliti ecc., oppure insetti di questa o quell’altra specie. In modo simile il dogmatismo constata che esiste il mondo ed esiste anche l’io (la res cogitans e la res extensa). Ma la filosofia, ricorda Fichte, non può usare la parola «anche», limitandosi ad accostare fra loro i fenomeni e a descriverne la tipologia, quasi fosse un sapere osservativo e induttivo. essa deve spiegare il «perché» delle cose, indicare la matrice ultima da cui tutte scaturiscono. È troppo facile, e anche inutile, dire che «c’è questo» e «c’è anche quest’altro», un soggetto e un oggetto; bisogna decidere quale dei due è prioritario.

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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La filosofia dell’Io si può negare l’esistenza della cosa-in-sé, perché l’abolizione di questo concetto non produce alcuna conseguenza. L’intento di Fichte sta nell’affermare un’esigenza etica verso il mondo: ciò che si presenta come cosa-in-sé deve conformarsi alla moralità umana e alla sua libertà. L’unico sistema di pensiero in grado di realizzare questo piano etico è l’idealismo, perché riconduce tutto all’Io abolendo la cosa-in-sé. È una mossa ben argomentabile, secondo Fichte, perché dall’ammettere o non ammettere la cosa-in-sé non deriva alcuna conseguenza per le rappresentazioni che ne abbiamo: le nostre convinzioni sul mondo rimarranno le stesse, sia che le si attribuisca a input esterni, sia che le si consideri un’autoproduzione dell’Io. Se l’esistenza di un concetto non produce alcuna conseguenza pratica allora esso è inutile e lo si può abbandonare. Un’affermazione, quest’ultima, importante e decisiva, tanto che Fichte la supporta con argomentazioni generali relative alla diversa importanza del conoscere e dell’agire. La tradizione filosofica ha subordinato l’azione alla conoscenza, ma questo rapporto va ribaltato: si conosce per agire, non viceversa. L’azione precede la conoscenza in particolare nel campo morale: si può sapere cosa è la libertà solo praticandola. Tutte le forme di conoscenza, afferma Fichte, si sono sviluppate in funzione dell’azione (e quindi della morale): l’uomo non è nato per filosofare ma per agire. È un principio contrario alla tradizione filosofica, che aveva sempre supposto la priorità logica e temporale della conoscenza rispetto all’azione, come del resto sembrerebbe suggerire anche l’esperienza immediata: prima si decide cosa fare e poi lo si fa; prima si conosce un problema e poi lo si risolve; prima vi è un soggetto, poi il suo comportamento. Fichte, invece, propone di rovesciare tale rapporto: non si agisce perché si conosce, ma ci si procura una conoscenza perché si è destinati ad agire. Non è vera la massima operari sequitur esse (“l’attività segue l’essere”), ma quella contraria: esse sequitur operari (“l’essere segue l’attività”) ➝ 34 . Questa inversione dei dati immediati dell’esperienza appare ancor più netta per le azioni moralmente rilevanti: l’unico modo per capire cosa sia la libertà è praticarla. Il compito della filosofia dunque non è speculare sui concetti etici (libertà, responsabilità, dovere), perché l’animo umano li percepisce con immediatezza essenziale, ma costruire un sistema di pensiero che permetta il loro affermarsi. Quindi la filosofia non può ridursi a una mera contemplazione del reale, e neppure a una sua interpretazione; deve essere un’educazione alla libertà, sia delle persone sia delle comunità. È un orientamento che accompagna tutta la riflessione di Fichte. all’eliminazione della cosa-in-sé corrisponde, sul piano del soggetto, il passaggio dall’io penso kantiano (il principio ordinatore della natura) all’io puro, che Fichte pone come produttore della realtà. La seconda mossa decisiva per la fondazione dell’idealismo sta nella trasformazione operata da Fichte dell’Io penso kantiano, il principio che permette di unificare e ordinare le rappresentazioni del soggetto, nell’Io puro ➝ 35 (definito in questo modo perché anteriore a qualunque realtà empirica e quindi da essa indipendente), un principio che produce la realtà prima ancora di ordinarla. Se l’Io penso kantiano è un principio gnoseologico (non crea il mondo, si limita a mettere ordine alla realtà), formale (cioè privo di un contenuto), individuale e limitato (conosce solo ciò di cui fa esperienza e si ferma davanti al noumeno), l’Io puro fichtiano è il principio sia formale sia materiale della conoscenza, un’entità produttrice e infinita, da cui deriva tutto ciò che esiste. Mentre Kant si muove sul piano gnoseologico tentando di spiegare come funziona la conoscenza umana del mondo, Fichte si sposta su quello metafisico, cercando di

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34. COMPETENZE > Pensiero critico

rifletti sulla tua esperienza di vita: • ti sembra confermato che quelle amanti dell’ozio siano persone particolarmente immorali? • dalla teoria di Fichte consegue che quando si abbandona all’ozio l’uomo non può sentirsi felice e anzi avverte dentro di sé un senso di colpevolezza. Questa notazione corrisponde al tuo vissuto esistenziale? 35. COMPETENZE > argomentazione

L’iO PENsO E L’iO PurO a CONFrONTO io penso (Kant)

io puro (fichte)

è funzione della conoscenza

ha valenza ontologica

come principio formale riorganizza il materiale produce le rappresentazioni (immaginazione rappresentativo che viene dall’esterno produttiva), produce la realtà esiste una realtà al di fuori dell’io: ciò che è reale non esiste una realtà al di fuori dell’io: ciò che è è reale in sé (affermazione della cosa-in-sé) reale è reale per l’io l’indagine sull’io è ricerca sulle condizioni della l’indagine sull’io è ricerca sulla realtà, sull’essere conoscenza: è teoria della conoscenza del mondo: è una nuova metafisica

spiegare come sia l’uomo a creare il mondo, prima ancora di conoscerlo. L’Io puro fichtiano è dunque l’ontologizzazione dell’Io penso kantiano, la sua traduzione dal piano logico a quello metafisico. L’analisi dei processi attraverso cui l’Io puro produce il mondo è svolta da Fichte con una riflessione metafisica che egli denomina «dottrina della scienza» (l’espressione che dà il titolo alla maggior parte delle sue opere), della quale dobbiamo ora trattare.

L’umanizzazione del mondo il rapporto fra l’uomo e la natura, che si definirà meglio nella dottrina della scienza, viene affrontato da Fichte anche in opere minori precedenti: nel corso della storia, l’uomo ha umanizzato la natura, l’ha antropizzata, cioè resa simile a lui. Il testo fondamentale in cui Fichte espone la sua dottrina della scienza è Fondamento dell’intera dottrina della scienza, al quale inizia a lavorare durante il soggiorno a Jena (1794-98). Già dalla prima edizione, apparsa nel 1794 (ne seguiranno altre, rivedute e ampliate) è chiaro che si tratta di un’opera molto complessa. Per renderla più facilmente comprensibile e per calarla nella situazione storico-sociale del tempo, Fichte ne presenta il significato generale e l’intenzione di fondo in alcune opere divulgative. Fra queste spicca l’opuscolo Sulla Dignità dell’uomo (1794), scritto appena pochi mesi prima di assumere l’incarico all’Università di Jena, in cui Fichte illustra la sua dottrina dell’Io pro-

3 L’Id E a L IS Mo E T Ico d I F Ic HT E

L’aTTivisMO FiChTiaNO Se l’uomo è essenzialmente moralità, e se la moralità è essenzialmente impegno nell’azione, ne consegue che l’ozio è non solo immorale ma contrario alla natura dell’uomo. Per Fichte l’inattività, l’inerzia, la pigrizia, l’inoperosità costituiscono il vizio supremo, il peggior danno che l’uomo possa fare a se stesso, perché lo riducono a livello di cosa. Per questo, aggiunge Fichte, dall’accidia nascono vizi ulteriori, come la falsità e la viltà. È un’idea sintetizzata nel proverbio che fa dell’ozio il “padre di tutti i vizi”.

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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duttore del mondo. Che l’uomo plasmi le cose a propria immagine, sostiene, è particolarmente evidente nell’attività pratica. Ponendosi su un piano non metafisico, ma storico ed esperienziale, è possibile osservare come l’umanità nel corso dei secoli e dei millenni abbia ormai completamente antropizzato la natura, ossia l’abbia trasformata per renderla funzionale alle proprie esigenze conferendole, attraverso le pratiche tecnologiche, caratteri propriamente umani (ordine, regolarità, specializzazione produttiva). Viviamo ormai in una natura umanizzata; di quella selvaggia e originaria conserviamo solo la testimonianza in speciali musei (i parchi naturali), ma per il resto siamo sempre immersi in un paesaggio, cioè un ambiente antropizzato, espressione più della razionalità umana (o delle sue capacità distruttive) che di una naturalità incontaminata ➝ 36 . Dominando sempre più la natura, l’umanità (l’io puro) ha anche costruito se stessa strutturandosi in comunità e nazioni. Fichte in un certo senso fa dell’umanità un demiurgo che conduce la natura a un ordine fecondo, e che modella la materia secondo le proprie idee, la propria progettualità e volontà, rendendola sempre più simile a sé. La sua azione, tuttavia, non si esercita esclusivamente nei confronti della natura ma anche su se stessa: trasformando l’ambiente naturale, l’umanità ha anche acquisito caratteri nuovi, sia fisici sia psicologici. Gli individui hanno gradualmente costituito unità sempre più grandi (i popoli) e le nazioni, che agiscono collettivamente come un’unica volontà, un solo Spirito. Da queste osservazioni appare evidente che il soggetto di cui parla Fichte e che opera nel mondo è un soggetto collettivo, sovra individuale: la nozione di «Io puro» coincide con quella di umanità, che al di là delle diverse concretizzazioni spazio-temporali include tutti gli individui che, in virtù dell’autocoscienza, fanno parte dell’unica grande famiJean-Thomas Thibault, Progetto di monumento a Jean▲ Jacques Rousseau nei giardini delle Tuileries, acquarello su glia chiamata anche “Spirito”. Fichte compie carta (Parigi, Galleria Jean-François Heim). dunque un’autentica celebrazione dell’umanità, nella quale scorge l’impronta della divinità. “L’umanità è il tempio di Dio”, per usare le sue stesse parole, essa «abita sì forse in una misteriosa oscurità, ma di certo abita nel tempio che ne reca l’impronta» (Sulla Dignità dell’uomo, in Grande antologia filosofica, XVII, Marzorati, Settimo Milanese 1990, p. 911).

I tre princìpi della Dottrina della scienza il metodo della dottrina della scienza deve essere simile a quello geometrico: individuare un unico principio (postulato) da cui poi ricavare conclusioni per via deduttiva. Sulla base di tutte queste precisazioni, possiamo affrontare il tema centrale della Dottrina della scienza ➝ 37 . Come abbiamo visto, lo scopo di Fichte è costruire una metafisica capace di giustificare l’idea che il mondo sia una produzione dell’uomo e che la missione etica di quest’ultimo sia liberarsi da ogni condizionamento. Sono idee che smentiscono il senso comune e devono quindi essere dimostrate edificando un sistema filosofico ben strutturato, sul modello delle scienze forti. Come la matematica e la geometria, la dottrina della scienza deve enucleare postulati (nel minor numero possibile) dai quali ricavare conclusioni

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36. La ParOLa ai TEsTi

L’uomo, per Fichte, è in lotta con la natura, anche se si tratta di una lotta particolare, che non si concluderà con una vittoria del primo, perché proprio la lotta e la trasformazione della natura costituiscono il fondamento della sua moralità.

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L’uomo non solo pone l’ordine necessario nelle cose, ma vi impone anche quello che si è scelto a suo arbitrio; là dove egli avanza, la natura si risveglia; in presenza del suo sguardo essa si appresta a riceverne una nuova, più bella creazione. Già il suo corpo è ciò che di più spiritualizzato poteva essere formato con la materia che lo circonda; nella cerchia del suo respiro l’aria si fa più dolce, il clima più mite, e la natura si rasserena nell’attesa di essere trasformata per opera sua in luogo di abitazione e incubatrice di esseri viventi. L’uomo ordina alla grezza materia di organizzarsi secondo il suo ideale e di fornirgli il materiale di cui abbisogna. Ciò che prima era freddo e morto fa germogliare per lui il grano nutriente, il frutto ristoratore, il grappolo vivificante, e altro farà germogliare non appena egli ordinerà altrimenti. (J.G. Fichte, Sulla dignità dell’uomo, in Grande antologia filosofica, Marzorati, Settimo Milanese 1990, vol. XVII, p. 909)

Guida alla lettura. l’uomo conferisce razionalità alla natura, perché le attribuisce un ordine corrispondente alla conoscenza scientifica che ne ha, e la trasforma mediante l’azione, dandole così vita e significato. la natura è pura passività; per l’uomo è un mero ostacolo da superare per realizzare appieno le sue istanze morali. audiomappa

37. coMpetenze > Mappa concettuale

i tre princìpi deLLa dottrina deLLa scienza METAFISICA DEL SOGGETTO (DOTTRINA DELLA SCIENZA)

si sostituisce alla metafisica dell’oggetto (non si tratta più di stabilire che cosa è il mondo, ma come il soggetto lo produce)

nei tre princìpi

l’Io pone se stesso

l’Io pone il Non-Io

l’Io pone accanto al Non-Io divisibile un Io divisibile spiega

l’uomo agisce sulla natura per umanizzarla e prendere coscienza di sé

dinamica uomo-natura

attraverso catene deduttive. Così modellata, argomenta Fichte, la filosofia può diventare ancor più potente delle scienze. Queste ultime infatti partono tutte da postulati particolari (in geometria, ad esempio, le idee di punto, linea, superficie, parallelismo), mentre la filosofia, con la tendenza all’astrazione e alla generalizzazione che le è propria, è in grado di indicare il postulato originario da cui tutti gli altri derivano. In questo modo, la filosofia diventa una “scienza delle scienze”, capace di indicare il “fondamento” (Grundsatz) su cui tutte si basano, ossia i princìpi in base ai quali il soggetto conosce la realtà.

3 l’ID e A l IS Mo e t ICo D I F IC Ht e

T2 Fichte L’uomo deve sottomettere la natura o rispettarla?

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Il primo principio il primo principio stabilisce che «l’io pone se stesso»: il postulato di ogni conoscenza è infatti che il soggetto conoscente abbia coscienza di se stesso. Quale può essere tale principio assiomatico, incondizionato, generalissimo e fondativo di ogni conoscenza specifica? Rivolgendo lo sguardo alla tradizione, Fichte rileva che, nel suo sforzo di astrazione dai dati immediati dell’esperienza, il pensiero filosofico (per primo quello di Aristotele) è giunto a formulare come massima generalizzazione il principio di identità: A=A. Vuol dire che le cose sono ciò che sono, e non altro: le mele sono mele, non pere, perché se A è uguale ad A, allora è diverso da B. Ma per Fichte quest’astrazione è insufficiente e soprattutto rientra ancora nella tradizione dogmatica, perché considera le cose come già date, già esistenti, limitandosi a notare che sul piano logico permangono loro stesse. Occorre invece, spostarsi da un piano logico a un piano metafisico: chiedersi da dove esca questo fantomatico A. Per essere definito tale, esso ha bisogno di un’entità esterna (Io) che lo determini. Ma l’Io non potrebbe certo porre qualcosa al di fuori della sua essenza se non esistesse. Poiché tuttavia non dipende da altro, dovrà necessariamente auto-porsi. Ecco quindi che Fichte può individuare il postulato originario di ogni conoscenza: Io sono Io (Io=Io), ovvero, nella formula coniata da Fichte «l’Io (Puro) pone se stesso». L’autocoscienza non è uno stato ma un’attività, una forma di autoproduzione in cui l’io dà forma a se stesso. In questa formula, è il verbo a essere significativo: Fichte non dice che l’Io “è” se stesso, ma che si “pone” come tale. Possiamo capirlo solo ricordando che per Fichte l’agire precede sempre l’essere e il conoscere. E quindi cosa è essenzialmente un Io? È una azione, o meglio, per usare le parole di Fichte, un atto (Tathandlung). L’Io è ciò che esso stesso si fa; in un duplice senso: è sia l’attività agente (Tat) sia il prodotto dell’azione stessa (Handlung). Nel suo essere attività infinita e auto-creatrice esso ha di se stesso un’immediata intuizione intellettuale ➝ 38 : si riconosce, ed è quindi autocoscienza. La trasformazione radicale del concetto di Io penso kantiano a questo punto è ancora più chiara. Mentre l’Io penso non esiste prima e al di là della conoscenza, l’Io Puro non esiste prima e indipendentemente dall’autocoscienza, cioè prima e indipendentemente dall’atto di porre se stesso. In questo senso si può affermare che l’autocoscienza è il fondamento e l’origine dell’Io.

Il secondo principio il secondo principio afferma che nell’atto di porre se stesso l’io pone anche ciò che esso non è, quindi l’intera realtà: «l’io pone il Non-io». il fondamento metafisico del mondo va cercato non nel mondo stesso, ma nel soggetto che lo produce. Come ogni attività per realizzarsi ha bisogno costitutivamente, strutturalmente e necessariamente di un ostacolo da superare, così l’Io diventa cosciente di se stesso solo ponendosi dei limiti. Il secondo principio della Dottrina della scienza afferma che: nel momento in cui l’Io pone se stesso, «l’Io pone il Non-Io» ➝ 39 ➝ 40. Significa che produce non solo sé stesso ma anche l’intera realtà. Ed è una mossa rilevante perché sposta definitivamente il discorso di Fichte sul piano metafisico. L’Io non è più, come in Kant, un’attività ordinatrice ma produttrice del mondo, e quindi l’indagine su di esso non concerne più solo la conoscenza, ma coincide con lo studio di che cosa è il mondo, o meglio di come il mondo è prodotto dall’Io (metafisica del soggetto). La Dottrina della scienza è quindi il tentativo sistematico di dedurre dal principio dell’autocoscienza i principi di tutte le sfere essenziali della vita dell’uomo: la conoscenza e la morale.

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38. La ParOLa ai TEsTi

Nella Seconda introduzione alla dottrina della scienza, Fichte spiega che la conoscenza di sé (autocoscienza) è l’atto teoretico da cui ha origine tutta la conoscenza. Per meglio definirlo egli utilizza una definizione specifica, ancora una volta mutuata dal lessico kantiano: «intuizione intellettuale».

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Io chiamo intuizione intellettuale quest’intuizione di sé stesso di cui è ritenuto capace il filosofo, nell’effettuazione dell’atto con cui insorge per lui l’io. Essa è la coscienza immediata che io agisco, e di ciò che agisco: essa è ciò per cui io so qualcosa perché la faccio. Che una tale facoltà dell’intuizione intellettuale esiste, non si può dimostrare per concetti, né si può sviluppare da concetti quello che essa è. Ognuno deve trovarla immediatamente in sé stesso, altrimenti non imparerà mai a conoscerla. La richiesta di dimostrargliela per ragionamenti è ancor più sorprendente di quella, ipotetica, di un cieco nato di spiegargli, senza ch’egli debba vedere, che cosa sono i colori. [...] (J.G. Fichte, Seconda introduzione alla dottrina della scienza in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Settimo Milanese, 1971, vol. XVII, pp. 962-64)

Guida alla lettura. Con l’intuizione intellettuale la coscienza coglie se stessa nella sua unità di soggetto e oggetto e nella sua infinità (diventa autocoscienza). Ma questo supremo “sapere del sapere” è afferrabile solo al di là dell’opera mediatrice della ragione. Avviene in maniera inconscia e intuitiva, andando oltre la ragione. Il pensiero filosofico, che si serve della ragione, si limita solo a ricostruire le condizioni di possibilità della coscienza e della realtà, non le produce: se così fosse, il pensiero filosofico sarebbe esso stesso creatore e finirebbe per coincidere con l’atto creativo dell’Io. audiomappa

39. coMpetenze > Mappa concettuale

L’io, iL non-io e L’autocoscienza

IO

deve porre un

autocosciente

NON IO

l’Io conferisce al Non-Io realtà autonoma (lo pone come altro da sè) attraverso il processo inconscio dell’immaginazione produttiva

per divenire

agendo su qualcosa di estraneo l’Io riflette su di sè e torna a se stesso

40. per capire MeGLio

iL rapporto fra io e non-io Per spiegare come l’Io pone il Non-Io Fichte ricorre a due metafore. • la rappresentazione. Il Non-Io è come la parte recitata da un attore: non potrebbe esistere senza di lui e anzi esiste solo in lui pur rappresentando qualcosa di diverso da ciò che l’autore è. • la riflessione. l’attività libera e assoluta dell’Io è come una retta che procede all’infinito. Se a un certo punto incontrasse un ostacolo, qualcosa di diverso da ciò che essa è, l’urto la farebbe rimbalzare indietro e tornare a ritroso verso se stessa. rimarrebbe sempre se stessa, pur in qualche modo sperimentando l’esistenza di un Non-Io.

3 l’ID e A l IS Mo e t ICo D I F IC Ht e

T3 Fichte L’autocoscienza o intuizione intellettuale

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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L’io pone il Non-io ai fini dell’azione, cioè per avere un limite esterno con cui confrontarsi. Fichte ammette che questo secondo principio non è immediatamente ricavabile dal primo, tuttavia esprime qualcosa che deve accadere affinché sia possibile una coscienza reale; non è quindi giustificabile teoreticamente ma solo praticamente. Una coscienza, infatti, esiste solo quando si ha coscienza di qualcosa, tanto che l’Io può porsi solo opponendo a se stesso un non Io. E per realizzare se stesso, l’Io, che è libertà, deve agire moralmente. Ma, come Kant aveva insegnato, non c’è attività morale laddove non c’è sforzo; e non c’è sforzo laddove non c’è un ostacolo da vincere: tale ostacolo è il Non-Io ➝ 41 . La posizione del Non-Io è dunque la condizione indispensabile affinché l’Io si realizzi come attività conoscitiva e morale, due ambiti strettamente legati fra loro: l’Io agisce perché conosce, ma conosce perché è destinato ad agire.

Il terzo principio il terzo principio giunge a descrive come la conoscenza e l’agire etico esprimano i rapporti di limitazione reciproca fra il non-io e un io divisibile, entrambi posti dall’io puro. La sua formulazione è che «l’io oppone, nell’io, al non-io divisibile un io divisibile». A descrive la situazione concreta del mondo giunge invece il terzo principio della dottrina della scienza: «l’Io oppone, nell’Io, al Non-Io divisibile un Io divisibile». Significa che l’Io divisibile e il Non-Io divisibile si determinano e si delimitano reciprocamente. All’interno dell’Io, che, come totalità, rimane uguale a se stesso, è posto un Io divisibile, distinguibile in individui, cioè l’umanità. Il Non-Io divisibile è invece la natura, intesa come insieme di corpi distinti. È una formulazione fortemente astratta ma per Fichte rende comprensibile la realtà interpretandola correttamente: l’attività teoretica (conoscitiva) dell’Io è un effetto della limitazione reciproca fra Io e il Non-Io: se l’uomo si scopre capace di ordinare il mondo è perché egli stesso lo ha prodotto. E l’attività pratica, cioè l’agire morale che modifica il mondo, è il modo con cui l’Io determina il Non-Io: l’uomo può veramente superare ogni limite, perché è lui stesso a produrli. il processo metafisico di costruzione dell’io è articolato nei tre momenti di tesi-antitesi-sintesi: «dialettica articolata». La descrizione del processo metafisico qui delineato si completa con due considerazioni, la prima delle quali riguarda la sua articolazione in tre tappe. Nella prima la coscienza nasce ponendo se stessa, nella seconda l’autocoscienza distingue da sé ciò che non le appartiene, nella terza la coscienza ritorna in se stessa, riscoprendosi però in modo diverso, incarnata ora in un Io finito che trova attorno a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti. Si può considerare la struttura formale di questo ragionamento notando che: 1) solo il primo momento è dato di per sé; è auto-fondativo; 2) gli altri due momenti derivano logicamente dal primo; 3) il secondo afferma l’esistenza di una realtà opposta al primo (il Non-Io opposto all’Io); 4) il terzo ritorna alla dimensione iniziale, ora però arricchita e compiutamente realizzata. Prescindendo dal contenuto specifico dell’argomentazione fichtiana, questo schema concettuale sarà ripreso da altri autori (in particolare Hegel) e applicato a vari contesti prendendo il nome di processo dialettico, articolato in fasi denominate tesi, antitesi e sintesi. Nell’ottica di Fichte, il processo dialettico possiede una valenza sia logica sia metafisica. Esprime il modo in cui si forma l’autocoscienza, ma anche l’intima struttura del mondo. La realtà è dialettica, perché risulta dal rapporto conflittuale tra Io divisibile e Non-Io divisibile ➝ 42 .

Materiali per l’apprendimento attivo 41. PEr CaPirE MEGLiO

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La MONTaGNa COME NON-io e L’invenzione deLL’aLpinisMo Se la filosofia di Fichte ottiene grande successo nonostante sia espressa in un linguaggio molto difficile è perché i contemporanei intuiscono subito la relazione fra le sue ostiche formule metafisiche e la nuova visione del mondo suggerita dal Romanticismo. Quando Fichte afferma che l’Io produce il non-Io per porsi un limite da superare, possiamo immaginare che i suoi ascoltatori pensassero a una recentissima innovazione del costume, l’alpinismo, ufficialmente nato nel 1876 con la prima ascensione del Monte Bianco. La montagna rappresenta una “sfida alle capacità umane”, un limite che esiste solo per essere superato. La scalata è quindi un’esperienza di immersione totale nella natura, un’impresa titanica e pericolosa in cui l’uomo può perdersi ma in cui può anche ritrovare se stesso.

3 L’Id E a L IS Mo E T Ico d I F Ic HT E

42. per capire MeGLio

iL processo diaLettico Il processo dialettico delineato da Fichte ha un precedente nell’antico idealismo neoplatonismo, perché già Proclo sintetizzò la metafisica dell’Uno elaborata dal suo maestro, Plotino, formalizzandola in uno schema tripartito di 1) permanenza dell’Uno (tesi); 2) emanazione della realtà (antitesi); 3) ritorno all’Uno (sintesi). Fichte riprende questo schema astratto ma lo riempie con contenuti diversi. Plotino, infatti, impiegava la dialettica per spiegare solo la dinamica dello Spirito e non quella della materia, che escludeva dall’ambito della realtà. concepiva l’idealismo come una negazione della corporeità; in termini fichtiani cercava di render conto dell’Io espellendo il non-Io dal suo discorso filosofico. L’idealismo moderno, invece, anche nelle versioni poi elaborate da Schelling e Hegel, pretende sì di dimostrare la superiorità logica e ontologica dello Spirito sulla materia, ma non rinuncia a rendere conto dell’esistenza di quest’ultima; non cade nell’errore di trasformare il non-Io in «non-essere». Il processo dialettico può quindi veicolare contenuti diversi e nel pensiero moderno è diventato uno schema metafisico generale, impiegato per rendere conto di come certe realtà nascono, si trasformano e si realizzano. Qualunque sia la realtà cui si applica, il processo dialettico rimane caratterizzato dal modo particolare con cui concepisce la sua trasformazione: per realizzare se stessa, ogni cosa deve prima negarsi e ciò significa che il conflitto è necessario e positivo. Senza contrasto non c’è vita, perché ogni cosa può realizzarsi solo passando attraverso l’antitesi di se stessa.

L’autoproduzione di sé e del non-io è un’attività dell’io puro, non degli io finiti e divisibili. anche le peculiarità personali degli individui sono un prodotto dell’io puro universale e infinito che vive in loro. Fichte è molto attento nello specificare i singoli passaggi di questo percorso deduttivo e ama ripetere gli stessi concetti formulandoli in modo diverso, aprendo così il suo discorso a molte suggestioni ma rendendolo anche più complicato. Vanno quindi fatte alcune specificazioni. 1. Solo per brevità non abbiamo finora aggiunto all’Io l’aggettivo “puro”, ma è sempre di questo che sino a ora Fichte ha parlato. Significa che il protagonista di questi primi passaggi metafisici non è il singolo individuo (l’Io divisibile, finito, limitato, empirico) ma il principio infinito che esiste in lui pur superandolo, una meta ideale a cui tende e che può intendersi come l’essenza dell’umanità, quindi qualcosa che è presente in ogni soggetto ma che è

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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anche l’insieme che accomuna tutti gli uomini. Il soggetto individuale è ricompreso e sintetizzato nell’Io indivisibile, infinito, e trascendentale. Coincide quindi con una «soggettività collettiva» (l’Umanità nel suo insieme), intesa da Fichte come una realtà unitaria, da ricomporre come unico Io. 2. Specificata in questo modo la natura dell’Io produttore del mondo, il Non-Io si configura come l’insieme di 1) la natura, il mondo materiale fuori di noi; 2) gli altri uomini ➝ 43 , che posso supporre dotati di un’autocoscienza simile alla mia (e per i quali, quindi, rappresento un Non-Io); 3) il corpo, che è parte di noi stessi ma rientra nell’ambito della natura. 3. A questo elenco va però aggiunta una quarta determinazione del Non-Io da parte dell’Io puro, ossia le «tendenze individuali», gli istinti e gli impulsi irrazionali, i gusti, i sentimenti e tutto ciò che ogni individuo ha in sé senza esserne consapevole. Nella terminologia fichtiana, tutte queste sono determinazioni degli Io finiti e divisibili (le persone) non dell’Io Puro. Quest’ultimo, pur rimanendo infinito e indivisibile, ponendo se stesso pone anche un proprio Io divisibile e finito, comprendendolo nel complesso del Non-Io. Il linguaggio è ostico, ma il contenuto è rilevate: sul piano etico e psicologico significa che l’uomo è chiamato a umanizzare anche se stesso oltre alla natura, a riportare all’universale ciò che scopre di individuale in se stesso ➝ 44. 4. In questi primi due stadi i processi metafisici avvengono tutti all’interno dell’Io Puro. L’esistenza del Non-Io si pone come un’esigenza logica del suo costituirsi; non ha ancora i tratti della realtà perché è essenzialmente una rappresentazione. Il Non-Io non è ancora la realtà concreta, ma solo tutto ciò che l’Io puro riconosce come distinto da sé. se la conoscenza del Non-io procede dalla sensazione alla ragione, la sua produzione avviene con un’attività inconscia dell’io puro (immaginazione produttiva). Fichte è ben consapevole di descrivere uno scenario metafisico lontano dall’esperienza comune, nella quale la conoscenza parte sempre da un’intuizione sensibile, cioè dalla presenza di un oggetto esterno al soggetto conoscente. Si pone quindi un problema: come è possibile che (come mostra l’esperienza) il soggetto sia passivo nei confronti dell’oggetto (la sua conoscenza dipende da ciò che gli sta di fronte) e allo stesso tempo (come mostra la dottrina della scienza) sia attivo, avendo egli stesso determinato quell’oggetto come qualcosa di altro da sé? Per risolvere la questione egli argomenta che la riappropriazione del Non-Io da parte dell’Io (cioè la conoscenza) avviene attraverso cinque gradi nei quali l’oggetto è sempre più interiorizzato. Nella sensazione vi è la registrazione dei dati, che vengono poi coordinati a livello spazio-temporale con l’intuizione, quindi categorizzati dall’intelletto, in cui si formano i concetti, poi ancora articolati in una sintesi intellettiva nel giudizio, per diventare infine contenuti della ragione. Ma tutto questo, avviene nella consapevolezza cosciente degli Io finiti, mentre la prioritaria produzione del Non-Io è frutto di un’attività inconscia, determinata dalla logica e dalla necessità metafisica, non da scelte consapevoli del soggetto. Riprendendo una formula kantiana, Fichte chiama questa facoltà dell’Io puro una immaginazione produttiva ➝ 45 , ossia un atto con cui l’Io produce i contenuti del suo pensiero immaginandoli e quindi al tempo stesso creandoli. Attraverso la conoscenza, quindi, l’Io si riappropria sempre di più di ciò che ha posto nel Non-Io. Ma il processo non può mai concludersi, perché venendo meno il Non-Io cesserebbe anche l’attività dell’Io, quindi il suo stesso essere. Se l’Io diventasse cosciente di essere tutta la realtà, si avrebbe un idealismo dogmatico, in cui l’Io sarebbe l’unica realtà, senza alcuno sforzo. Se, al contrario, si considerasse il Non-Io come non riconducibile all’Io si avreb-

Materiali per l’apprendimento attivo 43. COMPETENZE > argomentazione

44. PEr CaPirE MEGLiO

uMaNiZZarE sE sTEssi: iL CasO DELLa sChiaviTù Possiamo esemplificare l’invito di Fichte all’uomo a umanizzare se stesso facendo il caso della schiavitù. essa è una grave patologia della moralità, perché trasforma gli altri uomini in oggetti verso i quali non si ha alcun tipo di dovere, tuttavia per millenni è stata considerata un’istituzione naturale, un dato oggettivo del mondo indipendente dalla soggettività individuale. Solo con il progredire dell’umanità ci si è resi conto che la schiavitù è solo una produzione dell’io, un’invenzione umana cui si è fatta poi corrispondere la realtà. e la schiavitù comincia a essere superata nella storia non quando se ne denuncia l’inopportunità o l’illegalità, ma solo quando comincia a essere effettivamente impensabile. Infatti un uomo che si considera padrone di altri uomini non può essere intimamente libero, perché la sola idea che una tale aberrazione possa esistere, rende il suo modo di pensare esattamente simile a quello di uno schiavo rassegnato alla sua condizione. 45. PEr CaPirE MEGLiO

ChE COsa È L’iMMaGiNaZiONE PrODuTTiva? Ancora una volta Fichte recupera un concetto kantiano, trasformandolo. Per Kant «l’immaginazione produttiva» era la facoltà con cui, del tutto inconsapevolmente, il soggetto mette in atto una prima sintesi dei dati percettivi provenienti dall’esterno per conferire loro una forma manipolabile dalle categorie mentali e trasformarli in concetti di cui ha consapevolezza. Fichte invece concepisce l’immaginazione produttiva come una vera e propria “produzione del contenuto empirico della conoscenza”. Questo vuol dire che, inconsciamente, il soggetto produce un Non-Io al quale si contrappone, sebbene il Non-Io sia un oggetto empirico esterno alla realtà del soggetto. È come se Fichte affermasse che senza tale produzione da parte del soggetto l’oggetto non possa esistere, non solo nella sua forma ma anche a livello sostanziale. l’immaginazione produttiva è un’attività inconscia, inconsapevole, il che spiega secondo Fichte perché il senso comune consideri la realtà materiale, il mondo naturale, come qualcosa di esistente indipendentemente dal soggetto. be una realtà indipendente e irriducibile all’Io (realismo). Adottando una prospettiva intermedia, un “ideal-realismo”, Fichte conclude proclamandosi sia realista, perché ammette un’influenza del Non-Io sull’Io, sia al contempo idealista, perché sostiene che il Non-Io sia un prodotto dell’Io.

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L’EsisTENZa DEGLi aLTri Per avere un esempio di come funzioni la produzione del Non-Io da parte dell’Io esaminiamo il caso della esistenza degli altri uomini. l’argomentazione di Fichte procede in questo modo: 1. Fra le determinazioni con cui l’Io pone se stesso vi è anche il senso del dovere. Significa che l’uomo è un essere essenzialmente morale (prima ancor che razionale). 2. Ma il dovere non può esistere in astratto: ha sempre un contenuto specifico, quindi si deve dedurre l’esistenza di un oggetto cui esso possa applicarsi. Il dovere può essere provato verso gli altri uomini, verso se stessi o verso il mondo che ci ospita. 3. ecco quindi che nella vita concreta l’uomo morale (nella terminologia tecnica, l’Io puro che alberga in lui) constata l’esistenza degli altri uomini e li considera dotati come lui di una natura essenzialmente morale.

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La libertà come superamento del Non-Io il compito dell’uomo è quello di umanizzare il mondo attraverso una lotta contro i limiti della natura esterna (le cose) e interna (gli istinti irrazionali). Fichte elabora questa complessa architettura metafisica per giustificare nel modo più inoppugnabile l’intuizione etica da cui era partito: compito dell’uomo è liberarsi, procedere alla propria emancipazione da ogni forma di condizionamento esterno (materiale, fisiologico, temporale). Ora siamo in grado di capire come ciò possa avvenire, sia per la singola persona sia per l’umanità nel suo complesso. Il fine della morale è il raggiungimento del sommo bene, che Fichte, kantianamente, definisce come la coincidenza di virtù e felicità. Se l’uomo avesse solo una natura razionale sarebbe libero di conseguire il bene in maniera spontanea. Ma, in quanto Io empirico, cioè come individuo fatto di corpo e spirito, è determinato anche dalle cose, quindi dalla sensibilità. Non può quindi raggiungere in modo completo la perfezione, ma deve tendere a un perfezionamento all’infinito. Allo stesso tempo, la lotta contro gli ostacoli dell’Io puro si traduce anche in una umanizzazione della natura: l’uomo addomestica gli animali rendendoli più vicini a sé, coltiva il terreno rendendolo più “umano”, rende la natura sempre meno estranea e sempre più specchio dell’Io, nella tendenza (che va all’infinito) di ricondurre il Non-Io (la natura) all’Io. I primi uomini vedevano nel buio una limitazione alla loro libertà, e hanno dominato il fuoco e costruito lampade per continuare le loro attività anche di notte; temevano i lupi, e li hanno addomesticati creando nuove specie (i cani); erano condizionati dalle calamità naturali, ma hanno trovato il modo di incanalare i fiumi e costruire abitazioni che li proteggono dalle intemperie. Vedevano nelle malattie una sfida alla loro sopravvivenza, ma la lotta per curarle ha già conseguito molti successi. Ogni epoca storica presenta determinati aspetti del NonIo, perché superati certi ostacoli, ne nascono altri. Tutta la storia delle scienze e delle tecniche segna un progressivo avanzamento della libertà, un ampliamento dell’indipendenza dell’umanità rispetto alla natura. il compito dell’io è una missione mai conclusa. se l’io riuscisse davvero a superare tutti i suoi ostacoli, cesserebbe di esistere e subentrerebbe la stasi della morte. È chiaro che in questa prospettiva la libertà non designa una situazione data, una particolare situazione umana: nessuno può dirsi libero, ma tutti possiamo impegnarci nello “sforzo” (streben) per diventarlo, qualunque sia il contenuto specifico che tale libertà possa assumere ➝ 46. La liberazione totale è destinata a rimanere irraggiungibile ➝ 47 , e del resto non costituisce neppure una condizione augurabile per l’uomo, perché lo priverebbe di ogni stimolo verso una crescita ulteriore. L’importante, ancora una volta, non è essere perfetti ma impegnarsi nel proprio perfezionamento. In questa tensione verso l’infinito (la versione fichtiana dello streben romantico), destinata a rimaner inappagata, tanto che Hegel la definirà un «cattivo infinito», risiede il cuore pulsante della filosofia di Fichte.

▶ Telemaco Signorini, Contadina con gerla e cane, 1895, olio su tela (Collezione privata).

Materiali per l’apprendimento attivo 46. La ParOLa ai TEsTi

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T4 Fichte La tensione verso un perfezionamento infinito

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Per raggiungere la felicità, l’uomo dovrebbe accordare la realtà esterna con la propria volontà e sottomettere completamente quest’ultima ai dettami della ragione. È una condizione ideale e irraggiungibile per l’uomo, che non può prescindere del tutto dagli istinti e dagli impulsi generati dalla sua fisicità. Essa indica però come orientare l’azione: il fine dell’uomo è rendere migliore se stesso e il mondo, in un’opera di perfezionamento continuo, che non arriverà mai al compimento finale.

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Sottomettere a noi tutto ciò che esiste di irragionevole, dominarlo liberamente e secondo la legge a noi propria, è il fine ultimo dell’uomo; fine ultimo il quale è affatto irraggiungibile e rimarrà eternamente irraggiungibile tranne che l’uomo non debba cessare d’essere uomo e divenir Dio. È implicito nel concetto stesso di uomo, che il fine ultimo debba essere irraggiungibile, la sua via verso di esso infinita. La missione dell’uomo, quindi, non è di raggiungere questo fine. Ma egli può e deve avvicinarsi sempre più alla sua meta: or dunque l’avvicinarsi infinitamente a questa meta è la vera missione dell’uomo in quanto uomo, cioè in quanto essere ragionevole ma finito, in quanto essere sensibile ma libero. Se si designa ora come perfezione, nel senso più alto della parola, quel completo accordo dell’essere ragionevole con se stesso (e si può certamente designarlo così), allora la perfezione è per l’uomo la meta più alta ed irraggiungibile; il perfezionamento all’infinito è invece la sua missione. L’uomo esiste per divenire egli stesso sempre migliore moralmente e per rendere migliore materialmente e (se consideriamo l’uomo nella società) moralmente tutto quanto lo circonda, conquistandosi così una felicità sempre maggiore. (J.G. Fichte, La missione del dotto, lezione I, Mursia, Milano 1987, p. 61)

Guida alla lettura. In questo brano Fichte espone la sua visione dello «Streben», il concetto di tensione verso una meta impossibile tanto caro ai romantici. un uomo, egli dice, dà significato alla sua vita solo quando la spende perseguendo un ideale tanto alto da superare le sue forze. Deve tendere a mete infinite e assolute, anche sapendo che ne conseguirà un’esistenza perennemente inquieta e alla fine una sconfitta. Solo così si realizza come un essere morale. 47. COMPETENZE > Pensiero critico

PErFEZiONaMENTO E FELiCiTÀ Applicando la sua dottrina alla questione della felicità, Fichte afferma che il fine della nostra vita non è essere felici, ma meritare la felicità. È un argomento su cui si può sviluppare una discussione. Cosa deve pensare di se stesso e del mondo chi meriterebbe la felicità ma non la ottiene a causa di eventi fuori dal suo controllo (malattie, catastrofi, traumi ecc.)? Se la felicità dipende solo dallo sforzo di migliorare se stessi in modo da meritarla, quindi dal modo in cui è condotta la propria vita, allora solo una persona anziana potrà dirsi veramente e completamente felice, mentre un giovane, ancora all’inizio del suo cammino esistenziale, potrà averne solo un’anticipazione. Ma gli anziani sono veramente più felici? Fichte è consapevole che gli uomini sono diversi fra loro e sviluppano quindi ideali etici almeno parzialmente differenti e in contrapposizione. Tuttavia i conflitti etici sono sempre positivi, perché, per lo meno sul lungo periodo, a vincere sarà sempre l’opzione migliore, quella più giusta e vera, o per lo meno più confacente alla sfida affrontata dalla umanità in quel particolare periodo. Ciò deve necessariamente accadere, argomenta, se è vero che il mondo è retto da un ordine tendente al bene e al progressivo perfezionamento etico dell’umanità.

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La missione dell’intellettuale se ogni uomo deve impegnarsi nella propria liberazione, all’intellettuale spetta di impegnarsi personalmente anche per la liberazione degli altri. Deve essere un esempio, un educatore dell’umanità. Quali connotati devono quindi contraddistinguere l’agire etico dell’uomo? Fichte si pone tale questione già in uno scritto del 1794, La missione del dotto, nato a seguito di una controversia. Quando arriva a Jena, le autorità accademiche gli chiedono di rinunciare a ogni impegno politico (come già aveva fatto Schiller). Un suggerimento che egli non accetta, pubblicando una riflessione sul ruolo sociale degli intellettuali (i dotti, nel linguaggio dell’epoca), finalizzata, nelle intenzioni, a tradurre in pratica operativa il messaggio di libertà lanciato da Kant ma anche a far riflettere sulla sua futura esistenza, essendo in quel momento lo stesso Fichte un giovane intellettuale intenzionato a vivere la propria carriera come una missione. Alla domanda su quale sia la missione del dotto, Fichte risponde chiedendosi qual è la missione dell’uomo. È vivere in società; l’uomo sente il dovere di vivere insieme agli altri, intuisce che se rimanesse isolato cesserebbe di essere un uomo completo, contraddicendo la sua intima natura. E come intuisce che lo scopo della sua esistenza sta nel realizzare la libertà, così intuisce che la stessa propensione motiva anche gli altri esseri umani. D’altra parte il fine della società sta nel realizzare l’unità fra gli uomini facendo sì che ognuno concordi con le regole comunitarie e vi si conformi spontaneamente. Ne consegue che gli uomini devono stabilire tra di loro una duplice norma, una negativa, l’altra positiva. La prima (già sostenuta da Kant) vieta di trattare gli altri come mezzi, la seconda impone di attivarsi per il loro perfezionamento oltre che per il proprio: abbiamo il dovere di farci liberi, ma anche quello di aiutare gli altri a liberarsi, e solo in questo sforzo comune, al contempo individuale e sociale, si realizza la compattezza di una comunità. Tutto ciò è vero per ogni cittadino, ma ancor di più per gli intellettuali, il cui ruolo nella società è per Fichte “specialissimo”. È sbagliato e grave, anche se frequente, che chi possiede una cultura superiore la usi per il suo profitto e faccia del sapere un tesoro personale. Il suo dovere, piuttosto, è usarla per favorire la consapevolezza critica dei veri bisogni della collettività e indicare i mezzi più adatti per raggiungerli. Ma non basta: l’intellettuale deve offrirsi come esempio, come maestro ed educatore ➝ 48. Deve essere sempre innanzi agli altri per aprir loro la strada, esplorarla e fare da guida. L’avanguardia dell’umanità in lotta per la propria liberazione. L’uomo moralmente migliore dei propri tempi deve dimostrare di assolvere alla sua particolare responsabilità sociale, superiore all’ordinario, attraverso un impegno speciale (tanto che nel linguaggio ordinario si parla di intellettuali impegnati, in opposizione ai tradizionali eruditi) ➝ 49. il dotto deve diventare la coscienza critica della società in cui vive, e può assolvere questo compito interpretando gli eventi storici alla luce di una buona filosofia. Per realizzare la sua missione educativa, il dotto deve acquisire una conoscenza scientifica dei bisogni umani. Poiché questi non sono di natura materiale, ma di ordine morale e spirituale, la scienza che deve adottare è la filosofia, la disciplina che, più di tutte, riesce a determinare la vera natura dell’uomo. Poiché però la missione del dotto ha una natura pratica, ossia consiste nell’indicare i mezzi più idonei al raggiungimento della perfezione morale e spirituale, la filosofia deve farsi coadiuvare dalla storia. Essa infatti, guardando indietro e registrando gli stadi del perfezionamento morale che l’umanità ha raggiunto nelle epoche del passato, ci fa cogliere i fatti. Contemporaneamente, senza la filosofia, la

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48. aPPrOFONDiMENTi > intersezioni

49. La ParOLa ai TEsTi

T5 Fichte Il ruolo pubblico del dotto Il dotto non deve mai essere soddisfatto ma perseguire un perfezionamento continuo, ingaggiando una perenne lotta con se stesso per diventare sempre migliore. Una parte significativa di questo sforzo di autoperfezionamento consiste nell’esercitare continuamente e fin dalla giovinezza la facoltà comunicativa.

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Il dotto è in modo specialissimo destinato alla società; in quanto tale, egli esiste propriamente mediante e per la società, più di ogni altro appartenente a qualsiasi altro stato sociale; ha perciò il dovere tutto speciale di perfezionare in sé eminentemente e al massimo grado i talenti sociali, cioè la facoltà ricettiva e la facoltà comunicativa. La facoltà ricettiva dovrebbe essere già eminentemente sviluppata in lui, se egli ha acquisito nella maniera dovuta le convenienti cognizioni empiriche; egli deve essere, al corrente di quanto esisteva nella sua scienza prima di lui e a questo egli non può essere giunto con riflessioni su basi puramente razionali, ma solo con l’insegnamento sia orale sia scritto. Ma egli deve conservarsi questa facoltà ricettiva con lo studio continuo e cercar di premunirsi da quella sordità di fronte alle opinioni ed espressioni altrui che spesso si incontra anche presso eminenti pensatori originali; perché nessuno è tanto istruito che non possa ancora imparare, e talvolta anche qualche cosa di necessario; e raramente uno è tanto ignorante che non possa dire al più saggio qualcosa che questi non sa. (J. G. Fichte, Su la destinazione del dotto, trad. it. di O. B. Bianchi, Signorelli, Milano 1956, pp. 99-104)

Guida alla lettura. Poiché il dotto possiede la sua scienza non per sé ma per la società, egli è tenuto non solo a divulgarla al popolo per educarlo ma anche a rimaner sempre aperto alla possibilità di imparare e di conoscere, secondo un processo di formazione perenne.

storia è incapace di interpretarli e di orientarci verso il futuro. Storia e filosofia, dunque, rappresentano i contenuti essenziali del patrimonio conoscitivo del dotto, un patrimonio che Fichte denomina «dottrina del dotto» e che ha come compito supremo educare i cittadini alla libertà.

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EDuCaZiONE FiChTiaNa E PEsTaLOZZi la filosofia di Fichte influenza la pedagogia del suo tempo, in particolare quella dello svizzero Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827), che il filosofo conobbe personalmente. anche per questo educatore, infatti, l’educazione consiste nell’elevazione morale dell’individuo e deve assumere le seguenti caratteristiche: • essere universale, rivolgersi a tutta l’umanità, quindi anche ai ceti poveri; • iniziare nella primissima infanzia, prima che si consolidino cattive abitudini acquisite socialmente; • procedere a un’educazione della spiritualità, alla conquista di una progressiva consapevolezza di sé e a una moralizzazione delle tendenze istintive; • comprendere sin dall’inizio attività lavorative, pur senza finalità produttive, meglio se di tipo agricolo, in modo da far sperimentare ai bambini come l’uomo trasformi la natura.

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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La politica in una prima fase (fase liberale) del suo pensiero Fichte concepisce lo stato come mero garante dei diritti naturali degli uomini: assumendo la funzione di un arbitro, esso ha soltanto il compito di impedire che gli individui prevarichino gli uni sugli altri. Fichte mantenne per tutta la vita una forte passione politica, ma le sue convinzioni mutano sensibilmente in relazione agli eventi che segnarono la sua epoca ➝ 50. In una prima fase, aderisce agli ideali della Rivoluzione francese ed elabora una concezione dello Stato dai tratti liberali. Come lo scopo di ogni buon padre è far sì che i figli raggiungano una propria autonomia, così il compito di ogni governo dovrebbe essere rendersi superfluo, usando il meno possibile gli strumenti di costrizione e di repressione, di cui deve comunque essere dotato per garantire l’ordine tra gli uomini. A differenza del vivere in società, che risponde a un bisogno naturale, vivere in uno Stato non rientra tra le finalità assolute dell’uomo. Rielaborando in modo originale temi del contrattualismo e del giusnaturalismo, Fichte considera lo Stato come il prodotto di un contratto, inteso come atto di libertà, che i cittadini sono autorizzati a revocare. Oggi non è ancora arrivato il momento della sua abolizione, né è possibile dire quando ciò si verificherà, ma è sicuro che il progresso etico dell’umanità porterà a una società perfetta, caratterizzata dalla libera collaborazione tra i cittadini, riuniti in una superiore e razionale armonia di intenti ➝ 51 . in una seconda fase (fase socialista) Fichte matura la convinzione che la vita economica della società deve essere amministrata dallo stato. Pur non abolendo la proprietà privata, esso deve intervenire fortemente nell’economia (a dispetto di quanto sostenuto dai liberisti). A questa prima fase, liberale e individualista, ne segue una seconda, in cui tende a prevalere l’elemento collettivo: la società nel suo complesso si configura come un “grande organismo” (organicismo politico) in grado di vivere solo se tutti gli organi, inutili se non inseriti nel complesso, funzionano; proprio come in un albero, le radici e le foglie esistono se esiste l’albero e, anzi, esistono in funzione dell’albero stesso, così gli individui esistono solo se esiste la società, con l’inevitabile conseguenza che il tutto conta più delle parti. Ne consegue un sostanziale ribaltamento del ruolo dello Stato, cui Fichte ora affida il compito di unificare a livello istituzionale la comunità dei cittadini esprimendone la volontà generale, un modello già teorizzato da Rousseau: sconfiggere la povertà attraverso un’equa distribuzione dei beni e soprattutto garantire l’assoluta indipendenza della società da ogni condizionamento esterno, in modo che essa possa sviluppare appieno la propria peculiare visione del mondo. In Lo Stato commerciale chiuso (1800), spostandosi su posizioni nettamente antiliberali e riprendendo idee platoniche, sostiene che, per conseguire queste finalità, lo Stato debba gestire l’economia, organizzandola in modo corporativo. Lo Stato ideale deve essere autarchico, autosufficiente sul piano economico e chiuso nei rapporti con l’estero. In questa fase del suo pensiero politico, spesso impropriamente definita “socialista”, Fichte considera la proprietà privata un diritto irrinunciabile. È uno sviluppo necessario delle sue premesse filosofiche ➝ 52 . Infatti, la proprietà privata costituisce prima di tutto lo strumento fondamentale per la realizzazione di sé come esseri morali: rappresenta il Non-Io attraverso la cui trasformazione passa l’affermazione dell’autocoscienza individuale. Essendo indissolubilmente legata al lavoro, essa è vista non tanto come possesso, ma come punto di riferimento dell’attività del singolo: gli agricoltori, che nella concezione di Fichte rappresentano la classe sociale più importante, si sentono membri dello Stato in quanto ne posseggono parte del suolo. Ma anche agli altri deve essere data la garanzia di partecipare del bene

Materiali per l’apprendimento attivo

581

50. COMPETENZE > Mappa concettuale

primo periodo

caratterizzato da

caratterizzato da secondo periodo

LIBERALISMO

STATO COMMERCIALE CHIUSO CENTRALITÀ DELLA NAZIONE E DEL POPOLO

afferma

afferma

afferma

• dmiritti naturali • arginalità dello Stato intervento dello Stato per garantire a tutti proprietà e lavoro

visione del mondo comune grazie alla tradizione e alla lingua

51. PEr CaPirE MEGLiO

La FuNZiONE DELLO sTaTO I diritti naturali (alcuni inalienabili, altri alienabili), almeno in partenza, non appartengono alla società, ma ai singoli individui, che nel formare la società vi rinunciano, almeno in parte. Ne deriva che società e Stato si giustificano solo se sono funzionali alle esigenze degli individui. Non c’è da stupirsi, quindi, se Fichte guarda con simpatia alla rivoluzione francese, concependola come la rivendicazione di una libertà data per natura agli individui ma sottratta loro dallo Stato. Nelle fasi seguenti del pensiero di Fichte la natura dello Stato e la sua funzione etica si precisano in modo coerente dai princìpi della sua filosofia. l’uomo, infatti, tende a superare la frammentazione dell’Io divisibile per ricomporre l’unità originaria, cioè per giungere all’unificazione di tutta l’umanità. la vita associata è basata, quindi, su un vero e proprio istinto, che porta ogni individuo in modo naturale verso gli altri. l’umanità, cioè la completa integrazione di tutti gli individui in un sentire e in un agire comuni, secondo una concezione che si ispira alla volontà generale di rousseau, è un risultato da conseguire e costituisce il fine generale dell’uomo. Sviluppando queste premesse, dopo la prima fase di orientamento liberale, la concezione politica di Fichte fa propria una visione comunitaria, caratterizzata dalla centralità dello stato e dalla elaborazione della nozione di «popolo». 52. per Capire MeGLio

iL FondaMento deLLo stato etiCo Per Fichte lo Stato è costituito sulla base di un contratto tra i cittadini per garantire i tre diritti fondamentali dell’uomo: la conservazione, la proprietà e la libertà. Per combattere la violazione di tali diritti, esso deve darsi anche strumenti di controllo e coercizione, affidati ai tre poteri: di polizia, giudiziario e penale. Queste istituzioni devono tuttavia avere una funzione transitoria, che miri all’interiorizzazione del diritto e al suo divenire moralità. In questo modo si costituiscono un sentire unitario, un’unità di intenti e una comune volontà, che sono il fondamento dello stato etico e della nozione di popolo: lo Stato è etico in quanto realizza gli obiettivi morali della comunità nel suo complesso. comune con un intervento che limiti la libera iniziativa in nome della giustizia e del rispetto degli uguali diritti di ognuno. Per l’importanza che rivestono, proprietà privata e lavoro devono essere garantiti a ognuno e assicurare questi diritti è il compito prioritario dello Stato.

3 L’Id E a L IS Mo E T Ico d I F Ic HT E

i DuE PEriODi DEL PENsiErO POLiTiCO Di FiChTE

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

582

Nella terza fase, caratterizzata dai discorsi sulla nazione tedesca, Fichte teorizza la superiorità spirituale del popolo tedesco. un primato che deriva dalla sua lingua, rimasta incontaminata nel corso dei secoli. La terza fase, quella nazionalistica, è determinata dallo sviluppo degli avvenimenti storici, cioè dalla sconfitta della Prussia da parte di Napoleone a Jena e dalla conseguente occupazione della Germania, cui Fichte reagisce con i Discorsi alla nazione tedesca (1806), un documento breve ma fondamentale per la nascita del Risorgimento tedesco. Scritti sotto censura, i Discorsi fanno appello al popolo tedesco ➝ 53 affinché si faccia guida spirituale dell’umanità, essendo la Germania la nazione più spirituale fra tutte, come dimostra una tradizione di pensiero che parte da Lutero per arrivare a Kant. La ragione ultima di questo primato spirituale tedesco sta, per Fichte, nella sua lingua, rimasta incontaminata nel corso dei secoli nella propria struttura originaria (a differenza delle lingue neolatine). Il linguaggio sarebbe portatore di una vera e propria visione del mondo e di una serie di significati simbolici, in cui è espressa la vita dello spirito di un popolo. Fichte esalta la superiorità linguistica della nazione tedesca, che ha saputo conservare intatta la propria lingua indoeuropea originaria, rispetto agli altri popoli di origine germanica (come i francesi), che l’hanno contaminata con il latino dando origine a una lingua stilisticamente e letterariamente perfetta, ma priva di vitalità e, per così dire, “morta”. Aderendo con convinzione alle idealità romantiche, egli riconosce nel tedesco l’unica lingua europea moderna paragonabile, per forza di concetto e per vitalità, al “greco delle origini” e dunque al fondo indoeuropeo della nostra civiltà. Per questo i tedeschi hanno il diritto non solo di difendersi dagli assalti francesi, ma anche di rivendicare in Europa una missione unica e insostituibile (il “tedesco” diventa per Fichte il modello dell’“uomo”). L’insistenza sulla superiorità della Germania si giustifica con l’esigenza di suscitare una rivolta contro gli occupanti francesi e Fichte stesso si premurò di delimitarne l’ambito alla sfera spirituale. Tuttavia storicamente è stata assunta come il fondamento della dottrina nazionalistica tedesca, cioè dell’indirizzo politico che a partire dalla fine del secolo porterà la Germania a concepire la propria superiorità anche in termini politici e militari ➝ 54 .

L’ultima fase del pensiero fichtiano

mappa

L’ultima fase del pensiero di Fichte segue una svolta religiosa: l’io puro non è più produttore del mondo ma solo della sua conoscenza. L’esistenza della realtà torna a essere garantita non dall’io ma da Dio. L’ultima fase del pensiero di Fichte, espressa soprattutto nei Tratti fondamentali dell’epoca presente (1806), delinea una svolta in senso religioso. È ancora oggi argomento di discussione fra gli esperti se quest’ultima fase indichi una rottura sostanziale con quelle precedenti, oppure se ne costituisca il logico esito finale. Sicuramente essa scaturisce anche dalla volontà di Fichte di rispondere alle accuse di ateismo che gli erano state mosse. La revisione è la seguente: l’Io puro rimane sempre l’agente fondante dell’Assoluto, ma questo ora è da intendersi come un assoluto sapere, non un assoluto essere, il quale essere si pone al di là del sapere e viene identificato con Dio. Al di là delle formule, ciò che cambia è il ruolo attribuito all’umanità, non più origine del mondo, ma solo della sua conoscenza. Il mondo, in quanto essere, è creato da Dio e all’uomo è dato solo di riprodurlo nella conoscenza. Conseguentemente, Fichte ridefinisce anche la teoria del diritto e della moralità. Il diritto viene considerato necessario come coercizione esterna per conseguire gli scopi della moralità e si rende superfluo con il realizzarsi della moralità stessa. Questa, d’altra parte, è consi-

Materiali per l’apprendimento attivo

dizionario operativo

53. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

54. approfondiMenti > intersezioni

fichte e iL nazionaLisMo Fichte non sopravvive tanto a lungo da constatare la piega nazionalistica che assumeranno i suoi ideali romantici nella Germania della seconda metà dell’ottocento, e i suoi Discorsi alla nazione tedesca forniranno un fondamentale contributo alla nascita del nazionalismo moderno. Con l’imporsi della politica di potenza, a partire da Bismarck, diverrà corrente in europa l’identificazione tra nazionalismo e sciovinismo; dall’affermazione dell’uguale diritto di tutti i popoli alla libertà e dal riconoscimento della diversità culturale e spirituale fra le nazioni, si passerà cioè a teorizzare la pretesa di ciascuna nazione di imporre la propria supremazia sulle altre. In Germania, lo sciovinismo verrà poi ripreso dal nazionalsocialismo e si tramuterà in un’ideologia del sangue e della terra (Blut und Boden) a sostegno di una mentalità razzista. Fichte non ha naturalmente nessuna responsabilità di questa involuzione delle idee di popolo e di nazione, e tuttavia molte delle sue formule, impiegate retoricamente nei Discorsi, verranno poi riutilizzate dal nazionalismo in chiave propagandistica.

derata come l’espressione di Dio nel mondo dell’uomo, e dunque viene ricondotta alla religione. In Tratti fondamentali dell’epoca presente (1806) Fichte ricostruisce la realizzazione della moralità (e dunque di Dio) nella storia attraverso un processo orientato provvidenzialmente e strutturato in cinque tappe: nella prima epoca (i primordi dell’umanità) la ragione (ossia la realtà spirituale provvidenziale) si manifesta come istinto. Nella seconda (dagli imperi dell’antichità alle monarchie assolute dell’epoca moderna) essa è autorità coercitiva; nella terza (la Rivoluzione francese) inizia a prendere coscienza di sé e si ribella contro l’autorità, avviando la quarta epoca, che segna l’inizio della verità e della redenzione, fino alla quinta epoca (epoca della santità), in cui la ragione pienamente dispiegata guiderà la storia.

Guida allo sTudio • prova a tratteggiare gli elementi di

continuità e di differenza fra il pensiero di Kant e quello di Fichte. • perché l’idealismo di Fichte è definito etico? • Quali sono i tre princìpi della dottrina della scienza?

• perché secondo Fichte è necessario che l’Io

opponga a sé il non-Io? • Quante fasi attraversa il pensiero politico di

Fichte e quali concetti le caratterizzano? • In che cosa è identificato l’Assoluto nell’ultimo Fichte?

3 l’ID e A l IS Mo e t ICo D I F IC Ht e

NaZiONE-popoLo Il concetto di «popolo» è particolarmente importante in rousseau, in relazione a quello di «volontà generale». la volontà generale esprime un’identità culturale tra tutti coloro che parlano la stessa lingua e condividono tradizioni e storia. Il romanticismo approfondisce questo concetto, cercandone il fondamento anche nello studio delle tradizioni popolari. Questo interesse si spiega con l’esigenza di una unificazione nazionale, soprattutto in Germania e in Italia, dove costituisce la base anche del movimento risorgimentale. Dal concetto di popolo, come identità comune, e di nazione come territorio corrispondente al popolo, ha origine quello di «patria», con le valenze affettive e spirituali che lo connotano durante questo periodo.

583

584

• Sintesi

4

L’idealismo estetico di Schelling

La fase fichtiana Nella fase giovanile della sua filosofia schelling si avvicina al pensiero di Fichte, di cui condivide il concetto centrale dell’idealismo: l’io crea se stesso con un atto di intuizione intellettuale. Autore precoce e prolifico, oltre che mosso da interessi diversi (l’arte, la natura, la religione), Schelling segue un percorso intellettuale lungo, articolato e in perenne sviluppo, tanto che è argomento di discussione fra gli esperti se le sue idee, e in particolare la concezione dell’Assoluto, siano cambiate nei tempi. Sono comunque distinguibili sei fasi, che analizzeremo una per una ➝ 55 . La prima è segnata dalla scoperta, prima entusiastica e via via sempre più critica, della filosofia di Fichte, documentata nel saggio Sull’io come principio della filosofia (1975). Schelling non è certo il solo a provare tale entusiasmo: a tutti i contemporanei è ben chiara la rottura da lui operata con l’intera storia del pensiero, compreso quello di Kant. Mentre questi si pone ancora nell’ambito dell’Illuminismo e fa della filosofia uno strumento per tracciare i limiti della ragione, così che non si illuda di poterli superare, i valori celebrati da Fichte (l’infinità, l’Io e la sua potenza creatrice), sono in sintonia con la nuova “mentalità romantica”, e anzi ne costituiscono uno dei fondamenti. Valori che Schelling fa propri. Dal punto di vista più strettamente filosofico, Schelling riprende da Fichte la dottrina della intuizione intellettuale (o produttiva) ponendola a fondamento di tutto il suo sistema, in ogni fase del suo sviluppo. L’idea che l’Io conoscendo se stesso produce al contempo se stesso, si auto-costruisce ed è quindi libera attività auto-creativa, è un concetto che agli occhi di Schelling (ma anche dei contemporanei) apre una nuova era nella speculazione filosofica, in cui appare finalmente provata la verità dell’idealismo.

◀ Karl Stieler, Ritratto di Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, 1835, olio su tela (Monaco, Neue Pinakothek Muenchen, Bayerische Staatsgemaeldesammlungen).

Materiali per l’apprendimento attivo

Schelling

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) nasce a leonberg, vicino a Stoccarda. Intellettualmente precoce, già

ma la collaborazione tra i due si interrompe bruscamente dopo la pubblicazione da parte di Hegel della Fenomenologia dello spirito (1807), in cui ravvisa un attacco al suo pensiero. Ma la crescente fama di Hegel oscura quella di Schelling e a partire dal 1809, pur continuando a insegnare (a Monaco e a erlangen), si chiude in uno sdegnoso mutismo, interrotto solo da poche pubblicazioni occasionali. ormai quasi settantenne è chiamato a Berlino, a occupare la cattedra che era stata di Hegel. Muore pochi anni dopo.

55. COMPETENZE > Mappa concettuale

La FiLOsOFia Di sChELLiNG LA FILOSOFIA DI SCHELLING

Periodo fichtiano (1795-96)

in

cui segue Filosofia della natura o fisica speculativa (1797-99)

in

cui segue

Filosofia dello spirito o idealismo trascendentale (1800)

in

L’Io come principio della filosofia (1795)

Idee per una filosofia della natura (1797) L’anima del mondo (1798) Primo progetto di un sistema della filosofia della natura (1799)

stabilisce che

stabilisce che

in

cui segue Filosofia della libertà (1809-10)

in

in

lo Spirito, come la natura, deriva da un Assoluto, un principio unitario e indifferenziato, sintesi di Io e Non-Io

stabilisce che

Esposizione del mio sistema filosofico (1801) Filosofia e religione (1804)

stabilisce che

nell’Assoluto, che è Dio, risiedono contraddittoriamente sia il bene sia il male

stabilisce che

Dio crea il mondo inconsciamente, ponendolo come Non-Io rispetto a sé

Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809)

cui segue Filosofia positiva

la natura non può essere dedotta dall’Io. Possiede una propria autonomia ed è pervasa da un’intelligenza che la spinge al perfezionamento

Sistema dell’idealismo trascendentale (1800)

cui segue Filosofia dell’identità (1801-04)

la dinamica fra Io e Non-Io spiega l’intera realtà, compresa la natura

Lezioni di Stoccarda (1810) Conferenze di Erlangen (1820)

stabilisce che

prima attraverso il mito e poi con la rivelazione, Dio ci fa progressivamente capire perché il mondo esiste

585 4 l’ID e A l IS Mo eS t e t ICo D I S C He l l IN G

a 8 anni padroneggia il greco e il latino e a 15 anni è ammesso al collegio teologico di tubinga, dove ha come compagni di stanza Hegel e Hölderlin, con i quali condivide le speranze suscitate dalla rivoluzione francese. Dopo un primo impiego come precettore, a lipsia, nel 1798 (a soli 23 anni), ottiene la cattedra di Filosofia presso l’università di Jena, dopo le dimissioni di Fichte a causa della polemica sull’ateismo. A partire dal 1802, assieme a Hegel pubblica una rivista filosofica, il «Giornale critico della filosofia»,

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

586

Della filosofia di Fichte, schelling rifiuta il sacrificio della natura all’io; la natura possiede una propria autonomia spirituale, che né il dogmatismo né l’idealismo di Fichte riescono a cogliere. Schelling non è però soddisfatto dal modo in cui Fichte tratteggia la natura: nel suo sistema risulta solo un ostacolo funzionale all’azione dell’uomo, il quale ha bisogno di superare gli ostacoli naturali per sviluppare quella «tensione verso l’infinito» (streben) in cui realizza la sua soggettività e la sua vita morale. Fra Io finito (uomo) e Non-Io (natura), Fichte pone quindi un rapporto di contraddizione e nella natura solo un mezzo, un’entità priva di esistenza autonoma. Schelling nutre verso la natura una sensibilità differente. Si interessa ai fenomeni del magnetismo, dell’elettricità e delle affinità chimiche, scoperte recenti delle scienze naturali che sembrano smentire il tradizionale modello esplicativo deterministico, offrendo un’immagine della natura non inerte, passiva e meccanica, ma attiva, vitale e dinamica. Essa possiede un’organizzazione interna, una propria razionalità, un valore in sé, e non può essere ridotta a mero Non-Io. Bisogna dunque riconoscerne il valore autonomo e ciò implica una revisione del sistema fichtiano: il principio originario del tutto, l’Assoluto, non può risiedere solo nell’Io, nella sua infinita soggettività creatrice. Deve essere ancor più originario, cioè rendere conto al contempo sia dell’attività dell’Io sia di quella della natura, e deve farlo seguendo gli stessi procedimenti logici. Schelling quindi descrive il problema fondamentale del suo impianto filosofico come la necessità di superare in un’unica sintesi due spiegazioni del mondo alternative, parziali e contrapposte. Da una parte il dogmatismo, verso il quale condivide la critica avanzata da Fichte, cioè di ridurre l’uomo alla natura. Ma dall’altra anche l’idealismo fichtiano, ossia la pretesa di spiegare la natura partendo dal soggetto umano. Bisogna postulare l’esistenza di un assoluto non riconducibile né al soggetto né all’oggetto, né allo spirito né alla natura. Una pura oggettività (la sostanza spinoziana) non può spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’Io. Come, d’altra parte, una pura attività soggettiva (l’Io di Fichte) non è sufficiente a spiegare la vita del mondo naturale. Dogmatismo e idealismo hanno pari legittimità ma si confutano a vicenda: l’uno afferma ciò che l’altro nega, ed entrambe peccano di parzialità. La loro contrapposizione simmetrica, però, mostra come ambedue tendano verso un medesimo obiettivo: l’identità di soggetto e oggetto. Una filosofia autentica deve dunque unificare l’infinita soggettività (l’Io di Fichte) con l’infinita oggettività (la sostanza di Spinoza) in un principio superiore, capace di spiegarle entrambe: e questo è l’Assoluto ➝ 56 che Schelling definisce come «una identità indifferenziata di soggetto e oggetto, Spirito e natura, ideale e reale, conscio e inconscio» ➝ 57 . Cosa esso sia può essere chiarito seguendo due prospettive: la prima, la filosofia della natura (o fisica speculativa), va dalla natura all’Io, parte dall’oggetto per spiegare come nasce il soggetto; la seconda, la filosofia dello spirito (o idealismo trascendentale), muove in senso contrario, dall’Io alla natura. In altri termini (a Schelling piace spiegare lo stesso concetto in modi diversi), la filosofia della natura parte dal realismo, quindi dall’oggettività del reale per giungere all’idealismo (cioè al soggetto) mentre la filosofia trascendentale parte dall’idealismo per giungere a una descrizione realistica e oggettiva della realtà.

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56. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

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57. COMPETENZE > Mappa concettuale

L’assOLuTO COME siNTEsi iNDiFFErENZiaTa Di NaTura E sPiriTO

ASSOLUTO SINTESI DI SOGGETTO E OGGETTO (SPIRITO E NATURA)

l’Assoluto si rivela nella natura

natura come spiritualità inconscia è conosciuta attraverso

fisica speculativa (lato oggettivo della conoscenza)

Spirito come natura autocosciente

la natura diviene Spirito nell’uomo

si conosce attraverso

idealismo trascendentale (lato soggettivo della conoscenza)

sottolinea a razionalità della • lnatura può essere spiegata, quindi dedotta a priori la natura è un organismo unitario



funzione conoscitiva dell’arte

l’arte esprime il lato inconscio dell’attività dello Spirito

4 L’Id E a L IS Mo ES T E T Ico d I S c HE L L In G

assOLuTO Dal latino absolutus, participio passato del verbo absolvere, vuol dire letteralmente “sciolto”, “libero da legami” e quindi, in senso lato, non dipendente da altro. usato come aggettivo, «assoluto» è il contrario di «condizionato»: un principio «assoluto» è originario, non è derivabile da altri; una «verità assoluta» è indipendente da condizioni storiche o culturali ecc. usato nella forma sostantivata (l’Assoluto) il termine indica ciò che ha in sé la propria ragion d’essere, senza rinviare ad altro né sul piano ontologico né su quello conoscitivo. Ad esempio l’individuo non è un “assoluto”, perché dipende, per la propria esistenza, dagli altri, dall’ambiente ecc. Non solo, in quanto contingente, il suo stesso esistere rimanda ad altro che lo abbia prodotto (i genitori, Dio ecc.). Anche la sua comprensione prevede il ricorso a una serie di concetti (quello di uomo, di essere vivente ecc.) e dunque non lo si può considerare assoluto sul piano conoscitivo. l’Assoluto, per contro, ha in se stesso la ragione della propria esistenza e i princìpi della propria spiegazione. Di conseguenza, l’Assoluto è unico, infinito e costituisce il principio originario da cui deriva tutta la realtà. Per molti romantici l’Assoluto coincide con la totalità della natura: mentre il singolo essere rinvia ad altro, la natura nel suo insieme è autosufficiente, non dipende da altri princìpi. Per Fichte l’assoluto è l’Io puro, mentre per Schelling è il principio indifferenziato dal quale derivano la soggettività e l’oggettività, lo Spirito e la natura.

587

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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La filosofia della natura (fisica speculativa) La filosofia della natura indaga la razionalità e la spiritualità presenti nella natura. Secondo Schelling, che la natura possieda una propria razionalità è facilmente dimostrabile nell’ambito del mondo organico, perché senza un’intelligenza inconscia non sarebbero possibili i fenomeni vitali, come la sensibilità (la capacità di recepire stimoli), l’irritabilità (la capacità di reagire agli stimoli) e la riproduzione. Per quanto semplice possa essere, ogni forma vivente possiede una complessità inspiegabile in termini puramente deterministici, materialistici o meccanicistici. Ma anche nel mondo inorganico vi sono vita e intelligenza, come riesce a dimostrare la fisica speculativa, dove l’aggettivo ricorda che Schelling non intende sviluppare una scienza (molti scienziati dell’epoca schernirono le sue idee) ma un sapere che parte da osservazioni naturali semplici e non sperimentali per individuarne il lógos, ossia la componente razionale dei fenomeni. Schelling, come altri intellettuali romantici (ad esempio Goethe e la sua teoria dei colori), riteneva inadeguata un’interpretazione puramente quantitativa dei fenomeni naturali e indirizzava la sua attenzione a quelle scienze di carattere qualitativo che ai suoi occhi individuavano meglio il carattere razionale immateriale della natura. E questa razionalità, nella prospettiva dell’idealismo alla quale Schelling appartiene, è sempre intesa come articolazione di un principio ancora più ampio e profondo, la spiritualità: tutta la natura, organica e inorganica, si riveste delle caratteristiche tipiche dello Spirito (è animata da un principio di razionalità inconscia), ed è quindi un prodotto dell’Io (la cui prerogativa è la spiritualità). La natura è l’espressione di un’intelligenza inconscia che si sviluppa in gradi sempre più alti, dalla materia al livello organico, fino all’uomo, nel quale raggiunge la consapevolezza. Nell’ottica di questa filosofia della natura ➝ 58 , sviluppata in particolare nel Primo abbozzo di un sistema della natura (1799), Schelling indica i processi fondamentali attraverso cui si attua la spiritualizzazione della natura. Essa è percorsa da un’energia, formata da due forze contrapposte, l’attrazione e la repulsione, che, nella loro lotta reciproca danno origine ai tre diversi fenomeni in cui si articola la natura: 1. Il magnetismo ➝ 59 è lo stadio dello sviluppo naturale in cui i diversi fenomeni si attraggono l’uno con l’altro, manifestando l’unità fra le diverse parti dell’universo. 2. L’elettricità ➝ 60 al contrario del magnetismo, sottolinea la presenza di forze contrastanti all’interno della natura, che si attraggono e respingono allo stesso tempo. 3. Il chimismo evidenzia la capacità dei fenomeni di compenetrarsi l’uno con l’altro, rendendo possibile il continuo ricambio di forme caratteristico di tutto l’essere. In questo terzo e ultimo stadio la natura realizza il passaggio dal mondo inorganico a quello organico, in quanto lo sviluppo dell’energia dà origine all’organismo, alla vita. Schelling è il filosofo che più di tutti ha espresso la concezione romantica della natura vivente, che non a caso definisce anche «Spirito pietrificato»: nella natura lo Spirito è sempre presente, ma rimane nascosto, cristallizzato, dormiente, per affiorare e rendersi visibile a mano a mano che si va verso una maggiore complessità: nella meccanica è quasi incoglibile, ma già nella chimica si intravede qualche elemento spirituale, nel magnetismo si fa un ulteriore passo avanti, e nel livello biologico, in cui emerge la dimensione organicista, si coglie benissimo. Nell’uomo, suggerisce Schelling con un’immagine suggestiva, la natura è capace di conoscersi e di riflettere su di sé. In lui, si ridesta lo Spirito che negli altri gradi della natura è come assopito.

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58. COMPETENZE > Mappa concettuale

4 L’Id E a L IS Mo ES T E T Ico d I S c HE L L In G

La FiLOsOFia DELLa NaTura

FISICA SPECULATIVA

afferma che la la natura è

razionale

spirituale

quindi è un

cioè esprime una razionalità inconscia che il meccanicismo non può spiegare

589

ateria • mchimismo • organismo •

organismo unitario in un processo che si sviluppa in tre momenti

in cui vi è una spiritualità inconscia che cerca di raggiungere la coscienza nell’uomo

59. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

iL MEsMErisMO E La sCOPErTa DELL’iPNOTisMO Con il termine «mesmerismo» (o magnetismo animale) si indica la teoria dell’uomo, e la pratica terapeutica promossa da Franz Anton Mesmer (1734-1815). Considerandosi un fedele discepolo di Isaac Newton, Mesmer è convinto che l’intera realtà (sia vivente sia inanimata) sia attraversata da un “fluido invisibile”, dalle cui armonie e disarmonie dipende lo stato di salute fisica e mentale di ciascun individuo. Sfiorando il corpo del paziente, il magnetizzatore esercita un “magnetismo animale” (così chiamato in riferimento non tanto agli animali quanto al concetto di «anima invisibile») e agisce su quel fluido, riuscendo cosi a guarire disturbi di varia natura, soprattutto nervosi. Il rapporto personale fra mesmerista e paziente si traduceva in pratiche come l’induzione di stati di trance e di ipnosi, soprattutto di donne, presto dette “le sonnambule”. divenuto rapidamente una moda, il mesmerismo si attira la condanna della comunità scientifica, ma anche l’entusiastica adesione di una schiera di proseliti. Fra questi proprio Schelling, che vi vede una conferma della sua idea che la natura sia animata da un principio vitale interno e invisibile. 60. approfondiMenti > intersezioni

L’eLettrofisioLoGia Gli esperimenti condotti a partire dal 1790 dal medico italiano Luigi Galvani (1737-98), considerato l’inventore dell’elettrofisiologia, hanno notevole risonanza ben oltre l’ambito scientifico, influendo sulle concezioni dei filosofi della natura idealisti, in particolare di Schelling. nel suo laboratorio Galvani prende alcune rane, toglie loro la pelle, la testa e i visceri, lasciando solo le zampe posteriori attaccate alla colonna vertebrale e le collega a una macchina che produce scariche elettriche. nota che, applicando un arco bimetallico fra i nervi lombari e i muscoli della coscia, si ottengono contrazioni muscolari. ne deduce che nei corpi vi è una forza che provoca i movimenti, anche senza la volontà del cervello, che egli chiama elettricità animale.

590

La natura è un essere vitale e organico, caratterizzato da una connessione immanente tra i suoi elementi e governato non dal meccanicismo ma da un intrinseco finalismo.

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

Su queste basi Schelling rifiuta il meccanicismo ➝ 61 , che presupponendo l’esistenza di una materia passiva determinata da meccanismi di causa-effetto non riesce a spiegare i fenomeni della vita e dello Spirito, e il finalismo (o teleologismo), che postulando l’esistenza di un Dio o di un principio ordinatore esterno alla natura nega a quest’ultima ogni autonomia. A questi due modelli tradizionali contrappone un organicismo finalistico immanentistico. Organicismo, perché anche nella natura, come in un corpo vivente, ogni parte è in relazione con le altre e con il tutto, un insieme che costituisce una struttura integrata ➝ 62 , non un ammasso frazionabile di elementi. Ridando vigore ad antiche teorie neoplatoniche e rinascimentali, Schelling definisce l’universo come un “grande animale”, un immenso organismo governato da un’intelligenza che, con un’espressione ripresa da Plotino, chiama «anima del mondo». A questo universo vivente Schelling attribuisce anche un finalismo, cioè una tensione verso una perfezione crescente, che non deriva da un intervento esterno ma che è intrinseca e immanente alla natura stessa. Per spiegare come agisce la tensione verso la perfezione Schelling elabora il concetto di potenza. Ogni sfera della natura (minerale, vegetale, animale) possiede una “potenza”, cioè una possibilità di sviluppo le cui origini hanno radici in quella precedente e le cui propaggini fondano quella seguente: esiste quindi una continuità fra i fenomeni più elementari e quelli complessi, compreso l’uomo. Questo sviluppo da una parte rende l’insieme dei fenomeni naturali sempre più omogeneo e coerente, dall’altra garantisce una maggiore complessità e specificazione di ogni singolo elemento della natura. È una teoria che oggi appare superata, inconsistente sul piano scientifico perché ancora legata alla tradizione metafisica, ma che nella storia della cultura è stata feconda, contribuendo alla nascita della visione evoluzionistica della natura. Schelling infatti la concepisce sul piano esclusivamente logico e metafisico, volendo dimostrare come i gradi più elevati della natura siano una conseguenza necessaria dei più bassi, ma basterà introdurre la dimensione temporale, cioè ripensare il sistema su basi storiche, non logiche, perché possa formarsi il concetto di evoluzionismo. La spiritualità della natura è duplice: risiede sia nelle sue leggi che nei suoi fenomeni. La natura è dunque spirituale in due sensi: nelle proprie leggi, che ne esprimono la spiritualità immanente, ricostruita consapevolmente dalla scienza della natura, e nei suoi stessi fenomeni, nei quali (come attestavano le conoscenze scientifiche dell’epoca) si manifesta una spiritualità irriducibile alle spiegazioni meccanicistiche. La luce, in particolare, è considerata quasi come un tentativo della natura di rendersi visibile a se stessa, di riflettere su di sé. L’inorganico e la materia sono letti come prodotti inconsci della natura nel tentativo di diventare consapevole di sé. In conclusione, la filosofia della natura giunge a questi risultati: 1) la natura è effettivamente autonoma, inspiegabile a partire dall’Io, un a-priori rispetto sia alla concreta esperienza umana sia alla soggettività creatrice dell’Io infinito; 2) anche la natura possiede un’intelligenza, sebbene inconscia, inconsapevole di se stessa; 3) anche la natura è dominata da una tensione interiore verso il perfezionamento, analoga allo streben che motiva l’agire umano. Esiste quindi una somiglianza fra i processi che governano la natura e quelli che permettono lo sviluppo dell’Io, confermando così l’ipotesi che siano entrambi espressione di un sottostante Assoluto.

Materiali per l’apprendimento attivo 61. La ParOLa ai TEsTi

Nella primavera del 1797 esce il primo importante lavoro filosofico sulla natura di Schelling, Idee per una filosofia della natura: introduzione allo studio di questa scienza, in cui è espressa l’idea di «un’anima del mondo» come unico principio vitale.

5

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Ma il meccanismo è lungi dal costituire esso solo la Natura. Infatti non appena noi entriamo nel campo della Natura organica ci viene a mancare qualunque collegamento di causa ed effetto. Ogni prodotto organico sussiste per se stesso, la sua esistenza non dipende da alcuna altra esistenza. Ma la causa non è mai la stessa cosa dell’effetto e solo per cose diverse è possibile un rapporto di causa ed effetto: invece l’organismo produce se stesso, deriva da se stesso; ogni singola pianta è prodotta soltanto da un individuo della sua specie, e così ogni singolo organismo continua a produrre e a riprodurre all’infinito soltanto il suo genere. Quindi nessun organismo procede in avanti, ma ritorna sempre in se stesso all’infinito. Perciò un organismo come tale non è mai causa né effetto di una cosa fuori di sé e quindi non è cosa che possa essere compresa nel sistema del meccanismo. Ogni prodotto organico porta in sé la ragione del proprio essere, ed è causa ed effetto di se stesso. [...] Nessuna parte singola potrebbe sussistere se non in questo tutto, e questo tutto stesso consiste solo nell’azione reciproca delle parti. In ogni altro oggetto le parti sono arbitrarie: esse esistono in quanto io divido; invece nell’essere organizzato esse sono reali, esistono senza mia attività perché fra esse e il tutto vi è una relazione obiettiva (F.W.J. Schelling, Idee per una filosofia della natura, Introduzione, 1797, in L’Empirismo filosofico e altri scritti, a cura di G. Preti, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 32-33)

Guida alla lettura. Considerando un organismo vivente, la possibilità di spiegarlo in modo meccanicistico (in base ai soli rapporti di causa-effetti), viene meno. ogni organismo produce e riproduce se stesso, e in questo processo la causalità meccanica è insufficiente a ogni spiegazione. Bisogna invece considerare i processi, cioè l’insieme delle azioni reciproche tra le parti dell’organismo che nel loro insieme e in modo dinamico garantiscono il funzionamento del tutto. 62. coMpetenze > filosofia e cittadinanza

Film

L’ecoLoGia profonda Ritroviamo, ovviamente su un diverso sfondo teorico, una moderna affermazione dell’organicismo nella deep ecology (“ecologia profonda”), elaborata dal filosofo norvegese arne naess (1912-2009), che conia quest’espressione nel saggio Il movimento ecologico: ecologia superficiale ed ecologia profonda (1973). Riferendosi soprattutto alla filosofia di Spinoza, egli sostiene che tutti gli esseri viventi rappresentano aspetti diversi di un unico organismo, per cui hanno tutti gli stessi diritti e in particolare il diritto alla vita. ne consegue, ad esempio, che dobbiamo rispettare l’ambiente non perché in questo modo miglioriamo la qualità della vita umana, ma perché l’ambiente stesso, dagli animali alle piante, ha diritti che devono essere garantiti a prescindere dalla nostra convenienza. nel suo saggio, naess proclama quasi una “carta dei diritti” della natura, in sette punti. Uno dei principali è l’«egualitarismo biosferico», secondo il quale tutti gli esseri viventi hanno diritto a vivere e a realizzarsi. altri princìpi impongono limitazioni all’intervento umano sull’ambiente, in modo da non alterare l’equilibrio tra le diverse specie viventi, o la difesa della biodiversità come un valore in sé, indipendentemente dall’utilità che può trarne l’uomo. Il documento è chiamato «Proposta di una piattaforma dell’ecologia profonda» e puoi trovarlo facilmente in Internet inserendo questa espressione in un motore di ricerca. Il tema dell’ecologia profonda è centrale anche nel film Avatar, del regista James cameron, in cui la natura è pervasa da un’energia da rispettare.

4 L’Id E a L IS Mo ES T E T Ico d I S c HE L L In G

T6 schelling L’organismo non è spiegabile in modo meccanicistico

591

9. roM a n t i ci sM o e i d e a L i sM o

592

L’idealismo trascendentale La filosofia trascendentale parte dal soggettivo per derivare l’oggettivo, mostrando il progressivo farsi natura dell’intelligenza. Spiegando perché la natura è uno “spirito visibile” Schelling ha svolto solo metà del compito che si era presupposto; deve ora dimostrare come, simmetricamente, lo spirito può dirsi una “natura invisibile” ➝ 63 . È il tema della sua opera più nota, Il sistema dell’Idealismo trascendentale (1800): «idealismo» perché deve spiegare come nascono la coscienza, le idee e la spiritualità, «trascendentale» ➝ 64 perché questo atto di conoscenza è anche al tempo stesso un atto di creazione del mondo. In breve, la filosofia trascendentale deve mostrare come lo spirito scopre la natura e come, scoprendola, giunga pienamente alla coscienza di sé. È lo stesso percorso già esplorato da Fichte, e Schelling segue sostanzialmente il suo schema, arricchendolo però di notazioni interessanti, che nella storia del pensiero sono diventati influenti, andando ben oltre i limiti dell’idealismo. Trattando ad esempio dell’autocoscienza, cioè della consapevolezza che l’Io ha di se stesso, egli nota che la si può spiegare solo come una coincidenza di processi mentali consci e inconsci. È conscia l’attività reale dell’autocoscienza, ossia quella in cui l’Io è consapevole di sé in quanto soggetto di fronte a un oggetto, e che corrisponde alla percezione ordinaria che gli uomini hanno, di essere limitati dal mondo. Ma la percezione di questo limite non potrebbe esistere se nell’autocoscienza non vi fosse anche un’attività, che Schelling chiama ideale, in cui l’Io inconsciamente concepisce se stesso come illimitato, come una potenza capace di superare qualsiasi limite. Come nella natura, anche nel soggetto umano agiscono forze inconsapevoli, conclude, anticipando così un’idea destinata a grandi sviluppi nel campo della psicologia e della psicanalisi. L’io giunge all’autocoscienza passando attraverso tre fasi, determinate dalla sensazione, dalla riflessione e dalla volontà. Ma come giunge l’Io ad essere consapevole di se stesso? Ossia, come nasce lo Spirito? Schelling delinea uno sviluppo scandito in tre fasi. 1. La prima parte dalle sensazioni e arriva all’intuizione produttiva ➝ 65. La sensazione è il momento in cui il soggetto si trova di fronte all’oggetto e lo rappresenta come qualcosa di esterno, oggettivo e da lui indipendente, senza rendersi conto che in realtà a crearlo è la sua intuizione produttiva, una facoltà mentale che agisce in modo inconscio. 2. La seconda fase parte dall’intuizione produttiva e giunge alla riflessione, in cui il soggetto elabora concettualmente ciò che ha recepito. L’Io è ora capace di riflettere su se stesso, sul suo modo di conoscere il mondo; si formano i concetti di tempo, spazio, causa-effetto e le categorie di relazione, qualità e quantità. 3. La terza fase va dalla riflessione alla volontà. Distaccandosi dagli oggetti, l’Io si coglie come un soggetto indipendente, come un’intelligenza che si autodetermina ed è in grado di agire per modificare il mondo. In questa fase, l’unica totalmente cosciente, l’Io si avverte come un individuo distinto dagli altri. Con una forzatura determinata dal desiderio di costruire un sistema dottrinario solido e simmetrico nelle sue parti, Schelling instaura un paragone fra queste tre fasi di sviluppo dello Spirito e quelle descritte nello sviluppo della natura: la sensazione corrisponde nel mondo naturale alla coesione che dà origine alla materia; la riflessione ai fenomeni di polarità e alla nascita di forme organiche; la volontà alla metamorfosi, con cui gli elementi chimici in qualche modo e inconsapevolmente decidono cosa essere e come configurarsi.

Materiali per l’apprendimento attivo

audiomappa

63. COMPETENZE > Mappa concettuale

spiritualità inconscia della natura diviene nell’uomo dalla sensazione all’intuizione

SPIRITO AUTOCOSCIENTE

in un processo scandito da tre momenti

dall’intuizione alla riflessione dalla riflessione alla volontà

che agisce nella storia umana

destino come natura provvidenza

64. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

TrasCENDENTaLE / TrasCENDENTE Nel linguaggio filosofico trascendente è ciò che supera i limiti dell’esperienza umana, ciò che è al di fuori e al di là della realtà naturale e storica. Trascendentale si riferisce piuttosto a ciò che esiste «in sé e per sé», ma è funzionale ad «altro da sé». Il primo a usarlo in questo senso è Kant, come è sinonimo della struttura mentale presente a priori nel soggetto e che rende possibile la conoscenza (in contrapposizione a «empirico»). Fichte e Schelling recuperano questo significato per designare il loro idealismo, in cui l’atto con cui l’Io crea il mondo è il fondamento a priori dell’esperienza. 65. PEr CaPirE MEGLiO

L’iNTuiZiONE PrODuTTiva Come già in Fichte, il concetto di «intuizione produttiva» costituisce il fondamento del sistema delineato da Schelling. esso esprime infatti il modo in cui agisce la libera auto-creatività dello spirito, che in un certo senso si costruisce auto-conoscendosi, oppure, per dirla al contrario, costruisce il mondo esterno conoscendo se stesso. Schelling pone come esempio il caso della geometria. essa ci appare come un sapere oggettivo, ricavabile dall’esperienza, acquisibile dall’Io ma ad esso esterno. A ben vedere, tuttavia, la geometria non potrebbe esistere se preventivamente non ci fosse l’intuizione intellettuale di uno spazio astratto, perché tutte le forme geometriche non sono altro che modi diversi per delimitare quest’ultimo. l’idea di uno spazio astratto, però, non è frutto di osservazioni empiriche, ma una creazione dello Spirito, qualcosa che comincia a esistere solo quando questo la pensa. ◀ Wenzel Jamnitzer, Disegni geometrici che illustrano i princìpi di geometria euclidea, 1568 (Londra, British Library, Londra).

4 l’ID e A l IS Mo eS t e t ICo D I S C He l l IN G

L’iDEaLisMO TrasCENDENTaLE

593

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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Con lo sviluppo della volontà si determinano il mondo morale e la storia. L’umanità ha prima concepito la storia come un destino imperscrutabile e poi come una legge oggettiva e razionale. È ora di intenderla come provvidenza e di costruire rapporti umani basati non più sul diritto giuridico ma sull’arricchimento reciproco (eticità). Schelling si sofferma in particolare sull’ultima di queste tre fasi, perché la nascita della volontà pone il problema dell’agire morale, sul piano individuale, e del senso della storia su quello sociale. L’azione morale implica la libertà del soggetto, che nel sistema di Schelling potrebbe costituire un problema: dopo aver dimostrato, infatti, che il mondo è creato dall’intuizione produttiva di un soggetto, in che senso poi il soggetto stesso è libero di modificarlo con la propria attività etica intenzionale? La risposta, tipicamente idealista nel modo di procedere, è che l’attività del soggetto, apparentemente rivolta verso l’oggetto, in realtà agisce sulle rappresentazioni del soggetto, ed è perciò un processo di autodeterminazione. Attraverso l’agire morale non modifichiamo le cose, ma noi stessi, e questo è sempre possibile. Interessanti sono anche due considerazioni svolte da Schelling sulla storia ➝ 66. La prima ripropone anche in questo campo la compresenza di un conscio e di un inconscio: è conscia la volontà degli uomini, che liberamente scelgono gli obiettivi del loro agire, ma i risultati cui essi giungono dipendono da tanti altri fattori di cui essi non hanno affatto consapevolezza, secondo il principio dell’eterogenesi dei fini. La seconda è che l’esistenza della storia non è un dato di fatto oggettivo ma una complessa rappresentazione mentale che l’umanità ha lentamente elaborato nel corso del suo sviluppo, passando da una fase iniziale in cui era rappresentata come destino, una forza impersonale e incontrollabile e incomprensibile, tale che si può solo accettare o rifiutare, poi come legge, ossia come necessità razionale, oggettiva e comprensibile imposta dalle cose stesse, e infine come provvidenza, ossia come una spiritualità soggettiva e non più oggettiva e impersonale come la legge. In questa terza fase, che deve ancora compiersi, scomparirà il diritto, che caratterizzava la seconda, perché lo sviluppo dell’eticità farà sì che gli altri siano visti non più come un ostacolo alla propria libertà ma come il suo completamento.

La filosofia dell’arte Nell’arte si fondano conscio e inconscio, materiale e spirituale. Per questo, sia facendola che osservandola è possibile cogliere l’assoluto. Anche quando lo Spirito raggiunge la massima autocoscienza, mantiene sempre dentro di sé una naturalità, cioè un substrato inconscio, costituito dalla intuizione produttiva. Il livello più elevato della conoscenza dovrà quindi unire i due aspetti dello Spirito: il conscio e l’inconscio, l’attività dell’Io sulla natura (volontà-libertà) e l’attività della natura sull’Io (conoscenza). Questa sintesi avviene nell’intuizione estetica, cioè nell’arte, che nel sistema di Schelling occupa un posto centrale. In essa, infatti, si attua la confluenza fra un aspetto conscio e uno inconscio ➝ 67 e fra reale e ideale. L’arte, sia nella sua produzione da parte dell’artista sia nella fruizione dell’osservatore, costituisce la via maestra per comprendere cosa sia l’Assoluto ➝ 68. In questo campo tutte le difficoltà che rendono ardua la filosofia della natura e quella dello Spirito scompaiono quasi magicamente: qui soggetto e oggetto, Io e Non-Io, Spirito e natura non appaiono più contrapposti e correlabili solo attraverso una faticosa speculazione metafisica, ma sono evidentemente coincidenti. Non per nulla la filosofia di Schelling è definita «idealismo estetico». Le riflessioni di Schelling sull’arte sono importanti sia perché chiariscono meglio il suo sistema sia perché, anche avulse da esso, sono state recepite al suo tempo con vero entusiasmo, come l’espressione più perfetta dell’estetica romantica.

Materiali per l’apprendimento attivo

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66. PEr CaPirE MEGLiO

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La sTOria: uN DraMMa iN Cui GLi aTTOri rECiTaNO LiBEraMente Con una suggestiva metafora, Schelling paragona la storia a una rappresentazione teatrale di cui Dio è l’autore e gli uomini sono gli attori protagonisti. Dio scrive la trama del dramma, ma poi gli attori la interpretano liberamente, ognuno a modo loro e in completa libertà. l’esito finale è quindi frutto di un’interazione reciproca fra l’umanità e Dio, una collaborazione conflittuale in cui entrambi realizzano se stessi. ▶ Scena della Cavalleria rusticana di Mascagni in un’oleografia di fine Ottocento.

67. per capire MeGLio

Film

L’arte è sintesi di razionaLità e intuizione, di MateriaLe e ideaLe L’aspetto conscio dell’arte sta nel progetto che l’artista formula dell’opera, nelle sue competenze e abilità tecniche, nelle scelte del materiale e della composizione. Ma affinché l’opera diventi arte superando la dimensione del buon artigianato è necessario l’intervento dell’ispirazione, della genialità, cioè di un “sovrappiù spirituale” (che Platone chiamava divina manìa) inconsapevole, imponderabile e indipendente dalla volontà dell’artista. Tant’è vero che spesso l’artista esprime contenuti e sentimenti che lui stesso non è in grado di definire e predeterminare. Questa concezione dell’arte come processo in parte inconsapevole è ben espressa nel film di Milos forman amadeus, in cui Mozart appare come un musicista invasato, spinto alla creazione da una forza superiore. L’opera d’arte, inoltre, è sempre un oggetto, ma in esso l’elemento materiale è inscindibile da quello spirituale; il suo valore sta non nella preziosità dei materiali (a volte gli artisti prediligono quelli poveri e deperibili) ma nella misura in cui la materia è stata spiritualizzata. La stessa compresenza di reale e ideale, conscio e inconscio, è infine rintracciabile anche nel momento in cui l’arte viene fruita. Il soggetto che la contempla, infatti, è trasportato in una condizione estatica, cioè supera la propria soggettività e si identifica con l’oggetto d’arte. audiomappa

68. coMpetenze > Mappa concettuale

La fiLosofia deLL’arte

Spirito

raggiunge l’autocoscienza mediante

conserva un

SUBSTRATO INCONSCIO (NATURALITÀ DELLO SPIRITO)

filosofia

ARTE

che riesce a esprimere il

che esprime solo il lato conscio dell’attività dello Spirito che esprime anche il lato inconscio dell’attività dello Spirito

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

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La filosofia dell’identità L’assoluto è l’unità indifferenziata di natura e spirito. Esso coincide con Dio. Dopo il 1801 si delinea una svolta nella filosofia di Schelling, che riguarda un problema non ancora chiarito: se l’Assoluto è un’identità indifferenziata ➝ 69, ossia non è né Spirito né materia, come possono lo Spirito e la materia derivare da esso? È una difficoltà che non sfugge all’autore e che lo spinge a scrivere di getto, in pochi mesi, la sua opera più nota, Esposizione del mio sistema di filosofia (in due versioni, 1801 e 1802). Il sistema messo a punto sino a questo momento, infatti, aveva descritto bene come l’Assoluto sia un’unione di natura e Spirito (derivabili l’uno dall’altra) ma non aveva rintracciato il momento originario dal quale entrambi derivano. Per Fichte l’Assoluto poteva tranquillamente coincidere con lo Spirito (l’Io) poiché questo era su un gradino superiore rispetto alla natura (motivo per cui quello di Fichte è definito «idealismo soggettivo»); con Schelling, invece, natura e Spirito hanno pari dignità. Di conseguenza l’Assoluto deve essere qualcosa che non è né Spirito né natura, ma che si colloca al di là di essi. Occorre rintracciare un Assoluto che non sia ancora né natura né Spirito, dal quale sia possibile dedurre entrambi. Schelling lo concepisce come unità indifferenziata, ciò che Hegel nella Prefazione della Fenomenologia dello Spirito definirà «la notte in cui tutte le vacche sono nere» ➝ 70 . Una concezione che si precisa ulteriormente in Filosofia e religione (1804), dove l’Assoluto è ulteriormente definito come l’identità fra l’ideale e il reale, fra aspetto soggettivo (lo Spirito) e oggettivo (la natura), mentre il finito si caratterizza per la separazione fra questi due termini. Virando verso interessi sempre più religiosi ➝ 71 Schelling fa coincidere l’Assoluto (che come abbiamo detto è distinto dalla natura e dallo Spirito) con Dio ➝ 72 . il passaggio da Dio all’esistente avviene attraverso un distacco, o una caduta, del finito dall’assoluto. L’identificazione dell’Assoluto con Dio poneva a Schelling un secondo problema da risolvere: se l’Assoluto è infinito, come può dare origine agli enti che compongono il mondo, i quali, naturali o spirituali che siano, sono sempre caratterizzati dalla finitezza? In altre parole, come possono la molteplicità e la differenziazione, tanto evidenti nelle cose, derivare da un principio unico, indifferenziato e sempre identico a se stesso? Rifacendosi a Platone, egli sostiene che dall’Assoluto derivano solo le idee delle cose, mentre le cose stesse, la materia, gli individui empirici, rappresentano la decadenza delle idee. Una decadenza che non è un processo lineare, ma implica un misterioso salto ontologico, ossia un’uscita del finito dall’infinito causata dalla sua stessa colpa originaria (una degradazione che il cristianesimo ha descritto come un peccato originale dell’umanità). La caduta dell’essere dal tutto, per Schelling si traduce in un fenomeno fisico: il magnetismo negli organismi e la forza centrifuga nei corpi celesti. Ma il massimo allontanamento dall’Assoluto coincide con l’inizio del ritorno ad esso: l’intero universo e l’intera storia umana vengono lette come un processo di ricongiungimento con l’Assoluto. Da questo momento, il pensiero schellinghiano si avvita su speculazioni sempre più complesse di ordine mistico-religioso, con le quali si entra in una fase strettamente legata alla filosofia dell’identità ma conosciuta come «filosofia della libertà».

Materiali per l’apprendimento attivo

dizionario operativo

69. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

70. PEr CaPirE MEGLiO

La CriTiCa hEGELiaNa aL PriNCiPiO D’iDENTiTÀ Per Hegel l’errore di Schelling sta nel concepire l’Assoluto come un’unità indifferenziata e statica di soggetto e oggetto, finito e infinito, da cui derivano in modo inesplicabile la molteplicità e la differenziazione delle cose. In esso Hegel rintraccia un “abisso vuoto”, un’unità astratta, statica e indifferenziata al proprio interno, nel quale si perdono le determinazioni concrete e molteplici della realtà e l’autonomia e specificità degli opposti («la notte nella quale tutte le vacche sono nere»). 71. PEr CaPirE MEGLiO

La svOLTa rELiGiOsa Come la filosofia di Fichte, anche quella di Schelling vive una “svolta religiosa”. Iniziata a partire dal 1804, essa si articola in due tempi, di cui il primo è da vedersi come preparazione del secondo. È annunciata nella filosofia dell’identità con l’opera Filosofia e religione (1804) ma trova la sua espressione compiuta nella fase della filosofia della libertà, in particolare in Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809). audiomappa

72. CoMpetenze > Mappa concettuale

La FiLosoFia deLL’identitÀ Assoluto come identità

identificato con

DIO

sorge il problema del

passaggio dell’Assoluto al finito

spiegato da

caduta (colpa del finito)

quindi per raggiungere l’autocoscienza in esso convivono gli opposti

ma allora

è anche male inconscio

diventa

mondo processo di redenzione cosmica

4 l’ID e A l IS Mo eS t e t ICo D I S C He l l IN G

iDENTiTÀ Schelling rivendica la profonda unità tra natura e spirito nell’assoluto, considerato in un primo momento come l’unione di questi due momenti, dal quale hanno origine entrambi. In seguito però questa identità indifferenziata viene superata, identificando l’assoluto con Dio che precede sia la natura sia lo Spirito e ne costituisce quindi l’origine. Dio viene definito come «identità di ideale e reale». Si apre allora il problema di come possa avvenire il passaggio dall’infinito (Dio) al finito (la natura e lo Spirito) e Schelling lo spiega come «caduta» del divino. Per capire questo passaggio bisogna evidenziare l’aspetto più interessante dell’identità da cui parte Schelling: se c’è identità tra ideale e reale, allora nell’ideale c’è anche una dimensione irriducibile ad esso, una dimensione inconscia che rimane irrisolta. A livello metafisico, questa dimensione inconscia determina la decadenza di Dio e delle idee che diventano mondo, con la successiva redenzione cosmica. Più in generale, però, questa dimensione inconscia, derivante prima dall’identità tra Spirito e natura e poi da quella tra ideale e reale, pervade tutta la filosofia di Schelling, determinandone i tormentati sviluppi che abbiamo analizzato.

597

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

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La filosofia della libertà Per spiegare la presenza della colpa, del peccato e del male schelling propone una innovativa concezione personalistica dell’assoluto, cioè di Dio. Schelling ha spiegato la caduta e il distacco del finito dall’Assoluto, cioè la derivazione del mondo da Dio. Nasceva però un terzo problema da chiarire ➝ 73 : se l’Assoluto coincide con Dio come spiegare l’esistenza del male nel mondo? Detto altrimenti, come è possibile la caduta? È voluta da Dio? E se la caduta è un male, Dio vuole il male? Sebbene formulato in modo nuovo si tratta di un problema già indagato dagli antichi e già affrontato nella storia della filosofia con metodiche a giudizio di Schelling tutte inefficaci ➝ 74 . In Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809) e nelle cosiddette Lezioni di Stoccarda (che raccolgono una serie di conferenze tenute nel 1810) Schelling torna sull’argomento e ispirandosi alle formule della teologia negativa medioevale (Dionigi) e della mistica razionale moderna avanza una soluzione innovativa, sino ad allora mai tentata nella storia del pensiero. Ciò che nel mondo risulta inspiegabile (se si parte da una visione di Dio come un ente unico, perfetto e assoluto), deve essere in qualche modo già presente in Dio stesso, del quale quindi va radicalmente riformulata l’idea che abbiamo: la molteplicità, il divenire, la finitezza e persino il male devono trovare un posto in Dio, essere in qualche modo inerenti alla sua natura. Le opposizioni devono già trovarsi nell’Assoluto. Schelling giunge così a riformulare il concetto di Assoluto in modo sensibilmente diverso dalla fase precedente, non più cioè come una sintesi indifferenziata di Spirito e natura. Dio è certamente e consapevolmente razionalità, bontà e perfezione, ma perché queste qualità possano esistere in lui, egli stesso deve inconsciamente creare l’irrazionalità, il male e l’imperfezione. Come potrebbe essere buono se non differenziandosi dal male? Ma ci si può differenziare da una cosa solo se questa esiste, e quindi determinandosi come un essere infinitamente buono Dio determina necessariamente anche l’esistenza del male. il male non è un puro nulla, come pensava agostino. Esso esiste e affonda le sue radici nel fondamento di Dio, nel quale però, a differenza che negli uomini, non si realizza mai. Schelling attribuisce a Dio ogni qualità assieme al suo contrario; anche in Dio, come negli uomini, vi sono scissione e polarità: vi è un aspetto conscio e razionale (luce, amore, positività) e un aspetto inconscio e irrazionale, che si manifesta come tenebra, collera e materia. La loro coesistenza, però, non si risolve in una perfetta armonia, in un’impossibile e illogica coincidenza degli opposti (come nella tradizione mistica) ma in una contrapposizione dialettica che lo rende in qualche modo simile agli uomini. Anche in Dio esistono gli opposti (luce/buio; necessità/libertà; amore/egoismo), e anche Dio è attraversato da una tensione interiore al perfezionamento, al superamento dell’irrazionalità e alla vittoria dell’amore sull’egoismo; anche Dio cerca di affermare la propria libertà e di migliorare se stesso. E proprio nella sua lotta contro la componente inconscia a lui interna deriva l’inizio della sua auto-coscienza ma anche la creazione del mondo: per determinarsi come Assoluto, egli deve inconsciamente determinare il relativo, il molteplice e l’imperfetto, cioè il mondo. L’universo, la natura e gli uomini sono il Non-Io che Dio deve porre necessariamente, anche se inconsapevolmente, per affermare se stesso. Da qui inizia un recupero di sé, che si configura come redenzione cosmica: Dio deve riappropriarsi di sé, risolvendo tutti gli aspetti oscuri del suo essere ➝ 75 . Il dramma umano, ossia la lotta tra bene e male, tra libertà e necessità, non è altro che il rispecchiarsi di un conflitto originario tra forze opposte presenti in Dio stesso. La vita come lotta tra questi due princìpi rispecchia l’originaria lotta che è già in Dio, e la vittoria della libertà e del positivo è il rispecchiamento della vittoria che si realizza eternamente in Dio.

Materiali per l’apprendimento attivo

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73. COMPETENZE > argomentazione

74. per Capire MeGLio

Le dottrine tradizionaLi suLLa Creazione deL MaLe neL Mondo 1. Il creazionismo cristiano postula un Dio Persona, onnipotente e buona, che dà origine al mondo con un atto di libera volontà, ma così non riesce a spiegare il male e finisce con negare la sua esistenza. 2. l’emanazionismo neoplatonico cerca di risolvere le difficoltà del creazionismo postulando un dio impersonale, non responsabile del male, la cui esistenza è attribuita alla materia, che non essendo emanata da dio non fa propriamente parte della realtà. Ma in questo modo Plotino giunge a un idealismo trascendente e non trascendentale, una filosofia, cioè, che per affermare lo Spirito nega la materia. 3. Il panteismo, sia nella sua antica formulazione teologica sia nelle più moderne versioni filosofiche (Bruno, Spinoza) fa coincidere dio con il mondo sopprimendo così ogni distinzione fra infinito e finito, dio e natura, lasciando irrisolto il problema del male.

▶ Jean Colombe, miniatura dal manoscritto Le ore di Louis de Laval raffigurante la creazione della Terra, 1480-85 ca, pergamena (Parigi, Biblioteca nazionale di Francia).

audiomappa

75. CoMpetenze > Mappa concettuale

La FiLosoFia deLLa LiBertÀ Assoluto come identità

ma allora

è anche male perciò (inconscio)

quindi in esso convivono gli opposti

diventa mondo

per

raggiungere l’autocoscienza mediante un

filosofia della libertà

processo di redenzione cosmica

4 L’Id E a L IS Mo ES T E T Ico d I S c HE L L In G

DaLLa FiLOsOFia DELL’iDENTiTÀ aLLa FiLOsOFia DELLa LiBErTÀ ricapitoliamo lo sviluppo dell’argomentazione di Schelling riassumendo i tre problemi da cui egli parte per articolare il passaggio fra le due fasi (fra loro legate) della filosofia dell’identità e della libertà: 1. Se l’Assoluto è un’identità indifferenziata ossia non è né Spirito né materia, come possono lo Spirito e la materia derivare da esso? (Filosofia dell’identità: l’Assoluto è unità indifferenziata di Spirito e natura e coincide con Dio). 2. Se l’Assoluto è infinito, come può dare origine agli enti che compongono il mondo, i quali, naturali o spirituali che siano, sono sempre caratterizzati dalla finitezza? (Passaggio alla filosofia della libertà: teoria della caduta del finito dall’Assoluto e sua particolarizzazione). 3. Se l’Assoluto coincide con Dio come spiegare l’esistenza del male nel mondo? (Filosofia della libertà: Dio, ha in sé la possibilità del male, che però non realizza mai).

9. roM a n t i Ci sM o e i d e a L i sM o

600

La filosofia positiva (ultima fase) La filosofia positiva polemizza con il sistema di hegel, schierandosi contro la coincidenza fra il reale e il razionale, fra ciò che effettivamente esiste e ciò che è pensabile logicamente. A partire dal 1841 ➝ 76 , Schelling definisce il suo pensiero come una «filosofia positiva», volendo con ciò contrapporla a quella “negativa” elaborata da Hegel: considera quest’ultima una variante dell’idealismo imperfetta e parziale (come quella antica di Plotino) trascendente e non trascendentale, perché afferma l’idea senza dar conto della materia, crede nello Spirito ma non sa spiegare perché accanto ad esso esiste anche la natura. Al posto di risolvere queste antinomie, un lavoro faticoso che ha motivato tutta la sua riflessione, afferma Schelling, Hegel le ha semplicemente abolite, sostenendo che si tratta sempre della stessa entità: Spirito e natura sono la stessa cosa, ciò che è pensabile è sempre anche esistente. Ma abolire i contrasti non significa risolverli. Più in particolare, per Schelling Hegel cade nell’errore capitale di attribuire realtà a tutto ciò che è razionale, cioè di pensare che la realtà effettiva delle cose si fondi sulla loro pensabilità logica: ma esistenza ed essenza non si risolvono automaticamente l’una nell’altra (come già ben spiegato da Tommaso d’Aquino). Hegel, secondo Schelling, porta alle estreme conseguenze l’errore che caratterizza l’intera filosofia moderna a partire dal cogito cartesiano: pensare le categorie della mente come realtà ontologiche. La filosofia positiva riconosce che la razionalità umana non è in grado di spiegare il motivo ultimo che determina l’esistenza delle cose e dell’universo nel suo complesso. La volontà divina può essere colta solo nella mitologia e nella rivelazione. A questa filosofia negatrice dei problemi, Schelling contrappone un approccio positivo, risolutivo ma umile al contempo: bisogna riconoscere, afferma l’anziano filosofo, che il passaggio da Dio al mondo, dalla pensabilità delle cose alla loro reale esistenza, rimane misterioso e non completamente indagabile dalla ragione umana ➝ 77 . Molto più umilmente, la mente umana può avanzare nella comprensione della vicenda cosmica in cui l’uomo è inserito approfondendo lo studio della rivelazione che Dio fa di se stesso al mondo. Storicamente essa si è attuata prima attraverso la mitologia e poi con la rivelazione, ed è di queste quindi che la filosofia dovrebbe occuparsi. Secondo l’ultimo Schelling si può arrivare all’Assoluto solo nella misura in cui l’Assoluto si rivela a noi ➝ 78 . La filosofia della mitologia ha per oggetto la religione naturale, intesa come il manifestarsi di Dio nella natura attraverso le modalità di comprensione presenti in una coscienza umana archetipa e originaria. Le diverse rappresentazioni della divinità che caratterizzano il politeismo antico non sono il frutto di fantasie individuali o fenomeni culturali fortuiti, ma il risultato del processo necessario attraverso il quale l’umanità ha sviluppato la propria coscienza del divino in assenza di una rivelazione positiva. La filosofia della rivelazione invece si riferisce alla manifestazione diretta di Dio, che nella Bibbia e nei Vangeli si auto-rivela all’uomo con un atto di libertà assoluta. Schelling presagisce l’avvento di una terza fase della filosofia positiva (corrispondente a quella dello Spirito Santo) nella quale la religione filosofica supererà sia il messaggio della Bibbia sia quella dei Vangeli. Guida allo sTudio • In che cosa consiste la critica di schelling a

Fichte? • Che cosa intende schelling per «organicismo finalistico immanentistico»? • Che cosa si intende per «idealismo trascendentale» e quali sono le sue fasi?

• perché l’arte è per schelling uno strumento

per cogliere l’assoluto? • Come è spiegata la derivazione del finito

dall’assoluto nella filosofia dell’identità? • Come è concepito dio nella filosofia della

libertà?

Materiali per l’apprendimento attivo

601

76. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

▶ Monumento a Georg Wilhelm Friedrich Hegel, particolare (Jena, Germania).

77. PEr CaPirE MEGLiO

L’iNDEDuCiBiLiTÀ DELL’EsisTENTE DaL raZiONaLE Schelling ammette che il “salto ontologico”, che lui stesso ha cercato di spiegare con la dottrina della derivazione dello Spirito e della natura dall’assoluto è destinato a rimanere in gran parte oscuro; risolverlo significherebbe capire non come esiste l’universo ma perché esso esiste; un problema troppo grande per l’uomo, e che anche dio chiarisce solo gradualmente, perché l’atto della creazione è avvenuto in lui inconsciamente. audiomappa

78. COMPETENZE > Mappa concettuale

L’uLTiMO sChELLiNG l’assoluto

L’ULTIMO SCHELLING

diventa

MONDO critica la filosofia negativa che si interessa alla possibilità logica

per

libera scelta

sostiene la che può essere

filosofia positiva che si interessa della

che non può essere

cioè accertata

spiegata

esistenza reale mediante il mito

la rivelazione

4 L’Id E a L IS Mo ES T E T Ico d I S c HE L L In G

iL DiFFiCiLE raPPOrTO CON La FiLOsOFia Di hEGEL Dopo il 1809, anno della pubblicazione delle Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana, Schelling rimane a lungo in silenzio. Sono gli anni del trionfo di Hegel, suo antico amico e ora acerrimo e astioso avversario, e la filosofia di Schelling non trova più il consenso di un tempo, giudicata al massimo, dai più benevolenti, come un’imperfetta anticipazione del sistema hegeliano. tranne pochi scritti occasionali, il silenzio si prolunga per tre decenni, sino al 1841, quando Schelling viene chiamato a insegnare a Berlino, proprio nella cattedra che era stata di Hegel (morto nel 1831). È per lui un’occasione inaspettata sia per regolare i conti con l’hegelismo sia per illustrare gli esiti finali della sua riflessione. anche l’aspettativa del pubblico è notevole e alle lezioni del venerando filosofo, ormai quasi settantenne, accorrono gli intellettuali più eminenti dell’epoca. I corsi tenuti a Berlino, pubblicati dal figlio dopo la sua morte con i titoli di Filosofia della mitologia e Filosofia della rivelazione, non ottengono però il successo sperato. ancora una volta, dopo un’iniziale interesse, il suo pensiero viene giudicato ormai superato.

9. rOM a N T i Ci sM O E i D E a L i sM O

602

Test di autovalutazione 15. A proposito di Fichte si parla di “metafisica

LE PrEMEssE DEL rOMaNTiCisMO

del soggetto” perché l’Io esiste davvero e non è una semplice funzione del pensiero come per Kant.

1. Lo Sturm und Drang è l’aspetto del movimento romantico particolarmente interessato allo studio della natura.

V

16. per Fichte la dialettica è struttura della realtà.

2. del movimento dello Sturm und Drang fanno parte anche Goethe e Herder.

V

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5. reinhold avvia una riflessione sulla ermeneutica.

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7. per maimon la credenza nell’esistenza della cosa in sé nasce da una funzione inconsapevole della mente.

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e identifica Dio con l’Io puro.

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24. La fisica è speculativa perché rappresenta lo 25. La visione della natura esposta da schelling può essere definita con tre termini: organicismo vitalismo e meccanicismo.

26. Lo spirito si sviluppa mediante tre epoche partendo dalla sensazione, per giungere al volere.

27. La storia è razionale e tale razionalità è colta prima come destino, poi come legge e infine come provvidenza.

12. L’idealismo di Fichte è definito etico perché

28. L’arte è superiore alla filosofia perché è in V

f

13. Una volta eliminata la “cosa-in sé” il sapere V

f

grado di esprimere e di interpretare anche la dimensione inconscia dello spirito.

29. nella filosofia dell’identità l’Assoluto non è più il principio originario, ma è derivato da Dio.

14. Il rapporto che Fichte stabilisce tra Io e non-Io va letto soprattutto come uno sforzo dell’uomo per umanizzare la natura e se stesso.

testimoniata dalla conservazione della sua lingua originaria.

sviluppo di un principio razionale e spirituale.

L’iDEaLisMO ETiCO Di FiChTE

coincide con l’essere.

l’economia in modo da assicurare a tutti i cittadini la proprietà privata e il lavoro.

23. L’Assoluto è un’unità di soggetto e oggetto.

11. Il panismo è il sentimento di essere un

la cosa in sé può essere conosciuta soltanto sul piano morale con il sentimento.

f

19. Lo stato per Fichte deve poter controllare

della natura come non-Io.

10. Il termine Sehnsucht significa sforzo e indica

tutt’uno con la natura.

V

22. schelling critica la definizione fichtiana

9. La nozione di popolo si lega a quella di

il tentativo di superare i limiti del finito.

f

L’iDEaLisMO EsTETiCO Di sChELLiNG

8. Il romanticismo recupera la razionalità

una comune identità culturale, a cui contribuiscono la tradizione e la lingua.

V

21. L’ultimo Fichte nega la trascendenza divina

TEMi E FiGurE DEL rOMaNTiCisMO illuministica e kantiana in opposizione ai sentimenti e le componenti irrazionali dell’uomo.

f

20. La superiorità della nazione tedesca è

6. a differenza di Kant, reinhold sostiene che il noumeno, o cosa-in-sé, è conoscibile.

V

18. Fichte definisce il proprio idealismo “dogmatico” in quanto l’Io trova di fronte a sé il non-Io come qualcosa di già dato.

4. secondo schleiermacher la religione è caratterizzata soprattutto dal sentimento dell’infinito.

f

17. L’immaginazione produttiva consente di intuire la cosa-in-sé superando i limiti dell’intelletto.

3. L’idealismo di novalis è detto magico, perché il poeta era chiamato “mago del nord”.

V

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30. nella filosofia positiva si dà risposta a come V

f

il finito derivi dall’Assoluto, ipotizzando un principio inconscio della natura divina.

10. Hegel

lezione in PowerPoint

LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA • LA RETE DEI CONCETTI E DEI PROBLEMI • UNO SGUARDO D’INSIEME • IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

1. La formazione filosofica e le opere giovanili 2. I capisaldi della filosofia hegeliana 3. Il viaggio della coscienza 4. La filosofia come sistema

La rETE DEi saPEri antropologia • La storia dentro di noi sociologia • Lo spirito assoluto come sapere

dell’umanità pedagogia • Come insegnare filosofia

I TESTI • T1 Hegel Ama il prossimo tuo • T2 Hegel L’amore come unificazione di finito e infinito • T3 Hegel La filosofia come la civetta • T4 Hegel Un esempio della dialettica • T5 Hegel La sostanza come soggetto • T6 Hegel La coscienza infelice • T7 Hegel L’obbligo di dire la verità • T8 Hegel La logica come pensiero del mondo • T9 Hegel Identità e contraddizione • T10 Hegel L’idea • T11 Hegel La concezione negativa della natura • T12 Hegel Il fine della natura è lo Spirito LABORATORIO • PENSARE IL PRESENTE

MaTEriaLi PEr L’aPPrENDiMENTO aTTivO Competenze / Lessico e concettualizzazione, La filosofia e il presente, mappa concettuale, Filosofia e cittadinanza, argomentazione, pensiero critico per CapIre meGLIo La paroLa aI testI attIvItà / rielaborazione approFondImentI / per saperne di più

• T13 • T14 • T15 • T16 • T17 • T18 • T19 • T20 • T21 • T22 • T23

Hegel Conoscere lo Spirito Hegel Come nasce una costituzione Hegel La libertà come fine ultimo della storia Hegel Gli individui cosmico-storici e l’astuzia della ragione Hegel Ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito Hegel Il vero è l’intero Hegel Il lavoro e l’autocoscienza Hegel L’eticità Hegel Reale e razionale Hegel Lo Stato etico Popper Hegel totalitario

604

Le domande della filosofia GLI ALTRI DENTRO DI NOI Hegel definisce lo Spirito: «io che è noi, noi che è io», per sottolineare la stretta interazione tra individuo e comunità. La comunità è parte della nostra interiorità, non solo quella in cui viviamo, ma anche la storia, il passato dello sviluppo dell’uomo, che ritroviamo sedimentato dentro di noi.

1

Esiste una dimensione comunitaria all’interno del singolo individuo? ➤ Il viaggio della coscienza, p. 624 ➤ Scheda 9 ➤ T17 ➤ Questioni di attualità: Cultura e comu-

nità

CHE COS’È LA DIALETTICA? secondo Hegel, il divenire è il fondamento stesso dell’essere: senza conflitto e superamento non c’è sviluppo. gli opposti interagiscono dando luogo a realtà nuove che li superano e al tempo stesso li conservano: così, ad esempio, l’essere e il non essere producono il divenire, che è insieme essere e negazione dell’essere (attraverso il cambiamento) ed esprime la realtà esistente.

2

Accettare la prospettiva dialettica cambia radicalmente il nostro modo di vedere la realtà, anche quella sociale e storica? In che modo? ➤ la dialettica, p. 620 / la sostanza è soggetto, p. 622 /

Il vero è l’intero, p. 622 / la logica, p. 634 ➤ Schede 13, 14, 15, 16. ➤ T18

605

CHE COS’È LO STATO ETICO? Hegel parla di «sostanza etica» come di un’atmosfera comune che caratterizza lo stato e permea tutti i cittadini, stabilendo tra loro un’identità comune e una unità affettiva e di valori. C’è però il rischio, in questo modo, che lo Stato fagociti i singoli e che il dissenso non possa neppure essere concepito. il dipinto di goya rappresenta uno dei valori condivisi più importanti nel periodo risorgimentale: il patriottismo.

3

Lo Stato deve essere portatore di valori o deve restare estraneo alla coscienza dei cittadini? ➤ l’eticità, p. 646 / lo Stato, p. 648 ➤ Schede 40, 42 ➤ T22 ➤ Filosofia e cittadinanza: lo Stato etico, il pericolo

totalitario e la questione dei valori

LA STORIA SI SVILUPPA IN MODO RAZIONALE? La storia è razionale e si sviluppa lungo binari predefiniti? La successione dei diversi popoli come guida delle diverse epoche è già stabilita e il fine è fissato fin dall’inizio? È la ragione che, con la sua “astuzia”, guida gli uomini o invece gli uomini possono modificarne il corso?

4

Se la storia è razionale, tutto è già determinato? L’uomo non è libero di agire e di modificarla? ➤ la concezione della storia, p. 652 ➤ Schede 43, 45, 46, 47, 48 ➤ T23

606

La rete dei concetti e dei problemi 1

I PROBLEMI DI PARTENZA • Come si spiega la razionalità del mondo naturale? • Come si spiega la razionalità della storia? • Che cos’è l’Assoluto? • Che rapporto c’è tra l’Assoluto e l’individuo?

I CONCETTI DA RIPASSARE • Logica • Sostanza • Ragione • Intelletto • Dialettica • Spirito

3

I CONCETTI CENTRALI • Idea • Dialettica • Fenomenologia (dello Spirito) • Spirito (soggettivo, oggettivo, assoluto) • Ragione • Idea in-sé • Idea fuori-di-sé • Idea in-sé e per-sé • Alienazione • Eticità

2

4

I NUOVI PROBLEMI • L’Assoluto si identifica con Dio oppure con l’umanità? • Se la realtà è razionale, allora l’azione umana non può modificarla? • Se la realtà è dialettica, allora quella attuale è destinata a essere superata? • Si può spiegare la razionalità della storia in modo non idealistico?

PENSARE IL PRESENTE • Questione di attualità Cultura e comunità Lo Spirito oggettivo, l’eticità e la nozione di «Spirito del popolo» anticipano molti aspetti del concetto di cultura come verrà definito dall’antropologia culturale. Hegel insiste in particolare su una dimensione comunitaria, alimentata da valori condivisi e dalla definizione di una identità collettiva, concetti estranei all’ottica liberale e kantiana.

• Filosofia e cittadinanza Lo Stato etico, il pericolo totalitario e la questione dei valori Secondo Hegel, lo Stato forma le coscienze dei cittadini nel contesto di quella che viene definita «sostanza etica». Questa dinamica sembra tradursi nella subordinazione dell’individuo allo Stato, con venature di totalitarismo confermate dai riferimenti del fascismo e del nazismo alla filosofia hegeliana. Ma lo Stato non può proporre valori?

Uno sguardo d’insieme L

a filosofia hegeliana parte dalla constatazione che la razionalità, evidente nel mondo, non può essere frutto del caso, ma deve derivare da un progetto, da un lógos preesistente, che Hegel definisce metaforicamente «dio prima della creazione del mondo». per questo motivo «tutto il reale è razionale» (in quanto sviluppo del lógos). tuttavia questa razionalità appare solo se consideriamo la realtà come un intero, cioè come un assoluto, perché ogni parte mostra la propria razionalità solo se se ne ripercorrono i molteplici processi che la ricollegano al tutto. per fare questo occorre cogliere la dinamicità del reale mediante la dialettica, che è al tempo stesso il modo di essere della realtà e il metodo filosofico mediante il quale la conosciamo. poste queste premesse, il sistema hegeliano si sviluppa in modo lineare in tre momenti: la logica, la natura, lo spirito. La prima è l’idea

in-sé, la razionalità che non è ancora diventata mondo. La natura è l’idea fuori-di-sé, l’Idea che si fa mondo, senza però che sia ancora sorta la dimensione della coscienza. Lo spirito infine è l’idea in-sé e per-sé, cioè l’Idea che diviene cosciente di sé, autocosciente, esprimendosi storicamente nel mondo umano, sia nelle istituzioni sia nel sapere. In questo sviluppo la coscienza individuale ha una collocazione particolare. essa deve passare dal pensiero comune a quello filosofico, raggiungendo la coscienza di sé, l’autocoscienza, fino a riconoscersi come parte di uno sviluppo più generale che è lo spirito. La coscienza raggiunge così una visione filosofica della realtà. Questo itinerario della coscienza è però al tempo stesso un momento dello sviluppo dello spirito, che anche attraverso la coscienza individuale diventa consapevole di sé.

audiomappa

razionale

l mondo è sviluppo di un processo • irazionale («tutto il reale è razionale»)

LA REALTÀ

è

si sviluppa in un processo diviso nei tre momenti

un intero

a realtà mostra la propria • lrazionalità solo se ogni parte è intesa come momento di un intero («il vero è l’intero»), quindi deve essere considerata come un Assoluto

secondo l’andamento della dinamica dialettica

realtà

Idea in-sé (LOGICA)

Idea fuori-di-sé (NATURA)

Idea in-sé e per-sé (SPIRITO)

odo di essere • mdella realtà m etodo con cui • conosciamo la

questo sviluppo è colto dalla coscienza individuale attraverso la fenomenologia dello Spirito

ipercorre il • rcammino dello Spirito per una visione filosofica della realtà

607

608

Il contesto storico-culturale L’Europa dopo il Congresso di Vienna Hegel vive tra il 1770 e il 1831, in un’epoca densa di avvenimenti che mutano il volto politico, ma anche culturale, dell’europa: la rivoluzione francese e la dominazione napoleonica, poi la restaurazione e il dominio della santa alleanza, incontrastato fino alla rivoluzione liberale in Francia nel 1830. Con la vittoria sulla Iv coalizione capeggiata dalla prussia, napoleone stabilisce dal 1806 la sua egemonia su tutti i territori della Germania, la cui geografia politica viene enormemente semplificata. al posto di centinaia di staterelli ora si trovano in territorio tedesco la Confederazione del reno, il regno di Westfalia e quello di prussia, che conserva la propria indipendenza anche se è tenuto a ospitare le truppe francesi fino al pagamento di una pesante indennità di guerra. Quindi proprio sotto la dominazione napoleonica la Germania sperimenta una prima forma di unificazione, per quanto non totale, che coinciderà con la nascita di una nuova coscienza nazionale. In seguito, il Congresso di vienna, nel disegnare la nuova carta dell’europa in funzione di contenimento della Francia, assegna alla prussia anche i territori occidentali fino al reno, rafforzandone così il ruolo nel mondo tedesco.

◀ Jacques Louis David, Napoleone attraversa il Passo del San Bernardo, 20 maggio 1800, 1801-02, olio su tela (Versailles, Castello di Versailles e Trianon).

nonostante il clima di restaurazione e il riconoscimento del principio di legittimità come fondamento dell’assetto politico, la germania postnapoleonica è caratterizzata dall’emergere delle esigenze di unificazione nazionale. La rivoluzione francese da un lato e il rafforzarsi del sentimento nazionale dall’altro costituiscono le coordinate storiche del pensiero hegeliano.

La rivoluzione industriale sul continente L’europa di questo periodo vede anche il diffondersi sul continente della rivoluzione industriale, che si era affermata in inghilterra già nel secolo precedente, in particolare nel settore tessile e nell’industria leggera. il decollo industriale della germania inizierà con l’industria pesante soltanto a partire dalla metà del secolo, grazie all’abbondante disponibilità di carbone e ferro. nei primi decenni dell’ottocento invece la germania resta sostanzialmente ai margini delle grandi trasformazioni economiche, che investiranno soprattutto la Francia. in germania la rivoluzione industriale tocca soltanto alcune grandi città, mentre le campagne sono ancora dominate dall’aristocrazia terriera degli Junker. Soltanto nel periodo successivo, dopo la morte di Hegel, la borghesia riuscirà a ottenere i primi risultati politici e in particolare, nel 1834, lo zollverein, cioè l’unificazione doganale, che farà di tutta la germania, ancora politicamente divisa, un’unica area commerciale. tuttavia un nuovo clima pervade il continente, pur esprimendosi in modi diversi nelle singole realtà nazionali. mentre in Francia si annuncia il positivismo, la filosofia per eccellenza della rivoluzione industriale, in germania domina l’idealismo, che può essere accomunato da un certo punto di vista al positivismo in quanto espressione della stessa fiducia nella possibilità da parte dell’uomo di comprendere e di dominare la natura. in italia si diffonde lo spiritualismo, che risente dell’influenza del pensiero di Kant e di Hegel.

1760

609

BERlino 9

fRanCofoRTE 4

1770 Hegel nasce a stoccarda nel Wüttemberg

jEna 5

6 BamBERGa 7 noRimBERGa 1 sToCCaRda

1780

hEidElBERG 8

TuBinGa 2

3 BERna

1788 studia allo stift di tubinga con schelling e Höldering

I LUOGHI DI HEGEL i luoghi della vita di Hegel scandiscono anche le diverse fasi del suo pensiero. Hegel nasce a stoccarda 1 e compie gli studi presso il collegio teologico di Tubinga 2 . dal 1793 al 1796 lavora come precettore prima a Berna 3 , poi a Francoforte 4 . Ai soggiorni in queste tre città, in particolare al cosiddetto «periodo bernese», risale la stesura delle sue opere giovanili, che verranno pubblicate soltanto nel 1907. dal 1801 insegna come libero docente a Jena 5 , dove si trova anche Schelling. Al «periodo di Jena», dal 1801 al 1807, risale soprattutto la stesura della Fenomenologia dello Spirito, pubblicata a Bamberga 6 , dove Hegel si stabilisce nel 1807. L’anno successivo insegna presso il ginnasio di Norimberga 7 , dove scrive la Scienza della logica e dove si trattiene sino al 1816, quando è nominato professore presso l’Università di heidelberg 8 . il «periodo di Heidelberg», che comprende gli anni dal 1816 al 1818, è quello in cui Hegel si dedica alla stesura dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche, un’esposizione sistematica del suo intero sistema filosofico. nel 1818 viene nominato professore presso la nuova Università di Berlino 9 e si trasferisce nella città prussiana. il «periodo berlinese» vede la stesura dei Lineamenti della filosofia del diritto, pubblicati nel 1821, ed è una fase caratterizzata da un’intensa attività didattica all’università, dove Hegel occupa sino alla sua morte la cattedra che era stata di Fichte.

1789 scoppia la rivoluzione in Francia 1793-96 Scritti teologici giovanili

1800 1801 a Jena ottiene l’abilitazione per l’insegnamento accademico

1806 napoleone sconfigge la prussia a Jena

1807 Fenomenologia dello Spirito

1812-16 Scienza della logica 1816 è nominato professore all’università di Heidelberg 1818 è nominato professore all’Università di Berlino

1820

1817 Enciclopedia delle scienze filosofiche 1821 Lineamenti della filosofia del diritto

1830 rivoluzione liberale in Francia

1831 mazzini fonda la «giovine italia» Hegel muore a Berlino

1840

1848 moti rivoluzionari in europa e fallimento del liberalismo tedesco

1860

610

• Sintesi • Mappa

1

La formazione filosofica e le opere giovanili

L’Assoluto e la realtà Nella formazione di hegel è centrale il rapporto con la filosofia di Fichte e soprattutto con quella di schelling, dal quale mutua la centralità del concetto di assoluto, pur ridefinendolo in senso immanentistico e dialettico. I punti di riferimento con cui si confronta il giovane Hegel sono Fichte e Schelling. Fichte è la prima grande figura dell’idealismo tedesco, colui che, partendo da Kant, ne aveva mostrato le contraddizioni arrivando a eliminare il noumeno e riconducendo l’intera realtà all’Io puro, che avrebbe contrapposto a sé un Non-Io, come natura da ricondurre nuovamente all’Io. Schelling aveva avuto il merito di riconoscere l’indipendenza della natura dall’Io, riconducendo entrambi all’Assoluto, un concetto che diventerà centrale nella filosofia di Hegel. Il concetto di Assoluto è il logico sviluppo della prospettiva monista e organicistica caratteristica del Romanticismo tedesco e dello stesso Schelling: la molteplicità dell’esistente ha senso solo riconducendola a un principio unitario e i singoli aspetti della realtà presuppongono questa totalità che li comprende così come l’organismo comprende e spiega i singoli organi. Questa totalità, che nella concezione di Schelling e del Romanticismo comprende sia la natura sia lo Spirito, è «assoluta», cioè libera da legami, da dipendenze da altro, perché comprende tutto e non ha quindi nulla fuori di sé: l’aggettivo viene sostantivato, diventa l’Assoluto e indica la totalità dell’esistente e delle ragioni che lo spiegano. In Schelling l’Assoluto è posto all’origine della realtà e produce la natura e lo Spirito. Hegel rivede radicalmente questa prospettiva, orientandola in senso immanentistico e dialettico: l’Assoluto non produce il reale ma è il reale, nella sua totalità e nella sua storia, sviluppandosi prima come natura, poi come Spirito. Una delle conseguenze principali di questa tesi, come vedremo ampiamente in seguito, è l’affermazione della razionalità del reale, purché lo si colga, appunto, nella sua totalità. Questa nuova prospettiva inizia a delinearsi già nei cosiddetti “scritti giovanili” ➝ 1 , centrati fino all’inizio del nuovo secolo sulla problematica religiosa. ◀ Prince Hoare, Acrobati, penna e inchiostro su carta (Collezione privata).

Materiali per l’apprendimento attivo

Hegel

una esposizione organica del proprio sistema, pubblicata nel 1817 con il titolo di Enciclopedia delle scienze filosofiche, ancora priva delle annotazioni che caratterizzeranno, come esemplificazioni ed approfondimenti, la seconda edizione, del 1827, ma già completa nelle linee essenziali, articolata nelle tre sezioni della logica, della Filosofia della natura e della Filosofia dello Spirito. Nel 1818 viene nominato professore presso l’università di Berlino, dove resterà fino alla morte, avvenuta nel 1831. Nel 1821 pubblica i Lineamenti della filosofia del diritto. Dopo la sua morte, gli allievi ordinano e pubblicano il materiale dei suoi corsi: le Lezioni sulla filosofia della storia, le Lezioni di filosofia della religione, l’Estetica e le Lezioni di storia della filosofia.

1. aPPrOFONDiMENTi > Per saperne di più

GLi sCriTTi GiOvaNiLi Gli scritti hegeliani degli anni che precedono il 1800 rimangono inediti fino all’inizio del novecento. vengono riscoperti nella Biblioteca di Stato di Berlino da Wilhelm dilthey (1833-1911), il massimo rappresentante dello storicismo tedesco, che aveva appena scritto la Vita del giovane Hegel (1905). egli incarica un suo allievo, hermann nohl (1879-1960), di curarne la pubblicazione. Nohl riordina e ricostruisce testi in realtà frammentari e li pubblica nel 1907 con il titolo di Scritti teologici giovanili. la pubblicazione degli scritti giovanili avvia, soprattutto in Francia, un ampio dibattito sulla formazione di hegel e del suo «sistema filosofico», superando la concezione fino ad allora prevalente che vedeva il sistema hegeliano come già definito e sostanzialmente stabile. Anche le opere maggiori, a partire dalla Fenomenologia dello Spirito, vengono rilette non come punti di arrivo, ma come tappe di un percorso non sempre lineare, di cui si cerca di ricostruire le problematiche e lo sviluppo. Ad esempio il filosofo francese Jean Wahl (18881974) muove proprio dagli scritti giovanili di Hegel per una lettura in chiave esistenzialista dell’insieme della sua opera, e in particolare della Fenomenologia dello Spirito. Gli scritti giovanili aprono anche altre linee interpretative. In essi si coglie una continuità con le idee romantiche, che contrasta con la decisa condanna del movimento contenuta nella Fenomenologia dello spirito (un esempio di questa continuità è la concezione del ruolo dell’amore nel processo di unificazione di finito e infinito). In queste opere l’attenzione di Hegel si sofferma sull’esistenza e in particolare sulle dinamiche e sulle contraddizioni (non ancora risolte dialetticamente) che la caratterizzano. A partire da questi scritti l’intera opera di Hegel è stata riconsiderata e, pur senza cambiamenti radicali nell’interpretazione complessiva, sono stati rivalutati aspetti che hanno consentito di tracciare un’immagine nuova e più completa della sua filosofia.

611 1 l A ForMA z IoN e F IloS oF IC A e l e oP e re G IovA NI l I

Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce il 27 agosto 1770 a Stoccarda, dove frequenta il Gymnasium. Nel 1788 entra nello Stift, il collegio teologico di tubinga, e qui stringe amicizia con Hölderlin e Schelling. Completato nel 1793 il ciclo di studi, Hegel è precettore a Berna fino al 1796, poi si trasferisce a Francoforte: gli scritti di questi anni verranno

pubblicati solo nel 1907 con il titolo di Scritti teologici giovanili. Nel 1799 muore il padre, lasciandogli una consistente eredità. Hegel abbandona allora il lavoro di precettore e, nel 1801, raggiunge Schelling a Jena, dove si abilita all’insegnamento accademico e conosce personalmente alcuni dei membri del circolo romantico, oltre a Schiller e a Goethe. Presso l’università di Jena Hegel resta, come libero docente, fino al 1807. lasciata Jena in seguito all’occupazione francese, Hegel si trasferisce a Bamberga, dove pubblica la Fenomenologia dello Spirito. Dal 1808 è preside e professore di propedeutica filosofica nel ginnasio di Norimberga. Qui pubblica la Scienza della logica (1812-16). Nel 1816 è nominato professore di filosofia all’università di Heidelberg dove pone mano a

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Le prime opere Gli scritti giovanili di hegel sono prevalentemente di argomento religioso. Egli sottolinea la funzione della religione come interiorizzazione di valori comuni, che fondano la religione popolare e costituiscono un momento dell’identità comune. Nel saggio lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1798) interpreta la religiosità ebraica come scissione dell’uomo dalla natura e da se stesso, indicandone il superamento, mediante il messaggio dell’amore, nel cristianesimo. I primi scritti fanno riferimento a Kant e identificano la religione con la moralità, ma ben presto se ne distaccano, mostrando già alcuni dei tratti principali del pensiero hegeliano.

La Religione popolare Nello scritto su Religione popolare e cristianesimo (1792-93) Hegel distingue tra religione oggettiva e religione soggettiva: la prima indica riti e dogmi istituzionalizzati, la seconda fa riferimento alla moralità in cui essa si traduce nella coscienza individuale. L’interiorizzazione, la trasformazione della religione in moralità, deve essere favorita dallo Stato, in modo che si traduca in religione popolare ➝ 2 e in una dimensione collettiva della morale. Hegel è critico verso il cristianesimo storico, perché ha accentuato l’elemento di trascendenza; viceversa, quando viene compreso veramente, esso consente all’uomo di riappropriarsi, mediante la religione, di se stesso. Nel primo caso, la religione è strumento di dominio, nel secondo diventa espressione della virtù civica, di moralità condivisa.

La vita di Gesù Gli scritti raccolti sotto questo titolo sono considerati i più kantiani tra quelli giovanili: l’interpretazione autentica dell’insegnamento di Cristo si traduce in una moralità razionale e si esaurisce in essa, come dimostra ad esempio l’interpretazione hegeliana del discorso che Cristo pronuncia durante l’ultima cena: «L’amore per te mi ha procurato degli amici che hanno imparato a conoscere che io non ho voluto imporre agli uomini niente di estraneo e di arbitrario, bensì che è la tua legge che io ho insegnato loro, la quale abita silenziosa, anche se misconosciuta dagli uomini, nel petto di tutti» (La vita di Gesù, in Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1989, pp. 197-98).

La positività della religione cristiana Hegel definisce «positiva» la religione istituzionalizzata, quella già definita «oggettiva», cioè una forma religiosa che condanna come dogmatica, trascendente, in cui l’individuo è separato dalla divinità: si tratta però, sottolinea Hegel, della scissione dell’uomo da se stesso, dalla sua dimensione universale come Spirito. Il cristianesimo viene interpretato da Hegel proprio come il superamento di questa scissione, mediante il Figlio che, diventando uomo, riconcilia l’uomo stesso con la propria dimensione universale.

Lo spirito del cristianesimo La scissione e la riconciliazione di individualità e universalità è al centro dell’opera Lo spirito del cristianesimo e il suo destino. L’Antico Testamento racconta la scissione, simboleggiata dal diluvio, che non è soltanto separazione da Dio, ma anche dalla natura, compresa la propria stessa natura, cioè gli istinti, i sentimenti, tutto ciò che è distinto dalla ragione. Nello stesso tempo, la separazione da Dio proietta nella trascendenza i valori più profondi dell’uomo, determinando l’alienazione da se stesso, la scissione anche rispetto alle proprie istanze morali. Si delinea l’andamento dialettico che caratterizzerà l’intera filosofia di Hegel: l’uomo, alienandosi, si nega, si separa da sé; la riconciliazione con se stesso e con l’universale avvie-

Materiali per l’apprendimento attivo 2. COMPETENZE > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

3. COMPETENZE > La filosofia e il presente

aMarE GLi aLTri E aMarE iL PrOssiMO In uno dei passaggi centrali dell’opera Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, prima di riflettere sui diversi momenti dell’ultima cena, Hegel commenta il nuovo comandamento dato da Cristo: «ama il prossimo tuo come te stesso».

T1 hegel Ama il prossimo tuo

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Gesù esige che l’amore sia l’anima dei suoi discepoli: «Un nuovo comando io vi do: amatevi l’un l’altro. In ciò si conoscerà che siete miei discepoli». La filantropia, l’amore che si deve estendere a tutti, anche a coloro di cui niente si sa, che non si conoscono, con cui non si è in nessuna relazione, questo amore universale è un’insipida ma caratteristica trovata di tempi che non possono esimersi dall’avanzare esigenze ideali, virtù rivolte ad un oggetto pensato, per apparire ben magnifici in tali oggetti pensati dal momento che la loro realtà è così povera. L’amore per il prossimo è invece amore per gli uomini con cui ognuno di noi è in rapporto così come ognuno di loro è in rapporto con noi. Un pensato non può essere amato. (G. W. F. Hegel, Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, in Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1989, pp. 429-30)

l’amore per l’umanità, in cui a volte è tradotto il comandamento di Cristo, è “un pensato”, un ideale astratto. È invece coinvolgente l’amore per il prossimo, per chi ci sta accanto, amico od ostile che sia, perché in questo caso dobbiamo fare delle scelte, prendere decisioni, assumere comportamenti in un senso o in un altro. È facile amare l’umanità, ma costa poco. Amare il proprio rivale, o chi ci ha danneggiato, o chi ci è ostile, è un’altra cosa. Che ne pensi di queste osservazioni? Hegel ha ragione nell’interpretare il messaggio cristiano in questo senso? e se sì, ti sembra giusto oppure è una forzatura? Nella tua esperienza personale, quali interpretazioni del comandamento di Cristo ti sono state proposte?

ne mediante l’amore, il comandamento unico lasciato da Cristo in sostituzione dell’antica Legge che si presentava come esterna all’uomo ➝ 3 . L’amore costituisce dunque, in questa fase definita «romantica» del pensiero hegeliano (1797-1800), il momento del ricongiungimento con l’Assoluto. Questa fase trova il proprio coronamento nel Frammento sull’amore. Nell’amore, due esseri inizialmente separati ricostituiscono un’unità, di cui ognuno è cosciente grazie al riconoscimento dell’altro. Sentimento e fisicità contribuiscono con la ragione a creare, dall’io e dal tu, una nuova realtà, il noi, rappresentato dall’embrione e dalla nuova vita in cui le due unità originarie non sono più separabili.

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rELiGiONE POPOLarE Negli scritti giovanili, Hegel distingue tra religione oggettiva, l’insieme dei dogmi e dei riti ufficiali, e religione soggettiva. La seconda è la religione interiorizzata e divenuta coscienza. In questo secondo senso, essa costituisce una moralità comune, condivisa, diventando religione popolare, che si traduce in valori comuni e in virtù civica. In questa prospettiva, già in questi primi scritti, lo Stato non è visto, come nella tradizione liberale, come un patto a fini utilitaristici, per gestire gli interessi comuni, ma come una comunità animata da una consonanza tra le coscienze e da una unità profonda.

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Fichte, Schelling e il Romanticismo

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La critica di Hegel è rivolta soprattutto a Fichte e a schelling. al primo rimprovera di aver teorizzato un «cattivo infinito», perché nella sua filosofia l’opposizione fra io e non-io non è mai interamente superata, ma allontanata all’infinito; al secondo contesta la concezione di assoluto in quanto identità indifferenziata di soggetto e oggetto, in cui non viene riconosciuta la dialetticità del reale. Come abbiamo visto dal Frammento sull’amore ➝ 4 , Hegel si pone per alcuni aspetti in continuità con il Romanticismo, che per altri critica aspramente. Allo stesso modo, si inserisce nel solco dell’idealismo di Fichte e di Schelling, distinguendosi però nettamente dal loro pensiero. Nel 1801 Hegel, appena trasferitosi a Jena su invito di Schelling, scrive un ampio saggio, Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling, in cui inizia un confronto con le filosofie contemporanee che proseguirà nella Prefazione della Fenomenologia dello Spirito. Hegel accomuna le filosofie di Kant e di Fichte come «filosofie della riflessione», che muovono dalla separazione tra soggetto e oggetto per ristabilire poi un’unità mediante la «riflessione», come fa Kant nella Critica del giudizio mediante il «giudizio riflettente». In realtà, come sostiene Schelling, soggetto e oggetto, uomo e natura, costituiscono una unità originaria, dalla quale occorre partire per una filosofia non dualistica, come quelle di Fichte e di Kant. Il dualismo crea problemi che nessuna “riflessione” può superare: lo dimostra il pensiero di Fichte, in cui tale ricomposizione è sempre tendenziale e mai effettiva, perché il Non-Io non può mai essere superato o recuperato completamente, dando così luogo a quello che Hegel definisce un «cattivo infinito». Nel saggio del 1801, Hegel pone al centro, come negli scritti giovanili, la necessità di superare la scissione tra individualità e universalità rivisitando criticamente la distinzione kantiana tra intelletto e ragione. Diversamente da quanto sosteneva Kant, l’intelletto cristallizza la realtà, dandocene una conoscenza frammentaria, limitata al particolare, senza possibilità di comprendere la totalità, identificata con il noumeno. Al contrario, per Hegel la ragione può andare oltre la particolarità per superare la scissione e attingere alla totalità, a partire dalla quale ogni aspetto circoscritto acquista senso, come gli organi rispetto all’organismo di cui fanno parte. In questo senso, la strada da percorrere è quella indicata da Schelling, che parte dall’unità, dall’Assoluto. La filosofia di Schelling è però criticata nella Prefazione della Fenomenologia dello Spirito perché in essa l’Assoluto è concepito come un tutto indifferenziato, come, scrive Hegel, «la notte nella quale, come si suol dire, tutte le vacche sono nere», eliminando fin dall’inizio le opposizioni invece di mostrare che proprio la comprensione della dinamica tra gli opposti è fondamentale per la conoscenza non ingenua dell’Assoluto. Nella Premessa ricordata, Hegel fa i conti anche con il Romanticismo, colpevole ai suoi occhi di voler afferrare l’Assoluto mediante un’intuizione immediata anziché attraverso «la fatica del concetto» (Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, 2 voll., vol. I, , p. 48). L’Assoluto non può essere intuito, ma occorre coglierne lo sviluppo nell’esistente, ricostruendone pazientemente il cammino che esso stesso ha percorso nella storia del mondo e in quella degli uomini per rivelarsi compiutamente. È la prospettiva proposta nella Fenomenologia dello Spirito. Guida allo sTudio • Qual è la differenza tra religione soggettiva

• perché Hegel definisce quello di Fichte un

e oggettiva? Che ruolo ha lo Stato nella traduzione della religione in morale? • Qual è il rapporto tra religione e morale?

• Qual è il limite principale dell’idealismo di

«cattivo infinito»? Schelling?

Materiali per l’apprendimento attivo 4. La paroLa ai testi

La riunificazione con l’infinito non può essere conseguita né con l’intelletto né con la ragione, perché il primo cristallizza la molteplicità (conosce il mondo come un insieme di realtà indipendenti e separate) e la seconda separa il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. L’unificazione può essere invece raggiunta mediante l’amore, che è identificazione, compenetrazione, unione tra le cose e del soggetto con l’oggetto. L’unione degli amanti, che produce una nuova vita, è la rappresentazione metaforica dell’incontro tra finito e infinito, tra il singolo e l’Assoluto.

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Unificazione vera, amore vero e proprio, ha luogo solo fra viventi che sono eguali in potenza, e che, quindi, sono viventi l’uno per l’altro nel modo più completo, e per nessun lato l’uno è morto rispetto all’altro. L’amore esclude ogni opposizione; esso non è intelletto, le cui relazioni lasciano sempre il molteplice come molteplice, e la cui stessa unità sono delle opposizioni; esso non è ragione che oppone assolutamente al determinato il suo determinare; non è nulla di limitante, nulla di limitato, nulla di finito; l’amore è un sentimento, ma non un sentimento singolo: dal sentimento singolo, poiché è solo vita parziale e non vita intera, la vita si spinge fino a sciogliersi e a disperdersi nella molteplicità dei sentimenti per trovare se stessa in questo tutto della molteplicità. Nell’amore questo tutto non è contenuto come somma di parti particolari, di molti separati; nell’amore si trova la vita stessa come una duplicazione di se stessa, e come sua unità; partendo dall’unità non sviluppata, la vita ha percorso nella sua formazione il ciclo che conduce a una unità completa. Di contro all’unità non sviluppata stavano la possibilità della separazione e il mondo; durante lo sviluppo la riflessione produceva sempre più opposizioni, che venivano unificate nell’impulso soddisfatto, fin che la riflessione oppone all’uomo il suo stesso tutto; l’amore infine, distruggendo completamente l’oggettività, toglie la riflessione, sottrae all’opposto ogni carattere di estraneità, e la vita trova se stessa senza ulteriore difetto. Nell’amore rimane ancora il separato, ma non più come separato, bensì come unito; e il vivente sente il vivente. [...] [L’amore] è un prendere e dare reciproco; nel timore che i suoi doni possano essere sdegnati, nel timore che un opposto possa non cedere al suo prendere, vuol vedere se la speranza non lo ha ingannato, se trova in ogni modo se stesso. Colui che prende non si trova con ciò più ricco dell’altro: si arricchisce, certo, ma altrettanto fa l’altro; parimenti quello che dà, non diviene più povero: nel dare all’altro egli ha anzi altrettanto accresciuto i propri tesori. Giulietta nel Romeo e Giulietta: “Più ti do, tanto più io ho, ecc.”. L’amore acquista questa ricchezza di vita nello scambiare tutti i pensieri, tutte le molteplicità dell’anima, poiché cerca infinite differenze e trova infinite unificazioni, si indirizza all’intera molteplicità della natura per bere amore da ognuna delle sue vite. Quel che c’è di più proprio si unifica nel contatto e nelle carezze degli amanti, fino a perdere la coscienza, fino al toglimento di ogni differenza: quel che è mortale ha deposto il carattere della separabilità, ed è spuntato un embrione di immortalità, un embrione di ciò che da sé eternamente sviluppa e produce, un vivente. L’unificato non si separa più, la divinità ha operato, ha creato. (G. W. F. Hegel, Appendice X, L’amore, in Scritti teologici giovanili, Guida, Napoli 1989, pp. 558-60)

Guida alla lettura. Nel rapporto d’amore si supera l’individualità, la contrapposizione tra sé e l’altro, per costituire l’unità, il noi. Qui si prefigura una dinamica che verrà chiarita meglio nella Fenomenologia: nell’amore, l’individuo ritrova nell’altro i propri sentimenti, vede se stesso proiettato nell’altro e prende coscienza di sé, prima ancora di riconoscersi come unità con l’altro.

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T2 Hegel L’amore come unificazione di finito e infinito

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• Sintesi

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I capisaldi della filosofia hegeliana

Una premessa La fenomenologia dello Spirito ricostruisce le manifestazioni storiche dello spirito ritrovandole all’interno della coscienza, riscoprendosi parte dello spirito. al tempo stesso lo spirito, mediante questo processo della coscienza, acquista consapevolezza di sé. Possiamo riassumere la Fenomenologia dello Spirito ➝ 5 con la frase: ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito ➝ 6 . In essa confluiscono due diverse prospettive: il cammino dello Spirito e la coscienza che lo ripercorre e lo scopre dentro di sé ➝ 7 . Vediamo separatamente questi due punti, per analizzarne poi la sintesi in questa importante opera. Hegel muove dal presupposto che la realtà è razionale e che tale razionalità complessiva non può dipendere dal caso. Essa deve essere perciò la manifestazione nel reale di una razionalità originaria che poi diventa realtà. Per capire meglio, possiamo immaginare la razionalità originaria come il pensiero di Dio prima della creazione del mondo: il mondo è già disegnato nella sua struttura razionale nella mente di Dio, per poi diventare realtà oggettiva mediante la creazione. Per Hegel il processo però è diverso: non è Dio che crea, ma il pensiero razionale, che egli chiama «Idea», che diventa mondo. Possiamo far riferimento all’incipit del Vangelo secondo Giovanni: «… e il verbo si è fatto carne e abitò tra noi». Ancora una volta però il processo è immanente: il verbo (il lógos, la ragione) non si incarna in Cristo, ma nel mondo stesso. L’Idea dunque diventa mondo. Inizialmente si fa natura, dove non esiste nessuna coscienza di sé, ma dalla natura nasce l’uomo, attraverso cui la coscienza emerge gradualmente, fino a incarnarsi nella storia, nelle istituzioni umane, nella famiglia, nella società, nello Stato: queste formazioni dove la razionalità si coniuga con la coscienza di sé sono manifestazioni dello Spirito. Hegel le definisce «Spirito oggettivo», perché lo Spirito si fa realtà storica, che può essere analizzata e studiata in sé. Lo Spirito, che è l’Idea cosciente di sé, diventa mondo umano, diventa storia, istituzioni e alla fine diventa consapevolezza e studio dell’intera realtà spirituale, cioè sapere di sé, ciò che Hegel chiama «Spirito assoluto», cioè Spirito che conosce se stesso e il proprio sviluppo storico. Lo Spirito assoluto si esprime quindi nel sapere relativo all’Assoluto, cioè l’arte, la religione e la filosofia. Tutto questo complesso sviluppo costituisce il sistema hegeliano, che vedremo poi in dettaglio. Nella Fenomenologia, la storia dello Spirito viene ripercorsa dalla coscienza individuale. Ognuno di noi, sostiene Hegel (ed è una delle sue tesi più interessanti) è parte dello Spirito e quindi conserva in sé le tracce di tutta la storia dell’umanità e del sapere umano. Di solito, però, non siamo consapevoli di questi contenuti della nostra coscienza. In ogni epoca

Materiali per l’apprendimento attivo 5. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

6. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

spirito Deriva dal latino spiritus, “soffio”, e indica per Hegel il fondamento della razionalità cosciente del reale. Propriamente, egli articola il suo sistema in tre momenti: Idea, natura, Spirito. Mentre il primo rappresenta l’Idea in-sé, cioè la razionalità non ancora dispiegata, e il secondo l’Idea fuori-di-sé, quindi oggettivatasi nel mondo, lo Spirito è l’Idea in-sé e per-sé, cioè la razionalità che diviene cosciente di se stessa, mediante il processo storico. Questa autocoscienza si realizza nell’uomo (inteso ovviamente come umanità nel suo insieme) e quindi la filosofia dello spirito analizzerà lo sviluppo storico, quello delle istituzioni e quello del sapere. L’umanità, però, rappresenta per Hegel l’incarnazione di una razionalità preesistente, che diventa mondo e poi, dall’interno del mondo, si autoriconosce come Spirito attraverso un lungo processo storico. La fenomenologia dello Spirito è la ricostruzione della storia della coscienza, cioè dei diversi momenti (o delle diverse “figure”) mediante cui lo Spirito si definisce nella storia, formando al tempo stesso le coscienze individuali. Questa compenetrazione dello sviluppo dell’universale e delle coscienze individuali viene espressa nella definizione di Spirito contenuta nella Fenomenologia, «Io che è noi e noi che è io». 7. per capire MeGLio

cHe cos’è Lo spirito La definizione di “Spirito” della scheda precedente («Io che è noi e noi che è io») merita qualche approfondimento. Lo Spirito è consapevolezza della presenza in ogni individuo dell’intera storia dell’umanità (noi che è io), ed è al tempo stesso identità collettiva, che si costituisce come una individualità universale, come «unità di autocoscienze diverse», ognuna delle quali continua comunque ad esistere di per sé (Io che è noi). Esemplificando, e in parte banalizzando, la prospettiva hegeliana, si può dire che esistono concretamente soltanto i singoli individui: Paolo, Giovanni ecc. Ma Paolo e Giovanni, in quanto italiani, appartengono a una tradizione comune che hanno dentro di sé, che costituisce il loro vero essere. occorre superare la «variopinta parvenza» di individui estranei l’uno all’altro, senza però inventare astrazioni, come un’«anima di un popolo», trascendenti rispetto ai singoli individui. Lo Spirito è l’universale concreto, è in Paolo e in Giovanni come tradizione, come modo di pensare e di vedere il mondo, che costituisce la loro realtà profonda al di là dell’apparenza, ed è quindi presente effettivamente in loro. L’esempio a cui lo stesso Hegel ricorre è quello del linguaggio: possiamo prendere coscienza del linguaggio che usiamo, razionalizzarlo, studiarne la grammatica e la sintassi; è una realtà spirituale, che in un certo senso sussiste di per sé, ma ha la sua esistenza effettiva soltanto nei parlanti. esiste un sapere implicito, proprio del senso comune, che consideriamo ovvio. Ma in altre epoche, esso è stato oggetto di ricerca e conoscenza. Basti pensare alla matematica: teoremi ed assiomi, regole del calcolo e proprietà dei numeri, definiti nel corso dei secoli con ricerche

2 I c A P ISA L D I D E L L A F ILoS oF IA HEG E L IA n A

FenoMenoLoGia Il termine significa letteralmente «studio dei fenomeni, delle apparenze» e viene coniato con questo significato nel Settecento, come studio dell’apparenza per individuare le cause del carattere illusorio della conoscenza sensoriale. Hegel usa il termine in un significato più ampio, come ricostruzione delle manifestazioni storiche dello spirito da parte della coscienza, per diventare cosciente di sé e di essere essa stessa parte di questo processo. La Fenomenologia dello spirito costituisce quindi una propedeutica filosofica, un cammino della coscienza per acquisire una prospettiva filosofica sulla realtà, cogliendone la dimensione ideale e spirituale.

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impegnative e innovative, costituiscono ormai parte del sapere elementare di ognuno, parte del senso comune. Nel sapere della coscienza comune è presente, in modo inconscio, l’intero sviluppo della conoscenza umana, e attraverso l’analisi della propria coscienza ognuno può diventare consapevole di questo patrimonio implicito e riconoscersi parte del processo universale che lo ha prodotto, acquisendo così un’ottica filosofica nel guardare la realtà.

Uno sguardo filosofico sulla realtà La fenomenologia guida verso una consapevolezza della propria dimensione spirituale e verso uno sguardo filosofico sulla realtà. in essa troviamo esposti i concetti chiave per comprendere la filosofia hegeliana. Due aspetti centrali del sistema hegeliano sono: la razionalità del reale, in quanto sviluppo dell’Idea, e la storia dello Spirito, che il singolo individuo, essendone parte, deve ritrovare dentro di sé, per raggiungere un’ottica filosofica. La Fenomenologia è intesa infatti come propedeutica filosofica, come processo di formazione per acquisire un modo filosofico di guardare alla realtà e a sé stessi. Nella Fenomenologia dello Spirito troviamo già tutti i capisaldi del pensiero hegeliano ➝ 8 , che è importante enucleare per comprenderlo poi nelle sue molteplici articolazioni.

Razionalità, dialettica e verità del reale Tutto il reale è razionale Hegel afferma che «tutto ciò che è reale è razionale», intendendo però con «reale» non tutto ciò che esiste ma la struttura del reale, che va individuata superando la scorza dell’esistente. come abbiamo visto, il presupposto fondamentale della filosofia di Hegel è la razionalità del reale. per conoscere la razionalità del reale non è però sufficiente l’intelletto, ma è necessaria la ragione, mediante la dialettica. Nei Lineamenti della filosofia del diritto, Hegel enuncia la celebre tesi: «Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale» ➝ 9 . La analizzeremo meglio parlando di quell’opera. Soffermiamoci per adesso sulla seconda parte e sull’affermazione della razionalità del reale, presente fin dall’inizio nella filosofia hegeliana, dato che la realtà è sviluppo di una razionalità preesistente. Per evitare fraintendimenti, è opportuno però chiarire ciò che intende Hegel per «realtà». Essa non coincide con tutto ciò che esiste, di cui abbiamo esperienza (Realität), ma con la realtà effettiva, diversa da quella che ci appare individualmente (Wirklichkeit). Potremmo dire che la realtà così intesa è la struttura del reale, l’insieme degli aspetti che gli danno significato; in altri termini, gli aspetti senza i quali una determinata realtà non sarebbe quello che è e non gli aspetti contingenti, accidentali. La caduta dell’Impero romano è reale e razionale, i singoli individui che componevano la popolazione romana o quella dei popoli barbari, no. Per questo, la filosofia ha il compito di riconoscere la razionalità della propria epoca. «La filosofia – scrive Hegel – è il proprio tempo appreso nel pensiero» (Lineamenti di filosofia del diritto, p. 18). La filosofia viene paragonata da Hegel alla civetta, l’uccello di Minerva che spicca il volo al tramonto, quando il giorno è concluso. Allo stesso modo, essa interpreta un’epoca quando tutto si è già realizzato, spiegando che cosa è, non tratteggiando che cosa dovrebbe essere ➝ 10 . Riconoscere tale razionalità presuppone però una conoscenza non limitata al solo intelletto, ma basata sulla ragione. La distinzione tra intelletto e ragione è già presente nella Critica della ragion pura di Kant. L’intelletto conosce i fenomeni mediante le categorie e gli altri princìpi a priori, dando all’esperienza la dimensione dell’universale e della conoscenza scientifica. La ragione, invece, per Kant è l’intelletto nel momento in cui tenta di andare oltre

Materiali per l’apprendimento attivo

audiomappa

8. coMpetenZe > Mappa concettuale

tutto il reale è razionale IL REALE È SVILUPPO DELL’IDEA

conosciuto con la ragione non con l’intelletto

quindi

la dialettica è legge del pensiero e del reale

ne consegue che

il vero è l’intero

insufficienza del singolo essere

la sostanza è soggetto

dinamicità del reale

Segui la mappa concettuale nello studio del paragrafo e usala poi per il ripasso. 9. per capire MeGLio

raZionaLe e reaLe Per Hegel la realtà è lo sviluppo dell’idea e quindi si presenta come razionale in tutte le proprie manifestazioni. «razionale» significa anche necessario, cioè tale che non potrebbe non essere o essere diversamente. Però il fatto che tutta la realtà sia razionale non implica che lo sia tutto l’esistente. Hegel considera “realtà” quella che potremmo definire la struttura dell’esistente, cioè gli aspetti che lo caratterizzano e che ne fanno quello che è. l’esistente, invece, comprende anche tratti accidentali, irrilevanti, che il concetto deve superare per individuare sotto di essi il nucleo reale e razionale. 10. La paroLa ai testi

T3 Hegel La filosofia come la civetta Il compito della filosofia non è quello di delineare un dover essere del mondo, ma quello di descriverlo e di riconoscerne la razionalità. Infatti, la realtà stessa è la realizzazione dell’ideale e la filosofia lo coglie quando esso si è già realizzato nel mondo.

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Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come dev’essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo ▲ Verso di una moneta che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è tetradracma d’argento di bell’e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra, Atene con immagine della civetta, 480-20 a.C. (Lione, appunto, necessario: che, cioè, prima l’ideale appare di contro Museo di Belle Arti). al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, còlto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro, esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo. (G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 1979, Prefazione, I, p. 20)

l’esperienza possibile, per dare una risposta di senso alla realtà nel suo insieme, mediante le idee di io, di mondo e di Dio. Si tratta, come abbiamo visto, di un tentativo di avventurarci nell’oceano del noumeno, destinato però al naufragio.

2 I C A P ISA l D I D e l l A F IloS oF IA HeG e l IA N A

i capisaLdi deL pensiero HeGeLiano

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Per Hegel non esiste più il noumeno e quindi non c’è un limite alla conoscenza. Possiamo quindi conoscere tutto, purché ci poniamo nell’ottica giusta. Come abbiamo visto sopra, ogni particolarità è comprensibile soltanto riferendola alla totalità, all’Assoluto. Ma l’intelletto conosce ogni singola cosa come una individualità che si relaziona ad altre mediante il rapporto di causalità, restando però distinta da esse. Per Hegel dobbiamo andare oltre l’intelletto che cristallizza i singoli aspetti della realtà, per individuarne l’unità profonda che dà senso a ogni particolarità, come la conoscenza dell’organismo permette di comprendere la funzione di ogni singolo organo. Questa conoscenza che congiunge il particolare con l’universale e consente, anzi impone, di andare oltre i limiti dell’intelletto, è la ragione, che è dialettica ➝ 11 e coglie la natura dinamica della realtà.

La dialettica La realtà è dialettica, perché solo mediante la negazione della propria determinatezza ogni particolarità si ricongiunge con il tutto e, reciprocamente, deve essere dialettico anche il metodo con cui conosciamo la realtà. Per capire la nuova ottica di Hegel, soffermiamoci su un esempio da lui stesso proposto ➝ 12 . Il bocciolo, il fiore e il frutto sono realtà distinte, molto diverse l’una dall’altra. Però sono tutti momenti dello sviluppo della pianta: comprendiamo ognuno di questi momenti solo se lo collochiamo nella totalità cui appartiene e comprendiamo tale totalità solo se ne ripercorriamo il processo attraverso i diversi momenti. Si tratta di una nuova logica, diversa da quella aristotelica, la dialettica, di cui Hegel parla in modo approfondito nell’opera La scienza della logica [➤ p. 634]. Anche lo sviluppo dell’Assoluto, e quindi quello della realtà, segue però per Hegel la stessa dinamica, come dimostra l’esempio della pianta. Tutta la realtà è dialettica, sia nel mondo naturale sia anche e soprattutto in quello storico. Lo sviluppo dialettico si articola in tre momenti, corrispondenti a quelli fichtiani di tesi, antitesi e sintesi, anche se chiamati con nomi diversi che ne segnano anche differenze di altro tipo, come vedremo. Il motore della trasformazione dialettica è il momento negativo, che introduce una contraddizione nel reale; questa contraddizione svolge però un ruolo importante, perché fluidifica ciò che l’intelletto conosce come statico, consentendo di passare da un momento all’altro fino a stabilire la connessione di tutte le cose nella totalità, nell’Assoluto. Si tratta di un modo nuovo di concepire la realtà e la filosofia, con la ridefinizione di tutti i concetti tradizionali, a partire da quello di sostanza.

▶ Pierre Joseph Redoute, Pianta di arancio amaro con fiore, da un’edizione del xix secolo del Trattato di alberi e di arbusti di Henry Louis Duhamel du Monceau (Milano, Museo Civico di Storia Naturale).

Materiali per l’apprendimento attivo 11. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

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12. La paroLa ai testi

T4 Hegel Un esempio della dialettica Il boccio, come il fiore e il seme, non ha in sé la propria verità e la propria ragion d’essere. La verità è l’intero processo, la pianta, articolata nei momenti ricordati.

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Il boccio dispare nella fioritura, e si potrebbe dire che quello vien confutato da questa; similmente, all’apparire del frutto, il fiore vien dichiarato una falsa esistenza della pianta, e il frutto subentra al posto del fiore come sua verità. Tali forme non solo si distinguono, ma ciascuna di esse dilegua anche sotto la spinta dell’altra, perché esse sono reciprocamente incompatibili. Ma in pari tempo la loro fluida natura ne fa momenti dell’unità organica, nella quale esse non solo non si respingono, ma sono anzi necessarie l’una non meno dell’altra; e questa eguale necessità costituisce ora la vita dell’intiero. (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, 2 voll., vol. I, p. 2)

Guida alla lettura. la dialettica ridefinisce sia l’ontologia sia la logica, cioè riguarda da un lato la realtà, dall’altro il modo di conoscerla. Per il primo aspetto, afferma che la realtà è processuale, cioè ogni elemento interagisce con gli altri e dunque la realtà non è fatta di “cose”, ma di processi. In altre parole, il fiore è proprio il diventare frutto e poi questo seme ecc. Sul piano logico, anche i nostri concetti devono essere fluidi, dialettici, appunto, senza fermarci alla conoscenza di un singolo momento. Banalmente, faremo riferimento al concetto di «pianta», articolato in momenti che devono essere compresi nella loro totalità.

2 I C A P ISA l D I D e l l A F IloS oF IA HeG e l IA N A

diaLettica termine già usato da Kant e da Fichte, diventa centrale nella filosofia di Hegel. Già Kant lega la conoscenza all’intelletto e la dialettica alla ragione. essa è però intesa in senso negativo, infatti nella Dialettica trascendentale Kant prende in esame la pretesa della ragione di andare oltre i limiti dell’esperienza, producendo una falsa conoscenza nel tentativo di comprendere la totalità dei fenomeni interiori (io), di quelli esterni (mondo) e la totalità assoluta (Dio). eliminando il noumeno, come fa l’idealismo, la prospettiva cambia completamente perché tutta la realtà diventa conoscibile, derivando, anche se mediante un processo inconscio (immaginazione produttiva), dal soggetto conoscente. la dialettica assume quindi un’accezione positiva, divenendo la dinamica triadica (tesi, antitesi, sintesi), che caratterizza la realtà e la conoscenza, intese entrambe come processo. Hegel riconosce a Fichte il merito di aver rivalutato la dialettica, ma lo critica perché nella sua accezione l’antitesi è soltanto un ostacolo per la tesi e non compare nella sintesi. Per Hegel, invece, l’antitesi è importante e contribuisce alla sintesi nella stessa misura della tesi. Proprio la tensione tra la tesi e l’antitesi determina la dinamicità della sintesi. Se consideriamo, ad esempio, la contrapposizione tra essere (tesi) e non-essere (antitesi), la sintesi è il divenire, che conserva in sé entrambi i termini, ma uniti in una realtà nuova. Per sottolineare il fatto che il momento negativo supera, ma al tempo stesso conserva e arricchisce quello positivo, Hegel usa il termine «aufhebung», che ha il duplice significato di “togliere” e “conservare”. Nel processo dialettico ogni momento è “superato” dal successivo, che non lo cancella, ma lo ripropone trasformato dall’unione con il momento precedente.

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La sostanza è soggetto nella concezione dialettica della realtà, la sostanza agisce, ed è quindi divenire e soltanto alla fine del proprio sviluppo si manifesta nella propria realtà. La pianta ad esempio è tale solo quando si è sviluppata come seme, come fiore, come frutto ecc. Il concetto di “sostanza” ➝ 13 è stato al centro della filosofia moderna: dal dualismo di Cartesio al monismo di Spinoza, dalla sostanza individuale di Leibniz alla critica dell’esistenza oggettiva della sostanza da parte di Locke e di Hume. Tradizionalmente, la sostanza è considerata il fondamento dell’identità delle cose, ciò che rimane immutato nel cambiamento e quindi qualcosa di statico, che conferisce continuità e conoscibilità al reale. Anche quando è stata messa in discussione, si è sentito comunque l’esigenza di ipotizzare un principio che conferisse stabilità al reale, fosse pure l’essenza nominale di Locke o le leggi associative di Hume. Kant considera la sostanza una categoria, che svolge comunque il ruolo di garantire la stabilità e la razionalità del mondo fenomenico. Hegel rovescia questa prospettiva, considerando la sostanza non la garanzia della stabilità contro il divenire, ma il principio stesso del divenire. La sostanza, egli afferma ➝ 14 , è soggetto, cioè agisce, diviene, è processualità e non staticità. Ne consegue che l’intera realtà è dinamica, è in movimento, e il movimento mette in relazione ogni singola cosa con la dimensione universale dell’Assoluto, attraverso un processo che la filosofia deve ricostruire.

Il vero è l’intero se la sostanza è soggetto e sviluppo, allora il vero è l’intero, non solo relativamente al singolo essere, ma anche al rapporto dell’essere con gli altri, fino alla relazione con l’assoluto, all’interno del quale ogni cosa, sia del mondo naturale sia di quello umano, acquista significato. Se la sostanza è processualità, allora la conosciamo soltanto ricostruendone l’intero processo. Quindi il vero non è uno dei momenti del suo sviluppo, ma la totalità dei momenti e dei movimenti successivi che la portano a negare la propria individualità in quanto tale. Il singolo nega la propria individualità nella famiglia, questa nella comunità, questa ancora nello Stato e così via. Per comprendere il singolo individuo (e come vedremo è una delle tesi più interessanti di Hegel) bisogna comprenderlo nel contesto delle relazioni che ha, nella società e nell’epoca in cui vive, e così via. Hegel afferma che «il vero è l’intero» e quindi la conoscenza di ogni realtà individuale presuppone la conoscenza di tutto il processo che lo rende quello che è. Anzi, come vedremo, dei processi, al plurale. Anche restando nell’ambito dell’esempio più banale (la pianta), se il vero del fiore e del frutto è la pianta, il vero di questa è d’altra parte la specie cui appartiene e in ultima analisi l’intero regno vegetale, anzi la natura nel suo insieme. Per il mondo storico e umano, come vedremo, la prospettiva è simile ma i processi che lo comprendono sono molto più ampi e complessi. Questa prospettiva conduce alla conclusione che soltanto l’Assoluto è il fondamento delle verità parziali e dei singoli momenti, perché soltanto conoscendo la totalità siamo in grado di spiegarli. Ma la totalità stessa è dinamica, è il risultato di un percorso che attraversa tutti i diversi momenti e il loro sviluppo. Ogni singolo individuo, quindi, è parte dello sviluppo dello Spirito, che è la totalità cosciente di sé. Ritorniamo così al contenuto specifico della Fenomenologia, nella quale, come abbiamo visto, sono però già presenti i presupposti fondamentali della filosofia hegeliana, che dovremo tenere sempre presenti per comprenderne la complessa articolazione.

Materiali per l’apprendimento attivo

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13. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

14. La paroLa ai testi

T5 Hegel La sostanza come soggetto Intendere la sostanza come soggetto significa sottolinearne la processualità e lo sviluppo. Essa non è più il fondamento dell’essere e della continuità, ma si identifica con il cambiamento, orientato però alla completa realizzazione di sé, al «divenir se stesso».

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La sostanza viva è bensì l’essere il quale è in verità Soggetto, o, ciò che è poi lo stesso, è l’essere che in verità è effettuale, ma soltanto in quanto la sostanza è il movimento del porre se stesso, o in quanto essa è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso. Come soggetto essa è la pura negatività semplice, ed è, proprio per ciò, la scissione del semplice in due parti, o la duplicazione opponente; questa, a sua volta, è la negazione di questa diversità indifferente e della sua opposizione; soltanto questa ricostituentesi eguaglianza o la riflessione entro l’esser-altro in se stesso, non un’unità originaria come tale, né un’unità immediata come tale, è il vero. Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha all’inizio la propria fine come proprio fine, e che solo mediante l’attuazione e la propria fine è effettuale. (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, 2 voll., vol. I, p. 14)

Guida alla lettura. Alcune espressioni del brano sono particolarmente dense e meritano una spiegazione. la sostanza è «il porre se stesso» perché l’essere non è ciò che è in quanto lo diviene, processualmente. l’uomo diviene tale crescendo, mediante una serie di tappe (infanzia, adolescenza ecc.) ognuna delle quali nega la precedente ma insieme realizzano la sostanza stessa. la sostanza non è uno dei momenti, ma la mediazione, il movimento stesso. essa è «la pura negatività semplice» perché è diver-altro-da-sé, come dice Hegel, il che implica il negarsi come identità originaria, lo scindersi, ma per riaffermarsi come identità mediata, come insieme dei momenti. Il vero è il divenir se stesso, cioè l’intero processo. l’unità, però, non deve essere «immediata» perché ogni momento deve essere analizzato, senza pretendere di cogliere la totalità in modo intuitivo. la dialettica è il metodo della ragione, non quello del sentimento o dell’intuizione esaltati dal pensiero romantico.

Guida allo sTudio • In che senso «tutto il reale è razionale»?

• Che cosa significa l’espressione «la sostanza

Quali conseguenze ha? • Qual è il significato generale della dialettica? È solo un metodo conoscitivo o qualcosa di più?

è soggetto»? • perché «il vero è l’intero»? Come viene inteso l’assoluto sulla base di questo principio? Quale rapporto si stabilisce tra l’assoluto e i diversi aspetti della realtà?

2 I C A P ISA l D I D e l l A F IloS oF IA HeG e l IA N A

sostanZa la logica dialettica di Hegel supera il principio di identità e quindi anche la nozione di “sostanza” come ciò che permane nel cambiamento. Non c’è nulla che resti costante nel processo dialettico, la realtà si trasforma producendo nuove realtà. la sostanza è definita da Hegel come «il porre se stesso», cioè il processo attraverso il quale la cosa diventa quello che è, cambiando: il seme diventa pianta, il bambino adulto, e così via. Per questo, la sostanza è definita come soggetto, come il punto di riferimento dell’azione, del cambiamento.

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• Sintesi

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Il viaggio della coscienza

La coscienza La coscienza ripercorre i momenti dello sviluppo dello spirito come qualcosa che è già compiuto e ormai è definito. Hegel definisce quindi questi momenti «figure». i momenti della fenomenologia, ognuno dei quali si articola in una triade di figure, sono la coscienza, l’autocoscienza e la ragione. Come dicevamo nel paragrafo iniziale, la Fenomenologia dello Spirito descrive il percorso dentro di sé del cammino dello Spirito. Essa è dunque un viaggio della coscienza attraverso le manifestazioni dello Spirito nella storia, per farle proprie, ed è, al tempo stesso, un percorso che la coscienza segue dentro di sé, per ritrovarvi queste determinazioni e avvertirsi come parte dello Spirito. Ma mentre lo sviluppo dello Spirito è avvenuto dialetticamente e in modo anche drammatico, la coscienza lo ripercorre come qualcosa di già avvenuto, ormai immodificabile, ritrovandone dentro di sé l’immagine già compiuta. I diversi momenti sono definiti perciò «figure», qualcosa cioè che ha ormai una fisionomia definita e definitiva: se l’Illuminismo è stato un processo dinamico, ricco di contraddizioni via via superate, con contrapposizioni anche accese e a volte drammatiche, quando lo ritroviamo dentro di noi, così come quando lo studiamo, è ormai compiuto. Ma ritrovandolo in noi, insieme agli altri momenti di sviluppo dello Spirito, ritroviamo in noi la dimensione universale dello Spirito ➝ 15 . Ogni volta che percorre questo itinerario, l’individuo si forma a un livello sempre più elevato: è dapprima coscienza, cioè consapevolezza del mondo come oggetto della conoscenza, poi autocoscienza, cioè consapevolezza di sé, infine ragione, cioè certezza che il principio della realtà è la sua stessa razionalità e che dunque egli è momento di una realtà più ampia che è l’Assoluto. Sono queste le tappe che anche lo Spirito ha percorso nella storia. Ogni volta il percorso si ripete, perché ogni volta è visto con occhi diversi, e ogni volta quindi la coscienza ripercorre la storia del pensiero, scoprendovi significati sempre più elevati. Vediamo le singole figure in dettaglio, soffermandoci su quelle più significative ➝ 16 . La figura della coscienza segna il raggiungimento da parte dell’uomo della consapevolezza di essere distinto dall’oggetto, dal mondo, quindi il momento in cui egli raggiunge la consapevolezza di sé come soggetto. Il primo momento è la coscienza, la conoscenza del mondo distinto dal soggetto. Essa è la scoperta dell’oggetto come oggetto della conoscenza, quindi distinto dal soggetto ma a esso relativo. Nella coscienza sensibile la sensazione si presenta come il dato immediato, del quale non possiamo dubitare, il qui e ora del rapporto con la cosa particolare. Il qui, l’ora e il questo

Materiali per l’apprendimento attivo

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15. per capire MeGLio

audiomappa

16. coMpetenZe > Mappa concettuale

La fenomenologia dello Spirito certezza sensibile COSCIENZA

percezione intelletto

indipendenza e dipendenza dell’autocoscienza: signoria e servitù AUTOCOSCIENZA

stoicismo

scetticismo libertà dell’autocoscienza coscienza infelice ragione osservativa

RAGIONE

il piacere e la necessità

ragione che agisce la legge del cuore e il delirio della presunzione

SPIRITO la virtù e il corso del mondo RELIGIONE

SAPERE ASSOLUTO

individualità reale in sé e per sé

il regno animale dello spirito la ragione legislatrice la ragione esaminatrice delle leggi

3 IL VIAG G Io D E L L A coS c IE n z A

La storia dentro di noi Al di là del difficile linguaggio idealistico che oggi ci sembra lontano dalla nostra sensibilità, l’analisi di Hegel è attuale ed è ripresa dalle scienze umane contemporanee, in particolare dall’antropologia culturale. Le varie tappe della storia dell’umanità si sedimentano nel senso comune. Ad esempio, nella lingua che usiamo quotidianamente troviamo termini di origine greca, latina, germanica e così via, fino ai più recenti neologismi di derivazione anglosassone. Il linguaggio dunque è una stratificazione di contributi storici che possiamo riconoscere in esso, prendendone coscienza. Allo stesso modo, nel pensiero comune ci sono nozioni (dalle «tabelline» al teorema di Pitagora), valori morali (il rispetto degli altri, la giustizia, la libertà ecc.) e così via che derivano dal passato che è dentro di noi: oggi probabilmente non li attribuiamo più al cammino dello “Spirito”, ma li riferiamo alla trasmissione culturale, al linguaggio e ad altre modalità di interiorizzazione. Se vuoi approfondire questo importante tema, leggi fin da ora il testo t17 («ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito»), con la Guida alla lettura e Discutere il testo.

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della cosa rimandano però a determinazioni generali che non dipendono dal singolo oggetto che è davanti a noi, ma piuttosto a concetti generali, propri del soggetto e non della cosa. L’attività del soggetto diviene evidente nella percezione, nella quale la cosa risulta come tensione dialettica tra l’unità e la molteplicità delle qualità sensoriali. Questo granello di sale, scrive Hegel, è uno, ma è bianco e anche sapido, e anche cubico ecc. L’unità delle sensazioni che, nel loro insieme, compongono la cosa, non è nella cosa stessa bensì nel soggetto che conosce. Egli prende allora coscienza di sé come intelletto che ordina la realtà. L’attività dell’intelletto rimanda alla consapevolezza che la conoscenza non è conoscenza delle cose, ma del soggetto stesso che le ordina, quindi apre al momento successivo, la coscienza di sé, l’autocoscienza.

L’autocoscienza e la ragione L’autocoscienza: signoria e servitù L’autocoscienza tratta alcune figure che avranno grande influenza sulla filosofia successiva, a iniziare da quella che segna l’inizio e la condizione dell’autocoscienza, la «signoria e servitù». per riconoscere se stessa, la coscienza si confronta con le altre, inizialmente in modo conflittuale. La coscienza che affronta la possibilità della morte diventa autocoscienza e quindi signore, chi rinuncia alla lotta diventa servo. Ma il servo, mediante il lavoro, raggiunge l’autocoscienza mentre il signore, rinunciando a confrontarsi con le cose nel lavoro, diventa servo. Dopo aver raggiunto l’indipendenza dalle cose, riconoscendosi come fondamento della conoscenza, la coscienza si confronta con l’altro. Inizialmente il rapporto si caratterizza come lotta finalizzata all’affermazione di sé. Nella lotta, l’autocoscienza che accetta il rischio del negativo, cioè della morte, si eleva su un piano superiore alla naturalità, all’istinto di conservazione, accettando il rischio dell’annientamento di sé. Proprio questo confronto con la possibilità di non essere più, il confronto con il negativo le consente di tornare a sé come autocoscienza, come signore, mentre la coscienza che ha preferito la conservazione della vita all’affermazione di sé diventa il servo, rinuncia all’autocoscienza in cambio della certezza dell’autoconservazione. Si stabilisce in questo modo il rapporto signoria-servitù che è insieme una figura storica, un momento dello sviluppo dello Spirito, e una tappa nella scoperta della presenza della storia dello Spirito nella coscienza individuale. Sul piano storico, questa figura corrisponde alla schiavitù antica o, secondo alcuni interpreti, al dispotismo orientale (Hegel non fa mai riferimenti storici espliciti, qui come in seguito si tratta di interpretazioni). All’interno di questa dinamica, il padrone usa il servo come uno strumento per soddisfare i propri bisogni. Ma in questo modo rinuncia al rapporto diretto con le cose, alla loro trasformazione, al lavoro. È il servo che lavora, che trasforma la natura coltivando i campi, che trasforma il grano in pane e il legname in mobili, che costruisce case e palazzi. Mediante il lavoro, il servo si oggettiva, proietta se stesso nelle cose che trasforma (alienazione), riconoscendo in questo modo se stesso [➤ T19] nel proprio lavoro. Si assiste allora al rovesciamento dialettico del rapporto signoria-servitù: il servo raggiunge l’autocoscienza divenendo signore, mentre il signore rinuncia all’autocoscienza, diventando servo ➝ 17 .

L’autocoscienza: stoicismo, scetticismo, coscienza infelice attraverso lo stoicismo e lo scetticismo, la coscienza riconosce la contraddittorietà dell’esistenza, che cerca di superare mediante la religione. Il rovesciamento dialettico è destinato ovviamente a riproporsi. La ciclicità indefinita di questa dinamica (il servo divenuto signore è con ciò stesso destinato a rinunciare alla mediazione della cosa e a diventare nuovamente servo) è interrotta dalla figura dello stoicismo, che rifiuta

Materiali per l’apprendimento attivo 17. coMpetenZe > Filosofia e cittadinanza

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La FunZione deL Lavoro Hegel dà molta importanza al lavoro, inteso come l’attività mediante cui l’uomo trasforma le cose (➤ t17). tramite il lavoro, l’uomo proietta se stesso nelle cose, alienandosi, cioè uscendo dalla propria soggettività. vedendo se stesso e le proprie capacità nell’oggetto, egli ne prende coscienza e diventa consapevole di sé, autocosciente. Marx riprenderà questa analisi, mostrando però come, se il lavoro è meccanico e ripetitivo come quello delle nascenti fabbriche, il processo di oggettivazione diventa negativo, l’individuo non si riconosce più nel proprio lavoro ma anzi si aliena in esso, smarrisce in esso la propria individualità. In positivo o in negativo, il lavoro è comunque fondamentale per la realizzazione o meno dell’individuo. Per questo, la nostra Costituzione gli riconosce una centralità già evidente nell’articolo 1, il quale afferma che la repubblica italiana è «fondata sul lavoro».

3 Il vIAG G Io D e l l A CoS C Ie N z A

Come viene giustificata questa importanza all’interno della Costituzione? Perché il lavoro è così centrale? leggi anche l’art. 4 e tutto il titolo III, “rapporti economici” e poi rispondi in modo argomentato alle domande. 18. La paroLa ai testi

T6 Hegel La coscienza infelice Nella figura della coscienza infelice, la divinità si pone come qualcosa di separato dal soggetto, come trascendente. Verso di essa l’individuo non manifesta l’esigenza della comprensione concettuale per ricondurla a sé, conciliandosi con essa, ma un sentimento vago, che si esprime come devozione. Resta così la scissione e la nostalgia dell’infinito che ne consegue. Pensatori materialisti che si richiameranno tuttavia a Hegel, come Feuerbach e Marx, rielaboreranno questa concezione parlando di alienazione religiosa: l’uomo proietta nella divinità i propri aspetti positivi, alienandoli da sé, rinunciando ad essi.

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Perciò in questo primo modo in cui noi la consideriamo come coscienza pura, essa non ha verso il suo oggetto un rapporto di pensiero, ma, — giacché essa stessa è bensì in sé pura singolarità pensante, e il suo oggetto è proprio questo puro pensare, ma puro pensare non è la relazione dell’una verso l’altro, — essa soltanto va, per così dire, verso il pensare ed è pensiero devoto o devozione. Il suo pensare, come devozione, resta un vago brusio di campane o una calda nebulosità, un pensare musicale che non arriva al concetto, che sarebbe l’unica e immanente guisa oggettiva. Anche a questo infinito, puro, intimo sentimento, sopravviene bensì un suo oggetto, ma questo, non annunciandosi come oggetto concettualmente concepito, si fa innanzi come un qualcosa di estraneo. Si presenta così l’interiore movimento del puro animo che sente bensì se stesso, ma si sente dolorosamente come scissione; movimento di una infinita nostalgia la quale ha la certezza di avere a propria essenza un siffatto puro animo, — puro pensare pensantesi come singolarità — da venir conosciuta e riconosciuta da quell’oggetto, proprio perché quell’oggetto stesso pensa sé come singolarità. Ma nello stesso tempo siffatta essenza è l’irraggiungibile al di là che sfugge, anzi è già sfuggito nell’atto in cui si tenta d’afferrarlo. (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, 2 voll., vol. I, p. 180)

questa conflittualità e la mette tra parentesi insieme con il mondo, rinunciando al mondo stesso. La rinuncia al mondo diviene negazione dello stesso con lo scetticismo. Anche in questo caso, però, si determina una contraddizione, perché il mondo può essere negato sul piano teoretico (negando cioè la possibilità di conoscerlo) ma non su quello pratico, poiché lo scettico deve comunque vivere e agire, operare delle scelte sulla base di criteri e di valori. Tale contraddizione produce lo sdoppiamento dell’autocoscienza, con la figura della coscienza infelice ➝ 18 ,

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corrispondente sul piano storico al cristianesimo medievale. La coscienza riconosce l’esistenza del positivo accanto al negativo, non però come parte di sé, ma proiettandolo in una entità perfetta e immutabile, e riferendo per contro a sé la negatività. La coscienza si avverte come infinitamente distante da Dio, nel quale riconosce però il significato stesso del mondo. Avverte quindi una nostalgia dell’infinito, unita alla consapevolezza che non potrà mai raggiungerlo. Anche in questa figura si ha una alienazione, una separazione di sé da se stesso, ma destinata, a differenza di quanto accade al servo, a non ricomporsi in un ritorno a sé, perché la realtà nella quale la coscienza si è alienata, la divinità, è posta come irraggiungibile.

La ragione La ragione è il tentativo della coscienza di imporre la propria moralità al mondo, tentativo destinato a naufragare, perché la moralità può farsi mondo soltanto come spirito, cioè realizzandosi nelle istituzioni e nella storia. La riconciliazione con sé avviene percorrendo un diverso itinerario, quello della ragione. Come abbiamo visto, Hegel rifiuta l’interpretazione kantiana e considera la ragione come il momento fondamentale della conoscenza, perché consente di andare oltre la particolarità per ricondurla alla totalità. La ragione è la comprensione delle mediazioni che uniscono l’individuale all’universale e, attraverso ciò, la scoperta della razionalità dell’esistente, fino alla consapevolezza che esso è, nei suoi aspetti sostanziali, la nostra stessa razionalità: essa, al termine del processo che ne scandisce lo sviluppo, è dunque, scrive Hegel, «la coscienza di essere ogni realtà». La ragione osservativa cerca la razionalità del mondo come legge naturale, ma, non potendo individuare leggi morali, non può cogliere la razionalità della coscienza stessa. L’autocoscienza cerca inizialmente la razionalità del mondo nelle cose, come legge naturale. Hegel si riferisce probabilmente alla rivoluzione scientifica, a Galilei e a Newton, ma anche alla scienza successiva che ha individuato leggi anche nel mondo organico, con lo sviluppo della biologia. Infine, la coscienza cerca una razionalità, cioè delle leggi, anche nella psiche umana, ma lo fa mediante quelle che Hegel considera pseudoscienze, la fisiognomica e la frenologia, che tentano rispettivamente di individuare le caratteristiche della psiche a partire dai tratti del volto e della forma del cranio. Più in generale, la ragione osservativa non può individuare nel mondo leggi morali e quindi non può cogliervi la razionalità della coscienza stessa. L’esteriorità della coscienza, in cui essa può osservare se stessa, non è il corpo, ma il comportamento, in cui si manifesta la moralità stessa. L’autocoscienza, non realizzando la propria esigenza morale nel mondo, tenta di modificare la realtà per adeguarla alla virtù (ragione che agisce). Non ritrovando nel mondo leggi morali, l’autocoscienza tenta di imporre la propria esigenza morale al mondo, agendo in esso per plasmarlo secondo la virtù. Inizialmente l’individuo tende ad appropriarsi delle cose, ricavandone il piacere che identifica con il bene del singolo individuo, ma si rende ben presto conto che il piacere maggiore è nel rapporto con un’altra autocoscienza, superando quindi la dimensione individuale; proietta allora la propria esigenza morale in una dimensione universale, mediante la legge del cuore, che cerca «il benessere dell’umanità» (Fenomenologia dello Spirito, vol. I, p. 308). Dato che l’autocoscienza non vede la propria esigenza morale realizzata nel mondo, tenta di cambiare la realtà, per adeguarla a quella virtù che dovrebbe coincidere con il corso del mondo. La figura «la virtù e il corso del mondo» rappresenta proprio questa istanza, da riferire probabilmente al giacobinismo francese. Il «cavaliere della virtù», come lo definisce Hegel, «impegna tutta la sua migliore gagliardia» (Ivi, p. 320) per realizzare la virtù nel mon-

Materiali per l’apprendimento attivo 19. coMpetenZe > argomentazioni

T7 Hegel L’obbligo di dire la verità

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«Ognuno ha il dovere di dire la verità». – In questo dovere enunciato come incondizionato viene subito ammessa la condizione: se egli sa la verità. Quindi il comando suonerà ora così: ognuno deve dire la verità, sempre a seconda della cognizione e della persuasione che egli ne ha. La sana ragione, cioè appunto questa coscienza etica la quale sa immediatamente che cosa è giusto e buono, spiegherà anche che tale condizione era già siffattamente legata con quella sua universale sentenza, ch’essa ragione ha inteso quel comando così. Ma in tal modo essa in effetto ammette anzi di avere immediatamente violato, già nell’enunciazione, quel comando; ha detto: ognuno deve dire la verità; ma intendeva che dovesse dirla a seconda della cognizione e della persuasione che ne aveva; cioè parlava diversamente da quello che intendeva; e parlare diversamente da quello che si intende, significa non dire la verità. Ora la non verità e l’imperizia, corrette che siano, si esprimono così: ognuno dovrebbe dire la verità, a seconda della cognizione e persuasione ch’egli a volta a volta ne ha. – Ma così l’universalmente necessario, il valevole in sé, che la proposizione voleva esprimere, si è piuttosto invertito in una completa accidentalità. (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, 2 voll., vol. I, p. 350)

ricostruiamo l’argomentazione di Hegel: la tesi è: «ognuno ha il dovere di dire la verità» però dobbiamo aggiungere: a seconda della convinzione che ha di essa ma in questo modo il significato della tesi cambia radicalmente perché la tesi pretendeva all’universalità invece si è mostrata come accidentale e particolare. do, nella convinzione che la virtù sia destinata necessariamente a trionfare. Ma in questo modo lotta, in modo donchisciottesco, per qualcosa che si realizzerebbe comunque. L’autocoscienza, vedendo comunque irrisolta la conflittualità tra sé e la realtà, cerca di farsi principio essa stessa di una legislazione universale (ragione legislatrice): ma non riesce a sfuggire all’orizzonte della particolarità, sino a quando non emerge in lei con chiarezza che la morale razionale si realizza solo nella concretezza storica delle istituzioni sociali (quindi come legge comune e non particolare). Divenuta consapevole, nello scontro irrisolto tra se stessa e il mondo, dei limiti di tale conflittualità, l’autocoscienza cerca di superarla facendosi principio di una legislazione universale (La ragione legislatrice), secondo la prospettiva indicata da Kant. Anche questo tentativo è destinato a concludersi con un naufragio, in quanto la coscienza non può, individualmente, uscire da sé, e le presunte leggi universali resteranno inevitabilmente inscritte nell’orizzonte della particolarità. Ad esempio, un principio quale «bisogna dire sempre la verità» risulta relativo a ciò che ognuno intende per «verità», ricadendo perciò nel particolare ➝ 19 . La coscienza esce da questa contraddizione quando emerge in lei la nozione di Spirito, cioè la consapevolezza che la legge morale razionale si realizza nella concretezza storica, non però in ambito individuale, ma come legge comune, come istituzioni sociali, come Stato.

3 Il vIAG G Io D e l l A CoS C Ie N z A

La contraddittorietà deLLa LeGGe MoraLe Il riferimento implicito di Hegel è Kant e la sua pretesa di fondare l’universalità della morale sulla ragione. Ma un princìpio universale, come l’obbligo di dire sempre la verità, non è in realtà tale, se lo analizziamo più da vicino.

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La seconda parte della Fenomenologia La coscienza sente l’esigenza della moralità ma capisce che essa si realizza nella storia attraverso le istituzioni umane. essa percorre quindi la storia di quello che sarà in seguito definito «spirito oggettivo» e infine quella del sapere che verrà riferito allo «spirito assoluto». nel riproporre la fenomenologia nell’ambito del sistema filosofico, Hegel si limiterà però ai primi tre momenti, come parte dello spirito soggettivo, trattando in modo indipendente la filosofia dello spirito oggettivo e assoluto. Con la figura della Ragione legislatrice si chiude la Prima parte della Fenomenologia dello spirito. Nella Seconda parte, Hegel tratteggia il percorso dell’individuo che, acquisita la consapevolezza che la realtà è un prodotto dell’uomo, ripercorre la storia dell’umanità e delle istituzioni in cui lo Spirito si incarna, fino a giungere allo Spirito assoluto, cioè lo Spirito che conosce se stesso; quindi la coscienza percorre ancora la storia dell’uomo, considerata adesso come sapere dell’umanità, attraverso i momenti della religione, dell’arte e del sapere assoluto. Secondo l’interpretazione di György Lukács, uno dei principali interpreti di Hegel, le ultime due parti anticipano i momenti dello Spirito oggettivo e dello Spirito assoluto, così come verranno definiti nel sistema hegeliano. In effetti, quando la Fenomenologia verrà ripresentata come parte del sistema, esse saranno trattate in modo autonomo, mentre la Fenomenologia, momento dello Spirito soggettivo, si concluderà con la figura della ragione. La corrispondenza non è in realtà totale: i momenti dello Spirito oggettivo sono nella Fenomenologia dello spirito parzialmente diversi da quelli del sistema successivo. È vero però che lo sviluppo dello Spirito ripercorso dall’individuo nella Fenomenologia verrà riconsiderato, nella sua effettiva realizzazione storica, nelle opere successive. Sembra perciò opportuno, anche per motivi di spazio, concludere qui l’analisi, per riconsiderare successivamente gli altri momenti ➝ 20.

▶ György Lukács, filosofo e critico letterario ungherese.

Guida allo sTudio • Qual è la finalità generale della

• perché avviene il «rovesciamento

Fenomenologia dello spirito? • Che cosa sono le «figure»? perché si chiamano in questo modo? • perché la «certezza» sensibile dell’oggetto non è in realtà tale? • In che modo la figura della «signoria e servitù» segna il passaggio dalla coscienza all’autocoscienza?

dialettico»? perché il signore diventa servo? perché il servo diventa signore? • esponi e commenta la figura della «coscienza infelice». • Quali sono i limiti della «ragione che agisce»? • Che cos’è lo spirito? perché è in punto di arrivo della Fenomenologia?

Materiali per l’apprendimento attivo 20. approFondiMenti > per saperne di più

3 Il vIAG G Io D e l l A CoS C Ie N z A

Le interpretaZioni deLLa fenomenologia dello Spirito la Fenomenologia dello Spirito si è rivelata un’opera ricca di contenuti molto attuali e ha suscitato anche nel Novecento numerose interpretazioni, particolarmente intorno a due figure, la dialettica signoria-servitù e la coscienza infelice. Per Alexandre Kojève (1902-68) la dialettica servo-padrone è uno dei momenti centrali della filosofia hegeliana. la sua lettura di Hegel, a partire dalla dialettica servo-padrone, è di tipo esistenziale: la coscienza umana è capace di trascendersi, di andare oltre se stessa, a differenza degli animali il cui andare oltre se stessi avviene soltanto con la cessazione dell’essere, con la morte. Il trascendimento della coscienza significa superamento di sé, e quindi si traduce in desiderio. Nei confronti del mondo naturale, il desiderio diventa appropriazione, inglobamento dell’altro, ma nel confronto delle altre autocoscienze si traduce in conflitto. la coscienza che prevale – in quanto ha accettato il rischio del non essere, della morte – riduce l’altra a oggetto, a strumento da usare per soddisfare i propri desideri, tra cui quello di autoriconoscimento. Il servo riconosce il signore come soggetto attivo, come volere, e si pone nei suoi confronti come oggetto, come strumento che si interpone tra lui e la natura per rendere la natura stessa disponibile al signore, mediante il suo lavoro. Kojève lascia sullo sfondo il secondo momento della figura, il rovesciamento dialettico per cui il servo diventa signore, raggiungendo l’autocoscienza mediante il lavoro. Questo è, invece, il tema privilegiato dall’interpretazione marxista, che insiste soprattutto sulla dialettica soggetto-oggetto nell’attività lavorativa e sulla funzione formativa del lavoro. Agendo sulle cose per trasformarle, il servo proietta in esse le proprie capacità e la propria personalità, in una parola se stesso. In questo modo si oggettiva, si vede nelle cose e prende di conseguenza coscienza di sé. Dunque, come dirà Marx, il lavoro forma. Ma se il lavoro, come avviene nella società capitalistica, è estraniato, se non è più la manifestazione della creatività individuale come avviene per l’artigiano, ma diventa il gesto ripetitivo della catena di montaggio, allora l’operaio non si ritrova più nell’oggettivazione, non si riconosce in essa, ma si aliena. Mancando il momento della sintesi che chiude il processo dialettico, non può riconoscersi nell’oggettivazione del lavoro, ma al contrario in esso la sua personalità si impoverisce. la lettura di Jean Wahl (1888-1974) è di altro segno e privilegia la figura della coscienza infelice (L’infelicità della coscienza nella filosofia di Hegel, 1930). Per Wahl la coscienza infelice segna il contrasto tra mutevole e immutabile, dando una valenza negativa al mondo naturale e all’uomo stesso, combattuto tra la propria finitezza e la nostalgia dell’infinito. la coscienza avverte nell’immutabile la propria essenza, ma la colloca in una dimensione trascendente, fuori di sé. la coscienza, così scissa, è caratterizzata dal dolore, ma questa infelicità è, dialetticamente, la condizione stessa per il superamento della contraddizione. Il superamento indicato da Hegel è lo Spirito, cioè la consapevolezza che l’assoluto è immanente, nel mondo e nella storia, e la coscienza può ricongiungersi ad esso. Ma questa «soluzione», che riassume l’intero percorso filosofico di Hegel, non cancella la drammaticità della coscienza infelice, che anzi dà un tono problematico e dinamico all’intero sistema hegeliano, mostrandone la contraddizione da cui prende le mosse. l’interpretazione di Jean Hyppolite (1908-68), il primo a tradurre la Fenomenologia dello Spirito in francese, nel 1941, è meno orientata a sostenere una lettura specifica e intende invece, come sottolinea nell’introduzione alla sua Genesi e struttura della «Fenomenologia dello Spirito» di Hegel (1946), a offrire ai lettori gli strumenti per costruire la propria personale lettura. la sua opera, in effetti, è una completa parafrasi della Fenomenologia. In Hyppolite prevale una lettura di tipo storico, anche se centrata sulla Fenomenologia, dell’intera filosofia hegeliana.

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• Sintesi

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La filosofia come sistema

La filosofia, per Hegel, va intesa come sistema, perché il vero è l’intero e quindi ogni singola parte ha senso all’interno del tutto. il sistema hegeliano comprende i tre momenti dello sviluppo dialettico dell’idea, della razionalità che diventa mondo: l’idea in-sé (la logica); l’idea fuori-di-sé (la natura); l’idea in-sé e per-sé (lo spirito). Per Hegel, come abbiamo visto, «il vero è l’intero», quindi la filosofia va intesa come sistema, perché soltanto l’esposizione complessiva, relativa cioè alla totalità, può permettere la comprensione e la giustificazione delle singole parti. Hegel concepisce la propria filosofia come sistema. Risale al 1800 un primo progetto di sistema filosofico andato in gran parte perduto, ma del quale si ha notizia. I corsi tenuti a Jena dal 1801 al 1807 presentano già il sistema nelle sue diverse articolazioni e la stessa Fenomenologia ripercorre l’itinerario completo dello sviluppo dello Spirito, anche se dal punto di vista della coscienza individuale. Le opere posteriori, dalla Scienza della logica ai Lineamenti della filosofia del diritto, vengono da Hegel stesso presentate come parti del sistema esposto in forma completa nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche. Se è vero che per lungo tempo la filosofia hegeliana è stata esposta ignorandone gli sviluppi interni, recuperati soltanto dall’inizio di questo secolo con la pubblicazione degli scritti giovanili, è altrettanto vero che l’andamento sistematico costituisce parte integrante del pensiero hegeliano. La filosofia è considerata come sviluppo dell’Idea, scandito dai tre momenti definiti «in-sé», «fuori-di-sé» e «in sé-e-per-sé» ➝ 21 . Questi tre momenti scandiscono ogni sviluppo dialettico e quindi non caratterizzano soltanto la divisione generale ma tutti i momenti in cui si articola. Ogni parte del sistema hegeliano è articolato secondo questi momenti dialettici, con un andamento triadico che è interessante come metodo, ma a volte dà luogo a forzature, nel tentativo di ricondurre ogni processo, naturale, umano e storico, a tre momenti. Come per la Fenomenologia dello Spirito, daremo conto delle diverse articolazioni, soffermandoci però su quelle che, per l’influenza sulla filosofia posteriore, sono risultate più feconde. Il punto iniziale dell’esposizione del sistema è l’Idea ➝ 22 , la razionalità dalla quale deriveranno il mondo e la storia, analizzata nella logica. ▶ Frontespizio della Fenomenologia dello spirito di Hegel, 1807.

Materiali per l’apprendimento attivo

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21. approFondiMenti > per saperne di più

la razionalità pura, • iilndica pensiero a prescindere dalla

il momento in cui la ragione • ènega e supera se stessa per

sua realizzazione nella natura

diventare mondo, natura

idea in-sé (LOGICA)

idea fuori-di-sé (NATURA)

IDEA IN-SÉ E PER-SÉ (SPIRITO)

il momento della razionalità • èautocosciente; il pensiero, dopo aver negato se stesso nella natura, raggiunge la coscienza di sé nell’uomo

22. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

idea Hegel riconduce l’intero sistema filosofico all’idea: come in-sé è la logica, come fuori-disé è la Natura, come in-sé e per-sé è Idea autocosciente, cioè Spirito. l’insieme dei tre momenti è l’assoluto. In questa prospettiva l’Assoluto, cioè lo sviluppo complessivo dell’Idea, è coincidenza del vero e del certo, quindi della razionalità dell’essere e della razionalità della conoscenza.

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

iL sisteMa HeGeLiano Con l’espressione in-sé la filosofia ha tradizionalmente indicato la vera realtà della cosa, quella, in termini più tecnici, che ubbidisce al principio di identità. Si distingue, in questo senso, dalla cosa come appare al soggetto, cioè dal fenomeno, che muta continuamente. Nel lessico hegeliano, questa espressione indica l’esistenza razionale della cosa, cioè la cosa in quanto riconducibile a un principio che la legittimi non solo come esistente (che è semplice esserci), ma come ragione della propria esistenza. l’essere per-sé è invece il razionale divenuto consapevole di se stesso, cioè l’essere che si sa, l’autocoscienza. l’essere in-sé e per-sé, cioè la razionalità autocosciente, è la definizione hegeliana dello Spirito. esemplificando, il mondo c’è in quanto esiste, ma è in-sé come idea, come struttura razionale e non semplicemente esistente, ed è in-sé e per-sé in quanto coscienza della razionalità dispiegata, realizzata nella realtà, cioè come sapere del mondo, come realtà razionale che si riconosce tale nell’intero processo della sua attuazione. vediamo adesso il significato di queste espressioni nel contesto del sistema hegeliano. la realtà è per Hegel la ragione che diventa mondo, l’idea che diviene natura e, in quanto consapevolezza di sé, spirito. l’intero sviluppo dell’Idea è dialettico e segue l’andamento triadico convenzionalmente indicato con i termini, non hegeliani, di tesi, antitesi e sintesi. Il primo momento è da Hegel definito, in generale, l’in-sé: è la logica della realtà, l’articolazione interna del pensiero che non è ancora mondo; il secondo è l’altro-da-sé, il momento della negazione di sé che è ad un tempo superamento del pensiero e il suo divenire mondo, processo necessario per stabilire la relazione con la totalità; l’ultimo momento è l’in-sé e per-sé, la riappropriazione del momento positivo, con tutta la ricchezza del negativo e del superamento, il ritorno all’in-sé unito alla coscienza. Nello sviluppo dell’Idea, questi tre momenti sono la logica (Idea in-sé), la Natura (Idea fuori-di-sé) e lo Spirito (Idea in sé e per sé). riassumiamo l’articolazione di questi momenti nella seguente mappa concettuale.

10. H eG e L

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La logica La logica è la struttura razionale della realtà, il mondo in-sé, in qualche modo il “progetto” della realtà antecedente alla sua realizzazione. Nella prospettiva hegeliana quindi la logica è anche metafisica, perché è destinata a farsi mondo, e dunque le sue articolazioni sono costitutive della realtà. Per Hegel la logica ha come oggetto l’Idea, cioè, possiamo dire, il mondo pensato, il mondo come poteva essere, metaforicamente, nella mente di Dio prima della creazione ➝ 23 . La logica disegna pertanto la struttura logica della realtà, che si “incarnerà” nella natura e diverrà cosciente di sé come Spirito ➝ 24 .

La dialettica L’identità tra logica e razionalità del mondo è comprensibile soltanto se si considera la logica come processualità, come dialettica, che si articola in tre diversi momenti: intellettivo-astratto, negativo-razionale e positivo-razionale, o speculativo. La logica ha andamento triadico e si suddivide in logica dell’essere, dell’essenza e del concetto. Il nucleo della logica hegeliana, la novità di fondo rispetto a tutte quelle dell’età moderna, eccetto quella di Fichte che già anticipa questa prospettiva, è la dialettica. Essa, come abbiamo accennato nell’analisi della Fenomenologia, è la struttura stessa della realtà ma prima ancora, ovviamente, è la dinamica della realtà pensata, della logica, appunto. L’altra importante novità rispetto alla logica di Kant, ma che riprende una prospettiva già presente in Aristotele, è, come abbiamo detto, la coincidenza della logica con la realtà: la dinamica del pensiero diventa mondo e quindi costituisce anche la struttura della realtà, che proprio per questo è razionale. Il processo dialettico si articola in tre momenti, corrispondenti alla tesi, antitesi e sintesi di Fichte, ma diversi nel nome e in parte anche nel concetto. Vediamoli in dettaglio. 1. Il momento intellettivo-astratto. È detto così perché rappresenta la conoscenza intellettiva, cioè la rappresentazione statica della cosa. Nell’esempio della pianta, è la conoscenza di ogni singolo momento: il boccio, il fiore, il frutto come realtà individuali e separate l’una dall’altra. Così considerati, tali momenti sono «astratti», cioè tirati fuori dal processo unitario che li comprende. 2. Il momento negativo-razionale, o propriamente dialettico. È il cuore del metodo hegeliano, perché nega la determinazione dell’intelletto, costringendola in un certo senso a uscire da sé per diventare altro, fluidificandosi. Il boccio sparisce, si annienta quando diventa fiore e questi si nega come fiore nel momento in cui diventa frutto. Non è più fiore, ma al tempo stesso conserva nel processo questo momento. Hegel usa il termine Aufhebung, termine che significa sia “togliere” sia “conservare” per indicare questa dinamica. Dal punto di vista dell’intelletto, il fiore è una cosa, il frutto un’altra, sono due realtà distinte. Dal punto di vista dialettico, fiore e frutto sono entrambi parte della realtà “pianta”: il fiore scompare, ma il frutto rimuove e al tempo stesso conserva il fiore, che ne fa parte perché diventa il frutto. 3. Il momento positivo-razionale, o speculativo, in cui si ha la “negazione della negazione” per riaffermare qualcosa che non è né il primo momento né il secondo ma che li conserva dinamicamente entrambi. Pensiamo ad esempio al primo momento della logica, in cui abbiamo essere, non essere e divenire. Il non essere è la negazione dell’essere, che però non scompare, ma torna nel terzo momento, il divenire, in cui sono compresenti essere e non essere: proprio il loro rapporto dinamico dà luogo al divenire, come realtà nuova, concettualmente distinta dai primi ma che, possiamo dire, “vive” dei primi.

Materiali per l’apprendimento attivo

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23. La paroLa ai testi

Pensiero e realtà coincidono, perché la logica è la struttura razionale dell’esistente e il reale è la realizzazione della razionalità del pensiero. La logica è il mondo della verità senza gli accidenti e la contingenza del mondo, è il mondo in quanto pensato, in quanto progetto. Come suggerisce Hegel con una nota metafora, è «l’esposizione di Dio prima della creazione».

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Come scienza, la verità è la pura autocoscienza che si sviluppa, ed ha la forma del Sé, che quello che è in sé e per sé è concetto saputo, e che il concetto come tale è quello che è in sé e per sé. Il contenuto della scienza pura è appunto questo pensare oggettivo. Lungi quindi dall’esser formale, lungi dall’esser priva di quella materia che occorre a una conoscenza effettiva e vera, cotesta scienza ha anzi un contenuto che, solo, è l’assoluto Vero, o, se si voglia ancora adoprare la parola materia, che, solo, è la vera materia, — una materia, però, cui la forma non è un che di esterno, poiché questa materia è anzi il puro pensiero, e quindi l’assoluta forma stessa. La logica è perciò da intendere come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, com’essa è in sé e per sé senza velo. Ci si può quindi esprimer così, che questo contenuto è la esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito. (G. W. F. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Roma-Bari 1981, Introduzione, vol. I, pp. 30-31)

Guida alla lettura. Nonostante la brevità, il testo è molto denso e alcune espressioni meritano qualche parola di commento. Il «Sé» è la razionalità in quanto tale, e quindi la logica come puro pensiero, mentre la verità è la razionalità sviluppata, il pensiero che si sa, consapevole di sé e quindi, secondo il lessico hegeliano, ciò che è «in sé e per sé». Sviluppandosi, la logica assume la materia del mondo, plasmando il mondo stesso secondo la razionalità dell’Idea. audiomappa

24. coMpetenZe > Mappa concettuale

La LoGica dottrina dell’essere

si articola in

LOGICA

• idea in sé tudia il rapporto • stra l’esistente e l’universale

quantità misura

• si divide in tre momenti

qualità

studia l’essere in quanto tale senza determinazioni dottrina dell’essenza

si articola in

fenomeno realtà in atto

tudia il rapporto fra • sessenza e fenomeno

dottrina del concetto

essere come ragione dell’esistenza

si articola in

concetto soggettivo concetto oggettivo idea

Segui la mappa concettuale nello studio del paragrafo.

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

T8 Hegel La logica come pensiero del mondo

10. H eG e L

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La dottrina dell’essere nella logica dell’essere Hegel sottolinea il rapporto dialettico tra essere e non-essere, la cui sintesi è costituita dal divenire, che rappresenta quindi la struttura fondamentale della realtà. La realtà è intrinsecamente dialettica. Il punto di partenza della logica è l’analisi dell’essere in quanto tale, privo di determinazioni ➝ 25 . Ma un essere senza determinazioni non è nulla, coincide con il non essere. La sintesi tra i due, come abbiamo già visto, è il divenire. L’essere che diviene è determinato, cioè possiede delle qualità (primo momento) e delle quantità (secondo momento), la cui sintesi è la misura, il «quanto qualitativo», dice Hegel. La misura riconduce la qualità a quantità, senza però annullarla, perché i diversi sistemi di misura (di peso, di lunghezza ecc.) conservano la differenza qualitativa.

La dottrina dell’essenza nella logica dell’essenza Hegel critica e supera il principio di non contraddizione proprio della logica tradizionale, affermando che ogni realtà è in se stessa contraddittoria, poiché per realizzarsi deve continuamente superare se stessa, negandosi. La logica dell’essenza ruota intorno al rapporto tra essenza e fenomeno. Tradizionalmente tra i due termini c’è contrapposizione: l’essenza è distinta dai fenomeni, che rappresentano soltanto l’apparenza. Conosciamo con le sensazioni le manifestazioni della realtà, cioè i fenomeni, ma la vera realtà, la sua struttura razionale, non è immediatamente data ai sensi, bensì deve essere scoperta con l’intelletto e con la ragione. Non conosco Socrate solo osservandone l’aspetto esteriore, per conoscerlo davvero devo andare oltre le apparenze. La verità, che la filosofia deve cogliere andando al di là dei fenomeni, è l’essenza, ciò che fa di una cosa quello che è (ad esempio, il fatto che Socrate è un uomo e un filosofo). Questi due aspetti erano considerati diversi, anzi, come si è detto sopra, contrapposti: per arrivare all’essenza, i fenomeni dovevano essere messi da parte. Hegel rivoluziona questo rapporto, ricomprendendo fenomeni ed essenza in un processo dialettico unitario. Nel primo momento l’essenza è in-sé come razionalità dell’essere, ma è una razionalità ancora non dispiegata; nel secondo momento, si manifesta nel fenomeno, negandosi quindi come razionalità e divenendo altro-dasé; nel terzo momento, come realtà in atto, è unificazione di tutti i fenomeni e costituisce il fondamento di tutte le sue manifestazioni, che sono negate come apparenza e recuperate, nel loro insieme, come essenza della cosa. In altri termini, i fenomeni non si contrappongono più all’essenza, ma sono l’essenza, se intesi però come totalità e considerati nella loro processualità. Ad esempio, Socrate cambia durante la propria esistenza e quindi cambiano i fenomeni, ma egli è appunto la totalità della sua esistenza e delle sue manifestazioni. L’essenza “Socrate” contiene quindi molti momenti tra sé in contraddizione, unificandoli però processualmente in un tutto razionale. Hegel nega uno dei princìpi fondamentali della logica classica, quello di non contraddizione, affermando al contrario: «Tutte le cose sono in sé stesse contraddittorie» ➝ 26 . Ciò che non è contraddittorio è inerte, oppure è conosciuto solo mediante l’intelletto che cristallizza i singoli momenti del reale senza coglierne lo sviluppo. La realtà viva è animata dalla contraddizione che spinge continuamente ogni momento parziale alla negazione e al superamento di se stesso, fino a esplicitare i nessi che lo ricongiungono alla totalità. Per fare alcuni esempi banali, il seme nega se stesso diventando fiore, il fiore fa altrettanto diventando frutto e poi pianta, ma anche la singola pianta si nega nella specie e infine nel regno vegetale nel suo insieme, che però è parte della natura e così via. L’individuo nega la propria individualità nella famiglia, che si nega per diventare società e poi Stato e poi umanità e così via. Come

Materiali per l’apprendimento attivo 25. per capire MeGLio

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26. La paroLa ai testi

T9 Hegel Identità e contraddizione I princìpi della logica classica, identità ecc., sono espressi da proposizioni: lo stesso bisogna fare con quelli della logica dialettica, in particolare con quello di contraddizione, che ha la seguente formulazione: tutte le cose sono in se stesse contraddittorie. Esso consente di cogliere la vitalità e la dinamicità del reale.

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Se ora le prime determinazioni riflessive, l’identità, la diversità e l’opposizione vennero formulate in una proposizione, a più forte ragione si dovrebbe raccogliere in una proposizione quella determinazione in cui esse trapassano come nella lor verità, cioè la contraddizione. Si dovrebbe dunque dire: tutte le cose sono in se stesse contraddittorie, e ciò propriamente nel senso che questa proposizione esprima anzi, in confronto delle altre, la verità e l’essenza delle cose. La contraddizione, che vien fuori nell’opposizione, non è che lo sviluppo di quel nulla che è contenuto nell’identità e che si affacciava nell’espressione che il principio d’identità non dice nulla. Questa negazione si determina ulteriormente diventando la diversità e l’opposizione, che è ora la contraddizione posta. Ma è uno dei pregiudizi fondamentali della vecchia logica e dell’ordinaria rappresentazione, che la contraddizione non sia una determinazione altrettanto essenziale ed immanente quanto l’identità. Invece, quando si dovesse parlare di un ordine di precedenza e si dovessero tener ferme le due determinazioni come separate, bisognerebbe prendere la contraddizione come la più profonda e la più essenziale. Poiché di fronte ad essa l’identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stessa una contraddizione. (G. W. F. Hegel, Scienza della logica, Laterza, Roma-Bari 1981, 2 voll., vol. II, pp. 490-91)

vedremo, la contraddizione e il superamento costituiscono la chiave di lettura dell’intero sistema filosofico hegeliano e il principio di contraddizione, nucleo della dialettica, diventerà una componente importante del pensiero contemporaneo, ben oltre Hegel.

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L’iniZio deLLa LoGica Qual è la funzione della logica nel sistema hegeliano? e perché il punto di partenza è l’essere? la Fenomenologia è considerata da Hegel un sorta di propedeutica filosofica, un “viaggio intellettuale” attraverso il quale giungiamo a vedere e a capire il mondo in modo filosofico, comprendendone lo sviluppo interno e i diversi momenti che lo caratterizzano. Soltanto alla fine di questo percorso possiamo affrontare filosoficamente la conoscenza del mondo, cioè considerarlo nella sua totalità e comprenderne la struttura razionale. una volta acquisito un metodo filosofico, dobbiamo incominciare l’analisi della realtà liberandoci da tutte le conoscenze che pensiamo di avere e ripartendo per così dire da zero. Ma qual è il punto di partenza per capire la struttura razionale della realtà? Dato che il processo è dialettico e quindi circolare, potremmo, scrive Hegel, partire da un punto qualsiasi: per capire la pianta, ad esempio, è indifferente partire dal seme o dal frutto, dialetticamente finiremo comunque per cogliere l’insieme. Ma dovendo scegliere un punto da cui iniziare, la scelta più logica è partire dall’essere come tale, senza determinazioni. Ma dell’essere senza determinazioni non possiamo dire nulla, quindi, come si dice nel profilo, esso coincide con il non essere, per giungere poi alla sintesi del divenire, che è insieme essere e negazione dell’essere, cioè sintesi di essere e nulla. Partendo dall’essere, giungiamo quindi immediatamente a cogliere la struttura dialettica della realtà, approfondendone poi i diversi momenti.

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La dottrina del concetto i tre momenti della logica del concetto soggettivo (concetto, giudizio, sillogismo) mostrano il superamento dell’individuale nell’universale, dapprima in modo immediato, poi articolato. il concetto oggettivo definisce la struttura che sarà propria della realtà (meccanismo, chimismo e teleologia). L’ultimo momento, l’idea, riguarda la struttura logica del mondo organico, della vita. L’organizzazione razionale del reale è così delineata e la logica si realizza divenendo mondo. Il concetto rappresenta tradizionalmente la dimensione universale dell’individuo: dire che Socrate è un uomo, cioè comprenderlo nel concetto di uomo, equivale a individuare la dimensione universale di Socrate, che non è comprensibile razionalmente in quanto singolo individuo, ma alla luce, appunto, del concetto. Questo passaggio è scandito dai tre momenti del “concetto soggettivo”, che sono il concetto, il giudizio e il sillogismo. Rapportandosi al concetto, l’individuo fa riferimento alla propria universalità, negandosi come singolo individuo. Nel giudizio questa identificazione con la dimensione universale diviene processuale, mediante la copula: “Socrate è un uomo” è un giudizio che esplicita la relazione di cui dicevamo. Il sillogismo, infine, spiega i momenti e i passaggi di questo processo. Il sillogismo cui fa riferimento Hegel non è però quello classico, aristotelico, ma il sillogismo attuato, quello relativo alla realtà. Ogni aspetto della realtà è un “sillogismo attuato”: il Sistema solare, l’individuo, la società, si articolano tutti in sillogismi viventi che stabiliscono l’unità dell’individuale e dell’universale. Il concetto prefigura dunque la realtà, la cui struttura è organizzata razionalmente dal momento successivo della logica, quello oggettivo, che comprende il meccanismo, il chimismo e la teleologia. Sono tre modalità di organizzarsi della realtà, la prima basata sulla causalità efficiente (meccanica, appunto), la seconda sull’interazione rappresentata concettualmente dalla chimica, dove gli elementi si combinano producendo cose nuove, a differenza del meccanismo dove le interazioni non cambiano la natura delle cose: due palle da biliardo che si urtano producono dei movimenti, ma restano sempre due palle da biliardo distinte; ossigeno e idrogeno si combinano diventando acqua, che è una realtà del tutto diversa da entrambi. Infine, il teleologismo indica la causa finale, che agisce nella realtà conferendole un senso ➝ 27 . Il momento conclusivo della logica è l’Idea ➝ 28 , che si sviluppa nei momenti: la vita, il conoscere, l’idea assoluta. Il primo riguarda la struttura dinamica dell’esistente, articolato in anima e corpo, nel secondo momento Hegel analizza le diverse modalità della conoscenza, che si delineano qui come metodi (analitico, sintetico, geometrico, filosofico ecc.) che diventeranno poi, nel mondo oggettivo, gli strumenti conoscitivi del sapere umano. Infine, l’Idea assoluta è l’idea che riconosce se stessa nel sistema complessivo della logica e che si accinge a spazializzarsi per diventare mondo.

Guida allo sTudio • Che rapporto sussiste per Hegel tra

• perché Hegel afferma il principio di

pensiero e realtà? perché? • La logica di Hegel è dialettica. Che cosa significa? Quali sono i tre momenti in cui si articola? • descrivi la triade essere, non essere, divenire.

contraddizione andando contro le filosofie precedenti? Che cosa significa tale principio? • Che rapporto sussiste nella logica hegeliana tra i fenomeni e l’essenza? • perché nel concetto l’individuale si ricongiunge con l’universale?

Materiali per l’apprendimento attivo 27. per capire MeGLio

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MeccanicisMo, cHiMisMo, teLeoLoGisMo Meccanicismo, chimismo e teleologismo sono tre modalità della realtà e anche prospettive con le quali possiamo guardare alla realtà. Per esempio, nota Hegel, possiamo studiare meccanicamente nel momento in cui impariamo qualcosa a memoria o vivere meccanicamente la religione se seguiamo ciecamente le indicazioni di un direttore spirituale o viviamo la religione come insiemi di riti (Enciclopedia, § 195). Sviluppando il primo esempio, possiamo parlare di studio “chimico” nel momento in cui è ragionato per cui i diversi saperi vengono messi in relazione e assimilati, e di teleologismo se mediante lo studio tendiamo a finalità precise, ad esempio la nostra formazione, oppure anche l’apprendimento di una professione.

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▲ Johan Georg, Meyer, The Young Schoolgirl (“La giovane scolara”), 1864 (olio su tela).

28. La paroLa ai testi

T10 Hegel L’Idea L’idea è il pensiero dialettico della ragione, contrapposta all’intelletto che invece coglie la realtà in modo statico. Essa congiunge le determinazioni che l’intelletto giudica come opposte (soggetto-oggetto, finito-infinito ecc.), mostrando come le diverse polarità sono semplicemente i momenti di un processo unitario.

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L’idea può esser concepita come la ragione (questo è il proprio significato filosofico di ragione); inoltre come il soggetto-oggetto, come l’unità dell’ideale e del reale, del finito e dell’infinito, dell’anima e del corpo come la possibilità che ha in se stessa la sua realtà; come ciò la cui natura può esser concepita solo come esistente ecc.; perché, in essa, tutte le relazioni dell’intelletto son contenute, ma nel loro infinito ritorno e identità in sé. L’intelletto ha un lavoro facile nel mostrare che tutto ciò che vien detto dell’idea è in sé contraddittorio. Di ciò gli si potrebbe render la pariglia, o anzi, ciò è già attuato nell’idea; ed è un lavoro, che è il lavoro proprio della ragione, e non è tanto facile quanto quello dell’intelletto. Allorché l’intelletto mostra che l’idea contraddice se stessa, perché ad es., il soggettivo è soltanto soggettivo, e l’oggettivo anzi gli è opposto; che l’essere è qualcosa di affatto diverso dal concetto, e perciò non può essere ricavato da questo; ed egualmente, che il fìnito è solo finito e per l’appunto il contrario dell’infinito, e non può essere identico con questo, e così via per tutte le determinazioni; la logica prova invece l’opposto: che cioè il soggettivo, che dev’esser solo soggettivo, il finito, che dev’esser solo finito, l’infinito, che dev’esser solo infinito, e via dicendo, non ha verità alcuna, si contraddice e passa nel suo contrario; con che questo passaggio, e l’unità nella quale gli estremi sono come superati e qual parvenza o momenti, si svela come la loro verità. (G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1980, vol. I, § 214, p. 199)

Guida alla lettura. la logica dialettica distingue il concetto e l’Idea: il primo è statico ed è conosciuto dall’intelletto, la seconda è dialettica ed è conosciuta dalla ragione. Kant, secondo Hegel, si fermava all’intelletto e ai concetti, quindi giudicava contraddittorie le idee che coglievano la realtà nel suo insieme (io, mondo, Dio). Invece senza cogliere questa totalità (e da ultimo l’Assoluto) la nostra conoscenza del mondo si ferma al meccanicismo della scienza, senza poterne cogliere il significato unitario.

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La filosofia della natura

mappa

nella natura l’idea esce da sé diventando mondo. nella sua struttura la natura è quindi razionale ma i singoli esseri sono spesso irrazionali. per questo Hegel considera in modo negativo la natura, che nei suoi aspetti generali si suddivide in meccanica, fisica e organica. La natura ➝ 28 è il momento negativo del processo dialettico, quindi l’idea nega se stessa per diventare mondo, realtà concreta, oggettivandosi. Come oggettivazione dell’idea, la natura è razionale, ma allo stesso tempo gli esseri particolari in cui si spazializza non sempre riflettono le articolazioni dell’idea. In altri termini, la natura è razionale nelle proprie linee generali, nella propria struttura, ma presenta ovunque eccezioni, «aborti, mostri, esseri ibridi ecc.» (Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1981, 2 voll., § 250, p. 226), dato che spesso i singoli individui non rispecchiano fedelmente le caratteristiche della specie. Questa concezione negativa della natura allontana Hegel dal Romanticismo e da Schelling ➝ 29 . Nella sua struttura razionale, la natura si articola in tre momenti: 1. la meccanica, in cui la natura si determina come materialità ed è quindi studiata secondo cause efficienti, escludendo ogni impulso vitale e ogni finalità; 2. la fisica, che comprende anche la chimica, il magnetismo ecc., in cui la natura si determina come individualità naturale ed è studiata nella sua attività. In questo momento, la natura appare come soggetto attivo, mentre nel precedente era oggetto passivo. Mentre la meccanica studia la materia come oggetto indifferenziato qualitativamente, la fisica prende in considerazione le caratteristiche particolari dei diversi corpi (chimiche, magnetiche ecc.), per questo Hegel parla di «individualità»; 3. l’organica, in cui la natura si determina come «unità ideale» e studia gli organismi come organizzazione della materia in modo unitario e finalistico (i diversi organi e le loro funzioni sono orientati alla conservazione dell’individuo). Questo momento, che comprende anche l’uomo come essere biologico, pone le premesse per il passaggio a quello successivo, lo Spirito, che costituisce il fine generale dello sviluppo della natura ➝ 30.

◀ Ernst Haeckel, Nepenthaceae, da Kunstformen der Natur, 1904, incisione (Leipzig).

Guida allo sTudio • perché la concezione hegeliana della natura è così negativa? • Quali aspetti della natura studia la fisica? • Qual è il fine generale della natura?

Materiali per l’apprendimento attivo 28. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

29. La paroLa ai testi

T11 Hegel La concezione negativa della natura La natura è divina nella sua struttura generale, in quanto oggettivazione dell’Idea, ma contraddittoria nell’esistenza concreta, in quanto i singoli esistenti non corrispondono ai concetti da cui derivano.

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La natura, considerata in sé, nell’idea, è divina: ma nel modo in cui essa è, l’esser suo non risponde al suo concetto: essa è, anzi, la contraddizione insoluta. Il suo carattere proprio è questo, di esser posta, di esser negazione; e gli antichi hanno infatti concepito la materia in genere come il «non ens». Così la natura è stata anche definita come la decadenza dell’idea da se stessa; poiché l’idea, in quella forma dell’esteriorità, è inadeguata a se stessa. […] Tuttavia, quantunque nell’elemento dell’esteriorità, la natura è rappresentazione dell’idea; e però si può bene, e si deve ammirare in essa la sapienza di Dio. (G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1981, vol. I, §§ 247-48, pp. 221-22)

30. per capire MeGLio

La natura neL sisteMa HeGeLiano Per Hegel la natura è un punto obbligato di passaggio nello sviluppo dell’Idea, ma è di per sé irrilevante. Come corollario di questa posizione, il fine dello sviluppo della natura è visto nella produzione dell’uomo, che a sua volta è la premessa perché l’Idea prenda coscienza di sé, divenendo Spirito. Il breve brano che segue illustra bene questa posizione.

T12 Hegel Il fine della natura è lo Spirito

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La natura è in sé un tutto vivente: il movimento attraverso la sua serie di gradi consiste, più precisamente, nel porsi dell’idea come ciò che essa è in sé; o, che è il medesimo, l’idea, dalla sua immediatezza ed esteriorità, che è la morte, torna in sé, per esser dapprima il vivente; e poi supera anche questa determinatezza, nella quale è soltanto vita, e si produce nell’esistenza dello spirito: – che è la verità e lo scopo finale della natura, ed è la vera realtà dell’idea. (G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1981, vol. I, §§ 247-48, pp. 221-22)

A proposito della natura, Hegel parla di «gradi» e non di momenti perché in essa la fluidità dialettica è come cristallizzata dall’inerzia della materialità, per cui lo sviluppo concettuale della natura resta dialettico, ma quello dei singoli esseri che la costituiscono: essi non trapassano l’uno nell’altro, ma si dispongono piuttosto in ordine gerarchico, dalla materia all’uomo, mediante gradi successivi. Per lo stesso motivo, i gradi inferiori, che si manifestano come materialità, sono la morte, riscattata, per così dire, prima dalla vita in genere (l’organismo), poi dalla vita intelligente e consapevole di sé, come preludio dello spirito.

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

natura la natura è l’idea fuori-di-sé, l’idea che diventa mondo e come tale è uno dei momenti fondamentali del sistema hegeliano. Corrisponde al momento dialettico, negativo-razionale ed è infatti negazione della dimensione ideale per affermare quella “materiale” (anche se non si tratta di materialità in senso proprio, altrimenti avremmo un dualismo). In quanto incarnazione dell’idea, la natura è in sé razionale, però nella molteplicità degli esseri concreti presenta irregolarità, difformità e contraddittorietà irriducibili all’idea stessa. Per questo Hegel la considera in modo marginale e negativo, analizzandola nella sua struttura razionale di fondo ma senza approfondirne lo studio.

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10. H eG e L

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La filosofia dello Spirito La filosofia dello spirito è la parte più importante del sistema hegeliano. Lo spirito è l’idea che diviene consapevole di sé attraverso l’uomo, prima nel singolo individuo (spirito soggettivo), poi nelle istituzioni (spirito oggettivo), infine nel sapere dell’umanità, relativamente agli ambiti che si pongono come oggetto l’assoluto (spirito assoluto). Lo Spirito ➝ 31 è l’idea che, dopo essere uscita da se stessa nella natura, ritorna a sé, diventando cosciente di se stessa. Il processo di ritorno a sé dell’Idea avviene attraverso l’uomo, la sua storia e la sua conoscenza. Dal punto di vista hegeliano, è lo Spirito che agisce mediante l’uomo. Infatti lo sviluppo storico dell’umanità presenta una razionalità e un finalismo che non possono, secondo Hegel, derivare dall’uomo stesso e dunque rimandano alla manifestazione e allo sviluppo processuale di una razionalità preesistente: nel suo linguaggio, appunto, l’Idea che diventa cosciente di sé. Molte delle considerazioni di Hegel, tuttavia, conservano il proprio interesse anche al di fuori di un’ottica idealistica. Riguardano, in particolare, la concezione della storia come sviluppo razionale, che è possibile studiare e capire nel suo significato complessivo. Allo stesso modo, anche le istituzioni umane (la famiglia, la società, lo Stato) appaiono come realtà con una propria fisionomia e un proprio sviluppo storico riconoscibile, che va al di là delle intenzioni e dell’arco di vita dei singoli individui, come qualcosa che non dipende quindi dai singoli, ma esiste di per sé, indipendentemente dagli individui particolari. Anche il sapere, infine, secondo Hegel si sviluppa in modo razionale e indipendente dai singoli individui, i quali contribuiscono ad esso, ma non potrebbero mai determinarne la coerenza che manifesta nell’arco di secoli e millenni. Come vedremo in dettaglio, Hegel chiama «Spirito soggettivo» lo sviluppo nell’uomo in quanto individuo, «Spirito oggettivo» lo sviluppo nelle istituzioni, che sono distinte dai singoli individui e si presentano quindi come esistenti di per sé e «Spirito assoluto» lo sviluppo in alcuni saperi orientati a dare un senso complessivo alla realtà, come la filosofia che rappresenta il vertice dell’autoconsapevolezza dello Spirito stesso ➝ 32 .

Lo Spirito soggettivo La filosofia dello spirito soggettivo ripercorre l’emergere della coscienza dalla naturalità mediante le seguenti tappe: l’antropologia, la fenomenologia e la psicologia. Come in Schelling e diversamente da Fichte, per Hegel lo Spirito ➝ 33 emerge dalla natura attraverso l’uomo. Abbiamo visto sopra che il fine ultimo della natura è proprio la produzione dello Spirito. Ma inizialmente, nell’uomo (pensiamo all’uomo primitivo) è come addormentato, non consapevole di sé. Il primo momento dello sviluppo dello Spirito porta proprio all’autocoscienza, alla consapevolezza da parte dell’uomo (o, hegelianamente, dello Spirito mediante l’uomo) della propria dimensione spirituale. L’inizio del processo è l’antropologia, cioè lo studio dell’uomo come essere naturale, il cui comportamento è legato prima agli istinti, poi alle abitudini e infine alla consapevolezza di sé come individuo. Il momento successivo è la fenomenologia dello Spirito, che ripropone le prime tappe dell’opera omonima, dalla coscienza sensibile fino all’autocoscienza e alla ragione. Il terzo momento, la psicologia, si articola in Spirito teoretico, pratico e libero. Il primo momento riguarda l’analisi delle facoltà conoscitive (intuizione, immaginazione, memoria, fino al pensiero), il secondo i motivi del comportamento (sentimento, impulsi, felicità), indipendenti dalla ragione, il terzo è la sintesi di ragione e sentimento: la ragione diviene il fondamento dell’agire morale come libera determinazione della volontà. In questo modo il singolo supera i limiti della propria individualità, ponendo le premesse della dimensione oggettiva dello Spirito.

Materiali per l’apprendimento attivo

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31. La paroLa ai testi

Lo Spirito si identifica in un certo senso con l’umanità, ma non con l’umanità concreta né tanto meno con i singoli individui. Hegel chiarisce la differenza tra la conoscenza dello Spirito e quella dell’uomo, in particolare la psicologia, anche nel suo significato filosofico. Lo Spirito è la ragione stessa che, sviluppandosi nella storia dell’umanità, prende coscienza di sé, quindi, possiamo dire, l’umanità intesa in senso impersonale, come universalità dell’uomo.

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§ 377. La conoscenza dello spirito è la più concreta delle conoscenze, e perciò la più alta e difficile. Conosci te stesso, questo precetto assoluto, non ha, – né preso per sé né dove lo s’incontra storicamente espresso, – il significato di una conoscenza di sé medesimo come delle proprie capacità particolari (carattere, inclinazioni e debolezze dell’individuo) ma significa invece la conoscenza di ciò che è la verità dell’uomo, della verità in sé e per sé, dell’essenza stessa in quanto spirito. Parimente, la filosofia dello spirito non ha il significato della cosiddetta conoscenza degli uomini, la quale si adopra a indagare le particolarità, passioni e debolezze degli altri uomini, le cosiddette pieghe del cuore umano: – conoscenza codesta che, da una parte, non ha significato se non nel presupposto che si conosca l’universale dell’uomo, e perciò, essenzialmente, lo spirito; dall’altra parte, si occupa di quelle, che sono esistenze della spiritualità accidentali, insignificanti e non vere; ma non giunge al sostanziale, allo spirito stesso. (G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1980, 2 voll., vol. II, § 377, p. 371)

32. per capire MeGLio

spirito soGGettivo / oGGettivo / assoLuto Aggiungiamo qualche considerazione per capire più a fondo queste espressioni hegeliane. lo Spirito è l’Idea che, dopo essersi alienata nella natura, prende coscienza di sé e di essere tutta la realtà. lo Spirito è dunque immanente e autocosciente, ma l’autocoscienza non è originaria bensì si realizza processualmente, nei diversi momenti e nei diversi aspetti della storia dell’umanità. lo Spirito soggettivo riguarda lo sviluppo processuale dell’uomo come essere naturale, biologico, e individuale: è ogni singola coscienza che diventa autocosciente. Quello oggettivo riguarda invece la dimensione sociale e comunitaria: la società si sviluppa da una convivenza regolata da leggi a una condivisione dei valori morali, fino al formarsi di una comunità etica nello Stato. lo Spirito assoluto, infine, è il processo di sviluppo della conoscenza umana e in particolare dei saperi rivolti a una comprensione complessiva della realtà, all’individuazione del senso generale del mondo, culminando con la filosofia che è il pensiero che riflette su se stesso e sulla propria storia. audiomappa

33. coMpetenZe > Mappa concettuale

Lo spirito soGGettivo

SPIRITO SOGGETTIVO

si articola

Lo Spirito si incarna negli individui

antropologia

lo spirito naturale (l’anima non autocosciente)

fenomenologia dello spirito

il processo mediante cui la coscienza individuale raggiunge l’autocoscienza

psicologia

la struttura universale (comune a tutti gli uomini) della psiche

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

T13 Hegel Conoscere lo Spirito

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Lo Spirito oggettivo Lo spirito oggettivo è l’incarnazione dello spirito nella storia, nelle istituzioni umane, come diritto, come moralità e infine come eticità. Lo Spirito oggettivo ➝ 34 è l’Idea che si dà un’esistenza storica e in essa si riconosce come razionalità immanente al divenire del mondo umano, diventando consapevole di sé. Da ciò risulta la razionalità del reale e la necessità, per la filosofia, di studiare ciò che effettivamente è, senza pretendere di modificarlo o di proporre oggetti diversi alla conoscenza ➝ 35 . Lo Spirito è «oggettivo» perché distinto dai soggetti, dai singoli individui, assumendo una dimensione metaindividuale, diventando istituzione. In questo modo, la filosofia di Hegel si inserisce in un orientamento che caratterizzerà tutto il secolo, cioè lo studio dei fenomeni sociali come distinti dai singoli e provvisti di una dinamica specifica, non coincidente né con la psiche individuale né con la volontà degli individui che li costituiscono ➝ 36. La stessa tendenza troverà espressione, pur se con premesse diverse, nel positivismo di Comte, che inaugurerà la sociologia come scienza, e in Marx, che riprenderà la concezione di Hegel secondo cui la storia ha uno sviluppo razionale e le istituzioni umane hanno una propria identità non coincidente con i singoli, anche se ricondurrà queste prospettive alla base materiale che nella sua analisi ne racchiude le cause ultime. È interessante notare come conclusioni simili derivino da premesse diverse e anche opposte, rispondendo però all’esigenza di studiare le dinamiche sociali che troverà espressione, nel corso dell’Ottocento, nella nascita delle diverse scienze umane, dalla sociologia all’antropologia culturale alla psicologia. Hegel individua nell’articolazione dello Spirito oggettivo tre momenti, il diritto, la moralità e l’eticità, ognuno articolato a sua volta in triadi più analitiche, di cui qui prenderemo in considerazione soltanto le principali.

Il diritto il diritto stabilisce un tessuto normativo nel cui ambito, esterno all’individuo e indipendente dalla sua volontà, deve svilupparsi l’azione del singolo. Il diritto è costituito dall’insieme di norme che regolano il comportamento dell’individuo nel contesto sociale. Possiamo distinguere le norme implicite, che sono affidate alla tradizione e costituiscono il costume; e le norme scritte, codificate nelle leggi, che costituiscono il diritto positivo. Il diritto costituisce il momento oggettivo, perché si pone come esterno all’individuo, presentandosi in un certo modo come costrizione. Però esso, in quanto razionale, coincide con la volontà stessa dei singoli individui, spogliata dagli impulsi legati alla particolarità di ognuno, e ricondotta alla dimensione universale della razionalità. In questo senso, seguendo il costume e le leggi l’individuo segue il proprio stesso volere e quindi si scopre libero. Interiorizza di conseguenza il diritto, dando luogo alla moralità. Il diritto si articola in tre momenti: la proprietà, il contratto, il diritto contro il torto. Il fondamento del diritto è per Hegel la proprietà, perché per suo tramite l’individuo entra in rapporto con gli altri. Inizialmente si ha il semplice possesso della cosa ed è solo sulla base del diritto che il possesso riceve un riconoscimento sociale, divenendo proprietà. Il riconoscimento reciproco fra gli individui che caratterizza il diritto si esprime nel contratto, che è il convergere di volontà differenti. Il contratto è suscettibile di violazione, il che determina la dinamica del diritto contro il torto. Essa è contraddittoria, perché il rispetto del diritto può essere garantito soltanto mediante una costrizione e con una pena, cioè con una violazione dei diritti di chi commette un torto, volta a ripristinare il diritto violato. Di fronte al nascere di questa contraddizione il diritto viene interiorizzato e diviene moralità.

Materiali per l’apprendimento attivo

audiomappa

34. coMpetenZe > Mappa concettuale proprietà diritto

si articola in

universale • isil volere presenta come

SPIRITO OGGETTIVO

esterno agli individui e assume la forma della necessità si articola in moralità

si divide in tre momenti

un sentire comune, • èl’interiorizzazione

Spirito • lsio incarna

del diritto

nelle istituzioni eticità

35. attività >

diritto contro il torto

proposito intenzione e benessere bene e male famiglia

si articola in

ell’eticità la moralità • nassume una dimensione storica e sociale

contratto

società civile

Stato

atrimonio • mpatrimonio • educazione dei figli • dei bisogni • saistema mministrazione • della giustizia olizia e • pcorporazione interno • ddiritto iritto esterno • storia • del mondo

rielaborazione

la mappa concettuale ti servirà, come al solito, per organizzare meglio lo studio di questo importante aspetto della filosofia hegeliana e anche per il ripasso. evidenzia al suo interno gli aspetti più significativi e a tuo parere più interessanti, mostrandone anche, in un commento scritto, l’attualità. 36. per capire MeGLio

cHe cos’è Lo spirito oGGettivo Per capire meglio che cos’è lo spirito oggettivo, consideriamo un’istituzione, ad esempio la scuola. essa è formata, concretamente, dall’insieme degli studenti, degli insegnanti e dei dirigenti ai diversi livelli. Ma è solo questo? evidentemente no, perché tra dieci anni gli studenti saranno cambiati, molti professori e dirigenti ugualmente, eppure la scuola italiana, come istituzione, conserverà ancora la propria identità. Che cosa garantisce questa identità? evidentemente, non le persone fisiche che la costituiscono in un determinato momento e neppure l’insieme degli edifici in cui si svolgono le attività didattiche. una componente importante di tale identità è la normativa che la regola, cioè l’insieme delle leggi, dei decreti, delle circolari che l’hanno modellata nel tempo. Ma neppure questo basta. Della scuola italiana possiamo ricostruire la storia, partendo dalla legge Casati a quella Coppino alla riforma di Gentile fino alla rifondazione della scuola repubblicana e alle riforme più recenti. la scuola come istituzione, insomma, ha una propria razionalità e una propria storia che va ben oltre l’orizzonte temporale dei singoli individui. Questa razionalità complessiva è garantita, secondo Hegel, da una dimensione spirituale sottesa alla scuola e a tutte le altre istituzioni, che conferisce loro un senso unitario e complessivo. Altri studiosi, come accenniamo nel profilo, da Comte a Marx fino ai sociologi che studieranno questi fenomeni, individueranno altre cause, ma riconosceranno comunque la dimensione metaindividuale delle istituzioni sociali e la loro razionalità.

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

Lo spirito oGGettivo

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La moralità La contraddizione tra la coercitività della legge e l’esigenza di una libera realizzazione morale viene superata attraverso l’interiorizzazione del diritto, che diviene così moralità. La moralità non è quindi un fatto individuale, ma rappresenta una dimensione collettiva interna al singolo. La moralità è per Hegel l’interiorizzazione del diritto, rovesciando l’ottica liberale, espressa da Locke, secondo la quale la morale è connaturata all’individuo e soltanto quando più individui formano comunità e organizzazioni sociali si può parlare di diritto ➝ 37 . Il fulcro della moralità è la responsabilità personale, fondamento della persona morale, che implica la capacità per ogni individuo di distinguere tra il bene e il male. La moralità quindi è individuale e costituisce il momento soggettivo dello Spirito oggettivo. Anch’essa si articola in tre momenti ➝ 38 , che conducono alla contraddizione tra la propria singolarità e l’esigenza di una dimensione universale della morale stessa. Tale contraddizione troverà il proprio superamento nell’eticità.

L’eticità nell’eticità, lo spirito si dà un’esistenza storica, incarnandosi nelle istituzioni sociali della famiglia, della società civile e dello stato. L’eticità è considerata la realizzazione della moralità stessa a livello storico-sociale nelle istituzioni. Queste, benché si presentino all’individuo come oggettive e separate da lui, creano lo spazio in cui egli può effettivamente realizzarsi come essere morale, perché possono dare alle esigenze morali di ognuno una dimensione universale, plasmando la storia e la società. La distinzione tra moralità ed eticità, così esplicitamente teorizzata, costituisce una innovazione. I due termini morale ed etica vengono spesso considerati sinonimi e hanno infatti la stessa radice etimologica. Nell’uso filosofico, comunque, la morale era solitamente già riferita all’ambito individuale e l’etica a quello sociale, ma la differenza non era stata mai teorizzata in modo così esplicito. Per Hegel, moralità ed eticità sono nettamente distinte: la prima costituisce il momento soggettivo, in contrapposizione al diritto. L’eticità si pone come la loro sintesi, perché conserva la dimensione universale e normativa del diritto e la dimensione interiore della moralità ➝ 39 . Questa sintesi è possibile in alcune istituzioni sociali che hanno una valenza morale e al tempo stesso una dimensione universale, ponendosi come istituzioni che realizzano le istanze morali nella storia e si pongono dialetticamente sia come prodotto collettivo degli individui, sia come formatrici delle loro coscienze, dando alla moralità una dimensione oggettiva, quindi universale anche se storica, cioè valida per tutti in una determinata epoca ma in sviluppo. Consideriamo più in profondità i diversi momenti: la famiglia, la società civile e lo Stato. La FaMiGLia La famiglia costituisce il momento soggettivo dell’eticità ma non è considerata da Hegel, come avveniva nel diritto dell’epoca, come il risultato di un contratto tra i coniugi, bensì come un’unione nel vincolo dell’amore e come tale una fusione che genera una nuova realtà, una persona unica, un’unione morale. Si articola nei momenti dialettici del matrimonio, del patrimonio e dell’educazione dei figli, mediante cui ai figli vengono trasmessi i valori che ne fanno dei membri della comunità. Oltre alla nascita biologica, la famiglia assicura ai figli anche una “seconda nascita”, quella sociale e spirituale.

Materiali per l’apprendimento attivo

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37. coMpetenZe > pensiero critico

38. approFondiMenti > per saperne di più

i tre MoMenti deLLa MoraLe la moralità si articola in tre momenti: il proposito, cioè il riconoscimento dell’azione come propria e l’assunzione della responsabilità; l’intenzione e il benessere, o il diritto del benessere, cioè il riconoscimento che il contenuto dell’azione deve contenere i bisogni e gli scopi dell’individuo; infine, il bene e il male, il contrasto tra un dover-essere che l’individuo avverte come universale e la propria singolarità che ne impedisce la realizzazione. Hegel rimprovera a Kant di aver circoscritto la moralità e la nozione di «dovere» all’ambito individuale, all’interno del quale non può trovare un contenuto concreto, una specificazione, e resta unilaterale e astratto. l’attuazione del bene come dover essere universale e come realizzazione storica può compiersi solo al di fuori della soggettività, nel momento dell’eticità. 39. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

eticità l’eticità (dal greco éthos che significa “comportamento”, “costume”) indica la dimensione comunitaria della morale, i valori di un popolo incarnati nelle sue istituzioni, la famiglia, la società civile e lo Stato. Secondo Hegel, in ogni comunità ci sono valori e una visione comune del mondo, definiti in generale «sostanza etica», che informano di sé ogni aspetto delle istituzioni pubbliche, facendone qualcosa di più che semplici modalità organizzative della società, bensì conferendo loro un significato morale. la «sostanza etica» compenetra anche gli individui, producendo un’identità comune. Questa dimensione morale della vita pubblica da un lato anticipa il moderno concetto di «cultura» in senso antropologico, dall’altro apre la strada a possibili interpretazioni totalitarie dello Stato [➤ Scheda 37].

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

La MoraLe e iL diritto Quali sono le cause e le conseguenze dell’inversione operata da Hegel, che pone il diritto come anteriore alla morale? Si tratta di un problema importante, soprattutto per le conseguenze che ne derivano. Si ricorderà che una posizione simile a quella di Hegel era stata sostenuta da Hobbes, il teorico dell’assolutismo. In base a questa concezione, la morale consiste nell’interiorizzazione delle leggi, quindi lo Stato, che emana le leggi, forma anche le coscienze dei cittadini. Questa posizione può preludere al totalitarismo, perché l’individuo risulta completamente subordinato allo Stato, anche nella propria interiorità. D’altra parte, però, essa solleva un tema importante: in che misura le nostre convinzioni, i nostri valori e i nostri princìpi morali sono plasmati dalla comunità in cui cresciamo? la sociologia e l’antropologia culturale hanno dimostrato che la nostra interiorità ha una dimensione collettiva, che la nostra coscienza morale si forma largamente come interiorizzazione di componenti sociali. Si tratta di due interpretazioni diametralmente opposte ma entrambe compatibili con le tesi hegeliane: giustificano il totalitarismo o anticipano le scienze sociali?

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La società civiLe Hegel contesta la centralità assegnata alla società civile ➝ 40 da parte del liberalismo. In essa i singoli individui, si uniscono a quelli con interessi simili ma si contrappongono agli altri: sono pertanto portatori di interessi conflittuali. Abbiamo così una pluralità di gruppi e di classi che determina una dispersione della sostanza etica, configurandosi, scrive Hegel, come «Stato esterno», poiché i rapporti giuridici ed economici che la regolano restano esterni all’individuo, non vengono interiorizzati come invece avverrà con i valori dello Stato. La società civile si basa infatti sull’utile e sulla convenienza reciproca piuttosto che su una comunanza di valori e di affetti. Anch’essa si articola in tre momenti ➝ 41 , l’ultimo dei quali, la corporazione, prefigura la coesione e la solidarietà che caratterizzeranno lo Stato. Il passaggio del singolo da individuo a cittadino, cioè partecipe della dimensione comunitaria dello Stato, avviene mediante la cultura e la professione. La cultura costituisce il momento della formazione teoretica, mediante la quale il singolo acquisisce un sapere comune a tutti, stabilendo quindi un rapporto profondo con gli altri. La professione svolge la stessa funzione in ambito pratico, nella prassi, poiché inserisce l’individuo in un sistema complessivo al quale partecipa, collocandosi quindi, mediante il proprio ruolo lavorativo, all’interno della dinamica complessiva della organizzazione sociale. Lo stato nello stato si opera la sintesi tra moralità ed eticità, poiché l’eticità diviene anche dimensione interiore dei singoli, tra i quali si stabilisce, di conseguenza, un’unione profonda. come conseguenza, l’individuo è l’elemento parziale, limitato, che trova la sua dimensione più reale e più autentica nello stato, al quale risulta perciò subordinato. Hegel sostiene una concezione politica nota come «Stato etico»: lo Stato non è semplicemente il garante della convivenza pacifica, ma è caratterizzato da valori comuni che trasmette a tutti i suoi membri, formandoli secondo una moralità comune. Esso è permeato quindi dalla “sostanza etica” come un’atmosfera comune, che tutti i cittadini respirano, la quale penetra nella coscienza di ognuno e stabilisce una profonda comunanza tra gli individui che lo compongono, facendone una realtà unitaria ➝ 42 . Anche in questo caso, Hegel si contrappone alle teorie liberali: lo Stato non è il risultato di un contratto ma è espressione di un’identità etica, di valori. La sua concezione è vicina a quella romantica che considera lo Stato come nazione, come espressione di un popolo. Lo Stato è superiore alla società civile e agli individui che lo costituiscono, i quali sono momenti della totalità che lo Stato rappresenta. Per la filosofia di Hegel, come abbiamo visto, la realtà è razionale e quindi la filosofia deve interpretare l’esistente, non cercare di modificarlo. La famosa tesi secondo cui «ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale» è nella Prefazione dei Lineamenti della filosofia del diritto, dove si parla in generale dello Spirito oggettivo e in particolare dello Stato. Per questo, il modello di Stato è la forma più avanzata tra quelle esistenti nel suo tempo, cioè la monarchia costituzionale. Essa è alimentata dalla dialettica tra i momenti costituiti dal potere legislativo, esecutivo e “potere del sovrano”, che ne garantisce l’unità. Dato che lo Stato è considerato come lo Spirito di un popolo, la costituzione non è un semplice patto, come voleva il liberalismo, ma è espressione della sua identità collettiva, dei suoi valori come si sono formati storicamente. Per questo, scrive Hegel, essa non viene fatta da nessuno, anche se viene materialmente scritta da alcune persone, perché nella sua sostanza “si svolge”, si realizza storicamente.

Materiali per l’apprendimento attivo 40. per capire MeGLio

41. approFondiMenti > per saperne di più

i tre MoMenti deLLa società civiLe la società civile si articola nei seguenti momenti: 1. il sistema dei bisogni, per soddisfare i quali nasce il lavoro, con la specializzazione e la suddivisione in classi. esse vengono considerate da Hegel come la logica articolazione per una maggiore efficienza dell’insieme. Sono distinte in classe sostanziale – agricoltura e allevamento –, classe formale, di elaborazione dei prodotti – industria e artigianato – e classe generale – che si occupa degli interessi pub- ▲ C. Meunier, Operai in una fabbrica di mattoni, collezione privata. blici – impiegati ecc.; 2. l’amministrazione della giustizia, basata sul concetto della obbligazione esterna verso le leggi (cioè, queste devono essere rispettate, ma non richiedono l’adesione interiore e il consenso personale); 3. la polizia e la corporazione: la prima, ricollegata etimologicamente alla politéia e intesa in senso lato come «l’agire della totalità stessa», garantisce la coesione esteriore della società, la seconda instaura una solidarietà di gruppo che è coesione interiore, pur se limitata all’ambito economico, e prelude allo stato. Le corporazioni infatti, soprattutto nel loro modello medievale (verranno abolite in molti Paesi europei soltanto con la rivoluzione francese), non avevano soltanto una funzione economica, ma stabilivano uno spirito di corpo tra coloro che facevano lo stesso mestiere e regolavano anche molti aspetti della vita privata degli associati. La centralità ad esse assegnata segna un’altra differenza rispetto al liberalismo e al liberismo economico, che sostiene la libera concorrenza e il superamento dell’economia corporativa. 42. coMpetenZe > Filosofia e cittadinanza

Lo stato etico e iL totaLitarisMo nonostante che Hegel sostenga la monarchia costituzionale, la sua concezione dello stato etico verrà ripresa nel novecento dai sostenitori del totalitarismo, cioè del regime che prevede una profonda omogeneità di valori tra tutti i cittadini, per cui è impensabile il dissenso e si richiede l’adesione morale di ognuno ai princìpi e alla politica dello Stato stesso. A differenza della dittatura, il totalitarismo non soltanto nega le libertà civili, ma pretende di formare le coscienze dei cittadini. Il maggiore teorico del fascismo italiano, Giovanni Gentile, è stato anche il maggiore filosofo neohegeliano e lo stesso nazismo si è richiamato largamente alla filosofia hegeliana.

4 L A F ILoS oF IA coME S IS T E MA

La società civiLe e Lo stato la società civile rappresenta l’organizzazione spontanea degli individui, non regolamentata da disposizioni di legge valide per tutti i cittadini. riguarda l’economia, i rapporti di lavoro e in genere la regolamentazione degli interessi particolari, relativi a segmenti della società. lo Stato è invece l’organizzazione di tutti i cittadini che stabilisce norme comuni e un comune sentire, una comune identità. la distinzione tra questi due ambiti ricorda quella di rousseau tra volontà di tutti e volontà generale. lo Stato, per Hegel, rappresenta la dimensione universale degli individui, formandone la coscienza sulla base di valori comuni. Alcuni aspetti della concezione hegeliana dello Stato aprono la strada al totalitarismo e saranno infatti ripresi dal nazismo, oltre a costituire il fondamento della concezione politica di Gentile, che a partire da queste premesse elabora la teoria fascista dello Stato.

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La prospettiva di Hegel è organicistica: ogni costituzione quindi esprime le caratteristiche del popolo che l’ha elaborata, non dei singoli individui che l’hanno scritta. da questo punto di vista, non possono esistere organismi sovranazionali, che sarebbero conflittuali rispetto all’assoluta autorità su di sé che non può non avere ogni singolo popolo. Da queste tesi derivano conseguenze importanti nella concezione dello sviluppo storico. La costituzione, in quanto Spirito del popolo ➝ 43 , ne esprime le caratteristiche e quindi, allontanandoci da ciò che afferma Hegel, può essere studiata per capire il popolo di cui è espressione ➝ 44. Inoltre, ogni Stato e ogni popolo presentano caratteristiche unitarie, dato che lo Spirito permea ogni aspetto della vita sociale, culturale e politica. Questa prospettiva organicistica, per cui le diverse società sono fondamentalmente unitarie in tutti i loro aspetti, verrà ripresa anche al di fuori dell’ambito idealistico, ad iniziare, come vedremo, da Marx. Anche lo Stato si articola in tre momenti: il diritto interno, il diritto esterno e la storia del mondo. Fin qui abbiamo considerato solo il primo momento. Il “diritto statuale esterno” riguarda i rapporti tra i popoli. Ogni Stato esprime la realtà di un singolo popolo e non ha nessuna autorità al di sopra di sé. La posizione di Hegel potrebbe essere definita, con linguaggio attuale, “sovranista”. Non possono esistere, a differenza di quanto affermava Kant, organismi sovranazionali cui cedere parte della propria sovranità. Di conseguenza, le controversie internazionali, se non vengono risolte tramite accordi, conducono inevitabilmente alla guerra. «La controversia degli Stati può quindi, in quanto le volontà particolari non trovano un accordo, venir decisa soltanto dalla guerra» (Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1981, 2 voll., § 334, p. 262). Lo stato di guerra può essere superato unicamente mediante trattati di pace tra gli Stati e con il riconoscimento reciproco, nel quadro di un diritto internazionale in base al quale gli Stati limitano le proprie pretese reciproche. La guerra è però considerata inevitabile e costituisce, secondo Hegel, il vero motore della storia del mondo. La storia del mondo è data dallo sviluppo dialettico dei diversi Spiriti nazionali. Ogni popolo ha infatti uno Spirito che si svolge nel tempo, ha cioè una storia ed è destinato ad affermarsi per poi decadere e scomparire, sostituito da altri popoli. I greci, ad esempio, hanno dominato il periodo classico per poi essere sostituiti dai romani e questi dalle popolazioni barbariche. Lo Spirito del mondo attraversa tutti questi momenti, dando un senso unitario alla storia nel suo insieme. Ogni popolo è una tappa dello svolgimento dello Spirito del mondo ed è chiamato a svolgere il proprio compito in un disegno complessivo di cui è soltanto un momento, destinato a passare, seguendo un piano razionale complessivo, che ha come fine ultimo l’affermazione della libertà. Infatti nell’antichità e in particolare nelle civiltà orientali, schematizza Hegel, solo uno, l’imperatore o il capo dello Stato, era libero; nell’antichità solo alcuni erano liberi, mentre nel mondo cristiano-germanico si è affermata invece la libertà come costitutiva della natura stessa dell’uomo, quindi tutti sono liberi ➝ 45 . Guida allo sTudio • spiega il significato generale dello spirito

soggettivo. • Formula una sintetica definizione di «spirito oggettivo». • perché in Hegel il diritto è posto prima della moralità contrariamente alla filosofia di ispirazione liberale? • Che cosa si intende per «eticità»? In che cosa si distingue dalla «moralità»?

• Quali sono i momenti della famiglia? perché

l’educazione dei figli è importante? • Quali devono essere per Hegel i rapporti tra

società civile e stato? perché la posizione dello stato è preminente? • Quali sono i rapporti tra lo stato e i singoli individui? perché si parla di «stato etico»? • Quali sono i rapporti tra i diversi stati? Che ruolo ha la guerra?

Materiali per l’apprendimento attivo 43. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

44. La paroLa ai testi

T14 Hegel Come nasce una costituzione Secondo Hegel, la costituzione non è il prodotto elaborato da singoli uomini, ma è la manifestazione dello Spirito di un popolo. La tesi di Hegel è interessante perché considera la costituzione non un semplice patto, come nella tradizione liberale, ma la manifestazione storica e culturale di un popolo.

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La questione a chi, e a quale autorità e come organizzata, spetti di fare una costituzione, è la medesima che se si domandasse, chi abbia da fare lo spirito di un popolo. Il separare la rappresentazione di una costituzione da quella dello spirito, come se questo esista, o sia esistito una volta, senza possedere una costituzione a sé conforme, è un’opinione che dimostra soltanto la superficialità con cui è stata pensata la connessione dello spirito, della sua autocoscienza e della sua realtà. Ciò che si chiama fare una costituzione non è mai, – a cagione di tale inscindibilità, – accaduto nella storia; come non si è mai fatto un codice: una costituzione si è soltanto svolta dallo spirito, in identità con lo svolgimento proprio di questo; ed insieme con lui ha percorso i gradi di formazione e i cangiamenti, necessari in virtù del concetto. È lo spirito immanente e la storia, – e la storia è soltanto la storia dello spirito, – ciò da cui le costituzioni sono state, e sono, fatte. (G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1980, 2 voll., vol. II, § 540, p. 509)

45. La paroLa ai testi

T15 Hegel La libertà come fine ultimo della storia La storia universale può essere ricostruita come affermazione della libertà, dalle civiltà orientali in cui uno solo è libero, alle civiltà classiche, in cui alcuni sono liberi, fino al mondo germanico, in cui tutti sono liberi.

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Giusta questa determinazione astratta, si può dire della storia universale che essa è la raffigurazione del modo in cui lo spirito si sforza di giungere alla cognizione di ciò ch’esso è in sé. Gli Orientali non sanno ancora che lo spirito, o l’uomo come tale, è libero in sé. Non sapendolo, non lo sono. Essi sanno solo che uno è libero; ma appunto perciò questa libertà è arbitrio, barbarie, gravezza della passione, o magari anche mitezza e mansuetudine della passione stessa, che anch’essa è solo un caso di natura o un arbitrio. Quest’uno è perciò solo un despota, non un uomo libero, un uomo. Presso i Greci, per primi, è sorta la coscienza della libertà, e perciò essi sono stati liberi, ma essi, come anche i Romani, sapevano solo che alcuni sono liberi, non l’uomo come tale. Ciò non seppero né Platone né Aristotele; e perciò non solo i Greci ebbero schiavi, e la loro vita e il sussistere della bella libertà fu vincolata a tale condizione, ma anche la loro libertà non fu in parte che una fioritura accidentale, elementare, transitoria e ristretta, e in parte, insieme, una dura schiavitù dell’umano. Solo le nazioni germaniche sono giunte nel cristianesimo alla coscienza che l’uomo come uomo è libero, che la libertà dello spirito costituisce la sua più propria natura. (G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze 1981, I, pp. 46-47)

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

spirito deL popoLo lo spirito del mondo, vero soggetto della storia dell’umanità, si articola negli spiriti dei singoli popoli. lo «spirito del popolo» indica l’identità di ogni singolo popolo che ne fa il protagonista di determinate epoche storiche, per poi cedere il posto ad altri, secondo un disegno complessivo razionale. Indica anche, al tempo stesso, il sentire comune, i valori e la visione del mondo propri di ogni popolo e comuni a tutti gli individui che lo compongono, uniti quindi da una sostanza spirituale che ne compenetra le coscienze e stabilisce l’orizzonte comune.

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La concezione della storia

mappa

La filosofia hegeliana è fondamentalmente storica, perché nella storia si realizza ed è riconoscibile lo sviluppo dell’assoluto. La storia è vista dunque come razionale e teleologicamente orientata verso un fine ultimo, che è la libertà di tutti gli individui. L’agire storico è determinato dalla ragione, che si incarna nello spirito dei popoli. Gli individui hanno una funzione strumentale: vengono usati dalla ragione stessa per realizzare i propri scopi (astuzia della ragione). Nella storia del mondo possiamo individuare alcune dinamiche che consentono di descrivere più analiticamente il processo. Lo Spirito costruisce la trama della storia, ma non agisce apertamente, in superficie, bensì scava in profondità, come una talpa, secondo una metafora hegeliana. Quando una nuova epoca è pronta, è necessario che alcuni individui, guidati dallo Spirito stesso, facciano saltare la scorza che fa apparire la realtà statica per rivelare il nuovo che è nato in profondità. Si tratta, scrive Hegel, degli individui cosmico-storici, che intuiscono la nuova realtà che vuole emergere e ne determinano la nascita ➝ 46. Sono i grandi condottieri come Alessandro Magno, Cesare, Napoleone, la cui azione è inarrestabile perché non è originata da essi ma dallo Spirito stesso di cui sono strumenti. Hegel parla a tale proposito di astuzia della ragione ➝ 47 . Gli individui cosmico-storici sono convinti di perseguire i propri fini, il dominio, l’impero, la gloria, ma in realtà la ragione usa le loro ambizioni per realizzare le proprie finalità. E quando hanno esaurito il proprio compito, li getta via come involucri vuoti. I grandi uomini, infatti, vanno di solito incontro a un destino tragico, come è stato per i personaggi ricordati sopra ➝ 48. Ma al di là di queste figure strettamente legate all’idealismo di Hegel, la sua concezione della storia influenzerà molte filosofie successive anche di diverso segno. La storia è razionale e organica. Quando Hegel parla di Spirito di un popolo che si sviluppa, afferma che ogni epoca storica, in ogni luogo, ha una propria atmosfera generale che ne influenza tutti i diversi aspetti, dalla politica all’economia, dalla società all’arte, dalla letteratura alla filosofia alle religiosità ecc. Ogni popolo in ogni momento della sua storia va studiato come una identità specifica. Al tempo stesso, la storia di ogni popolo e quella complessiva hanno uno sviluppo razionale che può essere studiato e ricostruito, senza lasciare nulla al caso o al capriccio individuale. Però, per comprendere questa razionalità complessiva, dobbiamo individuare gli aspetti per così dire strutturali, eliminare quelli contingenti e individuali, cioè, con un lessico non hegeliano ma che avrà largo successo nell’Ottocento, costruire dei modelli interpretativi che individuino le cause razionali dei diversi eventi.

Guida allo sTudio • Chi è il vero soggetto del divenire storico? • perché la visione hegeliana della storia è teleologica? Qual è il fine della storia? • Qual è il ruolo dell’individuo nello sviluppo storico? Che cosa si intende per “astuzia della

ragione”? • Quali sono gli aspetti della filosofia hegeliana della storia ancor oggi attuali?

Materiali per l’apprendimento attivo

dizionario operativo

46. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

dizionario operativo

47. coMpetenZe > Lessico e concettualizzazione

astuZia deLLa raGione la storia ha una razionalità complessiva che le conferisce un significato unitario, ma è fatta da singoli individui con le loro ambizioni e le loro passioni. la ragione che guida la storia utilizza le peculiarità dei singoli, che credono di agire per le proprie finalità ma in realtà cooperano allo sviluppo complessivo voluto dalla ragione. Cesare, ad esempio, ha fatto scelte in vista del proprio potere, ma in realtà ha determinato la fine della repubblica e ha posto le fondamenta dell’Impero, così come razionalmente doveva accadere.

▶ Busto di Giulio Cesare, i-ii secolo d.C., arte romana (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

48. La paroLa ai testi

T16 Hegel Gli individui cosmico-storici e l’astuzia della ragione Gli individui cosmico-storici, al di là della grandezza apparente, sono strumenti nelle mani della ragione e per questo intuiscono prima degli altri le trasformazioni storiche, guidandole. Spesso la loro fine è tragica perché la ragione li abbandona quando hanno svolto il proprio compito.

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Se gettiamo ora uno sguardo sulla sorte di questi individui cosmico-storici, vediamo che essi hanno avuto la fortuna di essere gli agenti di un fine, che costituisce un grado nel corso evolutivo dello spirito universale. In quanto, però, essi sono anche stati soggetti distinti da questa loro sostanza, non hanno avuto quella che comunemente si dice felicità. Ma neppure volevano averla, bensì attingere il loro fine; e l’hanno attinto col loro faticoso lavoro. Essi hanno saputo soddisfarsi, hanno saputo realizzare il loro fine, il fine universale. Di fronte a un fine così grande, si sono proposti audacemente di tendervi, contro ogni opinione degli uomini. Ciò che scelgono non è quindi la felicità, bensì fatica, lotta, lavoro per il loro fine. Raggiunto il loro scopo, non son passati alla tranquilla fruizione, non son diventati felici. Ciò che sono, è stata la loro opera: questa loro passione ha determinato l’àmbito della loro natura, del loro carattere. Raggiunto lo scopo, essi somigliano a involucri vuoti che cadono. È forse stato duro, per loro, assolvere il loro compito; e, nel momento in cui ciò è accaduto, son morti presto come Alessandro, o sono stati assassinati come Cesare, o deportati come Napoleone. (G. W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, La Nuova Italia, Firenze 1981, vol. I, p. 91)

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

individui cosMico-storici l’individuo è strumento della ragione nella costruzione del percorso storico. tuttavia alcuni individui eccezionali sono in grado di avvertire inconsciamente lo spirito dei tempi e di porsi alla guida dei processi che in un determinato periodo devono realizzarsi, in particolare nei momenti di trasformazione epocale, come hanno fatto Alessandro Magno, Cesare o Napoleone.

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Lo Spirito assoluto Lo spirito assoluto è l’idea che, dopo essersi realizzata nella storia, diviene consapevole della propria realizzazione e della spiritualità del reale. esso è quindi conoscenza dell’assoluto, sia nella sua forma sensibile (l’arte), sia nell’interiorità della coscienza che si pone di fronte all’assoluto (la religione), sia infine come conoscenza del conoscersi stesso dell’assoluto (la filosofia). La filosofia coincide per Hegel con la storia della filosofia, che è la storia dell’assoluto nel suo cammino di conoscenza di sé. Lo Spirito assoluto è la sintesi dei due precedenti momenti, quindi è lo Spirito che raggiunge la piena consapevolezza di sé. Esso si sviluppa nella storia del sapere, relativamente agli ambiti che hanno come oggetto l’Assoluto, cioè la totalità. Tali saperi sono l’arte, la religione e la filosofia ➝ 49, che si definiscono mediante il loro sviluppo storico. Nella prospettiva hegeliana, quindi, assumono importanza la storia dell’arte, della religione e della filosofia. In particolare, la filosofia coincide con il proprio sviluppo storico e da ciò avrà origine l’insegnamento di questa disciplina come “Storia della filosofia”, impostazione conservata in Italia fino ad oggi ➝ 50.

L’arte L’arte è concepita da Hegel in senso romantico come rappresentazione dell’Assoluto. Ciò avviene però ancora in forma sensibile e quindi l’arte è il primo momento, quello più basso, dello Spirito assoluto. A differenza di Kant, Hegel non fa riferimento alla bellezza della natura, ma unicamente a quella artistica, perché solo essa può esprimere l’idea, sia pure in forma sensibile. Pur essendo un momento dello svolgimento dello Spirito assoluto, l’arte ha in se stessa la propria finalità ed è autonoma rispetto agli altri due. Essa si sviluppa in tre momenti, definiti in base al rapporto tra la forma (sensibile) e il contenuto (spirituale): 1. l’arte simbolica, caratteristica delle prime civiltà, in particolare orientali, caratterizzata dalle grandi strutture architettoniche, in cui la forma imponente cerca di esprimere un contenuto che intuisce ma non è ancora in grado di comprendere; 2. l’arte classica, rappresentata soprattutto dalla scultura, in particolare greca, che privilegia la riproduzione della figura umana, in cui forma e contenuto sono in armonia; 3. l’arte romantica, nella quale il contenuto è talmente ricco che non riesce più ad esprimersi in forma sensibile, neanche nelle arti in cui l’elemento sensibile è ridotto al minimo, come la musica o la poesia. Il Romanticismo segna per questo il vertice dello sviluppo dell’arte, ma al tempo stesso il suo superamento, la morte dell’arte, che trapassa nella religione. Al di là della sistemazione triadica della storia dell’arte, la concezione hegeliana è innovativa perché inaugura l’approccio all’estetica come storia dell’arte, con un proprio sviluppo razionale. Inoltre, nella sua prospettiva, l’arte è espressione di un’epoca storica e concorre a comprenderne meglio le caratteristiche, coordinandosi al tempo stesso con gli altri aspetti della cultura dell’epoca. Lo studio dell’opera d’arte è quindi ricondotto al contesto storico-culturale in cui è nata, come espressione di un’epoca e come manifestazione della sua mentalità.

La religione L’arte è il momento oggettivo dello Spirito assoluto, perché legato alla sensibilità. La religione è invece quello soggettivo, perché relativo alla coscienza. La religione riguarda in ultima analisi l’interiorità, anche se si esprime in riti e in cerimonie esteriori. Nella Enciclopedia delle scienze filosofiche Hegel fa riferimento solo a quella cristiana come sapere assoluto, mentre

Materiali per l’apprendimento attivo

audiomappa

49. coMpetenZe > Mappa concettuale

in particolare

sviluppo razionale della storia dell’arte

arte arte come espressione di un popolo e di un’epoca



ha come oggetto l’Assoluto intuito sensibilmente

SPIRITO ASSOLUTO

si articola in tre momenti

religione

in particolare

solo il cristianesimo è propriamente momento dello Spirito assoluto

a come oggetto • hl’Assoluto interiorizzato

o Spirito giunge • lalla perfetta autoconoscenza

filosofia a come oggetto • hl’Assoluto che si

in particolare

si identifica con la storia della filosofia

è il momento della sintesi dello Spirito assoluto

conosce in-sé e per-sé

50. coMpetenZe > La filosofia e il presente

HeGeL e L’inseGnaMento deLLa FiLosoFia la tesi hegeliana che la filosofia coincide con la sua storia ha condizionato pesantemente l’insegnamento di questa materia nelle scuole, particolarmente in quelle italiane. Fino all’avvento del regime fascista, in Italia l’insegnamento della materia era sistematico, cioè si insegnavano i diversi ambiti della filosofia (logica, etica, metafisica ecc.) senza un percorso storico da seguire, salvo gli ovvi riferimenti ai pensatori più significativi. Nel 1923 Giovanni Gentile, ministro del primo governo fascista e neohegeliano, procedette a una importante riforma della scuola, introducendo tra le altre cose una netta differenza tra i licei e gli istituti tecnici. Per la filosofia, introdusse l’approccio storico nell’insegnamento, orientamento che venne poi accentuato dalla successiva riforma di Cesare Maria De vecchi del 1936. l’insegnamento della storia della filosofia è attualmente presente in Italia, in Spagna e in pochi altri Paesi europei, mentre in Francia, in Gran Bretagna e in molti altri si insegna filosofia, con riferimenti ai grandi filosofi del passato ma senza ripercorrere sistematicamente lo sviluppo storico della disciplina. nelle Lezioni sulla filosofia della religione, che qui seguiremo, traccia una ricostruzione che attraversa tutte le forme di religiosità. In questa prospettiva, i tre momenti sono: le religioni orientali, caratterizzate dal naturalismo, la religione classica con il riconoscimento di Dio come individualità (politeismo greco e romano ma anche ebraismo) e infine il riconoscimento di Dio come Spirito, nel cristianesimo. Anche nel caso della religione, il contributo maggiore di Hegel è la storicizzazione di questo sapere e il rapporto con l’insieme dell’epoca in cui ogni momento si manifesta.

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Lo spirito assoLuto

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10. H eG e L

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La filosofia La filosofia supera la trascendenza della religione, riconoscendo la presenza dello Spirito nella storia. La filosofia è intesa come storia della filosofia perché in essa si manifesta lo sviluppo dello Spirito. Ogni momento è quindi in sé significativo, ma viene superato dal successivo fino a culminare nell’ultima filosofia che è anche quella più matura e più vera. La ricostruzione di Hegel procede come al solito per triadi, escludendo dalla storia della filosofia il pensiero orientale, che non è considerato filosofico. La storia della filosofia si riduce a due momenti principali, quello greco (che comprende anche la filosofia romana, che secondo Hegel non ha una propria originalità) e quello germanico, che si svolge nell’ambito del cristianesimo. Al mondo germanico sono da ricondurre anche l’Italia, la Francia, la Spagna e l’Inghilterra, perché la loro civiltà è stata rinnovata nel Medioevo da quella germanica. Le diverse triadi che scandiscono lo sviluppo storico della filosofia trovano il proprio punto di arrivo nell’idealismo. Hegel definisce idealismo soggettivo quello di Fichte (che ha come fondamento l’Io), idealismo oggettivo quello di Schelling (per la centralità che in esso assume la natura) e infine idealismo assoluto il proprio, come sintesi e conclusione, almeno all’epoca, della storia della filosofia. ➝ 51

Guida allo sTudio • perché nell’estetica Hegel parla del bello

artistico e non della natura? • In che senso l’arte ha una dimensione storica e sociale?

• ricorda i tre momenti della religione. • Come viene considerata la filosofia? perché

coincide con la storia della filosofia?

▲ Filosofo che sta leggendo un rotolo, attorno discepoli e parenti, sarcofago di Plotino, iii sec. d.C. (Vaticano, Museo Gregoriano Profano).

Materiali per l’apprendimento attivo 51. approFondiMenti > per saperne di più

4 l A F IloS oF IA CoMe S IS t e MA

Lo spirituaLisMo in itaLia In Italia la filosofia tedesca sarà riletta e filtrata da un orientamento definito «spiritualismo». la filosofia italiana della prima metà dell’ottocento si richiama a Kant e all’idealismo hegeliano, ma vi unisce una forte connotazione religiosa. Antonio rosmini Serbati (1797-1855) guarda in particolare alla filosofia di Kant, mentre vincenzo Gioberti (1801-52) a quella di Hegel, entrambi introducendo forti elementi di novità. rosmini riprende dal pensiero di Kant l’idea di fondo che la conoscenza consista in una sintesi tra una materia sensibile e ▶ Ritratto di Giuseppe una forma intellettiva. Si discosta però da Kant, quando nega Mazzini, patriota italiano, le categorie per affermare, come unica forma a priori, l’idea di fondatore della Giovine Italia. essere. l’essere si articola, secondo rosmini, in tre «forme (Firenze, Galleria d’Arte categoriche»: la forma reale (l’essere esistente), quella ideale Moderna). (l’essere pensato) e quella morale (il dover essere). Da queste deriva la classificazione delle scienze, divise rispettivamente in scienze metafisiche, ideologiche e deontologiche. le prime hanno come oggetto l’essere in sé, che corrisponde da un lato a dio (la teosofia, comprendente oltre alla teologia anche l’ontologia e la cosmologia), dall’altro allo spirito, all’anima (psicologia). le scienze ideologiche hanno per oggetto l’essere ideale e in particolare i principi della logica. le scienze deontologiche, infine, riguardano la prassi (che deve fondarsi sul dovere, da cui il nome: dal greco déon, “dovere”) e sono la morale, la politica e il diritto. vincenzo Gioberti, sacerdote e uomo politico (fu il teorico del neoguelfismo, poi ministro del regno di Sardegna e per qualche mese, tra il 1848 e il 1849, Presidente del Consiglio), muove a rosmini la critica di considerare l’essere semplicemente come categoria logica, come essere ideale, invece che come essere reale. la conoscenza intuitiva, che è preliminare a ogni altra («l’intuito originario»), è invece quella dell’ente reale, cioè di dio. l’ente è originario o, come scrive Gioberti, «l’ente è necessariamente». Questa affermazione è la prima parte della «formola ideale» mediante la quale si esprime l’origine e lo sviluppo della realtà. Da essa deriva che «l’ente crea l’esistente», cioè qualcosa che «ex-siste», che viene fuori dall’ente e che «l’esistente ritorna all’ente». la morale è ricavata dalla «formola ideale», dato che mediante la scelta del bene l’uomo realizza il ritorno all’ente come ricongiungimento con Dio e beatitudine eterna. la riflessione filosofica di Mazzini è strettamente intrecciata con quella politica. Mentre rosmini e Gioberti aderiscono a un liberalismo moderato, Mazzini deriva dalla propria filosofia un orientamento democratico. II suo pensiero muove da una critica alla rivoluzione francese e all’esaltazione che il pensiero rivoluzionario ha fatto dei diritti (che secondo la sua analisi sono strettamente legati al liberalismo), perché essi riducono l’individuo a una monade, isolandolo da tutti gli altri. I doveri, al contrario, sono il fondamento dell’altruismo, aprono verso gli altri. Storicamente i primi doveri sono quelli che legano un coniuge all’altro e reciprocamente entrambi ai figli. Si crea in questo modo quella ricca rete di relazioni e di affetti che è la famiglia; più famiglie formano villaggi e poi unità sempre più ampie, fino a costituire i popoli. lo Stato non nasce in seguito a un patto, ma è espressione di un popolo, il quale a sua volta ha origine da legami comuni che producono, nel tempo, un comune sentire, una comune identità. Da qui deriva la concezione democratica, perché dall’identità comune, come avviene in una famiglia, conseguono la solidarietà e l’uguaglianza, quindi, sul piano politico, il suffragio universale e i diritti sociali, come l’istruzione e la salute, garantiti a tutti.

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LAVORO SUL TESTO

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• T17

Hegel Ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito • T18 Hegel Il vero è l’intero

• T19

Hegel Il lavoro e l’autocoscienza • T20 Hegel L’eticità • T21 Hegel Reale e razionale

Hegel Ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito

T17

Questo brano è tratto dalla Fenomenologia dello Spirito e più precisamente dalla Premessa, scritta diversi mesi dopo il resto, alla vigilia della pubblicazione. Proprio per questo è in grado di tracciare il senso generale del viaggio intrapreso. il singolo individuo è un momento dello spirito e come tale è in sé incompiuto. Per prendere coscienza di sé, l’individuo deve ripercorrere la storia dello spirito, in modo da ritrovare in essa la propria realtà. la storia dello spirito gli si presenterà però come un processo già compiuto, per cui i diversi momenti, privati della loro fluidità, appariranno come figure, ormai definite e statiche. l’itinerario percorso dallo spirito deve essere ripercorso tappa per tappa dal singolo, senza pretendere, come volevano invece i romantici, di intuire immediatamente l’assoluto. Ripercorrere questo itinerario ha una finalità formativa (l’individuo che prende coscienza del suo essere è un momento di un processo più ampio che lo comprende) e propedeutica allo studio della filosofia, perché consente di coglierla come storia concreta dello spirito e non come una successione di teorie. iL percorso arGoMentativo

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individuo particolare è lo spirito non compiuto: una figura concreta, in tutto il cui essere determinato domina una sola determinatezza, e nella quale le altre sono presenti soltanto con tratti sfumati B. Nello spirito che sta più su di un altro, la concreta esistenza inferiore è decaduta a momento impalpabile; ciò che prima era la cosa stessa, non è che una traccia; la sua figura è velata e divenuta una semplice ombreggiatura C. L’individuo percorre questo suo passato, la cui sostanza è quello spirito che sta più su, proprio come colui che è sul punto di avventurarsi in una

l’individuo è un momento dello Spirito quindi in lui sono presenti i momenti passati ma in modo sfumato B. In ognuno i momenti passati della storia dello Spirito sono solo tracce C.

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(G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, Prefazione, La Nuova Italia, Firenze 1972, vol. I, pp. 22-24)

1. Consummatum est: si è già consumato.

l’individuo percorre il passato che ha in sé come chi si avvicina a una scienza superiore ripercorre le nozioni preparatorie in modo da diventare consapevole di ciò che già è in lui D. quindi il singolo deve ripercorrere la storia dello Spirito ma come figure ormai già definite E. Allo stesso modo, nozioni in passato oggetto di ricerca, sono oggi conosciute anche dai bambini F. Questo passato è acquisito dallo Spirito universale il quale costituisce la sostanza dell’individuo per cui questi ha in sé, inconsciamente, tale passato G. Per l’individuo, la cultura vuol dire diventare cosciente di ciò che ha dentro di sé mentre lo Spirito universale diventa così cosciente di sé H. occorre farsi carico della lunghezza di questo itinerario cioè ripercorrere dentro di sé ogni tappa dello sviluppo dello Spirito perché ognuna è una figura individuale I. infatti anche lo Spirito del mondo ha avuto la pazienza di percorrere tutte queste tappe per prendere coscienza di sé di conseguenza anche l’individuo deve rifare tale cammino però il suo compito è più lieve perché le figure da ripercorrere si sono già sviluppate storicamente J. quindi non si tratta di passare dall’esistenza alla razionalità del reale ma dalla razionalità alla coscienza di essa K.

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scienza superiore percorre le cognizioni preparatorie, già in lui da lungo tempo implicite, per rendersi presente il loro contenuto; e le rievoca senza che quivi indugi il suo interesse D. Il singolo deve ripercorrere i gradi di formazione dello spirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dallo spirito già deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata E. Similmente noi, osservando come nel campo conoscitivo ciò che in precedenti età teneva all’erta lo spirito degli adulti è ora abbassato a cognizioni, esercitazioni e fin giochi da ragazzi, riconosceremo nel progresso pedagogico, quasi in proiezione, la storia della civiltà F. Tale esistenza passata è proprietà acquisita allo spirito universale; spirito che costituisce la sostanza dell’individuo e, apparendogli esteriormente, costituisce così la sua natura inorganica G. Mettendoci per questo riguardo dall’angolo visuale dell’individuo, la cultura consiste nella conquista di ciò ch’egli trova davanti a sé, consiste nel consumare la sua natura inorganica e nell’appropriarsela. Ma ciò può venire considerato anche dalla parte dello spirito universale, in quanto esso è sostanza; in tal caso questa si dà la propria autocoscienza e produce in se stessa il proprio divenire e la propria riflessione H. […] L’insofferenza pretende l’impossibile, vale a dire il raggiungimento della meta senza i mezzi. Da un lato bisogna sopportare la lunghezza di quest’itinerario, ché ciascun momento è necessario; dall’altro lato occorre soffermarsi presso ciascun momento, giacché ciascuno di per sé è un’intera figura individuale […] I. Poiché non solo la sostanza dell’individuo, ma addirittura lo Spirito del mondo ha avuto la pazienza di percorrere queste forme in tutta l’estensione del tempo, e di prender su di sé l’immane fatica della storia universale per riplasmare quindi in ciascuna forma, per quanto questa lo comportasse, il totale contenuto di se stesso; e poiché lo Spirito del mondo non avrebbe potuto attingere la coscienza di sé con minore fatica, è evidente che, secondo la cosa stessa, l’individuo non potrà arrivare a comprendere la sua sostanza attraverso un cammino più breve; tuttavia ha dinanzi a sé una fatica più lieve, perché tutto ciò in sé già consummatum est1: il contenuto è già l’effettualità affievolita nella possibilità, l’immediatezza già forzata, è la figurazione già ridotta alla sua abbreviazione, alla semplice determinazione di pensiero J. Essendo il contenuto di già un pensato, esso è proprietà della sostanza; non più l’esserci deve venir volto nella forma dell’esser-in-sé [an sich]; anzi è ciò ch’è in-sé che deve venir volto nella forma dell’esser-per-sé; — ciò ch’è in sé, non più meramente originario né calato nell’esserci, ma piuttosto ridotto già a memoria K.

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Hegel si riferisce ai momenti precedenti della storia dell’umanità che, quando vengono ripercorsi come memoria, perdono la concretezza che avevano nel momento in cui si sono prodotti effettivamente. Il passato dell’umanità è anche il passato dell’individuo (è questo un corollario importante della nozione hegeliana di Spirito), ma è presente in lui in modo implicito. Il cammino della Fenomenologia ha il compito di esplicitarlo. In quanto «Spirito non compiuto», infatti, l’individuo è un momento del processo più ampio ed è consapevole soltanto di questo momento; percorrere la storia dello Spirito, che è il passato dell’umanità, consente all’individuo di comprendere il processo nel suo insieme e quindi se stesso come parte dello Spirito compiuto. le tappe già percorse dall’umanità sono diventate senso comune, conoscenza di fondo che ognuno possiede. Per l’individuo, il sapere passato è divenuto ovvietà, in quanto parte del mondo in cui vive e del suo modo di essere («natura inorganica»). «Consumare» la propria natura inorganica significa riappropriarsi di tale sapere e diventarne coscienti, e questo cammino è al tempo stesso, mediante gli individui, ripercorso dallo Spirito che diviene così autocosciente. lo sviluppo dello Spirito è dialettico, ma la ricostruzione di esso ce ne presenta i momenti non più nel loro realizzarsi ma come già compiuti, quindi come realtà determinate: è questa la differenza di fondo tra la Fenomenologia i cui momenti sono appunto figure, e le stesse tappe considerate come divenire dello Spirito nel contesto del sistema hegeliano. Attraverso il ripercorrimento delle figure dello Spirito, la singola coscienza forma se stessa come coscienza filosofica: è un cammino che Hegel reputa lungo e impegnativo, perché non si tratta semplicemente di

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apprendere la storia del pensiero umano, ma di ritrovarla in sé, per conoscere sé stessi. Nella ricostruzione fenomenologica, il contenuto non è un divenire ma un «pensato», cioè è già determinato. Non si ha quindi, come avviene nello sviluppo storico dello Spirito, un passaggio dalla semplice esistenza (l’esserci) alla esistenza razionale (l’essere-in-sé), ma dalla razionalità già realizzata alla coscienza della stessa (l’essere-per-sé). coMprendere iL testo

• Che cos’è l’individuo per 667? • Perché ha dentro di sé la storia dello Spirito? • In che forma è questa storia? Perché deve «consumare la propria natura inorganica»? • Perché i momenti dello sviluppo dello Spirito sono «figure»? • Qual è la finalità di questo processo di chiarificazione per l’individuo? A che cosa lo prepara? discutere iL testo

In questo brano (e del resto in tutta la Fenomenologia dello Spirito) è presente un concetto ancora attuale di Hegel, al di là della prospettiva idealistica. Anche le scienze dell’uomo, oggi, e in particolare l’antropologia culturale, riconoscono che ogni individuo ha dentro di sé il sapere passato dell’umanità, non come sostanza spirituale che lo compenetra, ovviamente, ma in seguito al processo di formazione culturale che gli ha trasmesso, fin dalla prima infanzia e in gran parte in modo inconscio, conoscenze, valori, orientamenti che si sono formati storicamente. Fai riferimento alla “Questione” Cultura e comunità per approfondire questo tema.

Hegel Il vero è l’intero

la dialettica per hegel non riguarda soltanto la logica, ma è il fondamento dell’intero sistema. È dialettica la definizione stessa dell’assoluto, inteso come l’intero, e dei suoi rapporti con i particolari, intesi come momenti della totalità. Questo risolversi del particolare nell’universale, e reciprocamente il porsi dell’universale come concreto, è possibile soltanto nella prospettiva dialettica. in questa prospettiva processuale l’assoluto è definito come risultato, cioè come l’insieme dei vari momenti che ne costituiscono lo sviluppo. iL percorso arGoMentativo

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l vero è l’intiero. Ma l’intiero è soltanto l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo B. Dell’Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Resultato, che solo alla fine è ciò che è in verità C; e proprio in ciò consiste la sua natura, nell’essere effettualità, soggetto o divenir-se-stesso D. Per quanto possa sembrare contraddittorio che l’Assoluto sia da concepi-

la realtà è processuale B di conseguenza, il vero è risultato C infatti la natura del vero consiste nel divenir-se-stesso D

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(G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, vol. I, pp. 13-16)

perciò soltanto l’Assoluto è propriamente il vero ed esso è lo sviluppo dell’intera realtà E ad esempio la frase «tutti gli animali» non è un trattato di zoologia perché bisogna svilupparlo processualmente, ripercorrere la conoscenza dei singoli animali F lo stesso vale per parole come «divino» «assoluto» «eterno» G.

Guida aLL’anaLisi

coMprendere iL testo

l’esempio di Hegel è particolarmente chiaro: la frase «tutti gli animali» comprende l’intero oggetto della zoologia, ma non può essere spacciata per un trattato di tale scienza. Manca la mediazione, lo sviluppo dialettico. «tutti gli animali» deve diventare il suo contrario, «questo singolo animale» e anche questo deve negarsi per diventare non il singolo ma la specie, e poi la specie deve trapassare nel genere e così via, finché alla fine nel trattato compariranno ancora «tutti gli animali», ma questa volta analizzati e classificati. Anche i grandi concetti cari al romanticismo, a iniziare dall’Assoluto, devono essere sviluppati dialetticamente in modo analogo e solo alla fine di questo processo potremo affermarne la natura.

• Spiega l’espressione: «l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo».

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• Perché Hegel la considera come una definizione dell’intero? • Quali caratteristiche ha, di conseguenza, l’intero? • Perché l’Assoluto deve essere concepito come «risultato»? discutere iL testo Commenta l’esempio di Hegel e proponine altri simili.

Hegel Il lavoro e l’autocoscienza

nel conflitto originario tra le autocoscienze diventa signore chi accetta il confronto con la morte, mentre chi lo rifiuta non prende coscienza di sé e rimane servo. Facendo però del servo lo strumento del proprio rapporto con il mondo, il signore non interagisce più con le cose, non le modifica con il lavoro ma semplicemente le usa e le consuma. il servo, invece, mediante il lavoro trasforma le cose e in questa trasformazione la sua attività assume forma oggettiva. il servo si riconosce nella propria attività e attraverso il lavoro acquista coscienza di sé, diviene autocosciente, determinando l’inversione dialettica del rapporto servo-padrone: l’uno diviene l’altro e viceversa.

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arimente, il signore si rapporta alla cosa in guisa mediata, attraverso il servo; anche il servo, in quanto autocoscienza in genere, si riferisce negativamente alla cosa e la toglie; ma per lui la cosa è in pari tempo indipendente; epperò, col suo negarla, non potrà mai distruggerla completamente; ossia il servo col suo lavoro non fa che trasformarla B. Invece, per tale mediazione, il rapporto immediato diviene al signore la pura negazione della cosa stessa: ossia il godimento; ciò che non riuscì all’appetito, riesce a quest’atto del godere: esaurire la cosa e acquetarsi nel godimento C. Non poté riuscire all’appetito per l’indipendenza della cosa; ma il signore

iL percorso arGoMentativo

Il servo trasforma la cosa, non la consuma B. invece il signore non trasforma la cosa, ma la consuma, la distrugge C. poiché il signore ha introdotto il servo tra sé e la cosa

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re essenzialmente come resultato, basta tuttavia riflettere alquanto per rendersi capaci di questa parvenza di contraddizione. Il cominciamento, il principio o l’Assoluto, come da prima e immediatamente viene enunciato, è solo l’Universale E. Se io dico: “tutti gli animali”, queste parole non potranno mai valere come una zoologia F; con altrettanta evidenza balza agli occhi che le parole “divino”, “assoluto”, “eterno”, ecc. non esprimono ciò che quivi è contenuto; e tali parole in effetto non esprimono che l’intuizione, intesa come l’immediato. Ciò che è più di tali parole, e sia pure il passaggio a una sola proposizione, contiene un divenir-altro che deve venire ripreso, ossia una mediazione G.

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che ha introdotto il servo tra la cosa e se stesso, si conchiude così soltanto con la dipendenza della cosa, e puramente la gode; peraltro il lato dell’indipendenza della cosa egli lo abbandona al servo che la elabora. [...] D La verità della coscienza indipendente è, di conseguenza, la coscienza servile. Questa da prima appare bensì fuori di sé e non come la verità dell’autocoscienza. Ma come la signoria mostrava che la propria essenza è l’inverso di ciò che la signoria stessa vuol essere, così la servitù nel proprio compimento diventerà piuttosto il contrario di ciò ch’essa è immediatamente; essa andrà in se stessa come coscienza riconcentrata in sé, e si volgerà nell’indipendenza vera. [...] E Mediante il lavoro, essa [la coscienza] giunge a se stessa F. Nel momento corrispondente all’appetito nella coscienza del signore, sembrava bensì che alla coscienza servile toccasse il lato del rapporto inessenziale verso la cosa, poiché quivi la cosa mantiene la sua indipendenza. L’appetito si è riservata la pura negazione dell’oggetto, e quindi l’intatto sentimento di se stesso G. Ma tale appagamento è esso stesso soltanto un dileguare, perché gli manca il lato oggettivo o il sussistere. Il lavoro, invece, è appetito tenuto a freno, è un dileguare trattenuto; ovvero: il lavoro forma. Il rapporto negativo verso l’oggetto diventa forma dell’oggetto stesso, diventa qualcosa che permane; e ciò perché proprio a chi lavora l’oggetto ha indipendenza H. Tale medio negativo o l’operare formativo costituiscono in pari tempo la singolarità o il puro esser-per-sé della coscienza che ora, nel lavoro, esce fuori di sé nell’elemento del permanere; così, quindi, la coscienza che lavora giunge all’intuizione dell’essere indipendente come di se stessa I. (G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1972, vol. I, pp. 159-63)

allora non si pone più in relazione con la cosa stessa D.

quindi la coscienza autocosciente non è più quella del signore ma quella del servo E infatti essa raggiunge l’autocoscienza mediante il lavoro F. In un primo momento può sembrare che il rapporto del servo con la cosa sia quello meno importante G. Ma l’appagamento del signore distrugge la cosa mentre il lavoro non distrugge la cosa bensì la forma e forma al tempo stesso chi lavora H infatti chi lavora esce fuori di sé e si riconosce nella propria attività quindi giunge alla coscienza di sé, all’autocoscienza I.

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In un primo momento il signore appare come coscienza indipendente in quanto usa il servo per far propria la cosa, e il servo appare come coscienza dipendente dal signore. Ma il servo interagisce direttamente con la cosa, trasformandola con il proprio lavoro. In questo modo, riconosce nella cosa la propria attività e se stesso. Il signore, al contrario, toglie semplicemente la cosa, godendone, ma in questo modo non stabilisce con essa un rapporto dialettico. viene di conseguenza meno, per il signore, il processo di oggettivazione che è necessario per riconoscere se stesso e raggiungere l’autocoscienza. Quindi, il lavoro forma perché mediante il lavoro la soggettività diventa forma della cosa. Diventa quindi oggettività che permane e come tale è riconosciuta dal soggetto, che diviene consapevole di sé, riconoscendosi nell’oggetto trasformato. coMprendere iL testo

• Nel brano le posizioni del signore e del servo si invertono: perché?

• Perché il servo si oggettiva nella cosa? Si tratta di un processo negativo? • Come arriva il servo all’autocoscienza? discutere iL testo

la figura della signoria e servitù è una delle più note della Fenomenologia, soprattutto perché verrà ripresa e valorizzata da Marx che in essa sottolineerà la funzione formativa del lavoro: trasformando la cosa e proiettandosi in essa, l’individuo riconosce se stesso. Marx, però, sottolinea anche che nel lavoro meccanico delle moderne fabbriche l’alienazione, cioè l’oggettivazione nella cosa, diviene negativa, perché l’operaio, che svolge solo un passaggio del processo produttivo, non può riconoscersi nella propria attività come fa l’artigiano, ma avverte la propria attività come estranea a sé, disumanizzandosi. Discuti queste diverse possibilità, facendo esempi in relazione alla moderna economia. Quali lavori formano e quali disumanizzano? Proponi qualche esempio in un senso e nell’altro, motivando il perché.

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Hegel L’eticità

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ethos, in quanto si riflette nel carattere individuale come tale, determinato dalla natura, è la virtù, la quale, in quanto nulla mostra, se non la semplice adeguatezza dell’individuo ai doveri dei rapporti ai quali appartiene, è onestà. [...] Ma, nella semplice identità con la realtà degli individui, l’ethos appare come universale modo di agire dei medesimi, – come costume; – come consuetudine del medesimo, in quanto seconda natura, la quale è posta in luogo della prima volontà, semplicemente naturale, ed è l’anima compenetrante, il significato e la realtà della sua esistenza; lo spirito che vive ed esiste come un mondo, e la cui sostanza così è soltanto in quanto spirito. […] Il diritto degli individui per la loro destinazione soggettiva alla libertà, ha il suo compimento nel fatto che essi appartengono alla realtà etica, poiché la certezza della loro libertà ha la sua verità in tale oggettività; ed essi, nel campo morale, posseggono realmente la loro essenza particolare, la loro interna universalità. Alla domanda d’un padre, circa il miglior modo di educare eticamente il proprio figlio, un Pitagorico diede la seguente risposta (essa è messa anche in bocca ad altri): se tu lo faccia cittadino di uno Stato dalle buone leggi. Il diritto degli individui alla loro particolarità è, appunto, contenuto nella sostanzialità etica, poiché la particolarità è la maniera esteriormente apparente, nella quale esiste l’ethos. In tale identità della volontà universale e individuale si unifica, quindi, dovere e diritto, e l’uomo, mediante l’ethos, ha diritti in quanto ha doveri, e doveri in quanto ha diritti. [...] La sostanza etica, in quanto contenente l’autocoscienza che è per sé, unita al suo concetto, è lo spirito reale d’una famiglia e d’un popolo. (G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 1979, §§ 150-57, pp. 166-70)

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l’espressione «sostanza etica» è particolarmente significativa. rimanda a una dimensione morale che permea di sé tutta la società e che forma i singoli individui, compenetrandoli. D’altra parte, l’individuo “naturale”, cioè inteso come singolo, acquisisce una seconda natura proprio mediante la formazione sociale, interiorizzando l’eticità comune: la virtù, individuale, diventa costume, comunitario. l’espressione «interna

universalità» rende in modo chiaro il rapporto tra sostanza etica e individui: l’eticità è dimensione interna del singolo, ma insieme partecipazione al sentire comune, interiorizzazione di una sostanza universale. la sostanza etica, quindi, è una realtà metaindividuale, che costituisce l’aspetto comune di tutti gli individui di una comunità non semplicemente come insieme di tratti simili, ma come una seconda natura.

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l’ethos si manifesta a livello del singolo come virtù, ma è comune agli individui di una stessa comunità, determinandosi quindi come un insieme compartecipato di valori, come costume. la sostanza etica è propria di ogni individuo e caratterizza nello stesso tempo un intero popolo come una realtà unitaria.

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coMprendere iL testo

10. H eG e L

• Qual è la differenza tra la virtù e il costume? • Che cosa intende Hegel con l’espressione «sostanza etica»? discutere iL testo

Per una più immediata comprensione, suggeriamo una traduzione del testo hegeliano secondo una delle possibili letture in chiave moderna, avvertendo che si tratta di una interpretazione attualizzata, dunque da considerare unicamente come esempio. Si sostituisca all’espressione «sostanza etica» quella moderna di «cultura», intesa come un insieme di atteggiamenti acquisiti mediante il processo educativo e più in generale formativo. Gli individui che appartengono a

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una società interiorizzano un certo modo di vedere il mondo e di reagire agli eventi esterni, per cui hanno valori e concezioni etiche comuni. In genere, tutti gli individui appartenenti a una certa cultura considereranno i valori in essa prevalenti anche come propri valori personali. Sulla base di questi valori comuni tenderà a organizzarsi la struttura della società civile, con i diversi rapporti che la compongono, e su di essi si modelleranno le diverse istituzioni dello Stato. l’individuo non avvertirà contrasto tra i propri valori e quelli espressi nelle istituzioni. Non si porrà dunque il problema della libertà personale, per l’identità di valori tra individuo e collettività. ognuno riconoscerà nella volontà comune la propria, e diritti e doveri coincideranno.

Hegel Reale e razionale

il brano, tratto dalla Prefazione dei Lineamenti di filosofia del diritto, introduce la concezione hegeliana dello stato ed enuncia una delle tesi più note di hegel, l’identità del reale e del razionale. Essa discende necessariamente dall’impostazione del sistema hegeliano. infatti, se la realtà è sviluppo dell’idea, non può essere altro che razionalità dispiegata. per questo la filosofia deve soltanto coglierne la razionalità. iL percorso arGoMentativo

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iò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale B. Ogni coscienza ingenua, del pari che la filosofia, riposa in questa persuasione; e di qui appunto procede alla considerazione dell’universo spirituale, in quanto universo naturale. Se la riflessione, il sentimento, o qualsiasi aspetto assuma la coscienza soggettiva, riguarda il presente come cosa vana, lo oltrepassa e conosce di meglio, essa allora si ritrova nel vuoto; e, poiché soltanto nel presente v’è realtà, essa è soltanto vanità C. Se, viceversa, l’idea passa per essere soltanto un’idea, una rappresentazione in un’opinione, la filosofia al contrario garantisce il giudizio che nulla è reale se non l’idea. Si tratta allora di riconoscere, nell’apparenza del temporaneo e del transitorio, la sostanza che è immanente e l’eterno che è attuale D. Invero, il razionale, il quale è sinonimo di idea, realizzandosi nell’esistenza esterna, si presenta in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e aspetti; e circonda il suo nucleo della spoglia variegata, alla quale la coscienza si sofferma dapprima e che il concetto trapassa, per trovare il polso interno e per sentirlo appunto ancora palpitante nelle forme esterne. Ma i rapporti infinitamente vari, che si formano in questa esteriorità con l’apparire dell’essenza in essa, questo materiale infinito e la sua disciplina, non è oggetto della filosofia. Altrimenti, essa s’immischierebbe in cose che non la riguardano; essa può risparmiarsi di dare in proposito un buon consiglio E.

tutto ciò che esiste è razionale B

quindi la filosofia che cerca di andare oltre il proprio tempo si ritrova nel vuoto C

invece la filosofia deve cogliere, nella realtà storica concreta, la struttura razionale D

infatti l’esistenza presenta il razionale all’interno di apparenze che occorre superare per individuare il nucleo reale nella molteplicità dell’esistente E

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per questo, i filosofi che si sono occupati dello Stato hanno trascurato i dettagli, spiegandone invece la realtà razionale F inoltre l’analisi dello Stato si lascerà alle spalle giudizi e valutazioni morali sulle forme esistenti G dunque questo trattato sullo Stato ne ricostruirà la struttura razionale, considerandolo così com’è, senza pretendere di dire come dev’essere, mostrando anche la valenza etica dello Stato così come esiste H.

(G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari 1979, Prefazione, pp. 118-20)

Guida aLL’anaLisi

coMprendere iL testo

Nella parte che precede il brano riportato, Hegel insiste sulla necessità di considerare la filosofia come la «comprensione del presente e del reale». l’identità tra razionale e reale deve perciò essere interpretata, al di là delle considerazioni sul conservatorismo politico di Hegel, come un invito a partire dal piano dell’esistenza concreta. In essa deve però essere colta la struttura razionale («la sostanza immanente») che non coincide con l’esistente in quanto tale, ma ne costituisce la ragion d’essere e la spiegazione. la varietà delle forme che l’Idea assume nel suo oggettivarsi può esporre la filosofia al pericolo di disperdere la propria analisi in considerazioni marginali, come avevano fatto Platone e Fichte negli esempi che Hegel riporta. lo stesso vale, ed è l’aspetto più interessante, per quanto riguarda la concreta prassi politica. Hegel proclama una sorta di neutralità politica della filosofia, distinguendo il piano della comprensione scientifica da quello dell’azione concreta. la filosofia deve capire la realtà, non tentare di andare oltre, con tentativi di cambiarla o con progetti utopistici.

• Perché la filosofia non deve cercare di andare oltre il proprio tempo? • Perché il razionale non coincide con l’esistente? • Qual è il compito della filosofia? discutere iL testo

la neutralità della filosofia e la rinuncia a cambiare la realtà sono relative alla realtà in generale o solo ai problemi contingenti? In che misura questo reale coincida con l’esistente, quali siano gli aspetti razionali della realtà che non avrebbe senso contestare, e quali invece gli aspetti accidentali il cui cambiamento risulterebbe irrilevante, è stato oggetto di varie interpretazioni. Ad esempio, è «razionale» soltanto la forma di governo, o anche il partito o la classe sociale che esercita concretamente il potere? una risposta in un senso o nell’altro condiziona in profondità il giudizio di conservatorismo o meno che si può dare della filosofia hegeliana, perché in un caso si traduce nel riconoscimento di una razionalità di fondo dello sviluppo storico, nelle grandi linee, nel secondo in un vero e proprio conservatorismo politico, nella difesa dell’esistente in quanto tale.

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Platone poteva tralasciare la raccomandazione alle balie di non star mai ferme coi bambini, di dondolarli sempre sulle braccia; ugualmente, Fichte il perfezionamento del passaporto di polizia, sino a costruire, come si disse, che, dell’individuo sospetto, devono essere, non soltanto messi i connotati nel passaporto, ma dipinto in questo il ritratto. In simili particolari, non è più da vedere alcuna traccia di filosofia; ed essa può tanto più abbandonare simile ultra-saggezza, in quanto, sopra questa infinita quantità di argomenti, può certo mostrarsi liberalissima F. In tal caso, la scienza si mostrerà molto lontana anche dall’odio che la vuotaggine della saccenteria concepisce per una quantità di circostanze e di istituzioni; — odio, del quale si compiace principalmente la piccineria, poiché essa solo in tal modo giunge ad avere qualche coscienza di sé G. Così, dunque, questo trattato, in quanto contiene la scienza dello Stato, dev’essere null’altro, se non il tentativo d’intendere e presentare lo Stato come cosa razionale in sé. In quanto scritto filosofico, esso deve restar molto lontano dal dover costruire uno Stato come dev’essere; l’ammaestramento che può trovarsi in esso non può giungere a insegnare allo Stato come deve essere, ma, piuttosto, in qual modo esso deve esser riconosciuto come universo etico H.

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Itinerari di lettura online 1. L’AVVENTURA DELLA COSCIENZA E LA FORMAZIONE FILOSOFICA la Fenomenologia dello Spirito è un viaggio nella coscienza per ritrovare in noi stessi le manifestazioni della storia dello Spirito, ed è insieme una propedeutica filosofica, cioè la formazione di un modo filosofico di guardare la realtà. In quest’opera Hegel formula e analizza quel legame profondo tra l’individuo e lo Spirito, che costituirà uno dei motivi centrali della sua filosofia.

T1 (da HeGel, Fenomenologia dello spirito), Ripercorrere dentro di sé il cammino dello Spirito T2 (da HeGel, Fenomenologia dello spirito), Dal sapere apparente alla scienza T3 (da HeGel, Fenomenologia dello spirito), La coscienza infelice

2. DIALETTICA E ALIENAZIONE la dialettica è centrale nella filosofia di Hegel, sia come logica, sia come struttura della realtà stessa. Il confronto con il negativo e la sintesi con esso fonda la dinamicità del reale e la stessa formazione della coscienza, che attraverso questo confronto diventa cosciente di sé, autocoscienza. l’itinerario di lettura ripercorre questi motivi, utilizzando brani tratti prevalentemente dalla Fenomenologia dello spirito.

T4 (da HeGel, Scienza della logica), L’importanza del negativo

T5 (da HeGel, Fenomenologia dello spirito), Un esempio della dialettica

T6 (da HeGel, Fenomenologia dello spirito), Il vero è l’intero

T7 (da HeGel, Fenomenologia dello spirito), Il lavoro e l’autocoscienza

3. L’INDIVIDUO E LO STATO Il rapporto stabilito tra l’individuo e lo Stato è uno degli aspetti più discussi della filosofia hegeliana. lo Stato costituisce il punto di arrivo dei cittadini e la dimensione in cui essi possono realizzare pienamente se stessi, raggiungendo per suo tramite anche la dimensione dell’universalità e dell’eternità. Allo Stato Hegel attribuisce anche la funzione di formare la coscienza dei cittadini, e per questo si parla di Stato etico. Secondo alcuni critici, però, in questa simbiosi tra cittadini e Stato (in cui il secondo fagocita i primi), si nasconde anche un velato totalitarismo. Forse non è un caso che Giovanni Gentile, uno degli intellettuali più in vista del fascismo, sia hegeliano e sviluppi questa stessa concezione dello Stato, esplicitandone le conseguenze totalitarie. Inoltre, per le stesse ragioni, il pensiero hegeliano è stato uno dei punti di riferimento dell’ideologia nazista.

T8 (da HeGel, Lineamenti di filosofia del diritto), Reale e razionale T9 (da HeGel, Lineamenti di filosofia del diritto), L’eticità T10 (da HeGel, Enciclopedia delle scienze filosofiche), Lo Stato come sostanza etica

T11 (da HeGel, Lineamenti di filosofia del diritto), L’individuo e lo Stato

T12 (da HeGel, Lezioni sulla filosofia della storia), Lo Spirito del popolo

Laboratorio

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concettuaLiZZare HeGeL 1. Completa le definizioni dei capisaldi della filosofia hegeliana inserendo le seguenti parole ed espressioni: dinamica • contingenti • dialettica • processualità • permane immutato • ricostruire • trasformazione • metodo logico • i singoli momenti • dell’Assoluto • ontologica

• il reale è razionale, poiché è sviluppo ............... ................................................................................

la filosofia

deve ............................................................................................... la razionalità del reale, al di là degli aspetti .... ...........................................................................................

dell’e-

sistenza, e non può pretendere di modificare

sta come essenzialmente .......................................................;

rata come ciò che .................

........................................

non è più conside-

.......................................................

nel cambiamento, ma come il dive-

nir-se-stessa della cosa, come ................................................................

...............................

che ne sviluppa

pienamente l’essenza.

• La dialettica: è il motivo centrale della filosofia hegeliana ed è insieme ................................................................

...............................

e struttura

...................................................................................

............

del reale,

nel senso che la realtà stessa è divenire. la

la realtà.

• il vero è l’intero: dato che il reale è lo sviluppo dell’Assoluto, ................................................................... ............................

• La sostanza è soggetto: la sostanza è vi-

non sono comprensibili nel loro

...............................................................................................

ca-

ratterizza ogni aspetto della realtà e più in generale lo sviluppo stesso dell’Idea nel suo farsi mondo.

isolamento, ma devono essere seguiti nella loro

...............................................................................................

che li ricollega al tutto.

arGoMentare HeGeL: diaLettica 2. Riordina le frasi, in modo da ricostruire il breve testo di hegel che esemplifica il concetto di «dialettica»: a. e il frutto subentra al posto del fiore come sua verità. b. Il boccio dispare nella fioritura, e si potrebbe dire che quello vien confutato da questa; c. Ma in pari tempo la loro fluida natura ne fa momenti dell’unità organica, d. e questa eguale necessità costituisce ora la vita dell’intiero.

e. nella quale esse non solo non si respingono, ma sono anzi necessarie l’una non meno dell’altra; f. similmente, all’apparire del frutto, il fiore vien dichiarato una falsa esistenza della pianta, g. tali forme non solo si distinguono, ma ciascuna di esse dilegua anche sotto la spinta dell’altra, perché esse sono reciprocamente incompatibili. (Fenomenologia dello spirito, I, p. 2)

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HeGeL: LoGica, natura, spirito 3. Riordina le proposizioni seguenti, in modo da ricostruire i passaggi iniziali della filosofia di hegel. a. lo Spirito infine è l’Idea in-sé e per-sé, cioè l’Idea che diviene cosciente di sé, autocosciente, e si esprime storicamente nel mondo umano, sia nelle istituzioni sia nel sapere. b. Per fare questo occorre cogliere la dinamicità del reale mediante la dialettica, che è al tempo stesso il modo di essere della realtà e il metodo filosofico mediante il quale la conosciamo. c. la natura è l’Idea fuori-di-sé, l’Idea che si fa mondo, senza però che sia ancora sorta la dimensione della coscienza. d. la filosofia hegeliana parte dalla consta-

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g. h.

tazione che la razionalità, evidente nel mondo, non può essere frutto del caso, ma deve derivare da un progetto, da un lógos preesistente, che Hegel definisce metaforicamente «Dio prima della creazione del mondo». Per questo motivo «tutto il reale è razionale» (in quanto sviluppo del lógos). Poste queste premesse, il sistema hegeliano si sviluppa in modo lineare in tre momenti: la logica, la natura, lo Spirito. la prima è l’Idea in-sé, la razionalità che non è ancora diventata mondo. tuttavia questa razionalità appare solo se consideriamo la realtà come un intero, cioè come un Assoluto, perché ogni parte mostra la propria razionalità solo se è possibile ripercorrere i molteplici processi che la ricollegano al tutto.

concettuaLiZZare HeGeL: spirito soGGettivo 4. completa, inserendo le parole ed espressioni che li precedono, il breve testo di hegel sullo spirito soggettivo e la relativa spiegazione: la coscienza • in quanto logica • dell’Antropologia • consapevolezza di sé • coscienza • immediatamente • mediatamente • il conoscere • pone come ragione • soggetto 1. lo spirito, che si svolge nella sua idealità, è lo spirito in quanto conoscitivo. Ma .................................................................................

..............

qui non

vien concepito meramente come è nella determinazione dell’idea .......................................... .....................................................

sibbene nel modo in

cui lo spirito concreto si determina alla .......... .....................................................................................

lo spirito soggettivo è:

è l’oggetto ......................................................................; b. per sé o .............,

..................................................................................

come riflessione ancora identica in

sé e in altro, lo spirito nella sua relazione o particolarizzamento, ............................................:

...................................................

il che è l’oggetto della

Fenomenologia dello spirito; c. lo spirito che si determina in sé, come .............. .................................................................................

per sé: il

che è l’oggetto della Psicologia. Nell’anima si desta la coscienza; la coscienza si ...............................................................................................,

si è immediatamente destata alla .....................................................................:

che

..........................

la quale ragione,

mediante la sua attività, si libera col farsi oggettività, coscienza del suo concetto.

a. in sé o ........................................................................................ ....... Così esso è anima o spirito naturale: il che

(Enciclopedia delle scienze filosofiche, vol. II, par. 387, p. 379)

2. lo sviluppo dello Spirito è ..................................,

......................................

non in quanto razionalità e

logica, ma come si realizza concretamente

.................................................................................

e del

singolo. Inizialmente lo Spirito è naturale, cioè si manifesta ......

...........................................................

e nei comportamenti non guidati dalla

volontà (Antropologia). Poi, in modo mediato, ............................................................, si forma la ....... ...............................................,

processo studiato dal-

la Fenomenologia dello spirito. In questa fase sorgono

l’individualità

(«particolarizza-

mento») e il ......................................................................... ...........

Infine lo Spirito diventa soggetto, che

...............................................................................................

In questa fase l’anima, che nelle fasi precedenti si è .......................................................................... e poi si è sviluppata fino alla ragione, ................ .....................................................

col farsi oggettiva e

proiettarsi nelle istituzioni sociali.

HeGeL: spirito assoLuto

669

5. indica quali delle seguenti frasi sono vere o false: 1. lo Spirito assoluto riguarda i saperi che hanno l’Assoluto come oggetto.

V

f

2. Ne fa parte l’arte perché nella sua opera V può rappresentare tutto il mondo.

f

3. Il bello artistico è principalmente quello naturale.

V

f

4. l’arte è sempre espressione di una civiltà, di un popolo.

V

f

5. l’arte, a differenza della filosofia, non può essere ricondotta alla razionalità, ma riguarda soprattutto il sentimento. V

f

6. l’arte romantica sarà inevitabilmente V seguita dalla morte dell’arte.

f

7. la religione rappresenta il momento oggettivo dello Spirito assoluto.

V

f

8. Soltanto il cristianesimo fa parte in senso proprio dello Spirito assoluto.

V

f

9. la filosofia si identifica con la storia della filosofia.

V

f

10. la filosofia è la razionalizzazione della religione.

V

f

11. la storia della filosofia ha uno sviluppo razionale.

V

f

12. la filosofia orientale è stata, in certi momenti della sua storia, superiore a quella occidentale.

V

f

proBLeMatiZZare costituZione tra storia e cuLtura 6. Rifletti sulle questioni poste seguendo le domande-guida. costituzione e spirito del popolo Hegel considera la Costituzione come espressione dello Spirito di un popolo. In linguaggio non idealistico, si può dire che per Hegel la Costituzione esprime la storia e la cultura, la visione del mondo di un popolo.

Nella Costituzione italiana convergono varie tradizioni di pensiero che hanno contribuito in diversa misura a costruire l’identità nazionale, in particolare quella liberale, quella democratica e, in misura minore, quella socialista.

• Sai rintracciare queste diverse componenti nella parte introduttiva della Costituzione italiana («Princìpi fondamentali», articoli 1-12)? Discutine con i tuoi compagni.

l A B orAtorIo

diventa libera • nella storia dell’umanità • negli istinti • coscienza di sé • attraverso la riflessione • rapporto con le altre coscienze • sviluppo della conoscenza • destata alla coscienza • conosce e agisce moralmente

10. H eG e L

670

Logica, retorica, dialettica: formare al dibattito La fallacia di falsa disgiunzione Nei dibattiti pubblici e nelle conversazioni quotidiane la tentazione di semplificare è sempre molto grande. Ciò avviene perché la mente umana tende a ricondurre il complesso al semplice, per poterlo gestire meglio. Per il parlante e per il suo uditorio è dunque sempre utile semplificare. Del resto, il pubblico non può apprezzare ciò che non riesce a capire, così che più le questioni gli sono semplificate, più esso riesce a orientarsi. Vi sono insomma ragioni cognitive e motivi relativi alla comunicazione che spingono chi dibatte, specie se in pubblico, a semplificare, creando radicalizzazioni e polarizzazioni dicotomiche. Ciò però, non di rado, va a scapito della validità dell’argomentazione stessa. La semplificazione, infatti, porta spesso a polarità rispetto alle quali sembra che non si possa non scegliere tra le alternative offerte. Si finisce perciò col sostenere, ad esempio, che la montagna o piace o non piace, che quel tal politico o lo si ama o lo si odia, che la matematica o la si trova affascinante oppure la si detesta, che entro dieci anni o troveremo il modo di rispettare l’ambiente o la catastrofe sarà inevitabile. Si tratta di argomenti che consistono in false disgiunzioni, perché presentano come poli fra loro incompatibili ciò che invece ha sfumature, gradazioni, terze vie, circostanze che possono essere valutate in modo diverso ecc. Perciò, per fare giusto qualche esempio, a qualcuno la montagna piace d’estate, ma non d’inverno, la matematica può lasciare indifferenti (anche se questo è improbabile) e quel tal politico può piacere e non piacere in momenti diversi e a seconda delle cose che dice e che fa e delle posizioni che prende. La metafisica hegeliana, con il suo impianto dialettico, è impostata in modo da smantellare l’idea che la realtà sia costituita da un aut aut, da un conflitto insanabile tra tesi e antitesi, dato che introduce l’idea dell’Aufhebung, cioè della sintesi conciliativa degli opposti. Il seme e la sua morte non sono tutto della storia del seme, la cui morte infatti non costituisce per il seme la fine, semmai è l’inizio della pianta che ne nasce e in cui esso, in qualche modo, continua a vivere. Questo et et hegeliano fu criticato dal filosofo danese ottocentesco Søren Kierkegaard, secondo cui la vita è invece un aut aut, una scelta tra alternative reciprocamente incompatibili: ci si sposa oppure no, ci si consacra interamente a Dio, oppure no, tertium non datur. In effetti ci sono situazioni in cui la disgiunzione è reale: le alternative in campo non sono fra loro compatibili e pretendere che lo siano porta alla tentazione di forzare le cose. Bisogna saper riconoscere quando si ha una effettiva opposizione inconciliabile e quando invece vi è complementarità. Una tecnica che aiuta consiste, di fronte all’alternativa secca offerta dall’interlocutore, nel mostrargli che vi sono terze vie (se non addirittura quarte, quinte…). Per neutralizzare la fallacia è sufficiente indicare tali ulteriori alternative, così da mostrare che la polarizzazione presentata come inevitabile non è fondata sulle cose stesse. Tra il bianco e il nero, insomma, c’è tutto lo spettro dei colori: saperli scorgere e apprezzare arricchisce la vita, la rende più varia, intensa e vera e consente di scorgere opzioni e scelte che non sembravano disponibili a prima vista.

attività • «O Roma o morte» è una famosa frase che pare abbia pronunciato Garibaldi ai suoi nel 1862, annunciando la partenza per liberare roma. evidentemente, sul piano strettamente logico, è una falsa disgiunzione. liquidarla però come una fallacia è sbagliato. Perché? Quale funzione svolge la frase? • La classe si divida in due gruppi, alternativamente uno proponga all’altro una disgiunzione. L’altro gruppo deve identificare se essa è fondata o falsa. un punto per aver escogitato una disgiunzione e uno per averla identificata correttamente. vince il gruppo che ottiene più punti.

Prepararsi all’interrogazione

671

Confronto tra filosofi 1. FicHte, scHeLLinG, HeGeL Fichte

Schelling

Hegel

l’assoluto

l’Io.

la natura-spirito.

l’Idea.

la natura

Il Non-Io.

Divinizzata, ha in sé il principio spirituale.

un momento del sistema, ma contraddittoria nelle sue realizzazioni.

l’arte

Non è importante.

Ha una funzione conoscitiva superiore alla filosofia, perché coglie sia la dimensione cosciente sia quella inconscia.

Fa parte dello Spirito assoluto, rappresentandone il momento oggettivo, ma è inferiore alla filosofia.

la religione

Nella prima fase della sua filosofia ha un’importanza secondaria, in seguito diviene centrale.

Nella prima fase della sua filosofia ha un’importanza secondaria, in seguito diviene sempre più centrale.

È uno dei momenti dello Spirito assoluto, ma è inferiore alla filosofia; Dio è una metafora dello Spirito.

2. Le criticHe di HeGeL a Kant

al Romanticismo

a Fichte

a Schelling

Nella morale non viene compresa l’eticità come realizzazione storica, per cui l’essere e il dover-essere restano separati.

rinuncia alla «fatica del concetto», nella pretesa di intuire l’Assoluto.

Il suo è un «cattivo infinito» perché manca un punto di arrivo.

Non distingue soggetto e oggetto, spirito e natura («la notte in cui tutte le vacche sono nere»); manca la dinamica del negativo.

la sua è una filosofia del finito, non comprende la dimensione dell’Assoluto.

Non comprende la struttura dialettica della realtà.

Nella sua dialettica il momento negativo è un semplice ostacolo che viene rimosso e non ricompare nel negativo.

Non comprende la struttura dialettica della realtà.

Privilegia l’intelletto rispetto alla ragione, perché ha una visione statica e non dialettica della realtà.

Non comprende il cammino che occorre percorrere per arrivare alla comprensione dell’Assoluto.

In seguito alla sua concezione dialettica, Fichte non coglie la dinamicità intrinseca del reale.

Non chiarisce il passaggio dall’Assoluto al finito.

Pretende di studiare le strutture conoscitive prima e indipendentemente dal conoscere, come quel tale che voleva imparare a nuotare senza entrare in acqua.

Sopravvaluta il sentimento rispetto alla ragione e all’Idea.

Non arriva a una effettiva comprensione dell’Assoluto.

Pone l’identità di soggetto e oggetto come qualcosa di dato, non come il risultato di un processo da ricostruire.

Prepararsi all’interrogazione Kant Fichte Schelling

3. Kant e L’ideaLisMo

il soggetto

La conoscenza

la conoscenza ètra soltanto Non esiste il Confronto filosofi fenomenica, la cosa-in-sé noumeno, tutto

il soggetto e il mondo

10. H eG e L

672

Hegel

(noumeno) è inconoscibile.

è conoscibile perché è posto dall’Io.

Non esiste il noumeno, tutto è conoscibile anche se non di tutto siamo coscienti.

Non esiste il noumeno, tutto è conoscibile come risultato di un processo (sapere assoluto).

l’Io è legislatore della natura, ma in quanto funzione della conoscenza (Io penso); possiamo affermarne l’esistenza sostanziale soltanto come postulato della morale (anima immortale).

l’Io produce la natura che conosce (immaginazione produttiva), anche se non ha coscienza di questo processo e quindi la avverte come Non-Io.

l’Assoluto produce la natura e lo Spirito, che non è cosciente di questo processo e conserva una dimensione inconscia che soltanto l’arte può comprendere.

l’Idea diventa natura uscendo da sé (Ideafuori di sé) e diviene cosciente di sé e di ciò che ha prodotto come Spirito (Idea insé e per-sé).

Nel rapporto Io-mondo possiamo nutrire la ragionevole speranza che il mondo si accordi con la nostra esigenza morale (giudizio teleologico).

l’Io produce il mondo, lo avverte come Non-Io e lo riconduce a sé, diventando autocosciente mediante questo processo.

Il mondo e l’Io derivano dall’Assoluto; l’Io emerge dalla natura e prende coscienza della spiritualità comune a entrambi, mediante l’arte.

la natura è un momento negativo dello sviluppo dell’Idea, che soltanto come Spirito realizza se stessa, oggettivandosi come eticità e riconoscendo il proprio sviluppo nel sapere assoluto.

4. La diaLettica Kant

Per Kant la dialettica non è una nuova logica come sarà per Fichte e per Hegel, e meno ancora è un modo di essere della realtà, come entrambi affermeranno. Kant usa più tradizionalmente questo termine soltanto per esprimere una contraddizione, una contrapposizione, un contrasto. Così, la dialettica trascendentale è l’analisi delle idee della ragione che, andando oltre i confini legittimi dell’esperienza, produce falsa conoscenza, che prende di volta in volta la forma delle antinomie, del paralogismo o delle prove non concludenti per dimostrare l’esistenza di Dio. Anche la dialettica della ragion pratica e quella del giudizio prendono questo nome per il fatto che si occupano di antinomie, che però in questo caso potranno essere risolte e superate.

fichte

Per Fichte la dialettica sostituisce la logica tradizionale, perché il principio originario non è quello d’identità (A = A), ma quello dinamico secondo cui l’Io pone se stesso. Ponendo il Non-Io, l’Io afferma il principio di contraddizione, motore della dialettica, che supera nella sintesi. tesi, antitesi e sintesi sono i tre momenti del pensiero ma anche della realtà.

hegel

Anche per Hegel la dialettica sostituisce la logica tradizionale. l’Idea può riconoscere se stessa soltanto negandosi come Idea (natura) per poi riconoscersi diventando autocosciente (Spirito). Nel processo dialettico, però, l’antitesi non è un semplice ostacolo che la tesi deve eliminare, ma rimane come costituente della sintesi, dando come risultante una realtà sempre dinamica: ad esempio, nel processo dialettico esserenon essere-divenire, la sintesi (il divenire) conserva sia l’essere sia il non essere in una nuova unità che proprio perché unisce tesi e antitesi è dinamica. va ricordato che Hegel non parla di tesi, antitesi e sintesi, ma definisce i tre momenti della dialettica come intellettuale-astratto, negativo-razionale e positivo-razionale.

Confronto tra idee Prepararsi all’interrogazione

673

5. La MoraLe e L’eticità

P re PA rA rS I A l l’IN t e rroG A z IoN e

Confronto tra filosofi definizione

etimologicamente, «morale» e «etica» sono sinonimi. «Morale» deriva infatti da mos-moris, il “costume”, il modo di comportarsi ed êthos è l’equivalente greco di mos, indicando anch’esso il comportamento, il costume. In genere, nella storia della filosofia, sono usati come sinonimi, anche se «morale» ha sempre avuto una connotazione maggiormente legata alla dimensione della coscienza individuale e «etica» un riferimento, alcune volte, ai valori (si parla però indifferentemente di «valori morali» e di «valori etici»).

Kant

Non ripetiamo qui l’analisi della morale kantiana. Ci limitiamo a riassumerne le caratteristiche principali: autonomia, formalità, morale delle intenzioni e del dovere. Ma quello che ci sembra importante sottolineare è il rilievo che assume la morale nella filosofia di Kant. Infatti, mentre in ambito conoscitivo egli dichiara inconoscibile l’io e Dio, nella Critica della ragion pratica afferma l’immortalità dell’anima (e quindi, implicitamente, anche l’esistenza dell’io come sostanza) e l’esistenza di Dio come postulati della morale, cioè come condizioni che è necessario ammettere perché sia possibile parlare di morale. e, di fronte al possibile contrasto tra la ragione speculativa (che afferma la necessità del meccanicismo nello studio scientifico della natura) e la ragion pratica (che presuppone la libertà come suo postulato fondamentale), non esita a proclamare il primato della ragion pratica, affermando: «Non si può pretendere dalla ragion pratica che essa sia subordinata alla ragione speculativa, e così inverta l’ordine; perché ogni interesse, infine, è pratico, e anche quello della ragione speculativa è soltanto condizionato e completo unicamente nell’uso pratico» (Critica della ragion pratica, p. 267). la morale risulta quindi preminente rispetto alla conoscenza scientifica, e questa preminenza verrà riaffermata nella Critica del giudizio. Di fronte alla domanda se il mondo nel suo insieme abbia una propria finalità, afferma Kant, possiamo sperare che nel mondo ci sia un fine ultimo, che non può che essere l’uomo, proprio in quanto è l’unico essere morale. la moralità è quindi il fondamento della dignità dell’uomo e della sua centralità nel mondo naturale.

Fichte

Fichte riprende il kantiano primato della ragion pratica ma gli dà una dimensione ontologica, facendone il criterio di scelta tra due modi di intendere la realtà, il materialismo e l’idealismo. la scelta del secondo dipende proprio dalla necessità di affermare la libertà, che il primo a suo parere negherebbe, e dunque la motivazione di fondo è di tipo etico. la finalità morale guida anche la necessità per l’Io di porre un Non-Io come contrapposto a sé. la morale consiste infatti per Fichte proprio nello Streben, nello sforzo dell’Io di trasformare il Non-Io per ricondurlo a sé. Questo sforzo può essere tradotto nell’umanizzazione del mondo e al tempo stesso nell’umanizzazione di se stessi, superando la naturalità che è in noi. Dato che ad esso è legata la moralità stessa, non può avere mai fine, il Non-Io non potrà mai essere ricondotto completamente all’Io, e per questo Hegel accuserà Fichte di aver prodotto un «cattivo infinito».

hegel

Hegel introduce la distinzione tra moralità ed eticità: la prima riguarda la dimensione individuale – la coscienza; la seconda è la dimensione oggettiva della moralità, la moralità che diventa istituzioni, storia, realtà sociale portatrice di valori, incarnandosi nella famiglia, nella società civile e soprattutto nello Stato, definito come «la sostanza etica consapevole di sé». Per Kant la morale coincide con l’interiorità, anche se ha comunque una dimensione universale. Non è quindi l’interiorità del singolo, bensì quella della ragione, che è comunque dentro l’uomo, e in ogni uomo nello stesso modo. Per Hegel, la moralità è l’interiorizzazione del diritto e dunque già nella sfera della coscienza ha uno spessore sociale, e diventa poi realtà oggettiva e storicamente incarnata come eticità.

10. H eG e L

674

Pensare il presente Questioni di attualità Cultura e comunità Kant e Hegel esprimono due prospettive di analisi dei rapporti tra l’individuo e la società che costituiranno i modelli principali dei due secoli successivi. Kant considera l’individuo, secondo un’ottica che si avvicina per questo aspetto a quella liberale, come moralmente autosufficiente e al tempo stesso legato al concetto ▲ Dipinto del 1890 che rappresenta un tipico rituale di danza universale di «umanità». L’indiviintorno al fuoco degli indiani Sioux. duo non deve seguire, nelle scelte morali, l’ambiente in cui è educato, la comunità di appartenenza, gli usi e il costume, ma unicamente la ragione. Questa da un lato ne fonda l’autonomia morale (non deve rendere conto a nessuna autorità esterna), dall’altro lo accomuna a tutti gli esseri che fanno ugualmente uso della ragione, cioè a tutta l’umanità. La morale quindi è universale e ogni singolo individuo può trovarla dentro di sé. La prospettiva di Hegel è profondamente diversa. Hegel definisce lo Spirito «Io che è Noi e Noi che è io» quindi, traducendo questa espressione in termini non idealistici, la psiche individuale ha una componente culturale, in senso antropologico, e, reciprocamente, gli individui di una comunità esprimono un’identità comune, una comune visione del mondo, un atteggiamento verso la realtà simile, tutti aspetti che costituiscono, appunto, la cultura nel suo significato antropologico-culturale. Nella filosofia dello Spirito, Hegel anticipa il significato antropologico di «cultura», che si affermerà d’altra parte pochi anni dopo (1843), con Gustav Klemm, proprio in Germania. Pur non usando esplicitamente questo termine (con «cultura» Hegel intende in genere la conoscenza e la formazione intellettuale), la nozione stessa di «Spirito» può essere in molti casi tradotta con «cultura» in senso antropologico, abbandonando ovviamente, però, l’orizzonte idealistico hegeliano. Nonostante che sia necessaria una certa prudenza, questa interpretazione consente di comprendere meglio alcuni aspetti di Hegel e soprattutto spiega la vitalità del suo pensiero anche dopo il tramonto dell’idealismo. Possiamo leggere secondo questa chiave anche i diversi momenti dello Spirito oggettivo, nelle diverse istituzioni che sono anche momenti formativi della personalità individuale. Ad esempio, quello che Hegel chiama «Spirito del popolo» potrebbe quasi essere tradotto con il termine “cultura”, ovviamente in senso antropologico. Scrive Hegel: «La coscienza dello spirito deve prendere forma nel mondo, il materiale di questa realizzazione, il suo terreno non è altro che la coscienza universale, la coscienza di un popolo. Questa coscienza contiene e determina tutti i fini e gli interessi del popolo: essa costituisce il diritto, i costumi, la re-

P e N SA re Il P reS e N t e

ligione di un popolo. Essa è l’elemento sostanziale dello spirito di un popolo, anche quando 675 gli individui non lo conoscono ed esso sussiste come un presupposto indiscusso. È come una necessità: l’individuo viene educato in questa atmosfera e non sa d’altro. […] Nessun individuo può lasciarsi alle spalle questa sostanza; si può benissimo distinguere da altri individui singoli, ma non dallo spirito del popolo» (Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze, La Nuova Italia, Firenze 1981, 4 voll., vol. I, p. 43). Ovviamente tra la filosofia di Hegel e l’antropologia culturale rimane una differenza di fondo, che è la stessa critica già mossa da Marx: Hegel parte dal presupposto che l’Idea produce il mondo e gli uomini, riconoscendosi mediante essi, l’antropologia parte dal presupposto che gli uomini producono le idee e la cultura. Detto ciò, comunque, i rapporti tra dimensione individuale e dimensione collettiva e le dinamiche che le legano sono simili nei due casi, e leggendo Hegel in questa chiave, molti aspetti delle sue teorie risultano maggiormente comprensibili. Nel corso dell’Ottocento, viene teorizzata la differenza tra «società» e «comunità». La formalizza in particolare Ferdinand Tönnies (1855-1936), che nel 1887 pubblica il saggio Comunità e società, individuando con questi termini due modelli alternativi. Il primo si forma sulla base di valori e sentimenti condivisi, mentre il secondo si fonda su rapporti giuridici. Questa distinzione ritorna successivamente in molti filosofi, ma nel frattempo si stava sviluppando l’antropologia culturale, la cui nascita come disciplina autonoma è convenzionalmente fissata al 1871, quando esce il saggio di Edward Burnett Tylor La cultura primitiva, in cui formula una prima definizione del concetto di «cultura» nel nuovo significato antropologico. La “comunità” prevede, come nello Stato hegeliano, l’interiorizzazione dei valori comuni e la condivisione di una stessa visione del mondo; la società, al contrario, è una collaborazione regolata dal diritto nell’ambito di una sostanziale indipendenza morale tra i diversi individui. Il confronto tra i modelli di “comunità” e “società” è rappresentato in modo romanzato nel film Il pianeta verde (1996), di Coline Serreau, dove si descrive un piccolo pianeta in cui la popolazione ▲ Una scena del film Il pianeta verde. vive in modo comunitario e in armonia con la natura. La visita di alcuni abitanti sulla Terra è l’occasione per rappresentare visivamente le differenze tra i due modi di vivere.

Film

attività una comunità è caratterizzata soprattutto da valori condivisi e da una comune visione del mondo. Su questo presupposto, in che misura si può parlare per l’Italia di una «comunità nazionale»? esistono valori condivisi (ad esempio, quelli della Costituzione) e un’identità riconoscibile, pur nelle differenze regionali e di classe, oppure lo Stato va considerato come un’istituzione giuridica regolata da leggi comuni ma senza un’identità condivisa? Pensi che il confronto con l’immigrazione massiccia abbia risvegliato il senso dell’identità nazionale oppure che sia un argomento ingigantito dalla propaganda politica? analizza questo tema in un testo scritto, mettendo eventualmente in evidenza gli aspetti comunitari e quelli conflittuali presenti nel nostro paese e articolando le tue risposte.

10. H eG e L

676

Pro&Contro

L’ideale e l’esistente

Hegel ebbe molti allievi e molti critici e spesso le due cose coincisero, nel senso che molti suoi allievi criticarono la sua filosofia. Le sue lezioni vennero seguite da filosofi di primo piano, tra cui Kierkegaard, che però contestò aspramente il suo pensiero, perché si occupava del sistema, del pensiero astratto, dell’universale, trascurando ciò che, dal suo punto di vista, era l’essenziale, cioè il singolo e la condizione esistenziale. Anche Marx, pur non avendo potuto seguire le lezioni di Hegel per ovvi motivi anagrafici (è nato nel 1818 e Hegel è morto nel 1831), è stato profondamente influenzato dalla sua filosofia, riprendendone molti concetti, dal metodo dialettico alla convinzione della razionalità della storia, ma lo ha criticato per l’idealismo, contrapponendogli una visione materialistica della realtà. Invero, il razionale, il quale è sinonimo di idea, realizzandosi nell’esistenza esterna, si presenta in un’infinita ricchezza di forme, fenomeni e aspetti; e circonda il suo nucleo della spoglia variegata, alla quale la coscienza si sofferma dapprima e che il concetto trapassa, per trovare il polso interno e per sentirlo appunto ancora palpitante nelle forme esterne. Ma i rapporti infinitamente vari, che si formano in questa esteriorità con l’apparire dell’essenza in essa, questo materiale infinito e la sua disciplina, non è oggetto della filosofia. (G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Prefazione, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 17)

Per Hegel la realtà è la realizzazione dell’idea, alla cui razionalità si aggiungono, nella concretezza dell’esistenza, aspetti inessenziali e «infinitamente vari», dei quali la filosofia non deve occuparsi. essa, cioè, non studia la realtà concreta, ma la razionalità ideale che può essere individuata in essa andando oltre le apparenze immediate. Hegel non nega, ovviamente, l’esistenza dell’individuale, ma non ritiene razionale e dunque meritevole di spiegazione: è semplice manifestazione accidentale di una razionalità profonda che è l’unico oggetto della filosofia.

Ma per quanto io sia disposto, come modesto lettore che non pretende affatto di far da giudice, ad ammirare la Logica di Hegel, per quanto sia disposto a concedere che per me ci può essere molto da imparare se ci ritorno su ancora, tuttavia sarò altrettanto fiero, tenace, ostinato e intrepido nel mio atto di accusa: che la filosofia hegeliana, evitando di determinare il suo rapporto con l’esistente, ignorando l’etica, mette la confusione nell’esistenza. (S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica, in Briciole di filosofia e Postilla conclusiva non scientifica, a cura di C. Fabro, Zanichelli, Bologna 1962, vol. II, pp. 112-18)

Gli aspetti che, per Hegel, la filosofia non deve considerare sono proprio quelli principali, secondo Kierkegaard. essa si occupa infatti del sistema astratto e delle generalizzazioni, ma trascura i singoli individui, la loro esistenza e il senso o meno che ad essa possono dare. È vero, scrive in altri passi Kierkegaard, che nella dimensione dello sviluppo storico le contraddizioni, nell’ottica hegeliana, trovano una loro soluzione, ma per il singolo individuo, nell’arco della sua esistenza, esse restano senza soluzione e le domande che si pone rimangono, nell’ottica hegeliana, senza risposta.

Hegel muove dalla logica, dall’analisi della struttura razionale del pensiero, ma essa poi diventerà mondo e dunque i pensieri sono oggettivi perché costituiscono la realtà. Per questo la logica è anche metafisica. Il mondo manifesta una razionalità che non può derivare dal mondo stesso, bensì deve preesistergli ed esserne all’origine. egli paragona l’Idea in sé a Dio prima della creazione: in altri termini, il mondo deriva da un lógos che lo produce e la filosofia deve riscoprire in esso questa razionalità originaria.

Marx apprezza la filosofia hegeliana ma si ripropone, secondo una celebre espressione, di rovesciarla e di rimetterla sui piedi (la realtà materiale) invece che sulla testa (l’Idea). le idee che secondo Hegel sarebbero all’origine della realtà, non sono altro, per Marx, che le idee nel cervello degli uomini, prodotte dagli uomini, che quindi costituiscono il vero soggetto e il punto di partenza della filosofia.

In modo conforme a queste spiegazioni, i pensieri possono essere chiamati pensieri oggettivi; tra i quali bisogna annoverare anche le forme che sono considerate specialmente dalla logica ordinaria e prese soltanto come forme del pensiero conscio. La Logica coincide perciò con la Metafisica, con la scienza delle cose poste in pensieri, i quali pensieri perciò appunto si tennero atti ad esprimere le essenze delle cose.

Per il suo fondamento, il mio metodo dialettico, non solo è differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l’opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli, sotto il nome di Idea, trasforma addirittura in soggetto indipendente, è il demiurgo del reale, mentre il reale non è che il fenomeno esterno del processo del pensiero. Per me, viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini.

(G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, Roma-Bari 1980, vol. I, p. 38)

(K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma 1973, tomo I, libro I, p. 27)

Filosofia e cittadinanza

Film

In Hegel c’è una nozione centrale che ha dato luogo a una molteplicità di interpretazioni: quella di «Stato etico». Con questa espressione si fa riferimento alla sostanza etica che secondo Hegel permea lo Stato e insieme la coscienza di ogni cittadino, per cui l’individuo, dopo la nascita biologica riceve una “seconda nascita” mediante la formazione familiare e sociale, il processo che oggi definiremmo «inculturazione», cioè l’interiorizzazione della cultura della comunità di appartenenza, comprendente valori, atteggiamenti, visione del mondo. Questa prospettiva è suscettibile di sviluppi molto diversi: da un lato, come abbiamo visto in precedenza, possiamo cogliervi un’anticipa- ▲ Il film che ha costituito zione del moderno concetto di «cultura» in senso antropologico, la rappresentazione ma d’altro lato possiamo anche cogliervi una teorizzazione del to- emblematica del totalitarismo. talitarismo. E a Hegel si richiameranno sia il fascismo sia il nazismo. In effetti, per Hegel l’individuo è formato dallo Stato e ad esso subordinato, non solo perché deve ubbidire alle leggi, ma soprattutto perché la sua stessa coscienza dipende da esso. Il totalitarismo differisce dalla dittatura proprio perché afferma il diritto da parte dello Stato di modellare le coscienze dei cittadini e richiede l’adesione della coscienza stessa dei cittadini ai princìpi dello Stato. Il brano che segue illustra bene la posizione di Hegel.

T22 Hegel Lo Stato etico

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Il tutto naturale che la famiglia costituisce, si allarga nel tutto di un popolo e di uno Stato, in cui gli individui per sé hanno una volontà indipendente. Spiegazione. Da una parte, lo Stato mira a poter fare a meno del sentimento dei cittadini, specialmente in quanto deve rendersi indipendente dalla. volontà dei singoli. Prescrive quindi ai singoli i loro obblighi, in particolar modo, la partecipazione che essi debbono avere al tutto. Non può abbandonarsi al mero sentimento, poiché questo può essere egoistico e contrapporsi all’interesse dello Stato. Su questa strada, lo Stato diventa macchina, un sistema di dipendenze esterne. Ma dall’altro lato esso non può fare a meno del sentimento dei cittadini. La prescrizione del governo può comprendere solo l’universale. L’azione effettiva, l’adempimento dei fini dello Stato, comprende l’aspetto particolare della realtà effettuale. Questo può sorgere solo dall’intelletto individuale, dal sentimento dell’uomo. Lo Stato non solo comprende la società sotto rapporti giuridici, ma media, come un veramente più alto comune ente morale, l’unità nei costumi, nella cultura e nell’universale modo di pensare ed agire (in cui ognuno vede e riconosce nell’altro la sua universalità spirituale). Nello spirito di un popolo ogni singolo cittadino ha la sua sostanza spirituale. La conservazione dei singoli non soltanto è fondata sulla conservazione di questa vivente totalità, ma la medesima costituisce l’universale natura spirituale, o l’essenza, di ciascuno, di fronte alla sua singolarità. La conservazione del tutto ha quindi la precedenza sulla conservazione del singolo, e tutti debbono avere questo sentimento. (G.W. F. Hegel, Propedeutica filosofica, II. Dottrina dei doveri o morale, La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 69-70)

P e N SA re Il P reS e N t e

Lo Stato etico, il pericolo totalitario e la questione dei valori

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678 10. H eG e L

Lo Stato è superiore ai cittadini e impone loro le proprie leggi, anche con l’uso della forza: è la dimensione del diritto. Però lo Stato, pur non identificandosi con i cittadini, vive attraverso essi. Non è quindi sufficiente un vincolo esterno come quello del diritto, ma è necessaria un’adesione, una interiorizzazione da parte dei singoli dei valori dello Stato stesso. L’individualità sparisce nello «spirito del popolo», la cui conservazione è preminente rispetto a quella dei singoli ▲ Il “Grande Fratello”, nel film di Orwell. cittadini ed essa costituisce l’essenza di ciascuno. In questa prospettiva, il dissenso è semplicemente impensabile, oltre che, evidentemente, intollerabile. L’accusa di totalitarismo è esplicitamente rivolta a Hegel da Karl Popper, nell’opera La società aperta e i suoi nemici, il cui secondo volume è intitolato Hegel e Marx falsi profeti. Scrive Popper:

T23 popper Hegel totalitario Film

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Quasi tutte le più importanti idee del totalitarismo moderno sono direttamente ereditate da Hegel, che raccolse e conservò quello che A. Zimmern1 chiama «l’arsenale d’armi dei movimenti autoritari». […] Fornirò ora una breve lista di alcune delle più preziose di queste idee. […] ▲ Una scena di V per vendetta, a) Nazionalismo, nella forma dell’idea storicistica che lo stato è il film che celebra la lotta una incarnazione dello Spirito (ovvero, ora, del Sangue) della contro il totalitarismo. nazione (o razza) che crea lo stato; una nazione eletta (ora, la razza eletta) è destinata al dominio del mondo. b) Lo stato come nemico naturale di tutti gli altri stati deve affermare la sua esistenza in guerra. c) Lo stato è esente da qualsiasi genere di obbligazione morale; la storia, cioè il successo storico, è il solo giudice; l’utilità collettiva è il solo principio di condotta personale; la menzogna propagandistica e la distorsione della realtà sono permesse. d) L’idea «etica» della guerra (totale e collettivistica), particolarmente delle nazioni giovani contro le vecchie; guerra, fato e fama come i più desiderabili beni. e) Il ruolo creativo del Grand’Uomo, la personalità di rilevanza storica mondiale, l’uomo di profonda conoscenza e di grande passione (ora, il principio della leadership). f) L’ideale della vita eroica («vivere pericolosamente») e dell’«uomo eroico» in contrapposizione al piccolo borghese e alla sua vita di piatta mediocrità. (K. Popper, La società aperta e i suoi nemici, vol. II, Armando Editore, Roma 2014, ed. elettronica)

1. Zimmern: storico e politologo inglese (1879-1957).

Negli scritti di Hegel si trovano ovviamente le affermazioni che Popper riporta, ma non ne costituiscono le idee fondanti. Anche in queste, tuttavia, come abbiamo visto, si affermano la superiorità dello Stato sul cittadino e la dinamica secondo cui il primo forma la coscienza del secondo, non come diritto ma come dinamica di fatto. Resta dunque, anche nei concetti portanti della filosofia di Hegel, il rischio dell’affermazione del totalitarismo.

attività Il totalitarismo è stata l’ideologia politica più devastante del Novecento e va condannata decisamente e senza incertezze. resta però aperta la questione se lo Stato debba o meno proporre e veicolare valori, pur senza imporli. È auspicabile che ci siano valori generali condivisi e che lo Stato concorra a diffonderli, oppure esso deve lasciare i cittadini completamente liberi nelle loro scelte morali? Ma quali possono essere i valori comuni? Può essere corretto individuarli nella nostra Carta costituzionale? Leggi i princìpi generali della costituzione e individua in essi i valori generali che vi vengono affermati. poi discutine l’opportunità o meno che essi vengano trasmessi attraverso la scuola e le altre agenzie formative.

Indice dei nomi a Agostino d’Ippona (sant’) 8, 14, 16, 31, 57, 173, 344, 348, 354, 355, 358 Agrippa, Cornelio 9 Alberti, Leon Battista. 14, 15, 24 Alembert, Jean Baptiste Le Rond d’ 388, 394, 405 Alessandro VII (papa) 354 Alessandro Magno 418, 443, 653 Alighieri, Dante 436 Althusius, Johannes 280, 382, 383 Anassagora di Clazomene 47 Anselmo d’Aosta (sant’) 176 Antonio del Pollaiolo 24 Apelle 443 Aristotele 18, 19, 32, 34, 44, 47, 80, 85, 88, 89, 90, 91, 112, 114, 116, 118, 120, 121, 131, 144, 181, 188, 195, 219, 443, 570, 651 Arnauld,Agnès 354 Arnauld,Angélique 354, 355 Arnauld,Antoine 173, 217, 354, 355, 358 Arouet, François-Marie → v. Voltaire Asimov, Isaac 191 Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano 443 Averroè (Ibn-Rushd) 32, 33

B Bacone, Francesco (Bacon, Francis) 82, 83, 85, 86, 96-109, 110, 120, 121, 122, 123, 125, 140, 141, 149, 154, 166, 182, 339, 382, 507, 508 Balzac, Honoré de 556 Baumgarten,Alexander Gottlieb 420, 437, 465 Bayle, Pierre 339, 340, 348-351, 366 Beccaria, Cesare 418, 419-420, 421 Beethoven, Ludwig van 551 Bembo, Pietro 19, 32 Bergoglio, Jorge Mario → v. Francesco (papa) Berkeley, George 261, 265, 285, 298299, 306, 309 Bernardo di Chartres 98 Bismarck, Otto von 256 Boezio, Severino 235 Bohr, Niels 127 Bonaventura da Bagnoregio 21

Bora, Katharina von (moglie di Lutero) 56 Borgia, Cesare (detto il Valentino) 66, 72 Borromeo, Carlo 62 Bosch, Hieronymus 51 Botero, Giovanni 69 Botticelli, Sandro 24, 28 Boyle, Robert 193, 283 Brahe Tycho 91, 92-93, 94, 95, 114 Brandmüller, Walter 376 Brandt, Sebastian 53 Brecht, Bertolt 111 Bruno, Giordano 10, 18, 19, 23, 34, 38-43, 44, 48, 80, 86, 89, 97, 116, 196, 197, 206, 217, 219, 538, 550, 599 Buonarroti, Michelangelo 8, 15, 549 Burckhardt, Jacob 7 Burke, Raymond 376 Byron, George Gordon 556, 557

c Cabanis, Pierre-JeanGeorges 402, 403, 445 Cabrera, Julio 487 Caffarra, Carlo 376 Calderón de la Barca, Pedro 171 Calvino, Giovanni (Cauvin, Jean) 57, 58-61, 63, 80 Campanella, Giovanni Domenico (detto Tommaso) 3, 19, 31, 34, 35, 44-49, 75, 80, 550 Camus,Albert 365 Cardano, Gerolamo 375 Carlo I Stuart (re d’Inghilterra) 268 Carlo II Stuart (re d’Inghilterra) 125, 268 Carlo III di Borbone (re di Spagna) 418, 426 Carlo IX (re di Francia) 79 Carlo V d’Asbugo (re di Spagna e imperatore) 340 Carroll, Lewis 375 Cartesio (Descartes, René) 46, 47, 126, 127, 132, 136, 139, 144, 159, 160, 161, 163, 164, 165, 166-191, 194, 195, 196, 198, 200, 201, 206, 216, 217, 218, 222, 230, 231, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 247, 251, 252, 253, 268, 270, 273, 284, 286, 319, 335, 339, 340, 342, 343,

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344, 346, 355, 356, 357, 358, 362, 366, 396, 426, 428, 446, 458, 493, 550, 622 Casaubon, Isaac 16 Castelli, Benedetto 149 Cattaneo, Carlo 557 Cattorini, Paolo 155 Cauvin, Jean 58 Cavani, Liliana 111 Cerda, Luis de la 426 Cesare, Gaio Giulio 443, 653 Chambers, Ephraim 388 Chesky, Brian 429 Chomsky, Noam 371 Cicerone, Marco Tullio 443 Cieri, Nicola 233 Clarke, Samuel 224 Clemente XI (papa) 354 Colombo, Cristoforo 8, 45 Comte,Auguste 645 Condillac, Étienne Bonnot de 353, 354, 395, 396, 397, 398, 400 Condorcet, Jean-Antoine-NicolasCaritat, marchese di 444-445, 446 Cooper,Antony Ashley (terzo conte di Shaftesbury) 283, 416-417 Copernico, Niccolò (Kopernik, Mikołaj) 8, 23, 40, 41, 86, 89, 90-92, 93, 94, 110, 114, 339 Costantino I (imperatore) 16 Cristina di Svezia 167 Cristo → v. Gesù Cristo Croce, Benedetto 437 Cromwell, Oliver 268, 283 Cusano, Niccolò o Nicola (Krebs, Nicolaus) 20-23, 28, 40, 43, 80, 89, 197, 217, 219

d Darwin, Charles 156, 375 De André, Fabrizio 156 De Chirico, Giorgio 375 Degérando, Joseph-Marie 403 Delacroix, Eugène 557 Democrito di Abdera 346 Demostene 443 Descartes, René → v. Cartesio De Vecchi, Cesare Maria 655 Dewey, John 469 Di Caprio, Leonardo 443

I n d I Ce d eI no mI

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Dick, Philip K. 75 Diderot, Denis 361, 377, 380, 388-390, 394, 395, 400, 404, 405 Dilthey, Wilhelm 611 Dionigi Aeropagita (PseudoDionigi) 22, 24 Domenico di Guzmán (san) 72 Dostoevskij, Fëdor 349 Dumas,Alexandre (padre) 443 Dürer,Albrecht 53

e Elisabetta I (regina d’Inghilterra) 86 Elisabetta di Boemia (principessa palatina) 167, 342 Éluard, Paul 213 Enrico III (re di Francia) 38, 39 Enrico VIII (re d’Inghilterra) 72 Epicuro 47, 346 Erasmo da Rotterdam 11, 52-54, 56, 57, 63, 72, 74, 80 Ermete Trismegisto 16, 17, 18, 24, 42, 80, 138 Euclide 19, 194, 305, 460, 508

F Federico II (re di Prussia) 455 Federico Guglielmo II (re di Prussia) 394, 455 Feuerbach, Ludwig Andreas 627 Fichte, Johann Gottlieb 469, 475, 531, 534, 548, 556, 557, 560-583, 584, 585, 586, 587, 592, 593, 596, 597, 602, 610, 614, 621, 634, 642, 656, 665 Ficino, Marsilio 10, 12, 16, 17, 18, 22, 24-29, 40, 80, 550 Fidia 443 Filangieri, Gaetano 418 Filippo D’Orléans 443 Filippo II (re di Spagna) 86 Filippo V di Borbone (re di Spagna) 426 Foot, Philippa 525 Foscolo, Ugo 556 Foucault, Michel 53 Francesco (papa) 376 Francesco d’Assisi (san) 72 Freud, Sigmund 156, 375 Friedrich, Caspar David 547

G Galiani, Celestino 426 Galilei, Galileo 34, 40, 44, 85, 86, 89, 91, 92, 95, 96, 102, 103, 106, 108, 110123, 124, 126, 131, 132, 134, 141, 144, 145, 149, 150, 156, 157, 164, 166, 167, 182, 185, 189, 301, 388, 339, 474, 507, 550, 628 Galvani, Luigi 589 Gassendi, Pierre 173, 426

Garin, Eugenio 7, 14 Genovesi,Antonio 418 Gentile, Giovanni 649, 655 Géricault, Jean-Louis-Théodore 537 Gesù Cristo 12, 13, 17, 42, 50, 55, 56, 72, 80, 342, 504, 612, 613, 616 Ghemisto Pletone, Giorgio 19 Giacomo II Stuart (re d’Inghilterra) 296 Giamblico 24 Giannone, Pietro 418, 426 Giansenio, Cornelio 354, 366 Gioberti, Vincenzo 557, 657 Giorgio di Trebisonda (detto il Trapezunzio) 19 Giotto di Bondone 8 Giovanni Paolo II (papa) 73 Girolamo (san) 62 Godwin, William 556 Goethe, Johann Wolfgang von 536, 538-539, 545, 547, 555, 556, 561, 588, 602, 611 Gramsci,Antonio 73 Grassi, Orazio → v. Sarsi, Lotario Gregorio XIII (papa) 34 Grimm, Ludwig Karl 553 Grimm, Wilhelm Karl 553 Grozio, Ugo (Groot, Huig van) 280, 382, 383, 408 Guglielmo II d’Orange 193 Guglielmo III d’Orange 296, 332 Gutenberg, Johann 51

H Halley, Edmond 127, 348 Hamann, Johann Georg 542 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich 47, 431, 534, 536, 545, 548, 554, 557, 572, 573, 576, 585, 596, 597, 600, 601, 603, 604, 605, 606, 610-666, 674, 675, 677, 678 Helvétius, Claude-Adrien 380, 388, 390, 394, 395, 398, 399 Herder, Johann Gottfried 444, 446, 542-543, 545, 602 Higgs, Peter Ware 509 Hillman, James 29, 437 Hitler,Adolf 75 Hobbes,Thomas 78, 172, 190, 212, 261, 262, 263, 265, 268-281, 283, 294, 296, 314, 315, 316, 323, 332, 317, 346, 362, 395, 406, 408, 411, 429, 493, 647 Hogarth, William 347 Holbach, Paul Henri Dietrich, barone d’ 380, 390, 395, 398, 400-401 Hölderlin, Friedrich 545, 554, 555, 585, 611

Hooke, Robert 127 Howitt, Peter 235 Hugo, Victor 556 Humboldt, Karl Wilhelm von 542-545 Hume, David 255, 261, 265, 288, 300313, 317, 319, 320, 321, 323, 330, 395, 406, 416, 455, 456, 457, 458, 461, 468, 472, 476, 508, 558, 622 Hutcheson, Francis 418, 490 Huygens, Christiaan 127, 189

i Ignazio di Loyola (sant’) 62 Innocenzo X (papa) 354

J Jacobi, Friedrich Heinrich 544, 545 Jansen, Cornelis → v. Giansenio, Cornelio Jauffret, Louis-François 402 Jung, Carl Gustav 29, 437

K Kant, Immanuel 234, 283, 305, 308, 375, 382, 383, 420, 421, 444, 446, 447, 449, 454-517, 526, 528, 529, 530, 534, 540, 541, 542, 548, 556, 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 566, 570, 572, 575, 578, 582, 584, 593, 602, 610, 612, 614, 618, 621, 622, 629, 634, 647, 650, 654, 657, 674 Keats, John 556 Keill, John 219 Keplero, Giovanni (Kepler, Johannes) 89, 91, 92, 93, 94-95, 114, 117, 133, 149, 339 Keynes, John Maynard 138 Kierkegaard, Søren 365 Kieslowski, Krzysztof 365 Klemm, Gustav 674 Klinger, Friedrich Maximilian 536 Kopernik, Mikołaj → v. Copernico, Niccolò Koyré,Alexandre 130, 131, 133 Krebs, Nicolaus → v. Cusano, Niccolò o Nicola

L Lamarck, Jean-Baptiste 395 Lamartine,Aphonse de 551 La Mettrie, Julien Offroy de 380, 390, 395, 396-397, 398, 400 Landino, Cristoforo 24 Laplace, Pierre-Simon de 320, 454 Le Breton A. 388 Leclerc, Georges-Louis (conte di Buffon) 394, 395

M Ma, Jack 429 Machiavelli, Niccolò 3, 33, 65, 66 -72, 73, 75, 80, 275, 432, 556 Madame de Staël (Necker,AnneLouise-Germaine) 556 Madame Vernet 445 Maimon, Salomon 558-559, 562, 602 Maistre, Joseph de 557 Malebranche, Nicolas de 253, 339, 344-346, 350, 366 Mancuso, Stefano 539 Mandeville, Bernard de 405, 418, 490 Manzoni,Alessandro 556 Maria II Stuart (regina d’Inghilterra) 296

Marshall,Thomas H. 409 Marx, Karl 431, 627, 644, 645, 650, 662, 675 Masaniello,Tomaso Aniello detto 426 Massimiliano I (imperatore) 66 Mazzini, Giuseppe 556, 557, 657 McLuhan, Marshall 51 Mecenate, Gaio Cilnio 13 Medici, Cosimo de’ (detto il Vecchio) 4, 16, 24 Medici, Cosimo II (granduca di Toscana) 110 Medici, Giuliano de’ 24 Medici, Giulio de’ 24 Medici, Lorenzo de’ (detto il Magnifico) 4, 24 Meisner, Joachim 376 Mendelsshon Moses 420, 421, 551 Mesmer, Franz Anton 589 Metternich, Klemens von 555 Michaelis, Caroline 555 Mocenigo, Giovanni 40 Molière, Jean-Baptiste Poquelin detto 347 Molina, Luis de 354, 355, 357 Montaigne, Michel Eyquem de 3, 76-79, 80, 490 Montesquieu, Charles-Louis de Secondat barone di 295, 384, 385, 388, 400, 402, 426 Moravia,Alberto 365 Moro,Tommaso (Moore, Thomas) 3, 48, 52, 65, 72-75, 487, 526 Mosè 16, 42 Mozart, Wolfgang Amadeus 347

n Naess,Arne 591 Nagel,Thomas 330, 448 Napoleone Bonaparte 534, 582, 653 Newton, Isaac 86, 88, 91, 95, 96, 102, 103, 106, 108, 114, 118, 122, 124-139, 145, 147, 148, 149, 150, 167, 184, 185, 217, 219, 224, 231, 299, 301, 305, 388, 391, 416, 454, 456, 468, 474, 502, 509, 628 Nicola d’Antiochia 50 Nicole, Pierre 355 Nietzsche, Friedrich Wilhelm 375, 551 Nohl, Hermann 611 Nolan, Christopher 309 Novalis (pseudonimo di Hardenberg, Friedrich Leopold von) 539, 547, 554, 555, 556, 602 Nussbaum, Martha 429

o Oldenburg, Henry 193

Omero 31 Onfray, Michel 375 Onfray, René 374 Orazio, Flacco Quinto 443 Orwell, George 75, 281 Osiander,Andreas 86, 90 Ovidio, Publio Nasone 443

p Palagi, Pelagio 126 Panofsky, Erwin 7 Paolo III (papa) 62 Paolo di Tarso (san) 56 Paolo Uccello 7 Paracelso,Teofrasto (pseudonimo di Hohenheim, Philipp Theophrast Bombast von) 10 Pascal, Blaise 177, 189, 217, 335, 337, 339, 340, 342, 343, 349, 352-365, 366, 367, 368, 369, 370, 371, 374, 375, 376, 494, 531 Pascal, Jacqueline (sorella di Pascal) 354 Pavlov, Ivan 207, 255 Pelagio Britannico 57, 355 Pellico, Silvio 556 Pericle 443 Perrault, Charles 553 Perugino, Pietro Vannucci detto il 24 Pestalozzi, Johann Heinrich 543, 579 Petrarca, Francesco 14 Piaget, Jean 469 Pico della Mirandola, Giovanni 18, 24, 27 Piero del Pollaiolo 24 Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena (granduca di Toscana e imperatore col nome di Leopoldo II) 418, 419 Pirrone di Elide 321 Pitagora 19 Platone 16, 17, 18, 19, 20, 22, 23, 24, 26, 28, 44, 47, 48, 74, 75, 85, 95, 175, 281, 357, 367, 435, 436, 443, 446, 595, 651, 665 Plotino 18, 24, 538, 573, 590, 599, 600 Poliziano,Angelo Ambrogini detto il 24 Pomponazzi, Pietro 19, 30-33, 48, 80 Popper, Karl 31, 148, 148, 257, 281, 603, 678 Porfirio 24 Prassitele 443 Proclo 24, 573 Pseudo-Dionigi → v. Dionigi Areopagita Pufendorf, Samuel 409 Putnam, Hilary 242

681 IN D IC e D e I N oMI

Leeuwenhoeck,Anthony van 224 Le Goff, Jacques 441 Leibniz, Gottfried Wilhelm 124, 138, 159, 161, 164, 180, 216-237, 246, 247, 251, 252, 253, 319, 353, 395, 469, 493, 534, 622 Leonardo da Vinci 7, 14, 15, 24, 118 Leone X (papa) 50 Leopardi, Giacomo 233, 337, 556 Leopoldo II → v. Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena Lessing, Gotthold Ephraim 420, 544 Lévi-Strauss, Claude 433 L’Hôpital, Guillaume-FrançoisAntoine de (marchese di SainteMesme) 216 Linneo, Carlo 375 Liszt, Franz 551 Livio,Tito 443 Locke, John 78, 164, 180, 236, 247, 261, 263, 265, 280, 282-297, 298, 299, 300, 302, 303, 306, 308, 312, 315, 316, 317, 321, 323, 330, 332, 333, 349, 382, 384, 385, 386, 390, 391, 394, 395, 396, 397, 406, 410, 412, 416, 418, 460, 462, 468, 476, 622, 646 Lorenz, Edward Norton 231 Lorenz, Konrad 37 Losey, Joseph 111 Luca (evangelista) 348 Lucrezio, Caro Tito 443 Luigi XII (re di Francia) 66 Luigi XIV (re di Francia) 340, 354, 370, 380, 426, 442, 443, 452 Luigi Filippo 217 Lullo, Raimondo 38 Lukács, György 630 Lutero, Martin 50, 52, 54-57, 58, 60, 63, 80, 534, 582

I n d I Ce d eI no mI

682

Q Quesnay, François 386 Quesnel, Pasquier 354

r Radford, Michael 281 Reid,Thomas 300, 301, 416 Reinhold, Karl Leonhard 558, 559, 562, 602 Richelieu,Armand-Jean Du Plessis de 125, 443 Robespierre, Maximilien-FrançoisIsidore de 534 Rosmini Serbati,Antonio 557, 657 Rossini, Gioacchino 540 Rousseau, Jean-Jacques 78, 280, 377, 380, 387, 390, 404-415, 536, 537, 544, 549, 560, 580, 581, 583 Ryle, Gilbert 172

s Sagredo, Giovanni 156 Salutati, Coluccio 14 Sand, George (pseudonimo di Dupin, Amandine-Lucie-Aurore) 556 Sanzio, Raffaello 19 Sarsi, Lotario (pseudonimo di Grassi, Orazio) 113 Sartre, Jean-Paul 349, 365 Savater, Fernando 331 Savinio, Alberto (pseudonimo di De Chirico, Andrea, fratello di Giorgio) 375 Scala, Bartolomeo 24 Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph 531, 534, 545, 554, 555, 556, 561, 573, 584-601, 602, 610, 611, 614, 640, 642, 656 Schiller, Johann Christoph Friedrich 536, 540-541, 555, 578, 611 Schirach, Ferdinand von 526 Schlegel, Friedrich von 537, 543, 549, 555 Schleiermacher, Friedrich Daniel Ernst 554-555, 602 Schopenhauer,Arthur 365

Schulze, Gottlob Ernst 558, 559, 562 Serreau, Coline 675 Serveto, Michele 58 Scott, Ridley 244 Scott, Walter 556 Shaftesbury → v. Cooper,Antony Ashley Shelley, Percy Bysshe 556 Shlain, Leonard 15 Signorelli, Luca 24 Silvestro (papa, san) 16 Skinner, Burrhus 207 Smith,Adam 300, 301, 386, 387, 416, 418 Socrate 21, 636, 638 Spielberg, Steven 207, 254 Spinoza, Baruch 159, 161, 164, 175, 180, 190, 192-215, 216, 217, 218, 231, 244, 245, 247, 251, 252, 253, 286, 349, 350, 382, 493, 538, 544, 545, 586, 591, 599 Swedenborg, Emanuel 454

t Tacito, Publio Cornelio 69, 435 Talete di Mileto 460, 507, 508 Telesio, Bernardino 18, 19, 34-37, 44, 46, 47, 48, 80 Thomson, Judith Jarvis 525 Tieck, Ludwig 555 Tirso de Molina (pseudonimo di Téllez, Gabriel) 347 Tiziano, Vecellio 9, 23 Toland, John 391, 416 Tolomeo, Claudio 19, 88, 90 Tommaseo, Niccolò 556 Tommaso d’Aquino (san) 18, 31, 32, 44, 366, 600 Tommaso da Kempis 50 Tönnies, Ferdinand 675 Torricelli, Evangelista 353, 366, 507 Tylor, Edward Burnett 675 Tucidide 433 Turgot,Anne-RobertJacques 442-443, 444, 446 Turing,Alan 244

u Urbano VIII (papa) 45

v Valla, Lorenzo 3, 16, 235 Valletta, Giuseppe 426 Van Dormael, Jaco 237 Vanini, Giulio Cesare 350, 351 Varrone, Marco Terenzio 443 Vasari, Giorgio 7 Verdi, Giuseppe 540 Verri,Alessandro 418 Verri, Pietro 418 Vesalio,Andrea 9 Vespucci,Amerigo 74 Vico, Giambattista 270, 418, 423, 425, 426, 428-439, 446 Virgilio, Marone Publio 443 Vitruvio 7, 443 Vivaldi,Antonio 551 Vivonne, Catherine de (marchesa di Rambouillet) 343 Voltaire (pseudonimo di Arouet, François-Marie) 233, 361, 380, 391, 392-394, 400, 404, 405, 442, 443, 446, 534

W Wackenroder, Wilhelm Heinrich 555 Wagner, Richard 551 Wahl, Jean 611, 631 Watson, John 207, 256 Weber, Max 60, 256 Weir, Peter 61 Witt, Johan de 193 Wittgenstein, Ludwig 99, 331 Wojcicki, Susan 429 Wolff Christian 420 Wundt, Wilhelm 438

Z Zimmern,Alfred 678 Zinnemann, Fred 73, 487 Zoroastro (Zaratustra) 19 Zwingli, Huldrych 60

Soluzioni dei test di autovalutazione modulo 1 – il Rinascimento 1F, 2F, 3F, 4v, 5F, 6F, 7v, 8F, 9F, 10v, 11F, 12F, 13v, 14F, 15v, 16v, 17F, 18v, 19v, 21v, 20v, 21v, 22F, 23v, 24v, 25F, 26v, 27v, 28F, 29v, 30F. modulo 5 – pascal e il problema religioso dopo Cartesio 1F, 2v, 3F, 4F, 5v, 6v, 7F, 8F, 9F, 10F, 11v, 12F, 13F, 14v, 15F, 16v, 17F, 18F, 19F, 20v, 21v, 22F, 23v, 24v, 25v, 26v, 27F, 28F, 29v, 30F. modulo 6 – l’illuminismo e Rousseau 1v, 2F, 3v, 4v, 5F, 6F, 7F, 8F, 9v, 10F, 11F, 12v, 13v, 14F, 15F, 16v, 17F, 18v, 19v, 20F, 21F, 22v, 23F, 24F, 25v, 26F, 27v, 28F, 29v, 30F. modulo 7 – Vico e la scienza storica nel settecento 1F, 2F, 3v, 4F, 5F, 6v, 7F, 8v, 9F, 10v, 11v, 12F, 13v, 14F, 15v, 16v, 17v, 18F, 19F, 20v, 21F, 22v, 23v, 24v, 25F, 26v, 27v, 28v. modulo 9 – Romanticismo e idealismo 1F, 2v, 3F, 4v, 5F, 6F, 7v, 8F, 9v, 10F, 11v, 12F, 13v, 14v, 15F, 16v, 17F, 18F, 19v, 20v, 21F, 22v, 23v, 24v, 25F, 26v, 27v, 28v, 29F, 30F.

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