Fare grafica editoriale. Progettare il libro: storia, teorie, tecniche e processi 8870759857, 9788870759853

Dedicato non solo ai visual designer, ma anche a tutti coloro che svolgono un ruolo nel processo di ideazione e realizza

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Fare grafica editoriale. Progettare il libro: storia, teorie, tecniche e processi
 8870759857, 9788870759853

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franco achilli

Franco Achilli (Milano, 1957, anno in cui appare l’Helvetica) ha iniziato la sua attività di visual designer durante gli studi di architettura al Politecnico di Milano, progettando libri, guide e collane universitarie. Dopo la laurea collabora prima in G&R

Invenzioni, protagonisti, tecniche e avventure dai graffiti preistorici all’evoluzione digitale, dai grandi maestri del graphic design alle influenti avanguardie del Novecento. Il manuale per imparare a progettare l’oggetto più affascinante, più utile e più bello di ogni tempo: il libro.

Associati a progetti editoriali e di allestimento per grandi mostre, poi apre il suo primo studio a Milano con Guglielmo Ghizzardi e Mario Piazza. Da oltre trent’anni insegna in scuole di graphic e visual design e corsi universitari, tra cui il Master in editoria dell’Università degli Studi di Milano e della Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori. Docente di visual identity presso l’Università IULM di Milano, coordina dal 2017 il corso triennale in visual design di Raffles Milano. Autore di contributi, saggi e articoli sul visual design e la comunicazione visiva, per la sua attività di docente ha ricevuto riconoscimenti dal D&AD Designers & Art Directors Club di Londra. Membro ADI - Associazione per il Disegno Industriale, dirige dal 1995 con Guglielmo Ghizzardi lo studio A+G, dedicandosi in particolare a progetti editoriali, allestimenti per mostre, marchi e identità d’impresa. Considera il libro l’artefatto di design più utile e affascinante che l’uomo abbia mai

Mi sarebbe molto piaciuto possedere questo libro a vent’anni, quando ero studente di grafica alla Società Umanitaria con Albe Steiner: è un importante strumento di orientamento, che merita di essere distribuito in tutte le scuole, non solo di design, perché testimonianza di storia e cultura mondiali e sinonimo di civiltà.

inventato, perché da una impaginazione corretta e accurata è più semplice trarre il

Armando Milani

necessario nutrimento per trasmettere memoria e conoscenza.

Presidente AGI Alliance Graphique Internationale, Italia

fare grafica editoriale

L’autore

franco achilli

Dedicato non solo ai visual designer, ma anche a tutti coloro che svolgono un ruolo nel processo di ideazione e realizzazione del libro, questo manuale costituisce uno strumento indispensabile per accostarsi alla progettazione, attingere informazioni, utilizzare suggerimenti tecnici e apprendere quegli elementi storici e culturali che costituiscono il retroterra fondamentale del designer editoriale. Il volume affronta l’ambito della progettazione del libro attraverso tre aree distinte. La prima parte propone l’inquadramento dei contesti storici e culturali che hanno consentito lo sviluppo delle tecniche di riproduzione a stampa, dalle prime forme di scrittura al disegno dei caratteri, fino alle diverse tecniche analogiche e digitali, fornendo inoltre il profilo di alcuni giganti della grafica editoriale e della progettazione tipografica. Nella seconda parte sono presi in considerazione i temi e gli argomenti strettamente tecnici, imprescindibili per chiunque si cimenti con la progettazione del libro e degli stampati di qualità: dai formati ai diversi tipi di carta, dal trattamento delle immagini alla riproduzione del colore, dalla confezione alla scelta delle finiture. La terza parte costituisce un’introduzione alla disciplina di progetto e al significato specifico della grafica editoriale in tutti i suoi aspetti, dall’editing all’impaginazione, dalla gabbia alla copertina. Vengono analizzati anche i temi legati alla marca e al marketing editoriale, al packaging come espressione valoriale del libro per trattare poi l’azione produttiva, con focus sui passaggi che, a partire dal testo iniziale, portano alla consegna del libro al punto vendita o al committente. Il manuale si completa con un glossario generale dei termini in uso nella progettazione e nella produzione, e con una bibliografia ragionata.

Progettare il libro: storia, teorie, tecniche e processi Prefazione di Armando Milani

ISBN 978-88-7075-985-3

euro 38,00

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i Manuali

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Progetto grafico dell’Autore. Con la collaborazione di Paola Pellizzi e Marco Sbaraglia (A+G) Hanno collaborato alla realizzazione delle illustrazioni originali e alla ricerca iconografica: Katsiaryna Piliutsik, Elena Colleoni, Sofia Urzi Copyright © 2018 Editrice Bibliografica Via San Francesco d’Assisi, 15 - 20122 Milano Proprietà letteraria privata

Avvertenze e istruzioni per l’uso Questo libro è dedicato agli studenti dei corsi di visual e graphic design e ai giovani professionisti del progetto grafico. È concepito per fornire, attraverso quattro parti, il bagaglio di base per affrontare il mondo della produzione editoriale; non costituisce certo il “brevetto” per editare in modo esemplare un libro, ma è comunque uno strumento per comprenderne il valore culturale, la portata storica, il senso come artefatto e testimonianza, per entrare con passione in una dimensione affascinante e sorprendente come quella dell’editoria libraria. Nel progetto di estensione della collana ad altri argomenti specifici, si è preferito concentrarsi sulla produzione del libro stampato, destinando a titoli successivi i temi del progetto e della produzione dell’ebook e del periodico.

ISBN 978-88-9357-077-0

La Parte Prima è dedicata a un excursus storico costituito dall’evoluzione della stampa e dall’influenza della disciplina grafica e delle tecnologie nelle trasformazioni socio-culturali ed economiche della società.

La composizione di questo libro è in Helvetica Neue 45, 65 e 75 (1957)

Nella Parte Seconda si affrontano le teorie e le tecniche, i materiali, i sistemi e i metodi per la produzione di uno stampato editoriale.

www.editricebibliografica.it

La Parte Terza evidenzia la fase di progettazione nei suoi diversi momenti e attraverso le fasi del mondo editoriale: dal progetto della gabbia all’editing, dalle tipologie ai processi di allestimento e confezione, dal ruolo del designer a quello del redattore e infine dell’editore. Nella Parte Quarta un glossario sintetico riassume nelle definizioni fondamentali il bagaglio tecnico e culturale di base. Buon lavoro.

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il permesso dell’Autore e dell’Editore, con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, incluso fotocopie, digitalizzazione e diffusione online.

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FRANCO ACHILLI

Progettare il libro: storia, teorie, tecniche e processi

Prefazione di Armando Milani

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Sommario



Prefazione di Armando Milani



Introduzione 8

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PARTE PRIMA

LA STORIA: DAL SEGNO ALLA STAMPA



Storia della stampa e del prodotto editoriale 12



Tipografia e editoria 14



La scrittura 16



L’invenzione e la diffusione della carta 20



Prime tecniche di stampa: la xilografia 22



L’invenzione della stampa: Gutenberg e i caratteri mobili 24



Il libro a Venezia: l’era di Jenson e Manuzio 26



Tipografia e teoria della scrittura tra i secoli XV e XVI 28



La calcografia 30



Editori in Europa tra il XVI e il XVII secolo 32



Fournier, Didot e il Settecento francese



Caslon, Baskerville e Franklin 36

34



Giambattista Bodoni 38



L’Ottocento produttivo 40



L’innovazione nella composizione e nella stampa 42



Dalla litografia al rotocalco 44



La serigrafia 46



Il Novecento: la tipografia e le avanguardie 48



Il Bauhaus e la nuova tipografia 50



I giganti della grafica editoriale del XX secolo: Johnston, Koch e Gill 52



El Lisickij, Tschichold: gli altri giganti 54



Zapf e Frutiger 56



Verso il contemporaneo: il Futura e l’Helvetica 58



Aldo Novarese 60



Le case editrici in Italia e l’identità editoriale 62



La nuova frontiera del libro: la stampa digitale e l’ebook

PARTE SECONDA

LE TECNICHE



Elementi costitutivi del libro: il carattere tipografico 68



Fondamenti di tipometria 70



Il disegno dei caratteri tipografici: norme e definizioni 72



La composizione del testo 74



L’aspetto del testo: la spaziatura e la forma 76



L’evoluzione della composizione del testo 78



I formati 80



Le segnature e le pieghe 82



La confezione e la rilegatura del libro 84



La carta e i cartoncini 86



DTP: fare un libro ovunque 88

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Le immagini: l’acquisizione 90



Le immagini: tipologie e classificazione 94



Il colore 98



La riproduzione del colore 100



Il sistema Pantone Matching System

PARTE TERZA

IL PROGETTO



Disegnare la gabbia a una colonna 108



Disegnare la gabbia a una colonna con il metodo delle diagonali 110



Disegnare la gabbia per il formato quadrato 112



Colonne, canalini e altri elementi della gabbia 114



Il calcolo degli ingombri 116



Scegliere il carattere corretto per il testo di un libro 118



Editing e regole di base: i fondamentali /1 120



Editing e regole di base: i fondamentali /2 122



Editing e regole di base: i fondamentali /3



Indici, bibliografie e sitografie 126



Gli “a capo” e i capolettera 128



La correzione delle bozze 130



Colophon, frontespizi e apparati 132



Il timone editoriale 134



Dimensionare e tagliare un’immagine 136



L’impaginazione delle immagini 138



Le didascalie: composizione, contenuti e posizionamento 140



L’arma strategica: la copertina 142



Gli elementi della copertina 144



La collana editoriale 146



Altre tipologie di confezione del libro 148



Cofanetti, verniciature e finiture speciali 150



Come chiudere gli esecutivi 152



Costi, preventivi, prezzo 154



La gabbia di questo libro 156

PARTE QUARTA

GLI APPARATI FINALI



Glossario 160

Progettare il libro: da dove si comincia?

102

106

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Bibliografia 170



Indice dei nomi 172



Indice delle illustrazioni 173

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Prefazione

Mi piacerebbe intitolare questo lavoro di Franco Achilli Da Lascaux a Milano parafrasando il titolo del libro From Lascaux to Brooklyn del grande grafico americano Paul Rand. Se Paul Rand aveva descritto nel suo libro l’evolversi della sua professione nel mondo, Franco, milanese doc, ci racconta in modo dettagliato l’evoluzione della grafica editoriale dai segni delle grotte di Lascaux ai nostri giorni.

Un libro fondamentale nella cultura di ogni visual designer: From Lascaux to Brooklyn, del grande Paul Rand.

Con l’avvento del digitale si è temuto che il libro perdesse d’interesse, invece si è conservato immortale il piacere tattile e alcune volte olfattivo della carta stampata, dell’emozione di girare una pagina a cui corrisponde il fascino della scoperta di qualcosa che ci è ancora ignoto. Un libro, a differenza di altri effimeri progetti grafici, ha infatti la capacità di durare nei secoli, di esprimere quella potenzialità per rimanere futuro testimone della nostra civiltà. Il volume, risultato di un assiduo lavoro di Franco, è uno strumento indispensabile soprattutto per studenti e giovani professionisti: la grafica editoriale è ancora fondamentale per la loro formazione, perché per sapere dove vogliamo andare, dobbiamo imprescindibilmente conoscere da dove veniamo. Questo manuale ci aiuta a capire come sono stati rappresentati, in forme grafiche e artistiche, i diversi periodi storici, sociali e culturali con immagini accuratamente selezionate mentre i testi sono accompagnati da descrizioni meticolosamente esplicative; emerge il rapporto tra scrittura e stampa, dalla xilografia del XV secolo al primo carattere Textura di Gutenberg, dalla serigrafia per arrivare al rotocalco e alla stampa digitale. Ci spiega come si sviluppa un libro, il ruolo dell’autore, del designer e dello stampatore e le diverse tecniche di stampa, come spaziare correttamente i caratteri, usare il colore e come inserire delle fotografie nelle gabbie d’impaginazione. Un accento particolare, infine, è stato posto sul disegno dei caratteri a partire dal secolo XV, per arrivare – attraverso la scuola del Bauhaus e la scuola svizzera – sino ai nostri giorni. A conclusione del libro, l’autore ci mostra 6

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la gabbia con cui il libro stesso è stato disegnato: una chiara dimostrazione della messa in pratica delle teorie che ci aveva prima descritto. Mi piace pensare che se Franco Achilli fosse nato nel Medio Evo sarebbe diventato un monaco amanuense, però con il tipico “sense of humor” dei milanesi. In ogni pagina di questo libro traspare la passione per la ricerca delle forme grafiche e dei loro significati, nati dalle differenti esigenze delle evoluzioni storico-sociali e culturali nei diversi paesi europei.

Massimo Vignelli e Armando Milani fanno lezione a Santo Domingo, Alto de Chavon, 2005. Vignelli è costretto ad ammettere un’estensione alla ristretta gamma di caratteri tipografici ammessi dalla sua rigorosa disciplina.

Un grande musicista diceva che lo spirito può emergere solo quando la forma acquista la sua chiarezza. Per un grafico la conoscenza dei caratteri da stampa è fondamentale. Durante la mia esperienza a New York, dove ho collaborato e insegnato con Massimo Vignelli, ho imparato a selezionarne una serie che vedo con piacere menzionata nel libro. Ricordo che Vignelli era solito utilizzare e indicare come validi solo sei caratteri, ma che in un nostro workshop riuscii a strappargli l’approvazione per l’utilizzo di altri sei font, dopo numerose insistenze. Fu certamente una mia piccola impresa, che immortalai nella foto che potete vedere in questa pagina. Massimo Vignelli affermava sempre: “Senza storia, critica e teoria la nostra professione di designer non potrebbe esistere. La storia del design ci rivela non solo eventi, ma anche i loro significati attraverso gli artefatti individuali in relazione agli eventi politici, economici e culturali del loro tempo”. Mi sarebbe molto piaciuto possedere questo libro a vent’anni, quando ero studente di grafica alla Società Umanitaria con il mio maestro Albe Steiner: è un importante strumento di orientamento, che merita di essere distribuito in tutte le scuole, non solo di design, perché testimonianza di storia e cultura e sinonimo di civiltà. Armando Milani Presidente Alliance Graphique Internationale, Italia 7

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Introduzione

Eric Gill, An essay on typography, 1931.

Jan Tschichold, The form of the book, 1975.

Un oggetto grafico senza tempo Il progetto del libro resta una delle attività più impegnative, e allo stesso tempo più affascinanti, per il progettista visuale. Nell’era della grande rivoluzione digitale l’artefatto libro, nella sua forma analogica, sembra resistere e mantenere una funzione inclusiva e insostituibile: oltre a essere veicolo di conoscenza e di trasmissione del sapere, rimane una delle più alte testimonianze socio-culturali di ogni epoca dell’umanità. Attraverso i libri non solo tramandiamo sapere e narrazione lungo i secoli, ma lasciamo a chi verrà dopo di noi la traccia di chi siamo stati. E il libro resta un oggetto che ancora sorprende, ogni giorno, per la sua utilità. Utilità che coincide, quasi sempre, con la sua potente e ontologica bellezza. Da oltre seimila anni l’uomo raccoglie in forma scritta pensieri e informazioni, da cinquemila usa la forma della scrittura alfabetica, ma è soltanto da poco meno di seicento che riproduce e diffonde in forma seriale idee e conoscenza per un pubblico sempre più esteso, che vive in realtà economiche e culturali sempre più complesse. Tutto questo enorme patrimonio di civiltà non sarebbe stato condiviso tra popoli e culture senza la nascita e l’evoluzione del libro, senza l’invenzione tecnica e la sete di conoscenza che sospingono ogni giorno progressivamente l’umanità verso il suo futuro. Nell’artefatto libro, al di là della sua forma e dell’argomento in esso contenuto, si condensano – come prodotto intellettuale e industriale – i saperi tipografici e tecnici, quelli tecnologici e le tendenze visuali espressive: la grafica con cui si costruisce un libro riflette le influenze e gli stili che alimentano la continua trasformazione del mondo in cui viviamo. Il libro: una sfida progettuale e socio-culturale Il libro è un oggetto, per come lo conosciamo nella sua forma attuale, che da quasi sei secoli affronta il cambiamento imposto dai tempi, e che stabilisce con noi una relazione tangibile e tattile, oltre che visiva e spesso anche olfattiva. La magia della carta che “flagra”, diversamente dall’indiscutibile emozione della potenziale interattività di un ebook, rende le distanze tra noi e un autore 8

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(narratore, artista, scienziato o poeta) più intime e ricche di senso. Per il visual designer, qualsiasi sia il campo disciplinare prevalente del suo intervento, il progetto del libro è quindi “il” sapere fondamentale, quel retroterra da cui estrarre metodologia, disciplina e passione per la propria attività.

Emil Ruder, Typographie, 1967.

Fare grafica editoriale è dedicato ai designer più giovani, soprattutto agli studenti impegnati nell’apprendimento del visual design: dopo oltre trentacinque anni di insegnamento ho provato a raccogliere in queste pagine quelle informazioni, raccomandazioni e narrazioni che ho sempre considerato – per i miei allievi – la base minima da cui partire verso una delle avventure di progettazione più eccitanti della nostra professione. Nelle pagine che seguono ci sono storia, tecnica, progettazione, lessico: un concentrato di quel che ritengo necessario, secondo il mio modesto parere, conoscere almeno in forma generale. La passione e la curiosità di ciascuno spingerà poi a ulteriori e incoraggianti approfondimenti specialistici. Questo libro è stato ispirato dai miei generosi maestri, e riflette ovviamente il mio e il loro punto di vista: non pretendo che il suo contenuto sia inteso però come una regola. Servirà solo a orientarsi meglio e scegliere il proprio metodo. Ognuno dei maestri mi ha trasmesso insegnamenti importanti, che ho cercato di raccogliere e applicare, nella didattica come nella professione e nella vita, nel segno di una profonda riconoscenza umana e professionale. Franco Achilli

Giorgio Fioravanti, (Il nuovo) Manuale del grafico, 1987-2002.

Dopo l’onore di aver curato per Giorgio Fioravanti la seconda edizione del celebre Manuale del grafico, che per tanti anni ha istruito generazioni di designer, è per me un segno di riconoscenza e gratitudine dedicargli questo lavoro, che riprende l’impostazione che insieme avevamo concepito per la didattica nelle scuole di grafica dei nostri nuovi tempi. 9

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Se vuoi fare il designer devi scegliere se dare un senso alle cose o far denaro. Richard Buckminster Fuller

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PARTE PRIMA

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LA STORIA: DAL SEGNO ALLA STAMPA

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Storia della stampa e del prodotto editoriale Se è vero che dobbiamo a Johann Gutenberg (vedi p. 24-25) la prima concretizzazione di una lunga serie di intuizioni e sperimentazioni avviate nei secoli precedenti, è anche altrettanto vero che già agli inizi del XVI secolo in Cina e in Corea si ottenevano i primi rilevanti risultati nella produzione di libri: fa la sua apparizione la stampa con tavolette di legno e addirittura l’impiego di caratteri di metallo fusi. Tutto questo significa che la storia del libro cambia intensità e percorso grazie alle nuove invenzioni e tecniche, che da latitudini e contesti socio-culturali diversi convergono in Europa nella prima metà del XV secolo grazie al ritorno delle spedizioni in Oriente e alle pratiche commerciali con cui si avvia una nuova civiltà dopo i secoli bui del Medio Evo.

E non è un caso: nel Vecchio Continente la diffusione e organizzazione della scrittura, e soprattutto della riproduzione di codici e trascrizioni di testi sacri, si accompagna alla necessità di dotare le nascenti università dei grandi centri europei di biblioteche, in cui possano essere raccolte rapidamente e messe a disposizione degli accademici e degli allievi le conoscenze scientifico-culturali dei secoli precedenti. La riproduzione “a stampa” dei testi, inizialmente, è in grado di essere affrontata quasi esclusivamente dal ricco sistema ecclesiastico, che intuisce le potenzialità offerte dal sistema per accelerare le campagne di penetrazione religiosa nel sistema sociale del tempo; ma il processo è irreversibile e favorisce l’inarrestabile progressione delle università e dell’organizzazione del sapere in Europa. Gutenberg, e gli altri primi stampatori della metà del XV secolo, utilizzano inizialmente alfabeti ispirati dalla cultura religiosa del

tempo e, prima di portare a definizione il celebre Fraktur, intagliano caratteri simili alla texture gotica, un alfabeto suggerito dalle autorità religiose tedesche. È infatti la chiesa a commissionare oltre la metà dei libri che vengono stampati, complessivamente, nel corso del XV secolo; mentre si perfeziona il Fraktur, che diventerà pur con le necessarie varianti il carattere gotico degli stampatori tedeschi per quasi quattro secoli, perfino adottato dai nazisti come carattere “nazionale”, per poi sconfessarlo e ripristinare caratteri localmente più comprensibili nei territori occupati, nel resto d’Europa si afferma una cultura umanistica che trae ispirazione e disegno dalla classica Romana. È questa una tendenza che consente di diffondere alfabeti – e caratteri – dal disegno più tondeggiante, che assumono la definizione di “Romani”. La crescente domanda di libri insorta con la creazione delle università e la richiesta di ari-

Iscrizione su marmo all’Anfiteatro Flavio (Colosseo): indicazione del posto a sedere riservato a Fabius Felix Passifilus Paulinus, Prefetto di Roma (450- 476 d.C.). A destra: Xilografia tratta dall’opera illustrata Staudbuck di Jost Amman, con la riproduzione del mestiere del fonditore di caratteri, nell’atto di preparare lo stampo per la fusione (1568).

L’eleganza delle lettere maiuscole disegnate da Marc’Antonio Rossi, da Alfabeto di maiuscole antiche romane fatte per ragione di geometria, del 1589, opera ispirata dalla Capitalis quadrata.

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stocratici e studiosi di disporre di materiali di conoscenza su cui accrescere la cultura laica del proprio tempo, provocano dunque una sorprendente produzione di libri nel corso di pochi decenni, in un contesto in cui però continua l’opera degli amanuensi in tutta Europa. La riproduzione seriale Nonostante la numerosa presenza di tipografi ovunque, infatti, la trascrizione a mano dei libri è ancora diffusa e gli stessi stampatori cercano di recuperare quell’aspetto “decorativo” delle pagine calligrafiche che rendono così preziosi i volumi degli amanuensi: colorano a mano le lettere capitali, introducono negli stampati abbellimenti e miniature, quasi a dimostrare – in fondo con umiltà – che l’esclusiva invenzione della riproduzione in serie non è sufficiente a far percepire il valore complesso dell’artefatto. Per molti anni l’attività degli amanuensi affianca il progredire della stampa e, per rendere l’idea della persistente pratica cal-

ligrafica nella produzione artigianale del libro, ben 7.000 copisti sono ancora al lavoro nella sola Parigi nel 1470 per soddisfare i palati più conservatori. La concorrenza della riproduzione seriale impone però un nuovo stile di lavoro anche ai copisti, che cominciano a organizzare il loro lavoro dividendosi i capitoli o le partizioni di un volume per poter competere in velocità con i nuovi tempi di consegna degli stampatori. La penetrazione definitiva della stampa a caratteri mobili si afferma all’inizio del XVI secolo, grazie al perfezionamento dell’incisione dei caratteri, alla disponibilità di nuovi alfabeti e al miglioramento delle tecniche di impressione sulla carta. I torchi sono ora più precisi, fabbricati in metallo e in grado di funzionare su diversi formati. La stampa dimostra di poter affrontare, con la necessaria versatilità, i grandi cambiamenti di funzione, estetici e in generale della “domanda culturale” spontanea

In alto: Carattere Fraktur del XVI secolo, in cui è ripreso il disegno dei caratteri gotici dei secoli precedenti. Questa versione resterà in auge fino alla metà del Novecento.

Sopra: La Capitalis quadrata da un manoscritto di Virgilio, datato 400 d.C. Si noti il tratto terminale delle lettere prodotte con un pennino piatto fino a creare vere e proprie grazie.

della società; liberandosi progressivamente dai vincoli e dalla committenza religiosa, essa può estendere il percorso produttivo non solo all’oggetto libro, ma anche al semplice stampato commerciale. L’evoluzione della produzione editoriale è innescata dal progressivo miglioramento della tecnologia a disposizione, e soprattutto attraverso una trasformazione di ruolo degli artigiani che spesso, da orafi o incisori, si riconvertono nel disegno dei caratteri. Il mercato e le nuove esigenze sociali e culturali sono gli ambiti in cui si va a trasformare la vita materiale e a incoraggiare l’economia del tempo. Nasce così la figura professionale del disegnatore di caratteri, che dal 1500 (a partire da tipografi come Jenson e Manuzio a Venezia, per arrivare a Luca Pacioli con il suo trattato De Divina Proportione del 1509) si configura come intrinsecamente legata allo sviluppo della stampa e della nascente grafica editoriale.

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Tipografia e editoria L’invenzione della stampa a caratteri mobili imprime, nel XV secolo, una svolta decisiva anche nel mondo dell’impresa: la possibilità di comporre e poi scomporre un testo, una volta conclusa l’operazione di stampa, consente ai tipografi più intraprendenti di investire non solo nell’acquisto di caratteri, ma addirittura di progettarne di inediti avviando una nuova attività commerciale, assumendosi rischi d’impresa ma anche assaporando i primi successi dell’attività produttiva. La riproduzione seriale del testo originale consente infatti di ridurre i tempi di consegna degli artefatti, contenere i costi di produzione, rispondere a esigenze dei committenti fino a quel momento inimmaginabili. Nel XV secolo il processo di stampa con i caratteri mobili si basa sulla disponibilità di caratteri alfabetici realizzati attraverso una

fusione con matrice. Dal disegno originale del progettista si realizza un punzone di metallo di estrema durezza, che reca in testa la lettera a rilievo; il punzone viene premuto su un metallo più morbido, al fine di creare un incavo che diventa la vera e propria “matrice” del carattere. Nell’incavo – per ogni carattere, e per ogni quantità necessaria – si cola una lega di stagno, antimonio e piombo producendo così copie a rilievo della lettera desiderata. Naturalmente la lettera è ricavata “ribaltata” ed è per questa ragione che la composizione avviene per accostamento a rovescio. I tipografi del tempo si stanno inventando una nuova professione, dove tanti aspetti della produzione sono legati a esperimenti e investimenti avventurosi: sono imprenditori coraggiosi, curiosi e inclini all’innovazione, devono essere dotati di una preparazione artistica, conoscere le tecniche di incisione e saper fondere i metalli, procurarsi carta e fabbricare inchiostri. Imparano un mestiere

confidando nella propria capacità di cavalcare i tempi. Non a caso molti di loro sono artigiani, con buone conoscenze delle tecniche commerciali e provvisti di basi culturali adeguate al trattamento dei testi e al rapporto con gli autori. I tipografi stampano, certo, ma devono provvedere a vendere ciò che producono, in un mercato dove non esistono certamente i punti vendita e il sistema della distribuzione del prodotto. Diventano quindi delle figure d’avanguardia, che aspirano però a emanciparsi dal profilo dell’artigiano di bottega per diventare operatori di un mercato fino a quel momento inesistente, limitato a élite aristocratiche dedite alla collezione di oggetti preziosi e decorati, per le quali il possesso e l’ostentazione di una biblioteca è segno distintivo di una casta e di un patrimonio. Non certo il riflesso di un reale bisogno di conoscenza e sapere.

A destra: In questa illustrazione del primo Novecento il sistema composto dalla matrice (A.), dal punzone (B.) e dagli stampi dei caratteri (C., D., E.) necessario alla produzione dei caratteri a rilievo. In C. lo stampo, con la matrice rimossa.

Momenti di produzione e vendita di un libro in un’incisione xilografica tedesca della fine del XV secolo.

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Il tipografo diventa editore In questa cornice il tipografo del XV e XVI secolo diventa un medium importante: è lui l’elemento di trasmissione e diffusione della conoscenza del suo tempo, e avvertendo l’influenza del ruolo nella società si trasforma in punto di riferimento per intellettuali, scrittori e scienziati, che contatta e seleziona per costruire un proprio catalogo; pubblica e appone orgogliosamente il suo marchio a opere che ritiene di interesse per il nascente mercato e che intende rendere riconoscibili e distintive. L’evoluzione della figura del tipografo, che per decenni e addirittura per secoli sarà associata a quella dell’editore, impone insieme all’incremento produttivo la ridefinizione delle competenze, generando comparti e figure specializzate, come i disegnatori di caratteri, gli incisori di punzoni, i tipografi puri e infine gli editori. Dall’anno di apparizione dell’invenzione della stampa a caratteri mobili a Magonza, in

meno di vent’anni gli imprenditori più intraprendenti hanno già fondato in Germania oltre cinquanta tipografie. Il più famoso tra gli stampatori tedeschi del tempo è Anton Koberger, che vanta in poco tempo un catalogo di oltre duecento titoli. Nel suo laboratorio di Norimberga conta un centinaio di dipendenti e la città diventa un centro nevralgico della produzione intellettuale e editoriale del tempo. È importante ancora una volta sottolineare come l’attività editoriale costituisca un impulso non solo alla diffusione della conoscenza, ma anche all’apertura di un mercato commerciale, favorendo nuova occupazione. L’editoria si dimostra – e riesce a diventarlo in pochi anni – un comparto in cui investire risorse economiche, definire e occupare figure professionali emergenti, introdurre ogni giorno innovazione e ricerca. In meno di un secolo, soprattutto in Germania, il mercato editoriale diventa anche librario, perché dalla committenza privata

si estende a quella pubblica, rifornendo le biblioteche e le università, oltre ai lettori indipendenti. È del 1546 l’apertura a Lipsia della prima Fiera del Libro, che poi vedrà una sua edizione trasferirsi anche a Francoforte, dove tutt’ora ha luogo una delle più importanti fiere internazionali del settore. In Italia si deve a due monaci di Magonza, Arnold Pannartz e Conrad Sweynheim, l’apertura nel 1465 della prima tipografia a Subiaco, luogo in cui è fiorente l’attività dei monaci amanuensi nella copia delle Sacre Scritture. Roma, nel frattempo, diventa un importante centro editoriale con l’opera di Ulrich Han, tipografo tedesco di libri religiosi che – per primo – riesce a produrre un libro illustrato grazie alla tecnica xilografica. La produzione editoriale è sempre più vicina al mercato popolare, tant’è che proprio a Roma verranno editate – a cavallo tra il XV e il XVI secolo – le prime “guide” della città, vere e proprie opere pionieristiche nel settore. Specimen della fonderia Sweynheim e Pannartz con esempi di caratteri tardoromantici, in una versione del 1465 (in alto) e del 1467 (sotto). L’armonioso disegno di una maiuscola di carattere gotico, il Fraktur rotunda.

Mirabilia Romae: guida per pellegrini editata all’inizio del XVI secolo a Roma.

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La scrittura È piuttosto emozionante pensare come la storia dell’umanità riesca a mostrare una convergenza delle sue espressioni e delle sue fasi culturali proprio in momenti in cui il passaggio a un’altra era diventa obbligato: per millenni (più o meno sei) l’uomo si è dato da fare, a diverse latitudini e in vari modi, per riuscire a concepire e sistematizzare il migliore modo per esprimersi e comunicare con i suoi simili. Ci ha provato utilizzando dapprima segni dipinti, oggetti a cui attribuiva un particolare significato nel tentativo di condividerlo, stabilendo convenzioni e in fondo delle elementari regole con l’intenzione di tradurre il linguaggio fonetico in un’astrazione. Le scritture primordiali sono infatti di tipo figurativo, e approfittano di somiglianza e rappresentatività di un oggetto o di un’espressione per poter essere comprese e ri-

petute. La raffigurazione semplificata invita alla decodificazione di un’idea, alla riconoscibilità di un oggetto e la potenziale reiterabilità di quel segno si traduce nel fondamento della parola convenzionale. Il suono, attribuito come espressione di definizione di un oggetto, viene “rappresentato” e diventa origine di un senso. Pietre, legni incisi, raffigurazioni pittoriche (mentre si affinano le tecniche di rappresentazione) hanno consentito all’uomo sia di intrecciare relazioni con i suoi simili indicando, segnalando, narrando e memorizzando, sia di radicarsi in un territorio costruendo comunità, trasmettendo conoscenza e scambiandola anche come merce di valore con altri uomini. Ma l’incessante opera di scoperta e scambio tra gli uomini, il superamento delle barriere naturali per aprire nuove prospettive di vita e di espansione delle civiltà non potevano continuare a basarsi su astrazioni o complicate convenzioni figurative, lente da

assimilare e di difficile condivisione con altre comunità. Dai segni alle parole L’evoluzione della scrittura figurativa in quella fonetica (dove un segno reiterabile assume il significato di un suono contenuto in un’espressione verbale parziale) si deve intorno al 1700 a.C. ai mercanti del Mediterraneo, in particolare ai Fenici e ai Semiti. Nel corso dei secoli, mentre gli Egizi evolvono i geroglifici stabilendo la corrispondenza tra il suono di una consonante e l’iniziale di un oggetto raffigurato, i popoli della valle dell’Indo e della Mesopotamia mettono a punto scritture cuneiformi e ideografiche, dove segni sintetici ripetuti significavano non più solo “suoni” ma gruppi di segni a formare vere e proprie “sillabe”. È questo un passaggio cruciale, che per millenni ha separato le civiltà del pianeta in una propria esclusiva costruzione di quello che sarebbe diventato il proprio particolare

Esempio di scrittura geroglifica egizia, basata sulla traduzione in immagine di un concetto, di un oggetto o di un essere vivente senza considerazione per la parola pronunciata per identificarli. Il rigore nel disegno, e l’abilità nella sintesi visiva, esprimono un’altissima padronanza del linguaggio grafico, già capace di stabilire connessioni concettuali e tradurre in alfabeti complessi la conoscenza umana.

A destra in alto: Pitture rupestri della caverna di Lascaux (15000-10000 a.C.). I graffiti di Lascaux sono forse una delle più antiche e conservate testimonianze di racconto per immagini di un’esperienza vissuta. Caratteri dall’alfabeto lineare fenicio del IX secolo a.C.

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sistema alfabetico: da una parte il mondo ideografico (in Oriente, dove se si impiegano circa 4.000 segni nel linguaggio comune si può anche disporre di un impressionante repertorio di oltre 40.000 ideogrammi) e dall’altra quello fonetico, basato su grammatica e alfabeti sistematici. È la necessità di trascrivere atti e narrazioni sul supporto di papiro che in Egitto porta a una prima e significativa semplificazione della scrittura, che in questo modo si adegua alle esigenze commerciali e amministrative. Le contaminazioni commerciali e culturali nel Mediterraneo, intanto, portano i Fenici a introdurre metodi di trascrizione degli accordi mescolando la loro scrittura cuneiforme con le espressioni fonetiche dei popoli con cui stringono relazioni stabili, per esempio in Grecia. Nascono alfabeti continuamente modificati e perfezionati, che tendono però a una sistematizzazione strutturale per rendersi comprensibili e condivisibili a una civiltà in

costante movimento. Sono secoli di conquiste, insediamenti, colonizzazioni e commerci: la comunicazione non è più solo di tipo commerciale, ma anche amministrativo, letterario, legale, scientifico. L’influenza delle grandi potenze del Mediterraneo, come quella di Roma, si manifesta anche con la continua riorganizzazione della lingua e del suo alfabeto, offrendo una nuova polisemia e autorevolezza alle trascrizioni. Migliora la fluidità del testo e la praticità della scrittura, ora praticata anche su tavolette di cera, considerata la necessità di riprodurre in più copie atti e dichiarazioni, opere letterarie e testi scientifici. La scrittura diventa testimonianza storica, le iscrizioni lapidee marcano la geografia dei territori e definiscono proprietà ed episodi dell’evoluzione di una civiltà: l’affermazione del carattere alfabetico latino avviene quindi anche attraverso l’espansione culturale, militare, politica ed economica di Roma. È proprio la famosa iscrizione sulla

colonna Traiana, datata 114 d.C., che fissa l’estetica e l’equilibrio dei caratteri alfabetici con le “capitali”, che ancora oggi evocano l’atmosfera e la cultura di duemila anni fa. Verso nuove grafie Nel corso dei secoli l’alfabeto latino si completa con nuove lettere e l’introduzione del corsivo. La caduta dell’Impero Romano porta alla decadenza del carattere latino classico e alla diffusione di nuove grafie autonome, mentre l’avvento della scrittura onciale e semionciale, utilizzata per la trascrizione dei testi sacri cristiani, conduce all’introduzione del minuscolo. Nel frattempo i nuovi supporti, come la pergamena e successivamente l’impiego della carta, consentono di sostituire gli strumenti di scrittura con altri, più fluidi e in grado di assecondare le diversità espressive del testo: le trasformazioni nei materiali aprono nuove prospettive allo stile della scrittura e al disegno degli alfabeti. Esempi di scrittura maiuscola minuscola carolina del XIII secolo. In basso, a sinistra: Ricostruzione proporzionale del carattere Textura del XIII secolo.

Scrittura cinese. Il posizionamento di un segno a fianco di un altro carattere ne definisce il senso. L’elemento “potere” preceduto dalla chiave “acqua” identifica il “fiume”. Lo stesso elemento preceduto dalla chiave “parola” invece significa “criticare”. La scrittura in Cina appare verso il II millennio prima di Cristo, viene codificata 500 anni dopo e resa sistema tra il 200 a.C. e il 200 d.C. È, in sostanza, la stessa scrittura tutt’ora in uso.

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Scrive Daniele Baroni: “Con la riforma carolingia nel 789 Carlo Magno decide e impone che sia riscritta tutta la letteratura del tempo, proponendosi come successore illuminato e erede degli imperatori romani. Prende così origine la scrittura carolingia, alla quale fanno seguito la minuscola di transizione, la gotica corsiva e la minuscola umanistica. Giunti alle soglie del carattere da stampa, gli alfabeti si sono del tutto completati”. Torniamo però al nostro argomento principale: il rapporto tra scrittura e stampa. Nell’Europa rinascimentale sono in uso, nel XVI secolo due tipi di scritture: quella gotica e quella umanistica (o latina). La prima si chiama così perché la sua struttura si ispira alle architetture del tempo, la seconda perché le linee sono più tonde e legate all’alfabeto romano classico. I tipografi si trovano di fronte a due modi di scrivere, e dunque di riflettere la cultura

coeva: in Germania si diffondono i caratteri legati alla scrittura gotica, nel resto d’Europa quelli latini. La scrittura trova, con l’avvento della tipografia, la sua estensione in una forma riproducibile e sistematica e da qui inizierà il continuo scambio di influenze e contaminazioni di due tra le più alte forme espressive della cultura umana. Se per tutto il XIII e XIV secolo la scrittura cerca di adeguarsi all’incombente richiesta di produzione diversificata, dal XV secolo l’evoluzione della stampa costringe a disegnare caratteri che non si discostino eccessivamente dalle grafie manuali. La scrittura gotica, che imperversa nell’Europa centro settentrionale nel XIV secolo, è sempre più preda di eccessi decorativi che emulano le ardite e monumentali architetture del tempo e che poco si adattano ai requisiti di chiarezza della scrittura per i libri divulgativi. Fin dal XIV secolo gli scrittori, tra cui Pe-

trarca, avviano una fase di modifica della scrittura, che pur diventando più sobria e leggibile, resta ancorata all’impostazione gotica. È questo però un passaggio cruciale, che prepara l’avvento della stampa, perché il rinnovamento in atto presso le corti europee – dove più alta è la richiesta di libri – produce una scrittura meno meccanica e al tempo stesso più chiara, che ispirata al gotico se ne distanzia per un disegno meno compresso. La riforma della scrittura, che inizia con l’opera di copisti come Niccolò Niccoli (13641437) e Poggio Bracciolini (1380-1459, ideatore della Littera Antiqua), introduce nuovi caratteri ideati per la produzione libraria, mutuati dalla Minuscola Carolina. La diffusione in Europa della scrittura umanistica (tranne che in Germania) è l’origine delle scritture moderne, quelle che in pochi anni diventeranno caratteri di metallo per la rivoluzionaria produzione seriale.

Scrittura umanistica di Niccolò Niccoli, dal Thesaurus, 1450.

Pagina dal Trattato di Architettura di Antonio Averlino, detto il Filarete, 1460-1464.

Frontespizio per Le Cronache di Norimberga, 1493. L’incisione su tavole di legno è opera di George Alt, calligrafo impegnato nella traduzione in tedesco delle opere classiche latine.

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Pagina in Textura della Costituzione di Benedetto XII, 1337.

Insieme alla riforma della scrittura in sistemi trovano spazio anche invenzioni di alfabeti irriverenti, che provano ad andare oltre le rigide regole dei codici. Nella figura sotto: lettera K di un alfabeto grottesco, da un abbecedario del 1464 in cui ogni lettera è ricostruita attraverso la composizione di più figure, una pratica che impegnerà i disegnatori di caratteri addirittura fino alla metà del XX secolo.

Confronto tra le forme slanciate di una cattedrale gotica (Westminster Abbey, 1065, Londra) e il carattere gotico Textura usato nella composizione del salterio della regina Mary, XIV secolo.

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L’invenzione e la diffusione della carta L’introduzione della carta in Europa avviene circa 200 anni prima dell’invenzione della stampa. È del 1276, infatti, l’insediamento della prima cartiera a Fabriano, a cui fanno seguito quelle di Bologna, Amalfi, Genova e Padova. Sono passati però più di mille anni da quando un notabile cinese, il ministro Ts’ai Lun, nel 105 d.C., produce il prototipo di ciò che sarà universalmente conosciuto come “carta”: un impasto di fibre di gelso e bambù che una volta essiccate si intrecciano tra loro formando il cosiddetto “foglio”. Dalla Cina all’Asia Centrale occorrono 650 anni per avvicinare la carta al Vecchio Continente: a Samarcanda viene avviata la prima produzione di carta al di fuori della Cina, e a poco a poco l’innovazione raggiunge la Mesopotamia e i paesi arabi, dove sono

sperimentate nuove tecniche di produzione con l’impiego di telai più sofisticati. Gli Arabi esportano poi la pratica nei territori di loro dominio ed è notizia del 1151 quella dell’inizio dell’attività di una cartiera nei pressi di Valencia, in Spagna. L’invenzione di Ts’ai Lun è destinata a trasformare la storia dell’umanità: non solo per il potenziale innovativo del nuovo supporto, ma perché da quella prima sperimentazione saranno generati nuovi sistemi di scrittura, stampa e comunicazione, oggetti d’uso comune, documenti, denaro, involucri e imballaggi. Cambieranno l’impiego e l’economia dei terreni, delle coltivazioni e dell’acqua. Diventerà possibile la diffusione rapida delle idee e delle conoscenze, si moltiplicheranno le possibilità di testimoniare attraverso l’arte le evoluzioni della società e del costume. Intorno alla produzione della carta si crea così un enorme indotto, dapprima costi-

tuito dai raccoglitori di stracci poi di commercianti nei più diversi settori d’impiego a seconda della tipologia di carta disponibile. Quando a Magonza viene stampata la prima Bibbia di Gutenberg, i cartai italiani sono già celebri in tutta Europa, perché esportano da quasi due secoli un prodotto di eccellente qualità e sanno competere con francesi, svizzeri e spagnoli. Dalla pratica manuale alla fabbricazione meccanica La fabbricazione della carta è fino al XVIII secolo un processo manuale, dove la poltiglia risultante dalla frantumazione di stracci in acqua viene posta ad asciugare su un telaio fino all’essicazione completa. Le cartiere più prestigiose e richieste “firmano” la loro produzione con il marchio in filigrana: lo spessore della carta si riduce dove viene interposta una trama di filo d’ottone che riporta il disegno del marchio di fabbrica, così durante l’essicazione può

Jost Amman, illustrazioni xilografiche per Standebuck, 1568. Nel volume sono rappresentati più di cento mestieri; nell’illustrazione sopra: il cartaio.

Il fabbricante di pergamena, in un’incisione di Johann C. Weigel, 1696. Prima dell’avvento della carta la scrittura trova nella pergamena il suo supporto più versatile. Nel II secolo gli scribi asiatici, in mancanza del papiro una volta fornito dagli Egizi – diventati rivali – ricorrono all’impiego della pelle di montone, vitello o gazzella, che viene resa sottile e levigata per potervi scrivere sopra. La levigatura rappresenta una fase essenziale della lavorazione.

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evidenziarsi in trasparenza il simbolo del produttore. Queste produzioni viaggiano per tutta Europa e la richiesta cresce esponenzialmente per edizioni diversificate a seconda dei casi: libri, documenti, carte geografiche. Bisogna attendere l’inizio del XIX secolo per assistere alla grande trasformazione della produzione della carta: è un discendente della celebre famiglia di tipografi Didot che a Essonnes, adottando un progetto del 1799 di Luis Robert, mette a punto un sistema di fabbricazione meccanica, in grado di superare il limite delle produzione artigianale e dare risposte all’incessante domanda del mercato. Accanto alla nuova disponibilità di carta si affaccia però la minaccia della scarsità della materia prima, a cui occorre dare immediata risposta. La nuova tecnica, che viene messa a punto intorno alla metà del 1800, prevede l’impiego della pasta di legno e della cellulo-

sa in sostituzione agli stracci: il sistema ha successo ma pone ugualmente il problema della riconversione delle foreste nell’utilizzo per la nascente “industria” cartaria. Anche oggi, pur con la progressiva e consapevole diffusione di tecniche di recupero e riciclo, resta problematico l’impiego e la salvaguardia delle risorse naturali destinate alla produzione della carta e dei suoi materiali compositi. Per questa ragione un progettista intelligente deve sempre tenere in considerazione la finalità del suo operato e il contributo che può offrire in termini di controllo dello spreco e delle lavorazioni superflue: è fondamentale prevedere sempre la possibilità di utilizzare materiali provenienti da foreste controllate e certificate (FSC), consentire quando possibile l’eventuale riciclo dello stampato evitando contaminazioni ineliminabili (plastificazioni, materiali di finitura non smaltibili) e utilizzare carte ecologiche senza cloro, prodotte attraverso cicli industriali sostenibili e certificati.

FILIGRANA CARTIERA DI FABRIANO

FILIGRANA CARTIERA AMALFI

1324

1395

FILIGRANA CARTIERA DI CAMPANAU

ULMAN STOMER NORIMBERGA

1375

1390

Scudo a losanga con tre pali sormontato da una corona

Testa di bue sormontata da giglio

FILIGRANA CARTIERA FABRIANO DI GENOVA

FILIGRANA CARTIERE DELLA CHAMPAGNE

1380

1440

Forbici da sarto

Stemma di Troyes

Alcuni marchi in filigrana delle più importanti cartiere europee dei secoli XIV-XV.

Che cosa significa FSC? Oggi quasi tutte le cartiere internazionali e gli attori della filiera di stampa aderiscono ai protocolli dell’associazione internazionale FSC, Forest Stewardship Council: il logo identifica i prodotti contenenti derivati del legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo standard ambientali, sociali ed economici.

Quando scegliete la carta per un libro e lo stampatore, accertatevi che entrambi possano fregiarsi del marchio FSC, che conferisce valore aggiunto allo stampato.

In un’antica incisione xilografica un momento del processo di fabbricazione del washi, la carta tradizionale giapponese: è sorprendente la similitudine del processo che – a migliaia di chilometri di distanza – impegna gli uomini nella stessa invenzione pur senza entrare in contatto.

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Prime tecniche di stampa: la xilografia La xilografia è un sistema di stampa antichissimo, di cui si ha qualche vaga testimonianza in Cina fin dall’VIII secolo a.C. Punzoni xilografici per stampare su tessuti sono stati rinvenuti durante scavi archeologici anche presso insediamenti Persiani, Egizi, Fenici e Romani, ma occorre attendere il 1040 per consentire al cinese PiCheng di realizzare il primo libro stampato con questo metodo. La stampa si basa sull’impiego di una matrice di legno dalla quale vengono asportate con sgorbie e scalpelli le parti escluse dalla stampa. In sostanza si tratta di un vero e proprio “timbro”, che dopo l’inchiostrazione viene appoggiato sulla superficie di stampa, sia essa stoffa, carta o altro supporto rigido. Ovviamente sia l’eventuale immagine che il testo devono essere riportati a rovescio sul-

Xilografia di Sebastian Brant, Basilea, 1494.

la matrice, così da consentire l’impressione finale nel verso corretto. Si può stampare con questo metodo a mano sia premendo direttamente la matrice sul supporto, sia montando la tavoletta su un torchio. Nell’Europa medievale il sistema xilografico è molto diffuso: sono soprattutto i fabbricanti di tessuti ad avvalersene per riprodurre sulle stoffe disegni e motivi ornamentali, mentre la Chiesa impiega ampiamente la stampa xilografica per la produzione di iconografia religiosa. Nel XIV secolo la produzione di libri combina sulla stessa matrice il testo (che per il momento ancora viene “scolpito”) e le immagini, avviando il processo di avvicinamento all’imminente rivoluzione della stampa con i caratteri mobili in legno; il sistema xilografico, nonostante la rapida diffusione della stampa tipografica, rimarrà in uso per i secoli successivi e si trasformerà con il tempo in una autentica forma espressiva.

Nel XV secolo l’incisione xilografica consente di illustrare i primi libri a stampa mentre nel XVI secolo si diffonde la tecnica di incisione a chiaroscuro, con l’utilizzo di due, tre e quattro matrici lignee. Nel XVI secolo è Dürer, tra i protagonisti della storia dell’arte, che tra i primi si cimenta con le matrici in legno, mentre nel XVII e XVII secolo gli artisti preferiscono le matrici in metallo, che consentono tratti più controllati e sottili grazie all’incisione con il bulino. Nell’Ottocento la xilografia è impiegata largamente per illustrare libri e giornali e la sua evoluzione in ambito industriale si sviluppa in particolare dalla metà del secolo fino ai primi del Novecento. La disponibilità di nuove superfici e materiali da intagliare, come il Linoleum, nel XX secolo avvicina alla tecnica sperimentatori e artisti e tutt’oggi, con il sorprendente revival delle tecniche di stampa analogiche, il processo “xilografico” sembra ritrovare nuovi appassionati ed estimatori.

Nel 1515 Albrecht Dürer incide questa impressionante xilografia basandosi solo su uno schizzo sommario e una descrizione di rinoceronte che riceve via posta dalla Spagna.

Il testo di commento, in alto, rivela la sapienza nella redazione e nella composizione, che consente di allineare le righe esattamente in giustezza con i margini della tavola.

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A fianco: Tavola xilografica di Joseph Váchal, 1911. La tradizione nell’incidere su legno resiste anche agli inizi del XX secolo: l’abilità nel tracciare le linee consente di creare effetti di chiaroscuro basandosi solo sull’effetto di vicinanza o distanza delle tracce.

A sinistra: Frans Masereel (18891972), xilografia. L’autore, uno tra i più importanti interpreti dell’arte xilografica del Novecento, attraverso le sue opere restituisce visioni della vita della città, rendendosi narratore con immagini di raro vigore estetico; l’inchiostrazione particolarmente carica trasforma le atmosfere urbane in ambienti drammatici e inquieti.

Xilografia di William H. Bradley per una copertina editoriale, 1895. A fianco: Doppia pagina da Teuerdank, poema cavalleresco stampato da Johann Schoensperger nel 1517. Si notino gli abbellimenti calligrafici a riempimento dei vuoti in pagina, al fine di equilibrare gli spazi di testo e di margine.

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L’invenzione della stampa: Gutenberg e i caratteri mobili È universalmente riconosciuta a Johann Gutenberg l’invenzione della stampa a caratteri mobili, ma è altrettanto vero che alle svolte epocali della civiltà umana si giunge perché le condizioni dell’evoluzione tecnica e tecnologica, quelle socio-culturali ed economiche fanno convergere le conoscenze e le aspirazioni degli uomini nella continua ricerca di come progredire e introdurre innovazione nella vita materiale. Ci sono uomini che “colgono” la dimensione del proprio tempo e che si impegnano per dare senso alla propria esistenza attraverso un contributo in grado di cambiare il corso della Storia: non sempre sono inventori puri, visionari o menti fuori dall’ordinario. Spesso sono intelligenti quanto basta per afferrare uno spunto o valorizzare le tap-

pe raggiunte da altri per trasformare quel bagaglio in un patrimonio che prima nessuno era riuscito a “vedere” con lucidità. Gutenberg è uno di questi uomini. L’invenzione della stampa si colloca in un momento di grandi cambiamenti, dove l’offerta e la disponibilità di testi copiati a mano non reggono la domanda sul mercato. Come molti altri innovatori e inventori dei secoli precedenti e successivi, Gutenberg è l’uomo che in una determinata fase storica è in grado di raccogliere e sistematizzare gli esperimenti e le intuizioni, i successi e i fallimenti dei suoi predecessori. Forse non è corretto affermare che Gutenberg sia l’inventore della stampa, di certo però è colui che unifica gli esperimenti precedenti, ne coglie la portata e dà concretezza all’invenzione con la stampa della prima opera seriale con i caratteri tipografici. Il mondo sociale, economico e politico che lo circonda, all’inizio del XV secolo, avverte il bisogno di adeguarsi a una nuova fase

economica e di superamento delle condizioni esistenti, e la Germania del suo tempo è la società giusta per restituire ascolto a un’anima inquieta come la sua. Johann Gutenberg e l’Ars Artificialiter Johann Gensfleisch detto Gutenberg nasce a Magonza, in una famiglia di nobili radici, probabilmente tra il 1394 e il 1400. Personalità curiosa, tenace e intelligente, pratica diversi mestieri – tra cui l’orafo e l’incisore – e segue una propria personalissima idea di dare forma all’Ars Artificialiter, una scrittura “artificiale”. Dal 1440 si dedica al procedimento di riproduzione seriale del testo con il sistema dei caratteri mobili in legno e nel 1450 raggiunge un livello tecnico così incoraggiante da poter ritenere commerciabile la sua idea. Trova un finanziatore nella sua città, Johann Fust, che dapprima lo sostiene, ma che in seguito gli confisca l’attrezzatura affidandola a un suo collaboratore Peter Schöffer,

Ritratto di Johann Gutenberg (1394/1400-1468) in un’incisione su rame del 1584. Prima pagina della Genesi, dalla Bibbia di Gutenberg, 1450-1455. Il primo libro stampato della storia già mostra un’eccellente qualità per l’impostazione grafica e l’impronta tipografica.

La serie di caratteri utilizzata da Gutenberg per la Bibbia a 42 linee.

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che conclude nel 1455 il lavoro iniziato da Gutenberg sulla Bibbia a 42 linee. Il capolavoro diventa un capostipite La Bibbia a 42 linee prende questo nome dal numero di righe che compongono ogni pagina, disposte in due colonne. I testi sono composti in Textura, un gotico caratterizzato da una rigida compattezza, simile alla trama di un tessuto: è il primo carattere tipografico della storia. È certamente il carattere che – oltre alla storia e alla cultura nazionale dell’ambiente di Gutenberg – a quel tempo più si avvicina al libro copiato a mano: il Textura è infatti rigido, robusto e meno difficile da incidere dell’Antiqua o di altre “calligrafie” più morbide e tondeggianti. Anche per questa ragione Gutenberg non è propriamente un innovatore, perché riproduce con un carattere meccanico la forma convenzionale della calligrafia formale (il textura). Sono anni travagliati per lo sperimentatore

di Magonza, che è impaziente di rimettere in movimento la sua attività: si trova un nuovo socio in affari, il sindaco della città, e si accinge a stampare una nuova Bibbia e altre opere a carattere religioso. Le alterne vicissitudini storiche e politiche (come il Sacco di Magonza, 1462) allontanano per un breve periodo Gutenberg dalla sua città, dove verrà richiamato però nel 1465 per assumere un ruolo di corte e godere di particolari privilegi fiscali. Una condizione di breve durata, che mentre gli consente di rioccuparsi dei suoi esperimenti e delle produzioni tipograficoeditoriali si conclude in meno di tre anni, nel 1468, con la sua morte. Attrezzature ed esperienza di Gutenberg sono allora ereditate da Konrad Humery, il sindaco di Magonza che l’aveva incoraggiato a proseguire nella ricerca, mentre collaboratori e discepoli iniziano da quel momento a diffondere attraverso la Germania e l’Europa la nuova tecnica.

Il torchio di Gutenberg in un’iconografia popolare del XVII secolo.

A sinistra: Pagina del Rationale divinorum officiorum, libro stampato da Fust e Schöffer nel 1459 con estrema accuratezza: la colorazione del capolettera testimonia lo sforzo di emulare la qualità artistica dei libri manoscritti.

Sopra: Colophon del Salterio Latino, stampato da Fust e Schöffer nel 1457. Anche in questo caso, con l’elaborazione del capolettera, si cerca di mostrarsi all’altezza dei capolettera decorativi dei manoscritti. A fianco: Marchio editoriale di Johann Fust (primo finanziatore di Gutenberg) e Peter Schöffer, dipendente della tipografia, che dopo la confisca delle attrezzature da parte di Fust porterà a termine il lavoro di Gutenberg sulla Bibbia a 42 linee.

A sinistra: Frammento di una pagina stampata da Fust e Schöffer nel 1457, con i caratteri in metallo messi a punto da Schöffer.

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Il libro a Venezia: l’era di Jenson e Manuzio Il XV secolo non è soltanto il secolo della stampa, ma decisamente e indissolubilmente anche quello del libro. Se l’invenzione di Gutenberg attrae in Germania incisori e imprenditori desiderosi di apprendere la nuova tecnica, sorgono presto altri centri in Europa incoraggiati dai governanti locali, ansiosi di introdurre la nuova e prestigiosa attività presso le proprie corti. È il caso di Venezia, che già nel 1469 chiama due tipografi tedeschi a occupare un ruolo del tutto nuovo come quello di unici stampatori della Repubblica. I fratelli von Spyr si insediano dunque a Venezia aprendo la propria tipografia con un contratto in esclusiva, ma solo uno dei due – Wandelin – onorerà l’impegno per tutta la durata, perché il fratello Johann morirà prematuramente nel 1470.

Sono i von Spyr a stampare i primi libri in italiano, inaugurando la grande stagione dell’arte tipografica in Italia. Alla conclusione del rapporto di von Spyr con Venezia è un emergente incisore francese ad assumerne idealmente l’eredità: Nicolas Jenson è da tempo alla ricerca di un luogo ove impiantare la propria attività stabile di stampatore. Ha studiato l’arte tipografica in Germania, non è riuscito a trovare finanziamenti nel proprio paese e ha deciso di trasferirsi allora a Venezia, perché sa che lì potrà trovare un pubblico colto e sofisticato, pronto ad apprezzare le nuove edizioni che egli potrà approntare con la sua attrezzatura. Il catalogo di Nicolas Jenson Jenson diventa, a Venezia, il primo vero tipografo-editore, perché unisce le sue doti tecniche con quelle imprenditoriali: darà alle stampe oltre 150 edizioni e disporrà di un vero e proprio catalogo commerciale.

Nasce cosi la figura dell’editore, che necessita – esattamente come accaduto in altri mercati e per altre merci nel corso dei secoli – di un marchio di identità. È Jenson che firma le proprie edizioni con un simbolo, che contribuisce non solo a rendere riconoscibile un produttore, ma a conferire valore intrinseco e identitario alla stessa merce. Jenson comprende il nuovo orizzonte che si sta prefigurando, per i tipografi, anche dal punto di vista dell’organizzazione di impresa: un ruolo che impone di non essere più soltanto al servizio degli autori, ma di diventare essi stessi promotori di opere e rivenditori sistematici. È solo il 1480 quando Jenson muore, lasciando catalogo, magazzino e copie agli eredi, in una Venezia diventata ormai centro tipografico ed editoriale di eccellenza, dove competono centinaia di stampatori e dove la qualità editoriale ha raggiunto i più alti livelli.

In alto: Due pagine affiancate tratte dall’Hipnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, stampato da Manuzio nel 1499. Si noti l’impaginazione con le due figure che, seppure spezzate dalla segnatura, tendono a ricongiungersi attraverso l’ideale proseguimento dell’asta orizzontale del carretto.

Sopra: Nicolas Jenson, carattere tipografico per l’edizione del 1470 del De Praeparatione Evangelica di Eusebio. Un nuovo eccellente livello di disegno del carattere editoriale è raggiunto con l’allargamento dell’occhio delle lettere, l’assottigliamento delle aste per una migliore leggibilità e leggerezza del testo composto.

Marchio editoriale di Nicolas Jenson, che nel 1470 dà forma a una delle più pregevoli edizioni in carattere romano. Il carattere tondo inciso da Jenson per l’Epistulae ad Brutum di Cicerone diventa il modello “veneziano” per molti disegnatori del tempo, perché unisce il recupero del tema classico con le necessità di chiarezza di stampa del tempo.

Sotto: marchio editoriale di Aldo Manuzio; l’àncora simboleggia tenacia, pazienza e stabilità. Il delfino rappresenta la dinamicità e l’intelligenza. Il motto di Manuzio era “Festina lente”, cioè “affrettati adagio”. Un monito alla riflessione nel lavoro, che vale anche per i nostri tempi.

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Aldo Manuzio È uno scenario culturale e imprenditoriale vivace che lancia, dieci anni più tardi, un giovane tipografo che rappresenterà negli anni a venire la più importante figura di stampatore del Rinascimento. Si chiama Aldo Manuzio, è nato intorno al 1450, ha studiato a Ferrara ed è attratto dall’attività della tipografia un tempo appartenuta a Jenson e ora condotta da Andrea Torresani. Nel 1495 Manuzio intraprende la professione di tipografo e intuisce che l’incremento di qualità della stampa passa anche attraverso l’eccellenza dei caratteri: si affida così a un maestro della nostra storia editoriale, quel Francesco Griffo che disegna alfabeti meravigliosi per grazia, equilibrio e modernità. Manuzio commissiona a Griffo alfabeti che comprendono corsivi declinati dal cancelleresco delle amministrazioni papaline, e la qualità del disegno è così elevata che l’eco si diffonde in tutta Europa. I corsivi di

Griffo e Manuzio diventano famosi in Inghilterra come “italics” e nel resto d’Europa come “italiques” o “letra grifa”. Ma l’intraprendenza e il talento di Manuzio non si fermano alla qualità delle sue edizioni: è lui l’inventore dell’ottavo e della prima “collana editoriale” con le cosiddette “aldine”, dando alle stampe ogni mese un nuovo titolo in tiratura fissa di mille copie. Manuzio intuisce l’importanza della veste esterna, confezionando i suoi libri in maniera elegante e riconoscibile. Ma non è finita: il formato ridotto e il prezzo contenuto delle “aldine” ne garantiscono il successo anche sul mercato internazionale, generando così l’artefatto antesignano della collana economica moderna. Si tratta di un catalogo di sessanta titoli, dalla veste accurata e distribuiti in tutta Europa. L’ulteriore novità di Manuzio non è solo la disponibilità di un catalogo generale, ma anche di un listino prezzi. Convince i grandi

pensatori a scrivere per lui: diventano suoi autori Poliziano, Erasmo da Rotterdam, Pietro Bembo (cui verrà dedicato un meraviglioso carattere ancor oggi in uso). È soltanto il 1511, non è davvero sorprendente? La tecnica e l’arte tipografica hanno trovato l’interprete del tempo, che definisce anche per primo il ruolo completo e le prospettive professionali dell’editore. Aldo Manuzio muore nel 1515, lasciando la tipografia al suocero (quell’Andrea Torresani che per primo gli aveva mostrato la seducente arte tipografica al suo arrivo a Venezia). Il figlio Paolo e il nipote Aldo continueranno l’attività, fino a quando proprio quest’ultimo verrà chiamato alle Università di Bologna e di Pisa per insegnare. La figura di Manuzio resta quindi fondamentale non solo nella storia della tipografia: estende la sua influenza ben oltre il Rinascimento, pervadendo tutta la storia dell’arte italiana. A sinistra: L’Opera di Virgilio stampata da Manuzio nel 1501, in cui per la prima volta appare il corsivo (“italico”) disegnato da Francesco Griffo per la serie dei classici di piccolo formato (le Aldine). A fianco: Pietro Bembo, De Aetna, stampato da Manuzio nel 1495-1496. Griffo disegna per quest’opera un carattere che prende la sua denominazione dal nome dell’autore del libro. Il Bembo diventa il modello di riferimento, per più di due secoli, dei caratteri graziati in Europa.

A sinistra, in basso: Alfabeto inciso da Francesco Griffo per l’Hipnerotomachia Poliphili stampata da Aldo Manuzio nel 1499. Con questo progetto Griffo anticipa la definizione del rapporto 1/9 tra spessore dell’asta e altezza della lettera che verrà stabilito da Pacioli nel 1509.

L’elegante disegno della legatura et, originata dal nuovo corsivo aldino di Francesco Griffo per Manuzio.

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Tipografia e teoria della scrittura tra i secoli XV e XVI Il dilagare della tipografia in Europa convince studiosi e artisti a cimentarsi con la ricerca estetica legata alla forma dei caratteri e al rapporto costante con la scrittura. Il Rinascimento ha già portato in primo piano l’importanza del disegno del carattere non solo per la stampa vera e propria, ma anche per l’inserimento di testi e iscrizioni in dipinti e architetture, perché la dimensione estetica e armoniosa della tipografia emerge come segno di una nuovissima e matura testimonianza civile e culturale del tempo. La scrittura, ora, sembra non essere più destinata solo alla carta, ma invade gli altri ambiti della rappresentazione e della testimonianza storica, così da incoraggiare la ricerca, il recupero e la modernizzazione

del patrimonio classico dell’alfabeto latino. L’elaborazione dell’Ars artificialiter scribendi si concretizza nella produzione di elementi alfabetici per la scrittura meccanica, tesa al superamento di quella strettamente manoscritta: il libro stampato cerca la sua penetrazione e affermazione dimostrandosi all’altezza di quello manoscritto. La realizzazione di caratteri in metallo si propaga inizialmente con la trasposizione della Littera Antiqua, che gli umanisti hanno fino a quel tempo impiegato per trascrivere i testi antichi su carta: un’innovazione prudente che consente a un pubblico, non ancora del tutto convinto, di apprezzare le nuove tecniche della stampa. La scrittura per i libri ispira la scrittura stampata, mentre la calligrafia resta il principale riferimento per i disegnatori di carattere per tutto il XVI secolo. Con gli studi di Felice Feliciano, nel XV secolo, si esplora per la prima volta la costruzione geometrica delle lettere: nel 1463

Feliciano redige un trattato in cui evidenzia il disegno delle capitali romane inscritte nel cerchio e nel quadrato. Ridisegna egli stesso le sue lettere partendo dal quadrato e poi inscrivendole in un cerchio, costruendo un alfabeto di rara bellezza. Gli studi di Felice Feliciano influenzano molto probabilmente quelli di Leon Battista Alberti, il grande umanista e architetto che riprende il lapidario romano per riportarlo alla forma più classica. La scrittura per l’architettura Alberti usa spesso le iscrizioni per rendere ancora più monumentali le sue opere: la Cappella Rucellai, nella chiesa di san Pancrazio a Firenze, è una delle sue opere più famose e l’iscrizione è operata con lettere basate sulla costruzione a partire dal cerchio e dal quadrato. E come l’Alberti anche gli altri grandi architetti dell’epoca fissano con mirabili disegni di caratteri i capolavori del loro tempo; come Luciano Laurana, che

A fianco: Leon Battista Alberti, caratteri dell’alfabeto albertiano, 1457-1467. A destra, in alto: Felice Feliciano, alfabeto romano, 1460 (sotto: la costruzione delle lettere di Feliciano).

Leon Battista Alberti, Cappella Rucellai, Tempietto del Santo Sepolcro (1457-1467).

Albrecht Dürer, Underweysung der Messung, 1525. In quest’opera Dürer compie variazioni su ogni carattere dell’alfabeto, sperimentando le prime teorie sulla percezione e il campo geometrico.

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aveva conosciuto l’Alberti a Mantova, cui si deve il completamento di buona parte del Palazzo Ducale di Urbino, con iscrizioni epigrafiche maiuscole che corrono lungo i marcapiano del cortile, così armoniose e perfette da lasciare senza fiato. Alla ricerca delle proporzione Gli studi sul carattere lapidario vengono ripresi dall’opera di fra’ Luca Pacioli. Pacioli è un religioso, uno studioso di matematica e di scienze presso le più importanti corti del tempo e pubblica studi sulla ragioneria e sulla geometria. A Pacioli dobbiamo la redazione, all’inizio del XVI secolo, di un testo accompagnato dal progetto di un alfabeto unitario e risolutivo per il tempo. Il suo De Divina Proportione (1509) diventa il classico per antonomasia tra tutti i trattati classici sulla scrittura e i caratteri, e ancora oggi resta un punto di riferimento nella storia dell’evoluzione della scrittura e del carattere per la stampa. La sua scrittura si

basa sull’individuazione del modulo, che a partire dal quadrato è in grado di definire non solo l’alfabeto ma anche la proporzione delle aste e degli spessori. In questo capolavoro, pubblicato con i disegni di Leonardo da Vinci, Pacioli cerca di associare la ricerca geometrica alla filosofia e all’estetica, in una tensione per l’aggregazione di conoscenze che ben rappresenta lo spirito delle figure del Rinascimento italiano. Anche l’alfabeto ideale, dunque, smette di essere pensato per la semplice scrittura a mano, ma diventa il segno di una combinazione dei saperi. Calcoli aritmetici e proporzioni estetiche riformulano i canoni della scrittura adatta alle nuove forme della trasmissione della civiltà e della conoscenza: siamo all’inizio del 1500, eppure c’è chi – come Pacioli, Fanti, Torniello – sta già in sostanza individuando il sistema degli standard, introducendo nel disegno e nella produzione dei caratteri da stampa i

prodromi del concetto di disegno seriale e industriale. La diffusione della bellezza accompagna la conoscenza È un processo intenso ma rapido, che influenza l’arte classica e quella applicata, e che avvolge tutto il Rinascimento in una proiezione verso la perfezione e l’unità delle espressioni; il progettista rinascimentale (in qualsiasi ambito egli si cimenti, dall’architettura alla pittura, dalla ceramica alla stampa) è una figura complessa e multiforme, in grado di marcare la differenza qualitativa di un’epoca e spingere la produzione artistica a un sempre più alto grado espressivo. La stampa, e gli editori, sono parte attiva dell’evoluzione culturale: ora i libri non sono più manufatti riservati solo agli aristocratici, ma diventano strumenti accessibili ai nuovi strati sociali emergenti; la diffusione del sapere accompagna quella della bellezza, nella più folgorante era dell’arte italiana.

Luca Pacioli, Alfabeto dignissimo antiquo, 1543 circa.

Geoffroy Tory, Champ-fleury, 1529. Sistema e metodo per la costruzione delle lettere nella corrispondenza tra lettere e corpo umano. Tory, forse il primo grafico editoriale della storia del libro, è stato un umanista francese, editore e stampatore.

Frontespizio dal De Divina Proportione di Luca Pacioli, stampato a Venezia da Paganino Paganini, 1509 e alfabeto completo. Il libro di Pacioli diventerà un testo di fama internazionale.

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La calcografia Mentre nel XV secolo il procedimento di stampa con i caratteri mobili si diffonde in tutta Europa e la xilografia, parzialmente, riesce a contribuire all’allestimento di edizioni illustrate combinando le tavole a rilievo con gli alfabeti in legno, è a Firenze che viene messa a punto una nuova tecnica. Il principio della xilografia (la stampa del rilievo) viene ribaltato con l’invenzione della calcografia. In pratica, mentre ciò che nella xilografia viene riportato sulla carta è la materia non asportata dalla matrice, nella calcografia è esattamente l’incavo realizzato nella matrice di metallo ciò che viene riversato sul foglio. L’inchiostrazione riempie le tracce incise nel metallo, e con la pressione del foglio sulla matrice si riversa l’inchiostro sulla superficie da stampare. La versatilità del sistema, perfezionato da Maso Finiguerra nel 1450, incontra l’inte-

resse di chi deve stampare su materiali anche diversi dalla carta. La possibilità di sperimentare non solo l’incisione su metalli differenti (dal rame allo zinco all’ottone), ma anche le nuove e virtuose tecniche di incisione, e governare creativamente la reazione chimica della corrosione provocata sulla lastra di metallo, decretano il rapido successo del processo anche presso gli artisti dell’epoca. Tre sono sostanzialmente le tecniche calcografiche che vengono messe a punto con la calcografia: l’incisione a puntasecca, l’acquaforte e l’acquatinta. Il procedimento è quello legato all’incavografia, che si basa sulla differenza di profondità dell’incisione e – nel caso del più recente rotocalco – sulla profondità delle cellette che ricevono l’inchiostro di stampa: più è profonda la celletta e più essa si riempie di inchiostro. Più inchiostro è raccolto e più ne viene trasferito sul supporto, con il risultato di ottenere un nero più intenso.

Viceversa se la celletta raccoglie poco inchiostro ne trasferirà di meno sul foglio, con il risultato di far leggere quella parte di grafismo come fosse un grigio. I chiaro-scuri si ottengono per diversa profondità delle cellette sulla lastra (o sul cilindro ramatocromato del rotocalco). Nell’incisione d’arte di quel tempo, con la puntasecca si agisce con una punta metallica su una lastra di zinco o di rame. Nell’acquaforte si procede con un bagno della lastra incisa in una soluzione acida. Questa soluzione si chiama appunto “acqua forte”, ed è composta da cloruro di ferro per le lastre in rame e da acido nitrico per quelle in zinco: la sua azione asporta la vernice cerata di protezione che, stesa prima dell’incisione, ricopre la lastra. L’acquatinta invece sostituisce alla vernice cerata una miscela di pece greca, catrame e zucchero o sale: la stampa si rivelerà meno contrastata dell’acquaforte, molto più morbida e leggera.

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A fianco e nella pagina a destra: Esempi di incisioni calcografiche per illustrazioni popolari del XIX secolo, in cui il diverso tratto e la diversa intensità del nero sono dati dalla vicinanza e profondità di inchiostrazione. Con questa tecnica diventa più realistica la simulazione delle gradazioni di ombre attraverso la vicinanza o distanza, intensità o rarefazione delle tracce di incisione.

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Il procedimento di retinatura a cellette: con la calcografia l’impronta sul foglio avviene attraverso il contatto con l’inchiostro, di cui è colma ogni singola celletta. A contatto con il foglio la lastra cede l’inchiostro contenuto nelle sue cellette.

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La calcografia e il libro illustrato La calcografia, progressivamente, tende quindi a essere preferita – proprio per questa versatilità di preparazione e sperimentazione – alla xilografia e per più di due secoli i grandi maestri della pittura si cimentano anche con l’incisione e la produzione di multipli, che incontrano così un nuovo mercato con il vantaggio economico di vendere più copie della stessa opera a un pubblico che non può permettersi un originale. Per quanto riguarda il comparto editoriale, la calcografia introduce l’innovazione necessaria a rendere più compatibile la matrice in metallo del testo composto con quella delle illustrazioni. Inizia la stagione dei grandi libri illustrati, che tra il XVII e il XVIII secolo trovano – soprattutto nelle tipografie del Nord Europa – l’esperienza e la cultura adeguate a un grande sviluppo della scuola incisoria per le immagini editoriali.

Frontespizio per un trattato di calligrafia di Jan van den Velde, 1605. La calcografia per incisione con il bulino consente agli artisti e ai tipografi di ottenere nuove e ridondanti elaborazioni di caratteri e decorazioni. In questo periodo la calcografia dilaga fino a travolgere l’equilibrio e la purezza delle pagine del XVI secolo: a soccombere è il rigore tipografico, a scapito dell’illustrazione e dell’eccesso decorativo.

La possibilità di incidere direttamente le lettere dei titoli sulla lastra, insieme all’illustrazione, scardina i principi su cui si era fondata fino a quel momento la cultura tipografica cinquecentesca. Il libro subisce una stagione di disordine estetico e si attraversa una confusa fase di modesta attenzione alla qualità del carattere tipografico e in generale all’impaginazione del libro.

A sinistra: Un’illustrazione piuttosto famosa, tratta da una serie di stampe umoristiche dedicate ai mestieri, a cura di Nicolas de Larmessin. È il 1690 e la qualità dell’incisione su metallo raggiunge in questo periodo livelli elevati nelle edizioni di libri pregiati e stampe d’arte. Gli incisori esplorano nuove forme di scrittura calligrafica, incidendo direttamente sulla lastra, come se il testo fosse parte integrante della tavola illustrata.

Rembrandt, Le tre croci, 1653. La storia di questa incisione è indicativa della versatilità della tecnica calcografica. Rembrandt fece tre versioni dell’opera, stampando con diverse lavorazioni progressive della lastra, ottenendo differenti tonalità di chiaroscuro. Insistendo infine con troppe tirature, il quarto stato della lastra si deteriorò a tal punto da richiedere un nuovo e spericolato intervento dell’artista, che coprì i soggetti ai lati della scena centrale aggiungendone altri con pochi e magistrali tratti decisi.

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Editori in Europa tra il XVI e il XVII secolo Abbiamo notato come l’appassionante storia della tipografia sia strettamente e indissolubilmente legata alla storia dell’editoria. Nel nostro sintetico percorso non possiamo fare a meno di ricordare chi – tra i tanti protagonisti di questa rivoluzione culturale – è stato capace di offrire un contributo fondamentale allo sviluppo non solo tecnico ma anche culturale della tipografia editoriale. Un nome su tutti: quello degli Estienne, famiglia francese che per più di un secolo (dal 1502 con il fondatore dell’attività, Henry, al 1674 con la morte di Antoine) tra Parigi e Ginevra firma le più importanti pubblicazioni del tempo, affrontando il cambiamento delle tecniche e del costume con la sapiente collaborazione di sensibili disegnatori di caratteri del calibro di

Geoffroy Tory e di Claude Garamond. Garamond, incisore francese, disegna per gli Estienne una serie di caratteri ispirati alla Capitalis romana, che diventa il carattere di riferimento – dal XVI secolo fino ai giorni nostri – della più frequente composizione di testi per l’editoria. Uno dei pionieri della tipografia europea è però un inglese, che già dal 1476 avvia la propria attività a Westminster: si chiama William Caxton ed è una figura che va oltre la tecnica (seppure squisita), per assumere il profilo di intellettuale eclettico e di imprenditore. Caxton in pochi anni stampa decine di opere traducendo dal latino e dal francese, assume la rappresentanza di altri editori europei commercializzando nel regno opere fino a quel momento non disponibili sul mercato. Precursore della promozione e della distribuzione, anticipa la creazione dei canali di rivendita dei libri, approfittan-

do anche dei vantaggi offerti da una legge dell’epoca che esentava tipografi, editori e librai dalle restrizioni sull’assunzione di lavoratori provenienti da altri paesi. Caxton muore a Londra nel 1491, ma riesce a imprimere una spinta propulsiva all’editoria inglese; nascono in quel periodo editori “specializzati” in diversi settori, tra cui quello dell’editoria scolastica. Sul continente è Christophe Plantin il tipografo che coglie il magico momento commerciale e finanziario di Anversa per impiantare la sua attività di editore: la città belga è nel 1563 uno dei centri nevralgici dei commerci e dell’industria manifatturiera europea e Plantin intuisce che vi si concentrano anche cultura e denaro. Le sue pubblicazioni, numerosissime e apprezzate per la qualità dei testi e delle incisioni calcografiche, si concentrano nel mercato librario del sud Europa. Al nord, infatti, operano gli Elzevir, tipogra-

A fianco: Robert Estienne, frontespizio dell’Illustrissimae Galliaru reginae Helianorae, 1531. Si ritiene che i caratteri usati per stampare questo libro vennero prodotti con le prime matrici e i punzoni di Claude Garamond. Robert Estienne, frontespizio per la Bibbia stampata nel 1540. Il ramo spezzato dell’ulivo riprende il marchio editoriale degli Estienne, che qui – rielaborato – diventa addirittura un’illustrazione per l’intera pagina.

Sotto: campionario della fonderia Le Bé, produttrice dei migliori caratteri del Cinquecento. Guillaume Le Bé fu uno dei più brillanti allievi di Garamond.

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fi-editori e librai di Leida che dopo i primi successi del 1580 estendono i loro interessi anche a Parigi e a Francoforte. I nipoti del fondatore, Abraham il vecchio e Isaac, sviluppano l’attività fino a diversificare la produzione in più settori, dalla geografia alla cartografia, riprendendo anche l’esperimento di successo di Aldo Manuzio (di un secolo prima!) con la pubblicazione di una collana economica di grandi autori classici. La cura delle edizioni e la qualità della stampa consentono agli Elzevir di affermarsi fino alla terza generazione e di legare il proprio nome alla storia dell’editoria europea fino all’inizio del XVIII secolo. Il “Romain du Roi” Mentre in Olanda, alla fine del XVI secolo Plantin e soprattutto gli Elzevir rappresentano il nuovo corso dell’editoria e della tipografia, in Francia è sotto l’egida del Re che viene avviata una revisione del rapporto tra tipografia e monarchia, affidando ai migliori

stampatori nazionali il compito di sottolineare il primato francese nel settore. È Robert Granjon che per primo disegna un carattere ispirato alla diversità nazionale, fondendo spirito umanistico e gotico in un disegno misto, che influenzerà la tipografia europea per oltre due secoli. Granjon si cimenta in decori, fregi e cornici che introducono un nuovo stile, molto elaborato e ridondante, sui suoi volumi. Il XVII secolo si apre con la novità del nuovo stile francese, e con l’impulso della monarchia a trasformare l’arte tipografica in un’attività qualificante della nazione. Nel 1640 viene fondata l’Imprimerie Royale, e nel 1692 viene commissionato al punzonista Philippe Granjean un nuovo carattere per un uso esclusivo dei suoi tipografi reali. Il carattere è soprannominato “Romain du Roi”, in omaggio a Luigi XIV, il Re Sole. La tipografia, alla fine del XVII secolo, diventa espressione emblematica del patrimonio culturale di un’intera nazione. Sopra: Jean de Tournes, frontespizio per la Bibbia del 1588. Lo stile floreale dei frontespizi è tipico del famoso tipografo di Lione. A fianco: pagina dai Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer, stampati da Caxton nel 1484.

A sinistra: Christophe Plantin, pagina dall’Emblemata di Junius, 1565.

A sinistra: Louis Simonneau, incisione del 1702 con le norme costruttive del “Romain du Roi”, carattere disegnato da Philippe Granjean sotto la direzione dell’abate Nicolas Jaugeon.

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Fournier, Didot e il Settecento francese Pierre-Simon Fournier Le profonde pulsioni sociali ed economiche portano, con la Rivoluzione francese alla fine del XVIII secolo, all’abbattimento della monarchia e all’affermazione di quel movimento illuminista che sconvolgerà la politica, il costume, la filosofia e le arti per il resto della storia del mondo. Anche la tipografia registra simultaneamente l’accelerazione e il mutare dei tempi, imprimendo continui progressi alle tecniche e soprattutto alla cultura del carattere. In questo periodo, in Francia, emergono le famiglie dei Fournier e dei Didot. L’importanza strategica che – nel secolo precedente – la monarchia aveva attribuito alla tipografia istituendo l’Imprimerie Royale, è il risultato di una funzione “politica” acquisita dalla stampa e in particolare

dall’editoria, che diventa l’ambito in cui la nascente circolazione delle idee e del confronto politico trova via via terreno fertile per radicarsi e poi diffondersi in strati sempre più inquieti della borghesia urbana. Il fondatore della tipografia Fournier è quel Pierre-Simon che non si limita a disegnare e fondere caratteri per la stampa, ma che partecipa al movimento illuminista: è uno studioso della tipografia, su cui scrive trattati mentre collabora alle testate giornalistiche del suo tempo. François-Ambroise Didot e la definizione della tipometria È la dinastia dei Didot quella che, a partire dal 1713, contribuisce alla storia della stampa attraverso l’opera di quattro generazioni di maestri: il pioniere è François, che dopo un solo anno di esperienza come libraio avvia l’attività tipografica con le prime opere filosofiche-religiose. Uno dei due figli di François, François-Am-

broise, è però il tipografo che entra nella storia con la definizione del sistema tipometrico, esattamente quello che usiamo ancora oggi: nel 1770 inventa il “punto tipografico”, il cosiddetto “Didot” che verrà via via adottato universalmente come misura standard della tipografia. Lo spirito del tempo – siamo in piena Rivoluzione – investe non solo la sfera politica ma anche le arti, i mestieri, le scienze e la cultura in generale: la trasformazione del pensiero e dei costumi incoraggia l’introduzione delle novità estetiche capaci di rompere con il passato; la tipografia naturalmente si adegua, contribuendo a fissare i nuovi aspetti dell’incombente modernità. I Didot disegnano e fondono caratteri che alterano la struttura del romano classico convenzionale, ed è sempre FrançoisAmbroise nel 1784 a riproporzionare i tratti ascendenti e discendenti delle lettere, dando vita a una nuova tendenza che influen-

A fianco: Pierre-Simon Fournier il Giovane, pagina dal Manuel Typographique, 1764 -1768. Le decorazioni di ispirazione rococò integrano le nozioni tecniche, sottolineando lo spirito del tempo. A destra: Pagina di prova del corpo 12 del carattere Cicero corsivo, disegnato da Firmin Didot nel 1783.

Il carattere Didot, nella sua versione oggi più diffusa, derivante dall’incisione della fonderia Amsterdam Continental nel 1960.

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zerà l’arte tipografica e la produzione editoriale di tutto il secolo successivo. L’Encyclopédie Nella stessa eccitante atmosfera che avvolge la Parigi illuminista, non solo i Fournier e i Didot agiscono per fare emergere la tipografia e l’editoria come le espressioni più alte e raffinate del cambiamento sociale in atto. Nella storia moderna dell’umanità una coppia di intellettuali-editori lega il proprio nome a una delle opere più famose di ogni tempo: nel 1745 inizia a essere scritta, e dal 1751 stampata, l’Encyclopédie (Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri) di Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert. I trentatré volumi ambiscono a raccogliere e trasmettere la conoscenza umana nei campi dell’arte e della scienza come il patrimonio civile del mondo in trasformazione. La pubblicazione, alla cui redazione contribuiscono i grandi pensatori del tempo

(tra cui Voltaire e Rousseau), è condotta per quasi trent’anni, e costituisce uno degli esempi più rappresentativi della filosofia illuminista. L’Encyclopédie contribuisce, con il suo enorme repertorio di voci e l’aspetto grafico-oggettivo, a dare ancora più valore e concretezza a quel senso di consapevolezza collettiva con cui l’Illuminismo nutre il pensiero rivoluzionario dell’epoca. Pierre A. de Beaumarchais Nella storia dell’editoria francese del XVIII secolo è infine da ricordare Pierre A. de Beaumarchais. Personaggio eclettico, autore di libretti d’opera e vivace intellettuale, tra il 1785 e il 1789 raccoglie il testimone di Diderot e d’Alembert e stampa, in ben settanta volumi, tutto il pensiero di Voltaire. Lo fa dopo aver rilevato – compreso il carattere omonimo – i materiali tipografici di John Baskerville, lo straordinario e sfortunato tipografo inglese a cui i graphic designer devono eterna riconoscenza.

Francoise-Ambroise Didot, Avis aux souscripteurs, 1784: nitore di stampa ed eleganza per questa garbata comunicazione ai sottoscrittori de La Gerusalemme Liberata, in cui l’editore si giustifica per i ritardi che subirà la prima edizione.

Specimen di Fournier con tre versioni del Cicero tondo a confronto con il Cicero tradizionale (nel riquadro in alto a sinistra). Il riquadro in alto a destra è per il corsivo. Con questo carattere è stato composto il secondo volume dell’Encyclopédie.

Tavola dall’Encyclopédie (Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri). Nell’illustrazione la composizione del testo con i caratteri in piombo.

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Caslon, Baskerville e Franklin Mentre nel XVII secolo gli stampatori francesi hanno avviato da tempo il processo di evoluzione del disegno dei caratteri per l’editoria, adottando e trasformando forme più o meno classiche di Romano e Latino, quelli inglesi sono – a metà del Settecento – ancora legati a un’impostazione conservatrice, in cui domina il gotico. William Caslon La rivoluzione della tipografia, in Inghilterra, non è per la verità molto precoce ed è solo a partire dal lavoro di William Caslon che si può parlare di esperimenti nel lettering e dell’inaugurazione di una nuova fase della cultura tipografica. Caslon è un incisore su metallo, e inizia la sua attività di disegnatore di caratteri nel 1725 dando vita, per quasi quarant’anni, a una delle “firme” storiche della storia

dell’imprenditoria tipografica. I suoi caratteri, che si sbarazzano della rigidità gotica che li aveva preceduti, fanno recuperare all’editoria inglese il ritardo che l’aveva caratterizzata fino a quel momento. John Baskerville Nel solco di Caslon la nuova tradizione inglese si avvale dell’opera di John Baskerville, il disegnatore di caratteri che, più di ogni altro, nel XVIII secolo riesce a dare impulso e identità alla disciplina. Baskerville, precursore dell’idea che il nitore del lettering sia il reale valore del prodotto editoriale, sostiene la purezza della pagina e del disegno del carattere, aborrisce la ridondanza delle decorazioni e cura l’eleganza intrinseca della composizione e della confezione dei suoi stampati. Viene alla luce così il Baskerville, meraviglioso carattere già a quel tempo di sorprendente modernità, ancora oggi ampiamente in uso per le composizioni editoriali.

John Baskerville non è però un uomo fortunato: le avventure imprenditoriali in cui s’impegna non premiano il suo coraggio e deve così rinunciare sia alla soddisfazione economica sia alla continuità professionale. Muore lasciando alla vedova l’onere di rivendere la sua attrezzatura e i cassetti del suo carattere “Baskerville”, che – come già accennato nelle pagine precedenti – troverà nelle officine di de Beaumarchais l’opportunità per essere conosciuto internazionalmente e diventare prezioso come merita alla diffusione della cultura dell’epoca. Mentre in Europa la cultura tipografica, a partire dal 1450, attraversa tre secoli in piena accelerazione sottolineando il progresso sociale e civile delle nazioni, nel Nuovo Continente l’introduzione della stampa incontra difficoltà dovute a numerose implicazioni. Tra queste, l’impatto violento costituito dalle priorità dell’imposizione politica e militare introdotte dalla Conquista spagnola in centro

Dal campionario dei caratteri Caslon: il Two Lines Great Primer e il Two Lines English, incisi da William Caslon I tra il 1722 e il 1734.

Il morbido disegno del carattere romano di John Baskerville.

John Baskerville, intestazione del Secondo Libro delle Georgiche di Virgilio, stampato nel 1757: armonia e equilibrio tra margini, interlinea ed elementi tipografici, nel rispetto del testo originario.

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e sud America, e la difficoltà di trasferimento e circolazione di attrezzature e materiali di stampa che devono comunque essere importati dall’Europa. La stampa è relegata ad attività di sostegno della burocrazia e della propaganda coloniale e non ha terreno per inserirsi in un ambiente dove invece la diffusione della conoscenza e della cultura viene considerata come un secondario fondamento della società. Benjamin Franklin Bisogna attendere, negli Stati Uniti, addirittura l’inizio del XVIII secolo per far emergere la tipografia come un’attività imprenditoriale e influente sulle condizioni socio-culturali della società: è un giovane Benjamin Franklin a legare il proprio nome a tanti passaggi della storia americana, e tra le mille cose per lui irrinunciabili c’è anche l’arte della tipografia. Il giovane Benjamin è impaziente di conoscere, scoprire, fare. Studia le scienze e la

John Baskerville, frontespizio per l’opera di Orazio, stampato nel 1762 a Birmingham.

storia, partecipa attivamente al progresso civile della società e apprende l’arte tipografica nella bottega del fratello a Filadelfia, dove aprirà un proprio laboratorio nel 1726. Editore di libri e giornali, tra cui il “Pennsylvania Gazette”, si dedica a studi scientifici (è il noto inventore del parafulmine, a lui si deve anche l’introduzione dell’ora legale) e all’attività politica, fino ad arrivare a essere eletto al Congresso americano e a redigere con Adams e Jefferson la Dichiarazione d’Indipendenza.

software per il testo e l’impaginazione. La figura di Benjamin Franklin ben rappresenta, nella sintesi del suo percorso politico e culturale, come la tipografia costituisca – pur nella nascente organizzazione della società americana della prima metà del XVIII secolo (prima dunque delle eco illuministiche del Vecchio Continente) – una componente essenziale dell’evoluzione civile. Franklin ne intuisce in anticipo la potenzialità dirompente, diventando l’appassionato pioniere di un’era cruciale per tutta la disciplina tipografica moderna e l’editoria.

Il sistema tipometrico Pica Gli interessi nella tipografia portano Franklin a studiare il sistema normativo per la fusione e la definizione di “altezza” di un carattere da stampa, proposto in Europa da Fournier agli inizi del 1700. Il sistema Fournier-Franklin, denominato Pica, è ancora oggi impiegato negli Stati Uniti ed è il sistema tipometrico a cui fanno riferimento usualmente i nostri computer e i

È in questa cornice storico-culturale che si evolvono l’arte e la tecnica tipografica in America: attraverso la produzione editoriale e quella di documenti politici e culturali (importando dall’Europa anche caratteri tipografici moderni ed esperienze come fanno Franklin e Thomas), prendono vita l’identità e la risposta imprenditoriale alle pulsioni della nuova società civile.

Poor Richard’s Almanac, 1732: una delle pubblicazioni periodiche stampate e editate da Benjamin Franklin.

Campionario del 1785, del tipografo americano Isaiah Thomas, con i caratteri di William Caslon.

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Giambattista Bodoni Lo splendore che ha caratterizzato la tipografia italiana alla fine del XV e per tutto il XVI secolo si sposta, nei due secoli successivi, in Francia. Le vicissitudini storiche e politiche dell’Italia del Seicento, e la controversa condizione geopolitica che contrassegna il frammentato territorio italiano nel Settecento, non incoraggiano lo sviluppo delle imprese né alimentano un’economia di scambio che si sta dimostrando sempre più strettamente legata alla tipografia e alla nascente pratica della comunicazione. In questo scenario emerge la figura di chi – insieme ad Aldo Manuzio – viene ricordato come il più grande tra i tipografi italiani: è Giambattista Bodoni che, dopo il periodo di apprendistato presso le stamperie vaticane, assume nel 1758 (a soli 18 anni) il suo primo incarico di direttore a Parma, presso la Stamperia Regia. Qui Bodoni non solo

provvede alla produzione delle pubblicazioni più pregiate, ma segue anche la stampa di uno dei più antichi giornali italiani, quella “Gazzetta di Parma” che, fondata nel 1735, diventerà poi un quotidiano nel 1850. L’esperienza, e i risparmi, consentono a Bodoni di affrontare un proprio percorso imprenditoriale, aprendo tredici anni dopo la sua tipografia. Nello stesso anno, il 1771, Bodoni pubblica il suo Saggio Tipografico, in cui riordina e avvia il nuovo canone dell’arte tipografica del tempo. È la prima tappa della sua eredità per i posteri, il testamento teorico e disciplinare in cui Bodoni svetta come figura non solo “professionale” ma anche teorica, al pari dei suoi grandi predecessori francesi. Bodoni non è soltanto un grande tipografo: interpreta il suo tempo e attraverso l’arte tipografica assume il ruolo di mediatore dello stile dell’epoca. La raffinatezza delle sue opere classiche, la qualità della carta

impiegata e soprattutto il nuovo carattere che disegna per marcare la sua cifra distintiva (come del resto hanno fatto tutti i grandi tipografi francesi e inglesi che lo hanno preceduto per fama) diventano immediatamente apprezzate in tutta Europa. Verso un nuovo senso della modernità Il carattere che Bodoni disegna per le sue pubblicazioni, squarcia il velo di apatia che sta ricoprendo purtroppo la tipografia italiana del tardo Settecento: l’orientamento al Neoclassicismo e un nuovo rigore nel disegno si armonizzano fino a stabilire nelle maiuscole come nelle minuscole l’equilibrio perfetto, fino a quel momento mai raggiunto. Se Bodoni è “il tipografo” che identifichiamo con il vertice dell’arte tipografica italiana, colui che le fa compiere il grande balzo verso nuove vette estetiche è anche la figura emblematica che chiude, dall’alto della sua statura di professionista e intellettuale,

Due pagine dal saggio tipografico di Giambattista Bodoni, pubblicato nel 1771. Nel saggio, in cui è rilevante l’influenza di Fournier, sono catalogati alfabeti con caratteri tondi e corsivi e centinaia di fregi. L’eleganza della legatura et, tratta dalla versione Bold del Bodoni moderno, prodotto dalla fonderia Bauer.

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le “stagioni” delle culture tipografiche nazionali. È l’interprete del suo tempo, il medium che consente di storicizzare e far compiere la svolta a tutta la cultura precedente per proiettarla in una fase di transizione verso la modernità. Il Manuale Tipografico La seconda opera importante di Bodoni vede la diffusione purtroppo solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1813: è il Manuale Tipografico, dato alle stampe dalla moglie nel 1818 e ancor oggi considerato una delle vette più alte dell’estetica tipografica di tutti i tempi. Insieme alle sue opere teoriche lascia alla storia un patrimonio materiale costituito da decine di migliaia di matrici, punzoni e stampati, oggi custoditi nella Biblioteca Palatina di Parma. I cambiamenti tecnici e tecnologici che la Rivoluzione industriale sta introducendo nell’economia, nei trasporti, nel commercio, influenzano le culture e le tecniche della

Frontespizio del Manuale Tipografico del Cavaliere Giambattista Bodoni, editato dalla vedova nel 1818.

stampa: si manifesta il divenire che caratterizza tutto il secolo successivo, introducendo trasformazioni nel costume, nell’organizzazione del sapere e nella diffusione della conoscenza. La tipografia si prepara quindi ad affrontare, alla fine del XVIII secolo, una nuova fase della sua complessa ma affascinante avventura. Giambattista Bodoni rappresenta la figura di raccordo tra l’espressione classica e la tendenza al rinnovamento, perché interpreta quel nuovo orientamento estetico che interviene non solo sul disegno dei caratteri, ma anche sul nuovo equilibrio della messa in pagina. È Bodoni che rende sistematico l’intero repertorio di caratteri e matrici, punzoni e torchietti, stimabile in un patrimonio strumentale di oltre 760.000 pezzi: così diventa il pioniere di un nuovo rigore e di quel senso di purezza “monumentale” che, rifiutando il superfluo, riesce finalmente a dare risalto al solo testo.

Pagina dal Manuale Tipografico, 1818.

Andrea Appiani, Ritratto di Giambattista Bodoni, olio su tela, Parma, Galleria Nazionale.

Pagina dal Manuale Tipografico: Alfabeto maiuscolo tondo, 1818.

Nella pagina a fianco: Bodoni tondo chiaro, prodotto dalla fonderia Bauer su disegno di Heinrich Jost (1926); nel rispetto del disegno originario, le aste secondarie sono più sottili e in estremo contrasto con quelle primarie; l’occhio delle minuscole diventa più regolare, con tratti compatibili con i sistemi coevi di incisione delle lastre e di stampa.

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L’Ottocento produttivo Il XIX secolo si evidenzia con il salto tecnologico della tipografia: da ambito di impresa e sperimentazione dei singoli stampatori artigiani o editori intraprendenti, il nuovo e incalzante scenario economico, politico e culturale spinge il comparto a riorganizzarsi per far fronte alle insorgenti necessità del progresso tecnico e culturale. Innovazioni e applicazioni liberano la tipografia dalla dimensione artigianale per introdurla direttamente nell’atmosfera travolgente della Rivoluzione industriale. In un’epoca che le rivoluzioni politiche e sociali a cavallo del cambio di secolo hanno trasformato completamente, la richiesta di una sempre più estesa e diversificata produzione, capace di sostenere la comunicazione politica, commerciale e culturale, promuove la tipografia a diventare parte strategica del mondo industriale, adeguan-

dosi alle esigenze del nascente mondo capitalistico. La lavorazione artigianale e manuale è sostituita da quella meccanica e di serie, e così come le prime macchine per le produzioni industriali moltiplicano la disponibilità dei prodotti sui mercati, anche la stampa deve mostrarsi in grado di produrre più velocemente e con versatilità, per rimanere al passo con i nuovi e vorticosi tempi. Il nascente mercato industriale ha bisogno di mostrare al pubblico dei primi nuovi “consumatori” i suoi prodotti, attraverso una più attraente qualità delle immagini; le tirature degli stampati devono essere incrementate per assicurare una diffusione più capillare e simultanea della comunicazione commerciale, dell’informazione, del dibattito delle idee che stanno scuotendo il mondo. Alla fine del XVIII secolo, nel 1796, un inventore tedesco di nome Alois Senefelder si cimenta con una nuova tecnica di riproduzione delle immagini, che si basa su un

procedimento in uso ancora oggi: la litografia, che – come vedremo nelle prossime pagine – cambierà nel corso di pochi anni l’intero sistema di stampa e produzione in tutto il mondo. L’epoca della stampa per l’informazione È l’epoca dei giornali, che sostengono sì i movimenti intellettuali e politici, ma su cui cominciano ad apparire in maniera sistematica le pubblicità dei prodotti commerciali delle industrie tessili, degli arredi domestici e delle novità editoriali. Il torchio di stampa, che aveva stabilito per più di tre secoli le modalità (e la velocità) con cui la tipografia assecondava i tempi dell’evoluzione economica, viene sostituito da macchine più efficienti, che consentono di stampare formati più grandi riducendo sensibilmente i tempi e offrendo inedite possibilità di produzione. Si deve a Friedrich Koening nel 1810 la costruzione di un nuovo torchio azionato

Alois Senefelder, l’inventore del sistema litografico. In alto a destra: una macchina da stampa in rotativa, di inizio Ottocento; la meccanizzazione oscura la sapienza artigiana e si avvia un processo di omologazione e appiattimento del prodotto editoriale, a cui si tenta di riparare disordinatamente con il disegno di caratteri decorativi. Tuttavia alcuni tipografi, editori e disegnatori di caratteri esplorano percorsi più razionali, recuperando il senso di rigore e addirittura di estrema nettezza che caratterizza la tipografia di questa prima parte di secolo. Nascono gli alfabeti robusti, denominati Fat Face, che stabiliscono i codici visivi e di lettura della stampa anglosassone. Esempio di carattere Fat Face (1803) di Robert Thorne: i contrasti sono molto accentuati, i vuoti all’interno delle lettere ridotti ai minimi.

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con il vapore, che consente un’accelerazione nel processo di stampa portando la produzione oraria da 300 a 1.200 copie. È sempre lui nel 1834 a brevettare la piano-cilindrica, una macchina rivoluzionaria che si lega alla nuova fase dell’evoluzione tecnologica: al limitante piano di pressione del vecchio torchio, Koening sostituisce un cilindro che aumenta sensibilmente la superficie di contatto con il foglio e consente di distribuire la pressione in maniera costante, diminuendo lo sforzo meccanico del sistema e incrementando ulteriormente la produzione oraria. Mentre l’evoluzione delle tecniche di stampa caratterizza il cambiamento anche socio-culturale ed economico (rendendo accessibile l’impiego della stampa anche a quelle categorie commerciali a cui – fino a poco tempo prima – era stata preclusa a causa degli alti costi), l’estetica della tipografia subisce in questo periodo contrac-

colpi dal punto di vista della qualità e dell’eleganza formale. Si evidenzia infatti, nel corso dell’Ottocento, un periodo contradditorio a proposito di disegno ed equilibrio, perché accanto alla rivoluzionaria apparizione del primo carattere “senza grazie” nel 1816, a cura di William Caslon IV, e della pubblicazione di un nuovo stile chiamato “egizio”, a cura di Vincent Figgins nel 1820, dilagano gli alfabeti decorativi, che contaminano la cultura tipografica e la natura stessa del disegno del carattere per l’editoria e l’informazione. La produzione editoriale e la stampa commerciale – grazie alle nuove macchine – raggiungono quantità inaudite, a scapito di quel rigore compositivo e della qualità estetica che avevano contrassegnato l’editoria d’élite nei secoli precedenti. L’editoria scopre dunque il suo primo mercato di massa, intercettando un pubblico ancora da istruire in merito alla qualità degli impaginati e al valore degli artefatti edito-

riali ora distribuiti nelle librerie. Poiché la storia socio-economica registra spesso la convergenza di discipline e tecniche, è in una fase tumultuosa della Rivoluzione industriale che si impone un allineamento tra innovazione ed economia. Il capitale, pronto a mettere denaro nelle innovazioni a patto di poter rientrare al più presto dall’investimento, non è disposto ad attendere troppo tempo per godere dei nuovi cambiamenti. La litografia, che dopo la sua apparizione al finire del secolo precedente viene messa a punto nella prima metà del XIX per migliorare la stampa d’arte, è la chiave di volta: combina testi e immagini di qualità superiore in un processo moderno, e più economico. Quanto basta al capitale per fornire i mezzi necessari per la fabbricazione di macchine litografiche per la produzione seriale. Sviluppo economico e stampa commerciale hanno trovato il punto di convergenza per affrontare il XX secolo.

In alto: la soprendente modernità del primo carattere senza grazie apparso nella storia della tipografia, disegnato da William Caslon IV nel 1816. Sopra: la lettera K del Clarendon, l’egizio per definizione; prodotto nel 1845 nella fonderia Thorowgood & Besley su disegno dello stesso Besley. A fianco: l’alfabeto Two Lines Pica “Antique”, disegnato da Vincent Figgins nel 1815. All’origine del carattere egizio c’è la necessità da parte dell’industria tipografica di poter disporre di caratteri più forti e resistenti ai ritmi e alle pretese di tiratura. Irriverente e fuori dall’ordinario, il Five Lines Pica di Figgins (1815) è disegnato per un’alta visibilità a distanza: la tipografia supera il perimetro dell’editoria per vivacizzare il nascente messaggio pubblicitario e la segnaletica commerciale.

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L’innovazione nella composizione e nella stampa La modernizzazione e l’accelerazione dei tempi nella stampa impone al processo di composizione dei testi e a quello di riproduzione delle immagini di adeguarsi rapidamente al nuovo corso: l’Ottocento è il secolo delle grandi innovazioni che aprono, nella sua seconda metà, a nuove tecniche e dilaganti applicazioni. L’invenzione della fotografia, nel 1838, richiede per esempio negli anni successivi la sperimentazione e la messa a punto di sistemi per la sua riproduzione su libri e stampati commerciali, così da consentirne intorno al 1870 la definitiva riproduzione tipografica con l’invenzione del cliché.

le illustrazioni, e già nel 1850 viene messo a punto da Firmin Gillot un primo procedimento per la riproduzione delle immagini dette “al tratto” (cioè senza mezzi toni tra il nero e il fondo bianco della carta) con un trattamento chimico acidante delle parti che non devono essere stampate. La nuova frontiera varcata con l’avvento della fotografia apre scenari per la stampa, che deve adeguarsi per mantenersi al passo con tutte le grandi novità introdotte nella prima parte del secolo. Il mondo dell’industria, quello commerciale e quello dell’editoria, sono impazienti di sfruttare le nuove possibilità offerte dall’immagine stampata: si prospetta, contemporaneamente, la grande stagione dei pionieri della pubblicità e per libri e giornali illustrati è imminente una nuova era.

Le tecniche di riproduzione dell’immagine sperimentano la possibilità di combinare nello stesso foglio stampato sia il testo sia

Come nell’industria la produzione seriale sembra pronta a invadere i mercati di qualsiasi genere merceologico, nella tipo-

grafia diventa urgente allineare tra loro quei segmenti di sistema che – pur costituendo parti di processo – non possono attendersi l’un l’altro: alcuni anelli della catena si sono indeboliti, a fronte del rafforzamento di altri. La rivoluzione della Linotype Se la stampa ha fatto passi da gigante e la riproduzione delle immagini ha già raggiunto un livello soddisfacente, la composizione non può rimanere ancorata al processo manuale: nel 1881 Ottmar Mergenthaler inventa la Linotype, una macchina con cui si possono comporre meccanicamente – attraverso una tastiera – e poi fondere intere righe di caratteri di testo, bruciando i tempi di scelta e accostamento delle singole lettere nel compositoio a mano. Nel giro di due anni la sua prima macchina è impiegata al “New York Tribune”: la composizione del testo raggiunge le 10.000 battute-ora contro le circa 1.000 della composizione a mano. Una macchina perfetta

Ottmar Mergenthaler mentre mostra, piuttosto soddisfatto, le virtù della sua Linotype al direttore del “New York Tribune”, Whitelaw Reid.

Annuncio pubblicitario apparso su “Il Risorgimento grafico” nel 1929: la Linotype diventa sinonimo di modernità e spirito d’intrapresa.

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per l’editoria, e decisamente indispensabile per un quotidiano, che fa della competizione sul tempo di uscita in edicola la differenza con i concorrenti. La Linotype è una macchina che riduce sensibilmente tempi e costi, ma che costringe purtroppo a ricomporre l’intera riga nel caso sia presente nel testo anche un solo refuso da correggere. Per di più, le pagine composte non possono più essere “scomposte” e rientrare nelle cassette di caratteri: per essere reimpiegato in una nuova composizione il piombo deve essere fuso di nuovo; oppure l’intera forma composta (nel caso dei libri) dovrà essere conservata in appositi magazzini per poter essere utilizzata in successive ristampe. Un limite, certo, ma la raggiunta nuova velocità ridimensiona gli svantaggi (nascondendo il dramma delle malattie professionali che si riveleranno negli anni successivi, a causa dei vapori di piombo ingeriti durante la lavorazione dagli operatori ignari delle conseguenze della loro

attività a contatto diretto con la macchina). La Monotype: uno alla volta Sono passati soltanto sei anni dall’apparizione della Linotype quando nel 1887 Tolbert Lanston lancia la Monotype: la nuova macchina risolve il problema della fusione della riga intera perché fonde un solo carattere alla volta. A differenza della Linotype la nuova macchina di Lanston lavora con due unità: la tastiera e la fonditrice. Il procedimento è più lento, ma accostando una lettera all’altra senza fondere tutta la riga, consente composizioni più accurate e complesse, rendendosi più utile e vantaggiosa per impieghi editoriali in ambiti tecnico-scientifici anziché in quelli dove è impiegato del testo corrente (quotidiani, saggistica e narrativa). L’incalzare dei tempi e dei processi di produzione capitalistici impone la diffusione dell’informazione politica ed economica attraverso quotidiani più agili, in grado di

offrire, in tempi rapidi, le notizie sul mondo in movimento. I nuovi formati consentono di ottenere un più forte impatto comunicativo (per esempio con la propaganda e la pubblicità) mentre la migliorata riproduzione dell’immagine rende più competitive le imprese nella proposta commerciale dei loro prodotti. Il 1870 è un anno da ricordare nella nostra breve storia della stampa, perché accanto alla messa a punto del cliché tipografico appare per la prima volta anche la macchina rotativa, presentata al culmine del perfezionamento raggiunto dalla produzione industriale della carta in bobina. Il risultato della rotativa sui tempi di stampa si rivela sorprendente: la produzione diventa vertiginosa e in grado di soddisfare l’insaziabile mercato della comunicazione. L’evoluzione della stampa trasforma l’editoria e l’informazione in un comparto strategico e influente della comunicazione di massa.

La Linotype Model 5, macchina compatta con tastiera compositrice e fonditrice in grado di comporre quasi mille alfabeti di differenti lingue. Sopra: la Monotype con le sue due unità separate, la tastiera compositrice e il modulo della fonditrice.

A fianco: Una composizione con il sistema Linotype, dove è evidente la realizzazione del testo in righe di piombo fuso.

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Dalla litografia al rotocalco Se la stampa compie un’evoluzione formidabile, in grado di assecondare le svolte di inizio Ottocento, deve mostrare gratitudine a un innovatore che cambia completamente il processo di trasferimento dell’impronta sulla carta. Come accennato a p. 40, Senefelder nel 1796 mette a punto il suo processo litografico (da “lithos”, pietra), che non si basa più su matrici a rilievo ma su un’impronta in grado di essere inchiostrata e trasferita su carta. Senefelder infatti si accorge che praticando un segno con una punta grassa su una pietra levigata, la traccia disegnata trattiene il velo di inchiostro con cui viene ricoperta l’intera pietra, mentre le parti non disegnate, cioè “vuote”, se vengono inumidite con acqua respingono lo stesso inchiostro. Appoggiando un foglio sulla superficie di pietra, l’inchiostro si trasferisce solo in cor-

rispondenza delle parti disegnate (che hanno trattenuto il colore) mentre la continua inumidificazione dell’intera superficie con l’acqua fa scorrere via l’inchiostro là dove non trova modo di aggrapparsi (nei vuoti non disegnati). L’invenzione di Senefelder viene utilizzata dapprima dagli artisti, che scoprono un’alternativa all’incisione (possono disegnare direttamente sulla pietra) e nella produzione di multipli del loro lavoro, ma si deve attendere la conversione della pesante pietra levigata in un supporto più leggero e flessibile come la lastra di zinco per poter introdurre la nuova tecnica nel mondo della produzione commerciale. Nel 1878 il metodo di stampa da tipo diretto (la stampa avviene senza passaggi intermedi, direttamente sul supporto) diventa indiretto (l’impronta viene prima trasferita sul più conformante e morbido caucciù e soltanto successivamente dal caucciù al foglio, consentendo la stampa su altri ma-

Il processo di stampa in litografia (offset): la macchina da stampa, pur essendo completamente diversa dal torchio di Senefelder lavora sullo stesso principio, cioè la proprietà della lastra di accettare o respingere l’inchiostro o l’acqua. Nei punti in cui si aggrappa l’inchiostro non si deposita l’acqua e viceversa. Il metodo di stampa è “indiretto” perché l’impronta viene trasferita sul caucciù e dal caucciù alla carta.

Carta

teriali diversi dal foglio di carta tradizionale). La litografia si afferma per la sua compatibilità con la nuova macchina da stampa piano-cilindrica, che può montare una flessibile lastra di zinco sul suo cilindro. La litografia da questo momento entra nella produzione industriale assumendo la definizione di offset e diventando il sistema di stampa più diffuso nel mondo. Ancor oggi, ovviamente con le necessarie innovazioni tecniche come l’introduzione del caucciù per il passaggio al metodo di stampa indiretto, la sostituzione dell’acqua con l’alcool e del controllo della stampa al computer, il processo litografico (offset) si basa sullo stesso principio e si dimostra – per medie e grandi tirature – ancora il metodo più accurato e conveniente. La compatibilità del sistema con la stampa in piano (fogli) o roto (a bobina) ha reso l’offset un processo funzionale alle esigenze del nostro tempo, riducendo gli ingombri di magazzino (si pensi alla precedente

Cilindro di cacciù

Cilindro di pressione

Cilindro di pressione Cilindro porta-lastra

Sotto al centro: il primo artefatto stampato in Italia con il sistema della cromolitografia è il manifesto pubblicitario per il Faust di Charles Gounot realizzato dalla tipografia Rossetti nel 1863; il colore abbinato alla pietra litografica apre inediti scenari e opportunità per la pubblicità e la comunicazione.

Cilindro porta-lastra

Rullo acqua

Cilindro di cacciù Rullo inchiostratore

Una pietra litografica utilizzata in tipografia agli inizi del secolo scorso (Collezione Fratelli Bonvini, Milano).

Rullo acqua

Rullo inchiostratore Carta a bobina

Jules Chéret, Le Chateau a Toto, poster litografico del 1868. La pubblicità per gli spettacoli, bene di consumo già molto popolare a quei tempi, è il trampolino sperimentale per gli artisti che scoprono attitudine e interesse per i nuovi strumenti tecnici proposti dalla stampa del prodotto seriale.

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conservazione obbligata di pesanti matrici in piombo) e in generale i costi. Con il sistema di stampa offset sono prodotti libri, riviste, brochure e dépliant, poster pubblicitari, packaging e molte altre tipologie di stampati che accompagnano la nostra vita di tutti i giorni. Il rotocalco Il sistema di stampa rotocalcografico si basa sull’antico procedimento calcografico, messo a punto da Maso Finiguerra nel XV secolo e già considerato a p. 30. Alla fine dell’Ottocento vengono compiuti i primi esperimenti utilizzando macchine tipografiche rotative, sostituendo al cilindro con matrice a rilievo un cilindro ramato o cromato con la matrice in incavo. Nel 1910 viene stampato il “Freiburger Zeitung”, primo periodico in rotocalco, e il sistema si dimostra in grado di garantire un’ottima qualità rendendosi conveniente però solo con le alte tirature: la realizzazione della

matrice di stampa è un processo laborioso e costoso, poco adatto alle basse tirature. Il rotocalco si perfeziona negli anni fino a diventare il sistema più diffuso per la stampa ad altissima tiratura, per esempio nella produzione delle grandi riviste illustrate che assumono – in particolare in Italia dagli anni Trenta – la definizione popolare di “rotocalco”. Il processo di stampa nel rotocalco è di tipo diretto, con la matrice che si appoggia direttamente sul foglio, assicurando un’eccellente resa grafica del colore e del testo sempre perfettamente a registro. I sistemi di controllo della stampa sono accurati e precisi, tuttavia il sistema è utilizzato sostanzialmente per velocizzare ed economizzare le alte tirature e spesso l’impiego di carta più leggera e veloce nel passaggio in macchina significa molto spesso sacrificare la potenzialità della risposta qualitativa della stampa, pur di arrivare in edicola.

La stampa popolare ad alta tiratura trova nel processo di stampa rotocalco la sua grande opportunità. Nell’immagine, il settimanale “Novella” di Rizzoli, apripista di una stagione memorabile per l’editoria periodica italiana: è il 1929.

Carta Carta da bobina

Entrata

Cellette

Cilindro di pressione

Cilindro di pressione

Cilindro di rame

Cilindro di rame

Vaschetta per inchiostro

Vaschetta per inchiostro

Sopra: 1910, il “Freiburger Zeitung” è il primo periodico della storia a essere stampato in rotocalco. Al centro in alto: Il processo di stampa in rotocalco; le cellette del cilindro di rame si riempiono di inchiostro per poi depositarlo sul foglio, con metodo di stampa “diretto”.

A fianco: La stampa in cromolitografia è la nuova frontiera per la nascente comunicazione pubblicitaria, che avvicina al mondo del consumo artisti dalla grande tecnica pittorica riadattata per la nuova funzione della comunicazione persuasiva; è la cifra della grafica italiana dell’inizio del Novecento. Sono i cartellonisti a dare l’impronta alla nuova stagione della grafica italiana: nelle immagini un manifesto di Leopoldo Metlicovitz per il Calzaturificio di Varese (1914) e un celebre poster di Leonetto Cappiello, con lo “spiritello”, per Campari (1921).

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La serigrafia La tecnica della serigrafia è introdotta in Europa, come del resto tante altre invenzioni legate alla stampa, nel corso del XV secolo grazie ai mercanti di ritorno dall’Estremo Oriente. Inizialmente impiegata nella stampa delle stoffe, trova presto applicazione su altri materiali rigidi e compositi dove la riproduzione seriale necessita di regolarità e conformità al disegno originale. Il principio di fondo è l’attraversamento dell’inchiostro attraverso una trama aperta che riproduca esattamente la traccia da stampare e se alle origini il procedimento si basa su maschere ritagliate e poi su trame di tessuto (seta) chiuse o aperte, sarà l’avvento della fotografia a far compiere il passaggio tecnico all’invenzione. Con la fotografia, infatti, all’inizio del XX secolo diventa possibile la riproduzione

su pellicola dell’originale, che consente di realizzare dei telai con ingrandimenti o riduzioni delle immagini con la conseguente ottimizzazione – in più varianti – dello stesso disegno. È grazie all’ingegno di Samuel Simon nel 1905 e poi di John Pilsworth nel 1915 che la tecnica riesce a combinare i progressi fotografici con quelli della stampa, rendendosi estremamente versatile per la stampa su quasi tutte le superfici a disposizione. Oggi, a distanza di circa un secolo dalla sua messa a punto, la serigrafia gode ancora di ottima salute e di alta affidabilità. Come funziona? Il principio e il funzionamento sono semplici. La riproduzione su pellicola, in positivo e in nero coprente, dell’originale viene posta su un tessuto di nylon (originariamente seta, da cui il termine serigrafia) precedentemente trattato con un emulsione fotosensibile. Esponendo l’insieme per un tempo conve-

Tessuto

Supporto di stampa

nuto alla luce artificiale si ottiene un indurimento delle superfici colpite dalla luce (che attraversa le porzioni di pellicola su cui non sono presenti grafismi che impedirebbero ai raggi di colpire il materiale fotosensibile sottostante); là dove la luce non riesce ad attraversare la pellicola (cioè dove i grafismi coprenti impediscono l’attraversamento) la sostanza fotosensibile resta invece inerte. Accantonando la pellicola (la matrice), si procede al lavaggio del telaio con un forte getto d’acqua: le parti di sostanza fotosensibile non colpite dalla luce verranno eliminate lasciando scoperta la trama di tessuto, quelle indurite copriranno esattamente la parte di tessuto che non deve essere attraversata dall’inchiostro. Il telaio a questo punto è pronto: viene posto sul supporto da stampare, prestando estrema attenzione al “registro”, e con una racletta si distribuisce una quantità uniforme di inchiostro sull’intera superficie; l’inchiostro a questo punto filtra attraverso la

Racletta

Telaio

Inchiostro

Due aspetti della trama di un tessuto per la stampa serigrafica: più la trama è stretta e meno inchiostro riesce a filtrare. Nello schema in alto a destra: vista in sezione del procedimento serigrafico manuale. Il tessuto su cui è riprodotto il soggetto viene premuto con il passaggio di una racletta, che contemporanemente sospinge l’inchiostro lungo tutta la superficie del telaio. Al passaggio della racletta l’inchiostro penetra nella trama libera e fuoriesce per depositarsi sul foglio sottostante, mentre non riesce a passare dove la trama è stata chiusa e indurita dalla luce. A ogni passaggio d’inchiostrazione si solleva il telaio e si sostituisce il foglio stampato con uno nuovo, da stampare. A fianco: impiego della serigrafia per stampare un cofanetto editoriale rivestito in tessuto. Nelle immagini: l’aspetto della scatola finita (piatto esterno), l’ingrandimento di un dettaglio, l’ulteriore ingrandimento in cui si evidenzia l’adesione dell’inchiostro sul tessuto. Le immagini ravvicinate mostrano chiaramente come – al di là dell’effetto finale – la stampa riveli il passaggio forzato dell’inchiostro attraverso la trama del telaio. Nella foto qui accanto la vista d’insieme del prodotto editoriale, il cofanetto da collezione Roma+Klein (Edizioni Contrasto, design A+G).

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trama libera e si deposita sul supporto sottostante, riproducendo il disegno originale. Naturalmente il procedimento è utilizzabile sia per la stampa artigianale che con macchine più sofisticate per la stampa ad alte tirature e su materiali sempre più complessi. Come è facilmente intuibile, la serigrafia in campo editoriale consente la stampa su materiali rigidi, per esempio i cartoncini per copertine o cofanetti oltre i 350/400 g/m2 e quelli più spessorati e accoppiati, che altrimenti non potrebbero essere introdotti nelle macchine offset; si usa per la stampa di testi e immagini su copertine telate o libri già rilegati. L’impiego di inchiostri coprenti e speciali (per esempio fosforescenti, a rilievo e oggi addirittura elettroconduttori) su cartoni e supporti metallici o organici, è possibile attraverso questa tecnica. Per provvedere alla stampa di ogni colore è ovviamente necessario disporre di un apposito e relativo telaio.

Per rimanere in campo editoriale, la serigrafia è utilizzata per stampare un inchiostro bianco coprente (o qualsiasi altro colore) su cartoncini già colorati in pasta dal fabbricante (la stampa di un testo “in bianco” su un cartoncino nero – o di qualsiasi altro colore – da 700 g/m2 è possibile, per fare un esempio, proprio con questa tecnica). Gli inchiostri serigrafici possono essere coprenti o trasparenti, prestandosi a diverse sperimentazioni creative. Se da una parte sono evidenti i grandi vantaggi di questa tecnica, sono da considerarne anche i limiti: per esempio le trame dei tessuti o la longevità del telaio. Le trame, pur essendo disponibili con “maglie” comprese tra i 20 e i 62 centimetri lineari, che consentono definizioni dei tratti più o meno accurati a seconda anche del diametro dei fili di cui sono composte, non permettono riproduzioni accurate di disegni “finissimi” o di testi generalmente inferiori al

corpo degli 8 punti Didot. Inoltre le tirature elevate spesso portano a un logoramento della forma di stampa, perché la racletta e la pressione usurano irrimediabilmente la trama, e a un certo punto si rende necessario produrre un nuovo telaio. A titolo storico è qui il caso di ricordare, per la serigrafia, la scuola grafica cubana, che negli anni della Rivoluzione e in quelli successivi produsse con questa tecnica alcuni piccoli capolavori del graphic design: le affiche “50 x 70” dell’Istituto del Cinema Cubano, sono ancora uno dei migliori esempi di come economicità e creatività trovino nella serigrafia un punto di incontro stimolante e alla portata di tutti. Altrettanto significativa l’esperienza della comunicazione di protesta del 1968, con la stagione del Maggio francese: la serigrafia, così “povera” ma accessibile e pratica, diventa l’arma segreta per invadere, con nuove forme di linguaggio, i muri e le coscienze delle città europee in rivolta. La grafica cubana degli anni della Rivoluzione ha usato spesso la serigrafia come sistema per la produzione di manifesti politici e cinematografici. Una tecnica umile e adeguata alle tirature modeste, che per il mercato culturale e per l’ambito della comunicazione politica di quel tempo non necessita di costosi investimenti tecnologici. Con la serigrafia si è affermata una vera e propria scuola grafica cubana, dai tratti distintivi espressi da fotomontaggi e illustrazioni, retinature esasperate (ideali per la trama del telaio serigrafico), testi ridotti all’essenziale.

La stagione del Maggio Francese ha visto fare ampio uso della serigrafia come strumento di produzione della propaganda politica del 1968. In poche ore grafici sconosciuti, ma pieni di talento e dalla sintesi virtuosa, riescono a stampare affiche e volantini in incognito, in laboratori improvvisati, servendosi di piccoli telai e beffando la repressione.

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Il Novecento: la tipografia e le avanguardie I risultati sperimentali raggiungibili con i progressi della tipografia interessano anche gli inquieti artisti delle avanguardie, che considerano i processi di stampa (e in particolare la composizione tipografica) un interessante campo espressivo. La rilevante libertà che la stampa sembra consentire alla commistione creativa dei caratteri tipografici e alla loro combinazione con le immagini, introducono legittimamente la tipografia nel repertorio delle arti applicate. Mentre in Europa la grafica investe sempre di più il campo commerciale con l’istituzione della pubblicità, che può ora disporre di formati sempre più grandi e di una sempre più fedele riproduzione delle immagini, la tipografia registra l’interesse di nuove tendenze intellettuali e creative.

Il Futurismo È il Movimento Futurista il primo ad accorgersi dell’inedito potenziale: successivamente all’apparizione nel 1920 del primo Manifesto Futurista, con cui il fondatore Filippo Tommaso Marinetti esalta l’energia del tempo, della supremazia delle macchine e della velocità, la tipografia si presenta come la disciplina e lo strumento perfetto per moltiplicare l’eco e la diffusione delle nuove idee. Il laboratorio tipografico è la fucina dalla quale, con estro e provocazione intellettuale, possono essere ribaltati i concetti conformistici dell’arte convenzionale e della cultura vigente. Le avanguardie hanno in questo periodo lo spazio per generare contraddizioni estetiche e di contenuto, divenendo dirompenti e icastiche allo stesso tempo, perché lo scenario più diffuso è quello della pubblicità tardo-romantica. Fin dall’inizio del secolo pittori passati alla pubblicità, come Hohen-

stein e Metlicovitz in Italia, hanno stabilito i canoni iconografici e i linguaggi conformistici più in voga, restituiti con figure mitologiche e favolistiche, lettering floreale e pittorico, decorazioni compiacenti lo stile ridondante dell’epoca. Marinetti compie lo strappo irrompendo da devastatore nella cultura figurativa, dissacrando l’immagine quieta e conformista, attribuendo nuovo potere alla parola che diventa espressiva e travolgente e dai forti connotati nazionalistici. Il suo Parole in libertà del 1915, consacra la stagione della tipografia d’avanguardia, che influenzerà non solo i suoi compagni d’avventura come Giovanni Papini (già fondatore nel 1914 della rivista sperimentale Lacerba), Ardengo Soffici e Fortunato Depero, ma anche movimenti internazionali come il Dadaismo e addirittura il Bauhaus. Fortunato Depero In campo editoriale la rivoluzione futuri-

La rivista futurista “Lacerba” è ideata da Giovanni Papini e disegnata da Ardengo Soffici. Pur sperimentando aspre contrapposizioni di corpi e caratteri, Soffici si mantiene nel perimetro di una gabbia strutturata e resa evidente con filetti e testatine. Nelle immagini la copertina e due doppie interne del n° 3, anno II, Febbraio 1914.

Quando Marinetti edita nel 1914 Zang Tumb Tumb, libro futurista, dichiara di “infischiarsene” delle armonie tipografiche, della grammatica e del corretto equilibrio della composizione. Nel delirio futurista si mescolano i caratteri e si attribuiscono a stili tipografici e corpi la funzione di esprimere gli stati d’animo irrequieti e sovversivi del movimento.

A destra: Ardengo Soffici, copertina del libro BÏF§ZF + 18, Simultaneità. Chimismi lirici, 1915. Filippo Tommaso Marinetti, copertina e pagina interna del libro Les mots en liberté futuristes, 1919.

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sta apre traiettorie icastiche inedite, sia in campo compositivo che artistico: Fortunato Depero, senz’altro il più eclettico tra i Futuristi, accanto alle fortunate incursioni nell’arte applicata e nella pubblicità con la sua Bottega d’arte di Rovereto, dà alle stampe il celebre “libro bullonato” per le edizioni Dinamo-Azari, l’artefatto simbolico che costituisce forse la punta più eversiva dell’arte editoriale del tempo. Oggi presente nelle collezioni dei più importanti musei d’arte moderna del mondo, il “libro bullonato” rappresenta l’anima irriverente e rivoluzionaria del Futurismo, che attraverso Depero reinventa il concetto di libro celebrandolo con un’estetica meccanico-industriale. Un artefatto seriale che si impone per la sua materia consistente, ingombrante, spigolosa e irriverente e per la sua confezione fuori dall’ordinario. Ciò che più di ogni altra cosa è da sempre considerato il contenitore della conoscenza

e oggetto di cura e protezione, si trasforma in un prodotto seriale aggressivo, capace di difendersi – con gli artigli meccanici – in maniera autonoma e viva dalla storia e dalle avversità del suo tempo. Il Dadaismo Mentre in Italia si afferma il Futurismo, in Svizzera prende vita un altro movimento artistico che si accorge delle opzioni espressive della tipografia: è il Dadaismo, che nasce a Zurigo nel 1916 per diffondersi quasi subito in Francia, in Germania e negli Stati Uniti. I suoi protagonisti sfruttano le tecniche della composizione tipografica e delle nuove combinazioni con la fotografia per sovvertire l’ordine apparente delle forme artistiche coeve. Attraverso il provocatorio caos estetico delle proprie opere dissacrano l’idea stessa della forma d’arte ufficiale, dando vita a opere grafiche che generano una nuova

concezione di lettering, di tensione visiva e di riempimento dello spazio. Il fotomontaggio, il collage e l’impiego alternativo di lettere e fregi caratterizzano la cifra creativa del movimento, che dopo Francis Picabia, Marcel Duchamp, Tristan Tzara e Marx Ernst vedrà in Man Ray uno dei punti di riferimento più importanti della scena artistica in Europa e in America. Composizione tipografica e fotomontaggio, collage e provocazione: il Dadaismo sembra prediligere subito lo scenario del caos e dell’incoerenza, per aprire contraddizioni culturali sempre più estese, in contrasto con il conformismo e le regole del mondo dell’arte convenzionale. Anche nella tipografia e nella grafica l’energia dissacrante dei dadaisti irrompe dal flusso dell’imprevedibilità e dell’apparente casualità dei risultati estetici: l’estro e la sapienza compositiva si uniscono ad un’azione innovativa nella considerazione dello spazio e delle sue tensioni. Fortunato Depero, pagina interna e copertina del “libro bullonato” Dinamo-Azari, 1927. Le pagine interne rispondevano al requisito di sorprendere per irriverenza e provocazione, essendo composte tutte con caratteri, carte e colori diversi. L’oggetto assume – attraverso il suo aspetto – un significato simbolico, di rottura con lo status quo e di arrogante spavalderia.

John Heartfield, fotomontaggio per un poster antinazista, 1935. Nella sovrapposizione di una lastra ai raggi X, l’esofago di Hitler è metaforicamente pieno di monete d’oro.

A sinistra: Francis Picabia, copertina per la rivista “Dadaphone”, 1920. Il movimento Dada si cimenta con la libertà compositiva, utilizzando filetti, segni grafici e glifi. Al centro: copertina per il “Dada Almanach”, 1920.

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Il Bauhaus e la nuova tipografia La scuola fondata da Walter Gropius a Weimar nel 1919 si caratterizza fin dall’inizio per un preciso orientamento nella progettazione grafica. Malgrado il suo fondatore sia uno degli architetti più importanti del momento, è proprio l’architettura a costituire l’assenza più rilevante dal programma di studi (questa materia verrà introdotta infatti solo nel 1927, dopo il faticoso trasferimento del Bauhaus a Dessau nel 1925 e l’insediamento di Hannes Meyer come direttore del nuovo Dipartimento di Architettura). Non è quindi un caso che il gruppo dei “maestri” reclutati per l’avvio dei corsi nel 1919 sia costituito soprattutto da pittori, scultori e grafici: Lyonel Feininger, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Oskar Schlemmer, Lázló MoholyNagy sono solo alcuni dei nomi che imprimono immediatamente al nuovo istituto di

Weimar una profonda connotazione orientata alla sperimentazione visiva. A Weimar è la famosa officina grafica, che servirà non solo a stampare annunci di mostre e i lavori degli allievi dei laboratori, ma a produrre stampati editoriali e pubblicitari per committenti esterni, con l’ambizioso (e per la verità un po’ velleitario) progetto di Gropius di ricavare da quest’attività i fondi per il sostentamento della scuola. L’officina grafica impegna in particolare Lázló Moholy-Nagy e Herbert Bayer: attraverso una costante cura alla nuova estetica tipografica si mettono a punto i mezzi più adeguati per poter esprimere delle rivoluzionarie novità nell’impaginazione editoriale; dagli interventi più spericolati, con i fotomontaggi e la combinazione asimmetrica di testo e immagini, alla gabbia disarticolata e aperta all’alternanza dei vuoti e dei pieni, la continuità nella ricerca nel campo grafico e fotografico costituiscono la cifra di una nuova, moderna visione del graphic design.

Le elaborazioni grafiche al Bauhaus (soprattutto quelle svolte proprio al primo Bauhaus di Weimar e poi riprese da Bayer nella stagione di Dessau) sono entrate come pietre miliari nella storia della grafica e ancor oggi si usa definire un certo stile (caratterizzato dall’uso rigoroso degli allineamenti, dell’inchiostro nero e rosso, di alfabeti senza grazie e del metodo della “sottrazione” come vocazione alla massima sintesi visiva) come “lo stile Bauhaus”. L’officina grafica (e l’attività di progettazione, necessaria a fornire lavoro alle macchine tipografiche acquistate dalla scuola) diventa il cardine per tradurre in pratica la ricercata armonia tra arte e artigianato, contraddizione così importante per la cultura industriale tedesca del primo Novecento (e già fondamento teorico del manifesto del Bauhaus nonché tema chiave dell’animato dibattito dei Deutscher Werkbund nel 1907 e nel 1914).

Sotto: Herbert Bayer, copertina del catalogo per la mostra del Bauhaus, 1923. Il titolo è costruito con lettere incastonate geometricamente in un quadrato, con stampa in blu e rosso su fondo nero.

Lázló Moholy-Nagy, 1923. Formato quadrato, filetti neri e rigida suddivisione degli spazi per due pagine del programma didattico del primo Bauhaus. A fianco: Il linguaggio espressivo adottato dal Bauhaus è quello delle avanguardie europee come il De Stijl; le forme geometriche essenziali (cerchio, quadrato, triangolo) influenzano la sua tipografia. A destra: Herbert Bayer, Alfabeto universale, 1925. Indagando sul modulo quadrato Bayer sovverte le regole abolendo addirittura le maiuscole, considerate un’espressione autoritaria della scrittura tedesca.

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La gabbia e il quadrato Al Bauhaus è legato, in campo editoriale, il sistema della gabbia basata sull’elemento quadrato. Il quadrato è la figura che influenza le avanguardie del primo decennio del XX secolo e che aveva ossessionato i teorici della scrittura e della tipografia per tutti i cinque secoli che l’avevano preceduto. È Herbert Bayer (prima studente, poi Maestro del Bauhaus) a teorizzare le nuove forme della pagina editoriale moderna: “La simmetria è stata la regola dominante nella tipografia del libro. La distribuzione proporzionale delle aree e delle forme secondo i principi del disegno come la regola della sezione aurea ha contribuito alla perfetta realizzazione del libro. Oggi la simmetria ha perso quota presso i progettisti contemporanei e viene messo invece in rilievo il nuovo principio di layout, quello cioè della relazione tra misure, proporzioni, direzioni, contrasti di chiaro e scuro e fra colori, spesso chiamato ‘simmetria dinamica’”.

Al Bauhaus la ricerca di standard a cui riferire la complessa ricerca della modernità è suggerita dalle figure geometriche primarie, e il quadrato viene assunto come riferimento per tutte le operazioni d’intervento progettuale. È la figura pura ed equilibrata con cui sbarazzarsi di qualsiasi altra forma non riferibile a uno standard universale. Il quadrato è quindi il “modulo” su cui al Bauhaus si impernia l’attività grafico-editoriale: nel solco della formazione costruttivista il quadrato diventa “la forma” per l’architettura degli oggetti e della pagina editoriale. All’interno della pagina si evidenzia la suddivisione in nove quadrati, da impiegare per la disposizione di testi e immagini; una gabbia che può essere utilizzata in ventiquattro opzioni diverse. La gabbia a nove quadrati, assunta come punto di riferimento dalla grafica editoriale moderna, rappresenta la sintesi di quel-

la ricerca teorica di purezza e rigore che caratterizzerà il Movimento Moderno e influenzerà le cosiddette scuole (celeberrima, in materia, la “Scuola svizzera”) e le tendenze stilistiche e culturali come l’International Style e il Modernismo nei decenni successivi. L’eredità del Bauhaus si traduce nella cultura compositiva rigorosa, nella standardizzazione degli elementi in un’ideale teoria di riunificazione della sintassi tipograficoespressiva; un bagaglio tecnico e culturale in grado di occuparsi – come sancito dalle utopie del Movimento Moderno – della progettazione generale di tutte le istanze della società, dal più modesto degli utensili domestici all’urbanistica, fino alla diffusione universale della conoscenza. La produzione editoriale del Bauhaus, affidata all’officina tipografica, resta un patrimonio della cultura storica del design editoriale internazionale. Lázló Moholy-Nagy, doppia pagina dal libro Malerei Photographie Film, 1925. La scansione degli argomenti, sottolineata dall’uso ritmato dei filetti e dei titolini, fa assomigliare questa pagina a una partitura musicale.

Sopra: la gabbia a nove quadrati, a partire dal modulo base bauhausiano, ispirerà la grafica e lo stile svizzero (grazie anche alle tre colonne per accogliere simultaneamente le tre lingue della Confederazione), tipico del modernismo. A sinistra: Lázló Moholy-Nagy, copertina per una monografia del Bauhaus su Malevich, 1927. A fianco: Lázló Moholy-Nagy, copertina per il volume 14 della collana dei libri del Bauhaus.

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I giganti della grafica editoriale del XX secolo: Johnston, Koch e Gill Il nuovo secolo si apre, con il contributo dei grandi maestri del graphic design internazionale. Le continue innovazioni nell’ambito tecnico della stampa spingono le avanguardie europee a sperimentare – anche da un punto di vista artistico – nuovi modelli espressivi con la tipografia creativa pur guardando con rispetto al passato. Qualche nome è, per la nostra storia e per il bagaglio culturale del progettista editoriale, davvero essenziale: sono quelli che si potrebbero definire “i cinque giganti”. Primo gigante: Edward Johnston È la committenza privata e pubblica che innesca, attraverso incarichi specifici, una chiara svolta al ruolo dei disegnatori di caratteri. Nel 1906 Edward Johnston, docen-

te al Royal College of Art e appassionato cultore di studi di calligrafia, pubblica una pietra miliare sulla scrittura e il lettering: il suo manuale Writing & Illuminating & Lettering si afferma come uno dei punti di riferimento per i professionisti e gli appassionati del tempo, e lo legittima come una delle personalità più influenti sugli stili espressivi della sua epoca. Johnston disegna caratteri tipografici, ma scrive virtuosamente anche a mano, con penne e piume d’oca. Nel 1916, Johnston passa definitivamente alla storia del design: Frank Pick, il dinamico e geniale manager della metropolitana londinese, lo incarica di disegnare un nuovo carattere, in grado di riflettere l’assetto della società di trasporti che egli sta conformando con grande senso della visione strategica. Pick vuole restituire il senso di modernità con cui sta rivoluzionando il rapporto tra la città, gli utenti del servizio e la società che gestisce la rete della metropolitana, per costruire un’identi-

tà riconoscibile come un sistema, dalle stazioni alla comunicazione generale. Johnston, nonostante le critiche mossegli da alcuni dei suoi stessi discepoli, che lo rimproverano di tradire quello spirito classico-tradizionale di cui è sempre stato sostenitore, disegna il Johnston Sans Serif, un innovativo carattere senza grazie che si ispira alle forme della Capitalis Romana e al progenitore di tutti i sans serif, quel carattere disegnato da W. Caslon IV a Londra esattamente un secolo prima. Con questo nuovo alfabeto la metropolitana di Londra adotta una veste “corporate” introducendo un carattere “istituzionale” con cui costruire il marchio, segnala le stazioni, impagina le pubblicazioni. L’alfabeto di Johnston è – pur con le modifiche introdotte dal redesign digitale del 1980 – in uso ancora oggi, prova incontrovertibile di un’intuizione felice dal punto di vista funzionale e applicativo, capostipite di un metodo progettuale totale.

Esperimento calligrafico di Edward Johnston. Edward Johnston, marchio e tavola tipografica per la metropolitana di Londra, 1916.

Doppia pagina (18-19) e tavola esplicativa tratte da Writing & Illuminating & Lettering, 1906.

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Secondo gigante: Rudolf Koch Se Johnston rappresenta l’approccio britannico nelle rivoluzioni che investono il lettering agli inizi del XX secolo, in Germania l’altro grande maestro della calligrafia è Rudolf Koch. Egli entra trentenne alla Rudhard Type Foundry (che più tardi diventerà Klingspor Type Foundry) di Offenbach, dove disegna una ventina di caratteri tipografici di grande successo, coniugando la tradizione tedesca con le nuove esigenze della tipografia moderna. La Klingspor, in quel momento, è un punto di incontro delle nuove tendenze: è la fonderia che produce i nuovi alfabeti disegnati da Otto Eckmann e Peter Behrens, il luogo dove si respira l’aria di trasformazione tecnica e tecnologica che con l’avvento di Linotype, Monotype e stampa litografica sta rivoluzionando il mondo dell’editoria. Nel 1927 Koch presenta un nuovo tipo di carattere tipografico, il Kabel, che in qualche modo anticipa il Futura di Paul Renner,

e in pochi anni la sua influente produzione caratterizzerà lo spirito del lettering europeo. Koch scompare prematuramente, per un attacco di cuore, nel 1934 lasciando un’ingente eredità culturale nel disegno di caratteri del Novecento. Terzo gigante: Eric Gill Forse una delle più grandi personalità del mondo del graphic design, e in particolare del lettering del Novecento, Eric Gill è stato uno straordinario artista dalla personalità estremamente complessa (inutile nasconderlo: tutti sanno della sua controversa condotta nella vita privata). Ma non è certamente questa la sede per aprire un capitolo così complesso come il profilo morale di Eric Gill. Allievo e amico di Johnston, Gill è scultore del legno e incisore di pietra e metalli; la scoperta di un trattato di scrittura latina lo avvicina alla calligrafia e alla tipografia, mentre lo studio delle iscrizioni latine di-

venta il retroterra per le sue opere tipografiche. La sua abilità nell’incisione lo porta a cimentarsi con il lettering e nel 1925 la Monotype gli commissiona dei caratteri. Il primo è il Perpetua (1925), che trae spunto dalle scritte della Colonna Traiana. Tra il 1927 e il 1929 perfeziona il suo carattere più famoso, il Gill Sans, destinato a diventare un carattere “senza tempo”, ancora oggi utilizzato sia nella grafica editoriale sia in quella commerciale. Il Gill Sans è forse il migliore tra quei caratteri che, agli inizi del Novecento traggono ispirazione dagli sperimentali “lineari” del secolo precedente: innovativo nella relazione dimensionale tra maiuscole e minuscole, si impone come carattere “moderno” e dalla multiforme funzionalità. Tra gli altri numerosi caratteri di Gill, sono da ricordare il Golden Cockerel Roman del 1929 (disegnato per la casa editrice Cockerel Press) e il Joanna nel 1937 (ispirato al carattere Granjon).

Eric Gill: l’anticipatore Fondatore della piccola casa editrice September Press, Gill pubblica nel 1931 il famoso Essay on Typography. Riflessioni sull’evoluzione della stampa e sul consumo culturale si alternano a sorprendenti analisi su produzione seriale, composizione e stampa.

Rudolph Koch, carattere Kabel, disegnato per la fonderia Klingspor, 1928.

In alto, a sinistra: pagine disegnate da Eric Gill nel 1931, per The Four Gospels. Il Gill Sans, forse il più famoso dei caratteri disegnati da Eric Gill, 1928. A sinistra: Rudolph Koch, studio per una copertina, 1933. A fianco: Eric Gill, iscrizione per una pietra di fondazione, 1904.

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El Lisickij e Tschichold: gli altri giganti I grandi rivoluzionari del lettering e della composizione, in questa parte di XX secolo, sono un russo di Pochinok e un tedesco di Lipsia. Il primo è l’innesco, il secondo il detonatore delle nuove teorie della tipografia e della grafica editoriale del loro tempo. Due figure estremamente importanti e influenti non solo sul percorso della composizione tipografica e del progetto editoriale, ma dell’intera cultura del Novecento. Quarto gigante: El Lisickij L’ingegner Lisickij (Lazar Markovich Lisickij) è un anticipatore delle nuove opzioni tecniche della grafica e della tipografia. Diventato famoso come artista e promotore dell’avanguardia sovietica (suo il celeberrimo Colpisci i bianchi con il cuneo rosso, del 1920) è un intellettuale sempre in movimento,

mai sazio delle scoperte e delle invenzioni del suo tempo. Lisickij si lega presto ai Costruttivisti e ai Suprematisti, sperimentando nuove tecniche nel disegno, nella scultura e nella stampa tipografica. La sua esperienza nel mondo della grafica si forma in campo editoriale, dove prevede – con una sorprendente capacità – gli effetti socio-culturali ed economici conseguenti all’introduzione di nuove tecniche nella stampa e nella costruzione del libro. “Finché il libro sarà necessariamente un oggetto palpabile (…) dovremo aspettarci giorno per giorno nuove, fondamentali invenzioni nella sua produzione, per raggiungere anche qui il livello della nostra epoca. Ci sono segni che questa invenzione fondamentale sia da attendere nel settore della fototipia. Si tratta di una macchina che porta la composizione tipografica su una pellicola e di una macchina da stampa che riproduce il negativo della composizione su carta sensibile. Così spariscono l’enorme

peso del materiale da composizione e il barattolo del colore, così abbiamo anche qui la dematerializzazione”. El Lisickij è costretto, dalle obsolete tecnologie del suo tempo, a forzare le sue rivoluzionarie composizioni, tese sempre alla ricerca di una disarticolazione attrattiva per il lettore e a un superamento delle convenzioni rigidamente ortogonali. El Lisickij progetta libri, poster, architetture e monumenti, dipinge e scrive: una figura intellettuale completa e un artista che forse, meglio di ogni altra avanguardia, rappresenta la sete di ribaltamento delle omologazioni e lo spirito sovversivo che con la Rivoluzione d’Ottobre influenza l’Europa del suo tempo. “In contrasto con la vecchia arte monumentale, il libro stesso va dalle persone, e non è come una cattedrale, che è collocata in un solo posto, in attesa dell'arrivo di qualcuno... Il libro è monumento del futuro”.

Ismi nell’arte, copertina del libro sulle avanguardie artistiche europee, disegnato e scritto da El Lisickij con Hans Arp nel 1925. A destra, sopra: El Lisickij, copertina e doppia pagina del capolavoro editoriale Per la voce, 1922; composto solo con caratteri di cassa e ardite sovrapposizioni bicolori, il libro è una ricerca dell’armonia tra testo, tipografia e recitazione. In basso a destra: il libro Per la voce, progettato con pagine a rubrica per facilitare al dicitore l’identificazione dei poemi. Di piccolo formato (13 x 19 cm), e composto da pagine in carte usomano di diversa grammatura e superficie, risente delle profonde influenze del Futurismo italiano e del Plasticismo olandese.

Sopra: forse l’opera più famosa di El Lisickij, il poster di propaganda Colpisci i bianchi con il cuneo rosso, 1919.

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Quinto gigante: Jan Tschichold Il mondo della grafica editoriale ha con Tschichold uno dei debiti più ingenti: disegnatore di caratteri, scrittore con oltre venticinque studi teorici pubblicati e calligrafo, egli marca con il suo equilibrio, i suoi studi e il suo bagaglio disciplinare un esteso territorio che comprende la stampa, la progettazione, la saggistica. Figlio di un disegnatore d’insegne di Lipsia, è folgorato all’età di dodici anni da una mostra sull’editoria tedesca e decide di studiare il mondo dell’illustrazione editoriale e della calligrafia. Legge il saggio di Johnston Writing & Illuminating & Lettering, ma è la mostra del Bauhaus a Weimar nel 1923 a offrirgli una nuova visione sul mondo della grafica: conosce i grandi maestri e studia le tendenze De Stijil, quelle del Costruttivismo russo e dell’officina bauhausiana. Dopo i suoi primi scritti importanti, come la rivoluzionaria pubblicazione rosso e nera

del 1925 intitolata Elementare Typographie in cui spiega i concetti fondamentali della Neue Typographie, Tschichold pubblica il suo primo testo teorico nel 1928. Riprende nel libro il termine Die Neue Typography (coniato originariamente da Lázló MoholyNagy al Bauhaus) ed espone le tesi dell’impaginazione asimmetrica, dell’uso primario della fotografia, della gabbia e dell’impiego del carattere senza grazie. Si dedica sempre di più alla grafica editoriale e all’insegnamento, in un periodo segnato anche da serie difficoltà politiche. Insieme a Paul Renner (il padre del Futura) viene perseguitato dall’intollerante regime nazista, che lo identifica sommariamente come bolscevico solo per i suoi manifesti interessi verso le avanguardie artistiche russe. Nel 1933 si rifugia definitivamente con la moglie in Svizzera, dedicandosi alla grafica editoriale e anche alla revisione di alcune sue tesi espresse in Die Neue Typographie, che in qualche modo ritratta riconsideran-

do la propria precedente posizione manichea, sull’impiego esclusivo del forse accessivamente carattere bastone. Il passaggio professionale è sottolineato da un certo gusto per il ritorno alla tradizione, con l’impiego di caratteri classici e l’ammirazione per tipi come il Garamond, il Baskerville e il Bodoni. Dal 1947 al 1949 è consulente della Penguin Books, per cui ridisegna tutta l’identità grafica, consegnando alla storia uno dei capolavori indiscussi dell’immagine editoriale. Tra le sue opere tipografiche: i caratteri Transito del 1931, il Penrose del 1938 e l’elegante Sabon del 1966. Jan Tschichold ha segnato profondamente la grafica editoriale del Novecento, e resta memorabile una sua dichiarazione sull’esperienza affrontata alla Penguin: “Non abbiamo bisogno di libri pretenziosi per i ricchi, abbiamo bisogno di libri comuni realmente ben fatti”. Il pinguino, simbolo della Penguin, disegnato da Tschichold, a più riprese, dal 1946.

A sinistra, in alto: Jan Tschichold, copertina per le opere di Shakespeare, pubblicate da Penguin. Il ritratto è un’incisione di Reynold Stone per la collana. Tschichold progetta e cura personalmente oltre 600 volumi per Penguin. A sinistra, in alto, al centro: Jan Tschichold, copertina per il libro del dadaista Hugo Ball, Fuga dal Tempo, 1944. A sinistra, in alto: appunti su un frontespizio di Jan Tschichold con la correzione delle spaziature. A sinistra, in basso: Jan Tschichold, pagina dalla brochure promozionale del saggio teorico Die Neue Typographie, 1928, stampato in nero su fondo giallo. A fianco: Jan Tschichold, tavola di correzione del carattere Sabon, 1965, ispirato al Garamond e dedicato a Jakob Sabon, tipografo francese del XVI secolo.

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Zapf e Frutiger Due figure fondamentali nella storia della grafica e del disegno tipografico del Novecento sono i protagonisti di quella fase espansiva del graphic design europeo legato all’International Style: l’opera di Zapf e di Frutiger si radica nella cultura visiva del secolo scorso e, per direzioni e cifre diverse, caratterizzerà l’evoluzione della tipografia e la conseguente applicazione del graphic design in tutto il mondo. Dall’editoria alla segnaletica, dalla comunicazione istituzionale a quella di prodotto, l’eredità di Zapf e Frutiger pervade con autorevolezza il composito scenario visivo dei nostri tempi. L’autore del Palatino: Hermann Zapf Non poteva che nascere a Norimberga, nel 1918, uno dei più grandi interpreti dell’arte tipografica. Hermann Zapf, adolescente, A fianco: i tre caratteri più famosi disegnati da Hermann Zapf, nelle loro diverse forze e orientamenti: Palatino (1950), Melior (1948-1952), Optima (1958). Il Palatino è uno dei caratteri più diffusi nella grafica editoriale, in particolare nella narrativa, con il suo disegno morbido, grazie leggere e occhielli nitidi, così da rendere la lettera ben leggibile anche a corpi ridotti.

resta folgorato dai lavori di Rudolf Koch e Edward Johnston; appassionato autodidatta, si forma sul manuale di calligrafia di Rudolf Koch mentre è un giovanissimo apprendista fotoritoccatore. Esercizio e dedizione lo conducono alla creazione del suo primo carattere tipografico, che disegna e produce all’età di ventidue anni. Sarà il debutto di Zapf come free-lance in una straordinaria carriera, attraverso la quale vedranno la luce più di cinquanta font, la maggior parte delle quali prodotte dalla fonderia Stempel. Zapf combina la rigorosa ricerca con le necessità industriali delle nuove tecnologie, senso della storia e rispetto per la cultura del passato: l’editoria e le applicazioni emergenti del graphic design trovano così nei suoi lavori la risposta alle nuove aspirazioni di modernità del tempo. La sensibilità di Zapf consente di fissare nella cultura del Novecento tre caratteri come il Palatino (1950), il Melior (19481952) e l’Optima (1958). Altri caratteri tipo-

grafici scandiranno l’incessante lavoro di Zapf in campo tipografico, che non smetterà mai di dedicarsi allo studio ed esercizio della calligrafia, in quella cornice dove studio della storia e vocazione all’innovazione riescono a restituire la migliore espressione del designer. Il Palatino, ancora oggi uno dei più diffusi e versatili caratteri per l’editoria, nasce su ispirazione e riproporzione dei caratteri veneziani (il carattere si chiama Palatino in omaggio a Giambattista Palatino, letterato e maestro calligrafo del XVI secolo).

Palatino Regular

Palatino Italic

Zapf, fin all’inizio degli anni Quaranta, diventa in poco tempo un’autorità internazionale, e accanto alla carriera di disegnatore di caratteri intraprende quella di docente in varie università e istituti, tra cui la Carnegie Institute of Technology a Pittsburgh nel 1960 per poi tornare a Darmstadt tra il 1972 e il 1981. Insegna dal 1987 al 1991 al Rochester Institute of Technology per affrontare il tema del

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890 Palatino Bold

Palatino Bold Italic

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

Sopra: pagina calligrafica dal Manuale Typographicum di Hermann Zapf (1968). Zapf, calcando le orme di Gill e Johnston, unisce la passione per la tradizione calligrafica con la continua ricerca di nuove sfide tipografiche, considerando il design tipografico “una delle più importanti espressioni visuali di un’epoca”.

Melior Regular

Melior Italic

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

Melior Bold

Melior Bold Italic

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

Optima Regular

Optima Italic

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUV WXYZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

ABCDEFGHIJKLMNOPQR STUV WX YZ abcdefghijklmnopqrstuvwxyz 1234567890

Optima Bold

Optima Bold Italic

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corretto trasferimento del carattere tipografico nei computer; assume poi la carica di Presidente in Zapf, Burns & Company a New York, dove si sviluppano programmi di scrittura e tipografia digitale. Insignito di numerosi premi e onorificenze nel campo del graphic design, ha lasciato nel suo famoso Manuale Typographicum l’eredità culturale e professionale di un’intera vita dedicata alla tipografia e al graphic design. Muore a Darmdstad nel 2015. Adrian Frutiger: il talento colto Il giovane Adrian, grafico svizzero di ventisei anni che dopo la formazione alla Kunstgewerbeschule a Zurigo ha trovato lavoro a Parigi da Deberny&Peignot, presenta nel 1956 una sorprendente serie composta da ventuno versioni dello stesso carattere. È l’Univers, la famiglia di nuovi caratteri lineari che si diffonderà in tutti i settori applicativi del graphic design con una velocità mai vista prima. È la fase in cui l’International

Style cerca spasmodicamente di dare una nuova forma di modernità ai lineari esplorati dai designer trent’anni prima, ormai superati definitivamente dal grande successo della revisione dell’Akzidenz Grotesk. Frutiger, che aveva già disegnato il Meridién nel 1955, è ispirato dal nuovo Akzidenz Grotesk e, su espresso incarico di Peignot, con il lancio dell’Univers anticipa di qualche mese il debutto del concorrente Helvetica (1957). L’Univers si impone subito lungo la traiettoria per cui era stato ideato: essere universale (appunto), in grado di adattarsi a tutti i comparti della comunicazione moderna. La virtù dell’Univers non risiede soltanto nel suo disegno sobrio, funzionale e rigoroso, ma anche nel suo inedito sistema di classificazione, che fa emergere Adrian Frutiger anche come nuova figura teorica e di riferimento per l’intera disciplina. Frutiger disegna, nel corso della sua prestigiosa carriera, altri numerosi caratteri come l’Avenir, l’Astra e l’anticipatore OCR–B,

progettato per la restituzione del riconoscimento con lettura ottica (1965-1971). Forse il più famoso resta – ovviamente insieme all’Univers – l’omonimo Frutiger. Nato dalla sapiente commistione tra il suo Univers (che Adrian Frutiger considerava già un po’ superato per l’applicazione specifica alla segnaletica), il Gill Sans e il Johnston Sans della metropolitana londinese, il carattere viene diffuso dalla Linotype con il nome del suo creatore solo nel 1976. Frutiger è diventato, nel corso di una carriera costellata di prestigiosi riconoscimenti, una figura importante negli studi semiologici e iconologici: il suo testo Segni&Simboli (Des Signes et des hommes), resta un trattato fondamentale della storia e nella cultura dei segni, su cui si sono formate generazioni di designer. Negli anni Novanta avvia la revisione dei suoi capolavori Univers, Frutiger e Avenir per l’impiego ottimizzato al computer. Si spegne a 87 anni a Bremgarten, in Svizzera. A fianco: la nomenclatura dell’Univers nel diagramma di Frutiger (studi del 1954). Perno centrale del sistema è l’Univers 55, che per le sue caratteristiche è considerato il più adatto alla composizione editoriale; il sistema si estende verso le varianti codificate. Sotto: Bruno Pfäffli, Studio Frutiger; restituzione diagrammatica delle ventuno varianti dell’Univers, con una composizione delle forze e orientamenti (1960).

Frutiger

La nomenclatura di Frutiger utilizza codici che identificano forze e occhio. In questo modo un prefisso (il primo numero, da 2 a 9) definisce la forza (da ultra-light a black) e un suffisso (il secondo numero, da 1 a 9) definisce l’occhio e l’orientamento, ad esempio se tondo o corsivo (da ultra-extended a ultra-condensed). I valori inferiori a 5 si riferiscono ai caratteri in versione estesa (extended), mentre i numeri superiori a 6 si riferiscono ai caratteri compressi (condensed).

ABCDEFGHIJKLMNO abcdefghijklmno 1234567890 Il carattere Frutiger, rilasciato nel 1957 dalla Linotype dopo l’impiego nel progetto di segnaletica dell’Aeroporto Charles de Gaulle.

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Verso il contemporaneo: il Futura e l’Helvetica Oggi, in qualsiasi personal computer, sono disponibili centinaia di caratteri (font) con cui comporre i testi. Si tratta di una dotazione inaudita, inconcepibile non tanto per un tipografo-compositore del XVIII secolo, ma anche per un grafico o un tipografo del secolo scorso. La facilità con cui si può passare da un carattere all’altro, da una giustezza a un’altra; la possibilità di affrontare innumerevoli prove a costo zero, il lusso – in fondo – di “poterci ripensare” e cambiare l’impostazione intera di una pagina in pochi minuti, hanno in qualche modo derubricato il valore del carattere tipografico e del suo disegno, rendendo inconsapevolmente alla portata di chiunque un patrimonio che andrebbe maneggiato con più cura e rispetto. Come raccomanda Massimo Vignelli in Ca-

non, il manuale in cui raccoglie la sua eredità morale e intellettuale sui valori del visual design, nell’era del computer si assiste a una proliferazione di nuovi caratteri che ha come conseguenza una forma di inquinamento visivo minaccioso per la nostra cultura. Vignelli ha una ricetta semplice e decisa: riferirsi a pochi caratteri fondamentali e “gettare nella spazzatura” (letteralmente) tutto il resto. La sua proposta è uno scrigno di caratteri senza tempo: bastano un Garamond (1532), un Bodoni (1788, ma con la versione ridisegnata dallo stesso Vignelli e denominata Our Bodoni), un Century Expanded (1900), un Futura (che Vignelli data nel 1930), un Times Roman (1931) e infine l’adorato Helvetica (1957). Con una manciata di caratteri “semplicemente perfetti” in effetti Vignelli ha costruito una carriera ineguagliabile e dimostrato che – dalla segnaletica all’editoria, dal packaging alle sigle televisive – si potrebbe far tutto. Ma lui era

Massimo Vignelli. È vero però che il disegno di caratteri, quando è rispettoso, sa generare nuove tracce capaci di restituire come testimonianza, il valore espressivo dell’epoca. Dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso molti sono stati i designer che hanno contribuito a far progredire quest’ambito di progetto: tra loro sono da citare in particolare Neville Brody ed Eric Spiekermann, che, insieme a Joan Spiekermann, danno vita nel 1989 a FontShop International, il primo negozio/distributore online di caratteri tipografici digitali, poi acquisito da Monotype Imaging nel 2014. A dirla tutta, però (a modesto giudizio di chi scrive), dai sei caratteri irrinunciabili di Vignelli potremmo in ambito editoriale anche allargare un po’ lo scenario, infoltendo la serie dei graziati per esempio con un Baskerville, un Bembo e un Palatino e quella dei bastoni con il Gill, l’Univers e il News Gothic. Ogni designer saprà senz’altro scegliere anche altri caratteri, appropriati a se-

Paul Renner, pieghevole per la promozione del carattere Futura, 1929. A destra, in alto: Paul Renner, pieghevole promozionale per la prima versione del Futura, 1927, più astratta e concettuale di quella commercializzata e diffusa poi in tutto il mondo. A fianco: Paul Renner, pubblicità per il Futura: “Futura la scrittura del nostro tempo accompagna l’immagine del nostro tempo”, 1927.

Il Futura, nella sua versione più classica e famosa: il Regular.

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conda degli incarichi che riceve: l’aspetto più importante è che siano sempre alfabeti funzionali, distanti da qualsiasi forma di ridondanza, illeggibilità ed eccentricità. I caratteri del Modernismo A conclusione di questa parte sull’evoluzione della tipografia editoriale del Novecento è doveroso aggiungere qualche nota su due caratteri che hanno rappresentato due tappe di svolta: il Futura e l’Helvetica. Lo spartiacque temporale tra il primo e il secondo si può fissare con la Seconda guerra mondiale e con l’affermazione internazionale del Modernismo nella grafica. Il primo è opera di Paul Renner, grafico e disegnatore di caratteri che progetta nel 1927 un nuovo alfabeto che assimila le precedenti teorie della Nuova Tipografia e le sperimentazioni del Bauhaus: il Futura si basa sulle forme elementari del cerchio, del quadrato e del triangolo; le sue costruzioni recuperano la tradizione della Capitalis Romana (eccola di

nuovo!) e la ricerca dell’armonia propria del Rinascimento italiano. Il Futura, in fondo, se rappresenta da un lato la soluzione tecnica e formale di quell’ansia di modernizzazione che generata dal Bauhaus anima la cultura tipografica europea del tempo, dall’altro è la precisa risposta alle nuove necessità della grafica e della comunicazione. Paul Renner, a quel tempo, è anche un docente e un intellettuale impegnato, che si oppone al nazismo tanto da essere destituito dagli incarichi didattici, arrestato e classificato come “intellettuale sovversivo”: una dimostrazione di come pur occupandosi di tipografia e grafica, si possa risultare “eversivi” e scomodi al sistema. Renner continua a lavorare nel Dopoguerra al disegno dei caratteri e a saggi sul design tipografico, scrivendo importanti studi sulla scrittura e l’editoria. Oltre al Futura disegna il Plak (1928), il Ballade (1937), il Renner Antiqua (1939) e ulte-

riori versioni e forze del suo indimenticabile ed estesissimo Futura. Come tutti i bastoni del Novecento anche l’Helvetica, come il Futura, deve la sua ispirazione a quei campionari di caratteri senza grazie, stampati da William Caslon IV nel 1816, che tanto interessano i progettisti della seconda metà del XX secolo. Il capostipite di tutti i bastoni del XX secolo è, però, l’Akzidenz Grotesk, un lineare del 1896 che viene fuso dalla Berthold a Berlino. Questo carattere viene adottato dagli anni Quaranta in Svizzera, dove parte dei designer tedeschi si è rifugiata durante il regime nazista e dove il senso per il rigore estetico-formale è da sempre una delle cifre distintive della cultura nazionale elvetica. Alcune difficoltà nelle estensioni dell’Akzidenz Grotesk, come lievi dettagli costruttivi e spaziature, incoraggiano la fonderia Haas a produrre nel 1957, su disegno di Max Miedinger, un nuovo bastone. Esordisce così lo strepitoso Helvetica.

In alto a sinistra: Hans Neuburg, frontespizio in Akzidenz Grotesk per “Neue Grafik”, rivista fondata insieme a Müller-Brockmann, Lohse e Vivarelli nel 1958. In alto, al centro: copertina dell’opuscolo di lancio del Neue Haas Grotesk, che verrà ridenominato Helvetica con il disegno di Max Miedinger, 1957. Sopra: Massimo Vignelli, copertina in Helvetica per una collana Penguin, 1957. A sinistra: Carlo Vivarelli, poster in Akzidenz Grotesk, il progenitore dell’Helvetica, 1949. A fianco: Massimo Vignelli, due copertine in Helvetica per la “Biblioteca Sansoni”, 1963.

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Aldo Novarese A questo punto è doveroso dedicare uno spazio ad Aldo Novarese. Cioè a chi, fino a pochi anni fa, ha contribuito con rigore e passione a mantenere viva la cultura tipografica italiana e del disegno del carattere, attraversando fasi di profonda trasformazione tecnologica, culturale, sociale. Una transizione che, dal piombo dei suoi primi caratteri come il Normandia (1940), ha portato l’ultimo dei grandi disegnatori italiani di caratteri ad alimentare con la sua tecnica e la sua cultura la storia della grafica italiana e internazionale. Anche se Novarese non è stato un progettista strettamente “editoriale”, il suo lavoro ha contribuito in maniera determinante all’estetica del prodotto editoriale della seconda metà del XX secolo, estendendo l’azione anche al mondo della pubblicità, influenzando l’ambiente socio-culturale e le

tendenze tipografico-espressive della comunicazione. Novarese, serio e riservato progettista, rappresenta il senso della coscienza e della preparazione tecnico-professionale necessarie per affrontare un passaggio epocale: il suo progetto si adegua all’evoluzione della “scrittura” tipografica che, concepita per moduli individuali (i tipi) per quasi cinque secoli, in una fase di transizione rapida si rende più plasmabile con la fotocomposizione. Una traiettoria propedeutica, che annuncia il compimento dell’ultimo salto verso la virtualità degli alfabeti e le loro innumerevoli conformazioni e correzioni, con i formati vettoriali. Un percorso che sembra riportare – con i processi digitali più avanzati – alle virtù di un’ipotetica “scrittura tipografica”, con la possibilità di legature e dimensioni delle lettere più aperte e meno irrigidite dallo standard tipografico e dalla tipometria classica. Ma questa è un’altra possibile storia da scrivere, che meriterebbe tante altre pagine.

Torniamo a conoscere Aldo Novarese. Nato nel 1920 nel Monferrato, il giovane Aldo studia prima alla Scuola Artieri Stampatori, poi alla Scuola di Tipografia G. B. Paravia e a soli 16 anni è già impiegato alla Fonderia Nebiolo, dove resterà per quasi quarant’anni. A diciotto anni disegna il suo primo carattere tipografico, il Vetulonia. Durante la guerra subisce una condanna per il suo spirito antifascista e nel 1943 si unisce ai gruppi partigiani; è questo un periodo che lo turba profondamente, per l’aspra realtà a cui assiste ogni giorno. Dopo la Liberazione Novarese torna alla Nebiolo, assumendo il ruolo che era stato di Alessandro Butti, il direttore che lo aveva assunto e istruito: fino al 1975, anno in cui la Nebiolo è costretta a chiudere, disegna caratteri tipografici, scrive saggi e articoli sulle riviste specializzate alimentando il dibattito e la ricerca storico-culturale, partecipa a convegni e manifestazioni internazionali, come quelle dei Rencontres de Lurs (Pro-

Il carattere Garaldus, disegnato da Novarese nel 1956 per la Fonderia Nebiolo, si ispira alla tradizione veneziana cinquecentesca e prende nome dalla crasi tra Garamond e Aldo (Manuzio). Il Garaldus, ignorato da Einaudi che gli preferirà un Garamond ridisegnato appositamente da Simoncini (vedi p. 119), viene scelto invece da Tallone per la sua pregevole edizione del Canto Gregoriano composto in piombo.

Monogramma di Aldo Novarese. Al centro: il carattere Forma, disegnato da una squadra di progettisti coordinati da Novarese, vede la luce nel 1966; dopo il tentativo del Recta, l’obiettivo è contrastare l’egemonia dei lineari che stanno riscuotendo apprezzamento in tutto il mondo. A destra: carattere Eurostile, 1962. Dal suo Microgramma (1951), Novarese lavora sul maiuscolo e aggiunge anche il minuscolo, disegnando uno dei caratteri di grande successo di quel periodo.

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venza) dove nel 1957 presenta il suo sistema di classificazione dei caratteri, ancora oggi uno dei più diffusi e apprezzati in tutto il mondo. Novarese progetta durante la sua collaborazione esclusiva per la Nebiolo quasi trenta tipi di caratteri declinati in cento serie, mentre altri settanta li disegna (in oltre 200 serie!) per diversi produttori dal 1975 in poi. Una produzione sconfinata, basata su una solida formazione tecnica, sulla capacità di interpretare il cambiamento – anche di tipo commerciale – nel rispetto della tradizione e della disciplina tipografica, senza supponenza e con apertura mentale. Eclettico e in qualche modo anche dissacrante in più di un’occasione – basti pensare alla solidità e al nitore di caratteri come l’Egizio (1953) o il Recta (1958), contrapposta al Fontanesi (1951) o all’Estro (1961) – Novarese percorre il suo tempo con la sensibilità che gli consente di cogliere esigenze

non solo del mondo editoriale ma anche di quello pubblicitario. Compie incursioni nel mondo classico con il Nova Agustea (1951) o il Garaldus (1956); supervisiona un’impressionante squadra di designer dedicata al disegno di un carattere di respiro internazionale come il Forma (1966), a cui collaborano Bruno Munari, Franco Grignani, Giancarlo Iliprandi, Ilio Negri, Till Neuburg, Luigi Oriani e Pino Tovaglia; con il sorprendente e controverso Stop (1971), intercetta con successo le tendenze “pop” di quel periodo, pur incontrando l’avversione dei puristi. Nel 1962 disegna l’Eurostile. La sua attività di prolifico disegnatore di caratteri continua fino ai primi anni Ottanta, con la realizzazione di serie lineari come il Mixage (1977) per la Haas, il Novarese (1978) e il Symbol (1982) entrambi per la Itc. Vincitore di molti premi, Aldo Novarese scrive due libri teorici che restano fondamentali sull’impiego dei caratteri tipografici: Alfa-Beta (1964) e Il segno alfabetico (1971)

Specimen del Recta (1958): Novarese disegna per la Nebiolo il tema dei lineari generando una serie di ventuno caratteri, estesa per forze e disegno sul modello versatile dell’Univers. Sopra: copertina di alfa-beta (1964), uno dei due più importanti saggi di Aldo Novarese. A sinistra: per lo Stop (1970), Novarese affronta il tema del tono di voce contemporaneo disegnando espressamente un carattere per la pubblicità. Dichiara di dover “attirare l’attenzione con prepotenza”, così come quarant’anni prima fece Cassandre disegnando il rivoluzionario Bifur (1929) per Deberny & Peignot.

Due maestri: Mardersteig e Tallone Nella nostra breve storia della grafica editoriale non possiamo dimenticare due protagonisti della tipografia: Giovanni Mardesteig e Alberto Tallone. Giovanni Mardesteig (1892-1977) Dopo gli studi in Germania e in Austria diventa responsabile di produzione della rivista “Genius”. Inizia l’attività di tipografo con l’Officina Bodoni: nel 1922 si trasferisce in Svizzera dove fonde – grazie a un’autorizzazione speciale – caratteri dai punzoni bodoniani originali. Nel 1927 rientra in Italia per stabilirsi a Verona: qui stampa l’opera completa di Gabriele d’Annunzio. Nella sua attività anche il disegno di caratteri, tra cui il Fontana e lo Zeno (entrambi del 1936), il Griffo (1939) e il Pacioli (1957). Nel 1946 fonda la stamperia Valdonega, dove tra le molte edizioni di pregio, ricordiamo il De Divina Proportione di Luca Pacioli (1957) e l’Alphabetum Romanum di Felice Feliciano (1960). Ottiene riconoscimenti internazionali e vince premi in tutto il mondo.

Alberto Tallone (1898-1968) Nasce nel 1898 a Bergamo e si dedica, giovanissimo, alla professione di libraio a Milano. Affascinato dalla tipografia, compie il suo apprendistato in Francia da Darantière, nel 1932. Più tardi, con i torchi di Darantière installa la sua tipografia a Parigi, dove opererà fino al 1960. Tra i suoi capolavori, tirati in cento esemplari, la Vita Nuova di Dante Alighieri e I canti di Giacomo Leopardi. Dal 1960 si trasferisce in Italia, ad Alpignano (TO). Le sue edizioni sono apprezzate in tutto il mondo per il nitore compositivo e la grande qualità di stampa dei suoi libri.

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Le case editrici in Italia e l’identità editoriale Nel solco della grande tradizione italiana degli stampatori-editori anche il XX secolo vede la nascita di nuove imprese editoriali che, approfittando della nuova disponibilità di macchine e tecniche, si avvantaggiano di una nuova prospettiva economica nella produzione di libri e riviste. Nel 1909 è Angelo Rizzoli ad avviare la sua impresa, mentre tre anni più tardi è Arnoldo Mondadori a mettere sul mercato le sue prime pubblicazioni. Rizzoli inizia con una tipografia di piccole dimensioni, ed estendendo il campo d’azione anche ai periodici svilupperà nel tempo una casa editrice di rilevanza internazionale, impiegando macchine innovative come il rotocalco (introdotto nel 1924 per la produzione di riviste popolari) e dando vita a collane economiche.

Arnoldo Mondadori è invece l’editore che lega il suo marchio a collane passate alla storia come le più importanti e determinanti nella relazione tra gli italiani e la lettura: è del 1933 il lancio de “La Medusa”, la prima collana che si presenta sul mercato librario con una forte identità grafica, basata su una copertina aniconica, con un sistema reiterato costituito da cornici, lettering, colore di riferimento (verde) e la presenza del solo simbolo iconico in copertina. Scandalo: il libro in edicola! Alla Mondadori dobbiamo anche l’invenzione nel 1965 della collana gli “Oscar” e nel 1929 dei celebri “Gialli Mondadori”. Con i “gialli” è introdotto in Italia il concetto di libro popolare adatto a una fruizione leggera e occasionale, come il viaggio in treno o la lettura estiva. La veste grafica è molto originale e aggressiva: l’identità della collana – attraverso il fondo sempre giallo intenso – si presenta

così inusuale sul mercato da imporre la denominazione “giallo” all’intero genere letterario. Per di più Mondadori sceglie per queste collane economiche il canale delle edicole, introducendo un nuovo criterio distributivo che consente di intercettare segmenti di lettori altrimenti irraggiungibili attraverso la normale rete delle librerie. Il primo “Oscar” è Addio alle Armi di Ernest Hemingway: 60mila copie vanno esaurite nello stesso giorno di lancio della collana. Altri marchi editoriali importanti segnano lo sviluppo dell’industria editoriale in Italia, occupando settori diversificati: dalla narrativa all’editoria scientifica, da quella musicale a quella dei grandi libri illustrati, ritroviamo i nomi di Garzanti, Bompiani, Einaudi, Utet, Zanichelli, Laterza e poi Feltrinelli, Longanesi, Electa, Adelphi e tanti altri. Nel Dopoguerra sono alcuni tra i più bravi designer italiani e internazionali a contribuire

Campo Grafico La cultura tipografica e editoriale deve riconoscere il contributo di Attilio Rossi (1909-1994) con l’esperienza di “Campo Grafico”, la rivista che dal 1933 viene diffusa per 66 numeri fino al 1939.

Rossi dà vita al periodico all’età di 24 anni, con l’ambizione di estendere gli orizzonti dell’arte tipografica italiana attraverso la promozione delle esperienze del Bauhaus e delle nuove tendenze artistiche che si stanno affermando in Europa. “Campo Grafico” si impegna nella diffusione della modernità, innescando anche una brusca vis polemica nei confronti della rivista concorrente “Risorgimento Grafico”, diretta dal tipografo Raffaello Bertieri. Caratteristica di “Campo Grafico” è, per volere di Rossi, che la redazione resti aperta a tutti gli operatori dell’editoria e della stampa, che si riunisca al di fuori degli orari di lavoro e che ogni numero sia sempre diverso dal precedente.

Sopra: copertina di un volume della collana “La Medusa” (1933), forse la prima collana strutturata con standard visuali coordinati e reiterati. In alto al centro: Albe Steiner, copertina per Il Gattopardo, collana “Universale Economica” Feltrinelli, 1957. Al suo debutto il romanzo di Tomasi di Lampedusa vende 2,7 milioni di copie. In alto a destra: design di Bruno Binosi, con illustrazioni di Mario Tempesti: collana “Oscar Mondadori”, un caso editoriale e di marketing senza precedenti. Le copertine sfruttano la popolarità dei film che hanno portato sullo schermo gli stessi romanzi inclusi nella collana: le immagini sono infatti ritratti degli attori protagonisti.

Uno dei primi “Gialli Mondadori”: il codice cromatico della collana è fin dagli esordi così deciso da denominare la letteratura di genere.

Bruno Munari, impostazione grafica della collana “PBE”, Piccola Biblioteca Einaudi, 1962.

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alla formazione di un’identità editoriale per i marchi più importanti: Luigi Veronesi firma le copertine delle Edizioni Il Poligono, Albe Steiner quelle delle prime edizioni Feltrinelli (tra cui il romanzo di grande successo Il Gattopardo nel 1957), Bruno Munari quelle di Einaudi e Bompiani; Massimo Vignelli, Bob Noorda e Salvatore Gregorietti disegnano collane e “sistemi” di identità per Feltrinelli. Enzo Mari progetta per Adelphi e per Bollati Boringhieri. Il progetto del libro: l’anima del visual design Nella grafica editoriale la cultura del graphic e del visual design trovano oggi ancora il palcoscenico forse più rappresentativo, dove si combinano la cultura della tipografia e del lettering con il complesso bagaglio espressivo che contraddistingue il progettista contemporaneo. La trasformazione dell’industria editoriale in un comparto dove la sensibilità al mercato

e la capacità di interpretare gusti e tendenze del pubblico sono requisiti fondamentali per un designer, implica la capacità di saper individuare tecniche e soluzioni stilistiche appropriate, utilizzare materiali e risorse che oggi accompagnano l’estetica e la buona composizione del testo all’attrattività e al “piacere” di avere tra le mani uno degli oggetti più significativi della storia dell’umanità: il libro. Innumerevoli sono le tappe e le esperienze internazionali che nel corso del Novecento, e più recentemente in questa prima parte del XXI secolo, hanno fatto progredire ed evolvere la ricerca e la grafica nel comparto editoriale. Dai progetti di case editrici inglesi come Penguin, che hanno potuto avvalersi del contributo iniziale di Edward Young, di Jan Tschichold e di Germano Facetti, oggi magnificamente reinterpretati da David Pearson, a quelli di editori internazionali come

Thames & Hudson, Phaidon, Taschen e tanti altri, quasi tutti i graphic designer si sono dedicati almeno una volta, nel corso della carriera, alla progettazione di libri e collane. Alcuni di loro, come Chip Kidd, art director di Knopf e vera star della grafica editoriale, sono diventati interpreti influenti delle tendenze editoriali del proprio tempo, combinando la necessità di presentazione esteriore del prodotto con il rapporto emozionale e diretto con il lettore. C’è chi lo ha fatto in maniera costante o chi si è limitato a brevi incursioni, contribuendo sempre a rendere il comparto editoriale il sensore della disciplina attraverso i tempi, testimoniando l’evoluzione del rapporto dell’uomo con l’oggetto-libro. Per questa e altre buone ragioni saper progettare un libro costituisce uno dei requisiti irrinunciabili per qualsiasi designer che intenda arricchire con passione e consapevolezza la propria carriera nel mondo globale del progetto.

Sopra: una famosa copertina disegnata da Chip Kidd. Art director di Knopf, è free lance per Doubleday, Harper Collins e altri editori internazionali che si contendono il suo talento. In alto a sinistra: Bruno Munari e le rivoluzionarie copertine della collana “Nuovo Politecnico Einaudi”, 1965; il quadrato rosso nel fondo bianco riprende il potenziale visuale della bandiera giapponese e la copertina diventa un segnale coordinato dalla stupefacente attrazione visiva. In alto, al centro: Bob Noorda e Massimo Vignelli, collana “SC/10” per Feltrinelli (1963); le sperimentazioni investono oltre al quadrante di copertina anche il dorso: sullo scaffale della libreria il prodotto è immediatamente riconoscibile anche a distanza, perché infrange la regola della consueta ortogonalità.

Giulio Confalonieri, collana “Poeti Europei”, Lerici Editori (1958): alto livello di semantizzazione e di confidenzialità.

Le copertine Adelphi, uno stile immutabile e sempre equilibrato. Il design senza tempo ancora oggi distintivo.

Enzo Mari, collana “Universale scientifica Boringhieri” (1968): la gabbia offre molteplici opzioni e combinazioni.

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La nuova frontiera del libro: la stampa digitale e l’ebook

compiuti negli ultimi vent’anni in ambito digitale abbiano del tutto dissipato ogni dubbio riguardante la qualità della riproduzione di testi e immagini, ma soprattutto le perplessità legate agli orizzonti d’impiego possibili. Il limite del formato, fino a non molto tempo fa vincolato a poche opzioni legate alle dimensioni delle macchine e alla loro modalità di caricamento dei fogli, è stato superato con l’introduzione di formati più grandi, che consentono segnature più articolate e allestimenti ormai sempre più sofisticati. La riluttanza con cui i “puristi” dell’editoria consideravano fino a poco tempo fa la stampa digitale è stata accantonata per scoprire nuove possibilità, per esempio nella cosiddetta “piccola editoria” o in quel tipo di produzione dove la necessità della personalizzazione o la bassissima tiratura avevano sempre impedito una certa dignità di presentazione o la rivelazione di un autore più timido degli altri. L’autoproduzione, per esempio, è diventata

In un libro come questo, soprattutto in una sezione in cui si intende presentare una sintetica storia dell’evoluzione della stampa, è opportuno e giusto considerare la fase contemporanea con un riferimento alle “altre” frontiere, aperte recentemente con i progressi raggiunti dalla stampa digitale su carta e la pubblicazione di libri “senza carta”, acquistabili e scaricabili dai lettori sul proprio dispositivo digitale. La cultura progettuale del libro prescinde oggi dalle tecniche e dalle tecnologie con cui lo si trasforma in artefatto (analogico o digitale) ed è giusto che il progettista sappia aggiornarsi continuamente, per poter interpretare incarichi sempre diversificati della committenza. È fuori di dubbio che i progressi tecnologici

Progettazione

più accessibile proprio con la stampa digitale e oggi con le nuove forme di libri digitali (ebook) il debutto dell’autore direttamente sul mercato (con il lancio dell’inedito sulle piattaforme specializzate) apre spazi di mercato un tempo impensabili. Mentre la stampa digitale compie progressi continui (dal supporto impiegabile al tipo di trasferimento degli inchiostri, dal numero dei colori alla velocità) la pubblicazione di ebook si affianca a quella analogica con un processo di penetrazione nel mercato, non rapida, ma senz’altro progressiva. L’avvento della stampa digitale I sistemi di stampa digitale inizialmente assomigliano molto a quelli installati sulle copiatrici-stampanti evolute: dotati di interfaccia e capaci di tradurre dei file in RIP in grado di governare la trasformazione in immagine digitale, la stampa debutta in questo ambito con una buona velocità e una sempre più estesa funzionalità per perso-

Stampa digitale

Legatura

+ ESECUTIVI

CONTROLLO FILE

STAMPA • COPERTINA • BLOCCO LIBRO

PROGETTO

FILE

CONFEZIONE

• COPERTINA FASE PRESTAMPA

• BLOCCO LIBRO

CONTROLLO FILE

FASE ANALOGICA STAMPA

CTP

LASTRE MONTAGGIO SU MACCHINE PER LA STAMPA 1 colore = 1 lastra

EVENTUALI FINITURE (PIEGA, PLASTIFICAZIONI, CORDONATURE, FUSTELLATURE, SERIGRAFIE)

STAMPA • COPERTINA • BLOCCO LIBRO

Stampa offset

Nello schema: la diversificazione delle fasi di processo nel caso della stampa di un libro con tecnologia digitale oppure con tecnologia offset.

Processo digitale Si evita la preparazione delle lastre e dopo un controllo del file al computer si può procedere direttamente con la fase di stampa (solo in nero o in quadricromia).

Successivamente alla comune fase di progettazione e di preparazione degli esecutivi (che comunque sempre è finalizzata alla produzione di un file per la stampa), i due percorsi si differenziano sin dalla fase di prestampa.

Processo offset Si affronta preliminarmente una fase di trasferimento dei file sulle lastre (CTP, Computer To Plate) che dalla forma digitale genera la lastra (una per ogni colore di stampa, non solo di quadricromia, ma anche speciale) che verrà montata sulla macchina da stampa. La stampa si conclude (separatamente per le segnature del blocco libro da quella della copertina) con la fase di finitura o confezione finale.

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nalizzazioni, stampe mirate e diversificate. L’eliminazione dei passaggi intermedi, con l’impiego diretto del file dall’inizio alla fine del processo di stampa, è la virtù principale del sistema digitale. Il progresso raggiunto nella tecnologia più recente consente oggi di stampare formati sempre più grandi, utilizzando anche moduli integrativi per le finiture in linea e la confezione dello stampato. È una tecnologia che si rivela conveniente per le basse e bassissime tirature (anche per un esemplare soltanto!), o per lavori estremamente urgenti (dove è necessario evitare il processo di pre-stampa) e in cui la velocità di realizzazione costituisca per esempio il valore fondamentale del risultato. È piuttosto ovvio che se il primato è quello della velocità (al fine di poter rispettare una consegna altrimenti impossibile) si deve essere consapevoli del limitato controllo sul risultato del colore finale, delle

Basse tirature

Velocità e personalizzazione anche su una sola copia Economicità alle basse tirature

Medie/alte tirature

Più varietà di carta per il blocco libro

Segnature con più pagine

Stampa digitale a foglio: i due sistemi più diffusi La stampa digitale si divide oggi sostanzialmente in due categorie di produzione: da una parte il processo digitale classico con toner (sistemi Xerox, Canon, Konika-Minolta) e dall’altra quello HP Indigo (un brevetto innovativo dell’HP) che utilizza inchiostro liquido parcellizzato fino a 1-2 micron, permettendo così una più elevata risoluzione, brillantezza, nitidezza eliminando l’effetto di “spessore” del toner.

finiture speciali (per ora possibili solo con processi offset o serigrafici). Sempre più spesso si ricorre, grazie alla stampa digitale, anche a forme combinate delle diverse tecniche a disposizione: gli interni possono essere stampati in digitale, ma la conclusione della produzione può avvenire con finiture in serigrafia o stampa a caldo, con metodi tradizionali. La stampa digitale non può utilizzare colori speciali (metallizzati o riferiti al campionario Pantone), e nel caso di una particolare confezione si può ricorrere alla legatura sia con la fascicolazione praticata dalla stessa macchina affiancandole uno o più interventi manuali. Anche la copertina del libro, in alcuni casi, può essere realizzata in offset per poi essere applicata – in fase di confezione – al corpo libro prodotto invece con tecnologia digitale. Nella Parte Seconda di questo manuale prenderemo in considerazione l’aspetto tecnico di questo tipo di stampa.

L’ebook Discorso diverso è quello della pubblicazione di un ebook. Anche se la sua forma più semplice è quella di una pubblicazione ePub (o altri formati compatibili con i dispositivi eReader come Mobipocket) scaricabile da una piattaforma editoriale, l’aspetto estetico dato dalla gabbia e dal carattere utilizzato, dalla sfogliabilità e dall’eventuale ricchezza di contenuti multimediali, nel pieno rispetto dell’autore e del lettore, deve sempre permettere una lettura agevole e pratica. Un’impaginazione curata, l’impiego di margini e caratteri adeguati alla proporzione della pagina scritta (seppure adattabile ai diversi dispositivi eReader con schermi a diversa risoluzione e dimensione) sono requisiti importanti.

Libro stampato con processo digitale La stampa della copertina avviene su un supporto (cartoncino) e quella delle segnature del blocco libro su un altro (carta patinata o usomano). Vantaggi: velocità ed economicità (ideale per basse tirature o personalizzazioni). L’aggiornamento è rapido (si interviene direttamente sul file) e le eventuali correzioni non prevedono aggravi di costo. Svantaggi: le segnature sono con fogli di formato ridotto. Non si possono utilizzare colori speciali (Pantone, metallizzati) né verniciature in macchina.

Libro stampato con processo offset La stampa della copertina avviene su un supporto (cartoncino) e quella delle segnature del blocco libro su un altro (carta patinata o usomano). Vantaggi: la qualità è spesso più accurata. La stampa è in quadricromia e/o con colori Pantone (speciali) e le finiture avvengono direttamente in macchina. Le segnature possono usare fogli di formato più grande. Svantaggi: correzioni e aggiornamenti sono più costosi perché occorre rifare le lastre. I tempi di pre-stampa e stampa sono più lunghi. Il processo non è conveniente per le basse tirature.

Con Indigo si raggiunge un’elevata uniformità dei fondini e la carta rimane “piana” (non si arriccia) perché la stampa avviene a freddo, senza contaminazione con i rulli fusori delle stampanti tradizionali. Sono consentite grammature leggermente superiori e i retini restano ben definiti. La qualità si avvicina in maniera rilevante alla stampa piana in offset e in fase di confezione non si incontrano in piega i rischi della carta alterata.

Un altro elemento rilevante è il formato del dispositivo, che cambia radicalmente l’esperienza di lettura, destinando la fruizione soprattutto a romanzi e saggi e non propriamente a libri d’arte, in particolare quando sono originalmente in grande formato. La possibilità dell’inserimento di link e approfondimenti multimediali, con note e contributi dinamici, è in grado di rendere la lettura differente, una vera e propria forma di intrattenimento esperienziale. È decisamente un’altra forma di libro, anche se la carta non c’è più. L’ebook è potenzialmente capace di aprire infinite possibilità di evoluzione a una forma che, pur rinunciando al fascino della carta “che fragra”, apre a nuovi segmenti di pubblico e ambiti di applicazione. Una nuova sfida per il design editoriale, una nuova occasione per rendere il libro (di carta o senza) sempre più affascinante. E per continuare a progettare libri, comunque.

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La leggibilità, in pratica, equivale semplicemente a ciò a cui si è abituati. Ma questo non vuol dire che, poiché ci siamo abituati a qualcosa di meno leggibile di qualcos’altro, non dovremmo fare alcuno sforzo per sostituire ciò che è già esistente. Questo atto fu compiuto dai Fiorentini e dai Romani del quindicesimo secolo; richiede semplicemente il buon senso degli autori e la buona volontà del resto di noi. Eric Gill

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PARTE SECONDA

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LE TECNICHE

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Elementi costituitivi del libro: il carattere tipografico È il momento di affrontare la scrittura come uno degli elementi che danno senso e consistenza al libro: nella sezione precedente abbiamo considerato, da un punto di vista storico, il disegno del carattere tipografico come un processo parallelo all’evoluzione della scrittura e delle tecniche di stampa, ed è bene ricordare che il disegno del carattere è una preziosa testimonianza delle trasformazioni avvenute nei diversi periodi storici. Abbiamo già considerato come ogni epoca determini, attraverso la scrittura e le sue applicazioni tipografiche, le proprie pulsioni e tendenze di tipo estetico e socio-culturale. Il disegno della lettera tipografica (di qualsiasi alfabeto occidentale) diventa nel corso dei secoli una forma di traduzione dalla scrittura latina: l’adozione di strumenti di

scrittura sempre più evoluti (dallo stilo per le tavolette di cera alla penna per la carta) comporta l’affinamento di forme estetiche e compositive sempre più variegate e in grado di riflettere lo spirito e le esigenze dell’epoca. La disponibilità di alfabeti tipografici di varia origine, e soprattutto le profonde modificazioni che investono il disegno dei caratteri, portano nel corso dei secoli a delineare categorie stilistiche e gruppi di alfabeti (famiglie) che per il progettista grafico costituiscono un bagaglio di riferimento non solo di tipo tecnico, ma anche e soprattutto di ordine culturale. Le classificazioni tipografiche Numerose sono le classificazioni dei caratteri che ritroviamo a seconda delle aree geografico-culturali di riferimento; a François Thibandeau nel 1924, a Maximilien Vox nel 1954, Hermann Zapf e Willy Wengen nel 1962, al nostro Aldo Novarese nel 1956,

dobbiamo quattro versioni della classificazione tipografica secondo l’influenza della cultura del proprio paese. Più recentemente Lewis Blackwell, in uno studio del 1988, ha esteso la classificazione in sedici raggruppamenti, che includono anche quelle nuove serie di caratteri sorte con l’avvento del computer e necessarie per le applicazioni tecnologiche. Le categorie di Blackwell tentano di sistematizzare (forse con qualche forzatura) disegni anche piuttosto controversi, da quelli deformati ai riflessi di nuovi grafismi estemporanei dalla dubbia longevità. Le infinite possibilità di intervento digitale con la manomissione del carattere standard, consentono oggi la generazione di deboli alfabeti che trascurano le norme di base su cui, per secoli, i disegnatori migliori hanno basato la propria opera. Gli stessi computer di cui oggi facciamo uso per la composizione del testo, al momento dell’installazione ci offrono centina-

LA CLASSIFICAZIONE DI MAXIMILIEN VOX

Origini: i primi caratteri umanistici del XV secolo

Riferimenti: da Garamond a Manuzio. Ispirati dai caratteri rinascimentali

Riferimenti: caratteri del XVII e XVIII secolo

Riferimenti: caratteri da Didot e da Bodoni

Caratteristiche: tratti terminali (grazie) squadrati

Caratteristiche: senza tratti terminali

Origini: incisioni lapidarie e xilografiche

Ispirati dalle scritture cancelleresche e moderne

Caratteristiche: disegno in cui emerge l’intervento manuale

Ispirazione gotica in tutte le varianti

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ia di caratteri – spesso dal nome bizzarro – già disponibili nel software standard e nel programma di scrittura del pacchetto. Sono frequentemente versioni manipolate di caratteri storici, alterazioni che non hanno alcun senso perché disperdono il patrimonio di secoli costruito attraverso il rigore e il senso preciso della finalità della composizione tipografica. La classificazione di Novarese In questo volume prendiamo come riferimento la classificazione che sembra, soprattutto per la sua valenza didattica, ancora reggere il tempo, formulata nel 1956 da Aldo Novarese (vedi p. 60-61). La classificazione di Novarese prevede dieci gruppi distinti: Lapidari, Medievali, Veneziani, Transizionali, Bodoniani, Scritti, Ornati, Egiziani, Lineari, Fantasia. Le prime otto partizioni considerano i caratteri “con le grazie”, le ultime due quelli “senza grazie”.

I caratteri tipografici sono sempre stati indicati, nei secoli, in genere con il nome del loro progettista, a cui viene spesso associato il nome della fonderia, oppure con l’attribuzione di un nome arbitrario. La riconoscibilità del disegno e dei dettagli (in genere osservando le grazie e le aste) dovrebbe bastare a rendere identificabile il carattere e il fonditore, con la finalità di non mischiare – in caso di riedizioni corrette dello stesso lavoro – caratteri “simili” ma non esattamente uguali. È spesso accaduto, soprattutto ai tempi delle “cassette tipografiche” con i caratteri in piombo, che per aggirare le norme sul copyright una fonderia agisse sul disegno modificando dei tratti o l’orientamento delle grazie, così da poter ridenominare l’intero alfabeto a proprio vantaggio e rendere commercializzabile la “polizza” (cioè la serie di caratteri messa in vendita) sotto la forma di una produzione apparentemente “nuova”. Esistono, per esempio, tante versioni

di Garamond, uno dei caratteri più utilizzati nella composizione di testi per l’editoria: una verifica attenta delle grazie e dei “becchi” delle maiuscole, degli “occhi” e delle “trasversali”, consentirà di identificare la versione in esame. Non per tutte le serie di caratteri sono disponibili opzioni dalla diversa “consistenza”, data dal diverso spessore delle aste, dalla proporzione delle lettere, dalla disponibilità di lettere maiuscole e minuscole, da numeri e punteggiatura, fregi. Scegliere il giusto carattere significa saper prevedere la sua risposta nei diversi momenti d’impiego editoriale: non sempre il carattere che in generale prediligiamo è quello adatto per quel particolare tipo di composizione. Saper individuare la migliore alternativa e il corretto abbinamento, per esempio tra due diversi caratteri nello stesso testo, è ciò che contraddistingue la sensibilità e il bagaglio di un buon progettista editoriale.

GLI ACCOSTAMENTI TRA I CARATTERI (SECONDO ALDO NOVARESE) LAPIDARI LEGENDA

Aquinas

CONSIGLIABILE SCONSIGLIABILE

MEDIEVALI LAPIDARI

Agincourt

MEDIEVALI VENEZIANI

VENEZIANI

Garamond

TRANSIZIONALI

TRANSIZIONALI

BODONIANI

New Baskerville

SCRITTI ORNATI

BODONIANI EGIZIANI

Bodoni

LINEARI SCRITTI

FANTASIA

Cancelleresca

Sopra: nella sterminata opera di Aldo Novarese resta celebre anche la sua tabella degli accostamenti suggeriti o compatibili tra i caratteri tipografici.

ORNATI

A fianco: la classificazione dei caratteri secondo Aldo Novarese (1956), forse ancora la più convincente anche da un punto di vista didattico-culturale.

Victorian

EGIZIANI Rockwell

Nella pagina accanto: la classificazione di François Thibandeau (1924), che ripartisce “quattro grandi famiglie” e cinque definizioni minori; all’estremo di pagina 68, la classificazione di Maximilien Vox (1954), adottata nel 1962 dall’ATypI (Association Typographique Internationale). Vox, disegnatore umoristico francese passato alla grafica e allo studio della tipografia, è stato l’ideatore dei famosi Rencontres internationales de Lurs, l’appuntamento dei grandi disegnatori di caratteri tipografici del Novecento.

LINEARI Helvetica

FANTASIA Gilles Gothic

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Fondamenti di tipometria La nomenclatura e le definizioni legate al carattere tipografico hanno mutuato dal disegno dei caratteri in piombo i termini che ancora oggi utilizziamo per indicare le loro caratteristiche. Anche se la nostra epoca è definitivamente quella della composizione digitale, è importante sapere che tutta la terminologia ancora oggi in uso deriva da secoli di cultura tipografica che i maestri hanno contribuito a formare e a diffondere con il proprio lavoro e lo spirito di continua ricerca. Molte definizioni, alcune davvero curiose, riprendono il linguaggio dell’epoca in cui sono state introdotte. Oggi è in vigore l’espressione “font” che sempre più frequentemente sostituisce nel linguaggio parlato e nella comunicazione commerciale il termine “carattere”. A fianco: nelle due tabelle il confronto tra il sistema di misurazione Didot (o Cicero) e il sistema Pica, con riferimenti in millimetri e pollici.

SISTEMA DIDOT 0

1

2

3

4

5

6

CENTIMETRI 0

1

2

SISTEMA PICA 0

1

2

3

4

5

6

POLLICI 0

1

Il rapporto tra le grandezze espresse in punti Didot (e la loro scala in millimetri) e in Pica (e la loro scala in pollici).

L’etimo è di origine francese (XVI secolo) e indica il getto di fusione del carattere (font). In questo libro continueremo però, per rispetto alla secolare cultura della stampa nel nostro paese e alla storia del disegno dei caratteri, a utilizzare prevalentemente il termine “carattere tipografico”. La scala tipometrica Didot Il sistema di misurazione adottato in Europa e in molti altri paesi è quello denominato Didot, introdotto nel 1770 dal suo ideatore (Françoise-Ambroise Didot, figlio di uno dei grandi pionieri della storia della tipografia). Si basa su un’unità di misura definito “punto” Didot, pari a 0,375933986 mm, che viene da sempre arrotondato a 0,376 mm. Il sistema Didot prevede l’impiego della “riga” tipografica, composta da 12 punti Didot: una riga tipografica corrisponde dunque a 4,512 mm. Il sistema ha assunto anche la denominazione di Cicero, ripren-

MISURAZIONE DIDOT Punti Didot

dendo il nome di un carattere tipografico italiano del XV secolo. Nelle aree di cultura anglosassone si utilizza prevalentemente il sistema Pica, messo a punto da Benjamin Franklin, dove dodici punti costituiscono sempre una riga tipografica, ma dove il valore di riferimento del punto è di 0,351 mm. Nel nostro sistema si dà per scontato che si operi in punti Didot, ma è importante tenere presente che nei computer abitualmente usati il sistema adottato è il Pica e che comunque – nel caso di rapporti professionali con operatori di altri paesi – è sempre da specificare chiaramente il sistema tipometrico a cui si fa riferimento. Lo strumento che per molti anni ha accompagnato il lavoro del progettista editoriale e quello del tipografo è stato il tipometro, per lungo tempo un righello prima di metallo, poi diventato negli ultimi decenni di plasti-

MISURAZIONE PICA

mm

Punti Pica

Pollici

1

0,376

1,070

0,0148

2

0,752

2,139

3

1,128

4 5

Punti Pica

Pollici

Punti Didot

mm

1

0,0138

0,935

0,351

0,0296

2

2,0277

1,869

0,703

3,210

0,0444

3

0,0416

2,804

1,054

1,504

4,280

0,0592

4

0,0555

3,738

1,406

1,879

5,349

0,0740

5

0,0694

4,673

1,757

6

2,255

6,419

0,0888

6

0,0833

5,608

2,108

7

2,361

7,489

0,1036

7

0,0972

6,542

2,460

8

3,007

8,559

0,1184

8

0,1111

7,477

2,811

9

3,383

9,629

0,1332

9

0,1249

8,411

3,163

10

3,759

10,699

0,1480

10

0,1388

9,346

3,514

11

4,135

11,769

0,1628

11

0,1527

10,281

3,865

12

4,512

12,839

0,1776

12

0,1666

11,215

4,217

24

9,023

25,678

0,3552

24

0,3333

22,430

8,434

36

13,532

38,516

0,5328

36

0,4999

33,646

12,650

48

18,043

51,355

0,7104

48

0,6666

44,861

16,867

60

22,554

64,194

0,8880

60

0,8333

56,076

21,084

72

27,065

77,032

1,0656

72

1,0000

67,291

25,301

84

31,577

89,871

1,2432

84

1,1666

78,506

29,518

96

36,088

102,710

1,4208

96

1,3333

89,721

33,735

108

40,599

115,548

1,5984

108

1,4999

100,936

37,952

120

45,110

128,387

1,7760

120

1,6666

112,151

42,169

132

49,621

141,226

1,9536

132

1,8333

123,367

46,385

144

54,132

154,065

2,1312

144

2,0000

134,582

50,602

70

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ca trasparente, con cui si misura il corpo di un carattere, l’interlinea, le giustezze e le distanze tra colonne di testo. In pratica il tipometro, oltre a riportare sui due lati lunghi una scala in millimetri e due in righe tipografiche Didot (Cicero) e Pica, reca al suo interno delle altre scale che consentono di identificare l’interlinea di uno stampato, o di decidere – in fase progettuale – l’aspetto da conferire alla pagina di testo. Oggi, essendo sostanzialmente una funzione incorporata nei software di impaginazione dei computer, il tipometro è scarsamente utilizzato in fase progettuale, mentre può ancora rivestire una certa utilità in fase di identificazione delle caratteristiche tipometriche di uno stampato esistente. Le scale stampate sul tipometro in plastica trasparente sono in genere previste con l’indicazione dai 6 punti ai 13 punti Didot: appoggiando le linee che stabiliscono la caduta in successione dell’interlinea (lo spazio che intercorre tra una riga e quella

successiva) sul testo già stampato, si può risalire alle caratteristiche tipometriche di ciò che si sta esaminando. Lo strumento, seppur molto semplice, consente di identificare interlinea anche multiple delle scale contrassegnate: per esempio utilizzando la scala del punto 7 ci si può riferire all’interlinea 14 punti contando due righe di corpo 7; contando tre righe di corpo 7 si ottiene come riferimento l’interlinea 21 punti. Lo stesso sistema può essere usato per le altre dimensioni di corpo. La dimensione di un carattere, cioè la sua altezza complessiva, si definisce “corpo”, e naturalmente anch’essa si esprime in punti tipografici. Il corpo di un carattere indica la distanza tra l’allineamento superiore e quello inferiore: al punto estremo dell’ascendente e al punto estremo della discendente è sempre da considerare inoltre un piccolo spazio che impedisce a righe di testo sovrapposte di toccarsi e confondersi.

Che cosa si può fare con un tipometro? Di fronte a uno stampato, con il tipometro si possono riconoscere le dimensioni delle righe di testo (giustezza), delle colonne di testo, delle distanze tra una colonna e l’altra (canalini), anche se nell’uso corrente si fa ormai sempre riferimento, per le gabbie, a dimensioni espresse in millimetri (per le giustezze di testo, i canalini, i margini di una pagina) anziché in punti o righe tipografiche. Più difficile – con il tipometro – risalire per un occhio meno esperto all’esatto corpo di un carattere stampato, perché gli alfabeti possono presentare lettere con caratteristiche differenti tra loro per ascendenti, occhio, discendenti. Sotto: riproduzione parziale di un tipometro, con la scala in punti Didot (Cicero), in centimetri su un lato e quella del punto 6/12 sul lato opposto. Con le scale interne si stabilisce l’interlinea: si appoggia la scala sulla base di una riga di testo e quando le sue righe combaciano con tutte le righe della composizione esaminata si può stabilire la dimensione dell’interlinea.

Carattere lineare (bastone o san serif)

Carattere graziato (serif)

Il corpo di un carattere tipografico è definito dalla distanza tra la massima estensione dell’ascendente e la massima estensione della discendente, a cui viene aggiunto un piccolo spazio (A e A’) a entrambi gli estremi così da impedire a righe sovrapposte con interlinea “corpo su corpo” (per esempio, una composizione in corpo 9 pt. su 9 pt. di interlinea) di congiungersi, generando una cattiva leggibilità.

A

A

corpo

A’

71

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Il disegno dei caratteri tipografici: norme e definizioni

1. Lettera

11

2. Faccia posteriore

13

3. Fusto 4. Faccia anteriore

Le definizioni e la nomenclatura utilizzate in tipografia e nella grafica editoriale hanno origine dall’evoluzione della scrittura, che subisce continui e progressivi cambiamenti con l’introduzione di pratiche e strumenti sempre più perfezionati nel corso dei secoli. La forma della lettera alfabetica, nel momento dell’invenzione della stampa a caratteri mobili, assume differenziazioni imposte dalle tecniche di modellazione e fusione della lettera con la lega di piombo e riflette tendenze estetiche del periodo storico in cui gli alfabeti testimoniano le trasformazioni socio-culturali in atto. Le definizioni in uso tuttora nel mondo della composizione digitale sono ancora quelle storicamente riferite al blocchetto di lega di piombo con cui si componevano i testi nelle antiche tipografie.

14

5. Piede 15

6. Canale 7. Corpo

12

1

8. Ampiezza

15

9. Altezza tipografica 10. Tacca

7

2

11. Spalla superiore 12. Spalla inferiore 3

13. Smussatura 14. Asta

4

15. Spalle laterali 9

10

5 6

5 8

Sopra, a destra: È utile conoscere le definizioni delle parti del carattere, mutuate dal disegno e dalla fusione del carattere in piombo. Buona parte di questa nomenclatura è ancora in uso soprattutto tra i font designer.

ASTE

Discendente

Asta retta

Nella tavola al centro della doppia pagina: Le principali definizioni degli elementi compositivi del disegno del carattere tipografico. Ascendente

Discendente

Media

Montante

Obliqua

Orizzontale

Trasversale a incrocio

Trasversale (barra)

Trasversale spezzata

Verticale

Ad anello

Ondulata (spina)

Ascendente

Discendente

Asta curva

Sotto: definizione degli allineamenti e dell’occhio di un carattere tipografico.

Allineamento superiore Occhio superiore Occhio medio Occhio inferiore

Allineamento medio superiore Allineamento medio inferiore (linea di base)

parola

Corpo

Ad arco

Occhio

Ascendente

Allineamento inferiore

72

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Normalmente un alfabeto completo si esprime con circa 120 lettere che, comprendendo non solo maiuscole e minuscole, ma anche segni di interpunzione, numeri, politipi e simbologie, consente di disporre di circa 200 elementi utili. Non tutti gli alfabeti sono completi, perché molto spesso sono stati disegnati con funzioni precise e non per applicazioni universali. Occorre quindi prevedere i requisiti necessari del carattere per la composizione, e soprattutto considerare la sua funzione specifica: non sempre il miglior carattere per un testo corrente riesce a essere la soluzione ideale per un saggio scientifico in cui sono incluse tabelle e formule. (Per esempio, la cifra 1 del Gill Sans potrebbe essere confusa con una “i” maiuscola o una l minuscola e la confusione tra testo e cifre dello stesso alfabeto in una formula matematica potrebbe risultare fatale alla comprensione, vedi p. 125).

MAIUSCOLO

MINUSCOLO

MAIUSCOLETTO

NUMERI ALTI E NUMERI ALTI E BASSI (O “SALTELLANTI”)

SEGNI DI INTERPUNZIONE

POLITIPI

In alto a sinistra: Un esempio di alfabeto con varianti, numeri, interpunzioni e legature (Bodoni Bauer).

ALTRI PARTICOLARI

Becco

Braccio

Bracci

Coda curva

Coda retta

Collo

Cravatta

Occhiello

Orecchio

Pilastrino

Uncino (gancio)

Uncino (gancio)

Vertice superiore

Le eleganti legature dei politìpi, cioè i caratteri che assemblano due o più lettere per rendere più equilibrato ed elegante il loro accostamento e spaziatura. Il famoso corsivo disegnato da Francesco Griffo per Aldo Manuzio (che si diffuse con il nome di Italic) conteneva già all’epoca circa settanta politìpi, progettati per contenere la lunghezza delle composizioni di testo e bilanciare le spaziature.

Vertice inferiore

Minuscola ascendente

Altezza centrale del minuscolo

Maiuscola

Minuscola

Altezza delle minuscole ascendenti

Altezza delle minuscole discendenti

Minuscola discendente

73

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La composizione del testo

l’altezza di una colonna di testo: in questo caso si parla di “giustezza di colonna”.

Qualsiasi sia il carattere che si sceglie per la composizione dobbiamo deciderne la giustezza, il corpo, l’interlinea, la spaziatura e la forma della sua composizione.

Per indicare la lunghezza di una riga di testo si usa dire, per esempio “testo in giustezza 61 mm”. Nel caso ci si dovesse riferire alle misurazioni Pica o Didot (Cicero) useremo i valori accompagnandoli con il termine “righe tipografiche”. Teoricamente è impossibile trovare una corrispondenza precisa tra una misura in millimetri e una in righe tipografiche: una giustezza di 61 mm corrisponderebbe a 13,5195035 righe tipografiche. La diffusa abitudine a utilizzare il sistema metrico decimale ha sostituito quasi definitivamente l’uso dei punti tipografici nella definizione delle gabbie e delle giustezze.

La giustezza È la lunghezza, espressa in “righe tipografiche” (punti Didot o Cicero), oppure in millimetri, della riga di testo composta. Un tempo era praticamente impossibile ottenere giustezze che non fossero governabili meccanicamente; oggi con la composizione digitale si possono ottenere giustezze con valori decimali molto precisi. Tuttavia il consiglio è di definire misure facilmente identificabili anche su uno stampato, evitando le frazioni di millimetro, così da poter semplificare l’analisi di un layout di prova e in generale le attività di impaginazione. Si può usare il termine giustezza per indicare A fianco: una composizione in corpo 12 pt Pica su interlinea 14 pt. La lunghezza di una riga di testo si esprime in righe tipografiche (nel sistema Didot 1 riga = 12 punti). La giustezza della composizione a fianco è di 122 mm; nel sistema DIdot corrisponderebbe a 27 righe tipografiche. Con la diffusione del DTP il sistema Pica ha preso il sopravvento. Il vecchio tipometro (vedi p. 70-71) può comunque ancora essere utilizzato con la scala Pica per le nuove pubblicazioni, mentre la sua scala Didot può risultare utile per identificare corpi e interlinea di un libro stampato prima della composizione digitale.

1

A fianco: questa composizione mantiene lo stesso corpo 12 pt Pica, ma l’interlinea è più aperta, e la giustezza ridotta. Per descrivere questa composizione in modo comprensibile ci esprimiamo così: testo composto a pacchetto, in Garamond tondo chiaro M/m (Maiuscolo/minuscolo) corpo 12 pt su 16, giustezza 91,5 mm.

1

Il corpo tipografico Abbiamo già trattato (p. 72-73) la sua definizione. Ricordiamo che è espresso in punti Didot o Pica e che definisce l’esten-

sione massima in altezza del carattere impiegato (ascendenti, discendenti e occhio medio e spazi di allineamento superiore e inferiore). L’interlinea È la distanza tra una riga e quella successiva in una colonna di testo. Viene indicata in punti tipografici, perché viene considerata anche in base all’occhio del carattere utilizzato. La misura definisce lo spazio in punti tipografici tra l’appoggio dell’occhio medio di una riga di testo (base del carattere) e l’appoggio dell’occhio medio della riga successiva. Le indicazioni di interlineatura si esprimono con corpo e intervallo, per esempio: corpo 11 su 13 significa che usando un corpo 11 pt. si terrà uno spazio di 2 pt. tra le righe (il corpo + la distanza ulteriore); per un’interlineatura più aperta: corpo 11 su 15 (4 pt. di distanza tra i corpi). Per alcuni tipi di carattere, o per gabbie particolari (giustezze molto corte, canalini

2 3 4 5 6 7 8 Giustezza 122 mm Interlinea = 14 pt

2 3 4 5 6 7 8 Giustezza 91,5 mm Interlinea = 16 pt

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di distanza tra le colonne piuttosto ampi) potrebbe essere utile stringere l’interlinea per un miglior risultato estetico; tuttavia il rischio è di far toccare ascendenti e discendenti minacciando la leggibilità. In genere se il testo è composto in caratteri maiuscoli con un corpo rilevante è addirittura consigliabile stringere l’interlinea. Quando le righe di testo subiscono una riduzione dello spazio si dice che sono “sterlineate”. In linea di principio è sempre bene considerare una distanza tra le righe del 120% del corpo utilizzato (corpo 10 su 12 pt), se i corpi restano ovviamente invariati. Si può operare anche sulla pagina con interlineature più ampie, ma tutto dipende sempre dall’insieme equilibrato del layout e dal senso che intendiamo trasmettere con la composizione del testo. Naturalmente questi sono solo suggerimenti, perché alla fine sono l’esperienza e la visione d’insieme del progettista a trovare la soluzione compositiva ideale. HELVETICA LIGHT CONDENSED

HELVETICA LIGHT

HELVETICA LIGHT EXTENDED

58 mm

58 mm

58 mm

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas. Uptasi eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun.

corpo 10/10

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas. Uptasi eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun.

corpo 12/12

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperm quas ma. Omnita in repedis dolliquam.

corpo 16/15

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperm quas ma. Omnita in repedis dolliquam.

corpo 16/14

Qui sopra: In questo esempio risulta evidente come, a parità di corpo, il disegno del carattere possa modificare in maniera rilevante gli ingombri di testo; sulla stessa giustezza di 58 mm il corpo 36 pt dell’Helvetica light si comporta in maniera differente dall'Helvetica light condensed e dall'Helvetica light extended: il numero di battute varia senza nemmeno cambiare “forza” del carattere. A fianco: Composizioni di testo in cui si mostra che all’incremento del corpo è consigliabile un contenimento dell’interlinea; se fino al corpo 12 pt il testo regge l’interlinea “corpo su corpo”, a un corpo 16 può essere associata un’interlinea minore senza compromettere la leggibilità. È comunque sempre consigliabile eseguire delle prove e analizzare la risposta della composizione stampata al naturale (non allo schermo del computer!). In alto in questa pagina: Una doppia pagina disegnata da Charles Nypels, grafico, stampatore e editore olandese (1895-1952). Una composizione ardita, ma equilibrata, del 1923, dove sono utilizzati corpi, giustezze e composizioni differenti con soavità e sapienza: a sinistra una composizione a pacchetto che si esaurisce in un finalino decrescente; a destra un capolettera vistoso e “fuorigabbia” impone l’altezza di colonna alla prima parte del testo sagomato in maiuscoletto e con due corpi tipografici; il resto del testo è composto a pacchetto maiuscolo/minuscolo.

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L’aspetto del testo: la spaziatura e la forma Spaziatura La spaziatura è lo spazio esistente tra due lettere accostate nella formazione di una sillaba o di una parola, o tra le parole: nella teoria tipografica il riferimento è l’antica misura del terziruolo, cioè approssimativamente la grandezza di un terzo del corpo del carattere impiegato. Il terziruolo è il sottomultiplo (1/3) della misura base detta “quadratone”, che prende come riferimento la base della lettera alfabetica con le dimensioni più grandi (in genere la W maiuscola). Il quadratone (che veniva usato nella composizione tipografica con i caratteri di piombo) viene idealmente suddiviso in 18 unità, le cui frazioni servono a indicare la “larghezza” propria del singolo carattere (la M maiuscola sarà indicata da una frazione di unità più alta della i minuscola).

L’accostamento delle lettere nella formazione di una parola è importante per dare armonia al testo e agevolare la lettura. Altrettanto determinante è lo spazio che si viene a creare tra una parola e quella successiva, che viene approssimativamente considerato di circa un terzo del corpo in uso. L’intervento di riduzione e bilanciamento degli spazi tra coppie di lettere si definisce crenatura (dal termine inglese kerning): i software di composizione e impaginazione sono molto migliorati recentemente, tuttavia l’accostamento appare ancora, per molte delle coppie di lettere, piuttosto eccessivo o disequilibrato. Il principio di correzione si basa su regole ottiche ed estetiche (e soprattutto sull’esperienza del designer) che prevedono, per esempio, l’ingresso dello spazio della prima lettera nello spazio della seconda e in generale un’armonizzazione dei rapporti tra gli spazi bianchi e i pieni delle aste. La raccomandazione è quella di effettuare

delle prove e correggere otticamente, lettera per lettera, la crenatura con il programma di composizione; utilizzando Adobe InDesign si può comporre il testo con due tipi di intervento: metrico (segue le normative del designer autore del carattere) o ottico (un algoritmo corregge parzialmente l’assenza di informazioni sulla spaziatura corretta del carattere). Con i software più comuni per testo e impaginazione (per esempio Word e InDesign) è impossibile curare parola per parola la spaziatura di tutto un romanzo o di un saggio; è bene però controllare gli spazi per i corpi più consistenti, come quelli di autore e titolo in copertina, negli apparati iniziali. Forme della composizione Il testo può essere composto con diverse forme: quelle fondamentali sono quelle a pacchetto, a bandiera (a sinistra, a destra), a epigrafe, sagomata. Possiamo comporre il testo anche con una

A fianco: esempio di spaziatura (impostazione di default) dal word processor di un computer. I programmi non sempre rispettano i diversi disegni dei caratteri e si basano su distanze predefinite.

A fianco: esempio di spaziatura più corretta, dove gli spazi tra le lettere non sono dettati dalla geometria ma dall’armonia ottica con intervento “manuale”.

Un buon esercizio praticato (tanto tempo fa!) nelle scuole di grafica insegnava a comporre e spaziare seguendo questa indicazione: l’ideale e corretta distanza tra le lettere è data dal riempimento dei vuoti tra lettera e lettera con un numero fisso di “palline”. Non sempre funziona con lettere con troppi “vuoti”, come per esempio per la C. Curioso, ma quasi sempre ancora molto efficace.

1 2 3 4

1 2 3

Un altro buon sistema per adottare un criterio di spaziatura equilibrata è quello di dividere in quattro lo spazio interno di una H maiuscola e assumere “un quarto” come modulo di riferimento.

1

1/2

0

1 2 3 4 5 6 7

0

1

Tra due lettere con aste verticali parallele spazieremo con tre moduli, tra due curve con uno spazio, tra le aste oblique o fra lettere vuote non serve alcuno spazio, poiché già presenti spaziature nel disegno.

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giustezza “ad aumentare” (crescente) o “a diminuire” (decrescente).

Composizione a bandiera Le righe hanno giustezze diverse e condi-

vidono un solo allineamento (origine della bandiera a sinistra o a destra). La “bandiera sinistra” è quella sempre consigliata, perché asseconda le nostre abitudini di lettura da sinistra a destra. Più difficile la lettura di un testo con “bandiera destra”, generalmente più usata nella composizione di testi pubblicitari o estremamente brevi, spesso in combinazione simmetrica con un testo composto a “bandiera sinistra”. Il testo, nella composizione a bandiera, non viene mai spezzato: la parola va a capo tutta intera. È altresì importante, nella composizione a bandiera, curare l’andamento degli “a capo”, così da rendere fluido e morbido il ritorno a capo del testo, evitando raddoppi della stessa giustezza su righe in successione o righe troppo corte. La composizione a bandiera con le parole spezzate è da sconsigliare: i trattini di “a capo” aumentano l’irregolarità del testo alla fine della riga e rendono la lettura difficoltosa e in alcuni casi sgradevole.

1/8 1/6 1/4 1/3 1/2

COMPOSIZIONE A PACCHETTO

Composizione a pacchetto Detta anche a “blocchetto”, si ha quando tutte le righe di testo mantengono la stessa giustezza, perché si allineano su entrambi i lati della colonna. In alcuni casi, per esempio nelle composizioni soggette a ritmi di impaginazione sostenuti come nei quotidiani, si fa ricorso all’antiestetico “pacchetto forzato” dove la composizione a pacchetto diventa “giustificata” agendo sulla forzatura delle spaziature, evidenziando eccessive compressioni o lasciando vuoti disarmonici tra una parola e l’altra. In un libro si usa la composizione a pacchetto per il testo principale (per esempio nei romanzi o nei saggi) ed è sempre da evitare la composizione con giustificazione forzata.

Composizione a epigrafe Il testo si separa esattamente a metà sulla mediana verticale della composizione: le righe sono di differente giustezza e la difficoltà (e allo stesso tempo l’eleganza) di questo tipo di composizione risiede nella capacità di orientare l’andamento del testo secondo una corretta modellazione delle righe. Utilizzata per dediche, inviti, citazioni, composizioni retoriche e poetiche, spesso deve rispettare gli “a capo” originali dell’autore, come nel caso di poesie o riedizione di testi antichi. Composizione sagomata Nel caso in cui un testo si conformi seguendo un contorno (di un’illustrazione, di una fotografia) e subisca dei rientri o si allarghi lungo il profilo di un oggetto grafico, si usa la definizione di “composizione sagomata”. La distanza tra le righe della composizione di testo e l’oggetto grafico deve sempre mantenersi costante.

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at mezzano terziruolo quadratino

eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, sandita in re la volor acerum eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun.

1

2

COMPOSIZIONE A BANDIERA

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui natiusd aecullaci optatur mintur at eum quadrato

doppio quadrato

repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor dolam rciust, conse vel il im quae autet omnimint arum rem quas eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, sandita in re la volor acerum eum diictata voluptatior re resl militat quas.

I criteri di spaziatura si basano sulle grandezze un tempo utilizzate nella composizione tipografica a mano. Oggi non si usa più parlare di terziruoli, ma restano sempre dei buoni parametri per comporre in maniera corretta anche i testi digitali. Gli spazi da 6 a 8 si chiamano “spazi fini”.

COMPOSIZIONE A EPIGRAFE

dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as verorehene doluptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at dent libus antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, conse neturi im quae omnimint arum rem quas eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi esl militat quas volor acerum eum diictata voluptatior dest.reperun tinisim.

COMPOSIZIONE SAGOMATA

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, quis luptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui natiusd aecullaci optatur mintur at eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor dolam rciust, conse vel il im quae autet omnimint arum rem quas eost, cum unt ipidia ventionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, esequi quodis rptasi dest, sandita in racerum dipsape volorae.

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L’evoluzione della composizione del testo Nell’intento di fornire qualche nota storica ai progettisti più giovani, non si può trascurare una fase delicata che per secoli ha contraddistinto la composizione del testo. È quindi bene che un passaggio epocale come quello dell’introduzione di un nuovo sistema di composizione a freddo, come quello della fotocomposizione, sia considerato una parte della cultura storico-professionale del progettista. Come vedremo più avanti, nella sezione dedicata alla progettazione, il trattamento del testo e la sua impaginazione non possono prescindere oggi dalla disponibilità primaria di un file. Ma, prima dell’esistenza del concetto di “file”, il mondo della tipografia si è basato per secoli sulla meticolosa composizione con i caratteri mobili. Il superamento della fase di “traduzione” di

un testo scritto a mano (fino al XIX secolo) o con la macchina per scrivere (a partire dal XIX secolo) per ottenere righe di caratteri in legno o piombo, composti a mano o con macchine come la Linotype o la Monotype, avviene con l’introduzione della fotocomposizione, un sistema basato inizialmente su processi foto-meccanici, poi elettronici e infine informatici. La fotocomposizione Ideata alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, la fotocomposizione risponde alla necessità di abbreviare il passaggio dalla composizione alla stampa in offset, che si sta diffondendo ovunque rapidamente, ma che necessita di pellicole e non più di forme di stampa in piombo. Il principio su cui si basa è simile a quello della Monotype, ma sostituisce al gruppo di fusione (là dove il richiamo di una lettera attiva il processo di fusione del singolo elemento) una sorta di camera oscura, con cui

produrre direttamente le pellicole del testo. Dagli anni Sessanta in avanti la fotocomposizione diventa la nuova stazione moderna del sistema editoriale in cui devono passare, nel modo più veloce possibile, i testi diretti alla stampa: si compone di tastiera, monitor, un mobile che accoglie la “memoria” e l’unità fotografica (un magazzino dove è contenuta la carta sensibile o la pellicola). È la fine definitiva dell’epoca della fusione a caldo del carattere. La fotocomposizione, nel periodo compreso tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, dilaga con unità di composizione sempre più progredite, compatibili con le trasformazioni delle macchine di stampa offset e rotocalco. I sistemi di fotocomposizione impiegano, in questo periodo, fondamentalmente tre diverse tecniche: la “proiezione” del carattere, la “composizione” per punti luminosi, il raggio laser. Le unità dialogano attraverso tastiere e calcolatori elettronici. Sono messe sul

Prima della fotocomposizione (fase analogica)

Composizione a mano Monotype Linotype

Bozza su carta per correzione refusi (con tirabozze)

Correzione manuale o meccanica del testo

Produzione di patinate (carta da fotografare)

Produzione di pellicole + montaggio manuale delle immagini (pellicole)

Produzione di pellicole dall’unità fotografica incorporata

Montaggio immagini (in pellicola) sulle pellicole già prodotte

Produzione file definitivo

Prove di stampa (colore)

Con la fotocomposizione (fase analogica-digitale) ORIGINALE Acquisizione da supporto magnetico (es.: floppy-disk) TESTO SU CARTA

Bozza su carta patinata fotografica per la correzione dei refusi

Ribattitura completa dell’originale e memorizzazione su supporto magnetico

Correzioni bozze a video Memorizzazione delle correzioni

Scritto a mano o composto a macchina

Dopo la fotocomposizione (fase digitale) diventa

FILE

Bozza per correzioni, su carta comune (da stampante) + impaginazione diretta delle immagini

Acquisizione di file del testo dall’autore anche via email

Correzione bozze a video

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mercato macchine dedicate alla titolazione, all’impaginazione, in grado di “assemblare” più momenti di lavorazione fino a quel momento disgiunti, in un layout controllabile sul monitor dell’operatore. Le multiformi possibilità di intervento su corpi dei caratteri, avvicinamenti, distorsioni ottiche e spaziature rendono la fotocomposizione il crinale oltre il quale si aprono inediti scenari per la composizione del testo, insieme all’elaborazione dell’intero layout. Verso la digitalizzazione Il completamento del processo, a questo punto, sembra ormai avvenuto. Il sistema già alla fine degli anni Settanta rende quindi più agile la lavorazione redazionale e consente, dopo l’acquisizione del testo, sia la memorizzazione che la formattazione, con la conseguente possibilità di produrre pagine di prova per la correzione delle bozze, e infine direttamente le pellicole che andranno a inserirsi nel processo di

Prove di stampa (colore)

Trasferimento su lastra per stampa offset

Montaggio lastre su macchina da stampa offset

Prove di stampa (colore)

Trasferimento su lastra per stampa offset

Montaggio lastre su macchina da stampa offset

Trasferimento in lastre via CTP (computer to plate)

Montaggio lastre su macchina da stampa offset

stampa offset. È questo un periodo in cui, attraverso uno degli oggetti più popolari e universali del momento, diventato oggetto iconico degli anni Ottanta, come il “floppy disk”, viaggiano tra autori, designer, compositori e stampatori miliardi di dati, parole, tabelle, titoli. Con la fotocomposizione i tempi si sono nuovamente abbreviati in maniera formidabile, mentre la conservazione degli originali (denominati “impianti”, dall’aspetto di pellicole in cui la pagina finita include testi e immagini) si è ridotta all’archiviazione di plichi modesti contro l’ingombrante conservazione di un tempo, costituita da pesanti forme di stampa. È il tramonto del piombo e la stampa – insieme alle tecniche e tecnologie a essa connesse – diventa sempre più rapida, versatile, accessibile ai vari comparti economico-culturali. La “smaterializzazione” profetizzata da El Lisisckij è cominciata.

STAMPA

CONFEZIONE

Dopo la fotocomposizione La diffusione del computer e la possibilità di comporre – da parte degli stessi autori – qualsiasi tipo di testo, insieme alla versatilità di nuovi software in grado di leggere e trasformare caratteri, giustezze e interlinea, decretano già dagli anni Novanta anche la fine della fotocomposizione. I testi, in forma di file, possono infatti assumere oggi gli aspetti sperimentali o previsti dal progettista per essere valutati in tempo reale, WYSIWYG*, senza attendere – come avveniva un tempo – il ritorno delle bozze dalla composizione e ottenendo una pagina di riscontro anche attraverso una stampante domestica. Inoltre, il processo di trasmissione del file finito alla fase di stampa esclude già da alcuni anni la produzione delle pellicole, perché attraverso un sistema CTP (Computer To Plate) si trasferisce il file direttamente dal computer di controllo alla lastra, senza alcun passaggio analogico intermedio. La fotocomposizione è stata un passaggio fondamentale della progressiva smaterializzazione della tipografia, un fenomeno che ha accompagnato il cambiamento della pre-stampa nel corso degli ultimi decenni; oggi si possono elaborare testi e immagini senza manipolare ormai nulla di propriamente fisico, accelerando i tempi e consentendo anche margini di correzione sul progetto un tempo impensabili o proibitivi per la loro antieconomicità e lentezza. Il processo un tempo lungo e laborioso, capace di richiedere mesi, si è trasformato in ore, e in maniera irreversibile; la finalità resta la stessa che aveva animato Gutenberg e i suoi discepoli nel XV secolo: dare senso, attraverso forma e materia, all’artefatto libro. È da sottolineare inoltre come la sempre più estesa penetrazione del personal computer nella società e l’uso del suo più semplice software di composizione come Word, abbiano spinto l’antica pratica della composizione manuale nell’area dell’artigianato tipografico creativo. *WYSIWYG. È l’acronimo di What You See Is What You Get, che sta alla base del rapporto con il computer (ciò che vedi sullo schermo è quello che puoi ottenere realmente).

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I formati La definizione del “formato ideale delle cose” ha impegnato studiosi come Luca Pacioli, che già nel suo De Divina Proportione stabilisce un’ideale proporzione di riferimento per ogni manufatto progettato dall’uomo attraverso il criterio della sezione aurea, dove la dimensione del lato minore rappresenta la sezione aurea del lato maggiore. Nel celebre saggio di Pacioli il rapporto tra i lati espresso dalla sezione aurea viene definito come quello che meglio di ogni altro si rende “il più armonioso e gradevole alla vista”. Pur partendo dalle teorie di Pacioli, dal 1992 nel mondo della stampa si fa riferimento alla normalizzazione istituita dall’Ente di Normalizzazione tedesco, che riprendendo le tesi enunciate dall’accademico Georg Christoph Lichtenberg (1742-1799) fissò le dimensioni del foglio con l’area di 1 A

m2 con il rapporto tra i lati di 1/√2, in pratica un formato rettangolare con le dimensioni di mm 841 x 1.189. In seguito, nel 1934 la Federazione Internazionale delle Associazioni di Normalizzazione ISO e poi l’UNI nel 1939 adottano come riferimento proprio quel formato, che viene definito A0, dove si rispetta il criterio del lato lungo uguale alla diagonale del quadrato costruito sul lato corto. I formati fissati dalla normalizzazione non orientano solo la fabbricazione della carta, ma stabiliscono anche rapporti proporzionali in settori come la comunicazione istituzionale, quella burocratica, nella conservazione e archiviazione dei documenti. La definizione dei formati è importantissima perché legata alla costruzione delle macchine per la stampa, ai loro accessori e alla produzione di materiali di lavorazione, fino alle finiture relative agli artefatti finiti.

Pur esistendo tre categorie normative (A, B e C), nel mondo della progettazione grafica si fa convenzionalmente riferimento alle classificazioni di tipo A (quelle B e C sono complementari e si riferiscono a produzioni diversificate di cartoncini e buste, funzionali ad accogliere e contenere i prodotti grafici che rientrano nei formati di tipo A): avremo pertanto formati di tipo A che consentono, una volta piegati, di ottenere altri formati finiti dove però rimane invariato il rapporto tra lato lungo e lato corto. Il numero che segue la lettera A indica quante volte il foglio A0 è stato ripiegato (per esempio se parto da un foglio A0 e lo piego 2 volte ottengo un formato A2, piegandolo 4 volte ottengo il comune formato A4, cioè 210 x 297 mm). È piuttosto facile individuare le dimensioni dei vari formati: sapendo che il formato di A0 è 841 x 1189 mm, per conoscere A1 basta infatti dividere a metà il lato maggiore di

B 1/2 AB

B

1/ 2

AB

A

R

=

X A C

A

B

R= BC

D

B

REGOLA UNI B:A=B:X A=X

C A

E

B

R

La diagonale di un quadrato è: Lato x √2 (lato x 1,414) Si ha: B = A : √2 X = B x √2

= AD

D

Esempio con riferimento al formato A4: A = 29,7 cm, quindi: A = 29,7 : 1,414 = 21,004 = B (arr. 21 cm)

C

A

E

B

Nella colonna a fianco: È riprendendo le teorie di Luca Pacioli che fin dal XVII secolo si inizia a considerare il formato ideale quello in cui il lato minore è la sezione aurea del lato maggiore.

X

Nelle figure a sinistra, il processo di costruzione del formato ideale, dove la regola aurea è espressa da: X

Costruzione del formato UNI (1939) Il lato lungo (maggiore) è uguale alla diagonale del quadrato costruito sul lato corto (minore).

Y

AB : AE = AE : EB

Z

Il punto mediano di AB è il raggio che consente di fissare il punto C; con il raggio BC identifichiamo il punto di intersecazione D; con il nuovo raggio AD fissiamo il punto E sul lato AB, e da questo punto facciamo partire la perpendicolare che interseca la tangente della curva prodotta dal raggio AD. Se Z è uguale ad AB, X è uguale a AE, Y è uguale a EB Si ottiene quindi un rettangolo aureo Z x X in cui Z:X=X:Y

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A0 (e così facendo si trova la dimensione del lato corto di A1 = 594 mm) e assumere il lato corto di A0 come lato lungo di A1 (cioè 841). Per conoscere tutti gli altri formati il procedimento è lo stesso. I formati UNI I formati UNI non sono da confondere con i formati dei fogli che le cartiere produttrici pongono in commercio: la carta, come vedremo nel paragrafo dedicato (p. 86-87), viene preparata e venduta a peso in formati differenziati, adatti all’impiego nelle diverse versioni delle macchine per la stampa e alla piegatura (segnature) prevista dal progettista. Il formato di uno stampato editoriale è sempre definito con le sue dimensioni, dove la prima misura indica la base e la seconda l’altezza. Abitualmente si indica il formato “libro” quando la base è il lato corto e la cucitura o la piega sono sul lato lungo; ad “album” quando la base è il lato lungo dello A0

stampato e la cucitura o piega si trovano invece sul lato corto. Il formato della carta fornito dalle cartiere si definisce “intonso”, il formato risultante dalla fine del processo di stampa e legatura si definisce “finito”. I formati intonsi più diffusi sono quelli compatibili con le macchine attualmente in uso in tutto il mondo: 70 x 100 cm oppure 64 x 88 cm. Esistono anche formati doppi, come il cosiddetto 100 x 140 cm, compatibile ovviamente solo con macchine in grado di stampare questo formato (usato prevalentemente in pubblicità o in editoria per grandi numeri). Spesso i fogli sono prodotti dalle cartiere addirittura con dimensioni leggermente più grandi di quelle standard, così da consentire un ulteriore margine utile per la pinza che trascina il foglio in macchina e per il refilo finale. Si deve tenere presente, però, che se il fo-

A0

glio è dichiarato “70 x 100” non si riuscirà mai a stampare tutta la superficie per ottenere alla fine un formato finale “70 x 100”: almeno 1-1,5 cm cm saranno da riservare alla pinza e 0,5 cm al taglio finale che rifilerà l’intero foglio (nel caso di un poster, con il taglio sui quattro lati, per un libro il taglio della segnatura è solo su tre lati). L’eccedenza di carta prodotta dal “refilo” è uno scarto, che viene raccolto a parte e destinato al riciclo. Questo scarto, in gergo professionale, si chiama “sfrido”. Un buon progettista sa prevedere – sul formato scelto – il ricavo effettivo che ottiene dal formato intonso del foglio, così da evitare uno spreco. Tuttavia, questo non significa che il formato finito – se funzionale al suo scopo di comunicazione – non possa prevedere uno scarto: è altrettanto evidente che se per una tiratura di poche centinaia di copie lo sfrido risulta economicamente irrilevante, non lo è per una tiratura di 200mila copie. Nei tre schemi a fianco: Il formato A0 ha una superficie di circa 1 metro quadrato (9.999.49 mm2). Il lato lungo rispetta la regola per cui è uguale alla diagonale costruita sul lato corto. I formati conseguenti si ottengono riducendo della metà il formato superiore, così da avere sempre il lato più lungo del formato inferiore uguale al lato più corto del formato superiore.

A0

A1

A1

A2

A2

A3

A3 A4

A4

A5 A7

A5 A6

A8

SERIE A

SERIE B

A6 A7

SERIE C

Formato

Dimensioni dei formati grezzi mm

Dimensione dei formati finiti mm

Formato

Dimensioni dei formati grezzi mm

Dimensione dei formati finiti mm

Formato

Dimensioni dei formati grezzi mm

Dimensione dei formati finiti mm

A0

860 x 1230

841 x 1189

B0

1030 x 1460

1000 x 1414

C0

950 x 1340

917 x 1297

A1

615 x 860

594 x 841

B1

730 x 1030

707 x 1000

C1

670 x 950

648 x 917

A2

430 x 615

420 x 594

B2

515 x 730

500 x 707

C2

475 x 670

458 x 648

A3

307 x 430

297 x 420

B3

365 x 515

353 x 500

C3

335 x 475

324 x 458

A4

215 x 307

210 x 297

B4

257 x 365

250 x 353

C4

237 x 335

229 x 324

A5

215 x 307

148 x 210

B5

257 x 365

176 x 250

C5

237 x 335

162 x 229

A6

215 x 307

105 x 148

B6

257 x 365

125 x 176

C6

237 x 335

114 x 162

A7

215 x 307

74 x 105

B7

257 x 365

88 x 125

C7

237 x 335

81 x 114

A8

215 x 307

52 x 74

B8

257 x 365

62 x 88

C8

237 x 335

57 x 81

Le tre tabelle riportano l’unificazione dei formati UNI: la tabella A si riferisce ai più comuni formati in uso nella stampa; B e C si riferiscono a prodotti cartotecnici in grado di contenere i formati della tabella A.

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Le segnature e le pieghe Dopo aver considerato il formato (nell’accezione di standard “UNI”, di foglio di cartiera “intonso”, di dimensioni dello stampato “finito”), è il momento di passare al sistema con cui i libri – come altri stampati – vengono assemblati. Una volta uscito dalla macchina da stampa, il foglio viene spesso ridotto ulteriormente per poter essere agevolmente inserito nelle macchine piegatrici. Un tempo il processo di piega veniva svolto a mano, oggi le macchine sono in grado di arrivare a consegnare – a termine della linea di produzione – il prodotto completamente assemblato e anche già confezionato per l’invio al punto vendita. Una corretta disposizione delle pagine sulla lastra di stampa consente di ottenere un foglio con la predisposizione delle pagine nel verso corretto, in modo da rispettare le pie-

ghe che il foglio deve subire per “diventare” una segnatura. Si definisce quindi segnatura il risultato della piega di un foglio stampato che diventa parte di un libro o di qualsiasi altro artefatto stampato composto da più pagine. Le pieghe (realizzate a mano o a macchina) possono essere “a croce” o “in parallelo”, a seconda del caso che si intersechino in maniera perpendicolare o siano disposte in maniera parallela tra loro.

tempo per la realizzazione di guide turistiche e messali, caratterizzati da un numero di pagine estremamente rilevante. Si ritrova anche la definizione di duino, in genere per indicare un foglio di segnatura composto semplicemente da una pagina (bianca e volta, stampata o meno) che dovrà necessariamente essere assemblata al resto del corpo libro con un’imbavatura sulla prima pagina di una segnatura. In linea generale più la carta aumenta di grammatura e consistenza, e non solo di spessore, meno è il numero di pieghe che è in grado di sopportare. Il rischio infatti è che la segnatura con un numero di pieghe esagerato non riesca a rimanere “chiusa” abbastanza e la tensione della carta tenda sempre a far rimanere troppo divaricata la doppia pagina centrale della segnatura. Alcuni tipi di carte editoriali, pur di normale grammatura, spesso si presentano con una particolare consistenza a causa della generosa presenza di legno nell’impasto; la

Le segnature vengono normalmente identificate con le definizioni di quartino, sestino, ottavo, dodicesimo, sedicesimo, ventiquattresimo, trentaduesimo che stanno a indicare quante pagine si ottengono con quel tipo di piega. Il sestino indica normalmente la piega di un dépliant a tre pagine (ante) e non può costituire la metà di un dodicesimo. Con una carta estremamente leggera e sottile si possono ottenere anche sessantaquattresimi e centoventottesimi, usati un

I formati di carta più comuni per la produzione di libri e periodici sono i cosiddetti 70 x 100 cm e il 64 x 88 cm. Queste dimensioni sono in realtà approssimative, ed esprimono soprattutto due tipologie di riferimento, perché i fogli di carta in commercio sono in genere sempre leggermente più grandi per consentire un più agile refilo in fase di allestimento.

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25

35

17,5

Tuttavia è importante ricordare che da questi formati si possono ottenere segnature a partire dal quartino (quattro pagine) fino ad arrivare anche al 128° (centoventotto pagine). Naturalmente più la grammatura sarà leggera e più sarà agevole per il foglio subire un certo numero di pieghe.

Segnatura in trentaduesimo per un foglio 70 x 100 cm: si ricavano sedici pagine in bianca e sedici in volta. Il formato della pagina post-refilo sarà 17 x 24 cm.

La previsione della ripartizione delle segnature necessarie per raggiungere il numero di pagine stabilito, consente al progettista anche di distribuire l’intervento creativo da un punto di vista economico, con l’obiettivo di concentrare l’uso della quadricromia o dei trattamenti speciali in una sola segnatura o di approfittare dell’uso del colore già previsto su quel lato del foglio per rendere più attraente l’impaginato o per riprodurre a colori – se la collocazione rimane rispettosa dell’andamento del testo – un’immagine in maniera più chiara e appropriata.

3 1

2

Duino = 2 pagine

1

4

2

Quartino = 4 pagine

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8

1 3

Ottavo = 8 pagine

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tensione caratteristica del foglio sarà quindi da considerare con attenzione prima di decidere con quante pieghe produrre la segnatura, proprio per evitare sgradevoli effetti in confezione. Generalmente le carte patinate riescono ad accettare – a parità di grammatura – più pieghe di quelle usomano, perché sono meno tese e “incartate”. Oltre i 220/250 g/ m2 (e comunque sempre quando un cartoncino è impiegato “controfibra”) è necessario ricorrere a una cordonatura, cioè all’impressione di un solco sul lato di piega al fine di facilitare e stabilizzare il risultato dopo l’operazione. La cordonatura si effettua con procedimento “tipografico” con macchine predisposte, su cui vengono montati speciali listelli (punzoni e contropunzoni) sagomati; per casi molto difficili (supporti molto rigidi) e con una bassa tiratura, si può fare ricorso alla pratica manuale. Un consulto con lo stampatore, in questo

caso, sarà utile in fase di progettazione. Calcolare le segnature Le segnature, dunque, costituiscono le parti con cui assemblare un libro. Per realizzare un libro di 200 pagine possiamo per esempio ricorrere quindi a 12 segnature da un sedicesimo + un ottavo; oppure a 25 segnature da un ottavo. Oppure a 6 segnature da un trentaduesimo + un ottavo. È evidente come le combinazioni si basino sempre sull’accorpamento di quartini o di loro multipli. La decisione su quante pieghe far assumere al foglio viene presa in base alla tipologia della carta, alla disposizione dei contenuti sulle pagine, all’impiego di tecniche di stampa monocromatiche, a colori o con inchiostri speciali (per ogni colore occorre una lastra dedicata, e quindi se anche solo una pagina di un sedicesimo dovesse prevedere l’impiego della quadricromia, per uno dei lati di stampa di quel sedicesimo

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occorrerebbero sempre quattro lastre). È possibile anche suddividere il sedicesimo (o l’ottavo) in due ottavi (o due quartini) in modo da poter sostituire – e solo per quelle pagine, pur mantenendo la paginazione costante – il tipo di carta su cui si stampa o effettuare un trattamento speciale in macchina o in altro reparto (verniciature, serigrafie, fustellature). L’accorta suddivisione delle segnature è utile anche per prevedere la caduta intermedia di speciali segnature con “pagine ribaltabili”, dove la piega in parallelo dell’ottavo è possibile solo con l’inserimento in fase di confezione di un foglio stampato separatamente. I ribaltabili sono particolarmente usati nei grandi libri illustrati, nell’impaginazione di infografiche e tavole di grande effetto, nella riproduzione di opere d’arte dove il raddoppio della superficie di una doppia pagina consente una presentazione di rilevante impatto estetico.

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32

22

16

Segnatura in sedicesimo per un foglio 64 x 88 cm: si ricavano otto pagine in bianca e otto in volta. Si ricavano pagine 21 x 29,7 cm, 21 x 28 cm o 20 x 30 cm.

21,3

Segnatura in trentaduesimo per un foglio 64 x 88 cm: si ricavano sedici pagine in bianca e sedici in volta. Il formato della pagina dopo il refilo sarà 15 x 21 cm.

Segnatura in ventiquattresimo per un foglio 64 x 88 cm: si ricavano dodici pagine in bianca e dodici in volta. Il formato della pagina dopo il refilo sarà 20 x 20 cm.

13 17

9

16

1 8

Sedicesimo = 16 pagine

12

4

32

9 5

7

8

Sedicesimo in parallelo = 16 pagine

1

A fianco: Le diverse e più comuni tipologie di segnature, a partire dal duino (un foglio con una pagina per lato), fino al trentaduesimo. Piegando ulteriormente il 32° si ottiene il 64°, e in casi estremi (solo carta leggerissima) si può piegare la segnatura fino al 128° (partendo da un foglio 70 x 100 cm il formato prima del refilo sarà di 8,75 x 12,5 cm).

Trentaduesimo = 32 pagine

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La confezione e la rilegatura del libro Le segnature stampate vengono “raccolte” e messe in successione tra loro fino a formare un vero e proprio blocco, che affronta in una fase successiva il processo di confezione, più precisamente definito in ambito editoriale e nello specifico per un libro “legatura” (o più comunemente “rilegatura”). Un tempo, con la raccolta manuale, sulle prime pagine delle segnature venivano stampati dei numeri progressivi, al fine di agevolare la successione nell’assemblaggio. Oggi con la confezione automatica l’abitudine è caduta in disuso. La brossura La confezione più diffusa per un libro si chiama “brossura” e prevede due tipologie di finitura: la brossura cucita e la brossura fresata (per le edizioni economiche), a cui Una volta stampate e piegate, le segnature devono essere unite alla copertina. Nelle figure accanto, le fasi dei due processi dove risulta evidente come la legatura cucita – anche nel caso di una brossura e non di un libro rilegato e cartonato – conferisca più solidità e garantisca al libro una più lunga durata nel tempo grazie alla cucitura delle singole segnature e la legatura tra esse.

viene applicata una copertina in cartoncino. Nella brossura cucita le segnature sono prima tenute insieme da una cucitura (cucitura filo refe), successivamente il dorso ottenuto dall’unione delle segnature viene incollato e il blocco libro refilato sui tre lati aperti del volume. Al blocco, con un’incollatura sul dorso, viene applicata una copertina in cartoncino in genere di almeno 300 g/ m2, con o senza alette (bandelle), stampata e spesso plastificata con finitura lucida o opaca. Nella brossura fresata le segnature sono unite tra loro senza filo, ma solo con l’impiego della colla. Una volta raccolte le segnature – e tenute ben pressate tra loro – si procede con il taglio (fresatura) del dorso di piega, su cui viene spalmata la colla. La colla trattiene le pagine (che altrimenti risulterebbero del tutto indipendenti l’una dall’altra) e indurisce il dorso del blocco. Il taglio del dorso riduce di 2 o 3 mm la paBrossura cucita

gina sul lato corto, di conseguenza è bene considerare in fase di progetto della gabbia questo slittamento della pagina verso il margine interno: più il numero di pagine è rilevante, più lo slittamento verso l’interno sarà cospicuo. La brossura fresata è un sistema molto più economico della brossura cucita, ma molto fragile, poco adatto alle edizioni durevoli: la colla, seccandosi, indurisce e non consente più né alla copertina applicata, né alle pagine interne, di aprirsi con facilità favorendo così il distacco dei fogli. È un’opzione utilizzata spesso nelle edizioni di narrativa per tascabili di tipo economico, da sconsigliare assolutamente per pubblicazioni di pregio o di frequente consultazione. Anche nel caso di una brossura fresata, al blocco libro ottenuto viene applicata la copertina, il cui spazio destinato al dorso viene incollato al blocco libro fresato. La copertina, è da ricordare, può essere con o Brossura fresata

Cucitura delle segnature piegate

1

1

Assemblaggio delle segnature piegate (senza cucitura)

2

Fresatura del dorso: le pagine non sono più unite tra loro

Filo refe

2

La brossura fresata, processo più economico, taglia i dorsi delle segnature una volta accostate, rendendo le pagine “libere” tra loro. È solo la colla a tenerle unite al dorso della copertina.

Sfrido Applicazione della copertina e incollaggio del blocco libro (cucito) al dorso interno

3

4

Applicazione della copertina e incollaggio del blocco libro (fresato) al dorso interno

3

4

Filo refe Colla

Colla

Segnature

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senza bandelle (chiamate anche “alette” di copertina), plastificata lucida o opaca.

Leggermente imbavati per pochi millimetri lungo il dorsino di piega, i due quartini si uniscono al blocco libro con la funzione non solo di poterlo unire ai quadranti di copertina, ma anche di preservare dagli effetti dell’umidità della colla di copertina il volume. Il nuovo blocco libro a questo punto viene rivestito sul dorso da una garza telata che serve a tenere unite le segnature e i risguardi, e infine sottoposto al refilo sui tre lati aperti. Dopo il taglio si applicano i capitelli in testa e al piede del dorso, che hanno la funzione di nascondere le segnature e lo spazio che resta tra il blocco libro e il dorso rigido della copertina. Con la fase di “incassatura” l’oggetto libro riceve la copertina, con l’incollatura dei lati esterni dei risguardi ai lati interni dei quadranti rigidi. Il dorso del blocco libro non viene incollato al lato interno del dorso di copertina, che può essere tondo o piatto (detto anche “quadro”).

La copertina rigida Nel caso di una legatura in brossura cucita a filo refe può essere applicata una copertina più rigida. In questo caso si parla di libro “rilegato”. La caratteristica è quella di un volume che si presenta con una copertina più robusta, in genere costituita da due quadranti e un dorso in cartoncino vegetale, rivestiti (accoppiati) con una plancia stampata (fogli di carta in genere da 150 g/m2) o un rivestimento telato (naturale o sintetico). La copertina rigida è in genere applicata al blocco libro attraverso due quartini, denominati “risguardi” o “sguardie”, realizzati in carta prevalentemente usomano da 150-170 g/m2, stampati o non, con fondo colorato o neutro, posti davanti al blocco libro (prima della prima segnatura) e alla fine dello stesso (dopo l’ultima segnatura).

Sovracoperta Bandella o Aletta

Risguardo o Sguardia

Pagina 1 (occhiello) Pagina 3 (frontespizio)

La sovracoperta Al libro con la copertina già applicata, sia alla brossura cucita sia al libro “rilegato”, è associabile anche una sovracoperta, che in genere si presenta come un foglio stampato e spesso plastificato che si ripiega avvolgendo il libro vero e proprio. La sovracoperta può essere incollata solo sul dorso (come per esempio usano fare le edizioni Adelphi) oppure semplicemente avvolgente e asportabile. In alcuni casi la sovracoperta può essere in materiale plastico trasparente (acetato) oppure in carta semitrasparente. La funzione della sovracoperta è di rendere più attraente il libro, agendo soprattutto su valenze estetiche ed esercitando un richiamo di più forte impatto sul punto vendita. La sovracoperta, per potersi avvolgere al libro, si avvale di due bandelle (alette) più corte del quadrante di copertina; entrambe vengono generalmente usate per ospitare una sinossi, la biografia dell’autore un elenco dei titoli affini presenti nella stessa collana. Aletta

Copertina

Le parti che compongono il libro. Aletta Blocco libro

Taglio

Copertina

Dorso Sovracoperta

Capitello

Le parti che compongono la confezione (rilegatura) del libro.

Rimbocco del rivestimento della copertina Segnature

Garza di rinforzo Piatto della copertina

Canalino

Dorso (tondo)

Nel caso dell’impiego di una sovracoperta i quadranti della copertina di un libro cartonato possono essere semplicemente rivestiti con materiali telati o con plance di carta da 150 g/m2 stampata monocromaticamente; in questo caso sul quadrante di copertina e sul dorso sono riportati a un colore solo il nome dell’autore, il titolo e il nome o il simbolo dell’editore, riservando alla sovracoperta la specifica funzione attrattiva e seduttiva nei confronti del consumatore.

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La carta e i cartoncini Nella realizzazione di un libro è fondamentale decidere fin dal momento della progettazione su quale supporto avverrà la stampa. Il risultato non è solo legato alla qualità della riproduzione del testo o delle immagini, ma anche alla valenza estetica a cui contribuisce – nella percezione finale – la scelta della carta e del cartoncino per la copertina. Inoltre, la decisione del formato conduce alla scelta della carta e della sua grammatura, alla definizione del numero di pagine e delle segnature, alla redazione del quadro dei costi di produzione. Che cos’è la carta? La carta è un composto di materia fibrosa e non fibrosa. Nella materia fibrosa consideriamo elementi fondamentali come la pasta cellulosa, la pasta stracci, la pasta legno, la pasta rigenerata (per esempio provenien-

te dal riciclo di cartoni). Nella materia non fibrosa sono presenti componenti chimici, collanti e coloranti. Dai processi di decomposizione del legno in fibre, con un procedimento perfezionato nel 1866 da Benjamin C. Tilghman, si ottiene la cellulosa, che dopo essere stata sottoposta a operazioni di lavaggio e sbiancatura viene utilizzata nella fabbricazione. Quando la carta è prodotta con l’impiego di sola cellulosa è denominata “senza legno”, pertanto meno legno è contenuto nel prodotto finale e migliore è la qualità della carta. Nella preparazione della pasta-stracci si utilizzano pezzi di stracci a base cellulosica, come lino, cotone, canapa; nella pasta-legno si impiegano invece fibre che, prodotte dallo sfregamento di pezzi di legno contro una lama, poi vengono mescolate con ac-

L’impiego sempre più diffuso di carta e cartoncino riciclato – almeno in quei contesti in cui è del tutto irrilevante la differenza tra carta riciclata e di prima produzione (risme La fibra della carta deve essere parallela al senso di uscita della macchina. La piegatura del foglio è migliore se effettuata seguendo il senso della fibra.

Carta patinata La carta patinata ha una superficie liscia al tatto, compatta e brillante; la patina conferita alla superficie riempie gli interstizi porosi della carta e la rende particolarmente indicata nella stampa in cui è richiesta brillantezza degli inchiostri e un’alta fedeltà al colore o alla definizione delle immagini. È usata per libri illustrati, per cataloghi d’arte, per edizioni dove è determinante la rispondenza del colore e della nitidezza. La superficie può essere opaca o lucida (matt, semi matt, glossy): il risultato di stampa cambia radicalmente a seconda della scelta compiuta su questo aspetto della superficie. Occorre tenere presente che la carta patinata non è adatta alla stampa di narrativa o saggi in cui è decisamente prevalente il testo, perché la riflettenza della superficie rende difficoltosa e disagevole la lettura prolungata. “Patinata” non è affatto sinonimo di “lusso”: esistono in commercio carte patinate di bassa come di altissima qualità, e la loro differenza si evidenzia nell’impasto iniziale e nel trattamento delle materie prime, nella quantità di cellulosa e nella cura del processo di fabbricazione.

qua al fine di ottenere una miscela di fibre decomposte. La pasta rigenerata si ottiene con il recupero e riciclo di carta e cartone: con questo impasto si produce una vasta quantità e varietà di carta “riciclata”, oggi di eccellente qualità anche grazie a sofisticati processi di sbiancamento ecologico (senza impiego di cloro). Per di più, la crescente consapevolezza in materia ambientale, ha condotto negli ultimi anni all’introduzione di processi di fabbricazione in cui sono diminuiti gli eccessi di impiego di acqua e sono quasi del tutto scomparse le sostanze chimiche tossiche negli impasti e nei processi di sbiancamento; la deforestazione per l’industria cartaria si è ridotta sensibilmente con l’avvio di sistemi di controllo per la sostenibilità delle foreste.

Il foglio di carta deve essere disposto in modo che la sua fibra risulti parallela all’asse del cilindro di stampa.

A

B

Fibra Fibra

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di carta per le stampanti domestiche e da ufficio, pubblicità per la grande distribuzione, cataloghi e listini, libretti di istruzione), ha aperto nuovi scenari nella sperimentazione e uso della carta, introducendo grandi cambiamenti di mentalità anche nel comparto editoriale. Torniamo però agli argomenti che interessano più da vicino il mondo del libro. La carta viene acquistata a peso, e definita per tipologia e per grammatura. Il riferimento è il m2 e quando si parla di una carta da 150 g/m2 significa che un metro quadrato di quel tipo specifico di carta pesa 150 gr. Non è quindi il peso del foglio che viene venduto dalle cartiere, ma il peso di 1 m2 di quel tipo di carta. Nella produzione dei libri prendiamo in considerazione sostanzialmente tre tipi di carta: patinata, usomano e le carte speciali; fino alla grammatura di 150-170 e 200

g/m2 parliamo di carta, tra i 200 e i 350400 g/m2 di cartoncino, oltre i 400 g/m2 di cartone. Le attuali macchine da stampa in offset accettano – senza rischio di danni alle attrezzature – l’inserimento di cartoncini fino ai 350 g/m2, e solo per alcune tipologie di prodotti si può arrivare a 400 g/m2 senza scontrarsi con la riluttanza o la giustificabile opposizione degli stampatori. Oltre queste grammature occorre infatti ricorrere ad altri sistemi di stampa, come la serigrafia. Tipologie in commercio I diversi tipi di carta, patinata o usomano, sono posti in commercio dalle cartiere con grammature differenziate, generalmente a partire dai 70 g/m2 fino ad arrivare a cartoncini da 700 g/m2, e con varie finiture della pasta (extra white, bianco, avorio e molte altre colorazioni standard). Sono di-

sponibili carte anche più leggere per consentire segnature, adatte a piccoli formati, dal numero di pagine più elevato e dorsi ridotti. Nella stampa editoriale la carta deve essere usata con la fibra parallela al dorso del previsto volume, al fine di evitare difficoltà nella legatura e tensioni che deformerebbero il blocco libro. Un altro tipo di carta è qui da ricordare, anche se meno usato nella produzione di libri: la carta satinata, utilizzata nelle produzioni di periodici in rotocalco e adatta alle grandi velocità di trascinamento. Vi sono poi cartoncini dalle superfici diversificate al tatto e destinati agli impieghi in packaging innovativi. Nuove proposte di carte ecologiche sono nate dalla combinazione di fibre naturali e importanti risultati di riciclo, che hanno reso disponibili per esempio carte generate da esperimenti con alghe infestanti o fabbricate con il recupero di rifiuti organici.

Le carte consigliate per l’editoria Tipo

Peso e caratteristiche

Utilizzo

Satinata

Da 50 a 150 g/m2 Bassa resistenza

Opuscoli, periodici in rotocalco

Patinata

Da 70 a 170 g/m2 (carta), fino a 300/350 g/m2 (cartoncino, per copertine) Patinata opaca o lucida

Libri, opuscoli, cataloghi, periodici. Ideale per riproduzione di immagini a colori o in nero con tutti i sistemi di stampa

Usomano

Da 60 a 150 g/m2 (carta), fino a 400 g/m2 (cartoncino, per copertine, astucci e cofanetti)

Libri, opuscoli, cataloghi, periodici. Non adatta alla fedele riproduzione dei colori delle immagini, ideale per narrativa e saggistica con solo testo

Speciali

Da 40 a 150 g/m2 (carta), fino a 350 g/m2 (cartoncino, per copertine e astucci)

Libri, cataloghi. Ideale per la valorizzazione di un progetto editoriale attraverso il valore aggiunto degli ingredienti e delle finiture della superficie

Sopra: confronto e impiego dei vari tipi di carta.

A sinistra: Per evitare deformazioni i libri devono avere la fibra della carta orientata in maniera parallela al dorso (come in A) altrimenti la carta si altera con la tensione e non riesce a rimanere distesa (caso B).

Carta usomano La carta usomano si presenta con una superficie porosa, molto assorbente. Spesso la fabbricazione esalta il senso intrinseco della carta stessa, ed è un tipo di carta adatta all’impiego editoriale per saggi e romanzi, dove non è prevista in genere la stampa di immagini in quadricromia o comunque dove la fedeltà del colore non è determinante. La finitura di superficie è sempre opaca, e il risultato di stampa – sia per stampa monocromatica che in quadricromia – a causa del forte assorbimento dell’inchiostro che penetra negli interstizi della carta, è sempre meno brillante di quanto si potrebbe ottenere sulla carta patinata. Per queste ragioni la carta usomano non si presta, se non per consapevoli sperimentazioni creative e artistiche, alla stampa di cataloghi d’arte, di libri fotografici. Anche per la carta usomano esistono tipologie estremamente economiche, di bassissima qualità e adatte a utilizzi commerciali, e altre invece raffinatissime, utilizzate nell’alta editoria classica o nel mondo della moda e del design.

A destra: È sempre consigliabile richiedere allo stampatore la preparazione di un menabò bianco, cioè un facsimile del formato previsto dal progetto e realizzato con la carta scelta, nel corretto numero di pagine.

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DTP: fare un libro ovunque

fatto compiere al sistema un progresso continuo e inarrestabile. Anche l’immagine, così come il testo con la composizione, ha dovuto fare i conti con il superamento delle tecniche analogiche: l’introduzione del computer ha imposto il formato digitale e dalla traduzione e acquisizione di immagini in forma di file oggi si è arrivati alla produzione diretta di immagini digitali. La stessa produzione delle immagini è quindi definitivamente entrata nella sua epoca “artificiale”. Il continuo rimbalzo di passaggi progressivi tra stampa e composizione del testo, tra tecniche di riproduzione dell’immagine e preparazione delle lastre, aveva già condotto i primi pionieri negli anni Quaranta del secolo scorso a sperimentare macchine in grado di separare i quattro colori di stampa. Negli anni Sessanta entrano in funzione i primi scanner a tamburo, che rivoluzionano il processo di acquisizione grazie

Che si tratti di un’immagine per la sola copertina di un romanzo o di centinaia di fotografie o illustrazioni, tavole o disegni da impaginare in un libro illustrato, il compito del designer è quello di deciderne la collocazione nella pagina, le dimensioni e le relazioni con altri oggetti grafici presenti, definendone l’equilibrio, la sequenza e il ritmo, garantendone sempre la riproduzione al massimo livello di qualità. Queste pagine sono proposte in un’epoca in cui le grandi trasformazioni tecnologiche, e quindi anche del trattamento e preparazione delle immagini per l’approntamento della stampa, hanno non solo cambiato l’approccio all’impiego delle immagini, ma hanno visto travolgere mestieri ed esperienze, decretando la sparizione di quasi tutte quelle figure che nel mondo analogico, durato più di cinque secoli, avevano

ai miglioramenti consentiti dall’elettronica, l’ambito che negli anni Settanta fa compiere al settore il passaggio cruciale alla digitalizzazione. Dagli anni Settanta in avanti gli scanner rendono possibile la traduzione di un’immagine analogica (una fotografia su carta, una diapositiva, un film negativo o un fotocolor, un disegno originale su cartoncino purché flessibile) in una successione di “elementi base”, oggi comunemente chiamati pixel ed entrati nel linguaggio parlato della gente comune. Desk Top Publishing Con l’introduzione dei primi sistemi di DTP (Desk Top Publishing) nel 1983, la grafica editoriale si è alleggerita di quei macchinosi processi affidati a elaborazioni esterne: dalla composizione del testo (ora possibile con software di scrittura e impaginazione e una fin eccessiva disponibilità di caratteri già inclusi nei pacchetti forniti con i personal computer in commercio) all’elabora-

AUTORE

REDATTORE (DELLA CASA EDITRICE)

DESIGNER

REDATTORE AUTORE

DESIGNER

REDATTORE

DESIGNER

Testo

Lettura del testo, eventuali prime correzioni e adeguamenti

Prospetto della gabbia

Correzione testi su 1a bozza impaginata: le indicazioni vengono apposte su una copia stampata su carta comune

Inserimento correzioni testo e immagini nel file

Riscontro impaginato 2a bozza

Inserimento correzioni testo

Indicazioni sulle illustrazioni o iconografia generale

Scelta del carattere Recupero iconografia Impaginazione (testo + illustrazioni) in bassa risoluzione

Produzione di una 2a bozza con la sostituzione delle immagini in bassa risoluzione con immagini in alta risoluzione

Eventuale trattamento o produzione immagini

Controllo e correzione prove colore

Esecutivo copertina (file)

PRESTAMPA

Produzione di una 1a bozza

DOC

DOC

INDD

INDD

PSD

JPG

TIFF

PSD

EPS

PDF

AI

Produzione prove colore (copie cartacee certificate) DIGICROMALIN oppure prove di stampa in offset

PSD

INDD

PSD

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zione delle immagini (attraverso software sempre più sofisticati e completi), ciò che prima rappresentava un processo per luoghi e fasi successive si è riconcentrato in un ingombro minimo, come la dimensione di un computer e un monitor, di una stampante, di uno scanner. L’acronimo in effetti riflette letteralmente ciò di cui stiamo parlando: editoria da tavolo. Anche semplicemente un piccolo tavolo. Il sistema negli anni è progredito con il linguaggio Post Script, che ha reso possibile la “descrizione” della pagina strutturata, cioè comprendente tutti gli elementi di cui è composta (testo, immagini bitmap e vettoriali) e anche di controllo della sua forma finale in quella forma di stampa che ha come destinazione la trascrizione diretta sulla lastra. A puro titolo storico è da ricordare che in seguito alle prime applicazioni pionieristiche che appaiono nel 1983, il vero capo-

stipite del DTP debutta sulla piattaforma Apple, con l’installazione nel 1985 del software PageMaker ideato appositamente per l’interfaccia del Macintosh 128k. È con PageMaker che viene introdotto il linguaggio PostScript e da quel momento l’editoria cambia passo: molti passaggi convergono su un’unica scrivania, più stazioni di elaborazione sono connesse e si rivelano vantaggiose economicamente su tutti i processi di pre-stampa attraverso la riduzione dei costi e dei tempi. Dai tempi di PageMaker molto è cambiato, sia in termini di software (oggi disponibili invariabilmente anche su piattaforme pc e non solo Apple) che hardware (dagli ingombranti computer da tavolo con monitor a tubo catodico a compatti personal da pochi pollici). Nel 1987 viene lanciato il più moderno QuarkXPress, un software che per molti anni incontrerà il favore di case editrici, studi grafici e agenzie pubblicitarie. Nel 1997 InDesign, il nuovo software di

Adobe, penetra agevolmente nel mercato approfittando di una certa lentezza negli aggiornamenti di QuarkXPress e si afferma come il programma più adeguato e interessante per il mondo dell’editoria. I software più comuni a cui oggi si fa riferimento nel mondo editoriale sono Word, di Microsoft, per la videoscrittura; InDesign, per l’impaginazione e produzione editoriale; Illustrator, per la creazione di immagini vettoriali; Photoshop, per l’elaborazione delle immagini digitali. Questi ultimi tre programmi sono stati ideati da Adobe System e naturalmente sono in grado di dialogare tra loro rendendo ogni operazione molto più fluida e semplificata. Con questi quattro software installati su un computer, e una connessione anche solo wi-fi alla rete, si può progettare e editare il file per un romanzo o un libro illustrato dalla scrivania di una casa editrice come dal tavolo della caffetteria sotto casa.

PRESTAMPA

DESIGNER REDATTORE AUTORE

DESIGNER

STAMPATORE

DESIGNER REDATTORE

STAMPATORE

LEGATORE

Correzioni cromatiche (cfr. PROVE)

Controllo finale su copie cartacee

Chiusura dei file per gli interni e per la copertina Vedi anche p. 152-153

Preparazione delle cianografiche digitali per gli interni e per la copertina

Controllo e riscontro cianografiche

Preparazione lastre CTP

Confezione del libro

Prova colore copertina su carta certificata DIGICROMALIN oppure prova di stampa offset

Riscontro copertina

VISTO SI STAMPI (o ultime correzioni)

Montaggio lastre su macchina da stampa

Produzione segnature interni

Produzione copertina ATTENZIONE: una volta apposto il “VISTO SI STAMPI” si scagiona lo stampatore da qualsiasi responsabilità su refusi, posizione delle pagine o illustrazioni PSD

INDD

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Le immagini: l’acquisizione

Inkscape. Nel mondo della grafica editoriale si utilizza ormai solo Illustrator.

Se un testo può essere generato in forma digitale semplicemente componendo le parole su una tastiera di computer e poi editato conferendogli le caratteristiche tipometriche desiderate (carattere, corpo, giustezza, composizione a bandiera o a pacchetto, interlinea), le immagini possono essere acquisite attraverso diversi sistemi, comunque tesi alla disponibilità di un file digitale. In mancanza di un file si può utilizzare una fotocamera digitale, oppure attraverso la scansione di un originale stampato (per esempio da una fotografia su carta, un’illustrazione, una pagina di un libro o di una rivista) ottenere un file. Altre immagini digitali possono essere generate attraverso l’impiego di programmi vettoriali di disegno, come per esempio Illustrator, oppure CorelDRAW o

La risoluzione e l’acutezza visiva Quando disponiamo di un’immagine digitale dobbiamo sempre assicurarci che la sua risoluzione (cioè la qualità della sua definizione) sia adeguata al modo in cui intendiamo utilizzarla. L’indicazione fondamentale è fornita dalla sigla dpi (dot per inches, punti per pollice) con cui si misura la densità di un’immagine stampata, da proiettare o da riprodurre su uno schermo. Poiché la fruizione delle immagini cambia con la distanza a cui si pone l’osservatore, è importante anche considerare che ben diversa può essere la risoluzione di un’immagine stampata su una pagina di un libro o di una rivista rispetto a quella riprodotta su un manifesto stradale o un pannello che riveste la facciata di un edificio. Si parla dunque di acutezza visiva per misu-

rare la capacità umana di “leggere” la definizione delle immagini a distanza. Per quanto riguarda il mondo del libro si ritiene che una corretta distanza della pagina dall’occhio del lettore possa essere stabilita intorno ai 25 cm; la risoluzione che dobbiamo generalmente rispettare per la riproduzione a stampa è fissata ai 300 dpi, pertanto la risoluzione di quella stessa immagine – almeno teoricamente – dovrà essere ridotta di dieci volte, a 30 dpi, se il punto di osservazione viene posto a una distanza dieci volte superiore, cioè a 250 cm di distanza: il nostro occhio infatti non sarebbe in grado di leggere la differenza di densità del punto che compone la densità dell’immagine. Allo stesso modo è importante conoscere delle regole fondamentali per l’uso delle immagini digitali: definire la risoluzione solo con il valore in dpi non significa granché, se la misura non è messa in relazione con la dimensione dell’immagine originale.

Da un originale analogico si deve sempre procedere con una trasformazione digitale. Per determinare la corretta risoluzione occorre individuare il fattore di ingrandimento.

Misura originale = 3 cm

INGRANDIMENTO

SCANSIONE DIGITALE

ORIGINALE ANALOGICO

FILE DIGITALE

Misura finale = 8,4 cm FOTOCAMERA DIGITALE

Fattore di ingrandimento/riduzione: Misura finale = Fattore di ingrandimento/riduzione Misura originale 8,4 cm : 3 cm = 2,8 (fattore di ingrandimento/riduzione) Calcolo della risoluzione: dpi ottimali (300) x fattore di ingrandimento/riduzione = dpi risoluzione 300 x 2,8 = 840 dpi (risoluzione)

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Nel caso di un libro illustrato possiamo avere, per esempio, a disposizione un’immagine a 600 dpi con base 20 cm, che naturalmente risponde ai requisiti per un’eccellente riproduzione (per un libro in stampa offset) non solo a quella base, ma addirittura a un ingrandimento doppio: i 600 dpi infatti sono eccessivi a 20 cm e devono essere ridimensionati a 300 per la riproduzione a quella dimensione finale di base; sono invece perfetti per un originale che deve essere riprodotto a base 40 cm, perché al raddoppio della base di partenza si dimezzano i dpi. Significa quindi che oltre i 40 cm quell’immagine perderà qualità e non si presta – in un libro – per ingrandimenti ulteriori. Naturalmente la qualità dell’immagine è irrinunciabile per la riproduzione in caso di libri e periodici di un certo valore, mentre per alcune produzioni su carta meno qualificata si può anche accettare una risoluzione inferiore (per esempio su quotidiani e volantini

commerciali). Diverso invece l’impiego del fattore di riduzione e ingrandimento (cioè il rapporto tra misura finale e misura dell’originale) se si dovesse trattare di un poster o una gigantografia decorativa per una pubblicità stradale, perché la risoluzione può abbassarsi proporzionalmente rispetto alla distanza di osservazione. Ma questo è un altro settore applicativo e la norma da ricordare, in campo editoriale, resta comunque quella dei 300 dpi relativi alla base di stampa dell’immagine finale. Migliorare la risoluzione Si possono invece richiedere ai laboratori specializzati alcuni trattamenti dell’originale (sia esso già in formato digitale oppure in forma analogica da sottoporre preliminarmente a scansione) adeguati all’utilizzo a cui dobbiamo ricorrere, migliorandone la restituzione dei colori, correggendo imperfezioni, duplicando per esempio porzioni necessarie a consentire il refilo “al vivo”

delle immagini quando sono smarginate. Se il nostro file originale non è distante dai 300 dpi finali, e la differenza è di pochi dpi, con misurati interventi di interpolazione a cura di laboratori specializzati nel trattamento delle immagini, si riesce a contenere il ridimensionamento della qualità finale minacciata altrimenti da un eccessivo ingrandimento dell’originale. Se per la stampa in offset manteniamo come standard i 300 dpi di risoluzione (con un riferimento preciso alla base della dimensione finale dell’immagine), per la riproduzione delle immagini in rete o su un monitor, la risoluzione si può alleggerire fino a 72 dpi, ovviamente sempre con un preciso e controllato riferimento alla dimensione della base desiderata. Quando e come utilizzare le immagini? Le immagini, ovunque siano disponibili e in qualsiasi forma esse si presentino (stampe su carta, file, pagine di stampati, traspaL’effetto della diversa risoluzione di un’immagine: da 72 dpi (utile per la riproduzione online, su siti web o comunicazioni digitali) fino a 300 e 600 dpi (alta e altissima risoluzione su editoria di alta e altissima qualità).

72 dpi

150 dpi

Nella comparazione a fianco la differenza di risoluzione tra 300 e 600 dpi non è distinguibile perché la stampa di questo volume è su carta usomano, il cui assorbimento di inchiostro impedisce di cogliere l'effettiva definizione.

300 dpi

600 dpi

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renti d’archivio) non possono essere utilizzate senza il permesso dell’autore e di chi ne detiene i diritti. Significa semplicemente che ciò che è visibile su una pagina web o già pubblicato su un libro o un periodico, non solo non si può prelevare né ripubblicare senza autorizzazione, ma che prima di utilizzare quell’immagine occorre entrare in possesso di una “liberatoria”. Scritta. Il web è ricolmo di immagini sottratte ai legittimi proprietari senza alcuna autorizzazione; il principio a cui riferirsi è semplicemente questo: tutte le immagini sono opera di qualcuno e a quell’autore dobbiamo sempre chiedere l’autorizzazione esplicita a usare un suo lavoro. Non devono mai essere utilizzate immagini prelevate da siti web: oltre a essere a bassissima risoluzione (inadeguata alla stampa in offset), non sono garantite contro distorsioni, alterazioni e infine le rivalse dei legittimi proprietari, spesso ignari dell’uso illegittimo.

È estremamente importante, nel caso di un’edizione, che tutte le immagini siano corredate di un’esplicita dichiarazione di chi detiene legittimamente i diritti (attenzione: detenere i diritti non vuol dire essere il proprietario dell’opera rappresentata, come essere l’autore dell’immagine non significa poter autorizzare, indipendentemente dall’assenso del proprietario, la riproduzione del proprio quadro o fotografia). Ignorare queste raccomandazioni significa andare incontro a cause legali, controversie penali e risarcimenti. Spesso, in caso di difficoltà nel reperire le necessarie informazioni, l’editore può dichiararsi esplicitamente disponibile a far fronte alle richieste dei detentori dei diritti. Una fotografia, per esempio, ha bisogno dell’autorizzazione dell’autore. La riproduzione di un’opera d’arte (un quadro, un affresco, una scultura) necessita dell’autorizzazione dell’artista (se in vita, altrimenti degli eredi o della fondazione che si occu-

pa della difesa del suo patrimonio artistico), del museo, della galleria d’arte o del collezionista privato che posseggono l’opera. La pubblicazione della fotografia in cui è ritratta una persona, quando non utilizzata su un quotidiano o un periodico a fini di pura informazione, deve assolutamente acquisire l’autorizzazione esplicita della persona rappresentata. In genere se ne può incaricare – su mandato – l’agenzia fotografica a cui è stata richiesta, ma l’operazione non è immediata. E i costi di “noleggio” dell’immagine si aggiungono a quelli dei diritti di riproduzione che può richiedere il proprietario. Gli archivi fotografici Le fotografie in genere sono disponibili, divise per categorie, in archivi fotografici online, spesso gestiti direttamente dalle agenzie fotografiche che distribuiscono gli archivi dei vari fotografi; già alla prima visita, dopo una veloce registrazione, potete

L’home page di una nota agenzia fotografica: si sceglie un tema e la tipologia di immagini; una volta apparsa la ricerca si seleziona l’immagine di interesse e si visualizzano le informazioni e le eventuali restrizioni d’uso. Si procede all’acquisto salvando l'immagine nel carrello per poi finalizzare il pagamento.

Ingrandimento delle finestre informative: appaiono crediti, didascalia, restrizioni.

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disporre di strumenti di ricerca facilitati e di archiviazione temporanea, oltre all’opzione per scaricare alcune immagini a mediobassa risoluzione al fine di realizzare dei bozzetti di presentazione. Negli archivi fotografici online le fotografie sono proposte in bassa risoluzione, quindi con una qualità inadatta alla pubblicazione: il fine è quello di scoraggiarne l’impiego senza aver assolto prima i diritti da parte dell’utilizzatore. Le immagini recano tutte il watermark, una sovraimpressione semitrasparente (normalmente il logo dell’agenzia), che non compare però sul file definitivo, che potrà essere scaricato correttamente in alta risoluzione solo dopo aver completato il pagamento. Acquistare una fotografia non significa disporne a piacimento e per qualsiasi applicazione: il suo impiego è strettamente limitato all’uso dichiarato al momento dell’acquisto, per dimensioni, numero di copie dello stampato o diffusione via web,

estensione territoriale della distribuzione e tempo di permanenza sul mercato. A fini editoriali non si compera una fotografia, ma si assolvono dei diritti per pubblicare un’immagine – per un tempo stabilito – per un’operazione specifica. Naturalmente è possibile, con un incremento di costo, estendere i diritti ad altre aree geografiche e di mercato (internazionale, continentale, mondo), con esclusiva o meno (nessun altro potrà utilizzare lo stesso file nello stesso settore o in qualsiasi altro settore o per lo stesso scopo). I costi in questo caso incrementano e raggiungono cifre molto elevate. I costi per l’acquisizione dei diritti variano a seconda dell’ambito di impiego, in genere ben definito in campo editoriale (libri, periodici), pubblicitario o corporate (campagne, promozioni, monografie istituzionali). Molte opere (dalla pittura alla fotografia d’autore) pongono limitazioni esplicite all’uso, vietando i tagli o le sagomature dell’ori-

ginale, variazioni o elaborazioni cromatiche, sovrapposizioni di testi o montaggi. È importante verificare al momento della scelta tutti questi vincoli, al fine di evitare spiacevoli inconvenienti e ritardi nella risoluzione dei problemi. È infine corretto indicare a fianco dell’immagine, o in un apposito apparato del libro, i crediti fotografici, cioè l’attribuzione dell’immagine al suo autore, con nome, cognome del fotografo e – nel caso – l’agenzia fotografica di appartenenza. Da ricordare: ciò che viene pagato a un’agenzia o a un’archivio online è l’utilizzo della foto. Non sia dato per scontato che nell’operazione siano sempre compresi i diritti per pubblicarla, né che siano compresi i diritti delle eventuali persone rappresentate. La scheda che accompagna l’immagine in genere specifica i campi di restrizione e i diritti inclusi. Esistono anche archivi royalty free, dove invece le immagini – una volta acquistate – sono libere da diritti di pubblicazione, con garanzia della stessa agenzia. L’home page di un noto archivio internazionale di immagini d’arte: Scala Archives. Anche in questo caso, avviata la ricerca, si seleziona l’immagine e appaiono vincoli, restrizioni e modalità d’uso da rispettare.

Su tutte le immagini appare il “watermark” per impedirne l’uso prima della regolare acquisizione.

La semplice acquisizione dell’immagine non significa che siano stati assolti tutti gli adempimenti relativi alla riproduzione dell’opera imposti da chi può vantarne diritto (come l’autore, le fondazioni, i musei, il personaggio fotografato…). Occorre sempre fare attenzione alle specifiche condizioni d’uso con cui l’agenzia segnala scrupolosamente i casi in cui il diritto d’autore o altri diritti devono essere regolati – da chi sta utilizzando l’immagine – direttamente con l’artista, con i musei o con i proprietari delle opere raffigurate.

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Le immagini: tipologie e classificazione Quando nella grafica editoriale consideriamo il termine “immagine” ci riferiamo a tipologie di varia origine e natura, generate ad hoc in forma digitale o riprese da altri artefatti e poi digitalizzate attraverso un processo di ripresa fotografica o scansione. Fotografie Le fotocamere digitali restituiscono un file che può essere direttamente scaricato sul vostro computer ed elaborato o manipolato con un software adeguato (per esempio InDesign per l’impaginazione, Photoshop per l’elaborazione cromatica o la combinazione con altri elementi grafici). Generalmente i fotografi producono una fotografia, con le loro fotocamere, in formato Raw: è il formato puro, integro e grezzo

dell’immagine, che contiene tutti i dettagli e gli elementi profondi dello scatto. Il Raw dà la possibilità di intervenire sulla qualità e sulla costruzione dell’immagine RGB (Red Green Blue): è bene che sia sempre il fotografo a elaborare il file in formato Raw per la sua conversione in Tiff o Jpg, in modo di poter disporre alla fine di un file “autorizzato” e approvato dall’autore all’impiego.

Il Tiff (Tagged Image File Format) è un formato che contiene molte più informazioni, la sua gamma cromatica più ampia, i dettagli più numerosi e completi. È quindi questo il formato preferibile quando acquisiamo immagini digitalizzate da impaginare su un libro. Anche l’eventuale elaborazione consente interventi di correzione più ampi.

Il Jpeg o Jpg (Joint Photographic Experts Group) è il formato più noto, utilizzato dalle fotocamere compatte e dagli smartphone per ottenere un file leggero, perché impoverito di tutte quelle informazioni sottratte dalla compressione dei dati. La sua qualità è limitata. È un formato accettabile per un veloce stampato commerciale, e per la riproduzione a formati non elevati. Non certo per un libro illustrato di qualità. L’eventuale intervento in elaborazione post produzione è limitato, data la scarsità di informazioni contenute.

Raw, Tiff o Jpg? Riassumendo: è meglio non utilizzare file Raw (lasciamoli ai fotografi o agli artisti, che ci consegneranno un file da loro convertito, e quindi implicitamente approvato, in Tiff). Si possono usare anche file Jpg, ma la loro qualità, in termini di informazioni contenute, è sempre inferiore. Nella parte dedicata alla produzione degli esecutivi approfondiremo l’impiego dei file a seconda delle fasi di lavorazione (“bassa risoluzione” e “alta risoluzione”). Nel caso di originali d’archivio esistenti in forma analogica (per esempio: stampe

File Raw

File Jpeg

A fianco: a occhio nudo il confronto tra un’immagine Raw e un’immagine Jpeg sembra non mostrare alcuna differenza, tuttavia l’immagine in file Raw contiene più elementi, sui quali l’autore può intervenire per modificare la qualità e definire l’aspetto finale dell’immagine. L’immagine trasformata da Raw in Jpeg risulta alla fine un formato compresso, alleggerito dai dati più complessi, quindi risulta “impoverito” e meno adatto a ulteriori lavorazioni.

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fotografiche su carta, negativi su pellicola, diapositive e fotocolor) oppure immagini già stampate su libri, periodici, altre pubblicazioni, si ricorre a nuove riprese fotografiche per la produzione di un file digitale, oppure alla scansione diretta dell’originale qualora lo scanner sia in grado di accoglierlo per aspetto fisico-materico e dimensioni. In questo caso la richiesta sarà specificatamente per Tiff ad alta risoluzione, con scansioni di 300 dpi adeguate alla dimensione a cui si prevede di impaginare e stampare l’immagine (vedi p. 90-91). Occorre sempre fare attenzione quando si ricevono file RGB per l’impaginazione: in caso di file non convertiti in quadricromia sarà indispensabile effettuare la conversione da RGB a CMYK (non farlo significa compromettere gravemente il risultato di stampa!). Avvertenza: nonostante un comando di Photoshop consenta la conversione auto-

matica dei file, il caldo consiglio è di rivolgersi a un laboratorio di pre-stampa per effettuare la conversione bilanciata. Software adeguati e monitor certificati dello specialista garantiscono il risultato migliore, anche a fronte di una spesa che generalmente il cliente mal sopporta, non comprendendo la differenza di qualità dell’operazione. Meglio insistere sempre. Illustrazioni, dipinti, tessuti, rivestimenti Disegni, dipinti, collage, tessuti possono presentare difficoltà nella scansione diretta a causa delle alterazioni materiche della superficie, che potrebbero far rilevare ombre causate dalla diversa aderenza delle porzioni di superficie materica al piano dello scanner. In questo caso è necessario ricorrere a una accurata ripresa fotografica digitale. Per una più corretta e fedele riproduzione cromatica – non solo a fini scientifici, ma anche commerciali – è bene che la ripresa

dell’originale da parte del fotografo avvenga sempre con l’apposizione (di solito su un lato, all’esterno dell’opera ma inclusa nel campo di illuminazione) di una scala colore convenzionale, per esempio la Kodak Grey Scale (per le tonalità di grigio) e la Kodak Color Control Patches (per le tonalità colore). Essendo i toni sulle scale cromatiche quelli definiti per convenzione, anche in caso di ripresa con qualche difetto di illuminazione le imperfezioni potranno essere corrette in fase di elaborazione: confrontando infatti i valori standard sulla scala fotografata con quelli sulla scala di riferimento convenzionale, si potranno apportare bilanciamenti e correzioni altrimenti impossibili se non addirittura del tutto arbitrarie. Originali digitali vettoriali Con i programmi di grafica vettoriale (per esempio Illustrator), è possibile generare immagini definite dalle coordinate dei suoi Nel caso di riproduzione di opere d’arte o campionari (di tessuti, arredi, rivestimenti e pitture o inchiostri) in un libro, è fondamentale che si possa disporre di immagini in grado di cogliere in profondità la sostanza del colore, cioè nel modo più vicino alla realtà e con un’ideale illuminazione perfetta. Sarà opportuno che il designer raccomandi al fotografo di utilizzare la scala colore Kodak o la tavolozza Color Checker: includendo queste scale cromatiche nello scatto, si registrerà nel file un riferimento convenzionale del colore, qualsiasi sia la condizione di illuminazione; ciò consentirà poi, in fase di bilanciamento, di avvicinarsi il più possibile all’oggetto reale pur procedendo con la riproduzione in quadricromia.

Qui accanto: le scale colore Kodak per le tonalità dei grigi e per il colore. Le tavolette portatili Color Checker: con uno speciale pennino si testa la tonalità di colore dell’immagine fotografata e si “rilegge” la composizione dei colori con lo specifico software del sistema, correggendo opportunamente l’intervento e avvicinandosi alle tonalità dell’originale prima di chiudere i file per l’impaginazione.

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punti principali. Il grande vantaggio della grafica vettoriale è la costruzione diretta di un file digitale in grado di sopportare ingrandimenti senza subire perdita di risoluzione, insieme a un impiego di memoria estremamente contenuto rispetto ad altre tipologie di immagine. Con un’immagine vettoriale, pertanto, è scongiurato il pericolo di evidenziare i “pixel” in fase di ingrandimento del soggetto e il suo impiego è particolarmente indicato nella costruzione di simboli e marchi, tracciati cartografici, segnaletica e pannelli espositivi, oggetti grafici tridimensionali e in tutti quei casi in cui un’immagine di partenza possa essere destinata a diversi e articolati impieghi con differenti estensioni delle dimensioni, colorazioni, forme e tecniche di riproduzione. Immagini al tratto Si definisce “al tratto” la riproduzione di un’immagine, senza passaggi di tono, cioè

a contrasto netto: solo nero pieno e solo bianco (dove “bianco” è qui considerato come il “vuoto”, cioè il fondo della carta o del supporto di stampa non raggiunto dall’inchiostro, spesso denominato “bianco carta”). Non sono possibili, nella riproduzione al tratto le scale di grigi, ma l’effetto di ombre e sfumature può essere simulato con una variazione di intensità (avvicinamento) delle linee di spessore dell’immagine. Pur stampando con un solo colore con una caduta ben definita, si riesce a ottenere una simulazione di chiaroscuri. La tecnica, nota a incisori e tipografi che in questo modo potevano produrre cliché e matrici per la stampa tipografica, è utilizzata anche con l’impiego di speciali retini (raster) per soluzioni creative di rilevante effetto ottico su copertine, inserti e cartonati. Immagini a mezzatinta Nella stampa l’inchiostro cade sempre in

maniera assoluta, cioè senza effetti di gradazione. Se stampiamo con l’inchiostro nero, il nero cade ovunque sempre con la stessa intensità; è la superficie coperta che può variare (da un piccolo punto a vari centimetri quadrati). Significa che anche in una riproduzione con stampa monocromatica in nero, lì dove riusciamo a cogliere varie profondità di grigio in realtà ci troviamo di fronte a un’illusione, creata dalla distanza più o meno rilevante di punti di inchiostro nero pieno. Più i punti sono ravvicinati e più l’impressione restituita è quella di un’area grigio scuro e quasi nero; più i punti sono distanziati e più l’impressione è di osservare aree di grigio chiaro tendenti al bianco (vuoto). Gli incisori del passato conoscevano bene questa tecnica, perché avvicinando o allontanando tra loro le linee delle incisioni riuscivano a restituire all’occhio umano l’effetto di sorprendenti sfumature. L’impiego di un retino fa in modo che l’im-

Nella sequenza in alto: una mezzatinta (immagine in cui l’impressione della gradazione dei grigi è data dalla retinatura imposta all’originale di partenza); la stessa immagine al tratto (cioè senza toni intermedi); l’interposizione di un raster (una retinatura speciale che interviene sul disegno dell’intera figura).

A fianco: una doppia pagina del famoso progetto di Robert Massin per una commedia di Jonesco, La cantatrice calva, edizioni Gallimard 1964. Un progetto entrato nella storia del graphic design. Le immagini al tratto di Henry Cohen vivono con un dinamismo sorprendente tra layout e lettering, grazie all’abilità del designer francese.

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magine di partenza a tono continuo (per esempio una fotografia a colori o in bianco/ nero, con le sfumature di colore o di grigio) diventi una trama di punti più o meno fitta: le dimensioni di questi punti sono infatti proporzionali alla tonalità dell’area corrispondente sull’originale. Retinatura L’immagine digitale o scansionata, per poter essere stampata in offset (come per la serigrafia o il rotocalco, ma non per la stampa digitale) deve essere trattata con un retino. Non tutti i retini presentano punti tondi o quadrati, perché in alcuni casi sono usati retini ellittici o romboidali a seconda della morbidezza o contrasto nelle riproduzioni. In ogni caso potete rimanere tranquilli, non sarete voi progettisti a dovervi preoccupare della retinatura: lo specialista di pre-stampa, presso lo stampatore di fiducia, saprà come trattare al meglio le vostre immagini.

I retini vengono definiti per “linee”, espresse in un centimetro quadrato; la loro classificazione varia da 18 fino a oltre 130 linee. La lineatura è la quantità di linee di puntini che il retino contiene in 1 cm lineare. La decisione “nulla densità” del retino da impiegare (la lineatura) è relativa al risultato che si vuole ottenere: più il retino è fitto e migliore sarà la definizione finale, ma solo se il supporto di stampa è adeguato. Non ha senso una retinatura da 60 o 80 linee per la stampa su un quotidiano (la carta da quotidiano assorbe molto inchiostro e un retino troppo fitto ha un effetto controproducente sulla definizione), mentre è adeguata per la riproduzione su uno stampato commerciale o editoriale su buona carta patinata. Per un’edizione d’arte di pregio o un libro fotografico un retino anche a 120 linee si rivelerà un’ottima scelta, ma solo se accompagnato da una carta patinata finissima e una stampa a velocità controllata.

Retino a 18 linee

Retino a 48 linee

Retini e tipi di carta

18/24 linee

Carta da quotidiano, carte molto ruvide e usomano

48 linee

Carte uso illustrazione, carte usomano molto lisce

60/80 linee

Carte patinate, carte cromo lucide

115/130 linee

Carte patinate finissime per edizioni d’arte

Retino a 60 linee Retinare un’immagine a 60 linee significa suddividere ogni cm2 in 1.800 micropunti. Il numero dei micropunti si ottiene moltiplicando 60 (cioè il numero dei micropunti rilevato sulla diagonale di 1 cm2) per la sua metà (cioè 30).

Le tre immagini sopra sono retinate (da sinistra) rispettivamente a 18, 48, 60 linee. A fianco: ingrandimento della stessa porzione di retino e confronto tra le retinature a 18 e 48 linee. Più la superficie della carta è liscia, maggiore è il numero di micropunti che si possono impiegare. Per carte ruvide e/o assorbenti la retinatura deve essere sempre molto contenuta al fine di evitare un’eccessiva inchiostrazione e quindi uno sgradevole risultato di stampa. Dettaglio del retino a 18 linee

Dettaglio del retino a 48 linee

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Il colore Nella grafica editoriale il colore è ovviamente un componente espressivo molto importante: non solo per quanto riguarda la sua riproduzione tecnica, ma anche per il suo significato e per la trasmissione di senso ed emozioni. Per quanto riguarda la riproduzione di immagini policrome, il sistema in uso sia nella fase di pre-stampa sia in quella riproduzione su carta si avvale della tecnica di scomposizione del colore in quattro (o più) colori che fanno riferimento alla teoria del colore e in particolare – nel nostro caso – alla sintesi sottrattiva. Che cos’è il colore? È una sensazione, il risultato di una percezione del nostro occhio. I corpi materici colpiti dalla luce (naturale o artificiale) emettono delle radiazioni elettromagnetiche con differenti lunghezze d’onda che

Colori primari

raggiungono la retina attraversando la pupilla. Sulla retina si formano le immagini che vengono trasmesse al cervello dal nervo ottico. Il nostro cervello si attiva elaborando le diverse percezioni del colore, associandole a forme e dimensioni, alla dinamicità o alla staticità dell’oggetto, esamina esperienze precedenti, memorizza dati e visualizza in forma finita ciò che l’occhio sta osservando. Stabilisce che quella sensazione è un colore e associa al colore uno stato emozionale. È inutile sottolineare che l’effetto prodotto dall’ambiente sociale in cui si vive, le esperienze vissute e il retroterra culturale possono modificare profondamente il significato di un colore: per questa ragione la scelta di un colore è sempre un intervento di tipo strategico, estremamente delicato per le conseguenze che il messaggio può ottenere nella sua veicolazione.

La percezione del colore avviene, nell’uomo, con la ridotta capacità di identificare delle lunghezze d’onda comprese nello “spettro elettromagnetico” tra i valori di 380 e 780 millimicron (nm, detti anche nanometri). Altri animali possiedono capacità estremamente più estese. Noi ci dobbiamo purtroppo accontentare dei nostri 400 nanometri di agibilità, ma ci siamo evoluti così e solo con la tecnologia possiamo aspirare a qualcosa di meglio. Agli estremi del nostro spettro visibile, la porzione che interessa l’occhio umano, ci sono i raggi ultravioletti (sotto i 380 nm) e i raggi infrarossi (sopra i 780 nm). Dal famoso esperimento di Newton si è osservato che la luce solare quando passa in un prisma di cristallo può essere scomposta in colori percepibili, determinati in sette variazioni di lunghezza d’onda: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto. Queste sette luci, miscelate, formano la luce bianca solare.

u.v.

r. infra.

Porzione visibile dall’occhio umano

Colori secondari

1 nm

400 nm

700 nm

12 Arancio (A)

1 Giallo (Y)

11 Rosso (R)

Colori terziari

(VC) Verde chiaro 2

(VE) Verde 3

COLORI CALDI

COLORI FREDDI

10 Rosso scuro (RS)

Il cerchio cromatico A fianco: il cerchio cromatico, detto anche “orologio dei colori”; i 3 colori primari sono tondi, i 3 colori secondari sono con forma quadrata, i 6 terziari hanno forma triangolare. I colori complementari sono quelli che si contrappongono sul diametro: per esempio il verde è complementare al magenta, il viola è complementare al verde chiaro.

1 mm

(VS) Verde scuro 4

9 Magenta (M)

(C) Cyan 5

8 Viola (V)

(AZ) Azzurro 6 Blu (B) 7

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La stessa luce bianca si scompone anche quando osserviamo l’arcobaleno o una cascata: le gocce d’acqua funzionano esattamente come un prisma e scompongono i raggi di luce bianca che l’attraversano. Quando la luce solare bianca colpisce un corpo, in parte viene riflessa dalla sua composizione materica, in parte viene assorbita. Un corpo che assorbe tutti i colori non riflette nulla e lo percepiamo come nero; se invece non ne assorbe nessuno e riflette tutta la luce che lo colpisce lo percepiamo di colore bianco. Se la sorgente di luce cambia (per esempio è artificiale, come una sorgente alogena a dominante calda o un tubo fluorescente al neon a dominante fredda-azzurra), l’assorbimento di luce dei corpi che vengono colpiti è diverso e di conseguenza anche il riflesso della luce non assorbita cambia, conferendo un altro colore allo stesso oggetto riflettente.

Il pigmento È la sostanza che conferisce il “colore” a inchiostri, vernici, tempere, pastelli e molti altri componenti utilizzati nell’arte, nell’industria e nell’artigianato. Il pigmento veniva un tempo estratto da materie organiche o dalla frantumazione di rocce e pietre preziose, come per esempio il famoso blu estratto dai lapislazuli. La caratteristica dei pigmenti è di essere insolubili, e soprattutto di rimanere stabili, resistendo alla luce e al calore. I pigmenti hanno una capacità particolare: se raggiunti dalla luce reagiscono selezionando una parte delle radiazioni luminose, lasciando emergere un colore oppure un altro. Questa capacità è definita “sintesi sottrattiva”.

e la vivacità del colore, particolarmente visibile in assenza di nero, nel momento in cui riflette la luce bianca da cui è investito. Il tono è dato dalla variabile qualitativa, cioè dall’espressione del colore secondo la lunghezza d’onda contenuta nel segmento di spettro considerato, così da poter indicare un colore “verde”, “giallo” o “rosso” anche quando i toni verdi, i gialli o i rossi sono numerosissimi.

Luminosità, tono, saturazione La percezione del colore è legata alla sensibilità, alla luminosità, al tono e alla saturazione. La luminosità esprime la brillantezza

La saturazione viene modificata aggiungendo al colore il pigmento bianco: in pittura si aumenta il bianco, nella stampa si aumenta la forza del retino.

La saturazione esprime il grado di purezza di un colore, in assenza di bianco e di nero. Sono generalmente considerati caldi i colori con un contenuto prevalente di giallo, arancio e rosso; sono considerati freddi quelli con un contenuto prevalente di cyan, viola e verde.

La sintesi additiva La somma di radiazioni con differente lunghezza d’onda dà origine alla luce bianca. Nel secondo esperimento di Newton sul colore un disco con spicchi dai diversi colori dell’iride viene fatto ruotare velocemente fino ad apparire completamente bianco. Nella sintesi additiva i colori primari sono il blu, il rosso e il verde; con il riferimento RGB (Red, Green and Blue) si indica e processa la riproduzione dei colori nelle tecniche fotografiche e televisive, nella produzione video e nel web.

La sintesi sottrattiva Nel comparto della grafica editoriale stampata il nostro riferimento sono i colori pigmento. Nella sintesi sottrattiva la mescolanza dei colori pigmento (in questo caso primari: cyan, magenta, giallo) quando si somma dà origine al nero. Unendo pigmenti con diversa capacità selettiva si ottiene un incremento di sottrazione di radiazioni, fino a raggiungere la completa assenza di radiazioni emesse, cioè la percezione del nero.

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La riproduzione del colore Stampare le immagini in quadricromia Abbiamo considerato come il metodo della sintesi sottrattiva sia quello che, per la stampa su carta, consente di ottenere una ricostruzione dell’immagine con la combinazione di tre colori primari (pigmento). Mettiamo quindi da parte, per un po’ di pagine, il metodo della sintesi additiva. Il processo di preparazione delle immagini, una volta per noi disponibili in forma di file, prevede la loro scomposizione in singole “matrici” del colore, corrispondenti alla caduta della componente gialla, di quella magenta e di quella cyan contenute nell’intera immagine. A questo punto otteniamo però una tricromia, che non essendo combinata da colori puri non riuscirà a restituire un’armonia bilanciata con il nero, con la conseguenza di apparire priva di contrasto e disegno. Si

risolve questo problema di definizione con l’aggiunta del nero, che ha la specifica funzione di dare più profondità e anche rotondità all’immagine. Fino a pochi anni fa il processo di selezione dei colori conduceva alla produzione di pellicole (una per ogni colore), che poi subivano per esposizione il trasferimento sulla lastra. Oggi il processo è diretto e dal file calibrato e montato sulla pagina digitale si può procedere nel trasferimento alla lastra di stampa con il sistema CTP, Computer To Plate. La selezione dei colori viene sottoposta al processo di retinatura prima di essere preparata la lastra: i retini non devono essere semplicemente sovrapposti, perché otterremmo con la sintesi sottrattiva un’immagine finale del tutto nera. I retini vengono infatti ruotati e disposti con diverse inclinazioni l’uno rispetto all’altro, in modo da ricreare una sorta di aggregazione di puntini (in gergo “rosa” o “rosetta”) invisibile all’oc-

chio dell’osservatore perché estremamente piccola. La vicinanza o distanza dei puntini ricrea l’effetto dei diversi colori contenuti nell’immagine finale (un puntino giallo e uno magenta molto distanti si leggono distinti e come tali; se li avviciniamo fino a sfiorarsi la percezione è di un puntino di colore arancio; se li sovrapponiamo, per effetto della trasparenza, leggiamo un punto solo di colore rosso acceso). Con l’impiego dei retini sfocastici si è superato il problema dell’orientamento dei retini e della struttura a “rosetta” dei puntini. I retini piatti (meccanici) Possiamo ottenere l’effetto di molti colori (nelle loro diverse variazioni cromatiche) utilizzando la tecnica dei retini per i quattro colori di quadricromia ma variando l’intensità percentuale della loro retinatura. Si ottengono così variazioni che restituiscono in sovrapposizione l’effetto di modulazoni di colore, pur mantenendo i colori in

Cyan (C) 105° Giallo (Y) 90° Magenta (M) 75°

/ 70

0 10

C

100 C

50 Y / 100 C

Y

20 Y /

0 10

M

10 0

100 C / 100 M

M

M

70 C /

10 0

100 M

M

/1 00 C/

M

50

/ 70

50

0 /2

C

C

C

C/

20

100 C

0 10

M

/ 20

0 10

100% M

Che cosa accade con la retinatura di un colore di quadricromia? Retinando con forze diverse il colore base, si ottengono intensità differenziate, percepibili all’occhio umano anche con variazioni tra il 3% e il 5%.

/ 0Y

/ 70 Y

Y

100 C

50% M

/7 0 10

Y

100 M / 50 Y

100 M

10% M

Y 10 0

Y /1 00

C

Y/

50

C

/ 20

Y

00 /1

10 0

100 Y

00 /1

100 Y

M

M 100 M

M

100 Y

/ 20 M

50

70 10 0 La riproduzione delle immagini a colori (quadricromia CMYK) si ottiene selezionando, retinando e sovrapponendo i colori CMY + il K nero. I retini vengono disposti secondo inclinazioni diverse, come in figura, evitando così la pura sovrapposizione che genererebbe un effetto distorsivo (moiré).

C

Nero (K) 45°

È bene tenere a portata di mano un cromario, cioè un atlante colorimetrico in cui siano evidenti i risultati delle varie intensità di retino per il singoli colori di quadricromia e le loro combinazioni. I cromari sono in vendita sia come pubblicazioni sia come prontuari messi a disposizione dalle aziende operanti nel settore della pre-stampa.

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una modalità “piatta”, cioè in tono continuo e senza sfumature. Partendo da un punto iniziale di retinatura pari a 0%, si può raggiungere progressivamente la soglia del 100%, dove il colore sarà impiegato praticamente in tonalità “piena”; il cosiddetto “punto di bianco” diminuisce quindi progressivamente all’incremento della percentuale di retinatura del colore, per cui si avrà il punto bianco estremamente ridotto con una retinatura del 90% e un punto di bianco al 50% quando i valori tra il punto di bianco e il punto di nero saranno equivalenti. I retini piatti non hanno sfumature, che possono però essere introdotte con l’impiego di retini in percentuale progressiva. È importante ricordare sempre che i colori restituiti dal monitor del vostro computer non corrisponderanno mai a quelli che verranno stampati e che nemmeno una prova con la vostra stampante in studio garantirà il risultato teorico che avete concepito: sempre

Originale

meglio affidarsi dunque a una vera prova di stampa (oltre alla vostra esperienza precedente con quelle retinature su un certo tipo di carta). Quadricromie + colori speciali È possibile naturalmente prevedere una stampa che combini la quadricromia con l’aggiunta di colori speciali (indicabili sempre con la classificazione Pantone): possiamo utilizzare i quattro colori CMYK per le fotografie o le illustrazioni e aggiungere un colore speciale per particolari grafismi a colori (come filetti o cornici o per testi dal corpo ridotto, che difficilmente potrebbero reggere la sovrapposizione di due o più colori senza rischiare il quasi certo fuori registro). Un’altra opzione è quella di usare due inchiostrazioni di nero: una per la quadricromia delle immagini e una solo per i testi. Il vantaggio è quello di controllare meglio l’armonia e il contrasto del nero sulle immagini, e di mantenere invece – indipendente-

mente – una certa forza nell’inchiostrazione dei testi (che risultano quindi separati su un’altra lastra). Si evitano così eccessi di nero sulle immagini e impiegando un inchiostro con un nero diverso, addirittura più profondo e brillante, si raggiunge l’obiettivo di esaltare il contrasto con il fondo bianco della carta. I libri illustrati e il colore Nella produzione di libri illustrati previsti in coedizione internazionale (o con cambi di lingua) è utile fare ricorso a un’impaginazione delle quadricromie (CMYK) uguale per tutte le edizioni e impiegare invece il nero del testo a parte, così da poter utilizzare le stesse quattro lastre di stampa (per lato di segnatura), ma una sola sostituzione di lastra per il cambio di testo (in nero). L’accorgimento importante è ovviamente quello di evitare di inserire le didascalie in negativo all’interno delle immagini o di utilizzare titoli in combinazioni di retini in quadricromia.

M

C

M+C

Y

M+C

M+C+Y

K

M+C+Y

M + C + Y + K (come originale)

La separazione dei colori di quadricromia che compongono un’immagine avviene attraverso la scansione con uno scanner: si ottengono così i file di quattro immagini separate, ciascuna delle quali esprime tutto il cyan, tutto il magenta, tutto il giallo e infine tutto il nero contenuti. Nel mosaico accanto: la ricostruzione della ricomposizione del colore di un’immagine attraverso la stampa progressiva dei quattro colori precedentemente separati.

Retinatura piatta Nel cerchio cromatico (pagina a sinistra) la simulazione degli effetti di sovrapposizione di colori retinati con percentuali diverse (per esempio: con un giallo Y retinato al 50% sovrapposto a un cyan C al 100% si ottiene un verde smeraldo; con un giallo Y al 100% più il magenta al 50% si ottiene un arancio caldo).

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Il sistema Pantone Matching System Nel 1963 il mondo della stampa assiste all’introduzione del sistema di catalogazione Pantone. È una classificazione del colore inventata da Lawrence Herbert, che in questo modo risolve in gran parte il problema dell’identificazione e della corrispondenza dei colori tra gli operatori del processo creativo e di riproduzione (tra comparti del progetto, della prestampa e della stampa). In fondo Herbert mette a punto un linguaggio di corrispondenze convenzionali, e una sintassi del colore: un grafico di Sidney può, attraverso un codice numerico condiviso, indicare anche per telefono a uno stampatore di Buenos Aires una tonalità di colore che desidera sia stampata su una copertina o all’interno di uno stampato.

Il sistema parte dalla considerazione che l’osservazione del colore, come abbiamo già visto, non si basa su una costante di requisiti standard ma la percezione può essere variabile a seconda della luce che colpisce o attraversa il colore di riferimento, del supporto su cui viene impresso il colore, dalle condizioni di osservazione. Il Pantone Matching System si sviluppa negli anni successivi fino a diventare un vero e proprio standard di riferimento del mondo delle arti grafiche. La celebre “mazzetta” a ventaglio, con i listelli di colori Pantone, diventa ben presto un irrinunciabile strumento di lavoro in tutti i luoghi della grafica e del design. Il repertorio si evolve in pubblicazioni sempre aggiornabili dotate di fogli con campioni di colore fustellati e staccabili (le celebri ”tacchette” Pantone), con versioni per verificare l’effetto di stampa su carta usomano (U = Uncoated) o patinata (C = Coated) o con i colori metallizzati o fluorescenti, con colori stampati su acetati

per riscontrare gli effetti di sovrapposizione. La base del sistema è stabilita fondamentalmente su 8 colori, che combinati al bianco e al nero danno vita a migliaia di differenti codici di tonalità. Il sistema oggi presenta declinazioni in varie versioni delle catalogazioni di colore e con la consulenza di esperti e ricercatori Pantone agisce come un Istituto del colore, studiando le tendenze in atto e sottoponendo al mondo industriale, della moda e del design, i colori che anticipano di anno in anno i trend commerciali e culturali del momento. Quando si ricorre a Pantone? In tutte quelle circostanze in cui dobbiamo usare un colore speciale, inteso come qualsiasi colore che non sia uno di quelli di quadricromia, cioè il Cyan (C), Magenta (M), Giallo (Y) e Nero (K) detti anche “colori di macchina”, ci possiamo basare sul sistema Pantone. È vero che possiamo ottenere, grazie alle combinazioni dei quattro colori

La “tacca” Pantone può essere prelevata dall’album e acclusa agli esecutivi. La C indica quel risultato di stampa se si usa carta patinata.

I riferimenti dei colori Pantone sono racchiusi in pubblicazioni ad album con fogli mobili (contenenti schede fustellate da cui prelevare campioni di colore da allegare alle istruzioni per la stampa, come nella foto sopra), oppure in mazzette di colori (senza la possibilità di estrarre campioni) divise in categorie C (Coated, per stampa su carta patinata) oppure U (Uncoated, per stampa su carta usomano).

In questo riferimento Pantone la U dopo il numero indica quel risultato di stampa se si usa carta usomano. Sono in commercio numerose edizioni dei campionari, continuamente aggiornate, anche per il repertorio dei colori Matte e Metallizzati, con trasparenze e suggerimenti sulle nuove tendenze nel mondo della moda e dell’arredamento.

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di quadricromia e delle loro retinature, delle riproduzioni di altri colori, ma se dobbiamo stampare un libro in cui il testo è in nero e i soli titoli e le didascalie sono in arancio, è senz’altro meglio ricorrere alla stampa con un colore speciale (da scegliere tra quelli indicati con un proprio codice numerico nella classificazione Pantone). L’opzione ci consente di risparmiare delle lastre: per stampare con i colori di quadricromia un libro in nero e arancio dovremmo utilizzare due lastre per ottenere l’arancio (combinazione di giallo e magenta) e una lastra per stampare il nero; impiegheremmo tre lastre contro le due invece occorrenti per stampare l’arancio (con un solo inchiostro speciale) e il nero. Il vantaggio, in questo esempio, è inoltre il risultato di fedeltà cromatica migliore e l’assenza di rischio nella stampa del colore arancio, perché utilizzando una sola lastra non

avremo la minaccia del fuori registro (cioè il non perfetto allineamento e sovrapposizione in stampa di magenta e giallo, soprattutto quando si hanno filetti di ridotto spessore e corpi tipografici inferiori al corpo 8 pt.). Ricorriamo a un colore speciale (e quindi a un colore identificabile e riproducibile con il codice Pantone) quando desideriamo un effetto metallizzato o fluorescente, impossibile da ottenere con la quadricromia. Stampare con un colore speciale è sempre più costoso che stampare con i colori di macchina, perché a un codice colore segue la preparazione apposita dell’inchiostro, al fine di rispettare una “ricetta tecnica” con la miscela delle componenti di colore. L’operazione richiede tempo allo stampatore e soprattutto la macchina deve essere preventivamente lavata (con l’asportazione di tutto l’eventuale colore residuo da lavorazioni precedenti) e dopo la stampa di nuovo

A sinistra in alto: Sovracoperta per un libro d’arte sull’opera del pittore Evaristo Baschenis, edizioni Olivares (design A+G); il fondo dorato è in colore metallizzato Pantone oro 872 C, mentre il particolare scontornato del dipinto è in quadricromia. Sono state impiegate quindi cinque lastre di stampa per la sovracoperta. In alto: The Gold Medals, libro fotografico sui grandi premi del fotogiornalismo, edizioni Contrasto (design A+G). Stampa in nero per il fondo, vernice serigrafica trasparente lucida per la cornice di fregi, passaggio in oro a caldo per il titolo GOLD. La fascetta semitrasparente (su carta GSK Fedrigoni) è stampata in colore speciale Pantone 108 U (fondo giallo), con un passaggio di nero, per un impiego di due lastre. A sinistra: Copertina della collana “Dieci Nobel per il Futuro”, edizioni Hypothesis (design A+G). Stampa a due colori (nero+rosso speciale Pantone Warm Red C).

ripulita dall’inchiostro speciale, per essere “ricaricata” con il colore di macchina normalmente in uso. Pantone C o U? Indicare allo stampatore un colore Pantone senza una di quelle due lettere vicino a un numero è semplicemente insensato. La classificazione e le relative mazzette di campioni numerati hanno bisogno di essere sempre accompagnate dal riferimento del supporto su cui si va a stampare: se usiamo una carta patinata il colore lo sceglieremo nel repertorio dei colori Coated (C), se la stampa avviene su una carta usomano il colore deve essere scelto nel repertorio Uncoated (U). È importante indicare sempre questa lettera perché stampare con un colore C su una carta usomano porterà a un risultato molto diverso da quello che vi attendete. Questa fondamentale raccomandazione non è mai da sottovalutare.

Pantone e monitor Se la stampa di un colore è sempre un processo che porta – con tecnica, esperienza e anche un po’ di empirismo – all’approssimazione più accurata possibile al colore selezionato, non ci si può attendere lo stesso effetto da un colore Pantone osservato sullo schermo del computer. Le diverse retroilluminazioni dei monitor, l’intensità di luce e posizione dell’osservatore, la risoluzione e la taratura dello schermo sono sempre fuorvianti. Meglio fare una prova di stampa preliminare, sulla carta migliore che abbiamo a disposizione, per comprendere la distanza tra ciò che vediamo sullo schermo (WYSIWYG= what you see is what you get, che sarebbe meglio tradurre ogni tanto in RWYSCBDFWYG = remember: what you see could be different from what you get…) e ciò che potrebbe essere stampato una volta inviato in stampa il nostro file. In più, però, introduciamo la variabile stampante: la sua taratura potrebbe pregiudicare il test (il file potrebbe andare bene, ma la prova è inattendibile…) e siamo davvero nella terra inesplorata. Comunque: meglio non fidarsi del monitor e richiedere sempre una prova di stampa certificata (digicromalin).

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Non essere governato dalla gabbia, governa tu la gabbia. Una gabbia tipografica è come la gabbia del leone: se il domatore ci resta troppo a lungo, il leone se lo mangia. Devi sapere quando lasciare la gabbia. La gabbia è come la biancheria intima, la indossi ma non la devi esibire. Massimo Vignelli

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PARTE TERZA

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IL PROGETTO

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Progettare il libro: da dove si comincia? È il momento di affrontare la parte del progetto: ci siamo accostati alla storia, ai materiali e alle tecniche che hanno contribuito all’evoluzione del progetto editoriale. Dopo tanta storia e tante teorie, adesso che cosa ci serve? Oltre al nostro interesse e al nostro entusiasmo possiamo partire da un blocco di carta, e con una matita e un righello cominciare a schizzare le prime forme del nostro libro. Oppure possiamo accendere il nostro computer e provare a fare la stessa cosa direttamente sullo schermo; tutto dipende dalle nostre attitudini, dalla nostra esperienza. Oltre a un po’ di carta e a una matita, da tenere sempre a portata di mano anche se non sappiamo fare a meno del nostro computer, ci servono anche dei programmi; e possibilmente software in una versione

aggiornata, così da poter dialogare con gli altri attori che coinvolgeremo nel processo di produzione del libro: per il testo Microsoft Word, per la costruzione di immagini vettoriali Adobe Illustrator, per l’elaborazione delle immagini Adobe PhotoShop e per l’impaginazione Adobe InDesign. Con questi quattro programmi potremo costruire il nostro libro. Il computer ha una buona dotazione di caratteri (fin troppi); a portata di mano sarà meglio disporre di una stampante e di uno scanner per fare delle prove. La connessione internet completerà la dotazione e i servizi necessari. Siamo pronti. Formati Scegliere il formato di un libro è il primo passaggio, strategico. Possiamo inizialmente analizzare la finalità dell’opera: una guida turistica dovrà essere maneggevole, resistente e tascabile; un libro illustrato con l’opera di un grande fotografo natu-

ralista dovrà restituire anche nel grande formato la magnificenza del paesaggio e della fauna; una collana di libri economici di grande tiratura dovrà sfruttare al massimo il formato della carta e risparmiare sulla confezione. Dobbiamo infatti prima di tutto ragionare e individuare la soluzione migliore per dare senso a ciò che ci prepariamo a interpretare. Il design serve a dare senso alle cose, riflettere le intenzioni di chi il libro lo commissiona (l’editore, il cliente), procurare soprattutto soddisfazione a chi il libro lo compera e lo legge. È una forma di rispetto. Il formato più comune, quello da cui si ricava un libro quasi senza sfrido di carta, è il cosiddetto 17 x 24 cm. Infatti da un foglio di carta 70 x 100 cm si ottiene una segnatura da trentadue pagine. Questo tipo di segnatura è bene però che sia “spaccata”, cioè divisa in due segnature da 16 pagine al momento della piegatura,

Collana “Presente Storico”, editore Bruno Mondadori. Formato 16 x 23 cm, brossura cucita, con alette. Copertina plastificata opaco/lucido. Foto di copertina di Giovanni Diffidenti (design A+G).

Copertina

Doppia pagina

Dorsi accostati

Copertina

Doppia pagina

Dorsi accostati

Copertina

Doppia pagina

Dorsi accostati

Collana “Saggi”, editore Bruno Mondadori. Formato 14,5 x 21 cm, brossura cucita con alette. Copertina plastificata opaca, vernice serigrafica lucida sull’immagine e i titoli (design A+G).

Collana “IPA, Inspiration and Process in Architecture”, a cura di Francesca Serrazanetti e Matteo Schubert, editore Moleskine. Formato 13 x 21 cm, copertina in bodoniana con quadranti in cartone vegetale grezzo e stampa serigrafica, dorso telato e serigrafato; la chiusura del volume avviene con l’elastico, come in un vero taccuino Moleskine (design Guglielmo Ghizzardi, A+G).

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per evitare rigonfiamenti o alterazioni provocati dalla tensione e dalla grammatura eccessiva della carta. È un buon formato per i libri di testo, per i manuali, per la saggistica in genere. Per la narrativa è preferibile un formato leggermente più ridotto, per esempio intorno al 14 x 21 cm, 15 x 22 cm nel caso di prime edizioni rilegate-cartonate, oppure 13 x 19 cm per collane economiche tascabili in brossura o edizioni di piccolo formato come guide o opuscoli più sofisticati. Tutte queste dimensioni sono variabili a seconda delle abitudini del progettista, dell’editore, della carta disponibile. Per i libri illustrati o i cataloghi delle mostre d’arte, molto spesso allestiti anche in dodicesimi, i formati vicini al quadrato vanno dal 22 x 24 cm a formati più grandi, adatti alla riproduzione prevalente di immagini, e meno indicati per i lunghi testi.

Il criterio con cui scegliere un formato è anche suggerito dal tipo di pubblicazione e dalla sua finalità: un catalogo d’arte con testi multilingue avrà bisogno di pagine con una dimensione in grado di accogliere una gabbia a più colonne e di giustezza adeguata; un libro che riproduca un delicato taccuino con acquerelli di viaggio troverà la sua soluzione in un formato ad album, di dimensioni contenute. D’altra parte, come disse Louis H. Sullivan, il famoso architetto americano padre del Funzionalismo e ispiratore del Movimento Moderno: “la forma segue la funzione”. Sta a noi interpretare nella maniera corretta il senso del libro che stiamo progettando: il formato è già un primo messaggio. Se il progetto grafico è per una collana editoriale dovremo prendere in considerazione anche altri elementi importanti: l’accostabilità dei volumi attraverso il dorso, l’eventuale opzione di distintività data dal formato di

una casa editrice rispetto a un’altra, l’identità storica dell’editore e la sua riconoscibilità grazie ad alcuni formati, una certa carta e un particolare carattere tipografico. I collaterali dei quotidiani L’apparizione di nuovi prodotti editoriali denominati “collaterali”, cioè le edizioni di romanzi e saggistica realizzate dai quotidiani e distribuite in edicola anziché in libreria, ha completamente alterato gli ordinari numeri del mercato italiano. La produzione dei collaterali si basa su tirature molto alte, piuttosto insolite per gli editori tradizionali e la programmazione ferrea delle uscite settimanali rende conveniente l’impiego di formati speciali “su misura”. La carta è fabbricata ad hoc dalle cartiere, in dimensioni che non costringono a subire sfridi, nel caso di ordinativi consistenti e prolungati. Si veda in proposito, a p. 82-83, un approfondimento sui ricavi dal foglio. I giorni e la storia. Le migliori immagini dell’archivio Bettman, Editore Contrasto. Formato 21 x 21 cm, brossura cucita, rilegato cartonato con copertina olandese, plancia accoppiata, plastificata opaca (design A+G).

Paesaggi formato Magnum, Editore Contrasto. Libro fotografico con formato ad album 22 x 15,5 cm, brossura cucita, copertina olandese in cartonato a dorso quadro, plastificata opaca (design A+G).

11.9 Il giorno che ha cambiato il mondo, pubblicazione collaterale per il “Corriere della Sera” in occasione dell’anniversario dell’11 settembre 2001. Due tomi in brossura cucita con alette, inseriti in un cofanetto rigido (design A+G).

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Disegnare la gabbia a una colonna Per secoli, e di conseguenza anche per tutto il secolo scorso, nelle tipografie e poi nelle scuole di grafica il disegno della gabbia traeva origine sempre dall’applicazione della sezione aurea. Nella concezione classica della pagina la divisione degli spazi prevede un margine esterno (verso il taglio) con una dimensione pari al doppio di quello interno (verso la cucitura); il margine al piede più grande (quasi il doppio) di quello in testa, che a sua volta è più grande di quello interno. Le pagine, a libro aperto, sono simmetriche e di grande equilibrio formale. Un’impaginazione che rispetta dei canoni classici, legati anche alle abitudini di lettura e alle tecniche di riproduzione che hanno seguito l’evoluzione della stampa; un’impostazione che diventa più complicata e

meno efficace quando i formati sono incrementanti (i margini si allargano eccessivamente se il formato è piuttosto grande) o quando sono ridotti al formato tascabile (i margini si assottigliano troppo e la pagina non risulta più equilibrata). Che cosa è la gabbia? È un “luogo” grafico, dove devono trovare la giusta e bilanciata collocazione tutti gli elementi da impaginare, come testo, immagini, tabelle, didascalie, note, titoli. Per ognuno di questi elementi la gabbia deve poter fornire una posizione, una serie di opzioni d’impiego, l’efficace risposta alle esigenze di lettura. Pur rispettando la storia e la teoria classica è oggi accettato il disegno di una gabbia non allineato agli antichi criteri aurei: i cambiamenti socio-culturali e le trasformazioni nel costume e nell’estetica editoriale hanno profondamente modificato i canoni costruttivi dei manufatti e anche nell’editoria

La gabbia e i margini I margini intorno allo spazio da utilizzare sono così denominati: testa (in alto, F) piede (in basso, D) cucitura (interno della pagina, C) esterno (esterno della pagina, A)

F

Nel primo caso in esame (a fianco) la divisione dello spazio da utilizzare e dei margini avviene secondo una proporzione di 1/3-2/3.

E

Si procede in questo modo: si divide la misura della base per 3 e si assegnano 2 parti allo spazio da utilizzare e 1 parte ai margini (cucitura + esterno). Si procede allo stesso modo per quanto riguarda l’altezza.

A

Per esempio nel formato 17 x 24 cm il calcolo da effettuare sarà il seguente (con gli opportuni arrotondamenti): Per la base: B = 2/3 x 17 = 10,3 (A + C) = 17 - 10,3 = 6,7 A = 2/3 x 6,7 = 4,5 C = 1/3 x 6,7 = 2,2

Riassumendo: A = 4,5 B = 10,3 C = 2,2 A + B + C = 17

Per l’altezza: E = 2/3 x 24 = 16 (D + F) = 24 - 16 = 8 D = 2/3 x 8 = 5,3 F = 1/3 x 8 = 2,7

Riassumendo: D = 5,3 E = 16 F = 2,7 D + E + F = 24

Negli esempi da 2 a 6 alcune varianti dell’impostazione della gabbia a partire dallo schema base nel caso 1.

libraria si sono verificati cambiamenti rilevanti. Si pensi alle innovazioni introdotte dal Bauhaus, dove pur rispettando le figure geometriche primarie e la loro relazione con un’interpretazione strettamente geometrica della pagina, la gabbia a nove quadrati superava la divisione aurea e la ripartizione canonica dei margini. L’invenzione della gabbia (o griglia) porta a un necessario ordine nel campo grafico e all’inizio del secolo scorso la gabbia assume anche un connotato simbolico e salvifico, diventa la soluzione di tutti i quesiti grafico-espressivi. Solo attraverso la gabbia il design della pagina trova le risposte mentre, contemporaneamente, alimenta contraddizioni presso gli spiriti più liberi e meno strutturati. La gabbia, di per sé, però è solo uno strumento e non deve diventare un manifesto ideologico: come raccomandava Joseph Müller-Brockman, uno dei grandi protagonisti del Modernismo nella grafica, “il siste-

B

C

D

1

2. Lo spazio in cucitura viene portato all’esterno, e viceversa, nella pagina di destra.

3. Gli spazi in cucitura vengono portati all’esterno, e viceversa, in entrambe le pagine.

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ma a griglia è un aiuto, non una garanzia. Consente una serie di diversi utilizzi e ogni designer può cercare una soluzione appropriata al suo stile personale. Ma bisogna imparare ad utilizzare la griglia: è un’arte che esige esercizio”.

La sezione aurea e la sequenza di Fibonacci La famosa sequenza dei numeri primi di Leonardo Fibonacci, matematico vissuto a cavallo del XII e XIII secolo, si ripresenta nell’applicazione dei criteri della sezione aurea anche nella grafica. Come nella sequenza di Fibonacci, in cui ogni numero è dato dalla somma dei due che lo precedono, il valore di incremento della sequenza tra i due numeri che si succedono è praticamente quello della proporzione nella sezione aurea (1:1.618). Lo sviluppo della spirale (nell’illustrazione qui sotto) è esemplare per comprendere come la sequenza di Fibonacci – come in migliaia di affascinanti casi in natura – si accompagni all’influenza della sezione aurea: a p. 80-81 di questo libro la suddivisione del formato della carta nei formati di stampa segue lo stesso sorprendente principio.

Nella grafica editoriale la gabbia è lo strumento fondamentale per dare coerenza e consistenza all’artefatto, il suo progetto riflette la cura che si intende conferire alla pubblicazione. È importante però, per un buon designer, assimilare profondamente la parte teorica dell’impostazione anche per poter introdurre ragionevoli cambiamenti e innovazioni. In queste pagine si affrontano il disegno della gabbia e i fondamentali della sua costruzione. Un esempio è rappresentato dalla gabbia per un volume di dimensioni ordinarie, il famoso 17 x 24 cm così diffuso nell’editoria scolastica e nella saggistica.

3 5 2

1

13

8

La sequenza di Fibonacci è utile anche nell’attribuire un ideale corretto rapporto nell’uso diversificato e armonioso dei corpi tipografici in un impaginato (per esempio negli intervalli: corpo 5, 8, 13, 21, 34, 55 …).

A

8

Rapporto tra bianco e nero con l’uso delle diagonali delle pagine a fronte Le diagonali delle pagine a fronte stabiliscono l’area stampabile e gli spazi bianchi dei margini.

D 7

Si procede nel seguente modo: si divide l’altezza del formato pagina in 8 parti uguali. Si traccia la diagonale tra il punto A e il punto 2. L’intersezione B determina il rettangolo 0-5-B-C che è lo spazio da utilizzare, cioè l’ingombro stampa. L’intersezione D darà il punto, sulla diagonale, per la ridistribuzione degli spazi da assegnare ai margini.

6

5

1

B

4

3

2

1

0

C

4. Gli spazi in cucitura e all’esterno in questo caso diventano uguali.

5. Oltre agli spazi in cucitura e all’esterno diventano uguali anche quelli in testa e al piede.

6. Come l’esempio 1 ma con i margini uguali in testa e al piede.

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Disegnare la gabbia a una colonna con il metodo delle diagonali Nel disegno della gabbia, oltre all’applicazione del principio della sezione aurea si può anche procedere con il metodo delle diagonali. Il risultato, nel rispetto dei rapporti proporzionali, ripropone sempre i requisiti della sezione aurea e i relativi rapporti proporzionali tra i margini: 2, 4, 3, 6. Naturalmente questo sistema non prevede l’attribuzione di misure prefissate: tracciando le diagonali lungo le singole pagine, si può poi individuare un punto di origine a seconda delle caratteristiche del layout di impaginazione. È un metodo piuttosto semplice e con un’estesa ampiezza di applicazione, compatibile con le diverse esigenze di progetto, perché non si riferisce a formati standard e

quindi può essere impiegato per qualsiasi aspetto dimensionale e proporzionale dello stampato. Negli esempi di questa pagina sono riproposti modelli standard e modelli dalle proporzioni meno usuali. Il disegno della gabbia oggi non è più considerato un dogma, e molte regole – necessarie un tempo per assecondare i vincoli di composizione e stampa, che costringevano a margini, spaziature e corpi tipografici non modificabili e rigidi perché concepiti con un vincolo di tipo meccanico – sono state in qualche modo superate dalle versatilità e dalle innovazioni introdotte nei processi produttivi. Tuttavia, conoscere queste regole fondamentali può essere utile per mantenere non solo il rigore che fa di un libro un artefatto superiore, ma anche per rispettare il lettore, attraverso immediatezza, chiarezza e cura nel trasferimento del messaggio.

Rapporto tra bianco e nero con l’uso delle diagonali delle pagine a fronte Si tracciano le diagonali della doppia pagina. Si traccia poi la diagonale delle singole pagine, partendo dall’angolo interno superiore all’angolo esterno inferiore. L’intersezione A stabilisce il punto di costruzione del rettangolo dello spazio da utilizzare, l’ingombro stampa.

Il centro ottico Riteniamo convenzionalmente il centro di qualsiasi spazio il punto di massima attrazione visiva. Tuttavia, per quel che riguarda la pagina stampata, il centro dato dall’intersecazione delle diagonali non corrisponde a quel “centro ottico” che invece cattura la nostra attenzione. Gli studi gestaltici hanno messo in luce come lo spazio e le azioni che avvengono al suo interno siano da ricondurre a meccanismi legati alla percezione delle forze nel campo. Nel bianco della pagina gli elementi che alterano anche parzialmente gli equilibri influenzano il punto di focalizzazione primario. Il “centro ottico”, in un formato verticale, non è il punto di incontro delle diagonali, bensì una posizione leggermente superiore, individuabile empiricamente da un occhio esperto, ma comunque identificabile attraverso una serie di quattro passaggi indicati al piede della pagina a destra.

A

Facendo scorrere quest’ultimo sulla diagonale interna, fino a intersecare i due angoli superiori sulle due diagonali di pagina tracciate, si otterrà la corretta ripartizione proporzionale degli spazi da dedicare ai margini.

Il risultato Posizionamento definitivo dei due rettangoli degli spazi da utilizzare: la gabbia è delineata.

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La suddivisione degli spazi ottenuta secondo il sistema delle due diagonali è la più usata: infatti qualsiasi spazio da utilizzare venga scelto, i margini conservano sempre fra di loro un rapporto costante. Il margine esterno è sempre il doppio di quello in cucitura, così come quello al piede rispetto a quello in testa.

1,5

2

1,5

Edis niam repelitat porerrunt ium imollen dandae voluptae offici abor sunt ut eost, offictate molorepre nos amus. Debis eate volorenis rerit fuga. Xerum aut liquas inctur re, tem repraecae. Lor aut fuga. Nam, omniate cturiande pa cor sequuntibus vent ipsant, qui sunt quundandi ne cor magnim et as es asim coribus cilitate niminci mporestorit quam, que pratur re quatecta illut aut aut lam, unt. Aque sum con rem res es et quos aliquid erferrovid quia qui dolorerumene por milicturecto consequ aepraer spiciet, toreris accae voloritature sincienihil illit pratur samus maximus reri odis pra acea dignistrum ilique cus unti bla comnihi litatis experum et qui conecti atenihil eos ex erferem remolor undelenit a volorem olestia sit, ut voluptatium rerro con pratiae necepelibus, quae pora viti cus net quis eaquis asperae re expliate volorum evenima qu.

3

1,5

Edis niam repelitat porerrunt ium imollen dandae voluptae offici abor sunt ut eost, offictate molorepre nos amus. Debis eate volorenis rerit fuga. Xerum aut liquas inctur re, tem repraecae. Lor aut fuga. Nam, omniate cturiande pa cor sequuntibus vent ipsant, qui sunt quundandi ne cor magnim et as es asim coribus cilitate niminci mporestorit quam, que pratur re quatecta illut aut aut lam, unt. Aque sum con rem res es et quos aliquid erferrovid quia qui dolorerumene por milicturecto consequ aepraer spiciet, toreris accae voloritature sincienihil illit pratur samus maximus reri odis pra acea dignistrum ilique cus unti bla comnihi litatis experum et qui conecti atenihil eos ex erferem remolor undelenit a volorem olestia sit, ut voluptatium rerro con pratiae necepelibus, quae pora viti cus net quis eaquis asperae re expliate volorum evenima qu.

2

1

3

La gabbia ideale tracciata con i principi della sezione aurea e l’individuazione dello spazio del testo con il metodo delle diagonali (visto nella pagina a fianco). La base stabilisce l’altezza dello spazio destinato al testo. Il margine interno stabilisce il modulo base, che raddoppiato definisce quello esterno;

1 Centro pagina

2

Centro ottico

1,5

1

2

Strum ilique cus unti bla comnihi litatis experum et qui conecti atenihil eos ex erferem remolor undelenit a volorem olestia sit, ut voluptatium rerro con pratiae necepelibus, quae pora viti cus net quis eaquis asperae re expliate volorum evenima qu.

Strum ilique cus unti bla comnihi litatis experum et qui conecti atenihil eos ex erferem remolor undelenit a volorem olestia sit, ut voluptatium rerro con pratiae necepelibus, quae pora viti cus net quis eaquis asperae re expliate volorum evenima qu.

3

3

il margine in testa è una volta e mezza il modulo base, quello al piede è tre volte il modulo base. La gabbia tracciata per il solo testo può essere utilizzata, con un’ulteriore suddivisione, per inserire immagini di diversa dimensione, rispettando i margini e cercando sempre l’allineamento tra le masse del testo e delle illustrazioni.

2

3

4

Individuazione del centro ottico in quattro passaggi chiave.

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Disegnare la gabbia per il formato quadrato Un formato particolarmente interessante, utilizzato spesso nella progettazione di libri illustrati (volumi d’arte e fotografia, illustrazione e architettura) è il formato quadrato. Già il formato è portatore di uno spirito di equilibrio e perfezione, e come abbiamo già visto (p. 106-107) l’adozione di un “metodo” per dare un senso di origine e rispetto alle cose costituisce lo spunto per la ricerca dell’armonia. Anche nell’impaginazione. Il formato quadrato consente suddivisioni regolari delle partizioni della pagina: mantenendo un rapporto costante è possibile ottenere gabbie a una colonna o più colonne. Un sistema è quello di riferirsi a un rapporto costante 1/3-2/3. Si procede dividendo la base della pagina in tre moduli uguali. Un modulo è la dimensione che frazioniamo in

2/3 per il margine esterno e 1/3 per il margine interno, mentre la dimensione di due moduli definisce lo spazio per testi e immagini; lo stesso sistema si usa per definire il margine al piede e quello in testa. Un’altra opzione è quella offerta dal rapporto costante 2/5-3/5. Con lo stesso procedimento si tracciano le diagonali e si fraziona la pagina in cinque moduli uguali: tre moduli definiscono lo spazio per impaginare testi e immagini, due moduli la dimensione da dividere per i margini. Poiché il rapporto è 2/5-3/5, i due moduli per i margini vengono divisi ulteriormente in cinque parti: due parti per il margine interno e di testa, tre parti per il margine esterno e al piede. Altri rapporti Potete individuare anche altri rapporti costanti, come 1/5-4/5 per esempio, o rapporti ancora più ridotti, che consentono di

Come nel primo caso preso in esame (p. 108), la suddivisione dello spazio da utilizzare e dei margini avviene secondo una proporzione di 1/3-2/3. La procedura è uguale a quella già indicata; naturalmente, essendo i lati uguali, il margine in testa risulta uguale a quello in cucitura e quello al piede uguale a quello sul lato esterno; lo spazio da utilizzare ottenuto (ingombro stampa) risulta quadrato.

La gabbia a nove quadrati Considerata una cifra stilistica della cosiddetta “grafica svizzera”, la gabbia a nove quadrati è uno strumento estremamente utile per conferire ordine e rigore a testi e immagini rispettando un criterio di massima coerenza visiva. È nata anche per consentire l’impaginazione su colonne parallele delle tre lingue ufficiali normalmente in uso nelle pubblicazioni della Confederazione elvetica.

F

E

Nell’esempio 1 (formato 20 x 20 cm) il calcolo da effettuare sarà il seguente (con gli opportuni arrotondamenti): Per la base: B = 2/3 x 20 = 13,3 (A + C) = 20 - 13,3 = 6,7 A = 2/3 x 6,7 = 4,5 C = 1/3 x 6,7 = 2,2

ridurre i margini e sfruttare più modularità e spazi per l’impaginazione di testi e immagini. La questione importante è sempre quella di esprimere un senso riconoscibile e utile, anche solo attraverso la percezione di ciò che si progetta. In tutte le opzioni lo spazio centrale può essere distribuito su una o più colonne, anch’esse divisibili in moduli fissi o in colonne a impiego più libero, a seconda delle funzioni e delle necessità dell’impaginato.

A

Riassumendo: A = 4,5 B = 13,3 C = 2,2 A + B + C = 20

B

C

D

1 Per l’altezza le misure sono uguali: D = A = 4,5 F = C = 2,2 E = B = 13,3 D + E + F = 20

Altre soluzioni Lo spazio da utilizzare può essere tracciato nella pagina anche in altre modalità:

2

3

4

5

2. Lo spazio in cucitura viene portato all’esterno, nella pagina di destra. 3. Gli spazi in cucitura vengono portati all’esterno, in entrambe le pagine. 4. Gli spazi in cucitura e all’esterno diventano uguali. 5. Oltre agli spazi in cucitura e all’esterno diventano uguali anche quelli in testa e al piede.

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La base di un’unità suddivisa in nove quadrati costituisce il fondamento della scuola svizzera nell’impaginazione grafica e tipografica.

Attenendosi rigorosamente allo schema dei nove quadrati, si possono sviluppare ventiquattro diverse soluzioni compositive, mantenendosi sempre in relazione con l’insieme e governando la coordinazione e l’equilibrio di testo/immagini.

Suddivisione degli spazi ottenuta secondo il sistema delle diagonali nel formato quadrato. La descrizione dell’operazione è descritta a p. 110. Questo tipo di suddivisione è meno utilizzato rispetto a quello del formato rettangolare, perché il formato quadrato non è generalmente adottato per i libri di tipo tradizionale (romanzi, saggi), ma generalmente per monografie illustrate o libri d’arte e cataloghi.

Nel formato quadrato la suddivisione dello spazio e la definizione dei margini risultano più funzionali quando i margini sono uguali su tutti i lati e lo spazio da utilizzare ottenuto risulta quadrato.

A fianco sono indicate alcune tra le diverse possibilità di suddivisione dello spazio in colonne verticali o orizzontali. I criteri che si possono seguire sono numerosi; per esempio, le colonne possono anche avere dimensioni diverse sia in verticale che in orizzontale, optando per impieghi differenti delle lingue o delle posizioni di testo e immagini.

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Colonne, canalini e altri elementi della gabbia La gabbia, come abbiamo visto nelle pagine precedenti, è il campo che possiamo attrezzare per ospitare i nostri elementi grafici. La gabbia di un libro può essere progettata per accogliere un lungo testo corrente, come in un romanzo, oppure brevi testi di accompagnamento insieme a illustrazioni o fotografie, in una o più lingue, come nei saggi o i libri d’arte. La distanza che separa una colonna dall’altra viene chiamata generalmente canale (o canalino), e la sua dimensione è sempre relativa al corpo e all’interlinea utilizzati: infatti è un’area che ha la funzione di “separare” la lettura, interrompendola a fine riga per invitare ad andare a capo. Se questa distanza non è sufficiente a marcare questa interruzione si genera un effetto confusivo di grande disturbo.

Numero di pagina

Storicamente questo spazio, per testi dal corpo 9 circa e con un’interlinea compatta, veniva stabilita con una riga tipografica (12 punti Didot). Per corpi più piccoli, su una pagina a più colonne di medio formato, come per esempio in un dizionario o un’enciclopedia, i canalini possono e devono essere ridimensionati per poter mantenere ordine e separare in maniera equilibrata una colonna dall’altra e rispettare l’indispensabile compattezza dell’interlinea del testo. La pagina di un’enciclopedia contiene spesso più di 12.000 battute e l’economia generale del numero di pagine stampate è fondamentale: una gabbia capace di rispondere con efficacia a requisiti di leggibilità ed economia è la soluzione ideale per utilizzatore e editore. Un’importante considerazione, infatti, deve sempre essere fatta relativamente all’interlinea: se questa, nella composizione della colonna, dovesse essere troppo aperta i

bianchi orizzontali dell’interspazio tra riga e riga si potrebbero confondere con il bianco verticale del canalino, generando nella lettura una evidente incomprensione del momento di fine riga in cui occorre andare a capo. Un canalino troppo aperto, invece, genera l’effetto di “separare e spingere” le due colonne di testo verso i lati estremi della pagina (interno ed esterno), con l’antiestetico risultato di una sgradevole distribuzione delle colonne sulla doppia pagina aperta. Quando abbiamo la necessità di far correre sulla stessa pagina parallelamente testi in lingua diversa, oppure la pagina è troppo grande per composizioni con un corpo ridotto su una riga sola, si deve spezzare la giustezza di pagina in una o più colonne, che possono avere – in alcuni casi – anche dimensioni differenti. Un esempio: una pagina su cui abbiamo previsto un testo in italiano, la sua traduzione in tedesco e una in inglese, deve

Filetto

Canalino Colonnina di servizio per note, didascalie, rimandi

GEOGRAFIA DELLE EMERGENZE

Filetto

Testatina

Sopra: paginazione semplice, con numero di pagine in testa e filetto. A fianco: paginazione con filetto e testatina.

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considerare le diverse lunghezze (e quindi ingombri) in cui si sviluppano le tre lingue: l’italiano avrà il suo ingombro standard, il tedesco sarà decisamente più lungo e l’inglese decisamente più corto. Questo discorso vale per testi di una certa lunghezza, perché per testi brevi la differenza di battute non è sensibile, mentre per testi lunghi è rilevante e una buona gabbia può risolvere il problema. Un’altra possibile soluzione è quella di ridurre il corpo per la lingua più lunga, ma è necessaria una certa abilità nell’impaginazione per dare addirittura senso e risalto a questa messa in pagina particolare; oppure di comporre il testo più lungo a pacchetto e quello più corto a bandiera, approfittando della riduzione di ingombro nel testo a pacchetto contro uno sviluppo più esteso se il testo è a bandiera. Prove ed esperienza aiutano a trovare sempre una buona ed efficace soluzione, sia tecnica che estetica.

Già dai tempi dell’impaginazione dei primi libri stampati si fa ricorso a questo espediente delle diverse giustezze nel caso di testi in più lingue, con risultati notevoli per armonia ed equilibrio, pur costretti dai vincoli dettati dai corpi standard disponibili e dalla necessità di rimanere entro i limiti dei distanziatori meccanici. Gabbia simmetrica o no? La gabbia può seguire un criterio simmetrico o asimmetrico e le colonne possono essere, anche per testi monolingua, di giustezza diversa per esplicitare differenti funzioni: la colonna più grande è adatta al testo corrente e quella più stretta può servire per note, riferimenti, didascalie. Una gabbia di questo genere è estremamente utile per poter disporre di uno spazio ulteriore per allargare la dimensione delle immagini con un “fuorigabbia” dal testo e per creare spazi per le didascalie, le note e i commenti.

Prima di disegnare la gabbia, tuttavia, è importante essere a conoscenza di una serie di informazioni irrinunciabili: ingombro del testo, tipologia delle immagini da utilizzare, entità delle note e didascalie da inserire. Ma soprattutto conoscere, nel caso queste informazioni siano fornite dall’editore e non siano richieste con il progetto, le intenzioni commerciali ed economiche dell’editore, il tipo di distribuzione e le condizioni di vendita (il libro è previsto per le librerie o per le edicole? È distribuito solo online o viene consegnato per corriere? È una produzione in più volumi che necessitano di un dorso omogeneo, o una monografia aziendale da consegnare personalmente ai visitatori di un’azienda?). Conoscere i vincoli di produzione (formato, confezione, carta, numero di segnature previste) è necessario per poter affrontare il tema degli ingombri e di conseguenza disegnare la gabbia più adeguata a contenerli.

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3 Qui sopra: tre composizioni di testo; con il canalino troppo stretto (caso 1: il testo della prima colonna rischia di confondersi sulla stessa riga con il testo della colonna a fianco); con canalino troppo simile allo spazio dell’interlinea (caso 2: il testo è confuso e la lettura naviga tra gli spazi e le righe perché non è ben netta la separazione tra le colonne); con canalino corretto (caso 3: le righe della prima colonna vanno a capo senza creare confusione e al termine della prima colonna è intuitivo riprendere la lettura in testa alla seconda colonna). A fianco (in alto): una doppia pagina con gabbia a due colonne simmetriche e di diversa giustezza (perfetta per saggi in cui le note o le didascalie sono consistenti e devono essere posizionate a fianco del testo a cui fanno riferimento). A fianco: una gabbia a tre colonne in cui si mostra come l’accostamento di tre lingue possa raggiungere riempimenti diversi (in genere il tedesco occupa più spazio, l’inglese meno spazio dell’italiano e del tedesco).

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Il calcolo degli ingombri Per impaginare un libro bisogna poter disporre dei suoi testi in forma digitale: significa che i testi sono stati composti da un autore con un programma di videoscrittura (per esempio Microsoft Word) e che non è importante con quale carattere siano stati composti, perché oggi siamo in grado di cambiarlo insieme al corpo, alla giustezza, all’interlinea e alla forma di composizione. Normalmente, per un libro, i testi sono consegnati con un file di Word, ma in caso di tabelle, diagrammi o titolazioni, i file sono in formati Excel o Illustrator. Nel caso di un testo esistente solo in forma già stampata (per esempio un’edizione del passato da rieditare in una nuova collana) o di un dattiloscritto ritrovato e di cui non si possiede il file, sarà necessario ricorrere all’intera ricomposizione del testo trascrivendolo con Word su un nuovo do-

cumento, oppure servirsi di programmi di scansione OCR (Optical Character Recognition) che leggono il testo stampato e lo convertono in forma di file. In questo caso occorre però fare attenzione: il sistema di scansione OCR, seppure sempre più sofisticato (i software sono numerosi e alcuni anche gratuitamente scaricabili dal web) non può garantire l’esattezza della traduzione, perché può leggere un’impurità della carta come fosse una lettera o confondere un particolare disegno di punteggiatura con un altro: il margine di errore è sensibile e sarà sempre inevitabile ricorrere a più giri di bozze per verificare la corrispondenza tra originale e file generato con la scansione. In altri casi si potrebbe essere in possesso di un file PDF e avere la necessità di convertirlo in Word per poterlo poi utilizzare in un impaginato in InDesign. In ogni caso da un file dobbiamo sempre e comunque partire, e ci potrà essere consegnato su qualsiasi archivio esterno (penne

USB, hard disk) o inviato via mail dagli autori o dal nostro editore. A partire dal file, oppure dal testo Con un file di Word un comando ci consente di conoscere di quante battute (battute: non parole) è composto l’intero testo: questo dato è il primo tra quelli importanti. Consideriamo “battuta” di testo non solo i caratteri o la punteggiatura, ma anche gli spazi tra le parole e tra parole e punteggiatura. La nostra riga di testo sul file quindi sarà composta da un certo numero di battute (spazi inclusi), che molto probabilmente non sarà lo stesso della riga successiva e di tutte le altre: parole diverse, spazi diversi, righe piene o non del tutto. Nel caso invece si debba partire da un testo non in forma di file (per esempio la riedizione di un vecchio testo già stampato) il criterio empirico per avere un riferimento sul numero di battute è contare il numero di battute di una riga (compresa la punteggia-

Il software per la composizione del testo ci consente di conoscere di quante battute è composto il testo contenuto nel file che stiamo utilizzando. Abbiamo così l’ingombro di riferimento per calcolare l’estensione del testo una volta “riversato” nella nostra gabbia di progetto. Ingombro originale: 672 battute.

Sistema manuale di calcolo dell’ingombro totale del testo. Nel caso non si disponga di un file, ma di cartelle stampate o di pagine di un testo da rieditare, il sistema è semplice: si contano tutte le battute (compresi gli spazi bianchi e la punteggiatura) di cui è composta una riga e si moltiplica il valore (che resta medio e approssimativo) per il numero di righe di ogni cartella o pagina e infine il valore di ogni cartella o pagina per il numero totale delle cartelle o delle pagine del libro. Ingombro originale: 100 x 7 = circa 700 battute. Nel caso si decidesse per una composizione a bandiera dobbiamo considerare un incremento d’ingombro, per lo stesso testo, di almeno il 10-15% rispetto allo stesso testo composto a pacchetto.

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tura e gli spazi vuoti) e di quella successiva. Si divide la somma per due, e si ottiene un valore medio di battute per riga. Si moltiplica questo valore per il numero di righe totali, ovviamente se tutte le righe mantengono la stessa giustezza e lo stesso corpo. Questa operazione ci fornirà un risultato indicativo delle battute totali del testo da impaginare. Se la composizione su cui abbiamo eseguito la moltiplicazione è a pacchetto, approssimativamente possiamo prendere come riferimento il risultato. Se la composizione è a bandiera, il numero delle battute da prendere come riferimento sarà inferiore, perché le righe non sono tutte uguali e non raggiungono tutte la massima giustezza. Si considera quindi una riga “media”, e la si moltiplica per il numero di righe con cui è composto il file originale. A questo punto, con una tipologia di composizione o un’altra, abbiamo un “ingombro” del testo espresso in numero di battute, indi-

pendentemente dal corpo tipografico. Si ricorda che il calcolo degli ingombri è un valore approssimativo, e che si devono tenere in debito conto le eventuali righe vuote che separano un paragrafo da un altro, la distanza tra un titolo di capitolo e l’attacco della prima riga di testo e le pagine finali di un capitolo, che raramente raggiungono il fondo gabbia. Bene: abbiamo quindi il numero di battute complessivo del nostro testo da impaginare. È il momento di considerare la gabbia. Prima dell’avvento del computer e dei programmi di impaginazione occorreva fare delle prove di calcolo confrontando esempi di testo prestampati (a un certo corpo, e con un certo carattere) per ottenere il numero di battute che – sulla nostra nuova determinata giustezza – avrebbe riempito una riga. Moltiplicando poi quel valore per il numero di righe previsto, con una certa interlinea nella nostra gabbia, avremmo ot-

Se abbiamo già progettato la gabbia e deciso corpo e interlinea, con un testo finto possiamo riempire la pagina (nel caso in figura le due colonne di ogni pagina) e ottenere un valore di riempimento per pagina. La simulazione ci servirà per verificare l’equilibrio della composizione e decidere se il totale delle battute da impaginare riuscirà a rimanere entro le pagine preventivate oppure se occorrerà aumentare le pagine, ridurre il corpo o l’interlinea. Calcolo dell’ingombro e dello sviluppo delle pagine: n° di battute per riga in corpo 10 = X n° di righe per colonna con interlinea 12 = Y n° di battute per riga x n° di righe per colonna x n° di colonne per pagina = n° di battute per pagina n° di battute originale: n° di battute per pagina = n° di pagine della nuova pubblicazione

tenuto il valore complessivo di battute per colonna e/o per pagina. A questo punto il calcolo finale sarebbe stato semplice: numero di battute complessivo dello stampato (originale) diviso numero di battute per pagina (di progetto) uguale numero di pagine del nuovo stampato. Oggi è piuttosto veloce, con un programma di impaginazione come InDesign, procedere direttamente al computer, e accorgersi di che cosa succede inserendo il file di testo (copiato da Word) nella nostra nuova gabbia: inizialmente, proviamo con un corpo che ci sembra adeguato alla giustezza e al formato della gabbia, scegliamo un carattere e un’interlinea e abbiamo immediatamente la disposizione (proprio come se versassimo un fluido in un contenitore) di tutto il testo nelle pagine del nostro impaginato. Il numero di pagine raggiunto a completamento dell’operazione ci informa sull’estensione dell’impaginato.

Raccomandazione Non accontentiamoci di osservare l’aspetto di ciò che abbiamo raggiunto semplicemente osservando lo schermo del computer: le dimensioni sono ridotte, la percezione della leggibilità e della chiarezza sono alterate dalla retroilluminazione, i margini non sono “al vivo” e non abbiamo il riscontro immediato di quel che è nella realtà (nelle dimensioni reali) la nostra pagina. Il consiglio è allora quello di stampare una doppia pagina (se il formato fuoriesce da quello disponibile con la vostra stampante si stampano allora le due pagine separatamente, le si ritagliano lungo i margini veri e le si uniscono simulando la doppia pagina aperta di un libro a formato reale). Se l’impressione non è soddisfacente si prova con un altro corpo, un’altra interlinea, un altro carattere (nel caso sia consentito e non obbligato per esempio dai canoni stabiliti di una collana esistente). Le prove su carta sono importanti, l’osservazione critica di ogni elemento è fondamentale per la riuscita del progetto: servono dunque tempo e attenzione, per prendere la decisione migliore. Non bisogna mai essere affrettati nel giudicare il proprio lavoro. Bisogna essere invece sempre severi e precisi.

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Scegliere il carattere corretto per il testo di un libro La storia dei caratteri tipografici ci insegna che le forme del testo non solo esplicano una funzione precisa (quella di rendere semplice, gradevole e in alcuni casi memorabile la lettura), ma che trasmettendo la qualità dei contenuti sanno evocare anche atmosfere utili a collocare nel tempo una narrazione, sintetizzando un’appartenenza culturale e generando connessioni di senso. L’eccessiva proliferazione dei caratteri ha causato una forte contaminazione di stili e tendenze e, insieme alla disponibilità in rete di programmi per la creazione di altri caratteri, lo scenario si è ulteriormente congestionato e confuso. L’editoria, da secoli, ha sperimentato nuovi disegni e accostamenti, e forse è bene che in campo professionale si faccia riferiA fianco, la serie di caratteri graziati consigliati per la composizione di un testo corrente. Si tratta di una selezione estremamente soggettiva dell’autore, che non esclude ovviamente da parte di altri progettisti scelte differenti e senz’altro giustificate da criteri stilistici e funzionali. In ogni caso è difficile pensare che scegliendo uno di questi caratteri si possano commettere gravi errori. L’aspetto sorprendente è che alcuni di essi sono stati ideati oltre due secoli fa e il Garamond addirittura nel XV secolo: quando un progetto è perfetto è semplicemente senza tempo e si può riporre in esso aspettative e fiducia.

mento a questo patrimonio così imponente e significativo, anche quando si avesse intenzione di superarlo con l’introduzione di nuovi caratteri. Cominciamo da alcune linee di principio: per i testi narrativi o comunque “lunghi” (romanzi, racconti, saggi) è bene scegliere un carattere graziato, capace di rendere la lettura più fluida, immediata e morbida. Per libri illustrati o manuali come quello che state leggendo (e meno “classici”), si può ricorrere a caratteri senza grazie, se i testi non sono eccessivamente lunghi. Ogni progettista si affeziona però ad alcuni caratteri (e qualcuno spesso esagera, imponendo arrogantemente uno stile personale a prescindere dalla funzione del libro e dall’identità del suo cliente) e preferisce utilizzarli in svariati contesti; altre volte si sperimentano applicazioni con nuovi alfabeti e disegni; tuttavia una buona dotazione “culturale” di partenza – mentre ci si accinge a progettare un libro – potrebbe basarsi su

alcuni semplici riferimenti. Proviamo a identificare le serie più appropriate. Caratteri graziati (serif) Baskerville, Bembo, Palatino, Garamond, Garamond Simoncini, Bodoni, Century. Si tratta di caratteri ben progettati e ampiamente sperimentati in editoria, con legature studiate e soluzioni ottiche particolarmente indicate per la composizione a corpo ridotto di testi piuttosto lunghi. Le loro famiglie sono ricche e versatili, con disponibilità di neretti, tondi chiari e corsivi. La loro origine non si può davvero definire “moderna”, ma le accurate versioni digitalizzate hanno saputo correggere quei dettagli che li rendono ancora oggi sorprendentemente attuali ed efficaci. Caratteri bastone (sans serif) Futura, Helvetica, Gill, News Gothic, Univers, Frutiger, Franklin.

Caratteri graziati (serif) Baskerville

Bembo

Palatino

Garamond

Garamond Simoncini

Bodoni

Century

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È un gruppo “storico” di bastoni adatti a titolazioni, didascalie, tabelle, note e rimandi, in combinazione con testi correnti anche in graziato. Anche queste famiglie dispongono di versioni ampie di neretti e corsivi, addirittura molto più estese dei graziati classici. Poco adatti – se non su pieghevoli e cataloghi – a testi lunghi, sono indicati per quelle impaginazioni dove può essere utile un netto salto estetico tra testo corrente (in graziato) e didascalie o box (in bastone), come in saggi tecnici illustrati o libri scolastici. È importante tenere sempre presente che alcuni caratteri reagiscono bene per quanto riguarda la riduzione e la leggibilità, fino a un certo corpo; altri non reggono per esempio lo sfondamento in negativo (quando il testo è bianco o colorato su fondo pieno) a causa di grazie troppo esili che tendono a chiudere la lettera e di conseguenza a rendere difficile la lettura. E che tra carattere e carattere, a causa della differente dimensione dell’oc-

chio medio, emergono rilevanti problemi di leggibilità anche allo stesso corpo. Una ragione ulteriore per procedere sempre con una prova preliminare su carta prima di deciderne l’adozione, al fine di verificarne la fluidità di lettura e le compatibilità con il trattamento previsto. Se il progetto grafico è rivolto a una collana e non a una pubblicazione monografica, la scelta del carattere diventa operazione strategica per conferire identità editoriale nel corso del tempo. Scegliere il carattere appropriato, i glifi e le cifre adeguati al tipo di trattazione del testo, non è operazione solamente estetica ma funzionale (e spesso anche economica, perché può significare contenere l’estensione del testo, il numero di segnature e i costi di legatoria). Il libro è e resta sempre e comunque un prodotto, nobile ma che ha un costo, un prezzo e che deve, nonostante tutto, essere anche venduto.

Caratteri lineari o bastone (sans serif) Futura

Garamond Simoncini Il Garamond Simoncini, una delle versioni del Garamond più utilizzate nell’editoria italiana, nasce in Italia nel 1958 a opera di Francesco Simoncini, tipografo e disegnatore di caratteri bolognese. Commissionato da Giulio Einaudi nel 1956 a Simoncini, il progetto fu supervisionato da Oreste Molina, l’esperto direttore tecnico dell’Einaudi e custode della qualità del catalogo torinese. Nonostante a Torino, dove aveva sede l’Einaudi, vi fosse la celebre Nebiolo, Molina preferì la flessibilità di Simoncini per concepire quel carattere costruito su misura e per una chiara funzionalità, la possibilità di disporre dei “mezzi punti” che avrebbero reso distintiva la qualità dei testi einaudiani. Leggermente più rotondo e morbido, il Garamond Simoncini si impone per quella magistrale sapienza che combina la tradizione con l’innovazione, alla ricerca del rispetto per il lettore. Senza Giulio Einaudi e Oreste Molina però, Simoncini non avrebbe avuto quell’immenso onore di associare il suo nome a quello del grande maestro francese del XVI secolo.

Helvetica

Gill

News Gothic

Garamond Simoncini (1958) Univers

Frutiger

Franklin

Garamond (1532)

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Editing e regole di base: i fondamentali /1 Affrontare il progetto per la realizzazione di un libro non significa per il designer limitarsi a mettere in gabbia un testo e delle immagini. Un progettista consapevole e preparato sa che il suo ruolo va oltre la stretta attività grafica e che la responsabilità si estende anche alla verifica della forma grammaticale e ortografica del testo, e che l’attribuzione di valori e caratteristiche a un testo si traduce implicitamente in impegno culturale rilevante, oltre che tecnico o estetico. Editing è l’attività di cura e preparazione di un originale per la sua trasformazione in un testo composto. Normalmente nelle case editrici questa funzione è svolta da redattori e editor preposti a occuparsi del testo, e le indicazioni istituzionali sono contenute in manuali in cui vengono raccolte le regole

adottate in quella specifica casa editrice o gruppo editoriale. Molto spesso questi manuali, utilizzati non solo dai redattori ma anche dagli stessi autori, dai traduttori e dai correttori, non condividono, tra una casa editrice e una concorrente, le stesse regole ideali. Significa di conseguenza che se come designer si opera professionalmente per più case editrici è importante prima informarsi sull’esistenza di norme redazionali precise in uso presso il proprio committente e di conseguenza adeguarsi. In ogni caso se la redazione (editing) del testo comporta l’indicazione di conformazione del testo, la correzione di accenti e modalità per indicare date e note, l’introduzione di rientri di testo o l’applicazione di corsivi e neretti, è bene che il designer conosca dei fondamentali per poter intervenire opportunamente in caso di correzioni, e condividere con i redattori la responsabilità

della forma più corretta del testo. Saper individuare un refuso, correggere un accento grave in uno acuto, rispettare le regole dell’ortografia e della grammatica, significa assicurare valore all’artefatto libro e farsi apprezzare dal proprio committente non solo per il progetto grafico ma anche per la cura nel processo di realizzazione. Proviamo qui a raccogliere i fondamentali, un sintetico e irrinunciabile bagaglio che ogni designer editoriale deve poter mettere a disposizione del proprio lavoro: è solo una selezione delle raccomandazioni principali, una trattazione completa richiederebbe – appunto – un manuale specifico. Accento Serve a indicare una vocale tonica o sulle parole polisillabe in cui la voce cade sulla vocale finale: viaggiò, guardò, mangiò, esultò, pietà, martedì. L’accento può essere in forma grave o acu-

Accento È obbligatorio per distinguere alcuni monosillabi che si scrivono con le stesse lettere non accentate:

Accento acuto

ché (“poiché”, congiunzione causale) dà (indicativo presente di dare) dì (“giorno”) è (verbo) là (avverbio) lì (avverbio) né (congiunzione) sé (pronome tonico) sì (“così”, o affermazione) tè (pianta, bevanda)

che (congiunzione in ogni altro senso, o pronome) da (preposizione) e dà o da’ (imperativo di dare) di (preposizione) e dì (imperativo di dire) e (congiunzione) la (articolo, pronome, nota musicale) li (pronome) ne (pronome, avverbio) se (congiunzione, pronome atono) si (pronome, nota musicale) te (pronome)

L’accento è sempre grave sulle parole seguenti:

L’accento è sempre acuto sulle parole seguenti:

ahimè (ohimè), caffè, cioè, coccodè, diè,

ché (poiché)

è, lacchè, piè, tè

e i composti di che (affinché, macché, perché)

sulla maggior parte dei francesismi adattati, come:

fé e i composti affé, autodafé

bebè, cabarè, purè

i composti di re e di tre (viceré, ventitré)

e sulla maggior parte dei nomi propri, come

i passati remoti (credé, temé, escluso diè)

Giosuè, Mosè, Noè, Salomè

le parole mercé, né, scimpanzé, sé, testé

Apostrofo

Anziché poco

Anziché vai

Accento grave

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ta. L’accento grave si usa in genere per le vocali aperte e dove non si può individuare il diverso grado di apertura (à, ì, ù), sui nomi propri Mosè, Giosuè, Salomè. Si usa la è grave quando si vuole indicare la terza persona presente del verbo essere, e si usa per ahimè, caffè, tè, cioè. L’accento sulla e diventa acuto in tutti gli altri casi (perché, macché, viceré, trentatré…). Un bravo designer editoriale o art director coglie al volo un errore nel testo e spesso è proprio la ricerca degli accenti che aiuta a individuare i refusi nascosti. Apostrofo L’apostrofo elimina una vocale finale atona senza accento, per esempio in fa’ (anziché fai), in va’ (anziché vai); si usa anche nel troncamento, come nella caduta di un suono in una parola, per esempio: po’ (anziché poco). È impiegato anche per elidere le prime due cifre dell’indicazione di un anno (’17 anzi-

ché 2017) oppure per indicare una misura di tempo (45’ del secondo tempo, anziché 45° minuto del secondo tempo). Virgolette Si usano in apertura e chiusura dei dialoghi, quando non si intende utilizzare il trattino. Possono essere italiane (o basse, cioè sergenti e caporali), o inglesi (o alte, semplici o doppie). Una buona regola è quella di utilizzare le viorgolette quando si deve precisare o indicare nel periodo un termine conseguente all’uso di cosiddetto (per esempio: aveva una vista acutissima, possedeva il cosiddetto “occhio di lince”). Le case editrici adottano differenti sistemi discrezionali e quindi è sempre bene assumere preventivamente le informazioni sull’impiego dell’una o dell’altra tipologia. Si usano le virgolette per racchiudere citazioni di altri testi all’interno della pagina, per indicare un titolo di libro o periodico, per

Virgolette Sono spesso usate in apertura e chiusura dei dialoghi o per sottolineare un termine. Vi sono virgolette alte (“...”) dette inglesi, e basse, dette caporali o italiane («...»). Entrambe possono essere classificate semplici o doppie (nel primo caso) oppure sergenti (improprio) o caporali (nel secondo).

‘...’

“...’’

...

...

Virgolette inglesi semplici

Virgolette inglesi doppie

Virgolette italiane semplici (sergenti)

Virgolette italiane doppie (caporali)

Esempi di impiego delle virgolette (quando si hanno citazioni nel testo):

Scrive Cicerone: “Nemo potest non beatissimus esse, qui est totus aptus ex sese, quique in se uno sua ponit omnia”.

Entrò nella stanza e si rivolse subito a Jim: «Che cosa ci fai nascosto in casa mia? Chi ti ha ridotto in questo stato pietoso?»

sottolineare con enfasi un termine, per indicare la parola che precisa una descrizione. Si usano le virgolette per introdurre nel testo, in alternativa al corsivo, parole straniere non entrate nell’uso corrente. In una frase in cui sono già state aperte le doppie virgolette, come in un dialogo o una citazione, si possono aprire virgolette semplici. Per esempio: «Conosco quell’uomo. Un giorno si avvicinò e mi disse ‘Tu devi imparare a stare al mondo prima di aprire la bocca’. Me lo ricorderò per sempre». Puntini di sospensione e punto fermo Devono essere usati sempre con parsimonia e sono sempre tre. Nei puntini di sospensione, nel caso siano al termine di un periodo, risulta compreso anche il punto di chiusura (punto fermo). Nel caso di abbreviazioni, per esempio in ecc., oppure in d.C., il punto di abbreviazione se posto alla fine di una frase ha funzione di punto fermo.

L’

Una consuetudione che valeva soprattutto un tempo: quando l’apostrofo segue una consonante non richiede alcuno spazio, viceversa se apposto dopo una vocale è d’uso inserirlo.

Esempi di impiego delle virgolette (quando sono usate come sottolineature del significato):

L’uomo vestito di grigio si aggirò furtivo nell’atrio e grazie al suo “sesto senso” riuscì a cogliere i segnali dell’imminente arrivo della polizia.

Lo scrittore Vincenzo Consolo era solito chiamare “lingua orizzontale” quella che molti continuano a definire “lingua comune”.

Nei tre puntini di sospensione è considerato compreso anche il punto fermo finale (anche se Gadda e Manzoni ne fecero impiego usandone quattro). I puntini di sospensione (detti anche “punti sospensivi”) indicano una pausa, un’indecisione, un’imminente sorpresa.

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Editing e regole di base: i fondamentali /2 Nel progetto di un libro non si considera la gabbia solo per la caduta di un testo o per l’inserimento delle immagini e delle loro didascalie: abbiamo sempre anche un numero di pagina, molto spesso una testatina e frequentemente nei saggi le note al piede. Tutti questi elementi devono trovare la loro collocazione funzionale e rispondere a un livello gerarchico imposto alla pagina. Numeri di pagina Introdotti in un libro stampato per la prima volta nel 1470, sono sempre pari nella pagina di sinistra e dispari nella pagina di destra. Una numerazione con numeri romani viene utilizzata per quelle parti di volume poste prima delle pagine numerate con cifre arabe. La numerazione “romana” viene utilizzata per aggiungere segnature originariamente

non previste dal progetto o parti che vanno a integrare il corpo del libro già impaginato, numerato e spesso già stampato: nel caso di libri d’arte sono le pagine di una segnatura speciale, dedicata a un evento inaugurale per una mostra posizionata prima di tutte le altre, con interventi di personalità e autorità; nel caso di saggi o altre pubblicazioni possono essere le pagine in cui si riportano nuovi contributi introduttivi a integrazione di un’edizione precedente, che viene ristampata con le lastre esistenti. Se in un romanzo, ai fini della lettura, la posizione del numero di pagina non è molto importante (al centro o nell’angolo esterno della pagina non cambia granché), in un saggio o libro di testo diventa elemento fondamentale per identificare una pagina, un argomento, un capitolo. La sua posizione ideale è quindi verso un angolo esterno, così da agevolare lo sfoglio delle pagine dopo aver consultato l’indice.

Le note Possiamo inserire brevi note al testo e riferimenti generici in colonnine dedicate (vedi pagina a fianco): in questo caso parliamo di “note a margine”. Le note bibliografiche o i rimandi possono invece essere posti al piede della pagina oppure in pagine a loro espressamente dedicate, alla fine di un capitolo o alla conclusione dell’intero volume, in un comparto a parte. La decisione è da prendere nel rispetto dell’estetica della pagina, ma anche della funzione: se le note ingombrano la pagina più di quanto la ingombri il testo, si evidenzia uno squilibrio estetico-funzionale e quindi è certamente meglio spingere al fondo del capitolo tutte queste informazioni. La soluzione, anche se allontana le note dalla pagina a cui fanno riferimento, consentirà da un lato di leggere senza disturbi il testo corrente e dall’altro di impaginare note anche lunghe senza correre il rischio che saltino da una pagina all’altra. Le note, ge-

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Essintur? Sed quo culleni modipsam as modis imus modi tem se velliatur, simodi non cus dolorendae lique cuptat qui abore molutaturi comnitem a sitate volorumquiam asit faceptat. Bere veratibus auditibusam ressumqui dereica borerspera verundi taeceriorene ad quias as sunt laboreped quamusd anturio magni omnienistrum delibus cientur apis dicipsam, omnime nis volore ipicimet aut lit alignihitate etur soluptatibea sum, sinvent ibusaped que etur, ut laborum venissunt, eum harcim cum rerum vent, si beaquo tem necullest, aut es numquo dolupta con reperatquam et dolorem fugit rehendisite comni coreius eum culloribusa cum quoditat dolupta cum suscitiatiis maximus.

fugit quam faccum am earciti comniet ui quias in ex et renimet am, consero to optiam, etusandis cum, vel idipsum, consed eum seceperum voluptae. Hiliquatiunt aciis que non escimus andam, comnist, aut ad expliciaero tem non corem. Nam, consectem quunt. 122

Ut lab imagnim ollora quas pore veniate voluptatet earias se pro officim ossimped exped quo deriatiam, qui id quid molores totatur maio. Agnimpor apitin nimaxim fugia vit qui sitatium deribusae venimendisci nem. Itaqui reic tor as est molupta num quature veriatur, tem vel iducid ut est dolupta tquatis itatis eum rest, consed explictio opta diatiust, omnihilliqui omnistiatus sequid molla voluptur sundus122 sundis quas porpos voloreptat que secum, ut voluptibus dolores Fare_Grafica_Editoriale_interni.2019.1.indd simillo ressimustium rerferum eatur, temosti untisincto volo berum fuga. Venectu stiat. To qui con porit, niaspid uciate volupta ipidestia aditet officip santiore aliqui te laborrovid molorio beribus rem alit harciam fugitisquam fuga. Nam ilia quo dolorem quam et vent quiam fac-

02/04/19 16:44 Nia siminte etum nonsequatur aut il ent aspis estiost, que magname nimodis cus, andit quis quo offictet hitinum quod quate et, qui atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem eium

neralmente, assumono un corpo inferiore a quello del testo, dell’ordine almeno di due punti proprio per rendersi evidenti come tali e gerarchicamente incontrovertibili.

Maiuscoli, maiuscoletti, neretti (bold) in cui si ritiene così irrinunciabile evidenziare e corsivi un termine o un passaggio. L’impiego del “tutto maiuscolo” nel testo (in Troppi neri in una pagina generano un effetgergo: MA o “tutto MA”) richiede una certa to di testo maculato, dove le evidenziazioni discrezione, esperienza e parsimonia: l’alsporcano l’insieme e alla fine il loro impieLe testatine terazione della fluidità della lettura non è go esagerato diventa alla fine controproNella parte superiore della pagina, al fine di mai una buona soluzione e molto spesso ducente, perché non emerge più nulla dal indicare parti di libro o direttamente un conper mettere in risalto una parola si comprofondo (per evidenziare troppe cose non si tenuto, si ricorre spesso a un’intestazione in mette la scorrevolezza dell’intera pagina. riesce più a far emergere ciò che vorremmo corpo ridotto, collocata sempre nella stessa È più comune invece l’uso del tutto maiufosse considerato come “importante”). posizione: è la cosiddetta “testatina”. Essa scolo in guide e manuali, dove una serie di riporta in genere il titolo del libro sulla pagina caratterizzazioni gerarchiche assumono siIl corsivo è utilizzato, come del resto il nedi sinistra e il titolo del capitolo nella pagina gnificati ricorrenti e riportati in una legenda retto, per evidenziare un testo o una sua di destra, oppure il titolo del capitolo a siniiniziale, diventando così veicoli di ulteriori parte: parole, neologismi, termini stranieri, stra e il titolo di paragrafo a destra; in altri informazioni per il lettore. brevi citazioni, titoli di libri o opere d’arte. casi, per esempio in un’opera collettiva, da Il maiuscoletto viene impiegato per sigle, Il corsivo (Italic) è meno invasivo del neretto, una parte il titolo del contributo specifico e numeri romani, regesti e indicazioni biblioma deve essere impiegato con giudizio e dall’altra il nome del suo autore. grafiche, molto spesso – per le parole estebuon senso. In ogni caso la raccomandaLa testatina con la funzione di indicazione è se – con la prima lettera in maiuscolo. zione è quella di non cadere mai nell’esaaccompagnata dal numero di pagina nell’eLa caratterizzazione di una parola con il gerazione e di usare le caratterizzazioni del stremo di gabbia, e viene appoggiata o apneretto (o bold) all’interno di un testo è vitesto per segnalare qualcosa che altrimenti pesa a un filetto che corre parzialmente o vamente da sconsigliare, anche piuttosto correrebbe rischio di non essere pienaTo qui con porit, niaspid uciate volupta ipidestia aditetilofficip santiore aliqui Nam rae mil moliassum landit eum te laborrovid molorio beribus rem alit harciam fugitisquam fuga. Nam ilia per tutta la giustezza della pagina. comune nei testi scolastici o in quei saggi mente colta nella composizione. quo dolorem quam et vent quiam facculparior sit a custias molestium qui que il imodiati autm earibus po lamus nobitiis quam eum que dem. Cus, et ad quis audae et undit, sunti ium simusdaerum nimin es et hillatus dolorer itecat earchictet quo beatum aliquo bla que aut perferia volorro eum, ut iur sunt.

To qui con porit, niaspid uciate volupta ipidestia aditet officip santiore aliqui

Nam rae mil moliassum Enimusa landit eum te laborrovid beribusQui rem alitacest harciam fugitisquam fuga. NamQuaspere, ilia dolorite et inimi, summolorio etur? ex exerio. optur quo dolorem quam et vent quiam facculparior sit a custias molestium qui que il imodiati autm earibus apodolupta lamus volluptis et pliae. nobitiis quam eum quereperum dem. Cus, et ad quis audae et undit, suntivoluptaest, ium simusAmus sincte rem sequiandaerum nimin es et hillatus dolorer itecat earchictet quo beatum aliquo bla

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pliae. Amus reperum sincte rem voluptaest, sequiantet quae nonempore pro eos prerum simaio berum fuga. Venectu stiat. conet ut oditis mincim eum de modit endae incta prae labo. Archil mi, seque ea dus quae etur ma autem reprat litemearias voluptaquasse sumpro velesci officim atibus num andaeperiam et odis amexped ut velique quo Ut lab imagnim ollora quas pore veniate voluptatet ossimped voluptur, sumquatatiis volupti andisint pla sin nos ipsantem. Intem reperor itatur? Fugitatem rerfers pienit fugiae aut ipit quat latenim poreperor mo tenihit emporem elederiatiam, qui id quid molores totatur maio. Agnimpor apitin nimaxim fugiaquevitpa dollab quiidelsitatium siminte etum nonsequatur aut il ent aspis estiost, que magname nimodis cus, andit quis quo 14 nem. Itaqui reic torniaoffictet quod quate et, qui atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem deribusae venimendisci as hitinum est molupta num quature veriatur, tem veleiumiducid dollestist, sitinum quaecus aut min non ra dem rerum fugit quam faccum am earciti comniet Essintur? Sed quo culleni modipsam as modis imus modi tem se velliatur, simodi non cus doadicipsam, ab ipienim quisiopta alignate latdiatiust, quam est alitaturomnihilliqui sectaque quostio od et eicienim dolum lorendae lique cuptat qui abore molutaturi comnitem a sitate volorumquiam faceptat. eum rest, consed ut est dolupta tquatisasititatis explictio omnistiatus et volent, coria vid quia nobissenem sequas untur se ipsus vel mod qui quide vendio mi, se niBere veratibus auditibusam ressumqui dereica borerspera verundi taeceriorene ad quias as sunt conet vent. voloreptat que secum, ut voluptibus dolores laboreped quamusd anturio magnisequid omnienistrum delibus cientur apis dicipsam, omnime nis sundis quashilita molla voluptur sundus porpos volore ipicimet aut lit alignihitate etur soluptatibea sum, sinvent ibusaped que etur, ut laborum Essintur? Sed quo culleni modipsam modis imus fuga. modi tem se velliatur, simodistiat. non cus dovenissunt, eum harcim cum rerumsimillo vent, si beaquo tem necullest, aut es numquo dolupta con eatur, temosti ressimustium rerferum untisincto volo asberum Venectu lorendae lique cuptat qui abore molutaturi comnitem a sitate volorumquiam asit faceptat. reperatquam et dolorem fugit rehendisite comni coreius eum culloribusa cum quoditat dolupta Bere veratibusaditet auditibusam ressumqui dereica borersperaaliqui verundi taeceriorene ad quias as sunt molcum suscitiatiis maximus. To qui con porit, niaspid uciate volupta ipidestia officip santiore te laborrovid laboreped quamusd anturio magni omnienistrum delibus cientur apis dicipsam, omnime nis ipicimet aut lit alignihitate etur soluptatibea sum, sinvent ibusaped etur, ut laborum facObist et re simoluptatis sunt modiamet archit, ad untiant quo dit la num que repudan ten-fugitisquam volore orio beribus rem alitasitharciam fuga. Nam ilia quo dolorem quam et que vent quiam venissunt, eum harcim cum rerum vent, si beaquo tem necullest, aut es numquo dolupta con duci lluptat aut quia corerorrum rerionsed qui quias in ex et renimet am, consero to optiam, etureperatquam etquam dolorem fugit rehendisite comni coreius eum culloribusa cum quoditat sandis cum, vel idipsum, consed eum seceperum voluptae. aciis que non escimus culparior sit Hiliquatiunt a custias molestium qui que nobitiis eum que dem. Cus, et ad quisdolupta audae et 2

Dollab idel elenia siminte Uga. Ut dolores niatetur simusciur olo volupitist velestio. Noneceat qui omre etum nonsequatur autil nist pro mil int, ilitassum rerempor ant quiae volupta quis moluptatem que ent ass deus estiost, que magname nimodis cus, oditas quos vel illendae quate inctur, seque estio excerunt, sum re doluptas et andit quis quo offictet quiatuscia quiati sum corum aut hillaut aut laccaest ea quunti dolesti doloriohitinum quod quate et, qui atium aut illuptiata dolupie rum eos nos ditationsed quis eatusapit quamus mo ea dellique labori optatur turionseces asimolutem abo. Itat volorepudae nobita sandiss imust, eum iusaes aut qui officiduntia eium dollestist, sitinum. velese rero eate con re ommo inte commolo experru ptatureriat inis as nim undit, ium simusdaerum nimin esetet abo. hillatus earchictet doluptasunti nobit ditem seceribus dolestiis Temdolorer liquat itecat laudigni con resequo beatum aliquo bla queinaut perferia volorro eum,ipienda ut iur sunt. custia nist, simusam nullend int quas quam eius mos re cus dolor-

est voluptatetur molor sed que con earum dis que in et aut atem ra saperum Uga. Ut dolores niatetur nemperum hiliquam volo.simusciur olo volupitist velestio. Noneceat qui omnist pro mil int, ilitassum rerempor ant quiae volupta quis moluptatem que oditas quos vel illendae quate inctur, seque estio excerunt, sum resum doluptas et quiatuscia quiati sum corum optur aut hillaut aut laccaest Enimusa dolorite et inimi, etur? Qui acest ex exerio. Quaspere, quunti dolesti doloriorum eos nos ditationsed quamus mo ea dellique labori aeadolupta volluptis et reperum sinctequis remeatusapit voluptaest, sequianNell’esempio a fianco lepliae. noteAmus sono posizionate optatur abo. Itat volorepudae nobita sandiss imust, eum iusaes aut qui officiduntia velese rero tet quae nonempore pro eos prerum simaio conet ut oditis mincim eum de eate con re ommo inisquae as nim nobit ditem seceribus accantomodit al passaggio dicommolo testo aexperru cuimi,siptatureriat riferiscono endae inctainte prae labo. Archil seque ea dus eturdolupta ma autem dolestiis et abo. Tem liquat laudigni con rese custia in nist, simusam nullend ipienda int quas reprat litem voluptaquas velescialatibus num andaeperiam et odis am ut (e non quindi al piede o insum fondo capitolo). quam mos resumquatatiis cus dolorest voluptatetur molor earum dis que in et aut atem ra veliqueeius voluptur, volupti andisint plased sinque noscon ipsantem. Intem Una gabbia con una colonnina “di servizio”, saperumitatur? nemperum hiliquam volo. reperor Fugitatem rerfers pienit fugiae aut ipit quat latenim poreperor

come inmo questo caso, consente lettura tenihit emporem que pa dollab un’agevole idel elenia siminte etum nonsequatur aut Enimusa dolorite inimi, sum etur? Qui acest ex exerio. Quaspere, a dolupta volluptis et il ent estiost,etque magname nimodis cus, andit quis quo offictetoptur hitinum della nota e aspis il vantaggio della prossimità. pliae. Amus reperum sincte rem voluptaest, sequiantet quaeasimolutem nonempore eium pro eos prerum simaio quod quate et, qui atium aut illuptiata dolupie turionseces Utile il cambio di carattere, fondamentale riduzione conet ut oditis mincim eumaut de modit endae inctala prae labo. Archil mi, seque ea dus quae etur dollestist, sitinum quaecus min non ra dem rerum fugit quam faccum atibus num andaeperiam et odis am ut velique ma autem reprat litem voluptaquas sum2 velesci del corpo almeno due punti alalignate testo) am(di earciti comniet adicipsam, ab rispetto ipienim quisi lat quam est alitatur voluptur, quostio sumquatatiis andisint sin noscoria ipsantem. Intem reperor itatur? Fugitatem od et volupti eicienim dolum pla et volent, vid quia nobissenem e anchesectaque la composizione a bandiera. rerfers pienit fugiae aut ipit quat latenim poreperor mo tenihit emporem que pa dollab idel ele-

sequas untur se ipsus vel mod qui quide vendio mi, se nihilita conet vent. nia siminte etum nonsequatur aut il ent aspis estiost, que magname nimodis cus, andit quis quo offictet hitinum quate et, qui atium aut imus illuptiata eium Hitinum quod quate et, qui Essintur? Sed quoquod culleni modipsam as modis modidolupie tem se turionseces velliatur, si- asimolutem atium aut illuptiata dolupie dollestist, quaecuslique aut min non dem molutaturi rerum fugitcomnitem quam faccum comniet modi non sitinum cus dolorendae cuptat quiraabore a sitateam earciti turionseces asimolutem adicipsam, abpa ipienim alignate lat quam alitatur sectaque quostio od et eicienim dolum eium dollestist, sitinum. volorumquia dollabquisi idel elenia siminm asitest faceptat. et volent, coria vid quia nobissenem sequas unturborerspera se ipsus velverundi mod qui quide vendio mi, se niBere veratibus auditibusam ressumqui dereica taecerihilita conet vent.as sunt laboreped quamusd anturio magni omnienistrum orene ad quias

delibus cientur apis dicipsam, omnime nis volore ipicimet aut lit alignihitate Nell’esempio aSed fianco le note sonoasposizionate Essintur? quosum, culleni modipsam modis imus modi temvenissunt, se velliatur, simodi non cus doetur soluptatibea sinvent ibusaped que etur, ut laborum eum al piede harcim di pagina: è importante mantenere lorendae lique cuptat qui siabore molutaturi comnitem a sitate volorumquiam cum rerum vent, beaquo tem necullest, aut es numquo dolupta conasit faceptat. Bere veratibus ressumqui dereica borerspera verundi taeceriorene una differenza gerarchica attraverso l’uso di uneum altro reperatquam etauditibusam dolorem fugit rehendisite comni coreius culloribusa cum ad quias as sunt laborepeddolupta quamusd magni omnienistrum delibus cientur apis dicipsam, omnime nis quoditat cumanturio suscitiatiis maximus. corpo tipografico, sempre è soluptatibea necessario volore ipicimet e autnon lit alignihitate etur sum, sinvent ibusaped que etur, ut laborum cambiare carattere. venissunt, eum harcim cum rerum vent, si beaquo tem necullest, es numquo dolupta con Obist et re simoluptatis sunt modiamet archit, ad untiant quo dit laaut num asit reperatquam et dolorem fugit rehendisite comni coreius eumqui culloribusa cum que repudan tenduci lluptat aut quia corerorrum rerionsed quias in ex et quoditat dolupta È importante inoltre studiare bene l’assegnazione cum suscitiatiis maximus. renimet am, consero to optiam, cum, intervallo vel idipsum, consed eum sedegli spazi e delle distanze tra etusandis fine testo, ceperum voluptae. Hiliquatiunt aciis que non escimus andam. Obist et re simoluptatis sunt modiamet archit,dalla ad untiant quo dit la num asit que repudan tendue nota, distanza del numero di pagina nota, lluptat aut quia corerorrum rerionsed qui quias3 in ex et renimet am, consero to optiam, etuevitandoci così di “fondere” le parti di testo della pagina. 15 que non escimus sandis cum, vel idipsum, consed eum seceperum voluptae. Hiliquatiunt aciis andam, comnist, aut ad expliciaero tem non corem. Nam, consectem quunt.

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Editing e regole di base: i fondamentali /3 Parole straniere I manuali di redazione delle case editrici contemplano l’impiego delle parole straniere a seconda dei casi e dei contesti, tuttavia la buona norma redazionale (e grafica) è quella di non esagerare in caratterizzazioni. È bene ricordare, in generale, che in una pagina di testo ogni alterazione spesso non si traduce in evidenziazioni funzionali e facilità di memorizzazione dei termini, ma in fastidio visivo e conseguente difficoltà di lettura. Nel riquadro si riportano i principi d’impiego più diffusi e condivisi. Versi poetici La messa in pagina di una poesia deve rispettare l’impostazione dell’autore; poiché non sempre la gabbia è in grado di offrire una soluzione universale si introduce

Parole straniere Quando vengono introdotti termini in lingua straniera nel testo, se questo è rivolto a un lettore abituato a impiegarle nel linguaggio corrente (per esempio cover in un libro come questo, o starter in una monografia per motociclisti) si usano in carattere tondo, se il testo corrente è in tondo, e non prendono mai il plurale. Nel caso questi termini non siano di uso corrente tra i lettori a cui è rivolto il testo, vengono evidenziati invece in corsivo se il testo è in tondo e seguono il plurale della lingua originale. Nel caso di denominazioni di enti, società, istituzioni, località non si considera il termine come straniero, e quindi viene introdotto nel testo in tondo, senza caratterizzazione.

Versi poetici I versi poetici si caratterizzano in corsivo e chiusi tra virgolette quando il testo corrente in cui vengono inseriti è in tondo (o viceversa). Tra verso e verso, per rispettare gli “a capo” originali, si interpone una barra anticipata e poi seguita da uno spazio.

(soprattutto quando i versi sono riportati all’interno di un testo corrente), come negli esempi nel riquadro sottostante, la barra per indicare l’a capo originale.

Abbreviazioni L’uso delle abbreviazioni segue consuetudini e convenzioni editoriali; spesso però possono apparire anche modi diversi di abbreviare un termine. Generalmente l’abbreviazione si usa negli elenchi, nelle note, nelle unità di misura e grandezze, nell’indicazione di date.

Tabelle Non è mai semplice redigere e poi impostare graficamente una tabella. I più comuni programmi di impaginazione dispongono però di comandi di tabulazione che consentono di rispettare rientri e allineamenti verticali, così da fluidificare il processo di incolonnamento dei dati. Anche per quanto riguarda le tabelle è importante rispettare la gabbia prevista in pagina e mantenere equilibrio nell’introduzione di caratteri e corpi: spesso un solo corpo tipografico nelle varianti tondo, corsivo e neretto consente la leggibilità dei dati. I filetti, che è sempre meglio impiegare solo in forma orizzontale, possono anche assumere due varianti di spessore; essi sono fondamentali per separare nettamente i valori e dare più ordine alla lettura. Meglio evitare l’interlineatura tra filetto e riga di testo (o cifra) e usare invece lo stesso spazio per distanziare meglio il valore da quello sottostante.

Iniziali maiuscole I periodi storici, i movimenti o le epoche molto importanti si scrivono con la maiuscola:

Nei nomi composti Il nome proprio assume la maiuscola, mentre il nome comune resta in minuscolo:

il Duecento il Novecento il Cristianesimo il Futurismo

mar Baltico lago Titicaca monte Titano isole Lofoten

Numeri La loro trattazione (si tratti del testo, di un elenco, o di tabelle composte) è sempre materia delicata: il criterio deve sempre essere quello della leggibilità e della chiarezza, e anche se si è affezionati a un carattere tipografico occorre sapervi rinunciare quando si tratta di privilegiare l’informazione e la lettura.

Nel caso siano accompagnati da un aggettivo, quest’ultimo sarà accostato sempre in minuscolo:

il Duecento toscano il Novecento europeo

il Cristianesimo medievale il Futurismo italiano

Esempio:

…è una delle poesie più famose di Leopardi: “Sempre caro mi fu quest'ermo colle, / e questa siepe, che da tanta parte / dell'ultimo orizzonte il guardo / esclude.” Esempio:

Come già riportato nell’antologia, il critico scrive che “Gregory Corso pubblica nel 1970 una poesia-tributo a Jack Kerouac, morto soltanto l’anno precedente: Quanto inseparabile tu e l’America che vedevi eppure / non era mai lì da vedere; tu e l’America / come l’albero e la terra, siete la stessa cosa; eppure quanto / simile a una palma nello stato dell’Oregon... morta / prima di fiorire, come un orso polare che trotti sul / Miami. È questa forse la fase più eversiva della sua poesia.” L’analisi si conclude con una rassegna sull’influenza della beat generation. 124

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Fascia Qualitativa

Frazione Estranea

Corrispettivo Gen-Mar 2016

Corrispettivo dal 1° Aprile 2016

% in peso

euro/ton

euro/ton

A+

fino al 2%

550,00

551,05

A

oltre il 2% fino al 5%

450,00

450,86

B

oltre il 5% fino al 10%

300,00

300,57

C

oltre il 10% fino al 15%

150,00

150,29

Frazione Estranea

Corrispettivo Gen-Mar 2016

Corrispettivo dal 1° Aprile 2016

% in peso

euro/ton

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A+

fino al 2%

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oltre il 2% fino al 5%

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oltre il 5% fino al 10%

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C

oltre il 10% fino al 15%

150,00

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Fascia Qualitativa

Nella tabella a fianco: una costruzione con filetti orizzontali continui e l’uso discreto di neretti e chiari consentono, senza filetti verticali, di separare adeguatamente le voci e rendere la tabella comunque chiara e leggibile.

Per evidenziare ancora di più le categorie si possono usare retinature di diversa intensità, anche alternando l’intervento sulle righe dei valori; in questo caso sono stati anche interrotti i filetti orizzontali per far emergere le voci della tabella.

Numeri È sempre importante scegliere il carattere adeguato al tipo di testo che si deve impaginare. Alcuni caratteri possiedono bellissime lettere, ma purtroppo cifre non sempre appropriate alla funzione di rappresentare un numero (per esempio la cifra 1 del Gill assomiglia moltissimo alla sua L minuscola, e le cifre di questa famiglia non sono le più indicate per formare tabelle o incolonnare dati numerici). Se si impiegano numeri romani occorre utilizzarli in tutte le analoghe situazioni che si presentano nel testo, soprattutto quando si indicano i secoli:

- un pittore del IV secolo d.C. (corretto) - una nave romana del 4° secolo d.C. (sbagliato) Quando si usano i numeri nei testi correnti a carattere economico o statistico è sempre meglio ricorrere alle cifre per esteso (soprattutto nelle tabelle); nei testi correnti in cui i numeri sono citati come riferimenti nel testo (per esempio nei saggi o nei report) si fa uso di forme più fluide come:

… è costato 1 milione di euro (anziché 1.000.000 di euro) … si sono radunate 700 mila persone (anziché 700.000 persone)

Confronto tra il numero 1 (a sinistra) e la lettera L minuscola (a destra) del carattere Gill Sans: meraviglioso per titolazioni e testi brevi, non è il carattere ideale per la composizione di tabelle; il disegno del numero, infatti, si confonde con quello della lettera alfabetica minuscola.

Abbreviazioni

a.C. avanti Cristo d.C. dopo Cristo cap. capitolo fig. figura p. pagina vol. volume v. vedi mm millimetro cm centimetro m metro km chilometro

g grammo hg ettogrammo kg chilogrammo q quintale t tonnellata h ora m minuto s secondo bibl. bibliografia c.vo corsivo ill. illustrazione

inc. incisione op. opera rist. ristampa sez. sezione tab. tabella tav. tavola

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Indici, bibliografie e sitografie Indici e sommari Gli apparati iniziali e finali di un libro comprendono gli indici, o sommari, le bibliografie e quelle pagine che introducono al vero e proprio testo, come l’occhiello, il colophon, il frontespizio. Non è affatto semplice governare le pagine degli apparati, perché esse devono sempre mantenersi in equilibrio estetico e gerarchico con il resto del volume; un buon designer deve allora dedicare cura e abilità nella scelta dei corpi e degli spazi adeguati al rapporto tra contenuto generale e pagine iniziali. Una buona raccomandazione è quella di evitare composizioni con più corpi tipografici e troppi caratteri: se da una parte è accettabile usare – per il blocco libro – caratteri tipografici diversi da quelli della copertina (che potrà variare nel tempo seguendo cri-

teri non solo editoriali, ma anche di marketing e di tendenze estetiche), le composizioni interne dovranno mostrarsi bilanciate, con salti di corpo sensibili, ma controllati; gli spazi saranno ben ripartiti perché una composizione testuale si comporta come una partitura musicale e ogni spazio si alterna a una riga di testo esattamente come su un pentagramma una pausa precede o anticipa la nota di uno strumento. Naturalmente il carattere (o i caratteri) scelti per questi apparati saranno esattamente gli stessi con cui si appronterà la composizione del testo nel libro. Le bibliografie Elenchi ordinati e funzionali come le bibliografie hanno come scopo quello di rendere immediatamente identificabile un testo (citato, consigliato o utilizzato nel libro) e renderlo reperibile attraverso dati chiari e utili. Le bibliografie generalmente sono ordinate in ordine alfabetico per autore, e in alcuni

Indice

Le sitografie È diventato abbastanza consueto integrare i riferimenti bibliografici con quelli sitografici, indicando non solo nelle note in pagina, ma anche in uno spazio apposito dopo la bibliografia, i link a siti e blog.

Indice

Pagina 11 Incontri con la scultura italiana del Novecento Anna Imponente Pagina 17 Tradizione e Avanguardia nella scultura italiana del XX secolo Maurizio Calvesi Pagina 20 La classicità e il dramma. Dialogo con l'antico ed espressionismo nella scultura italiana fra le due guerre Elena Pontigia

In alto: due esempi di indice (a epigrafe e a bandiera) per una monografia d’arte, dove l’indicazione del numero di pagina assume un’importanza diversa a seconda della sua posizione.

casi possono essere ulteriormente suddivise all’interno del libro – anche per sezioni o argomenti. Per evidenziare la funzione di “apparato” spesso la bibliografia assume gerarchicamente un aspetto di secondo piano (per esempio con un corpo minore su una giustezza di riga inferiore a quella del testo); la sua redazione e composizione dovranno essere estremamente accurate e normalmente seguono un ordine di questo tipo: - autore, titolo e sottotitolo - eventuale curatore e traduttore - numero dell’edizione - luogo di pubblicazione - editore, data di edizione.

11 Incontri con la scultura italiana del Novecento Anna Imponente 17 Tradizione e Avanguardia nella scultura italiana del XX Secolo Maurizio Calvesi 20 La classicità e il dramma. Dialogo con l'antico ed espressionismo nella scultura italiana fra le due guerre Elena Pontigia

Esempio di sommario a epigrafe in un libro fotografico ad album di piccolo formato. A fianco: la doppia pagina di un catalogo di una mostra, con la pagina di sommario con il testo a bandiera.

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AA. VV., Anselmo Ballester. Le origini del manifesto cinematografico, Centro Studi e Archivio della Comunicazione (Csac) dell’Università di Parma, 1981 Giulio Carlo Argan, Immagine e persuasione. Saggi sul barocco, Milano, Feltrinelli, 1986

Roland Barthes, Miti d’oggi, Milano, Lerici, 1962 (ed. or. Parigi, Éditions du Seuil, 1957) Charles Baudelaire, Salon del 1846, in Opere, a cura di Giovanni Raboni e Giuseppe Montesano, Milano, Mondadori, 1996 (ed. or. 1846)

Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo, Torino, Einaudi, 1965

Walter Benjamin, Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, a cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Torino, Einaudi, 2012

Alberto Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, parte quarta, vol. II, Torino, Einaudi, 1975

Nicholas Blechman, Christoph Niemann, Conversations, New York, Moma, 2017

Istvan Banyai, Dall’altra parte, Milano, il Castoro, 2006

Gianni Bono, Matteo Stefanelli (a cura di), Fumetto! 150 anni di storie italiane, Milano, Rizzoli, 2016

Istvan Banyai, Re-Zoom, New York, Viking, 1995 Istvan Banyai, Zoom, New York, Viking, 1995 A a. Vv., Anselmo Ballester. Le origini del manifesto cinematografico, Centro Studi e Archivio della Comunicazione (Csac) dell’Università di Parma, 1981 A rgan Giulio Carlo, Immagine e persuasione. Saggi sul barocco, Milano, Feltrinelli, 1986

Barthes Roland, Miti d’oggi, Milano, Lerici, 1962 (ed. or. Parigi, Éditions du Seuil, 1957) Baudelaire Charles, Salon del 1846, in Opere, a cura di Giovanni Raboni e Giuseppe Montesano, Milano, Mondadori, 1996 (ed. or. 1846)

Asor Rosa A lberto, Scrittori e popolo, Torino, Einaudi, 1965

Benjamin Walter, Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, a cura di Andrea Pinotti e Antonio Somaini, Torino, Einaudi, 2012

Asor Rosa A lberto, La cultura, in Storia d’Italia, parte quarta, vol. II, Torino, Einaudi, 1975

Blechman Nicholas, Niemann Christoph, Conversations, New York, Moma, 2017

Banyai Istvan, Dall’altra parte, Milano, il Castoro, 2006

Bono Gianni, Stefanelli M atteo (a cura di), Fumetto! 150 anni di storie italiane, Milano, Rizzoli, 2016

Banyai Istvan, Re-Zoom, New York, Viking, 1995 Banyai Istvan, Zoom, New York, Viking, 1995

In alto: due esempi di bibliografie, redatte correttamente e con gli autori in maiuscolo/minuscolo oppure, nella seconda opzione, in maiuscoletto.

Due doppie pagine di un catalogo per una mostra di illustratori. La gabbia a due colonne asimmetriche (che accoglie il testo dei saggi iniziali) si trasforma in una gabbia a due colonne di pari giustezza di riga per ospitare le bibliografie, il regesto e le biografie degli artisti. Il colore delle parole, Triennale di Milano, ottobre 2017 (design A+G).

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Gli “a capo” e i capolettera I rientri Il testo può cominciare a inizio riga (si definisce quindi “a filo” della giustezza), oppure con un leggero rientro per evidenziare una ripresa del testo dopo una pausa, utile a sottolineare un cambio di tono o di trattazione, di scena o dialogo. Normalmente il rientro è di uno o due “quadrati” (vedi p. 77), riferiti al corpo del carattere con cui è composto il testo e questa dimensione – ogni volta che viene utilizzata la funzione di rientro – deve mantenersi costante. Impaginazioni più libere e creative possono utilizzare rientri più significativi, ma il designer dovrà sempre controllare bene gli equilibri tra pieni e vuoti che rientri rilevanti possono creare nel testo. L’importante è non esagerare (in questo libro si è scelta una linea di estrema sobrietà eliminando del tutto i rientri).

Il capolettera Introdotto con l’intenzione di conferire un particolare rilievo estetico alla pagina e al testo, ma soprattutto per consentire di rintracciare le diverse partizioni di un volume, tra il IV e il V secolo d.C. comincia ad apparire il capolettera nei volumi di pregio. L’iniziale posta all’inizio del testo dapprima è una grande lettera illustrata, che viene decorata e colorata a mano dagli amanuensi; l’avvento della stampa a caratteri mobili ne ridimensiona poi la diffusione perché il capolettera illustrato costringe a difficili e costose manipolazioni tecniche. Nel corso dei secoli dell’evoluzione della grafica e della stampa il capolettera vede alternarsi impieghi e fortune, fino a diventare un elemento estetico di tendenza che sottolinea le trasformazioni del costume e dell’editoria dell’Ottocento e del Novecento. Nato per evidenziare un nuovo capitolo o una partizione del libro, il capolettera si evolve in un elemento visivo attraente,

spesso utilizzato nelle riviste di moda o in quelle di tendenza. La libertà espressiva offerta nella seconda metà del Novecento dalla fotocomposizione e poi dai sistemi digitali lo rilancia come componente del lettering moderno. Il capolettera è utilizzato in vari modi e posizioni, può essere addirittura “illustrato” o diventare – se di dimensioni rilevanti nel corpo – anche un “segnale” grafico di grande impatto nella pagina. In un libro il capolettera viene posto in genere all’inizio di un capitolo, e non sempre è nello stesso carattere del testo, proprio per sottolineare la sua funzione segnaletica o un particolare messaggio espressivo. La scelta di usare un capolettera deve essere sempre considerata con prudenza, perché se da un lato può aiutare un impaginato a rendersi vivo e dinamico, dall’altro può creare disordine visivo e disarticolare la pagina e gli equilibri.

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, sandita in re la volor acerum eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun cum unt ipidia. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, sandita in re la volor acerum eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun.

Rehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas.Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, sandita in re la volor acerum eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun cum unt ipidia. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest am, sandita in re la volor acerum eum dipsape volorae dolor apiendem lanihictata voluptatior reperun.

Sopra: due esempi di composizione con rientro. Nel primo caso, con la composizione in corpo 10 pt su 12 pt il rientro è di 10 pt, un quadrato tipografico. Nel secondo caso, stesso corpo e stessa interlinea, il rientro è di due quadrati.

Il capolettera disegnato da Aldo Manuzio per il Sancta Catharina da Siena. Epistolae, Venezia, 1500.

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Doppia pagina di Herb Lubalin, grande maestro americano del graphic design editoriale degli anni Sessanta e Settanta che ha utilizzato frequentemente il capolettera nei suoi lavori tipografici. In questa doppia pagina, tratta da Eros (1962), a una pagina di sinistra al vivo e molto satura per il fondo scuro fa da contraltare al nitore di una pagina bianca, dove il testo è minimo e leggerissimo. Per evitare che fluttui nel vuoto Lubalin “aggancia” il testo a un capolettera nero, che lo lega al fondo dell’immagine della pagina a fianco e lo rende estremamente attraente. Non si può evitare di rivolgergli la giusta attenzione.

A

ehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas. Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi quodis re res et eum quat voluptasi dest.

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ehende ritisit ionsero dolupis sitions endicab il esequate repedit asperum quas ma. Omnita in repedis dolliquam as sendamentia verorehene doluptat sed et escil militat quas. Ic to eaqui cum natiusd aecullaci optatur mintur at eum repe dent libus disciusae eturit antur sintibus, cuptias con nossequ iducius et maio. Atempor erciust, quis conse neturio vel eost, cum unt ipidia voloremod entionesequi sed et escil militat quas quodis re res et eum quat voluptasi dest.

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Sopra: doppia pagina di Herb Lubalin per l’annual report di Touche-Ross, società di consulenza americana. Il capolettera è dello stesso corpo del titolo e posizionato – con l’insolito e ampio rientro di riga – in modo da rendersi in continuità di lettura. Dal titolo al testo come se ci fosse un ponte diretto.

A sinistra: capolettera disegnato da Peter Behrens per la pubblicazione Celebrazione di Vita e Arte: una considerazione sul teatro come il più alto simbolo di cultura, 1900. Behrens, architetto, designer, grafico tedesco, ha legato il suo nome all’immagine coordinata considerata la capostipite di tutte le visual identity, cioè quella per l’AEG (1907-1914).

Esempi di capolettera con posizioni diverse e a contrasto con il carattere del testo (dall’alto: Futura tondo nero e testo in Bodoni tondo regular; Garamond tondo chiaro e testo in Gill tondo chiaro; Bodoni tondo regular e testo in Bodoni corsivo).

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La correzione delle bozze Il valore di un file ben editato Il designer editoriale riceve il testo in forma di file, non sempre già editato e uniformato. Nel caso si tratti di un libro, per esempio un romanzo, il testo viene preso in esame preliminarmente da un redattore, o da un editor, della casa editrice: è la figura che provvede a conferirgli l’aspetto prescritto dal progetto grafico del designer. Nel caso più complesso di un libro illustrato, in cui sono presenti testi, note, didascalie e apparati, dare forma al testo originale e adeguarlo all’impaginazione, richiede preparazione, attenzione ed esperienza. Se il file originale è inizialmente ben editato la prima bozza di testo risulterà infatti più semplice da impaginare e anche da condurre alla forma finita. Si può procedere alla correzione del testo sia in forma di bozza non ancora impagi-

nata, oppure direttamente sul layout in cui il file dell’autore ha assimilato le caratteristiche tipografiche decise dal designer. Correggere prima o dopo l’impaginazione? Ricevere un testo “pulito” è sempre utile per non dover tornare continuamente sull’impaginato e intervenire per sistemare refusi, disattenzioni e imprecisioni nel testo. Tuttavia, dopo aver ottenuto la prima bozza impaginata riversando il file del testo originale nella gabbia, è fondamentale procedere di nuovo a una correzione accurata. Poter affrontare l’operazione sulle colonne di testo impaginate con il carattere e il corpo giusto, la composizione e l’interlinea corrette, significa risparmiare tempo ed essere decisamente più efficaci. Correggere gli “a capo” o i rientri direttamente sull’impaginato, recuperando righe o individuando termini che potrebbero essere sostituiti con sinonimi (con il consen-

so dell’editor o del traduttore) consente al designer di governare meglio gli equilibri dell’intera pubblicazione. Nel caso di una composizione a bandiera è immediato il colpo d’occhio sull’armonia della composizione, ed emergono gli eventuali interventi per migliorare l’andamento del testo. Codici e segni: le buone abitudini I manuali di redazione delle case editrici prevedono dei segni codificati utilizzati dai redattori e dai designer per indicare le operazioni necessarie. Quasi sempre questi segni sono noti o comprensibili a tutti i professionisti del settore, ma in un manuale grafico per l’editoria come questo è bene avvicinarli per conoscerli almeno pin generale. Esistono norme codificate (in genere seguono la normativa UNI5041) ma spesso, per abitudini interne alle case editrici, queste convenzioni possono cambiare.

Segni da riportare in margine per sostituire una o più parole

Allineare a destra

Aumentare lo spazio tra le lettere

Sostituzione di una parola o di più parole

Centrare

Restringere una parola

Sopprimere una lettera o una parola

Riprendere la composizione per creare un righino

Minuscolo

Lettere difettose o di altro carattere (nel cerchio inserire le lettere da sostituire)

Riprendere la composizione per annullare un righino

Maiuscolo

Lettere sporche da pulire

Mettere di seguito la composizione

Maiuscoletto

Avvicinare, in senso orizzontale o verticale

Portare a capo la composizione

Maiuscoletto con iniziale maiuscola

Distanziare, in senso orizzontale o verticale

Abolizione di correzione da non eseguire

Mettere in corsivo

Allineare in senso orizzontale

Posposizione orizzontale di parole

Metetre in tondo

Allineare in senso verticale

Posposizione verticale di linee

Mettere in chiaro

Capovolgere o raddrizzare

Lettere o segni ascendenti o discendenti

Mettere in neretto

Allineare a sinistra

Omissione

Allineare a sinistra

Dubbi da chiarire

da

a

Mettere in nero

Mettere in nerissimo

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In questa pagina l’esempio di un testo con l’apposizione di alcuni segni di correzione convenzionali. Si possono usare anche altri segni, è importante però che tutto sia chiaro o intuibile rapidamente. È buona abitudine incaricare della correzione dei testi una persona diversa dall’autore.

Nella pagina a fianco, le più comuni indicazioni utilizzate nella correzione delle bozze.

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Colophon, frontespizi e apparati L’occhiello L’eleganza e la buona fattura di un libro dovrebbero emergere fin dalle sue prime pagine, proprio attraverso quegli apparati iniziali che costituiscono le credenziali e l’identità dell’intero volume. Non è una parte semplice del volume: proprio perché i testi non sono correnti e i rapporti tra i pieni e i vuoti sono rilevanti, gli equilibri sono sempre difficili. La pagina 1 è denominata “occhiello” e reca in genere il nome della collana a cui appartiene il volume. Il nome della collana può essere previsto in maiuscolo, maiuscolo/minuscolo oppure in maiuscoletto, in carattere bastone o graziato: dipende solo dal progetto originario. L’importante è essere sempre discreti e equilibrati: l’occhiello è infatti soltanto un riferimento editoriale, e deve trovare la sua

posizione in pagina rispettando la giusta gerarchia sia con i testi in copertina sia con quelli sul frontespizio. Il corpo tipografico risulterà quindi ridotto rispetto ai corpi dei frontespizi, e la posizione in pagina non è obbligatorio sia come prescrive da secoli la tradizione (cioè a circa un terzo o a un quinto dell’altezza). Il frontespizio La pagina 2 è generalmente non stampata, per dare un primo respiro all’impaginato e quindi scandire bene l’importante pagina 3: il frontespizio. È qui che vengono fissati i punti di riferimento essenziali: si riprende il nome dell’autore, il titolo del libro e l’eventuale sottotitolo, ulteriori collaboratori o prefatori, il nome dell’editore. L’applicazione del nome dell’editore con il proprio logotipo o marchio commerciale, non sempre garantisce un’estetica ideale nella pagina: sarà sempre meglio quindi

valutare la scelta opportuna caso per caso. Il carattere di composizione del frontespizio è meglio sia quello utilizzato all’interno del volume, senza legarsi obbligatoriamente a quelli usati in copertina o in sovracoperta. La copertina potrà infatti variare a seconda delle edizioni e della longevità del titolo in libreria, mentre gli interni potranno senz’altro rimanere costanti. Il colophon A pagina 4 e 5 si fronteggiano il colophon e il sommario in una doppia pagina importantissima. Il colophon è una composizione delicata: vige la regola della massima discrezione quando si riportano i nomi di chi ha partecipato alla realizzazione del volume; il criterio fondamentale è sempre quello di evitare la ridondanza e la vistosità. Nel colophon trovano posizione: diciture riguardanti i diritti di pubblicazione, i crediti per contributi e traduzioni, diritti per la riproduzione delle immagini, indicazioni sull’edi-

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zione ed eventuali ristampe, contatti con l’editore e il distributore. L’impostazione del testo del colophon può seguire una gabbia secondaria, perché per rispondere ai criteri di gerarchia è bene che i corpi delle composizioni e la giustezza dei testi siano ridotti. Occorre sempre rispettare gli allineamenti e provare a mantenere un criterio di ideale corrispondenza tra il sommario nella pagina di destra e i testi piuttosto differenziati di questa pagina di sinistra.

ordine e leggibilità, perché la funzione del sommario è quello di presentare in forma pratica e disciplinata le partizioni. Il designer decide in questo caso la caratterizzazione di testi (tondi, neretti, titolini Maiuscoli o Maiuscoli/minuscoli) e progettare una gabbia adeguata (disegnata per gli apparati in generale, quindi in grado di essere utilizzata sia per il colophon che per il sommario, ma anche per eventuali altre partizioni finali, come bibliografie, regesti, indice delle illustrazioni).

Il sommario o indice In un romanzo il sommario è in genere estremamente contenuto e molto spesso si presenta soltanto con l’indicazione della pagina da cui prendono vita i capitoli (numerati e senza titolazione). In un saggio, invece, il sommario è composto con titoli per capitolo, paragrafi e in molti casi anche con sottoparagrafi. Il criterio dovrà sempre essere quello di privilegiare

Nel caso di volumi di grande foliazione il sommario potrebbe risultare piuttosto complesso e “girare” anche sulla pagina 6 ritrovandosi quindi a fronte della pagina 7, dove normalmente può cadere sia il primo testo vero (la prefazione, l’introduzione o l’inizio del primo capitolo). In casi particolari il sommario (o l’indice) può cadere alla fine del volume, precedendo la pagina chiamata “finito di stampare”.

Finito di stampare Al termine del volume, oppure nel colophon, si colloca infatti il “finito di stampare”, cioè la dicitura con cui si informa riguardo il luogo e la data in cui il volume è stato stampato. La collocazione del “finito di stampare” è in genere posta a epigrafe al centro o al piede della pagina. Una pubblicazione elegante termina con l’ultima pagina bianca (non stampata). Qualora la segnatura finale sia occupata interamente da testi, è buona abitudine incollare una pagina non stampata (bianca e volta, chiamata duino, tagliata dalla stessa carta su cui il libro è stato stampato) prima della copertina. Poiché questo foglio è praticamente libero, non associabile all’ultima segnatura, si procede incollando il foglio, con il lato lungo e per un paio di millimetri soltanto, lungo il margine interno di segnatura, con un procedimento che prende il nome di “imbavatura”. Esempio di sviluppo degli apparati iniziali in un libro fotografico di grande formato: Combat Final, fotografie di Stefano Torrione, Mondadori (design A+G). Il carattere deciso della titolazione in sovracoperta (Helvetica bold condensed) è stato utilizzato per occhiello, frontespizio su doppia pagina, titolazioni e testi interni. L’argomento trattato, che evoca contrapposizione, forza e istintività, come quello della battaglia delle vacche in Valle d’Aosta, si presta a una titolazione spavalda e aggressiva.

Nel caso di un libro illustrato di pregio, come il catalogo di una mostra al Metropolitan Museum di New York, il trattamento degli apparati è invece molto più discreto e leggero: il Garamond in versione maiuscoletto e in maiuscolo/miunuscolo per gli interni, stabilisce un’atmosfera con il periodo in cui l’artista, Evaristo Baschenis, ha dipinto le sue sorprendenti nature morte. Evaristo Baschenis, The Music of Silence, catalogo della mostra al Metropolitan Museum of Art, New York (Edizioni Olivares, design A+G).

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Il timone editoriale Una volta definito e approntato il progetto grafico disponiamo di un formato, di una gabbia e delle dimensioni tipometriche del nostro volume. Conosciamo quindi l’ipotetico ingombro che verrà espresso dai testi e, sulla base delle caratteristiche della gabbia, possiamo prevedere come si estenderà l’impaginato per l’intero volume. Lo strumento che dobbiamo approntare per poter essere consapevoli di ciò che accadrà al testo e alle immagini, che potrà farci prendere decisioni sulla collocazione degli elementi da impaginare, ma che soprattutto ci consentirà di redigere un capitolato per un preventivo è il timone. È una rappresentazione semplificata dello sviluppo dell’impaginato e può essere oggetto di modifiche continue e rimaneggiamenti, soprattutto nel caso di pubblicazioni

in cui i testi sono solo ipotetici e non disponibili al momento del progetto. Affrontare il timone deve essere comunque una delle operazioni preliminari del designer e del redattore coinvolto nel progetto editoriale: è infatti nel timone che si comincia a prendere consapevolezza dell’andamento dei contenuti, del loro ritmo e delle eventuali integrazioni necessarie per conferire armonia, coerenza e senso alla pubblicazione. Perché partire sempre da un timone? È facile schizzare un timone, anche a matita su un pezzo di carta qualsiasi; lo si può fare durante una riunione, per semplificare i concetti distributivi di una pubblicazione, oppure mentre si cerca di mettere ordine non solo nelle partizioni dei contenuti, ma anche negli eventuali interventi cartotecnici (dalle tavole fuori testo ai ribaltabili, da segnature su carta diversa a stampa diversificata tra segnatura e segnatura). Con un timone sempre aggiornato è più

Lo sviluppo di un timone per una pubblicazione che prevede come prima segnatura un trentaduesimo stampato in un colore (nero), su carta usomano. A seguire una segnatura in quartino (quattro pagine da 33 a 36) su carta patinata con stampa in quadricromia. Riprende poi da pagina 37 con carta usomano e stampa a un colore (e via così fino alla prossima segnatura a colori).

Occhiello

Bianca

Bianca

chiaro lo stato progressivo dell’opera in lavorazione, ciò che ancora manca e ciò che è stato via via “chiuso” e impaginato e mandato in lavorazione di prestampa. Se il timone di un romanzo è ovviamente piuttosto elementare (dopo gli apparati iniziali lo sviluppo resta prevedibile e si tratta solo di calcolare l’ingombro delle pagine di testo), per un libro illustrato o una monografia complessa, costituita da più contributi testuali, iconografia e tavole fuori testo, segnature con ribaltabili, stampa o carta differenziate, il timone diventa l’unico riferimento ordinato. È il modo per conoscere l’esatta posizione ed entità dei contributi e la possibilità di intervento tecnico in cartotecnica e stampa. Il timone, così come è l’organo di governo di un’imbarcazione, lo è anche per un’opera editoriale. Generalmente il timone è una miniatura, la rappresentazione sistematica delle doppie pagine che compongono la pubblicazione. Potete generarlo disegnan-

Frontespizio

Colophon

Sommario

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Introduzione

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CAP. 1

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PATINATA COLORE

PATINATA COLORE

PATINATA COLORE

PATINATA COLORE

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do uno schema che terrete a disposizione nel vostro computer per tutte le pubblicazioni che dovrete affrontare, ed è consigliabile dare alle pagine la stessa proporzione (o almeno approssimativa) del formato su cui dovrete impaginare (se il libro ha formato quadrato le doppie pagine saranno due quadrati affiancati che condividono il margine di segnatura interna; nel caso di un libro rettangolare verticale o ad album, le pagine seguiranno lo stesso criterio). Normalmente si dispone un timone con un certo numero di doppie pagine a riempire un foglio A3, più facile poi da stampare in più copie fino ad arrivare a ottenere il numero di pagine previsto dalla pubblicazione; per esempio cinque file sovrapposte da cinque doppie pagine è una buona soluzione per schizzare, prendere appunti, approfittando anche di un leggero margine di cornice per raccogliere note di lavoro. Entro questo margine può tornare utile uno spazio da assegnare a un cartiglio, dove

Occhiello

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indicare il titolo della pubblicazione, la data di aggiornamento del timone ed eventuali altre indicazioni necessarie alla redazione e al designer o art director. Nel caso di una pubblicazione periodica, come per esempio una rivista, la posizione delle pagine potrà essere modificata – se non addirittura stabilita – dalla caduta obbligatoria della pubblicità: il timone aiuterà a posizionare ogni contributo ed eventualmente l’intervento cartotecnico o di legatura (per esempio nel caso di immagini con ante ribaltabili o inchiostrazioni speciali). In alcuni casi, dove la gabbia è più articolata e i contributi testuali sono differenziati per gerarchia o layout, è meglio utilizzare miniature della gabbia, così da evidenziare più puntualmente la posizione prevista per esempio per box, rubriche, tavole, titolazioni. Anche nel caso in cui la pubblicazione prevedesse molte pagine, è sempre essenziale disegnare il timone, dalla pagina 1 dell’occhiello al finito di stampare.

Frontespizio

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Colophon

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OTTAVO in linea 17 - 24

CAP. 3

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Dal timone agli ingombri Il timone può essere utilizzato anche per stabilire l’entità dei testi da commissionare agli autori, anziché semplicemente per prevedere lo sviluppo o la posizione di un testo già esistente. Considerando la gabbia di riferimento (gabbia di progetto) e conoscendo l’ingombro standard di un testo in quelle specifiche colonne, si può decidere quante pagine assegnare a un argomento e quante a un altro, prevedendo anche spazi per riquadri e illustrazioni, tavole e diagrammi, fotografie. È quel che si fa nella redazione di un giornale, quando il direttore e i suoi collaboratori decidono di commissionare un servizio giornalistico o un articolo, affidare un reportage o accettare pubblicità tabellare. Il controllo costante del timone è il modo migliore per garantire il rispetto dell’impaginazione e della preparazione degli esecutivi: appendetelo a una parete, tenetelo sempre a portata di mano. Lo sviluppo di un timone in cui la prima segnatura è un sedicesimo in quadricromia, la seconda è un ottavo in linea con ante ribaltabili e stampa a colori speciali, la terza un nuovo sedicesimo in quadricromia e la quarta un sestino (tre ante, quindi sei pagine) con anta destra ribaltabile con stampa a colori speciali. Le segnature con ante ribaltabili sono posizionabili solo prima o dopo una segnatura. Nel caso di segnature con ribaltabili occorre ricordare sempre, in fase di approntamento degli esecutivi, che la pagina che si ripiega verso l’interno dovrà avere il lato di base più corto di almeno 4 o 5 mm rispetto alle pagine normali, per consentire un più agevole inserimento.

CAP. 4

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Dimensionare e tagliare un’immagine

tezza di un’immagine, qualsiasi sia la sua dimensione. Significa che il semplice calcolo che oggi si evita con il comando del software di impaginazione è questo:

Dimensionare Il procedimento di dimensionamento di un’immagine è oggi facilitato dalla disponibilità di comandi di ingrandimento o riduzione presenti in tutti i software di impaginazione. Ciò che in un tempo nemmeno troppo lontano doveva essere necessariamente affrontato compiendo calcoli di proporzionamento tra l’originale analogico (carta fotografica, fotocolor o riproduzione su uno stampato) e la superficie destinata all’immagine sulla gabbia del nostro nuovo progetto, è oggi velocemente risolto con il trascinamento sul monitor di un punto della diagonale dell’immagine, fino a riempire la porzione desiderata nella gabbia. Il criterio è comunque sempre lo stesso e si basa sul rapporto costante tra base e al-

Bo : Bv = Ao : Av cioè, la Base dell’originale a disposizione sta a Base dell’immagine alla dimensione voluta, come Altezza dell’originale a disposizione sta a Altezza dell’immagine alla dimensione voluta. Con il metodo della diagonale si evidenzia questa relazione costante, che governa qualsiasi operazione di dimensionamento (dai piccoli ai grandi formati). Nel caso ci si dovesse trovare di fronte a originali non ancora scansionati e già resi disponibili in forma di file, si può ricorrere al metodo della diagonale e delle proporzioni per individuare le corrette dimensioni che

assumerà l’immagine conoscendo anche una soltanto delle grandezze (solo la base o solo l’altezza). Abituarsi anche empiricamente a comprendere la compatibilità di un’immagine con lo spazio a disposizione è un buon esercizio di impaginazione, che allena l’occhio del designer rendendolo abile ed esperto. Distorsioni e alterazioni dell’immagine È sempre da respingere qualsiasi modifica forzata delle proporzioni dell’immagine: una distorsione per ottenere il riempimento della porzione di gabbia o adattare forzatamente un’immagine nello spazio è sempre un’operazione da evitare. Se l’intervento è riprovevole quando si tratta di una foto d’autore, lo è anche quando si modifica la percezione della realtà con una foto di puro valore documentale: è una vera e propria aberrazione, soprattutto da un punto di vista culturale, perché travisa l’informazione al lettore e falsifica il contenuto.

x

Con il metodo della proporzione è facile calcolare le nuove dimensioni; se l’originale (foto piccola) misura 43 mm di base e 33 mm di altezza, volendo conoscere l’altezza della stessa immagine quando assume come base il valore di 60 mm si procede in questo modo:

33 mm

A fianco: il prolungamento, lungo la diagonale, della proiezione della nuova altezza dell’immagine stabilisce la nuova base (e viceversa). Nella foto, il memoriale della Shoah a Berlino, progetto di Peter Eisenman con Bruno Happold (2003-2005).

43 mm : 60 mm = 33 mm : x x = 60 x 33 = 46,04 mm 43

43 mm

Nella foto: il Cloud Gate del Millennium Park di Chicago, detto “The Bean”, opera di Anish Kapoor, 2004.

60 mm

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Tagliare un’immagine Nel gergo professionale del designer editoriale “tagliare” un’immagine significa impaginare escludendo dall’originale una o più parti (rilevanti o meno). Significa quindi prendere delle decisioni in merito all’efficacia, al significato, all’impatto visivo e ai contenuti del messaggio legato alla storia di quell’immagine e all’intenzione del suo autore. I motivi per cui si decide di tagliare un’immagine sono molti: potremmo avere la necessità di enfatizzare un concetto, esaltando un dettaglio come elemento emblematico; perché lo stesso autore ci chiede di eliminare una porzione di immagine (difettosa, ininfluente o censurabile); perché non possediamo i diritti per pubblicarla interamente. In linea di principio tutte le opere d’arte non dovrebbero subire tagli se non dopo aver ottenuto l’esplicita autorizzazione (scritta) dei detentori dei diritti di riproduzione (molti archivi e fondazioni,

musei o eredi dell’artista informano di questa restrizione al momento della richiesta e richiedono un bozzetto da approvare prima della pubblicazione). Nel caso di una fotografia è sempre da tenere in considerazione il contesto in cui essa è stata scattata (spesso l’intero ambiente circostante è il significante dell’opera stessa e ne fissa il valore) e dovrebbe essere sempre evitato qualsiasi intervento grafico, dalle sovrapposizioni alle elaborazioni grafiche, dagli scontorni all’apposizione di fondini, tanto più i tagli. Nel mondo dei giornali c’è sempre più disinvoltura al taglio (con conseguente e malcelata rassegnazione dei fotografi) a causa dei tempi e delle necessità di produzione, ma in un libro l’accuratezza e la prudenza dovrebbero guidare l’intervento del designer, quando necessario, e sempre in accordo con l’autore. Altro discorso è invece l’intervento creativo, su immagini di repertorio e comunque

sempre con approvazione degli eventuali aventi diritto, al taglio o all’elaborazione grafica per una copertina o un cofanetto. L'accostamento delle immagini Considerando l’insieme della doppia pagina, è bene che oltre al rispetto degli allineamenti le immagini non vengano depotenziate disperdendole in modo casuale in pagina. Un’immagine centrale di rilevante dimensione diventa una sorta di perno ideale, intorno al quale far aggregare le altre immagini di formato progressivamente inferiore (con un movimento simile a quello di una spirale). In questo modo l’attrazione dell’osservatore sarà catturata da una costruzione compositiva più fluida. Anche la differente percezione di “peso” può far emergere uno squilibrio tra immagini di diverso formato. Meglio allora posizionare alla quota più alta le immagini più grandi o scure, per poi scendere verso la parte inferiore con quelle più vuote o leggere. Nelle foto a fianco: La città di Matera vista dal belvedere di Palazzo Lanfranchi. La foto originale è quella a lato; nei due tagli sottostanti, eccessivi e sbagliati, si neutralizzano l’effetto e la comprensione dell’atmosfera data dall’ombra sovrastante il punto di ripresa. Nell’esempio in basso a sinistra l’area dei Sassi sembra estendersi senza soluzione e non contrapposta a un’area (quella del belvedere appunto, sottolineata dall’ombra degli edifici nella foto originale) che invece la chiude come in un bacino; nell’esempio qui sotto, invece, il taglio e l’ingrandimento troppo ravvicinato trascura l’influenza del cielo e delle alture circostanti, travisando l’interpretazione della morfologia del territorio.

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L’impaginazione delle immagini È il momento topico dell’impaginazione: l’inserimento delle immagini nella gabbia del libro. Se la nostra gabbia è stata disegnata per accogliere prevalentemente del testo, le immagini cercheranno di non soverchiare l’equilibrio e le gerarchie, nel rispetto dei volumi e delle proporzioni. La prima tra tutte le raccomandazioni, di qualsiasi tipo siano la gabbia e il formato, è il rispetto degli allineamenti: la linea orizzontale che è stata tracciata negli esempi di questa doppia pagina diventa il riferimento assoluto per l’attacco sia del testo che per il posizionamento delle immagini. Quella linea ideale è – come insegnavano pragmaticamente i maestri – una sorta di “filo dei panni appesi”, sul cui allineamento possono trovare posto immagini grandi e piccole, nel criterio di mantenimento di una disciplina corretta e di un ordine riconoscibile.

L’impaginazione, oltre al rispetto del canalino di separazione, deve sempre tenere come punto di riferimento la doppia pagina, perché anche se è vero che il libro è costituito da pagine numerate singolarmente, noi lo apriamo e manteniamo davanti ai nostri occhi – in lettura o in consultazione – sempre con due pagine affiancate. L’una influenza l’altra, e viceversa, come fossero un fotogramma unico di un film proiettato su uno schermo. Ciò che introduciamo nella pagina di sinistra cercherà una spontanea corrispondenza nella pagina di destra, e per questa ragione dobbiamo sempre prestare attenzione a pesi e dimensioni delle immagini, ricordando che anche di fronte a una pagina stampata percepiamo l’effetto di oggetti “pesanti” e “leggeri”, con la conseguente impressione di un luogo congestionato, galleggiante, vuoto o dove gli elementi grafici stanno in equilibrio o precipitano verso il basso (cioè il nostro fondo pagina).

Nam rae mil molu ptiassum landit eum

Enimusa dolorite et inimi, sum etur? Qui acest ex exerio. Quaspere, optur a dolupta volluptis et pliae. Amus reperum sincte rem voluptaest, sequiantet quae nonempore pro eos prerum simaio conet ut oditis mincim eum de modit endae incta prae labo. Archil mi, seque ea dus quae etur ma autem reprat litem voluptaquas sum velesci atibus num andaeperiam et odis am ut velique voluptur, sumquatatiis volupti andisint pla sin nos ipsantem. Intem reperor itatur? Fugitatem rerfers pienit fugiae aut ipit quat latenim poreperor mo tenihit emporem que pa dollab idel elenia siminte etum nonsequatur aut il ent aspis estiost, que magname nimodis cus, andit quis quo offictet hitinum quod quate et, qui atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem eium dollestist, sitinum quaecus aut min non ra dem rerum fugit quam faccum am earciti comniet adicipsam, ab ipienim quisi alignate lat quam est alitatur sectaque quostio od et eicienim dolum et volent, coria vid quia nobissenem sequas untur se ipsus vel mod qui quide vendio mi, se nihilita conet vent. Essintur? Sed quo culleni modipsam as modis imus modi tem se velliatur, simodi non cus dolorendae lique cuptat qui abore molutaturi comnitem a sitate volorumquiam asit faceptat. Bere veratibus auditibusam ressumqui dereica borerspera verundi taeceriorene ad quias as sunt laboreped quamusd anturio magni

L’effetto “forza di gravità” Una gabbia con un buon margine inferiore, maggiore di quello superiore, ci aiuterà a spingere verso l’alto (contrapponendo le forze) immagini piuttosto grandi e sature (caso 1). Gabbie dove le colonne sono tutte uguali chiedono alle immagini di rispettare la geometria rigorosa e di far cogliere, attraverso l’allineamento, l’espressione di ordine scelta dal progettista (caso 2). Nelle gabbie dove è presente una colonna laterale con giustezza più stretta (utile per ospitare occhielli, note, didascalie) le immagini possono diventare un’opportunità per il posizionamento delle didascalie e di riflesso possono essere la quota di allineamento per un occhiello o una nota nella pagina contrapposta (caso 3). Nelle pagine con due colonne molto diverse per giustezza (caso 4), all’equilibrio dei bianchi – sostenuto dai colonnini esterni in giustezza minore – fa da contraltare un’im-

Nam rae mil molu ptiassum landit eum

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1. Gabbia a due colonne di pari giustezza di riga. Le due immagini, di uguale dimensione, sono allineate all’attacco di testo e sottolineano il disegno della gabbia.

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2. Gabbia a tre colonne, di cui una a giustezza ridotta. Le immagini in questo caso usano la giustezza di riga come modulo, si allineano e generano la quota per le didascalie.

3. Gabbia a tre colonne di pari giustezza di riga; le immagini usano le opzioni modulari della stessa giustezza anche nel caso di dimensioni diverse.

4. Gabbia a due colonne, di cui una giustezza ridotta (colonnino). L’immagine fuoriesce dalla giustezza del testo principale e occupa tutta la gabbia della pagina.

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paginazione che sfrutta gli spazi vuoti, spingendo le immagini anche a occupare parzialmente una colonna che non verrà mai occupata dal testo corrente; in questo caso le immagini tendono a “scattare” fuorigabbia (rispetto al testo), conferendo alla pagina un aspetto davvero più dinamico e vivace. In queste opzioni la posizione dell’immagine può generare una nuova linea (ideale) di allineamento nella pagina contrapposta, utile per sistemare una nota o un commento al testo senza disperderlo vanamente. Nei casi in cui le immagini tendono invece a prevalere sul testo è consentito l’uso della gabbia con più disinvoltura e l’estensione delle immagini può invadere anche la pagina a fianco (caso 5). Immagini passanti e al vivo Nel caso 5 un’immagine di grande dimensione occupa la posizione centrale (si definisce “immagine passante” finché

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attraversa le due pagine): è questa una decisione del designer che può rispondere a un bisogno di impatto estetico più deciso, alla necessità di ingrandire il più possibile alcuni dettagli; occorre però esser certi che il centro della doppia pagina (soprattutto quando la foliazione è rilevante e il dorso aumenta) non impedisca una piena lettura dell’immagine, che rischia di “cadere” all’interno del margine interno di segnatura. Nel caso 5 l’immagine è per di più anche “al vivo” in alto, cioè supera il margine interno di gabbia per raggiungere il limite di taglio: l’esecutivo dovrà tener conto del refilo, perché l’immagine subirà con il taglio finale del volume una riduzione di circa 4 o 5 mm sul lato superiore. Questo margine dell’immagine che viene refilato si chiama “abbondanza” e deve sempre essere previsto dal designer, non solo per consentirne l’effettuazione tecnica, ma anche per decidere se quel margine – ai

fini di comprensione dell’immagine e rispetto per l’autore – sia davvero eliminabile o meno. Quando un’immagine finisce al taglio si dice “smarginata” o “al vivo”. Il criterio di accostamento delle immagini Considerando l’insieme della doppia pagina, è bene che oltre al rispetto degli allineamenti (e la loro coerente relazione con il testo) le immagini non vengano depotenziate disperdendole in modo casuale in pagina. Un’immagine centrale di rilevante dimensione diventa una sorta di perno ideale, intorno al quale far aggregare le altre immagini di formato progressivamente inferiore (con un movimento simile a quello di una spirale). In questo modo l’attrazione dell’osservatore sarà catturata da una costruzione compositiva più fluida. Anche la differente percezione di “peso” può far emergere in pagina un improprio squilibrio tra immagini di diverso formato.

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5. Gabbia a due colonne di uguale giustezza di riga. L’immagine invade la doppia pagina (passante). Le due immagini più piccole si “appendono” al filo di allineamento generale.

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Offictet hitinum quod quate et, qui atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem eium dollestist, sitinum quaecus aut min non ra dem rerum fugit quam faccum am earciti comniet adicipsam, ab ipienim quisi alignate lat quam est alitatur s taeceriorene ad quias as sunt laboreped quamusd anturio magni omnienistrum delibus cientur apis dicipsam, omnime nis volore ipicimet aut lit alignihitate etur soluptatibea sum, sinvent ibusaped que etur, ut ectaque quostio od et eicienim dolum et volent, coria vid quia noprat litem volbissenem sequas untur se ipsus vel mod qui quide vendio mi, se nihilita conet vent. Essintur? Sed quo culleni modipsam as modis imus modi tem se velliatur, simodi non cus dolorendae lique cuptat qui abore molutaturi comnitem a sitate volorumquiam asit faceptat. Bere veratibus auditibusam ressumqui dereica borerspera verundi taeceriorene ad quias as sunt laboreped quamusd anturio magni omnienistrum delibus cientur apis dicipsam, omnime nis volore ipicimet aut lit alignihitate etur soluptatibea sum, sinvent ibusaped que etur, ut laborum venissunt, eum harcim cum rerum vent, si beaquo tem necullest, aut es numquo dolupta con reperatquamprat litem vol et dolorem fugit rehendisite comni coreius eum culloribusa cum quoditat dolupta cum suscitiatiis maximus.

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6. Gabbia a tre colonne di cui una con giustezza ridotta. L’immagine attraversa la doppia pagina, lasciando parte del colonnino esterno alla didascalia.

7. Gabbia a tre colonne di pari giustezza di riga. Le sei immagini usano moduli di pari giustezza lasciando le colonne esterne alle didascalie.

8. Gabbia a due colonne di cui una con giustezza ridotta. L’immagine della pagina di destra supera i margini di gabbia e finisce in taglio su tre lati (serve l’abbondanza).

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Le didascalie: composizione, contenuti e posizionamento In un libro illustrato, o in un saggio che preveda diagrammi e tabelle, il tema del posizionamento delle didascalie è sempre di vitale importanza; non solo perché se le immagini ingombrano grandi parti della gabbia le didascalie non devono incrinare l’armonia e gli equilibri tra immagini e testo, ma soprattutto perché non devono alterare la composizione mentre svolgono la loro funzione di informare e completare la narrazione. In linea di principio la didascalia dovrebbe sempre essere posizionata più vicina possibile all’immagine a cui si riferisce: è sempre piuttosto fastidioso andare a cercare troppo lontano (in fondo al capitolo o al libro) le spiegazioni per qualcosa che hai già sotto gli occhi. È accettabile, nel caso ci si trovi nella necessità di impaginare un’immagine al vivo o Nel caso a fianco: le didascalie sono composte a bandiera sulla “mezza giustezza” della colonna di testo; è un primo segnale di differenziazione, che insieme al corpo ridotto fissa la gerarchia di pagina. Le due didascalie riferite alle due immagini sulla pagina di sinistra sono in prossimità delle due immagini, mentre la didascalia riferita all’immagine a tutta pagina di destra è posizionata al piede della pagina di sinistra, per non contaminare e lasciare quindi inalterata la pagina di destra. Per evidenziare la relazione delle didascalie con le immagini in pagina si può ricorrere a indicazioni sintetiche, che possono essere evitate nel caso della didascalia 1 (la posizione infatti la lega intuitivamente all’immagine proprio sopra di lei), ma è giusto siano esplicitate nel caso della didascalia 2 (In alto a destra: …) e rese incontrovertibili per la didascalia riferita alla pagina di destra (nella pagina accanto: …).

in gabbia su tutta la doppia pagina, posizionare la didascalia nella pagina precedente o in quella successiva, ma è solo un rimedio tecnico di cui non bisogna abusare. Altra raccomandazione, in un libro illustrato, è quella di non ricorrere a sfondamenti in pagina o a didascalie che cadono direttamente sull’immagine: è sempre un’alterazione ed è meglio evitare di rovinare la tavola con del testo (operazione invece consueta nel caso di una rivista o di un catalogo, ma criticabile nel caso di un libro illustrato). Una gabbia che già in partenza sappia offrire più opzioni per il posizionamento delle didascalie si rivelerà lo strumento migliore per conferire dignità al libro e per rispettare il lavoro dell’artista o del fotografo. Poiché le didascalie sono composte generalmente in corpo inferiore a quello del testo, il rischio di una difficile lettura – anche su grandi formati – è sensibile con sfondamenti in negativo e reso ancor più

1

Dollab idel elenia siminte re etum nonsequatur autil ent ass deus estiost, que atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem eium dollestist, sitinum.

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A fianco: la posizione delle immagini esalta volutamente i vuoti in pagina e sono gli allineamenti tra le due immagini a stabilire la posizione delle didascalie. In questo caso è corretto il ricorso alla mezza giustezza per collocare le didascalie sotto le immagini, rispettando sempre la distanza stabilita dal canalino di gabbia.

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problematico dall’impiego del colore per il suo testo (alla diminuzione del corpo della didascalia aumenta il rischio del fuori registro nella stampa a più colori in positivo, e ancor di più nel caso di stampa a più di un colore in negativo ma su fondo pieno). La composizione della didascalia Un buon approccio di base è quello di fissare subito le gerarchie della pagina (titoli, testo, numeri di pagina, note) e quindi attribuire alla didascalia un corpo che immediatamente la collochi in un ordine di importanza chiaro e riconoscibile per il lettore. Se il corpo del testo è per esempio 11 pt su 13 pt, la didascalia dovrà apparire in pagina con un corpo inferiore e adeguato (il “salto di corpo”, deve essere sempre sensibile comunque in relazione al disegno del carattere in uso). Provare con un corpo 9 pt su 11 pt (o 9,5 pt su 11,5 pt), potrebbe essere una buona prima soluzione. Come già sottolineato in alte parti di questo

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libro, si raccomanda sempre di effettuare delle stampe di prova al formato naturale, l’unico modo per rendersi davvero conto dell’effetto delle nostre scelte tipometriche sulla pagina finale (non fidatevi del monitor del vostro computer). Se il testo del volume è composto in carattere graziato, le didascalie (sempre con un salto di corpo appropriato) potrebbero anche mantenere lo stesso carattere senza creare confusione nella lettura. Un’alternativa è contrapporre invece al testo in graziato le didascalie in carattere bastone; è una scelta che deve considerare l’estetica generale del libro, gli argomenti trattati, la pertinenza di un’opzione di questo genere con il tema. Il retroterra culturale e la preparazione del progettista sapranno suggerire le scelte più appropriate. La composizione del testo di una didascalia è preferibile che sia sempre a bandiera, anche per evitare di dover andare a capo troppo spesso quando il posizionamento è

previsto in una colonna di giustezza ridotta. Si può decidere di usare nella composizione il carattere del testo, a corpo ridotto, ma diversificando la didascalia con un corsivo chiaro (sempre meglio di un neretto, che rischia di rendere la pagina un po’ pesante e “sporca” alla fine anche poco elegante). Nell’impaginato il rispetto scrupoloso delle distanze tra le immagini segue sempre il criterio del canalino, che funziona come vero e proprio modulo per distanziare e allineare anche le didascalie. La raccomandazione più pratica è di fare sempre in modo che sia semplificata la modalità con cui si attribuisce la didascalia all’immagine a cui essa è riferita, e di governare con attenzione corpi e interlinea al fine di mantenere i livelli gerarchici tra i testi coerenti tra loro. Il contenuto di una didascalia Una didascalia ben redatta è un contributo informativo, non la descrizione pleonastica

di ciò che già risulta evidente nell’immagine. Quando accompagna una fotografia d’autore o un’opera d’arte in un catalogo o in una monografia, la forma minima del suo testo riporterà il nome dell’autore, il titolo, il luogo e la data (nel caso di una fotografia) o il deposito e la data di nascita e di morte dell’artista (nel caso di un’opera d’arte). Nel caso di una più complessa narrazione per immagini, le didascalie possono assumere anche una funzione più esplicativa, e ai riferimenti prima indicati vengono associati commenti a cura del curatore o dello stesso autore. È chiaro che la cura del designer per l’aspetto dei testi può dare un senso – e non solo estetico – anche a didascalie molto lunghe; una gabbia e un progetto tipografico che sappiano prevedere queste diverse tipologie riescono sempre a risolvere efficacemente contrasti e pesi diversi nella pagina, trasformando un tema complicato in un valore complesso. Nell’esempio a fianco, nella pagina di sinistra trovano posto le didascalie per entrambe le pagine. In un’impostazione prevalentemente basata sull’impaginazione centrale, le didascalie possono assumere una composizione a epigrafe, mantenendo fermo il criterio di attribuzione intuitiva della didascalia all’immagine più prossima.

Hitinum quod quate et qui atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem eium dollestist, sitinum.

Qui atium aut illuptiata eitinum quod quate et de rerum natura dolupie turionseces asimolutem eium dollestist, sitinum.

Nella doppia pagina a fianco, due didascalie sono riferite – secondo il criterio di prossimità – alle immagini esistenti nella doppia pagina, mentre la terza – quella più estrema e isolata a destra – anticipa la doppia pagina successiva (per esempio nel caso in cui l’immagine, nella doppia pagina seguente, occupi tutta la gabbia e non sia disponibile lo spazio per una didascalia).

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Dollab idel elenia siminte re etum nonsequatur autil ent ass deus estiost, que atium aut illuptiata dolupie turionseces asimolutem eium dollestist, sitinum.

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L’arma strategica: la copertina Nel mestiere del designer editoriale, insieme all’assoluto e fondamentale rispetto per l’autore e i contenuti del libro, deve essere sempre considerato l’obiettivo finale dell’intervento professionale: conferire il più alto valore espressivo a una merce culturale, che deve essere non solo apprezzata da un lettore, ma soprattutto – e innanzitutto – venduta a un consumatore. Il libro – essendo un prodotto seriale a tutti gli effetti – deve confrontarsi con il mercato, e questo significa accettarne le regole intrinseche entro le quali il prodotto deve proporsi, rendersi visibile per attirare l’attenzione del consumatore, riflettere esteticamente (all’esterno) i temi e la qualità dei suoi contenuti. Nel complesso mercato editoriale e librario la copertina svolge una funzione emblematica e fondamentale: non solo tecnicamente è Copertina per la collana di saggistica “Presente Storico”, edizioni Bruno Mondadori: l’impostazione della collana prevede sempre una foto in prima di copertina, al vivo; il titolo è impaginato sempre a bandiera, come gli altri elementi del quadrante; per agevolare la lettura dei testi l’immagine è sempre alleggerita nella porzione centrale, da una banda in serigrafia lucida, semitrasparente, che prosegue sul dorso e in quarta (design A+G, foto Don McCullin/Magnum).

una componente necessaria a “raccogliere” le segnature e mantenerle unite, ma è anche il veicolo di messaggi complessi e identitari. Attraverso la copertina si può riconoscere uno stile editoriale, che restituisce il posizionamento della marca (per esempio con l’identità Einaudi, Feltrinelli o Sellerio); si attiva un processo di identificazione tra editore e lettore/consumatore a prescindere dal titolo acquistato (per esempio con il caso Adelphi); si trasmette l’autorevolezza dell’editore in materia, oppure un segnale seduttivo capace di attrarre anche lettori/ consumatori non abituali. Affrontare il tema della copertina come fosse una questione di puro packaging è senz’altro riduttivo e sbagliato, ma a volte la scelta di una copertina si limita alla vestizione ordinaria (e conclusiva) della realizzazione di un artefatto, senza premiare e completare – con la giusta attenzione e strategia – un’opera costata tanta fatica a un autore e al suo editore. Strilli promozionali con recensioni internazionali

Per questa ragione, nel corso dei secoli, la copertina si è evoluta, passando dall’essere una semplice componente materiale della legatura al veicolo strategico del marketing editoriale e dell’identità di marca. La progressiva complessità del mercato ha imposto il criterio di concorrenza anche al prodotto libro. Esattamente allo stesso modo come era avvenuto – nell’espansione della Rivoluzione industriale – alle altre merci generate dalla riproduzione seriale, anche il libro deve “vestirsi” esternamente, cercando una propria capacità espressiva nell’avventura dell’esposizione in un punto vendita: proprio come un utensile o un prodotto alimentare. L’esposizione contigua dei libri sugli scaffali dei librai del XVI secolo impone al progetto della copertina la ricerca della visibilità, del richiamo per chi osserva un insieme di prodotti simili per formato e processo di fattura, ma estremamente diversificati per

Occhiello con titolo di collana (in prima e sul dorso)

Foto con taglio al vivo su tre lati, trattata in bicromia

Banda serigrafata in vernice lucida, a contrasto con la plastificazione opaca del resto della copertina

Fondo uniforme in bicromia, nero + grigio speciale Pantone

Autore e titolo sul dorso, allineati alla stessa quota dei testi in copertina e in quarta

Simbolo dell’editore, sempre della stessa dimensione e nella stessa posizione, centrato sul dorso

Logotipo dell’editore, sempre allineato a bandiera al titolo

Autore e titolo, a bandiera e sempre posizionati alla stessa quota

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contenuto, autori e marche (gli editori). Il libro assume la funzione quindi di un oggetto visivo, prima ancora che testuale. Un potenziale inaudito, dal punto di vista della comunicazione, che esploderà, nell’era della spettacolarizzazione della merce, con il packaging. La produzione deve distinguersi con la funzione strategica dell’aspetto esteriore, dove le parole diventano immagini con il lettering e le immagini gli ingredienti irrinunciabili per la combinazione “seduzione + attrazione + riconoscibilità”. L’editore di libri aspira – forse più di ogni altra impresa – allo status di marca, a prescindere dalle sue dimensioni e diffusione: la copertina è allora il suo modo di presentarsi sul mercato, per distinguersi agli occhi dei consumatori e dei concorrenti. Il designer editoriale, in questa complessa cornice di intenti, proiezioni estetiche e soluzioni tecnico-commerciali, diventa a tutti gli effetti una sorta di coautore del prodotto.

Copertina e identità di marca L’identità di un editore – oltre al suo catalogo generale, il formato dei suoi libri e in generale il suo comportamento nel contesto socio-economico in cui opera – è restituita dalla copertina: sullo scaffale di una libreria la partita si gioca sia con il piatto che con il dorso, e l’identità editoriale deve essere mantenuta in entrambi i casi con estrema tenacia e rigore. Gli spazi di una libreria sono mediamente ristretti, e quei pochi centimetri quadrati destinati a un titolo piuttosto che a un altro sono territori di una battaglia che viene combattuta sia all’esterno che all’interno del punto vendita, con cartelli e cartonati pubblicitari, massificazione del prodotto sul banco e applicazione della scontistica. Un progetto bene impostato per un tascabile si differenzia da quello di un illustrato, perché deve sfruttare al meglio la superficie ridotta del quadrante di copertina, rendendosi attrattivo e gradevole anche in mezzo

ai concorrenti (probabilmente tutti di simile formato). Lettering, colore dominante di fondo, posizione del titolo, una scelta iconografica adeguata e un testo di quarta di copertina breve ed efficace, costituiscono gli ingredienti irrinunciabili per un’identità di successo. La finitura di stampa e la confezione (titoli a rilievo, lucidature serigrafiche, plastificazione) comunque non sono sufficienti: quando il titolo esposto sul banco verrà sostituito per far posto a una novità appena arrivata e apparentemente più promettente, il suo destino sarà inesorabilmente lo scaffale. E lì la partita si fa ancora più difficile, perché il libro perderà il vantaggio di un’esposizione diretta e favorevole alla vendita: la quota espositiva nello scaffale, la sistemazione di piatto o di dorso, l’illuminazione del punto vendita, determineranno la continuità o meno di quel titolo e i suoi risultati. Il dorso diventa un elemento strategico.

Il libro nel punto vendita: l’esposizione delle novità, di piatto su un banco, esige decisa differenziazione e visibilità per ogni titolo. Sopra: dopo una prima fase vissuta sul banco, il libro viene posto a scaffale e sarà il suo dorso a rimanere l’unico segnale identificativo.

A fianco: la creazione di un’isola, con una massificazione del titolo, crea un totem attrattivo e capace di emergere in qualche modo dalla congestione della libreria.

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Cium et in con niminvenis si nos postis debis aperatempor audandae. Ut hilignient, voluptam vendam, quibus, tectur ad explige nducia si nia ullamet et doloreptatur ma id molupici blab as acerum vell facerum nissint dende nobit, odiciet aut qui cus doloria.

Po nim ribu ap in s, sa ero ci e vid acc cu p ev um icia en en tu ti da r ve m ab l in re ip re ex ienti re et o pq ad s e ui is t q co sa ua ne ipsu m vit n fu om tu ri gat nit ore as m qu rat os ae ssit atu .

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Versione alla “francese”

etur aceat as aut liqui nis enis odit ut in evenim.

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Natia ventiumquam id molupta tiaerep resequo ensde sequid.

N id ati m av olu en au con pta tium tec re ti q at ne aer ua em et epAbcdefm Ghilmno ABCDEFGHI LMNOPQ rem lau res ne qu t ar equo laut am um e m n vo or o etu qu t a agn lor e n pta r a idit libu is e ro ob s s ce , c s, a a be isi un do Natia at on se ss et rae ti co dotireasemqullaccaevepantium as seq qu un n lu o m a nacses pta ,ent rchi quam au uo id t d ax tia etur ert ute con caloib tior ne t l s a ma oll im es aceatnavelit rene mus, sen em id laut iq ce gn ac po t q as aumlantot et lautquiidt m molupmagni ui st a ca r ui t liquiesattus arumiaguna ta ti s ea as ni ut m, e p C a a nis d, aute qu nmd, aere su iu s e e v te ar ap m u N cu enisiacate idit teem p nt ve erat et in da a ni eli m ch m odit dm re , cons bquie id tia nu ndam empo co m s o t q iti in llam , qu r n ni u co ut inolmoqu equost, re mo ven di lan ue ore om tias et ib auda min s se lu tiu m ev ram s op m acer et do us, nd ve re qu pta m t u to do m od um lo te ae ni , m enima. ta ti Na o ti q icie re ct . U s si t i tat lu en a ua olo s ur id m tia t au vell ptat ur ad t hi no qu sd ere m s e fa lig n us pta t qu ce ur ex ni po e r r at acomolup venti e se p ev , i cu rum ma plig en stis re ese emaute n re nta ti umq qu s do ni id m e nd t, vo debi m en ss lu uc s ol id lo in up ia pt po cti icaptem ne etieaerep uam im ria. t de ic si am . rem R q sa rem latu, c rese ne nd i bl ni . e no ab a ep u n t bi pas ud i dqiuam aruumsaquo enlaut m t, vo ocorre io op re parchitiorem t Natia ventiumquam ne laut magnis ea assunt etu qum t a agn Natia ventiumquam ne laut magnis ea assunt dollaccae lorr en ta ic a id li e r ace it,, u bus, is ea o b cobcu s su id dollaccae parchitiorem id molupta tiaerep isit n que e cudolupta id molupta tiaerep resequo ent alibus, sequid magnam, er tem at cont se ass p qu un e et ae siccoi tiam l e se a resequo ent alibus, sequid magnam, tem que t s t na ln , t asaut quos id m t dol con rene et laut arumquidit, consequos acest ute velitmaximlantotatus, tia lseirn co e it liq ace agn lacc dolupta con rene et laut arumquidit, consequos es t m a por t q a.m nit ru u st a i autecatem remquam etur aceat as aut liqui nis enis odit ut in evenim. nis ute m, ae p acest ute velit lantotatus, autecatem remquam au uia est iun m

Po ni ribus ap min , sa er ci e ov ac cu id cu pi ev m cia en en tu ti da r ve m ab l in re ip re ex ientio re et pq ad s et ui is qu co sa am ne ipsu vi nt fu t om u ga t ni riore as m t qu ra os ae t ssi ta tu .

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Repudio optas suntiam, comnit iundebist, optiur am niet, cusam, ut et as core nobisiti consernam est dia doloratas eatem ipsandi taecuptasit volorro berae natiaest quia cum commolor resecti qui reicidel et earum et maximpor audamus re, que remporemporeccuscillit .

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Natia ventiumquam ne laut magnis ea assunt dollaccae parchitiorem id molupta tiaerep resequo ent alibus, sequid magnam, tem que dolupta con rene et laut arumquidit, consequos acest ute velit lantotatus, autecatem remquam etur aceat as aut liqui nis enis odit ut in evenim.

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Versione all’“inglese”

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do uo ren atu en n tot reseq ta co it lan ui nis liq dolupute vel aut st as ace aceat debis r stis tam etu s po volup si no ient, si nia enis ign ucia b inv hil e nd bla , nim Ut lig ici bit con ndae. ad exp molup e no et in r auda tur ma id t dend tec Ciumtempoibus, tatur nissin ep m apera m, qu dolor faceru loria. do da l ven met etm vel i cus qu nulla aceru aut intias diciet mo om

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Poribus, sae cupicia niminci tur ab ipientio accumendam s et quam aperovid fugat as eventi vel re ex et adis sa mos ipsuntu in re repqui riorerat cone vit omnit quaessi tatu.

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Natia venti id molupta umquam ne laut magnis tiaerep resequ con rene o ent alibu ea assunt dolla ccae parch s, sequi autecatem et laut arumquidi t, consequos d magnam, tem itiorem remquam que etur aceat acest ute as aut liqui velit lanto dolupta Cium et tatus, nis enis in odit ut in aperatemporcon niminvenis Repudio evenim. si nos postis optas audandae. vendam, debis Ut hilign as core nobis suntiam, comn quibus, ient, volupt tectur ad it iundebist, nullamet em am explige et dolore volorro berae iti consernam nducia si intias acerum ptatur ma itior a est dia dolor optiur am niet, nia natiaest rch lupt atas ommodiciet vell facerum id molupici blab quia eatem ipsan cusam,e pa et maximpor cum comm utquete do , nissin aut qui di taecu olor cus dolori t dende nobit, us audamus llaccaptasit a. , temntotat im. re, que rempresecti qui reicid nt do el su la even et na oremporec as ag m litearum ea cuscil m e ve ut in nis uid lit ut . it magus, seq acest is od ut s en la ut et ne ent alib nsequoui nis m, quamequo idit, co aut liq cusa uptasit m et, ni ec m ntiu p res qu t as am i ta earu ia ve tiaere arum acea tiur ipsandcidel et Nat pta et laut etur , op . olu e am ebist eatemqui rei llit id m n ren remqu co em iund atas ti cusci nit dolor resec porec at unt com a olor autec ea ass m, est di mm porem Natia ventium gnis erep e ntia m co rem quam t ma ta tia qu s s su erna cum que id molupt lau a tiaerep opta cons ia re, ne molup , temnsequo resequo ensde sequid. dio bisiti est qu mus uam id gnamit, co am . qu ma uid Repu re no e natia r auda tiumq rem nim ven rchitios, sequidarumq m remeve co po ra ate in tia pa as be im Na ccae alibu laut autec it ut ro ax lla ent e et s, is od volor et m

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Natia ventiu dollaccae mquam ne laut parchitiorem magni resequo id molup s ea assunt ent alibus ta tiaerep , dolupta con rene sequid magnam, et tem que acest ute velit lantotlaut arumquidit, etur aceat conseq atus, auteca as aut liqui tem remqu uos nis enis odit ut in am evenim.

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Natia ventiu dollaccae mquam ne laut parchitiorem magni resequo id molup s ea assunt ent alibus ta tiaerep , sequid dolupta magna con acest ute Ab rene et laut arumq m, tem que cdlantot velit uidit, conseq ef Ab atus, etur aceat cdef as aut Gh ilmGh autecatem remqu uos liqui nis noilm am enis odit ut in evenim Repudio no optas suntia . s am m, comni mo niet, cusam t iundeb , at asest dia ist, optiur at u. dolora ut et as core m fug nobisiti tas eatem itat rioreress volorr consernam ipsandi et qua tu o ios ipsun nit qua resecti berae natiae taecup tasit st quia cum qui ipient s sa om ab adi e vit commolor audamus reicidel et earum tur et re, et icia re ex con estiae. Cium que remporempo maximpor cup am repqui s, sae end re debis aperat et in con nimin reccuscillit quatem ibu um in Por inci acc nti vel venis si voluptam empor audandae. nos postis nim id eve vendam, Ut rov hilignient, nducia si quibus, ape tectur nia nullam molupici et et dolore ad explige blab dende nobit, intias acerum ptatur ma id ommodiciet vell facerum nissin aut qui cus dolori t a.

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Dal basso verso l’alto: difficile leggibilità del dorso (il testo risulta capovolto)

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unt ea ass gnis erep e t ma ta tia qu s lau ne molup , temnsequo uam id gnamit, co am . qu ma tiumqitioremuid mquid rem nim ven m eve tia parch s, seq aru ate in Na ccae alibu laut autec it ut tiur et t dollauo en rene atus, enis od t, op n tot debis ernam reseq ta co it lan ui nis liq it iuniti cons lup vel t do ute au comnnobis ptasit st as ace aceat cu olor tiam, re r sun et as coandi tae mm r etu m optas , ut ips m co po ate dio sam eatem ia cu maxim llit qu s Repu t, cu atas est qu et cusci s posti nie um am dolor natiaet ear porecis si noient, dia rae rem est ro be reicidel po inven hilign lige rem exp volor i qui que con nimae. Ut ad ma id t sin nd tur resectmus re, et in auda s, tec tatur m nis r ep auda . Ciumtempo quibudolor l faceru loria. do estiae apera dam,met et m vel i cus ven ru debis tam nulla ace aut qu ias volupia si niab int diciet mo nduc ici bla, om lup mo e nobit dend

ABCDEFGHI LMNOPQ

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No L’aletta troppo corta resta in tensione e non rientra agevolmente, impedendo alla copertina di richiudersi

Abcdef Ghilmno

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Abcdef Ghilmno

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do uo ren atu en n tot reseq ta co it lan ui nis liq dolupute vel aut st as ace aceat debis r stis tam etu s po volup si no ient, si nia enis ign ucia b inv hil e nd bla , nim Ut lig ici bit con ndae. ad exp molup e no et in r auda tur ma id t dend tec Ciumtempoibus, tatur nissin ep m apera m, qu dolor faceru loria. do da l ven met etm vel i cus qu nulla aceru aut intias diciet mo om

Prima di copertina

Aletta di quarta

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Blocco libro

Dall’alto verso il basso: migliore leggibilità del dorso

Natia venti id molupta umquam ne laut magnis tiaerep resequ con rene o ent alibu ea assunt dolla ccae parch s, sequi autecatem et laut arumquidi t, consequos d magnam, tem itiorem remquam que etur aceat acest ute as aut liqui velit lanto dolupta Cium et tatus, nis enis in odit ut in aperatemporcon niminvenis Repudio evenim. si nos postis optas audandae. vendam, debis Ut hilign as core nobis suntiam, comn quibus, ient, volupt tectur ad it iundebist, nullamet em am explige et dolore volorro berae iti consernam nducia si intias acerum ptatur ma itior a est dia dolor optiur am niet, nia natiaest rch lupt atas ommodiciet vell facerum id molupici blab quia eatem ipsan cusam,e pa et maximpor cum comm utquete do , nissin aut qui di taecu olor cus dolori t dende nobit, us audamus llaccaptasit a. , temntotat im. re, que rempresecti qui reicid nt do el su la even et na oremporec as ag m litearum ea cuscil m e ve ut in nis uid lit ut . it magus, seq acest is od ut s en la ut et ne ent alib nsequoui nis m, quamequo idit, co aut liq cusa uptasit m et, ni ec m ntiu p res qu t as am i ta earu ia ve tiaere arum acea tiur ipsandcidel et Nat pta et laut etur , op . olu e am ebist eatemqui rei llit id m n ren remqu co em iund atas ti cusci nit dolor resec porec at unt com a olor autec ea ass m, est di mm porem Natia ventium gnis erep e ntia m co rem quam t ma ta tia qu s s su erna cum que id molupt lau a tiaerep opta cons ia re, ne molup , temnsequo resequo ensde sequid. dio bisiti est qu mus uam id gnamit, co am . qu ma uid Repu re no e natia r auda tiumq rem nim ven rchitios, sequidarumq m remeve co po ra ate in tia pa as be im Na ccae alibu laut autec it ut ro ax lla ent e et s, is od volor et m

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Sì L’aletta ha una base corretta: si ripiega lungo la cordonatura e rientra facilmente verso l’interno, senza contrastare la copertina

Natia ventiu dollaccae mquam ne laut parchitiorem magni resequo id molup s ea assunt ent alibus ta tiaerep , dolupta con rene sequid magnam, et tem que acest ute velit lantotlaut arumquidit, etur aceat conseq atus, auteca as aut liqui tem remqu uos nis enis odit ut in am evenim.

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Aletta di prima

L’importanza di un’aletta con la corretta dimensione del lato corto.

Disposizione delle scritte sul dorso dei libri: utilizzando il sistema ISO 6357:1985 è sempre preferibile l’impaginazione che prevede la caduta del testo dall’alto verso il basso, per consentire un’agevole lettura anche quando il libro è appoggiato sul piano con la copertina rivolta verso l’alto. Nel caso di dorsi di rilevante spessore è utilizzabile anche la disposizione di autore e titolo, in forma orizzontale, sul dorso.

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Blocco libro

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Sviluppo di una copertina con alette per un libro in brossura.

La prima di copertina: il concept La prima di copertina (quadrante, o “piatto”) ha una funzione esplicita: esporre chiaramente autore, titolo e tutti gli altri messaggi che rendono il libro distinguibile e identificabile nel mercato. Nel caso di una collana (si veda p. 146-147 per approfondimenti) gli elementi cromatici e del lettering risponderanno ai requisiti di progetto determinati dal progettista. Nel caso di edizioni fuori collana sarà im-

Po nim ribu ap in s, sa ero ci e vid acc cu p ev um icia en en tu ti da r ve m ab l in re ip re ex ienti re et o pq ad s e ui is t q co sa ua ne ipsu m vit n fu om tu ri gat nit ore as m qu rat os ae ssit atu .

Le alette (o bandelle) Per i libri in brossura la copertina è costituita da un cartoncino incollato al dorso (cucito o fresato) e può essere concepita con o senza alette (o bandelle). Le alette generalmente sono utilizzate per conferire più consistenza al volume (raddoppiano in pratica la grammatura del quadrante di copertina e di quarta) e per offrire una migliore finitura all’intero libro, distribuendo meglio i testi altrimenti concentrati sui soli due quadranti di prima e quarta di copertina. La loro larghezza va considerata anche in base alla

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L’aspetto estetico è il veicolo più immediato per trasferire i messaggi del libro: la copertina, come abbiamo considerato alle pagine precedenti, è quindi la componente primaria della vestizione del prodotto. Passiamo ora all’analisi dei suoi elementi chiave.

Na tia dolla vent ium reseqccae qu pa am dolupuo en rchiti ne acest ta cot alibu orem laut ma s, id etu ute ven rene sequid molupgnis ea r ac lit et eat lan lau ma ta tia assun as au tot t aru gnam ere t t liq atus, mquid , tem p ui nis autec it, qu enis atem cons e odit rem equo Cium ut quam s in ev apera et in enim vend tempocon nim . nullaam, qur auda inv en int met ibus, ndae. is si ias et do tec Ut no om aceru lor tur hil s po mo m ep ad ign stis dic ve tatur expli ien de iet ll fac ma ge t, vo bis aut eru qui m id monduc luptam cus nissin lup ia si dolor t ici nia ia. dende blab nobit ,

golino con il prezzo (posto nell’angolo vivo inferiore dell’aletta, da asportare con un taglio lungo il tratteggio in caso di copia omaggio o regalo). Importante: nel caso il libro venisse inviato in libreria protetto da una confezione in film trasparente termoretraibile, le alette e il prezzo di vendita occultati potrebbero risultare un ostacolo alla vendita; si preferisce in questo caso riportare il prezzo sulla quarta di copertina insieme al codice a barre.

dimensione (formato) dell’intero volume, perché dovranno essere ricavate senza sfridi dallo stesso foglio e la loro messa in macchina ottimizzata sulla lastra con cui si stampa. È una buona regola fare in modo che l’aletta possa avere una base superiore alla metà di quella del quadrante di copertina, e meglio ancora se ben oltre la metà. Un’aletta troppo corta, oltre che sgradevole esteticamente, rischia infatti di creare un impedimento alla corretta chiusura della copertina sul blocco libro e di non risultare sufficientemente utile all’impaginazione dei testi di supporto. Sull’aletta di prima di copertina si impagina generalmente una breve presentazione del volume; sull’aletta di quarta la biografia dell’autore e in alcuni casi anche un breve elenco di altri titoli appartenenti alla stessa collana. Con un corpo tipografico ridotto, molti designer e editori preferiscono posizionare su questa aletta i crediti per le illustrazioni e infine anche il classico trian-

stu

Gli elementi della copertina

portante scegliere accuratamente caratteri e iconografia, nell’intento di catturare attenzione e contemporaneamente rispettare e restituire tema, contenuti e comunque l’identità editoriale. L’inserimento di un’immagine deve essere sempre condiviso con il redattore o l’editor della casa editrice, con cui si avrà avuto premura, precedentemente, di definire il messaggio di fondo e il budget a disposizione per l’acquisizione dei diritti. Buona abitudine del designer è richiedere una scheda del libro e una sinossi, così da poter approfondire l’argomento e cominciare a formulare delle prime proposte creative. Questa fase di progettazione precede di circa sei-sette mesi la stampa e la distribuzione in libreria, e ha come obiettivo quello di dotare i promotori/distributori di una copertina anche provvisoria, su cui poter ricevere le prenotazioni dei librai in fase di anticipazione; il catalogo provvisorio con cui si annunciano i lanci di nuovi titoli è chiamato

Biografia autore

Foto autore

“canvas” e risponde a precise scadenze di calendario. Molto spesso dal rientro dalle presentazioni si ottengono anche i primi pareri sul gradimento delle copertine (di cui si potrà tenere conto o meno…). Il dorso Elemento a dimensione variabile in una collana di formato omogeneo, viene determinato dal numero di pagine e dal tipo di carta prevista per la stampa e la confezione: la grammatura della carta, a parità di numero di pagine, incrementa lo spessore del dorso; nel caso di volumi con un numero ridotto di pagine si può ricorrere a carte spessorate (carte ad alta porosità in cui è stata insufflata dell’aria per aumentarne il volume). Naturalmente questo tipo di carta non è adatta a produzioni di qualità, mentre può essere utile in produzioni di narrativa o saggistica economica. Sul dorso trovano posto il nome dell’autore (molto spesso solo il cognome per risparmiare spazio), il

Titolo (dorso)

Titolo

Eventuali altri titoli dello stesso autore presenti in catalogo

Presentazione dell’opera

Nome autore

titolo del libro, il simbolo dell’editore o il suo nome (più raramente entrambi). La quarta di copertina È uno spazio importantissimo, perché la tendenza di un potenziale consumatore – una volta prelevato il libro dal banco o da uno scaffale – è quella di ruotare subito il libro sulla quarta di copertina, per leggere una sintesi che lo convinca all’acquisto e informarsi sul prezzo. Quel gesto (il prelievo del volume dall’esposizione e la contemplazione tra le mani) è una chance da non sprecare con una quarta approssimativa. I cambiamenti nel costume e nel modo di acquisire informazioni su tutti i media e i canali a disposizione hanno via via trasformato anche l’aspetto e la funzione della quarta di copertina, che da un’inefficace e ridondante sinossi è diventata uno “strillo” sintetico. Sulla quarta di copertina trova spazio anche il riquadro con il codice a barre, che contiene l’ISBN (vedi Glossario). La disposizione dei contributi sullo sviluppo della copertina stesa. La progettazione di una copertina (con o senza alette) deve sempre avvenire con un layout aperto (steso), in modo da poter controllare esattamente tutti gli allineamenti su cui distribuire i contributi testuali e iconici.

Allineamento superiore Abcdef Ghilmno

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Natia ventiumquam id molupta tiaerep resequo ensde sequid.

Poribus, sae cupiciatur ab ipientios et quam fugat as mos niminci accumendam re ex et adis sa ipsuntu riorerat aperovid eventi vel in re repqui cone vit omnit quaessitatu.

Strilli promozionali o sintesi del testo Crediti fotografici

Simbolo editore

ISBN e codice a barre

Quota costante allineamento immagine

Allineamento al piede di immagine e testi Allineamento inferiore

Porstuvz

Tagliando copia omaggio

Allineamento titolo e dorso

Immagine

Editore

Note sull’opera rappresentata in copertina

Nel caso di una copertina senza alette, la quarta di copertina deve poter accogliere sia la presentazione testuale, sia le eventuali note biografiche dell’autore, codice a barre, prezzo e ISBN.

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La collana editoriale Nella produzione editoriale il progetto di una collana rappresenta sempre uno stimolo particolare per il designer: si tratta infatti di affrontare un’architettura complessa, concepita per durare nel tempo e accogliere titoli e autori con una cifra inclusiva e distintiva per l’editore. La collana è un segnale di capacità editoriale, di potenziale e anche un messaggio carico di riferimenti non solo semantici, ma anche valoriali ed economici. Nel trattamento dell’artefatto, nella scelta dei materiali, nelle finiture finali e soprattutto nel rispetto dei contenuti emerge l’autorevolezza del designer, dell’editore e la qualità della sua proposta. L’accostamento dei titoli rivelerà non solo la coerenza editoriale, ma anche il livello del progetto visuale, generando così una forma di vera e propria relazione con il lettore/

consumatore. Non è un caso se i grandi maestri (da Aldo Manuzio in poi) hanno lasciato una parte importante della loro eredità culturale proprio nel progetto delle collane, e non è un caso se le collane sono diventate – in alcuni casi – simbolo e pietre miliari dell’influenza dell’editoria nella vita sociale e culturale del proprio tempo. Passando in rassegna la storia della grafica editoriale è immediato accorgersi come la grafica delle collane abbia attraversato – esattamente come la grafica di consumo più in generale, dal packaging alla pubblicità – le tendenze socio-culturali e approfittato anche delle evoluzioni della stampa e del trattamento delle immagini. Nei secoli dei grandi incisori e degli artisti prestati alle sperimentazioni nella stampa, come nel XVI e XVII secolo, le copertine e i frontespizi sono lo spazio per la restituzione dell’atmosfera estetica e del gusto dell’epoca. Successivamente, il progressivo affermar-

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3

4

In questa pagina alcuni esempi storici e rappresentativi, vere pietre miliari delle collane editoriali italiane: 1. Il rigore della casa editrice Adelphi prosegue fin dal 1965, anno in cui l’ufficio grafico interno dà vita alla celeberrima “Biblioteca Adelphi”, caratterizzata da una sovracoperta di altissima riconoscibilità.

2. Per Feltrinelli, l’Unimark di Noorda e Vignelli scardina nel 1966 il concetto di ortogonalità della gabbia di copertina per imporre un sistema visivo alternativo sul punto vendita. Il diagramma prosegue senza interruzione sul dorso e sulla quarta, con una striscia di diagonali a fasce policrome che evidenzia i volumi quando sono accostati di dorso sullo scaffale.

si del libro come prodotto seriale impone all’editore di caratterizzare fortemente – con la sua impronta visuale – l’esteriorità del libro, così da poterlo far emergere nella sfida sul punto vendita. La collana come segno distintivo Le collane diventano, soprattutto nel Dopoguerra in Italia (vedi p. 62-63), un territorio editoriale aperto, dove poter includere – in forme molto diversificate – nuovi autori e nuove discipline, dalla letteratura alla divulgazione scientifica, dal turismo alla passione per l’arte. Le disponibilità economiche dei nuovi consumatori consentono – nonostante ritardi e abitudini ancora presenti nel nostro paese – di inserire il libro nel paniere dei consumi abituali, offrendo a target multiformi di identificarsi esattamente come già accade con il mondo delle marche della moda o di altri comparti produttivi. Alcune collane diventano “cult”, espressioni

3. La fortunata e inossidabile collana degli “Oscar Mondadori” ha visto alternarsi graphic designer e grandi illustratori portando al successo il libro tascabile di grande tiratura. Nelle immagini, una serie disegnata nel 1970 da Paolo Guidotti, con l’art direction di Bruno Binosi.

4. La collaborazione di Bruno Munari per Einaudi investe quasi tutta la produzione, per oltre due decenni, a partire dagli anni Sessanta: oltre alle collane del “Politecnico” e del “Nuovo Politecnico”, il progetto per la “Piccola Biblioteca Einaudi” è risolto con un sistema di quadrati che si accoppiano o ruotano, con o senza l’inserimento di immagini, all’interno di un bilanciato nitore.

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di un modo di intendere la letteratura e il consumo culturale: la loro veste (si pensi ad Adelphi o Einaudi) stabilisce un modo con cui fornire l’estetica identitaria a un editore e simultaneamente anche al suo lettore/ consumatore. Il libro diventa medium, a prescindere dal suo contenuto, perché veicola uno status, un modo di pensare, e può essere esposto nei confronti del proprio mondo, della propria comunità di riferimento, come segnale identitario. Il libro è diventato un oggetto significante. Progettare una collana Non è più solo il progetto individuale del designer: il marketing, l’editor e lo stesso editore sono componenti fondamentali e complementari di scelte estetiche di valore strategico dell’intero progetto. Un titolo servirà a trainarne un altro, la veste estetica a promuovere a nuovo status quegli autori altrimenti sacrificati (si pensi

al “riposizionamento” di uno dei più grandi autori del Novecento, George Simenon, per decenni confinato in modeste edizioni della letteratura di genere e poi finalmente elevato al rango che meritava con le raffinate riedizioni di Adelphi).

da parte dei docenti (che quindi non sono i consumatori finali, ma solo influenzatori dell’acquisto). I budget a disposizione per la collana devono essere ripartiti mediamente su ogni volume, così da ottenere uno standard di riferimento per il tipo di carta (che costituisce – pur rimanendo all’interno del volume – un veicolo di identità e dovrà rimanere sempre la stessa per tutti i titoli in programma), l’impiego di contributi iconici (fotografie o illustrazioni, provenienti da archivi online o autori specificatamente incaricati), finiture di stampa e di confezione.

Da dove si comincia? Occorre considerare la previsione dei titoli in catalogo, il numero degli autori, il pubblico a cui la collana è destinata. Conoscere il numero di pagine previsto per ciascun volume sarà fondamentale per immaginare i dorsi e la gabbia interna, progettando un impiego di corpi e allineamenti compatibili con nomi e titoli (cioè per numero di battute) su dorsi di dimensione diversa.

Conoscere i dati economici La tiratura dei titoli in programma costituisce un’informazione importante per ottimizzare l’investimento su particolari soluzioni progettuali, perché i costi fissi di stampa possano diventare accessibili e convenienti con un’alta tiratura o trasformarsi in un vero ostacolo in caso di edizioni limitate.

Diverso è il discorso per i testi scolastici e universitari, dove il successo commerciale non è decretato dall’attrattività estetica, ma dalla qualità dei contenuti e sostanzialmente dall’adozione obbligatoria del testo

Allineamento autori Abcdef Ghilmno Prstuv Zabcde

Puv Zabcde Abc Defghilmno

Abcdef Ghilmno Prstuv Zabcde Abc Defghilmno

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Porstuvz

Porstuvz

Porstuvz

Allineamento titoli

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9

Esempio di studio preliminare per l’impostazione di una collana: nel caso di una collana con riferimenti costanti, cioè con una gabbia di copertina rigida, si devono prevedere delle quote fisse di allineamento, da rispettare in ogni condizione di ingombro dei testi.

10

Negli esempi da 5 a 8 lo spazio centrale consente il riempimento massimo con tre righe di titolo; nel caso 9 l’allineamento intermedio consente di fissare testo di quarta, dorso e titolo alla stessa quota; nei casi 10-13 si evidenziano le anomalie su dorsi di spessore diverso: i corpi tipografici devono considerare lo spazio disponibile.

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Porstuvz

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Copertina

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ABCDEFGHI LMNOPQ

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Abcdef Ghilmno

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Allineamento superiore

Abc DefghilmnoFGHI FGHI ABCDE ABCDEABCDE FGHI

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Abcdef Ghilmno PrstuvABCD Zabcde Abcdef Ghilmno Prstuv Zabcde EFGHILM NOPQRSTUV

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Allineamento editore

Allineamento superiore Allineamento intermedio

Allineamento di base simbolo editore 12

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Per l’individuazione del corretto corpo per i dorsi, le prove preliminari devono essere condotte a partire dal titolo presumibilmente più corto fino a sperimentare il risultato con quello più lungo; lo stesso discorso vale per gli autori (nel caso 11 lo spazio è troppo ridotto per ospitare due autori).

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Altre tipologie di confezione del libro Esistono molte opzioni per dotare il libro di un’adeguata copertina (vedi p. 84-85). In queste pagine prendiamo in considerazione le tipologie più diffuse, praticabili nella produzione editoriale seriale dell’oggetto libro. Ovviamente nelle produzioni artigianali si può ricorrere anche a interventi specifici, copia per copia, con azioni manuali; è però da ricordare sempre che nella fase di legatoria i costi sono direttamente proporzionali alla tiratura e ogni procedura di questo tipo può far lievitare i costi in maniera rilevante. Occupandoci dell’artefatto libro qui trascureremo le legature a punto metallico e a punto omega.

di una spirale metallica o di plastica. È una soluzione interessante per quei volumi che presentano pagine che non necessitano di allineamenti di immagini passanti sulla doppia pagina, perché resta un vuoto tra le due pagine e il passaggio della spirale lungo il lato di legatura occupa uno spazio di circa 10 mm. Uno dei vantaggi è la completa apertura del volume a 360° e la possibilità di inserire pagine stampate su carte diverse, senza doversi preoccupare delle segnature.

Rilegatura a spirale Si tratta di una legatura in cui le pagine (fogli singoli) sono unite attraverso l’impiego

Rilegatura “a pettine” di plastica Anche in questo caso si tratta di una rilegatura di fogli singoli, ma anziché una spirale a filo continuo il blocco libro viene prima forato lungo una traccia regolare con una perforazione rettangolare, in cui poi si inserisce un dorso di plastica con anelli aperti che per elasticità si richiudono su loro stessi. Ideale per basse tirature, è in realtà prevalentemente utilizzata per fascicolazioni

In alto: la rilegatura con la spirale continua. Qui sopra: l’elegante rilegatura giapponese.

In alto: la rilegatura a pettine in plastica e qui sopra con il sistema Wire-O.

da ufficio, soluzioni provvisorie e canvas di presentazione. Rilegatura metallica Wire-O Molto simile alla legatura a pettine di plastica, agisce con lo stesso principio (la pre-foratura regolare dei fogli), sostituendo al dorso in plastica un dorso a doppio filo metallico che entra ed esce dallo stesso foro. Molto più elegante della confezione a pettine, conferisce una finitura più completa; i dorsi sono disponibili in varie misure e colori, consentono di aprire la pubblicazione a 360° e naturalmente di inserire anche supporti cartacei diversi e stampati con dimensioni e tecniche differenti. Rilegatura giapponese È un sistema di rilegatura molto raffinato e semplice, che rende il libro molto più simile a un quaderno. È adatta alle basse tirature e consente di assemblare pagine stampate su supporti diversi.

In alto: la cucitura con filo a vista e qui sopra la confezione rigida con la plancia accoppiata.

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Le legatura avviene accostando i fogli di carta, chiusi tra un cartoncino di copertina e uno di fondo. Si praticano dei fori equidistanti, attraverso i quali viene fatto passare il cordoncino che verrà fermato con dei nodi. È un sistema, adatto a libri di particolare valore creativo, come cataloghi di moda o monografie artistiche. Dorso cucito a vista (non copertinato) È una soluzione originale, recentemente tornata di moda per pubblicazioni di tendenza, che mette a nudo un dorso dove il filo refe diventa il protagonista dell’aspetto finale. Per preservare l’oggetto libro, il blocco viene spesso inserito in un cofanetto con lo scopo di proteggere le pagine, sprovviste di copertina. Copertina con plancia accoppiata Al cartone rigido per la copertina viene accoppiata una plancia stampata (carta patinata in genere intorno ai 150 g/m2). Si può

rivestire il cartone anche con tessuto, gomma o altri materiali per legatoria. Questo foglio si “accoppia” interamente allo sviluppo del cartone di copertina e necessita di “risvolti” per poter avvolgere lo spessore del cartone e per chiudersi sulla seconda e terza di copertina. Il blocco libro viene unito alla copertina con l’impiego di risguardi. Il dorso può essere tondo o quadro e la copertina con unghia o meno. Tra il quadrante in cartone e la plancia di rivestimento si possono inserire materiali per rendere la copertina soffice. Tra i quadranti e il dorso deve essere previsto uno spazio (canale) per consentire flessibilità all’apertura della copertina. Copertina in mezzatela Il rivestimento in tela del dorso è in questo caso particolarmente abbondante e invade lo spazio del quadrante di copertina (in prima e in quarta). La plancia stampata di rivestimento viene applicata solo sullo spa-

zio di quadrante rimanente. Il dorso dovrà essere stampato in serigrafia oppure con film a caldo, copia per copia. Copertina bodoniana Uno dei primi editori-tipografi a concepire una copertina rigida stampata fu proprio Giambattista Bodoni. Questo sistema di rilegatura si basa sull’assemblaggio di due quadranti, stampati su supporti speciali o realizzati comunque separatamente, incollati solo successivamente sulla copertina primaria del volume. Generalmente il dorso è in tela di ottima qualità. I quadranti applicati, di base inferiore a quella del volume, possono anche svolgere una funzione di irrigidimento dell’opera, quando le segnature sono ridotte ed è necessario dare più consistenza all’intero volume. Questo tipo di rilegatura e confezione è indicata per pubblicazioni di pregio, libri d’arte e monografie di moda e design, fotografia e architettura.

La fascetta Per evidenziare un successo avvenuto (oppure solo annunciato…) è uso vestire il volume con una fascetta che si avvolge alla copertina o alla sovracoperta, con i traguardi di vendita già raggiunti, l’assegnazione di un premio letterario, o la relazione con un programma televisivo o un film tratto dal libro. Molto spesso la fascetta, di colore troppo vivace, infastidisce il designer perché copre brutalmente il quadrante di copertina disturbando la visione integrale dell’opera. Invece di protestare, assumete voi stesso l’incarico di progettarla, così – pur riluttanti – almeno il lettering sarà coerente con tutto il resto. La fascetta commerciale cita l’autore, proclama con orgoglio i risultati e invita all’acquisto. Una volta rimossa dalla copertina diventerà probabilmente soltanto un improvvisato segnalibro.

In alto: la confezione “a mezza tela”, im una versione con dorso quadro. Qui sopra: la pregevole confezione bodoniana, una delle soluzioni più eleganti per libri illustrati e monografie.

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Cofanetti, verniciature e finiture speciali Le edizioni di pregio, o quelle composte da più volumi indivisibili, sono generalmente proposte con un cofanetto, che ha la funzione di proteggere e tenere uniti tomi diversi. Il cofanetto può essere progettato con vari aspetti estetici e funzioni, concepito con una cartotecnica creativa o semplicemente come un guscio di cartone aperto su un lato, quasi sempre quello lungo, così da far entrare e uscire il volume agevolmente lasciandone in evidenza il dorso. La funzione del cofanetto non è soltanto quella di contenere uno o più volumi, ma anche quella di enfatizzare il valore dell’opera, esponendo su più lati messaggi o immagini, conferendo per di più anche consistenza all’artefatto, incrementandone il valore percepito dal lettore.

Il cofanetto elementare è un parallelepipedo lasciato aperto su un lato, e può essere realizzato con un cartoncino anche non stampato, se il suo scopo primario è la protezione del volume in fase di trasporto o conservazione. Un cofanetto semplificato è anche quello denominato “tunnel”, in sostanza un manicotto di cartone in cui viene inserito il volume, che resta esposto però su due lati contrapposti. In questo caso almeno un lato di taglio resterà in vista, esposto quindi anche alla polvere. È una soluzione interessante nel caso di cartotecniche creative, poco pratico però se il cofanetto esercita una funzione di essenziale protezione. La fabbricazione dei cofanetti I cofanetti possono essere realizzati in cartotecnica con il taglio – grazie a una fustella – di un cartoncino stampato o al naturale, oppure con un cartoncino accoppiato a

una plancia stampata. In casi più sofisticati i cofanetti possono essere fabbricati con altri materiali, per esempio in plexiglass oppure in metallo, in polipropilene o con materiali rivestiti di tessuti. Normalmente un buon cofanetto editoriale è composto da moduli in cartoncino vegetale, ricoperti da plance stampate o tessuti. Non tutti i cartoncini o materiali sono adatti alla confezione di un cofanetto: è infatti importante scegliere con il cartotecnico di fiducia il materiale più adatto al tipo di piega e incollatura, definendo le modalità di ricavo da fogli o forniture dove anche porzioni di sfrido possono risultare – soprattutto sulle piccole e medie tirature – uno spreco evidente. Se il cofanetto è di tipo classico, cioè una scatola di cartone vegetale rivestita dalla plancia stampata, il progetto grafico dovrà considerare anche i risvolti che la plancia deve prevedere quando “gira” e

Sopra: un cofanetto con il sistema a “tunnel”; il manicotto in cartoncino nero accoglie la monografia che scorre attraverso, entrando da un lato e uscendo dall’altro. È una fabbricazione che non necessita dell’approntamento di una fustella, perché si tratta di un semplice cartone cordonato e incollato sull’ultimo lembo (Monografia Fabi, design A+G; titolo a secco con punzone e applicazione di film in oro a caldo con il logo dell’azienda). A fianco: un cofanetto per un’edizione Bompiani. Aperto solo su un lato, si tratta di un cartoncino stampato e plastificato opaco, con ampi lembi rivoltati all’interno, così da rendere più finito lo spigolo del cofanetto e conferire più consistenza a un astuccio economico (Jorge Louis Borges e Osvaldo Ferrari, Conversazioni, cofanetto con quattro volumi, Bompiani; design A+G).

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avvolge gli spessori del cartone, in genere di 2 o 3 mm. Altro accorgimento importante è sagomare i due quadranti più grandi, sullo spigolo verso l’apertura, con un ritaglio o un occhiello: è utile per poter appoggiare pollice e indice della mano che dovrà estrarre il volume dal cofanetto riducendo le difficoltà di presa. Nei libri di pregio si può rinunciare alla sagomatura (che spesso rende più complicata l’adesione del risvolto della plancia stampata al cartone del cofanetto) inserendo una sottile fettuccia di tessuto, fissata sul quadrante di fondo e che fuoriesce sul lato aperto di un paio di centimetri una volta inserito completamente il volume: agendo sulla fettuccia viene impressa dal fondo una spinta meccanica al volume che non può far altro che uscire dal lato aperto. Verniciature UV e plastificazioni Per proteggere la copertina da graffi e usure si può ricorrere a una verniciatura della

superficie stampata, naturalmente applicata prima dell’allestimento finale. Questa finitura può essere di tipo UV (ultravioletto), essiccata con l’impiego di raggi ultravioletti. La verniciatura potrebbe però in qualche caso compromettere le cromie, o imprimere un lieve ingiallimento al bianco-carta di fondo. Il procedimento non sostituisce la plastificazione, ma è utile a preservare la superficie stampata ed evitare quelle alterazioni delle porzioni stampate generate dal contatto con i polpastrelli sudati, la polvere o l’umidità. La plastificazione è invece una soluzione scelta, generalmente in due finiture, per proteggere efficacemente la copertina dai danni causati da usura e ossidazione. La plastificazione può essere di tipo opaco o brillante (lucida o lucido-brillante) ed è applicata stendendo un film spalmato sulla copertina stampata, con l’impiego di calandre che garantiscono la perfetta adesione

delle due parti attraverso l’interposizione di uno speciale adesivo. Per alcune soluzioni particolarmente creative la plastificazione può essere realizzata “con riserva”, cioè prevedendo l’impiego di fustelle che ritaglino la porzione di film sagomato da far aderire al fondo stampato della copertina. Verniciature serigrafiche e rilievi Un ulteriore intervento sulle copertine stampate è il passaggio serigrafico di una finitura brillante (per esempio una vernice lucida e consistente, molto più efficace per effetto della vernice UV), che viene esaltata se il fondo è stato opacizzato dall’applicazione di una plastificazione opaca. Altri procedimenti di finitura, un tempo proibitivi per costi e tempi, consentono oggi di applicare soluzioni tecniche di verniciature a rilievo, film a caldo, ologrammi e inchiostri fluorescenti e fosforescenti, (impiegati nell’editoria illustrata per l’infanzia).

Qui sopra: un cofanetto in polipropilene stampato in serigrafia, con la riproduzione della copertina della prima edizione (1959) di un libro fotografico di William Klein dedicato a Roma. I due volumi (uno con la copertina nera dedicato alle immagini, l’altro con la copertina bianca con i soli testi) dividono sul dorso il titolo, che si ricompone solo quando entrambi sono inseriti nel cofanetto semitrasparente (Edizioni Contrasto, design A+G). Nelle tre foto a fianco: una copertina/cofanetto per un libro fotografico. In questo caso anche il lato con il taglio delle pagine è protetto da un quadrante, che chiude il volume in una sorta di scatola. Il lembo di chiusura è provvisto di magneti inseriti tra la plancia stampata e il cartone vegetale interno, così da assicurare – con uno “scatto” da vero astuccio – una perfetta chiusura dell’oggetto libro (Edizioni Contrasto, design A+G).

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Come chiudere gli esecutivi Siamo arrivati al termine di una lunga (forse lunghissima) cavalcata. Affrontata la storia, esaminate e illustrate le tecniche e i processi, istruiti sulle procedure e farciti di mille raccomandazioni, ora è il momento di chiudere la traiettoria di produzione con il completamento di una fase delicata, già in qualche modo accennata nel suo iter (vedi p. 88-89). Il progetto, dopo la gestazione con un programma come InDesign, è pronto per mutarsi in un artefatto seriale: dobbiamo “andare in stampa” e non possiamo permetterci né distrazioni né, tantomeno, imperfezioni. Nella stampa e nella confezione anche un piccolo errore può diventare un danno rilevante e la capacità del progettista di controllare tutte le fasi e liberare gli esecutivi lo carica di responsabilità importanti.

Nel ruolo di progettista editoriale rientrano inoltre quelle specifiche attitudini e preparazioni che ne evidenziano anche la funzione manageriale, di gestore del processo. Prima della chiusura del file Dopo i giri di correzione di bozze, il menabò è stato riscontrato da un correttore di bozze o dall’editor responsabile della pubblicazione. Il designer ha dovuto inserire le correzioni, provveduto a verificare che tutti gli interventi non abbiano alterato le righe di testo, provocando cadute o recuperi, con conseguenti cambiamenti di posizione: anche solo una battuta aggiunta nella correzione finale potrebbe aver costretto la riga a spezzarsi mandando a capo del testo, così da modificare la posizione di un nome, di una data o di una nota. Si tratta di “salti” che invaliderebbero le informazioni contenute nel sommario. Una sapiente revisione grafica, non af-

frettata, deve essere compiuta non solo sull’impaginato, ma anche sul sommario e sugli indici finali; un buon sistema è quello di compiere delle incursioni anche causalmente sulle pagine, riverificando più e più volte che quei titoli e quelle note siano rimasti esattamente là alla pagina dove il sommario e gli indici stabiliscono che siano. Un utile comando del vostro Mac (cmd + F) consente di verificare l’esistenza di doppi spazi (tra le parole), che dovranno ovviamente essere corretti: è bene prendere l’abitudine di utilizzarlo sempre. È sempre raccomandabile svolgere queste operazioni di riscontro su una copia cartacea, passando in rassegna tutte le doppie pagine, stampate su fogli A3. Un passaggio accurato deve essere effettuato anche per intervalli, canalini e distanze tra immagini e testo. Da parte del designer, deve essere svolta un’analisi accurata per tutti i file di immagini inseriti: dalla corretta esistenza di immagini

Quattro passaggi chiave prima di andare in stampa 1

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Fare gli ultimi riscontri sul testo e le immagini

Raccogliere tutti gli elementi del pacchetto

- verificare doppi spazi e inserimento delle ultime correzioni; - verificare corrispondenza tra sommario, indici e pagine; - revisione su canalini, distanze, posizione delle immagini; - controllo del colore (conversioni RGB in CMYK, colori speciali, font).

Per ogni esecutivo occorre chiudere il file specifico: se l’opera prevede un volume, una copertina, una sovracoperta, un cofanetto, una fascetta, bisognerà disporre di cinque file specifici e separati, che seguiranno specifici interventi di stampa. Nella schermata il sistema di raccolta per il pacchetto finale.

Nella schermata ciò che emerge per esempio da un riscontro di una pubblicazione a quattro colori di quadricromia + 2 colori speciali: tutte le immagini sono correttamente convertite (vedi riquadro), i colori previsti sono esattamente 6. Tutte le font sono incluse.

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già convertite in quadricromia (non devono essere usate le immagini in formato RGB, utili solo per l’impiego digitale attraverso un monitor) al minuzioso controllo che tutti i file risultino in adeguata dimensione e risoluzione per la stampa. Nell’impaginato devono essere presenti tutti i Tiff e le abbondanze per quelle parti di immagini o porzioni di superficie stampata che devono andare “al vivo”, cioè al margine del taglio della pagina. Se prima della chiusura degli esecutivi è stata effettuata una prova di stampa del colore per pagine in cui sono presenti immagini o lavorazioni (a uno o più colori), sarà importante riscontrare che proprio quelle pagine, generalmente consegnate dallo specialista sia in forma di file sia in forma di digicromalin (copia colore stampata e certificata) corrispondano effettivamente alla “stampata” su carta che avete predisposto di fronte a voi per il controllo. Tutte le parti dell’impaginato che hanno su-

bito una lavorazione esterna (elaborazioni, prove colore, inserimenti e bilanciamenti cromatici) devono essere reinseriti con cura nel nostro file esecutivo. Si ricorda che alla trasmissione dei file finali allo stampatore devono essere allegate le eventuali prove di stampa, contenenti le correzioni cromatiche che quasi sempre si è costretti a richiedere dopo aver visionato la prima prova. Le prove di stampa saranno per il macchinista il riferimento fondamentale per quanto riguarda la qualità e la fedeltà del colore. Ora si può procedere alla fase finale. La chiusura del file per lo stampatore In questo frangente le operazioni prevedono l’approntamento di un “pacchetto” di dati, che deve contenere tutti gli elementi che abbiamo incluso nel nostro lavoro (vedi schema sotto). L’obiettivo degli stampatori è trasformare il file aperto in un PDFda trasferire sulle lastre

di stampa con il processo CTP (Computer To Plate): per questa ragione molti di loro preferiscono ricevere un file finale in formato PDF già “chiuso” dal designer, così da essere sollevati da qualsiasi controversia. Per voi trasformare il file di InDesign in PDF non è difficoltoso, ma è sempre preferibile inviare un file di InDesign aperto, perché lo stampatore imposta per le sue macchine dei “profili” differenti ed è sempre meglio che il PDF finale (quello destinato al CTP) sia conforme al suo standard specifico. L’invio del file in formato InDesign aperto, invece, è per i designer preferibile, perché oltre a impegnare lo stampatore nell’adeguamento specifico ai suoi profili di stampa, consente di intervenire per una piccola correzione di testo senza dover ricominciare daccapo, evitando di perdere tempo in un frangente in cui tutto è accelerato. L’opzione migliore è sempre quella di informarsi preventivamente con lo stampatore e stabilire le modalità di produzione.

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Comprimere la cartella finale

Invio del file allo stampatore

È il momento di inserire in una cartella finale tutti i file bene ordinati. Lo stampatore ritroverà agevolmente tutto quanto è stato previsto in fase di preventivazione e distribuirà i file ai vari operatori competenti. Siamo pronti per l’inoltro finale.

Con il sistema di trasmissione dei dati preferito si inoltra il pacchetto digitale finale. Allo stampatore dovrà pervenire, congiuntamente, anche il plico con le prove di stampa del colore (cartacee) o eventuali campioni stampati, in grado di rendere più agevole la comprensione delle eventuali fasi di lavorazione. A questo punto lo stampatore è in grado di preparare le cianografiche digitali per tutte le componenti, che farà pervenire a redattori e designer per il riscontro finale e l’apposizione del “visto si stampi” (vedi schema p. 88-89).

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Costi, preventivi, prezzo Chiedere un preventivo Terminata la fase di progettazione, siamo dunque in possesso di tutte le informazioni necessarie per l’inoltro di una richiesta di preventivo allo stampatore. Quanto più la descrizione del lavoro sarà accurata, tanto più l’offerta dello stampatore risulterà attendibile. Poiché il libro prevede fasi diverse per la pre-stampa, la stampa e la confezione e molto probabilmente lo stesso stampatore dovrà ricorrere eventualmente a sub-fornitori a cui affidare fasi di lavorazione, la precisione nella descrizione è essenziale. La richiesta di preventivo è definita “capitolato”, e la sua accuratezza rifletterà anche la vostra autorevolezza come designer, dato che non c’è niente di peggio che continuare a correggere un capitolato perché ci si è dimenticati di qualche passaggio nella prima redazione o si è stati approssimativi nella

definizione di un processo. È bene iniziare rivolgendosi con rispetto professionale al destinatario, inoltrando una richiesta con il capitolato in forma di allegato composto su carta intestata del vostro studio, recante anche un numero progressivo di identificazione, affiancato dall’anno in corso (servirà ad archiviare con ordine tutte le richieste inoltrate ai fornitori e identificarle in base alle risposte ottenute). È frequente, per un designer, rivolgersi a un fornitore specializzato di fiducia per il trattamento e la preparazione dei file con tavole a colori, per poi inoltrare tutta la fase allo stampatore (che provvederà alla produzione e alla successiva confezione – allestimento e legatura – dello stampato). Costi fissi e costi variabili I preventivi di stampa vengono calcolati in base a costi fissi e variabili: sono costi fissi la scansione delle immagini, le prove di stampa, la preparazione di punzoni o

fustelle, l’approntamento delle lastre e gli avviamenti di stampa perché non cambiano anche se cambia la tiratura. Viceversa i costi variabili sono legati al numero di copie da stampare. I costi fissi quindi incidono per ogni copia in misura minore più aumenta la tiratura. In una visione più estesa, nella produzione di un libro, l’editore dovrà includere anche il compenso del progettista, l’acquisizione delle immagini (produzione e diritti), eventuali traduzioni, nonché l’impegno dell’editor e del correttore di bozze. In caso di preventivi per volumi più complessi (per esempio con ribaltabili, pieghe speciali o inserimento di tavole fuori testo) è sempre opportuno accludere un disegno per esplicitare le richieste. Per cofanetti o lavorazioni speciali è bene allegare spiegazioni dettagliate (per punzonature, fustelle o cofanetti). Il contatto diretto con lo stampatore è sempre raccomandabile per trovare la migliore soluzione.

Buongiorno, vi richiediamo la vostra migliore offerta per quanto in oggetto, consistente in: Pre-stampa: - elaborazione e conversione da RGB a CMYK di numero 250 immagini a voi fornite in forma di file ad alta risoluzione; - inserimento delle 250 immagini in quadricromia a sostituzione delle immagini a bassa risoluzione contenute nell’impaginato che vi verrà consegnato entro le prossime ore; - esecuzione di 70 prove colore (digicromalin certificati) in forma di doppia pagina formato 21 x 27 cm; - eventuali interventi di correzione cromatica indicati dal nostro studio dopo il ricevimento delle prove colore; - consegna di file definitivo del blocco libro per l’inoltro allo stampatore; - elaborazione e preparazione di file per la copertina del libro in oggetto, formato 21 x 27 cm, dorso 1,4 cm, alette da 14 cm; - prova colore del file di copertina al formato naturale di stampa; - eventuali correzioni cromatiche al file di copertina; - consegna di file definitivo della copertina. Stampa e confezione: - Libro confezionato in brossura cucita, copertina plastificata con alette. Interni: - formato 21 x 27 cm chiuso; - stampa in offset, quadricromia su carta Arcoprint Fedrigoni da 120 g/m2; - 160 pagine. Copertina: - stampa in quadricromia + un colore Pantone (solo in bianca); - v olta non stampata; - verniciatura lucida con riserva, su titoli e illustrazione; - plastificazione opaca solo in bianca. - file per interni e copertina da noi forniti; - tiratura: 2.000 copie; - ogni volume avvolto in film termoretraibile; - consegna in scatole di cartone microonda, a 20 copie per pacco. Consegna in città; - consegna dell’intera tiratura presso magazzini del Cliente, entro 15 giorni lavorativi a partire dalla data di inoltro dei file e approvazione del preventivo. Vi preghiamo altresì di indicare i tempi di lavorazione ritenuti necessari a partire dal ricevimento dei materiali per la lavorazione. A fianco: come redigere una richiesta di preventivo per un intervento di pre-stampa e stampa.

Sopra: esempio di inoltro della richiesta di un preventivo a un fornitore.

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La definizione del prezzo di copertina È piuttosto frequente che il prezzo di copertina di un libro sia ritenuto superficialmente “costoso” da parte dei “non addetti al lavori”. La definizione del prezzo di vendita di un libro è però un processo estremamente complesso, che comporta l’inclusione di un rilevante numero di passaggi e di costi, non solo riferiti alla produzione. Non tutti considerano, innanzitutto, che il ricavo finale sulla vendita di un volume viene ripartito tra più soggetti: l’autore, l’editore, il distributore, il libraio. L’autore percepisce per contratto una percentuale in genere compresa tra il 5 e il 10%; il distributore (cioè il soggetto incaricato di promuovere il volume nel circuito librario e di consegnare le copie alle librerie secondo l’ordine da esse ricevuto) trattiene il 40-50%; per il libraio è previsto il 30% del prezzo di copertina. Approssimativamente, dopo un rapido calcolo, c’è da domandarsi dove siano nasco-

sti il legittimo ricavo e il margine per l’editore. Con quel che resta della vendita del volume in libreria, in genere quel 20-30% di margine residuo dopo aver riscosso i pagamenti da parte del distributore (a sua volta fornitore del libraio), l’editore deve provvedere ai diritti da girare all’autore, ai costi per la produzione (pre-stampa, stampatore e legatore), per i consulenti (designer per progetto e impaginazione, editor, traduttore se si dovesse trattare di un titolo straniero, diritti per le immagini), per l’attività di promozione e pubblicità (su giornali e riviste, tour promozionali, inoltro di copie omaggio ai recensori e critici), per l’ufficio marketing e l’ufficio stampa della casa editrice. È evidente che l’attività editoriale, almeno in un paese come l’Italia, è eroica e che solo in caso di bestseller e ristampe dello stesso titolo (in questo caso i costi fissi indicati alla p. 154 si possono ritenere effettivamente abbattuti) si possa pensare Schema indicativo della ripartizione del ricavo finale sul prezzo di copertina e distribuzione delle competenze per ruolo.

CLIENTE LIBRERIA

di raggiungere un certo ritorno economico (margine operativo lordo). Il designer è un consulente editoriale Anche per questa ragione il ruolo del designer editoriale non può limitarsi al buon progetto estetico: deve essere capace di sostenere il suo cliente (l’editore) contribuendo con senso pratico all’intera sostenibilità della filiera e del prodotto finale del prodotto finale. La scelta di soluzioni estetiche adeguate al mercato di riferimento, l’attenzione alla coerenza e alla reputazione della marca, la visibilità e riconoscibilità dell’artefatto devono essere sempre in equilibrio con l’aspetto economico della produzione. Il designer editoriale si dimostra così il miglior consulente dell’editore: entrambi hanno a cuore il risultato e, quando lo raggiungono insieme, condividendo la soddisfazione, significa che il loro lavoro è stato semplicemente eccellente.

AUTORE/AUTORI PRODUZIONE

prestampa - stampa

Acquista il libro al 100%

DESIGNER

progetto - impaginazione

LIBRAIO

EDITOR/REDATTORE

selezione - revisione - correzione

TRADUTTORE

Incassa 100% dal cliente, trattiene 30%

se testo in lingua straniera

DIRITTI EDITORIALI

agenti, altre case editrici

DISTRIBUTORE

EDITORE

Incassa 70% dal libraio, trattiene 20-30%

Incassa il restante 40-50% dal distributore e deve provvedere ai costi di:

DIRITTI ICONOGRAFICI fotografi, archivi, agenzie

MARKETING azioni in libreria

100% prezzo di copertina 30% libraio

UFFICIO STAMPA

spese su lancio e promozione

PUBBLICITÀ

annunci e azioni

20%-30% distributore

COPIE OMAGGIO

critici, giornali, influencer

40%-50% editore

COSTI FISSI CASA EDITRICE affitto, personale, servizi

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Margine superiore 12 mm

La gabbia di questo libro

Titolo a bandiera sinistra in Helvetica Neue 75 Bold 11/12 pt Testo a pacchetto in Helvetica Neue 45 Light 9/11 pt, allineato alla griglia di base

93 mm

Titolo di paragrafo a bandiera sinistra in Helvetica Neue 65 Medium 9/11 pt, allineato alla griglia di base

Giustezza di colonna

Filetto 0,25 pt

6 mm

58 mm

Canalino

58 mm

Margine interno 12 mm

Margine esterno 10 mm

Giustezza di riga

6 mm Canalino

58 mm

n° di pagina in Helvetica Neue 55 Roman 8/8,5 pt

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Margine inferiore 15 mm

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Titolo del box di approfondimento a bandiera sinistra in Helvetica Neue 65 Medium 9/11 pt Testo del box a pacchetto in Helvetica Neue 45 Light 9/11 pt

Filo di cornice 0,25 pt

Immagine

Immagine

Didascalia a bandiera sinistra in Helvetica Neue 45 Light 7/8,5 pt

n° di pagina in Helvetica Neue 55 Roman 8/8,5 pt

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Il libro è un proiettore cinematografico a energia umana (con film incluso) che avanza ad una velocità completamente personalizzata a seconda dell’umore o della fantasia dello spettatore. Questa rara armonia tra oggetto e utente deriva dalle minime competenze richieste per manipolare una sequenza di pagine rilegate. Ogni pezzo di carta incorpora un corrispondente istante di tempo che rimane congelato fino a quando non viene liberato dall’atto di girare una pagina. John Maeda

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GLI APPARATI FINALI

PARTE QUARTA

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Glossario A Aberrazione (aberration) Distorsione di un’immagine. Abbondanza (trapping) Eccedenza stampata sul foglio di carta, che viene eliminata con il taglio finale di refilo. Deve sempre essere previsto dal progettista nel caso di immagini “al vivo”. Abrasività della carta (paper abrasiveness) Difetto della carta (ruvidezza, alterazione) dovuto alla presenza di cariche minerali sulla sua superficie. A capo (new line) Inizio di testo nel nuovo periodo della riga successiva. Accartocciamento (buckling) Deformazione di un foglio di carta che tende ad arrotolarsi su se stesso causando difetti in fase di stampa. Accavallatura (insetting) Fase di legatoria che consiste nell’inserimento delle segnature l’una all’interno di un’altra. Accoppiamento (laminating) Unione di due o più fogli tra loro o di un foglio con un cartoncino, con incollatura, al fine di ottenere un maggiore spessore. Accostamento (spacing) Distanza tra una lettera e la successiva all’interno di una parola. Acquaforte (mezzotint) Tecnica di incisione con sistema di stampa calcografico, che utilizza l’acido nitrico (anticamente acqua forte) come mordente sulla matrice, costituita da una lastra di metallo. Acquatinta (aquatint) Tecnica di incisione con sistema di stampa calcografico che utilizza, per ottenere effetti simili all’acquerello, materiali come sabbia, polvere di sale, zucchero finalizzati alla copertura della lastra da incidere. Aletta (o Bandella) (cover flap) Parte della copertina di un libro in brossura (o della sovracoperta di un libro rilegato) ripiegata verso l’interno.

Allestimento della carta (paper preparation) Operazioni eseguite sulla carta dopo la sua fabbricazione per adeguarla agli impieghi cui è destinata: rifinitura (lucidatura, lisciatura e goffratura), taglio (per ottenerre fogli o bobine), controlli e imballaggio. Allineamento (alignment) Linea orizzontale su cui vengono appoggiati o appesi il carattere tipografico o un’immagine. Altezza della pagina (page height) Distanza fra l’estremità delle ascendenti della prima riga di testo e l’estremità delle discendenti dell’ultima. Altezza del maiuscolo (cap height) Distanza tra la linea di base del carattere e l’altezza della maiuscola. Altezza mediana (face) Definizione della distanza tra la linea di base del carattere e l’altezza della minuscola, generalmente misurata sulla lettera x. È identificata con l’occhio del carattere. Alto-basso (upper-lower case) Indicazione utilizzata per caratterizzare un testo in maiuscolo (alto) e minuscolo (basso). Si usa anche la forma Maiuscolo/minuscolo. Analogico (analogue) Termine utilizzato oggi per indicare (in contrapposizione al mondo digitale) tutto ciò che attiene ad artefatti, processi e componenti materiali.

realmente stampato il soggetto. Il dato consente di calcolare il consumo di inchiostro. Arti grafiche (graphic art) Denominazione entro la quale vengono comprese tutte le operazioni di stampa eseguite con un qualsiasi sistema, dalla pre-stampa alla confezione. Ascendente (ascender) Parte della lettera che si orienta verso l’alto, oltre l’occhio della minuscola. È anche l’asta della lettera che si ritiene tracciata con un movimento dal basso verso l’alto. Asta (stem) Componente del disegno del carattere. È verticale, orizzontale, inclinata, mista, curva o rettilinea. È anche ascendente o discendente. Asterisco (asterisk) Segno tipografico a forma di stella. Atlante (atlas) Pubblicazione rilegata di carte geografiche. Attualmente il termine è utilizzato per indicare genericamente anche un libro monografico illustrato con grandi tavole (atlante storico, atlante pittorico ecc.) Autografo (autograph) Manoscritto di un’opera (letteraria o musicale) scritto personalmente dall’autore. Avviamento (makeready) Fase relativa all’avvio e registrazione per la stampa. B

Anastatica (anastatic printing) Riproduzione a stampa che imita l’originale, utilizzando il mezzo di riproduzione più idoneo. Antiqua (antiqua) Definizione con cui si indicano i caratteri latini nei paesi anglosassoni.

Bandiera (flush left/right) Composizione di un testo con l’allineamento su un solo lato (a destra o a sinistra). Sul lato opposto la riga di testo termina con una parola intera (non spezzata). Nella composizione a bandiera non si altera la spaziatura tra parola e parola.

Apocope (apocope) Eliminazione di una o più sillabe alla fine di una parola (per esempio “fra” per frate o “cine” per cinematografo).

Barra (bar, horizontal element in a character) Asta trasversale che, per esempio nella A o nella H, connette aste montanti o verticali.

Apocrifo (apocrypha) Documento o libro di cui è dubbia l’autenticità e l’autore.

Bastone (sans-serif) Carattere lineare senza grazie.

Area stampante (print area) Superficie del foglio stampato dove viene

Battuta (space) Spazio della riga di testo occupato da una lettera, da un segno o da uno spazio bianco

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Bobina (web) Nastro di carta avvolto su un rullo, utilizzato per la stampa con macchine rotative.

Raccolta di caratteri tipografici completa delle indicazioni come: nome del carattere, corpo, designer.

Becco (beak) Tratto terminale di un carattere rivolto verso il basso.

Bodoniana (stiff bound pack/bodonian) Copertina con quadranti rigidi e spessorati incollati, per rinforzo, sulla copertina in cartoncino, con dorso in tela.

Bianca (front side) Lato di un foglio di macchina su cui è stampata la prima pagina della segnatura.

Body type (body type) Composizione di un testo in una pagina, separato dalla titolazione.

Campionario della carta (paper specimen collection) Raccolta delle tipologie di carta disponibili presso una cartiera o rivenditore, con le indicazioni su nome della carta, grammatura, formati disponibili ecc.

Bianchi tipografici (blank material) Superficie non stampata della pagina. Bibliografia (bibliography) Elenco ragionato e sistematico di pubblicazioni.

Bozza (proof) Prova cartacea sulla quale vengono indicate le correzioni. Può comprendere solo il testo, per il controllo prima dell’impaginazione, oppure la pagina completa di immagini e didascalie.

Bibliologia (bibliology) Insieme delle discipline che si occupano dell’artefatto libro.

Bracci (arms) Porzioni terminali delle aste aperte di un carattere (per esempio della lettera Y).

Bicolore (two-colour press) Macchina tipografica, offset o rotocalco, per la stampa a due colori al passaggio della carta.

Braghetta (gluing strip) Striscia di carta leggermente sporgente all’interno del libro (lato della cucitura) che serve per poter incollare una pagina singola.

Bicromia (duotone, two-colour illustration) Impianto a retino per la stampa (con sistema offset, rotocalco o serigrafia) finalizzato a ottenere più tonalità utilizzando due soli colori (inchiostri).

Brossura cucita (saddle-stitching booklet) Tipo di confezione e legatura di un libro basata sull’incollaggio del dorso della copertina alle segnature cucite tra loro.

Biffatura (plate invalidation) Cancellazione sulla lastra (calcografica o litografica) del soggetto originale. Si procede alla biffatura per arrestare la tiratura e incrementare il valore delle copie già stampate.

Brossura fresata (routed adhesive bound booklet) Confezione di un libro in cui le segnature sono fresate nel dorso (anziché cucite) e incollate direttamente al dorso di copertina.

in un testo composto. Il calcolo delle battute di un testo è fondamentale al momento del progetto per prevederne l’ingombro finale nello stampato.

Bit, Binary digit Informazione elementare di un calcolatore trasmessa in forma di impulsi elettrici. Può assumere solo due valori: 0 o 1 (oppure negativo e positivo).

Bulino (burin) Asta di acciaio appuntita utilizzata per incidere la lastra calcografica. Byte Unità di misura standard della dimensione dei file. Corrisponde a 8 bit.

Blocchetto, vedi Pacchetto C Blockbuster (blockbuster) Termine in uso nel linguaggio editoriale per definire un’opera affermatasi oltre i risultati di un bestseller, con valori di vendita oltre le centinaia di migliaia di copie (per il mercato italiano emergono i grandi narratori internazionali, molto spesso legati al fenomeno della trasposizione cinematografica della loro opera e preceduti da rilevanti lanci pubblicitari).

Calandra (paper calender) Macchina per levigare la carta. Calcografia (chalcography) Sistema di stampa in cui gli elementi stampanti sono in incavo. Campionario dei caratteri (type specimen)

Canaletto (gutter) Coincidenze di vuoti in una composizione di testo che provocano la formazione di un “canale” all’interno di un gruppo di righe che rendono meno leggibile il testo. Si dice anche dello spazio verticale che separa una colonna di testo da quella a fianco. Cancelleresca (chancery) Scrittura corsiva a mano del XVI secolo. Cannoncino (headcap) Parte del capitello che, dopo l’applicazione al dorso, sporge in testa e al piede del libro rilegato. Canvas (new titles release) È la raccolta delle anticipazioni, in forma di schede con sinossi, fac-simile della copertina, caratteristiche del volume e biografia dell’autore, che l’editore affida stagionalmente ai promotori e distributori per presentare le novità imminenti. In genere precede di circa sei mesi l’inoltro al punto vendita delle copie ordinate dal libraio. Capitello (headband) Finitura del dorso della legatura cartonata di un libro. È composto da una striscia di seta o di cotone spesso colorata, applicata internamente, in alto e in basso del dorso. Capoverso (paragraph) In un testo corrente, attacco di un nuovo periodo in una nuova riga. Cappello (epigraph) Breve testo posto a introduzione di un volume o di un capitolo, generalmente composto in un carattere diverso o più grande. Carattere (type-face) Forma della lettera alfabetica. Carta (paper) Materiale in foglio o bobina di spessore costante, costituito da fibre vegetali; è utilizzato come supporto per la stampa con qualsiasi tecnica.

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Cartella (side) Foglio composto convenzionalmente su una sola facciata. Normalmente per la cartella editoriale si fa riferimento a 1.800/2.000 battute (30 righe da 60 battute, oppure 40 righe da 50 battute). Cartoncino (board) Termine con cui si indicano le carte dalla grammatura compresa tra i 250 e i 500 g per m². Cartotecnica (paper and cardboard converting) Tecniche relative alla fabbricazione di buste, scatole o contenitori in genere, con l’impiego di carta, cartoncini e cartoni. Castello (ink unit) Nella macchina da stampa offset, è l’elemento che contiene i componenti meccanici per la stampa di un solo colore. Una macchina a quattro colori ha quattro castelli. Cediglia (cedilla) Segno grafico a forma di virgola, posta sotto l’occhio del carattere, in uso nell’alfabeto spagnolo e francese. Cellulosa (cellulose) Composto chimico di origine vegetale alla base della fabbricazione della carta. Centro ottico (optical centre) Punto focale su cui viene attirata l’attenzione dell’occhio. In una pagina si posiziona nella parte alta, centrale, a circa due terzi dell’altezza. Cianografica digitale (digital dye line) Abbandonato il processo chimico di un tempo, oggi mantiene la definizione “cianografica” anche la prova di stampa digitale realizzata prima di procedere alla stampa. I fogli simulano la messa in macchina delle segnature e devono ottenere il “visto si stampi” del committente, senza il quale lo stampatore non può procedere. Il controllo delle cianografiche (digitali) è un momento delicato che richiede la massima concentrazione e attenzione: in caso di permanenza di refusi o errori di impaginazione dopo il “visto si stampi” firmato sulle copie di controllo, la responsabilità non potrà mai essere attribuita allo stampatore. Cicero (cicero) Nome del carattere tipografico usato nel 1468 a Subiaco per la stampa delle Lettere di Cicerone. Nel corso del tempo si utilizzò

per indicare il carattere di corpo 12 e infine la dimensione di 12 punti Didot, corrispondente alla riga tipografica.

Cofanetto (slip case) Scatola generalmente aperta su un lato, destinata a contenere uno o più volumi.

Cinquecentina (sixteenth-century book) Prodotto editoriale rilegato, stampato nel Cinquecento.

Collatura (paper sizing) Operazione per proteggere la carta dalla penetrazione di acqua o di soluzioni acquose.

Citazione (quotation) Frase riportata da altri testi o da enunciazioni di autori o personalità. Si compone generalmente tra virgolette oppure in corsivo.

Collazionamento (collation) Confronto fra originale e bozza.

Classificazione dei caratteri (font classification) Sistematizzazione dei caratteri secondo norme e criteri riconosciuti internazionalmente. Tra le classificazioni più importanti sono da ricordare quelle di François Thibaudeau (1924), Aldo Novarese (1956) e Lewis Blackwell (1998).

Colophon (imprint, credits) Un tempo si riferiva – nei manoscritti e nei primi libri a stampa – all’annotazione dell’amanuense o del tipografo alla fine del volume: indicava il titolo dell’opera, il nome dell’autore, la data e il luogo di copiatura o di stampa. Oggi indica la dicitura che, nelle prime pagine o in fondo al volume, reca il nome dello stampatore, i crediti, la data di stampa e le informazioni a norma di legge.

CMYK Iniziali di Cyan, Magenta, Yellow, Black. Indica i tre colori primari della sintesi sottrattiva, C = cyan, M = magenta, Y = giallo + K = nero, usati nei processi di stampa in quadricromia. Codice (codex) Antico manoscritto anteriore al libro a stampa. Era costituito da tavolette di legno cerato legate, o da fogli di pergamena legati, o da fogli di papiro. Dopo il XIII secolo, con la diffusione della carta, assume la definizione di codice cartaceo. Codice a barre (bar code) Sequenza di aste verticali di diverso spessore e diversa spaziatura. Sui libri viene stampato direttamente sulla IV di copertina e fornisce tutte le informazioni su paese di pubblicazione, editore e numero in catalogo dello stesso editore. Codice miniato (illuminated codex) Antico manoscritto contenente miniature o decorazioni. Codino (widows and orphans) Una o più righe di testo che eccedono l’ingombro (altezza) della pagina e che, per opportunità estetica, si deve evitare di posizionare nella pagina successiva. Se il codino è formato da una sola riga si usa il termine “vedova”. Coedizione (joint publication) Edizione condivisa tra più editori e pubblicata e diffusa in più paesi.

Colonna (column) Composizione di un testo entro margini verticali prefissati. Confezione (converting) Processo di lavorazione che trasforma i fogli stampati in libri, periodici e altri artefatti. Copertina (cover) Componente di un libro, in carta, cartone, tela o altro materiale, utilizzato per ricoprire e confezionare un insieme di fogli. Copertina telata (cloth cover) Copertina rivestita in tessuto. Copyright Diritto di proprietà di un’opera letteraria o artistica. Una convenzione internazionale stabilisce i termini e la durata di tale proprietà. Gli editori dei paesi che la riconoscono sono tenuti a indicare nelle loro pubblicazioni, a fianco del simbolo ©, la data di pubblicazione e il nome del detentore del copyright. Nella maggior parte dei casi i contratti fra autore e editore fanno riferimento alla convenzione internazionale. Cordonatura (creasing) Solco tracciato a secco, a mano o a macchina su un cartoncino o su un cartone, al fine di agevolarne la piegatura. Correzione cromatica (colour correction) Operazione di confronto e riscontro delle prove di stampa a colori.

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Correzione ottica (optical correction) Modifica apportata al disegno di alcune lettere al fine di migliorarne la compatibilità da un punto di vista estetico, per ottenere una migliore leggibilità. Correzione testuale (text correction) Operazione di riscontro e correzione delle bozze di stampa del testo. Corpo (type size) L’altezza totale di un carattere tipografico, comprensiva delle ascendenti, delle discendenti e degli eventuali spazi bianchi superiori e inferiori. Corsivo (italics) Carattere inclinato commissionato da Aldo Manuzio a Francesco Griffo. Manuzio lo utilizzò nel 1501 per le edizioni dei testi classici. In Francia e nei paesi anglosassoni è chiamato “italico”, mentre nei paesi di lingua spagnola è chiamato “letra grifa”. Crenatura (kerning) Intervento di riduzione dell’accostamento standard per particolari coppie di caratteri (come AV oppure TA) al fine di migliorare l’estetica della composizione del testo. Crocette o crocini (register marks) Segni a forma di croce che hanno funzione di riferimento per la corretta sovrapposizione dei colori in una stampa in quadricromia. Sono anche chiamati “testimoni”. Cromalin o Digicromalin (vedi anche Prova di stampa) Sistema di prova a colori, in origine in formato analogico, ideato dalla Du Pont. Oggi disponibile in solo formato digitale, è considerato una prova “ufficiale” del colore. Cromario (CMYK colour charts) Atlante delle combinazioni cromatiche dei quattro colori di stampa retinati per intensità. Cucitura (stiching) Operazione di legatoria consistente nell’assemblare le segnature con una cucitura a filo refe. D Dedica (dedication) Dicitura posta in genere prima del frontespizio oppure fra il frontespizio e la prima pagina del testo. Si usa dedicare la pubblicazione a una o più persone.

Definizione, vedi Risoluzione. Deponente (subscript) Segno di dimensione ridotta, posizionato nello spazio delle discendenti di un carattere. Desktop Publishing, vedi DTP. Diagramma (diagram) Figurazione grafica che rappresenta un fenomeno o un andamento valoriale in una determinata funzione o evoluzione, spesso rappresentazione astratta o arbitraria. Dieresi (umlaut) Segno grafico (¨) che indica una modificazione di pronuncia delle vocali e dei dittonghi. Digicromalin vedi Prova di stampa Digitale (digital) Grandezza o segnale che può assumere solo determinati valori e varia tra di essi in modo discontinuo attraverso una rappresentazione sotto forma di numeri (successione di 1 e di 0). Tutte le grandezze devono essere convertite in questa forma per poter essere elaborate da un computer: la tecnica digitale consente così di trasmettere, codificare ed elaborare segnali binari attraverso variazione di tensione, frequenze, ampiezze. Discendente (descender) Parte del carattere che si estende verso il basso, oltre la linea mediana di base; è anche l’asta del carattere che, per analogia con la scrittura manuale, si presume tracciata dall’alto verso il basso. Distesa (signature imposition) Fase di legatoria che si concretizza nella disposizione delle segnature in ordine progressivo, in modo che possano essere raccolte manualmente o meccanicamente, nella corretta successione. Distributore (distributor) È l’organizzazione incaricata dall’editore, attraverso un contratto di collaborazione, di consegnare ai librai le copie richieste di ciascun titolo (in questo caso si definisce “distribuzione indiretta”, perché non gestita direttamente dall’editore). Il distributore riceve quantitativi di titoli dall’editore e gestisce dai suoi magazzini le richieste dei librai, presentando un rendiconto periodico all’editore e trattenendo la sua commissione per il servizio. Il suo ruolo è molto influen-

te sulle scelte editoriali, perché attraverso l’esperienza diretta sul campo restituisce il quadro generale del mercato e le possibilità di successo o insuccesso di un prodotto editoriale. Molto spesso il distributore offre anche un servizio di promozione. Dittongo (diphthong) Unione di due vocali. Dominante di colore (colour cast) In un’immagine, intensità prevalente di un colore primario rispetto agli altri. Può essere dovuta a un errore in fase di ripresa fotografica o nelle successive fasi di scansione, digitalizzazione e riproduzione. Doppio tono (dual tone) Colore di rinforzo per ottenere una migliore qualità di stampa di illustrazioni originali monocrome. Nella stampa di illustrazioni in nero, o di foto in bianco e nero, il colore di rinforzo è generalmente un grigio. Viene definito anche bicromia. Dorso (spine) Lato compreso tra la prima e la quarta di copertina di un libro, che copre la cucitura delle segnature. Dpi Inziali di Dots per Inch, punti per pollice. Misura della risoluzione di un’immagine. DTP Acronimo di Desk Top Publishing, “editoria da tavolo”. Sistema di produzione editoriale basato sull’utilizzo di un personal computer, delle sue periferiche (scanner da tavolo, stampante laser) e del software necessario per la composizione e l’impaginazione di testi e immagini. E Editing (graphic editing) Revisione di un testo con lo scopo di conferire uniformità redazionale ai termini e alle definizioni che appaiono nella pubblicazione. Editor (editor) Responsabile di un’opera o di una collana editoriale, dei contenuti di un sito web o di una newsletter interattiva. In una casa editrice acquisisce titoli e ne decide la pubblicazione, cura i rapporti con gli autori, è responsabile della coerenza generale della linea editoriale e della qualità dei contributi (testi, traduzioni, illustrazioni, fotografie). Nel web svolge il ruolo di coordinatore ge-

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nerale dei contenuti, selezionando curatori e consulenti, partecipando al processo di messa online e a tutti i processi di comunicazione e produzione. Editore (publisher) Imprenditore e produttore di libri e pubblicazioni periodiche in forma analogica e/o digitale. Edizione (edition) Opera libraria pubblicata su carta o in formato digitale. Nelle pubblicazioni librarie si usano denominazioni specifiche: - edizione acefala senza frontespizio; - edizione ad personam, ogni copia dedicata a persone diverse; - edizione anonima, senza l’indicazione dell’autore; - edizione clandestina o contraffatta, eseguita all’insaputa dell’autore e dell’editore originario; - edizione critica, ricostruzione di un testo antico o moderno sulla base di nuovi studi, generalmente con note inedite; - edizione fuori commercio, non destinata alla vendita al pubblico; - edizione in fac-simile, tendente il più possibile alla forma estetica dell’originale; - edizione numerata, stampata in numero di copie limitato e dichiarato e con la garanzia della distruzione delle matrici; - edizione poliglotta, in più lingue; - edizione postuma, pubblicata dopo la morte dell’autore; - edizione principe, edizione di lusso di un’opera nota; - edizione pseudonima, in cui l’autore non figura con il proprio nome; - edizione stereotipa, ristampa mediante fedele riproduzione dell’edizione precedente; - edizione tascabile, di piccolo formato; - nuova edizione, contenente importanti modifiche rispetto all’edizione precedente.

Errata corrige (errata corrige) Intervento di segnalazione di un errore o imprecisione nel testo, oppure elenco delle correzioni relative a una pubblicazione. In un libro già stampato è un foglio inserito manualmente. Esponente (exponent) Segno di piccola dimensione allineato in testa all’ascendente della lettera. Ex-libris (ex-libris) Contrassegno personale apposto dal possessore di un libro sul risguardo o nella pagina a fianco del frontespizio. F Fac simile (facsimile) Esatta riproduzione di un’edizione sia per la composizione che per la carta. Famiglia di caratteri, vedi Classificazione dei caratteri. Fascetta (belly band) Striscia di carta che avvolge il libro in libreria, e che porta stampata una frase pubblicitaria o un invito all’acquisto. Fascicolo (pamphlet) Pubblicazione composta in genere da una sola segnatura, da un minimo di 8 a un massimo di 64 pagine, confezionato con il punto metallico o cucito sul dorso, a cui in alcuni casi è associata la copertina. File (file) Archivio di dati (testo, immagini o altre informazioni) contenuti in una cartella digitale e identificato da uno specifico nome. Filigrana (watermark) Segno impresso sulla carta durante la fabbricazione e visibile in controluce.

Elzeviro (Elzevir format) Edizione di piccolo formato la cui raffinatezza grafica è ispirata alle edizioni pubblicate dagli Elzevir, famiglia di stampatori-editori olandesi.

Filo di nota (space between text and footnotes) Filetto orizzontale, di giustezza nettamente inferiore a quella del testo, che funge da separatore tra il testo del libro e le note poste al piede della pagina.

Epigrafe (epigraph) Testo composto a righe di giustezza diversa, centrate tra di loro su un asse centrale.

Filo refe (sewing thread) Tipo di filo per legatoria utilizzato per unire tra loro le segnature.

EPS (Encapsulated Post Script) Formato grafico che veicola immagini vettoriali o bitmap.

Finalino (tailpiece) Parte terminale di un testo composto a giustezza decrescente.

Flessografia (flexo printing) Nel sistema tipografico rotativo è la variante tecnica utilizzata nel settore dell’imballaggio per la stampa su materiali come cartone, metallo e materie plastiche. Floating accent (floating accent) Segno di accentatura creato separatamente dai caratteri sul quale sarà usato. Foglio (sheet) Superficie di carta o di cartone già predisposto in formato standardizzato. Nell’industria della carta il nastro che esce dalla macchina continua viene chiamato “nastro a foglio continuo”, mentre il taglio e la preparazione dei fogli viene chiamato “allestimento”. Foglio di macchina (machine proof) Foglio estratto dalla macchina da stampa dopo il suo avviamento e a intervalli di tiratura, e sul quale vengono effettuati i controlli sulla corretta caduta del testo e delle immagini, il registro, la tonalità dei colori e la carica degli inchiostri. Folder (folder) Stampato in forma pieghevole (dépliant). Fondino (background) Fondo colorato posto sotto un testo stampato, una fotografia, una tabella. Font (font) Matrice di un carattere. Viene identificata e associata con il nome di un disegno (per esempio: Garamond, Bodoni, Futura) seguita dall’indicazione dello stile (per esempio: tondo, corsivo, bold). L’origine del nome francese risale al Cinquecento; si riferisce alla colata di piombo, antimonio e stagno con cui si formava il carattere tipografico nella matrice. Formato della carta (paper format) Dimensione del foglio di carta prima della stampa (cioè al momento della vendita sul mercato). I formati standard più comuni sono 70 x 100 cm, 64 x 88 cm e 100 x 140 cm. Generalmente si indica per prima la dimensione del lato corto. Formato del libro (book size) Dimensioni di un artefatto stampato, espresse in centimetri. Per convenzione, la definizione del formato del libro si riferisce soltanto alla sua altezza: - in folio, oltre i 38 cm; - in quarto, tra i 28 e i 38 cm;

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in ottavo, tra i 20 e i 28 cm; in sedicesimo, tra i 15 e i 20 cm; in ventiquattresimo, tra i 10 e i 15 cm; in trentaduesimo, inferiore ai 10 cm.

Fregio tipografico (printer’s ornaments) Segno introdotto in pagina per abbellire una composizione.

stesso tipo di impressione, su tela o su metallo, è chiamata “zigrinatura”. Grazie (serif) Tratti terminali delle lettere alfabetiche: si presentano come rettiformi, acutiformi, curviformi o mistiformi.

stampa per mezzo dei rulli inchiostratori. Incipit (incipit) La prima parola che compare nei manoscritti e nelle prime edizioni a stampa. Spesso il termine è riferito all’intero periodo iniziale e assume un significato emblematico che viene esteso ad altri contesti.

Griglia, vedi Gabbia. Frontespizio (frontispiece) Pagina iniziale di uno stampato recante il nome dell’autore, il titolo, eventuale sottotitolo e editore. Fuori registro (mis-register) Imperfetta sovrapposizione dei colori nella stampa. Fuori testo (insert out of signature) Illustrazioni stampate su un’apposita segnatura, generalmente di carta diversa rispetto a quella del testo, con una propria numerazione di pagina (araba o romana) e spesso con una piega diversa dalle segnature ordinarie (ribaltabili). Fustella (die-board) Profilo di acciaio conformato e tagliente, fissato generalmente su una tavola in legno e inserito in macchina al posto della forma tipografica; serve per tranciare, secondo un particolare disegno, carta o cartoni. G Gabbia (grid) Schema della pagina entro il quale vengono posizionati il testo e le illustrazioni. Gigabyte (gigabyte) Unità di misura corrispondente a 1.024 megabyte o 1.048.576 kilobyte.

Grinza (crease) Difetto di planarità della carta quando si presenta con alterazioni e corrugamenti sulla superficie. Guardia, vedi Risguardo. I

Incunabulo (incunabulum) Libro stampato del XV secolo.

Iconografia (iconography) Disciplina che studia le immagini artistiche, stabilendone il significato, l’ordinamento, la classificazione e la relazione con il contesto storico in cui sono state prodotte.

Indice (index) Elenco sistematico delle parti componenti il libro, oppure delle voci più importanti. L’indice può essere generale o alfabetico, sinottico, delle illustrazioni, dei nomi.

Iconologia (iconology) Disciplina che interpreta il contenuto e il significato delle immagini, attraverso lo studio del loro rapporto con il sistema delle idee filosofiche e politiche.

Inedito (unpublished work) Testo mai pubblicato precedentemente.

Ideogramma (ideogram) Segno grafico non fonologico che esprime un concetto o un’idea; quando assume un contenuto iconico è definito pittogramma. Illustrazione (illustration) Nell’editoria è la riproduzione a mezzo stampa di un’immagine eseguita con qualsiasi tecnica e digitalizzata per l’impaginazione. Immagine, vedi Illustrazione.

Giustezza (line measure) Misura della larghezza di una riga o di una colonna di testo. Nel caso di composizioni a bandiera la giustezza è definita dalla dimensione della riga più lunga. Giustificazione (justification) Variazione degli spazi tra le parole (comprendendo a volte le lettere) effettuata allo scopo di portare a uguale giustezza le righe di una composizione di testo. L’operazione (quando “forzata”) può portare a risultati esteticamente discutibili. Goffratura (embossing) Impressione a secco di disegni, marchi o trame uniformi su carta o su cartoncini. Lo

Incisione (engraving) Disegno eseguito su una matrice utilizzabile per la stampa. L’incisione può essere: - su legno (xilografica); - su metallo (calcografica); - su pietra (litografica).

Impaginazione (page make-up) Posizionamento nella pagina degli elementi grafici (titoli, testo e illustrazioni) secondo un criterio compositivo. Impressione (impression) Segno o impronta ottenute per pressione sul supporto di stampa. Incassatura (casing in) Fase di legatoria consistente nell’unione del libro già cucito alla copertina rigida, attraverso i due fogli di risguardo. Inchiostrazione (inking) Distribuzione dell’inchiostro sulla forma di

Inserto (insert) Fascicolo stampato (pagina, quartino, ottavo o sedicesimo) che viene distribuito insieme al libro o ad altra pubblicazione, generalmente slegato dal blocco libro. Interlineatura (line spacing) Spazio tra la linea di testo e quella immediatamente successiva. Intonso (uncut) Non tagliato. Il libro a bordi intonsi è composto da segnature non refilate. ISBN Acronimo di International Standard Book Number: è una sequenza numerica di 13 cifre usata internazionalmente per la classificazione dei libri. È indispensabile per l’immissione e la gestione del prodotto librario nei canali della grande distribuzione. Il codice ISBN apposto sulla copertina di un libro identifica ogni specifica edizione e resta esclusivo per quell’opera e per nessun’altra pubblicazione. La sequenza numerica indica nel primo gruppo di cifre la categoria “libro”, nel secondo il paese o l’area linguistica in cui è stato editato il volume, nel terzo la marca editoriale, poi il titolo specifico e infine, la cifra finale è un codice di controllo. Dal punto di vista dei requisiti tipografici

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deve essere stampato in condizione di poter essere rilevato dai lettori ottici impiegati nella logistica e alle casse dei punti vendita, quindi su fondo bianco carta o chiarissimo, mai in negativo o in colore inadatto alla rilevazione. Istogramma (histogram) Rappresentazione grafica che confronta dati quantitativi. Utilizza filetti affiancati proporzionati in lunghezza (o altezza) con il valore di riferimento. Italico, vedi Corsivo. J Jpeg (o Jpg) Formato grafico compresso usato per la diffusione di immagini destinate prevalentemente al web, utilizzate anche in stampa ma con perdita di dati che riduce la qualità dell’immagine. La qualità è legata alla dimensione del file in dpi (in rapporto alla sua base).

stiche grafiche, di farsi leggere facilmente. Lemma (keyword) Termine di riferimento spiegato nelle voci di un dizionario o di una enciclopedia. Lessico (lexicon) Dizionario o vocabolario in genere, oppure dizionario specialistico. Letra grifa, vedi Corsivo. Lettering (lettering) Disciplina che studia il carattere tipografico, il suo disegno, i criteri di scelta e di approntamento del progetto del testo.

Lineatura (screen count) Frequenza delle linee in un retino. Si misura in linee per centimetro (lpcm) o per pollice (lpi).

Kerning, vedi Crenatura. L

M

Lapidario (inciseds) Tipo di carattere il cui disegno si ispira a quello delle incisioni lapidarie romane.

Macero (pulp bin) In una stamperia è il recipiente dentro il quale viene destinata la carta di scarto degli avviamenti o gli sfridi che possono essere riciclati per la produzione di altra carta o cartone.

Lastra (plate) Lastra metallica flessibile utilizzata come matrice per la stampa offset. Dopo il processo CTP (Computer to Plate) viene montata sul cilindro di stampa (occorre una lastra per ogni colore di stampa). Layout (layout) Termine inglese che indica il bozzetto preliminare e più in generale il progetto grafico di presentazione. Legatura (bookbinding) Insieme di operazioni di allestimento necessarie per conferire forma definitiva al libro stampato. Le fasi prevedono la raccolta e la cucitura dei fogli fino all’applicazione della copertina. - Legatura a dorso quadro (flat binding) - Legatura a dorso tondo (rounded binding) Leggibilità (legibility) Virtù di un testo, grazie alle sue caratteri-

Menabò (dummy) Fac-simile di uno stampato, realizzato come prova. Può essere composto da fogli di prova assemblati. Se realizzato con carta non stampata, ma con caratteristiche, grammatura e numero di pagine previsti dal progetto, prende il nome di “menabò-bianco”. Messa in macchina (page assembly) Disposizione delle pagine nella forma per la macchina da stampa.

Linea di base, vedi Allineamento

LPI Acronimo di Lines per Inch, linee per pollice. Misura della lineatura riferita alla frequenza di linee orizzontali e verticali di un retino per mezzetinte.

K

Megabyte (megabyte) Unità di misura corrispondente a 1.024 (cioè 210) kilobyte, ovvero 1.048.576 (cioè 220) byte. Abbreviato in MB o Mbyte.

Maiuscoletto (small caps) Carattere maiuscolo tondo, che si differenzia dal maiuscolo per l’altezza pari a quella dell’occhio medio dello stesso corpo. Maiuscolo (caps/upper case) Carattere di forma differente rispetto al minuscolo. Le lettere del maiuscolo sono in genere tutte sulla stessa altezza e corrispondono all’incirca all’altezza delle lettere ascendenti del minuscolo. Margini (margins) Bianchi perimetrali di una pagina non invasi dal testo e dalle illustrazioni. Matrice (printing aster) Elemento o insieme di elementi con i quali si riproduce un originale attraverso il processo di stampa.

Mettifoglio (feeder) Dispositivo automatico per l’introduzione del foglio in macchina. Mezzatinta (half tone image) Immagine i cui valori tonali coprono la gamma dal bianco al nero, oppure tra due o più colori. Per essere riprodotta a stampa la mezzatinta deve sottoporsi al trattamento di retinatura. Definisce in sostanza la riproduzione a stampa di un’immagine in cui la densità o rarefazione dei punti simula l’effetto di chiaro-scuro (sfumatura). Minuscolo (lower case) Alfabeto costituito da lettere di altezza variabile, con una parte centrale della stessa altezza (occhio medio) e aste o segni che si sviluppano nella parte superiore (ascendenti) o inferiore (discendenti). Modulare (modular system) Termine con cui si indica un’impaginazione basata su una gabbia suddivisa in spazi uguali (moduli), componibili in multipli o frazionabili in sottomultipli. Modulo (module) Unità in cui viene suddiviso lo spazio della gabbia o della pagina. È usato per indicare (e vendere) gli spazi anche nella ripartizione delle porzioni di pagina per la pubblicità tabellare. Moiré (screen clash) Effetto ottico provocato da un’errata sovrapposizione di retini in stampa. Monocolore (monocolour press) Macchina da stampa in grado di stampare solo un colore per passaggio.

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Monocromo (monochrome) Composto di un solo colore, stampato con un solo colore. Monogramma (monogram) Combinazione grafica o tipografica di due o più lettere.

strazione o disegno da riprodurre. Outline (outline) Restituzione di un’immagine o di un carattere tipografico attraverso la ricostruzione del solo contorno. P

N Negativo (reverse) Riproduzione di un’immagine che traduce l’originale con valori tonali invertiti. Nervatura (ribs) Decorazione sporgente nel dorso di un libro rilegato. Nota (notes) Annotazione di carattere esplicativo o bibliografico, posizionata al piede della pagina oppure in fondo al capitolo o in un apparato finale del libro. È generalmente numerata e composta in corpo ridotto rispetto a quello del testo. Numerazione o paginazione (page numbering) Apposizione su ogni pagina del libro impaginato di numeri in successione, per stabilire la sequenza delle pagine. O Occhiello (inner title) Pagina di destra, che precede il frontespizio, contenente il titolo del libro o il nome della collana, composti in corpo ridotto. Occhio (short letter face) Figura del carattere stampato, considerata nella sua interezza, oppure altezza delle lettere minuscole centrali (occhio medio). OCR Acronimo di Optical Character Recognition. Tecnologia che consente di “leggere”, tramite uno scanner, testi già stampati traducendoli in codici digitali, rielaborabili successivamente con un word processor. Offset (offset) Procedimento di stampa indiretto con lastra metallica, derivante dal processo un tempo chiamato “litografia” perché basato originariamente sulla matrice di pietra, detta pietra litografica. Originale (original) Qualsiasi testo, documento, fotografia, illu-

Pacchetto (flush right and left) Composizione di righe di testo allineate su entrambi i lati (giustificato) di una colonna. Pagina (page). Ciascuno dei due lati di uno stampato. Pantone Abbreviazione di Pantone Matching System. Sistema di catalogazione dei colori ideato nel 1963 da Laurence Herbert e brevettato dall’industria grafica Pantone Inc. per la classificazione delle tinte e dei colori per la stampa. Papeletta (job folder) Cartellina utilizzata dagli stampatori per raccogliere gli originali e tutti i dati relativi alla stampa di ogni singolo lavoro. Paragrafo (paragraph) Sottoparte di un capitolo. Parentesi (parenthesis) Segni grafici espressi in tre opzioni di disegno e significato (tonde, quadre e graffe). Patinata (coated paper) Tipo di carta sui cui lati è stesa la “patina”, strato di miscela a base di pigmenti e adesivi che rende la superficie liscia o lucida, in grado di ricevere la stampa nei dettagli. - Patinata opaca (matt coated paper) - Patinata lucida (glossy coated paper) Perforatura (snap-out perforation) Operazione effettuata con pettini d’acciaio che praticano una serie di microfori per separare, solo con lo strappo e senza l’uso di lame, un foglio di carta. PDF (Portable Document Format) Formato del pacchetto Adobe Acrobat per l’editoria. Può contenere immagini vettoriali e bitmap ed è riconosciuto come standard per lo scambio di documenti digiatli. Piatto (covers) Ciascuna delle due facce esterne (anteriore e posteriore) della copertina di un libro.

Pica (Pica) Unità di misura tipografica (riga Pica) in uso nei paesi anglosassoni, equivalente alla sesta parte di un pollice, ossia a 4,216 mm. La riga Pica è a sua volta suddivisa in 12 punti, corrispondenti ciascuno a 0,351 mm. Piede (foot) Lato inferiore di un libro o di uno stampato, oppure base di allineamento delle lettere. Piegatura (creasing) Fase di legatoria in cui si piegano i fogli per formare un dépliant o la segnatura di un libro. Pieghevole (folder) Foglio stampato piegato una o più volte (chiamato anche “dépliant”) e non cucito o pinzato. Pigmento (pigment) Sostanza colorata, organica o inorganica, naturale o artificiale, usata nella fabbricazione degli inchiostri. Pinza (gripper) Dispositivo della macchina da stampa che aggancia il foglio e lo trascina nella posizione in cui può essere stampato. Pittogramma (pictogram) Elemento iconico che rappresenta un oggetto o una classe di oggetti, un’azione, un’idea elementare. Pixel (pixel) Termine derivato da picture element, elemento di immagine. Unità costitutiva di un’immagine digitale. Indica anche il puntino luminoso che concorre a formare un’immagine su un monitor. Plastificazione (plastic coating) Applicazione di un film trasparente su un foglio di carta o cartoncino per proteggerlo dall’umidità e dallo sporco. La plastificazione può essere di tipo lucido o opaco. Plotter (plotter) Macchina da stampa digitale per la tracciatura di disegni o per la stampa su grandi dimensioni. Policromia (multi-colour printing) Stampa a più colori oltre al nero. Postilla (marginal note) Nota posta a margine della pagina.

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Ppi Acronimo di Pixel Per Inch, pixel per pollice. Misura della risoluzione di un’immagine digitale, letta da uno scanner o prodotta direttamente con un computer. Prefazione (preface) Testo dell’autore, del curatore o di un esperto posto all’inizio di un’opera per introdurne finalità, pregi e caratteristiche. La prefazione segue il frontespizio e, in genere, il sommario. Prestampa (pre-press) Tutte le operazioni che si svolgono prima della stampa, dall’elaborazione cromatica, alla preparazione dei file, fino allla correzione dei definitivi. Promotore (promoter) È la società o l’agente incaricato dall’editore (o dal distributore e spesso addirittura sono la stessa organizzazione) di presentare in largo anticipo le novità al libraio e raccogliere le prenotazioni o gli ordini da trasmettere all’editore e al distributore (che provvederà a consegnare la merce al punto vendita). Utilizza lo strumento di vendita del canvas. Prova di stampa (repro proof) Riproduzione, con mezzi digitali o meccanici, della pagina di un libro, in tiratura limitata (a volte in una sola copia), per il controllo dei testi o dei colori. Per i lavori più accurati (libri d’arte o fotografici) si ricorre a prove di macchina, cioè utilizzando vere lastre per la stampa e un avviamento limitato alla tiratura di prova. Punto tipografico (typographical point) Dodicesima parte della riga tipografica. Nel sistema Didot corrisponde a 0,376 mm, nel sistema Pica a 0,351 mm.

R Racletta (blade) Raschietto che elimina l’inchiostro eccedente dal cilindro di stampa rotocalco. In serigrafia la racletta è utilizzata per distribuire e far penetrare l’inchiostro attraverso la trama del telaio. Refilo (trim) Parte marginale del foglio di stampa o delle segnature di un libro che viene asportata dalla taglierina. Nella progettazione di un libro il refilo viene calcolato in almeno 2-3 mm, meglio se 4 o 5.

Q Quadrante (front cover) Il piano della copertina del libro. Quadricromia (four-color process) Riproduzione a stampa di un’illustrazione a colori utilizzando i quattro colori di quadricromia – cioè il magenta, il cyan, il nero e il giallo – secondo i principi della sintesi sottrattiva.

Risvolto, vedi Bandella Rotocalco (gravure machine) Macchina da stampa rotativa basata sul principio della stampa in calcografia, cioè del sistema in cui la matrice è incisa in incavo su un cilindro di rame. Roto-offset (offset rotary) Macchina da stampa offset alimentata con carta in bobina anziché in fogli. S

Refuso (typographical error) Errore nel testo stampato. Registro (register) La perfetta concordanza di posizione di due o più impressioni a stampa, effettuate in tempi diversi. È, per esempio, la perfetta sovrapposizione dei quattro colori nella stampa in quadricromia. Retinatura (screening) Scomposizione di un’immagine a mezzatinta continua, mediante puntini di diversa dimensione (retino) e valore tonale. Riga tipografica (typographic unit) Unità di misura che, nel sistema Didot, corrisponde a 4,512 mm e nel sistema Pica a 4,217 mm.

Saggio (essay) Testo di carattere critico su un determinato argomento. Sans-serif Carattere senza grazie. Satinatura (glazing) Operazione di lisciatura della carta per renderla adatta alla stampa per alta velocità (per esempio in rotocalco). Sbavatura (smudge) Leggera fuoriuscita di un colore al di fuori dei limiti previsti. Scanner (scanner) Dispositivo utilizzato per la scomposizione delle immagini e per la loro digitalizzazione.

Rilegatura, vedi Legatura Rilievografia (letterpress printing) Insieme delle tecniche di stampa in cui viene utilizzata una matrice a rilievo, come per esempio in tipografia con i caratteri di legno. Risguardi, vedi Sguardie

Punzone (punch) Matrice per imprimere un’impronta a secco su un supporto (in genere cartaceo).

ca alla precedente, in un tempo successivo alla prima tiratura.

Risma (ream) Unità di misura nel commercio della carta corrispondente in genere a 500 fogli o, in alcuni casi, a 400. Risoluzione (resolution) Definizione di un’immagine digitale o di un prodotto finito (per esempio una bozza ottenuta da una stampante). Nel primo caso si misura in pixel per pollice (ppi), nel secondo in punti per pollice (dpi). Ristampa (reprint) Realizzazione di una nuova edizione, identi-

Scansione (scanning) Procedimento eseguito con lo scanner, atto a ottenere la digitalizzazione delle immagini. Scontornatura (cut-out) Eliminazione o sostituzione del fondo originale o di altri elementi intorno a un soggetto dell’immagine. Segnalibro (bookmark) Nastrino di stoffa associato al dorso del volume; inserito tra le pagine del libro consente al lettore di rintracciare rapidamente una pagina. Si usa lo stesso termine per il comune cartoncino (spesso introdotto a scopo promozionale dall’editore) che viene inserito nel libro per assolvere alla stessa funzione. Segnatura (signature) Foglio di stampa che, una volta piegato, affiancato e/o cucito insieme ad altri, con-

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sente la formazione di un volume. A seconda della modalità e del numero di pieghe impresso al foglio si ricavano le pagine del libro. Selezione del colore (colour separation) Tecnica di scomposizione di un’immagine a colori nei colori fondamentali (colori primari più il nero).

a quello del corpo utilizzato. Stocastico (stochastic screen) Tipo di retino, detto anche “a modulazione di frequenza”, utilizzato per la riproduzione di immagini ad alta qualità. Supporto (print carrier) Ogni materiale atto a ricevere la stampa.

Tipometro (type gauge) Strumento (in scala Didot o Pica) utilizzato, fino alla fine del XX secolo, per le misurazioni delle dimensioni nel mondo della grafica e stampa. Oggi l’impiego del tipometro è scomparso perché le sue funzioni sono incorporate in quelle del computer.

Serigrafia (silk-screen printing) Procedimento di stampa basato sul passaggio dell’inchiostro attraverso la trama di una seta.

T

Tiratura (circulation) Quantità degli esemplari stampati per ciascuna edizione.

Taglio (book edge) Lato di pagina che non va in cucitura.

Tondo (roman type) Carattere il cui disegno non è inclinato.

Sfrido (waste) Residuo di lavorazione del materiale cartaceo in generale. Generalmente è considerato sfrido il residuo di carta al termine della refilatura di uno stampato. Il recupero degli sfridi (stampati o meno) consente di avviare processi di recupero e riciclo della carta.

Tasca (pocket) Piccolo scomparto in cartoncino o in materiale plastico trasparente, in genere applicato all’interno della copertina di un libro per contenere allegati.

Tracking (tracking) Spaziatura ottimale tra i caratteri e gli spazi bianchi di un testo. Può essere modificata con un software di impaginazione.

Sguardie (endpaper) Quartini, in genere in carta usomano (stampati a mano), applicati da una parte all’interno dei piatti della copertina e dall’altra alla prima e all’ultima segnatura del volume già cucito. Le sguardie servono a saldare la copertina alle segnature già cucite. Sommario (contents) Elenco dei titoli (delle sezioni o parti, dei capitoli, talvolta dei paragrafi) posto all’inizio di un volume. Sovracoperta (dust jacket) Copertina in forma di foglio stampato (carta o film acetato) che si avvolge attorno a un libro. Generalmente riporta sulle alette (o bandelle) la nota biografica dell’autore e una sinossi o presentazione dell’opera. Sovrastampa (imprinting) Stampa effettuata su fogli già stampati. Spaziatura (spacing) Spazio tra una lettera e l’altra o tra una parola e l’altra. Vedi anche Accostamento. Stampante (printer) Dispositivo periferico di un sistema, utilizzato per la stampa, in nero o a colori. Disponibile anche in formati domestici o da ufficio, fino al formato A3 e professionali. Sterlineatura (unleading) Riduzione dell’interlinea con valore inferiore

Tascabile (paperback) Libro di piccolo formato. Tavola (plate) In un libro è l’illustrazione che, in genere, occupa un’intera pagina. Telaio (chase) In serigrafia è la cornice di legno sulla quale è stesa e fissata la rete di seta (o di altro materiale similare) recante l’immagine o il testo da stampare. Termoretraibile (film for packaging) Film trasparente deformabile, ottenuto per estrusione in bolla, utilizzato nell’imballaggio e nella protezione dei libri. Utile per difendere dalla polvere e dai graffi i volumi inoltrati al punto vendita è purtroppo un polimero di difficile smaltimento. Testa (head) Parte superiore di uno stampato. Testo (text) Insieme delle parole che compongono un’opera scritta. Si considera testo tutto ciò che viene redatto con caratteri alfabetici. Tiff Formato digitale che comprime l’immagine senza perdita di dati e ne memorizza la separazione dei colori in un unico file. Consigliato nella preparazione dei file per la stampa di un libro.

Trancia (hot stamping punch) Pressa per imprimere a caldo un testo o un’immagine al tratto sul piatto della copertina. Tratto (line drawing) Illustrazione i cui valori tonali sono espressi solo dal nero e dal bianco oppure da colori pieni, cioè senza sfumature. U Unghia (nail) Sporgenza della copertina rigida rispetto al corpo del blocco libro. V Vergatura (laid lines) Trama di linee presente nella carta fabbricata a mano in corrispondenza di ogni filo della forma (vergella). Visto si stampi (approval, can go over) Approvazione, da parte del redattore o del designer, delle cianografiche digitali con cui si procede alla stampa; si dichiara ponendo una firma e un timbro su ogni segnatura di stampa. Volta (back side) Lato di un foglio di macchina opposto alla alla “bianca”.

Tipometria (typographical measurement) Insieme dei sistemi di misurazione utilizzati nel progetto e nell’industria grafica. 169

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Bibliografia La redazione di questa bibliografia ha seguito un criterio molto semplice, non compilativo e, dal personale punto di vista dell’autore, estremamente arbitrario. Innanzitutto quella che segue non è una bibliografia dei testi consultati per la realizzazione di questo libro, come accade nei saggi che si rispettino, ma una bibliografia “consigliata” a chi è interessato ad approfondire il tema della grafica editoriale. La finalità di questo manuale è infatti istruire studenti dei corsi di graphic e visual design, rassicurare al contempo i giovani progettisti, offrendo loro le principali informazioni di riferimento e le conoscenze di base; per ragioni di spazio nel libro tutti gli argomenti sono stati affrontati in modo conciso e diretto; e proprio per questa ragione è consigliato ogni tipo di approfondimento, come questa bibliografia, per completare il bagaglio di base con letture e raffronti più specifici.

Ogni volta che si pubblica una bibliografia si dovrebbe cercare di offrire davvero un servizio a chi la consulta, e non sfoggiare un improbabile territorio di titoli, spesso estremamente difficili da reperire o indicati senza uno specifico intento didattico. Per questo scopo, allora, questo insieme di titoli è da considerarsi come l’essenziale punto di partenza per chiunque intenda affrontare la professione del progettista editoriale. Un’ultima raccomandazione: insieme a questi libri non dovrebbe mai mancare in uno studio grafico un dizionario della lingua italiana, così come un dizionario italianoinglese. È vero che online sono disponibili dizionari e traduttori per ogni lingua, ma un buon dizionario analogico non potrà mai essere sostituito (per autorevolezza e completezza) da un qualsiasi dizionario online.

= vivamente consigliato Arnheim Rudolf, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, 1962 Baines Phil, Penguin by design: A cover story 1935-2005, Penguin Books, 2005 Bandinelli Angiolo - Lussu Giovanni Iacobelli Roberto, Farsi un libro, Biblioteca del vascello, Stampa Alternativa, 1990 Baroni Daniele - Vitta Maurizio, Storia del design grafico, Longanesi, 2003 Baroni Daniele, Il manuale del design grafico, Longanesi, 1998 Baroni Daniele, Un oggetto chiamato libro. Breve trattato di cultura del progetto, Longanesi, 2017 Benjamin Walter, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, 1966

Librerie e biblioteche sono ricche di titoli, alcuni molto simili tra loro per gli argomenti trattati e le finalità; molti testi importanti del XX secolo sono stati tradotti anche in italiano e con accuratezza, spesso con introduzioni e prefazioni ad hoc per il contesto culturale del nostro paese. Tuttavia, in un panorama di questo genere, si è preferito agire seguendo scelte dettate dal buon senso e dall’esperienza didattica, suggerendo quei titoli che potrebbero formare la prima biblioteca professionale, sostanzialmente quell’insieme di titoli che chi scrive ha sempre ritenuto fondamentali sugli scaffali di uno studio di visual design e che rappresentano anche un patrimonio accumulato lungo la carriera. Ci sono libri da cui non ci separeremmo mai.

Bertolo Fabio M. - Cherubini Paolo Inglese Giorgio - Miglio Luisa, Breve storia della scrittura e del libro, Carocci, 2004 Blackwell Lewis, I caratteri del XX secolo, Leonardo Arte, 1998 Blasselle Bruno, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, Electa Gallimard, 1997 Branzaglia Carlo, Grafica e tipografia nelle poetiche del costruttivismo internazionale, “Grafica” n° 10/11, Dicembre 1990/Luglio 1991, Edizioni 10/17 Brusatin Manlio, Storia dei colori, Einaudi, 1983 Cadioli Alberto - Vigini Giuliano, Storia dell’editoria italiana dall’Unità a oggi, Editrice Bibliografica, 2012

Nell’elenco che segue sono stati inseriti titoli a carattere storico, saggi e manuali di grafica editoriale; i titoli contrassegnati con un pallino non dovrebbero mai mancare in uno studio, o perlomeno essere letti almeno una volta. Tra i titoli si è preferito escludere gli annual, i cataloghi di mostre e i repertori, la cui produzione è davvero sterminata: pur raccogliendo annualmente le migliori produzioni di design editoriale del mondo non sono direttamente influenti nella didattica e nella formazione del designer.

Carter Rob - Meggs Philip B. - Day Ben, Typographic design: form and communication, Van Nostrand Reinhold, 1993 Carter Sebastian, Twentieth Century Type Designers, Lund Humphries, 2002 Chappell Warren - Bringhurst Robert, Breve storia della parola stampata, Sylvestre Bonnard, 2004 170

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Eisenstein Elisabeth L., Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Il Mulino, 2011 Falcinelli Riccardo, Critica portatile al Visual Design, Einaudi 2014 Falcinelli Riccardo, Cromorama, Einaudi 2017 Febvre Lucien - Martin Henry-Jean, La nascita del libro, Laterza, 1972

Livio Mario, La sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni, BUR, 2003 Lupton Ellen, Caratteri, testo, gabbia. Guida critica alla progettazione grafica, Zanichelli, 2010 Lussu Giovanni, Introduzione a Tschichold. La parola ben composta, “Grafica” n° 8, Dicembre 1989, Edizioni 10/17 Lussu Giovanni, La grafica è scrittura, “Linea Grafica” n° 5, 1991

Fioravanti Giorgio, (cura della seconda edizione: Sfligiotti Silvia), Grafica & Stampa, Zanichelli, 1997

Maeda John, Le leggi della semplicità, Bruno Mondadori, 2006

Fioravanti Giorgio, Il dizionario del grafico, Zanichelli, 1993

Marcolli Attilio, Teoria del campo, Sansoni 1971

Floch Jean-Marie, Identità visive. Costruire le identità a partire dai segni, Franco Angeli, 1997

McLuhan Marshall, Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore 2008

Frutiger Adrian, Segni e simboli, Stampa Alternativa e Graffiti, 1996 Gautier Damien e Claire, Design, typography, etc. A Handbook, Niggli, 2018 Gill Eric, An essay on typography, Lund Humphries Publishers, 1931 (ried. 1988) Grear Malcolm, Inside/Outside. From the Basics to the Practice of Design, Van Nostrand Reinhold, 1993 Gregorietti Salvatore - Vassale Emilia, La forma della scrittura, Feltrinelli, 1988 (ried. Sylvestre Bonnard, 2007) Hochuli Jost, Il dettaglio in tipografia, Lazy Dog Press, 2018 Hofmann Armin, Graphic Design Manual, Niggli, 1965 Hohenegger Alfred, Graphic Design, Romana Libri Alfabeto, 1975 Hollis Richard, Graphic Design: A Concise History, Thames & Hudson, 2000 Kane John, A type primer, Laurence King Publishing, 2016 Kepes György, Il linguaggio della visione, Dedalo, 1971

McNeil Paul, The Visual History of Type, Laurence King Publishing, 2017 Meggs Philip B., A History of Graphic Design, Wiley, 1983/1998 Mistretta Enrico, L’editoria, Il Mulino, 2006 Müller-Brockmann Josef, Grid systems in graphic design, Niggli, 1981 Munari Bruno, Design e comunicazione visiva, Laterza, 1993 Novarese Aldo, Alfa-beta: lo studio e il disegno del carattere, Progresso Grafico, 1964 Novarese Aldo, Del carattere, “Grafica” n° 3, Giugno 1987, Edizioni 10/17 Polano Sergio - Vetta Pierpaolo, Abecedario. La grafica del Novecento, Electa, 2002

Rauch Andrea, Il racconto della grafica, La Casa Usher, 2017 Rossi Attilio, Il ritorno di Campo Grafico, in Linea Grafica, n° 7-8, 1956, Edizioni 10/17 Rüegg Ruedi, Basic Typography: Design with Letters, ABC-Verlag, 1989 Ruder Emil, Typography: A Manual of Design, Teufen, 1967 Shaughnessy Adrian - Bierut Michael, Graphic Design. A User’s Manual, Laurence King, 2009 Spera Michele, Abecedario del grafico, Gangemi Editore, 2005 Steinberg Sieghfried H., Cinque secoli di stampa, Einaudi, 1967 Steiner Albe, Il mestiere di grafico, Einaudi, 1978 Tschichold Jan, The form of the book. Essays on the morality of good design, Hartley & Marks, 1991 Tschichold Jan, The new typographie. A handbook for modern designers, University of California Press, Verlag des Bildungsverbandes der deutschen Buchdrucker, 1928 Valéry Paul, Le due virtù di un libro, in Grafica n° 4, Dicembre 1987, Edizioni 10/17 Vignelli Massimo, Il canone Vignelli, Postmedia Books, 2012 Zapf Hermann, Dalla calligrafia alla fotocomposizione, Valdonega, 1991 Zapf Hermann, Manuale typographicum, Cambridge, MA., 1980

Rand Paul, From Lascaux to Brooklyn, Yale University Press, 1996 Rassegna n° 6, Il campo della grafica italiana, Aprile 1981, a cura di Pierluigi Cerri Rattin Manuela - Ricci Matteo, Questioni di carattere: la tipografia in Italia dall’Unità nazionale agli anni Settanta, Stampa Alternativa, Graffiti, 1997 171

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Indice dei nomi Anche un indice dei nomi può assumere un significato ben diverso dall’essere un semplice e utile elenco. Con questo proposito è stato redatto questo indice, dove una storia lunga più di cinque secoli connette anche persone che non si sono mai conosciute o che hanno stretto relazioni intellettuali o patti commerciali, invenzioni o scambiato saperi. Sono i nomi di protagonisti di passaggi cruciali per la storia non solo della grafica o dell’editoria, ma del progresso umano, della cultura e della conoscenza. Molti di loro sono stati fautori di tappe fondamentali della storia culturale, economica, sociale, tecnica e tecnologica. Molti altri hanno contribuito, nel corso della loro vita, con il lavoro e la passione, allo sviluppo di discipline e alla diffusione di conoscenza e bellezza. Anche un elenco, in parte, può restituire con umiltà un senso di gratitudine a quei nomi che in questo genere di libri viene spesso trascurato, lasciando in luce solo i più noti. In questo indice trovano posto non solo i giganti. E i nomi indicati non sono solo quelli che appaiono nel testo, ma anche nelle didascalie, là dove un’immagine è ritenuta una parte fondamentale della cultura storica dell’editoria e della grafica. Nomi che vale la pena di incorporare e custodire nel proprio bagaglio di conoscenza. Se 155 nomi sono stati citati, migliaia d’altri qui non lo sono, anche se meriterebbero senz’altro di esserlo. È un indice sintetico, che può risultare però utile a un giovane progettista nella formazione di una mappa concettuale della storia della stampa, dell’editoria e della grafica editoriale. Sono i nomi di compagni di viaggio, ognuno con una storia da approfondire e da rispettare, a cui dobbiamo gratitudine per averci insegnato qualcosa e consentito di esercitare uno dei mestieri più belli del mondo: quello di fare i libri.

Alberti Leon Battista, 28 Amman Jost, 12 Baroni Daniele, 18 Baskerville John, 35, 36, 37 Bayer Herbert, 50 Behrens Peter, 53, 129 Bembo Pietro, 27 Bertieri Raffaello, 62 Binosi Bruno, 62, 146 Blackwell Lewis, 68 Bodoni Giambattista, 38, 39, 149 Bracciolini Poggio, 18 Bradley William H., 23 Brant Sebastian, 22 Brody Neville, 58 Butti Alessandro, 60 Cappiello Leonetto, 45 Caslon William IV, 41, 52, 59 Caslon William, 36, 37 Cassandre (Adolphe Jean Marie Mouron), 61 Caxton William, 32, 33 Cherét Jules, 44 de Beaumarchais Pierre A., 35 de Larmessin Nicolas, 31 de Tournes Jean, 33 Depero Fortunato, 48, 49 Diderot Denis, 35 Didot Firmin, 34 Didot François-Ambroise, 34, 70 Didot François, 34 Dürer Albrecht, 22, 28 Eckmann Otto, 53 Einaudi Giulio, 119 Elzevir (Abraham e Isaac), 32, 33 Estienne Antoine, 32 Estienne Henry, 32 Estienne Robert, 32 Facetti Germano, 63 Feininger Lyonel, 50 Feliciano Felice, 28 Fibonacci Leonardo, 109 Figgins Vincent, 41 Finiguerra Maso, 30, 45 Fioravanti Giorgio, 9 Fournier Pierre Simon, 34 Franklin Benjamin, 37, 70 Frutiger Adrian, 56, 57 Fuller Richard B., 10 Fust Johann, 24, 25 Garamond Claude, 32 Gill Eric, 53, 66 Gillot Firmin, 42 Granjean Philippe, 33 Granjon Robert, 33 Gregorietti Salvatore, 63 Griffo Francesco, 27, 73 Grignani Franco, 61 Gropius Walter, 50 Guidotti Paolo, 146

Gutenberg (Gensfleish), Joan 12, 20, 24 Heartfield John, 49 Herbert Lawrence, 102 Humery Konrad, 25 Iliprandi Giancarlo, 61 Jaugeon Nicolas, 33 Jenson Nicolas, 13, 26 Johnston Eward, 52, 56 Jost Heinrich, 39 Kandinsky Wassily, 50 Kidd Chip, 63, 174 Klee Paul, 50 Koberger Anton, 15 Koch Rudolf, 53, 56 Koening Friedrich, 40 Lanston Tolbert, 43 Laurana Luciano, 28 Le Bé Guillaume, 32 Le Rond d’Alembert Jean Baptiste, 35 Lichtenberg Georg Christoph, 80 Lisickij Lazar Markovich (El Lisickij), 54 Maeda John, 158 Manuzio Aldo 13, 26, 27, 33, 38, 73, 128 Mardesteig Giovanni, 61 Mari Enzo, 63 Marinetti Filippo Tommaso, 48 Masereel Frans, 23 Massin Robert, 96 Mergenthaler Ottmar, 42 Metlicovitz Leopoldo, 45 Meyer Hannes, 50 Miedinger Max A., 59 Moholy-Nagy Lázló, 50, 51 Molina Oreste, 119 Mondadori Arnoldo, 62 Müller-Brockmann Joseph, 108 Munari Bruno, 61, 63, 146 Negri Ilio, 61 Neuburg Hans, 59 Niccoli Niccolò, 18 Noorda Bob, 63, 146 Novarese Aldo, 60, 61, 68, 69 Nypels Charles, 75 Pacioli Luca, 13, 29, 80 Pannartz Arnold, 15 Papini Giovanni, 48 Pearson David, 63 Pfäffli Bruno, 57 Pi-Cheng, 22 Picabia Francis, 49 Pick Frank, 52 Pilsworth John, 46 Plantin Christophe, 32, 33 Rand Paul, 6 Rembrandt (Harmenszoon van Rijn Rembrandt), 31 Renner Paul, 55, 58, 59 Rizzoli Angelo, 62 Robert Luis, 21 Rossi Attilio, 62

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Rossi Marc’Antonio, 12 Sabon Jakob, 55 Schlemmer Oskar, 50 Schoensperger Johann, 23 Schöffer Peter, 24, 25 Senefelder Alois, 40, 44 Simon Samuel, 46 Simoncini Francesco, 119 Simonneau Louis, 33 Soffici Ardengo, 48 Spiekermann Eric, 58 Spiekermann Joan, 58 Spyr Johann, 26 Spyr Wandelin, 26 Steiner Albe, 5, 62 Sullivan Louis H., 107 Sweynheim Conrad, 15 Tallone Alberto, 61 Tempesti Mario, 62 Thibandeau François, 68 Thomas Isaiah, 37 Thorne Robert, 40 Tilgham Benjamin C., 86 Torresani Andrea, 27 Tory Geoffroy, 29, 32 Tovaglia Pino, 61 Ts’ai Lun, 20 Tschichold Jan, 55, 63 Váchal Josef, 23 Van den Velde Jan, 31 Veronesi Luigi, 63 Vignelli Massimo, 58, 63, 104, 146 Vox Maximilien, 68 Wengen Willy, 68 Weigel Johann C., 20 Young Edward, 63 Zapf Hermann, 56, 68

Indice delle illustrazioni I marchi e le immagini riprodotti in questo volume appartengono ai titolari. La casa editrice, effettuate le ricerche e esperite le pratiche per l’acquisizione dei diritti relativi al repertorio iconografico dell’opera, rimane a disposizione di chi dovesse ancora vantare ulteriori ragioni in proposito. Le illustrazioni di questo libro rispondono alla pratica del “fair use” (copyright Act 17 U.S.C. 107) essendo finalizzate al commento storico-critico e all’insegnamento. L’autore ringrazia designer, archivi e collezioni private che hanno messo a disposizione materiale iconografico pubblicato in questo volume. Pantone® è un marchio registrato di Pantone Inc. Acrobat®, Illustrator®, InDesign® e Photoshop® sono marchi registrati di Adobe Systems Inc. Excel® e Word® sono marchi registrati di Microsoft Corporation. QuarkXPress® è un marchio registrato di Quark Software Inc. CorelDRAW® è un marchio registrato di Corel Corporation.

p. 13, Stiftsbibliothek, St. Gallen; p. 18, George Alt, Frontespizio, The Rosenwald Collection, USA; p. 19, Costituzioni di Benedetto XII, Biblioteque National, Parigi; p.18, Filarete, Trattato di Architettura, Biblioteca Universitaria, Valencia; p.21, Cosmopress, Ginevra; p. 22, British Museum, Londra; p. 22, tratto da “Geschichte der Buchillustration in Deutschland”, Insel Verelag, Anton Kippenberg, Leipzig; p. 23, Library of Congress, Washington; p. 23, tratto da Paul List Verlag, München, Europa Verlag, Zurich; p. 24 e 26, The Rosenwald Collection; p. 26, Library of Congress, Washington; p. 29, tratto da Pacioli’s Classic Roman Alphabet, Stanley Morrison, Dover, UK; p. 30, pagina Encyclopédie; p. 31, British Museum, London; p. 32, Houghton Library, Harvard University, Cambridge, MA; p. 32, Plantin Moretus Museum, Anversa; p. 35, pagina Encyclopedié; p. 38-39, Museo Bodoniano, Parma; p. 39, Galleria Nazionale Parma; p. 43, Linotype Company, Hauppauge, NY; p. 44, Archivio Fratelli Bonvini; p. 45, RCS - Rizzoli Corriere della Sera; p. 45, Archivio Campari, Sesto S. Giovanni (MI); p. 48, Museum of Modern Art, NY; p. 50, Hattula Moholy-Nagy/DACS; p. 51, tratto da Malerei, Photographie, Film, Albert Langen Verlag, Munich/Museum of Modern Art, NY; p. 129, Cooper Union, Herb Lubalin Study Center, NY; p. 129, tratto da Herb Lubalin, American Showcase, NY. La Home Page Scala è riprodotta su gentile concessione dell’Archivio fotografico di Scala Group SpA, www.scalarchives.com. La Home Page Contrasto è riprodotta su gentile concessione di Agenzia fotogiornalistica Contrasto Srl, www.contrasto.it. Gli still life di p. 43, 46, 49, 87, 95, 102, 103, 107, 148, 149, 150, 151 sono di Elisabetta Brian. Le immagini di p. 44, 90-91, 94, 97, 101, 136, 137, 143 sono dell’autore.

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Abbiamo fatto molta strada con gli ebook: facilità, convenienza, portabilità. Ma qualcosa si è definitivamente perso: la tradizione, un’esperienza sensuale, il conforto degli oggetti e, anche un po’ di umanità. Chip Kidd

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È stato piacevole condividere questo lavoro con i collaboratori del mio studio, che sono stati preziosi per migliorare ogni parte di questo sforzo: dalle illustrazioni all’impaginazione, dalla correzione ai suggerimenti. Ringrazio Donata Achilli, Paola Pellizzi, Elisabetta Resconi, Marco Sbaraglia, Katsiaryna Piliutsik, Elena Colleoni e Sofia Urzi, oltre al mio socio di sempre Guglielmo Ghizzardi per i consigli che ho apprezzato lungo questi mesi. Grazie inoltre a Elisabetta Brian che ha realizzato gli still life con grande disponibilità, tecnica e gentilezza e a Sergio Tornaghi per i materiali messi a disposizione e i suggerimenti. Un ringraziamento particolare all’editor Giovanni Gondoni, che ha seguito il processo e perdonato con pazienza, indulgenza e immeritata cortesia i miei ritardi nella consegna degli elaborati. Sono riconoscente all’amico Armando Milani, che mi ha regalato un po’ del suo tempo e un’introduzione che riflette – ancora una volta – quel comune entusiasmo che condividiamo per questo mestiere irrinunciabile. La gratitudine va soprattutto ai miei allievi che, in oltre trent’anni di insegnamento, hanno dato un senso al mio lavoro e alle ore trascorse nelle aule di scuole e università: senza di loro non avrei mai scoperto quanto sia meraviglioso trasmettere passione, esperienza e conoscenza. Per insegnare occorre soprattutto saper imparare; sono stato finora un uomo fortunato, perché ciò accade ancora ogni giorno, come un dono, ogni volta che entro in un’aula e incontro i miei studenti. F. A.

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