Epistola a Meneceo, Massime capitali, Gnomologio vaticano, Frammenti e testimonianze

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CLASSICI DEL LA FILOSOFIA E PEDAGOGIA C O L LEZIONE

DIRETTA

DA

-

MICHELE

FEDERICO

SCIACCA

EPI CURO

EPISTO L A A MENECEO, MASSIME CAPITALI, GNOMOLOGIO VATICANO, FRAMMENTI E TESTIM ONIA NZE INTRODOTTI, TRADOTTI E CHIOSATI a cura

di

ROMANO AMERIO

S OC IETÀ EDI TRICE INTERNAZIONALE TOR INO

MILANO

GENOVA

PADOVA

PARMA

ROMA

NAPOLI

BARI

CATANIA

PALERMO

VISTO: NULLA OSTA ALLA STAMPA

Torino, a6

marzo

1957

Can. M. L. M. MoNBTTI

I MPRI MATUR

Torino, z6

marzo

1957

Can. L. CoccoLo V. G.

PROPRIETÀ RISUVATA ALLA SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE DI TORINO

(M.

SCUOLA

E.

GRAFICA

119.0!111)

SALESIANA



1957

INTRODUZIONE

(•)

L - L'ambiente generale in cui si forma l'Epicureismo è lo smarrimento in cui cadde lo spirito greco per la ca­ tastrofe della 7tOÀLç principiata col rovescio di Cheronea (338) e maturata nell'impero cosmopolitico di Alessandro e dei diadochi. Esso costituisce, insieme con lo Stoi­ cismo, un compiuto tentativo di mettere la filosofia al servizio dell'uomo e, levato ormai il fondamento alle credenze tradizionali, per cui la città costituiva il mondo morale dell'uomo, e le leggi della città le leggi del mondo morale, fare della sapienza la liberatrice e beatificatrice dello spirito. Lo sforw della speculazione si dirige perciò con consapevole tendenza verso il problema morale e afferma con forza il carattere pratico e vitale della filosofia, che mira a persuasioni operative, e non insegna che cosa sia il mondo, ma • componit animum » (SENECA, Epist. 89, 9), o se anche insegna che cosa sia il mondo, tanto lo i�segna quanto giovi a felicitare e quietare l'animo. Questo indirizzo pratico in cui vien negletto o solo debolmente sentito l'interesse per la metafisica, con­ siderata irrilevante o impossibile, produce una concen­ trazione del pensiero sui problemi del soggetto e una elevazione dell'interiorità, grazie alla quale, così nell'Epicureismo come nello Stoicismo, la filosofia pagana prelude di lontano alla filosofia del cristianesimo fondata sull'idea della salvezza personale.

2. - Il fondatore della scuola è Epicuro, che venne in Atene nel 306 av. Cristo e vi insegnò sino al 270, strin­ gendosi attorno una compagnia di discepoli profonda-

(0) In margine sono indicati i luoghi principali della rac­ colta riguardanti i vari punti dell'esposizione.

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mente legati dalla comunanza degli ideali e dall'uguale riverenza al Maestro. Conforme alla disciplina più antica, Epicuro operò il suo magistero non meno col prestigio della persona e dell'esempio che con la forza dell'atti­ vità scientifica : la sua figura dominò talmente il destino della scuola, che questa rimase celebre per durata e per concordia, stabilizzandosi il dogma epicureo secondo le forme che gli ebbe date il fondatore. Dei moltissimi

scritti di Epicuro sopravanzano soltanto tre lettere didat­

tiche a Erodoto (sulla natura), a Pitocle (sui fenomeni astronomici), e a Meneceo (sulla morale); le xupLOCL M;ocL o Sentenze principali, che i diS>Cepoli mandavano a me­ moria : una silloge di sentenze trovate in un codice V ati­ cano; i frammenti del m:pt tpucre:bbe difficile a spiegarsi.

(21) Per la classificazione dt'i desideri vedi la nota al 39. (22) Il passo è chiarito dal frammento ercolanese (in DIANO p. 109) : « Dei desideri neces­ sari, alcuni richiedono di esser soddisfatti, per vivere, altri per viver sano, altri infine per vi­ vere felice » . Quest'ultimo stato implica soddisfatti i desideri del­ le due prime classi e altri an­ cora. Come nota il BAILEY pa­ gina 334, vi è qualche oscilla­ zione nella classificazione epi­ curea. (23) La voce infatti si rife­ risce a bisogna considerare della quint'ultima riga. (24) Traduciamo TÉÀO . (44) Circa i l divino l'atteg­

giamento del sapiente consiste in un pensare più che in un operare, poichè gli dèi non sono termine di culto, ma soltanto soggetto di rappresentazioni con-

e vive perpetuamente impavido circa la morte 4 5 , e tien presente il fine della natura 4\ e sa che la misura dei beni si raggiunge facilmente, mentre quella dei mali ha o breve durata o breve travaglio 4 7 ? Proclamando che quel fato, introdotto da alcuni come signore di tutte le cose, è un pensamento vano di chi non conosce le cause delle cose, un tal uomo rimane imperturbato di fronte agli eventi (dei quali alcuni si svolgono in modo necessario, altri in modo fortuito, altri infine sono m mano nostra) 48, giacchè quel che è necesformi alla loro eccellente n a­ tura, separ�te da ogni idea di potenza e provvidenza sopra l'uomo. Sarà opportuno ricor.: dare come, al contrario, il sen­ timento comune degli antichi concepisse la religione non come atteggiamento mentale, ma come maniera di trattare cogli dèi, anzi essenzialmente come cor­ rettezza rituale. C fr . CrcERONE, de nat. deorum, I, 41, 1 16 : " sanctitas autem est scientia co­ lmuiorum deorum », cioè in ul­ tima analisi liturgia. (45) Sono toccate in questo passo le note, alle quali si rico­ nosce il sapiente, corrispondenti alle parti della tetrafarmaco. Do­ po la imperturbabilità di fronte al divino (.fte:òç &cpo�ov), l'im­ perturbabilità di fronte alla morte (&vodcr&IJ-rov ò .ft&viX-roç), giudicata più importante ancora della prima, come appare nella pericope seguente . (46) -rò rijç cpucre:wç -réì.oç si­ gnifica il fine assegnato dalla natura all'uomo, cioè quell'appa­ gamento integrato di euforia fi­ sica e serenità psichica, ma al­ lude anche al carattere di limita­ tezza che ha un tale appaga­ mento secondo natura, contraria-

mente alla vana ipotesi di un bene e di una durata infinita. (47) Son toccate le due ultime pmti della tetrafarmaco : il bene richiesto all'appagamento è pic­ colo e ovvio { e:ìlx't"l)-rov -rò &yiX­ Mv) poichè vi ha una sorta di armonia tra il bisogno che h natura mette nell'uomo e quel che essa gli porge per sod­ disfare il bisogno. Il dolore è di leggeri sopportabile {-rò 8e:L­ vòv e:ùe:xx!Xp-répl)T0\1) : siccome in­ fatti infensità e durata del dolore sono in ragione inversa, il do­ lore intenso è passeggero (in­ fatti toglie tosto il sentimento e persin la vita) e il diuturno non può non essere lieve. (48) In questa parentesi ap­ pare una classificazione degli eventi attestata anche da un pas­ so di PLUTARCO, de sol. anim. 8, secondo il quale " Epicuro fa declinare l'atomo, affinchè compaia il fortuito {TV)("l)) e non perisca il libero arbitrio (-rò t• cp' lJf.LLII) » . Sembra dunque che accanto a moli determinati ir­ refragabilmente dalla meccanica necessità, e oltre ai moti liberi dell'animo, Epicuro abbia de­ scritto anche deviazioni sponta­ nee di atomi non psichici fa-

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sario è irresponsabile, quel che è fortuito egli vede flut­ tuante , quel che è in mano nostra libero e natural­ mente congiunto alla lode e al biasimo 4 9 • Sarebbe infatti meglio aderire alla favola degli dèi, che essere schiavi della necessità fisica : (134) nel primo caso infatti, onorando gli dèi, vi ha speranza di impe­ trazione, nel secondo invece vi ha nece ssità inesora­ bile 5 0 • E non pensando la fortuna come una divi­ nità a guisa del volgo (la divinità infatti nulla opera senz ' ordine), e non pensandola neppure come causa incerta di tutti i beni e mali umani (nè il bene nè il male infatti vengono agli uomini dalla fortuna, secondo il sapiente, sebbene grandi beni e grandi mali siano da essa avviati) " 1 , un tal uomo reputa meglio esccndo da esse derivare il for­ tuito, e considerando questo non come un fenomeno la cui cau­ salità meccanica ci sfugge, ma cmne un fenomeno realmente sconnesso dalla serie meccanica. (49) La proposizione retta da giacchè si connette con un tal uomo rimane imperturbabile e contiene le ragioni della sere­ nità del sapiente. Siccome quel­ lo che accade per necessità in­ declinabile non può essere chia­ mato a rispondere, è fuori della sfera morale dell'uomo. Siccome quello che accade dalla fortuna appare fluttuante e irregolare, non può fondare la stabilità ma­ tale nè dare la regola per pro­ cacciarla. Siccome infine le azio­ ni della volontà sole sono esenti dal dominio della causalità mec­ canica, soltanto esse hanno ca­ rattere morale e rendono possi­ bile il bene e il male della vita. Poichè adunque gli eventi che accadono all'uomo sono tutti in­ differenti al suo bene, tranne

quelli che egli ha in sua mano grazie alla libertà, è manifesto che il sapiente resta ad essi in­ differente ed impavido. Tutto il passo patisce difficoltà e la cau­ sale non si articola in modo del tutto soddisfacente, ma il succo della dottrina è che, data la li­ bertà, il determinismo inelutta­ bile che incatena le altre parti. della natura non pregiudica alla nostra facoltà di vivere beata­ mente. (50) È un'ipolessi più esiziale quella che soggioga tutto alla necessità fisica, che non quella che soggioga tutto alla divinità. Dio infatti, come essere vivente e libero, può essere piegato dalle preghiere degli uomini e conformare gli eventi al loro de­ siderio. Epicuro combatte ogni dottrina della fatalità naturale, ma segnatamente il meccanici­ smo di Democrito. (51) Anche questo passo è poco chiosato dagli interpreti. La fortuna non reca all'uomo nè

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xo

sere sfortunato con senno che senza senno fortunato. (135) È infatti meglio fallire nelle azioni, dopo aver sennatamente deliberato, che riuscire grazie alla for­ tuna, avendo preso mal consiglio 52 • Medita dunque giorno e notte questi e altri analoghi pensieri fra te e te, oppure con altri che sia simile a te, e così non sarai turbato mai nè desto nè dor­ miente 5 3 • E vivrai tra gli uomini come un dio : non il bene nè il male, che stanno esclusivamente nella volontaria disposizione dell'animo verso il dato della fortuna, ma tuttavia l'uomo trova in quel dato for­ tuito il principio di beni o di mali grandi, secondo lo sviluppo liberamente impresso a quello spunto. Sembra che Epicuro pensi all'occasione come deter­ minatrice non già degli atti mo­ rali buoni o cattivi (questi sono indipendenti dalla fortuna), ma della situazione storica in cui essi si sviluppano. Da questa si­ tuazione storica e fortuita di­ pende, innegabilmente, la gran­ dezza del bene o del male e vien la differenza tra la sven­ tura di Priamo e la sventura di Tello. (52) Quando le cose non rie­ scono conformi al desiderio no­ stro, sebbene abbiamo operato secondo sapienza, siamo in una posizione migliore che quando le cose assecondano a puntino il nostro desiderio, ma questo desiderio è stolto . La fdicità non è armonia delle cose del mondo coi nostri desideri, co­ munque questi siano, ma è la disposizione del nostro essere

conforme alla sua natura, quan­ do anche le cose del mondo non la secondassero. Si badi atten­ tamente che Epicuro non parla in questo luogo di felicità (e:ù8tXL· f.LOV!tX), ma di riuscita (e:ÙTUX,!tX) . Questa è la contingenza in cui siamo collocati nella natura dal­ la natura, quella invece è il ri­ sultato della nostra energia mo­ rale, che non ci continge feli­ cemente o infelicemente dalla natura, e non può esserci frÙ ­ strata dalla natura. Cfr. Epi­ cureismo, p. 64/5 . Accogliamo la lezione emendata da DIANO che conserva �éÀnov dei codici (USENER �éÀ't'LO"t'OV) e supplisce dopo xpL.&év le parole di Epi­ cureismo, p. 38, post. (8). (36) La beatitudine, cioè il Per

senso della massima

sommo bene interiore, è per

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LXVI. - Compatiamo agli amici non· piangendo, ma provvedendo 3 7 •

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LXVII. - Libera vita non può acquistar ricchezza grande, perchè questa è faccenda difficile senza adula­ zione di moltitudini o di potenti; eppure essa tutto pos­ siede in continua abbondanza. Che se poi sortisca ric­ chezza grande, anche questa sa distribuire agevol­ mente per rendersi il prossimo benevolo 3 8 •

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LXVIII. - Nulla basta a cui è poco i l bastevole.

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LXIX. - Insaziabile ingordigia dell'animo spinge il vivente a variare all'infinito i piaceri del vitto.

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LXX. - Non compiere durante la vita azione alcuna che ti rechi timore, se conosciuta dal tuo prossimo.

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LXXI. - Applica a tutti Epicuro nel novero delle cose che l'uomo può da se stesso procurare a se stesso. Si osservi che questo è il carattere pro­ priissimo dell'etica antica e il punto in cui essa mostra la sua profonda diversità dall'etica evangelica. Cicerone in un pas­ so, che è, per questo rispetto, tra i più notevoli di tutta l'an­ tichità, scrive che tutti gli uo­ mini stimano " externas com­ moditates, vineta, oliveta, sege­ tes omnem denique commodi­ tatem vitae a dis se lwbere, virtutem autem nemo u n q u am a D e o a c c e p ­ t a m D e o r e t t u l i t » (de 11at. deorum, III, 36, 87). A questa concezione essenziale ai Gentili si contrappone il senti­ mento cristiano, per il quale la perfezione morale e la santità, ...

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desideri questa interrogache sono il sommo bene del­ l'uomo, sono l'oggetto della su­ prema ed unica petizione che l'uomo debba alzare a Dio. Per questo punto mi permetto di ri­ mandare al mio studio Morale e teodicea, § 7, nel volume Le dottrine filosofiche e teologiche di A. Manzoni (Torino, 1957). (37) Intendi non di " saggia meditazione » nella morte del­ l'amico (BIGNONE), ma di ope­ rante soccorso nelle sue sven­ ture. (38) e:!ç 't"Ì)v -rou 1t'À1J a!ov e:u­ vor.av 8tottLe:-rp�aott non vale : u sa commisurare alla benevolenza di chi vive con noi » (BIGNONE), sibhene : " distribuire per acqui­ starsi la benevolenza del pros­ simo » , secondo il fine naturale dell'amicizia.

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zione : che cosa mi succederà, se si avveri quel che vo cercando secondo il desiderio, e che cosa, se non si av­ veri ? 3 9 LXXIII. - Anche l'esserci stati certi dolori nel corpo giova a cautelarci dai consimili. LXXIV. - In una disputa fedele alla ragione più profitta chi perde, in quanto acquisti cognizioni.

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LXXV. - Ingrato verso i beni trascorsi è il motto : aspetta il fine di una lunga vita » 4 0 •

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LXXVI. - Tale sei invecchiando, quale io ti esòrto ad essere, e hai riconosciuto che cosa significhi filoso­ fare per se stesso e che cosa filosofare per la Grecia 4 1 • Mi rallegro con te.

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LXXVII. - Il frutto più dolce del contentamento la libertà 4 2 •

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LXXVIII. - L'uomo di alti sensi attende massimamente alla sapienza e all'amicizia : l'una è un bene mortale,_ l'altro immortale 4 3 • (39) Poichè dolori e piaceri si hanno da commisurare nella durata, la morale di Epicuro viene a fondarsi su un giudizio circa gli effetti futuri, il quale non può essere che congetturale e viene espresso nelle due do­ mande di questa sentenza. Ogni morale utilitaria patisce questa incertezza del criterio. Vedi Epi­ cureismo, p. 92/3. ( 40) Il motto è attribuito a Solone. Secondo Epicuro invece­ non alla fine, ma in ogni mo­ mento dell'esistenza la vita è perfetta e la beatitudine consu­ mata.

(41) Vedi 85. (42) Il contentamento, che è agevole quando l'uomo ricerca l'appagamento dei soli bisogni naturali, affranca l'uomo da ogni dipendenza. Anche nel cristia­ nesimo la povertà è concepita come speditezza e libertà di vita. ( 43) BIGNONE e BAILEY cre­ dono che il bene immortale sia qui l'amicizia e il mortale la sapienza, ma non possono ren­ der ragione di questo significa­ to. DIANO p. 148 vuole al con­ trario che immortale sia la sa­ pienza, come quella che rende

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LXXIX.

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Chi è sereno non molesta n è sè nè altrui.

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LXXX. All'uomo di alti sensi infallibile salute nasce dal custodire la giovinezza e preservarla da tutto quanto insozza per assillanti desideri.

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LXXXI. Nè la più gran ricchezza, nè onore e prestigio presso la moltitudine, nè alcuna altra cosa con­ forme ai movimenti illimitati può dissipare l'inquie­ tudine dell'animo e generare la gioia degna.

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gli uomini partecipi della vita divina, e mortale invece l'ami­ cizia, come quella che si ori­ gina dall'indigenza e dal timore e quindi ha luogo soltanto in esseri mortali. Ma questo argo-

mento non vale, poichè anche tra gli dèi ha luogo un com­ mercio di amicizia e di reci­ proco dono gratuito. Vedi 2 14. L'interpretazione della sentenza rimane perciò difficile.

P A S S I D I A LTRE OPERE, F R A MMENTI E TESTI MONIANZE (•)

( 0 ) I frammenti delle opere di Epicuro sono in carattere maggiore, le testimonianze in carattere minore.

CANONICA Nozione di filosofia.

l. - La Rlosofia è un'energia che con discorsi procura la vita beata •. (UsENER 219)

e

ragioni

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2. - Vano è il discorso di quel filosofo che non medica alcuna passione dell'uomo. Come infatti inutile è l'arte medica, se non scacci i morbi dal corpo, così inutile è la filosofia, se non espella il morbo dell'anima. (UsENER 221 )

uo

3. - La filosofia si divide in tre parti : la canonica, intorno al criterio e a l principio; la fisica, intorno al na­ scere e al perire delle cose, e intorno alla natura; e l'etica, intorno alle elezioni e ai rifiuti, intorno ai generi di vita, e intorno al fine. (DIOGENE LAERZIO, Vita di Epicuro: UsENER p. 370, 14, 21)

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4. - Come nel buio trepidano i fanciulli e di tutto paventano, allo stesso m o d o talora noi, nella luce, ci sgo­ mentiamo di cose non più paurose di quelle paurosamente ( l) Si osservi il carattere mo­ rale e pragmatico che l'Epicu­ reismo, non meno delle altre fi­ losofie t)Ostaristoteliche, imprime alla filosofia con questa indi­ stinzione del teoretico, puro or­ dine di concetti, e del pratico,

mondo concreto delle umane azioni. In realtà però anche l'Epicureismo distingue poi tra cognizione speculativa pratica­ mente sterile, e cognizione pra­ tica, efficacemente operante. Ve­ di 3$ e 3 con la nota (10).

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- 76 immaginate dai fanciulli nelle tenebre. Questo terrore e queste tenebre dell'animo bisogna dunque che venga111 dissipate non dal fulgido sole o dai lucidi dardi del giorno, ma dalla filosofia e dalla visione razionale della realtà • .

(LuCR. III, 87/93) 1 23

5· Nella cognizione dei fenomeni celesti a niun altro fine si mira che alla serenità e sicurezza dell'a­ nima. E così anche in ogni altra ricerca. Poichè non di irragionevoli persuasioni e di vane opinioni ab­ bisogna la vita nostra, ma di serenità e di quiete. (Epi­ stola a Pitocle 85 e 87 : UsENER p. 36)

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6. - La tetrafarmaco. La divinità non è paurosa, la morte sfugge al sentimento, il bene è agevole, il male sopportabile. (UsENER p. 69)

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Teoria delle spiegazioni multiple. 1 25

7· Circa i fenomeni celesti non è possibile [venire ad una spiegazione univoca e indubitabile] : essi am­ mettono spiegazioni molteplici, tutte conformi alle sen­ sazioni, sia della loro origine, sia della loro essenza. (Epistola a Pitocle 86 : UsENER p. 36, IO segg.). Si consegue pertanto la sicurezza dell'animo anche in tutte quelle cose che si appurano col metodo delle spiega­ zioni multiple, in accordo coi fenomeni 3 • (Epistola a Pitocle 87 : UsENER p. 36, 17 segg.) -

(2) Il contrapposto tra il ful­ gore della luce esterna in cui viviamo e la tenebra interiore, che ci fa smarrire nel nostro orientamento morale, è imma­ gine anche di lsai. 59, 10: re im­ pegimus meridie quasi in te­ nebris » . (3) Epicuro distingue tra i

principii della natura e i suoi fenomeni particolari. I principii devono essere conosciuti con ve­ rità assoluta e soltanto così ri­ muovono le idee perturbanti della provvidenza e dell'immor­ talità, mostrando che tutto ri­ solvesi in atomo e vuoto. La cognizione delle cause partico-

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Contro gli Scettici. 8. - Se alcuno pensa che niente si possa sapere, non sa nemmeno che niente si può sapere, giacchè riconosce di non sapere niente. E dunque io lascio di disputare con-

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tro costui che in suo cammino mette il capo riverso dove han da stare i piedi. E tuttavia quand'anche volessi con­ cedergli che egli s a di nulla sapere, ancora gli doman­ derei donde sa che cosa sia il sapere e il non sapere, non avendo egli veduto ancora alcnnchè di vero nelle cose, e donde gli venga la notizia del vero, del falso e del dubbio • . (LucR. IV, 469/477)

Il criterio.

9. Tre sono i criteri della verità : le sensazioni, le prolessi e le affezioni •. (U SENER 35) -

10.

- Epicuro dice che delle due funzioni compagne,

il senso e l'opinione, il senso, da lui chiamato anche evi-

lari invece non è richiesta per quella rimozione : basta che sia formulata una spiegazione qua­ lunque conforme ai principii, con esclusione di ogni altra con­ traria ai principii. Non vediamo per es. quale sia in particolare la causa dell'ecclisse, ma se sap­ piamo che questa causa si trova nei principii dell'antologia ato­ mistica, è poi indifferente che l'oscuramento venga da interpo­ sizione di corpi oscuri o da re­ cessione del lume ecclissato o da passeggera estinzione di esso. Sempre infatti il fondo del fe­ nomeno è l'atomo e il vuoto, esclusa ogni amministrazione di­ vina. Cfr. UsENER 347. (4) Confutazione perentoria dello scetticismo. Chi dice non

potersi conoscere alcun vero, non può dire, sul serio, nem­ meno quello che dice, giacchè lo dice come vero. Inoltre non può nemmeno concepire i ter­ mini della sua negazione, poichè l'idea di vero, di falso e di dub­ bio, non può vedersi che in una verità realmente percepita o fal­ sata o dubitata . Perciò lo scet­ tico tenta un procedimento pre­ postero, nel quale dovrebbe ri­ muovere il vero, ponendo il ve­ ro. È la confutazione classica dello scetticismo proposta da ArusTOTELE, Metaph. IV, 1008 B seg. (5) Per le prolessi vedi la de­ finizione al 2, nota (7). Le af­ fezioni (7ta.&7J) sono i sentimenti del piacere e del dolore, fon-

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denza 6 , è per ogni verso vero. Come infatti le affezioni primitive, cioè il piacere e il dolore, nascono da cause reali e conformemente alle cause reali, alla stessa maniera la causa di ciascuna sensazione è per ogni verso e inte­ ramente sensibile, e non potrebbe essere sensibile, se non esistesse in verità tale quale appare. (UsENER 247) 1 29

11. - Anche le rappresentazioni dei dementi e quelle del sogno sono vere : infatti impressionano, mentre quel che non esiste neppure può impressionare. (U SENER 36)

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12. - Epicuro diceva che tutte le sensazioni son vere ogni percezione nasce dal reale, ed è tale, quale è il reale causante la sensazione. Che però errano quei che sostengono essere alcune sensazioni vere e altre false, giacchè non si potrebbe allora distinguere l'evidenza d al ­ l'opinione. Quando dunque pareva ad Oreste di vedere le Erinni, la sensazione cagionata dai simulacri (erano in­ fatti reali) era vera, ma l'intelletto, stimando ohe le Erinni fossero consistenti, cadeva in un'opinione fallace ' . (U SENER 253) e

damentali e infallibili. Di quel che all'uomo piaccia o dispiac­ cia soltanto il sentimento decide e la decisione è senza appello. Avendo fatto del piacere il bene sommo dell'uomo, Epicuro ac­ quista un vantaggio di certezza rispetto ai sistemi che pongono come sommo bene qualcosa giu­ dicabile dalla ragione. ( 6) I l termine tecnico della scuola è ivocpy�:: t oc. (7) Tutte le sensazioni sono veraci, poichè tutte si determi­ nano per una causa reale, cioè per l'azione di simulacri che vengono a imprimersi nel fluido psichico, e tuttavia non tutte ri­ spondono a una cosa reale, poi­ chè non tutti i simulacri ema­ nano da un ente solido per un flusso continuo e omogeneo. Così

la sensazione di un albero ri­ sponde a una cosa reale, per­ chè è determinata da un flusso continuo e simmetrico di simu­ lacri, mentre quella di una chi­ mera risponde sì a qualche si­ mulacro reale errante per l'acre, ma non già a una cosa reale, che dalla sua consistenza com­ patta emani una corrente inde­ fìciente e regolare di simulacri. Come ha rettamente osservato lo ZELLER, Die Philosophie der Griechen, p . III, sez. I (Leip­ zig, 1923) p. 407, l'Epicurei­ smo non è in grado di stabi­ lire in che maniera si possano distinguere i simulacri a cui ri­ sponde cosa reale da quelli a cui cosa reale non risponde, quindi lascia luogo al soggettivismo gnoseologico.

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13. - Prolessi chiamano una percezione o opinione retta o nozione o concetto generale insito in noi, ossia una memoria di quel che appare ripetutamente al senso. Così per es. (( uomo '' : nell'atto infatti di dire (( uomo n , tosto, per la prolessi, precedendo le sensazioni, si raffigura il tipo (( uomo n , (UsENER p. 188, 4)

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14. Le cose invisibili bisogna congetturarle da quelle che appaiono. (DIOGENE LAERZIO, Vita di Epicuro 32 : USENER p. 372, l)

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15. L'opinione la chiamano anche ipolessi, e dicono che può esser vera o falsa. Quando infatti è confermata dall'evidenza o non è contradetta, essa è vera : quando invece non è confermata o contradetta, è per avventura falsa. ( ivi)

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16. - Il falso e l'errore consiste sempre in qualcosa che aspetta di essere confermata o contradetta e che non è confermata o vien contradetta. (Epistola a Ero­ doto 50 : UsENER p. 12, 10 segg.)

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17. - Non sono i colori inerenti ai corpi, ma nascono nella visione da determinate posizioni e disposizioni [degli atomi] . (USENER 30)

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18. - Gli Epicurei, ponendo gli atomi esenti da altera:zrioni e privi di qualità all'infuori della figura e della varia disposizione, sostengono che le altre qualità soprav­ vengono secondariamente, tanto quelle semplici, come la levigatezza e il caldo, quanto quelle che riguardano i colori e i sapori. (USENER 288)

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19. La figura, il colore, la grandezza e il peso, e quant'altro si predica dei corpi ... non si deve pensare che siano realtà esistenti per se stesse (questo è impos­ sibile pensarlo), e neppure che siano assolutamente ine-

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So

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sistenti, nè che siano qualcosa di incorporeo che ac­ compagni il corpo, e neppure che sian parti di questo, sibbene convien pensarli come quello dall'insieme del quale il corpo riceve la sua natura permanente 8 • (Epi­ stola a Erodoto 68 9 : UsENER) (8) Le proprietà degli aggre­ gati atomici non sono realtà so­ stanziali per se stesse esistenti, ma nemmeno sono illusorie e inesistenti. Epicuro le cÒnsi­ dera come la risultanza dei vari

assetti, che nell'aggregarsi a for­ mar le cose, vanno prendendo gli atomi e le chiama aU(LltTW· fLOI:TOI: e aU(L�E�'I)X6-ra:, secondo che appaiono come permanenti o passeggere nell'oggetto.

FISICA Costituzione dei corpi.

20. Il tutto è corpo e vuoto. Che i corpi esistano, lo attesta in universale la sensazione, seguendo la quale ci è forza congetturare col ragionamento anche ciò che non cade sotto la sensazione. Ora se non esistesse lo spazio, che noi chiamiamo anche vuoto e luogo di na­ tura sfuggente al tatto, i corpi non avrebbero dove allo­ garsi e per dove muoversi, come invece appaiono muo­ versi 9 • E oltre a queste due cose non si può pensare altro [come esistente per sè J . (Epistola a Erodoto 40 UsENER p. 6)

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21. - Epicuro insegna che i principii di tutte le cose sono costituiti di corpi percettibili soltanto colla mente e piccolissimi, i quali egli chiama atomi. (UsENER 267)

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22. Altro incorporeo non può pensarsi all'infuori dello spazio. Questo poi non può nè esercitare nè subire azione alcuna, ma soltanto porge ai corpi di po­ tersi muovere in esso. (Epistola a Erodoto 67 : UsENER p. 22) -

23.

-

Dei corpi alcuni sono gli aggregati, altri sono

(9) L'esistenza del vuoto vien qui dedotta dall'esistenza del moto contro Aristotele, che ne­ gava potersi dare un esteso sen-

za corpo esteso e che poneva una condensazione e dilatazione reale della sostanza corporea : cfr. Phys, 213 A segg.

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quelli onde son fatti gli aggregati. Questi ultimi sono indivisibili e immutabili, poichè è impossibile che tutto vada distrutto nel nonessere ; nella distruzione degli aggregati deve aver forza e permanere qualcosa che è per natura massiccio, senza modo e mezzo di venir dis­ solto. Perciò i principii di tutte le cose devono essere nature corporee indivisibili 1 0 • (Epistola a Ero_doto 40/ 1 UsENER p. 6/7) 1 42

24. - Si deve ritenere che gli atomi non presentino nessuna delle qualità che presentano gli aggregati, tranne forma, peso e grandezza e tutto quel che è ne­ cessaria�ente connaturato alla forma. Ogni qualità infatti muta, mentre gli atomi in nulla mutano, do­ vendo, nella dissoluzione degli aggregati, permanere qualcosa di solido e indissolubile, onde le mutazioni siano non un andare al nonessere o un venire dal non­ essere, ma una trasposizione delle parti. Onde è neces­ sario che tali parti che si traspongono siano incorrut­ tibili e immuni dalla natura di ciò che muta. (Epi­ stola a Erodoto 54/5 : UsENER p. 14/5)

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25. - Inoltre i corpi primordiali, indivisibili e massicci, dai quali nascono e· nei quali si risolvono gli ag­ gregati, hanno moltitudine incomprensibile di forme differenti, giacchè non potrebbero nascere tante diffe­ renze negli aggregati, se le forme, onde questi nascono, fossero in moltitudine comprensibile. E in ognuna di tali figurazioni gli atomi cosi conformati sono in molti­ tudine assolutamente infinita, sebbene non infinita, ma solo incomprensibile, sia la moltitudine delle diffe( 10) Seguendo Democrito, Epicuro ritiene che ove la fis­ sibilità della massa corporea an­ dasse all'infinito, l'essere termi-

nerebbe al nonessere, e così, dato l'infinito tempo trascorso, l'universo si sarebbe già risolto nel nulla.

renti figurazioni u . (Epistola a Erodoto 42 P · 7 / 8)

UsENER

26. Alcuni fisici, tra i quali è Epicuro, dissero che la mutazione qualitativa è una specie della mutazione locale. L'ente infatti che si muta nella qualità, si muta per la mutazione locale degli atomi onde risulta 12• (UsENER 291) -

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Moto atomico.

27. Gli atomi si muovono talora perpendicolarmente, talaltra per declinazione spontanea; quelli poi che si muovono in su, si muovono per urto e rimbalzo 1 3 • (UsENER 280)

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28. È anche necessario che gli atomi abbiano tutti velocità uguale 1 4 • (Epistola a Erodoto 61 : UsENER P · I �)

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1 1 1 ) Lf' formf' in cm s1 pre­ sentano gli atomi sono in molti­ tudine incow epibile dalla men­ te, ma non però infinita, mentre il numero di individui esistenti in ciascuna di queste forme è assolutamente infinito. Se infatti fossero infinite le forme, anche le possibilità di aggregazione, cioè le formule combinatorie corrispondenti alle cose, sareb­ bero infinite e così l'ordine del mondo, che si svolge entro de­ terminati limiti generici e s pe­ cifici, diventerebbe impossibile. Se al contrario in ciascuna for­ ma il numero degli atomi fosse limitato, gli atomi si disperde­ rebbero nello spazio infinito è così non potrebbero mai accoz­ zarsi in guisa da dar luogo alla generazione delle cose. ( 12) È il canone di ogni ato­ mismo. Se le proprietà delle co-

se dipendono dall'assetto ch•gli atomi e dai movimenti che Pssi esercitano dentro l'aggregato e ad extra, la variazione di tali proprietà non sarà che una va­ riazione dei moti atomici. ( 13) Si noti che queste tre varietà di moto non significano varietà di velocità o di impulso, ma soltanto di direzione. ( 14) La ragione dell'equiY