Trattato di strumentazione
 8850727038, 9788850727032

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Indice Gli Archi………………………. Violino……………………………… Viola………………………………… Violoncello…………………………. Contrabbasso………………………..

I Legni………………………….. Strumenti ad imboccatura naturale Flauto traverso………………………. Ottavino…………………………….. Flauto contralto…………………….. Flauto basso………………………… Strumenti ad ancia semplice……… Clarinetto in si …………………….. Clarinetto piccolo in mi …………… Clarinetto in la……………………… Corno di bassetto…………………… Clarinetto basso……………………. Clarinetto contrabbasso……………. Sassofoni…………………………… Strumenti ad ancia doppia……….. Oboe………………………………… Oboe d’amore………………………. Corno inglese……………………….. Hekelphon…………………………... Fagotto……………………………… Controfagotto………………………..

Gli Ottoni…………………….. Corno francese………………………. Tromba……………………………… Tromba contralto……………………. Trombe piccole……………………… Tromba bassa in si  ………………… Trombone…………………………… Tuba contrabbassa………………….. Altri Ottoni........................................ Oficleide…………………………….. Cornette a pistoni……………………. I Flicorni ……………………………. Flicorno sopracuto…………………… Flicorno sopranino…………………… Flicorno soprano…………………… Flicorno contralto……………………. Flicorno tenore (baritono) in si ……... Flicorno (Tuba) basso in si  …………. Flicorno (Tuba) contrabbasso in mi …. Flicorno contrabbasso in si  …………. Tube wagneriane. ……………………...

7 9 50 58 71

Arpa…………………………………

Le Percussioni…………….. Strumenti in metallo a suono indeterminato…………….. Campanacci…………………………. Campanelli cinesi…………………… Gong………………………………… Piatti………………………………… Piatto sospeso………………………. Sonagli……………………………… Tamtam…………………………….. Triangolo…………………………… Strumenti in metallo a suono determinato………………. Campane tubolari…………………... Celesta……………………………… Glockenspiel……………………….. Incudine……………………………. Vibrafono………………………….. Strumenti in legno a suono indeterminato……………. Castagnette…………………………. Claves………………………………. Frusta……………………………….. Guiro……………………………….. Maracas…………………………….. Raganella…………………………… Temple blocks……………………… Wood blocks……………………….. Strumenti in legno a suono determinato………………. Marimba……………………………. Xilofono……………………………. Strumenti in membrana a suono indeterminato……………. Cassa chiara………………………… Cassa rullante………………………. Grancassa…………………………... Tamburello basco…………………... Tamburo militare…………………… Tom toms…………………………… Strumenti in membrana a suono determinato………………. Rototoms…………………………… Timpani……………………………..

82 83 83 98 99 100 101 102 113 114 115 116 118 119 127 129 136 137 139 140 149 151 154 167 173 175 179 182 191 194 194 195 196 197 197 198 199 200 201 202 203 204 

207 221 223 223 224 225 228 230 232 233 235 236 236 239 241 243 244 246 246 247 247 248 248 249 249 250 251 251 253 254 254 256 257 258 259 260 261 261 262

Introduzione

Lo studio della strumentazione prelude alla pratica di orchestrazione fornendo le possibilità tecniche, la logica esecutiva, le caratteristiche e i limiti di ogni strumento dell’orchestra. Visti nel dettaglio, gli strumenti mostrano le prerogative e i criteri per farne un giusto uso nell’ambito solistico, cameristico e sinfonico. Solo con un accurato bagaglio di queste conoscenze è possibile affrontare le difficoltà di una prassi orchestrale, disciplina questa che richiede a sua volta anni di applicazione e tentativi, e che necessita di un buon Maestro, sull’esperienza del quale sciogliere gran parte degli innumerevoli dubbi cui uno studioso si troverà a far fronte. Per esperienza diretta rilevo assai lacunosa la preparazione in merito fornita agli studenti dei Conservatori e dei Licei musicali ed è sempre più frequente, nei diplomi di Composizione e nell’allestimento delle nuove opere di giovani compositori, trovarsi di fronte a situazioni grottesche di richieste esecutive del tutto impossibili o, nei casi migliori, di esasperazioni estreme delle difficoltà tecniche tali da rendere in pratica il brano ineseguibile. Anche escludendo seppur tanti casi limite, è purtroppo sempre più diffuso tra gli studenti il pressappochismo e la mancanza di volontà nell’approfondire uno studio che solo nella conoscenza dei suoi dettagli più reconditi si rivela utile e svela il suo fascino maggiore. Complici e cause primarie di questo decadimento didattico sono due. La diffusione dilagante di software di elaborazione musicale, che offrono banche dati di suoni campionati e non, che naturalmente affascinano chi opera nel settore musicale, ma che nulla hanno a che fare con il reale equilibrio dei pesi e delle fusioni timbriche dei veri strumenti sinfonici: un flauto può benissimo suonare nel registro grave del fagotto, ed avere una sonorità prioritaria sul resto dell’orchestra, bastano poche e semplici impostazioni e l’impossibile si realizza. Altra e più dolorosa responsabile del problema è l’indifferenza e caparbietà con la quale chi a capo delle nostre strutture sociali ha da tempo liquidato ogni impegno sulla cultura musicale, tagliando fondi e chiudendo le orchestre, col risultato, fra gli altri, di sradicare la fiducia dei giovani musicisti di poter realisticamente vedere premiati i propri sforzi in un futuro. Questa piccola opera si prefigge di riportare l’attenzione degli studenti sull’importanza di detta disciplina, convinto che alcune argomentazioni promuovino stimoli di approfondimenti sempre maggiori. Opera questa che vuol essere il più possibile pratica e utile, non quindi orientata alle cognizioni storiche, se non mirate a tali obbiettivi, e orientata a fornire una logica nella quale cimentarsi sulle varie argomentazioni: pertanto, quando possibile, si è cercato di evitare riferimenti precostituiti come tabelle riassuntive di trilli o tremoli e via dicendo, basandosi invece sul confronto diretto con le posizioni dei vari strumenti. Proprio per questa impostazione di autocontrollo si è evitato o quasi l’argomento dei suoni multipli degli strumenti a fiato, i quali sfuggendo a logiche esplicabili da chi non abbia prassi esecutiva, solo in una tabella codificata troverebbero uno spazio, comunque limitato a quanto fin ora sperimentato dalla ricerca degli strumentisti: personalmente nutro seri dubbi che su tali improbabili effetti possa essere basata una seria ricerca di linguaggio o possa raffinarsi l’esperienza orchestrale di un autore. Infine mi è sembrato, nel fornire immagini e dettagli morfologici degli strumenti, di colmare un vuoto presente nelle passate pubblicazioni e di indirizzare tramite loro ad un ulteriore percorso logico e di conoscenza. Con i migliori auguri ai giovani (e coraggiosi) attuali e futuri compositori. A.C.

Gli Archi La sezione degli archi costituisce la più numerosa componente dell’orchestra sinfonica: all’incirca i due terzi dell’intero organico. Un rapporto, questo, che seppur non rigidamente, verrà mantenuto nei vari formati , dalla grande orchestra, a quella da camera. In una orchestra sinfonica tradizionale,“a tre”, gli archi saranno: 16 primi violini; 14 secondi violini; 12 viole; 10 violoncelli; 8 contrabbassi: 60 strumenti ad arco per un totale complessivo di 85, 88 elementi orchestrali. Il numero scende, più o meno proporzionalmente, per organici “a due” o per orchestre cameristiche più ridotte: non è comunque un riferimento preciso, quanto un orientamento indicativo. Inoltre, il rapporto percentuale tra gli stessi archi, tende ovviamente a modificarsi, per tagli ridotti: così che, un ensemble di soli archi, con il quale si esegue normalmente il repertorio barocco, è composto solitamente di 12 elementi, così divisi: 3 o 4 primi violini, 3 secondi violini, 3 o 2 viole, 2 violoncelli, un contrabbasso. Lo scopo di queste quantificazioni, è di mantenere un equilibrato rapporto di forze con gli altri strumenti interlocutori, riferendosi all’orchestra sinfonica, e all’interno della sezione stessa. Ovviamente, si tratta di un rapporto basato anche e soprattutto sulle funzioni che gli strumenti dovranno espletare: i violini, i primi soprattutto, ma spesso anche con l’unione dei secondi, creano una formazione in grado di elevare un forte impatto sonoro, anche in considerazione della loro posizione emergente rispetto alle trame di un discorso musicale, in quanto si troveranno spesso a sostenere elementi tematici prioritari, che debbano risaltare anche in condizioni di un fortissimo dell’intera orchestra. Rispetto agli altri strumenti, gli archi, se non diversamente prescritto, suonano per “file”, ossia con l’intervento di tutti gli strumenti che sul rigo della partitura vengono definiti con un nome: violini primi, violini secondi, viole , violoncelli, contrabbassi. Ma spesso può capitare di volerli utilizzare frammentati, ossia divisi, con ampia possibilità di scelta: una fila, ad esempio le viole, può contenere 2 linee melodiche sul suo pentagramma, e trovare la dicitura “div.” (divise): il che corrisponde alla divisione dei leggii della sezione, in modo che le due linee siano equamente divise; in qualsiasi momento si voglia ritornare all’unione di tutti gli strumenti della fila si scriverà sul rigo in questione “un.” (unite). A proposito dei leggii: gli archi ne usano 1 ogni 2 strumentisti; quindi, 16 violini primi saranno supportati da 8 leggii, e via di seguito. Altre divisioni sono possibili: ad esempio possiamo trovare “div. a 3” intendendo che le tre linee melodiche espresse sullo stesso pentagramma siano distribuite equamente tra i componenti della stessa fila. Va detto a proposito, specie per alcuni strumenti, il cui numero non sia compatibile, che tale divisione non è di grande comodità, e può arrecare alcuni problemi in fase di concertazione: specialmente è scomodo, e da evitare, il repentino alternarsi per la stessa fila di divisioni “a2” e “a3”: quando proprio necessario, sarebbe bene specificare quali leggii debbano sostenere suddetti interventi. Infatti, nella gestione delle file , è possibile anche maggiore frammentazione: si possono accorpare 2 0 3 leggii, o gestirli uno per uno, o utilizzare un leggio (o più) in contrapposizione ai restanti elementi della stessa fila; si potrà “assottigliare” il suono di una fila, facendo suonare solo parte dei leggii, e tacere i restanti. Si potrà, infine, dividere lo stesso leggio, in modo che ogni strumentista possa eseguire una linea diversa: paradossalmente, e in modo diametralmente opposto al criterio con cui vengono solitamente trattati, dalla sezione archi di un’orchestra sinfonica si potrebbero levare ben una sessantina circa di linee melodiche differenti!

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Esempio di divisioni della sezione degli archi

Un errore molto diffuso è quello di intendere i violini primi e secondi come un’ unica fila perennemente divisa: in realtà non è affatto così, e ogni fila di violini primi o secondi che siano possono nel caso dividersi come le viole, o i violoncelli, in assoluta autonomia. A questo proposito, è bene tener presente che le quattro parti primarie di un’orchestra d’archi, rispecchiano quelle di un quartetto, il quale è composto da violino primo, violino secondo, viola e violoncello: è così che si proietta in orchestra una costruzione per archi; ai violoncelli è affidato il vero basso armonico della formazione, non ai contrabbassi, il cui ruolo è semmai di marcare i violoncelli all’ottava inferiore, per conferire una maggiore profondità. I contrabbassi avranno invece il ruolo di vero e proprio basso armonico, qualora i violoncelli fossero impegnati in situazioni diverse, cantabili ed espressive, cosa che avviene assai frequentemente. E’ importante capire che il ruolo dei contrabbassi è fondamentale: insostituibili quando devono essere utilizzati come sostegno armonico, o per il raggiungimento delle note più gravi in assoluto,la loro presenza non dovrà essere pedissequa (come anticamente accadeva, tanto da scrivere in un sol rigo violoncelli e contrabbassi) ma alleggerita; marcando solo in alcuni momenti il basso dei violoncelli mediante un più discreto pizzicato, piuttosto che con l’arco, ed escludendoli in fasi del discorso musicale, quando il loro impiego risulterebbe pesante. Capire questo equilibrio è il primo indispensabile passo per concepire una raffinata e moderna scrittura orchestrale.

N.B.: quanto verrà asserito in seguito, circa le tecniche strumentali del violino, posizioni, colpi d’arco, sonorità ecc., varrà genericamente per tutti gli altri strumenti ad arco, dei quali le specifiche considerazioni e differenze verranno trattate strumento per strumento.

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Il Violino Il violino è il più acuto strumento della sezione degli Archi. Sulla sua tastiera sono sospese quattro corde, accordate per quinte progressive: considerando di avere lo strumento di fronte alla nostra vista, sulla sinistra avremo la quarta corda, producente la nota Sol posta una quarta sotto il do centrale, e, di seguito, la terza, Re, la seconda, La, e la prima, Mi:

La Re

Sol

Mi

Consideriamo ora la posizione con la quale lo strumento viene tenuto dallo strumentista, e vedremo posizionata la quarta corda all’esterno, e la prima all’interno. Questa premessa è essenziale per capire il sistema delle posizioni, e dell’azione dell’archetto sullo strumento.

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Posizioni La tecnica principale che consente la creazione dei suoni sulla tastiera è basata sulle posizioni. Supponendo di utilizzare l’arco, sostenuto dalla mano destra, senza toccare con le dita della mano sinistra le varie corde, potremo ottenere solo quattro suoni, il Sol, il Re, il La, il Mi, delle corde vuote; ci accorgeremmo inoltre di poter avere anche due di questi suoni sovrapposti, sfiorando contemporaneamente due corde con l’arco, ma potremo ottenere solo i bicordi causati da due corde vicine, ossia Sol-Re, Re-La, La-Mi. Questo perché il ponticello che sostiene le corde alla fine della tastiera, è sagomato in tal modo da rendere possibile una linea retta, tracciata dall’arco solo in relazione a due corde adiacenti. Se così non fosse, mettiamo conto se le corde fossero sullo stesso piano sulla tastiera, come ad esempio avviene per la chitarra, potremmo, utilizzando l’arco, rendere indipendenti e monodiche solo le corde estreme, la quarta e la prima, mentre dovendo utilizzare le corde centrali saremmo costretti a far suonare tutte e quattro le corde dello strumento, rendendolo inutilizzabile per gli usi che gli competono. Osservando la struttura del ponticello sulla tastiera, entreremo meglio in questa logica :

Ora proviamo a posizionare le dita sulla tastiera, cominciando col dire che le dita utilizzate dal violinista (e dal violista) sono quattro: indice (primo), medio (secondo), anulare (terzo), mignolo (quarto). Nel rapporto con la tastiera del violino, le dita poste in successione su una corda, creano una sequenza basata sulla scala naturale ovverosia creeranno i suoni in successione, come li troveremmo nella tastiera diatonica del pianoforte. Si osserverà che il rapporto di distanza tra un dito e l’altro atto a realizzare un tono, non potrà essere lo stesso di quello per ottenere un semitono; nella prima sequenza di note sulla quarta corda, otterremo infatti le note: La-Si-Do-Re; ebbene, tra secondo e terzo dito, dovendosi sviluppare la distanza di un semitono, le dita risulteranno un minimo più ravvicinate. In questo modo, definito mezza posizione si otterranno tutte le alterazioni e i semitoni cromatici e diatonici ascendenti e discendenti, senza pertanto modificare la logica del sistema delle posizioni. Ritornando alla nostra prima sequenza La-Si-Do-Re, ottenuta sulla quarta corda, avremo in effetti creato una “prima posizione”. Ora, senza far avanzare il polso in avanti, ma utilizzandone la stessa posizione, passiamo alla corda adiacente, la terza: con la stessa sequenza, indice, medio, anulare e mignolo otterranno le note Mi-Fa-Sol-La . 10

A questo punto possiamo osservare che se ritorniamo alla sequenza precedente, sulla quarta corda, man mano che procediamo in senso ascendente, dall’indice verso il mignolo, liberiamo le dita già utilizzate; pertanto, arrivati al Re, sulla quarta corda, con il quarto dito, potremo continuare la sequenza ascendente – e senza cambiare la posizione del polso – sulla terza corda : otterremo quindi così la scala La-Si-Do-Re- Mi-Fa-Sol-La (volendola rendere maggiore, o alterarne cromaticamente alcune componenti, si è già detto, si userà la tecnica delle mezze posizioni). Completiamo ora la prima posizione, proseguendo le sequenze sulle corde seconda e prima ma, beninteso, senza mai far avanzare la posizione del polso: avremo quindi La-Si-Do-Re Mi-Fa-SolLa-Si-Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si. Quindi, una posizione estesa su tutto lo strumento, equivale a due ottave, più un’altra nota, ossia ad una 16esima. Ovviamente il percorso può essere inteso in senso inverso, discendendo dalla più acuta delle note in prima posizione sulla prima corda, alla più grave della stessa posizione posta sulla quarta. Ecco dunque chiarito il motivo essenziale dell’accordatura per quinte, senza la quale qualsiasi discorso fin qui fatto, non sarebbe sensato.

Si ottiene la seconda posizione facendo avanzare il polso della mano sinistra in modo tale che il primo dito sia in relazione con il secondo tasto (N.B.: negli strumenti ad arco, i tasti sono ipotetici, e non contrassegnati come nella chitarra): di conseguenza, la successione delle quattro dita impegnate nella seconda posizione , ad esempio sulla quarta corda, produrrà la sequenza Si-Do- Re- Mi. Con analogo procedimento di quello visto prima, le dita potranno proseguire la sequenza per tutte le corde dello strumento, fino a coprire la distanza di 16esima, prevista per ogni posizione: la seconda, quindi, coprirà questa distanza dalla nota Si, sotto il do centrale, alla nota Do con due tagli.

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La tecnica del violino si basa su sette posizioni principali, cui se ne aggiungono altre cinque, destinate alle corde acute, per raggiungere i limiti dell’estensione dello strumento, che è la seguente: Le note tra parentesi, che portano l’estensione acuta del violino fino all’ultimo La della tastiera del pianoforte, si ottengono mediante l’ “estensione” dell’ultima posizione, ossia allargando le distanze tra le dita della mano, procedimento , questo, di cui si parlerà in seguito.

Ed ecco una tabella dove sono riportate tutte le posizioni dello strumento: per tradizionale convenzione, le posizioni del violino (e della viola), di corda in corda seguono la logica della scala naturale (quindi senza alterazioni), pertanto il primo dito della prima posizione sulla corda del Mi, ad esempio, essendo Fa e non Fa diesis, risulterà di mezza posizione indietreggiato rispetto alle altre corde. Naturalmente, nell’ambito di ogni posizione sarà possibile ottenere oltre ai suoni naturali, anche tutte le loro alterazioni, mediante piccoli adattamenti delle distanze sulla tastiera, le cosiddette “mezze posizioni”.

Una considerazione importante deve essere fatta a proposito della natura fisica dello strumento: man mano salendo verso le posizioni più acute, le distanze tra un tasto e l’altro, diminuiscono. Questo fa si che, ad esempio, sia possibile coprire un maggiore intervallo tra due corde vicine, o nell’ambito della stessa corda, e questo è indubbiamente un vantaggio. Ma la condizione diventa invece svantaggiosa se ci riferiamo alle piccole distanze, ai semitoni ottenuti con le mezze posizioni: specie se in sequenze reiterate e discendenti, le scale cromatiche, o figurazioni comunque in cui abbondino cromatismi, sono sconsigliabili nel contesto di posizioni acute, in quanto estremamente scomode. Ad ogni modo, considerare con prudenza, anche in altre zone dello strumento gli andamenti cromatici, specie se discendenti.

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Prima di proseguire con altri argomenti, approfondiamo ancora il discorso delle posizioni. Se può sembrare superfluo, per chi non debba esercitare la pratica dello strumento, addentrarsi un poco negli aspetti della diteggiatura, in realtà questi argomenti racchiudono logiche di notevolissima importanza, specie per i compositori. L’unità fraseggistica immaginata dall’autore non potrà avere riscontro se a quell’idea non corrisponde una giusta diteggiatura; e spesso, quando il risultato esecutivo delude in tal senso le aspettative, è più in relazione a questo argomento, che non alle responsabilità attribuibili all’esecutore. In linea generale, si mantenga questo principio: laddove sia possibile, mantenere un concetto da esprimere, ad esempio configurabile in un inciso, nell’ambito della stessa corda; dove questo non fosse praticabile, per la natura stessa degli intervalli di detto inciso, o per la maggior ampiezza del concetto che si vuole lasciare unitario, far corrispondere il passaggio da una corda all’altra nei momenti in cui la logica della frase ne risenta di meno. Ecco due essenziali esempi, a chiarimento di quanto detto:

La logica più musicale sta sicuramente nel affidare alla terza posizione della sola quarta corda l’intero passaggio:

Il risultato sarebbe ben altro, se dividessimo la figurazione tra quarta e terza corda:

Nessun paragone può essere sostenuto, circa la fluidità e la cantabilità del primo esempio, rispetto al secondo.

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Si obietterà che nessun violinista adotterebbe spontaneamente la seconda diteggiatura, rispetto alla prima, il che è vero; ma se le esigenze del compositore inducessero a non poter fare altra scelta, come nel caso:

Il compositore dovrà rinunciare all’unitarietà del suo inciso, che sarebbe in contraddizione con le possibilità dello strumento: in poche parole, pensare astrattamente, immaginandosi l’effetto, non volendo avvalersi di una più approfondita ricerca sulla gestione tecnica, non è affatto un buon sistema per ottenere i risultati prefissi: anche a causa di una diretta esperienza nella prassi esecutiva, gli antichi autori non cadevano mai in questo errore di superficialità.

Abbiamo sin’ora visto degli esempi in cui il passaggio da una corda all’altra fosse effettuato nell’ambito della stessa posizione, ma in molti casi può avvenire cambiandola, stringendo il rapporto naturale delle dita:

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Cambiamenti di posizione nell’ambito della stessa corda

Analogamente al caso visto nell’esempio precedente, un cambiamento di posizione può avvenire nell’ambito di una stessa corda, semplicemente restringendo il rapporto tra le dita sulla tastiera:

Supponendo di volere invece formare un’ unica scala per tutta l’estensione dello strumento, o semplicemente una scala di tre ottave, ci accorgeremmo di aver coperto, con il quarto dito sulla prima corda, solo la distanza di una sedicesima, ossia, appena superiore alle due ottave. Per coordinare il proseguimento dell’estensione voluta, è indispensabile l’utilizzo di una tecnica che renda possibile il cambiamento di posizione nell’ambito di una stessa corda che, analogamente al passaggio del pollice per gli strumenti a tastiera preveda lo scavalco delle dita: tale passaggio avviene di preferenza, in senso ascendente tra secondo e primo dito o terzo e primo, viceversa, in senso discendente. La pulizia del passaggio è affidata alla manualità dello strumentista ad arco, per quanto un seppur fisiologico portamento fra un suono e l’altro, è in questi casi inevitabile: altro motivo di interesse, per il compositore, è nel preoccuparsi che tale “sbavatura” avvenga dove espressivamente compatibile, e non affidandola al caso o alle ragioni di abitudinaria prassi esecutiva.

N.B.: la diteggiatura mostrata nell’esempio è semplicemente indicativa della logica da seguire: le normali prassi esecutive possono dare casi molto differenti; ad esempio le scale ascendenti vengono principalmente cominciate dal secondo dito, che da maggiore fluidità e slancio alla diteggiatura seguente, rispetto al primo. Altrettanto, la nota più acuta di una scala spesso viene attribuita all’estensione del quarto dito, se necessario, pur di evitare troppi passaggi 3-1 o 2-1.

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Le corde vuote, solitamente del tutto da evitare nella normale tecnica delle scale, vengono tuttavia utilizzate per agevolare passaggi molto veloci, come nel caso seguente:

Come principio generale, i passaggi di posizione 3-1 o 2-1, riescono migliori in relazione all’intervallo di semitono piuttosto che di tono: maggiore è la distanza in cui questi scavalchi di dita avvengono, più sarà difficile farli risultare ineccepibili; secondo questo principio, anche un cambiamento 2-1 sarebbe da preferire la 3-1, ma spesso è la situazione nel suo complesso che andrà valutata: è il caso, questo, di lasciare all’esperienza dello strumentista la giusta risoluzione del problema, il compositore si preoccupi invece che, sia pure per ragioni tecniche, non venga frainteso il suo intento espressivo. Un ultimo riguardo all’argomento delle diteggiature è volto all’esecuzione di scale cromatiche; l’esempio riportato mostra come principi esecutivi dati per scontati per lungo tempo, siano soppiantati da nuove intuizioni esecutive, che si rileveranno via via più efficaci: Notiamo come la scala cromatica seguente sarebbe stata diteggiata, senza eccezione, fino all’inizio del secolo scorso:

come si nota, il principio della mezza posizione era risolto dai glissandi con lo stesso dito, tecnica che, pur adottata con esperienza, non consentiva la pulizia del passaggio. Dai primi anni del novecento si passò a questa nuova, e del tutto impensabile pochi anni prima, tecnica di diteggiatura, che evita appunto i glissandi, e migliora notevolmente il risultato:

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A questo punto può venire legittima una domanda: il cambiamento da una corda all’altra, deve sempre avvenire tra corde vicine? La risposta è variabile: si, se si considerano casi di melodie legate e conseguenti, no, se si è in presenza di staccato o pause:

Diversità di timbro fra le varie corde Gli strumenti ad arco sono il gruppo orchestrale più omogeneo, in quanto a unitarietà timbrica, e ogni singolo strumento lo è ancor più, in relazione a se stesso. Tuttavia, qualche distinzione può essere fatta, prendendo spunto dal violino, per estendere il concetto agli altri strumenti della famiglia. Le corde estreme, la quarta e la prima, sono quelle dalla maggiore personalità: intensa, vibrante e passionale la quarta, brillante e sonora la prima (in metallo), che permette nel forte ai violini di uscire dalla massa orchestrale. Meno caratteristiche sono le corde centrali, che non offrono particolarità di rilievo dal punto di vista timbrico. A volte, per sfruttare le peculiarità della quarta corda, le si affida una frase che potrebbe, per estensione, appartenere con più naturalezza alla terza; questo avviene per ottenere un suono caldo ed espressivo, portando la corda sulle sue posizioni più tese e acute: esempio di questa scelta è “l’aria sulla quarta corda” di J. S. Bach . Al contrario, è preferibile sempre evitare che una frase melodica intima e delicata come la seguente possa vedere affidata la sua nota d’arrivo alla prima corda, seguendo solo una logica di estensione, in quanto la sua squillante sonorità contrasterebbe, compromettendola, con la poeticità della struttura:

Notare anche l’uso del terzo dito anziché il quarto sulla nota finale: è sempre preferibile affidare ad esso, anziché al quarto, la nota culminante di una melodia, per le sue assolutamente maggiori proprietà di controllo della resa espressiva.

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Corde doppie Come si è già accennato, per l’effetto del ponticello l’arco non può sostenere più di due suoni, prodotti da corde adiacenti. La gamma dei bicordi ottenibili spazia dalla seconda all’ottava, utilizzando le posizioni naturali, arrivando all’unisono e alla nona (nonchè alla decima e oltre, nelle posizioni acute) mediante il istema dell’ “estensione” che consiste, come accennato precedentemente, nell’allargamento del rapporto tra le dita sulla tastiera, rispetto la loro posizione naturale. Supponendo di avere un dito su un qualsiasi punto della tastiera, la nota della corda adiacente che si trova sullo stesso tasto è la quinta giusta del suono che stiamo producendo. Per ottenere il bicordo di quinta, non potremo quindi utilizzare due dita, ma dovremo affidare ad un dito solo il compito di premere due corde sullo stesso tasto:



LA



LA - MI

Questa pratica, di norma corrente nella tecnica violinistica, rende si possibile l’intervallo di quinta, ma per il condizionamento del dito impegnato a coprire due corde, e quindi privato di molte altre potenzialità, non consente di avere un suono morbido, espressivo e vibrato; pertanto, oltre che per le “strappate” che vedremo in seguito, l’intervallo armonico di quinta sarà meglio impiegato in funzione percussiva, in atmosfere rudi e ritmiche, evitandone i momenti espressivi. Proseguendo dall’esempio precedente nella combinazione di corde doppie, mantenendo il primo dito sulla corda più grave avremo, via via la sesta, la settima e l’ottava, fino alla nona, con l’estensione del quarto dito (le alterazioni di detti intervalli saranno ottenibili con le mezze posizioni) .

1° 2°

LA FA

1° 3°

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LA SOL





LA

LA

estensione



LA

4° SI

Invertendo la posizione delle dita, con il primo dito sulla terza corda e il secondo sulla quarta, avremo l’intervallo armonico di quarta, con primo dito e terzo quello di terza, con primo dito e quarto quello di seconda, e con estensione, l’unisono:

1° 2°

MI SI

1° 3°



MI



RE



MI DO

MI

estensione

4° MI (unisono)

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Corde triple e quadruple Avendo già parlato della morfologia del violino e degli altri strumenti ad arco, saremo già in grado di capire che, per l’effetto del ponticello non sarà possibile avere più di due suoni sostenuti da due corde adiacenti. E’ comunque prerogativa dello strumento quella di fornire una più congrua rappresentanza della polifonia e dell’armonia, mediante il sistema delle “strappate”: le dita si posizionano su tre o quattro corde, componendo l’accordo, che verrà arpeggiato, per effetto dell’arco, che partendo dalla corda più grave si attesterà per il valore richiesto sulla corda più acuta (o sulle due più acute, se si desidera sostenere un bicordo). Per una logica estetica ovvia, dovendo dare il senso di un accordo, le corde o la corda sostenute saranno le più acute, non potendo, in caso inverso, avere nelle corde gravi la risultanza di un accordo che, risaputamene, si immagina dal basso verso l’alto. Pertanto, secondo la posizione con cui si suona lo strumento, ossia con le corde gravi all’esterno, l’arco dovrà effettuare un movimento discendente, dal tallone alla punta, ossia “in giù”, atteggiamento che, come si vedrà, gli conferisce un risultato energico e determinato: praticamente si otterrà uno sforzato che, appoggiandosi sulle corde gravi, si attesterà su quelle acute. Ecco l’argomento di un’ulteriore riflessione su quanto importante sia che risultato e progetto debbano trovarsi in condizione di esercitare una sinergia: le corde multiple, sia doppie che triple o quadruple, sono sempre causa di un ispessimento e di un minor controllo del suono, e mai vengono utilizzate per alleviare, bensì spesso per ottenere l’effetto contrario. A questo punto, se sommiamo queste tre condizioni: le strappate hanno senso armonico compiuto solo se in senso ascendente; per la posizione in cui il violino viene suonato, per avere l’effetto precedente si deve necessariamente utilizzare un’arcata in “giù”, che provoca un effetto sforzato; le corde multiple rappresentano sempre una scelta di ispessimento del suono: le tre condizioni concordano fra loro, e l’effetto sarà il felice frutto di una sinergia. Se così non fosse, la pratica delle “strappate” non sarebbe entrata nella letteratura violinistica. Quindi, le strappate appartengono pienamente al retaggio dell’espressione violinistica (e per effetto d’emulazione influenzano altri strumenti ad arco per cui questa pratica non sarà altrettanto naturale e “sinergica”, come si vedrà): un’ impennata di fierezza, anche gestuale! Per comprendere le possibilità delle strappate eseguibili, si faccia riferimento alla tabella delle posizioni: nell’ambito della stessa posizione, il coordinamento delle dita offre una vasta gamma di accordi realizzabili. Ovviamente, utilizzando un dito su una corda, le altre potranno avvalersi solo delle dita restanti. Nel caso di intervalli armonici di quinta giusta, come si è detto, provvederà un solo dito per le due corde adiacenti: sarebbe ben più comodo se in tal caso ci si avvalesse del primo o secondo dito, evitando le altre. Combinazioni di accordi ulteriori saranno possibili utilizzando una o più corde vuote: ( Con il numero zero viene indicata una corda vuota )

n.b. Nel secondo caso, una strana combinazione, in cui le corde vuote terza e prima, solitamente più acute, si trovano in posizione più grave, rispettivamente alla quarta e alla seconda.

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Può essere necessario (e non è il massimo della comodità) restringere il rapporto tra due tasti vicini, implicando due dita non conseguenti (ad esempio, il secondo e il quarto, anziché il secondo e il terzo) nel caso di accordi cui una componente sia ottenibile mediante una mezza posizione, e si trovi in un contesto in cui non si possa fare diversamente:

Condotta delle voci nelle corde multiple Ancora una volta, soffermarsi sull’argomento della diteggiatura non esulerà dall’interesse del compositore. Abbiamo già accennato di quanto contribuisca all’esito espressivo l’unitarietà di timbro e fraseggio determinati dall’uso della stessa corda; trovandosi in un contesto di corde multiple, tale concetto può essere facilmente frainteso, specie per quelle musiche che non trovino riscontro negli esempi esecutivi già di repertorio . Osserviamo l’esempio seguente, tratto dalla più nota produzione Beethoveniana:

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In casi analoghi, è sempre opportuno studiarsi la diteggiatura del passaggio, assicurandosi che l’idea del giusto fraseggio sia possibile, mostrandone una indicazione sulla partitura, affinché non prevalga una scelta esecutiva dettata dalla maggiore comodità.

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Le corde vuote

Quando una corda viene sfiorata dall’archetto senza alcuna diteggiatura, il suono che si ottiene è ovviamente quello dell’accordatura: sol, per la quarta corda, e via di seguito, in successione di quinte per le altre. La corda vuota è un’ insieme di fattori contraddittori: inespressiva, in quanto non può essere vibrata dall’effetto del dito sul tasto, di incerta intonazione, poichè nel corso dell’esecuzione tende a rilassarsi; essenziale per la produzione dei suoni armonici naturali, e agli effetti ad essi collegati, ottima per i pizzicati con la mano sinistra, nonché, come visto per le possibilità fornite alle corde multiple. Come per ogni altro aspetto, anche in questo caso le potenzialità, pur genericamente negative, possono essere utilizzate utilmente, se indirizzate ad un giusto fine espressivo. Circa la durezza di un suono un po’ “pesante” e inespressivo, questa può essere convogliata verso un effetto voluto: un ritmo frenetico di quinte vuote ripercosse può ad esempio essere la scelta ottimale per un’atmosfera dalle tinte forti. Abbiamo già accennato all’utilità delle corde vuote nella diteggiatura di passi difficili. Inoltre, il suono di per se ottuso della corda vuota può persino contenere delle vene di espressività lirica, un “bordone” dagli effetti quasi nostalgici, che, unito alla maggiore libertà concessa alla diteggiatura della corda attigua, può creare situazioni intense: A. Cusatelli: Concerto per violino e orchestra (Ed.Ricordi) – primo tempo (cadenza)

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A parte gli esempi citati, l’utilizzo delle corde vuote non è mai consigliabile, nella norma, nel corso di un’espressiva frase melodica; anche dove possa divenire una consuetudine orchestrale, dettata più da pigrizia che da altro, rifiutare che, come nell’esempio seguente, la conclusione di una frase musicale possa avvenire su una di esse:

Trilli e batterie Su qualsiasi strumento ad arco, il trillo, di semitono come di tono, si ottiene mediante un capotasto, ossia un dito premente il punto della corda relativo alla nota da cui il trillo ha origine, e la veloce ripercussione del tasto successivo ad opera del dito seguente (e non, come per le tastiere, mediante la ripercussione alternata di due dita). Per quanto concernente alla grafia, essa rimane invariata rispetto agli altri strumenti:

Quando, mediante lo stesso principio, l’intervallo supera la seconda maggiore, il trillo prende il nome di batteria e si modifica la grafia: le due note alternate devono comparire entrambe con il valore complessivo della durata della batteria, ed essere unite mediante dei tagli del valore di semicrome, se la batteria è in realtà la scrittura abbreviata di una figurazione ritmica rigorosa:

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mentre, nel caso di una batteria molto fitta e non misurata (l’autentica batteria) i tagli dovranno corrispondere al valore di trentaduesimi:

Trilli e batterie nel contesto di doppie corde

Avendo dato ampio spazio, nei paragrafi precedenti, all’argomento delle posizioni e delle corde multiple, non sarà difficile aggiornare ad esso quanto detto a proposito di trilli e batterie: per questi effetti, si è visto, vengono implicate due dita su una stessa corda, quindi le possibilità di associazione con una corda attigua sono relative alle restanti dita, nelle posizioni realizzabili. Sebbene teoricamente valide, non tutte le combinazioni ottenibili sono comode e consentono l’esito medesimo: per avere idea di ciò, come per ogni altro aspetto tecnico, il compositore dovrebbe atteggiare la mano in modo tale da ottenere la postura richiesta dall’effetto prefisso, valutandone egli stesso i margini esecutivi.

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Le arcate Se la mano sinistra è, per lo strumentista ad arco, la responsabile di ciò che avviene sulla tastiera dello strumento, dall’agilità, al coordinamento, all’espressività e agli effetti, alla destra, e quindi all’arco, sono relegate altre innumerevoli funzioni, primarie e distinte. Ad esso, infatti, sono destinati compiti, sia dal punto di vista tecnico che espressivo, cui la mano sinistra non potrebbe mai provvedere. La tecnica violinistica (e degli altri strumenti della famiglia) è basata sul concorso essenziale di due funzioni distinte e mai interscambiabili: la gestione della tastiera e quella dell’arco. Esso rappresenta, in primo luogo, ciò che per un cantante o uno strumentista a fiato è costituito dal respiro: in questo caso polso, avambraccio e braccio vengono a costituire i polmoni di questo meccanismo, il cui esito terminale è il suono scaturito dallo sfregamento dell’arco sulla corda. Come il respiro, anche l’arco non è inesauribile, e deve essere “ripreso”, coordinando tale esigenza con il giusto fraseggio; come esso avrà vita più o meno lunga a seconda dell’intensità del volume delle note che esprime (e non in relazione alla loro quantità). Prendere “fiato” diventa per l’arco cambiare direzione: scorrendo trasversalmente sulla tastiera, il cambiamento è costituito dal procedere verso destra (in “giù”) piuttosto che verso sinistra (in “su”); le analogie con il respiro però, a questo punto cessano, in quanto l’effetto dell’arco in giù o in su, ha dei caratteri distinti e indirizzabili a scopi differenti. Consideriamone alcuni aspetti morfologici e fisici: in primo luogo distinguendone i due estremi: la punta e il tallone:

In prossimità del tallone avremo l’impugnatura, pertanto, ragionando secondo il principio fisico della leva, il tallone costituirà il fulcro di essa, ossia la massima concentrazione di energia. Quando l’arco scorre verso destra quindi, dal tallone alla punta (in “giù”), la massima forza l’avremo all’inizio, e la perderemo man mano; viceversa, andando in direzione opposta, dalla punta al tallone (in “su”). In base a questi due principi, la direzione data all’arco sarà idonea a precise prerogative: se dovessimo ad esempio realizzare un crescendo, utilizzeremo l’arco in su, convogliando verso una crescente fonte di energia; per uno sforzato, invece, sfrutteremo l’arco al tallone, utilizzando subito la massima energia disponibile. Ovviamente queste sono le prerogative distinte dell’arco nelle due direzioni: ma non è affatto necessario essere in presenza di un crescendo, per avere l’arco in su, o di uno sforzato, per averlo in giù; primariamente, come si è detto, la funzione dell’arco, ancora prima che espressiva, è vitale, nel fornire una fonte continua e alternata di suono. Ogni cambiamento della direzione dell’arco costituisce un’arcata.

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In una singola arcata possono esservi contenute più o meno note, in base a fattori pratici o espressivi. A caratterizzare le due direzioni di arco, esistono due simboli:

Arco in giù

Arco in su

Queste indicazioni non andranno, beninteso, utilizzate per ogni cambiamento d’arco, ma solo in presenza di un cambiamento non previsto di esso, o in altre situazioni particolari. Di norma, un attacco in battere reca l’arcata in giù, mentre un inizio in levare quella in su; le arcate successive, se non si prevedono modifiche, seguono la logica sottintesa dell’avvicendarsi della direzione dell’arco, pertanto non necessita che vengano indicate. Qualora entro un’arcata siano comprese più note, esse verranno racchiuse con un segno di legatura: tutte le note comprese in essa, recheranno quindi la stessa direzione d’arco. Una nota singola, senza legatura, implicherà un cambio d’arco sulla nota seguente:

ma l’esempio citato verrà scritto senza alcun simbolo relativo alle arcate, in quanto sottinteso:

Se volessimo invece realizzare un crescendo sul primo movimento, e uno sforzato in quello successivo, scriveremmo:

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questo in quanto l'arcata in su è più favorevole al crescendo, mentre l'arcata in giù è più utile per lo sforzato.

Supponiamo di voler alternare due note staccate con due note legate:

In questo caso si alternano una quartina con l'attacco normale a una quartina con l'attacco contro arco, il che è legittimo.

Ma supponiamo di voler avere tutti gli attacchi simili. Allora scriveremo:

Oppure:

In questi due modi la seconda quartina comincia con l'arco in giù. Qualora volessimo più arcate nella stessa direzione, per i più vari motivi, sia espressivi che tecnici, dovremmo sempre specificarlo con il simbolo adeguato:

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E’ necessario indicare il simbolo dell’arcata quando si è di fronte a situazioni ritmiche imprescindibili: nell’esempio sottostante, le biscrome non potendo recuperare che una minima porzione di arco, se esso dovesse cambiare, non renderebbero possibile la nota lunga che segue; in tal caso, è necessario che la divisione sia gestita in questo modo:

per evitare i segni d’arcata, potremo anche usare le legature:

Il numero di note eseguibili in una stessa arcata è in rapporto a due fattori: velocità ed intensità. I rapporti sono, rispettivamente, diretto ed inverso. E' chiaro che più rapide sono le note, maggiore è il numero di note eseguibili; più forti sono, e meno se ne possono eseguire.

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Colpi d’arco Il violino, come gli altri strumenti della famiglia, possiede una vastissima gamma di espressioni, ottenibili con il diverso modo di utilizzare l’arco, specie negli staccati. Per averne una qualche idea, pur non esaurendo l’argomento, ecco in seguito riportati alcuni esempi, tratti dal repertorio:

Sciolto (o détaché): Ogni nota prevede il cambiamento d’arco; il suono non è staccato, la sonorità risulta piuttosto energica

Legato: Tutte le note comprese nella legatura si eseguono in un’unica arcata

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Ondulato : La mano destra si alza e si riabbassa leggermente durante l’arcata, senza mai fermare l’arco, ma consentendo ai suoni, che non risulteranno staccati, di risultare lievemente separati tra loro

Martellato: Una sola nota, staccatissima, per arcata; l’arco non viene sollevato dalla corda

Picchettato: Serie di suoni staccati in una stessa arcata

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Picchettato volante: Più note staccate nella stessa arcata con sollevamento volontario dell’arco

Spiccato: Tutti i colpi d’arco che si producono con piccoli movimenti del polso e delle dita, siano essi appoggiati o di rimbalzo, prendono il nome di spiccato; a seconda del carattere e dello stile del repertorio da eseguire, l’effetto sarà più leggero e netto, come nell’esempio seguente o più marcato, prendendo in questi casi altri nomi, come saltellato, balzato, ecc.

Spiccato volante: Effetto di suoni decisamente staccati, prima del sollevamento volontario dell’arco, in passi di velocità moderata

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Saltellato: L’arco si solleva spontaneamente per l’elasticità dei crini, cambiando ad ogni nota

Balzato: Arco sollevato volontariamente ma che sfrutta un iniziale rimbalzo naturale; effetto piuttosto marcato

Ricochet: Effetto, a metà strada tra il picchettato volante e lo jetée che sfrutta la naturale elasticità dell’arco, lasciato cadere sulle corde ma con un controllo ritmico esercitato dal polso; può essere utilizzato in giù o in su, indifferentemente.

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Jetée: Effetto che, come il precedente sfrutta il rimbalzo spontaneo dell’arco sulla corda, ma senza alcun controllo ritmico, pertanto adatto all’uso solistico e non a più strumenti insieme. Si prescrive prevalentemente con l’arco in giù.

Come si noterà, molti colpi d’arco avranno la medesima grafia: ad esempio picchettato, picchettato volante, ricochet e jetée si raffigurano con una legatura e dei segni di staccato sopra ogni nota, balzato e saltellato non hanno alcun segno grafico che li contraddistingua, ecc. Difatti, è solo in fase di esecuzione che si procederà alla selezione della tecnica adeguata al passaggio, in base alle caratteristiche del brano e del periodo in cui è stato scritto, mentre nulla andrà specificamente indicato sulla partitura (ad eccezione dello jetée , le cui caratteristiche di spontaneità devono necessariamente essere sottolineate). Analogamente ad un brano per pianoforte, in cui l’autore, prescrivendo uno staccato non sottolineerà se debba essere di polso o di braccio, a determinare l’effetto voluto saranno le indicazioni circostanti, e generiche, dal ritmo, alla dinamica, all’accentuazione, al carattere espressivo. Essenziale rimane tuttavia avere l’orecchio allenato a distinguere i vari effetti espressi dal colpo d’arco, per poter dare le indicazioni generiche rivolte ad ottenere quanto immaginato: un ottimo esercizio potrebbe essere prefiggersi un determinato colpo d’arco, scrivere un esempio e, in base alle indicazioni generali, verificare con uno strumentista se corrisponda allo stesso.

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Sonorità diverse: tastiera e ponticello La posizione naturale dell’arco, rispetto al violino, si trova all’incirca verso la metà della distanza esistente tra il ponticello e la fine della tastiera (un po’ più vicino a quest’ultima):

: In questo modo, lo strumento avrà la sua sonorità naturale, ovviamente nella molteplicità degli effetti espressivi precedentemente conosciuti. Ma posizioni differenti dell’arco possono a loro volta creare nuove e importanti sonorità; si potrà infatti prescrivere lo spostamento dell’arco “alla tastiera”, ossia, in prossimità di essa, come nell’immagine seguente:

Si otterrà così una sonorità enfatica, adattissima alle intensità espressive dei momenti più lirici: timbricamente il suono perde la sua naturale rotondità e diventa un po’ opaco

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Al contrario, se prescrivessimo la posizione dell’arco “al ponticello” otterremmo una sonorità vitrea, sottile ed afona, tendente a spezzarsi nel corso di frequenti oscillazioni di sonorità; utilizzata infatti nel normale contesto espressivo, in frasi cantabili, con l’arco che scorre normalmente, produrremmo in sostanza una pessima sonorità (pur utilizzabile utilmente se l’effetto che si prefigge è grottesco), per quanto ampiamente sperimentata dagli autori della seconda metà del novecento.

Per avere solo i vantaggi di questa sonorità particolare, si dovrà evitare che l’arco scorra per lunghe porzioni, in pratica cambiandone la direzione prima che la sonorità si spezzi. Condizione ottimale è quindi l’uso del “tremolo”, in cui l’alternarsi velocissimo di una minima porzione dell’arco, prescritto al ponticello, crea una sonorità tutta particolare, nasale, misteriosa, adatta ai momenti di suspense . Altro modo di utilizzare senza inconvenienti questa sonorità particolare è nello staccato, per lo stesso motivo della breve sosta dell’arco sulla corda; già Beethoven, nello scherzo del quartetto op.131 prescrive “al ponticello” un passaggio staccato, cui la particolare sonorità serve a rendere un clima allegro e frenetico:

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Quando poi, esaurito il contesto in cui si adotta questa particolare sonorità, così come quando si è prescritto il suono “alla tastiera”, si indicherà con “posizione naturale” (o “nat.”) il ripristino dell’arco nella sua sede normale.

Vibrato Tranne quando, ovviamente, si usano le corde vuote, nella norma il violinista tende a migliorare la qualità del suono mediante minime e rapide oscillazioni avanti e indietro del dito premuto sul tasto; tale effetto, detto “vibrato” è da ritenersi fisiologico, e non va indicato. Può essere opportuno indicare il “ vibrato” o il “molto vibrato”, in passi dove questo effetto voglia essere accentuato, ad esempio in un contesto di frase molto lirica e passionale (quarta corda, alla tastiera, molto vibrato: l’insieme di queste indicazioni produce l’apice di una sonorità struggente). Al contrario, per esprimere un suono immobile e volutamente inespressivo, si potrebbe adottare l’indicazione “non vibrato” o “senza vibrare”, che corrisponderebbe all’intento di privare il suono anche del vibrato fisiologico, di cui si è detto. A volte, alcune indicazioni generiche sono sufficienti al violinista per metterlo in condizione di adottare i giusti provvedimenti per il risultato sonoro richiesto: “molto espressivo; intenso; appassionato” ecc., o al contrario: “freddo; inespressivo”. E’ preferibile, comunque, a queste scritte generiche, dal carattere più grande, aggiungere, più in piccolo, o tra parentesi, i termini tecnici di riferimento:

Flautato Il volume sonoro degli strumenti ad arco è dato da due fattori concomitanti: velocità dello scorrimento dell’arco e pressione dello stesso sulla corda. Se la pressione diventa minima, ma l’arco scorre velocemente, si ottiene un suono “ventilato” non di forte sonorità, ma suggestivo e fluido, quasi ad imitare il suono del flauto. Si indicherà con “flautato” (o “flautando”).

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Tremolo Il tremolo è un effetto ottenuto mediante il rapidissimo alternarsi di una minima porzione dell’arco sulla corda. Pertanto, la mano sinistra sulla tastiera non è affatto vincolata in questo contesto, e può procedere liberamente (senza confondere l’effetto del tremolo con i trilli o le batterie, di cui abbiamo già parlato). Si possono ottenere sfumature differenti, se si utilizza la parte centrale dell’arco, più adatta alle sonorità forti : si ha in questo caso un effetto drammatico, di tensione emotiva. Più sottile è invece l’effetto che si produce alla punta dell’arco, adattissimo per i pianissimi e i climi surreali, di attesa e mistero: ottimo è l’effetto del tremolo alla punta, in prossimità del ponticello. Il tremolo può riguardare anche la simultaneità di due corde adiacenti, in tutti i casi di bicordi possibili. La grafia indicante il tremolo è data da un simbolo e non da una espressione testuale: tre o quattro tagli sul gambo (o sopra o sotto la testa della nota, qualora fosse un intero) delle note interessate:

L’effetto è libero, non misurato. La prima indicazione del tremolo si ebbe nel “Combattimento di Tancredi e Clorinda” di Claudio Monteverdi.

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Arco usato dalla parte del legno

Un effetto particolare è dato dall’utilizzo sulle corde della parte lignea dell’arco, e non dei crini (“col legno”). Naturalmente è inadatto a sostenere il suono, che in tal caso assumerebbe una tale precarietà da renderlo inutilizzabile, per quanto utopicamente presente in diverse partiture del novecento. Ma utilizzato per degli staccati di carattere percussivo, colpi isolati o ribattuti, acquista un carattere proprio e degno di interesse: il legno rende più determinato e rotondo al tempo stesso il suono ottenuto. Benché destinati alla parte dei crini, alcuni colpi d’arco possono adattarsi all’uso del legno: il picchettato, il balzato, possono caratterizzare ulteriormente questa prescrizione. Gli strumentisti sono riottosi ad un uso prolungato di questa indicazione, a causa dei danni riportabili alla lunga dallo stesso arco, e spesso, in uso orchestrale, preferiscono rendere l’effetto del legno percuotendo le corde con la parte iniziale dei crini, quella vicino al tallone.

Glissandi e portamenti

Si ottengono facendo slittare una o due corde premute (e non sfiorate) sulla tastiera, da un punto di partenza ad un qualsiasi intervallo raggiungibile sulla stessa corda ; per quanto riguarda i glissandi, solitamente di maggiori dimensioni rispetto ai portamenti, si tratta in pratica di un rapido cambio di posizione tra due punti della tastiera, creando un effetto di slittamento tra un suono e l’altro: l’effetto deve sempre essere indicato dall’espressione gliss. e accompagnato da una linea di congiunzione (o da una serpentina) sulla testa delle note interessate. Può essere ascendente o discendente:

I portamenti sono di solito affidati alla sensibilità e al buon gusto dell’esecutore, che allo scopo di accentuare l’intensità di un passaggio, provvederà a congiungere due suoni, solitamente non grandi distanze, mediante analogo processo di slittamento, ma con fini espressivi, quindi sottolineandone l’evidenza. A seconda del repertorio, e dell’epoca interpretativa, questo libero arbitrio esecutivo è molto variabile e suscettibile di revisioni. Alle volte lo stesso autore può prescrivere un effetto di portamento: in tal caso sarà sufficiente sovrastare le due note in questione con una linea semplice, senza aggiungere alcuna dicitura.

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Sordina

E’ una sorta di “pettine” inserito in prossimità del ponticello, avente la funzione di smorzare la sonorità delle corde. Non viene utilizzata, tuttavia, per diminuirne il volume, in quanto a tutti gli strumenti ad arco è possibile portare ad estremi livelli un pianissimo (oltretutto, potendosi prescrivere divisioni infinitesimali delle file), quanto per le caratteristiche timbriche ad essa attribuibili. Nel piano, produce l’effetto di un clima remoto, opaco, inespressivo ma non privo di dolcezza; nel forte (uso per nulla contraddittorio) rende una sonorità soffocata, piena di angoscia. La sordina (“con sordina”) può essere inserita prima dell’inizio di un movimento, o nel mezzo, a condizione che ci siano pause sufficienti per permettere questa evenienza; altrettanto dicasi per quando andrà tolta. Prevederne sempre l’uso per lunghe sezioni, o per interi movimenti, e non per apparizioni sporadiche: evitare anche di usarla, toglierla e riutilizzarla nello stesso movimento.

Pizzicato Questo importantissimo effetto prevede l’utilizzo delle dita della mano destra che, sollevando l’arco dalla tastiera, provvedono a pizzicarne le corde. Il risultato è quello ben noto, di un suono dalla nitida emissione e di breve durata, del tutto contrastante con quello provocato dall’uso dell’arco. Nel violino produce un effetto brillante, specie se usato nelle zone acute e con figurazioni vivaci. Circa l’agilità risulta notevolmente ridimensionata, a causa della minore scorrevolezza della mano destra nell’atto di pizzicare le corde, rispetto a quella dell’arco: per figurazioni reiterate di quartine di semicrome, ad esempio, non oltrepassare mai i cento battiti al minuto per semiminima (= 100). Un ottimo esempio musicale dell’effetto e dell’agilità del pizzicato lo si trova nello Scherzo della Quarta Sinfonia di P. J. Tchaikowsky, dove l’intera sezione degli Archi esegue il lungo episodio iniziale con questa tecnica.

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E’ naturalmente possibile pizzicare due o tre corde simultaneamente, (riducendo ovviamente i limiti d’agilità): in questi casi preferibilmente coinvolgere la corda interna, (la prima) più comoda nell’essere trattata rispetto la quarta, per la posizione della mano destra sulla tastiera. Si può ottenere anche un accordo di quattro suoni, col risultato di un effetto arpeggiato L’indicazione per il pizzicato è testuale (pizz.) e va inserita sopra il rigo in relazione alla prima nota da pizzicare; tutte le note seguenti saranno intese pizzicate. Per tornare al normale uso dell’arco, è indispensabile specificarlo con la relativa indicazione (arco). Un’ osservazione importante riguarda la rapidità con la quale poter passare dall’arco al pizzicato e viceversa: questa sarà variabile, a seconda che l’arcata precedente, o seguente al pizzicato sia in giù o in su. Maggiore sarà le rapidità nel passaggio dall’arco al pizzicato se si proviene da un’arcata in su, viceversa, dal pizzicato all’arco sarà ottimale la ripresa dell’arco in giù; per i casi opposti, prevedere pause adeguate. Come esempi limite, riferirsi ai casi seguenti:

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Pizzicato con la mano sinistra Anche con la mano sinistra si possono pizzicare le corde: questo permette che l’arco possa essere simultaneamente adoperato. L’effetto, destinato soprattutto alle corde vuote, che danno in questo caso una più consistente vibrazione, può anche essere utilizzato con corde diteggiate, con minor rendimento; tuttavia, in entrambi i casi l’effetto e l’agilità non sono paragonabili al vero pizzicato, ma potremo avere combinazioni di note suonate con l’arco e contemporaneamente note pizzicate. Inoltre, in situazioni accordali, potremmo avere un bicordo sostenuto dall’arco e una o due note pizzicate con le restanti dita, senza utilizzare l’effetto della “strappata” Adibire, per quanto possibile, solo il terzo e il quarto dito, o entrambi, a questa pratica, perché l’effetto sarà migliore, specie in combinazioni accordali. L’indicazione relativa a questo tipo di staccato è affidata al simbolo + posto sulla testa di ognuna delle note da pizzicare: quindi non si useranno né l’indicazione testuale di “pizz.” né quella di “arco” quando l’effetto dovrà terminare.

Armonici naturali Ogni suono emesso da un corpo vibrante è in realtà una serie di suoni sovrapposti al suono fondamentale, ossia quello che percepiamo (suono 1). Da questo, infatti si propaga una sequenza di risonanze, dette “armoniche” che, pur non udendosi esplicitamente, gli conferiscono corpo e pienezza. Le prime cinque armoniche producono rispetto al suono base la triade perfetta maggiore, seguendo avremo la settima minore, di difficile realizzazione, e poi una ulteriore ottava; seguono combinazioni di armoniche più fitte e dissonanti. Vediamo ora, sulla quarta corda del violino, a quali distanze intervallari si produce la serie di armoniche naturali, limitata alle prime sette; stesso rapporto è logicamente da mantenere qualsiasi sia il suono fondamentale a cui si faccia riferimento:

Applicando una tecnica specifica, diversa per ogni famiglia di strumenti, si riesce ad estrapolare ognuno di questi suoni nascosti, e renderlo perfettamente udibile e isolato: i suoni così ottenuti prendono il nome di armonici naturali . Se per gli strumenti a fiato questa tecnica è indispensabile per il proseguimento stesso dell’estensione dello strumento, rispetto all’ottava di base, e quindi è imprescindibile, per gli archi , capaci di produrre l’intera gamma dei suoni che costituiscono la sua estensione in modo naturale, diventa una scelta timbrica ed espressiva. Infatti, il suono armonico è facilmente individuabile all’ascolto, rispetto un suono fondamentale: la sua sonorità è trasparente, esile, la mancanza di vibrazione sulla corda conferisce al suono una fissità inespressiva, ma nel complesso attribuisce ad esso un fascino poetico particolare e caratteristico. Naturalmente, il diverso modo di interagire che l’arco avrà rispetto ad un suono armonico ne metterà in rilievo una o altra caratteristica: un arco “flautato” accentuerà il carattere diafano e l’esilità del suono; il tremolo o i vari colpi d’arco dello staccato daranno effetti diversi; lo scorrimento e la pressione dell’arco conferiranno maggiore volume, pur nella sostanziale esilità. La tecnica per ottenere questi suoni particolari consiste negli archi lo sfioramento anziché la pressione di determinati punti sensibili della tastiera. Affrontiamo ora un discorso basato sulle leggi dell’acustica, per risalire alle origini del percorso logico sul quale è fondato l’ argomento. Un suono fondamentale (suono 1) ha origine da una corda posta in vibrazione tra capotasto e ponticello:

Sfiorando alla metà esatta fra capotasto e ponticello, otterremo il secondo armonico, corrispondente all’ ottava del suono fondamentale, che si suddividerà in due segmenti ognuno dei quali producente il doppio delle vibrazioni del suono 1:

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Il terzo armonico produce la quinta dell’ottava della fondamentale; la corda deve essere sfiorata ad un terzo preciso della sua lunghezza, indifferentemente dalla parte del capotasto o del ponticello. La vibrazione del fondamentale si suddivide in tre parti uguali, ognuna avente il triplo delle vibrazioni del suono 1:

Il quarto armonico produce la doppia ottava del suono fondamentale; la corda deve essere sfiorata ad un quarto della sua lunghezza. La vibrazione del fondamentale si suddivide in quattro parti uguali, ognuna avente il quadruplo delle vibrazioni del suono 1:

N. B.: le note tra parentesi corrispondono all’effetto in comune con altre combinazioni già viste, sfiorando analoga posizione sulla corda.

Il quinto armonico produce la terza maggiore della doppia ottava del suono fondamentale. La corda deve essere sfiorata ad un quinto della sua lunghezza. La vibrazione del fondamentale si suddivide in cinque parti uguali, ognuna avente il quintuplo delle vibrazioni del suono 1 ; si può ottenere questo armonico sfiorando quattro posizioni differenti:

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Il sesto armonico produce la quinta della doppia ottava del suono fondamentale; la corda deve essere sfiorata ad un sesto della sua lunghezza. La vibrazione del fondamentale si suddivide in sei parti uguali, ognuna avente il sestuplo delle vibrazioni del suono 1:

Il settimo e l’ottavo armonico possono essere ottenuti nella pratica solo sfiorando direttamente le note risultanti:

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Quanto alla grafia, un armonico naturale s’indicherà con tondino, se la nota da sfiorare è corrispondente alla nota d’effetto, mentre si indicherà con un rombo quando il punto da sfiorare sia diverso da tale nota:

Nel secondo caso, oltre il rombo, andrà specificata la nota d’effetto con il suo valore. Ovviamente, se una nota contrassegnata dal rombo fosse premuta, anziché sfiorata, si produrrebbe la stessa, e non l’ armonico corrispondente. Su ogni corda vuota di uno strumento ad arco, mantenendo gli stessi rapporti d’intervallo, sarà possibile creare i relativi suoni armonici della nota fondamentale.

Glissando di armonici naturali Fra gli effetti utilizzati nella letteratura musicale del novecento, sul principio degli armonici naturali, vi è quello del “glissando”: il dito sfiora la corda rapidamente avanti e indietro, mentre l’arco procede normalmente. Sulle zone sensibili della tastiera si produrranno la serie dei suoni armonici naturali, in rapidissima sequenza tra loro, mentre le parti non attive della tastiera non produrranno alcun effetto:

Non potranno in tal caso ovviamente essere esclusi nessuno dei suoni della sequenza, tranne che eventualmente quelli estremi; ma non è una grande prerogativa, in quanto l’effetto è dato dalla rapidità e dal più ampio numero di armonici ottenibili: circa la validità dell’effetto stesso è da intendere come un leggerissimo e frenetico brusio, dove le note in sequenza appaiono stentate e opache; inoltre, non essendo un effetto misurato ritmicamente, nel caso di una fila di archi i suoni così ottenuti si amalgamano tra loro in combinazioni casuali. 45

Osservazione: dall’argomento degli armonici si evince, parallelamente, una logica importantissima: la tastiera, divisa in più segmenti di uguale lunghezza, fa corrispondere ad essi ben diversa capacità intervallare, a seconda che si producano verso il ponticello o verso il capotasto:

Su una corda, divisa ad esempio in sei parti uguali, si può utilizzare la medesima diteggiatura per coprire intervalli sempre crescenti, man mano che si procede verso il ponticello: secondo e quarto dito, che in prima posizione coprono una terza maggiore, in quarta posizione corrispondono ad una quarta, in settima posizione ad una quinta, in undicesima ad un’ottava.

Armonici naturali su doppie corde Sono possibili anche bicordi di armonici naturali, ottenibili su due corde adiacenti sfiorate nei punti sensibili; per la loro buona riuscita, si dovranno evitare sfioramenti delle corde in zone della tastiera troppo in prossimità del capotasto: non scendere pertanto sotto la terza maggiore, rispetto alla corda vuota. La tabella sottostante, relativa alle possibilità tra quarta e terza corda, sintetizza analoghe combinazioni trasportabili per tutte le corde adiacenti; con l’asterisco le combinazioni più difficili:

*

* 46

*

*

*

Armonici artificiali I suoni armonici artificiali, sfruttano lo stesso principio, ma anziché usare alla base una corda vuota, creano un “capotasto” dal quale si genererà la serie degli armonici. Questi ultimi si indicheranno mediante il solito tondino sulla nota di risultanza, e, fra parentesi, con una nota nera il capotasto e con il rombo bianco il punto da sfiorare. Rispetto a qualsiasi capotasto utilizzato, sarà possibile sfiorare al massimo la sua quinta giusta, nelle prime posizioni, nonché la sua quarta giusta, per ottenere rispettivamente il terzo e quarto armonico, mentre con prudenza affideremo allo sfioramento della terza maggiore l’ottenimento del quinto armonico: dalla quarta posizione in su, quest’ultimo è certamente più sicuro sfiorando la sesta maggiore dal capotasto. Altre combinazioni di armonici artificiali sono utopiche, e sconsigliabili.

Esistono due possibili grafie dei suoni armonici artificiali: la prima (esempio seguente) consiste nello scrivere tra parentesi le note da sfiorare (rombo) e il capotasto ( nota nera ), mentre la nota di risultanza è scritta nei valori della sua durata

nell’esempio seguente – di minore praticità di lettura – la nota di risultanza è omessa, mentre il capotasto esprime la durata:

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Lunghezza corda vibrante = 32 cm circa

TAVOLA MORFOLOGICA RIASSUNTIVA DEL VIOLINO

Si

2

Si 2

Do 3 Re 3 Mi 3 Sol 3 Si 3 Re 4 Sol 4 Si 4 Re 5

48

VIOLINO: Rapporto delle posizioni sui vari punti della tastiera

Su una corda

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più grave)

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più acuta)

Prima posizione

4a giusta

8a giusta

2a magg.

Terza posizione

5a giusta

9a magg.

unisono

Quarta posizione

6a minore

10a minore

2a min.(inf.)

Quinta posizione

6a magg.

Sesta posizione

7a minore

Settima posizione

8a giusta

(la corda più grave darà il suono più acuto)

10a magg.

2a magg.(inf.) (la corda più grave darà il suono più acuto)

11a

3a min.(inf.) (la corda più grave darà il suono più acuto)

12a

4a giusta(inf.) (la corda più grave darà il suono più acuto)

N.B.: gli esempi si riferiscono alla quarta corda N e l v i o l i no è p o s s i b i l e e s t e n d e r e f i n o a d u n a q u i n t a gi u s t a i l r a p p o r t o d e l l a p r i m a p o s i z i o n e : p e r t a n t o r i t e n e r e l a t a b e l l a i n di c a t i va e s u s c e t t i bi l e di estensione.

49

La Viola

Rispettivamente, le dimensioni della viola e del violino raffrontate

In tutto simile al violino, la viola ne differisce per dimensioni e accordatura, e per via di queste in alcuni ulteriori particolari. L’accordatura dello strumento, una quinta sotto quella del violino, è la seguente:

Grafia La viola utilizza principalmente la chiave di contralto, sostituita da quella di violino per le zone acute; in pratica, evitare di utilizzare la chiave di contralto oltre i due tagli addizionali, e comunque evitare per quanto possibile di effettuare un cambiamento di chiave per una o due note soltanto: meglio in tal caso un minimo di forzatura sulla medesima chiave.

50

Posizioni Sostanzialmente restano le stesse che nel violino, tuttavia essendo la mano più allargata per via delle maggiori dimensioni della tastiera, si esclude, almeno per le prime posizioni, la possibilità di estensione: per cui entro la stessa corda, il limite sarà la quarta giusta, tra due corde vicine, dall’ottava alla seconda. Per maggiore chiarezza circa le opportunità di scarto della mano sinistra in posizioni più avanzate, consultare la tabella alla fine del capitolo. Per quanto il rapporto con il violino sia di una quinta sotto, si eviti di salire oltre la quinta posizione per utilizzare al meglio le sonorità dello strumento, inoltre, le maggiori dimensioni rispetto al violino renderebbero problematiche le posizioni ulteriori; comunque non si superi la settima, e solo sulla prima corda, anche volendo spingere lo strumento sino alla sua regione più acuta: oltre il Mi 5 il suono si assottiglia e perde di caratteristica, tanto da sconsigliarne l’uso. Nel registro grave e medio, la sonorità è piena, seppure un po’ opaca rispetto sia al violino che al violoncello; nel registro acuto il suono risulta teso ma non brillante: proprio a queste dubbie caratteristiche lo strumento deve la sua personalità che, fra il nostalgico e l’esistenziale lo ha reso portavoce privilegiato della letteratura concertistica dell’ultimo secolo.

51

Armonici Di ottimo rendimento, sia i naturali che gli artificiali, di poco più sonori di quelli del violino:

Per ciò che concerne la produzione degli armonici naturali, vedere al proposito quanto detto per il violino, adeguandosi alle maggiori distanze presenti nella viola: pertanto il suono 3 (la quinta oltre l’ottava) sarà possibile solo dalla terza posizione.

52

Agilità Inferiore a quella del violino, è tuttavia notevole, e la letteratura del novecento ha contribuito molto al suo sviluppo, per via dei numerosi ed importanti concerti per viola solista e orchestra, e per gli innumerevoli impieghi cameristici G.M. Danese:

Expecting, quattro variazioni

per viola e orchestra (2002)

53

Colpi d’arco Tutte le opportunità viste a proposito del violino sono utilizzabili, limitandone un poco la velocità.

Pizzicato Nel registro grave e medio, sia il pizzicato, che il pizzicato con la mano sinistra hanno un’ ottima resa, leggermente superiore al violino, per via delle dimensioni della cassa armonica.

VIOLA: Rapporto delle posizioni sui vari punti della tastiera Su una corda

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più grave)

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più acuta)

a Prima posizione 4 giusta

8a giusta

2a magg.

a Terza posizione 5 giusta

9a magg.

unisono

10a minore

2a min.(inf.)

Quarta posizione Quinta posizione

6a minore

(la corda più grave darà il suono più acuto)

6a magg.

10a magg.

2a magg.(inf.) (la corda più grave darà il suono più acuto)

54

Lunghezza corda vibrante = 36 cm circa

TAVOLA MORFOLOGICA RIASSUNTIVA DELLA VIOLA

Mi 2

Mi 2

Fa 2 Sol 2 La 2 Do 3 Mi 3 Sol 3 Do 4 Mi 4 Sol 4

55

Altre Viole Fra le tante antenate della viola, ovviamente non presenti nell’orchestra sinfonica moderna, vanno citate almeno due componenti, per via del loro utilizzo, seppure sporadico ma significativo, nella musica dell’ultimo secolo : la viola d’amore e la viola pomposa

Viola d’amore Strumento presente nel XVII secolo, possiede sei o sette corde di budello, e altrettante o anche più (fino a quattordici) corde di metallo posizionate sotto la tastiera e il ponticello aventi la funzione di vibrare per simpatia. Difficile, se non impossibile definirne l’accordatura e la precisa estensione, cambiando essa a seconda dell’impiego e dell’epoca; come esempio mostriamo l’accordatura prevista per due strumenti impiegati nei concerti vivaldiani:

Nel XIX secolo si costruì, ad opera del violinista e compositore Ch. Urban una viola d’amore di sette corde, accordata come mostrato nella pagina seguente: tale accordatura veniva trasportata nelle varie tonalità in cui doveva servire.

56

Dotata di una sonorità particolarmente dolce, deve essere impiegata in episodi melodici e di limitata velocità, affinché possano entrare in vibrazione le corde simpatiche. Nei tempi a noi più recenti, ne troviamo l’utilizzo in Puccini (Madame Butterfly), R. Strauss (Sinfonia domestica), e, inoltre in opere di Ghedini e Hindemith.

Viola pomposa Originaria del XVIII secolo, è dotata di cinque corde, racchiudendo in se l’accordatura della viola e del violino:

Spesso la viola pomposa viene scambiata per un altro strumento antico: il violoncello piccolo, strumento dalle maggiori dimensioni, tanto da essere sostenuto dal braccio anziché dal mento; ebbe un impiego non esteso oltre il secolo della sua nascita; in tempi a noi più vicini, un significativo ruolo di questo strumento lo abbiamo nella Francesca da Rimini di R. Zandonai (che equivoca sul nome, chiamandolo, appunto, viola pomposa). 57

Il Violoncello

Strumento dalle dimensioni di gran lunga maggiori dei precedenti, il violoncello rappresenta nella famiglia degli archi il principale antagonista del violino; dotato di grande varietà timbrica, nei suoi registri grave, medio e acuto, e di una notevolissima capacità tecnica che, dai tempi in cui i suoi limitati impieghi erano affidati alla viola da gamba, suo diretto antenato, allo sviluppo successivo, specie dopo l’avvento del puntale e dell’uso del capotasto nella tecnica delle posizioni, lo eleva fra i principali strumenti dell’orchestra sinfonica, e di uso cameristico.

L’accordatura dello strumento, esattamente un’ottava sotto rispetto alla viola, è la seguente:

58

Grafia Il violoncello utilizza tre chiavi: la principale è quella di Basso; per i registri medio alto e acuto, userà rispettivamente la chiave di tenore e quella di violino: anticamente, se l’impiego di quest’ultima derivava direttamente dalla chiave di basso, la notazione doveva risultare all’ottava superiore. Oggi, fortunatamente, questa pratica è in disuso.

Nel registro grave, la sonorità è piena e profonda; in quello medio, calda e lirica ; nel registro acuto, vibrante e passionale; oltre il Do4, man mano è sempre più tesa, tende ad assottigliarsi e a farsi inespressiva.

Posizioni Utilizzando le stesse dita del violino e della viola, date le dimensioni della tastiera, le posizioni sono di semitono; quindi escludendo la corda vuota, la normale posizione coprirebbe un intervallo di terza minore. Tuttavia, anche nelle prime posizioni è possibile e normalmente praticata l’estensione tra primo e secondo dito (indice e medio) che consente la distanza di un tono: in questo modo l’intervallo compreso in una posizione è di una terza maggiore. Altri allargamenti sono previsti, sopratutto a partire dalla sesta posizione, tra secondo e terzo dito (medio e anulare) e terzo e quarto (anulare e mignolo), per cui la diteggiatura di scale è soggetta a diverse interpretazioni. Una scala è quindi eseguibile nella stessa posizione solo con il contributo delle corde vuote,ma questo quindi accade solo per la prima posizione:

Prima posizione

59

Per le scale che non possono utilizzare le corde vuote sono previste diverse posizioni, come ad esempio:

Le scale cromatiche sono generalmente eseguite con la seguente diteggiatura:

Dalla settima posizione in su è previsto l’uso del capotasto ossia del pollice, che consente una agevole sequenza di posizioni diatoniche (come nel violino e nella viola): inoltre essendo in tal caso in posizione avanzata della tastiera, come si sa, le distanze diminuiscono progressivamente (vedi al proposito la tabella finale). Usando il capotasto di solito viene escluso dalle diteggiature il dito più corto, ossia il quarto (mignolo). La settima posizione e le seguenti, sono principalmente destinate alla sola prima corda. Capotasto e eccezioni a parte, nella diteggiatura normalmente utilizzata per effettuare una scala, considerare che laddove è prevista la distanza di un tono, questa vedrà impegnati o il 1° e il 2° dito con estensione, o il 2° e il 4°. Il cambiamento di posizione nell’ambito della stessa corda, in una sequenza ascendente o discendente ininterrotta e congiunta, avviene assai più frequentemente che non nel violino o nella viola, dove il passaggio tra una corda e l’altra ne rende solitamente naturale il proseguimento.

Tutto il seguente passaggio è sulla terza corda:

60

Quando si effettua questa tecnica di scivolamento sulla stessa corda, è sempre giusto preferire che avvenga in relazione alla distanza di semitono, anziché di tono, in quanto è meno evidente; d’altronde, come già considerato nel capitolo dedicato al violino, spesso in questi casi sono prevalenti motivi espressivi, e non tecnici, anche qualora non vi fossero le condizioni ottimali e fosse possibile un agevole cambio di corda:

Tecnica del capotasto Come già accennato, il pollice in funzione di capotasto viene considerato in particolare dalla settima posizione in su: questo per via dell’assetto della mano, che, potendo muoversi sulla tastiera senza l’ingombro della cassa armonica (appunto, in pratica fino alla settima posizione) preferisce la normale disposizione delle dita per avere un migliore controllo della tastiera, in quanto a espressività e manualità; l’ingombro della cassa armonica nelle posizioni acute costringe invece ad un assetto in cui il pollice non possa trovarsi sotto alla tastiera, come normalmente avviene per fornire uno stabile riferimento nei confronti delle altre dita. E’ da questo punto che quindi viene utilizzato per la funzione di capotasto, con le conseguenti agevolazioni per ciò che riguarda distanze e diteggiature. Naturalmente si può ravvisare una contraddizione in quest’uso: si rende possibile, infatti, una allargata capacità intervallare laddove l’avanzata posizione sulla tastiera già la consente, anziché nelle prime posizioni dove ve ne sarebbe più bisogno. Ma l’impiego del pollice costringe il resto della mano in posizione innaturale, e comunque lo stesso dito risulta meno capace di espressività rispetto alle dita normalmente usate, per cui si preferisce evitarlo se non per gli usi descritti. Ma non sempre questo accade: ad esempio, nelle situazioni di accordi con l’utilizzo di tre o quattro corde, o nelle batterie su una corda, spesso si rende necessario il suo impiego anche nelle prime posizioni. Il segno grafico che indica il capotasto è:

61

Tabella delle posizioni del violoncello Il criterio tradizionalmente diatonico delle posizioni, già visto a proposito di violino e viola, qui assumerebbe forti incongruenze logiche, dovute al fatto che la tastiera prevede un susseguirsi cromatico e non diatonico delle dita nell’ambito di una posizione, causando frequenti malintesi. Pertanto, è opportuno riferirsi alla tabella seguente, osservando che, riferendosi alla corda vuota, il primo dito nelle sette posizioni crea una scala maggiore riferita ad essa:

62

Corde multiple Se ci poniamo di fronte ad un violoncello, avremo, come per il violino e la viola, lo stesso ordine di accordatura: la quarta, la più grave sulla sinistra, e verso destra le altre. Essendo però lo strumento posto fra le gambe dell’esecutore, l’ordine delle corde risulterà invertito: sulla sinistra avremo quindi la corda più acuta , e sulla destra quella più grave. Nelle strappate su tre o quattro corde, l’arco andando in giù si troverà a concludere sulle corde gravi anziché su quelle acute, compromettendo il risultato prefisso (guardare, al proposito, quanto specificato nel capitolo del violino): nessuna utilità pratica avrebbe infatti una strappata verso il grave, dal momento che il senso armonico si definisce nell’opposta direzione. Per sopperire a tale incongruenza, l’esecutore utilizza un espediente tecnico: sforza sulle due corde più gravi (alla destra dello strumento) l’arco al tallone, e, nell’ambito della stessa direzione d’arco lo ruota verso le corde acute, finendo su di esse verso la punta. L’effetto pur caratteristico, riscontrabile in molte pagine di repertorio, non è tuttavia paragonabile ad una vera e propria strappata, dove il punto di massima forza è prontamente raggiunto nella sinergia del movimento previsto; avremo quindi uno sforzato, sulle prime note, e un più debole arrivo su quelle più acute. Altro escamotage per risolvere il problema delle strappate è costituito dall’arcata in su: partendo dalle corde gravi, andando in direzione sinistra, verso le acute, ci si attesterà su di esse nel corso di una sorta di “crescendo”. L’effetto è più vicino a quello delle vere strappate, ma anche meno “violoncellistico”, e comunque imparagonabile a quello autentico. Per quanto concerne le possibilità di accordi su tre o quattro corde, riferirsi alla tabella sottostante:

Cominciando dalla mezza posizione fino a proseguire alla dodicesima, ogni gruppo di note racchiuse in un ambito di una terza maggiore fornisce un esempio delle combinazioni di corde triple e quadruple che possiamo utilizzare con il normale assetto della mano sulla tastiera, cioè senza l’uso del capotasto, ovviamente integrando ad esse anche le possibilità date dall’uso delle corde vuote.

63

Utilizzando un dito su una corda lo stesso verrà ovviamente escluso per le altre; ma riferendosi allo stesso punto della tastiera, un solo dito posto trasversalmente può impegnare due tre o quattro corde, per intervalli progressivi di quinta: anche questa tecnica viene definita del “capotasto” anche se non riguarda necessariamente l’uso del pollice. Il dito più indicato per questa funzione è il primo, ma anche il secondo e terzo (medio e anulare) vengono utilmente usati; solo il quarto dito è in pratica escluso o limitato a sole due corde. Per quello che riguarda l’uso del pollice in tale situazione, considerarne l’uso su due o al massimo tre corde. Circa le possibilità accordali è da aggiungere che l’ambito mostrato è alquanto schematico, perché mantenendo lo stesso assetto della mano sulla tastiera, tale da coprire una distanza di terza maggiore in prima posizione, portandosi in posizioni più acute questa distanza aumenta progressivamente: a questo proposito consultare la tabella apposita in fondo al capitolo. Ecco alcuni esempi di combinazioni accordali nelle prime posizioni, senza uso del capotasto:

ed ecco cosa produrrebbe l’identico assetto della mano del primo accordo se si avanzasse alla quinta posizione:

N.B.: per dare all’accordo un senso logico, alcuni atteggiamenti della mano sono stati leggermente modificati; ad esempio la sesta maggiore tra secondo e terzo dito è restata inalterata, mentre ovviamente l’esatta corrispondenza con la posizione delle stesse dita in prima posizione produrrebbe un intervallo crescente.

Stesse situazioni accordali del primo esempio, con la partecipazione di corde vuote:

64

Infine, una serie di accordi con le dita impegnate trasversalmente, (indice e medio) secondo la tecnica del capotasto:

se si esclude il primo dito, le altre impegnate in questa tecnica devono trovarsi verso le corde gravi, perché la lunghezza decrescente delle dita dal medio al mignolo, non permetterebbero altrimenti di raggiungere la terza e quarta corda; il primo dito offre invece altre possibilità:

L’uso del pollice in funzione di capotasto facilita ed estende le possibilità accordali; inoltre può essere posizionato trasversalmente sia verso le corde gravi che verso le acute, senza compromettere l’impiego delle altre dita: 3 2

4 3 2

3

Se il pollice è posto trasversalmente sulle due corde acute o centrali, permette inoltre di avere delle combinazioni in cui il 1° e il 2° dito risultino indietreggiati sulla tastiera rispetto ad esso (combinazione impossibile in tutti gli altri casi):

1 3

1 2

65

1

Colpi d’arco Il violoncello rende pienamente tutte le sfumature espressive, sia nel legato che nello staccato, ottenibili con i diversi colpi d’arco visti a proposito del violino.

Pizzicato

Nel violoncello l’effetto del pizzicato è di particolare efficacia, superato solo da quello del contrabbasso: date le dimensioni della cassa di risonanza, risulta tondo e di piena sonorità. Possono essere interessate al pizzicato anche tutte le corde simultaneamente; in questi casi gli accordi, oltre che simultanei potrebbero essere arpeggiati: se l’arpeggio è senza alcun segno di specifica, s’intende sempre ascendente, altrimenti il segno verrà ad indicare un arpeggio discendente, eventualmente seguito da per tornare all’ordine consueto.

Anche il pizzicato con la mano sinistra (indicato con il segno +) avrà miglior effetto che per gli strumenti precedentemente trattati.

66

Armonici naturali Avendo i suoni fondamentali molto più gravi che non nel violino e nella viola, la serie degli armonici naturali risulta più sonora e di più facile emissione rispetto agli strumenti precedenti:

Negli effetti di glissando di armonici naturali (più efficaci che nel violino e nella viola) la sequenza di armonici può salire fino al suono 12, il che vuol dire che dal suono 7 in poi vengono sfiorati oltre la tastiera, fra la fine di essa e il ponticello : data la rapidità e l’approssimazione dell’effetto, le ovvie imprecisioni riguardanti intonazione e riuscita di questi armonici non sono da tenersi in gran conto.

67

Armonici artificiali Sono i più usati nel violoncello, perché più intonati. Usando il pollice in funzione di capotasto, possono essere sfiorati anche nelle prime posizioni gli armonici di quinta, sino a quelli di terza minore. Sia i suoni armonici naturali che artificiali possono inoltre essere pizzicati, con buon effetto:

Inoltre sono anche sul violoncello possibili armonici doppi, su corde adiacenti; senz’altro più comodi in tal caso quelli naturali, ma praticabili anche se artificiali, qualora il capotasto sia lo stesso per le due corde:

68

Lunghezza corda vibrante = 65 cm. circa

TAVOLA MORFOLOGICA RIASSUNTIVA DEL VIOLONCELLO

Mi  1

Mi 1 Fa 1 Sol 1 La 1 Do 2 Mi 2 Sol 2 Do 3 Mi 3

Sol 3

69

VIOLONCELLO: Rapporto delle posizioni sui vari punti della tastiera Su una corda

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più grave)

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più acuta)

Prima posizione

3a magg.

7a magg

3a min.

Seconda posizione

4a giusta

8a giusta.

2a magg.

4a aum.

9a minore

2a min.

Quinta posizione

5a giusta

9a magg.

unisono

Settima posizione

6a magg.

10a magg.

2a magg. (inf.)

Quarta posizione

(la corda più grave darà il suono più acuto)

Le posizioni indicate, si riferiscono all’estensione delle quattro dita (escludendo il capotasto), necessaria per avere posizioni diatoniche; l’uso del capotasto (che porta il massimo rapporto di estensione dai circa 12 cm della normale diteggiatura ai circa 18) oltre che a facilitare complessivamente la tecnica, aumenta le possibilità intervallari sia nell’ambito di una corda, come ovviamente tra due corde vicine. A questo proposito effettuare un facile calcolo: data la massima distanza intervallare rispetto una normale posizione, considerandola espressa in semitoni, estenderla aggiungendo fino alla metà di essi, se si usa il capotasto. Ad esempio, in prima posizione, la distanza massima normale sulla stessa corda è la terza maggiore (quattro semitoni); aggiungendo la metà di essa (due semitoni) si ottiene la quinta diminuita (sei semitoni); in quinta posizione, che normalmente copre sulla stessa corda la distanza di una quinta giusta (sette semitoni), col capotasto arriva alla settima minore (per difetto). Notare come, per quanto lo strumento sia imparagonabilmente più grande rispetto alla viola, possa avvalersi di posizioni più avanzate (è qui indicata la settima posizione, ma può andare oltre); questo per via della posizione della mano sinistra, che, contrariamente alla viola e al violino sovrasta la tastiera, anziché raggiungerla lateralmente.

70

Il Contrabbasso

Lo strumento più grave della famiglia degli archi misura fra le due estremità più di un metro e ottanta centimetri, e le sue dimensioni impongono di essere suonato in piedi. L’accordatura, che ha subito numerose modifiche nel corso dei tempi è la seguente (effetto l’ottava sotto):

71

Grafia Il contrabbasso usa principalmente la chiave di basso, nonché, salendo anche quella di tenore e violino, intendendone l’effetto sempre un’ottava sotto la nota scritta.

Il timbro del registro grave è drammatico e minaccioso, sonoro ma più morbido il registro medio, sottile e un po’ afono il registro acuto, specie nelle sue ultime note (il cantino nel contrabbasso produce un suono esile ma se sostenuto da tutta la fila risulterà piuttosto cantabile); il registro sovracuto, ad uso esclusivo dei solisti è da ritenersi eccezionale, e adatto solo ad effetti particolari. La nota più grave Do si può ottenere solo in alcuni strumenti dotati di un meccanismo che allenta la quarta corda, sino a portarla all’ultimo Do del pianoforte; un tempo esistevano contrabbassi muniti di cinque corde la cui quinta, appunto, partiva dal Do grave. In una normale orchestra sinfonica di solito solo un paio di strumenti posseggono tale meccanismo, pertanto se si vuole ottenere la nota effettiva, e non quella dell’ottava superiore, sotto il mi grave bisognerà scrivere “non ottava alta”: gli strumenti abilitati suoneranno le note più gravi mentre gli altri taceranno.

Posizioni Nel contrabbasso, le posizioni prevedono sempre un’estensione del rapporto tra primo e secondo dito (indice – medio) o fra terzo e quarto (anulare – mignolo) ed ogni posizione prevede un ambito di tre tasti a distanza fra loro di semitono: in pratica una seconda maggiore per posizione. La diteggiatura più utilizzata, specie nelle prime posizioni è 1° 2° 4°: in questo caso si esclude il terzo dito che si affianca al medio, per rinforzarne l’assetto (le corde del Contrabbasso richiedono una forte pressione, inoltre sono piuttosto sollevate dalla tastiera). Una scala nella stessa posizione (prima della settima) è quindi possibile solo con l’intervento delle corde vuote, ma in pratica questo riguarda solo i due casi seguenti : N.B.: L’effetto degli esempi seguenti è all’ottava sotto

72

Nei casi in cui la posizione non possa essere mantenuta, o anche in relazione a scale più ampie, alla loro formazione concorre la combinazione di varie posizioni:

Notare come il capotasto, di uso comune a partire dalla settima posizione, può in alcuni casi essere richiesto anche in posizioni più gravi: la prima corda qui non si trova infatti ancora in quinta posizione (che permette una estensione di terza minore) quindi si rende necessario il capotasto per completare la sequenza (per quanto, trovandosi solo di mezza posizione sotto alla quinta, potrebbe, con poco sforzo, farne anche a meno).

Per quanto riguarda le scale cromatiche, la diteggiatura più utilizzata è la seguente:

73

Tabella delle posizioni del Contrabbasso La tabella qui riproposta è da intendersi all’ottava inferiore nell’effetto. Dal primo dito della prima posizione sulla quarta corda (Fa diesis), la sequenza, fino alla settima posizione è basata sulla scala minore naturale: stesso principio, di quarta in quarta, andrà applicato alle altre corde. Tutte le altre combinazioni sono affidate alle posizioni intermedie.

74

Uso del capotasto Abbiamo già detto che il capotasto viene utilizzato normalmente a partire dalla settima posizione nella normale tecnica dello strumento. Ma oltre questo impiego, trova importanti applicazioni anche per quello che riguarda armonici artificiali, batterie, corde multiple: in ogni paragrafo verrà specificato il ruolo svolto dal pollice, nelle combinazioni che lo vedano utilizzato. In linea generale, come detto a proposito del violoncello, considerare che lo scarto intervallare, mutevole a seconda della posizione della mano sulla tastiera, con il concorso del pollice aumenta di circa un terzo: regolarsi di conseguenza e consultare le tavole in fondo al capitolo per maggiore chiarezza.

Trilli e batterie Su tutta l’estensione dello strumento sono possibili trilli di seconda maggiore o minore; per ciò che riguarda le batterie, a partire dalla quarta, quinta posizione sono possibili quelle di terza minore (col capotasto nelle stesse posizioni sono possibili rispettivamente le batterie di quarta giusta e quarta aumentata) dalla settima posizione possibili le batterie di terza maggiore (e di quinta giusta con il capotasto). Intervalli maggiori possono esservi in rapporto del salire ulteriore delle posizioni (consultare le tavole)

75

Armonici naturali Nel contrabbasso i suoni armonici sono di ottimo effetto, per sonorità, colore timbrico e facilità di emissione. Fino all’armonico 6 non creano particolari difficoltà, e sono piuttosto sicuri: andando oltre il risultato diventa incerto; inoltre questi ultimi devono essere presi oltre la metà della tastiera, verso il ponticello (zona che darebbe migliori risultati anche negli armonici precedenti), ma lo strumentista dovrebbe piegarsi su se stesso per raggiungere i punti sensibili da sfiorare, e la pratica è talmente scomoda da doversi ritenere esclusivamente solistica. Il timbro degli armonici sulla quarta corda è piuttosto velato, e in alcuni casi di difettosa emissione. E’ naturalmente possibile, dove la posizione lo consente, avere anche armonici naturali su due corde adiacenti, ma nella pratica orchestrale tale prassi risulterebbe inutile, potendo dividere la fila.

Nota: col tondino vengono espressi quegli armonici ottenuti sfiorando la metà superiore della tastiera, mentre con il rombo quelli ottenuti nella metà inferiore; in caso fossero possibili più punti da sfiorare, essi vengono indicati sovrapposti. 76

Armonici artificiali A partire dalla quarta posizione è possibile la creazione del sesto armonico, ottenuto sfiorando sulla stessa corda la terza minore rispetto al capotasto. Dalla settima posizione si può ottenere il quinto armonico, sfiorando la terza maggiore. Combinazioni ulteriori possono teoricamente interessare le posizioni ancora più acute, dove lo scarto intervallare è ancora più ampio: dall’ottava posizione si può ottenere il quarto e dalla nona il terzo armonico, sfiorando rispettivamente la quarta e la quinta giusta dal capotasto. Inoltre, queste distanze sulla stessa corda vengono facilitate dall’uso del capotasto, che in quelle regioni della tastiera è di uso comune. Tuttavia, pur essendo di buona resa, questi armonici sono scomodi perché prodotti in una zona della tastiera sempre più prossima al ponticello, cosa che, come già accennato, comporta un piegamento del corpo dello strumentista. Evitarne l’uso orchestrale, e adibirne quello esclusivamente solistico.

77

Corde multiple Nell’uso orchestrale sono da evitare: se proprio necessarie è bene che una delle due corde sia vuota. Nell’uso solistico possono prodursi bicordi dalla quinta giusta alla terza minore fino alla quarta posizione; dalla quinta posizione sono possibili dalla sesta minore alla seconda maggiore; dalla settima posizione possibili dalla sesta maggiore alla seconda minore fino ad arrivare, in posizioni estremamente acute all’ottava . Evitare però gli intervalli armonici di quarta giusta, in quanto di difficile e incerta intonazione. Quanto alle corde triple e quadruple, nel contesto delle strappate, ci troveremo di fronte all’analogo problema della posizione delle corde, come visto per il violoncello; anche qui di vere strappate non si potrà parlare, e si ovvierà con gli escamotages utilizzati dal violoncello. Relegare comunque al solo uso solistico questo genere di competenze.

78

Colpi d’arco Solo alcuni colpi d’arco in uso nel violino e negli altri strumenti sono di buon rendimento nel Contrabbasso: fra essi, lo spiccato, il saltellato e il martellato, pur con velocità notevolmente ridotta rispetto al violino, producono gli effetti migliori. Evitare o limitare all’uso solistico quei colpi d’arco dal carattere brillante e sottile (picchettato, picchettato volante, ecc.): in alcuni casi, il balzato potrebbe risultare di buon effetto, sempre che la velocità del passaggio sia limitata. Oltre alle dimensioni dello strumento, altre cause ne limitano l’associazione con gli altri della famiglia, come ad esempio la postura dell’esecutore, o cause morfologiche specifiche (e indispensabili) dello strumento stesso: l’archetto è la prima di queste, in quanto ancora oggi sono in uso due differenti scuole che caratterizzano alcune prerogative dello strumento, utilizzando un arco molto simile a quello degli altri strumenti, benché più corto e con bacchetta molto più spessa, o invece quello denominato alla Dragonetti (o alla tedesca, in quanto più usato in Germania) dove l’impugnatura prevede che entro il nasetto (così denominata è la parte interna del tallone) ci siano il dito medio e anulare, anziché medio e pollice. In quest’ultimo caso gli staccati saranno più energici, ma meno espressivi i suoni tenuti. Particolari dell’impugnatura “alla tedesca”

Pizzicato Vera risorsa del contrabbasso, il pizzicato non ha uguali negli altri strumenti ad arco: sonoro, rotondo vibrante ed espressivo in tutta la gamma grave e media dello strumento; unica limitazione riguarda, come sempre, l’agilità, per cui evitare anche nei pizzicati i passaggi rapidi. Considerare pertanto quella mostrata nell’esempio seguente come velocità limite in orchestra:

Divertenti, e di ottimo effetto, i glissandi nel pizzicato, anche su corde doppie :

79

Lunghezza corda vibrante == 110 cm. circa

TAVOLA MORFOLOGICA RIASSUNTIVA DEL CONTRABBASSO

Sol 0

Sol 0 La 0

Do1

Si Sol0

Sol diesis La Si Mi 1

Sol 1

Do diesis Si 1

Mi Mi 2

Sol 2

Si 2

Sol Sol diesis La Si Mi

80

CONTRABBASSO: Rapporto delle posizioni sui vari punti della tastiera Su una corda

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più grave)

Su due corde adiacenti (1° dito sulla corda più acuta)

Prima posizione

2a magg.

5a giusta

3a min.

Quinta posizione

3a min.

6a minore

2a magg.

Settima posizione

3a magg.

Settima posizione

4a aum.

6a magg.

(con capotasto)

5a giusta

2a min. *

a

7 magg.

(con capotasto)

Ottava posizione

2a min.

8a giusta

Particolari del contrabbasso: il riccio

81

*La

corda inferiore produce il suono più acuto

2a magg. * *La

corda inferiore produce il suono più acuto

I Legni Appartenenti all'eterogenea famiglia dei fiati,il gruppo dei legni è a sua volta quello più eterogeneo, eccetto le percussioni, di tutti gli strumenti dell'orchestra sinfonica. Si divide infatti in tre sottogruppi: strumenti ad imboccatura semplice (flauti), strumenti ad ancia semplice (clarinetti e sassofoni) strumenti ad ancia doppia (oboi e fagotti). A seconda del numero impiegato per strumenti dello stesso tipo, (es. i flauti), l'orchestra verrà definita "a2" o "a3" ed anche "a4". Proporzionalmente pari al numero degli ottoni, tranne che per le formazioni "a2" dove la mancanza dei tromboni sbilancia il rapporto numerico a favore dei legni, costituiscono all'incirca il 15% della formazione orchestrale. Strumenti dall’ estrema varietà timbrica, al contrario degli archi e degli stessi ottoni, vengono utilizzati ampiamente per questa loro capacità espressiva: all'intervento di un oboe, anzichè di un flauto o di un clarinetto, corrisponde una precisa scelta dell'orchestratore, atta a sottolinearne un carattere piuttosto che un altro. Il lato debole dei legni è invece la sonorità, che solo se considerata equamente nella pagina orchestrale non crea problemi; in genere, escludendo gli strumenti gravi del gruppo (fagotti, clarinetto basso), in un forte orchestrale non ha senso utilizzare tali strumenti se non nel loro registro acuto, oltre il pentagramma: ed è sempre allo scopo di equilibrare il suono con il resto dell'orchestra che questi strumenti vengono raddoppiati (o triplicati, nelle formazioni "a3"). Infatti, il loro uso normale è solistico: se non prescritto diversamente, le note sul rigo del flauto verranno eseguite dal primo flauto, non da entrambi. Per fare invece suonare la stessa melodia a tutti i due flauti bisognerà scrivere sopra il loro rigo "a2". Altro motivo di necessità del raddoppio si ha nella condizione dell'utilizzo di uno strumento in una ragione sacrificata: già un mezzoforte potrebbe richiedere il raddoppio dei flauti, utilizzati nella loro prima ottava. Nel piano questa necessità viene a mancare, e le sonorità dei vari strumenti dell'orchestra si equilibra. Naturalmente, il raddoppio dei legni può avvenire, anche a scopo timbrico, con due strumenti diversi, ad esempio flauto e oboe; si creano degli effetti alle volte sorprendenti da queste unioni: per citarne alcuni, gli unisoni di un flauto e oboe, ottava centrale, o di un oboe e clarinetto nella seconda ottava hanno l'effetto di una tromba con sordina. Continuando a parlare di melodie all'unisono, non sono di buono effetto, invece, le unioni flautoclarinetto, e del tutto inefficaci le unioni legni-ottoni (con qualche eccezione al riguardo dei corni). Combinate con gli archi, alcune di queste unioni sono molto efficaci, come quella, molto praticata del flauto con i violini, che conferisce una lucida fluidità alla melodia; scarsa l'utilità di violini con l'oboe; buona l'unione clarinetto (nel registro medio grave) e viole, così come clarinetto bassovioloncelli; un po' antiquata la sonorità ricavata dall'unione fagotto-violoncelli.

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Strumenti ad imboccatura naturale A questo sottogruppo, che sfrutta il più naturale e antico principio di produzione di suoni, ossia una colonna d'aria in movimento entro un corpo sonoro reso più o meno lungo (e quindi in grado di produrre suoni più o meno acuti) da dei fori di apertura, oggi regolati dal sistema delle "chiavi", appartengono in orchestra solo i flauti traversi (quelli appunto dotati del sistema delle chiavi, e suonati trasversalmente), costruiti in lega metallica, o metalli preziosi, mentre i flauti dritti (o "dolci" o "a becco"), in legno, sono relegati ai complessi di musica antica e barocca. I flauti presenti in orchestra sono il flauto in do, l'ottavino, e , più raramente, il flauto contralto e il flauto basso.

Il Flauto in do

Morfologia e nomenclatura 

chiave del sol (mignolo sin.)

Mano sinistra chiave 6 chiave 7 DO

LA

ind.

SOL

med. anul. ind.

(pollice sin.)



SI - SI

FA

med.

anul.

MI

RE

Mano destra

Parte media Testa

Piede o Trombino



MI

DO



DO

(mignolo destro)

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Estensione e registri Il flauto in do è il principale componente della famiglia dei flauti. E’ dotato di un’estensione di oltre tre ottave che si suddivide in quattro regioni, quella del registro grave, medio, acuto e sovracuto:

Le note contrassegnate in nero sono da considerare eccezionali; il Si 2, non presente nell’estensione, se richiesto in alcune partiture, può essere ottenuto mediante un artigianale cilindro di cartoncino posizionato all’estremità dello strumento (piede), avente lo scopo di allungare la cameratura generale; oggi sempre più flauti hanno una chiave aggiunta che permette di ottenere la nota senza espedienti, ma considerare che in orchestra non è ancora stabilmente adottato uno strumento siffatto. Ogni registro ha una sua precisa caratteristica: di massimo rilievo espressivo è il registro grave, dotato di una sonorità esotica di grande fascino, riconducibile ad atmosfere intense e primigenie: suo lato debole è la sonorità, di per se scarsa (non supera il mezzoforte) e per di più in una zona centrale e sonora per molti strumenti. Per utilizzarla in modo appropriato, infatti, la sonorità generale deve essere tenue e di massima trasparenza, lasciando sgombra sia la zona in cui opera il flauto, sia le ottave superiori. Il registro medio è fluido e chiaro ma anch’esso di scarsa sonorità; brillante ed argentino il registro acuto, che via via salendo acquista sempre maggior volume, sino a raggiungere il registro sovracuto, dove è impossibile ottenere una sonorità minore del “fortissimo”.

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Il medio della mano destra, oltre la sua normale posizione, aziona anche le chiavi 6 e 7, le cosiddette “chiavi dei trilli.

L’indice destro, oltre alla sua normale posizione, aziona anche una chiave laterale, utilizzata per alcuni trilli.

Questa è la chiave del sol diesis, e viene azionata dal mignolo della mano sinistra.

Con il pollice sinistro si aziona la chiave del si bemolle, la quale è sovrapposta a quella del si, che mediante un minimo spostamento dello stesso dito può essere azionata singolarmente

Anulare sinistro Medio sinistro Indice sinistro

Posizioni

Anulare destro Il mignolo della mano destra aziona tre chiavi, il do, il do diesis, e il re diesis. La chiave del re diesis (nell’immagine, quella indicata dalla freccia a sinistra) è automaticamente chiusa, quindi se il mignolo aziona la chiave, apre il foro, anziché chiuderlo.

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Dal Mi 3 al Do diesis 4, con le stesse posizioni e una differente pressione del fiato, si ottengono le note dell’ottava superiore (ottavizzazione)

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Due diverse posizioni per le seguenti note:

Il pollice è posto sulla chiave del Si bemolle, che chiude automaticamente anche il Si

Il pollice chiude solo il Si

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chiave del pollice aperta

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89

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Come si è potuto vedere, le posizioni relative alla sequenza : producono la relativa ottava superiore, semplicemente mediante una differente immissione di fiato, senza coinvolgere il sistema delle chiavi . Tale procedimento è denominato “ottavizzazione”, ed ha molto influito sulle prerogative della scrittura di questo strumento: repentini salti di ottava possono prodursi nell’ambito di questa estensione con ottimo effetto (es.: Ouverture del Guglielmo Tell , in risposta alla melodia dell’oboe).

Agilità Con il violino, il flauto è lo strumento più agile dell’intera orchestra. Eccelle sia nel legato che nello staccato; di quest’ultimo utilizza tre articolazioni, una per lo staccato semplice (prodotto con un colpetto di lingua mentre si pronuncia il suono “t”), una per lo staccato doppio (ottenuto alternando i suoni “t-k”, il secondo dei quali prodotto dalla gola) e una per il triplo (“t-k-t”). Al proposito di comprendere le funzioni che regolano i flussi d’aria, si tengano presenti le seguenti osservazioni: una serie di note non accompagnate da legature o segni di articolazione si definiranno “sciolte” o con lo stesso termine usato per gli archi, détachées. Se il passaggio in questione fosse di moderata velocità, l’articolazione semplice sarebbe sufficiente, ma i colpi di lingua non avrebbero la stessa determinazione nel separare i suoni come avviene per lo staccato, risulterebbero più morbidi al fine di ottenere suoni non legati ma di normale durata. Per una figurazione rapida (esempio : IV movimento della quarta Sinfonia di Beethoven, dove le rapide quartine di semicrome sono indicate sciolte) il colpo isolato di lingua non sarebbe sufficiente, pertanto si alternerà ad esso l’articolazione di gola; anche in questo caso , i suoni alternati prodotti da lingua-gola, non saranno determinati, come sarebbe richiesto per uno staccato. Parallelamente alla tecnica dei colpi d’arco del violino, ogni effetto è riproducibile dal flauto, e associabile ad essi. Si è già detto del détachées. Il Legato prevedrà che tutti i suoni compresi entro una legatura siano emessi, senza soluzione di continuità, da uno stesso respiro. A questo proposito osserveremo una determinante differenza tra gli archi e i fiati: Se per le note tenute il rapporto, in quanto durata è, vantaggioso per questi ultimi, in quanto il fiato ha durata superiore dello scorrimento dell’arco, non lo sarà altrettanto per una serie di note senza interruzione. L’arco infatti potrà procedere all’esecuzione di tutte le note volute, anche se fra esse non vi fosse nemmeno una pausa, potendo alternare l’arcata dal tallone alla punta e viceversa, mentre lo strumento a fiato deve necessariamente trovare nel fraseggio punti di ripresa del fiato. Ovviamente la dinamica concorrerà a rendere più o meno ampio il passaggio senza interruzione, allo stesso modo di quanto visto a proposito della durata di una singola arcata. Se le note entro una legatura presentano dei segni d’articolazione, questi andranno intesi come caratteristiche espressive nel corso di un singolo respiro, analogamente a quanto accade nel Picchettato, Ondulato, Ricochet, Jetée ecc.

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Ai fini di cogliere queste importanti analogie interpretative, sarà utile riproporre alcuni esempi visti a proposito del violino, e revisionarli in termini di tecnica flautistica.

Nel seguente passaggio:

le due note staccate della quartina saranno effettuate da un singolo colpo di lingua su ciascuna di esse. Se volessimo però sfumare la seconda nota legata scriveremmo :

In tal caso, le note col segno di staccato entro la legatura non verrebbero smorzate con la lingua, ma di gola, in modo cioè più tenue.

Allo stesso modo, nell’esempio seguente, che nel violino mostrava il caso dell’ondulato, la separazione non netta dei suoni nella stessa legatura verrebbe effettuata di gola e non di lingua:

mentre il seguente caso di picchettato, non di eccessiva velocità, si effettuerebbe con la lingua, in articolazione semplice:

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Nel flauto, debitamente trasportato per via dell’estensione, il segno di legatura non corrisponderebbe però a quello dell’arcata, in quanto un seppur scomodo respiro è possibile solo tra la prima e la seconda nota di ogni battuta:

benché necessariamente di lingua, il segno di legatura indurrebbe, come per il picchettato, ad uno staccato più esile. Nel caso seguente, che nel violino indicava un picchettato volante , sempre in articolazione semplice, il colpo di lingua marcherà la differenza tra la prima nota accentuata e quelle seguenti entro la legatura, dal carattere più sottile:

Il seguente spiccato volante prevede che la prima nota della terzina sia tolta di gola, mentre a tutte le altre (compresa l’acciaccatura) sia dato il colpo di lingua:

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Un colpo di lingua secco e molto marcato corrisponderà all’effetto martellato previsto per il seguente brano:

Anche gli effetti riconducibili al balzato, energici ma di moderata o media velocità saranno effettuati con la medesima articolazione semplice.

L’articolazione doppia sarà invece necessaria nei casi esposti negli esempi seguenti:

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Quanto all’articolazione tripla, essa è destinata alle figurazioni ancora più rapide (non necessariamente terzine) e sfuggenti, ad esempio come la seguente, tratta dal primo atto dell’opera Rigoletto:

Suoni frullati

Sono prodotti da rapidissime vibrazioni della lingua e hanno l’effetto simile al tremolo degli archi, ma più frizzante, e si indicano allo stesso modo, ossia con tre o quattro tagli sul gambo delle note:

I suoni “frullati” (o “flatterzunge”) sono di ottimo effetto, specie nel registro acuto, e se destinati a due o a tre flauti in disposizioni armoniche ravvicinate.

Trilli e tremoli Escludendo le chiavi aggiunte (Do3 – Do diesis 3) tutte le combinazioni di trillo maggiore e minore sono effettuabili, pur ritenendo più comode quelle che si possano ottenere semplicemente con l’articolazione di una sola chiave: aumentando il numero delle chiavi necessarie, il trillo risulterà più macchinoso e meno agile.

Quasi impossibile risulta il trillo diatonico del La più acuto:

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Stesso ragionamento a proposito dei tremoli (indicati come le “batterie” degli archi): evitare di prescriverli su ottave diverse (es.: si3 – re4) e preferire le combinazioni che prevedano un minore coinvolgimento di chiavi da alternare. A tal proposito consultare le tavole delle posizioni.

Suoni armonici Parlare di suoni armonici negli strumenti a fiato è piuttosto un eufemismo, in quanto la stessa produzione delle ottave superiori a quella di base è possibile solo producendo questi ultimi. Tuttavia, i suoni prodotti, ad esempio per ottenere la seconda ottava del flauto, dal Mi4 al Do diesis5, vengono prodotti dal primo armonico, ossia quello di ottava.

Nella fascia compresa nel seguente esempio è possibile trovare l’indicazione di armonico, mediante il tondino sulla nota: questo comporterà che il flautista ottenga quei suoni mediante il secondo armonico (cominciando dal re3), quello che produce la quinta della seconda ottava. Il modo di ottenere tali suoni è dovuto ad una diversa immissione del fiato, pur restando in una determinata posizione; l’effetto è assimilabile a quello degli armonici del violino, ossia, il suono è più vitreo e trasparente, ma la differenza dal suono prodotto mediante il primo armonico non è altrettanto percepibile come quella fra suono normale del violino e suono armonico, in quanto sempre di armonici,nel flauto, si tratta. Tuttavia, la scelta di un armonico anziché un altro, ha la sua sottile importanza per le componenti stesse del suono prodotto.

Ad esempio, fra questi due suoni: il primo, prodotto dalla posizione seguente

comporterà la seguente serie di suoni secondari, prodotti dal suono base:

mentre il secondo, prodotto dalla posizione del re:

ne comporterebbe i seguenti:

Dalle stesse posizioni, con un ulteriore sforzo del labbro, si potrebbe produrre quindi una serie di armonici differenti. 96

Altre sonorità particolari

Suoni armonici e “flatterzunge” a parte, il flauto può contare sulla particolarità timbrica del suo registro più scuro: le prime note del registro grave, infatti, esprimono una tale intensità e calore timbrico, da caratterizzare in modo particolare il loro uso, separandolo, cioè, dalle ragioni di normale impiego dello strumento; da considerare anche una particolare fusione timbrica che la prima quinta dell’estensione ha nel confronto con il fagotto, che sulle stesse note assottiglia il suo colore in una zona che per esso comincia ad essere acuta. Tale impasto riesce alla perfezione nella combinazione che vede due flauti agli estremi di un accordo risultante nell’ambito del registro, e il fagotto nel mezzo: sonorità debole, intensa e assolutamente omogenea, tanto da non distinguere in essa uno strumento estraneo; trasparentissimo dovrà essere qualsiasi supporto orchestrale associatovi.

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L’Ottavino

E’ lo strumento più acuto dell’intera orchestra, e ha le dimensioni esattamente della metà del flauto traverso, del quale sfrutta le identiche posizioni e tecniche esecutive; la sua estensione è all’ottava superiore rispetto il flauto, ma mancando delle chiavi aggiunte ( do – do diesis ), la sua nota più grave risulta il Re4. Graficamente, la notazione avviene all’ottava inferiore rispetto il suono risultante; l’estensione è la seguente:

L’ottavino esaspera virtù e difetti del flauto: se il flauto è debole nella sua sonorità grave, l’ottavino lo è ancora di più, mentre, nel registro acuto e sovracuto sovrasta in quanto a sonorità qualsiasi fortissimo dell’intera orchestra; i suoni oltre l’ultimo La acuto sono, in pratica, fischi laceranti. L’agilità è massima, come per il flauto, sia nel legato che nello staccato. In “Ma mère l’oie” di M. Ravel lo strumento viene impiegato, in luogo del flauto, nel suo registro più precario, quello grave, laddove il flauto avrebbe potuto utilizzare il comodo registro medio. Questo avviene nel passaggio in stile cinese appositamente per conferire all’ostinato arpeggio una caratteristica sonorità, alquanto “cigolante” e difettosa: spesso per mano degli orchestratori più raffinati, vediamo trasformare un fattore di per se negativo in una felice intuizione espressiva.

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Il Flauto contralto

Il Contralto della famiglia dei flauti si estende dal Sol sotto il Do centrale, per circa tre ottave superiori. E’ uno strumento traspositore annotato una quarta giusta sopra l’effetto della nota risultante. Come il flauto in Do, possiede le due ultime chiavi aggiunte, in questo caso Sol e Sol diesis (nell’effetto di suoni reali, ma lo strumentista le chiamerà “ Do – Do diesis”). Quindi la vera tecnica dello strumento, l’ottavizzazione, i suoni armonici ecc. partirà dal Si 2 (ovviamente annotato come Mi 3 ). L’estensione e i registri sono i seguenti:

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La sonorità del registro grave è penetrante e piena di fascino ancor più che nel flauto in Do; il registro medio ha il problema di estendersi in un zona già coperta da strumenti dalla sonorità più “robusta”, pertanto, come del resto va detto in genere per come debba intendersi l’uso di simili strumenti, servirsene in contesti di estrema trasparenza orchestrale, in modo che le peculiarità timbriche ed espressive siano in primo piano: come strumenti rafforzativi e non emergenti non avrebbero ragione di essere. Nel registro acuto, e ancor più per quello sovracuto, nonostante segua le caratteristiche comuni di ogni flauto, ossia la crescente sonorità man mano che si procede verso l’acuto, le sue peculiarità timbriche si perdono, e l’uso orchestrale viene ad essere in qualche modo superfluo. L’agilità è buona, sia nel legato che nello staccato, per quanto non paragonabile al flauto in Do. Circa il sistema delle posizioni, caratteristiche timbriche particolari, suoni armonici ecc. sono valide, trasportate, tutte le osservazioni fatte a proposito del flauto ordinario. L’uso orchestrale si deve al ventesimo secolo, con autori quali Ravel ( Daphnis et Chloé ), Stravinsky (Sacre), Zandonai e altri.

Il Flauto basso

E’ un flauto in do, all’ottava inferiore del flauto ordinario. Morfologicamente presenta la necessità di un ritorto nel tubo, affinché l’imboccatura non disti troppo dal sistema delle chiavi. Posizioni, sonorità, effetti e peculiarità tecniche sono le stesse dei flauti precedentemente trattati, ma l’agilità è senz’altro più ridotta.

Misterioso e sottomarino il registro grave; il medio è di sonorità più consistente degli altri flauti, il registro acuto e sovracuto, poco praticato e poco utile nell’uso orchestrale: circa l’utilizzo restino valide le osservazione fatte a proposito del flauto contralto. Utilizzato da R. Zandonai nella Francesca da Rimini, non ha a tutt’oggi mai avuto grande impiego in orchestra. 100

Strumenti ad ancia semplice

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clarinetto contrabbasso

clarinetto basso

clarinetto basso in si bemolle

corno di bassetto

clarinetto in la

clarinetto in si bemolle

clarinetto piccolo in mi bemolle

Questa estesa categoria di strumenti comprende tutta la serie dei Clarinetti (presenti in orchestra: clarinetto in si bemolle, clarinetto in la, corno di bassetto, clarinetto piccolo in mi bemolle, clarinetto basso in si bemolle e il rarissimo ) e dei Sassofoni (categoria raramente configurante in orchestra, della quale si parlerà in seguito). Di legno i primi, in lega metallica i secondi, utilizzano il medesimo supporto per la produzione dei suoni, l’ancia semplice, che è costituita da una sottile lamella di legno in contatto con la parte fissa dell’imboccatura messa in vibrazione dal fiato. Altra comune caratteristica è costituita dal portavoce, particolare chiave che facilita e migliora la produzione dei suoni armonici (che,ricordiamo, negli strumenti a fiato consentono l’estensione dello strumento oltre la sua ottava di base). Le analogie tra queste due serie di strumenti termina qui, in quanto i clarinetti , per via dell’effetto dell’imboccatura in relazione al tubo sonoro, si comportano da “tubo chiuso” (pur essendo aperti all’estremità) e in tal modo saltano la serie degli armonici pari, come vedremo meglio in seguito, mentre i sassofoni,per via del tubo a forma conica non subiscono tale caratteristica. Ogni strumento ad ancia semplice produce una sonorità fluida e intensa, tendente ad aumentare il volume man mano che si procede verso i registri acuto e sovracuto: eccellente il legato, nell’ambito del quale può contare sulla massima agilità; meno versatile nello staccato, in cui non raggiunge le ampie prerogative viste a proposito dei flauti. Nell’uso orchestrale figurano di norma due clarinetti in si bemolle e un clarinetto basso; in organici più estesi, o occasionalmente, troveremo il clarinetto in la, e il piccolo in mi bemolle.

Il Clarinetto in si 

Strumento principale della famiglia dei clarinetti, il clarinetto in si bemolle occupa un posto di assoluto rilievo nell’ambito orchestrale. La sua ricca espressività, l’agilità, quasi pari a quella del flauto nel legato, l’ampia estensione e la versatilità di impiego anche in relazione ad altri strumenti, ne fanno da sempre un protagonista privilegiato in ogni epoca e per ogni stile. Quanto all’estensione, essa si divide in due nette sezioni, dalle peculiarità timbriche molto differenziate: quella grave e medio grave, detta chalumeau, dalla caratteristica e calda sonorità, dalla quale si originano la serie di armonici delle ottave superiori, e quella del portavoce, più brillante e chiara, che dalla zona media dello strumento lo estende sino ai registri acuti e sopracuti. Ogni nota dello chalumeau, con l’aiuto del portavoce, prende senza difficoltà il suo terzo armonico (si ricorda che, curiosamente, i clarinetti saltano gli armonici pari, per cui anziché favorire l’emissione del secondo armonico rispetto al suono base, ossia la sua ottava, il portavoce produce l’armonico successivo, ossia la quinta superiore alla prima ottava), cosicché dalla nota più grave, il re2, otterremo il la 3, e via di seguito sino all’ultima nota del registro, il sol diesis 3, dalla quale otterremo il re diesis 5: combinazioni di chiavi ulteriori porteranno di qualche nota ancora, con crescente difficoltà sino all’estremo si bemolle 5, da considerare però nota eccezionale, come le due, tre sottostanti, e quindi non adatta all’uso orchestrale.

Trasposizione Quanto detto fin ora corrisponde ad un riferimento in note reali, ma il clarinetto fa parte degli strumenti traspositori, che, come abbiamo potuto vedere precedentemente, leggono una notazione differente rispetto ai suoni che ottengono. Quindi, uno strumento in si bemolle legge una nota scritta un tono sopra la nota d’effetto e, riferendosi all’ambito tonale, in partitura risulta scritto in una tonalità con due alterazioni in più (corrispondenti appunto alla tonalità del tono superiore). Tuttavia, nelle moderne partiture senza un ambito tonale preciso, questa delle alterazioni in chiave è una faccenda superata; ed è sempre più frequente vedere la parte del clarinetto e degli altri strumenti traspositori annotata in note reali, al fine di facilitare la lettura della partitura (ma se si opta per questa scelta, è assolutamente necessario annotarlo all’inizio del brano), mentre la parte destinata allo strumentista viene trasportata. Pertanto negli esempi che seguono verranno date entrambi le versioni, in notazione reale e trasposta, o verrà indicato quale delle due viene adottata nello specifico esempio.

102

Il suono caldo ed espressivo dello chalumeau tende a spegnersi verso le note più acute della sua estensione, fino a risultare difettoso nelle sue ultime note (da quelle segnate in nero nell’esempio sino al sol diesis 3, ultima nota del registro); il registro medio, di sonorità un po’ debole, timbricamente produce un suono limpido e salendo sempre più chiaro; nel registro acuto la sonorità prende sempre più forza (difficile una dinamica inferiore al mezzoforte) e il timbro risulta brillante; Esasperato e penetrante il timbro del registro sovracuto, di cui le ultime note sono di uso del tutto eccezionale.

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Portavoce Indice

Pollice sinistro

Medio Anulare

Mano destra

Indice

Mignolo

Medio Anulare Mignolo

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Mano sinistra

(sottostante allo strumento)

Morfologia

Posizioni principali

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

105

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

106

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

107

(con portavoce)

Pollice anche sul portavoce

108

N.B:

N.B:

109

N.B:

N.B:

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Trilli e tremoli

I trilli sono di ottimo effetto praticamente per tutta l’estensione dello strumento; per quanto riguarda i tremoli, sono generalmente buoni, perdendo rapidità in rapporto all’aumentare dell’intervallo. Alcuni sono sconsigliabili, per l’incompatibilità delle chiavi da alternare rapidamente, ad esempio:

oltre a quelli citati nell’esempio, si sconsigliano quelli eccedenti la quinta giusta, per la scarsa resa e per le effettive difficoltà in alcune combinazioni.

Agilità Come già accennato, l’agilità del clarinetto è massima, per quanto riguarda il legato: scale arpeggi rapidi sono possibili in ogni suo registro; nello staccato l’agilità si riduce di molto, potendosi avvalere solo dello staccato semplice.

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Sonorità particolari

Chalumeau a parte, i clarinetti non si prestano ad effetti di suono particolari : il frullato (o flatterzunge) non è di felice resa, come accade a tutti gli strumenti cui l’imboccatura entra nella bocca dell’esecutore; tuttavia è a volte presente nella letteratura musicale del ‘900 (es: Ravel, Alborada del Gracioso), e può essere ottenuto di gola, più versatile per tutta l’estensione, o di lingua, limitandone al registro grave e medio l’impiego. Altro effetto possibile è dato dal glissando, che si ottiene facendo scivolare le dita sopra i fori e le chiavi, aiutando l’emissione dei suoni con la gola; possono essere ben utilizzati, sia in senso ascendente che, pur con minore resa, in senso discendente, nelle seguenti estensioni (in suoni reali) :

Fra gli effetti utilizzati nella musica sperimentale, non trattati in queste pagine, alcuni dei cosiddetti “suoni multipli” (sono effetti che mettono in risonanza più armonici, dando l’idea di un suono sdoppiato, di timbro opaco e disomogeneo) potrebbero essere impiegati nell’uso solistico, come effetto “estraniante” che ben si adatta all’uso clarinettistico. Di questi suoni esistono peraltro delle tabelle, qui non riportate, che andrebbero consultate.

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Clarinetto piccolo in mi

E’ un clarinetto impostato una quarta sopra il clarinetto in si bemolle; la sua notazione è in Mi bemolle, quindi una terza minore sotto il suono reale. La sua estensione e i suoi registri, pertanto, sono i seguenti:

Le note in nero sono di emissione poco felice, o pericolosa.

Agilità Estrema agilità nel legato, come visto a proposito del clarinetto in si bemolle, di cui prende ogni altra peculiarità tecnica; come si è detto, lo staccato è limitato all’articolazione semplice. Timbricamente, il carattere è piuttosto petulante, scherzoso, poco adatto a melodie espressive, quanto invece a guizzi ammiccanti e ad atmosfere brillanti. Il suo uso migliore è pertanto nel registro acuto e sovracuto. 113

Clarinetto in La

In tutto simile al clarinetto in si bemolle, è impostato un semitono sotto. Per questa ragione vengono spostati di un semitono i registri relativi allo chalumeau e al portavoce. La notazione è in La, per cui una terza minore sopra il suono reale. La sua estensione è quindi la seguente:

Rapporto di dimensioni tra il clarinetto in si bemolle e quello in la

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Corno di bassetto

Questo prezioso strumento, amato da Mozart, non è più di uso frequente nelle orchestre: spesso, per i passaggi delle opere in cui è richiesto, si utilizza il clarinetto contralto in mi bemolle, di uso bandistico. La sonorità calda dello strumento è al meglio utilizzabile nel suo registro grave, quindi nella prima ottava dello chalumeau. La sua notazione è in fa, per cui una quinta sopra il suono reale. Quanto alle caratteristiche tecniche, si rimanda a quanto detto a proposito del clarinetto in si bemolle.

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Clarinetto basso

Il clarinetto basso in si bemolle è il più grave strumento della famiglia presente in orchestra, superato solo dal clarinetto contrabbasso, che però non è di uso orchestrale. E’ esattamente un’ottava sotto rispetto il clarinetto in si bemolle, e ad esso corrisponde per ogni altro aspetto tecnico. Strumento dalle grandissime qualità espressive, capace di pianissimi anche nelle sue note più gravi, dotato, come tutti gli altri della famiglia di estrema agilità nel legato, in grado di contendere ai violoncelli ruoli di primaria importanza, o di amalgamarsi ad essi, producendo atmosfere intense e seducenti, utilissimo nel fornire una base leggera ad un impianto di ottoni con sordina, è da considerarsi indispensabile in qualsiasi orchestra. Naturalmente, le sue qualità espressive sono primarie nel contesto del registro grave, mentre si perdono via via salendo verso le posizioni acute; in zone di registro medie, in comune con il clarinetto in si bemolle, la sonorità del clarinetto basso è discretamente superiore ad esso in quanto a volume.

Grafia Esistono due sistemi di scrittura per il clarinetto basso, sia che lo si scriva trasportato in si bemolle sia in note reali: utilizzando la chiave di violino, e intendendo l’effetto l’ottava sotto (in tal modo dandogli la medesima fisionomia di una parte per clarinetto in si bemolle), oppure utilizzando la chiave di basso (con o senza trasporto in si bemolle) e, eventualmente, quella di violino per le note del registro acuto, lasciando all’altezza reale la notazione. Quest’ultimo sistema, oggi di gran lunga prevalente, è assolutamente consigliabile.

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Nota :

Le indicazioni relative alle estensioni del clarinetto basso, nonché del clarinetto in si bemolle, si riferiscono agli strumenti utilizzati fino a poco tempo fa nelle orchestre italiane; sembra tuttavia che, finalmente, siano stabilmente in orchestra nuovi strumenti con chiavi aggiunte, capaci di aggiungere sino ad una terza maggiore nel grave l’estensione di questi due strumenti, portandoli, cioè, sino al si bemolle. Tale innovazione è da considerarsi preziosa, particolarmente per ciò che riguarda il clarinetto basso: le note sotto il re dovevano infatti essere cedute al fagotto, che proprio in quella regione produce le sue note più dure ed incapaci di esprimersi nel piano. Pertanto per questo strumento è senz’altro opportuno abbandonare gli indugi e considerare certa l’eseguibilità delle note in questione; per quanto riguarda il clarinetto in si bemolle, data la minore utilità dell’innovazione, sarà prudente aspettare ancora.

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Clarinetto contrabbasso

Il gigantesco modello contrabbasso della famiglia dei clarinetti a tutt’oggi non compare nelle orchestre sinfoniche. Alcuni autori (Strauss, Schönberg) ne hanno fatto sporadico uso, ma lo strumento, che estende la famiglia dei clarinetti quasi alla stessa estensione grave del controfagotto è praticamente introvabile. E’ annotato in si bemolle, e l’estensione è la seguente:

Circa la grafia, vale quanto detto a proposito del clarinetto basso: in questo caso però, i suoni annotati in chiave di basso, si intendono all’ottava inferiore come effetto. Per via della grande quantità di fiato necessaria all’emissione, e per le dimensioni generali, l’agilità è molto più limitata che nei modelli precedenti.

118

I Sassofoni Ideato da Adolphe Sax nel 1846, il sassofono è uno strumento ad ancia semplice con tubo conico in metallo; è dotato di portavoce che gli consente di produrre con facilità i suoni oltre la prima ottava dell’estensione; i vari tagli dello strumento formano una nutrita famiglia che dal sopranino in Mi bemolle, attraverso il soprano in Si bemolle, il contralto in Mi bemolle, il tenore in Si bemolle, il baritono in Mi bemolle e il basso in Mi bemolle, scende sino al rarissimo contrabbasso in Si bemolle.

Sopranino in mi

Tenore in si





Soprano in si



Baritono in mi

Contralto in mi



119



Basso in si



Estensione

Strumenti traspositori, i Sassofoni hanno, seppure a diverse altezze, una identica estensione:

Solo il baritono possiede una chiave aggiunta che lo rende discendente di un semitono (quindi sino a La nella notazione comune); questa estensione può essere suddivisa nei seguenti registri:

La nota in nero e alcune seguenti forma il registro sovracuto, di uso esclusivamente solistico, e di difficile definizione, modificandosi a seconda delle singole capacità virtuosistiche.

Timbro Generalmente, il timbro del sassofono è il principale ostacolo al suo inserimento fisso nell’orchestra sinfonica, avendo caratteristiche ibride e di difficile impasto con gli altri strumenti: racchiude in se caratteristiche di legni (clarinetto, corno inglese) ottoni (corno francese) e per certi versi anche alcuni aspetti degli archi (violoncelli tesi sulla prima corda), a seconda del registro dove viene impiegato. Inoltre la sua voce è più consistente dei normali legni, e può essere paragonabile come sonorità a quella dei corni. Indubbiamente, tranne se usato in un tutti orchestrale, il suo particolare colore anziché amalgamarsi, buca il timbro generale degli altri strumenti e tutto sembra omologarsi ad esso; d'altronde la sua funzione unicamente rafforzativa di un insieme orchestrale umilierebbe le sue ricchissime risorse tecniche ed espressive. L’uso di solista con orchestra sembrerebbe più indicato al suo ruolo; tuttavia, anche in questo caso necessita di un’atmosfera espressiva tutta particolare, e d’una attenta ricerca timbrica nella partitura.

120

La consistenza del suo registro grave è intensa, la sonorità velata e calda; come in tutti gli strumenti con portavoce, le note più acute del registro grave (anche qui chiamato chalumeau) sono poco espressive; nel registro medio il suono si raccoglie e diventa un po’ ovattato; salendo nel registro acuto e oltre, il timbro diventa piccolo e metallico, di crescente asprezza. Quanto detto si riferisce ad un’indicazione generica, che tiene conto tra l’altro di strumenti “medi”, come il contralto o il tenore (che sono i più diffusi); ovviamente il soprano e il sopranino non avranno le stesse caratteristiche del baritono e del basso : la gamma più acuta prevarrà nel carattere brillante e nell’agilità, ma togliendo qualcosa nello spessore timbrico, come avviene, ad esempio nel clarinetto piccolo, rispetto a quello in Si bemolle. Viceversa, i modelli gravi fonderanno nella zona timbrica medio grave la loro più rappresentativa identità, prevalendo in essa quanto a consistenza sonora e rotondità coloristica, più che in esile agilità.

Tavola comparativa in suoni reali dei Sassofoni

121

Morfologia ( sassofono soprano)

X MI

 RE

Portavoce Indice sinistro

(Pollice sinistro) I Medio sinistro MI

FA

II

Y

Anulare sinistro III

Indice destro SI DO



IV



SI Medio destro Mignolo destro MI

SI

V VI

FA (trilli)



DO

122



SOL  DO Mignolo sinistro

Anulare destro





Posizioni principali del soprano in si (effetto un tono sotto)

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce: 123

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

con portavoce:

124

con portavoce:

con portavoce:

125

Trilli e tremoli

Consultando le tavole delle posizioni, si potrà determinare l’agevolezza o meno dei vari trilli e tremoli; ovviamente, vale il principio che meno chiavi vi siano da cambiare, più ravvicinata sia la distanza intervallare e più si eviti registri troppo gravi o troppo acuti, maggiore sarà il rendimento e l’agilità degli stessi.

Agilità

Vale come riferimento quanto detto a proposito dei clarinetti, circa l’estesa agilità cui questi strumenti beneficiano nel legato, e altrettanto, come siano carenti nello staccato, di cui nel comune uso orchestrale è bene non spingersi oltre l’articolazione semplice. Ovviamente, circa alla generale agilità, è di primaria importanza riferirsi alle dimensioni dello strumento: sopranino e soprano in testa, seguiti a breve distanza da contralto e tenore, e a distanze sempre maggiori da baritono e basso.

Sonorità particolari

Nonostante sia uno strumento ad ancia semplice, il Flatterzunge anche se di gola risulta migliore che nei clarinetti, a causa delle vibrazioni metalliche dello strumento. Usati in ambito cameristico, e per determinati effetti, possono risultare gradevoli determinati suoni multipli. Un effetto molto usato è il portamento, di ottimo risultato se rimane nell’ambito dello stesso registro; infine, lo strumento è dotato di sordina, che può essere impiegata per ottenere una sonorità soffocata e piuttosto metallica.

126

Strumenti ad ancia doppia Questo gruppo di strumenti eterogenei produce il suono dalla vibrazione di due sottili lamine di legno, che vengono inserite all’estremità dell’imboccatura. Appartengono al gruppo l’ oboe, l’oboe d’amore, il corno inglese, l’heckelphon, il fagotto e il controfagotto. Dotati di un (e alle volte di due o anche tre) “portavoce” per facilitare l’emissione dei suoni della seconda ottava, e di un complicato sistema di chiavi, sono strumenti di minore agilità rispetto ai flauti e ai clarinetti; specie i fagotti e i controfagotti, risentono di una difficoltà strutturale resa ancora più problematica dal sistema dell’ancia doppia, la cui facile deteriorabilità rende spesso precarie le prestazioni dello strumento. Inoltre per questi ultimi gravano le dimensioni del tubo sonoro, che comportano una serie di suoni non del tutto omogenea sia nel timbro che nelle dinamiche. Ciononostante, a queste controverse peculiarità si deve anche l’inimitabile virtù di questi strumenti, il timbro, dotato di tali preziose caratteristiche dal rendere insostituibile un loro specifico intervento. Nelle sue variegate nuances ogni strumento del gruppo esprime un suo determinato ruolo espressivo. Fra gli strumenti di una stessa famiglia, il gruppo delle ance doppie è il meno omogeneo: l’oboe non trova un suo corrispettivo del tutto esaudente nel registro del contralto, affidato al corno inglese, avendo quest’ultimo delle caratteristiche morfologiche diverse, che ne rendono il suono più chiuso e non perfettamente amalgamabile a quello dell’oboe. Per questa ragione Wagner fece costruire un vero oboe contralto, con la campana aperta, e non a uovo, ma lo strumento non ebbe successo. L’heckelphon, che prosegue la tessitura fino al registro tenorile non si distingue dagli altri strumenti per quanto riguarda questo aspetto, e oltretutto è quasi scomparso dalle orchestre, dopo l’epoca straussiana. fagotto e controfagotto sono morfologicamente così diversi dagli altri strumenti citati da rendere ovvia la loro diversità timbrica rispetto ad essi. Nell’uso orchestrale la tipicità timbrica di questi strumenti rende difficoltoso l’amalgama con altri fiati e particolarmente con gli archi, se ci si riferisce al raddoppio di parti. Particolare è il timbro risultante in zona medio-acuta tra clarinetto e oboe, molto simile ad una tromba con sordina; poco efficace il raddoppio con i flauti, in quanto timbricamente non rilevante, e per ciò che riguarda l’uso rafforzativo, considerare che dove l’oboe è sonoro, il flauto non lo è, e viceversa. Di scarso interesse anche raddoppi oboe archi, laddove questi ultimi costituiscono invece una base ideale per il sostegno di un oboe o corno inglese usato solisticamente. In epoca classica era invece molto praticato il raddoppio dei violoncelli ad opera dei fagotti, ma ora ne risulterebbe una sonorità desueta, e piuttosto banale. Quindi questo gruppo di strumenti piuttosto controverso andrebbe usato in “purezza”, per mettere in luce la bellezza espressiva o le interessanti peculiarità timbriche, con interventi solistici piuttosto che negli impasti orchestrali

127

Strumenti ad ancia doppia

oboe oboe d’amore corno inglese heckelphon

fagotto

N.B: i rapporti tra le dimensioni degli strumenti raffigurati sono relativi.

128

controfagotto

L’ Oboe

Strumento principale del suo gruppo, l’oboe ricopre un ruolo insostituibile nell’ambito orchestrale, soprattutto per fattori timbrici ed espressivi. L’agilità è contenuta, sia nel legato che nello staccato, di quest’ultimo disponendo solo dello staccato semplice; figurazioni rapide, grandi salti ecc. non sono confacenti alla natura dello strumento, adatto all’espressività, al canto più che ad un uso virtuosistico. Ottima è invece la durata dei respiri, potendo, specie nel registro medio e acuto essere sensibilmente superiore agli altri strumenti a fiato. Circa i dati tecnici, un complicato sistema di chiavi impegna tutte le dita della mano sinistra e, escludendo il pollice, quelle della mano destra; il dito mignolo ne aziona quattro per la sinistra e tre per la destra. La nota più grave, il si bemolle, è ottenuta mediante una chiave aggiunta, mentre un primo portavoce, controllato dal pollice sinistro produce dal mi al sol diesis della seconda ottava, ed un altro portavoce, controllato dall’indice sinistro prosegue dal la al do della stessa. Combinazioni diverse di chiavi, con o senza intervento del portavoce producono gli ulteriori suoni nell’acuto.

Estensione e registri

Le note sotto al pentagramma sono dure, impossibili nel pianissimo, di non buon effetto generale; il restante registro grave tende comunque a risultare un po’ pesante, molto nasale. Nel registro medio troviamo le migliori qualità espressive dello strumento, una timbrica ben calibrata, una dinamica ben gestibile, una migliore agilità, specie di emissione (qui è possibile uno staccato sensibilmente più rapido che nel registro grave). Pungente e sottile il registro acuto, ma oltre il Re i suoni si assottigliano perdendo interesse timbrico, sino all’estremità dell’estensione, difficile da produrre e di scarso effetto. Le ultime note del registro acuto dovrebbero sempre essere raggiunte progressivamente, e mai di salto. 129

Morfologia

Secondo portavoce L’Indice sinistro chiude il foro del si, ma spostandosi in avanti libera una semiapertura,utile per alcune combinazioni; inoltre le falangi più arretrate possono azionare il secondo portavoce.

Con il pollice entra in azione il primo portavoce Il medio della mano sinistra chiude il foro del La

re  trilli acuti) do  sol mi 

si  si

L’anulare sinistro chiude il foro del Sol

L’indice destro chiude il foro del fa diesis

Il medio destro chiude il foro del mi

Il mignolo sinistro aziona principalmente la chiave del si bemolle. Appoggiando le falangi più arretrate si tiene chiusa anche la chiave del si. Le altre due posizioni del mignolo si riferiscono alle chiavi del sol diesis e del mi bemolle (replicate nella mano destra)

fa Chiave “a banana”

do  do mi 

L’anulare destro chiude il foro del re, controlla anche la chiave del fa e la chiave “a banana” che chiude il do basso

Il mignolo destro controlla le chiavi del do, del do diesis e del mi bemolle

130

Primo portavoce (pollice sinistro)

Posizioni principali

con portavoce:

131

Secondo portavoce (indice sin.) con secondo portavoce:

con portavoce:

132

N.B.

N.B.

133

N.B.

134

Agilità Come si è già accennato nell’introduzione al gruppo delle anche doppie, l’oboe e gli altri strumenti della famiglia sono usati principalmente a motivo della loro espressività; quindi la minore agilità nei confronti degli altri legni non è un grosso limite rispetto all’uso che se ne richiede. Tuttavia, le partiture del ventesimo secolo, autori come Ravel, Strawinsky, nonché i miglioramenti tecnici apportati hanno notevolmente diminuito il divario con gli altri più agili strumenti. Il Legato è del tutto soddisfacente, evitando di richiederlo per i grandi intervalli specie se discendenti; lo staccato risulta nitido e rilevante, ma non si può richiedere una grande agilità, in quanto lo strumento adopera solo lo staccato semplice.

Trilli e tremoli Escludendo la nota più grave, il cui trillo non può essere ottenuto comodamente in tutti gli strumenti, ma solo in alcuni modelli, i trilli sono efficaci in pratica per tutta l’estensione; si eviterà di richiedere il trillo delle note gravi al di sotto del re, per via della pesante sonorità e per la goffa resa che ne deriverebbe, e per motivi di scomodità altrettanto dicasi per il registro più acuto. Per la loro praticabilità esistono diverse chiavi laterali, sia nella mano destra che nella sinistra, che offrono diteggiature alternative a quelle delle normali posizioni, qualora queste fossero scomode o impraticabili. In alcuni casi si preferisce utilizzare il terzo armonico per una più agevole diteggiatura. Per quanto riguarda i tremoli, sono da evitare tutte quelle combinazioni che prevedano intervalli oltre la sesta maggiore e qualsiasi altra combinazione dove sia richiesta una alternanza macchinosa di chiavi, specie se numerose: confrontarsi per questo con le tabelle precedenti delle posizioni.

Suoni armonici Come si è già detto, i suoni armonici rappresentano la normale fonte di espansione degli strumenti a fiato, quindi non sono da ritenersi effetti particolari; tuttavia anche per l’oboe è prevista la possibilità per una fascia dell’estensione di ottenere il suono non dal secondo ma dal terzo armonico, ossia ottenendo la quinta oltre la prima ottava del suono base; quindi, partendo l’estensione dal si bemolle, il primo armonico di questo genere ottenibile sarà il fa dell’ultimo rigo del pentagramma, e cosi via, salendo per circa una quarta giusta sino al si bemolle (ottenuto dal mi bemolle della prima ottava). L’effetto non sarà molto rilevante nell’insieme orchestrale, un po’ più in un uso solistico o cameristico; nell’uso pratico tali suoni sono soprattutto utilizzati dall’esecutore per migliorare l’effetto di alcune note scomode o difettose nell’intonazione, o come si è visto, per alcuni trilli.

135

L’ Oboe d’amore

E’ uno strumento traspositore in La, per cui la sua notazione risulta una terza minore sopra la nota effettiva. L’estensione è una terza minore sotto rispetto l’oboe, ma mancando della chiave aggiunta, quella che nell’oboe fa ottenere il si bemolle grave, la sua nota più grave, in note reali, è il sol diesis:

Il timbro dell’oboe d’amore è più caldo e ovattato rispetto l’oboe, per via della conformazione sferica anziché conica della sua campana, adattissimo nei ruoli espressivi e intensi; meno agile dell’oboe, non eccelle nello staccato, e va evitato nelle note più gravi e più acute dell’estensione Scomparso dalle orchestre, dopo il ruolo primario che ebbe nelle opere di Bach e di Telemann, venne riscoperto agli inizi del XX secolo da autori quali Debussy, R. Strauss e Ravel. Non viene tuttavia utilizzato stabilmente nelle orchestre contemporanee.

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Il Corno inglese

E’ il contralto della famiglia delle ance doppie, e ricopre un ruolo importante nell’orchestra moderna: in organici “a tre” risultano sempre due oboi e un corno inglese. Anch’esso strumento traspositore, è uno strumento in fa, quindi annotato una quinta giusta sopra i suoni effettivi. La sua estensione, nel grave è una quinta sotto quella dell’oboe, escludendo però la chiave aggiunta del si bemolle, quindi parte dal mi come nota reale; nell’acuto risulta un paio di note inferiore rispetto all’oboe (intendendo l’effetto una quinta sotto), ma nell’uso pratico è opportuno evitare la quinta più acuta dell’estensione.

Anch’esso dotato di campana sferica, produce un timbro caldo e ingolato, piuttosto diverso dall’oboe, per la prosecuzione nel grave del quale, Wagner concepì un oboe contralto, della stessa estensione del corno inglese, ma con campana conica, proprio per una migliore continuità timbrica fra i due strumenti, ma non ebbe successo. Effettivamente, il corno inglese è dotato di tali proprietà espressive da ritenerlo uno strumento indispensabile, nell’interpretazione di espressioni nostalgiche e bucoliche.

137

Agilità Limitata, rispetto all’oboe, per via delle dimensioni maggiori e della distanza superiore rispetto ad esso di fori e chiavi, come tutte le ance doppie predilige le frasi cantabili ai passaggi rapidi: il legato è buono, lo staccato risulta meno netto e più faticoso che nell’oboe. Il celeberrimo solo del terzo atto del Tristan di Wagner, ha rappresentato per decenni l’apice del virtuosismo raggiungibile da questo strumento:

Trilli e tremoli

Dalla nota alla nota (notazione in fa) sono possibili tutti i trilli maggiori e minori con l’esclusione di quelli che risulterebbero scomodi o impraticabili per via delle posizioni (consultare al proposito le stesse posizioni dell’oboe) Per quanto concerne i tremoli, considerarli possibili ma più faticosi che nell’oboe, evitando sia per questi che per i trilli le posizioni troppo gravi, per il risultato pesante e la difficoltà nell’ottenerli. Anche per i tremoli fare riferimento alle tabelle delle posizioni dell’oboe.

138

L’ Heckelphon

Corrispondente all’oboe baritono in do, è uno strumento inventato all’inizio del XX secolo dal costruttore tedesco W. Heckel , ed ha l’estensione dell’oboe un ottava sotto (senza la chiave aggiunta del si bemolle). Graficamente utilizza la chiave di violino, e la notazione è da intendersi l’ottava sotto rispetto a quella scritta:

Il timbro differisce notevolmente dagli altri strumenti della famiglia, non possedendo ne la trasparenza dell’oboe, ne il timbro nostalgico dell’oboe d’amore e del corno inglese: risulta infatti una sonorità piuttosto dura e aggressiva, specie nel registro grave. Ampiamente utilizzato da R. Strauss (Elektra, Salome, Sinfonia delle Alpi, Josephlegende) e successivamente da P. Hindemith in opere cameristiche, è poco presente nelle orchestre italiane, e non risulta come strumento in organico fisso. In Germania esiste un modello di heckelphon contralto in fa, con il quale si esegue l’annuncio festoso dell’arrivo di Isolde, nel terzo atto del Tristan. Per quanto riguarda l’agilità, le posizioni, i trilli i tremoli e le altre caratteristiche generali, anche per questo strumento valgono le considerazioni fatte per gli strumenti precedenti, e per fattori tecnici si rimanda principalmente a quanto detto a proposito dell’oboe.

139

Il Fagotto

E’ il basso della famiglia delle ance doppie, e come appartenente a tale gruppo possiede un carattere timbrico a se stante, ma conforme alla natura degli altri strumenti della sua specie: produce un suono un po’ nasale, rude nelle note gravi, sottile e quasi aspecifico nel registro acuto. Quanto alle qualità espressive varia con molta versatilità: può risultare minaccioso, nelle sue note più gravi, grottesco, umoristico e perfino nostalgico, a seconda del contesto in cui viene inserito. Come gli altri strumenti del suo gruppo, per varie ragioni è opportuno utilizzarlo in “purezza” per meglio sottolinearne le peculiarità, e per motivi pratici in modo antagonistico rispetto gli ottoni: muovendosi nella zona centrale verrebbe coperto dalla sonorità ben più emergente di questi, tromboni in testa, mentre in zona acuta, perdendo forza e carattere verrebbe annullato da corni e trombe; nel registro grave, pur consistente, sparirebbe al confronto di tuba e tromboni: queste raccomandazioni valgono particolarmente per le sonorità forti, mentre a seconda del contesto, con dinamiche più tenui potrebbero essere diversamente considerate. Non è poi secondario il ruolo rafforzativo di strumenti (ad esempio i corni) che trovandosi in zone precarie, nel registro grave, e in passaggi difficili, trovano nel fagotto un utile alleato: ricordiamo l’esempio della prudenza straussiana che, diffidando dei corni sotto il do2, affida ai fagotti il compito di proteggere l’inciso iniziale del Rosenkavalier dai pericoli derivanti soprattutto dall’attacco a freddo degli ottoni:

Emblematica è anche la rapidità con la quale liquida questi strumenti, una volta passato il pericolo!

140

Grafia Il fagotto utilizza due chiavi, quella di basso, per il registro grave e medio, e quella di tenore per il registro acuto: per le note estreme di quest’ultimo può essere impiegata anche la chiave di sol.

Le note sotto il Re grave sono incapaci di un vero piano: ascoltando il pianissimo iniziale del Pellèas di Debussy, dove il fagotto sostiene il re bemolle grave, è facile sentire la differenza tra il suono di una registrazione – dove è possibile intervenire sui livelli sonori – e quello di una esecuzione pubblica, in cui irrimediabilmente il fagotto sfora con un mezzoforte sul pianissimo degli altri strumenti (oggi certamente l’autore del Pellèas avrebbe utilizzato il clarinetto basso, capace ormai di scendere sino al si bemolle). Dal Re per circa un ottava il suono è forte e pieno di carattere; man mano che sale verso il registro medio si appanna un po’. Il registro medio non è pieno come quello grave, risulta piuttosto pigro, e salendo comincia a perdere le caratteristiche timbriche peculiari (di incredibile resa l’amalgama nei pressi del do centrale con i flauti). Il registro acuto, salendo sino al si bemolle, è teso e un po’ penoso: oltre, considerare improprio l’uso orchestrale. Esistono due sistemi di costruzione del fagotto: il Buffet , francese, è il più antico e rende qualche difficoltà nell’equiparazione dei suoni, inoltre dimostra alcune limitazioni tecniche; l’altro sistema, il tedesco Heckel rende più omogenea la produzione dei suoni, facilita l’emissione del piano, mediante una chiave azionata dal pollice sinistro (che in questo sistema è il factotum) e ne migliora alcune possibilità tecniche: molti sostengono che il suono del sistema francese nel registro acuto sia più espressivo. In alcune partiture di Wagner e Mahler si richiede al fagotto il La grave: pochi strumenti possiedono una chiave aggiunta per questa nota; in mancanza di essa, l’applicazione di un rotolino di carta inserito nella campana rende ottimamente il medesimo effetto; di solito i fagottisti aggiustano l’intonazione senza altri espedienti, dato che a quell’altezza è poco distinguibile un minimo di imperfezione.

141

Particolari sull’impiego del pollice sinistro (sistema Heckel)

chiave del Si 

chiave del Si

chiusa insieme a quella del Si, chiude automaticamente le chiavi del Do e del Re

chiude automaticamente le chiavi del Do e del Re

chiave del Do chiude automaticamente la chiave del Re

Re Do La  Do

chiave del Re

Questa chiave chiude un piccolo foro, ed è destinata a sostenere le note dal Mi grave al La bemolle sotto il Do centrale, inoltre viene utilizzata in alcune posizioni acute. Serve a migliorare l’emissione e a rendere possibile un



142

per le note acute

Morfologia

Mano sinistra

Mano destra 

I = indice II = medio III = anulare

IV = indice V = medio VI = anulare

Si



I

Do acuto La acuto Do acuto Re acuto

II

III

IV

VI

V



Si

pollice sinistro Si Do





Mi Do

Fa

Re mignolo sin.

Fa









La

mignolo destro

Si * Mi Fa ** La ** pollice destro

* replicata da anulare destro ** replicata da mignolo destro

143



Posizioni principali

N.B.

N.B.

144

N.B.

145

146

147

Trilli e tremoli

Dal suono

al

i trilli rendono efficacemente;

tuttavia , i seguenti sono praticamente impossibili:

Sotto il sol grave evitare i trilli, perché o scomodissimi, o di pessimo effetto, o impraticabili. Consultare sempre le tavole delle posizioni, per evitare comunque combinazioni di chiavi scomode; altrettanto dicasi per i tremoli.

Sordina Esiste in alcune partiture la prescrizione della sordina per il fagotto, tuttavia non è di uso corrente, e qualora venisse richiesta il fagottista si adopera mediante un panno appoggiato sulla campana, avente lo scopo di chiudere il foro d’uscita, col conseguente smorzamento del suono; il costruttore Heckel ha ideato una vera sordina che, inserita all’estremità della campana, ne riduce il diametro: ma è ben rara l’applicazione di tale strumento, in quanto la richiesta della sordina per il fagotto nelle partiture è quasi inesistente.

Agilità Il legato trova difficoltà, se discendente, per gli intervalli superiori alla terza; non così in senso ascendente, dove anche ampi intervalli possono essere legati: ovviamente si terrà conto della scarsa agilità generale dello strumento, limitandone pertanto la velocità dei passaggi. Lo staccato è buono in tutti i registri, ma faticoso specie nel grave, dove si cercherà di evitarne le lunghe reiterazioni in tempi veloci: in questi casi sarebbe bene alternare suoni staccati con suoni legati, come ad esempio:

148

Il Controfagotto

Fino a quando Heckel non apportò allo strumento le opportune modifiche, spesso in orchestra veniva adoperato il sarussofono, strumento all’incirca della stessa estensione, costruito in ottone e fornito di ancia doppia, ormai scomparso dall’uso orchestrale. Oggi il controfagotto utilizza le stesse tecniche e posizioni del fagotto, raggiungendo nel grave l’ultimo si bemolle del pianoforte (quindi attribuendosi così il ruolo di strumento più grave dell’orchestra) e salendo per circa tre ottave. La sua grafia è all’ottava superiore della nota risultante.

Le due note più gravi, al di sotto del do sono più simili a rumori che a suoni; salendo oltre il terzo si bemolle la sonorità è progressivamente più penosa, instabile e poco intonata. Nel suo registro migliore, il suono è caldo e gutturale, caratteristiche mantenute pienamente nella prima ottava, e progressivamente affievolite salendo.

149

Agilità Fra gli strumenti meno agili dell’orchestra, il controfagotto non è adatto a nessun passaggio d’agilità; quanto ai trilli, pur faticosamente, possono essere praticati, mentre i tremoli risultano troppo lenti e pesanti per immaginarne un impiego utile. Inoltre, lo strumento richiede una grande quantità di fiato, specie nel registro più grave, pertanto regolarsi di conseguenza nell’attribuzione di note lunghe, e nella regolamentazione dei respiri. L’esempio che segue è tratto dalla Salome di Richard Strauss e vede il controfagotto usato solisticamente,in un ruolo molto impegnativo:

Strauss, però, si premunisce da cattive sorprese con questa dichiarazione, in partitura: “Wenn den Controfagottist nicht vorzüglich, ist die ganze Solostelle (eine Oktave tiefer) vom ersten Fagott auszuführen bis Ziffer 152“ (Se il controfagottista non eccellesse, l’intero Solo (all’ottava inferiore) è affidato al primo fagotto, sino al numero 152)

150

Gli Ottoni Il gruppo degli Ottoni costituisce con i Legni la categoria degli strumenti a fiato; il loro pieno impiego in orchestra non è tuttavia presente in maniera stabile, adeguando il loro uso alla sonorità generale: mentre ad esempio una coppia di corni, e talvolta di trombe sono previste in organici di piccola Orchestra, l’utilizzo dei tromboni e delle tube avverrà nel contesto di orchestra Sinfonica, dove gli stessi corni verranno raddoppiati mediante l’aggiunta di una nuova coppia (e a volte di più di una). Nel normale organico di un’orchestra Sinfonica troveremo quindi gli Ottoni seguenti:

4 corni in Fa 3 trombe in Si 3 tromboni ( tenor-bassi ) 1 tuba contrabassa ( detta “bassotuba” )

Confrontando questi con i Legni, in un organico a 3, si osserverà che sono all’incirca corrispondenti: 11 Ottoni e 12 Legni, ma a questi numeri, pur indicatori di un equilibrio di sonorità dovrà essere posta una premessa. Nell’ estensione seguente:

in dinamiche che non siano inferiori al

“forte”, l’uso concomitante di Ottoni e Legni negli stessi registri risulterebbe improprio, data la surclassante sonorità dei primi sui secondi; nel “piano” un equilibrio è invece possibile, ovviamente relegando gli Ottoni a ruoli e zone in cui il controllo della loro esuberanza dinamica sia effettuabile. In altri termini, e in circostanze diverse da quelle descritte, l’impiego degli uni o degli altri dovrà essere ritenuto antagonistico se riferito all’ambito delle medesime altezze: agli strumentini rimarrà incontrastato il dominio delle zone sovracute, dove anche nel contesto del più fragoroso “fortissimo” orchestrale la loro presenza non risulterebbe compromessa.

Altra essenziale distinzione tra i due gruppi riguarda i ruoli: nulla della fluidità espressiva, della mobile articolazione melodica, con la quale i Legni caratterizzano i propri interventi potrà essere relegato agli Ottoni, senza con questo mortificandone la natura in un risultato dall’esito volgare: rarissime (per quanto preziose) sono in tal senso le eccezioni fortunate. Senza nulla togliere all’essenziale funzione di questi strumenti, essa si volgerà ad elementi più sobri e asciutti piuttosto che a dimensioni liriche; la giusta cifra tematica sarà quindi tanto più stilizzata melodicamente quanto incisiva, tanto più simbolica ed essenziale quanto carismatica.

151

Il senso dinamico dell’articolazione ritmica dovrà riferirsi al ribattuto piuttosto che allo scorrimento melodico:

Naturalmente le stesse considerazioni non avrebbero alcun senso al di fuori dell’ambito della scrittura sinfonica tradizionale: nel Jazz, nella musica leggera in generale, nella musica sperimentale, i parametri di giudizio sono spessissimo opposti a quanto qui riferito. Sia pure limitando al repertorio sinfonico queste osservazioni, considerare non univoco il loro punto di vista, poiché data la variabilità delle situazioni di un contesto musicale, esprimono solo un concetto generico. E’ comunque indicativo che per ciò che riguarda gli Ottoni, le modifiche tecniche apportatevi nel corso della storia, pur allargandone enormemente le possibilità, abbiano contribuito, se non ad uno snaturamento, talvolta ad un fraintendimento del loro impiego, e, dal punto di vista timbrico, a qualche rinuncia delle primordiali virtù. Inizialmente, infatti, corni e trombe ( i tromboni sono entrati successivamente in orchestra ) sviluppavano le loro uniche possibilità attraverso gli armonici naturali prodotti dal suono più grave (detto suono 1); rispetto ad esso si otteneva l’ottava, la dodicesima (quinta superiore) la seconda ottava, la terza superiore alla seconda ottava, la settima minore e la terza ottava, per seguire con intervalli sempre più ravvicinati ma di malsicura e poco intonata emissione. I corni avendo una cameratura più ampia, e di conseguenza un suono base più grave, avevano maggiori possibilità, producendo gli armonici più acuti in una zona genericamente centrale, con più risorse quindi per interventi melodici, seppur limitati: inoltre potevano modificare l’altezza delle note di un semitono introducendo la mano destra nel padiglione, ma questo procedimento ne alterava il timbro. corni e trombe venivano quindi costruiti in diversi tagli, affinché potessero essere utilizzati nelle varie tonalità. Venne poi il sistema dei ritorti, costituiti da circuiti aggiuntivi che si inserivano tra l’imboccatura e il canneggio fisso, aventi lo scopo di allungare la cameratura e quindi di rendere più grave la rete degli armonici riproducibili: ma è evidente che questi cambiamenti avevano necessità di tempo e non potevano certo intervenire nel corso di un passaggio attivo dello strumento. Si dedurrà quindi che l’introduzione degli strumenti in ottone sia avvenuta per prerogative timbriche e non melodiche, e che alle caratteristiche derivanti dai suoi limiti in tal senso si traggano le naturali peculiarità espressive di questi. 152

Successivamente furono inventate le valvole azionate dai pistoni, quei meccanismi in grado di rendere praticabili tutti i suoni dell’estensione dello strumento. A causa di quello che fu indubbiamente un progresso clamoroso, allargato agli altri strumenti in ottone, con l’esclusione dei tromboni, che dopo un breve periodo di adozione dei pistoni ritornarono al precedente sistema “a tiro”, seguì il rischio di quel fraintendimento di ruoli di cui si accennava precedentemente; si osserverà anche come alcune scuole nazionali (ad esempio quella francese alla fine del XIX secolo) abbiano fatto prevalere queste novità “addomesticando” melodicamente questi strumenti con risultati spesso stucchevoli, mentre altre, come la Scuola tedesca, siano volte al rispetto delle loro funzioni originarie. Oltre agli strumenti citati all’inizio del capitolo, presenti stabilmente nell’orchestra sinfonica , ve ne sono molti altri seppure di uso più sporadico; tra questi : tromba piccola in re; tromba in fa; tromba bassa in si bemolle; cornetta; tuba bassa in si bemolle; tube wagneriane in si bemolle o in fa. Tutti i componenti del gruppo degli Ottoni producono il suono mediante il bocchino, che ha forme diverse per i vari strumenti: questo è l’unico elemento capace di per se di creare un suono, che si ottiene non soffiando, bensì facendo, con l’emissione del fiato, vibrare le labbra al contatto con esso: il resto dello strumento ha funzione di ampliamento e di colorazione timbrica del suono così ottenuto. Grande rilevanza ha la forma, specie nella sezione interna del bocchino: le forme coniche allungate favoriscono i timbri chiari ( corni, tube wagneriane) mentre le forme semisferiche (trombe, tube, tromboni) privilegiano una sonorità corposa e scura.

Bocchini di diversi strumenti in ottone

corno

tromba

flicorno

153

trombone

tuba

Il Corno Francese

Strumento dalle antichissime origini è fra quelli che hanno subito più trasformazioni nel corso dei secoli: tra il corno animale (successivamente imitato in lega metallica) usato nell’antichità a scopi militari o venatori al moderno impiego delle valvole passa l’intera storia dell’umanità. Pur non essendo lo scopo di quest’opera soffermarsi sui percorsi storici degli strumenti, per meglio comprendere il funzionamento del corno attuale tuttavia è utile attraversarne le tappe più significative. Fisiologicamente di forma semicircolare, come il suo prototipo animale, il corno sviluppò presto la necessità di emettere segnali più articolati, delle due o tre note (gli armonici 2 – 3 – 4 ) che gli erano possibili, ma per ottenere ciò era necessario che il canneggio fosse considerevolmente allungato, così da permettere un suono base più grave, in grado di produrre una serie di armonici più fitti. Uno strumento di queste dimensioni però avrebbe causato notevoli disagi nelle partite di caccia e negli altri usi in cui lo strumento veniva soprattutto impiegato. Fu così che, intorno alla metà del XV secolo comparvero i primi esemplari di “corni a voluta” in cui il canneggio compie un intero circolo prima di proseguire verso il padiglione, allungando in tal modo la cameratura, ma riducendone le proporzioni. Successivamente vengono costruiti corni spiroidali con più giri nel canneggio. Fermiamo ora il breve percorso storico per fissare l’attenzione sullo strumento descritto fin’ora: un tubo conico spiroidale, privo di buchi, leve, o altro che possa modificarne i suoni. Come accennato nella parte introduttiva del capitolo Ottoni, mettendo in vibrazione un tubo sonoro riusciremo a produrre una serie di armonici originati dal suono base (suono1), il quale però spesso non riesce a prodursi. Da questo potranno essere originati con facilità, immaginando che lo strumento sul quale abbiamo posato la nostra attenzione sia in Do, i seguenti suoni:

154

Escludendo l’armonico 11, assai difettoso, e saltando sul 12 otteniamo la successiva quinta del suono base, ma già l’armonico 10 è, per lo strumento descritto, di una notevole difficoltà. Questi quindi gli unici suoni di uno strumento naturale, tagliato in Do. L’esempio che segue dimostra con chiarezza questo concetto:

Un qualsiasi strumento realizzerebbe nel seguente modo i tayauté (mordenti) :

ma il corno dell’epoca l’avrebbe così realizzato:

All’inizio del XVIII secolo furono introdotte le “ritorte” ossia dei circuiti aggiuntivi aventi lo scopo di allungare il canneggio generale, e quindi di trasportare la tonalità dello strumento in altre tonalità.

155

Verso la metà dello stesso secolo cominciò la tecnica della mano inserita nel padiglione dello strumento, scoperta questa che influenzò profondamente la tecnica del corno, e i suoi futuri impieghi. Inserendo, infatti, la mano destra nel padiglione si può ottenere un cambio dell’altezza dello strumento, rispetto all’armonico che si effettua con il labbro. Più precisamente, se la mano viene parzialmente inserita, leggermente concava, appoggiata sulla parete interna del padiglione produce un suono abbassato di un semitono; aumentando la convessità delle dita, il suono può abbassarsi ancora, ma l’effetto era utilizzato soprattutto per ottenere semitoni discendenti, e a volte un tono. Inserendo ancora più profondamente la mano all’interno del padiglione, e chiudendone completamente l’uscita si ottiene invece l’effetto inverso: il suono si alza di un semitono. Queste, dunque le aggiornate possibilità dello strumento:

Oltretutto, l’espediente era utile anche per correggere l’intonazione degli armonici difettosi, ad esempio il 7 o l’11. C’è da osservare che, mentre il suono semichiuso, pur attenuandolo, non modifica la timbrica del suono aperto, quello chiuso la inasprisce, rendendola metallica. Comunque, anche dopo l’avvento del sistema delle valvole, queste tecniche sono rimaste, per motivi filologici, o molto più, per ragioni espressive legate appunto al timbro: le vedremo più avanti con i termini di suoni chiusi (o bouchés) e semichiusi (o suoni d’eco) corno naturale con ritorti

156

Nel 1815 il cornista dell’orchestra di corte della Slesia settentrionale Heinrich Stölzel ideò il primo sistema delle valvole, che avrebbe costituito la generazione degli strumenti “a macchina” dei tempi moderni. Inizialmente pensato per il solo corno, trovò ampio e rapido favore presso le trombe e le tube. Una volta perfezionato, il sistema consisteva in tre pistoni (o nel caso dei corni in tre leve ruotanti rispettivi cilindri) che premuti inserivano nel canneggio generale un circuito supplementare, esercitando in pratica il ruolo dei ritorti, ma rendendolo possibile nel corso dell’esecuzione. Il pistone (o cilindro) centrale (2) introduceva un percorso aggiuntivo che abbassava il suono dell’intero canneggio di un semitono, il pistone più vicino all’imboccatura (1) lo abbassava di un tono, quello più vicino al padiglione (3), di un tono e mezzo; inoltre, la combinazione del pistone 2 e del pistone 3 continuava la scesa del suono sino a due toni sotto (un semitono per l’effetto del pistone 2 più un tono e mezzo per quello del pistone 3); l’unione dei pistoni 1 e 3 produceva una quarta giusta discendente; per finire, l’uso simultaneo dei tre pistoni portava il suono naturale sino ad una quinta diminuita sotto: e questo, ovviamente, per ognuno dei suoni producibili con gli armonici naturali, rendendo contigua l’estensione dello strumento dal suo suono più grave a quello più acuto :

Funzionamento dei pistoni (o cilindri) dal secondo all’ottavo armonico Il primo pentagramma mostra quali suoni possono essere ottenuti dagli armonici naturali; il suono 1 (in nero) detto suono pedale può scendere di un paio di semitoni; il suono 7 (in nero) è difettoso nell’intonazione.

157

Naturalmente la grande invenzione delle valvole non risolveva soltanto l’immediatezza del cambio dei ritorti: rendeva questi strumenti capaci di agilità e di produzione di qualsiasi serie melodica di suoni. Con solo tre tasti, e con l’effetto del fiato nel cambiamento degli armonici diventavano possibili scale, diatoniche e cromatiche, su tutta l’estensione dello strumento. D’altro canto, il timbro originario ne veniva alquanto compromesso, se non altro per la più bella sonorità espressa dagli strumenti precedenti: fu così che si adottarono in orchestra per un lungo periodo due coppie di corni, una naturale, per la bellezza dei suoni, e una col sistema delle valvole, per la sua praticità. Fu Richard Wagner che, nella prefazione del Tristan, sebbene a malincuore, ritenne l’uso della coppia naturale non più adeguato alle moderne esigenze della produzione musicale: Die Behandlung des Hornes glaubt der Tonsetzer einer vorzüglichen Beachtung empfehlen zu müssen. Durch die Einführung der Ventile ist für dieses Instrument unstreitig so viel gewonnen, daß Es schwer fällt, dieses Vervollständigung unbeachtet zu lassen, obgleich dadurch das Horn unleugbar an der Schönheit seines Tones, wie namentlich auch an der Fähigkeit, die Töne weich zu binden, verloren hat…. Il compositore crede di dover raccomandare le parti dei corni alla massima attenzione degli esecutori. L’adozione dei pistoni segna, nella fattura di questi strumenti un progresso tale che è difficile ignorare; in effetti si tratta di un perfezionamento, benché il corno ha certamente perduto, d'altronde, qualche cosa della bellezza del suo timbro e della facoltà che aveva di legare i suoni con dolcezza….

N.B.: Tutti i suoni compresi in questa estensione sono realizzabili; il suono pedale di si bemolle può teoricamente scendere sino alla sesta posizione, ma si tratta di suoni grotteschi, laceranti, che peggiorano in relazione al numero crescente della posizione; i suoni in neretto, vicini alle semibrevi, indicano le posizioni 2 e 3 rispetto tali note, e sono le più consigliabili: procedendo con le posizioni si ottengono suoni sempre più brutti; le note in neretto del registro sovracuto sono di uso eccezionale.

158

Una considerazione importante deve essere fatta a proposito del registro sovracuto: per qualsiasi altro strumento, spingendosi verso le ultime note del registro si è asserito che la difficoltà nell’emissione di detti suoni era semitono per semitono crescente, e con essa la qualità e l’intonazione degli stessi si faceva sempre più precaria. Questo non accade per il corno, né per gli altri strumenti a valvole, per il semplice motivo che la difficoltà nell’emettere il 16esimo armonico della cameratura in si bemolle resta inalterata anche per i suoni sottostanti che dipendono dai ruoli dei pistoni sul medesimo armonico, mentre più le posizioni aumentano più precaria diventa la qualità degli stessi: per cui, se il 16esimo armonico è senza dubbio un suono estremo e difficile, lo sono ancora di più la quarta e la quinta posizione direttamente discendenti da esso.

A parte i suoni pedale e le note Fa e Si bemolle prodotte dal secondo armonico delle due camerature, il registro grave non ha particolari pregi: i suoni, infatti, tendono ad afflosciarsi e nel piano risultano un po’ sporchi, nel forte ricordano quelli della tuba, ma senza la stessa pienezza. Inoltre l’uso dei cilindri dovrebbe essere limitato al massimo alla quarta posizione: procedendo con le altre si ottiene un suono sempre peggiore. Il registro medio è pieno di fascino ed esprime tutte le migliori caratteristiche timbriche del corno: dal pianissimo al forte tutti i suoni risultano omogenei e intonati. Anche in questo caso, più basso sarà il numero della posizione adottata e più il suono sarà di buona qualità; ma in questo registro si può arrivare con tranquillità alla quarta posizione ottenendo un buon risultato. Il registro acuto non può essere ottenuto con una dinamica inferiore al forte, e la sonorità tende ad aumentare per ogni nota che sale fino al limite del registro; la suono è squillante, teso, e va raggiunto con prudenza. Quanto al registro sovracuto, esso è da ritenersi di uso solistico più che orchestrale, e comunque rappresenta un eccezione sia dal punto di vista tecnico, per la crescente difficoltà, sia da quello espressivo, in quanto questi ultimi suoni risultano esasperati, sottili e atipici.

Grafia Il corno è uno strumento traspositore in Fa, per cui scrive una quinta giusta sopra i suoni che vuole ottenere (anche se lo strumentista usa la cameratura in si bemolle). Per una antica convenzione, oggi fortunatamente quasi scomparsa, quando si utilizza il registro grave, e quindi la chiave di basso, le note devono essere scritte una quarta sotto il suono d’effetto :

159

Posizioni Quella che segue è la tabella delle posizioni in suoni reali. Con il segno 0 viene indicata una posizione che non necessita l’uso di cilindri, i quali verranno indicati con i numeri corrispondenti: 1-2-3. Tra parentesi è indicata la posizione alternativa per la cameratura in si bemolle. Infine, in grassetto e sovrastante l’indicazione dei cilindri, in numeri romani l’armonico dello specifico suono. ___

I I 0 (1/3)

I (2/3)

___

I (0)

II 1/2/3

II 1

___

II 2

III 2/3

II (1)

IV 2/3

V 1/2

III (2/3)

IV (2/3)

III 1/2

___

I (1/2)

___

I (1)

___

II 1/3

___

II 2/3

___

II (1/2/3)

II 0

II (1/3)

III 1/2/3

II (0)

II (2)

III 1

IV 1/2

III (1/2)

IV 1

III (1)

V 1

IV (1/2)

V 2

IV (1)

160

___

I (2)

II 1/2

___

II (2/3)

III 1/3

II (1/2)

III 2

III (1/2/3)

III 0

III (1/3)

IV 2

III (2)

IV 0

III (0)

V 0

IV (2)

VI 1

IV (0)

VI 2

VIII 2

V (1/2)

VI 0

VI VIII (2) 0

X 0

VIII (2)

XII 1

XVI 1/2

XII (1/2)

XVI 1

___

XVI (1/2)

VIII 2/3

V (1)

VI (0)

X 1/2

VIII (0)

XII (1)

___

VI (2/3)

VIII (2/3)

XII 2

XVI 2

IX (2)

XII (2)

XVI (1)

___

VIII 1/2

VI VIII (1/2) 1

VI (1)

X 1

VIII (1/2)

X 2

VIII (1)

XII 0

IX (0)

XVI 2/3

XII (2/3)

XVI 0

XVI (2)

XII (0)

___

___

XVI (2/3)

XVI (0)

Queste sono le posizioni di base; possono essere adottate posizioni alternative, ad esempio la diteggiatura 1/2 può essere sostituita con 3, o alcune posizioni del corno in si bemolle possono affidarsi ad altri armonici “buoni” come ad esempio il decimo. Si noterà che vengono sempre esclusi quegli armonici che hanno una intonazione difettosa, come il 7, l’11, il 13, e il 15. Naturalmente questi armonici venivano utilizzati nel corno naturale (magari aggiustati con la mano destra nel padiglione) non potendo fare diversamente:

Armonico 11

161

Dallo stesso esempio citato, notare come il secondo corno e la seconda tromba non risolvano il ritardo della terza, non possedendo quella nota tra gli armonici: la risoluzione però è sostituita dal secondo clarinetto:

Naturalmente il corno avrebbe potuto risolvere sul Si, mediante l’abbassamento del Do con la mano nel padiglione, ma la tromba non avrebbe avuto tale possibilità: quindi i comportamenti di tromba e corno sono stati associati per logica.

Agilità

Il corno non è fra gli strumenti più agili dell’orchestra, ma l’evoluzione della sua meccanica gli conferisce da tempo ruoli impegnativi. Il legato è ottimo nella sequenza di armonici naturali, o nell’intervento dei pistoni sul medesimo armonico: in generale è buono anche nei casi in cui si cambi sia l’armonico che la posizione, purché siano armonici vicini e il cambiamento di posizione sia contenuto. Lo staccato è eccellente, sia nell’articolazione semplice che nella doppia che si ottiene alternando il colpo di lingua (T) allo staccato di gola (K), come avviene per il flauto: in tal caso può essere raggiunta una rapidità notevolissima, benché rispetto al flauto sia minore, anche riguardo alla capacità di durata dell’effetto, essendo più faticosa l’emissione dei suoni. Il corno può ottenere un eccellente Flatterzunge (frullato) potendosi appoggiare sull’imboccatura dello strumento, anziché inserirla.

162

Nell’ottica di una più dettagliata cognizione del funzionamento di questo strumento (e degli altri strumenti a valvole),una considerazione va fatta circa l’uso dei pistoni in rapporto a dinamica e fiato: producendo una nota che è il frutto di un armonico naturale, il fiato attraversa una determinata lunghezza, data dal canneggio dello strumento e, dalla pressione con cui il fiato esce, si ottiene la dinamica di quel determinato suono. Premendo un pistone, non si ottiene altro che allungare il canneggio complessivo; quindi: se la pressione del fiato rimanesse identica, la lunghezza aumentata produrrebbe una flessione della stessa, producendo quindi un suono più debole; se aumentassimo la pressione per equilibrare l’aumento del canneggio in rapporto alla dinamica avremmo invece una più breve capacità di fiato. Considerare che il ragionamento riguarda una ipotesi crescente, dall’impercettibile differenza causata dal circuito aggiuntivo più corto, quello azionato dal pistone 2, al ben più impegnativo aumento del canneggio provocato azionando i tre pistoni insieme. A questo si aggiunga che un suono, a parità di dinamica, ottenuto dalla cameratura in Fa richiede senz’altro più fiato dell’analogo nella cameratura del Si bemolle: ad esempio, a parità di dinamica, il secondo armonico della cameratura in Si bemolle (Fa) dura certamente più a lungo dell’analogo armonico della cameratura in Fa (Do) con i tre pistoni premuti (Fa diesis). Quindi, le varianti che influenzano la capacità di durata del fiato sono tante, non solo legate al maggiore o minore volume dei suoni, ma anche ai fattori precedentemente espressi.

Sonorità particolari Il corno è ricchissimo di effetti timbrici di grande impatto espressivo, cominciando dai suoni chiusi (bouchés) che si ottengono mediante la mano nel padiglione : l’effetto e metallico, nasale (per natura, un po’ assimilabile al “ponticello” degli archi), spettrale e misterioso nel piano, aspro nel forte: il suono risulta un semitono sopra rispetto all’armonico immesso dal labbro, e questo procedimento serviva un tempo per ottenere alcune note mancanti nella tessitura, ma oggi viene impiegato solo per motivi espressivi; caratteristico è il passaggio dal piano allo sforzato, prodotto sullo stesso armonico, che chiudendolo risolve sul semitono ascendente:

Il cornista produce lo stesso suono, che automaticamente sale di semitono quando la mano destra chiude il padiglione : graficamente i suoni vanno scritti normalmente, per le note risultanti, nella consueta trasposizione in fa.

L’ambito in cui possono essere effettuati i suoni chiusi è il seguente: Per indicare il suono chiuso si usa il simbolo + sulla testa della nota si mette un tratto orizzontale fino a dove l’effetto continua : Il simbolo

+

° sulla testa della nota indica il ritorno ai suoni aperti.

163

; se seguono altri suoni chiusi

Più raro, ma ugualmente possibile, l’effetto contrario: tenendo fermi il labbro e la mano sinistra su una nota, mentre la destra chiude il padiglione, poi aprendo il corno ottenendo il semitono discendente:

A. Cusatelli: Mary Allen (ed. Sonzogno)

Nat

164

Altro effetto di largo impiego e di ottimo risultato è costituito dai suoni d’eco che si ottengono chiudendo parzialmente il padiglione: il timbro rimane inalterato rispetto a quello del suono aperto, ma i suoni risultano in lontananza, dolcissimi ed espressivi. Abbiamo visto come il procedimento del suono semichiuso serviva in passato ad abbassare l’intonazione di un semitono, per completare la serie dei suoni possibili in un corno naturale: ai nostri tempi anche questa tecnica è utilizzata unicamente a fini espressivi. Il segno grafico di riferimento è

 sulla nota, seguito eventualmente da un tratteggio orizzontale per

le note seguenti che si vogliano ottenere d’eco. Il segno

° indica il ritorno ai suoni aperti.

L’indicazione Padiglione in alto richiede che l’esecutore faccia una torsione del busto rispetto alla consueta postura, per far si che il padiglione sia posizionato verticalmente: lo scopo è di ottenere una sonorità imponente (“corni a 4, padiglione in alto”) di vero impatto drammatico; in questo caso però non può essere inserita la mano nel padiglione per gli effetti dei suoni chiusi, e inoltre è poco gradito dai cornisti, per via della scomodità. Con l’indicazione cuivrés si prescrive una sonorità metallica, da fanfara: sintomatico il termine francese, del diverso impiego che in questo Paese si fa di questi strumenti, spesso concepiti più come Legni che come Ottoni rispetto all’uso che se ne è fatto in altri, come in Germania, dove il suono tipico “da ottoni” dei corni è naturalmente impostato e non necessita di ulteriori prescrizioni, se non quelle generiche indicanti una piena sonorità (klangvoll) La sordina può essere impiegata anche nel corso stesso di un suono già emesso; può consentire al cornista di portare il suono al nulla assoluto. In alcuni modelli, tuttavia, nel piano il suono non è pulito (tende al metallico), può comunque essere utilmente impiegato per climi misteriosi, ma non va confuso con il più nobile e nostalgico timbro dei suoni d’eco; nel forte l’effetto è aspro, simile al suono chiuso, ma senza la stessa efficacia. Attualmente esistono modelli in legno, o in alluminio, capaci di rendere attenuato il suono, senza distorcerlo.

Alcuni modelli di sordina per corno

165

Si è già riferito della ottima resa dei suoni frullati (o flatterzunge), purché prodotti entro il registro medio (partendo comunque dal fa, nota reale, al di sotto del do centrale).

Il Glissando è un effetto piuttosto discutibile, e utopico: prevederebbe che lo strumentista, restando fermo con la mano, attraversi tutta la serie degli armonici con il labbro, ma in realtà è una tecnica talmente precaria che succede spesso il contrario, l’armonico resta fisso, e la mano scivola velocemente sui cilindri (producendo altre note, rispetto agli armonici naturali, ma rendendo in un certo modo l’effetto di scivolato). Si indica con il termine Gliss. a cui si aggiunge un tratto di unione sulla testa delle due note interessate all’effetto.

Trilli e tremoli

Si ottengono restando fermi su un armonico, e utilizzando i pistoni per l’alternanza dei suoni. I Trilli migliori nel corno si hanno mediante l’uso di un solo pistone, meglio se a distanza di semitono piuttosto che di tono: sono sconsigliabili tutti quelli che prevedono il movimento alternato di più pistoni, e anche il singolo movimento del 3°, in pratica difettoso quasi come due pistoni insieme. Ragionare quindi in tal senso, prendendo a riferimento la tabella delle posizioni, e avendo presente che i trilli nel registro grave e in quello acuto sono sempre difettosi e difficili. Quanto ai tremoli, l’unico che consente l’uso di un solo pistone è quello di terza minore, possibile azionando il 3°: ma non è consigliabile a causa del non buon funzionamento di questo pistone in simili circostanze.

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La Tromba

Come già si è visto a proposito del corno, anche questo strumento ha subito nel corso dei secoli profonde trasformazioni e pertanto necessita di un breve percorso storico per poter meglio comprendere la struttura e le prerogative di quello odierno. Presente già in epoca preromana, presso gli Egizi, ebbe sin dall’antichità scopi militari e cerimoniali: si trattava di strumenti con un lungo canneggio orizzontale in grado di ottenere, dal suono 2, un altro paio di armonici (3 e 4) con la combinazione ritmica dei quali si formavano i vari segnali. Verso la fine del secolo XIII la tromba era di uso regolare nell’ordine cavalleresco e nelle corti veniva utilizzata anche a scopo di intrattenimento nei banchetti, in formazioni a due o anche più ampie. Col passare del tempo, si costruirono strumenti in grado di creare una serie di armonici maggiore: esempi di fanfare del XVI secolo ci mostrano parti che raggiungono l’armonico 10. E’ a questo punto che si introducono due termini per distinguere il registro grave (Principale), adatto agli scopi militari e agli eventi solenni, e il registro acuto (Clarino) dove la più ravvicinata serie di armonici produceva melodie diatoniche, suggerendo un loro impiego nell’ intrattenimento. Si deve giungere all’epoca barocca per trovare le prime trombe a volteggio, e con esse la comparsa dei primi ritorti. Tuttavia è difficile stabilire quali tecniche si adottassero per eseguire i frequenti passi dove il livello diatonico è tale da risultare inconcepibile per degli strumenti naturali. Vedendo le parti delle trombe nelle composizioni bachiane ci si rende subito conto che tali virtuosismi non potevano certo affidarsi al solo giuoco degli armonici naturali: si fanno varie ipotesi, sulla possibilità che venisse praticata, come nel corno, la tecnica della mano nella campana, per correggere o abbassare il suono dell’armonico; recentemente, si è data dimostrazione che su uno strumento naturale sia possibile creare tutta la serie diatonica mediante un effetto di glissando e senza l’ausilio della mano. Probabilmente entrambe le ipotesi possono essere state sporadicamente adottate dai musicisti di quei tempi, ma più ragionevolmente si può addurre all’invenzione delle trombe “a tiro”, dotate cioè di una piccola coulisse in grado di modificare il suono fino ad un tono di distanza, la soluzione dei problemi tecnici ed esecutivi dell’epoca.

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Dopo l’invenzione di Stölzel anche la tromba si munì del sistema delle valvole, e da quel momento cominciò la decadenza della famosa cornetta a pistoni (flicorno soprano) strumento molto in uso nelle orchestre del secolo XIX specialmente adottata dagli autori di scuola francese, poiché più agile e melodicamente duttile rispetto la tromba, che solo più tardi adottò il sistema delle valvole. Rispetto alla tromba, la cornetta rimaneva ancora più agile, ma il timbro era piuttosto petulante e volgare. Pertanto nei decenni seguenti la cornetta usci completamente di scena dagli organici orchestrali, mentre la tromba espanse i propri ruoli a ragione delle moltiplicate capacità tecniche ed espressive che il perfezionamento strutturale gli aveva conferito. Attualmente in orchestra si usano due o tre trombe; le più utilizzate sono quelle in Si bemolle, ma possono essere impiegate anche trombe in Do (intonate un tono sopra rispetto alle precedenti), dal timbro più sottile e meno solenne; più raramente troviamo altre trombe, come la tromba in Fa, la tromba bassa in Si bemolle, o la tromba piccola in Re.

Il registro grave è profondo e solenne, nel forte non ha una grande sonorità; le note sotto il si bemolle (nota reale) sono progressivamente di peggiore effetto. Il registro medio è sonoro e pieno, timbricamente perfetto e valido per qualsiasi dinamica; quello acuto è penetrante e può essere impiegato solo nel forte, mentre il sovracuto è teso, esasperato, possibile solo nel fortissimo: è comunque il più difficile da controllare, va raggiunto con accortezza e deve essere considerato per il solo uso solistico.

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Grafia La tromba in Si bemolle è uno strumento traspositore che annota i suoni da realizzare un tono sopra rispetto la nota d’effetto. Come avviene per il corno, anche la tromba non riporta in armatura la tonalità della trasposizione: ma al giorno d’oggi questa avvertenza è da considerarsi superflua.

Posizioni

Con la combinazione dei tre pistoni, che hanno il medesimo funzionamento di quanto visto a proposito del corno, la tromba dispone di sette posizioni, che consentendole di scendere di una quinta diminuita rispetto l’armonico naturale, copre tutta la gamma cromatica della sua estensione. Anche in questo caso le migliori qualità espressive si realizzano con i suoni naturali e le prime posizioni, perdendosi in rapporto all’aumentare di esse: la settima posizione è peraltro di cattivo effetto. Con il consueto sistema, nella tabella seguente verrà indicato con il numero romano l’armonico naturale e con i numeri arabi la combinazione dei pistoni utilizzata: il numero 0 indica che il suono viene realizzato senza pistoni. In caratteri più piccoli, le posizioni alternative.

(Note reali)

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Agilità

La moderna tromba è lo strumento più agile della famiglia degli ottoni, anche se questa non può essere paragonata a quella raggiungibile da certi legni, come flauto o clarinetto. Mediante i pistoni possiede un buon legato, specie se mantiene la stessa posizione di armonico. Lo staccato è ottimo: possiede sia lo staccato doppio che il triplo, e un eccellente Flatterzunge. Considerare ottimale per gli effetti dello staccato il registro che vede ai suoi estremi il II e il VI armonico: scendendo oltre questo limite, i suoni sono più faticosi e lo staccato risulta pigro, di cattivo effetto; così, salendo oltre il limite del VI armonico la difficoltà crescente di emissione dei suoni rende difficile una rapida articolazione staccata. Tale ambito di estensione è da considerarsi il punto di riferimento di qualsiasi altro effetto che interessi questo strumento: sordina, vibrato, legato ecc.

Sonorità particolari La tromba non prevede l’uso della mano nel padiglione come il corno, ma ha una vastissima gamma di sordine, capaci di modificarne il timbro in modo diverso (vedi descrizione nella pagina seguente). Il vibrato si ottiene mediante l’associazione dell’impulso del labbro e dell’oscillazione della mano sul pistone; l’effetto è di una sonorità molto calda, passionale, che facilmente può risultare di dubbio gusto. Il Glissando è, come già detto a proposito del corno, un effetto che prevede il rapido scivolamento del labbro sulla serie degli armonici, rimanendo fermi in una posizione : l’effetto reale è molto distante da quello immaginato, e non bisogna farne un grande affidamento, tanto più se non è prescritto per un uso solistico.

170

Esempi di sordina Esistono varie sordine di metallo, alcune di altri materiali, come fibra o cartone, dall’effetto più morbido; alcune deformano il timbro originale dello strumento, altre lo attenuano lasciandolo pressoché invariato:

Sordina “Bucket” : ha un panno inserito nella sua apertura, che rende il suono morbido e ovattato.

Sordina “a tazza” (cupmute) : produce suoni metallici, di carattere un po’ pettegolo e lezioso.

Sordina “Straight” anch’essa di effetto metallico, un po’ovattato.

Sordina “Harmon” suono metallico, crepitante: può essere inserito al suo interno un cono che ne riduce l’asprezza; si può applicare a questa sordina il tipico effetto Waa-Waa coprendone l’apertura con la mano alternativamente alla sua apertura, creando un effetto oscillante di carattere ovattato e ammiccante.

Sordina “mobile” di fibra, dal suono morbido, può essere utilizzata anche in corso di esecuzione; non resta fissa nella campana, ma viene accostata ad essa dalla mano e può produrre il già citato effetto Waa-Waa.

171

Trilli

Come detto a proposito del corno, i trilli migliori sono anche nella tromba costituiti dall’impiego di un solo pistone, e sono preferibili i trilli di seconda minore a quelli di seconda maggiore. Da ciò si può concludere che i trilli in assoluto migliori siano quelli la cui nota di origine si trovi un semitono sotto un armonico naturale, nel registro compreso tra il II e il VI armonico: nella tessitura ottimale, quei trilli cioè che consentano il solo impiego del secondo pistone. Riferirsi sempre ai limiti di questo registro per evitare trilli di cattivo effetto e difficoltosi. In subordine, anche quelli derivanti dalla seconda maggiore sotto il suono naturale, ottenuti mediante il pistone 1 sono da considerare validi, per quanto meno intonati. Le altre combinazioni, che prevedano l’abbinamento del pistone 2 con uno degli altri o con entrambi, sono discrete se si aziona il solo pistone 2, mentre i casi che vedano alternarsi due pistoni (come avviene tra i due tasti del pianoforte) o peggio con il trillo simultaneo di due pistoni insieme sono da evitare per la difficoltà e la cattiva resa.

In questa sequenza vengono mostrati i trilli più consigliabili per la tromba in si bemolle (in note reali), in ordine di difficoltà crescente. I numeri indicano il pistone sul quale si effettua il trillo; nel caso di abbinamento di due pistoni, il tratto che segue un numero indica il pistone sempre abbassato, mentre l’altro effettua il trillo.

Rammentiamo che, anche nei casi qui indicati come più difficili, sono tutti trilli di normale impiego.

172

Tromba contralto in Fa E’ raramente presente in orchestra, pur avendo avuto notevoli ruoli nelle partiture a cavallo tra il XIX e XX secolo (Wagner, Rimskij-Korsakov; Stravinskij) ed essendo uno strumento dalla preziosa sonorità calda e profonda. Ha un canneggio di quasi mezzo metro più lungo della tromba in Si bemolle e risulta tagliata una quarta sotto rispetto ad essa.

Grafia La tromba contralto è uno strumento traspositore in Fa, per cui le note vengono scritte una quinta sopra quelle d’effetto; anche qui, come per il corno, si prevede l’uso della trasposizione una quarta sotto se le note sono in chiave di basso: questa scomoda e antiquata convenzione rende a volte difficile capire l’altezza reale dei suoni scritti, essendo spesso annotati una quarta sotto anche nel caso di uso della chiave di Sol (Bach, secondo brandenburghese); nell’uso attuale è sempre conveniente la grafia una quinta superiore, usando esclusivamente la chiave di Sol, evitando quella di basso. Esiste anche un modello di tromba contralto in Mi bemolle: in tal caso le note si scrivono una sesta maggiore sopra quelle d’effetto.

173

Si osservi che gli strumenti più gravi hanno maggiore facilità di raggiungere un armonico elevato, per il motivo che il suono pur essendo sovracuto nel caso specifico, non lo è in senso assoluto: il registro sovracuto rimane comunque pericoloso e faticoso, specie se si richiede una dinamica sotto al fortissimo. Pertanto il seguente passaggio del preludio del Parsifal è da ritenersi molto ardito, portando lo strumento in Fa sino all’armonico 12 per di più prescrivendo “sehr zart” (“molto dolce”): spesso il passaggio era affidato a trombe in Si bemolle o in Do

Il registro grave è più intenso e solenne rispetto alla tromba in Si bemolle; generalmente la sonorità è più ricca e si rende adatta a melodie distese più che a passi d’agilità.

Agilità

Minore rispetto alla tromba principale, specie nello staccato, più faticoso (ridurre velocità e durata); per il resto valgono le stesse osservazioni fatte in precedenza.

Posizioni, Sonorità particolari, Trilli

Valgono le stesse indicazioni (ovviamente trasportate, per posizioni e trilli) date per la Tromba in Si bemolle.

174

Trombe piccole (Trombini) Esistono vari tagli e modelli di trombe piccole, utilizzate principalmente per l’esecuzione delle antiche partiture di Bach e Handel : da quella in Re, o Mi bemolle (quest’ultima dotata di un sistema traspositivo in Re) in Fa, in Sol (a volte anche qui in un unico strumento è previsto un sistema di trasporto al tono sottostante) e il più recente trombino in Si bemolle acuto, a tre o quattro pistoni, anch’esso in alcuni modelli con sistema traspositivo il La.

Tromba in Mi bemolle - Re

Tromba piccola in Fa

Trombino in Si bemolle

175

Grafia Ogni tromba citata in questo capitolo è uno strumento traspositore: si elenca in seguito una tabella rapportata ad ogni singolo strumento.

Strumento

Nota scritta

Nota d’effetto

Tromba in Re

Tromba in Mi bemolle acuto

Tromba in Fa acuto

Trombino in Si bem. acuto

Estensione e registri

Contrariamente a quanto detto in merito alle trombe di taglia più grande, le trombe piccole hanno la possibilità di raggiungere armonici relativamente bassi, ma in assoluto corrispondenti a suoni estremamente acuti, e non raggiungibili dalle altre trombe: pertanto l’estensione risulta limitata rispetto alle trombe viste in precedenza.

176

177

Le trombe piccole hanno un timbro sottile, che poco ha a che fare con le trombe viste in precedenza: procedendo progressivamente verso l’acuto, il timbro diventa sempre più esile e pettegolo, non adatto quindi a melodie espressive quanto ad effetti brillanti e mobili.

Agilità E’ ottima sia nel legato che nello staccato, di poco superiore alla tromba in Si bemolle.

Posizioni, Sonorità particolari, Trilli Vale quanto detto a proposito della tromba in Si bemolle

178

Tromba bassa in Si bemolle

Strumento raro e prezioso, è tagliato un’ ottava sotto rispetto alla tromba in Si bemolle; esiste un modello in Do grave, e più raramente potremo disporre di trombe basse in Re (quasi scomparsa) e Mi bemolle. Il modello in Si bemolle ha una canneggio complessivo di circa due metri e settanta cm. e questo rende possibile un fondamentale molto grave (lo stesso Si bemolle 0 del Corno in Si bemolle) e di conseguenza la possibilità di raggiungere armonici molto elevati ma non acutissimi in senso assoluto: pertanto tale strumento può tranquillamente arrivare al suo 12esimo armonico (quando per la normale tromba in Si bemolle è considerato già eccezionale il 10°).

179

Il timbro è complessivamente più ovattato, meno squillante rispetto alla tromba in Si bemolle, ma profondo, sottomarino e pieno di fascino; sotto il Si bemolle grave i suoni sono progressivamente meno efficaci e più difficoltosi. Salendo, la sonorità si fa sempre più vigorosa, ma mai tesa e sottile, anche nel suo registro più acuto. Ha la stessa estensione di un trombone tenore, ma con il timbro, la capacità di legare e le altre caratteristiche peculiari della Tromba. Spesso la parte di tromba bassa viene affidata ad un trombonista, più idoneo all’uso di un bocchino più largo rispetto alle normali trombe. Wagner nel Ring si orientò verso un vecchio modello di tromba bassa in Mi bemolle, tagliata una quinta sotto rispetto quella descritta, con un canneggio complessivo di ben quattro metri e sedici centimetri, ma dovette cambiare idea nel corso della composizione, o ebbe a fraintendere circa l’effettiva estensione da lui immaginata (probabilmente riferita all’ottava superiore) perché dai seguenti passaggi del Rheingold e di die Walküre uno strumento in Mi bemolle come quello descritto precedentemente, avrebbe raggiunto l’armonico 19 nel primo caso e il 18 (in questo caso con una tromba bassa in Re) nel secondo, ipotesi inverosimile per la prassi esecutiva dell’epoca (ed anche impraticabile in quella attuale) :

Grafia Le note vengono scritte una settima minore sopra rispetto alle note d’effetto.

180

Agilità Più modesta, rispetto alla tromba normale, specie nel registro grave, e per lo staccato rapido. Anche i trilli sono meno agevoli, per cui limitarsi ai migliori (vedi tabella, da trasportare all’ottava inferiore).

Posizioni, Sonorità particolari, Trilli Vale quanto detto a proposito della tromba in Si bemolle.

Tromba a cilindri, modello tedesco

181

Il Trombone

Il trombone compare verso la metà del XV secolo, ma trova la sua diffusione circa un secolo dopo, nelle sue taglie di basso, tenore, contralto. Contrariamente agli altri strumenti in ottone, il trombone non subisce notevoli variazioni strutturali, e, dai quei tempi resta pressoché invariato sino ai nostri giorni. L’impiego di questo strumento era tuttavia sporadico, e associato a situazioni sceniche evocanti l’oltretomba, o a lamenti funebri. Il Don Giovanni (1787) di Mozart e la Quinta Sinfonia di Beethoven (1808) figurano tra le prime composizioni in cui il trombone viene incluso nell’organico orchestrale mentre, per trovare il suo ruolo stabile nell’orchestra bisognerà aspettare la metà del XIX secolo. Fu nello stesso periodo che si cercò di applicare il sistema delle valvole in luogo della coulisse, per adeguarlo all’evoluzione avvenuta per gli altri ottoni dell’epoca: il nuovo sistema avrebbe consentito una migliore possibilità di legato e quindi un nuovo panorama di possibili ruoli melodici, ma creava insoddisfazione dal punto di vista timbrico e nell’intonazione, per cui si ritornò presto al precedente sistema a tiro. Con l’entrata stabile del trombone in orchestra si ebbe l’unificazione del modello: non più basso, tenore e contralto, ma un trio costituito dal solo modello tenore: per le parti gravi si aggiungeva a detto trio un oficleide (vedi scheda), strumento grave in ottone dotato di chiavi. Il modello basso in Fa continuò tuttavia ad essere costruito, e fu proprio su questo che venne sperimentato l’uso del pistone che consentiva il trasporto immediato una quarta sotto (per cui si poteva raggiungere su quello strumento il Do più grave del pianoforte). Successivamente lo stesso sistema venne applicato per la creazione del modello tenor-basso in Si bemolle e Fa, che continua ad essere usato nei nostri giorni. Un modello di trombone contrabbasso si impose per venire incontro all’esigenza di Wagner, che nel suo Ring portò la parte del 4° trombone sino al Mi 0. Ne venne costruito uno dal canneggio complessivo di 5 metri e 63 cm. con Si bemolle (-1) come fondamentale, dotato di doppia coulisse che scorrendo simultaneamente su due canneggi paralleli ne dimezzava le distanze tra le posizioni : Questo sistema rendeva possibile anche un’ ottava posizione, che copriva fino alla quinta giusta inferiore rispetto un suono armonico naturale. Per ottenere la citata nota grave wagneriana successivamente venne creato anche un trombone contrabbasso in Do, anch’esso a doppia coulisse, in grado di scendere sino alla nona posizione (sesta minore sotto l’armonico naturale). Tuttavia, come già accennato, negli strumenti in ottone, sia a valvole che a coulisse, più alto è il numero della posizione, più aumentano i difetti di intonazione e qualità delle note.

182

Nel 1963 il costruttore Alexander crea un trombone basso in Fa, a coulisse semplice, con due pistoni traspositori: il primo azionato dal pollice sinistro, per portare l’estensione una quarta sotto (Do 0), il secondo, azionato dal medio della stessa mano, per raggiungere la terza minore (Re 0). L’azione simultanea dei due pistoni raggiunge il Si bemolle (-1) : con queste quattro serie di armonici a disposizione, nessun suono necessita di scendere oltre la terza posizione, tranne il Sol 0 e il Fa diesis 0. Tale strumento è chiamato cimbasso, dall’antico nome usato da Verdi per indicare il trombone contrabbasso da lui richiesto. Un ultimo accenno al sistema delle valvole: una ingegnosa versione di questi strumenti la si deve al celebre Sax, che creò un trombone a “sei pistoni indipendenti” azionando uno dei quali si escludeva il circuito dei successivi, ma si entrava automaticamente nel circuito dei precedenti; non azionando nessun pistone si attraversava quindi tutto il circuito, creando la settima posizione. Questo consentiva di non dover mai abbinare i pistoni, con la conseguenza di una perfetta intonazione.

Le sette posizioni del trombone

I

II III IV V VI VII

183

Le note tra parentesi vanno sempre evitate perché estremamente difettose; le altre note in nero devono essere raggiunte con prudenza e mai in passaggi veloci. Il registro più espressivo e ricco di sfumature è il medio, buono con qualsiasi dinamica; il registro grave scendendo progressivamente diventa sempre più scuro, pesante, minaccioso nel forte misterioso e cupo nel piano. I suoni pedale non possono essere utilizzati se non nel forte, ed hanno un effetto aspro e metallico, di grande suggestione se usati propriamente. Il registro acuto è squillante ed eroico, tende sempre più verso il forte; le ultime note, oltre il Si bemolle sono difficili per il labbro, e vanno trattate con prudenza. Il passaggio dalla cameratura di Si bemolle a quella di Fa è ottenuto mediante un pistone azionato dalla mano sinistra, e può essere impiegato con disinvoltura in qualsiasi situazione.

Grafia Il trombone legge in note reali, pertanto non necessita di alcun trasporto; utilizza due chiavi, quella di basso, e quella di tenore, per le posizioni acute.

N.B: il settimo armonico è calante

184

Posizioni Suoni pedale della cameratura in Fa

difettoso

2 impraticabile VI

1 II

2

difettoso

I

II



Suoni pedale della cameratura in Si

2

2

3

2

I

VII

VI

1

1

III

II

2

2

2

V

IV

III

2

3

2

3

2

3

2

V

VI

IV

V

III

IV

II

II

VII

3

2

3

3

3

3

4

3

4

3

4

3

III

I

II

VII

I

VI

V

V

IV

IV

III

III

4

3

4

3

5

4

5

4

5

4

5

4

II

II

I

I

IV

V

III

IV

II

III

I

II

8

5

8

5

7

II

IV

I

I o III

6

4

6

5

6

III

I

II

IV

I

8 II

6 II

8 I

8 I

6 I

9 10 II o IV

9 10 II o IV

5 III

8 V

V

9 10 I o III

9 10 I o III

8 IV

10 II

10 II

8 7 III o I

6

8

III

10 I

8 II

10 I

Queste sono le principali posizioni del trombone tenor-basso. Il numero arabo indica l’armonico, il numero romano la posizione della coulisse; le cifre a sinistra si riferiscono alla cameratura in Fa, quelle di destra a quella in Si bemolle.

185

Agilità Non si può considerare il trombone come uno strumento agile; il sistema della coulisse, essenziale per tipicità del timbro e per altre prerogative, crea molti problemi rispetto ai pistoni, per ciò che riguarda la rapidità di cambiamento delle posizioni, specie se distanti, e per il legato. Un vero legato è infatti possibile solo mediante il labbro, sulla serie di armonici della stessa posizione; il passaggio mediante il pistone all’altra cameratura (dal Si bemolle al Fa, o viceversa) non determina in tal senso alcun problema, creando invece ulteriori combinazioni, come nel caso seguente :

° °

Il segno

°

°°°

°

°

°

indica l’abbassamento del pistone per passare alla cameratura di Fa

Altri suoni legati possono aversi anche su posizioni diverse tra un suono e l’altro, purché anche l’armonico sia diverso: in caso contrario avremmo inevitabilmente un glissando, o due suoni separati (i numeri evidenziati dal riquadro si riferiscono alla camera tura in Fa). 2 I

2 I

3 II

3

4 II

4

5 III

5

4 II

4

6 III

°

6

186

7 II

7

6 III

6

5 V

5

4 5 3 II II II

4

5

3

Se osserviamo uno dei soli più celebri del trombone, il Tuba mirum del Requiem di Mozart, ci accorgiamo che anche dove non esistano le possibilità effettive di un vero legato, l’abilità dello strumentista riesce a creare le condizioni, mediante il labbro o con una separazione dolce dei suoni al momento dello spostamento della coulisse, per raggiungere un risultato più che accettabile:

Tutti i passaggi evidenziati sono effettuati sullo stesso armonico con diverse posizioni; solo alcuni di essi corrispondono all’intenzione di suoni separati, la maggior parte sono invece da legare: gli scarti di una sola posizione possono essere mitigati dall’azione del labbro, per evitare l’effetto di glissato, ma altri più ampi intervalli (prima battuta del terzo rigo; penultima battuta) dovranno essere certamente separati per evitare un grottesco effetto di scivolamento. All’ascolto del brano, tuttavia, prevale un’ impressione di un legato cantabile, ottenuto quindi con la separazione “dolce” dei suoni impossibili da legare. Naturalmente, questo passaggio scritto per trombone tenore trova diversi punti di facilitazione se viene eseguito da un odierno trombone doppio (tenor-basso); ma anche usando lo strumento originario, si riuscirebbe ad ottenere, come descritto prima, un ottimo risultato. Un autore consapevole escluderà comunque passaggi rapidi in una frase legata per questo strumento e terrà sempre presente che un qualsiasi intervento melodico dovrà qui sempre essere pensato, legato o meno, per una moderata velocità. Lo staccato del trombone può essere semplice o doppio, in una ottimale fascia che va dal 3° all’8° armonico per ogni cameratura: salendo o scendendo da questi limiti la velocità e la durata deve essere ridotta. La rapidità dello staccato è notevole (circa otto semicrome al secondo per lo staccato semplice, dieci per il doppio) purché si riferisca a note ribattute, senza cioè l’effetto della coulisse, che la ridurrebbe di molto. Non eccedere nella durata dei passaggi staccati, dato che alla lunga sono faticosi per il labbro.

187

Sonorità particolari

Si è parlato delle sordine a proposito della tromba: le stesse possono essere applicate anche al trombone, mantenendo le caratteristiche specifiche. Nel piano il trombone con sordina risulta un po’ torbido, serio; nel forte e nell’acuto prevalgono sonorità metalliche, quasi elettriche. Caratteristici sono i suoni pedale: hanno un effetto mordace, aspro, come nessun altro strumento riesce ad ottenere; ottimi quindi per degli sforzati minacciosi dove sanno esprimere tutta la loro ferocia. Richiedono però molto fiato, per cui non affidare a questi suoni note lunghe tenute. Il trombone produce un ottimo effetto di flatterzunge come gli altri strumenti di ottone. Un effetto tutto particolare, dovuto all’uso della coulisse è il glissando: partendo da un suono in settima posizione può estendersi fino ad una quinta diminuita, in senso ascendente, viceversa, in senso discendente copre lo stesso intervallo provenendo da una prima posizione; da posizioni intermedie si hanno effetti su intervalli più vicini. L’effetto è eclatante, paradossale, grottesco, adatto soprattutto a situazioni umoristiche; ma può anche produrre effetti drammatici:

(A. Cusatelli: Mayerling)

188

Trilli I trilli ottenibili dal trombone sono quelli prodotti dal labbro fermi sulla stessa posizione, tra due armonici vicini (es.: settimo e ottavo); altri, di semitono si possono ottenere mediante la coulisse: ma in ogni caso si tratta di espedienti perché la natura dello strumento non offre valide prerogative a questo genere di effetti. Per lo più sono scomodi, faticosi e di cattivo effetto.

Estensione e registri degli altri tromboni usati in orchestra

Trombone contralto (ormai non più in uso)

Trombone tenore

189

Trombone basso (non più in uso)

Trombone contrabbasso Il primo armonico risulta sul Si  -1 (l’ottava sotto rispetto il trombone Tenore), ed un pistone porta una quarta sotto l’intera cameratura, trasportandola in Fa. I suoni pedale non sono producibili.

190

La Tuba Contrabbassa

Questo gigantesco strumento si aggiunge stabilmente al trio composto dai tromboni tenor-bassi, diventando il quarto elemento del gruppo. Nonostante le sue dimensioni è da ritenersi più agile dei tromboni, per via delle quattro valvole a sistema rotativo (in certi modelli anche cinque o sei) che determinano, in luogo della coulisse, le posizioni. Naturalmente, se tale sistema favorisce agilità nelle situazioni melodiche, in senso contrario lo sforzo del labbro e il grande impiego di fiato necessari all’emissione dei suoni di uno strumento di tale cameratura non lo abilita di certo ad eccessi virtuosistici. Esiste un modello in Do, ed uno, più diffuso nelle orchestre, in Si bemolle. Il termine genericamente usato è quello di basso tuba, il che a volte lo confonde con un modello intermedio di tuba bassa, e non contrabbassa, anche presente, se pure in maniera sporadica nelle orchestre (vedere a proposito il capitolo dedicato agli altri ottoni). Analogo strumento contrabbasso costruito in Germania è noto come Kaiserbass. La tuba contrabbassa si scrive in note reali, pertanto l’estensione è quella indicata nella pagina seguente.

191

Il suono fondamentale (Si bemolle grave) è molto difficile che possa uscire; il Si tra parentesi è male intonato, potendo essere raggiunto solo in settima posizione: le note sotto al Do sono pertanto molto sconsigliate. Dal Si bemolle 0 scendendo di sei posizioni si arriva al Fa: il quarto pistone, che ha la funzione di spostare la cameratura di Si bemolle una quarta sotto, porta quindi l’estensione dello strumento al Do grave. Il Registro grave è potente ma molto faticoso; non può utilizzare le caratteristiche note pedali come il corno e i tromboni, in quanto non possono essere emesse data la loro gravità. Il registro medio è il più versatile, e può sostenere dinamiche dal forte al piano: è anche il registro in cui il timbro si amalgama maggiormente a quello dei tromboni. Il registro acuto è più sottile e può anche essere adibito a particolari mansioni melodiche: non può comunque essere impiegata una sonorità inferiore al mezzoforte. Le note più acute, dall’armonico ottavo al decimo sono faticose e vanno impiegate con discrezione e prudenza. Esiste anche un modello di tuba doppia contrabbassa: in realtà si tratta di una tuba bassa in Fa, che un apposito cilindro trasforma in contrabbassa, portandola una quinta sotto, quindi al Si bemolle:

Scopo di questa doppia cameratura è quello di favorirne le sezioni migliori di ciascuna, e di consentire una più ampia gamma di suoni acuti, adottando il circuito in Fa anzichè in Si bemolle.

192

Il pistone numero 4 abbassa di una quarta giusta; tra parentesi sono indicate alcune posizioni alternative.

193

Altri Ottoni Questo capitolo è dedicato agli strumenti in ottone scomparsi o non solitamente destinati alle orchestre sinfoniche, che tuttavia hanno segnato la storia con la loro presenza nelle opere di molti autori. Alcuni, come l’oficleide hanno fatto parte stabilmente dell’orchestra, nel periodo di transizione dopo l’invenzione delle valvole, per poi uscirne definitivamente. Altri come le cornette a pistoni hanno avuto un epoca di massimo splendore in cui erano strumenti privilegiati rispetto alle meno versatili trombe, per poi decadere quando quest’ultime furono perfezionate dai costruttori. Segue una grande famiglia di strumenti ora destinati alle Bande, ma con notevoli trascorsi anche orchestrali, i flicorni , dove regna una certa confusione per via dei numerosissimi modelli creati nei vari paesi e per le diverse terminologie a volte adottate per indicare lo stesso strumento. Oltretutto, ai modelli gravi di questi ultimi sono associate altrettante tube di taglio intermedio, con differenze alle volte veramente irrisorie fra i due gruppi; a concludere il capitolo dedicato agli ottoni saranno le famose tube wagneriane utilizzate per le opere di quell’autore e, sia pur sporadicamente, adottate da vari autori specie alla fine del XIX secolo.

L’oficleide

Strumento inventato nel 1817 da Halary, era la taglia tenor-bassa della serie di corni – segnale (buglehorn) alla quale pochi anni prima era stato applicato un sistema di chiavi. Letteralmente il nome significa “serpente a chiavi” e sostituiva l’antico serpentone. Il sistema della chiavi era indispensabile per creare i suoni fondamentali, tuttavia inizialmente furono costruiti modelli con un numero di chiavi inferiore a quello necessario per colmare l’intera serie dei suoni fondamentali: fu prima costruito un modello a sette chiavi, poi si passò a nove; infine il modello più comune di oficleide fu dotato di undici chiavi. Ogni chiave dava il suono fondamentale, e da questo si produceva la serie degli armonici, fino al quinto e oltre. Grazie al canneggio largo e non interrotto da sezioni cilindriche il suono prodotto risultava chiaro e pulito: si è già accennato come per un certo periodo servì come quarto elemento basso, in sostituzione del decaduto trombone basso in Fa. Parti per oficleide le troviamo in Spontini (Olympie) Berlioz (Les Troyens) e Mendelssohn (Sogno di una notte di mezza estate)

194

Le cornette a pistoni

Cornetta in Si bemolle

Cornetta in Mi bemolle

Strumento dotato di grandissima agilità, sia per quanto riguarda il legato che lo staccato, verso la metà del XIX secolo venne privilegiato in luogo della tromba, dotata di minore versatilità. La caratteristica principale rispetto ad essa è costituita dal bocchino, dalla tazza meno arrotondata e dalla conformazione più profonda: caratteristiche che corrispondono ad un timbro chiaro e di comodissima emissione. Tuttavia il timbro è piuttosto privo di spessore, e può risultare volgare: Berlioz a parte, il quale ne fece ampio uso in luogo della tromba, gli altri autori seguenti ne hanno fatto prevalentemente un uso caricaturale. Quando la tromba perfezionò alcune sue caratteristiche tecniche tornò al suo ruolo principale nell’orchestra, dove le nobili peculiarità della sua voce furono ampiamente preferite tanto da far decadere la Cornetta in disuso. Ciononostante, a testimonianza dell’importante ruolo di questo strumento, ci sono molte pagine degli autori di scuola francese dell’ottocento, nonché alcuni autori del secolo successivo, in primo luogo Igor Strawinsky (Histoire du soldat; Petrouchka). Per le caratteristiche tecniche, estensione ecc. riferirsi al capitolo dedicato alla tromba in Si bemolle (e alla piccola in Mi bemolle, per il modello più acuto), in quanto identiche.

195

I Flicorni La numerosa famiglia dei Flicorni è attualmente destinata ad un esclusivo ambito bandistico; ciononostante, alcuni fra i suoi componenti hanno svolto un ruolo decisivo nell’orchestrazione delle partiture dalla metà dell’ottocento ai primi decenni del secolo successivo. Motivo principale del loro largo impiego in quell’epoca fu, come detto, la maggiore flessibilità di suono e il più alto grado di perfezionamento strutturale degli esemplari acuti (cornette, flicorni soprano) rispetto alle trombe dell’epoca, contemporaneamente al riordino dei ruoli della sezione grave dell’orchestra, dove la scomparsa del trombone basso venne rimpiazzata da oficleidi e flicorni gravi, per poi assestarsi sulle tube. Oltre a questi motivi, dobbiamo certamente attribuire merito alle particolari proprietà espressive di questi strumenti, spesso definiti privi di spessore, quasi banali nel timbro, ma pur sempre capaci, quando usati in modo proprio, di caratterizzare in maniera insostituibile il loro intervento. La caratteristica morfologica dei flicorni è il notevole sviluppo conico della cameratura e l’ampia svasatura del padiglione, entrambi le caratteristiche ben più pronunciate che negli strumenti paralleli per estensione (dalle trombe alle tube, entrambe con cameratura più stretta e con ridotta svasatura del padiglione); queste caratteristiche molto favorevoli ai suoni gravi vengono assommate al particolare bocchino, con sezione interna arrotondata (adatta ai suoni scuri) per i modelli gravi (es.: eufonio): per i tagli acuti invece il bocchino è con sezione interna allungata, per favorire un timbro chiaro e una facile emissione dei suoni acuti. Possono essere dotati di tre o quattro valvole (a volte fino a sei); dal sovracuto al soprano in si bemolle sono con la campana in avanti (come le trombe), dal contralto in giù hanno campana verticale: esistono tuttavia modelli di contralto e tenore (a volte nominato baritono) con campana in avanti. Dal flicorno basso in giù troviamo la corrispondenza con modelli di tube: queste ultime, preferite in orchestra per la maggiore purezza del suono e per le caratteristiche morfologiche (scarso sviluppo conico, bocchino con sezione interna più allungata, elementi questi che facilitano l’emissione delle note più acute). La meccanica di questi strumenti è identica a quelle viste precedentemente per gli altri strumenti a valvole: la quarta valvola, quando c’è, è unicamente utilizzata per il trasporto ad una quarta inferiore. I menzionati strumenti a più valvole non sono qui trattati e si riferiscono a modelli ormai scomparsi o poco usati.

196

Flicorno sopracuto Ne esistono due modelli, in Si bemolle e in La (meno frequente). L’estensione è la seguente:

Flicorno sopranino Anche qui troviamo due modelli, in Mi bemolle (più diffuso) e in Fa. Spesso ha sostituito la tromba piccola in Re o la tromba in Do, rispetto alle quale ha un timbro più esile e una maggiore abilità nel mantenere il piano nel registro più acuto.

197

Flicorno soprano

E’ principalmente in Si bemolle, ma più raramente possiamo trovare un modello tagliato in La. Spesso è scambiata per la cornetta in Si bemolle, ma in realtà è uno strumento dotato di diverse peculiarità, soprattutto timbriche, non avendo la debolezza della cornetta, e avendo un migliore legame timbrico con il sottostante flicorno contralto. Alcune testimonianze d’epoca sembrano essere contraddittorie riguardo alle qualità espressive di questo strumento: c’è chi gli attribuisce un suono di elevata nobiltà, ma anche chi sostiene insopportabilmente monotono il suo impiego prolungato; le due partiture del novecento che ne hanno abusato, con dei Solo troppo prolungati (Threni di I. Strawinsky e la Nona Sinfonia di Williams) subirono pesanti critiche al riguardo. Appropriato è l’impiego che ne fa Respighi nei Pini di Roma, evocando le antiche legioni romane.

198

Flicorno contralto

Modello orizzontale

Modello verticale

Chiamato anche tenore, può essere tagliato in Fa o in Mi bemolle (più diffuso): Berlioz scrisse un famoso Solo nell’ Opera Les Troyens, ora affidato al corno.

199

Flicorno Tenore in Si bemolle (detto anche Baritono)

Modello orizzontale

Modello verticale

Bombardino

E’ chiamato indistintamente tenore o baritono; ad esso si affianca un modello del tutto identico come estensione con leggere differenze di costruzione (canneggio più ampio, minore svasatura della campana), in Italia chiamato bombardino.

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Flicorno Basso o Tuba bassa in Si bemolle

Strumento dal canneggio molto ampio, adatto a svolgere pienamente sia la funzione di basso che melodica, nel registro tenorile; è stato il primo strumento a sostituire l’antico oficleide in orchestra. Le differenze tra flicorno e tuba sono in questo caso più irrisorie che mai, pertanto gli strumenti sono facilmente interscambiabili. Il quarto pistone, come si è detto, serve a trasportare immediatamente la cameratura da Si bemolle a Fa (una quarta sotto). Da questo punto in poi, è prevista la sola notazione in suoni reali.

I suoni pedale sono di ottimo effetto; il Si tra parentesi potendosi produrre solo in settima posizione è di cattiva resa e poco intonato; i due semitoni oltre l’ottavo armonico sono duri e pericolosi. Da non equivocare il termine tuba bassa con quello di tuba contrabbassa (la più usata in orchestra): quest’ultima viene spesso denominata come basso tuba, e può far nascere malintesi. Ravel nell’orchestrazione dei Quadri di un’esposizione impiega genericamente il nome di tuba, senza altra specificazione: ebbene, la parte è pensata per una tuba bassa, e non contrabbassa. Lo strumento è anche denominato eufonio.

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Flicorno Contrabbasso

e

Tuba Contrabbassa in Mi bemolle

Ne esiste una versione in Fa. Strumento introvabile ormai nelle orchestre, dove è sempre preferita la tuba contrabbassa in Si bemolle.

In Italia è conosciuto anche con il nome di bombardone; ha eccellenti suoni pedale, il Mi tra parentesi è poco intonato, tutti i suoni compresi dalla linea che unisce tale nota con il Mi bemolle sono eseguibili nelle sette posizioni, sia per il canneggio in Mi bemolle, sia trasportate una quarta sotto dal quarto pistone.

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Flicorno Contrabbasso in Si bemolle

Esiste anche un modello in Do. Dello strumento gemello, la tuba contrabbassa in Si bemolle, si è già parlato precedentemente (vedi scheda). Essendo quindi identiche le caratteristiche, segue pertanto la sola estensione, a titolo di maggiore comodità di consultazione.

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Le Tube Wagneriane

In Si bemolle

In Fa

Durante la composizione del Ring, Wagner pensò all’inserimento di una sezione supplementare di ottoni, dalle peculiarità timbriche nuove: strumenti in grado di fornire alla sezione dei corni un più adeguato proseguimento nel grave di quello offerto dalle normali tube, capaci quindi di una sonorità più morbida e più legata timbricamente ad essi. Già all’inizio della stesura del Rheingold inserì quindi gli strumenti che avevano destato il suo interesse, che in realtà erano niente altro che Saxhorn, ossia flicorni a valvole ideati già da tempo dal costruttore belga. Curioso il rapporto che lega il Compositore a questi, conosciuto a Parigi, nel 1853, in occasione della messa in scena del Tannhäuser, dove ad altre difficoltà si aggiunse quella di reperire i dodici corni richiesti: «…così non fu possibile mettere insieme, nella grande Parigi, i dodici corni da caccia che a Dresda avevano fatto risuonare tanto fieramente gli squilli del primo atto; dovetti a questo proposito entrare in rapporti con un uomo odioso, il celebre fabbricante di strumenti Sax, il quale mi venne in aiuto con ogni genere di surrogati …» (R. Wagner: Mein Leben)

Wagner non aveva quindi pensato agli strumenti che portano il suo nome; fu solo in occasione dell’esecuzione integrale del Ring, a Bayreuth nel 1876 che vennero forniti due flicorni tenori e due flicorni bassi, costruiti in forma ovale a canneggio medio, macchina a quattro valvole per la mano sinistra e canna d’imboccatura destinata ad accogliere lo stesso bocchino del corno.

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Le coppie di questi strumenti erano tagliate rispettivamente in Si bemolle (foto di sinistra) e in Fa basso (foto di destra), e destinate ad un secondo quartetto di corni presente in organico che si doveva alternare tra questi e le tube. Oltre a Wagner, successivamente gli strumenti vennero impiegati da Bruckner e Strauss (che non li amò particolarmente, preferendo ad essi il normale eufonio).

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Grafia

Quella mostrata nelle tavole delle estensioni deve essere considerata la migliore grafia per questi strumenti: annotazione un tono sopra per gli strumenti in Si bemolle, e una quinta sopra (anche in chiave di basso) per quelli in Fa: è questa la notazione che troviamo nel Rheingold. Tuttavia nelle altre partiture del Ring troviamo le parti scritte in Mi bemolle (effetto una sesta sotto, ma se scritte in chiave di basso l’effetto è una terza sopra) e in Si bemolle (effetto una nona sotto, in chiave di basso un tono sotto). Inoltre, nel Götterdämmerung le relative parti sono scritte in notazione bandistica, in chiave di violino, e risultano rispettivamente una nona sotto e una dodicesima sotto.

Agilità E’ più o meno la stessa del corno, l’emissione dei suoni è ancora più facile anche se il timbro è più velato. Per le altre peculiarità tecniche, staccato, legato, sonorità particolari, tenere presente quanto detto a proposito degli altri strumenti in ottone.

Modello di tuba wagneriana doppia, in Si bemolle e Fa

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L’ Arpa

Elemento essenziale nell’orchestra sinfonica moderna, l’arpa svolge alcune specifiche funzioni che non potrebbero essere attribuite a nessun altro strumento; allo stesso tempo, molto raramente ricopre ruoli da protagonista, sia per l’esilità del suono, che in un ambito melodico sarebbe facilmente sopraffatto da un insieme orchestrale che non fosse assolutamente trasparente, sia per le stesse peculiarità timbriche, espressivamente poco versatili seppur ricche di sfumature, e inadatte a incarnare ruoli di primo piano. La presenza stabile di questo strumento in orchestra è piuttosto tardiva: dal XIX secolo, nel corso del quale ha visto aumentare i consensi da parte degli autori in modo progressivo, fino ad arrivare all’apice nei primi anni del secolo successivo, con la scuola impressionistica. In seguito, per antagonismo stilistico verso la scuola francese, l’arpa sembra cadere in disgrazia, e in molte occasioni scompare dall’orchestra soppiantata dal pianoforte, ma tale scambio, alla luce della Storia appare oggi come relegato ad un’epoca ristretta e superata: oggi è ritornata ad occupare il posto che le spetta, e un autore che si muova in un ambito sinfonico difficilmente riuscirebbe a rinunciarvi. Nell’attuale organico orchestrale viene di norma utilizzata una singola arpa; verso il periodo di massima fortuna dello strumento era prevista una coppia (Wagner, nel Reihngold, per sostenere il luminoso cammino degli dei sul dorso dell’arcobaleno che li introduce alla dimora del Wahlalla, usa ben sei arpe!) , che a dire il vero sarebbe essenziale anche ai giorni nostri, per sopperire a quei problemi di origine tecnica che scopriremo in seguito; purtroppo non è pensabile ai nostri giorni un allargamento di organico in tal senso, ed è assai consigliabile riferirsi ad un unico strumento.

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Caratteristiche L’arpa diatonica (così è chiamato l’attuale strumento utilizzato in orchestra, in relazione all’arpa cromatica, modello privo di pedali precedentemente in uso ed oggi scomparso) ha un’altezza di 187 cm., la larghezza di 100, una cassa armonica di 55 cm. circa. E’ inoltre provvista di sette pedali, tre a sinistra dell’esecutore, e quattro alla sua destra che determinano l’accordatura di 44 delle 47 corde complessive dello strumento. Di queste, le corde del Do sono di colore rosso, quelle del Fa di colore nero o blu. L’ordine delle corde è diatonico, e dal Mi più grave al Fa più acuto della tastiera del pianoforte è regolato appunto mediante la pedaliera. Questa, infatti, è dotata di un pedale per ciascuna nota della scala diatonica; ogni pedale ha tre posizioni che regolano l’accordatura, la prima (pedale nella sua posizione superiore) produce il bemolle di detto suono, la seconda (pedale posto nella tacca mediana) il suono naturale e la terza (tacca inferiore) il diesis; l’accordatura comporta l’alterazione di tutte le corde aventi lo stesso nome sulle varie ottave dell’estensione, e può essere facilmente modificata durante l’esecuzione:

Possono essere impiegati contemporaneamente due pedali per volta, purché siano combinati tra quelli a disposizione del piede sinistro e quelli del piede destro (es.: Re-Sol): solo eccezionalmente si potranno utilizzare due piedi a destra o a sinistra, in ogni caso limitandosi ai casi di minore difficoltà generica, e a coppie di pedali più vicini all’esecutore (es.: Mi - FA, o Si – Do). Per quanto la tecnica abbia raggiunto in tal senso livelli molto elevati, fare attenzione a non chiedere allo strumentista cambiamenti di pedale al limite delle possibilità. Le ultime due corde gravi (Do e Re) e la più acuta (Sol) sono fisse, non dipendono cioè dal meccanismo descritto, e la loro accordatura può essere modificata solo prima dell’esecuzione, circa un semitono in più o in meno. Pertanto l’estensione dell’arpa è la seguente:

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Sull’esempio di un’ottava, ecco le possibilità di combinazioni di accordature:

Grafia

L’arpa non ha possibilità enarmoniche, vale a dire che ogni nota deve essere nominata a seconda della corda di origine: è infatti impossibile in un accordo avere due note con lo stesso nome ma alterate in modo differente:

Mentre è possibile avere la stessa combinazione di suoni, chiamandoli diversamente:

Per quanto riguarda i pedali, l’accordatura degli stessi va definita al principio del brano da eseguire, elencando tutte le sette note alterate o meno, secondo come risulterà nella loro prima apparizione. Ad esempio, se il brano cominciasse come nel caso seguente:

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L’accordatura segnata in principio sarà:

Successivamente si indicheranno le ulteriori modifiche dell’accordatura richiesta:

Si noti la grafia della seconda battuta: dove possibile, due pedali vengono modificati contemporaneamente per un cambio più veloce, e vanno scritti verticalmente; subito dopo il Si verrà alterato con il bemolle. Altro modo di indicare una accordatura completa è mediante lo specifico segno grafico che riproduce l’ordine dei pedali, da sinistra (RE-DO-SI) a destra (MI-FA-SOL-LA):

In questo caso i pedali sarebbero tutti nella posizione centrale, dando tutte le note senza alterazioni. Nel caso precedente quindi, volendo adottare per l’accordatura iniziale il sistema grafico scriveremo:

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Particolarità del sistema a pedali Con il sistema dei pedali l’arpa ha notevoli vantaggi e qualche svantaggio: ad esempio non può produrre una rapida scala cromatica (invece assolutamente agevole nel vecchio modello cromatico, dove le corde si succedevano per semitono); peraltro, la scala cromatica può invece prodursi con un effetto particolare chiamato suoni fluidi, che vedremo in seguito. Anche determinate combinazioni armoniche possono risultare interdette, e non sempre sarà possibile giustificare con altra corda il suono omofono:

In questo caso, infatti, il La del basso contrasta con il La della quartina, senza che possa essere sostituito dal Sol  .



Fra i vantaggi vi è quello di poter produrre effetti molto efficaci, come il tremolo velocissimo sullo stesso suono:

Accordando lo strumento in modo adeguato, sono possibili combinazioni straordinarie, come ad esempio il glissando di settima diminuita:

Ossia:

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Accordi L’arpista suona con quattro dita per mano, escludendo il mignolo. La posizione dello strumentista, sbilanciata verso la sinistra dello strumento riduce alcune possibilità per la mano destra: questa è la motivazione per alcune limitazioni di cui verremo a conoscenza in seguito. Le corde sono a distanza più ravvicinata che non i tasti del pianoforte, per cui ciò che per la mano sulla tastiera equivale ad un rapporto di ottava, sulle corde dell’arpa corrisponderà ad una decima circa; nella composizione di accordi di tre o quattro suoni è ai pollici delle due mani che viene affidata la nota più acuta, e fra questo dito e l’indice si sviluppa un rapporto capace di intervalli ben maggiori che fra le altre dita: quindi se in generale nella composizione di accordi è bene affidarsi alle posizioni strette, tra i due suoni più acuti sarà sempre possibile una maggiore distanza:

Nella norma l’arpa esegue lievemente arpeggiati tutti gli accordi (anche bicordi) che vede sulla sua parte, senza che sia necessario indicare l’effetto graficamente. Se invece si vuole ottenere un accordo senza l’effetto arpeggiato bisognerà sempre indicarlo con il termine non arp. Quando invece si volesse ottenere un arpeggio molto evidente si dovrà mettere a fianco dell’accordo il relativo segno grafico:

Accordi o suoni singoli possono essere smorzati al termine del loro valore o lasciati vibrare sino all’esaurimento delle vibrazioni: in quest’ultimo caso un valore generico, a seconda del tempo o suddivisione nella battuta, sarà seguito da una legatura accennata e dall’indicazione lasciar vibrare :

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Funzionalità dell’arpa nell’orchestra

Si è parlato del ruolo insostituibile dell’arpa, nonostante l’esiguità del suo suono e l’inadeguatezza, almeno in ambito sinfonico, nel rivestire compiti melodici e tematici. Le sue prerogative utili potrebbero essere definite in questi tre termini: funzione ritmica, funzione coloristica, e funzione percussiva. Nella prima di queste sono racchiuse tutte le formule d’accompagnamento: arpeggi semplici o con più note simultaneamente, accordi o note ribattute, accordi o note alternate ecc. Formule d’accompagnamento come i ribattuti o le successioni alternate di note o accordi sono certamente possibili anche con altri strumenti (ad esempio, una nota ripercossa rapidamente può essere facilmente attribuita al flauto o ad uno strumento a percussione; formule di accordi alternati possono essere affidati a gruppi di legni, o ad archi pizzicati) ma l’arpa è unica nel fornire un sostegno ritmico non invadente, per quanto irrinunciabile:

Ciò in cui l’arpa è davvero insostituibile sono le formule di accompagnamento arpeggiato, specie se rapide e di ampia estensione: nessuna alchimia orchestrale renderebbe in questi casi la fluidità, la trasparenza e la continuità timbrica di questo strumento. Va a questo punto però fatta una riflessione sul ruolo dell’accompagnamento nella scrittura sinfonica: una formula arpeggiata, o alternata, può essere a seconda dei casi, un semplice ed essenziale “collante” delle varie funzioni espresse dalla pagina orchestrale; diversamente, può non essere scindibile dalla stessa struttura del pezzo. Nel primo caso, l’arpa è l’essenziale, e unico, strumento capace di assolvere questo compito; nel secondo caso, la scelta dell’arpa sarebbe incongrua, e funzionalmente sbagliata.

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Nel seguente esempio, l’accompagnamento leggerissimo delle ottave arpeggiate fa da supporto ritmico intenso e trasparente agli interventi melodici degli altri strumenti, e non potrebbe essere sostituito da nulla (pizzicati di archi sarebbero privi della morbidezza necessaria, e la celesta, oltretutto mancante della nota più grave, avrebbe un timbro invasivo, tutt’altro che trasparente): A.Cusatelli: “und die Winde kommen und gehen”

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In tantissimi casi analoghi, in cui il discorso complessivo è sostenuto dalle trame sottilissime e laboriose dell’arpa troviamo il senso del suo irrinunciabile impiego. Ma se ci trovassimo di fronte ad un accompagnamento strutturale, non potremmo affidarci alle qualità di questo strumento; basti pensare ai tanti casi di arie dei melodrammi dove le formule di accompagnamento erano affidate agli archi o ai legni (pensiamo a “di Provenza il mar, il suol, del secondo atto di Traviata, o al supplicante arpeggio del violoncello nell’aria “miei signori, perdono pietade” del Rigoletto): nei casi citati e in innumerevoli altri simili, di ogni epoca o stile, l’arpa non potrebbe mai sostituire il ruolo degli strumenti integrati nello stesso impasto sinfonico. Un ultimo esempio, a chiarimento ulteriore di quanto detto. Pensiamo ad una pagina pianistica che dovesse essere orchestrata, in cui la stessa struttura tematica si regga su una serie di ridondanti sonori e convulsi arpeggi : lo studio 1 dell’op. 10 di F. Chopin; qui sarebbe impensabile far sostenere all’arpa la struttura data dagli arpeggi, magari con il resto dell’orchestra che regge le armonie. Da quanto asserito in precedenza, sarebbe questo il caso in cui gli altri strumenti dell’orchestra dovrebbero provvedere a tale funzione, ma dato il carattere della pagina pianistica, che mette in primo piano l’esigenza della sua uniformità timbrica imprescindibile, ciò risulterebbe impossibile: il brano in questione infatti, pensato unicamente per pianoforte, non può essere degnamente orchestrato.

Glissando Entrando nell’aspetto coloristico dello strumento, ciò che nell’arpa produce l’effetto più eclatante è appunto il glissando. Questa è l’unica risorsa che l’arpa ha per emergere anche in un forte orchestrale; può essere ascendente o discendente, e riguardare una sola voce o più voci per ogni singola mano, sino a tre: in questo caso l’estensione massima tra le parti estreme dell’accordo dovrà essere una sesta:

L’estensione del glissando è sempre in relazione alla sua durata: un glissando breve avrà bisogno di un estensione minore, mentre un effetto più duraturo necessita di una grande estensione. Indicativamente, per un tempo di circa , il glissando di una croma spazierà entro un’ottava, quello di una semiminima entro circa 2 ottave, 2 ottave e mezza, ecc. La rapidità dello scivolamento delle dita sulle corde è essenziale ai fini della dinamica: per cui più è rapido più sarà sonoro ed efficace. L’effetto di un glissando dell’arpa è noto a tutti: se breve produce una sorta di abbrivio per tutta l’orchestra; se ampio e continuato è avvolgente, sonoro, e fonde l’intera orchestra nel magma da esso creato. I pedali forniscono una vastissima gamma di sfumature espressive, e devono essere accordati con il tempo necessario prima dell’intervento del glissando. 215

Una sonorità metallica si ottiene prescrivendo il glissando con le unghie specie nel piano e con velocità moderata; l’effetto è ancora più marcato se si prescrive di effettuarlo alla tavola (vedi in seguito)

Armonici Si ottengono pizzicando la corda e sfiorandone con il palmo l’esatta metà. La mano sinistra (agendo dal Do centrale in giù) può produrne simultaneamente anche tre (purché in posizione stretta), mentre la destra (dal Do centrale in su), in posizione più sacrificata, non più di uno per volta. Lo sfioramento della metà della corda produce, come noto, l’ottava superiore del suono pizzicato. Graficamente si segna la nota (o le note) all’altezza di dove viene pizzicata, accompagnandola con il tondino simbolo dell’armonico sopra la testa: l’effetto è all’ottava sopra:

L’effetto timbrico è diafano ed evanescente di ottimo rendimento nella fascia media dello strumento:   

(L’effetto è all’ottava sopra)

Un suono di particolare rotondità e dolcezza si ottiene producendo un armonico e con l’altra mano pizzicando normalmente la corda della stessa nota all’ottava superiore:

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Sonorità particolari

Prescrivendo alla tavola le note vengono pizzicate in prossimità della cassa armonica: l’effetto corrispondente è di una sonorità chiara e metallica, simile a quella della chitarra. Il portamento è un effetto che interessa i pedali: dopo aver pizzicato la corda, lasciandola vibrare, il pedale modifica l’accordatura entro le possibilità di semitono o di tono che gli siano di volta in volta possibili. Possono essere interessati anche due pedali contemporaneamente, purché compatibili:

Si indica con una linea di congiunzione tra i due suoni interessati, e con il cambio dei pedali.

Per tremolo eolico s’intende un rapido e continuo glissando in senso ascendente e discendente entro un limite di estensione prescritto: si indica con le note che delimitano l’estensione con il valore di durata dell’effetto e il segno di tremolo sopra i gambi; con piccole teste di note viene indicata l’accordatura.

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sistono anche altri effetti basati su rapidi glissandi di limitata estensione, chiamati accordi eolici Possono essere ascendenti o discendenti. Gli accordi eolici ascendenti si ottengono strisciando rapidamente entro l’estensione voluta una per una le dita interessate di ogni mano, escludendo il pollice; l’effetto interessa entrambe le mani alternate e si indica con il particolare segno seguito da una linea per tutta la sua durata:







 

Gli accordi eolici discendenti si effettuano allo stesso modo, ma alternando i soli pollici, e vengono indicati dal segno

Partendo dalla zona medio-grave in su avremo la migliore resa di questi particolari effetti.

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Con il termine étouffé s’intendono dei caratteristici suoni corti prodotti dal pollice e subito smorzati col palmo della mano: a questi provvede la mano sinistra, per tutta l’estensione dal grave al medioacuto, mentre la destra data la sua posizione non è adatta a questa tecnica. Possono essere eseguiti con una certa scioltezza, e vengono indicati con il termine testuale seguito da puntini (étouffés, se ci riferisce a più di uno), o con il simbolo  seguito da una linea per la durata dell’effetto; circa la velocità, seguono due esempi limite:

L’effetto étouffés può riguardare anche accordi di tre o quattro suoni: in tal caso la tecnica di smorzamento è data dalle stesse dita che pizzicano le corde, e può essere utilizzata anche la mano destra (dal Do centrale circa in su); l’effetto è di agilità ridotta, rispetto al precedente:

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Con l’ausilio della chiave di accordatura si possono produrre, infine, degli effetti sorprendenti, detti suoni fluidi. Mentre la mano sinistra aggancia con questa una corda verso l’estremità superiore (ad un quarto della sua lunghezza complessiva), seguendo il ritmo voluto scende e risale sulla stessa corda fermandosi ogni semitono, facendo della chiave d’accordatura un capotasto mobile: nello stesso tempo, la mano destra pizzica verso il basso la stessa corda. Si ha così un procedimento cromatico che può risultare anche piuttosto rapido; l’effetto può avere esito da una quarta giusta sopra l’altezza della corda in questione in su, per circa due ottave. Si indica con le note della mano sinistra che indicano i suoni all’altezza e al ritmo voluto, e la destra che utilizza una notazione particolare (le teste delle note sono a forma di rombo) e riproduce il ritmo specificando la corda impiegata:

L’effetto è reso nel modo migliore dalle corde che si trovano nella seguente estensione:

Altro prezioso uso dei suoni fluidi è nel glissando: si ottiene facendo scorrere rapidamente la chiave su e giù sulla corda senza interruzioni per l’estensione voluta, mentre la mano destra effettua un tremolo sulla sua parte inferiore. La notazione vedrà la mano sinistra esprimere il glissando, e la destra aggiungerà al rombo il segno del tremolo:

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Le Percussioni E’ quasi impossibile trattare l’argomento delle Percussioni nella sua totalità, dato che la più numerosa ed eterogenea famiglia di strumenti musicali è in continua evoluzione, e ultimamente si estende ad oggetti destinati agli usi più diversi (dalle sospensioni per automobile alle tavole per lavare i panni), per la ricerca più o meno seria di alcuni compositori. La trattazione anche veloce della maggior parte di questi strumenti renderebbe lo spazio a loro destinato, sproporzionato rispetto agli altri strumenti trattati, sia per numero di pagine, sia per l’importanza del ruolo attribuitogli. Strumenti di fatto essenziali nell’orchestra, il loro impiego deve intendersi sobrio e limitato perché se ne faccia un uso competente. La necessaria cernita effettuata in queste pagine elimina in primis gli strumenti etnici, quando per tradizione essi non siano frequentemente praticati in ambito orchestrale (come ad esempio le maracas) e quelli impiegati per altri generi musicali non sinfonici. Molti altri ancora, sebbene figurino sporadicamente in partiture anche classiche, non vengono qui trattati per la scelta di limitazione dell’argomento descritta in precedenza. Naturalmente, qualsiasi irrinunciabile intuizione dell’autore, può sperimentare, specie nel campo percussivo, nuove vie e nuovi materiali sonori, secondo la propria esigenza e il proprio gusto estetico. Sull’uso pratico di questa ricchissima sezione, si consiglia di affidarsi ad un piano di lavoro, come il seguente: 1. All’atto della stesura di una partitura, i timpani e la celesta vanno trattati come qualsiasi altro strumento dell’orchestra, ossia il loro impiego lo si considera opportuno o meno a seconda delle esigenze espressive e agli equilibri della pagina orchestrata al momento stesso in cui essa viene creata. 2. Strumenti come marimba, xilofono, vibrafono e campane tubolari, sono altamente caratterizzanti il colore timbrico generale, pertanto andrebbero utilizzati solo nei casi in cui un loro uso specifico risulti primario (ad esempio, l’uso delle campane nel preludio di Suor Angelica di Puccini); se invece il loro impiego non esprime un vero e proprio episodio musicale, ma ha esclusivamente carattere percussivo, devono essere considerati come gli strumenti descritti in seguito. 3. Gli altri strumenti a percussione possono anche essi essere considerati contestualmente alla formazione della partitura, se il loro uso è subito spontaneo e chiaro nelle intenzioni dell’autore: un colpo di tamtam, o di grancassa, uno scintillio di piatti a due, un tintinnio del triangolo, ad esempio; ma tolti questi casi di spontaneità, è ben più opportuno (e comodo) trattare questa serie di strumenti dopo l’intera stesura della partitura, come una sorta di maquillage timbrico da aggiungersi, con stile e garbo, allo scopo di perfezionare e di rendere più efficace la pagina musicale. Naturalmente, oltre agli strumenti a percussione principali, può capitare anche ai meno frequenti, sia pur raramente, di configurare con un ruolo primario e timbricamente indissolubile dalle scelte caratterizzanti un episodio: l’impiego, ad esempio, dei sonagli, nelle battute iniziali del primo movimento della Quarta Sinfonia di G. Mahler (vedi esempio riportato nel paragrafo dello stesso strumento), non può certo definirsi ornamentale, dato che la sua reiterazione ritmica e la sua natura timbrica lo rende protagonista di quell’amalgama sonoro.

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Timpani a parte, per i quali è previsto uno specifico ed esclusivo esecutore, i percussionisti in una orchestra variano da uno a tre, per salire di numero in casi eccezionali. Naturalmente, il numero di essi non limita quello degli strumenti utilizzabili, potendo lo stesso esecutore passare dall’uno all’altro, ma limita la sovrapposizione di essi: potremo avere nello stesso momento il tamtam e i piatti a due, ad esempio, solo se saranno previste due parti di percussione, ossia due esecutori; quindi il numero degli esecutori è relativo allo stesso numero di strumenti sovrapponibili. Gli strumenti a percussione si dividono in due categorie principali: a suono indeterminato e a suono determinato, ognuna delle quali, a seconda del materiale di cui è formato lo strumento, si suddivide in metallo, legno, membrana. Seguendo quest’ordine, sono trattati nelle pagine seguenti:

Strumenti in metallo a suono indeterminato: campanacci; campanelli a vento; gong; piatti; piatto sospeso; sonagli; tamtam; triangolo.

Strumenti in metallo a suono determinato: campane tubolari; celesta; glockenspiel; incudine; vibrafono.

Strumenti in legno a suono indeterminato: castagnette; claves; frusta; guiro; maracas; raganella; temple blocks; wood blocks.

Strumenti in legno a suono determinato: marimba; xilofono; xilomarimba.

Strumenti in membrana a suono indeterminato: cassa chiara; grancassa; tamburello basco; tamburo militare; cassa rullante; tom tom.

Strumenti in membrana a suono determinato: rototoms; timpani.

Strumenti di uso scenico, come le gloriose macchina del tuono, macchina del vento, macchina del fulmine, dotate di meccanismi affascinanti e di piena efficacia, non sono qui trattate (con rammarico) avendo ormai la ricerca elettronica privato di senso l’utilizzo di sistemi imitatori, potendo ora riprodurre alla perfezione i suoni reali di detti eventi atmosferici.

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Strumenti in metallo a suono indeterminato

Campanacci (Alpenglocken)

Strumenti adatti per lo più per suggerire ambientazioni alpestri (R. Strauss: Don Quixotte; Alpensinphonie; G. Mahler: VI e VII sinfonia), solitamente utilizzati in serie sistemate su apposite intelaiature possono essere suonati con o senza battaglio: nel primo caso non sono possibili singoli rintocchi, e senza dubbio esprimono una funzione descrittiva, di mandria al pascolo. Percossi senza battaglio, con due o più mazzuole (sino a quattro) possono produrre effetti timbrici più raffinati, e combinazioni ritmiche complesse. Differente suono è prodotto a seconda che lo strumento venga percosso sulla calotta (suono più secco e acuto) o sul bordo (suono più persistente con risonanze prevalentemente gravi). Naturalmente il genere di mazzuolo impiegato nella percussione caratterizza molto l’esito timbrico: con battenti di feltro si ottiene un suono morbido e di lunga risonanza; con battenti da vibrafono o di feltro duro si ha una maggiore precisione ritmica, per quanto si mantenga una risonanza prolungata; con bacchette di legno o di cuoio o ancor più di metallo si ottengono suoni fragorosi e metallici.

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Campanelli cinesi

Sono costituiti da una serie variabile di tubicini pieni in alluminio sostenuti da una barra orizzontale in legno. Possono essere messi in vibrazione con le mani o con barrette in metallo. L’effetto è di un tintinnio delicato, dal ritmo irregolare. Più il numero dei tubicini è alto, più aumentano le possibilità dinamiche: una scossa rapida di una serie numerosa di tubicini rende un effetto sferzante, elettrico; una prolungata e lieve oscillazione crea un’atmosfera ipnotica e surreale. La notazione prevede una nota con tremolo che esprima la durata dell’effetto, con la relativa dinamica (cresc. dim. ecc.):

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Gong

E’ uno strumento in lega di rame e stagno, con bordi ripiegati all’indietro e superficie del margine irregolare e frangiata. Spesso viene confuso con il tamtam, che invece ha peculiarità alquanto diverse: il gong, infatti, ha un suono più morbido e di più rapida emissione. Le vibrazioni dello strumento hanno il loro apice al centro, perdendo progressivamente frequenza man mano che la percussione si sposta verso il bordo. Per quanto riguarda la dinamica, può oscillare dal pianissimo più impalpabile ad un fragoroso fortissimo. Il formato di questi strumenti è vario, e in orchestra è necessario specificare almeno orientativamente se si richiede un modello grande (suoni più gravi) medio o piccolo (suoni più acuti). La durata delle sue vibrazioni, specie dopo un fortissimo, è assai lunga, per cui è bene specificare quando il suono deve essere smorzato:

oppure, in alternativa:

Se invece si vuole lasciare il suono sino al suo esaurimento si prescriverà:

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Effetti Crescendo e Diminuendo: si possono ottenere ottimi effetti di crescendo, rullando con la sola mano dai bordi verso il centro, oppure con due mazze di piccole dimensioni, usate alternativamente nel medesimo percorso. I diminuendo si otterranno con la stessa tecnica, nella direzione opposta, ossia dal centro ai bordi, ovviamente attenuando anziché incrementando la rullata:

Con l’arco: usando l’arco del contrabbasso sul bordo superiore dello strumento (quello vicino alle cordicelle di sospensione) si ottengono degli armonici molto acuti, dal carattere flautato; l’altra mano può intervenire sfiorando lo strumento, modificando un po’ il timbro dell’effetto.

Tremolo sul bordo: si ottiene un effetto di suono continuato, se si percuote il bordo lungo la sua circonferenza; perché lo strumento possa vibrare sufficientemente per creare un effetto continuo, i tremoli non devono essere troppo fitti.

Glissando: con la punta di bacchette rigide in legno, o in metallo (usato anche il battente del triangolo) strofinate sul bordo dello strumento si ottiene un particolare effetto ricco di armonici metallici; la durata deve essere non eccessiva.

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Inoltre, effetti particolari ed eclatanti possono ottenersi mediante colpi di piatti a 2 sulla superficie dello strumento; un effetto ancora più fragoroso e drammatico si ottiene percuotendone la superficie con una grossa catena.

Mazze, mazzuole e bacchette

Il gong dispone di un’apposita mazza di notevoli dimensioni, con l’estremità in feltro duro:

Vengono utilizzate spesso mazzuole diverse, come quelle dure per xilofono o per vibrafono, o bacchette per tamburo che producono suoni acuti e metallici; con i battenti per triangolo usati in coppia si ottiene, strofinando i bordi, il già citato glissando. Infine, usando spazzole metalliche si ottiene un suono di modeste dimensioni, ma sibilante e suggestivo.

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Piatti

Con il termine “piatti” s’intende l’uso di piatti in coppia, sostenuti dalle mani; sono dischi convessi in lega di rame e stagno, cui si aggiungono altri metalli in misura minore. Al centro hanno una cupola sulla quale sommità è situato un foro avente la funzione di far passare una doppia striscia di cuoio che serve per il sostegno manuale degli strumenti. L’effetto principale è il colpo, suscitato dall’impatto di un piatto con l’altro, che può oscillare da un piano ad un fortissimo: in quest’ultimo caso l’esecutore dovrà subito dopo di esso allontanare i piatti, perché le fortissime vibrazioni provocate dall’impatto potrebbero, lasciandoli a breve distanza l’uno contro l’altro, addirittura provocare la rottura di essi. Per indicare il colpo si usa l’indicazione testuale “a due”; dopodiché si dovrà specificare, oltre alla dinamica, se il suono va smorzato (smorz.) alla fine della durata stabilita, o lasciato libero (lasciar vibrare) fino alla sua naturale estinzione. Nel caso di colpi ripetuti aritmicamente a breve distanza, i suoni non andranno smorzati, ma si legheranno l’un l’altro. Possono essere richiesti anche colpi in sequenze molto fitte: in tal caso la tecnica consiste in un movimento alternato in avanti e in dietro, simile allo sfregamento (es.: Finale della Quarta sinfonia di Čajkowskij):

N.B.: questa notazione è quella in vigore attualmente; in passato veniva utilizzata la chiave di basso.

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Altro buon effetto si ottiene strisciando con movimento rotatorio i due piatti fra loro sui bordi; l’indicazione è testuale e accompagnata solitamente dal segno di crescendo e da una legatura che indica il lasciar vibrare:

l’effetto, simile al sibilo di due lame, è delicato, piuttosto effimero nella sonorità, ma utile per dare l’abbrivio in un leggerissimo levare, o usato in controtempo, sempre nel contesto di sonorità tenui. Esempi di piatti strisciati si trovano nell’ Ein Heldenleben di R. Strauss, nel quinto movimento della Seconda Sinfonia e nel secondo movimento dell’ Ottava di G. Mahler, nelle opere pucciniane Tosca, Madame Butterfly, Turandot.

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Piatto sospeso

In orchestra si usano generalmente due tipi di piatto sospeso: il crash, di grandezza media (sui 45 cm) e dalla cupola poco pronunciata, adatto a sonorità fragorose, taglienti, e il ride, più grande (circa 55 cm di diametro) e pesante, con cupola più pronunciata, e dalla sonorità più calda e corposa. Per quanto riguarda la vasta gamma di bacchette e mazzuoli che vengono utilizzati per questi strumenti, la seguente lista ne indica i principali modelli, con le diverse caratteristiche:

Bacchette di spugna : producono un suono molto morbido e ovattato Bacchette di legno a punta fine: suono delicato ma nitido, per sonorità lievi Bacchette di legno spesse: per forti sonorità Bacchette da tamburo: sonorità forti, con piena eco Mazzuole da timpano: adatte a sonorità tenui, producono un suono simile al Tam-tam Mazzuola da grancassa: per sonorità medie e pastose Battenti per triangolo: per suoni leggeri e argentini Spazzole metalliche: ottime per i tremoli, effetto frusciante.

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Effetti

Nel piatto esistono tre zone percussive con caratteristiche diverse: sul bordo si ottengono suoni persistenti e pieni; sulla curvatura (circa alla metà del diametro) i suoni si fanno più metallici ; sulla cupola si ottiene un suono acuto, chiaro, ma di scarsa risonanza. Oltre agli effetti ritmici ottenuti con due bacchette alternate, nella moltitudine delle sonorità precedentemente elencate, e ai colpi isolati smorzati o lasciati vibrare, molto efficace è il tremolo, anche questo con ampie sfumature di varietà, a seconda delle bacchette usate: quest’ultimo effetto è inoltre capace di produrre una sequenza di suoni continuati, dalla dinamica fluttuante, nel crescendo e diminuendo.

Altro effetto piuttosto praticato è ottenuto strisciando una bacchetta da triangolo, o altro corpo metallico, ad esempio una moneta, sulla superficie del piatto sospeso: il risultato non è molto dissimile da quello dello strisciato ai bordi a due, ed è valido solo per sonorità tenui e trasparenti. Nell’indicazione testuale va specificato sia l’effetto, sia il corpo metallico da utilizzare:

Un effetto speciale, di inconsueta e raffinata sonorità, si ottiene sfregando un arco di contrabbasso o violoncello sul bordo del piatto appoggiato sulla membrana di un timpano: in tal caso l’armonico che ne conseguirà terrà conto della nota determinata dalla cassa di risonanza, che nel timpano può essere modificata tramite il pedale. L’effetto è comunque un po’ snobistico, se non utilizzato a proposito e in situazioni davvero particolari, ed è più adatto ad ensemble di percussioni o in situazioni cameristiche che non in orchestra.

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Sonagli

Solitamente riuniti a grappoli di diverse dimensioni e formati, i sonagli producono una serie di suoni indeterminati sovrapposti tra loro, dal carattere argentino e brillante; dentro ogni bubbolo metallico vengono inserite delle palline o sassolini che con lo scuotimento producono l’effetto sonoro. Esistono due metodi di esecuzione, il più praticato dei quali è il tremolo, che si ottiene scuotendo l’impugnatura dello strumento:

Possono anche richiedersi dei ritmi precisi, utilizzando la percussione del palmo della mano diversa da quella dell’impugnatura sulla sonagliera, come avviene ad esempio nell’inizio della IV Sinfonia di G. Mahler:

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Tamtam

Ancora molto imprecisa è l’idea di molti compositori sul termine che indica l’uso di tale strumento: spesso viene indicato col nome di gong, quando si è visto che quest’ultimo è in realtà uno strumento differente,sia nel timbro che nella foggia. Ad aumentare la confusione, alcune case produttrici di gong, chiamano tamtam alcuni modelli più grandi: ma in realtà, il gong è di origine cinese, ed ha caratteristiche proprie. Il giusto termine per non equivocare sul tipo di strumento richiesto sarebbe il più esteso tamtam turco. Il tamtam è una spessa lastra circolare leggermente concava con i bordi non ripiegati, dal diametro oscillante tra i 30 e i 120 cm. In orchestra si usa generalmente un modello di 90 cm. di diametro. Le sue caratteristiche timbriche sono sorprendenti sia nel pianissimo che nel fortissimo più fragoroso. Nel pianissimo si amalgama perfettamente nelle atmosfere più raffinate prodotte da archi o legni, fornendo un effetto di respiro remoto, o di risacca marina: per questo tipo di effetto deve essere prescritta una mazzuola morbida, di feltro o rivestita di panno. Nel fortissimo produce un clamore di tale intensità e drammaticità da risultare impressionante e capace di sovrastare l’intera orchestra. Dal punto di vista timbrico risulta allo stesso tempo più morbido e cupo di un gong delle stesse dimensioni. Gli effetti principali possono essere ottenuti percuotendo lo strumento con varie tipologie di mazze in colpi isolati, smorzati o meno, o con colpi ripetuti, ricordando che le vibrazioni dello strumento sono, specie nel forte, di lunghissima durata, e talmente intense da non consentire spesso una immediata smorzatura; altro essenziale effetto è dato dal tremolo, che si ottiene con una, ma meglio, con due mazze morbide alternate: tenuto in pianissimo, senza crescere, crea un clima piuttosto sinistro e misterioso. Dal pianissimo al fortissimo, mediante un lungo crescendo si ottiene un effetto sorprendente, esplosivo e clamoroso. Difficile è reperire in orchestra un tamtam di ottima fattura: questo, infatti dovrebbe produrre un suono assolutamente indeterminato, mentre la maggior parte dei tamtam in dotazione alle orchestre tende sempre a far risultare un armonico determinato rispetto agli altri.

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Battenti e Mazze Solitamente sono di dimensioni adeguate allo strumento; possono essere rivestite di feltro morbido, adatto a far risaltare gli armonici più scuri, o rigido, per mettere in risalto quelli acuti. Per il tremolo possono essere usati mazzuoli da timpano, adatti soprattutto nel piano e nei crescendi che non arrivino al fortissimo.

Effetti particolari

Con il battente per triangolo si crea un effetto metallico e stridente, se strisciato sul bordo o sulla circonferenza. M. de Falla, in El retablo imita il rumore delle armature predisponendo orizzontalmente lo strumento, che, appoggiato su un tavolo smorza le vibrazioni, percuotendolo con bacchette di legno. Con uno o due piatti si può colpire al centro lo strumento, per ottenere una fortissima esplosione. La combinazione di un piatto sospeso tremolato in crescendo e di un colpo fortissimo al culmine di questo da parte di un tamtam, crea un formidabile effetto spumeggiante ed esplosivo:

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Triangolo

E’ costituito da un tondino di lega metallica piegato a forma di triangolo equilatero, con un lato aperto tenuto in sospensione da una cordicella di nylon. Il tintinnio prodotto mediante il battente metallico produce un suono argentino, più acuto se vengono percossi i lati obliqui, più scuro se viene percossa la base. La sua gamma dinamica è della massima ampiezza, e va dai più impercettibili pianissimi al fortissimo: talmente lunghe sono le risonanze acute dello strumento, che il suo suono emerge anche nel più tumultuoso fortissimo dell’intera orchestra. Originariamente aveva la funzione di scandire il ritmo, e in tal modo è stato utilizzato dai compositori del secolo scorso: oggi tale impiego è da considerarsi obsoleto, preferendo invece rari colpi isolati, o effetti di tremolo. Verdi nel secondo atto del Falstaff usa il triangolo come imitazione delle monete di Ford. Oltre a singole percussioni è possibile ottenere dallo strumento acciaccature semplici, doppie e triple; una serie di brevi note in successione piuttosto rapida prevede sempre lo smorzamento dei suoni. Il tremolo si ottiene percuotendo velocemente i lati destro e sinistro dello strumento, nella sua parte superiore: può essere indicato come tremolo o come trillo:

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Strumenti in metallo a suono determinato

Campane tubolari

Utilizzate in orchestra in luogo delle vere campane da chiesa, le dimensioni delle quali sarebbero nella maggioranza dei casi proibitive, ne imitano piuttosto fedelmente l’effetto timbrico. Vengono costruite con tubi in ottone o lega di bronzo, della lunghezza tra 1,50 e 1,75 metri, dai 2 ai 4 centimetri di diametro. Per alcuni effetti teatrali particolari, ne vengono costruite anche di molto più grandi, fino a 5 metri di lunghezza. I tubi si presentano su un supporto in due file sovrapposte, nell’ordine diatonico e cromatico di una tastiera: davanti quelle diatoniche e dietro quelle cromatiche. La percussione avviene mediante appositi martelletti di legno o plastica, nella parte superiore dei tubi. Per ottenere effetti più delicati, si usano talvolta martelletti ricoperti di feltro.

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Estensione

La più comune estensione delle campane è di circa 2 ottave, in notazione dal Fa sotto il do centrale sino al Fa sul quinto rigo del pentagramma, e l’effetto è un’ottava sopra. Spesso il castello (o gioco), così viene chiamata la combinazione di tubi sul supporto, non è completo di tutta l’estensione, potendosi limitare ai soli suoni di cui è previsto l’utilizzo. Campane particolari sono quelle utilizzate da Wagner, nel Parsifal, le cui note scritte in chiave di basso corrispondono a quelle d’effetto:

Tali note non sono però ottenibili con le campane tubolari, e vengono eseguite su campane a lastra, speciali strumenti in uso nei teatri, di ampia estensione, costituiti da lastre in lega di alluminio disposte in ordine cromatico su supporti idonei. Le dimensioni delle lastre vanno da cm 100x75, per la più grave, a cm 28x25 per la più acuta. L’estensione, in suoni reali, delle campane a lastra è la seguente:

A Bayreuth per ottenere questi suoni, venne ideato alla fine del IX secolo, uno strumento chiamato Glockenklavier consistente in quatto fasci di otto corde ciascuno, da percuotersi con grandi martelli di legno ricoperti di feltro: a questo strumento si aggiungevano 8 campane a lastra, e il suono più grave veniva rinforzato da un Tamtam.Verso la fine degli anni Trenta venne ideato uno strumento che imitava elettronicamente il suono delle campane basse, e per tali circostanze è attualmente il sistema più praticato. Anche con l’uso delle campane tubolari sono previste eccezionalmente note molto gravi, dall’effetto fino ad un ottava sotto la normale estensione: ad esempio Puccini impiega nella Tosca campane intonate sul fa2 e si bemolle2 (effetto reale, ma scritte all’ottava inferiore); per queste due note particolari vengono costruiti tubi molto spessi e pesanti.

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Comunque, le normali campane tubolari prevedono l’uso della chiave di violino, e producono l’effetto un’ottava sopra la nota scritta; per i suoni prodotti dalle campane gravi, si usa invece la chiave di basso (effetto sempre un ottava sopra)

Effetti Le campane possono essere percosse con una vasta serie di martelletti, producenti effetti diversi: da quelli di legno rivestito di cuoio, che imitano più fedelmente il vero suono delle campane da chiesa, o dai martelletti ricoperti di feltro, utilizzati per un suono più morbido; martelli di nudo legno o di plastica di dimensioni medie o grandi, producono suoni pesanti e pieni; martelli in metallo producono un suono aspro nel forte, mentre nel pianissimo si avvicinano fedelmente ai lontani rintocchi di vere campane. Possono essere impiegati anche più martelletti per mano, per l’esecuzione di accordi di tre, quattro o più note, a condizione che le combinazioni ritmiche non siano veloci, e gli intervalli armonici richiesti siano vicini. Mediante il pedale di smorzamento, i tubi possono essere lasciati vibrare o smorzati rapidamente: in alcuni modelli lo smorzamento è già innescato, per cui premendo il pedale si ha l’effetto della libera vibrazione; in altri il sistema è opposto, per cui se si vuole smorzare il suono si deve premere il pedale. Un ulteriore effetto è il glissando, ottenuto (con o senza pedale di smorzamento) mediante un battente in gomma (o per avere risultati più aspri anche in legno o metallo) lasciato scorrere sulla serie dei tubi: il miglior risultato si ottiene sulla serie diatonica, data l’ininterrotta successione dei tubi, mentre è discutibile sulla serie cromatica, a causa delle interruzioni tra essi.

Campane a lastra

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Celesta

Strumento che dalla foggia alla tecnica è del tutto simile ad un pianoforte verticale (infatti è un pianista il suo esecutore, e non un percussionista), produce i suoi suoni mediante la vibrazione di lamine d’acciaio percosse da martelletti rivestiti di feltro e azionati da una tastiera. I suoni, analogamente al pianoforte, vengono bloccati da appositi smorzatori; inoltre dispone anche di un pedale di risonanza, per il prolungamento dei suoni, e qualche modello anche di un secondo pedale per attutirli.

Estensione

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I modelli più diffusi hanno l’estensione di 4 ottave, annotate un ottava sotto, che in suoni reali partono dal Do centrale in su; esistono tuttavia modelli da 5 ottave (che si estendono nel grave, ossia sino al Do dell’ottava inferiore) ed anche di 5 ottave e mezza (discendenti ulteriormente sino al Fa) La notazione, come detto, avviene all’ ottava inferiore rispetto alla nota reale.

Caratteristiche Strumento dalle sonorità morbide e angeliche, è destinato a situazioni orchestrali trasparenti e a dinamiche tenui: facilmente una sonorità superiore al mezzoforte può coprirne l’intervento. La celesta, per natura tecnica, è incapace di fluttuazioni dinamiche: esprime sempre un mezzopiano, pertanto è assolutamente inutile riportare alcuna dinamica sulla sua parte. Si osserverà che gli strumenti dotati del pedale attenuante possono ridurre sino al pianissimo i suoni; tuttavia anche di fronte a questo modello, si potrebbero ottenere solo mezzopiano e pianissimo, senza gradazioni tra l’una e l’altra intensità sonora. Gli smorzatori agiscono con una certa lentezza, per cui i suoni restano piuttosto a lungo in vibrazione: pertanto, evitare passaggi melodici veloci, affinché i suoni non risultino sovrapposti e poco nitidi. Non sono rari gli esempi in cui questo strumento abbia avuto un ruolo da protagonista , come nel celeberrimo esempio del Rosenkavalier di R. Strauss, dove le triadi replicate su due ottave nel registro acuto caratterizzano lo scintillio della rosellina d’argento offerta in promessa di matrimonio:

Notare come Strauss esprima comunque una indicazione dinamica, nonostante sia priva di effetto pratico. E’ possibile suonare lo strumento anche a quattro mani, come nel primo quadro di Petruška di I. Stravinskij.

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Glockenspiel

Nella versione manuale (nella foto) la disposizione delle lamine d’acciaio segue l’ordine cromatico degli strumenti a tastiera e il suono è provocato dalla percussione di queste mediante uno o due battenti: raramente possono richiedersi anche più di un battente per mano, per l’esecuzione di accordi, ma solo in passi molto semplici tecnicamente. L’estensione è variabile, ma la più frequente, di circa due ottave mezzo è la seguente:

Bisogna sempre specificare, all’inizio della partitura le proprie intenzioni circa il trasporto di questo strumento, in quanto alcuni intendono l’effetto reale ben due ottave sopra rispetto alle note scritte, mentre altri mantengono la più diffusa notazione ad una sola ottava sotto. Il timbro del glockenspiel è brillante, argentino, limpido nella zona centrale e acuta, teso e poco espressivo nelle note sovracute.

Effetti Come detto in precedenza, con più bacchette per mano si possono ottenere accordi in posizione stretta e in passaggi piuttosto facili; tremoli di due o più suoni si ottengono facilmente mediante una o due bacchette per mano, e possono avere una gradazione dinamica, come del resto tutti gli altri effetti, data dalla maggiore forza o meno che si attribuisce alle bacchette.

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Quanto ai trilli, il modo giusto di annotarli si ha prescrivendo un tremolo tra due note vicine, potendo il simbolo del trillo essere equivocato come tremolo sulla stessa nota:

I glissando si eseguono mediante una bacchetta dura ed hanno miglior effetto sulla serie diatonica, data la discontinuità di quella cromatica, e si indicano come negli altri strumenti.

Bacchette per Glockenspiel

Per alcuni passi orchestrali è necessario essere dotati di un glockenspiel a tastiera, e non manuale:

Questo strumento permette agevolmente l’uso di accordi e di situazioni d’accompagnamento più elaborate, ed in generale è di gran lunga più agile di quello manuale, ma rispetto ad esso ha un suono meno bello, e non ha possibilità di gradazioni dinamiche, non potendo la tastiera influenzare la pressione sulle lamine. Anche qui, l’estensione è variabile da due ottave e mezzo a tre ottave e oltre. La notazione è ugualmente all’ottava inferiore rispetto i suoni reali.

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Incudine

Trattasi di una vera e propria incudine che viene percossa con una mazza in metallo che può essere di varie dimensioni o con veri e propri martelli. Può venire percossa anche con due battenti, in tal caso con combinazioni ritmiche varie, tremoli ecc. Il suono dell’incudine è determinato, a seconda della grandezza. L’uso migliore è nel forte, dove la non lunga risonanza dello strumento può emergere più nitidamente. Ne esistono di varie dimensioni, da piccole a enormi. Essendo molto pesanti e difficili da reperire nei teatri, spesso si sostituiscono con oggetti in acciaio vari, come tubi Innocenti, putrelle, pezzi di rotaia ecc. Wagner nel Reihngold usa ben diciotto incudini di varie dimensioni, dietro la scena, per evocare il frenetico lavorio del Nibelheim:

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Vibrafono

E’ uno strumento costituito da una serie di barre di lega metallica molto dura, disposte come una tastiera di pianoforte. Sotto di essa sono collegati i risuonatori tubolari, aventi la funzione di amplificare i suoni. L’estensione del più usato dei modelli è di tre ottave, ed è la seguente:

La grafia è in suoni reali, e può essere realizzata su un pentagramma con chiave di violino, o, per figurazioni più complesse su due pentagrammi, entrambi con chiave di violino. Esiste anche un modello su quattro ottave, che scende di un ottava rispetto all’estensione mostrata nell’esempio precedente, ma è molto raro che un orchestra lo abbia in dotazione. Il vibrafono possiede due elementi essenziali: il pedale di risonanza e il motore. Il pedale, se azionato, prolunga i suoni percossi: se usato con il motore spento produce una sonorità fredda e limpida, mentre in associazione con il motore si ottiene il timbro caldo e vibrante che caratterizza lo strumento. Percuotendo le barre senza pedale e senza motore, i suoni sono secchi e vengono subito smorzati. Bisogna indicare sempre se il suono deve essere smorzato o lasciato vibrare, secondo le indicazioni testuali o grafiche già viste a proposito degli altri strumenti.

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Usando il motore di vibrazione vengono azionate delle ventole poste sotto i risonatori tubolari, corrispondenti ad ognuna delle barre, che mediante il movimento rotatorio prodotto creano una fluttuazione d’aria all’interno dei tubi, ottenendo dei suoni prolungati ed oscillanti. La velocità delle ventole, e quindi del flusso d’aria è regolata da una manopola; di solito le velocità sono tre, e vanno dalle tre alle otto vibrazioni al secondo. Il vibrato più lento produce un suono con oscillazioni prolungate e intermittenti, mentre più è veloce più le oscillazioni creano l’effetto di un fitto tremolo. Senza specificare l’esatta durata, il compositore può limitarsi a prescrivere un vibrato lento, vibrato medio, o un vibrato veloce. L’uso del motore va anch’esso indicato con l’espressione testuale: con motore (e motore spento, alla fine dell’effetto.)

Mazzuole Possono essere richieste da una mazzuola fino a tre per mano; le teste possono essere in legno, gomma, sughero, plastica, e sono avvolte in corda o in filo sintetico. Quelle rivestite di corda possono essere morbide, buone per il legato e per suoni morbidi e prolungati, medie, per un uso generale, dure, per ottenere suoni metallici; Se rivestite di filo sintetico, il colpo di percussione risulta accentuato, e in generale , morbide e medie producono un effetto simile a quello delle analoghe corde, ma più secco. Usando il tipo duro si ha una sonorità spiccatamente metallica, adatta allo staccato.

Effetti Il tremolo è un effetto possibile, benché poco praticato per via della lunga persistenza dei suoni, e può essere effettuato con due mazzuole o con un massimo di quattro, divise fra mano destra e sinistra. Può anche essere praticato uno speciale tremolo, su una singola barra, mediante il rapido movimento verticale del polso, posizionando le due bacchette tenute nella mano una all’estremità superiore e l’altra a quella inferiore, sopra e sotto cioè alla barra stessa. Altrettanto possono effettuarsi dei trilli o batterie: per l’argomento, consultare il capitolo dedicato alla marimba. Possono inoltre essere effettuati dei glissandi ascendenti o discendenti, di vario effetto, a seconda delle bacchette usate: se si usano spazzole di filo metallico, il risultato è sottile e impalpabile, di grande dolcezza. Eccezionalmente può essere usato un arco di violoncello o contrabbasso fatto scorrere sull’estremità della barra: il suono prodotto è molto bello e ricorda quello provocato da un dito umido fatto scorrere sul bordo di un bicchiere di cristallo: naturalmente è adatto a passaggi lenti e tecnicamente elementari; l’indicazione relativa è con arco.

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Strumenti in legno a suono indeterminato

Castagnette

Le castagnette sono formate da due valve di legno (palissandro o ebano) collegati mediante una cordicella inserita in appositi fori (modello manuale, non quello raffigurato nella foto). Il suono viene prodotto mediante lo sbattimento dei due gusci provocato dalle dita. Questo tipo di castagnette viene sempre utilizzato in coppia, una per mano. In uso orchestrale sono di solito preferite quelle nel modello a manico (nella foto) che possono essere usate singolarmente, o in coppia: il suono di questo tipo di strumento è più robusto e più facilmente sono effettuabili combinazioni ritmiche elaborate, specie se queste vengono divise fra la coppia. Possono essere eseguiti ritmi con acciaccature semplici doppie e triple, tremoli con una singola o con una coppia di strumenti: per passi forti e rapidi se ne tiene una per ogni mano, e la coppia viene percossa nella parte della gamba sopra al ginocchio. Un altro modello di castagnette presente in orchestra è il tipo a macchina (foto sottostante), ideale per passi veloci ritmicamente molto elaborati e per i tremoli. La percussione avviene con le dita, per passaggi delicati, con mazzuole per marimba o timpani per dinamiche di maggiore consistenza; infine, nella necessità di una sonorità molto forte si possono impiegare come battenti le stesse castagnette a manico. Questo è il tipo più evoluto di strumento, e offre ampia gradazione dinamica, dal piano al fortissimo. Caratteristica dello strumento è l’immediata evocazione di atmosfere popolari di festa e danza: di quest’uso è piena la letteratura degli ultimi due secoli e ormai può facilmente risultare stantio, mentre sarebbe auspicabile una loro collocazione inedita da parte della ricerca dei nuovi autori. Si utilizza un solo rigo senza chiave, per la notazione di questo strumento.

Castagnette a macchina

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Claves

Costituite da due cilindri in legno duro, della lunghezza di circa 20-24 cm. e di 2, 3 cm. di diametro, le claves vengono percosse tra loro, producendo un suono secco e acuto, privo di risonanza ma capace di penetrare anche nel contesto di una densa pagina orchestrale. Possono essere impiegate, oltre che per colpi secchi e isolati, anche in combinazioni ritmiche più serrate, con acciaccature ecc. fino al tremolo. La gamma dinamica è variabile, dal pianissimo al fortissimo. Strumento di recente entrato in ambito orchestrale, è caratteristico e sempre presente nelle formazioni di musica latino americana, paesi dai quali trae l’origine. Utilizzare un rigo unico, senza chiave, per la notazione di questo strumento.

Frusta

Consiste in due assi di legno di 30-40 cm e larghe 5-10 cm collegate ad una estremità mediante una cerniera, con due impugnature fissate sulla superficie. Il suono prodotto è sorprendentemente simile a quello di una vera frusta flessibile, e risulta di sicuro effetto, se lo scopo è di conferire ad un momento culminante una sferzante impennata. Si usa generalmente nella gamma che va dal forte al fortissimo, ma effetti più delicati possono risultare suggestivi e suggerire remoti battimenti causati dal vento. Esiste un modello a spatola, che permette all’esecutore l’uso di una sola mano: tuttavia in questo caso il suono perde di schiettezza e potenza, ed è inoltre inadatto a combinazioni ritmiche rapide. La notazione richiede un rigo unico, senza chiave.

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Guiro

E’ uno strumento di origine afro-cubana, e consiste in una zucca di forma allungata sulla quale superficie vengono incisi dei solchi paralleli ed equidistanti; nella parte inferiore, due fori permettono alle dita della mano sinistra di reggere lo strumento. Il suono si ottiene mediante lo sfregamento di una bacchetta di legno sulle scanalature: tanto più è rigido il materiale della bacchetta, tanto più sarà aspra la sonorità ricavatane. Spesso, essendo la zucca un materiale molto facile a deteriorarsi, in orchestra viene sostituita da uno strumento della stessa foggia in legno o in fiberglass: la sonorità di questi strumenti è comunque più fredda rispetto allo strumento originale. La tecnica di esecuzione consiste nello sfregamento in su o in giù della bacchetta, invertendo la direzione ad ogni nota. Suoni dal particolare effetto raschiato si ottengono con lo sfregamento della punta della bacchetta. Inoltre, suoni brevi e secchi possono prodursi percuotendo lo strumento con la bacchetta o con le mani. Utilizzare un rigo unico senza chiave per la notazione.

Maracas

Lo strumento consiste in un contenitore di materiale vario (frutti essiccati, legno, terracotta, cuoio) con all’interno altrettanto variabile materiale (semi di frutti, sabbia, ghiaia) che mediante sfregamento crea il caratteristico suono frusciante. Si usano in coppia, e sono generalmente provviste di impugnatura. Due le tecniche principali di esecuzione: con un movimento rigido in basso si ottiene un colpo isolato e secco; mediante il movimento avanti e indietro del polso, si ottengono invece suoni legati. I tremoli sono di ottimo effetto, e vengono annotati come negli altri strumenti; si eseguono mediante movimento circolare dei polsi, in modo che i semi all’interno possano scorrere in senso rotatorio e veloce. Dal momento che esistono maracas di piccole, medie e grandi dimensioni, e che queste influiscono notevolmente sul tipo di effetto, da sottile a marcato, man mano che le dimensioni crescono, è opportuno, a seconda dell’effetto voluto specificarne la tipologia nella partitura. Adottare un rigo unico privo di chiave per la notazione.

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Raganella

Esistono due tipi di raganelle usate in orchestra: a mano e a manovella (nella foto). Nel primo modello, un asse che funge anche da impugnatura posto perpendicolarmente rispetto un telaio fornito di ruote dentate, crea il crepitio mediante un movimento rotatorio che, operato dal polso, coinvolge tutto lo strumento; nel modello a manovella, lo strumento resta fermo, e il suono si ottiene con la sola rotazione della manovella che ha effetto sulle ruote dentate. Questo secondo modello, più preciso, può ottenere un migliore controllo delle gradazioni dinamiche. Tuttavia le possibilità dinamiche dello strumento restano limitatissime e si riducono ad una gamma di solo suoni forti : solo la velocità della rotazione può influire sul tipo di effetto sonoro, ma la stessa non può ridursi più di tanto, in quanto perderebbe le caratteristiche timbriche, e quindi il motivo stesso dell’utilizzo. A titolo di curiosità, va riferito che per ottenere un effetto similare nel piano o pianissimo, alcuni autori hanno prescritto in luogo della raganella il mulinello della canna da pesca. La notazione va effettuata su un rigo senza chiave, inserendo per ogni nota il simbolo del trillo o del tremolo.

Temple Blocks

Lo strumento è generalmente composto da una serie di cinque blocchi di legno sistemati su un apposito supporto. Ogni blocco presenta nella parte anteriore un’ampia fessura. I blocchi, di dimensioni diverse, vengono percossi sulla parte superiore, mediante bacchette dalla testa sferica, di gomma dura. Le caratteristiche timbriche, impostate su una sonorità calda e piena di risonanza, sono ovviamente influenzate dalla progressiva dimensione dei blocchi. La vasta gamma dinamica va dal pianissimo al fortissimo. Sono possibili combinazioni ritmiche molto elaborate; i tremoli possono essere effettuati sia su uno, che su più blocchi contemporaneamente. La notazione può essere

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effettuata su un solo rigo senza chiave, ma se si vuole indicare più dettagliatamente l’altezza dei vari blocchi da percuotere possono essere adottati sistemi a due o più righi:

Wood blocks

Sono costituiti da blocchi di legno duro (palissandro, noce, teak) a forma di parallelepipedo, o in altre fogge, forniti di una profonda scanalatura o di un’ampia e profonda cavità (esempio nella foto). Recentemente sono reperibili strumenti in speciali materiali plastici, molto più resistenti e versatili dei fragili modelli in legno: tali strumenti possono sopportare gradazioni dinamiche dal pianissimo al fortissimo più violento, senza riportarne conseguenze. Benché non intonati, l’ampia varietà di formati garantisce una grande scelta di colori ed effetti: dal suono acuto e sottile dei formati più piccoli, al pesante rintocco dei più grandi. Rispetto ai temple blocks i suoni risultano più secchi e acuti, privi di risonanza. Possono essere percossi sia dalle originali bacchette in legno morbido, che producono una sonorità attenuata, sia da altri battenti, come bacchette per tamburo, per suoni secchi, o altre mazzuole, come quelle usate per glockenspiel o xilofono, per suoni più aspri. Sono possibili complesse figurazioni ritmiche e tremoli, nella più ampia gamma dinamica. Spesso questo strumento è stato impiegato per l’imitazione degli zoccoli dei cavalli, come ad esempio in Grand Canyon di Grofè. Per la notazione vale quanto detto a proposito dei temple block.

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Strumenti in legno a suono determinato

Marimba

Questo strumento, originario dell’Africa, e da li introdotto in America Latina, oggi è formato da una serie di tavolette di legno, di varia lunghezza, disposte come una tastiera di pianoforte, sotto la quale sono posti dei tubi risonatori di metallo, aventi la funzione di propagarne il suono. I modelli più utilizzati vanno da quattro ottave (da Do 2 a Do 6), alle volte provvisto di una ulteriore terza nel grave, a quattro ottave e mezza (Fa 1 Do 6); la notazione, disposta su due pentagrammi, è in suoni reali:

Esiste anche una marimba bassa, che ingloba l’estensione precedente e aggiunge al grave un’ulteriore ottava, arrivando sino al Do 1. Tale è la lunghezza necessaria dei risuonatori delle note più gravi, che questi risultano piegati a U. Il timbro nel registro grave ricorda alcune sonorità dell’organo meccanico. E’ assai difficile, tuttavia, trovare tale strumento in dotazione nelle orchestre.

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Caratteristiche La marimba ha un suono morbido e caldo, specialmente se vengono utilizzate mazzuole morbide: queste se usate nel registro grave producono un suono particolarmente profondo, mentre quelle a testa dura sono piuttosto adatte a far risaltare le schioccanti sonorità acute: mazzuole di media durezza sono adatte su tutta l’estensione. Ogni mano può impugnare da una a tre mazzuole simultaneamente; ovviamente più è alto il numero di queste, più limitata sarà l’agilità. Per la creazione di accordi a sei suoni, inoltre, assicurarsi che le distanze fra gli intervalli, per ogni singola mano, sia contenuta. La parte della tavoletta in cui il suono risulta migliore è quella centrale.

Effetti

Oltre alla produzione di combinazioni ritmiche molto elaborate, la marimba è in grado di ottenere effetti vari e di grande suggestione: il Glissando, si ottiene facendo scorrere la mazzuola velocemente nell’ambito dell’estensione voluta sulla tastiera: è adatta a questo scopo soprattutto la tastiera diatonica, per i motivi accennati nei paragrafi precedenti. Possono richiedersi anche glissandi di due o tre note simultaneamente, con l’uso di più bacchette per mano. Ottimo è l’effetto del tremolo, che può essere ottenuto dal rapido alternarsi delle due mani sia su una nota che su un bicordo o una triade (ogni mano sosterrà due o tre mazzuole):

Sempre con una, due o tre mazzuole per mano sono possibili trilli e batterie:

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Xilofono

Strumento dotato di tavolette di legno duro, originariamente disposte su quattro serie, oggi imitando la disposizione della tastiera per pianoforte, è attualmente dotato di tubi di risonanza, aventi lo scopo di aumentare il volume e la risonanza dei suoni: alcuni modelli, tuttavia ne sono privi. Lo strumento più facilmente reperibile in orchestra ha l’estensione di tre ottave e mezza (da Fa3 a Do7) annotate su un rigo con chiave di sol, all’ottava sotto rispetto il loro effetto reale:

Il registro più sonoro dello strumento si trova dal Do4 al Do6; salendo oltre le note perdono il loro carattere di suoni determinati, e il timbro diventa ispido, secco e penetrante. Le tavolette percosse sono praticamente prive di risonanza su tutta l’estensione. Bisogna considerare l’uso di una dinamica contenuta, in caso contrario il secco e penetrante suono dello strumento prevarrà su tutta l’orchestra. Considerandone la peculiarità timbrica spigolosa e caratteristica, per ciò che riguarda tecnica, possibilità ritmiche, uso di bacchette multiple ed effetti (particolare è in questo caso il Glissando, di ottima resa, cristallino o sferzante, a seconda delle dinamiche) si rimanda a quanto detto a proposito della marimba.

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Oltre al già citato xilofono a quattro serie di tavolette, fra i tanti modelli di questo strumento va ricordato lo xilofono a tastiera, che dispone di una vera tastiera come il pianoforte, ed ha l’estensione di tre ottave (Do4 – Do7): Bartók lo impiega in un passaggio del Castello del principe Barbablù, ed è praticamente impossibile reperirlo, tanto che si rimedia solitamente con due esecutori su due normali xilofoni. Esiste anche uno xilofono chiamato basso, dell’estensione di due ottave, che va da Sol2 a Sol4 (in suoni reali), con notazione un’ottava sotto. Infine, esiste uno strumento chiamato xilomarimba, con i risuonatori non fissi, cosicché può essere suonato sia come xilofono (senza risuonatori) che come marimba, con un’ampia estensione, espressa su due pentagrammi, in suoni reali:

Strumenti in membrana a suono indeterminato

Cassa chiara

E’ un tamburo dal diametro di 35-38 cm, alto circa 8 cm. Deve il nome, appunto, a questa ridotta altezza rispetto il tamburo militare, che produce un timbro più acuto e leggero. Lo strumento è composto da due pelli: quella superiore o battitoia, che viene percossa, e quella inferiore, o bordoniera, fissata all’estremità inferiore del fusto, che entra in vibrazione simpatica quando la pelle superiore viene percossa. Sotto la pelle inferiore sono inoltre situate delle corde metalliche, o più

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raramente di altro materiale, che sollecitate dalla membrana bordoniera, entrano anch’esse in vibrazione, producendo il caratteristico crepitio metallico. Un congegno a manopola situato sul fusto, fa si che la cordiera metallica possa essere allontanata dal contatto con la membrana inferiore, annullando l’effetto descritto: in tal caso lo strumento viene definito senza corde (o senza timbro) e il suono derivato perde di chiarezza, diventando più cupo e ottuso, simile a quello prodotto dalla cassa rullante. Dal momento che lo strumento viene normalmente utilizzato con le corde, questa indicazione non deve essere prescritta, mentre la richiesta di uso senza la cordiera lo deve essere sempre, mediante l’indicazione testuale senza corde: ovviamente, anche il ripristino della cordiera va in questo caso indicato (con corde). Questo strumento ha la più ampia possibilità di gradazione dinamiche, dal pianissimo più impalpabile al fortissimo estremo; i suoni hanno breve persistenza, pertanto la notazione si adeguerà mediante l’uso di valori dalla semiminima in giù, non avendo senso utilizzare (tranne che nei rulli) valori più lunghi:

Il rullo, consistente nel rapidissimo alternarsi delle bacchette durante la percussione, si prescrive con il segno di tremolo, o con quello di trillo, ormai in disuso, e il valore della nota relativa alla sua durata. Va osservato che qualora il rullo perdurasse oltre il valore della nota, volendo un effetto ininterrotto, deve essere accompagnato da una legatura tratteggiata:

perché, in caso contrario potrebbe essere frainteso nel modo seguente:

Per lo stesso motivo, anche quando il rullo vuole concludersi solo sulla nota successiva, anche se non rullata, va indicato il segno di legatura:

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Tra gli effetti possibili, e più praticati, le acciaccature possono essere semplici, doppie o triple:

Effetti particolari Per produrre suoni secchi le bacchette possono percuotere il fusto, (sulla cassa) o, per dare un timbro leggero, molto legnoso e acuto, le bacchette possono percuotersi tra di loro, solitamente dalla parte dell’impugnatura (tap sticking); per un effetto tintinnante, si può colpire il cerchio metallico (sul cerchio); può anche essere prescritta la sordina, consistente in un panno posato sulla pelle superiore, attenuante la percussione: il risultato è un suono molto ovattato. Oltre che con le normali bacchette di legno, possono prescriversi spazzole metalliche, dal caratteristico effetto frusciante, o mazzuole da timpano, che usate in un tamburo senza corde, produce un suono morbido e scuro.

Cassa rullante

E’ uno strumento caratterizzato dal fusto lungo (circa 50 cm.) interamente in legno, o più raramente di metallo, da pelli di vitello o capretto del diametro di circa 35 cm. e dall’assenza di corde . Il carattere timbrico è cupo, minaccioso, ed evoca bene atmosfere funeree e tragiche. Può effettuare qualsiasi combinazione ritmica possibile negli altri tamburi, tuttavia il suo effetto più caratteristico è il rullo. Un efficacissimo e drammatico abbinamento è dato dal rullo simultaneo della cassa rullante e dei timpani. Vengono utilizzate apposite mazzuole di feltro, producenti un suono sordo e cupo, o le bacchette di legno per tamburo, per ritmi più definiti.

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Grancassa

La grancassa è il più grande esemplare della famiglia dei tamburi. E’ composta da un fusto munito di due membrane e di un supporto in grado di reggere lo strumento. Il diametro è di cm. 78, e l’altezza di cm. 56. Le pelli, originariamente di asino, oggi vengono sostituite con quelle di vitello, o da materiali sintetici. La zona in cui la pelle viene percossa influenza l’effetto timbrico: fra il centro e il bordo si produce la sonorità migliore, mentre il centro rende un suono secco e cupo, privo di vibrazioni: nel fortissimo viene usato per rendere l’idea del colpo di cannone. Sul bordo si ha la migliore zona per i rulli morbidi. Massima è la versatilità dinamica dello strumento, potendo attraversare tutte le gradazioni da un estremo all’altro. Lo strumento si suona solitamente in posizione verticale (nella foto), ma il sostegno metallico da modo di posizionarlo anche orizzontalmente: questa posizione è molto adatta a sostenere i rulli, che risultano più fitti ed efficaci. L’effetto del rullo può essere provocato da un solo apposito mazzuolo, costituito da due teste, ognuna ad una estremità dell’impugnatura, e si ottiene mediante una rapida rotazione del polso. Altro modo per ottenere il rullo è con l’impiego di due mazzuole, come nel timpano. Effetti particolari sono possibili prescrivendo l’uso di un panno sulla membrana, lasciando però scoperta la zona di percussione: il suono viene così smorzato (coperto) e assume un carattere cupo e funereo. Inoltre, si può ottenere un effetto glissato percuotendo il bordo della membrana e premendo subito dopo la pelle con la mano.

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Tamburello basco

E’ costituito da una sottile cornice circolare con un numero variabile di fresature (da sette a venti) entro le quali vengono collocati altrettanti piattini metallici di circa 4,5 cm. di diametro, disposti su una e a volte su due file (come nella foto). La superficie è quindi munita di una pelle, di vitello o capretto, ma attualmente anche sintetica. Il principale effetto è dovuto al tintinnio dei piattini che entrano in vibrazione mediante la percussione della pelle con la mano. Il rapporto tra pelle e piattini è variabile: più la pelle viene percossa leggermente, più i piattini prendono il sopravvento, e viceversa: se percossa violentemente, la pelle risulta prevalente nella sonorità. Il tamburello può eseguire qualsiasi combinazione ritmica, acciaccature semplici, doppie e triple, tremoli ecc. Inoltre si presta a numerosi effetti particolari. Volendo ottenere un’ effetto particolarmente violento e marcato, si percuote lo strumento sul ginocchio o contro il gomito; per ottenere la sola vibrazione dei piattini , per un effetto leggero, si prescrive l’uso delle punte delle dita: per lo stesso effetto, ancora più leggero, nell’estremo pianissimo, si percuote con le dita la cornice e non la pelle. Lo strumento richiede sempre l’uso delle due mani, tranne che per l’effetto di rullo, in cui il polso ruota velocemente mettendo in vibrazione i piattini. Eccezionalmente può essere richiesto l’uso di bacchette di legno, in tal caso posizionando lo strumento su un supporto: questa prescrizione avviene, ad esempio, nei Pini di Roma di O. Respighi (I pini di Villa Borghese); in tal caso sono possibili gli effetti visti a proposito degli altri tamburi. Altro effetto di particolare suggestione lo si trova in Petruška di Igor Stravinskij: per descrivere la morte della marionetta, l’autore prescrive di lasciar cadere il Tamburello per terra.

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Tamburo militare

Lo strumento impiegato nelle bande militari è dotato di una cinghia che lo assicura ad una spalla, prevedendone l’esecuzione laterale durante la marcia; in orchestra è invece sostenuto da un idoneo supporto. Rispetto alla cassa chiara, il tamburo militare ha un fusto molto più allungato, e di conseguenza una sonorità più profonda e meno brillante: è dotato di due pelli, quella superiore più spessa viene percossa, mentre quella inferiore, più sottile, vibra di conseguenza, facendo a sua volta vibrare le corde di risonanza, come si è visto a proposito delle cassa chiara: anche in questo caso, un meccanismo può allontanare le corde dalla pelle inferiore, per evitarne la vibrazione, ottenendo un effetto più scuro e sordo. Per ogni dettaglio riguardante i metodi di esecuzione, gli effetti ecc. riferirsi al capitolo dedicato alla cassa chiara; quest’ ultima è di sovente confusa con il tamburo militare, tanto che molti autori la indicano con lo stesso nome. L’effetto caratterizzante le atmosfere di parata o di ordini dati nel corso delle battaglie del passato (Beethoven: la battaglia di Wellington) sono la maggiore prerogativa di questo strumento: Berlioz ne raccomanda l’uso simultaneo di gruppi di esecutori, allo scopo di averne il massimo rendimento.

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Tom toms

Per tom toms s’intendono una serie di tamburi di dimensioni decrescenti forniti di una o due pelli e privi di corde. Il tipo ad una sola pelle ha la caratteristica di risultare più determinato come effetto sonoro, non confondendo le vibrazioni delle due pelli, come avviene nell’altro modello, e di produrre un suono secco, privo di risonanza. Le dimensioni variano dai 15 ai 40 cm. di diametro, e da circa 22 a 37 cm. di altezza. Qualsiasi gradazione dinamica ed effetto ritmico possono essere prodotti da questi strumenti: per i differenti effetti timbrici causati dal tipo di battente, così come per le osservazioni generali, riferirsi a quanto già detto nei capitoli precedenti. Per quanto riguarda la notazione, predisporre un numero di righi uguale al numero degli strumenti utilizzati, e indicarne in qualche modo l’altezza:

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Strumenti in membrana a suono determinato

Rototoms

Di invenzione piuttosto recente, e poco utilizzati in orchestra, i rototoms sono strumenti membranofoni a suono determinato: privi di cassa di risonanza, si intonano tramite un perno centrale collegato ad una struttura di metallo sulla quale è sovrapposta la pelle; l’intonazione di questa è data da cerchi in metallo regolabili in senso orario (per avere suoni più acuti) o in senso antiorario (per ottenere suoni più gravi). Di recente, allo stesso modo dei timpani, il sistema dell’intonazione è regolato dal pedale, che consente il libero uso delle mani, ed effetti correlati, come il glissando nel corso di un rullo, o dopo la percussione di una nota. La loro principale funzione in orchestra è quella di estendere all’acuto gli interventi destinati ai timpani, ma la loro utilità è piuttosto limitata, così anche il volume. Una serie completa di rototoms copre un’estensione di circa tre ottave:

Per la notazione si usa un sistema a due pentagrammi, con le chiavi di Fa e di Sol

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Timpani

Il termine “timpani” si riferisce ad un insieme di strumenti (tre o quattro) di varia intonazione che viene affidato ad un unico timpanista in un ambito orchestrale. Gli strumenti sono composti da una pelle (vitello, capretto, ma oggi quasi sempre in materiale sintetico) e di un grande fusto, detto “caldaia”. Caratteristica dei timpani è quella di fornire una gamma di suoni determinati: inizialmente erano irregolabili, cioè fissi per ogni caldaia, cosicché i tre strumenti solitamente impiegati producevano il IV il V e il I grado della tonalità di base del brano sinfonico. In casi particolari l’intonazione (quindi, le dimensioni) richiesta poteva essere diversa (es.: Scherzo della IX Sinfonia di L. v. Beethoven, timpani accordati in ottava). Successivamente vari sistemi provvidero a fornire lo strumento della capacità di modificare l’intonazione : modelli a manovella, a rotazione, a ingranaggio, a leve, tutti meccanismi aventi lo scopo di tendere o rilassare la pelle, per modificarne l’altezza del suono; naturalmente ciò era possibile solo nelle pause, e non durante l’intervento strumentale. Nel 1911 W.F. Ludwig, timpanista, e il cognato ingegnere Robert C. Danly idearono il primo modello di timpano a pedale, che consisteva in un sistema idraulico azionato dal piede capace di modificare l’altezza dei suoni senza che fosse necessario l’intervento delle mani: quindi si poteva cambiare intonazione alla membrana senza interrompere l’esecuzione, o creare, come vedremo, effetti inediti e speciali. Difetto di tale sistema era quello di dare una meno stabile intonazione alle pelli, rispetto al precedente sistema a rotazione. Furono in seguito ideati perfezionamenti di questo prototipo, e il modello descritto ha definitivamente preso il suo stabile posto nell’Orchestra.

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Estensione

Ormai ogni Ente sinfonico o Teatro lirico dispone stabilmente di quattro o cinque timpani, ognuno dei quali dell’estensione di una sesta, o di un’ottava, a seconda delle ditte costruttrici. La gamma a cui fare riferimento è pertanto la seguente:

Caratteristiche

Per le sue peculiarità, il timpano è fra gli strumenti a membrana quello che offre la più vasta gamma di possibilità espressive: totale è infatti la varietà dinamica, che comprende tutte le sfumature possibili , dall’estremo piano all’estremo forte. Acciaccature semplici, doppie e triple sono perfettamente realizzabili, i rulli di misteriosa o prorompente efficacia, l’assoluta varietà delle combinazioni ritmiche possibili; inoltre, la possibilità di cambiare l’intonazione data dal pedale rende possibili alcuni effetti particolari, ad esempio il glissando nel corso dell’esecuzione di un rullo o dopo la percussione di una nota (naturalmente, l’effetto è limitato all’estensione della sola caldaia impiegata). Qualche autore addirittura prescrive degli elementari passi melodici, da realizzarsi con l’intervento del pedale: ma questi effetti sono di mediocre risultato, in quanto l’uso melodico dello strumento non è naturale, e l’intonazione di questi passi risulta confusa.

Il tremolo Il tremolo, o rullo, è il principale effetto richiesto dal timpano, e per la sua efficacia, senz’altro il più importante. La sua esecuzione avviene con la rapida sequenza alternata di colpi singoli delle mazzuole, che, data la grande risonanza dovuta alla particolare foggia della caldaia, crea l’effetto di un brusio lungo e continuo. L’indicazione grafica di questo effetto è alle volte caratterizzata dal segno di trillo, alle volte, più propriamente, con quello del tremolo sotto o sopra le note interessate: per caratterizzare un tremolo più o meno fitto, alcuni autori differenziano mediante il simbolo a tre o quattro tagli l’effetto voluto. La sonorità dipende dal tipo di mazzuole, dall’altezza del suono rispetto alla tensione della pelle, dalla zona di percussione, e dall’energia impiegata dall’esecutore.

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Si dovrebbe essere sempre molto chiari nel comunicare in partitura dell’effetto:

l’intento della durata

Si possono eseguire tremoli su due, o con particolari disposizioni delle mazzuole, anche tre o quattro strumenti:

Altri effetti

Possono essere prescritte due o più mazzuole per la percussione di più timpani simultaneamente, o di due mazzuole per colpire una singola caldaia: in quest’ultimo caso è bene accompagnare l’adeguata scrittura a due gambe con la prescrizione a due :

Piena e solenne può risultare la percussione di due caldaie simultaneamente:

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