Dio, la vita, il nulla. L'evoluzione creatrice di Henri Bergson a cento anni dalla pubblicazione 8874700563, 9788874700561

Un bilancio critico su L'evoluzione creatrice di Bergson, un classico della filosofia del '900, a cento anni d

367 70 2MB

Italian Pages 168 [169] Year 2008

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Dio, la vita, il nulla. L'evoluzione creatrice di Henri Bergson a cento anni dalla pubblicazione
 8874700563, 9788874700561

  • Commentary
  • Versione migliorata
Citation preview

biblioteca filosofica di Quaestio collana diretta da Costantino Esposito e Pasquale Porro

7

© 2008, Pagina soc. coop., Bari

Questo volume è stampato con un contributo del fondo Prin/Cofin 2005 («La vita come questione filosofica. IJinterpretazione dell'esistenza nella filosofia francese

del Novecento»), Unità di Ricerca di Bari (Responsabile scientifico: Giovanni Cera)

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma rivolgersi a: Edizioni di Pagina

via dei Mille 205 - 70126 Bari tel. e fax 080 5586585 http://www.paginasc.it e-mail: [email protected]

Dio, la vita, il nulla L'evoluzione creatrice di Henri Bergson a cento anni dalla pubblicazione Atti del Colloquio internazionale Bari, 4 maggio 2007 a cura

di Giusi Strummiello

edizioni di �na

È vietata la riproduzione, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia.

Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo

per uso personale purché rwn danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti

l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere

la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Finito di stampare nel febbraio 2008

da Corpo 16 s.n.c. - Bari per conto di Pagina soc. coop. - Bari ISBN 978-88-7470-056-l

Introduzione

Può una circostanza accademica come un Colloquio orga­ nizzato per celebrare il centenario della pubblicazione de L'evoluzione creatrice di Bergson contribuire - anche solo in minima parte -a restituire allo scritto e al suo autore la stes­ sa popolarità, lo stesso impatto che ebbero un secolo fa? È appena il caso di ricordare che, al momento della sua pubblicazione, il testo riscosse un enorme successo edito­ riale, che andò a rafforzare ulteriormente la già ragguar­ devole fortuna del filosofo francese presso il grande pub­ blico. Le cronache e i resoconti dell'epoca ci offrono con­ cordemente, com'è ben noto, l'immagine di un pensatore capace di esercitare un notevole fascino anche o forse soprattutto presso i non addetti ai lavori, tanto da trasfor­ mare le lezioni al Collège de France in veri e propri even­ ti mondani per l'alta società parigina l . l Sul «fenomeno Bergson», cfr. ad esempio F. AzouVI, La gloire de Berg­ son. Essai sur le magistère philosophique, Gallimard, Paris 2007, che cerca di spiegare perché Bergson sia stato un filosofo «alla moda» , e di indivi­ duare le ragioni che portarono il filosofo e il suo pensiero a diventare così celebri, a partire dalla presumibile sintonia che si sarebbe determinata tra il pensatore e lo spirito dell'epoca. Ma cfr. anche PH. SouLFZ l F. WoRMS, Bergson. Biographie, Puf, Paris 2002, in part. il cap. V della Prima parte, pp. 95- 1 18, in cui viene suggerita la formula « simbiosi d'epoca>> . Cfr. inol-

5

Con l'uscita nel 1907 de L'evoluzione creatrice la gloria di Bergson sembra dunque ricevere la sua definitiva con­ sacrazione2. IJopera irrompe nel panorama filosofico e cul­ turale europeo con una forza sovvertitrice perfino al di sopra delle aspettative e s'impone immediatamente come un punto di riferimento quasi ineludibile. Per non citare che un esempio, William James, trascinato dall'entusia­ smo per l'opera dell'amico Bergson, evoca senza mezzi ter­ mini la potenza e la portata rivoluzionaria delle idee che vi sono espresse: il testo è tale da provocare un vero e pro­ prio contraccolpo, uno scuotimento, uno choc, il cui sen­ so e i cui effetti avranno bisogno di tempo per essere com­ presi fino in fondo per quel che effettivamente sono e per essere quindi assimilati3. tre L. KouKOWSKI, Bergson, a cura di L. Lestingi, Palomar, Bari 2005, in part. pp. 7- 1 7, in cui si sottolinea la profonda cesura prodottasi tra il momento di fama di Bergson e il successivo e progressivo declino. 2 Come scriveva nel 1923 Albert Thibaudet, con L'evoluzione creatrice (a differenza del precedente Materia e memoria, che sembrava non aver tro­ vato una vera significativa eco) ha inizio per Bergson «la gloire et meme [ . . . ] cette rallonge bizzare de la gioire qu'est la légende» . A. TmBAUDET, Le Bergsonisme, 2 voll., Gallimard, Paris 1923, vol. Il, pp. 225-226. 3 « Oh! mon cher Bergson, vous ètes un magicien, et votre livre est une merveille, un véritable miracle dans l'histoire de la philosophie [ . . . ]. Il y a là tant de choses absolument nouvelles, qu'il faudra bien du temps à vos contemporains pour venir à bout de les assimiler, et j'imagine, pour le détail, une foule de développements futurs que nous n' entrevoyons pas encore [ . . . ] . De toute façon [ . . . ] le choc de vos idées et des idées tradition­ nelles va faire jaillir des étincelles que je vois voler d'ici, et s' éparpiller un peu partout [ . . . ]. Vos idées son tellement révolutionnaires! N'était le style, votre livre risquerait de rester cent ans dans les ténèbres; mais vous écri­ vez d'une manière tellement supérieure, que vos théories exigeront une attention immédiate » [«Oh! mio caro Bergson, voi siete un mago, e il vostro libro è una meraviglia, un autentico miracolo nella storia della filosofia ( . . . ) . Vi sono contenute talmente tante cose assolutamente nuove, che occorrerà molto tempo ai vostri contemporanei per riuscire ad assimilarle, e immagi­ no, in modo particolare, una massa di sviluppi futuri che noi ancora non

6

Il pensiero di Bergson, così, si staglia nel panorama cul­ turale degli inizi del Novecento come una vera e propria "rivelazione" laica che illumina di nuovi significati l'inte­ ra realtà e sembra perciò invitare a una profonda "conver­ sione", a una radicale revisione e a un deciso rinnova­ mento degli apparati e degli strumenti concettuali con cui fino ad allora si erano detti e descritti sia il mondo che il proprio Sé4. Ma come tutte le nuove rivelazioni e tutte le posizioni di rottura, anche quella de L'evoluzione creatrice suscita, insieme all'entusiasmo, resistenze, dibattiti, con­ troversie, critiche accese. Lo scenario della ricezione dell'opera comincia così, gradualmente, a farsi e ad apparire più variegato: all'ac­ coglienza più calorosa si affianca una più fredda e silen­ ziosa, quale ad esempio quella iniziale dei biologi5, se non intravediamo ( . . . ). Ad ogni modo ( . . . ) lo scontro tra le vostre idee e quelle tradizionali produce delle scintille che vedo volare fin da qui, e si sparpa­ gliano un po' ovunque ( . . . ). Le vostre idee sono talmente rivoluzionarie! Se non fosse per lo stile, il vostro libro rischierebbe di restare cent'anni nelle tenebre; ma voi scrivete in modo talmente superiore, che le vostre teorie esigono un'attenzione immediata»]. H. BERGSON, Mélanges (William ]ames à Bergson, 13 juin 1 907), textes publiés et annotés par A. Robinet, Puf, Paris 1972, pp. 724-726; ora anche in H. BERGSON, L'évolution créatrice, éd. par A. François, édition critique dirigée par F. Worms, Puf, Paris 2007, pp. 585-587. 4 Sulla forza trasfigurante del pensiero di Bergson, in quanto portatore di un'emozione propriamente religiosa, cfr. L. LAVEIJ.E, La pensée religieuse d'Henri Bergson, ora in J.-L. VrEILLARD-BARON (sous la direction de), Berg­ son, la vie et l'action, É ditions du Félin, Paris 2007, pp. 1 03- 1 40. Di cari­ ca rivelatrice e rivoluzionaria, , di felice occasione di rinnovamento di prospettive che la filosofia bergsoniana avrebbe potuto rappresentare per i filosofi cristiani, parla anche Gilson nei capitoli dedicati a Bergson presenti in quella che può essere considerata la sua "autobiografia filosofica", cfr. É . GruoN, Ù phi­ losophe et la théologie, Vrin, Paris 2005 (I éd. Fayard, Paris 1960) , in part. cap. VI (ù cas Bergson), pp. 99- 1 2 1 . 5 Cfr. Y. CoNRY, I.: Évolution créatrice d'Henri Bergson. lnvestigations cri7

addirittura più apertamente diffidente e negativa. I fronti più agguerriti, da quest'ultimo punto di vista, sono rap­ presentati da una parte da quello dei filosofi e degli scien­ ziati fedeli al dettato razionalista e infastiditi dalla critica bergsoniana al ruolo e ai compiti dell'intelligenza, e dal­ l'altra quella degli esponenti del mondo cattolico, soprat­ tutto del tomismo ortodosso, preoccupati della pericolosa alleanza che la dottrina bergsoniana sembrava poter strin­ gere con il modernismo6. Cosa resta oggi per noi di tutte queste discussioni, di tut­ ta questa ricchezza di voci intorno alle pagine de L'evoluzio­ ne creatrice? �impressione più immediata è che questo testo non possa tornare a occupare neppure in parte la cen­ tralità di cui aveva goduto nel dibattito culturale, oltre che filosofico, degli inizi del Novecento. Ci troviamo infatti ad essere gli eredi di una storia che ha segnato il grande suc­ cesso della "nuova filosofia" di Bergson, ma anche il suo progressivo oblio: sia l'opera che il suo autore sono, nel cor­ so del secolo, manifestamente passati in secondo piano rispetto ad altri testi e autori più o meno coevi . Per limitarsi a pochi esempi: l'influenza di Bergson sulla filosofia euro­ pea della seconda metà del secolo scorso non è certo paratiques, I:'Harmattan, Paris 2000, p. 15: «La réception de l'ouvrage de 1907 oscille entre les réponses tardives, les interprétations divergentes et les attitudes d'opposition. Réponses tardives, notanunent des biologistes. Mis à part Le Dantec . [ . . . ]»; AzouVI, La gloire de Bergson cit., p. 136: « Cette attention immédiate, qui la prodigue en France? Pas les biologistes tout au moins, mis a part Félix Le Dantec [ . . . ] » . 6 Non v a dimenticato che nel 1914 L'evoluzione creatrice, insieme al Saggio sui dati immediati della coscienza e a Materia e Memoria, fu messo all'Indice. Sui rapporti tra Bergson e il mondo cattolico e sul modo in cui si giunse alla condanna da parte del Sant'Uffizio, cfr. tra gli altri Azouvi, La gloire de Bergson cit., in part. pp. 141-172, e KouKOWSKI, Bergson cit., in part. pp. 103-1 10. 8

gonabile a quella di Husserl o Heidegger; L'evoluzione crea­ trice non ha avuto la stessa sopravvivenza o "lunga durata" delle Ricerche logiche o di Essere e tempo, e il bergsonismo non si è mai trasformato in una vera e propria scuola. Berg­ son è diventato in effetti un "classico" , e il destino dei clas­ sici, in filosofia, è sempre più quello di restare un passo indietro rispetto alla contemporaneità, consegnati in un tempo e in uno spazio da cui ci giungono solo esili echi7. Ma d'altra parte, per tornare all'interrogativo iniziale, non era in definitiva questo (ovvero la parziale restituzio­ ne di una centralità perduta) lo scopo che ci si era propo­ sti con la scelta di organizzare una giornata di studi su L'e­ voluzione creatrice . I.:idea era piuttosto un'altra: quella di provare a vedere se e fino a che punto questo testo conti­ nui in qualche modo a interpellarci, a porre problemi, a rappresentare una questione aperta, o se, al contrario, sia invece un libro già datato, da affidare ormai soltanto alla ricognizione storiografica o alla storia della cultura che ha fatto la sua epoca. In altri termini, la ricorrenza del cente­ nario de L'evoluzione creatrice e la giornata che si è deciso di dedicare ad essa non sono state concepite, fin dal prin­ cipio, come un'occasione puramente celebrativa, ma fon­ damentalmente come un modo per interrogarsi sulle ragio­ ni dell'apparente eclissi dell'opera e su ciò che silenzio­ samente (a livello quasi sotterraneo, inavvertito) essa potrebbe aver continuato e ancora può, forse, continuare a suggerire e a sollecitare. 7 Nel ricordare il filosofo dopo la sua morte, è Raymond Aron a parlare di Bergson appunto come di un "classico", cioè «quelqu'un que tout le monde connait, que quelques-uns lisent, que presque persone ne ragard comme un contemporain» . Cfr. R. ARON, Hommage à Bergson (14 janvier 1941), in Essais sur la condition juive contemporaine, textes réunis et annotés par Perrine Simon-Nahum, Éditions de Fallois, Paris 1989, p. 1 8. 9

Per questo stesso motivo, l'intento del Colloquio (e del volume che da esso trae origine) non è stato quello di radu­ nare solo degli specialisti in senso stretto di Bergson, ma di invitare a una discussione più aperta studiosi che han­ no anche (se non soprattutto) altri interessi teoretici e sto­ riografici all'interno della filosofia novecentesca, e che tuttavia non hanno rinunciato, nei loro rispettivi ambiti di studi, a confrontarsi con il pensiero di Bergson e con le questioni che esso ha posto e può continuare a porre. Ma il tentativo è stato in un certo senso duplice, perché non si è cercato soltanto, come appena detto, di far parla­ re del testo bergsoniano studiosi di provenienza diversa, ma anche di provare a individuare una prospettiva deter­ minata attraverso cui leggere l'opera - quella rappresen­ tata appunto dal rapporto tra Dio, la vita e il nulla. Ognu­ no dei partecipanti ha così offerto una lettura de L'evolu­ zione creatrice a partire da una personale e singolare decli­ nazione di tale rapporto, decidendo di volta in volta se focalizzare la propria attenzione più in particolare su uno solo di questi tre aspetti o se prendere in considerazione il nesso che sussiste (o potrebbe sussistere) tra essi . I saggi raccolti nel volume riflettono dunque queste scelte . I primi due contributi hanno come oggetto la que­ stione della presenza della tradizione greca nella formula­ zione del progetto speculativo bergsoniano relativo alla durata e alla caratterizzazione del divino. Nel primo, Jean-Marc Narbonne cerca di considerare il senso della sfida lanciata dal Bergson de L'evoluzione crea­ trice al pensiero religioso, a partire dalla concezione di una temporalità creatrice in atto, di una realtà dinamica come pura processualità e divenire. Fondamentale, in tale pro­ spettiva, sarebbe il confronto critico di Bergson soprattut­ to con il pensiero antico. L'intento di N arbonne è infatti lO

quello di mostrare come tale tradizione, soprattutto attra­ verso la mediazione rappresentata dalla figura di Plotino, abbia poi in effetti influenzato il filosofo francese nella for­ mulazione degli aspetti più originali della sua concezione. Per questo, secondo Narbonne, occorre distinguere tra il modo in cui Bergson legge i Greci - tutto sommato corret­ to e in linea con le letture standard dell'epoca - e il modo forse ben più interessante in cui i Greci sono presenti, sot­ to forma di echi o tracce, nella concezione bergsoniana del divino . Narbonne mostra così come Plotino, da questo punto di vista, possa non solo rappresentare la "precondi­ zione" della caratterizzazione bergsoniana di Dio, ma pos­ sa addirittura offrire alla dimensione temporale bergso­ niana quell'adeguato spessore metafisico di cui essa mani­ festava l'esigenza. N el secondo saggio, Rocco Ronchi - che legge il IV capi­ tolo de L'evoluzione creatrice in continuità con le lezioni tenute da Bergson nel secondo semestre 1 904 al C ollège de France su « Storia della memoria e storia della metafisica»­ intende mostrare non solo (in ideale connessione con il con­ tributo precedente) che il progetto bergsoniano di una rilet­ tura in chiave critica della metafisica occidentale è reso in definitiva possibile grazie alla mediazione di Plotino e del­ la filosofia neoplatonica, ma anche che la s tessa metafisica bergsoniana della durata può «funzionare da lente di ingrandimento» della metafisica neoplatonica. Grazie al neoplatonismo, in altri termini, Bergson può da una parte individuare il tipo di causalità che fonda e sostiene la meta­ fisica classica- una causalità improntata al principio di pie­ nezza e di continuità (e rappresentata dalla metafora dell'o­ ro e degli spiccioli) - e dall'al tra procedere all'elaborazione della sua nuova metafisica della durata creatrice, la cui cau­ salità è pensata come una relazione di implicazione-diffe11

renza, come un mero evento, un puro movimento del differi­ re che comporta un'eccedenza nell'immanenza. Proprio in ciò starebbe, per Ronchi, l'autentico guadagno bergsoniano rispetto alla tradizione metafisica classica. I contributi di Bemet e Breeur si concentrano maggior­ mente sul polo rappresentato dalla vita, e in particolare sul suo potere creatore in rapporto alla questione del nulla e della negatività. La domanda che guida l'analisi di Bernet riguarda pro­ prio il posto e il ruolo della negatività nella concezione bergsoniana della coscienza pulsionale e del potere crea­ tore della vita. Il dato di partenza è rappresentato dalla considerazione, da parte di Bergson, del movimento in ter­ mini di forza e di pulsione, che colloca il filosofo francese all'interno di un lunga tradizione che da Aristotele arriva fino a Schopenhauer, passando attraverso Spinoza e Leib­ niz. Si tratta per Bemet di stabilire allora se e fino a che punto Bergson abbia considerato in tutte le sue implica­ zioni la negatività di ogni forza, e in particolare quella del­ la coscienza (§ l) e quella della vita (§ 2). Per Bemet, Bergson non intravede di fatto nella coscienza nessuna negatività: in essa non si registrano né un'esperienza di assenza radicale né una forma di oblio irreparabile. Allo stesso modo, la vita e il suo potere creatore si stagliano sul fondamento di una positività totale. Lo slancio della vita incontra sì degli ostacoli, ma questi rappresentano solo un momentaneo rallentamento del suo movimento. I.;esito della nuova filosofia di Bergson è allora una visione otti­ mistica della vita che, pur superando - come lo stesso Ber­ nel riconosce - alcune semplificazioni riduttive del moni­ smo schopenhaueriano, non riesce poi, al pari di quest'ul­ timo, a prendere veramente in considerazione una volontà negativa e distruttrice. 12

Anche per Breeur l'aspetto più problematico della con­ cezione bergsoniana della vita riguarda il ruolo della nega­ tività. La vita come creazione sembra infatti esaurire in sé, nel suo stesso darsi, il senso di tutte le cose. Ciò che è altro dalla vita non ha in sé un uguale potere di senso: o per meglio dire il suo senso, in un'accezione fondamental­ mente privativa, non è altro che il senso della vita che si arresta, si intorpidisce. In altri termini la materia, l'osta­ colo che contrasta lo slancio creatore della vita, non pos­ siede una vitalità altrettanto potente, ma si riduce al momento privativo di questa stessa vitalità. All'interno di questo quadro, risulta allora del tutto coerente il senso del­ la critica bergsoniana all'idea di nulla: il nulla infatti non tocca la vita e non ne compromette il suo senso. E se nien­ te si frappone alla continuità del movimento vitale, que­ st'ultimo andrà pensato secondo una finalità che spinge sempre verso un'affermazione positiva, felice . Ma a una costruzione di questo tipo sarebbe pur sempre possibile obiettare, per Breeur, innanzitutto che l'identifi­ cazione tra creazione e senso non è così scontata e auto­ matica: è possibile infatti fare esperienza di una creatività che non produce senso (o produce non-senso), come nel caso ad esempio di una produzione assurda, delirante, votata allo spreco, alla dispersione di sé totalmente gra­ tuita (Bataille, come si potrebbe osservare, rappresente­ rebbe in tal senso l'antitesi perfetta del vitalismo bergso­ niano ). In secondo luogo, si potrebbe poi ugualmente obiettare che fare del volere una tendenza in un certo sen­ so orientata, significa di fatto introdurre surrettiziamente, in una visione che si presenta come fondamentalmente ateleologica, un riferimento ad un finalismo latente, ovve­ ro a una forma di trascendenza. In questo modo, Bergson finirebbe con il tracciare la propria visione della vita ser13

vendosi dei tratti tipici della concezione del divino, restando così prigioniero di un'ambiguità almeno appa­ rentemente irriducibile tra immanenza e trascendenza, autoreferenzialità e finalità. Per quel che riguarda il mio saggio, ho tentato di pren­ dere in considerazione proprio questa stessa ambiguità e di suggerire una possibile articolazione tra i due livelli. Dopo aver ripercorso il modo in cui Bergson intende da una parte il rapporto tra il principio della vita e la vita stes­ sa nelle sue manifestazioni, e dall'altra il rapporto tra lo stesso principio vitale e Dio, ho cercato di mettere in evi­ denza una dinamica di differimento, di scarto, che, senza prevedere salti tra livelli ontologici diversi, si esplica qua­ si in forma di chiasma, con lo slancio vitale in posizione centrale rispetto alla vita e a Dio. Il continuo differire degli elementi implicati nel rapporto garantirebbe perciò al principio individuato da Bergson un'immanenza senza identità, o, meglio (in termini non molto dissimili da quel­ li adoperati anche da Ronchi), una continua possibilità di eccedenza nell'immanenza. Chiude il volume il contributo di Frédéric Worms, che ha un valore per così dire prospettico, perché non solo si porta oltre L'evoluzione creatrice verso l'altro capolavoro bergsoniano del 1932 , Le due fonti della morale e della religione, ma si apre anche in direzione di problemi che riguardano la nostra epoca, il nostro presente . Al centro del saggio si pone, infatti, la questione se, a partire dalla critica bergsoniana del nulla, sia possibile opporre al nichilismo proprio una forma di vitalismo - non ovviamente un vitalismo semplicistico e ingenuamente positivo, ma un vitalismo che sappia invece farsi carico del nichilismo anche e soprattutto nella sua portata metafisi­ ca ed epocale . Worms cerca così di mostrare che il vitali14

smo bergsoniano non solo « comprende » il nichilismo ovvero è in grado di spiegarlo nella sua genesi, oltre che logica, anche storica e vitale - ma considera la negatività non semplicemente come qualcosa di contrapposto, ma come qualcosa di intrinseco alla vita stessa, nella misura in cui il movimento di quest'ultima consiste nello sdop­ piarsi, nel differenziarsi continuamente, nell'invertire o interrompere il proprio slancio. Ma la sfida fondamentale che per Worms il pensiero di Bergson sembra lanciare ancora oggi è quella di conside­ rare l'esperienza concreta e radicale della sofferenza e della morte come un'esperienza che invece di mettere in scacco il vitalismo lo richiede, lo esige, lo interpella, mostrando così che è possibile entrare nel vitalismo a par­ tire da quello che è certamente il suo limite più estremo, ma che tuttavia, in quanto tale, non è mai veramente estra­ neo alla vita stessa. Giusi Strummiello Bari. dicembre 2007

Il C olloquio internazionale da cui trae origine il presente volume è stato realizzato nell'ambito del progetto PmN/CoFIN 2005 ( « La vita come questione filosofica. L'interpretazione dell'esistenza nella filosofia francese del Novecento>> . Unità di Ricerca di Bari) . in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Filosofiche del­ l'Università di Bari. Desidero pertanto ringraziare Giovanni Invitto. Coordinatore nazionale del progetto di ricerca PmN/CoFIN ( «Fenomenologia. narrazione. riflessione etico-politica: testi e temi del pensiero francese del Novecento »). a cui afferiva il pro­ getto dell'D nità di Ricerca di Bari prima ricordato. Ferruccio De Natale. Direttore del Dipartimento di Scienze Filosofiche e. soprattutto. Giovanni Cera. Responsabile dell'Unità di Bari. che anche in questa occasione non mi ha fatto mancare il suo prezio­ so sostegno sia scientifico che umano. 15

Nota editoriale

Le opere di Bergson saranno citate, secondo la consuetudine invalsa. sulla base dell'edizione detta del « Centenaire>> : H. BERGSON. fEuvres. Édition du C entenaire. textes annotés par André Robinet, introduction par Henri Gouhier. Puf, Paris 1959 e successive ristampe (si farà qui riferimento. in particolare, alla V I edizione del 2001). La paginazione dell'Édition du Cente­ naire sarà sempre accompagnata da quella relativa all'edizione delle opere del 1939-41 (sempre per le Presses Universitaires de France), apparsa quando Bergson era ancora in vita. Si è inoltre sempre cercato di fornire il riferimento alle tra­ duzioni italiane disponibili delle opere di Bergson citate. Tale riferimento viene comunque fornito. tra parentesi quadre. per completezza. anche nel saggio di Rocco Ronchi. in cui le tra­ duzioni dei testi di Bergson sono dovute all'autore stesso. N el contributo di Jean-Marc Narbonne abbiamo conservato la scelta dell'autore di citare i trattati di Plotino secondo l'ordì­ ne cronologico. indicando tra parentesi quadre la collocazione tradizionale stabilita da Porfirio per le Enneadi. La traduzione dal francese dei saggi di Jean-Marc Narbonne. Rudolf Bernet, Roland Breeur, Frédéric Worms si deve alla curatrice del volume. 16

Dio, la vita, il nulla L'evoluzione creatrice di Henri Bergson a cento anni dalla pubblicazione

]ean-Marc Narbonne I Greci nel pensiero religioso di Bergson

l . Premessa

Per dare un'idea della sfida che il pensiero religioso di Bergson pone allo spirito, partirei subito da una citazione di un autore contemporaneo, che si è anch'egli a suo modo molto occupato di religione, anche se i suoi legami con Bergson non appaiono forse evidenti a prima vista; inten­ do riferirmi a Marcel Gauchet e al suo studio di storia poli­ tica della religione, nel quale scrive: «�avvenire. abbiamo già avuto occasione di accennare per inciso. sta al tempo come l'infinito sta allo spazio. Un mondo antologicamente autonomo e chiuso su se stesso è concepibi­ le soltanto come un mondo spazialmente infinito [ . . . ]. Allo stesso modo. una società che cessa di essere determinata dal­ l'esterno è una società che necessariamente trapassa verso l 'avvenire. si volge interamente nella sua direzione e si orga­ nizza da cima a fondo in vista di esso. L 'avvenire è l 'orienta­ mento temporale obbligatorio. la legittimitàfattasi tempo. d'u­ na società che si suppone contenga in se stessa il suo princi­ pio d'ordine. �età della religione è stata anche il regno di una certa temporalità legittima. Fondamentalmente. quella del passato. dato che la religione primitiva e pura si confonde. come si è visto. con la dittatura indivisa delle origini. La gran­ de - e recente - originalità delle religioni della trascendenza è stata probabilmente. al riguardo. di riportare il fondamento 19

esterno al presente: nel soggetto divino, si saldano il proget­ to originale e la volontà attuale. A tal proposito, un'osserva­ zione per dissipare una confusione comunemente diffusa quanto a quello che sarebbe l'asserito orientamento verso l'avvenire già prevalente in seno al cristianesimo. Non si trat­ ta di negare la novità essenziale che il messaggio cristiano introduce in materia di comprensione della storia. Collocan­ do in essa lo svolgimento di un piano divino di salvezza, le conferisce uno spessore, una dignità e un significato globale, fra la caduta, la venuta del Redentore e la fine dei tempi. di cui nessun'altra tradizione aveva investito fino allora il desti­ no collettivo dell'umanità. Ed è anche vero che per mezzo del posto assegnato all'attesa escatologica della resurrezione dei corpi e del Giudizio finale,fa per la prima volta delfuturo la dimensione decisiva dell'esperienza terrena. Semplicemente, quel futuro escatologico, affidato all'imprevedibile interven­ to esterno della divinità, non ha assolutamente nulla in comu­ ne con l'avvenire storico diventato da poco più di due secoli l'orizzonte attivo delle nostre società. L'attesa del termine, per quanto intensa possa essere, non implica affatto che si attri­ buisca alla durata umana la benché minima potenza produt­ tiva� e in particolare produttiva di qualcosa che sia tale da affrettare l'apocalisse redentrice. Nessun rapporto fra ciò che avviene nella storia e la fine che le verrà destinata dall'ester­ no (per contrasto, tutto ciò a cui si adopreranno le filosofie della storia consisterà nel cercare di connetterle). Ciò che si sperimenta per mezzo dell'attesa escatologica è che tutto vie­ ne da Dio e nulla dall'uorrw, è la conferma parossistica del pre­ sente assoggettamento all'Onnipotente, che la sua proiezione nella speranza degli ultimi giorni non fa che rafforzare qui e ora. Invece la tensione di tutta la pratica sociale verso un avvenire da costruire è, rigorosamente all'opposto, l'attesta­ zione di questo: sono gli uomini che producono il loro proprio mondo nel tempo� è l 'affermazione attiva del fatto che il loro divenire creatore ha il suo significato, le sue determinazioni e i suoi fini esclusivamente in se stesso » l. l M. GAUCHET, Le désenchantement du monde. Une histoire politique de la religion, Gallimard, Paris 1985, pp. 253-255; trad. it. di A. Comha, Il

20

Ne L'evoluzione creatrice , si può pensare che Bergson cer­ chi di compiere esattamente ciò che qui per Gauchet si presenta come impossibile, ovvero, in un quadro religioso cristiano che Bergson non solo non rigetta, ma che consi­ dera come una risorsa interna indispensabile della sua riflessione, una temporalità creatrice in atto, l'idea, in altri termini, di una «realtà che viene creandosi progressiva­ mente » , ciò che Bergson chiama una « durata assoluta» , in opposizione a una verità « che sarebbe integralmente data nell 'eternità »2, o ciò che chiama ancora «Un accrescersi progressivo dell'assoluto »3. In Gauchet, ciò che si oppone allo sviluppo creatore umano è il piano divino, il cui carat­ tere dinamico proprio non è mai evocato, poiché è rinvia­ to a un'escatologia già data, semplicemente consegnata all'attesa; in Bergson, invece, è la totalità stessa, fatti e uomini insieme, che si inventa nella misura in cui si crea: il programma, in fondo, è il processo stesso, e non il ter­ mine al quale si ritiene esso debba approdare. Troviamo una bella immagine - di ispirazione plotiniana, ci sembra - nella spiegazione che segue: « Quando il bambino si diverte a ricostruire un'immagine componendo i pezzi di un gioco di pazienza. più si esercita e prima riuscirà a finire. La ricostruzione era peraltro istanta­ nea. e il bambino la trovò pronta quando apri la scatola dopo essere uscito dal negozio. l:operazione non richiede dunque un tempo determinato. anzi. in teoria. non richiede affatto tempo. Il risultato è gia dato [ . . . ]. Ma. per l'artista. che crea disincanto del mondo. Una storia politica della religione, Einaudi, Torino 1992, pp. 254-256. La sottolineatura è nostra. 2 H. BERGSON, L'Évolution créatrice, in CEuvres, Édition du Centenaire, p. 794/353; trad. it. L'evoluzione creatrice, a cura di F. Polidori, Raffaello Cor­ tina Editore, Milano 2002 , p. 288. 3 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 786/343; trad. i t. p. 280. 21

una immagine traendola dal fondo della sua anima, il tempo non è più qualcosa di accessorio. Non è un intervallo che si possa allungare o accorciare senza modificarne il contenuto. La durata del suo lavoro è parte integrante del suo lavoro [ l Il tempo di invenzione fa tutt'uno con l'invenzione stessa. È il progredire di un pensiero che cambia man mano che pren­ de corpo. È insomma un processo vitale, qualcosa come il maturarsi di un'idea »4. . .

Per Bergson, la spinta interiore, in ogni istante, apre delle possibilità inedite, imprevedibili; il tempo stesso e tutto ciò che in esso si trova è matrice , è «tempo-invenzione » , come s i esprime Bergson, e l'idea stessa d i « dispiegare d'un tratto» la storia delle cose « non può che racchiudere una vera e propria assurdità »S. Questa concezione di una « durata assoluta» , cioè di un pensiero «che cambia a mano a mano che prende corpo»6 - Bergson ne è pienamente cosciente -, è senza antece­ denti, che si tratti dell'epoca antica o della scienza con­ temporanea. Egli scrive: « le somiglianze tra la nuova metafisica [specialmente quella di Leibniz e di Spinoza] e la metafisica degli antichi sono riconducibili al fatto che entrambe presuppongono - la prima al di sopra del sensi­ bile e la seconda in seno al sensibile stesso - una scienza già compiuta, unitaria e completa, con la quale verrebbe a coincidere tutto ciò che di reale è contenuto nel sensibi­ le»7. In breve, per l'una come per l'altra, il tempo non fa niente, non è durata, ma semplicemente svolgimento e successione, dimenticando che ci deve essere « di più in 4 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., pp. 782-783/339-340; trad. it. p. 277 (i corsivi sono nostri). 5 BERGSON, L'ÉvoluJ;ion créatrice cit., p. 783/340; trad. i t. p. 278. 6 BERGSON, L'ÉvoluJ;ion créatrice ci t., p. 783/340; trad. i t. p. 277 . 7 BERGSON, L'ÉvoluJ;ion créatrice cit., p. 794/353; trad. i t. p. 288.

22

un movimento che nella sequenza di posizioni attribuite al mobile»s. A partire da qui, ci proponiamo da una parte di abboz­ zare la natura della valutazione critica che Bergson stesso opera del pensiero antico, e dall'altra di fare apparire que­ gli elementi che in questa tradizione hanno potuto contri­ buire al sorgere della filosofia di Bergson in ciò che pre­ senta di più originale. 2. I Greci secondo Bergson

Troviamo in Plotino un passaggio che, in modo molto caratteristico, abolisce l'efficacia reale del tempo percepi­ ta da Bergson, quando scrive: «Se vogliamo collocare Colui che regge l'universo nella categoria di ciò che cono­ sce, dobbiamo considerare la sua riflessione in quiete, perché è in possesso del suo limite [ . . . ]. E la sua cono­ scenza del futuro, se si concede che egli la possieda, non è come quella degli indovini, ma come quella di coloro che creano con la sicurezza che qualcosa avverrà, cioè di colo­ ro che hanno l'assoluto dominio sulle cose e per i quali non esiste nulla di equivoco e di incerto; coloro che possiedo­ no una ferma credenza e la conservano. Così, il pensiero razionale del futuro è identico, nella sua stabilità, a quello del presente»9. Il pensiero di Plotino si inscrive qui diret­ tamente nella linea di Platone, per il quale il tempo è « un'immagine mobile dell'eternità» , secondo la celebre espressione del Timeo 3 7 D, ripresa e commentata da Bergson: ciò fa sì che il divenire non abbia più niente di sorgivo, porta a «considerare il tempo come una degradaB

BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 762/3 15; trad. it. p. 258.

9 PLoTINO, Enneadi, 28 [IV 4], 1 2-28.

23

zione, e il cambiamento come la diminuzione di una For­ ma data sin dall'etemità»IO, e porta anche a concepire la fisica come un «vero e proprio abbassamento dell'ordine logico » l l . Da qui, in Bergson, un giudizio che per qualcu­ no potrebbe essere senza appello : « Ciò significa che il fisico è semplicemente una forma cor­ rotta del logico. In questa proposizione si riassume tutta la filosofia delle Idee. ed è contenuto anche il principio nascosto della filosofia innata del nostro intelletto. Se l'immutabilità vale più del divenire, allora la forma vale più del cambia­ mento; ed è una vera e propria caduta quella che provoca il frantumarsi del sistema logico delle Idee - razionalmente subordinate e coordinate tra loro - in una serie fisica di ogget­ ti e di eventi accidentalmente posti gli uni dopo gli altri » l2 .

Per pensare la durata, bisogna dunque risalire la china non solo della scienza moderna, impregnata di quello che resta del pensiero antico, non solo della filosofia dell'Idea eredi­ tata da Platone e perpetuata da Aristotele, che tentò « inva­ no [ . . . ] di sottrarvisi » I3, e dagli Alessandrini (Platino), ma anche la china naturale del nostro intelletto - Bergson vi torna molto spesso i 4: « Per pensare il movimento, è neces­ sario uno sforzo continuamente rinnovato della mente. I segni sono fatti per risparmiarci questo sforzo sostituendo alla continuità in movimento delle cose una ricomposizione lO BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 786/343; trad. it. p. 280.

BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 766/320; trad. it. p. 262 . 12 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p . 765/31 9; trad. i t . p. 2 6 1 ( i cor­ sivi sono nostri). 13 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 766/32 1 ; trad. it. p. 262 . 1 4 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p . 768/322; trad. i t . p. 263 : . Cfr. anche p. 783/340; trad. it. p. 277. n

24

artificiosa che nella pratica ne rappresenti l'equivalente, con il vantaggio di poter essere manipolata senza diffi­ coltà» -, ciò che, com'è noto, Bergson chiama « il metodo cinematografico » Is, di cui dice che è «così connaturato alla nostra intelligenza, e così rispondente alle esigenze della nostra scienza, che bisogna essere più che sicuri della sua impotenza speculativa per farne a meno in metafisica» 16 . Non si può che essere d'accordo sulle linee generali di questa valutazione critica fatta da Bergson, secondo cui la filosofia greca - come nell'essenziale ogni filosofia addossa il divenire a una o due entità date come già rea­ lizzate da sempre, ovvero riferisce continuamente, in altre parole, la potenza a un'attualità che non solamente la pre­ cede ma la sviluppa, determinandone in anticipo tutto il cammino. Alcune ricerche moderne tuttavia ci inducono a sfumare forse il ritratto che Bergson fa del divino in Pla­ tone e soprattutto in Aristotele, sia ne L'evoluzione creatri­ ce 17 sia ne Le duefonti della morale e della religione, in cui l'esposizionel8, più completa, resta parallela a ciò che si trova nella prima. Pensiamo all'identificazione dell'ipote­ si platonica dell'Idea delle Idee, l'Idea del Bene, con il divino, e all'identificazione conseguente del Primo moto­ re, Pensiero di Pensiero, con il divino o con Dio stesso in Aristotele, che non riscuote più l'unanimità di un tempo. Scrive Bergson ne Le due fonti: 1 5 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 773/328; trad. it. p. 268. 16 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 7881346; trad. it. p. 282. 1 7 Cfr. BERGSON, L'Évolution créatrice cit. , pp. 762-769/3 16-323; trad. it. pp. 258-265. 18 Cfr. H. BERGSON, Les deux sources de la morale et de la religion, in CEuvres, Édition du Centenaire, pp. 1 1 79-1 183/255-259; trad. i t. di M. Vin­ ciguerra, Le due fonti della morale e della religione, SE, Milano 2006, pp. 184-187. 25

« È pur vero che Platone non identificava quest'ultima [i. e. l'Idea del Bene] con Dio: il Demiurgo del Timeo che orga­ nizza il mondo è distinto dall'Idea del Bene. Ma il Timeo è un dialogo mitico: il Demiurgo non ha quindi che una semi-esi­ stenza: e Aristotele. che rinuncia ai miti, fa coincidere con la divinità un Pensiero che è appena. cosl sembra. un Essere pensante, che chiameremo Idea piuttosto che Pensiero. Per questo il Dio di Aristotele non ha nulla in comune con quel­ lo adorato dai greci: non assomiglia neppure al Dio della Bib­ bia. del Vangelo�� l 9.

Un ritratto simile lo troviamo ne L'evoluzione creatrice : «Ed ecco il Dio di Aristotele: necessariamente immutabile ed estraneo a quanto accade nel mondo. pura sintesi di tutti i concetti in un concetto unico » zo.

Trattandosi di Platone, questa identificazione, che era corrente all'epoca2 l , riposa su una interpretazione neo­ platonica che prende spontaneamente le Idee per degli dèi, mentre Platone stesso resta poco esplicito su questo punto. Il passaggio più istruttivo è forse quello, in 526 E 5, in cui il Bene è dichiarato « ciò che c'è di più felice 1 9 BERGSON, Ùs deux sources de la morale et de la religion cit., p. l l 8l/257; trad. it. p. 186. 20 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 767/32 1; trad. it. p. 262 (i cor­ sivi sono nostri). 21 Cfr. per esempio E. Chamhry che, nella sua traduzione della Repub­ blica ne Les Belles Lettres [Coll. Budè] , scriveva: « Le Bien de Platon était dans l' Antiquité un diction pour désigner quelque chose d' obscur. La majo­ rité des interprètes s' accordent à présent à identifier le Bien de Platon avec sa conception philosophique de la divinité>> (p. 134, n. l) [ « Il Bene di Pla­ tone era nell'Antichità il nome per designare qualcosa di oscuro. La mag­ gior parte degli interpreti sono d'accordo oggi nell'identificare il Bene di Platone con la sua concezione filosofica della divinità» ] . E Chamhry rinvia a P. SHOREY, On the Idea of Good in Plato's Republic, University of Chicago, Chicago 1895; poi in Selected papers, Garland, New York 1980, pp. 28-8 1 . 26

(Tò EÙ8aq.J.ovÉaTaTov To'ù ovTos)», in cui la felicità sem­ bra naturalmente riferita a ciò che è divino22, o ancora quello in cui Platone si riferisce al Sole come il padrone « degli dèi che sono nel Cielo (Twv Èv oùpav4) 8Ewv)» (508 A 3), il quale come rampollo (ÉKyovos) e come ana­ logo (à.vaÀoyov) del Bene fa pensare che il Bene stesso debba essere qualcosa di divino se non addirittura di sovradivino . Ma Platone stesso non parla affatto così e conserva della divinità una concezione, è noto, molto variegata e ampia23. Il Pensiero di Pensiero è il Dio di Aristotele? Solo per analogia, nella misura in cui ciò che riguarda la divinità è trasferibile alla dimostrazione del Primo Principio, che come il Dio è superiore alle realtà naturali mortali, e che incarna non ciò che il Dio è, ma la scienza che sarebbe la sua24. Se ciò è vero, ne segue che la «religione» di Aristotele non è rivolta verso questa astrazione distaccata dal mondo, come Bergson e altri 22 Cfr. ARIST., Eth. Nic. , X 8, ll78b8-9. 23 Non arriviamo tuttavia a sostenere, come R. BoDÉVs, Aristote et la théo­ logie des vivants immortels (l, Les Belles Lettres, Paris; Il, Bellarmin, Montreal 1992), che «les idées intelligibles en générale, dont participent les sensibles constituant notre monde, et, en particulier, l'idée du Bien qui préside à leur ordre, sont les dernières choses à mériter le nom de dieux>> (p. 30) [> . « He likes t o b e positive» , Heinrich said. «This is the thing today with athletes . You don't dwell on the negative>> . «Tell me this, then. What is the negative? What do you think of when you think of the negative? » . « Here's what I think. l'm nothing without the snakes. That's the only negative [ . . . ] » . I liked to watch Orest eat. H e inhaled food accord­ ing to aerodynamic principles. Pressure differ­ ences, intake velocities. (Don DeLillo,

White Noise)l

l « Mi accorsi che stavo pensando a Orest con i suoi serpenti e mi ven­ ne voglia di parlame ancora con lui . [ . . . ] l "Dì un po', Orest, a mano a mano che il momento si avvicina, cominci a sentirti ansioso?". l "Macché ansio­

so. Voglio soltanto entrare in quella gabbia. Prima è meglio è. Così è fatto Orest Mercator". l "Non sei nervoso? Non pensi a quello che potrebbe suc­ cedere?" l "Gli piace essere positivo", intervenne Heinrich. "Così devono essere gli atleti, al giorno d'oggi . Non si perde tempo con la negatività". l "Che cosa sarebbe questa negatività. Spiega un po' . Che cosa ti viene in mente quando pensi alla negatività?". l "Mah, senti. Che senza i serpenti non sono niente. L'unico aspetto negativo è questo [ . . . ]". l Mi piaceva guar­ dare Orest mangiare. Introiettava il cibo secondo principi aerodinamici. Differenze di pressione, velocità di immissione>> (Don DeLillo, Rumore bianco, trad. it. di M. Biondi, Einaudi, Torino 2005) . 57

Bergson è conosciuto come un pensatore del movimento. L'essere della coscienza, l'essere della vita, l'essere dello spirito si caratterizzano per un oltrepassamento indefinito e creatore delle proprie realizzazioni . Nella misura in cui la coscienza non si confonde mai con i vissuti separati o gli stati psicologici, la vita non si confonde mai con i (con le specie dei) viventi, lo spirito non si confonde mai con le sue opere, Bergson è anche il pensatore di una differenza ontologica intesa come trascendenza. Trascendendo tutti gli enti nel loro incessante divenire, l'essere non è mai ciò che è. Ci si dovrebbe allora attendere, da parte di Bergson, una grande simpatia per l'idea di un non-essere o del nul­ la. Tutti sanno che non è così. Come l'atleta evocato da DeLillo, l'essere secondo Bergson è sicuro delle sue forze inesauribili e non conosce che la negativi tà degli ostacoli esterni su cui è certo di trionfare, sentendosi ancora più forte. N o n essendo mai ciò che è, l'essere porta già vir­ tualmente in sé un abbozzo di ciò che potrà diventare. Il movimento dell'essere della coscienza, della vita e dello spirito non può dunque costituire, per Bergson, che un movimento interno che il filosofo avrà il compito di conoscere dall'interno. Solo «l'intuizione» permette di conoscere questo movimento interno dall'interno, « dal di dentro »2. Così come questa intuizione si oppone a una comprensione esteriore per il tramite dei concetti « del­ l'intelligenza», il movimento interno o «la mobilità» inte­ sa come «durata» si oppone a un movimento spaziale. I movimenti dell'essere così intesi sono dunque refrattari a 2 H. BERGSON, lntroduction à la métaphysique, in La pensée et le mouvant (1941), in CEuvres, É dition du Centenaire, Puf, Paris 1 959, pp. 1394 sqq./178 sqq.; trad. it. di F. Sforza, Introduzione alla metafzsica, in Pensie­ ro e movimento, Bompiani, Milano 2000, pp. 150 sqq.

58

ogni rappresentazione quantitativa che li dividerebbe in parti giustapposte. Ma cos'è il movimento dell'essere? Come può un'intuizione fondersi con esso e accompagnar­ lo nel suo sviluppo senza trascurare la sua struttura insie­ me differenziale e creatrice? E se l'intuizione dell'essere come movimento deve alla fine tradursi in linguaggio con­ cettuale, quale è allora l'apparato concettuale in grado di tradirlo il meno possibile? Concentrandoci, in quel che segue, sul movimento del­ la coscienza e sull'evoluzione creatrice della vita, avan­ ziamo l'ipotesi che sia il linguaggio della pulsione ciò che meglio conviene alla metafisica bergsoniana. Molto prima della psicoanalisi freudiana, una lunga tradizione filosofi­ ca che va da Aristotele a Schopenhauer, passando per Spi­ noza e Leibniz, ci ha insegnato a concepire il dinamismo di un movimento in termini di « forza» , piuttosto che attra­ verso la rappresentazione di un oggetto da raggiungere o di un fine da realizzare3. Nella sua analisi del movimento della percezione, della memoria e dell'evoluzione della vita, Bergson non ha, in effetti, nessuna preoccupazione più urgente che quella di denunciare gli errori di una filo­ sofia della rappresentazione. Per lui, la coscienza non è mai la rappresentazione di un oggetto e la vita non si rap­ presenta né i viventi né le trasformazioni del suo proprio potere creatore. Se la nostra lettura di Bergson può anco­ ra trarre qualche vantaggio dalla psicoanalisi, lo farà meno fornendoci un concetto generale della pulsione che ren­ dendoci attenti nei confronti della negatività di ogni pul­ sione e dei suoi meccanismi potenzialmente tanto distrut3 Cf. R. BERNET, Pulsion, plaisir et déplaisir. Essai d'une Jondation phi­ losophique des concepts psychanalytiques, « Philosophie», 71 (2001), pp. 30-47. 59

tori quanto creatori. Il rischio più grande di una pulsione lasciata a se stessa è quello di diventare folle e di degra­ darsi in un meccanismo di ripetizione cieca. È necessario allora che la pulsione venga inquadrata dall'esterno o che essa abbia in se stessa un freno nei confronti di un totale sbandamento. A giudicare dal vocabolario di Bergson, che preferisce sempre il termine « tendenza» al termine « pulsione » , que­ sta preoccupazione di un possibile sbandamento o di un impantanarsi della dinamica del movimento non gli è totalmente estranea. Per quel che riguarda l'inquadra­ mento esterno della « spinta» della coscienza, a farsene carico sono le occasioni favorevoli di una attualizzazione del passato in « Una percezione attenta» del presente. Allo stesso modo, «gli ostacoli» che gli oggetti di una materia inerte frappongono sul cammino dell'evoluzione della vita servono a canalizzare la sua energia debordante ed «esplo­ siva» . Per quel che concerne il freno interiore, sono le « virtualità» sia della coscienza sia dello « slancio vitale » che vi provvedono. Queste virtualità sono come un'arma­ tura interna delle tendenze della coscienza e della vita che deve scongiurare i pericoli di una cieca fuga in avanti o di una non meno cieca ripetizione meccanica. Sono queste virtualità che permettono a Bergson di evitare ogni pro­ cesso di ripetizione meccanica della coscienza o della vita e che lo portano a relegarlo nel dominio dei « fatti» ogget­ tivi della fisica. Il meccanismo della ripetizione si eserci­ ta solo nello spazio oggettivo e quantificabile della mate­ ria, in cui si trova per altro solidamente ancorato alle leg­ gi della scienza. Ogni tendenza, così come Bergson l'in­ tende, è dunque una forza strutturata dall'interno dalle sue virtualità, che salvaguardano il suo potere creatore e la proteggono da una realizzazione cieca e distruttrice . È 60

anche a causa di queste stesse virtualità che l'essere del movimento della coscienza e della vita non può avere niente in comune con un niente abissale. Dovremo tuttavia occuparci della questione se Bergson abbia considerato in tutte le sue implicazioni la negatività di tutte le forze, cioè non solamente delle contro-forze esterne, ma anche della loro ambivalenza interna così come della loro possibile dismisura. Bergson non è si for­ se rivolto troppo in fretta verso una concezione spirituali­ sta della forza e non ha eccessivamente trascurato di pren­ dere in considerazione questa forza di rifiuto critico che caratterizza lo spirito così come il suo potere positivo di creazione? Non possiamo stabilirlo senza aver provato, innanzitutto e onestamente, a mettere in evidenza tutte le novità e tutte le promesse della concezione bergsoniana della dinamica della coscienza e della vita. Lo faremo in due tappe seguendo l'ordine cronologico che ci condurrà da Materia e memoria (1 896) a L'evoluzione creatrice (1907). Cammin facendo, la nozione di « durata» , intro­ dotta nel Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), si sarà caricata di energia dinamica e il suo campo d'ap­ plicazione si sarà considerevolmente allargato. Conside­ rando innanzitutto il processo della proiezione dei ricordi di un «passato puro » nella percezione «concreta» di una situazione presente, metteremo l'accento sulla « spinta» di questi ricordi virtuali verso la loro attualizzazione . Mostre­ remo, più in particolare, come la struttura della durata di una coscienza in divenire, fatta di un groviglio indissolu­ bile dei vissuti presenti con i vissuti passati e ancora da venire, sia percorsa da una serie di forze che la tengono in sospeso. Tra tutte queste forze della coscienza, cerchere­ mo tuttavia invano, in Bergson, la forza di dimenticare il proprio passato . Volgendoci, in seguito, verso l'evoluzione 61

della vita, porteremo un'attenzione tutta particolare al fat­ to che l'esplosione « in fasci» della sua unità primitiva è ugualmente retta dalla forza di uno «slancio vitale» . Que­ sta pulsione vitale, che è la fonte di tutte le realizzazioni creatrici della vita, spinge quest'ultima ad attualizzare il suo potenziale di virtualità attraverso un confronto inces­ sante con la resistenza della materia. Tuttavia, se la mar­ cia trionfale di questa energia vitale viene frenata dagli ostacoli che gli oggetti inerti pongono sul suo cammino, e se alcune delle sue realizzazioni si irrigidiscono e deperi­ scono, le risorse virtuali della vita stessa appaiono ine­ sauribili e, per dirla fino in fondo, immortali. Così come, per Bergson, la coscienza sfugge all'oblio, la vita oltrepas­ sa la morte. l . Momenti pulsionali dell 'incontro del presente con il pass ato nella percezione

Poiché in questa sezione vogliamo trattare della vita pul­ sionale della coscienza, possiamo evitare di entrare nel dettaglio dell'analisi assai sconcertante della percezione «pura », a cui Bergson consacra tutto il primo capitolo di Materia e merrwria4. Infatti la purezza di questa percezio­ ne gli deriva precisamente dall'assenza di ogni partecipa­ zione della memoria e dunque da ciò che costituisce l'es­ senziale della coscienza. Ricordiamo semplicemente che questa percezione pura ha il carattere dinamico di un'a­ zione abbozzata o, più esattamente, di una « reazione» vir­ tuale agli oggetti (più precisamente: alle « immagini-ogget4 H. BERGSON, Matière et mémoire. Essai sur la relation du corps à l'esprit (1896), in fEuvres, É dition du Centenaire; trad. i t. Materia e memoria. Sag­ gio sulla relazione tra il corpo e lo spirito, a cura di A. Pessina, Laterza, Roma-Bari 2006.

62

to ») del mondo circostante. Percepire, non significa dun­ que contemplare o rappresentarsi qualsiasi cosa, bensì prepararsi a muoversi corporalmente al meglio dei propri interessi vitali e tenendo conto delle esigenze della situa­ zione. La differenza tra i corpi percepienti e le cose per­ cepite, lungi dall'essere una differenza di natura, riguarda la capacità del corpo percepiente di ergersi a «centro»S di una rete oggettiva di corpi materiali e di re-agire in modo appropriato a questa costellazione di corpi separati . Per Bergson, questa capacità di centralizzazione non implica nessuna forma di soggettività o di individualità. Ma una percezione pura permette nondimeno al corpo percepien­ te di sottrarsi almeno parzialmente (vale a dire in quanto è percepiente e non si comporta come semplice corpo fisi­ co) alla connessione causale dei corpi fisici e di «reagire » ad essa6. La percezione introduce nella reazione del corpo percepiente agli altri corpi un margine «di indetermina­ zione » 7, trasforma il suo movimento meccanico in un com­ portamento dotato di una certa «plasticità» . Un tale com­ portamento del corpo percepiente è il privilegio di un vivente che possiede la doppia capacità di « filtrare»8 o di "virtualizzare" le impressioni che riceve dal mondo circo­ stante9, così come di sospendere il meccanismo fisico dal­ la reazione immediata e meccanicalo. Questa capacità di 5 BERGSON, Matière et mémoire cit., pp. 1 72/14, 1 76/20; trad. it. pp. 15-

16, 19. 6 BERGSON, Matière et mémoire cit., p. 195/44; trad. it. p. 36. 7 BERGSON, Matière et mémoire cit., pp. 183/29, 1 91/39 et passim; trad. it. pp. 25, 33 et passim. B BERGSON, Matière et mémoire cit., pp. 363/261 , 188/35; trad. it. pp. 195, 30. 9 BERGSON, Matière et mémoire cit., p. 206/59; trad. it. p. 46. 10 BERGSON, Matière et mémoire cit., p. 363/261; trad. it. p. 195: > (BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 716/261-262; trad. it. p. 2 14) . 106

nia, da questa stanchezza o perdita di tensione, anzi di con­ centrazione («distrazione » ) che nasce la materia, come ci suggerisce Bergson in un passaggio molto significativo, benché oscuro, su « la genesi ideale della materia»29. Per illustrare il suo proposito, egli utilizza l'immagine di un recipiente pieno e sotto tensione, che presenta delle fessu­ re attraverso le quali dei getti di vapore sfuggono e le cui gocce di condensazione che ricadono rappresentano la materia. Questa pioggia o ricaduta rappresenta dunque semplicemente «la perdita di qualche cosa, un'interruzio­ ne, un deficit» 3D. E la vita è la parte debole del getto che sus­ siste, che « si sforza di sollevare le gocce che cadono » . Berg­ son precisa il suo proposito nel modo seguente: «Analoga­ mente, da un immenso serbatoio di vita devono continua­ mente fuoriuscire dei getti, ciascuno dei quali, ricadendo, è un mondo. I.;evoluzione delle specie viventi all'interno di questo mondo rappresenta ciò che sussiste della direzione primitiva del getto originario, e di un impulso che mantiene un senso opposto rispetto alla materialità»3l. Così, il senso della materia dipende dal gesto creatore attraverso il quale la vita la integra nell'immensa « melo­ dia» che è la sua durata. La materia è come la scala in do maggiore, a proposito della quale Schonberg presagiva di aver ancora delle belle melodie davanti a sé. In breve, la materia è come « Un gesto creatore che si disfa», e si può quindi definire la vita stessa come « una realtà che si fa attraverso quella che si disfa»32. Una realtà 29 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 697/239; trad. it. p. 1 96. 30 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 705/248; trad. it. p. 203. 3 1 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p . 705/248; trad. it. p . 203. 32 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p . 705/248; trad. i t. p . 204 (il cor­

sivo è di Bergson) . 107

che deve dunque continuamente superare la sua propria caduta, che deve raddrizzarsi dopo il suo cedimento . « In realtà, la vita è un movimento, la materialità è il movi­ mento inverso [ . . . ] »33. La materia è la caduta della libertà del volere creatore nelle costrizioni del determinismo e dell'automatismo . Così, la strada della vita è cosparsa di macerie che lo slancio cerca ancora di rianimare. È per questo che tale volere dovrà riprendersi e perciò diventare consapevole di questa materia per introdurvi dell'indeterminazione - e questa spingerà la vita alla necessità della scelta. In altre parole, la caduta della crea­ tività nella materia si compie come quella di una libertà del volere in una libertà di scelta. Ciò che illustra bene la solidarietà tra l'evoluzione della libertà umana e quella della sua attività cerebrale. In effetti, l'evoluzione dell'organismo cerebrale con­ danna la coscienza a fare delle scelte tra differenti mec­ canismi in vista di un'azione. Come afferma Bergson: « Il cervello umano è fatto, come ogni cervello, per montare meccanismi motori e consentirci di scegliere, in qualsiasi momento, quale meccanismo far scattare e mettere in movimento»34. Ora, questa esigenza o questo lusso della scelta non è che il compimento del volere giunto a trionfa­ re sul determinismo organico. Esso ha utilizzato « il deter­ minismo della natura per passare attraverso le maglie del­ la rete che esso aveva teso»35, un po' come l'ingegnere ita­ liano Giambelli, durante l'assedio di Anversa del 1585, che cercò di approfittare della robustezza del ponte e del­ lo sbarramento del nemico («puente Farnesio ») per farlo 33 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 707/250; trad. it. p. 205. 34 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 7 1 8/264; trad. it. p. 2 1 6. 35 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 7 1 9/264; trad. it. p. 2 1 6.

108

saltare . La vita fabbrica un meccanismo per trionfare sul meccanismo e creare la libertà36. Essa è come un'immen­ sa corrente di coscienza che attraversa la materia inerte per spingerla all'organizzazione e per fare di essa, « che è la necessità stessa, uno strumento di libertà»37. Questo prova l'errore della tesi che fa derivare la coscienza dal cervello o dalla materia: « ma cervello e coscienza si corrispondono, in quanto danno entrambi la misura - l'uno con la complessità della sua struttura e l'al­ tra con l'intensità del suo risveglio - della quantità di scel­ te che l'essere vivente ha a disposizione»38. Questa libertà caratterizza l'essere umano. Ora, Bergson non la concepi­ sce immediatamente ed esclusivamente a livello specula­ tivo, ma essa concerne innanzitutto la varietà indefinita di azioni possibili. Come già diceva nel suo testo del 190 1 , in cui metteva a confronto l a superiorità del cervello uma­ no con quello dell'animale: « La facoltà che possiede l'a­ nimale di contrarre delle abitudini motrici è limitata. Ma il cervello dell'uomo gli conferisce il potere di apprende­ re un numero indefinito di "sport". Si tratta innanzi tutto di 36 « Fino all'uomo, tutta la storia della vita era stata la storia di uno sfor­

zo della coscienza per sollevare la materia, e di un più o meno completo soccombere della coscienza alla materia che ricadeva su di essa. {;impre­ sa era paradossale, sempre che si possa in questo caso parlare di impresa e di sforzo altrimenti che per metafora. Si trattava di creare con la materia, che è la necessità stessa, uno strumento di libertà, di fabbricare un mec­ canismo che riuscisse a spuntarla sul meccanicismo e di servirsi del deter­ minismo della natura per passare attraverso le maglie della rete che esso aveva teso. Ma ovunque, tranne che nell'uomo, la coscienza si è fatta cat­ turare nella rete dalle cui maglie voleva sgusciare. È rimasta prigioniera dei meccanismi che aveva montato» (BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 7 1 9/264-265; trad. it. pp. 2 16-2 1 7). 37 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 719/264; trad. it. p. 2 16 [leg­ germente modificata]. 38 BERGSON, L'Évolution créatrice ci t., pp. 7 1 7 -718/263; trad. i t. p. 2 1 5 . 109

un organo di sport, e, da questo punto di vista, si potrebbe definire l'uomo un "animale sportivo" »39. 3. Creazione ass urda

Il pensiero della vita permette di comprendere perché l'evoluzione non si «lascia prendere in trappola» e non si lascia inscrivere o avvolgere dalla materia «che la piega al suo proprio automatismo e l'addormenta nella sua pro­ pria incoscienza»4o. Una forza ha continuato a innestare sulla necessità delle determinazioni fisiche la più grande somma possibile di indeterminazione, e con ciò, di mobi­ lità e di libertà. Invece di lasciarsi borghesemente imbri­ gliare dagli avanzi o dagli aborti che il suo slancio ha dovuto abbandonare lungo la strada, la vita li attraversa e risale la china verso la creatività. Per questo J ankélé­ vitch affermava che Bergson sembra talvolta spiegare l'e­ voluzione della vita meno con l'accumulazione delle dif­ ferenti conquiste che con gli ostacoli che essa ha dovuto superare o aggirare41. Essa ha dovuto resistere ai cliches, al declivio fatale sul quale essa si era impegnata, intro­ ducendo nel seno della ripetizione sbiadita e non ispira­ ta una differenza feconda di senso . Ma poiché questa china o declivio fatale non sarebbe altro che la disten­ sione della sua propria tensione, che l'effetto di questa esplosione e detonazione originarie, è dunque una parte 39 BERGSON, Le parallélisme psycho-physique cit., p . 486. 40 BERGSON, La conscience et la vie, in L'énergie spirituelle ci t., p. 829/20; trad. it. p. 19. 41 V. JANKÉLÉVITCH, Bergson, Librairie Félix Alcan, Paris 193 1 , p. 235; trad. it. di G. Sansonetti (condotta sulla ristampa del 1959: V. JANKÉLÉVITCH, Henri Bergson, Puf, Paris), Henri Bergson, Morcelliana, Brescia 199 1 , p. 2 1 1 . 1 10

di essa stessa che la vita dovrà superare. È la sua impo­ tenza, la sua tendenza all'assopimento o all'imborghesi­ mento vegetale o animale, la sua propria tendenza all'in­ vasione arrogante dell'intelligenza ecc. che essa deve forzare o combattere. Si comprende anche l'euforia con cui Bergson ha fretta di concludere il suo terzo capitolo, assicurando che «l'umanità intera [ . . . ] è un immenso esercito che galoppa al fianco di ciascuno di noi, avanti e dietro di noi, in una carica irresistibile capace di sba­ ragliare tutte le barriere e di superare un'infinità di osta­ coli, forse anche la morte»42. In questo modo, Bergson può ben descrivere la materia e tutto ciò che si associa a questo concetto come la cor­ rente antagonista alla creatività o alla vita, nella misura in cui il suo principio di immanenza gli impedisce di com­ prenderne la autentica esteriorità. La materia o questa cor­ rente antagonista non è infine che lo slancio creatore deca­ duto43: è la lettera che uccide lo spirito, l'abitudine che soffoca l'innovazione ecc. In breve, essa è decompressio­ ne e distensione del volere creativo. Insomma, il senso stesso della materia è neutralizzato in anticipo, tanto esso è concepito come ciò che del senso e della vita si è intor­ pidito . Essa è inoffensiva. E il giorno in cui una detona­ zione venisse a risvegliarla, sarebbe a vantaggio della creazione o della produzione di forme di vita nuove. Come se il fatto di creare in quanto tale fosse garanzia di senso. Il concetto di immanenza e di vita riposa intera42 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 725/2 7 1 ; trad. it. p. 222. 43 Con tutte le ambiguità che ciò implica: se l'impulso della vita è una esplosione, non c'è scoppio senza esplosivo . . . o a proposito dell'immagine del vapore: non c'è pressione di vapore senza «recipiente» , ovvero senza materia ecc. In breve, la materia appare come un « supplemento originario» dello spirito. lll

mente su questo pregiudizio: la vita è creazione, e crea­ zione è sinonimo di senso. Solo ciò che degenera ogni crea­ tività in ripetizione, automatismo o fabbricazione introdu­ ce del non senso nella vita. In breve, il non senso è la vita che non crea più. È come il poeta che non scrive più che delle poesie di circostanza. O il filosofo ormai invecchia­ to che farnetica e diventa imbecille. Ora, si potrebbero opporre alcune osservazioni a questa immagine e all'identificazione, che essa presuppone, tra la creatività e il senso. In primo luogo, si può mostrare che esiste una creati­ vità essa stessa produttrice di non senso, che, come una febbre tropicale, esplode in un'esaltazione o ebollizione di vita indomabile e assurda. Si pensi ad esempio alla vegetazione rigogliosa, aggressiva, selvaggia della colonia di Bambola-Bragamance, da cui l'effervescenza oscena e l'entusiasmo disperato, e che Céline descrive nel suo Viaggio al termine della notte . Questo fogliame scintillan­ te, che forma delle «lattughe deliranti » , «abbondanti e calamitose » mostra come la vita dispieghi la sua vegeta­ zione in una proliferazione assurda, in uno spreco nau­ seante . È anche a questa creatività delirante, a questa "ungehorigen Lebensplus", o "aufgeschwollene Redun­ danz", che rompe ogni ordine e norma della vita, che Aurel Kolnay faceva riferimento come a uno dei motivi della nausea. Egli scrive a tal proposito : « N icht der nackte Lebensmangel an sich. sondern das - etwa in ihm fundierte - Leben am unrechten Orte. die "abschiissige Bahn" des Lebens in ihrer PlastiziHi.t. fordert Ekel heraus. Ekelhaft scheint ja iiberhaupt die iiberstei­ gerte (nicht einfach "mechanisierte" !) LebensUitigkeit. Lebenstriebsamkeit "an sich" zu wirken. soweit sie aus dem Rahmen einer wirklich oder auch quasi "persona1 12

len" Lebenseinheit. eines zweckvollen Gesamtorganismus. hinausfallt»44.

Come la creatività in quanto tale, la vitalità stessa non è garante di senso45. Si potrebbe fare un passo ulteriore: se la categoria del nauseante, del vischioso, dell'appiccico­ so ecc. non appartiene al vocabolario bergsoniano è per­ ché egli non può concepire degli ostacoli dotati di una forza vitale uguale allo slancio creativo . Come mostra ancora Kolnay, la morte o ciò che tende alla rovina nella vita non è univocamente un effetto di inerzia, frutto di entropia, di decadenza o dispersione di una vitalità origi­ naria. C iò che tende alla distruzione è esso stesso meno il segno di una mancanza di vitalità che di un eccesso46. Dunque, ciò che minaccia la vita non è la sua estinzione, ma una forma di vita e di profusione nella quale essa non si riconosce più. C iò che spiega anche perché nell'ango­ scia che si potrebbe provare per la morte gioca meno l'iA. KoLNAY, Der Ekel, «Jahrbuch fiir Philosophie und phiinomenologi­ schen F orschung» , Bd. X, Niemeyer, Tiibingen 1 929, p. 545 [«Ciò che pro­ voca nausea non è la nuda mancanza di vita in sé, ma il fatto - in qualche modo fondato in essa - che la vita si dia nei posti sbagliati, il precipitoso cammino del vivere nella sua plasticità. Nauseante appare anzi la sovrab­ bondante (non semplicemente "meccanizzata"!) attività della vita, la ten­ denza in sé della vita a realizzarsi, in quanto essa deborda fuori dagli ambi­ ti di una reale o anche quasi personale unità di vita, di un compiuto orga­ nismo totale>>]. 45 Analogamente, esiste una stupidità o una forma di sciocchezza che non è la privazione di creatività, ma l'oscena profusione di una creatività indecente e inappropriata. 46 Cfr. KoLNAY, Der Ekel cit. , p. 537: []. 44

1 13

dea che la vita finisca, ma che al contrario essa non si risolva affatto a finire: è l'orrore nei confronti dell'idea di una vita che continua là dove non ce la si aspetta e che provoca i fantasmi ben noti circa l'inferno di essere sepolti vivi. Inoltre, anche se Bergson descrive l'evoluzione della vita come un trionfo perpetuo contro gli ostacoli davanti ai quali essa si lascia spesso intorpidire, egli non concepisce la trasgressione immediatamente come schiudersi del sen­ so: come se una simile trasgressione, per quanto nuova e creatrice, non potesse più liberare delle forze di una vio­ lenza e anarchia indomabile. C iò che conferma anche che gli ostacoli incontrati non sono esteriori alla corrente vita­ le, e non possono arrecarle danno che per ipnosi e intor­ pidimento. E questo conferma ancora l'idea che il senso stesso di ostacolo, così come lo concepisce Bergson, sia privativo: esso è ciò che nella vita si anchilosa, una sorta di reuma­ tismo vitale che fa ristagnare l'evoluzione, per mancanza di flessibilità e di vitalità. Come se gli avanzi, i residui di questa evoluzione non potessero essi stessi mettersi a pro­ liferare e imporsi e costituire un ostacolo alla vita non per la sua mancanza di vitalità, ma per una vitalità veramente antagonista alla «corrente generale» . E non una vitalità minore, rinchiusa nella sua forma (il vegetale), ma una vitalità piena e intrattabile. Tale sarebbe, dal punto di vista psicologico (che Bergson adotta nella descrizione dello slancio vitale), la natura del ricordo involontario proustiano. Uno dei residui della nostra esistenza, uno di questi desideri lasciati lungo il nostro cammino e che non si integra nella melodia della nostra personalità tutta inte­ ra, rappresentandovi una nota stonata, e che si impone con una freschezza e una vitalità insperata e assurda. Certo, 1 14

non si ricade nell'infanzia (regressione ad uno stadio pas­ sato), è questa infanzia che giunge fino a noi, ci ossessio­ na e sconvolge. E si tratta proprio di un ricordo, nel senso in cui evoca un passato trascorso, e non di una semplice ripetizione opprimente: io mi ricordo del passato evocato e non lo rimetto in esecuzione. Ora si tratta di un passato che non si integra nella melodia della mia vita47. In maniera generale, si può concludere che Bergson parte dal principio classico di un impulso buono nel divi­ no4B, la cui rovina è trascinata da una caduta in un ele­ mento che ne altera la volontà. Da qui anche il suo discor­ so sull'alienazione e deformazione del vitale in fabbrica­ zione, della coscienza della vita in imitazione e costruzio­ ne intellettuale ecc. Ora, se è vero che la vita è creazione del nuovo, Bergson, a causa dell'identificazione che stabilisce tra lo slancio vitale creativo e il senso, non ha le risorse per pensare ciò che nella vita appare come radicalmente nuovo, cioè il traumatizzante o l'imprevedibile. In breve, l'alterità che non si crea nel seno di un solo slancio, ma che gli cade sopra dal di fuori e si impadronisce di esso. Certo, l'idea di durata rifiuta la tendenza intellettualistica di compren­ dere il nuovo come la conferma dell'antico49, ma la sua 47 Forse è un po' in un contesto simile che Deleuze elabora la sua teo­ ria del "divenire animale": non che un essere umano ricada in uno stadio vitale primitivo, perché il suo proprio stadio non è un oltrepassamento lineare del regno animale. È opposto a quest'ultimo, si è diretto in una dire­ zione radicalmente diversa. Ora, questa altra direzione, che è una delle direzioni che la vita aveva deciso di prendere, viene a invadere la sua. Come un ricordo giudicato morto che ritorna simile a un batterio, profusio­ ne di una vitalità inconveniente o inopportuna. 48 Cfr. BERGSON, L'Évolution créatrice ci t., p. 706/249-250; trad. i t. p. 204. 49 (BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 1 15

immagine dell'evoluzione comprende immediatamente l'imprevedibile in termini di fecondità, germinazione frut­ tuosa, come frutto di un lento processo di maturazione. Il nuovo è il frutto di una totalità e la rappresenta, come l'o­ pera di Mozart rappresenta l'artista . . . essa contiene con­ densato e virtualmente tutto ciò che l'artista ha di geniale e di innovativo. Anche se, contro la creazione continuata di Descartes, la nozione bergsoniana della vita incarna l'imprevedibile, questo resta non di meno sottomesso alle esigenze di continuità proprie all'idea stessa di durata. Ogni novità resta coestensiva alla vita e prolunga lo slan­ cio che è alla sua origine. 4. Niente da dichiarare

L'approccio bergsoniano al nulla è tuttavia molto coeren­ te: il nulla non pregiudica la vita né ne rode il senso dal­ l'interno, esso è una pseudo-idea e "non è che" il contrac­ colpo e l'esito di un pensiero sradicato, che in più è debor­ dato fuori dal suo proprio dominio. Ora, se in effetti la vita non contiene dei veri ostacoli o della trascendenza, come spiegare che la creatività del suo slancio non si corrompe? « Ciò che si slancia si svia» dice Bachelard. Solo la supposizione di una creatività buona può garantire il « buon senso» dell'evoluzione . Non ci si stupirà di veder insinuarsi di nuovo una forma di finalità, anche se essa non riposa sull'idea di un piano prefissato, come quando Bergson afferma che «è come se un essere 520/30; trad. it. p. 30); oppure: , «percezione pura» ecc.), si ritrova una evidente prossimità riguardante le intuizioni. 1 19

muova, il braccio si muove, sebbene essa non sappia nem­ meno cosa occorra fare per muoverlo»59. Perché, in effetti, la descrizione bergsoniana è degna di quella che fa il cartesiano, quando spiega ciò che signifi­ ca in fondo l'idea che l'anima «risiede» in quella parte del cervello che permette di presiedere alle azioni e alle sen­ sazioni che il corpo riceve . « Quando dico che vi risiede, voglio solamente dire che vi sente tutti i mutamenti [ . . . ] »60. C'è una differenza di natura tra la coscienza che l'anima prende dei movimenti psicologici e quella che capta que­ sti movimenti sotto forma di sensazioni. Così, ciò che a livello psicologico non contiene «che una differenza del­ l'ordine del più e del meno » si traduce a livello mentale in una differenza essenziale. « Per esempio il movimento che è causa del dolore molto spesso differisce pochissimo da quello che è causa del solletico »61. Allora, come si dà que­ sto passaggio o la trasformazione della coscienza del mec­ canismo nella coscienza sensoriale? Essa è il frutto di ciò che Descartes aveva chiamato «l'istituzione della natura» , e che, d a parte sua, Malebranche sviluppa nel quadro del­ l'occasionalismo, la differenza tra la causa reale e la cau­ sa occasionate. È Dio che in effetti compie questa trasfor­ mazione continua di una coscienza nell'altra. E se Male­ branche e Descartes fanno appello a « l'Artefice della natura » in questo contesto ben preciso, è prima di tutto al fine di reintrodurre una porzione di finalità nella materia estesa62. 59 MALEBRANCHE, De la recherche de la vérité cit., p. 160; trad. it. p. 150 [leggermente modificata] . 60 MALEBRANCHE, De la recherche de la vérité cit., p . 92 ; trad. it. p. 88. 61 MALEBRANCHE, De la recherche de la vérité cit., p. 93; trad. it. p . 89 [leg­ germente modificata] . 62 Ciò che è attestato dal passaggio seguente, in cui Malebranche spie120

Si ritrovano dunque le stesse descrizioni in Bergson, solo private di ogni riferimento trascendente. E tuttavia, si è costretti a chiedersi se tali riferimenti non vengano ine­ vitabilmente ad intaccare i suoi propositi, e ciò nella misu­ ra in cui un finalismo latente si impadronisce della sua concezione del vitale che, non lo dimentichiamo, era sta­ to concepito dal l90 l come « Un mezzo in vista di un fine superiore» . E questo fine si sa che Bergson lo definirà in maniera più univoca ne Le due fonti. È forse perché egli non riesce a scongiurare il fantasma di una trascendenza e a dissimulare una "destinazione" nel­ l'immanenza della vita63 che a prezzo di confusioni come quelle che ho cercato di segnalare e, infine, ponendo la mag­ gior parte delle sue tesi sotto forma ipotetica. Da qui la pro­ fusione ripetitiva, per non dire l'automatismo mentale con il quale accompagna le sue affermazioni con la formula caute­ lativa «è come se» (espressione che, significativamente, fu avidamente adottata dai fenomenologi francesi). C erto, que­ sto modo potrebbe essere l'es pressione di modestia e discre­ zione. Ora, le riserve e la modestia con cui Bergson afferma­ va le sue proprie tesi sembrano dileguarsi e svanire non ga che > , addirittura nefasto (MALEBRANCHE, De la recherche de la vérité ci t., p. 95; trad. it. p. 89). 63 In difesa del sospetto di finalismo che potrebbe suscitare la sua teo­ ria sul «cammino verso la visione» (BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 577/97; trad. it. p. 84), Bergson ribatte che la sua teoria non esige la rap­ presentazione di un scopo da raggiungere. Ma si può facilmente ridurre ogni forma di finalismo a questa immagine ristretta che egli ne ha dato. •••

121

appena egli contesta quelle degli altri. Forse l'uso del modo ipotetico assomiglia piuttosto al genere degli scrupoli che assalgono un trafficante dopo aver passato il confine .

122

Giusi Strummiello

Deus sive vita? ll divino e il vitale ne L'evoluzione creatrice

La questione classica che Heidegger sollevava nel modo più diretto e radicale ne La costituzione onto-teo-logica del­ la metafisica, e cioè « Come entra Dio nella filosofia? » ! , potrebbe essere sollevata - e d i fatto l o è stata, e a più ripre­ se - anche a proposito di Bergson, o, per meglio dire, a pro­ posito de L'evoluzione creatrice. Negli altri testi bergsonia­ ni, in effetti, la situazione appare per certi versi più chiara: Dio o non vi compare affatto o vi compare in modo esplicito sotto una forma determinata e con una funzione precisa (com'è nel caso de Le duefonti della morale e della religio­ ne)2. l.

l M. HEIDEGGER, Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik, in ldentitat und Dijferenz, Gesamtausgabe, Bd. l l , hrsg. v. F.-W. von Herr­ mann, Klostermann, Frankfurt a.M. 2006, p. 77; trad. it. (condotta sull'e­ dizione del 1957 uscita per i tipi di Neske, Pfullingen) di U.M. Ugazio, La costituzione onto-teo-logica della meta[J,Sica, in Identità e differenza, > . H. BERGSON, Mélanges (Bergson à ]. de Tonquédec, 20 février 1912), textes publiés et annotés par A . Robinet, Puf, Paris 1972, pp. 963964 Qa lettera è ora riportata anche in BERGSON, L'évolution créatrice, éd. par A . François ci t., p. 632) . Questa lettera fa seguito ad una precedente in cui 126

Si tratta allora di provare a ripercorrere i punti fondamen­ tali de L'evoluzione creatrice alla luce di questa autolettu­ ra di Bergson, che ci invita a restare fedeli a quanto egli stesso afferma nel testo, e nei modi e nei limiti in cui lo afferma. In questa sede vorrei cercare così di seguire dal­ l'interno il percorso compiuto da Bergson nella definizio­ ne del vitale e del divino, lasciando invece sullo sfondo molte delle implicazioni che questa definizione comporta e che, come detto, hanno dato vita a un dibattito a tutti lar­ gamente e sufficientemente noto6. Ora, la prima cosa da notare è forse come Bergson, defi­ nendo la vita come durata, osservandola nel suo stesso movimento evolutivo, nel suo farsi, sembri in un primo tem­ po identificarla tout court con l'élan vital. In sostanza, si ha l'impressione, dalle prime pagine de L'evoluzione creatrice, che Bergson stia semplicemente osservando la vita così come essa si dà nella sua effettività, la vita come esperien­ za concreta che scorre davanti ai nostri occhi, la vita nella consistenza del vivente. Ma in un secondo momento è come se si desse una sorta di scarto tra la vita intesa come l'insie­ me del vivente e la vita come dimensione significativa, 2.

Bergson aveva sottolineato che il Dio de L'evoluzione creatrice andava con­ siderato come distinto, in quanto fonte libera, dalle "correnti" o "slanci" che formano il mondo. Cfr. BERGSON, Mélanges (Bergson à ]. de Tonquédec, 12 mai 1908) cit., pp. 766-767, ora anche in BERGSON, L'évolution créatrice, éd. par A . François cit., p. 632. 6 All'origine di tale dibattito si pone il confronto tra Bergson e de Ton­ quédec, a cui abbiamo già fatto riferimento: cfr. supra, nn. 4 e 5; inoltre cfr. infra, n. 4 1 . Ma occorre ricordare anche gli interventi, tra gli altri, di J. MARITAIN, L'évolutionnisme de M. Bergson, . IO Cfr. BERGSON, L'Évolution créatrice cit., pp. 495/1 sqq.; trad. it. pp. 7 sqq. Su come vada inteso il senso di questa analogia nel capitolo l de L'e­ voluzione creatrice, cfr. soprattutto F. WoRMs, Bergson ou les deux sens de la vie, Puf, Paris 2004, in part. pp. 182-192. 129

quindi non potremmo neppure ammettere quel cambia­ mento che assumiamo comunque in noi come un dato incontrovertibile. « Se la nostra esistenza fosse composta da stati separati. di cui un "io" amorfo dovesse fare la sintesi. per noi non ci sareb­ be durata. Giacché un io che non cambia non dura. cosi come non dura uno stato psicologico che resta identico a se stesso sino a che non è stato sostituito dallo stato successivo » n .

Un istante che si sostituisse meramente a un altro istante darebbe solo un eterno presente, senza durata concreta. La durata invece è il progresso continuo del passato che si accresce man mano che avanza nel presente e preme sul­ l'avvenire. Il passato agisce su di noi come una spinta, una tendenza, grazie alla quale possiamo definirci come esse­ ri che nascono, crescono e maturano in continuazione. Il passato, nel suo persistere e insistere, agisce come una forza che crescendo, accumulandosi, spinge in avanti, impedendo la ripetizione, anzi favorendo la trasformazio­ ne continua. La durata della nostra personalità è in questo senso irreversibile e implica in quanto tale l'irruzione, la produzione, la creazione di qualcosa di sempre nuovo, ma soprattutto di imprevedibile. In una parola: essa è creatri­ ce. Per questo, non solo per Bergson possiamo certo dire che ciò che facciamo dipende da ciò che siamo, ma forse ancor di più che «siamo ciò che facciamo e ci creiamo in continuazione» I 2 . È importante qui fermarsi per un momento e sottolinea­ re subito un elemento che può risultare utile per il nostro discorso: Bergson, definendo la durata creatrice, riferenn BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 497/4; trad. it. p. 9. 12 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 500/7; trad. it. p. 12.

1 30

dosi ad essa come a quella spinta che, come vero e proprio principio agente, produce, crea continuamente il nuovo, sembra comunque andare incontro a uno slittamento con­ cettuale. Se infatti, da un lato, Bergson definisce il tempo, la durata, come il tessuto della vita psicologica, anzi come il tessuto più resistente e sostanziale, dall'altro sembra accentuare della durata il senso attivo di principio di crea­ zione, che pertanto la rende in un certo senso irriducibile alle sue stesse creazioni, alle sue opere, ai suoi prodotti, come qualcosa di non identificabile con essi, pur non potendosi dare indipendentemente da essi (perché, se così fosse, non potremmo parlare più di azione efficace, di un atto creatore) . Per analogia - e cioè seguendo la stessa analogia suggerita da Bergson - potremmo allora immagi­ nare una differenza non strettamente ontologica tra la vita come durata e la vita nelle sue realizzazioni, o per così dire una differenza di tipo intensionale, non estensionale. In altri termini, questo scarto tra la durata e le sue creazioni potrebbe tornarci utile per determinare e spiegare poi anche quello stesso scarto che gradualmente si aprirebbe, come abbiamo accennato in precedenza, tra lo slancio vitale e la vita stessa. È come se in Bergson andassero in parallelo le coppie di durata e vita da una parte e di slan­ cio vitale e vita dall'altra (a cui si dovrà poi aggiungere una terza coppia, quella che pone in relazione Dio e slancio vitale) . 3 . E in effetti è Bergson stesso a chiedersi se sia possibile riferire ciò che si è osservato a proposito della durata anche all'esistenza in generale, ipotizzando cioè che anche il tut­ to della vita, la vita nella sua totalità, si caratterizzi di fatto per la continuità del cambiamento e la conservazione del passato, come durata vera e creazione incessante. 131

È nel fenomeno dell'evoluzione che Bergson individua il punto di contatto tra la nostra coscienza e la vita. Il pro­ cesso evolutivo infatti è analogo al mutamento della dura­ ta. Seguendo qui l'ipotesi scientifica del trasformismo e appoggiandosi alla teoria della continuità del plasma ger­ minativo di Weismann (a cui viene apportata tuttavia una significativa correzione), Bergson riconosce alla base del­ l'evoluzione una continuità creatrice : la propagazione del­ la vita, la successione delle sue forme poggiano su una energia genetica che si trasmette in maniera continua da un corpo all'altrol3. La vita è così assimilata a una corren­ te che produce un progresso continuo. Evoluzione signifi­ ca allora "registrazione" continua della durata, propagar­ si di un unico impulso che spinge verso un cambiamento, le cui forme sono ogni volta nuove e imprevedibili : « Ora. più si fissa la propria attenzione su questa continuità della vita. più l'evoluzione organica risulta simile all'evolu­ zione di una coscienza in cui il passato incalza il presente e ne fa scaturire una forma nuova. incommensurabile rispetto a quella che la precedeva» l4.

1 3 Mentre Weismann parla del plasma germinativo come di una "cosa" portatrice di vita, una sorta di sostanza permanente che funge quasi da sostrato ai differenti individui, i quali sono a loro volta dei semplici mezzi di perpetuazione del plasma, Bergson invece parla di un atto di trasmis­ sione, di una « continuità di energia genetica» , capace in quanto tale di assicurare le differenziazioni, le trasformazioni lungo l'evoluzione. Cfr. BERGSON, L'Évolution créatrice cit., pp. 516-51 7/26-27; trad. it. pp. 27-28. Sul modo in cui Bergson spiega la successione evolutiva alla luce del con­ fronto con le tesi di Weismann, cfr. soprattutto Y. CoNRY, l; Évolution créa­ trice d'Henri Bergson. lnvestigations critiques, I;Harmattan, Paris 2000, in part. pp. 164- 1 70. Ma si vedano anche A. PmwNENKO, Bergson ou de la phi­ losophie comme science rigoureuse, Cerf, Paris 1994, pp. 256-257 e WoRMS, Bergson ou les deux sens de la vie cit., pp . 196- 197. 14 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 5 1 7/27; trad. it. p . 28. 1 32

Qui sembra emergere chiaramente quella prima identifi­ cazione che abbiamo segnalato a proposito della coscien­ za. La natura della vita come quella della coscienza è la durata: e così come nel caso della coscienza non è possi­ bile considerare il succedersi di stati diversi come qual­ cosa che sfili su un io amorfo, indifferente e immutabile che li sostenga (al modo in cui il filo di una collana tiene assieme le diverse perle)15 - poiché il nostro io, la nostra esistenza, consiste proprio in questo stesso passaggio da uno stato all'altro -, anche nel caso della vita, sottolinea Bergson, «[ ] non si dovrà parlare della vita in generale come di un'a­ strazione. o come di una semplice rubrica in cui siano iscrit­ ti tutti gli esseri viventi» l6. . . .

Il che significa che la vita è questo stesso movimento evo­ lutivo, il progredire continuo di un impulso (di uno slan­ cio, potremmo dire, anche se Bergson fino ad ora non ha ancora usato questo termine) che si trasmette agli organi­ smi viventi. Per via di questa identificazione, e cioè del­ l'unità e continuità della vita, l'evoluzione si presenta come un'unica indivisibile storia, in cui non è possibile prevedere in anticipo le forme che prenderà e produrrà: « il cammino che la vita intraprende si crea contestualmente all'atto che lo percorre: il cammino è soltanto la direzione dell'atto stesso» l7.

Non si può conoscere in anticipo, prima del suo prodursi, una situazione che si profila unica, originale: ed è per que1 5 Cfr. BERGSON, L'ÉvoluJ;ion créatrice cit., p. 497/3; trad. it. p. 9. 16 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 5 1 6/26; trad. it. p. 27. 1 7 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p . 538/51 -52; trad. it. p . 47. 1 33

sto che la vita, come la coscienza, è creazione di forme assolutamente originali e imprevedibili . Per rappresentare adeguatamente questa imprevedibi­ lità e irreversibilità, e cioè per pensare la vita come evo­ luzione creatrice, ci si dovrà liberare della concezione meccanicistica della vita. Essa infatti ritiene che tutto sia calcolabile in funzione di uno stato e quindi che tutto sia dato, tanto che una mente divina - un intelletto archetipi­ co - potrebbe abbracciare con lo sguardo la totalità del reale. La metafisica che è sottesa a tale visione è quella che considera la realtà come data in blocco dall'eternità e nell'eternità, in cui di conseguenza il tempo non svolge alcuna azione efficace, non crea, non fa niente, e in defi­ nitiva non è niente. Ma oltre al meccanicismo radicale occorre rifiutare anche il finalismo radicale, che non è altro che un meccanicismo rovesciato: al pari di questo, la dottrina finalistica ritiene che tutto sia già dato, non essen­ do altro che la realizzazione di un piano prestabilito. Il mondo che viene così a configurarsi non contempla l'im­ previsto, non ammette l'invenzione e la creazione e non lascia, quindi, alcun ruolo effettivo al tempo . Tuttavia, tra il meccanicismo e il finalismo, quest'ulti­ mo, se opportunamente modificato ed emendato, rimane per Bergson preferibile, poiché è almeno parzialmente in grado di adattarsi alla filosofia della vita che si va defi­ nendo . Il fatto che si rifiuti la causalità di ordine mecca­ nico (in cui l'effetto è contenuto nella causa) o la finalità come realizzazione di un'intenzione non esclude, infatti, che si possa comunque pensare la creazione alla luce di un'unità, di un principio causale . Per Bergson l'unica finalità ammissibile è di tipo estrin­ seco, in quanto la finalità interna, con cui nella storia del­ la filosofia si è ritenuto di poter attenuare il finalismo radi1 34

cale à la Leibniz, finisce di fatto con il distruggersi da sé. Essa infatti suppone che ogni singolo organismo vivente sia una individualità perfettamente chiusa e isolata: ora, però, sulla base dell'osservazione empirica e scientifica, sia gli elementi che compongono l'individuo sia l'indivi­ duo stesso mettono in discussione proprio questa idea for­ te di finalità interna: tutto aspira a una propria autonomia, indipendenza, ad avere un proprio principio vitale, e tut­ tavia niente è veramente così isolato, così indipendente da poter possedere un tale principio. Di conseguenza, non rimane che l'ipotesi di un coordinamento che abbraccia sì la totalità della natura, ma che non può essere fatto coin­ cidere, come detto, né con una finalità intrinseca né con un qualsivoglia orientamento teleologico verso un fine precostituito: « Se c'è finalità nel mondo della vita. essa abbraccia la vita intera in un'unica. indivisibile stretta. Questa vita comune a tutti gli esseri viventi presenta senz'altro molte incoerenze e molte lacune. né del resto essa è una in senso matematico. tanto da non consentire a ciascun essere vivente di indivi­ dualizzarsi almeno in una certa misura. Nondimeno. essa ne costituisce una totalità unica: e bisogna optare tra la nega­ zione pura e semplice della finalità e l'ipotesi che coordina non solo le parti di un organismo all'organismo stesso. ma anche ciascun essere vivente all'insieme degli altri » la.

In questo senso, anche se in forma certamente più vaga, la finalità bergsoniana riconosce nel mondo, come nel caso del finalismo radicale, una certa unità, armonia. Ma, pun­ tualizza Bergson, si tratta di un'armonia che non compor­ ta affatto perfezione, tutt'altro: ogni specie, ogni essere vivente, infatti, tende a conservare e utilizzare in maniera 18 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 53 1/43-44; trad. it. p. 4 1 .

1 35

egoistica solo, scrive Bergson, «Un certo slancio (élan ) » dell'impulso della vital9. L'armonia, perciò, esiste d i dirit­ to e non di fatto, appartiene allo slancio originario - quel­ lo slancio comune da cui si dipartono, differenziandosi, le diverse tendenze del processo evolutivo. La finalità si tro­ va quindi più alle spalle che di fronte alla vita: « Se invece l'unità della vita sta interamente nello slancio che la spinge sulla strada del tempo. l'armonia non si troverà in avanti. ma indietro. Vunità proviene da una vis a tergo : è data all'inizio come impulso. e non posta alla fine come attrazio­ ne » 2 o .

Attraverso la discussione cntica dei differenti modelli esplicativi offerti dalle varie teorie scientifiche dell'evolu­ zione, riguardanti la comparazione di strutture comuni in individui appartenenti a specie profondamente diverse (l'esempio è quello della formazione dell'occhio nei verte­ brati e nei molluschi)21, Bergson intende verificare appun­ to l'ipotesi - ed è a questo punto che viene introdotta pro­ priamente la nozione di élan vital, slancio vitale - secon­ do cui la vita, sin dalle sue origini, non è altro che « la con­ tinuazione di un unico e identico slancio che si è suddivi­ so in linee evolutive divergenti»22. Questo slancio origina­ rio, conservandosi lungo le varie ramificazioni in cui si dif­ ferenzia, spiegherebbe non solo le variazioni, ma anche la presenza di organi identici in organismi posti su linee evo­ lutive divergenti . La struttura comune per Bergson si spie1 9 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 537/5 1 ; trad. it. p. 47. 20 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 583/104; trad. it. p. 89. 21 Cfr. BERGSON, L'Évolution créatrice cit., pp. 540/53 sqq.; trad. it. pp. 49 sqq . 22 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 540/53 ; trad. it. p. 49. 1 36

gherebbe così non sulla base delle circostanze esteriori (Eimer), delle variazioni accidentali (Darwin), o di una causa psicologica interna ai singoli esseri viventi (Lamarck)23, bensì in base ad un'origine comune interio­ re, quindi immanente, ad unico principio causale attivo, che è appunto l'élan vital, lo slancio vitale. Ora, come intendere il rapporto tra questa unità, questa identità di impulso, questo slancio originario, e la vita nel­ le sue realizzazioni? Lo slancio è una finalità trascenden­ te o immanente? E, in quest'ultimo caso, è immanente solo alla vita in generale ed esteriore agli organismi o è imma­ nente anche ad essi? Per cogliere il significato e la funzione dell' élan vital, per comprendere il tipo di causalità che tale concetto implica e quindi per delineare adeguatamente il rapporto tra essa e i suoi effetti, occorre anche qui superare i pun­ ti di vista, solo apparentemente contrapposti, del mecca­ nicismo e del finalismo, che rappresentano la creazione come una fabbricazione, secondo uno schema antropo­ morfico: per entrambi la natura lavorerebbe come l'uomo, assemblando le parti in un tutto. Ma la vita procede per Bergson in tutt'altro modo, non «per associazione e addi­ zione di elementi, ma per dissociazione e sdoppiamento»24: mentre la fabbricazione (costruzione) procede dalla peri­ feria al centro, dalla molteplicità delle parti all'unità, la vita invece va dal centro alla periferia, propagandosi ver­ so l'esterno, come per effetto di un'esplosione che scaglia 23 Sul modo in cui Bergson legge questi modelli scientifici dell'evolu­ zione, fondamentale appare Y. CoNRY, L' É volution créatrice d 'Henri Berg­ son. lnvestigations critiques cit., in part. pp. 143-200. 24 BERGSON, L'Évolution créatrice cit. , p. 571/90; trad. it. p. 78 (il corsi­ vo è dello stesso Bergson) . 1 37

i frammenti tutt'intorno a sé, secondo direzioni diverse e non tutte lineari e progressive. Per Bergson si tratta allora di rovesciare il nostro modo di vedere operare la natura: essa non procede in modo costruttivistico, assemblando come detto le parti in manie­ ra meccanica o sulla base di un progetto prestabilito, ma procede differenziandosi, dal tutto, dall'uno alle parti, al molteplice. La complessità che si osserva in natura non è il risultato estrinseco, accidentale o anche intenzionale di una somma di parti, bensì l'esito della differenziazione dell'unità originaria. La causalità che dà origine al mondo non è dunque quella delle parti che agiscono meccanicamente le une sulle altre o quella di una intelligenza che presiede alla loro organizzazione. Siamo invece di fronte ad un atto sem­ plice, unico, indivisibile che genera degli effetti per via o a motivo degli ostacoli che incontra. Da questo punto di vista, allora, le configurazioni meravigliose che la realtà assume non rappresentano affatto qualcosa di positivo ( nell'accezione ristretta del termine ) : esse sono una nega­ zione, l'ostacolo appunto, la resistenza che lo slancio vita­ le ha dovuto affrontare e aggirare. Le realizzazioni, le for­ me, le concrezioni del reale sono così più l'effetto della resistenza che il prodotto intenzionale dello stesso slancio. L'immagine esplicativa a cui Bergson ricorre è quella ormai famosa della mano che fende la limatura di ferro25. Al passaggio della mano, la limatura si comprime e allo stesso tempo oppone resistenza. Nel momento in cui la mano esaurisce il suo sforzo, le particelle di limatura si dispongono secondo un certo ordine e una certa forma. Se 25 Cfr. BERGSON, L'Évolutwn créatrice cit., pp. 575-576/95-96; trad. it. pp. 82-83. 1 38

il movimento della mano resta invisibile, un osservatore esterno sarà portato a spiegare la conformazione assunta dalla limatura o sulla base dell'azione che le particelle hanno svolto le une sulle altre o sulla base di un progetto prestabilito . Ciò che così inevitabilmente sfugge, però, è che all'origine di questa configurazione c'è stato un atto indivisibile e che essa, pertanto, non fa altro che esprime­ re negativamente il movimento unitario. D'altronde, è la nostra intelligenza che coglie la molteplicità delle parti e la loro coordinazione, introducendo un taglio o una cesu­ ra nell'unico, semplice fluire dello slancio che è durata, ponendosi all'esterno del divenire stesso . In altri termini, il movimento che dice la vera realtà è insieme qualcosa di più delle posizioni e del loro ordine (è in effetti sufficien­ te che esso si dia nella sua semplicità indivisibile per ave­ re allo stesso tempo l'infinità delle posizioni e il loro ordi­ ne, con in più la mobilità stessa) e qualcosa di meno, nel senso che esso non è un assemblaggio o un'operazione intelligente . Possiamo forse, a questo punto, cominciare a chiarire il senso del rapporto tra vita in quanto slancio e vita come realizzazione di questo slancio e, di conseguenza, della creaziOne. E quel che si può osservare è un nuovo scarto, certo del tutto particolare e forse difficile da cogliere perché imper­ cettibile, impalpabile, tra lo slancio vitale e la vita. C iò che Bergson ipotizza è, come abbiamo visto, uno slancio originario, una spinta interiore che porta la vita a evolver­ si attraverso forme sempre più complesse e diverse. Tale slancio quale principio causale, tuttavia, non va inteso in senso trascendente rispetto al movimento stesso della vita. Esso infatti deve essere immanente se si assume, come

4.

1 39

Bergson fa (in opposizione a certa metafisica che concepi­ sce la creazione come «continuata » , nell'accezione teolo­ gica tradizionale del termine, in cui « il morulo muore e rinasce in ogni istante »26, e dunque non si evolve, non si accresce, restando una totalità chiusa, data dall'eternità), la creazione come incessante invenzione di forme sempre nuove e imprevedibili: se così è, infatti, occorre ammette­ re il perdurare costante dell'azione dello slancio lungo tut­ te le linee dell'evoluzione, il che significa il rinnovarsi ogni volta del medesimo atto creatore. Ma l'immanenza del principio non implica comunque la coincidenza tra lo slancio vitale e le sue realizzazioni : come la coscienza, la vita è movimento in avanti, progresso, successione, dura­ ta, e in quanto tale cambia accrescendosi; perciò, se da una parte non contiene in sé - come già predeterminate le forme che il vivente assumerà, dall'altra neppure si esaurisce o si realizza totalmente in esse, ma le eccede sempre e comunque. Il principio vitale che presiede alla creazione è un prin­ cipio che non è già fatto, ma si fa27: in altri termini, esso coincide con la creazione in senso attivo, e cioè con l'atto - continuo - della creazione . « Il tempo di invenzione fa tutt'uno con l'invenzione stessa. È il progredire di un pensiero che cambia a mano a mano che prende corpo. È insomma un processo vitale, qualcosa come il maturarsi di un'idea. [ . . . ] Per questo, l'idea di leggere in uno stato presente dell'universo materiale il futuro delle for­ me viventi, e di dispiegare d'un tratto la loro storia futura, non può che racchiudere una vera e propria assurdità » 28 . 26 BERGSON, L'Évolution créatrice cit. , p. 513/22; trad. it. p. 24 (il corsi­ vo è di Bergson) . Cfr. anche pp. 787 -788/344-346; trad. it. pp. 281-282 . 27 Cfr. BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p . 696/238; trad. it. p. 196. 28 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 783/340; trad. i t. pp. 277-278. 140

C iò con cui abbiamo a che fare è un'azione, tra l'altro con­ tinua, e non invece una sostanza, una cosa, una entità sta­ tica. La durata del principio vitale, anzi la vita come dura­ ta, è una realtà agente, che svolge un'azione efficace nel tempo . La creazione non si compie quindi in un solo momento e non comporta né l'eternità della materia né quella dell'atto creatore. All'idea di creazione occorre per­ ciò affiancare l'idea di accrescimento e pensare l'universo come il luogo in cui sempre e continuamente si aggiungo­ no nuovi mondi. Che la totalità del reale si faccia, sia un perpetuo movi­ mento di accrescimento, una creazione continua - ovvero sia, nel suo principio, di ordine psicologico, cioè un puro volere, una tendenza, « Un immenso ambito di virtua­ lità»29, un nucleo di energia - lo testimonia il secondo principio della termodinamica, che rappresenta per Berg­ son la leggefisica dalla portata più metafisica, perché indi­ ca « in quale direzione va il mondo »3o. Il nostro mondo sembra per Bergson esaurire ad ogni istante qualcosa del­ la mutabilità, dell'instabilità energetica che racchiude. Ora, questa graduale conquista della stabilità, dell'equili­ brio energetico, deve essere pensata a partire da un punto in cui le energie si trovano al massimo grado di utilizza­ zione possibile. Tale origine è rinvenuta da Bergson in un processo, in un principio extraspaziale, nella vita come slancio vitale, che al pari della coscienza, per un movi­ mento di inversione, di distensione, di interruzione della tensione si estende, passa dalla libertà alla necessità, generando la materia.

29 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 7 141259; trad. it. p. 2 12 . 30 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 701/244; trad. it. p. 200. 141

« Insomma. il senso in cui procede questa realtà ci suggeri­ sce l'idea di una cosa che si disfa: e. senza dubbio. in ciò con­ siste uno dei tratti essenziali della materialità. Cosa si può concluderne. se non che il processo attraverso il quale que­ sta cosa si fa è diretto in senso opposto ai processi fisici ed è quindi . per definizione. immateriale? » 3l ,

La creazione, i n questo senso, è un'azione che v a pensata secondo una dualità immanente, « Un processo semplice, un'azione che si fa attraverso un'azione, dello stesso gene­ re, che si disfa»32. È l'intera creazione, allora, e non solo il suo principio, a dover essere intesa in senso dinamico e non statico: nella creazione non sono implicati una cosa che crea e delle cose che vengono create, bensì solo azio­ ni, cambiamenti e atti . « Non ci sono cose. ci sono solo azioni. Più in particolare, se considero il mondo in cui viviamo. scopro che l'evoluzione automatica e rigorosamente determinata di questo tutto ben collegato è azione che si disfa. e che le forme impreviste che in esso la vita ritaglia - forme che a loro volta sono in grado di prolungarsi in movimenti imprevisti - rappresentano l'a­ zione che si fa» 33.

Bergson ritiene, sulla scorta di quanto affermato, di pote­ re ipotizzare che ovunque nell'universo si dia sempre la stessa azione - sia nel senso che prosegua il suo impulso in avanti, sia che si disfi, si interrompa e inverta la sua direzione. Gli altri (possibili) mondi non sarebbero dun­ que diversi dal nostro: in tutti si assisterebbe alla medesi­ ma azione creatrice dello slancio vitale . Se così è, sarà 3 1 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 703/246; trad. it. p. 202. 32 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 708/251 ; trad. it. p . 206. 33 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., pp. 705-706/249; trad. it. p. 204. 142

possibile e plausibile ricondurre la pluralità dei mondi, con la pluralità dei loro processi e dei loro slanci, ad un'u­ nica sorgente, ad un principio unico, ad un unico centro che può essere chiamato Dio, a patto di non intenderlo « c ome una cosa , ma come una continuità di irradiamento. Dio, definito cosi, non ha niente di compiuto: è vita inces­ sante. azione. libertà »34. 5 . È dunque a questo punto che ne L'evoluzione creatrice

entra Dio. Certo è solo un nome, scritto e pronunciato un'unica volta - un vero e proprio hapax, si potrebbe dire - ma comunque un nome che ha un suo peso . Cosa biso­ gna leggere sotto questo nome? Il Dio di Bergson è quello della teologia, della fede, o il Dio della filosofia, o meglio il Dio della filosofia di Bergson, o meglio ancora il Dio de L'evoluzione creatrice - un Dio "cosmico" secondo la defi­ nizione di Gouhier, o "impersonale" secondo il suggeri­ mento di Philonenko ?35 Come abbiamo visto, Dio rappresenta il rimando ultimo, estremo, dell'intera creazione. Di scarto in scarto, si è pas­ sati dalla vita allo slancio vitale e dallo slancio vitale o, meglio, dagli slanci, a Dio quale centro unitario da cui que­ sti ultimi, «come razzi di un immenso fuoco d'artificio»36, scaturirebbero. Ma questo gioco di rimandi continuo non mette capo di volta in volta a entità, principi causali ester­ ni, trascendenti, non comporta cioè l'abbandono del piano 34 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 706/249; trad. it. p. 204. 35 Cfr. GouHIER, Bergson et le Christ des Évangiles cit., pp. 89-96; GouHIER, Bergson dans l'histoire de la pensée occidentale cit., pp. 798-85; PmLoNENKO, Bergson ou de la philosophie comme science rigoureuse cit., p. 342 . 36 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 706/249; trad. it. p. 204. 143

dell'esistenza: in una visione del reale non statica, fondata sull'idea di una durata assoluta, agente e libera, sia la vita come slancio vitale sia Dio sono azioni incessanti e conti­ nue di creazione . Se l'intero essere del mondo è stato carat­ terizzato come esigenza continua di creazione, slancio creatore, libertà, e se non si danno propriamente salti tra livelli ontologici diversi, queste stesse caratteristiche devo­ no essere attribuite, inevitabilmente, anche a Dio. Ma, per passare adesso alla seconda delle questioni pri­ ma distinte, come si deve intendere il rapporto tra Dio e lo slancio vitale? Innanzi tutto, come abbiamo visto, lo slancio vitale scaturisce da Dio. Creando, però, Dio non si contrap­ pone allo slancio, ne permane anzi all'interno, rinnovando­ si continuamente come atto creatore. I.; immanenza che l'in­ tero quadro concettuale de L'evoluzione creatrice comporta non implica neppure qui, nella relazione tra Dio e lo slan­ cio, la coincidenza tra il principio creatore e il suo effetto. Anzi, forse proprio a questo riguardo si approfondisce e chiarisce la portata di questo gesto teoretico, che costitui­ sce uno dei tratti fondamentali della filosofia bergsoniana. 11immanenza del principio causale di creazione non è quella (spinoziana, si potrebbe dire) di un essere a cui venga riconosciuta un'esistenza meramente ed esclusiva­ mente logica o matematica. Una realtà che esiste in modo puramente logico, infatti, è una realtà da cui necessaria­ mente e immediatamente, in forza della sua stessa esi­ stenza, conseguono tutte le altre cose . Le cose cioè sareb­ bero già date insieme con il loro principio e la loro totalità costituirebbe un mondo statico, eterno, chiuso, in cui niente di nuovo si darebbe effettivamente, e in cui, fonda­ mentalmente, non ci sarebbe storia. Pensare in termini logici l'essere della realtà significa per Bergson non pen­ sare la realtà nell'ottica della durata e della libera scelta, 144

significa giustificare una metafisica che rifugge da una realtà che si crea progressivamente - in altre parole dal­ l'idea di una durata assoluta agente e libera: « Bisogna [ . . . ] riconoscere che questo ci costerà un sacrificio molto pesante: se il principio di tutte le cose esiste nella stes­ sa maniera in cui esiste un assioma logico o una definizione matematica. le cose stesse dovranno derivare da questo prin­ cipio come le applicazioni di un assioma o le conseguenze di una definizione. e non ci sarà più posto. né nelle cose né nel loro principio. per una causalità efficiente intesa nel senso di una libera scelta»37.

Solo un assoluto che dura in modo eminente (che è anzi emi­ nentemente durata), e che quindi agisce liberamente, crea una natura che prevede l'irruzione del nuovo e che dunque si accresce, si rinnova, profilandosi come una totalità aper­ ta, che continuamente si fa e non è mai già fatta. Che Bergson sia ben attento a segnare uno scarto tra Dio e il divenire della realtà, lo si può tra l'altro ricavare da quel passaggio in cui, discutendo della posizione carte­ siana all'interno della storia della metafisica occidentale, si parla di una durata dipendente « da un Dio che rinnova in continuazione l'atto creatore e che essendo dunque tangente al tempo e al divenire li sostiene e trasmette loro necessariamente qualcosa della sua assoluta realtà»38 .

Possiamo leggere qui in filigrana ciò che mi sembra la tesi fondamentale di Bergson ne L'evoluzione creatrice , e cioè che Dio è certamente distinto dallo slancio - « tan-

6.

37 BERGSON, L'Évolution créatrice ci t., pp. 729-730/277; trad. i t. p. 227. 38 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 787/345; trad. it. p. 281 . 145

gente» -, ma non diverso da esso ontologicamente e nep­ pure assolutamente trascendente rispetto ad esso : è la stessa azione di creazione che da uno passa all'altro e nel­ l'altro si conserva, prosegue e si trasmette senza fine, assi­ curando così !'«accrescersi progressivo dell'assoluto »39. N o n è forse allora del tutto corretto, come alcuni inter­ preti hanno fatto e continuano a fare, affermare che Berg­ son è poco chiaro, confuso, ambiguo e oscillante circa la questione del divino ne L'evoluzione creatrice40. Probabil­ mente, l'unica "ambiguità", se così vogliamo chiamarla, e con tutte le dovute cautele del caso, sta proprio nello scar­ to che ho cercato di mettere in evidenza tra vita e slancio vitale da una parte e Dio e slancio vitale dall'altra - un vero e proprio chiasma (con lo slancio in posizione cen­ trale), che rimanda essenzialmente all'ipotesi di una immanenza senza identità e quindi, secondo le stesse parole di Bergson da cui siamo partiti, al rifiuto del moni­ smo e del panteismo4I . 39 BERGSON, L'Évolution créatrice cit., p. 786/343; trad. it. p. 280. 40 Cfr. ad esempio PmwNENKO, Bergson ou de la philosophie comme scien­ ce rigoureuse ci t., p. 342: