Deserto coraggio
 8878703451, 9788878703452

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Edoardo Bruno

Bulzoni Editore

INTRODUZIONE

Vedi come s'alzano in dubbia riga uccelli a schiera, e rari stridi: muta rotta nei chiusi cieli, così sempucemenu abbandonali al volo.

Deserto coraggic Pietro Ingrao, Comunanze (da Variazioni sera!~ li Saggiatore 2006)

Introdurre vuol dire spiegare, colmare i vuoti che il tessere di un discorso lascia scoperti, volutamente o per caso; e precisare, perché 'rubare' un verso deserto curaggw- e innamorarsi del suo alto concettopoetico, significano circoscrivere il territorio ermeneutico al solo enunciato e chiarire il progetto, supplendo alle insignificanze, agli enigmi, alle zone d'ombra, che disseminano il senso e non-senso dello scrivere. Allora, è meglio mettere da parte il piacere dell'introduzione e lasciare libero il lettore di cogliere il senso, disperdere ogni preoccupa.zione riduttiva e 'rischiare'. Che è una bella indicazione di Emilio Garroni, ("il senso è, sì un rischio che non possiamo non correrè'), un modo di accettare la sfida di 'cercare l'entrata, libera e incerta, in quel tortuoso sentiero, che è la scrittura. Ho deciso di scrivere a caso. Difficile, ma ragionato il percorso, l' io che diventa l'aUro, la prima e la terza persona, il richiamo ai tessuti della memoria, 3

rivivendo l'odore delle stagioni, l'affastellarsi senza ordine del disordine dei giorni, il diario che cumula e confonde le date, i film come immagini di una esperienza, percorsi di un itinerario immaginario, come salti improwisi, attimi percepiti, incontri. Le immagini e le parole, le storie proposte si impadroniscono della fantasia, diventano patrimonio di memorie espropriate, rivissute come proprie espe-rienze. E qui, di nuovo il richiamo al rischio, rischiandc il non-senso.

La scrittura (o la penna, come scrive André Gide, in "Così sia") è sempre in ritardo sul pensiero, non riesce a raggiungerlo, anche se al posto della penna oggi esiste il computer... I pensieri scappano, corrono via, inseguono percorsi improwisi, cercano di raccogliere idee e ricordi, in una sorta di diario, dove i fatti si affastellano e si impigliano, anche modificando i giorni, gli anni. Il linguaggio si espande all'infinito, l'io che scrive, parla in terza persona, e non parla per la comunicazione di un senso ma per costruire un percorso a più facce, per proporre più sensi, ed essere interpretato. Si scrive non per fornire verità ma per costruire un linguaggio, che sfugge alle regole della rappresentazione, la parola letteraria sviluppa il segno di una sua autonomia, è una messa in pagina 'fuori da se', in una continua dispersione di senso. Si pensa la verità, ma questa non è che la riflessione di un dubbio, la proposta di una serie di richiami, che aprono una continua forma dialettica, nel segno del rigore ragionativo. Il cinema entra, imprevisto, nella poetica del Novecento. Entra come supporto della tecnica ma stravolge i sensi letterari e narrativi, propone di riprendere la realtà ma subito dopo la prevarica; indica, con il suo silenzio, l'apparentarsi con l'arte 4

del mimo, ma subito subentra il tragico di una nuova impressione drammaturgica, il gusto del sogno, l'incubo della paura. E quell'urlo, che Munch era riuscito a far risuonare nell'astratto di una visibilità silenziosa, con l'invenzione del sonoro, diventa reale. Muto o sonoro, il cinema ha sempre metaforicamente 'parlato', ha sempre indotto all'ascolto, alla trasmissione di concetti, di ragionamenti, di pensieri; l'ossessivo, inquietante senso di impotenza, davanti al tribunale dell'inquisizione, la crudele ipocrisia della parola, la distorsione del pensiero religioso, che si evincono dalle immagini di LA passum dejeanne d'.Arcdi Dreyer, nessuna pagina scritta è mai riuscita a dare. E quel silenzio muto, quel continuo osservare dappresso i volti dei giudici, quell'entrare nello schermo, mostrando, in dettaglio, il piego della pelle e il tremore dei volti, è il 'parlare' del nuovo linguaggio, che ha cambiato l'estetica dell'espressione. L'estetica stessa è mutata. Il linguaggio, I' espressione, il gusto hanno trovato l'arricchimento di una nuova forma materica. Le immagini si coniugano: il montaggio ha mutato la percezione, la velocità, con cui determinare il ritmo e il senso dell'emozione, ha creato nuovi tempi alla rappresentazione, ha spinto sempre più indietro lo schema narrativo, e dissolto la parte 'letteraria', in una diversa drammaturgia. La scrittura del film impone un altro sguardo, affronta un nuovo punto di vista, e richiede una riflessione, un progetto. Da qui una nuova Gaia Scienza, qualcosa che sembra accostarsi alla Rinascenza, al miracolo del sapere e della gioia, che si ritrovano nella filosofia, nella poesia, nella musica - Cartesio, Rimbaud, Baudelaire, Mozart, Rossellini... e. b .

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DESERTO CORAGGIO

Aprile 1933, Pola, una giornata magnifica, un cielo azzurro senza vento, una luce mattutina, stretta come una lama, un'aria fresca, giovanile, ridente. Un bambino solo in un ampio cortile, gioca con l'ombra, rincorre se stesso, raccoglie piccoli sassi e si awicina agli attrezzi di una impastatrice e ai mattoni di un edificio in costruzione, alle tavole di legno che portano ai piani alti di un edificio ancora come uno scheletro, circondato da ripiani di legno, da cordami con secchie vuote, pale appoggiate per terra, e lunghi chiodi. Un chiodo attrae l'interesse, non ci sono gli operai, il luogo è deserto, non è giornata di festa ma tutto è fermo, come immobile, il bambino prende coraggio, si guarda attorno e con sorpresa si awia verso le tavole per salire, entrare in quel luogo proibito, inventandosi un gioco, aprendosi all'awentura, emozionato di potersi aggirare tra legnami e chiodi, tra la polvere di calce sparsa dappertutto, e salire, non spiato da nessuno, non richiamato dalla voce che arresta i suoi istinti, felice di sentirsi libero. Sale e scende come in un'isola del tesoro, immaginando awenture impossibili, aprendosi al mondo della fantasia dei suoi cinque anni, impaziente; sale e scende piani, vede il cortile allontanarsi, gli alberi entrare in campo, l'aria più fresca. Uno, due, e tre, uno e due, come un saltello, uno scricchiolio, (il legno delle 9

tavole, parla in silenzio), gli assi sbandano, e tutto precipita. Precipita in un grido, precipita sbattendo sugli assi, cadendo come un corpo morto, in mezzo alle pietre, alle pale, ai mucchi di terra. Il grido taglia il vetro dell'aria, taglia la lastra piena di luce che irradia i raggi del sole, che è il riflesso del cielo, l'azzurro immobile, indifferente, e nel silenzio quel grido sembra un grido ancora più irreale, metafisico, lacerante. Tutto si capovolge, la luce, il sole, la terra, l'aria ridente, si capovolge il mondo, il treno lacera lo spazio, l'officina e l'uscita degli operai fermano il tempo, il lapsus di visioni mutanti sconvolge lo spazio. Nero e bianco, volti sgranati, voci mute, grida silenziose, passi senza rimbombi, le scale di Odessa, la marcia dei soldati, i primi piani che tagliano gli spazi, la Madre che porta la bandiera della rivolta, Charlot con il drappo rosso, di un nero implacabile, i cavalli di Griffith e gli incappucciati del Ku Klux Kan, il viso di Lilian Gish, il tram che irrompe nella città di Sunrise. Tutto corre rapido, con la furia del tempo, tutto si intreccia come in un ricordo futuro, nell'immaginario dell'oblio, con la luce bianca, percorsa da lampi di elettricità, nella profondità di campo, tra le vecchie case e i castelli di Nosferatu. Le grida silenziose tagliano i tempi, riflettono come in uno specchio rovesciato, sono le schegge di una memoria di una vita tutta da vivere, la dilatazione semantica di un quid inconosciuto, la forza del pensiero. Improvvisamente il silenzio dei rumori, delle voci, la gente che accorre, che sbuca come se tutto si trasformasse e quel cortile vuoto si rianimasse, voci di uomini e di donne, voci e lamenti. Poi la madre, la corsa all'ospedale, "è morto, è morto, è inuùle, è morto... ". Nel silenzio dell'ospedale al pronto soccorso, avvolto in uno straccio pieno di sangue, il corpo del bambino inerte, "è inuùle ... " quella parola casca 10

come una pietra, sembra un maglio che si ripete continuo, allucinante, snervante. E poi ancora un grido, meglio un urlo, inaudito, come di bestia ferita, un urlo che sconvolge l'aria, che precipita su quelle sedie, bianche, di ferro del pronto soccorso, che sconvolge la calma apparente, un urlo che grida operatelo, un urlo come una preghiera ma anche come un ordine implacabile, duro, che non ammette repliche. L'urlo di una giovane madre, lancinante, fermo, assoluto. Nel bianco allucinato, attorno a quel corpicino di bimbo, una fuga di immagini, nuvole che si rincorrono, panoramiche tese su paesaggi vinuali, interni inquietanti, e i volti degli inquisitori di Jeanne d'.An, ossessivi, ambigui, crudeli come il viso del Vampiro di Dreyer e il nero dei racconti di Poe. E ancora le lacrime di Madame Falconetti e le lacrime di Anna Karina, sovrapposte, dolorose, improvvise come tagli di lama, nella luce di un piccolo cinema - segni del dolore, signesparmirurus, contro il reale, 'come gente che fanno conoscenza per strada e non possono più separarsi'. Era, è, sarà: le immagini sono un turbine della memoria futura, delle sensazioni impreviste, che escono dal nero del buio, senza colore, senso e non senso, schemi profondi, voci inaudite, sistemi semantici. L'operazione ha inizio, l'imperativo della madre ha avuto seguito, l'invito a operare è stato accettato con molto pessimismo e con la paura che il bambino rimanga sotto i ferri. Rumori silenziosi, respiri, qualche colpo di tosse; le suore al posto delle infermiere sembrano un film di Bresson , il suo giansenismo profondo, la sua solitudine astiosa, finalistica. Ancora ombre, ancora immagini perdute nello spazio, rumori, passi. Il cielo si ingrandisce, la prateria invade la visione, in un enigma visivo che sembra, nel ricordo, arbitrario; poi tutto appare come nel 11

gioco degli scacchi logico, esatto come racchiuso nel rigore di una geometria euclidea, come tutte le avventure dell'immaginazione, come i paradossi, i non-sensi. Le 'avventure' avvolgono le pareti della stanza, bianca come uno schermo, ottusa nell'ombra, entrano figure viste in sogno, viste nell'immaginario di un cinema della memoria, volti, dettagli, mani inquietanti, sorrisi, dubbi, crudeltà. A tratti il colore entra improvviso, come un lampo, rovescia fiammate di luce, come in un puzzle, rompendo l'armonia dei biancoeneri, come se il vulcano vomitasse, nei documentari di attualità, le sue scintille, per poi dissolversi nel fumo di una sigaretta che accende la Bergman in Viaggio in Italia provocando l'accensione dei focolari dei Campi Flegrei. Volti conosciuti, volti sconosciuti, realtà che si intrecciano con la fantasia, giochi nel nero inquietante o nella serenità di paesaggi lontani, di rive sconosciute, di terre inesplorate, L'WJITUJ di Aran, Ltntisiana Stary... Tabù. È notte, il silenzio avvolge il lettino. L'operazione è finita, il chirurgo è partito per Trieste, la madre trattiene il respiro, tutto può accadere, rovesciarsi sulle cose, cambiare i rapporti; l'interpretazione della storia, come di un'opera d'arte, è soggettiva, creativa, mutante. Lo stile, come forma aggiunta a un fondo, va giudicato in funzione della sua infedeltà a una realtà passata: il fondo è ritenuto anteriore alla forma, come dice Starobinskj; il previsto si scontra con l'imprevisto. Tornato da Trieste il chirurgo si informa dei funerali, ma il bambino è vivo. Comincia la lenta ma ineludibile convalescenza, il cranio trapanato, la grave offesa subita, i fenomeni sensoriali e i fenomeni motori in parte compromessi, come pure l'intricato percorso della parola. La parte sinistra è il crocevia più importante. Nella camera dell'ospedale il bambino è sotto le lenzuola, dorme-non-dorme, si sente il rumore del 12

suo respiro, il giovane medico gli prende la temperatura, poi vuole informarsi meglio rileggendo la cartella clinica, ha un dubbio, la parte sinistra è il centro del sistema neivoso. Vuole vedere a che punto reagisce intellettualmente. Chiede al bambino come si chiama, quale è il suo nome, Giorgio, Riccardo, Fabrizio, Lorenzo, Francesco ... Il bambino non sembra imbambolato, tenta di parlare, a quei nomi risponde no con la testa. Ma il medico sembra implacabile, Giulio, Giovanni, Piero, la litania dei nomi continua, fino a che il bambino spazientito tira fuori dalle lenzuola la mano destra e mostra il dito più piccolo, il ditino: il suo nome è Didino. L'intelletto funziona! l'analogia interrompe qualche dubbio, c'è la regola, l'immaginazione è guidata da questa regola, la risposta è precisa, la definizione del nome nel senso ottico del termine, è la dimostrazione di un processo intellettivo funzionante. Il gesto, la mano, la trasposizione, questa sostituzione della parola che non c'è con la mano, con il dito, riflesso di una memoria antica, è il dettaglio di un primissimo piano, come la mano nell'episodio di Intolerance di Griffih 'La madre e la legge'. Le dita della madre, nella bocca, stringono un dolore e una rabbia, come le mani che porgono la calzetta del bimbo sono immagini che assomigliano ai sogni, che lambiscono la memoria, l'attesa come uno schermo. Cosi il cinema americano è divenuto un mito, è divenuto 'troppo' cinema, Ford, Cukor, Walsh, Ray... l'albero, la prateria, la roccia. La corsa e l'emozione, il gioco degli scacchi, Renè Clair seduto a cavalcioni sulla Torre Eiffel, surrealismo e dada, e l'occhio di Vertov che riassume e fonda un nuovo 'guardare' fotografico-letterario. In stracarichi tramvai / accalcan®ci insieme I insieme barcolliamo. I Uguali ci rende I una uguale stancheua, come canta Evtusenko, fissando l'immagine. C'è un mondo invisibile/visibile, alla 13

deriva, il mondo delle emozioni sottratto al reale, sottratto ai ricordi eppure awolgente, straripante, che non lascia mai soli, che accompagna ogni battito di vita. Foucault lo chiama 'il pensiero di fuori', parla del parlare e del mentire, mette a prova la finzione moderna. Tutta la possibilità del linguaggio è come disseccata, l'io che parla, parla senza voce, parla con gesti, con segni, con il corpo. Artaud grida, si esprime con urla disperate, voce senza senso, denuda la violenza del corpo esprime l'emozione di un dissenso, la contraddizione. Dove sono, dove guardo, dove penso? La gabbia del cogito stringe come una rete di ragioni, di non-sensi, di allarmi. Morde un pensiero, tutto può risolversi o precipitare, la gioia può trasformarsi in sou.Jfraru:e, quell'attimo può spegnersi in tragedia. E allora di nuovo trattieni il respiro, il silenzio riawolge le immagini; come ferme sull'abisso le immagini arrestano il tempo, ritornano nel nero profondo. Giocano come ombre, come le macchie proiettate sul muro, con le mani che disegnano contorni di animali e spariscono, come le false ombre in pittura che resistono, l'ombra del pavone nel San Gerola1Tlb mlkJ studio di Antonello da Messina o quelle nei paesaggi invernali di Pissarro e di tutti gli impressionisti; o, in fotografia l'ombra di un edificio sacro proiettata su un uomo che riposa in India di Cartier-Bresson. Arrestano il tempo e l'ansia, la paura che tutto precipiti di nuovo nell'incertezza, le ombre che si alimentano nel silenzio della stanza, la piccola stanza d'ospedale. È pomeriggio, la luce entra radente, la madre sfoglia un giornale, il bambino sta seduto sul letto e gioca con una papera di gomma, la stringe ricavandone un debole suono, un pii, pii prolungato e la guarda esercitando le deboli forze delle mani. E improvvisamente, in un attimo dove il silenzio si fa 14

ancora più awolgente, acuto, immotivato, cadono le prime parole del bambino, dopo giorni di attesa, di disperazione, di false certezze negative, parole sillabate ma nette "mamma senti come mi bacia" ed è il gesto di portarsi alla bocca la papera, ricavandone il suono ritmato, come un bacio affettuoso. La parola, !,e parole, il ripristino di una funzione interrotta, che sembrava impossibile, lo stupore dei medici in corsia, che si affollano nella stanza, increduli, la gioia meravigliosa della madre che non aveva dubbi e credeva nell'impossibile. Tutto si rovescia, ruota attorno alla stanza, il padre, la madre, gli amici, tutti attorno a quel lettino in attesa di accertare, di riconfermare la sorpresa inattesa. La parola, le parole, come mettere in moto un movimento interrotto, come riprendere una abitudine spenta, inconclusa, ricominciare a parlare, rinvestendo un patrimonio già accumulato, non ricominciando da zero, come svegliandosi da un sogno. L'architettura del sogno vissuta come una compressione, uno spostamento nel tempo, un risveglio: il passaggio del tempo nella memoria del sogno si manifesta con un ritmo particolare, come la ripresa di un film dopo l'interruzione, fuori dalla misura del tempo reale, un lungo attimo che al nostro risveglio appare di pochi secondi. O viceversa, pochi secondi che sembrano eternità. Giorni che sembrano anni, tempi dilatati che sembrano non terminare mai, che diventano incubo, ossessioni, paure. La compressione del pensiero onirico e quella del pensiero inconscio vanno oltre il tempo abituale. Fra essere e stare c'è la esperienza della morte, la morte come esperienza possibile che si insinua, che cerca una propria dimensione ontologica. Ma la parola vince, e riprende la continuità di una vita. Le immagini si suss~ guono, al silenzio di morte si sovrappongono voci, parole, si formano intrichi curiosi, si alterano le 15

nomenclature, si indicano oggetti sbagliati, la destra per la sinistra, madre per padre, buio per luce. Si alterano i circuiti, le parole si rovesciano, ma intanto 'parla', come una ripresa di un meccanismo inceppato, le parole seguono le immagini, le parole fuori sincrono, come nei primi film dopo il muto, con i dischi che cercano di inseguire i movimenti delle labbra, come il suono metallico del Cantante del j= ancora imperfetto. La parola, il teatro, la commedia. Come gli attori che inseguono le parole nell'aria, che inseguono le frasi e se ne appropriano, correndo su scenari immaginifici, Shakespeare, Strindberg, Molière, Pirandello, attori che corrono all'inseguimento del senso, come Buster Keaton che muto insegue il disegno di Beckett. La parola come la musica, Mozart, Schoenberg, Sostakovic, Prokofiev... La parola muta che 'parla', come i grandi inquisitori di Jeanne d~rc di Dreyer, molto più terribile, con i primi piani ossessivi, con i dettagli smisurati dei volti. Immagini che materializzano lo scheletro discorsivo molto più delle voci, che rimbombano anche nel silenzio della forza visiva. Come gli sforzi del bambino per ripetere quel suono, per ripetere quelle parole, e dimostrare che parla, con gli errori, le impuntature ma con il rigore e la logica di un pensiero ragionante. Come in una allucinazione il pensiero va oltre il vissuto, vede ciò che ancora deve accadere, immagina il futuro come un ricordo, 'telle est la cruauté du souvenir' scrive Proust in A/berline dispanu, e su questa crudeltà la testa si riempie di immagini, la qualità del linguaggio è più importante di tutto il sistema etico o estetico. Neppure per un momento tenta di dissociare forma e contenuto, l'una è la concretizzazione dell'altro, la rivelazione di un mondo futuro, la lunga serie di metafore che si incatenano, e fuggono lontano dalla memoria. Cosa è il futuro per un 16

piccolo bambino alle prese con la parola, costretto a preparare la frase, silenziosamente dentro la bocca, per uscire dalla necessità di esprimersi a gesti? Cosa sà delle immagini di guerra, delle deportazioni, dei bombardamenti, delle camere a gas? Cosa sà delle immagini della Passeggera, della morte dei campi al suono di Wagner, di quei volti disperati ed ambigui, della donna intravista in una crociera? Dell'infanzia segreta, di Ciechi proibiti, delle strade deserte della Roma occupata, del cinema come storia e della Storia come cinema? Quel salto dal palco dell'assassino di Lincoln, nel film di Griffith è storia o finzione? Tutto si confonde e si sommerge. Il viso sott'acqua alla ricerca della donna nel L'Atalante di Vigo, la morte come finzione, le battaglie con i cuscini di 'Zero de conduite... Le immagini si susseguono in un disordine spasmodico, difficile da seguire; i volti, gli argomenti, sembrano obbedire ad una necessità interna, quasi demenziale ma logica. Sono il profilo di un racconto da scrivere, sono il presentimento di un mondo rovesciato, di un à miaurs che si incarna nel reale, in un reale futuro tutto ancora da vivere, da vedere, l'immaginario che risarcisce il reale. Sono le tracce di una memoria che si forma, che costruisce un atlante, una 'carta' da seguire, una navigazione del pensiero, un presentimento, sono Daumier, sono Rembrandt, Caravaggio, Antonello, Piero della Francesca, il nero e bianco graffiato, il colore, la durezza e la dolcezza, Goya e Picasso, la forza della ragione, la piccola città di Guernica. Sono gli spazi visivi che aprono le pagine di Proust, la magìa della letteratura, la natura radiografica del suo sguardo. Ritirandosi, nella sua camera oscura, di Combray, a Proust, l'essenza delle cose, l'après-midi brulant gli giunge grazie ai colpi di martello che vengono dalla strada, dalla musica da camera che le mosche suonano nella penombra. Sensazioni, dimenticanze, ricordi. 17

La ripresa è rapida. Il bambino entra nella convalescenza, sembra anche cresciuto, la testa è rasata, la 'mancanza di ossa a tutto spessore' nella parte sinistra comporta per il momento, in attesa di una nuova operazione per ripiantare la parte mancante, una protezione metallica a forma di tegamino cucita sopra una retlna fermata con un elastico al viso. Una piccola protezione noiosa, fastidiosa, soprattutto a scuola dove i compagni si divertono a prenderlo in giro, a tirargli l'elastico, a domandargli perché. Ma il bambino è disinvolto, gioca, reagisce e non se la prende; corre, scherza, capitombola e ammacca quel 'tegamino' sorridendo scherzoso. Dopo un anno getta via la retìna, di nascosto dai genitori, fino al giorno in cui tutti insieme decidono di liberarsi di quell'incomodo e primitivo 'affare' tutto ammaccato. La stessa nuova operazione è rimandata, non aveva nessuna voglia di farsi prendere un po' di osso alla gamba, per rimediare a quella mancanza. Così cresceva, senza problemi, superando le frustrazioni, anzi facendosi esonerare a scuola con piacere dalla ginnastica e da tutti gli impegni che i balilla dovevano assolvere il sabato. Da più grande, fu obbligato lo stesso a fornirsi della divisa di avanguardista ma per una ragione estetica, preferi quella di marinaretto della GIL, gioventù italiana del littorio. Sembrava proprio un bel marinaio! Ma fu di breve durata: venne il 25 luglio 1943 e tutto cambiò il suo corso, già la guerra in casa, lo sbarco in Sicilia, il bombardamento su Roma, San Lorenzo, avevano stravolto le cose, avevano portato quelle immagini da film dentro la realtà, le foto dei giornali sembravano di un altro mondo, le lunghe processioni dei profughi in Francia, in Polonia, in Russia, i carri armati germanici a Parigi, a Tobruck, le armi segrete, sembravano usciti dall'immaginario per invadere le strade, le città italiane; gli stessi movimenti sui camion dei cit18

tadini che esplodevano la gioia di essere usciti dalla dittatura e di essere alla vigilia di una pace imminente, avevano ai suoi occhi un aspetto metafisico. La fine di un regime per chi non aveva mai pensato ad una alternativa, appariva romanzesca e misteriosa, il Gran Consiglio, la decisione del Re, l'arresto e l'esilio di Mussolini, sembravano cose di un altro mondo, richiamavano altre avventure, racconti letti sul Vittorioso, su Mandrake sul Corriere dei piccoli o sugli albi di grandi avventure. Non parliamo delle traversie del duce, prigioniero in un'isola e poi sul Gran Sasso, con l'assalto di uno stukas tedesco per liberarlo. Le immagini dei cinegiornali creavano nuove leggende, Mussolini tutto vestito di nero, con un cappello nero in testa, non si sa se ridente o preoccupato e l'ufficiale liberatore, come l'eroe di un fumetto ... Forse pure a lui, il duce, in quei momenti, dovevano girare per la testa una serie di immagini amare, una tragedia luttuosa, tra teatro e finzione, in un senso di morte imminente, nonostante gli abbracci. Il senso di una festa tenebrosa, segnava di nero quei giorni, precipitando in tragedia. Roma occupata militarmente dai tedeschi respirava a fatica, le notizie arrivavano soffocate, i giornali uscivano con poche pagine censurate. Nel marzo 44 la bomba di via Rasella scosse l'atmosfera ma la notizia dei rastrellamenti e la rappresaglia tedesca occupò solo poche righe. Lo stesso accadde quando un aereo sconosciuto bombardò Monteverde, senza gravi danni, ma facendo saltare tutti i vetri della casa dove il ragazzo abitava. I cinema funzionavano sin dalla mattina, e quella mattina al Barberini si proiettava La moglie del fornaio di Pagnol, interrotto per l'allarme, proprio nelle scene più osè; ma quelle immagini proiettate gli entrarono nella memoria, con Raimu e Ginette Ledere, mai tanto seduttiva, bellissima, in una Francia che anticipava il neorealismo 19

nella linea di Toni di Renoir, associandosi per sempre con la guerra. Strana guerra per il ragazzo esonerato dal servizio militare per quella 'mancanza di ossa a tutto spessore', una guerra di posizione, vissuta in città, cercando di evitare i rastrellamenù e le minacce di arruolamento, (nonostante non avesse ancora 15 anni era alto e robusto), nascondendosi come in un film poliziesco, una guerra sempre continuamente presente, anche se sul fronte della retrovia. Per un insieme di circostanze infatti, dopo il bombardamento, il padre che era ricoverato nell'ospedale di Pisa, insiste perché almeno i due figli, quello grande e il più piccolo di sette anni, si trasferissero nella casa di Bagni di Lucca e predispone un trasporto immediato, approfittando di una occasione. La madre e il resto sarebbero venuù in seguito. Altra tragedia, questa volta familiare, altre discussioni al telefono, altre decisioni sbagliate. Bagni di Lucca in piena Garfagnana, in Toscana, era zona di guerra; al ritorno dall'ospedale il padre viene deportato in Germania e il ragazzo, preso dalla Todt, costretto a scavare trincee per i tedeschi. Roma viene liberata dagli americani, l'Italia divisa in due. L'awentura entra, come nei racconti a fumetù: Cino e Franco escono dal giornalino e diventano reali, due fratelli nella tempesta a decidere il da farsi. Così in un camion di fortuna, insieme a materiali edili, sfidando anche un aereo che mitragliava a distanza, verso Bologna. Bologna, estate: la prima immagine, un carretto pieno di pesche, gialle, mature, odorose. Un grande spazio, molte tende, con gente ammassata dovunque e una grande cucina militare fumante e un odore di cibo. Lo stadio di Bologna con un grande Mussolini a cavallo, e un ritornello di Malaparte non si sa se ironico o ammiraùvo, 'canta il galbJ e il duce 11wnta a cavalbJ'. Tutto si confonde, le immagini reali e l'im20

maginario, quella traversata sul camion ricorda altri film, film visti e non visti, cinema senza storia e storia senza cinema, strade polverose e immagini documentarie, il camion di Ossessione e la gente sugli argini del Po e il camion di Furore per la lunga odissea, tra letteratura e cinema, durante la Grande Depressione nel New Dea! roosveltiano. Uomini, donne, l'odore del brodo, sembrava un campo di smistamento, un luogo prowisorio per i 'profughi dalle terre invase'. Bologna anticipava la storia, precorreva gli eventi, sembrava un sogno, un incubo, una storia inventata, da scrivere e da vivere. Cino e Franco continua; all'imbrunire, i due fratelli pensano di fuggire e non visti trascinandosi le due valige con le quali erano partiti, entrano nella città. E qui tutto accade come in un'awentura a puntate, grazie all'aiuto di un sacerdote; prima di notte vengono accolti in una casa, a via San Vitale - piccola, bianca in un lungo cortile con due uscite - che la padrona, una vecchia signora gentile, concede per evitare la requisizione da parte tedesca. 'Profughi dalle terre invase', questo significava anche un assegno per vivere, una cifra e una tessera per mangiare e un quintale di farina. Da qui la parentesi bolognese. Bombardamenti, la città che si difende nel centro, mattoni chiudono le arcate dei portici, sacchetti di sabbia trasformano le strade in sentieri di guerra, i rastrellamenti continuano e i rifugi si trovano durante gli allarmi anche sopra le torri. Le radio, quella vera e quella clandestina, spesso confondono le notizie, la guerra si sposta sul Reno ma il Reno scorre anche in Germania. A Bologna i cinema presentano i primi film della nuova produzione veneziana, dove Cinecittà diviene Cinevillaggio, Aeroportc, che secondo i giornali doveva glorificare l'ala littoria dopo il 'tradimento', è un triste, disperato film di sconfitta, sconfitta che serpeggia dapertutto, nonostante le 21

promesse delle V2, l'arma segreta del Reich e le deliranti dichiarazioni di sucesso. Bologna è nella repubblica di Mussolini, ma il duce non c'è. Il giornale La Stampa esce con un editoriale "Se ci sei batù un colponche rovescia il fronte della finzione e dice una volta per tutte che la fine è alle porte. A prescindere dalla guerra lo scricchiollo dell'edificio si poteva awertire anche in quelle allucinanù riforme che sapevano di socialismo, che volevano riannodare i fili di una presunta socialità del fascismo originario, facendo intravedere a chi non ne aveva avuto notizia, un fascismo rivoluzionario con tanto di socializzazione e carta del lavoro, quando tutto crollava e cominciavano i primi scioperi e gli operai difendevano i macchinari che i tedeschi tentavano di portare in Germania. Ancora una volta la realtà precede le immagini filmiche, anticipa le puntate dell'Età del ferro di Rossellini e documenta una storia troppo spesso dimenticata. Storia e finzione. Giorni che sembrano secoli, giorni anche di letture, di iniziazione a una cultura, giorni passati in libreria, da Rizzoli a leggere e sfogliare, a comprare e rubacchiare qualche libro, Huysman, Renan, Bontempelli, Dostoevskij, Tolstoj, Kafka ... Tutti i libri Frassinelli - piccoli e grandi - con L'Annata a Caval/Q di Babel, e gli Einaudi, Loisy Le origini del Cristianesimo e gli altri della collana Biblioteca Storica. Erano passaù undici mesi che parevano eterni, senza notizie da casa, ma, come canta Brecht, la notte eterna non è. Il 27 aprile si torna a Roma, in una lunga tradotta militare di due giorni e al tramonto, scendendo dal treno, quando la luce rossa del cielo invade il quartiere, un carretùno fa ritorno a Monteverde con un carico di libri. La notte è passata. Anche il padre, ammaccato e un pò mal ridotto, rientra a casa. A diassette anni, il ritorno a scuola, secondo ginnasio, è divertente. Si ricominciava. Nei giorni che 22

seguirono, non restava che finire di leggere Loisy, dedicarsi a tradurre dal greco in fr,.incipio era il verbo, approfondire Pascal, Renan e Ricciotti, ricercare nei I grandi iniziati la premessa per cercare di meglio capire. A scuola, attraverso Labriola, il manifesto del partito comunista entrò nelle discussioni giovanili, formò una coscienza materialista, accese di interessi e di dubbi. Come il discorso sul bello esemplificato tra Cranach e Botticelli, da quel Saper vedere di Marangoni che trasformò le discussioni in ricerche continue di approfondimenti. Così le cose parevano innervarsi in percorsi compiuti, le stesse immagini di un immaginario prima confuso, ora coglievano la sostanza e si costituivano in lezioni, segnavano critica e giudizio, entravano in una organicità semantica e con della Volpe acquisivano que11a polisemicità che doveva rivelare il rigore del discorso poetico e la necessità di una interpretazione. Più avanti, altre convergenze, altri discorsi, attraverso Lacan o Foucault, più che attraverso Barthes o Greimas, accordavano dialetticamente l'esigenza di un'autonomia del testo e la sua alterità costitutiva. Della Volpe fu il 'padre', la scoperta di un diverso sentiero, la conferma filosofica che il pensiero di Barbaro, la sua 'poesia del cinema', il suo tenace modo di leggere l'opera filmica, già poneva le premesse per una nuova estetica, per un risarcimento dell'arte, adeguato a leggere e interpretare anche 'a sinistra' oltre la ottusa stagione dei contenutismi. Contro i quali battersi, anche con una rivista che voleva rovesciare un sistema, anche attraverso una rottura con la critica ufficiale. Difficile impresa, neanche supportata dagli uffici politici dei partiti de11a sinistra, timorosi di rovesciare le posizioni e di entrare nelle pieghe di discorsi che, peraltro, già riempivano i circoli e le culture che venivano da altri paesi. Dall' URSS soprattutto, dove la stagione dei

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formalisti e le battaglie dei primi anni venti, già avevano preparato il terreno; Ejzenstejn con la sua monumentale scrittura che proponeva, nel riprendere Dickens in mano, una lettura controcorrente della Nascita di una nazione, una lettura tutta filmica, tutta radiosa, intesa a valorizzarne la forma. Del resto la sua estetica, variando i toni e toccando musica, letteratura, teatro, come pure i suoi grandi film, La corazzata Potemkin, o la saga di Ivan, nonostante le accuse furiose, mosse dal Comitato Centrale, alla 'sentinella che si era perduta a guardare le stelle', partecipavano a questa rivoluzione, a questo nuovo strutturalismo. Kulesov, i kinoki, Vertov, Pudovkin, la genialità di Ejzenstejn n_on erano apparsi dall'aria o dall'acqua, come scrive Sklovsk.ij, ma come un logico compimento dell'opera del Lef, del Fronte sinistro delle arti. È tutto un secolo che si muove, che ribalta e conclude nella forma del film, l'arte del XX secolo, che dà vita a un diverso sentire, ragionare, pensare. Il cinema allarga i modi dell'espressione, in un certo senso apre, assieme alla psicanalisi, le porte al pensiero, a una nuova forma di filosofia, a un parlare diverso, con un linguaggio apparentemente più diretto, e preciso, sottostando alle regole del guardare e riflettere, trascinando il punto di vista nella materia, dentro la quale sentimento ed emozione si congiungono; e in tutto questo conservando i misteri del pensiero segreto, conservando tutte le sfumature dell'ambiguità, lasciando intatte, in quel modo apparente di oggettivizzare, tutte le sfumature di un pensiero nascosto, che conserva, anche così, il fluido e l'inganno, la verità e il dubbio. Vede Ruma città aperta e si trova proiettato nella Roma occupata che aveva visto con l'occhio della immaginazione durante i giorni di Bologna. Vede piazza di Spagna deserta, vede i movimenti misteriosi della resistenza che si forma, vede la vita quotidia-

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na che aveva awertito, come in un film, vede il fascino di quei personaggi di popolo, sognati o immaginati quando improwisamente gli era apparso Ossessùme, in quel cinema sotto i porùci, quasi deserto, in un'altra città 'occupata', il campetto di calcio del Tiburtino dove andava a vedere giocare i compagni di scuola; e rivede la Magnani di Campo di fam e Aldo Fabrizi di Avanti c'è posto. Un mondo di cinema 'alla rovescia'. Il segno è cambiato, entrano come soggetti, visi e volti scavati, segnati di vero. Il dramma delle Fosse Ardeatine, aleggia per tutto il film. Con Giuliana, una ragazza sua amica, estrosa e dai gesti improwisi, vanno a visitare quel luogo del)' orrore, sull'Appia. La cronaca diventa storia, quei nomi, quelle facce, quei giovani uccisi guardano dalle fotografie, fermati in un attimo spensierato; raggelati in uno sguardo ottuso, calato nel vuoto, costruiscono una rete di pensieri, di storie familiari, di emozioni. Entrano quelle facce in un immaginario terribile, sottraggono senso e allo stesso tempo si arricchiscono di senso. 'La morte è ciò che non si vede e non si rappresenta', scrive Nancy; la morte è nell'aria, è nel respiro di quelle persone viventi che affollano in visita e in quei volti di persone separate dalla vita, senza espressioni; la morte è qualcosa di irrapresentabile, quella terra delle cave, che ancora odora dei corpi sepolti, quel luogo che ancora rimbomba dei passi inaudibili delle SS, lo spazio rivoltato come un'orbita vuota. Il ragazzo non trattiene le lacrime, vede attorno a sè altri mondi, altre immagini, le lacrime della madre di /ntolerance, la disperazione di Anna Magnani uccisa nella corsa dietro il camion, le lacrime di Anna Karina di Vi-im sa vie, la morte di Edmund in Gennania anno uro, immagini viste o immaginate, sempre dentro quello sguardo futuro che intreccia i sogni; si commuove come Giuliana, si abbracciano, ciascuno con i propri pen-

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sieri. Dice Giuliana, ancora con le lacrime agli occhi, 'ho voglia di fare l'amore, ho voglia di te'. Dove andare? La richiesta lo coglie impreparato, gli ricorda per un momento la storia di Anna, nella piccola sala del cinema Centrale, in via Poli, proprio incontro alla libreria dove andava per pomiciare con la bella commessa. Al cinema tutto era andato bene, i baci le carezze e gli abbracci, ma a casa di Anna spogliati, nel letto, si era infiltrato tra di loro, come un gelo di estraneità. Ora la cosa si ripeteva, alla domanda dove andare, Giuliana aveva risposto portandolo in via Frattina, da una signora che affittava le stanze. E nel letto, dopo quei primi rituali, accade la stessa cosa, la stessa improvvisa estraneità di un corpo che sentiva asciutto, inerte,con la stessa mancanza di desideri. Per molti giorni lo prese un senso di paura, di impotenza che si materializzava in casti pensieri di amore platonico, ai quali voleva reagire. Qualche giorno dopo, di pomeriggio va a leggere qualche rivista e a sfogliare qualche libro di cinema nella sede dei Circoli del cinema in via Nazionale. La lettura del libro di Casiraghi Stroheim e altri saggi lo tiene inchiodato per ore. Quando la lettura finisce sono le otto di sera. Gli uffici vuoti, solo Maria, la segretaria, dice di far presto perché deve chiudere. In quel momento la donna gli parve bellissima, un viso chiaro, giovane, anche se più grande di lui, gli ricordava quei bei volti di ragazze sovietiche, viste nei film, senza trucco, radiose, nel modo di parlare e di sorridere. La voglia di abbracciarla lo prese di improvviso; anche Maria accetta i suoi baci, i suoi abbracci. Restano per un attimo in silenzio, così, avvinghiati, mentre le mani di lui si stringono al seno, e la mano della donna sfiora il suo sesso. Lui si toglie la giacca, si apre la camicia, mentre lei si sfila il pullover e si slaccia la gonna: per un momento si osservano con ansia, poi si spogliano e si sdraiano,

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abbracciati per terra, su un largo tappeto, pieni di calore, di furia, di affetto come se si conoscessero profondamente. Un amore. Un amore che si ripete ogni sera per almeno due settimane. Insieme, l'uno sull'altra, in una intimità senza prospettiva, in un punto di fuga che coinvolge l'immaginario, la felicità, l'estasi. Entrare in un corpo, sciogliersi dentro senza respiro, con affanno, e poi nella calma silenziosa in cui si awertono gli scricchiolii dei mobili, il peso del silenzio, in un appartamento sconosciuto, ritrovare il gesto affettuoso, accarezzarsi con tenerezza, dilatare il tempo. Baudelaire, Rimbaud, Truffaut, Godard, tutto un universo di immagini si muove attorno, La JemtM mariée, Vivre sa vie, Le due inglesi e il cqn,tirumte, Les jleurs du ma~ Le bateau ivre, entrano nella descrizione dei gesti d'amore, come lampi improwisi di film ancora non visti, di poesie non lette, di parole non pronunciate. Ieri, oggi, domani in un viaggio nel mondo, senza atlanti, senza percorsi previsti, fuori dall'ordine temporale, attratti da forme immaginarie, da visioni pulsanti. Vengono in mente le parole scritte da Turroni, nel raccogliere i suoi saggi sul cinema "Questo è un romanzo, scritto in tanti anni, secondo una doppia dimensione di spazio e di tempo. Scritto perché ero attratto dalle forme affascinanti e vaste (come dicono Adorno e Godard ... ) di un modo moderno e polivalente di fare del cinema, che poi toccava sensi in più, nel campo della letteratura, della fotografia, dell'arte". Il cinema, la letteratura, l'arte, entrano nel discorso, nella pagina scritta, si intromettono senza età, in un prima e in un dopo, senza ordine, dimensione, raccordi. Si intromettono come pensiero, come mondo che ti appartiene, come forma dell' esistenza, come parte di te. Il tuo continente, la storia, la commedia, il dramma, la tua Weltanshauung. 27

Cinema e letteratura, anche Ejzenstejn inizia con Dickens e il cinema americano, per definire il linguaggio del cinema, per recare, afferrare, considerare il concetto del nuovo linguaggio, per accedere a un discorso teorico più valente, preciso e rigoroso. 'Dickens e noi', per entrare nella materia: "Fu la cuccuma, ad incominciare ... ". Prende Dickens, sfoglia il suo The Criclut on the Hearth: "Fu la cuccuma, ad incominciare .. . Che cosa potrebbe essere più lontano dai film! Treni, cow-boys, inseguimenti... E The Criclut on the Hearth) Fu la cuccuma ad incominciare! Ma per quanto possa sembrare strano anche i film stavano bollendo in quella cuccuma". Da qui, da Dickens, dal romanzo dell'epoca Vittoriana, nascono le prime inquadrature dell'estetica del film americano, legate per sempre al nome di David Wark Griffith. "Fu la cuccuma ad incominciare. Non appena ci accorgiamo che la cuccuma è un tipico Primo Piano, esclamiamo: 'perché non ce ne siamo accorti prima?' Quante volte abbiamo visto un simile primo piano all'inizio di una sequenza, di un episodio o di tutto un film di Griffith? Un primo piano saturo di quella tipica atmosfera dickensiana". Così, l'intricato percorso del nuovo si riallaccia al classico, si nutre di una cultura consolidata, muove in avanti, trasportandosi appresso la letteratura, almeno nel modo di guardare più che di raccontare, di vedere, di ingrandire il dettaglio, di entrare 'dentro' il fatto. Anche Barbaro, nella sua teoria del cinema, parte dalla letteratura. Parte da Leopardi per definire l'importanza del montaggio, di quello che Pudovkin definiva lo specifico del film. Parte da Leopardi dell'Infinito dal "Sempre caro mi fu quell'errrUJ col/è' per arrivare, alterando l'ordine delle parole, a Cara sempre mi fu questa collina o a "Caro sempre mi fu questo colle ermd' per dimostrare il valore, creativo, poetico, proprio del montaggio. "Stesso soggetto, stes-

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sa visione particolare, ma ben diversa visione del mondo; dov'è la poesia? Forse nel soggetto, nella imitazione o nella forma? O non piuttosto, come tutti sanno, e tutti in fin dei conti dicono, nella somma di questi due precedenti che, si badi, esprimono 'tutto l'umano destino, tutte le speranze, le illusioni, le gioie le grandezze e le miserie umane?'(Croce) . Riaffiorano nella mente le immagini perdute, i gesti, le azioni compiute come esperienza indiretta, cinema e realtà costituiscono un patrimonio di memorie, di ricordi, che affiorano improvvisi. C'è una osservazione di Mare Augè ne Les j