Delucidazione sui sacrifici. Testo francese a fronte. Ediz. bilingue 9788885454019

Una dissertazione sul significato religioso del "Sacrificio" compiuta da uno dei massimi pensatori dell'O

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Delucidazione sui sacrifici. Testo francese a fronte. Ediz. bilingue
 9788885454019

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EDIZIONE BILINGUE

Traduzione di ALICE ALMONTI Supervisione editoriale di FARIS LA COLA

jOSEPH DE MAISTRE

(1753"1821) Vivace pensatore a cavallo tra due secoli, il Conte de Maistre è stato Ambasciatore del Re di

Sardegna in Russia, reggente della Cancelleria del Regno, Senatore e Ministro di Stato. Autore delle famose Soirées de

Saint-Pétersbourg, ha scritto trattati e saggi sulla sovranità, la regalità e il potere, sul Pa­ pato e la Rivoluzione francese, spaziando tra dottrina politica, religione, esoterismo.

È

considerato uno degli asser­

tori della Metapolitica, ovvero della radice metafisica di ogni potere leggittimamente eserci­ tato sulla terra.

È stato inoltre,

come riporta l'Enciclopedia

Treccani del 1934, uno dei primi a riabilitare il Medioevo. Nato in Savoia da famiglia originaria

della

Contea

di

Nizza, si è sempre considerato un Italiano di lingua francese.

jOSEPH

DE

MAISTRE

DELUCIDAZIONE SUI SACRJFICI prefazione di

FRANCO CARDINI

traduzione di

ALICE ALMONTI

- testo originale a fronte -

Sanremo MMXV!l

Delucidazione sui sacrifici

I edizione Lo Studiolo �017 a cura di F. La Cola Traduzione di A. Almonti Edizione originale:

Éclaircissement sur !es sacrifices (r8�r)

con il patrocinio morale della S.I.DE.F Società Italiana dei Francesisti

L'editore desidera ringraziare: il prefatore, Chiarissimo Prof. Franco Cardini la traduttrice, dott.ssa Alice Almonti i redattori de Lo Studiolo

Paolo Romeo, Marilena Vesco, Fabio Barricalla

© lOI7

Lo Studiolo / C.C.B.F.

Printed in Italy Lo Studiolo presso l'Accademia della Pigna Piazza del Capitolo, r - r8o38 Sanremo Email: [email protected] - Tel. or84.5011J� www.accademiadellapigna.weebly .com/lo-studiolo ISBN 978-88-85454-01-9

SOMMARIO

Prefazione

di Franco Cardini...............................................................

Nota alla traduzione.................................................................................... Delucidazione sui sacrifici

Capitolo I

.......................................................................................................

Note al cap. l

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VII XIX

4

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Capitolo II ........ .. .. . . . .. .. .. . ............ .. . .. . 31 . . . . .. .. ... . . . . .. .... . ... . .. . . .. . . ... ... .... .. ...... 68 .

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Note al cap. ll

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Capitolo III . . . . . .. . ... . . .. .. . . . .. .. .. .... ... .... .. ... .. . . . .... ... ... .... . . .... .... . .... . . . .. Note al cap. lll .... .. .. . . ... . .

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Nota bibliografica .. . .... . .

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96 105

PREFAZIONE

Nonostante l'immensa bibliografia esistente sul conte joseph de Maistre•, è singolare come a proposito del suo pensiero continui a sussistere - anche tra gli stu­ diosi: salvo, s'intende, gli specialisti in strettissimo senso - un singolare equivoco. Da una parte, la sia pur affascinata - ma persistente

-

damnatio memoriae di chi

lo considera l'iniziatore e il principale responsabile d'un «pensiero reazionario» fondato su una visione cosmico­ apocalittica del cattolicesimo e su un profondo pessimi­ smo - di stampo hobbesiano - sulla natura umana: pre­ supposto che in seguito, attraverso alcuni aspetti del romanticismo soprattutto francese e tedesco o pensatori come un de Bonald o un Donoso Cortés2, sarebbe perve­ nuto fino a Carl Schmitt3: e costituirebbe magari, per­ tanto, il tramite obiettivo e neppur troppo occulto - ma neppure da intendersi univocamente e deterministica­ mente: al contrario... - fra tradizionalismo cattolico, «rivoluzione conservatrice» e totalitarismo nazionalso­ cialista4. Dall'altra, il profondo sospetto e la persistente censura di chi ne assolutizza - secondo una visione sostanzialmente antistorica - il legame col mondo illu­ ministico e col pensiero massonico mostrando d'ignora­ re o di non voler accettare il fatto che tra essi e la Chiesa cattolica v'è stata una dialettica complessa, e che non si possa pertanto parlare in termini totalizzanti di estra­ neità o di opposizione. In effetti, quel che va: sottolineato del de Maistre è anzitutto la dinamica di un pensiero tutt'altro che immobile e monolitico, ma che anzi attraversa con gran-

-V II-

de sensibilità i burrascosi decenni a cavallo tra i due secoli davvero, com'è stato detto, «l'un contro l'altro armato»: il dato finale che emerge da una lettura stori� camente ordinata delle sue opere è forse quello di un pessimismo nichilistico sull'uomo, che coincide con un senso profondo dell'onnipotenza di un Dio deciso, nel Suo piano di redenzione, a salvarlo addirittura "contro" di lui, per quanto ben fermo resti in de Maistre come in ogni cattolico non disposto a rinunziar a restare tale l'agostiniano Deus, qui creavit te sine te, non servabit te sine

te5, Nato nel 1753 a Chambéry da una famiglia savoiarda d'origine provenzale e partecipe quindi dei malumori della piccola noblesse d'épée ( magari adattatasi a riciclar� si in quella de toge) nei confronti delle monarchie asso� lute che avevano contratto e ridotto i privilegi e le fun� zioni feudali e

isolato le aristocrazie

per appoggiarsi

piuttosto alle borghesie imprenditoriali e intellettuali quei malumori che in Francia avrebbero avuto espres� sione in scritti come La noblesse militaire dello chevalier d'Arcq - e allievo dei padri gesuiti nella prestigiosa Congregazione dell'Assunta di Chambéry, il giovane joseph, piegatosi alla necessità degli studi di diritto nell'Università di Torino e della carriera in magistratu� ra, aveva aderito ventunenne alla massoneria ed era divenuto «grande oratore» della loggia dei Trois

Mortiers dipendente dalla Grande Loggia d'Inghilterra. Il suo ingresso nella "Società dei Liberi Muratori" aveva avuto luogo proprio all'indomani dello scioglimento della Compagnia voluto nel I773 da Clemente XIV; egli era ormai gradualmente divenuto convinto assertore della possibilità di giungere - come esplicitamente aveva scritto in un memoriale del J78l

-

all'unione di

tutte le Chiese in un cristianesimo finalmente purifica� -VIII-

to dal peso degli errori e degli orrori della storia nonché delle superfetazioni teologiche, liturgiche, giuridiche e disciplinari. Era la grande speranza condivisa, con innu­ merevoli varianti, da molti statisti, filosofi e anche ecclesiastici di quel tempo: e anche dopo il suo allonta­ namento dalle organizzazioni massoniche il pensiero del de Maistre avrebbe continuato a ruotare attorno al sogno d'un ut unum sint di tutti i cristiani ravvivato dal e sostanziato del riferimento a una philosophia perennis della quale il Vangelo sarebbe stata espressione alta­ mente compendiosa e fondante, e il pensiero ermetico manifestazione filosofica costante d'unità profonda del genere umano e dell'unica Tradizione primordiale6 , sia pur «sotto il velame» delle molteplici tradizioni connes­ se col multiforme e ramificato processo storico di diffe­ renziazione delle civiltà, dei linguaggi, dei miti, dei riti, delle istituzioni. Nel 178z il de Maistre aveva partecipa­ to al convegno di Wilhelmsbad della federazione mas­ sonica europea presentando un Mémoire au due de

Brunswick che appoggiava le tendenze "illuminate" e la visione mistico-esoterica della "missione" della masso­ neria nel mondo, contro le tesi razionalistiche, tolleran­ tistiche, cosmopolitiche destinate per contro a conferire al sodalizio massonico il suo segno prevalente.

È

noto

come il de Maistre molto apprezzasse le tesi di Louis­ Claude de Saint-Martin: e le posizioni maistriane sono in effetti molto vicine a quelle martiniste. In questo

Mémoire si negavano con decisione sia la tesi dell'origi­ ne templare della massoneria, sia quella dell'esistenza dei cosiddetti «Superiori Sconosciuti» - entrambi temi caratteristici della cosiddetta Stretta Osservanza -, sia quella delle iniziazioni egizia e greca come fondamenti di quella massonica, che veniva invece ricondotta al cri­ stianesimo primitivo e alle corporazioni medievali dei -IX-

costruttori di cattedrali. Come più o meno tutti coloro che condividevano la sua condizione e la sua cultura, il conte de Maistre vide con favore la convocazione degli Stati Generali e assisté con apprensione ma anche con speranza alla primissi� ma fase della rivoluzione francese; ma gli sviluppi di essa, e soprattutto l'invasione e l'annessione alla Francia della Savoia, nel fatidico

'92,

s'incaricarono di fargli

cambiare, al riguardo, radicalmente idea. Esule ad Aosta e poi a Losanna, nelle sue Considérations sur la France, del

'961,

in risposta a uno scritto di Benjamin Constant8, e

più ancora nelle Réflexions sur le protestantisme dans ses

rapports avec la souveraineté, dell'anno successivo, egli partiva da una critica alla rivoluzione fondata su argo� menti ispirati a quelli di Edmund Burke per allargare il discorso al rapporto tra cristianesimo e origini di quella modernità che appariva ormai evidentemente fondata sui principi contrattualistici da una parte, sull'astratto razionalismo del pensiero rivoluzionario - d'altronde ben radicato in quello dei philosophes ch'egli aveva pur considerato in modo non negativo negli anni preceden� ti - e approfondire la ricerca sul legame esistente tra il principio riformato del «libero esame» della Scrittura e lo spirito rivoluzionario. E qui il giudizio del de Maistre coincide a proposito del nesso tra Riforma e Rivoluzione con quello di madame de Stael: con una valutazione, beninteso, di segno opposto. L'avversione del de Maistre nei confronti dei princi� pi e degli sviluppi della repubblica nata dalla rivoluzio� ne era in effetti ormai assoluta e irrevocabile, e la sua fama, dopo la pubblicazioni delle Considérations

-

che il

Lamartine avrebbe definito «grido d'Isaia al popolo di Dio» - straordinariamente diffusa: tanto che il Diret� torio stesso si occupò di lui facendo in modo, attraverso -X -

forti pressioni sul governo piemontese, che fosse espul­ so da Losanna. Rientrato in Torino, dopo una breve esperienza di funzionario in Sardegna e

un tentativo

tempestoso di collaborazione col viceré Carlo Felice, fratello di Vittorio Emanuele I, il conte venne da que­ st'ultimo - a sua volta ormai esule a Roma inviato nel r8oo come ministro plenipotenziario, a San Pietroburgo, sede ch'egli in effetti raggiunse solo nella primavera del r8o3

9,

Là nel profondo nord, tra le splendide architetture volute da Pietro il Grande e da Caterina II, il conte savoiardo s'illuse forse, per alcuni anni, d'aver trovato infine, se non proprio la patria ideale, almeno la città e l'ambiente d'elezione. A San Pietroburgo il de Maistre ritrovò i suoi amati e mai dimenticati maestri, i gesuiti: dal momento che la compagnia, nel 1773, era stata man-

·

tenuta sia in Prussia che in Russia per volontà di Federico II e di Caterina II, e il precettore dello czar Paolo I, padre di Alessandro I, era il gesuita Griiber, amico del de Maistre. Nel contesto cosmopolitico e permeato di afflati mistici e misteriosofici della splendida capitale dello czar Alessandro, egli poté proseguire e perfezionare le sue riflessioni sul traviamento della società moderna e sulla necessità d'un rinnovamento religioso che radical­ mente rifondasse i rapporti tra le genti del mondo: ma come si vede bene nelle Soirées de Saint-Pétersbourg10 e ancor meglio nel trattato Du pape

(peraltro

entrambe

pubblicate solo più tardi, tra '19 e '11) - tale rinnovamen­ to si andava ormai configurando come una restaurazio­ ne del cattolicesimo e una ridefinizione dell'intesa tra i governi e i popoli che non avrebbe potuto astrarre dalla necessità del supremo potere mediatore e regolatore del pontefice. In tal modo, il de Maistre si poneva in un'ot-

-

XI

-

tica che andava ben al di là delle prospettive controrifor� mistiche e che pareva semmai guardare alle tesi dell'Unam Sanctam di Bonifacio VIU e al monarchismo pontificio espresso da Pio II. Nel contesto della pace di Presburgo, che cancellava dall'Europa il nome stesso di Sacro Romano Impero mentre il pontefice romano pare� va piegarsi consenziente all'impero liberale e neocristia� no d'un parvenu dalle giovanili e mai del tutto dimenti� cate simpatie robespierriane, la concezione maistriana appariva tanto inattuale ed eversiva quanto radicale. E non adatta, ça va sans dire, neppure a

suscitar le

simpatie dell'autocratico czar Alessandro I, che- alme� no tra l'incontro di Tilsit con Napoleone nel giugno del 1807 e l'invasione francese delx8x:z - aveva sognato una diarchia europea fondata su un asse tra San Pietroburgo e Parigi, e che d'altronde era a sua volta protettore e addirittura promotore d'una sorta di ecumenismo a sfondo mistico�ortodosso. Se per certi riguardi le tesi maistriane e i vagheggiamenti dello czar potevano avere non pochi punti di contatto, restava tuttavia lo scoglio dell'egemonia progettata, che il conte savoiardo attri� buiva senza esitazione al papa e l'autocrate di tutte le Russie rivendicava alla Chiesa ortodossa e quindi a se stesso come suo capo. Alla vigilia della guerra franco�russa originata dal� l'aggressione napoleonica del giugno x8x:z, Alessandro allontanato

dal

governo

il

ministro

riformatore

Speranskij - aveva proposto al de Maistre di passare al suo servizio: ma i tumultuosi avvenimenti degli anni successivi e l'ulteriore sterzata in senso mistico�esoteri� co dello czar resero la vagheggiata collaborazione impensabile. Gli anni della riscossa cristiana contro l'Anticristo giacobino erano finiti: e, dalla rinnovata contesa per l'egemonia sulla Cristianità o quel che ne -XII-

restava all'incipiente scontro fra cattolici e ortodossi in Terrasanta, l'idillio tra i fedeli del papa di Roma e quel­ li della Chiesa ortodossa stretta attorno al suo padre· padrone incoronato era tramontato. La Compagnia di Gesù, che la czarina aveva protetto nel 1773, fu espulsa dal territorio dell'impero; e joseph de Maistre, ora defi­ nito negli ambienti di corte «bigotto e più che gesuita», sostanzialmente invitato ad andarsene: per quanto gli si consentisse di salvar la faccia chiedendo formalmente di venir richiamato in patria. Nelx817 il conte rientrò a Torino, dove trascorse gli ultimi anni della sua per quei tempi non breve esistenza e si spense in un altro anno fatidico per la nuova Europa, il

'

:z1,

circondato ormai dalla fama e dalla venerazione di

tutti coloro che a qualunque titolo avevano visto con favore l'avviarsi della cosiddetta Restaurazione, ma con· vinto che essa riposasse su un inquieto vulcano che si sarebbe presto risvegliato. Come sappiamo, fu buon pro· feta. Gli era del tutto sfuggito il reale problema politico della restaurazione, cioè la necessità di conciliare quel che della rivoluzione e dell'avventura napoleonica appa· riva ormai irreversibile con le istanze del ritorno al legittimismo e all'ordine monarchico·divino. Ma aveva compreso chiaramente - partendo da istanze ormai tal· mente radicali da imbarazzare i suoi stessi sostenitori e gli oggetti privilegiati di esse, i monarchi tornati sui loro troni - che il compromesso non sarebbe riuscito e che il suo fallimento era solo questione di tempo11 •

A uno scritto lucido e desolato nella sostanza, la let· tera dedicata allo czar Alessandro I Sur l'état du christia·

nisme en Europe edita nel '19 - l'anno stesso nel quale, a Lione, veniva pubblicato il saggio Du pape - l'ormai anziano diplomatico e pensatore aveva affidato le sue inquietudini per tanti versi anticipatrici, anzi fondanti, -XIII-

del Kulturpessimismus che avrebbe caratterizzato tanta parte del pensiero europeo dei secoli XIX e XX. La migliore, forse. Il concetto maistriano di sovranità è legato alla dimensione dell'imperscrutabile disegno divino, della Tradizione che si afferma attraverso le culture tradizio� nali dei differenti popoli, i riti che le caratterizzano e le leggi che ne costituiscono l'espressione razionale e quin� di la sovranità, che equivale necessariamente al diritto al potere (indipendentemente dal suo esercizio) e quindi al diritto al decidere. Alla Chiesa spetta la decisione ulti� ma e inappellabile, quindi la plenitudo potestatis in termi� ni d'infallibilità: anzi, infallibilità e sovranità sono «per� faitement synonymes», come egli afferma nel Du pape. A parte la suprema inappellabilità della Chiesa, qualun� que potere statale, in quanto tale, è infallibile: e ogni governo è pertanto, per sua stessa natura, assoluto. Se il razionalismo illuministico ritiene l'uomo per sua natura rozzo e sciocco, ma educabile, e nel Contrat social del Rousseau- scritto in un periodo nel quale la tesi, censi� derata tipicamente rousseauiana, dell'uomo buono per natura non era ancora stata sviluppata - l'umanità può venir educata da un législateur, il de Maistre sostiene che solo la fedeltà al sovrano legittimo e l'osservanza delle leggi - pegno e garanzia dell'ordinarsi delle società umane alla volontà di Dio e al senso ch'Egli ha impres� so al mondo - possono costituire lo stabile fondamento d'ogni compagine umana. Tuttavia, è importante rileggere gli scritti politici - e non solo ... - di]ospeh de Maistre in una prospettiva sto� rica, cogliendone l'intimo processo di maturazione e la discontinuità che caratterizza inevitabilmente l'opera di tutti quelli che sono passati attraverso un avvenimento straordinario ed epocale come la grande rivoluzione -XIV-

avviata nel 1789 e l'avventura napoleonica: un lungo burrascoso periodo, durato oltre un quarto di secolo, e dal quale nulla e nessuno emerse come vi era entrato. Fra il trattato disomogeneo e incompiuto De la souverai­

neté du peuple, elaborato a partire dal 179412

-

ma se ne

trovano già tracce e anticipazioni nelle Lettres d'un roya·

liste savoisien à ses compatriotes, iniziate subito dopo l'ar­ rivo a Losanna-

e

l'Essai sur le principe générateur des con­

stitutions politiques, del 18n, non vi sono solo diciassette anni, ma quei diciassette anni: la fine cruenta della ditta­ tura robespierriana, la dittatura dei camaleonti di termi­ doro, il Consolato, l'Impero, la fondazione d'un nuovo disegno di "concordia" europea sotto l'egemonia france· se e il non troppo breve ancorché mai perfetto - e comunque fallito - idillio franco-russo. Il Du pape e le

Soirées costituiscono gli anelli di congiunzione tra la Souveraineté e il Principe générateur: il Rousseau e il Constant restano gli obiettivi polemici fondamentali, e il triangolo Rousseau·Constant·de Maistre sembra così configurarsi. Un triangolo di rapporto-opposizione già per cosl dire compendiante, in nuce, gli sviluppi politici del mondo contemporaneo: l'egalitarismo che condurrà a Marx e al totalitarismo collettivista (o quanto meno alla sua attuazione «reale») , il liberismo, il tradizionali­ smo fondato sul modello teocratico e suscettibile di un esito cattolico e comunitarista ma a sua volta non immune dalla tentazione totalitaria. FRANCO CARDINI

-xv-

NoTE

L'edizione delle opere del de Maistre è ancora: J. de Maistre, Oeuvres complètes, Vitte, Lyon 1884-93, 14 voli. (ristampa anasta­ tica in 7 voli., S1atkine, Génève 1979). Per l'aggiornamento biblio­ grafico si rinvia ai numeri della rivista "Études Maistriennes", che si pubblica da11975 a Chambéry.

2 Per il quale cfr. J. Donoso Cortés, Saggio sul cattoliciesimo, il libe­ ralismo e il socialismo, a c. di G Allegra, Rusconi, Milano 1972.

3 Cfr. soprattutto C. Schrnitt, Romanticismo politico, a c. di C. Galli, trad. it., Giuffrè, Milano 198 1 (soprattutto su Adam Miiller); C. Schrnitt, Donoso Cortés, a c. di P. Del santo, trad.it., Adelphi, Milano 1996 . Sul "decisionismo" maistriano come base della meditazione dello Schmitt, è importante vedere lo stesso C. Schrnitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in Idem, Le categorie del "politico", trad.it., Il Mulino, Bologna 1972, pp.75 86 -

.

4 Cfr.: J. Herf, Reactionary modernism, Cambridge University Press,

Cambridge 1984; E. Nolte, I presupposti storici del nazionalsocia­ lismo e la presa di potere del gennaio 1933, trad.it., Martinotti,

Milano 1998, ampiamente ricapito1ativo della problematica prece­ dente tanto deli'A. quanto di altri.

5 In questo senso resta rivelatrice la definizione del de Maistre fornita nel fondamentale studio di R. Triomphe, Joseph de Maistre. Étude sur la vie et la doctrine d'un matérialiste mystique, Droz, Génève

1968. Sul paradossale «cristianesimo» del de Maistre, nutrito di

pessimismo sulla natura umana e di temi gnosticio-pagani che lo rendono ostinato negatore di qualunque forma d'innocenza umana nella storia e

apologeta della guerra e della pena capitale come

forme di «sacrificio», hanno insistito autori come l'Omodeo o il Cioran rilevando il paradosso obiettivamente costituito dal fatto che da tali istanze, sovente più vicine a una sensibilità ebraica o pagana piuttosto che cristiana, abbia preso le mosse una delle cor­

6

renti più radicali del risveglio cattolico dell'Ottocento. Per questa dimensione filosofico-iniziatico-intellettuale, cfr. E. Zolla, Che cos'è la Tradizione, Ade1phi, Milano 1998; Idem, La filosofia perenne, Mondadori, Milano 1999.

1 Cfr. J. de Maistre, Considerazioni sulla Francia, a c. di M. Boffa,

-

XVI

-

trad. it., Editori Riuniti, Roma 1985.

8 Com'è noto, si tratta di La force du gouvernement, ora disponbilile in italiano: B. Constant, La forza del governo attuale. Sulla neces­

sità di uscire dalla Rivoluzione, a c. di M. Valensise, Donzelli, Roma 1996 . 9

Cfr. J. de Maistre, Napoleone, la Russia, l'Europa. Dispacci da Pietroburgo 1811-1813,

a c. di E. Galli della Loggia, trad. it.,

Donzelli, Roma 1944. 10

J. de Maistre,

Le serate di Pietroburgo, a c. di A. Cattabiani,

trad.it., Rusconi, Milano 1971.

Il Per il rapporto tra idee maistriane e Restaurazione resta importante A. Omodeo, Studi sul/ 'età della restaurazione, Torino, Einaudi, 1970, cfr, anche L. Marino, La filosofia della restaurazione,

Loescher, Torino 1978.

12 J. de Maistre, De la souveraineté du peuple. Un anti-contrat social,

éd. p. J.-L. Darcel, P.U.F., Paris 1992; da questa nuova edizione cri­

tica dipende la traduzione italiana, J. de Maistre, Della sovranità del popolo, a c. di R. Albani, Editoriale Scientifica, Napoli 1999.

-XVII -

CONTE SEN.)OSEPH DE MAISTRE (175J"18:u)

NoTA ALLA TRADUZIONE

La traduzione prosastica di un testo della prima metà del XIX secolo presuppone scelte traduttive precise, che accompagnino e vincolino il traduttore lungo tutto il processo, così da poter garantire all'enunciato l'integrità del proprio carattere originario e la medesima valenza di significato. La prosa di

J oseph

de Maistre si presenta prolissa,

ricca di proposizioni subordinate, digressioni e autore­ voli citazioni; pertanto il principio sul quale è fondato l'intero processo traduttivo è quello di rendere più flui­ da la lettura per il lettore moderno e ciò è ben visibile attraverso quelle che possono essere definite come 'macro scelte', in quanto si ripercuotono sulla comples­ sità del testo e sono volte a renderlo omogeneo, coeren­ te e coeso nella lingua d'arrivo o target language. Tra que­ ste rientrano la dislocazione sintattica di alcune frasi e la quasi totale sostituzione del punto e virgola con la virgo­ la, entrambe operate sia in quanto elementi culturospeci­ fici, sia per rendere più fluido l'enunciato nella lingua d'arrivo; la ripetizione dei medesimi connettori e in par­ ticolare dell'avverbio 'vi', per garantire coesione e uno stile univoco del testo; in ultimo, l'uso dei segni di inter­ punzione e della formattazione del testo di partenza o

source language, come d'intesa con l'editore, così da ren­ dere più agevole la lettura a fronte. A questi interventi sono strettamente connesse le sin­ gole scelte terminologiche, identificabili come 'micro scelte', poiché rispecchiano il principio succitato attra­ verso l'uso di un lessico moderno, conservando

un

regi­

stro linguistico formale senza stravolgere l'unità di senso degli enunciati. Tuttavia la particolare connotazione -XIX-

soggettiva che caratterizza questa fase del processo tra� duttivo è ben visibile: si vedano, a titolo d'esempio, la scelta del sostantivo 'sostituta' come traducente dell'ag� gettivo substituée ( p.

2.2.),

al fine di rafforzare il sostanti�

vo che lo precede in funzione della carica semantica del� l'enunciato; e la preferenza del termine 'primordiali' come traducente del francese primitifs

(p. 6), considerato

più adatto a veicolare il significato del concetto esposto. In ultimo, per quanto concerne la traduzione delle citazioni in versi presenti nel testo, non è stato adottato un metodo rivolto alla cura della struttura metrica del testo di partenza, preferendo piuttosto focalizzare l'atten� zione sull'unità di senso dell'enunciato.

Alice Almonti

-XX-

QUESTA EDIZIONE È DEDICATA ALLA CARA MEMORIA DELL'ACCADEMICO PIERANGELO BELTRAMINO

É CL A 1 R.C 1 S SEME NT SUR.

LES

SACR.IFICES

DELUCIDAZIONE SUl

SACR._IFICI

CHAPITRE 1 DES SACRIFICES

EN

GÉNÉRAL

Je n'adopte point l'axiome impie: «La crainte dans le monde imagina les dieux». Je me plais au contraire à remarquer que les hommes, en donnant à Dieu les noms qui expriment la grandeur, le pouvoir et la bonté, en l'appelant le Seigneur, le Maître, le Père, etc., montraient assez que l'idée de la divinité ne

pouvait être fille de la crainte. On peut observer encore que la musique, la poésie, la danse, en un mot tous les arts agréables, étaient appelés aux cérémonies du culte; et que l'idée d'allégresse se mêla toujours si intimement à celle de fête, que ce dernier devint partout synonyme du premier. Loin de moi d'ailleurs de croire que l'idée de Dieu ait pu commencer pour le genre humain, c'est-à-dire qu'el­ le puisse être moins ancienne que l'homme. Il faut cependant avouer, après avoir assuré l'ortho­ doxie, que l'histoire nous montre l'homme persuadé dans tous les temps de cette effrayante vérité: qu'il vivait sous la main d'une puissance irritée, et que cette puissance ne pouvait être apaisée que par des sacrifices.

Il n'est pas même aisé, au premier coup d'oeil, d'ac­ corder des idées en apparence aussi contradictoires; mais si l'on y réfléchit attentivement, on comprend très bien comment elles s'accordent, et pourquoi le senti­ ment de terreur a toujours subsisté à côté de celui de la joie, sans que l'un ait jamais pu anéantir l'autre.

CAPITOLO I DEI SACRIFICI IN GENERALE

Disconosco del tutto l'empio assioma: «Prima al mondo, la paura generò gli dèi>). Desidero all'opposto precisare che gli uomini, confe� rendo a Dio nomi che esprimono grandezza, potere e bontà, chiamandolo "Signore", "Maestro", "Padre" ecc., hanno ampiamente dimostrato che l'idea della divinità non può essere figlia della paura. Inoltre, si può osserva� re che la musica, la poesia, la danza, in breve tutte le arti amabili, erano chiamate ad essere parte integrante delle cerimonie di culto; e che il concetto di gioia si amalga� mò sempre più intimamente a quello di festa, tanto che quest'ultimo divenne ovunque sinonimo del primo. Lungi da me, d'altra parte, credere che l'idea di Dio si sia originata con il genere umano, ovvero che possa essere meno antica dell'uomo. Bisogna tuttavia ammettere, sempre nel rispetto del� l'ortodossia, che la storia ci mostra l'uomo nel corso dei secoli persuaso di questa spaventosa verità: che la sua vita era nelle mani di una potenza adirata e che tale potenza pote� va essere placata solo con dei sacrifici. Non è poi così semplice, di primo acchito, far com� baciare delle idee in apparenza così contraddittorie, ma, se si riflette attentamente, si può ben comprendere come queste combacino e perché il sentimento di terrore sia perdurato nel tempo accanto a quello di gioia, senza che l'uno sia mai riuscito ad annullare l'altro.

«Les Dieux sont bons, et nous tenons d'eux tous les biens dont nous jouissons: nous leur devons la louange et l'action de grâce. Mais les dieux sont justes et nous sommes coupables: il faut les apaiser, il faut expier nos crimes; et, pour y parvenir, le moyen le plus puissant est le sacrifice». Telle fut la croyance antique, et telle est encore, sous différentes formes, celle de tout l'univers. Les hommes primitifs, dont le genre humain entier reçut ses opinions fondamentales, se crurent coupables: les institutions générales furent toutes fondées sur ce dogme, en sorte que les hommes de tous les siècles n'ont cessé d'avouer la dégradation primitive et universelle, et de dire comme nous, quoique d'une manière moins explicite: nos mères nous ont conçus dans le crime; car il n'y a pas un

dogme chrétien qui n'ait sa racine dans le nature intime de l'homme, et dans une tradition aussi ancienne que le genre humain. Mais la racine de cette dégradation, ou la réité de l'homme, s'il est permis de fabriquer ce mot, résidait dans le principe sensible, dans la vie, dans l'lime enfin, si soigneusement distinguée par les anciens, de l'esprit ou de l'intelligence. L'animal n'a reçu qu'une lime; à nous furent donnés et l'lime et l'esprit. L'antiquité ne croyait point qu'il pût y avoir, entre l'esprit et le corps, aucune sorte de lien ni de contact; de

manière que l'âme, ou le principe sensible, était pour eux une espèce de moyenne proportionnelle, ou de puissance intermédiaire en qui l'esprit reposait, comme elle repo� sait elle�même dans le corps. En se représentant l'lime sous l'image d'un oeil, sui� vant la comparaison ingénieuse de Lucrèce, l'esprit était

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«Gli dèi sono buoni, e noi dobbiamo loro tutti i beni di cui godiamo: dobbiamo loro lode e atti di grazia. Ma gli dei sono giusti e noi siamo colpevoli: dobbiamo pla

­

carli, dobbiamo espiare i nostri crimini ed il mezzo più potente per poterlo fare è il sacrificio». Tale fu la credenza antica, e tale è ancora, in diverse sembianze, quella di tutto l'universo. Gli uomini pri­ mordiali, da cui l'intero genere umano ereditò le conce­ zioni fondamentali, si credevano colpevoli: le istituzio­ ne generali erano tutte fondate su questo dogma, tanto che gli uomini nel corso dei secoli non hanno smesso di confessare la degradazione primitiva e universale, e di affermare come noi, sia pure in una maniera meno espli­ cita; che le nostre madri ci hanno concepito nel peccato

-

poi­

ché non esiste un dogma cristiano le cui radici non ripo­ sino nella natura intima dell'uomo ed in una tradizione antica quanto il genere umano stesso. Ma l'origine di questa degradazione, o la reità del­ l'uomo, qualora sia permesso coniare questa parola, risiedeva nel principio sensibile, nella vita, quindi nell'ani­

ma, cosi attentamente distinta dagli antichi dallo spirito o dall'intelligenza. Gli animali ricevettero nient'altro che l'anima; a noi fu donata sia l'anima, sia lo spirito. L'antichità non credeva affatto che potesse esserci, tra lo spirito e il corpo, alcun tipo di legame o contatto; cosicché l'anima, o il principio sensibile, era per loro una specie di mezzo proporzionale, di potenza intermedia in cui lo spirito riposava, come essa stessa riposava nel corpo. Rappresentando l'anima attraverso l'icona di un occhio, seguendo l'ingegnoso paragone di Lucrezio, lo

spirito era la pupilla di quest'occhio. Altrove lo chiama

la prunelle de cet oeil. Ailleurs il l'appelle l'âme de l'âme et Platon, d'après Homère, le nomme le coeur de l'âme, expression que Philon renouvela depuis. Lorsque jupiter, dans Homère, se détermine à rendre un héros victorieux, le dieu a pesé la chose dans son esprit; il est un: il ne peut y avoir de combat en lui. Lorsqu'un homme connaît son devoir et le remplit sans balancer, dans une occasion difficile, il a vu la chose comme un dieu, dans son esprit. Mais si, longtemps agité entre son devoir et sa pas­ sion, ce même homme s'est vu sur le point de commet­ tre une violence inexcusable, il a délibéré dans son âme et dans son esprit. Quelquefois l'esprit gourmande l'âme, et la veut faire rougir de sa faiblesse: courage, lui dit-il, mon âme! tu as supporté de plus grands malheurs. Et un autre poète a fait de ce combat le sujet d'une conversation, en forme tout à fait plaisante. Je ne puis, dit-il, ô mon âme! t'accorder tout ce que tu désires: songes que tu n'es pas la seule à vouloir ce que tu aimes. O!te veut-on dire, demande Platon, lorsqu'on dit qu'un homme s'est vaincu lui-même, qu'il s'est montré plus fort que lui-même, etc.? On affirme évidemment qu'il est, tout à la fois, plus fort et plus faible que lui-même; car si c'est lui qui est le plus faible, c'est aussi lui qui est le plus fort ; puisqu'on affirme l'un et l'autre du même sujet. La volonté supposée une ne saurait pas plus être en contra­ diction avec elle-même, qu'un corps ne peut être animé à la fois par deux mouvements actuels et opposés; car nul sujet ne peut réunir deux contraires simultanés. Si l'hom­ me était un, a dit excellemment Hippocrate, jamais il ne serait malade; et la raison en est simple: car, ajoute-t-il, on ne peut concevoir une cause de maladie dans ce qui est un.

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l'anima dell'anima, e Platone, come prima Omero, lo defi�

nisce cuore dell'anima, espressione che fu poi ripresa da Filone. Laddove in Omero, Giove si prodiga a rendere vitto� rioso un eroe, il dio ha ponderato tutto ciò nel suo spirito; egli è uno: non può esservi conflitto in lui. Quando un uomo è a conoscenza del suo dovere e vi adempie senza esitare, in una circostanza difficile, egli vede tal fatto come un dio, nel suo spirito. Ma se questo stesso uomo, a lungo turbato tra il pro� prio dovere

e

la propria passione, si è visto sul punto di

commettere una violenza imperdonabile, ha deliberato nella sua anima e nel suo spirito.

Talvolta lo spirito schernisce l'anima, volendo farla imbarazzare per la sua debolezza: coraggio, le dice, mia anima! Hai sopportato disgrazie maggiori. Un altro poeta ha

fatto di questo conflitto l'argomento di una conversazio� ne, in una forma del tutto piacevole. Egli recita: Oh mia anima! Non posso concederti tutto quello che desideri: pensa che non sei la sola a voler ciò che ami. Cosa si vuol dire, domanda Platone, quando si dice che un uomo ha vinto se stesso, che si è mostrato più forte di se stesso,

ecc.? Si afferma ovviamente che costui è al contempo più forte e più debole di se stesso, perché se è lui ad essere il più debole, è sempre lui ad essere il più forte, poiché si afferma l'una e l'altra cosa dello stesso soggetto. La volon� tà, supposta una, non potrebbe essere più in contraddizio� ne con sé stessa di quanto un corpo non possa essere ani� mato al contempo da due movimenti attuali e opposti; per� ché nessun soggetto può riunire in sé due contrari simul� tanei. Se l'uomo fosse uno, disse egregiamente Ippocrate, non sarebbe mai malato; e la ragione ne è semplice: perché, aggiun�

se, non si può concepire una causa di malattia in ciò che è uno.

Cicéron écrivant donc que, lorsqu'on nous ordonne de nous commander à nous-mêmes, cela signifie que la raison doit commander à la passion; ou il entendait que la passion est une personne, ou il ne s'entendait pas lui-même. Pascal avait en vue sans doute les idées de Platon, lorsqu'il disait: Cette duplicité de l'homme est si visible, qu'il y en a qui ont pensé que nous avons deux âmes ; un sujet sim­

ple leur paraissant incapable de telles et si soudaines variétés. Mais avec tous les égards dus à un tel écrivain, on peut cependant convenir qu'il ne semble pas avoir vu la chose tout à fait à fond, car il ne s'agit pas seulement de savoir comment un sujet simple est capable de telles et si sou­ daines variétés, mais bien d'expliquer comment un sujet simple peut réunir des oppositions simultanées; com­ ment il peut aimer à la fois le bien et le mal ; aimer et haïr le même objet; vouloir et ne vouloir pas, etc.; com­ ment un corps peut se mouvoir actuellement vers deux points opposés; en un mot, pour tout dire, comment un sujet simple peut n'être pas simple. L'idée de deux puissances distinctes est bien ancienne, même dans l'Église. «Ceux qui l'ont adoptée, disait Origène, ne pensent pas que ces mots de l'apôtre: La chair a des désirs contraires à ceux de l'esprit (Galates, V,

17) doivent s'entendre de la chair proprement dite; mais de cette âme, qui est réellement l'âme de la chair: car, disent-ils, nous en avons deux, l'une bonne et céleste, l'autre inférieure et terrestre; c'est de celle-ci qu'il dit que ses oeuvres sont évidentes (Ibid.,

a

été

19), et nous cro­

yons que cette âme de la chair réside dans le sang». Au reste, Origène, qui était à la fois le plus hardi et les plus modeste des hommes dans ses opinions, ne s'ob­ stine point sur cette question. Le lecteur, dit-il, en pense­ ra ce qu'il voudra. On voit cependant assez qu'il ne savait

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Scrivendo pertanto Cicerone che, quando ci viene impo· sto di comandar qualcosa a noi stessi, ciò significa che la ragione deve comandare alla passione; o intendeva che la passione è una persona, o non s'intendeva con se stesso. Pascal aveva senz'altro ben chiare le idee di Platone, quando diceva: Tale duplicità dell'uomo è visibile, cosicché vi è chi ha pensato che abbiamo due anime, un soggetto sem· plice appariva loro incapace di tali e sì improvvise varietà. Ma con tutti i riguardi dovuti ad un tale scrittore, si può tuttavia convenire ch'egli non sembra aver ponde· rato la cosa per intero, in quanto non si tratta solamen· te di sapere come un soggetto semplice sia capace di tali e cosl improvvise varietà, bensì di spiegare come un sog· getto semplice possa riunire delle opposizioni simulta· nee; come possa al contempo amare il bene ed il male; amare e odiare lo stesso oggetto; volere e non volere, ecc.; come un corpo possa muoversi contemporanea· mente verso due punti opposti; in breve, per concludere, come un soggetto semplice possa non essere affatto semplice. L'idea di due potenze distinte è ben antica, persino nella Chiesa. «Coloro che la riconoscono - diceva Origene - non pensano che queste parole dell'apostolo: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito (Galat. V, 17) si riferiscano alla carne propriamente detta, ma piut· tosto a questa anima che è realmente l'anima della carne, poiché, essi affermano, noi ne abbiamo due, una buona e celeste, l'altra inferiore e terrestre; è di que· st'anima che si dice che le sue opere sono evidenti

19),

(lbid.,

e noi crediamo che quest'anima della carne risieda

nel sangue». Del resto, Origene, che era al contempo il più ardito e il più modesto degli uomini per quanto concerne le sue

-n-

pas expliquer autrement ces deux mouvements diamé� tralement opposés dans un sujet simple. Qu'est�ce en effet que cette puissance qui contrarie l'homme, ou, pour mieux dire, sa conscience? Qu'est�ce

que cette puissance qui n'est pas lui, ou tout lui? Est�elle matérielle comme la pierre ou le bois? dans ce cas, elle ne pense ni ne sent, et, par conséquent, elle ne peut avoir la puissance de troubler l'esprit dans ses opérations. J'écoute avec respect et terreur toutes les menaces faites à la chair; mais je demande ce que c'est.

Descartes, qui ne doutait de rien, n'est nullement embarrassé de cette duplicité de l'homme. Il n'y a point, selon lui, dans nous de partie supérieure et inférieure, de puissance raisonnable et sensitive, comme on le croit vulgairement. L'âme de l'homme est une, et la même substance est tout à la fois, raisonnable et sensitive. Ce qui trompe à cet égard, dit�il, c'est que les volitions pro� duites par l'âme et par les esprits vitaux envoyés par le corps, excitent des mouvements contraires dans la glan­ de pinéale. Antoine Arnaud est bien moins amusant: il nous propose comme un mystère inconcevable, et cependant incontestable: «Que ce corps, qui, n'étant qu'une matiè­ re, n'est point un sujet capable de péché, peut cependant communiquer à l'âme ce qu'il n'a pas et ne peut avoir; et que, de l'union de ces deux choses exemptes de péché, il en résulte un tout qui en est capable, et qui est très justement l'objet de la colère de Dieu».

Il paraît que ce dur sectaire n'avait guère philosophé sur l'idée du corps, puisqu'il s'embarrasse ainsi volontai� rement, et qu'en nous donnant une bêtise pour un mystère, il expose l'inattention ou la malveillanc� à prendre un mystère pour une bêtise. Un physiologiste moderne se croit en droit de décla�

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opinioni, non s'incaparbisce su questa questione. Il letto­ re, dice, p enserà ciò che vorrà. Ciononostante, si vede ch'egli non sapeva come spiegare altrimenti questi due movimenti diametralmente opposti in un individuo. Cos'è pertanto questa potenza che ostacola l'uomo, o, per meglio dire, la sua coscienza? Cos'è questa potenza che non è l'uomo, o tutto l'uomo? Essa è materiale come la pietra e il legno? In tal caso essa non pensa né sente, e pertanto non può avere la potenza di turbare lo spirito nelle sue opere. Ascolto con rispetto e terrore tutte le minacce fatte alla carne, ma mi domando cosa sia. Cartesio, il quale non dubitava di nulla, non è in alcun modo imbarazzato da questa duplicità dell'uomo. Non vi sono certo in noi, a suo parere, una parte supe­ riore ed una inferiore, delle potenze ragionevoli e sensi­ bili, come comunemente si crede. L'anima dell'uomo è una, e la stessa sostanza è sia ragionevole, sia sensitiva. Ciò che inganna a questo proposito, egli afferma, è che le volizioni prodotte dall'anima e dagli spiriti vitali, tra­ smesse per tutto il corpo, stimolano dei movimenti con­ trari nella ghiandola pineale. Antoine Arnaud è certamente meno divertente: ci propone un concetto misterioso e inconcepibile e tutta· via incontestabile: Qyesto corpo, il quale, essendo solo mate­ ria, non è capace di peccato, può tuttavia comunicare all'ani­

ma ciò che non ha e non può avere e, dall'unione di queste due cose preservate dal peccato, ne risulta un tutto che ne è capa­ ce e che è più che giustamente l'oggetto della collera di Dio. Parrebbe che questo duro settario non avesse elucu­ brato filosoficamente sull'idea di corpo, poiché si mette volontariamente in ridicolo consegnandoci un'inezia per mistero, egli mostra disattenzione o malevolenza nel considerare un mistero un'inezia. Un fisiologo moderno si crede in diritto di dichiara-

rer expressément que le principe vital est un être. «Qu'on l'appelle, dit-il, puissance ou faculté, cause immé­ diate de tous nos mouvements et de tous nos senti­ ments, ce principe est

UN:

il est absolument indépen­

dant de l'âme pensante, et même du corps, suivant tou­ tes les vraisemblances: aucune cause ou loi mécanique n'est recevable dans les phénomènes du corps vivant». Au fond, il paraît que l'Écriture sainte est sur ce point tout à fait d'accord avec la philosophie antique et moderne, puisqu'elle nous apprend: «Que l'homme est double dans ses voies, et que la parole de Dieu est une épée vivante qui pénètre jusqu'à la division de l'âme et de l'esprit, et discerne la pensée du sentiment». Et saint Augustin, confessant à Dieu l'empire qu'avaient encore sur son âme d'anciens fantômes ramenés par les songes, s'écrie avec la plus aimable naï­ veté: Alors Seigneur! suis-je MOI? Non, sans doute, il n'était pas savait mieux que

LUI,

LUI,

et personne ne le

qui nous dit dans ce même

endroit: Tant il y a de différence entre MOI-M�ME et MOI­ M�ME; lui qui a si bien distingué les deux puissances de

l'homme lorsqu'il s'écrie encore, en s'adressant à Dieu:

6

toi! pain mystique de mon âme, époux de mon intelligence!

quoi! je pouvais ne pas t'aimer! Milton a mis de beaux vers dans la bouche de Satan, qui rugit de son épouvantable dégradation. L'homme aussi pourrait les prononcer avec proportion et intelli­ gence. D'où nous est venue l'idée de représenter les anges autour des objets de notre culte par des groupes de têtes ailées? Je n'ignore pas que la doctrine des deux âmes fut con­ damnée dans les temps anciens, mais je ne sais si elle le fut par un tribunal compétent; d'ailleurs il suffit de s'en-

re espressamente che il principio vitale è l'essere. «Che lo si chiami

-

egli afferma

-

potenza o facoltà, causa

immediata di tutti i nostri movimenti e di tutti i nostri sentimenti, questo principio è UNO; assolut amente indi­ pendente dall'anima pensante e dal corpo secondo ogni probabilità: nessuna causa o legge meccanica è ammissi­ bile nei fenomeni del corpo vivo». A conti fatti, sembra che la Sacra Scrittura sia su questo punto del tutto d'accordo con la filosofia antica e moderna, poiché ci insegna «che l'uomo è doppio nei suoi modi e che la parola di Dio è una spada vivente che penetra fino alla

s

cissione tra l'anima e lo spirito, e

discerne il pensiero dal sentimento». E Sant'Agostino, confessando a Dio l'influenza che avevano ancora sulla sua anima gli antichi fantasmi por­ tati dai sogni, scrive con la più affabile ingenuità: Ebbene Signore, io son IO? No, probabilmente non era meglio di

LUI

LUI

mo punto: Poiché vi è differenza tra so;

e nessuno lo sapeva

(stesso), il quale si pronuncia sul medesi­ ME STESSO

e

ME STES­

lui che ha così ben distinto le due potenze dell'uomo

quando scrive rivolgendosi nuovamente a Dio: Oh tu! Pane mistico della mia anima, sposo della mia intelligenza! Come potevo non amarti? Milton mise dei bei versi in bocca a Satana, il quale ruggisce per la sua spaventosa degradazione. Persino l'uomo potrebbe pronunciarli con misura ed intelligenza . Da dove ci è venuta l'idea di rappresentare gli angeli intorno ai soggetti di culto con gruppi di teste alate? Non ignoro che la dottrina delle due anime fu condan­ nata nei tempi antichi, ma non so se tale sentenza fu eseguita da un tribunale competente, ma d'altronde basta capirsi. Che l ' uomo sia un essere risultante dal­ l'unione di due anime, vale a dire di due princìpi intelli-

tendre. �e l'homme soit un être résultant de l'union des deux âmes, c'est�à�dire de deux principes intelligents de même nature, dont l'un est bon et l'autre mauvais, c'est, je crois, l'opinion qui aurait été condamnée, et que je condamne aussi de tout mon coeur. Mais que l'intel� ligence soit la même chose que le principe sensible, ou que ce principe qu'on appelle aussi le principe vital, et qui est la vie, puisse être quelque chose de matériel, absolu� ment dénué de connaissance et de conscience, c'est ce que je ne croirai jamais, à moins qu'il ne m'arrivât d'être averti que je me trompe par la seule puissance qui ait une autorité légitime sur la croyance humaine. Dans ce cas, je ne balancerais pas un instant, et au lieu que, dans ce moment, je n'ai que la certitude d'avoir raison, j'aurais alors la foi d'avoir tort. Si je professais d'autres senti� ments, je contredirais de front les principes qui ont dicté l'ouvrage que je publie, et qui ne sont pas moins sacrés pour moi. Quelque parti qu'on prenne sur la duplicité de l'hom� me, c'est sur la puissance animale, sur la vie, sur l'âme (car tous ces mots signifient la même chose dans le langage antique), que tombe la malédiction avouée par tout l'univers. Les Égyptiens, que l'antiquité savante proclama les seuls dépositaires des secrets divins32., étaient bien persua�

dés de cette vérité, et tous les jours ils en renouvelaient la profession publique ; car lorsqu'ils embaumaient les corps, après qu'ils avaient lavé dans le vin de palmier les intestins, les parties molles, en un mot tous les organes des fonctions animales, ils les plaçaient dans une espèce de coffre qu'ils élevaient vers le ciel, et l'un des opéra� teurs prononçait cette prière au nom du mort: «Soleil, souverain maître de qui je tiens la vie, daignez me rece� voir auprès de vous. J'ai pratiqué fidèlement le culte de - r6-

genti della stessa natura di cui uno è buono e l'altro mal� vagio, è, credo, l'opinione che fu condannata, e che anch'io condanno in egual misura con tutto il cuore. Ma che l'intelligenza sia la stessa cosa del principio sensibi� le, o che tale principio, chiamato anche pri nc ipio vitale e che è la vita, possa essere qualcosa di materiale, total� mente privo di conoscenza e di coscienza, è quanto io non crederò mai, salvo nel caso in cui la sola potenza che ha un'autorità legittima sulla fede umana venisse ad avvertirmi che mi sbaglio. In tal caso, non vacillerei neppure un istante e anziché avere unicamente la certez� za di avere ragione, come in questo momento,

avrò

bensì la fede di aver torto. Se professassi altri sentimen� ti, contraddirei integralmente i principi che hanno det� tato l'opera che sono a pubblicare, e che per me non sono meno sacri. Quale che sia la posizione presa sulla duplicità del� l'uomo, è sulla potenza animale, sulla vita, sull'anima (dac� ché tutte queste parole significano la medesima cosa nel linguaggio antico) che ricade la maledizione riconosciu� ta

da tutto l'universo. Gli Egizi, che l'antichità colta proclamò come «i soli

depositari dei segreti divini», erano alquanto convinti di questa verità e tutti i giorni ne rinnovavano la pubblica professione, poiché, quando imbalsamavano i corpi,

dopo aver lavato nel vino di palma gli intestini, i tessu� ti molli e quindi in breve tutti gli organi espletanti fun� zioni animali, li sistemavano in una sorta di cassapanca che sollevavano al cielo e uno degli officianti pronuncia� va questa preghiera in nome del defunto: «Sole, sovrano padrone al qual devo la vita, concedimi d'essere ricevu� to al tuo cospetto. Ho praticato fedelmente il culto dei

miei padri, ho sempre onorato coloro ai quali io devo questo corpo, mai ho negato aiuto, mai ho ucciso. Se ho

mes pères; j'ai toujours honoré ceux de qui je tiens ce corps; jamais je n'ai nié un dépôt; jamais je n'ai tué. Si j'ai commis d'autres fautes, je n'ai point agi par moi·m�me, mais par ces choses.>> Et tout de suite on jetait ces choses

dans le fleuve, comme la cause de toutes les fautes que l'hom· me avait commises: après quoi on procédait à l'embaume·

ment. Or il est certain que, dans cette cérémonie, les Égyp· tiens peuvent être regardés comme de véritables précur· seurs de la révélation qui a dit anathème à la chair, qui l'a déclarée ennemie de l'intelligence, c'est·à·dire de Dieu, et nous a dit expressément que tous ceux qui sont nés du sang ou de la volonté de la chair ne deviendront jamais enfants de Dieu.

L'homme étant donc coupable par son principe sensi· ble, par sa chair, par sa vie, l'anathème tombait sur le

sang; car le sang était le principe de la vie, ou plutôt le sang était la vie. Et c'est une chose bien singulière que ces vieilles traditions orientales, auxquelles on ne faisait plus attention, aient été ressuscitées de nos jours, et sou· tenus par les plus grands physiologistes. Le chevalier Rosa avait dit, il y a longtemps, en Italie, que le principe vital résidait dans le sang. Il a fait sur ce sujet de fort belles expériences, et il a dit des choses curieuses sur les connaissances des anciens à cet égard; mais je puis citer une autorité plus connue, le célèbre Hunter, le plus grand anatomiste du dernier siècle, qui a

ressuscité et motivé le dogme oriental de la vitalité du sang. «Nous attachons, dit·il, l'idée de la vie à celle de l'or· ganisation; en sorte que nous avons de la peine à forcer notre imagination de concevoir un fluide vivant; mais l'organisation n'a rien de commun avec la vie. Elle n'est

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commesso altri errori, mai ho agito per mia volontà ma per volontà di queste». E subito le viscere venivano gettate nel fiume, in quanto causa di tutti gli errori che l'uomo aveva

commesso: dopodiché si procedeva all'imbalsamazione.

È dunque certo che in questa cerimonia gli

Egizi pos�

sono essere considerati come i reali precursori della rive� lazione che ha elevato anatema alla carne, che l'ha dichiarata nemica dell'intelligenza, quindi di Dio, e che ci ha detto espressamente che tutti co loro che sono nati dal

sangue o dalla volontà della carne non diverranno mai figli di Dio. Essendo dunque l'uomo colpevole per il suo principio

sensibile, per la sua carne, per la sua vita, l'anatema rica� deva sul sangue, poiIA TAYTA (Porfirio, De abstin. et usu anim., IV, IO). 34 0N AITIAN AJlANTON ON O ANTHPOnoç EMAPEEN 6IA TAYTA (Plutarco, De esu carnium. Orat. Il, cit. da M. Larcher nella sua preziosa tra­

duzione di Erodoto, libro II, § 85). Non so, tuttavia, perché questo grande ellenista abbia tradotto t>IA TAYTA con «per volontà di queste» anziché(( attraverso la volontà di queste». Vi è un rapporto singolare tra questa preghiera dei sacerdoti egiziani e quella che la Chiesa pronuncia al fianco degli agonizzanti. «Benchè abbia peccato, ha tuttavia sempre creduto; Ha portato in seno lo zelo di Dio; Non ha smesso di adorare il Dio che tutto ha creato, ecc.» (Li c et enim peccaverit, tamen... credidit, et zelum Dei in se habuit, et eun qui fecit omniafideliter adoravit, etc.)

3 S Giovanni, I, 1 2, 13. Quando David diceva spiritum rectum innova in visceribus meis, non era un'espressione vaga o un modo di espri­

mersi. Egli enunciava un dogma preciso e fondamentale.

36 «Non mangerete il sangue degli animali, che è la loro vita)) (Genesi, IX, 4, 5). «La vita della carne è nel sangue, per questo io l'ho dona­ to a voi, cosicché sia versato sull'altare per l'espiazione dei vostri peccati, poiché tramite il sangue l'ANIMA sarà purificata>) (Levitico, XIII, li). «Guardatevi dal mangiare il loro sangue [degli animali], poiché il loro sangue è la loro vita, cosi come non dovete mangia­ re la loro carne che ne è la vita, ma verserete questo sangue sulla - zB-

terra come l'acqua» (Deuteronomio, XII, 23, 24, ecc.). 37 Una bella analisi di questo sistema si trova nelle opere del conte

Gian Rinaldo Carli-Rubi, Milano, 1790, 30 voli. in 8°, t. IX. 38 Non dico più decisiva, poiché non sono in possesso dei documenti

e non sono mai riuscito a metterli a confronto. Tuttavia, cosa importa quando il cavalier Rosa disse tutto questo? L'onore quale precursore del sistema della vitalità del sangue non si sarebbe comunque concesso. La sua patria non ha né flotte, né armate, né colonie: tanto peggio per questa e tanto peggio per lui. 39 Verità di prim'ordine e di grande evidenza. 40 Cfr. John Hunter, Treatise on the blood, injlammation and gun-shot wounds, London, 1794, in 4°. 41 Cfr. M. William Boags, Sul veleno dei serpenti, in Recherches asia­ tiques, tomo VI, in 4°, p. 108. Si è già visto che Plinio si è avvici­ nato piuttosto presto all'opinione della vitalità del sangue. Di seguito quanto dice ancora su questo argomento: Duae grandes venae ... per alias minores omnibus membris vitalitatem rigan ... magna est in eo

vitalitatis portio. (Plinio il Vecchio, Storia

Naturale, a cura di Harduin, Paris, 1685, in 4°, t. II, libro XII, capi­

tolo 69-70, pag. 364, 365, 583). Nota dell'Harduin: Hinc sedem animae sanguinem esse veterum plerique dixerunt [«Perciò la mag­

gior aprte degli antichi disse che il sangue è la sede del' anima>>] (ibid. , p. 583).

42 Era un'opinione diffusa, prevalsa ovunque, che la remissione si potesse ottenere solo attraverso il sangue e che qualcuno dovesse morire per il benessere di un'altro (cfr. Bryant, Mythology explai­ ned, tom. II, in 4°, p. 455). I talmudisti vanno oltre decidendo che i peccati possono essere cancellati solo con il sangue (cfr. Huet, Dem. Evang., prop. IX capitolo 145). Cosi il dogma della salvezza attraverso il sangue si ritrova ovunque. Sfida il tempo e lo spazio, è indistruttibile e tuttavia non deriva da alcuna ragione anteceden­ te, né da alcun errore assegnabile. 43 Lami, Appar. ad Bibl., 1,7. Cor pro corde, preeor, profibris accipe fibras, Hanc animam vobis pro me/iore damus.

(Ovidio, Fast., VI, 161). 44 Cfr. Lelaud, La Nouvelle démonstration évangélique, Liège, 1768,

4 voli. in 12°, t. I, cap. VII, p. 352. 45 Tranne alcune eccezioni dovute ad altri princìpi.

46 Poiché, come tutti gli umori viziati producono nei corpi il fuoco

che li purifica o li consuma senza bruciarli, cosi i vizi producono nelle anime la febbre del fuoco che li purifica o li bru­ cia senza consumarli (cfr. Origene, Dei Principi Il, IO, in Opere, t. I, p. 102). della febbre,

,

,

47 Prudenzio ci ha trasmesso una descrizione dettagliata di questa

disgustosa cerimonia: Tum per frequentes mille rimarum vias, lllapses imber tabidum rorem pluit; Defossus intus quem sacerdos excipit,

Guttas ad omnes turpe subje ctum caput

Et veste et omni putrefactus corpore. Quin os supinat, obvias offert genas;

Supponit aures; labra, nares objicit

,

Oculos et ipsos proluit liquoribus: Nec jam palato parcit, et linguam rigat Donec cruorem totus atrum combibat.

48 Gruter ce ne ha conservata una piuttosto singolare che Van Dale ha citato a seguito del passo di Prudenzio: D!S MAGN!S MATR! DEUM ET ATTIDI SEXTUS AGES!LAUS AES/DJUS ... ... TAUROBOL/0 CR!OBOL!OQUE IN /ETERNUM RENATUS ARAM SACRA V/T.

(A. van Dale, Dissert. de orac. ethnicorum, Amsterdam, 1683; in 8°, p. 225).

L'uccisione di Mahishasura da parte di Durga (scultura in avorio)

C HAPITRE II DES SACRIFICES HUMAINS

La doctrine de la substitution étant universellement reçue, il ne restait plus de doute sur l'efficacité des sacri· fiees proportionnée à l'importance des victimes; et cette double croyance, juste dans ses racines, mais corrompue par cette force qui avait tout corrompu, enfanta de toute part l'horrible superstition des sacrifices humains. En vain la raison disait à l'homme qu'il n'avait point de droit sur son semblable, et que même il l'attestait tous les jours en offrant tous les jours le sang des animaux pour racheter celui de l'homme; en vain la douce humanité et la compassion naturelle prêtaient une nouvelle force aux arguments de la raison: devant ce dogme entraînant, la raison demeurait aussi impuissante que le sentiment. On voudrait pouvoir contredire l'histoire lorsqu'elle nous montre cet abominable usage pratiqué dans tout l'univers; mais, à la honte de l'espèce humaine, il n'y a rien de si incontestable; et les fictions même de la poé· sie attestent le préjugé universel.

À peine son sang coule et

fait rougir la terre,

Les dieux font sur l'autel entendre le tonnerre; Les vents agitent l'air d'heureux frémissements, Et la mer lui répond par des mugissements; La rive au loin gémit blanchissante d'écume; La flamme du bûcher d'elle-même s'allume: Le ciel brille d'éclairs, s'entrouvre, et parmi nous Jette une sainte horreur qui nous rassure tous.

- rz-

CAPITOLO II DEI SACRIFICI UMANI

Essendo universalmente recepita la dottrina della sostituzione, non restava più alcun dubbio sull'efficacia dei sacrifici proporzionata all'importanza delle vittime; e questa duplice credenza, proba nelle sue radici ma cor­ rotta da questa forza che tutto aveva corrotto, diede vita in ogni dove all'orribile superstizione dei sacrifici umani. Invano la ragione diceva all'uomo che non aveva alcun diritto sul suo simile e che lo dimostrava perfino tutti i giorni offrendo il sangue degli animali per riscat­ tare quello dell'uomo; invano la dolce umanità e la com­ passione naturale prestavano nuova forza agli argomen­ ti della ragione: davanti a questo dogma coinvolgente, la ragione rimaneva tanto impotente quanto il sentimento. Si vorrebbe poter contraddire la storia quando ci mostra questo abominevole uso praticato in tutto l'uni­ verso, ma, ad onta della specie umana, non vi è nulla di così incontestabile e le finzioni stesse della poesia atte­ stano il pregiudizio universale. Subito sgorga il suo sangue ed il suoi colora, gli Dei sull'altare fan sentire il tuono; i venti agitano l'aria di lieti fremiti, e

con ruggiti risponde il mare;

lontano da riva geme e biancheggia di schiuma; da sola s'accende la fiamma del rogo: di lampi brillando si squarcia il cielo, e tra noi semina un sacro terrore che tutti noi rassicura.

Quoi! Le sang d'une fille innocente était nécessaire au départ d'une flotte et au succès d'une guerre! Encore une fois, où donc les hommes avaient�ils pris cette opi� nion? et quelle vérité avaient�ils corrompue pour arriver à cette épouvantable erreur? Il est bien démontré, je crois, que tout tenait au dogme de la substitution dont la vérité est incontestable, et même innée dans l'homme (car comment l'aurait�il acquise?), mais dont il abusa d'une manière déplorable: car l'homme, à parler exacte� ment, n'adopte point l'erreur. Il peut seulement ignorer la vérité, ou en abuser; c'est�à�dire l'étendre, par une fausse induction, à un cas qui lui est étranger. Deux sophismes, ce semble, égarèrent les hommes: d'abord l'importance des sujets dont il s'agissait d'écar� ter l'anathème. On dit: pour sauver une armée, une ville, un grand souverain même, qu'est�ce qu'un homme? On considé�

ra aussi le caractère particulier de deux espèces de victi� mes humaines déjà dévouées par la loi civile politique; et l'on dit: qu'est�ce que la vie d'un coupable ou d'un ennemi? Il y a grande apparence que les premières victimes humaines furent des coupables condamnés par les lois; car toutes les nations ont cru ce que croyaient les Druides au rapport de César: que le supplice des coupables était quelque chose de fort agréable à la Divinité. Les anciens

croyaient que tout crime capital, commis dans l'état, liait la nation, et que le coupable était sacré ou voué aux

dieux, jusqu'à ce que, par l'effusion de son sang, il eût dé�lié et lui�même et la nation.

On voit ici pourquoi le mot de sacré

(SACER)

était

pris dans la langue latine en bonne et en mauvaise part, pourquoi le même mot dans la langue grecque

(osros)

signifie également ce qui est saint et ce qui est profane; pourquoi le mot anathème signifiait de même tout à la fois ce qui est offert à Dieu à titre de don, et ce qui est

Cosa? Il sangue di una giovane donna innocente era necessario alla partenza di una flotta e al successo di una guerra! Ancora una volta, da dove avevano dunque preso gli uomini questo pensiero? E quale verità aveva� no corrotto per arrivare a questo spaventoso errore?

È

ampiamente dimostrato, credo, che tutto era legato al dogma della sostituzione, la cui verità è incontestabile e perfino innata nell'uomo (difatti come l'avrebbe acqui� sita?) , ma della quale si abusava in modo deplorevole: poiché l'uomo, a voler essere esatti, non adotta l'errore. Può solamente ignorare la verità o abusarne, ovvero estenderla attraverso una falsa induzione ad un campo che gli è estraneo. Due sofismi, così sembra, confusero gli uomini: innanzitutto l'importanza dei soggetti dai quali si trat� tava di allontanare l'anatema. Si dice: per salvare un'ar� mata, una città, od anche un grande sovrano, cos'è poi un uomo? Si considerò pertanto il carattere particolare di due specie di vittime umane già sacrificate dalla legge civile politica: che cos'è la vita di un colpevole o di un nemico? Con ampia probabilità, le prime vittime umane furo� no dei colpevoli condannati dalle leggi, poiché tutte le nazioni hanno creduto, stando a quanto riportato da Cesare', ciò che credevano i Druidi, ossia che il supplizio dei colpevoli era qualcosa di fortemente gradito alla Divinità. Gli antichi credevano che qualsiasi crimine capitale, commesso nello Stato, legasse la nazione e che il colpe� vole fosse sacro e votato agli dèi, fino a quando, tramite l'effusione del suo sangue, non avesse liberato se stesso e la nazionez. Da qui si evince perché il termine sacro:sacré

(SACER)

abbia preso dalla lingua latina sia l'accezione positiva sia quella negativa, e perché il medesimo termine in lingua greca

(OSIOS)

significhi allo stesso tempo ciò che è sacro

livré à sa vengeance; pourquoi enfin on dit en grec comme en latin qu'un homme ou une chose ont été dé­ sacrés (expiés), pour exprimer qu'on les a lavés d'une souillure qu'ils avaient contractée. Ce mot de dé-sacrer (aphosioun, expiare) semble contraire à l'analogie: l'oreil­ le non instruite demanderait ré-sacrer ou ré-sanctifier, mais l'erreur n'est qu'apparente, et l'expression est très exacte. Sacré signifie, dans les langues anciennes, ce qui est livré à la Divinité, n'importe à quel titre, et qui se trouve ainsi lié; de manière que le supplice dé-sacre, ex­ pie, ou dé-lie, tout comme l'ab-solution religieuse. Lorsque les lois des XII tables prononcent la mort, elles disent: SACRE ESTO (qu'il soit sacré)! c'est-à-dire dévoué; ou, pour s'exprimer plus correctement, voué; car le coupable n'était, rigoureusement parlant, dé-voué que par l'exécution. Et lorsque l'Église prie pour les femmes dévouées (pro devoto femineo sexu), c'est-à-dire pour les religieuses qui sont réellement dévouées dans un sens très juste, c'est toujours la même idée. D'un côté est le crime, et de l'au­ tre l'innocence; mais l'un et l'autre sont SACRÉS. Dans le dialogue de Platon, appelé l'Enthyphron, un homme sur le point de porter devant les tribunaux une accusation horrible, puisqu'il s'agissait de dénoncer son père, s'excuse en disant: «OJt'on est également souillé en commettant un crime, ou en laissant vivre tranquil­ lement celui qui l'a commis, et qu'il veut absolument poursuivre son accusation, pour absoudre tout à la fois et sa propre personne et celle du coupable». Ce passage exprime fort bien le système antique, qui, sous un certain point de vue, fait honneur au bon sens des anciens.

Malheureusement, les hommes étant pénétrés du

e ciò che è profano; perché il termine anatema significhi nel contempo ciò che è offerto a Dio a titolo di dono e ciò che è consegnato alla sua vendetta; ed infine perché in greco così come in latino si dice che un uomo o una cosa sono stati dissacrati:désacrer

( ESPIATI )

per indicare

che H si è lavati da una macchia che avevano contratto. Il termine dissacrare:désacrer (aphosioum, expiare) sem� bra contrario al processo analogico: l'orecchio non istruito utilizzerebbe ri�sacrare:ré�sacrer o ri�santifica� re:ré-sanctifier, ma l'errore è soltanto apparente e l'espressione è del tutto esatta. Sacro significa, nelle lin� gue antiche, ciò che è consegnato alla Divinità, a qua� lunque titolo, e che si ritrova pertanto legato, in modo tale che il supplizio dissacri, espii o sciolga da un legame, proprio come l'assoluzione religiosa. Quando le leggi delle XII tavole condannano a morte, riportano:

SACRE ESTO

(che sia sacro!) ossia consa­

crato o, per esprimersi più correttamente, votato, poiché il colpevole era consacrato, rigorosamente parlando, sola� mente tramite l'esecuzione. E quando la Chiesa prega per le donne consacrate (pro devoto femineo sexu), cioè per le religiose che sono real� mente consacrate nel senso giusto3, l'idea è sempre la stessa. Da una parte si ha il crimine e dall'altra l'inno� cenza, ma sia l'uno, sia l'altro sono

SACRI.

Nel dialogo di Platone chiamato Eutifrone, un uomo in procinto di muovere in tribunale un'accusa orribile, poiché si trattava di denunciare il proprio padre, si giu� stifica dicendo che ci si infanga sia commettendo un cri� mine, sia permettendo di vivere tranquillamente a colui che l'ha commesso, e che voleva perseguire assoluta� mente la sua accusa per assolvere nel contempo la sua stes� sa persona e quella del colpevole4,

-37-

principe de l'e ffic a c i té des sacrifices pro portionnée à l'impor­ tance des victimes, du coupable à l'ennemi, il n'y eut qu'un pas: tout ennemi fut coupable; et malheureusement encore tout étranger fut ennemi lorsqu'on eut besoin de victimes. Cet horrible droit public n'est que trop connu, voilà pourquoi

HOSTIS,

en latin, signifia d'abord égale­

ment ennemi et étranger. Le plus élégant des écrivains latins s'est plu à rappeler cette synonymie, et je remar­ que encore qu'Homère, dans un endroit de l'Iliade, rend l'idée d'ennemi par celle d'étranger, et que son commen­ tateur nous avertit de faire attention à cette expression. Il paraît que cette fatale induction exprime parfaite­ ment l'universalité d'une pratique aussi détestable; qu'elle l'explique, dis-je, fort bien humainement: car je n'entends nullement nier (et comment le bon sens, légè­ rement éclairé, pourrait-il le nier?) l'action du mal qui avait tout corrompu. Cette action n'aurait point de force sur l'homme, si elle lui présentait l'erreur isolée. La chose n'est pas même possible, puisque l'erreur n'est rien. En faisant abstraction de toute idée antécédente, l'homme qui aurait proposé d'en immoler un autre, pour se rendre les dieux propices, eût été mis à mort pour toute réponse, ou enfermé comme fou: il faut donc toujours partir d'une vérité pour enseigner une erreur. On s'en aperce­ vra surtout en méditant sur le paganisme qui étincelle de vérités, mais toutes altérées et déplacées ; de manière que je suis entièrement de l'avis de ce théosophe qui a dit de nos jours que l'idolâtrie était une putréfaction. Qu'on y regarde de près, on y verra que, parmi les opinions les plus folles, les plus indécentes, les plus atroces, parmi les pratiques les plus monstrueuses et qui ont le plus déshonoré le genre humain, il n'en est pas une que nous ne puissions délivrer du mal (depuis qu'il nous a été

Questo passo esprime molto bene il sistema antico, che sotto un certo punto di vista fa onore al buon senso degli antichi. Sfortunatamente, essendo radicato negli uomini il principio dell'efficacia dei sacrifici proporzionati all'impor­ tanza della vittima, il passo dal colpevole al nemico fu breve, qualsiasi nemico divenne colpevole e ancora, pur­ troppo, qualsiasi straniero divenne nemico nel momen­ to in cui si ebbe bisogno di vittime. Quest'orribile dirit­ to pubblico era quanto mai conosciuto, ed ecco perché HOSTIS5,

in latino, significò fin dal principio parimenti

nemico e straniero. Il più elegante degli scrittori latini ha desiderato rammentare questa sinonimia6 ed io osservo ancora che Omero, in un passo dell'Iliade, rende l'idea di nemico attraverso quella di straniero7 e che il suo commentatore ci avverte di fare attenzione a questa espressione. Sembra che tale fatale induzione esprima perfetta­ mente l'universalità di una pratica così detestabile e che lo spieghi, io dico, molto umanamente, poiché non intendo affatto negare (e come il buon senso, seppur minimamente illuminato, potrebbe negarla?) l'azione del male che tutto aveva corrotto. Qyest'azione non avrebbe alcuna forza sull'uomo se gli presentasse l'errore isolato. Ma questo non è tuttavia possibile, poiché l'errore non è niente. Senza tener conto di qualsiasi idea antecedente, l'uomo che avesse propo­ sto di immolarne un altro, per rendersi gli dèi propizi, sarebbe stato per contro condannato a morte o imprigio­ nato come pazzo: bisogna dunque sempre partire da una verità per insegnare un errore. Se ne prende atto soprat­ tutto meditando sul paganesimo, il quale possiede bar­ lumi di verità, ma tutti alterati e inopportuni, tanto ch'io sono pienamente dello stesso avviso di quel teoso-

donné de savoir demander cette grâce) pour montrer ensuite le résidu vrai, qui est divin. Ce fut donc de ces vérités incontestables de la dégra­ dation de l'homme et de sa réité originelle, de la nécessi­ té d'une satisfaction, de la réversibilité des mérites, et de la substitution des souffrances expiatoires, que les hom­ mes furent conduits à cette épouvantable erreur des sacrifices humains. France ! dans tes forêts elle habita longtemps.

«Tout Gaulois attaqué d'une maladie grave, ou sou­ mis aux dangers de la guerre, immolait des hommes ou promettait d'en immoler, ne croyant pas que les dieux puissent être apaisés, ni que la vie d'un homme pût être rachetée autrement que par celle d'un autre. Ces sacrifi­ ces, exécutés par la main des Druides, s'étaient tournés en institutions publiques et légale; et lorsque les coupa­ bles manquaient, on en venait au supplice des inno­ cents. Quelques-uns remplissaient d'hommes vivants certaines statues colossales de leurs dieux: ils les couvra­ ient de branches flexibles, ils y mettaient le feu, et les hommes périssaient ainsi environnés de flammes». Ces sacrifices subsistèrent dans les Gaules, comme ailleurs, jusqu'au moment où le Christianisme s'y établit: car nulle part ils ne cessèrent sans lui, et jamais ils ne tin­ rent devant lui. On en était venu au point de croire

supplier pour

qu'on ne pouvait

une tête qu'au prix d'une tête. Ce n'est pas

tout: comme toute vérité se trouve et doit se trouver dans le paganisme, mais, comme j e le disais tout à l'heu­ re, dans un état de putréfaction, la théorie également con­ solante et incontestable du suffrage catholique se montre au milieu des ténèbres antiques sous la forme d'une superstition sanguinaire; et comme tout sacrifice réel,

fo che ha detto del nostro tempo che l'idolatria era una putrefazione. Se si guarda più da vicino, si vedrà che, tra

le opinioni più folli, più indecenti, più atroci; tra le pra� tiche più mostruose e che hanno disonorato di più il genere umano, non ve n'è nemmeno una che non pos� siamo liberare dal male (dal momento in cui ci è stato concesso di poter chiedere questa grazia) per mostrare poi ciò che resta di vero, che è divino. Fu dunque a causa di queste verità incontestabili della degradazione dell'uomo e della sua reità originaria, della necessità di una santificazione, della reversibilità dei meriti e della sostituzione delle sofferenze espiato� rie, che gli uomini furono condotti

a

questo spaventoso

errore dei sacrifici umani. Francia! Nelle tua foresta essa risiedette a lungo.

«�alsiasi Gallo, colpito da una malattia grave o sot� toposto ai pericoli della guerraB, immolava o prometteva di immolare degli uomini credendo che le divinità potessero essere placate e che la vita di un uomo potes� se essere riscattata unicamente tramite quella di un altro. Questi sacrifici, eseguiti per mano dei Druidi, si tramutarono in istituzioni pubbliche e legali e, quando mancavano i colpevoli, si faceva ricorso al supplizio degli innocenti. Taluni riempivano di uomini vivi alcu� ne statue colossali dei loro dèi: le coprivano di rami fles� sibili, vi appiccavano il fuoco e gli uomini perivano così circondati dalle fiamme»9. �esti sacrifici permasero tra i Galli, come altrove, fino al momento in cui si instaurò il Cristianesimo, giacché senza di esso in nes� sun luogo cessarono e mai proseguirono in sua presenza. Si arrivò al punto di credere che non si potesse implo­ per una testa se non al prezzo di una testa10• Inoltre, come la verità si trova e deve trovarsi nel paganesimo,

rare

toute action méritoire, toute macération, toute souffran­ ce volontaire peut être véritablement cédée aux morts, le polythéisme, brutalement égaré par quelques rémini­ scences vagues et corrompues, versait le sang humain pour apaiser les morts. On égorgeait des prisonniers autour des tombeaux. Si les prisonniers manquaient, des gladiateurs venaient répandre leur sang, et cette cruelle extravagance devint un métier, en sorte que ces gladia­ teurs eurent un nom (Bustiarii) qu'on pourrait représen­ ter par celui de Bûchériens, parce qu'ils étaient destinés à verser leur sang autour des bûchers. Enfin, si le sang de ces malheureux et celui des prisonniers manquaient éga­ lement, des femmes venaient, en dépit des XII tables, se déchirer les joues, afin de rendre aux bûchers, au moins une image des sacrifices, et de satisfaire les dieux infernaux, comme disait Varron, en leur montrant du sang. Est-il nécessaire de citer les Tyriens, les Phéniciens, les Carthaginois, les Chananéens? Faut-il rappeler qu'Athènes, dans ses plus beaux jours, pratiquait ces sacrifices tous les ans? que Rome, dans les dangers pres­ sants, immolait des Gaulois? Qui donc pourrait ignorer ces choses? il ne serait pas moins inutile de rappeler l'usage d'immoler des ennemis, et même des officiers et des domestiques sur la tombe des rois et des grands capi­ taines. Lorsque nous arrivâmes en Amérique, à la fin du xve siècle, nous y trouvâmes cette même croyance,

mais bien autrement féroce. Il fallait amener aux prêtres mexicains jusqu'à vingt mille victimes humaines par an; et, pour se les procurer, il fallait déclarer la guerre à quelque peuple: mais au besoin les Mexicains sacrifia­ ient leurs propres enfants. Le sacrificateur ouvrait la poitrine des victimes, et se hâtait d'en arracher le coeur tout vivant. Le grand prêtre en exprimait le sang qu'il

ma, come dicevo pocanzi, in uno stato di

putrefazione, la suffra�

teoria ugualmente consolante e incontestabile del

gio cattolico si mostra al centro delle tenebre antiche sotto forma di una superstizione sanguinaria, e siccome qualsiasi sacrificio reale, ogni azione meritoria, ogni macerazione, ogni sofferenza volontaria può essere real� mente

ceduta ai morti, il politeismo, brutalmente stra�

volto da qualche reminiscenza vaga e corrotta, versava il sangue umano per

placare i morti. Si sgozzavano i pri�

gionieri intorno alle tombe; se i prigionieri mancavano, arrivavano dei gladiatori a versare il loro stesso sangue, e questa crudele stravaganza divenne un mestiere, cosic� ché questi gladiatori ebbero un nome

(Bustiarii), che può

esser tradotto con rogarii, in quanto (essi) erano desti� nati a versare il loro sangue attorno a dei roghi. Infine, se anche il sangue di questi infelici e dei prigionieri mancava, arrivavano le donne, a dispetto delle XII tavo� le", a lacerarsi le gote,

in modo da rendere ai roghi almeno un'immagine dei sacrifici e di soddisfare gli dèi infernali come diceva Varron - mostrando loro del sangue•�. È necessario citare i Tiri, i Fenici, i Cartaginesi, i Cananei? Bisogna ricordare che Atene, nei suoi giorni migliori, praticava questi sacrifici tutti gli anni? Che Roma, in casi di pericolo impellente, immolava dei Galli•3? Chi potrebbe dunque ignorare questo? Sarebbe altrettanto inutile ricordare l'uso di immolare i nemici, così come gli ufficiali e i domestici sulla tomba dei re e dei grandi capitani. Quando arrivammo in America alla fine del XV secolo, ritrovammo questa stessa credenza, ma ben più feroce. Bisognava portare ai sacerdoti messicani fino a ventimila vittime umane all'anno e per procurarsele bisognava dichiarar guerra a qualche popolo, ma all'uo� po i Messicani sacrificavano i propri figli. Il sacrificato�

faisait couler sur la bouche de l ' idole, et tous les pr�tres mangeaient de la chair des vi ctimes ! ... ô

Pater orbis !

Unde nefas tantum? ... Solis n ou s a conservé un monument de l'horrible bonne foi de ces peuples, en nous transmettant le dis cours de Magiscatzin à Cortez pendant le séj our de ce

Ils ne pouvaient pas, lui dit­ il, se former l'idée d'un véritable sacrifice à moins qu'un homme ne mourût pour le salut des autres. fameux Espagnol à Tlascala.

Au Pérou les pères sacrifiaient de m�me leurs pro­ pres enfants. Enfin cette fu reur, et m�me celle de l'an­ thropophagie, ont fait le tour du globe et déshonoré les deux continents.

Aujourd'hui m�me, malgré l'influence de nos armes et de nos sciences, avons-nous pu déraciner de l ' Inde ce

funeste préjugé des sacrifices humains? Que dit la loi antique de ce pays, l'Éva ngile de l' I ndostan? Le sacrifice

dant

mille

ans;

et celui

d'un homme réjouit la divinité pen­ de trois hommes pendant trois mille

ans. je sais que, dans les temps plus ou moins postérieurs à la loi, l' humanité, parfois plus forte que le préjugé, a

permis de substituer à la victime humaine la figu re d'un homme formée en beurre ou en pâte ; mais les sacrifices réels ont duré penda nt des siècles, et celui des femmes à

la mort de leurs maris subsiste touj ou rs. Cet étrange sacrifice s'app elle le

Pitrimedha- Yaga;

la

prière que la femme récite avant de se j ete r dans les flammes se nomme la Sancalpa. Avant de s'y précipite r, elle invoque les dieux, les éléments, son âme et sa con­

et toi, ma conscience! sois mon époux, et, en embrassant

que je

science; elle s'écrie:

témoin

vais

le corps au

suivre

re apriva il petto delle vittime e si affrettava ad estrarne il cuore ancora palpitante. Il sommo sacerdote ne spre­ meva il sangue facendolo colare sulla bocca dell'idolo e tutti i sacerdoti mangiavano la carne delle vittime . ... o Pater orbis! Unde nefas tantum?

Solis ha conservato per noi un monumento dell'orri­ bile buona fede di questi popoli, riportandoci il discorso di Magiscatzin a Cortés durante il soggiorno dell'emi­ nente Spagnolo a Tlascala: Non potevano, egli dice, conce­ pire l'idea di un vero sacrificio a meno che un uomo non fosse morto per la salute degli altri14.

In Perù i padri sacrificavano loro stessi i propri figlii5. In definitiva questo furore, ed anche quello del­ l'antropofagia, ha fatto il giro del globo e disonorato i due continentii6, Tutt'oggi, malgrado l'influenza delle nostre armi e delle scienze, abbiamo potuto sradicare dall'India questo funesto pregiudizio dei sacrifici umani? Cosa dice la legge antica di questo Paese, il vangelo dell'Indostan? Il sacrificio di un uomo rallegra la divinità per mille anni e quello di tre uomini per tremila annN.

So che in tempi più o meno posteriori alla legge, l'umanità, talvolta più forte del pregiudizio, permise di sostituire alla vittima umana la figura di un uomo di burro o di pasta, ma i sacrifici effettivi si sono protratti per secoli, e quello delle donne alla morte dei loro mari­ ti permane tuttora. Questo strano sacrificio si chiama Pitrimedha- Yaga18 mentre la preghiera che la donna recitava prima di get· tarsi tra le fiamme ha il nome di Sancalpa. Prima di get­ tarsi essa invoca gli dèi, gli elementi, la sua anima e la sua coscienza19 gridando: E tu, mia coscienza, sii testimone

milieu des flammes, elle s'écrie sat ya! satya! satya! (ce mot signifie vérité). C'est le fils ou le plus proche parent qui met le feu au bûcher. Ces horreurs ont lieu dans un pays où c'est un crime horrible de tuer une vache; où le superstitieux bra� mine n'ose pas tuer la vermine qui le dévore. Le gouvernement du Bengale ayant voulu connaître en 1803 le nombre de femmes qu'un préjugé barbare con� duisait sur le bûcher de leurs maris, trouva qu'il n'était pas moindre de trente mille par an. Au mois d'avril 1802, les deux femmes d' Ameer� Jung, régent de Tanjore, se brûlèrent encore sur le corps de leur mari. Le détail de ce sacrifice fait horreur: tout ce que la tendresse maternelle et filiale a de plus puissant, tout ce que peut faire un gouvernement qui ne veut pas user d'autorité, fut employé en vain pour empêcher cette atrocité: les deux femmes furent inébranlables. Dans quelques provinces de ce vaste continent, et parmi les classes inférieures du peuple, on fait assez communément le voeu de se tuer volontairement, si l'on obtient telle ou telle grâce des idoles du lieu. Ceux qui ont fait ces voeux, et qui ont obtenu ce qu'ils désiraient, se précipitent d'un lieu nommé Calabhairava, situé dans les montagnes entre les rivières Tapti et Nermada. La foire annuelle qui se tient là est communément témoin de huit ou dix de ces sacrifices commandés par la super� stition. Toutes les fois qu'une femme indienne accouche de deux jumeaux, elle doit en sacrifier un à la déesse Gonza, en le jetant dans le Gange: quelques femmes mêmes sont encore sacrifiées de temps en temps à cette déesse. Dans cette Inde si vantée, «la loi permet au fils de jeter à l'eau son père vieux et incapable de travailler pour se procurer sa subsistance. La jeune veuve est obli�

che io sto per seguire il mio sposo; ed abbracciandone il cadavere tra alle fiamme essa gridava satya!, satya!, satya!, parola che significa verità. Il figlio o il parente più prossimo è colui che da fuoco alla pira�0• Questi orrori hanno luogo in un Paese in cui uccide� re una vacca è un crimine orribile, in cui il Brahmano superstizioso non osa uccidere il verme che lo divora. Il governo del Bengala, volendo conoscere il numero di donne che un pregiudizio barbaro aveva condotto sulla pira dei loro mariti, nel 1803 scoprl che non erano meno di trentamila all'anno�'. Ancora, nell'aprile del 18o:z le due mogli di d' Ameer� Jung, reggente di Tanjore, si fecero ardere sul corpo del marito. Il particolare di questo sacrificio fa orrore: tutto ciò che la tenerezza materna e filiale ha di più potente, tutto ciò che un governo che non vuole usare l'autorità può fare fu impiegato invano per evitare questa atrocità: le due donne furono inamovibili��. In alcune province di questo vasto continente, e fra le classi inferiori del popolo, si fa molto comunemente il voto di uccidersi volontariamente, se si ottiene tale o talaltra grazia dagli idoli del luogo. Coloro che hanno fatto questi voti e che hanno ottenuto quello che deside� ravano, si gettavano da un luogo chiamato Calabhairava, sito nelle montagne tra i fiumi Tapti e Nermada. La fiera annuale che vi ha luogo è comunemente testimone di otto e dieci di questi sacrifici dettati dalla superstizio� ne�J. Ogniqualvolta una donna indiana partorisce due gemelli, devono sacrificarne uno alla dea Gonza gettan� dolo nel Gange: alcune donne, talvolta, sono ancora sacrificate a questa dea�4. In questa India così vantata «la legge permette al figlio di gettare in acqua il padre vecchio e incapace di

gée de se brûler sur le bûcher de son mari; on offre des sacrifices humains pour apaiser le génie de la destruc­ tion, et la femme qui a été stérile pendant longtemps offre à son dieu l'enfant qu'elle vient de mettre au monde, en l'exposant aux oiseaux de proie ou aux bêtes féroces, ou en le laissant entraîner par les eaux du Gange. La plupart de ces cruautés furent encore commises solennellement, en présence des Européens, à la dernière fête indostane donnée dans l'île de Sangor, au mois de décembre IBOI>>.

On sera peut-être tenté de dire: Comment l'Anglais, maître absolu de ces contrées, peut-il voir toutes ces horreurs sans y mettre ordre? Il pleure peut-être sur les bûchers, mais pourquoi ne les éteint-il pas? Les ordres sévères, les mesures de rigueur, les exécutions terribles ont été employés par le gou­ vernement; mais pourquoi toujours pour augmenter ou défen­ dre le pouvoir, jamais pour étouffer ces horribles coutumes? On dirait que les glaces de la philosophie ont éteint dans son coeur cette soif de l'ordre qui opère les plus grands change­ ments, en dépit des plus grands obstacle; ou que le despotisme des nations libres, le plus terrible de tous, méprise trop ses esclaves pour se donner la peine de les rendre meilleurs. Mais d'abord il me semble qu'on peut faire une sup­ position plus honorable, et par cela seul plus vraisembla­ ble: c'est qu'il est absolument impossible de vaincre sur ce point le préjugé obstiné des Indous, et qu'en voulant abolir par l'autorité ces usages atroces, on n'aboutirait qu'à la compro­ mettre, sans fruit pour l'humanité. Je vois d'ailleurs un grand problème à résoudre: ces sacrifices atroces qui nous révoltent si justement ne seraient-ils point bons, ou du moins nécessaires dans l'Inde? Au moyen de cette institution terrible, la vie d'un époux se trouve sous la garde incorruptible de ses femmes et de tout ce qui s'intéresse à elles. Dans le pays

lavorare per garantire la propria sussistenza; la giovane vedova è obbligata a farsi bruciare sulla pira del marito; si offrono dei sacrifici umani per placare il genio della distruzione e la donna che è stata sterile per lungo tempo offre al suo dio il figlio che sta per mettere al mondo, esponendolo agli uccelli rapaci o alle fiere, o lasciandolo trascinare dalle acque del Gange. La maggior

parte di queste crudeltà fu ancora commessa solennemente, in presenza degli Europei , all'ultima festa indostana tenutasi sul­ l'isola di Sangor, nel mese di dicembre I80I»l5, Si sarà forse tentati di dire: Come l'Inglese, padrone

assoluto di queste contrade, può vedere tutti questi orrori senza parvi ordine? Piange, forse, sui roghi, ma perché non li spegne? Gli ordini severi, le misure di rigorose, le terribili ese­ cuzioni sono state impiegate dal governo, ma perché sempre per aumentare o difendere il potere e mai per soffocare questi orribili costumi? Si direbbe ch e i ghiacci della filosofia abbia­ no estinto nel suo cuore quella sete d'ordine che opera i più grandi cambiamenti, a discapito dei più grandi ostacoli,

o

che

il dispotismo delle nazioni libere, il più terribile di tutti, disprezza troppo i sui schiavi per darsi la pena di renderli migliori. Ma innanzitutto mi sembra che si possa fare una supposizione più onorevole, e per questo più verosimile, ossia che è assolutamente impossibile vincere su questo punto

il pregiudiz io ostinato degli Indù e che, volendo abolire trami­ te l'autorità questi usi atroci, si riuscirebbe unicamente a com­ prometterla, senza profitto per l'umanità•6, Vedo d'altronde un grande problema da risolvere: questi sacrifici atroci che giustamente ci disgustano, non sarebbero forse buoni, o almeno necessari in India? Mediante questa istituzione terribile, la vita di uno sposo si trova sotto incorruttibile custodia delle sue mogli e di tutto ciò che le riguarda. Nel Paese delle rivo-

des révolutions, des vengeances, des crimes vils et téné­ breux, qu'arriverait-il si les femmes n'avaient matériel­ lement rien a perdre par la mort de leurs époux, et si elles n'y voyaient que le droit d'en acquérir un autre? Croirons-nous que les législateurs antiques, qui furent tous des hommes prodigieux, n'aient pas eu dans ces contrées des raisons particulières et puissantes pour éta­ blir de tels usages? Croirons-nous même que ces usages aient pu s'établir par des moyens purement humains? Toutes les législations antiques méprisent les femmes, les dégradent, les gênent, les maltraitent plus ou moins.

La femme, dit la loi de Menu, est protégée par son père dans l'enfance, par son mari dans la jeunesse, et par son fils dans la vieillesse; jamais elle n'est propre à l'état d'indépen­ dance. La fougue indomptable du tempérament, l'inconstance du caractère, l'absence de toute affection permanente, et la perversité naturelle qui distingue les femmes, ne manqueront jamais, malgré toutes les précautions imaginables, de les déta­ cher en peu de temps de leurs maris. Platon veut que les lois ne perdent pas les femmes de vue, même un instant: «Car, dit-il, si cet article est mal ordonné, elles ne sont plus la moitié du genre humain ; elle sont plus de la moitié, et autant de fois plus de la moi­

tié, qu'elles ont de fois moins de vertu que nous». �i ne con­ naît l'incroyable esclavage des femmes à Athènes, où elles étaient assujetties à une interminable tutelle; où, à la mort d'un père qui ne laissait qu'une fille mariée, le plus proche parent de nom avait droit de l'enlever à son mari et d'en faire sa femme; où un mari pouvait léguer la sienne, comme une portion de sa prospérité, à tout individu qu'il lui plaisait de choisir pour son successeur, etc.? Qui ne connaît encore les duretés de la loi romaine envers les femmes? On dirait que, par rapport au second

luzioni, delle vendette, dei crimini vili e oscuri, cosa succederebbe se le mogli non avessero materialmente nulla da perdere dalla morte dei loro sposi e se vedesse� ro in essa unicamente il diritto di acquisirne un altro? Crederemo che gli antichi legislatori, che furono tutti uomini prodigiosi, non abbiamo avuto, in queste contra� de, delle ragioni particolari e potenti per stabilire degli usi simili? Crederemo anche che questi usi abbiano potuto stabilirsi con mezzi puramente umani? Pratica� mente tutte le antiche legislazioni disprezzano le donne, le degradano, le insultano, le maltrattano.

La donna, secondo la legge di Manu, è protetta da suo padre nell'infanzia, da suo marito nella giovinezza e da suo figlio nella vecchiaia, mai le sarà proprio lo stato d'indipen� denza. La foga indomabile del temperamento, l'incostanza del carattere, l'assenza di qualsiasi affetto permanente e la natu� rale perversità che distingue le donne, non mancheranno mai di separarle in poco tempo dai loro maritiZ7, malgrado tutte le precauzioni immaginabili. Platone vuole che le leggi non perdano mai di vista le donne, nemmeno per un istante: «Poiché - dice - questo articolo è mal disposto, esse non sono più la metà del genere umano, sono più della metà, ben più numerose della

metà tante volte quanto hanno meno virtù di noi»zB, Chi non conosce l'incredibile schiavitù delle donne ad Atene, dove esse erano assoggettate ad un'intermina� bile tutela; dove alla morte di un padre che lasciava solo un'unica figlia maritata, il parente di nome più prossi� mo aveva diritto di toglierla al marito e di farne sua moglie; dove un marito poteva lasciare la sua, come una porzione della sua proprietà, ad un individuo che lui gra� diva scegliere come suo successore, ecc.�9? Chi non conosce ancora la durezza della legge roma� na verso le donne? Si direbbe che, rispetto al secondo

sexe, les instituteurs des nations avaient tous été à l'éco­ le d'Hippocrate, qui le croyait mauvais dans son essen­ ce même. La femme, dit-il, est perverse par nature: son pen­ chant doit être journellement réprimé, autrement il pousse en tout sens, comme les branches d'un arbre. Si le mari est absent, des parents ne suffisent point pour le garder: il faut un ami dont le zèle ne soit point aveuglé par l'affection. Toutes les législations en un mot ont pris des précau­ tions plus ou moins sévères contre les femmes; de nos jours encore elles sont esclaves sous l'Alcoran, et bêtes de somme chez le sauvage: l'Évangile seul a pu les éle­ ver au niveau de l'homme en les rendant meilleures; lui seul a pu proclamer les droits de la femme après les avoir fait naître, et les faire naître en s'établissant dans le coeur de la femme, instrument le plus actif et le plus puissant pour le bien comme pour le mal. Éteignez, affaiblissez seulement jusqu'à un certain point, dans un pays chrétien, l'influence de la loi divine, en laissant subsister là liberté qui en était la suite pour les femmes, bient6t vous verrez cette noble et touchante liberté dégénérer en une licence honteuse. Elles deviendront les instruments funestes d'une corruption universelle qui atteindra en peu de temps les parties vitales de l'état. Il tombera en pourriture, et sa gangreneuse décrépitude fera à la fois honte et horreur. Un Turc, un Persan, qui assistent à un bal européen, croient rêver: ils ne comprennent rien à ces femmes, Compagnes d'un époux et reines en tous lieux, Libres sans déshonneur, fidèles sans contrainte, Et ne devant jamais leurs vertus à la crainte.

C'est qu'ils ignorent la loi qui rend ce tumulte et ce mélange possibles. Celle même qui s'en écarte lui doit sa liberté. S'il pouvait y avoir sur ce point du plus et du

sesso, gli istitutori delle nazioni uscissero tutti dalla scuola di Ippocrate, che lo credeva malvagio nella sua stessa essenza. La donna, dice, è perversa per natura, la sua

inclinazione deve essere repressa quotidianamente, altrimenti cresce in ogni direzione, come i rami di un albero. Se il mari� to è assente, non bastano certo i genitori per custodirla: occor� re un amico il cui zelo non sia accecato dall'affetto3°. In sintesi, tutte le legislazioni hanno preso delle pre� cauzioni più o meno severe nei contro le donne, tutt'og· gi sono schiave secondo il Corano, e bestie da soma presso i selvaggi; solo il Vangelo ha potuto elevarle al livello dell'uomo rendendole migliori, esso soltanto ha potuto proclamare i diritti della donna dopo aver dato loro vita e averli fatti nascere con il radicamento nel cuore della donna, lo strumento più attivo e più potente per il bene come per il male. Spegnete, indebolite solo fino ad un certo punto, in un Paese cristiano, l'influenza della legge divina lasciando sussistere la libertà che ne deriva per le donne e presto vedrete questa nobile e toccante libertà degenerare in una vergognosa licenza. Esse diventeranno gli strumenti funesti di una corruzione universale che raggiungerà in breve tempo le parti vita� li dello Stato. Questo cadrà in putrefazione e la sua can· crenosa fatiscenza farà al contempo vergogna e orrore. Un turco, un persiano, che assistono ad un ballo europeo credono di sognare: non comprendono nulla di queste donne, Compagne di uno sposo e regine in ogni luogo, Libere senza disonore, fedeli senza costrizione, E che mai devono la loro virtù al timore.

Costoro ignorano la legge che rende questo tumulto e questo amalgama possibili. Persino colei che se ne dis· soda le deve la libertà. Se vi potesse essere su questo

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53

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moins, je dirais que les femmes sont plus redevables que nous au christianisme. L'antipathie qu'il a pour l'escla· vage (qu'il éteindra toujours doucement et infaillible· ment partout où il agira librement) tient surtout à elles: sachant trop combien il est aisé d'inspirer le vice, il veut au moins que personne n'ait droit de le commander. Enfin aucun législateur ne doit oublier cette maxime:

Avant d'effacer l'Évangile,

il

faut enfermer les femmes,

ou

les accabler par des lois épouvantables, telles que celles de l'Inde. On a souvent célébré

la

douceur des Indous;

mais qu'on ne s'y trompe pas: hors de la loi qui a dit, BEAT!

être

MITES! il n'y a point d'hommes doux. Ils pourront

faibles ,

timides, poltrons, jamais doux. Le poltron peut

être cruel; il l'est même assez souvent: l'homme doux ne l'est jamais. L'inde en fournit un bel exemple. Sans par· ler des atrocités superstitieuses que je viens de citer, quelle terre sur le globe a vu plus de cruautés? Mais nous, qui pâlissons d'horreur à la seule idée des sacrifices humains et de l'anthropophagie, comment pourrions·nous être tout à la fois assez aveugles et assez ingrats pour ne pas reconnaître que nous ne devons ces sentiments qu'à la loi d'amour qui a veillé sur notre ber­ ceau? Une illustre na:tion, parvenue au dernier degré de la civilisation et de l'urbanité, osa naguère, dans un accès de délire dont l'histoire ne présente pas un autre exemple, suspendre formellement cette loi: que vîmes· nous? En un clin d'oeil, les moeurs des Iroquois et des Algonquins; les saintes lois de l'humanité foulées aux pieds; le sang innocent couvrant les échafauds qui cou· vraient la France; des hommes frisant et poudrant des têtes sanglantes, et la bouche même des femmes souillé­ es de sang humain. Voilà l'homme naturel! Ce n'est pas qu'il ne porte en lui·même les germes inextinguibles de la vérité et de la

punto un più ed un meno, direi che le donne sono più debitrici di noi al cristianesimo. L'antipatia che questo ha per la schiavitù (che sopprimerà sempre lentamente e infallibilmente ovunque agirà liberamente) riguarda soprattutto loro: sapendo troppo quanto sia facile ispira­ re il vizio, vuole almeno che nessuno abbia il diritto di ordinarlo31, Pertanto, nessun legislatore deve dimenticare questa massima: Prima di cancellare il Vangelo, bisogna imprigio­ nare le donne, o sommergerle di leggi spaventose, come

quelle dell'India. Si è spesso celebrata la dolcezza degli Indiani, ma che non ci si sbagli: all'infuori della legge che dice BEATI MITES! non vi sono uomini dolci. Possono essere deboli, timidi, codardi, mai dolci. Il codardo può essere crudele, lo è peraltro molto spesso: l'uomo dolce non lo è mai. L'India ne fornisce un bell'esempio. Senza parlare deHe atrocità superstiziose che ho citato poc'an­ zi, quale terra al mondo ha visto più crudeltà? Ma noi, che impallidiamo d'orrore alla sola idea dei sacrifici umani e dell'antropofagia, come potremmo essere al contempo tanto ciechi e tanto ingrati per non riconoscere che dobbiamo tali sentimenti unicamente alla legge d'amore che ha vegliato sulla nostra culla? Un'illustre nazione, giunta all'ultimo grado della civiltà e dell'urbanità, osò fino a poco tempo fa, in un eccesso di delirio di cui la storia non presenta un altro esempio, sospendere formalmente questa legge: cosa vedemmo? In un batter d'occhio, i costumi degli lrochesi e degli Algochini; le sante leggi dell'umanità calpestate; sangue innocente che copriva i patiboli in tutta la Francia; uomini che pettinavano ed incipriavano teste sangui­ nanti, ed anche la bocca delle donne insudiciata di san­ gue umano. Ecco l'uomo naturale! Non è ch'egli non porti in sé i

vertu: les droits de sa naissance sont imprescriptibles; mais sans une fécondation divine, ces germes n'écloront jamais, ou ne produiront que des êtres équivoques et . malsains. Il est temps de tirer des faits historiques les plus incontestables une conclusion qui ne l'est pas moins. Nous savons par une expérience de quatre siècles: que partout où le vrai Dieu ne sera pas connu et servi, en vertu d'une révélation expresse, l'homme immolera touj ours l'hom­ me, et souvent le dévorera.

Lucrèce,

après

nous

avoir raconté le sacrifice

d'Iphigénie (comme une histoire authentique, cela s'en­ tend, puisqu'il en avait besoin), s'écriait d'un air triom­ phant: Tant la religion peut enfanter de maux!

Hélas! il ne voyait que les abus, ainsi que tous ses successeurs, infiniment moins excusables que lui. Il ignorait que celui des sacrifices humains, tout énorme qu'il était, disparaissait devant les maux que produit l'impiété absolue. Il ignorait, ou il ne voulait pas voir qu'il n'y a, qu'il ne peut y avoir même de religion entiè­ rement fausse; que celle de toutes les nations policées, telle qu'elle était à l'époque où il écrivait, n'en était pas moins le ciment de l'édifice politique, et que les dogmes d'Épicure étaient précisément sur le point, en la sapant, de saper du même coup l'ancienne constitution de Rome, pour lui substituer une atroce et interminable tyrannie. Pour nous, heureux possesseurs de la vérité, ne com­ mettons pas le crime de la méconnaître. Dieu a bien voulu dissimuler quarante siècles; mais depuis que de nou­ veaux siècles ont commencé pour l'homme, ce crime n'aurait plus d'excuse. En réfléchissant sur les maux

germi inestinguibili della verità e della virtù: i suoi dirit� ti di nascita sono imperscrittibili, ma senza una fecon� dazione divina, questi germi non sbocceranno mai, o produrranno solamente degli esseri equivoci e malsani.

È

giunto il momento di trarre dai fatti storici più

incontestabili una conclusione che non sia da meno. Sappiamo da un'esperienza di quattro secoli che ovunque il vero Dio non sarà conosciuto e servito, in virtù di una rivelazione espressa, l'uomo immolerà sempre l'uomo e spesso lo divorerà.

Lucrezio, dopo averci raccontato del sacrificio di Ifigenia

(come

una storia autentica, s'intende, poiché

così gli era utile), esclamava con aria trionfante: La religione, quanti mali può mettere al mondo! Ahimè! Egli vedeva solo gli abusi, così come tutti i suoi successori, infinitamente meno perdonabili di lui. Ignorava che quello dei sacrifici umani, per enorme che fosse, svaniva davanti ai mali che produce l'empietà assoluta. Ignorava, o non voleva vedere, che non vi è e non vi può essere alcuna religione interamente falsa, che quella di tutte le nazioni civilizzate, così com'era all'epoca in cui egli scriveva, era niente meno che il cemento dell'edificio politico e che i dogmi di Epicuro, scalzandola, erano precisamente sul punto di minare, allo stesso tempo, l'antica costituzione di Roma, per sostituirla con un'atroce e interminabile tirannia. Noi, lieti detentori della verità, non commettiamo mai il crimine di ignorarla. Dio ha voluto dissimulare quaranta secoli31, ma dopo che nuovi secoli cominciarono

per

l'uomo,

questo

crimine non ebbe più scuse.

Riflettendo sui mali prodotti dalle false religioni, abbracciamo, benediciamo con trasporto quella vera, che ha spiegato e giustificato l'istinto religioso del genere

produits par les fausses religions, bénissons, embrassons avec transport la vraie, qui a expliqué et justifié l'in­ stinct religieux du genre humain, qui a dégagé ce senti­ ment universel des erreurs et des crimes qui le déshono­ raient, et qui a renouvelé la face de la terre. Tant la religion peut corriger de maux!

C'est à peu près, si je ne me trompe, ce qu'on peut dire, sans trop s'avancer, sur le principe caché des sacri­ fices, et surtout des sacrifices humains qui ont déshono­ ré toute la famille humaine. Je ne crois pas inutile main­ tenant de montrer, en finissant ce chapitre, de quelle manière la philosophie moderne a considéré le même sujet. L'idée vulgaire qui se présente la première à l'esprit, et qui précède visiblement la réflexion, c'est celle d'un hommage ou d'une espèce de présent fait à la divinité. Les Dieux sont nos bienfaiteurs (datores bonorum); il est tout simple de leur offrir les prémices de ces m�mes biens que nous tenons d'eux: de là les libations antiques et cette offrande des prémices qui ouvraient les repas. Heyne, en expliquant ce vers d'Homère, Du repas dans la flamme il jeta les prémices

trouve dans cette coutume l'origine des sacrifices: «Les anciens, dit-il, offrant aux dieux une partie de leur nour­ riture, la chair des animaux dut s'y trouver comprise, et le sacrifice, ajoute-t-il, envisagé de cette manière, n'a rien de choquant». Ces derniers mots, pour l'observer en pas­ sant, prouvent que cet habile homme voyait confusé­ ment dans l'idée générale du sacrifice quelque chose de plus profond que la simple offrande, et que cet autre point de vue le choquait.

umano, che ha portato alla luce questo sentimento uni� versale degli errori e dei crimini che la disonorano e che ha rinnovato la faccia della terra. La religione, quanti mali può correggere!

Se non mi sbaglio, questo è all'incirca quanto si può dire, senza andare troppo oltre, sul principio nascosto dei sacrifici e soprattutto dei sacrifici umani i quali hanno disonorato tutto il genere umano. Non credo sia inutile mostrare adesso, al termine di questo capitolo, in quale modo la filosofia moderna ha considerato il mede� simo soggetto. L'idea volgare che per prima si presenta alla mente e che precede visibilmente la riflessione, è quella di un omaggio o di una sorta di presente fatto alla divinità. Gli Dei sono nostri benefattori (datores bonorum), è del tutto normale offrir loro le primizie di questi stessi beni che da loro prendiamo. Da qui le antiche libagioni e quell'offerta di primizie che davano inizio ai pasti33, Heyne, spiegando questo verso di Omero, Del pranzo le primizie gettò alle fiamme34

trova in tale costume l'origine dei sacrifici: «Gli antichi - dice - offrendo agli dèi una parte del loro cibo, dovet� tero ricomprendervi la carne degli animali, e il sacrificio, aggiunge, visto in questo modo non ha nulla di scioccante»35, Queste ultime parole, analizzate fugacemente, provano che quest'uomo abile vedeva confusamente nell'idea generale del sacrificio qualcosa di più profondo della semplice offerta, e che quest'altro punto di visto lo scioc� cava. Non si tratta in realtà unicamente di un presente, di un 'offerta , di primizie, in breve, di un atto di semplice

Il ne s'agit point en effet uniquement de présent, d' of

frande, de prémices, en un mot, d'un acte simple d'hom­ mage et de reconnaissance, rendu, s'il est permis de s'ex­ primer ainsi, à la suzeraineté divine ; car les hommes, dans cette supposition, auraient envoyé chercher à la boucherie les chairs qui devraient être offertes sur les autels : ils se seraient bornés à répéter en public, et avec la pompe convenable, cette même cérémonie qui ouvrait leurs repas domestiques. Il s'agit de sang, il s'agit de l'immolation proprement dite; il s'agit d'expliquer comment les hommes de tous les temps et de tous les lieux avaient pu s'accorder à croire qu'il y avait, non pas dans l'offrande des chairs (il faut bien observer ceci), mais dans l'effusion du sang, une vertu expiatrice utile à l'homme: voilà le problème, et il ne cède pas au premier coup d'oeil. Non seulement les sacrifices ne furent point une simple extension des apar­

ques, ou de l'offrande des prémices brûlés en commen­ çant les repas ; mais ces aparques elles-mêmes ne furent très évidemment que des espèces de sacrifices diminués; comme nous pourrions transporter dans nos maisons certaines cérémonies religieuses, exécutées avec une pompe publique dims nos églises. On en demeurera d'accord pour peu qu'on se donne la peine d'y réfléchir. Hume, dans sa vilaine Histoire naturelle de la Religion, adopte cette même idée de Heyne, et il l'envenime de sa manière: «Un sacrifice, dit-il, est considéré comme un présent: or, pour donner une chose à Dieu, il faut la détruire pour l'homme. S'agit-il d'un solide, on le brûle; d'un liquide, on le répand; d'un animal, on le tue. L'homme, faute d'un meilleur moyen, rêve qu'en se fai­ sant du tort il fait du bien à Dieu; il croit au moins prou­ ver de cette manière la sincérité des sentiments d'amour et de d'adoration dont il est animé; et c'est ainsi que - 6o-

omaggio e riconoscenza, reso, se è permesso esprimersi in questi termini, alla sovranità divina, poiché gli uomi­ ni, secondo questa supposizione, si sarebbero recati al macello per cercare le carni che sarebbero state offerte sugli altari. Si sarebbero limitati a ripetere in pubblico, con il dovuto fasto, quella stessa cerimonia che dava ini­ zio ai loro pasti domestici. Si tratta di sangue, si tratta dell'immolazione propria­ mente detta, si tratta di spiegare come gli uomini di ogni epoca e di ogni luogo abbiano potuto accordarsi nel cre­ dere che ci fosse, certo non nell'offerta delle carni

(si

presti attenzione a questo) , ma nell'effusione del sangue, una virtù espiatrice utile all'uomo. Ecco dunque il pro­ blema, e non si risolve di primo acchito36, Non solo i sacrifici non furono una semplice esten­ sione delle aparche o dell'offerta delle primizie bruciate all'inizio del pasto, ma queste stesse aparche non furono evidentemente altro che una specie di sacrifici ridotti, così come noi potremmo trasferire nelle nostre case alcune cerimonie religiose, eseguite pubblicamente nelle nostre chiese. Per quanto poco ci si dia la pena di riflet­ terei non si può non essere d'accordo. Hume, nella sua rustica Histoire naturelle de la

Religion, adotta questa stessa idea di Heyne e la inaspri­ sce a suo modo: «Un sacrificio, dice, è considerato come un presente: Ora, per donare qualcosa a Dio bisogna distruggerla per l'uomo. Se si tratta di un solido, lo si brucia; un liquido, lo si spande; un animale, lo si uccide. L'uomo, in mancanza di un altro mezzo migliore, sogna che facendosi un torto fa de bene a Dio; crede almeno di provare in questo modo la sincerità dei sentimenti d'amore e d'adorazione da cui è animato; ed è così che la nostra devozione mercenaria si vanta di ingannare Dio dopo aver ingannato se stessa»37, -61-

notre dévotion mercenaire se flatte de tromper Dieu après s'être trompée elle-même». Mais toute cette acrimonie n'explique rien: elle rend même le problème plus difficile. Voltaire n'a pas man­ qué de s'exercer aussi sur le même sujet; en prenant seu· lement l'idée générale du sacrifice comme une donnée, il s'occupe en particulier des sacrifices humains. «Üh ne voyait, dit-il, dans les temples que des étaux,

des broches, des grils, des couteaux de cuisine, de lon­ gues fourchettes de fer, des cuillers, ou des cuillères à pot, de grandes jarres pour mettre la graisse, et tout ce qui peut inspirer le mépris et l'horreur. Rien ne contribua plus à perpétuer cette dureté et cette atrocité de moeurs, qui porta enfin les hommes à sacrifier d'autres hommes, et jusqu'à leurs propres enfants. Mais les sacrifices de l'inquisition dont nous avons tant parlé ont été cent fois plus abominables: nous avons substitué des bourreaux aux bouchers». Voltaire sans doute n'avait jamais mis le pied dans un temple antique; la gravure même ne lui avait jamais fait connaître ces sortes d'édifices, s'il croyait que le temple, proprement dit, présentait le spectacle d'une boucherie et d'une c·uisine. D'ailleurs, il ne faisait pas attention que ces grils, ces broches, ces longues four· chettes, ces cuillers ou ces cuillères, et tant d'autres instruments aussi terribles, sont tout aussi à la mode qu'autrefois; sans que jamais aucune mère de famille, et pas même les femmes des bouchers et des cuisiniers, soient le moins du monde tentées de mettre leurs enfants à la broche ou de les jeter dans la marmite. Chacun sent que cette espèce de dureté qui résulte de l'habitude de verser le sang des animaux, et qui peut tout au plus faciliter tel ou tel crime particulier, ne con­ duira jamais à l'immolation systématique de l'homme.

Ma tutta questa acrimonia non spiega nulla: piutto� sto, rende il problema più difficile. Voltaire non ha mancato di esercitarsi anche su questo argomento. Prendendo solamente l'idea generale del sacrificio come dono, si occupa in particolare dei sacrifici umani. «Nei templi- dice- si vedevano unicamente morse, spiedi, graticole, coltelli da cucina, forchettoni di ferro, cucchiai o mestoli38, grandi giare per il grasso e tutto ciò che può ispirare disgusto ed orrore. Nulla poté contri� buire di più a perpetuare questa durezza e questa atroci� tà dei costumi, che portò infine gli uomini a sacrificare altri uomini fino ad arrivare ai loro stessi figli. Ma i sacrifici dell'inquisizione di cui abbiamo a lungo parlato sono stati cento volte più abominevoli: abbiamo sosti� tuito i boia ai macellai»9, Voltaire, senza dubbio, non aveva mai messo piede in un tempio antico; neppure l'incisione stessa gli aveva mai fatto conoscere questo tipo di edifici, se credeva che il tempio propriamente detto presentasse lo spettacolo di una macelleria e di una cucina. D'altronde, non face� va attenzione al fatto che queste griglie, questi spiedi, questi lunghi forchettoni, questi cucchiai o mestoli e tanti altri strumenti parimenti terribili, sono di moda oggi come allora; senza che mai una madre di famiglia e neppure le mogli dei macellai e dei cuochi, siano in alcun modo tentate di mettere i loro figli allo spiedo o di gettarli in pentola. Ognuno sente che questa specie di durezza, che deriva dall'abitudine di versare il sangue degli animali e che può tutt'al più facilitare questo o quel crimine particolare, non condurrà mai all'immola� zione sistematica dell'uomo. D'altronde non si può leg� gere senza stupore il termine

INFINE

utilizzato da

Voltaire, come se i sacrifici umani non fossero stati altro che il risultato tardivo dei sacrifici animali, in pre�

On ne peut lire d'ailleurs sans étonnement ce mot d'EN­ employé par Voltaire, comme si les sacrifices

FIN

humains n'avaient été que le résultat tardif des sacrifi­ ces d'animaux, antérieurement usités depuis des siècles: rien n'est plus faux. Toujours et partout où le vrai Dieu n'a pas été connu et adoré, on a immolé l'homme; les plus anciens monuments de l'histoire l'attestent, et la fable même y joint son témoignage, qui ne doit pas, à beaucoup près, être toujours rejeté. Or, pour expliquer ce grand phénomène, il ne suffit pas tout à fait de reco�­ rir aux couteaux de cuisine et aux grandes fourchettes. Le morceau sur l'inquisition, qui termine la note, semble écrit dans un accès de délire. Quoi donc! l'exécu­ tion légale d'un petit nombre d'hommes, ordonnée par un tribunal légitime, en vertu d'une loi antérieure solen· nellement promulguée, et dont chaque victime était par· faitement libre d'éviter les dispositions, cette exécution, dis je, est cent fois plus abominable que le forfait horrible -

d'un père et d'une mère qui portaient leur enfant sur les bras enflammés de Moloch! Quel atroce délire! Quel oubli de toute raison, de toute justice, de toute pudeur! La rage anti-religieuse le transporte au point qu' à la fin de cette belle tirade il ne sait exactement plus ce qu'il dit. Nous avons, dit-il, substitué les bourreaux aux bouchers. Il croyait donc n'avoir parlé que des sacrifices d'ani­ maux, et il oubliait la phrase qu'il venait d'écrire sur les sacrifices d'hommes: autrement, que signifie cette oppo­ sition des bouchers aux bourreaux? Les prêtres de l'anti­ quité, qui égorgeaient leurs semblables avec un fer sacré, étaient-ils donc moins bourreaux que les juges modernes qui les envoient à la mort en vertu d'une loi? Mais revenons au sujet principal: il n'y a rien de plus faible, comme on voit, que la raison alléguée par Voltaire pour expliquer l'origine des sacrifices humains.

cedenza d'uso per secoli: niente di più falso. Sempre e ovunque, dove il vero Dio non era conosciuto e adorato, si è immolato l'uomo. I più antichi monumenti della storia lo attestano, ed anche la favola vi aggiunge la sua testimonianza, che non deve essere sempre del tutto respinta. Dunque, per spiegare questo grande fenomeno, non è assolutamente sufficiente ricorrere ai coltelli da cucina e ai forchettoni. Il passo sull'inquisizione, che termina la nota, sem­ bra

scritto

in

un accesso

di

delirio.

E

dunque?

L'esecuzione di un piccolo numero di uomini, ordinata da un tribunale legittimo in virtù di una legge anteriore solennemente promulgata e di cui ogni vittima era per­ fettamente libera di evitare le disposizioni; questa ese­ cuzione, dico, è cento volte più abominevole del misfat­ to orribile di un padre o di una madre che portano il loro figlio tra le braccia infuocate di Moloch? Quale atroce delirio! Quale dimenticanza di ogni ragione, di ogni giu· stizia, di ogni pudore! La collera antireligiosa lo traspor· ta al punto che alla fine di questa bella tirata egli non sa più esattamente cosa dice. Abbiamo sostituito, dice, i boia ai macellai. Credeva dunque di aver parlato solamente dei sacrifici degli animali e aveva dimenticato la frase che aveva appena scritto sui sacrifici degli uomini, altrimen­ ti cosa significa questa opposizione dei macellai ai boia? Gli antichi sacerdoti che sgozzavano i loro simili con un ferro benedetto, erano dunque meno aguzzini dei giudici moderni che li mandano a morte in virtù di una legge? Ma torniamo al tema principale: non vi è niente di più debole, come si vede, della ragione sostenuta da Voltaire per spiegare l'origine dei sacrifici umani. Questa semplice coscienza che si chiama buon senso è sufficiente per dimostrare che non vi è in questa spiega­ zione l'ombra di sagacità, né di vera conoscenza dell'uo-

Cette simple conscience qu'on appelle bon sens suffit

pour démontrer qu 'il n'y a, dans cette ex plication, pas l'ombre de sagacité, ni de véritable connaissance de l'homme et de l'antiquité. Écoutons enfin Condilla c, et voyons comment il s'y est pris pour ex plique r l'origine des sacrifices humains à

son p rétendu ÉLÈVE, qui, pour le bonheur d'un peuple, ne voulut jamais se laisser élever. «On ne se contenta pas, dit�il, d'adresser aux dieux ses prières et ses voeux; on crut devoir leur offrir les choses qu'on imagina leur être agréables... des fruits, des animaux et DES HOMMES ..». .

Je me garderai bien de dire que ce morceau est digne d'un e nfant ; car il n'y a, Dieu merci, aucun enfant assez mauvais pour l'écrire. Quelle exécrable légèreté! Quel mépris de notre malheu reuse espèce! Quelle rancune accusatrice contre son instinct le plus naturel et le plus sacré! Il m'est impossible d'exprimer à quel point Condillac révolte ici dans moi la conscience et le senti� ment: c'est un des tr aits les plus odieux de cet odieux éc riv ain

.

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mo e dell'antichità. Sentiamo infine Condillac, e vediamo come è riusd� to a spiegare l'origine dei sacrifici umani al suo preteso ALLIEVO, che, per la gioia del popolo, non volle mai

lasciarsi allevare. «Non ci si accontentò, dice, d'indirizzare agli dèi le pro� prie preghiere e i propri voti. Si credette di dover loro offrire le cose che s'immaginava essere di loro gradimento ti, degli animali e DEGLI UOMINI

...

...

dei frut�

»4°,

Mi guarderò bene dal dire che questo passo sia degno di un bambino, poiché non vi è, grazie a Dio, alcun bam� bino così malvagio per scriverlo. Quale esecrabile legge� rezza! Quale disprezzo della nostra sfortunata specie! Q!lale rancore accusatore contro il suo istinto più natu� rale e più sacro! Mi è impossibile esprimere fino a che punto Condillac qui mi sconvolga la coscienza ed il sen� timento: è uno degli estratti più odiosi di questo odioso scrittore.

NoTE AL CAP. II

l De Bello Gallico, V I, 16. 2 Questi due termini legare e slegare sono cosi naturali da essere adot­ tati e fissati per sempre nella nostra lingua teologica. 3 Scherzando su questo testo pro devoto femineo sexu, un giornalista

francese non ha mancato di dire che «la Chiesa ha conferito alle 26 febbraio 18 12). Non bisogna rimproverare le persone di spirito che appren­ dono il latino, presto probabilmente lo sapranno. È vero, tuttavia, che sarebbe bene impararlo prima di prendersi gioco della Chiesa romana, la quale lo conosce discretamente bene. donne il titolo di SESSO DEVOTO» (Journal de l'Empire,

4

�THOtlOJç I:EAYTON K.Al EKEINON,

8.

Platone, Eutifrone, in Opere, t. I, p.

5 Eusth. ad /oc. Il termine latino HOSTIS è il corrispettivo del francese HOTE:OSPITE (hoste) e sia l'uno sia l'altro si trovano nel tedesco hast, pur essendo meno visibili. Essendo pertanto lo hostis un nemico o uno straniero, e sotto questo doppio aspetto soggetto al sacrificio, l'uomo ed in seguito, per analogia, l'animale immolato si chiamarono hostia. È noto quanto questo termine sia stato snatu­ rato e nobilitato nel nostro linguaggio cristiano. 6

hostem supplex superbum. (Virgilio, Eneide, IV, 4 24 ). E qui Servio: Nonnulijuxta veteres hostem pro hospite dictum acci­ piunt (Forcellini, in Hostis).

/, soror, atque

7 AMOTPJOç fiHQç (Iliade, v; 214). 8 Ma lo stato di guerra era lo stato naturale di questo Paese. Ante Cresaris adventum fere quotannis (bellum) occidere solebat; uti, aut ipse injurias inferrent, Gallico, VI,

9 /bid. V I, 16.

aut illas propulsarent.

(De Bello

15).

10 Praeceptum est ut pro capitibus supplicarentur; idque aliquandiu

observatio ut pro familiarum hospitate pueri mactarentur Manie

deae, matri Larum. (Macrobio, Sarturnale, 1,7). 11 Mulieres genas ne radunto (XII Tab.) 12 Ut rogis il/a imago restitueretur; ve/, quemadmodum Varro loquitur, ut sanguine ostenso inferis satisfiat. (Joh. Ros., Rom. Anitiquit. corp. abso/utiss. cum notis Th. Demsteri a Murreck, Amsterdam,

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Blaen, 1685; in 4°, V, 39, p. 442). 13 Poiché il Gallo era per il Romano lo HOSTIS e conseguentemente l'HDSTIA naturale. Con gli altri popoli, dice Cicerone, combattiamo per la gloria, con i Galli per la salvezza. [... ] Dacché minaccia Roma, le leggi e i costumi che abbiamo ricevuto dai nostri antena­ ti vogliono che l'arruolamento non conosca più eccezioni.

Pro M. Fonteio).

Ed infatti marciavano gli schiavi stessi.

(Cic.

14 Ni sabian que pudiese nacer sacrificio, sin muriese alguno por la salud de los demas

3).

(Ant. Solis, Conq. de la Nueva Esp., libro III, c.

1 5 Si troverà un dettaglio esatto di queste atrocità nelle lettere ameri­ cane del conte Carli-Rubi e nelle note di un traduttore fanatico che ha sfortunatamente infangato delle ricerche interessanti con tutti gli eccessi della blasfemia moderna. (cfr. Lettres américaines, tradu­ zione dall'italiano del Sig. conte Gian Rinaldo Carli, Paris, 1788; 2 vol. in 8°, lett. VIII p. 116 e lett. XXVII p. 407 e segg.). Riflettendo su qualche nota piuttosto saggia, sarei tentato di credere che la tra­ duzione, originariamente opera di una mano pura, sia stata viziata in una nuova edizione da una mano ben diversa: si tratta di un 'ope­ razione moderna e molto conosciuta. 16 L'editore francese di Carli si domanda perché? E risponde dotta­ mente: perché l'uomo del popolo è sempre vittima dell'opinione. (t. I, lett. XIII, p. 416). Bella e acuta soluzione!

1 7 Cfr. il Rudhiradhyaya o il Capitolo sanguinante tradotto dal Calica­ Puran da M. Blanquière (Asiat. Research., Sir Will Jones's works, in 4°, t. II, p. l058). 18 Questo costume che ordina alle donne di suicidarsi o di farsi brucia­

re sulla tomba dei loro mariti non è una peculiarità dell'India. La si ritrova presso le nazioni del Nord (Erodoto, libro V, capitolo l, §Il), cfr. Brottier su Tacito, De Mor. Germ., c. X IX, nota 6) e in America (Carli, Lettres cit., t. I, lett. X).

1 9 La coscienza! Chi sa cosa vale questa persuasione davanti al tribu­ nale del giudice infallibile che è così dolce per tutti gli uomini e che versa la sua misericordia su tutte le sue creature, come la sua piog­ gia su tutte le piante? (Salmi CXL, 9)

20 Asiat. Research, tomo VII, p. 22. 2 1 Estratti di documenti inglesi tradotti nella Gazette de France del1 9 giugno 1804, n. 2369 e in Anna/es littéraires et mora/es, tomo II, Paris, 18 04, in 8°, p. 145 . M. Colebrooke, della società di Calcutta

assicura, per verità, che in Recherches

asiatiques (Sir Wìlliam

Jones s works, Supplém., tomo II, p. 722) il numero di questi mar­ tiri della superstizione non è mai stato considerevole e che ne sono

diventati rari gli esempi. Ma, innanzitutto, il termine raro non mostra nulla di preciso e osservo, pertanto, che, essendo il pregiu­ dizio incontestabile e diffuso su una popolazione di più di circa ses­ santa milioni di uomini, sembra dover produrre necessariamente un gran numero di tali atroci sacrifici.

22 Cfr. The asiatic annua/ Register, 1802, in go. Si vede nella relazio­ ne che, a seguito dell'osservazione dei capi maharata, questo tipo di sacrifici non era affatto raro nel Tanjore. 23

Asiat. Research,

t. VII, p. 2 67 .

24

Gazette de France, nel punto citato. 2 5 Cfr. Essay by the students of Fort William Bengal, ecc. Calcutta, 1802. 26 Sarebbe tuttavia ingiusto non osservare che nelle parti dell'India sottomesse ad un potere cattolico le pire delle vedove sono scom­ parse. Tale è la forza nascosta ed ammirevole della vera legge di grazia. Ma l'Inghilterra, che lascia bruciare a migliaia le donne innocenti sotto un impero certamente molto mite e molto umano, recrimina tuttavia aspramente al Portogallo le sentenze della sua inquisizione, ossia qualche goccia di sangue colpevole versata di tanto in tanto dalla legge. EJICE PRlMO TRABEM, ecc. 27 Leggi di Manu, figlio di Brahma, traduz. del cavaliere William

Jones, Works, t. III, cap. XI, n. 3, pp. 335, 337. 28 Platone, Leggi, VI, in Opere, t. VIII, p. 31 O. OI:A aE E THEAEIA EMIN f!HYI:I