Cronache dal futuro. La prepotenza della finanza, il suicidio della politica
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SCAFFALE APERTO – SOCIOLOGIA

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Ernesto Petroselli

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CRONACHE DAL FUTURO La prepotenza della finanza, il suicidio della politica

ARMANDO EDITORE

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PETROSELLI, Ernesto Cronache dal futuro. La prepotenza della finanza, il suicidio della politica ; Roma : Armando, © 2017 144 p. ; 20 cm. (Scaffale Aperto - Sociologia) ISBN: 978-88-6992-241-1 1. Rapporto tra politica e finanza 2. Ruolo della tecnica e della tecnologia 3. Previsioni future

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CDD 300

© 2017 Armando Armando s.r.l. Piazza della Radio, 14 - 00146 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 21-13-067 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]

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Sommario

Premessa Introduzione

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Capitolo primo

Le traiettorie umane

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Capitolo secondo

Velocità, vita, economia Capitolo terzo

Ruolo della tecnica e della tecnologia

41 69

Capitolo quarto

Globalizzazione verso multipolarità

73

Capitolo quinto

La politica utile idiota Capitolo sesto

Ecologia e megalopoli

89 95

Capitolo settimo

Sesso, procreazione, fantafamiglie e fantasocietà

101

Capitolo ottavo

La fine delle gerarchie, entropia e rete

111

Capitolo nono

Le traiettorie individuali e quelle del mondo. Come si possono o potrebbero saldare?

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Cosa possiamo fare per essere felici? Un pensiero ai miei nipotini Matteo, Giulia, Angelica, Sofia nella speranza che lo possano leggere e valutare con gli occhi del loro tempo come modesto strumento di riflessione per una traiettoria di vita personale il più possibile felice.

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Premessa

Di tanto in tanto penso sia opportuno per tutti fare un consuntivo della propria vita per cercare di capire attraverso tale riflessione se si è stati in grado di lasciare una traccia che possa essere interessante per qualcuno. Magari non sarà utile a nessuno, ma io spero che possa almeno essere interessante. È in ogni caso importante per capire se vogliamo ancora tracciare scie nella nostra vita futura ed eventualmente come. Di certo, specialmente per persone normali come me, l’esperienza vissuta non sarà utile nella sua interezza ma forse qualche pezzettino potrebbe essere utile a qualcuno per riflettere un po’ sul proprio excursus vitale e culturale. Io continuo a pensare di essere stato e di essere ancora un privilegiato perché ho attraversato in modo relativamente felice, un periodo storico straordinario segnato da una altrettanto straordinaria crescita della qualità della vita e dello sviluppo economico. Sono vissuto in una bella famiglia che mi ha dato la possibilità di crescere e di acquisire il discernimento necessario ad intraprendere una vita sempre complessa ma dove la complessità e le difficoltà divenivano per me stimolo per tentare di migliorare. Ho avuto la grande possibilità di crescere due figli tanto belli e bravi quanto diversi come indole e capacità che nel libro precedente mi hanno dato spunti di riflessione importante: ognuno di noi è una persona unica e irripetibile, non replicabile in mezzo a miliardi di simili. 7

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Oggi però qualcosa sta cambiando nella mia vita ed il bilanciamento tra luci ed ombre, prospettive e sogni è fortemente mutato, come è mutato il mio modo di cogliere e percepire i problemi. Ecco un grande cambiamento di questi anni: prima i problemi erano occasioni di miglioramento o meglio di stimolo a migliorarmi; oggi, molti di questi problemi sono quelli che sono e talvolta mi sembra di subirli con meno capacità e forse volontà di reazione. Cosa è cambiato? Ho meno voglia di vivere? Non ho voglia di migliorami più? Ne’ l’uno né l’altro: forse sto perdendo l’illusione che il mio miglioramento o quello che posso indurre negli altri sia importante; non dico decisivo, solo importante. La vita di molti ad un certo punto, prima o poi, può divenire più passiva e secondo me, segna il momento in cui inizia la vecchiaia indipendentemente dall’età di ciascuno di noi. Ci si comincia a chiedere a cosa serva la propria vita in maniera diversa e molto di più di quando si è giovani. Scrive Bauman1: Gli esseri umani sono le sole creature viventi a sapere che moriranno e che non c’è scampo alla morte. Non tutti devono necessariamente “vivere per la morte”, come sosteneva Heigegger, ma tutti vivono la propria vita all’ombra della morte. Gli esseri umani sono le uniche creature viventi consapevoli della propria transitorietà e, poiché sanno di essere solo temporanei, possono (devono) immaginare anche l’eternità, un’esistenza eterna che diversamente dalla propria, non ha inizio né fine. E una volta immaginata l’eternità, diventa ovvio che i due generi di esistenza hanno dei punti di intersezione, ma nessun giunto o cerniera fissa che leghi l’una all’altra.

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Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli.

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In questo senso credo che si inserisca la continua ricerca di dimensioni extra individuali ed extra temporali nella speranza di trasferire cosa siamo o cosa possiamo fare su altri soggetti in modo che siano in grado di conferire quella profondità e quella ampiezza di prospettive che l’individuo da solo non potrà mai avere. Ecco quindi i ruoli delle comunità e degli aggregati come la nazione, la famiglia, le comunità in genere incluse quelle religiose. È questo il modo più comune con cui l’individuo cerca di coniugare la sua individualità, il suo isolamento ed il suo senso del finito con la paura dello stesso. In questo senso l’individualismo, specialmente se spinto, è quasi innaturale e disumano così come l’approccio nichilista alla vita. Una domanda che ai nostri tempi e da tempo è chiave nel tentativo di comprendere la contraddizione moderna che lega in molti paesi l’enorme crescita della libertà, all’accresciuta insicurezza ed ad un sentimento di impotenza collettiva che ha il suo apice nella politica. I problemi, le pene e gli affanni privati sembrano sempre meno cementarsi in cause comuni e, in questo percorso, la socialità diviene ogni giorno più incerta, più confusa. Come dice ancora Bauman2, manca sempre di più quello spazio definito agorà che è uno spazio né pubblico né privato ma più esattamente privato e pubblico allo stesso tempo. Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo …per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possano nascere e prendere forma idee quali il bene pubblico, la società giusta o i valori condivisi.

Le agorà oggi sono state sventrate e stravolte anche per la voracità condivisa tra politica e immobiliaristi che è stata una delle maledizioni del nostro tempo. Registriamo anche il tentativo di creare agorà virtuali attraverso 2 Z.

Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli.

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piattaforme informatiche sempre più evolute e sofisticate e soprattutto attraverso reti che si espandono a dismisura su queste piattaforme informatiche. Queste piattaforme ricchissime di sistemi di connessione e contatti però, da sole non basta. A questi processi virtuali manca la parte più significativa che è il contatto fisico. Senza di esso le relazioni umane rimangono comunque nell’ambito dell’individuo e della sua solitudine esaltando sì il suo solitario ma anche esasperandone gli aspetti. In realtà l’agorà ideale è la miscela delle due cose dove allo spazio virtuale si possa aggiungere uno spazio fisico. Senza questi due aspetti molti dei vantaggi dei sistemi virtuali informatici e di rete divengono un problema anche sociale e l’individuo isolato può divenire una patologia di individuo e di società. Alla base di questa incapacità ed impossibilità da parte dell’individuo di trovare riscontri ai suoi problemi personali sta l’inefficienza della politica a gestire i cambiamenti: la politica diventa sempre più insignificante ed impotente perché invece di guidare i cambiamenti diviene sempre più conforme ai cambiamenti. La miscela tra conformismo e impotenza rende la politica non nobile ed insignificante: toglie invece che dare spazio alle persone per aggregarsi in una agorà sia fisica che culturale. Questo è il senso che vorrei dare a questo libro. Io penso che l’uomo abbia il bisogno assoluto di uscire dalla sua “misera realtà” di uomo solo e destinato alla fine a perire con le sue illusioni, che debba ricercare una continuità con altri simili e con l’ambiente che lo circonda. In altre parole una vita isolata e nichilista è una vita disumana!

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Introduzione

Questo nuovo libro è in linea con i due precedenti scritti tra il 2005 e 2009 e pubblicati con grande cortesia e apertura da Armando Editore soprattutto nella persona del dott. Iacometti che ringrazio sempre con rispetto. Ci tengo a sottolinearne la continuità d’intenti: anche se ormai sono passati più di 10 anni è interessante, almeno per me, vedere quanto quello che scrivevo sia ancora attuale e possa ancora aiutare a capire qualcosa di quello che succede oggi. Non sono così arrogante da pensare di essere stato in grado di predire il futuro ma certo i ragionamenti che facevo sono tuttora molto attuali. Questo libro vuole mettere in evidenza una serie di aspetti che credo stiano creando un gran disagio alle persone e una crescente insicurezza in tutti gli strati sociali. Il rischio è che tutto ciò possa sfociare in una esplosione disastrosa o in una implosione altrettanto pericolosa dell’ attuale sistema di convivenza tra persone e popoli. Oggi più che mai, e molto più che nel passato, le persone incontrano una difficoltà enorme a pensare, trovare, gestire quelle che io chiamo le traiettorie delle nostre vite. Queste traiettorie sono in parte disegnate da noi, molto dagli ambienti esterni a noi ma il loro denominatore comune è quello di darci la possibilità di sognare un futuro migliore senza il quale saremmo delle persone infelici o fortemente infelici. Certo queste traiettorie, possono purtroppo anche portarci ad immaginare un futuro peggiore e questo è un grande problema sia per i singoli che per le comunità di persone, grandi o piccole. 11

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Se le persone immaginano traiettorie di vita negative e piene di sofferenza, fa parte dello spirito umano che reagiscano in qualche modo; nessuno li può o potrà mai fermare e non è importante nemmeno se queste traiettorie si realizzeranno o no. Emblematico fenomeno di quanto descritto è l’immigrazione che è sempre avvenuta ma che in questi ultimi anni sembra aver assunto una dimensione decisamente importante nel mondo. Chi può negare che essa sia il frutto di una visione negativa degli eventi ed espressione del tentativo di cambiare traiettoria di vita sia per i popoli che emigrano sia per quelli che ricevono l’immigrazione? La immigrazione vista dalla parte degli immigrati è la soluzione ai loro problemi e su di essa giocano la loro vita. Fa sorridere il concetto che un profugo per motivi politici sia diverso da uno che emigra per fame. D’altronde anche i paesi così detti riceventi e i loro abitanti stanno definendo traiettorie individuali e collettive in base a questo fenomeno nella maggior parte dei casi definendolo in negativo. In generale, le traiettorie sono i nostri progetti, i nostri sogni, le nostre realizzazioni. Le traiettorie spesso poi lasciano o possono lasciare le scie che sono i ricordi che possiamo consegnare a chi ci vuole bene, o ci stima o ricorda qualcosa di noi. Se non ci sono traiettorie, comunque, non ci sono nemmeno scie. Ci sono poi le traiettorie del mondo, della sua evoluzione in mezzo alla quale l’Uomo oggi deve muoversi tentando di orientarsi ma, più di ieri, segue percorsi che appaiono sempre più angusti ed indecifrabili, dove le persone sono sottoposte ad una serie di pressioni che poi elencherò e attraverso le quali devono cercare di disegnare la loro traiettoria di vita. Provo ad elencarne di seguito alcune, quelle di cui voglio parlare, senza pensare di essere esaustivo perché altri aspetti possono essere altrettanto importanti. Sono le traiettorie a mio avviso più significative, in grado di dare una spinta decisiva verso la modifica del nostro sistema attuale e di portarci su un terreno che oggi si fatica, comunque, a definire. I fattori su cui voglio attirare l’attenzione sono: 12

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1. Accelerazione e virtualizzazione dei processi sociali, economici e lo strapotere della finanza Come me, molti ritengono che le vere origini del presente problema, che alcuni definiscono “disastro sociale ed economico” che si sta avvicinando e di cui la crisi del 2008 è solo un piccolo esempio, è il colpo di stato globale finanziario che si sta verificando che si aggiunge alla inettitudine della politica nel capire, anticipare e controllare la situazione. Penso che la globalizzazione sia un fatto di grande valore ma che trascini con se anche una serie di preoccupazioni. Non si tratta di considerare in modo negativo la concorrenza e la sua pressione sul lavoro, ma di prendere atto che il problema sfuggito di mano alla politica è la finanziarizzazione del mondo che probabilmente era il vero scopo di un certo potere economico. La rivoluzione finanziaria che si sta verificando è il fatto che sta storpiando la storia. È una frase non mia che io riporto ma che esprime bene quello che secondo me è la realtà. Perché penso che questa sia la radice del problema e la sua soluzione sia la soluzione di gran parte del problema? La finanziarizzazione del mondo ha espanso a dismisura due grandissimi fattori; il primo è l’elemento velocità dei processi e con esso la possibilità in tempi brevissimi (secondi, non minuti, non ore) di trasferire ovunque soldi, strumenti finanziari senza che nessuno sia in grado di tracciarli. Sono strumenti finanziari così complessi, cosi opachi che nessuno è in grado di controllarli; la seconda è la possibilità di creare strutture transnazionali che a differenza di strutture multinazionali non hanno territori o meglio si scelgono i territori dove operare. Multinazionali significa avere aziende di un paese che decidono di investire e vendere in altri paesi, restando però Italiane o americane. Transnazionali significa che ci sono aziende che stanno dove vogliono ed operano dove vogliono. Tipico esempio italiano, per spiegare meglio, è la Fiat che in poco tempo si sta trasformando da Azienda multinazionale Italiana in azienda transnazionale con sedi molto articolate. Ma la Fiat non è il mio esempio migliore perché le vere aziende transnazionali nel mio 13

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linguaggio sono per esempio i grandi Fondi che raccolgono denaro e lo reinvestono dove vogliono, come vogliono, con una flessibilità ed una rapidità di cui nessuno riesce a rendersi conto. Una azienda come la Fiat, per quanto tenda a transnazionalizzarsi è legata a prodotti e fabbriche che sono tangibili… sono in un posto, le puoi spostare, ma c’è bisogno di tempo, di investimenti, di una grande organizzazione, una grande discussione: di fatto sono complesse da spostare e smaterializzare. Un fondo Americano o Arabo o Asiatico con sede non so dove, può muovere decine di miliardi di euro o dollari o yen (non scherzo sui numeri…) in un secondo senza discutere con nessuno e senza il controllo di nessuno. Chi decide in questi fondi nessuno lo sa!!! E chi lo sa, generalmente le Banche, che sono almeno conniventi, perché sono loro che li vendono o che preparano gli strumenti finanziari idonei a chi deve controllare; le Banche Centrali, non sono in grado o non vogliono controllare perché la loro visone del problema è assolutamente provinciale mentre questi organismi operano in tutto il mondo. Cosa volete che faccia una Banca d’Italia su un fondo asiatico? Nulla!!

2. La politica utile idiota In questo scenario parziale e comunque inquietante, cosa fa la politica? Dov’è la politica? La politica purtroppo non ha più un ruolo strategico ed influente nella vita della gente e la sua inettitudine lascia spazio a quella che viene definita la libertà di circolazione di mezzi, pensiero e persone ma senza incidere e combattere se non localmente per arginare o lasciare spazio alle forze globali. La politica oggi purtroppo è in tutto il mondo un cane randagio senza visione morale e visione globale, vittima dei propri riti, che sono fuori dal tempo e che non sono in grado di rinnovarsi. Se la politica non diverrà di nuovo il raccordo tra morale e prassi di tutti i giorni e non soggiogherà economia e scienza dando loro un fine per le persone, il mondo, credo vivrà momenti sempre peggiori. 14

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Oggi stiamo andando ovunque nella direzione opposta: la politica perde di vista la morale, viene soggiogata dall’economia e su questa strada la vita delle persone può diventare misera, anche per quelle persone che oggi hanno un buon livello di vita. La povertà, gli esodi di massa, la morale ad andamento variabile sono solo i sintomi del problema. Il problema più importante ormai da molto tempo, è la finanziarizzazione del mondo che annienta le realtà locali, detta regole finanziarie ma non economiche al mondo cui la politica non si oppone e se lo farà sarà comunque in grave ritardo.

3. Rifiuto di modelli gerarchici a favore di modelli entropicirelativistici Il mondo di oggi tende a perdere il senso della gerarchia delle cose e tende a vedere il mondo senza più sequenze logiche, morali e culturali. In quasi tutte le società da sempre esisteva una gerarchia dove nel punto più alto era situata la morale e/o la religione(talvolta coincidenti talvolta no) e subito di seguito si trovava la politica che trasferiva i principi di cui sopra e tentava di regolare i rapporti tra le persone: da qui la prassi della vita giornaliera caratterizzata da un rilevantissimo connotato territoriale. Oggi questi elementi stanno saltando per tutta una serie di motivi dove il “vaso di coccio” è la politica con le sue liturgie, i suoi processi ed infine la sua grande inadeguatezza. Ecco quindi in questa area evidenziarsi una spaccatura nel mondo tra le cosiddette democrazie occidentali da una parte che vanno alla ricerca di questi modelli entropici relativistici, e tutta la parte del mondo musulmano che non pensa di poter comunque vivere in un mondo di questo tipo e spinge in maniera conflittuale e confusa magari verso un modello gerarchico confessionale. Poi ci sono i paesi in via di sviluppo tipo Cina, Corea del Nord dove nella logica del comunismo la classe dirigente e di fatto anche le persone, vivono nella dittatura non del proletariato ma della burocrazia che tuttavia per loro è l’unica via che consente loro di svilupparsi. 15

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Questa visione della società secondo me è poco dibattuta ma forse noi occidentali dovremmo capirla meglio in quanto potremmo presto diventare minoranza sia numerica che di influenza perché il nostro modello oltre ad essere troppo complesso è anche inefficace. Se le società occidentali non troveranno un sistema serio per interpretare la democrazia in maniera diversa, arriverà il giorno nel quale la nostra cultura entropica relativistica soggiacerà alle forze che hanno nei loro processi una gerarchia di azioni, valori e metodi. Il fatto che la politica, sempre più locale e non più legata strettamente al potere vero ma viepiù dominato da entità astratte, è una realtà che dovrebbe spingere la politica a riflettere e darsi strategie molto diverse da quelle di oggi. Capisco il tono dissacrante della metafora che ho usato ma credo sia efficace a descrivere la ricerca destrutturata con cui la politica cerca di trovare uno spazio che mai più avrà se non cambiando profondamente. Per ritornare all’argomento, non essendoci più una visione da parte della politica della vita e della società che abbia una gerarchia con all’apice di tutto la morale, o comunque una visione della vita sociale o dell’evoluzione della stessa, la politica come elemento sia gerarchico che stratificato, sta diventando il cane randagio descritto prima. Questo, per sua natura è affamato, disorientato ed aggressivo più per difendersi che per attaccare pronto ed è anche addestrato da chi lo ha preceduto solo a sopravvivere a se stesso e pertanto “privo di riferimenti culturali e morali”. In più i cani randagi affamati hanno un raggio d’azione territoriale molto limitato e orientato solo alla ricerca di cibo e di riparo e sono indifferenti sia alla qualità del cibo che del riparo. Sono sospettosi di tutto e tutti e l’unica loro attività sociale è quella di riunirsi con altri randagi per tentare di sentirsi più sicuri e trovare cibo e rifugio, cambiando spesso il gruppo di accoglienza. Di certo mettono paura ma di sicuro non costruiscono nulla… sopravvivono forse. 16

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I cani randagi vivono in maniera molto simile agli uomini preistorici: ignoranti, poco creativi, incapaci di difendersi se non sommariamente. Oggi la politica, perdendo il suo legame con la visione della vita e del mondo, sta anche facendo regredire il mondo, i singoli e la collettività, ovunque non solo in Italia.

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4. Diritto, libertà, sesso, procreazione e struttura della famiglia Nel nostro mondo occidentale, religione e morale avevano uno stretto legame e molti dei principi morali discendevano dalla religione Cristiana, primo fra tutti la centralità dell’uomo come persona e la sua libertà di agire anche contro qualsiasi regola fondando la grande differenza fra libertà e diritto. Siamo liberi di fare qualunque cosa ma, talvolta, non abbiamo il diritto di farlo. Siamo liberi di fare qualunque cosa ma abbiamo la possibilità di pentirci. Però è molto chiaro cosa è male e cosa è bene!!! Rubare, ammazzare per esempio è male; abbiamo la libertà di fare del male ma non il diritto di fare del male; abbiamo la possibilità di pentirci del male fatto. E possiamo espiare il male fatto. Il nostro mondo occidentale è in queste poche righe anche per i non cristiani professanti. La mia convinzione è che gli occidentali siano culturalmente Cristiani a prescindere. Io sono un sostenitore di uno stato e società laica sotto tutti i punti di vista ma, laico non significa senza valori morali e religiosi. Mettersi d’accordo su questi valori è necessario per la convivenza civile. Faccio un esempio di grande attualità: come si può comportare la politica nei confronti del matrimonio civile? Può farlo in due modi: in una società laica deve scegliere facendo ricorso a quelle che chiamo leggi menù. Lo stato offre un profilo legale per regolare e quindi anche legittimare comportamenti che nella società non laica non sarebbero ammessi. Nella società laica vince il concetto di libertà individuale e leggi menù. 17

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Nella società confessionale questo non esiste: comanda la legge religiosa che non ammette leggi menù. La religione Cristiana comunque è l’unica che permette in virtù del libero arbitrio la convivenza dei due approcci anche nelle nefandezze. Quindi il primo sintomo è la mancanza di gerarchia tra la visione della vita e la prassi della vita. E fin qui non ho parlato di una cosa che oggi è molto dibattuta: l’economia e se volete la tecnica. Non ne ho parlato perché questi due elementi in una visione gerarchica della società dipendono dalla politica come strumenti della politica e quindi della morale. Se non riusciremo a ricondurre Scienza e economia sotto la politica e questa sotto la morale il nostro futuro di persone sarà nerissimo!!! Il concetto diverso di sintesi tra le varie posizioni, dal mio punto di vista non funziona bene. Immaginare cioè che la società e le persone debbano trovare una sintesi tra morale, politica, economia e tecnica immaginando questi elementi come paritari o di uguale importanza non può aiutare l’uomo ad essere veramente libero. Sono d’accordo con Severino quando dice che ormai corriamo il grande rischio di diventare subalterni in tutto al dominio della tecnica che, tra le varie forze, è quella più “materiale” e che da mezzo diventa fine. La proiezione di questo mondo è un mondo dove la persona diviene subalterna a forze tecniche che hanno come loro scopo quello dell’accrescimento della propria potenza. In questa visione torna da padrone il nichilismo che è poi la situazione sociale e personale più rischiosa per una società e per gli individui ma che viene vista come l’unica soluzione. Proprio per questo vorrei far notare un elemento a mio avviso interessante in questo possibile percorso o, come mi piace dire, traiettoria. Osserviamo da qualche tempo, e in tutto il mondo, la disaffezione delle persone verso la politica, verso la classe dirigente politica in una progressività che denominiamo l’“antipolitica”. Non è questo forse l’esemplificazione di quanto ho detto sopra? Questo è l’esatto risultato del processo che è in fase avanzata, del 18

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problema della relativizzazione non solo nelle religioni ma anche nella politica: prende sempre maggior forza l’apparato tecnico da un lato che, unito al disinteresse generale verso la politica, di fatto la rende incapace di chiudere il cerchio tra la morale e la vita quotidiana delle persone, accrescendo il caos. Io penso che attraverso questi elementi si possa iniziare ad immaginare una traiettoria di sviluppo della società attuale e con essa anche alcuni modelli di vita cui forse saranno di fronte i nostri figli e nipoti. Manca però ancora una cosa nella mia prefazione: l’Utopia. Secondo me, il mondo di oggi, le persone di oggi, io stesso talvolta, hanno abbandonato il concetto di Utopia. Senza l’Utopia non ci sarebbe il progresso umano, le due cose sono strettamente legate. L’Utopia è movimento, è continuo movimento, senza l’Utopia tutto si ferma. Tommaso Moro è stato il padre dell’Utopia e dopo di lui abbiamo usato questa parola per indicare che una società ed una vita senza Utopia non può essere vissuta. Utopia è anche un concetto del continuo divenire. Scriveva Oscar Wilde: Una carta geografica del mondo che non comprenda l’Utopia non merita nemmeno uno sguardo giacchè lascia fuori l’unico elemento al quale l’umanità approda di continuo. E quando l’umanità vi arriva guarda altrove, e scorgendo un paese migliore alza le vele e riparte. Il progresso è la realizzazione dell’Utopia.

Ed aggiungeva Anatole France: senza le Utopie dei tempi andati, gli uomini vivrebbero ancora nelle caverne, infelici e nudi. Sono gli utopisti che hanno tracciato le linee della prima città. L’Utopia è il principio di ogni progresso, il tentativo di un futuro migliore.

L’Utopia è la proiezione di un altro mondo, diverso da quello che conosciamo e immagina un universo creato e cresciuto dalla saggezza e nella saggezza, cresciuto dalla dedizione dell’uomo al meglio. 19

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Quindi una condizione importante per l’Utopia è la sensazione che l’universo non funzioni come dovrebbe ed abbia bisogno di un cambiamento globale che deve essere accompagnato anche dalla certezza umana che lo sforzo è grande ma che il risultato si può raggiungere. Se non avessimo la sensazione di poter raggiungere l’Utopia, la frustrazione umana sarebbe enorme. Dobbiamo avere la sensazione che l’Utopia sia possibile o che ci sia consentito avvicinarci moltissimo così da poterne assaporare molti dei suoi contenuti. Riporto a questo punto un concetto a me molto caro, secondo me bellissimo ed acutissimo descritto da Bauman1. Si può dire che, se l’atteggiamento premoderno nei confronti del mondo era simile a quello del guardiacaccia, la metafora più adatta ad esprimere la concezione e la pratica del mondo dell’era moderna è quella del giardiniere. Il compito principale del guardiacaccia è di difendere il territorio assegnato alla sua vigilanza contro ogni interferenza umana, allo scopo di difendere e preservare, per così dire, il suo equilibrio naturale, incarnazione dell’infinita saggezza di Dio e della Natura… …I servizi del guardacaccia si basano sulla convinzione che le cose stanno meglio se non ci si mettono le mani… Non la pensa così il giardiniere; egli presuppone che nel mondo non ci sarebbe un ordine se non fosse per la sua attenzione ed i suoi sforzi costanti.

I “giardinieri” sono i più appassionati ed esperti fabbricanti di Utopie. Oggi però come continua a scrivere Bauman si sta facendo spazio un’altra figura molto inquietante: il Cacciatore. Diversamente dalle due figure simboliche precedenti il cacciatore non è minimamente interessato all’equilibrio generale delle cose, sia esso naturale oppure progettato e meditato. L’unico compito che 1

Z. Bauman, Modus Vivendi, Laterza.

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il cacciatore persegue è uccidere e continuare a farlo finche il carniere è pieno… Se i boschi sono rimasti senza selvaggina a seguito di una scorribanda particolarmente proficua, i cacciatori possono spostarsi in un’altra zona di caccia… può darsi che ad un certo punto, in un futuro lontano ed ancora indefinito, il pianeta rimanga a corto di boschi ancora ricchi di selvaggina; ma se così sarà, loro non lo vedono comunque come un problema immediato e certamente non un “loro problema”.

In queste bellissime riflessioni possiamo capire che il cacciatore e l’Utopia non possono coesistere ma ci consente di intuire quanto oggi l’atteggiamento del mondo vada in questa direzione. Vale la pena ricordare qui le grandi Utopie che nel tempo si sono affacciate nel mondo e vale notare che molte sono ancora attuali e questo dimostra quanto esse siano indipendenti anche dai tempi. Il concetto di pace mondiale, il concetto della distribuzione equa dei beni, il concetto di libertà unito a quello di uguaglianza, per non parlare di socialismo e liberismo, di globalizzazione. Tutti concetti enormi e qualificati e tutte Utopie di tanti anni fa ma che ancora oggi hanno una loro valenza. Purtroppo come affermano pensatori come Popper o Antiseri non esiste un criterio od un metodo attraverso il quale si possa determinare quale Utopia renda la società o le persone migliori e più felici. Il problema della società è stato sempre un conflitto di modelli di vita e Utopie dove finora non si è trovato un buon metodo per convergere tutti assieme almeno su alcuni di essi. Ecco allora che la politica deve avere il ruolo di trovare una sintesi tra le varie Utopie conscia che non potrà mai essere perfetta perché mai potra’ applicare l’Utopia per intero. Per dir la verità non posso non ricordare a questo punto che ogni qualvolta la politica ha assunto come guida l’Utopia, lo ha sempre fatto con metodi dittatoriali e coercitivi. Da sempre chi ha applicato l’Utopia integralmente, ha scelto la dittatura. I regimi comunisti lo hanno tentato fallendo miseramente, i regimi così detti confessionali stano tentando la stessa esperienza 21

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ed in questo momento sono in fase di turbolenta ma impressionante crescita se ci riferiamo al mondo mussulmano per esempio. Tutto quanto sopra ed altro stanno a dire che se è difficile costruire qualcosa senza Utopie, l’Utopia però va anche maneggiata con grande attenzione perché può sfociare in una politica molto invadente, pericolosa,”cattiva”. Tuttavia, di essa non possiamo fare a meno. In questo senso, oggi sembra che non abbiamo più voglia di cercare l’Utopia, la consideriamo un sogno irreale al punto che non proviamo nemmeno ad avvicinarci. E questo è uno dei grandi problemi dei nostri contemporanei. Di certo tra 50 o 100 anni le persone saranno di fronte ad una situazione culturale e ambientale molto diversa da quella di oggi e gli elementi costitutivi della nostra società non esisteranno più o meglio non esisteranno così come li abbiamo e vediamo oggi. La società cosiddetta capitalistica liberale è già finita o meglio si sarà evoluta così tanto da non poter essere più riconducibile a quella di oggi. Ora vediamo o iniziamo a vedere alcune tendenze ma la strada per individuare le traiettorie di cambiamento sono ancora complesse anche perché all’uomo di oggi manca una visione utopica di quella che potrebbe essere la vita di domani. Leggiamo e osserviamo molti scenari parziali, tantissimi basati sullo sviluppo del business e della tecnologia, ma nessuno sembra poter descrivere l’utopia dell’uomo come tale. L’Utopia dell’Uomo è la grande assente di questi ultimi decenni, che continua ad andare a vanti senza sapere bene dove e come andare. Nel mio libro del 2009 Crescere a misura d’uomo (Armando editore) aprivo così (voglio riportarlo tal quale perché lo trovo ancora molto attuale): “Stiamo assistendo in questi ultimi 30 anni  ad una serie di cambiamenti che a molti danno la sensazione di essere decisivi anche se non tutti hanno la percezione che siano positivi”. Mi pare cioè che aleggi nel nostro periodo e specialmente nel mondo occidentale un certo pessimismo nel senso che si tende a 22

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dare un senso indefinito, indefinitivo ed amaro a molte delle cose che succedono. L’unico antidoto a tale stato d’animo collettivo, l’unica alternativa è tentare di non pensare o pensare di meno, distrarsi e ciò non può certo di per sé renderci più ottimisti. Come riporta Alberoni in un articolo del “Corriere della Sera” del 2006 c’è l’idea di un tramonto dell’intero occidente che perde la sua identità nel processo di mondializzazione in cui si scontrano, si contaminano popoli di diverse culture, ma anche l’effetto dello sviluppo tecnologico che travolge idee, credenze, regole morali.

Aggiungo che questo, mescolato con  la ”follia essenziale del­ l’occidente, il nichilismo”, come la descrive Emanuele Severino2, rappresenta la posizione culturale a partire dalla quale le persone vivono il presente e apre la porta al cosiddetto consumismo. Esiste poi “l’altro mondo” o meglio gli altri mondi (Cina, India, Russia, Messico, Brasile da una parte ed il resto dall’altra) dove mi sembra che sia in atto una corsa cieca e sfrenata verso il modello così detto occidentale con il rischio di correre velocemente verso modelli che sono già oggi in via di superamento. Certo le questioni di cui abbiamo parlato non sono ovviamente le uniche significative, ma consentono di rilevare che quanto più sono confuse le traiettorie del mondo, tanto più la vita degli individui diventa complessa ed incerta. Cercare di capire o contribuire a capire questi fenomeni è di importanza enorme anche se l’analisi non dovesse portare ad una soluzione. Cercando di comprendere i fenomeni, possiamo tentare di definire azioni che possano consentire traiettorie di vita individuale e collettiva in grado di farci conseguire una vita, la più felice possibile, senza dimenticare mai che ove ci fosse la tendenza a divenire cacciatori, molti di noi diverrebbero prede… 2 F. Alberoni,

Il Muro di Pietra, Rizzoli.

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Capitolo primo

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Le traiettorie umane

Mi piace usare questo concetto della traiettoria per riferirmi alla nostra vita perché la trovo una immagine molto aderente alla realtà della nostra esistenza dove abbiamo due riferimenti-incognite: il primo è la nascita e il secondo è la morte. La nascita dipende dalla scelta o dalla casualità con cui si combinano gli elementi che provengono da due persone. La morte è quella che l’uomo tende sempre di più di allontanare da se stesso e dai propri pensieri ma che pur sempre arriverà prima o poi. Di questi due elementi l’uomo conosce ormai quasi tutti i meccanismi sul come avvengono ma ancora, soprattutto per la morte, non conosce il quando. Ciò che intercorre tra questi due punti, è tutto da costruire in funzione di come riusciamo a portare avanti i nostri progetti e le nostre aspirazioni. Possiamo anche avere traiettorie che non contengono né progetti né aspirazioni e oltre a tutto le nostre personali si uniscono o si possono unire ad altre traiettorie per formare matasse di traiettorie, senza dimenticare che tutto deve fare i conti con la traiettoria del mondo che ovviamente è solo in piccolissima, impercettibile parte, influenzabile dalle traiettorie umane. In altre parole, la nostra vita in fondo può correre su diverse traiettorie più o meno consapevoli, più o meno programmate, più o meno progettate. La prima traiettoria è quella che percorriamo quando decidiamo di vivere per noi stessi. Noi al centro del mondo intero che deve 25

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essere al nostro servizio, deve rassicurarci, deve difenderci, mentre noi noi cresciamo e godiamo. La seconda traiettoria è quella che percorriamo quando decidiamo di vivere con gli altri. La nostra vita è sempre vista, immaginata, progettata per vivere con gli altri perché la solitudine crea panico, insicurezza ma le interazioni sono di superficie e rimangono in superficie senza mai scalfire la scorza esterna se non come adattamento di forme fisiche e senza mai entrare nella profondità dei sentimenti e dell’anima. La terza traiettoria è quella che percorriamo quando decidiamo di vivere per gli altri. Noi tendiamo ad annullarci quando arriviamo a considerare gli altri ed i loro bisogni più importanti di noi stessi e dei nostri bisogni e decidiamo di dedicarci a vivere per soddisfarli. La quarta traiettoria si ha quando viviamo senza alcuna traiettoria senza alcun progetto né di vita né di socializzazione. È molto simile alla prima traiettoria perché vede al centro solo la singola persona ma, al contrario della prima traiettoria, non ha progetti né speranze. La quinta traiettoria si ha con la combinazione delle quattro traiettorie anzidette ciascuna dotata di percorsi e tempi diversi anche per durata e intensità. Il substrato di tutto questo è che noi uomini, al contrario degli animali, abbiamo la libertà di scegliere come gestire le nostre traiettorie fino al punto di non gestirle. Non è detto cioè che usiamo la libertà che abbiamo, ma anche questa è una grande libertà. Io penso che tutti viaggino sulla quarta traiettoria ma ogni esperienza di vita è caratterizzata dalla combinazione delle diverse esperienze. Qui di seguito cercherò di dare qualche contributo per la riflessione e la discussione su questi temi per me molto importanti e cercherò di dare alcune risposte soprattutto nelle intersezioni che queste traiettorie creano e attraverso le quali viviamo illusioni che si trasformano in realtà e realtà che sono o divengono illusioni. Quanto sopra senza mai dimenticare tuttavia, che tutto, proprio tutto, ha un inizio ed una fine e la traiettoria lega i due punti. 26

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Siamo noi a definire questa traiettoria tra le infinite possibilità che incontriamo nello scorrere della nostra vita e dobbiamo essere ottimisti nel credere che possiamo influire sul futuro nostro e di quelli che ci stanno vicino, sapendo sempre che abbiamo la responsabilità di ciò che il futuro ci riserva. Non dobbiamo però essere arroganti e ritenere che la nostra traiettoria possa cambiare in maniera determinante le traiettorie di molti o tutti, ma dobbiamo avere la coscienza che potrebbe essere così perfino se questo al momento non appare visibile. Esiste una bellissima immagine che dice che «l’impronta della storia è l’insieme delle impronte lasciate da ognuno di noi nella propria vita o meglio la somma delle impronte e quindi le traiettorie secondo cui si qualifica la nostra vita»1. Le strutture e le sovrastrutture, le organizzazioni, le religioni: in un certo senso la politica cerca di legare queste traiettorie per creare fasci di traiettorie che possano unificare punti di partenza con punti di arrivo, punti iniziali e punti finali. Quando noi viviamo per noi stessi o non creiamo alcuna traiettoria o creiamo una matassa inestricabile di traiettorie, capita che alla fine non serva nemmeno a noi. A questo punto proverei ad introdurre un concetto molto interessante che è stato introdotto da Ernest Gellner: quello di “uomo modulare” che vive in una “società reticolare”. Gellner per spiegare il concetto di “uomo modulare” usa l’immagine dell’armadio che è pensato e costruito oggi molto diversamente da un tempo. Gli armadi vecchi venivano pensati, progettati e prodotti sin dall’inizio in quel modo:come nascevano, così venivano finiti. Gli armadi moderni vengono prodotti attraverso assemblaggio di pezzi modulari che si possono acquistare e comporre con elevati livelli di libertà. L’uomo moderno nella società moderna ha un po’ questa caratteristica di modularità,è un uomo che tende a modellarsi da solo, 1

E. Petroselli, Cambiare per Crescere, Armando.

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che tende a modellarsi per uno scopo ma anche a disassemblarsi e rimodellarsi se vuole cambiare lo scopo. In questa operazione di assemblaggio e disassemblaggio tuttavia, capita che perda la sua funzione o che perda la sua qualità primaria per acquisirne altre dove però l’uso può anche essere improprio. In questo senso “l’uomo modulare” se da una parte ha più flessibilità, che però non è infinita, finisce a volte a non essere più utile e a disperdere molte risorse, fino ad essere considerato inutile da chi gli sta vicino. A questo si aggiunge la dimensione stessa di rete che contribuisce ad aumentare la flessibilità e le opportunità. Quindi il compito diviene molto complesso: l’uomo modulare in una società multirete. Questi modelli rendono i legami tra persone, cose e progetti di vita così multifattoriali ed indefiniti che incertezza e rischio si moltiplicano enormemente dato che la conoscenza individuale e di gruppo è sempre insufficiente anche se appare estesa. Si potrebbe anzi arrivare ad un punto dove la conoscenza, per quanto smisurata rispetto al passato, renda le persone ancor più insicure e incerte sul da farsi e la vita diventi per tutti più simile ad un grande gioco d’azzardo che ad un progetto di sviluppo sia individuale che collettivo. Però per questi uomini modulari l’appartenenza diviene un problema esistenziale decisivo che è parte costitutiva dell’impegno che nel corso della vita si pone nel tentativo di dare qualche stabilità al futuro.

1. Traiettoria 1-Vivere per noi stessi Come ho detto sopra, la prima traiettoria è quella che si percorre quando decidiamo di vivere per noi stessi. Noi al centro di tutto e del mondo che deve servirci, deve rassicurarci, deve difenderci nel corso della nostra crescita. Per quanto sia un modo irreale di stare al mondo, non è infrequente incontrarlo e anzi capita sempre più spesso di incontrarlo 28

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nel modo di vivere di oggi e della società moderna o meglio postmoderna. Oggi l’idea del sacrificio in genere o del sacrificio mirato al conseguimento di un obiettivo più o meno strategico, più o meno lontano nel tempo, è stata completamente delegittimata. Le persone in generale non hanno molta propensione ad avere come obiettivo ideali in genere e men che meno ideali morali e ideali tendenti alla salvaguardia degli stessi. Gli idealisti divengono sempre più pragmatici, i politici sempre meno legati alle utopie ed alle strategie di lungo periodo: in generale si assiste ad una accentuazione del breve verso il lungo termine, del veloce verso il lento, del passo dopo passo verso il balzo in avanti ma che però, senza un’adeguata strategia, diviene un balzo nel nulla e basta. Mancando la visione di lungo termine, le strategie, il sacrificio individuale e di gruppo, la morale diviene residuale, minimalistica e soprattutto finalizzata a raggiungere obiettivi di corto e medio termine. Appare evidente la mancanza di gerarchie di valori per un sistema che tende a mescolare, relativizzare, “entropizzare” la vita delle persone e le loro relazioni. Perché ragiono sulla morale e sull’etica comportamentale? Perché questo è uno dei primi grandi by-pass che le persone probabilmente tentano di evitare. Se io vivo per me stesso, le parole morale, etica, sacrificio, relativizzazione assumono un significato singolare. Se io vivo per me stesso, per soddisfare solo me stesso è ovvio che potrei avere la mia morale, la mia etica, ma soprattutto tradurrò tutto in funzione di me stesso, del mio modo di vivere, considerando la vita in un sistema relazionale che è solare nel senso astronomico della parola. Uno degli effetti più importanti di questa traiettoria è una sostanziale solitudine. Uso la parola sostanziale perché è possibile vedere in persone che scelgono o fanno questa traiettoria la ricerca di una intensa vita relazionale ma questa è unidirezionale dovuta in genere al desiderio di “mettersi in mostra”. 29

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In realtà chi percorre questa traiettoria assorbe poco dagli altri e soprattutto non dà nulla agli altri. La solitudine è un problema che diventa molto preoccupante se permane tanto a lungo da creare un circuito durevole ed autoreferenziale di pensieri, sensazioni e comportamenti negativi. La solitudine è chiamata anche dagli esperti “dolore sociale” e come ogni dolore oltre che a provocare infelicità crea anche però l’effetto positivo di proteggere l’individuo che lo prova, spingendolo a cambiare. Come il dolore fisico sprona, obbliga le persone a cambiare comportamento, può darsi che la solitudine si sia sviluppata come stimolo a prestare attenzione ai rapporti sociali in ogni dimensione. Nel libro Solitudine2 di Cacioppo e Williams associano il termine dolore riferito alla solitudine al termine sete che è sempre una situazione di forte disagio intuitivamente più vicina alla solitudine ed al desiderio come quello di bere e di cercare relazioni con gli altri. Nello stesso libro poi si spiega che questa idea di solitudine come dolore sociale non è una metafora. Le neuro immagini ottenute grazie alla risonanza magnetica funzionale (fMRI) mostrano che la regione emotiva del cervello che viene attivata quando ci sentiamo emarginati è in effetti la stessa regione, il cingolo anteriore dorsale, che registra le risposte emotive al dolore fisico. La scoperta che le sensazioni di emarginazione sociale (isolamento) e le reazioni al dolore fisico condividono lo stesso “hardware’’ comincia a suggerire perché una volta che la solitudine diviene cronica, non si può evitare semplicemente uscendo dal proprio guscio, perdendo peso, rifacendosi il guardaroba, trovando il partner giusto. Il dolore della solitudine è una ferita che convolge profondamente.

Una traiettoria di vita basata su se stessi, che abbia per obiettivo la nostra personale soddisfazione porta sicuramente ad essere più soli e nessun nostro talento o successo o celebrità, né l’adorazione 2

J.T. Cacioppo, P. Williams, Solitudine, Il Saggiatore.

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di un pubblico nel caso delle persone famose, può proteggere dall’esperienza soggettiva di essere soli. La solitudine è quasi sempre il prezzo che deve pagare chi sceglie questa traiettoria di vita. C’è da dire però che essere soli ed essere da soli sono due cose molto diverse. Il piacere di stare da soli talvolta porta alla felicità soprattutto se questo stato è cercato o finalizzato a qualche cosa. Mi viene in mente la preghiera e la meditazione che in tante persone è ricercata e crea felicità. Avere più tempo per noi stessi talvolta è la traduzione della parola solitudine quando è cercata. Un altro aspetto della traiettoria di vita che persegue unicamente la propria soddisfazione è il narcisismo. Come molte altre cose che si riferiscono alla nostra vita, il narcisismo ha molte graduazioni: quanto più è elevata la concentrazione su se stessi, tanto più si aggravano i problemi relazionali e questo può dar luogo ad una vera e propria patologia. In questo caso si perde il senso del contesto nel quale avvengono i fatti e la stessa possibilità di interpretarli. Il mondo relazionale di un narcisista è ovviamente distorto e non attendibile: il narcisista è sempre tentato di piegare tutto a suo uso e consumo. Non entro poi in interpretazioni più sofisticate visto il mio livello di incompetenza in materia ma mi piace ricordare che nella forma patologica esso viene identificato come disturbo narcisistico della personalità ed è caratterizzato dalla sopravvalutazione dei propri attributi sia in termini di capacità sia in termini di estetica. Ricordo poi che il passo successivo del narcisista è verso la schizofrenia che presenta forme di gravità diverse. La letteratura sul narcisismo è molto ricca. Una vera pietra miliare è stata posta (direi quasi ovviamente) da Freud nel saggio Introduzione al narcisismo. Mi soffermo su questo argomento parlando della traiettoria 1 perché penso che insieme ad altri elementi, questo concetto sia fondamentale 31

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nello spiegare questa traiettoria. Tutti noi abbiamo alcuni gradi di narcisismo e questo comporta che la traiettoria 1, fortemente incentrata sul programmare la vita a nostro consumo sia, in alcuni periodi della nostra vita, una traiettoria che determina diverse scelte importanti. Mi piace poi ricordare una accezione moderna del narcisismo che è il cosiddetto narcisismo digitale cioè legato alle nuove tecnologie. Nella sua definizione esso è uno smodato culto della personalità, dell’apparire e di esibirsi sul web con foto, video, scritti, messaggi. Specialmente nei giovani questi atteggiamenti sono molto diffusi e si mescolano bene col concetto di solitudine creando una accezione importante. Qui il narcisismo si trasforma da relazionale ad introspettivo creando un corto circuito in cui è facilissimo uscire dalla realtà. Infatti, mentre nel narcisismo relazionale esiste o può esistere un possibile scontro con l’ambiente esterno e comunque un confronto che può permettere di riposizionarsi rispetto alla realtà, in questo tipo di narcisismo digitale non esiste alcun confronto con la realtà e può, di conseguenza. divenire più facilmente patologico. Oggi è stata anche coniata una parola NERD che cerca di qualificare alcuni aspetti di questa situazione. NERD è oggi usata sempre più spesso con riferimento ai giovani e sta ad indicare una situazione di isolamento dove le frustrazioni individuali vengono compensate dall’ossessione verso le tecnologie. Un altro aspetto del narcisismo molto diffuso oggi è la cura sempre più esasperata della salute intesa come wellness ossia non solo come cura di una malattia, ma anche come prevenzione generica delle malattie ed anche come generale benessere. Il tutto al fine di incrementare durata e qualità della vita, anche e talvolta solo dal punto di vista estetico.

2. Traiettoria 2-vivere con gli altri Vivere con gli altri è una traiettoria di vita esattamente speculare alla traiettoria 1. 32

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Abbiamo l’ossessione della solitudine e per questo la vogliamo riempire con le amicizie non importa di quale qualità, non importa con quale contenuto. La vita di queste persone si svolge sempre nella necessità e nel tentativo di trovare qualcuno con cui condividere qualcosa ma anche senza condividere nulla a patto di assicurarsi una presenza costante. Quindi 2 tipologie: una traiettoria che prevede di vivere con gli altri per qualcosa ed una seconda che prevede di vivere con gli altri solo per non rimanere mai solo. Il denominatore dei due stili di vita è comunque la ossessione della solitudine. Anche nel caso di condivisione di progetti e finalità, nella realtà questa è spesso la maschera della solitudine. Spesso vediamo che le persone si riuniscono e si frequentano senza reali motivazioni e condivisione di obiettivi di vita o progetti. Spesso questi gruppi si creano e si rompono con la stessa frequenza ed intensità con cui si formano. Spesso la condivisione è fatta di cene e attività paraludiche: la gran parte della vita sociale avviene intorno al bere e al mangiare. Ognuno in questi gruppi sente il bisogno di incontrarsi ma tutto rimane segnato da una superficialità disarmante. Nel caso in cui invece ci sia condivisione di progetti e obiettivi, il vivere con gli altri ha un sapore diverso, ma rimane comunque il motivo fondamentale che è quello di uscire dalla solitudine. La forma è più piacevole e può anche sovrapporsi alla traiettoria 3 che esaminiamo di seguito.

3. Traiettoria 3-vivere per gli altri Questa traiettoria è solo apparentemente poco diffusa ma credo che molte persone vivano secondo questa traiettoria. È la traiettoria di vita secondo cui tutto quello che la persona fa e pensa è fatto nella logica dell’altro. L’unica cosa che crea piacere e soddisfazione è 33

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quella di far piacere o di giovare al prossimo indipendentemente dal tornaconto personale. È una vita di quasi santità che non chiama in causa solo implicazioni religiose. È il modello che più si avvicina a quello dei genitori: amore senza fine e senza attesa di essere ricambiato. Non sempre è così ma lo è spesso. Ne troviamo testimonianza in persone molto particolari che magari non conosciamo affatto. Sono le persone, per esempio, che vivono per alleviare i problemi di cari con grandi problemi fisici; di persone che si dedicano al prossimo senza attendersi nulla in cambio. Queste persone sono generalmente silenziose, schive, non si aspettano alcun encomio da nessuno, danno senza ricevere nulla e perfino se ricevono danni personali. Lo fanno perché si sentono di farlo e provano piacere nel farlo e continuerebbero a farlo per senso del dovere e per necessità. Queste persone per me sono molto più eroiche di chi sceglie di dare tutto al prossimo perché pensano sia giusto traendone soddisfazione. Il simbolo di questa categoria di persone è Madre Teresa di Calcutta. Una vita dedicata agli altri non solo bisognosi ma veramente ultimi degli ultimi, vissuta sempre con la sensazione di non aver mai dato abbastanza. Spesso queste traiettorie di vita si collegano alla fede religiosa anche se non sempre è così. Conosco persone che vivono solo per gli altri senza progetti così complessi come quelli di Madre Teresa. Comunque in un mondo che tende sempre più all’individualismo queste persone sono e sempre costituiranno un baluardo alla mercificazione della vita e del mondo e sono quindi persone che hanno un peso specifico nella crescita morale del mondo che si diffonde al di là della loro azione specifica. Sono un modello di vita per così dire diversa, basata sul rispetto degli altri.

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4. Traiettoria 4-vivere senza traiettorie Questa è una traiettoria di vita molto particolare e molto pericolosa. È la traiettoria che porta diritto al nichilismo; forse la più grande malattia umana di sempre. Finchè una persona vive su qualche traiettoria, può vivere in modo più o meno piacevole, essere più o meno utile socialmente ma, alla fine, le persone hanno delle traiettorie di vita e quindi progetti di vita. La prima traiettoria può sembrare molto simile a questa, ma in realtà non lo è. Questa è una traiettoria che ha solo un punto, non si muove, non interagisce, non cerca nulla, non crea nulla. Le persone che si riconoscono in questa traiettoria fermano la loro vita in se stessi senza cercare di evolversi, di migliorarsi, di interagire. È una traiettoria disumana!

5. Traiettoria 5-vivere in una miscela delle 4 traiettorie di cui sopra Di norma tuttavia, la vita delle persone si svolge in un mix delle traiettorie descritte brevemente. Ogni periodo della vita probabilmente si misura ed elabora queste traiettorie. Dipende dalla lunghezza e dalla intensità di esse che si definisce la qualità di ciascuno di noi. Non è credibile che una persona possa vivere la propria vita solo su una traiettoria: è più mentre è più comune che le persone, pur in momenti diversi, mescolino le varie traiettorie. Per usare una immagine fisica io penso che la nostra vita sia un po’ una matassa di traiettorie composta di un intrico di fili più sottili o più robusti; è proprio questo groviglio che caratterizza noi stessi e il modo con cui ci poniamo di fronte agli altri.

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6. Fattori che influenzano le traiettorie del mondo Oltre le traiettorie personali, ovviamente, esiste anche una traiettoria del mondo con cui le singole traiettorie devono interfacciarsi e devono convivere. La traiettoria del mondo è pressoché indipendente dalle singole traiettorie delle persone. Significa forse che qualunque cosa facciamo, il mondo ha comunque una sua traiettoria? Hanno forse ragione le persone della traiettoria 4 ossia quelli che non hanno alcuna traiettoria? No certo ma è evidente che per le singole persone è importantissimo creare agglomerati o meglio matasse di traiettorie molto grandi e molto robuste per poter avere un ruolo. Ed in un mondo sempre più globale queste matasse devono diventare sempre più grandi, complesse e robuste per poter influire sulle traiettorie del mondo. Il mondo, noi stessi abbiamo bisogno di traiettorie sempre più sofisticate. Da soli non contiamo nulla nulla nulla, ma a tutt’oggi queste matasse di traiettorie non sembrano ancora formate. È vero che si sta formando la piattaforma tecnologica in grado di contribuire alla formazione di tali matasse, ma siamo ancora agli inizi. Mi riferisco ovviamente ad internet, alla share economy (sempre l’economia…!!! Sempre la tecnica…!!!) ma i contenuti di queste scatole sono ancora lontani. Abbiamo tutti bisogno di piattaforme di pensiero, di piattaforme “metafisiche” più che di piattaforme tecniche ed economiche. Sono troppi anni che i pensatori non sono più in grado di costruire linee di pensiero capaci di farsi riferimento. Ci sono molte analisi anche eccellenti sul passato e sul presente ma mentre continuiamo ad osservare passato e presente non riusciamo ad avere la visione di un futuro possibile, auspicabile mentre la tecnica guarda avanti e la politica non sa dove guardare. Ovviamente potremmo scegliere di vivere come vogliamo ma 36

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continuando a vivere isolati non potremo influire su nulla, possiamo solo lamentarci. Dobbiamo capire o cercare di capire come va il mondo per poi o adattarci o combattere. L’unica cosa che non ci è permessa è attendere. Ecco perché il nichilismo o la traiettoria 4 non hanno senso anche se in una situazione di questo tipo può essere una semplificazione del problema. Tuttavia questa traiettoria di vita sta avendo un successo enorme in ogni cultura e credo sia uno dei maggiori elementi di instabilità che abbiamo in questa fase storica. Per capire qualcosa sulle traiettorie del mondo ci sono interessantissime situazioni ed interessantissimi spunti su cui riflettere ma mi pare di poter dire senza ombra di dubbio che grandi cambiamenti stanno avvenendo. Tra questi elementi alcuni, in maniera particolare, influenzano a mio avviso le traiettorie del mondo: – velocità, globalizzazione, virtualizzazione: il colpo di stato finanziario che sta storpiando la storia; – la fine dei modelli gerarchici e la nascita di modelli entropicirelativistici; – la ridefinizione dei sessi e del rapporto tra loro, del legame tra sesso, procreazione e famiglia ed il loro impatto sulla società futura.

E con questi anche: – La grande effervescenza del mondo musulmano ed il disorientamento del mondo occidentale cristiano. – Il concetto di libertà individuale. – Il rapporto tra libertà e diritto ed ancora più il complesso rapporto tra peccato, delitto, reato e pena.

Di questi ultimi tre comunque presenterò solo un riferimento indiretto anche se stanno assumendo, a mio avviso, una importanza enorme nei contesti cui mi riferisco. 37

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Possiamo tentare di sintetizzare questi elementi, mescolandoli perché ci possano aiutare a capire dove va il futuro, a capire dove potrà portarci facendo però sempre attenzione a riferirci ad esso come ad una delle infinite soluzioni possibili che fanno sì che il nostro futuro e quello del mondo siano una realtà impossibile da prevedere. Ovviamente gli scenari possibili sono moltissimi ma in questi scenari alcune tendenze a mio avviso sono già anche definibili. Il tutto mentre il mondo occidentale essenzialmente cristiano, aperto, libero e cosi’ detto democratico, è entrato in una fase di confusione e mostra un logoramento molto evidente. Questa cultura ha di fatto dominato il mondo negli ultimi secoli. Il Cristianesimo e il capitalismo, fin dalle origini, hanno definito una serie di vincoli, attitudini, sistemi sociali e comportamenti che sono stati il fondamento etico e sociale delle società europee e americana che hanno dominato il mondo per 2000 anni. Hanno avuto vicende alterne, fortune alterne, si sono servite di metodi che oggi storicamente critichiamo e detestiamo ma alla fine hanno costruito su questo insegnamento molte regole del vivere in comune. Anche l’illuminismo ed il marxismo probabilmente hanno potuto prosperare in un mondo dove comunque il Cristianesimo rappresentava il riferimento fondamentale. Il Cristianesimo dal punto di vista culturale è importante anche per i non praticanti. Lo è perché ha fatto cose rivoluzionarie e tutto quello che moltissime religioni non hanno mai fatto. In particolare alcune cose a mio parere hanno un valore enorme. Per prima cosa mi voglio scusare con i credenti se questo mio linguaggio può sembrare irriverente e troppo semplificativo; spero comunque che non venga considerato errato. Il cristianesimo ci insegna che Dio si è fatto Uomo, che ha detto agli uomini che sono liberi di decidere il proprio futuro, di fare le proprie scelte, che sono liberi di non credere e di non adorare il proprio Dio, dicendo addirittura che tutti possono pentirsi di qualunque cosa possano aver fatto perché Dio è la misericordia assoluta. 38

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Senza voler essere blasfemo direi quasi un Dio al servizio dell’uomo. Mai una religione è stata così innovativa, così centrata sulle persone. Il Cristianesimo è la prima, forse ad oggi l’unica religione che ha veramente reso libero l’uomo dalla religione. Ha poi detto che uomini e donne devono amarsi per mettere al mondo i figli, per crescerli e curarli in un ambiente che deve anche fornire tutto l’amore possibile in una stabilità di rapporti (rendendo indissolubile il matrimonio) fondando così il primo fortissimo ed indistruttibile elemento della società cristiana. Ha poi detto che la vita delle persone è un dono e quindi nessuno di noi può appropriarsi di altre vite e nessuno ha il diritto di dare o togliere la vita ad altri per nessun motivo. Questi e tanti altri sono dei principi che la nostra cultura aveva assorbito indipendentemente dal fatto di essere nati come principi fondativi della religione Cristiana. Ognuno di noi nato in questa parte del mondo veniva cresciuto in questo terreno culturale e su questo terreno si sono sviluppati 2000 anni di storia con fasi alterne nel corso delle quali troppo spesso infrangere queste regole è stato quasi una regola. Ma comunque il genere umano ha vissuto sempre con queste idee sia seguendole che interpretandole o addirittura rigettandole, fermo restando che il riferimento era quello. Analogamente anche i sistemi sociali, i sistemi legislativi hanno seguito questa impostazione per definire le regole di convivenza, adattandole alle necessità. Cosa sta succedendo ora rispetto a questi fondamenti? Molte di queste cose stanno scomparendo o vengono modificate tanto radicalmente da portare a comportamenti individuali e sociali molto diversi ma che pian piano mineranno le regole di base del vivere di oggi. Questo di per sé potrebbe non essere il maggior problema; quello serio è che stiamo abbandonando un modello così detto Cristiano di vita per un modello che è assolutamente indefinito, non sostanziato, dove nessuno si è posto il problema di quale possa essere la sua evoluzione. 39

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Abbiamo abbandonato o stiamo abbandonando il concetto di Dio talvolta riconoscendo e dando più valore alla tecnica e comunque in una sorta di accordo agnostico. Stiamo abbandonando il concetto di famiglia tradizionale e di relazione basata su uno stretto ed univoco legame tra sesso, famiglia e procreazione ed infine dando regole alla morte indipendentemente dalla volontà individuale. Tutto ciò in nome di una libertà che assume di essere al vertice della piramide della vita ma senza contestualizzarla e soprattutto finalizzarla alle relazioni tra persone. Una libertà che non tenga conto degli altri non può essere chiamata libertà. Ecco allora che la libertà deve sempre andare insieme al concetto di diritto ed il diritto deve sempre legarsi all’Utopia ed alla politica. Utopia, libertà, politica e diritto debbono essere una cosa sola o forse meglio una gerarchia. Credo che porti a seri problemi voler scindere le cose o peggio ancora vederle in una scatola dove alcuni componenti fondamentali, qualcuno di questi quattro elementi, manchino del tutto.

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Capitolo secondo

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Velocità, vita, economia

Quali che siano gli ingredienti di ogni cambiamento e dei fattori di cambiamento nulla sarebbe così esplosivo però, se alle varie miscele non fossero aggiunti altri ingredienti che sono ormai tipici del nostro mondo attuale e comunque molto, molto piùpresenti che nel passato. Questi ingredienti sono cresciuti di importanza nel tempo, tanto che oggi, a mio avviso, sono divenuti tra i grandi fattori di cambiamento e disagio. Ne cito alcuni: l’alterazione del tempo biologico o, più precisamente, il desiderio tutto umano di accorciare i tempi, di comprimerli, o anche, in un linguaggio forse più tecnico, il desiderio di accelerare i processi; la smaterializzazione delle attività umane che, se certo rendono meno gravoso il lavoro dal punto di vista fisico, accelerano ulteriormente processi già velocissimi. È il mondo dell’informatica e dell’elettronica che ha reso possibile questa rivoluzione che, ovviamente, insieme a tanti aspetti positivi, porta in grembo anche conseguenze che non sono solo negative ma che definirei perfino micidiali. Ormai gli spazi tempo materiali sono sempre più ristretti e sempre meno percettibili e percepibili e le persone faticano ad adattarsi a questo ambiente che è diventato ostile per molti. Ci sono alcuni che non li ritengono tali ma è certo che influenzano ogni vita. Questi fenomeni hanno portato in pochi anni a farci immaginare e pensare che la nostra civiltà, nonostante le sue caratteristiche di 41

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trasformismo, finirà per trovarsi di fronte a qualcosa che tuttora non ha contorni definiti, ma che potrebbe modificare radicalmente i nostri modelli di vita attuali. Nessuno sa cosa succederà, né come avverrà, molti cercano di immaginarlo ma nessuno potrà mai definire né il percorso né il punto di arrivo e, soprattutto, se ci saranno perdenti e vincenti e come tentare di influenzare questi processi. L’unico modo per tentare di orientarsi è quello di analizzare il passato. Ma a parte le difficoltà che comporta, l’analisi del futuro talvolta ha come effetto quello di spostare l’attenzione su meccanismi, su concetti che non avranno valore nel futuro, portando il ragionamento su un percorso sbagliato. Attenti tutti, me incluso, a tentare di predire il futuro attraverso l’analisi del passato!!! Karl Popper scriveva in maniera che non lascia spazio ad altre teorie lo storicismo è tutto un errore. Lo storicista vede la storia come una specie di corrente d’acqua, come un fiume che scende, e crede di poter prevedere dove passerà l’acqua a partire da quel momento. Lo storicista pensa di essere molto intelligente vede l’acqua che scende e pensa di poter anticipare il futuro. Si può studiare la storia finchè si vuole ma quella del fiume rimane niente più che una metafora e non contiene alcuna realtà. Si può studiare quello che è stato, ma quello che è stato è finito e da adesso in avanti non siamo in condizioni di anticipare un bel niente, non siamo in grado di seguire la corrente, dobbiamo semplicemente agire e cercare di rendere le cose migliori. Il momento presente è quello in cui la storia finisce e noi non siamo affatto in grado di guardare al futuro con l’idea di poterlo prevedere seguendo la corrente1.

1 K.

Popper, La lezione di questo secolo, Marsilio, pp. 46-47.

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E aggiunge2 Non dobbiamo essere costretti a pensare che le cose peggiorino per una tendenza della storia. Il futuro dipende da noi. Siamo noi a portarne tutte la responsabilità. Per questa ragione vale un importante principio: è nostro dovere essere ottimisti. Il futuro è aperto. Non È determinato, né, perciò, può essere previsto, se non per caso. Le possibilità che esso contiene sono infinite. Quando affermo che è nostro dovere restare ottimisti, intendo dire non solo che il futuro è aperto, ma anche che noi tutti contribuiamo alla sua creazione con tutto ciò che facciamo: siamo tutti responsabili di ciò che il futuro ci riserva. È perciò nostro dovere non professare il male, ma piuttosto combattere per un mondo migliore.

Premesso quanto riportato da Popper: l’impossibilità di predire gli eventi, la positività dei cambiamenti qualunque percorso, anche doloroso si debba affrontare, e posto che sarebbe a dir poco arrogante voler definire il futuro, credo invece che sia possibile tentare con umiltà di tracciare una traiettoria per suscitare un confronto che consenta di trovare una soluzione possibile nel contesto che si va evolvendo. È ovvio che il futuro non esiste senza il passato ed il presente. Quindi è proprio forse nella capacità di legare il passato, il presente ed il futuro che c’è la soluzione o parte della soluzione. Alcune soluzioni si possono trovare proprio riuscendo a scomporre, slegare, comporre e rilegare passato, presente e futuro. Il mondo evolve e tenta di rompere continuamente gli schemi che noi ci creiamo per cercare di mantenere lo status quo. Queste difese valgono per chi ha qualcosa da perdere, non per chi non ha nulla da perdere. Chi ha poco a nulla da perdere, non ama lasciare le cose come sono. Inoltre, anche senza fare dello storicismo, oggi molti fenomeni segnalano una perdita di controllo che va riacquistata. 2 K.

Popper, Il mito della Cornice, il Mulino.

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Come, da chi, quando, nessuno lo sa ma ognuno può tentare di farsi parte attiva in questa urgenza di orientamento. Il mio contributo è quello di richiamare l’attenzione su di un fenomeno a mio avviso poco citato a cui nessuno pone molta attenzione e che è l’accelerazione o l’aumento di velocità che questa società tende a portare nella vita di tutti. Su questo è utile ragionare. In questo scritto, vorrei tentare di esprimere quali a mio avviso siano i segni del declino non avendo la presunzione di elencarli e descriverli tutti, ma nella speranza di additare quelli che mi sembrano poco studiati. Tra essi uno dei più caratteristici e ad alto impatto è la velocità soprattutto la velocità dei cambiamenti e l’incapacità che è propria dell’uomo di relazionarsi con tale velocità. Vorrei anche mettere in relazione quanto sia congruente la velocità dei cambiamenti con l’evoluzione dell’uomo. Il mondo contemporaneo corre ad una velocità storica così vertiginosa che nel breve corso di una vita stentiamo a riconoscere, in vecchiaia, il mondo che avevamo conosciuto da ragazzi; e in una realtà così mutevole l’uomo non ha tempo di trovare un assestamento. Se oggi si invoca con tanta insistenza l’interazione sociale, se l’uomo contemporaneo si rivela così ansioso di aggrupparsi di appartenere, è proprio perché la nostra società è profondamente disintegrata, perché l’uomo che perde i suoi naturali tessuti  connettivi si sente alienato, senza radici. Anche se questo mutamento è per il meglio lo sradicamento resta.  Resta anche perché all’accelerazione storica si accompagna una inedita mobilità geografica3.

Tale mobilità è uno dei fattori chiave del futuro in ogni senso. In senso positivo, sia la mobilità incentivata dalla facilità di accedere ai mezzi di trasporto, sia quella che produce cambiamenti nei modelli di lavoro e di famiglia, contribuiscono a costruire interazioni, scambi culturali, mescolamenti di abitudini, culture, razze, 3

G. Sartori, Democrazia, Rizzoli.

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perché producono una forte promiscuità positiva che porta miglioramenti in ogni dimensione. L’effetto negativo, o almeno quello che tanti percepiscono come negativo, la mobilità facilitata delle cose e delle persone, produce spostamenti enormi e incontrollati di masse di persone. La mancanza di controllo è uno degli elementi chiave della discussione in questo argomento. La combinazione di questi fattori trova una sintesi  nel concetto di globalizzazione. Le merci, le persone, i servizi e la cultura tendono ad assumere sempre più un connotato globale nel quale i concetti di spazio e tempo acquisiscono una dimensione del tutto nuova che permette grandi opportunità  ma causa  anche grandi problemi a un numero rilevante di persone  che, non essendo preparato, deve affrontare enormi difficoltà di adattamento, difficoltà tanto maggiori quanto più le classi sono indigenti e carenti di difese culturali. L’accelerazione dei processi attraverso cui le persone si confrontano, comunicano, lavorano, pensano, l’isteresi tra dilatazione e contrazione delle dimensioni di tempo e di luogo stanno cambiando veramente il mondo. Tutto questo avviene in un mondo che tende a porre al centro non l’uomo con i suoi valori morali ed antropologici, ma i processi come quello economico produttivo che l’uomo usa ma che non può o non dovrebbero usare l’uomo. La nostra civiltà può finire nella continua battaglia di predominio tra il fine ed il mezzo e in questa battaglia la compressione dei tempi e la virtualizzazione dei processi saranno elementi decisivi di instabilità da una parte e il loro controllo, forse, la chiave di ogni successo. Una cosa è assolutamente certa: l’attuale periodo storico porterà ad un nuovo modo di stare insieme delle persone nel mondo. La situazione attuale non può mantenersi stabile perché troppi elementi, mutando, vanno fuori dalle possibilità di controllo della maggior parte delle persone, forse anche delle classi elitarie e sicuramente della politica. 45

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Una delle grandi linee direttrici del pensiero del ’900 è il conflitto tra due tesi. Senza dilungarmi in molte citazioni di pensatori come Spengler e Toynbee, riprendo una sintesi di idee di Marcello Pera che afferma4: Da una parte Oswald Spengler che credeva di poter condurre il senso della vita e delle idee ad espressioni culturali incluse le culture ad una sorta di legge naturale: per tutto c’è il momento della nascita, la crescita, la fioritura di una cultura, il suo lento declinare, l’invecchiamento e la morte… Questa tesi viene combattuta con grande passione nel periodo tra le due guerre da molti pensatori tra i quali spicca Arnold Toynbee che tenta di mettere in luce la differenza tra progresso tecnico-materiale e progresso reale che definisce spiritualizzazione. Ammette che l’occidente si trova in crisi, che attribuisce al fatto che dalla religione si è decaduti al culto della tecnica, della nazione, del militarismo. La crisi in definitiva significa secolarismo.

Condivido questa visione poiché nell’osservare il passato mi pare evidente che ogni cosa, idea, essere  vivente abbia un ciclo di vita. Non esiste nulla, assolutamente nulla che possa sottrarsi a questa legge: ogni cosa ha una nascita, uno sviluppo, una decadenza, una fine.  Mi pare però determinante spiegare in che modo si debba intendere il significato di fine. Se per fine si intende morte, ovviamente tutto assume un significato che difficilmente può essere percepito o immaginato come positivo. Se però per fine s’intende la conclusione di una fase storica, politica, di un evento (immaginiamo la fine della guerra per esempio) o come in molte religioni il cambiamento verso uno stato diverso, il concetto diviene positivo e la fine diviene anche un inizio. Questa concezione porta ad una sintesi delle due visioni citate. 4

M. Pera, Senza Radici, Mondadori.

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Cessazione e rigenerazione sono l’essenza stessa della vita e della storia. Quindi perché percepire  la fine come negativa? La fine di qualcosa è sempre positiva perché è sempre l’inizio di un’altra cosa, di un’altra fase! Ci sono poi delle attività umane che tentano di superare il problema della fine, talvolta disperatamente. Quante persone credono nella religione più per sfuggire all’idea della morte che per affermare un cambio di stato e/o una continuità tra due forme di esistenza? Quante vedono solo il passato e non tentano né di vivere il presente né di immaginare il futuro? Molte delle attività umane sono proprio una risposta al superamento dello stato d’animo che ho chiamato disperazione. Se è vero che non esiste cosa o attività materiale e immateriale che non abbia un ciclo, è anche vero che la nostra civiltà avrà una fine. Ogni civiltà è caduca, nel senso che è destinata a decadere, a spegnersi, in una parola: a morire. La civiltà occidentale, alla quale apparteniamo, non fa eccezione (sarebbe strano che lo facesse) ed è caduca anch’essa. Un giorno si spegnerà come si sono spente tutte le altre. Noi ci troviamo oggi, in quest’ultimo decennio del novecento, nella fase discendente della parabola, cioè nel periodo della decadenza5.

Quando ci riferiamo alle civiltà che hanno attraversato la storia sappiamo che ognuna di esse ha avuto un ciclo nascendo, sviluppandosi e  finendo. Non si vede né si capisce perché anche la nostra civiltà, cosiddetta capitalistica o, come dice qualcuno, liberista o ancora postcapitalista, non debba seguire questa parabola: essa si evolverà fino al punto di morire e, secondo alcuni, questa fase è già iniziata.

5

P. Ottone, Il tramonto della civiltà, p. 18.

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La grande differenza con il passato recente è che oggi se ne ha quella percezione che mancava fino ad alcuni decenni fa. Paradossalmente i cambiamenti, che lasciano presupporre  una modifica radicale del capitalismo, si sono resi più evidenti da quando è crollato il nemico storico e feroce del capitalismo stesso, il comunismo. Dalla fine del comunismo in poi, il capitalismo sta mostrando alcune importanti debolezze che prima erano celate dall’apparente necessità di scegliere il male minore. In un articolo del “Corriere della Sera” del 5 giugno 1996 il giornalista Marco Meda, presentando un nuovo libro di Lester Thurow, The future of capitalism, scriveva: Il capitalismo è malato. È proprio nel momento in cui potrebbe raccogliere i frutti della vittoria del secolo contro il comunismo, esso inizia a manifestare i sintomi di un disagio profondo. Più che di un morbo fisico, si tratta di una crisi esistenziale, una mutazione alla fine della quale esso avrà cambiato pelle. La mutazione è profonda ed ha tutti i connotati di un processo irreversibile.

Ma perché dovremmo augurarci che questa civiltà termini? In realtà sono molti ad affermare: ma non siamo stati mai così bene! Io rispondo loro con un brano di Ralf Darhrendorf 6: Non siamo stati mai così bene – ma siamo perciò più felici? Per lungo tempo la massima felicità  del massimo numero di persone possibile è stata considerata lo scopo di ogni agire pubblico; nella dichiarazione d’indipendenza americana il diritto alla happyness, alla felicità compare al fianco di quello alla vita e alla libertà. Ma è lecito dubitare che l’umanità del 2001 fosse 4 volte più felice di quella del 1957. L’esperienza umana  della felicità conferma il detto popolare che vede nella vita alti e bassi, più che gli indici degli economisti.

6

R. Darhrendorf, Libertà attiva, sei lezioni su un mondo instabile, Laterza, p. 6.

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Ora però, e questa è l’ulteriore elaborazione del mio pensiero, questa grande novità, solo qualche anno fa era meno chiara. In questi ultimi anni abbiamo dato all’economia un’altra arma terribile che è la finanziarizzazione dell’economia. In realtà i sintomi erano già tutti presenti nella crisi del 2008, ma oggi mi pare che accelerazione e visibilità della stessa, siano senza precedenti. Il sistema economico ha avuto la sensazione che poteva fare enormi fortune senza lavorare. Inventare beni e servizi, produrli, rischiare è faticoso; le persone hanno sempre la tendenza a guadagnare di più facendo meno. Il sistema economico ha dunque inventato la ricetta perfetta: Con l’aiuto e grazie alla cecità della politica, creo denaro finto, creo denaro da debito, creo instabilità finanziaria in modo che tutti cerchino di scambiarsi strumenti finanziari o nella speranza di guadagnare o nella speranza di non perdere …il gioco è fatto! Il mondo è soggiogato con un click! Poco lavoro fisico, molti computer in rete, gli utili idioti della politica …la ricetta è perfetta… finché dura… ma è chiaro ormai che il gioco si sta rompendo.   D’altronde il sistema occidentale e capitalistico, o la civiltà occidentale e capitalistica, vive e può vivere per sua stessa natura solo riuscendo a coinvolgere tutti o comunque il maggior numero possibile di persone nella logica della crescita dell’economia, delle risorse e dello sfruttamento delle stesse. Lo slogan, sostanzialmente corretto anche se molto semplificato, per esprimere la tendenza, è: Fare di più, meglio più veloce, meglio con meno… ma sempre! Paradossalmente, anche chi retrocede o non cresce, è coinvolto nello stesso meccanismo. Per fare ciò il capitalismo finanziario ha bisogno si di essere assecondato in tutto ma, alla fine, la sua volatilità ha sempre meno bisogno di politica, religione, mass media, attività culturali. Nella nostra cultura sentiamo sempre parlare di economia che cresce o non cresce, dei costi che debbono diminuire, della 49

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mancanza di allineamento tra necessità e relative risorse, di disoccupazione ecc. Ascoltiamo con attenzione tutti i giorni i messaggi dei media e sempre vi osserviamo questo tentativo di misurare e spingere tutti alla crescita. Ma cosa c’è di negativo nella logica della crescita continua? Nulla se il capitalismo la usasse per creare lavoro vero e trovasse anche una logica nella non crescita, o se trovasse normale rilevare gli ostacoli che ne impediscono la crescita ed esprimesse la “forza” di accettarli anche se fossero di segno contrario. Ci sono anche delle situazioni nelle quali i principi della crescita a tutti i costi sono fortemente mitigati da regole sia interne  che esterne, ma credo di poter asserire con assoluta certezza che una simile moderazione  vale solo in presenza di profitto, in mancanza del quale scattano misure piuttosto rigide. Questo imperativo assoluto, nella sua semplicità, è il segreto di tutto. Alla fine, in questo sistema, le regole sono semplici e chiare, tutto è funzionale ad esse, anche quando siano condite con linguaggi e tesi molto raffinate. È evidente che sono esistiti e sempre esisteranno dei fenomeni a causa dei quali  alcuni soggetti non hanno aumentato i profitti, ma ciò è fuori dal linguaggio e dalla cultura del capitalismo. Negli anni passati abbiamo per esempio assistito al tentativo in Europa di statalizzare parte dell’economia; questo tentativo è fallito pressoché ovunque anche perché si è tentato di mediare le regole ferree del capitale con le regole della politica e del welfare, gestendole per di più coi vizi generali del malgoverno. Non esiste nulla di pazzesco o contro natura nel fare profitto. Ho sempre faticato a capire l’avversione di molta cultura di oggi e di ieri verso la parola stessa. Mi pare anzi che la storia abbia dato esempi evidentissimi che questa spinta fa parte della natura umana e comunque  il sistema politico-economico che vi si associa è quello  che ha permesso al maggior numero di persone di migliorare le condizioni e il livello di vita. Ma oggi 50

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il profitto non è un concetto che riguarda solo imprenditori e aziende, ma occupa un posto importante nella vita quotidiana di ognuno di noi. Tutti abbiamo bisogno di profitto per soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza e di gratificazione. Una volta l’uomo poteva provvedere a sé e ai suoi cari semplicemente attingendo dalla natura tutto quanto aveva bisogno; oggi, invece, per poter non solo vivere ma anche sopravvivere dignitosamente occorre denaro… la nostra sopravvivenza è, di fatto, nelle mani di altri, perché dipende da una complessa rete di servizi che ci procura tutto il necessario… Oggi soddisfiamo indirettamente tutti i nostri fabbisogni attraverso il profitto, non potendo farlo direttamente… abbiamo bisogno del profitto7.

Quel  che è del tutto innaturale o forse contro natura è che un linguaggio, uno scopo comune e giustificato nel mondo degli affari, stia divenendo lo scopo di tutti, singoli e non, e che il modo di ragionare dell’economia stia divenendo parte della cultura di tutti. Detto in altri termini, sta prevalendo in maniera “incivile” la logica dell’utilità su tutto e tutti. C’è chi dice che sia  stato sempre così ma, ammettendo che sia vero, credo che sia anche inaccettabile. È molto difficile uscire dalla logica dell’utilità e non bisogna nemmeno sottovalutare o valutare male chi ne fa uso costantemente, ma il tempo, che è una grande misura dei valori, finisce per punire o quantomeno dimenticare sempre le persone, le cose, gli eventi che fanno della sola utilità l’unico scopo personale assumendolo a stile di vita. Voglio fare un esempio per spiegare meglio questo concetto. Tempo fa durante una visita a Firenze con un amico mi venne da pensare che nessuno, a parte forse qualche studioso, ricorda  chi diede vita al sistema che  creò la ricchezza e che permise a molti artisti di trovare un ambiente così favorevole per lavorare.

7 M.

Rovela, Perché ce la faremo, Ponte delle Grazie, pp. 67-68.

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Praticamente nessuno sa o ricorda chi amministrò i beni della famiglia dei Medici a Firenze. Queste persone, oggi ignote a quasi tutto il pubblico, con il loro lavoro hanno predisposto le opportunità materiali che hanno consentito  a tanti talenti  artistici  di creare le splendide opere che tutti noi ancora oggi ammiriamo. Sono sicuro che senza la presenza di quelle persone e del loro “ingegno”, senza la presenza di un sistema organizzativo ed organizzato efficiente, i Medici non avrebbero potuto supportare e sopportare  economicamente quello che viene considerato il periodo d’oro dell’arte italiana e forse di tutto il mondo. Tuttavia la gente, la stragrande maggioranza delle persone,  non ha notizia e quindi nemmeno memoria di chi consentì agli artisti di esprimersi. I nomi di Michelangelo, Leonardo, Botticelli e tanti altri sono rimasti impressi per sempre nella memoria collettiva in tutto il mondo come pure la straordinaria qualità delle loro opere, mentre nulla si ricorda di quegli abili amministratori che fornirono loro i mezzi per produrle. Sono figure relegate nell’oscurità, perfino i loro nomi sono quasi universalmente ignorati. Secondo la mia interpretazione il tempo ha dato un ordine ai valori umani, originando una loro gerarchia, forse La Gerarchia per eccellenza. Dove voglio arrivare con questo ragionamento? Significa che il profitto, la sua ricerca e la sua amministrazione sono  legittimi finché servono all’uomo ed alla sua  vita, stimolandone la creatività e la crescita intellettuale. Se il profitto va invece in direzione contraria perde il senso dell’utilità, non serve più e non fa più parte della corretta Gerarchia. I grandi personaggi che ricordiamo hanno lasciato un segno nella storia solo se sono riusciti ad influire, nel bene o talvolta nel male, sulle menti, sulle  emozioni, sulle sensazioni delle persone. Per fare ciò hanno avuto anche bisogno di un’organizzazione, di risorse, ma solo se hanno asservito le risorse allo scopo sono divenuti grandi, hanno raggiunto mete importanti e cambiato il corso degli eventi. 52

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Legare uno scopo della vita alla sua esecuzione, subordinare l’esecuzione a tale scopo pur dandogli identica dignità è forse uno dei grandi motivi del successo della vita. E d’altra parte provate a quantificare anche economicamente il valore generato da quelle opere in quel sistema. Non credo esista prodotto o sistema che abbia generato più valore economico solo pensando a quanto denaro muove con le persone che vogliono vedere queste opere. Questo ragionamento vale a tutti i livelli: è chiaro che se non si hanno risorse sufficienti la vita è misera, ma altrettanto misera è la vita se la ricerca delle risorse stesse o del loro aumento condiziona tutte le scelte. Il problema del profitto sta tutto qui: si è spostato in quella che io chiamo la gerarchia dei valori divenendo non un mezzo ma un fine, talvolta incontrollato.  Perché la logica del profitto sta divenendo incontrollata? Qual è il meccanismo che la rende e sempre più la renderà incontrollata? A mio parere ciò avverrà per il tentativo di modificare il concetto biologico del tempo forzandolo per abbreviarlo in ogni campo, cercando di ottenere di più e più velocemente. La miscela tra il concetto di “di più e più veloce” è l’innesco del processo di cambiamento irreversibile. Nel tentativo di fare di più in meno tempo, si è innescato un problema di fondo: la creatività ha bisogno di tempo, e quindi è costosa e poi le persone hanno bisogno di tempo appropriato per capire gli avvenimenti e soprattutto le loro evoluzioni. Ecco che il tempo è divenuto un bene prezioso e non più sufficiente per gran parte delle persone ma è anche un grande elemento sia di competizione che di discriminazione tra chi si adatta meglio di altri alla gestione dei tempi. Se la creatività è costosa, c’è bisogno di finanziarla con risorse che vengono alla fine dallo sfruttamento della creatività stessa. Dopo un primo impatto favorevole, la creatività tende a perdere valore. In che modo? Se si sostanzia in un prodotto o in un sistema di produzione, questo può essere copiato, riprodotto al punto da essere 53

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assimilato, digerito nella percezione del consumatore. Venendo meno l’elemento di novità cala anche il suo valore economico. Si può osservare a questo punto che la creatività finisce per avere due sbocchi: o si esprime in un valore universale, come nel caso delle autentiche opere d’arte, ed in tal caso la sua durata è eterna; oppure i suoi derivati, i prodotti, si legheranno ad un valore economico correlato alla loro utilità. In questo caso essi avranno vita fin quando serviranno a qualcosa, scomparendo quando la loro funzione verrà meno. Siccome però da cosa stupida nasce solo cosa stupida, si corre il rischio di creare cose sempre più stupide che, durando sempre meno, vedano annullato il loro valore economico. Per stimolare il consumo oggi la società ha quindi sempre più bisogno delle novità, ha bisogno di stupire e per andare incontro a questa necessità prioritaria deve sottrarre risorse al quotidiano. Soprattutto nel mondo industriale si sente spesso parlare di «tagli e snellimenti per tagliare i costi e dare spazio alla ricerca tanto da ingenerare il problema per cui si deve stare alla larga dalle nuove idee che potrebbero produrre novità, ma che allo stesso tempo o generano costi o tagliano i costi con l’innovazione»8. Nel gergo industriale questo fenomeno viene indicato come “creazione di nuovi prodotti”. Certamente è un’ottima cosa ma non appartiene alla sfera della creatività (quella con valore universale), piuttosto a quella dell’utilità. Penso ad esempio che questo accade anche nel campo editoriale. Mi riferisco ad alcuni scrittori che, anche rispettabili e rispettati, pubblicano i loro libri a scadenze temporali fisse, forse per obblighi contrattuali. È ovvio che molte di queste opere, essendo prive di una autentica ispirazione, letteraria o culturale che sia, hanno poco valore e di esse non resterà traccia.

8 F.

Colombo, Confucio nel computer, Rizzoli, p. 99.

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In questa logica, poi, potremmo inserire, magari arditamente, altri due fenomeni che vale la pena di descrivere e dimostrano anche quanto il tempo venga considerato necessario alla sopravvivenza in un modello di sviluppo che tende a penalizzare la creatività. Il primo fenomeno è quello della globalizzazione, il secondo è la “fretta di usare i prodotti della creatività”. Questi fenomeni sono in realtà uno solo e derivano dalla necessità di massimizzare sistemi e scoperte.  Che cosa significa globalizzare? Globalizzare significa andare al di là delle culture locali, perché è molto difficile trovare valori particolari che possano imporsi a tutto il mondo; significa finalizzare la ricerca e la creatività ad una applicazione sempre più vasta, globale appunto, un’estensione che ne ammortizzi i costi enormi. Questo sistema non viene applicato solo ai prodotti industriali ma anche alla produzione artistica, intellettuale ed estetica con la conseguenza di una forte diminuzione delle diversità e di una sempre maggiore massificazione delle culture, dei gusti. Se osserviamo come, negli anni, sono cambiate le nostre città non possiamo non accorgerci che sono sempre più simili fra loro: le opere civili, quasi identiche nella loro freddezza seriale, o le architetture, replicate all’infinito. Tendono ad imporsi globalmente anche i gusti ed i consumi alimentari, l’abbigliamento, le mode ma soprattutto i comportamenti. È quasi una fortuna che forti barriere linguistiche ancora obblighino le persone almeno alla diversità nel parlare.  Ma davvero la globalizzazione è un reale avversario della crea­ tività? Tale concetto non è ovviamente riferibile a scoperte scientifiche o ad opere d’arte che siano tali da cambiare il profilo di un periodo e la cui utilità o capacità di emozionare siano percepite immediatamente ed universalmente. Quando parlo di questo contrasto mi riferisco alle creazioni incrementali, quelle che cambiano i costumi delle persone e soprattutto i consumi delle persone. 55

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Per esse si è imposto il criterio della accelerazione, vale a dire il criterio di farle conoscere il prima possibile, alla maggior fetta di mondo raggiungibile. Un tale tentativo è a mio avviso destabilizzante. Si sfrutta una cosa prima ancora che sia chiaro e definito a cosa serva, a chi possa piacere. Questo perché anticipando i tempi si può trarre vantaggio dalla “novità” che rappresenta quel valore economico che permette di separare il costo dal prezzo. Una delle conseguenze del meccanismo appena descritto è l’obsolescenza della creatività in tempi molto veloci. Se la differenza tra costo e prezzo è grande, ci sarà spazio per molti altri  per copiare e a poco serviranno i tentativi di proteggersi con brevetti e diritti d’autore. Il fenomeno è tanto più marcato quanto l’innovazione è incrementale o incrementalmente piccola. Da questa situazione scaturisce una logica consolidata. Fare profitto porta a cercare l’aumento del profitto stesso per sostenere il costo della creatività e dell’innovazione in tempi sempre più brevi. Una tale sequenza crea una miscela quantità-tempo che a mio avviso è esplosiva. Credo che questa miscela si rivelerà per la nostra società molto più pericolosa di tutti i sovvertimenti sociali che possiamo intravedere: è una degenerazione interna ed intrinseca del sistema dovuta alla tendenza incontrollata del sistema stesso a crescere ed in realtà ci dobbiamo augurare di poter trovare sulla strada forze che limitino e regolino questa tendenza, ma, molto, è purtroppo nelle mani della politica. Da solo, in una situazione di assoluto dominio, com’è ora, morirà o meglio si suiciderà. I sistemi vanno in crisi profonda perché da un lato le spinte esterne accentuano le contraddizioni, ma soprattutto perché quelle stesse contraddizioni si annidano e  si manifestano all’interno. Il Comunismo non è fallito solo perché il capitalismo ha prevalso ma perché, oltre al fatto di subire questa pressione esterna, 56

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ha espresso sistemi politici nei quali le persone fondamentalmente vivevano materialmente e moralmente male. Si potrebbe ancora, a livello puramente dialettico, tentare di fare quello che parte della cultura del ’900 ha già fatto e che qualcuno prova ridicolmente ancora oggi a fare, a convincersi cioè che il Comunismo è bello, ma i fatti sono ben altra cosa rispetto alla dialettica. Le persone non hanno dubbi: la libertà, il benessere, una società aperta sono sempre preferiti alla prospettiva di una falsa uguaglianza condita da mancanza di libertà. Tornando al ragionamento iniziale, il tempo ed il tentativo di comprimerlo, la globalizzazione come stress del sistema a crescere, a mio avviso, provocheranno un sistema incontrollato in cui tutte le contraddizioni socio-economiche troveranno un facile punto di fragilità. La logica della crescita in un certo senso è come quella del ciclo di vita: nulla è infinito, non si può crescere sempre e se un sistema o una cultura non prevedono tra le altre cose anche il declino o la stagnazione non potranno avere vita infinita. Voglio soffermarmi su questo concetto, abbandonando quello più usuale, ma pur vero, dei conflitti sociali generati dal profitto e dalla smodata ricerca di esso, poiché penso che, tutto sommato, il capitalismo non sia l’esperienza economica politica peggiore della storia. Ritengo in ogni caso che i paesi che hanno vissuto questa esperienza abbiano risolto più problemi rispetto ai paesi teoricamente più orientati al sociale. Perché ritengo che la logica dell’accelerazione e del tentativo di accorciare il tempo sia distruttiva? Ogni cosa ha un suo ciclo di vita, rischio di annoiare a furia di ripeterlo. Purtroppo l’uomo ha anche sentito sempre l’esigenza ed il desiderio di tentare di conoscere il futuro e di forzare il ciclo di vita; questo o, per meglio dire, il processo per ottenere questo, lo ha reso superbo. Se tutti i processi però vengono gestiti con la logica del profitto, ci si troverà di fronte alla natura come elemento invalicabile e autodistruttivo. 57

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Molti pensano che il problema del mondo sia l’ecologia in senso stretto, molti immaginano che uno dei limiti più importanti del mondo sia il cosiddetto “sviluppo sostenibile”; credo invece che il problema sarà il “mondo uomo”. Riporto qui integralmente un pensiero di Remo Bodei che condivido in pieno: «Con la progressiva accelerazione del tempo storico, il passato non riesce più a coagularsi in esperienza adeguata al presente ed il futuro, consumati i modelli analogici a cui rifarsi, diventa non solo difficile da prevedere, ma persino da immaginare»9. Ciò significa, per riprendere il concetto interrotto, che l’uomo potrebbe avere enormi problemi di equilibrio personale e di collocazione nella storia. La storia non è semplicemente il sottoprodotto del contesto del potere nel mondo per quanto il potere giochi un ruolo importante. La storia è mossa, a lungo termine, dalla cultura, vale a dire ciò che gli uomini e le donne adorano e venerano; da ciò che le società considerano essere vero, buono e nobile; dalle espressioni che esse danno a queste convinzioni nel linguaggio, nella letteratura e nelle arti; da ciò per cui gli individui e società sono disposti a sacrificarsi10.

Si apre un problema che definisco “ecologia mentale” per indicare l’impatto del mondo esterno sull’equilibrio psicologico delle persone come esseri individuali e come gruppi. Credo che accelerare troppo i processi di apprendimento, i processi mentali singoli e collettivi, senza dare il tempo alle persone di adattarsi, inneschi di fatto un processo di autodistruzione e forse il vero inizio della fine di questo sistema e di questa cultura. Non dobbiamo nemmeno sottovalutare che, insieme alla velocizzazione dei processi, esiste e va di pari passo anche la dematerializzazione dei processi stessi e, se pure continua ad esserci una certa materialità, essa sta diventando così piccola da uscire dalla Bodei, Il libro della memoria e della speranza, il Mulino. G. Weigel, La cattedrale ed il cubo, Il Ribattino, p. 27.

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percezione fisica e quindi, di fatto, è raggiungibile solo col pensiero e comunque fuori dalla sensorialità delle persone. Credo che la natura in senso lato, cioè la mente dell’uomo, tenderà a ribellarsi al processo del profitto e della sua crescita illimitata, non tanto perché il profitto sia immorale, quanto perché in questo meccanismo è integrato un concetto distorto che reca in sé la necessità di accelerare e dematerializzare continuamente i processi di crescita senza lasciare alle persone il tempo di adattarvisi. Sta qui, a mio avviso, uno dei punti più deboli del sistema attuale. Alcuni fenomeni cui assistiamo oggi, che definirei di rigetto, della natura animale e vegetale, sono relativamente recenti e vengono trattati più come un ulteriore mezzo di creazione del profitto che come un segno di una reale volontà di contrastare il fenomeno. Essi però sono segni inequivocabili che la “pazienza della natura” non è illimitata. Una soluzione è anche nella tecnologia, ma sta soprattutto in un modello di sviluppo più bilanciato e che miri di più ad una crescita armoniosa coinvolgendo il maggior numero di persone possibili, più che un modello di sviluppo orientato sulla velocità e sulla selettività. Credo che il problema della crescita, pure necessaria, sia quello di farla avvenire più gradualmente ponendosi l’obiettivo di una vera globalizzazione che coinvolga in questo sviluppo il maggior numero di persone possibili in ogni parte del globo. Ritornando ai segni del degrado, specialmente quelli legati ai fenomeni che ho chiamato di ecologia mentale, non possono essere risolti con la tecnologia medica ma debbono  essere risolti riformando il modello di crescita con una corretta gerarchia che sia  a misura d’uomo. In tal senso l’accelerazione crea una variabile incontrollata, rompe tutti gli equilibri formatisi nei secoli, fa saltare le scale dei valori anche morali. L’accelerazione è di per sé un fenomeno di selezione, diciamo naturale, e come concetto fisico porta con sé quello del disordine e comunque di qualcosa difficile da controllare. Può creare forti emozioni come quando si guida un’automobile velocissima, ma è molto pericoloso. Molti dei fenomeni moderni hanno però questa duplice valenza. 59

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Pensiamo, per esempio alle megalopoli, alla droga, ai mass-media, alle tecnologie informatiche.  Siamo appena entrati nella terza rivoluzione tecnologica dopo quella agricola e quella industriale e questa   è una rivoluzione in cui la stessa accelerazione sta facendo assumere alla crescita connotati esplosivi e sta toccando aspetti diversi da quelli legati alle macchine. Per esempio, nel caso della biologia e della genetica, potremmo essere in grado di capire  forse meglio, sicuramente di più, vita e morte delle persone con l’ambizione mai sopita di programmarla. Tutto questo può creare emozioni forti, come sulle automobili velocissime, ma è molto pericoloso. Come trovare un bilancio tra continuare a progredire e progredire bene mettendo al centro di tutto l’Uomo come persona dal concepimento alla morte e coinvolgendo la maggior parte delle persone possibile in tutto il mondo, sarà a mio avviso il tema del futuro. Molte delle espressioni della modernità hanno in comune la caratteristica dell’accelerazione: le megalopoli, i consumi della droga, l’espansione del ruolo dei media e delle tecnologie informatiche. La globalizzazione è il prodotto della necessità, da parte del sistema, di accelerare. La tecnologia è uno degli strumenti più connessi con questo fine. Il ruolo della tecnologia di per sé sarebbe quasi neutro ma, inserito nel panorama storico odierno cui abbiamo fatto cenno, si potrebbe rilevare decisivo e forse anche letale. Probabilmente sarà il mezzo con cui il sistema si suiciderà. Riflettiamo poi che da quasi tutti i fenomeni che stiamo descrivendo la maggior parte della popolazione mondiale rimane esclusa. Ora alcune domande sono necessarie e sfortunatamente nessuna ha una risposta o, peggio, una soluzione. Perché correre su una macchina veloce, potente, bella che andrà sempre più veloce, che sarà sempre più potente e bella se pochi ci possono salire o la potranno guidare? Come è possibile che solo questi pochissimi possano goderne le prestazioni e trarne piacere e che a tutti gli altri siano destinati solo gli scarichi inquinanti della vettura e la frustrazione di non poterla usare? 60

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Come è possibile che la maggioranza dell’umanità non abbia accesso alle risorse minime  che possono rendere la vita migliore? Come è possibile continuare su questa strada a lungo termine? Quel che dico non coincide con il teorizzare la redistribuzione delle risorse tra paesi ricchi e poveri, tra persone ricche e persone povere. Si fonda però sul fatto che data la situazione di squilibrio odierna, tutti debbano correre un po’ meno per permettere a chi è indietro di cominciare a camminare più spedito e consentire a chi è in testa di rallentare, volgere lo sguardo alle proprie spalle e spendere qualche energia e risorsa nell’aiutare gli altri. Scrive Attali, (ma ci sono dati disponibili ovunque)11: nel 2050 a meno di una catastrofe ancora peggiore, la terra sarà popolata di 9,2 miliardi di esseri umani, ossia 2 miliardi più di oggi. L’Africa da sola conterà 2 miliardi di abitanti.Nei paesi ricchi la speranza di vita si avvicinerà al secolo e la natalità stagnerà ancora intorno alla soglia minima di riproduzione. Di conseguenza l’umanità invecchierà. In Cina si conteranno 1,4 miliardi di persone, in India 1,6 miliardi, 440 milioni in Nigeria, 200 milioni in Bangladesh, 400 milioni neli Stati Uniti, 73 in Francia, 72 in Germania, 120 in Russia. Due terzi del pianeta vivranno in città la cui popolazione sarà raddoppiata così come raddoppierà la quantità di energia e prodotti agricoli consumati. Anche il numero di persone in età di lavoro sarà raddoppiato e più dei due terzi dei bambini nel 2050 vivranno nei venti paesi più poveri del mondo.

Leggete e soffermatevi un attimo sui numeri della tabella che riporto qui di seguito e tratta da Wikipedia quindi facilmente rintracciabile e senza tanti studi capirete uno dei grandi problemi ed opportunità del mondo e capirete pure l’idiozia della politica (uso questa parola forte perché penso che la parola miopia che molti avrebbero usato non lo sia abbastanza).

11 J. Attali,

Storia del futuro, Fazi.

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Stima della popolazione mondiale nel tempo (in milioni) Nord America Anno Mondo Africa Asia Europa Oceania Note Latina[Nota 1] America[Nota 1] 70 000 [19]