Corpi soggetti. Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri 9788855292368, 9788855292375

Come leggere il legame del corpo a un principio vitale che chiamiamo io, consapevole di sé e degli altri? Il libro prese

127 111 4MB

Italian Pages 160 Year 2021

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Corpi soggetti. Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri
 9788855292368, 9788855292375

Table of contents :
Cover
Corpi soggetti
Status quaestionis

Citation preview

Patrizia Manganaro

Corpi soggetti. Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri

Umweg

Collana diretta da:

Federica Buongiorno, Roberto Esposito, Libera Pisano, Christoph Wulf

Umweg | 11

Patrizia Manganaro

Corpi soggetti Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri

© 2021, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 - 00133 - Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Umweg ISSN: 2499-6041 n. 11 - settembre 2021 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-236-8 ISBN – Ebook: 978-88-5529-237-5 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Paul Klee, Polyphony (1932)

Qualunque coscienza vi sia, se essa è diffusa in tutti i corpi umani, allora non vi sarà alcuna tentazione di usare la parola “ego”. Ludwig Wittgenstein, Esperienza privata e dati di senso

9

I Status quaestionis

1. Logos e Leib. Fenomenologia della coscienza corporeo-vivente La vera croce del corpo vivente [Leib] è il suo intreccio con il corpo fisico [Körper], un gravoso “stare di traverso” risparmiato agli animali, giacché essi non potendo soggettivarsi non possono neanche oggettivarsi. La capacità di oggettivare e de-oggettivare, ben evidenziata dal linguaggio, è loro negata; non hanno né io né me, non riconoscono se stessi allo specchio, e infatti abitano il corpo in modo diverso da noi […]. Il mio esser-corpo si presenta a me, al soggetto, come un conflitto la cui insolubilità è data precisamente dalla scissione soggetto-oggetto1.

1. H. Plessner, Antropologia dei sensi, tr. it. di M. Russo, Cortina, Milano 2008, p. 70 (ed. or., Anthropologie der

10

Che cosa significa essere un vivente, quali sono le stratificazioni del vivere, come leggere il legame del Leib a un principio vitale che chiamiamo io, consapevole di sé e degli altri? Vivere si dice in molti modi: il rilievo di H. Plessner, che concepisce un’antropologia dei sensi nei termini di un’estesiologia dello spirito, è il pretesto per tornare a riflettere su alcuni nodi teorici della filosofia contemporanea – fenomenologia e linguaggio, atti di coscienza (Erlebnisse) e atti di lingua (speech acts), intenzionalità e performatività –, come anche su una questione di stringente attualità, inserita sotto l’univoco titolo di embodiment – le teorie incarnate e/o incorporate della mente elaborate dalle neuroscienze cognitive, il ruolo del corpo vivo nella cognizione sociale e nel sistema cerebrale mirror –, la cui origine risale alle ricerche fenomenologiche condotte da Edmund Husserl: «L’intera coscienza di un uomo è in certo qual modo legata al suo corpo vivo, attraverso la sua base hyletica»2.

Sinne, In Id., Gesammelte Schriften, Bd. 1, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1980). 2. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, II. Ricerche sopra la costituzione, tr.

11

Gli altri sono qui evocati in un duplice rimando, storico-teorico e multi-disciplinare: l’analisi dell’esperienza estranea, dei corpi-soggetti o altri io, che per Husserl risponde all’obiezione del solus ipse, non viene studiata isolando i risultati conseguiti dalla fenomenologia, che pure sono ritenuti validi, ma inserita nel confronto con alcuni procedimenti metodologici del pensiero contemporaneo altri dalla fenomenologia – filosofia del linguaggio, Philosophy of Mind, neuro­ scienze, psicologia, psicoanalisi. Il tema della coscienza corporeo-vivente senziente, oggi al centro del dibattito per la sua irriducibile cogenza, è presente nel programma della fenomenologia come Erkenntnistheorie già nei primi anni del Novecento, quando Husserl pone le basi teoriche per l’analisi dell’esperienza originaria del mondo e per la sfera intersoggettiva. La sua giovane allieva Edith Stein, già alle prese con l’indagine essenziale dell’Einfühlung, it. di E. Filippini, a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 20022, p. 155 (ed. or., Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, II. Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, hrsg. v. M. Biemel, in Husserliana. Gesammelte Werke [= Hua], Bd. 4, M. Nijhoff, Den Haag 1952). D’ora in poi: Idee II.

12

conosceva bene i manoscritti stenografati del maestro, avendoli ordinati e trascritti in caratteri correnti: il rimando reciproco di coscienza e Leib era per lei una consuetudine teoretica, che la allontanava dalla versione psicologico-estetica all’epoca in voga nell’area germanofona, soprattutto grazie al monumentale lavoro di Theodor Lipps3, fondatore nel 1895 della Società psicologica (Akademischer Verein für Psychologie) a Monaco e, pochi anni prima, docente all’Università di Breslavia, città natale della fenomenologa. Un anno prima di incontrare Husserl, Lipps dava alle stampe un saggio sulla psicologia quale disciplina autonoma: «Empatizzare non significa percepire [empfinden] qualcosa nel proprio corpo, piuttosto significa sentire [fühlen] qualcosa, appunto se stessi, nell’oggetto estetico»4. Se il piano sul quale l’empatia è ricondotta non 3. Cfr. Th. Lipps, Grundtatsachen des Seelenlebens, Cohen, Bonn 1883. 4. Th. Lipps, Empatia, imitazione interna e sensazioni organiche, in Id., Scritti sull’empatia, tr. it. e cura di I. Rotella, Orthotes, Napoli-Salerno 2020, pp. 59-80: p. 79 (ed. or., Einfühlung, innere Nachahmung und Organempfindungen, in «Archiv für die Gesamte Psychologie», Bd. I, 1903, pp. 185-204).

13

è quello fisiologico delle sensazioni organiche, ma quello psicologico, Lipps enfatizza il sentimento di sé (Selbstgefühl) proiettato nell’oggetto (o nel soggetto estraneo): una sorta di oggettivazione inconscia di sé in altro. Proiezione che non ritroviamo in Stein, secondo la quale il metodo per la ricerca dell’Erlebnis empatico è l’epoché di Husserl: semplicemente perché la riduzione, volta alla chiarificazione ultima, pone tra parentesi il vivere naturale e analizza l’erleben della coscienza, il senso della vita. Il fenomeno dell’individuo psicofisico, diverso dal corpo fisico (physischer Körper) inanimato e inerte, è quello del corpo proprio (Leib) dotato di sensibilità, «cui appartiene un Io capace di avere delle sensazioni, di pensare, sentire e volere»5. È il corpo-soggetto, l’io vivo, centro di orientamento del fenomeno-mondo esperito come spazio d’azione inter-corporea: noi viviamo. La sua costituzione non avviene per percezione esterna, ma per appercezione, e ciò significa che la coscienza corporeo-vivente, logos e Leib, può 5. E. Stein, Il problema dell’empatia, tr. it. di E. Costantini e E. Schulze Costantini, Studium, Roma 19982, p. 70 (ed. or., Zum Problem der Einfühlung, Buchdruckerei des Waisenhauses, Halle 1917).

14

conoscere-sentire il fluire ininterrotto della vita dal di dentro, persino in modo involontario, come presente vivente (lebendige Gegenwart), e può attribuire ai corpi-soggetti altri la stessa capacità, nell’esplorazione del mondo intersoggettivo come oggettivo: un mondo consaputo, dato a tutti (eine intersubjektive Welt). Anche gli studi sulla percezione aptica e sulla propriocezione possono trovare nelle note analisi husserliane sul nesso tra flusso di coscienza e vita corporea, e in particolare sull’esperienza tattile, sinestetica e cinestetica, un momento propedeutico, anticipatore o comunque di utile confronto per il prosieguo dell’indagine sull’esperienza percettiva “integrale”. Proprio come la vista non è una questione meramente ottica, così il tatto non è una percezione solo “esterna”: il con-tatto è l’elemento non verbale forse più universale nelle interazioni umane, tanto che, secondo Husserl, annuncia il corpo vivo. L’iconologo H. Belting6 ha proposto un 6. Cfr. H. Belting, I canoni dello sguardo. Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente, tr. it. di M. Gregorio, Bollati Boringhieri, Torino 2010, pp. 251-252 (ed. or., Florenz und Bagdad. Eine westöstliche Geschichte des Blicks, C.H. Beck, München 20093).

15

legame etimologico-semantico tra i termini tedeschi Blick (sguardo), Bild (immagine) e Blitz (fulmine): che cosa significa che uno sguardo ci colpisce? Lo sguardo è un tocco? Che cos’è il contatto degli sguardi: un vedere, un toccare, o entrambi? Sta di fatto che gli sguardi, incrociati, possono urtare l’uno contro l’altro, o afferrarsi in un allaccio. Nell’indagine sulla costituzione della realtà psichica, Husserl intreccia l’elemento noetico-intenzionale a quello hyletico-materiale, proveniente dalle sensazioni localizzate (Empfindnisse) del corpo vivo: un’affermazione tutt’altro che innocua, in una filosofia nella quale il primato della coscienza trova la sua giustificazione nel primato dell’intenzionalità ascritta all’erleben e ai suoi atti – cioè a quell’intenzionalità che, nel primo volume delle Idee, era stata individuata come il «principale tema [Hauptthema]»7 del7. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I. Introduzione generale alla fenomenologia pura, tr. it. e cura di V. Costa, Einaudi, Torino 20022, p. 209 (ed. or., Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, hrsg. v. K. Schuhmann, Hua 3-1, M. Nijhoff, Den Haag 1976). D’ora in poi: Idee I.

16

la fenomenologia pura. Ebbene, Husserl ci avverte che la passività si presenta come struttura corporeo-­vivente dell’attività di coscienza: un tendere-verso che precede il rimando noetico intenzionale-riflessivo, anticipandolo. Si tratta di quella che nella Logica formale e trascendentale egli chiama la «retrocessione genetica delle evidenze predicative all’evidenza non predicativa, che porta allora il nome di esperienza»8. D. Zahavi ha rilevato che, se la sintesi passiva scaturita dall’affezione (Affektion) conduce all’unificazione corporea dei campi dell’esperienza sensibile, la dimensione pre-tetica e pre-normativa istituisce le condizioni di possibilità delle forme di legalità dell’esperienza stessa9. Ed è proprio questo il punto: che cosa significa vivere in prima persona, come vive la coscienza corporea “attraverso” la sua base hyletico-materiale? 8. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, tr. it. e cura di G.D. Neri, Laterza, Bari 1966, p. 259 (ed. or., Formale und transzendentale Logik. Versuch einer Kritik der logischen Vernunft, hrsg. v. P. Janssen, Hua 17, M. Nijhoff, Den Haag 1974). 9. Cfr. D. Zahavi, Self-awareness and Affection, in N. Depraz - D. Zahavi (eds.), Alterity and Facticity. New Perspectives on Husserl, Kluwer, Dordrecht 1998, pp. 205-228.

17

Si tratta di una fenomenologia della vita non conscia della coscienza? Di una (ossimorica) fenomenologia dell’inconscio, del non manifesto? La discussione verte su alcune rilevanti questioni-limite10 che Husserl ha brillantemente intuito, e ciò non deve stupire, se «l’estraneo è un fenomeno di confine per eccellenza»11, che può essere inteso in modo duplice: «come limite della capacità propria o come messa in discussione del proprio»12. Il confine tra originario e non-originario è segnato dalla possibilità del decentramento del corpo-soggetto o, come dice Waldenfels, del sé corporeo (leibliche Selbst)13.

10. Cfr. E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie. Analysen des Unbewusstseins und der Instinkte. Metaphysik. Späte Ethik. Texte aus dem Nachlass (1908-1937), hrsg. v. R. Sowa und Th. Vongehr, Hua 42, Springer, Dordrecht-Heidelberg-New York-London 2014. 11. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, tr. it. e cura di F.G. Menga, Cortina, Milano 2008, p. 17 (ed. or., Grundmotive einer Phänomenologie des Fremden, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2006). 12. Ivi, p. 35. 13. Cfr. B. Waldenfels, Das Leibliche Selbst. Vorlesungen zur Phänomenologie des Leibes, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2000.

18

La recente svolta fenomenologica delle neuroscienze cognitive e il cambiamento di paradigma delle Naturwissenschaften – che estendono l’indagine all’esperienza cosciente, all’intenzionalità e al problema delle altre menti – ottengono almeno tre risultati inediti: che l’esclusione del soggetto dal sapere scientifico ha ormai fatto il suo tempo; che l’attenzione al corpo vivo nella competenza performativa costituisce un tentativo di uscire dall’explanatory gap del cognitivismo; e che i risultati dell’analisi fenomenologica sull’esperienza in prima persona sono paradigmatici persino al di là (o al di qua) del criterio metodologico, necessariamente empirico-sperimentale, impiegato dalle cosiddette scienze dure – un’implicita ammissione dell’insufficienza di tale metodo, per l’indagine dell’intenzionalità della coscienza: infatti, si è proposto di «fenomenologizzare le neuroscienze cognitive [piuttosto] che naturalizzare la fenomenologia»14. Si tratta però di capire su quali basi epistemologi14. V. Gallese, Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività. Una prospettiva neuro-fenomenologica, in M. Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Bruno Mondadori, Milano 2006, pp. 293-326: p. 294.

19

che e con quali criteri metodologici una tale “fenomenologizzazione” sia possibile e praticabile. Le neuroscienze hanno ripensato e in qualche caso abbandonato il modello cognitivista e rappresentazionalista, maturando l’idea di dare corpo alla mente, come suona la traduzione italiana del saggio Being There15 di A. Clark – ma il titolo inglese sembrerebbe richiamare più il Da-Sein di uno Heidegger interpretato con procedure anglofone che la fenomenologia essenziale di Husserl, con evidenti ricadute sull’elaborazione di teorie incarnate della mente. Il ruolo del corpo organico-biologico è determinante per l’implementazione della funzione “mente” anche per G.M. Edelman: oltre a quella «primaria», in comune con gli animali, gli umani sono dotati di una coscienza di «ordine superiore», essendo «coscienti di essere coscienti»16.

15. Cfr. A. Clark, Dare corpo alla mente, tr. it. di S. Levi, McGraw-Hill, Milano 1999 (ed. or., Being There. Putting Brain, Body and World Together Again, The Mit Press, Cambridge [MA]-London 19972). 16. G.M. Edelman, Sulla materia della mente, tr. it. di S. Frediani, Adelphi, Milano 1993, p. 174 (ed. or., Bright Air, Brilliant Fire. On the Matter of the Mind, Basic Books, New York 1992).

20

Nel saggio sulla phenomenological Mind, S. Gallagher e D. Zahavi documentano che «anche quando facciamo scienza, dobbiamo partire da una prospettiva incarnata alla quale non possiamo mai pienamente sfuggire»17. Se questa prospettiva apre orizzonti altri, ancora da esplorare e vagliare, rilancia però la discussione sulla naturalizzazione della coscienza18, cioè sul programma filosofico ed epistemologico altrimenti che fenomenologico, che ritroviamo nei vari positivismi, determinismi, meccanicismi, materialismi, riduzionismi, naturalismi, psicologismi, scientismi e che, per dirla tutta, è presente anche nella neuro-fenomenologia, che pure si vorrebbe contrapporre alla Philosophy of Mind e al cognitivismo. Una fenomenologia delle reti neurali è un ossimoro, proprio come una fenomenologia dell’inconscio. 17. S. Gallagher - D. Zahavi, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, tr. it. di P. Pedrini, Cortina, Milano 2009, p. 216 (ed. or., The Phenomenological Mind. An Introduction to Philosophy of Mind and Cognitive Science, Routledge, London-New York 2008). 18. Cfr. J. Petitot - F.J. Varela - B. Pachoud - J.-M. Roy (eds.), Naturalizing Phenomenology. Issues in Contemporary Phenomenology and Cognitive Science, Stanford University Press, Stanford (CA) 1999.

21

Tutto ciò scardina o rinforza la convinzione heideggeriana, secondo la quale la scienza non pensa? La domanda sulla “natura” dell’essere umano ha sempre attraversato la storia della filosofia, e oggi è posta in relazione alle possibilità offerte dalle biotecnologie, dalla commistione tra umano, elettronico e automatico, da rinnovate forme di naturalismo e di scientismo – si pensi alle (neuro)biologie dell’egoismo, dell’altruismo, della crudeltà –, come anche dall’accentuazione dell’aspetto artificiale delle capacità cognitive e performative. Per indagare questo complesso scenario, partirei da un dato: l’interrogativo filosofico per eccellenza – che cosa significa pensare? – è stato tradotto nell’altro – qual è la materia del pensiero? Non si tratta di due domande equivalenti. Il dibattito si è concentrato sulle basi neurofisiologiche e biologiche della mente, considerate alla stregua di un sostrato sub-personale, passivo, “inconscio” nel senso di automatico, e sull’elaborazione di una embodied theory of mind19. Il 19. Cfr. F.J. Varela - E. Thompson - E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova dell’esperienza, tr. it. di I. Blum, Feltrinelli, Milano 20172 (ed. or., The Embodied Mind. Cognitive Science and Hu-

22

rapporto tra mente e sistema cerebrale è stato studiato anche nella direzione di un’integrazione tra gli elementi oggettivi, emergenti dai meccanismi fisiologici sottesi ai processi cognitivi, e quelli soggettivi, provenienti da quel mondo interno (inner world), cui fa riferimento la neuropsicoanalisi, che non esita a definirsi neuroscienza dell’esperienza soggettiva. Rimane tuttavia inevaso su quali basi epistemologiche conciliare l’esperienza in prima e in terza persona, posto che nelle neuro-discipline la coscienza “immateriale” emergerebbe dall’assemblaggio di una massa di cellule e dai meccanismi neurali del sistema cerebrale, indagati con metodo empirico-sperimentale grazie all’uso avanzato delle tecnologie. Non così per la fenomenologia, secondo la quale non vi è “localizzazione”, se non “vissuta” (erlebte Lokalistation): si pensi alla «corporea ipseità»20 di Husserl, che rimanda alla differenza tra l’esperienza originaria (presenza) e non-originaria (appresenza), o anche a Stein, secondo la quale, perentoriamente, «l’io non è una cellula cerebrale [Das Ich ist keine man Experience, The Mit Press, Cambridge [MA]-London 1991). 20. Idee II, p. 202.

23

Gehirnzelle] e la localizzazione vissuta (così come quella data fenomenicamente in altri) non può essere determinata fisicamente»21. Dopo secoli logocentrici, l’attuale flessione somatocentrica registra che queste discipline, diverse per statuto epistemologico e metodologico, mostrano una singolare convergenza sul primato del corpo-soggetto, cifra imprescindibile per lo studio fenomenologico della coscienza. Che cosa significa? Significa che sentire si dice in molti modi, e che il focus dell’interesse verte sulle nuove logiche della corporeità vivente, sul superamento del dualismo oppositivo mente-corpo (mind-body problem) e della scissione soggetto-oggetto, come anche sulla strutturale co-appartenenza di logos e pathos (in termini husserliani, di noetica e hyletica, attività e passività, conscio e non21. E. Stein, La struttura della persona umana. Corso di antropologia filosofica, tr. it. di M. D’Ambra, rev. di A.M. Pezzella e M. Paolinelli, a cura di A. Ales Bello e M. Paolinelli, Città Nuova-Ocd, Roma 2013, p. 116 (ed. or., Der Aufbau der menschlichen Person. Vorlesung zur philosophischen Anthropologie, hrsg. v. B. Beckmann-Zöller, in Edith Stein Gesamtausgabe [= ESGA], Bd. 14, Herder, Freiburg-­Basel-Wien 2004).

24

conscio). Significa che non solo il corpo sente, ma conosce, e conosce per affezione: il sentire è cognitivo. Significa, soprattutto, che la «base hyletica» cui la coscienza è legata fa di Husserl l’interlocutore di riferimento per una tale ricerca. L’obiettivo di queste pagine è mostrare che l’approccio fenomenologico della scuola tedesca di prima generazione è una via privilegiata per la descrizione delle “ragioni” del corpo-proprio e dei corpi-altri nell’esperienza del mondo circostante, cioè del nesso filosofico di logos e Leib, il quale è qui studiato nella sua circolarità, anche dall’altro punto prospettico, quello del “dare corpo” al logos. Nelle analisi di Husserl e Stein, il corpo-soggetto è esaminato sotto il profilo dell’erleben della coscienza che, superando i limiti della spiegazione naturalistica obiettivante, conduce alla fondazione di quella che potremmo chiamare, nel suo complesso, una fenomenologia della vita. Per sua natura e vocazione, lo stile filosofico inaugurato da Husserl non può eludere il problema dell’erleben, e si può dire che non v’è fenomenologia, se non come un pensare la vita intra- e inter-personale: l’esperienza soggettivoqualitativa, in prima persona, della realtà, non disgiunta dall’esperienza degli altri.

25

Il significato fenomenologico dell’esperienza interna, e poi dell’empatia o entropatia – come è noto, il sostantivo tedesco Einfühlung è stato reso in italiano ora nell’uno, ora nell’altro modo –, insieme ai temi dell’affezione e dell’esperienza del mondo come spazio cinesteticoperformativo di «co-esistenza corporea»22, pur intercettati da alcune suggestioni altre, provenienti dal pensiero contemporaneo e dalle neurodiscipline, rimarcano le insufficienze della naturalizzazione della coscienza, che Husserl ha sempre rivendicato con forza, convinto che la filosofia possa acquisire ed elaborare conoscenze ben oltre il confine “esatto” delle scienze naturali fisiche e psicologico-fisiologiche e che la naturalizzazione equivalesse a una reificazione della coscienza: per questo aspetto, una significativa eccezione è il legame di Husserl con F. Brentano23 e C. Stumpf24, che potremmo de22. Idee II, p. 202. 23. Cfr. F. Brentano, La psicologia dal punto di vista empirico, a cura di L. Albertazzi, vol. I, Laterza, Roma-Bari 1977 (ed. or., Psychologie vom empirischen Standpunkte, Bd. 1, Duncker & Humblot, Leipzig 1874). 24. Cfr. C. Stumpf, La suddivisione delle scienze, in Id., Psicologia e metafisica. Sull’analiticità dell’esperienza in-

26

finire di continuità nella discontinuità. Non si tratta di contrapporre gli analitici ai continentali (posto che queste categorie, piuttosto logorate, siano ancora valide), il linguaggio al pensiero, la natura allo spirito, la scienza alla filosofia, e neppure di stabilire un’egemonia gerarchica tra le diverse discipline, quanto di comprenderechiarire l’andamento della ricerca nel suo versante qualitativo – ed è precisamente questa, la ricerca qualitativa, che de-oggettiva il corpo, soggettivizzandolo. Tanto meno sarebbe legittima una sorta di omologazione epistemologica, che cancelli le differenze tra distinti e distanti nel pensare, indagare e comprendere il Leib, nel suo intreccio al logos: coscienza corporeo-vivente, corpi-soggetti, ma anche formazioni culturali impersonali, che in qualche modo oggettivano-­esplicitano la creatività dell’essere umano proprio mentre, mediante il linguaggio, la de-­oggettivano.

terna, a cura di V. Fano, Ponte alle Grazie, Firenze 1992, pp. 137-209 (ed. or., Zur Einteilung der Wissenschaften, Königliche Akademie der Wissenschaften-Reimer, Berlin 1907, pp. 1-94).

27

Una chiave di accesso a questi temi si trova nel procedere anti-dualistico della fenomenologia, che distingue, ma non separa, l’interpretazione dall’indagine descrittivo-essenziale, la comprensione dalla chiarificazione, l’intenzionalità dalla performatività, ponendosi quale obiettivo il coglimento del senso-significato della coscienza corporeo-vivente. Come epistemologia analitica dei vissuti di coscienza, la fenomenologia è una filosofia “analitica”, e offre in tal senso un caso esemplare nel composito panorama della filosofia contemporanea: la chiarificazione, ottenuta attraverso la descrizione fenomenologica, che Husserl intende quale metodo-logica. Tenendo fermo questo risultato, il libro presenta un excursus, necessariamente rapido in alcuni passaggi, che articola tre questioni diverse, intrecciandole: 1) l’indagine dell’intenzionalità tra fenomenologia e linguaggio, condotta nella prospettiva del binomio filosofico bilingue Einfühlung e mind-body problem; 2) il problema del metodo: nei vari approcci disciplinari allo studio dell’esperienza interna, emerge il criterio analitico-essenziale della fenomenologia come altro dalla psicologia esplicativa e dalla scienza naturale, e oltre il mito dell’efficientismo sperimentale della tecnica; 3) l’indagine della vita conscia

28

e non-conscia, nel mantenimento del primato fenomenologico della coscienza rispetto all’inconscio (come anche ai vari coscienzialismi), e nel capovolgimento del “sospetto” freudiano nello “sguardo interiore” di tanta parte della tradizione filosofica classica e moderna – sia essa agostiniana, proto-cartesiana o neo-cartesiana. Nella trattazione, queste tre declinazioni non stanno come capitoli a sé stanti, ma rimandano l’una all’altra, senza avvicendarsi – proprio come l’unità di un flusso di coscienza, i cui vissuti scorrono ininterrottamente. Sta di fatto che lo «stare di traverso» rilevato in apertura da Plessner è una postura «gravosa»: collocando il corpo sotto il segno di un conflitto dicotomico – prossimità-distanza, esternointerno, centro-eccentricità –, egli pensa che la compenetrazione di trame naturali e spirituali generi una scissione, una ferita, uno strappo, e pertanto nega all’umano la possibilità di essere tutt’uno col suo corpo, unità della quale gli animali invece godrebbero, pur senza avvedersene. Inizia così a prendere forma il significato dell’incorporarsi nel proprio corpo: Noi siamo al mondo in virtù del nostro corpo, in quanto percepiamo il mondo con il nostro cor-

29

po. Riprendendo contatto con il corpo e con il mondo, ritroveremo anche noi stessi, giacché, se si percepisce con il proprio corpo, il corpo è un io naturale e come il soggetto della percezione25.

Il mondo prende corpo nei sensi e nel “senso” dei sensi, in quell’intreccio di logos e pathos che impedisce di pensare la coscienza in termini di autosufficiente efficienza o di felice (auto)trasparenza. In certo modo, e provocando il pensiero, si potrebbe allora dire che il mondo si fa carne, si incorpora? A prescindere dalla risposta che ciascun orientamento elabora – un mondo solipsistico è per Husserl patologico, un’«allucinazione di un tale che fino a quel momento è stato malato di mente»26, a cui si potrebbe affiancare la formula interrogativa, con la quale Wittgenstein pone la questione: «Il solipsista sostiene anche che solo lui sa giocare a

25. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tr. it. di A. Bonomi, Bompiani, Milano 2003, p. 281 (ed. or., Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945). 26. Idee II, p. 82.

30

scacchi?»27 –, la comprensione del mondo quale spazio pubblico consaputo passa attraverso l’analisi fenomenologica del corpo-soggetto e dei corpi-soggetti altri, indagati sia sotto il profilo noetico-essenziale e trascendentale puro, sia sotto quello estesiologico della passività nonconscia, pre-riflessiva. Questa postura «gravosa» apre alla libertà difficile, risparmiata agli animali, di conoscere sé, di ri-conoscere gli altri e di abitare il proprio corpo e il mondo comune, vincolando il filosofo a una questione inaggirabile: quella della coscienza, «l’enigma [Rätsel] di tutti gli enigmi»28.

27. L. Wittgenstein, Esperienza privata e dati di senso. Note per le lezioni, in Id., Esperienza privata e dati di senso, tr. it. di T. Fracassi, a cura di L. Perissinotto, Einaudi, Torino 2007, pp. 3-90: p. 28 (ed. or., Notes for Lectures on “Private Experience” and “Sense Data”, in Id., Philo­sophical Occasions, 1912-1951, ed. by J.C. Klagge and A. Nordmann, Hackett Publishing Company, Indianapolis-­Cambridge 1993, pp. 202-288). 28. E. Husserl, Logik und allgemeine Wissenschaftstheorie. Vorlesungen 1917/918 mit ergänzenden Texten aus der ersten Fassung von 1910/11, hrsg. v. U. Panzer, Hua 30, Kluwer, Dordrecht-Boston-London 1996, p. 341.

31

II Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri

1. L’intenzionalità tra fenomenologia e linguaggio: Einfühlung e mind-body problem Iniziamo da un binomio filosofico bilingue – Einfühlung e mind-body problem –, per intraprendere un excursus storico-teorico: ripensare la vicenda contemporanea tra analitici e continentali, discutere la riduzione della mente e della coscienza al sistema fisico cerebrale, indagare se sia praticabile l’analisi di un io senza un noi, che considera l’ego quale designatore rigido, non relazionato all’alter ego e non inserito in un contesto intersoggettivo intenzionaleperformativo. Detto in altri termini, si sostiene la necessità di un approccio più avvertito alla questione del significato (linguaggio) e del senso (fenomenolo-

32

gia), che tenga conto della complessità dei vari fenomeni coinvolti: l’ipotesi è che il significato linguistico non sia descrivibile in modo astratto, quasi fosse un modulo autonomo o autoreferenziale; esso sembra piuttosto costituirsi a partire dall’esperienza intra- e inter-soggettiva del mondo. Così Wittgenstein: Che cosa dire del criterio per stabilire se vi sia qualcosa di interno oppure no? Qui diciamo: “So che nel mio caso c’è qualcosa di interno. Ed è così che conosco di prima mano l’“interno”. // “Ed è così che ho una conoscenza di prima mano dell’interno”. // “Ecco come vengo a conoscenza di un interno e sono portato a supporre che vi sia anche negli altri”. Per di più, anziché dire che solo fino a ora non abbiamo conosciuto l’interno dell’altra persona, tendiamo piuttosto a dire che l’idea di questa conoscenza è legata all’idea di me stesso […]. Vi è l’enunciato che dice che io posso conoscere direttamente solo la mia esperienza e quella dell’altro solo in modo indiretto. È come se volessi dire che a me, L.W., si applica qualcosa che non si applica ad altri. Sembra cioè esservi un’asimmetria. Esprimo le cose asimmetricamente mentre potrei esprimerle simmetricamente; solo allora si vedrebbe quali fatti ci spingono all’espressione asimmetrica. Lo faccio

33

estendendo l’uso del termine “io” a tutti i corpi umani anziché al solo L.W.1.

La ricerca filosofica deve aprirsi alla complessità del senso-significato di questa esperienza, tenendo conto dei legami psicofisici e mentalicoscienziali della realtà sociale, culturale e del mondo-ambiente, che la comunità dei parlanti condivide: in quest’ottica, la correlazione intenzionale istituita dalla fenomenologia può accompagnare, forse persino fondare, una teoria del significato. La formulazione di quel binomio bilingue consente anche di avanzare una tesi, posta dapprima come interrogazione: l’atto intenzionale di coscienza può essere inteso quale referente implicito, non tematizzato, dell’analisi del linguaggio ordinario? Secondo Husserl, ciò che si dice si costruisce sul senso del vissuto, che lo precede: la fenomenologia opera a un diverso livello strategico rispetto all’analisi del linguaggio, anzi lo fonda, perché è sempre possibile esplicitare il senso di un Erlebnis con il contenuto oggettivo cui esso intenzionalmente mira. Non che Husserl ignori 1. L. Wittgenstein, Esperienza privata e dati di senso, cit., pp. 24-25.

34

l’ambiguità e i fraintendimenti del linguaggio, ma questi gli appaiono meno temibili del difetto di chiarezza, proprio del come del dato. Le cose si danno secondo gradi di prossimità e di distanza, che concernono i modi della manifestazione: in questo senso, egli concepisce la riduzione fenomenologica quale metodo di chiarificazione “analitica”. Se si dà discorso del vissuto, se vi è descrizione essenziale, se si può dire ciò che la coscienza vive e come vive, è perché si può cogliere ciò che essa intenziona. Pertanto, la fenomenologia dischiude le “fonti” dalle quali “scaturiscono” i concetti fondamentali e le leggi ideali della logica pura – e alle quali questi stessi concetti e le leggi debbono essere ricondotti per conferire loro quella “chiarezza e distinzione” che una comprensione critico-conoscitiva della logica pura esige. La fondazione gnoseologica, o meglio, fenomenologica, della logica pura abbraccia ricerche molto difficili, ma anche di estrema importanza […]: la nostra intenzione è di accertare e di chiarire i concetti e le leggi che conferiscono ad ogni conoscenza significato obiettivo ed unità teoretica2. 2. E. Husserl, Ricerche logiche, tr. it. e cura di G. Piana, vol. I, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 269 (ed. or., Logische

35

Secondo Husserl, le parole veicolano intenzioni sensate, sono ponti che ci guidano verso i significati: «All’unità del discorso corrisponde un’unità di ciò che si intende e alle articolazioni e forme linguistiche del discorso corrispondono le articolazioni e conformazioni dell’intentio»3. Il locutore riempie un’intenzione interna, la quale «si mescola con le parole, quasi animandole»: ne risulta che «le parole e i discorsi interi rendono in sé – per così dire – corporea un’intenzione, e la portano in sé corporificata come loro senso»4. La parola-significato è quindi corpo del pensiero-senso? Nell’indagine dell’intenzione corporeo-vivente, che Husserl chiama animazione del senso, procediamo per gradi, intrecciandola con i risultati della svolta cognitiva della filosofia linguaggio. Il tema epistemologico del mind-body problem occupa un posto di rilievo nella filosofia contemporanea anche in virtù dei legami che esso intrattiene con le neuroscienUntersuchungen. Prolegomena zur reinen Logik, hrsg. v. E. Holenstein, Hua 18-1, M. Nijhoff, Den Haag 1975). 3. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., p. 28. 4. Ibidem.

36

ze cognitive: nel passaggio dalla svolta del linguaggio (linguistic turn) a quella della mente (cognitive turn) e della sua caratteristica distintiva, l’intenzionalità, punto di partenza è l’evidenza che ciò che caratterizza l’atto di lingua e l’atto cognitivo è la natura intenzionale, cioè la direzione-a un contenuto. La fenomenologia lo aveva già segnalato con rigore, preferendo però i termini “coscienza” e “atto vissuto” a quelli di “mente” e “stato mentale” – che dunque non sono equivalenti. Il tentativo di leggere la fenomenologia attraverso le categorie della filosofia del linguaggio introduce nodi di ricerca, largamente dibattuti nella Philosophy of Mind. E. Tugendhat, ad esempio, ha lavorato sulla differenza tra gli atti diretti all’oggetto, che in realtà il fenomenologo predilige, e gli atti proposizionali, che includono stati “disposizionali” quali credere, giudicare, valutare. Egli ha messo in discussione il primato fenomenologico dell’intenzionare sul comunicare e avanzato una tesi di equivalenza tra senso noematico e significato linguistico, secondo la quale i vissuti intenzionali sarebbero le modalità affermative di enunciati, che costituiscono l’unità di significato primaria della comprensione intersoggettiva.

37

L’oggetto con o nelle sue “modalità dell’essere dato” viene designato da Husserl come “noema”. Il “senso” è “noematico”, “oggetto nel come” delle sue determinatezze […]. L’approccio imperniato sul soggetto così come l’orientamento all’oggetto vengono contestati in quanto la comprensione intersoggettiva nel linguaggio diviene il nuovo sistema di riferimento universale. Formulato in termini tanto generali, questo è lo stesso programma dell’ermeneutica, ma nell’analisi linguistica lo si imposta in modo più elementare5.

La lettura cognitiva del pensiero di Husserl risale intorno agli anni Sessanta del Novecento: l’iniziativa è stata del norvegese D. Føllesdal6, che ha individuato un parallelismo tra l’intenzionalità fenomenologica e l’analisi del segno di 5. E. Tugendhat, Fenomenologia e analisi linguistica, tr. it. di S. Cremaschi, in S. Cremaschi (a cura di), Filosofia analitica e filosofia continentale, La Nuova Italia, Firenze 1997, pp. 59-79: pp. 64 e 79 (ed. or., Phänomenologie und Sprachanalise, in R. Bubner - K. Cramer - R. Wiehl [hrsg. v.], Hermeneutik und Dialektik, Bd. 2, Sprache und Logik, Theorie und Auslegung und Probleme der Einzelwissenschaften, Mohr, Tübingen 1970, pp. 3-21). 6. Cfr. D. Føllesdal, Husserl und Frege. Ein Beitrag zur Beleuchtung der Entstehung der phänomenologischen Philosophie, Aschehoug-Nygaard, Oslo 1958.

38

Frege; numerosi altri lo avrebbero poi seguito nel percorso di ricerca analitico7. Ma Husserl aveva proposto un’analisi qualitativa dei modi dell’intenzionare e tentato di cogliere logicamente la funzione significante del linguaggio in generale e, sotto di essa, una forma intenzionale più originaria, comune a ogni vissuto in quanto coscienza di. F. Varela, che ha coniato il nome neuro-fenomenologia per ribaltare l’uso corrente di neuro-filosofia nella Philosophy of Mind cognitivista, ha osservato che la «lettura proto-computazionalista di Husserl è molto discutibile»8; anche per Waldenfels, il passaggio dalla coscienza alla semantica operato da Tugendhat non è plausibile9.

7. Cfr. H. Dreyfus (ed.), Husserl. Intentionality, and Cognitive Science, The Mit Press, Cambridge (MA)-London 1982. 8. F.J. Varela, Neurofenomenologia. Un rimedio metodologico al “problema difficile”, in M. Cappuccio (a cura di), Neurofenomenologia, cit., pp. 65-93: p. 73 (ed. or., Neurophenomenology. A Methodological Remedy for the Hard Problem, in «Journal of Consciousness Studies», vol. 3, n. 4, 1996, pp. 330-350). 9. Cfr. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 41.

39

Vediamo allora di riprendere il punto. Secondo Husserl, vi è senso prima che vi sia linguaggio: «l’eguaglianza del “contenuto” nella diversità della qualità d’atto trova la sua espressione grammaticale visibile, ed in questo modo l’accordo tra i costrutti grammaticali può indicare l’orientamento della nostra analisi»10, che può essere condotta regressivamente, attraverso la sospensione fenomenologica. Husserl lavora sul terreno ultimo del rilievo di senso, cioè sulla genesi delle operazioni logiche, all’interno della struttura trascendentale degli Erlebnisse: non c’è espressione significante, senza un atto che le conferisca senso. La dizione Philosophy of Mind, utilizzata nell’area anglo-americana, designa un insieme di studi interdisciplinari sulle operazioni della mente che si collocano in un orizzonte altro rispetto alla descrizione fenomenologico-essenziale della coscienza, se non opposto: si pensi al naturalismo biologico di J. Searle, o ai vari funzionalismi, da quello computazionale del primo 10. E. Husserl, Ricerche logiche, cit., vol. II, p. 198 (ed. or., Logische Untersuchungen. Untersuchungen zur Phänomenologie und Theorie der Erkenntnis, hrsg. v. U. Panzer, Hua 19-1, M. Nijhoff, Den Haag 1984).

40

H. Putnam a quello di seconda generazione, non a caso definito da D. Dennet etero-fenomenologico. Questi studi, intrecciati con la psicologia, la neurobiologia, le scienze cognitive e l’intelligenza artificiale, hanno dato l’avvio alla riflessione sul primato dell’intenzionalità della mente (mind), ora considerata originaria rispetto al linguaggio e alla semantica: L’intenzionalità del linguaggio deve essere spiegata in termini di intenzionalità della mente, e non viceversa. Infatti, quei suoni e segni possono riferirsi [a oggetti ed eventi] solo perché la mente ha imposto intenzionalità su di essi. Il significato del linguaggio è intenzionalità derivata, e necessariamente deriva dall’intenzionalità originaria della mente11.

Secondo Searle, la struttura formale dell’intenzionalità è la struttura di tutta la vita della mente, cosciente e non cosciente, ascrivibile a fenomeni naturali dello stesso tipo della fotosintesi o della mitosi: in questi termini, parla di neuroni e di sinapsi, come di uno “sfondo” pre-intenzio-

11. J. Searle, La mente, tr. it. di C. Nizzo, Cortina, Milano 2005, pp. 146-147 (ed. or., Mind. A Brief Introduction, Oxford University Press, Oxford 2004).

41

nale. Egli liquida la descrizione fenomenologica, come pratica filosofica improduttiva: Per comprendere la nostra vita, dobbiamo comprendere la struttura dell’intenzionalità. È importante chiarire che in tutto ciò non c’è nulla che riguardi la fenomenologia. […] La fenomenologia, per la maggior parte, non è in grado di accedere a tale struttura12.

Se il problema fondamentale della semantica, la referenza, è in grado di “spiegare” come il linguaggio si collega alla realtà – il signum alla res –, con la svolta cognitiva la filosofia analitica mostra che quella domanda è solo un caso particolare dell’altra, più originaria: come la mente si collega alla realtà? Come gli oggetti esterni svolgono la funzione della rappresentazione? La risposta di Searle è che l’atto linguistico viene eseguito con l’intenzione di svolgere il proferimento in conditions of satisfaction, cioè realizzando un riferimento oggettivo; egli considera l’aspetto rappresentativo dell’intenzione come il nucleo del significato linguistico, mentre l’aspetto comunicativo ne costituirebbe solo una mera appendice; e infine, caratterizza l’inten12. Ivi, p. 158.

42

zionalità in termini prospettici o «aspettuali»13. Ciò, di fatto, ha capovolto l’assunto di un filosofo analitico come M. Dummett, secondo il quale non c’è pensiero senza linguaggio – esso è l’abito sensibile di cui il pensiero si riveste, come Frege e Wittgenstein avevano già indicato. Interrogandosi sulle origini “continentali” della filosofia analitica, Dummett annota: «Ciò che contraddistingue la filosofia analitica da altre scuole è il convincimento che una spiegazione filosofica del pensiero possa essere conseguita solo attraverso una spiegazione filosofica del linguaggio»14. La sua posizione è nota: se l’eredità di Frege non può essere ignorata e le idee dei sostenitori della svolta cognitiva non possono essere accolte, il capovolgimento del primato del linguaggio a favore del pensiero e il rilievo della questione mente-corpo rimuovono, almeno in parte, la barriera tra analitici e continentali. Alimentano cioè un confronto che finisce per mettere in campo il rapporto tra natura e 13. Ivi, p. 152. 14. M. Dummett, Alle origini della filosofia analitica, tr. it. di E. Picardi, il Mulino, Bologna 1990, p. 11 (ed. or., Ursprünge der analytischen Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1988).

43

spirito, scienza e filosofia, intenzionare e comunicare – in definitiva, tra l’io, il mondo e gli altri: un titolo eminentemente fenomenologico, e anti-dualistico. Dummett segue la lezione di Frege, secondo il quale il pensiero non s’identifica con il processo mentale del pensare (mentalismo), ma con il significato condiviso; su questa scia, Wittgenstein giungeva ad affermare che comprendere un gioco di lingua significa condividere una Lebensform, e che parlare «fa parte di un’attività»15 intersoggettiva: «Ogni segno, da solo, sembra morto. Che cosa gli dà vita? Nell’uso, esso vive. Ha in sé l’alito vitale? – O l’uso è il suo respiro?»16. In questo senso, è probabile che l’argomento contro il linguaggio privato, presente in tutta la scansione delle Ricerche filosofiche, sia rivolto a quanti sostengono l’esistenza di verità sugli stati coscienti o mentali, conoscibili in modo diretto a prescindere dal consenso 15. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 19952, § 23, p. 21 (ed. or., Philosophical Investigations – Philosophische Untersuchungen, trans. by G.E.M. Anscombe, Basil Blackwell, Oxford 1953). 16. Ivi, § 432, p. 168.

44

intersoggettivo. Per Wittgenstein, quindi, comprendere non è un processo che si svolge nello spazio privato di una mente individuale; al contrario, la nozione di Lebensform è esplicativa di prassi sociali incorporate, situate e pubbliche: «La proposizione “Le sensazioni sono private” è paragonabile a: “Il solitario si giuoca da soli”»17. A prima vista, emergerebbe qui una certa “aria di famiglia” con Husserl, il cui riferimento all’alterità, alla dimensione genetica della fenomenologia e alla connessione delle forme logiche con l’esperienza ante-predicativa non consente di classificarne il pensiero come un solispismo – dunque la dinamica di superamento del linguaggio in direzione delle sue condizioni di possibilità extra-linguistiche o ante-predicative caratterizzerebbe anche la sua fenomenologia? La ricerca di Husserl si contraddistingue per l’indagine “a ritroso” dell’esperienza originaria: se l’oggetto ha un contenuto logico la cui determinazione è lo scopo della scienza oggettiva, l’atto ha un contenuto costitutivo conforme alla conoscenza, la cui analisi mette in evidenza proprietà esprimibili con predicati logici. 17. Ivi, § 248, p. 119.

45

L’idea wittgensteiniana di Weltbild può essere accostata, con qualche cautela, a quella husserliana di Lebenswelt: il senso che abbiamo del mondo circostante comune formerebbe l’immagine del mondo di “sfondo”, che in termini fenomenologici è il mondo-della-vita, mentre in Wittgenstein è una credenza (belief) in un sistema vitale non assiomatico, che dà senso alle nostre affermazioni: «Ma la mia immagine del mondo non ce l’ho perché ho convinto me stesso della sua correttezza. È lo sfondo che mi è stato tramandato, sul quale distinguo il vero e il falso»18. Con le nozioni di gioco di lingua, Lebensform e contesto di uso, Wittgenstein indica una fitta rete di convinzioni, abitudini, credenze e modi di agire (linguistici e non) di cui gli ordinamenti intersoggettivi, che improntano la cultura, sono intrisi, con le loro regole pubbliche: Ma la fondazione, la giustificazione delle prove, arrivano a un termine. – Il termine, però, non consiste nel fatto che certe proposizioni ci salta18. L. Wittgenstein, Della certezza, tr. it. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1978, § 94, p. 19 (ed. or., On Certainty – Über Gewißheit, trans. by D. Paul and G.E.M. Anscombe, ed. by G.E.M. Anscombe and G.H. von Wright, Basil Blackwell, Oxford 1969).

46

no immediatamente agli occhi come vere, e dunque in una specie di vedere da parte nostra, ma è il nostro agire che sta a fondamento del gioco linguistico19.

L’ultimo Husserl delinea con maggior efficacia l’operazione mediante la quale il linguaggio è rinviato all’esperienza che lo precede, dunque alle modalità di apprensione che nel linguaggio non trovano espressione: egli chiama Lebenswelt questa base anteriore, fondante, pre-logica. In Husserl, però, il mondo-della-vita non è osservato direttamente, ma posto implicitamente come ciò cui tutto deve essere ricondotto con lo scavo a ritroso, simile a quello dell’archeologo; l’ultimo Wittgenstein, al contrario, sembra collocarsi immediatamente nel mondo dell’esperienza ordinaria, dove il linguaggio è un’attività tra le altre. Qui le rispettive nozioni di Lebenswelt e di Lebensform si fanno stridenti. La proposta interpretativa qui avanzata consiste nel leggere la fenomenologia come tentativo di risolvere il paradosso tipico del linguaggio: se da un lato esso, non originario né autonomo, è l’espressione secondaria di un’apprensione del19. Ivi, § 204, p. 35.

47

la realtà più sedimentata, dall’altro, tuttavia, è sempre e soltanto attraverso di esso che la stratificazione che lo precede può essere detta e condivisa pubblicamente. Considerata in quest’ottica, la fenomenologia si configura come scienza rigorosa (strenge Wissenschaft), che riconduce l’insieme del linguaggio alle modalità prelinguistiche e pre-tetiche di apprensione della realtà, che solo in un secondo tempo trovano congrua espressione nel discorso: lo ha rilevato P. Ricoeur, acuto interprete dell’area analitica anglo-americana, in un saggio originariamente pubblicato in lingua inglese con il titolo New Developments in Phenomenology in France: the Phenomenology of Language20, poi ripreso nella sezione centrale de Il conflitto delle interpretazioni21. Le tre tesi decisive della fenomenologia husserliana sono (ri)formulate nei termini di una teoria del linguaggio: 1) la significazione, 20. Cfr. P. Ricoeur, New Developments in Phenomenology in France: the Phenomenology of Language, trans. by P.G. Goodman, in «Social Research», vol. 34, n. 1, 1967, pp. 1-30. 21. Cfr. P. Ricoeur, Il conflitto delle interpretazioni, tr. it. di F. Botturi, R. Balzarotti e G. Colombo, Jaca Book, Milano 1977, pp. 251-281 (ed. or., Le conflit des interprétations. Essais d’herméneutique, Seuil, Paris 1969).

48

come categoria più inglobante della descrizione fenomenologica; 2) il soggetto, quale portatore della significazione; 3) la riduzione, come l’atto filosofico che rende possibile la nascita di un essere-per la significazione. Secondo Ricoeur, la riduzione fenomenologica non equivale alla perdita, all’eliminazione o alla sottrazione di qualcosa, ma al libero distacco dal mondo naturale esterno, a partire dal quale non ci sono soltanto “cose” – oggetti declinati secondo la grammatica della terza persona – ma segni, sensi, significazioni, referenti: essa decreta la nascita della funzione simbolica, dando fondamento alle operazioni secondarie dell’analisi del linguaggio. La riduzione husserliana, che istituisce il segno come segno, apre una nuova possibilità, quella del riempimento (Erfüllung) o del non-riempimento (Unerfüllung) del segno stesso: essa costituisce per il linguaggio, inteso come insieme di segni intersoggettivamente significanti, il regresso all’atto originario, significante come tale. Con ciò, ci troviamo di fronte alla genesi del senso: l’epoché è l’inaugurazione di una vita significante o, se si vuole, la nascita di un soggetto parlante. La condizione di un linguaggio sensato è che una comunità di parlanti dica qualcosa intorno al mondo comune:

49

nell’atto di parlare, ci scopriamo quali esseriper-il-senso. Secondo E. Paci, parlando sono sempre io, proprio io, in prima persona, che parlo. Ma se parlo, quello che dico è oltre che mio, di ogni soggetto che, come me, parla la mia lingua. Se fisso la parola in un segno, ogni soggetto potrà capire i documenti del passato, potrà farli diventare suoi. La lingua è lo Sprachleib di tutti coloro che l’hanno parlata, la parlano e la parleranno. Le traduzioni diventano possibili, diventa possibile la comprensione tra lingue diverse, tra tutte le lingue del pianeta terra. Lo Sprachleib, nella sua origine primordiale, è Sprachleib di tutta l’umanità – e lo è proprio perché ogni langue è, all’origine, parole: un’operazione del soggetto, dell’uomo22.

Quando Husserl afferma che «il mondo è dato a me come quel mondo che è dato a tutti. La forma ontologica del mondo è quella del mondo per tutti»23, suggerisce un grande titolo fe22. E. Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Il Saggiatore, Milano 1963, pp. 225-226. 23. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano 20082, p. 493 (ed. or., Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie.

50

nomenologico: non il mondo, ma il fenomenomondo consaputo, comune. L’oggetto mondo è ridotto, mentre il fenomeno-mondo è puro, cioè esperito in quanto tale dalla coscienza: nei confronti del mondo, l’io agisce e si comporta con atti sui quali è in grado di riflettere, cogliendoli come esperienze in prima persona. L’intenzionalità della coscienza si esplica attraverso un agire originario: in termini fenomenologici, è la differenza tra esatto e rigoroso, tra natura e spirito; in termini mutuati da stili di pensiero altri, si tratta dell’intreccio di intenzionale e performativo. La competenza esecutivo-motoria del Leib, corpo-soggetto, è alla base della comprensione del fenomeno-mondo, spazio di azione inter-corporea: una base passiva, pre-tetica, pre-categoriale, che Husserl pensa legata «in qualche modo»24 alla coscienza e alla sua attività. Ma in quale modo? Einfühlung e mind-body problem diviene allora un’ipotesi di lavoro per la ricognizione storico-teoretica della vicenda contemporanea che

Eine Einleitung in die phänomenologische Philosophie, hrsg. v. W. Biemel, Hua 6, M. Nijhoff, Den Haag 1954). 24. Idee II, p. 155.

51

intreccia intentionale Erlebnisse, speech acts e cognitive science. Ciò consente di ottenere alcuni risultati storico-teorici: pensare la fenomenologia come pratica non-egologica della ragione; collocarla nell’orizzonte del pensiero contemporaneo attraverso il rilievo degli elementi di continuità e di discontinuità con la tradizione moderna, in particolare proto- e neo-­cartesiana; valutare la messa a punto del criterio metodologico husserliano come innovativa via ad intus, che non è coscienzialismo, introspezione psicologica o un qualche ineffabile interiore, ma libera attività di esplorazione filosofica; individuare i nodi centrali dei cambiamenti epistemologici che si sono configurati all’interno delle varie discipline, filosofiche e non, i cui lavori sono tuttora in corso: come l’inedita interazione con la filosofia analitica, le scienze cognitive e le neuro-discipline – cioè tra la fenomenologia e gli altri. Un’efficace disamina della questione proviene dall’indagine del legame tra la svolta somatocentrica e l’esperienza intersoggettiva del mondo che, tra intenzionalità e performatività, mette al centro la questione delle “ragioni” del Leib. La posta in gioco è alta: l’analisi di ciò che è proprio (identità personale, io) e di ciò che è più pro-

52

priamente mio (via individuationis, sé) non può essere disgiunta dall’esame di ciò che è estraneo (alterità personale, tu) e di ciò che è comune e condiviso (mondo intersoggettivo, noi). D’altro lato, il mind-body problem intrattiene legami con le scienze cognitive e le neuroscienze a proposito del rapporto tra l’esperienza in prima e in terza persona della realtà, come anche della questione delle “altre menti” (other minds). Con la svolta pragmatica del linguaggio, il punto cruciale diviene l’abbraccio tra intenzionalità e competenza esecutivo-performativa: sulla scia delle Ricerche filosofiche di Wittgenstein, il ruolo giocato dall’azione ha determinato il passaggio dalla linguistic turn all’analisi cognitiva della mente e della sua caratteristica distintiva, l’intenzionalità – si pensi all’analisi della forza illocutiva e performativa degli speech acts, condotta da J. Austin25. La teoria degli atti di lingua s’incardina sulla “forza” del presente indicativo attivo, formulato alla prima persona: 25. Cfr. J.L. Austin, Come fare cose con le parole, tr. it. di C. Villata, a cura di C. Penco e M. Sbisà, Marietti, Genova 1987 (ed. or., How to do Things with Words. The William James Lectures delivered at Harvard University in 1955, Clarendon Press, Oxford 19752).

53

gli enunciati performativi non sono veri o falsi, ma felici (se la perlocuzione è coerente con l’atto illocutivo) o infelici (se, al contrario, l’azione del locutore non è conforme al senso inteso, alla forza illocutiva veicolata, e la perlocuzione risulta “tradita”). «Una cosa che emerge quando facciamo effettivamente questo o quello è che, oltre al problema, molto studiato in passato, di cosa un certo enunciato significhi, c’è il problema ulteriore di quale sia la forza dell’enunciato»26: cioè la forza illocutiva dell’intenzione che, veicolata dal proferimento performativo, supera la postura semantica dell’analisi filosofica. Ma come capiamo le intenzioni degli altri? L’empatia corrisponderebbe alla comprensione della forza illocutiva dell’espressione, della manifestazione? Da un punto di vista fenomenologico, il soggetto comunica sé nel discorso, in quanto noeticointenzionale: Ciascuno, parlando in prima persona, parla dei propri atti e dei propri stati in questa forma: “Io

26. J.L. Austin, Saggi filosofici, tr. it. di P. Leonardi, Guerini e Associati, Milano 19932, p. 236 (ed. or., Philosophical Papers, Clarendon Press, Oxford 1961).

54

percepisco, io giudico, io sento e voglio”; e così, nella forma dell’“io sono fatto così e così”, parla delle sue caratteristiche personali, delle sue disposizioni di carattere innate o acquisite, delle sue capacità, delle sue disposizioni transitorie o relativamente permanenti. La stessa cosa vale per gli altri. […] Nel discorso normale in prima persona (nell’uso normale dei pronomi personali in generale) il termine io abbraccia l’“intero uomo”, anima e corpo. Perciò si dice: io non sono il mio corpo, ma ho il mio corpo, io non sono la mia anima, ma io ho un’anima27.

Se per Husserl il linguaggio rende «corporea un’intenzione»28, per Wittgenstein «nella proposizione il pensiero si esprime in modo percepibile mediante i sensi [im Satz drückt sich der Gedanke sinnlich wahrnehmbar aus]»29.

27. Idee II, p. 98. 28. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., p. 28. 29. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, tr. it. e cura di A.G. Conte, Einaudi, Torino 19955, § 3.1, p. 33 (ed. or., Tractatus Logico-Philosophicus – Logisch-philosophische Abhandlung, trans. by D.F. Pears and B.F. McGuinness, ed. by J. Ayer, Routledge & Kegan Paul-The Humanities Press, London-New York 1961, § 3.1, p. 18).

55

L’Einfühlung, che per Husserl consente l’esperienza intersoggettiva del mondo rimandando a «un’originaria coscienza del corpo vivo – spirito, ma una coscienza tale che io non posso attingerla originariamente, io che non sono l’altro e che fungo soltanto da analogo»30, e per Stein l’ascrizione della coscienza corporeo-vivente, cioè l’appercezione della vita personale sotto il profilo soggettivo-qualitativo, mette in evidenza ancora quel trinomio: l’io, il mondo e gli altri. Come scrive Paci, «il soggetto puro ha la sua Umwelt, il suo essere qui e ora: è chiaro che tutto si fonda sul tempo e che il senso della costituzione è strettamente legato all’intermonadicità corporea»31. Se si tratta di un vissuto non originario, bensì etero-centrato, qui comincia il lavoro sull’intreccio corporeo-vivente di intenzionalità e competenza esecutivo-performativa, almeno per due motivi: perché la filosofia può indagare l’essenza di questo vissuto, anche attraverso il rilievo della forza illocutiva dell’atto intenzionale in prima

30. Idee II, p. 202. 31. E. Paci, Diario fenomenologico, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 59.

56

persona, cioè la forza di significazione che il soggetto imprime al suo dire, e che l’interlocutore è in grado di capire, cogliere e afferrare; e perché la grammatica fenomenologica della relazione non esclude, anzi enfatizza, la questione della via individuationis e dell’esperienza originaria nello spazio abitato da corpi-soggetti in azione: ancora una volta, si tratta del mondo condiviso. In fenomenologia, l’altro-io è un’esperienza a due strati: con la percezione originaria presentante s’intreccia l’empatia appresentante, che concerne la costituzione del mondo: Il mondo percepito e quello dato in maniera empatica sono il medesimo mondo visto in modo diverso […]. La nuova posizione non prende il posto della vecchia, io simultaneamente le tengo ferme entrambe. Il medesimo mondo si presenta nello stesso tempo in ambedue i modi. Inoltre, esso si presenta dipendente non soltanto dal rispettivo punto di vista, ma anche dalla qualità dell’osservatore. Con ciò l’apparizione del mondo si dimostra come dipendente dalla coscienza individuale, mentre il mondo che appare – mondo che resta lo stesso e a chiunque appaia – si dimostra come indipendente dalla coscienza32. 32. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., pp. 157-158.

57

Grazie a questo Erlebnis, è possibile giungere a una seconda, a una terza e ancora a una successiva manifestazione del medesimo mondo, come di un mondo per tutti, indipendentemente dalla “mia” percezione di esso. Dunque l’Einfühlung non è soltanto il fondamento dell’esperienza intersoggettiva, che mi fa (ri)conoscere gli altri come simili, ma anche la conditio sine qua non dell’esperienza inter-corporea del fenomeno-mondo e delle produzioni culturali e interculturali. Se «considerare un individuo umano isolato è fare un’astrazione»33, il presupposto implicito dell’empatia, la datità degli altri-io e del loro vivere – «es sind uns fremde Subjekte und ihr Erleben gegeben»34 – non è slegata alla datità del mondo. Da un lato, l’io è la fonte originaria dell’Erlebnis, e in questo senso è un io patico, che sente i suoi stati nell’aderenza al corpo proprio (Leibhaftigkeit); dall’altro, l’io coglie l’alter ego in modo non originario, è centrato sull’altro in modo passivo, e in questo senso è un io em-patico, capace di farsi “riempire” 33. E. Stein, La struttura della persona umana, cit., p. 185. 34. E. Stein, Zum Problem der Einfühlung, hrsg. v. M.A. Sondermann, in ESGA 5, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2008, p. 8.

58

da un contenuto altro, dagli altri. La coscienza estranea si costituisce “rispecchiandosi” in una appercezione legata all’esperienza del corposoggetto nel fenomeno-mondo: dunque, come correlato intenzionale che, pur manifestandosi in me e attestando in me il suo essere, è e rimane altro dalle mie sintesi coscienziali, alle quali non ha accesso diretto. Husserl parla di Spiegelung35 (rispecchiamento) di ogni monade in ogni altra e, nella Quinta meditazione, sostiene che la somiglianza tra due corpi-soggetti motiva un’analogia, una Paarung che consente l’ascrizione della modalità qualitativa del sentire dall’interno e del vivere dell’altro-io: così sorge la comunità intersoggettiva. La psiche e lo spirito sono attribuiti al Leib per via empatica, dunque attraverso una modalità non ego-logica della coscienza, e ciò vale anche per il mondo: Intrecciati in modo tutto proprio ai corpi, come oggetti psico-fisici, gli altri sono nel mondo. D’altro canto io li esperisco come soggetti per questo mondo, che hanno di esso esperienza, come dello stesso mondo che io esperisco […]. Io esperisco 35. Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Erster Teil (1905-1920), hrsg. v. I. Kern, Hua 13, M. Nijhoff, Den Haag 1973, p. 229.

59

me, entro il mio vivere coscienziale trascendentalmente ridotto, il mondo insieme agli altri; il senso di questa esperienza implica che gli altri non siano quasi mie formazioni sintetiche private, ma costituiscano un mondo in quanto a me estraneo, come intersoggettivo, un mondo che c’è per tutti e i cui oggetti sono disponibili a tutti36.

Nel valore noematico di riempimento, gli altri – i corpi-soggetti – si dispiegano per me e con me: si tratta di una questione «speciale», che Husserl assegna alla «teoria trascendentale dell’esperienza dell’estraneo, ossia della cosiddetta empatia», e che parimenti «fonda una teoria trascendentale del mondo oggettivo»37. Se dunque la coscienza (fenomenologica) non è la mente (naturalizzata), un fatto tuttavia è certo: la risemantizzazione dell’umano ex-per-iri ha unito filosofi e neuroscienziati nel comune progetto di ricerca sull’intricato nodo della soggettività e dell’intenzionalità. Per V. Gallese, ad 36. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, con l’aggiunta dei Discorsi parigini, tr. it. e cura di F. Costa, Bompiani, Milano 20024, p. 115 (ed. or., Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, hrsg. v. S. Strasser, Hua 1, M. Nijhoff, Den Haag 1950). 37. Ibidem.

60

esempio, il modello neurofisiologico dell’intersoggettività mostra notevoli assonanze con quello fenomenologico di empatia, e ciò supera le logiche imperniate sul binomio mente-cervello. Secondo Husserl, ciò che rende intelligibile il comportamento degli altri è il fatto che il loro corpo non è meramente esperito come un oggetto materiale (Körper), ma come qualcosa di vitale (Leib), qualcosa di analogo all’esperienza che abbiamo del nostro corpo in azione. […] L’empatia s’intreccia profondamente con la nostra esperienza del corpo proprio, ed è appunto quest’esperienza che ci permette di riconoscere gli altri non come corpi fisici dotati di una mente, ma come persone come noi. Le persone sono classicamente definite come esseri razionali. Questa assunzione di razionalità sembra affondare le proprie radici nell’esperienza del corpo38.

Il neuroscienziato parla degli altri come di «persone come noi», ma che cosa intende con esperienza del corpo? Con esperienza tout court? Che cosa è l’embodiment? Forse, non è azzardato supporre che si tratti di un’imitazione inter38. V. Gallese, Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività, cit., p. 319.

61

na (embodied simulation) involontaria e inconscia, che riguarda più le sensazioni organiche fisiologiche che l’empatia fenomenologica. Ripensando all’anti-naturalismo husserliano, Paci scrive alcune note sulla tecnica, di straordinaria attualità: attraverso Husserl e Merleau-­Ponty, il Leib è inteso quale «presenza coordinata» di organi di senso, schemi automatici, forma e azione, e implicato nell’uso intenzionale-performativo degli strumenti, che da inconscio diventa conscio. Le categorie nascono dalla corporeità. Lo strumento funzionerà, per me, quando le categorie verranno apprese dal corpo, quando il corpo le farà passare da potenziali ad attuali. Quando il corpo amplierà la propria soggettività e le proprie capacità operative. Devo imparare a dirigere, a “governare” (cibernetica intenzionale) lo strumento come dirigo e governo il mio corpo. La tecnica governata diventa soggettiva e intersoggettiva. Servirsi della tecnica non come oggettivazione ma come arricchimento del soggetto umano e della sua autonomia. Cioè eliminare la tecnica oggettivata, feticizzata, che contribuisce alla feticizzazione dell’uomo39. 39. E. Paci, Diario fenomenologico, cit., pp. 116-117.

62

C’è un logos del Leib diverso dall’embodiment della tecnica e delle scienze naturali fisiologiche: Husserl e Stein propongono un’analisi eidetica del corpo vivo e del suo legame a un io – da cui la dizione corpo-soggetto, che non denota un’inseparabilità spaziale. Per i fenomenologi, le sensazioni localizzate, le sintesi passive e il pre-categoriale sono questioni che riguardano sempre la soggettività, la coscienza, e non la localizzazione: «noi ci troviamo indissolubilmente legati alla corporeità vivente»40, e questo legame si costituisce attraverso la consapevolezza di alcune strane limitazioni o lacune. Il Leib «è sempre qui, mentre tutti gli altri oggetti sono sempre là»41: il “qui” non è geometrico, non è fisico nel senso della res extensa cartesiana, ma è un «punto zero di orientamento, che il mio corpo proprio circonda», per cui «non c’è alcuna distanza tra l’Io e il punto zero»42. Questa strana limitazione è per Husserl un ostacolo, perché il corpo vivo si costituisce «in un modo curiosamente incompiuto»43.

40. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., p. 126. 41. Ivi, p. 125. 42. Ivi, p. 126. 43. Idee II, p. 161.

63

Ora, il riferimento è all’ostacolo della percezione esterna visiva (ottica), vissuto che non può esaurire il senso-significato del corpo-soggetto: sono ben note le analisi husserliane sul dominio tattile, che riprenderemo più avanti. Ma c’è anche la questione del sé corporeo, che non si manifesta al modo delle cose, ma si dà in una presenza nascosta, una presenza-assenza – una sottrazione, un adombramento –, non riconducibile a quella “in carne e ossa”, e che fa dire a Waldenfels che «l’estraneità interpersonale comincia con un’estraneità intrapersonale»44. Più analitica della filosofia analitica, la fenomenologia guadagna una collocazione nella storia del pensiero contemporaneo come filosofia antidualistica, che distingue senza separare; come epistemologia analitica degli Erlebnisse intenzionali di coscienza, volta alla chiarificazione; come grammatica degli atti sociali e cognitivi; come conoscenza consaputa del fenomenomondo, spazio condiviso da corpi-soggetti, la cui competenza intenzionale-performativa fonda la questione dell’embodiment. Con ciò, essa determina l’uscita dall’explanatory gap che ha 44. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 142.

64

di recente incrinato il sodalizio tra le scienze cognitive e la Philosophy of Mind, profilandosi, nella via post-moderna al problema difficile (hard problem) della coscienza, come altra e oltre rispetto alle neuro-discipline. Personhood versus Brainhood.

2. Questioni di metodo: fenomenologia dell’esperienza interna versus psicologia senza coscienza Quale disciplina, per una scienza dell’esperienza originaria, soggettivo-qualitativa? La domanda è cruciale, poiché l’altro è un’esperienza che si dà «nella sua irraggiungibile originalità»45: come accediamo all’inaccessibile, e che cosa ha a che fare il proprio con l’estraneo, in una tale distanza-prossimità? In discussione è il rapporto, non sempre lineare, della fenomenologia con la psicologia46 – e più di recente, 45. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 134. 46. Cfr. H. Spiegelberg, The Relevance of Phenomenologi­ cal Philosophy for Psychology, in L. Edward - M. Mandelbaum (eds.), Phenomenology and Existentialism, The John Hopkins Press, Baltimora (MD) 1967, pp. 219-241.

65

con neuroscienze e neuropsicoanalisi. Si tratta di porre alcune domande sulla stratificazione del vivente nei suoi vari livelli di organizzazione mondana, materiale e formale; sulla differenza tra la materia somatica e il corpo-soggetto, ma anche sul loro intreccio (Leibkörper); sulla chiarificazione essenziale di psiche e coscienza, di io e sé – cioè sul criterio metodologico adottato per la ricerca dell’originario. Partiamo dalla scienza. L’importanza della coscienza corporeo-vivente e dell’esperienza intersoggettiva del mondo non sfugge, se nel lessico degli scienziati appaiono termini come io, soggetto, coscienza personale, mente, vissuto, esperire dal di dentro, contenuto cosciente: Nonostante il fatto che il mondo io non lo posso conoscere se non tramite la mia coscienza, tutto il pensiero occidentale ha proceduto nella considerazione e nello studio del mondo stesso, escludendone accuratamente l’io e i suoi strumenti più stretti e privati. In particolare la scienza si è sviluppata come conoscenza degli oggetti del mondo con l’attenta e consapevole esclusione del soggetto stesso […]. La novità della posizione che mi sento di proporre qui consiste nel fatto che al mondo appartiene tutto quello che esiste eccetto io, ovvero la mia stretta coscienza personale e i suoi

66

contenuti vissuti, vissuti solo ed esclusivamente da me. Il mondo così definito comprende tutti i corpi, ma anche tutte le menti e tutte le coscienze, tutte cose che posso osservare e studiare “dal di fuori”, mentre i miei contenuti coscienti li posso esperire solo “dal di dentro”47.

Fermiamoci su questi dualismi: esterno e interno, fuori e dentro, dal di fuori e dal di dentro – ma potremmo aggiungerne altri: materia-spirito, io-mondo, coscienza-corpo. Come si osservava, la fenomenologia tedesca di prima generazione infrange tali opposizioni con la correlazione intenzionale, ma è stata talvolta considerata inattuale: per i contenuti, giudicati astratti, e per il procedimento filosofico, letto come scivolamento verso un intellettualismo privo di aderenza alla realtà. La fenomenologia, però, è una disciplina tecnica, non un tecnicismo; è una metodo-logica, una logica del percorso che indica la strada da intraprendere, per conseguire risultati rigorosi, chiarificatori. Husserl ne sottolinea l’importanza teoretica e pratico-esistenziale, ascrivendola alla libertà spirituale del filosofo: «Forse risulterà addirittura che l’atteggiamento 47. E. Boncinelli, Mi ritorno in mente. Il corpo, le emozioni, la coscienza, Longanesi, Milano 2010, pp. 9-10.

67

fenomenologico totale e l’epoché che gli inerisce sono destinati a produrre innanzitutto una completa trasformazione personale che sulle prime potrebbe essere paragonata a una conversione religiosa, ma che, al di là di ciò, è la più grande evoluzione esistenziale che sia concessa all’umanità come tale»48. Gli fa eco Stein, quando rileva che la «ricerca intellettuale del senso è un atto libero»49. Husserl pensa il metodo fenomenologico come conversione dello sguardo, perché capovolge la postura ingenua sul mondo naturale esterno nella visione critica del filosofo, che vive il fenomeno-mondo: è la visione eidetica. L’epoché non è affatto una astensione abituale e irrilevante. Grazie ad essa lo sguardo del filosofo si rende veramente libero, libero specialmente dai vincoli più forti e più universali, e perciò più occulti, dai vincoli dell’essere-già-dato del

48. E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., p. 166. 49. E. Stein, Essere finito e Essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere, tr. it. di L. Vigone, rev. di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 19994, p. 453 (ed. or., Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins, in Edith Steins Werke [= ESW], hrsg. v. L. Gelber und R. Leuven, Bd. 2, Herder, Freiburg 19863).

68

mondo. Questa liberazione equivale alla scoperta della correlazione universale, in sé assolutamente conclusa e assolutamente autonoma, di mondo e di coscienza del mondo […]. Occorre soprattutto rilevare che l’epoché dischiude al filosofo un nuovo modo di esperienza, un nuovo modo di pensare, di teorizzare, in cui egli, posto al di sopra del suo essere naturale e al di sopra del mondo naturale, non smarrisce nulla del suo essere e delle sue realtà obiettive, nulla dei risultati spirituali della sua vita nel mondo e della vita storica della comunità50.

Zu den Sachen selbst: «noi vogliamo tornare alle “cose stesse”»51. La fenomenologia è una filosofia che comincia dall’esperienza. Ma non è l’esperienza fonte di ogni conoscere empirico? Sul modello di W. James52, essa è stata considerata quale empirismo radicale: si tratta dunque di chiarire in che cosa consista tale radicalità, peculiare dell’approccio fenomenologico. Po50. E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., p. 179. 51. E. Husserl, Ricerche logiche, cit., vol. I, p. 271. 52. Cfr. W. James, Saggi di empirismo radicale, tr. it. di S. Franzese, Quodlibet, Macerata 2009 (ed. or., Essays in Radical Empiricism, Longmans, Green and Co., New York-London-Bombay-Calcutta 1912).

69

tremmo forse definire l’ideale husserliano della descrizione pura dell’esperienza un empirismo eidetico o universale? M. Geiger risolve la questione, asserendo che la passione della fenomenologia è vedere le differenze: Il metodo fenomenologico aveva fatto ingresso nella filosofia all’inizio del secolo come compimento dell’empirismo. Il fatto che esso si ponesse come fine un’esperienza priva di pregiudizi della fatticità [Tatsächlichkeit] dell’autodato [das Selbstgegebene], dell’autoesperito [das Selbsterfahrene], fu l’elemento decisivo mediante il quale esso conquistò una nuova generazione: lasciar semplicemente parlare la cosa e soltanto la cosa, senza alcuna costruzione precedente, senza far intervenire fra l’io che comprende e la cosa alcun pregiudizio derivante dalle scienze particolari. Questo metodo voleva raggiungere la più grande vicinanza alla vita attraverso una dedizione conoscitiva alla cosa stessa53.

53. M. Geiger, La posizione metodica di Alexander Pfänder, tr. it. di P. Galimberti, in S. Besoli - L. Guidetti (a cura di), Il realismo fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga, Quodlibet, Macerata 2000, pp. 219-233: p. 220 (ed. or., Alexander Pfänders methodische Stellung, in E. Heller - F. Löw [hrsg. v.], Neue Münchener philosophi-

70

Lasciar parlare la cosa: ma come si svolge una descrizione essenziale nella fedeltà alla cosa stessa? Non si tratta di un ideale cognitivo? La pratica fenomenologica rappresenta il superamento o il compimento dell’empirismo? Prendiamo in esame il percepire e il sentire del corpo: come procede il fenomenologo? Non nega che i processi cerebrali contribuiscano causalmente alla percezione, ma rileva che essi non sono agenti epistemici: non percepiscono, non sentono, non pensano, non fanno esperienza del mondo54. Essi non sono parte dell’esperienza originaria, in prima persona: si tratta di due campi d’indagine non comparabili, e proprio da un punto di vista epistemologico. Lo rileva Ricoeur: I discorsi tenuti da entrambe le parti dipendono da prospettive eterogenee, cioè non riducibili l’una all’altra e non derivabili l’una dall’altra. In un discorso si parla di neuroni, di connessioni neurali, di sistema neuronale; nell’altro di conoscenza, di azione, di sentimento, ovvero di atti o di stati caratterizzati da intenzioni, motivazioni, sche Abhandlungen (Pfänder-Festschrift), Barth, Leipzig 1933, pp. 1-16). 54. Cfr. S. Gallagher - D. Zahavi, La mente fenomenologica, cit., p. 11.

71

valori. Mi batterò, quindi, contro ciò che chiamerò un amalgama semantico e che vedo riassunto nella formula degna di un ossimoro: “Il cervello pensa”55.

Il terreno d’indagine sub-personale, automatico, non corrisponde a quello personale, la cui legalità è la motivazione, ascrivibile alla dimensione dello spirito (Geist)56. Il punto di partenza del fenomenologo è l’atto intenzionale del percepire e del sentire, di cui tenta una descrizione essenziale, distinguendolo dagli altri vissuti, indagando cioè la loro struttura. Anche Stein, nel suo lavoro sull’Einfühlung, comincia rilevando che cosa essa non è: non è percezione esterna, ricordo, attesa, fantasia, e non è neppure immedesimazione o unipatia. La descrizione essenziale consiste nel “vedere le differenze” rilevato da Geiger, cioè nel vedere esemplare. Che le reti neurali non possano prendere parte all’esperienza in prima persona significa che l’analisi trascendentale è ricerca delle struttu55. J.-P. Changeux - P. Ricoeur, La natura e la regola. Alle radici del pensiero, tr. it. di M. Basile, Cortina, Milano 1999, p. 14 (ed. or., Ce qui nous fait penser. La nature et la règle, Jacob, Paris 1998). 56. Cfr. Idee II, pp. 216-279.

72

re di senso, cioè delle condizioni che rendono possibile l’esperienza. Si potrebbe dunque iniziare dicendo che cosa la coscienza non è. Impugnare i risultati delle analisi husserliane e mostrare che la mente naturalizzata non è la coscienza fenomenologica. Trascendentale versus empirico sarebbe, ancor oggi, la risposta di Husserl al neuro-determinismo e alla neuro-fenomenologia di nuova generazione: i vissuti non corrispondono agli stati mentali intenzionali delle scienze cognitive, né ai cosiddetti qualia, gli stati mentali non intenzionali, cioè privi di riferimento a oggetti “esterni”. Ancora una volta, la questione si snoda nella correlazione del trinomio coscienza, mondo e altri: la realtà dell’umano, intra- e inter-soggettiva, e la realtà della natura si presentano legate nella manifestazione graduale della vita e del vivere, dal livello biologico-animale sino a quello culturale-spirituale e creativo. L’individuazione di tale vincolo, nel quale i poli sono distinti ma non separati, consente una peculiare modalità filosofica di esplorazione, i cui guadagni teorici convergono nel rilievo dell’intenzionalità come costitutiva della coscienza. In polemica con il modello fisicalista, Husserl respinge ogni tentativo di naturalizzazione: nel programma feno-

73

menologico, persino il corpo è soggetto – Leib non è Körper, Einfühlung non è embodiment. Provenendo dalla Facoltà di Psicologia dell’Università di Breslavia, Stein ha poi abbracciato il metodo fenomenologico nel rilievo di alcune domande cruciali: che cosa vediamo, quando gettiamo uno sguardo sul mondo? Che cosa si manifesta, quali evidenze si impongono al nostro sguardo? Qual è la modalità qualitiva di questa presenza alla coscienza, di questa datità? Quale differenza sussiste tra percezione e appercezione? Stein documenta che, osservando i risultati del suo lavoro sull’empatia, discusso nell’agosto del 1916 all’Università di Friburgo, Husserl avrebbe affermato: «Ho l’impressione che lei abbia preceduto per qualche aspetto la seconda parte delle Idee»57. In questa fase, dunque, il legame con il maestro è strettissimo. Anche Merleau-Ponty, 57. E. Stein, Dalla vita di una famiglia ebrea e altri scritti autobiografici, tr. it. di B. Venturi, rev. di M. D’Ambra, a cura di A. Ales Bello e M. Paolinelli, Città Nuova-Ocd, Roma 2007, p. 479 (ed. or., Aus dem Leben einer jüdischer Familie und weitere autobiographische Beiträge, hrsg. v. H.-B. Gerl-Falkovitz, in ESGA 1, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2002).

74

che ha reso il tedesco Leib con il francese chair, e che viene così spesso citato negli studi sull’embodiment per aver indagato il senso del corpo operante, chiasmatico, intrecciato al mondo, aveva in realtà ben chiaro che la scienza «manipola le cose e rinuncia ad abitarle. Essa è quel pensiero mirabilmente attivo, ingegnoso, disinvolto, quel partito preso di trattare ogni essere come “oggetto in generale”, cioè come se non fosse niente per noi e tuttavia si trovasse predestinato ai nostri artifici»58. Quanto al supposto intellettualismo astratto dell’approccio fenomenologico, viene in mente Stein, quando osservava che, se fosse solo io puro, la persona non potrebbe vivere: Nell’io non posso essere a casa. Ma anche l’io stesso, finché viene inteso solo come “io puro”, non può essere a casa. Solo un io psichico [seelisches Ich] può essere a casa e, a partire da ciò, si può anche dire che è a casa presso se stesso. Allora anima e io sono strettissimamente legati. Non può esserci anima umana senza io; a essa appartiene la struttura personale. Ma un io umano deve essere 58. M. Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, tr. it. di A. Sordini, SE, Milano 1989, p. 13 (ed. or., L’Œil et l’Esprit, Gallimard, Paris 1964).

75

anche io psichico, non può essere senza anima; i suoi stessi atti si caratterizzano come “superficiali” o “profondi”59.

Stein ha fornito una valida argomentazione contro l’interpretazione della fenomenologia come empirismo radicale: nell’indagine del corpo-soggetto è indispensabile, oltre allo sguardo essenziale, porsi «nel modo più vivo possibile» nella situazione in cui facciamo esperienza dell’esistenza umana concreta propria e altrui, vale a dire «di ciò che noi sperimentiamo in noi stessi e nell’incontro con gli altri. Questo suona molto come empirismo [Empirismus], ma non lo è affatto»60, visto che l’esercizio fenomenologico chiede di indirizzare lo sguardo (Blick) all’essenziale. Si tratta, ulteriormente, di rompere quel pregiudizio che fa della fenomenologia un intellettualismo astratto e disincarnato: è lo stesso Husserl a provare il contrario, quando afferma che il tratto distintivo dei corpi vivi è che in essi si incarna una “vita psichica”, che sente, percepisce, pensa, ha emozioni, vuole. In tutto questo, un certo corpo vivo è per me singolarmente 59. E. Stein, La struttura della persona umana, cit., p. 119. 60. Ivi, p. 39.

76

privilegiato e con esso un certo essere vivente umano. Si tratta del mio corpo vivo, l’unico nel quale io esperisco in maniera assolutamente immediata l’incarnazione di una vita psichica, cioè di una capacità di sentire, di rappresentare, di sentire emozionalmente e così via, che è la mia propria vita, una vita psichica che si “esprime” in forma corporea attraverso eventi corporeocosali di varia natura. In questo modo, io percepisco insieme non soltanto la cosa “corpo vivo” e il suo comportamento cosale, bensì, al contempo, anche la mia vita psichica e infine percepisco entrambe le cose proprio in un colpo solo: l’incarnarsi di quest’ultima nel primo, l’esprimersi dell’una nell’altro61.

Il corpo-soggetto porta racchiuso in sé questo o quel contenuto psichico, al modo di una «esteriorità che possiede in sé originaliter un’interiorità: entrambe le cose si danno inseparabilmente»62. Ciò vale solo per il mio corpo vivo (Urleib), che 61. E. Husserl, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, tr. it. di S. Staiti, a cura di V. Costa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, lez. 35: Sulla teoria dell’empatia, pp. 77-78 (ed. or., Erste Philosophie (1923-1924), II. Theorie der Phänomenologischen Reduktion, hrsg. v. R. Boehm, Hua 8, M. Nijhoff, Den Haag 1959). 62. Ivi, p. 78.

77

è il «vissuto originario dell’incorporazione [Inkorporation] di una componente soggettiva»63, e non per l’esperienza dei corpi-soggetti altri. Lo psichico è un «flusso senza fine e inizio di vissuti»64 che, mediante la percezione interna, ciascuno esperisce come proprio o originario, e non di altri: tali vissuti sono «congiunti in virtù della loro stessa essenza, sono legati e intrecciati l’uno all’altro, fluiscono l’uno nell’altro e a strati, e soltanto in questa unità è possibile il loro flusso»65. L’idea di psiche non coincide con il flusso di coscienza originario, né con il singolo atto vissuto, ma si costituisce come «realtà connessa o intrecciata con la realtà del corpo vivo»66. Non bisogna dunque confondere l’esperienza puramente immanente, il residuo dell’epoché, «con l’esperienza psicologica del sé, nella quale io mi trovo come uomo»67. Gli studi che Husserl 63. Ivi, p. 80. 64. Idee II, p. 96. 65. Idee II, p. 97. 66. Ibidem. 67. E. Husserl, Fenomenologia e psicologia, tr. it. e cura di A. Donise, Filema, Napoli 2003, p. 78 (ed. or., Phänomenologie und Psychologie, in Id., Aufsätze und Vorträge (1911-1921), hrsg. v. T. Nenon und H.R. Sepp, Hua 25,

78

pone «sotto il titolo di fenomenologici» riguardano una fenomenologia della coscienza, «di contro a una scienza naturale della coscienza»68 e in questo senso egli salva «quei pochi psicologi che, come Stumpf, Lipps e alcuni altri della loro cerchia, hanno riconosciuto questi difetti della psicologia sperimentale e sono stati in grado di apprezzare l’impulso dato da Brentano – che ha fatto epoca nel senso più alto del termine»69. Brentano è sicuramente, per Husserl, il pioniere dell’indagine sull’esperienza interna, che tuttavia non è giunto a una psicologia totalmente a priori, eidetico-­intuitiva70.

M. Nijhoff, Dordrecht-Boston-Lancaster 1986, pp. 82124). 68. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, tr. it. di C. Sinigaglia, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 28 (ed. or., Philosophie als strenge Wissenschaft, in Id., Aufsätze und Vorträge, cit., pp. 3-62). 69. Ivi, p. 33. 70. Cfr. E. Husserl, Logica, psicologia e fenomenologia. Gli oggetti intenzionali e altri scritti, a cura di S. Besoli e V. De Palma, Il melangolo, Genova 1999, pp. 233 e 240 (ed. or., Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester 1925, hrsg. v. W. Biemel, Hua 9, M. Nijhoff, Den Haag 1962, pp. 277-301).

79

Con l’empatia, poi, che è un sentire dall’interno «sui generis»71, comprendiamo che l’io non è soltanto un soggetto di esperienza attivo, ma anche una soggettività esperita o potenzialmente esperibile: l’ego, che è rivelatore del tu che gli sta di fronte, è a sua volta rivelato dall’alter ego. Pertanto, non soltanto l’io è-ha un io – in termini husserliani: una monade che ha (è soggetto di) vissuti empatici che consentono modalità di riempimenti come vissuti ulteriori –, ma l’io è-ha una monade relazionata in sé a un’altra monade, e trova l’altra monade relazionata o potenzialmente relazionabile empaticamente. Una molteplicità di monadi è in comunicazione reale: la costituzione intersoggettiva implica una comunità (inter)monadica e/o personalistica, un “noi viviamo” che deve fare i conti con il significato dell’esperienza interna, cui la fenomenologia riferisce il suo metodo. La via ad intus, che Husserl riferisce all’intreccio tra il delfico “conosci te stesso” e l’intima scientia agostiniana – la certezza di vivere intrae inter-personale –, non deve essere confusa con l’introspezione psicologica, il solipsismo o 71. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., p. 79.

80

con l’immobile stare presso di sé dell’esperienza ascetica in-statica: al contrario, appartiene a quella che Ricoeur ha ascritto alla tradizione dello “sguardo interiore”, come vedremo più avanti. Nel 1929, Husserl affida l’epilogo delle sue meditazioni alla celebre chiosa: Il detto delfico gnōthi seauton (conosci te stesso) ha ottenuto un significato nuovo. La scienza positiva è scienza nell’abbandono al mondo. Si deve prima perdere il mondo mediante l’epoché per riottenerlo poi con l’autoriflessione universale. Noli foras ire, dice Agostino, in te redi, in interiore homine habitat veritas72.

Perdere il mondo mediante l’epoché significa convertire lo sguardo ingenuo dell’atteggiamento naturale esterno – che «non si impegna»73 nella ricerca critica – in quello rigoroso del filosofo: partire dalla coscienza intenzionale, dall’io puro. Husserl sottolinea che, nella sfera «meramente soggettiva del singolo soggetto, quest’ultimo ha un ambiente che è originariamente soltanto suo e che quindi non può essere dato

72. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., pp. 171-172. 73. Ivi, p. 65.

81

originariamente a nessun altro»74. Con ciò, la fenomenologia inaugura una forma di psicologismo, di solipsismo? Il riferimento ad Agostino impedisce l’esito soggettivistico o coscienzialista della fenomenologia, come risulterà chiaro dall’argomentazione di Stein in Essere finito e Essere eterno. Intanto, contro tale obiezione risponde lo stesso Husserl, rilevando la «cecità intellettuale» della psicologia nei confronti della scienza pura della coscienza: un’occasione particolarmente favorevole per comprendere il significato fondante della fenomenologia per la psicologia. Qui si presenta una difficoltà, il cui chiarimento è addirittura decisivo per la comprensione della fenomenologia pura. C’è davvero bisogno di una particolare fenomenologia, di una presunta nuova scienza? Certamente si replicherà di no, poiché già da tempo è sulla piazza la psicologia, la scienza della vita psichica [Seelenleben] umana e animale […]. La psicologia è chiaramente scienza della soggettività, ma questa è intrecciata con una corporeità, sta in connessione con la natura e solo in questa può essere pienamente

74. Idee II, p. 202.

82

analizzata. Ma se si rinuncia a queste connessioni e ci si limita alla semplice analisi e alla descrizione delle esperienze vissute di coscienza date nell’esperienza interna (esperienza di sé), non si ha ancora alcuna scienza, bensì solo una preparazione descrittiva […]. Con ciò tocchiamo uno dei più grandi problemi teorico-­scientifici e pratico-scientifici del nostro tempo, tocchiamo la scottante questione delle datità immediate, degli obiettivi teorici e dei metodi della psicologia. Ancora domina internazionalmente il sensismo psicologico, di cui furono pionieri i grandi empiristi inglesi del XVIII secolo, Locke, Berkeley e Hume. Non è ancora superata la cecità intellettuale nei confronti dell’essenza propria di tutte le coscienze75.

La ricerca fenomenologica verte su ciò che dalla psicologia «non viene visto, né colto»76: l’analisi della coscienza intenzionale, delle datità noe­ matiche e dei caratteri noetici dell’erleben – la ricerca dell’essenza, che non si ottiene con il procedimento causale, nel quale «ancora si esauriscono quasi tutti gli sforzi per l’indagine delle

75. E. Husserl, Fenomenologia e psicologia, cit., pp. 72-73. 76. Ivi, p. 73.

83

esperienze vissute psichiche»77. Su questo punto, Husserl è irremovibile: «la nuova psicologia ama definirsi senza anima, ma essa è nel nocciolo anche psicologia senza coscienza»78. Una risposta più concisa, altrettanto chiara, viene da Stein: la fenomenologia comincia con l’analisi della «fonte originaria del vivere, il punto di partenza dal quale i vissuti irradiano, secondo i loro obiettivi, gli oggetti»79. Ella è consapevole di un «equivoco»: confondere la fenomenologia con l’orientamento che considera la psicologia scienza filosofica fondamentale, «per cui si crede di avere a che fare con una varietà di psicologismo»80. S’è detto che la fenomenologia è una disciplina tecnica e non un tecnicismo, né mera erudizione. Il metodo filosofico proposto è riferito, sia da Husserl sia da Stein, ad Agostino: in te redi, in interiore homine habitat veritas, ci ha appe77. Ibidem. 78. Ivi, p. 74. 79. E. Stein, Introduzione alla filosofia, tr. it. di A.M. Pezzella, Città Nuova, Roma 1998, p. 149 (ed. or., Einführung in die Philosophie, in ESW 13, Herder, Freiburg-Basel-­ Wien 1991). 80. Ivi, pp. 47-48.

84

na ricordato il fenomenologo chiudendo le Meditazioni cartesiane, in relazione al significato nuovo ottenuto dal delfico “conosci te stesso”. Stein accoglie l’intima scientia agostiniana come metodo-logica: una logica del percorso filosofico, che risponde alle esigenze di un criterio rigoroso per l’indagine della formazione integrale della persona umana. Nella sua opera matura, così giustifica il primum dal quale avviare l’analisi sull’erleben: «Tutte le volte che lo spirito umano nella sua ricerca della verità ha cercato un punto di partenza infallibilmente certo, si è imbattuto in questo qualcosa di inevitabilmente vicino: il dato di fatto del proprio essere»81, e cita il libro XV del De Trinitate di Agostino: intima scientia est qua nos vivere scimus. Stein sta cercando il filo teorico che, attraverso Cartesio, perviene a Husserl. L’esito che da Agostino giunge alla scuola fenomenologica è che la certezza di vivere e di essere, l’intra-personale, non è disgiunta dall’inter-personale. Il termine “metodo” giunge a noi dalla civiltà ellenica, indicandoci un percorso (hodos) da seguire: come conversione dello sguardo, la fenome81. E. Stein, Essere finito e Essere eterno, cit., p. 72.

85

nologia si rivolge ad intus. Per comprendere il nesso con il nos di Agostino, possiamo affiancare al “metodo” il termine “esodo”: anche esodo significa intraprendere un cammino, che implica un’uscita da sé, verso gli altri – una sorta di perdita dell’autoreferenzialità, un de-centramento dell’ego, in favore di un riempimento, che viene da altro, da altrove. Ma il de-centramento è possibile, perché c’è un centro. Questo centro, che Stein chiama nucleo (Kern), è indagato sia sulla via orizzontale, finita e temporale, che è la via antropologica, sia su quella verticale dell’eterno, che formula le domande sul fondamento di quel centro, sul vivere-essere infinito e incondizionato: sull’Essere primo, in persona. Così, «l’io personale è casa propria nella parte più intima dell’anima. Se vive qui, dispone di tutta la forza dell’anima e la può impiegare liberamente»82. Rispetto a Husserl, che rimprovera alla psicologia di essere «senza coscienza», Stein sembra rimarcare più il suo essere «senza anima», senza centro. Ma come è giunta la filosofa a questo risultato? Stein aveva studiato i legami intersoggettivi comunitari, ampliando uno dei fili sottesi allo stu82. Ivi, p. 454.

86

dio dell’Erlebnis empatico in direzione del discusso rapporto tra psicologia e scienze dello spirito. I Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und der Geisteswissenschaften, dedicati a Husserl per il suo sessantesimo genetliaco, risalgono al 1922, subito dopo il lavoro sull’Einfühlung. Nella premessa al volume, Stein dichiara di aver consultato i manoscritti husserliani degli ultimi dieci anni, tra i quali quelli su psicologia e scienze dello spirito, e di aver aiutato il maestro nella preparazione di pubblicazioni sulla struttura della coscienza. Il risultato è di notevole portata filosofica. Nei Contributi, infatti, potrebbe stupire il legame tra lo studio della causalità psichica e l’analisi del rapporto tra individuo e comunità chi non tenesse nella dovuta considerazione il significato fenomenologico dell’auto-esperienza interna, intesa come microcosmo aperto a dimensioni altre. Ciò consente di superare l’opposizione tra il singolo e la comunità, come anche quella tra l’io e gli altri: al riguardo, l’importanza assegnata da Husserl alla Phänomenologische Psychologie quale propedeutica alla fenomenologia trascendentale è certamente un punto chiarificatore, anche del malinteso che legge la riduzione fenomenologica alla stregua di un’introspezione psicologica.

87

L’analisi della persona umana condotta da Stein presenta un andamento che dal significato della sua costituzione soggettiva conduce ai legami intersoggettivi: individuo e comunità diventano i poli attorno ai quali ruota la riflessione filosofica di questi anni, riferita alle dimensioni dello spirito (Geist) e della psiche (Psyche). Gli atti intenzionali di coscienza fluiscono in un puro divenire inarrestabile, un «continuum indiviso e indivisibile», che non dipende da un «essere causato»83, ma è condizionato da una «forza vitale [Lebenskraft]»84 che, in accordo con Lipps, Stein chiama anche «forza psichica»85. La coscienza e la psiche, però, sono essenzialmente diverse: la coscienza è il «regno del puro vissuto cosciente [Reich des bewußten reinen Erlebens] e lo psichico è un ambito della realtà

83. E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica, tr. it. di A.M. Pezzella, Città Nuova, Roma 1996, p. 45 (ed. or., Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und der Geisteswissenschaften, hrsg. v. B. Beckmann-Zöller, in ESGA 6, Herder, Freiburg-Basel-Wien 2010). 84. Ivi, p. 57. 85. Ivi, p. 57, nota 1.

88

trascendente, che si manifesta nei vissuti e nei contenuti dei vissuti»86. Questo io reale, o psichico, non può in alcun caso essere confuso con l’Io puro, che è esperito in modo originario come fonte degli Erlebnisse. Il vivere psichico appare come la realizzazione della forza vitale: in una coscienza priva di sfera vitale, «mancherebbero tutti i fenomeni relativi agli effetti, poiché non esiste un operare provocato da altri vissuti senza la mediazione della sfera vitale, ma cesserebbe anche la possibilità di cogliere i vissuti puri come manifestazioni degli stati psichici reali; in una tale coscienza, poi, non si potrebbe costituire alcun individuo psichico»87. Ciò significa che la causalità non riguarda l’erleben coscienziale, ma la forza vitale della psiche e i suoi modi; la sfera propria dello spirito è quella degli atti intenzionali di coscienza: i vissuti. Qui si manifesta una nuova dimensione, quella che sottende la capacità di decidere, di scegliere, di comportarsi conformemente al senso inteso: la libertà, l’adesione ai valori, la responsabilità. 86. Ivi, pp. 57-58. 87. Ivi, p. 63.

89

Rimane da chiarire il legame intellettuale tra allieva e maestro in merito al ruolo assegnato alla psicologia pura e al rapporto tra fenomenologia e Geisteswissenschaften. Nel 1928, accettato l’incarico di redigere la voce Phenomenology per l’Encyclopaedia Britannica, Husserl invia un testo, che può essere considerato l’espressione matura del suo pensiero in merito all’idea, al contenuto e al metodo di una filosofia fenomenologica. Non è questo il luogo per entrare nel merito delle polemiche sulla traduzione inglese, che avrebbe omesso considerazioni decisive presenti nell’originale tedesco, né per addentrarsi sulla collaborazione con Heidegger – al quale Husserl aveva inizialmente proposto un lavoro a quattro mani –, sfociata poi in rottura. Nel definire la psicologia pura o fenomenologica (Phänomenologische Psychologie), Husserl fa esplicita menzione dell’esperienza degli altri, e osserva che l’accesso alla vita della psiche non è dato soltanto per auto-esperienza, ma anche attraverso l’esperienza dell’estraneità, che è «qualcosa di nuovo»: L’esperienza fenomenologica, nella forma metodica della riduzione, è l’unica autentica esperienza interna nel senso di una qualsiasi scienza psicologica correttamente fondata. Questa espe-

90

rienza può essere continuata in infinitum, conservando sempre, dal punto di vista del metodo, la propria purezza. La riduzione si trasferisce dall’auto­esperienza all’esperienza dell’estraneità nella misura in cui, rendendo presente a me stesso la vita dell’altro soggetto, posso mettere tra parentesi e descrivere compiutamente sia l’apparizione sia ciò che appare nel loro “come” soggettivo (“noe­si” e “noema”). Successivamente, la comunità esperita non viene ridotta soltanto ai campi intenzionali singolarizzati psichicamente, ma anche all’unità della vita intersoggettiva della comunità, colta nella sua purezza fenomenologica (riduzione intersoggettiva). Si delinea così la completa estensione del concetto psicologico autentico di “esperienza interna”88.

Anche l’intersoggettività ridotta, prosegue Husserl, costituisce una comunità di «pure persone, che si realizza nella pura vita intersoggettiva della coscienza»89. Il rapporto che struttura 88. E. Husserl, Fenomenologia, tr. it. di R. Cristin, in E.  Husserl - M. Heidegger, Fenomenologia. Storia di un dissidio (1927), a cura di R. Cristin, Unicopli, Milano 19902, pp. 79-110: p. 87 (ed. or., Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester 1925, cit., pp. 277301). 89. Ibidem.

91

nella reciproca autonomia e insieme lega fenomenologia e psicologia è lo stesso che caratterizza la coscienza intenzionale, costitutivamente esperienziale, e la psiche, intesa piuttosto come forza vitale. La dimensione spirituale si riscontra soltanto nell’erleben coscienziale, negli atti o vissuti intenzionali: questa differenza qualitativa è rilevante; ad esempio, Stein definisce lo statuto epistemologico della psicologia nel suo legame con le scienze dello spirito, tornando sul rapporto tra coscienza e spirito, cioè tra Io puro e persona umana. Con coscienza intende il puro erleben, che si attua negli Erlebnisse; se con il termine “spirito” ci si riferisce in prima istanza solo agli atti spirituali, allora questi ultimi corrispondono, secondo le loro strutture, ai vissuti coscienziali, nella descrizione dei quali coincidono la scienza dello spirito e la fenomenologia dei vissuti. Tuttavia, Stein precisa che la scienza dello spirito non può cogliere l’atto vero e proprio, «libero da ogni connessione effettiva», perché ciò è di esclusiva pertinenza fenomenologica: Soggetto della vita di coscienza è l’Io puro; esso non è niente altro che il punto di irradiazione del vivere senza alcuna particolarità qualitativa. Soggetto della vita spirituale è la persona, che è

92

un centro di atti qualitativamente determinato e precisamente determinato in modo unico nel suo genere e la cui qualità dà agli atti piena concretezza90.

Secondo Husserl, «per io spirituale o personale [va] inteso il soggetto dell’intenzionalità»91. Egli elabora la differenza tra natura e spirito92, come anche tra natura e cultura: Chi vede ovunque soltanto natura, natura nel senso e con gli occhi delle scienze naturali, è cieco per le scienze dello spirito, è cieco per il peculiare dominio delle scienze dello spirito. Non vede le persone, non vede gli oggetti che attingono il loro senso a operazioni personali – non vede, dunque, gli oggetti della cultura93.

Possiamo dunque rispondere all’interrogativo posto in apertura: scienza rigorosa per l’esperienza originaria è la fenomenologia, mentre la scienza esatta è espressione soltanto seconda. 90. E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito, cit., p. 323. 91. Idee II, p. 223. 92. E. Husserl, Natur und Geist. Vorlesungen Sommersemester 1927, hrsg. v. M. Weiler, Hua 32, Kluwer, Dordrecht 2001. 93. Idee II, p. 195.

93

Tornando ora al metodo, cioè alla coscienza quale risultato del libero esercizio della riduzione, Husserl mette in campo la questione della costituzione trascendentale dell’io e degli altri, co-intrecciati empaticamente nell’esperienza intersoggettiva del mondo, come problema teo­ rico che riprende la questione filosofica classica, che va sotto i titoli di “forma” e “materia”. Egli lavora sull’originario individuando con ciò il non-originario, la forma essendo rintracciabile come morphé intenzionale-noetica, e la materia concernendo piuttosto l’aspetto noematico, sensibile, oggettivo-hyletico, del contenuto del vissuto. Scrive: «Un dato empatizzato e il relativo esperire empatizzante non possono appartenere allo stesso flusso di coscienza, dunque allo stesso io fenomenologico»94. La corrente dei vissuti (Bewußtseinsstrom) individua l’io co­me se stesso. Stein è d’accordo: «il flus-

94. E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo (1910-1911), a cura di V. Costa, Quodlibet, Macerata 2008, pp. 75-76 (ed. or., Aus den Vorlesungen Grundprobleme der Phänomenologie. Wintersemester 1910/11, in Id., Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Erster Teil (1905-1920), hrsg. v. I. Kern, Hua 13, M. Nijhoff, Den Haag 1973, pp. 111-235).

94

so di coscienza si caratterizza come se stesso e non di altri»95. Nelle lezioni husserliane del semestre invernale 1910-11, la distinzione tra i flussi di coscienza significa che l’Einfühlung è Fremderfahrung: non è immedesimazione – non è vivere il medesimo, l’identico, l’unipatia –, ma vissuto etero-centrato – esperienza di una coscienza estranea, poiché il riempimento proviene da una fonte non originaria. Nel registro noetico-noematico, Stein afferma senza esitazione: «Si tratta di un atto che è originario in quanto vissuto presente, mentre è non-originario per il suo contenuto»96. Un’appercezione che, incalza Husserl, «non può per principio essere trasformata in esistenza immediata originaria (presenza originaria)»97. Nella differenza costitutiva tra Urpräsenz e Appräsenz, l’altro è un fenomeno che si costituisce rispecchiandosi appresentativamente: l’analisi strutturale dell’esperienza dell’io estraneo è condotta nel campo della fenomenologia pura.

95. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., p. 122. 96. Ivi, p. 77. 97. Idee II, p. 202.

95

Stein afferma che l’Einfühlung non si lascia «sistemare in una delle caselle esistenti della psicologia e richiede di essere studiata nella sua essenza»98: respinge quindi la teoria di Lipps, intesa nei termini di una immedesimazione-­ fusione che cancella l’alterità dell’altro – l’uni­ patia azzera l’intersoggettività –, e che, nello sdoppiamento proiettivo, fa dell’io l’altro da sé, in una moltiplicazione del proprio soggetto (Vielheit der Iche), che per Stein suona incomprensibile se il punto di vista analizzato è quello coscienziale: ascrive questo tipo di esperienze, piuttosto, al contagio psichico (psychische Ansteckung) e, a proposito del noto esempio lippsiano dell’acrobata99, nega la possibilità di essere-uno, di convenire in uno, in favore di un non-originario “essere-presso”: Io non sono un unico essere con l’acrobata, ma sto solo presso di lui [Ich bin nicht eins mit dem Akrobaten, sondern nur “bei” ihm]; io non compio realmente i suoi movimenti, ma “quasi”, va-

98. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., p. 93. 99. Th. Lipps, Ästhetik. Psychologie des Schönen und der Kunst, I. Grundlegung der Ästhetik, Voss, Leipzig-Hamburg 1903, p. 115.

96

le a dire quel che “interiormente” corrisponde ai movimenti del corpo proprio – ossia il vissuto dell’‘io muovo’ – non è originario per me, bensì è non-originario100.

L’unipatia di Lipps è psichica e inconscia, mentre Stein studia l’Einfühlung quale Erlebnis della coscienza, atto spirituale: il Leib è il punto zero rispetto al quale la spazialità esterna viene ordinata ed esperita, e con essa il mondo intersoggettivo come oggettivo, come mondo-perciascuno. Il Leib, corpo-soggetto, aderisce a un io come «l’esteriorità di una interiorità aspaziale», e ha senso «perché l’intimo si rende visibile nel corpo vivente e perché esso – in virtù del suo ruolo di portatore dell’espressione della vita dell’anima – appare nel mondo spaziale»101. Quando Husserl pensa l’Einfühlung come trasposizione nell’altro soggetto, attraverso la quale «colgo ciò che lo motiva e con quale intensità», sottolinea la possibilità e la capacità di «imparare dal di dentro»102. Lipps, piuttosto, riferisce una tendenza, un impulso all’imitazione: nel gesto 100. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., p. 87. 101. E. Stein, Introduzione alla filosofia, cit., p. 146. 102. Idee II, p. 273.

97

estraneo «io stesso mi colgo come proteso alla produzione dello stesso gesto»103. Nell’excursus sul contagio psichico, Stein riprende l’esempio dell’acrobata che mostra la sua destrezza e abilità esecutivo-performativa, mentre l’osservatore «imita tutti i suoi movimenti interiormente», ma in parte anche esteriormente: non è una «imitazione spontanea del modello percepito, bensì un fare impulsivo, che imita in maniera oggettiva il fare percepito»104. L’azione dell’imitare-simulare non può in alcun caso essere vissuta alla stessa maniera di ciò che imita: «il fare istintivo non è incosciente – se per coscienza intendiamo, stando a quanto abbiamo stabilito precedentemente, un momento costitutivo dei vissuti – ma è cosciente, come lo è ogni vissuto»105. Per tutti questi motivi, Einfühlung non è Einsfühlung, e l’indagine sulla psiche è

103. Th. Lipps, La conoscenza degli altri io, tr. it. e cura di D. Nuccilli, Castelvecchi, Roma 2018, p. 80 (ed. or., Das Wissen von fremden Ichen, in Id., Psychologische Untersuchungen, Bd. 1/4, Engelmann, Leipzig 1907, pp. 694-722). 104. E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito, cit., pp. 206207. 105. Ivi, p. 207.

98

rigorosa se condotta con metodo fenomenologico, che ne individua la struttura. Di qui, il rimprovero di Husserl: [la psicologia] ha trascurato di considerare in che misura lo psichico, anziché essere rappresentazione di una natura, possegga piuttosto un’“essenza” propria, che deve essere indagata rigorosamente e in maniera perfettamente adeguata prima di ogni analisi psicofisica. La psicologia non ha considerato che cosa risieda nel “senso” dell’esperienza psicologica e quali “esigenze” l’essere, nel senso dell’essere psichico, ponga da sé al metodo106.

Nell’analisi fenomenologica dell’esperienza interna, Husserl e Stein rivisitano l’intima scientia e il nos agostiniani, tra metodo ed esodo: dalla differenza tra fenomenologia e psicologismo passiamo ora a quella tra coscienza e coscienzialismo.

106. Cfr. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, cit., pp. 42-43.

99

3. Coscienza versus coscienzialismo: conscio, non-conscio, inconscio Per continuare a esplorare l’“interiore” di cui parla la fenomenologia, partiamo dall’osservazione di Waldenfels: attraverso l’enigma del Leib, l’enigma dell’estraneo conosce «un ulteriore incremento, con cui, peraltro, giungiamo nuovamente all’avventura cartesiana e post-cartesiana della modernità»107. Approfondiamo dunque questo duplice enigma. Nell’analisi del corpo-soggetto, Husserl e Stein ascrivono un’importanza fondamentale al tatto, e rilevano quello che oggi è chiamato elemento aptico dell’esperire, cioè il legame multimodale di tattile, visivo, motorio, sinestetico e cinestetico nella fruizione percettiva e propriocettiva. Husserl giunge ad affermare che la possibilità di una rappresentazione del mondo da parte di un cieco dalla nascita dimostra empiricamente che tutto può avvenire nella sfera extra­ visiva, e che in questo caso le appercezioni vanno ordinate in modo tale che questi correlati possano costituirsi108. 107. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 79. 108. Idee II, p. 149.

100

Se fare fenomenologia significa vedere le differenze, ecco come procede Stein nell’analisi esemplare dei seguenti Erlebnisse: guardare un quadro, toccare un tavolo. Osservando le vesti di seta nei dipinti di van Dyck, non abbiamo un’esperienza ottico-visiva, ma visivo-tattile, perché non percepiamo solo la luce, le forme e i colori, ma vediamo anche «la levigatezza e la morbidezza della seta»109. Vediamo-tocchiamo, sfioriamo con lo sguardo, incontriamo mondi, percepiamo dall’interno. Toccando un tavolo ruvido, sento la sua ruvidezza e attraverso la mano percepisco il mio corpo come Leib: Se la punta del mio dito tocca il tavolo, sono tenuta a fare alcune distinzioni: in primo luogo la sensazione tattile; in secondo luogo la durezza del tavolo e il correlativo atto di percezione esterna; in terzo luogo la punta del dito che tocca e il correlativo atto di “percezione del corpo proprio”. Ciò che rende stretto il legame tra sensazione e percezione del corpo proprio sta nel fatto che il corpo proprio è dato come senziente e le sensazioni sono date sul corpo proprio […]. Io non solo vedo la mia mano, ma “vedo” anche i campi sensoriali della mano; d’altra parte, mentre eviden109. E. Stein, Il problema dell’empatia, cit., p. 129.

101

zio alcune parti del mio corpo proprio, mi faccio un’“immagine” della parte del corpo in questione: l’una cosa è data insieme all’altra, anche se non sono insieme percepite. Un caso analogo si riscontra nell’ambito della percezione esterna. Non solo vediamo il tavolo e constatiamo, toccandolo, la sua durezza, ma “vediamo” pure la sua durezza110.

In seguito, anche Merleau-Ponty penserà l’unità di questa esperienza come una sorta di comunicazione multisensoriale, capace di aprirsi alla struttura della cosa e di viverla dall’interno: Si vede la rigidità e la fragilità del vetro, e quando esso si rompe con un suono cristallino, questo suono è vibrato dal vetro visibile. La forma degli oggetti non è il loro contorno geometrico, ma ha un certo rapporto con la loro natura propria e, mentre parla alla vista, parla a tutti i nostri sensi111.

La fonte di queste analisi è certamente Husserl, con le sue ricerche sulla costituzione della real­ tà psichica attraverso il Leib, che nel secondo libro delle Idee sono così formulate: 110. Ibidem. 111. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 308.

102

Non ho la possibilità di allontanarmi dal mio corpo vivo o di allontanare il mio corpo vivo da me, per cui, corrispondentemente, le pluralità delle manifestazioni dello stesso corpo vivo sono limitate in modo determinato: certe parti del mio corpo io posso vederle solo secondo un peculiare scorcio prospettico, altre (per esempio la testa) mi sono invisibili112.

Husserl marca una differenza esemplare tra le manifestazioni visive e quelle tattili: toccando la mia mano sinistra con la destra, trovo in entrambe sensazioni localizzate circolari e versatili, per così dire reversibili. La mano che tocca è toccata e viceversa, l’esperienza è insieme attività-­ passività, ho sensazioni somatiche di contatto non riscontrabili nelle cose «meramente materiali», ma nel mio «corpo vivo, che ha sensazioni». Troviamo una notevole differenza tra la sfera del visivo e la sfera del tattile. Nel dominio del tattile abbiamo l’oggetto esterno che si costituisce in modo tattile e un secondo oggetto, il corpo vivo, che a sua volta si costituisce in modo tattile, per esempio il dito che palpa; e abbiamo anche

112. Idee II, p. 161.

103

il caso in cui vi sono delle dita che palpano altre dita. Abbiamo quindi una duplice apprensione: la stessa sensazione tattile appresa come una caratteristica dell’oggetto “esterno” e, d’altra parte, come una sensazione dell’oggetto corpo-vivo. Nel caso poi in cui una parte del corpo vivo diventi oggetto esterno per un’altra parte, abbiamo duplici sensazioni (ciascuna delle due parti ha le sue sensazioni) e la duplice apprensione come nota caratteristica di una o dell’altra parte del corpo vivo in quanto oggetto fisico. Non abbiamo nulla di simile invece nel caso dell’oggetto che si costituisce in modo puramente visivo113.

Mentre gli oggetti inanimati sono mossi “dall’esterno”, i corpi-soggetti hanno libertà di movimento, ad essi inerisce un io-posso, un io-voglio, un io-centro. In virtù della facoltà di compiere movimenti liberi, il soggetto può rendere “flui­ do” il sistema delle sue manifestazioni e perciò le sue orientazioni: «Mentre il soggetto, in ogni “adesso”, è al centro, è nel qui da cui vede tutte le cose e guarda dentro il mondo, il luogo obiettivo, il punto dello spazio in cui stanno l’io e le cose è variabile»114. 113. Idee II, pp. 149-150. 114. Idee II, p. 160.

104

Nelle Idee, Husserl svolge analisi prevalentemente dal lato noetico o egologico, anche se sa bene che: 1) la coscienza è «legata al suo corpo vivo attraverso la sua base hyletica»115, cioè l’affezione; 2) che «accanto ai liberi processi cinestetici se ne presentano altri i quali, invece che come “eseguiti” si caratterizzano come “subiti”, processi passivi»116; e 3) che, riguardo ai vissuti che sono “sedimentazioni” di precedenti atti razionali, la motivazione ha «uno sfondo oscuro, ha motivi psichici, è presente nella coscienza, ma non riesce ad assumere un rilievo, non viene notata, è inavvertita (“inconscia”)»117. Quando affina l’indagine genetica sulla coscienza immanente del tempo, focalizza la ricerca sul piano non egologico quale risorsa conoscitiva spontanea. «Ogni azione ricettiva è preceduta da un’affezione»118: un sentire inavvertito, laten115. Idee II, p. 155. 116. Idee II, p. 161. 117. Idee II, p. 226. 118. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, tr. it. e cura di V. Costa, La Scuola, Brescia 2016, p. 130 (ed. or., Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs- und Forschungsmanuskripten (1918-1926), hrsg. v. M. Fleischer, Hua 11, M. Nijhoff, Den Haag 1966, pp. 3-222).

105

te, inconscio, del quale è sempre possibile prendere atto. Ma di che cosa si tratta, se la passività «mette sempre in gioco qualcosa di estraneo all’io»119? Se l’inconscio è come uno straniero, un «clandestino»120? Nel saggio su Freud, segnalando la problematicità dell’evidenza fenomenologica della coscienza (Bewusst-sein) in rapporto al divenire cosciente (Bewusst-werden), Ricoeur annotava: «la questione della coscienza è oscura quanto quella dell’inconscio»121. Con ciò, inaugurava il paradigma storiografico della scuola del sospetto, rintracciando l’assetto teorico di una fitta trama concettuale risalente ai primi anni del Novecento, contraddistinta dalla tensione tra scienza e vita. Il primato dell’istinto (Instinkt), della pulsione (Trieb), dell’impersonale (Es), dell’estraneità all’io (Ichfremdheit), della forza vitale (Lebenskraft) accomunava Freud e

119. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 55. 120. F. Cimatti, L’inconscio, 100 anni dopo, in «L’inconscio», n. 1, 2016, pp. 40-55: p. 44. 121. P. Ricoeur, Della interpretazione. Saggio su Freud, tr. it. di E. Renzi, Il Saggiatore, Milano 20022, p. 470 (ed. or., De l’interprétation. Essai sur Freud, Seuil, Paris 1965).

106

Nietzsche: se per quest’ultimo l’istinto esprime un’istanza affermativa, (ri)generativa, crea­ tiva, vorticosa e persino visionaria, per Freud la pulsione è piuttosto afferente a una natura materiale sottostante a quella razionale e logicodescrittiva, indicando pertanto una mancanza, una privazione, una sottrazione – il pathos che soggiace al logos. Completeremo la collocazione di Freud assegnandogli non solo una contrapposizione, ma anche una compagnia. All’interpretazione come restaurazione del senso opporremo in modo globale l’interpretazione secondo ciò che chiamerò collettivamente la scuola del sospetto. La dominano tre maestri che in apparenza si escludono a vicenda, Marx, Nietzsche e Freud […]. Sotto la formula negativa, “la verità come menzogna”, si potrebbero porre questi tre esercizi del sospetto. Se risaliamo alla loro intenzione comune, troviamo in essa la decisione di considerare la coscienza nel suo insieme come coscienza “falsa”. Con ciò essi riprendono, ognuno in un diverso registro, il problema del dubbio cartesiano, ma lo portano nel cuore stesso della fortezza cartesiana122.

122. Ivi, pp. 46-47.

107

La clara et distincta perceptio è il punto di partenza programmatico della fenomenologia husserliana, che con la “fortezza cartesiana” si confronta costantemente, riconoscendo il debito intellettuale ma avanzando alcune obiezioni. Il cogito decide in sé, cosa che non era ignota a Cartesio, ma sulla quale egli passa sopra rapidamente, il cogitatum qua cogitatum. Ogni coscienza è coscienza di qualcosa, e questo qualcosa è descrivibile nei suoi modi di datità […]. L’analisi delle essenze del cogito conduce al cogitatum, quella del cogitatum indietro al cogito di cui è cogitatum. L’apertura dei campi fenomenologici attraverso Cartesio è rimasta fino ai nostri giorni senza effetto poiché né lui, né i suoi successori hanno riconosciuto che con ciò è stato portato alla luce un campo di una scienza infinita e fondamentale per la fondazione della conoscenza ultima e più alta123.

Husserl pensa il passaggio dall’ego cogito all’autoriflessione universale, la quale è prima monadica, poi inter-monadica: «Proseguendo in modo universale e radicale le meditazioni cartesiane, ossia guadagnando l’universale conoscenza di

123. E. Husserl, Fenomenologia e psicologia, cit., p. 70.

108

sé, si ha la filosofia stessa: è questa autoconoscenza che impregna ogni scienza vera e propria responsabile di se stessa»124. La svolta soggettiva della modernità è praticata da Husserl con l’«inibizione universale di ogni presa di posizione sul mondo oggettivo, detta epoché fenomenologica»125. Nell’Introduzione alle Meditazioni, egli definisce la fenomenologia «quasi un neocartesianesimo»126, la cui radicale elaborazione giunge tuttavia a esiti diversi: chiunque voglia essere seriamente filosofo «deve una volta nella sua vita ritrarsi in se stesso e cercare dentro di sé di distruggere tutte le scienze ritenute fino allora valide e di ricostruirle»127. Tale decostruzione e ricostruzione è ottenuta attraverso l’epistemologia analitica dei vissuti intenzionali di coscienza, che si pone agli antipodi della scuola del sospetto. Vivere significa fare esperienza consapevole del presente: leben ist erleben. Da un punto di vista

124. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., pp. 171-172. 125. Ivi, p. 7. 126. Ivi, p. 37. 127. Ivi, p. 38.

109

storico-teorico, si tratta della «adoption of the first-person standpoint»128, che Taylor rintraccia già in Agostino, il quale ha operato «the fateful proto-Cartesian move»129, un atteggiamento filosofico diametralmente opposto al naturalismo di ogni epoca, con il suo «sguardo da nessun luogo [view from nowhere]»130. Secondo Taylor, we can turn and make this our object of attention, become aware of our awareness, try to experience our experiencing, focus on the way the world is for us. This is what I call taking a stance of radical reflexivity or adopting the first-person standpoint131.

Come s’è detto, in nessun modo si può confondere questa postura filosofica con l’introspezione

128. Ch. Taylor, Sources of the Self. The Making of Modern Identity, Cambridge University Press, Cambridge (UK) 20036, p. 130. 129. Ivi, p. 132. Taylor richiama qui l’edizione inglese del saggio di É. Gilson, The Christian Philosophy of Saint Augustine, Gollancz, London 1961, che alle pp. 41-42 aveva parlato di “proto-cogito”. 130. Th. Nagel, The View from Nowhere, Oxford University Press, New York-Oxford 1986. 131. Ch. Taylor, Sources of the Self, cit., p. 130.

110

psicologica132. Nel volume La memoria, la storia, l’oblio, Ricoeur ha indicato in Husserl il terzo e decisivo testimone della filosofia dell’interiorità che, dopo Agostino e Locke, attingerebbe con lui «il suo apogeo»133. Il filosofo francese ha riformulato il problema della coscienza sulla base dell’analisi della memoria: ricordandoci di qualche cosa, ci si ricorda di sé, e su tale carattere personale-individuale si è costruita la grande «tradizione dello sguardo interiore»134, alla quale Husserl appartiene in modo eminente. Ma in che senso la memoria ci conduce al passato, e dunque alla questione della temporalità? Secondo la psicoanalisi classica, l’inconscio è invariante e trans-temporale: il passato è indistruttibile, non rimaneggiabile, non trasformabile, pesa come un macigno ed esercita questa sua forza in modo sotterraneo, alle spalle di un io ormai scalzato dal primato conferitogli dalla modernità. Per Freud, «i processi inconsci sono

132. Cfr. Idee I, pp. 192-200. 133. P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, tr. it. di D. Iannotta, Cortina, Milano 2003, p. 138 (ed. or., La mémoire, l’histoire, l’oubli, Seuil, Paris 2000). 134. Ivi, p. 137.

111

atemporali, non sono ordinati temporalmente, non sono alterati dal trascorrere del tempo, non hanno alcun rapporto con il tempo»135. Per il fenomenologo, invece, il passato è sia ciò che non è più – svanito nella forza corruttrice del tempo (assenza) –, sia ciò che è sempre stato – anteriore, precedente, che in qualche modo permane, nonostante l’inattualità. La filosofia dell’interiorità è dunque legata all’aporia della temporalità, all’«enigma intricatissimo»136 che Agostino aveva risolto con l’idea del presente come visione, cioè della presenza dello sguardo sul passato (memoria) e sul futuro (attesa), e che Husserl rielabora in modo originale già nel 1905, attraverso le nozioni di “ritenzione” e “protensione”, le quali indicano il continuum del flusso coscienziale: L’analisi della coscienza del tempo è un’antichissima croce della psicologia descrittiva e del-

135. S. Freud, L’inconscio, tr. it. di R. Colorni, in Id., Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti (1915-1917), in Opere, dir. C.L. Musatti, vol. 8, Boringhieri, Torino 1976, pp. 49-88: p. 71 (ed. or., Das Unbewußte, in «Internationale Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse», n. 3-4, 1915, pp. 189-203). 136. Agostino, Le Confessioni, tr. it. e cura di C. Carena, Città Nuova, Roma 19844, Libro XI, 22, 28, p. 332.

112

la teoria della conoscenza. Il primo che abbia profondamente sentito la forza delle difficoltà qui contenute e che vi si sia affaticato fin quasi alla disperazione, fu Agostino. Ancor oggi, chiunque si occupi del problema del tempo deve studiare a fondo i capitoli 14-28 del XI libro delle Confessiones. Perché in questa materia i tempi moderni, tanto orgogliosi del proprio sapere, non hanno eguagliato l’efficacia con cui la serietà di questo grande pensatore aggredì il problema, né fatto progressi degni di nota. E ancora oggi si può ripetere con Agostino: si nemo a me quaerat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio137.

Il decorso temporale opacizza la coscienza, mettendo in rilievo un elemento tacito, passato: l’affezione. Che l’affezione preceda l’attività della coscienza, significa che il mondo ha già anticipato la propria manifestazione; che qualcosa è (già) dato, prima ancora che l’io vi diriga intenzionalmente lo sguardo. Significa che la coscienza non è solo attività, ma anche capacità di accogliere la

137. E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, a cura di A. Marini, FrancoAngeli, Milano 1998, p. 43 (ed. or., Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtsein (1893-1917), hrsg. v. R. Boehm, Hua 10, M. Nijhoff, Den Haag 1966).

113

chiamata dell’oggetto. L’affezione, l’essere colpiti, conferisce alla dimensione temporale della presenza una certa complessità aporetica, poiché forze latenti stratificano il presente vivente: Sappiamo che ci sono differenze nel modo del prestare attenzione e che ciò che chiamiamo attenzione negativa, o il modo contrario di ogni forma di attenzione all’interno della passività, si chiama affezione [Affektion]. Qualcosa può essere notato in modo primario; in questo caso l’io è attento in senso pregnante, è rivolto verso questo qualcosa in senso primario. Tuttavia, si può notare qualcosa anche in modo secondario […]. Le affezioni vanno dalla passività dello sfondo verso l’io, esse sono i presupposti del rivolgimento. Con l’attuazione del rivolgimento l’io aderisce all’affezione, l’io si dirige verso ciò che esercita l’affezione138.

In questo senso Husserl intende la «delimitazione della ricerca sull’io attivo»139, cioè sul polo 138. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi attiva. Estratto dalle lezioni sulla logica trascendentale (1920/21), tr. it. e cura di L. Pastore, Mimesis, Milano 2007, p. 50 (ed. or., Aktive Synthesen: Aus der Vorlesung “Transzendentale Logik” 1920/21, hrsg. v. R. Breeur, Hua 31, Kluwer, Dordrecht 2000). 139. Ivi, p. 49.

114

egologico: l’esposizione o affezione rimanda al corpo, che pertanto «si avvicina all’inconscio, al corpo-io e al linguaggio corporeo dei sintomi presenti nella psicoanalisi di Freud […], ciò che potremmo definire nascita del senso dal pathos»140. Il corpo proprio è il luogo che rende presente il passato anteriore, incarnandolo: come ogni nascita, «non è priva di travaglio»141; mentre la riflessione, come rileva Merleau-­Ponty, beneficia del contenuto irriflesso, «che per essa costituisce come un passato originario, un passato che non è mai stato presente»142. Se la questione dell’inconscio è implicata nella forma del rapporto intenzionale entro cui si costituisce la soggettività stessa, il punto è stabilire se tra l’impressione originaria (Urimpression)143 e la ritenzione vi sia un momento non-conscio 140. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., pp. 86-87. 141. Ivi, p. 87. 142. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 322. 143. «Il “punto d’origine” con cui ha inizio la “produzione” dell’oggetto che dura è un’impressione originaria» (E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 64).

115

del fluire coscienziale: come è noto, Husserl risponde che la coscienza è e rimane attuale, in ogni sua fase; e che l’inconscio non è una dimensione a sé stante, ma un modo della coscienza, il suo caso-limite. Tornando ora a Ricoeur, in che cosa consiste lo “sguardo interiore” della fenomenologia? Mettendo tra parentesi il fenomeno nel senso della psicologia, si apre il campo dei puri fenomeni e della visione dell’essenza (Wesensanschauung), sganciati dal legame con la sfera naturale. Le idee si vedono, e tale vedere è graduale: l’essenza si dà nell’esercizio di uno sguardo puro, attraverso livelli riferibili a un logos della vita, che espande il suo orizzonte nell’approfondimento della descrizione essenziale di ogni strato144. Il metodo husserliano riceve le sue linee-guida dall’originarsi di ciascun campo d’indagine, messo in evidenza nella continuità e nell’ordine dei momenti, nel riferimento a un logos e a un telos. Il rigore dell’analisi, che apre 144. A.-T. Tymieniecka, Phenomenology as the Inspirational Force of our Times, in Ead. (ed.), Phenomenology WorldWide. Foundations – Expanding dynamics – Life-Engagements. A Guide for Research and Study, Kluwer, Dordrecht 2002, pp. 1-8.

116

campi di ricerca potenzialmente illimitati, impedisce la dispersione nel frammento: è quello che Tymieniecka chiamava lo Husserl “integrale”. L’integralità consiste nel fatto che la monade è «un’unità vivente»145, che porta in sé un io inteso come polo dell’agire (desto, vigile, attento, volontario) e del patire (latente, implicito, tacito, involontario, inavvertito), e come «un’unità della vita desta e celata, un’unità di facoltà, di “disposizioni”, e ciò che è celato, “inconscio”, è un modo caratteristico per implicazioni monadiche, il cui senso necessario si deve attingere necessariamente in modi caratteristici»146. L’unità vivente respinge la contrapposizione tra coscienza e inconscio, logos e pathos: ma se la latenza qualifica l’inconscio (Unbewusstsein) come zona d’ombra, inavvertita, della coscienza, ciò significa che lo scavo fenomenologico regressivo descrive un’oscurità più profonda del ritenuto,

145. E. Husserl, Fenomenologia dell’individualità monadica e fenomenologia delle possibilità e compatibilità generali dei vissuti. Fenomenologia statica e genetica, in Id., Metodo fenomenologico statico e genetico, a cura di M. Vergani, il Saggiatore, Milano 2003, pp. 65-76: p. 66 (ed. or., Ms. trans. B III 10, parti 4 e 5). 146. Ibidem.

117

cioè il rimosso? O lo scavo riguarda piuttosto la vita ante-predicativa del pensiero, che muove l’opera dell’affezione verso la sua esplicitazione? Il superamento fenomenologico del coscienzialismo avviene nella solidarietà tra logos e vita, con l’elaborazione della dimensione della Lebenswelt quale sfondo della coscienza costituente: come «questione filosofica universale», il mondo-dellavita è per Husserl il «dimenticato fondamento di senso della scienza naturale»147, che va piuttosto colto in una «intui­zione anticipatrice»148. Il fenomenologo osserva la realtà grazie a un «allargamento di orizzonte», necessario per «imparare a vedere»149: già nel primo volume delle Idee, la “svolta soggettiva” della modernità guadagna la riflessione sul darsi della realtà nella luce del senso, cioè sulla «costituzione dell’oggettività per la soggettività»150. Nella tensione tra scienza e vita, alcuni orientamenti di fine Ottocento specificano la questione moderna del soggetto 147. E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., pp. 7782 e 160-163. 148. Ivi, p. 162. 149. Idee I, p. 5. 150. Idee I, p. 202.

118

nella direzione dell’esperienza vissuta (si pensi a Dilthey, Bergson, Simmel, Brentano): una filosofia della vita che in Husserl assume il compito della descrizione-chiarificazione essenziale della rete di connessioni (Lebenszusammenhang) dell’esperienza. Che il fenomeno possa essere descritto non significa altro che esso appare in qualche modo – cioè che il suo darsi (Gegebenheit) avviene attraverso modi che è possibile descrivere (ac)cogliendo, attraverso la riduzione, la datità assoluta (absolute Gegebenheit, Selbstgegebenheit). L’analisi di tale accoglimento è uno dei nodi programmatici della fenomenologia. Nella Selbstgegebenheit, intesa come primato del darsi, è implicito un limite, che s’impone alla gradualità dello sguardo e dell’evidenza? Il principio di tutti i principi, formulato nel § 24 del primo volume delle Idee, sembra alludervi. Che la datità che si dà originalmente nell’intuizione “in carne e ossa” (leibhaften Wirklichkeit) debba essere accolta al modo della «ricettività» e sia «da assumere come si dà, ma anche soltanto nei limiti [Schranken] in cui si dà»151, non significa forse che non è possibile superare questi limiti? 151. Idee I, p. 53.

119

Che qualcosa si manifesti in quanto qualcosa, infatti, «significa eo ipso che qualcosa appare così e non piuttosto altri­menti»152. È stato osservato che già nello strato della sensibilità «vi sono sintesi che ci fanno vedere più di quanto vediamo effettivamente e di quanto ci è offerto dall’importo sensoriale»153. In tale dinamismo, entrano in gioco la pre-datità (Vorgegebenheit), il pre-riflessivo, la passiva arazionale attività, non ego-logica: Il soggetto è soggetto di un patire o di un agire, passivo o attivo […]. Abbiamo sul soggetto, “effetti” che promanano dagli oggetti. L’oggetto “s’impone al soggetto”, esercita su di esso certi stimoli, vuol essere oggetto di attenzione, batte alla porta della coscienza in un senso specifico (cioè alla coscienza implicita nel prestare attenzione), attrae; il soggetto viene attratto, finché finalmente l’oggetto è un oggetto di attenzione154.

152. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 42. 153. V. Costa, Psicologia fenomenologica. Forme dell’esperienza e strutture della mente, Morcelliana, Brescia 2018, p. 63. 154. Idee II, p. 223.

120

La coscienza è pertanto affetta dal costituirsi del senso, tanto quanto partecipa attivamente alla sua costituzione. Colta in questa prospettiva, la sua vita non è un regno di costante chiarezza: che cosa sono quell’implicito e quell’attrazione, che giungono progressivamente all’attenzione vigile? Se la descrizione dell’Erlebnis-Ich mostra l’opacità della coscienza, ciò tuttavia non inficia l’idea di un’unità di coscienza, che Husserl tiene sempre ferma (di qui l’integralità, di cui parlava Tymieniecka), contro la scissione del “prendere coscienza” o del “divenire coscienti”, che implicherebbe piuttosto un’origine inconscia, un emergere dall’inconscio. Al contrario, la coscienza non è un epifenomeno: conserva il suo primato nel superamento del coscienzialismo, senza cadere nel determinismo. Rispetto alla ricezione del pensiero di Husserl come coscienzialismo – si pensi ad esempio a Merleau-Ponty, secondo il quale l’analisi fenomenologica sarebbe «bloccata dalla cornice degli atti, impostole dalla filosofia della coscienza»155, 155. M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, tr. it. di A. Bonomi, a cura di M. Carbone, Bompiani, Milano 19932, p. 256 (ed. or., Le visible et l’invisible, Gallimard, Paris 1964).

121

ma si rammenti al contempo Husserl, che ammoniva quanti, a proposito della fenomenologia, credevano «di sapere già preliminarmente di che cosa si tratti»156 –, la ripresa degli studi sulla dimensione passiva documenta un rinnovato interesse sulla fenomenologia della vita e del vivente. Studiosi come N. Depraz e D. Zahavi pensano che qualificare la filosofia husserliana come un cartesianesimo superato da Heidegger prima, dall’ermeneutica e dal decostruttivismo poi, must be regarded as outdated, since it gives but a very partial and limited picture of Husserl’s thinking […]. As early as 1966, when volume XI, Analysen zur passive Synthesis, was published, it became quite apparent that Husserl was not at all preoccupied with analysing a pure active and spontaneous subjectivity. Quite to the contrary, the clarification of the depth-dimension of passive genesis was given an absolutely central importance157.

Ulteriori studi hanno contribuito all’approfondimento del pensiero di Husserl, liberato dallo ste156. E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., Appendice XIII, p. 461. 157. N. Depraz - D. Zahavi, Preface, in Iid. (eds.), Alterity and Facticity, cit., pp. 7-8: p. 7.

122

reotipo del soggettivismo e della single minded consciousness-philosophy di stampo moderno: His phenomenology has been generally regarded as a version of Cartesianism or consciousness-philosophy in the traditional sense, which amounts to the study of self-consciousness. His phenomenology of mood shows that Husserl understands, under the concept “consciousness” or “intentionality”, not only self-consciousness, but also other forms of consciousness which do not fall into the category of self-consciousness. His phenomenology is not be understood as a single-­minded consciousness-philosophy in the traditional sense158.

Le sintesi passive conducono il fenomenologo a investigare il nesso coscienza-inconscio come questione-limite159: limite, perché il terreno impervio così individuato è quello, paradossale e ossimorico, di una “coscienza inconscia”. Nel rapporto tra attività e passività,

158. N.-I. Lee, Edmund Husserl’s Phenomenology of Mood, in N. Depraz - D. Zahavi (eds.), Alterity and Facticity, cit., pp. 103-120: p. 117. 159. Cfr. E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie, cit.

123

la passività è ciò che è primo in sé, perché ogni attività presuppone per sua stessa essenza uno sfondo di passività e un’oggettualità in essa già precostitui­ta. Questo quindi vale anche per le operazioni spontanee del logos in senso proprio160.

C’è dunque un vivere non-conscio della coscienza. Coscienza-inconscio è un problema che Husserl ha considerato di confine (Randprobleme) e che gli specialisti hanno inserito nei Grenzprobleme della fenomenologia, nei quali la questione della costituzione è affrontata sia da un punto di vista statico, che genetico: Randprobleme stellen sich Husserl innerhalb der universalen transzendentalen Konstitutionsproblematik sowohl in der statischen als auch in der genetischen Phänomenologie, und so, dass es Übergange von der statischen in die genetische Fragestellung161.

Nel volume XLII della Husserliana sono stati raccolti materiali apparentemente eterogenei per forma e contenuto, in realtà afferenti all’idea 160. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi attiva, cit., p. 49. 161. R. Sowa - Th. Vongehr, Einleitung, in E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie, cit., pp. XIX-CXV: p. XXV.

124

del fluire di coscienza come dinamismo temporale composto tanto da forze affettive, pulsionali e istintive, quanto da una trama stratificata e sedimentata: per Husserl, infatti, «il tempo è un titolo per una sfera di problemi perfettamente delimitata e di eccezionale difficoltà»162. Egli respinge l’origine inconscia, dalla quale dovrebbe dipendere la costituzione temporale: ogni contenuto di coscienza è sempre originariamente conscio, nel senso che il dato originario è sempre l’ora attuale, puntuale. Così, l’uso in certo senso coscienzializzante della nozione di oggetto e della relazione oggettuale deve essere escluso, perché implica quell’immagine concettuale del divenir cosciente di un contenuto inconscio, di cui Husserl vuole mostrare l’incongruità163.

Coscienza-inconscio è una questione-limite riferibile ad almeno due snodi storico-teorici del pensiero contemporaneo: da un lato, il passaggio dalla questione dell’io all’io in questione, che dalla modernità giunge alla contempora162. Idee I, p. 203. 163. F.S. Trincia, Husserl, Freud e il problema dell’inconscio, Morcelliana, Brescia 2008, p. 69.

125

neità e alla postmodernità, dove la soggettività è un progetto di ricerca multi-disciplinare (come documentano le recenti ricerche neuroscientifiche sull’intenzionalità e sull’embodiment, che ribaltano l’antinaturalismo della fenomenologia); dall’altro lato, il rapporto stringente tra l’analisi della coscienza e l’analisi della psiche, cioè tra fenomenologia e psicologia, quest’ultima considerata soprattutto nella sua versione descrittiva. Secondo Husserl, è necessaria una epoché universale che includa qualsiasi aver-coscienza-del-mondo, operata la quale «lo psicologo è privato del terreno del mondo obiettivo. Dunque la psicologia pura si identifica in sé con la filosofia trascendentale; in quanto scienza della soggettività trascendentale. Ed è, questo, un punto ben fermo»164. Con ciò, è inevitabile «il definitivo accantonamento dell’ideale obiettivistico nella scienza dell’anima»165. Nella psicologia ottocentesca si era configurata una distinzione tra la psicologia esplicativa, fondata sulla fisiologia, e la psicologia descrittiva, una sorta di morfologia dei vissuti e delle loro 164. E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., p. 277. 165. Ivi, p. 276.

126

forme di interconnessione, che con Brentano e Husserl si è attestata come descrizione qualitativa dell’esperienza e delle sue caratteristiche strutturali invarianti. Come si ricordava, la psicologia di orientamento sensista, sperimentale e naturalista, che «non vuole più essere scienza dell’“anima”, ma dei “fenomeni psichici”»166, è in realtà per Husserl «psicologia senza coscienza»167: egli insiste sulla possibilità di ricondurre il sedimentato alla forma tetica, predicativa, comunicabile – ed è qui che si gioca il rapporto, nella differenza costitutiva, con il lavoro psicoanalitico. Oggi numerosi orientamenti, distinti per metodo e per statuto epistemologico, convergono nel registrare lo scarto tra l’esigenza epistemologica di chiarirecomprendere la coscienza e l’impossibilità di assolvere-ultimare un tale compito. Registrano cioè una zona d’ombra, non ulteriormente tematizzabile, che non si oppone alla coscienza, ma vi permane come sua parte integrante – come limite, oltre il quale l’analisi è preclusa. Non si tratta più, o soltanto, del “sospetto” sul166. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, cit., p. 39. 167. E. Husserl, Fenomenologia e psicologia, cit., p. 74.

127

la trasparenza della soggettività, del passaggio dal dubbio sulla cosa a quello sulla coscienza, ma dell’approfondimento dei segmenti opachi del suo stesso erleben. Nei Beiträge del 1922, Stein annotava: Il vivere mostra una diversità di tensione: posso rivolgermi con maggiore o minore intensità a un contenuto non-egologico, posso abbandonarmi a un vissuto egologico. Naturalmente l’intensità del vivere non può essere scambiata con l’intensità di contenuto. Le diversità di tensione del vivere non diminuiscono con il contrasto tra vissuti di primo piano e di sfondo (tra quelli che si presentano in modo distinto e appropriato e quelli secondari). Il vissuto di primo piano certamente richiede per sé una maggiore tensione rispetto al vissuto di sfondo, ma permette ancora molte e svariate gradazioni […]. Le differenze di chiarezza della coscienza corrispondono a gradi differenti della tensione del vivere168.

Stein sembra dunque d’accordo con Husserl, nel pensare il non-conscio come un modo della coscienza: un orizzonte secondario, indiretto e implicito. Ciò che si trova in primo piano viene tematizzato dall’io, mentre qualcos’altro rima168. E. Stein, Psicologia e scienze dello spirito, cit., p. 53.

128

ne sullo sfondo, non muove l’io all’attenzione o alla risposta, secondo una diversa gradualità coscienziale che può anche essere pari a zero. In nessun punto del flusso di coscienza «la nascita di una fase dall’altra può essere considerato un essere causato: una emerge dall’altra e il donde originario rimane nell’oscurità»169. Del resto, come s’è detto, il manoscritto husserliano delle lezioni sul tempo risalenti al febbraio 1905, insieme a numerosi altri appunti in caratteri stenografici databili sino al 1911 circa, erano a disposizione di Stein, che fu assistente di Husserl a Friburgo per un paio di anni, dal 1916 al 1918, e che li ordinò con straordinaria intelligenza, sorprendente efficienza e dedizione ammirevole, preoccupandosi anche di “elaborarne” alcuni, in vista di una possibile pubblicazione. Se e in che misura Husserl avesse dato in proposito alla sua collaboratrice compiti determinati, indicazioni precise, oppure ampi poteri e libertà discrezionali, non è facile stabilire oggi. Tuttavia, accanto ai manoscritti qui riportati e a sparse note di Husserl, a rivelarci molto bene la qualità di quella collaborazione sono le lettere che E. Stein scrisse in quegli an169. Ivi, p. 45.

129

ni a Roman Ingarden, al quale si può ben essere grati di averne pubblicato importanti estratti170.

Secondo Stein, dunque, i dati non-egologici s’impongono in modo indiretto alla coscienza, come vissuti di sfondo, non-consci. Ora, se la questione del divenire cosciente affiora in ogni caso sull’evidenza della coscienza, lo studio dei vissuti secondari rileva la possibilità o l’impossibilità, per l’analisi fenomenologica, di pervenire a un chiarimento descrittivo ultimativo? E inoltre: il rapporto tra conscio e non-conscio si configura analogamente o difformemente rispetto al convincimento psicoanalitico, secondo il quale l’Es (inconscio) deve divenire Io (conscio)? Sappiamo che per Freud il processo di rimozione non consiste nel sopprimere un’idea che rappresenta una pulsione, ma nell’impedirle di diventare cosciente (in questo caso, si dice appunto che è inconscia): l’Es, pronome neutro della terza persona, è lo «psichico reale»171 an170. R. Boehm, Introduzione, in E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., pp. 1336: pp. 17-18. 171. S. Freud, L’Io e l’Es, tr. it. di C.L. Musatti, in Id., L’Io e l’Es e altri scritti (1917-1923), in Opere, dir. C.L. Musatti,

130

che da un punto di vista fisiologico, naturalistico-causale; sappiamo, altresì, che egli pensa la terapia psicoanalitica analoga al lavoro del chimico in laboratorio172. Poiché i dati della coscienza presentano lacune, esigere che gli accadimenti psichici debbano a ogni costo essere noti alla coscienza è una pretesa destinata a fallire, perché tutti gli atti e le manifestazioni che osservo in me e che non so come collegare con il resto della mia vita psichica devono essere giudicati come se appartenessero a qualcun altro […]. Qui la nostra ricerca urta contro un particolare ostacolo che la fa deviare dalla nostra persona, impedendole di conoscerla esattamente173.

Potremmo dire che l’inconscio è l’altro nell’io, è lo straniero che ci abita: come è stato osservato, vol. 9, Boringhieri, Torino 1977, pp. 475-520: p. 493 (ed. or., Das Ich und das Es, Internationaler Psychoanalytischer, Leipzig-Wien-Zürich 1923). 172. Cfr. S. Freud, Vie della terapia psicoanalitica, tr. it. di A.M. Marietti, in Id., L’Io e L’Es e altri scritti, cit., pp. 1928 (ed. or., Wege der psychoanalytischen Therapie, in «Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse», V, H. 2, 1919, pp. 61-68). 173. S. Freud, L’inconscio, cit., p. 53.

131

per riconoscere la sua presenza “dentro” di noi occorre assumere nei propri stessi confronti la posizione – tra fiduciosa e scettica – che assumiamo verso la mente degli altri. La psicoanalisi è fin dall’inizio una pratica in qualche modo innaturale e sospettosa, perché chiede a ciascuno di noi di considerarsi dall’esterno, di vedere se stessi come se si vedesse un estraneo, un’altra persona174.

Secondo Husserl, l’errore della psicologia del profondo consiste nell’assolutizzare l’inconscio, o meglio nell’isolare la vita non-conscia tralasciando l’analisi della coscienza, producendo in tal modo un dualismo contrastivo senza soluzione. È ancora Ricoeur a suggerire un’acuta lettura della controversia: «Mentre l’epoché husserliana è una riduzione alla coscienza, l’epoché freudiana si presenta come una riduzione della coscienza; è per questo motivo che parliamo di epoché rovesciata»175. Il problema BewusstseinBewusstwerden è discusso da Husserl attraverso l’idea di una teleologia immanente, che capovolge la posizione freudiana: non il “divenire cosciente” come punto di approdo dell’analisi,

174. F. Cimatti, L’inconscio, 100 anni dopo, cit., p. 40. 175. P. Ricoeur, Della interpretazione, cit., p. 141.

132

ma l’indagine dell’erleben coscienziale, l’epistemologia analitica dei vissuti, svolta la quale può poi porsi il problema dell’inconscio. È il primato della vita di coscienza: leben ist erleben. «Ho scelto di iniziare dalla assoluta povertà di conoscenze»176: Husserl sceglie il puro vivere, svuotato di ogni posizione tetica, come cominciamento assoluto del filosofare. Stein lo segue, parlando di un avvertire marginale, anzi distinguendo un esperire coscienziale centrale da uno periferico: L’attenzione “centrale” dell’io al proprio tema e l’avvertire “periferico” sono modalità diverse di coscienza. Questa contrapposizione di “centro” e “periferia” non indica alcuna estensione, alcuna spazialità dell’io stesso. Può essere inteso ancora, in certo qual modo, come puntiforme, come “il punto” da cui partono i “raggi” della coscienza orientati in diverse direzioni. Husserl ha indicato il soggetto degli atti, ciò da cui si irradia tutta la vita della coscienza, come “io puro”, e lo ha caratterizzato come puntiforme. Esso è privo di estensione, di qualità, di sostanza177.

176. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 38. 177. E. Stein, La struttura della persona umana, cit., p. 118.

133

Rispetto a Husserl, Stein accentua una nota antropologico-personalistica che è sua tipica, quando parla dell’io psichico come seelisches ich, io-anima. Passa cioè dall’analisi del nodo centro-periferia a quello, per lei più rilevante, superficie-profondità: Se però pensiamo a ciò che sta “al fondo dell’anima”, allora non ci basta questa descrizione […]. Nel nostro contesto è importante il contrasto tra “superficie” e “profondità”. Non è più qualcosa che si colloca nel mondo oggettivo, è qualcosa “in me stesso”; viene indicata in quel modo una “spazialità interiore”. “In me”, a questo punto dirò, meglio, “nella mia anima”. La mia anima ha estensione e profondità, può essere riempita da qualcosa, qualcosa può penetrare in essa. In essa io sono a casa mia, in modo totalmente diverso da come lo sono nel mio corpo vivente178.

Ci si può ulteriormente chiedere se la psicoanalisi sia una sorta di anti-fenomenologia, nel senso che, «analogamente a come Freud presenta l’inconscio quale principale shibboleth della psicoanalisi, si potrebbe caratterizzare anche l’intenzionalità come shibboleth della fenomenolo­

178. Ivi, pp. 118-119.

134

gia»179. Le nozioni di fenomeno e di inconscio si escludono a vicenda, essendo l’inconscio inaccessibile all’analisi fenomenologica; d’altra parte, la disciplina che descrive il non manifesto, la psicoanalisi, appunto, è un procedimento (Verfahren) che esamina quei processi psichici ai quali è impossibile accedere in altro modo; è un metodo terapeutico (Behandlungsmethode) dei disturbi isterici e nevrotici, fondato su tale esame; ed è infine un insieme di conoscenze (Einsichten) psicologiche. Indicando la centralità della coscienza – o meglio, della «coscienza di qualche cosa [Bewusstsein von Etwas]»180 –, la fenomenologia sarebbe messa in crisi dall’emergere di eventi inconsci, la cui latenza sembrerebbe inficiare il suo compito filosofico: la fondazione di una teoria radicale dell’esperienza quale scienza della conoscenza (Erkenntnistheorie), metodologicamente intesa come analisi dei vissuti intenzionali puri. Si potrebbe rimarcare, con Waldenfels, che con intenzionalità si dice che «qualcosa si mostra in quanto [als] qualcosa […]. La formula qualcosa 179. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., p. 39. 180. Idee I, p. 209.

135

in quanto qualcosa significa che un qualcosa (di reale, possibile o anche impossibile) è legato e al tempo stesso distinto rispetto a qualcos’altro (un senso, un significato)»181. Qualcosa si dà in quanto tale a qualcuno, e tale manifestarsi non è invano, non è neutrale – non è senza motivo. Nel § 84 del primo volume delle Idee, Husserl afferma che l’intenzionalità è la principale e più importante questione della fenomenologia e, nel corso degli anni Cinquanta, Paci glossava: Tenersi alla coscienza sveglia, all’intenzionalità della verità, alla ragione che supera sempre se stessa. Ma la ragione non è una parola o un insieme di operazioni meccaniche inconsapevoli. È la vita stessa, è il logos. L’intenzionalità è il logos che vive. Pericolo di uccidere la vita della logica nella formalizzazione, nel logicismo. Il logos come continuarsi della vita, oltre tutto, nonostante tutto […]. Noi viviamo anche il dato non attuale. Percepiamo il non percepibile. La fenomenologia tende ad avvicinare ciò che è vero a ciò che è vivo. La convergenza intenzionale della vita e della verità è probabilmente il senso più profondo dell’intenzionalità husserliana. Vivere la no-

181. B. Waldenfels, Fenomenologia dell’estraneo, cit., pp. 39-40.

136

stra vita scoprendo, in essa, l’esperienza del vero, dell’essenziale, è un modo di vivere che si fonda sul tempo182.

L’interrogazione a ritroso (Rückfrage) rileva che, se nella genesi attiva l’io ha la funzione della produzione costitutiva, ogni costrutto dell’attività presuppone sempre un già-dato, una predatità, quindi una a-razionale passività ascritta a un io anonimo, a un pre-io (Vor-Ich). Intorno agli anni Venti, Husserl elabora l’intreccio tra il metodo fenomenologico statico – che concerne l’analisi dei dati di coscienza puri, il soggetto attuale, originario – e quello genetico – l’analisi della temporalità nell’intuizione e nella conoscenza, la genesi del soggetto stesso. Nei suoi scritti si registrano riprese, rilanci e continui approfondimenti nella direzione del senso genetico della costituzione fenomenologica: cioè il rapporto, in essa, di logos e pathos, con l’accento posto sulla dimensione corporeo-vivente, la quale documenta come il pathos sia all’opera nel logos stesso. L’atto, che è l’oggetto di studio della fenomenologia statica, viene ora posto all’interno del suo orizzonte temporale, rivelan-

182. E. Paci, Diario fenomenologico, cit., p. 17 e p. 56.

137

dosi portatore di una storia di senso sedimentata, che l’analisi genetica deve dispiegare. Se la relazione di fondazione statica è dell’ordine della validità, la fondazione genetica è dell’ordine temporale della motivazione: ciò significa che la fenomenologia genetica si occupa del divenire nel flusso temporale e delle motivazioni che operano in questo flusso. Indagando l’emergere di unità sensibili situate tra l’egologico e il non egologico, nel § 33 delle Lezioni sulla sintesi passiva Husserl annota: «A tutte queste considerazioni che stiamo conducendo può anche essere dato un titolo famoso: quello di “inconscio”. Si tratta dunque di una fenomenologia di questo cosiddetto inconscio»183. Nell’esame dei processi che dall’esperienza ante-predicativa giungono agli enunciati logicopredicativi, Husserl lavora su quelle sintesi, che in qualche modo anticipano il volgersi attivo e tematico dell’io. Prendendo le distanze dall’io presente, Unbewusst-sein è ciò che retrocede, si allontana, si sottrae all’attualità del conscio. Sebbene la passività sia una latenza pre-riflessiva,

183. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., pp. 248249.

138

la dizione fenomenologia dell’inconscio è un’espressione ossimorica rispetto a fenomenologia del non-conscio. La formulazione della genesi passiva, che richiama l’inconscio freudiano in modo problematico, implica non solo l’idea della stratificazione della coscienza, ma la possibilità del rilievo di questi diversi livelli, tra loro legati da forme di associazione – di somiglianza, di contrasto, di contiguità, di difformità –, cioè da una inter-connessione (Zusammenhang). Facendo leva sull’idea di limite, Ricoeur osserva: La genesi passiva, il senso che si avvera senza di me, sono cose di cui la fenomenologia parla, ma che la psicoanalisi mostra […]. La fenomenologia non raggiunge la psicoanalisi ma ne offre solo, con uno scarto impalpabile, una sorta di comprensione al limite184.

Eppure, lo stesso Husserl aveva riconosciuto che la coscienza è un enigma, anzi «l’enigma [Rätsel] di tutti gli enigmi»185. Ogni inizio rimanderebbe dunque a un pre-inizio (Vor-Anfang), a una storia anteriore, antici184. P. Ricouer, Della interpretazione, cit., pp. 415 e 423. 185. E. Husserl, Logik und allgemeine Wissenschaftstheorie, cit., p. 341.

139

pata? Il primum, da cui l’analisi prende l’abbrivio, è sempre e ininterrottamente in corso di genetica costituzione? Ma questo significherebbe che «tutta la fenomenologia è un cammino verso il punto di partenza»186. Potremmo allora concludere che il suo destino sia un regresso all’infinito, o anche, capovolgendo i termini, un progressus in-definito? Secondo Husserl, la coscienza è «un divenire incessante, in quanto è una costituzione incessante di obiettività nel progressus incessante della successione dei livelli. È una storia (Geschichte) mai interrotta. E la storia è una costituzione stratificata di formazioni di senso sempre più alte, dominata da una teleologia immanente»187. La vita scorre-fluisce come processo motivato di peculiari operazioni costitutive, che secondo le legalità universali della genesi formano l’unità della genesi universale dell’ego: «L’ego si costituisce per se stesso, nell’unità di una storia»188. Potremmo dunque seguire il fenomenologo, nel rilevare che tali rimandi conducano teleologica186. P. Ricouer, Della interpretazione, cit., p. 411. 187. E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 324. 188. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 100.

140

mente a una fondazione originaria (Urstiftung), orientata all’universale valido, vero, compiuto: «Se la filosofia deve assolvere la sua missione originaria di scienza definitivamente fondante, come può lasciare questo regno immerso nella sua “anonimia”?»189. Sebbene la genesi all’interno della costituzione del mondo pre-dato presupponga sempre l’istinto (Instinkt), Husserl pensa che ogni pulsione (Trieb) manifesti un telos, perché tende verso un “orizzonte”; pensa anche che i vari “lati” della cosa data si connettano «in un progressivo arricchimento di senso e in una progressiva formazione di senso»190. Pertanto, come ha giustamente osservato E. Fink nell’Appendice XXI della Crisi, il problema dell’inconscio può essere posto «soltanto dopo un’esplicita analitica della coscienza»191, e non viceversa. Vi sono diversi livelli di consapevolezza e al non-conscio si può ascrivere, insieme a Stein, il senso del-

189. E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., p. 142. 190. Ivi, p. 186. 191. E. Fink, Appendice XXI (al § 46) sul problema dell’«inconscio», in E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., pp. 498-500: p. 500.

141

l’«avvertire periferico»192; inoltre, ogni donazione ha un inizio pre-costitutivo: una storia. La condizione di possibilità della simultaneità di molteplici vissuti nell’unità (Einheit) di un medesimo flusso di coscienza è il divenire temporale, che assume la forma di un continuum tra le diverse componenti della corrente di vissuti (Erlebnisstrom, Bewußtseinsstrom, Lebensstrom): la temporalità è infatti «la forma originaria della coscienza»193. Tale continuità nel tempo, tuttavia, non è lineare nel senso della successione o dell’avvicendamento, perché l’esperienza del passato – sia essa custodita nel ricordo, ritenuta o rimossa – agisce nel presente ed è protesa nel futuro. Se nel rimemorare è in gioco la presentificazione, nella ritenzione il passato è in certo qual modo trattenuto nel presente: una sorta di prolungamento della percezione, nella quale il ritenuto conserva l’evidenza di ciò che è dato “in carne e ossa”. Alle spalle del fenomeno intuito in modo diretto e immediato, vi sarebbero sintesi di natura temporale (ritenzioni, protensioni, rimemorazioni): 192. E. Stein, La struttura della persona umana, cit., p. 118. 193. Idee I, p. 206.

142

la coscienza è un fluire diveniente, una storia “continua”, mai interrotta, orientata a un telos. S’è detto che la fenomenologia della non-coscienza s’inscrive nell’alveo di quelle questionilimite, che si sottraggono all’analisi descrittiva, venendo in tal modo condotta su un territorio accidentato. Nel secondo volume delle Idee, considerando il problema della costituzione della realtà psichica attraverso il corpo vivo e le sensazioni localizzate, Husserl ha evidenziato la duplicità tra il momento noetico intenzionale e quello hyletico materiale: la coscienza è legata al Leib attraverso la sua «base hyletica»194. La passività si presenta quindi come struttura corporeo-vivente dell’attività di coscienza: un tendere-verso che precede il rimando intenzionale-riflessivo, anticipandolo. A proposito del darsi leibhaftig, Zahavi annota: In contrast to various kinds of presentiating (vergegenwärtigende) acts, such as recollection, fantasy or empathy, perception is characterized by bringing its objects to an originary kind of presentation. That which appears in perception is given leibhaftig, and it is exactly this feature which

194. Idee II, p. 155.

143

Husserl is focusing upon when he discusses pre-­ reflective self-awareness […]. I can thematize myself, because I am already passively self-aware, I can grasp myself, because I am already affected by myself. This basic self-affection is not the result of an intentional activity, is not something initiated, controlled or chosen by me, but a given state of pure passivity195.

D. Moran196 ha osservato che, negli scritti maturi di Husserl, l’intenzionalità è incarnata (embodi­ ed), cioè più adeguatamente compresa come modalità nella quale i soggetti (embodied human agents) si orientano e agiscono nel mondo quale insieme di affordances, possibilità, orizzonti. A suo giudizio, il modulo corporeo-vivente della donazione e l’apprensione ne costituiscono la base: «Leben ist erleben, as Husserl says. To live is to live through experiences»197. A. Ales Bello 195. D. Zahavi, Self-awareness and Affection, cit., pp. 208210. 196. Cfr. D. Moran, Husserl on Human Subjects as SenseGivers and Sense-Apprehenders in a Word of Significance, in «Discipline filosofiche», XXV, n. 2, 2015 (A partire da Husserl. Figure, funzioni e critica della soggettività, a cura di E. Mariani), pp. 9-33. 197. Ivi, p. 13.

144

ha interpretato la nozione di corpo vissuto come crocevia tra sensi esterni e interni, i quali hanno una comune base hyletica formata da due poli, uno egologico e l’altro non-egologico, costituenti il sostrato dell’intera vita di coscienza: La sfera hyletica che caratterizza il corpo proprio ci fa capire che si tratta di un corpo vivente, in quanto senziente, e ci fa anche cogliere il suo essere un crocevia tra interiorità ed esteriorità, grazie al suo essere “diverso” dalle altre cose materiali, perché la sensibilità agli stimoli è una qualità reale che ha una fonte diversa dalle qualità estensive della cosa, e questa è la materia per la psiche che registra stati d’animo, sviluppati successivamente in sentimenti; si può dire, pertanto, che non solo la psiche si esprime attraverso il corpo, ma che la psiche ha un corpo proprio198.

Nel § 39 di Idee II, l’elemento hyletico sembrerebbe quasi prevalere su quello noetico: con ciò – oltre a prefigurare il tema che nell’area delle cognitive sciences è oggi noto come embodi­

198. A. Ales Bello, Coscienza, Io, Mondo. La fenomenologia di Edmund Husserl, in A. Ales Bello - P. Manganaro (a cura di), … e la coscienza? Fenomenologia, Psico-patologia, Neuroscienze, G. Laterza, Bari 2012, pp. 101-240: p. 212.

145

ment –, Husserl esplicitava un’aporia, se confrontata con l’affermazione perentoria di Idee I: La corrente dell’essere fenomenologico ha uno strato materiale e uno noetico. Le considerazioni e le analisi fenomenologiche, dirette specialmente all’elemento materiale, possono essere dette iletico-fenomenologiche, mentre quelle relative ai momenti noetici, noetico-fenomenologiche. Le analisi incomparabilmente più importanti e più ricche stanno dalla parte noetica199.

Noetica o hyletica? Il primato della noetica per una scienza pura della coscienza è ribadito da Husserl anche in un testo del 1917: Il cogito dice “io sono cosciente”, indica dunque nell’ampiezza della concezione cartesiana l’“io sono affetto” (ad esempio in termini sensibili), “io sono passivamente tetico [tätig-passiv] essendo rivolto, cedendo alla spinta dell’affezione”, ma anche “io sono spontaneamente tetico [tätig-­ spontan], “io collego, io riferisco”, “io penso”. Si vede qui che la riflessione dell’io, quella noetica, è decisiva per la definizione della scienza della coscienza pura200.

199. Idee I, p. 217. 200. E. Husserl, Fenomenologia e psicologia, cit., p. 70.

146

Husserl tematizza la legittimità di una fenomenologia hyletica, lavorando sullo statuto fenomenologico degli strati hyletici del vissuto, che indicano il momento materiale reale, distinto da quello propriamente intenzionale (morphé) il quale, come scrive, «li anima, conferisce il senso»201. I problemi generati da questa distinzione sono aporetici, poiché l’elemento sensoriale «non ha in sé alcuna intenzionalità»202: si tratta, infatti, della «mirabile duplicità e unità di hyle sensoriale e di morphé intenzionale»203. Duplicità e unità che saranno anche “mirabili”, ma danno (almeno parzialmente) ragione a Ricoeur, quando rileva che la domanda sulla coscienza rimane oscura, quanto quella sull’inconscio: lo dimostra la stessa storia della psicoanalisi, che ha conosciuto articolazioni diverse e per certi versi contrastanti con il pensiero del suo fondatore, fino alla recente neuropsicoanalisi, disciplina che studia il rapporto tra la mente e il sistema cerebrale. Ma come integrare elementi oggettivi (meccanismi fisiologici, reti 201. Idee I, p. 213. 202. Ibidem. 203. Idee I, p. 214.

147

neurali) con quelli soggettivi, provenienti dal cosiddetto inner world? È necessario un chiarimento sul piano epistemologico e metodologico: gli studiosi risolvono il problema con una disinvolta manovra di ricomposizione delle diverse prospettive di osservazione, argomentando che la psicoanalisi consente soltanto l’accesso ai funzionamenti interni dell’apparato mentale, e che tali funzionamenti non possono essere studiati dal punto di vista oggettivo. Un’insufficienza metodologica, cui sopperirebbero i dati sperimentali delle neuroscienze: Vengono qui toccati argomenti che riguardano l’autentica essenza della soggettività umana, della coscienza e del Sé [the very basis of subjectivity, consciousness and self]. Se ne ricava l’impressione che la neuropsicoanalisi si stia preparando a spiccare il volo, ma si appresti a farlo rimanendo, necessariamente, fermamente radicata su ciò che è dimostrabile e controllabile, permettendoci di avvicinarci di più, e con nuovi metodi, alla questione più antica e fondamentale di tutte: la relazione misteriosa tra corpo e mente [the misterious relation of body and mind]204. 204. O. Sacks, Prefazione, in M. Solms - O. Turnbull, Il cervello e il mondo interno. Introduzione alle neuroscien-

148

Solms e Turnbull utilizzano il termine mente (Mind) come sinonimo di psiche (Psyche) e, talvolta, anche di coscienza (Awareness), senza operare le necessarie distinzioni qualitative: la questione dell’esperienza interna o soggettiva (subjective experience) viene tradotta in un problema scientifico, e risolta chiedendo quali siano “esattamente” i meccanismi neurali che generano la consapevolezza di noi stessi. Ma non si può eludere una questione che per Husserl è da tenere ben ferma: «la natura è oggetto della scienza della natura, i fenomeni sono oggetto della fenomenologia»205. L’approfondimento del senso genetico della costituzione fenomenologica pone l’accento sulla sfera corporeo-vivente. Nel dibattito sorto intorno alla natura della mente, sulle sue basi neurofisiologiche e biologiche, considerate alla stregua di un sostrato sub-personale, inconscio e automatico, si è registrata la ripresa dell’idea ze dell’esperienza soggettiva, tr. it. di A. Clarici, Cortina, Milano 2004, pp. IX-XV: p. XV (ed. or., Foreword, in M. Solms - O. Turnbull, The Brain and the Inner World. An Introduction to the Neuroscience of Subjective Experience, Routledge, London 20022). 205. E. Husserl, Fenomenologia e psicologia, cit., p. 52.

149

fenomenologica di Leib, sussunta nel paradigma epistemologico dell’embodied cognition or simulation206. Con la scoperta del ruolo che i sistemi sensori-motori svolgono nella cognizione, l’indagine sulla consapevolezza del corpo nello spazio avrebbe ormai superato la dicotomia tra lo schema corporeo – body schema, la mappa corporea inconscia (unconscious body map) – e l’immagine corporea – body image, la percezione conscia di sé. Secondo Gallese, The dichotomy between the unconscious and the conscious dimensions provides the coordinates still in use in the current literature to characterize how the brain maps our body. This dichotomy, however, seems to presuppose a clear-cut division of labor between neural system operating below and above the level of consciousness. This distinction might turn to be over simplistic207.

Il problema difficile (hard problem) della coscienza è stato posto in termini di embodied Mind, in connessione con le mappe neurofisiologiche e con i risultati sperimentali delle cogni206. Cfr. V. Gallese, Embodied Simulation. From Neurons to Phenomenal Experience, in «Phenomenology and the Cognitive Sciences», n. 4, 2005, pp. 23-48. 207. Ivi, p. 24.

150

tive sciences, denominati rispettivamente simulation theory, mindreading, mentalizing, action theory, il cui riferimento comune è il meccanismo “come-se” di immedesimazione. Il cambiamento di paradigma che soltanto qualche decennio fa si profilava all’orizzonte della ricerca neuroscientifica sul mind-body problem è ormai in atto: sono stati individuati livelli interagenti tra l’esperienza in prima e in terza persona della realtà, secondo i quali il piano automatico e inconscio costituirebbe la base neurofisiologica, esplicativa della possibilità dell’esperienza cosciente208. Ma la fenomenologia è una filosofia che investiga dalla prospettiva della prima persona, e l’oltre fenomenologico delle scienze naturali consiste nello sguardo metodologicamente non-oggettivante sul corpo-soggetto, come ci ricorda Merleau-Ponty, uno dei fenomenologi più citati dai neuroscienziati: L’esperienza del corpo proprio ci rivela un modo d’esistenza ambiguo. Se tento di pensarlo come un fascio di processi in terza persona – “vista”, 208. Cfr. G. Rizzolatti - C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano 2006; Iid., Specchi nel cervello. Come comprendiamo gli altri dall’interno, Cortina, Milano 2019.

151

“motilità”, “sessualità” – mi accorgo che queste “funzioni” non possono essere collegate tra di esse e al mondo esterno da rapporti di causalità, ma sono tutte confusamente riprese e coinvolte in un dramma unico. Il corpo non è quindi un oggetto. Per lo stesso motivo, la coscienza che io ne ho non è un pensiero, vale a dire che non posso scomporlo e ricomporlo per formarne un’idea chiara. Sia che si tratti del corpo altrui o del mio proprio corpo, ho un solo modo di conoscere il corpo umano: viverlo, e cioè far mio il dramma che lo attraversa209.

Siamo dunque tornati al punto dal quale eravamo partiti, avendo intrapreso un percorso circolare intorno ad alcune questioni, che fanno di Husserl e Stein interlocutori privilegiati, se l’esperienza del mondo non è una mera registrazione cumulativa di dati fisiologici e sensazioni organiche, ma un dinamismo di ri-creazione generativa, un moto nel quale ciò che è misurabile perde ogni efficacia e pregnanza. Lo sanno bene anche le Medical Humanities: «Il processo vitale [Lebensvorgang] non fa i conti coi numeri»210. 209. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., pp. 270-271. 210. V. von Weizsäcker, Sull’antropologia medica, in Id., Antropologia medica, tr. it. e cura di O. Tolone, Morcel-

152

Lo studio della coscienza corporea è stato qui introdotto anche per sollecitare alcuni spunti costruttivi rispetto alle sfide del “post-umano” e alle varie crisi del soggetto che, nella tensione irrisolta tra antropologia e scienze naturali, postulerebbero la fine dell’eccezione umana211. Pur destinandoli a futuri lavori, li accenniamo in forma interrogativa: quale fisionomia si configura nell’antropologia medica, nella medicina narrativa e nella psicopatologia, se si tiene fermo il radicale antinaturalismo (Unnatürlichkeit), che non può pensare la coscienza indipendentemente dal tempo vissuto? Come inserire in modo proficuo l’approccio fenomenologico nell’odierna indagine epistemologica sulle scienze e sulle tecniche, anche terapeutiche? Per l’analisi della psiche, quale risorsa emerge dalla messa tra parentesi fenomenologica dell’ordinamento nosologico e della preoccupazione eziopatogenetica? Husserl parla di Urimpression e di sintesi passive, Stein di vissuti periferici di sfondo: al centro liana, Brescia 2017, pp. 29-60: p. 52 (ed. or., Über medizinische Anthropologie, in «Philosophischer Anzeiger», II, n. 2, 1927, pp. 236-254). 211. Cfr. G. Canobbio, Fine dell’eccezione umana? La sfida delle scienze all’antropologia, Morcelliana, Brescia 2018.

153

della loro riflessione stanno le ragioni del Leib e/o la base hyletica del logos. Ragioni: perché la soggettività è tematizzata «dall’interno di una condizione di interessamento pre-categoriale, coincidente con il riconoscimento non tematizzabile dell’essere soggetti»212. Leib: perché «bisogna sentire la soggettività, per apprezzare il suo imporsi come problema»213. È il punto più alto e insieme più delicato della teoria fenomenologica della coscienza corporeo-vivente: come il funambolo, in bilico sul precipizio-orizzonte, il fenomenologo stringe l’esercizio del pensiero sul limite come senso, più che sul senso del limite214. E così non inciampa.

212. F.S. Trincia, Husserl, Freud e il problema dell’inconscio, cit., p. 9. 213. Ivi, p. 8. 214. Cfr. K. Jaspers, Psicopatologia generale, tr. it. di R. Prio­ ri, Il Pensiero Scientifico, Roma 20005 (ed. or., Allgemeine Psychopathologie, Springer, Berlin 1913); Id., Il medico nell’età della tecnica, tr. it. di M. Nobile, Cortina, Milano 1991 (ed. or., Der Arzt im technischen Zeitalter. Technik und Medizin. Arzt und Patient. Kritik der Psychotherapie, Piper, München 1986).

Indice

I.  Status quaestionis 1. Logos e Leib. Fenomenologia della coscienza corporeo-vivente

p. 9

II.  Edmund Husserl, Edith Stein, & gli     altri 1. L’intenzionalità tra fenomenologia e linguaggio: Einfühlung e mindbody problem

p. 31

2. Questioni di metodo: fenomenologia dell’esperienza interna versus psicologia senza coscienza

p. 64

3. Coscienza versus coscienzialismo: conscio, non-conscio, inconscio

p. 99

Patrizia Manganaro è Docente ordinario di Storia della filosofia contemporanea e Direttrice dell’Area Internazionale di Ricerca “Edith Stein e il pensiero contemporaneo” presso l’Università Lateranense di Roma. Ha partecipato a numerosi convegni nazionali e internazionali. Tra le sue pubblicazioni: Pensiero e parola. Forme razionali nella filosofia del linguaggio (Roma 2008); Empatia (Padova 2014); Persona-logos. La sintesi filosofico-teologica in Edith Stein (Roma 2015); Narcisismo. Tre riflessioni liquide (Padova 2016); Fenomenologia da Relaçao. A Pessoa Humana em Edith Stein (Curitiba 2016); Formare e tras-formare l’uomo. Per una storia della filosofia come paideia (Pisa 2017); Logos & Pathos. Epistemologie contemporanee a confronto (Roma 2017); Maestri perché testimoni. Pensare il futuro con John Henry Newman e Edith Stein (Roma 2017); Empatia e creatività. Personale, impersonale, interpersonale (Padova 2020).

Umweg Collana di Filosofia Contemporanea Diretta da: Federica Buongiorno, Roberto Esposito, Libera Pisano e Christoph Wulf

1. Antonio Lucci, Umano Post Umano. 2. Andreas Arndt, Immediatezza. 3. Peter Trawny, Medium e rivoluzione. 4. Luca Viglialoro, Arte e negazione. Sull’estetica di Schopenhauer. 5. Peter Sloterdijk, Negare il mondo? Sullo spirito dell’India e la gnosi occidentale. 6. Juliane Rebentisch, La moralità dell’ironia. Hegel e la modernità. 7. Ferdinand Fellmann, Fenomenologia ed espressionismo. 8.  Francesco Saverio Trincia, Per una fenomenologia della passività. Osservazioni comparative su logica e fondazione passiva in Husserl.

9. Paola-Ludovika Coriando, Metafisica e ontologia nella filosofia occidentale e buddista. 10. Bernhard Irrgang, Introduzione alla filosofia della tecnica. Una prospettiva fenomenologico-­ evoluzionistica. 11. Patrizia Manganaro, Corpi soggetti. Edmund Husserl, Edith Stein, & gli altri.

Umweg Come leggere il legame del corpo a un principio vitale che chiamiamo io, consapevole di sé e degli altri? Il libro presenta alcuni nodi teorici della filosofia contemporanea – fenomenologia e linguaggio, atti di coscienza e atti di lingua, intenzionalità e performatività – e una questione dirimente, inserita sotto il titolo embodiment – le teorie incorporate della mente elaborate dalle neuroscienze, il ruolo del corpo vivo nella cognizione sociale e nel sistema mirror –, ma la cui origine risale alle ricerche fenomenologiche di Husserl: “L’intera coscienza di un uomo è in certo qual modo legata al suo corpo vivo, attraverso la sua base hyletica”. Gli altri sono qui evocati in un duplice rimando, storico-teorico e multidisciplinare: l’analisi dell’esperienza estranea, dei corpi-soggetti o altri io, che per Husserl e Stein risponde all’obiezione del solus ipse e rimanda alla coscienza corporeo-vivente, non viene studiata isolando i risultati conseguiti dalla fenomenologia, che pure sono ritenuti validi, ma inserita nel confronto con alcuni procedimenti metodologici del pensiero contemporaneo, altri dalla fenomenologia – filosofia del linguaggio, Philosophy of Mind, neuroscienze, psicologia, psicoanalisi.

ISBN ebook 9788855292375 € 7,00

Collana diretta da Federica Buongiorno Roberto Esposito Libera Pisano Christoph Wulf ISSN: 2499-6041