Compendio dei miracoli di Gesù 0302306925, 0302306932, 9788839901194

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Compendio dei miracoli di Gesù
 0302306925, 0302306932, 9788839901194

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RUBEN ZIMMERMANN

(ed.)

COMPENDIO

DEI

MIRACOLI

DI

GESÙ

in collaborazione con DETLEV DoRMEYER

J umTH HARTENSTEIN - CHRISTIAN M ùNCH ENNO EoZARD PoPKES - UTA PoPLUTZ

Redazione a cura di SusANNE LuTHER e j6RG RoDER Edizione italiana a cura di FLAVIO DALLA VECCHIA

QUERINIANA

Titolo originale: Ruben Zimmermann (ed.),

Kompendium derfriihchristlichen Wundererziihlungen,

l:

Die Wunder jesu,

in Zusammenarbeit mit Detlev Dormeyer, Judith Hartenstein, Christian Miinch, Enno Edzard Popkes, Uta Poplutz ©

2013 by Giitersloher

Verlagshaus, Giitersloh,

in der Verlagsgruppe Random House GmbH, Miinchen ©

2018 by

Editrice Queriniana, Brescia

75 - 25123 Brescia (Italia/UE) 030 2306925 - fax 030 2306932

via Ferri, tel.

e-mail: [email protected]

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15.% di ciascun volume, dieuo paga­ SIAE del compenso previsto dall'an. 68, commi' 4- 5, della Legge n. 633 del22 aprile 1941. Le fotocopie

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effettuare per finalità di carattere professionale, econOinkc;:. o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuare a seguito'di specifica autorizzaÙone rilasciata da CLEARedi (www.clearedi.org).

ISBN

978-88-399-0119-4

Traduzione dal tedesco di CARLo DANNA e GlANNI PoLETII

www.queriniana.it Stampato da Mediagraf spa- Noventa Padovana (PD) - www.prinrbee.it

Meravigliatevi di n uovo

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I miracoli affascinano. I miracoli polarizzano. I miracoli provocano. Anche se con la marcia trionfale della ragione e dell'illuminismo era stato predetto che la fede nei miracoli sarebbe scomparsa, sembra di po­ ter intravvedere anche in questo campo la "dialettica dell'illuminismo": pure nel XXI secolo il tema del "miracolo" continua a essere popolare. Il discorso sui miracoli, l'interpretazione di eventi della vita e del mon­ do come miracoli, si estende molto al di là della religione e della fede cristiana. Possiamo addirittura parlare a buon diritto di un nuovo boom di miracoli, di un fascino permanente del miracoloso in seno a diverse discipline. Nello stesso tempo più dura si è però fatta anche la critica ai miracoli al di fuori e all'interno della religione. Le precise conoscenze delle leggi della natura o dei quadri clinici impediscono sempre di più di credere all'universo mitologico dei miracoli del Nuovo Testamento. I loro rac­ conti non alimentano una concezione ingenua e addirittura sbagliata della fede in Dio? i "miracoli" non sono qualcosa per persone credulone e avide di cose sensazionali? aiutano forse nel migliore dei casi a fare dei proseliti, a intrattenere la gente e a suscitare la loro attenzione? abbiamo bisogno di miracoli per credere, oppure essi non alterano piuttosto la fede in un Dio, che si dà a conoscere pienamente nella creazione e nel­ l' essere umano, nelle loro leggi e nei loro limiti? Domandiamoci però in senso più stretto: come dobbiamo compor­ tarci oggi con i racconti neotestamentari dei miracoli? ha ancora sen­ so parlarne? come possono essere compresi e spiegati? basta metterli a confronto con testi simili della storia delle religioni e del loro ambiente o analizzarli letterariamente come testi narrativi speciali? in seno a una

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Meravigliatevi di nuovo...

concezione postmoderna purificata della storia della cultura non biso­ gnerebbe riconoscere, alla luce di questi testi, i limiti della nostra inter­ pretazione della realtà? non potremmo in questo modo imparare che i discorsi sui miracoli e sulle pratiche dei miracoli usuali in altri luoghi e tempi hanno indubbiamente un senso e che possono perlomeno es­ sere inizialmente percepiti in modo neutro e tollerante? ma una simile descrizione culturale antropologica di testi dei primi secoli cristiani che cosa ha ancora a che fare con me? non si verifica qui un rinnovato (e, propriamente in senso postmoderno, rifiutato) atto di presa di distanza e di fuga da una propria opinione e riflessione su se stessi, che proprio questi testi spingono a compiere? come possono persone credenti trovare in questi testi un significato, un senso e un aiuto attuali per vivere? I miracoli affascinano . . . e nello stesso tempo polarizzano, anzi pon­ gono sempre anche la questione della verità, della percezione e della vera prospettiva. Essi sfidano e provocano. Il presente Compendio di racconti dei miracoli accetta questa sfida. Ci occupiamo essenzialmente qui dei testi che raccontano miracoli di Gesù. La raccolta e il commento di queste storie di miracoli non intende però dare una risposta precipitosa o unilaterale alle questioni sollevate. Siamo convinti che proprio questi testi rappresentino delle sfide e che essi vogliano immettere in un processo di comprensione, che non va semplificato, bensì al contrario intensificato. Qui si cercheranno perciò inutilmente frettolose professioni di fede come "questo è un miracolo autentico di Gesù" o "questo miracolo non è cronistoricamente (historisch) plausibile". Esse vorrebbero ridurre anche la ricchezza di questi testi a verità cronistoriche fattuali o a mere professioni di fede fatte con le labbra, cosa che respingiamo già da una prospettiva teoretica storica (geschichtlich) e teoretica sistematica. Tanto più occorre opporsi per motivi teologici a una simile ingenua riduzione della verità di questi testi. Il messaggio di Gesù e del Nuovo Testamento è intessuto con la concretezza dello storico, ma non può essere limitato al passato. La verità di questi testi va piuttosto cercata da qualche parte tra il loro ancoraggio storico e il loro significato permanente e anche attuale. I miracoli sono racconti realistici (cf più avanti). Il Compendio dei miracoli di Gesù è direttamente collegato al Com­ pendio delle parabole di Gesù (Giitersloh 2007 [trad. it., Queriniana, Brescia 20 1 1] ) e condivide molti criteri metodologici ed ermeneutici con quest'opera.

Meravigliatevi di nuovo...

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Una caratteristica particolare consiste nel fatto che la multiformità dei testi è riprodotta sotto molteplici aspetti nel commento: così, da un lato, l'interpretazione non è l'opera di un singolo o di un piccolo gruppo omogeneo di autrici e di autori. Le interpretazioni sono piuttosto opera di oltre settanta esegete ed esegeti, che rappresentano un vasto spettro di tradizioni e scuole teologiche e di punti di vista personali. Questa apertura non rispecchia solo l'attuale stato della scienza esegetica, ma rap­ presenta anche la stessa tradizione biblica, che già nelle molteplici tradi­ zioni e interpretazioni di singoli testi possiede una notevole apertura per variazioni e cambiamenti. Dall'altro lato, anche all'interno della singola interpretazione non si presenta solo una posizione, ma sono scientemente posti uno accanto all'altro diversi orizzonti interpretativi. Anche se ci si sente obbligati a seguire una simile metodica ed ermeneutica, anche se si prendono sul serio sia aspetti cronistorici sia aspetti filologici, non esiste solo un'unica possibilità interpretativa di questi testi. Per rendere visibile questa apertura dell'interpretazione anche nel caso di ogni singolo testo le autrici e gli autori si sono imposti l'obbligo di porre l'una accanto all'altra interpretazioni diverse - e in parte addirit­ tura contraddittorie - ma di per sé plausibili. Questa è una cosa inusuale per autrici e autori, così come per lettrici e lettori di opere esegetiche. Di regola si cerca di screditare le posizioni di segno opposto, al fine di presentare la propria come l'unica vera. Ma le scienziate e gli scienziati, se scambiano la propria convinzione con la verità dei testi, hanno già mancato l'offerta di senso dei testi bibli­ ci. Solo nello sforzo comune, solo nell'accettazione di singole opinioni e idee creative la verità del messaggio biblico può prendere forma� Il Compendio è pertanto anche un esempio di una nuova forma di cultura esegetica di discorso: qui non sono uno storico, una filologa o un interprete impegnato a presentare unilateralmente il messaggio, ma si tratta piuttosto del tentativo comune di interpretazione del testo, che si è espresso anche in un lungo processo di revisione dei commenti con l'aiuto dei media (cf www. wunderkompendium.de), rionché nel dialogo tra editori, autori e autrici e che vuole ripercuotersi sui lettori e sulle lettrici. La multiformità corre nello stesso tempo il pericolo di diventare ar­ bitrarietà. Affinché, ciononostante, l'opera risultasse scientificamente valida e fosse comunicabile come un"'unità", tutte le autrici e tutti gli autori si sono obbligati a seguire una fondamentale struttura unitaria dell'interpretazione e ad adottare determinati criteri metodologici, che

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Mn-avigliatevi di nuovo...

includono aspetti di storia della tradizione-cronistorici, narratologici­ linguistici, di estetica della ricezione-teologici. Questo processo di esegesi collettiva ha richiesto inoltre il grande im­ pegno di molti collaboratori e. collaboratrici. Perciò ringrazio in primo luogo i coeditori, che non solo condividono la responsabilità dei testi nei singoli settori di loro competenza, bensì anche quella di decisioni di fondo. Questa collaborazione non complicata costituisce un benefico incoraggiamento, perché ci dice che i progetti in collaborazione e l'ese­ gesi collettiva sono possibili anche nella scienza. Ringrazio cordialmente poi anche il team dei collaboratori di Mainz, composto dagli studenti di teologia Almuth Peiper, Sophia Schafer, Charlotte Seiwerth, Miriam Teutsch, Guido Wenzel, e soprattutto i miei collaboratori scientifici, dr. Susanne Luther e Jorg Roder, senza il cui straordinario gioioso impe­ gno il progetto non avrebbe potuto essere portato a termine. Così pure ringrazio la casa editrice Giitersloh, in particolare la redattrice Tanja Scheifele per il grande impegno profuso nella cura dell'opera. Il suo costante incoraggiamento, la sua acribia nella ricerca degli errori e la sua benefica serenità hanno accompagnato in modo "meraviglioso" il progetto in tutte le fasi della sua realizzazione. La multiformità delle interpretazioni dei racconti di miracoli va vista soprattutto come un invito: la lettrice e il lettore di questo Compendio vanno incoraggiati e spinti a cercare a loro volta il significato e la verità di questi testi. A seconda dell'interesse che spinge a leggere, a seconda del contesto interpretativo balzano in primo piano aspetti diversi dei racconti di miracoli. Se qui e là il Compendio riesce a dare un aiuto e un suggerimento, affinché nei testi brilli un senso, affinché la narrazione del miracolo metta in discussione, cambi e faccia di nuovo vedere alla luce di Dio la realtà, allora esso avr.à raggiunto il proprio scopo. Speriamo quindi che le interpretazioni dei racconti di miracoli possano offrire di continuo un motivo e un'occasione per stupirsi e credere. Desideriamo che i racconti di miracoli continuino ad affascinare, po­ larizzare e provocare. Stupitevi anche voi di questi testi! Festa di san Giovanni 201 2 Ruben Zimmermann e i coeditori

COMPENDIO DEI MIRACOLI DI GESÙ

Racconti protocristiani dei miracoli­ Una introduzione RuBEN ZIMMERMANN

Prologo - I muaco o li sono "om,

ovvero: il permanente fascino del miracolo o o o

((Il miracolo è la creatura diletta della fede», disse una v olta Goethe (GOETHE 2009, v. 766 [vol. I, 41 (l parte - Notte) ]). "C iò era vero una volta . . . ", verrebbe la voglia di rispondere dopo il lavoro di chiarificazio­ ne compiuto dal pensiero critico e dopo la marcia vittoriosa delle scienze naturali empiriche nella spiegazione del mondo. Oggi dobbiamo piut­ tosto domandarci: nel XXI secolo è ancora possibile parlare di miracoli o addirittura credere nel miracolo? Già all'inizio del XX secolo Franz Rosenzweig non solo aveva dichiara­ to, rifacendosi alla metafora di Goethe, che il miracolo è un "figlio pro­ blematico", ma ne aveva nello stesso tempo anche predetto la scomparsa. Proprio ((la teologia, l'istitutrice che la madre gli aveva procurato», saprà ((che farne del povero esserino», cioè aiutarlo a morire (originariamente 1 92 1 , cf RosENZWEIG 1 976, 103 [99], per la citazione completa cf ZIMMERMANN 20 l l a, 95). Ora la teologia e le scienze bibliche hanno sì onestamente cercato di assolvere il compito di accompagnare questo pro­ cesso attivo o passivo di morte. Solo che questo figlio è più vivo che mai. Uno sguardo ai diversi prodotti del panorama culturale mostra che esiste addirittura un rinnovato interesse per i miracoli, che almeno il discorso sui miracoli vive un vero e proprio boom proprio nella società industriale occidentale. Da indicatore può servire la presenza del motivo del miracolo nelle canwni e nella musica pop (su questo PIRNER 2006; KoLLMANN 20 1 1 , 230-233) . I classici di ieri di Zarah Leander (((Ich

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Racconti protocristiani dei miracoli- Una introduzione

weijJ, es wird einmal ein Wunder geschehen So che un giorno accadrà un miracolo)), 1 942) e di Katja Ebstein ( Wunder gibt es immer wie­ der» - Succedono di continuo miracoli, 1 970) avevano appena cessato di risuonare, che la cantante Nena (nata nel 1960) pubblicò nel 1 989 il suo primo singolo, dal titolo Wunder gescheh'n - I miracoli avvengono. Recentemente il rapper - ovvero chi usa la tecnica vocale dell' hip hop nata negli Stati Uniti degli anni Sessanta- JokA (nato nel 1 985) ha messo in rete Wunder gibt es immer wieder - Ci sono miracoli di conti­ nuo (201 1) ricollegandosi a Katja Ebstein, così come Kool Savas (nato nel 1 975), autonominatosi "re del rap", ha presentato una canzone rap intitolata Ein Wunder - Un miracolo. Pure in ambito anglofono il mo­ tivo del miracolo compare spesso nella musica, come dimostrano anche solo pochi esempi: come classici possiamo menzionare qui All I need is a miracle- Tutto quello di cui ho bisogno è un miracolo (Mike and the Mechanics, 1 985), o la canzone It's a miracle - È un miracolo dei Queen, il gruppo rock britannico, che ha nello stesso tempo intitolato il suo tredicesimo album, The miracle - Il miracolo (Queen, 1 989). La band rock americana degli Jefferson Starship - next generation (dal 1 992) ha fatto il giro del mondo con la canzone Miracles - Miracoli (1998) , e la cantante canadese Sarah McLachlan (n ata nel 1 968) pubblica nel 2006 il singolo Ordinary Miracle - Miracolo ordinario. La cantante messicano-statunitense Myra (nata nel 1 986), fino ad allora sconosciuta, divenne di colpo celebre ( One-Hit-Wonder.0 con la sua canzone Miracles happen - Accadono miracoli, e fu per questo addirittura nominata per un American Latino Media Arts Award. Qui canta: (D REWERMANN 1989, 408). .

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Racconti protocristiani dei miracoli Una introduzione -

Potremmo addurre molte altre varianti di una simile interpretazione simbolica dei miracoli. Per Marius Reiser questi racconti hanno ((in sé qualcosa di trasparente e di simbolico, che conferisce all'evento narrato un senso ulteriore e un significato più profondo. Senza la dimensione simbolica essi sarebbero per noi solo racconti meravigliosi di un tempo antico)) (REISER 2011,169). Come azioni simboliche, essi possono inve­ ce diventare con la loro "natura simbolica" ((racconti attuali, che hanno qualcosa da dirci11 (ibid). I racconti di miracoli sono così accostati alle parabole (REISER 2011, 175),come fa anche Manfred Kohnlein. Quando definisce i racconti di miracoli una ((finestra della speranza con la vista su e verso un mondo migliore>> (KoHNLEIN 2010,17), questa sua descrizio­ ne equivale alla sua definizione delle parabole, che qualifica come ((visioni di un mondo migliore)) (K6HNLEIN 2009). Kohnlein scrive inoltre: ((I mi­ racoli possono essere parabole e le parabole miracoli)) (KoHNLEIN 20 l O, 17). Ma in questo modo non si dissolve il valore specifico del racconto del miracolo? Tutti i modelli di spiegazione, che vanno in questa direzione, s'in­ contrano in un punto: leggono i racconti neotestamentari di miracoli come testi allegorici; quanto viene in essi raccontato non va preso alla lettera, ma va demitizzato, trasposto, amplificato o concepito come una parabola. Risultato - questi modelli interpretativi, per quanto siano differenti, si incontrano comunque in un punto decisivo: essi mirano sempre a ren­ dere spiegabili i miracoli. Ma queste impostazioni corrispondono bene ai testi? non raggiungono il loro scopo a spese dello stesso racconto del miracolo? Corrisponde all' intentio operis di un racconto di miracolo dire: ((Allora tutti credevano che fosse possibile camminare sull'acqua. Era del tutto normale ritenere che dei morti circolassero di nuovo o che dei ciechi all'improvviso vedessero)) (dal punto di vista dell'aggiustamento); oppure: ((E inoltre: quel che avete già udito da molto tempo a propo­ sito di Asclepio, poté farlo anche questo Gesù)) (nella prospettiva della storia delle religioni); oppure: ((C'era una volta un. malato, che fu guarito - e se non è mor­ to, allora vive ancora oggi)); dunque: un tipico racconto di miracolo! (secondo la storia delle forme); oppure: ((Gli uomini di allora, se avessero avuto la nostra conoscenza delle leggi naturali, non avrebbero mai pensato di chiamare l'agire di Gesù come "miracolo")) (razionalistico);

Questionifondamentali sui racconti protocristiani dei miracoli

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oppure: «Propriamente parlando si tratta di qualcosa di completamen­ te diverso; a rigar di termini Gesù non avrebbe affatto avuto bisogno di guarire; l'unica cosa importante è il messaggio della fede» (interpreta­ zione kerygmatica); oppure: «Chi riconosce nel racconto i motivi archetipici, sa subito dove anche lui è malato e posseduto. Chi potrebbe allora sottrarsi al processo di ritrovamento di sé stesso?» (nell'ottica della psicologia del profondo). Queste formulazioni vogliono mostrare in maniera iperbolica che l'in­ tenzione ermeneutica di passati orientamenti della ricerca ha inficiato in un senso a mio avviso indebito i testi. Essi hanno letto per molti versi i testi dei miracoli "contropelo" per renderli docili alla propria proble­ matica. L'esegesi dei miracoli degli ultimi due secoli può così essere ampiamente vista come un tentativo di non tener conto di aspetti ed elementi essenziali dei testi dei miracoli. Lo scopo dell'esegesi dei testi di miracoli è quello di portare avanti una demiracolizzazione? 1.1.2

UNA NUOVA IMPOSTAZIONE: "CI SI PUÒ DI NUOVO MERAVIGLIARE"

Invece nel presente Compendio dei racconti protocristiani dei miracoli al centro dell'attenzione dovrà stare lo stesso testo. Si tratta in un certo senso di un ritorno al testo, dopo che per molto tempo ci si era occu­ pati degli eventi (ad esempio, della vita di Gesù), dei testi dell'ambiente circostante (ad esempio di Epidauro o del giudaismo), del messaggio astrattamente ricavato dal testo (ad esempio del keryg;ma nella scuola di Bulrmann) e del contenuto simbolico. Un'impostazione dell'interpretazione basata sulla scienza del testo cerca di riconoscere proprio nel motivo dello stupore un elemento co­ stitutivo dei testi. Il farro di non tenerne conto non sarebbe perciò solo sbagliato e improduttivo, ma eliminerebbe anche una caratteristica deci­ siva, anzi la caratteristica sostanzialmente costitutiva del genere letterario del racconto di miracolo (cf. al riguardo più avanti 1.2.2). lo vorrei invece per prima cosa cogliere questo elemento e prenderlo sul serio. Il testo, così recita la tesi, vorrebbe essere inteso come testo di miracolo, perché rappresenta in modo sensibilmente percepibile e concreto un'azione o un evento e, nel farlo, sottolinea il fatto che esso

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&cconti protocristiani dei miracoli Una introduzione -

infrange la normalità e ciò che ci si può attendere. Lo stupore deve rag­ giungere e afferrare il lettore e/o la ricettrice del testo. Lo scopo di questi testi

è

che i ricettori si stupiscano, sul piano narrativo, con i testimoni

oculari e i protagonisti dell'azione. Diamo uno sguardo a sezioni di tali testi. lvi leggiamo che, dopo la guarigione di un paralitico, le persone dicono: ( (BERGER 1 984, 305; Io., 2005, 362 [429]).

Questa critica ha fatto sentire il suo influsso fino in tempi recenti e recentissimi: pure Ulrike Metternich si schiera, nella sua dissertazione sulla guarigione della donna con perdite di sangue, con la proposta di «rinunciare al concetto di "racconto di miracolo" a favore del racconto della djnamiS>> (METTERNICH 2000, 23 1 ; cf PESCH 1970, 16: Macht­ taten - azioni potenti). Per Marius Reiser i racconti di miracoli «sono narrati in molteplici modi esattamente come storie in generale. I racconti di miracoli posseggono un certo rigore formale solo nel contesto di un determinato Sitz im Leben: come resoconti ufficiali di miracoli avvenuti in luoghi di cura» (REISER 200 1 , 1 37) . Dobbiamo perciò rinunciare a cercare un genere letterario comune come una "storia di miracoli" o "narrazione di miracoli", oppure dobbiamo limitare la considerazione storico-formale a "racconti di guarigione"? La risposta a questa domanda (cf. diffusamente ZIMMERMANN 201 3) esige che si chiarisca in primo luogo che cosa sia in linea generale un

Questionifondamentali sui racconti protocristiani dei miracoli

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"genere letterario", o più ampiamente ancora: "Esistono soprattutto dei generi letterari?". Così lo studioso e poeta Hans Magnus Enzensberger si chiedeva nelle sue lezioni di poetica, tenute a Francoforte e intitolate Vom Nutzen und Nachteil der Gattungen - L'utilità e gli svantaggi dei generi letterari: «Esistono generi letterari, e se sì, quanti sono? come si possono legittimare e qual è il loro modo di esistenza e la loro utili­ tà? permettono una classificazione delle opere letterarie? o servono solo come semplici nomi per intendersi provvisoriamente? ci devono neces­ sariamente essere dei generi letterari?» (ENZENSBERGER 2009, 65). La questione dell'esistenza di generi letterari è molto controversa nel­ la scienza del testo (Literaturwissenschaft) (al riguardo ZYMNER 2003, 37-60). Riallacciandosi al dibattito medievale tra realisti del concetto e nominalisti (sulla questione sollevata nel dialogo Crati/o di Platone circa la modalità di esistenza delle parole), gli studiosi del testo parlano qui volentieri di "problema degli universali" (HEMPFER 1 973, 30-36; FRICKE 20 l Ob, l O): i generi letterari sono classi di testo disponibili, che possono essere utilizzati e descritti, oppure sono semplicemente dei costrutti, cioè strumenti di analisi in base ai quali si classificano ex post i testi? Sebbene siano sempre esistiti studiosi dei testi come Andréjolles o Emi/ Staiger, che partivano da una universalità antologica o archetipica, da un realismo concettuale, nella scienza del testo constatiamo l'esistenza di un consenso maggioritario, che tende al nominalismo o recentemente piuttosto al costrutt�vismo. I generi letterari non sono trovati, ma inven­ tati. Essi sono escogitati da esseri umani, esistono solo attraverso concetti che gli uomini si formano di essi. Ma tali costruzioni non sono arbitrarie. Esse si riferiscono indubbia­ mente a cose preesistenti, dal momento che la riflessione sul linguaggio presuppone già sempre il linguaggio e la comunicazione. Ritengo perciò sensata la posizione di Klaus W Hempfer e RUdiger Zymner, che parlano di un "nominalismo mitigato" (HEMPFER 1973, 124s.; ZYMNER 2003, 59). Le costruzioni di genere presuppongono già un discorso sui generi lette­ rari, una storia del genere letterario, una prassi comunicativa con i generi letterari. «l generi letterari fanno proprie le attese dei lettori e le guidano» (DoRMEYER 2004, 132). Hempfer chiama questo elemento preesistente "fatti quasi-normativi" ifaits normatifi, ibid.). In altre parole: per quanto il discorso sui generi letterari dipenda da una costruzione, non per que­ sto tali costruzioni sono arbitrarie, e ciò perlomeno quando esse devono servire a un'intesa intersoggettiva. Ma affinché una simile intesa riesca bisogna che la costruzione sia verificabile o perlomeno comprensibile.

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&cconti protocristiani dei miracoli - Una introduzione

Dobbiamo perciò spiegare, per esempio, quale sia il senso di termi­ ni come "novellà' (Dibelius), "apoftegma" (Bultmann) o "predicazione personale metaforicà' (Berger). Tale spiegazione non è sempre riuscita all'interno delle discussioni neotestamentarie sui generi letterari, perché spesso i costruttori di generi letterari si presentarono come se avessero semplicemente scoperto dei generi letterari già dati in partenza e come se, per esempio, "narrazioni dimostrative" Qiilicher, cf ZIMMERMANN 20 l l f, 392-39S) o il gruppo di generi letterari epidittici (È7ttÒEt�tç/ epideixis - prova, esempio) (BERGER 1 984, 3 10s.) fossero la norma esi­ stente in fatto di generi letterari, norma che ogni persona ragionevole dovrebbe parimenti riconoscere nei testi. Affinché, nonostante una costruttività costitutiva, ciascuno non in­ venti il proprio genere letterario, è necessario mettere in chiaro i criteri e fare riferimento a discorsi esistenti. In altre parole, una definizione di genere letterario deve possedere la qualità di una "spiegazione concettua­ le", come avviene di solito nella scienza del testo e nelle scienze umane in generale (maggiori dettagli al riguardo in ZYMNER - FRICKE 2007, 246-2SS). Inoltre le definizioni del genere letterario dovrebbero muo­ versi tra la rigidità di una definizione di una serie determinata di tratti distintivi e la relatività di una approssimativa "serie apertà', al fine di poter corrispondere ai concreti fenomeni testuali, nonché alla necessità di un progresso della conoscenza e della comunicazione. Harald Fricke ha perciò proposto di scegliere una struttura determinativa che, da un lato, mostri i tratti distintivi che un testo deve necessariamente presen­ tare per appartenere a un genere letterario e che, dall'altro, integri anche caratteristiche distintive, che legittimino alternativamente e non neces­ sariamente l'appartenenza a un genere letterario. Una simile struttura determinativa recita perciò corrispondentemente così: [ l ] + [2] + [3] + [4a e/o 4b] + [Sa e/o Sb e/o Se] (cf FRICKE 201 0a, 9). Mentre i criteri l , 2 e 3 vanno assolutamente rispettati, nel caso dei tratti distintivi 4 e S si tratta di un "ambito di sceltà', campo che può variare. Cerchiamo di applicare questa concezione dinamico-funzionale di genere letterario (cf anche ZIMMERMANN 2007c, 138-167) ai racconti dei miracoli: la domanda se "esiste specialmente il genere letterario dei 'racconti di miracoli"' è pertanto, dopo quanto abbiamo detto, senza senso o perlomeno ingannevolmente imprecisa. I generi letterari non hanno un'esistenza ontologica, essi non si trovano né nella sabbia del deserto, né nei cassetti di una dotta filologia del XIX secolo o nei negozi in rete (online-shop). La proposizione di Berger "quello di racconto di

Questionifondamentali JUi racconti protocristiani dei miracoli

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prodigio non è un concetto di genere" è perciò da parte sua un malin­ teso essenzialistico. Il genere letterario "racconto di miracoli" esiste già semplicemente per il fatto che le autrici/gli autori del Compendio ne parlano e che Lei, lettor(e)rice, riflette come ricettore/ricettrice su questa questione. Esso è e rimane un costrutto della meta-comunicazione. Ed è tuttavia un costrutto utile, qualora risponda, nel senso di una critica spiegazione concettuale, da un lato ai fenomeni testuali e alla comunica­ zione testuale cronistorica e, dall'altro, coinvolga l'analisi dell'uso finora fatto di questo concetto (così FRICKE 20 10a, 7). La definizione di genere letterario dovrebbe svolgere una funzione utile nella comunicazione a proposito dei testi, e precisamente una funzione analitica in quanto permette di raggruppare singoli testi in un gruppo più grande, e una funzione comunicativa, in quanto vuole mostrare ai destinatari che un testo va compreso entro questo sistema. b) Consapevolezza dei generi letterari nell'antichità e, in particolare, negli autori protocristiani Sebbene la possibilità della definizione di un genere letterario non dipenda da una consapevolezza cronistorica di tale genere, tuttavia essa ne esce utilmente rafforzata qualora tale consapevolezza sia positiva. Perciò poniamo la domanda interessante, sebbene fino a un certo grado non risolvibile, di sapere se nel discorso antico, ad esempio nella comunicazione tra un evangelista e i suoi destinatari, esistesse già la consapevolezza di un genere letterario. Ad esempio, l'evangelista Giovanni volle che la moltiplicazione del vino a Cana fosse concepita come "mi� racolo", allorché classificò tale racconto con il concetto riassuntivo di O"llJ..!ElOV (semeion - segno)? e se sì, con quale intenzione lo fece? volle, ad esempio, che questo testo fosse catalogato tra i tipi di testo conosciuti, come ad esempio i racconti di eventi prodigiosi attribuiti a Dioniso (cf Petersen su questo punto)? Ancora più spesso furono indicati motivi e strutture parallele (REI­ SER 200 1 , 137; WoLTER 2009, 82- 1 1 7, si differenzia criticamente) tra racconti protocristiani di guarigioni e le storie collegate à luoghi di gua­ rigione, per esempio i resoconti di miracoli incisi sulle stele trovate nel santuario di Asclepio ad Epidauro (LIDONNICI 1 995, cf Po PKES Scienza medica antica in questo Compendio) . Per Detlev Dormeyer le «storie di miracoli [ . ] dei generi letterari neotestamentari sarebbero perciò ,

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Racconti protocristiani dei miracoli - Una introduzione

vicinissime a un genere letterario ellenistico, e precisamente al racconto ellenistico di miracoli» (DoRMEYER 1 993, 1 66). Dal tempo della scuola della storia delle religioni, concretamente dai lavori di Richard Reitzenstein e Otto Weinreich, la struttura di antiche guarigioni miracolose fu utilizzata come materiale diretto di confronto per la descrizione di racconti neotestamentari di miracoli (per l'ermeneu­ tica in parte problematica cf sopra) . Se partiamo dal fatto che i generi letterari rappresentano dei mezzi di comunicazione, con il materiale comparativo si può perlomeno costruire un mondo discorsivo, a cui hanno partecipato anche i comunicatori protocristiani. Nei racconti neotestamentari di miracoli non si incontrano però riferimenti espliciti a simili testi dell'ambiente circostante. Che dicono da parte loro i testi neotestamentari? Anche se in Gio­ vanni possiamo riconoscere la formulazione terminologica e concettuale di più ampio respiro (cf sopra), tuttavia, prendendo in considerazione l'intero Nuovo Testamento, dobbiamo constatare che gli autori protocri­ stiani non danno alcun segnale concettuale e terminologico di un genere letterario nel senso di una indicazione per i lettori, mediante la quale sarebbe possibile sussumere un gruppo di testi sotto il titolo "Racconto di miracoli". Una consapevolezza di genere letterario in autori p roto­ cristiani è ravvisabile però, a mio giudizio, relativamente a un gruppo comparabile di testi a livello compositivo: da un lato determinate azioni di Gesù sono riassunte in sommari (cf le introduzioni all'ambito delle fonti). Dall'altro lato notiamo come determinati testi sono collegatifra di loro, un fatto che lascia trapelare la consapevolezza che tali testi erano internamente e reciprocamente legati. Subito all'inizio del vangelo di Marco sono accostati in Mc 1 ,23-3 1 (e nella sua scia in Le 4,33-39) e complementari fra di loro un racconto di una guarigione e un esorcismo (cf DoRMEYER, Introduzione a Marco, più avanti nel Compendio). Nel sommario conclusivo tale collegamento viene ripetuto (Mc 1 ,32-34; Le 4,40s.). Così pure in altri sommari si stabilisce uno stretto legame tra guarigioni e esorcismi (cf Le 4,40s.; 5,25; 6, 17- 1 9; 1 3,32) . Questi collegamenti dipendono in parte dalla convinzione antica, secondo la quale spiriti impuri e cattivi erano considerati causa di ma­ lattie, per cui anche il processo di ristabilimento rappresenta una mi­ scela di esorcismo e guarigione. Secondo Le 9,37-43 lo spirito impuro del giovane deve essere "minacciato"; nel sommario di Le 8, 1 -3 si par­ la esplicitamente di una guarigione «da spiriti cattivi e da infermità»

Questionifondamentali sui racconti protocristiani dei miracoli

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tetherapeuménai apò pneumdton poneron kài astheneion). Nel racconto della "donna ricurvà' (Le 1 3, l 0- 1 7) leggiamo di uno «spirito» che la «teneva inferma» come causa dell'incurvamento {v. I l ), così come di un "legame" stabilito da Satana {v. 16). Viceversa la figlia indemoniata della donna cananea (Mt 1 5,2 1 -28) viene solo "guarita" - qui il demone non fuoriesce esplicitamente. Da qui possiamo dedurre che gli evangelisti non tracciano una linea di separazione netta fra esorcismi e guarigioni o anche che, dal punto di vista di uno specifico genere letterario, i racconti di guarigione e quelli di esorcismo possono essere considerati insieme. Pure i passaggi tra racconti di guàrigione di malati e quelli di risuscita­ menti di morti sono fluidi. Nella pericope del risuscitamento della figlia di Giairo (Mc 5 ,2 1 -43 par.) Gesù è chiamato per guarire la fanciulla malata; mentre egli è ancora per strada, la fanciulla muore. Una simi­ le costellazione si ritrova anche nel caso del risuscitamento di Lazzaro (Gv 1 1 , 1 -43), che è esplicitamente introdotto come "malato", ma che poi viene risuscitato. La pericope di Lazzaro allude nello stesso tempo anche a un altro nesso. I.:unzione presso Betania avviene nei Sinottici nella casa di ((Simone il lebbroso». Poiché anche in Gv I l s. l'unzione è strettamente legata al racconto di una risurrezione (cf Zimmermann a proposito di Gv 1 1 ,1-12, 1 1 in questo Compendio), fu sostenuta la tesi, secondo cui Lazzaro era un lebbroso. Nel giudaismo i lebbrosi erano considerati come morti (Nm 12, 1 2), per cui la guarigione di un lebbroso poteva essere messa sullo stesso piano, secondo la valutazione rabbinica, del risuscitamento di un morto (bSan 47a) . Infine possiamo riconoscere che il racconto della sedazione della tempesta presenta chiari tratti di un racconto di esorcismo, ad esempio quando Gesù minaccia il vento (Mc 4,39 con È1ttn!J-arolepitimdo, "minacciare" come in Mc 1 ,25), o quando ordina al mare personificato di tacere. Così anche la netta distinzione tra miracoli di guarigione e miracoli nei confronti della natura o tra il ((tipo narrativo "miracolo di salvazione"» e il ((tipo narrativo "cacciata di demoni"» (con LOHFINK 201 1 , 197 [ 167]) diventa fragile. Spingiamoci ancora un passo avanti: come, per esempio, Matteo dedica un capitolo alle parabole (Mt 1 3) o mette tra loro in relazione cinque sezioni di discorso attraverso la nota formula conclusiva (cf Mt 7,28; 1 1 , l ; 1 3, 53; 1 9, l ; 26, 1), così, scostandosi dalle sue fonti, da Mt 8, l fino a Mt 9,8, mette assieme sei testi, che per contenuto e modalità narrativa sono notevolmente diversi, ma che devono evidentemente

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Racconti protocriJtiani dei miracoli - Una introduzione

essere visti insieme. Accanto a racconti di guarigione e di esorcismi si aggiunge ora anche un'azione nei confronti della natura (Mt 8,23-27). Pure in Luca si notano delle composizioni simili, per esempio in Le 8, dove sono raccontati come avvenuti in uno stesso giorno («Uno di quei giorni)) - tv )ll� -r&v TJ).!Ep&v/en mia ton hemeron, Le 8,22) quattro miracoli compiuti da Gesù, senza che .fra di loro sia riconoscibile un intrinseco legame (ad esempio per quanto riguarda i protagonisti}: l) miracolo nei confronti della natura (Le 8,22-25), 2) esorcismo e cacciata di demoni (Le 8,26-39), 3) guarigione (Le 8,43-48) e 4) risuscitamento (Le 8,40-42.49-56) . Già queste brevi osservazioni (maggiori dettagli al riguardo in ZIM­ MERMANN 20 1 3) inducono a trarre la conclusione che anche gli autori neotestamentari avevano coscienza, nei loro passi riassuntivi (sommari), così come nel loro lavoro di composizione redazionale, della reciproca appartenenza di testi, che noi abbiamo riassunto nella tradizione della lettura dei vangeli come "racconti di miracoli". I termini che abbiamo ultimamente adoperato ci fanno già passare dal linguaggio delle fonti al linguaggio della descrizione, di cui bisogna parimenti tener conto nella spiegazione critica della terminologia di un genere letterario (FrucKE 20 l Oa, 7). Come si sviluppò la discussione sui racconti di miracoli al­ l'interno della scienza neotestamentaria? c) La sistematica dei generi letterari nella scienza neotestamentaria a proposito del genere "racconto di miracoli " Nella sua storia delle forme Rudolf Bultmann aveva semplicemente distinto tra miracoli di guarigione e miracoli nei confronti della natura (BuLTMANN 1995, 223-230). Questa distinzione sembra abbia orientato anche Vtzn der Loos, giacché egli suddivide nelle sezioni del suo com­ mentario tra J. The Healing Miracles - I miracoli di guarigione (VAN DER Loos 1 965, 339-589) e 2. The Nature Miracles - I miracoli nei confronti della natura (VAN DER Loos 1 9 6 5 , 590-698). Tra questi sono inclusi, come in Bultmann, gli esorcismi sotto il titolo The Healing ofthe Posses­ sed - La guarigione degli indemoniati (ibid., 339-4 14) o i risuscitamenti dei morti ( The Resurrection ofthe Dead, ibid., 559-589). All'interno delle singole parti si procede poi però a ordinare tematicamente, poiché per esempio, in l. III. The Healing ofthe Paralytics - La guarigione dei pa­ ralitici rientrano la guarigione della mano paralizzata di Mc 3, 1-6 (ibid.,

Questionifondamentali sui racconti protocristiani tki miraculi

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436-440) , del paralitico di Cafarnao (ibid., 440-449) e del paralitico alla piscina di Betzatà (Gv 5 , 1 - 1 8, ibid., 450-463). Un influsso molto forte esercitò la griglia introdotta da Gerd Theijfen, che criticò l'espressione Naturwunder - miracoli nei confronti della natura di Bultmann (THEISSEN 1 998, 122) e propose invece sei sot­ togeneri, a seconda dell'individuo che, nell'inventario delle persone delle storie di miracoli, sta di volta in volta al centro del racconto: l) Esorcismi (demone), 2) terapie (di persone guarite), 3) epifanie (tauma­ turghi), 4) miracoli di salvazione (discepoli), 5) miracoli di prodigalità (folla), 6) miracoli rapportati a norme (avversari di Gesù). In vista di una classificazione, egli dispone i sottogeneri in colonne (in base alle persone e alle cose, o ai protagonisti e alle comparse), e la prospettiva demoniaca, quella umana e quella divina in righe orizzontali (THEISSEN 1 998, 124) . Tale esposizione sistematica è ripresa nel manuale sul Gesù storico, ove egli postula che per quanto riguarda gli «esorcismi, le te­ rapie e i miracoli rapportati a norme» bisognerebbe ritenere che essi abbiano la loro ••origine nel Gesù storico», mentre per quanto riguarda le sottospecie via via da stabilire di ••miracoli di salvazione, i miracoli come dono gratuito e le epifanie» il ••presupposto è la fede pasquale» (THEISSEN - MERZ 201 1 , 268 [366]). Otto Knoch adotta questa griglia (KNocH 1 993, 50), ma nella parte dedicata ai commenti distingue i "risuscitamenti di morti" (ibid., 327349) dalle guarigioni e parla di specifiche "azioni simboliche messiani­ che" (ibid., 35 1-400) (tra cui annovera anche, tra l'altro, la "rrasfigu­ razione"), per cui escludendo la categoria dei "miracoli di prodigaliù" si arriva a sette sottogeneri. Inoltre egli si occupa dei racconti di miracoli del vangelo di Giovanni (ibid., 41 1 -476) in un capitolo apposito. Pure la raccolta di singole analisi di Manfred Kohnlein, pubblicata recentemente nell'area di lingua tedesca, adotta la nota classificazione dei sottogeneri e ordina corrispondentemente il materiale in "terapie" (KoHNLEIN 20 l O, 1 7-206, quindici testi), "miracoli rapportati a norme" (ibid., 207-227, due testi), "miracoli nei confronti della naturà' (ibid. , 228-258, tre testi), "miracoli di prodigalità" (ibid., 259-274) e "risusci­ tamenti dei morti" (ibid., 275-284). DavidAune distingue solo tre sottogeneri: exorcisms - esorcismi, hea­ lings - guarigioni e so-called nature miracles - cosiddetti miracoli nei confronti della natura (AuNE 1 980, 1 523s.), seguito in questo dajohn P. Meier (MEIER 1 9 94, 646-970 [755-1235]), che però toglie fuori dal secondo gruppo i racconti di risuscitamento e li presenta come un sot-

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Rdcconti protocristiani dei miracoli Una introduzione -

togruppo specifico sotto il titolo di "Risuscitamento di persone defunte" (Raising the Dead) (MEIER 1 994, 773-873 [908- 1033]). Eric Eve parla, oltre che di healing - guarigione (cap. 3) ed exorcism - esorcismo, an­ che di anomalous miracles - miracoli anomali (EvE 2009, 145-1 60), espressione con cui indica alcuni miracoli nei confronti della natura e i risuscitamenti di persone defunte: «La categoria di "miracoli anomali" non è identica a quella di "miracoli nei confronti della natura", sia perché non tutti i "miracoli sulla natura" sono ugualmente anomali sia perché c'è un'altra classe di miracoli riportati, che sembra parimenti ahomala, cioè racconti riguardanti il Gesù che risuscita persone defunte (Mc 5,35-43; Le 7, 1 1- 1 7; Cv 1 1 )» (EvE 2009, 145s.) .

Wendy Cotter ha analizzato - diversamente da come lascerebbe in­ tendere il titolo di carattere generale del suo lavoro - solo racconti di miracoli del vangelo di Marco (CorrER 20 1 0). Il valore euristico di simili categorizzazioni è indiscusso. Esse aiutano a cogliere meglio gli intrinseci collegamenti dei testi in parte disparati. Tali sottogeneri letterari non vanno erroneamente intesi nel senso di una poetica classificatoria, come se tale differenziazione dei generi "esistesse" e dovesse solo essere scoperta. Ogni classificazione dei generi so ttostà a elementi costruttivi, che si riferiscono sì ai testi, ma sottopongono la loro percezione a criteri prestabiliti. La suddivisione in sottogeneri diventa problematica quando non si percepisce più questo interesse conoscitivo e si scambia il nominalismo dei termini con il realismo dei testi. Que­ sto non dipende tanto dagli inventori delle griglie dei generi, quanto piuttosto dai loro ricettori in parte interessati alla semplificazione per scopi didattici. La cosiddetta "nuova storia delle forme" ricavò anche una conclu­ sione sbagliata, quando si comportò come se fosse possibile fare una suddivisione solamente in base a criteri linguistici. Quanto fortemente una suddivisione sia sempre caratterizzata da decisioni contenutistiche e rimanga fino ad un certo grado arbitraria, si può ricavare dagli esempi seguenti: perché, ad esempio, nella sistematica neotestamentaria dei ge­ neri letterari non si parla di "miracoli a distanzà' come di un sottogenere specifico? Un gruppo significativo di testi letterariamente indipendenti è contraddistinto proprio dalla distanza tra il taumaturgo e il ricettore del miracolo (cf Q 7, 1 - 1 0 par. [27] : centurione di Cafarnao; Mc 7,2430 par.: esorcismo a distanza sulla figlia della sirofenicia; Le 17, 1 1 -19:

Questioni fondamentali sui racconti protocristiani dei miracoli

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dieci lebbrosi sono guariti mentre sono in cammino; cf Gv 4,46-54; bB'r 34b [279s.]). Per Gerd Theij?en sette testi sono associati ai "miracoli rapportati a norme" (Mc 3,1-6 par.; Mc 2, 1-2 par.; Le 13, 10- 17; Le 14, 1 -6; Mt 17, 24-27; Gv 9, 1-4 1 e At 28, 1 -6, cf THEISSEN 1 998, 3 1 9). Invece per Otto Knoch già solo nell'ambito dei miracoli di Gesù nove testi sono valutati come "miracoli rapportati a norme"; inoltre qui non varia solo il numero, bensì anche la scelta dei testi (Mc l ,29-31 par.; Mc 3, 1-6; Le 14, 1 -6; Mc 1 ,21-28; Le 1 3, 1 0-17; Gv 5 , 1 - 1 5 ; Gv 9,1�34; Mc 5,25-34; Mc 5 , 1 -20; cf KNocH 1 993, 40 1). Manfred Kohnlein annovera solo due testi tra i miracoli rapportati a norme, e pone accanto a Mc 3, 1-6, con il racconto di Gesù e della peccatrice (Gv 7,53-8, 1), anche un testo che altrimenti non viene mai trattato sotto questa categoria (KoHNLEIN 201 0, 207-228). Nella maggior parte di questi testi si verifica una guarigione di sabato, cosicché la norma vera e propria consiste nell'osservanza dei comanda­ menti del sabato. In questi casi si riconosce che alcuni racconti di guari­ gione presentano così tanti tratti distintivi del genere letterario "disputà' che l'esegesi precedente basata sulla critica letteraria vide collegati in Mc 2, 1 - 1 2 due testi originariamente diversi. Invece l'interpretazione basata sull'analisi linguistica ha potuto mostrare la coerenza del testo (cf. ZIMMERMANN 2009a, 236-242), per cui si deve riconoscere anche dal punto di vista specifico del genere letterario che la disputa sul peccato e la guarigione del paralitico costituiscono un tutt'uno (lo stesso vale per Mc 3,1-6; Le 13, 10- 1 7; Le 14, 1 -6; PsTom). Grazie a questa sovrapposizione riconosciamo qualcosa di fondamen­ tale: anziché limitarci a lamentare la messa in relazione deficitaria con un (sotto)genere letterario in forma pura, possiamo tranquillamente ricono­ scere che i generi letterari misti costituiscono la norma. Ciò grazie alla sem­ plice osservazione che i generi letterari non sono cassetti di classificazione dati in partenza, bensì sono, se considerati dal punto di vista storico, sot­ toposti come mezzi della comunicazione e del ricordo (cf. ZIMMERMANN 2007c) a un cambiamento dinamico, mentre se considerati dal punto di vista sistematico rappresentano costruzioni con cui i testi sono posti a posteriori in relazione. Perciò i testi possono benissimo presentare tratti distintivi di generi letterari diversi (così già anche BERGER 1 984, 43) . Ciò che la più recente teoria del genere letterario ha messo fonda­ mentalmente in luce si può osservare anche nel caso dei racconti di

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Racconti protocristiani dei miracoli - Una introduzione

miracoli: i testi concreti non presentano alcuna forma pura di generi letterari, bensì solo e sempre forme miste, che includono in misura diversa tratti distintivi di generi letterari. Pure l'esegesi deve dire addio a una poetica classificatoria dei generi letterari, che si muove come se ci possa essere una forma ideale di testi. Una volta ammesso che non si tratta di ri-costruire una forma cronistorica pura, bensì di costruire in senso euristico-scientifico una forma ideale, si possono indubbiamente definire determinati criteri, che possono valere per il genere letterario dei racconti di miracoli. Tali criteri non sono stabiliti arbitrariamente, bensì cercano di individuare peculiarità linguistiche e contenutistiche, a proposito delle quali si può ritenere che esse siano state riconoscibili anche dai partecipanti alla comunicazione dell'antichità. Ciononostante ogni definizione rimane una costruzione e un'affermazione, che non può pretendere di concordare con la consapevolezza dei generi letterari degli autori neotestamentari e dei loro destinatari. Scopo della definizione di un genere letterario è qui quello di stabilire un insieme chiaro e flessibile di criteri, in base ai quali un partecipante alla comunicazione era ed è in grado di mettere un testo in relazione con un determinato tipo di testo. I testi sono formazioni dinamiche che scaturiscono da situazioni comunicative concrete. In linea con de Saus­ sure essi vanno sempre collocati sul piano della parole e si oppongono costantemente al tentativo di correlarli semplicemente con il sistema del­ la langue. Questa "imprecisione" nella descrizione del genere letterario non riguarda però solo il genere letterario "racconto di miracoli", bensì è insita in ogni tentativo di voler mettere singoli testi in relazione con un tipo ideale di testi. La definizione di un genere letterario include pro­ priamente il problema dell'imprecisione del genere di un singolo testo. d) Definizione dèl genere letterario "storia/narrazione di miracoli" Un tentativo di dare una definizione di genere letterario a livello lin­ guistico è stato fatto da Werner Kahl. Nella sua tesi New Testament Mira­ e/e Stories in their Religious-Historical Setting- Racconti neotestamentari di miracoli nel loro ambiente storico-religioso ha cercato di descrivere la "morfologia del racconto di miracoli di ristabilimento": > (CRAFFERT 2008, 32; cf anche STRECKER 2002).

In una "interpretazione interculturale come descrizione di rilievo (thick)" (ibid., 1 9), com'egli la chiama, le guarigioni, gli esorcismi e il dominio degli spiriti compiuti da Gesù potrebbero essere interpretati con la categoria della scienza delle religioni dello sciamanismo: «Il fatto di essere una figura sciamanica e di agire come tale non era costituito semplicemente, come è ora diventato chiaro, da azioni specificamente identi­ ficabili, ma dal fatto di essere inscritto in un complesso di credenze culturali e nelle dinamiche associate ad una simile figura» (CRAFFERT 2008, 307).

Per Klaus Berger i miracoli sono parte di una "realtà misticà' (BERGER 20 l O, 25 1 ), che contrasterebbe (ZIPFEL 200 l, 5 1 ) dal sistema semiotico, anche la questione della storia diventa in fondo obsoleta. Soprattutto la linguisticità del testo e quindi anche lo stesso testo vengono persi sempre p i!l di vista a motivo degli ampliamenti d'orizzonte in direzione dell'universo discorsivo del lettore, immerso nella comunità culturale dei lettori contemporanei e a motivo degli inquadramenti nell'enciclopedia della cultura non propria (per esempio protocristiana).

Questionifondamentali sui racconti protocristiani dei miracoli

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STORIA NELLE STORIE: STORIE DI MIRACOLI COME RACCONTI DELLA REALTÀ

1 . 3 . 2 lA

A partire circa dagli anni '60 del secolo scorso si può parlare di una svolta narratologica della scienza storica, da quando il racconto fu con­ siderato come una forma strutturale e mediatica fondamentale della rappresentazione del passato (cf ZIMMERMANN 20 1 1g, 427-443). La storia ha pertanto «fondamentalmente la forma di un racconto e il pen­ siero cronistorico segue in linea di principio la logica del raccontare» (ROSEN 200 1 , 44) . Se a morivo di questa conoscenza la scienza storica si era dapprima limitata al discorso storiografì.co, adesso il suo valore è maggiormente apprezzato anche quando si tratta di applicarla alle "fonti" QAEGER 2009, 1 2 1 ; ZIMMERMANN 20 1 1g, 429-432). I testi neotestamentari e con essi anche i racconti di miracoli sono proprio in quanto racconti rappresen­ tazioni storiche. In questo modo la storia è percepita particolarmente nella forma del racconto stesso e non è sganciata da esso. Ciò ha delle conseguenze metodologiche sostanziali, perché adesso non ci si interroga più su una storia dei fatti al di là del testo, bensì solo a proposito di una storia presente nel testo. La posizione della teoria della storia è ancora più radicale. Il racconto non è solo una forma preferita di descrizione del passato. Secondo White e altri (Ankersmit, Ricreur, Lorenz) il racconto è l'unica forma della rappresentazione del passato e della realtà. Lidea di "fatti" va sostituita con il concetto delle "invenzioni della rappresentazione del fattuale" (WHITE 1 991). Per quanto si sia così acquisita una forma della rappresentazione della storia legata al testo, la chiara concezione della separazione tra un testo storico e un testo poetico, anzi in fondo anche quella di un "testo fat­ tuale" distinto da un "testo di finzione" (cf sopra) cominciano a vacillare (al riguardo N UNNING 1 999) . La distinzione introdotta da Aristotele tra l'opera di uno storico (Ì, introdotta da Klein - Martinez, come di un aiuto per comprendere i racconti di miracoli (KLEIN - MARTINEZ 2009) . Con ciò si descriverà una forma di letteratura che non è intesa in primo luogo come letteratura d'intrattenimento e che si colloca invece in altri contesti funzionali. Il «raccontare nel discorso storiografìco)) 0AEGER 2009) è una forma del racconto della realtà. Un passo in avanti fa compiere la siste­ matica proposta da Klein - Maninez, mediante la quale la finzione, la finzionalità e la fattualità sono posti in relazioni di volta in volta diverse fra di loro (cf I> (philops. 1 6 [ 1459]).

Qui troviamo radunati gli elementi più importanti, che sono signi­ ficativi anche per comprendere gli esorcismi neotestamentari: non solo i sintomi dell'ossessione (caduta a terra [cf Le 4,35; Ios. FLAv., Ant. 8, 47 [I (Libri 1-X), 4 87 (Il, 5)], "sonnambulismo" [cf Mt 4,24; 17, 1 5], srrabuzzare gli occhi, schiuma alla bocca] sono uguali a quelli contenuti nella descrizione del De morbo sacro l , 33-38 [55s.] ; 7, 1 - 1 2 [65s.] o in Mc 9, 1 7-22, bensì pure tutto l'esorcismo avviene come nel Nuovo Testamento sotto forma di un dialogo tra esorcista e demone, senza alcun uso di strumenti magici. Il posseduto, che è completamente in balia del demone, è condannato a tacere e costituisce solo il "campo di battaglià', su cui si svolge il confronto bellicoso tra esorcista e demone (THEISSEN 1 998, 97). Già Campbell Banner aveva messo in luce, nel suo articolo pionieri­ stico del 1 943, le tecniche più importanti di un esorcismo: un elemento ricorrente è qui l'interrogatorio del demone, basato sul fatto che l'esorci­ sta può vincere la battaglia solo se dispone di una conoscenza particolare, ad esempio a proposito della via attraverso cui il demone è entrato nel­ l'uomo, e che potrebbe poi essere anche quella della sua possibile uscita. Poiché esorcisti e demoni combattono fondamentalmente con le stesse "armi", Gesù neutralizza spesso la stupefacente conoscenza che i demo­ ni hanno di lui ("incantesimo del nome") ingiungendo loro di tacere (q>tJJ.Orolphimoo; Mc 1 ,25; Lc 4,35). Tale comando potrebbe essere forse frutto della riflessione cristologica redazionale {così KoLLMANN 1 99 1 , 267-273), però dal punto di vista del genere letterario può anche essere

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Articoli tematici

considerato come la manifestazione di una conoscenza particolare che serve a combattere la resistenza demoniaca. In ogni caso nella forma della descrizione sinottica si manifesta bene la superiorità di Gesù sui demoni: Gesù non si limita a cacciarli senza invocare una potenza su­ periore, ma può anche ridurli con successo al silenzio con un comando, cosa che non avviene in senso inverso (HuLL 1 974, 70): «Il fatto che Gesù possa comandare tranquillamente ai demoni e che si aspetti che obbediscano subito indica che egli pensava già di essere in possesso dei necessari.poteri soprannaturali richiesti per compiere imprese del genere» (AUNE 2006, 393) . L'esorcismo vero e proprio viene effettuato mediante scongiuri e minacce (cf Mc 1 ,25-27 par.; 9,25s. par.) e mediante l'uscita del de­ mone, che può rappresentare nello stesso tempo un ultimo pericolo pubblicamente dimostrato (Mc 9,26s.) del posseduto (BoNNER 1 943, 38-49). Una particolarità della tecnica esorcistica di Gesù è l'uso del verbo tntnJuiro (epitimdo - ordinare, minacciare; cf Mc 1 ,25 par. Le 4,35; L e 4,4 1 ; Mc 9,25 par. ; cf anche Mc 4,39 [placare la tempesta come esorcismo ampliato] ; Le 4,39 [guarigione della suocera di Pietro dalla febbre]), che sostituisce lo "scongiuro" del demone, abituale in formulari esorcistici. Poiché questo verbo non occorre altrove in contesti esorcistici del circostante mondo greco-romano e - fatta eccezione di una even­ tualmente equivalente menzione nell'Apocrifò della Genesi di Qumran (l QApGen l Q20) - neppure in testi giudaici sembra che qui si tratti di un termine di provenienza palestinese, che rispecchia forse l'uso fat­ tone dal Gesù cronistorico (AuNE 2006, 392). Nell'Antico Testamento epitimdo è riservato a JHWH, che può comandare alle potenze &l caos (cf Sal 1 03,7LXX [289]). Una fonte importante per la nostra conoscenza delle formule di esorci­ smo sono i Papiri magici greci (Papyri Graecae Magicae PGM) , compo­ sti tra il II e il VI secolo d.C. (in particolare nel III e IV secolo d.C.), ma che riflettono in parte un più lungo sviluppo storico. Tanto per citare a mo' d'esempio un testo di questi papiri magici, riportiamo qui un brano del Papiro magico di Parigi rinvenuto a Tebe (PGM 4, 3007-3086; 250350 d.C. [trad. it., GEORG LucK (ed.) , Arcana Mundi. Magia e occulto nel mondo greco e romano, 1: Magia, miracoli, demonologia, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, Roma - Milano 1 997, 349s.] ; traduzione in TRUNK 1994, 397-399), che rappresenta una specie di "manuale di magia applicata" (ibid , 295): ..

=

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Demoni - Ossessioni - Rituali di esorcismo

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Metodo di Pibécheslllt�ftxeç efficace per chi è posseduto dai demoni. Unisci olio di olive non mature a erba mastigia ()lacrnyia, il nome deriva forse da "frusta") e cuore di loto e, mentre cuoce assieme a maggiorana incolore, pronuncia: «[parole magiche] . Vattene da NN [parole magiche a piacimen­ to])), Su una piccola piastra di stagno scrivi le parole di protezione: « [parole magiche] )) e attaccala al paziente: incute orrore in ogni demone, che ne ha paura. Mettiti di fronte [al posseduto] e procedi all'esorcismo. La formula dell'esorcismo è la seguente: (l) «Ti scongiuro in nome del Dio degli ebrei, Gesù, [parole magiche] , tu che appari nel fuoco, tu che stai in mezzo ai terreni arati, alla neve e alla nebbia. Discenda Tannetis/Tavvrrnç, il tuo angelo inesorabile, e si impadronisca del demone che aleggia in volo intorno a questa creatura, che Dio creò nel suo santo paradiso. Perché io prego Dio santo per mezzo di Ammoni'A.)l)lWV [parole magiche] .

(2) Ti scongiuro [parole magiche] . (3) Ti scongiuro in nome di colui che è apparso a OsraélfOcrpaftì.. [variante di "Israele"] in una colonna di luce e in una nuvola in pieno giorno, che ha liberato il suo popolo dal faraone e ha mandato al faraone le dieci piaghe perché non voleva prestargli ascolto. (4) Ti supplico, chiunque tu sia, spirito demoniaco, parla; (5) ti supplico in nome del sigillo che Salomone pose sulla lingua di Gere­ mia; e Geremia parlò. Anche tu parla, chiunque tu sia, demone del cielo o dell'aria, demone che ti muovi sulla terra o nelle viscere del mondo sotter­ raneo, ebuseo o cherseo o fariseo, parla, chiunque tu sia. (6) Perché io ti supplico in nome del Dio che porta la luce, l'invincibile, che conosce quanto alberga nel cuore di ogni essere vivente, che dalla polvere ha creato la stirpe degli uomini, che ha guidato fuori dalle tenebre, che addensa le nubi e invia la pioggia alla terra, ne benedice i frutti ed è benedetto da ogni schiera celeste di angeli e arcangeli . . . [seguono altri scongiuri] . [. . .] (14) Scongiuro te, che compi l'esorcismo, di non mangiare carne di maiale: ogni spirito e demonio, qualunque esso sia, a te si sottometterà. Mentre operi I'esorcismo soffia una volta, elevando il soffio dalla punta dei piedi sino al volto; il demone si allontanerà. Custodisci e mantieniti puro. La preghiera è ebraica ed è custodita da uo­ mini puri)).

Il testo scomoda tradizioni anticotestamentarie e apocrife giudaiche (soprattutto nella formula magica), ma anche elementi dell'antica cre­ denza popolare (preparazione dell'amuleto, soffio). In particolare gli scongiuri («TI scongiuro per. . . ) la richiesta di palesare il nome al fine di impossessarsi del potere dell'interrogato (« n scongiuro, qualunque » ,

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Articoli mnatici

spirito demoniaco tu sia, di dire chi sei. . . ))), nonché il comando di usci­ re (« Esci da NN») sono motivi esorcistici diffusi (maggiori dettagli in TRUNK 1 994; 39 1-4 1 0). Poiché i rituali magici sono sostanzialmente conservativi (sul tema magia e coercizione cf GRAF 1 996, 1 98-203), i testi qui proposti pos­ sono essere arricchiti da altri esempi analoghi intra- ed extrabiblici, al fine di enucleare gli elementi essenziali dell'antico rituale della cacciata dei demoni. Degni di nota sono i seguenti motivi, che ricorrono in varie forme (cf THEISSEN 1 998, 94-98; AuNE 2006, 392s.): { l ) Elemento distintivo è il fatto che l'ossesso è abbandonato in balia del demone, che prima dell'esorcismo si manifesta in modo sensibile mediante la perdita del controllo del corpo e nel corso dell'esorcismo nel momento della dipartita del demone. Esempi:

At 19, 16: «E l'uomo che aveva lo spirito cattivo si scagliò su di loro, ebbe il sopravvento su tutti e li trattò con tale violenza che essi fuggirono da quella casa nudi>>. Mc 5,2-5: ••[ . . ] Subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno .

riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo)). Mc 9, 18: «Dovunque lo afferri [lo spirito muto], lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce» (cf Mc 1 ,23-26) . Luc., philops. 16 [ 1 459] : «L'ammalato tace, ma il demone risponde». PHILOSTR., vit. Ap. 4, 20, 7-14 [ 1 95] : «Ed egli [Apollonia] , sollevando a lui [il giovanetto elegante e dissoluto] Io sguardo, "Non sei tu" disse "a insul­ tare così, ma il demone che ti incita senza che tu te ne accorga". Il giovane in effetti era posseduto, e non lo sapeva; rideva per cose che a nessun altro muovevano il riso, e passava al pianto senza alcun motive, parlava con sé stesso e cantava da solo. La gente credeva che a tutti questi atti lo' inducesse la sfrenatezza dell'età, ma quando sembrava ubriaco egli non era che l'in­ terprete del demone, appunto come allora». Ios. FLAv., Ant. 8, 47 [ I (Libri 1-X), 487 (II, 5)]: «E subito, quando l'uomo cadeva». Ios. FLAv., Ant. 6, 166 [I (Libri I-X), 37 1 (VIII, 2)] : «Saul, invece, era assalito da certe afflizioni e da demoni causanti soffocamenti e strango­ lamenti».

Demoni - Ossessioni - Rituali di esorcismo

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(2) Lesorcismo è presentato come una battaglia tra l'esorcista e il de­ mone, che può essere combattuta con scongiuri, la formulazione di un sapere superiore, l'invocazione di una potenza più alta, ma anche con strumenti magici. In genere le due parti combattono con le stesse armi e seguono spesso uno schema ben preciso. Al riguardo occorre osservare che gli esorcismi di Gesù presentano un repertorio tecnico molto limitato e che non conoscono né scongiuri, né invocazioni di Dio (e meno che mai di spiriti), né l'impiego di mezzi magi­ ci. Anche se si raccontano esotcismi che hanno esito positivo senza alcuna tecnica (Mt 9,32s.; 12,22), nelle variazioni più lunghe essi consistono in diversi brevi comandi: Gesù apostrofa i demoni con un tono autoritario (E1ttnJ.uiro/epitimdO), comanda loro di tacere (q>t}Jhm/phimoo) e ordina loro di andarsene (e�ÉPXOflat/exérchomai; detto anche ànono�/apopompé, "cacciare da"); a volte possono seguire anche il comando di entrare in un altro essere vivente (twÉpJ(OflUt/eisérchomai; detto anche E1tl1tOfl1tllf epipompé, "inviare à') e la formulazione di un divieto di tornare. Esempi: Intimare/minacciare (entnJ.Uiro/epitimdii - apostrofare in modo autoritario, minacciare): Mc 1,25: «E Gesù gli [cioè al demone] ordinò severamente». Mc 9,25: >. ActBam 19, 4 [599] : «Barnaba [ . . . ] lo [quel luogo] maledisse». cf anche Le 4,39: «Si chinò su di lei [la suocera di Pietro], comandò alla febbre». cf anche Mc 4,39: «Si destò, minacciò il vento e disse al mare». "Incantesimo del nome" e comando di tacere:

Mc 5, 9: «E Gesù gli domandò: "Qual è il tuo nome?". "Il mio nome è Le­

gione" - gli rispose - "perché siamo in molti"». Mc 1,24: «lo so chi tu sei: il santo di Dio!». Mc 1,25: «Taci!» (cf anche Mc 4,39!). PGM 4, 3041 [trad. it. , GEORG LucK (ed.), Arcana Mundi. Magia e occulto nel mondo greco e romano, 1: Magia, miracoli, demonologia, cit., 351]: «Anche tu parla, chiunque tu sia». PGM 13, 242-244 [ibid. , 1 7 1 ] : «Se pronuncerai il nome a uno posseduto da un demonio e accosterai al suo naso wlfo e bitume, immediatamente parlerà e il demonio si allontanerà». Scongiuro ([è�opldçro/[ex]horkizii - scongiurare, legare con giuramento) :

PGM 4, 3019: «[Esorcista] : Io ti scongiuro per . . . » (cf PGM 3, 36; 4, 289; 7, 242 e passim)

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Articoli tematici

Mc 5,7: (( [Demone!:] Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!)). Luc., philops. 16 [ 1 459] : (( [il Siro] con scongiuri e, se non ubbidisce, con minacce scaccia il demone)). Luc., philops. 31 [ 1 473] : > (v. 50). Giairo è esortato da Gesù "soltanto"/"unicamente" (�6vovlmonon) ad avere "fede" (il verbo matrurolpistéuò) . La promessa ricevuta da Giairo contiene il verbo "sal­ vare" (aO}çrolsozò). Il legame esistente tra fede e salvezza è già noto alle lettrici/ai lettori dalla precedente guarigione della donna sofferente di perdite di sangue. Per Giairo questa risposta è ancora molto esigente, perché gli chiede di credere e di fidarsi, nella sua drammatica situazione, delle parole piene di speranza di Gesù. Il testo non ci dice se egli abbia accolto subito con fede tale promessa. In ogni caso prosegue il proprio cammino con Gesù. Questi arriva alla casa di Giairo e lascia entrare con sé solo tre dei suoi discepoli e i genitori della fanciulla (v. 5 1) . Qui viene sottolineata l'autorità e la sovranità di Gesù: egli stabilisce chi può entrare nella casa e avvicinarsi alla figlia di Giairo. Sorprendentemente qui non si parla più di Giairo quale capo della sinagoga, ma di Giairo come padre della fanciulla. Vengono men­ zionati anche entrambi i genitori, il padre e la madre. In questo piccolo gruppo appartato possiamo vedere un parallelismo con l'intimità fra Gesù e l'emorroissa. La situazione pubblica è ambedue le volte a livello narrativo ridotta a un'intima relazione a due o a un piccolo gruppo. Luca dà risalto al fatto che "tutti" piangono e lamentano la morte della ragazza. Gesù li esorta a non piangere più con questa motivazione: « [La fanciulla] non è morta, ma dorme» (v. 52). Per queste parole è deriso dai

Compiere miracoli in situazioni stressanti

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presenti, ma non si lascia scoraggiare. Prende l a mano della defunta e le ordina: «Fanciulla, alzati!)) (v. 54). I verbi "prendere" (Kpa'tÉro/ kratéO) e "alzarsi" (f:yf.iproleghéiro) possono essere interpretati simbolicamente come allusioni all'imminente risuscitamento della ragazza. Questa è di­ rettamente interpellata da Gesù: (vocativo "fanciullà' - � rr.aicjhepais) . Le parole di Gesù si adempiono subito. Luca accentua in particolare la descrizione del risuscitamento. Solo lui infatti precisa che lo "spirito" (1tVciJ�alpnéuma) della fanciulla torna in lei (v. 55). Ella si "alzà' subito (qui il verbo àvicrn wt/anistemi). La prima cosa che Gesù comanda di fare dopo questo miracolo è di dare da mangiare alla fanciulla. I genitori, che sono spettatori del miracolo, rimangono sbalorditi e reagiscono come la donna guarita da Gesù. Anche altrove la Bibbia parla così a proposito di persone che sperimentano la presenza del Dio vivente. Il racconto termina con un ordine di tacere impartito da Gesù ai presenti (v. 56). Questo è l'ultimo di sei comandi impartiti da Gesù in Le 8,49-56, che manifestano anche la sua sovranità e autorità.

Contesto storico sociale e reale

Assieme alla donna emorroissa e al quadro clinico della "perdita di sangue" dobbiamo anche parlare degli effetti sociali che ciò aveva per la persona colpita. A proposito del quadro clinico della "perdita di sangue" (� pumç 'tOÙ a1�a'toç/he rhjsis tu hdimatos) si trovano diverse spiegazioni già in antichi testi di medicina (ad esempio nell'Ippocratico, in Sorano, Celio Aureliano, Plinio) . Si menzionano principalmente quattro modelli di spiegazione: « 1 . Flusso di sangue dovuto alla rottura di vene ... 2. il flusso di sangue come conseguenza di una ferita, di una disgregazione o di una lacerazione del tessuto ... 3. Il flusso di sangue come conseguenza di un movimento violento durante una gravidanza ... 4. Flusso di san­ gue nel contesto delle regolari mestruazioni)) (WEISSENRIEDER 2002, 78s. [ 1 08s.] ). Anche l'odierna medicina afferma che, nel caso di una cronica perdita di sangue, della cosiddetta metrorragia, si può trattare di varie malattie, come ad esempio formazioni di polipi, miomi o carci­ nomi. Inoltre una tale emorragia può anche avere cause psicosomatiche, per disturbi endocrini; si tratta di una "emorragia uterina disfunzionale

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l racconti

di miracoli nel vangelo di Luca

(DUB)" {ScHIFFER 200 1 , 1 94). La non coerenza tra genere biologico e sociale e la conseguente crisi di identità svolge qui un ruolo impor­ tante. Riguardo al trattamento dell'"emorragia" e delle perdite croniche di sangue, bisogna ricordare che al tempo di Gesù tale trattamento era possibile soprattutto a donne benestanti, ma senza garanzia di guari­ gione; infatti nel caso di continue perdite di sangue e soprattutto ((nel caso di una perdita di sangue organicamente condizionata, nemmeno il miglior metodo di trattamento poteva procurare in quel tempo qualche beneficio" (METTERNICH 2000, 1 9ls.). Le emorragie croniche, che du­ rano da anni, possono condurre a un indebolimento o addirittura alla morte della persona interessata. Dopo dodici anni di questa malattia la donna di Le 8,43-48 doveva trovarsi fisicamente vicino alla morte. Ella soffre ed è quotidianamente indebolita da questa situazione. � (9, 13a). Gli apostoli abilitati a compiere miracoli non sono però d'accordo con lui, perché sembrano quasi dirgli: ''Ah, ci siamo di­ menticati di aver ricevuto il potere e la capacità di compiere miracoli (cf.

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Le 9, 1), perciò lo facciamo volentieri". Ignorano piuttosto l'esperienza fatta a proposito e contemporaneamente a quanto il loro maestro/inse­ gnante ha detto loro. Testardamente e con una certa dose di cinismo gli rispondono: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente)) (9, 1 3b). E il narratore aggiunge: «C'erano infatti circa cinquemila uomini)) (9, 14a). Il cinismo nasce dal fatto che si è ormai fatto tardi e ancor più dai notevoli costi che avrebbero dovuto sostenere per dare da mangiare a così tanta gente. I lettori attenti sanno però che gli apostoli non hanno denaro con sé. Ed è loro noto anche che i discepoli sanno che Gesù sa che essi non ne hanno, visto che aveva loro dato questo comando (cf. 9,3)! Gesù non prende però in considerazione la cinica tattica argomenta­ tiva degli ignoranti apostoli taumaturghi, ma impartisce loro un altro comando, e 9, 1 5 mostra che adesso essi lo ascoltano, qualunque cosa abbiano pensato al riguardo, e vengono di conseguenza chiamati per la prima volta nel nostro brano "discepoli" o "alunni" (Jlafhltailmathétdi). La loro denominazione di "Dodici" in 9, 1 2 può adesso essere intesa come appellativo di transizione: «Egli disse ai suoi discepoli: "Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa. Fecero così e li fecero sedere tutti quanti")) (9, 1 4bs.). La parola di Gesù fa della folla non strutturata il popolo ordinato di Dio. A questo punto i discepoli non sanno ancora che l'esecuzione di quest'ordine porterà a far sì che essi daranno da mangiare alla folla: «Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla)) (9, 16). Esattamente da questa serie di gesti anche i due discepoli lo riconosa;ranno sulla via di Emmaus mentre camminano con lui (cf Lc 24,30s.) . I discepoli si comportano finalmente come discepoli e fanno quanto Gesù ha loro ordinato in risposta alla loro presuntuosa richiesta di congedare la folla e alla loro ignoranza del fatto che hanno la capacità di compiere miracoli, e distribuiscono i cinque pani e i due pesci che hanno con sé. Però non sono più gli stessi pani e gli stessi pesci. Gesù ha alzato gli occhi al cielo, ha benedetto il pane della terra e il pesce del mare e ha spezzato il pane. Cielo, terra e mare sono stati collegati fra loro in questo gesto di benedizione (cf. DELORME 1 979) e adesso non sono più solo accessibili, ma sono diventati il luogo dell'incontro di tutte le dimen­ sioni della realtà meravigliosamente creata dal Dio d'Israele. Cielo, terra e mare sono adesso legati nella pienezza della materialità del pane e del pesce benedetto.

I taumaturghi ignoranti

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Ma questa nuova qualità della materia non è solo messa simbolica­ mente in rilievo nell'ultimo versetto del brano, bensì è anche confermata concretamente: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste» (9, 1 7). Per il lettore attento si adempie così quanto era stato annunciato dall'inno di lode di Maria in 1 , 53 e dal discorso di Gesù in 6,2 1 a: gli affamati sono saziati. Labbondanza del pane non allude però solo a questa dimensione escatologica della pericope, ma esprime anche una critica ironica nei confronti del comportamento dei Dodici, che ragionano in base alla loro esperienza: ne avanzano dodici ceste, una ciascuno come ricordo per gli ignoranti dodici apostoli taumaturghi, che traspongono l'ignoranza del popolo d'Israele nei confronti del suo Dio potente nei miracoli nella storia del cristianesimo. Qualsiasi pezzo di pane aggiunto da esegeti pieni di fantasia alla scena, si tratti di pane preventivamente nascosto in caverne, o discretamente portato da ricche gentili dame in mezzo alla folla, distruggerebbe il racconto del vangelo di Luca! Gli esegeti che procedono così somigliano ai Dodici saggi, che vogliono congedare la folla affamata, e non seguono la logica del vangelo che contrasta con le abitudini quotidiane dettate dall'esperienza.

Contesto storico sociale e reale

ricerca cronistorica più accreditata non è in grado di rispondere alla domanda se il pasto dei cinquemila sia stato un evento storico reale. Non solo la base costituita dalle fonti è troppo debole, perché queste (Marco, Matteo, Luca, Giovanni) sono letterariamente collegate fra di loro dal punto di vista storico letterario e perché non esistono testimo­ nianze da esse indipendenti di un pasto di massa di ascoltatori di Gesù di Nazaret. Questa affermazione necessaria, che è rivolta in egual modo contro interpretazioni cronistoridzzanti o metaforizzanti del miracolo, non rende però affatto superflue le ricerche storico-sociali e materiali. È vero il contrario. Per poter comprendere meglio le storie, di grande interesse è la ricostruzione più ampia possibile del rilevante sapere enci­ clopedico del tempo della produzione del testo (cf. ALKIER 20 1 0, 146s.). Sorprendente dal punto di vista storico concreto è già il grande nu­ mero degli uomini sfamati. Un gruppo di cinquemila persone è ancor La

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I racconti di miracoli nel vangelo di Luca

oggi e tanto più nell'antichità, e in modo particolare proprio anche nei vangeli, un gruppo impressionante e sensazionale. In nessun luogo dei vangeli viene citato un così grande numero di persone radunate. Essi non rappresentano solo una grande folla qualunque, bensì il popolo di Dio formato dalla parola di Gesù. La loro sistemazione in gruppi ordinata da Gesù suscita inoltre delle associazioni militari. Dal punto di vista storico-sociale bisogna inoltre tener conto del fatto che il testo non dà alcuna informazione sulla struttura sociale dei cin­ quemila uomini sfamati. Il fatto che essi fossero poveri o ricchi, istruiti o ignoranti e appartenessero a determinati gruppi giudaici non svolge alcun ruolo per il testo. Né ci viene detto, diversamente da quanto av­ viene nei testi paralleli, se c'erano anche donne e bambini. Il fatto che gli apostoli/discepoli non avessero denaro con sé non va considerato come una scelta romantica fatta dal movimento di Gesù in favore della povertà. Seguendo l'insegnamento di Gesù essi non portano denaro con sé, cioè avevano il denaro che però non portavano con sé (cf Le 9,3). I seguaci di Gesù, che sono descritti nel vangelo di Luca, non vivevano, fatte poche eccezioni, in condizioni precarie, cioè non erano né particolarmente poveri, né particolarmente ricchi. Neppure l'associazione dell'alimento "pesce" con alcuni discepoli, che erano pescatori di professione, induce a pensare a individui poveri. I di­ ritti di pesca andavano infatti acquisiti. Chi possedeva una propria barca e una propria rete o altri strumenti da pesca non apparteneva alla classe inferiore, ma piuttosto a quella dei benestanti. In Le 5,3 Simon Pietro è descritto come un pescatore benestante, che possedeva una propria barca, così come poi in 5, l O Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo. Quando perciò poi in 5 , l l leggiamo: «E, tirate le barche a terra, lascia­ rono tutto e lo seguirono)), dobbiamo sapere che non vengono liberati da un rapporto salariale fatto di sfruttamento di poveri lavoratori gior­ nalieri, bensì che abbandonano la loro impresa di piccoli imprenditori benestanti. Il pesce era un alimento molto importante ed era consumato un po' da tutte le classi sociali. A Betsaida, che tradotto significa "case della pesca'', c'era una vera propria industria dedita alla lavorazione del pesce. Qui si producevano salse di pesce, vere e proprie leccornie esportate fino a Roma. «Pochi erano i luoghi del bacino del Mediterraneo, in cui veni­ vano lavorate in modo raffinato specie piuttosto rare di pesce, che erano considerate delle prelibatezze. D'altra parte il pesce era praticamente an­ che l'unico companatico contenente delle proteine, che la povera gente

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poteva procurarsi. E pure nel campo religioso il pesce svolgeva, come desiderato alimento del sabato, un ruolo importante (bBé$ 1 6, l ; bSab 1 19a))) (ZANGENBERG 200 1 , 58).

Sfondo storico tradizionale e religioso

Luca trova la pericope del pasto dei cinquemila e dei quattromila nelle sue due fonti, in Marco e nel vangelo di Matteo. Tralascia quel­ lo dei quattromila e inserisce il pasto dei cinquemila nel suo vangelo, seguito in ciò dal vangelo di Giovanni. Il confronto con le tradizioni parallele risulta istruttivo, qualora non si confrontino fra di loro solo i diversi testi, ma si prenda in considerazione anche la funzione che essi svolgono nel rispettivo macrotesto e i numerosi legami che hanno con esso. Per esempio Marco adopera lo spazio intermedio tra i racconti del pasto da lui narrati per sottolineare l'incomprensione dei discepoli. Tra il pasto dei cinquemila e quello dei quattromila essi non fanno alcun progresso sotto questo aspetto, cosa che fa arrabbiare Gesù e lo induce a rimproverare loro di avere un cuore indurito (cf. Mc 6,30-8,2 1). Luca non riprende però dalle sue due fonti - dal vangelo di Marco e di Mat­ teo tale rimprovero mosso ai discepoli, anzi lo corregge notevolmente in numerosi passi, per cui non ha neppure bisogno di raccontare la seconda storia del pasto. Alla luce del suo nuovo modo di considerare i discepoli, l'implicita critica mossa nella redazione lucana del pasto dei cinquemila all'ignoranza del selezionato gruppo degli apostoli, che ha sperimentato di possedere una propria forza, è degna di nota. Il racconto del pasto permette di riconoscere delle associazioni imer­ testuali con testi dell'Antico Testamento. Il racconto dell'esodo mostra che Dio è capace di nutrire in modo miracoloso, perché agli israeliti fuggiti dall'Egitto non dona solo la sua parola, bensì anche tutto il cibo necessario per saziarli (cf. Es 1 6, 1 -36). Pure la sistemazione a gruppi di cinquanta è senza dubbio intertestualmente collegata con la tradizione dell'esodo (cf. Es 1 8,2 1 -26) e con la formazione del popolo di Dio. Pure i Salmi parlano di Dio come datore di cibo, quando ricordano i racconti dell'esodo (cf. Sal 78,2 1-29). Dio come prodigioso elargitore di cibo fa non da ultimo parte anche del repertorio di storie delle tradizioni di Elia e di Eliseo (cf l Re 17 ,8- 1 6; 2 Re 4,42-44). -

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Queste tradizioni furono riprese nel I secolo fino ai primi decenni del II secolo d.C. da tutta una serie di movimenti messianici, che prima, durante e dopo la vita di Gesù si sono di continuo radunati in grandi masse attorno a qualche salvatore considerato come messia e da cui, riallacciandosi alla tradizione dell'esodo, ci si aspettava la restaurazione politica del regno d'Israele. Il numero di 5000 simboleggia quindi una massa grande, notevole, la cui disposizione a gruppi evoca senza dub­ bio anche associazioni militari con altri movimenti messianici. La fase storico religiosa dei movimenti messianici in seno all'antico giudaismo dura fino alla proclamazione gravida di conseguenze di Bar Kokhbha a Messia.

Proposte di comprensione e orizzonti interpretativi

Spesso la storia della moltiplicazione dei pani e dei pesci è interpretata come un'esortazione alla condivisione. In questo modo è presentato, ad esempio, nella maggior parte dei manuali di insegnamento della religio­ ne. Ciò è bello e sortisce sicuramente anche un effetto pragmatico, che trova fondamento nella pericope. La riduzione a un'etica del condividere non ne coglie tuttavia la dimensione teologica, che poggia decisamente su una teologia della possibilità di rivolgersi a Dio, che possiamo rin­ graziare e invocare non solo per la nostra o l'altrui "salvezza dell'animà', bensì anche per il pane quotidiano e ciò per molti. Ma come pensare a questo saziare i 5000 uomini senza ritenere che si tratti di un miracolo fiabesco di prodigalità, simile ad esempio a quello narrato nella favola di Grimm intitolata Tischlein deck Dich [trad. it., Il tavolino magico, l'asino d'oro e il randello castigamatti, in Fiabe belle, Nuove Edizioni Carroccio, Milano 1 983] ? Luca afferma pur sempre alla maniera di uno storico antico di aver «fatto ricerche accurate su ogni cir­ costanza, fin dall'inizio)) e di volerne ((scrivere un resoconto ordinato)) per informare Teofilo e con lui tutti i credenti e le credenti in Dio, mediante la lettura del suo vangelo, sulla "solidità degli insegnamenti" ricevuti (cf. Le l , 1 -4) . L autore del vangelo di Luca non volle sicuramente essere un narratore di favole, e tanto meno volle scrivere la "favola di Gesù, il ciarlatano, e delle sue ricche dame". La risposta la dà lo stesso vangelo, qualora ci atteniamo all"'ordine" ben ponderato che lo ha ispirato.

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Su richiesta dei discepoli, Gesù insegna loro a "pregare" così "come anche Giovanni" aveva fatto con i suoi discepoli: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano)) (Le 1 1 , l b-3). Il cibo per i cinquemila uomini affamati con i pani benedetti e i pesci presuppone che Dio abbia esaudito tale richiesta di Gesù. La chiave teologico-ermeneutica del superamento dell'ignoranza degli apostoli abilitati a compiere miracoli viene formu­ lata in modo inequivocabile poco dopo il Padre nostro: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto)) (Le 1 1 ,9). E se continuiamo a leggere troviamo anche un commento a proposito dei pesci: ((Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà uno scorpione?)) (Le 1 1 , 1 1 ) . La parabola dell'amico che chiede è posta da Luca come argomento narrativo esattamente tra il Padre nostro e l'appena citata fiducia che l'arante deve avere, quando chiede: ((Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: "Amico, prestarni tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli" [ . . . ] se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono)) (Le 1 1 ,5-8). Nel vangelo di Luca ci sono ancora molte altre pericopi, che possono sottolineare, concretizzare e approfondire la plausibilità del cosiddetto "pasto dei cinquemila" nella cornice del discorso di tale vangelo. La chiave teologica che rende plausibili i miracoli di Gesù e dei suoi apo­ stoli in tutto il racconto lucano si ritrova sotto forma di discorso diretto del protagonista: ((Gesù rispose: "Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio")) (Le 18,27). Tutto sommato possiamo dire che la fun­ zione simbolica e quindi anche quella etica dei racconti, che il ridotto codice dell'odierna teologia occidentale pensa di poter riassumere con l'imprecisa e generica formula di storia di miracoli, è solo d'intralcio nella cornice dei vari universi discorsivi dei testi biblici, se quanto viene in essi raccontato fu presentato in modo plausibile come un evento e fu così recepito. La spiegazione razionalistica dei miracoli, che va da H.E.G. Paulus fino a Gerd TheiBen, parla invece sempre di sotterfugi e/o di inganno: nella variante di Gerd TheiBen (THEISSEN 20 10, 1 68 [ 1 80]) ricche donne sostennero l'apparente taumaturgo Gesù e gli fecero dono non solo del loro tempo, bensì anche del loro sostegno materiale. La ricca Giovanna racconta: ((Quando io o altre persone gli mandiamo del cibo, pane, pe-

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sci, frutta, e i miei servitori li tolgono dalle sacche, alla folla sembra un miracolo [ . . ] . Questa povera gente non si è mai trovata davanti a una quantità così enorme di viveri. Se si vuole, anche così avviene un vero miracolo». Le ricche dame, operanti secondo la concezione maschile di questi esegeti razionalistici in modo molto discreto e dietro le quinte, non furono affatto notate dalla folla e così essa attribuì il dono di tanto ben di Dio a Gesù e lo dissero un taumaturgo. Questa spiegazione ra­ zionalistica dei miracoli paga tuttavia un alto prezzo con l'eliminazione dei tratti miracolistici del racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci: in questo modo Gesù non diventa infatti uno sciamano, come qualche tempo fa qualche volta fu detto, bensì diviene un ciarlatano, che si pavoneggia con piume altrui. Il sottogenere dei miracoli proposto da TheiBen come "miracoli di prodigalità'' (cf. THEISSEN 1 998) diventa così un genere vacuo. Lorizzonte interpretativo del pasto dei cinquemila che bisognerebbe adottare non è quello razionalistico, ma quello teologico, e ciò mediante il collegamento imenestuale con testi che parlano del Dio misericordioso e giusto d'Israele, che desidera còmunicare, e quindi in modo particolare mediante il collegamento con testi dell'Antico Testamento e altri testi del Nuovo, nonché anche con altri testi della letteratura giudaica e cristiana. Chi vuole seguire il Gesù del racconto lucano della moltiplicazione dei pani e dei pesci deve rivolgersi pieno di fiducia a Dio e pregarlo per il proprio e l'altrui pane, e ciò anche e proprio quando le proprie possibi­ lità sono limitate. Non possiamo certo contare su miracoli, perché essi non appartengono al campo del fattibile e del calcolabile. Proprio così essi limitano la pretesa totalitaria di una spiegazione causale della realtà, che sfocia sempre in una ideologia del fattibile. Il ringraziamento e la preghiera di domanda personale, indirizzati a Dio e che superano i limiti sperimentati infrangono tali limiti. La pre­ ghiera rende capaci di intravvedere nuove possibilità, esperienze contin­ genti, che non sostituiscono l'attività politica, ma la possono piuttosto motivare e orientare nell'ambito di una vita creaturale grata e imploran­ te. Per chi e per che cosa prego io, preghiamo noi? per che cosa ringrazio, per che cosa ringraziamo tutti insieme? La preghiera di domanda piena di fiducia verrebbe però fraintesa, se fosse fatta in sostituzione dell'azione politica. In questo modo essa ritorna di nuovo addirittura ad abusare di un esercizio cinico del potere, che consoliderebbe le ingiuste strutture esistenti affidando le necessità materiali dei bisognosi a Dio. Sotto questo aspetto si resero spesso col.

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pevoli in modo particolare le chiese cristiane. Perciò le interpretazioni materialistiche e postcoloniali della Bibbia posseggono, nella loro qua­ lità di movimenti alternativi, un alto valore critico nei confronti delle ideologie.

Aspetti della tradizione parallela e della storia degli effetti

L interpretazione semiotico-critica dei miracoli mira anzitutto a rico­ struire la visione del mondo del testo. La sua domanda principale recita: il testo come presenta gli eventi, affinché risultino plausibili all'interno del suo discorso? Il mondo, che il testo pone e presuppone, è detto nel­ l' esegesi semiotico-critica, ricollegandosi al concetto matematico-logico dell' universe of discourse, universo discorsivo. Su questa base testuale vengono poi individuati anche altri contesti, siano essi altri testi, la cui contemporanea lettura con il testo da interpretare dischiude nuovi testi {intertestualità), o siano essi anche altri segni - come monete, iscrizioni, edifici, strumenti - che possono chiarire dimensioni politiche, economi­ che, giuridiche, mediali, storico-sociali, riguardanti la storia della medi­ cina o la storia della religione del testo da interpretare {intermedialità) (cf su queste questioni e su questi concetti ermeneutici e metodologici ALKIER 20 10, 1 04- 1 84, in modo particolare 1 39- 1 48). La scienza neotestamentaria pensa tuttora sempre troppo poco che suo compito sia anche quello di studiare la ricezione dei racconti .biblici nei film, nella musicapop e nei nuovi mezzi media. Queste interpretazio­ ni artistiche raggiungono molte più persone di quante ne raggiungono le interpretazioni scientifiche o le prediche domenicali. Esse non rispec­ chiano solo gli orientamenti dell'interpretazione e quindi lo spirito del tempo anche delle scienze bibliche, bensì contribuiscono a loro modo a questo discorso. Così si potrebbe confrontare in modo interessante il neorealismo di Rossellini con il neorazionalismo di Gerd lheiBen, al fine di scoprire lo spirito del tempo degli anni Settanta del XX secolo, che influenza tutt'oggi in larga misura in maniera determinante il dibattito sui miracoli. Il film Il Messia di Rossellini (Francia e Italia 1 975) vide la luce in una serie di documentari biografici del regista riguardanti, tra gli altri, Luigi XIV, Socrate e Agostino. L universo discorsivo del suo film su Gesù

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pretende - come il romanzo di lheiBen, L'ombra del Galileo - di rappre­ sentare la realtà cronistorica. Alle immagini documentaristiche del film corrisponde l'impiego straordinariamente scarso della musica. Solo in pochi punti viene inserita una melodia semplice e melanconica di flauti, che sottolinea la semplicità e la chiarezza delle immagini. In un numero ancora minore di passaggi, ad esempio in occasione dell'infanticidio di Betlemme, ci sono degli effetti sonori sintetici, che accompagnano l'evento. Una melodia naturale di flauti, legata ai protagonisti, e effetti sonori sintetici, collegati con gli antagonisti, uniscono fra di loro le varie sequenze. Le immagini, che simulano un realismo documentaristico, e la semplice musica dei flauti sono in linea con il linguaggio della predica­ zione del regno di Di-o, che sta al centro del film. l relativi atti locutori sono contraddistinti da un modo tranquillo e regolare di parlare e da un tono uniforme. Soprattutto nel caso delle parabole del regno di Dio, che non presentano solo Gesù, ma anche Maria e alcuni discepoli, i locutori sono intenti a svolgere una semplice attività manuale. Il contenuto delle parole è espresso mediante la messa in scena degli atti Iocutori: si tratta di una verità semplice, non artificiosa, quotidiana, capace di dar vita a una comunità, comprensibile da tutti e chiara, che si oppone a tutte le ideologie religiose e politiche sul potere. In questo universo discorsivo documentaristico le rappresentazioni di miracoli costituivano un corpo estraneo, per cui Rossellini le tralasciò. Viene rappresentato solo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che però è integrato nell'universo discorsivo documentaristico. -La messa in scena del pasto dei cinquemila assume così un valore paradig­ matico e razionalisticamente svuotato dei tratti miracolistici, che indica il modo in cui bisognerebbe comportarsi con le storie di miracoli. Dopo il discorso della montagna, Gesù porge senza parlare i pani ai discepoli, che a loro volta li porgono alla folla. Lo spettatore che conosce la Bibbia riconosce il racconto del miracolo del pasto dei cinquemila, che però nella messa in scena di Rossellini viene trasformato, proprio a motivo dell'omissione della comunicazione di Gesù con Dio, in una storia di una condivisione causalmente spiegabile. A motivo dell'ampia rinuncia alle storie di miracoli, Gesù sta al centro dell'evento come un maestro saggio, che si impegna contro I' oppressione degli uomini e in favore di una loro pacifica convivenza, e che muore eroicamente a motivo delle sue convinzioni. Il meraviglioso messaggio del Dio creatore onnipotente, misericordioso e giusto, che rinnoverà ogni cosa e che ha già risuscitato il Gesù giustiziato sulla croce come inizio della nuova creazione in seno

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alla sua vita divina, va perduto nelle trasformazioni che si svuotano del discorso biblico su Dio e il suo Figlio.

Bibliografia per ulteriori approfondimenti U. BussE, Die Wunder des Propheten fesus. Die Rezeption, Komposition und !nterpretation der Wundertradition im Evangelium des Lukas, Stuttgart 1 977, 232-248. A. FARRER, Loaves and lhousands, in fournal oflheological Studies -jlhS 4 (1 953) 1 - 1 4. R. H. HrERS, lhe Bread and Fish Eucharist in the Gospels and Early Christian Art, in Per­ spectives in Religious Studies 3 ( 1 976) 2 1 -48. I. DE LA PoTTERIE, Le sens primitifde la multiplication des pains, in J. DuPONT (ed.), jesus aux origines de la Christologie, Leuven 1 989, 303-329.

B.

IERSEL, Die wunderbare Speisung und das Abendmahl in der synoptischen Tradition (Mk VI 35-44par., VIII 1-10 par.), in Novum Testamentum - NT7 ( 1 964) 1 67- 1 94).

VAN

Accoglienza ostile (Gesù e gli s p iriti malvagi) Le 1 1 , 1 4-23 CHRisTFRIEo BoTTRicH

( 1 4) Gesù slava scacciando un demonio che era mulo. Uscito il demonio, il mulo cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. ( 1 5 ) Ma alcuni dissero: •È per mezzo di Beelzebul, capo dei demon i, che egli scaccia i demon i•. ( 1 6) Altri poi, per metterlo alla prova , gli domandavano un segno dal cielo. ( 1 7) Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in sé stesso va in rovina e una cosa cade sull'altra. ( 1 8 ) Ora, se anche Satana è diviso in sé stesso, come potrò stare in piedi il suo regno? Voi dite che scaccio i demoni per mezzo di Beelzebul. ( 1 9) Ma se io scaccio i demoni per mezzo di Beelze­ bul, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. (20) Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. (2 1 ) Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. (22) Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli stroppo via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. (23) Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde• .

Analisi linguistico-narratologica

Il conflitto sulla legittimazione esorcistica di Gesù, accusato dai suoi avversari di servirsi di pratiche magiche, ricorre in Luca come parte del cosiddetto "racconto di viaggio" o centrai section (Nof.L 2004) . Sulla precisa delimitazione, nonché sull'intenzione di questa fase, che va dal­ l'attività svolta da Gesù in Galilea fino alla sua entrata in Gerusalemme,

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si è discusso molto e vivacemente (voN BENDEMANN 200 1). Di sicuro si può solo dire che l'evangelista si occupa qui, tra le fondamenta poste nella parte galileiana e le polarizzazioni della parte gerosolimitana, del motivo della "via", ricco di implicazioni e che collega soprattutto una serie di decisioni. I temi affrontati in Le 9,51-1 9,40, hanno carattere esemplare e lasciano trasparire in modo particolare la via della comunità cristiana attraverso il tempo. Si succedono gli uni agli altri, senza uno stretto legame, brevi episodi, detti, parabole o controversie, che costituiscono nello stesso tempo unità tematiche più ampie, che potremmo definire come "raccolte narrative" (WoLTER 2008, 1 6) . Nel contesto di Le 1 1 si tratta della questione della fiducia in Dio. In I l , 1 - 1 3 l'evangelista delinea con concisione didattica un catechismo sulla preghiera, che comincia con il Padre nostro e sfocia nella invocazione dello Spirito Santo. Segue in I l , 14-28 un'immagine di segno opposto: la realtà di spiriti impuri sottolinea la richiesta di I l , 13; il loro potere è sì già stato infranto da Gesù, tuttavia dove lo Spirito di Dio non prende pienamente possesso di un uomo, bisogna continuare a temere il loro influsso. La richiesta di un "segno" di 1 1 , 1 6 offre infine l'occasione per parlare in I l ,29-32 della questione della legittimazione divina di Gesù e di accennare di nuovo al "segno di Gionà'. Data la sua forma, tutta l'unità di Le 1 1 , 1 4-28 è una cria o più pre­ cisamente una "controversià'. La tematica del miracolo non si presenta qui tanto in forma di racconto, quanto piuttosto nella forma di una discussione. L esorcismo, con cui in 1 1 , 1 4 tutto comincia, è descritto in modo estremamente stringato. Mancano dettagli individuali; al centro c'è soprattutto il demone muto; dell'indemoniato senza nome si dice solo che, dopo essere stato guarito, egli parla di nuovo; ciò è semplice­ mente con�tataro; quanto alla reazione della folla, basta il fatto che essa è "presa da stupore". A questo stupore segue però adesso una controversia ben strutturata, che va da I l , 1 5 a I l ,23. 1 1 , 1 4 offre solo l'occasione, perché per "alcuni" di essi l'esorcismo non è motivo di stupore, ma di critica. Essi dicono che Gesù si servirebbe dell'aiuto demoniaco. Alle orecchie di un pubblico giudaico, che sul piano narrativo viene di con­ tinuo presupposto, una simile accusa è grave e non può rimanere senza risposta. Nel corso della controversia il Gesù lucano racconta tre brevi parabole. Diversamente da come fa in altre situazioni simili, egli non argomenta qui con citazioni scritturistiche, ma usa delle metafore. Inizialmente gli avversari appaiono come due gruppi, che formulano le diverse posizioni:

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a. Gli uni suppongono che Gesù scacci i demoni con l'aiuto del loro capo Beelzebul; b. Gli altri chiedono un segno dal cielo. La supposizione degli uni nega completamente la legittimazione divina del taumaturgo e dice che si tratta di capacità magiche; la richiesta degli altri si colloca su questa linea, lascia però trasparire la disponibilità a cambiare idea, se venisse loro dato un "segno dal cielo". Come in altri casi, questa "con­ troversià' non è un vero dialogo: Gesù, "conoscendo le loro intenzioni" (cf ad esempio Le 5,22; 6,8; 9,47), risponde con un monologo. Tutto lo scenario induce a pensare che le due cose (la supposizione e la richiesta) siano percepite e discusse dalla folla. Gesù può citare nel v. 1 8 le parole pronunciate da "alcuni" nel v. 1 5 e può quindi sperare di essere capito da molti. Egli respinge tuttavia solo l'accusa di essere alleato di Beelzebul. Sulla richiesta di un segno ritorna solo nella controversia successiva in 1 1 ,29.:.32.

Il suo monologo consiste sostanzialmente in due parabole (v. 1 7 e vv. 2 1 -22), che utilizzano il campo metaforico dei conflitti politici interni e della messa in sicurezza dei propri beni: un regno, che combatte se stesso, va in rovina; un uomo forte può essere derubato solo se è vinto da uno più forte (RuF 2007; MERZ 2007}. La trasposizione deve chiarire una cosa: i demoni non combattono fra di loro, ben sapendo che così si infliggerebbero solo dei danni; per vincere le potenze demoniache ci vuole una forza maggiore e non solo una uguale alla loro. Al termine della prima parabola Gesù respinge quindi l'accusa: egli non è l'unico esorcista giudeo! Il sospetto di un aiuto demoniaco non dovrebbe riguar­ dare in egual modo anche tutti gli altri esorcisti giudei, che pure sono chiaramente accettati? Infine le due parabole si concludono con dei detti incisivi. 1 1 ,20 constata che Gesù non si serve del capo dei demoni, ma del "dito di Dio", e in tal modo si manifesta già l'avvento del regno di Dio. 1 1 ,23 riduce la relazione con Gesù a tin semplice aut-aut: si può solo assentire a lui o rifìutarlo, ma non si può assumere un atteggiamento indifferente e di attesa. La pericope successiva ( 1 1 ,24-26) descrive - di nuovo con un di­ scorso metaforico (LABAHN 2007) i possibili risultati. La liberazione dalla possessione demoniaca, che non può avvenire dietro comando del capo dei demoni, bensì solo grazie al potere di Dio, è sempre esposta al pericolo di una ricaduta. Luomo è qui concepito come una dimora dello "spirito impuro", che nel caso sia vuota invita addirittura il demone a tornare in forze. Questo particolare va oltre quanto affermato dagli -

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avversari in 1 1 , 1 5 e approfondisce in termini generali la problematica della possessione demoniaca e quella della tenuta delle guarigioni. Questa grande unità arriva comunque alla sua conclusione solo in 1 1 ,27-28: ai toni critici viene adesso contrapposta una valutazione posi­ tiva. Una donna formula dalla sua prospettiva ginocentrica una beatitu­ dine della madre di Gesù (del grembo, che lo ha portato, e dei seni che lo hanno allattato) . Questo però è semplicemente un elogio tributato allo stesso taumaturgo, che da parte sua conferma tali parole, ma le modifica anche subito dicendo: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!)). Luca propone in tal modo un deliberato contrappunto - e segue nello stesso tempo la linea e la serie di moti­ vi che cominciano in 2,34: la comparsa di Gesù suscita opposizioni e nello stesso tempo consensi - e sollecita una presa di posizione. Pure nell'esorcismo di 1 1 , 1 4 si possono vedere all'opera forze demoniache o lo spirito di Dio. In nessun'altra parte del vangelo di Luca si parla tanto direttamente come qui della legittimazione del taumaturgo Gesù. Attore principale in questo racconto è Gesù, la cui identità risulta anche dal contesto. Solo lui agisce e parla anche più a lungo di tutti. Nell'esorcismo introduttivo (v. 1 4) il suo avversario, il demone muto, rimane incolore esattamente come l'ossesso; ambedue sono oggetto del­ l' azione altrui; quanto al guarito, si menziona solo la sua riacquisita ca­ pacità di parlare. L''io" di Gesù domina nei vv. 1 8-20 e 23; egli è anche il narratore di tutte e tre le parabole. Una propria voce hanno solo gli avversari (vv. 1 5- 1 6). A conclusione, quella popolana sconosciuta pro­ nuncia la sua beatitudine (v. 27); di nuovo però Gesù ha l'ultima parola (v. 28) . Tra la folla emergono in modo particolare due gruppi di locutori (''alcuni", "altri") ; Gesù parla solo dei primi e poi ancora dei loro "figli", e tutte le sue parole sono dirette a tale primo gruppo. Il resto della folla è pensato semplicemente come presente. Nonostante il suo carattere discorsivo, questa unità è caratterizzata da un proprio dinamismo. Ciò ha a che fare soprattutto con una serie di verbi, che parlano di attività: il verbo "scacciare/espellere" attraversa come un filo rosso il testo (6x), che comincia con una coniugatio pe­ riphrastica: Gesù è presentato «mentre stava scacciando un demonio)), quindi mentre stava svolgendo un'attività caratteristica. Il tono violento di questo verbo ritorna nelle metafore delle parabole successive, ove si parla di divisioni, di devastazioni, di crollo di una casa sull'altra, di vittorie, di cacciate o di divisioni del bottino. Ma pure gli avversari di Gesù sono attivi: mentre la folla si limita a manifestare il proprio stupore,

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un loro gruppo esterna la sua critica e altri avanzano richieste di prove, di verifiche e lo mettono alla prova. Il detto (A.Oytov/ lOghion) del v. 20 parla dell'avvento del regno di Dio, che è già in atto con la vittoria sui demoni per mezzo del "dito di Dio"; il detto del v. 23 dice che bisogna prendere posizione e lo fa con due metafore, che parlano di raccogliere e di disperdere. Un simile linguaggio ci dice che la "possessione demo­ niaca" non è una condizione statica, ma un evento molto dinamico, che va dalla presa di possesso da parte di un demone fino all'esercizio del suo potere e alla sua cacciata. Gli avversari muovono le loro obiezioni critiche nella cornice stilisti­ ca di una controversia. Le loro obiezioni sono precedute da una lunga serie di confronti, verifiche o domande trabocchetto. Nuova è tuttavia in questa pericope la tematica: si mette in discussione la stessa attività taumaturgica come tale. Non si tratta solo di sapere se mediante una guarigione si rivendichi in modo blasfemo un potere divino o se sia profanato il sabato, bensì si tratta della guarigione in quanto tale. Il suo successo è innegabile, ma i mezzi vengono messi in dubbio. Con i suoi esorcismi Gesù viene a trovarsi in una posizione ambigua, in cui si trovano anche altri guaritori. In questo modo sul piano narrativo viene chiamato a prendere posizione con la sua reazione lo stesso Gesù, ma poi anche il pubblico fittizio. Ciò riguarda poi anche i futuri ascoltatori e lettori della controversia, che sono a loro volta parimenti chiamati a prendere posizione, e precisamente a proposito della insinuazione degli uni (v. 1 5), della richiesta degli altri (v. 16), dell'argomentazione di Gesù (vv. 1 7-23) o della beatitudine della donna confusa tra la folla (v. 27).

Contesto storico sociale e reale

Nell'antichità il mutismo aveva delle conseguenze di vasta portata per tutte le relazioni sociali. Se uno non riesce a farsi capire parlando, è escluso dalla comunicazione o vi può prendere parte solo in misura limitata. Diversamente dal caso della cecità, si può tuttavia essere capaci di svolgere un'attività redditizia, per cui il muto non è automaticamente un povero condannato a mendicare e a chiedere l'elemosina (STEGE­ MANN 198 1 ) . In Le 1 1 , 14 è menzionata solo la perdita della capacità di parlare; in altri racconti i protagonisti sono invece muti e sordi (per

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esempio Mc 7,3 1 -37). Nella letteratura rabbinica ci si domanda quali limitazioni fisiche rendano incapaci di partecipare al culto; di regola tale esclusione si verifica solo nel caso di una combinazione tra mutismo e ' sordità (BILLERBECK 1 926a, 526). Il fatto che si potesse far risalire a una causa demoniaca proprio il mutismo quale blocco di organi locutori chiaramente visibili risulta evidente. Di guarigioni di muti si parla anche al di fuori delle tradizioni bibliche; tanto per ricordarne due: a Epidauro un bambino muto viene guarito durante un sacrificio (HERZOG 1 93 1 , 97); secondo bWg 3a, un rabbino (verso il 1 10) guarisce con la preghiera due alunni muti nella sinagoga (BILLERBECK 1 926a, 526). Nel racconto di Le 1 1 , 14-23 si presuppone come ovvia l'esistenza di esorcisti di varia provenienza. lvi si parla almeno di due tipi: il primo, a cui Gesù dice di appartenere e a cui secondo lui apparterebbero anche gli esorcisti giudei menzionati nel v. 1 9, si serve del potere di Dio; il secondo, cui secondo i suoi nemid Gesù apparterebbe, lavora invocan­ do il principe dei demoni Beelzebul. Nel I secolo d.C. dovrebbe però esserci stata una varietà ancora più grande di esorcisti. Nella cornice di un'immagine del mondo, che riteneva la malattia causata soprattutto da demoni, il bisogno di esorcisti era grande. Gesù di Nazaret, quando compiva esorcismi, veniva automaticamente catalogato in uno di questi tipi. Il problema non era quello di sapere se la cacciata di demoni fosse possibile, bensì quello di conoscere con quale potestà o con l'aiuto di quali mezzi o tecniche la si compiva. Lobiezione mossa dai nemici nei vv. 1 5- 1 6 solleva precisamente questa questione. Le parabole dei vv. 1 7- 1 8 e 2 1 -22 lasciano trasparire un campo me­ taforico, che fa riferimento alla realtà quotidiana del mondo ellenistico­ romano. Chi detiene un potere, lo esercita anche; chi dispone della necessaria forza militare, diventa anche un usurpatore. Il diritto del più forte determina la vita politica. Ci si può fare onore solo riuscendo a contrastare con successo un altro (MA.LINA 1 993, 40-66) . Chi indebo­ lisce se stesso e la propria posizione di potere si mette invece nelle mani dei suoi avversari come una vittima volontaria. I grandi stati orientali antichi, così come anche i regni dei Diadochi, scomparvero soprattutto a motivo delle lotte politiche interne. Chi vuole continuare a esistere politicamente deve evitare crisi interne. Questa è una visuale delle cose universalmente accettata e pienamente plausibile. A ciò corrisponde nel nostro tempo soprattutto il fenomeno della "acquisizione ostile", che si verifica quando un investitore compra la maggioranza delle azioni di un'impresa rivale e poi la compra trattando direttamente con il proprie-

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tario, andando il più delle volte contro gli interessi del management e del consiglio di amministrazione. Chi è in grado di farlo, agisce anche di conseguenza. Altrimenti corre il pericolo di diventare a sua volta oggetto di un'acquisizione ostile.

Sfondo storico tradizionale e religioso

La gravità dell'accusa, che Gesù cerca di parare, si comprende se si conosce l'identità del principe dei demoni: chi è "Beelzebul"? Quesro nome singolare ha una preisroria semitica (HERRMANN 1 999) . Però di­ venta famoso solo a motivo della sua polemica applicazione a Gesù, che diventa il punto di partenza di una variegata storia cristiana di ricezione (GAsToN 1 962). Dietro la forma greca del nome ce n'è chiaramente una ebraica, che è formata con Baal. In 2 Re l ,2- 1 8 ricorre un Baal Zebub ( Vulgata: Beelzebub) come dio della città di Ekron, che il re Acazia fa interrogare come oracolo; in questa forma il nome andrebbe tradotto con "Baal o Signore delle mosche", come fanno già i LXX in 2 Re l ,2 e Giuseppe Flavio in Ant. 9, 1 9 [I (Libri I-X), 554 (II, l )] ; invece Simmaco lo trasforma in Beelzebul. Che Baal-Zebub sia un peggioramento del significato è evidente. Invece la forma Zebul permetterebbe di dare una spiegazione plausibile. Se il nome deriva dall'ugaritico può significare "Baal l' eccelso", se invece è di origine ebraica significa "Baal o Signore della casa/dell'abitazione/del tempio/del cielo"; ambedue gli aspetti in­ dicherebbero una posizione sovraordinata. La divinità "Beelzebul/-bub" non è attestata altrove; la sua ricostruzione nella formula di scongiuro di 4Q560 rimane insicura (PENNEY - WISE 1 994) . Nel Nuovo Testamento il nome occorre solo nella controversia su Beelzebul. Laltro testo in cui esso occorre, Mt 1 0,25 (nel contesto del discorso dell'invio in missione), è particolarmente istruttivo al riguardo: «Se hanno chiamaro Beelzebul il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! ?)). Il contesto tende a interpretare anche qui il nome nel senso di "padrone di casà': Beelzebul sarebbe allora visto, come già in Ugarit, come "Signore degli dèi/della terra/degli inferi"; questa sarebbe la sua qualifica (MAcLAuruN 1 978); il punto di comparazione, attraverso la relazione con il tempio e con Gesù, pone la rivendicazione di essere il padrone proprio di questa casa in un modo del tutto nuovo. La caratte-

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rizzazione tuttavia diventa chiara solamente con l'aggiunta dell'epiteto "capo dei demoni" (Mc 3,22; Mt 12,24; Le 1 1 , 1 5). Qualunque sia la connotazione storico-religiosa di "Baal Zebul", nella prospettiva giudaica egli non può rivendicare un primato diverso da quello da quello impor­ tantissimo che possiede sui demoni. Qui sta anche l'elemento distintivo del "Beelzebul" sinottico: lo stesso suo nome non conosce altri sgradevoli accenti secondari; come "capo/ signore dei demoni" egli possiede una posizione rispettabile nel comando delle potenze ostili a Dio. Resta però in sospeso il rapporto tra "Beelzebul" e "Satana''. Da un lato, s'impone l'idea di un'identificazione, poiché nella tradizione apo­ calittica ci sono sufficienti attestazioni che l'esercito dei demoni e delle forze ostili a Dio sottostanno al governo di Satana. Inoltre, la similitudi­ ne che segue (v. 1 8) richiama come analogia il potere di Satana. D'altro lato, ci si chiede perché Luca non faccia subito muovere, da parte degli avversari di Gesù, l'accusa che egli agisee con potere satanico: il "sinoni­ mo" Beelzebul appare forse meno radicale? aveva in mente una sorta di coordinamento di due entità diverse? oppure si sentiva solamente obbli­ gato a tradizioni differenti che l'evangelista lasciò coesistere senza sbilan­ ciarsi per l'una o per l'altra? Siccome il Nuovo Testamento non conosce ancora una demonologia elaborata, la questione deve restare aperta. La controversia su Beelzebul appare come l'istantanea di un processo che si trova ancora nel suo stadio iniziale. In seguito la demonologia cristiana si ricollega in maniera forte a Le 1 1 , 14-23 par. e intende "Beelzebul" come uno dei molti nomi del "diavolo". Nel Testamento di Salomone (IV secolo) "Beelzebul" si presenta sempre come il principe dei demo­ ni, che un po' alla volta deve consegnare al saggio re tutti i suoi sudditi (BuscH 2006b) . Anche i padri della chiesa ne parlano in questo senso (ad esempio HIPP., haer. 6, 34, l [223] ; OR., Cels. 8, 25 [583]). Nei Papiri magici finora si è trovato un solo riferimento in tal senso (REITZENSTEIN 1 904) . Partendo dalla controversia sinottica su Beelzebul, questo nome diventa l'espressione di quella parte della potenza ostile a Dio (satanica) che viene invocata come massimo garante nello scongiuro. Nel À.Oytovi!Oghion 1 1 ,20, contro la sottomissione a un simile aiuto, Gesù si appella al potere di Dio. Questo avviene mediante un'espressione che va sottolineata: ((Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio . . . !)). Nel passo parallelo Matteo scrive: ((Per mezzo dello Spirito di Dio)) (Mt 1 2,28), che andrebbe benissimo anche per Luca, perché egli fa conclu­ dere la precedente catechesi sulla preghiera ( I l , 1- 1 3) con la richiesta dello "Spirito Santo"! Ci devono essere quindi delle buone ragioni per

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applicare a questo passo un simile marcato antropomorfismo. La meta­ fora della mano di Dio, che può venirci in aiuto, è molto radicata nel linguaggio religioso di Israele (KIEFFER - BERGMANN 1 997). Il discorso sul "dito" invece richiama ancora una volta in questo contesto un gioco intertestuale molto preciso (Wooos 200 1 ). Delle quattro testimonianze che a questo riguardo si possono trovare nei LXX (Es 8, 1 5; 3 1 , 1 8 ; Dt 9, 1 0; Sa/ 8,4), ha qui un riscontro soltanto la prima, che è comunque chiarissima. Si colloca nel contesto del racconto delle piaghe d'Egitto (Es 7, 1 4- 1 1 , 1 0), nel quale Mosè ed Aronne sono continuamente messi di fronte ai maghi egiziani. In 8, 1 2-27 Dio manda le zanzare sull'Egitto: Aronne percuote col suo bastone la polvere del suolo che si trasforma così in insetti; i maghi egiziani che provano ad imitarlo non ci riescono e perciò dicono al faraone: «È il dito di Dio!». Stando alla lettera del testo, non è del tutto chiaro se, dicendo così, si riferiscono al miracolo come tale o in particolare al bastone di Aronne (vAN DER HoRST 1 979), ma il contesto è inequivocabile. In Aronne agisce direttamente Dio, mentre i maghi egiziani non dispongono di nessun potere anche solo comparabile a questo. Di fronte alla superiorità di Dio impallidiscono tutte le forze magiche per le quali proprio gli egiziani erano famosi nçl mondo antico. Il "dito di Dio" funge pertanto da metafora di questo potere insuperabile che non può derivare da una tecnica o da una formula.

Proposte di comprensione e orizzonti interpretativi

Indubbiamente la controversia su Beelzebul capta delle memorie che potrebbero dare occasione a un'interpretazione cronistoricizzante. Tutta­ via si riflette qui un elemento della percezione esterna della realtà che non si aggancia tanto alle parole di Gesù quanto alle sue azioni. Proprio per i suoi esorcismi dovrebbe risultare evidente associarlo a tutto l'in­ sieme delle arti magiche. È difficile che la cristianità delle origini abbia escogitato l'accusa che fosse alleato con Beelzebul. Piuttosto, tale accusa è talmente radicata nella tradizione che con essa si dovette necessariamente confrontarsi. La riprendono Marco e lafonte dei Detti; Mt l 0,25 la pro­ paga di conseguenza; Mt e Le riportano nuovamente da Q la tradizione, assegnandole un peso nuovo. Anche Giovanni, in dipendenza dalla tra­ dizione sinottica, riferisce che Gesù è ritenuto un indemoniato (7,20;

Accoglienza ostile

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8,48-52; l 0,20s.) . Nella polemica anticristiana posteriore sopravvive

l'immagine di "Gesù mago": nel II-III secolo il martire Giustino o Ori­ gene si sentono ancora molto stimolati da questo pensiero (KoLLMANN 1 996, 1 79- 1 8 1 ); la tradizione rabbinica si inserisce completamente in questa linea (ScHA.FER 20 10); la tesi del mago trova ancora seguaci persino nella discussione più recente {SMITH 198 1 ) . Tutto questo non capita a caso, ma si aggancia ai numerosi esorcismi collegati alla venuta di Gesù. Rimane solamente da chiarire che tipo preciso impersonò il Gesù cronistorico in questo spettro, ma tutto porta a comprenderlo come un taumaturgo carismatico {VERMES 1 993; TRUNK 1 994) . Questa accentuazione viene data anche dall'elaborazione letteraria dell'accusa di Beelzebul in Le 1 1 , 14-23. Nel contempo questa controversia è segnata da fondamentali interessi cristologico-teologici. In definitiva anche qui, sotto l'effetto di esperienze che colpiscono, si tratta della questione: «Chi è mai costui?» (Mc 4,4 11 Mt 8,27/Lc 8,25). La risposta utilizza quindi un contrasto: non con il potere dei demoni, ma "con il dito di Dio" Gesù compie le azioni in cui si manifesta la venuta del regno di Dio. Laccusa degli avversari perciò ha, di converso, l'effetto di far emergere tanto più chiaramente la vera identità di Gesù. Dio che per mezzo di Gesù produce la liberazione da tutti i vincoli è lo stesso che aveva già liberato il suo popolo dalla schia­ vitù dell'Egitto «con mano potente e braccio teso» (Dt 5 , 1 5). Su questo sta l'accento principale. La controversia non gira attorno alle questioni demoniache, ma attorno all'unità esistente tra l'azione di Gesù e l'azione di Dio. Infatti, se il Gesù lucano compie i suoi esorcismi con quellà stessa potenza di Dio che a suo tempo aveva costretto a inginocchiarsi persino il faraone, tutte le pratiche magiche fondate sull'aiuto di un Beelzebul che vengono tirate in campo devono apparire ridicole come l'incapacità dei maghi egiziani. Il "dito di Dio" quindi non evidenzia solo tutta l'im1tilità di quella concorrenza di cui si narra in modo tanto impressionante in Es 7-1 1 . Senza peraltro che si precisino qui le pratiche magiche a differenza delle azioni potenti di Dio, risulta chiaro che si tratta di tipi differenti di esorcismi. Si distinguono per il potere che agisce ogni volta. L alternativa è una sola: agisce Dio o agiscono i demoni? Non è un caso che la controversia si chiuda nel v. 23 con un Àoytov!!Oghion, il cui tono è caratterizzato da un preciso aut-aut: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde». Riecheggia del tutto a margine un altro motivo rilevante sul piano ermeneutico: proprio la guarigione di ciechi, sordi e muti si dimostra

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sempre di nuovo come un atto trasparente per l'acquisizione di una nuova conoscenza di Dio (HERRMANN I 96 I ) . Il sordo viene messo in condizione di comunicare ad altri la sua esperienza di liberazione, anche se il breve testo dell'esorcismo di Le I I , I 4 non concede spazio ulteriore a questo dato. I.: importanza è prestata interamente all'idea della presenza della salvezza che accompagna la venuta di Gesù: i suoi esorcismi, per mezzo dei quali è spezzato il potere di Satana, sono segni del regno di Dio che irrompe. Il !Oghion di Le 1 1 ,20 («Se invece io scaccio i demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio») è accompagnato da altri, come Le 1 0, 1 8 («Vedevo Satana cadere dal cielo come una fol­ gore») o 1 7, 2 1 (. Sul piano narrativo il rimprovero di 9,34 resta inizialmente in sospeso e senza risposta. Gesù continua ad insegnare e guarire, coinvolgendo alla

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fine anche i suoi discepoli nella sua azione. Ci si ricorda però di questo rimprovero quando viene ripreso in Mt 1 2 nel contesto della controver­ sia di Beelzebul. Mt 12,22-32 sulla base di Q presenta sostanzialmente la stessa disputa di Le 1 1 , 1 2-23. Ci sono però alcune particolarità. La cosa più sorpren­ dente è che Matteo, seguendo il modello di Mc 3,22-30, conclude l'in­ tera pericope con il monito sulla bestemmia contro lo Spirito di Dio. Questo comunque appare qui molto più corretto, poiché prima si era già parlato dello Spirito di Dio come criterio regolativo rispetto a Beelzebul: «Ma, se io scaccio i demoni per mezzo dello Spirito di Dio . . . »; al posto del "dito di Dio" (Le 1 1 ,20) lo "Spirito di Dio" assume in questo conte­ sto una funzione persino irrinunciabile. :Lesorcismo iniziale è descritto qui con qualche dettaglio in più. Gesù non si presenta già immerso nella sua attività come in Luca, ma l'indemoniato è portato a lui nella forma di una normale modalità. Il malato (andando oltre Luca) è cieco e muto - ed egli viene guarito di conseguenza da tutt'e due le infermità. Anche qui, come già in 9,34, sono i farisei che intervengono a muovergli il rim­ provero: «Costui non scaccia i demoni se non per mezzo di Beelzebul, capo dei demoni!». Matteo tralascia la domanda di un segno avanzata da un secondo gruppo (Le 1 1 , 16) perché inserisce la tradizione del segno di Giona in un contesto diverso. Gesù perciò può reagire immediatamente con la prima parabola, anche se, pure qui, a offrire lo spunto sono le considerazioni dei farisei. Matteo tratteggia più chiaramente l'immagi­ ne di una guerra civile ed inasprisce il suo riferimento come avviene in Mc 3,23 («Se Satana scaccia Satana»). La seconda parabola è anch'essa orientata più fortemente a Mc 3,27. Anche per Matteo però la forza esorcistica di Gesù e le capacità esorcistiche di provenienza magica si presentano fondamentalmente come opposti inconciliabili. La successiva ricezione della controversia di Le 1 1 , 14-23 par. nella teo­ logia cristiana è limitata. Si accende soprattutto con la precisazione che il portatore dello Spirito è alleato con forze demoniache. È chiarissimo infatti che una simile polemica su Beelzebul si adatta in maniera eccellente a bollare avversari politici o religiosi come poteri ostili a Dio. Possono bastare qui due esempi. Nella Cronaca di Ottone di Freising (circa 1 140) il conflitto tra l'imperatore Enrico IV e suo figlio Enrico V è spiegata con riferimento a Le 1 1 , 1 7 par. Mt 1 2,25: "Ogni regno diviso In se stesso deve crollare". Un'illustrazione allegata mostra due drappelli a cavallo che si affrontano; Enrico IV porta il simbolo dell'aquila, mentre un cavaliere dell'esercito di suo figlio presenta una mosca come stemma sullo scudo!

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"Beelzebub" (secondo la Vulgata il "re delle mosche") simboleggia la forza motrice determinante per la divisione dell'unità dell'impero, e l'illustrato­ re riprende abilmente questo dato dal testo biblico (HuTH 1 994). Circa 350 anni più tardi Martin Lutero compose un volantino che immagina essere una lettera scritta dal diavolo e attribuisce a Roma la colpa della divisione della chiesa: «Beelzebub alla santa chiesa papale. Noi, Beelzebub, principe di tutti i demoni, signore potente e sovrano su tutti i figli del­ l'infedeltà, porgiamo il nostro cordialissimo saluto al papa, ai cardinali, ai vescovi e a tutti i membri della chiesa papale, nostri fedeli sudditi. . . (WA 50, 126s. : Beelzebub an die Heiligepiipstliche Kirche, 1537, qui 128). Ancora una volta il Beelzebub della Vulgata è indicato come il responsabile della disunione della cristianità - questa volta però in questioni attinenti la fede. Una simile polemica colloca la chiesa romana già al di fuori del regno di Dio, che soltanto ora è arrivato ai fedeli grazie all'opera di Gesù e dei suoi "galilei" (come il volantino chiama qui i luterani) . Queste stru­ mentalizzazioni vanno sicuramente oltre l'intento della pericope e oggi sono giustamente superate (soprattutto nel dialogo ecumenico) . Da allora il nome "Beelzebul/Beelzebub" è passato dalla polemica all'ambito del­ l'occultismo. [accusa di Le 1 1 , 1 5 . 1 8 si è trasformata in un'espressione proverbiale: quando qualcuno tenta di purificare una brutta situazione ricorrendo a strumenti che alla fine non sortiscono alcun risultato, si parla di "scacciare il diavolo con Beelzebub" (BEYER - BEYER 1 989, 583). Per la sapienza popolare l'assurdità di tale procedura è evidente. »

Bibliografia per ulteriori approfondimenti

U. BussE, Die Wunder des Propheten jesus. Die Rezeption, Komposition und Interpretation der Wundertradition im Evangelium des Lukas (fzb. 24), Stutrgart 1977, 275-289.

M. EMMRICH, 7he Lucan Account of the Beelzebul Controversy, in Wesleyan 7heological ]ournal - WT] 62 (2000) 267-279. VK. RoBBINS, Beelzebul Controversy in Mark and Luke. Rhetorical and Socia!Analysis, in Forum 7 ( 1 99 1 ) 261 -277. T. S o OING, ' Wenn ich mit dem Finger Gottes die Damonen austreibe . . < (Lk 11,20). Die Exorzismen im &hmen der Basi/eia-Verkundigung ]esu, in A. LANGE H. LicHTEN­ BERGER - K.F.D. RoMHELD (edd.), Die Damonen. Die Damonologie der israelitisch­ judischen und frUhchristlichen Literatur im Kontext ihrer Umwelt, Tiibingen 2003, 5 1 9-549. .

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Un "colpo · della stregà' al contrario: nessuna guarigione senza contesto (Guarigione di una donna ricurva in giorno di sabato) Le 1 3, 1 0- 1 7 SANDRA Hi.JBENTHAL

( l O) Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. ( l l ) C'era là una "'; donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. ( 1 2) Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». ( 1 3] Impose le mani su di lei e subito quella si rad­ drizzò e glorificavo Dio od alto voce. ( 1 4) Ma il capo dello sinagoga, sdegnato perché Gesù avevo operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse ,. · alla folla: cCi sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». 1 1 5] Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 1 1 6) E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto ��� prigioniero per ben diciofto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». ( 1 7) Quando egl i diceva queste cose, tutti i suoi awersari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute. •

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Analisi linguistico-narratologica

Il racconto della guarigione di una donna ricurva è collocato nel rac­ conto di viaggio decisamente parenetico del vangelo di Luca (9,5 1-19,27), le cui singole tappe sono solo blandamente collegate tra loro. Dal contesto non si riesce a ricavare dove e quando accade l'episodio nel viaggio verso Gerusalemme, se in Galilea, in Giudea o in Samaria. Il racconto è chiara­ mente delimitato rispetto a quanto precede dalla nota temporale e locale di 1 3, 10 (in una sinagoga in giorno di sabato). La delimitazione rispetto al seguito è un po' più ardua: è vero che il racconto di guarigione termina

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con una specie di conclusione corale, ma è del tutto ipotizzabile che le due parabole seguenti del granello di senape (13, 1 8) e del lievito ( 1 3,20s.) siano dirette ai medesimi uditori che hanno assistito anche alla guarigione nella sinagoga (in questo senso si esprimono alcuni commentatori inglesi, cf. joHNSON 1 99 1 , 2 1 0-2 1 5; GREEN 1 997, 5 1 8-527). Ritroviamo un nuovo inizio narrativo solamente in 1 3,22. Nell'ambito immediatamente vicino alla guarigione c'è anche la parabola del fico (1 3,6-9), che precede il nostro racconto. A prima vista pare che le parabole derivate dall'ambito della natura facciano da cornice alla storia di guarigione, ma non si riesce assolutamente a fissare tanto facilmente uno stretto nesso linguistico e contenutistico tra i testi (cf. PETZKE 1 990, 1 25; ScHNEIDER 1 977, 299) . Anche quando nella ricerca si interpreta la storia di guarigione sulla base dei testi che la attorniano, come miracolo rapportato a norme (EcKEY 2006, 623) oppure come controversia o dialogo didattico (cf BuLTMANN 1 995, l O), si può forse dire semplicissimamente che si tratta di una narra­ zione che si colloca in un più ampio contesto di parabole e insegnamenti sulla questione della sequela e della decisione per il regno di Dio. Lo stesso racconto di guarigione inizia con una descrizione abbastanza statica: Gesù sta insegnando in un giorno di sabato in una sinagoga. La forma al participio stava insegnando (cf 4,3 1 ; 5,17; 1 9,47; 2 1 ,37) fa pen­ sare che si tratti di un'abituale attività di insegnamento e non si intenda quindi presentare una situazione particolare. Ma in un sabato come tanti accade qualcosa di insolito in una delle tante sinagoghe: una donna che da molto tempo era ricurva per uno "spirito d'impotenza", viene raddrizzata e glorifica Dio ( 1 3, 1 1 - 1 3) . La sua guarigione è preceduta da un duplice atto di Gesù: l'affermazione che è liberata dalla malattia e l'imposizione delle mani. Abbiamo sia un'azione verbale che un'azione tattile. La donna a sua volta reagisce in duplice modo: anzitutto il suo corpo si raddrizza, poi esprime le sue parole di lode a Dio. Mentre le azioni dei due protagonisti del racconto sono presentate in modo chia­ stico (dichiarazione verbale - espressione corporale/espressione corporale - espressione verbale), c'è parallelismo nelle forme verbali (passivo-attivo/ passivo-attivo) e con le forme passive si rimanda all'artefice divino della guarigione che la donna nelle sue parole evidenzia chiaramente come attore, senza che le lettrici e i lettori sentano la sua voce: glorificava Dio. Questa mirabile trasformazione ha un epilogo in cui si discute delle circostanze in cui è avvenuta la guarigione ( 1 3, 14- 1 6). Il racconto si presenta quindi come diviso in due parti: troviamo linguisticamente e contenutisticamente collegati tra loro due archi di

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azione ben definiti e con differenti figure narrative. Nella prima parte si narra di Gesù e della donna (qui la folla dei presenti è sottintesa, perché l'attività di insegnamento presuppone un auditorio). Nella seconda parte (''epilogo") appare un nuovo attore con il capo della sinagoga, mentre la donna guarita è persa di vista (if. RENGSTORF 1 962, 171) e riappare solamente nelle parole di Gesù. Al suo posto abbiamo la folla e un gruppo non meglio definito al quale Gesù si rivolge definendoli "ipo­ criti". Solamente la conclusione del racconto chiarisce l'appartenenza al gruppo per la reazione dei singoli alla guarigione e in ciò che segue: gli avversari di Gesù si vergognano profondamente, mentre la folla esulta per le meraviglie compiute. Il racconto di guarigione ha una chiara strutturazione drammatico­ spaziale. Il setting nella sinagoga visualizza una situazione da palcosce­ nico: fin dall'inizio Gesù è in scena come attore principale, l'uditorio è nella platea. Lazione si svolge solamente sul palco. Nel momento in cui Gesù vede la donna e la chiama, la fa passare da un ruolo di osservatrice a un ruolo attivo. Non è la donna che si rivolge a Gesù, ma Gesù si ri­ volge all'inferma. Egli prende l'iniziativa e la chiama a uscire dall'oscurità della platea e a venire sul palco (if. GREEN 1 997, 522s.). Con lei, dopo l'insegnamento che fin qui ha dominato lo svolgimento dei fatti, viene posta al centro una persona, ma l'azione rimane sul palco. Nella seconda parte la situazione cambia. Il capo della sinagoga ap­ pare ora sotto i riflettori e, richiamandosi al precetto del sabato, cerca nuovamente di porre al centro l'insegnamento. Quando Gesù si rivolge direttamente all'uditorio, l'attenzione è spostata dal palcoscenico (e dalla donna) alla platea. Gesù approfitta di questa strategia e allarga per così dire il palcoscenico inserendo l'uditorio. Tutti diventano attori - quanto meno sono tutti coinvolti - e a tutti viene chiesto chi o che cosa essi mettono al centro nel giorno di sabato. La parte finale del racconto ripropone due ambiti, i quali però non sono più definiti dallo spazio, ma dal tema: il primo gruppo si collega all'esempio della donna guarita e, riferendosi a Es 34, l O, esulta per le meraviglie compiute; l'altro, rie­ cheggiando fs 45, 16ucx, si .rivolge a Gesù e si vergogna profondamente. Ambedue i gruppi alla fine sono sul palco e si presentano come modelli identificativi per i ricettori. Anche le lettrici/i lettori diventano attivi nella seconda parte: mentre nella prima parte potevano sentirsi come l'uditorio osservatore che stava nella sinagoga, nel momento in cui la scena si allarga nella seconda parte - al più tardi quando Gesù prende la parola - vengono coinvolti e invitati a prendere posizione (if. anche

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DILLMANN - MoRA PAZ 2000, 26 1). Nel versetto finale questo orien­

tamento al presente di estetica della ricezione è sostenuto anche dalle forme verbali al presente. Sotto l'aspetto linguistico le due parti sono ben distinte tra loro. Nella prima parte predominano frasi brevi e paratattiche. La descrizione della situazione di Gesù e della donna è fatta generalmente con l'uso di parti­ cipi. Un breve discorso diretto interrompe la descrizione che è piuttosto concisa. Nella seconda parte si trovano collegate frasi più lunghe ed elaborate, e lo stile più informativo della prima parte lascia il posto a un'interazione emotiva (cf KiRCHSCHLAGER 1 978/79, 1 53s.). Anche la voce narrante si adatta a questo andamento nuovo: mentre nella prima parte si trova un'informazione supplementare per i/le recipienti (''che da diciotto anni aveva uno spirito dell'impotenza") solamente nel v. 1 1 b, nella seconda parte la voce narrante è chiaramente guidata dalla rappresentazione di emozioni ("sdegnato", "si vergognavano profonda­ mente", "esultavi') e da interpretazioni valutative (''perché Gesù aveva guarito di sabato", "avversari", "per tutte le meraviglie che avvenivano per mezzo di lui"), anche se alla superficie del testo appare quasi solo un discorso letterale. In base a questo orientamento è relativamente chiaro quale comportamento devono mostrare in risposta le destinatarie e i destinatari. I..: appellativo voi ipocriti riecheggia inoltre Le 6,42 e Le 1 2,56; anche la questione di che cosa si può o non si può fare di sabato è già stata trattata da Gesù (Le 6,6- 1 1). Nella d elaborazione emozionale della guarigione non c'è quindi solo un invito a prendere posizione, ma questo è già preparato dalla coreografia narrativa. Il contrasto tra Gesù e gli avversari qui costruito sfocia in una frase che a prima vista non ha nulla a che fare con la guarigione. La guarigione in sé non è infatti per niente condannata o messa in discussione, ma sono discusse solamente le sue circostanze. Questo non avviene soltanto con la critica rivolta al guaritore, ma anche con coloro che cercano la gua­ rigione. A prescindere da come è trattato questo conflitto, si può dire - come prima osservazione - che questa guarigione non è a sé stante, ma ha un contesto che è e deve essere considerato. Sul piano della nar­ razione è presentato anzitutto il contesto religioso-legale. Nella storia di guarigione non viene descritto il contesto sociale, medico e storico­ religioso che è comunque imporrante per comprendere il racconto; esso sarà evidenziato solo più avanti.

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Contesto storico sociale e reale

Come è indicato espressamente in tutte le narrazioni del vangelo di Luca e in molti altri punti (Le 5, 1 7; 6) 9, cf anche 1 1 ,20), la capacità di guarire e di scacciare i demoni è conferita a Gesù dall'alto ed è la prova della sua messianicità, e anche dell'inizio del regno di Dio (KoLLMANN 20 1 1 , 84 [92s.]) o del tempo messianico della salvezza come è annun­ ciato ad esempio in Isaia (ad esempio fs 29, 1 8s.; 32, 1-8; 35,5; 6 1 , ls., cf anche von BENDEMANN - NEUMANN 2005, 64). Nell'attività di gua­ rigione di Gesù al centro sta la salvezza corporale e spirituale. Della donna si dice che è ricurva su se stessa (mrytdJ1rtrolsynkjpto) e non riesce in alcun modo a stare diritta (àvatcUTt'trolanakjpto). La "li­ berazione" (àrtoì..:6rolapoljo) dalla sua infermità consiste nel raddrizzarsi (à.vop96ro/anorthOo) . Al letto re viene da pensare che la sua malattia de­ rivi da una deformazione della spina dorsale o dall'incurvamneto della schiena. Oggi è risaputo che la colonna vertebrale è il principale canale di informazione del sistema nervoso centrale e che il midollo spinale coordina la trasmissione di stimoli e impulsi nervosi dal cervello alle va­ rie wne del corpo. È parimenti noto che eventuali difetti della colonna vertebrale - dallo spostamento di alcune vertebre a ernie al disco fino alla scoliosi - possono generare malattie psichiche e fisiche di diversa natura che non subito sono collegate alla colonna vertebrale. Già una ricerca superficiale di storia della medicina mostra che la conoscenza di questi collegamenti può essere supposta anche per l'antichità. Nello scritto - ritenuto autentico - Sullefratture ossee (De Articulis) Ippocrate formula l'assioma: «Occorre in primo luogo conoscere la natura della colonna vertebrale, quale essa sia: per molte malattie ciò è infatti op­ portuno» (HIPPOCR., art. 45 [382]). In questo scritto, inoltre, Ippocrate descrive la formazione di cinque diverse categorie di posture errate della colonna vertebrale (cifosi, scoliosi, fratture e distorsioni delle vertebre e disturbi/guasti dei processi spinali), ne presenta le caratteristiche feno­ tipiche e le possibilità di terapia. Galeno, che ha commentato i lavori di Ippocrate e si è dedicato molto alla spina dorsale, ha costruito con cifosi, lordosi, scoliosi e succussione (torsione interna del midollo spinale che non porta a una visibile posizione errata della colonna vertebrale) una tasson o mia di difetti della spina dorsale che ha avuto valore per oltre un millennio. Le distinzioni di Galeno sono pi4 precise, mentre in Ippo­ crate il concetto di "scoliosi" ha piuttosto una connot�zione generica e

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può designare quasi tutte le deformazioni della colonna vertebrale (cf VASISIADIS - GRIVAS - KAsPIRIS 2009). Per il caso che stiamo veden­ do è interessante nelle descrizioni di Ippocrate la distinzione tra cause traumatiche e non traumatiche della deformazione della spina dorsale. Mentre le prime presentano buone possibilità di guarigione, Ippocra­ te non dà pressoché possibilità alle anomalie congenite (vomu.uinov/ nosemdton): in genere non si possono eliminare (ò.ùuva'ta À:6tu8at/ adjnata ljesthai). Nel nostro racconto la sofferenza fisica della donna è attribuita al­ l'esistenza di uno spirito di impotenza, debolezza o malattia. Il termine ò.u8ÉVtta/asthéneia può essere inteso sia come "debolezza", "impotenzà' (come in 2 Cor 1 1-13) sia come "malattia" (come in l Tm 5,23). Nel­ la duplice opera lucana si incontrano ambedue gli usi, con prevalenza della connotazione di "malattià'. Qui è importante anche notare che la condizione della donna non è attribuita al peccato e che la donna stessa è interpellata da Gesù come persona liberata dalla ò.uSÉVtta/asthéneia e non dal peccato. In questa pericope è escluso un collegamento del­ l'infermità fisica col peccato (come in Le 5, 1 6-27). La donna quindi non è ricurva per cause proprie, per un suo comportamento o per un suo fallimento, ma per l'intervento di un essere numinoso. Lidea che una malattia sia provocata da un essere numinoso - in questo caso da uno spirito - è frequente nell'antichità nonostante la conoscenza del­ le correlazioni mediche ed è perciò, in quest'epoca, una spiegazione comprensibile e sufficiente (cf EBNER 2006, 73s. e KoLLMANN, Quadri clinici e PoPLUTZ, Demoni, in questo Compendio; diversamente ritiene RUWE - STARNITZKE 2009, 1 1 8). Il fatto che la guarigione avvenga in una sinagoga è di importanza secondaria per la comprensione e la spiegazione del racconto. Anche in questo periodo le sinagoghe non sono utilizzate solamente per il culto, ma vanno viste piuttosto come luoghi di incontro o come il "centro della comunità in senso molto ampio" (CuussEN 2002, 300) . Le storie neotestamentarie di guarigione che si svolgono nelle sinagoghe mostra­ no inoltre che la "sinagogà' come luogo in cui avvengono (anche) delle guarigioni non pone problemi. Se - come avviene nel racconto in que­ stione - nasce dalla guarigione un conflitto, questo non dipende (come si vede nel commento al v. 1 4) dal luogo (la sinagoga), ma dal tempo in cui si compie la guarigione (di sabato). La storia della guarigione quindi è solamente un appiglio per affrontare profonde questioni teologiche e pratiche attorno al sabato.

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Per quanto concerne il capo della sinagoga (àpxtcruvayoyoçlar­ chisyndgogos), che biasima l'attività di guarigione di Gesù, si tratta di qualcuno che ha una certa autorità nella comunità o nel servizio sina­ gogale, che tuttavia non è ulteriormente specificata (cf. CLAUSSEN 2002, 26 1 s.). Siccome nella duplice opera di Luca gli uffici sinagogali sono indicati in modo generico, si può ricavare ben poco dal titolo - infine non è ancora chiaro se l'attività di insegnamento e di guarigione di Gesù nella sinagoga di cui parla il nostro racconto sia inserita in un contesto liturgico o avvenga nel quadro di un'altra forma di incontro della co­ munità sinagogale nel giorno di sabato.

Sfondo storico tradizionale e religioso

Lidea che la sofferenza fisica della donna sia provocata da una potenza numinosa richiama due diversi scenari di guarigione, entrambi tematiz­ zati nel testo. Nella prima pane è descritto lo scenario della "guarigione", la seconda si muove nello scenario dell'"esorcismo". La prima parte com­ prende la sofferenza della donna come malattia che può essere guarita con la parola e l'imposizione delle mani. La voce narrante evidenzia questa visione con l'indignazione del capo della sinagoga che si agita perché Gesù ha guarito (8€pane6roltherapéuo) di sabato. La seconda par­ re invece, con i riferimenti al legare. (Oéo�atldéomai) e al liberare ('A:uro/ ljo), prende il lessico dall'ambito dell'esorcismo; inoltre con Satana è nominato un demonio come causa della sofferenza della donna. Siccome nella narrazione si trovano termini derivanti sia dall'ambito della "guarigion e" che da quello dell"' esorcismo", è opportuno dare un'occhiata al significato di questi due ambiti nella storia della tradi­ zione. Nella storia dell'interpretazione si è spesso insistito sul fatto che Luca come medico avrebbe utilizzato concetti medici, che poi sono stati rintracciati nei testi. Questo collegamento non può essere confermato per il presente racconto. È vero che i termini "raddrizzare" (àvmrurrt-ro/ anakjpto), "liberare" ( à:noJ..:urol apoljo) e "stare diritto" ( àvop86ro/ anorthoo), ai quali soprattutto si fa riferimento in questo contesto (cf HoBART 1882, 2 1 ; HARNACK 1 906, 1 3 1) , compaiono anche in testi di medicina, ma a volte sono riferiti a infermità completamente diverse (a tale proposito cf WEISSENRIEDER 2003, 300), per cui è piuttosto

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I racconti di miracoli nel vangelo di Luca

improbabile un influsso particolare della letteratura medica sul nostro racconto. Accanto all'aspetto della "guarigione", che è collegato al vocabolario medico ellenistico, c'è l'aspetto dell"'esorcismo", che attinge alla tradizio­ ne giudaica. Il "legame di Satana" ricordato anche in At l 0,38 come cau­ sa di malattie) rimanda all'ambito della demonologia ebraica, in cui Sa­ tana {o Belial) è visto come il capo degli spiriti malvagi. La vittoria su di lui e il suo annientamento sono un motivo importante dell'apocalittica giudaica; essi portano al ripristino della signoria di Dio e alla sconfitta della malattia e della morte. Quando si dice che la "figlia di Abramo" è "tenuta prigionierà' da Satana, non si introduce nel racconto soltanto la colorazione di un'apocalittica giudaica, ma appare anche chiaro che con la venuta di Gesù è spezzato Satana e il suo potere (Le 10, 17s.; 1 1 , 14-23) e che negli esorcismi di Gesù si manifesta l'affermazione del regno di Dio (KoLLMANN 20 1 1 , 69-85 [75-93] , cf anche PoPLUTZ, Demoni in questo Compendio). Un'altra questione è vedere se l'indicazione "figlia di Abramo" (4 Mae 1 5, 28 [36 1 ] , cf anche Le 1 ,54s.73; 3,8; 1 6,24; 1 9,9; At 7 ,2; 13,26) richiami solamente una tradizione giudeo-cristiana palestinese (WIEFEL 1 988, 255) o se la donna diventi una rappresentante o un'allegoria di Israele e la sua guarigione possa essere letta come rea­ lizzazione (escatologica) della promessa fatta ad Abramo (HAMM 1 987; WoLTER 2008, 484). Sebbene il nostro racconto sia costruito come storia di guarigione, si trovano, soprattutto nella seconda parte, chiare allusioni agli esorcismi. Il testo parallelo di l QApGen 20, 1 6-29 [390s.] mostra che nella tradizione giudaica non era pensabile la cacciata dei demoni mediante l'imposizione delle mani, senza una dimostrazione dell'uscita del demonio stesso (KoLLMANN 1 996, 242). Il presente racconto attinge quindi a tradizioni diverse, senza che per questo si possano stabilire dei chiari parallelismi o "pre-testi" quali si ri­ scontrano ad esempio nei racconti di guarigione provenienti da Epidauro e riferiti a persone con la spina dorsale incurvata. Questo dato negativo, tuttavia, può essere anche spiegato nel senso che si tratta di un tipo di malattia familiare nell'antichità e per la quale - fin dalla Genesi - c'era un trattamento normale o non esisteva alcuna guarigione. Forse anche per questo motivo non ci sono testi paralleli, poiché già al tempo di lppocrate la manipolazione della colonna vertebrale era preparata da tutta una serie di azioni di stiramento dalle quali i malati speravano di trarre sollievo. In lppocrate comunque c'è un passo che richiama i lati oscuri di questa pratica:

Un ucolpo del!LZ strega " al contrario

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Se una persona ha la colonna vertebrale ricurva a seguito di una caduta, soltanto in casi rari si arriva a farla tornare diritta; infatti questo mezzo, l'allungamento sulla scala, non ha ancora raddrizzato (E1�i9uvav/exithunan) nessuno. Di preferenza ricorrono comunque a questa scala i medici che vo­ gliono darsi arie dinanzi alla gente; infatti questi uomini suscitano stupore (nella gente) quando stiracchiano uno in qua e in là o gli fanno assumere altre strane posizioni. Ed essi decantano sempre il loro intervento e non si preoccupano di vedere se il trattamento ha un esito positivo o negativo. Per quanto io conosco, tuttavia, i medici che ricorrono intenzionalmente a tali pratiche sono grossolani. Questa infatti è una scoperta antica ed io quanto meno tributo grande lode a colui che per primo l'ha escogitata o ha pensato tutti gli altri artifici come rimedi conformi alla natura, ma non abbandono la speranza che se si praticano questi interventi in maniera corretta e se si scuote correttamente il malato, in alcuni casi potrebbe verificarsi un raddriz­ zamento. Da parte mia tuttavia sono rifuggito dal trattare in questo modo tutti i casi di questo genere, per la ragione che tali trattamenti si incontrano generalmente negli imbroglioni (à1Ca'tEffivrovlapatetmon]) (HIPPOCR, art. 42, traduzione di l>, v. 1 5) . La cornice collega il racconto di rivelazione alle apparizioni del Risorto di Gv 20 e realizza quindi un quadro narrativo che va oltre l'epilogo di 20,30-3 1 . Nell'introduzione un na"atore on­ nisciente spiega che cosa accadrà in seguito: ((Gesù si manifestò nuo­ vamente ai suoi discepoli [ . . . ]». Se l'avverbio "nuovamente" richiama le apparizioni del Risorto di Gv 20, il verbo "manifestare" (