Chimica organica pratica: Guida alle analisi e preparazioni di laboratorio organico [Edizione italiana autorizzata, Reprint 2022] 9783112678664, 9783112678657

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Chimica organica pratica: Guida alle analisi e preparazioni di laboratorio organico [Edizione italiana autorizzata, Reprint 2022]
 9783112678664, 9783112678657

Table of contents :
AVVERTENZE DEL TRADUTTORE
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI
SOMMARIO
A. Alcune regole generali per il Preparatore
Velocità di reazione e temperatura
Raffreddamento esterno
Preparazione delle sostanze organiche allo stato puro
B. Metodi dell'analisi organica
Ricerca del carbonio e dell'idrogeno
RICERCA QUALITATIVA DEL CARBONIO, DELL'IDROGENO, DELL'AZOTO, DELLO ZOLFO E DEGLI ALOGENI
L'ANALISI ELEMENTARE ORGANICA
I. DETERMINAZIONE DELL'AZOTO SECONDO DUMAS
II. DETERMINAZIONE DEL CARBONIO E DELL'IDROGENO SECONDO LIEBIG
III. LA DETERMINAZIONE DEGLI ALOGENI, DELLO ZOLFO E D'ALTRI ELEMENTI
IV. DETERMINAZIONE DI GRUPPI ORGANICI
C. Preparazioni di chimica organica
AVVERTENZE PER LA PREVENZIONE D'INFORTUNI
PRIMO EQUIPAGGIAMENTO
D. ESERCIZI
CAP. I. - LA SOSTITUZIONE DEGLI ALOGENI ALL'OSSIDRILE ED ALL'IDROGENO. GLI ALCOOL. LE OLEFINE
Cap II. - GLI ACIDI CARBOSSILICI ED I LORO DERIVATI PIÙ SEMPLICI
CAP. III. - I NITRODERIVATI E LORO PRODOTTI DI RIDUZIONE
CAP. IV. - ACIDI SOLFONICI
CAP. V. - ALDEIDI
CAP. VI. - FENOLIEDENOLI. TAUTOMERIA CHETO-ENOLICA
CAP. VII. - I DIAZOCOMPOSTI
CAP. VIII.COMPOSTI CHINOIDI
CAP. IX. - LE SINTESI SECONDO GRIGNARD E FRIEDEL- CRAFTS. RADICALI ORGANICI
CAP. X. - COMPOSTI ETEROCICLICI
CAP. XI. - IDROGENAZIONE, RIDUZIONE, OZONIZZAZIONE
CAP. XII. - SOSTANZE NATURALI
BREVE ISTRUZIONE PER L'USO DELLA LETTERATURA DI CHIMICA ORGANICA
Preparazioni tolte dalla letteratura
APPENDICE. TABELLE AZOTOMETRICHE
INDICE DELLE MATERIE E DEGLI AUTORI

Citation preview

L. GATTERMANN - H. WIELAND

C H IMIC A ORGANICA PRATI C A GUIDA ALLE ANALISI E PREPARAZIONI DI

LABORATORIO EDIZIONE

ITALIANA

A CURA DI

ORGANICO AUTORIZZATA

V. BROGLIA

con 60 incisioni e due tabelle

EDITORE - ULRICO

HOEPLI -

MILANO

CHIMICA ORGANICA PRATICA

L. GATTERMANN - H. WIELAND

CHIMICA O R C A N I C A PRATICA GUIDA ALLE ANALISI E PREPARAZIONI DI

LABORATORIO EDIZIONE

ITALIANA

A CURA

DI

ORGANICO AUTORIZZATA

V. BROGLIA

con 60 incisioni e due tabelle

EDITORE



JLRICO

HOEP

1941 - X I X

— MILANO

VI

Presentazione

zionamenti apportati alle bilance analitiche ed a tutta Vapparecchiatura da laboratorio possiamo abbandonare le vecchie vie e batterne nuove, vale a dire adottare la semi-microanalisi. Quest' ultima permette d'evitare « l'ecatombe delle sostanze pure di solito conquistate con fatica » riducendo a ijio circa la quantità di sostanza necessaria per una combustione, pur senza sacrificare nulla alla precisione ne riuscire troppo difficile al laureando, come forse sarebbe stato il caso colla microanalisi originale del PREGI,; sui metodi del quale lo stesso WIEI,AND avverte d'essersi basato nell'elaborazione del suo semi-micro-metodo, che egli chiama « meso-metodo ». Il metodo WIELAND (o forse meglio metodo HoE^SCHER, che il W. avverte essere costui l'autore ed elaboratore del metodo stesso) è stato applicato nell'Istituto da lui diretto fin dal 1933 con tanto successo che ormai il WIE^AND stesso ne consiglia senz'altro l'adozione generale anche nei corsi universitari. È opportuno insistere su questo fatto, che cioè il nuovo metodo d'analisi è stato accuratamente e lungamente esperimentato in laboratorio, come pure tutte le preparazioni introdotte ex-novo nel libro, quelle cioè che non figuravano nelle vecchie edizioni curate dal GATTERMANN. (Da qualche parte infatti m'è stato detto che attualmente sarebbero state adottate delle preparazioni direttamente tolte dalla letteratura, senza sperimentarle ed elaborarle nel laboratorio dì Monaco. Non saprei dire assolutamente su che cosa possa basarsi questa affermazione: è un fatto che non sono mai riuscito ad appurare, e sono diversi anni che m'occupo della traduzione e della stampa di questo libro, quali siano i passi incriminati). Ritengo pertanto, che colleghi e. studenti possano maneggiare con piena, tranquillità d'animo il libro del GATTERMANN così com'è oggi e seguirne con piena fiducia, nonché con la massima esattezza, la guida: quitta guida che sin dal 1894 il GATTERMANN aveva voluta e che da allora ha accompagnato parecchie generazioni di chimici. Poiché durante la traduzione e le correzioni erano emerse alcune incongruenze, passi di difficile interpretazione, ecc., mi rivolsi al prof. H. WIELAND a Monaco per chiarimenti. Egli accondiscese gentilmente a fornirmeli, cosicché l'edizione italiana, per merito suo, può dirsi più perfetta detta XXV tedesca, su cui è stata condotta la traduzione e la correzione dette bozze. Il predetto Autore ha anche suggerito alcune piccole aggiunte, che naturalmente sono state introdotte. Mi sia consentito rivolgere un deferente ringraziamento, anche in questo luogo, al prof. H. WIELAND per i suoi cortesi contributi. Possa quest'opera cooperare a diffondere sempre di più la conoscenza d'una scienza che, come hanno dimostrato le guerre di questo secolo e la lotta autarchica degli ultimi anni, è di un'importanza assolutamente vitale, nel senso più immediato detta parola. V.

BROGLIA

AVVERTENZE DEL

TRADUTTORE

A proposito dei metodi di combustione semi-micro-analitici o meso-analitici che dir si voglia è opportuno tener presente che oltre alle indicazioni esaurienti e minuziose riportate qui, esiste un'istruzione poligrafata, dovuta al Dr. F. HOKLSCHER, e riguardante i metodi della pesata colla bilancia meso-analitica. Tale fascicolo, in lingua tedesca, si può ottenere direttamente presso l'A., a Monaco di Baviera (indirizzo : München, Chemisches Laboratorium des Staates, Sophienstrasse, io). Inoltre il sottoscritto aveva già eseguito la traduzione dei vecchi metodi di combustione secondo DUMAS e LIEBIG, quando sopraggiunsero le nuove edizioni tedesche colle innovazioni già ricordate nella « Presentazione ». Tale traduzione è a disposizione di coloro che volessero attenersi ai vecchi e sperimentati macro-metodi, del GATTERMANN, per loro ragioni particolari. Basta a tal uopo rivolgersi al sottoscritto, presso la Casa Editrice Ulrico Hoepli di Milano. I/A. in qualche punto cita fornitori residenti in Germania. Non mi parve opportuno riferire le ditte estere nella traduzione; essendo attualmente difficile importare qualche sostanza od oggetto da oltre confine, converrà sempre rivolgersi ai rappresentanti italiani. I cognomi degli autori russi sono stati da me riprodotti nella grafia italiana più vicina alla pronunzia russa, per quanto mi sia stato possibile stabilire quest'ultima. Non mi parve giusto infatti trasportare in italiano le grafie francesi o tedesche, non solo per considerazioni di dignità nazionale, ma anche di praticità. Difatti si presuppone che chi legge una traduzione non conosca, o conosca solo poco, le lingue estere e quindi deve riuscirgli difficile leggere nomi composti di fitti gruppi di consonanti che poi non si pronunziano come tali (vedi il caso di « Tschugaeff » e di « Tchitchibabine ») ; preferisco scrivere in modo che il lettore italiano possa pronunziare correttamente senza difficoltà. Simili concetti sono naturalmente applicabili soltanto a quei cognomi che non sono scritti originariamente con caratteri latini. Invece della desinenza « carbonico », come fanno taluiii per tradurre il tedesco « Karbonsaure », preferisco scrivere, coi migliori autori italiani, « carbossilico » per designare gli acidi contenenti il

VILI

Avvertenze

del

traduttore

gruppo carbossile -COOH. Difatti l'espressione « acido carbonico » io l'uso soltanto là dove in tedesco è detto « Kohlensäure », come insegnano la chimica e la stessa etimologia : quindi per H 2 C0 3 e suoi derivati alogenati, l'acido ortocarbonico H 4 C0 4 ecc. Infine preferisco dire « acetilacetico » anziché « acetacetico », parendomi quest'ultima forma una troppo pedestre ripetizione del tedesco « Acetessigsäure » e perchè essendo contenuto il gruppo acetilico CH3CO nell'etere acetilacetico non vedo motivo per non menzionarlo. Trovai quest'espressione nell'eccellente libro di « Chimica organica » del prof. A. Q u i u c o e mi piacerebbe vederlo adottato generalmente in Italia. È di mia invenzione invece (almeno così credo, ma può darsi che non sia così) l'espressione « acido amigdalico » che vorrei pregare i chimici italiani di sostituire al detestabile « acido mandelico », che altro non è se non una storpiatura del tedesco « Mandelsäure ». Non si fa alcun torto ai tedeschi, i cui meriti verso la nostra scienza sono universalmente noti ed apprezzati, quando si cerca una locuzione adatta alla nostra lingua, senza storpiare quella degli altri. Poiché « mandorlico » non suonerebbe forse molto bene, credo che « amigdalico » (derivato dal greco « amygdala » usato anche dai Latini) possa andare bene. I termini «benzolo, toluolo» ecc., sono stati sostituiti com'è insegnato in molti buoni trattati, coi termini «benzene, toluene» e simili, allo scopo di riservare la desinenza «-olo» ai composti alcoolici e fenolici. In quanto al tedesco «Azid», è stato tradotto con «azoturo», quando si trattava di sali ed eteri dell'acido azotidrico N a H, e con « azide » (ad es. « semicarbazide ») negli altri casi. Credo d'avere così seguito l'uso chimico italiano. Sempre per non prendere di peso parole dal tedesco e trasportarle in italiano, ho abbandonato il termine « estere », ritenendolo poco italiano ed ho adottato quello pure spesso usato in Italia, di «etere», specificando se del caso: «etere composto » ecc. ; oppure aggirando, ho parlato per es. di «malonato d'etile» per tradurre « Malonester ». Poiché era opportuno adottare una terminologia ben definita, ho scelto questa che m'è parsa chiara e priva di equivoci. Ho fatto qua e là delle note, distinguendole però sempre da quelle originali dell'Autore e desumendole dall'esperienza personale. Chiedo venia d'eventuali errori commessi: la cui indicazione mi sarà gradita, come pure t u t t e quelle osservazioni che possano concorrere a perfezionare sempre più quest'opera e aumentarne la diffusione. Tali osservazioni verranno eventualmente trasmesse anche all'autore Prof. H . W I E L A N D . „ T.

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI D E I TITOLI D E L L E PRINCIPALI R I V I S T E S C I E N T I F I C H E CITATE IN QUESTO VOLUME

A. = Liebig's Annalen der Chemie. Angew. = Angewandte Chemie. Ann. Chtm. Physique = Annales de Chimie et de Physique. B. = Berichte der deutschen chemischen Gesellschaft. Bull., o Bull. soc. chim. France = Bulletin de la Société chimique de France. C. = Chemisches Zentralblatt. Chem. Fabrik = Die Chemische Fabrik. Chern. Ztg. = Chemikçr-Zeitung. Comptes rend. = Comptes-rendus des séances hebdomadaires de l'Académie de France. D. K. P. = Deutsches Reichspatent (brevetto germanico). Helv., o Helv. Chim. Acta = Helvetica Chimica Acta. Hoppe-Seyler's = Hoppe-Seyler's Zeitschrift für physiologische Chemie. J. chem. Society = Journal of the chemical Society of London. Journ. Am. chem. Soc. = Journal of the American Chemical Society. / . prakt. Chemie = Journal für praktische Chemie. Monatsh. Chemie = Monatshefte für Chemie. Ree. trav. chim. Pays-Bas = Recueil des travaux chimiques des Pays-Bas. Z. Angewandte Chem. — Zeitschrift für angewandte Chemie (nome attuale: Angewandte Chemie). Zeits. f. anal. Chemie = Zeitschrift für analytische Chemie. Zeits. f. anorg. Chemie = Zeitschrift für anorganische Chemie. AVVERTENZA. - Talvolta i titoli riportati nelle note in calce si riferiscono a libri e non a riviste.

S O M M

A R I O

Presentazione Avvertenze Elenio

v del traduttore

vii

delle abbreviazioni

dei titoli di riviste

scientifiche

ix

A) Alcune regole generali per il preparatore. VELOCITÀ

DI REAZIONE

RAFFREDDAMENTO PREPARAZIONE

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

E

TEMPERATURA

I

ESTERNO

DELLE

3

SOSTANZE

ORGANICHE

ALLO

STATO PURO

4

L a cristallizzazione L a distillazione L a sublimazione L a distillazione in corrente di v a p o r e L ' e v a p o r a z i o n e dei solventi L'estrazione C o m e si t r a t t a n o i gas compressi Il riscaldamento sotto pressione L'agitazione . . * D e t e r m i n a z i o n e del p u n t o di fusione

5 18 31 32 35 37 41 43 45 46

B) Metodi dell'analisi organica. RICERCA

QUALITATIVA

ZOLFO P

L'ANALISI I.

DEL

CARBONIO,

DELL'IDROGENO,

DELL'AZOTO,

DELLO

DEIGLI A L O G E N I

ELEMENTARE

50

ORGANICA

Determinazione dell'azoto secondo DUMAS a) P r e p a r a t i v i b) C o m e si esegue la combustione I I . Determinazione del carbonio e dell'idrogeno secondo LIEBIG . . . . a) P r e p a r a t i v i b) Esecuzione della combustione I I I . L a determinazione degli alogeni, dello zolfo e d ' a l t r i elementi . . . 1. D e t e r m i n a z i o n e degli alogeni secondo CARIUS 2. D e t e r m i n a z i o n e argentometrica di CI e di B r mediante indicatori di adsorbimento 3. Determinazione v o l u m e t r i c a dello iodio secondo LEIPERT-MUNSTER 4. Determinazione dello zolfo secondo CARIUS

54 54 55 59 63 63 71 78 78 82 86 87

Sommario

XII

5. Determinazione dello zolfo per combustione catalitica 6. Determinazione contemporanea degli alogeni e dello zolfo . . . . 7. Determinazione degli altri elementi IV. Determinazione di gruppi organici 1. Determinazione volumetrica del gruppo metossilico 2. Determinazione dei gruppi acetilico e benzoilico 3. Determinazione dell'idrogeno attivo secondo CIUGAEFF-ZEREWITINOFF 4. Determinazione del peso molecolare

88 89 89 90 90 92 94 96

C) Preparazioni di chimica organica. AVVERTENZE PER LA

PREVENZIONE D'INFORTUNI

PRIMO EQUIPAGGIAMENTO

I. II. III. IV.

99 101

Attrezzi Solventi Reattivi, sostanze igroscopiche Quaderni

101 103 103 104

D) Esercizi. CAP. 1. - L A S O S T I T U Z I O N E D E G L I A L O G E N I A L L ' O S S I D R I L E E D A L L'IDROGENO. GLI ALCOOL. L E OLEFINE Esercizio N. 1. - Bromuro d'etile dall'alcool etilico Esercizio N . 2. - Ioduro d'etile dall'alcool etilico Esercizio N. 3. - Cloruro di benzile dal toluene Esercizio N. 4. - Bromobenzene Esercizio N . 5. - Idrocarburi non saturi a) Etilene dall'alcool etilico. Dibromoetilene b) Cicloesene dal cicloesanolo. Cicloesadiene Esercizio N. 6. - Glicol etilenico dal bromuro d'etilene Esercizio N. 7. - Etere di-isoamilico Esercizio N . 8. - Acido cloroacetico da acido acetico e cloro CAP. II. - G L I A C I D I C A R B O S S I L I C I E D I L O R O D E R I V A T I P I Ù SEMPLICI Esercizio N. 1. — Cloruri dei radicali acidi a) Cloruro d'acetile b) Cloruro di benzoile Esercizio N . 2. — Anidride acetica Esercizio N . 3. — Acetammide Esercizio N . 4. — Urea e semicarbazide a) Cianato potassico ottenuto per fusione ossidante b) Ùrèa c) Semicarbazide d) Urea (e acido urico) dall'urina Esercizio N . 5. - Nitrili a) Acetonitrile i>) Cianuro di benzile Esercizio N . 6. — Saponificazione d'un nitrile ad acido. Fenil-acetammide. Acido fenilacetico Esercizio N . 7. - Eteri composti a) Acetato d'etile a partire da acido acetico glaciale ed alcool . . . Considerazioni sugli equilibri in soluzione

104 104 106 111 115 119 119 121 127 129 130 133 133 133 133 138 141 143 143 144 146 147 149 149 149 152 153 153 154

Sommario b) Nitrito d'isoamile c) Nitrato d'etile d) Saponificazione d'un grasso o d'un olio vegetale Note d'analisi dei grassi Esercizio N . 8. - Degradazione degli acidi carbossilici nelle ammine immediatamente inferiori a) Reazione di Hofmann. Metilammina dall'acetammide b) Reazione di Curtius. Cianato di fenile

XIII

158 160 161 163 164 164 165

CAP. I I I . - I N I T R O D E R I V A T I E L O R O P R O D O T T I D I R I D U Z I O N E . .

168

Esercizio N . 1. - Nitrometano Esercizio N. 2. — Nitrazione d'un idrocarburo aromatico. Nitrobenzene e dinitrobenzene a) Nitrobenzene . ¿1) Dinitrobenzene Dei nitroderivati Leggi di sostituzione Esercizio N. 3. - Riduzione di un nitrocomposto ad un'ammina . . . . o) Anilina dal nitrobenzene b) Meta-nitranilina dal meta-dinitrobenzene Esercizio N . 4. - Fenilidrossilammina Esercizio N . 5. - Nitrosobenzene Esercizio N . 6. — Idrazobenzene e azobenzene a) Idrazobenzene b) Azobenzene dall'idrazobenzene c) Benzidina dall'idrazobenzene Il meccanismo della riduzione del nitrobenzene

168

CAP. I V . - A C I D I Esercizio N . 1. Esercizio N. 2. Esercizio N. 3. Esercizio N . 4. Esercizio N . 5. Spiegazioni:

SOLFONICI — Acido benzenmonosolfonico da benzene ed acido solforico - Acido p-toluensolfonico — Acido ß-naftalinsolfonico — Acido solfanilico dall'anilina ed acido solforico . . . . — Acido 2,4-dinitro-a-naftol-7-solfonico (giallo-naftolo S) . . la solfonazione

CAP. V. - A L D E I D I Esercizio N . 1. - Formaldeide Esercizio N. 2. - Aldeide acetica a) dall'alcool etilico b) dall'acetilene Esercizio N . 3. - Aldeide benzoica dal cloruro di benzale Spiegazioni e Saggi per il Cap. V, Eserc. 1, 2, 3 Esercizio N . 4. - Reazione di Cannizzaro. Acido benzoico ed alcool benzilico dalla benzaldeide Esercizio N . 5. - Condensazione aciloinica. Benzoino dalla benzaldeide . . Benzile dal benzoino . Esercizio N . 6. - Addizione di acido cianidrico ad un'aldeide. Acido mandelico dall'aldeide benzoica Esercizio N. 7. - Alanina Esercizio N. 8. - L a sintesi di Perkin. Acido cinnamico dalla benzaldeide e dall'acido acetico Esercizio N. 9. - L a sintesi di Reimer e Tiemann. Aldeide salicilica da fenolo e cloroformio

173 173 174 174 175 176 176 182 185 189 194 194 195 196 198 200 200 202 204 105 205 206 212 212 214 214 217 218 219 229 230 230 235 237 240 243

XIV

Sommario

CAP. V I . - F E N O L I E D E N O L I . T A U T O M E R I A C H E T O - E N O L I C A

. . .

Esercizio N . 1. — Trasformazione d ' u n acido solfonico in un fenolo ^ - N a f t o l o Esercizio N . 2. - Metilazione dei f noli Esercizio N . 3. — O - e p-nitrofenolo Nitrofenoli Esercizio N . 4. - L a sintesi dell'acido salicilico secondo K o l b e Esercizio N . 5. - Sintesi d ' u n etere d ' a c i d o p-chetonico. E t e r e acetilacetico Esercizio N . 6. — Acetil-acetone Esercizio N . 7. — M a l o n a t o dietilico (Etere malonico) Esercizio N . 8. — Fenil-nitrometano a) Sale sodico dell'aci-fenil-nitroaceto-nitrile h) Saponificazione a sale sodico del fenil-nitrometano « acido * . . . . A p p l i c a z i o n i dell'etere acetilacetico e dell'etere malonico in varie sintesi . CAP. V I I . - I

D I A Z O C O M PO STI

246 246 250 252 253 255 257 259 zòo262 262 263 271 275

GENERALITÀ

275

A)

DIAZOCOMPOSTI ALIFATICI

277

Esercizio N . 1. - D i a z o m e t a n o Esercizio N . 2. - E t e r e diazo-acetico C l o r i d i a t o del glicocollato d'etile a) A m m i n o a c i d i b) E t e r e diazo-acetico

i n 281 281 282 284

DIAZOCOMPOSTI

288-

B)

AROMATICI

Esercizio N . 3. — D i a z o t a z i o n e dell'anilina. Fenolo, iodobenzene, benzene a partire dall'anilina. Isomeria dei d i a z o d e r i v a t i a) Preparazione d ' u n a soluzione di sale di diazonio h) Idrolisi della soluzione di sale di diazonio a fenolo D e l l a diazotazione c) Iodobenzene dall'anilina Basi iodoniche d) Benzene dall'anilina e) Cloruro di fenil-diazonio solido Diazonio e diazotati /) P-nitrofenil-aKÌi-diazotato sodico Esercizio N . 4. - Para-tolunitrile dalla p-toluidina (Reazione di S a n d m e y e r ) Esercizio N . 5. - A c i d o arsanilico dalla p-nitranilina - - . . . . Esercizio N . 6. - Fenilidrazina Esercizio N . 7. — Preparazione di a z o c o l o r a n t i L a copulazione dell'anilina Diazoamminobenzene e p-amminoazobenzene Cenni di teoria dei coloranti D e l l a reazione di copulazione dei diazocomposti CAP. V i l i . - C O M P O S T I

CHINOIDI

Esercizio N . 1. - Chinone dall'anilina R e a z i o n i del chinone Esercizio N . 2. — Para-nitroso-dimetilanilina Esercizio N . 3. - P - a m m i n o - d i m e t i l a n i l i n a T e o r i a del W i l l s t a e t t e r A z z u r r o di metilene Esercizio N . 4. - Coloranti basici del t r i f e n i l m e t a n o . V e r d e malachite benzaldeide e dimetilanilina

288 288 289289 290291 292 293. 293 297 297 300 302 307 310 311 311 312 315 315 316321 324 325. 328-

da 331.

Sommario

XV

Esercizio N. 5. — Fluoresceina ed eosina Cenni di teoria dei coloranti del trifenilmetano Esercizio N. 6. — Alizarina CAP. I X . - L E S I N T E S I S E C O N D O RADICALI ORGANICI

GRIGNARD

332 334 340 E

FRIEDEL-CRAFTS. 342

L A REAZIONE DI GRIGNARD

342

Esercizio N. 1. — Preparazione degli alcooli a) Benzidrolo da benzaldeide e bromuro di fenilmagnesio b) Alcool trifenilmetilico dal benzoato d'etile e bromuro di fenilmagnesio. Esercizio N. 2. — Sintesi d'un chetone a partire da un nitrile. Acetofenone Spiegazioni per gli esercizi i e 2 L A SINTESI DI FRIEDEL-CRAFTS

347

Esercizio N. 3. — La sintesi chetonica a) Benzoienone da cloruro di benzoile e benzene b) Benzofenon-ossima c) Trasposizione di Beckmann a benzaniiide d) Acetofenone da benzene ed anidride acetica Esercizio N. 4 - Trifenilclorometano da benzene e tetracloruro di carbonio Esercizio N. 5. - 2,4-diossi-acetofenone da resorcina ed acetonitrile . . . Esercizio N. 6. — Chinizarina da anidride ftalica ed idrochinone . . . . Teoria degli esercizi 3 , 4 , 5 , 0 RADICALI ORGANICI

357 360 362 363

CAP. X . - COMPOSTI ETEROCICLICI

365

Esercizio N. 1. - Derivati piridici a) Sintesi della collidina sec. HANTZSCH Piridina b) a-Amminopiridina Esercizio N. 2. - Chinolina a) Sintesi della chinolina sec. SKRAUP b) Sintesi della chinaldina secondo DOEBNER-MILLER Esercizio N. 3. - Indaco Indaco: sintesi e tintura IDROGENAZIONE.

RIDUZIONE.

OZONIZZAZIONE

365 365 367 370 371 371 371 374 375 . . . .

Esercizio N. 1. - Idrogenazione catalitica mediante palladio Calcolo del fabbisogno d'idrogeno Preparazione del carbone animale palladiato Preparazione d'ossido di platino PtO a Esercizio N. 2. - Idrogenazione catalitica mediante nichelio. Ciclo-esanolo Esercizio N. 3. - Sostituzione dell'ossigeno di composti carbonilici mediante idrogeno. (Riduzione secondo CLEMMENSEN) Esercizio N. 4. - Dialdeide adipica dal cicloesene mediante ozono . . . . CAP. X I I . - S O S T A N Z E

Esercizio N. Esercizio N. Esercizio N.

349 349 349 350 351 352 353 353 354 357

Esercizio N. 7. — Esafeniletano Esercizio N. 8. - Tetrafenilidrazina Fissazione del difenilazoto mediante NO Radicali azotati

CAP. X I . -

342 342 343 344 344

NATURALI

1. - Furfurolo 2. - Destro-glucosio dal saccarosio 3. - Scissione del saccarosio mediante la saccarasi (invertasi)

381

381 383 383 384 384 388 389 391

391 393 293

Sommario

XVI

Esercizio N. 4. - (3-Pentacetil-glucosio e a-acetil-bromoglucosio . . . . Esercizio N . 5. - Lattosio e caseina dal latte Esercizio N. 6. - d-Galattosio dal lattosio. Acido mucico. Pirrolo . . . Esercizio N. 7. — Ottoacetil-cellobiosio e cellobiosio Considerazioni intorno agli idrati di carbonio Esercizio N. 8. — Saccarificazione dell'amido e fermentazione alcoolica . Esercizio N. 9. — Cloridrato di d-arginina dalla gelatina Esercizio N. 10. - Caffeina dal tè Esercizio N. 11. — Nicotina dal sugo di tabacco Esercizio N . 12. — Emina dal sangue di bue Derivati del pirrolo ADSORBIMENTO

CROMATOGRAFICO

DEI

COLORANTI

DELLE

FOGLIE

VERDI

Esercizio N. 13. - I componenti principali della bile bovina

395 396 398 399 400 405 408 409 410 411 411 414

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B R E V E I S T R U Z I O N E P E R L'USO D E L L A L E T T E R A T U R A D I CHIMICA ORGANICA PREPARAZIONI

Appendice: INDICE

TOLTE

422 DALLA

TABELLE

DELLE

LETTERATURA

AZOTOMETRICHE

MATERIE E

DEGLI

AUTORI



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429 433

A . Alcune regole generali per il Preparatore Velocità di reazione e temperatura. Le reazioni che formano l'oggetto della chimica organica differiscono da quelle del corso di preparazioni inorganiche e di chimica analitica sopratutto in fatto di velocità delle reazioni. Nella chimica inorganica ed analitica abbiamo a che fare quasi esclusivamente con delle reazioni fra ioni, che avvengono con velocità grandissime, non suscettibili di misura; invece le reazioni fra sostanze organiche avvengono di regola molto più lentamente e perciò in tali casi per eseguire la preparazione siamo costretti a ricorrere all'azione acceleratrice dell'aumento di temperatura. Aumentando infatti la temperatura di io 0 , la velocità di reazione in generale passa ad un valore doppio e anche triplo di quello primitivo. Indicando con v la velocità con cui la reazione decorre a 20°, alla temperatura di 8o° la velocità sarà in media = v • 2,5 6 . Perciò la stessa reazione in soluzione alcoolica bollente avverrà con una velocità circa 250 volte maggiore che non a temperatura ambiente. Per questo motivo molte reazioni fra sostanze organiche si compiono in soluzioni riscaldate, per solito all'ebollizione. I vapori liberatisi dal solvente vengono condensati in un refrigerante verticale sovrapposto al recipiente in cui ha luogo la reazione e percorso dall'acqua dell'acquedotto, in modo da ottenere che il solvente evaporatosi ricada continuamente nel recipiente (refrigerante a ricadere). Per concentrare una soluzione si evapora il solvente utilizzando un refrigerante « discendente ». Spesso si usano i comuni e ben noti « refrigeranti di Iyiebig » ; ma allo scopo anzidetto sono più opportuni e comodi i refrigeranti a serpentino, di costruzione variabile, i quali però sono meno adatti a fungere come « refrigeranti a ricadere », a causa dello strato liquido che nel serpentino si forma fra il vapore e l'atmosfera esterna. Per entrambi gli usi s'è affermato molto bene il refrigerante secondo DIMROTH, nel quale è il serpentino ad essere percorso dall'acqua di refrigerazione (fìg. 1). Per evitare che del vapor d'acqua possa condensarsi sul serpentino refrigerante il tubo I -

GATTERMANN.

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Alcune

regole generali

per il

Preparatore

superiore sarà munito opportunamente d'un tubetto a cloruro di calcio. Adoperando dei solventi che bollano al di sopra di i o o ° il refrigerante a circolazione d'acqua potrà essere sostituito da un tubo di vetro lungo e di lume largo (tubo d'espansione). Per connettere insieme il refrigerante ed il recipiente in cui avviene la reazione s'adoperano dei tappi di sughero a buona tenuta, i quali saranno ammorbiditi mediante uno schiaccias tappi prima di praticarvi dei fori. Il diametro utile del foratappi da scegliersi dovrà essere inferiore a quello del tubo di vetro da introdursi nel foro. l , a perforazione del tappo si pratica preferibilmente così: si pone il tappo sul banco da laboratorio con la base maggiore all'ingiù, si scalda lievemente il foratappi nella fiamma a gas e mantenendo rigorosamente verticale il foratappi stesso s'inizia la perforazione dalla base minore del tappo. [Inutile dire che nel laboratorio chimico si possono utilizzare unicamente dei tappi a tronco di cono, cioè a sezione circolare, ma mai quelli prismatici a sezione quadrata, tanto usati nell'enologia. Per evitare soverchia usura del taglio del foratappi sarà bene apFig. poggiare il tappo su cartone, legno, ecc., ossia su un supporto di materia meno dura dell'ottone, e non sulle mattonelle di maiolica ecc. N. d. tr.~\ Per quanto possibile si deve evitare di rivestire i tappi d'uno strato di collodio per ottenere la tenuta stagna (certe volte s'usano dei tappi bolliti nella paraffina per ovviare alla lieve porosità del sughero, ma solo a basse temperature). I tappi di gomma sono comodi, ma durano meno di quelli di sughero, sono meno facili a lavorarsi e più costosi : in generale non si adoperano mai là dove possono essere esposti al contatto di vapori dei solventi organici bollenti che fanno rigonfiare la gomma e ne estraggono spesso dei prodotti solubili, come zolfo, ecc. che vanno ad inquinare la soluzione in via di reazione (ciò vale sopratutto per benzina, benzene e CS 2 ; inoltre la gomma ha la proprietà di « invecchiare », cioè di screpolarsi facilmente dopo un certo tempo. Per forare i tappi di gomma è bene intingere il foratappi, dalla parte del taglio, in K O H o NaOH). ha. miglior cosa è quella d'usare dei giunti smerigliati a « cono normale » ; il loro difetto maggiore è il loro alto costo.

Raffreddamento

esterno

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Raffreddamento esterno. Molte reazioni avvengono con forte sviluppo di calore, per cui hanno bisogno d'essere moderate. Cosi pure quando si ha a che fare con delle sostanze facilmente decomponibili, per le quali quindi la temperatura elevata potrebbe riuscire pericolosa, bisogna spesso aver cura di raffreddare il miscuglio che reagisce. Il grado di raffreddamento è diverso a seconda della quantità di calore da sottrarre e a seconda della temperatura di reazione che di volta in volta dobbiamo adottare; in ordine di temperature discendenti possiamo optare per l'acqua potabile corrente (8-10 per il ghiaccio pestato o finemente triturato ed imbevuto d'acqua (o°), per la miscela di ghiaccio e sale, entrambi finemente macinati e ben mescolati (o a —200) e infine per la miscela, in proporzioni variabili, di C0 2 solida (neve carbonica o ghiaccio secco) e d'etere oppure acetone (fino a —-8o°; usare termometro a pentano). Di solito nelle preparazioni organiche non è necessario scendere al di sotto di queste temperature e quindi la refrigerazione a mezzo d'aria liquida non è da prendersi in considerazione. Per preparare una miscela frigorifera che s'usa assai spesso, si trita o si pesta finemente del ghiaccio (comune) in un tritaghiaccio od in un mortaio di metallo e se ne prendono 2 parti che si mescolano bene con 1 parte di sale grosso mediante una spatola di legno, in una bacinella di vetro a fondo piatto oppure in un tegame di ferro smaltato, entrambi a pareti basse. Per ottenere che una miscela frigorifera si mantenga efficace per più ore, eventualmente per un'intera notte, la si pone in una bottiglia tipo « termos » (oggi se ne hanno sul mercato di quelle a bocca larghissima, destinati in origine ai cibi solidi) e vi si introducono delle provette ecc., il cui contenuto a questo modo può essere mantenuto a lungo a temperatura bassa. Allo stesso scopo, ma su scala maggiore, può servire un recipiente d'isolamento proposto dal PICCARD, che si può facilmente costruire a mezzo di due « vasi da pila » messi uno dentro l'altro. Il fondo del vaso esterno va riempito di farina fossile (terra di diatomee, d'infusori) fino a che l'orlo del vaso di diametro minore, introdotto concentricamente a quello maggiore, ha raggiunto l'altezza dell'orlo estemo, indi nell'intercapedine fra i due manicotti si introduce dell'altra farina fossile, la si calca bene per assestarla, quindi in alto fra i due orli si chiude bene colla pece. In generale nelle preparazioni organiche non si tengono in debito conto i rapporti di concentrazione. Eccezion fatta per casi rari (p. es. trasposizioni intramolecolari), generalmente siamo in presenza di reazioni d'ordine superiore, alle quali prendono parte parecchie

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Alcune

regole generali

per il

Preparatore

specie di molecole, per solito due. Poiché in base alla teoria cinetica la velocità d'una reazione bimolecolare è direttamente proporzionale al numero degli urti vicendevoli delle molecole disciolte, e per conseguenza s'esprime a mezzo dei prodotti delle rispettive concentrazioni : v =

CA-Ct'K

(dove K = costante della velocità di reazione) per questo motivo è consigliabile adottare una concentrazione il più possibilmente elevata per le soluzioni reagenti, in tutti quei casi in cui non vi siano ragioni particolari in contrario. Si ricordi sempre che ridurre la concentrazione alla metà, ad un quarto, ad un decimo, ecc., equivale a rallentare la reazione fino ad un quarto, un sedicesimo, un centesimo, ecc. ; vale a dire impiegare un tempo 4, 16, 100, volte maggiore di quanto sarebbe stato impiegato mantenendo invariata la concentrazione iniziale.

Preparazione delle sostanze organiche allo stato puro L'oggetto delle preparazioni organiche consiste di solito in composti solidi cristallizzati oppure liquidi, talvolta anche gassosi. Data la grande molteplicità delle reazioni fra sostanze organiche, una reazione di questo genere non avviene quasi mai nettamente in un'unica direzione ottenendo per risultato un unico prodotto finale, bensì quasi sempre si hanno delle reazioni secondarie: ciò appare nel più netto contrasto colle reazioni della chimica inorganica, le quali nella loro maggioranza decorrono in un senso unico, appunto perchè avvengono fra ioni. Queste circostanze rendono assai difficile l'isolamento di sostanze pure e di composizione unitaria, d'individui chimici, insomma, in seno ad un miscuglio di reazioni : il che costituisce appunto il compito più nobile delle esercitazioni di preparazioni organiche. Spesso si formano parecchi composti chimici definiti in una sola reazione, per cui si deve tendere alla loro separazione : oppure si tratterà di liberare la sostanza preparata da accompagnatori indesiderabili, non cristallizzabili, le cosiddette morchie, resine o peciosità, di consistenza resinosa o peciosa, evitando al massimo grado possibile le perdite. Per morchie ecc. s'intendono dei prodotti secondari (talvolta purtroppo anche principali) la cui origine e composizione per la maggior parte è ignota e le quali finora hanno attratto su di sè l'attenzione della chimica organica classica soltanto nel senso d'una incondizionata disapprovazione.

i. - La

cristallizzazione

5

Il preparato da purificare v a liberato nel modo più accurato da tutte queste sostanze secondarie indesiderabili. Per i compiti che qui si presenteranno sono da considerarsi principalmente due metodi, e cioè la cristallizzazione e la distillazione. 1. - La

cristallizzazione.

Nozioni fondamentali. I composti solidi cristallizzabili s'ottengono nel corso d'una reazione per solito allo stato di prodotti grezzi che si separano o direttamente, senz'altro, oppure concentrando la soluzione e lasciandola raffreddare, in uno stato più o meno puro. L,a velocità di cristallizzazione per le sostanze organiche varia entro limiti larghissimi ed è fortissima la tendenza a dare soluzioni sovrasature. Ma quand'anche s'introduca un cristallo della sostanza da cristallizzare, preparato a parte, nel liquido sovrasaturo — operazione che si chiama « inoculazione » — la sovrasaturazione potrà bensì essere evitata o tolta, ma l'equilibrio della soluzione satura a freddo tarderà talvolta moltissimo a stabilirsi. I y a causa ne risiede nella velocità variabile della cristallizzazione. Appunto per questo il totale del prodotto grezzo ottenibile si raggiunge spesso dopo parecchie ore di riposo soltanto. Il processo di cristallizzazione avviene nel caso più semplice (e nel contempo più frequente) a questo modo : si prepara una soluzione satura a caldo del prodotto greggio in un solvente appropriato, dalla quale la sostanza si separa in cristalli all'atto del raffreddamento, ma in uno stato di maggiore purezza. Condizione indispensabile perchè questo procedimento abbia successo è che le sostanze inquinanti abbiano solubilità maggiore che non la sostanza principale (quella da purificare), così da restare disciolto nella soluzione (acqua madre) anche dopo il raffreddamento. Il principio della solubilità differenziale s'applica anche nel senso inverso, quando cioè il prodotto secondario (inquinante) può essere separato mercè la sua solubilità minore dalla soluzione appena satura della sostanza da purificare, sciolta in un solvente adatto alla bisogna. Poiché in tale caso la soluzione rimane in ogni modo satura rispetto al sottoprodotto, con quest'ultimo metodo, diversamente dal precedente, non si potrà mai arrivare direttamente alla sostanza pura, in uri operazione soltanto. Inoltre per la ricristallizzazione della soluzione satura a caldo è necessario che la curva delle solubilità alle diverse temperature abbia

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Alcune

regole generali

per il

Preparatore

un decorso il più possibilmente pendente, cioè che la solubilità della sostanza nel solvente abbia ad aumentare molto fortemente all'aumentare della temperatura. Solo in tale caso è possibile estrarre dalla soluzione la quantità di sostanza disciolta colla massima resa possibile. È perciò della massima importanza per una buona riuscita del processo di ricristallizzazione scegliere bene il solvente. I solventi maggiormente usati sono i seguenti: Acqua, alcool etilico, metanolo, etere etilico, acetone, acido acetico glaciale, acetato d'etile (etere acetico), benzene, etere di petrolio, cloroformio, solfuro di carbonio, tetracloruro di carbonio. Per sostanze particolarmente restie ad andare in soluzione si usano inoltre ancora: acido formico, piridina, bromobenzene, nitrobenzene, talvolta anche fenolo, benzoato d'etile, anilina, « dioxan ». Sussiste una interdipendenza reale fra la costituzione chimica della sostanza da disciogliere e quella del solvente, il che è espresso anche nel vecchio principio che « similia similibus solvuntur ». È noto ad es. che sostanze componenti gruppi ossidrilici (come zuccheri, acidi carbossilici) si sciolgono nell'acqua; gli idrocarburi si sciolgono più facilmente nel benzene e nell'etere di petrolio che non, a mo' d'esempio, negli alcooli. Ma il principio or ora enunciato vale in generale con qualche sicurezza solo per composti organici piuttosto semplici ; se tali sostanze sono invece complesse, le cose si fanno più complicate, e se lo speririmentatore non è dotato d'una grande esperienza, si trova nella necessità di dover passare in rassegna t u t t i i solventi a sua disposizione. Il solvente più usato è l'alcol, col quale si suole incominciare; quindi si potrebbe continuare magari con acqua, benzene, etere di petrolio. Si può dire « grosso modo » che fra i solventi usuali il benzene, il cloroformio e l'etere hanno un potere solvente grandissimo, l'acqua e l'etere di petrolio invece mediocre, per le sostanze organiche (1). Benché molti esempi contrari infirmino la validità di questa affermazione, pure possiamo servircene come criterio di scelta. Così ad esempio se il campioncino di sostanza è troppo difficilmente solubile in alcool, si sceglierà il primo gruppo, se invece è troppo facilmente solubile, si darà la preferenza al secondo gruppo. Nel caso di sostanze difficilmente solubili si sceglie spesso un solvente che sia della stessa serie del solvente sperimentato, ma ne sia un omologo (*) In seguito, salvo espressa menzione in contrario, per alcool ed etere s'intenderà empre alcool etilico, risp. etere dietilico.

i. - La

cristallizzazione

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superiore, quindi a punto d'ebollizione più elevato: invece d'alcool etilico si userà propanolo od alcool amilico, invece di benzene si preferirà il toluene o lo xilene, giacché essendo aumentata la temperatura d'ebollizione, aumenta anche la solubilità. Succede assai spesso che volendo preparare una sostanza otteniamo un prodotto greggio amorfo, di consistenza ora resinosa, ora fioccosa, prodotto che per digestione con un solvente adatto o anche pei ricristallizzazione diretta si fa cristallino. Si tenga presenta che la solubilità d'una medesima sostanza allo stato amorfo e risp. cristallino può essere differentissima ; più precisamente la forma amorfa è sempre molto più facilmente solubile. Pei sali vale la regola generale che essi sono disciolti facilmente nell'acqua, magari anche nei diversi alcool, nell'acetone e nel cloroformio, mentre non si sciolgono nell'etere, nel benzolo, nell'etere di petrolio. Ragion per cui quando siamo in presenza d'una mescolanza di più sostanze in mezzo neutro, (per es. etere) le basi organiche si possono estrarre a mezzo di soluzioni di acidi in acqua, mentre gli acidi organici s'estraggono, com'è naturale, a mezzo di alcali acquosi. La combinazione di più solventi è per il chimico un valido aiuto per la purificazione, quando una sostanza non presenta la solubilità media necessaria in nessun solvente, ma è o troppo solubile o lo è troppo poco. I solventi che s'usano combinati devono essere miscibili fra loro. Per solito si ricorre alle seguenti combinazioni: Alcool, acido acetico glaciale, acetone: con acqua. Etere, acetone, benzene, cloroformio: con etere di petrolio. Piridina: con acqua, etere od alcool. Alcool con etere. Si procede a questo modo: la soluzione concentrata, calda o fredda, si t r a t t a a goccia a goccia col mezzo diluente, fino a che si forma appena un intorbidamento, il quale s'induce alla cristallizzazione mediante il riposo oppure mediante strofinio con una bacchetta di vetro a spigoli vivi. Quando la cristallizzazione è incominciata, si continua cautamente a diluire. È un errore il voler precipitare la sostanza disciolta t u t t a in un solo colpo usando grandi quantità del mezzo poco solvente. Quando si devono eseguire delle operazioni di cui non si possiede ancora perfettamente la tecnica, si debbono sempre eseguire dei saggi preliminari in provetta. L,o studente deve abituarvisi fin dal principio.

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Alcune regole generali per il

Preparatore

Per raccogliere il filtrato si ricorre al comune bicchiere per le soluzioni acquose; per i solventi organici serve invece il matraccio di Erlenmeyer o « bevuta » che non favorisce l'evaporazione e quindi impedisce le incrostazioni. Non fosse altro che per poter controllare l'uniformità della massa cristallizzata col solo sguardo, la cristallizzazione non va disturbata, al fine di permettere la formazione di cristalli ben sviluppati. È errato ritenere che la cristallizzazione minutissima provocata da un brusco raffreddamento della soluzione dia luogo ad una sostanza particolarmente pura: anzi la maggiore superficie totale dei cristalli favorisce assai di più l'adsorbimento di sottoprodotti che non nel caso di individui cristallini più grandi e bene sviluppati [a parte il fatto che i precipitati microcristallini o quasi talvolta non sono filtrabili N. d. tr.]. S'aggiunga che il chimico organico è sempre obbligato a controllare la purezza e l'uniformità della sostanza preparata, ciò che riesce assai più facile nel caso di cristalli ben sviluppati. Questo esame dei preparati, si faccia esso con la sola lente d'ingrandimento oppure coll'ausilio del microscopio — un ingrandimento di 50-100 diametri è sufficiente — non si deve trascurare. Quando in una soluzione s'è arrivati alla saturazione alla temperatura ambiente e quindi non precipitano più cristalli, immergendo il recipiente in ghiaccio fondente o in una miscelà frigorifera si può ancora aumentare la quantità di cristalli che si separano. Le sostanze a basso punto di fusione talvolta si separano sotto forma di liquido oleoso quando si raffredda la soluzione satura a caldo. In tal caso la soluzione va diluita ancora un po'. Inoltre in simili casi si può ottenere un raffreddamento molto lento immergendo la bevuta contenente la soluzione calda in un bicchierone contenente dell'acqua alla stessa temperatura oppure ricoprendo la bevuta stessa con un panno. Di quelle sostanze che cristallizzano con difficoltà si metta sempre da parte una piccola quantità come « cristalli per inoculazione ». Coll'ausilio di questi cristalli si riescirà facilmente a padroneggiare la su accennata difficoltà introducendoli nella soluzione non del tutto raffreddata e strofinando le pareti con una bacchetta di vetro. Norme per l'esecuzione. Per preparare una soluzione satura a caldo la sostanza da purificare si pone preferibilmente in un pallone a collo corto, si tratta con poco solvente, e se ne aggiunge man mano mentre si riscalda la soluzione sino all'ebollizione, fino a che tutto s'è disciolto. Poiché nelle sostanze greggie si trovano spesso

i. - La

cristallizzazione

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delle impurità insolubili, durante la dissoluzione si deve osservare esattamente se e quando la sostanza da ricristallizzare è andata completamente in soluzione. Si deve evitare un'ebollizione troppo prolungata, giacché molte sostanze si decompongono facilmente. Adoperando dei solventi che bollono al di sotto di 800 C, la soluzione si scalda con refrigerante a ricadere, a bagno maria bollente ; il solvente da aggiungere si può versare nel pallone attraverso il refrigerante, a mezzo d'un imbuto. È preferibile, però, specialmente nel caso di quantitativi maggiori, montare sul matraccio un tubo biforcato secondo A N S C H U E T Z (fìg. 31, pag. 46), il quale tubo permette di versare comodamente le porzioni sueD cessive di solvente, nonché, occorrendo, d'introdurre * * eventualmente anche delle sostanze solide. Il ramo inclinato della biforcazione si collega col refrigerante, quello verticale, attraverso il quale si operano I { . le successive aggiunte, è invece chiuso a mezzo di tappo. L'acqua ed altri solventi, il cui punto di ebollizione superi gli 80 si scaldano opportunamente su uno strato d'amianto nell'imbuto di B A B O oppure su una reticella metallica amiantata. Se il Ij punto d'ebollizione è di parecchio superiore (più di Pig 2 20 o) a quella dell'acqua, per prevenire la rottura del refrigerante quest'ultimo va riscaldato con una corrente d'acqua tiepida oppure sostituito da un tubo di vetro lungo e di luce ampia (refrigerante ad aria), sul quale, se occorre, si dispone della carta da filtro inumidita. Per eseguire delle esperienze con refrigerazione a ricadere, in provette, il refrigerante di fig. 2 riesce assai comodo. Esso consiste d'un tubo di vetro lungo 15 cm. e del calibro interno di 6-8 mm., chiuso ad un'estremità. A circa 3 cm. di distanza dall'altra estremità è saldato un altro tubo, più sottile, a squadra e incurvato verso il ramo maggiore del tubo principale, per permetterne la sospensione ad un anello metallico; questo tubo di sviluppo serve a far defluire l'acqua di refrigerazione ed a tale scopo è munito d'un sottile tubo di caucciù. L'introduzione dell'acqua avviene mediante un sottile tubo di vetro, anch'esso ripiegato a squadra e collegato con tubo di gomma all'acquedotto, che s'infila nel tubo refrigerante fino al fondo chiuso. Questo apparecchio refrigerante, comodo e maneggevole, si fissa alla provetta a mezzo d'un tappo portante un solco intagliato per il lungo.

IO

Alcune

regole generali

per il

Preparatore

Per evitare il fenomeno così fastidioso del ritardo all'ebollizione, prima del ribollire s'introducono alcune pietruzze — pomice, schegge di porcellana, palline di vetro, ecc. della grandezza di circa mezzo pisello - nel matraccio; quando tali pietruzze sono diventate inefficaci, si sostituiscono con altre fresche (evitare di gettarle nella soluzione surriscaldata!). Se il liquido in ebollizione dà dei forti sussulti, per quantitativi maggiori è consigliabile usare bacchette di legno. Per eliminare delle impurità colorate che spesso sono tenacemente trattenute da sostanze incolori, la soluzione satura a caldo si continua a bollire per alcuni minuti ancora in presenza di qualche pizzico di carbone animale o di carbone di legna appositamente preparato. Poiché l'aria che si sprigiona dal carbone provoca spesso un intenso schiumeggiamento, è preferibile aggiungere il carbone cautamente a piccole porzioni e agitando la massa. I/adsorbimento delle impurità colorate sul carbone avviene nel modo più facile in soluzione acquosa, giacché tali sostanze hanno carattere colloidale. Filtrazione. X,e soluzioni da far cristallizzare, anche se furono trattate con carbone, non sono del tutto chiarificate e conviene perciò filtrarle. Al filtro a pieghe (adoperato quando non importa raccogliere la parte solida che rimane sul filtro) preferiremo in generale un ordinario filtro rotondo a cono, che però bisogna adattare a perfetta tenuta negli imbuti, che di solito non sono fatti esattamente a 6o° (angolo al vertice della parte conica). Bisogna perciò dare anche al cono di carta che costituisce il filtro, lo stesso angolo al vertice. Come si sa i filtri si fanno ripiegando una porzione circolare di carta in due, cosi da avere due semicerchi, poi ancora in due, avvicinando e sovrapponendo due lembi, due settori di 900 ciascuno. Se si sovrappongono esattamente i due settori, essi riescono esattamente di 90 0 o due « quadranti » : in tal caso, aprendo il filtro a cono, l'angolo al vertice sarà di 6 0 s e invece i due settori non si sovrappongono esattamente, se ne avranno due, d'angolo diverso da 900, per es. uno di 95 0 ed uno di 85°. Aprendo uno dei coni del filtro si avranno angoli al vertice differenti anch'essi da quei 600 che dicemmo essere la regola. Si v a avanti per tentativi, finché s'è trovato quel cono che s'adatta a perfetta tenuta all'imbuto. Nei lavori di chimica organica si può usare unicamente la carta da filtro « martellata », quella ben nota a superficie scabra, a rapida filtrazione. Se il precipitato passasse per il filtro se ne dispongono due nello stesso imbuto oppure si rifiltra per lo stesso filtro, come al solito.

i. — La

cristallizzazione

li

Spesso la sostanza disciolta cristallizza a causa del raffreddamento già mentre si trova nell'imbuto (specie nel collo di questo) e perciò impedisce la filtrazione : ciò avviene sopratutto se la soluzione è molto concentrata. Questo inconveniente può essere evitato, ma solo fino ad un certo punto, adoperando imbuti il cui collo sia stato tagliato poco al disotto del cono ( % a 1 cm., vedi fig. 3). Ma è molto più preferibile usare un cosiddetto imbuto a doppia parete (fig. 4), nel quale la superficie di filtrazione dell'imbuto di vetro (da introdursi al momento opportuno) viene riscaldata mediante l'acqua che bolle nell'intercapedine fra le due pareti metalliche. Se il solvente che passa per il filtro è facilmente infiammabile prima di filtrare bisogna spegnere la fiamma a gas che scalda l'acqua dell'imbuto.

L'imbuto con serpentino a vapore (fig. 5) è anch'esso molto pratico. Se sono da filtrare piccole quantità soltanto di liquido si può preriscaldare l'imbuto vuoto sulla fiamma libera (attenzione a non rompere il vetro e a girare sempre l'imbuto) oppure s'introduce il filtro, si bagna con un po' d'alcool che s'accende e si lascia bruciare finché la carta non mostra un principio di carbonizzazione, mentre si fa girare l'imbuto tenuto orizzontalmente. Talvolta si ha a che fare con delle soluzioni acquose difficilmente filtrabili: è raccomandabile allora filtrare a vuoto su un imbuto BÌÌCHNER di porcellana (v. av.) con filtro adattato a perfetta tenuta; l'imbuto deve essere allora preriscaldato con cautela prima dell'uso, il che si fa nel miglior modo immergendolo in un tegame di ferro smaltato contenente acqua calda e scaldando poi questa fino all'ebollizione. Se durante la filtrazione d'una soluzione la sostanza cristallizzando ottura il filtro, s'eviti di rompere il filtro stesso con una bacchetta di vetro e simili. Si disponga piuttosto il filtro verticalmente in un bicchierino contenente del solvente puro e si ponga il tutto a bollire, dopodiché la soluzione, ora più

Alcune

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regole generali per il

Preparatore

diluita, si filtra ancora per lo stesso filtro. Generalmente dopo un siffatto procedimento d'estrazione sarà necessario concentrare la soluzione ottenuta per evaporazione. Se nella ricristallizzazione si vogliono ottenere dei bei cristalli, il liquido filtrato che spesso comincia a cristallizzare già durante la filtrazione, si riscalda di nuovo fino a chiarificazione completa e poi si lascia raffreddare lentamente senza perturbazioni esterne. Raccolta dei cristalli. Non si pratica in nessun caso la filtrazione ordinaria ma sempre e soltanto quella per aspirazione alla pompa su carta da filtro; se in soluzione sono presenti acidi o basi forti, la carta si sostituisce con amianto o lana di vetro, o si usano di preferenza i filtri di vetro poroso, per es. della ditta SCHOTT d i J e n a ( 1 ). S e l e q u a n -

tità da filtrare sono piuttosto forti, s'adopera il cosiddetto « i m b u t o d i BÜCHNER » i n p o r -

cellana verniciata, visibile nella fig. 6, e che si sceglie della grandezza più appropriata in proporzione alla quantità di materiale da filtrare. Sarebbe un errore grossolano voler filtrare pochi grammi di sostanza su d'un imbuto largo 6 ctn e più. In molti casi, specialmente quando si hanno da filtrare, sempre per aspirazione, delle quantità ridotte (da 5 g circa in giù), sarà meglio dare la preferenza alla « piastra di WITT » (fig. 7). Il vantaggio di quest'ultima consiste non solo nel fatto che l'apparecchio si può tenere molto più facilmente pulito che non nel caso del BÜCHNER, costruito in materiale opaco, ma anche e sopratutto Fig. 6.

(') Tali filtri-imbuti di vetro poroso sono ancora insufficientemente diffusi da noi e sono un ausilio veramente prezioso per il chimico. Occorre però avere somma cura a tenere pulito il setto poroso che funge da filtro. Poiché nei lavori di chimica organica capita spesso di filtrare sostanze resinose o catramose, residuo inevitabile di quasi ogni preparazione, e che una volta fuori della soluzione madre induriscono presto, è bene pulire il setto poroso subito dopo l'uso. Consiglio d'introdurre del solvente dalla parte del collo di deflusso, cioè inferiore, e di lasciare a sè l'imbuto capovolto, magari su una bacinella, finché è defluito tutto. Eventualmente si manda dell'aria compressa entro il collo stesso (soffiare), con che s'accelera il lavaggio. Mi pare preferibile lavare dalla parte del collo, poiché alla massa che ostruisce i pori del setto riuscirà più facile rifare la strada a ritroso, e numerosi esperimenti hanno confermato che a questo modo la pulitura del setto riesce comoda, rapida e completa. In molti casi è indicato infilare un tubo di caucciù sul collo dell'imbuto e l'altro capo del tubo stesso sul rubinetto dell'acquedotto, mandando poi l'acqua cautamente nell'imbuto. 1,'acqua esce dall'altra parte trascinando seco le impurezze. {N. d. tr.).

i. - La

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cristallizzazione

che essendone la base molto meno estesa occorre adoperare molto meno solvente per lavare il precipitato. Per preparare il filtro si preme colla mano un foglio di carta da filtro, di dimensioni opportune, contro l'orlo superiore dell'imbuto, in modo da ricavarne un decalco sulla carta. Poscia colle forbici si taglia dalla carta un disco di diametro superiore di circa 2-3 mm. a quella del cerchio impresso come sopra. Il filtro così ritagliato si bagna con un po' di solvente e s'adatta bene contro l'imbuto con una bacchetta di vetro dall'estremità arrotondata (per fusione alla lampada) o se si tratta d'imbuti grandi, addirittura coll'unghia, spianando le pieghette.

Se la quantità da filtrare è piccolissima, da pochi centigrammi in giù, come supporto di filtrazione s'useranno « funghi » di vetro del diametro di 5-10 mm, che si preparano da bacchette di vetro sottili, rammollendo cautamente queste ultime in una lampada a soffieria e schiacciandole contro una lamiera di ferro. La bacchetta di vetro deve essere abbastanza sottile per passare comodamente attraverso il collo d'un imbutino ed abbastanza lunga per sporgerne fuori al disotto ( D I E P O L D E R ) . Come strato filtrante può servire un dischetto di carta da filtro, esattamente aderente al dischetto del « fungo » e leggerFig- 8mente più largo di quest'ultimo (vedi fig. 8). Per togliere la sostanza

filtrata

dall'imbuto,

si dispone

quest'ultimo

rovesciato su un vetro d'orologio o ima capsula, ecc., poscia con un bastoncino di vetro sottile o con un filo di rame si fa cadere giù tutto; il «fungo» di vetro si fa uscire premendolo sul gambo dal di sotto. Il disco forato di WiTT si allontana con una pinzetta, il filtro si leva solo dopo l'essiccamento. L a porzione di sostanza rimasta aderente all'imbuto si leva senza sensibili perdite con un pezzetto di cartoncino tagliato obliquamente

(event. una carta da

giuoco tagliata diagonalmente).

Per raccogliere il filtrato nella filtrazione alla pompa s'adoperano gli appositi matracci a tubo di sviluppo, visibili nella fig. 7, e la cui grandezza si deve adattare volta per volta al volume di liquido da filtrare. Per le filtrazioni su scala ridotta si ricorrerà al « tubetto d'aspirazione » esistente in varie grandezze (fig. 8). Il tubetto è sorretto da un sostegno in piombo o da un blocchetto di legno munito d'alcuni fori di diametro differente. Data la grande importanza didattico-scientifica della preparazione di sostanze pure destinate all'analisi, anche lo studente del

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Alcune regole generali

per il

Preparatore

corso di preparazioni organiche deve rivolgere la massima attenzione ad impratichirsi bene nella tecnica della filtrazione. Il sistema seguito da taluni, di versare cristalli ed acqua madre insieme su dischi di porcellana porosa e poi lavare i cristalli è da rigettarsi in via assoluta. Anzi fin dall'inizio si dovrebbe far prendere al principiante l'abitudine di lavorare il più possibilmente quantitativamente anche nelle preparazioni organiche. L'importante per il buon successo non sta nell'avere eseguito un gran numero d'esperienze, ma nell'averle eseguite con cura e precisione. Per questi motivi « l'acqua madre » non va considerata un cascame e come tale trascurata. Iva sua importanza si può dire che si palesi soltanto al chimico organico già progredito occupato in ricerche scientifiche, ma anche chi è principiante nelle preparazioni organiche deve ricavarne quel tanto che può servirgli per i suoi scopi limitati. Per questo i liquidi filtrati si concentrano per evaporazione d'una parte del solvente, fino ad arrivare a soluzioni sovrasature (a freddo) cosicché s'ottiene durante il raffreddamento una seconda cristallizzazione, alla quale talvolta può far seguito anche una terza. In generale i cristalli ottenuti in seconda o terza cristallizzazione sono meno puri della prima per cui vanno ricristallizzati da solvente fresco (verificare la purezza a mezzo del punto di fusione: la sostanza più pura ha il punto di fusione più alto). Quanto al lavaggio dei precipitati cristallini, operazione che tende a liberare i cristalli dall'acqua madre aderente, dobbiamo ancora fare alcune osservazioni. Per il lavaggio si deve usare sempre il solvente adoperato (presente nell'acqua madre), e ciò in quantità più piccole che sia possibile, giacche il potere dissolvente del liquido per i cristalli comporta già a freddo delle perdite più o meno notevoli. Durante il lavaggio si deve smettere d'aspirare; s'imbibisce il precipitato di solvente e poi soltanto si mette in funzione la pompa. Ì5 opportuno munire d'un rubinetto o anche solo d'un tubo di caucciù munito di pinza la bottiglia di WOUUE O il matraccio che devo o essere necessariamente inseriti fra pompa e filtro (per evitare i ritorni dell'acqua in caso di mancata pressione nell'acquedotto), non solo per potere all'occorrenza disinserire il matraccio coll'imbuto dalla pompa e viceversa, ma anche per poter regolare con comodità il vuoto esistente nell'apparecchio ciò che in molti casi è necessario fare. [Il sistema d'interrompere la filtrazione staccando il tubo di gomma dal matraccio oppure dalla pompa, è da rigettarsi non foss'altro per le troppo brusche variazioni di pressione a cui così facendo viene sottoposto l'apparecchio; inoltre ne risente la buona tenuta dell'apparecchio stesso. N. d. /r.]

i. - La cristallizzazione

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L e sostanze facilmente solubili anche a freddo si potranno lavare senza troppe perdite prerefrigerando il solvente in una miscela frigorifera (ghiaccio e sale, ecc.). Fintantoché v i ha dell'acqua madre aderente ai cristalli, m a la maggior parte ne è sgocciolata, non si deve aspirare l'aria attraverso il precipitato qualora si usino solventi volatili: altrimenti si separano anche le impurità contenute nell'acqua madre per la rapida evaporazione del solvente. N o n siamo sicuri quindi, specie se si t r a t t a di sostanze facilmente solubili, che all'atto del lavaggio le impurità vengano allontanate del t u t t o . Se le quantità di sostanza da lavare sono piccole, si lav a n o gocciolandovi sopra il solvente. A t a l uopo ci serviremo d ' u n a pipetta (fig. 9), consistente nella sua forma più semplice [ in un t u b o di v e t r o stirato alla fiamma ad un estremità in p ^ ¡_ capillare non troppo sottile, pipetta molto utile del resto anche nell'esecuzione di molte reazioni e che contribuisce a d accrescere l'amore del lavoro pulito. Spesso s'è visto l'uso di « purificare » delle sostanze evaporandone semplicemente le soluzioni fino a secchezza in un cristallizzatore; ma ciò non è evidentemente ammissibile, giacché a questo modo non s'allontanano le impurità, di solito non volatili. E s s i c c a m e n t o d e l l e s o s t a n z e . U n preparato purificato deve essere liberato completamente dal solvente aderente. L e sostanze non delicate s'essiccano nel modo più semplice e comodo fra due strati di carta da filtro su un supporto pulito (vetro, porcellana, ecc.) alla temperatura ambiente abbandonandole all'aria per 1-2 giorni. Sostanze ad elevato p u n t o di fusione si possono essiccare molto più rapidamente nella stufa o sul bagno-maria; però quest'operazione richiede sempre un po' di precauzione. Il procedimento p i ù sicuro — l'unico ammissibile per preparati puri da servire per analisi — è quello dell' essiccazione nel vuoto in un essiccatore caricato ad H 2 S 0 4 conc. [Tranne pochi casi d'incompatibilità fra l'acido e la sostanza da essiccare, casi che verranno via via segnalati nel testo, si ricorre allora a CaCl 2 , t a l v o l t a a P 2 0 5 . N. d. tr.~\ Quanto al tipo d'essiccatore da adottarsi, riteniamo opportuno il vecchio modello proposto dallo SCHEIBLER. La consistenza del grasso usato per realizzare la tenuta perfetta lungo a smerigliatura fra coperchio ed essiccatore ha grande importanza: è prefe-

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Alcune

regole generali per il

Preparatore

ribile usare il grasso di lana (lanolina) F. U.. o u n a mescolanza di parti uguali di sevo di bue e vasellina. [Per prevenire u n indurimento eccessivo del grasso di lana specie nella stagione invernale, si può impastarvi u n pochino di glicerina. evitando d'aggiungerne troppa, poiché altrimenti ne soffrirebbe l'aderenza f r a coperchio ed essiccatore. N. d. tr.] Nel foro centrale del coperchio s'introduce u n t a p p o di gomma f o r a t o : attraverso il foro passa u n t u b o di vetro arrotondato alla fiamma e p o r t a n t e il rubinetto di chiusura, ingrassato con un po' di glicerina. Si badi a che il t a p p o di gomma sia piuttosto compresso nel suo alloggiamento, perchè non abbia a scivolare dentro l'essiccatore sotto l'azione del vuoto. [Oggi vi sono sul mercato essiccatori con t a p p o di vetro a d a t t a t o a smeriglio e munito di rubinetto, il quale essendo conico ed indeformabile, evita il pericolo dianzi accennato d'essere « succhiato » dal vuoto. N. d. tr.} Nell'interno dell'essiccatore si disporrà u n apposito disco di porcellana munito di parecchi fori rotondi di diametro differente, appoggiato su tre piedini esistenti sul lato inferiore: nei fori s'alloggiano delle capsule, crogiuoli, vetrini d'orologio, ecc. Per impedire che tale supporto di porcellana possa scivolare di qua e di là entro l'essiccatore, f r a questo ed il disco s'incastrano solidamente tre pezzetti di sughero ritagliati in u n a forma opportuna. Nel far entrare l'aria dentro l'essiccatore evacuato il getto d'aria entrante dal t u b o superiore potrebbe investire il materiale essiccato e soffiarlo via, se è polverulento; ad evitare ciò si dispone contro l'orifizio del t u b o e a qualche distanza dallo stesso u n pezzo di cartoncino rigido, come carta da giuoco o simili. La forza del getto d'aria può essere del resto diminuita anche applicando semplicemente u n pezzetto di c a r t a da filtro contro l'orifizio esterno del t u b o di vetro, a rubinetto chiuso, dopo averne sfilato il t u b o di caucciù che lo collega alla pompa. Aprendo il rubinetto la carta viene aspirata entro il t u b o dall'aria entrante ed offre resistenza sufficiente. Per essiccare l'aria entrante il t u b o a rubinetto porta un'allunga esterna sotto forma d ' u n t u b o diritto a CaCl2, il cui contenuto deve essere isolato bene ad entrambe le estremità mediante batuffoli di lana di vetro, amianto e simili, meglio ancora cotone. I n quegli essicatori che sono destinati ad essere spesso spostati e p o r t a t i in giro, il recipiente dell'H 2 S0 2 sarà riempito fino al livello ordinario dell'acido, con dei pezzetti di vetro — cocci, t u b i rotti, tappi, ecc. — oppure con pezzi di pietra pomice previamente lavata e bollita con HC1 diluito; così s'evita lo spruzzare dell'acido entro l'essiccatore. L'acido solforico concent r a t o v a rinnovato di t a n t o in t a n t o . Per le analisi si deve tenere sempre in efficienza u n essiccatore a parte.

Per rinforzare l'effetto essiccante specie nel caso dell'acqua, si dispone sul disco forato una capsulina con della potassa caustica tecnica solida. L,a potassa assorbe la maggior parte dei solventi usuali, eccetto cloroformio, benzene, etere di petrolio e solfuro di carbonio. Se si volesse liberare la sostanza da uno di questi quattro solventi e d'altronde per la natura della sostanza fosse impossibile essiccarla all'aria, invece della potassa si potrebbe mettere nell'essiccatore una capsulina piena di truciolini sottili di paraffina, accanto alla sostanza.

i. — La

cristallizzazione

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I,e buone regole vietano di usare un essiccatore a vuoto che non sia in grado di mantenere il vuoto completo (prodotto dalla pompa a getto d'acqua) per tutt'una notte di seguito, il che si può verificare con un manometro o vacuometro. È sufficiente estrarre l'aria una sola volta e poi lasciare l'essiccatore a sé per tutta la notte. Il far azionare la pompa per delle ore, in un caso come questo si risolverebbe solo in un inutile spreco dell'acqua. Alcune sostanze trattengono l'acqua o altri solventi tanto tenacemente che non se ne possono liberare a temperatura ambiente nemmeno nel vuoto. In tale caso l'essiccazione si pratica nel vuoto ma a temperatura elevata, riscaldando la sostanza in un palloncino a coda su bagnomaria o bagno d'olio e nel vuoto fino a tanto che non ha più luogo alcuna diminuzione di peso. È molto comodo essiccatore a pistola descritto nella fig. 10 (*). I vapori del liquido che bolle nel pallone A vanno a riscaldare il tubo interno B, piuttosto largo, in cui si dispone la sostanza da essiccare in ima navicella di porcellana. Nella storta C si pone del materiale igroscopico, più precisamente per l'acqua e gli alcooli prenderemo del P 2 0 5 , per altri vapori della paraffina solida. Come liquido di riscaldamento potranno servire, a seconda della temperatura desiderata, il cloroformio (p. eb. 66°), l'acqua (ioo°), il toluene ( i n 0 ) , lo xilene 140 0 ). Per essiccare piccole quantità di sostanza va molto bene l'essiccatore a blocco di rame, visibile in fig. 35, pag. 58.

Quando una sostanza è stata ricristallizzata in un solvente poco volatile, es. acido acetico glaciale, xilene, frazioni alte dell'etere di petrolio, nitrobenzene, ecc., prima d'essiccarla sarà consigliabile lavarla con un altro solvente più volatile e quindi più facilmente allontanatale, come etere, benzene, gasolina, ecc. In generale si può dire che una sostanza difficilmente solubile in acido acetico glaciale o in nitrobenzene sarà poco solubile anche in etere. Dei precipitati molto finemente suddivisi e anche quelli che ostruiscono i pori dei filtri vengono separati dalla fase liquida coll'ausilio d'una centrifuga. (') Un apparecchio similare, a riscaldamento elettrico, è stato descritto in Die Chemische

Fabrik, 10, 377, 1 Sett. 1937. (N. d. trad.). 2

-

GATTERMANN.

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Alcune

regole

generali

per

il

Preparatore

Adsorbimento cromatografico (1). Questo nome si dà ad un metodo applicato con gran successo in questi ultimi anni per separare dei miscugli di sostanze colorate che non sono più distinguibili per mezzo della cristallizzazione. In questo metodo s'approfitta dell'affinità diversa che hanno i vari componenti del miscuglio verso una superficie adsorbente (costituita da allumina, talco, silice gelatinosa, zucchero, carbonato di calcio precipitato, ossido di calcio, ecc.) : si aspira la soluzione del miscuglio da esaminare, disciolta per solito in un solvente organico, attraverso un tubo filtrante, che è riempito della sostanza adsorbente. L,e zone in cui i singoli componenti vengono trattenuti sono fissate spostando oltre o dilavando del tutto le particelle non fortemente aderenti, aspirando attraverso il tubo un solvente diverso da quello di prima. Con questo « sviluppo » s'ottiene un «cromatogramma» (v. fig. 60, pag. 4x5). Le singole zone sono separate meccanicamente, dopo avere essiccato il contenuto del tubo, e dilavate con un solvente appropriato. Con questo metodo importante si possono spesso separare e preparare allo stato puro anche delle sostanze incolore, purché il cromatogramma si possa scindere in parti distinte in luce ultravioletta in base ai fenomeni di fluorescenza che così s'originano: naturalmente si dovranno prendere dei tubi in quarzo oppure in vetro Uviol. La carotina potè essere separata in tre componenti diverse grazie al metodo cromatografico ( R . K U H N , P . K A R R E R ) . Riportiamo un esempio, caratteristico per questo metodo modernissimo, parlando della clorofilla (v. pag. 4 1 4 ) . 2. - La distillazione. Nella purificazione per distillazione la sostanza s'allontana allo stato aeriforme, per essere riportata in un altro punto allo stato liquido o solido, per effetto d'una refrigerazione. Condizione « sine qua non » per l'applicabilità di questo metodo di purificazione è che la sostanza sia inalterabile alla temperatura d'ebollizione. Tale temperatura può essere abbassata per distillazione nel vuoto: nel solito vuoto prodotto dalla pompa a getto d'acqua ( 1 2 - 1 4 min.) il punto d'ebollizione scende a circa 100-1200 rispetto a quello che corrisponde alla pressione atmosferica. Nel caso di quelle sostanze T1) M. TSWETT, Berichte der deutschen botanischen Gesellschaft, 24, 234, 361, 384 (1906). Ulteriori paiticolari intorno all'elaborazione del metodo si trovano in: A . WINTERSTEIN e G . STEIN, Hoppe-Seylers Zeitschr. /. physioì, Chemie, 220, 247 (1933).

2. - La

distillazione

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che a pressione ordinaria bollono al di sopra di 2500 questa differenza aumenta ancora di più. Ecco perchè molto spesso delle sostanze che si decompongono già a temperature al di sotto del punto d'ebollizione possono invece essere purificate per distillazione a pressione ridotta, giacché così facendo sono esposte a temperature parecchio inferiori. Le sostanze di composizione semplice, anzitutto se facilmente volatilizzabili (idrocarburi, alcool, eteri, acidi inferiori, ammine, ecc.), si distillano a pressione atmosferica. Sempre quando si tratta di sostanze facilmente decomponibili, in modo particolare quando esse sostanze bollono temperature elevate, la distillazione si compie in regime di pressione ridotta. Nel caso di sostanze solide cristallizzate in generale si ricorrerà alla distillazione soltanto qualora la purificazione per ricristallizzazione non fosse possibile per eccessiva solubilità o altre ragioni. Bisognerà naturalmente avere stabilito prima che la distillazione (senza decomposizione) è attuabile, caso per caso. I,a distillazione, sia a pressione atmosferica che ridotta non serve soltanto per separare il prodotto da purificarsi da inquinamenti poco volatili, ma anche e soprattutto per la separazione di miscugli di sostanze volatili, approfittando della diversità della loro tensione di vapore e con ciò anche del loro punto d'ebollizione (distillazione _ frazionata). Distillazione a pressione atmosferica. Come recipiente per la distillazione utilizzeremo esclusivamente il pallone a coda, visibile in fig. 11, munito lateralmente di tubo di sviluppo inclinato verso il basso. Si sceglierà un pallone col tubo di sviluppo innestato in alto, quando la sostanza da distillare è piuttosto volatile, e col tubo innestato più in basso, cioè più vicino alla parte sferica del pallone, quando la sostanza bolle a temperatura elevata. Il pallone è chiuso in alto da un tappo pulito e perforato ; attraverso il foro passa un termometro. Il bulbo del termometro deve trovarsi circa all'altezza o poco più in basso dell'innesto della « coda » laterale, poiché esso bulbo va immerso completamente nei vapori

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Alcune

regole generali per il

Preparatore

della sostanza da distillare [evitando di spingerlo troppo in basso, perchè non possa eventualmente essere raggiunto da spruzzi del liquido in ebollizione. N. d. tr.]. Siccome i termometri comunemente usati in laboratorio lasciano spesso a desiderare dal punto di vista della precisione, prima dell'uso bisogna confrontarli con un termometro normale. La temperatura più precisa si ha in questo modo: s'immergono i due termometri affiancati in H 2 S0 4 conc. o paraffina, si scaldano a 250° e poi si osservano e si registrano le temperature di raffreddamento di 10 in io 0 . I termometri da servire per le distillazioni devono avere il bulbo piccolo, affinchè il mercurio raggiunga con prontezza la temperatura dei vapori, stabilizzandovisi. L a capacità del pallone per la distillazione si sceglie in modo che la parte sferica sia riempita del liquido per metà fino a due terzi. Per evitare un ritardo all'ebollizione e con ciò l'inevitabile surriscaldamento, prima d'ogni distillazione si gettano alcuni pezzetti di pomice lavata, schegge di porcellana, ecc., nel liquido. Se malgrado ciò il surriscaldamento ha luogo lo stesso, bisogna introdurne degli altri (ben asciutti), ma non gettandoli nel liquido surriscaldato, il che provocherebbe un forte schiumeggiamento accompagnato da spruzzi, bensì dopo un breve raffreddamento. Il pallone si fìssa al suo sostegno per mezzo d'una pinza a morsetto del tipo noto, munendone le ganascie di guarnizioni di sughero o infilandovi sopra degli spezzoni corti di tubo di caucciù. L a morsa stringe il collo del pallone al di sopra del tubo di sviluppo, appena tanto che il pallone non possa muoversi in nessun senso. Riscaldamento. Quei liquidi che bollono a temperature non superiori ad 800 si scaldano con un bagno-maria comune (può servire anche un tegame di ferro smaltato oppure un bicchiere). L a temperatura del bagno deve trovarsi circa 200 al di sopra del punto d'ebollizione della sostanza. Il mantenimento della giusta temperatura di riscaldamento è di grande importanza, giacché aumentando troppo tale temperatura può capitare, a causa del surriscaldamento del liquido, d'osservare punti d'ebollizione eccessivi nel distillato. In caso di sostanze bollenti a temperature non troppo basse, se si tratta di fare delle preparazioni ordinarie e quindi alcuni gradi in più non disturbano, si potrà generalmente adoperare la fiamma libera, luminosa (fuligginosa), del becco BUNSEN, cominciando a lambire cautamente il pallone prima di riscaldare in pieno; si può anche ricorrere al riscaldamento sull'imbuto di BABO (bagno d'aria calda) o su una reticella metallica. Se la sostanza ha un certo valore,

2. — La

distillazione

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o se si desidera ottenere grande purezza per fini analitici, o anche se si vuole evitare un surriscaldamento per non pregiudicare la stabilità della sostanza, si preferirà un bagno d'olio o di paraffina, e per le temperature superiori a 220° C un bagno di lega fusa (leghe di WOOD o di ROSE) o anche una miscela fusa di nitrato sodico e potassico, entrambi questi ultimi in un crogiuolo di ferro. Quelle sostanze che bollono a temperature relativamente basse si condensano in un refrigerante di LIEBIG, connesso al t u b o di sviluppo del pallone a mezzo d'un tappo di sughero forato. Se si vogliono assolutamente evitare perdite per evaporazione, si può collegare il t u b o interno del refrigerante (attraverso il quale passano i vapori) a mezzo d'una cosiddetta allunga col collettore costituito da una bev u t a con coda laterale che si raffredda con del ghiaccio o anche mediante miscela frigorifera. Per i liquidi bollenti intorno ai 100 0 basta un refrigerante corto e se si hanno da distillare quantità ridotte di sostanza, è consigliabile assai infilare semplicemente un piccolo manicotto refrigerante direttamente sul tubo di sviluppo così da contenere entro stretti limiti le perdite di materiale. Un manicotto simile è visibile in fig. 20 e 24. Se la temperatura d'ebollizione sorpassa i 120 0 , in generale sarà consigliabile non raffreddare più con dell'acqua corrente, giacché il tubo interno refrigerante potrebbe facilmente fendersi a contatto dei vapori caldi; in tal caso l'acqua si lascia stazionare nel manicotto così da lasciarla riscaldare a mano a mano. Se poi il liquido bolle oltre 150 0 è sufficiente un puro e semplice raffreddamento ad aria (usare un largo tubo refrigerante senza manicotto). I,e sostanze che una volta condensate e liquefatte si solidificano con rapidità, non vanno mai distillate in un pallone con tubo di sviluppo stretto; è vero che il distillato rappreso nella parte libera del tubo si può liquefare di nuovo riscaldando colla fiamma libera ma le ostruzioni e saldature che si verificano nei punti coperti dai tappi o altre connessioni spesso non si possono più aprire se non con grande difficoltà e causano molta perdita di tempo, oltre a fastidio per lo sperimentatore. Motivo per cui s'adopera senz'altro il pallone « a coda dilatata » raffigurato in fig. 12, munito di tubo di sviluppo largo e curvo, dal quale il prodotto può essere estratto senza difficoltà, preferibilmente facendolo colare fuso fuori dal tubo, una v o l t a terminata la distillazione. I^a distillazione normalmente s'esegue nel modo seguente. Dopo

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Alcune regole generali per il

Preparatore

avere riscaldato gradatamente il contenuto del pallone, il mercurio del termometro ad un tratto comincia a salire rapidamente, per fermarsi ad una temperatura ben determinata, cioè il punto d'ebollizione, mentre nel pallone si hanno le ben note manifestazioni esterne dell'ebollizione. Se tale temperatura s'è stabilita entro il margine d'un grado, il recipiente di raccolta (che può essere un tubicino un po' largo e contiene « i prodotti di testa ») si scambia con un altro il cui volume si sceglie in proporzione della quantità di liquido che ci si aspetta: si prenderà una bevuta o una bottiglia dal collo stretto, con tappo e imbuto. Si continua a riscaldare regolando il riscaldamento in modo che ogni 1-2 secondi passi una goccia. Il termometro va costantemente tenuto d'occhio. La sostanza dovrebbe in generale distillare in un intervallo di temperatura di 1-2 0 circa, non di più; per i prepaFig. 12. rati puri per analisi tale intervallo deve essere anche più ristretto. Se si scalda a fiamma libera verso la fine della distillazione di solito a causa del surriscaldamento del liquido la temperatura sale di qualche grado, benché passi ancora della sostanza pura. Se il punto d'ebollizione aumenta già prima oltre all'intervallo indicato, si cambia di nuovo il collettore e continuando a distillare si raccoglie un terzo condensato, il « prodotto di coda ». Si deve tenere presente che tanto nei prodotti di testa quanto in quelli di coda sono ancora contenute delle porzioni di prodotto principale. L,a tensione di vapore d'una sostanza distillabile è così rilevante già prima d'arrivare al punto d'ebollizione che assieme ai componenti più volatili della sostanza inizialmente introdotta nel pallone (di solito residui di solventi) passa anche un po' di vapore della sostanza desiderata. D'altronde si sa che il punto d'ebollizione d'una sostanza mescolata ad altre sostanze che bollono più alto, è maggiore di quello della sostanza pura (innalzamento ebullioscopico). Così ad es. l'etere, usato assai di frequente per raccogliere ed estrarre dei preparati organici, non si separa completamente da un'altra sostanza molto meno volatile nemmeno sul bagnomaria bollente, benché il suo punto d'ebollizione si trovi ad appena + 3 5 °C. Un altro esempio caratteristico è quello ben noto del « debenzolaggio » nelle cokerie e officine di gas illuminante, del quale però qui non possiamo occuparci.

2. - La

distillazione

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A questo modo si spiega come mai anche il prodotto di coda non sia libero dal prodotto principale, e se i due prodotti di testa e di coda rappresentano delle quantità ragguardevoli, la distillazione, ripetuta secondo le regole già date, di queste due porzioni può essere anche redditizia. La distillazione frazionata. L e cose non si presentano così semplici come è stato spiegato or ora, quando si tratta di separare per distillazione parecchi prodotti volatili generatisi in una reazione. Il compito diventa tanto più difficile quanto più sono vicini i punti d'ebollizione dei singoli componenti, e coi soliti mezzi di laboratorio non riesce facile separare con qualche precisione delle sostanze i cui punti d'ebollizione differiscano di io 0 . L,a via che permette di maggiormente avvicinarsi alla mèta, in questo caso è dato dalla ripetizione, per parecchie volte, del processo di distillazione. Tale ripetizione nel caso di sostanze a basso punto d'ebollizione può essere eseguita in una sola operazione, ricorrendo alle cosiddette « colonne di frazionamento », cioè apparecchi di condensazione inseriti nella fase di vapore prima (a monte) della condensazione definitiva nel refrigerante. Nei singoli scompartimenti di queste colonne, che possono essere costruite in diversi modi (v. fig. 13) il vapore ascendente si condensa per il raffreddamento dato dall'aria esterna ed il vapore che susseguentemente sale dal basso, deve attraversare i liquidi condensati che trova sulla propria strada (o in altre costruzioni, lambirli). In tale occasione i componenti meno volatili vengono condensati, mentre quelli più volatili ripetono lo stesso giuoco nello scompartimento immediatamente superiore della colonna. A questo modo ha luogo un certo numero di distillazioni singole, uguale al numero di bolle che porta la colonna, in modo che se l'operazione è stata eseguita cautamente ed adagio, la separazione dei componenti si può realizzare in larga misura. Si sono particolarmente bene affermate nella pratica delle colonne verticali cilindriche riempite irregolarmente d'anelli Raschig in vetro («colonne Hempel»). Se non si hanno a disposizione che piccole quantità di sostanza, una spirale di vetro detta di WIDMER (visibile in fig. 14) introdotta

Alcune

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regole generali per il

Preparatore

nel vano del pallone di distillazione può rendere dei servigi davvero eccellenti (1). Il principio della distillazione frazionata si ritrova in alcune applicazioni industriali, come ad es. nella rettificazione dell'alcool su scala industriale e nell'isolamento degli idrocarburi aromatici dall'olio leggero di catrame, che si pratica nello stesso modo.

Le mescolanze liquide il cui punto d'ebollizione superi i 1200 si separano nei loro componenti dividendole anzitutto per distillazione in parecchie frazioni entro intervalli d'ebollizione all'incirca uguali (ad es. di 10 in 10 gradi) ; i singoli distillati raccolti in ogni operazione si frazionano di nuovo per distillazione (in palloni di volume minore) e le frazioni molto vicine fra loro quanto a punto d'ebollizione si ridistillano frazionatamente ancora parecchie volte limitando sempre più l'intervallo d'ebollizione. Se anche qui si vuole adoperare la surricordata spirale di Widmer, il che sarebbe molto raccomandabile, la colonna in cui essa è montata va isolata molto bene con dell'amianto. Non tutte le mescolanze sono separabili per distillazione ; talvolta si trovano delle sostanze come l'acqua (100°) e l'alcool etilico (p. eb. 78°) che da sole bollono a temperature differenti ma miste insieme danno dei distillati che bollono a temperaFig. 14. tura costante [alla quale può corrispondere una composizione costante, N. d. tr.~\. Intorno alla teoria della distillazione frazionata vedasi meglio nei trattati di chimica-fisica, ad es.: J. Eggert, Trattato di chimica fisica ed Elettrochimica, II ed. italiana, Milano, Hoepli ed., 1938. [Anche il Trattato di Chimica Fisica del compianto prof. A. Mazzuccheuj, Torino 1923, dà in proposito buone informazioni. N. d. tr.]. La distillazione a pressione ridotta. Lo studioso della chimica organica deve tenere sempre presente che quasi tutte quelle sostanze ch'egli maneggia, dal punto di vista della termodinamica si trovano in uno stato metastabile. L'azione del riscaldamento favorisce sempre lo stabilirsi degli equilibri veri — il che qui equivale alla (') Vedi

WIDMER,

He.lv. chim. acta, VII, 59 (1924).

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distillazione

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decomposizione — e perciò sarà opportuno abituarsi a non mettere inutilmente a repentaglio le sostanze in questione. Per tale motivo si deve attribuire una grande importanza alla distillazione nel vuoto o meglio sotto pressione ridotta, nelle operazioni di chimica organica, giacché così ci è reso possibile di diminuire di 100 e più gradi la temperatura d'ebollizione. Il chimico che si dedica alle preparazioni organiche deve imparare ben tosto a possedere la tecnica della distillazione nel vuoto e deve presto cominciare a considerare tale operazione non più come affare di Stato di cui si possa dire: « qui si parrà la tua nobiltade », ma come lavoro di corrente e quotidiana esecuzione in un laboratorio chimico. Il recipiente da usarsi per la distillazione sotto pressione ridotta è il pallone di CLAISEN, fig. 1 5 . I,a costruzione molto opportuna del collo di tale pallone impedisce gli spruzzi e le proiezioni, qui particolarmente temibili, del liquido in ebollizione. Per evitare il ritardo delFig. 15. l'ebollizione, che assai facilmente si manifesta nel distillare sotto vuoto nel tappo forato che chiude superiormente uno dei colli del pa 1 lone si fa passare un tubo di vetro la cui estremità è sfilata alla fiamma in una sottile ma robusta capillare; il tubo descritto serve a far passare continuamente finissime bollicine d'aria attraverso il liquido in ebollizione, o, se tale liquido non sopporta l'azione dell'aria si fa passare H a o C0 2 . Come si disse la capillare s'ottiene sfilando alla fiamma della lampada a soffieria un tubo di vetro del calibro di 4-8 mm. e di lunghezza sufficiente : sfilando una seconda volta sulla fiammella d'un becco BUNSEN munito di tubicino supplementare interno, la capillare arriverà alla sottigliezza voluta. Prima dell'uso si verifica se il passaggio non è ostruito, introducendo la punta della capillare in un po' d'etere contenuto in una provetta e soffiando colla bocca dall'altra estremità del tubo. Le bollicine devono uscire a ima a una e adagio. Delle capillari destinate per la distillazione nel vuoto spinto dovrebbero lasciar passare alcune bollicine soltanto soffiando energicamente e anche allora con difficoltà. Talvolta, specie se la sostanza tende a schiumeggiare, si sente la necessità di poter regolare il passaggio dell'aria attraverso la capillare. Ciò si può ottenere usando una capillare sfilata non troppo finemente ed infilando uno spezzoncino di tubo di gomma a pareti spesse, munito di pinzetta a vite (o di MOHR), sulla parte sporgente fuori del tappo del tubo della capillare. L e

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per il

Preparatore

ganascie della pinza a vite devono stringere la gomma immediatamente al di sopra dell'estremità del tubo di vetro. Però si tenga ben presente che quando s'interrompe la distillazione e si ristabilisce la pressione atmosferica nell'interno dell'apparecchio di distillazione, per la chiusura idraulica costituita dal liquido residuo nel pallone entro la capillare esiste ancora il vuoto : per cui tale liquido viene spinto a risalire nella capillare, eventualmente sino alla gomma ed oltre. Ciò si può evitare allentando cautamente la pressione della pinza sulla gomma, così da introdurre l'aria anche da quella parte. Se lo schiumeggiamento tenacemente persiste malgrado tutte le precauzioni, si può, rinunciando al termometro, introdurre una capillare anche nel collo anteriore del pallone di CXAISEN (segnato con b nella fig. 15). Il sottile getto d'aria aspirato attraverso la seconda capillare fa scoppiare le bollicine della schiuma prima che possano passare oltre.

L a capillare s'introduce, la punta per prima, in un tappo di gomma a buona tenuta e intatto (si lubrifica con un po' di glicerina). Il tappo deve stare a tenuta perfetta nel t u b o « a » (fig. 15) del pa.lone di CI^AJSEN. Se il tubo a capillare è stato introdotto bene, l'estremità della capillare si trova in prossimità immediata del punto più basso della parte sferica del pallone. Nel collo b s'introduce un altro tappo di gomma perforato, con un termometro passante per il foro. Se si vuole evitare che la sostanza venga a contatto del caucciù (che potrebbe deteriorarsi o cedere sostanze nocive come zolfo, ecc. al liquido) si ricorre a palloni di C L A I S E N i cui colli abbiano estremità rastremate; in questi colli s'introducono direttamente la capillare ed il termometro e si fissano a mezzo di spezzoni di t u b o di gomma infilati esternamente e sopra il tubo, risp. il collo. Non si possono usare dei tappi di sughero nella distillazione sotto pressione ridotta se non si ha grande pratica. L a refrigerazione si pratica qui tal quale è già stata descritta più sopra (pag: 21) ; il piccolo manicotto refrigerante esterno sul tubo di sviluppo è particolarmente raccomandabile in questo genere di lavori. Collèttori. Se ci si attende una o due frazioni soltanto, come collettore s'adottano dei « tubetti d'aspirazione » come quello della fig. 8 e di grandezza opportuna (per la frazione di testa il modello più piccolo) o se la sostanza è in quantità maggiori, dei matraccini per filtrazione a vuoto. Tali recipienti s'adattano in precedenza, prima dell'uso, .al tappo di gomma infilato sul tubo del refrigerante e che funge da attacco. Naturalmente quando si vuole cambiare il recipiente per separare una frazione dall'altra, la distillazione deve essere previamente interrotta.

2. - La

distillazione

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Per evitare tale inconveniente (che comporta molto perditempo), si ricorre, nel caso che ci si debbano attendere parecchie frazioni, al cosiddetto frazionatore, apparecchio che V V si vede nella fig. 16. Tenendo fermo con una c mano il tubo c introdotto a tenuta Htì a e lubrificato con un po' di glicerina, coll'altra si può far girare la parte segnata ! \\ con b e disporre uno ad uno i recipienti \\ , inferiormente applicati sotto lo sbocco

Fig. 16.

Fig. 17.

del tubo di deflusso, prolungamento di c. Riesce più maneggevole e nel caso di piccole quantità, più adatto l'apparecchio disegnato nella fig. 17, che nel gergo di laboratorio si chiama « porcellino » ecc. /—\

Fig. 19.

Ricorderemo infine l'allunga a rubinetti secondo ANSCHUTZTHiEivE, (fig. 18) che ha avuto ottima riuscita sopratutto nella distillazione di quantità forti di liquido; essa permette d'intercettare la comunicazione fra il distillatore ed il collettore e togliere il vuoto in quest'ultimo., senza interrompere la distillazione, ma solo chiudendo

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Alcune

regole generali per il

Preparatore

i rubinetti a e b e la pinza a vite c; ciò si fa allo scopo di cambiare il recipiente. Il terzo rubinetto non è indispensabile. Dopo avere richiuso l'accesso dell'aria in c e riaperto in b, si può continuare a distillare aprendo il rubinetto a. 1/allunga per frazionamento con rubinetto a 3 vie (fig. 19) è ancora più semplice: qui il collettore può essere messo in comunicazione coll'atmosfera esterna attraverso la foratura del maschio, mentre il vuoto nell'apparecchio rimane inalterato. Dopo avere ricambiato il collettore bisogna però avere l'accortezza d'aprire con molta precauzione la comunicazione fra questo e il refrigerante, per evitare che il distillato nel frattempo accumulatosi al di sopra del rubinetto non venga proiettato via con violenza da parte dell'aria entrante. I due apparecchi nominati per ultimi hanno il grande vantaggio che le singole frazioni vengono ben tosto separate fra di loro e che non sono in contatto nemmeno attraverso i loro vapori; non si possono però usare per dei liquidi densi e vischiosi che non passino agevolmente attraverso la perforatura del maschio del rubinetto. Si darà quindi la preferenza a questi apparecchi nella distillazione di sostanze a punto d'ebollizione relativamente basso, la cui tensione di vapore non è quindi trascurabile. Se si distillano nel vuoto delle sostanze che si solidificano rapidamente, s'useranno dei palloni C I . A I S R N con « coda » allargata, così come è stato descritto per il pallone semplice (pag. 22). II riscaldamento. Può essere eseguito a fiamma libera soltanto se lo sperimentatore è molto esercitato. È molto più sicuro il riscaldamento indiretto a mezzo d'un bagno. Anche qui la temperatura del bagnò va adattata con cura massima alla temperatura d'ebollizione della sostanza (il bagno si scalderà a 200 circa sopra il p. eb. di quest'ultima: se il tubo di sviluppo è saldato in alto sul collo del pallone, tale dislivello di temperatura v a aumentato) : quando s'è giunti al punto d'ebollizione d'una delle frazioni, la temperatura del bagno deve essere mantenuta costante. Il pallone s'immerge nel bagno fino a che il livello del liquido da distillare si trovi al disotto del livello del bagno esterno: esso non si riempirà di liquido oltre la metà della parte sferica. Se si hanno da distillare sostanze ad elevato punto d'ebollizione il pallone s'immerge più che sia possibile e la parte sporgente fino all'attacco del tubo laterale si riveste di cartone d'amianto fissato a mezzo di spago o filo metallico sottile.

2. — La distillazione

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Nel caso di sostanze delicate che di per sè stesse si possono tranquillamente distillare nel vuoto, talvolta si ha decomposizione se esse vengono esposte a caldo ad una brusca variazione di pressione. In tali casi il vuoto si deve togliere solo dopo raffreddamento della carica del pallone. A questo modo s'evita anche l'effetto ossidante, assai frequente, dell'aria calda.

In tutte le distillazioni a pressione ridotta è indispensabile l'uso d'un manometro o vacuometro abbreviato (vedi fig. 20) inserito fra la pompa e l'apparecchio distillatore, giacché occorre controllare ininterrottamente la pressione, per il fatto che la temperatura d'ebollizione ne dipende strettamente. Dei punti d'ebollizione in-

costanti si manifestano assai spesso come conseguenza della variazione di pressione. Per evitare che il vacuometro venga insudiciato da vapori che eventualmente vadano a condensarvisi, la distillazione s'esegue a rubinetto chiuso, che si apre di tanto in tanto p e r verificare l a pressione. [Invece che in serie, come nella figura, il vacuometro si può inserire anche in derivazione, ponendo al suo posto un tubo a T, due rami del quale sono in comunicazione rispettivamente colla pompa e coll'apparecchio ed il terzo col vacuometro. N. d. tr,]. P r i m a dell'inizio di Ogni dÌStillazione a pressione ridotta la tenuta s t a g n a di t u t t o l ' a p p a r e c -

chio va verificata, cioè si prova di praticarvi la depressione a vuoto, senza riscaldamento, per osservare se si riesce ad arrivare alla depressione d e s i d e r a t a . [È assai importante fare questa verifica, giacché ad un principiante potrebbe succedere ad es. d'avere scelto dei tappi troppo piccoli, ma apparentemente sufficienti a pressione ordinaria, i quali formandosi il vuoto scivolano dentro l'apparecchio causando notevoli guasti. N. d. ir.'].

Si comincierà a scaldare il bagno soltanto dopo avere stabilito la depressione desiderata. Ciò perchè riscaldando il liquido a pressione ordinaria, spesso riesce surriscaldato per cui facendo il vuoto,



Alcune

regole generali per il

Preparatore

il liquido già caldo schiumeggia fortemente. Non è necessario del resto che si sia raggiunto il punto d'ebollizione della sostanza: è sufficiente se nella carica del pallone è contenuto ancora un po' di solvente, per es. etere, che non si può mai allontanare completamente sul bagnomaria, dato che la tensione di vapore dell'etere è fortemente diminuita dagli altri liquidi presenti (innalzamento ebullioscopico). In taluni casi si deve distillare a pressione ridotta qualche sostanza facilmente volatile ; è necessario allora diminuire la volatilità aumentando la pressione. Ciò si fa evitando di praticare il vuoto completo dato dalla comune pompa a getto d'acqua (vuoto che arriva a 10-20 mm. Hg. a seconda della temperatura e della pressione dell'acqua dell'acquedotto) distillando bensì a pressioni intorno a 20-100 mm. Hg. Siccome la portata del getto d'acqua non si può regolare, ci si aiuta applicando un rubinetto sulla bottiglia di W O U L F E o altra che sempre si deve inserire (v. pag. 14, filtrazione), come si vede in fig. 20, sotto a. Questo rubinetto permette di stabilire Fig. 21. coll'ausilio del vacuometro tutte quelle depressioni che si desiderano. Invece per le sostanze bollenti a pressione atmosferica ad oltre 150 0 C la pompa ad acqua si fa lavorare in pieno. Fino a qual punto la diminuzione della pressione possa abbassare il punto d'ebollizione, è chiaramente visibile dagli esempi, riportati in fig. 21, del nitrobenzene (p. eb. 208° a mm 760 di Hg, curva I) e dell'aldeide benzoica (p. eb. 179» a mm. 760 di Hg, curva II). L'importanza d'un «buon vuoto» per le preparazioni organiche si manifesta in modo spiccato nell'ascesa rapida delle curve nell'intervallo delle pressioni basse. Distillare a 10 oppure a 20 mm. di H g significa una differenza di 1 5 0 nella temperatura d'ebollizione. Aumentando la pressione l'influenza di questa si fa risentire sempre meno come si vede nella curva I I I nella parte superiore della fig. 2 1 , e che è stata disegnata in altra scala, riportando la zona delle pressioni da 760 mm. in giù.

3. - La

sublimazione

31

Le relazioni quantitative tra pressione e temperatura d'ebollizione variano da sostanza a sostanza, però finché si tratta di composti organici, la variazione si contiene entro limiti modesti, cosicché le curve qui riportate all'atto pratico servono benissimo da riferimento. Così ad esempio se nella letteratura abbiamo trovato che una sostanza A bolle sotto 12 mm. di pressione a 96°, sotto pressione di 18 min. bollirà intorno ai 104-105°. Le sostanze il cui punto di ebollizione è ancora troppo elevato anche per le depressioni create dal getto d'acqua si possono di frequente distillare indecomposte nel vuoto spinto, cioè a depressioni intorno a 1 mm. e al disotto. L a diminuzione della pressione fino a questo valore ha per conseguenza un abbassamento del p. eb. di 150° in media rispetto alla pressione atmosferica, di 40° circa rispetto al vuoto della pompa a getto d'acqua. Il ramo tratteggiato della curva del nitrobenzene (ramo calcolato per estrapolazione, senza determinazioni sperimentali) rende conto di queste condizioni. D a quando sono state introdotte le pompe a getto di mercurio, pompe che oggigiorno non dovrebbero mancare in alcun laboratorio universitario, la distillazione in vuoto spinto è diventata un'operazione che s'esegue senza difficoltà di sorta e chi possegga bene la tecnica dell'ordinaria distillazione a pressione ridotta saprà eseguire agevolmente e con sicurezza anche quella nel vuoto spinto, se tale compito gli si presenta per es. per riprodurre ima preparazione trovata nella letteratura. Però la distillazione nel vuoto spinto non è stata accolta fra gli esercizi di preparazione a causa della delicatezza degli apparecchi — almeno per confronto con quella degli apparecchi ordinari — e perciò stesso qui non è trattata per esteso. È da raccomandarsi l'uso dell'eccellente pompa a getto di mercurio secondo VOLMER.

Non si dimentichi mai di proteggere gli occhi (occhiali di protezione) in ogni distillazione a pressione ridotta! 3. - La sublimazione. Esistono sostanze volatili il cui vapore raffreddandosi cristallizza direttamente senza passare per una fase liquida; tali sostanze talvolta si purificheranno più vantaggiosamente per sublimazione, sopratutto allorché la ricristallizzazione è resa più difficile per particolari condizioni di solubilità. Un esempio ben noto è costituito dalla purificazione dello iodio. Nella chimica organica questo procedimento è applicato sopratutto per alcuni chinoni. La sublimazione di piccole quantità di sostanza si compie opportunamente fra due vetrini d'orologio di grandezza uguale. Sul vetrino inferiore si dispone la sostanza da sublimare e la si ricopre d'un filtro circolare che sporge un poco oltre l'orlo del vetrino e nel mezzo porta

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Alcune

regole generali

per il

Preparatore

alcuni fori. Il secondo vetrino è disposto sopra il primo colla convessità all'insù, dopo di che i due vetrini si riuniscono a mezzo d'una pinza o morsetto adatto. Il vetrino inferiore viene riscaldato cautamente su un bagno di sabbia mediante una fiammella piccola: allora la sostanza gassificata si condensa in cristalli sul vetrino superiore freddo. Il filtro serve ad impedire che i cristallini possano ricadere sul vetrino inferiore caldo. Per assicurare il raffreddamento del vetrino superiore lo si può ricoprire con alcuni strati di carta da filtro bagnata o con un pezzo di tessuto pure bagnato. Se si vogliono far sublimare quantità maggiori di sostanza l'apparecchio or ora descritto si modifica sostituendo al vetrino superiore un imbuto rovesciato (fig. 22), di diametro un po' inferiore a quello del vetrino. La sublimazione si può compiere anche in crogiuoli, matracci, storte, tubi, ecc. ecc. Se la sostanza da purificare sublima solo a temperatura elevata, anche qui si ricorre alla pressione ridotta, in palloncino o in istoria (indaco, alizarina). Quando si compiono delle sublimazioni non si ometta mai di aprire l'apparecchio soltanto dopo raffreddamento completo.

4. - La distillazione in corrente di vapore. È questo un procedimento di purificazione molto importante, di cui non soltanto nella tecnica di laboratorio, ma anche nella grande industria chimica si fa un uso incredibilmente frequente. La distillazione in corrente di vapore è basata sul fatto che molte sostanze i cui punti d'ebollizione possono essere notevolmente superiori a quello dell'acqua vengono volatilizzate da vapor d'acqua insufflato, alla temperatura di questo e nella misura della loro tensione di vapore, per essere condensate di nuovo assieme al vapore che le accompagna, in un sistema refrigerante annesso. Il caso più appropriato e teoricamente più semplice si verifica (v. sotto) quando la sostanza in questione è difficilmente solubile o praticamente insolubile in acqua. Per verificare se la sostanza è volatile in presenza di vapor d'acqua oppur no si dispone un campioncino di sostanza con circa 2 cc. d'acqua in una provetta, si fa bollire l'acqua (usare le pietruzze) e si tiene nei vapori il fondo d'un'altra provetta contenente un po' di ghiaccio, fino a che vi si è condensata

4. — La

distillazione

in

corrente

di

vapore

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una gocciolina d'acqua. L'intorbidamento della goccia indica che la sostanza -volatilizza col vapor d'acqua.

Per eseguire la distillazione in scala maggiore, la sostanza da distillare si pone in un pallone ampio a collo largo, con un po' d'acqua : il pallone non deve essere riempito oltre un terzo. Nel collo del pallone si sistema (fig. 23) un tappo a due fori, per un foro passa un tubo lungo ripiegato leggermente in basso, in modo che l'ultimo tratto risulti verticale; questo tubo serve per la introduzione del vapore. Attraverso l'altro tubo, più corto, il vapore sfugge verso il refrigerante. Il pallone si scalda fin quasi alla temperatura d'ebollizione mediante una fiamma sottoposta (per evitare che aumenti eccessivamente il volume del liquido per effetto dell'acqua di condensa) e solo dopo che il refrigerante (che si sceglierà lungo) annesso sarà percorso dall' acqua, s'introduce un buon getto di vapore attraverso il tubo lungo d'adduzione. Tale tubo deve arrivare sin quasi al Fis- 23. fondo del pallone. Se il laboratorio non è fornito di conduttura di vapore, questo si produrrà in un recipiente di latta riempito a metà e munito di un tubo verticale d'espansione. Di regola s'interrompe la distillazione quando il liquido distillato esce limpido dal refrigerante. Se la sostanza cristallizza nell'interno del refrigerante, per breve tempo si lascia scaricare l'acqua dal manicotto del refrigerante, senza rinnovarla : il vapore fa fondere allora i cristalli e si raccoglie il liquido fuso nel recipiente sottoposto. Bisogna evitare però che il va pore non condensato possa causare delle perdite trascinando via della sostanza. Anche la riimmissione dell'acqua nel refrigerante caldo deve avere luogo con una certa precauzione. Terminata la distillazione e prima d'interrompere il getto di vapore si stacca il collega:mento fra il pallone e la pentola oppure la conduttura del vapore, perchè altrimenti il residuo contenuto nel pallone potrebbe risalire attraverso il tubo d'adduzione. Questa precauzione è importante sopratutto nel caso di prelevamento del vapore da una conduttura. 3 — GATTERMANN.

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Alcune

regole generali

per il

Preparatore

Se si tratta di piccole quantità di sostanza, si può compiere la distillazione anche in un pallone a coda sufficientemente grande, colla coda saldata in alto: se la sostanza è molto facilmente volatile, si può anche fare a meno dell'introduzione del vapore e scaldare la sostanza semplicemente con acqua. Le sostanze molto difficilmente volatili si distillano con del vapore surriscaldato. Il surriscaldamento del vapore si pratica opportunamente in un tubo di rame avvolto a spirale conica inserito fra la sorgente del vapore ed il pallone e riscaldato mediante un becco BuNSEN sottoposto. Il pallone colla sostanza da distillare è immerso in un bagno d'olio riscaldato a temperatura superiore, ad esempio 150°. Talvolta si può raggiungere lo scopo anche senza surriscaldatori semplicemente introducendo del vapore il più possibilmente secco, non troppo rapidamente, nel pallone di distillazione contenente la sostanza asciutta da distillare e riscaldato a bagno. L e sostanze volatili soggette a decomporsi vanno talvolta distillate in corrente di vapore a pressione ridotta, quindi a temperatura diminuita. Cenni di teoria della distillazione in corrente di vapore. Il processo nella sua forma genuina si ha allorché la sostanza da distillare è insolubile, o più esattamente poco solubile in acqua (es. : toluene, bromobenzene, nitrobenzene), cosicché le tensioni di vapore rispettivamente dell'acqua e della sostanza non si influenzano a vicenda. Le condizioni si presentano tutt'altrimenti quando la sostanza è solubile in acqua (alcool, acido acetico) ; qui siamo nel campo, teoricamente più complicato, della distillazione frazionata. Consideriamo il primo caso scegliendo come esempio il bromobenzene, bollente a 155 0 . Riscaldando tale liquido in presenza d'acqua la sua tensione di vapore salirà seguendo la propria curva di tensione, indipendentemente da quella dell'acqua. Il fenomeno della distillazione in corrente di vapore avverrà quando la somma delle tensioni di vapore delle due sostanze si sarà uguagliata alla pressione atmosferica regnante. Ciò avviene in condizioni normali (760 mm. Hg. )a 95,25°, come si può desumere dalle curve di tensione. Alla temperatura predetta la tensione di vapore del bromobenzene ammonta a 121 mm., quella dell'acqua a 639 mm., la loro somma a 760 mm. In base al principio di AVOGADRO nella fase gassosa le grammimolecole dei due componenti saranno presenti nel rapporto 121 : 639, vale a dire nella mescolanza dei vapori v i saranno presenti 5,28 gram-

5. - L'evaporazione

dei

solventi

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mimolecole d'acqua per ognuna di bromobenzene. Il rapporto assoluto in grammi secondo il quale il bromobenzene si volatilizza col vapore, si calcola facilmente tenendo presenti i pesi molecolari rispettivi. Ad una gr.-mol. di bromobenzene del peso molecolare di 157 corrispondono, come si è detto, 5,28 gr. mol. d'acqua del peso di 18, ossia 157 parti in peso di C6H5Br vengono trascinate da 5,28 • 18 = 95 parti in peso d'acqua, il che corrisponde ad un rapporto in peso fra C6H5Br ed H 2 0 di circa 5 : 3. Conoscendo quindi la curva della tensione di vapore d'una sostanza non miscibile all'acqua si può facilmente calcolarne il grado di volatilità in presenza di vapor d'acqua, ma solo approssimatamente, poiché la condizione dell'insolubilità reciproca in realtà non è mai soddisfatta. Intorno alla distillazione in corrente di vapore a pressione ridotta v. pag. 285, fig. 57. 5. - L'evaporazione dei solventi. Poiché nella tecnica organica si devono isolare assai spesso delle sostanze che si trovano in soluzione diluita, la distillazione dei solventi (anche a scopo di ricupero) fa parte delle operazioni più quotidiane. L'etere etilico si distilla al refrigerante di IyiEBiG (meglio a serpentina) riscaldando a bagno di vapore o bagno-maria e s'utilizza di nuovo dopo un'eventuale purificazione. Se l'etere contiene acidi volatili, lo si dibatte con soluzione di soda, e se contiene basi volatili, lo si agita a fondo con acido solforico diluito. Per evitare perdite ed incendi causati dalla volatilità dell'etere come collettóre s'userà un matraccio a tubo laterale collegato col refrigerante mediante un tappo forato; sul tubo laterale di sviluppo è innestato un tubo di caucciù che per sicurezza pende libero al disotto del tavolo di lavoro. Quando si lavora con etere e con altri solventi facilmente infiammabili non si lasciano mai delle fiamme accese sul tavolo. Se si debbono evaporare quantità maggiori di solvente e se il contenuto della soluzione va distillato a sua volta dopo l'allontanamento del solvente, si può evitare l'uso d'un pallone troppo grande facendo scendere il liquido nel pallone stesso da un imbuto a rubinetto man mano che il solvente evapora (l'imbuto passerà per un foro del tappo), usando naturalmente i consueti bollitori. Se non si dispone d'un bagno a vapore ma si è costretti a distillare su bagno-

Alcune

regole generali

per il

Preparatore

maria, la fiamma che riscalda quest'ultima deve essere spenta prima d'ogni riempimento (usare un imbuto). In questi casi di solito si riesce a far più presto distillando t u t t a la soluzione da un pallone comune o da un matraccio di ERLKNMEYER e trasportando il residuo sciolto con poco solvente, però completamente, in un recipiente minore. Piccole quantità di liquidi facilmente volatili si possono scacciare direttamente da una provetta od un palloncino su bagnomaria. L,a provetta va riempita volta per volta solo per 2-3 cm. d'altezza e si reintegra poi il liquido evaporato, per porzioni come detto; mentre il liquido bolle esso v a agitato continuamente o per scosse o a mezzo d'una bacchetta di vetro. Con questo sistema quanto mai semplice s'eseguono tutte le prove preliminari sulle soluzioni ed il residuo si esamina per vederne le proprietà. A tal uopo le soluzioni di sostanze facilmente decomponibili si lasciano evaporare all'aria libera su un vetrino d'orologio o in un piccolo cristallizzatore. Quando si tratta d'allontanare completamente dei solventi come alcool o benzene, il bagnomaria e il bagno di vapore non bastano più perchè il punto d'ebollizione della soluzione sale sempre più man mano che questa si concentra; anche nel caso dell'etere s'incontrano delle difficoltà. Allora si ricorre al bagno d'olio e più spesso al vuoto che s'applica quando non sgocciolano più delle goccie di solvente condensato. È sufficiente applicare in alto un tubo tirato a capillare e di tenere il pallone in una casseruola di porcellana o di ferro smaltato, contenente un bagno a media temperatura, nonché connettere il pallone stesso direttamente alla pompa a vuoto, per allontanare rapidamente e sicuramente la maggior parte dei solventi, anche l'acqua. Degli oggetti di vetro a pareti sottili, come dei matracci d'Erlenmeyer, palloni a fondo piatto e provette non debbono mai essere evacuati dell'aria, bensì sempre solo palloni sferici o t u t t ' a l più dei matracci per vuoto a pareti spesse, i quali però (essendo fatti di solito di vetro comune, non di vetro scientifico) si debbono riscaldare con precauzione. Lavorando con sostanze delicate si deve spesso evaporare una quantità rilevante di solvente a pressione ridotta : in tal caso per accelerare si sceglie un refrigerante non troppo corto e se occorre si refrigera anche il recipiente di raccolta con del ghiaccio. Il refrigerante è superfluo se per collettore si prende un pallone a coda poggiato nella concavità d'un grande imbuto munito di tubo di caucciù per lo scarico dell'acqua: dall'alto scende un getto d'acqua fredda che scorre lungo le pareti del pallone ed è raccolto

6. — L'estrazione

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nell'imbuto. Il capo libero del tubo di condensazione proveniente dal pallone di distillazione deve penetrare oltre il centro della parte sferica del pallone di raccolta. Questo dispositivo è particolarmente adatto per l'evaporazione di soluzioni acquose I/apparecchio disegnato in fLg. 24 permette d'evaporare nel vuoto e con continuità, grandi quantità di solvente, in particolare acqua. Attraverso il rubinetto visibile in figura s'aspira di tanto in tanto il liquido del recipiente di destra per reintegrare quello evaporato. Il diametro interno del tubo d'aspirazione dovrà essere il più grande possibile. L o schiumeggiamento tenace delle soluzioni acquose in occasione della distillazione causa spesso fastidio e perdita di tempo. L o si può prevenire aggiungendo alla soluzione circa il 3 % del suo volume di alcool iso-amilieo. Ancora più sicuramente si arriva allo scopo se nel pallone vuoto e pronto per la distillazione la soluzione viene aspirata a misura che l'acqua evapora. Il tubo d'adduzione sarà allora tirato opportunamente ad un diametro più ristretto (rastremato) verso l'orifizio; la velocità dell'iniezione del liquido si può regolare con precisione a mezzo d'una pinza a vite. 6. - L'estrazione. Per ricavare un prodotto di reazione che non sia cristallino e filtrabile, da una sospensione o soluzione acquosa, o anche per separarlo da prodotti secondari insolubili, lo si discioglie in un adatto solvente, che per solito è l'etere. A questo modo ad es. si raccoglie tutto ciò che passa durante una distillazione in corrente di vapore, a meno che non sia possibile una separazione diretta grazie a condizioni di tensione superficiale particolarmente favorevoli. Per la separazione di due strati di liquidi non miscibili fra loro s'adopera l'imbuto separatore; se le quantità di liquido sono ridotte, un imbuto costruito in modo similare ma (fig. 25) dal collo corto, non superiore a cm. 5 e tagliato in modo obliquo per facilitare lo sgoccioamento; il volume arriva ad un minimo di 25 cm 3 . Per caricare il



Alcune regole generali per il

Preparatore

liquido da separare nell'imbuto separatore ci si serve sempre d'un imbuto comune. Dopo la stratificazione dei due liquidi lo strato inferiore si scarica attraverso il rubinetto, quello superiore si versa dall'orifizio superiore, sempre usando l'imbuto comune. S'aspetti sempre finché i due liquidi si sono stratificati completamente con raccolta del liquido più pesante in basso e nell'estrazione mediante etere s'eviti nel modo più assoluto di versare anche solo porzioni di soluzione acquosa assieme alla soluzione eterea. Delle piccole quantità per saggi preliminari si separano in una pipetta (figura 9) dopo avervele aspirate. Quando una soluzione acquosa o peggio ancora una sospensione si sbatte con un solvente organico per fare l'estrazione, talvolta si manifestano delle emulsioni molto spiacevoli e che rendono impossibile una separazione accurata. Il metodo più sicuro per evitare tali emulsioni è il prevenirne la formazione facendo il mescolamento con cautela. Altri mezzi per combattere le emulsioni sono inoltre : formare il vuoto nell'imbuto separatore, aggiungere alcune goccie d'alcool, saturare la fase acquosa con del cloruro sodico, Fi g- 25lasciare riposare per una notte, se possibile centrifugare. Se la sostanza è solubile non solo nel solvente organico, ma anche nell'acqua, il rendimento dell'estrazione dipende dal rapporto delle due solubilità: questo rapporto si chiama « quoziente di ripartizione » e quanto maggiore è il suo valore, ad esempio fra acqua ed etere, tanto più etere bisogna adoperare o tanto più spesso bisogna ripetere l'operazione. Ciò perchè questo quoziente indica come si ripartisce una sostanza su due solventi che entrambi la sciolgono ma che non sono miscibili fra loro. La seguente considerazione ci dirà se in via di principio ci è più conveniente usare una data quantità d'etere per estrarre tutta in una sola volta la soluzione acquosa, o se è preferibile ripetere più volte l'operazione colla stessa quantità totale d'etere, ma suddivisa in piccole porzioni. Supponiamo che il quoziente di ripartizione sia eguale ad 1 e che per 1 volume d'acqua abbiamo a disposizione 2 volumi d'etere. Vogliamo in un primo caso adoperare subito tutto l'etere disponibile, in un secondo caso dividerlo in due metà uguali e ripetere l'estrazione due volte. I,a quantità di sostanza sciolta in acqua sia eguale ad a g. Nel primo caso passano allora nell'etere 2 /3 a, nel secondo la prima metà del volume d'etere estrae

6. - L'estrazione

39

a/2, la seconda metà estrae ancora il 50 % dei a/2 g. rimasti, cioè a/4, in totale 3/4 a g. Per estrarre le medesima quantità di sostanza in una sola operazione dall'acqua occorrerebbe impiegare tre v o l u m i d'etere invece di due, o ciò che è lo stesso: 2 litri adoperati a 1 litro per volta fanno lo stesso lavoro di 3 litri adoperati in u n solo colpo. I^a conseguenza pratica ne è chiara (!). Il coefficiente di ripartizione ha grande importanza nei processi biologici nel caso di sostanze organiche che si ripartiscono fra l'acqua ed i lipoidi (costituenti della parete cellulare, simili ai grassi) ; v. teoria della narcosi di H. H. MEYER e OVERTON.

Oltre all'etere per l'estrazione di una sostanza sciolta in a c q u a s'usa anche talora, dell'etere acetico (acetato d'etile), cloroformio, benzene, alcool amílico, solfuro di carbonio. Siccome l'acqua scioglie circa il 10 % del suo v o l u m e in etere, s'eviti una diluizione inutile non foss'altro per ragioni d'economia. Essiccamento delle soluzioni. Dopo aver estratto una sostanza, a mezzo d'un solvente organico, da soluzione o sospensione acquosa, la soluzione organica risulta satura d ' a c q u a e perciò v a essicc a t a ; se ciò fosse omesso l'acqua sciolta rimarrebbe per la maggior parte unita alla sostanza da isolare, dopo avere e v a p o r a t o il solvente organico. Nella scelta dell'essiccante bisogna tenere presente ch'esso non deve reagire nè col solvente nè col soluto e che deve essere perfettamente insolubile nel primo. Per es. nessuno essiccherà la soluzione eterea d'un acido organico con dell'idrato potassico solido, il che si potrà fare benissimo invece per una base organica, h a sostanza igroscopica più efficace e p i ù spesso usata è il cloruro di calcio, che si p u ò usare o sotto forma granulare o (preventivamente) f u s a ; le soluzioni eteree s'essiccano quasi esclusivamente con tale mezzo, eccezion f a t t a pel caso che siano sciolte delle sostanze che reagiscono con CaCl 2 dando composti d'addizione, come alcooli, ammine, ecc. Perciò delle soluzioni in alcool-etere o comunque eteree e contenenti alcool non possono essere essiccate con del cloruro di calcio ; bisogna allontanare prima l'alcool mediante ripetuta agitazione con acqua. D i regola s'adopera una quantità eccessiva di sostanza igroscopica. B a s t a generalmente metterne t a n t a che dopo un po' di riposo accanto a soluzione satura di CaCl 2 v i sia circa altrettanto sale solido. (') Per maggiori particolari riguardanti il coefficiente di ripartizione v. fra l'altro in:

Mazzucchelli, Chimica fisica, I ed., Torino 1923, pag. 196. (N. d. trad.).



Alcune

regole

generali

per

il

Preparatore

Il solfato di sodio anidro, anche se arroventato di fresco prima dell'uso, è assai meno efficace del CaCl2. Vi si ricorre quando per i motivi addotti si deve prendere un sostituto del cloruro di calcio. Per le soluzioni di sostanze basiche s'usano assai spesso come essiccanti del carbonato potassico calcinato, dell'idrato potassico solido, dell'ossido di bario. Per rendere del tutto anidri i solventi più usati s'usano le seguenti sostanze igroscopiche: Per l'etere, il benzene ed omologhi, etere di petrolio: sodio. Per acetone, cloroformio, acetato d'etile, solfuro di carbonio: cloruro di calcio. Gli alcooli si disidratano bollendoli per più ore su calce viva di fresco calcinata, in pallone munito di refrigerante a ricadere e dopo distillandoli. I solventi contenenti alogeni, come CHC13, CC14 non devono mai essere essiccati con del sodio metallico, per pericolo d'esplosione. Apparecchi d'estrazione: Molto spesso si dà il caso che una sostanza organica sia assai più solubile in acqua che non in etere ed altri solventi. In tal caso nemmeno l'agitazione più volte ripetuta con etere può avere successo. In casi simili si ricorre al cosiddetto perforatore, cioè un apparecchio d'estrazione a funzionamento continuo che non deve assolutamente mancare in alcun laboratorio di chimica organica. È intuitivo il principio di tale apparecchio che si può facilmente costruire cogli ordinari mezzi di laboratorio secondo le indicazioni di S c h a c h e r l (vedi fig. 2 6 ) . È ancora più pratico l'apparecchio della fig. 27, che pure si può comporre facilmente. Con ciò siamo arrivati anche agli apparecchi d'estrazione per sostanze solide. Il tipo più conosciuto è il « Soxhlet » che è molto usato specie per usi analitici. Per lavori di preparazione preferiamo l'estrattore semplificato della fig. 28, meno costoso e più rapido nel funzionamento. Per evitare che il solvente condensato sgocciolando giù possa scavare dei canalicoli nella massa da estrarre, si ricopre questa ultima con un sottile dischetto di porcellana porosa (setto per filtrazione). L'apparecchio estrattore serve principalmente per estrarre mediante solventi, dei componenti difficilmente solubili dai miscugli, poi per isolare delle sostanze naturali da materiale vegetale od animale essiccato. Talvolta è assai opportuno di « ricristallizzare » delle sostanze difficilmente solubili dal ditale d'estrazione coli'ausilio di sol-

7. -

Come

si trattano

i gas

4i

compressi

venti adatti (specialmente etere). Anzi per solito la soluzione nel pallone di riscaldamento diviene in tali casi ben presto satura a caldo e si separano i cristalli del soluto già durante l'estrazione. Se il solvente bolle a temperatura alta, il ditale d'estrazione s'appende direttamente nell'interno del pallone ove bolle il solvente,

L

V

ir

M I

Fig. 26.

è

Fig. 27.

Fig. 28.

mediante un sottile filo metallico; il ditale non deve però pescare nel liquido. 7. - Come si trattano i gas compressi. È presumibile che attualmente tutti i laboratori universitari siano provvisti di bombole d'acciaio riempite dei gas di più comune uso allo stato liquefatto o compresso. Questi gas sono: a) ossigeno, idrogeno, azoto; b) anidride carbonica, cloro, ammoniaca, anidride solforosa. I gas di cui sotto a), la cui temperatura critica è molto bassa (0 2 = —1180, N2 = —146°, H2 = —2400) sono contenuti nelle bombole allo stato gassoso, mentre quelli sotto b) sono liquefatti e come tali caricati nelle bombole. 1/ossigeno, l'idrogeno e l'azoto si trovano

42

Alcune

regole generali

per il

Preparatore

di solito in bombole della capacità di io litri, compressi a 150 atmosfere; tali bombole contengono quindi 1,5 m3 di gas avente la pressione atmosferica. Le filettature delle bombole d'idrogeno hanno un senso di giro opposto (sinistrorso invece di destrorso ad es.) affinchè non avvenga di caricarle per errore con dell'ossigeno. Tutte le bombole esistenti nei laboratori devono essere munite di riduttori di pressione, per il buon f u n z i o n a m e n t o dei

quali si deve far responsabile un assistente. Usando la sola valvola d'uscita la regolazione della corrente riesce difficile e si hanno immancabilmente dei consumi di gas eccessivi. Per tutti i gas — anche pel cloro — si possono usare delle valvole a cono della forma visibile in fìg. 29, che ogni buon meccanico può costruire con poca spesa in bronzo d'alluminio. Sempre, quando si lavora coi g a s —

sia prelevati da bombole, sia sviluppati in apparecchi Kipp — bisogna inserire un apparecchio per il controllo della corrente ga-

' sosa. È sufficiente un contabolle carico d'acido solforico — eccetto naturalmente per NH 3 — che può essere fissato alla stessa bombola. Generalmente s'inserirà anche una boccia di Fig. 29. lavaggio per essiccare contemporaneamente il gas. Sarà preferibile non usare uno dei soliti Drechsel divisi in due parti riunite fra loro da un giunto a smeriglio perchè tali boccie s'aprono spesso colla minima sovrapressione interna ( l ). Se il gas deve essere essiccato con particolare cura non basta più una boccia con acido solforico. Bisogna inserire allora anche uno o due tubi ad U caricati preventivamente a P 2 0 5 distribuito su della lana di vetro (all'entrata ed all'uscita da ogni tubo a U è bene disporre un batuffolo di lana di vetro). I/ammoniaca gassosa viene fatta passare attraverso soluzione di K O H 1 : 1 e per essiccare attraverso una torre carica di KOH e CaO solidi. Si tenga presente che cogli ordinari attrezzi da laboratorio non è possibile lavorare sotto pressione, ad apparecchio chiuso, con gas di bombola. Così ad esempio se vogliamo lasciar riposare una solu(') Il collegamento fra bombole e boccia di lavaggio deve essere interrotto ogni volta dopo l'uso, affinchè r H 2 S 0 4 non possa risalire nelle bombole.

8. — Il riscaldamento

sotto

pressione

43

zione in via di reagire sotto un'atmosfera di H s oppure C02 compresso, il recipiente non va messo senz'altro in comunicazione colla bombola. Per sollevare l'apparecchio dalla sovrapressione interna s'inserisce nella conduttura un tubo a T il cui ramo mediano (corrispondente al tratto verticale della lettera T) è connesso con un tubo di vetro che pesca in un recipiente pieno d'acqua o di mercurio. In tali casi è più comodo servirsi del Kipp, oppure per l'azoto d'un gasometro da laboratorio che a sua volta si riempie dalla bombola. I,'esperienza c'insegna che si spreca molto gas giacché il principiante non si dà cura di calcolare quanto gas all'ingrosso gli abbisogna per la sua reazione; ciò va fatto invece. Tutti i gas di comune uso possono all'occorrenza essere preparati, eccetto l'azoto, secondo metodi semplici e ben noti. 8. - Il riscaldamento sotto pressione. Se per accelerare la velocità di reazione si vogliono portare delle soluzioni oppure delle sostanze libere a delle temperature di reazione che siano al disopra del loro punto d'ebollizione, è necessario isolarle dall'atmosfera esterna; il che si fa o rinchiudendole in un tubo di vetro tipo Carius (che poi si salda alla fiamma) in cui le dette sostanze vanno scaldate o in un recipiente metallico cliiuso (autoclave). Come si può facilmente comprendere, queste precauzioni sono necessarie anche se noi desideriamo far reagire una soluzione alcoolica a ioo° oppure una acquosa mettiamo a 1200. L,o scopo dell'operazione è quindi esclusivamente l'accrescimento della temperatura di reazione; l'aumento della pressione che vi è inevitabilmente connessa non ha importanza per la velocità della reazione, giacché in generale non dà luogo a cambiamenti sensibili nella concentrazione. Di solito nei tubi saldati alla fiamma si scaldano delle soluzioni, nelle quali cioè a determinare la pressione interna sarà la tensione di vapore del solvente; perciò alle temperature notevolmente superiori a ioo° si deve far assegnamento su pressioni piuttosto ragguardevoli. Vi si sommano anche i gas che eventualmente abbiano a svolgersi durante la reazione. Per farsi un'idea approssimativa delle condizioni di pressione che sono prevedibili in occasione d'una reazione in tubo saldato, si consulti la curva della tensione di vapore del solvente adoperato. Nel tubo saldato e scaldato, quando si tratta di reazioni come se ne incontrano nelle preparazioni organiche, abbiamo sempre la pres-

44

Alcune

regole generali

per il

Preparatore

sione del vapore saturo, cioè il vapore del solvente in presenza della soluzione. Perciò la pressione è indipendente dalla quantità assoluta del liquido posto nel tubo. Ma siccome l'acqua liquida e perciò i solventi contenenti acqua attaccano molto energicamente il vetro alle temperature alte, come buona regola non si riempie mai il tubo oltre la metà del suo volume. Naturalmente per il calcolo dello spazio libero bisogna tenere presente la pressione dei gas che eventualmente si sviluppano nella reazione, oltre al vapore saturo del solvente. I consueti tubi a pressione in vetro di Jena possono essere con qualche sicurezza esposti a pressioni di 20-25 atm., purché non sia da temere un'eventuale azione chimica fra vetro e contenuto. I tubi da saldare alla fiamma devono essere riempiti mediante un imbuto, magari a collo lungo, perchè la parete interna in vicinanza del punto di saldatura deve rimanere pulita. Ulteriori notizie sul maneggio dei tubi saldati v. a pag. 79. Se si vuol arrivare solo a 100 0 s'avvolge il tubo con un panno e s'appende a uno spago o un filo metallico in un bagno-maria a pareti robuste. Se di pressione se ne sviluppa poca o punta, si può usare una comune bottiglia a pressione del tipo delle bottiglie di birra, con chiusura meccanica. L a si riscalda a Fig. 30bagno-maria. I/uso del tubo saldato è scomodo per il preparatore a causa dello scarso volume dei tubi stessi. Per quantità maggiori s'useranno perciò delle autoclavi, cioè dei recipienti metallici a chiusura ermetica i quali contemporaneamente sopportano anche pressioni superiori. Il coperchio (v. fig. 30) che porta un anello di piombo come guarnizione per la chiusura, è trattenuto da 6-8 viti di chiusura, i cui dadi si debbono stringere adagio, uno per volta. S'usano diversi tipi d'autoclavi fra cui si notino in modo particolare i cosiddetti tubi di PFUNGST, perchè molto ben affermatisi. Le autoclavi vanno scaldate sempre a bagno d'olio. Quando si lavora con apparecchi sotto pressione si proteggano

g. -

L'agitazione

45

s e m p r e gli occhi (occhiali di protezione) e ci si faccia preventivamente un'idea circa le condizioni di lavoro alle quali l'apparecchio andrà soggetto durante il funzionamento, basandosi sui dati fisici a disposizione.

9. - L'agitazione. Fino a che si ha a che fare con una soluzione omogenea non è necessaria l'agitazione meccanica, a meno che non s'abbia un miscuglio reagente al quale si voglia aggiungere man mano, eventualmente goccia per goccia una sostanza da suddividersi finemente in soluzione o anche in sospensione. Questo vale sopratutto quando il calore di reazione che si svolge localmente in modo eccessivo — per esempio aggiungendo acido solforico concentrato — può essere pericoloso per un preparato delicato. E indispensabile allora mantenere in agitazione continua il liquido o muovendone il recipiente a mano o meglio mediante l'agitazione meccanica. (Fig. 31, pag. 46). Come agitatore serve una bacchetta di vetro alla quale si sono saldate delle alette inferiormente, a mo' d'elica; o si può anche ripiegare parecchie volte su sè stessa, alla fiamma, in guisa di « greca », la bacchetta. Per guida si prende un pezzo di tubo di vetro un po' più largo della bacchetta (oppure un foratappi adatto) che viene infilato in un tappo di sughero e poi stretto fortemente in una morsetta, in modo che sia tenuto in senso verticale. All'estremità superiore della bacchetta è fissata una puleggina a gola o anche semplicemente un tappo di gomma o sughero munito di scanalatura; per ridurre l'attrito si applica come cinghia un anellino sottile di gomma, lubrificato con glicerina. I/agitatore viene mosso da una piccola turbina ad acqua che si può attaccare direttamente all'acquedotto cittadino, oppure disponendo d'un rapporto di trasmissione adatto, anche da un motorino elettrico (basta 1/16 di HP). Dove scarseggia l'acqua si possono usare dei motorini ad aria calda, scaldati da un buon becco Bunsen, che servono egregiamente anche per molti altri usi. Se si deve agitare un liquido contenuto in recipiente chiuso, oppure l'agitazione si deve praticare contemporaneamente al riscaldamento in « ricadere », l'agitatore viene munito di chiusura stagna al mercurio, come si vede in fig. 31. Naturalmente questa disposizione non può resistere ad una sovrapressione interna. Quando si vogliono agitare dei liquidi stratificati, non miscibili fra loro, l'agitatore deve essere disposto colle sue alette al confine

46

Alcune

regole generali

per il

Preparatore

fra i due strati. Dei sedimenti d'alto peso specifico come polvere di zinco, amalgama di sodio, ecc., in generale non sono trascinati bene dai soliti agitatori di vetro. In questi casi l'agitazione meccanica si rivela spesso illusoria', per cui è preferibile agitare a mano con una bacchetta di vetro, un'assicella di legno o semplicemente girando più volte il recipiente a mano: s'ottiene un effetto molto superiore. Qui si può ricordare anche l'uso della macchina agitatrice a scosse che serve a suddividere meccanicamente, nel modo più. fino possibile, un sistema eterogeneo. Per recipiente si prendono quasi esclusivamente delle bottiglie a tappo di vetro smerigliato con smerigliatura a buona tenuta. Il tappo è trattenuto mediante uno spezzone di tubo di caucciù infilato sopra di esso e fissato al collo mediante filo sottile. Le reazioni in cui si svolge un gas oppure molto calore non si possono eseguire nella macchina a scosse senza prendere le debite precauzioni. F i g 3I

10. - Determinazione del punto di fusione. L a purezza d'una sostanza organica cristallizzata si controlla mediante il suo punto di fusione. Questa costante, facile a determinarsi, serve anche per identificare composti già noti e per caratterizzare composti nuovi. L'apparecchio all'uopo adoperato è un palloncino di vetro-a collo lungo, nel quale s'introduce un termometro tarato e vi si fissa coll'ausilio d'un tappo di sughero forato : per poter vedere t u t t a la scala del termometro (e anche per dare sfogo all'aria calda) al tappo s'è asportato uno spicchio con una lama da rasoio, ecc. (v. fig. 32 a destra in alto). Il liquido di riscaldamento è acido solforico puro concentrato, del quale si riempie la parte sferica del pallone per tre quarti del suo volume. L a sostanza, polverizzata e ben essiccata s'introduce in tubicini di vetro che si possono preparare in laboratorio da provette (si prenderanno per ragioni di economia quelle rotte, purché asciutte e pulite) come segue: si afferra il tubo con due dita per estremità e lo si scalda sempre girando intorno all'asse longitudinale, prima sulla fiamma tenuta debole poi sempre

io. — Determinazione

del punto di

fusione

47

più calda d'una soffieria, finché il vetro comincia a rammollire. In quest'attimo si tira rapidamente il tubo, che allungandosi si assottiglia di molto. Dopo un po' d'esercizio s'impara facilmente quand'è venuto il momento per tirare e s'ottiene anche il diametro adatto che deve essere internamente di circa 1-1,5 mm. (*). Il tubo sottile ottenuto alla fiamma si taglia con una forbice in pezzi lunghi il doppio d'un tubicino da punto di fusione (circa 12 cm.), cosicché fondendo tali doppi tubicini nel loro centro e staccandoli finché il vetro è fuso s'ottengono subito due tubicini bell'e pronti per la determinazione del punto di fusione. Una porzione piccola della sostanza, previamente essiccata con molta cura, si polverizza mediante una spatolina od un pestello su un vetrino, indi si dispone uno straterello alto circa 2 mm. della polvere di sostanza, sul fondo d'un tubicino. Per far ciò s'immerge l'estremità aperta (l'altra è rimasta saldata alla fiamma) del tubicino stesso nella polvere, poi si rovescia il tubicino e battendolo delicatamente col fondo su un sostegno duro (tavolo, piastrella di maiolica) s'ottiene che la sostanza incastratasi nell'apertura scivoli in fondo. Se la sostanza aderisce piuttosto fortemente alle pareti del tubicino, questo si può lasciar scivolare più volte nell'interno di un lungo tubo di vetro facendolo cadere su una lastra di vetro o altro. Particelle fortemente aderenti alle pareti si possono talvolta staccare anche strofinando leggermente il tubicino esternamente con una lima. Quindi il tubicino si fa aderire preferibilmente mediante una goccia d'acido solforico al termometro: la goccia si preleva colla punta del termometro e facendola scorrere sul tubicino si bagna quest'ultimo. I^a sostanza deve trovarsi all'altezza del centro del bulbo termometrico ; il quale durante la determinazione deve pescare completamente nell'acido solforico. Il palloncino si comincia a scaldare adagio con una fiamma Bunsen di grandezza moderata che si muove lentamente e uniformemente (a mano) intorno al pallone. L'apparecchio deve essere illuminato con luce incidente. Se la sostanza fonde a temperatura elevata si può cominciare a scaldare rapidamente, i1) Per medicare piccole e anche grandi scottature che possono capitare lavorando col vetro siila fiamma è bene tenere in serbo della soluzione satura a freddo d'acido picrico o «giallo amaro » (circa 2%). Vi si immerge ripetutamente la parte scottata, con cui cessano i dolori e spesso non si forma neppure una vescica. Vedi pag. 100. (N.d.tr.).

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Alcune

regole generali

per il

Preparatore

ma in vicinanza del punto di fusione la temperatura deve salire adagio. Di solito a questo punto cominciano a rammollire delle particelle o cristallini rimasti aderenti alla parte superiore del tubicino, riscaldati dall'acido solforico più caldo che comincia a salire. Allora il riscaldamento si continua lentamente: la temperatura di fusione è raggiunta quando la porzione riunitasi sul fondo prima del riscaldamento s'è trasformata in un liquido limpido. Se non si conosce nemmeno approssimativamente il punto di fusione della sostanza si fa prima un saggio d'orientamento. Molti composti organici non sono capaci di fondere senza decomposizione. Questa si manifesta spesso in un'alterazione del colore e generalmente in uno sviluppo di gas che si può osservare molto bene nel tubetto di fusione. Siffatte sostanze non hanno un punto di fusione ben netto bensì solo un punto di decomposizione il quale dipende quasi sempre dalla velocità del riscaldamento, nel senso che aumentando la velocità dell'aumento di temperatura il punto di decomposizione risulta più elevato che non riscaldando adagio. Inoltre in queste sostanze si può notare un'influenza alteratrice del calore già al di sotto del punto di decomposizione: esse rattrappiscono e diventano appiccicaticce, cambiamento d'aspetto questo che si chiama « concrezionamento ». Avendo da eseguire la determinazione del punto di fusione di sostanze decomponibili si scalda il bagno abbastanza rapidamente a io o 20° al di sotto della temperatura di decomposizione e quindi si rallenta, facendo aumentare il termometro d'ora in poi solo di circa 5° al minuto primo. Il concrezionamento prematuro di sostanze che fondono senza decomposizione, cioè intatte, è un indizio di purezza incompleta e richiede dal preparatore la ripetizione della ricristallizzazione o della distillazione. Esistono d'altronde però anche delle sostanze che anche se purificate al massimo non fondono senza un concrezionamento previo, quindi non hanno un punto di fusione ben netto. A questo proposito ricordiamo anche i cosiddetti « cristalli liquidi » (LEHMANN, VORLAENDER).

Come regola si può dire che una sostanza si può riguardare come pura solo allorquando il suo punto di fusione non varia più dopo ripetuta l'operazione di purificazione. Il motivo per cui il punto di fusione di sostanze impure è inferiore a quello delle rispettive sostanze pure risiede nel fatto che le sostanze inquinatrici fungono in certo qual modo da soluti; ora si sa

Saggio di

mescolanza

49

che il punto di congelamento d'una soluzione è inferiore a quello del solvente puro (applicazione: crioscopia), che qui sarebbe la sostanza da purificare. Questa circostanza ci ha fruttato un metodo assai importante per l'identificazione delle sostanze organiche. Se abbiamo ottenuto per una via nuova un composto A che riteniamo essere identico ad un altro B già noto, possiamo decidere in modo sicuro determinando il punto di fusione d'una mescolanza intima dei due composti. Se il composto A è diverso da B le due sostanze fungeranno reciprocamente da impurezze e perciò il punto di fusione della mescolanza sarà più basso di quello dei componenti, mentre se A e B sono identici il punto di fusione non sarà variato. Facendo questo « saggio di mescolanza » è opportuno saggiare i tre campioni (A, B ed A + B) mediante lo stesso termometro, il che si può anche fare contemporaneamente, facendovi aderire un tubicino per parte ed uno in mezzo, o se il termometro è grosso abbastanza, anche tutt'e tre affiancati di fronte all'osservatore, naturalmente alla medesima altezza, il che riesce dopo qualche esercizio. C'è un caso però in cui il saggio di mescolanza non serve, ed è il caso delle sostanze isomorfe. Ci sono anche parecchi metodi buoni per determinare il punto d'ebollizione nell'apparecchio del punto di fusione, mediante quantità ridotte di sostanza. Il bagno d'acido solforico non si può usare senza pericolo per determinazioni di punti di fusione che siano superiori a 250 non appena si hanno fenomeni d'ebollizione s'interrompa l'ulteriore riscaldamento e si faccia assegnamento anche prima sulla possibilità d'una rottura del pallone. Delle temperature superiori (fino a 350°) si possono attingere con un bagno ad acido solforico in cui si sia sciolto, a caldo, del solfato potassico. Questo bagno a freddo si solidifica giacché cristallizza del bisolfato potassico; perciò prima d'introdurre il termometro bisogna riscaldare giusto a fusione della massa. (S'intende che dopo l'uso del bagno bisogna estrarre il termometro) . Qui s'è voluto dare solo un riassunto generale dei metodi ed accorgimenti usuali, come si sogliono applicare nelle esercitazioni di preparazione organica. Per necessità speciali si consultino le opere ampie e complete dovute al LASSARCOHN, a HANS MEYER, e allo

HOUBEN (leggi Hàuben) (') V. pag. 426. 4 — GATTERMANN.



Analisi

organica

qualitativa

B. Metodi dell'analisi organica RICERCA QUALITATIVA DEL CARBONIO, DELL'IDROGENO, DELL'AZOTO, DELLO ZOLFO E DEGLI ALOGENI Ricerca del carbonio e dell'idrogeno. Se una sostanza scaldata su una laminetta di platino brucia con fiamma (vi sono però numerose eccezioni, ad es. lo zolfo elementare) o se si decompone separando del carbone amorfo nero, essa è da ritenersi organica. Si possono ricercare C ed H contemporaneamente mescolando un campione della sostanza ben secca con più volte il suo volume di CuO calcinato, in polvere fine (p. es. 3-4 volte tanto CuO) e ponendo il miscuglio in una provetta. Si ricopre con uno strato di CuO puro e si tappa con un tappo forato attraverso cui passa un tubo di sviluppo in vetro, piegato a squadra. I,a provetta si calcina fortemente : se i gas che sfuggono dal tubo di sviluppo intorbidano l'acqua di calce o di barite limpida (per effetto del C0 2 sviluppato) la sostanza contiene carbonio, mentre l'idrogeno contenuto si rileva dalle goccioline d'acqua che si raccolgono nella parte superiore fredda della provetta. Ricerca dell'azoto. Un campioncino di sostanza si pone in un tubicino d'assaggio del diametro interno di circa 5 mm e lungo 6 cm circa (del genere di quelli adottati per le analisi per via secca) assieme ad un pezzetto lucente di sodio o di potassio metallico, non più grande d'un granello di frumento ed asciugato per compressione fra due pezzetti di carta da filtro; si scalda il tubicino nella fiamma d'un becco BTJNSEN fino a quando si ha decomposizione, generalmente accompagnata da un oscuramento del colore e da deflagrazioni deboli. Si continua a scaldare fino al color rosso ed il tubicino ancora caldo s'immerge infine in un bicchierino contenente 5 cm3 d'acqua; il tubicino così salta e il potassio eventualmente non consumato s'infiamma a contatto dell'acqua (eseguire sotto la cappa chiusa! Per le precauzioni da usarsi nel maneggio dei metalli alcalini, v. anche pag. 99). Si filtra poi dal carbone e dalle schegge di vetro la soluzione acquosa, che se la sostanza originaria conteneva azoto, ora deve contenere cianuro potassico (o sodico), il filtrato si tratta con solfato ferroso, e Fe Cl3 2 gocce per ognuno, si osserva se la soluzione ha reazione alcalina e in caso positivo si scalda per

Ricerca

di C, H, N,

S

51

1-2 minuti; cosi si forma del ferrocianuro potassico, se era presente del cianuro. Se dopo raffreddamento si acidifica mediante HC1 la soluzione alcalina, l'ossido di ferro e l'idrato ferroso formatosi si sciolgono ed il ferrocianuro potassico reagisce nel modo noto col cloruro ferrico formando dell'azzurro di Berlino (ferrocianuro ferrico). In conclusione, se era presente dell'azoto nella sostanza in esame, si ottiene un precipitato azzurro. Se nella sostanza v'era poco azoto, talvolta all'inizio della reazione non s'ottiene un precipitato, ma solo una soluzione verdazzurra. Se questa si lascia riposare per un tempo prolungato, talvolta tutt'una notte, si separa del precipitato. Se la sostanza in esame è facilmente volatile s'adoperi un tubo d'assaggio più lungo e si lascino ogni tanto rifluire sul potassio caldo le porzioni di sostanza condentsaesi nelle parti più fredde. Nel caso di sostanze che cedono il loro azoto già a temperatura moderata, come per es. diazoderivati, l'N non può essere riconosciuto nel modo ora descritto. In questi casi bisogna vedere se nella combustione della sostanza mediante ossido di rame in un tubo riempito di C0 2 si forma del gas che non viene assorbito dalla potassa caustica (v. determinazione quantitativa dell'azoto). Ricerca dello zolfo. I,a ricerca qualitativa dello zolfo s'esegue come sopra descritto per l'azoto. S'arroventa la sostanza in un tubicino in presenza di sodio metallico, si lascia raffreddare la massa fusa, la si scioglie in acqua pura (attenzione !) e si tratta una metà della soluzione acquosa con poche goccie d'una soluzione di nitroprussiato sodico, preparata di fresco agitando in provetta a parte alcuni cristallini di nitroprussiato con acqua fredda. Una colorazione violetta indica la presenza di zolfo. Siccome la reazione del nitroprussiato è estremamente sensibile e non permette di farsi un'idea circa la quantità presente di zolfo, nemmeno approssimativa, l'altra metà della soluzione si filtra e si t r a t t a con soluzione d'acetato di piombo, poi s'acidifica con acido acetico. A seconda se s'ottiene solo un intorbidamento brunastro o anche un precipitato maggiore o minore di PbS, la quantità di zolfo sarà maggiore o minore. Le sostanze facilmente volatili per solito non si possono trattare a questo modo. Bisogna allora, come è indicato per la determinazione quantitativa dello zolfo secondo CARIUS, scaldare la sostanza con acido nitrico fumante in un tubo di CARIUS chiuso alla fiamma, a circa 200-300° e ricercare nella soluzione diluita con acqua, l'acido solforico a mezzo del cloruro di bario.

52

Analisi

or gaelica

Ricerca degli alogeni. Il cloro, il bromo e lo iodio contenuti nei composti organici ben raramente possono essere ritrovati mediante la precipitazione con nitrato d'argento, perchè gli alogeni nella maggioranza dei casi non sono combinati in modo ionogeno, cioè non sono ionizzabili o saponificabili. Per riconoscere la presenza d'alogeno combinato con legame omeopolare (ossia non ionizzabile) la sostanza in esame si calcina in una provetta non troppo stretta con un eccesso di CaO chimicamente puro sopra una fiamma B U N S E N , s'immerge il tubo ancor caldo in poca acqua facendolo saltare, s'acidifica con acido nitrico puro ed esente da alogeni (saggiare!), si filtra e si tratta il filtrato con AgN03. Nei composti che non contengono dell'azoto si può applicare anche il metodo già descritto a proposito dell'azoto ricercando gli alogeni per calcinazione con sodio metallico. In questo caso la soluzione si filtra dalle schegge di vetro e dai prodotti di decomposizione della sostanza, s'acidifica con acido nitrico puro e si tratta con AgN03. Gli alogeni si possono riconoscere molto presto e comodamente mediante il saggio di B E I E S T E I N . Un pezzetto di CuO della grandezza d'una lenticchia oppure una bacchettina dello stesso lungo circa 5 mm. s'avvolge d'una spirale di filo di platino sottile saldato ad una bacchetta di vetro e s'arroventa nella fiamma del becco Bunsen fino a che questa appare incolora. Se dopo il raffreddamento del CuO vi si sovrappone un pezzettino minuscolo d'una sostanza organica contenente degli alogeni e si torna a scaldare nella parte esterna d'una fiamma Bunsen, per primo brucierà il carbonio e s'osserverà una fiamma luminosa. Questa ben presto scompare e viene sostituita da una colorazione verde o verdazzurra (per CI azzurra) della fiamma, colorazione dovuta all'alogenuro di rame. Dalla durata della colorazione si può dedurre approssimativamente se la sostanza conteneva solo tracce o anche quantità sensibili d'alogeno. Per l'esecuzione del saggio di B E I L S T E I N può servire anche un filo di rame pulito fissato in un pezzo di sughero. Altri elementi, come fosforo, arsenico, altri metalloidi e metalli combinati organicamente si ricercano distruggendo la sostanza organica mediante ossidazione (con HN0 3 in tubo chiuso alla fiamma, per fusione con nitrato potassico o con perossido di sodio) e facendo poi i saggi secondo i metodi usuali nell'analisi qualitativa inorganica. [Il fosforo e l'arsenico passeranno ai rispettivi acidi fosforico ed arsenico, e così anche gli altri elementi assumeranno la forma corrispondente alla massima ossidazione. N. d. ¿y.].

Ricerca di CI, Br, I, P, As

53

Il bisogno di chiarire la composizione qualitativa d'una sostanza organica è soddisfatto solo in parte quando se ne sono ritrovati gli elementi chimici costituenti (C, H, N, ecc.). Il compito susseguente è di gran lunga più difficile e consiste nel classificare la sostanza e stabilire in base alle sue proprietà fisiche e reazioni chimiche a quale gruppo di composti essa sia da ascriversi. È semplice riconoscere dei composti polari come acidi e basi; è difficilissimo invece talvolta assegnare una sostanza neutra di composizione incognita nel giusto gruppo organico. L,e esercitazioni di chimica organica avranno come scopo secondario indispensabile l'insegnamento del modo di riconoscere i gruppi organici più importanti (gruppi alcoolici, aldeidici, chetonici, eteri, amidi, nitrili e nitroderivati, tanto per nominarne alcuni), di distinguere fra le sostanze sature, non sature ed aromatiche e trovare la risposta sperimentale a questioni di questo e di molti altri generi ancora. Perciò lo studente non deve soltanto acquistare pratica nella preparazione sintetica di sostanze scelte fra le serie più importanti di composti, ma deve anche acquistare confidenza coi suoi preparati, approfondirsi nelle loro reazioni caratteristiche ed assorbirne le qualità sostanziali mediante osservazione sperimentale ed attenta considerazione. Perciò gli esempi di saggi riportati più avanti nella parte speciale per ogni preparazione e che sono destinati appunto a questo scopo didattico, non vanno tenuti in poco conto. La loro esecuzione devesi ritenere di pari importanza a quella delle preparazioni vere e proprie.

Nel campo del lavoro scientifico che segue al corso di preparazioni organiche, anzi dappertutto là dove il chimico indipendente viene a trovarsi di fronte a una sostanza sorgono problemi per la cui soluzione è necessaria una buona conoscenza di chimica analitica .qualitativa. A causa purtroppo della scarsità del tempo disponibile per il corso degli studi finora è sempre rimasto allo stato di ideale irraggiungibile il desiderio di far seguire alle esercitazioni di sintesi e preparazioni dello studente un corso completo pel riconoscimento delle sostanze organiche. Eppure bisogna dedicare l'attenzione più seria a questo lato dell'istruzione del futuro chimico. Si possono desumere delle direttive per i compiti qui accennati già durante il corso di preparazioni, dall'opera fondamentale di HANS M E Y E R : « Analyse und Konstitutionsermittlung organischer Verbindungen » (Analisi e determinazione della costituzione di composti organici). Sono stati anche elaborati dei veri e propri procedimenti analitici per la classifica e la separazione dei gruppi di sostanze or-

54

Analisi

organica,

I

ganiche; nomineremo qui l'ottimo libro di H . S T A U D I N G E R : «Anleitung zur organischen qualitativen Analyse » (Guida all'analisi organica qualitativa), I I ed., Berlino 1929. L'ANALISI E L E M E N T A R E

ORGANICA

La determinazione quantitativa degli elementi contenuti in un composto organico si pratica mediante l'analisi elementare. Il carbonio e l'idrogeno si determinano contemporaneamente, mentre per la determinazione di tutti gli altri elementi (escluso O che si determina solo per differenza) si deve eseguire un'analisi separata per ciascuno. I metodi semi-microanalitici qui descritti e che s'eseguono su 2 0 - 3 0 mg. di sostanza, sono stati elaborati dal dott. F . HÖLSCHER sulla base dei metodi micro-analitici secondo PREGI, (*). In due anni di collaudo nei laboratori di Stato a Monaco di Baviera i metodi semi-micro si sono dimostrati ottimi ed hanno spostato del tutto i macro-metodi prima in uso presso questo laboratorio (2). La pesata. Per pesate di 2 0 - 3 0 mg di sostanza non è evidentemente utilizzabile una bilancia analitica ordinaria la cui precisione arriva solo a 0,1 mg. S'usa perciò una delle ben note « semi-microbilance » secondo K U H L M A N N , Amburgo o S A R T O R I U S , Gottinga (costruite in Italia dalle O F F I C I N E G A L I L E O ) il cui limite di precisione arriva a 0,01 mg. Intorno alla tecnica delle pesate con tali bilance si veda l'opuscolo poligrafato del suddetto dott. F. H Ö L S C H E R , Monaco di Baviera, Chem. Laboratorium des Staates, 1934. I. - DETERMINAZIONE DELL'AZOTO SECONDO DUMAS La sostanza pesata si brucia mediante CuO rovente un in tubo riempito di COa ; a questo modo C passa a C0 2 , H ad HaO ed N sfugge come tale. Esso N viene determinato volumetricamente dopo averlo raccolto su idrato potassico in soluzione. Gli ossidi d'azoto eventualmente formatisi si riducono ad azoto mediante una spirale di rame ridotto arroventata. Per la determinazione dell'azoto occorrono: (*) F . PREGL, Quantitative organische Mikroanalyse (La microcnalisi organica quantitativa), Springer, Berlino; vedi H . BERGER, Journal f. prakt. Ch. 1 3 3 , I (1932); K . KÜSPERT, Chem. Fabrik., 6, 63 (1933); E . SUCHARDA e B . BOBRANSKI, Halb-mikromethoden zur automatischen Verbrennung organischer Substanzen (Semi-micro-metodi per la combustione automatica di sostanze organiche), Vieweg, ed., 1929. ( 2 ) V. a proposito dei metodi di combustione le « Avvertenze del traduttore .

Determinazione

di N secondo

DUMAS

55

Un tubo a becco per combustione in vetro Supremax (lunghezza senza becco cm 55, diametro esterno mm 12. Lunghezza del becco cm 3, diametro esterno dello stesso mm 3-3,5; diametro interno m m 2). Un t a p p o di gomma il più possibilmente cilindrico, a foro unico, deve adattarsi nell'orifizio maggiore del tubo e aderire strettamente alle pareti dello stesso. CuO in fili « per analisi ». Amianto a fibra lunga. Un po' di lana d'argento. Due lastre d'amianto. 5 cm. di reticella di filo di ferro arrotolata. Apparecchio di K I P P e forno elettrico di combustione l1). Azotometro, capsula in nichelio, staccio in tela metallica. Recipiente per pesata. Tubo per mescolare.

a) Preparativi. A p p a r e c c h i o di Kipp esente da aria. Dei pezzettini di marmo si t r a t t a n o in una capsula di porcellana con acido cloridrico diluito (1 voi. di HC1 di dens. = 1,18 -f- 1 voi. d'acqua). Dopo aver lasciato passare la prima effervescenza tumultuosa si decanta il sudiciume che s'è raccolto in alto e si sciacquano i frammenti di marmo corrosi con acqua distillata. Il globo centrale del Kipp si carica sino a metà col marmo così preparato; si chiude la comunicazione col globo inferiore mediante due bacchette di vetro piegate a semicerchio o mediante schegge di vetro. Il rubinetto di vetro si munisce d'un t a p p o di gomma forato che s'adatta, lubrificandolo appena con un po' di vasellina, nella tubulatura laterale del globo centrale; all'estremità interna del rubinetto si congiunge mediante tubetto di gomma un tubo di vetro ripiegato ad uncino verso l'alto, in modo da ottenere che nello scarico del gas esca prima la porzione di gas che si trova nella parte più alta del globo (fig. 33). Indi l'apparecchio si riempie di HC1 diluito (v. sopra) fino a che è pieno t u t t o il globo inferiore e metà di quello superiore e si gettano eziandio due pezzettini di marmo nel prolungamento imbutiforme del globo superiore, sì ch'essi vi si fermino e scaccino mediante vivace svolgimento di C0 2 l'aria sciolta nell'acido. Aprendo e chiudendo ripetutamente il rubinetto s'accelera l'evacuazione dell'aria atmosferica dall'apparecchio e la sua sostituzione col C0 2 . Un apparecchio di K i p p montato di recente per solito non dà un gas C0 2 sufficientemente puro che dopo 2 0 3 giorni di riposo, dopo che l'aria adsorbita sulla superficie del vetro e del caucciù sia s t a t a ceduta all'atmosfera di anidride carbonica. L a purezza del gas si può ritenere ineccepibile, quando le « micro-bollicine » che salgono nell'azotometro riunite in parecchie, spesso superandosi l'un l'altra, salgono con velocità uniforme. Il diametro di tali bollicine, osservato con lente d'ingrandimento, non deve superare 1 /5 della distanza fra due divisioni contigue (1 m m circa). (*) Il forno è fornito in Germania dalla ditta M. GOERGEN di Monaco, per marchi 48,—• e in Italia esistono varie ditte attrezzate allo scopo. Il forno Goergen è a due piedi, diversamente dalla figura, e la resistenza di regolazione è incorporata nel piedistallo.

56

Analisi

organica,

I

I l Kipp a C 0 2 si congiunge col tubo del forno a combustione mediante un tubo di vetro piegato a Z; un'estremità di quest'ultimo tubo è assottigliato a capillare debolmente conica a pareti spesse, la quale s'infila nel foro del tappo di gomma introdotto nel tubo di combustione. All'altra estremità il tubo a Z è allargato a diametro circa doppio, per accogliere un po' di lana d'amianto destinata a trattenere le nebbie d'acido. Nell'orifizio è infilato un tubo di caucciù nel cui foro passa l'estremità del tubo del Kipp, portante il rubinetto (v fig. 33).

F i g . 33.

Caricamento del tubo di combustione. Il tubo a becco si pulisce anzitutto con miscela solfocromica (H 2 S0 4 + K 2 Cr 2 0 7 ), si sciacqua con acqua distillata e si secca riscaldandolo dolcemente ed aspirando internamente l'aria con una pompa a getto d'acqua. Per caricare il tubo ci si provvede d'una riserva di CuO in fili grossolani (« per analisi ») e di CuO più fine che si ottiene schiacciando (non macinando !) in un mortaio di porcellana il CuO in fili grossi. Si cerca d'ottenere dei frammenti lunghi circa 1-2 mm. che si liberano mediante setacciamento dal pulviscolo. Prima dell'uso il CuO si arroventa all'aria in una capsula di USTI. Il CuO usato viene setacciato e calcinato dopo di che si può senz'altro usarlo di nuovo. Si abbia cura di non inquinare di potassa il CuO, giacché così si otterrebbero sempre dei valori troppo bassi per l'azoto: se la potassa ha potuto inquinare l'ossido di rame, non c'è che da lavare con acido acetico all'ebollizione e calcinare di nuovo.

Nel tubo secco si mette innanzi tutto un po' di fiocchi di lana d'argento per riempire la porzione conica del tubo; indi s'introduce con adatta bacchetta di vetro dalle estremità appena arrotondate

Determinazione

di N secondo

DUMAS

57

nella fiamma, della lana d'amianto pulita e calcinata, fino al becco per comprimerla quivi moderatamente sì da ottenere un tappo d'amianto di 2-3 mm. Sull'amianto si carica uno strato alto 12 cm. di CuO grosso; si assesta moderatamente l'ossido tenendo il tubo verticalmente, e battendo col palmo della mano aperta lateralmente sul tubo; allo stesso modo s'introducono ora uno strato alto cm. 6 di CuO fine e un altro, alto cm. 10, di CuO grosso. Questa « carica permanente » del tubo si fissa mediante un secondo tappo d'amianto lungo pochi mm e debolmente compresso. Nel tubo così caricato s'introduce, a partire dall'orifizio maggiore, una corrente d'idrogeno lavato con permanganato potassico in soluzione acidificata; dopo avere accuratamente allontanato l'aria si riduce lo strato di cm. 6 di CuO fine riscaldandolo moderatamente dall'esterno con un becco Bunsen e si lascia raffreddare in una lenta corrente d'idrogeno. Il tubo preparato di recente con tutta la sua carica permanente s'arroventa in seguito energicamente a fondo per tutta la sua lunghezza nel forno elettrico mentre una corrente di C0 2 percorre il tubo : si lascia raffreddare tenendolo sotto la pressione gassosa del K I P P a C02. Anche quando non si adopera il tubo si lascia in comunicazione col detto Kipp, mantenendovi sempre il COs sotto pressione. Il s e m i - m i c r o - a z o t o m e t r o . Q u e s t o s t r u m e n t o c h e d e v e servire a raccogliere l ' a z o t o h a u n v o l u m e u t i l e n e l l a c a m p a n e l l a d i m i s u r a d i c m 3 8-10, c o r r i s p o n d e n t e m e n t e a l l a p e s a t a d i m g 20-30 d i s o s t a n z a iniziale; s i c c o m e e s s o è s u d d i v i s o in p o r z i o n i d i 0,02 c m 3 è g a r a n t i t a u n a s u f ficiente e s a t t e z z a delle d e t e r m i n a z i o n i . I l t u b o p e r il q u a l e l ' a z o t o e n t r a n e l l ' a z o t o m e t r o p o r t a u n r u b i n e t t o in v e t r o la c u i m a n i g l i a (fig. 34) è a l l u n g a t a in m o d o da formare u n lungo braccio di leva. Per aumentare a n c o r a m a g g i o r m e n t e l a finezza d e l l a r e g o l a z i o n e il m a s c h i o d e l r u b i n e t t o si m u n i s c e d i d u e i n c a v i fini, t e r m i n a n t i a p u n t a , l a t e r a l m e n t e al f o r o d e l m a s c h i o s t e s s o . Q u e s t i d u e i n c a v i si p r a t i c a n o c o n m i a l i m e t t a a t r i a n g o l o b e n t a g l i e n t e , in m o d o t a l e c h e p e r d a r e il p a s s a g g i o al g a s il m a s c h i o d e b b a v e n i r e F i »- 34s o l l e v a t o v e r s o l ' a l t o , il t u b o d ' a d d u z i o n e d e l l ' a z o t o m e t r o e d il t u b o d i c o m b u s t i o n e si c o n g i u n g o n o f r a l o r o m e d i a n t e c a p i l l a r e p i e g a t a a d a n g o l o o t t u s o c h e al p u n t o d i c o n t a t t o c o r r i s p o n d e nel s u o d i a m e t r o e s t e r n o al t u b o p o r t a n t e il r u b i n e t t o e s i c o n n e t t e c o n q u e s t o m e d i a n t e u n p e z z o d i t u b o d i g o m m a a p a r e t i s p e s s e in m o d o d a f a r aderire il p i ù p o s s i b i l m e n t e le due e s t r e m i t à d e i t u b i . I l t r a t t o o r i z z o n t a l e d e l l a c a p i l l a r e è a l l a s u a e s t r e m i t à a l l u n g a t o in u n a p u n t a l e g g e r m e n t e c o n i c a il c u i d i a m e t r o e s t e r n o corrisponde esattamente al becco del t u b o di combustione. Per la connessione si u s a u n p e z z o d i t u b o di g o m m a a p a r e t i spesse (per il v u o t o ) , l u n g o c m 2,5

Analisi

58

organica,

I

a 3 e bagnato con poca glicerina; s'abbia cura perchè le due estremità del t u b o si tocchino più che sia possibile. Smontando t u t t o l'apparecchio la capillare rimane sempre attaccata all'azotometro. Prima del caricamento si pulisca l'azotometro con miscela solfocromica. Il t u b o di g o m m a che collega il palloncino di livello colla campanella graduata dell'azotometro s'assicura mediante legatura con filo di ferro [ oppure rame stagnato, n. d. tr.~\. A partire dalla sfera di livello s'introduce del mercurio puro fino a che il livello di questo arriva a m m 1-2 al di sopra del punto più alto dello sbocco del tubo d'adduzione. I rubinetti si lubrificano debolmente con della vasellina (evitare di fare entrare la vasellina negli incavi vicino al foro !). Per caricare l'azotometro s'usa della soluzione di K O H al 5 0 % (preparata da « potassio idrato puro all'alcool in cilindri ») che si rende completamente incapace di schiumeggiare aggiungendole della barite caustica in polvere fine (g 2 su g 200 di soluzione) e filtrando per u n filtro secco. Il palloncino di livello si chiude con un tappo di g o m m a forato, portante nel foro un corto t u b o di vetro sfilato a capillare. P r e p a r a z i o n e della sostanza. o in u n o s t a t o d i u m i d i t à

L,e s o s t a n z e s o l i d e si

corrispondente

a

quello

bruciano

dell'atmosfera

o p p u r e d o p o a v e r l e s e c c a t e in u n e s s i c c a t o r e a v u o t o , c a r i c a t o

ad

F i g . 35-

a c i d o s o l f o r i c o , fino a c o s t a n z a d i p e s o . N o n è o p p o r t u n o p o l v e r i z z a r e in p r e c e d e n z a l a s o s t a n z a , g i a c c h é c o s ì n o n si f a c h e a u m e n t a r n e i n u t i l m e n t e l a s u p e r f i c i e , il c h e r e n d e a s s a i p i ù d i f f i c i l e l a p e s a t a s o s t a n z e i g r o s c o p i c h e . S e il s o l v e n t e v i e n e t r a t t e n u t o si d e v e

essiccare

a temperatura

(v. p a g . 1 7 ) o p i ù c o m o d a m e n t e

elevata

di

tenacemente

nell'essiccatore

a

nell'essiccatore a blocco di

pistola rame

s e c o n d o PREGI,, il q u a l e s i p u ò r e g o l a r e p e r q u a l u n q u e t e m p e r a t u r a desiderata

mediante

regolazione

della

microfiamma

che

scalda

b l o c c o s t e s s o (fig. 35). L e s o s t a n z e i g r o s c o p i c h e si p e s a n o n e l filtri

a

piedini.

il

pesa-

Determinazione

di N secondo

DUMAS

59

b) Come si esegue la combustione. La pesata. Le sostanze solide si pesano in un tubicino a pera, munito di tappo smerigliato, che serve nel contempo anche come tubo per mescolare. Il suo diametro sia tale che possa essere introdotto per alcuni cm di lunghezza nell'imbuto cilindrico che si sovrappone al tubo di combustione. Il tubicino da pesata si pulisce con un batuffoletto di cotone avvolto intorno ad un filo metallico e si prende sempre e soltanto colle pinze, mai colle mani : in esso si mette un po' di CuO fine e se ne determina il peso a vuoto con un'esattezza di mg 0,01. In quest'occasione il tubicino si pone su un cestello in fili metallici, apparecchiato in modo acconcio. Indi con una sottile spatola di nichelio s'introducono mg 20-30 di sostanza e si pesa di nuovo. I liquidi si p e s a n o in u n a capillare di vetro. R a m m o l l e n d o alla fiamma u n a p r o v e t t a si t i r a u n a capillare spessa 2 m m e se ne tagliano dei pezzi lunghi cm 7-8. A n z i t u t t o si f o n d e il v e t r o nel centro del f r a m m e n t o di capillare così o t t e n u t o (fig. 36) s o p r a tuia fiammellina di becco B u n s e n a p p e n a scolorata dall'accesso l i m i t a t o dell'aria, si gira continua^ — m e n t e e si comprime dolcemente dalle estrem i t à v e r s o il p u n t o f u s o . Indi, e s t e r n a m e n t e alla fiamma, s'estrae la p a r t e f u s a a d u n a bacc h e t t i n a massiccia della lunghezza di c m 2,5 circa. Si r o m p e nel mezzo p e r schiacciamento f r a le unghie d i due d i t a e si o t t e n g o n o d u e capillari con i m p u g n a t u r a massiccia. Sul f o n d o della capillare si p o r t a con precauzione u n criFig. ?/>• stallino di KC10 3 , si fonde q u e s t ' u l t i m o con precauzione sulla fiammellina e lo si lascia solidificare. D o p o avere aggiunto d u e f r a m m e n t i n i minuscoli di p i e t r a pomice l a v a t a il tubicino si riscalda, sempre girando, con precauzione nella fiammellina 1 cm circa al disopra del fondo, poi si t i r a a capillare fine l u n g a circa c m 2 e infine si r o m p e all'estremità. L a capillare o r a si n e t t a con u n t e s s u t o a flanella u m i d o , indi con i m a pezzuola d i cotone a s c i u t t a e p u l i t a e d o p o r a f f r e d d a m e n t o c o m p l e t o si p e s a con u n a precisione di m g 0,01. Adesso la capillare p e s a t a viene scaldata con precauzione, senza f o n d e r e il clorato, sulla fiammellina nella s u a p a r t e libera, p e r p o i t u f f a r l a coll'estremità a p e r t a nel liquido. D o p o aver a s p i r a t o u n a q u a n t i t à sufficiente di liquido la capillare s ' i m p u g n a p e r la p a r t e p i e n a e il resto del liquido, r i m a s t o nella capillare si p o r t a sul f o n d o della fialetta t e n e n d o n e l ' e s t r e m i t à a p e r t a in alto e b a t t e n d o colla m a n o leggermente sul t a v o l o o p p u r e eseguendo a d a t t i m o v i m e n t i d i rotazione. P e r a l l o n t a n a r e comp l e t a m e n t e il liquido dalla capillare questa si f a p a s s a r e r a p i d a m e n t e p i ù volte a t t r a v e r s o l'orlo esterno della fiamma, s'asciuga dal di f u o r i e si osserva se

6o

Analisi

organica,

I

non sono avvenute delle carbonizzazioni nella capillare. Ora si fonde l'estremità della capillare, si strofina esternamente con una flanella umida, indi con u n a pezzuola pulita e secca e dopo alcuni minuti di raffreddamento si determina l'aumento di peso colla precisione di m g 0,01. Il caricamento del t u b o di combustione si f a esattamente come descritto più sotto per la determinazione dell'azoto solo che si mettono cm 2-3 di CuO fine invece di c m 0,5; la fiala pesata s'introduce in un rotolino di reticella di rame lungo cm 4, calcinato ed ossidato di fresco, s'accorciano prima la p u n t a e l'impugnatura per rottura delle estremità e il tutto si f a scivolare nel t u b o di combustione tenuto inclinato, colla punta della fiala rivolta in avanti. Infine si riempie come al solito completamente con ossido di rame.

Caricamento del tubo di combustione e montatura dell'apparecchio. Sul tubo di combustione tenuto verticale si pone l'imbuto ricavato da una provetta di grande diametro, s'introducono uno strato di CuO grosso, alto cm 7, indi uno strato di CuO fine alto cm 0,5 (per i liquidi vedi sopra) e s'assesta moderatamente l'ossido di rame battendo col palmo della mano lateralmente sul tubo. Ora si prende il tubicino da pesata, si sovrappone alla sostanza uno strato di CuO fine, ulto ciii. 2, si chiude il tappo smerigliato, si mescola il tutto molto bene e si versa il contenuto nel tubo di combustione. Allo stesso modo si pulisce il tubicino con cm 1-1,5 di CuO fine a varie riprese, picchiando dolcemente si fanno cadere anche le particelle di pulviscolo più fine nel tubo di combustione ed infine si caricano ancora cm 4-5 di CuO grosso. Ora il tubo si pone nel forno elettrico in modo che dalla parte del becco sporgano cm 2 della carica di CuO; come coibente s'infila sull'estremità del becco un piccolo schermo in amianto che si fa aderire al forno. Sull'altra estremità s'infila un rotolo lungo cm 5 in reticella di ferro e un altro schermetto in amianto per proteggere il tappo di gomma dalla radiazione termica del forno. A questo punto s'inserisce la corrente nel forno elettrico, si chiude l'orifizio maggiore del tubo a combustione mediante un tappo di gomma forato, la capillare del tubo di collegamento col K i p p s'introduce nel foro lubrificato con poca glicerina, in modo da fare sporgere appena la capillare stessa dal tappo e s'apre l'apparecchio di KIPP. Dopo avere fatto passare l'anidride carbonica per 5' attraverso il tubo, si connette a questo, dal lato del becco, l'azotometro il cui rubinetto d'adduzione è aperto e la cui potassa è stata fatta passare il più possibilmente nel palloncino di livello abbassando quest'ultima. Passati altri due minuti anche il tubo di connessione e il maschio del rubinetto sono lavati dall'aria; ora si chiude il rubinetto d'adduzione, si riempie l'azotometro di potassa, si riporta di nuovo

Determinazione

di N secondo

DUMAS

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il palloncino di livello nella posizione bassa, s'apre con precauzione il rubinetto d'adduzione in modo da far passare circa 1-2 bolle al secondo e si esaminano le micro-bollicine. Se le bollicine non sono ancora abbastanza piccole si ripetono le operazioni di lavaggio con CO a . Non appena si arriva ad avere delle micro-bollicine si chiude il Kipp e si apre completamente il rubinetto d'adduzione. Nel contempo il rotolino di tela metallica si spinge sopra le ultime porzioni del CuO introdotto nel tubo e si dispone sotto di esso il becco Bunsen mobile in modo che la porzione di tubo protetta dalla tela metallica penetri nella zona della fiamma tutta aperta e resa incolora. La combustione vera e propria. Non appena il forno elettrico è diventato rovente — 15 a 20' dopo l'inserzione della corrente — ed è cessato lo sviluppo di gas dovuto al riscaldamento del tubo da parte del becco Bunsen mobile, si chiude il rubinetto d'adduzione, si tiene il palloncino di livello giusto sopra il maschio del rubinetto superiore dell'azotometro, si gira rapidamente avanti ed indietro il maschio del rubinetto e la massa gassosa accumulata assieme alle impurità trascinate meccanicamente si fa entrare nel bicchierino superiore che si riempie con un po' di potassa. Ora si riabbassa il palloncino di livello, si riapre completamente il rubinetto d'adduzione e il rotolo di rete metallica si fa avanzare di qualche millimetro cosicché il becco Bunsen viene a stare all'estremità posteriore. Allo stesso modo s'avanza col rotolo e col becco, rispettivamente col fornetto elettrico più piccolo fino a che non si sia ancora raggiunto il limite ammissibile della velocità di gorgogliamento delle bolle: si abbia somma cura che non entrino mai più di due bolle nello spazio di tre secondi nell'azotometro. Se quindi lo sviluppo gassoso è un po' vivace, specie quando si è già vicini alla sostanza, s'aspetta sempre un po' e s'avanza soltanto quando la velocità di gorgogliamento è diminuita notevolmente. Non appena si è giunti col becco Bunsen a ridosso del forno elettrico, il che richiede 15-25 minuti, si chiude il rubinetto d'adduzione, s'apre completamente quello del K I P P e si regola ora con precisione il rubinetto d'adduzione mediante la leva lunga in modo da fare entrare nell'azotometro non più di 2 bolle di gas nei tre secondi: questa velocità non si deve assolutamente superare nemmeno di poco. Ora durante i successivi 5-10 minuti s'arroventa ancora ben bene lo strato mobile di CuO mediante la tela metallica e il Bunsen, dopo di che si spegne il Bunsen e dopo altri 5 minuti anche il forno elettrico. L'ope-

62

Analisi

organica,

II

ratore si guardi bene dal riscaldare lungamente il tubo di combusstione col solo becco Bunsen, giacché altrimenti tale tubo sarà inevitabilmente rigonfiato quando il vetro si sarà rammollito. Dopo avere cessato il riscaldamento la velocità di gorgogliamento si regola in ragione di 2 bolle per 1 secondo. Non appena sorgono delle micro-bollicine nell'azotometro, si chiude il rubinetto d'adduzione, si toglie il collegamento di gomma dal tubo di combustione, si sovrappone all'estremità di questo la chiusura in gomma con pinza e si lascia raffreddare mantenendo l'atmosfera d'anidride carbonica sotto pressione. I/azotometro viene disposto per il raffreddamento in una stanza un po' più fresca che non quella della combustione (sala delle bilance) e sollevando il palloncino di livello si metterà a pari livello il liquido nel pallone e nel tubo graduato. Dopo passati 10 minuti si fa la lettura disponendo il menisco nel palloncino di livello disposto dietro il tubo graduato dell'azotometro, esattamente in uno stesso piano col menisco esistente nel tubo graduato stesso. Si legge la graduazione corrispondente al limite inferiore del menisco (cioè quella che si trova nel piano orizzontale tangente inferiormente al menisco stesso). Infine si legge la temperatura su un termometro pescante nel bicchierino superiore dell'azotometro e la pressione atmosferica sul barometro. Calcolo dell'analisi. La percentuale in azoto è di: I

I + a

t

dove v è il volume d'azoto letto, s la quantità di sostanza impiegata, t la temperatura, a = 1/273 = 0,003663, p la pressione barometrica, 8 la correzione dell'altezza barometrica a o°, e la tensione di vapore dell'idrato potassico in soluzione alla temperatura di t°. (l). Limiti degli errori sperimentali; 0,3 % ^ più, 0,1 % in meno. (l) I valori dell'espressione tra parentesi contenuti nella formola si trovano, per i vari valori dell'espressione (p — 8 — e) e di t, nella tabella a pagg. 429-4^0. Dalla pressione barometrica p si può sottrarre con approssimazione sufficiente, i/8 per 8, tj5 per e. Per es.: si sia letto p = 738 mm, t = 20°; nella tabella si ricerchi p = (730 — 2,5 — 4) = 731,5. Per i calcoli coi logaritmi si usino le tabelle del KUSTER.

Determinazione

di C ed H secondo LlEBlG

63

II. - DETERMINAZIONE DEL CARBONIO E DELL'IDROGENO SECONDO LIEBIG Il principio di questo metodo consiste nell'ossidare una quantità pesata di sostanza nel t u b o di combustione, in corrente d'aria o d'ossigeno, in presenza d'un catalizzatore al platino oppure mediante ossido rameico + c r o m a t o di piombo; i prodotti dell'ossidazione, e cioè C 0 2 e H 2 0 , vengono assorbiti rispettivamente mediante K O H e CaCl 2 e pesati per differenza dopo l'assorbimento. Usando un « caricamento universale » t u t t e le sostanze si possono analizzare in un solo tubo, non importa se oltre ed a c c a n t o al carbonio ed all'idrogeno contengono ancora S, N od alogeni. Gli ossidi d'azoto che eventualmente si formassero, si riducono a d N mediante uno s t r a t o di Cu rovente, gli alogeni vengono t r a t t e n u t i mediante la lana d'argento e lo zolfo mediante la stessa lana d'argento e c r o m a t o di piombo. Per la determinazione di C ed H

occorrono:

Un tubo di combustione a becco (come per la determinazione di N). Un adatto tappo di gomma a foro unico strettamente aderente alle pareti del tubo. Un tubo d'assorbimento al CaCl2. Un tubo d'assorbimento all'amianto sodato. Due pezzi di tubo di gomma a lume stretto, per vuoto, della lunghezza di cm 2, risp. 1,5, da imbibirsi di vasellina nel vuoto (v. pag. 65). 8-10 cm di filo d'argento del diametro di mm 1. Gr. 1 di lana d'argento. Lana d'amianto depurata («Amianto per crogioli di GOOCH, per analisi»). CuO grosso e fine. CuO ricoperto di PbCr0 4 . Amianto sodato (« per micro-analisi »). Bambagia di cotone ordinaria e seccata a ioo°. (Oltre naturalmente agli attrezzi in platino e l'apparecchio vero e proprio, forniti dal laboratorio).

a) Preparativi. Come si riempie il g a s o m e t r o d'ossigeno. Aprendo i rubinetti a e 6 (v. fig. 38) si riempie completamente d'acqua il recipiente inferiore. Si chiudono entrambi i rubinetti, si svita il coperchio c, s'introduce nel manicotto c un tubo flessibile collegato alla bombola d'ossigeno e si riempie il gasometro d'ossigeno. Indi si riawita il coperchio, si riempie d'acqua il recipiente superiore, ed aprendo i rubinetti a e b per b esce ima corrente d'ossigeno. Per riempire il gasometro d'aria non occorrono spiegazioni.

6-j

Analisi

organica,

II

Il regolatore della pressione. Q u e s t o d i s p o s i t i v o ha l'importante ufficio di garantire la c o s t a n z a della v e l o c i t à di corrente g a s s o s a durante la combustione. I l suo m o d o di funzionare si p u ò rilevare d a l disegno in fig. 37 : esso c o n s t a essenzialmente d ' u n g a s o m e t r o a c a m p a n a scorrevole in u n t a p p o

di sughero f o r a t o e t u f f a n t e in u n recipiente a m e t à r i e m p i t o d ' a c q u a addizion a t a d ' u n p o ' d ' i d r a t o sodico. S p o s t a n d o la c a m p a n a in su o in g i ù si p u ò raggiungere q u a l s i a s i sovrapressione sino a 15 c m di colonna d ' a c q u a circa.

FI λ1

F'g- 3S-

» il

I g a s o m e t r i a c a m p a n a v e n g o n o collegati con quelli di riserva m e d i a n t e lunghi t u b i di g o m m a i quali — c o m e del resto t u t t i i collegamenti in g o m m a dal g a s o m e t r o sino al t u b o d i c o m b u s t i o n e — h a n n o s u b i t o per sicurezza il cosiddetto « inv e c c h i a m e n t o artificiale », per e v i t a r e la cessione di cornp o n e n t i g a s s o s i c o m b u s t i b i l i alla corrente d'ossigeno d a parte del t u b o d i c a u c c i ù fresco. P e r f a r subire l ' i n v e c c h i a m e n t o artificiale ai t u b i di c a u c c i ù questi si scaldano in u n t e r m o s t a t o o s t u f a a i o o - i i o 0 (non d i p i ù !) e c o n t e m p o r a n e a m e n t e si f a p a s s a r e per u n ' o r a u n a corrente d ' a r i a a t t r a v e r s o a d essi, aspirando l'aria a mezzo d'una pompa a getto d'acqua.

I t u b i d i collegamento p a s s a n o a t t r a v e r s o u n a pinza a vite di precisione, mediante la quale si regola l'accesso del g a s d a l g a s o m e t r o d i riserva in m o d o d a f a r uscire a periodi d i t e m p o possibilmente lunghi (per es. ogni 15-20 secondi) u n a bolla d a l g a s o m e t r o a c a m p a n a . I t u b i di scarico dei due g a s o m e t r i a c a m p a n a v e n g o n o collegati mediante t u b i di caucciù artificialmente i n v e c c h i a t i coi m a n i c o t t i d ' u n r u b i n e t t o a tre v i e per p o t e r c o m o d a m e n t e p a s s a r e d a l l ' u n a all'altra corrente d i g a s . P e r mantenere costante l a concentrazione della soluzione d i K O H esistente nel contabolle a valle del rub i n e t t o a t r e vie, s'inserisce a m o n t e del r u b i n e t t o stesso u n t u b e t t o c a r i c a t o a CaCl 2 grosso. Il contabolle e l'essiccatore. I l c o n t a b o l l e è saldato coll'essiccatore, t u b o a d U r i e m p i t o di a m i a n t o s o d a t o e CaCl 2 e m u n i t o d i due t a p p i a smeriglio. 1,'intero apparecchio p u l i t o e d e s s i c c a t o si c a r i c a aprendo il t a p p o p i ù

Montaggio

dell'apparecchio

di combustione

(C, H)

65

v i c i n o al c o n t a b o l l e : s'introduce u n g r o s s o b a t u f f o l o di b a m b a g i a fino a p o c o p r i m a del p u n t o p i ù b a s s o della c u r v a t u r a , si chiude p r o v v i s o r i a m e n t e , con b a t u f f o l o di b a m b a g i a i n t r o d o t t o m e d i a n t e filo metallico, la comunicazione c o l contabolle, si f a cadere sul b a t u f f o l o i n t r o d o t t o per primo, u n o s t r a t o di y 2 c m . d i CaCl 2 comune, n o n essiccato a p p o s i t a m e n t e , si fissa questo s t r a t o c o n u n altro b a t u f f o l i n o , e s'introduce d e l l ' a m i a n t o s o d a t o (« per analisi ») fino a p o c o s o t t o il t u b o d i s v i l u p p o laterale. D o p o a v e r fissato in sito anche q u e s t o s t r a t o sempre c o n u n b a t u f f o l o d i cotone, la b a m b a g i a i n t r o d o t t a nel t u b o laterale s'estrae e si sostituisce c o n u n t a p p o di b a m b a g i a p i u t t o s t o lasco, si riempie fino alla smerigliatura di CaCl 2 c o m u n e a granulazione grossa, si chiude con u n b a t u f f o l o e d o p o a v e r p u l i t o l a s m e r i g l i a t u r a d a l l a polvere aderente s'introduce il t a p p o smerigliato i n g r a s s a t o c o n vasellina. D i questa se ne p r e n d e t a n t a che la smerigliatura a p p a i a giusto trasparente, n o n di p i ù . Coll'ausilio d ' u n t u b o d i v e t r o allungato alla fiamma, s'introduce o r a del K O H al 5 0 % , esente d a s c h i u m a , nel t u b o libero del contabolle, fino a che la p u n t a del t u b e t t o d'adduzione a p p e n a t u f f a nel liquido; il t u b o si pulisce di f u o r i e d i dentro a c c u r a t a m e n t e c o n u n p o ' d i cotone. A d e s s o s'apre l'altro t a p p o del t u b o a d U , s'introduce nel t u b e t t o laterale u n r o t o l i n o lasco d i b a m b a g i a essiccata, si chiude questo t u b e t t o con c a p p u c c i o d i chiusura a g o m m a e p i n z a e si riempie, sempre scuotendo, fino alla smerigliatura con del cloruro di calcio g r a n u l a t o (della g r a n d e z z a del miglio). I l cloruro d i calcio s a r à s t a t o prevent i v a m e n t e essiccato in s t u f a a 180-200°. D o p o aver fissato in s i t o l o s t r a t o di cloruro di calcio con della b a m b a g i a d i cotone essiccata, l a s m e r i g l i a t u r a si rende s t a g n a con della vasellina. I l contabolle si collega a questo p u n t o col rubinetto a tre v i e a m e z z o d ' u n t u b o d i g o m m a l u n g o c m 25, i n v e c c h i a t o artificialmente. T u t t o l ' a p p a r e c c h i o d'essiccamento è fissato a d u n s u p p o r t o a gancio, facilmente m o v i b i l e in u n a s t a f f a f a t t a di filo metallico. S i d e v e avere cura meticolosa perchè — fintantoché n o n p a s s a alcuna corrente g a s s o s a a t t r a v e r s o l'apparecchio d'essiccamento — il manicotto dì collegamento f r a l ' a p p a r e c c h i o stesso e il t u b o di c o m b u s t i o n e rimanga costantemente chiuso a m e z z o d ' u n o di quei c a p p u c c i di chiusura f a t t i c o n t u b o di g o m m a e p i n z a a v i t e , al fine di proteggere il cloruro d i calcio d a l c o n t a t t o d e l l ' u m i d i t à a t m o s f e r i c a esterna. S e d a l l a t o dell'uscita dei g a s il CaCl 2 è esaurito o g u a s t o — l a c a r i c a d i amiar.to s o d a t o h a i m a d u r a t a assai m a g g i o r e — d o p o avere a l l o n t a n a t o il t a p p o si riempie il t u b o , d i cloruro di calcio fresco fino a m e t à altezza circa. P e r collegare l ' a p p a r e c c h i o d'essiccamento col t u b o di c o m b u s t i o n e serve un'allunga in v e t r o che si p r e p a r a d a u n t u b o capillare di v e t r o debolmente conico e corrispondente c o m e d i a m e t r o esterno, alla luce del m a n i c o t t o d ' a t t a c c o dell'essiccatore. T a l e a l l u n g a è collegata col m a n i c o t t o stesso a m e z z o d ' u n p e z z o di t u b o d i g o m m a a p a r e t i spesse, che è s t a t o i m b e v u t o di vasellina nel v u o t o ; l ' a l l u n g a r i m a n e s e m p r e sull'essiccatore, e q u a n d o l ' a p p a r e c c h i o n o n è u t i l i z z a t o è chiuso c o n u n c a p p u c c i o d i g o m m a a p a r e t i spesse e pinza. I t u b i d i g o m m a che si m o n t a n o sull'essiccatore e i tubicini d'assorb i m e n t o v e n g o n o i m b i b i t i d i v a s e l l i n a nel v u o t o c o m e appresso : degli spezzoni lunghi circa c m 1,5 e 2 d i t u b o a p a r e t i spesse e lume stretto v e n g o n o infilati su i m o s p a g o ed i m m e r s i c o m p l e t a m e n t e nella v a s e l l i n a f u s a c o n t e n u t a in u n pallone che ne è riempito per 2/3 ; indi il pallone si chiude a m e z z o d ' u n t a p p o 5 - GATTERMANN.

66

Analisi

organica,

II

di gomma impigliando i capi dello spago fra tappo e collo e si fa il vuoto nel pallone tenuto su bagno-maria, per mezzo d'una pompa a getto d'acqua. All'inizio i gas occlusi si liberano con forte schivcmeggiamento ; ogni tanto si toglie per breve tempo l'aspirazione e si continua a fare il vuoto fino a che salgono solo alcune bolle singole. Non si scaldi oltre una mezz'ora, giacché altrimenti il caucciù comincia a rigonfiare; dopo averli fatti sgocciolare ed asciugati dentro e fuori, gli spezzoni sono pronti per l'uso. Per collegare l'essiccatore col tubo di combustione s'introduce l'allunga di vetro nella foratura del tappo di gomma di cui è munito il tubo stesso in modo che la punta abbia a sporgerne esattamente. Per evitare che il tappo di caucciù s'incolli, il foro e la superficie esterna vanno spalmati di pochissima glicerina, allontanandone l'eccesso per strofinamento accurato con cotone. Il caricamento del tubo di combustione. N e l becco del t u b o pulito e secco s'introduce, a partire dall'estremità larga, u n filo di argento spesso mm i che da un lato sporga giusto dal becco e dall'altro sia arrotolato a spirale p i a t t a in modo che si fissi nel t u b o . Tale filo permette d'evitare, in v i r t ù della buona conduzione termica dell'argento, la condensazione dell'acqua nel becco. Ora con una bacc h e t t a di vetro dagli spigoli appena arrotondati alla fiamma si sospinge un batuffolo di lana d'argento fino al becco e lo si comprime moderatamente così da formare uno strato di c m 0,7. Indi s'introduce nel t u b o un batuffolino di amianto da crogioli di GOOCH, a r r o v e n t a t o di recente, e lo si spinge debolmente contro il batuffolo d'argento, così da formare uno strato di m m 2. A l l ' a m i a n t o segue uno s t r a t o di cm 1,5 di CuO fine, che dopo il termine del caricamento sarà ridotto nella corrente d'idrogeno (v. più sotto). Tenendo verticale il t u b o si assesta bene il C u O battendo lateralmente col palmo della mano contro il t u b o stesso. L o strato di C u O v a fissato in sito mediante un t a p p o d'amianto. Poiché sono inevitabili le oscillazioni nella velocità della combustione, v ' è il pericolo che si abbia un'improvvisa variazione della velocità della corrente gassosa e quindi possa aversi passaggio di vapori incombusti attraverso la carica del tubo. Per evitare tale inconveniente a questo punto della carica si dispone un « freno » cioè un t a p p o d'amianto che lascia passare solo quantità uguali di gas in tempi uguali. A tale uopo s'introduce dell'amianto arroventato a lunga fibra nel tubo, a tre porzioni; ogni volta si comprime debolmente colla bacchetta di v e t r o in modo da formare u n t a p p o lungo circa mm. 7 ; s'eviti una compressione eccessiva. Il freno deve opporre alla corrente gassosa una resistenza tale che con una sovrapressione d i 7-10 cm. di colonna d'acqua nel regolatore di pressione passino al

Caricamento

del tubo per C, H

67

minuto cm 3 10 di gas per la sezione; la quantità di gas passato si determina a mezzo del contabolle che a tale scopo si t a r a come detto appresso, in occasione dell'introduzione del tappo-freno. Siccome la resistenza di questo è notevolmente maggiore a caldo che non a freddo l'esame della permeabilità deve aver luogo avendo prima riscaldato la carica del tubo. Il tubo di combustione col freno si connette coll'apparecchio essiccatore, s'inserisce il riscaldamento elettrico, si regola il regolatore di pressione su d'una pressione di cm 5-7 circa di colonna d'acqua; non appena s'è arrivati all'equilibrio della temperatura, s'apre completamente il rubinetto a tre vie disposto pel passaggio dell'aria e coll'orologio alla mano si determina il numero di bolle che passano in 10 secondi. Indi il becco del tubo di combustione si connette colla bottiglia di M a r i o t t e e s'abbassa la leva fino a che s'ottiene lo stesso numero di bolle in 10 secondi. A questo punto si misura durante un minuto esatto l'acqua uscita dalla leva (tubo d'efflusso girevole) della bottiglia di Makiottk, servendosi all'uopo d'un cilindretto graduato. Dalla durata dell'esperienza e dal numero delle bolle passate si calcola la costante del contabolle. La permeabilità del tappo-freno si regola comprimendo con cautela e controllando ogni volta la frequenza delle bolle in modo tale che in un minuto passino per la sezione del tubo cm3 10 di gas; si preferisce se mai esagerare un po' il numero dei cm3 (fino a 12 al massimo), giacché la carica successiva al freno aumenta ancora un po' la resistenza. La taratura definitiva del contabolle si fa solo dopo avere terminato il caricamento del tubo. Al freno segue un tappo di cm 2 di lana d'argento che si preformerà opportunamente in un vecchio tubo di combustione, in modo che tale tappo si lasci introdurre solo superando un discreto attrito, ciò per evitare la compressione ulteriore del tappo-freno. Si fissa lo strato d'argento mediante un piccolo tappo d'amianto lasciato lasco ; poi girando costantemente il tubo e battendovi leggermente di lato s'introduce uno strato di cm 14 circa di CuO rivestito di P b C r 0 4 (s'eviti d'assestare fortemente !) fissandolo mediante un tappo di amianto lasco. Il CuO rivestito di PbCr0 4 s'ottiene a partire da CuO in granitura grossa, che si stende in istrato semplice su un pezzo di lamierino di ferro, s'arroventa dall'alto colla fiamma della soffieria fino a calore possibilmente chiaro e si sparge in istrato sottile del cromato di piombo in polvere fine; il cromato fonde immediatamente e riveste l'ossido di rame con uno strato fortemente aderente, facendo aderire insieme i granelli. Ora si volta il disco così formato e si tratta allo stesso modo anche il lato posteriore. Dopo raffreddamento la massa si schiaccia lievemente nel mortaio e la parte polverulenta nonché eventuali pezzi troppo grossi vengono allontanati per setacciamento. Dopo aver introdotto e fissato lo strato di Cu O + P b C r 0 4 a mezzo d'un tappo lasco d'amianto il tubo si pulisce molto a c c u r a t a -

68

Analisi

organica,

II

mente con un grosso batuffolo di cotone arrotolato (per es. in cima ad una bacchetta di vetro e simili), fino a che la polvere di cromato non tinge più il cotone. Allo strato di CuO e cromato segue allora altro strato di lana d'argento, lungo circa cm 1,5-2, indi un piccolo tappo in amianto tenuto lasco e per chiudere uno strato di cm 2,5 d'amianto platinato lasco o cm 3 di rotolino di reticella di platino. IyO strato d'argento introdotto per ultimo viene rinnovato dopo 5 combustioni consecutive di sostanze contenenti alogeni oppure zolfo. Il tubo così, caricato viene ancora una volta controllato riguardo alla permeabilità gassosa — come sopra descritto — e il contabolle si tara definitivamente. Dopo avere arroventato il tubo per tutta la sua lunghezza in corrente di aria secca od ossigeno secco, esso è pronto per essere usato nella combustione di sostanze esenti da azoto. L,a combustione di sostanze esenti da azoto si pratica preferibilmente in atmosfera d'ossigeno anziché d'aria. Per la combustione di sostanze contenenti invece azoto, lo strato di cm 5 di CuO viene ridotto in corrente d'idrogeno, come descritto a proposito della determinazione dell'azoto. Dopo la riduzione la carica del tubo viene arroventata per una mezz'ora in una debole corrente di azoto secco, si lascia raffreddare in atmosfera d'azoto e si sposta indi quest'ultimo mediante aria. L o strato di rame si torna a ridurre di bel nuovo, qualora se ne presenti l'opportunità, non prima d'avere fatto quattro determinazioni. Se trattato con cura, il tubo così preparato ha una durata d'efficienza di 100 e più analisi. Gli apparecchietti d'assorbimento ed il loro caricamento. Per assorbire l'acqua e l'anidride carbonica formatesi nella combustione s'usano apparecchietti d'assorbimento in vetro sottile Fig- 39con due tappi di vetro smerigliato che fungono anche da rubinetto (secondo B l u m e r - B e r g e r , v. fig. 39). I manicottini esterni devono corrispondere nel loro diametro esattamente fra di loro e col diametro del becco del tubo di combustione. Uno dei tappi smerigliati dell'apparecchietto destinato a ricevere il cloruro di calcio è trasformato in una « campanella d'acqua », in

Apparecchietti

d'assorbimento

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quanto che il fondo è munito d'un sottile foro nel quale s'introduce una sottile capillare di vetro, fissato per saldatura. L'apparecchietto a CaCl2 si pulisce e si secca; indi si comincia ad ingrassare lievemente la smerigliatura del tappo con della vasellina, lasciando liberi mm 2 dell'orlo superiore o rispettivamente liberandone altrettanto dal lubrificante con una pezzuola, affinchè nell'introduzione del tappo non s'abbia fuoriuscita della vasellina. S'ingrassi tanto che la smerigliatura sia appena trasparente; il tappo deve essere girevole solo con notevole .attrito, I,a vasellina in eccesso s'allontana dall'apertura del rubinetto (foro laterale del tappo) e dal manicotto laterale molto accuratamente mediante un po' di cotone. Sul tappo smerigliato si pone un batuffolino di cotone, vi si sovrappone cm 1 di cloruro di calcio in grani grossi, si fissa lo strato mediante batuffolo di cotone e battendo lievemente di lato sull'apparecchietto s'introduce del CaCl2 in grani grossi quanto il miglio, (« granelli piccoli ») preventivamente scaldato a 180-200° fino a poco sotto la smerigliatura. Dopo avere fissato questo strato mediante un batuffolo di cotone secco, nella smerigliatura accuratamente ripulita s'introduce il tappo ingrassato con vasellina come sopra; il cavo del tappo viene riempito con un batuffolo di cotone essiccato e lasco. Siccome il cloruro di calcio anidro contiene parti a reazione basica, esso prima dell'uso deve venire neutralizzato mediante anidride carbonica. A tal uopo il manicottino laterale che comunica colla « campanella d'acqua » si connette all'apparecchio di KIPP per l'intermediario d'un tubetto d'essiccamento, si f a passare per 10 minuti una forte corrente d'anidride carbonica e si lascia a riposo per mezz'ora, chiuso, sotto la pressione del Kipp. Dopo avere aspirato cm 3 200 d'aria secca attraverso l'apparecchietto a mezzo della bottiglia di MARIOTTE il tubo è pronto per l'uso.

Una carica è sufficiente per almeno 15 analisi ; la carica si rinnova opportunamente quando si rinnova quella del tubo ad amianto sodato. L'apparecchietto ad amianto sodato si carica cosi: dopo avere introdotto a regola d'arte il tappo smerigliato ingrassato come sopra ed averne riempito la cavità con del cotone lasco, si dispone sopra il tappo un batuffolo di cotone, quindi si riempie fino a 2 /3 con amianto sodato battendo lievemente di fianco col palmo della mano, si chiude lo strato mediante un batuffolino di cotone, s'introduce cm 0,5 di CaCl2 ordinario, non essiccato, si chiude nuovamente mediante un batuffolo lasco di cotone, indi si carica fino a poco sotto la smeriglia-



Analisi

organica,

II

tura del cloruro di calcio di granitura « miglio », essiccato a 180-200°; lo strato si chiude mediante un batuffolo di cotone essiccato e s'introduce il tappo smerigliato lubrificato con della vasellina. Il tubetto è senz'altro pronto all'uso. L,a carica è sufficiente per almeno 15 determinazioni. Man mano che l'amianto sodato assorbe C0 2 il colore grigio-sporco del mezzo assorbente si schiarisce sempre più e dal cambio di colore si deduce senz'altro se la carica è sufficiente ancora per la prossima determinazione oppure no. Quando l'amianto sodato è consumato tanto che ne resta solo 1 cm, si rinnova la carica. Siccome la tensione di vapore nell'atmosfera intorno all'amianto sodato è minore che non intorno al cloruro di calcio energicamente essiccato, fra questi due strati bisogna introdurre un altro di cloruro di calcio ordinario, non apposta essiccato. Gli apparecchietti vengono collegati fra di loro mediante un frammento, lungo cm 2, di tubo a lume stretto di gomma preventivamente imbibito di vasellina nel vuoto (v. pag. 65) ; essi vengono collegati al tubo di combustione mediante un tubetto similare di gomma, ma lungo cm 2. Si abbia cura di far combaciare il più possibilmente gli orli dei manicotti laterali, che saranno stati appositamente non troppo fusi alla fiamma, per evitare l'arrotondamento. Per rendersi indipendenti da eventuali differenze nel diametro dei tubi, gli spezzoni di gomma si segneranno opportunamente con una freccia rivolta nel senso della corrente gassosa e si monteranno sempre in questa direzione. Affinchè il caucciù scivoli meglio esso si lubrifica internamente con un po' di glicerina facendo passare per il foro un batuffolino di cotone bagnato d'una quantità minima di glicerina; è indispensabile allontanare qualunque eccesso di glicerina facendo passare per il foro un po' di cotone secco. L a bottiglia di M a r i o t t e . Siccome gli apparecchietti d'assorbimento, fittamente caricati, oppongono alla corrente gassosa una resistenza di vari cm. di colonna d'acqua, attaccandoli da soli deve aversi necessariamente una zona di pressione al punto di congiunzione fra becco del tubo e tubetto a cloruro di calcio; ma ciò pregiudica fortemente la captazione quantitativa dei prodotti della combustione, giacché essendo essi fortemente concentrati in questo punto è aumentata la possibilità che si abbiano perdite verso l'esterno. L a più efficace misura preventiva consiste nello stabilire nell'interno della congiunzione una pressione possibilmente vicina all'atmosferica. Questo si ottiene a mezzo della bottiglia di MARIOTTE che permette di stabilire una determinata depressione, facilmente regolabile, negli apparecchietti d'assorbimento. Dalla fig. 3 7 si comprende senz'altro il funzionamento della bottiglia di

Esecuzione

della

combustione

(C,

H)

71

Mariotte. Il tubo girevole a leva si fissa nel manicotto inferiore del bottiglione a mezzo d'un tappo di sughero (non di gomma) ; così il tubo stesso si può disporre in qualunque posizione. Il tubo d'adduzione superiore è piegato due volte a squadra ed è munito d'un rubinetto in vetro che permette di interrompere la comunicazione fra la bottiglia ed il resto dell'apparecchio, senza cambiare la posizione del tubo girevole una volta che tale posizione sia stata fissata.

U n tubo di gomma comune collega il tubo superiore con un tubo

a cloruro di calcio e due tubetti d'entrata ed uscita, piegati a squadra. Durante l'analisi il tubo a CaCl 2 viene connesso direttamente coll'apparecchietto ad amianto sodato, ma quando non è usato, esso tubo viene chiuso con un cappuccio di gomma con pinza.

b) Esecuzione della combustione. La pesata. I,a maggiore difficoltà da superare nella pesata degli apparecchietti d'assorbimento consiste nell'evitare quegli errori che sono causati dalla particolare qualità della pellicola acquosa che ricopre la superficie del vetro e che varia molto fortemente col variare delle circostanze esterne. Per evitare tali errori gli apparecchietti devono essere trattati in maniera assolutamente identica sia prima che dopo l'analisi e devono essere pesati dopo tempi assolutamente uguali, giacché la differenza di peso è definita con esattezza soltanto in queste « condizioni corrispondenti ». Il tubetto ad amianto sodato caricato a regola d'arte si pulisce c o n cura da tutte le parti prima con un paio di pezzuole di flanella, debolmente inumidite, indi con altro paio di pezzuole di pelle di daino, facendo scivolare le pezzuole dal centro verso gli estremi con dolce pressione e movimento rotatorio; si deve evitare di strofinare eccessivamente, specie se sotto forte pressione delle mani. I tubetti di collegamento vengono puliti con un batuffolino di cotone pulito avvolto intorno ad un filo metallico e che stia giusto nel lume dei tubicini stessi; l'operatore si guardi bene d'avvicinarsi troppo alla smerigliatura, chè altrimenti si può asportare facilmente un po' di vasellina. Infine gli apparecchietti d'assorbimento vengono ripuliti ancora una volta con un paio di pezzuole di pelle di daino asciutte che devono scivolare leggere e senza alcun impedimento sulla superficie del vetro. A questo punto l'apparecchietto, senza più essere toccato colle mani, viene collocato immediatamente accanto alla bilancia, su un sostegno per portapenne od un supporto qualsiasi in fili metallici piegati. Si prenda nota dell'ora esatta del collocamento. I/apparecchietto a CaCl 2 viene preparato per la pesata in modo identico.

72

Analisi

organica,

II

Mentre gli apparecchietti prendono la temperatura della bilancia, è opportuno procedere alla pesata della sostanza. Ora si passa a determinare lo zero della bilancia. Indi si prende mediante la pezzuola di daino (non colle mani !) l'apparecchietto ad amianto sodato, s'apre brevemente il rubinetto per stabilire uguaglianza di pressione e coll'ausilio d'una piccola forcella in alluminio (fig. 40) si dispone l'apparecchietto in una staffa di fili metallici, su cui esso riposa appoggiato in due punti. Il tutto (staffa e tubetto) si pone sul piatto di sinistra della bilancia. Ora si porta sulla bilancia la tara (per quest'ultima si devono usare sempre i medesimi pesi) e 10 minuti dopo aver pulito i tubetti se ne determina il peso approssimativo: si devono disporre le cose in modo che ponendo sul piatto della bilancia dei pesi da centigrammi Fig. 40. il cavalierino venga a cadere possibilmente all'inizio della graduazione del giogo. Al 15. minuto si determina il peso esatto. Immediatamente dopo si determina all'istesso mòdo anche il peso del tubetto a CaCl 2 . Terminata la combustione gli apparecchietti d'assorbimento si pesano dopo un trattamento preliminare identico a quello sopra descritto e dopo lo stesso tempo. Se al 15. minuto s'è determinato il peso esatto, s'aggiungono rapidamente i pesini da centigrammi corrispondenti all'aumento di peso, si dispone il cavalierino alla t a c c a corrispondente, all'inizio del giogo e si controlla ancora una volta l'oscillazione dell'indice che ora a causa della deviazione dei pesini sarà un po' differente dalle indicazioni del cavalierino. Con ciò s'ottiene di poter eseguire la pesata dopo la combustione successiva col solo cavalierino senza ricorrere ad un pesino supplementare che prima bisognerebbe tarare L a sostanza si pesa in una navicella di platino aperta ; le sostanze igroscopiche vengono pesate in un pesafiltri a piedini chiuso. I,a navicella di platino si pulisce bollendola in acido nitrico diluito entro una provetta, calcinandola in una fiamma Bunsen incolora (sospesa ad un filo di platino) e per raffreddarla si pone su un blocco di rame nichelato per circa 20 secondi. I,a navicella vuota si porta con una pinza sul piatto della bilancia e si pesa con cura con l'approssimazione di 0,01 mg. Dopo avere messo la sostanza sulla navicella (al quale fine la navicella stessa si pone su un foglio di carta pulita) quest'ultima viene pulita esternamente

Combustione

(C, H)

73

con una fine pennellessa di pelo e si determina l'aumento di peso colla precisione di 0,01 mg. Per le determinazioni di C ed H si pesano mg 20-30 di sostanza. Dopo la pesata la navicella si ripone sul blocco di rame e si ricopre quest'ultimo con un vetrino da orologio. La combustione vera e propria. Opportunamente si sarà inserita la corrente nella stufa elettrica ancora durante il raffreddamento degli apparecchietti d'assorbimento, facendo intanto passare per il tubo l'aria colla stessa velocità usata per l'analisi f1). Se il tubo non era stato essiccato preventivamente o se esso era stato a lungo in riposo senza essere adoperato, prima di iniziare una nuova serie di analisi si scalda la porzione vuota del tubo in corrente d'aria per breve tempo con un becco Bunsen, dopo che la stufa ha raggiunta la propria temperatura; s'usa il rotolino di rete metallica, incominciando dalla parte del tappo di gomma che si protegge accuratamente con scheimo d'amianto. Quando col becco Bunsen si è arrivati al forno elettrico, s'allontana la fiamma e si rimette il rotolino di rete metallica alla fine del tubo affinchè la porzione di tubo vicina al forno elettrico possa raffreddarsi per ricevere la navicella colla sostanza. Dopo avere pesato gli apparecchietti d'assorbimento, s'infila il tubetto di collegamento, in gomma e della lunghezza di cm 1,5, sul manicotto del tubo a CaCl2 che conduce alla « campanella d'acqua ». L'altra estremità del tubo si collega con un tubetto di caucciù da cm 2 col manicotto del tubo ad amianto sodato (quello che comunica direttamente colla carica di amianto sodato, vedi fig. 39) e si fa in modo che le estremità dei due manicotti coincidano il più possibilmente ; si fissano gli apparecchietti così riuniti sul loro sostegno. Ora coll'orologio alla mano si controlla rapidamente la frequenza delle bolle facendo passare la corrente d'aria durante 10 sec. e se occorre si sposta la posizione del regolatore di pressione, in modo da avere una velocità di corrente corrispondente a cm3 9-10 d'aria (risp. ossigeno) al minuto primo; il che si può stabilire in base al numero di bolle passate per il contabolle tarato. Se il contabolle non funziona, il motivo spesso è da ricercarsi nel fatto che la soluzione alcalina dopo un uso prolungato s'è concentrata; si aggiunge t1) In quest'occasione s'osserva durante il primo periodo di riscaldamento che la frequenza delle bolle diminuisce notevolmente nel contabolle senza che il regolatore della pressione cambi di posizione, giacché il tappo-freno impedisce che si stabilisca subito un equilibrio di pressione quando questa aumenta per effetto dell'aumento di temperatura. Ogni aumento di pressione nel tubo ha quindi per effetto di far diminuire la frequenza delle bolle, ciò che facilita assai il controllo esatto del processo di combustione durante l'andamento dell'analisi. (N. d. A.).

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Analisi

organica.

II

allora della soluzione fresca (eventualmente più diluita), ma allora occorre ritarare di nuovo il contabolle; un'altra fonte d'errori consiste nella cementazione del cloruro di calcio che si trova nell'apparecchio d'essiccamento e risp. nel tubo essiccatore montato vicino al gasometro a campana. La risalita della soluzione alcalina dal contabolle nel tubo di caucciù che arriva al rubinetto a tre vie deve essere evitata nel modo più rigoroso. A questo punto il t u b o a cloruro di calcio si connette, avvicinandolo al massimo, col becco del t u b o di combustione e l'apparecchietto ad amianto sodato si connette col t u b e t t o a CaCl a della bottiglia di MARIOTTE. Indi si toglie il t a p p o di caucciù dal t u b o di combustione, si sposta all'indietro il sostegno coll'apparecchio essiccatore per avere dello spazio libero, si solleva il blocco di rame colla navicella che v i si t r o v a fino all'imboccatura del tubo, si fa entrare con una pinza la navicella nel tubo, poi la si sospinge con una b a c c h e t t a di vetro adatta, senza farla capovolgere, fino a cm 5 circa dal forno elettrico, s'infila il t a p p o di caucciù (eventualmente lubrificato con un velo di glicerina) lascamente nel t u b o e con leggera pressione s'infila il t u b e t t o di congiunzione dell'apparecchio d'essiccamento nel foro del t a p p o in modo che la punta ne sporga appena nell'interno del tubo. L'introduzione della sostanza deve aver luogo nel modo più rapido, possibile, affinchè l'umidità atmosferica esterna non abbia a penetrare nel tubo. Ora s'aprono i rubinetti degli apparecchietti d'assorbimento e quello della bottiglia di MARIOTTE e ci si assicura che il contabolle indica ancora la frequenza di bolle come determinato in precedenza. U n a deviazione di 1-2 unità dal numero di bolle precedentemente misurato non disturba. Se occorre, si p u ò ristabilire la frequenza di prima alzando od abbassando il t u b o d'efflusso della bottiglia di MARIOTTE. L ' a c q u a che durante l'analisi fuoriesce dalla bottiglia stessa si raccoglie in un cilindro graduato da J/2 litro. P o i la staffa in filo di rame che trasmette il calore irraggiato dal forno elettrico, si pone sul becco del t u b o a combustione e sul manicotto dell'apparecchietto a CaCl 2 in modo che il metallo tocchi il vetro ; così s ' e v i t a sicuramente la condensazione dell'acqua negli organi di collegamento. E d ora finalmente si procede alla combustione. S ' a b b i a cura a che il gasometro a campana durante l'analisi rimanga sempre pieno d'aria (risp. d'ossigeno) in modo che ne esca una bolla ogni 10-15 secondi. N o n appena la porzione di t u b o nell'interno del forno elettrico è arriv a t a al calor rosso s'avanza il rotolino di tela metallica lungo c m 5 in modo che coll'orlo anteriore arrivi fin quasi alla navicella, e la

Combustione

(C,

H)

75

fiamma del becco Bunsen piena ed incolore si pone sotto l'estremità posteriore del rotolino stesso. A causa del riscaldamento la frequenza delle bolle inizialmente diminuisce ma poi tosto riprende. In generale la sostanza trovantesi all'estremità posteriore della navicella incomincerà a fondere o distillare o anche a sublimare dopo pochi minuti. L'operatore s'attenga alla seguente regola fondamentale: Si faccia avanzare il rotolino di rete metallica e il becco Bunsen soltanto quando sono completamente finite tutte le alterazioni che subisce la sostanza. Solo allora si fa avanzare circa ogni 2 minuti il rotolino di circa 2-3 mm per volta e si segue col becco Bunsen in modo che quest'ultimo si trovi sempre all'estremità posteriore del rotolino stesso. Intanto la frequenza nel contabolle diminuisce transitoriamente; si regoli l'avanzamento in modo tale che il numero delle bolle diminuisca il meno possibile affinchè s'abbia sempre un eccesso d'ossigeno. S'avanza soltanto dopo che s'è ristabilita la frequenza primitiva nel contabolle. Oltre al comportamento della sostanza devesi quindi osservare continuamente anche il contabolle. S'eviti d'avanzare troppo rapidamente, giacché altrimenti si ha il ritorno dei vapori nel tubo, e in nessun caso il contabolle deve arrivare a fermarsi o addirittura alla risalita del liquido. Nella maggioranza dei casi sul fondo del tubo si forma immediatamente davanti alla navicella di platino una grossa goccia di liquido, per condensazione; ciò facilita notevolmente l'esecuzione perfetta della combustione, giacché gli effetti della regolazione della temperatura si possono osservare molto bene nelle alterazioni della goccia stessa. T u t t a l'arte della combustione si riduce allora ad evaporare lentamente e pazientemente la goccia; non si dimentichi che la conduzione del calore diventa molto superiore quando colla fiamma ci si avvicina alla navicella di platino; bisogna perciò rallentare opportunamente l'avanzamento. Quando le ultime porzioni del liquido sono evaporate il t u b o si scalda nel punto corrispondente alla navicella mediante la sola fiamma senza rete metallica, fino a che tubo e navicella cominciano giusto ad arroventarsi; allo stesso modo, procedendo rapidamente si scalda la rimanente porzione di tubo fino al forno elettrico a calor rosso scuro; il carbonio depositato nella decomposizione della sostanza di solito si può bruciare rapidamente ; se occorre, la fiamma si può dirigere contro il t u b o anche dall'alto. Se nella decomposizione della sostanza si forma un deposito carbonioso fortemente aderente al tubo e difficilmente combustibile, talvolta basta un piccolo artifizio consistente nel lasciar raffreddare transitoriamente il carbonio

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Analisi

organica,

II

stesso, cosi da fargli assorbire dell'ossigeno, e farlo riscaldare nuovamente: allora esso brucia con rapidità, specie se dopo aver fatto evaporare le porzioni liquide, al posto dell'aria s'inserisce una corrente d'ossigeno della stessa velocità (stèssa frequenza di bolle). Ma ciò potrà essere necessario solo per croste carboniose molto difficilmente combustibili. Se per la combustione s'è usato dell'ossigeno, dopo la combustione totale del carbonio sarà bene ri-inserire la corrente d'aria, allo scopo di proteggere lo strato di rame ridotto. Spesso durante la combustione s'osserva un discreto aumento della frequenza delle bolle nel contabolle; il motivo ne risale al fatto che pel vivace assorbimento dell'anidride carbonica nell'apparecchietto ad amianto sodato, si forma una certa depressione nell'apparecchio; contemporaneamente diminuisce o cessa addirittura lo sgocciolamento della bottiglia di MARIOTTE. Questo fenomeno non ha importanza. Sussiste bensì il pericolo che se la tenuta non è perfetta, al becco del tubo di combustione si possa aspirare dell'aria esterna; ma le alterazioni che ne conseguono non hanno un'influenza sensibile sul risultato della determinazione, data la breve durata del fenomeno. Naturalmente finché dura il fenomeno stesso, non si deve regolare la velocità di sgocciolàmento della bottiglia di MARIOTTE; dopo breve tempo si ristabilisce la primitiva velocità.

Quando si è arrivati colla fiamma Bunsen fino al forno elettrico il che richiede in generale 15 a 20 minuti, solo nel caso di sostanze assai difficilmente combustibili 30 minuti al massimo, si riporta il rotolino e la fiamma Bunsen all'estremità del tubo e si sposta il forno elettrico all'indietro tanto che lo strato di rame ridotto sporga per la maggior parte dal forno ; con ciò s'ottiene che questo strato ridotto venga conservato per le successive analisi. A partire da questo istante si fanno passare altri cm3 180 d'aria attraverso il tubo, per completare il trasporto dei prodotti della combustione negli apparecchietti d'assorbimento. Durante il passaggio dell'aria s'arroventa ancora brevemente a fondo la parte vuota del tubo, cominciando a cm 1 dal tappo di gomma e servendosi del becco e del rotolino di rete metallica. Quando sono usciti cm3 150 d'acqua si stacca la corrente dal forno elettrico; dopo avere terminato il passaggio dell'aria si chiude il rubinetto della bottiglia di MARIOTTE, indi quelli degli apparecchietti d'assorbimento, si distaccano questi dal tubo di combustione e si lascia raffreddare quest'ultimo, chiuso con uri cappuccio di gomma munito di pinza, sempre sotto la pressione del gasometro ad aria, in modo che sia immediatamente pronto all'uso in occasione della successiva analisi. Dopo un opportuno trattamento preliminare (v. sotto) gli apparecchietti d'assorbimento passano alla pesatura.

Pesata

dei liquidi

e degli

apparecchietti

77

Sostanze liquide. Si pesano in un pesafiltri di vetro Supremax (J) lungo circa cm 4 e munito all'estremità aperta di due peduncoli in vetro, nonché d'un tappo smerigliato. All'estremità chiusa è saldato un gancetto in vetro al quale s'aggancia un filo metallico ripiegato ad uncino per poter muovere avanti ed indietro l'apparecchietto nell'interno del tubo di combustione. Nel tubicino pulito in precedenza si fa cadere un cristallino di clorato potassico che si scalda appena fino a fusione sopra una fiammella e poscia si lascia solidificare. Dopo raffreddamento il tubicino cosi preparato si pesa in un sostegnino di fili metallici appropriato colla precisione di mg 0,01 ; indi da una fine capillare si fanno entrare nel tubicino mg 20-30 del liquido da analizzarsi. Le sostanze facilmente volatili si pesano nel pesafiltri chiuso col suo tappo a smeriglio. Per la combustione il pesafiltri caricato e pesato si fa entrare nel tubo di combustione coli'apertura rivolta verso la carica del tubo finché si trova a circa 7-9 cm di distanza dal forno elettrico. Se la pesata si è fatta col tappo, vale a dire a pesafiltri chiuso, il tappo s'apre un momento immediatamente prima dell'introduzione del pesafiltri stesso e insieme a quest'ultimo s'infila jiel tubo di combustione. Anche al tappo è saldato un uncino in vetro. Nella combustione di liquidi, data la loro maggiore volatilità, in generale il riscaldamento si farà con maggiore precauzione che non nel caso sopra descritto delle sostanze solide. Pesata degli apparecchietti d'assorbimento. La pesata avviene esattamente come descritto a pag. 71, coi medesimi preparativi ed allo stesso modo. Durante il raffreddamento la navicella s'estrae dal tubo a mezzo d'un filo di platino ripiegato ad uncino, s'arroventa brevemente nella fiamma Bunsen incolore e dopo averla lasciata raffreddare sul blocco di rame vi si pesa la sostanza per la successiva analisi. Non si ometta, dopo aver determinato definitivamente il peso degli apparecchietti d'assorbimento, di aggiungere alla tara i pesini da centigrammi, corrispondenti all'aumento di peso e dopo avere spostato il cavalierino nella tacca corrispondente, al principio, del giogo si stermini l'escursione dell'indice per la nuova tara. (L) A . FRIEDRICH, Angew.

Chemie, 45, 477 (1932).

78

Analisi

organica,

II

Il calcolo dell'analisi. La percentuale in C ed H si può calcolare in base alle seguenti formole: 0/ £ 0

=

0/ j j _ 0

CO,t trovata peso sostanza

.

H 2, 0 trovata peso sostanza

.

300 11

**

201,6 ' 18,016

Il calcolo si esegue servendosi delle tabelle logaritmiche del Il limite degli errori è per C = ± 0,3 %, per H = + 0 , 2 % e — 0 , 1 %. I,e determinazioni buone danno circa 0,1 % di C in meno e 0,1 % di H. in più. KÌÌSTER.

III. - L A D E T E R M I N A Z I O N E D E G L I A L O G E N I , DELLO ZOLFO E D'ALTRI ELEMENTI Se una sostanza contiene, oltre carbonio, idrogeno, ossigeno ed azoto anche altri elementi, per determinare questi ultimi la sostanza stessa si brucia o riscaldandola con acido nitrico fumante rosso (per vapori nitrosi) in tubo saldato alla fiamma secondo C A R I U S , oppure in corrente d'ossigeno con catalizzatore di platino, secondo D E N N S T E D T . Gli alogeni si determinano come alogenuri d'argento, lo iodio opportunamente anche come acido iodico, lo zolfo come solfato di bario, il fosforo come pirofosfato di magnesio. I. - Determinazione degli alogeni secondo Carius. Per tale determinazione occorrono: Tubi da saldare in vetro di Jena difficilmente fusibile (lunghezza: diametro interno: cm 2,5; spessore delle pareti: mm 1,2) ('). Acido nitrico fumante rosso (D = 1,5). Nitrato d'argento solido. Tubicini da filtrazione con setto filtrante in vetro di Jena poroso. Alcool esente da alogeni ed acqua acidulata per H N O s (1 : 100).

cm 3 5 ;

Caricamento del tubo Carius. Il tubo Carius si lava anzitutto con miscela solfo-cromica, si sciacqua con acqua e si secca aspirandone l'aria mediante la pompa a getto d'acqua e scaldandolo blandamente. (') I tubi possono essere usati più (3 o 4) volte. (N. d. A.).

Determinazione degli alogeni secondo CARIUS

79

La sostanza si pesa in un tubicino da pesata munito di manico lungo circa cm 8-10 (v. fig. 41) che ci si può preparare da sè con tubo di vetro adatto; per la pesata lo si pone su un sostegnino in fili metallici. Dopo avere stabilito il peso approssimativo del tubicino, per la determinazione degli alogeni si pesano da 20 a 30 milligrammi di sostanza colla precisione di mg 0,01, s'introduce il tubicino nel tubo Carius tenuto orizzontalmente, il più profondamente possibile, si fa scivolare la sostanza nel tubo Carius tenuto ora Fig. 41. verticalmente, si riporta il tubicino da pesata con precauzione sulla bilancia e per successiva pesata si determina con precisione il peso della sostanza prelevata per l'analisi. S'aggiungono alla sostanza, a seconda della quantità pesatane, da 60 a 90 mg di AgN0 3 finemente polverizzato (preferibilmente circa 1 y2 volte la quantità di AgN0 3 corrispondente alla quantità presumibilmente presente d'alogeno) e se la sostanza è di quelle che a freddo reagiscono soltanto lentamente coll'acido nitrico, s'aggiungono anche cm3 1-1% d'acido nitrico fumante rosso direttamente. Se la sostanza reagisce invece con vivacità, già a freddo, coll'acido nitrico, quest'ultimo si pone in un tubicino lungo circa cm 6 e di lume interno cm 0,8 a fondo sferico; tale tubetto si fa scivolare con precauzione fino sul fondo del tubo Carius tenuto molto debolmente inclinato, evitando assolutamente che la sostanza venga anzitempo a contatto dell'acido. C h i u s u r a del tubo o*>»- s a l d a t u r a alla fiamma. Per lavorare alla fiamma il vetro di Jena difficilmente fusibile, alla conduttura dell'aria compressa della soffieria s'innesta anche il tubo d'una bombola d'ossigeno. Il tubo Carius s'impugna al centro colla mano sinistra, tenendolo possibilmente inclinato, ma avendo cura che l'acido non arrivi dal suo tubetto alla sostanza e si scalda l'estremità aperta del tubo alla fiamma inizialmente luminosa, poi incolore della soffieria, girando costanti mente il tubo (intorno al suo asse longitudinale) e infine s'immette nell'aria compressa anche un po' d'ossigeno sicché il vetro comincia a rammollire. Ora si fonde in punta una bacchetta di vetro, la si salda ad un punto della parete interna del tubo Carius, poi si tira la bacchetta fino alla parte opposta della parete, la si lascia aderire anche qui, infine la si porta in una posizione tale che si trovi sull'asse del tubo. A questo punto il tubo stesso si scalda un po' più sotto, là dove è ancora cilindrico, prima colla fiamma incolore (ma scarso accesso d'aria nel becco) e poi con aggiunta d'ossigeno nell'aria compressa, finché il vetro è rammollito. Girando continuamente e comprimendo molto debolmente si riunisce il vetro in questo punto; quando le pareti sono parecchio ingrossate, il tubo si toglie

8o

Analisi

organica,

III

dalla fiamma e s'estrae in una capillare a pareti spesse che si fonde fino a chiusura con lina fiammella puntiforme alimentata ad ossigeno. La capillare si lascia raffreddare nell'interno d'ima fiamma luminosa e dopo raffreddamento il tubo s'introduce in una canna di ferro che lo protegge, in modo tale che la capillare ne sporga per qualche centimetro; occorrendo, sul fondo della canna di ferro si dispone della sabbia in quantità opportuna. Fintantoché il tubo Carius è chiuso, non lo si deve nè estrarre dalla custodia di ferro nè allontanare dalla stanza ove trovasi il forno. Riscaldamento del tubo, L a custodia di ferro contenente il tubo Carius viene posto in un apposito forno blindato in modo tale che la capillare, un po' sopraelevata, sia rivolta verso quella parete della stanza che è provvista di paraschegge. Si chiude il forno: si possono riscaldare più tubi contemporaneamente. S'accendono tutte le fiamme e regolando il rubinetto principale la temperatura si porta man mano all'altezza voluta. Questa temperatura per gli alogenoderivati alifatici (e per molti composti solforati) è di circa 250° C, per gli alogenoderivati aromatici (e gli acidi solfonici) arriva a 300°. La maggior parte delle sostanze è completamente ossidata dopo un riscaldamento di 3-4 ore; in caso di prodotti aromatici il riscaldamento si prolunga per varie ore ancora. Apertura e scaricamento del tubo Carius. Dopo raffreddamento completo del forno s'estrae la custodia di ferro, si scaccia il liquido eventualmente presente nella capillare con una fiammella luminosa e la capillare si porta in una fiamma di lampada da saldatori (soffieria) alimentata con forte eccesso d'aria (usare occhiali di protezione !). L a capillare rammollisce, i gas trovantisi sotto pressione nell'interno prima rigonfiano poi fanno scoppiare il vetro rammollito, e quando sono sfiatati dal tubo, s'estrae questo dalla custodia di ferro e ci si assicura che la sostanza abbia reagito completamente ; altrimenti si richiude il tubo e si ripone nel forno per riscaldarlo di nuovo. Se la sostanza ha reagito completamente, si stacca la parte superiore del tubo nel seguente modo : si comincia col chiudere di nuovo la capillare, poi poco più sotto, dove esso è ancora cilindrico, si dirige una fiamma puntiforme alimentata ad ossigeno contro il tubo in modo da farlo rigonfiare in questo punto. Ora sempre colla fiamma come sopra ricca d'ossigeno si scalda il vetro accanto al primitivo rigonfiamento e quando esso vetro è molle, con una bacchetta di vetro

Determinazione

degli alogeni secondo CARIUS

81

lo si asporta lateralmente, così da generare un largo spacco trasversale che si allarga di lato in modo che giri per 2/3 intorno al tubo. Dopo avere rammollito alla fiamma anche l'ultima parte rimasta, l'ogiva di vetro rimasta si tira via in senso laterale: con ciò si ha anche il vantaggio che si forma nel contempo un beccuccio d'efflusso. Il tubo si pulisce anzitutto esternamente e il suo contenuto si diluisce cautamente con circa cm 3 10 d'acqua. Il tubetto galleggiante sulla superficie e che ha servito per accogliere l'acido nitrico si prende colle pinzette a punta d'osso, si svuota in un bicchiere a fondo sferico (lungh. cm 15, diametro cm 3-3,5) e si sciacqua con acqua distillata. Indi il contenuto del tubo Carius si trasporta quantitativamente nello stesso bicchiere, risciacquando più volte, dopo avere in precedenza schiacciato l'alogenuro d'argento, per quanto possibile, con una bacchetta di vetro. I,e porzioni d'alogenuro d'argento che aderissero tenacemente alle pareti si tolgono colla bacchetta di vetro, infine si sciacqua ancora con poco alcool (esente da alogeni) e poca acqua. Filtrazione ed essiccamento dell'alogenuro d'argento. Il precipitato raccolto nel bicchiere si scalda anzitutto su bagnomaria bollente. Nel caso dell'ioduro (e bromuro) d'argento si scalda per 2 ore, giacché lo Agì forma con AgN0 3 un composto solido che viene decomposto solo lentamente dall'acqua. Inoltre sempre per le determinazioni dello iodio si deve ridurre lo AgIOp formatosi nella reazione, aggiungendo soluzione pura d'acido solforoso. Per filtrare i precipitati d'alogenuro d'argento ci si serve d'un imbutino con setto in vetro poroso (v. fig. 42). Sul setto si dispone una sospensione in acqua di finissimo amianto per crogiuoli di GOOCH, in quantità tale che dopo averne aspirato l'acqua rimanga uno strato compatto di mm 2-3. Prima di usare l'imbutino si fa passare, aspirando colla pompa, un po' di AgCl precipitato a parte di recente a freddo ; non appena il filtrato passa limpido, l'imbuto è pronto per l'uso. Prima di filtrare, l'imbuto filtrante si sciacqua con acqua, si riempie di alcool al 9 6 % che s'aspira lentamente colla pompa se ne collega il collo colla pompa aspirante e si essicca l'imbuto ponendolo per 10 minuti sul blocco di rame scaldato a 130-140° ed aspirandovi ima debole corrente d'aria. Per prevenire che il pulviscolo dell'aria si depositi sullo, strato filtrante, un tubicino corto munito di manico si riempie di cotone bene compresso, s'infila nel foro d'un tappo di sughero senza pori e pulito; tappo e tubicino s'infilano nella parte larga dell'imbutino. 6 - GATTERMANN.

82

Analisi

organica,

III

Quest'ultimo, ben essiccato, si pulisce nel modo descritto a proposito del trattamento degli apparecchietti d'assorbimento (vedi a pag. 71) e 15 minuti dopo il collocamento presso la bilancia si pesa con esattezza, tenuto conto dello zero dello strumento. Il precipitato d'alogenuro d'argento viene trasferito sullo strato filtrante dell'imbutino a mezzo d'un sifone accuratamente ripulito in precedenza e sovrapposto all'imbutino a mezzo di tappo di gomma forato. Il sifone s'affonda fin sul fondo del bicchiere e il precipitato viene aspirato con velocità moderata (circa 2 gocce al secondo) ; passato il liquido si sciacqua con poco alcool e quando è passato anche questo, con poca acqua acidulata per HNO;i (1:100). Se del caso, si ripete lo sciacquamento alternatamente con alcool ed acqua acidulata, entrambi in piccola quantità ; alla fine si sciacqua con alcool l'estremità del sifone che entra nell'imbuto filtrante, si riempie l'imbuto stesso d'alcool fino all'orlo, s'aspira tutto l'alcool. Ciò fatto, il collo dell'imbuto, staccato dal matraccio, si connette direttamente colla pompa aspirante e l'imbuto si secca per 10 minuti nel blocco di rame a 130-140 0 ; dopo altri 15 minuti si pesa. Il metodo di CARIUS è sicuro, ma richiede molto tempo. È opportuno invece determinare lo iodio secondo LEIPERT (pag. 86) e CI, Br secondo il procedimento descritto in appresso.

2. - Determinazione argentometrica di GÌ e di Br mediante indicatori d'adsorbimento. I,a sostanza si brucia in un tubo riempito di perline di vetro, in corrente d'ossigeno e in presenza di Pt come catalizzatore. I gas combusti vengono aspirati ed assorbiti in una massa di perline di vetro esistente nella parte anteriore del tubo e bagnata d'una soluzione di perossido d'idrogeno al 5%. Poiché il liquido assorbente è suddiviso su una grande superficie l'assorbimento è rapido e completo; l'alogeno presente sotto forma elementare viene ridotto ad alogeno-ione per mezzo dell'H202. Dopo avere sciacquato il tubo si determina l'ione alogenico in soluzione secondo il metodo di K. F A J A N S ( j ) per titolaf 1 ) K . FAJANS e H. WOLFF, Zeits. für anorg. Chemie, 137, 221 (1924) ; vedi I . M. KOLTHOFF, Zeits. für analyt. Chemie, 7 0 , 369 (1927); 71, 235 (1927); Journ. Amer. Society, 51, 3 2 7 3 (1929) ; B . BOBRANSKI, Zeits. anal. Chemie, 84, 225 (1931) ; F . HOELSCHER, Zeits. anal. Chemiey 9 6 , 308 (1934).

Determinazione

argentometrica

di CI e Br

83

zione diretta con soluzione neutra di AgNOs ricorrendo ad indicatori costituiti da coloranti organici (« indicatori d'adsorbimento »). Per eseguire la determinazione occorrono: Un tubo di combustione a perline, in vetro Supremax (lungh. cm 60-70, lume interno cm 0,9, spessore della parete cm 0,1: la parte anteriore è allungata a becco e termina con un tubetto a pareti spesse lungo cm 1-2 e di diametro interno = mm 1. L a porzione di tubo annessa al becco è riempita per cm 28-30 di lunghezza con frammenti lunghi mm 2-3 di bacchetta di vetro di Jena, spesso mm 2, lo strato di frammenti o « perline » viene trattenuto in sito mediante una spirale in vetro duro saldata alla parete del tubo). 3 catalizzatori in reticella di platino, lunghi cm 5. Perossido d'idrogeno al 3 0 % (100 volumi), esente da acidi. Soluzione di AgNO a N/50, neutra. Soluzione allo 0,01% di dicloro-fluoresceina in alcool al 60% (indicatore per la determinazione di CI'). Soluzione acquosa allo 0,01% di eosinato sodico (indicatore per la determinazione di Br').

Caricamento del tubo a perline. Il tubo si pulisce accuratamente, poi si pone in esso un bocchino riempito di cotone e s'aspira nel tubo una soluzione al 5 % di H 2 0 2 (che si prepara di fresco ogni qual volta s'inizia una nuova serie d'analisi, a partire da perossido d'idrogeno al 30 %) fino a riempire tutta la parte di tubo piena di perline, tanto che il liquido arrivi a bagnare la spirale di vetro; quindi il liquido assorbente si lascia sgocciolare di nuovo. Cm3 2-3 di liquido sono completamente sufficienti per bagnare le perline. Sulla parte riempita di perline s'infila una provetta pulita e si pone il tubo sul sostegno di combustione. Ora s'introducono i catalizzatori di platino preventivamente bolliti in HN0 3 dil. (1 : 1) e fortemente calcinati, in modo che quello più avanzato arrivi coli'estremità anteriore a cm 6 circa dalla spirale di vetro duro e fra i catalizzatori rimanga uno spazio libero di circa cm 2. Il tubo a perline si pone sul sostegno di combustione in modo che ne sporgano la parte carica a perline e inoltre ancora cm 5 di tratto vuoto. I^a parte di tubo sporgente viene appoggiata su d'un sostegno a forcella; per protezione termica s'infila sul tubo uno schermo d'amianto appoggiato alla parete del forno. Indi sulla parte di tubo che contiene i catalizzatori si sovrappone un rotolo in reticella metallica, lungo cm 20, sotto si dispone un becco a gas a fiamma allungata e sopra, un « tetto » in rete metallica come protezione termica; infine s'infila ancora sul tubo un

84

Analisi organica,

III

rotolo di reticella metallica, lungo cm 5, da usarsi colla fiamma mobile (v. fig. 43, pag. 86). Per la determinazione degli alogeni si pesano al modo solito mg 20-30 di sostanza nella navicella di platino e s'introduce questa ultima nel tubo in modo tale che venga a trovarsi a cm 6-7 dall'estremità anteriore del rotolo di tela metallica lungo. Ora il tubo si chiude con un tappo di gomma ed una capillare tirata a punta; e si connette con un gasometro ad ossigeno per l'intermediario d'un piccolo contabolle riempito di K O H al 50%. Per la determinazione degli alogeni in liquidi la sostanza si pesa così come è descritto per la determinazione di C, H e s'introduce il pesafiltri nel tubo in modo da collocarlo a circa cm 8-10 dall'estremità anteriore del rotolo lungo di tela metallica. Se il liquido è assai difficilmente combustibile, in luogo di KCIO3 si ricorre a N H 4 N 0 3 .

Esecuzione della combustione. Dopo aver introdotto la sostanza si regola la corrente dell'ossigeno coll'ausilio della pinza a vite di precisione in maniera che passino cm3 7-9 al minuto (taratura del contabolle mediante la bottiglia di M A R I O T T E V. pag. 67) e i catalizzatori si scaldano a mezzo della lampada a fiamma allungata fino a calor rosso chiaro. Raggiunto ciò si sospinge il rotolo corto fino a pochi mm di distanza dalla navicella di platino e si pone la fiamma incolore del becco Bunsen mobile sotto l'estremità posteriore del rotolo stesso. Ora s'aspetta fino a che sono cessate le alterazioni che subisce la sostanza da bruciare e solo ora s'avanza col rotolo corto e colla fiamma in ragione di mm 2-3 ogni 2 minuti. I,e sostanze che dopo la fusione distillano vanno trattate con molta cautela; si attende anzitutto fino a che il distillato che si raccoglie in forma di goccia nella parte vuota di tubo fra navicella e catalizzatori, non accenna più ad aumentare. Quando l'orlo della fiamma arriva a contatto della navicella s'attende per qualche minuto e s'osserva con cura se il distillato evapora con velocità sensibile, mentre il becco resta in posizione invariata. I,a sostanza deve impiegare per bruciare almeno 30 minuti, giacché altrimenti non sono garantiti nè la combustione completa nè l'assorbimento quantitativo. Nella combustione dei liquidi il rotolo corto prima dell'inizio della combustione si avvicina, a seconda della volatilità del liquido stesso, al massimo fino a cm 1-3 dal tubicino e quando la sostanza comincia a distillare s'aspetta, lasciando in posizione invariata il becco, fino a che la distillazione è finita; solo allora si continua nel modo sopra descritto.

Determinazione argentometrica di CI e Br

85

S c i a c q u a m e n t o del tubo e titolazione. Dopo raffreddamento si toglie la navicella, si dispone il tubo in posizione verticale in un sostegno a morsetti e si sostituisce la provetta con un matraccio Erlenmeyer pulito da cm 3 100-150. Per sciacquare la parete interna del tubo si spruzzano circa cm 3 10 d'acqua nel tubo e coli'ausilio d'un piccolo mantice a mano si fa passare il liquido attraverso lo strato di perline nel matraccio di Erlenmeyer. Allo stesso modo il tubo si risciacqua per altre 3 volte ancora con cm 3 10 d'acqua per volta, si sciacqua il becco del tubo, e anche il contenuto della provetta, sempre risciacquando, si fa passare nell 'Erlenmeyer. Prima di titolare si diminuisce l'acidità dell'acido minerale formatosi mediante alcune gocce d'una soluzione d'acetato sodico esente da alogeni, in modo che la soluzione reagisca solo debolmente acida. Per determinare il cloro-ione, alla soluzione s'addizionano gocce 5 - 1 0 d'una soluzione alcoolica di dicloro-fluoresceina allo 0 , 0 1 % e si titola con una soluzione di AgN0 3 N/40-N/50 ricorrendo ad una microburetta graduata in cm 3 0,02. All'inizio della titolazione la soluzione non presenta se non una debole opalescenza: man mano che ci si avvicina al punto di neutralità (punto finale della titolazione) essa s'intorbida fortemente. A questo punto si continua a titolare con precauzione e scuotendo energicamente il matraccio, finché improvvisamente il sol d'alogenuro d'argento coagulerà in fiocchi rosei. Per determinare il bromo-ione s'addizionano alla soluzione gocce 5 - 1 0 d'una soluzione acquosa allo 0 , 1 % di eosinato sodico. Qui il viraggio si manifesta con gran precisione; fino ad immediatamente prima della fine della titolazione la soluzione fortemente opalescente rimane limpida ma il colore dell'indicatore verso la fine della titolazione comincia a diventare sempre più azzurro. Una goccia di liquido in eccesso è sufficiente allora a rendere improvvisamente opaca la soluzione; agitandola fortemente l'alogenuro d'argento floccula con colore intensamente roseo. Si titoli rapidamente in luce diurna diffusa e s'eviti la luce solare diretta, dato che la sensibilità degli alogenuri d'argento verso la luce è assai esaltata dall'azione sensibilizzante dei coloranti. Limiti degli errori tollerati: i 1% del tenore in alogeni. Nulla vieta naturalmente che l'ione alogenico ottenuto per combustione della sostanza possa anche essere determinato nel solito modo, cioè gravimetricamente per precipitazione con Ag.

68

Analisi

organica,

III

3. - Determinazione volumetrica dello iodio secondo Leipert-Munster ( l ). La sostanza viene bruciata in corrente d'ossigeno e in presenza di catalizzatori di Pt ; l'I 2 formatosi viene ossidato ad H I 0 3 mediante bromo in acido acetico. Dopo avere distrutto il Br in eccesso mediante acido formico s'aggiunge K I alla soluzione e si titola lo I 2 separatosi, mediante tiosolfato. Fig. 43 Siccome la titolazione s'esegue sul sestuplo dello iodio effettivamente contenuto nella sostanza, questo metodo dà dei risultati molto esatti. Per la determinazione occorrono: Un tubo di combustione (fig. 43) in vetro Supremax (lume cm 0,9 e lungh. cm 55-60; lunghezza del tubo d'introduzione

mm

18, diam.

interno

m a 2; poco prima del tubo d'introduzione è disposta una strozzatura). Una soluzione al 1 0 % di C H 3 C O O N a puro in C H s C O O H al 9 6 % . Bromo (esente da iodio). H C O O H puro al 90-100%. K I e soluzione N/10 di tiosolfato sodico.

Esecuzione della determinazione. Nel tubo accuratamente pulito e seccato s'introducono i catalizzatori in tela di platino preventivamente bolliti con HNO3 dil. (1 : 1) ed energicamente calcinati, fino a presso la strozzatura. Su questo punto del tubo s'infila un rotolo in rete di ferro lungo cm 20 e per proteggere maggiormente dal calore si pone un coperchio in rete metallica sul sostegno di combustione. Il tubo d'introduzione pesca in un collettore inferiormente rastremato a calice stretto (v. fig. 43) che viene riempito con cm 3 12-15 della soluzione di acetato sodico in acido acetico, alla quale s'è aggiunto del bromo in ragione di 10-12 gocce. Per determinare lo iodio si pesano mg 20-30 nella navicella di platino e si pratica la combustione nel modo descritto più sopra per il caso della determinazione degli alogeni nel tubo a perline. L a velocità della corrente d'ossigeno si regola in ragione di cm 3 4-5 al minuto. Dopo aver lasciato raffreddare il tubo si tolgono la navicella ed 1 catalizzatori e allo scopo d'ossidare lo iodio che è stato depositato (') T H . 1,EIPERT, Mikrochemie,

PREGL-FESTSCHRIFT,

{1929); W. MÜNSTER, Mikrochemie, 14, 23 (1933).

( S c r i t t i i n o n o r e d l F . P R E G L , p. 2 6 6

Determinazione

dì I secondo LErPERT-MÜNSTER

87

alla strozzatura del tubo si versano nel tubo tenuto inclinato circa cm3 4 di soluzione di bromo in acido acetico; per effetto della strozzatura la soluzione è trattenuta a questo punto. Dopo 10 minuti si sciacqua prima il tubo e poi il recipiente collettore facendo passare quantitativamente il contenuto in un matraccio di Erlenmeyer pulito, nel quale preventivamente s'è avuto cura di sciogliere g 2 d'acetato sodico in poca acqua, completamente. Per distruggere il bromo in eccesso si fanno scorrere lungo le pareti del matraccio alcune gocce d'acido formico (fino a cm3 0,5), s'agita fortemente per assorbire anche il bromo presente nella fase gassosa soprastante il liquido, e s'attende per alcuni secondi. Non appena la soluzione bromica s'è scolorata s'aggiungono un po' di H 2 S0 4 dil. e g. 1,5 di KI, dopo aver rimescolato si lascia in riposo per 5 minuti e si titola indi lo iodio separatosi con soluzione N/10 di Na2S203, usando una microburetta suddivisa in cm3 0,02, prima fino a colorazione gialla, indi dopo aver aggiunto un po' di salda d'amido, fino a decolorazione. Errore tollerato nella determinazione: ± 0 , 3 % . 4. - Determinazione dello zolfo secondo Carius. L,a determinazione dello zolfo secondo C A R I U S si pratica allo stesso modo come è descritto a proposito della determinazione degli alogeni: in luogo del nitrato d'argento solido s'usa qui cloruro di bario disidratato. Per la determinazione occorrono: Tubi Carius in vetro difficilmente fusibile. Acido nitrico fumante rosso (D = 1,5). BaCl 2 anidro solido. Crogiuolo in porcellana con fondo poroso e cappuccio di protezione (Manifattura di Stato di Berlino, crogiuolo per filtrazione tipo A. 1, alt. = cm. 2,7 ; voi. = cm 3 6).

Caricamento del tubo Carius. Per la determinazione dello zolfo si pesano nel modo descritto a proposito degli alogeni mg 20-30 di sostanza, che s'introduce nel tubo Carius; a seconda della quantità pesata s'aggiungono mg 130-200 di cloruro di bario disidratato e il tubicino riempito di cm3 1-1,5 di HN0 3 fumante rosso si fa scivolare con precauzione nel tubo Carius lievemente inclinato, evitando che 1 acido venga anzitempo a contatto della sostanza.

88

Analisi

organica.

III

La chiusura alla fiamma, il riscaldamento e la riapertura del tubo avviene tal quale nel caso degli alogeni. Vuotamente del tubo e determinazione del B a S 0 4 . Dopo avere pulito esternamente il tubo se ne porta il contenuto, sciacquando più volte con acqua distillata, in un bicchierino ordinario: il solfato che eventualmente aderisse tenacemente alle pareti si toglie con una bacchetta di vetro nuda, senza rivestimento di gomma. Le ultime porzioni di BaS0 4 si trasportano nel bicchierino sciacquando più volte alternativamente con poco alcool e poca acqua. Prima di filtrare il solfato di bario si pulisce accuratamente il crogiuolo filtrante con miscela solfo-cromica ; si sciacqua con acqua distillata e s'aspira dell'acqua attraverso il setto filtrante mediante una pompa ad acqua. Indi il crogiuolo nettato con una pezzuola pulita si pone per l'arroventamento nella capsulina apposita, il tutto si dispone su un triangolo in terra refrattaria, s'asciuga da principio il crogiuolo con una fiammella Bunsen volante, poi s'incomincia a scaldare piano e si fa salire la temperatura man mano fino ad arrivare a calor rosso scuro. Dopo aver riscaldato per 20 minuti si lascia raffreddare per 5 minuti all'aria, dopo di che il crogiuolo e la capsulina si portano in un essiccatore. Dopo un'ora di raffreddamento in essiccatore si pesa il crogiuolo (senza capsulina). Si scalda il contenuto del bicchierino fino all'ebollizione, si pone il crogiuolo filtrante nell'imbuto di filtrazione d'un matraccio con manicotto laterale per l'aspirazione alla pompa e il BaS0 4 si versa direttamente nel crogiuolo asportando le ultime porzioni opportunamente mediante sciacqui alternati con alcool e acqua. Alla fine si riempie ancora una volta d'acqua il crogiuolo, s'aspira questa e il crogiuolo si prepara per la nuova pesata esattamente allo stesso modo come sopra descritto. Limiti di tolleranza degli errori: ± 0 , 3 % . 5. - Determinazione dello zolfo per combustione catalitica. La determinazione dello S nel tubo a perline s'esegue analogamente a quanto è stato descritto per la determinazione argentometrica degli alogeni (v. pag. 82). Lo strato di perline si bagna d'una soluzione di H 2 0 2 al 5-10%, cosicché eventuali prodotti d'ossidazione inferiori dello zolfo vengono trasformati in H 2 S0 4 .

Determinazione

di S ed altri elementi

secondo

CAK.IUS

89

Dopo aver caricato il tubo la combustione della sostanza si pratica nel modo identico come è stato descritto esaurientemente a proposito della determinazione degli alogeni. Dato che l'assorbimento dell'S0 3 richiede un prolungato contatto col liquido assorbente, si deve bruciare la sostanza in una corrente d'ossigeno più lenta e perciò anche avanzare più lentamente col becco Bunsen mobile. (Velocità dell'ossigeno: cm 3 3-4 al minuto). La combustione della sostanza dovrà duiare circa un'ora. Dopo aver terminato la combustione il tubo si sciacqua facendone passare il contenuto, come descritto per gli alogeni, in un bicchierino pulito e sciacquando ulteriormente vi si aggiunge anche il contenuto della provetta. Indi s'aggiunge una miscela limpida (filtrata) di cm 3 2-3,5 di soluzione di BaCl2 (1 : 10) e 10 gocce di HC1 diluito, si copre con un vetrino d'orologio pulito e si scalda all'ebollizione finché la precipitazione del BaS0 4 è terminata. Dopo aver raffreddato il contenuto del bicchierino ponendo questo in acqua fredda, si esegue la pesata così come è descritto a proposito del metodo Carius per lo zolfo. 6. - Determinazione contemporanea degli alogeni e dello zolfo. Se in una sostanza si debbono dosare contemporaneamente gli alogeni e lo zolfo, si determina anzitutto l'alogeno secondo il metodo CARIUS. Il filtrato del precipitato d'alogenuro d'argento si raccoglie in un matraccio accuratamente pulito in precedenza, si trasporta in un bicchierino in vetro di Jena, si diluisce a cm 3 100-150 e si precipita all'ebollizione l'ione S0 4 con una soluzione all'i % di Ba(N0 3 ) 2 assolutamente esente da alogeni. Per lavare il precipitato s'usa dell'acqua distillata esente da HC1. 7. - Determinazione degli altri elementi. La maggior parte degli elementi si determina nella soluzione nitrica secondo i metodi dell'analisi inorganica, dopo aver ossidato la sostanza organica secondo CARIUS. I metalli alcalini ed alcalino-terrosi. Si determinano allo stato di solfati. A tale uopo si pesa una certa quantità di sostanza in un crogiuolo di platino o di quarzo, s'aggiungono alcune gocce d'acido solforico concentrato (in caso di sostanze esplosive o comunque decomponibili H 2 S0 4 al 30-50%), si distrugge la sostanza con precauzione e infine si calcina a calor rosso scuro.

Analisi



organica,

IV

IV. - DETERMINAZIONE DI GRUPPI ORGANICI 1. - Determinazione volumetrica del gruppo metossilico ('). Il radicale metilico del gruppo CH a O si trasforma in CH 3 I a mezzo di H I bollente (ZEISEI,) e il composto CH 3 I viene trasformato in CH 3 Br e B r i a mezzo di bromo: CH 3 I + Br, = CH 3 Br + B r i Il B r i s'ossida ad acido iodico a mezzo di bromo in eccesso: Bri +

grande esattezza

2Br2

+

3H20

= H I 0 3 + 5HBr.

Il bromo rimasto in eccesso si riduce ad H B r per mezzo di HCOOH e infine si titola lo iodio separatosi mediante tiosolfato, dopo aggiunta di K I . Poiché in tale occasione per ogni gruppo alco-ossilico si liberano 6 grammo-equivalenti di iodio, la determinazione si può eseguire con ; nel caso di quantità minime di sostanza.

Per la determinazione occorrono: Cm3 5 d'acido iodidrico (D = 1,7; «per determinazioni secondo ZEISEI, »). Soluzione al 1 0 % d'acetato sodico puro in acido acetico al 96%. Bromo esente da iodio (da conservarsi in una boccetta contagocce). Acido formico puro all'80-100%. Acetato sodico puro per analisi. Ioduro potassico e soluzione di tiosolfato sodico N/10. L'apparecchiatura si vede in fig. 44.

M o n t a g g i o é c a r i c a m e n t o dell'apparecchio. Anzitutto si carica il lavatore (W) con cm 3 3 d'una sospensione di circa mg 150 di fosforo rosso in acqua ; il fosforo deve essere stato lavato a fondo con ammoniaca. S'abbia cura che il liquido di lavaggio non arrivi nel tubo di congiunzione. Nell'assorbitore (Vx) si pongono cm 3 10 della soluzione al 1 0 % di CH 3 COONa in CH 3 COOH, s'aggiungono 10-12 gocce di bromo e dopo avere molto bene mescolato s'inclina un po' il reci(') F. VIEBÒCK e C. BRECHER, B. 63, 2818, 3207 (1930).

Determinazione

del gruppo

CH30

secondo

ZEISEL

91

piente e si trasporta circa 1/3 del liquido assorbente nel secondo assorbitore (V2). L'assorbitore si fissa all'apparecchio mediante molle spirali. Indi si prepara un apparecchio di KIPP a C0 2 , lo si collega con una boccia di lavaggio contenente soluzione diluita d'acetato di piombo e sul tubo di gomma che connette la boccia di lavaggio colTapparecchio di ZEISEI, che serve appunto a determinare il gruppo C H , 0 si pone una pinza a vite di precisione. Per determinare il gruppo metossile si pesano mg 20-30 di sostanza nel modo descritto a proposito del metodo di CARIUS per gli alogeni, a mezzo del tubicino da pesata e la sostanza pesata si pone nel palloncino di decomposizione K. S'aggiungono alcuni cristallini di fenolo e cm3 0,5 d'anidride acetica (od acido acetico glaciale) e infine s'aggiungono ancora g 0,2 di fosforo rosso asciutto nel palloncino K. Esecuzione della determinazione. Dopo aver introdotto la sostanza si connette il tubo d'adduzione del gas coli'apparecchio di KIPP e immediatamente prima dell'attacco all'apparecchio s'aggiungono cm3 5 di HI (D = 1,7) nel palloncino K. Per proteggerlo dalle radiazioni calorifiche si scherma il gruppo assorbitore mediante cartoni d'amianto e per lo stesso motivo il bagno di glicerina che serve a riscaldare l'acido iodidrico si sceglie possibilmente piccolo (basta un comune bicchiere). Dopo aver regolato la corrente gassosa a mezzo della pinza a vite in modo tale che solo una bolla per volta passi per l'assorbitore, si scalda rapidamente il bagno di glicerina e lo si tiene per tutta la durata della determinazione a 140-1500. I/aumento passeggero della velocità gassosa non ha importanza: non appena l'acido iodidrico ha cominciato a bollire la velocità primitiva si ristabilisce da sè. Dopo un'ora di riscaldamento tutto l'ioduro di metile è certamente passa nell'assorbitore; s'allontana allora anzitutto quest'ultimo e poi s'interrompe la comunicazione fra il KIPP e il palloncino K. Coll'acido iodidrico presente nel palloncino K si possono eseguire senz'altro altre 3 determinazioni ancora. Se si tratta di decomporre dei composti etossilici (CjH^O) si mette anzitutto in funzione il piccolo refrigerante visibile in figura, si scalda a ricadere per y2 ora, poi si fa cessare l'azione refrigerante facendo anche defluire l'acqua contenutavi, e si fa bollire per un'altra ora il contenuto del pallone.

Dopo aver staccato l'assorbitore si versano alcuni cm3 d'acqua nel tubo d'adduzione e si scarica il contenuto in un matraccio di

92

Analisi organica,

IV

ERLENMEYER da 250 cm 3 , nel quale s'è sciolto in precedenza e completamente g 1,5 d'acetato sodico puro in poca acqua. Dopo aver più volte sciacquato l'assorbitore s'ottengono circa cm3 100-150 di liquido. Si fanno scorrere lungo le pareti interne 5-10 gocce d'acido formico puro e si rimescola. Se si lavora bene, il colore caratteristico del bromo è scomparso già dopo alcuni secondi; scuotendo energicamente si fa assorbire anche il bromo esistente nell'atmosfera gassosa dell'assorbitore. Se il colore del bromo non scompare nemmeno dopo alcuni minuti, vuol dire che l'acetato di sodio era insufficiente. Alla soluzione così decolorata s'aggiungono un po' d'acido solforico diluito e circa g ì di K I , si lascia in riposo per 5 minuti coprendo il recipiente e si titola lo iodio separatosi usando una microburetta da cm 3 0,02 e soluzione di tiosolfato sodico N/10 prima fino a colorazione gialla, poi aggiungendo salda d'amido fino a decolorazione. Cm3 1 di soluzione di Na 2 S 2 0 3 N/10 corrisponde a mg 0,51706 a CH 3 0 e rispettivamente a mg. 0,75067 C 2 H 5 0. Il metodo va bene senz'altro anche per sostanze contenenti zolfo; per le sostanze facilmente volatili esso va modificato. Limite degli errori: ± 0,5% del gruppo alcossilico totale. 2. - Determinazione dei gruppi acetilico e benzoilico (1). La sostanza si saponifica per ebollizione in ricadere con acido solforico al 5 0 % e l'acido acetico, risp. benzoico si titolano dopo averli distillati in corrente di vapore, con NaOH in presenza di fenolftaleina. L'apparecchio si vede in fig. 45. Occorrono: Acido solforico al 5 0 % ; NaOH in soluzione 0,033 N.

Esecuzione. Il contabolle si carica con un po' di KOH al 50%, esente da schiuma, il tubo ad U e quello essiccatore che segue ricevono invece del cloruro di calcio. Per la determinazione del gruppo acetilico, risp. benzoilico, si pesano mg 20-30 di sostanza mediante il solito tubicino da pesata (v. pag. 79) con manico lungo. La sostanza si pone nel palloncino di decomposizione e dopo avere sovrapposto il refrigerante in posizione verticale in modo che serva da ricadere (la smerigliatura C si (') R . K U H N e H . R O T H , B . 66, 1274 (1933).

Determinazione

dei gruppi

acetile e benzoile

93

rende stagna mediante una goccia d'acqua), mediante una pinza a vite di precisione si regola la corrente d'aria che passa per l'apparecchio in modo che passino 30 bolle al minuto e il giunto smerigliato d'introduzione A si rende stagno mediante un po' di anidride fosforica deliquescente. Attraverso l'imbuto del tubo B che porta una smerigliatura resa stagna allo stesso modo s'introducono ora cm3 2-3 dell'acido solforico al 5% nel palloncino, s'infila la bacchetta di vetro S e si pone nell'imbuto cm3 1 d'acqua. Indi il contenuto del pallone di reazione si porta ad ebollizione moderata con ricadere. La saponificazione dei composti O-acetilici è terminata nella maggioranza dei casi dopo 30, quella dei composti O-benzoilici dopo 60 minuti. Nel caso di composti N-acetilici e N-benzoilici occorrono fino a 3 ore per la saponificazione totale. Si può anche lasciar svolgersi da sè la saponificazione lasciando a riposo per una notte con un po' di H 2 S0 4 concentrato. Fig. 45. Dopo aver terminato la saponificazione il refrigerante si sciacqua accuratamente con cm 3 10-12 d'acqua ; indi si distilla abbassando il refrigerante (posizione a tratto continuo nella fig. 45) in un matraccino Erlenmeyer in quarzo, (occorrendo s'introducono alcune capillari per regolare l'ebollizione) fino a che rimangono cm3 5. Dopo aver aggiunto cm3 7 d'acqua per volta si distilla ancora per 3 volte. Nel distillato (circa cm3 20) si controlla mediante BaCl2 se v'è ancora H 2 S0 4 , si fa bollire per 7-8 secondi e sì titola immediatamente mediante ima buretta suddivisa in cm3 0,02 con soluzione di NaOH N/30 (x) in presenza di fenolftaleina fino a colorazione rosea appena incipiente, che rimanga per alcuni secondi. Per la seconda titolazione si distillano 2-3 volte circa cm3 7, per Ja terza e per le successive titolazioni solo cm3 7 ancora circa. I1) Il fattore f della sol. titolata di NaOH si determina con acido ossalico, in diluizione "approssimativamente uguale.

Analisi

94

organica,

IV

Esempio d'una distillazione: 1. Titolazione (circa cm3 20 di distillato): 2. 3. 4.

» » »

2 x 7 » 2 x 7 » 1 x 7 »

» » »

cm3 5,885 » 0,680 » 0,040 » 0,040

Nell'ultima titolazione non si deve consumare più di cm3 0,05 di NaOH N/30. Cm3 1 di NaOH N/30 corrisponde a mg 1,434 di —COCH 3 , risp. mg 3,5033 di —COC 6 H 5 . Limiti di tolleranza degli errori: + 0,5%. Nell'apparecchio dianzi descritto si possono anche titolare gruppi CHS attaccati ad atomi di C, mediante ossidazione con acido cromico secondo il principio del metodo di R. K U H N e F. L ' O R S A (Zeits. angew. Ckemie, 44, 847, 1931; B. 66, 1274, 1933).

3. - Determinazione dell'idrogeno attivo secondo Giugaeff-Zerewitinoff i1). Si prepara una soluzione di reattivo di G r i g n a r d servendosi di cm s 20 d'anisolo distillato su sodio (2) (risp. etere iso-amilico (3), xilene), g 7 di ioduro di metile e g 2 di magnesio in un pallone a coda tenuto inclinato il cui tubo di sviluppo laterale è munito d'un piccolo refrigerante (che qui funziona da refrigerante a ricadere) aggiungendo anche alcuni granelli di iodio. Se la reazione non ha inizio da sè, la si fa partire scaldando brevemente a 500 e la si termina infine scaldando per 1 ora a bagno maria. Poi si gira il pallone a coda in posizione normale e si scalda ancora per y 2 ora a bagno-maria facendo passare una corrente d'azoto puro e secco con che passano gli ultimi resti d'ioduro di metile. La soluzione Grignard così ottenuta si decanta dal magnesio non consumato o meglio si filtra aspirandola alla pompa in un imbuto filtrante ben secco poroso: essa si può conservare in una bottiglia ben chiusa. Per ogni dosamento se ne prelevano circa cm3 5. L'apparecchiatura per la determinazione dell'idrogeno attivo è visibile in fig. 46. Il nitrometro di L u n g k « a », il cui palloncino di livello manca nello schizzo, si riempie di soluzione satura di NaCl. Il passaggio del vapore acqueo nel recipiente di reazione è impedito (') B . 4 0 ,

2023

(1937).

( a ) P r e p a r a z i o n e v . p a g . 250. ( 3 ) P r e p a r a z i o n e v. p a g . 129.

Determinazione

di H attivo sec.

ClUGAEFF-ZEREWlTINOFF

95

da un corto tubo « b » a cloruro di calcio. Per la determinazione si pesano a mezzo d'un tubicino da pesata a seconda del peso molecolare e il contenuto in gruppi OH della sostanza circa g 0,1-0,2 (1) con precisione e la sostanza pesata si pone nel ramo più lungo « c » del recipiente di reazione ben essiccato. Sulla sostanza si versa dell'anisolo, risp. etere amilico e scuotendo con cautela la si porta in soluzione. Indi nell'altro ramo « d » si pongono cm3 5 di soluzione di Grignard a mezzo d'una pipetta tarata, si sposta l'aria mediante azoto secco (cosa indispensabile !) ; si collega il recipiente di reazione mediante tappo e tubo di gomma pulito e a perfetta tenuta

col tubo a CaCl2 del nitrometro da cui s'è estratto il maschio del rubinetto. Ora il recipiente di reazione si pone in un bicchiere contenente acqua a temperatura ambiente, s'attende per 5 minuti finché la temperatura s'è eguagliata, si riintroduce il maschio e si riempie il nitrometro alzando il palloncino di livello colla soluzione di NaCl. Il rubinetto si gira di 90°, s'abbassa il palloncino e girando di nuovo di 90° si collega il recipiente di reazione colla buretta del nitrometro. A questo punto il recipiente si toglie dal bagno d'acqua, si lascia arrivare la soluzione della sostanza al reattivo di G R I G N A R D , si agita diverse volte fino a tanto che il menisco nella buretta non s'abbassa più, il che vuol dire che il metano ha finito di svolgersi. Il recipiente della reazione viene riportato nel bicchiere d'acqua; s'attende per 10 minuti finché esso ha ripreso la temperatura ambiente come prima dell'inizio dell'esperienza (controllare a mezzo di termometro) e si legge nel modo consueto la quantità di metano formatasi. Nel conf1) Delle sostanze descritte in questo Corso di preparazioni organiche si possono usare: trifenilcarbinolo, /^-naftolo, idrochinone, acido benzoico.

Analisi

96

organica,

IV

tempo si legge la pressione barometrica e coll'ausilio d'un termometro appeso alla buretta, anche la temperatura del gas. Il volume letto si riduce a o° e mm 760 di Hg. Calcolo.

Secondo l'equazione :

RH n + nCH 3 • Mgl

->

R(MgI)„ + nCH 4

una grammimolecola della sostanza svolge n X 22,4 litri di metano, dove n è il numero degli atomi d'idrogeno attivo. G a di sostanza = a/M grammi-molecole svolgono cm3 n • 22400 • a ^ - di CH4. M Il volume letto e ridotto alle condizioni normali (o° e 760 mmHg.) che chiameremo « Ftrov. » deve essere eguale al volume calcolato per un atomo di idrogeno attivo « F ca i c . » (n = 1) ; o se sono presenti parecchi atomi d'idrogeno attivi, « Ftrov. » deve essere un multiplo secondo un numero semplice di « Fcaic. »• H risultato s'esprime opportunamente mediante il numero d'atomi di H attivo secondo il rapporto Ftrov. /Fcaic. L'errore ammonta a 5-10%. L a determinazione semi-micro-analitica dell'idrogeno attivo è descitta (per quantità di mg 20-30 di sostanza) nella citata guida di F. HoEl£CHER. V . p. 54-

4. - Determinazione del peso molecolare. Non riferiremo qui i singoli metodi, giacché questi sono trattati di solito nei corsi d'esercizi di fisica e chimica-fisica. Il metodo crioscopico è da preferirsi di gran lunga a quello ebullioscopico. I solventi più usati sono il benzene e l'acido acetico glaciale, l'apparecchio migliore è quello di BECKMANN chiuso con agitatore elettromagnetico. Un metodo assai elegante e semplice per determinare il peso molecolare delle sostanze organiche nell'apparecchio del punto di fusione, è stato indicato in questi ultimi anni da K. RAST (1). L a canfora ha una costante crioscopica elevatissima, il suo punto di fusione viene enormemente abbassato da parte di sostanze in essa disciolte, circa 8 volte di più che non nel caso del benzene. L a co( L ) B . 55, 1051, 3727 (1922). A B D E R H A L D E N , A b t e i l u n g I I I , Teil (parte) A , pag. 754.

Handbuch

der

biolog.

Arbeitsmethoden,

Determinazione

crioscopica

del peso molecolare

sec. RAST

97

stante crioscopica del benzene è di 5,1, quella della canfora è di 40, il che vuol dire che una soluzione di 1 gr. mol. di sostanza in canfora fonde 400 più in basso che non il solvente cioè la canfora stessa. Perciò anche se la soluzione canforosa è ancora relativamente di bassa concentrazione s'ottengono già degli abbassamenti crioscopici così forti che la sensibilità d'un ordinario termometro letto a 1/4 di grado è più che sufficiente per la determinazione (1). I tubicini per il punto di fusione si preparano a partire da una provetta pulita, come è descritto a pag. 46-47 ; il lume interno sarà di mm 4-5, la lunghezza di circa cm 5 ; verso il fondo che viene fuso in modo che le pareti siano possibilmente sottili ed uniformi, i tubicini si rastremeranno soltanto un poco il che s'ottiene tirando via lateralmente il vetro in fusione. Per caricare nei tubicini la sostanza e la canfora ci si serve d'un tubetto allargato in alto ad imbuto. Si tara il tubicino col detto imbutino sovrapposto, infilato in un piccolo piedestallo di sughero, sulla bilancia analitica ordinaria, s'introducono circa mg 10 di sostanza aiutandosi con una bacchettina adatta al collo dell'imbutino, si pesa a meno di mg 0,1 ; quindi s'introducono nel tubicino mg 100125 circa di canfora allo stesso modo e si ripesa. Dopo aver estratto l'imbutino il tubicino si salda alla fiammella estraendo il vetro in un filo non troppo sottile. Indi il contenuto si porta in un bagno. d'acido solforico concentrato riscaldato a 180 0 e si fonde fino a fusione omogenea. Dopo raffreddamento il tubicino si fissa mediante un anellino di gomma ad un termometro e si scalda in un apparecchio per la determinazione del punto di fusione (v. fig. 32) fino a fusione limpida; si lascia raffreddare e si trova così il punto di solidificazione approssimativo. Per stabilire con esattezza quest'ultimo si scalda di nuovo, ma stavolta molto cautamente con una microfiamma la cui punta si trovi cm 4 al di sotto del palloncino, fintantoché è fuso t u t t o il contenuto tranne alcuni cristallini aderenti al fondo, h a temperatura così osservata trovasi di solito 2° sopra il punto di solidificazione determinato prima. Diminuendo ancora la microfiamma il raffreddamento si regola in modo tale che la temperatura s'abbassi di i ° circa al minuto. Così facendo e servendosi d'una lente d'ingrandimento, si vede assai bene come i cristalli superstiti incominciano ad accrescersi. In questo istante si legge la temperatura. Per controllare si può anche ripetere la stessa operazione (') Contrariamente al metodo di RAST, nel metodo qui indicato (elaborato da W. MUENSTER) non si determinano i punti di fusione, bensì quelli di solidificazione. 7 — GATTERMANN.

9

8

Analisi

organica,

IV

e se il lavoro è stato eseguito accuratamente si troverà quasi lo stesso punto di solidificazione. E opportuno circondare la fiamma con una protezione termica, ad es. un tubo di vetro largo cm. 8 o anche semplicemente di carta [cartone d'amianto, ecc. N. d. tr.] che arrivi fino al palloncino. Allo stesso modo come qui sopra descritto, s'è naturalmente determinato in precedenza il punto di fusione della canfora pura. S'adopererà un preparato purissimo. Se questo non è disponibile, si fondono insieme alcuni pezzi, tanto quanto occorre per la determinazione, per avere sicuramente del materiale omogeneo. L a differenza fra la temperatura di solidificazione della canfora (177 0 ) e quella della miscela è A ed il peso molecolare si trova mediante la formola: 71J

40 • a • 1000 1

dove a — quantità di sostanza pesata, b = peso della canfora. Lo scarto rispetto al vero peso molecolare arriva a ± 5 % . Naturalmente questo metodo è inapplicabile per quei composti che sono difficilmente solubili nella canfora, che alla temperatura di fusione si decompongono o che reagiscono colla canfora. In casi simili s'usa come « solvente » l'idrocarburo canfene che fonde a 4 9 0 (PIRSCH, B . 6 5 , 862, 865, 1 9 3 2 ) .

Prevenzione

infortuni

99

C. Preparazioni di chimica organica AVVERTENZE

PER

LA

PREVENZIONE

D'INFORTUNI

Chi nel lavoro procede in modo incauto e leggero può facilmente essere vittima d'incidenti durante le preparazioni organiche. Ma anche l'operatore canto non è del t u t t o al sicuro da ogni pericolo. Le gravi disgrazie che purtroppo funestano sempre di nuovo i laboratori chimici richiedono imperiosamente che ognuno dei componenti d'una comunità di laboratorio sia pienamente conscio dei suoi doveri verso i suoi colleghi di lavoro. L a principale e più importante protezione è quella volta a salvaguardare gli occhi. Si deve portare un paio di robusti occhiali di protezione con vetri robusti [meglio se di sicurezza, n. d. tr.~\ ogni qualvolta si lavora con apparecchi sotto pressione o sotto vuoto (1) quindi quando s'eseguono distillazioni a pressione ridotta, quando si pratica per la prima volta il vuoto in un essiccatore nuovo, quando si maneggiano tubi di CARIUS, bottiglie a pressione, autoclavi. Inoltre ciò vale per le fusioni alcaline e per tutte quelle operazioni in cui c'è pericolo di spruzzi di sostanze incendiabili oppure corrosive: anzitutto l'uso di sodio e potassio metallici. Il maneggio del sodio metallico ha già causato più d'una grave disgrazia nei laboratori. Perciò quando si ha da lavorare con Na, si abbia la massima cura, non si gettino i cascami di metallo nel lavandino o negli scarichi, nè si lascino all'aperto abbandonati, ma si riportino subito nella boccia di conservazione oppure si distruggano con 15-20 volte tanto di alcool. Non s'esegua mai un'operazione in cui entrano K o Na metallici sul bagno maria o a vapore, bensì s'usino sempre solo bagni d'olio o di sabbia, anche quando si distilla l'etere seccato su Na trafilato. Trattando Na o K si raddoppi la cura fino alla meticolosità nella perfetta messa a punto dell' apparecchiatura e s'abbiano sempre presenti le conseguenze d'un refrigerante poco stagno 0 d'una rottura del pallone. Usare sempre occhiali di protezione! Maneggiando sostanze esplosive [od aggressivi bellici, n. d. tr.] (') In Italia la ditta Pirelli ne fabbrica d'ottimi, di comodo uso. (N. d. trai.).

loo

Prevenzione

infortuni

non si depongano mai gli occhiali di protezione e le sostanze sconosciute si cimentino sempre prima in piccola quantità su una spatola metallica, per conoscere il loro comportamento nella fiamma. I,a massa del preparato deve essere naturalmente allontanata in quel momento. Per proteggere gli occhi anche dagli effetti di esplosioni imprevedute che non si possono mai escludere al 100 %, tutti coloro che sono occupati in un laboratorio dovrebbero portare continuamente un paio d'occhiali s'empiici, senza pregiudizio dell'uso degli occhiali di protezione nei casi ove ciò è indicato. Maneggiando l'etere o altri liquidi infiammabili e molto volatili si deve avere sempre cura che non vi siano delle fiamme accese nelle vicinanze. Se malgrado tutto scoppia un incendio, si deve anzitutto allontanare tutto quanto v'ha d'infiammabile. Poscia si cerca di- spegnere l'incendio mediante panni bagnati, spargendo del tetracloruro di carbonio, ma mai con acqua. Il miglior mezzo di spegnimento è una bomboletta maneggevole di C0 2 che dovrebbe trovarsi in tutti gli ambienti ove si lavora. Se l'incendio prende proporzioni maggiori si cerchi di soffocarlo con grosse masse di sabbia: anche qui è preferibile una grande bombola di COa [si chiudano anche tutti i rubinetti del ga -, giacché dai tubi di gomma facilmente incendiati il gas illuminante esce con fiamma viva, come da esperienza personale. N. d.

tr.].

In caso di lesioni da acidi od alcali caustici, s'asciughi la parte colpita con panni puliti, carta da filtro, ecc. asciutti per asportare il corrosivo ; poi si lavi prima con acqua a fondo, indi con soluzione di bicarbonato sodico, o a seconda dei casi, d'acido acetico diluito. L,e ustioni leggere si lavano con alcool e si ricoprono poi con olio di lino [o con linimento oleo-calcare : olio d'oliva e acqua di calce impastati insieme, vedi Farmacopea o simili; vanno bene anche le pomate acquistabili presso le farmacie. Anche una soluzione satura a freddo (2 %) d'acido picrico rende ottimi servigi ed è conservabile indefinitamente. N. d.

ir.].

Bende, garza, cotone idrofilo, pomate e ogni altro materiale di pronto soccorso devono sempre essere a portata di mano. Piccole emorragie da ferite si possono arrestare, dopo disinfezione con alcool o iodio, mediante soluzione di FeCl3. In ogni modo se l'infortunio è di media gravità o più si deve chiamare immediatamente il medico più vicino. Se la cute è stata colpita da una sostanza organica caustica o comunque irritante, il lavaggio con acqua di solito è inutile. Tali sostanze s'allontanano con un solvente adatto come alcool o benzene,

Primo

equipaggiamento

101

di cui s'usa subito una quantità abbondante per lavare la parte colpita. Non si dimentichi infatti che il solvente organico favorisce per sua natura l'ingresso del corrosivo nella cute per cui bisogna evitare che si formino delle soluzioni concentrate a contatto con essa. [ È ancor meglio asportarne prima la maggior parte mediante sostanze assorbenti come detto sopra; vedasi ad es. il regolamento per la difesa contro l'iprite, del nostro R. Esercito. N. d. ir.].

Cautele speciali sono da osservarsi nel maneggio delle seguenti sostanze molto usate: acido cianidrico (avere sempre a portata di mano una soluzione di KMn0 4 per distruggerlo,) fosgene, solfato dimetilico, cloruri acilici semplici, cloro, bromo, vapori nitrosi NO ed N0 2 ossido di carbonio, sodio e potassio metallici. Se di queste sostanze s'adoperano quantitativi maggiori le relative operazioni vanno eseguite in un ambiente a parte; e se mai sempre sotto una cappa con buon tiraggio. Dei composti alogenati, non diluiti, della serie alifatica, come per es. bromuro d'etile, cloroformio, bromoformio e simili, non devono mai venire a contatto di Na o K metallici, per es. per venire essiccati, giacché un urto casuale può produrre violente esplosioni (Staudinger) .

PRIMO

EQUIPAGGIAMENTO i. - Attrezzi.

Asciugatoio. Bacchette di vetro, N. 20, di lunghezza e spessore variabili, dalle estremità arrotondate, ma non ingrossate, alla fiamma. Bicchieri da cm3 100, 500, 1000. Bilancia tecnica della portata di 50-100 gr. Contro la ruggine ungere i coltelli con vasellina ! Pesiera con pesi g 0,02-50. Boccie di lavaggio tipo Drechsel, N. 2. Buretta graduata. (L'operatore deve essere in grado di eseguire le principali analisi volumetriche).' Capsule di porcellana, diametro cm 15, 20, 25. Carta da filtro liscia e martellata, alcuni fogli. Cartine reattive, al tornasole (rosse ed azzurre) alla curcuma ed al rosso Congo. Così pure amido-iodurate. Cartoncini per pesare. Cilindri graduati da 10 e 100 cm3.

102

Primo

equipaggiamento

Cristallizzatori in vetro, totale N . 3, da cm 3, 5, 7. Dischi forati (« piastre di W i t t ») per filtrazione in porcellana, diam. cm 1 , 3, 5. Essiccatori a vuoto, N . 2, diam. cm 1 6 e 1 8 . Etichette. Filo di rame per la ricerca degli alogeni. F or atappi. Forbici. Funghetti di vetro per filtrazione, pag. 1 3 , N . 2. Imbuti, N . 2 della misura più piccola, poi N . 1 per ciascuna delle misure maggiori fino a cm 1 2 . Imbuti a rubinetto aperti da cm 3 2 5 con collo corto, da cm 3 100 con collo lungo. Imbuto di Bùchner per filtrazione, cilindrico, diam. circa cm 8. Imbuti separatori da cm 3 500 e 1000. Lime : una tonda ed una triangolare, in acciaio. Matracci conici caudati per filtrazione alla pompa, uno da cm 3 500 e uno da 1000. Matracci di Erlenmeyer, n. 2 per ciascuna misura delle seguenti: 50, 100, 250, 500. Mortaio di porcellana, con pestello. Palloni per distillazione, semplici a coda e secondo C X a i s e n , N . 3 da cm 3 25, 50, 100. Palloni sferici, N . 2 per cadauna misura: cm 3 50, 100, 250, 500. Pietruzze (bollitori) per regolare l'ebollizione: frammenti di pomice o porcellana da mm 3 circa, bolliti in HC1 e seccati. Pinza per provette, in legno. Pipette da cm 3 5, 10, 20. Pipette per sgocciolamento, almeno N. 6 ; altra del volume di cm 3 2, tarata a cm 3 1 / 1 0 . Portaoggetti, N . 3. Provette, almeno 50 di grandezza normale, e 20 piccole. L a

metà

almeno deve essere sempre pulita ed asciutta. Refrigeranti di Iyiebig, N. 1 da cm 60, altro corto da cm 1 0 - 1 2 . Refrigeranti di Dimroth 0 a serpentino. Spago. Spatole di porcellana, N . 3. Spatole metalliche. Tappi di sughero di grandezza variabile. Tenaglia o pinza da elettricista.

Primo

equipaggiamento

Termometro controllato per la determinazione del punto di fusione; altri z di cui uno corto, per uso comune. Tubi di vetro, diritti e piegati. Tubi di vetro allungati alla fiamma a mo' di pipetta (v. pag. 15). Tubi e tappi di gomma. Tubi per cloruro di calcio, diritti, n. 3. Tubi per preparati, in grandezza variabile. Tubicini per punto di fusione (da fabbricarsi). Vetrini d'orologio, sopratutto piccoli. » portaoggetti e coprioggetti.

II. - Solventi. Acetato d'etile, cm 3 250. Acetone, cm 3 100. Acido acetico glaciale, % litro. Alcool al 9 6 % , 1 litro. Alcool assoluto, % litro. Alcool metilico, cm 3 250. Benzene, % litro (conservato su sodio trafilato). Cloroformio, cm 3 100. Etere assoluto su sodio metallico (1), % litro. Etere comune, 1 litro. Etere di petrolio a basso p. eboll., conservato su sodio, cm 3 250. Etere di petìolio ad alto p. eboll., conservato su sodio, cm 3 500. Xilene.

III. - Reattivi, sostanze igroscopiche. Acido cloridrico conc. Acido nitrico conc. (D = 1,4) e fumante (1,5). (') Per preparare l'etere assoluto si seccano litri 1-2 d'etere del commercio su circa il 1 0 % del suo peso in CaCl, durante 1-2 settimane, poi si filtra rapidamente attraverso un filtro a pieghe in una bottiglia asciutta nella quale si fa entrare del sodio trafilato. Fino a che si sviluppa dell'idrogeno si chiude con turacciolo di sughero forato e munito di tubetto a CaCl, che per diminuire l'evaporazione termina in un tubetto tirato a capillare. L'etere assoluto per la maggior parte degli usi s'applica direttamente. Nell'evaporazione di quantità maggiori d'etere non purificato e che sia stato lungamente a contatto dell'aria, si deve tenere presente la possibilità di violente esplosioni in fine di distillazione, che sono dovute ai perossidi (in particolare perossido d'etile) formatosi nell'etere. L'etere contenente perossidi ha un odore pungente e libera iodio da una sol. di K I acidificata. Per distruggere i perossidi si dibatte l'etere in imbuto separatore con una sol. di FeSO, debolmente acida per H , S 0 4 .

J04

Cap.

I:

Sostituzione

degli

alogeni

all'ossidrile

Acido solforico conc. puro. Carbone animale decolorante. Cloruro di calcio, granulazioni varie. Glicerina (bottiglia con tappo di sughero e bacchetta di vetro). KOH solido, tecnico e puro. NaOH soluzione circa 14 N ( = 4 0 % ) . iV«2S04 anidro. Nitrato d'argento soluzione al 5 % . Sodio metallico. Soluzioni titolate : HC1 N/10, NaOH N/10, iodio N/10, Na 2 S 2 0 3 N/10. IV. - Quaderni. Diario (1). Quaderno per raccogliere notizie di letteratura chimica.

ESERCIZI CAP. I. - LA SOSTITUZIONE DEGLI ALOGENI ALL'OSSIDRILE ED ALL'IDROGENO. GLI ALCOOL. L E OLEFINE. Esercizio N. 1. - Bromuro d'etile dall'alcool etilico. In un pallone della capacità di circa 1 litro, contenente g 200 (cm3 n o ) di H 2 S0 4 conc. si fanno defluire rapidamente, senza raffreddare ed agitando continuamente, cm3 110 (g 90) d'alcool al 9 5 % , si raffredda la miscela calda fino a temperatura ambiente, indi colle debite cautele e continuando a raffreddare s'aggiungono g 75 d'acqua a o° e si mescola finalmente con g 100 di KBr finemente polverizzato. Si sottopone ora il miscuglio ad una distillazione non troppo lenta (fig. 47) su un piccolo bagno di sabbia, riscaldato con fiamma viva. Dato che il punto d'eboll. del bromuro d'etile è basso si deve usare un refrigerante possibilmente lungo con allunga o anche una serpentina, percorsa da una rapida corrente d'acqua. Il collettore si carica prima dell'inizio della distillazione con acqua e ghiaccio in pezzetti fino ad un livello tale che l'estremità dell'allunga peschi nell'acqua. La reazione è finita quando nell'acqua non cadono più (') Lo studente deve abituarsi fin dall'inizio a tenere un diario in cui registra tutte le quantità di sostanza usate per le esperienze e tutte le osservazioni. Quando si lavora scientificamente non ci si fidi mai della memoria.

Eserc.

N. i:

Bromuro

d'etile

gocce oleose. Se durante la distillazione la sostanza rigurgita nel refrigerante si rimedia mettendo più in basso il collettore in modo che l'estremità dell'allunga tocchi appena il liquido, ciò che si può ottenere anche girando di lato l'allunga. Infine il contenuto del collettore si trasporta in un imbuto separatore, si fa uscire dal rubinetto lo strato inferiore costituito dal bromuro d'etile in un matraccio di Erlenmeyer da cm3 250, e se ne estrae l'etere etilico, formatosi per reazione secondaria, mediante acido solforico concentrato. In questa operazione si sviluppa del calore, il che avrebbe per effetto una parziale evaporazione della sostanza; perciò si raffredda con un

miscuglio frigorifero e s'aggiunge acido solforico concentrato (al bromuro) da una pipetta e sempre agitando, fino a che esso si separa come strato inferiore. Si separano di nuovo i liquidi in imbuto separatore più piccolo e si distilla finalmente il bromuro d'etile essiccato dall'acido raccogliendolo in un collettore raffreddato con miscela frigorifera. Il pallone a coda è immerso in una casseruola o capsula di porcellana contenente acqua e riscaldata con una fiammella a gas. Fra 35 e 40° distilla il bromuro d'etile, la frazione principale passa a 38-39°. Dato il basso punto d'ebollizione, bisogna aver cura che la sostanza non sia mai lasciata a lungo in un recipiente aperto. Oltre a ciò la sostanza fino ad ulteriore utilizzazione (v. etilbenzene) non va conservata, specie d'estate, in un recipiente a pareti sottili, bensì in un bottiglione a pareti spesse. Resa: g 70-80. Finito l'esperimento calcoliamo quale percentuale del rendimento teorico rappresenta questa resa, come faremo anche per gli esercizi successivi. Secondo l'equazione chimica di reazione si dovrebbe adoperare una gr. mol. di K B r (g 119) per ogni mol. d'ai-

io6

Cap.

I:

Sostituzione

degli alogeni

all'ossidrile

cool (g 46). In realtà però nella maggioranza delle reazioni organiche che non avvengono mai quantitativamente, s'usa un eccesso d'uno dei componenti in virtù della legge d'azione di massa (pagg. 155 e segg.) e nella scelta del reattivo da applicarsi in eccesso siamo spesso guidati da considerazioni economiche. Così ad es. un kg di K B r (puro « per analisi ») costa circa lire 50, un kg di C2H5OH circa lire 42, perciò il prezzo d'una grammimolecola di K B r (119 X 50) sta a quello d'una di alcool (46 X 42) approssimativamente come 3 : 1 . Dal punto di vista economico è preferibile quindi usare un eccesso d'alcool, meno costoso, per trasformare la massima parte del bromuro, più caro, in bromuro d'etile. In base a questa considerazione sono stati scelti i rapporti quantitativi suindicati. Per g 100 di K B r si calcolano teoricamente g 39 di alcool, mentre in realtà qui vengono adoperati g 86 (g 90 al 95%), cioè più che il doppio della quantità prevista dalla teoria. Nel calcolare la resa teorica possibile ci si deve basare quindi sulla quantità presente di KBr. Se invece si volesse ottenere il bromuro d'un alcool di prezzo superiore a quello del KBr, si dovrebbe naturalmente applicare in eccesso quest'ultimo (x). Il bromuro d'etile serve per preparare il malonato d'etile (etere malonico, pag. 260). B r o m u r o di metile. I,a preparazione di questo che è il più semplice fra i bromuri alchilici si esegue con un procedimento analogo ( B Y G D É N , Journ. prakt. Chemie 8 3 , 4 2 1 , 1 9 1 1 ) . Poiché il suo punto d'ebollizione si trova a 4,5°, difficilmente si potrà prepararlo in quantità maggiori allo scopo di tenerne una scorta, però esso è molto raccomandabile per l'uso immediato nella reazione di GRIGNARD, in luogo del derivato iodurato che è più caro. Ha usi analoghi a quelli del bromuro d'etile. Esercizio N. 2. - Ioduro d'etile dall'alcool etilico (2). In un palloncino da cm 3 200 si versano sopra g 5 di fosforo rosso, cm 50 d'alcool assoluto e s'aggiungono gradualmente, nel corso d'un quarto d'ora, agitando di frequente, g 50 di iodio finemente polverizzato; si raffredda di tanto in tanto il pallone immergendolo in acqua fredda. Si sovrappone allora al pallone un buon refrige3

(1) Per l'uso industriale l'alcool è assai meno costoso (denaturato, al 90-95°: lire 4,50-5 circa, n. d. trad.). (2) F. BEILSTEIN, A. 126, 250 (1863).

Eserc. N. 2: Ioduro d'etile

107

i a n t e ad acqua, si lascia reagire il miscuglio per due ore agitandolo frequentemente, poi si riscalda per due ore a bagnomaria con un refrigerante a ricadere. Infine si distilla l'ioduro d'etile con un refrigerante di Iyiebig. Se le ultime porzioni distillano con difficoltà, s'allontana il bagnomaria, s'asciuga il pallone e lo si riscalda per breve tempo, in una fiamma Bunsen luminosa « a fiamma volante » cioè muovendo continuamente la lampada. Il distillato che l'iodio colora in bruno, viene ripetutamente lavato con acqua nell'imbuto separatore, per allontanarne l'alcool; alla fine all'acqua s'aggiunge qualche goccia d'una soluzione di bisolfito e poi altrettanto idrato sodico. L'olio incolore ottenuto a questo modo si lascia stratificare nell'imbuto separatore, s'essicca con poco cloruro di calcio granulare e si rettifica direttamente sopra una fiammella. Se il CaCl2 galleggia sull'ioduro d'etile, quest'ultimo si versa nel pallone a coda a t t r a verso un imbuto nel cui collo si troverà un po' d'amianto o di lana di vetro. P. eb. del C 2 H 5 I : 72 0 . Resa circa g 50. Il lettore calcoli quale percentuale del rendimento teorico rappresenta questo peso. Usi: pel malonato d'etile e per reazioni secondo GRIGNARD.

Ioduro di metile (1). G 50 di K I si sciolgono in em 3 50 d'acqua. Alla soluzione debolmente riscaldata s'aggiungono a gocce g 40 'di solfato dimetilico (CH 3 ) 2 S0 4 (2). L'ioduro di metile si distilla attraverso un refrigerante e si raccoglie in un collettore ben raffreddato. S'essicca il liquido con CaCl2 e si rettifica. P. eboll. : 43 0 . Resa : g 35-40. Osservazioni agli esercizi N. 1 e 2. Queste due reazioni non sono che casi speciali d'una reazione di carattere generale, e precisamente della sostituzione d'un ossidrile alcoolico con un atomo d'alogeno. Questa sostituzione può avvenire in due modi : a) come nella preparazione di C 2 H 6 Br si fa agire sull'alcool un idracido alogenico, per es. : C2H5|OH + HBr| (HC1, HI)

=

H 2 0 + C 2 H 5 Br;

b) come nella preparazione dell'ioduro d'etile l'alcool viene trasformato in alogenoderivato mediante composti alogenati del fosforo: 3 C2H5OH + PI 3 (PCI3, PBr 3 )

=

3 C2H5I + H 3 P 0 3 .

L a prima reazione riesce meglio con acido iodidrico, in molti casi ima semplice saturazione dell'alcool coll'acido gassoso è sufficiente perchè la reat1) WEINIAND e SCHMID, B. 3 8 , 2327 (1905). (2) Attenzione! il solfato di metile è velenosissimo! V. pag. 2 5 1 .

io8

Cap.

I:

Sostituzione

degli alogeni

all'ossìdrile

zione abbia luogo. L'acido bromidrico reagisce difficilmente, e spesso è necessario riscaldare l'alcool, saturato con questo acido, in un tubo di Carius saldato alla fiamma. L a preparazione del bromuro d'etile così come è riferita sopra, nella quale H B r viene messo in libertà dal bromuro di potassio per mezzo dell'acido solforico concentrato, rappresenta un caso in cui questa reazione s^attua con facilità. L'acido cloridrico reagisce molto più difficilmente e richiede, come per es. nella preparazione del cloruro di metile e del cloruro d'etile un mezzo disidratante, preferibilmente ZnCl 2 , o come per gli alcool di peso molecolare elevato, il riscaldamento sotto pressione in vaso chiuso. Gli alcooli aromatici, per es. l'alcool benzilico, si lasciano alogenare a questo modo con facilità ancora maggiore che non gli alcooli alifatici, adoperando gli idracidi alogenati concentrati. Non si riesce però ad applicare tale reazione ai fenoli. L a reazione avviene anche con gli alcooli bi- e poliossidrilati ; il numero degli ossidrili sostituiti dagli alogeni dipende dalle condizioni in cui si svolge la reazione, come pure dalla quantità dell'idracido adoperato, dalla temperatura ecc.; per es. : CH„—OH I ' + HBr CH 2 —OH

CH—Br I + HsO CH—OH

=

tjlicol-etilenico

etilcn-bromidrina

CH 2 —OH ¿ H — O H + 2 HC1

CH 2 —OH =

¿H—CI

CH a —OH

¿H..C1

glicerina

dicloridrina

+ 2 H„0 .

L'acido iodidrico agisce sugli alcooli poliossidrilici non soltanto nel senso d'eterificarli, ma anche in quello di ridurli. Così la glicerina si trasforma in ioduro d'isopropile passando per l ' i , 2, 3, triiodopropano: CH a OH—CHOH—CH 2 OH + 3 H I

=

CH 2 I—CHI—CH 2 I + 3 H 2 0

CH 2 I—CHI—CTLI + 2 H I

=

CU,—CHI—CII 3 + 2 I , .

Analogamente l'alcool tetravalente eritrite passa a 2-iodobutano, l'alcool esavalente mannite si trasforma in 2-ioduro d'essile. I l lettore formuli queste reazioni in equazioni chimiche. Naturalmente anche gli ossiacidi sono accessibili a questa reazione. L a seconda reazione si svolge molto più energicamente che non la prima, specialmente quando s'adopera dell'alogenuro di fosforo già pronto. Questo però non è sempre necessario, almeno quando per la sostituzione si ricorre al bromo ed allo iodio; piuttosto in molti casi s'agisce in modo da provocare la formazione dell'alogenuro di fosforo durante la reazione, aggiungendo ad un miscuglio dell'alcool da trattare e di fosforo rosso sia del bromo a gocce da un imbuto a rubinetto, sia dell'iodio finemente polverizzato, come s'è visto sopra. Questa reazione, come pure la prima, avviene anche cogli alcooli poliossidri-

Osservazioni

109

teoriche

lati, nonché con alcool sostituiti ed anzi a questo modo possono essere sostituiti tutti i gruppi ossidrile da parte d'alogeni, anche dal cloro. In luogo del tricloruro di fosforo si adopera spesso del pentacloruro di fosforo che è solido, molto meno volatile e d'azione più energica. Qui è necessaria un'intera molecola di PC15 per ogni molecola d'alcool perchè la reazione conduce alla formazione di P0C1 3 molto meno attivo, per es.: C H 3 — C H 2 O H + PCI S

CH3—CH2A +

=

Poa3 +

HQ .

In questi ultimi tempi s'è introdotto il cloruro di tionile SOCI, per la stessa reazione; esso presenta il vantaggio che i suoi prodotti di trasformazione sono gassosi e perciò non disturbano il trattamento ulteriore del miscuglio reagente : C 4 H , — C H J O H + S0C12 alcool amilico

=

C,H„—CH2C1 + S 0 2 +

HC1.

cloniro d'amile

Si riconosce l'azione più energica del fosforo alogenato dal fatto che anche i gruppi ossidrili« del fenolo possono essere sostituiti da atomi d'alogeno mediante questa reazione: C 6 H 5 —OH + PC16 (PBr 5 ) fenolo

=

C„H5—Cl(Br) + POCl 3 (Br 3 ) + HCl(HBr) clorobenzene (bromobenzene)

I rendimenti qui sono spesso meno soddisfacenti, poiché l'ossicloruro di fosforo agisce sul fenolo che non ha ancora reagito, colla formazione di eteri dell'acido fosforico, per es.: / OCflH6 POCl3 + 3 C 6 H 6 —OH = PO(-OC,H s + 3 H Q \OC,He Gli alogenuri mono-alchilici C„H 2 „ +1 a ( B r , I ) sono incolori e generalmente liquidi, fanno eccezione il cloruro ed il bromuro di metile ed il cloruro d'etile che sono gassosi a temperatura ordinaria, inoltre gli omologhi a peso molecolare elevato come per es. l'ioduro di cetile C1SH33I, i quali si presentano come sostanze semisolide, di consistenza unguentosa. Oltre a quello di « ioduro di metile » è appropriato il nome di « monoiodiometano ». Questi composti appartengono alla classe degli eteri salini. L'alogeno non è combinato in'modo da formare ioni e passando dal cloro al bromo ed allo iodio è sempre più mobile. Come eteri gli alogenuri alchilici vengono saponificati dagli alcali in alcool e sali d'idracidi alogenici: l'idrogeno nascente li trasforma in idrocarburi, l'ammoniaca in animine, gli alcoolati in eteri, il solfidrato potassico in mercaptani, il cianuro potassico in nitrili, l'acetato sodico in etere acetico. Il lettore esprima queste reazioni in forinole. Gli alogenuri alchilici sono praticamente insolubili nell'acqua, ma si mescolano con solventi organici. L a grande affinità dell'iodio per l'argento ha per conseguenza che gli ioduri alchilici sono decomposti quasi immediatamente dalla soluzione idroalcoolica di AgN0 3 con formazione di Agi ed alcool. Su questo fatto si basa l'importante metodo di ZEISEI, per la determinazione quantitativa dei gruppi alchilici combinati sotto forma di eteri (v. pag. 90).

I IO

Cap. I: Sostituzione degli alogeni

all'ossidrile

Coll'ioduro alcalino si può sostituire il CI ed il Br mediante iodio. Questa reazione è importante in quei casi dove la reazione diretta degli alcooli con acido iodidrico non procede speditamente, o manca del tutto, per es. nella preparazione della iodidrina etilenica: CH 2 OH—CH 2 C1 + N a I

=

C H 2 O H — C H 2 I + NaCl .

Poiché la reazione avviene a caldo non si può farla avvenire in ambiente acquoso, dato il pericolo d'idrolisi, ciò che del resto è impossibile nella maggioranza dei casi a causa dell'insolubilità del cloruro alchilico in acqua. Secondo il FINKEI.STEIN s'usa dell'acetone ben essiccato con cloruro di calcio e dell'ioduro di sodio anidro che è abbastanza ben solubile in acetone. Per decolorare i composti iodurati, che se conservati, specialmente alla luce diurna, presto si colorano in bruno (iodio libero) s'agitano con un po' di mercurio o d'argento finemente suddiviso. Poiché l'idracido alogenico si può sottrarre agli alogenuri alchilici, questa classe di sostanze è in diretta relazione colla serie delle olefine : H3C—CH2Br

" ""r—)-

H2C=CH2 + HBr .

L a sottrazione dell'idracido alogenico si pratica preferibilmente con potassa alcoolica ( 1 ), in alcuni casi vengono adoperate anche delle basi terziarie come la piridina, la chinolina o la dimetilanilina. Per le reazioni sintetiche degli alogenuri alchilici è già stata menzionata la loro reazione di doppio scambio col K C N , la quale secondo H. KOI,BE permette la sintesi dell'acido acetico a partire dalla serie del metano (v. le preparazioni a pagg. 149-260). F r a le reazioni p i ù semplici di questo tipo menzioneremo qui la sintesi di WURTZ. Il sodio metallico sottrae l'alogeno a due molecole d'alogenuro e i due alchili restanti s'uniscono fra loro. Così dal bromuro di metile si forma, nel caso più semplice, l'etano: HaC—Br Br—CH3 Na Na

>- H 3 C — C H S + 2 N a B r .

Questa reazione viene applicata nella preparazione del trifenilclorometano, pag. 352. Finalmente gli alogenuri alchilici hanno acquistato un'importanza straordinaria come punto di partenza della reazione di GRIGNARD di cui si parla a pag. 342. L a s i n t e s i d i FITTIG (2) s i d i s t i n g u e d a q u e l l a d i WURTZ p e r i l f a t t o c h e

un alogenuro aromatico ed uno alifatico vengono sottoposti contemporaneamente alla de-alogenazione per mezzo del sodio: CeH5—Br + C2H5—Br + 2 Na

—>-

C 6 H 5 —C 2 H 5 + 2 N a B r etilbenzene

(*) Questo reagente molto usato si prepara in una certa quantità, per averne sempre di scorta, sciogliendo in cm 3 100 d'alcool metilico — la soluzione etilalcoolica di potassa si resinifica ben presto — g 25 di K O H in cilindri, a caldo, oppure a freddo lasciando allora in riposo per una notte, si separa il carbonato per filtrazione e si determina il contenuto in K O H mediante titolazione. (2) TOLLENS e FITTIG, A. 131, 303 (1864). V. X X I I ed. tedesca della presente opera, pag. i n .

Eserc.

N.

3:

Cloruro

di

111

benzile

Essa è d'applicazione generale, poiché gli omologhi metilati del bromobenzene, nonché quelli del dibromobenzene e tutti i possibili bromuri alchilici possono agire allo stesso modo. L a reazione avviene anche tra due molecole di bromuro aromatico, seppure più diffìcilmente : 2 C 9 H s Br + 2 N a

>•

C„H 6 —C„H S + 2 NaBr. difenile

Però il difenile viene preparato ordinariamente mediante deidrogenazione termica del benzene i c a i vapori attraversano un tubo di ferro arroventato. L a reazione di PiTTiG non avviene così semplicemente come parrebbe dalle reazioni surriferite. È stato dimostrato da recenti esperienze [ A C R E E ( ' ) , S C H M J B A C H ( 2 ) ] che nella prima fase si formano dei composti sodici degli idrocarburi. Questi reagiscono in un secondo tempo con una seconda molecola di bromuro organico e solo allora eliminano N a B r : 1. R — B r 4- 2 N a — > 2. R N a + R ' B r

R — N a + NaBr; > R — R ' + NaBr

Poiché tanto R B r quanto R ' B r reagiscono prima col sodio, ma i due composti sodici possono reagire con R B r ed R ' B r , così nella sintesi di F I T T I G sono teoricamente possibili tre reazioni e cioè la formazione di R — R ' , R — R , R'—R'. Il bromobenzene reagisce più rapidamente col sodio che non col bromuro d'etile, il sodiofenile reagisce più rapidamente col bromuro d'etile che non col bromobenzene, perciò abbiamo nel nostro esempio formazione agevole di etilbenzene.

Esercizio N. 3. - Cloruro di benzile dal toluene (3). Q u a n d o si l a v o r a c o l c l o r o , c o l b r o m o e c o g l i i d r a c i d i a l o g e n i c i si d e v e f a r e a m e n o d e i r a c c o r d i e g i u n t i in g o m m a o d i n s u g h e r o . In tali casi tubo mezzo

si

usa

d'adduzione) d'un

il p a l l o n e nel

quale

bagno d'aria,

g

visibile

in fìg.

48,

vengono

portati

ad ebollizione

100 d i t o l u e n e p u r o .

pag.

115

Prima

di

(con per ver-

s a r e il t o l u e n e n e l p a l l o n e , s ' è a v u t a c u r a d ' i n t r o d u r r e n e l l o s t e s s o ( t e n u t o o r i z z o n t a l m e n t e ) u n t e r m o m e t r o corto, l a c u i p a r t e i n f e r i o r e riposa in u n t u b o di v e t r o l u n g o c m 3-4, assottigliato nel m e z z o per fusione e che serve da sostegno. I/estremità di questo che sulla parete del pallone è a r r o t o n d a t o alla

fiamma,

s g r a f f i a m e n t o d e l v e t r o . A t t r a v e r s o il t u b o d i v e t r o ,

poggia

p e r i m p e d i r e lo fissato

al mani-

i1) Am'er. Chem. Journal, 2 9 , 588 (1903). ( 2 ) B . 5 5 , 2889 (1922); v . a n c h e S C H L E N C K , B . 5 0 , 262 ( 1 9 1 7 ) . (') C A N N I Z Z A R O , Annales de ckimie, [3] 4 5 , 468 (1855); B E I L S T E I N e G E I T N E R , A . 332 (1866); S C H H A M M , B . 1 8 , 608 (1885).

139,

112

Cap.

I: Sostituzione

degli

alogeni

all'ossidrile

cotto smerigliato, nel collo del pallone si conduce una forte corrente di cloro dalla bombola, passando per una bottiglia di lavaggio carica ad H 2 S0 4 , sino a che la temperatura è salita a 156° nel liquido che trovasi in vivace ebollizione. I/estremità superiore del tubo refrigerante verrà collegata, per eliminare il cloro che si svolge, con un recipiente contenente un alcali caustico nella quale il tubo di collegamento non deve pescare. 1/esperienza insegna che la durata del gorgogliamento del cloro dipende dall'illuminazione; la reazione è terminata in alcune ore se si espone il miscuglio reagente alla luce solare diretta (1) ; se il cielo è nuvoloso occorre anche mezza giornata. Perciò per quanto possibile ci si regoli a seconda dell'illuminazione. Indi il contenuto del pallone viene direttamente distillato a pressione ridotta. Dopo il passaggio del toluene che non ha reagito si raccoglie la porzione principale nell'intervallo di 7 gradi (con 12 mm di Hg di pressione, tra 63 e 70° circa). Il punto d'ebollizione del cloruro di benzile è a 6 4 ° , con 1 2 mm Hg. Resa teorica 6 5 - 7 0 % . Iva sostanza purificata per distillazione a pressione ridotta, è più pura e più stabile che non quella distillata a pressione atmosferica, perchè in quest'ultimo caso si ha sempre decomposizione e formazione di HC1. Applicazioni: cianuro di benzile (pag. 149), etere benzilmalonico (pag. 262), reazione di GRIGNARD. Il metodo teoricamente più facile per sostituire negli idrocarburi gli alogeni al posto dell'idrogeno consiste nel far agire direttamente l'alogeno libero sull'idrocarburo saturo. Questo processo viene accelerato cataliticamente dalla luce similmente alla reazione esplosiva fra cloro ed idrogeno gassosi; e se è applicato alla miscela di metano e cloro conduce alla formazione di mono-, di-, tri- e tetraclorometano. Anche le paraffine superiori vengono clorurate a questo modo ma il procedimento non è comodo per la preparazione in grande e presenta inoltre l'inconveniente che contemporaneamente si formano diversi prodotti difficilmente separabili fra loro. Qui vale la regola che in generale il cloro s'unisce all'atomo di carbonio più povero in idrogeno. Nella serie grassa gli alcool che sono più facilmente ottenibili allo stato puro che non gli idrocarburi rappresentano come si vede negli esempi 1 e 2, l'esclusiva materia prima di partenza per la preparazione degli alogeno-derivati. Il processo di sostituzione del cloro avviene in un modo molto più evidente nel caso del toluene e negli omologhi superiori (xilene ecc.). Abbiamo qui due processi nettamente distinti: a) Per mezzo di quei tipici veicoli trasportatori degli alogeni, come limatura di ferro, iodio ecc., la sostituzione avviene esclusivamente nel nucleo ed anzi dal toluene si formano insieme i derivati orto- e para-;

F.

0 ) G . B O O K e J . E G G E R T , Zeitschr. BERGEL, B . 5 9 , 153, (1926).

¡tir Elektrochemie

2 9 , 521 (1923); B . 5 9 , 1192

(1926);

Eserc.

N. 3: Cloruro

di benzile

"3

b) senza lino di questi veicoli anche alla temperatura d'ebollizione il nucleo benzenico n o n v i e n e minimamente intaccato. L a v e l o c i t à di sostituzione nel g r u p p o metilico (catena laterale) che è straordinariamente p i c c o l a a freddo, v a a u m e n t a n d o per la legge generale g i à e n u n z i a t a i n principio secondo la quale per ogni innalzamento di temperat u r a di i o 0 si h a u n r a d d o p p i a m e n t o od u n a triplicazione della v e l o c i t à di reazione, sino a che si raggiunge u n valore sufficiente ai nostri scopi. Questa reazione, come t u t t e quelle i n cui l'idrogeno è sostituito dal cloro, è influenzata dalla luce. N o n è v e r o che l ' a g g i u n t a del pentacloruro di f o s f o r o a b b i a u n eff e t t o accelerante. L a reazione t r a il cloro ed il toluene ci d à un bellissimo esempio dell'influenza specifica di v a r i catalizzatori su un sistema in v i a di reazione. A l l ' a t t o p r a t i c o della preparazione è di grande m o m e n t o il f a t t o che l'introduzione del secondo a t o m o di cloro nella c a t e n a laterale a v v i e n e con m o l t o m a g g i o r e lentezza che non quella del primo. Cosi quasi t u t t o il cloro presente viene c o n s u m a t o dal toluene p r i m a che il cloruro di benzile cominci a clorurarsi ulteriormente i n misura sensibile. L a v i c i n a n z a del nucleo benzenico conferisce al cloro della catena laterale u n a minore stabilità, cioè u n a maggiore m o b i l i t à che non nel caso delle paraffine pure. S i spiega ciò a m m e t t e n d o che il nucleo benzenico richieda al m e t a n o i m a m a g g i o r e q u a n t i t à d'energia di combinazione che non il radicale alchilico o il cloro e che perciò ima minore q u a n t i t à d'essa resta a disposizione del cloro (teoria della ripartizione delle affinità di THIELE-WERNER). Questo esempio c'insegna che per q u a n t o le lineette delle nostre forinole di struttura esprimano f o r m a l m e n t e la t e t r a v a l e n z a dell'atomo di carbonio, pure esse non ci dicono nulla intorno alle condizioni energetiche delle singole valenze. Soltanto possedendo i f o n d a m e n t i della sistematica il chimico acquista « l'occhio clinico » e l a comprensione che occorrono per cavare dalle fredde forinole p i ù di quel che p o s s o n o dirci gli aridi collegamenti grafici f r a i simboli degli atomi. I l cloruro di benzile in t u t t e le sue reazioni si c o m p o r t a come i cloruri dei radicali alchilici. Saponificando a caldo con alcali diluiti s'ottiene il relat i v o alcool, e cioè l'alcool benzilico C „ H 5 — C H 2 O H , liquido incoloro che bolle a 206° (Cap. V , eserc. N . 4 a p a g . 229). F a c e n d o reagire in condizioni appropriate il cloruro d i benzile colla ammoniaca, s'ottiene la benzilammina C , H S — C H 2 — N H , , liquido di reazione b a s i c a a b b a s t a n z a f o r t e che presenta t u t t e le proprietà delle basi amminiche alifatiche e d è completamente differente dagli amminotolueni (toluidine) che sono suoi isomeri, m a sono sostituiti nel nucleo benzenico. P o s s i a m o dire che i n generale t u t t e le reazioni nel gruppo metilico del toluene e d i t u t t i gli altri c o m p o s t i di s t r u t t u r a analoga, decorrono in un m o d o fondamentalmente u g u a l e a quelle dei composti p u r a m e n t e alitatici. Continuando l a clorurazione del toluene s'introduce u n secondo ed infine u n terzo a t o m o d i c l o r o nella c a t e n a laterale. I l cloruro di benzale C , H 6 — C H C l a , l i q u i d o incoloro e lacrimogeno come del resto anche il cloruro d i benzile, serve d a m a t e r i a p r i m a per l a fabbricazione industriale della benzaldeide. V e d i Cap. V , eserc. N . 3 a pag. 218. I l tricioruro 8 — GATTERMANN.

di benzenile

si c h i a m a anche fenilcloroformio

C,Ht—CC1S.

ii4

Cap. I: Sostituzione

degli alogeni

all'ossidrile

I/azione del nucleo benzenico sulle valenze degli atomi vicini si manifesta qui in un modo particolarmente evidente. Mentre il cloroformio è abbastanza resistente agli alcali, il tricloruro di benzenile si lascia da essi saponificare con straordinaria facilità ed anzi perde tutt'e tre gli atomi di cloro. Sarebbe però erroneo credere che qui tutto il cloro venga sottratto temporaneamente secondo l'equazione: CI Na OH C,H 5 —C^ CI Na OH CI Na OH

/OH > C0H5—C ( - O H + 3 NaCl \OH

/OH >- C,H 6 —C{ + HaO \o

Tutte le reazioni chimiche avvengono per stadi successivi ed anzi in genere tra due molecole (reazioni di secondo ordine o bimolecolari). Possiamo perciò scomporre la nostra reazione in processi parziali e formularla nel modo seguente : C.H.—C^-Cl + NaOH \C1 + NaCl + H 2 0

C e H 5 ^ C l H -f- NaCl 1 \C1

>

-

NaH

" >

+ NnOH

>

C8H6—c/° 11 >C1

gO

C„HS—C i + NaCl. \OH

I prodotti intermedi I e I I subiscono molto più rapidamente la saponificazione che non il tricloruro di benzenile. Perciò essi non compaiono nella reazione finale. A proposito del prodotto intermedio I si deve osservare che le combinazioni di questa specie che contengono un alogeno ed un ossidrile legati ad uno stesso atomo di carbonio sono incapaci d'esistenza libera e subiscono immediatamente la trasformazione in questo senso: \ ) C {/ O H / \C1

>

\> C = 0 + HC1. /

Saggio. Si fanno bollire per qualche minuto in una provetta alcune gocce di cloruro di benzile con una soluzione alcoolica di potassa (priva d'alogeni) su un bagnomaria. Poi s'allunga con acqua, s'acidifica con acido nitrico, s'agita la parte insolubile con etere e si fa arrivare qualche goccia di nitrato d'argento in soluzione. I,a prova analoga col bromobenzene C6H5Br puro (vedi preparazione successiva) non rivelerà presenza di bromo-ione: differenza tra gli alogeno-derivati alifatici e quelli aromatici. Analisi del cloruro di benzile. Iva determinazione quantitativa degli alogeni in quelle sostanze che contengono l'alogeno collegato al gruppo alifatico, non viene fatta secondo il metodo di Carius (pag. 78) bensì operando la scissione idrolitica a mezzo di potassa

Eserc.

N. 4:

Bromobenzene

alcoolica titolata. Poiché questo metodo è spesso applicato, la sua conoscenza è utile e si può impararne la tecnica in sede di controllo della preparazione presente. Si fa bollire in un palloncino già più volte adoperato e ben svaporato una quantità accuratamente pesata di cloruro di benzile (g 1 aìl'incirca) con circa una volta e mezza la quantità calcolata di NaOH in sol alcoolica normale per un'ora con refrigerante a ricadere; poi s'allunga con un volume doppio d'acqua e si titola con una soluzione Nj2 di HC1, in presenza di fenolftaleina, l'eccesso d'alcali. Naturalmente il metodo è applicabile solo se non si formano contemporaneamente altri acidi. In caso contrario l'alogeno si titola secondo VOI,HARD con solfocianato potassico.

Esercizio N. 4. - Bromobenzene. Un pallone da cm 3 500 porta in un tubo laterale saldato alla fiamma, attraverso un giunto smerigliato, un refrigerante mentre nel collo superiore si trova un imbuto separatore (fig. 48) con giunto smerigliato: i giunti in

c

Fig.

Fig. 49-

sughero od in gomma sono così fortemente attaccati dal bromo che è assai difficile fare un lavoro pulito senza servirsi di giunti in vetro smerigliato. L,a parte superiore del refrigerante è collegata a mezzo d'un tappo di sughero paraffinato con un grosso tubo di Péligot (fig. 49) o con un matraccio di Erlenmeyer — il tubo d'introduzione deve rimanere al disopra del livello del liquido — nel quale il bromo che si forma viene assorbito dall'acqua.

ii6

Cap.

I: Sostituzione

degli alogeni

all'ossidrile

S'introduce nel pallone gr. mol. I (cm3 90) di benzene e g 2 di limatura di ferro grossolana; si fanno arrivare a goccie per mezzo dell'imbuto separatore ed agitando sempre cm 3 53 di bromo (g 160). Si aspetta che la reazione sia avviata e si sviluppi H B r ; si regola l'afflusso del bromo in modo tale che la reazione avvenga speditamente senza perciò diventare tumultuosa. Se verso la fine essa rallenta troppo si riscalda ancora brevemente a bagnomaria sino a che t u t t o il bromo è stato consumato. Quindi il miscuglio viene distillato in un pallone più grosso in corrente di vapore. Appena nel refrigerante osserviamo la separazione di cristalli di p-dibromobenzene si cambia il recipiente collettore e si distilla completamente questo prodotto secondario. v Il bromobenzene distillato per il primo, si lascia a sè per stratificare in un imbuto separatore, si separa, s'essicca per un'ora circa con CaCl 2 e infine si distilla. L,a frazione che passa tra 140 e 170 o fornisce, se distillata di nuovo, per la massima parte un prodotto che distilla fra 152 e 158 o e rappresenta del bromobenzene discretamente puro: resa g 70-80. Per l'uso ulteriore nella reazione di GRIGNARD il preparato deve essere ancora ridistillato e frazionato entro un intervallo più ristretto. Il composto puro bolle a 155 o e s'impiega nella reazione di GRIGNARD ( p a g .

342).

Para-dibromobeiìzene. L a sostanza rimasta nel matraccio dopo la prima distillazione viene versata ancora calda in una capsula di porcellana; dopo solidificazione, insieme al prodotto ottenuto nella distillazione in corrente di vapore viene stesa su un piatto d'argilla per liberarla dalle morchie ed essiccata. Non si deve però comprimere la sostanza con una spatola contro il piatto d'argilla bensì la si deve spalmare con leggera pressione — ciò vale per tutte le operazioni di questo genere —• affinchè l'azione assorbente dell'argilla si manifesti compiutamente. In caso di sostanze fortemente impure per untume si preleva la sostanza con spatola dopo riposo di parecchie ore e la si trasporta in un punto ancora pulito del piatto. Dopo l'essiccamento si purifica il p-dibromobenzene sciogliendolo in poco alcool dal quale cristallizza in magnifici prismi incolori. P. fus.: 89o. Acido bromidrico come sottoprodotto. Nella reazione si sono formati g 80 di H B r i quali richiedono circa g 200 d'acqua per venire

Meccanismo

della

7

sostituzione

ll

assorbiti. Perciò se non è s t a t o predisposto un recipiente a b b a s t a n z a grande, bisogna rinnovarne la carica non appena nel collettore stesso si manifestano delle nebbie. P e r purificare l'acido bromidrico bisogna distillarlo in un pallone a coda munito di refrigerante c o r t o infilato sul t u b o di sviluppo laterale (fig. 20). Dopo l'eliminazione dell'acqua il punto d'ebollizione sale sino a 1 2 6 ° ed a~ questa t e m p e r a t u r a distilla l'acido al 4 8 % il quale è utilmente applicabile in laboratorio. P e r es. si può ottenerne bromuro di potassio, occorrente per la preparazione dei bromuri alchilici, introducendo in un v a s o ampio contenente l'acido, del K 2 C 0 3 in quantità calcolata per la neutralizzazione. Ecco una regola utile per siffatte operazioni : Si tenga da parte una piccola quantità della sostanza meno comune — qui HBr — per non trovarsi imbarazzati se il punto di neutralità è stato inavvertitamente superato. Il

bromobenzene

puro nell'ebollizione

con

KOH

non

libera

ione bromo. Il lettore controlli con un saggio. L'alogeno è legato molto fortemente al nucleo benzenico: gli alogenuri aromatici non sono accessibili alle reazioni caratteristiche degli alogenuri alchilici. L'alogeno può essere spostato soltanto dall'idrogeno attivato cataliticamente, o che si trovi allo stato nascente (sodio metallico in alcool). Si possono fare reagire gli alogenuri arilici anche col Mg (Cap. I X , Eserc. N. 1, pag. 342) ; inoltre nella sintesi di FITTIG si ha un distacco dell'alogeno (pag. 1 1 0 ) . Se vogliamo confrontare il bromobenzene con un alogenuro della serie alifatica, come esempio non possiamo prendere naturalmente il bromuro d'etile che è saturo, bensì dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alle sostanze del tipo del bromuro di vinile: H H

H/

\H

H=BÌ

H2c=c/ X B r

delle sostanze dunque che hanno l'alogeno legato ad un atomo di C avente doppio legame. Ed allora si vede che gli alogenuri della serie olefinica di questo genere contengono l'alogeno legato pure assai fortemente, cosicché ncn v'ha differenza sostati zi ale tra questi composti e gli alogenoderivati del benzene. La reattività dell'alogeno legato al nucleo aromatico viene aumentata dalla presenza di nitrogruppi nelle due posizioni orto e para ; anche nell'acido orto-clorobenzoico l'alogeno è fissato con legame abbastanza debole. Come si spiega il meccanismo della sostituzione dell'alogeno nel nucleo benzenico ? L'ipotesi d'una sostituzione diretta dell'idrogeno coll'alogeno, come ammettiamo nel caso del cloruro di benzile e nella reazione tra metano e cloro, è poco verosimile, inquantochè nella serie etilenica noi non troviamo che l'idrogeno abbia una particolare capacità di reazione, quando esso è congiunto con un atomo di C che sia collegato con due valenze all'atomo di C con-

Cap.

I: Sostituzione

degli alogeni

all'ossidrile

tiguo. Diversi fatti però che più tardi (pag. 175-176) verranno considerati, favoriscono l'ipotesi che il benzene reagisca coll'alogeno in un modo fondamentalmente simile all'etilene, il cui comportamento col bromo formerà l'oggetto dell'esercizio successivo. In ambo i casi il bromo s'unisce probabilmente prima al doppio legame e mentre l'attivo doppio legame delle olefine è facilmente accessibile a questa reazione, il doppio legame del nucleo benzenico, più inerte, richiede la presenza di veicoli per l'alogeno, come ad es. Fe, alogenuro di Fe, AlBr,: H H,C=CH,

—>• BrCH 2 —CH 2 Br;

H

H

H

CH 3 —CH 2 —O—SO 3 H



H 2 C = C H 2 + H 2 SO 4 .

I l l e t t o r e si r i c o r d e r à che il s o l f a t o acido d'etile f o r m a t o a caldo p e r p r i m o (a 130 0 ) p e r azione d ' u n eccesso d'alcool si scinde e che a q u e s t o m o d o si p r e p a r a l'etere etilico: CH3-CH20-S03H + HO-CH2-CH3

* CH 3 —CH 2 —O—CH 2 —CH 3 + H 2 SO 4 .

Anche nella p r e p a r a z i o n e dell'etilene si f o r m a l'etere come s o t t o p r o d o t t o . L'etilene, d e t t o a n t i c a m e n t e « g a s oleofacente » è s t a t o p r e p a r a t o già nel 1795 d a i cinque chimici olandesi Deiman, T r o o s t w y k , B o n d t , L o u w e r e n b u r g h e CREM3 a p a r t i r e d a s p i r i t o di v i n o e d olio d i vetriolo. I n d u s t r i a l m e n t e l'etilene si p r e p a r a dall'alcool p e r scissione catalitica di q u e s t ' u l t i m o i n p r e s e n z a d i allumina ( S e n d e r e n s ) r i s c a l d a t a a 200-300° e sulla quale v e n g o n o f a t t i p a s s a r e i v a p o r i d'alcool (un m e t o d o di p r e p a r a zione a d a t t o p e r l a b o r a t o r i si t r o v a in W . K e s T i n g , Z. angewandte Chemie 38. 362, 1925). Come l'allumina, anche il f o s f a t o d'alluminio p u ò servire p e r eseguire simili preparazioni. I n v e c e d i p r a t i c a r e la decomposizione t e r m i c a degli eteri solforici acidi dell'alcool, c o m e s'è f a t t o nel n o s t r o esempio, si ricorre spesso agli eteri d ' a l t r i acidi, a d es. acido benzoico, p e r e v i t a r e così l'azione carbonizzante d i H 2 S 0 4 . Anche il b i s o l f a t o p o t a s s i c o e l'acido borico o p p u r e ossalico anidri vengono a d o p e r a t i : s ' o t t e n g o n o l'acroleina dalla glicerina e l'acido p i r u v i c o d a

Olefine: reazioni

d'addizione

123

quello tartarico. Rientra in questo campo anche il metodo allo xantogenato dovuto allo C i u g a e f f . Il carattere chimico delle olefine si basa sul loro doppio legame accessibile a t u t t e le reazioni d'addizione possibili. Vengono addizionati: a) gli alogeni; f r a questi reagiscono con speciale facilità CI e Br e si formano dialogeno-derivati alchilici; b) gli idracidi alogenati, con formazione d'alogenuri alchilici. In pratica viene addizionato l'acido bromidrico sciolto in ac. acetico glaciale e poiché questo processo d'addizione è lento i componenti vengono scaldati entro tubi di Carius saldati. c) l'acido solforico (v. sopra) ed altri acidi, ad es. acido acetico (applicazione industriale nel gruppo dei terpeni); d) l'acido nitrico. L'etilene fornisce in presenza di H 2 SO, conc. l'etere nitrico dell'alcool nitroetilico. CHj=CHa

j-

CH2—CHa

NO.

>-

CH—CH2

¿>H

NO a

¿—NO,

e) l'acido ipocloroso, secondo lo schema: CH*

C H

hoc,

CH a

« -

C 1

¿ 1 2 —OH CH

*

Così s'ottiene la cloridrina etilenica introducendo contemporaneamente etilene e C0 2 in una soluzione d'ipoclorito di calcio; /) l'ipoazolide, che fornisce dei dinitroetani : RCH Il

„ ¡so,

RCH—NO, R.¿H—> CH—NO,

RCH

usando anidride nitrosa s'assorbe N 2 0 3 e s'arriva alle pseudo-nitrositi bimolecolari ; g) l'ozono

(Hakries,

Staudinger):

CH2

H2C

i

CH2.

i

Gli ozoniuri riscaldati in presenza d'acqua si decompongono secondo lo schema : RCH

i

CCI H R

i)

H



>

R—CHO + R—CHO +

HO—OH

per cui essi ci dànno la possibilità d'una sintesi delle aldeidi o dei chetoni per questa via. L'idrolisi ha inizio al gruppo « etereo » H 2 C—O—CH 2 e ci dà in

Cap. I: Sostituzione

124

degli alogeni

all'ossidrile

via intermediaria dei perossidi ossi-dialchilici RH(OH)CO—OC(OH)HR, (v. anche pag. 214), che poi si decompongono in un secondo tempo in aldeidi (o chetoni) e perossido d'idrogeno ( R t e c h e ) . I l benzene addiziona 5 gr. mol. di O»; il suo triozoniuro (ozobenzene) C 6 H 9 0 9 con acqua si scinde in 3 gr. mol. di gliossale. L a reazione di scissione idrogenante degli ozoniuri decorre in modo più liscio e senza reazioni secondarie, dando delle aldeidi e risp. chetoni e in un primo tempo un etere ossi-alchilico instabile: R

C

0

C

H OH HO

R

H

Vedi la preparazione dell'aldeide adipica a partire dal cicloesene, pag. 389.; h) l'idrogeno. Le olefine non si lasciano idrogenare con nessuno dei soliti sistemi di riduzione a base d'idrogeno nascente. L a riduzione riesce soltanto per via catalitica con H 2 gassoso in presenza di metalli finemente suddivisi, come N i ( S a b a t i e r ) ,

P d (Paai,, S k i t a ) , P t ( F o k i n , Wn,i£TAETTER)

vedi a questo proposito gli esercizi da pag. 381 in avanti; i) l'acido perbenzoico. ossidi alchileuici : R—C.H R—CH

+ C6H5—

(Reazione di Prh,ESCIAJEW). S'arriva a degli

/ 0—OH

v

R—CH\ ^ ¿H/°

+

C

«

H

~

C O O H :

k) l'ossidrile. I l permanganato potassico trasforma le olefine nei rispettivi glicoli, operando a temperatura bassa: R—CH=CH—R

—v

R—CHOH—CHOH—R,

però l'azione di questo ossidante può facilmente far saltare il doppio legame ossidando ulteriormente gli atomi di C fra i quali esso legame si trova. Se tali atomi di C sono contemporaneamente legati ad H, si formano degli acidi carbossilici, altrimenti si formano dei chetoni: /CH, R—CH=C{ \CH a

/CHS R—COOH + O C ( \CH, .

L a reazione al permanganato costituisce un ausilio prezioso e spesso usato per riconoscere la natura « non satura » d'un composto organico. L a sostanza si scioglie in alcool a freddo, s'aggiungono alcune goccie d'una soluzione di NaOH, indi una goccia di soluzione di K M n 0 4 . L a rapida scomparsa del colore violaceo indica la presenza d'un doppio legame. Questo che è detto il « saggio di B a e y e r » si può anche eseguire in soluzione di CH a COOH glaciale che è stabile risp. al permanganato. Anche la decolorazione del bromo ci offre un altro mezzo per riconoscere la presenza di legami doppi. I n tal caso come solvente s'usa generalmente il cloroformio. Le olefine si comportano, a seconda della natura delle loro molecole,

Olefine.

Sintesi

di-enica

125

in modo molto diverso per quanto riguarda la velocità delle reazioni d'addizione. Quando in u n a formula vediamo un doppio legame, non è detto senz'altro che la molecola sia suscettibile di t u t t e le reazioni d'addizione possibili. Così ad es. non si riesce a combinare il bromo col tetrafeniletilene (CEH5)2C=C(C8H5)2 .

L'affinità dei doppi legami perciò è diversa da caso a caso. Se due doppi legami sono vicini f r a loro, possono anche reagire come sistemi chiusi nelle reazioni d'addizione. Così ad es. il butadiene addiziona il bromo parzialmente, secondo l'equazione: 1

2

3

4

Br

CH2=CH— CH=CH2

-

>

BICH2—CH=CH—CH2Br.

Il rispettivo acido dicarbossilico, l'acido muconico, viene idrogenato ad acido bi-idromuconico, non saturo, con doppio legame in pos. |3, y. HOOC—CH=CH—CH=CH—COOH

I n entrambi i casi i due doppi legami primitivi scompaiono e t r a di essi si forma u n nuovo doppio legame unico; l'addizione è avvenuta in posizione 1,4. Il principio dell'addizione in 1,4 ha t r o v a t o un'applicazione particolarmente interessante ed industrialmente importante nella bella sintesi dei «dieni » scoperta da DIELS e AXDER ('). Secondo questo metodo il butadiene e numerosi suoi derivati (isoprene e ciclopentadiene) s'addizionano al doppio legame unico t r a atomi di C formando derivati del tetraidro-benzene. Così p. es. dal butadiene e dall'anidride maleica si forma l'acido tetraidroftalico: CH 2

CO

CH I + CH

Il CH

:H2

CH 2

/

O



CO

HC^CH—COOH | I HC CH—COOH CH2

Per addizione del butadiene al chinone si passa nella serie della naftalina : CH2

V

CH 2 H

HIV, C ^ CV^Xl H

HC NI

CO

+

HI

- Il \ )N—Na + 2 ROH + H a O. N/ N

Spesso si preferisce il nitrito d'etile al nitrito d'isoamile, perchè l'eliminazione dell'alcool amilico che si libera talvolta riesce fastidiosa a causa dell'alto punto d'ebollizione (136°) dell'alcool stesso.

Nitrito d'etile. In un miscuglio d'una soluzione di nitrito sodico come sopra e di cm3 60 di alcool etilico, che si trova in un pallone a coda raffreddato esternamente con ghiaccio, si fanno arrivare a gocce, sempre agitando, gradualmente cm3 42 di HC1 conc. Il pallone si connette con un refrigerante ben funzionante, al quale è collegato un matraccio con tubo laterale, immerso in miscela frigorifera, che serve come collettore. È consigliabile alimentare il refrigerante con acqua ghiacciata. Dopo l'aggiunta dell'acido il ni-

160

Cap.

II;

Gli

acidi

carbossilici

e loro

derivati

trito d'etile viene distillato riscaldando il pallone con una capsula piena d'acqua calda (dapprima a 25 0 , poi a 40°). Il preparato s'essicca brevemente con carbonato potassico; a questo punto è abbastanza puro per la maggioranza delle applicazioni ed è preferibile adoperarlo subito a causa della sua grande volatilità (p. eb. 17 0 ). Saggio: Alcune gocce di nitrito d'amile o d'etile vengono agitate con una soluzione diluita di K I ; non deve aversi colorazione bruna. Una goccia d'acido cloridrico diluito provoca in pochi istanti un'intensa separazione di iodio. c)

Nitrato

d'etile.

(*)

Cm 3 250 di HNO3 concentrato (D = 1,4) si fanno bollire brevemente con g 30 di nitrato d'urea. Dopo raffreddamente si versa metà della soluzione in una storta tubulata, alla quale è connesso un refrigerante ad acqua di medie dimensioni e nella quale si trovano g 30 di nitrato di urea e cm 3 150 d'alcool. I,a storta si scalda cautamente su bagno di sabbia. Dopo avere distillato circa un terzo del contenuto si mescola la seconda metà dell'acido nitrico bollito c. s. con cm 3 100 d'alcool e si fa arrivare lentamente questo miscuglio per mezzo d'un imbuto a rubinetto collocato nel manicotto della storta in alto. L'operazione deve essere eseguita t u t t a di seguito, giacché i miscugli d'alcool e H N 0 3 non debbono rimanere a lungo in riposo. Quando tutto è stato aggiunto gocciolando e il liquido è stato evaporato fino ad un volume residuo di cm 3 50-100, s'interrompe il processo, s'agita due volte con acqua nell'imbuto separatore il nitrato d'etile distillato per eliminarne l'alcool, una volta con soluzione diluita di carbonato sodico, indi ancora una volta con acqua (il nitrato d'etile è più pesante dell'acqua!), lo si secca su CaCl 2 e si rettifica l'etere nitrico distillando a bagno maria. Il pallone da distillazione deve pescare nell'acqua del bagno. P. eb. 86°. Usare gli occhiali di sicurezza ! Il nitrato d'etile s'userà più avanti per preparare il fenil-nitrometano (Cap. V I , 8, pag. 262). Il nitrato d'etile si decompone con esplosione, se è riscaldato rapidamente ; esso appartiene alla stessa classe degli eteri nitrici della quale fa parte ad es. la nitroglicerina. Perciò bisogna essere cauti. L'alcool etilico nelle condizioni descritte non viene ossidato, ma solo eterificato dall'acido nitrico puro. (l) I.OSSEN, A .

Supplem.

6 , 220

(1868).

Nitrato d'etile. Saponificazione

dei

161

grassi

Però non appena vi sono tracce d'acido nitroso sopravviene l'ossidazione. Poiché l'ossido d'azoto che si forma qui dall'acido nitroso si riossida presto ad N0 2 , l'ossidazione progredisce da piccoli inizi aumentando sempre più, guadagna continuamente in velocità per il calore di reazione prodotto e s'accresce fino a diventare un processo tumultuoso ed esplosivo. Le reazioni di questo genere, nelle quali i prodotti intermedi accelerano progressivamente la velocità, si chiamano « autocatalitiche ». Il primo prodotto dell' ossidazione dell'alcool è l'aldeide acetica ed un prodotto finale importante è l'acido fulminico che però può essere isolato solo in presenza d'ioni Ag od Hg. Con questi esso forma dei fulminati stabili all'acido nitrico, nei quali si deve supporre, similmente al cianuro mercurico, un legame omeopolare, cioè non-ionogeno. La formazione dell'acido fulminico viene resa possibile dalla capacità di reazione del gruppo metilico dovuta alla vicinanza del gruppo carbonilico CO dell'aldeide e che offre così un punto d'attacco all'acido nitroso. Le singole fasi della reazione si possono esprimere così: H,C-CHO



>-

HC—CHO | NOH



HC—COOH || NOH

O2NX ) C = N O H + C0 2 H/

>

0 2 N—C—COOH || NOH

>- CNOH + UNTO,.

L'acido nitroso agisce qui sull'alcool in un modo analogo a quello degli alogeni nella formazione di cloroformio o iodoformio. d) Saponificazione

d'un

grasso

o d'un

olio

vegetale.

G 600 d'un grasso od olio qualunque (all'incirca 2 / 3 di gr. mol.) vengono saponificati con circa c m 3 600 di N a O H in soluzione 5 N, nel seguente m o d o : Cm 3 1 0 0 di soluzione alcalina e c m 3 1 0 0 di H 2 0 si scaldano, vi si versa il grasso e dopo 1 ora s'aggiungono altri c m 3 1 5 0 d'alcali. Dopo un'altra ora s'aggiungono c m 3 200 d'alcali ed a l t r e t t a n t o d'acqua. Si deve rimescolare spesso e lasciar bollire solo debolmente. Dopo altre 4 ore viene aggiunto il resto dell'alcali; se è necessario si rinnova p r i m a l'acqua e v a p o r a t a . Dopo un'altra ora s'aggiunge ancora y 2 litro d ' a c q u a e si fa bollire ancora sino a che si forma una massa densa omogenea (circa 2 - 3 ore). Indi rimescolando energicamente vengono aggiunti 3 - 4 litri d ' a c q u a calda, finché si forma una densa colla trasparente. S'aggiungono finalmente alla t e m p e r a t u r a dell'ebollizione circa g 200 di NaCl e si lascia in riposo per una notte. A causa del forte schiumeggiamento è d'uopo compiere la saponificazione in una grossa pentola s m a l t a t a . II - GATTERMANN.

162

Cap.

II:

Gli acidi

carbossilici

e loro

derivati

Dopo il raffreddamento, la mattina successiva, si toglie il panello di sapone solidificato e si sciacqua la liscivia aderente alla parte inferiore. Si può tagliare a pezzetti il panello con un filo di ferro sottile e far seccare mediante riposo durante qualche settimana. I sali di sodio degli acidi grassi superiori sono difficilmente solubili nell'acqua fredda, ma facilmente solubili in quella calda. Si scioglie un pezzetto di sapone in una quantità sufficiente d'acqua bollente in un bicchierino e si lascia raffreddare: si ha una massa gelatinosa coerente.

Per purificare si possono sciogliere g 20-30 in acqua bollente, salare a caldo e lasciare solidificare di nuovo; con questo mezzo vengono eliminate le piccole porzioni di liscivia alcalina occluse nel prodotto grezzo. L a reazione resta alcalina alla carta al tornasole e alla curcuma. L'idrolisi del sapone purissimo non è però tanto forte da fornire sufficienti ioni O H fino a colorare la soluzione di fenolftaleina. Preparazione degli acidi grassi liberi. Circa 150 g di sapone grezzo e umido vengono riscaldati in un litro d'acqua vicino al punto di ebollizione; dopo si aggiunge, rimescolando bene, acido solforico 2 N, sino a che la soluzione non si manifesti decisamente acida al rosso Congo ed il miscuglio degli acidi grassi non si separi sopra formando una massa oleosa. Dopo essere rimasta per qualche tempo al freddo essa diventa solida, se si è partiti da grassi solidi; si preleva la massa, la si fa fondere ancora una volta a bagno maria in un piccolo bicchiere sopra poca acqua e si distilla di nuovo la massa solidificata nel vuoto. Punto di eb. a 12 m m H g : 220-225°. Se si è saponificato dell'olio, allora il sapone è più molle e gli acidi cristallizzano solo parzialmente (perchè?). In questi casi si riprende con etere; pel resto si procede come sopra. Glicerina, L a glicerina si trova nella liscivia bruna avanzata dalla saponificazione, che viene prima accuratamente neutralizzata con acido cloridrico (controllare con carta al rosso Congo!), agitata con carbone animale per allontanare gli acidi grassi separatisi; si filtra (1) su filtro a pieghe e si fa concentrare a pressione ridotta nell'apparecchio raffigurato a pag. 37, fig. 24. Quando dopo un po' di tempo si separa NaCl il tubo capillare qualche volta non funziona più e si continua, per risparmiare tempo, l'evaporazione a bagno maria. L a soluzione fortemente concentrata viene filtrata alla pompa dal NaCl, questo viene liberato quasi completamente dall') I,a chiarificazione con carbone animale si omette spesso.

Analisi

dei

163

grassi

l ' a c q u a (di n u o v o n e l p a l l o n e di C L A I S E N ) . I l residuo v i e n e digerito c o n 150 c m 3 di alcool e

filtrato

alla p o m p a

s o p r a u n piccolo i m -

b u t o di B i i c h n e r , d o p o di che si r i s c i a c q u a c o n 50 c m 3 di alcool. L a soluzione a l c o o l i c a

filtrata

m a r i a , il r e s i d u o v i e n e

v i e n e r i s t r e t t a il p i ù possibile a b a g n o

trasportato,

risciacquando

c o n p o c o alcool,

in u n m a t r a c c i o d i Claisen e d a esso nel v u o t o distilla, p r i m a l'alcool, p o i l ' a c q u a

e

finalmente

l a glicerina.

Si r a c c o g l i e l a f r a z i o n e

p r i n c i p a l e t r a 180° e 1 9 5 0 a 1 3 m m . R e s a c i r c a 35 g. P e r o t t e n e r e l a glicerina del t u t t o a n i d r a e p u r a l a distillazione d e v e essere r i p e t u t a ( 1 ). Note d'analisi dei grassi. L'espressione quantitativa del numero dei doppi legami presenti in un grasso o in un olio, ci è data dal numero di iodio, cioè la quantità in g di iodio che può essere chimicamente fissato da 100 g di un grasso. Attualmente il numero dei doppi legami nei composti organici viene determinato con l'acido perbenzoico (vedi pag. 124). Determinazione del numero d'iodio. G 2,5 di iodio puro e g 3 di cloruro di mercurio vengono sciolti ognuno in c m ' 50 di alcool etilico puro, le soluzioni limpide vengono mescolate. Dopo un riposo di 12 ore si determina il titolo di iodio su un campione di cm 3 10 con una soluzione di tiosolfato N/10, dopo l'aggiunta di cm® 10 di una soluzione al 1 0 % di K I . Si sciolgono g 0,5-0,7 del grasso in esame in c m ' 15 di cloroformio entro un matraccio di ERLENMEYER asciutto della capacità di cm 3 500, vi si aggiungono cm 3 25 della soluzione iodica titolata. Se dopo breve tempo il colore della soluzione diventa bruno chiaro sono necessari altri cm 3 10 di soluzione iodica. Dopo 4 ore la colorazione deve essere ancora di un bruno cupo. Ora si aggiungono cm 3 20 di una soluzione al 1 0 % di K I e l'iodio ancora presente in eccesso viene titolato come sopra. Segue il calcolo in base alla definizione del « numero d'iodio ». Si facciano esami analitici sul grasso di maiale, olio d'oliva o di lino. Per determinare il numero di saponificazione (2) di un grasso si bollono g 0,5-1 di sostanza con cm 3 10 di una soluzione alcoolica N/2 di K O H per mezz'ora usando un refrigerante a ricadere e si titola dopo con una soluzione di HC1 N/ 2 in presenza di fenolftaleina l'idrato alcalino rimasto libero. Il metodo ha un'applicazione generale perchè permette di determinare negli eteri il peso equivalente degli acidi ad essi legati : peso equivalente = a

1000 -—

dove a — il peso in g, b = i cm 3 dell'alcali normale consumato.

'

(*) Nelle edizioni tedesche sino alla X X I I I . compiesa, a questo punto segue un paragrafo dedicato all'acido linolenico (estratto dall'olio di lino) e al suo esabromuro. V. pag. 164.

(N. d. trad..).

(2) Si intendono per tale i m g K O H che 1 g di grasso consuma.

Cap. II: Gli acidi carbossilici e loro derivati

164

L'olio di lino è il più importante tra gli olii « siccativi ». Sotto questo nome si comprendono gli olii che contengono degli acidi fortemente non saturi, come l'acido linolenico C 17 H 28 —COOH e l'acido linolico C 17 H 31 —COOH e che perciò sono in grado, grazie ad un sistema di doppi legami coniugati, di fissare direttamente l'ossigeno dell'aria con formazione di perossidi solidi e loro prodotti di trasformazione (resinificazione). L'acido oleico non e capace di fare questo.. Gli olii di oliva e di sesamo p. es. non sono « siccativi ». L'olio di lino s'usa nella pittura ad olio come mezzo legante e per la preparazione di vernici.

Esercizio N. 8. - Degradazione degli acidi carbossilici nelle animine immediatamente inferiori. a) Reazione di Hofmann. Metilammina

dall'acetammide. (1)

In un matraccio di y 2 litro di capacità vengono mescolati 30 g (0,5 mol.) d'acetammide con 80 g = cm 3 26 di bromo, vi si aggiunge raffreddando bene con acqua una soluzione di g 50 di K O H in 350 cm 3 di acqua, sino a che la colorazione iniziale bruno-rossa si tramuti in una colorazione giallo-chiara, per il che occorre la parte principale della potassa caustica. Si fa allora arrivare la soluzione in pochi minuti con un getto ininterrotto da un imbuto a rubinetto in una soluzione di 80 g di K O H in 150 cm 3 di acqua, che si trova in un matraccio da un litro riscaldata e tenuta a 70-750. Si mantiene questa temperatura sino a che il miscuglio reagente diventa incoloro ora) e si distilla allora la metilammina in corrente di vapore d'acqua; l'estremità del refrigerante porta un'allunga diretta verso il basso, che è immersa per circa 1 cm di profondità nel contenuto del collettore : 100 cm 3 circa di una soluzione 5 N di acido cloridrico (2). Quando la sostanza condensata nel refrigerante non ha più reazione alcalina, s'evapora il contenuto del collettore in una capsula di porcellana a bagnomaria sino a secchezza, si lascia il residuo per una notte nell'essiccatore a vuoto per allontanare le ultime tracce d'acqua e si bolle il sale ben secco con dell'alcool assoluto; così il cloruro ammonico resta indisciolto. Il filtrato limpido viene ristretto a piccolo volume e si lascia cristallizzare a freddo il cloruro di metilammonio. Dopo filtrazione alla pompa il sale v a lavato con poco alcool ed essiccato nell'essiccatore. Resa g 15-20. Con questo preparato si esegue la reazione dell'isonitrile (pag. 179) e si saggia il suo comportamento con poco nitrito a caldo in soluzione acquosa appena acida. t1) B .

15,

762

(1882); B . 1 7 ,

1406 e

1920

(1884).

(2) Cm 3 50 di acido cloridrico conc. e cm 3 50 di a c q u a .

Reazioni di Hofmann e di

Curtius

165

b) La reazione di Curtius. Cianato di fenile. Benzidrazide (1). G 24 di benzoato d'etile (3/20 di gr. mol., pagina 154) vengono riscaldati insieme a g 9 di idrato d'idrazina per sei ore a bagnomaria in un piccolo refrigerante a ricadere. La massa cristallina solida che si forma nel raffreddamento, dopo un certo tempo viene filtrata rigorosamente alla pompa e lavata con poco alcool metilico raffreddato con ghiaccio. Se il rendimento è troppo scarso, il filtrato viene ristretto e riscaldato ancora una volta. Il prodotto grezzo (g 16-18) è sufficientemente puro per l'uso ulteriore. Un saggio può venire ricristallizzato da acqua calda o da poco alcool. Punto di fusione 112 o . Benzazide (2). G 14 (1/10 di gr. mol.) di idrazide secca vengono portati in un bicchiere (y 2 litro) insieme a cm3 200 circa di acido cloridrico N¡ 1 a soluzione limpida. Vi si aggiunge raffreddando con ghiaccio e rimescolando, da un imbuto a rubinetto una soluzione di g 8 di K N 0 2 in cm3 50 di acqua. La reazione avviene subito e l'azide si separa cristallizzata. Quando un saggio filtrato della soluzione non viene più intorbidito da una goccia di soluzione di nitrito, si filtra bene alla pompà, il precipitato lo si lava bene con acqua e lo si prosciuga prima su piatto di porcellana porosa e poi nell'essiccatore a vuoto sopra acido solforico concentrato e potassa caustica. Rendimento g 14. Cianato di fenile (3). Prima d'essere usato per la preparazione dell'etere cianico l'azide deve essere completamente asciutta. Saggiare la costanza del peso con una buona bilancia tecnica. Poiché la benzazide scoppia se rapidamente riscaldata ed anche a contatto con acido solforico concentrato, il preparato deve essere maneggiato cautamente. Portare gli occhiali di sicurezza sino alla fine della distillazione del cianato di fenile! La distillazione del prodotto finale viene eseguita nello stesso matraccio che serve per la scissione; meglio in un pallone di Claisen della capacità di cm 3 75-100, il cui capillare e termometro vanno già messi in sito prima di compiere la scissione. Tutto deve essere rigorosamente secco. O TH. CURTIUS, Journ. prakt. Chemie, 50, 295 (1894). H TH. CORTIUS, B . 23, 3029 (1890). PI G. SCHROETER, B . 4 2 , 2339 (19O9).

Cap.

i66

II:

Gii acidi

carbossilici

e loro

derivati

Nel pallone (tenuto obliquamente) sul tubo laterale del quale è infilato un piccolo refrigerante — in alto esso è protetto con un tubo a cloruro di calcio dall'umidità dell'aria — vengono riscaldati g 12 di benzazide con cm 3 40 di benzene (essicato su sodio) in una casseruola piena d'acqua, sul fondo della quale il pallone non deve appoggiare, lentamente sino a 60-70°; incomincia un vivace sviluppo di azoto. Quando esso è cessato, la temperatura viene elev a t a sino verso 8o°, poi si lascia raffreddare, si dispone il pallone per la distillazione nel v u o t o e si distilla prima il benzene a pressione ordinaria sul bagno-maria bollente e dopo sul bagno precedentemente raffreddato, a 20-25 m m di pressione il cianato di fenile. Punto di ebollizione a 20 mm: 6o°. Rendimento g 7-8. Il distillato deve essere limpido e deve essere travasato subito in recipiente ben chiuso (meglio se saldato alla lampada). Prima si versano alcune goccie in poca acqua. Il corpo cristallino formato è la difenilurea. Come s'è formata? Un altro saggio si versa in alcool ed il solvente viene evaporato: si ha il feniluretano. L,a benzazide intatta (circa g 2) viene bollita in cm 3 5 d'alcool assoluto per una mezz'ora usando un refrigerante a ricadere ('). Dopo l'evaporazione cristallizza ancora feniluretano. Punto di fusione 52 o . I,a decomposizione degl'uretani in ammine, CO a ed alcool avviene generalmente per azione dell'acido cloridrico nel tubo Carius. Più comoda, ma meno redditizia è la decomposizione per distillazione con idrato di calcio. Si mescola il feniluretano ottenuto con tre volte il suo peso di calce spenta e si distilla cautamente da una piccola storta. 1/anilina che distilla può, con una certa destrezza, venire rettificata in una piccola storta, in ogni caso però essa si può rintracciare come acetanilide e per mezzo della reazione all'ipoclorito di calcio (reaz. di RUNGE). Nella soluzione dei problemi stratturistici si presenta spesso la necessità di allontanare i gruppi carbossilici, i quali p. es. si formano nelle ossidazioni, e degradare cosi la molecola. Il procedimento più semplice di questa specie è la separazione di C 0 2 , che si realizza mediante la distillazione di un sale sodico sopra idrato di sodio: R—COONa + NaOH

>

R H + Na 2 CO s

ma in generale questa reazione non procede molto liscia e conduce oltreciò ad (*) T H . CURTIUS, B . 27, 7 7 9 (1894).

Reazioni

di Hofmann

e di Curtius

(spiegazioni)

167

un idrocarburo che difficilmente si presta ad ulteriori reazioni. Perciò, le due similari reazioni di degradazione degli acidi, quella di HOFMANN, che parte dalle ammidi degli acidi e quella di CURTIUS che parte dall'idrazide sono di grande importanza pratica. Ambedue sboccano nell'ammina primaria immediatamente inferiore ed ambedue conducono a questo fine attraverso lo stesso prodotto intermedio: l'etere dell'acido cianidrico. L'azione dell'ipobromito sul gruppo —CONH2 permette la sostituzione dell'idrogeno del gruppo N H ¡ con bromo. Il primo prodotto della reazione di HOFMANN, la N-bromammide si può isolare in diversi casi. Per azione dell'alcali essa perde H B r ed il radicale che si forma transitoriamente si combina con l'etere dell'acido cianico, il quale nelle condizioni della reazione viene decomposto in ammina primaria e C0 2 : R N = C = 0 —>- R — N H j + C0 2 .

It'acelammide fornisce così metilammina, la b:nzammide fornisce anilina, l'urea, sebbene in piccola quantità, dà idrazina. Similmente gli acidi idrossammici vengono trasformati, con eliminazione di H 2 0 , in eteri dell'acido cianico e dopo in ammine. La reazione di CURTIUS, che è preferita specialmente per i termini superiori della serie data la facile solubilità dei prodotti intermedi, prepara come prima fase l'idrazide dall'etere (o dal cloruro acilico), la quale dopo per mezzo dell'acido nitroso con una reazione a decorso generalmente facile si trasforma in un azide. In molti casi si prepara l'azide più comodamente per reazione fra un cloruro acido e l'azoturo di sodio che preventivamente s'è reso attivo con dell'idrato d'idrazina ('). Le azidi subiscono facilmente la decomposizione termica, nella quale i due atomi di azoto collegati con doppio legame vengono eliminati come azoto libero molecolare. Ma in questo modo si forma lo stesso radicale, che ha spiegato il percorso della reazione di HOFMANN : -v

RN=C=0

N=N Il CURTIUS ha eseguito di solito la decomposizione delle azidi in ambiente alcolico ed ha ottenuto per questa via in modo evidente gli uretani i quali si decompongono per energica idrolisi, in ammine primarie, C 0 2 e alcool. La reazione di HOFMANN ha avuto un'importante applicazione nella prima sintesi tecnica dell'indaco per la trasformazione della ftalimide in acido antranilico (v. pag. 377). (') J . NELLES, B. 65, 1345 (1932).

Cap. Ili:

I nitroderivati e la loro riduzione

CAP. III. - I NITRODERIVATI E LORO PRODOTTI DI RIDUZIONE Esercizio N. I. - Nitrometano (l). G 94 d'acido cloroacetico, sciolti in cm 3 200 d'acqua, vengono esattamente neutralizzati in un ampio bicchiere con g 53 di Na2COs anidro; vi si aggiunge una soluzione di g 75 di nitrito di sodio in c m 3 1 2 0 d'acqua. Circa 100 cm 3 di questo miscuglio vengono trasportati in un pallone da cm 3 750, munito d'imbuto a rubinetto e collegato con un refrigerante L,iebig. Con un riscaldamento energico nell'imbuto di Babo o sulla rete metallica (riscaldare lentamente) già prima dell'ebollizione della soluzione una reazione violenta s'inizia con sviluppo di C0 2 , reazione che si mantiene in efficienza nella soluzione bollente con una graduale aggiunta della soluzione rimanente. Non si permetta peraltro alla reazione di diventare troppo tumultuosa. Il nitrometano distilla insieme al vapore d'acqua e si separa nel recipiente di raccolta come strato più pesante. Quando non passano più gocce d'olio nel distillato, si cambia il collettore e si fanno passare altri cm 3 100 d'acqua, che contengono ancora del nitrometano in soluzione. Dal primo distillato si separa allora il nitrometano e si riunisce la parte acquosa con l'ultima porzione distillata. Queste soluzioni vengono saturate con NaCl (per ogni 100 cm 3 : g 35) e distillati ancora una volta. Circa % di t u t t a la massa d'acqua viene raccolta, più tardi passa solo un distillato limpido. Il nitrometano separatosi va unito a quello ottenuto prima, rigorosamente prosciugato con cloruro di calcio e distillato. Punto d'ebollizione ioi°. Resa: g 20-24 (33*39% del teorico). Il nitrometano è tra i composti nitroalifatici il più accessibile; per gli omologhi superiori il metodo di preparazione di Koi.BE procede in un modo molto meno facile. L,o svolgimento della reazione è evidente: l'acido nitroacetico che si forma per primo si decompone in CH s N0 2 e C02, per ragioni simili a quelle che spiegano la decomposizione dell'acido malonico. Le altre nitroparaffine vengono ottenute generalmente secondo un procedimento scoperto da V. MEYER, e cioè reazione dell'ioduro alchilico con nitrito d'argento. Anche il metodo di K O N O W A I . O W — riscaldamento in tubo chiuso sino a I 2 O ° - i 3 o ° L1) K O L B E , Journal

jiir

prakr.

Ch.,

5 , 429 (1872); STEINKOPF, B . 4 2 , 3438

(1909).

Nitrometano

169

con acido nitrico fortemente diluito — riesce spesso allo scopo con idrocarburi saturi, specialmente della serie idroaromatica. Il fenil-nitrometano verrà trattato nel Cap. VI, eserc. 8, pagg. 262-263. Ricordare l'isomeria coi nitriti alchilici. Che differenza vi è nelle rispettive reazioni ? Le nitroparaffine primarie e secondarie sono delle sostanze neutre, ma vengono trasformate dagli alcali in sali di una forma isomera acida (HANTZSCH) :

Maggiori particolari si trovano a proposito della tautomeria a pag. 263.

Saggio. Si scioglie 1 cm3 di nitrometano in acqua e si saggia la reazione della soluzione con carta al tornasole. Indi s'aggiunge un po' di fenolftaleina ed a gocce dell'idrato sodico N/10 da una buretta graduata.* Si consumano circa cm3 2 d'alcali fino a colorazione rosea permanente, segno che il nitrometano neutro s'è trasformato in un acido, 1 'aci-nitrometano H 2 C = N O O H . Un piccolo saggio di questa soluzione dà una colorazione rosso-sangue col cloruro ferrico, caratteristica per le combinazioni dei nitroderivati acidi. I sali della forma tautomera acida sono fortemente scissi per idrolisi, ciò che si riconosce dal fatto che un'ulteriore aggiunta di soda N/10 colora in rosso-cupo la soluzione. Quando si sono aggiunti cm3 10 d'alcali, si tratta con cm3 5 di HC1 N/10 la soluzione si scolora giacché il composto acido liberatosi fa retrocedere l'idrolisi del proprio sale. Però la trasposizione da H 2 C = N O O H ad H 3 C—NO a è talmente rapida che la colorazione rossa ritorna in pochi istanti. Nella riduzione delle nitroparaffine si formano, in condizioni energiche, le corrispondenti animine, come sarà dimostrato nel prossimo capitolo per il nitrobenzene. Ma, come in quel caso, anche qui si può trattenere la reazione allo stadio dell'idrossilammina, facendo agire polvere di zinco in ambiente neutro.

Saggio. Ad alcune gocce di nitrometano, sciolte in poca acqua, vengono aggiunti alcuni granuli di stagno e dopo, dell'acido cloridrico concentrato: reazione violenta. Quando essa è passata, si riscalda brevemente a bagno maria, si soprasatura la soluzione decantata con un alcali forte e si riconosce dall'odore e dall'imbrunire della cartina di curcuma, che si è formata un'ammina volatile. Se si vuol adoperare la reazione per la formazione della metilammina, si deve aggiungere a poco a poco il nitrometano al liquido riduttore. Per il resto vedi Cap. II, eserc. N. 8, pag. 164.

170

Cap. Ili:

I nitroderivati

e la loro

riduzione

N-metilidrossilammina. Una soluzione acquosa di nitrometano viene mescolata con circa la stessa quantità di cloruro d'ammonio e vi si aggiunge raffreddando (temperatura a circa io 0 ) ed agitando continuamente un volume triplo di polvere di zinco in piccole porzioni. L a soluzione separata per filtrazione dalla polvere di zinco riduce la soluzione di nitrato d'argento ammoniacale e la soluzione di FEHUNG. La preparazione industriale di questa alchilidrossilammina facilmente accessibile allo stato di cloridrato è descritta dal BECKMANN, A. 3 6 5 , 204 (1909). Le numerose reazioni delle nitroparaffine primarie e secondarie partono quasi senza eccezione dalla forma « acida », cioè esse hanno luogo nelle stesse condizioni nelle quali si forma il sale. V'ha in questo una grande somiglianza col modo di reagire dei chetoni, però la differenza sta nella molto maggior velocità di reazione dei composti nitrici. 1. Per l'azione del bromo si formano dei composti bromo-nitrici p. es. H 2 C —N N= =0

H,C=N=G

iiNa

1

Br BrONaJ

->

H2C—NO2

| Br

+ NaBr.

2. L'acido nitroso forma, colle nitroparaffine primarie, degli acidi nitrolici, con quelle secondarie i così detti pseudonitroli, i quali essendo dei nitrosoderivati sono colorati in azzurro o in verde: a) H 2 C = N = 0 I + HONO )H 01

rH2C—N=O ON(t)ÌIC)H CHj—C—CH3 l\

b) C H 3 — C — C H 3

II

0=N—OH

0=N(

NO /OH

HC—NO, +

H„0

NOH CHA—C—CH3 + H 2 0 . NONO

\OH

Saggio. Acido metilnitrolico (x). G 3,2 di nitrometano vengono sciolti, raffreddando con ghiaccio, in cm 3 30 di idrato sodico 2 N, e mescolati con una soluzione concentrata di g 3,5 di nitrito di sodio. Senza ulteriore raffreddamento si f a defluire da un'imbuto a rubinetto dell'acido solforico diluito 4 N, sino a che la soluzione, diventata prima di un colore rosso cupo, diventi appena aranciata e la carta amido-iodurata non diventi ancora azzurra. Dopo si estrae due volte con etere, si raffredda di nuovo la soluzione acquosa e si aggiunge di nuovo a goccie dell'acido solforico sino a (') B . 4 2 ,

808

(1909).

Ac.

metilnitrolico:

fulminato

d'argento

171

che l'acido nitroso si manifesta nettamente e si rende di nuovo alcalina la soluzione con idrato di sodio 5 N sino ad intensa colorazione arancione. Quindi si acidifica di nuovo ma solo tanto che non vi sia ancora HN0 2 libero, e si estrae con etere ancora due volte. Gli estratti eterei riuniti vengono essiccati per due ore con CaCl2, raffreddando esternamente con ghiaccio. Indi si aspira alla pompa in un palloncino l'etere con un tubo capillare facendolo evaporare nel vuoto e riscaldando con un bagnomaria a 15-20°: si ottiene come residuo circa g 1 d'acido metilnitrolico ben cristallizzato e debolmente colorato in giallo. Il preparato si mantiene solo alcune ore senza decomporsi. Se ne saggi il comportamento verso gli alcali. Fulminato d'argento (*). G 0,5 d'acido metilnitrolico di fresco preparato, sciolto in cm3 4 d'acqua vengono riscaldati con cm3 1 di acido nitrico 5 N (HN0 3 concentrato del peso spec. 1,4 diluito con ugual volume d'acqua) e con cm3 4 di una soluzione di nitrato d'argento al 10% su fiamma libera in un provettone sino all'ebollizione. Dopo breve tempo la reazione comincia con un violento sviluppo di gas (NO) e nello stesso tempo il fulminato d'argento si separa in cristalli. Si fa bollire ancora per qualche minuto agitando continuamente, si lascia raffreddare e si filtra alla pompa il prodotto che viene lavato con acqua. Un piccolo saggio di circa mg 10 viene essiccato, senza strofinare, su un pezzo di porcellana porosa e si saggia con questo nella fiamma o percuotendo con un martello la detonabilità. Mettere gli occhiali di protezione ! La massa principale ancora umida viene trasportata •— anche in questo stato si deve evitare di comprimere fortemente con spatole di metallo o con altri oggetti duri — in una provetta e vi si versano sopra cm3 2 d'HCl concentrato. In questo momento si può percepire l'odore dell'acido fulminico libero, simile a quello dell'acido cianidrico tanto da poter essere confuso con quest'ultimo. Dopo una mezz'ora si riscalda il contenuto della provetta per breve tempo a bagno maria bollente, si aggiungono cm3 4 d'acqua, si filtra per separare il cloruro d'argento e si evapora il filtrato sino a secchezza in una capsulina di vetro a bagno maria. Il cloruro di idrossilammonio così risultante si riconosce per la sua azione riducente verso la soluzione di nitrato d'argento ammoniacale e verso il liquido di F E H U N G . (') B . 4 0 , 4 1 9

(1907).

172

Cap. Ili:

I nitroderivati e la loro riduzione

II fulminato d'argento deve ad ogni modo essere subito distrutto dopo la sua preparazione, nel modo più semplice con acido cloridrico. Gli acidi nitrolici sono incolori, essi si sciolgono però negli alcali con una colorazione rosso cupa, in quanto che accanto al radicale nitroso cromoforo si formano dei gruppi nitrici « acidi ». Si dà la seguente formula ai sali rossi : HC=N=0

L'acido metilnitrolico riscaldato in soluzione di HNO a si decompone in acido nitroso ed acido fulminico; questo può essere fissato in presenza di nitrato d'argento come fulminato d'argento: H \ \c=NOH O 2 N/

>- NO a H + C = N O H

La formazione dei fulminati d'argento, di mercurio ecc., dall'alcool etilico ed acido nitrico, avviene pel tramite dell'acido metilnitrolico. Di questo si parlò a pag. 161. Il sale mercúrico del nitrometano si decompone direttamente in fulminato di mercurio e acqua (NEF) : (H 2 C=N0 2 ) 2 Hg



(C=NO) 2 Hg + 2 H 2 0.

3. I composti nitrici primari si condensano come i chetoni con le aldeidi con eliminazione di acqua. In questo modo si prepara facilmente il fenil-nitroetilene : C,H 6 —CHO + H a C—N0 2

>

CA—CH=CHNO,.

Fenilnitroetilene ( 1 ). G 3,2 di nitrometano e g 5,3 di benzaldeide vengono sciolti in cm 3 20 di alcool; raffreddando bene con miscuglio frigorifero ed agitando energicamente il miscuglio si tratta a poco a poco con K O H alcoolica fredda, che si prepara sciogliendo g 3,5 di K O H in un miscuglio di cm 3 5 d'acqua e cm 3 10 di alcool metilico. Si agita sino a che un saggio della poltiglia cristallina formatasi — qualche volta la cristallizzazione manca — si scioglie in acqua a soluzione limpida: si è formato il sale di potassio dell'alcool fenilnitroetilico C 6 H 6 —CH(OH)—C H ^ N O O K , il cui acido libero si trasforma con eliminazione d'acqua in fenilnitroetilene. Questo avviene quando si scioglie il prodotto della reazione in acqua alla temperatura del ghiaccio fondente e rimescolandolo si lascia defluire in cm 3 60 di H 2 S 0 4 N/i, raffreddato con ghiaccio. L/olio (') THTKLE e H A E C K E L , A . 3 2 5 , 7 (1902) ; B O C V E A U L T e W A H L , (1902).

Compt.

Reni.

135,

41

Fenilnitroetilene.

Nitrobenzene

173

che presto si rapprende, dopo filtrazione alla pompa ed un breve essiccamento sulla porcellana porosa viene ricristallizzato da poco alcool. S'ottengono circa g 5 di fenilnitroetilene in magnifici cristalli gialli aghiformi. Punto di fusione 58°. 4. Tutti i composti nitrici primari si copulano col diazobenzene ; invece degli azocomposti attesi si formano per trasposizione i fenilidrazoni delle a-nitroaldeidi : HO ONa R — C = N = 0 + HO—N=N—C„H 5 R—C—^N==0 H LJNa Òi H N==N—C.H. R—C—NO, N—NH—CjH s

+ NaOH.

5. Vogliamo accennare ancora a questo proposito ad una trasformazione molto interessante del nitrometano per mezzo di un alcali forte. Due molecole si condensano con eliminazione d'acqua nel cosidetto acido metazonico, che possiede la costituzione della nitroacetaldossima (I) ( M e i s t e r ') 2 H J C = N = 0

I ONa

_HTQ

HC

C = N = 0

Il H I NONa Ó:iNa

HC—CH2NOA

(I).

NOH

L o STEINKOPF ha preparato da esso mediante cloruro di tionile il nitroacetonitrile ( 2 ) CH,—NO,—CN lungamente cercato e da questo per saponificazione Vacido nitroacetico {').

Esercizio N. 2. - Nitrazione d'un idrocarburo aromatico. Nitrobenzene e dinitrobenzene. a) Nitrobenzene. In un matraccio di circa y 2 litro di capacità, contenente cm3 125 = g 230 di H 2 S0 4 conc. si versano lentamente agitando cm3 100 = g 140 di HN0 3 conc. (peso specifico 1,4). Dopo aver raffreddato il miscuglio caldo immergendo il matraccio in acqua fredda a temperatura ambiente, si aggiungano gradualmente, agitando spesso, cm® 90 = g 78 (1 gr. mol.) di benzene. Se la temperatura ora sorpassa 50-60°, il recipiente si immerge per breve tempo nell'acqua mista a ghiaccio fondente prima d'aggiungere altro benzene. Ad ogni aggiunta di benzene si osserva un'intensa colorazione bruna passeggera. Dopo aver riscaldato ancora per mezz'ora a b. m. a 6o° i 1 ) S u l meccanismo di questa reazione vedi A. 4 4 4 , 1 5 (1925). ( a ) B . 4 1 , 1048 (1908). P) B . 4 2 , 3925 (1909).

174

Cap. III:

I nitroderivati

e la loro

riduzione

il matraccio col tubo di espansione (pag. 2) sovrapposto, si separa mediante imbuto separatore lo strato inferiore, formato dagli acidi solforico e nitrico, dal superiore che contiene il nitrobenzene (1). Quest'ultimo viene agitato nell'imbuto separatore con acqua indi con N a O H dil., e finalmente un'altra volta con acqua, tenendo presente che il nitrobenzene occupa ora lo strato inferiore. Dopo lavaggio e stratificazione si mette il nitrobenzene in un matraccio asciutto, si riscalda a bagnomaria (sovrapporre il tubo d'espansione) con CaCl 2 sino a che la soluzione da principio lattescente non diventi limpida. Iva si purifica finalmente per distillazione in un pallone a coda con refrigerante ad aria (pag. 21) evitando di distillare sino a secchezza. Punto d'eboll. 206-207°. Resa g 100-105. b)

Dinitrobenzene.

Un miscuglio di cm 3 14 = g 25 di H 2 S 0 4 conc. e cm 3 10 = g 15 di HNO3 fumante viene gradualmente mescolato con g 10 di nitrobenzene (sotto la cappa) ed agitando frequentemente si riscalda a bagno maria per mezz'ora in un matraccio aperto. Il miscuglio reagente un po' raffreddato viene allora versato, rimescolando, nell'acqua fredda, dopo di che si separa per filtrazione il dinitrobenzene solidificato, lo si lava con acqua, lo si spreme su un piatto di porcellana porosa e lo si fa ricristallizzare dall'alcool. P. fus. 90°. Rendimento g 10-12. Dei nitroderivati.

La proprietà di fornire dei nitro-derivati per l'azione dell'acido nitrico è una caratteristica delle sostanze aromatiche. Secondo le condizioni nelle quali la nitrazione viene compiuta, si può introdurre uno o più nitrogruppi. Il lettore formuli queste reazioni. Se in un composto aromatico sono presenti delle catene laterali alifatiche sature la nitrazione avviene nelle condizioni suddette sempre al nucleo benzenico, mai nelle catene laterali. Poiché gli atomi di C del benzene sono collegati con un solo atomo d'idrogeno, i nitroderivati ottenuti sono terziari; essi non sono in condizione di formare, come fanno i nitroderivati primari e secondari, dei sali, degli acidi nitrolici o pseudonitrolici. I gruppi nitrici si lasciano anche introdurre nelle catene laterali (2). Se si riscalda il toluene o l'etilbenzene con acido nitrico debole (p. spec. 1,076) in una bombola sino a ima temperatura poco superiore a ioo° si ottiene il fenilnitrometano C,,H5—CHa—N02 o il fenilnitroetano C„H 5 —CH(N0 2 )--CH 3 . (') Secondo lo stesso principio si ricuperano nella grande industria i residui acidi della nitrazione. Nel nostro esempio si sono impiegate gr. mol. r % di HNO ä . ( 2 ) K O N O W A L O W , B. 27, Referatenteil 1 9 4 e 4 6 8 ( 1 8 9 4 ) .

Nitroderivati.

Leggi di

sostituzione

175

Non. solo le sostanze aromatiche capostipiti, cioè gli idrocarburi, si lasciano nitrare ; anche tutti i loro derivati come i fenoli, le animine, le aldeidi, gli acidi ecc. sono accessibili alla stessa reazione. L a nitrazione non avviene però con ugual facilità in tutti i casi. Si devono perciò determinare per ogni singolo caso le migliori condizioni per l'esperienza. Se una sostanza si lascia nitrare facilmente la nitrazione si può eseguire sia con H N 0 3 diluito con H a O secondo il bisogno, sia sciogliendo la sostanza da nitrare in un solvente inattaccabile da HNO3, nel qual caso ci si serve spesso dell'acido acetico glaciale, e si tratta dopo con acido nitrico. Se una sostanza si lascia nitrare con una media difficoltà la si mette nell'acido nitrico concentrato o fumante. Se la nitrazione avviene difficilmente si facilita la separazione dell'acqua mediante aggiunta di H 2 S 0 4 concentrato all'HN0 3 ordinario o fumante. Lavorando con una soluzione solforica si adopera qualche volta il K N O s o il NaNO s al posto dell'acido nitrico. I modi di nitrazione descritti si possono ancora modificare in due modi: x° facendo variare la temperatura; 2 0 facendo variare la quantità di acido nitrico. Così la nitrazione può essere compiuta o raffreddando in un miscuglio frigorifero, o nel ghiaccio, o nell'acqua, o riscaldando moderatamente o infine riscaldando alla temperatura d'ebollizione. Oltre ciò si può adoperare un eccesso di acido nitrico o la quantità calcolata teoricamente. Un saggio preventivo in piccolo deve indicarci quale di queste ninnerò se modificazioni ci dia i migliori risultati. Poiché i nitroderivati sono generalmente insolubili o poco solubili in acqua, si possono separare dal miscuglio di nitrazione diluendo questo con acqua. Con l'introduzione di un gruppo nitrico il carattere chimico di una sostanza non viene modificato profondamente. Cosi i nitro-derivati degli idrocarburi aromatici sostituiti nel nucleo sono dei composti neutri, come gli idrocarburi stessi. Ma se il gruppo nitrico entra a far parte p. es. di una sostanza di natura acida, l'acidità viene rinforzata; i nitrofenoli sono p. es. più fortemente acidi dei fenoli. Analogamente avviene nella nitrazione delle sostanze basiche; le nitraniline sono meno basiche delle aniline. L a grande importanza dei nitroderivati si basa sul loro comportamento nella riduzione, cosa di cui si parlerà nei prossimi esercizi. L e g g i di sostituzione. Nella ripetuta nitrazione del benzene si forma principalmente il metadinitrobenzene, ciò che corrisponde alle seguenti leggi generali di sostituzione. Per i composti aromatici sono in primo luogo tipiche tre reazioni: i° quella dell'alogenazione; 2 0 quella di nitrazione; 3 0 quella di solfonazione. Se si parte dal benzene stesso, naturalmente non è possibile che un solo mono-alogeno, nitro o solfon-derivato. Se si parte invece da un benzene monosostituito, la sostituzione dell'alogeno, dei nitro o solfo-gruppi può avvenire nelle posizioni orto, meta o para. I fatti hanno dimostrato che qui hanno luogo due tipi di reazione in certi casi si formano in prevalenza gli orto e para-biderivati, accanto ad una piccola quantità di meta-derivati, mentre in altri casi si forma in prevalenza il meta-derivato, accanto ad una piccola quantità di orto- o para-derivato. I sostituenti, come gli alogeni, i nitro- e solfo-gruppi — o anche altri

176

Cap. Ili:

I nitroderivati

e la loro

riduzione

sostituenti — che conducono alla sostituzione in prevalenza nella posizione orto e para vengono chiamati sostituenti di primo ordine. I sostituenti che dirigono di prevalenza nella posizione meta vengono chiamati sostituenti di secondo ordine. Sono sostituenti di primo ordine : gli alogeni, i gruppi alchilici, gli ossidrili insieme agli alchilossili ed acilossili, gli amminogruppi ed altri. Sono sostituenti di secondo ordine : i nitrogruppi, i solfongruppi, i gruppi aldeidici, i gruppi carbossilici assieme al COO-alchile (negli eteri), i gruppi CO—NH2 e CO-alchile (nei chetoni), C^N ecc. Da questo elenco si rivela la circostanza caratteristica che i sostituenti di prim'ordine sono tutti formalmente saturi, non contenendo dei legami doppi, mentre per il 20 ordine si ha il contrario. È degno di nota che le sostituzioni in pos. orto e para si compiono quasi sempre con maggior facilità, cioè con molto maggior rapidità, che non la sostituzione nella posizione meta. Qui le difficoltà aumentano continuamente. L'introduzione del secondo gruppo nitrico nel nitrobenzene ha richiesto già un mezzo molto più energico, che non la nitrazione del benzene. Il trinitrobenzene simmetrico si forma solo dopo una lunghissima ebollizione del dinitroderivato con acido nitrico fumante e dà anche così uno scarso rendimento. Si confronti con questo la facilità di sostituzione resa più agevole da OH e NHS dal gruppo metilico nel toluene. Il trinitrotoluene s'usa come esplosivo (tri-tolo). I composti nitrici sono in parte liquidi, in parte delle sostanze solide che si distinguono per la loro capacità di cristallizzare facilmente e che possiedono una temperatura di ebollizione molto più elevata che non la sostanza madre, qualora distillino senza decomporsi. Se si sottopone all'azione della miscela nitrante l'etilene si forma, come fu già detto, il nitrato di nitroetile CH 2 —N0 2 —CH 2 —ONO s . Per l'aggiunta dell'acido nitrico l'alcool nitroetilico formatosi in un primo tempo viene fissato per eterificazione, mentre il probabile primo prodotto di addizione di HNO, ad un legame doppio del benzene elimina acqua per le diverse ragioni sopradette. Le cose sono dunque analoghe come nella reazione dell'etilene e del benzene col bromo (pag. 118).

Esercizio N. 3. - Riduzione di un nitrocomposto ad un'ammina. a) Anilina dal nitrobenzene. (x) In un pallone (della capacità di 2 litri) si trattano g 120 di stagno finemente granulato (2) con g 61,5 (Y2 gì. mol.) di nitrobenzene, vi si aggiungono gradualmente cm3 270 = g 320 di acido cloridrico concentrato nel modo seguente: si aggiunge prima la decima parte dell'acido cloridrico, si collega subito il pallone con un tubo (») A . 4 4 , 2 3 8

(1842).

(') Se non si possiede dello stagno granulare, lo si prepara nel modo seguente: facendo fondere dello stagno in pezzi sulla fiamma di soffieria in un cucchiaio di ferro con manico e fornito di beccuccio e dopo versando a goccie da un'altezza di l/2-i m lo stagno fuso in un secchio pieno d'acqua.

A nilina

(preparazione)

177

verticale d'espansione (pag. 2) non troppo stretto e si agita. Dopo brevetempo il miscuglio si riscalda, ed entra finalmente in vivace ebollizione. Si raffredda nell'acqua fredda, senza interrompere completamente la reazione, e si aggiunge a poco a poco, agitando continuamente, dell'altro acido cloridrico, mantenendo sempre in buona efficienza la reazione. Finalmente si riscalda per un'ora ancora a bagno-maria, si tratta la soluzione tiepida con cm3 100 d'acqua e s'aggiunge gradualmente una soluzione di g 150 di N a O H tecnico in cm 3 200 d'acqua sino ad avere una forte reazione alcalina (1). S'introduce allora il vapore d'acqua nella soluzione calda per distillare l'anilina usando un lungo refrigerante ad aria. Appena il distillato non è più lattescente ma limpido, si lasciano ancora distillare cm 3 30 di liquido, si aggiungono g 25 di sale da cucina finemente polverizzato per ogni 100 cm 3 di liquido sino a soluzione e si estrae l'anilina con l'etere (2). Dopo aver prosciugato la soluzione eterea con alcuni pezzi di potassa caustica solida, si evapora l'etere e si distilla l'anilina. Punto d'ebollizione 184o. Resa 90-100% del teorico. La proprietà di trasformarsi per energica riduzione in un'amrhina primaria, è propria ai nitroderivati tanto della serie alifatica che di quella aromatica. Per la riduzione di ogni nitro-gruppo sono necessari 6 atomi di idrogeno. Nell'industria per la riduzione del nitrobenzene non viene adoperato lo stagno, troppo caro; oggi si lavora secondo un vecchio procedimento del BÈCHAMP con limatura o polvere di ferro. La quantità di acido cloridrico corrispondente all'equazione (A) in generale non viene consumata del tutto: C,H 5 —N0 2 + 3 Fe + 6 HC1 =

C„HS—NH¡ + 3 FeCl2 + 2 H s O

(A

Si può riuscire con una quantità molto minore, circa 3%. Ciò dipende dal fatto che il ferro in parte viene sfruttato sino allo stato d'ossido ferrico. Accanto ad (A) vi è l'equazione (B), cioè il cloruro ferroso si riforma continuamente : C„H6—NOa + 2 FeCl2 + 2 Fe + 4 H 2 0

C,H 6 —NH, + 2 FeCl2 + + 2 Fe(OH),

(B)

Per idrolisi del cloruro ferrico viene eliminato dell'idrato ferrico e sempre si riforma del nuovo acido cloridrico a disposizione di nuovo ferro. Gli ossidi del ferro che si formano alla fine del processo vengono di nuovo ridotti a polvere di ferro, per calcinazione a calor rosso in corrente di H. Attualmente è stato introdotto nell'industria il procedimento d'idrogenazione catalitica col rame come catalizzatore per la preparazione dell'anilina dal nitrobenzene. '

I1) Sulla separazione elettrolitica dello stagno vedi pag. 324 in calce. (2) Nell'industria l'anilina si separa senza salare e l'acqua d'anilina viene ogni volta usata di nuovo per fornire vapore.

12 - G ATTERMANN.

i78

Cap.

Ili:

I nit/oderivati

e la loro

riduzione

Per le esperienze di riduzione in piccolo dei nitroderivati si ha miglior successo prendendo dello stagno, o del cloruro stannoso e dell'acido cloridrico concentrato. I corpi solidi sono spesso difficilmente attaccabili senza solventi e richiedono un'aggiunta di alcool o di acido acetico glaciale. La fine della riduzione si riconosce quando il miscuglio reagente resta limpido per aggiunta di acqua. La base si ritrova infatti come sale cloridrico (cloridrato) ed i sali dell'acido cloridrico sono quasi senza eccezione solubili nell'acqua. Si deve osservare che spesso si formano col cloruro stannoso dei sali doppi difficilmente solubili, che vengono però generalmente disciolti dall'acqua bollente. Se un sale doppio cristallizza abbondantemente, esso viene isolato per filtrazione. Per decomposizione con idrato alcalino o in precedenza con idrogeno solforato esso separa facilmente la base allo stato puro. Le monoammine primarie sono in parte dei liquidi incolori come p. es. l'anilina, l'o-toluidina, la xilidina, o sostanze incolore solide come la p-toluidina, la pseudocumidina, le naftilammine ecc. Esse distillano senza decomporsi e sono volatili con vapore d'acqua. Esse sono difficilmente solubili in acqua, l'anilina al 3%. Le di- e poli-ammine sono generalmente solide, non volatili con vapor d'acqua e molto più solubili nell'acqua che non le monoammine. Le ammine posseggono ima carattere basico, la basicità è però notevolmente più debole in conseguenza della natura negativa del gruppo fenilico, che non nelle ammine alifatiche. Perciò le soluzioni acquose dei sali (stechiometricamente) neutri d'anilina reagiscono, a causa dell'idrolisi, acide alla cartina di tornasole. Per la stessa ragione si può eliminare da una soluzione acquosa di sale d'anilina con etere una piccola quantità di base Ubera. (Rintracciare con acido cloridrico sciolto in etere o dopo l'evaporazione dell'etere con la reazione all'ipoclorito). Saggi. 1. Si allungano c m 3 10 di acqua d'anilina (ottenuta agitando in una p r o v e t t a 3 gocce di anilina in c m 3 10 d'acqua) con cm 3 100 di acqua e si aggiunge u n po' di soluzione acquosa filtrata di cloruro di calce (ipoclorito). Si ha una colorazione violetta (reazione di R U N G E ) . Questa reazione molto sensibile viene d a t a solo dall'anilina libera, non dal suo sale; perciò si deve isolare la base da q u e s t o ultimo. Si può adoperare anche questa reazione, per riconoscere piccole quantità di benzene o nitrobenzene, compiendo in piccolo (prov e t t a ) le reazioni di cui si è detto ora. La reazione col cloruro di calce è specifica per l'anilina; la sostanza colorata è un derivato complicato chinonico la cui costituzione non è ancora sicuramente nota. Le altre prove qui riferite rappresentano le reazioni classiche delle ammine primarie aromatiche. 2. Le ammine primarie e secondarie vengono acilate dai cloruri acidi e dalle anidridi acide, particolarmente anche dal cloruro dell'ac. benzensolfonico (pag. 201). La preparazione dell'acetanilide è stata già riferita (pag. 137, 166). I derivati acetilici e benzoilici di tutte le ammine semplici primarie

Anilina

(reazioni)

179

della serie del benzene e della naftalina sono conosciuti, così che questo metodo conduce in tutti i casi all'identificazione. Si dimostri l'identità di un'ammina primària con il metodo su riferito.

3. Benziliden-anilina. Cm3 1 di anilina viene riscaldato con altrettanta aldeide benzoica nella provetta a bagnomaria. 1/acqua si separa con intorbidamento e dopo raffreddamento il miscuglio si solidifica dando la così detta base di S c h t f f (azometina). Punto di fusione 720. Riscaldando con acidi il prodotto di condensazione debolmente basico, esso si decompone nei suoi componenti: reazione generale delle animine primarie. 4. Reazione dell'isonitrile. Come le ammine primarie alifatiche del tipo della metilammina, anche l'anilina ed i suoi affini danno la reazione olfattiva caratteristica col cloroformio ed alcali.

Si mescolano in una provetta 2 gocce di anilina con cm 3 2 d'alcool, si aggiunge mezzo cm3 di KOH concentrato e 5 gocce di cloroformio e si riscalda moderatamente (sotto la cappa) : C1 C„H 5 —NH 2 + Cl 2 —C-

/ H R—CH2—C=NOH

Il nucleo benzenico che t r o v a la più completa espressione della s a t u r a zione nei suoi t r e legami doppi vicini, non d à luogo a u n a simile t r a s p o s i zione. Qui il g r u p p o N H O H rimane estraneo al nucleo ed il c a r a t t e r e « aromatico » del nucleo resta conservato. Considerando q u a n t o precede si capisce perchè sino a d ora n o n si sia p o t u t o o t t e n e r e n e s s u n a « anilina alif atica » semplice del t i p o : R—CH=C— I NH„

Esercizio N. 5. - Nitrosobenzene. G 12 di fenilidrossilammina preparata di recente vengono introdotti a piccole porzioni, e sciolti con la massima rapidità, in un miscuglio, raffreddato a o° con ghiaccio, di cm3 50 di H2S04 concentrato e cm3 250 d'acqua, indi si allunga con cm3 500 di acqua ghiacciata, si raffredda a o°; continuando a raffreddare e ad agitare il matraccio in cui avviene 'a reazione, vi si fa arrivare abbastanza rapidamente per mezzo di un imbuto a rubinetto una soluzione ugual-

igo

Cap.

Ili:

l nitroderivati

e la loro

riduzione

mente raffreddata di g 12 di bicromato di sodio in cm3 200 d'acqua. Il nitrosobenzene si separa presto in fiocchi cristallini. Si aspira su un piccolo imbuto di Biichner, si lava due volte con acqua, si trasporta il precipitato insieme al filtro in un pallone e si distilla il nitrosobenzene assai volatile in corrente di vapore d'acqua. I suoi vapori verdi si depositano già nel refrigerante sotto forma di croste cristalline quasi incolore, le quali in ultimo, fermando la corrente d'acqua refrigerante e somministrando cautamente del vapore d'acqua possono essere fuse e raccolte nel collettore. Il nitrosobenzene separato per filtrazione viene compresso sul piatto di porcellana porosa e prosciugato nell'essiccatore a vuoto su cloruro di calcio (non su acido solforico concentrato). Un saggio della sostanza secca viene lavato con poco etere in una provetta (colorazione verde della soluzione) ed ancora una volta essiccato per determinare il punto di fusione. Il nitrosobenzene fonde a 68° in una massa fusa verde. Ricristallizzato da una quantità doppia di alcool, esso si ottiene in una forma assolutamente pura e stabile. I nitrosocomposti aromatici si fabbricano anche per ossidazione delle ammine primarie ; m a si conosce un solo mezzo di ossidazione, che renda facile questa trasformazione, precisamente l'acido monopersolforico (acido di CARO) : C.H.-NH, + 2 O



C 6 H 6 —NO +

ILO

Saggio (1). G 18 dipersolfato di potassio finemente polverizzato vengono intimamente mescolati in una robusta capsula, raffreddando intensamente con ghiaccio, con cm3 15 di H 2 S0 4 concentrato. Dopo un'ora di riposo si versa il miscuglio su g 100 di ghiaccio e si neutralizza, sempre raffreddando, con Na 2 C0 3 . Si fanno arrivare in questa soluzione cm3 100 di acqua d'anilina (g 2,8 in 100 cm3 d'acqua) e dopo poco tempo il nitrosobenzene si separa in fiocchi gialli. Dopo che la soluzione rimescolata è diventata limpida, si separa per filtrazione alla pompa il precipitato e si asporta il nitrosobenzene con vapore d'acqua. Se ne ottiene circa la metà dell'anilina adoperata. Esistono, ad eccezione di pochissimi casi, soltanto quei nitrosocomposti in cui il gruppo NO sia collegato al carbonio terziario, come nel nitrosobenzene. U n rappresentante alifatico è per es. il nitroso-isobutano (H a C)„—C—NO .

(») CARO, Z. /. ang.

Ch. 1 1 , 845 (1898); BAEYER, B . 3 3 , 1 2 4 (1900); 3 4 , 855

(1901).

Nitrosobenzene. Spiegazioni e saggi

191

Allo stato solido quasi tutti i nitrosocomposti sono incolori ( 1 ) ; in soluzione o fusi sono azzurri o verdi. La forma incolore come lo dimostrano le determinazioni dei pesi molecolari del nitrosobenzene in acido cianidrico liquefatto ( P I I , O T Y ) è bimolecolare. I gruppi N O di due molecole si trovano legati in un'unione reciproca lassa, forse secondo una delle formule seguenti: C,HS—N=0 Il C6H5—N=0

C 6 H 5 —N—O I I ~ "

oppure

Con la distruzione dell'edificio cristallino nella fusione o nella soluzione avviene una dissociazione in singole molecole colorate, che aumenta con la temperatura. Si manifestano dunque dei fenomeni perfettamente analoghi a quelli noti dal caso dell'ipoazotide : (C,H 5 —NO) 2

±5

2C 6 H 5 —NO;

(NO,,),

2 NO, .

I l gruppo N O rappresenta il più efficace gruppo cromoforo che noi conosciamo. Con un radicale indifferente verso l'assorbimento della luce, come l'isobutile, esso produce il nitroso-isobutano di colore azzurro. Malgrado la loro intensa colorazione i nitroso-composti non sono coloranti, perchè manca loro il gruppo « auxocromo » necessario per la combinazione con la fibra (p. es. N H „ OH). I l nitroso-gruppo somiglia per molti caratteri al gruppo aldeidico, cioè le reazioni provocate nelle aldeidi dalla capacità di reazione del doppio legame > C = 0 , sono trasportabili in gran parte sul doppio legame — N = 0 . Un altro esempio verrà dato più avanti nella condensazione del nitrosobenzene con la fenilidrossilammina. Anche coli'idrossilamm,ina e la fenilidrazina il nitroso-benzene entra in reazione, però non possiamo insistere di più su queste reazioni. Le aldeidi si combinano con le ammine primarie nelle così dette azometine (basi di S C H I F F ) con eliminazione d'acqua (pag. 1 7 9 ) , per es.: C 6 H 5 — C = 0 + H 2 NC e H 5 H



C 6 H 5 —C=N—C 6 H 5 + H 2 0 H benzilidenanilina

Il nitrosobenzene e l'anilina danno nello stesso modo Vazobenzene. C 8 H 5 — N = 0 + H 2 N—C„H 5

»- C,H 5 —N=N—C„H 5 + H a O

S a g g i o (2). A d 1 cm 3 d'anilina sciolta in cm 3 3 di acido acetico glaciale viene aggiunto 1 g di nitrosobenzene in cm 3 10 d'alcool. Con un moderato riscaldamento il colore diventa arancione cupo. Si lascia ancora per 10 minuti a bagno maria bollente, si aggiungono i 1 ) Un'eccezione è data per es. dalla p-nitrosodimetilanilina O N ^ ^—N(CH 3 ) 2 , anche allo stato solido di un magnifico verde smeraldo e le basi affini. Vedi pag. 321. Così pure la maggior parte degli pseudonitroli. (2) BAEYER, B . 7, 1 6 3 8

(1874).

192

Cap. Ili:

I nitroderivati

e la loro

riduzione

alcuni centimetri cubi d'acqua; raffreddandosi l'azobenzene cristallizza in scagliette di un color rosso arancione. I,avato sul filtro con alcool al 5 0 % ed asciugato su porcellana porosa esso mostra un punto di fusione di 68°. L/azobenzene può ricristallizzare molto bene da poco alcool. In questo modo si preparano comodamente e con buon rendimento degli azo-composti misti (asimmetrici). Si prepari secondo le indicazioni date per es. il p-metilazobenzene dal nitrosobenzene e la p-toluidina. Alla condensazione delle aldeidi con gruppi attivi metilici o metilenici, nella quale si formano dei chetoni non saturi, per es. : CEH5—C=0

H

+

H3C—CO—CH3

V

C„H5—C=CH—CO—CH3

H benzalacetone

corrisponde la reazione analoga dei nitrosocomposti aromatici. Essa richiede degli atomi d'idrogeno particolarmente labili e non può perciò essere eseguita con chetoni semplici come l'acetone. I prodotti sono, come si capisce, delle azometine. Con l'aiuto di questa condensazione è stata possibile la sintesi degli 1 , 2 , 3 - t r i c h e t o n i ( F . SACHS): CH3—CO—CH2—CO—CH3 +

ON—^

N(CH3)2

acetilacetone CH3—CO •

¿ = N — (

N(CH3), +

H20

CH3—¿0

H.O

CH3—CO—CO—CO—CH3 +

H2N^

N(CH3)

trichetopentano L'ultima fase della reazione si basa sul fatto che l'azometina viene facilmente decomposta in un composto carbonilico e in una base primaria. L a condensazione ha dunque per scopo ultimo quello di trasformare il metilene in > C = 0 . Lo stesso risultato viene raggiunto, con reazione simile, per azione dell'acido nitroso sui chetoni (v. la sintesi del diacetile dall'etilmetilchetone). Finalmente il nitrosobenzene può subire anche la reazione di GRIGNAKD. Col bromuro di fenilmagnesio si forma nel solito modo la difenilidrossilammina, una sostanza chimicamente oltremodo attiva: /C«H 6 C . H . — N = 0 + Br—Mg—C.H, C„H 6 —N( ' H,° \0MgBr C 0 H 6 —N—C,H„ + MgBr(OH) .

AH

Azossibenzene L a difenilidrossilammina viene deidrogenata come la fenilidrossilammina ed anzi, nel modo migliore, con l'ossido d'argento. Qui può essere eliminato solo l'atomo d'idrogeno del gruppo OH; la sostanza rossa cristallina preparabile in questo modo contiene azoto tetravalente e, come il biossido di azoto, nelle reazioni presenta il comportamento di un radicale libero. Come lo dimostra la formula esso può considerarsi derivante dall'ipoazotide, per la sostituzione di un O con due C 6 H 5 : H5C6\ )ìs=0 H5C/

difenil-ipoazotide.

Saggio. Azossibenzene da fenilidrossilammina e nitrosobenzene. - Alla soluzione di g i di nitrosobenzene in cm3 io di alcool s'aggiungono g i di fenilidrossilammina, quindi alcune gocce di K O H concentrato (i : i) agitando e si riscalda per qualche minuto a bagnomaria. La soluzione giallorossa viene raffreddata; strofinando con un bastoncino di Vetro, il prodotto della reazione precipita in cristalli gialli. Poiché l'azossibenzene fonde già a 36o, esso si separa volentieri dalla soluzione soprasatura sotto forma oleosa. Per ricristallizzazione da poco alcool o dall'etere di petrolio (conservare dei cristalli per l'inoculazione) si ottiene un composto giallo chiaro quasi incoloro. L a debole colorazione dell'azossibenzene in confronto coll'azobenzene rosso si spiega meglio con la vecchia formula (I), che noti quella (II), prop o s t a d a ANGELI:

I.

H 5 C 6 —N—N—C 6 H 5

,

II.

H5C6—N=N—C6H5

V

O

Però il f a t t o che l'azossibenzene asimmetrico esiste in due forme isomere (ANGELI) e precisamente: R—N=N—R'

e

R—N=N—R'

decide a favore della formula I I . Il meccanismo della condensazione eseguita è evidente, esso corrisponde completamente a quello della formazione del nitrone dalla fenilidrossilammina e dalle aldeidi (pag. 188) : H S C,—NH + ON—C,H 5 I OH



H 5 C 6 —N—N—C 6 H 6 I I OH OH

H 5 C 6 N=NC 6 H 5 11

O

I rapporti t r a l'azossibenzene e l'azo- e idrazobenzene vengono discussi nelle spiegazioni dell'esercizio successivo, N° 6. Qui menzioneremo ancora 13

-

GATTERMANN.

194

Cap.

Ili:

I nitroderivati

e loro

riduzione

l'interessante trasposizione che l'azossibenzene subisce per l'azione dell'acido solforico concentrato; in questo caso si forma il para-ossiazobenzene, sostanza madre per i coloranti azoici acidi ( WAIJ.ACH) .

C6H5 -N= _N -C c H.

»

C,H t

N'- x /

\.OH .

Esercizio N. 6. - Idrazobenzene e azobenzene. a)

Idrazobenzene.

U n pallone da un litro viene munito d'una colonna ANSCHUETZ a tubo sottile a buona tenuta (fig. 31). Il tubo laterale viene collegato per mezzo di un pezzetto di t u b o di gomma largo col t u b o di un refrigerante Liebig, collocato obliquamente, in modo che il pallone possa essere senza fatica energicamente agitato. Il t u b o verticale della colonna viene chiuso con un t a p p o di sughero e serve per introdurre la polvere di zinco necessaria per la riduzione. Si sciolgono g 50 di N a O H in cm® 150 d'acqua e si versa la soluzione ancora calda insieme a 50 cm 3 di alcool e g 41 ( % gr. mol) di nitrobenzene nel pallone. Agitando energicamente si aggiungono prima g 6-8 di polvere di zinco, si lascia terminare la reazione dapprima violenta, agitando continuamente, e si mantiene, continuando ad aggiungere la polvere di zinco, il miscuglio reagente in ebollizione. Si badi che la reazione non a v v e n g a troppo tumultuosamente, m a si eviti di interromperne il corso col raffreddamento. Il contenuto del matraccio si colora prima in rosso (azobenzene), ma diventa finalmente di un giallo v i v o , dopo l'azione della quantità necessaria del riduttore. Occorrono circa g 120-150 di polvere di zinco (al 7 5 % ) . Se la reazione dovesse arrestarsi prima del tempo, si riscalda su un bagnomaria in v i v a c e ebollizione. È indispensabile agitare continuamente e con energia il contenuto del pallone, perchè la pesante polvere di zinco rimanga in continuo c o n t a t t o con la sostanza organica. A l miscuglio ridotto completamente e riscaldato a bagnomaria si aggiungono finalmente cm 3 500 di alcool, che scioglie al calore dell'ebollizione l'idrazobenzene separatosi. T u t t o il contenuto dell'imbuto viene separato per filtrazione alla pompa alla temperatura dell'ebollizione sopra un imbuto di Biichner (prima spegnere le fiamme in vicinanza !) ; il pallone viene subito sciacquato con cm 3 50 d'alcool caldo, che serve per lavare la polvere di zinco rimasta in-

Idrazobenzene

e

azobenzene

195

dietro sul filtro. Si lascia raffreddare il filtrato nel matraccio di filtrazione ben chiuso, si accelera la cristallizzazione raffreddando in un miscuglio frigorifero, si aspira alla pompa completamente dopo un'ora e si l a v a diverse volte il prodotto della reazione quasi incoloro con alcool al 5 0 % , al quale è stata aggiunta una piccola quantità di acido solforoso aquoso, sino a che il filtrato non ha più reazione alcalina. Ricristallizzando dall'alcool non troppo caldo e lavorando rapidamente si ottiene l'idrazobenzene completamente incoloro e puro. Punto di fusione 124 0 con decolorazione in giallo. Per la grande inclinazione all'autoossidazione, che richiede un lavoro ininterrotto durante la preparazione, l'idrazobenzene — ben prosciugato nel vuoto — è conservabile per un certo tempo senza colorazione solo in recipienti di vetro ben chiusi riempiti di CO, o N 2 , meglio ancora in tubi chiusi alla fiamma. Il rendimento in prodotto grezzo, che può essere direttamente per ulteriori preparati, è di g 20-25. b) Azobenzene

adoperato

dall'idrazobenzene.

1. Mediante deidrogenazione. Si fanno arrivare a gocce g 10 di bromo ( = 3,2 cm3) in una soluzione di 6,0 g di N a O H in cm 3 75 di H s O (cm3 75 di una soluzione N a O H 2N) raffreddando con ghiaccio, si agita questo ipobromito alcalino con g 9,2 d'idrazobenzene (1/20 gr. mol.) in cm 3 60 di etere in un piccolo imbuto separatore per 10 minuti, si separa la soluzione eterea da quella acquosa, s'evapora l'etere e sottengono delle scagliette rosso-arancione di azobenzene, il quale ricristallizzato da poco alcool, a 6o° fonde. Rendimento quantitativo. Anche aspirando l'aria per diverse ore attraverso una soluzione alcoolica di idrazobenzene trattata con alcali si forma con buon rendimento l'azobenzene. 2. Mediante dismutazione. G 1-2 di idrazobenzene vengono riscaldati sino alla fusione in una provetta sopra una fiammellina. Iva massa fusa giallo-arancione viene riscaldata ancora cautamente, sino all'inizio dell'ebollizione dell'anilina formatasi. Nel raffreddarsi il miscuglio solidifica dando azobenzene rosso, imprigionato nell'anilina. Si può estrarre la base ciclica con acqua e dimostrare la sua presenza con la reazione all'ipoclorito di calcio; l'azobenzene viene ricristallizzato

come sopra dall'alcool. Se si vuol isolare 1 anilina

Cap.

Ili:

I nitroderivati

e loro

riduzione

pura, usando una maggior quantità d'idrazobenzene, la si separa con acido acetico diluito dall'azobenzene e la si mette di nuovo in libertà dalla soluzione del suo acetato con dell'idrato alcalino concentrato. S'estrae con etere ecc. L ' a z o b e n z e n e , c o n il c r o m o f o r o — N = N — , s o s t a n z a f o n d a m e n t a l e dei c o l o r a n t i azoici, è u n a s o s t a n z a m o l t o s t a b i l e che distilla senza decomporsi. D i v e r s a m e n t e dalla m a g g i o r a n z a degli altri a z o c o m p o s t i , il g r u p p o N = N tra i due nuclei a r o m a t i c i è fissato m o l t o solidamente. In questo m o d o si spiega la grande solidità dei c o l o r a n t i azoici. Con g l i a c i d i m i n e r a l i c o n c e n t r a t i l ' a z o b e n z e n e d à dei sali c o l o r a t i in rosso, il c h e si c o n s t a t a v e r s a n d o dell'acido cloridrico sulla s o s t a n z a . L'ass o r b i m e n t o d ' i d r o g e n o r i p o r t a a l l ' i d r a z o c o m p o s t o . P e r l'azione del perossido d ' i d r o g e n o o d e l l ' a c i d o n i t r i c o si a d d i z i o n a l ' o s s i g e n o : si f o r m a l ' a z o s s i c c m p o s t o . A b b i a m o g i à p a r l a t o d e l l a sintesi d e i d e r i v a t i azoici a r c m a t i c i asimmetrici, a p a r t i r e d a i n i t r o s o - c c m p o s t i e d a animine primarie. A l l a t e m p e r a t u r a d i fusione l ' i d r a z o b e n z e n e si d e c o m p o n e s e c o n d o lo schema :

H,C A —NIH HN—C 6 H 6

I I ||

HA—N|H

• *•

HN—C„H 5

v

H 5 C„—N

H 2 N—C 6 H 5

|| + HA—N HjN—C6H5

in azobenzene e anilina. S i p a r l e r à p i ù a v a n t i d i u n a reazione a n a l o g a (pag. 306) p e r l a fenilidrazina; u n e s e m p i o semplice è Vautodecomposizione dell'acqua ossigenata in o s s i g e n o e d a c q u a :

OJH , OH

jI

Ò|H

1I OH

O

HOH

O

+

HOH

Questo processo, c o m e anche quello d e l l ' a u t c d e c c m p o s i z i c n e dell'idrazobenzene v i e n e accelerato d a i m e t a l l i della f a m i g l i a del platino.

c) Benzidina

dall'idrazobenzene.

G 9,2 d'idrazobenzene vengono sciolti nella quantità più piccola possibile di etere ed aggiunti a gocce a 100 cm 3 di HC1 circa 7 N, raffreddati con ghiaccio (HC1 concentrato [D = 1,19] + un ugual volume di acqua) agitando continuamente. Il cloridrato di benzidina si separa in cristalli; dopo l'aggiunta di 50 cm 3 di acido cloridrico concentrato ed un riposo di % ora, viene separato per filtrazione alla pompa dal miscuglio di reazione e lavato con HC1 come sopra e poco etere. Resa g 9-10. Il cloridrato può ricristallizzare dall'acqua calda con l'aggiunta

Benzidina d'acido

per trasposizione

cloridrico concentrato,

197

dall'idrazobenzene

nella soluzione d e b o l m e n t e

raffred-

data. P e r o t t e n e r e l a base zione

non troppo

libera,

concentrata

l a b e n z i d i n a , si m e s c o l a u n a del sale, p r e p a r a t a

a caldo

giunta d ' u n po' di HC1 diluito, che viene r a p i d a m e n t e a

i5°-20°,

con u n piccolo eccesso

di N a O H

raffreddata

concentrato;

la

c h e si s e p a r a c r i s t a l l i z z a n d o v i e n e f i l t r a t a a l l a p o m p a e l a v a t a ratamente

con acqua.

Prima

dell'aggiunta

dell'idrato,

d e l s a l e d e v e e s s e r e l i m p i d a ; il c l o r i d r a t o c h e d o v e s s e si s e p a r a p e r

solu-

coli'ag-

la

base accu-

soluzione

cristallizzare

filtrazione.

L a b e n z i d i n a libera p u ò essere ricristallizzata d a l l ' a c q u a o anche d a poco alcool. P u n t o di fusione

calda

1220.

L a trasposizione dell'idrazobenzene nella benzidina isomera — scoperta nell'anno 1846 dal chimico russo ZININ — che viene a v v i a t a per l'azione catalitica degli acidi minerali, dipende dalla tendenza della molecola a t r o v a r e un assetto più povero d i energia, cioè più saturo. Opportunamente noi classifichiamo tale processo accanto ad altri analoghi, nei quali essenzialmente si t r a t t a d i uno scambio di posto t r a un radicale unito all'azoto ed u n idrogeno unito al nucleo, di solito in posizione para. Qui rientra la trasformazione dell'acido fenilsolfamminico in acido solfanilico (pag. 208), della fenilidrossilammina in p-amminofenolo (pag. 186), inoltre dell'acetanilide in p-aminoaceto-fenoue e della N-cloracetanilide in p-cloracetanilide : H

H

R

H

H

^—N —CO—CH;i N—CO—CH„

H

>-- H H nnC OC^ > COc/

y \—NH» —

H

( > ^RCO CH- —* CLC )

—NH—CO—CHa

CI

Poi c'è la trasposizione delle nitrosammine aromatiche di cui si parlerà più avanti, per es. : (

y—N—CH3

>

NO

OH CH,—C { — — i - CH 3 —c=o + H2O H | \OH H

Spiegazioni e saggi sulle aldeidi

221

La trasformazione dell'alcool etilico in acetaldeide ed acido acetico rappresenta il meccanismo chimico della fermentazione acetica ; qui i batteri acetici consumano l'ossigeno dell'atmosfera per fissare l'idrogeno. In questo caso non viene attivato l'ossigeno come si credeva prima, bensì l'idrogeno che si elimina, il che si vede da un'esperienza secondo la quale il « Mycoderma aceti » fabbrica dall'alcool l'acido acetico, anche hi assenza d'ossigeno che viene sostituito dal chinone. Nel contempo il chinone viene idrogenato ad idrochinone : CH 3 .CH 2 OH + 20 =

+H2°

CH 3 -COOH + 2 H O ^

^>OH.

La parte importante sostenuta dall'acetaldeide nella fermentazione alcoolica (C. NEUBERG), è lumeggiata dal fatto che essa si forma dal prodotto intermedio acido pirouvico per eliminazione di anidride carbonica: CH a —CO—COOH

>

CH.,—CHO + CO, ,

e che inoltre secondo l'equazione fondamentale : CH 2 OH-CHOH-CH(OH) 2 + CH;jCHO

* CH3-COCOOH -f CH3CH2OH-¡- H 2 O

forma idrata dell'aldeide glicerica

per reciproca idrogenazione e deidrogenazione si forma alcool etilico e nuovo acido pirouvico. Si veda a questo proposito a pag. 407. Le aldeidi sono straordinariamente suscettibili d'autoossidazione, cioè all'unione con l'ossigeno molecolare. In questo caso è la vera forma aldeidica H I — C = 0 , quella che addiziona prima al doppio legame attivo la molecola non satura dell'ossigeno e precisamente sotto forma di un per-acido: H ch3—c=o

+

0=0

H CH,—C—O

u

CH3—C=0 ¿—OH acido per-acetico

I peracidi sono degli energici ossidanti e reagiscono con una seconda molecola di aldeide con formazione di due molecole di acido: CH3—c=o [ + 0=C=CH, O—OH H

>

,,O 2 CH 3 - C / \OH.

Così l'autoossidazione dell'aldeide conduce finalmente all'acido. La comparsa primaria del peracido si può molto facilmente dimostrare nel caso dell'aldeide acetica per l'immediata separazione dell'iodio, provocata da questo potente ossidante in una soluzione di K I . Per la benzaldeide, che si combina con particolare rapidità con l'ossigeno, si è potuto fissare il peracido con l'anidride acetica sotto forma di perossido di acetìl-benzoile (NEF) : C 9 H 5 —C=0 I + (CH 3 C0) 2 0 O—OH



C„H 5 —C=O | + CH3COOH O—O—CO—CH 3

Cap.

222

V:

Aldeidi

S a g g i o 2. Si agita per alcuni minuti un cm3 di aldeide acetica preparata di fresco in un cilindro munito di un tappo di gomma a buona tenuta. I,a metà si versa in una soluzione di ioduro di potassio poco diluita, all'altra metà si aggiunge una quantità doppia o tripla di acqua e si saggia colla carta al tornasole per riconoscere l'acido acetico formatosi. Si troverà che l'aldeide mescolata con l'acqua dopo un po' di riposo non metterà più in libertà lo iodio dalla soluzione di ioduro potassico. S a g g i o 3. 2 goccie di benzaldeide si lasciano per un'ora all'aria su un vetro d'orologio. Industrialmente è preferita di solito la v i a dagli alcool primari alle aldeidi, almeno nella serie grassa. L e aldeidi aromatiche semplici v e n g o n o ottenute per saponificazione alcalina dei cloruri di arilidene R — C H C 1 2 , accessibili per sostituzione del cloro nell'idrocarburo (preparazione tecnica della benzaldeide). Oltreciò d o b b i a m o menzionare qui l'elegante sintesi d i GATTERMANNK o c h che si svolge secondo la reazione d i F r i e d e l - C r a f t s , nella quale l'idrocarburo aromatico viene f a t t o reagire con C O e HC1 in presenza del cloruro d'alluminio e del cloruro rameoso: C O -l- H C 1

A l p o s t o dell'ossido di carbonio si p u ò usare anche l'acido cianidrico ( G a t t e r m a n n ) o fulminico (sotto f o r m a di f u l m i n a t o d i mercurio S c h o i j , ) , nel qual c a s o come p r o d o t t o primario si f o r m a l'iinina o l'ossima. N o n v i è nessuna reazione generale per tornare dagli acidi carbossilici alle aldeidi ; in alcuni casi i cloruri acidi p e r m e t t o n o la sostituzione del cloro con idrogeno a t t i v a t o cataliticamente per m e z z o del palladio (RosENMUND). C6H6—c=-0

CI

C0H5 - G = 0 H

HC1

Un'altra possibilità, che ha a v u t o o t t i m a riuscita in molte sintesi, consiste nella riduzione energica degli eteri composti per m e z z o di m o l t o sodio metallico e poco alcool a caldo, agli alcool corrispondenti (BorvEAur.T) e questi si ossidano nel solito m o d o ad aldeidi.

Saggio 4. Reazione cromatica coll'acido fucsinsolforoso. Un granellino di fucsina viene sciolto a caldo in molta acqua ad una soluzione circa allo o,2%, vi si aggiunge a poco a poco a freddo una forte soluzione acquosa di acido solforoso, sino alla decomposizione che avviene dopo un po' di riposo. La soluzione si mantiene a lungo in un recipiente ben chiuso. Si saggi la sensibilità della reazione

Reazioni

cromatiche

delle

aldeidi

22Ì

cromatica colla formaldeide o l'acetaldeide, diluendo sempre più la soluzione aldeidica. Saggiando con un'aldeide difficilmente solubile in acqua, per es. la benzaldeide, si aggiunga un po' di alcool. 1/alcool deve essere prima controllato perchè esso contiene, dopo prolungato riposo, specialmente alla luce, delle quantità non trascurabili di acetaldeide. L,a. reazione cromatica della formaldeide diventa di un azzurro puro con l'acido cloridrico concentrato, mentre essa manca quasi completamente per le altre aldeidi nelle stesse condizioni (distinzione tra la formaldeide e l'acetaldeide). La reazione cromatica con l'acido fucsinsolforoso permette una netta distinzione tra le aldeidi ed i chetoni. Il glucosio reagisce negativamente in soluzione acquosa diluita. Sul meccanismo della reazione cromatica vedi B. 54, 2527 (1921). Saggio 5. Reazione di Angeli e Rimini. Alcune gocce di aldeide (una qualunque tra quelle preparate) vengono sciolte in un po' d'alcool privo di aldeide e mescolate con circa la stessa quantità di acido benzensolfidrossammico (preparazione v. pag. 201) ; con le aldeidi alifatiche si adopera una quantità doppia. Dopo si aggiungono, raffreddando e dibattendo, in modo approssimativo 2 gr. mol. di NaOH 2 N e si lascia riposare per 1 5 minuti; poi con HC1 diluito la si rende esattamente acida al rosso Congo e si tratta finalmente con una goccia di soluzione di cloruro ferrico: intensa colorazione rossa. È stato menzionato a pag. 202 che l'acido benzensolfidrossammico viene decomposto per azione dell'alcali in acido benzensulfinico e nel composto molto instabile nitrossile 0 = N H . Se la formazione del nitrossile avviene in presenza dell'aldeide esso si addiziona al gruppo carbonilico e si forma un acido idrossammico che si manifesta, e con ciò dimostra anche la presenza dell'aldeide, per la sua intensa reazione col cloruro ferrico:

OH

C b H,—C=0 4-HN=0 H

> C„HG—C H

—> C„H5--C NOH

Se si considera il nitrossile come un idrato e cioè una diossiammoniaca N

H

il parallelismo della reazione con la formazione dell'aldossima dal-

l'aldeide e dall'idrossilammina è ancora più pronunciato. Il nitrossile si forma anche per scissione alcalina del sale sodico deli 1 ; Questo è importante naturalmente solo nei casi seri, quando cioè avendo una sostanza sconosciuta si cerca di determinare se essa è di natura aldeidica.

Cap. V:

22 4

Aldeidi

la nitroidrossilammina, forma acida (ANGELI) : 0=N=N0H ¿Na

J-

0=N—ONa + 0 = N H

nitroidrossilammina, sale sodico

Ci limiteremo qui a ricordare soltanto le altre reazioni delle aldeidi tutte straordinariamente attive : riduzioni ad alcool, formazione di idrazoni, ossime, semicarbazoni, composti bisolfitici, acetali, addizione di acido cianidrico con formazione di cianidrine.

Saggio 6. Reazione con NH4OH. Cm3 io della formaldeide preparata vengono mescolati con un piccolo eccesso di ammoniaca ed evaporati in una piccola capsula di vetro a bagnomaria. I cristalli incolori che residuano sono esametilentetrammina (CH2)6N4 (urotropina). Questa reazione avviene quantitativamente. T,SL si esegua quantitativamente e se ne confrontino i risultati con quelli ottenuti per titolazione. I/acetaldeide si combina con l'ammoniaca, come fu stabilito più sopra, in ammonoaldeide : (CH3-C/OH\ ; \ H \ NH, /., La benzaldeide dà la cosidetta idrobenzammide : C6H6—C=Nx H )CH—C 0 H 6 C6H6—C=N/ H I prodotti di reazione delle tre aldeidi sono perciò profondamente diversi, ma la loro formazione comincia ogni volta con una addizione: H — C = 0 + NH,

*

H /OH —C( \NH,

che nell'acetaldeide si ferma a questo punto, ma in altri casi va oltre e dà luogo ad ulteriori condensazioni con eliminazione di acqua.

Saggio 7. Alcune gocce di benzaldeide vengono energicamente agitate in una provetta con un volume triplo di liscivia bisolfitica tecnica. I cristalli che si separano sono costituiti dal composto del bisolfìto di sodio colla benzaldeide. I composti bisolfitici si formano secondo l'equazione seguente: R — C = 0 + HSO a Na H



/OH R—C( H\S03Na

Altrr reazioni delle aldeidi

225

I l problema della costituzione dei composti bisolfitici delle aldeidi e dei chetoni è s t a t o risolto per merito delle ricerche di R A S C H I O e P R A H I , (') nel senso della formula soprascritta. Secondo questa essi sono i sali degli acidi a-ossisolfonici, i cui gruppi solfonici sono labili per l'influenza dell'ossidrile vicino. Allo stesso modo anche l'aderenza d'un alogeno è diminuita da un gruppo O H attaccato allo stesso atomo di C : t a n t o che gli alcooli clorurati della costituzione: \ /

C

/

C 1

\0H

11011 sono affatto capaci d'esistenza libera. Poiché i composti bisolfitici si decompongono nei loro componenti per riscaldamento con soluzione di Na 2 C0 3 o di acidi diluiti, essi rappresentano u n mezzo eccellente per estrarre aldeidi (o chetoni) dai loro miscugli con altre sostanze. Polimerizzazione. - L,e aldeidi semplici si polimerizzano facilmente. La formaldeide anidra in generale non è stabile a lungo, m a si t r a s f o r m a rapidamente in u n a sostanza solida a m o r f a di peso molecolare elevato (CH 2 0) n , il poliossimetilene che lentamente si decompone nelle molecole semplici alla t e m p e r a t u r a ambiente, più r a p i d a m e n t e col riscaldamento. Dalla soluzione acquosa della formaldeide (formalina), così come è s t a t a p r e p a r a t a , non si p u ò ottenere l'aldeide anidra, perchè all'ebollizione essa distilla coi vapori dell'acqua ed anzi m o l t o lentamente. Ciò dipende dal f a t t o che essa è sciolta / OH principalmente come idrato H 2 C ^ Q J J . Conservata p e r u n certo tempo, anche l'acetaldeide si polimerizza gradualmente nella paraldeìde liquida (CH 3 —CHO) 3 , che bolle senza decomporsi a 1240. Se s'introduce, raffreddando, nell'acetaldeide u n po' di acido cloridrico gassoso, si separa un altro polimero, la metaldeide cristallina. S a g g i o 8 . In un m a t r a c c i o E r l e n m e y e r non t r o p p o piccolo si mescolano, raffreddando 5 cm 3 di C H 3 C H O distillata di fresco con 1 goccia di H 2 S 0 4 concentrato. Q u a n d o la v i o l e n t a reazione è t e r m i n a t a , si d i b a t t e a fondo con a c q u a la paraldeide f o r m a t a in un piccolo i m b u t o a r u b i n e t t o , per allontanare l ' a c i d o solforico; si separa dopo stratificazione l'aldeide polimera insolubile nell'acqua (in certi casi si d e v e estrarre con etere), si asciuga con poco CaCl 2 e si distilla da un palloncino a coda. P u n t o di eb. 124 0 . A l contrario si p u ò t r a s f o r m a r e la paraldeide di n u o v o in acetaldeide, mescolandola con alcune goccie di acido solforico concentrato e distillandola a b a g n o maria con colonna di rettificazione s o v r a p p o s t a . Con questo metodo ci si p u ò preparare sempre della acetaldeide fresca. (') A . ' . ' . 8 2360.

2 6 5 ( 1 9 2 6 ) ; B . LIL, 1 - 9 ( 1 0 2 8 ) . \ V . M . L A U K K , Journ.

1 5 - GATTEEMANN.

Am.

Chcm.

Soc.,

19S5,

226

Cap.

V:

Saggio 9. Si applichino alla paraldeide pura le reazioni per le aldeidi precedentemente indicate: soluzione di nitrato d'argento ammoniacale, acido, bisolfito. Esse riescono negative. In base alla determinazione della densità di vapore è s t a t o stabilito elle la paraldeide è il trímero dell'acetaldeide. Poiché non possiede nessuna delle proprietà aldeidiche, le si dà giustamente la seguente s t r u t t u r a di un triacetale ciclico: CH.,

OH—CH,

(Si confronti questa polimerizzazione con quella dell'acetilene a benzene). Come a b b i a m o d e t t o sopra u n a piccola q u a n t i t à di II 2 SO, concentrato produce t a n t o la polimerizzazione dell'acetaldeide come anche la depolimerizzazione della paraldeide. S i h a qui u n equilibrio, il cui a v v e n t o viene accelerato cataliticamente dall'acido : (H2

3 CH3—CHO

"

(CH s CHO),

Il termine di destra è fortemente f a v o r i t o a t e m p e r a t u r a media. Se malgrado questo, come f u d e t t o sopra, la paraldeide si lascia depolimerizzare dall'acido solforico in acetaldeide, ciò dipende d a l f a t t o dell'influenzamento dell'equilibrio in base della legge d'azione delle masse. Mentre i n f a t t i nella seguente equazione: f ' Paraldeide

=

K

C Acetaldeide ®

per la continua volatilizzazione dell'acetaldeide presente in piccola quantità nell'equilibrio, noi riduciamo continuamente il valore del denominatore, prov o c h i a m o p e r il ristabilimento dell'equilibrio anche u n a diminuzione della concentrazione della paraldeide a f a v o r e della depolimerizzazione. Per q u a n t o la paraldeide domini quasi completamente l'equilibrio, pure dall'elevata tensione d i v a p o r e del monomero risulta un m e t o d o pratico per la c o m p l e t a scissione, applicabile su scala di laboratorio. A t e m p e r a t u r a p i ù b a s s a interviene ancora u n a seconda f o r m a politnera dell'acetaldeide: la metaldeide b e n cristallizzata.

Saggio 10. In alcuni centimetri cubi di acetaldeide diluita con un volume doppio di etere assoluto vengono condotte alcune bolle di HC1 gassoso raffreddando in un miscuglio frigorifero. Dopo breve

Metaldeide.

Condensazione

227

aldolica

tempo la metaldeide si separa in magnifici cristalli aghiformi, che dopo filtrazione alla pompa vengono lavati con etere ; il filtrato dà, dopo identico trattamento, una seconda porzione di cristalli. L a m e t a l d e i d e è stabile come la p a r a l d e i d e e p r e p a r a t a d i fresco è p r i v a di o d o r e . Come q u e s t ' u l t i m a , a n c h ' e s s a n o n p r e s e n t a n e s s u n a delle reazioni aldeidicke. C o n s e r v a n d o l a a p p a r e p e r ò n e t t a m e n t e l ' o d o r e dell'acetaldeide, segno che anche q u i si stabilisce r a p i d a m e n t e u n equilibrio. R i s c a l d a t a la m e t a l d e i d e p u ò essere c o m p l e t a m e n t e depolimerizzata. L a m e t a l d e i d e s t a n d o alla d e t e r m i n a z i o n e del p e s o molecolare (nel fenolo come solvente) è t e t r a m o lecolare ( H a n t z s c h ) ; q u e s t o è c o n f e r m a t o a n c h e d a i r i s u l t a t i delle ricerche sul reticolo cristallino s e c o n d o il m e t o d o L a t j e - B r a g g ( M a r k ) . Si p r e p a r a i n d u s t r i a l m e n t e (« M e t a »). D a q u e s t e polimerizzazioni reversibili delle aldeidi d e b b o n o essere di stinte quelle che a v v e n g o n o con condensazione. Così la f o r m a l d e i d e s o t t o l'azione d i alcali m o l t o deboli (Ca(0H 2 ) 2 ,CaC0 3 ) si t r a s f o r m a in aldeide glicolica e glicerica e d u l t e r i o r m e n t e in u n miscuglio d i esosi ( B u t l e r o w , O. L o e w ) , dalla quale E . F I S C H E R h a i s o l a t o il così d e t t o a-acrosio (d, 1-fruttosio). Qui diverse molecole si addizionano, c o n c a t e n a n d o gli a t o m i d i c a r b o n i o t r a loro. Il l e t t o r e r a m m e n t i l ' i m p o r t a n z a della f o r m a l d e i d e p e r l'assimilazione del C0 2 . U n a sintesi p e r concatenazione ' degli a t o m i del c a r b o n i o si r i t r o v a anche nella condensazione aldolica, che a v v i e n e p e r t u t t e le aldeidi della f o r m u l a ^ ^ C H — C H O , s o t t o l'azione catalitica degli alcali e degli acidi diluiti. Qui la m o b i l i t à d e l l ' a t o m o d'idrogeno nella posizione a, i n d o t t a dal vicino g r u p p o CO d à luogo all'addizione al g r u p p o C — O, anch'esso chimicam e n t e m o l t o attivo, d i u n a s e c o n d a molecola: H i O—CH—CH 2 + 0 = C H — C H . ,

OH 0=CH—CH2—CH—CH3 .

Gli aldoli s o n o delle (3-ossialdeidi e si s c i n d o n o come t u t t i i c o m p o s t i [3-ossicarbonilici f a c i l m e n t e in a c q u a e in aldeidi n o n s a t u r e con d o p p i o leg a m e in posizione a-{l. D a l l ' a l d o l o si a p r e u n a v i a t e c n i c a v e r s o il b u t a d i e n e e d in avvenire f o r s e v e r s o la g o m m a s i n t e t i c a a q u e s t o m o d o : H

\c—CH2—CHOH—CH3

O'/

>

aldolo

H2C=CH—CH=CH2

C— CH 2 — C H O H — C H 3 H O /

Na

v

1,3-butadien-glicol

> g o m m a sintetica « E u n a ».

butadiene

Saggio 11. Alcune gocce d'acetaldeide vengono disciolte in circa cm3 2 d'acqua e riscaldate con y 2 cm3 di NaOH diluito in una provetta. Colorandosi in giallo, si forma attraverso l'aldolo l'aldeide crotonica che si riconosce nel liquido bollente per il suo odore pun-

2 28

Cap. V:

Aldeidi

gente. Se si riscalda l'acetaldeide con un alcali forte si separa, per condensazione spinta, della resina aldeidica gialla. Alla formazione di simili sostanze in seguito ad ossidazione è da attribuirsi l'imbrunirsi delle soluzioni di etilati e di potassa etilalcoolica. L a reazione benzoinica e la reazione di CANNIZZARO, che verranno trattate più tardi, si devono anch'esse alla tendenza alla condensazione delle aldeidi. Fra le molteplicità delle vie volta per volta il catalizzatore specifico decide sulla scelta.

Saggio 12. Reazione di Schardinger. Di cm 3 50 di latte fresco si fa rapidamente bollire la metà, la si raffredda; si unisce allora ad ognuna delle metà cm 3 1 di formaldeide in soluzione già preparata ed alcune gocce di una soluzione acquosa di azzurro di metilene. Se si riscalda sino a 50°, la sostanza colorante viene rapidamente scolorata nel latte crudo, anche altre porzioni aggiunte subiscono la stessa trasformazione. Nel latte bollito la colorazione resta inalterata fin dal principio. Nel latte di mucca fresco è contenuto un fermento che accelera moltissimo la riduzione dell'azzurro di metilene al relativo leuco-derivato per opera dell'aldeide, che non ha luogo senza questo fermento. Due atomi di idrogeno , OH O H vengono « a t t i v a t i » dal fermento in modo H che l'aldeide agisce come mezzo di riduzione mentre essa stessa si trasforma in acido. Si può provocare la stessa reazione con metalli della famiglia del platino finemente divisi nello stesso modo come col fermento (BREDIG) . L'azione del calore distrugge la deidrasi aldeidica di SCHARDINGER. Maggiori particolari vedi B. 47, 2085 ( 1 9 1 4 ) ; A . 477, 32 (1929). dell'aldeide idratata R — C

Importanza industriale delle aldeidi. La soluzione di formalina viene usata come mezzo di disinfezione e di conservazione. L a caseina indurita colla formaldeide (galalite) costituisce un surrogato molto usato dell'ebanite; così pure la resina artificiale (bakelite), che viene preparata per condensazione della formaldeide col fenolo (pag. 250). L'idrosolfito di sodio viene scisso dalle aldeidi in aldeide-bisolfiti e solfossilati di sodio e aldeide : Xa,S 2 0 4

2 R—CHO + H20

R—C

11 solfossilato che si forma colla formaldeide, viene molto usato sotto il nome di « rongalite » nell'industria della stampa dei tessuti (« stampa a corrosione »). L'acetaldeide (dall'acetilene) viene trasformata in alcool tecnicamente su piccola scala per idrogenazione catalitica; in grande quantità per autossidazione catalitica (con ossidi del manganese) viene trasformata in acido

Reazione di

Cannizzaro

acetico. (Dell'applicazione dell'aldeide acetica nell'industria della gomma sintetica abbiamo detto più sopra. N. d. trad.). La benzaldeide è un importante prodotto intermedio per le sostanze coloranti (v. verde di malachite) ; molte altre aldeidi (fenilacetaldeide, vaniglina, piperonale, citrale, ecc.) trovano impiego nell'industria dei profumi.

Esercizio N. 4. Reazione di Cannizzaro. Acido benzoico ed alcool benzilico dalla benzaldeide G 20 di benzaldeide, distillata di fresco, vengono mescolati in un cilindro a tappo o in un bicchiere a pareti spesse con una soluzione raffreddata di g 18 di potassa caustica solida in g 12 d'acqua ed a g i t a t i sino ad emulsione stabile, dopo di che si lascia il miscuglio a sè per una notte, chiuso da un tappo. Alla poltiglia cristallina separatasi (benzoato di potassio), si aggiunge allora t a n t a acqua ( 2 ) da poter asportare mediante estrazione ripetuta con etere l'alcool benzilico. Gli e s t r a t t i eterei riuniti vengono ristretti sino ad un volume di cm 3 30-40; poi si a g i t a il liquido in un i m b u t o separatore a lungo due volte con cm 3 5 ogni volta, di liscivia bisolfitica del commercio (40%) ; lo si fa defluire e si allontana l'acido solforoso disciolto nell'etere, agitandolo con alcuni centimetri cubi di soluzione di Na 2 C0 3 . Dopo l'essiccamento con solfato di sodio, precedentemente calcinato, e dopo evaporazione dell'etere si sottopone l'alcool benzilico alla distillazione a 206o. R e s a circa g 8 di alcool benzilico. Si acidifica il liquido acquoso alcalino con HC1, così si precipita l'acido benzoico. Raffreddata la soluzione esso viene separato per filtrazione alla pompa e senza ulteriore lavaggio si ricristallizza dall'acqua bollente. P u n t o di fusione 121 o . Rendimento g 9-10. L,a reazione di CANNIZZARO ha probabilmente luogo perchè due molecole di aldeide si condensano in un etere salino, il quale poi viene saponificato in alcool e acido: H

R—C = 0

R—C=0

H

Ò=C—R

O—C—R

H

H

KOB

R—

¿K

+ HOH,C—R .

In favore di quest'ipotesi parla il fatto che le aldeidi sotto l'azione dell'alcoolato di alluminio vengono realmente condensati ade teri (TISCCENKO) . (>) B .

14,

2394

(1881).

( 2 ) Quando si diluisce troppo riesce difficile asportare completamente l'alcool benzilico (solubile in acqua). (N. d. A.).

Cap. V: Aldeidi La dismutazione delle aldeidi in acidi ed alcool ha una notevole importanza anche nel ricambio cellulare, specialmente durante la fermentazione alcoolica (pag. 407) per quanto il processo chimico certamente qui sia diverso. L a reazione di CANNIZZARO non è aflatto un monopolio delle aldeidi aromatiche; anche l'aldeide formica viene trasformata in questo senso dagli alcali forti in acido formico ed alcool metilico. Se le aldeidi alifatiche superiori a cominciare dall'aldeide acetica, non sono suscettibili della reazione di CANNIZZARO, ciò dipende dal fatto che la condensazione aldolica suesposta, grazie alla sua molto maggiore velocità, prende il sopravvento su di essa. Nelle aldeidi terziarie, che non sono suscettibili di condensazione aldolica, la reazione di CANNIZZARO compare in luogo di questa anche nella serie grassa. Così l'acido gliossilico viene sdoppiato in acido glicolico ed acido ossalico. Alla reazione di CANNIZZARO s'affianca lo spostamento del grado di ossidazione tra l'alcool e l'aldeide trovato dal MEERWEIN ('), e che è compiuto dall'alcoolato di alluminio. Un'aldeide R — C H O reagisce con Al(OC 2 H 5 ) 3 in modo da far avvenire /OC„H6

l'addizione R — C ^ Oal (2). Questo prodotto si decompone secondariamente ,H \H in R - C ^ O a l J OHC—CH 3 . Si riesce con questo processo riduttivo ad \ H

ottenere degli alcool, non accessibili o difficilmente preparabili con altri metodi: l'alcool tricloretilico o l'alcool cinnamico, dall'aldeide corrispondente. L'alcool tribvomoetilico, importante narcotico applicato per via rettale (« Averti»'! ») viene preparato in questo modo (F. F. NORD).

Esercizio N. 5. Condensazione aciloinica. Benzoino dalla benzaldeide. G 10 di benzaldeide (distillata di fresco) vengono trattati con era3 25 di alcool ed uniti ad una soluzione di g 2 di K C N in cm3 5 d'acqua e fatti bollire per un'ora a bagnomaria con un refrigerante a ricadere. Si lascia quindi raffreddare lentamente, si filtra per separare i cristalli, si lava con un po' di alcool e si asciuga a bagnomaria. Per ottenere del benzoino purissimo si cristallizza un piccolo saggio del prodotto grezzo da poco alcool. P. fus. 1340. Resa circa il 90% del teorico. Benzile

dal

benzoino.

Il benzoino grezzo ottenuto con la reazione precedente, dopo l'essiccamento si polverizza finemente ed in un matraccio aperto, agitato frequentemente, si riscalda con il doppio del suo peso in acido nitrico (!) A . Wt, 221 (1925). (2) al Al/3.

Condensazione

231

benzoinica

puro e concentrato per 1 % a 2 ore su un bagno maria in vivace ebollizione. Terminata l'ossidazione si tratta il miscuglio reagente con dell'acqua fredda, dopo solidificazione si decanta l'acido nitrico diluito, si lava più volte con acqua, si- prosciuga sopra porcellana porosa e si fa cristallizzare dall'alcool. I cristalli separati vengono prosciugati, dopo filtrazione, all'aria su carta da filtro. Punto di fusione 95°. Resa circa 90% del teorico. Nella cosiddetta condensazione aciloinica o benzoinica abbiamo un'altra interessante reazione delle aldeidi, che a v v i e n e nella serie aromatica sotto l'azione del cianuro d i potassio. È m o l t o probabile che in questo c a s o si formi come p r o d o t t o intermedio il composto potassico della benzoil-cianidrina. A b b i a m o qui, in m o d o analogo come nel cianuro di benzile (pag. 267) un a t o m o di H mobile, che è capace, in ambiente alcalino, di una condensazione a tipo aldolico, con u n a seconda molecola di aldeide :

C

e

H

5

C:0 11

+KCN

OK H . CcH5 • C - C • C6H5 I I C NOH

/OK H C,H,.C< +0:CC H M: N ^ ^kcn-

CsH5

6

H

5

C O • C H O H • C„H, .

Il prodotto di condensazione si trasforma poi in benzoino con eliminazione di K C N . L'azione catalitica del cianuro di potassio è evidente. I l lettore ponga ben mente alla differenza t r a questa reazione e le sintesi che utilizzano le cianidrine. Come la benzaldeide reagiscono anche i suoi p r o d o t t i di sostituzione (l'aldeide anisica dà l'anisoino) ed anche il f u r f u r o l o (furoino; il lettore formuli i passaggi). L a sintesi aciloinica è perciò particolarmente caratteristica per le aldeidi aromatiche, perchè qui l ' a t o m o di carbonio terziario non permette nel nucleo la condensazione aldolica d i per sè m o l t o p i ù f a v o r i t a . T r o v i a m o del resto la sua p i ù semplice espressione g i à nella formaldeide (pag. 227) : l'aldeide glicolica è l'aciloino p i ù semplice. Oltre a ciò questi c o m p o s t i si f o r m a n o nella serie grassa per azione del sodio e del potassio sugli eteri composti, quindi anche come prodotti secondari nella sintesi dell'acetil-acetato d'etile (BouVEAUI/T,

SCHEIBLER).

Finalmente, anche nelle cellule v i v e n t i si sono t r o v a t i dei mezzi per facilitare la sintesi aciloinica, degli enzimi (così dette carbo-ligasi) per mezzo dei quali l'unione d i due molecole d'aldeide viene diretta nel senso del comp o s t o aciloinico. Così la benzaldeide viene c o m b i n a t a nel lievito in v i a di fermentazione, a benzacetoìno C a H 6 — C H O H — C O — C H 3 p e r opera dell'acetaldeide formatasi (pag. 407) come prodotto intermedio del processo fermentativo. Se aggiungiamo addirittura dell'acetaldeide si f o r m a dell'acetoino (NEUB E R G ) . Gli aciloini si t r o v a n o come a-ossichetoni in certo qual m o d o collegati coi chetosi. Come questi esse riducono il liquido di F E H U N G e colla fenilidrazina passano ad osazoni. -

232

Cap.

V:

Aldeidi

Saggio. Si fa bollire i g di benzoino in soluzione alcoolica concentrata con cm J 1,5 di fenilidrazina per qualche tempo a bagnomaria. Dopo raffreddamento cristallizza l'osazone del benzile. P. fus. 225° Si ricerchi l'ammoniaca formatasi nella reazione e si formulino i passaggi. L,o stesso composto si forma dal benzile con fenilidrazina ed anche per autoossidazione del benzaldeide-fenilidrazone (BUSCH). Della formazione dell'osazone dagli a-ossichetoni (ed a-ossialdeidi) si riparlerà ancora a pag. 305. L'importanza pratica degli aciloini riposa sulla loro qualità di membri intermedi per la preparazione di molti 1,2-dichetoni. Il più semplice rappresentante aromatico di questa serie è il benzile (analogo l'anisile, il furile, ecc.) come il capostipite alifatico è il diacetile CH 3 —CO—CO—CH 3 (ed anche il gliossale anidro) colorato in giallo. Al diacetile si giunge dall'etilmetilchetone attraverso la sua monossima (v. PECHMANN) ; degna di considerazione è la sua condensazione a p-xilochinone (il lettore formuli questo passaggio). ha. posizione contigua dei due gruppi C = 0 si desume dalla capacità di condensazione del dichetone con o-fenilendiatnmina (chinossalina, Hinsbkrg).

Saggio. Si sciolgono circa g 0,1 tanto di benzile come di benzoino in una provetta in cm3 10 d'alcool e si aggiungono a freddo alcune gocce di KOH. Subito appare una magnifica colorazione rossa, che scompare agitando con l'aria, ma ritorna dopo breve tempo e può di nuovo scomparire agitando. L'alternarsi della colorazione si può ripetere spesso. Quando, dopo l'aggiunta di alcune altre gocce di idrato la colorazione non compare più, non vi è più benzoino nella soluzione. Il benzile purissimo non presenta più il fenomeno della colorazione. Questa curiosa reazione avviene perchè il benzoino viene in parte trasformato, per azione dell'alcali, nel rispettivo dienolato, nel potassio-stilbendiolo C„H 5 —COK=COK—C 6 H 5 (*). Questo sale che si può preparare, in assenza d'acqua, ili cristalli di un color giallo arancione, dà col benzile la soluzione rossa sensibile all'azione dell'aria, nella quale probabilmente è contenuto il radicale potassio-benzile, che si forma anche per l'addizione del potassio metallico al benzile (BECKMANN e PAUI, (2), SCHI,ENK (3) ) :

C 6 H 5 —C=C—C 6 H 5 -- C,H 5 —CO—CO- C6Hs OK OK (') SCHEUING, A. 440, /2 (l(j24); (2) A . 2 6 6 , 2 3 ( 1 8 9 1 ) . (') B . 4 6 , 2 8 4 0 ( 1 9 1 3 ) .

>• 2 C„H5—CO—C—CeH5

Benzile

e benzoino

(saggi)

¿33

Nell'autossidazione il radicale viene in parte ossidato a benzile, in parte ad acido benzoico f 1 ). L a più importante reazione del benzile e dei suoi derivati è quella già scoperta dal LIEBIG della trasposizione dell'acido benzilico.

Saggio (2). G 5 di benzile vengono bolliti per io minuti a bagnomaria insieme a cm3 15 di alcool ed alla soluzione di g 5 di potassa caustica in 10 cm3 d'acqua. Dopo raffreddamento la poltiglia cristallina viene rigorosamente separata per filtrazione allá pompa dal benzilato di potassio, lavata con poco alcool e sciolta in 20-30 cm3 d'acqua fredda. Dopo la filtrazione, la soluzione limpida viene precipitata alla temperatura dell'ebollizione con H 2 S0 4 diluito e l'acido libero parzialmente separatosi in cristalli viene filtrato a vuoto e lavato con acqua calda. Esso si può ricristallizzare direttamente da molta acqua calda o, dopo l'essiccamento, dal benzene. Resa ± g 4. Come primo stadio della trasposizione, che avviene secondo lo schema: C,¡H-,—CO—CO—C„H 5 -j- K O H



C H

6 'VoH—COOK C.H5/

si forma un prodotto d'addizione del benzile con una molecola d'idrato (SCHEUING), dal quale parte la trasposizione, che evidentemente viene provocata dalla tendenza alla neutralizzazione del potassio:

^

1

C6H, C-CO-C6H

/\

HCT

\

.

5

I

CGH5 •C •C O -

I l

H O

O^L

O K

I l chinone del fenantrene fornisce con u n a reazione simile l'acido difenilenglicolico (il lettore formuli tale passaggio). L a trasposizione benzilica ha inoltre importanza in molte altre reazioni (acido croconico, purpurogallina). E molto affine la trasposizione

•CH,

C H

3 X

>C C H /

I CH

C • CH 3

3

II O

pina colina

(*) V. a questo proposito A.

W E I S S B E R G E R , H . MAINZ e d E . STRASSER,

(') Secondo H . v. I^IEBIG, B. 4 1 , 1644 (1908).

B. «2,1942 (1929).

Cap.

234

V : A Ideidi

Anche qui avviene formalmente lo scambio di OH con un radicale alchilico, per quanto in realtà — si adopera l'acido solforico concentrato — l'eliminazione dell'acqua tra i due gruppi OH provochi lo spostamento di un gruppo metilico. Chiudiamo con un breve cenno ad una trasposizione, appartenente allo stesso genere, e molto studiata in questi ultimi tempi, che viene indicata ». — non del tutto giustamente — col nome di trasposizione « retropinacolinica E s s a consiste in una trasformazione dell'alcool pinacolico in tetrametri-etilene, per eliminazione di acqua: CHa CH,

C-

CHa

\ CH, /

CH„

CH, H OH

C

-

C

/

C H a

\CH,

È analoga la trasformazione del borneolo e dei suoi derivati nel tipo del canfene: CH

CH

/ | \

/ CH, | CH, CH, CH, H C(CH,I,| — '°, | C(CH,), CH, CHOH CH,-C.H / / a

\

C CH,

c

Cb I! CH,

CH

/

CH, C(CH 3 ) 2 I CH,: I C = CH, CH, /b c CH

L'unica differenza tra le due reazioni consiste come vediamo nel fatto che il doppio legame si è spostato verso il gruppo metilico da a, b verso b, c. F r a a e b non può esistere infatti, per ragioni stereochimiche, nessun doppio legame, poiché secondo la regola di BREDT in un sistema anulare doppiamente ciclico, del genere del canfano, nessun atomo di C comune ad ambo gli anelli, può prendere parte ad un legame non saturo. L a seconda formula data per il canfene rappresenta, come un esame più approfondito ce lo insegna, solo un'espressione grafica più evidente per tale idrocarburo. Il lettore può approfondirsi in questi importanti studi, che qui possono essere solo brevemente accennati, rileggendo le memorie di H. MEF.RWFJN. Una esposizione chiara ed esauriente delle trasposizioni molecolari si trova in : HENKICH, Theorien der org. Chemie (Teorie della Chimica Organica), 5. edizione 1924, cap. X V I I . Vedi anche W. HÜCKEI,, Theoretische Grundlagen der organischen Chemie (Fondamenti teorici della Chimica Organica), Lipsia 1931, vol. I, pag. 2 1 0 . Menzioneremo qui ancora una bellissima reazione di trasposizione, che ha origine dal benzile, e precisamente la sua trasformazione in difenilchetene secondo SCHRÖTER [Ber. 42, 2346 (1909)]. L'idrazone del benzile viene deidrogenato dall'ossido di mercurio (che ci si prepara preferibilmente da sè) a

Pinacolina,

borneolo,

cheteni.

Nitrite

mandelico

(amigdalico)

235

composto diazoico, il così detto « azibenzile » (CURTIUS, STAUDINGER) : C„H S —CO—C—C,H a

>-

N—NH;

C 6 H 5 —CO—C—C 6 H 5 N=N

Se si riscalda questo azibenzile in ambiente di benzene, in assenza dell'aria e dell'umidità, esso elimina N 2 ed il resto si trasforma nel difenilchetene : C,H 5 —CO—C—C„H 5

-

—•

/ C.H 5 0=C=C( CEH5

A questo interessante derivato del chetene si giunge anche secondo il vecchio procedimento di STAUDINGER dall'acido benzilico, trasformandolo con PC15 in difenil-cloracetil-cloruro e togliendo a questo i due atomi di cloro mediante Zn (si traducano questi passaggi in formole). Che cosa è il sottossido di carbonio ? Sulla classe dei cheteni si possono avere notizie in H . STAUDINGER, Die Ketene (I. cheteni), Stoccarda, 1Q12.

Esercizio N. 6. - Addizione di acido cianidrico ad un'aldeide. Acido mandelico dall'aldeide benzoica. Nitrile mandelico. G 15 di benzaldeide preparata di fresco vengono mescolati con circa cm3 50 di una soluzione concentrata di bisolfìto di sodio in un cilindro chiuso con tappo di gomma. Il miscuglio viene rimescolato con un bastoncino di vetro sino a che esso non si

/H

solidifichi in una poltiglia del composto doppio C6H5—CY OH dopo di che esso viene ancora fortemente dibattuto. \S0 3 Na Si filtra questa poltiglia con la pompa aspirante, la si comprime fòrtemente e la si lava alcune volte con poca acqua raffreddata con ghiaccio. Il composto doppio va quindi impastato con un po' d'acqua a densa poltiglia e mescolato con una soluzione raffreddata di g 12 di KCN puro in cm3 25 d'acqua. Dopo un po' di tempo e specialmente rimescolando, i cristalli si sciolgono ed il nitrile dell'acido amigdalico (1) si separa sotto forma di olio, che viene separato dalla soluzione acquosa per mezzo d'un imbuto separatore e subito adoperato per ulteriori reazioni. Saponificazione del nitrile. - Il nitrile viene evaporato a bagnomaria in capsula di porcellana con il volume quadruplo di HC1 conc. (L) Preferisco questo termine a quello di « mandelico » che è una troppo pedestre traduzione del tedesco « Mandelsaure ». Poiché «Mandel» = mandorla, in greco «amygdala», mi permetto di proporre l'uso di « acido amigdalico » in luogo di « mandelico » (N. d. trai.).

236

Cap. V: Aldeidi

sino a che alla superficie del liquido non comincino a separarsi abbondantemente i cristalli. Si lascia il miscuglio reagente in riposo per una notte in luogo fresco, si filtrano i cristalli, dopo averli rimescolati con poca acqua per mezzo della pompa aspirante e si lavano con non troppa acqua. Si ottiene dal filtrato mediante estrazione eterea un'altra porzione dell'acido. L'acido amigdalico grezzo viene compresso su un piatto di porcellana porosa, prosciugato ed ottenuto puro per ricristallizzazione dal benzene. Punto di fus. 118 0 . Resa circa 10-15 gScissione dell'acido amigdalico inattivo nei suoi componenti attivi (1). Si riscalda per un'ora in un pallone aperto sopra un bagnomaria in vivace ebollizione un miscuglio di g 10 d'acido amigdalico cristallizzato e g 20 di cinconina cristallizzata con cm s 500 d'acqua, agitando molto spesso. Dopo il raffreddamento si separa per filtrazione la parte insolubile, senza lavare con acqua. Nella soluzione limpida (a) s'introducono alcuni cristalli di d-amigdalato di cinconina (vedi sotto), e si lascia, secondo il bisogno, in riposo da uno a più giorni in un luogo fresco (6°-8°; d'estate nella ghiacciaia, d'inverno eventualmente in cantina). Il d-amigdalato di cinconina grezzo che così facendo cristallizza viene separato per filtrazione (conservare questo filtrato A) e si ricristallizza da una quantità 20 volte maggiore di acqua calda. Se si inoculano nella soluzione alcuni cristalli di d-amigdalato di cinconina, col riposò prolungato cristallizza nelle stesse condizioni come sopra un sale più puro. Per ottenere l'acido amigdalico destrogiro puro, il sale purificato viene sciolto in non troppa acqua e trattato con ammoniaca in leggero eccesso. Ciò provoca la precipitazione della cinconina, che si separa per filtrazione e che può essere di nuovo adoperata per la stessa esperienza dopo ricristallizzazione dall'alcool diluito. Il filtrato, che contiene l'amigdalato d'ammonio destrogiro, viene acidificato con acido cloridrico ed agitato con etere. Se si riscalda il residuo, rimasto dopo l'evaporazione dell'etere, per un po' di tempo in un vetrino d'orologio a bagnomaria, esso si solidifica col raffreddamento in cristalli dell'acido amigdalico destrogiro, che vengono ricristallizzati dal benzene o meglio dal cloroformio dopo essere stati spremuti su un piatto di porcellana porosa. P. fus. 133-134 0 . Non si ottiene facilmente l'acido 1-amigdalico adoperando delle (•) V e d i B . 1«, 1 7 7 3 (1883) e :»2, 2385

(1890).

Scissione dell'oc,

amigdalico racemico.

Alanina

237

piccole quantità di acido d, 1-amigdalico. Si ottiene però nel modo seguente un preparato per quanto solo debolmente levogiro: il filtrato A , ottenuto più sopra, viene trattato, come fu or ora descritto pel d-amigdalato di cinconina puro, per ottenere l'acido libero, il quale risulta levogiro, poiché una parte della modificazione destrogira è stata allontanata. Dei tre preparati così ottenuti, precisamente: i ° acido inattivo racemico; 2° acido destrogiro puro; 30 acido levogiro impuro, si preparino delle soluzioni acquose di concentrazione adatta e si studi il loro potere rotatorio nel polarimetro. Se non si possiede del d-amigdalato di cinconina, se ne prepara per la prima volta un materiale d'inoculazione adatto nel modo seguente: alcuni cm 3 della soluzione (a) ottenuta sopra vengono mescolati a goccia a goccia con una soluzione satura acquosa di sale da cucina sino a che avviene un p o ' di precipitazione. Si riscalda allora sino alla dissoluzione e si lascia a riposo, sino a che i cristalli non si sono separati, ciò che richiede in certi casi anche IUI giorno. I cristalli così ottenuti sono di cloridrato di cinconina, sui quali è precipitata in piccola quantità il ¿-amigdalato di cinconina, che però è sufficiente per provocare un'ulteriore separazione del sale ¿-amigdalico.

Esercizio N. 7. - Alanina ('). G 13,2 (0,3 g. mol.) di acetaldeide distillata di fresco vengono sciolti in cm3 100 di etere e versati in una bottiglia a pressione con chiusura a molle (pag. 44), sopra una soluzione acquosa satura e fredda di g 18 di cloruro d'ammonio. Vi si fa arrivare a gocce, scuotendo e raffreddando con ghiaccio, da un'imbuto a rubinetto una soluzione di g 20 di NaCN in cm3 30 d'acqua. Quindi si agita la bottiglia chiusa, alla temperatura dell'ambiente, per tre ore sulla macchina agitatrice; si mescola poi il contenuto, in un pallone della capacità di y 2 litro, raffreddando con ghiaccio, a poco a poco con cm3

100 di HC1 concentrato (a causa dello svolgersi di HCN libero, q u e s t o l a v o r o v a e s e g u i t o s o t t o la cappa!), s'evapora l'etere con un refrigerante di Liebig, si lascia ancora per 1 ora sul bagnomaria bollente e si evapora finalmente la soluzione, divenuta bruna, in una capsula sino a secchezza. Il residuo completamente secco ed esente da acido cloridrico (scomparsa dell'odore) viene bollito due volte in un palloncino con cm3 100 d'alcool, gli estratti alcoolici filtrati vengono di nuovo evaporati e finalmente si essicca il residuo (') A . S T R E C K E R , A . 7 5 , 30 ( 1 8 5 0 ) ; Z E L I N S K Y E S T A D N I K O W , B . 4 1 , 2 0 6 1

(1908).

238

Gap. V:

Aldeidi

a pressione ridotta, sul bagnomaria. Ora si libera il cloridrato d'alanina, estraendolo con cm3 100 di alcool assoluto caldo, al quale sono stati aggiunti cm3 5 di etere, dal cloruro di sodio rimasto insieme e si evapora di nuovo la soluzione alcoolica del sale sodico dell'alanina. Questo sale che difficilmente si ottiene cristallizzato, viene trasformato nell'ammino-acido libero come segue. Si sciacqua il cloridrato con cm3 100 d'acqua in un bicchiere e si fa bollire con 40-50 g di litargirio, aggiunto poco a poco, sino a che, dopo circa 10-15 minuti, non si sviluppa più ammoniaca (dal poco NH4C1 sciolto insieme). Poi si filtra alla pompa a caldo, si lava con 20-30 cm3 d'acqua calda e si precipita a caldo il piombo dal filtrato colorato in bruno, ma limpido, introducendo H 2 S. Si filtra il PbS a vuoto su imbuto di B Ü C H N E R e si dibatte il filtrato ancora tiepido in una grande bottiglia di vetro a tappo smerigliato, la cui chiusura si deve aprire di tempo in tempo, con circa g 3 di carbonato d'argento precipitato di fresco e lavato accuratamente, per allontanare tutti i cloro-ioni (saggiare) che provengono dal cloruro di piombo un poco solubile. La soluzione filtrata, nella quale si è fatto gorgogliare ancora per breve tempo dell'acido solfidrico, dopo l'evaporazione abbandona l'alanina come sciroppo scuro, che impastato con dell'alcool assoluto cristallizza. Dopo un po' di riposo si filtra energicamente alla pompa, si lava con poco alcool assoluto, poi con etere assoluto e si essicca nell'essiccatore a vuoto. Resa g 15-20. L'alanina può ricristallizzare dalla stessa quantità di acqua, ma con forte perdita. Meglio vale sciogliere nella quantità appena necessaria di acqua bollente ed aggiungere all'ebollizione tanto alcool sino a che avviene la cristallizzazione. P. fus. 264° (con decomposizione). Osservazioni ai N. 6 e 7. - Il metodo qui indicato della sintesi della cianidrina — reazione dell'aide ide-bisolfito con cianuro di potassio — non si può applicare in ogni caso. Spesso si usano delle soluzioni concentrate di H C N o anche l'acido cianidrico anidro. Alla sintesi generale degli a-ossiacidi f a da contropartita quella degli a-amminoacidi, i cui nitrili si formano per addizione del cianuro d'ammonio alle aldeidi ed ai chetoni (STRECKER). Per altre sintesi degli amminoacidi vedi cap. V I I , 2, pag. 282. L'amigdalina delle mandorle amare e degli altri frutti a nocciolo è il glucoside del nitrile dell'acido /-amigdalico col genziobiosio (v. pag. 402) ed anzi essa appartiene alla classe dei ß-glucosidi, poiché essa viene scissa dall'enzima emulsina in 2 mol di glucosio, 1 mol benzaldeide ed 1 di acido cianidrico. L'acido /-amigdalico naturale f u per la prima volta ottenuto dal LiEBlG per scissione acida dell'amigdalina. Nel gruppo degli zuccheri la sintesi cianidrica di H. KIUANI fu adoperata per ottenere zuccheri superiori. Gli acidi carbossilici, che provengono

Carbonio

asimmetrico

239

{cenni)

dalla saponificazione dei nitrili, possono essere ridotti, sotto forma dei loro lattoni alle rispettive aldeidi:

HC = 0 HCOH I HOCH I HCOH I HCOH I

CN I HCOH' I HCOH I HOCH I HCOH

/CO I HCOH I HCOH \ I \CH I HCOH I HCOH I CH 2 OH '

I HCOH I CH 2 OH

d-glucosio

HC=0 I HCOH I HCOH

I HOCH I HCOH I HCOH I CH 2 OH d-gluco-eptosio

Nella nostra sintesi del nitrile dell'acido amigdalico si forma un atomo di carbonio asimmetrico, ma dei due antipodi si forma un numero esattamente uguale di molecole, poiché la probabilità di formazione è uguale per entrambe le configurazioni spaziali: Più Ph. H/ V = o • C H 3 — C H = C H — C O O H + CO..

C H , — C H O + CH.,(COOH) 2

ac. crotonico

*

|

E s i s t o n o due acidi cinnamici d i d i v e r s a configurazione, che stanno tra loro nel r a p p o r t o della cis-trans-isomeria. L ' a c i d o cinnamico ordinario corrisponde alla f o r m a t r a n s o f u m a r o i d e (acido f u m a r i c o ) ; l ' a c i d o cinnamico cis si c h i a m a acido allo-cinnamico ed è s t a t o t r o v a t o p e r la p r i m a v o l t a accanto all'isomero nel regno vegetale. E s s a viene o t t e n u t a sinteticamente dall'acido fenilpropiolico C 6 H 5 — C = C — C O O H p e r parziale idrogenazione catalitica c o n platino e H 2 (PAAI,), a sua v o l t a l'acido fenilpropiolico si ottiene dal d i b r o m u r o dell'acido cinnamico p e r ripetuta eliminazione di H B r . L a sintesi dell'indaco secondo BAEYER parte dall'acido o-nitrofenilpropiolico. D u e altri acidi cinnamici del punto di fusione 42 0 e 58° sono stati riconosciuti come forme polimorfe cristallograficamente diverse dell'acido allocinnamico (BIILMANN)

Saggio. Idrogenazione dell'acido cinnamico. In una bottiglia di vetro a tappo smerigliato di cm3 250 di capacità si sciolgono agitando g 10 di acido cinnamico in NaOH dil. sino a raggiungere il volume di circa cm3 100. S'aggiunge l'idrato a poco a poco e si saggia con cartina alla fenolftaleina — si pone una goccia di soluzione sulla (*) Vedi JAVILLIER, Bull.,

C6Hs CfL CU, CH,

Esercizio N. 9. - La sintesi di Reimer e Tiemann. Aldeide salicilica da fenolo e cloroformio In un pallone della capacità di 1 litro si sciolgono riscaldando g 80 di soda caustica in cm3 80 d'acqua, si uniscono a caldo a g 25 di fenolo puro e si raffredda la soluzione a 6o°-65° senza agitarla — per impedire la cristallizzazione del fenato di sodio — immergendola nell'acqua fredda. Si collega allora il pallone per mezzo di un tappo a due fori, da una parte con un refrigerante a ricadere efficace e dall'altra parte con un termometro, il cui bulbo è immerso nel liquido e si versa in primo luogo la terza parte di g 60 di cloroformio attraverso il tubo refrigerante: agitando leggermente, il liquido acquista in via passeggera una tinta rosso fucsina. Regolando la temperatura tra 65° e 70° per immersione del pallone nell'acqua calda o fredda, vi si aggiunge dopo circa 10 minuti il 2 0 terzo e dopo altri 1 5 minuti il rèsto del cloroformio; in questo stadio bisogna spesso agitare. Per ultimo si riscalda ancora per un'ora a bagnomaria, poi s'introduce nel prodotto della reazione, del vapore d'acqua sino a che cloroformio non ne passa più. Si lascia raffreddare un po' e si acidifica cautamente la soluzione alcalina colorata in arancione, con H 2 S0 4 diluito ed essa diventa quasi incolora; s'introduce ancora del vapore d'acqua sino a che non passano più gocce d'olio con l'acqua. Il distillato viene allora ripreso con etere e lo strato etereo separato dall'acqua, dopo di che si evapora la maggior parte dell'etere a bagnomaria. Il residuo, che contiene accanto all'aldeide salicilica, del fenolo non trasformato, viene agitato energicamente in una bottiglietta a tappo smerigliato con un volume doppio di una (') B. 9, 423, 824 (1876); 10, 1562 (1877); 15, 2685 (1882), ecc.

244

Cap.

V:

Aldeidi

soluzione commerciale concentrata di bisolfito di sodio : deve separarsi una densa poltiglia del composto del bisolfito con l'aldeide. Dopo 1 ora di riposo i cristalli, separatisi, vengono filtrati alla pompa aspirante (usare la piastra di W i t t , fig. 7), compressi fortemente insieme e lavati più volte con alcool e finalmente con etere per allontanare completamente il fenolo aderente. I,e scagliette lucide madreperlacee vengono allora decomposte in un palloncino con tubo verticale di espansione per debole riscaldamento con acido solforico diluito. Dopo il raffreddamento si estrae con etere l'aldeide separatasi, si secca la soluzione eterea col solfato di sodio anidro e si sottopone quindi alla distillazione l'aldeide pura rimasta dopo l'evaporazione dell'etere; il passaggio avviene a 196°. Resa g 10-12. L a p-ossibenzaldeide, non volatile coi vapori d'acqua, cristallizza dal residuo della distillazione in corrente di vapore, filtrato a caldo e saturato con sale da cucina spesso solo dopo lungo riposo. Se dopo la filtrazione si estrae con etere il filtrato, si ottiene ancora un'altra porzione che può essere purificata insieme alla prima mediante ricristallizzazione dall'acqua con aggiunta d'un po' d'acido solforoso acquoso. Punto di fusione 116 0 . Resa g 2-3. Il preparato non riesce se il fenato di sodio cristallizza sin dal principio. Questa sintesi, generalmente usata anche per i fenoli sostituiti, ma poco redditizia per l'intervento di reazioni secondarie ricorda moltissimo nei suoi risultati la sintesi dell'acido salicilico secondo K 0 1 3 E (Cap. V I , Es. 4, pag. 255) e si potrebbe essere tentati di concepire per questa reazione un meccanismo che s'è dimostrato probabile nel caso della sintesi di K o i , b E ; e che cioè il cloroformio sia fissato per doppio scambio all'ossigeno, con eliminazione di 1 g. mol. di NaCl ; che di poi i due residui atomi di cloro siano scambiati contro ossigeno e che infine l'etere fenilformico così formatosi subisca una trasposizione simile a quella del carbonato di fenile, passando il gruppo formilico in pos. orto o para :

/ \ _ O N a + CI • CC1, H "

NaOII

/ \ - Q .

CO

/ N — O • CC1 2 > | I H

XVOH v

CHO

È più probabile però che il procedimento si svolga così : in un primo tempo il cloroformio s'addiziona ad un legame doppio e il processo continua allora

Sintesi

di Reimer e Tiemann

[spiegazioni)

245

secondo il seguente schema m o l t o e v i d e n t e :

A-ONa

A/XCHCl,

S o l o N a C l viene eliminato, e senza che gli altri due a t o m i di cloro siano saponificati si f o r m a un c o m p o s t o simile al chinolo, come è rappresentato nella formula. Nel /»-cresolo l'addizione del cloroformio avviene nella posizione 1-4:

ONa

MI —

V

CHa

N a O CI \ /

ili \/

/ \ C H 3 CHCIJ

O |!

il / \ C H 3 CHC1 2

A b b i a m o in q u e s t a reazione u n ' i m p o r t a n t e conferma dell'asserto, che nel nucleo benzenico a v v e n g o n o delle addizioni nella posizione 1,4 e per lo m e n o un prezioso elemento per affermare che la sostituzione para, così frequente a c c a n t o alla sostituzione i n pos. orto a v v i e n e anche essa p r e v i a una addizione in pos. 1,4 (v. a p a g . 125).

Saggi. Alcune gocce di aldeide salicilica vengono sciolte nell'idrato di sodio: intensa colorazione gialla del sale di sodio. Una goccia di cloruro ferrico colora in violetto intenso una soluzione acquosa o alcoolica di aldeide salicilica. Nell'odore predomina quello del componente fenolico. 1/aldeide salicilica è molto meno suscettibile dell'autossidazione che non l'aldeide benzoica. Si confrontino le due aldeidi, di ognuna delle quali s'abbandoni all'aria alcune gocce su un vetro d'orologio. (•) B . 3 5 , 4 2 0 7

(1902).

Cap. VI: Fenoli.

Tautomeria

11 guaiacolo forma con cloroformio ed alcali con scarso rendimento la vaniglina accanto all'o-aldeide. Secondo la reazione di PERKIN si forma dall'aldeide salicilica e dall'acetato di sodio la cmnavina (il lettore formuli questo passaggio).

CAP. VI.

-

FENOLI

TAUTOMERIA

ED

ENOLI.

CHETO-ENOLICA.

Esercizio N. 1. - Trasformazione d'un acido solfonico in un fenolo. fi-Naftolo (1).

Occorrono: g 70 (0,3 g mol) di ß-naftalinsolfonato sodico (2), g 210 di NaOH, cm 3 20 d'acqua. Iva soda caustica viene frantumata in un crogiuolo di rame o nichelio, mescolata con acqua e riscaldata rimescolando, sino a 280°. Il termometro, che serve anche come agitatore è collocato in una custodia di rame o di nichelio lunga circa cm 16 e larga cm 0,8; uno strato d'olio, alto cm 1 copre il bulbo. Per fissarlo serve un tappo forato (v. fìg. 56). Usare occhiali e guanti di protezione ! Quando si è raggiunta la tem|l|Ig peratura di 280°, s'introduce, continuando a riscaldare con fiamma un po' più piccola, abbastanza rapidamente e continuando a riscaldare, il naftalinsolfonato sodico, mantenendo la temperatura tra 260 e 280°. Dopo che tutto il sale è stato introdotto, si aumenta un poco la fiamma, ragione Kig. 56. per cui la massa fusa con sviluppo di vapori d'acqua e rigonfiamento diventa più vischiosa, sino a che finalmente a 3io 0 avviene la reazione vera e propria. Dopo avere mantenuto la temperatura a circa 310-320° per circa 5 minuti la massa fusa è diventata scorrevole e la reazione è terminata. Si versa allora subito la massa fusa in uno strato sottile su una spessa lastra di rame, i cui orli sono un po' ripiegati verso l'alto; lo strato superiore scuro è formato di naftolato di sodio. Dopo raffreddamento si scioglie in acqua la massa fusa frantumata, si fa ' precipitare il naftolo con acido cloridrico concentrato e dopo raffreddamento lo si estrae con etere. Dopo aver prosciugato la soluzione eterea con sale di Glauber anidro, si evapora l'etere e si distilla finalmente il naftolo I1 ) E. FISCHER, Anleitung zur Darstellung organischer Präparate (Guida per la prepaiazione dei preparati organici), 9 ediz., Braunschweig, 1920. (2) o la stessa q u a n t i t à in peso dell'acido ß-naftalinsolfonico, p r e p a r a t o secondo O . N . WITT. V e d i pag. 204.

Fenoli

dagli

acidi

solfonici-h-Naftolo

247

rimasto in un pallone a coda dilatata (fìg. 12, p. 22). P. eboll. 286°. P. fus. 1230. Resa g 30-35. L a reazione or ora descritta viene a t t u a t a in grande entro caldaie di ferro, m u n i t e d i a g i t a t o r i , p o i c h é il (3-naftolo, c o m e a n c h e i n u m e r o s i a c i d i s o l f o n i c i che da esso derivano per l'azione dell'acido solforico, t r o v a n o a m p i a applic a z i o n e p e r l a f a b b r i c a z i o n e d i c o l o r a n t i a z o i c i . D a l (3-naftolo s i p r e p a r a ino l t r e la $-naftilammina per azione dell'ammoniaca sotto pressione: C , „ H , — O H -;- N H S

>

C,0H,—NH, + H20 ,

che viene a d o p e r a t a t a l quale o s o t t o f o r m a dei suoi acidi solfonici per la preparazione industriale di coloranti azoici. A n c h e l'a-naftolo viene preparato nello stesso m o d o per m e z z o della fusione con N a O H del a-naftalinsolf o n a t o s o d i c o , p e r q u a n t o n o n i n q u a n t i t à c o s ì g r a n d e c o m e il f i - n a f t o l o . L a ot-naftilammina viene invece o t t e n u t a in u n m o d o a n a l o g o all'anilina, per riduzione dell'a-nitronaftalina. L a fusione alcalina dell'arilsolfcnato alcalino s e r v e a n c h e p e r l a p r e p a r a z i o n e t e c n i c a d e l f e n o l o puro e d i m o l t i d e r i v a t i fenolici. D a t a l a g r a n d e s t a b i l i t à d e l l e g a m e f r a l ' a l o g e n o e d il n u c l e o b e n z e n i c o , l'idrolisi del clorobenzene poco costoso secondo lo schema: y i

+ 2 NaOH

(

^>ONa + N a C l +

H,0

è r e a l i z z a b i l e s o l o a t e m p e r a t u r e m o l t o e l e v a t e c o n a l c a l i d i l u i t o ( K . H . MKYER e P . BERGIUS). E s s a a v v i e n e p i ù f a c i l m e n t e q u a n d o i n i t r o - g r u p p i i n p o s i z i o n e o r t o - e p a r a - r a l l e n t a n o il l e g a m e d e l l ' a l o g e n o ; d i q u e s t o s i è g i à d e t t o a p a g . 117. U n m e t o d o d'applicazione generale conduce dalle ammine primarie a r o m a t i c h e a t t r a v e r s o i s a l i d i a z o i c i a i f e n o l i ( p a g . 289). I fenoli s i d i s t i n g u o n o i n m o d o m o l t o n e t t o n e l l e l o r o p r o p r i e t à e r e a z i o n i d a i c o m u n i a l c o o l d e l l a serie g r a s s a . E s s i s i d i s t i n g u o n o i n f a t t i f o n d a m e n t a l m e n t e d a q u e s t i p e l f a t t o c h e il l o r o g r u p p o O H è u n i t o a d u n a t o m o d i C p o r t a n t e u n d o p p i o l e g a m e . P e r q u e s t a r a g i o n e e s s i si a v v i c i n a n o a g l i e n o l i c o s t r u i t i n e l l o s t e s s o m o d o , ai q u a l i e s s i s a r a n n o a n c h e c o n t r a p p o s t i p i ù a v a n t i : H H

H

< Z > H OH fenolo

R

\

c = c

H

/ R ' OH

A

n

H

H

H2

/ ^

\

H



cuoio

I chetoni semplici, come l'acetone ed altri simili non possono

esistere

nella f o r m a « t a u t o m e r a » H 2 C = C ( O H ) — C H „ . Perchè nel fenolo non avviene u n a simile chetonizzazione, precisamente

quella segnata con A ? L e

cause

s o n o s e m p r e le s t e s s e , c h e in g e n e r a l e r e n d o n o i m p o s s i b i l e l ' e s i s t e n z a d i derivati benzenici capaci di trasposizione e in parte — qui due volte —

idrogenati

e a l l e q u a l i è s t a t o p i ù v o l t e a c c e n n a t o (p. es. p a g . 189). L a t e n d e n z a a c o n s e r v a r e il s i s t e m a m a g g i o r m e n t e s a t u r o d e l n u c l e o a r o m a t i c o c o n i s u o i t r e

248

Cap.

VI:

Fenoli.

Tautomeria

(loppi legami provoca la stabilità della posizione esterna del gruppo ossidrilico e con ciò il particolare carattere del fenolo. I fenoli sono degli acidi perchè il gruppo OH è legato, come negli acidi organici, ad un atomo di C col doppio legame :

—C—OH 0

e

—C—OH C

Però il carattere acido del fenolo ordinario non è fortemente pronunciato e cresce solo parallelamente alla sostituzione del nucleo con sostituenti negativi, come N0. 2 e alogeni. I salialcalinidel fenolo sono molto dissociati idroliticamente in soluzione acquosa ed essi vengono completamente decomposti già dall'acido carbonico. I n questo modo si possono separare i fenoli dagli acidi carbossilici.

Saggio. S'introduce dell'anidride carbonica in una soluziose 11011 troppo diluita di ¡3-naftolo in idrato di sodio, sino a che non si separi il naftolo libero. Anche in altre reazioni il gruppo OH dei fenoli si dimostra più attivo che non quello degli alcool alifatici. E s s i reagiscono, contrariamente a questi, facilmente col diazometano. Anche con altri mezzi di alchilazione, come alogenuri alchilici, dialchilsolfato essi reagiscono diversamente da questi, già in soluzione alcalina acquosa. I derivati benzoilici generalmente ben cristallizzati sono ottimamente adatti per caratterizzarli (reazione di SCHOTTEN-BAUMANN) .

Saggio. In una provetta si scioglie una piccola quantità di fenolo cristallizzato g) in c m 3 5 di acqua, s'aggiunge cm3 y 2 di cloruro di benzoile, si rende nettamente alcalino con una soluzione concentrata d'idrato di sodio e agitando si riscalda per breve tempo moderatamente su una fiamma. Se si raffredda ora il miscuglio reagente, agitando e strofinando con un bastoncino di vetro sotto il getto dell'acqua, l'olio separatosi si consolida in cristalli incolori, che vengono filtrati alla pompa aspirante, lavati abbondantemente con acqua, compressi su un piatto di porcellana porosa e ricristallizzati in una provettina con poco alcool. Punto di fusione del benzoato di fenile 68-69°. Il saggio può essere fatto nello stesso modo col [i-naftolo. Punto di fusione del benzoilderivato : 107 o . Del valore di questa reazione molto usata, nella quale sono comprese anche le ammine, s'è già detto quanto occorre a pag. 135-36. I naftoli sono per certi riguardi più attivi che non il fenolo semplice, ciò che si manifesta prima di t u t t o col fatto che i loro eteri possono essere ottenuti secondo lo stesso metodo come gli eteri degli acidi carbossilici, suizi direttamente per mezzo dell'alcool e dell'HCl. E s s i reagiscono anche col cloruro di

Fenoli

(spiegazioni

e saggi)

z 49

z i n c o a m m o n i a c a l e ; e s e c o n d o u n a r e a z i o n e s t u d i a t a d a H . BUCHERER, c o n il s o l f i t o d ' a m m o n i o e d a m m o n i a c a d à n n o s e n z ' a l t r o n a f t i l a m m i n e . D a t u t t o c i ò si v e d e c h e i f e n o l i s o n o m o l t o p i ù v i c i n i a g l i a c i d i c a r b o s silici c h e n o n agli a l c o o l i d e l l a serie g r a s s a . H a g r a n d e i m p o r t a n z a l ' i n f l u e n z a e s e r c i t a t a d a l g r u p p o O H s u l l a cap a c i t à d i r e a z i o n e d e l n u c l e o b e n z e n i c o . T u t t i i p r o c e s s i d i s o s t i t u z i o n e che n o i r i f e r i a m o a d a d d i z i o n i p r i m a r i e , a v v e n g o n o molto più, facilmente ed anzi i n q u e s t o c a s o i r a d i c a l i s u b e n t r a n t i r i c e r c a n o d i p r e f e r e n z a le p o s . o r t o e p a r a . T u t t a u n a serie d i r e a z i o n i b a s a t e s u q u e s t o f a t t o v e r r à a n c o r a t r a t t a t a p i ù a v a n t i nelle esercitazioni seguenti. Q u i si ricorderà solo che d a u n a soluz i o n e a c q u o s a d e l f e n o l o p r e c i p i t a , q u a s i i n s t a n t á n e a m e n t e 1 ' o, o, £ - t r i b r o m o fenolo per l'azione dell'acqua di b r o m o (metodo per la determinazione quant i t a t i v a del fenolo.)

Saggio. S'aggiunge ad una soluzione fenolica al 2 % circa, dell'acqua di bromo, sino a che il bromo non viene più consumato; si filtra a vuoto il precipitato fioccoso incoloro e lo si cristallizza dall'alcool diluito o dalla ligroina, dopo essiccamento. P. fus. 95 o . S i spiega questa straordinaria capacità di reazione — che noi ritroveremo u g u a l m e n t e p e r g l i enoli — s e c o n d o K . H . MEYER c o n il f a t t o , c h e il g r u p p o O H r e n d e « a t t i v o » il l e g a m e d o p p i o c o n e s s o c o n f i n a n t e e c h e i n q u e s t a a t t i v a z i o n e n e l s e n s o d e l l e c o n c e z i o n i d e l THIELE è d a c o m p r e n d e r s i a n c h e il sis t e m a c o n i u g a t o d i d u e l e g a m i d o p p i vicini. I l f e n o l o p u ò p e r c i ò r e a g i r e c o n b r o m o p e r a d d i z i o n e p r i m a r i a i n 1,2 e i n 1 , 4 :

HOBr

OH

Nello stesso m o d o avviene l'assorbimento della seconda e della m o l e c o l a d i b r o m o , s i n o a c h e i t r e p u n t i p r i v i l e g i a t i (0, o e p)

terza

sono saturati

dal b r o m o . S e s i f a agire u n q u a r t o Br2, esso viene a d d i z i o n a t o in u n m o d o in f o n d o u g u a l e , n e l l a p o s i z i o n e 1,4 :

HO

OH B r A B r

Br

Br

O II

Br.

Br/NiBr

Bi/\Br

/ \ Br Br

Br Br

Cap. VI: Fenoli.

25°

Tautomeria

Qui però l'eliminazione di H B r non può più ricondurre ad un vero deri vato benzenico. In realtà anche il prodotto finale, il così detto « tribromojenolbromo » è il chetobromuro di un chinone, dunque di un diidrobenzen-derivato. Le applicazioni industriali del fenolo sono notevoli; le più importanti sono quelle della produzione d'acido salicilico (cap. V I , 4, pag. 255) e della condensazione colla formaldeide in una pregevole resina artificiale: la bakelitc. In condizioni blande il fenolo si può infatti far unire alla formaldeide per formare l'alcool p-ossibenzilico in modo analogo alla condensazione aldolica:

OH I A | + OCH2

OH i • V/1 I CH2OH

che a caldo elimina acqua e si polimerizza.

Saggio. Cm3 3 di fenolo sciolto in poca acqua si fanno bollire in una bevuta da cm3 50 assieme a cm3 50 di soluzione formaldeidica (pag. 228). Poi si spegne la fiamma Bunsen e s'aggiunge tanto HC1 conc. alla soluzione ancora bollente fino a che, con reazione tumultuosa si separa un olio quasi incoloro, che raffreddandosi si rapprende in una massa fragile di resina sintetica. Dobbiamo ancora menzionare qui l'introduzione diretta del mercurio nel nucleo benzenico dei fenoli, che avviene già col riscaldamento del fenolo i n s i e m e al b i a c e t a t o d i m e r c u r i o (BAI.BIANO, PESCI, DIMROTH) :

A-OH U

+ Hg(0-C0-CH3), '

>•

A -

O H

+.CH3.COOH. HgOCO-CH3

Esercizio N. 2. Mediazione dei fenoli ( x ). a) Anisolo. G. 19 di fenolo (1/s g. mol) vengono sciolti in cm 3 100 di NaOH 2N entro una bottiglia a tappo smerigliato e a collo stretto. Vi si aggiunge prima in una volta sola (sotto la cappa) circa la terza parte di g 26 di solfato dimetilico e si agita energicamente, la metilazione avvenendo con sviluppo di calore. Dopo circa 5 minuti viene aggiunto il 20 terzo, agitando subito, e dopo breve tempo il resto. Durante l'agitazione è necessario levare di tempo in tempo il tappo. Quando la soluzione acquosa, sulla quale galleggia l'anisolo oleoso, (') ULT.MANN, A. 327, 114 (1903); 340, 20S (1905).

Metilazione

dei

fenoli

251

n o n h a p i ù r e a z i o n e a l c a l i n a , s i v e r s a il c o n t e n u t o i n u n

palloncino

m u n i t o di r e f r i g e r a n t e a r i c a d e r e e si s c i a c q u a c o n c m 3 20 d i N a O H . Per

terminare

la

ancora presente

reazione

e per distruggere

si riscalda p e r u n a m e z z ' o r a

r a f f r e d d a m e n t o si e l i m i n a

lo s t r a t o

acquoso,

il p o c o

dimetilsolfato

a bagnomaria. si p r o s c i u g a

Dopo

l'anisolo

c h e s o l o in c a s o d i d i f f i c i l e s t r a t i f i c a z i o n e si d e v e e s t r a r r e c o n e t e r e , si s e c c a c o n C a C l 2 e i n f i n e s i d i s t i l l a . P . e b o l l . 1 5 5 0 . R e s a 9 0 % d . t e o r . In

modo

p r e p a r a il

analogo,

per

l'azione

del

dietilsolfato

sul

fenolo,

b) N e r o l i n a

(etere

¡3-naftilmetilico).

Il

processo

è

lo

stesso

come per l'anisolo con modificazione dei rapporti stechiometrici. s o s t a n z a è c r i s t a l l i z z a t a . P u n t o di f u s i o n e 720. P e r la c o m p l e t a ficazione Data

si

fenetolo.

vedi

Witt,

B.

34,

3172

la g r a n d e t o s s i c i t à

del solfato

di dimetile,

bono essere

eseguite

tutte

I,a

puri-

(1901).

degli

eteri

le operazioni

solforici

neutri,

sopratutto

che ne coinvolgono

l'uso

deb-

colla m a s s i m a precauzione e sotto la c a p p a !

L• C6H5ONa + NaCH, .

Agli eteri fenolici sostituiti sono da ascriversi i derivati amminici dell'anisolo (anisidina) e del fenetolo (fenetidina). Essi vengono preparati per alchilazione del nitrofenolo e successiva riduzione del nitro-gruppo. La riduzione alcalina dell'o-nitroanisolo conduce (come nel nitrobenzene) a degli idrazo-composti, i quali per trasposizione benzidinica vengono trasformati nella base difenilica « dianisidina », importante prodotto intermedio per azocoloranti azzurri (pag. 198). Dalla p-fenetidina deriva il ben noto antipiretico « fenacetina » (I) e la sostanza edulcorante « dulcina » (II) : H5CsO—^

^—NH—CO—CH., I

H 5 C 2 0—^

^ —NH—CO—N H, II

I fenoli metilati entrano spesso come componenti in sostanze naturali, soprattutto alcaloidi. Nello studio della loro costituzione ha grande importanza la determinazione quantitativa dei gruppi metossilici presenti in una molecola. Per questo serve l'ottimo metodo di ZEISEI,, nel quale i gruppi metilici vengono eliminati con acido iodidrico concentrato sotto forma di ioduro di metile. Si raccomanda di fare la conoscenza di questo metodo col preparato or ora descritto (v. metodologia a pag. 90).

Esercizio N. 3. - O- e p-Nitrofenolo. G 80 di NaN0 3 o 95 di KN0 3 si sciolgono in un pallone a caldo in g 200 d'acqua e la soluzione prima di raffreddare completamente si tratta, sempre agitando, con g 100 di H 2 S0 4 conc. Nella miscela raffreddata a 20° si fa sgocciolare da un imbuto a rubinetto, spesso rimescolando, un miscuglio (liquefatto per riscaldamento) di g 50 di fenolo cristallizzato e di g 5 d'acqua, avendo cura di mantenere costantemente la temperatura fra 20 e 250. Dopo avere lasciato a sè il miscuglio reagente per 2 ore, non senza averlo agitato di fre-

Orio- e

para-nitrofenolo

253

quente, si tratta con un volume doppio d'acqua, si lascia stratificare, si decanta alla meglio lo strato acquoso dall'olio, si ripete la lavatura con acqua altre due volte e si distilla infine l'ortonitrofenolo in corrente di vapore. Come si previene la solidificazione della sostanza nel tubo del refrigerante si può vedere a pag. 33. Il preparato filtrato alla pompa ed asciugato tra fogli di carta da filtro è senz'altro puro ; caso mai ciò non fosse, si ripete la distillazione in corrente di vapore ; p. fus. 45°. Resa g 30. Il composto para, non volatile, isomero del precedente, s'isola direttamente di seguito dal residuo, passando pel sale sodico: s'aggiunge anzitutto del N a O H 2N fino a tanto che la reazione col rosso Congo sia appena scomparsa, poi altri cm 3 100 ancora, si fa ribollire dopo aggiunta d'un po' di carbone animale facendo entrare del vapor d'acqua, si filtra su filtro a pieghe e si fa concentrare su fornello a gas fino ad un volume di circa cm 3 100. Nel raffreddamento il sale sodico deve separarsi per cristallizzazione. Se ciò non avvenisse con un campione prelevato alla soluzione ancora calda s'aggiungono cm 3 30 di N a O H 1 : 1 e si lascia raffreddare con lentezza. Dal sale filtrato alla pompa e lavato con N a O H 2N si separa ora per trattamento a caldo con HC1 dil. il p-nitrofenolo che dapprima si presenta oleoso, indi a freddo cristallizza. Se il prodotto non è sufficientemente puro, cioè se un campione trattato con HC1 dil. bollente non vuole cristallizzare, lo si purifica ancora una volta passando per il sale di sodio. P. fus. 114 0 . Resa g 5-10. Nitrofenoli.

S'è già parlato della facilità con cui si possono nitrare i fenoli. Però il processo di nitrazione non decorre del tutto liscio nemmeno usando acido nitrico diluito, giacché si formano prodotti resinosi a causa di reazioni secondarie d'ossidazione e di condensazione. Risultati migliori si ottengono colla nitrazione mediante ipoazotide in solventi non acquosi, come ad es. CeHs, etere di petrolio (v. B. 54, 1776 [1921]). L'orto ed il para-nitrofenolo passano con ulteriore nitrazione con acido più forte ad uno stesso 2,4-dinitrofenolo ed infine ad acido picrico. I derivati benzenici ad alto grado di nitrazione, come acido picrico, trinitrotoluene (tritolo), si possono far esplodere mediante inneschi al fulminato di mercurio od all'azoturo di piombo (forinole ?) che fungono da accensione iniziale. Essi sono dei composti endotermici, vale a dire l'ossigeno contenuto nella molecola può bruciare entro la molecola stessa il C e l'H con tonalità termica positiva. Questa combustione interna è abbastanza progredita nel caso dell'acido picrico, se osserviamo la reazione : 2 C,H 3 O 7 N :

12

CO + 2 H 2 0 + 3 N2 + H 2

2

Cap.

54

VI: Fenoli.

Tautomeria

Il meta-nitrofenolo non si può ottenere per diretta nitrazione del fenolo, in q u a n t o che l'ossidrile è un sostituente di i a classe e perciò « dirige » altri radicali prevalentemente in posizione orto e para. S'è obbligati a seguire la v i a indiretta di diazotare la m-nitranilina e di dissociare il sale di diazonio mediante ebollizione con acqua, per arrivare al m-nitrofenolo (pag. 289). Il m- e il p-nitrofenolo allo stato p u r o sono incolori, il derivato orto invece è giallo. M a i sali di t u t t ' e tre i nitrofenoli isomeri sono intensamente colorati, nella serie orto e m e t a in rosso-aranciato, risp. giallo-aranciato e nella serie para in giallo cupo (uso del p-nitrofenolo come indicatore). S'è tentato di spiegare la forte colorazione dei sali alcalini dei nitrofenoli ammettendo la loro trasposizione in u n a f o r m a acida di struttura chinoide, la quale avrebbe la proprietà d'assorbire più fortemente la luce (forma « aci » s e c o n d o l o HANTZSCH).

h o O - N O , para-nitrofenolo



0 - < — > - » < £ „ . para-nitrofenato sodico

Però diverse considerazioni v i si oppongono. A n z i t u t t o il meta-nitrofenolo si comporta come i suoi due isomeri, quindi i suoi sali alcalini dovrebbero avere anch'essi struttura chinoide. Invece in t u t t a la chimica aromatica non si conoscono affatto dei meta-chinoni. Inoltre v i sono ancora numerosi esempi di sostanze che nella salificazione presentano un passaggio del colore in toni più cupi, mentre la loro trasposizione in un chinone tautomero è da escludersi. Così ad es. l'antraidrochinone è giallo-bruno, i suoi sali bibasici sono di color rosso-sangue cupo (pag. 341): OH

OH antraidrochinone, giallo-bruno

ONa

ONa s a l e sodico, rosso sangue

Infine anche gli stessi sali alcalini del fenolo C,H.,OH sono di tinta più cupa che non il fenolo medesimo. Questo f a t t o però non si può apprezzare direttamente ad occhio nudo, bensì solo misurando l'assorbimento nella regione ultravioletta. S'è visto così che l'assorbimento da parte del fenato sodico si sposta verso la parte visibile dello spettro, quindi verso le lunghezze d'onda maggiori, m o l t o fortemente rispetto allo spettro d'assorbimento del fenolo libero. Questa differenza è t a n t o e l e v a t a che fornisce senz'altro u n a spiegazione accettabile anche per uno spostamento di tinta da incoloro a giallo, nella regione visibile dello spettro. E c c o perchè noi crediamo d o v u t a la colorazione dei sali nitrofenici all'azione « batocroma » (vale a dire che rende più cupe le tinte) della salificazione. D a t o che i gruppi nitrici in posizione orto e p a r a esaltano la mobilità dell'alogeno fissato al nucleo aromatico (pag. 1 1 7 , 247) i nitrofenoli si possono ottenere anche dai nitro-clorobenzeni. Così ad es. il p-nitroclorobenzene si p u ò

Batocromia

nei fenoli.

Sintesi

di

255

Kolbe

scindere in autoclave per mezzo d'idrati alcalini: OsN—^

2NaOH

—>•

ONa - NaCl + H 2 0

il 2,4-dinitrofenolo importante come prodotto intermedio nella fabbricazione dei coloranti allo zolfo, si prepara dal corrispondente clorobenzene anche in condizioni più blande. (Per reazione con ammoniaca si ha invece p-nitranilina). Nel trinitro-clorobenzene (cloruro di picrile) il cloro ha la stessa mobilità come in un cloruro acilico.

Esercizio N. 4. - La sintesi dell'acido salicilico secondo Kolbe (1). G 13,5 di NaOH puro si sciolgono in una capsula di porcellana 0 più opportunamente di nichelio in cm 3 20 d'acqua e agitando si trattano man mano con g 3 1 (1/3 di gr. mol) di fenolo cristallizzato. Indi su reticella metallica s'evapora l'acqua, agitando costantemente; verso la fine si scalda direttamente colla fiamma luminosa « volante » mossa al di sotto della capsula, a mano. Quando le singole parti della massa non s'agglutinano più, si polverizza la massa stessa rapidamente in un mortaio secco e la polvere fine si scalda ancora una volta nella capsula di nichelio, sempre agitando e rimescolando accuratamente, fino a che è arrivata a secchezza polverulenta (i!). Dopo di che il sale si carica in una storta tubulata, cioè munita di manicotto superiore, del volume di circa cm3 200, e questa s'immerge in un bagno d'olio il più profondamente possibile. Il bagno d'olio si scalda a n o 0 e a questa temperatura s'introduce nella storta del C0 2 secco, facendola passare per un'ora sul fenato sodico (l'estremità del tubo d'adduzione si trovi cm 1 al di sopra della superficie del fenato). Nel corso di 4 ore, facendo passare continuamente una corrente non troppo vivace di C0 2 , s'aumenta la temperatura progressivamente a 190°; l'aumento di temperatura sia di 20° all'ora. Infine si scalda ancora per 1-2 ore a 200°. Durante t u t t a quest'operazione si rimescola più volte il contenuto della storta con una bacchetta di vetro. Dopo raffreddamento il contenuto della storta si versa attraverso il manicotto in un bicchiere, si sciacqua più volte con acqua e si precipita l'acido salicilico mediante un eccesso di HC1 concentrato. 1 cristalli ottenuti raffreddando esternamente con ghiaccio si filtrano (') J. prakt. Chemie,

(2) 1 0 , 89 ( 1 8 7 4 ) ; 3 7 , 3 9 ( 1 8 8 3 ) ; 3 1 , 3 9 7

(1885).

(2) Iya secchezza perfetta del fenato è condizione indispensabile per la riuscita della esperienza. È opportuno lasciar riposare per una notte i n essiccatore a vuoto su H 2 S0 4 e KOH solido il sale seccato nella capsula, prima di procedere alla sintesi. (N. d. A.).

Cap.

VI: Fenoli.

Tautomeria

alla pompa, si l a v a n o con poca acqua e s'essiccano su porcellana porosa. Si p r o v a se un campione si p u ò ricristallizzare puro dall'acqua bollente (con aggiunta di carbone decolorante); in caso affermativo t u t t o il preparato si può purificare a questo modo. Ma anche allora è consigliabile di distillare t u t t o il prodotto grezzo in corrente di vapore surriscaldato, non foss'altro che per imparare a conoscere tale operazione. Il prodotto si scalda a tale uopo allo stato secco in un palloncino a collo corto immerso in un bagno d'olio scaldato a 170°, indi v i si conduce una corrente di vapore non troppo vivace della temperatura di 170-180° (v. pag. 34). L a comunicazione t r a pallone e surriscaldatore si p u ò stabilire soltanto allorché t a n t o il bagno d'olio quanto il vapor d'acqua hanno raggiunto la suddetta temperatura. Il t u b o di collegamento e quello di refrigerazione devono essere particolarmente larghi. Se l'acido allontanato dal t u b o di refrigerazione si scalda col distillato acquoso raccolto nel collettore, fino a dissoluzione, nel raffreddamento cristallizza un prodotto assolutamente incolore in lunghi aghi. P . fus. 156°. Resa g 10-12. La prima fase della reazione di Koi,BE ha un decorso analogo ad una sintesi nota dalla serie alifatica e che consiste nella sintesi di carbonati alchilici a partire dagli alcoolati alcalini ed anidride carbonica:

H 5 C 2 —0Na + C02

H5C2—O—c/ ; \ONa

Il fenil-carbonato sodico così originatosi si traspone poi a caldo; sicché il gruppo sodio-carbossilico s'introduce nel nucleo aromatico:

v

^COONa.

Nel contempo si forma in quantità inferiore il composto para; usando fenato potassico, il para-derivato è, cosa strana, il prodotto principale. Siccome nella sintesi di K o i , b e . così com'è stata spiegata qui, il salicilato monosodico può reagire parzialmente con fenato sodico ancora inalterato, formando del salicilato bisodico, ima parte del fenolo si libera e quindi è sottratta alla reazione. La trasformazione completa al 100% riesce solo se il fe-

Eiere

acetilacelico

257

n a t o sodico si scalda in autoclave per parecchio tempo con C0 2 sotto pressione (procedimento industriale secondo SCHMITT) a 150° circa. Nei polifenoli la sintesi dei rispettivi acidi carbossili« riesce già in soluzione acquosa. Gli acidi orto- e para-carbossilici eliminano COa quando sono riscaldati a t e m p e r a t u r a elevata; la facilità di quest'eliminazione cresce col crescere del n u m e r o di gruppi O H (preparazione del pirogallolo dall'acido gallico). Come si prepara l'acido meta-ossibenzoico ? Ricordiamo la riduzione dell'acido salicilico ad acido pimelico (EINHORN).

Saggio. Una soluzione acquosa d'acido salicilico si tratta con alcune gocce di soluzione di cloruro ferrico. S'ottiene la reazione cromatica caratteristica per i fenoli. L'acido salicilico si prepara in grandi q u a n t i t à nell'industria. Esso serve nell'industria dei coloranti sintetici per ottenere pregevoli azocoloranti che si distinguono per grande stabilità, in p a r t e tirati su fibra mordenzata. Inoltre l'acido ed i suoi derivati hanno vaste applicazioni farmaceutiche. Essendo un acido fenol-carbossilico ha u n forte potere disinfettante (uso abusivo come mezzo di conservazione degli alimenti). Poi s'è dimostrato u n importante mezzo antireumatico ed analgesico. Il derivato acetilato all'ossidrile fenolico è diventato popolarissimo («aspirina»). Il primo medicamento di questa serie fu l'etere fenilico dell'acido salicilico, il salicilato di fenile o « salolo », che si ottiene come p r o d o t t o secondario nella fabbricazione industriale dell'acido. La preparazione dell'aldeide salicilica s'è spiegata più sopra (pag. 243). Nel glucoside salicina, che si trova in n a t u r a nel salice, è contenuto l'alcool / CH 2 OH corrispondente, la saligenina C,H 6 ( \OH

Esercizio N. 5. - Sintesi d'un etere d'acido p-chetonico. Etere acetilacetico ('). Perchè quest'esperienza riesca sicuramente, è importantissima la qualità dell'acetato d'etile adoperato, giacché l'etere assolutamente esente da alcool è attaccato solo lentamente dal sodio anche a caldo, mentre d'altronde un etere acetico a forte contenuto d'alcool reagisce bensì facilmente col sodio, ma fornisce rese in acetilacetato d'etile variabili e in parte molto scarse. I/acetato d'etile ottenuto nella preparazione di pag. 153 contiene ancora troppo alcool e ne va liberato lasciandolo a riposo per 2 ore in presenza di CaCl2 granulare. Il liquido decantato oppure filtrato si distilla ancora una volta su CaCl2 a bagno maria poco prima dell'uso. Il refrigerante va essiccato bene prima dell'uso e (') I^e spiegazioni teoriche riferentisi agli esercizi 5-8 si trovano a pag. 263.

17 - GATTERMANN.

253

Cap.

VI:

Fenoli.

Tautomeria

comunica col collettore mediante un tappo forato di sughero. (Per collettore s'usi un matraccio per filti azione). Indi colla trafila a sodio si fanno passare g 26 di Na, liberato dalla crosta aderente, in etere etilico assoluto, e il filo così trafilato si pone senza altro in g 250 dell'acetato d'etile preparato e posto in un pallone da un litro; ben tosto si sovrappone al pallone una colonna a ricadere in posizione inclinata. Se l'etere acetico era stato trattato a regola d'arte, ora esso non deve ribollire immediatamente ed in modo tumultuoso, ma solo lentamente deve aversi svolgimento d'idrogeno e quindi una blanda effervescenza. Dopo 10 minuti il pallone s'immerge in un bagno d'olio debolmente riscaldato, la cui temperatura si regoli in modo tale che l'acetato d'etile abbia a bollire moderatamente; ed il miscuglio reagente si scalda fino a tanto che tutto il sodio siasi sciolto, il che richiede 3 ore circa. I/ebollizione troppo prolungata è dannosa per la resa. Senza badare a piccoli resti di Na s'interrompe il processo il più presto possibile. Il liquido ancora caldo si tratta, rimescolando costantemente, con una miscela di cm 3 70 di CH3COOH glaciale e 80 d'acqua, fino a reazione appena acida. A questo punto s'aggiunge al liquido un volume uguale di soluzione di NaCl satura a freddo e si separa per stratificazione in un imbuto separatore e scarico dello strato inferiore acquoso, dallo strato superiore che consiste di etere acetico ed etere acetilacetico. Si dibatte bene quest'ultimo strato con un po' di soluzione di NaHC0 3 satura a freddo, si scarica questa soluzione inferiormente, si travasa il miscuglio organico in un pallone munito di termometro e comunicante con un refrigerante di Iyiebig e si distilla l'acetato d'etile in eccesso usando la sola fiamma luminosa senza reticella. Non appena il termometro arriva a 95 0 , si cessa il riscaldamento ed il rimanente si distilla opportunamente a pressione ridotta usando un refrigerante ad acqua corto e un'allunga come quelle visibili in fig. 18 o 19. Se il pallone è riscaldato a bagnomaria, si distilla ad una pressione al di sotto di 16 mm Hg, altrimenti si usi un bagno d'olio o di paraffina. Dopo il passaggio di piccole quantità d'acqua e di etere acetico la temperatura si stabilizza presto ad un valore costante e la parte principale dell'etere acetilacetico passa nell'intervallo d'un grado. Punti d'ebollizione per diverse pressioni: 71° - 12,5 mm; 74 0 - 14 mm; 79° - 18 mm- 88° - 29 mm; 94» - 45 mm; 97 0 - 59 mm; ioo° - 80 mm.

La resa ammonta a circa g 55-60 d'etere acetilacetico. Nel pallone rimane un composto che cristallizza a freddo: l'acido deidro-

Acetil-aceione

?59

acetico. Qual'è la formula di questo composto ? Le singole operazioni vanno eseguite senza lunghe interruzioni tutte di seguito giacché altrimenti ne soffre il rendimento. Esercizio N. 6. - Acetil-acetone (*). Si mescolano cm 3 120 d'etere acetico (purificato come per la preparazione dell'etere acetilacetico, pag. 257) e cm 3 32 di acetone secco; raffreddando con una miscela frigorifera esternamente, s'introducono a mano a mano g 34 di sodioammide (2) NaNH 2 finemente polverizzata — tenuta in barattolo ben chiuso — nel miscuglio sopraddetto. Il matraccio in cui si compie quest'operazione deve avere un tappo di sughero o di gomma, forato e munito di tubo a CaCl2. Ben tosto si svolge abbondantemente dell'ammoniaca. Dopo avere introdotto t u t t a la sodioammide, agitando spesso si lascia riposare ancora per altre 2 ore nell'acqua ghiacciata (o°) e ulteriori 12 ore a temperatura ambiente; indi s'aggiungono nel matraccio g 100 circa di ghiaccio, poi altrettanta acqua fredda. Si separa lo strato inferiore acquoso da quello superiore, che è etere acetico, e si acidifica il primo con acido acetico diluito appena fino a scomparsa della reazione alcalina. Da questa soluzione l'acetilacetone si precipita allo stato di sale di rame a mezzo di soluzione acquosa satura d'acetato di rame. G 40 di CU(CH3COO)2 finemente polverizzato si sciolgono nella quantità necessaria d'acqua bollente. Se il preparato contiene del sale basico, questo si neutralizza per aggiunta di poco acido acetico, La soluzione s'adopera ancora tiepida, cioè prima che il sale cristallizzi di nuovo. Il composto acetilacetone-rame, di colore azzurro grigiastro, alcune ore più tardi si filtra accuratamente alla pompa, si lava due volte con acqua sul filtro e da questo si porta senz'altro in un imbuto separatore in cui lo si ricopre d'etere e si decompone per agitazione prolungata con cm 3 50 di H 2 S0 4 4N. Dopo avere separato lo strato etereo, s'estrae con etere lo strato acido; gli estratti eterei riuniti s'essiccano con CaCl2 e dopo avere evaporato l'etere il dichetone « acetil-acetone » si fa distillare. La porzione principale ne passa a 125140°, ripetendo la distillazione passa a 135-140°. Il punto d'ebollizione del dichetone purissimo è a 139 0 . Resa g 15-20. (!) I,. CLAISEN, B. 38, 695 (1905). (2) I,a polverizzazione va fatta al più presto possibile, meglio se in un mortaio metallica (usare occhiali di protezione!). I,a qualità della sodioammide è decisiva per il rendimento.

Cap.

VI:

Fenoli.

Tautomeria

Il preparato s'ottiene puro e anche conservabile per distillazione ad una pressione di circa 50 min. Saggio. Alcune gocce di acetil-acetone si sciolgono in acqua e si tratta la soluzione con una goccia di soluzione di FeCl3. Si ha una reazione caratteristica per le sostanze a struttura « enolica ». Se poi a questa soluzione, raffreddata con ghiaccio, si fa arrivare abbastanza rapidamente dell'acqua di bromo diluita, il colore rosso dell'« enolato » ferrico sparisce per breve tempo per poi ritornare presto. Benzoil-acetone C6H5—CO—CH2—CO—CH3 ; si prepara in modo analogo secondo CLAISEN [B. 38, 695 (1905)] a partire da acetofenone ed etere acetico. Il rendimento arriva fino al 7 5 % del teorico. Anche la via inversa, e cioè la reazione fra benzoato d'etile ed acetone, che è oltre tutto più a buon mercato ma non riesce col sodio od etilato sodico, riesce bene colla sodioainmide. In linea generale la sodioammide è da preferirsi per la sintesi degli 1,3-dichetoni. Esercizio N. 7. - Malonato dietilico (Etere malonico). In un'ampia capsula di porcellana si sciolgono g 95 (1 gr. mol.) d'acido monocloroacetico in cm3 200 d'acqua e si neutralizzano con K 2 C0 3 solido e secco (ne occorreranno g 75) riscaldando blandamente (a 50°). Indi s'aggiungono g 55 di NaCN (o g 70 di KCN) puro e finemente polverizzato; rimescolando bene, la temperatura si aumenta molto adagio per riscaldamento su bagno di sabbia o su disco d'amianto (tutte le operazioni vanno eseguite sotto la cappa di tiraggio!). Si ha una vivace ebollizione, indice della formazione di acido cianacetico ; allora la miscela di reazione si concentra su fiamma a gas, usando il termometro come agitatore, fino a-che esso immerso nella massa brunastra vischiosa segna 135 0 . S'estrae il termometro e si lascia raffreddare ; ma intanto si continua a rimescolare con una spatola, altrimenti il prodotto si agglomera a formare una massa dura quasi non trituratale. Il prodotto raffreddato si tritura bene in un grosso mortaio e si porta in un pallone da 1 litro, sormontato da una colonna refrigerante a ricadere. In questo pallone, sempre agitando bene, la polvere si tratta a mano a mano, prima con cm3 50 d'alcool assoluto, poi colla miscela raffreddata di cm3 200 d'alcool assoluto e cm3 150 d'acido solforico concentrato. La massa poltigliosa si scalda, rimescolando spesso, per due ore su bagno-

Malonaio

d'etile

(etere

malonico)

261

maria (sotto la cappa !) ; si lascia raffreddare ed agitando di nuovo si tratta con cm 3 400 d'acqua. Il sale indisciolto si filtra alla pompa e si lava sul filtro più volte con etere; il filtrato acquoso si dibatte più volte con questo etere di lavaggio, poi due volte energicamente con etere fresco. Gli estratti eterei si riuniscono e s'agitano con una soluzione acquosa concentrata di Na 2 C0 3 (l'imbuto separatore all'inizio non va chiuso a causa del forte svolgimento di gas) sino a tanto che la reazione non risulti più acida, dopo di che s'essicca con solfato sodico calcinato e s'evapora l'etere. Infine si rettifica il residuo. P. eb. 195° Resa g 90-100. Etilmalonato d'etile. Un palloncino si munisce d'un refrigerante a ricadere ben funzionante e vi si sciolgono g 4,6 di Na in cm 3 73 d'alcool assoluto, si tratta il liquido raffreddato lentamente con g 33 di malonato d'etile (si separa l'etere etilico dell'acido sodiomalonico) ed agitando si aggiungono g 25 di bromuro d'etile oppure g 35 di ioduro d'etile a piccole porzioni. Indi si riscalda a bagnomaria fino a che il liquido non presenti più reazione alcalina, il che è raggiunto dopo un riscaldamento durato 1-2 ore; si distilla l'alcool a pressione ridotta a b. m. scaldato a 40-50° e si riprende l'etere etilmalonico dal residuo per mezzo d'etere (estrarre 2-3 volte). Dopo evaporazione dell'etere si distilla il prodotto greggio: p. eb. 206-208°. Resa circa g 30. Acido etilmalonico. I

/OR CH 3 —CO—CH 2 —C-(-OR . \ONa

Infine separandosi alcoolato sodico e p e r salificazione coll'acetilacetato d'etile nella sua f o r m a enolica si f o r m a l'etere sodio-acetilacetico, prodotto finale della reazione: /OR CH3—CO—CH,~-C( OR \ONa

/OR CH 3 —CO—CH.,—C< + RONa " \ 0

*

/OR H,C—C—CH—C,{ + ROH . O T ¿.\ a L a condensazione f r a eteri d i radicali acidi e chetoni decorre in m o d o del t u t t o simile, sulla b a s e d ' u n ' a d d i z i o n e al chetone nella s u a f o r m a enolica, per e s . : R — C = C H 2 + C 6 H 5 —COOR'

-

^ONa

ONa^OR' R—C=CH—CO—C6H5 + R'OH ¿>Na sale sodico del benzoli-acetone

D a 2 gr. mol. d ' e t e r e si f o r m a n o in generale eteri composti d'acidi (3-chetonici, d a u n etere c o m p o s t o ed u n chetone si h a n n o dei (3-dichetoni. L ' u s o di eteri dell'acido formico d à c o m e risultato, sia con u n a l t r o etere, sia con u n chetone, i derivati àAYossimetilene : /,0 >1—C=CH. ¿Na

HC=0 +

¿R

C—CH 2 —C I

—CO—CH=C—ONa | H

ONa^ÒR

H

+ ROH .

sale sodico dell'ossimetilen-acetofenone

L a t e n d e n z a all'enolificazione è p a r t i c o l a r m e n t e f o r t e nel g r u p p o « f o r milico » in posizione (3. L a condensazione intramolecolare degli eteri d'acidi bicarbossilici applic a t a alla serie degli acidi adipico e pimelico, conduce a degli eteri di acidi ci-

Cap.

266

TV: Fenoli.

Tautomeria

elici fì-cheto-carbossilici (DIECKMANN): CH„

CH2 H2C

CH2

^COOR

| I HC CO I COOR

etere dell'acido adipicó

etere dell'acido eiclopcntanoncarbossilico

1 H2C

! COOR

V

+ ROH.

L'etere dell'acido sucdnico .si condensa dando etere dell'acido succinilosuccinico (i,4-dicheto-esametilen-2,5-bicarbossilico). Si vedano i lavori del BAEYER intorno ai derivati idrogenati del benzene, basati su questa sintesi. Non solo gli eteri degli acidi organici possono reagire cogli « enolati » dei chetoni e degli eteri composti sul tipo della sintesi dell'acetilacetato d'etile, bensì anche gli eteri dell'acido nitroso e di quello nitrico. Questo processo che ci dà degli isonitroso- e dei nitro-derivati (questi ultimi nella forma « acida »), fornisce dei prodotti fondamentalmente analoghi: in un caso coll'acetato d'etile reagisce il gruppo —CO—CH 3 , in un'altro il gruppo NO oppure NO», i quali s'enolificano esattamente come il gruppo 0 = C < : RCH—NO ONa R'—C< OC,H„ R'—CONa + 0 2 N—OC 2 H 5

RCH—NO» 0 J, ,ONa

R—C=NONa R'—¿=0

+ C 2 H 6 OH.

R—C=NOONa I R'—CO

L a condensazione dei nitriti e nitrati alchilici non è in verità così facile ad eseguirsi di solito come la reazione dell'acetilacetato d'etile, nè è del tutto sicuro se non abbia un altro decorso: quello cioè che i composti aventi H « mobile » s'addizionano in un primo tempo, sul tipo della condensazione aldolica, alla parte inorganica dell'etere. Una circostanza a favore di questa tesi pare che sia data dal fatto che anche il fluorene che non ha alcun doppio legame o attivo » può riunirsi allo stesso modo con nitrato etilico (anche con ossalato d'etile) ed alcoolato sodico, per dare dell'oci-nitrofìuorene (W. WlSLICENUS) :

H

+

°\N—OC2H5 Off 0=N—ONa

O ll/OH

^N—OC

2

H

5

Etere

acetilacetico

(costituzione)

267

L a sintesi dianzi eseguita del sale sodico delTaci-fenil-nitroaceto-nitrile o a«-nitrobenzil-cianogeno è un esempio pratico per questo genere di reazioni. Il gruppo metilenico CH 2 del cianuro di benzile è diventato « reattivo » per effetto della vicinanza di C 6 H 5 e CN. Si suppone che anche qui vi sia una forma «acida» che sarebbe la causa di questo comportamento: C 6 H 5 — C H = C = N H . Costituzione degli eteri degli acidi p-cheto-carbossilici e dei (3-dichetoni. Sceglieremo come esempio l'acetilacetato d'etile. Esso reagisce con fenilidrazina, con bisolfito sodico ed altri reattivi caratteristici dei gruppi chetonici, rivelando struttura e natura di chetone; ma d'altro canto ha reazione acida, si scioglie in alcali e con FeCl 3 presenta la nota reazione cromatica degli enoli, caratteristica anche per i fenoli. Da questo comportamento ambiguo un tempo si traeva la conclusione ch'esso dovesse essere o chetone puro od enolo puro, e che la maniera differente di reagire fosse dovuta ad una trasposizione per effetto del reattivo aggiunto. Solo lo studio quantitativo delle condizioni strutturali ha potuto chiarire il reale stato di cose (K. H. MKYER, L . KNORR 1911). L'etere acetilacetico a freddo assorbe mia quantità limitata di Br 2 , reazione questa che come sopra spiegato a proposito dell'acetone, spetta unicamente alla forma enolica. Quindi in condizioni opportune si può determinare quantitativamente la quantità d'enolo contenuta nell'acetilacetato d'etile ricorrendo ad ima soluzione titolata di bromo. Una soluzione in cui a questo modo siasi titolato l'enolo, dopo qualche tempo assorbe di nuovo del bromo, segno che si sono formate nuove quantità di « enolo ». Dobbiamo quindi dedurne che in una soluzione d'etere acetilacetico abbiamo tanto la forma enolica quanto quella chetonica in un reciproco equilibrio. Questo equilibrio si stabilisce nelle condizioni della titolazione mediante bromo in un modo così lento che la precisione di questo metodo non ne è pregiudicata in modo apprezzabile.

Saggio. Si sciolga circa y 2 cài d'etere acetilacetico, scuotendo la provetta, nella quantità occorrente d'acqua, s'aggiungano alcune gocce di soluzione di FeCl 3 ; da una pipetta vi si faccia gocciolare dell'acqua di bromo diluita (1 : 10) con una certa celerità, fino a che la colorazione rossa del composto ferrico-enolico è scomparsa. Ora l'enolo presente è tutto consumato dal bromo: ma poiché esso si forma di nuovo per ristabilire l'equilibrio, dopo breve attesa la colorazione ricompare e può essere fatta tosto sparire per mezzo di qualche goccia di bromo. Questo giuoco si può ripetere sino a che tutto l'etere acetilacetico s'è trasformato in etere bromo-acetilacetico. Il presente saggio permette d'osservare direttamente la trasposizione cheto-enolica. I l rapporto in cui le due forme enolica e chetonica si tengono l'equilibrio dipende in misura elevata dalla natura del solvente. L a tabella seguente, valevole per l'etere acetilacetico, ce ne dà un esempio:

Cap.

VI: Fenoli.

Tautomeria

Solvenle

Percentuale d'enolo

Acqua Alcool etilico Acido acetico glaciale Benzene Etere di petrolio

°.4% 12,0 » .5,7 » 16,2 » 46,4 »

Fra la ripartizione all'equilibrio delle due forme di sostanze tautomere da un lato e la loro solubilità nel solvente considerato dall'altro sussistono delle relazioni importanti che si possono esprimere in linea generale mediante la semplice forinola in appresso ( V A N ' T IIOFF, DIMROTH) : Ca

La

c , ~~ Lt dove C è la concentrazione, L la solubilità dei due isomeri a e 6; e G è u n a costante indipendente dalla natura del solvente. Prendendo come esempio il caso dell'acetilacetato d'etile ed osservando la tabella, la fórma chetonica sarà più solubile in acqua, quella enolica invece sarà più solubile in etere di petrolio, ciò che è d'accordo coi fatti osservati. L'etere acetilacetico liquido consiste per il 92,5% di chetone e per il 7,5% d'enolo. Distillato di fresco è notevolmente più ricco d'enolo, in quanto che data la maggiore volatilità dell'enolo stesso, quest'ultimo distilla per primoe nel liquido viene riformato di nuovo per ristabilire l'equilibrio. Saggio. Si sciolgono g 2,5 d'etere acetilacetico in cm 3 20 d'idrato alcalino normale, si raffredda mediante ghiaccio a o°, indi rimescolando bene si tratta con cm 3 20 di HC1 N/i, che s'aggiungono in una volta sola. Si forma un liquido torbido, lattiginoso, che però già dopo alcuni secondi diventa limpido. È successo che l'enolo, dei due il più. difficilmente solubile in acqua, è stato separato in un primo tempo (intorbidamento), ma rapidissimamente e quasi completamente s'è trasformato nel chetone più facilmente solubile in acqua, così come richiede la posizione dell'equilibrio in acqua. Il metodo di titolazione al bromo di K. H. MEYER ( ) permette in quasi tutti i casi di determinare la percentuale enolica nelle soluzioni di sostanze tautomere. Per diverse vie delle quali qui non possiano occuparci diffusamente, è stato possibile preparare il cheto-acetilacetato e l'enol-acetilacetato d'etile entrambi allo stato puro (KNOKR, K . H . MEYER). I,E loro proprietà fisiche sono del tutto differenti, così ad es. l'indice di rifrazione che per la forma chetonica è per D 1 0 o= 1,4225; per la forma enolica invece = 1,4480. Determinando l'indice di rifrazione di miscugli all'equilibrio si può calcolare per interpolal

(!) A . 3 8 0 ,

212

(1911).

Tautomeria

e

solubilità

269

zione la percentuale delle due forme (KNORR 1911). A n c h e per v i a spettroscop i c a si sono ottenuti dei risultati coincidenti (HANTZSCH 191 O). Dipende a n z i t u t t o dalla velocità di trasposizione della f o r m a p i ù labile se le due forme d ' u n a sostanza tautomera siano o no isolabili allo s t a t o libero, ciascuna per conto proprio. Nel caso del dibenzoilacetone asimmetrico f u possibile per la p r i m a v o l t a (CX,AISEN 1896) isolare il composto chetonico, come pure quello enolico in f o r m a cristallina conservabile: (C6H5CO)2=CH—CO—CH3

e

(C„H5CO),=C=C—CH2 OH

Per questi casi speciali, emergenti f r a gli altri essenzialmente per merito dell'arte sperimentale del preparatore, il concetto della « tautomeria » s'è modificato in quello della « desmotropia ». Numerosi esempi di sostanze desmotrope sono stati t r o v a t i e resi noti nel frattempo, che non fanno dunque altro che mostrare in f o r m a più m a r c a t a le loro condizioni di tautomeria : ad esse appartiene ora anche l'etere acetacetico. Condizioni m o l t o simili si hanno anche per l'acetilacetone, solo che qui la f o r m a enolica è assai più f a v o r i t a . Il prodotto liquido contiene l'enolo per l ' 8 o % . Nel benzoil-acctil-acetone la tendenza all'enolificazione è così fortemente pronunciata che questa sostanza esiste soltanto allo stato enolico. La forma chetonica è sconosciuta : C6H5—CO—C=C—CH3 I I H3C—OC OH N è in questo nè nel caso del fenolo si può parlare d'una v e r a e propria t a u tomeria. Il fenolo si c o m p o r t a chimicamente sotto ogni aspetto come gli enoli alifatici. Ricorderemo soltanto la coincidenza nel carattere acido, nella reazione cromatica con cloruro ferrico, inoltre nel decorso parallelo delle reazioni con alogeni, con ecido nitroso, con diazocomposti aromatici (copulazione) t u t t e reazioni d o v u t e all'« a t t i v i t à » del doppio legame. L a « natura enolica » del fenolo costituisce u n a bella riprova per il nostro m o d o di concepire la costituzione del benzene nel senso della forinola di KBKUI.È:-THTEI,B, in quanto che tale formola esprime la tendenza dell'anello a mantenere i n t a t t o lo stato « aromatico », quello p i ù p o v e r o in energia. Sarebbe interessante a questo proposito conoscere il chetone alifatico (B) paragonabile alla f o r m a chetonica ipotetica del fenolo (A) : CO

|f^1CHi I HC'-l J C H

C O

H C

^

^

B

HC/\CH | I ! I

H2C

2

CH=CH

2

Esiste u n a parentela strettissima f r a l a tautomeria dei chetoni e delle = aldeidi da u n lato e quella dei nitroderivati alifatici dall'altro. A n c h e qui ab-

27 o

Cap.

VI:

l'ertoli.

Tautomeria

biatno una forma neutra contrapposta ad un'altra dotata di natura adda, la cosiddetta forma acida (HANTZSCH) : —C=0 I —C—H I

o=x=o I — C—H I

chetone

nitroderivato neutro

—C—OH

0=N—OH

I

jl

—e I enolo

—c I nitroderivato

acido

Riguardo alle proprietà, ai fenomeni di trasposizione ed alle condizioni di reazione si può rimandare semplicemente a quanto fu detto nel caso della tautomeria cheto-enolica. Il metodo di titolazione al bromo ha permesso anche qui di stabilire quantitativamente la posizione dell'equilibrio. L'esempio di desmotropia più importante e palesatosi per il primo è quello del jenil-niirometa.no, il quale esiste come nitroderivato neutro stabile (d'aspetto oleoso) e come nitroderivato addo labile, cristallizzato (HANTZSCH) : C6H5—CH2—N02

e

C„H5—CH=NOOH

Saggio. Circa g 2-3 di fenil-nitrometano si dibattono con cm 3 15 di N a O H 2N in un provettone. Il nitroderivato neutro si traspone a freddo, cioè si scioglie, solo con gran lentezza, causa la sua scarsa solubilità in acqua. (In soluzione alcoolica la salificazione avviene molto rapidamente). Riscaldandolo, l'olio si porta in soluzione in breve tempo. Quando ciò è avvenuto, si raffredda, s'aggiunge alla soluzione alcalina posta in un bicchierino alcuni pezzetti di ghiaccio e si tratta in un colpo solo con cm 3 20 d'acido solforico 2N. Il fenilnitrometano libero « acido » si separa in fiocchi cristallini incolori che all'istante si filtrano alla pompa, si lavano con acqua e si schiacciano sul piatto di porcellana porosa. l a v o r a n d o con rapidità si riesce a ricristallizzare una parte del preparato da benzina leggera (con aggiunta di qualche granellino di cloruro di calcio). Se ne scioglie un pochino in alcool e vi si aggiunge una goccia di sol. di FeCl 3 . Un secondo campione un po' più abbondante si tratta, refrigerando, con alcune gocce di soluzione fredda di Br 2 in alcool: il bromo viene decolorato. I,e stesse reazioni riescono negative col fenilnitrometano preparato più sopra come esercizio. Il rimanente del nitroderivato « acido » si lascia riposare per una notte, sciolto in alcool, I,a soluzione ora nè assorbe bromo, nè presenta la reazione cromatica del cloruro ferrico, fasciando alcuni granellini

Eteri

acetilacetico

e malonico

(applicazioni)

271

del composto acido su un vetrino d'orologio, il giorno seguente essi si sono trasformati in un olio. Si vede bene che la forma « acida » del fenilnitrometano è isolabile in via transitoria solo a causa della sua bassa velocità di trasformazione; all'equilibrio non ha alcuna stabilità. Applicazione dell'etere acetilacetico e dell'etere malonico in varie sintesi. L'etere malonico libero possiede la costituzione che corrisponde alla notazione consueta; non vi sono segni che indichino l'esistenza d'una forma /OR enolica ROOC—CH=C< . Però facendo agire del Na sulla soluzione \OH eterea dell'etere malonico si forma, svolgendosi nel contempo idrogeno, il cosiddetto etere sodio-malonico, lo « enolato » della forma tautomera sopra indicata, che si forma già solo usando etere ed alcoolato sodico. Nelle reazioni qui considerate il sodiomalonato d'etile assomiglia per tutto all'etere sodioacetilacetico, che in appresso sia scelto come esempio. Trattando un alogenuro alchilico con dell'etere sodio-acetilacetico, si forma dell'etere alchil-acetilacetico sostituito all'atomo di C, non come si poteva aspettare legittimamente, all'atomo di O. Non ha luogo quindi un puro e semplice « doppio scambio », ma bisogna supporre che l'alogenuro alchilico sia addizionato in un primo tempo dal doppio legame attivo e che solo allora si separi l'alogenuro di sodio: CH 3 —C=CH—COOR

->

ONa

CH3—C ONa^Br

>

CH—COOR CII3

CH3—CO—CH—COOR + NaBr I CH3

La reazione coi cloruri acidi ha un decorso analogo. Invece la reazione fra etere acetilacetico e cloruri di radicali acidi in so1 uzione piridica arriva a derivati O-acilici, cioè il radicale acido è legato all ' a t o m o di O, mentre i derivati O-alchilici sono preparabili solo passando per gli acetali (pag. 152), con eliminazione d'alcool (CXAISEN) : H3C—C—CH2—COOR HjCO^OCHa

H a C—C=CH—COOR + CH 3 OH *

¿CH3

I composti O-acilici ed O-alchilici non si trasformano nei loro isomeri sostituiti al carbonio nelle condizioni sopradescritte in cui si formano questi u l t i m i (v. a questo proposito pag. 251-2). Invece almeno per i derivati O-acilici q u e s t a trasformazione tautomera riesce per l'effetto catalitico di K 2 C0 3 so-

Cap.

272

VI: Fenoli.

Tautomeria

lido in solventi indifferenti (CI.AISEX), per es.: H,C—C=CH—COOR COCHj



II3C—CO -CU- -COOR I COCH.,

I derivati mono-alchilati o mono-acilati dell'etere malonico e dell'etere acetilacetico, sostituiti al carbonio, sono capaci di formare ancora una volta degli enolati e perciò d'essere di nuovo alchilati od acilati una seconda volta allo stesso atomo di carbonio. Per entrambi gli stadi di sostituzione havvi la massima varietà nella scelta dei gruppi da introdurre; la sintesi è eseguibile con qualunque materiale che contenga dell'alogeno capace di reagire, quindi non soltanto con cloroderivati degli idrocarburi oppure con cloruri degli acidi. L'uso di bialogenoderivati paraffinici ha reso possibile l'applicazione di questa reazione anche per la sintesi d'anelli carbociclici semplici (W. H. PERKIN), p e r e s . :

/OR ROOC-CH=C( : BrCH 2 -CH 2 ~CH 2 Br \ ONa

>-

ROOC-CH COOR | + NaBr CH 2 -CH 2 -CH, B r

/OR COOR ROOC--C -C ( I I \ ONa • ROOC—C—CH 2 + I I I CH a —CH,—CII 2 Br H 2 C—CH 2

NaBr.

etere dell'acido cielo-butan-di-carbossilico

La possibilità di degradare a composti più semplici i prodotti così sintetizzati costituisce un altro importante vantaggio della sintesi dei derivati del malonato e deli'acetilacetato d'etile. Dal comportamento dell'acido malonico a caldo — esso nella fusione perde COa e si trasforma in acido acetico — deduciamo che un atomo di carbonio non ha la forza di tenere saldamente legati due gruppi carbossilici. Questa proprietà è posseduta anche da tutti gli acidi malonici sostituiti che possiamo ottenere con facilità per saponificazione degli eteri ottenuti. Ciò semplifica i risultati delle sintesi venendo incontro ai nostri desideri. Esempio: L a sintesi con bromuro d'isopropile fornisce acido isovalerianico. Un'altra semplificazione dei prodotti di sintesi consiste nell'eliminazione del secondo gruppo carbossilico (preparazione del ciclobutano dall'etere dicarbossilico sopra riportato in forinola). Nell'etere acetilacetico il gruppo metilenico è collegato con un gruppo acetilico —CO—CH 3 ed un gruppo carbossilico sostituito •—COOR. L'acido acetilacetico Ubero è ancora meno stabile che non l'acido malonico e già in soluzione riscaldata si scinde in modo analogo a quest'ultimo, e cioè in acetone e C0 2 . Tutti i derivati dell'etere acetilacetico ottenuti per sintesi presentano lo stesso comportamento, e cioè che per saponificazione con acidi minerali sciolti in acqua gli acidi acetilacetici sostituiti così liberati eliminano a caldo spontaneamente del CO, ; questa scissione chiamata « scissione chetonica 1

Eteri

acetilacetico

e malonico

273

(applicazioni)

rende accessibili ogni sorta di derivati dell'acetone: H,C—C=CH—COOR + H,CC1—COOR

H3C—CO—CH—COOR *

OXa

CH„—COOR

*

CH3—CO—CH,—CH2—COOH + C0 2 + 2 ROH . acido levulico

Usando un alcali forte invece degli acidi, la scissione si presenta diversamente e la molecola dell'acido acetilacetico liberatosi non è rotta in corrispondenza del gruppo carbossili«), bensì il gruppo acetilico —CO—CH, viene eliminato idroliticamente e si formano 2 molecole d'acido acetico. Questa « scissione acida » apporta una nuova variazione al quadro generale delle sintesi, variazione la cui importanza pratica sia lumeggiata collo stesso esempio già scelto sopra, e cioè il prodotto della condensazione dell'etere acetilacetico col cloroacetato d'etile: H3C—CO—CH—COOR |



CH,—COOR

ILC -COOH + H2C—COOH |

H 2 C—COOH

+

2 ROH.

acido succinico

Un altro genere di sintesi a partire dall'acetilacetato d'etile si ritrova nella riunione di due molecole a formare l'etere dell'acido diacetilsuccinico, che ha luogo per azione dello iodio sul sodio-acetilacetato d'etile: COOR I CH 2 |l + I., C—ONa I CH 3

COOR ! HC >• | CO I CH s

COOR I CH | + 2 NaI. CO I CH,

Anche qui, come nella sostituzione con radicale alchilico, troviamo che il carbonio si lega col carbonio. Si vedano nella letteratura le interessanti condizioni d'isomeria degli eteri dell'acido diacetilsuccinico (L. KNORR). h'acido

deidroacetico

ricordato

a p a g . 2 5 8 - 9 si f o r m a p e r

condensazione

intramolecolare dall'etere acetilacetico. Esso presenta una struttura ad anello lattonico, che per ebollizione cogli acidi viene scisso ; si forma un acido trichetocarbossilico, che perde H 2 0, C0 2 e passa a dimetilpirone: H3—CO H.Ì

CO—CH3 CH—COOH

L'anello pironico che viené formato per via biologica anche a partire dagli zuccheri (acido Kojl), è di grande importanza, giacché è stato riconoi8 - GATTERMAXN.

274

Cap. VII: Diazocomposti

sciuto che l'ossigeno in legame etereo contenuto nel pirone ha proprietà nettamente basiche (CoixiE e T I C K X E ) . Simile in ciò all'In trivalente è capace d'addizionare degli acidi con formazione di sali, che si chiamano « sali d'ossonio » per analogia coi sali d'ammonio. Questa proprietà dell'O si ritrova in numerosi composti organici. Così ad es. quando si sciolgono degli eteri in H 2 S0 4 conc. si devono supporre esistenti in soluzione anche dei solfati d'ossonio che poi vengono scissi idroliticamente dall'acqua. La formola qui sotto indicata per i sali di « pirossonio » è stata resa accettabile dal B A E Y E R a questo modo: egli ha potuto trasformare, trattandolo con ammoniaca, il sale terziario che si forma per addizione di CH,I al dimetilpirone ed ottenere un derivato della piridina, contenente un gruppo metossilico in posizione para: CI

I

O

O

N

H 3 C—C^^C—CH, I I HC'^jCII

H 3 C—C/^C—CH 3 A I HC^^'CH

H:,C- C / ^ C -CH 3 | l+NHJ HC^^CH

COH

COCHJ

cloruro di pirossonio

COCH3

iodomeiilato

2,6-i3imeti]-4-metossi-piridina

Si hanno dei sali d'ossonio terziari che si possono derivare dal «benzopiranolo » (« cromando »), nelle cosiddette aniociane, vale a dire i coloranti rossi ed azzurri di numerosi fiori (R. W I I X S T À T T E R , P. K A R R E R , R . R O B I N S O N ) : .O. + HC1

H2O

)CH

H^

\0H

CH cloniro di benzopirilio.

beiuopiranolo

Le antociane sono dei glucosidi di fenoli ed eteri fendici polivalenti che nell'anello piranico sono sostituiti con OH e C,H5. Essi si possono ricondurre a 3 tipi di antocianidine esenti da glucosio: Ci H O ^ O V

CI /

\0H

(

OH OH ) 'OH

JjCOH OH H cloruro di pelargoni dina

OH H cloruro di cianidina

11 « cloruro di delfinidina » ha nella posizione segnata con asterisco un altro gruppo OH. Si studino nelle opere specializzate le relazioni fra cianidina, quercetina, catechina e luteolina, importanti dal punto di vista della fisiologia vegetale.

Generalità

CAP. VII. -

I

275

DIAZOCOMPOSTI.

Generalità. F r a t u t t e le reazioni dei composti dell'azoto coll'idrogeno, e cioè dell'ammoniaca e di t u t t i i suoi derivati che abbiano ancora dell'idrogeno sostituibile legato all'N, la più importante può dirsi sia quella coli 'acido nitroso. Gli svariati fenomeni che hanno origine in tale reazione vanno considerati da un punto di vista generale. Oltre ed accanto alla formazione del sale « nitrito » (che come sappiamo avviene in modo regolare sia nel caso dell'ammoniaca che in quello delle ammine alifatiche) si deve tenere presente l'esistenza del doppio legame N = 0 , esistente nell'acido nitroso e suscettibile di molte reazioni, sì da rivestire un'importanza decisiva. Il caso più semplice si presenta nelle ammine secondarie. La dimetilammina forma in un primo tempo il nitrito di dimetilammonio, a temperatura superiore la dimetilammina s'addiziona intramolecolarmente, molecola a molecola, al doppio legame dell'acido nitroso, indi s'elimina acqua ed avviene l'acilazione, si forma cioè della « nitrosammina » : (H 3 C) 2 NH+HONO —>-

H3C\

/H H3Cx —O—N-..-0 —>}N—N—OH

H

\ h

3

C/

^

Hac/

—V

> (H 3 C) 2 N—NO + H z O. Questo processo corrisponde in t u t t o e per t u t t o a quello d'un'acilazione qualunque, per es. la formazione dell'acetil-derivato dall'acetato ammonico. Soltanto che il doppio legame f r a C ed O nell'acido acetico ha un'attività minore e perciò richiede una temperatura superiore:

(H 3 C) 2 NH +

H0\ 0

OH | >C—CH 3 ->- (H 3 C) 2 N—C—CH 3 - > (H 3 C) 2 N—C—CH 3 + H 2 O .

/

I

li

o h

o

La grande velocità d'eterificazione dell'acido nitroso, superiore a quella di tutti gli altri acidi, si può probabilmente attribuire alla stessa causa (pag. 159) : CH 3 CH 2 OH + 0 = N — O H —•

H 3 C—CH 2 —O \ HO/

) N - -OH

CH3CH20—N=0 nitrito d'etile

Se noi applichiamo queste considerazioni al caso dell'ammoniaca, è chiaro che il derivato acilico formatosi a caldo deve necessariamente scindersi in azoto ed acqua: OH, H3N + 0 = N — O H I )N—OH I > N = N + 2 H20.

276

Cap.

VII:

Diazocomposti

aìifatici

Le stesse cose valgono anche per le ammine primarie alifatiche: H . C - N H , + 0=N*—OH - > (H 3 C—NH—N—OH) - > I ÓH

(H 3 CN=NOH)

> X = N + H 3 C—OH . Sappiamo che il secondo prodotto fra parentesi, i cui sali sono noti, deve scindersi nelle condizioni della sua formazione in azoto ed alcool. Nelle animine primarie semplici della serie grassa non s'arriva quindi a formare un diazo-composto, giacché la reazione che lo genererebbe avviene ad una temperatura tale da distruggerlo subito. ' Ma la reagibilità del gruppo N H , può essere esaltata da un gruppo CO in posizione contigua. Arriviamo così al caso degli eteri degli acidi a-amminocarbossilici e degli a-animinochetoni. L'etere della glicocolla si può diazotare già a freddo; il diazo-derivato che così si forma non si decompone e per perdita d'acqua si stabilizza formando etere diazoacctico: R O C CH 2 II O

RO

NH.. f O = N—OH

— n,o

C CU,, O

RO

NH HO

>N—OH

RO

C CH-N ii V;' O N etere diazoaeetico

C CH. • N Il II O HON

La cosa inattesa nella reazione delle animine primarie aromatiche con HNO, è questa che il diazoderivato senza dubbio si forma a bassa temperatura secondo lo schema finora usato; ma ch'esso per azione dell'acido esistente in soluzione subisce una trasformazione di struttura, tale da dar luogo ad u n a base, il cui sale, il cosiddetto sale di diazonio costituisce il risultato della diazotazione : C 6 H 5 NH + 0 = N • OH C e H, • N = N O H HCI

C 0 H, • N==N + H , 0 . " CI

Ecco dunque una proprietà particolare caratteristica dei composti aromatici. Non si conoscono sali di diazonio nella serie grassa, perchè lo schema tipo, esistente nell'anilina —C—C—, è incapace d'esistenza propria. Non è I NH 2 escluso però che il glicocollato d'etile sia diazotabile con t a n t a facilità per merito d'una trasposizione tautomera: ROC—CH, I! I " O NH,



ROC—CH I I HO N H ,

ma anche allora resta invariata la differenza fondamentale tra le due serie di corpi per la mancanza di proprietà basiche nei diazocomposti alitatici.

Generalità.

Diazometano

277

Per ora bisogna accettare come dato di fatto inesplicabile la circostanza che il nucleo aromatico (non così il radicale alifatico) è capace di conferire proprietà energicamente basiche all'atomo d'azoto d'un diazo-gruppo ad esso legato. U n influsso simile è esercitato, come apprenderemo più avanti (pag. 359-60) da più nuclei aromatici su un atomo di C che sia con essi collegato (sali di «carbonio))). Non si dimentichi che nelle animine considerate a sè l'anello benzenico diminuisce molto fortemente la basicità, mentre questa viene esaltata dai gruppi alifatici. Per lo studio della chimica dei diazocomposti raccomandiamo l'opera di A. H A N T Z S C H , Die Diazoverbindungen ( I diazocomposti), Lipsia 1 9 2 1 , curata recentemente dal REDDEUEN.

A) DIAZOCOMPOSTI

ALIFATICI.

Esercizio 1. - Diazometano (1). Nitrosometilurèa. Si sciolgono in cm3 120 d'acqua g 30 di cianato potassico (pag. 143) e g 20 di cloruro di metilammonio (pagina 164); si scalda per un quarto d'ora a 60-80°, poi si fa bollire brevemente, si filtra e si raffredda la soluzione a o° (2). Una soluzione previamente preparata e raffreddata di g 20 di NaN02 in cm3 40 d'acqua s'aggiunge ora alla soluzione della metilurea; nella soluzione si fa arrivare a gocce, raffreddando con ghiaccio e rimescolando con un agitatore meccanico, cm3 100 di H 2 S0 4 al 25% fredda. Il nitrosocomposto che si separa in fiocchi cristallini si filtra alla pompa dopo aver terminato l'operazione anzidetta, si lava con acqua ghiacciata P ) E . A . W E R N E R , Jurn. Chem. Soc., 1 1 5 , 1 0 9 8 ( 1 9 1 9 ) ; F . ARNDT e J . A M E N D E , Z angew. Chemie, 43, 4 4 4 ( 1 9 3 0 ) . (a) Per preparare quantità forti di cloruro di metilammonio è opportuno ricorrere al metodo poco costoso qui descritto (BROCHET € CAMBIER, Bull. [ 3 ] , 13, 5 3 3 [1895])- G 2 5 0 di NHjCl si pongono assieme a g 570 di soluz. di HCHO al 35%, in un pallone a coda comunicante con un refrigerante di I^iebig e si scalda progressivamente il tutto. Tenendo il bulbo del termometro immerso nel liquido si scalda man mano a 104° e questa temperatura si mantiene fino a che non distilla più nulla: circa 4 % ore dall'inizio. A questo punto si sono condensati nel collettore g 100-120 d'acqua e d'alcool metilico. Dopo aver lasciato raffreddare il contenuto del pallone, lo si filtra alla pompa accuratamente dal NH4C1 separatosi e si concentra il filtrato su b. m. a metà volume, si filtra un'altra volta il cloruro ammonico e si concentra il filtrato a tal punto che sulla superficie si formi una sottile crosta cristallina. Dopo raffreddamento il cloruro di metilammonio si filtra energicamente alla pompa. Il filtrato si concentra nella misura del possibile e s'eliminano gli ultimi resti dell'acqua in un essiccatore a vuoto caricato ad H 2 S0 4 conc. e NaOH solido. Il residuo secco si libera dai cloruri di bi- e trimetilammonio per digestione in CHC13 e infine si filtra energicamente alla pompa. Resa g 110-125. Questa reazione decorre così: per primo si forma un composto N-alcoolico (N-metilolo) che viene ridotto dalla formaldeide in eccesso: H

2

C=0 +

HNHJ

—>-H2C—NH2 OH

HJC-NH, .

Iva formaldeide che agisce nella sua forma idrata t^CfOH^ viene nel contempo deidrogenata ad acido formico e C0 2 . Se si aumenta la quantità di formaldeide messa a reagire, si arriva analogamente al cloruro di trimetilammonio.

278

Cap. VII: Diazocomposli aìifatici

e dopo essiccamento in essiccatore a v u o t o si ricristallizza da una quantità all'incirca doppia di metanolo. Per aumentare la resa la soluzione si raffredda a — 1 5 0 per mezzo di miscela ghiaccio-sale, dopo u n po' di riposo si filtra alla p o m p a e si l a v a con etere. L a nitrosometilurea si presenta sotto f o r m a di cristalli giallo-chiari, aventi un p. fus. = 124 0 . Resa g 20. Volendo evitare di preparare la metilammina si può fare così: cm3 135 di ammoniaca conc. si trattano con g 100 di solfato di dimetile (CH3)2S04, agitando energicamente a mezzo d'un agitatore meccanico e refrigerando con miscela ghiaccio-sale; la temperatura non deve superare 20°. Si riscalda per 2 ore a bagnomaria, si fa bollire per altri 15 minuti, s'aggiunge la soluzione di,, g 50 di cianato potassico in cm 3 80 di HaO, si fa bollire per altri 20 minuti. Indi s'aggiunge ancora la soluzione di g 40 di NaN0 2 in cm 3 70 di HaO e si lascia raffreddare. La soluzione fredda s'introduce a piccole porzioni in una miscela di g 40 di HJSOJ e g 170 di ghiaccio e pel resto si procede come sopra indicato. La resa, ammontante a g 20-22, è notevolmente inferiore che non usando il cloruro di metilammonio (F. ARNDT) . Per la trasformazione in diazometano g 10 di nitrosometilurea si introducono a piccole porzioni in cm 3 100 d'etere puro, che galleggia su uno strato fortemente raffreddato di cm 3 30 di K O H al 4 0 % . L a scissione si pratica in un matraccio di Erlenmeyer a collo largo e sotto la cappa. Bisogna continuamente agitare e mantenere la t e m p e r a t u r a a o°. Dopo 5-10 minuti la reazione è t e r m i n a t a ; si decanta la soluzione eterea colorata in giallo intenso, si sciacqua con u n p o ' d'etere e si secca la soluzione eterea del diazometano per circa 3 ore con alcuni pezzettini di K O H . L a soluzione si conserva in un luogo fresco in una bottiglietta di vetro dal collo stretto, chiuso com'è s t a t o indicato a proposito dell'etere su sodio a pag. 103, a meno che il preparato non sia adoperato subito. L a soluzione del diazometano è conservabile per alcuni giorni, però subisce una decomposizione lenta m a sicura c o n svolgimento d'azoto. Per questo il recipiente di conservazione non deve essere tenuto ermeticamente chiuso. L a nitrosometilurea, conservata in luogo fresco, si mantiene per un po' di tempo, perciò ogni v o l t a se ne prepara la q u a n t i t à di diazometano strettamente necessaria al momento. Il diazometano è un gas giallo, velenoso, avente il p. eb. —24 0 , e che ai fini della preparazione di laboratorio s'isola solo in soluzione. Allo stato libero è esplosivo. Come solventi neutri si possono adoperare oltre l'etere anche gli alcooli, il benzene e l'etere di petrolio, per breve tempo anche l'acetone.

Diazometano

Determinazione del contenuto della soluzione in diazometano (secondo MARSHALL ed ACREE, B. 43, 2324 [1910]). Una parte aliquota della soluzione (circa 1/20) si diluisce con etere assoluto e si fa entrare in una soluzione eterea N/5 d'acido benzoico, agitando il recipiente e raffreddandolo con ghiaccio. I,a soluzione si prepara sciogliendo g 1,22 di C 6 H 5 COOH purissimo in etere assoluto in un palloncino tarato da cm 3 50; essa deve essere in eccesso rispetto al diazometano, il che si riconosce dal fatto che si svolge N 2 fino al termine dell'aggiunta (del diazometano) e che la soluzione rimane incolora. L'acido benzoico rimasto in eccesso si rititola con N a O H N/io. Dato questo comodo metodo di preparazione, il preparato di cui trattasi è molto usato per lavori scientifici, giacché esso permette una mediazione elegante e di netto decorso per acidi e fenoli costosi. I gruppi OH alcoolici praticamente non sono metilati, così pure le ammine.

S a g g i . Si sciolgono g 2-3 d'un fenolo qualunque (fenolo, cresolo, p-naftolo, aldeide salicilica, idrochinone) in poco etere, acetone od alcool metilico e raffreddando la soluzione con ghiaccio la si tratta con piccole porzioni della soluzione di diazometano preparata c. s., fino a che non si ha più sviluppo gassoso e la soluzione rimane debolmente colorata in rosso. Per riconoscere l'eccesso di diazometano nel caso di soluzioni colorate si travasano alcune gocce di queste in una provettina e vi si immerge una bacchetta bagnata d'acido acetico glaciale: ha luogo uno sviluppo immediato di gas. I prodotti di reazione vengono purificati, dopo evaporazione del solvente, o per distillazione o, se solidi, per cristallizzazione. Il lettore è invitato a trattare indipendentemente uno dei fenoli esistenti nel suo laboratorio e a dare delle indicazioni sulla natura dell'etere metilico ottenuto. In modo analogo si faccia cogli acidi carbossilici (ac. p-toluilico, fenilacetico, cinnamico, ossalico, tereftalico, salicilico ecc.). Esistono dei fenoli che reagiscono lentamente col diazometano. In tali casi il fenolo considerato si tratta con diazometano in eccesso rispetto alla quantità necessaria calcolata e s'abbandona a sè il miscuglio durante più giorni, chiudendo il matraccio con tappo forato portante nel foro una capillare. H diazometano rappresenta il più semplice diazocomposto alifatico ed è stato preparato per la prima volta dal PECHMANN per la via seguente (l) : (!) B. 28, 855 (1895).

280

Cap.

O = c < O \CI

C A

+

VII:

H2N.CH3 _

Diazocomposti

O^CN — ROOC—C—C—COOR H ri

| \ ROOC—CH—CH—COOR

che possono presentarsi in diverse forme stereoisomere rispetto al piano dell'anello ciclopropanico. Secondo lo stesso principio reagisce anche il benzene con diazoacetato d'etile a temperatura superiore (BUCHNER) : M

+ I! > C H . C O O R

>

>CH-COOR+ N.. norcaradien-carbossilato d'alchile (etere dell'acido pseudo-fenilacetico)

L'interessante prodotto di questa reazione può isomerizzarsi in due modi, mentre s'apre l'anello ciclopropanico addizionato: / \ - C H , • COOR

V

/ \H \ \CH.COOR H

\/

etere dell'acido fenilacetico

etere dell'acido cicloeptatrien-carbossilico

Col malonato d'etile l'etere diazo-acetico si condensa dando un derivato del 4-ossi-pirazolo

(BERTHO e N i i S S E t , A . 4 5 7 , 2 7 8

R 0 2 C • CHNj + H 2 C(C0 2 C 2 H 5 ) 2

([1927]):

—NH • R02C • c f * \ C = C • C0 2 C a H 5 . OH

Maggiori particolari intorno ai diazocomposti alitatici si trovano in: H. WLELAND, Die Hydrazine (Le idrazine), Stuttgart 1 9 1 3 , pag. 9 7 segg.

288

Cap.

VII:

Diazocomposti

B) DIAZOCOMPOSTI

aromatici

AROMATICI.

Esercizio N. 3. - Diazotazione dell'anilina. Fenolo, iodobenzene, benzene a partire dall'anilina. Isomeria dei diazoderivati. a) Preparazione d'una soluzione di sale di diazonio. In un bicchiere con o senza beccuccio, della capacità d'un litro si pongono cm3 150 d'acqua e s'aggiungono bene agitando cm3 30 di H 2 S0 4 conc. Nell'acido diluito ancora caldo si versano g 30 d'anilina distillata di fresco. S'aggiungono a mano a mano g 250 di ghiaccio tritato e si raffredda esternamente la soluzione di solfato d'anilina con ghiaccio (non con miscela frigorifera !) ; il sale difficilmente solubile si sarà anche parzialmente separato dalla soluzione. Da un imbuto a rubinetto si fanno sgocciolare nella soluzione cm3 90 d'acqua contenente disciolti g 22 di NaN0 2 ; occorre rimescolare energicamente. Quando è stata aggiunta la parte principale del nitrito si saggia con carta amidoiodurata (*) per vedere se v'ha acido nitroso in eccesso. Bisogna anche tenere presente che verso la fine della reazione —• cioè quando la concentrazione delle sostanze partecipanti alla reazione è fortemente diminuita — la reazione rallenta; perciò bisogna attendere ogni volta alcuni minuti prima di fare il saggio. Quando finalmente dopo 5 minuti si può ancora rilevare la presenza di piccole quantità di HN0 2 libero, la diazotazione è terminata; si intende che il solfato d'anilina deve essersi disciolto completamente. Un campione prelevato non deve intorbidarsi per aggiunta di acetato sodico. Ma addizionando al campione stesso, anche alcune gocce della soluzione d'un sale d'anilina, si precipita del diazo-aminobenzene giallo che si ridiscioglie con HC1 conc. dopo aver aggiunto qualche pezzetto di ghiaccio. Inoltre si provi a sciogliere qualche granellino di (i-naftolo o d'acido R in un piccolo eccesso di NaOH2N e si tratti questa soluzione con un saggio della soluzione del sale di diazonio. La soluzione intensamente colorata in rosso pel colorante originatosi nella « copulazione » costituisce un segnale infallibile per il sale di diazonio e quindi anche per l'ammina primaria che ha servito a prepararlo. ( l ) Un pezzetto d'amido, quanto un pisello, si pone finemente polverizzato in cm3 200 d'acqua bollente e si bolle per un po' agitando bene. Si lascia raffreddare ; si scioglie un granello di K I (quanto una lenticchia) in poca acqua e s'aggiunge alla salda d'amido. Di questo miscuglio s'imbibiscono delle lunghe striscie di carta da filtro, larghe circa cm 3, che si lasciano seccare su un filo teso in ambiente esente da acidi. striscie secche si tagliano e si conservano in un barattolo ben chiuso.

Diazotazìone,

b) Idrolisi

idrolisi

della soluzione

a

289

fenolo

di sale di diazonio

a

fenolo.

P e r questo scopo s ' a d o p e r a u n t e r z o della soluzione p r e p a r a t a , m e n t r e i rimanenti due t e r z i si c o n s u m a n o p e r le reazioni c) e d). G i à lasciando a sè la soluzione, senza refrigerarla, si svolge l e n t a m e n t e dell'azoto. M a l a decomposizione si f a a v v e n i r e a t e m p e r a t u r a u n p o ' superiore (40-50°) in u n pallone su b. m. debolmente bollente. Q u a n d o lo s v i l u p p o gassoso s'è c a l m a t o il fenolo f o r m a t o s i si distilla d i r e t t a m e n t e d a l pallone in corrente di v a p o r e . U n piccolo saggio p r e l e v a t o si e s a m i n a c o u a c q u a di b r o m o per vedere se t u t t o il fenolo è distillato, indi il distillato si s a t u r a con N a C l , s'estrae con etere p i ù v o l t e , s'essicca la soluzione eterea con CaCl 2 e dopo il t r a t t a m e n t o usuale (filtrazione della sol., distillazione dell'etere) il fenolo si distilla d a u n palloncino a coda. P . eb. 183°. R e s a g 6-7. I l fenolo d e v e solidificarsi tosto. Della diazotazìone. Nella pratica esecuzione della reazione di diazotazìone è importante che vi sia un sufficiente eccesso d'acido, e che la temperatura sia mantenuta bassa. Per 1 g. mol. d'ammina occorrono 2 g. mol. d'acido: imo per la salificazione, l'altro per liberare l'acido nitroso dal nitrito. In generale si prendono g. mol. 2,5-3. Tale eccesso è indispensabile per impedire che il sale di diazonio si condensi colla base intatta eventualmente presente formando un composto « diazoammino », ciò che avviene in ambiente debolmente acido. Così appunto si ricerca l'ammina ancora indecomposta trattando la soluzione con acetato sodico allo scopo di far retrocedere l'acidità minerale libera e di creare così le condizioni opportune per la formazione d'un diazoammino-derivato. Questo ultimo è scisso dagli acidi minerali in sale di diazonio e sale d'ammina: CI C,H5—N=N—NH—CeH5

2HC1

>

C 6 H 6 — À = N + HC1—NH,—C e H 5 .

Esiste del resto anche qualche sale di diazonio che si copula colla sua propria base già in soluzione acida, così ad es. quello della meta-fenilendiammina (bruno di Bismarck). La somministrazione del nitrito nella diazotazìone si controlla con carta amido-iodurata; questa alla fine deve azzurrirsi, ma l'eccesso di nitrito deve essere il più piccolo possibile. Si tenga presente che la diazotazìone non è ima reazione fra ioni, ch'essa abbisogna di tempo per compiersi e che sopratutto verso la fine bisogna attendere alcuni minuti prima di fare il saggio. Quei sali d'ammine primarie aromatiche che siano diffìcilmente solubili, si diazotano in sospensione adoperando un energico agitatore meccanico. Delle basi molto deboli, come aniline alogenate, nitraniline, ecc. hanno bisogno di maggiore eccesso d'acido per salificarsi. In tal caso si scioglie anzitutto I ) — GATTEItMANN.

290

Cap. VII:

Diazocomposti

aromatici

nella quantità appena sufficiente di HC1 conc. caldo, poi si diluisce con acqua raffreddando nel contempo esternamente con ghiaccio e s'ottiene che il sale, di solito difficilmente solubile, si separi in fine suddivisione. Anche la dissoluzione in H2SC4 concentrato e susseguente diazotazione diretta del solfato separatosi per aggiunta di ghiaccio è spesso raccomandabile. Ma giammai le ammine libere si devono diazotare sospese in ambiente acido, per il fatto che reagiscono con troppa lentezza; occorre sempre essere ben certi dell'avvenuta salificazione totale. La facilità di decomporsi è maggiore o minore a seconda dei vari sali di diazonio: ne esistono, per es. nella serie antrachinonica, di quelli che si possono ricristallizzare dall'acqua bollente. c) Iodobenzene dall' anilina. Abbiamo più sopra (p. 289) riservato un terzo della soluzione di solfato di diazonio a questo scopo e ora in un pallone da % litro la trattiamo colla dissoluzione di g 15 di K I in cm 3 20 d'acqua; il miscuglio si lascia a sè per alcune ore, raffreddando con acqua corrente. Indi si munisce il pallone di colonna refrigerante e si pone su un b. m. in moderata ebollizione, fino a che lo sviluppo di N 2 è cessato; si aggiunge N a O H conc. per fare la soluzione fortemente alcalina (allo scopo di vincolare il fenolo che s'è pure formato) e lo iodobenzene si distilla in corrente di vapore. Si separa il distillato in un imbuto separatore (se la separazione è stata accurata non occorre etere), s'essicca con alcuni granellini di CaCl 2 ed infine si distilla il prodotto. P. eb. 189-190°. Resa g 14-16. È degna di menzione la capacità degli iododerivati aromatici di trasformarsi in composti organo-iodici contenenti I a valenza superiore (V. MEYER, WIIAGERODT), passando per composti d'addizione con cloro.

Cloruro di feniliodile. G 3 di iodobenzene si sciolgono in c m 3 1 5 di CHCI3. Raffreddando con ghiaccio s'introduce del cloro prelevato da una bombola, fino a che non si ha più assorbimento. I bei cristalli colorati in giallo chiaro si filtrano alla pompa, si lavano con cloroformio e s'essiccano all'aria su carta da filtro. Il cloruro di feniliodile

/CI

così preparato si comporta come il

sale d'una base biacida debole CeH5T(OH)2, della quale si conoscono anche altri sali, come ad es. l'acetato neutro. La base stessa non si conosce, è nota solo la sua anidride, C 6 H 5 I=0, lo iodosobenzene. Iodosobenzene. G 2 di cloruro di feniliodile si triturano bene in un mortaio con cm 3 10 di N a O H 3N. Si lascia riposare per una notte

Derivati

organo-iodici

e si filtra alla p o m p a lo i o d o s o b e n z e n e , si l a v a c o n a c q u a e s ' e s s i c c a su porcellana porosa. L a sostanza non è cristallina. D a l filtrato a l c a l i n o (senza le a c q u e d i l a v a g g i o ) p e r i n t r o d u z i o n e d i S 0 2 (per r i d u r r e l ' a c i d o i o d i c o f o r m a t o s i ) p r e c i p i t a u n s a l e i n c o lore c h e d o p o u n p o ' d i r i p o s o v i e n e filtrato a l l a p o m p a e ricristallizz a t o d a l l ' a c q u a b o l l e n t e : ioduro di difeniliodonio. I o d i l b e n z e n e . L a p a r t e p r i n c i p a l e dello i o d o s o b e n z e n e p r e p a r a t o s ' i m p a s t a c o n p o c a a c q u a , si t r a t t a in u n p a l l o n e c o n v a p o r d ' a c q u a fluente finché t u t t a la s o s t a n z a s ' è s c i o l t a e lo i o d o b e n z e n e f o r m a t o s i è d i s t i l l a t o (si u s i u n r e f r i g e r a n t e ed u n c o l l e t t o r e ) . Se la s o l u z i o n e è a n c o r a t o r b i d a , l a si filtra a c a l d o , si c o n c e n t r a a b . m . fino a c h e u n c a m p i o n e v e r s a t o in u n a p r o v e t t a c r i s t a l l i z z i a b b o n d a n t e m e n t e . D o p o r a f f r e d d a m e n t o si filtra alla p o m p a ecc. Basi iodoniche. Le basi di iodonio si formano in linea generale dall'iodosocomposto più iodilderivato in presenza d'alcali, di preferenza Ag.20 : le due molecole contenenti lo iodio si condensano e si separa dell'iodato: C6H5. J = 0 +

Ck v.on >J-C.H, —

C„H 5 • J • C 9 H 5

0

o H

+ NaJ03.

Lo iodilbenzene si forma dall'iodosobenzene per dismutazione intramolecolare accanto all'iodiobenzene : C g H 5 —IO + 01—C„H 5



C,H5l/ + C6H5I , ^O

simile in ciò all'acido nitroso che si dismuta in a d d o nitrico e NO. Questa reazione ha luogo in piccola proporzione già a freddo e cosi si spiega la presenza della base iodonica come prodotto secondario nella preparazione dello iodosobenzene. Gli iodoso e specialmente iodil-derivati per riscaldamento deflagrano, giacché contengono l'ossigeno in uno stato di « tensione ». Da ima soluzione acidificata di K I essi liberano la quantità equivalente di I 2 e si ritrasformano in iodiobenzene C 0 H t I. La funzione basica dello iodio riesce ancora più interessante nelle basi iodoniche che corrispondono in t u t t o e per t u t t o alle basi ammoniche, solfoniche ed ossoniche. Lo ioduro del difeniliodonio è u n dimero dell'iodiobenzene e riscaldato si decompone con reazione esotermica in 2 g mol di C,H 6 I (diversamente dalle dissociazioni di N.,04, NH4C1, PC1S che sono endotermiche). Il lettore faccia u n saggio in provetta. I composti aromatici dello iodio plurivalente scoperti contemporaneamente e f r a loro indipendentemente da V. M e y e r e C. W i l l g i ì r o d t si ritennero per molto tempo appannaggio esclusivo (come ancora oggi i composti diazoioi).

Cap. l'II: Diazoccmpotti aromatici della chimica aromatica, fino a che il TIIIELE nel 1909 ci fece conoscere l'intera serie di composti anche nel caso delle olefine, nel composto più semplice, il cloro-iodio-etilene C H C 1 = C H I . Persino lo C H , I riesce ad addizionare il cloro a bassa temperatura, ma questo prodotto si decompone facilmente fornendo CH3CI e cloruro di iodio (sostituzione dello iodio mediante cloro). I derivati dello iodio plurivalente diventano stabili soltanto quando l'I è fissato ad un atomo di C portante un doppio legame.

d) Benzene dall' anilina. Si prepara una soluzione alcalina di stannito: si sciolgono g 40 di SnCl2 in cm3 200 d'acqua e la soluzione ancora torbida si tratta con g 50 NaOH sciolti in cm3 60 d'acqua. Si raffredda tosto. Raffreddando bene con ghiaccio si porta la soluzione di stannito sodico a piccole porzioni nell'ultimo terzo di soluzione di sale di diazonio; prima d'aggiungere una nuova porzione s'attende finché lo sviluppo d'azoto provocato dalla precedente aggiunta è cessato. Terminata la reazione si distilla il benzene formatosi con refrigerante di Liebig : esso passa prima che distillino quantità sensibili d'acqua e si raccoglie in una provetta. Dopo averlo essiccato con poco CaCl2 il benzene si rettifica da un palloncino a coda con refrigerante corto, infilato sulla «coda»; esso passa quasi senza residuo ad 8i°. Resa g 6. L a sostituzione d'un gruppo N H , con H passando per il diazocomposto non ha naturalmente importanza pratica nel caso qui addotto come esempio, sibbene in altri casi. Così ad es. il m-nitrotoluene s'ottiene (e da esso la mtoluidina) dalla p-toluidina a questo modo: la base (acetilata) si nitra ed il gruppo NH 2 si sostituisce come sopra mediante H (dopo eliminato il gruppo acetile) : CH,

CH3

CH3

N—EX - N I

!

NH.

I

NH2

Il decorso della reazione è quanto mai particolare. Occorre probabilmente ammettere che il diazocomposto sia stato ridotto alla « fenildiimmina » instabile che a sua volta si decompone in benzene ed N 2 : CtH5—N=NONa



C t H - N = N H + NaOH



C.H. + N, .

Per sostituire il gruppo diazoico con H si può usare, invece della soluzione alcalina di stannito, anche dell'alcool. Quest'ultimo cede due atomi di H e passa nel contempo ad aldeide per deidrogenazione: in tal caso il sale di diazonio si bolle per uti po' di tempo coti dell'alcool.

He use ne dall'anilina.

Fenildiazonio

293

Contemporaneamente si forma come sottoprodotto l'etere fenolico, per sostituzione del gruppo diazoico mediante un gruppo alchilossilico. E chiaro il parallelismo coll'idrolisi dei sali cii diazonio la quale fornisce fenolo:

• N=N CI + HO • C2H6



/NoC.H,

e) Cloruro di fenil-diazonio

solido.

G 3,5 di eloridrato d'anilina si sciolgono in cm 3 20 d'alcool assoluto, s'aggiunge y2 cm 3 di HC1 sciolto in C2H5OH, indi raffreddando con ghiaccio, g 3 di nitrito d'etile o g 4 di nitrito d'isoamile. Si lascia in riposo per 5-10 min. e poi si fa lentamente ma completamente separare il sale di diazonio trattando la miscela con etere a piccole porzioni. Si filtra alla pompa e si lava con poco alcool-etere (1 :1), poi con etere. Il sale si mantenga sempre bagnato d'etere e s'essicchi solo una piccola parte su carta da filtro : questa porzione secca si può far esplodere per percussione o per riscaldamento nella fiamma. Anche il preparato bagnato d'etere non va toccato con una spatola od altro oggetto duro. Il sale di diazonio si scioglie, togliendolo tal quale dal filtro, in acqua ghiacciata e la soluzione si utilizza per la preparazione del •perbromuro di fenil-diazonio e dell'azoturo di fenile. Il nitrato di fenildiazonio s'ottiene in cristalli preparando una sospensione ben raffreddata di nitrato d'anilina in acqua ed introducendovi, mentre si continua a raffreddare, dei vapori nitrosi (preparati da AS 2 0 3 e HN0 3 di densità 1,35) fino a dissoluzione, indi aggiungendo lentamente alcool ed etere. L'esperienza si deve eseguire con g 2 d'anilina al massimo e solo una parte minima, quanto può stare sulla punta d'un coltello, si deve essiccare su porcellana porosa, dopo avere lavato tutto il sale con alcool-etere (1:1) sul filtro alla pompa. Il nitrato detona quando è scaldato sulla spatola metallica o percosso con un martello; la decomposizione del cloruro è meno violenta, ma anche questo sale non deve essere conservato secco, come del resto i sali di diazonio secchi in generale vanno trattati con precauzione. Diazonio e diazotati. I sali di diazonio delle ammine primarie semplici non si possono isolare da una soluzione acquosa a causa della loro grande facilità di decomposizione.

Cap.

294

ì li:

Diadoco»!posti

aromatici

Invece essi cristallizzano da una soluzione alcoolica, quando s'aggiunge dell'etere. Siccome i sali dell'acido nitroso non sono solubili in alcool, si fa la diazotazione ricorrendo agli eteri nitrosi i quali come si sa sono saponificati dagli acidi con straordinaria velocità e perciò si comportano quasi come dei sali (v. pag. 157). I sali di diazonio sono incolori, le loro soluzioni acquose hanno reazione neutra. Se ai sali si sottrae l'acido mediante un alcali, si formano in un primo tempo gli idrati di diazonio assai instabili, la cui esistenza in soluzione si può dimostrare solo per pochissimo tempo; tali idrati addizionano idrato alcalino, eliminano dell'acqua e passano così a sali del diazo-idrossido acido, cioè i cosiddetti diazotati: C,H 5 • N - \ ci

NaOH

c l o r u r o di d i a z o n i o

C6H5.N=N • | OH i d r a t o di

NaOH

>

H 1 C 6 H 5 . N = NONa I OH

diazonio

C 6 H 5 • N = NONa . fenikliazotuto sodico

Se si acidifica la soluzione di diazotato così formatasi, si riforma il sale di diazonio: C 6 H 5 • N = NONa

2HC1

H C J L • N = XOH CI

NaCl

Abbiamo dunque una relazione importante, reversibile, fra il tipo t diazonio » ed il tipo « diazo-idrossido ». Il diazoidrossido che si forma per isomerizzazione dall'idrato di diazonio, si designa come « pseudobase » di quest'ultimo (HANTZSCH), per il fatto ch'esso, pur non essendo ima base (anzi è un acido) si combina cogli acidi fornendo il corrispettivo sale di diazonio. Prima di trattare ulteriormente delle reazioni dei diazocomposti dal lato preparativo, voghamo ricordare ancora un'altra trasformazione di questa interessante classe di composti. Il fenildiazotato per azione energica d'alcali forti si trasforma nel sale d'un acido isomero, si forma cioè il tipo dell'« isodiazotato » (SCHRAUBE e SCHMINT). Intorno alla costituzione degli isodiazotati vi fu una discussione fra i due chimici BAMBERGER e HANTZSCH, durata lunghi anni e rimasta storica. L a maggior parte dei chimici ritiene oggi risolta la questione nel senso propugnato dallo HANTZSCH; il quale ritiene che l'isomeria sia spaziale e si riconduca ad una disposizione diversa di C„H5 ed OH rispetto al piano, considerato come immobile, degli atomi di N legati fra loro con due valenze. L a stessa concezione aveva già valso in precedenza una spiegazione per l'isomeria di certe ossime sostituite in modo dise-

Dìazotatì,

azoturo



fenile

guale (pag. 350). Come principio, è lo stesso della teoria dell'isomeria « cistrans » dei derivati etilenici (acidi maleico e fumarico). Secondo lo H A N T Z S C H i diazotati normali, labili, si considerano come composti « syn » ( = cis) ; quelli più stabili, gli isodiazotati, invece come composti « anti » ( = trans) : C6H5

ONa

H 5 C„

fenil-diazotato di sodio normale

isodiazotato

ONa

Mentre la trasposizione del fenil-syn-diazotato semplice nel suo isomero riesce solo per azione d'alcali forte, la forma « syn » d'altri diazotati è talmente instabile che viene trasformata quasi istantaneamente nella forma « anti » non appena generatasi dal sale di diazonio e perciò non può venire isolata nemmeno in soluzione. Un esempio importante di questi casi è il p-nitrofenildiazotato che segue più avanti sotto /) e che per copulazione con p-naftolo fornisce il « rosso para » o « rosso di paranitro-anilina », un colorante molto usato. Perbromuro di fenildiazonio. Si prende la soluzione fresca raffreddata con ghiaccio, d'un sale di diazonio solido preparato come sopra o la soluzione di diazonio preparata da g 2 d'anilina e si t r a t t a con l a dissoluzione di cm 3 1,5 di bromo in cm 3 15 di soluzione di K B r al 25 % (sempre raffreddando con ghiaccio !) fino a t a n t o che non si ha p i ù un precipitato scuro. Indi si decanta la parte oleosa e si l a v a alcune volte con acqua ghiacciata, con che s'ottiene di rendete cristallino il perbromuro. Per trasformarlo in azoturo di fenile (« diazobenzenimmide »), 10 s'introduce in N H 4 O H concentrata (circa cm 3 i o , ben raffreddati) in 3-4 porzioni. Con reazione tumultuosa si forma l'azoturo di fenile dall'odore pungente e che si p u ò purificare per distillazione in corrente di vapore. Esso distilla senza decomposizione, a pressione ridotta. Riscaldandolo rapidamente esplode, perciò occorre cautela. I bromuri delle basi organiche reagiscono con bromo e formano dei insolubili; in questo caso si tratterà del prodotto d'addizione:

perbromuri

C

6

H

5

N=K

I Br—Br, . La reazione coll'ammoniaca avviene a questo modo : il bromo costituente 11 ^»--bromuro si trasforma in ipobromito (d'ammonio) e nel contempo il sale di diazonio si traspone dando syn-diazoidrossido, il quale ultimo ben tosto reagisce con NH3 nel senso d'una reazione di copulazione, dando fenil-triazene (« diazobenzenammide ») ; l'ipobromito presente deidrogena questo prodotto

2Q6

Cnfr- VII: Diazocoitiposti

fornendo appunto l'azoturo di fenile C„HS-- X=X | Br—Br,

3 2

C6H5—N=XOH C„H-—X_X—XIL

Ha

:

aromatici

(DIMROTH) :

> CflH5—X=NOH + 2 XHjBr + XH4OBr , XIL,



CtlI,-X=N

XH2 + H 2 0 ,

/N > C 6 H 5 NM| + NH,Br + H 2 0 . azoturo di fenile

XH,OBr

fenil-triazL'iie

L'azoturo di fenile è stato trasformato per idrogenazione assai cauta (con SnClj in soluz. eterea di HC1) nel jeniltriazene, composto quanto mai delicato (DIMROTH), il quale, come sopra esposto, per deidrogenazione può essere ritrasformato in azoturo di fenile. In analogia coi diazocomposti alitatici recentemente si comincia a dare anche all'acido azotidrico ed ai suoi eteri una formola di struttura a catena aperta, utilizzando la quale le relazioni sopra esposte si possono indicare in formule come segue: C„H-, -X,-Xr=X

„ + 2H —=H

C6H5—N=N—NH, .

Il miglior metodo per preparare l'azoturo di fenile parte dalla fenilidrazina (v. pag. 306). Gli azoturi di radicali aromatici sono dei composti che hanno grande facilità di reazione, ed eliminano, per es. cogli acidi, gli ultimi due atomi di N a capo della catena, sotto forma di N2; il radicale C,H S N= assorbe nel contempo dell'acqua e passa ad aril-idrossilammina che però subisce subito una trasposizione in animinofenolo. Se il nucleo benzenico porta un sostituente elettronegativo, il gruppo azotidrico viene staccato idroliticamente dagli alcali, come succede per gli alogeni del resto, si forma l'azoturo alcalino e il corrispettivo fenolo: 0,N—/

N3

2Nt0H,

02N^

ONa + N3Na + H a O .

Col reattivo del GRIGXARD si formano dagli azoturi, dei composti diazoamminici cioè dei trìazenì bisostituiti in posizione 1 , 3 (W. W I S W C E N U S e DIMROTH) :

C6H5—X3 - CH„MgBr

^

C0H5—N=N—NH—CH3 .

L'etere malonico permette d'ottenere i derivati triazolonici per le loro particolari condizioni di tautomeria (DIMROTH) : C G H , . N,

+

CH2 . (COOC2H;)A _

C , H

S

H O /

V 1 _

C

interessanti

O

A

H

S

Azoturo

di fenile.

297

Para-lolunitrile

Questa condensazione presenta un'analogia perfetta a quella dell'etere diazoacetico (pag. 285-6), come del resto vi ha un parallelismo sorprendente fra gli azoturi e i diazocomposti alifatici, di ciclizzarsi cioè a nuclei eterociclici con sostanze non sature, come ad es. acetileni, derivati olefinici, acido cianidrico, ecc. NONa

G 14 di para-nitranilina (1/10 di gr. mol.) si sciolgono a caldo in cm 3 60 di HC1 (30 di acido concentrato e 30 di H 2 0) ; la soluzione si versa su g 80 di ghiaccio che si trovano in un bicchierino senza beccuccio. Poi si diazota a 5-10 °C con una soluzione di g 8 di NaNO.¿ in cm 3 20 d'acqua che s'aggiunge in una sola volta, rimescolando energicamente. Dopo esserci accertati del termine della reazione, la soluzione di sale di diazonio si fa defluire in cm 3 400 di NaOH circa 4N, riscaldata a 40-50°, rimescolando il tutto. Durante il raffreddamento si separa 1'« anti» -diazotato in belle scagliette auree. Dopo alcune ore di riposo si filtra alla pompa il sale e lo si lava con soluzione satura di NaCl. Esso dopo essere stato essiccato su porcellana porosa è conservabile indefinitamente e può essere liberato da NaCl ancora aderente sciogliendolo in alcool al 60%; segue lenta evaporazione spontanea della soluzione filtrata dal NaCl. Resa: g 18 buoni. La soluzione acquosa di questo sale diazoico non copula col sale sodico del (3-naftolo o con soluzione di sale R (2) ; il lettore è invitato ad accertarsene sperimentalmente. Ma se la soluzione diluita viene acidificata e filtrata da fiocchi insolubili, si può ripetere il tentativo di copulazione : si forma un azocolorante. L a reazione del « syn »-diazotato, che in un primo t e m p o si forma, col naftolo avviene con maggiore rapidità che non la trasposizione nella forma «anti».

Esercizio N. 4. - Para-tolunitrile dalla p-toluidina (Reazione di Sandmeyer) (3). In un pallone da 2 litri si sciolgono g 50 di CuS0 4 . 5H a O in cm 3 200 d'acqua, riscaldando a b. m. Continuando a riscaldare s'aggiunge lentamente una soluzione di g 55 di KCN in cm 3 100 d'acqua. Siccome in tale occasione si svolge del cianogeno, questa reazione va eseguita sotto la cappa. Mentre si continua a riscaldare blandamente la soluzione di cianuro di rame sul bagnomaria, arrivando ora a circa 60-70°, ci si (*) S C H R A U B E e S C H M I D ! , B . 2 7 , 5 1 8 ( 1 8 9 4 ) . (2) P e r l ' a c i d o R v . a p a g . 3 0 9 . (a) B . 1 7 , 2 6 5 0 ( 1 8 8 4 ) ; 1 8 , 1 4 9 0 ( 1 8 8 5 ) ; 3 2 , 2 1 7 8

(1889).

298

Gap.

VII:

Dia-zocomposti

aromatici

prepara a parte una soluzione di cloruro di p-toluil-diazonio a questo modo : g 20 di paratoluidina si scaldano colla miscela di g 50 di HC1 conc. con cm 3 150 di H 2 0, fino a dissoluzione, dopo di che la soluzione s'immerge in acqua ghiacciata e il liquido si rimescola energicamente con una bacchetta di vetro affinchè il cloruro di p-toluidina si separi possibilmente in uno stato microcristallino. All'ammina così salificata, sempre raffreddata con ghiaccio, s'aggiunge la soluzione di g 16 di NaNO a in cm 3 80 di H 2 0, fintantoché non si abbia una reazione durevole dell'acido nitroso colla cartina amido-iodurata. Il cloruro di diazonio così ottenuto si fa passare da un matraccio ove si trova, nel corso di 10 min. circa, nella soluzione calda di cianuro di rame, dibattendo spesso quest'ultima. Dopo avere aggiunto tutta la soluzione, il pallone si chiude con tappo forato portante un lungo tubo verticale d'espansione e la miscela reagente si scalda per un altro quarto d'ora circa sul b. m. ; indi si distilla in corrente di vapore il tolunitrile, il che si deve fare sotto cappa a buon tiraggio, dato lo sviluppo di HCN. Il nitrile passa come olio giallognolo; s'estrae con etere e la soluzione eterea si dibatte due volte con NaOH 2N per allontanare il p-cresolo formatosi insieme al tolunitrile, si evapora l'etere e s'elimina l'azotoluene, causa della colorazione gialla del preparato, dibattendo il residuo ancora caldo dall'evaporazione colla soluzione di g 4 di SnCl2 in cm3 10 di HC1 conc. (x). Indi si diluisce con acqua, si filtra alla pompa il tolunitrile che ben tosto si solidifica e s'essicca su piatto di porcellana porosa. Se il preparato in parte rimane allo stato oleoso si riprende con etere, si dibatte ancora una volta con alcali la soluzione eterea per eliminare il SnCl2 residuo, la si essicca e si distilla il nitrile. P. eb. 218°, p. fus. 38°. Resa g 12-14. Benzonitrile. Nello stesso modo dianzi descritto la soluzione di cloruro di diazonio si può trasformare partendo da g 18,6 d'anilina in benzonitrile, con una resa all'incirca corrispondente. Liquido, bolle a 1860. Acido p-toluilico. Coloro fra i lettori che non avessero ancora eseguito la saponificazione d'un nitrile ad acido corrispondente (cianuro di benzile —*• ac. fenilacetico), giunti a questo punto avranno agio d'imparare ora questa reazione. i 1 ) Secondo H e \ l e , Organisch-chemisches 3 ed., pag. 149.

Praktikum

(Guida per la chimica organica),

Ac.

p-toluilico.

Reazione

di

Sandmeyer

299

G 5,5 di tolunitrile s'introducono a piccole porzioni nella miscela di c m 3 20 di H 2 S0 4 conc. con cm 3 10 di H^O, la quale si t r o v a in u n palloncino, e il t u t t o si f a bollire per un'ora a b a g n o di sabbia o sulla reticella usando un refrigerante a ricadere. D o p o il raffreddamento si diluisce con a c q u a e si filtra alla p o m p a l'acido separatosi allo stato cristallino; se all'acido fosse ancora mescolata dell'ammide, il prodotto di saponificazione grezzo si scioglie in alcali diluito, si filtra e il filtrato s'acidifica con HC1 precipitando l'acido p-toluilico. S'arriva a d un prodotto più puro se la saponificazione si f a compiere durante 5 ore a 150° (a bagno d'olio). Per purificare la sostanza si scioglie senza essiccazione p r e v e n t i v a nella minor quantità possibile di alcool bollente, s'aggiunge da una spruzzetta appena t a n t a acqua da evitare giusto l'intorbidamento e si bolle per qualche altro minuto ancora in presenza di poco carbone animale, che però non si d e v e aggiungere alla soluzione già bollente, bensì prima. L ' a c i d o che cristallizza al raffreddamento della soluzione filtrata dal carbone fonde a 177 0 . Resa g 4. Il miglior procedimento da laboratorio per arrivare dall'acido paratoluilico ali 'acido terejtalico è quello d'ossidarne il sale sodico sciolto in acqua, mediante KMn0 4 alla temperatura del bagnomaria. Allo stesso modo si può trasformare il toluene C9H6CH3 in acido benzoico C„H6COOH ; ed un esempio importante, perchè applicato nell'industria, per la stessa reazione l'abbiamo nell'ossidazione dell'o-toluilsolfammide a saccarina:

Delle catene laterali più lunghe vengono degradate fino all'acido il cui carbossile è attaccato al nucleo aromatico. La degradazione biologica degli acidi grassi sostituiti in posizione co con un radicale arilico procede secondo il principio dell'ossidazione in posizione [3 (F. KNOOP). La reazione di Sandmeyer. La facile formazione dell'iodobenzene più sopra preparato è da attribuirsi alla decomposizione spontanea dell'ioduro di diazonio in iodobenzene ed azoto: C f l H-—N= X I

>

C8H5I + N2 .

Il bromuro ed il cloruro però non permettono che in piccola misura la migrazione dell'atomo d'alogeno al posto lasciato libero dall'azoto eliminatosi : nella decomposizione dei bromuri e cloruri di diazonio prevale la formazione di fenolo.

Cap.

VII:

Diazocnuiposti

aromatici

O r a U SANDMEYER n e l 1884 h a f a t t o l ' i m p o r t a n t e o s s e r v a z i o n e che i n p r e s e n z a d e i c o r r i s p o n d e n t i sali rameosi a n c h e l ' a t o m o d i CI o B r v i e n e fissato a l n u c l e o . È t u t t o r a i g n o t o s u c h e c o s a si b a s i q u e s t ' e f f e t t o c a t a l i t i c o . F o r s e si f o r m a u n s a l e d o p p i o o f o r s ' a n c h e u n sale c o m p l e s s o nel q u a l e l ' a l o g e n o è fissato p i ù s o l i d a m e n t e c h e n o n n e l l ' a l o g e n u r o s e m p l i c e . S e c o n d o il GATIERMANN i l s a l e r a m e o s o (Cu É ) si p u ò s o s t i t u i r e a n c h e c o n p o l v e r e d i r a m e ; il r a m e a c c e l e r a i n g e n e r a l e l a d e c o m p o s i z i o n e dei d i a z o c o m p o s t i i n s t a b i l i n o n c h é l a s e p a r a z i o n e di N 2 a l l o s t a t o e l e m e n t a r e . L a sostituzione del gruppo amminico mediante alogeno ha una grande i m p o r t a n z a . N o n esiste a l t r a v i a p e r p r e p a r a r e d e g l i i o d o d e r i v a t i a r o m a t i c i L ' i n t r o d u z i o n e di CI e B r è i m p o r t a n t e p e l m o t i v o c h e d a l l ' a m m i n a s ' o t tengono dei derivati alogenici di composizione unitaria, ciò che n o t o r i a m e n t e n o n s e m p r e riesce p o s s i b i l e per c l o r u r a z i o n e o b r o m u r a z i o n e d i r e t t a d e l c o m p o s t o f o n d a m e n t a l e . C o s ì a d es. b r o m u r a n d o il t o l u e n e n e l n u c l e o si f o r m a n o c o n t e m p o r a n e a m e n t e l ' o r t o - e il p a r a - b r o m o t o l u e n e c h e s o n o difficili a s e p a r a r s i c o m p l e t a m e n t e . I n v e c e c o l l ' a u s i l i o della r e a z i o n e di SANDMEYER le d u e toluidine orto e p a r a danno esclusivamente i due rispettivi m o n o b r o m o t o l u e n i o r t o e p a r a ; il m - b r o m o t o l u e n e è o t t e n i b i l e solo p a r t e n d o d a l l a m e t a t o l u i d i n a . L a s i n t e s i d e i nitrili aromatici s e c o n d o SANDMEYER è u n p r o c e d i m e n t o a s s a i p i ù e l e g a n t e c h e n o n q u e l l o c h e p a r t e d a i sali a m m o l l i c i d e g l i a c i d i c a r b o s s i l i c i , m e t o d o g e n e r a l e a p p l i c a b i l e a n c h e ai d e r i v a t i d e l b e n z e n e . E s o p r a t u t t o q u i a b b i a m o l a p o s s i b i l i t à d i s i n t e t i z z a r e gli a c i d i c a r b o s s i l i c i p a s s a n d o p e r i nitrili ed a b b i a m o perciò u n sostituto p e r f e t t a m e n t e equipollente della s i n t e s i d i KOI.BE ( a l o g e n u r o a l c h i l i c o e K C N ) la q u a l e n o n riesce n e l c a s o d e g l i a l o g e n o d e r i v a t i d e l l a serie a r o m a t i c a . C o m e e s e m p i o p i ù s e m p l i c e p o s s i a m o t r a s f o r m a r e l ' a n i l i n a in a c i d o b e n z o i c o . L a r e a z i o n e i n v e r s a riesce ric o r r e n d o a l l a d e g r a d a z i o n e di HOFMANN: b e n z a m m i d e — > a n i l i n a , v . p a g . 1 6 4 .

Esercizio N. 5. - Acido arsanilico dalla p-nitranilina (x). Acido paranitrofenil-arsinico. G 13,8 di para-nitranilina si diazotano come descritto a proposito della preparazione del diazotato « anti » (pag. 297). Si diluisce con acqua e ghiaccio tritato sino al volume di 1 litro, l'acidità libera si riduce mediante aggiunta di NaOH 4N fino a un punto tale che la carta al rosso Congo giusto non viri più ad azzurro e la soluzione di sale di diazonio si fa arrivare con un getto sottile in una soluzione di Na 2 HAs0 3 al 5 % (800 cm3) (2) che si prepara in precedenza e si dispone in un bicchierone senza beccuccio. Si rimescola con una bacchetta di vetro: la reazione decorre quasi istantaneamente, con tumultuoso sviluppo di N2. Ora in una capsula di porcellana si concentra a circa 400 cm3, e si aci(») H. BART, A. 429, 05 (1922). (2) La soluzione d'arsenito si prepara sciogliendo g 23,5 di As 2 0 3 polverulenta in cm 3 240 di NaOH 2N, che si deve titolare in precedenza. Si porta con acqua a 800 cm 3 .

Acido

ar sanili co

difica la soluzione scura mediante HC1, con che precipitano dei sottoprodotti debolmente acidi, di natura resinosa. Quando la precipitazione è terminata si filtra la soluzione ora diventata più chiara attraverso un filtro a pieghe ; la soluzione adesso acida al rosso Congo si concentra fino a che s'inizia la separazione di cristalli. All'atto del raffreddamento cristallizzano g 8-10 circa d'acido p-nitrofenilarsinico in aghi debolmente colorati in giallo. Se la soluzione dopo la filtrazione risultasse ancora molto colorata la si fa ribollire con carbone animale prima di passare alla concentrazione. Il preparato puro deve essere facilmente solubile a freddo in carbonato sodico ; in caso contrario esso contiene frammischiata dell'As 2 0 3 , che se ne può separare a questo modo stesso. Riduzione. G 10 di polvere di ferro (« ferrum reductum » della farmacopea), g 100 d'acqua e cm 3 2 di HC1 conc. si pongono in un matraccio da cm 3 250 il quale è sormontato da un apparecchio di estrazione (fig. 28, pag. 41). Nel ditale si pongono g 6,5 d'acido nitrofenil-arsinico. Il contenuto del pallone si scalda sino a bollire, in modo che circa ogni due secondi cada giù. una goccia (tinta in giallo) della soluzione. I/estrazione dovrà essere compiuta entro mezz'ora circa. Indi si continua a bollire per 1/4 d'ora ancora, s'aggiungono cm 3 25 di N a O H 5N, si bolle per altri 5 minuti e infine si filtra su imbuto di Buchner dalla parte principale della fanghiglia ferrosa. L a detta fanghiglia si bolle altre due volte ancora con cm 3 100 di N a O H calda diluita (circa 5N) per volta. I filtrati riuniti si concentrano a cm 3 75, si trattano con HC1 conc. fino a reazione appena acida al rosso Congo e l'acidità minerale in eccesso si diminuisce mediante soluzione di acetato sodico. Dopo riposo prolungato l'acido arsanilico si separa e si può ricristallizzare da cm 3 40-50 d'acqua bollente, occorrendo s'aggiunge un po' di carbone animale. Resa g 3-4. Saggio. L a presenza del gruppo amminico primario N H 2 si dimostra sciogliendo una piccola parte dell'acido in poca N a O H ; s'aggiunge all'incirca un equivalente di N a N 0 2 e raffreddando con ghiaccio in seno alla soluzione s'acidifica con HC1. In soluzione alcalina di ^-naftolo la soluzione del sale diazoico provoca la colorazione rossa dell'azocolorante corrispondente. Il lettore ne determini la forinola di struttura. L'introduzione del gruppo dell'acido arsinico nel nucleo aromatico ha grande importanza in considerazione dell'uso terapeutico dei derivati arse-

Cap.

302

VII:

Diazocompostì

aromatici

nicali nella lotta contro le malattie infettive (atoxil = arsanilato sodico, salvarsan). La prima sintesi dell'acido arsanilico partì dall'anilina e acido arsenico, che vennero fusi assieme con rendimento assai cattivo : H

2

N/ \

\ /

+

HO—As^OH \OH

> H..N—/ " \

\—As/OH + / \OH

H,0 .

Il lettore confronti questo procedimento con quello della solfonazione e della nitrazione e badi anzitutto alla differenza tra il comportamento dell'As e quello dell'N (da un lato c'è il gruppo N 0 2 di carattere neutro, dall'altro l'idrato corrispondente, l'acido arsinico bibasico). I,a riduzione dei nitro- ad azoderivati trova riscontro nella riduzione degli acidi aril-arsinici ad arsenobenzoli: 2 CcH5—As^OH

"

i aH

>

^

A s = A s — ^

+ 6 H.O

Per arrivare al salvarsan si diazota l'acido arsanilico, il diazocomposto si idrolizza a caldo e s'arriva al p-ossiderivato, questo si nitra ed il gruppo nitrico entrato nel nucleo si riduce a gruppo amminico; per riduzione ulteriore s'ottiene (nel senso della reazione su descritta) il corrispondente diarseno derivato, appunto il salvarsan. Il lettore esprima mediante equazioni chimiche tutti questi passaggi. L a fissazione del gruppo arsinico al nucleo benzenico, la quale avviene in modo affatto generale nei diazocomposti secondo la reazione del BART sopra esposta, ha probabilmente come stadio intermedio un composto di struttura analoga a quella del diazosolfonato (v. pag. 304, nota in calce) il quale però non si traspone con tanta rapidità come fa quest'ultimo, nella forma « anti », bensì si decompone con svolgimento di N 2 : C 6 H 5 — N = N 4- N a A s f - O N a I \OH CI ->

C„H 5 —N=NAs-( / -ONa + NaCl \OH

/° C 6 H S —Asf-ONa + Nz . \OH

Esercizio N. 6. - Fenilidrazina (1). G 47 d'anilina (}/2 gr mol) si sciolgono nella miscela di cm3 100 di HC1 conc. e altrettanto d'acqua e si diazota, come già descritto più volte, colla soluzione di g 38 di NaN0 2 in cm3 100 d'acqua, badando a refrigerare bene. In precedenza s'è preparata una soluzione L1) E . FISCHER, A . 190, 78 (1877).

Fenilidrazina

acquosa possibilmente satura di Na 2 S0 3 (g 158 = i1/^ di gr. mol) oppure Na 2 S0 3 . 7H a O (g 315) il cui tenore corrisponde a quello della quantità di HC1 adoperato; la quantità indicata rappresenta un eccesso del 25 % rispetto al fabbisogno stechiometrico. Si procede nel modo più economico neutralizzando la soluzione tecnica di bisolfito, il cui titolo deve essere determinato in precedenza per via volumetrica, colla quantità occorrente di alcali. Avendo della buona soluzione commerciale di bisolfito al 4 0 % se ne prendono g 325, che si neutralizzano con g 110 di NaOH al 50%. T,a riuscita della preparazione dipende dalla giusta titolazione della soluzione di solfito. L,a soluzione del cloruro di diazonio preparata di fresco si versa rapidamente nella soluzione fredda di solfito che si trova in un pallone da 2 litri. Si forma una soluzione di color arancione che non deve intorbidarsi all'ebollizione» del che ci si deve accertare eseguendo un saggio in provetta. In caso positivo si deve aggiungere dell'altro solfito. Ora rimescolando ed agitando il recipiente s'aggiungono a mano a mano cm 3 100 di HC1 conc. con che la tinta della soluzione passa a giallo. Indi si scalda a bagnomaria, s'aggiungono alcuni cm 3 di CH,COOH glaciale e si chiarifica il colore della soluzione per aggiunta d'un poco di polvere di zinco. Il liquido filtrato mentre è ancora bollente si tratta subito con cm 3 300 di HC1 conc. e si lascia raffreddare lentamente. ha, poltiglia cristallina costituita dal cloridrato di fenilidrazonio si filtra alla pompa, si spreme il più accuratamente possibile, si lava con HC1 dil. (1 : 3) e tosto si decompone, sotto etere, con cm 3 150 di NaOH 4N in un imbuto separatore. S'estrae 2 volte con etere, si secca la soluzione eterea della base con K 2 C0 3 calcinato ed infine si distilla la fenilidrazina a pressione ridotta ricorrendo all'allunga di ANSCHUTZ-THIELE (fig- 18, pag. 27). P. eboll. a 12 mm Hg: 120°. Resa circa g 30. Tuffando il recipiente contenente la fenilidrazina distillata in acqua fredda, la sostanza deve solidificarsi completamente in poco tempo e sciogliersi in CH3COOH diluito senza intorbidamenti. P. fus. 230. I,a distillazione alla pressione atmosferica è sempre accompagnata da prodotti di decomposizione (N 2) NH 3 ,C 6 H 5 . NH 2 e C6H6) e perciò non fornisce della fenilidrazina pura. È meno elegante il processo di V. MEYER, secondo il quale i cloruri di diazonio sono ridotti ad aril-idrazine in soluzione di SnCl2 fortemente acida per HC1. Si badi alla differenza del meccanismo d'azione del sale stannoso in soluzione acida e alcalina.

Cap.

VII:

Diazocomposti

aromatici

IL metodo classico di E . FISCHER che è stato tratteggiato qui sopra, passa attraverso il fenil-anii-diazosolfonato sodico (') già preparato da STRECKER e RÖMER che spesso si manifesta all'inizio della reazione in bei cristalli gialloarancione : C„H5—N=N

I CI

+ Xa 2 SO,

>

C,H5—N

|; + NaCl . N—S03Na

L'acido solforoso che si svolge all'atto dell'aggiunta dell'HCl nella seconda fase della reazione, idrogena il doppio legame nel gruppo diazo, probabilmente pel tramite d'un prodotto d'addizione (A), in cui un gruppo S 0 3 H sarebbe facilmente staccato per idrolisi e si formerebbe del fenil-idrazin-solfonato di sodio: (A)

CCH5—N—NHSO,Na

|

SO,H

H O

>

C 6 H 5 —NH—NH—SOjNa

H,S04 .

L'idrogenazione viene completata dall'idrogeno sviluppato per mezzo della polvere di zinco aggiunta. Infine l'altro gruppo solfonico che è legato più fortemente alla molecola, ne viene staccato a caldo allo stato di H 2 SO, per effetto dell'acido cloridrico concentrato. Questo metodo serve per la preparazione della fenilidrazina in grande. Essa costituisce un prodotto scientifico indispensabile pel riconoscimento delle aldeidi e dei chetoni (con formazione di fenilidrazoni) e per svariate sintesi, anzitutto per la preparazione industriale dell'antipirina e del piramidone. I l lettore cerchi nella letteratura chimica la descrizione del meccanismo di queste sintesi. I sali della fenilidrazina sono uniacidi.

Saggio. Una miscela di gocce 5 di fenilidrazina e cm3 5 d'acqua si tratta con gocce 3 di CH3COOH glaciale. Indi s'aggiungono gocce 2 di benzaldeide (sospese ad una bacchetta di vetro) e si dibatte la provetta. Insorge prima un intorbidamento lattiginoso; molto presto si lia però un precipitato fioccoso di benziliden-fenilidrazone. A questo modo si possono riconoscere anche tracce minime d'aldeide benzoica. L a fenilidrazina è stata d'un'importanza eccezionale nella chimica dei mono- e polisaccaridi per la separazione, riconoscimento e trasformazione delle diverse specie di zuccheri. Senza l'ausilio di questo reattivo difficilmente si sarebbero potuti avere quei fondamentali chiarimenti in questo campo. Se si fanno reagire ima molecola di zucchero qualunque e una molecola di feni(L) Il solfito di diazonio che probabilmente si forma per il primo si traspone spontaneamente nella forma di « diazotato » ; lo stesso ha luogo per gli arseniti (pag. 302} e pei cianuri : C„H6—N=N

C 6 H 5 —N

SO a Na ~ ~ N — S O a N a solfito di diazonio anii-diazosolionato

C„H5—N=N CN

C a H 5 —N = N C N ~

>

Fenilidrazina

(saggi)

lidrazina, si forma un idrazone normale,

ad es. :

CH.OH—(CHOH)4—CHO + CeH5—NH—NH2 glucosio



>

>

CH2OH—(CHOH)4—CH + H20 . I! N—NH—C6H5

Ma se la fenilidrazina s'applica in eccesso, questa ha un effetto ossidante, cioè di sottrazione di H , sullo zucchero. Nell'esempio sopra riportato si deidrogena il gruppo alcoolico secondario C H O H attiguo al gruppo aldeidico, così da farne un gruppo chetonico, il quale ultimo reagisce a sua volta coll'idrazina. Delle sostanze che così s'originano, e che sono i cosiddetti osazoni, s'è già parlato a pag. 2 3 2 . Nell'esempio di cui sopra s'ottiene: CH2OH—(CHOH)3—C—CH=N—NH—C„HS ¡1 N—NH—C6H5

.

Gli osazoni scaldati con HC1 separano della fenilidrazina come tutti gli idrazoni. Naturalmente non si riottiene, nella stessa operazione, lo zucchero adoperato inizialmente, bensì un prodotto dell'ossidazione di esso, un cosiddetto osone; nell'esempio prescelto: C H 2 O H — (CHOH) 3 —CO—CHO . Se questo prodotto si sottopone alla riduzione, non sarà il gruppo CO ad essere idrogenato, nè quindi si riformerà lo zucchero inizialmente adoperato, bensì s'ottiene: C H 2 O H — ( C H O H ) 3 —CO—CH 2 OH . Cioè l'aldosio « glucosio » è stato trasformato in un chetosio, il «fruttosio».

Saggio. G 2 di fenilidrazina si sciolgono in cm3 1,5 di acido acetico glac. + cm3 1 5 di H 2 0 e a parte g 1 di d-glucosio in cm3 5 d'acqua, si mescolano le due soluzioni ed il tutto si scalda a b. m. ad 8o°. Dopo circa 20"minuti l'osazone comincia a separarsi in fini aghettini gialli. Quando la reazione ha durato per un'ora, il precipitato si lava con acqua ed i cristalli si lasciano raffreddare all'aria. Punto di fusione 205°. La fenilidrazina può cedere, ma in determinate circostanze anche assorbire l'idrogeno; essa quindi può avere un'azione tanto riducente quanto ossidante. Nel primo caso, passando attraverso la fenil-diimina già menzionata, si formano C,H 6 e N 2 (azione di CuS0 4 , FeCl3, soluzione di FEHIJNG, nitrato d'argento ammoniacale) ; in soluzione acida si può riformare il sale di diazonio per ossidazione cauta.

Saggio. Benzene dalla fenilidrazina. I n un comune pallone

per distillazione collegato ad un refrigerante discendente si fa bollire 20 - GATTERMANX.

306

Cap.

VII:

Diazocomposti

aromatici

la soluzione di g 25 di CuS0 4 . 5H 2 0 in cm 3 75 d'acqua ; vi si fa entrare lentamente la soluzione di g 5 di fenilidrazina, sciolta in cm 3 5 di CH 3 COOH glac. + 10 d'acqua. Si ha un violento sviluppo d'azoto. Il benzene che si forma comincia ben presto a distillare col vapor d'acqua; si raccoglie e si purifica come descritto a pag. 292. Resa g 2-3. Nel surriscaldamento la fenilidrazina si decompone in modo analogo all'idrazobenzene, in quanto che una molecola idrogena un'altra: 2 C 6 Hj—NH—XH 2

C b H 5 - X H , 4- NH, + (C 6 H 5 —N=NH) —>- C6Hc + N2 .

Come nel caso dell'azobenzene, i metalli della famiglia del platino finemente suddivisi, hanno un'azione catalitica accelerante.

S'esamini il comportamento della fenilidrazina verso la soluzione di FEHLING e di AgN0 3 ammoniacale. Nella soluzione acquosa di fenilidrazina si può far gocciolare della soluzione di NaN0 2 : si forma allora la a-nitroso-fenilidrazina, gialla e velenosa, che si può trasformare in azoturo di fenile per eliminazione di H 2 0 : C.H-X-XH, |^

— H,0

>- C 6 H 5 —N—

N

Per ulteriori notizie riguardanti gli azoturi v. pag. 296.

Saggio: sintesi indenica secondo E. Fischer. G 2 di fenilidrazina si mescolano con cm 3 2 d'acetone in una provetta. Si ha intorbidamento e separazione d'acqua. La provetta si sospende per 45 minuti nel bagnomaria bollente, poi vi si aggiungono g 6 di ZnCl2 secco e la miscela si scalda per alcuni minuti in un bagno d'olio scaldato a 1800. La massa fusa scura si trasporta allora, servendosi di circa il quadruplo in quantità di HC1 dil., in un palloncino dal quale l'a-metilindene si distilla in corrente di vapore. L'olio che ben presto si rapprende, dopo essiccazione si ricristallizza da poco etere di petrolio. P. fus. 590. Reazione della scheggia di legno d'abete. Nei vapori ottenuti per ebollizione con acqua d'un campioncino di sostanza s'immerge un pezzetto di legno d'abete imbevuto di HC1 conc. Si ha intensa colorazione rossa. Questa bella e sorprendente sintesi di derivati dell'indene che trova applicazione generale è stata chiarita nei suoi particolari solo poco tempo fa

.-f zocolora.nl i : ci iantina (R. ROBINSON). È da supporre che i cheto-fenilidrazoni passino ad una forma tautomera di tipo « idrazo » ed in un secondo tempo subiscano una specie di trasposizione benzidinica, la quale può avere luogo, similmente a quest'ultima, in certi casi già in soluzione acquoso-acidulata diluita, come nel caso del fenilidrazone dell'acido pirouvico: ,,XH - X = C - CH,

I

-NH,

CH3

NH,

Da questa diammina ipotetica, riportata qui per ultima, si stacca delL'NH, secondo uno schema già noto (formazione della pirrolidina dall'i,4diamminobutano) e si chiude l'anello indenico.

Esercizio N. 7. - Preparazione di azocoloranti. a) Eliantina (metilarancio). G 20 d'acido solfanilico si sciolgono in cm3 50 di NaOH 2N; la soluzione si tratta con g 8 di NaNOa sciolti in cm3 100 d'acqua. Raffreddando con ghiaccio la soluzione si versa in cm 3 50 d'HCl 2N. In precedenza s'è sciolto della dimetilanilina (g 12) in HC1 N/i (cm3 100); adesso la soluzione più sopra preparata di diazobenzensolfonato sodico si unisce con quella del cloridrato della dimetilanilina. Se ora s'aggiunge dell'idrato sodico fino a nettissima reazione alcalina, ben tosto si separa il sale sodico del colorante in belle scagliette cristalline di colore bruno-arancione. Dopo parecchie ore di riposo si filtra alla pompa e il preparato che è già piuttosto puro si può ricristallizzare da poca acqua. La resa è quasi quantitativa. Si possono anche sospendere g 20 d'acido solfanilico in cm3 xoo d'acqua e portare in soluzione con g 12 di dimetilanilina e aggiungere a questo punto lentamente la soluzione del nitrito, sempre raffreddando con ghiaccio. A questo modo si separa direttamente il sale sodico dell'eliantina. Tanto per cambiare si può copulare anche dell'acido antranilico diazotato con della dimetilanilina, ottenendo il «rosso di metile ». L'azocolorante che così s'ottiene è il « metilarancio » od « arancio di metile », indicatore molto usato nella titolazione volumetrica degli alcali (alcalimetria). La soluzione diluita gialla dell'eliantina è colorata in rosso dagli acidi.

308

Cap.

VII:

Diazocomposii

aromatici

La copulazione avviene secondo l'equazione:

/ HC1 ho 3 S p-ossiazobenzene L a copulazione dell'anilina l'abbiamo già vista più sopra quando ricercavamo dell'ammina libera nella soluzione di sale di diazonio; dopo aggiunta d'acetato sodico la sua presenza si svelava per la precipitazione del diazoamminobenzene insolubile. Non si può dire con certezza se in questo caso sia lo stesso sale di diazonio a copulare oppure, ciò che è più probabile, nella soluzione debolmente acida abbia luogo una parziale idrolisi cori formazione d'idrato di diazonio ed acido; nelle nostre considerazioni prenderemo come base questa seconda spiegazione. L a dimetilanilina si combina esattamente allo stesso modo del fenolo, come abbiamo, potuto osservare nella preparazione dell'eliantina; si forma del p-dimeiilamminoazobenzene. Gli azocoloranti derivati dai fenoli si chiamano «acidi»; quelli derivati dalle ammine « basici ». Ma siccome l'industria usa si può dire esclusivamente degli acidi solfonici come materie prime di partenza, tanto nella componente

Reazione di

copulazione

3i3

diazoica (ammina diazotata) quanto in quella azoica (fenolo od ammina copulati), questa distinzione è priva di consistenza reale. L a maggioranza assoluta degli azocoloranti f a parte praticamente dei coloranti acidi. Il gruppo solfonico ha lo scopo di rendere solubili i coloranti nel bagno di tintura. I coloranti azoici industrialmente più importanti derivano dalla naftalina e difficilmente si troverà un altro campo della chimica organica così meticolosamente studiato, come quello dei prodotti intermedi che qui rientrano. Il totale delle combinazioni possibili arriva all'infinito e noi dobbiamo rimandare ad opere speciali. F r a queste menzioneremo in modo particolare: F . MAYER. Chemie der organischen Farbstoffe (chimica dei coloranti organici), Berlino 1924; MOEHI, AU- B UCHERER, F arbenchemisches Praktikum, Berlino 1926; FrGRZDAVTD, Farbenchemie, Berlino 1924; RISTENPART, Chemische Technologìe der organischen Farbstoffe, Lipsia 1925. II problema del meccanismo della reazione di copulazione è stato sviscerato profondamente. A n z i t u t t o osserveremo (e qui riassumiamo cose già dette) che la reazione non si limita alla serie aromatica. D i f a t t i i diazocomposti possono condensarsi anche con enoli e coi nitroderivati acidi della serie alifatica, molto affini a questi. Però come prodotti finali non ritroviamo gli azocomposti, bensì i loro isomeri, gli idrazoni, che ne provengono per trasposizione:

CH 3

CH 3

I

C.H,

1

C—OH

C—OH | || 4 HON—-N

+ H..O

P

R O O C — C - N - N-C.H,

ROOC-CH

etere acetil-acetico

CH 3 i

.

CO I

ROOC—C=N—NH • C 6 H , a-fenilidrazone dcll'a, 6-dicheto-butirrato d'alcliile

CIL, li

"

0 = NT—OH

CH — N - N

HON - N +

I

C6H5

nitrometano forma « acida »

O - N —OH C . H ,

4- H a O

HC = N—NH • C 6 H 5 —•

I

NO2

fenilidrazone della nitroformaldeide

Anzi v i sono addirittura degli idrocarburi non saturi a due doppi legami, come il butadiene, che si possono copulare con diazocomposti appropriati. Infine non solo i fenoli, bensì anche gli eteri fenolici (es. anisolo) sono suscettibili d'essere copulati ( K . H . MEYER) ( 1 ). 1. L a teoria più semplice d o v u t a a K . H . MEYER, attribuisce la capacità di copulazione all'attività del doppio legame che assorbe p e r addiCI A. 398, 66 (1913); B. 47, 1741 (1914).

Cap.

3i4

VII : Diazocomposti

aromatici

zione l'idrato di diazonio. Perdendo dell'acqua si forma l'azoderivato, risp. il fenilidrazone : c . h

5

O H

I

C — O H

I

N

Hit

+

c=o I

O H

H C — N

=

N - C

e

H ,

C =

N — N H . C b H - ,

H O — N

Nella reazione di copulazione in posizione para si deve supporre analogamente l'addizione in posizione 1,4. 2 . 1 nitrofenoli in certe condizioni danno come primi prodotti della reazione degli eteri diazo-jenolici (diazo-ossi-composti) che poi si traspongono con facilità negli ossi-azocomposti isomeri, allo stesso modo come il diazoamminobenzene s'isomerizza in p-amminoazobenzene ( D i m r o t h ) ( ' ) : .

\

\

O-

> N O ,

"V

3. L'oggetto della copulazione s'addiziona o con un atomo di H mobile (caso « a ») o col suo doppio legame (caso « b ») a quello dell'idrato di diazonio : \ O H

b)

C H

= C H — C H

2

c„h

r C H

2

5

= C H

C

C H ,

8

H

5



=

= C H — C H — C H ,

I

.n=NOH

= C H — C H

L

2

C , H

C H

—H,0

5

• N

C H , = C H — C H

1

I " i N O T I

=

C H

N - N H

O H

Il modo di reagire dell'idrato di diazobenzene somiglia straordinariamente a quello dell'acido nitroso-, si può dire che press'a poco tutte le sostanze capaci di copulare reagiscono anche con quest'ultimo. Il confronto delle formole ci mostra che nell'idrato di diazonio il residuo bivalente C 6 H 6 N = sostituisce l'atomo di O dell'acido nitroso. Le considerazioni riportate intorno al decorso della reazione di copulazione si possono ripetere quasi senza limitazione per le reazioni analoghe dell'acido nitroso (v. a questo proposito anche pag. 322). Mentre là è introdotto il radicale fenil-azoico C e H 5 N = N — , qui lo stesso succede col gruppo nitroso (nitrosofenolo, nitroso-dimetilanilina) ; là dove quello s'isomerizza a gruppo fenilidrazonico, per es. nel caso degli enoli, nel caso i1)

B. 40,

24.04,

4460

(1907); 4 1 ,

4012

(1908).

Copulazione.

Citinone

315

dell'acido nitroso si forma l'ossima, per es.:

ROOC—CH = G—CH, I

OH

+ O^NOH

r o o c — c — c o • CH, » ¡1 +H. NOH

etere acetilacetico

etere isonitroso-aeetilacetico

Il diazobenzene e l'acido nitroso stanno perciò fra loro nello stesso rapporto come la fenilidrazina e l'idrossilammina, le quali infatti danno gli stessi prodotti reagendo con composti contenenti gruppi carbonilici CO, come i primi coi corrispondenti derivati metilenici. Si comprende cosi come mai certi chinoni si condensino colla fenilidrazina per dare gli stessi prodotti di condensazione che possono ottenersi anche per copulazione del corrispondente fenolo con idrato di diazobenzene (ZINCKE), per esempio: O

+ H.N NH • C6Hs — O

N—NHC.H,

a - n a f t o chinone

OH HON = N • C6HS

Nel nucleo aromatico per i motivi già spesso esposti (v. ad es. pagg. 118, 189, 206) l'anello parzialmente saturo non è favorito; perciò il prodotto intermedio, riportato fra parentesi, cerca d'assumere l'assetto « benzenoide » col mezzo del passaggio dell'H dall'azoto all'ossigeno.

CAP. Vili. - C O M P O S T I

CHINOIDI.

Esercizio N. 1. - Chinone dall'anilina (1). Ad una soluzione di g 23 d'anilina (1/4 di gr. mol) in cm 3 600 d'acido solforico diluito (cm3 100 di H 2 S0 4 concentrato puro e cm 3 500 d'H 2 0) che si trova in un bicchiere senza beccuccio s'aggiunge lentamente, agitando e raffreddando con ghiaccio (v. fig. 52, pag. 158) la soluzione di g 30 di Na 2 Cr 2 0 7 in cm 3 75 d'acqua ; la temperatura non deve superare io 0 . Il miscuglio reagente si lascia riposare L1) A. 27, 268 (1838); 4 5 , 354 (1842); 315, 125 (1882). B. 19, 1467 (1886); 20, 2283 (1887).

Cap. Vili:

Composti

chinoidi

in luogo fresco per una notte ed al mattino successivo s'aggiungono allo stesso modo g 40 di bicromato in cm 3 120 d'acqua. Dopo un riposo di 6 ore si filtra alla pompa il liquido colorato in bruno-scuro su un imbuto di Büchner grande e si lava con poca acqua. Indi il filtrato si dibatte due volte con mezzo litro d'etere per volta. La soluzione eterea si evapora ben tosto in un pallone a coda che successivamente servirà per la distillazione in corrente di vapore ; l'etere distillato si divide in due porzioni e s'adopera per estrarre ancora 2 volte la soluzione proveniente dall'ossidazione; gli estratti eterei si concentrano un'altra volta (x). Al chinone grezzo che rimane, si aggiunge il residuo rimasto sul filtro nonché il filtro stesso dell'imbuto Büchner e vi si fa arrivare direttamente del vapor di acqua; lo si fa passare così nel collettore dove esso si raccoglie in magnifici cristalli di colore giallo-aureo. Resa g 14-16. Il chinone si essicca prima fra due strati di carta da filtro, poi nell'essiccatore, non evacuato, sopra CaCl2. P. fus. 116 0 . Il chinone essendo troppo volatile, non lo si può lasciare a lungo all'aria aperta (provare con un piccolo saggio). Per la ricristallizzazione si può ricorrere all'alcool o all'etere di petrolio. Il preparato puro e secco si conserva per un tempo abbastanza lungo. Reazioni del chinone. Il para-benzochinone, detto di solito « chinone » senz'altro, è una delle sostanze più interessanti e notevoli di tutta la chimica organica: per colore, odore, volatilità. L a distillazione in corrente di vapore comporta sempre delle perdite non insignificanti per decomposizione. Ossidando direttamente del benzene con perossido d'argento s'ottiene del chinone in piccola quantità. Invece l'azione di corpi ossidanti su gran numero di derivati p-bisostituiti, sbocca al chinone. Così ad es. oltre all'idrochinone reagiscono il p-amminofenolo (saggio a pag. 187) la p-anisidina, anche la p-toluidina e l'acido solfanilico, infine la parafenilendiammina e molti suoi derivati. L a naftalina si può ossidare direttamente all'a-chinone con maggiore facilità che non il benzene; nell'antracene e nel fenantrene questa via è quella seguita per le preparazioni. Sebbene il chinone sia un derivato del diidro-benzene e perciò non sia un composto « aromatico » nel vero senso della parola, pure esso è un favorito prodotto di reazione quando può formarsi per effetto della cessione d'energia da parte d'un corpo ossidante. Le reazioni del chinone si possono essenzialmente ricondurre al diverso modo d'addizionarsi ai doppi legami esistenti nella molecola. L'addizione ha luogo: (*) I/etere ridistillato è tinto in giallo dal chinone trascinato meccanicamente con sè; 10 si può rendere utilizzabile di nuovo per altri scopi, dibattendolo con soda caustica diluita. 11 chinone viene così eliminato come « sale uminico » di colore bruno-scuro.

Chinone

e

idrochinone

317

1. In posizione 1,6 ai due atomi di O : addizione di H con formazione d'idroehinone. L'affinità di questa reazione è talmente elevata che per la riduzione è sufficiente già la soluzione acquosa dell'acido solforoso (cfr. saggio). L a deidrogenazione dell'idrochinone a chinone rappresenta il processo inverso, d'un distacco dell'H in pos. 1,6. 2. In pos. 1,4 all'O ed al C contemporaneamente; si formano derivati dell'idrochinone : OH + HR



u

HR

-R

Questo è lo schema seguito dalla maggioranza delle reazioni, che sono anche le più importanti, dei chinoni, per es. l'addizione di HC1, HCN, ammine varie, tiofenolo, acido tiosolforico, cloruri acidi, anidridi acide, ecc. Ci fermiamo alla reazione con anilina come esempio ed otteniamo, in base a quanto esposto più sopra in forinole, Vanilino-idrochinone (R—HNC„H 5 ). Però la reazione non si ferma qui, bensì fra questo primo prodotto ed il chinone ancora presente ha luogo un giuoco di scambievoli idrogenazioni e deidrogenazioni che è caratteristico per moltissime reazioni del chinone:

La grande affinità del chinone per l'idrogeno f a sì che si formi dell'anilinochinone che allo stesso modo può sommare un'altra molecola d'anilina alla metà finora intatta della molecola. Il dianilinoidrochinone si trasforma in dianilinochinone allo stesso modo come il primo prodotto. Il lettore formuli questa reazione in un'equazione chimica.

Saggio 1. Idrochinone dal chinone. Circa g 2 di chinone si

sospendono in acqua (cm3 50), l'acqua si satura di SOa dibattendo spesso il matraccio. Dopo un po' di riposo la soluzione decolorata s'estrae due volte con etere ; dopo essiccamento con CaCl2 ed evaporazione dell'etere rimane l'idrochinone cristallizzato: lo si ricristallizza da poca acqua. P. fus. 169°. Un saggio scaldato con H 2 S0 4 dil. e alcune gocce di soluzione di K2Cr207 emana odore di chinone.

318

Cap.

Vili:

Composti

chìnoidi

Saggio 2. Ani lino-chinone (1). G 4 di chinone si sciolgono in cm3 400 d'acqua. AHa soluzione raffreddata s'aggiungono g 1,72 di anilina sciolta in cm3 10 d'acido acetico al 20%. Scuotendo di frequente si lascia riposare il liquido per tre ore a freddo, indi si filtra alla pompa la sostanza rosso-bruna cristallina separatasi. Tale sostanza si secca nel vuoto e si priva del derivato mono-anilico, che raffreddando cristallizza in aghettini bruno-aurei, per ebollizione ripetuta e cauta con etere di petrolio (avente il p. eboll. 80-90°). P. fus. del monoanilinochinone : 119°. I,a porzione insolubile è il dianilinochinone.

Saggio 3. G 2 di chinone si scaldano in un pallone con g 6 di cicloesadiene (pag. 121), usando un refrigerante a ricadere fino a tanto che si sono separati dei cristalli (circa 20 ore). La poltiglia cristallina si digerisce con poco alcool, si filtra alla pompa e si lava con alcool. Il prodotto d'addizione si ricristallizza dall'alcool. P. fus. 196°. I n occasione d i q u e s t a reazione si sono addizionate in pos. 1,4 ai d u e d o p p i l e g a m i del chinone, due molecole di cicloesadiene. Il p r o d o t t o dell'addizione h a la s t r u t t u r a d ' u n (bis-endo-etilen)-oltaidro-anirachinone (2) :

CH,

CH,

CH,

CH,

I

o Osservazioni sulla formazione del chinone dall'anilina. I l p r o d o t t o intermedio v e r d e - n e r a s t r o che s ' o s s e r v a nella preparazione del chinone è il c o s i d d e t t o nero d'anilina. G i à d a questo f a t t o p o s s i a m o arguire che n e l p a s s a g g i o dall'anilina al chinone non si t r a t t a d ' u n a p u r a e semplice s o m m i nistrazione d'ossigeno e sottrazione d'azoto, come si p o t r e b b e esprimere nell'equazione più semplice. B e n al contrario il chinone è il p r o d o t t o finale d i t u t t ' u n a c a t e n a d i processi c o m p l i c a t i e si forma, c o m e mostreremo, p e r deidrogenazioni ed idrolisi alternate (WII.I.STAETTKR) ( 3 ). C o n f o r m e m e n t e a t a l i v e d u t e il g r u p p o N H , dell'anilina si ritrova nel p r o d o t t o finale c o m e ammoniaca, del che ci si p u ò convincere facilmente se si libera dall'etere disciolto tuia piccola porzione della soluzione a c q u o s a già e s t r a t t a con etere, e v i s i ricerca nel m o d o n o t o l ' a m m o n i a c a . I n ogni deidrogenazione dell'anilina si f o r m a L1) H . e W . S U I D A , A . -SIC, 1 1 8 ( 1 9 1 S ) . ( 2 ) A L D E R e S T E I N , A . 5 0 1 , 288 (1933). ( 3 ) B . 4 0 , 2665 ( 1 9 0 7 ) ; ' . 2 , 2 1 4 7 ( 1 9 0 9 ) -

Nero

319

d'anilina.

probabilmente in un primo tempo un composto sul tipo dei radicali, assai labile, il cosiddetto « fenilazoto » (BAMBERGER, St. GOI,DSCHMIDT) : C 8 H 5 —NH,

C6H5N= .

Questo composto in mezzo alcalino o neutro si polimerizza ad azobenzene: 2 C6H5N=

>- C 6 H 5 —N=N—C S H S ,

in ambiente acido invece ad un composto chinoide, la fenil-chinondiimmina : NH

N=

la quale è immediatamente polimerizzata ad un. grado più alto di polimerie arrivando alla cosiddetta smeraldina (conformemente al grado II a pag. 329) :

0

_

^

0

= N H

+ H/

/

H

N—{

"> = NH

N^

\V - N H -

N=/

\ = NH.

Secondo la regola generale non solo i fenoli bivalenti, ma anche le diammine in pos. para, purché abbiano ancora un atomo di H attaccato all'azoto, si possono deidrogenare colla massima facilità a chinone, risp. chinond i i m TTI in a ; per cui l'emeraldina nella soluzione ossidante è trasformata istantaneamente nella catena doppiamente chinoide: -N= \=

= NH

Questa polimerizzazione si ripete ancora una volta e la catena che si forma ha 8 nuclei benzenici fra cui tre chinoidi; essa viene deidrogenata come or ora descritto fino ad avere 4 nuclei chinoidi. Il lettore esprima questi passaggi in formule. Il nero d'anilina che così s'ottiene è scisso idroliticamente dagli acidi, come tutti i derivati della chinondiimmina e come pure le i n d a m m i n e alle quali appartiene: NH 2

HN = < indammina più semplice 2H,0 O =

~ \ = O + NH 3 + H 2 N-

-NH.

Questa fase della reazione totale avviene con lentezza ed è questo il motivo per cui la soluzione d'ossidazione deve essere lasciata a sè per alquanto tempo.

3

2 0

Cap.

Vili:

Composti

chinoìdi

Se questo principio della scissione l'applichiamo alla molecola del nero d'anilina troviamo che ne risultano 4 molecole di chinone, 3 molecole di pfenilendiammina, 1 molec. d'anilina ed 1 d'ammoniaca. Siccome vi ha un accesso d'acido cromico, la p-fenilendiammina viene deidrogenata nettamente a chinondiimmina che per idrolisi si separa in chinone ed ammoniaca. La molecola d'anilina rimasta ricomincia il suo ciclo di nuovo. Il nero d'anilina è anche un importante colorante per cotone, stabile, e che si prepara sulla fibra stessa dal cloridrato d'anilina ed un ossidante a temperatura elevata (per « vaporizzazione »). Non è probabile che i due coloranti che conosciamo abbiano la stessa costituzione stante la loro differente resistenza agli acidi; nel nero d'anilina industriale si presume che vi siano degli anelli fenazinici (BUCHERER, GREEN). Accenneremo di sfuggita ad un'ossidazione, dal decorso del tutto diverso, dell'anilina a nitrosobenzene, per mezzo dell'acido di CARO (pag. 190). Altri chinoni. Si rilegga un libro di testo a proposito dell'orto-chinone e dei 3 chinoni della naftalina. La migliore preparazione dell'a- e (3-naftochinone parte dall'i,4- e risp. 1,2-amminonaftolo, i quali ultimi s'ottengono da azoeoloranti dei due naftoli per scissione riducente (v. pag. 309).

Saggio. Determinazione quantitativa del chinone (1). Cm 3 20 dell'acqua madre filtrata dal chinone si t r a t t a n o con cm 3 10 d'una soluzione di K I al 10% e con cm 3 10 di H 2 S 0 4 2N. IyO iodio separato viene titolato subito con soluzione di Na 2 S 2 0 3 N/10. Cm 3 1 di soluz. di tiosolfato = 0,0054 % di chinone. Un metodo più esatto si trova nella memoria di WHXSTAETTER E MAJIMA, B. 43, 1171 (1910).

Saggio. Una piccola q u a n t i t à di chinone si t r a t t i in provetta con cm 3 1 di N a O H diluito. Il composto si scioglie con colore bruno cupo; acidificando la soluzione si separano fiocchi bruni amorfi. Il chinone è assai sensibile verso gli alcali, compresi i carbonati e l'ammoniaca e ne è trasformato, con reazione finora sconosciuta, in un acido bruno che forse è identico all'acido umico naturale delle ligniti (EiAER).

Saggio. Si equilibrano su una bilancina tecnica due foglietti di carta, si pongono su ciascuno g 0,5 circa di chinone e d'idrochinone, si sciolgono entrambi i composti in acqua calda e si mescolano le due soluzioni. Quasi istantaneamente cristallizzano i magnifici aghi verdi del chinidrone, aghi che dopo u n po' di riposo si filtrano alla pompa, e dopo l a v a t u r a con acqua, s'essiccano in u n essiccatore non evacuato fra due pezzi di carta da filtro, su CaCl2. Si facciano (!) A. VALEUR, Comptes r., 12», 552 (1899).

Para-nitroso-dimetil-anilina

321

bollire alcuni cristallini del preparato con dell'acqua in una provetta e si annusi l'odore dei vapori. I chinoni e gl'idrochinoni s'uniscono in via affatto generale sia in soluzione che in bagno fuso per dare i chinidroni di colore piuttosto cupo. A quest'unione curiosa possono partecipare anche componenti di provenienza diversa, cosi ad es. la p-fenilendiammina, anzi addirittura certi eteri dell'idrochinone. Il rapporto molecolare può essere anche diverso da quello 1 : 1. L a stabilità dei chinidroni è limitata in generale allo stato cristallizzato, giacché in soluzione essi sono largamente dissociati nei loro componenti. Essi per ciò stesso non hanno un modo loro proprio di reagire, bensì si comportano come un miscuglio del chinone e del derivato idrogenato dello stesso. Così ad es. il chinidrone più semplice viene trasformato dagli ossidanti in chinone, dai mezzi riducenti invece in idrochinone. Questo comportamento labile dei chinidroni ha condotto alla convinzione che in essi le molecole non siano collegate da valenze normali, bensì da valenze parziali. L a cosa più interessante è il passaggio del colore a toni più cupi, passaggio che è strettamente connesso colla formazione del chinidrone e che s'è voluto spiegare colla presenza contemporanea d'un nùcleo benzenoide ed uno chinoide nella stessa molecola. (Un effetto di batocromia analogo dovuto a diversi gradi d'ossidazione in una stessa molecola si trova nell'azzurro di Prussia).

Esercizio N . 2. - Para-nitroso-dimetilanilina (1).

In un bicchiere da 1 litro si sciolgono g 40 (1/3 di gr. mol) di dimetilanilina in cm ! 250 di HC1 circa 5N (HC1 conc. + acqua 1 : 1 ) . Il bicchiere si circonda di ghiaccio, entro d'esso si pongono pure g 200 di ghiaccio per poi farvi defluire con buona agitazione (preferibilmente meccanica) la soluzione fredda di g 25 di nitrito sodico in cm3 100 d'acqua contenuta in un imbuto a rubinetto (fig. 52, pag. 158). La temperatura non deve salire oltre 50 nè debbono svolgersi dei vapori nitrosi. Dopo un'ora di riposo s'aspira energicamente alla pompa il cloridrato tinto in arancione e si lava per alcune volte con HC1 diluito (circa 2N). Il sale così preparato è sufficientemente puro per la successiva riduzione e per la preparazione della dimetilammina. Alcuni grammi se ne possono ricristallizzare da HC1 dil., senza peraltro riscaldare fino all'ebollizione. Siccome per le successive trasformazioni s'userà di preferenza il preparato umido, si pesa la totalità dello stesso e per calcolare la resa s'essicca una parte aliquota su porcellana porosa, indi in essiccatore a vuoto; o anche a bagnomaria. La resa arriva ad oltre il 90% del teorico. (*) B A E Y E R e C A R O , B . 7 , 8 1 0 , 963 21 - GATTERUANN.

(1874).

322

Cap. Vili: ha. base libera

Composti

chinoidi

s ' o t t i e n e a g i t a n d o il s a l e u m i d o (g 5-10) c o n s o l u -

z i o n e d i s o d a i n i m b u t o s e p a r a t o r e e d e s t r a e n d o c o n e t e r e , fino a c h e t u t t o è a n d a t o i n s o l u z i o n e . T,a s o l u z i o n e c o l o r a t a i n u n m a g n i f i c o v e r d e s m e r a l d o si c o n c e n t r a a n z i t u t t o a b . m . ; p o i l a si l a s c i a e v a p o r a r e a l l ' a r i a i n u n a c a p s u l a p i a t t a . ha. n i t r o s o - d i m e t i l a n i l i n a r e s t a

sotto

f o r m a d i g r a n d i f o g l i e v e r d i c h e f o n d o n o a d 8o° e si p o s s o n o ricris t a l l i z z a r e d a l l ' e t e r e d i p e t r o l i o (p. e b .

60-80°).

Le basi terziarie aromatiche hanno in comune coi fenoli la proprietà di assorbire in posizione para il gruppo nitroso N O sotto l'azione dell'acido nitroso in ambiente acido: reazione questa che come abbiamo visto altrove (pag. 314) è da affiancarsi alla copulazione dei rispettivi composti col diazobenzene. Le ammine secondarie, es. metilanilina, difenilammina, formano pure con rapidità le n i t r o s a m m i n e . Per effetto di HC1 gassoso secco in solventi anidri queste ultime si traspongono nei loro isomeri, le paranitroso-basi :

p-nitr.-so-difenilammina Queste basi, come pure la p-nitrosodimetilanilina esistono solo nella forma monomolecolare verde. I sali della p-nitroso-dimetilanilina sono invece colorati in giallo. Siccome inoltre essi hanno reazione neutra — lo si confermi col sale puro — e giacché d'altronde il cloridrato di dimetilanilina, ha reazione acida rispetto alla carta al tornasole, i sali stessi non possono essersi formati per semplice addizione dell'acido al gruppo terziario dimetilamminico. Si suppone perciò che i sali si formino con contemporanea trasposizione in un sistema chinoide in quanto l'ione H e quello CI si addizionerebbero in pos. 1,7:

0

2

/

'V

V \ = = /

7 /CUg n

\

\CH3



/CH3

> HON=< >=N(-CH3. \ = / \C1

Addizionando dell'ioduro di metile si forma pure un sale chinoide giallo (contenente il gruppo H 3 C O N = ) la cui costituzione si può derivare con qualche probabilità dal fatto che separandone il gruppo basico mediante alcali, non si forma della trimetilammina, bensì della dimetilammina. Dimetilammina

e p-nitroso-fenolo dalla

p-nitroso-dime-

tilanilina. U n p a l l o n e a c o d a d a 1 l i t r o si c o l l e g a c o n u n r e f r i g e r a n t e di L i e b i g c o n n e s s o c o n u n c o l l e t t o r e c h e c o n t i e n e c m 3 60 di H C 1 2 N . I n t a l e p a l l o n e si p o n g o n o a r i s c a l d a r e g 2 5 d i N a O H s c i o l t i i n c m 3 500

Reazione di

Liebermann

323

d'H 2 0 fino a bollire (aggiungere bollitori !) e attraverso il collo superiore chiuso da un tappo s'introduce a piccole porzioni del cloridrato di p-nitroso-dimetilanilina — preferibilmente il prodotto di reazione ancora umido — per l'ammontare di g 18,6. Ogni volta s'attende fino a che la base dapprima separatasi in gocce oleose siasi di nuovo ridisciolta per la maggior parte e si mantiene infine l'ebollizione fino a tanto che il colore non è diventato rosso-bruno. L,a dimetilammina ottenuta nella scissione si raccoglie nell'acido contenuto nel collettore : questo liquido deve avere reazione acida sino alla fine. Lo s'essicca per riscaldamento su una capsulina di porcellana o di vetro e infine si può anche ricristallizzare il sale completamente anidro da pochissimo alcool assoluto. Resa g 5-6. Il nitrosofenolo si separa dalla soluzione acquosa raffreddatasi per acidificazione con H 2 S0 4 dil. e si riprende con etere in un imbuto a rubinetto. I,a soluzione bruno-verdastra si secca brevemente su CaCl2 indi si concentra a b. m. per poi separare allo stato cristallino il composto non facilmente solubile in etere, all'atto del raffreddamento. P. fus. 120-130° (con decomposizione), ha depurazione perfetta del nitrosofenolo è difficile. Il distacco per idrolisi del gruppo —N(CH3)2 dal nucleo benzenico, sotto l'azione del gruppo NO in pos. para, è degno di nota. Questo procedimento s'applica industrialmente per la preparazione di ammine secondarie. (La trimetilammina si prepara scaldando insieme HCHO e NH4C1). Pel p-nitrosofenolo si può prendere in considerazione anche la forinola tautomera chinoide O — ^ — N O H della chinon-monossima, sebbene tutto il suo comportamento chimico sia in perfetto accordo colla struttura fenolica. Come il nitrosobenzene, così anche il nitrosofenolo è (quasi) incoloro allo stato puro e le soluzioni sono verde-oliva ciò che non potremmo aspettarci da una formula chinoide.

Reazione di Liebermann. Un pochino di nitrosofenolo si scioglie in poco fenolo fuso; s'aggiunge H 2 S0 4 conc. e s'ottiene una magnifica colorazione rosso-ciliegia che dopo aver sciolto la massa fusa in acqua per aggiunta d'alcali passa ad azzurro. Il fenolo viene trasformato in nitrosofenolo per parte dell'acido nitroso anche sotto forma di gruppo NO combinato ad altri radicali, perciò la reazione di LIEBERMANN serve a svelare gruppi NO labilmente legati.

324

Cap.

Vili:

Composti

chinoidi

Esercizio N. .3. - P-ammino-dimetilanilina. In u n pallone a collo corto, da cm 3 500 si sciolgono g 100 di SnCl 2 in cm 3 120 di HC1 conc. e rimescolando o dibattendo fortemente s'introducono m a n mano a piccole porzioni g 38 ( = 0,2 gr. mol.) di cloridrato di nitrosodimetil-anilina, adoperando il prodotto di reazione umido sopraccennato. Se la reazione non h a inizio subito, si scalda il pallone a b. m. ; il sale introdottovi deve disciogliersi dopo poco tempo in modo completo, h a reazione va regolata in modo che rimanga attiva con continuità, senza però diventare troppo tumultuosa. h a soluzione che alfine riesce giallo-chiara si raffredda; essendo esternamente ed internamente (per introduzione d'un po' di ghiaccio) raffreddata con ghiaccio si rende alcalina con una liscivia ottenuta sciogliendo g 150 di N a O H tecnico in cm a 300 d'acqua ( 1 ). L'acido stannico che inizialmente si separa si ridiscioglie per la maggior parte. Ora la base oleosa liberata si riprende con etere senza tenere conto di piccole porzioni d'acido stannico eventualmente ancora indisciolte, si estrae ancora 1-2 volte con etere, s'essicca brevemente con K 2 C0 3 calcinato, s'evapora l'etere e si sottopone immediatamente la base libera alla distillazione a pressione ridotta, ha. detta base quasi completamente incolora passa a 138-140° e 12 m m Hg. Essa nel raffreddarsi solidifica: p. fus. 41 0 . I / a m m i n a libera è straordinariamente sensibile all'aria atmosferica. Già dopo alcune ore d'esposizione all'aria essa si colora in bruno, mentre inizialmente era incolora. Chiusa in t u b o saldato alla fiamma, pieno d'azoto, la sostanza si può conservare per alcune settimane, a contatto dell'aria appena u n giorno. I sali sono invece stabili. t1) Riesce m o l t o p i ù elegante l a separazione elettrolitica dello stagno. I n quei casi in cui il p r o d o t t o di reazione n o n si p u ò estrarre c o m e b a s e dalla soluzione alcalinizzata (es. a m m i n o alcooli, a m m i n o a c i d i ecc.) il m e t o d o elettrolitico è di gran l u n g a preferibile a quello della precipitazione c o m e S n S per m e z z o di H 2 S ; m a anche nel c a s o presente, n o n foss'altro per ragioni didattiche, e s s o è assai raccomandabile. 1/elettrolisi si pratica in u n bicchiere di m e d i a grandezza; c o m e elettrodi si u s a n o due carboncini di m e d i o spessore. Il c a t o d o p e s c a nella soluzione, l'anodo i n v e c e in H 2 S 0 4 2N, che si t r o v a i n u n a celletta di porcellana porosa i m m e r s a nella soluzione ; gli elettrodi si fissano a poca d i s t a n z a l'uno dall'altro. L a corrente si preleva d a due unità, inserite in serie, d'una batteria d'accumulatori di c a p a c i t à u s u a l e ; c o n u n a tensione di 4 v o l t a ai morsetti p a s s a n o 1,5-2 a m p è r e s per l a soluzione. Applicazione delle leggi elettrochimiche del Faraday: U n e q u i v a l e n t e di i o n e stannico 118 96500 am Sn— = — = g 29,5 abbisogna di ^froo ~ p è r e - o r a ; se quindi la corrente ha l'intensità di 2 a m p . occorreranno 13,4 ore. Siccome m a n m a n o che decresce l a concentrazione in ioni S n s'ha s v o l g i m e n t o parallelo di H 2 , l'elettrolisi dura u n po' di p i ù di q u a n t o corrisponderebbe al calcolo. I,a si p u ò abbandonare a sè tranquillamente per t u t t ' u n a n o t t e .

P-ammino-dimetilanilina

325

Il cloridrato. La base si può trattare con piccolo eccesso di HC1 (circa 5N, cioè HC1 conc. [D = 1,17] + HzO 1 : 1) a b. m. in capsula di porcellana; s'evapora a secchezza ed il residuo si secca completamente in essiccatore a vuoto sopra H 2 S0 4 ed alcali caustico solido. In linea generale s'ottengono con metodo assai elegante i cloridrati delle animine organiche, neutralizzando queste ultime con HC1 sciolto in alcool, sino a reazione acida al rosso Congo e separando il sale per aggiunta d'etere assoluto a piccole porzioni, mentre si strofinano le pareti. I/operatore si guardi bene dal precipitare i sali allo stato amorfo per troppo rapida aggiunta dell'etere : aspetti prima la formazione dei cristalli, la quale si manifesta di solito con un rivestimento polverulento nei punti strofinati dalla bacchetta. Aggiungendo alla base la stessa quantità in peso di anidride acetica se ne ottiene l'acetilderivato. Si scalda per breve tempo a bagnomaria, poi si diluisce con acqua. Per isolare l'acetilderivato ancora basico, l'acido acetico libero si neutralizza esattamente con NaOH. La sostanza ricristallizzata dall'acqua presenta il p. fus. di 130°. La diammina qui preparata ha grande importanza da più punti di vista; infatti le reazioni da prendere in considerazione derivano dall'alterazione che i suoi sali subiscono nell'ossidazione. Perciò tratteremo anzitutto di questa.

Saggio. Si sciolgono alcuni granellini della base preparata di fresco (o d'un suo sale) in provetta in alcune gocce di CH3COOH dil., s'aggiungono cm3 5 di H 2 0 e alcuni pezzetti di ghiaccio, infine alcune gocce di acqua di bromo fortemente diluita o d'una soluzione di bicromato. Si manifesta una splèndida colorazione rossa. Se le soluzioni si prendono un po' più concentrate e la soluzione ossidata si scalda fino all'ebollizione, si può percepire l'odore del chinone. T E O R I A DEL

WILLSTAETTER.

La trasformazione tipica che subiscono tutti i derivati della p-fenilendiammina per azione d'ossidanti in ambiente acido consiste nel passaggio ad un sale della serie della chinon-diimmina. Per molto tempo s'è creduto che il colorante rosso or ora preparato, il cosiddetto rosso di Wurster fosse il sale del chinonimonio semplice:

Ma ciò apparve assai inverosimile quando si conobbe il cloridrato (incoloro) della chinondiimmina semplice (Wn^TAETTER).

326

Cap. Vili:

Composti

chinoidi

I mezzi riducenti ritrasformano la chinondiimmina ed i suoi derivati nelle corrispondenti fenilen-diammine. S'è visto che per formarsi il rosso di WURSTER non abbisogna della quantità di ossidante equivalente a 2 atomi di H, bensì soltanto della metà. Perciò l'equivalente di riduzione che si può determinare mediante titolazione con soluzione titolata di SnCl 2 ammonta esso pure alla metà. Se si ossida ima quantità pesata di sale della para-amminodimetilanilina con soluzione diluita di Br 2 di titolo noto il massimo della colorazione è raggiunto quando un equivalente di bromo ha agito su una grammimolecola di sale. Se la soluzione si tratta con un altro equivalente di Er il colore retrocede a giallo. A questo punto è raggiunto lo stadio di completa ossidazione a chinondiimmina; i sali corrispondenti (assai instabili) sono pochissimo colorati. La formazione d'un colorante riesce soltanto quando si riuniscono un sistema chinoide con uno benzenoide. L'associazione molecolare dei due differenti gradi d'ossidazione — associazione che non è detto debba sempre avvenire nel rapporto 1 : 1 come succede qui — è la causa efficiente dell'intenso assorbimento nello spettro visibile, che a sua volta rappresenta la condizione preliminare per la formazione d'un colorante (WLLISTAETTER e PICCARD). Del tutto similmente stanno le cose nei rapporti fra chinidrone e chinone-idrochinone (pag. 321). In entrambi i casi il legame reciproco fra le molecole è labile nè è dovuto alle valenze normali. I « composti molecolari » si concepiscono in generale come sistemi che sono tenuti insieme dall'affinità residua, in eccesso, dei componenti; o in altre parole dall'attrazione reciproca dei campi di forza molecolari. L a teoria del WilxsTAETTER oltrepassa i limiti dei sali intermolecolari parzialmente chinoidi (« merichinoidi ») ed arriva ad ima spiegazione soddisfacente dei coloranti chinoidi veri e propri. Dappertutto incontriamo lo stesso principio, e precisamente realizzato endomolecolarmente : cioè i due sistemi aventi grado d'ossidazione differente (benzenoide e chinoide) si ritrovano qui nella stessa molecola. Ricordiamo l'esempio della parafucsina nella cui molecola queste relazioni sono espresse molto chiaramente :

V

Se ad un nucleo benzenico togliamo il gruppo NH 2 , nel « violetto di DOEBNER » rimane inalterato il carattere di sostanza colorante, giacché così rimangono ancora soddisfatte le condizioni dianzi esposte. Ma se anche al secondo nucleo benzenico manca il gruppo NH 2 si forma, per così dire, un sistema interamente chinoide (« olochinoide ») il quale non è più un colorante come nel caso da cui siamo partiti. Allo stesso modo dobbiamo interpretare la natura colorante degli altri coloranti chinoidi, ad es. delle indammine, delle safranine, dell'azzurro di metilene ecc. È indispensabile acquistarsi le basi di questa teoria così importante mediante il saggio seguente.

Teoria

del WLLASTAETTER.

Indammine

Saggio. G 1,3 della base diamminica preparata di fresco si sciolgono in cm 3 2 di C H 3 C O O H glaciale e la soluzione si porta al volume di cm 3 95 in u n cilindro graduato. D i questa soluzione N/10 si pongono cm 3 5 in una b e v u t a da 1/2 1 e si diluisce ancora, con c m 3 45 d'acqua ghiacciata. I n precedenza s'è p r o v v e d u t o a diluire cm 3 16 d'acqua di B r satura con cm 3 280 d'acqua ghiacciata e a t r a v a s a r e un po' di questa soluzione in una b u r e t t a graduata. In un'altra buretta si pone una soluzione di SnCl 2 circa N/50 (prep a r a t a di fresco sciogliendo g 0,8 di stagnola ( 1 ) o Sn granulato in cm 3 4 di HC1 1 : 1 e diluendo con acqua, previamente bollita, a cm 3 500). Raffreddando con ghiaccio ed agitando continuamente si fa entrare ora la soluzione di bromo con getto rapido e s'osserva che la bella colorazione rossa raggiunge il massimo della sua intensità con circa 25 cm 3 , m a che dopo aggiunta di ulteriori cm 3 25 retrocede fortemente. U n a colorazione gialla pura, non s'ottiene causa l'insorgere di reazioni secondarie; di solito si deve aggiungere ancora, e rapidamente, u n p o ' di bromo. Quando s'è manifestata la retrocessione del colore s'aggiunge rapidamente la soluzione di SnCl 2 . D o p o cm 3 25 ritorna il bel colore del rosso di WURSTER che scompare con ulteriore riduzione. A n c h e con cm 3 5 della soluzione iniziale del sale di diammina si riforma il colorante. I v a grande instabilità dei sali chinoidi richiede qui operazioni rapide e gran diluizione, nonché refrigerazione. Dalle p-chinondiimmine derivano, in fatto di coloranti, le indammine e i sali chinoidi a tre nuclei ciclici, ad esse vicini, dei gruppi della fenazina, della fentiazina e della fenossazina. (Maggiori particolari si trovano nelle opere speciali, ad es. quella del NIETZKI-MAYER e del BUCHERER). Vogliamo considerare il processo di formazione deirindammina a partire dalla nostra base. In virtù d'una reazione generale d'addizione, reazione caratteristica per tutte le chinondiimmine (e che ha la sua importanza anche nella preparazione del nero d'anilina dall'anilina, v. pag. 319) un sale del dimetil-chinon-diimonio è capace d'addizionare con grande facilità una molecola d'anilina o di dimetil-anilina : (H.C)2N = / ^ \ = NH + < ( ^ J > N ( C H 3 ) z CI

Si tenga presente che la «stagnola» odierna è invece quasi sempre della foglia di alluminio.

328

Cap.

Vili:

Composti

chinoidi

Il nuovo corpo che si forma così, un derivato della p-fenilendiammina, si deidrogena ulteriormente fino ad arrivare ad un colorante chinoide della serie delle indammine:

(H3C)2N = < f — \ = N - / CI \ = /



il quale nella sua composizione corrisponde perfettamente alla teoria del Wn,i R/

n

=

n

< c h : +

h

> ° -

¿1

B) Le ftaleine. S e nelle condizioni della reazione di F r i e d e i , - C r a f t s (Cap. I X , p a g . 342) si f a n n o reagire due molecole d i fenolo con una d'anidride ftalica, l a condensazione a d e r i v a t o antrachinonico cede il passo alla tendenza del chetone, f o r m a t o s i i n v i a primaria, di riunirsi cioè ad ima seconda molecola di fenolo; si f o r m a n o le cosiddette « f t a l e i n e » scoperte nel 1871 dal B A E Y E R . Questi fenomeni si possono spiegare qui ricorrendo all'esempio della fenolftaleina :

OH.

Il p r o d o t t o intermedio si condensa al gruppo C = 0 sul tipo della condensazione aldolica con u n a seconda molecola di fenolo, anch'essa in pos. para, in un m o d o del t u t t o analogo alla condensazione del chetone di M i c h i , e r 22 -

GATTERMANN.

Cap.

338

Vili:

Composti

chìnoidi

colla dimetilanilina : \oH

o

OH

OH

OH COOH

L'acido p-diossi-trifenilcarbinol-ortocarbossilico, non isolatole, date le favorevoli condizioni di vicinanza fra gruppo COOH e gruppo OH, perde acqua e s'arriva così al lattone di quell'acido, la f e n o l f t a l e i n a : ,C = (C6HTOH)8 \

\ / \ c o Il lattone incolore viene scisso dagli alcali, con che si formano i sali alcalini intensamente rossi, ben noti dall'analisi volumetrica. In essi un nucleo benzenico è diventato chinoide, giacché s'è separata dell'acqua, secondo questa reazione : OH I //

Y\

\ >-OH

\ /

C6H4OH \

^

/\

\

^COOH

\/

=

o

l \—=/ C„H4OH

X COOH

I sali rossi sono appunto i sali bialcalini dell'acido fenolcarbossilico chi noide, sopra riportato in formola, e che non è stabile come acido libero, bensì s'isomerizza subito nel lattone incoloro. La fenolftaleina è un derivato del trifenilmetano e si può derivare in modo semplice dal fucsone, sostanza base della serie dei coloranti di cui trattasi qui. Il fucsone non è altro che il difenil-chinometano e s'ottiene dall'alcool p-ossi-trifenilmetilico per perdita d'acqua (BISTRZYCKI) : OH C 6 H 6X | . >C—=0. C,Hj \ = /

II fucsone è colorato solo in giallo-aranciato, il che corrisponde perfettamente alla teoria del WLIISTAETTER. Se uno dei due nuclei benzenici liberi ha anch'esso un ossidrile in pos. para, si ha il colorante benzaurina già nominato a pag. 334, il cui acido orto-carbossilico rappresenta la fenolftaleina nella sua forma chinoide. In realtà la tinta di questi due composti è assai simile. L'alcali

Teoria

dei coloranti

del gruppo

trifenilmetano

339

forte decolora l a f e n o l f t a l e i n a ; s ' a d d i z i o n a N a O H e si f o r m a n o i sali tribasici della f o r m a benzenoide carbinolica. I l lettore c o n f e r m i q u e s t o s t a t o di cose colla fenolftaleina. F l u o r e s c e i n a . L a reazione q u i subisce u n a m p l i a m e n t o , in q u a n t o che i d u e g r u p p i O H delle d u e molecole d i resorcina che si t r o v a n o in pos. orto rispetto al p u n t o di condensazione p e r d o n o u n a m o l e c o l a d ' a c q u a e f o r m a n o u n « p o n t e d'ossigeno », cosicché insorge u n n u o v o anello, quello x a n t a n i c o :

\ / \ c O O H

\ / \ c O O H

S i c c o m e l a fluoresceina è colorata, l a f o r m o l a l a t t o n i c a p a r e d u b b i a e la s t r u t t u r a chinoide r i p o r t a t a a d e s t r a è p i ù p r o b a b i l e già nel c a s o del comp o s t o libero. Nell'eosina i 4 a t o m i d i B r sono e n t r a t i a d u e a due nelle p o s . o r t o che nella f o r m o l a s o p r a s t a n t e (a destra) sono segnate con asterischi. A n c h e l a s t r u t t u r a dell'eosina si d e v e a m m e t t e r e sia chinoide, non foss'altro perchè il p r o d o t t o di riduzione rispettivo, l a leuco-eosina, è incoloro.

Saggio. Si sciolga un po' d'eosina in N a O H , si faccia bollire la soluzione con polvere di zinco fino a decolorazione; si decanti e una porzione del liquido si acidifichi. Un'altra porzione si lasci a riposo in una capsula scoperta. Come il chinone stesso, così p u r e i suoi d e r i v a t i v e n g o n o t r a s f o r m a t i dai m e z z i riducenti nei p r o d o t t i d'idrogenazione benzenoidi (detti « leucoderivati » nel caso dei coloranti) per a s s o r b i m e n t o d'idrogeno. L o s c h e m a qui s o t t o riportato c i d à ragione d i q u e s t o f e n o m e n o , anche p e r l ' e o s i n a : = C = ^

^=0

>

=CH—/

\ - 0 H .

M o l t i l e u c o d e r i v a t i s o n o t r a s f o r m a t i nei r i s p e t t i v i coloranti già d a p a r t e del solo ossigeno a t m o s f e r i c o , c o m e ci è m o s t r a t o dall'esempio della leucoeosina e del l e u c o - i n d a c o (pag. 378). I coloranti p i ù magnifici u s a t i s o p r a t t u t t o nella t i n t u r a della s e t a sono p a r e n t i dell'eosina o t t e n u t i a partire dall'anidride bi- e t e t r a c l o r o f t a l i c a (flossina. R o s a del B e n g a l a ) . A n c h e le r o d a m i n e (basiche) rientrano i n questo gruppo. A d esse s ' a r r i v a c o n d e n s a n d o l'anidride f t a l i c a coi m - a m m i n o f e n o l i (in luogo della resorcina) : h a g r a n d e i m p o r t a n z a industriale il colorante a v e n t e

34°

Cap.

Vili:

Composti

chinoidi

gruppi dietilatnminici. Infine ricorderemo la galleina, in cui la componente fenolica è data dal pirogallolo. Non ci occuperemo della trasformazione delle ftaleine in derivati dell'antracene, le cos.

ftalideine.

Esercizio N. 6. - Alizarina. In un'autoclave oppure in un tubo di ferro con coperchio a vite si scalda una miscela di g 2 di KC103, g 30 di NaOH tecnico, g 10 di p-antrachinon-solfonato sodico finemente polverizzato con cm 3 40 d'acqua per 20 ore a bagno d'olio alla temp. di 170°. La massa fusa raffreddata è estratta ripetute volte con acqua bollente, le soluzioni filtrate si riuniscono e s'acidificano a caldo con HC1 in eccesso. Il precipitato viene filtrato a freddo alla pompa, lavato con HC1 diluito, poi con acqua e infine essiccato. Per purificare il prodotto grezzo lo si bolle con CH3COOH glaciale, preferibilmente in un estrattore (fig. 28). I,a sostanza è costituita da begli aghi rossi fondenti a 289°. È raccomandabile anche la sublimazione nel vuoto da un pallone a coda dilatata (fig. 12) applicata in basso, che s'immerge completamente in un bagno di nitrato fuso (parti eguali di K N 0 3 e NaN0 3 ). Usando un pallone aperto scaldato a 180-190° s'ottengono rese molto peggiori in alizarina. L'alizarina o 1,2-diossi-antrachinone, appartiene ai coloranti più importanti. Similmente all'indaco nell'Indigofera iinctoria, anche l'alizarina è contenuta come glucoside del leucoderivato nella radice della robbia (Rubia tinctorum). La coltivazione della robbia che soprattutto nella Francia meridionale un tempo copriva vaste distese di terreno cessò a causa della sintesi del suo colorante « garanza » a partire dall'antracene del catrame di carbon fossile (Graebe e LlKBERMANN 1869). Il metodo della distillazione in presenza di polvere di Zn (Baeyer) aveva reso possibile in precedenza ai due chimici di preparare l'antracene dall'alizarina. L'antracene si può ossidare direttamente mediante acido cromico (K2Cr207 4- H 2 S0 4 ) arrivando al suo « tneso »-chinone, l'antrachinone. In quasi tutte le reazioni dell'antracene il punto d'attacco è dato dall'anello centrale.

Saggio: Antrachinone. G 1 d'antracene il più possibilmente puro si scioglie al calore dell'ebollizione nella quantità esattamente sufficiente di buon acido acetico glaciale; senza riscaldamento ulteriore vi si aggiungono cm3 3 di H 2 S0 4 conc. e senza badare ad intorbidamenti o precipitazioni, a gocce la soluzione d i ' g 4 di bicromato sodico in pochissima acqua. Si ha una reazione assai violenta e quasi istantaneamente l'acido cromico è consumato; dopo avere aggiunto

Alizarina.

Chinizarina

34i

tutto il bicromato si fa bollire per altri 5 minuti ancora. Diluendo la soluzione, l'antrachinone precipita in fiocchi; si filtra alla pompa, si lava con acqua e s'essicca, poi si ricristallizza dal CH3COOH glaciale. Si presenta in aghetti fini giallo-chiari fondenti a 285°. Il composto perfettamente puro è incoloro. Si confronti col benzo- e col naftochinone. L'antrachinone viene ridotto se scaldato con idrato sodico e polvere di zinco. Si scioglie con colore rosso-cupo essendosi formato il sale bisodico dell' antraidrochinone.

Saggio. S'esegua l'esperienza precedente (riduzione con NaOH + + Zn) e si filtri la soluzione rossa. Al contatto dell'aria si separa dal filtrato ben presto di nuovo l'antrachinone. Riguardo agli interessanti fenomeni di desmotropia negli ossi-antraceni si trovano particolari in K . H . M E Y E R , A. 3 7 9 , 3 7 , ( i g u ) . Il »leso-ossi- ed il diossiantracene esistono in due forme, di cui ima è colorata, acida, fluorescente in soluzione ed è una forma «enolica»; e l'altra è incolora, neutra, la forma chetonica: ^

OH W X

v

W

O

A s H

antranolo (instabile)

OH

>

^

r

H

antrone (stabile)

A

% / W " H

antraidrochinone < (stabile)

O A

OH

cssiantrone (instabile)

Intorno alle sintesi nel gruppo dell'antrachinone a partire dall'anidride ftalica v. Cap. I X , Es. 6 , pag. 3 5 5 - 7 . L'importanza tintoriale dell'alizarina è assai grande ; essa è riconducibile alla formazione di bellissimi e molto resistenti difenolati endo-complessi che il colorante forma cogli idrati di metalli plurivalenti (Cu, Sn, Cr, Fe, Al). F r a tali difenolati il più noto è il « rosso turco », cioè la lacca alizarina-alluminio. L'alizarina e simili coloranti si chiamano anche « coloranti a mordente » giacché essi si fissano sulla fibra previamente impregnata degli idrati metallici surricordati, operazione che si chiama « mordenzatura ». La chinizarina è il r,4-diossi-antrachinone; esso non è un colorante utilizzabile, anzi s'è dedotta la regola che in generale solo quei poliossichinoni della serie naftalinica (naftazarina) ed antracenica sono capaci di dare lacche colorate, nei quali i gruppi OH vicinali sono affiancati al gruppo C—O. Il fatto che i diossi-antrachinoni si possono ossidare ulteriormente per mezzo dell'oleum (H 2 S 2 0 7 ) fino a fenoli superiori, ha importanza industriale. A questo modo tanto l'alizarina quanto la chinizarina danno lo stesso 1,2, 5, 8-tetraossi-antrachinone (Bordeaux d'alizarina) che poi si può ossidare ancora, arrivando all'azzurro d'antracene (r, 2, 4, 5, 6, 8-esaossi-antra-

342

Cap. IX: a) Sintesi di Grignard

chinone). Quest'ultimo colorante s'ottiene industrialmente in un modo assai interessante: si parte dall'i,5-dinitro- o dall'1,8-dinitro-antrachinone che si tratta con oleum+zolfo (S 2 0 8 ) con aggiunta di acido borico in una fusione che si può chiamare ossido-riducente (R. BOHN, R. E. SCHMEDT). Un prototipo più facilmente intelligibile per questa reazione piuttosto complicata si trova nella formazione della naftazarina dalla 1,5-dinitro, o 1,8-dinitronaftalina; reazione che ha luogo in condizioni similari: O

NOH

O

Si tratta qui in sostanza d'una trasposizione che fornisce la chinonossima, della scissione e parziale riduzione della medesima.

CAP. IX. -

LE SINTESI SECONDO GRIGNARD E FRIEDEL-CRAFTS. RADICALI

ORGANICI.

La reazione di Grignard. Esercizio N. 1. - Preparazione degli alcooli. a) Benzidrolo da benzaldeide e bromuro di fenilmagnesio. Un palloncino asciutto è munito di colonna di A N S C H U E T Z , il cui tubo laterale è collegato ad un refrigerante a ricadere munito di tubo a CaCl2 sovrapposto, mentre in alto s'introduce un imbuto a rubinetto con collo lungo. Nel pallone si pongono g 3,2 di tornitura di Mg e vi si fa arrivare dall'imbuto man mano un miscuglio costituito da g 20 di bromobenzene puro, bollente a temperatura costante e da cm 3 50 d'etere assoluto. Dopo avere aggiunto un quarto della detta miscela s'attende che s'inizi la reazione la quale si manifesta con un auto-riscaldamento e conseguente ebollizione dell'etere. L,a reazione viene avviata rapidamente e sicuramente: o tenendo sotto il pallone una capsula con acqua calda oppure meglio aggiungendo al contenuto del pallone un granellino di I 2 ; altrimenti spesso la reazione stenta ad avviarsi. Preparando la soluzione di bromuro di fenilmagnesio è importante mantenere la reazione entro limiti moderati mediante raffreddamento intermittente e di regolare l'accesso

Reazione

di Grignard.

Preparazione

di alcooli

343

del C 6 H 6 Br in modo tale ch'essa giusto continui da sè. Il bromobenzene aderente all'imbuto a rubinetto viene lavato con un po' d'etere che poi si scarica nel pallone. Quando la maggior patte del metallo s'è disciolta e si manifesta un rallentamento del processo, si scalda la soluzione fino all'ebollizione per qualche tempo ancora sottoponendo la solita capsula con acqua calda, fino a che non rimangono più oramai che poche pagliuzze di Mg nuotanti sulla soluzione. A questo punto il pallone si raffredda con acqua ghiacciata, e inizialmente raffreddando si fa sgocciolare rapidamente dall'imbuto nel reattivo di GRIGNARD così preparato una miscela di g io,6 di benzaldeide recentemente distillata e cm3 io d'etere. Alla fine si bolle per altri 15 min. con un refrigerante a ricadere ; nella soluzione di nuovo raffreddata, esternamente refrigerata, s'aggiungono in un sol tratto g 20-30 di ghiaccio tritato, indi HC1 nella quantità necessaria alla dissoluzione del Mg(OH)2 formatosi (all'incirca cm3 10 HC1 conc. + cm3 10 di H 2 0) ; si separa in un imbuto separatore lo strato etereo e s'estrae con etere fresco lo strato acquoso. Se una bacchetta di vetro bagnata della soluzione eterea mandasse ancora odore di benzaldeide, la soluzione si dovrà concentrare a metà del volume iniziale, trattare con alcuni cm3 d'una soluzione di bisolfito al 40%, dibattere energicamente per 5 minuti, indi trattare con sol. di Na 2 C0 3 per estrarre S 0 2 disciolto e infine essiccare brevemente con CaCl2; dopo evaporazione dell'etere s'ottiene il benzidrolo come olio che ben presto si rapprende. Dopo schiacciamento su porcellana porosa si ha un rendimento di g 12-14. Questo alcool si può ricristallizzare dalla ligroina o da poco alcool e forma allora belle colonne incolore. P. fus. 68°. Se la preparazione del reattivo di GRIGNARD ha avuto luogo in modo troppo tumultuoso, il prodotto di reazione contiene di solito forti quantità di difenile formatosi per la reazione: C,H5MgBr + BrC6H6 =

C„H6—C6H6 + MgBr2.

b) Alcool trifenilmetilico dal benzoato d'etile e bromuro di

fenilmagnesio.

Si prepara una soluzione di GRIGNARD come sopra, ma con quantità doppie di Mg e C 6 H 5 Br; vi si fanno sgocciolare g 15 di benzoato d'etile misti con cm3 15 d'etere assoluto nelle stesse condizioni come sopra, alla fine si fa bollire per un'altra mezz'ora e il prodotto si tratta allo stesso modo come sopra. Il residuo solido è l'alcool trife-

Cap. IX:

344

a) Sintesi

di

Grignard

nilmetilico o trifenilcarbinolo, lo si ricristallizza da alcool bollente ; si presenta in prismi incolori fondenti a 162°. Resa g 20 buoni. Maggiori particolari di questo composto alcoolico importante v. a pag. 360. Esercizio N. 2. - Sintesi d'un chetone a partire da un nitrite. Acetofenone ( 1 ). Secondo le indicazioni date inEserc. 1, a) (p. 342) ci si prepara una soluzione eterea di bromuro di fenilmagnesio da g 40 di C 6 H 5 Br e g 6,4 di Mg. Vi si fanno sgocciolare g 8 d'acetonitrile diluito con ugual volume d'etere ed il miscuglio reagente si fa bollire per un'ora a b. m. Indi si versa il tutto in un pallone da 1000 cm 3 , raffreddato a ghiaccio, s'aggiungono cms 100 di H 2 S0 4 circa 8N, si distilla l'etere e l'acetofenone formatosi con vapore d'acqua e s'estrae il distillato con etere. Il liquido distillato s'essicca con CaCl2 ed il chetone si rettifica dopo avere evaporato l'etere. P. eboll. 202°. Resa g 10-12 = 45-50% del teorico. Anche qui il preparato s'ottiene più puro se lo si distilla a pressione ridotta. Esso a 12 mrfi Hg bolle ad 88°. Comunque sia, l'acetone deve essere limpido come l'acqua e cristallizzarsi se raffreddato con ghiaccio. P. fus. 22°. Tanto per cambiare si può preparare anche il fenilacetone da cloruro di benzilmagnesio ed acetonitrile. Questo chetone si purifica passando pel suo composto bisolfitico e si purifica per distillazione a pressione ridotta. La resa non supera i 25 %, riferendoci all'acetonitrile. Spiegazioni per gli Esercizi 1 e 2. Il reattivo di G r i g n a r d . Gli alogenuri alchilici sciolgono il magnesio metallico in presenza di etere assoluto formando composti metallorganici aventi la forinola generale R-Mg-Alogeno. Anche gli alogenuri aromatici sono suscettibili della stessa reazione. I n entrambe le serie la maggiore velocità di reazione compete agli ioduri, seguono quindi i bromuri, infine i cloruri. Aggiungendo un pochino di iodio o anche C 2 H S I la reazione, talvolta restia ad incominciare, può essere avviata. Altre volte è necessario attivare il Mg per riscaldamento con dello iodio (BAEYER). L'etere occorrente perchè la reazione abbia luogo è aggregato con legami complessi in ragione di 2 molecole per ima di alogenuro alchilmagnesiaco (MEISENHEIMER) ; esso può anche essere sostituito da ammine terziarie. I n soluzione gli alogenuri organo-magnesiaci sono scissi in parte nel senso dell'equilibrio (W. SCHT,RNK junior) : • 2 RMgAlog (') BLAISE, Comptes

±5:

rend., 1 3 3 , 1217

M g R 2 + Mg(Alog) 2 (1901).

Acetofenone secondo Grignard.

Spiegazioni

345

I composti che costituiscono il reattivo di GRIGNARD sono decomposti in linea affatto generale mediante sostanze che contengano dell'idrogeno attivo, secondo lo schema seguente: R—Mg—Alog + H — R t

>

RH + Rx—Mg—Alog .

Sicché in tutti i casi si forma l'idrocarburo R-H corrispondente all'alogenuro adoperato. L'esempio più semplice di questo genere di fenomeni è la decomposizione per mezzo dell'acqua: H3C—Mg—I + HOH

>

CH4 + HO—Mg—I .

Perciò vale la regola generale: Esclusione completa dell'umidità in tutte le reazioni secondo Grignard. In un modo analogo all'acqua reagiscono gli alcooli, i fenoli, gli acidi carbossilici, le ammine primarie e secondarie, le ossime, l'acetilene, ecc. Poiché ogni atomo di H reagibile libera sempre una molecola d'idrocarburo, se usiamo dell'ioduro di metilmagnesio abbiamo a disposizione ùn metodo utile per determinare quantitativamente l'idrogeno attivo semplicemente misturando il volume di metano sviluppato da una quantità pesata della sostanza da esaminare (ZEREWITINOFF) . Questo metodo ha grande valore per la soluzione di problemi strutturali. Quanto all'esecuzione pratica v. pag. 94. I composti organomagnesiaci secondo GRIGNARD hanno un'importanza molto maggiore però come mezzo per sintesi organiche, grazie alla loro elevata capacità d'addizionarsi. Ciò che un tempo s'otteneva coi composti zincoalchilici difficilmente maneggiabili, oggi s'ottiene in proporzioni maggiori col reattivo di GRIGNARD la cui preparazione riesce assai più facile; e recentemente si sono anche introdotti i composti metallorganici del litio (K. ZrEGl,ER). In linea generale abbiamo aggregazione a sistemi organici non saturi, come = C = 0 , = C = N — , —C=N, — N = 0 ; i sistemi = C = C = e — C = C — non reagiscono. L'addizione ha luogo a questo modo: il reattivo di GRIGNARD viene assorbito sotto la specie dei due componenti R ed MgAlog, e più particolarmente, se trattasi di legame doppio C = 0 , il componente magnesiaco si lega sempre all'ossigeno, mentre il componente R si lega al carbonio. Scegliendo come esempio l'azione del bromuro di metilmagnesio sull'aldeide acetica, avremo l'equazione seguente: H C H 3 — C = 0 + CH3—Mg—Br

O—MgBr

Il prodotto d'addizione è decomposto dall'acqua:

CH a —C( + H2O \ O—MgBr

>

H I /CH,

CH3—C

OH

+ HO—Mg—Br .

Il risultato è dunque questo: l'aldeide acetica è stata trasformata in alcool isopropilico. Possiamo dire in linea affatto generale che la reazione

Cap.

34 6

IX:

b) Sintesi

di

Friedel-Crafts

di GRIGNARD consiste nell'addizione dell'idrocarburo contenuto nell'alogenuro adoperato •— sotto forma di H ed R — al doppio legame, coll'efietto d'ottenere una « sintesi con idrogenazione ». Allora si capiscono senz'altro le seguenti sintesi secondo GRIGNARD : Formaldeide *• alcooli primari Altre aldeidi > » secondari Chetoni > » terziari Anidride carbonica acidi carbossilici Nitrili y chetoni (passando per la chetoimmina: R l R C = N H ) . La reazione con eteri composti, cloruri acidi ed anidridi decorre in modo un po' più complicato; anche qui abbiamo in un primo tempo la solita addizione al doppio legame del gruppo 0 = 0 : OR ! R — C = 0 + CHj—Mg—Br

>

OR | ,0—Mg—Br R—C( \CH3

ma il prodotto risultante reagisce con una seconda molecola di reattivo di secondo l'equazione:

GRIGNARD

OR CH3 i /O—Mg—Br | R—C< + CH3—Mg—Br —>- R—C—0—Mg—Br+RO—Mg—Br . \CH3

CH3

Anche qui, decomponendo con acqua, abbiamo come prodotto finale l'alcool terziario. Nel caso degli eteri formici, adoperati in eccesso, si riesce a fermare la reazione al primo tempo e decomponendo il prodotto ottenuto HC—O—MgBr ad ottenere delle

aldeidi.

¿R

Il reattivo di GRIGNARD agisce allo stesso modo anche su corpi azotati, come mostra l'esempio degli azoturi riportato a pag. 296. Il nitrosobenzene si trasforma in difenil-idrossilammina (C,H5)2NOH per reazione col bromuro di fenilmagnesio (pag. 192). Questo breve sguardo d'insieme può bastare per dare »m'idea della vastità del campo d'applicazione delle sintesi grignardiane. Sarebbe da aggiungervi una reazione secondaria che spesso si manifesta indesiderata nella preparazione del reattivo del GRIGNARD, ma che talvolta è anche provocata ad arte. I composti del GRIGNARD reagiscono, con facilità maggiore o minore, con alogenuri organici secondo lo schema della reazione di WURTZ: R—Mg—Alog + RjAlog

>

R — R i + MgAlog,.

Ecco perchè, come abbiamo già accennato, nella preparazione del bro-

Cloruro d'alluminio

anidro

347

muro di fenilmagnesio s'ottiene sempre anche del difenile come prodotto secondario. I composti organo-magnesiaci sono sensibili all'azione dell'ossigeno, del che devesi sempre tenere conto ove essi non vengano adoperati subito dopo la preparazione (v. anche metodo di Z e r e w i t i n o f f a pag. 94). Quante siano le vie e le possibilità aperte alla sintesi dalla reazione del G r i g n a k d , si può vedere agevolmente dal seguente esempio. Il difenilmetilcarbinoló (od alcool difenil-etilico) e quindi il difenil-etilene asimmetrico possono essere ottenuti: 1) dal benzofenone con bromuro dì metilmagnesio : (C,H5),—CO + CHjMgBr

>•

/OH (C„H5)2C( \ch3

;

2) dall'acetato d'etile con bromuro di fenilmagnesio: CHS—COOC2H6 + 2 C,H S —MgBr

->

H C ' V=(C6HE)2 . HO/

La sintesi secondo R e f o r m a t z k y , simile a quella del G r i g n a r d , si serve dello Zn per condensare degli eteri d'acidi grassi a-alogenati con dei chetoni, ad es. : (H3C) 2 C=CH—CH 2 —CH 2 —CO + Zn + C1CH 2 C—COOR metil-eptenone

>

•>

CH3

OH (CHj) 2 C=CH—CH 2 —CH 2 —C—CH„—COOR CH3 etere dell'acido geranico

La sintesi di Friedel-Crafts. Preparazione del cloruro d'alluminio anidro. « Conditio sine qua non » per la buona riuscita d'una reazione di F r i e d e i , - C r a f t s è la qualità ineccepibile del cloruro d'alluminio usato come catalizzatore. I preparati che si trovano in commercio sono spesso decomposti parzialmente dall'umidità penetrata nei barattoli in seguito ad imperfetta chiusura; essi in tal caso non sono utilizzabili. Per essere sicuri si dovrebbe almeno saggiare il sale in una provetta tenuta inclinata sulla fiamma, per vedere se un campioncino si può sublimare totalmente o almeno per la massima parte oppur no. Quei preparati che non fossero eccessivamente alterati, si possono rendere di nuovo utilizzabili per risublimazione.

34»

Cap.

IX:

b) Sintesi

di

Friedel-Crafts

Se il chimico si vede costretto a prepararsi da sè rAlCl3, egli può servirsi del metodo qui descritto (1). Un tubo possibilmente a lume largo (cm 3,5-4) in vetro difficilmente fusibile, ad es. un tubo di combustione secondo DENNSTEDT, è collegato mediante un tappo con un barattolo a collo largo (come quelle che s'usano per le sostanze polverulente) badando che l'estremità del tubo sporga appena dal tappo forato; nel quale è praticato un secondo foro minore in cui passa un tubo di vetro piegato, più sottile del primo ma non troppo stretto, e che pesca nel barattolo fino a metà. I/estremità minore di questo tubo è piegata a squadra verso l'alto. Il tubo di combustione si carica di Al granulato per circa y 3 del diametro (il tubo s'usa orizzontale, v. av.) per una lunghezza che dipende dal fabbisogno in A1C13 (g 27 di Al danno teoricamente g 133 di AICI3) e dalla lunghezza del forno di combustione usato; ad ogni modo l'estremità dello strato riscaldato non deve distare più di 8 cm dal barattolo di raccolta. Il tappo di congiunzione si protegge dal calore mediante un cartoncino d'amianto munito di foro e disposto in prossimità d'esso. All'altra estremità il tubo di combustione comunica mediante spezzoni di tubo di caucciù possibilmente corti con un apparecchio di sviluppo di HC1, passando però attraverso due bottiglie di lavaggio caricate ad H 2 S0 4 conc. Tutto l'apparecchio deve essere naturalmente secco alla perfezione. Il tubo di combustione si pone in un forno di combustione (sistemato sotto la cappa) e si fa attraversare a freddo da una corrent di HC1 gassoso; quando tutta l'aria è stata scacciata si scalda progressivamente tutto il tratto di tubo in cui si trova dell'alluminio. Quando, aumentata la temperatura, comincia a formarsi dell'AlClj, ciò che si può dedurre dall'insorgere di nebbie che passano nel collettore, bisogna aumentare la velocità della corrente gassosa; nel contempo si scalda più fortemente e a questo punto si ha cura, rendendo la corrente gassosa assai vivace, perchè il cloruro formato non abbia il tempo di condensarsi sotto il tappo, nè di otturare l'apparecchio, cosa alla quale si deve fare la massima attenzione. Il fatto che dal « camino » del barattolo usato come collettore possano sfuggire delle nubecole di A1C13 non significa ancora un pregiudizio serio per il rendimento. La reazione si lascia procedere fino a che il metallo s'è volatilizzato tutto salvo piccoli resti. f1) È consigliabile usare l'Alci, preparato in laboratorio nel corso di preparazioni inorganiche.

Benzofenone

349

Il cloruro cosi ottenuto si conserva in un barattolo a tappo smerigliato molto ben chiuso.

Esercizio N. 3. - La sintesi chetonica. a) Benzofenone da cloruro di benzoile e benzene. Una miscela di cm 50 di benzene, g 35 di cloruro di benzoile (r/4 di gr mol) e cm 3 100 di CS2 puro (oppure altri cm 3 70 di benzene) si pone in un pallone asciutto. Nel corso di circa 10 minuti vi si aggiungono a piccole porzioni, spesso dibattendo il pallone, g 35 di AICI3 preparato di fresco e finemente polverizzato, precedentemente pesato in una provetta asciutta chiusa con tappo. Indi s'innesta sul pallone un lungo refrigerante a ricadere e si scalda a 50° in acqua calda fino a tanto che oramai si sviluppano solo scarse quantità di HC1, il che richiede circa 2 a 3 ore di tempo. Il colore della soluzione è bruno-scuro. Ora si distilla mediante un refrigerante di Iviebig il CS2 (o il C6H6) ed il residuo ancora caldo si versa con precauzione in un matraccio ampio contenente cm 3 300 d'acqua con pezzetti di ghiaccio. Dopo aver lavato con acqua il pallone e trattato il prodotto della reazione con cm 3 10 di HC1 conc., si fa passare durante 20 minuti circa una corrente di vapore per la soluzione. Il residuo che rimane nel matraccio si riprende dopo raffreddamento con etere e la soluzione eterea si dibatte più volte con NaOH dil. Dopo essiccamento con CaCl2 l'etere viene evaporato ed il residuo viene distillato da un pallone a coda, il cui tubo di sviluppo sarà saldato al collo in basso. P. eboll. 2970. P. fus. 48°. Resa circa g 35. Un prodotto più puro si può ottenere distillando a pressione ridotta da un pallone a coda dilatata (fig. 12). b)

Benzofenon-ossima.

Una soluzione di g 4 di benzofenone in cm 3 25 d'alcool si t r a t t a colle soluzioni raffreddate di g 3 di cloridrato d'idrossilammina in cm 3 6 d'acqua e g 5 di KOH in cm 3 5 di H 2 0 ; il miscuglio si scalda durante due ore a b. m. con refrigerante a ricadere. Il prodotto si versa in cm 3 50 d'acqua, si filtra eventualmente dal benzofenone inalterato che nel dibattere s'agglomera con facilità; indi il filtrato s'acidifica debolmente con H 2 S0 4 dil. e si cristallizza l'ossima libera dall'alcool. P. fus. 140°.

350

Cap. IX:

b) Sìntesi

c) Trasposizione

di

Friedel-Crafts

di BECKMANN a benzanilide.

Una quantità pesata dell'ossima si scioglie a freddo in un po' d'etere esente da acqua e da alcool e si tratta lentamente e progressivamente con una quantità eguale a 1 , 5 volte il suo peso di PC1& finemente polverizzato. Si distilla l'etere, si tratta il residuo con acqua, avendo cura di raffreddare il recipiente e si ricristallizza il precipitato formatosi con questo trattamento, dall'alcool. P. fus. 1 6 3 ° . L'interessante spostamento intramolecolare (') che qui è stato realizzato, ha luogo con reciproco scambio di posizione fra C„HS ed OH secondo lo schema : W

'\C:NOH

C

H /

°

• C.H.-C

Ì _ I

N-C.H,

• C,H,-CO-NH-C,H,

¿H

Per intervento d'un catalizzatore (PC15, H2S04 conc.) si trasforma un composto più ricco in energia in un suo isomero stabile in un modo simile a quello esposto a pag. 197 a proposito delle relazioni fra idrazobenzene e benzidina. Riesce spontaneo il confronto colla trasposizione dell'acido benzilico: l ~

-

"

KOCO • C : (C,H 5 ) 2 OH

KCTÌ^H

Anche le reazioni di degradazione secondo HOFMANN e secondo CURTIUS sono affini nel loro decorso. A questo proposito dobbiamo menzionare anche « l'isomeria spaziale » o stereoisomeria delle ossime, la cui teoria è stata fondata dal WERNER e dallo HANTZSCH e che s'affianca all'isomeria già trattata più sopra a proposito dei diazotati. E cioè quelle ossime in cui l'atomo di C portante il gruppo isonitroso ==NOH è saturato con due sostituenti disuguali, possono esistere in una forma « syn » ed una « anti » : R—C—R' Il HON

e

R—C—R' || NOH

L'isomeria delle ossime è parallela a quella degli acidi maleico e fumarico. Nelle aldossime la forma syn passa facilmente al nitrile, perdendo acqua, quella anti invece non è suscettibile di questa reazione: R—CH Il NOH (') E.

BECKMANN,



R—C III + H a O . N

B. 19, 988 (1886); 20, 1507 e 2580 (1887); A. 252. (1889).

Trasposizione

di Beckmann.

Aceto/'enone sec. Priedel

e Crafts

351

Quanto alle chetossime di chetoni sostituiti con radicali differenti fra loro s'è creduto per molto tempo di poter utilizzare il risultato della trasposizione di BECKMANN come dimostrazione della loro configurazione; e cioè si supponeva che il gruppo OH scambiasse il proprio posto coi sostituenti viciniori, giacché la trasposizione delle due chetossime stereo-isomere conduce a delle ammidi isomere. Ma in tempi recenti s'è potuto stabilire che succede proprio l'opposto, come si vede dalle formole seguenti (MEISENHEIMER, B . 54,

3206 [1921):

R • C • R'

O C • R'

ILOH

'

R • C • R'

N H - R

O C

HOLLI

"

• R

NHR'

Con bella rispondenza fra teoria ed osservazione, dal benzile si possono far derivare due monoossime e tre diossime stereoisomere : H

5

e .

C N O H

forme:

C . C

8

H

5

H O N

H.C, • C — C • C,H HOLL

syn

S

A O H anti

H

6

C

T

• C

H O

C.C.HS

A H O J I anfi

d) Acetofenone da benzene ed anidride acetica ('). Si prende un cosiddetto pallone di T S C H E R N I A K (pallone a 3 colli) oppure un pallone normale a collo largo, da cm 3 500; nel collo centrale si monta un agitatore meccanico con chiusura stagna a mercurio (v. fig. 31, pag. 46); su un collo laterale ¡s'innesta un refrigerante a ricadere, sull'altro un imbuto a rubinetto. Nel pallone si pongono cm 3 100 di C 6 H 6 essiccato sopra N a metallico, nel liquido s'aggiungono g 80 di A1C13 sublimato di fresco. Indi agitando energicamente si fanno entrare g 25 di anidride acetica pura nel corso d'una mezz'ora. Il miscuglio si scalda da sè e nella reazione si sviluppa tumultuosamente dell'HCl. Si scalda continuando sempre ad agitare, per un'altra mezz'ora a b. m. fino all'ebollizione, si versa la soluzione raffreddata in un imbuto separatore contenente del ghiaccio tritato, dopo di che l'Al(OH) 3 separatosi si riporta in soluzione mediante HC1 conc. Dopo aggiunta d'un po' d'etere si separa 10 strato benzenico, s'estrae con etere, si dibattono gli estratti eterei con sol. di NaOH, s'essicca con CaCl 2 e dopo aver evaporato 11 solvente si distilla l'acetofenone, .preferibilmente a pressione ridotta: v. pag. 344. Resa g 24-25, riferendoci all'anidride acetica 80-85 % del teorico. T1) R . ADAMS, Jurn.

Am.

Chem.

Soc.,

4 6 , 1889 (1924).

352

Cap.

IX:

b) Sintesi

di

Friedel-Crafts

Usando il cloruro d'acetile in luogo dell'anidride acetica s'ottiene sì e no la metà del rendimento suaccennato. Il confronto fra le due reazioni è istruttivo. Esercizio N. 4. - Trifenilclorometano da benzene e tetracloruro di carbonio ). Nello stesso apparecchio indicato a proposito del benzofenone s'introducono g 60 di A1C13 fresco ed attivo a mano a mano nella miscela di g 80 di CC14 puro secco e g 200 di benzene. Inizialmente si raffredda il recipiente con acqua e non si lascia diventare troppo tumultuosa la reazione. 1,'HCl che si libera in forti quantità si assorbe così come è stato indicato in casi simili, ad es. nella preparazione del bromobenzene (pag. 115). Quando tutto l'AlCl3 è stato aggiunto e la reazione principale è passata, si scalda per un'altra mezz'ora a b. m. con ricadere. Il miscuglio di reazione giallo-bruno si versa, sempre dibattendo, sulla miscela di g 100-200 di ghiaccio (tritato) e cm3 200 di HC1 conc. che si trovano in un imbuto separatore sufficientemente ampio. Se il ghiaccio si fosse liquefatto prima d'avere decomposto tutta la massa del prodotto di reazione, si può aggiungere del ghiaccio nuovo, purché s'aggiunga altrettanto acido cloridrico. Quest'ultimo serve ad impedire la scissione idrolitica del cloruro di trifenilmetile. Quando si sono stratificati i due liquidi — caso mai s'aggiunge del benzene fresco — essi si separano: lo strato acquoso s'estrae ancora, se occorre, con benzene, s'essiccano gli estratti benzenici riuniti con CaCl2, infine il C6H6 s'evapora a b. m. il -più completamente possibile. Il residuo si digerisce collo stesso volume d'etere, quindi si pone per alcune ore in ghiaccio. Poi si filtra alla pompa e si lava la poltiglia cristallina bene spremuta (usare setto filtrante largo!) alcune volte con poco etere freddo a o°. Le acque madri evaporate (alla fine a pressione ridotta) forniscono una seconda cristallizzazione meno pura che si digerisce con poco etere freddo e poi si filtra alla pompa. Resa g 110-120. Per purificare il prodotto grezzo ancora giallo .lo si scioglie in pochissimo benzene caldo, s'aggiunge quattro volte il suo volume di benzina leggera e si lascia cristallizzare raffreddando con ghiaccio e agitando con bacchetta di vetro. Si lava con etere di petrolio freddo. Anche la distillazione nel vuoto spinto dà un prodotto assai puro (LECHER). (') M . GOMBERG, B . 3 3 ,

3144

(1900).

Trifenilclorometano.

Chinizarina

353

Esercizio N. 5. - 2,4-diossi-acetofenone da resorcina ed acetonitrile (1). L,a soluzione di g 5,5 di resorcina e g 3 d'acetonitrile in etri1 25 d'etere assoluto si tratta con g 2 di ZnCl2 anidro finemente polverizzato; poi si satura con HC1 gassoso, avendo cura di raffreddare con ghiaccio, il recipiente si lascia a riposo ben chiuso per alcune ore, al contenuto diventato pastoso s'aggiungono cm3 25 d'acqua ghiacciata, raffreddando sempre dal di fuori e dopo aver aggiunto ancora un po' d'etere si separa lo strato etereo. Iva chetoimmina contenuta nello strato acquoso sotto forma di cloridrato si scinde per ebollizione della soluzione durante 1/2 ora. Al raffreddamento cristallizza il resacetofenone con un rendimento di 4-5 g. Esso può venire ricristallizzato da acqua od alcool. P. fus. 145 0 Esercizio N. 6. - Chinizarina da anidride ftalica ed idrochinone (2). Una miscela di g 5 d'idrochinone puro e g 20 d'anidride ftalica si pone in un pallone aperto assieme a cm3 50 di H a S0 4 puro addizionato di g 5 d'acido borico; il pallone si scalda per 3 ore a bagno d'olio a 150-160° e infine per un'altra ora a 190-200°. I& soluzione ancora calda si versa rimescolando in cm3 400 d'acqua che si trovano in una capsula di porcellana; si scalda all'ebollizione e si filtra a caldo alla pompa. Quest'operazione si ripete. Poi si fa ribollire il precipitato con cm3 250 d'acido acetico glaciale, s'aspira a caldo alla pompa, il filtrato si versa in un bicchiere e lo si tratta ancora caldo con lo stesso volume d'acqua bollente. I,a chinizarina grezza che si separa al raffreddamento si filtra, si lava più volte con acqua, si secca a b. m. poi in istufa a 120° e si ricristallizza da cm3 150 di CH3COOH glaciale bollente: s'ottengono delle grandi scaglie giallo-aranciate fondenti a 194 0 e che dopo filtrazione alla pompa si lavano con poco CH3COOH glac., poi con etere. S'ottengono dei cristalli particolarmente belli dal toluene o dallo xilene. I,a chinizarina, similmente all'alizarina, si scioglie negli alcali con colore violetto intenso. Si può sublimare inalterata. Resa g 2-2,5. T1) K . HOESCH, B . 4 8 , 1 1 2 2 (1915); 50, 462 (1917). (A) GRIMM, B . 6, 506 (1873); BAEYER, B . 8 , 1 5 2 (1875). I.IEBERMANN, A. 212, IO (1882). D. R . P . (brevetto germanico) 255031 (FRIEDLAENDER, X I , 588). 23 - GATTERMANN.

Cap. IX:

354

Teoria

b) Sintesi di

degli esercizi

Friedel-Crafts

3 , 4, 5, 6.

Tanto i cloruri acidi quanto i cloruri alchilici reagiscono in presenza di A1C1„ o anche ZnCl, e FeCl a , con composti aromatici in u n modo tale che perdendo HC1 si abbia ingresso di radicale acilico od alchilico al nucleo:

0

—CO • CH S

I + CI • C H a

• I

ì

+ HC1 CHa

+HC1

Mentre la prima reazione che comprende la sintesi di chetoni viene usata spesso per il suo decorso generalmente netto e facile, l'introduzione di gruppi alchilici è assai meno chiara nel suo decorso, giacché da un lato la sostituzione può progredire oltre e dall'altro si può avere u n a parziale perdita di gruppi alchilici. Nella maggioranza dei casi qui si preferirà la reazione del F I T T I G . Nelle condizioni della reazione di F R I E D E I , e C R A F T S le sostanze aventi doppio legame olefinico reagiscono nel modo seguente: prima il cloruro acido s'aggrega con formazione d'un chetone saturo clorurato in pos. (3, al doppio legame, poi questo chetone perde a caldo HC1 e passa al corrispondente chetone non saturo: =C=CH- + CI-CO-CH3

=C-C-CO-CH 3

=C=C-CO-CH 3 + HC1 ;

¿ L I

pare perciò giustificato presumere u n decorso consimile anche per la reazione nella serie aromatica (v. B. 55, 2246, [1922]). L'ufficio del AICI3 è catalitico e perciò la sua quantità non è legata a relazioni stechiometriche. Ma poiché nel caso della sintesi chetonica il prodotto della reazione forma u n composto d'addizione solido con u n a gr. mol. di AlClj, occorre prenderne almeno 1 gr. mol. L a scelta dei solventi è piuttosto ristretta per la reazione di FRIEDEI, e CRAFTS, stante la grande reagibilità dei partecipanti alla reazione: essenzialmente sono da considerarsi CS2, etere di petrolio ben depurato, C,HSC1 e C,HsN02.

Quanto al meccanismo d'azione dell'A1C13 non si hanno ancora idee chiare. Siccome esso forma dei prodotti d'addizione complessi isolabili coi cloruri acilici ed alchilici, forse in questi il legame f r a cloro e carbonio è rallentato e perciò stesso aumentata la capacità d'addizione. Ma sussiste anche la possibilità che il cloruro d'alluminio per unione coll'idrocarburo ne esalti l'attività. Queste cose non valgono soltanto per i composti aromatici ed olefinici, bensì anche per le cicloparaffine che pure sono accessibili alla reazione di FRIEDEI, e CRAFTS.

Spiegazioni

teoriche

355

Oltre agli idrocarburi aromatici vi sono gli eteri fenolici che sono particolarmente facili a subire questo genere di sintesi. Ricorderemo alcune applicazioni: L a reazione del cloruro di ftalile con benzene, nella quale si forma il capostipite delle ftaleine, il cosiddetto jtalofenone: CC1, \ ^>0

+ 2 C6H,



\ c o

\0

+2HC1.

\co

L a sintesi d'un chetone interno dal cloruro dell'acido idrocinnamico :

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'co

L a sintesi diretta dei chetoni dagli idrocarburi con fosgene: 2 e,H„

+ coci,

C,H

5

--CO—C

6

H

5

+

2 HCI .

L'introduzione del radicale carbammidico semplice o sostituito usando cloruri d'urea (acido cianico e suoi eteri + HCI) : ¡A.CONH, — •

+HC1.

Con questo sistema si possono ottenere anche gli acidi carbossilici aromatici (dopo idrolisi) per mezzo della reazione di F R I E D E I ^ - C R A F T S . Questa reazione ha avuto un ampliamento colla bella sintesi delle aldeidi secondo G A T T E R M A N N - K O C H (*). Se si fa agire sul toluene (il benzene è meno adatto) in presenza di A1C1S e Cu2Cl2 una miscela di CO e HCI gassoso, s'ottiene la reazione che possiamo attenderci dal cloruro di formile che di per sè stesso non è stabile: H

0>

>CO

C H / V

c = o ,

|

+HCI

c h / ^

aldeide p-tolulca

Parrebbe che il cloruro dell'acido formico si formasse in via passeggera in forma d'un composto complesso col cloruro rameoso. (') Nelle precedenti edizioni tedesche di quest'opera, fino alla 23» compresa, si trova descritta particolareggiatamente la sintesi di GATTERMANN e KOCH. Ved. X X I I I ed., pag. 335, anno 1932 (nota del trai.).

35&

Cap.

IX:

b) Sìntesi

di

Friedel-Crafts

La sostituzione del CO con HCN permette anche d'ottenere aldeidi fenoliche e aldeidi d'eteri fenolici su scala vastissima, e anche qui il gruppo aldeidico si dispone per solito in pos. para rispetto al sostituente già presente (OH ecc.). In questo caso il Cu2Cl2 non è necessario. Poiché HCN e HC1 s'uniscono a cloruro di formoimmide C1HC=NH, è chiaro che qui prima si forma l'aldimmina che poi nel trattamento del miscuglio reagente con acqua perde NHj e viene trasformato nell'aldeide. Gli enoli della serie alifatica (etere acetila cetico, acetilacetone) reagiscono in un modo analogo in via di principio. L'uso del fulminato di mercurio, dal quale s'ottiene con HC1 gassoso il cloruro dell'acido formidrossammico (isolabile in bei cristalli) : (C=NO) 2 Hg + 4 HC1

HgCl2 + 2 ClHC=NOH

nella serie aromatica conduce alla formazione di aldossime (SCHOIJ,) . Riveste grande interesse la reazione fra CO+AlCl 3 ed idrocarburi alifatici saturi: il gruppo carbonilico viene incastrato nella catena (') : C t H l s + CO

>

H,C—CH2—CO—CH(CH,)a.

La sintesi dei chetoni secondo HOUBEN-HOESCH variata secondo le direttive della reazione di GATTERMANN ricorre ai nitrili ed ha un decorso quanto mai liscio; si hanno risultati favorevoli sopratutto per i polifenoli. Si tratta qui dei cloruri immidici R — C = N H i quali analogamente a quanto succede CI nel caso dell'acido cianidrico si trasformano in chetoimmine e poi in chetoni. Dopo quanto abbiamo detto la reazione si può facilmente esprimere in formole. Il cloroformio entra nella sintesi di FRIEDEI

o2

Radicali liberi.

Collidina

365

Ricorderemo ancora i radicali con azoto bivalente, derivabili dalle idrazine, i cosiddetti idrazili, che sono composti intensamente colorati ottenut dalla deidrogenazione d'idrazine terziarie; questi idrazili entrano in equilibrio di dissociazione coi tetrazani incolori (ST. GOI,DSCHMIDT), per es. : (C 6 H 6 ) 2 N • N

N • N(CsHs)2

^ 2 ( C , H e ) 8 N - N • C6H5

C6H6 C6H5 Anche il radicale NO a ha trovato il suo similare nella serie aromatica. Deidrogenando la difenil-idrossilammina medinate Ag 2 0, s'ottiene l'ossido di difenilazoto (difenil-ipoazotide) cristallizzato in bellissimi cristalli rossogranata (p. 193): HO—N(C 6 H 5 ) 2

>

0=N(C6H5)2 .

Non solo nel colore ma anche in molte reazioni notiamo una coincidenza sorprendente con l'ipoazotide. Ma al suddetto radicale organico manca ogni e qualsiasi tendenza di formare il dimero e cessare d'essere un radicale. Sotto questo aspetto l'ossido di difenilazoto somiglia all'ossido d'azoto NO, mentre i ic parenti » organici di quest'ultimo s'avvicinano piuttosto all'ipoazotide. Questo campo è ampiamente descritto nel libro di P. WALDEN, Chemie der freien Radikale (Chimica dei radicali liberi) edito a Lipsia nel 1924.

CAP. X. - COMPOSTI

ETEROCICLICI.

Esercizio N. 1. - Derivati piridici. a) Sintesi della collidina secondo

H a n t z s c h

(1).

Etere dell'acido diidrocollidin-dicarbossilico. Una miscela di g 33 d'etere acetilacetico e di g 10 d'ammonio-aldeide si scalda in un bicchierino su una reticella per 3 minuti a i o o - n o 0 , agitando con un termometro. Quindi la miscela di reazione ancora calda si tratta col doppio volume di HC1 2N e senza riscaldare più, si rimescola finché la massa inizialmente liquida s'è solidificata. Questa massa si macina finemente in un mortaio, si filtra alla pompa, si lava con acqua e s'essicca su porcellana porosa. Il prodotto grezzo si può adoperare senz'altro per l'ulteriore trattamento. Un saggio si f a cristallizzare da poco alcool: cristalli piatti, incolori, a fluorescenza azzurrognola, fondenti a 1 3 1 0 . Etere dell'acido collidin-dicarbossilico. Nella miscela dell'etere grezzo con altrettanto alcool in peso, miscela raffreddata con l1) A . , 2 1 5 ,

1

(1882).

366

Cap.

X:

Composti

eterociclici

acqua, si fa entrare dell'N 2 0 3 ( l ) gassoso fino a tanto che l'etere diidrogenato è andato in soluzione ed un saggio si scioglie limpidamente in HC1 diluito. Ora la soluzione si versa su g 100 di ghiaccio che si trovano in un imbuto separatore di media grandezza (cm3 500-750) e si sciacqua con acqua il recipiente. L'acido si neutralizza mediante introduzione lenta di carbonato sodico in polvere fine, poi l'etere salino separatosi sotto forma di sostanza oleosa s'estrae con etere. Si può dibattere con tappo chiuso solo quando è cessato lo sviluppo di C0 2 . I/estrazione con etere si ripete, le soluzioni eteree s'estraggono un'altra volta ma con acqua per eliminare la maggior parte dell'alcool, si seccano brevemente con K 2 C0 3 , s'evapora l'etere e si distilla il residuo a pressione ridotta. P. eboll. a 12 mm Hg: 175-178°. Resa g 15 d'etere collidin-dicarbossilico da g 20 di etere del diidro-derivato. Collidin-dicarbossilato potassico. Si sciolgono g 30 di KOH purificato in cm3 100 d'alcool assoluto entro un pallone da cm3 250 scaldando a lungo su reticella e con colonna a ricadere. Quei g 15 d'etere collidin-dicarbossilico ottenuti c. s. s'aggiungono nel pallone lentamente e la soluzione si scalda per 3-4 ore su b. m. in vivace ebollizione. Il sale difficilmente solubile in alcool si separa a mano a mano in croste cristalline e si filtra a vuoto dalla soluzione raffreddata, dopo finita la saponificazione. Si lava prima due volte con alcool, poi una volta con etere. Resa g 12-14. Collidina. Il distacco del gruppo carbossilico si pratica per riscaldamento del sale potassico con della calce spenta. Il sale ottenuto come sopra si miscela al doppio del suo peso in Ca(OH)2, triturando insieme i due prodotti e il miscuglio si carica in un tubo a combustione della lunghezza di cm 60 circa, tubo che a cm 10 circa dall'estremità s'è otturato con un tappo d'amianto per il caricamento. La polvere introdotta si ricopre ora anche dall'estremità rimasta libera con un tappo d'amianto compresso lascamente; l'un'estremità si tappa con un turacciolo di sughero a buona tenuta e l'altra si mette in comunicazione con un collettore per mezzo d'un'allunga. Il tubo s'introduce in un corto forno a combustione, disposto inclinato (l'e(2) In un pallone si pongono g 50 di As 2 0 3 sminuzzata {attenzione !) e da un imbuto a rubinetto si fa arrivare nel pallone stesso lentamente la miscela di cm 3 75 di HNO, conc. (D = 1,4) e cm 3 30 di H 2 0 . Il pallone porta un tappo di sughero a doppio foro; in un foro passa il collo dell'imbuto, nell'altro un tubo di scarico che attraverso una bottiglia di lavaggio vuota e secca comunica col pallone di reazione. I in un volume, ed nn « Sachregister » cioè indice delle materie, in due volumi.

Ogni volume della parte principale o di quella supplementare contiene un indice alfabetico per materie. L o « Ergànzungswerk » considera la letteratura 1910-1920 ed è in istretto collegamento colla parte principale; a capo d'ogni pagina troviamo indicazioni in grassetto .del volume (cifre romane) e della pagina (cifre arabe) riferentisi a quel punto della parte principale in cui è trattata la stessa materia. Ciò facilita enormemente le ricerche.

L a nuova edizione, la I V , della cui organizzazione e disposizione il lettore può rileggere notizie importanti nel suo I volume, non è collegata ad alcuno degli indici per formole brute sopra riportati. Grazie alla cura colla quale è raccolto il materiale al completo da t u t t a l a l e t t e r a t u r a disponibile (anche libri) il BEILSTEIN ci d à u n a

descri-

zione eccellente e sinottica di t u t t o quanto è realmente noto intorno ad un dato composto. Perciò il BEILSTEIN rappresenta una specie di « Ufficio informazioni » pel chimico organico. L e indicazioni bibliografiche sono quasi altrettanto importanti quanto la parte descrittiva.

426

Breve istruzione

pir

l'uso

della letteratura

di chimica

organica

Chi apre il BEILSTEIN per istruirsi intorno a date preparazioni, deve però mettersi in testa ben chiaramente, che le vere fonti delle informazioni sono costituite dalle memorie originali alle quali rimandano le indicazioni bibliografiche. Il lettore si abitui a risalire in tutti i casi a quelle fonti e a rileggersi (nonché riassumere) sempre i lavori originali, ne mai s'accontenti della sola letteratura riassuntiva e di documentazione. Questa esortazione si riferisce anche per l'utilizzazione completa dei riferimenti dati dallo « Zentralblatt ». Dopo aver letto un riassunto in questo, è necessario ricercare e rileggere la memoria originale ; il cui luogo e data di pubblicazione è ogni volta riferito alla fine del riassunto stesso. È utile anche imparare il significato delle cifre che s'usano per le indicazioni bibliografiche. Si comincia col titolo abbreviato della Rivista in cui è stampata la memoria che c'interessa, titolo che per le riviste più note è riportato colla sola iniziale (v. elenco dei titoli a pag. xi) segue quindi un numero in grassetto, che distingue il volume della rivista, poi un numero in carattere ordinario, indicante la pagina di quel volume. Si termina col millesimo dell'anno di pubblicazione (tra parentesi tonde). Se il numero progressivo del volume (in grassetto) è preceduto da una cifra tra parentesi quadre, questo numero indica la serie di volumi della quale quel volume fa parte. L'esatta storia delle più importanti riviste chimiche si trova in: LANDOLTBÖRNSTEIN, < Physikalisch-chemische Tabellen » (Tabelle Fisico-chimiche), fine del II voi. della parte principale (Hauptwerk). Si veda inoltre il volume « Periodica Chimica », edito dal « Chemisches Zentralblatt ».

Per orientarsi intorno alle singole classi di sostanze che sono trattate nel corso di preparazioni organiche, è particolarmente utile l'uso del vasto trattato di V. MEYER-P. JACOBSON. Anche in questa opera disturba il notevole tempo intercorso fra la pubblicazione delle varie parti, reso d'altronde necessario dalla vastità della materia. Se si tratta di preparazioni di sostanze aventi interesse industriale si può utilmente consultare l'eccellente opera di F. ULLMANN : « Enzyklopädie der technischen Chemie », II ediz. disposta alfabeticamente secondo materie in I O volumi (nonché un volume d'indici, che è sempre utile consultare per primo poiché il criterio alfabetico non ha potuto essere sempre rigorosamente seguito).

Una raccolta e descrizione sistematica di tutti i metodi e procedimenti da applicarsi nel laboratorio organico si trova nell'opera in 4 volumi : HOUBEN-WEYL, « Die Methoden der organischen Chemie », mentre l'opera di HANS MEYER « Analyse und Konstitutionsermittlung organischer Verbindungen » (Analisi e determinazione della costituzione dei composti organici), ricca di contenuto, tiene più conto delle necessità analitiche. L o stesso dicasi di : R O S E N T H A L E R , « Nachweis und Bestimmung I I edizione.

reiner

Verbindungen » (Ricerca e determinazione dei composti puri),

PYepayazionì tolte dalla letteratura

427

Preparazioni tolte dalla letteratura. Il coronamento del corso di preparazioni è dato necessariamente dalla preparazione di più d'una sostanza, per le quali non si trovano le prescrizioni, elaborate per l'insegnamento e riportate in t u t t i i particolari, come nell'opera presente; per le quali invece lo studioso deve mettere insieme da sè i metodi più adatti cercandoli nella letteratura delle riviste scientifiche. I n quest'occasione egli impara anche la tecnica delle ricerche bibliografiche ed il maneggio della biblioteca chimica; ma egli deve mostrare anzitutto d'essere atto a compiti anche più diffìcili. Quando un composto si sintetizza attraverso più stadi intermedi, s'impone categoricamente l'esame preventivo e lo stabilimento d'ogni singolo tratto della via da percorrere mediante esperienze in provetta, prima d'impiegare tutto il materiale disponibile. Chi non segue questa regola, pagherà caramente la propria imprevidenza con gravi perdite di tempo e di sostanze. Nella scelta dei preparati meno facili bisognerà spesso orientarsi secondo le necessità ed i desideri risultanti dall'attività scientifica dei singoli Istituti; non c'è bisogno di rilevare che in questo campo l'interessamento del preparatore deve tenersi in massimo conto. Qui di seguito diamo un piccolo riassunto dei composti la cui preparazione s'è dimostrata opportuna nel senso sopra detto. Pinacone, pinacolina O-metil-idrossilammina Alcool allilico Stirene Stilbene Bromuro di fenacile Difenile Ossido d'etilene Colina Acido ditioglicolico Cloruro d'ossalile Nitrourea Nitrammide Eteri dell'acido ortoformico Acido fumarico » glutarico » adipico » pimelico » piruvico » ossalacetico » diossitartarico » diossimaleico -Cianammide ^-feniletil-alcool Aceton-dicarbossilato d'etile Acido muconico •Cadaverina

Trifenilammina Acido fulminuiico Etere dell'acido azodicarbossilico p-Dinitrobenzene Aldolo Aldeide crotonica Aldeide fenilacetica Diossima del benzile Fenil-alanina Metil-cicloesenone p-Dicheto-cicloesano Diacetile Mesitilene Acetonil-acetone Antipirina Sottossido di carbonio Cumaruia Acido allocinnamico Xantone Acridina An tranolo Bi-difenilen-etilene (3-Nitronaftalina Difenilchetene Canfochinone Acido violurico

Veronal Fen il-nitrammina m-Toluidina m-Nitrofenolo p-Nitrofenilidrazina Fucsone Esaossibenzene Inosite o-Benzochinone Olinolo Ossiidrochinone Tetrafenil-xililene Dimetilammino-benzaldeide Fenantren-chinone Difenilen -etilene Difenil-idrazina Trifenilidrazina Esafenil-tetrazano Tolano Mercurio-difenile Dimetilpirone 1,5 -Dibromopentano Ossido di difenilazoto Tioindaco Scarlatto di tioindaco Isatina secondo S A N D M E Y E R Timolftaleina

428

Preparazioni

Sodio-trifenilmetile Dimetil-pirrolo Acido mellifico Metilimidazolo a partire da glucosio a- e ß-metilglucoside il, I-canfora dal pinene Cistina Idrolisi delle proteine secondo E.

FISCHER-DAKIN

Diossi-fenil-alanina Acido glutammico Glicil-glicina Suprarenins Mannosio Diaceton-glucosio Dulcite da] galattosio Silvano dal furfurolo

tolte dalla

letteratura

Guanina Xantina Acido urico sintetico. Acido canforico » canforonico o-Esdragolo dall'etere fenilallilico Ionone Vaniglina dall'isoeugenolo Tartrazina Auramina Piombo-tetrafenile Boro-trifenile Forone Ninidiina Cloroimminocarbonato (l'alci: ile

Difenil-diazometano Fenilacetilene Piperidina Pi perii ene Etere dell'acido ciclopentanon-carbossilico Acido picrolonico Difenil-etilene asimmetrico Amilene dall'acetone Xilosio Gliossale Alcool furfurilico sec. MEERWEIN

Alcool cinnamico sec. MEERWEIN

Glutatione

APPENDICE

TABELLE

AZOTOMETRICHE

Tabelle

43°

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