Cherilo di Iaso: Testimonianze, frammenti, fortuna
 3110746603, 9783110746600

Table of contents :
Premessa
Indice
Riferimenti
Prefazione
Choerili Iasei reliquiae
Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?
Capitolo 2 Cherilo e Alessandro
Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo
Capitolo 4 L’opera superstite
Capitolo 5 La ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso
Conclusioni
Bibliografia
Index fontium
Index locorum
Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici)
Indice degli autori (secoli XIV–XIX) trattati nel capitolo 5

Citation preview

Marco Pelucchi Cherilo di Iaso

Beiträge zur Altertumskunde

Herausgegeben von Susanne Daub, Michael Erler, Dorothee Gall, Ludwig Koenen und Clemens Zintzen

Band 407

Marco Pelucchi

Cherilo di Iaso

Testimonianze, frammenti, fortuna Premessa di Giovanni Benedetto

Questo volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi letterari, filologici e linguistici dell’Università degli Studi di Milano nell’ambito del Piano di Sostegno per la Ricerca PSR 2020.

ISBN 978-3-11-074660-0 e-ISBN (PDF) 978-3-11-074704-1 e-ISBN (EPUB) 978-3-11-074708-9 ISSN 1616-0452 Library of Congress Control Number: 2022941446 Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.dnb.de abrufbar. © 2022 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston Typesetting: Integra Software Services Pvt. Ltd. Printing and binding: CPI books GmbH, Leck www.degruyter.com

Premessa In origine presentato come tesi di laurea magistrale presso l’Università degli Studi di Milano, il libro di Marco Pelucchi ora elaborato per la pubblicazione nei Beiträge zur Altertumskunde dell’editore De Gruyter ottimamente si inscrive in una peculiare tradizione degli studi di filologia classica presso l’università mediolanense, l’attenzione cioè alla poesia ellenistica, particolarmente in frammenti, indagata in sé, nella sua ricca fortuna all’interno della letteratura latina nonché nel suo Nachleben in parte coincidente con la storia stessa degli studi. È una tradizione che a buon diritto si può far risalire agli Studi intorno alle fonti e alla composizione delle Metamorfosi di Ovidio, la tesi normalista pubblicata nel 1906 da Luigi Castiglioni (1882–1965), poi per un trentennio (dalla metà degli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta) illustre cattedratico di Letteratura latina (e di Filologia greco-latina) nell’Università di Milano: una tradizione, naturalmente, che si rifaceva alla ‘riscoperta’ dell’ellenismo in ambito letterario ad opera della filologia classica tedesca del XIX secolo, con figure quali A. Meineke, C. Dilthey, U. von Wilamowitz-Moellendorff, per citare solo i massimi rappresentanti di quell’intenso e fortunato indirizzo di studio. Nel caso di Cherilo di Iaso, persino eccessivo può sembrare parlare di “frammenti”, tanto esigui e soprattutto dubbi sono i resti della sua opera giunti a noi. Relativamente ampio è il numero dei testimonia, benché piuttosto ripetitivi nelle notizie o negli aneddoti conservati intorno allo sfuggente poeta di Iaso. Proprio lo studio dettagliatissimo delle testimonianze, nel districarne la rete quali strumenti per tentare di tracciare un profilo di vita e opere di Cherilo di Iaso, connota in modo singolare il lavoro di Marco Pelucchi, e quanto alla pars Latina ben si riflette nelle parole che con chiarezza e concisione aprono il primo capitolo: «Alla tradizione latina, nel suo complesso riconducibile a Orazio, si deve la maggior parte delle notizie relative a un Cherilo: egli è descritto come cantore di Alessandro e ‘peggior poeta’ greco». Appunto ai riferimenti presenti nell’Ars poetica di Orazio, in passi notissimi, si deve la connessione ‘di scuola’, durata per secoli, del nome di Cherilo con quei «dibattiti poetologici ellenistici» cui si lasciano collegare anche le due menzioni di Cherilo di Iaso rinvenibili nel trattato filodemeo De poematis, notoci grazie ai rotoli ercolanesi. Nel libro di Pelucchi si incontrano, si può ben dire, tutte le ‘dimensioni’ proprie della ricerca in ambito filologico classico, a partire dagli ineludibili fondamenti critico-testuali, espressi nell’attenta (e spesso innovativa, non solo per acribia e completezza dei dati) edizione e traduzione dei testimonia e fragmenta. Nel primo capitolo si sviluppa l’indagine volta a districare le omonimie tra i Cherili, sì da fissare sicuramente la storicità di un Cherilo di Iaso; segue la ricostruzione https://doi.org/10.1515/9783110747041-202

VI 

 Premessa

di una tradizione di poesia encomiastica a Iaso nel IV secolo a.C., come possibile contesto non solo della prima attività poetica di Cherilo ma anche come ‘sfondo’ per il decisivo incontro con Alessandro Magno («dalla tradizione greca sopravvive dunque menzione di un Cherilo di Iaso, dai testimoni latini di un Cherilo che seguì Alessandro in Oriente celebrandone le imprese: i due profili sono riconducibili a un unico personaggio [. . .] Nelle prossime pagine intendo evidenziare altri argomenti a sostegno di questa identificazione, indagando in particolare i rapporti di Alessandro con Iaso»). Cuore del volume è il capitolo terzo, di grande compattezza e lucidità, dove si individuano in Orazio e in Filodemo gli snodi decisivi per quanto di Cherilo sopravvivrà nella memoria erudita dei secoli successivi: qui la particolare attitudine del dott. Pelucchi nel padroneggiare e incrociare una vastissima bibliografia si traduce nella capacità di ‘immergersi’ nei meandri dell’estetica ellenistica, dei suoi secolari dibattiti, dell’eco che a noi è faticosamente pervenuta, per la cui comprensione grande è stato l’apporto dei papiri sia callimachei sia filodemei, e dell’assiduo loro studio particolarmente nell’ultimo secolo. Il quarto capitolo può considerarsi un vero commento, sinora del tutto assente, all’avara e disputata «opera superstite» di Cherilo di Iaso, mentre il quinto capitolo chiude il volume con una preziosa rassegna sulla “storia dell’esegesi cherilea (o iasea)”, ponendo al centro il Choerili Samii quae supersunt di A.F. Naeke (1817), al quale «risale la definitiva acquisizione circa l’esistenza di un Cherilo di Iaso distinto dal Samio». Particolare merito di Pelucchi è però spingersi al di là di Naeke, utilizzandone molti spunti coperti dall’oblio, e così delineando in pagine di grande efficacia la presenza di Cherilo, e dei Cherili, nell’erudizione filologica tra XVI e XVIII secolo, da Lilio Gregorio Giraldi all’epocale Thesaurus temporum dello Scaligero sino al «gusto sistematizzatore di Fabricius», nella cui seconda edizione della Bibliotheca Graeca (1708) il dotto tedesco pare essere stato il primo «a riconoscere il poeta di Alessandro nel Cherilo presente nella Suda e in Stefano Bizantino, chiamandolo ‘Cherilo di Iaso’», intuizione che sarà poi appunto ripresa da Naeke. Tale profilo di storia degli studi è posto non all’inizio del volume, ma alla fine; piace ricordare a questo proposito che nel Prospetto di tutte le parti della scienza dell’antichità (Ueberblick sämmtlicher Theile der Alterthums-Wissenschaft) voluto da F.A. Wolf a conclusione della sua fondativa Darstellung der Alterthumswissenschaft (1807) l’elenco delle ventiquattro discipline costituenti la scienza dell’antichità culmina appunto con la Storia letteraria della filologia greca e latina e dei rimanenti studi dell’antichità insieme alla bibliografia (Litterarhistorie der griechischen und lateinischen Philologie und der übrigen Alterthums-Studien nebst der Bibliographik).

Premessa 

 VII

Ai lettori filologi e amanti dell’Antico l’impegno di affrontare e scoprire il denso libro di Marco Pelucchi, così ricco di spunti e suggerimenti e osservazioni; auspicio cui volentieri associo ogni migliore augurio al giovane autore e al suo primo libro. Giovanni Benedetto (Università degli Studi di Milano)

Lei che amava solo Gesualdo Bach e Mozart e io l’orrido repertorio operistico con qualche preferenza per il peggiore. – E. Montale, Satura

Indice Premessa 

 V

Riferimenti 

 XV

Prefazione 

 XVII

 1 Choerili Iasei reliquiae  Conspectus siglorum   1 Testimonia   9 Epigrammata et fragmenta dubia  Appendix   24 Traduzione   25

 17

Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?   33 1 La testimonianza della Suda   33 1.1 Una confusione tra omonimi   34 1.2 Nella prospettiva della Suda   36 1.3 Gli stateri aurei per ‘Cherilo’ tra Orazio e la Suda   38 2 La testimonianza di Stefano Bizantino   42 2.1 Un nuovo frammento su Cherilo di Iaso   44 2.2 Quale autore?   46 3 Cherilo autore di epistole, epigrammi e commedie? La testimonianza di ps.-Eudocia   49 4 Iaso tra Cherilo e Alessandro   51 4.1 Poesia encomiastica a Iaso   52 4.2 Alessandro a Iaso? Una conoscenza ‘a distanza’   53 4.3 Gorgo di Iaso al séguito di Alessandro   56 4.4 Cherilo, gli Ecatomnidi e Alessandro: una proposta   58 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro   61 1 La tradizione ‘oraziana’   61 2 La testimonianza di Orazio, Epistula ad Augustum   62 2.1 Cherilo e Orazio, Cherilo e Virgilio, Alessandro e Augusto   62 2.2 Cherilo nell’Epistula ad Augustum   64 2.3 Filodemo fonte di Orazio?   68 2.4 Cherilo, il modello del Curculio e un ‘Rätsel’ plautino   69

XII  3 3.1 3.2 3.3 4 4.1 4.2 5 5.1 5.2 5.3 6 7 8 9 9.1 9.2

 Indice

Le testimonianze di Porfirione e di Pseudacrone   73 Il testo   73 Antichità delle notizie su Cherilo   75 Attendibilità, convergenze e divergenze   77 La testimonianza di Curzio Rufo   80 I Dioscuri di Augusto e di Alessandro   81 Cherilo e i pessimi poeti: tradizione scolastica e alessandrografia   83 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?)   86 Una strana assenza   86 Callistene e Cherilo negli scolî all’Ibis   88 Callistene e Cherilo nell’Ibis?   92 La testimonianza di Ausonio   96 La testimonianza di Ennodio   98 Cherilo nel terzo proemio degli Astronomica di Manilio?   101 Cherilo al séguito di Alessandro: «falsa mixta veris»   104 Cherilo disprezzato: la morte e l’epifonema su Achille   106 La versione di Orazio: una proposta per la biografia di Cherilo   109

Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo   112 1 La testimonianza di Orazio, Ars poetica   112 1.1 Cherilo nell’Ars poetica: virtus ed error dei poeti   112 1.2 Gli errori di Omero, il confronto con Cherilo   113 1.3 Cherilo e l’ut pictura poesis   116 1.4 Fonti oraziane. Orazio lettore di Cherilo?   117 2 La testimonianza di Filodemo, De poematis   119 2.1 Eufonia e ϲύνθεϲιϲ nei buoni e nei cattivi poeti   119 2.2 L’originalità come criterio della buona poesia   123 2.3 (Cherilo?,) Anassimene, Omero e la pittura   124 2.4 Cherilo prima e dopo Filodemo   125 3 La testimonianza di Festo   128 4 Spuria   129 4.1 Ermia Alessandrino su Cherilo di Samo   129 4.2 Aristotele su Cherilo di Samo   131 5 L’origine della fama di Cherilo: l’estetica ellenistica   132 5.1 Adulatore, quindi pessimo poeta?   133 5.2 Cherilo di Samo e il confronto con Omero   134

Indice 

5.3 5.4 6 6.1 6.2 6.3 7

 XIII

 136 Poesia alessandrina e critica dell’epica  Pessimi poeti e pessimi emulatori. Cherilo ὁ Ὁμηρικόϲ   137 Un’anodina testimonianza: l’epigramma di Cratete   139 Cherilo (di Samo) contro Antimaco?   140 Cherilo (di Iaso?) peggiore di Antimaco: Euforione, Callimaco e la Lyde   141 Euforione ὁ Ὁμηρικόϲ e ‘Cratete’   143 Rivalutare Cherilo?   144

Capitolo 4 L’opera superstite   147 1 Cherilo ‘epico’   147 1.1 ‘L’Achille di Cherilo’: l’encomio epico per Alessandro Magno   147 1.2 Le battaglie e l’assedio: i Λαμιακά per Antipatro   152 2 Cherilo epigrammista?   157 2.1 Cherilo ‘traduttore’. L’epigramma e gli epigrammi per Sardanapalo   157 2.2 Prima di Alessandro: l’epigramma per l’Ecatomnide Ada   162 3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso   164 3.1 La lancia macedone: tra Cherilo e Callimaco   164 3.2 Ancora Sardanapalo: un anonimo frammento in un papiro ‘crisippeo’   169 3.3–6 I frammenti ‘di Cherilo’   172 3.3 Il coccio di calice e Dioniso: simposi tempestosi tra Serse e Alessandro   172 3.4 La goccia d’acqua e la pietra   176 3.5 Talete e l’immortalità dell’anima   178 3.6 L’Eridano in Germania e la ‘tragica’ morte di Fetonte   181 3.7–8 I papiri   184 3.7 P.Oxy. 2814   184 3.8 P.Pisa Lit. 1   187 Capitolo 5 La ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso   189 1 Perplessità vecchie e nuove   189 2 Il ruolo di A.F. Naeke   191 3 ‘Cherilo’ tra il XVI e il XVIII secolo   194

XIV 

 Indice

Conclusioni 

 203

Bibliografia 

 209

Index fontium 

 233

Index locorum 

 237

Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici)  Indice degli autori (secoli XIV–XIX) trattati nel capitolo 5 

 243  251

Riferimenti Le edizioni e la letteratura secondaria sono citate secondo le indicazioni fornite nella Bibliografia finale. Quando si ricorre alla numerazione di raccolte di testi antichi, si indica generalmente l’editore che ha stabilito la numerazione, anche quando non coincide con l’ultimo editore (e.g. FGrHist e non BNJ o altri recenti editori di singoli storiografi). Si abbreviano inoltre: B. D.–K. G.–P. K.–A. M.–W. Pf. R. C.

Bernabé Diels – Kranz Gow – Page Kassel – Austin Merkelbach – West Pfeiffer Radici Colace

AOx CAG CIL CLE EGr FGrHist FGrHistCont FHG PG SEG SH SSH SVF

Anecdota Oxoniensia Commentaria in Aristotelem Graeca Corpus inscriptionum Latinarum Carmina Latina epigraphica Epigrammata Graeca Die Fragmente der griechischen Historiker Die Fragmente der griechischen Historiker Continued Fragmenta historicorum Graecorum Patrologia Graeca Supplementum epigraphicum Graecum Supplementum Hellenisticum Supplementum Supplementi Hellenistici Stoicorum veterum fragmenta

Per gli autori greci, quando abbreviati, si fa riferimento di norma al LSJ9, per i latini all’OLD4, in entrambi i casi con qualche ampliamento. Il nome dell’autore posto tra parentesi quadre indica un’opera pseudepigrafa, il punto di domanda preposto al nome un caso incerto, mentre le virgolette singole sono intese a indicare che l’autore può davvero aver avuto il nome indicato nella tradizione, anche se va esclusa l’identificazione con il più noto omonimo. Un frammento o un testimone dubbio o spurio sono indicati rispettivamente con ° e con °° indipendentemente dall’uso dell’edizione di riferimento.

https://doi.org/10.1515/9783110747041-204

XVI 

 Riferimenti

Rimandi interni: supra e infra precisati dal solo paragrafo sono da intendere con riferimento al capitolo in cui si trovano; non precisati dal paragrafo, al paragrafo in cui occorrono. Testimonianze, epigrammi e frammenti di Cherilo di Iaso sono indicati secondo la numerazione della presente edizione, in grassetto. Ulteriori abbreviazioni utilizzate nell’edizione sono sciolte nel conspectus siglorum.

Prefazione Dalle fonti è noto un gruppo di poeti che accompagnò Alessandro Magno nella spedizione in Oriente, celebrandone le imprese. Alcuni sono per noi poco più che nomi (Agide di Argo, Cleone Siculo), altri furono invece anche celebri retori (Anassimene di Lampsaco) e filosofi (Pirrone Eleo). Anche delle opere di questi ultimi non si conserva tuttavia quasi nulla. Il fatto è senz’altro singolare, se si considera che fu a tali personalità che Alessandro affidò il compito, che avvertiva evidentemente come urgente, di cantare la propria impresa. Non cessa in effetti di stupire che l’anabasi del Macedone – pur così ‘epica’ – non abbia prodotto alcun poema epico che (anche solo parzialmente) sia giunto sino a noi. La tradizione, in ogni caso, offre una spiegazione – e insieme una consolazione – per la perdita di tali opere, affermandone ripetutamente lo scarso valore poetico. Nella cornice della letteratura poetica su Alessandro  – caso limite di letteratura conservata in frammenti – spicca sotto varî aspetti la figura di Cherilo di Iaso. Innanzitutto, il dossier delle testimonianze è decisamente ampio rispetto agli altri poeti: un ricco Nachleben attestato, oltre che in qualche punto della letteratura greca (Filodemo, Stefano Bizantino, Suda), soprattutto – a quanto pare – in àmbito latino, specialmente in Orazio, negli scoliasti oraziani e ovidiani, in Curzio Rufo, in Ausonio e in Ennodio. Cherilo si distingue inoltre per il ruolo attribuitogli dalla tradizione con riferimento alla corte di poeti e adulatori di Alessandro: per quanto questi siano in genere presentati come mediocri, egli è passato alla storia semplicemente come il ‘peggior poeta’ greco. L’indagine sul più sfortunato dei poeti può rappresentare un utile contributo al recente revival degli studi su Alessandro e sull’alessandrografia. Cherilo costituisce infatti un punto di accesso privilegiato per tentare di comprendere meglio il versante poetico dalla letteratura su Alessandro, un momento particolarmente sfuggente della poesia greca di IV secolo, a cavallo tra età classica ed età ellenistica. Le testimonianze relative a Cherilo pongono infine la questione dell’origine di una fama tanto negativa quanto diffusa, alla quale è possibile rispondere solo districandosi tra le fila di una tradizione che, nonostante la notorietà del personaggio, si presenta spesso rarefatta e ripetitiva. Il lavoro si propone dunque di fornire una nuova raccolta, con edizione e commento, delle testimonianze e dei frammenti di Cherilo di Iaso. Questi sono stati sinora consultati nell’edizione curata da Lloyd-Jones e Parsons nel Supplementum Hellenisticum (1983, con aggiunte e correzioni nel Supplementum Supplementi Hellenistici), l’unica recente. La raccolta offerta da Jacoby all’interno della rubrica sulla Alexandergeschichte (FGrHist 153 F 10) non ha infatti alcuna pretesa di completezza e dopo Düntzer (1842) e Kinkel (1877) Cherilo è stato escluso dalle sillogi di frammenti epici: gli Epicorum Graecorum fragmenta di Davies (1988) https://doi.org/10.1515/9783110747041-205

XVIII 

 Prefazione

si limitano a un rinvio allo stesso SH. Soprattutto, Cherilo non è ancora stato oggetto di un approccio monografico, l’unico che permette tuttavia di indagarne approfonditamente gli scarni resti. Solo così è infatti possibile ampliare il novero delle testimonianze e dei frammenti, studiando inoltre i rapporti che sussistono tra le fonti. Su queste basi si può dunque tentare di delineare la vita e l’opera di Cherilo di Iaso, pur presto ridotte all’aneddoto e spesso confuse con quelle del più celebre Cherilo di Samo. All’edizione critica segue uno studio strutturato in cinque capitoli. I primi quattro affrontano una ricostruzione del profilo biografico e letterario di Cherilo e un’indagine della sua fortuna. Ciascuno di essi prende in esame un gruppo di testimonianze o di frammenti raccolti nell’edizione. Il capitolo conclusivo traccia infine una storia degli studi moderni su Cherilo, dalla quale emerge che temi e problemi sollevati anche dalla critica più recente sono parte di un dibattito di lunga data che ha inizio nell’Umanesimo e culmina nella decisiva dissertazione di A.F. Naeke (1817). Questo volume risulta da una rielaborazione e da un aggiornamento della mia tesi di laurea magistrale dallo stesso titolo, discussa nel luglio 2018 presso l’Università degli Studi di Milano. La struttura del lavoro è rimasta invariata, così come gli obiettivi. Varie parti sono invece state riscritte o riformulate alla luce della bibliografia apparsa successivamente e soprattutto grazie ai confronti e alle esperienze che ho avuto l’opportunità di maturare negli anni successivi. Giunto infine al momento di congedarmi da Cherilo, desidero ringraziare chi a vario titolo ha accompagnato questo lavoro e ne ha permesso la realizzazione. Giovanni Benedetto ha seguito ogni fase della ricerca, guidandola con critiche e suggerimenti. Introducendomi alla storia della filologia, mi ha insegnato a interrogarmi sul senso del lavoro che andavo completando: se il risultato è meno criptico di quanto non rischiasse di essere, è soprattutto grazie a lui. Dopo essere stato mio relatore per la tesi di laurea triennale, Luigi Lehnus anche in séguito non mi ha fatto mancare sostegno e incoraggiamento, con numerosi consigli e spunti, tra cui quello iniziale del tema di questo libro. La rielaborazione della tesi è stata portata a termine durante un soggiorno di ricerca a Parigi, che ho svolto nell’àmbito del percorso di dottorato presso l’Università degli Studi di Milano. In quei mesi, anche Tiziano Dorandi ha letto con pazienza le mie pagine, dimostrandomi in molte occasioni la sua preziosa disponibilità. Dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, David Speranzi mi ha fornito il materiale bibliografico che cercavo, confrontandosi con me con impareggiabile entusiasmo. In molte pagine di questo lavoro riconosco distintamente l’eco delle sue lezioni e delle nostre conversazioni, di cui gli sono riconoscente.

Prefazione 

 XIX

Ringrazio per la disponibilità che mi hanno offerto e per il materiale che hanno condiviso, edito e inedito, Silvia Barbantani, Richard Janko, Massimo Nafissi, Luisa Prandi e Stefan Schorn. Ho potuto discutere molti aspetti del lavoro anche con amici e colleghi. Ringrazio in particolare Giulia Bernardini, David Douglas, Fabio Gatti, Alessandra Grimaldi, Ester Moscatelli, Davide Obili, Matteo Rossetti e Flavia Usai. Hanno inoltre costituito fondamentali occasioni di confronto i due convegni organizzati da Prolepsis nel 2018 e nel 2019, in cui ho presentato risultati parziali delle ricerche confluite in questo libro: ringrazio le organizzatrici e i partecipanti. Per l’aiuto e la disponibilità in fase redazionale e non solo sono infine grato a Lena Hummel e a Carla Schmidt, e in particolare a Marco Acquafredda e a Mirko Vonderstein. Durante il lavoro ho potuto contare sul sostegno incondizionato della mia famiglia, di Davide, di Adnan, di Antonius, e di Giacomo – wie im Weinglas der Wein Wein ist. Lovanio, 27 maggio 2022

Choerili Iasei reliquiae Conspectus siglorum Breviata

ηι ῃ, ωι ῳ

initium carminis finis carminis ante correctionem post correctionem supra lineam varia lectio litterae incertae explicanda litterarum vestigia ambigua litterarum deperditarum numerus aestimatus una vel duae litterae deperditae nulla vel una littera deperdita ab editore suppleta a librario vel lapicida deleta ab editore deleta ab editore addita locus corruptus in fine versus, signum quo librarius spatium explevit (in papyris Herculanensibus) signum quo librarius scripturam distinxit (in apparatu papyrorum Herculanensium) iota ascripsi, ubi in papyro ascripserat librarius, alibi subscripsi

Σ ς add. adn. al. ap. app. cett. cf. cod., codd.

scholium, -a codices recentiores addidit in adnotationibus et alibi apud in apparatu ceteri (codices) conferas, confera(n)tur codex, -ices





Aac Apc Asl Avl α̣β̣ γ̣ (αβγ) ]. . .[ [. . .] [.(.)] [ ] [αβγ] ⟦αβγ⟧ {αβγ} ⟨αβγ⟩ †† < ʹ

https://doi.org/10.1515/9783110747041-001

2 

 Choerili Iasei reliquiae

col. coll. coni. s.v. scil. scr. secl. sim. def. del. dist. dub. e.g. f., ff. fr., frr. fort. interp. om. p., pp. pap. prob. s.a.n. suppl. susp. test., testt. transp. vd.

columna, -ae collato, -a, -is coniecit sub voce scilicet scripsit seclusit similia defendit delevit distinxit dubitanter exempli gratia folium, -a fragmentum, -a fortasse interpunxit omisit, -erunt pagina, -ae papyrus probavit, probaverunt sine auctoris nota supplevit suspicatus est testimonium, -a transposuit videas, videa(n)tur

De Choerilis (Atheniensi seu Samio vel iaseo) breviata Bernabé

Jacoby Kinkel

Lloyd-Jones – Parsons

Naeke Nauck Snell

Radici Colace

Bernabé (19962) 187–208 Jacoby II B (1926) 828, III C (1958) 545–456 Kinkel (1877) 267–272 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 146–158 Naeke (1817) Nauck (18892) 719–720 Snell (1971) 66–68 Radici Colace (1979)

Conspectus siglorum 

 3

Fontium codices editionesque in apparatu laudati Anthologia Palatina sive Graeca codicum imagines contuli. de codicibus editionibusque vd. Valerio (2014) 41–116. AP Anthologia Palatina APl Appendix Planudea sive epigrammata a solo Plan. servata (= ‘AP 16’) Pal. Heidelberg, Universitätsbibliothek, Pal. gr. 23 + Paris, Bibliothèque nationale de France, suppl. gr. 384 (saec. Xmed) Plan. consensus codicis Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z. 481 (a. 1299–1301/1302) et codicis London, British Library, Add. 16409 (ca. a. 1300) Syll. L hic cod. L, scil. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 32.16 (saec. XIIIex) Athenaeus ed. Olson (2019), (2020), cf. Kaibel I–III (1887–1890). de codicibus editionibusque vd. Arnott (2000), Dorandi (2020). A Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z. 447 (ca. a. 895–917) epit. Athenaei epitome, scil. codd. CE consensus C Paris, Bibliothèque nationale de France, suppl. gr. 841 (a. 1476–1506) E Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 60.2 (ca. a. 1490) recentiores hic codd. BMP B Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 60.1 (ca. a. 1476–1506) M London, British Library, Royal 16 C XXIV (saec. XVI) P Heidelberg, Universitätsbibliothek, Pal. gr. 47 (a. 1505–1506) Musurus ed. pr. Marci Musuri (Venetiis 1514) Ausonii Epistulae ed. Mondin (1995), cf. R.P.H. Green (1999), Prete (1978). C Padova, Biblioteca del Seminario vescovile, C 64 (saec. XV) K London, British Library, Reg. 31 (saec. XV) M Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. Soppr. J VI 29 (saec. XIV) T Leiden, Universiteitsbibliotheek, Voss. lat. Q° 107 (saec. XV) Tollius ed. Jacobi Tollii (Amstelodami 1671)

4 

 Choerili Iasei reliquiae

Curtius Rufus ed. Lucarini (2009a). Σ codicum BFLV fons B Bern, Burgerbibliothek, 451 (saec. IX) F Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 64.35 (saec. IX) L Leiden, Universiteitsbibliotheek, BPL 137 (saec. IX) V Leiden, Universiteitsbibliotheek, Voss. lat. Q° 20 (saec. IX) P Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 5716 (saec. IX) Laetus ed. pr. Pomponii Laeti (Romae ca. 1470) Ald ⟨ed. Francisci Asolani⟩ (Venetiis 1520) Hedicke ed. E. Hedicke (Lipsiae 1908) Bardon ed. H. Bardon (Paris 1947–1948) Diodorus Siculus ed. Eck (2003). Da codicis D (Napoli, Biblioteca Nazionale, suppl. gr. 4) antiquior pars (saec. X) C Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 130 (saec. X) V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 996 (saec. XI–XII) L Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 70.1 (saec. XIV) Ennodii Panegyricus dictus clementissimo regi Theoderico ed. Rohr (1995), cf. Rota (2002). B Bruxelles, Koninklijke Bibliotheek / Bibliothèque royale, 9845–48 (saec. IX) V1 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3803 (saec. IXmed) L London, Lambeth Palace Library, 325 (saec. IXex) P Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin, Phillipps 1715 (saec. XII) C León, Biblioteca de la Catedral, 33 (saex. XII/XIII) T Troyes, Bibliothèque Municipale, 461 (saec. XII/XIII) N Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2177 (saec. XIV) F Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conv. Soppr. J VI 29 (saec. XIV2) U Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 61 (saec. XV) M München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 110 (saec. XVImed)

Conspectus siglorum 

E2 V2 O b

 5

El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo, F II 9 (saec. XVI2) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 6057 (saec. XVII1) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 485 (saec. XVII1) ed. pr. Joannis Jacobi Grynaei (Basileae 1569)

Festus ed. Lindsay (1913), cf. Lindsay (1930). de codicibus editionibusque vd. Di Marco (2021) 17–151. V Parisienses schedae, libro impresso (Paris, Bibliothèque nationale de France, Inv. Rés. X 96) additae (saec. XV) W Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3369 (saec. XV) X Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 1549 (saec. XV) Z Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2731 (saec. XV) K.O. Müller ed. K.O. Müller (Lipsiae 1839) Horatii Epistula ad Augustum et ‘Ars poetica’ ed. Brink (1971), (1982), cf. Shackleton Bailey (20014). B Bern, Burgerbibliothek, 363 (saec. IX) K St. Claude (Dép. Jura), Bibliothèque Municipale, 2 (saec. X) Bentley ed. R. Bentley (Cantabrigiae 1713) Hofman Peerlkamp ed. P. Hofman Peerlkamp (Lipsiae 1845) Manilius ed. Goold (19982), cf. Flores in Feraboli – Flores – Scarcia I–II (1996–2001). G Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique, 10012 (saec. XIin) L Leipzig, Universitätsbibliothek, 1465 (saec. XI) M Madrid, Biblioteca nacional de España, 3678 (a. 1417) b Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, lat. XII 69 (ca. a. 1435) e Cesena, Biblioteca Malatestiana, S XXV 5 (a. 1457) d Oxford, Bodleian Library, Auct. F 4 34 (post 1454–1455) Housman ed. A.E. Housman (Londinii 1903)

6 

 Choerili Iasei reliquiae

Philodemi De poematis libri ed. Janko (20032), (2020), (20202). N delineationes papyrorum Neapoli (Officina dei Papiri Ercolanesi) servatae: P.Herc. 466 manu F. Casanova (a. 1824–1832), P.Herc. 1073 manu C. Malesci (a. 1824–1825) J F. Javarone, descriptio P.Herc. 466 Neapoli (Archivio dell’Officina dei Papiri Ercolanesi, XXIII 10) servata (a. 1821–1822) Gomperz T. Gomperz adnotationes in marginibus exemplaris sui HV2 (Wien, Universitätsbibliothek, III 411.501) Nardelli ed. M.L. Nardelli (Napoli 1983) Philoponi in Aristotelis Physica commentaria ed. Vitelli I–II (1887–1888), qui B inspexit. cod. A contuli. cf. Rescigno (2017). A Paris, Bibliothèque nationale de France, Coisl. 166 (saec. XIV1) B Napoli, Biblioteca Nazionale, III E 1 (saec. XIV) Pseudacron ed. Keller I–II (1902–1904). de codicibus editionibusque vd. Noske (1969), Formenti (2015). Γ r + γ (aut r vel γ + quilibet alter codex ad stipem Γ pertinens) r Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 9345 (saec. X–XI) γ Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7975 (saec. XI) α Halle, Universitäts- und Landesbibliothek Sachsen–Anhalt, Yg. 21 (saec. XI) ε fragmenta cod. Einsiedeln, Stiftsbibliothek 361 (saec. X) V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3257 (saec. XII) c Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, lat. 81.31 Aug. (saec. XV) ζ Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7985 (saec. XV) φψ cf. Scholia λφψ in Horatium Cruqu. ‘Commentator Cruquianus’, scil. scholia a Iacobo Cruquio edita in editione Horatiana (Antverpiae 1611) Scholia Bernensia in Vergilii Georgica ed. Hagen (1867), (1902). de codicibus editionibusque vd. Cadili (2003a), (2003b). ΣBA Scholia Bernensia A in Vergilii Georgica sive Brevis expositio L Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 45.14 (saec. IXin) N Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7960 (saec. IXmed)

Conspectus siglorum 

P G ΣBB B C V

 7

Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 11308 (saec. IXmed) Leiden, Universiteitsbibliotheek, BPL 135 (saec. IXmed) Scholia Bernensia B in Vergilii Georgica Bern, Burgerbibliothek, 172 (saec. IXmed) Bern, Burgerbibliothek, 167 (saec. IX2) Leiden, Universiteitsbibliotheek, Voss. lat. F° 79 + Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 1750 (saec. IX2)

Scholia in Aristophanis Aves ed. Holwerda (1991). R Ravenna, Ravenna, Istituzione Biblioteca Classense, 429 (saec. X) V Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z. 474 (saec. XI vel XII) E Modena, Biblioteca Estense universitaria, α U 5.10 (saec. XIV) Γ Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 31.15 (saec. XIVin) M Milano, Biblioteca Ambrosiana, L 39 sup. (saec. XIV) Lh Oxford, Bodleian Library, Holkh. 88 (saec. XVin) Scholia in Ovidii Ibin ed. La Penna (1959). ubi ab editione discrepantia refero, scito me codicum GZ imagines contulisse. G Cambridge, Trinity College, O 7 7 (saec. XIIex) C Oxford, Corpus Christi College, 66 (saec. XV) F Frankfurt/M., Universitätsbibliothek, Barth. 110 (saec. XV) D Berlin, Staatsbibliothek zu Berlin, Diez B. Sant. 21 (saec. XV) Z Paris, Bibliothèque Sainte-Geneviève, 1210 (saec. XIIex–XIII) Scholia λφψ in Horatium (cf. Pseudacron) ed. Botschuyver (1935). λ Paris, Bibliothèque nationale de France, 7972 (saec. X) φ Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7974 (saec. XI) ψ Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7971 (saec. X) Stephanus Byzantius ed. Billerbeck – Zubler (2011). R Wrocław, Biblioteka Uniwersytecka, Rehdiger. 47 (ca. a. 1500) Q Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. gr. 253 (ante a. 1485)

8 

 Choerili Iasei reliquiae

P N

Xylander de Pinedo

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. gr. 57 (ante a. 1492) Napoli, Biblioteca Nazionale, III AA 18 (ca. a. 1490) ed. Guilelmi Xylandri (Basileae 1568) ed. T. de Pinedo (Amstelaedami 1678)

Strabo (et scholia in Strabonem) ed. Radt I–X (2002–2011). B Athos, Μονή Βατοπεδίου, 655 (saec. XIVmed) C Paris, Bibliothèque nationale de France, gr. 1395 (saec. XIIIex) D Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. XI 6 (saec. XIV) F Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 1329 (saec. XIII–XIV) g Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. gr. 174 (saec. XIV) q Paris, Bibliothèque nationale de France, gr. 1395 (saec. XV) v Milano, Biblioteca Ambrosiana, G 23 sup. (saec. XV) x Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z. 379 (saec. XV) y Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, gr. Z. 606 (saec. XV) z Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 28.15 (saec. XV) Casaubon ed. I. Casaubon (Lutetiae Parisiorum 1620) Kramer ed. G. Kramer (Berolini 1844–1852) Cetera doctorum scripta compendiose citata ut ‘Alessandrì (1969)’ in librorum conspectu explicata invenias.

Testimonia 

 9

Testimonia SH 334     De origine 1

a

Sud. s.v. Χοιρίλοϲ (χ 595 Adler) Χοιρίλοϲ, Ϲάμιοϲ, ⌞τινὲϲ δὲ Ἰαϲέα⌟, ἄλλοι δὲ Ἁλικαρναϲέα ἱϲτοροῦϲι. γενέϲθαι δὲ κατὰ Πανύαϲιν τοῖϲ χρόνοιϲ, ἐπὶ δὲ τῶν Περϲικῶν, ὀλυμπιάδι οεʹ, νεανίϲκον ἤδη εἶναι· δοῦλόν τε Ϲαμίου τινὸϲ αὐτὸν γενέϲθαι, 3 εὐειδῆ πάνυ τὴν ὥραν· φυγεῖν τε ἐκ Ϲάμου καὶ Ἡροδότῳ τῷ ἱϲτορικῷ παρεδρεύϲαντα λόγων ἐραϲθῆναι· οὗτινοϲ αὐτὸν καὶ παιδικὰ γεγονέναι φαϲίν. ἐπιθέϲθαι δὲ ποιητικῇ καὶ τελευτῆϲαι ἐν Μακεδονίᾳ παρὰ Ἀρχελάῳ, 6 τῷ τότε αὐτῆϲ βαϲιλεῖ. ἔγραψε δὲ ταῦτα· Tὴν Ἀθηναίων νίκην κατὰ Ξέρξου· ⌞ἐφ᾽ οὗ ποιήματοϲ κατὰ ϲτίχον ϲτατῆρα χρυϲοῦν ἔλαβε⌟ καὶ ϲὺν τοῖϲ Ὁμήρου ἀναγινώϲκεϲθαι ἐψηφίϲθη· ⌞Λαμιακά⌟· καὶ ἄλλα τινὰ ποιήματα 9 αὐτοῦ φέρεται. Choeril. Sam. test. 1 R. C. = 1 B.2 (cf. FGrHist 696 F 33a), Panyasis test. 2 Davies = 2 B.2. quae uncis inclusi Choerilo Iaseo, non Samio conveniunt, ut Naeke. contra Alessandrì (1969) 205–209. fort. etiam verba ἄλλοι δὲ Ἁλικαρναϲέα ἱϲτοροῦϲι ad Iaseum spectant. 4 τε] δὲ dub. Jacoby  5 οὗτινοϲ] οὗ τινεϲ Latte ap. Adler  9 Λαμιακά] Ϲαμιακά Daub (1880) 416 ad Choerilum Samium referens, sed vd. Naeke, Walsh (2011).

b ⟨Const. Palaeocappae⟩ Eudociae Violarium 1012 Flach Καὶ ἕτεροϲ Χοιρίλοϲ, Ϲάμιοϲ, κατὰ δέ τιναϲ Ἰαϲεὺϲ ἢ Ἁλικαρναϲϲεύϲ. γέγονε δὲ κατὰ Πανυάϲιν τοῖϲ χρόνοιϲ. ἔγραψε δὲ ἐπιϲτολὰϲ πολλὰϲ καὶ ἐπιγράμματα καὶ κωμῳδίαϲ. 3 Choeril. Sam. test. 2 R. C. = 1 B.2 2–3 ἔγραψε–κωμῳδίαϲ secl. Flach.

2

Steph. Byz. s.v. Ἴαϲοϲ (ι 16 Billerbeck – Zubler) Ἴαϲοϲ· πόλιϲ Καρίαϲ ἐν ὁμονύμῳ νήϲῳ κειμένη, ἡ καὶ ὀξυτόνωϲ λεγομένη. ὁ πολίτηϲ Ἰαϲεύϲ, ἀφ᾽ οὗ «Χοιρίλοϲ ἐὼν Ἰαϲεύϲ». Ἴαϲον δὲ τὸ Ἄργοϲ καὶ Ἰάϲιοι οἱ κατοικοῦντεϲ. 3 1, 2 Ἴαϲοϲ et Ἰαϲεύϲ Naeke : Ἰαϲϲόϲ et Ἰαϲϲεύϲ RQPN  2 ὁ πολίτηϲ R : ὁ πολίτηϲ αὐτόϲ QPN : ὁ πολίτηϲ αὐτῆϲ Naeke  ἐὼν RQPN : ὢν de Pinedo, ἦν ὁ Naeke  Χοιρίλοϲ ἐὼν Ἰαϲεύϲ lemma (poeticum?) recognovi  Ἴαϲον Zubler post Xylandrum ad Steph. s.v. Ἄργοϲ (α 400 Billerbeck) : Ἴαϲοϲ RQPN.

10 

 Choerili Iasei reliquiae

SH 333, FGrHist 153 F 10     De rege Alexandro 3

Hor. Epist. 2,1,232–234 gratus Alexandro, regi magno, fuit ille Choerilus, incultis qui versibus et male natis rettulit acceptos, regale nomisma, Philippos.

234

232 ille] illi Hofman Peerlkamp, an coll. 237 rex ille?

4

Hor. ‘A.P.’ 354–365 ut scriptor si peccat idem librarius usque, quamvis est monitus, venia caret, ut citharoedus ridetur chorda qui semper oberrat eadem; sic mihi qui multum cessat fit Choerilus ille, quem bis terve bonum cum risu miror; et idem indignor quandoque bonus dormitat Homerus; verum operi longo fas est obrepere somnum. ut pictura poesis: erit, quae, si propius stes, te capiat magis, et quaedam, si longius abstes; haec amat obscurum, volet haec sub luce videri, iudicis argutum quae non formidat acumen; haec placuit semel, haec deciens repetita placebit.

356

359

362

365

355 ut K2(vl)ς, def. Bentley  : et cett., dub. def. Brink  358 terve BKς  : terque cett.  359 bonus] magnus Hier. Epist. 84,4  360 del. Hammerstein (1846) 27–29.

5

a

Pseudacr. ad Hor. Epist. 2,1,233 (II pp. 295,27–296,3 Keller, p. 409 Botschuyver) Choerilus poeta gesta Alexandri describens, licet in tanto opere non amplius quam VII versus probos composuisset, tamen pro singulis singulos Philippeos, idest nummos aureos, accepit . . . 3 codd. ΓαεV (Keller) φψ (Botschuyver). 2 VII] III dub. Lloyd-Jones – Parsons coll. Hor. ‘A.P.’ 358 (test. 4).

b

6 a

Porphyr. ad Hor. Epist. 2,1,234 (p. 388,4 Holder) acceperat (scil. Choerilus) autem pro singulis versibus singulos Philippos. Porphyr. ad Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 175,15–20 Holder) Poeta pessimus fuit Choerilus, qui Alexandrum secutus opera eius descripsit. huius omnino septem versus laudabantur. et hinc Alexander dixisse fertur, multum malle se Thersiten iam Homeri esse quam Choerili Achillen. 3

Testimonia 

 11

2 et hinc Petschenig ap. Holder : ut hic codd., et huic dub. Obili per verba, coll. test. 7, fort. recte.

b

7

Σ (λφψ) Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 447 Botschuyver) Cherilus poeta fuit pessimus, qui opera Alexandri descripsit, ubi tantum septem versus laudabiles scripsit. Pseudacr. ad Hor. ‘A.P.’ 357 (II p. 365,9–16 Keller) Choerilus fuit poeta malus, qui Alexandrum Magnum secutus bella eiusdem descripsit. cui Alexander dixisse fertur malle se Thersiten Homeri esse, quam huius Achillem. Choerilus Alexandri poeta fuit. depactus cum 3 eo, ut, si bonum versum faceret, aureo nomismate donaretur, colapho feriretur, si malum, s⟨a⟩epius male dicendo colaphis necatus est. codd. ΓVcζ (Keller) et Cruqu. 1 malus om. cζ : ineptus Cruqu.  4 aureo nomismate] nummo Byzantino Cruqu.

8

Philod. Poem. 2 col. 208,5–15 Janko ὑπελάμβανε κατὰ τ̣ ὸ ϲυνέ̣ χο̣ ν καὶ κυριώτατον̣ τῶν ἐμ ποιη̣ τικῆι δι̣ α̣φέρειν Χοιρίλ̣ον καὶ Ἀναξιμένην Ὁμήρου καὶ Καρκίνον καὶ Κλεα[ί]νετον̣ Εὐρειπίδου καὶ τοὺϲ ἄλλ̣ο̣ υ̣[ϲ] τοὺϲ πονηροὺϲ ἐν ποιητικῆι τῶν ἀρί̣ ϲτω]ν̣ ;

5

10

15

Anaximenes SH 45 = FGrHist 72 T 26 (BNJ 72 T 26a), Carcinus II TrGF 70 T 7, Cleaenetus TrGF 84 T 3, Eur. TrGF T 201a. 6 κατὰ Usener per litteras ad Diels datas (1880), ed. Ehlers (1992) I 222, cf. Usener (1888a) = I (1912) 328–329 : κανα pap.  7 κυριώτατον̣ δὲ Gomperz (1891) 37  15 interp. Janko.

9

Philod. Poem. 3 fr. 28,18–27 Janko . . . . . . . . .] ὡϲ δο[κεῖ, οὐδὲν ἔ]χει παρ᾽ [ἄ]λ̣λο[υ, οὐδὲ πά]ρεϲτιν ἡ [ἀ]ρετ[ὴ τοῦ ἐ-

20

12 

 Choerili Iasei reliquiae

παι]νετοῦ τραγωι[δοῦ, ἀλλ]ὰ̣ Χοιρίλου. [τ]οῦ[το. . . . . ϲ]υγγέγραφε τὸ ο̣ [. . . . . . . . .]ι̣ απ̣α[. . . . . . . . . . . .(.) εὐη]χία⟦ναμ⟧[.]ουνι̣ [. . .δυνα]μ̣ένωι τ[ ]το[. . . . . . .(.) . . . .]αναλ[. . . . . . . . . . . .

25

18–20 suppl. Janko  20–21 suppl. Janko  : Κλε|αι]νέτου τραγωι[δί- coll. test. 9 (contra Armstong ap. Janko) vel νε τοῦ τραγωι[δοποιοῦ Spina (1988) 105–107   21–22 suppl. Janko  22 in fine γὰρ οὐ vel μέντοι Janko  23 suppl. et dist. Janko : γεγραφε̣ τ̣ ο̣ Spina  25–26 suppl. Janko  26 τ[ι Janko app.  27 ἀναλ[ογ- Janko app.

10

a

Σ Ov. Ib. 519–520 La Penna (cf. test. °18) G Cherilus †elimones†, facta Alexandri male describens, in foveam praecipitatus, fame periit. 1 elimones damnavi. an Callisthenes scribendum cum Mayer (1916) 104? : Cherilus elimones damnavit La Penna.

b

CFD Callisthenes vel Choerilus, quia promiserat quod gesta Alexandri bene describeret et male descripsit, posuit eum in caveam, ubi frigore et fame periit. Callisthenes FGrHist 124 T 18c. 1 Calisthenes vel Cerillus D : Calistinus vel carillus C : Cerillus vel chalistines F.

c

Z Cherulus vel Helimones poeta, qui pro singulis versibus singulos Bysantios ab Alexandro ⟨accipiebat⟩. sed, quia male tractavit, in cavea fame coactus est perire. 3 1 Cherulus Z  : Cherilus La Penna  Cherilus vel Helimones damnavit La Penna  2 accipiebat add. La Penna, cf. testt. 5a, 5b  eum ante tractavit add. La Penna.

d Conradi de Mure Fabularius C (p. 193,46–53 van de Loo) Calyphones vel Cherylus vel Elymones, gesta Magni Alexandri male scribens, inclusus cavea fame periit, vel aliter, pactus pro bono versu nummisma sibi dari, pro vili colaphum, colaphis periit. Ovidius in Ybim: 3 «inclususque–hystorie» [519–520]. item Oratius in Poetria: «fit Scherilus– indignor» [test. 4,357–359].

Testimonia 

11

 13

Curt. Ruf. 8,5,7–8 non deerat talia (scil. proscynesin) concupiscenti (scil. Alexandro) perniciosa adulatio, perpetuum malum regum, quorum opes saepius adsentatio quam hostis evertit. nec Macedonum haec erat culpa (nemo enim illorum 3 quicquam ex patrio more labare sustinuit), sed Graecorum, qui professionem honestarum artium malis conruperant moribus. Agis quidam Argivus, pessimorum carminum post Choerilum conditor, et ex Sicilia Cleo (hic quidem 6 non ingenii solum, sed etiam nationis vitio adulator) et cetera urbium suarum purgamenta, quae propinquis etiam maximorumque exercituum ducibus a rege praeferebantur, hi tum caelum illi aperiebant Herculemque et Patrem 9 Liberum et cum Polluce Castorem novo numini cessuros esse iactabant. Agis Argivus SH 17, Cleo Siculus FHG IV p. 365. 5 Agis Ald  : hages Σ  quidam Σ, def. Lucarini (2009b) 309  : quidem P  5–6 pessimorum Laetus  : piissimorum codd., putidissimorum Walter (1918) 935–936  6 Choerilum V : choerillum P : coherilum F : choherilum Lpc  9 praeferebantur Lpc : ferebantur cett., inserebantur Hedicke  ante hi tum fortius interp. Hedicke, contra Lucarini praeeunte Bardon.

12

Fest. s.v. tam (p. 494,12–28 Lindsay) Tam significationem habet, cum ponimus, propositivam quandam, cui subiungimus quam, aut cum dicimus tam egregium opus tam parvo pretio venisse, id est sic, ita, ut apud Graecos quoque οὕτωϲ ἀγαθόϲ. Item ex con- 3 trario ei dicimus: quam malus Homerus, tam bonus Choerilus poeta est. 1–2 propositivam–quam damnat K.O. Müller  4 malus] bonus VXZ  bonus] malus VXZ  cherilus V1XW1 : cherylus W2.

13

Auson. Epist. 11,1,5 Mondin (9 Green) fors fuat, ut si mihi vita suppetet, aliquid rerum tuarum quamvis incultus expoliam: quod tu, etsi lectum non probes, scriptum boni consulas. cumque ego imitatus sim vesaniam Choerili, tu ignoscas magnanimitate Alexandri. 3 1 fuat CM : fuerat KT  suppetet CKM : suppeteret T  2 consulas Tollius : consules codd.

14

Ennod. Paneg. Theod. 79 (p. 254,2–5 Rohr) Pellaeus ductor praeconiorum suorum summam Choerili voluit constare beneficio, ne fallendi votum multitudo deprehenderet et fieret testis inpudentiae, qui adsciscebatur in adstipulatione victoriae. 1 Choerili vulgo : cyrilli BV1LPCME2V2Ob : cirilli TNFU.

3

14 

 Choerili Iasei reliquiae

De Sardanapalli epitaphio 15

Athen. 12,529e–530a Ἀμύνταϲ δὲ ἐν τρίτῳ Ϲταθμῶν ἐν τῇ Νίνῳ φηϲὶν εἶναι χῶμα ὑψηλόν, ὅπερ καταϲπάϲαι Κῦρον ἐν τῇ πολιορκίᾳ ἀντιχωννύντα τῇ πόλει· λέγεϲθαι δὲ τὸ χῶμα τοῦτ᾽ εἶναι Ϲαρδαναπάλλου τοῦ βαϲιλεύϲαντοϲ Νίνου, ἐφ᾽ οὗ καὶ 3 ἐπιγεγράφθαι ἐν ϲτήλῃ λιθίνῃ Χαλδαϊκοῖϲ γράμμαϲιν ὃ μεθενεγκεῖν Χοιρίλον ἔμμετρον ποιήϲαντα, εἶναι δὲ τοῦτο· ἐγὼ δὲ ἐβαϲίλευϲα καὶ ἄχρι ἑώρων τοῦ ἡλίου φῶϲ, ἔπιον, ἔφαγον, ἠφροδιϲίαϲα, εἰδὼϲ τόν τε χρόνον ὄντα βραχὺν 6 ὃν ζῶϲιν οἱ ἄνθρωποι καὶ τοῦτον πολλὰϲ ἔχοντα μεταβολὰϲ καὶ κακοπαθείαϲ, καὶ ὧν ἂν καταλίπω ἀγαθῶν ἄλλοι ἕξουϲι τὰϲ ἀπολαύϲειϲ· διὸ κἀγὼ ἡμέραν οὐδεμίαν παρέλιπον τοῦτο ποιῶν. 9 Amynth. FGrHist 122 F 2. 6 φῶϲ codd., def. Olson : ⟨τὸ⟩ φῶϲ Kaibel.

Amyntam Alexandri βηματιϲτήν ad Choerilum Iaseum rettulisse iudicaverunt Naeke, Lloyd-Jones – Parsons, ad Choerilum Samium Drews (1970) 187. sed an versio metrica cui Athenaeus refert eadem sit ac Sardanapalli celebre epigramma (°1) dubito.

16

Strab. 14,5,9,672 εἶτ᾽ Ἀγχιάλη μικρὸν ὑπὲρ τῆϲ θαλάττηϲ, κτίϲμα Ϲαρδαναπάλλου, φηϲὶν Ἀριϲτόβουλοϲ· ἐνταῦθα δ᾽ εἶναι μνῆμα τοῦ Ϲαρδαναπάλλου καὶ τύπον λίθινον ϲυμβάλλοντα τοὺϲ τῆϲ δεξιᾶϲ χειρὸϲ δακτύλουϲ ὡϲ ἂν ἀποκροτοῦντα, 3 καὶ ἐπιγραφὴν εἶναι Ἀϲϲυρίοιϲ γράμμαϲι τοιάνδε· «Ϲαρδανάπαλλοϲ ὁ Ἀνακυνδαράξεω παῖϲ Ἀγχιάλην καὶ Ταρϲὸν ἔδειμεν ἡμέρῃ μιῇ· ἔϲθιε, πῖνε, παῖζε· ὡϲ τἆλλα τούτου οὐκ ἄξια» (τοῦ ἀποκροτήματοϲ). μέμνηται δὲ 6 καὶ Χοιρίλοϲ τούτων· καὶ δὴ καὶ περιφέρεται τὰ ἔπη ταυτί· «ταῦτ᾽ ἔχω– λέλειπται» [epigr. °1,4–5]. Aristob. FGrHist 139 F 9b. 4 ἔνιοι δὲ ante καὶ codd., del. Kramer  5 ἡμέρῃ Casaubon  7 Χοιρίλοϲ F : χοιρίλογοϲ BC : χειρίλογοϲ D.

μιῇ]

ἐν

ἡμέρῃ

Dubia °17

Philod. Poem. 1 col. 42,28 + 43a Janko [. . . . . . . . . . . . Χοιρίλοϲ] || καὶ Ἀναξιμένηϲ, ἀλ[λὰ τούτων οὐδ᾽ ἀνεγνω⟨ϲ⟩μέν[α τὰ

28 1

col. 42 col. 43a

Testimonia 

πράγματ᾽ ἐπ̣[ηι]ν̣ ε⟨ῖ⟩το, κ[αὶ ἴδιον οὐδὲν ποιο[ῦ]ϲιν, ἀλ̣[λὰ < πρόδ]ηλοϲ α[ὐ]τῶν ἡ ἀτέλ[εια γίνε]ται, κ[α]θάπερ τῶν [πονηρῶ]ν̣ ζωγράφων, ὅτα[ν τινὰ πα]ραϲχηματίζον[τεϲ μὴ κα]ταλάβωϲιν. ὅταν δὲ τὰ] Ὁμήρου ἀναγινώϲκητ]αι, πάντα μ[ε]ίζω < καὶ κα]λ̣λίω φ[αίνε]ται . . .

 15

5

10

Anaximenes BNJ 72 T 26b. P.Herc. 1073 fr. 17 (col. 42) et P.Herc. 466 fr. 5 (col. 43a) perierunt: quorum imagines servatae sunt in N. col. 42,28 suppl. Janko coll. test. 8  col. 43a,1 Ἀναξιμένηϲ Gomperz : απαξιμενηϲ N  J  1–2 ἀλ[λὰ τού]|των Janko  : αλλ᾽ αυ|των J  2 ἀνεγνω⟨ϲ⟩μέν[α Janko  : ἂν ἐγνωμέν[ων (?) Schächter (1926) 28, ἂν ἐγνω⟨ϲ⟩μέν̣ [α Nardelli  3 ἐπ̣[ηι]ν̣ ε⟨ῖ⟩το Janko  : εγ[.  . (.)]ιετοʹ N  : εποιετο J  : ἐγ[ίγ]νετο Nardelli  3–4 κ[αὶ ἴδι]|ον Janko  : κ[αιν]|ὸν Schächter, ante quod fortius interp. cf. κ[αι]|νὸν Philippson (1927)  4 ἀλ̣[λὰ Janko  : λ̣ vel μ̣ , α̣ Npc  : λ J  : ο Nac  Jsl  : ἄλλ̣[ων Schächter, ἄλ̣[λo Nardelli  5 πρόδ]ηλοϲ α[ὐ]τῶν Janko  : ]ηλοϲ α[.]των N  : δ]ηλος αυτων J  : δὲ δ]ηλωϲά[ν]των Schächter, ζ]ῆλοϲ α[ὐ]τῶν Nardelli  5–6 ἡ ἀτέλ[ει|α Janko : ηατε̣ [ (ε̣ vel ο̣ ) N : πατελ (κατελ infra scr.) J : ηατελ Jsl  6 γίνε]ται Janko  6–7 πο|νηρῶ]ν̣ Dufallo ap. Janko  : ]ν J  : ]αι Jsl  : ἀ|γαθῶ]ν Schächter  7 ζωγράφων Schächter  : ζωταφων N J  ὁταν J : οτα[ N : ο ταυ|τα Jsl  7–8 τι|νὰ Janko (τι iam Schächter)  8  πα]ραϲχηματίζον[τεϲ Gomperz teste Janko  : ]ραϲχηματίζον[ N  : παραϲχηματιζον J   9 κα]ταλάβωϲιν Gomperz  10 δὲ τὰ Gomperz  10–11 ἀναγινώϲ|[κητ]αι Janko  : ]νʹ N  : ἀναγινώϲ|κων J  : ἀναγινώϲ|[κωϲι]ν̣ Gomperz  : ἀναγινώϲ|[κωμε]ν̣ Schächter   12 κα]λ̣λίω Gomperz : λ̣λίω N (λ̣ vel α̣) : νομιω J  φ[αίνε]τα̣ι Schächter : φ[. . .(.)]τ̣ α̣ι Ν : φανεται J : φαίνηται Gomperz.

°18

Ov. Ib. 519–520 inclususque necem cavea patiaris, ut ille      non profecturae conditor historiae. Distichon de Callisthenis (FGrHist 124 T 18b) morte accipitur. sed verba ‘ut ille . . . historiae’ potius ad Choerilum pertinere videntur: cf. test. 7. vd. etiam test. 11 pessimorum carminum . . . conditor. cf. test. 10.

°19

Cratet. epigr. 1 G.–P. (AP 11,218) Χοιρίλοϲ Ἀντιμάχου πολὺ λείπεται· ἀλλ᾽ ἐπὶ πᾶϲιν      Χοιρίλον Εὐφορίων εἶχε διὰ ϲτόματοϲ

16 

 Choerili Iasei reliquiae

καὶ κατάγλωϲϲ᾽ ἐπόει τὰ ποήματα, καὶ τὰ Φιλίτα      ἀτρεκέωϲ ᾔδει· καὶ γὰρ Ὁμηρικὸϲ ἦν.

3

Choeril. Sam. test. 13 R. C. = SH 328 = test. °11 B.2 (cf. FGrHist 696 F 33h), Antim. test. 18 Matthews, Euph. test. 8 van Groningen = 6 Acosta-Huges – Cusset, Philit. test. 8 Dettori = 17 Sbardella = 8 Spanoudakis. 3 Φιλίτα Nowacki (1927) 17 post Dobree II (1843) 336 = (1874) III 116 Φιλητᾶ  : φίλιτρα Pal. Fere omnes de Choerilo Samio coll. Procl. in Plat. Tim. 21b7–d3 acceperunt, de Iaseo van Groningen, de Samio vel Iaseo Bernabé, Magnelli (2002) 54 n. 189.

°20

Manil. 3,22–23 non regis magni spatio maiore canenda quam sunt acta loquar . . . 22 magni M : magno GL  23 sunt acta Housman : sint acta M : si tacta vel sitacta GLbe  loquar bed : loquor GL : liquor M. Versus ad Choerilum Iaseum rettulit van Wageningen (1921) 161, contra Housman (1930) 148.

Spuria °°21

Herm. in Plat. Phaedr. 245a (p. 104,5–6 Lucarini – Moreschini) τί γὰρ ὅμοιον ἡ Χοιρίλου καὶ Καλλιμάχου ποίηϲιϲ πρὸϲ τὴν Ὁμήρου καὶ Πινδάρου; Choerilo Samio dat Hollis (2000) post Radici Colace et Bernabé dub. (testt. °2 et °13).

°°22

Aristot. Top. 8,1,157a14–17 εἰϲ δὲ ϲαφήνειαν παραδείγματα καὶ παραβολὰϲ οἰϲτέον, παραδείγματα δὲ οἰκεῖα καὶ ἐξ ὧν ἴϲμεν, οἷα Ὅμηροϲ, μὴ οἷα Χοιρίλοϲ· οὕτω γὰρ ἂν ϲαφέϲτερον εἴη τὸ προτεινόμενον. 3 Fr. Choerilo Samio (test. 11a R. C. = 7 B.2, cf. FGrHist 696 fr. 33fβ) – potius quam Atheniensi (TrGF 2 T 9) – tribuendum temporis causa.

Epigrammata et fragmenta dubia 

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Epigrammata et fragmenta dubia Epigrammata SH 335     Sardanapalli epitaphium °1



Eὖ εἰδὼϲ ὅτι θνητὸϲ ἔφυϲ ϲὸν θυμὸν ἄεξε τερπόμενοϲ θαλίῃϲι· θανόντι τοι οὔτιϲ ὄνηϲιϲ. καὶ γὰρ ἐγὼ ϲποδόϲ εἰμι, Νίνου μεγάληϲ βαϲιλεύϲαϲ. ταῦτ᾽ ἔχω ὅϲϲ᾽ ἔφαγον καὶ ἐφύβριϲα καὶ μετ᾽ ἔρωτοϲ τέρπν᾽ ἔπαθον· τὰ δὲ πολλὰ καὶ ὄλβια κεῖνα λέλειπται. ✶ {ἥδε ϲοφὴ βιότοιο παραίνεϲιϲ, οὐδέ ποτ᾽ αὐτῆϲ λήϲομαι· ἐκτήϲθω δ᾽ ὁ θέλων τὸν ἀπείρονα χρυϲόν.}

Athen. 8,335e–336b  : Σ (VEΓ3MLh) Ar. Av. 1021c (p. 160 Holwerda)  : ⟨Const. Palaeocappae⟩ Eudociae Violarium 856 Flach  1–6 APl 27 (Plan. 3a,7,2), hinc Syll. L 105 f. 6v  : Σ (BCgqvxyz) Strab. 14,5,9,672, ed. Radt VIII (2009) 120–121  1–5 cod. Da Diod. 2,23, hinc Tzetz. Chil. 3,95,456–460 (p. 103 Leone)  1 Eust. in Od. 2,315 (p. 436,10–11 Cullhed)  4–5, 3 Clem. Strom. 2,20,118,6 (II p. 177,12–14 Stählin) : Theodoret. Graec. aff. cur. 12,93 (p. 445,12–14 Canivet2) : Const. Porph. Exc. De virtut. et vitiis (II 1 p. 123,13–15 Büttner-Wobst – Roos)  4–5 codd. CVL Diod. 2,23, hinc Const. Porph. Exc. De virtut. et vitiis (II 1 p. 207,28–29 Büttner-Wobst – Roos) : Strab. 14,5,9,672 : Dion. Chr. Or. 4,135 (p. 176,9–10 Vagnone) : AP 7,325 : Steph. Byz. s.v. Ἀγχιάλη (α 53 Billerbeck) : cod. Escor. Φ III 11 f. 106r  4–5 (ταῦτ᾽–ἔπαθον) Polyb. 8,10 (II p. 344,20–22 [Dindorf –] BüttnerWobst) : Plut. Laud. 17,546a  4 (ταῦτ᾽–ἐφύβριϲα) Plut. Alex. fort. 1,9,330f : Eust. in Il. 9,487 (II p. 769,18 van der Valk) : Eust. in Il. 21,76 (IV p. 460,19 van der Valk) : Sud. s.v. Ϲαρδανάπαλοϲ (ϲ 121 Adler) : Nicet. Chon. Hist. (p. 322,31 van Dieten). Latinae interpretationes – 4–5 Cic. Tusc. 5,101, cui spectavit August. De civ. D. 2,20, fort. cum Cic. Fin. 2,106 : CIL VI 18131 = CLE 244. versiones Graecae prosaicae – 1–5? test. 15, ubi epitaphium cum illo pedestre (de quo vd. Appendicem) confusum esse videtur     4–5, 3 Georg. Mon. Chron. 1,7 (I pp. 13,13–14,9 de Boor), hinc Exc. cod. Barocc. 194 (AOx IV p. 219), Exc. cod. Barocc. 182 ([Malal.] p. 19,11–14 [Chilmead –] Dindorf). parodiae – 1–5 Chrysipp. Stoic. SH 338  4–5 Crates Theb. SH 355. imitationes – 4–5, 3 ?Alex. fr. 25 K.–A.  1–5 Phoen. fr. 1,9–24 Powell  5 (et 6–7?) Theoc. 16,42 (et 22–23?)  5 Antip. ?Thess. epigr. 14,3 G.–P. (AP 7,286) : EGr 546b,15. 1 δεδαὼϲ Σ Ar.  τὸν Plan., Σ Strab., Syll. L : ὅν Σ Ar.  ἀέξαι Athen. epit., Chrysipp. (ap. Athen. epit.  : ἄεξε ap. Athen. A)  2 ϲοι Athen., Plan., Σ (g) Strab., Diod., Chrysipp. (ap. Athen.)  3 βαϲιλεύων Σ Ar.  : βαϲίλευϲα Clem.  4 ταῦτ᾽] κεῖν᾽ Athen.  : τόϲϲ᾽ Plan., Georg., Theodoret., Dion., Pal., Sud., cod. Escor.  : τοῦτ᾽ Σ (BCgv) Strab.  : τοϲαῦτ᾽ Eust.  καὶ ἀφύβριϲα Strab., Σ Strab.  : καὶ ἐνύβριϲα Plut. Laud. et Dion. nonnulli codd.  : τε καὶ

3

6

18 

 Choerili Iasei reliquiae

ἔπιον Pal., Eust.  μετ᾽ ἔρωτοϲ] ϲὺν ἔρωτι Athen. : μετ᾽ ἐρώτων Σ Ar., Pal., Dion. nonnulli codd., Chrysipp. (μετὰ τούτων), Crates (μετὰ Μουϲῶν), Cic. (exsaturata libido)  5 τερπνὰ Diod. C, Steph. : τερπνῶν Polyb.  ἔπαθον] ἐδάην Plan., Pal., Crates  κεῖνα] πάντα Athen., Chrysipp., Georg., Const., Theodoret., Dion., cod. Escor.  λέλειπται] λέλυνται Athen.  6–7 secl. Nauck (1866) 734–738  6 οὐδέ ποτ᾽ αὐτῆϲ Athen. : οὐδέ ποτ᾽ ἐϲθλή Σ Ar. : ἀνθρώποιϲιν Plan., Σ Strab., Syll. L  7 κεκτήϲθω Σ Ar.  θέλων ϲοφίηϲ post Σ Ar.  χρυϲόν Athen. : πλοῦτον Σ Ar. Choerilo Iaseo tribuit Naeke, dub. Kinkel, Lloyd-Jones – Parsons, Samio Corssen (1917) 47–51. cf. testt. 15–16.

Epigramma pro Hekatomni stirpe (Ada?) °2



Αὔξοντεϲ τ̣ [ιμ]α̣[ῖϲ βα]ϲ̣ιλεῖϲ κλεινο̣ ὺϲ παρὰ θνητοῖϲ ϲτῆϲαν τούϲ[δε Ἰ]α̣ϲ̣ εῖϲ πρῶτοι ἐπ᾽ εὐτυχίαιϲ ϲώιϲαντοϲ π[α]τρίαν ἀρχὴν Ἰδριέω⟦ϲ [. . . . . .(.)].α.⟧ [ἐκ] δε̣ ιν̣ ῶν παθέων ἤγαγε ἐϲ εὐνομίαν. ✶

I.Iasos, ed. Nafissi (2015) 65–66, 73–77.

1 τ̣ [ιμ]α̣[ῖϲ βα]ϲ̣ ιλεῖϲ Nafissi coll. e.g. SEG XLVIII 716bis,1–2 : [Καρῶν βα]ϲ̣ ιλεῖϲ Marek (2015) 8–9  2 τούϲ[δε Ἰ]α̣ϲ̣ εῖϲ Petzl ap. Nafissi  3 Ἰδριέω⟦ϲ [Αδα Κᾶ]ραϲ⟧ proposuit Nafissi, olim Ἰδριέω⟦[ϲ] Ἑ̣ [κατόμν]ω̣⟧ : Ἰδριέω⟦ϲ [πόλιν Αδα]⟧ vel Ἰδριέω⟦ϲ [Αδα δῆμον]⟧ Sonnino ap. Nafissi. Choerilo Iaseo dub. tribuerunt Maddoli (2010) 128 et Nafissi.

Fragmenta SSH 1189 °1

⟨–⏑⏑⟩ ϲυρίζουϲα Μακηδονὶϲ ἵπτατο λόγχη

Serv. in Verg. Aen. 12,691 (p. 493,16–18 Murgia – Kaster) striduntque hastilibus aurae: Homerus (fr. 24 Davies) ϲυρίζουϲα–λόγχη. lacunam signavit West (1964)     Μακηδονίϲ West : ⲘⲀⲔⲞⲚⲒⲤ codd.     ἵπτατο Allen (1912) 151 : ⲒⲦⲒⲦⲀⲦⲈ codd. De Alexandri quodam poeta cogitavit West. fragmentum Callimachi Galateae dedit Cameron (1995) 282 coll. Del. 167.

°2

oὔ μοι Ϲαρδανάπαλλοϲ ἀρέϲκει τὴν δίανοιαν P.Paris. 2 col. 2,4–11 (p. 141,4–19 Donnini Macciò – Funghi, SVF II fr. 180,3) εἰ ἀληθῶϲ μη τῶν ποιητῶν οὕτωϲ ἀπεφαίνετο· «oὔ–δίανοιαν», ἀντίκειται ἀξίωμα καταφατικὸν τῷ· «oὔ–δίανοιαν», ναὶ. οὐ ἀντίκειται ἀξί̣ ω̣μ̣ α καταφατικὸν τῷ· «oὔ–δίανοιαν». ναὶ. οὐ ἀληθῶϲ μη τῶν ποιητῶν οὕτωϲ ἀπεφαίνετο· «oὔ–δίανοιαν».

3

Epigrammata et fragmenta dubia 

 19

Fr. Choerilo Samio tribuit Bergk, contra Bernabé, Iaseo Nardelli, dub. Donnini Macciò – Funghi, omnes coll. test. 15.

SH 329 °3

ὄλβον χερϲὶν ἔχω κύλικοϲ τρύφοϲ ἀμφὶϲ ἐαγόϲ, ἀνδρῶν δαιτυμόνων ναυάγιον, οἷά τε πολλὰ πνεῦμα Διωνύϲοιο πρὸϲ Ὕβριοϲ ἔκβαλεν ἀκτάϲ Athen. 11,464ab Παραιτητέον δ᾽ ἡμῖν τὰ κεράμεα ποτήρια· καὶ γὰρ Κτηϲίαϲ (FGrHist 688 F 40) παρὰ Πέρϲαιϲ, φηϲίν, ὃν ἂν βαϲιλεὺϲ ἀτιμάϲῃ, κεραμέοιϲ χρῆται. Χοιρίλοϲ δ᾽ ὁ ἐποποιόϲ φηϲι· «χερϲὶν–ἀκτάϲ». 1 ὄλβον χερϲὶν ἔχω Radici Colace (1975) coll. Ap. Rh. 1,1168–1169 : χερϲὶν ὄλβον ἔχω codd. claudicante metro, χερϲὶν | ⟨–⏑⏑⟩ ὄλβον ἔχω Casaubon, χερϲὶν ⟨δ᾽⟩ ὄλβον Hermann (1817) 2235, χερϲὶν ὄλιζον ἔχω Morel (1928) 161, χείρεϲιν ὄλβον ἔχω Ardizzoni ap. Radici Colace, χέρϲιν⟨ον⟩ ὄλβον ἔχω Ebert ap. Bernabé  2 τε om. epit.  3 Διωνύϲοιο Musurus  : Διονύϲοιο codd.  Ὕβριοϲ B (et coni. Naeke) : ὕβρεωϲ ACE : ὕβρεοϲ MP  ἔκβαλεν ἀκτάϲ (vel ἔκβαλον ἀκτάϲ) Canter (1564) 184 = (1571) 260–261 : ἔκβαλ᾽ ἄνακτοϲ codd. Fr. Choerilo Samio (Choeril. Sam. fr. 7 R. C. = 9 B.2) tribuerunt fere omnes, Samio vel Iaseo Lloyd-Jones – Parsons.

SH 330 °4

πέτρην κοιλαίνει ῥανὶϲ ὕδατοϲ ἐνδελεχείῃ. Simplic. in Aristot. Phys. 8,253b6 (CAG X pp. 1196,32–1197,2 Diels) «πέτρην–ἐνδελεχείῃ» φηϲὶν ὁ Χοιρίλοϲ : Io. Philop. in Aristot. Phys. 8,253b14–15 (CAG XVII p. 826,13–15 Vitelli) «πέτραν–ἐνδελεχείῃ» τοῦτό φηϲι Ϲιμπλίκιοϲ Χοιρίλου [Vitelli  : Χοιρίλλου codd.] τοῦ τοιητοῦ εἶναι, Φιλόπονοϲ δὲ Μόϲχου τοῦ ποιητοῦ : Mich. Eph. in Aristot. De part. animal. 1,640a10 (CAG XXII 2 p. 5,23 Hayduck) s.a.n. : Galen. De temper. 3,4 (p. 104,15–19 Helmreich) s.a.n.  : Galen. De locis aff. 1,2,12 (p. 256,22–26 Gärtner) s.a.n.  : Pallad. Med. Comm. in Hippocr. lib. sext. de morb. pop. (II p. 142,8 Dietz) s.a.n. : Io. Chrysost. In illud: Si esurierit inimicus 2 (PG LI col. 173–174) s.a.n. : Isid. Pel. Epist. 2,284 (PG LXXVIII col. 716a), 5,236 (PG LXXVIII col. 1476b = 1530,10 [II p. 215 Évieux]) s.a.n. ad versum spectaverunt Themist. in Aristot. Phys. 8,253b (CAG V 2 p. 215,23–25 et 216,5–6 Schenkl), et in 7,250a (p. 208,8–9), Mich. Eph. in Aristot. Parv. nat. 451b (CAG XXII 1 p. 28,29–31 Wendland), [Themist.] in Aristot. Parv. nat. 451b (CAG VI 2 p. 10,25–27 Wendland), Aristaen. 1,17, [Plut.] Lib. educ. 4,2d, Greg. Naz. Or. 18,11 (PG XXXV p. 997c). verborum ordinem mutat Mich. (ῥανὶϲ γὰρ ἐνδελεχείῃ καὶ πέτραν κοιλαίνει)  πέτραν Philop. B, Pallad., Isid., Chrysost.  ῥανίδοϲ Philop. A  ὑδάτων Chrysost.  ἐνδελεχίῃ Mich. : ἐνδελεχήϲ Pallad.: ἐνδελεχοῦϲα Chrysost., Isid. : ἐνδελεχείουϲ Philop. A.

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 Choerili Iasei reliquiae

Fr. Choerilo tribuit Simplicius, Moscho Philoponus confuso Bion. fr. 4,1–2 Gow (Diels), nullo auctore ceteri. de Choerilo Samio (fr. °9 R. C. = 11 B.2) accepit Naeke, de Samio vel Iaseo Lloyd-Jones – Parsons.

SH 331 °5 Diog. Laert. 1,24 εἰϲ δὲ ϲαφήνειαν παραδείγματα καὶ παραβολὰϲ οἰϲτέον, παραδείγματα δὲ οἰκεῖα καὶ ἐξ ὧν ἴϲμεν, οἷα Ὅμηροϲ, μὴ οἷα Χοιρίλοϲ· οὕτω γὰρ ἂν ϲαφέϲτερον εἴη τὸ προτεινόμενον. 3 Thales 11 A 1 D.–K.6, Choeril. Sam. fr. °10 R. C. = 12 B.2 (cf. FGrHist 696 F 34i). Fr. Choerilo Samio tribuit fere omnes, Iaseo Kirk in Kirk – Raven (1957) 96 n. 2, Samio? Iaseo? Lloyd-Jones – Parsons.

SH 332 °6 ΣBA (LNPG) ~ ΣBB (BCV) Verg. Georg. 1,482 (p. 275,4–7 Hagen, p. 882 Hagen) ubi sit Heridanus, multi errant. †Eusebius† ipsum esse Rhodanum putat propter magnitudinem, Ctesias hunc in India esse, Choerilus in Germania, in quo flumine Phaethon extinctus est, Ion in Achaia. 3 Aesch. TrGF F 73a,II, Ctes. FGrHist 688 F 65, Choeril. Athen. TrGF 2 F °4, Choeril. Sam. fr. °13 R. C. = 4 B.2, Ion. TrGF 19 F 59 = fr. 123 Leurini2. 1 errant Bpr, def. Hagen : errent P : herent Nac, unde haerent Jacoby : certant dub. Nauck     Eusebius] Aeschylus Hagen coll. Plin. Nat. hist. 37,32     2 Ctesias Lion (1826) 227 : thesias (vel sim.) codd.     Choerilus N : choeriliis P : choerelus G : choerulus ΣBB     2–3 Germania] Gerania Bernabé (1984) coll. Plin. Nat. hist. 4,44     3 Phaethon Naeke (1838/39) ii = I (1842) 274 : pheton (vel sim.) codd. Fr. Choerilo tragico tribuit Nauck, dub. Snell, Samio Bernabé, dub. Radici Colace, Samio? Iaseo? Lloyd-Jones – Parsons.

SH 937 °7 P.Oxy. 2814, saec. II p.C. c. 12          ]η̣ δε πόϲιϲ μεθε̣ [ c. 12          ]ατ᾽ ἐπιχθονίων[ c. 12          ]επει̣ η̣ .ωτιϲ̣ ε̣ [

Epigrammata et fragmenta dubia 

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c. 10     ]. . . .[. .]ν ἐρυκέμεν, [–⏑⏑–– c. 11      ].υϲιν ἐριζέμεν ου[⏑⏑–– c. 10     ]οντεϲ ἐν ἀϲπ[ίϲ]ιν, η[⏑⏑–– c. 10     ]ντεϲ ὁμ̣ῆϲ γεγάαϲ [ c. 10     ].ιμενο.ου ϲυναρηξ[ c. 10     ]ε̣ ϲϲιν ἐπ{ε}ιβρίϲῃ ϲτρα[ . . . . . . .]. . . .ϲουλα[.]ϲ μολ[ ].[                  ]. . . .[. . . .]εμεναι[ . . . .]. .νοιϲιν[. . . .]. .ϲ̣ ιπ̣[ . . . .]θ̣ η̣ μο̣ [. . .]ν̣ α̣ρ̣ ι̣ [.]τ̣ εμ[ . . . .]ι̣ χαν[.].δ̣ ν[ ].ϲ̣ ε̣ . .[.]κ̣ ε[.]ε̣ .αιλ[ . . . .]ν κλέοϲ εϲ[. . . .] ἐνιϲποιμ[ . . . .].αδου.ο.[. . . .].αμον εν μ.[                  ]α̣λ̣α̣μι̣ [. . . . .]. . .[ ]. .ϲ.ι πλ[ . . . .]α̣γα[.].αλ.[.].[. . . . . . . β]αϲιλῆοϲ α. .[ . . . .]εγερ̣ ουμο[.].ναρ.[. . . .]α̣[.]ο̣ υλουδ.π[ . . .].κων τρηχ⟨ε⟩ῖαν .[. . . . .].ο̣ να να⟨ι⟩ετάουϲιν, . . .].εϲ οἳ Πόντοι⟨ο⟩ παρ᾽ ἐ[ϲ]χατιαῖϲι ν[έ]μονται, . . .]δεϲ ἄγχι βεβ[ῶτ]εϲ ὁμ̣ο̣ ι̣ [. .ο]ν ἦτορ ἔχοντεϲ. ].δ᾽ αὐτῶν δίχα[. .]μ̣ο̣ ϲ. .ν.[. . .]μ̣ ο[.].ϲινου̣.[ . .]ε̣ κ̣ ο̣ [.].ζωεϲβ̣ [. . . . . .]ρ.δενυ.[ ]μ̣υ̣φ.[ ]. .[ . .] ὑμέων ϲτρα[τι]ὴν ϲυνα[γ]ειρέμεν εὐτε[ δευήϲειν δ᾽ οὐκ ἄ[ν] ποτ᾽ [ἐ]περχομένων ἐπ[ι]κού[ρων, λ]αὸν δ᾽ Εὐρώπ[η]ϲ πανεπάρκιον ἔμμεν[.]. .[ Π]έρϲαιϲ . .υ̣.[.]. . .εν̣ τόϲ[ϲ]ον̣ ϲτρα̣τ̣ ὸ̣ ν αἰχ[μητάων. καί κεν δὴ τε[τέ]λεϲτο τάδ᾽ ἧι ἀγορευϲ̣ [.]. .υ̣. .[ , εἰ μη μιν κατέπεφνε⟨ν⟩ ἐπερ[χ]ομένη Διὸϲ αἶ[ϲα. νῦν δὲ πάιϲ[. .].[.].νεν φρέναϲ ἄλκιμοϲ οὐκ.[ ὧδέ τ᾽ ἐρητύθη· .[. .]ν̣ ι̣ δου δ᾽ ἰότητι νεέϲθω[ ὑμείων δ᾽ οὐ δεύ̣εθ᾽ ὑποϲχεϲίην δὲ τελέϲϲει μοῦνον ἐφεϲπο[μ]ένοιϲ, τ̣ ὰ δ᾽ ἐπάρκια δωτίνη[ ἐκ μεγάρων ὀπάϲε̣ [ι] ποτ᾽ . .ῥ̣ ήτρῃϲιν ἑκάϲτω[ι, οἴνου δ᾽ οὔ κεν ἔ[π]ειτα τόϲοϲ ϲτρατὸϲ οὐδέ τι[ 1 βρῶϲιϲ μ]η̣ δὲ Bernabé coll. Il. 19,210, Od. 10,176, 12,320, sed πόϲιϲ etiam ‘maritus’ valere potest, vd. Lloyd-Jones – Parsons  2 γείν]ατ᾽ Lloyd-Jones – Parsons coll. h.Heracl. 15,2  [ἀνθρώπων dub. Bernabé coll. Il. 1,167 al.  4 λ[αὸ]ν e.g. Radici Colace coll. Il. 6,80, 24,658          ἐρυκέμεν᾽ Mette (1978) 37          5 ]ο̣ υϲιν dub. LloydJones – Parsons     βαϲιλ]εῦϲιν Livrea ap. Radici Colace coll. Il. 214,247 et infra 18, contra West (1981)     ἐριζέμεν᾽ Mette     οὐ[κ ἐθελήϲω e.g. Bernabé coll. Od. 8,223 vel

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 Choerili Iasei reliquiae

οὔ[ τι κελεύω coll. Od. 23,404          6 δύ]οντεϲ vel δύν]οντεϲ Angiò (2007) 54 coll. Il. 14,377 al.     ἀϲπ[ίϲ]ιν Lobel     7 γεγάαϲ[ι Mette, Radici Colace     ὁμῆϲ γεγάαϲ[ι γενέθληϲ e.g. Lloyd-Jones – Parsons     8 ϲυναρήξ[ατε e.g. Lloyd-Jones – Parsons, prob. Angiò (1998) 17–18     9 ἐν τελέ]ε̣ ϲϲιν e.g. Meliadò (2013) 52     ἐπ{ε}ιβρίϲῃ dub. Lobel adn., prob. Radici Colace, Lloyd-Jones – Parsons coll. Il. 7,343, Ap. Rh. 1,678 : ἐπειβριϲηι pap., ἐπεὶ βρίϲῃ Lobel     ϲτρα[τὸϲ Radici Colace : ϲτρα[τὸϲ ἁμόϲ e.g. LloydJones – Parsons     10 -η̣ ϲ οὐλα[ῖ]ϲ e.g. Lloyd-Jones – Parsons     μόλ[ι]ϲ̣ dub. Bernabé      13 ]θ̣ η̣ Lloyd-Jones – Parsons, unde e.g. -θ̣ η̣ μο̣ [ϲυν- : ]ο̣ ε̣ Lobel     α̣ρ̣ ι̣ (hinc e.g. ἄ̣ρ̣ ι̣ [ϲ]τε Bernabé) vel α̣ρ̣ η̣ Lloyd-Jones – Parsons     15 ἐϲ[θλὸν Diggle (1973), Radici Colace coll. Il. 5,273, 9,415 eadem sede, ἐνίϲποιμ[εν Lloyd-Jones – Parsons, hinc ἀρχαίω]ν κλέοϲ ἐϲ[θλὸν] ἐνίϲποιμ[εν Meliadò     16 Μιλ]τ̣ ιάδου Lobel, «fort. spatio brevius» Lloyd-Jones – Parsons          ἐν Μα̣[ραθῶνι dub. Lobel          17 Ϲ]α̣λ̣α̣μι̣ [- dub. Lobel  : Ϲ]α̣λ̣α̣μῖ̣ [νι Bernabé     Ἑ̣ λ̣λ̣ή̣ ν̣ [ε]ϲϲ̣ ι πλ[ Lobel     18 β[αϲιλῆοϲ Lobel     19 ]ετερ̣ ου legit Lobel, qui ἑτέρου vel -ετέρου (ὑμ]- vel ἡμ]-) proposuit  : ]εγερ̣ ου LloydJones – Parsons     μό[ρο]ν ἀρ.[ dub. Bernabé     ]α̣[ ̣]ο̣ υλουδ ̣ π[ pap. : β̣ ουλε̣ ύοντο Meliadò          20 τρηχ⟨ε⟩ῖαν Lobel  : τρηχ⟨ε⟩ῖαν vel Τρηχ⟨ε⟩ῖαν Lloyd-Jones – Parsons     Λ̣[ακεδαί]μ̣ ο̣ να dub. Lobel, «sed Λ̣[ vestigio non satis congruum» LloydJones – Parsons     να⟨ι⟩ετάουϲιν Radici Colace     22 ante 21 transp. Bernabé, partim secutus Lobel adn.     21 Θρήϊ]κ̣ εϲ dub. Lobel, «fort. spatio longius» Lloyd-Jones – Parsons     Πόντοι⟨ο⟩ παρ᾽ ἐ[ϲ]χατιαῖϲι ν[έ]μονται Lobel     22 Ἀρκά]δεϲ Lobel : γυμνά]δεϲ Lloyd-Jones – Parsons : οὐλά]δεϲ Angiò (2007) 54     βεβ[ῶτ]εϲ Lobel     ὁμ̣ο̣ ί̣ [ειο]ν dub. Lloyd-Jones – Parsons coll. 9 : ὁμ̣ο̣ ί̣ [ϊο]ν dub. Lobel spatio brevius     23 [θυ]μ̣ό̣ ϲ West, Lloyd-Jones  – Parsons coll. Il. 20,32          ἔεν («vix ἐών») post [θυ]μ̣ ό̣ ϲ dub. Lloyd-Jones  – Parsons          25 ἐξ ante ὑμέων Luppe (1973) 327–328          ϲτρα[τι]ὴν ϲυνα[γ]ειρέμεν Lobel          εὐτε[λὴϲ εἶναι Luppe          26 suppl. Lobel          27 λ]αὸν δ᾽ Εὐρώπ[η]ϲ Lobel          ἔμμεν ἀ̣ρ̣ [ήγειν Lloyd-Jones – Parsons          28 Π]έρϲαιϲ Lobel          δ̣ ᾽ ο̣ ὐ γ̣[ε]γ̣ά̣μ̣εν̣ dub. Lobel     τόϲ[ϲ]ον̣ ϲτρα̣τ̣ ὸ̣ ν αἰχ[μητάων Lobel     29 τε[τέ]λεϲτο Lobel          ἀγορευϲ̣ [εν] vel ἀγόρευε̣ [ν] Angiò (ἀγορευϲ̣ [εν] maluit Angiò, ἀγόρευε̣ [ν] Meliadò)     ἐ̣ ν̣ ὑ̣μ̣ῖ̣ [ν Angiò     30 ἐπερ[χ]ομένη Lobel     Διὸϲ αἶ[ϲα Lobel coll. Il. 17,321, Od. 9,52 al.     31 [γέγ]ο̣ νεν Luppe     οὐκ ἀ[λαπαδνόϲ vel οὐκέ̣ [τι (iam Luppe, aliter Lobel) δ᾽ ἦλθε dub. Lloyd-Jones – Parsons     lacunam post οὐκ.[ vel versus finem coni. υ Luppe     32 Κ̣[ρο]ν̣ ί̣ δου dub. Lobel     33 δεύ̣εθ᾽ Lobel : δευετπο pap.     34 ἐφεϲπο[μ]ένοιϲ Lobel     δωτίνη[ϲιν dub. Lobel : δωτίνη⟨ι⟩[ϲιν Bernabé     35 ὀπάϲε̣ [ι] Lobel     ἐ̣ π̣ὶ̣ ante ῥ̣ ήτρῃϲιν Luppe, iam dub. Lobel, spatio longius     ἑκάϲτω[ι Lobel     36 ἔ[π]ειτα Lobel     [ϲίτου e.g. Lloyd-Jones – Parsons. Fr. de bello quodam Persico esse videtur. de bello Atheniensium censuit Lobel, qui Choerili Samii Περϲικοῖϲ (fr. °23 R.  C. = °22 B.2) dub. dedit. de bello Macedonum Lloyd-Jones – Parsons, qui Alexandri laudatoribus vel «epigono cuidam» dub. tribuerunt.

Epigrammata et fragmenta dubia 

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SH 950 °8 P.Pisa Lit. 1 (P.Gen. inv. 326), saec. V p.C. (a) ‘recto’ – – – – κ̣ λ̣υ̣[.].[ . . .νετ.[ ο̣ υ̣τ̣ οϲ.[ Ξέρξηϲ̣ [ μηδ.ν̣ [ εϲχ. . .[ καιϲ. .[ καὶ νοθο̣ [.].[ θυγατέρων̣ δ᾽ ο[

(b) ‘verso’ – – – – ]ο̣ λ̣.ζω(ν) ].ρωνω(ν) ]. .ηϲ   ].ϲωπω   ]κηοϲ   ].ηοϲ   ].υϲϲηϲ ]. . .ν

(a) 1 κ̣ λ̣υ̣[θ]ι̣ dub. Bernabé     2 φ̣α̣ι̣ νετ᾽ dub. Lloyd-Jones – Parsons     4 Ξέρξηϲ̣ Lloyd-Jones – Parsons : Ἀρτο]|ξέρξηϲ̣  vel  Ἀρτα]|ξέρξηϲ̣ Concolino Mancini     5 Μήδων Concolino Mancini. «fort. recte (nisi μηδε̣ ν̣ [ )» Lloyd-Jones – Parsons     6 ἐϲ χθο̣ ν̣ [Lloyd-Jones – Parsons (iam dub. Concolino Mancini)     7 ϲκ̣ λ̣[ηρ- dub. Lloyd-Jones – Parsons     8 καὶ νοθο̣ [- Concolino Mancini : καινοθε̣ τ̣ ο̣ [ dub. Lloyd-Jones – Parsons : νοθογέννητοϲ dub. Bernabé coll. Hesych. ν 617 Latte. (b) 1 κ]ολάζω(ν) dub. Rudhardt ap. Concolino Mancini : «vix ὀ̣ λ̣ί̣ ζω(ν)» Lloyd-Jones – Parsons     4 πρ]ο̣ ϲώπῳ dub. Rudhardt ap. Concolino Mancini     7 Ϲκοτο]ύϲϲηϲ dub. Concolino Mancini coll. Paus. 6,5,7 : αἰ]θ̣ υϲϲηϲ dub. Lloyd-Jones – Parsons. De texto historico soluta oratione conscripto cogitavit Concolino Mancini. hexametros agnoverunt Lloyd-Jones – Parsons, qui Choerilo Samio (frr. °25a–b B.2) vel Alexandri laudatoribus vel «poetastro quodam Aegyptio» tribuerunt.

5

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 Choerili Iasei reliquiae

Appendix Sardanapalli epitaphium forma pedestre traditum Ϲαρδανάπαλλοϲ ὁ Ἀνακυνδαράξεω παῖϲ Ἀγχιάλην καὶ Ταρϲὸν ἔδειμεν ἡμέρῃ μιῇ. ἔϲθιε, πῖνε, παῖζε· ὡϲ τἆλλα τούτου οὐκ ἄξια. Athen. 12,530b = Aristob. FGrHist 139 F 9a : Strab. 14,5,9,672 = Aristob. FGrHist 139 F 9b (test. 16), hinc Steph. Byz. s.v. Ἀγχιάλη (α 53 Billerbeck)  : Arr. Anab. 2,5,2–4  = Aristob. FGrHist 139 F 9c : Σ (RVEΓM) Ar. Av. 1021b (p. 159 Holwerda) = Apollod. FGrHist 244 F 303 : Phot. Lex. s.v. Ϲαρδαναπάλουϲ (ϲ 80 Theodoridis) ~ Sud. s.v. Ϲαρδαναπάλουϲ (ϲ 122 Adler) = Hellanic. FGrHist 4 F 63b = Callisth. FGrHist 124 F 34, hinc Apostol. 15,33 (II p. 637,6–16 Leutsch), App. Prov. 3,68 (p. 450,2–16 Leutsch – Schneidewin) : Athen. 12,529de = Clearch. fr. 51d Wehrli2 = fr. 51d Dorandi     2 Plut. Alex. fort. 2,3,336c. 1 ὁ om. Athen., Σ Ar., Phot.–Sud., Clearch. ap. Athen.     Ἀνακυνδαράξεω Strab. : Κυνδαράξεω Steph. : Ἀνακυνδαράξου Athen., Arr., Σ Ar., Phot.–Sud., Clearch.     Ἀγχίαλον καὶ Ταρϲὸν Arr. : Ταρϲόν τε καὶ Ἀγχιάλην Σ Ar., Phot.–Sud.     ἐδείματο (post ἐν ἡμέρᾳ μιᾷ) Arr.     Ἀγχιάλην ἔδειμε καὶ Ταρϲὸν Clearch. ap. Athen.     ἡμέρα ιηʹ Σ (EΓ) Ar. : μιῇ ἡμέρῃ Clearch. ap. Athen. : ἡμέρῃ μιᾷ Athen. : ἐν ἡμέρᾳ μιᾷ Arr., Σ (EΓ) Ar. (ἐν μιῇ ἡμέρῃ RV) : ἐν ἡμέρᾳ μιῇ Steph.     2 παῖζε] ὄχευε Σ Ar., Phot.–Sud. : ἀφροδιϲίαζε Plut.     ὡϲ τἆλλα (τἄλλα Athen.) τούτου οὐκ ἄξια Strab., Athen. : ὡϲ τἆλλα τὰ ἀνθρώπινα οὐκ ὄντα τούτου ἄξια Arr. : ὡϲ τἄλλα οὐδενόϲ ἐϲτιν ἄξια Σ Ar. : τἄλλα δ᾽ οὐδέν Plut. : ὡϲ τά γε ἄλλα οὐδὲ τούτου ἐϲτὶν ἄξια Phot.–Sud.     ἔϲθιε– ἄξια] ἀλλὰ νῦν τέθνηκεν Clearch. ap. Athen. Cf. test. 15.

Traduzione 

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Traduzione Testimonianze 1

a

Sud. s.v. Χοιρίλοϲ (χ 595 Adler) Cherilo, di Samo, alcuni (lo dicono) invece di Iaso, altri riportano che fosse di Alicarnasso. (Si racconta) inoltre (che) visse ai tempi di Paniassi, e (che) durante le guerre persiane, nel corso della 75esima Olimpiade, fosse già un giovane; e (che) divenne schiavo di un tale di Samo, (essendo) in gioventù estremamente bello; e (che) fuggì da Samo e, dopo aver frequentato Erodoto, lo storico, si innamorò delle sue storie: e si dice anche che divenne suo amasio. (Aggiungono) poi (che) si dedicò alla poesia e morì in Macedonia presso Archelao, allora re di quella regione. Scrisse queste opere: La vittoria degli Ateniesi contro Serse, poema grazie al quale ricevette uno statere d’oro per ogni verso e che si votò perché fosse letto (pubblicamente) insieme alle opere di Omero; la Guerra lamiaca; e di lui si tramandano alcuni altri poemi.

b

⟨Const. Palaeocappae⟩ Eudociae Violarium 1012 Flach E (vi è) un altro Cherilo, di Samo, secondo altri di Iaso o di Alicarnasso. Visse ai tempi di Paniassi. Scrisse molte epistole ed epigrammi e commedie.

2

Steph. Byz. s.v. Ἴαϲοϲ (ι 16 Billerbeck – Zubler) Iaso: città della Caria che si trova sull’isola omonima. Si pronuncia anche con l’accento acuto sull’ultima sillaba. Il cittadino si chiama ‘Iaseo (Ἰαϲεύϲ)’, perciò si legge: «Cherilo, il quale era di Iaso (Χοιρίλοϲ ἐὼν Ἰαϲεύϲ)». Si definisce inoltre Argo ‘Iaso (Ἴαϲοϲ)’, e ‘Iasei’ sono definiti i suoi abitanti.

3

Hor. Epist. 2,1,232–234 A Alessandro, il gran re, fu gradito quel famoso Cherilo, il quale per i suoi versi non rifiniti e mal composti ottenne in cambio filippi, moneta regale.

4

Hor. ‘A.P.’ 354–365 Come un copista non merita di essere scusato se, nonostante sia stato ammonito, commette sempre lo stesso errore, come è irriso un citaredo che inciampa sempre sulla stessa corda, così colui che è spesso manchevole diventa per me quel famoso Cherilo, al quale guardo con ammirazione, sorridendo, quelle due o tre volte che compone qualcosa di buono; e invece mi sdegno se qualche volta sonnecchia l’illustre Omero: ma è lecito che il sonno si insinui in una lunga opera. La poesia è come la pittura: ci

26 

 Choerili Iasei reliquiae

sarà quella che ti rapisce maggiormente se sei più vicino, e quella che lo farà se rimani più lontano; l’una ama il buio, l’altra, che non teme il giudizio sottile del critico, vuole essere contemplata in piena luce; l’una piace una volta sola, l’altra piacerà anche ripetuta dieci. 5

a

Pseudacr. ad Hor. Epist. 2,1,233 (II pp. 295,27–296,3 Keller, p. 409 Botschuyver) Cherilo, il poeta che narrò le imprese di Alessandro, sebbene in così grande opera non avesse composto più di sette versi buoni, tuttavia ricevette per ognuno di essi un filippo, cioè la moneta aurea.

b

Porphyr. ad Hor. Epist. 2,1,234 (p. 388,4 Holder) E aveva ricevuto un filippo in cambio di ogni singolo verso.

6 a

Porphyr. ad Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 175,15–20 Holder) Cherilo fu il pessimo poeta che, seguendo Alessandro, ne narrò le opere. Di costui erano lodati sette versi in tutto. E perciò si tramanda che Alessandro gli dicesse che preferiva di gran lunga essere il Tersite di Omero piuttosto che l’Achille di Cherilo.

b

Σ (λφψ) Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 447 Botschuyver) Cherilo fu il pessimo poeta che narrò le opere di Alessandro, nelle quali scrisse soltanto sette versi degni di lode.

7

Pseudacr. ad Hor. ‘A.P.’ 357 (II p. 365,9–16 Keller) Cherilo fu il cattivo poeta che, seguendo Alessandro Magno, ne narrò le guerre. E si tramanda che Alessandro gli dicesse che preferiva essere il Tersite di Omero piuttosto che l’Achille di lui. Cherilo fu poeta di Alessandro. Essendosi accordato con lui che avrebbe ricevuto una moneta d’oro per ogni buon verso composto, e che invece sarebbe stato colpito con un pugno per ogni cattivo, poiché ne compose più spesso di cattivi fu ucciso per i pugni.

8

Philod. Poem. 2 col. 208,5–15 Janko . . . supponeva che, per quanto riguarda ciò che è centrale e principalissimo tra gli elementi (che si trovano) nell’arte poetica, Cherilo e Anassimene differiscano da Omero e Carcino, Cleeneto da Euripide e gli altri (che sono) incompetenti nell’arte poetica dai migliori?

9

Philod. Poem. 3 fr. 28,18–27 Janko . . . (questo tragediografo), come sembra, non prende niente da nessun altro (è, cioè, assolutamente originale), tuttavia non è presente (in lui) l’eccellenza di un tragediografo, ma quella di Cherilo. Ciò . . . scrisse . . . eufonia . . . che può . . . quest- . . . anal(og-?) . . .

Traduzione 

10

 27

Σ Ov. Ib. 519–520 La Penna a

G Cherilo †. . .†, che narrava in modo inadeguato le imprese di Alessandro, gettato in una fossa, morì di fame.

b

CFD Callistene o Cherilo, poiché aveva promesso che avrebbe narrato opportunamente le imprese di Alessandro e le narrò in modo inadeguato, (Alessandro) lo relegò in una caverna, dove morì di freddo e di fame.

c

Z Cherilo o Elimone, poeta che per ogni singolo verso ⟨riceveva⟩ da Alessandro altrettante monete greche. Ma, poiché lo trattò male, fu costretto a morire di fame in una caverna.

d Conradi de Mure Fabularius C (p. 193,46–53 van de Loo) Califone o Cherilo o Elimone, che narrava in modo inadeguato le gesta di Alessandro Magno, morì di fame chiuso in una caverna, o secondo un’altra versione, accordatosi che avrebbe ricevuto per ogni verso riuscito una moneta, per ogni verso mal composto invece un pugno, morì per i pugni. Ovidio nell’Ybis: «Possa tu soffrire la morte chiuso in una gabbia, come quel famoso scrittore di una storia che non gli avrebbe giovato». Ancora Orazio nella Poetria: «. . . diventa quel famoso Cherilo, al quale guardo con ammirazione, sorridendo, quelle due o tre volte che compone qualcosa di buono; e invece mi sdegno . . .». 11

Curt. Ruf. 8,5,7–8 A lui (Alessandro) che desiderava tali cose (la proskynesis) non mancava la rovinosa adulazione, eterno male dei re, le cui ricchezze distrugge la lusinga più spesso che il nemico. Né questa era colpa dei Macedoni  – nessuno di loro accettò infatti che qualcosa delle consuetudini patrie venisse meno – ma dei Greci, che con i loro cattivi costumi avevano corrotto l’esercizio della cultura. Un certo Agide Argivo, autore dei peggiori poemi dopo Cherilo, e Cleone Siculo (adulatore in realtà, quest’ultimo, per un vizio che era non solo della sua indole, ma anche del suo popolo) e gli altri rifiuti delle loro città, che dal re erano preferiti anche a quelli a lui più vicini e ai comandanti dei più grandi eserciti, costoro appunto gli aprivano il cielo e ripetevano con ostentazione che Ercole e il Padre Libero e Castore con Polluce avrebbero ceduto il passo alla nuova divinità.

28 

 Choerili Iasei reliquiae

12

Fest. s.v. tam (p. 494,12–28 Lindsay) Tam (‘tanto’), quando lo introduciamo nel discorso, ha un qualche valore di antecedente, a cui uniamo quam (‘quanto’), oppure quando diciamo che ‘tanto (tam) distinto lavoro, per tanto (tam) piccolo prezzo è stato pagato’, cioè (con lo stesso valore di) sic o ita (‘così’), o anche come presso i Greci οὕτωϲ ἀγαθόϲ (‘così buono’). Parimenti diciamo al contrario di ciò: ‘Quanto (quam) Omero è un cattivo poeta, tanto (tam) Cherilo è buono’.

13

Auson. Epist. 11,1,5 Mondin (9 Green) Potrebbe darsi il caso che, se la vita mi sosterrà, io, per quanto rozzo, rifinisca qualche opera (composta) a proposito delle tue imprese: un’opera per la quale tu, ove anche non la approvassi dopo averla letta, possa (almeno) non volermene perché l’ho scritta. E, avendo io così imitato la follia di Cherilo, possa tu perdonarmi con la generosità di Alessandro.

14

Ennod. Paneg. Theod. 79 (p. 254,2–5 Rohr) Il condottiero di Pella volle che la somma delle sue lodi si fondasse su Cherilo, perché un gran numero (di scrittori) non rivelasse la sua intenzione di ingannare e non diventasse testimone della sua impudenza chi era chiamato a confermare la sua vittoria.

15

Athen. 12,529e–530a Aminta nel terzo (libro) delle Tappe afferma che a Ninive c’era un alto tumulo, che Ciro demolì durante l’assedio innalzando un terrapieno di fronte alla città. (Scrive) inoltre (che) si diceva che questo tumulo fosse di Sardanapalo, il quale era stato re di Ninive, e anche che su di esso, su una stele di pietra, fosse inciso in caratteri caldaici ciò che Cherilo aveva tradotto ponendolo in versi. E cioè: «Io fui re e finché vedevo la luce del sole ho bevuto, mangiato, fatto l’amore, essendo consapevole che il tempo che gli uomini hanno da vivere è breve e pieno di molti rovesci e sofferenze, e che altri avrebbero il godimento dei beni che eventualmente lascerei. Perciò anche io non ho tralasciato di fare questo in nessun giorno».

16

Strab. 14,5,9,672 Quindi (si incontra) Anchiale, un po’ lontana dal mare, fondazione di Sardanapalo, come dice Aristobulo: qui (costui riferisce che) si trovavano la tomba di Sardanapalo e la statua in pietra (di un uomo) che stringe le dita della mano destra come se le schioccasse, e (che) c’era questa epigrafe in caratteri assiri: «Sardanapalo, figlio di Anacindarasse, costruì Anchiale e Tarso in un solo giorno: mangia, bevi, divertiti: perché tutto il resto non è degno di questo», cioè di uno schiocco di dita. E anche Cherilo se ne ricorda; e circolano i seguenti esametri: «Questo posseggo, quanto ho

Traduzione 

 29

mangiato e compiuto sfrenatamente e le gioie che ho provato con l’amore. E anche quei beni, molti e beati, se ne sono andati».

Testimonianze dubbie °17

Philod. Poem. 1 col. 42,28 + 43a Janko [. . . Cherilo] e Anassimene, ma le loro opere (contenuti?) non erano lodate neppure quando erano lette (pubblicamente), e (costoro) non compongono affatto in versi in modo particolare, ma la loro imperfezione diventa manifesta, come quella dei pittori incapaci ogni volta che non colgono qualcosa (che rappresentano) distorcendone (quindi) la forma naturale. Ogni volta che, invece, le opere di Omero sono lette, tutto sembra migliore e più bello, e . . .

°18

Ov. Ib. 519–520 Che ti colga morte rinchiuso in una gabbia, al pari di quell’autore di una storia destinata a non giovargli.

°19

Cratet. epigr. 1 G.–P. (AP 11,218) Cherilo è di gran lunga inferiore a Antimaco; ma Euforione aveva in ogni momento Cherilo sulla bocca e componeva poemi pieni di parole ricercate e conosceva i versi di Filita in modo rigoroso – ed era infatti omerico.

°20

Manil. 3,22–23 Non parlerò delle imprese del gran re, che richiederebbero più tempo per cantarle di quanto non fu necessario per realizzarle.

Testimonianze spurie °°21

Herm. in Plat. Phaedr. 245a (p. 104,5–6 Lucarini – Moreschini) In che cosa, infatti, la poesia di Cherilo e di Callimaco sarebbe simile a quella di Omero e di Pindaro?

°°22

Aristot. Top. 8,1,157a14–17 Per (esprimersi con) chiarezza, invece, bisogna portare esempi e paragoni, ma esempi adatti e tratti da cose che conosciamo, come (ne propone) Omero e non come (fa) Cherilo; così sarà infatti più chiaro ciò che si propone.

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 Choerili Iasei reliquiae

Epigrammi e frammenti dubbi Epigrammi °1 Ben sapendo che sei nato mortale, esalta il tuo cuore godendo dei banchetti: una volta morto, non avrai alcun vantaggio. Sono infatti polvere anche io, che ero re della grande Ninive. Questo posseggo, quanto ho mangiato e compiuto sfrenatamente e le gioie che ho provato con l’amore. E anche quei beni, molti e beati, se ne sono andati. {È questo un saggio ammonimento per la vita, e mai me ne dimenticherò; si tenga chi vuole l’oro infinito.} °2

Esaltando con onori i propri re, illustri tra i mortali, gli Iasei per primi eressero (le statue di) costoro per la loro buona sorte, dopo che Idrieo aveva salvato il potere paterno, [.  .  .] condusse da terribili patimenti al buon ordine.

Frammenti °1 Ronzando volava la lancia macedone . . . Serv. in Verg. Aen. 12,691 (p. 493,16–18 Murgia – Kaster) ‘e l’aria ronza per le lance’ Omero: «Ronzando . . .» °2

Non mi piace Sardanapalo per ciò che riguarda la disposizione del pensiero. Se in modo vero un poeta dichiarava così: «Non mi piace Sardanapalo nella disposizione del pensiero», si oppone un enunciato affermativo a: «Non mi piace . . .». Sì. Non si oppone un enunciato affermativo a: «Non mi piace Sardanapalo nella disposizione del pensiero». Sì. Non in modo vero un poeta dichiarava così: «Non mi piace Sardanapalo nella disposizione mentale».

°3

Ho tra le mani una fortuna, un coccio di calice rotto tutto intorno, relitto di uomini a banchetto, al pari di quelle cose che il soffio di Dioniso scaglia in gran numero sulle rive della Tracotanza Athen. 11,464ab Dobbiamo però cercare di evitare le coppe di terracotta. E infatti Ctesia dice che «presso i Persiani colui che è disonorato dal re usa coppe di terracotta». E il poeta epico Cherilo scrive: «Ho tra le mani . . .».

°4

Una goccia d’acqua scava la pietra (cadendo) con continuità.

Traduzione 

°5

 31

Diog. Laert. 1,24 Alcuni dicono che egli (Talete), inoltre, per primo definì le anime immortali; e fra costoro vi è il poeta Cherilo.

°6

ΣBA (LNPG) ~ ΣBB (BCV) Verg. Georg. 1,482 (p. 275,4–7 Hagen, p. 882 Hagen) Su dove si trovi l’Eridano molti errano. †Eusebio† ritiene che sia proprio il Rodano per la sua grandezza, Ctesia che si trovi in India, Cherilo in Germania e che in questo fiume sia morto Fetonte, Ione in Acaia.

°7

P.Oxy. 2814, saec. II p.C. né(?) marito (oppure bevanda) . . . . . . terrestre (. . .) l’esercit]o(?) trattenere (. . .) coi sovra]ni(?) contendere (. . .) coprendo]si(?) con gli scudi (. . .) ]della stessa diventa[no razza(?) ] . . . soccor[reste(?) diviso in squadr]e(?) piombasse l’esercit[o nostro(?) ] . . . cicatrici(?) [ (. . .) (. . .) . . .miglior[e(?) . . . r]aggiung[- (?) degli antichi(?)] la nobile gloria (. . .) raccontassi[mo(?) Milzi]ade(?) (. . .) a Ma[ratona(?) S]alamina(?) (. . .) ai] Greci(?) . . .[ (. . .) del sovra]no (. . .) ]altro/nostro/vostro(?) [de]stino(?) (. . .) [d]ecidevano(?) [ ]. . . pietrosa?[ Lacedem]one(?) abitano, Trac]i(?) che vivono alle estremità del Ponto, Arcad]i(? o abili o serrati) che combattono vicini con lo (stesso?) cuore ] di voi (oppure loro) divisi nel [cu]ore. . . (. . .) (Filippo dice[va?] che. . .) (. . .) [è] fa[cile] radunare da parte (?) vostra un esercito e che non ci sarà mai bisogno dell’arrivo di alleati, ma l’esercito d’Europa è del tutto sufficiente (. . .), [invece] i Persiani [non hanno] un così grande esercito di guerrieri.

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 Choerili Iasei reliquiae

E (aggiungeva) che le imprese sarebbero state portate a compimento, nel modo in cui affermava [tra noi(?)], se non che la decisione di Zeus sopraggiungendo lo uccise. 30 Ma ora [c’è(?)] il figlio, di animo coraggioso; non [è ancora partito(?), qui è stato trattenuto: per volontà del [Cro]nide(?) vorrà, parta (. . .), non farà meno di voi (oppure non avrà bisogno di voi) e otterrete ciò che ha promesso, purché lo seguiate; darà doni sufficienti a ciascuno 35 (prendendoli) dalla (sua) casa [secondo(?)] i patti, e poi tale esercito non mancherebbe né di vino né di [pane(?)] °8

P.Pisa Lit. 1 (P.Gen. inv. 326), saec. V p.C. (a) ‘recto’ –––– asc[olta(?) sem[bra(?) costui(?) Serse (oppure -serse) dei Medi (oppure nient’ . . .) a[lla terra(?) (?) e Noto (o illegittimo o ?) delle figlie . . .

(b) ‘verso’ –––– punendo? (o di piccoli . . .?) (?) (?) dei volti? (?) (?) (?) (?)

Appendice Sardanapalo, figlio di Anacindarasse, costruì Anchiale e Tarso in un solo giorno. Mangia, bevi, divertiti: perché tutto il resto non è degno neppure di questo.

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Capitolo 1  Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

‘Cherilo’ nella Suda e in Stefano Bizantino Alla tradizione latina, nel suo complesso riconducibile a Orazio, si deve la maggior parte delle notizie relative a un Cherilo: egli è descritto come cantore di Alessandro e ‘peggior poeta’ greco. Le scarne testimonianze della Suda e di Stefano Bizantino non vanno tuttavia trascurate. Esse sono fondamentali per ricostruire l’identità di Cherilo: solo dalle fonti greche è noto un Cherilo originario di Iaso in Caria, il quale va identificato proprio con il poeta di Alessandro Magno, come mi propongo di chiarire nel presente capitolo. L’indagine prende le mosse dalla voce della Suda dedicata a Cherilo di Samo. Qui le notizie sui due Cherili si trovano già conflate; il lemma offre perciò occasione di affrontare il problema della distinzione del Cherilo di Iaso dall’omonimo di Samo, di recente messa in discussione. Se interpretata correttamente, la voce costituisce infatti il più solido appoggio per identificare il Cherilo della tradizione oraziana con l’omonimo originario di Iaso, grazie alla notizia relativa al premio in stateri d’oro (§ 1). È quindi rivalutata la testimonianza di Stefano Bizantino, che si rivela attendibile soprattutto grazie a un particolare testuale sinora passato inosservato (§ 2). Non si devono invece prendere in seria considerazione le informazioni fornite da ps.-Eudocia alla fine della voce dedicata a Cherilo, che possono essere spiegate come indebita aggiunta al materiale attinto dalla Suda (§ 3). Ulteriori argomenti permettono infine di avvalorare la tesi dell’identificazione del Cherilo della Suda e di Stefano con il ‘peggior poeta’ greco della tradizione oraziana al séguito di Alessandro e di proporre un possibile momento per il loro incontro (§ 4).

1 La testimonianza della Suda Come per le vite di molti autori antichi, la testimonianza della Suda è fondamentale per la biografia di Cherilo di Iaso – sebbene, nel suo caso, il lemma che gli era dedicato non sia più conservato. Tracce del suo βίοϲ possono infatti essere ancora individuate all’interno della voce relativa a Cherilo di Samo (test. 1a). L’analisi si concentrerà sulle tre notizie: i diversi luoghi di origine (Alicarnasso e soprattutto Iaso), il poema intitolato Λαμιακά, il premio di una moneta aurea ricevuto in cambio di ogni verso. Pur riferite al Samio, esse devono essere per differenti ragioni ricondotte alla biografia di un autore vissuto successivahttps://doi.org/10.1515/9783110747041-002

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

mente, con ogni probabilità un omonimo. Soprattutto l’ultima informazione si rivelerà particolarmente significativa perché coincide con quanto noto sul Cherilo di Alessandro da alcuni scolî oraziani, e costituisce perciò il più solido argomento per l’identificazione tra i due.

1.1 Una confusione tra omonimi All’interno della voce della Suda dedicata a Cherilo di Samo sono confluite notizie relative a un suo omonimo, verosimilmente originario di Iaso.1 Una simile confusione non è certo un unicum della tradizione biografica,2 e casi di omonimia all’origine di equivoci sono ampiamente attestati anche nella Suda.3 L’errore potrebbe risalire a uno stadio molto antico della tradizione, anche perché la biografia di Cherilo si presenta ormai in una forma unitaria. Come altri lemmi biografici della Suda, anche questo potrebbe derivare dall’opera di Esichio di Mileto (VI secolo d.C.),4 ma, anche ammettendo che la notizia sia passata nel lessico da Esichio, l’errore potrebbe risalire alle fonti di quest’ultimo,5 o più probabilmente ai suoi epitomatori.6 L’attribuzione a ‘Cherilo’ di una triplice provenienza – Samo, Iaso, Alicarnasso – appare frutto di una conflazione di notizie relative a personaggi diversi. L’origine

1 La definitiva distinzione di due Cherili nella critica è relativamente recente: il delinearsi di questa acquisizione nella storia degli studi sarà tracciato nel cap. 5. 2 Per alcuni casi emblematici, rispettivamente Alceo Comico e Nicandro, vd. Ornaghi (2002) 121 e Lefkowitz (20122) 125–126. 3 Su Ermagora di Temno (ε 3024) vd. Health (2002). Alla voce su Oppiano di Cilicia (o 452) sono elencate anche opere dell’omonimo di Apamea. Eunapio di Frigia è confuso s.v. Μουϲώνιοϲ (μ 1306) con l’omonimo di Sardi. All’interno del lemma dedicato a Apollonio Rodio (α 3419) sembra confluita un’informazione relativa all’omonimo ὁ εἰδογράφοϲ, vd. però Solaro (2016) 30–31. Si trova talvolta attestato anche il processo inverso, come per Nicomaco di Alessandria in Troade, sdoppiato nella Suda in due omonimi di diversa provenienza (ν 396, 397): vd. Kotlińska-Toma (2015) 148–150. 4 Così Naeke (1817) 54–56, donde Crusius (1899) 2362 e Berve (1926) II 408. Vd. anche Adler IV (1935) 834 ad l. Cf. Walsh (2011) 541 n. 11, il quale confonde tuttavia Esichio con il così detto ps.-Esichio. 5 Alessandrì (1969) 206. 6 Su Esichio vd. Dorandi (2009) 140–141. Circa i rapporti tra la Suda e Esichio, di difficile definizione, vd. Costa (2010). Almagor (2019) ad F 33a ipotizza che la fonte della notizia relativa al pagamento in stateri (eventualmente da attribuire a Cherilo di Samo) derivi da Prassifane di Mitilene, citato da Marcell. Vita Thuc. 29 (FGrHist 696 F 33b, fr. 21 Wehrli2 = 21 Matelli). Qui non si fa tuttavia cenno ad alcuna forma di remunerazione; cf. anche infra, § 1.3. Sul passo di Marcellino vd. Corradi (2018).

1 La testimonianza della Suda 

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iasea, in particolare, non si lascia ricondurre a nessuna notizia legata alla vita del Samio,7 né Iaso sembra collegabile con le guerre persiane al centro del suo poema.8 Il riferimento è dunque traccia della fusione con materiale originariamente riferito a un altro Cherilo, proveniente da Iaso.9 Un dubbio solleva in realtà anche la presunta origine da Alicarnasso, sebbene essa sia generalmente riferita a Cherilo di Samo. Questi avrebbe assunto un secondo etnico in séguito alla sua permanenza in città (sarebbe dunque un caso di ‘binomia’),10 ma tale denominazione alternativa non è direttamente testimoniata da alcuna fonte.11 Dal séguito della voce è noto che il Samio frequentò Erodoto, ma non è necessario che ciò sia avvenuto nella patria dello storico, Alicarnasso (Atene sarebbe opzione più probabile).12 L’etnico potrebbe altrimenti essere stato riferito a Cherilo di Samo alla luce della tendenza, altrove attestata,13 di attribuire alla biografia di un autore provenienze presunte, dedotte da passi delle sue opere; è tuttavia improbabile che l’etnico di una città alleata di Serse (sotto Artemisia) sia stato assegnato al cantore filellenico delle guerre persiane. Il riferimento a Alicarnasso è stato altrimenti spiegato come autoschediasma dovuto alla successiva menzione di Erodoto o anche solo a un errore generato dal sincronismo con Paniassi.14 Il riferimento è dunque sospetto e, come si vedrà al § 4.4, anche l’ordine in cui sono presentati i tre etnonimi potrebbe suggerire una connessione della città caria con l’attività non di Cherilo di Samo, bensì dell’omonimo poeta di Alessandro.

7 La possibilità della connessione è esclusa da Naeke (1817) 32. 8 Non è mai menzionata neppure da Erodoto. Cf. Westlake (1979) 24–25. 9 Si tratterebbe dell’unica attestazione del nome Χοιρίλοϲ in Asia Minore: cf. LGPN 5 B (2013) 439. Ciò tuttavia non stupisce, perché anche Cherilo di Samo è l’unico Χοιρίλοϲ attestato a Samo: vd. LGPN 1 (1987) 486. Per una confusione che si verifica all’interno di un’altra voce della Suda (φ 365), differente ma ancora connessa alla città di provenienza, vd. Vanotti (1990). 10 Naeke (1817) 32. Vd. anche Radici Colace (1979) 8. 11 Anche nell’iscrizione che celebra le glorie della città di Alicarnasso (II secolo a.C.), in cui si trova menzione di Erodoto, di Paniassi e persino di Androne, non c’è traccia di Cherilo di Samo. Sull’iscrizione vd. ora Dolcetti (2019) 16–17. 12 Atene compare infatti nei lemmi sia di Erodoto (η 536) sia di Cherilo: per il primo attraverso il riferimento alla colonizzazione di Turî, che lascia pensare a una precedente permanenza ateniese; per il secondo mediante l’allusione a un premio ricevuto per i Περϲικά, come si vedrà infra, § 1.3. Huxley (1969) 12 e Cucinotta (2011) 101 ambientano l’incontro a Samo, dove Erodoto avrebbe trascorso parte della sua vita secondo la Suda. La voce su Cherilo non corrobora tuttavia tale interpretazione, se il poeta poté incontrare Erodoto solo dopo aver lasciato Samo. L’incontro avvenne invece a Alicarnasso secondo Podlecki (1977) 248. Sulla storicità dell’incontro e della relazione instauratasi tra i due è stato comunque espresso più di un dubbio: vd. MacFarlane (2009) 219 n. 1, e già Naeke (1817) 23; possibilista invece Huxley (1969) 12. 13 Sulla voce della Suda dedicata a Aristofane (α 3932) cf. Ornaghi (2002) 127–128 n. 27. 14 Entrambe le possibilità in Radici Colace (1979) 9; solo a Paniassi pensa invece Huxley (1969) 12.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

Anche il titolo Λαμιακά va riferito al Cherilo di Alessandro.15 Una narrazione intorno alla guerra lamiaca non può essere attribuita all’attività del Samio per motivi cronologici. Non si può nemmeno accogliere con Daub l’emendazione Ϲαμιακά: oltre a non essere motivata paleograficamente, essa non renderebbe il passo meno oscuro, non essendo altrimenti noto un simile poema.16 Il riferimento al premio in stateri aurei in cambio di ogni singolo verso, pur apparentemente non incompatibile con il Samio, si è infine rivelato decisivo sotto un’altra prospettiva. La notizia si ritrova infatti in alcuni scolî oraziani (testt. 5a, 5b, 7) e forse anche in Orazio (test. 3),17 riferita a un poeta di Alessandro, anch’egli di nome Cherilo. La coincidenza ha perciò permesso di riconoscere il Cherilo cantore di Alessandro nel Cherilo di Iaso confuso dalla Suda con il Samio. La conclusione è unanimemente accolta, con la quasi unica eccezione di S. Alessandrì, secondo il quale la notizia del premio era originariamente riferita al Samio e fu poi attribuita al poeta di Alessandro per una confusione di Orazio o delle sue fonti.18 Se tale posizione si dimostrasse vera, verrebbe meno l’elemento decisivo di identificazione tra il Cherilo di Iaso citato dalla Suda e il Cherilo di Orazio. La possibilità deve perciò essere valutata, non solo perché è passata sinora inosservata agli occhi della critica, ma soprattutto poiché pone in discussione un risultato apparentemente acquisito e non più riconsiderato alla luce degli argomenti che lo avevano sostenuto. La rilettura della voce della Suda consentirà tuttavia di ribadire la tradizionale attribuzione degli stateri aurei al Cherilo di Alessandro e allo stesso tempo di confermare in modo criticamente fondato un’acquisizione ormai assunta a vulgata.

1.2 Nella prospettiva della Suda Per risolvere il problema, è utile porsi il più possibile nella prospettiva sottesa al lemma, seguendo il principio epigrammaticamente esposto da P.T. Keyser: «[w]hen 15 Una confusione relativa alla sezione delle opere si è verificata nella voce della Suda dedicata a Efippo (ε 3930), nella quale è in realtà finito il lemma biografico relativo a Eforo (FGrHist 70 T 1). L’opera περὶ ψυχῆϲ attribuita a Ermia di Atarneo (ε 3040) sembra da riferire all’omonimo di Alessandria (ε 3036): vd. Wormell (1935) 90. L’attribuzione a Asinio Pollione di Tralle (π 2165) di un’opera sul bellum civile può risalire a una confusione con le Historiae del più celebre (e suo patrono) Asinio Pollione: vd. Drummond (2013) 444–445. 16 Dettagli e discussione di questa congettura nel cap. 4 § 1.2, anche per alternative ipotesi circa il contenuto dell’opera. 17 Cf. cap. § 2.2. 18 Sul saggio di Alessandrì e in generale per la ricostruzione del dibattito sulla voce della Suda vd. cap. 5 rispettivamente §§ 1 e 3.

1 La testimonianza della Suda 

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using unreliable sources, it is helpful to know the nature of their unreliability».19 Il confronto con altre voci lascia pensare che neanche il compilatore della Suda (e probabilmente già le sue fonti) ritenesse di essere davanti a un caso di ‘binomia’ o ‘trinomia’. I tre etnici non sono infatti collocati sullo stesso piano mediante una formula con ἤ o ἤτοι (e.g. Ϲάμιοϲ ἢ Ἰαϲεὺϲ ἢ Ἁλικαρναϲεύϲ):20 al contrario, Cherilo è innanzitutto definito come originario di Samo, mentre Iaso e Alicarnasso sono presentate come varianti meno probabili della prima, se non come errori. L’uso dell’infinito accompagnato da ἱϲτορέω segnala una chiara presa di distanza, e forse il ricorso a un’altra fonte.21 All’origine della tradizione attestata nel lessico bizantino bisogna dunque presupporre la convinzione che tutto ciò che seguiva fosse da riferire al poeta epico di Samo cantore delle guerre persiane; non si aveva insomma più conoscenza dell’omonimo cantore di Alessandro Magno a noi noto dalla tradizione oraziana. Questa precisazione permette di comprendere perché siano così scarse le notizie effettivamente riconducibili allo Iaseo all’interno del lemma: anche qualora fossero ancora note al compilatore (o alla sua fonte), è ragionevole pensare che altre informazioni siano state omesse come spurie perché apparse incompatibili rispetto all’attività del Samio. Si sono invece salvate tutte le notizie che – anche per fraintendimenti o lievi distorsioni – parvero conciliabili con Cherilo di Samo. Ciò è avvenuto in primo luogo per l’origine iasea, spiegabile con un caso di ‘binomia’ (anche se con un certo scetticismo dello stesso compilatore) o come un errore di ‘taluni’. Lo stesso vale per la notizia relativa ai Λαμιακά. Che la composizione di un poema sulla guerra lamiaca fosse incompatibile con l’attività del 19 Keyser (2003) 791. Utili considerazioni generali sull’uso dei lemmi della Suda si trovano inoltre in Ornaghi (2002) 113–115. 20 Cf. e.g. α 4106, δ 1155, κ 2376, π 72, π 2107, φ 828. Un caso di trinomia in μ 1077. Su questo stilema vd. Ornaghi (2002) 120–121. 21 Così MacFarlane (2002) 302. Indicativo il confronto con la voce su Riano (ρ 158): ὁ καὶ Κρήϲ, ὢν Βηναῖοϲ (Βήνη δὲ πόλιϲ Κρήτηϲ)· τινὲϲ δὲ Κεραΐτην, ἄλλοι δὲ Ἰθώμηϲ τῆϲ Μεϲϲήνηϲ αὐτὸν ἱϲτόρηϲαν. Anche qui è instaurata una gerarchia tra le varianti dell’etnonimo, con la medesima formula τινὲϲ δὲ . . . ἄλλοι δὲ e il verbo ἱϲτορέω. Cerea è presentata come opzione più improbabile rispetto a Bene, come suggerisce l’accostamento con Itome in Messene, facilmente spiegabile come invenzione autoschediastica per un autore di Μεϲϲηνιακά (cf. anche Paus. 4,1,6). Su questo e altri problemi legati al luogo di origine di Riano cf. Castelli (1994a) 83–85 e Bertelli (2010) ad T 1a, con discussione della bibliografia precedente. Vd. anche s.v. Ἀριϲτοφάνηϲ (α 3932) Ῥόδιοϲ ἤτοι Λίνδιοϲ, οἱ δὲ Αἰγύπτιον ἔφαϲαν, οἱ δὲ Καμειρέα e Ἀλκμάν (α 1289), con l’improbabile testimonianza circa l’esistenza di un altro Alcmane, originario di Messene. Ulteriori esempi in Ornaghi (2002) 121 n. 15. L’indefinito si trova anche s.v. Νίκανδροϲ (ν 374), definito Κολοφώνιοϲ, κατὰ δέ τιναϲ Αἰτωλόϲ, dove ‘etolo’ è chiaramente un autoschediasma: cf. Lefkowitz (20122) 123. ἱϲτορέω, pur non avendo di per sé una connotazione negativa, associato a τινεϲ sembra assumere spesso una sfumatura di dubbio: vd. e.g. α 1280, 3886, 3923, δ 333, κ 1165, 2376, π 1465, 1617, φ 214.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

Samio poteva facilmente sfuggire al compilatore della voce: il lemma presenta nel complesso varî problemi di cronologia;22 il riferimento al conflitto – noto anche più genericamente come Ἑλληνικὸϲ πόλεμοϲ – poteva inoltre non risultare immediatamente perspicuo.23 Come per i Λαμιακά, non sarebbe difficile ricostruire il motivo per cui la notizia relativa agli stateri aurei sia apparsa riferibile a Cherilo di Samo. Almeno da un’altra fonte è infatti noto che questi ricevette una ricompensa pecuniaria: secondo la testimonianza di Istro il Callimacheo (FGrHist 334 F 61) via Ateneo 8,345d, il Samio fu rimunerato con quattro mine al giorno (τέϲϲαραϲ μνᾶϲ ἐφ᾽ ἡμέρᾳ) da Archelao di Macedonia, alla cui corte trascorse i suoi ultimi anni.24 Almeno due notizie originariamente riferite a un altro Cherilo sfuggirono all’attenzione degli autori della Suda (o alle loro fonti) e furono incluse nella voce relativa al Samio. Ugualmente si può dunque sospettare della notizia relativa agli stateri d’oro.

1.3 Gli stateri aurei per ‘Cherilo’ tra Orazio e la Suda Il problema dell’assegnazione del premio in monete d’oro all’uno o all’altro Cherilo è di fondamentale importanza. Se si attribuisse la pericope a Cherilo di Iaso si potrebbe identificare quest’ultimo con l’omonimo della tradizione oraziana. In caso contrario, vi si dovrebbe individuare una nuova informazione sulla vita di Cherilo di Samo. Già a un primo sguardo, appare più plausibile attribuire la confusione tra i due Cherili alla Suda invece che alla tradizione oraziana, come propone invece Alessandrì.25 Si è infatti notato che all’interno della voce della Suda sono necessariamente confluite informazioni relative a un altro Cherilo (l’etnico e il poema sulla guerra lamiaca: § 1.1), mentre tale evidenza manca per Orazio e per la tradizione oraziana.

22 Huxley (1969) 12 lo definisce «chronologically inconsistent». 23 Il conflitto non è mai citato dalla Suda come Λαμιακόϲ, sebbene dalle voci su Λαμία (λ 84) e Ἀντίπατροϲ (α 2703, 2704) dovesse apparire chiaro che la roccaforte di Lamia fosse stata un teatro fondamentale della guerra. Sulla guerra lamiaca vd. cap. 4 § 1.2. 24 Choeril. Sam. test. 5 R. C. = 4 B.2. Il riferimento a Archelao conferma che deve trattarsi necessariamente di Cherilo di Samo e dà una base molto solida alla notizia della Suda sui suoi ultimi giorni trascorsi in Macedonia: cf. da ultimo Corradi (2018) 501. Un soggiorno macedone è suggerito anche da Marcell. Vita Thuc. 29 (FGrHist 696 F 33b, Choeril. Sam. test. 6 R. C. = 5 B.2): vd. Almagor (2019) ad F 33b. 25 Alessandrì (1969) in partic. 205–206.

1 La testimonianza della Suda 

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Soprattutto, la notizia non appare compatibile sul piano storico e numismatico con il contesto delineato dal lemma della Suda, con riferimento cioè a Cherilo di Samo. Anche se la formulazione è abbastanza ellittica, la prospettiva atenocentrica denunciata dal titolo con cui l’opera è designata (Ἡ Ἀθηναίων νίκη κατὰ Ξέρξου)26 e il particolare della votazione (ἐψηφίϲθη) rendono chiaro che Cherilo di Samo doveva essere stato ricompensato dagli Ateniesi,27 i quali avrebbero votato perché il poema fosse letto pubblicamente insieme all’Iliade e all’Odissea,28 probabilmente nel contesto delle Panatenee.29 L’evento va collocato nell’ultimo quarto del V secolo e comunque prima del 399 a.C., anno della morte di Archelao, alla cui corte Cherilo concluse i suoi giorni.30 L’eccezionalità dell’onore tributato a Cherilo rende difficili i confronti, ma una forma di remunerazione monetaria per una pubblica lettura nelle Panatenee sembra inverosimile. Per le recitazioni omeriche istituite secondo la tradizione da Solone o da Pisistrato–Ipparco non sono infatti noti premî, mentre per le competizioni musicali delle Grandi Panatenee che furono organizzate per la prima volta da Pisistrato l’oro è attestato solo dal IV secolo e appare offerto esclusivamente sotto forma di corone d’olivo.31 Risulta in particolare problematico il riferimento agli stateri aurei. Le monete ateniesi furono d’argento fino agli ultimi anni del V secolo. Monete auree furono coniate solo nel 407/6 a.C. in conseguenza dell’occupazione spartana di Decelea, che rese inaccessibili le miniere del Laurio determinando il cambio della monetazione. Le monete coniate in quell’occasione con l’oro delle Nikai dell’agorà furono in realtà utilizzate per far fronte alle spese belliche, mentre comunemente erano impiegate monete di bronzo prima del ritorno all’argento.32 È inverosimile quindi

26 L’opera è indicata in questo modo solo dalla Suda, contro Περϲικά (e in un caso Περϲηΐϲ) del resto della tradizione. Per alcune interpretazioni del titolo vd. Angeli Bernardini (2004) 33 e MacFarlane (2009) 219 nn. 1–2. Anche per il poema di Empedocle sulle guerre persiane sono noti due titoli, Περϲικά e Ἡ Ξέρξου διάβαϲιϲ: vd. Sider (1982). 27 Nella Suda il verbo è spesso impiegato in riferimento a Atene: cf. e.g. α 2015, α 3958, δ 234, δ 455, ι 667, π 2539. 28 Naeke (1817) 84–85. Cf. Häußler (1978) I 74, Michelazzo (1983) 12, Lombardi (1997) 96 n. 47. Più incerto Hainsworth (1991) 165. 29 Così Souček (1987) 2, De Martino (1986) 145, MacFarlane (2009) 219–220 n. 2. 30 Sulla cronologia di Archelao vd. Borza (1990) 162. Radici Colace (1979) 9–13 colloca la vita di Cherilo tra il 468–465 e il 404–399. Alcune critiche, che tuttavia non mi sembrano inficiarne le conclusioni, in Michelazzo (1981) 191. A sostegno della cronologia ‘alta’ proposta dalla Suda vd. anche Michelazzo (1985). 31 Le testimonianze più antiche risalgono al IV secolo. Sul problema cf. Shear (2003) 87. 32 Thompson (1966) in partic. 339–340 per la problematica testimonianza Ar. Ran. 718–726.

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che un poeta sia stato pagato con questi conî emergenziali,33 anche perché negli stessi anni si tagliarono i μιϲθοί τῶν ποιητῶν (Ar. Ran. 367), cioè i compensi destinati ai poeti comici e forse anche tragici.34 Nell’Atene di V secolo a.C. circolava altrimenti lo statere aureo persiano (ϲτατὴρ Δαρεικόϲ o anche solo Δαρεικόϲ), in effetti attestato a Atene a partire dall’ultimo quarto del secolo.35 La scelta di stateri persiani appare tuttavia incompatibile con l’intento ‘patriottico’ – se non filoateniese come sembrerebbe dalla Suda, sicuramente filellenico – di un poema che cantava la vittoria contro gli stessi Persiani. L’espressione χρυϲοῖ ϲτατῆρεϲ è invece pienamente comprensibile come designazione delle monete auree coniate prima da Filippo II e poi da Alessandro Magno (οἱ Φιλίππειοι e οἱ Ἀλεξάνδρειοι); esse sono infatti così definite nelle iscrizioni e ancora in Polluce (9,59). La notizia risulta perciò riferibile a un cantore di Alessandro come Cherilo di Iaso e, considerando che presto con la denominazione di ‘filippi’ si indicarono anche le monete coniate da Alessandro, è compatibile con gli oraziani Philippi (puntualmente glossati come nummi aurei e aurea nomismata negli scolî).36 D’altra parte, sembra che Alessandro abbia premiato con monete auree anche Pirrone Eleo (test. 21[b] e 22 Decleva Caizzi, FGrHist 153 F 12b) per aver composto un poema in suo onore.37 Anche la notizia di un pagamento κατὰ ϲτίχον – sia o meno da accettare nei dettagli –38 risulta coerente se riferita a Cherilo di Iaso. Nei casi noti di una simile forma di pagamento il benefattore è infatti sempre un sovrano, re o imperatore, o un suo rappresentante: così è attestato almeno per Oppiano (cf. Sozomen. Hist. Eccl. praef. 6 e Suda ο 452) e per Giovanni Lido (come racconta egli stesso in De magistr. 3,27), che furono ricompensati rispettivamente da Marco Aurelio e da Zotico, prefetto del pretorio.39 La liberalità di Alessandro è inoltre variamente atte-

33 Simili considerazioni sulle difficoltà vissute da Atene in guerra con Sparta già in Naeke (1817) 33. Per questi problemi vd. anche Pritchard (2012). 34 Per i problemi posti dal passo di Aristofane e dai relativi scolî vd. Sartori (1983). 35 Sul darico vd. Alram (2011) in partic. 66 per la sua circolazione a Atene. Nella stessa Suda i ‘darici’ sono glossati precisamente come χρυϲοῖ ϲτατῆρεϲ (δ 72, 73). 36 Sulla denominazione e sulle differenze tra filippi e alessandrini vd. cap. 2 §§ 2.2 e 9.2. 37 La storicità della notizia è discussa proprio perché si teme una confusione con Cherilo: tendono a negarla Berve (1926) II 340 e Fantuzzi (1988) lxxxii; vd. però Decleva Caizzi (1981) 176–178 = (2020) 191–192. Cf. Bearzot (2017) ad F 12b. 38 Come si vedrà nel cap. 2 § 9.2. 39 Riguardo a Oppiano, Fairweather (1974) 268 ritiene che non si possa decidere se l’episodio sia attendibile o vada spiegato come un calco della notizia relativa a Cherilo, ma il parallelo dimostra che la notizia era già apparsa riferibile al rapporto con un sovrano e non con una polis, come si leggeva invece nella voce su Cherilo.

1 La testimonianza della Suda 

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stata dalle fonti.40 Anche al Samio d’altra parte, secondo Istro, il dono delle quattro mine è attribuito da un βαϲιλεύϲ (Archelao: cf. supra, § 1.2), e non da una città. In un eccesso di scetticismo, si potrebbe riconoscere nell’episodio narrato dalla Suda il riflesso della notizia relativa a Cherilo di Samo riportata da Istro nel frammento appena ricordato: in tal caso, se è vero che la notizia andrebbe eliminata dalla biografia del Samio, a fortiori non potrebbe neppure essere riferita allo Iaseo.41 I due resoconti sono in realtà troppo diversi – sia nei motivi sia nella natura del compenso  – per confortare la possibilità di una contaminazione.42 Simili considerazioni valgono per Plutarco Lys. 18,7,43 dove Cherilo di Samo è ricordato tra i poeti adulatori di Lisandro. Tra questi è citato anche un altrimenti ignoto Antiloco (SH 51) che avrebbe ricevuto in cambio di alcuni versi mediocri (μετρίουϲ τινὰϲ . . . ϲτίχουϲ) un cappello pieno di denaro (πλήϲαϲ ἀργυρίου τὸν πῖλον). Il passo mostra alcuni aspetti che ricordano la vicenda di ‘Cherilo’ per come è raccontata nella Suda e nella tradizione oraziana,44 ma le differenze impediscono di sopravvalutare tali somiglianze,45 forse in parte casuali o comunque spiegabili alla luce di topoi diffusi nella tradizione ellenistica avversa ai re e ai loro adulatori.46 Se il premio degli stateri va dunque connesso con Cherilo di Iaso, rimane da spiegarsi la notizia contestualmente offerta dalla Suda relativa alla pubblica recitazione del poema di Cherilo insieme all’Iliade e all’Odissea. Il confronto con Omero di per sé non è risolutivo per l’attribuzione della notizia all’uno o all’altro Cherilo, essendo attestato per entrambi i poeti.47 ἀναγινώϲκω designa inoltre nella Suda la lettura di un’opera di Oppiano alla presenza di Marco Aurelio (o 452) e potrebbe perciò essere ancora riferito all’attività dello Iaseo come poeta alla corte di Alessandro. Il particolare della votazione ha tuttavia senso solo se connesso

40 Ulteriori dettagli nel cap. 2 § 9.2. 41 Cf. Almagor (2019) ad F 33a. Huxley (1969) 27 n. 59, che pure riconduce la notizia a Cherilo di Iaso, non esclude che alla confusione tra i due omonimi abbia contribuito anche la testimonianza di Istro. La Suda dà notizia di un soggiorno di Cherilo presso Archelao, ma le pericopi appartengono a due distinte sezioni del lemma. 42 In particolare, non risulta che Archelao abbia ricompensato Cherilo di Samo in cambio di un’opera letteraria. Una simile tradizione non è attestata per alcuno dei poeti che furono invitati dal re macedone a corte, sui quali vd. Piccirilli (1985) 112–118 e Corradi (2018) 501. 43 Choeril. Sam. test. 4 R. C.= SH 325 = test. 3 B.2. 44 Un collegamento con Antiloco è instaurato, in realtà un po’ confusamente, da Borzsák (1998a) 94. 45 Per Antiloco, comunque non descritto come pessimum poeta, non si accenna a una ricompensa κατὰ ϲτίχον, né ἀργύριον può indicare uno statere aureo. Il racconto è ritenuto attendibile da Noethlichs (1986) 159. 46 Cf. cap. 3 § 5.1. 47 Vd. cap. 3 § 5.2.

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alla recitazione dei Περϲικά nel contesto delle Panatenee. La notizia richiama inoltre il riferimento, contenuto in un passo di Proclo, a un tempo in cui Cherilo di Samo era in auge presso gli Ateniesi (vd. cap. 3 § 6.1). La conflazione di notizie originariamente riferite ad autori diversi ma omonimi e il loro accostamento persino all’interno della stessa frase confermano la dinamica prospettata sopra (§ 1.2): nel corso della tradizione dei due distinti βίοι dei Cherili si è persa conoscenza di uno Iaseo cantore di Alessandro; un biografo (fonte diretta o indiretta della Suda) ha dunque sovrapposto le due biografie cercando di attribuire al Samio tutte le notizie che trovava compatibili con la sua attività, attingendo anche ai materiali contenuti nella vita dello Iaseo; fu così recuperata anche la notizia degli stateri, ritenuta coerente con l’epoca del Samio e in particolare da collegarsi con la decisione ateniese, già avvertita come eccezionale, di una pubblica lettura della sua opera insieme ai poemi omerici.48 Proprio grazie al riconoscimento di questa falsa connessione la notizia del pagamento di Cherilo di Iaso, non rimanendo confinata alla sola tradizione latina, acquisisce un più ampio margine di attendibilità.49 Orazio e la Suda trasmettono entrambi una notizia che non può essere ricondotta al Samio, e che è anzi perfettamente riferibile allo Iaseo.

2 La testimonianza di Stefano Bizantino Nella voce che le è dedicata da Stefano Bizantino (test. 2), Iaso è definita, come in Strabone 14,2,21,658, «città della Caria, che si trova sull’isola omonima».50 Dopo il riferimento a un’accentazione alternativa,51 Stefano specifica – come è solito – l’aggettivo derivato, Ἰαϲεύϲ, che offre occasione di menzionare Cherilo di Iaso.52 Chiude la voce l’identificazione con Ἴαϲον Ἄργοϲ, espressione già omerica di difficile interpretazione, ma che originariamente non doveva avere nulla a che vedere con Iaso: la connessione non è probabilmente un errore di Stefano, ma la traccia di

48 Alla connessione tra le due notizie danno invece credito Souček (1987) 2 e naturalmente Alessandrì (1969) 208. 49 Vd. la discussione nel cap. 2 § 9. 50 Isola quale probabilmente era in origine: vd. Hansen – Heine Nielsen (2004) 1118. Secondo Heisserer (1980) 174 n. 10 Iaso sarebbe stata una penisola già nell’antichità. 51 Il significato di ὀξυτόνωϲ si trova già descritto in Naeke (1817) 41. 52 Per i paralleli di questo meccanismo, tipico di Stefano, vd. Billerbeck – Neumann-Hartmann (2021) 119–121. Su ὁ πολίτηϲ, forma quasi equivalente a τὸ ἐθνικόν, vd. Fraser (2009) 241–242.

2 La testimonianza di Stefano Bizantino 

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una lettura campanilistica del toponimo, con la quale la città poteva vantare una fondazione argiva, come suggerisce il confronto con Polibio 16,12,2.53 Il lemma di Stefano è annoverato tra i testimonia di Cherilo di Iaso sin da Naeke ed è ricordato anche nel SH. Poiché esso conserva la stessa notizia presente nella Suda, cioè quella relativa all’origine iasea, il passo è generalmente trascurato e menzionato solo come conferma della notizia della Suda.54 La testimonianza non è tuttavia da sottovalutare. In primo luogo, il pur rapido riferimento sembra corroborare l’esistenza di un Cherilo di Iaso distinto dal più celebre poeta di V secolo, confermando la lettura della Suda (test. 1a) discussa supra (§ 1). Nulla lascia infatti qui pensare a una confusione con l’omonimo Samio né Ἰαϲεύϲ è presentato come un secondo etnico per l’autore dei Περϲικά, sebbene Stefano lasci anche altrove spazio alla discussione circa le differenti origini delle personalità cui si riferisce.55 Stefano rappresenta inoltre una tradizione differente da quella confluita nella Suda. La probabile fonte della Suda, Esichio di Mileto, non sembra nota a Stefano.56 Il lemma della Suda non dipende inoltre da Stefano, almeno perché rispetto a lui offre notizie ulteriori e comunque di natura storico-letteraria più che lessicografica e grammaticale, dunque lontane dagli interessi degli Ἐθνικά.57 Un terzo elemento si rivela decisivo a una rilettura del passo. Gli ultimi editori di Stefano hanno confermato il testo dei manoscritti, salvo qualche emendazione.58 Per Cherilo di Iaso è di particolare rilevanza la definitiva riaffermazione della lezione dei codici ἐών contro le proposte di de Pinedo e di Naeke.59 Il ricono53 Discussione e riferimenti in Biraschi (1999) in partic. 251–256. L’espressione era forse nota a Stefano anche da Strab. 8,6,5,369 e 8,6,9,371. 54 Naeke (1817) 41–45, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 154. Cf. anche Crusius (1899) 2361, Berve (1926) II 408, Ziegler (1964). 55 Cf. Billerbeck – Neumann-Hartmann (2021) 122–124. 56 Sul problema vd. Billerbeck – Neumann-Hartmann (2021) 61, 130–131, con ulteriore bibliografia. Gli stessi rapporti cronologici tra Stefano e Esichio sono di difficile definizione, essendo entrambi vissuti probabilmente sotto il regno di Giustiniano. Per il problema costituito dall’epitome di Ermolao cf. Billerbeck (2006) 3✶–4✶ e n. 4, con la bibliografia precedente. Su Esichio (e sui suoi rapporti con la Suda) vd. supra, § 1.1. 57 Per i rapporti tra la Suda e Stefano vd. Adler (1931) 685–714. Sugli interessi di Stefano vd. ora Billerbeck – Neumann-Hartmann (2021) 119–120. 58 Di cui una (Ἴαϲον Ἄργοϲ) forse non necessaria. I codici hanno Ἴαϲοϲ Ἄργοϲ: la forma corretta è naturalmente Ἴαϲον Ἄργοϲ, ma l’errore, che ricorre identico s.v. Ἄργοϲ (α 400), potrebbe risalire a una banalizzazione se non di Stefano, come già Naeke (1817) 43, almeno dell’epitomatore. La grafia con il doppio sigma di Ἴαϲοϲ e Ἰαϲεύϲ attestata nella tradizione manoscritta era già stata corretta da Naeke (1817) 41–42. 59 ὢν di de Pinedo (1678) 318 ad l. e ἦν ὁ di Naeke (1817) 42–43. Gli altri editori già mantenevano ἐών a testo, senza tuttavia tentarne una spiegazione.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

scimento di un tratto ionico (e ionico-epico) permette infatti di riconoscere nella pericope una citazione di un autore molto anteriore a Stefano, confluita negli Ἐθνικά anche tramite più intermediari. Il frammento citato da Stefano può così essere facilmente isolato: Χοιρίλοϲ ἐὼν Ἰαϲεύϲ.

2.1 Un nuovo frammento su Cherilo di Iaso Non può esservi alcun dubbio sulla genuinità e sull’antichità della lezione ἐών: a) la tradizione manoscritta è concorde; b) un tratto ionico è difficilmente spiegabile come errore dei codici o dell’autore dell’opera, ai quali sarebbe piuttosto ascrivibile il meccanismo contrario, la banalizzazione in ὤν; c) lo stilema ἐών + etnico è attestato in Erodoto e ripreso all’inizio del De dea Syria di Luciano.60 È inoltre chiaro che questo tratto dialettale non risale a Stefano, ma a una fonte citata fedelmente. ἐών ricorre negli Ἐθνικά solo in un altro punto, s.v. Γερηνία (γ 60), anche qui all’interno di una citazione (Esiodo fr. 35 M.–W.).61 La stessa ripetizione dell’etnico conforta questa lettura. Naeke, notando come «superfluum videatur additamentum ὁ Ἰασεύς», aveva proposto di risolvere il problema della ridondanza alla luce di un usus scribendi degli Ἐθνικά.62 L’etnico in realtà non si trova ripetuto solo in un caso specifico, cioè quando Stefano intende fornire l’indicazione della provenienza di un autore (o altra personalità), per esempio s.v. Βιθύνιον (β 99):63 Βιθύνιον· πόλιϲ Βιθυνίαϲ . . . ἀφ᾽ οὗ Πινυτὸϲ ἐγένετο Ῥώμηϲ γραμματικόϲ . . . Bitinio: città della Bitinia . . . donde proveniva Pinito, grammatico di Roma . . .

60 Vd. i paralleli indicati da Billerbeck – Zubler (2011) 263 n. 12 ad l., cui si può aggiungere tra gli altri Herodot. 6,54,3 (ἐὼν Ἀϲϲύριοϲ), identico in Luciano. Sul dialetto del De dea Syria vd. Lightfoot (2003) 91–97, 139–142. 61 È infatti un tratto ionico-epico da cui Esiodo mai si discosta. Il P.Oxy. 2481 (Hes. fr. 13 M.–W.), che ha permesso di inserire i versi citati da Stefano in un frammento più ampio, non può invece essere invocato a difesa della lezione perché è mutilo della prima metà della colonna. 62 Naeke (1817) 53. Con un ragionamento simile, R.L. Fowler espungeva la ripetizione dell’etnico s.v. Τέωϲ (τ 107), ma la proposta è giustamente rifiutata da Billerbeck  – Neumann-Hartmann (2016) 300 ad l. L’altra spiegazione prospettata da Naeke consisteva nella necessità di distinguere Cherilo di Iaso dal Samio, ma essa non spiega lo ionismo (normalizzato infatti da Naeke in ἦν ὁ). 63 Altri esempi s.v. Μεγάλη πόλιϲ (μ 105: Cercida), Μέγαρα (μ 106: Teognide), Μεταπόντιον (μ 168: un oscuro Filone, su cui vd. SH 689), Ὀλόφυξοϲ (o 53: un altrimenti ignoto Erodoto); cf. anche s.v. Γέργιϲ (γ 58).

2 La testimonianza di Stefano Bizantino 

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Quando invece l’etnico è ripetuto, ἀφ᾽ οὗ (ἧϲ, ὧν) non indica la provenienza, ma introduce l’esemplificazione dell’uso dell’aggettivo, il quale naturalmente viene ripetuto nell’accostamento a un nome proprio. È utile in particolare il confronto con il lemma Τέωϲ (τ 107): Τέωϲ· πόλιϲ Ἰωνίαϲ . . . τὸ ἐθνικὸν Τήιοϲ. ἔϲτι γὰρ πρῶτον Τέιοϲ καὶ Τεῖοϲ καὶ ἰωνικῶϲ Τήιοϲ. ἀφ᾽ οὗ Πρωταγόραϲ ὁ Τήιοϲ. Teo: città della Ionia . . . l’etnico è Τήιοϲ. Innanzitutto ci sono Τέιοϲ e Τεῖοϲ e (secondariamente) in ionico Τήιοϲ. Perciò (si dice): «Protagora ὁ Τήιοϲ».

Anche in questo caso ἀφ᾽ οὗ non significa ‘donde’ («da qui [proviene] Protagora di Teo»),64 ma ha valore quasi causale:65 «perciò (si dice, si legge) ‘Protagora di Teo’». Per questo lemma, conferma che le ultime parole costituivano una citazione proviene dal confronto con un passo parallelo. Diogene Laerzio (9,50) riporta un verso dei Κόλακεϲ di Eupoli (fr. 157,1 K.–A.) con la medesima espressione che compare in Stefano: ἔνδοθι μέν ἐϲτι Πρωταγόραϲ ὁ Τήιοϲ.66 È perciò lecito sospettare l’esistenza di un riferimento preciso  – pur tratto da un verso non altrimenti conservato  – ogni volta che negli Ἐθνικά ricorrono formule simili. Nel caso di Cherilo il sospetto è in realtà una certezza, anche in assenza di confronti. Nel lemma relativo a Iaso, oltre all’etnonimo ripetuto, un elemento aberrante permette infatti di concludere che la pericope apparteneva alla fonte (diretta o indiretta) di Stefano: come per Protagora lo ionico Τήιοϲ, così per Cherilo lo ionico ἐών.67 La ricostruzione proposta, oltre a essere l’unica possibile, in realtà non sorprende, se si considera la sensibilità che la tradizione grammaticale antica ebbe per versi o parti di versi in cui era menzionato il nome di un autore e il suo etnico, appunto gli ἐθνικά, di cui Stefano è ultimo e spesso unico testimone. Il frammento 64 Così invece de Pinedo (1678) 318 ad l. 65 Giustamente reso con «daher» da Billerbeck  – Neumann-Hartmann (2016); cf. anche s.v. Ἴαϲοϲ «deshalb» nella traduzione di Billerbeck – Zubler (2011). 66 Non è certo che Diogene sia la fonte di Stefano, il quale sembra aver conosciuto, direttamente o indirettamente, i primi tre libri delle Vite, mentre questa citazione proverrebbe dal nono. Sui rapporti tra Diogene e Stefano vd. Dorandi (2009) 125. 67 Casi simili si trovano a proposito dell’altrimenti ignoto Istro s.v. Κάλλατιϲ (κ 30), di Eraclide Mopseate s.v. Μόψου ἑϲτία (μ 225), di Erinna s.v. Τῆνοϲ (τ 116). L’assenza di un elemento formalmente altro rispetto alla dizione di Stefano non consente tuttavia di raggiungere lo stesso grado di certezza. Eraclide è tuttavia citato da Athen. 6,234d, quasi con la medesima formula: si potrebbe pensare che la fonte sia Ateneo, altrove esplicitamente citato da Stefano, o che Stefano e Ateneo abbiano una fonte comune. L’attenzione è rivolta naturalmente all’espressione, correttamente virgolettata nella traduzione di Billerbeck (2014), s.v. Κάϲιον (κ 105: τὰ Καϲιωτικὰ ἱμάτια) e s.v. Βραυρών (β 162, a proposito di Artemide Brauronia).

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

doveva appartenere a un testo che esibiva un tratto ionico o ionico-epico, giunto a Stefano attraverso una trafila probabilmente non breve. Vale quindi la pena di avanzare qualche ipotesi per tentare di individuare, per quanto possibile, chi sia l’autore del frammento riguardante Cherilo di cui gli Ἐθνικά sono i soli testimoni.68

2.2 Quale autore? Il frammento citato da Stefano deve risalire a una fonte letteraria, come rivela il suo stesso contenuto. Stefano non sembra inoltre essersi basato su fonti epigrafiche.69 La forma contratta del participio ἐών non ricorre in ogni caso nelle iscrizioni di Iaso,70 ed era inoltre un arcaismo già ai tempi di Erodoto.71 ἐών è invece un tratto tipico della poesia epica e della prosa ionica in cui furono composte opere di contenuto anche storico e geografico – tutti generi cui appartengono molti altri frammenti citati da Stefano.72 Il recupero letterale di tre sole parole lascia immediatamente pensare a un verso più che a un passo prosastico.73 A Stefano si deve peraltro una conoscenza non trascurabile dei poeti ellenistici.74 Per come si presenta negli Ἐθνικά, l’espressione è inseribile in un contesto esametrico.75 I due sottogeneri più probabili sono l’epica storica o antiquaria (o storico-locale) e la così detta curse poetry.

68 Nessuna fonte è menzionata al riguardo in Billerbeck – Neumann-Hartmann (2021) 280. 69 L’interesse di Stefano Bizantino e delle sue fonti immediate è infatti non tanto rivolto ai luoghi quanto piuttosto ai toponimi: vd. Billerbeck (2006) 48✶ n. 88; cf. 46✶–47✶. 70 Cf. l’Index verborum di Blümel (1985) s.v. εἰμί. Bisognerebbe piuttosto pensare a un’epigrafe non iasea, il che è improbabile. 71 Vd. da ultimo Miller (2013) 171. 72 Sulla Quellenforschung relativa a Stefano vd. Honigmann (1929) 2379–2389 e ora Billerbeck – Neumann-Hartmann (2021) 59–64, per le fonti prosopografiche 125–131. Per un’ampia panoramica degli autori in prosa ionica vd. Lightfoot (2003) 91–96. 73 Una possibilità avrebbe potuto rappresentare Nearco, per il quale Stefano potrebbe aver disposto di buone fonti, se un passo degli Ἐθνικά s.v. Λητή (λ 49) rimane l’unico testimone a conservare notizia del suo luogo di origine. Non vi sono tuttavia indizi positivi che Nearco scrisse effettivamente in ionico, e la tesi gode anzi ormai di scarso credito: vd. Bucciantini (2015) 150, cui rimando anche per la bibliografia precedente. 74 Billerbeck (2008) 306–314. 75 Χοιρίλοϲ occupava probabilmente la prima sede dell’esametro, come suggerisce il confronto con l’epigramma di Cratete (test. °19) e con il verso giambico di Alessi fr. 140 K.–A. (Choeril. Sam. test. °1 R.  C. = °12 B.2). Le combinazioni possibili sono varie per alcune oscillazioni. Nell’Iliade e nell’Odissea Ἴαϲον Ἴαϲοϲ Ἰαϲίδηϲ (e affini) hanno ῑ: bisognerebbe pensare a una sinizesi per evitare il cretico. Per ῐ vd. però Bürchner (1914) 785–786. Riguardo a ἐών, non si verifica mai sinalefe né nell’Iliade né nell’Odissea (quando non occupa la seconda sede

2 La testimonianza di Stefano Bizantino 

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Riguardo alla prima possibilità, non sembra che siano stati composti Καρικά assimilabili ai Βιθυνιακά di Demostene di Bitinia (FGrHist 699, FGrHistCont 1769) o ai più noti Μεϲϲηνιακά di Riano. Alessandro ebbe però un ruolo significativo in poemi composti in età imperiale, come quelli di Arriano e di Nestore intitolati Ἀλεξανδριάϲ e i Μακεδονικά di Festo;76 non si può escludere neanche che Alessandro Magno sia l’ Ἀλέξανδροϲ di un’opera altrimenti perduta di Euforione.77 Nessuno di questi è in ogni caso mai menzionato da Stefano. Gli aneddoti sulla tragicomica morte di Cherilo tràditi da alcuni scolî a Orazio (test. 7) rendono invece più verosimile una menzione all’interno di un catalogo nel genere delle ἀραί. Un riferimento così esplicito (nome ed etnico) non è concepibile in una poesia volutamente allusiva come quella che ispira l’Ibis di Ovidio, ma caratteristiche diverse sembrano aver avuto altre ‘maledizioni’.78 Un puntuale riferimento a Cherilo non sarebbe inspiegabile, in particolare, in una delle ἀραί (sicuramente esametriche) di Euforione,79 poeta noto a Stefano.80 Il gusto per le morti cruente spesso notato in Euforione è forse da leggere in chiave ironica – uno humour che in effetti non suonerebbe incompatibile con le testimonianze sulla fine di Cherilo.81 Inoltre, nel noto epigramma dell’oscuro Cratete (test. °19), con ogni verosimiglianza coevo a Euforione, quest’ultimo è detto maliziosamente ammiratore di un Cherilo ed è definito Ὁμηρικόϲ.82 Non si può comunque escludere che la fonte di Stefano risalisse in ultima analisi a un verso di Cherilo stesso (o più difficilmente di un altro poeta di Ales-

dell’esametro, è spesso preceduto da περ); un autore ellenistico può tuttavia essersi comportato diversamente. Supponendo una sinalefe, l’ipotesi migliore sarebbe postulare una lacuna dopo Χοιρίλοϲ. Si può aggiungere che difficilmente la pericope ha occupato le ultime tre sedi dell’esametro non solo perché bisognerebbe presupporre un’incisione C2 tra un sostantivo e il participio, ma anche perché si troverebbe un monosillabo finale. Già in Omero a un monosillabo autonomo posto in fine di verso si accompagna generalmente la dieresi bucolica, ma tra l’incisione e il monosillabo si trova una parola di struttura coriambica dove in questo caso si avrebbe invece ἐὼν Ἰαϲεύϲ. Dettagli e percentuali in Magnelli (2004). 76 Su Arriano vd. Fantuzzi (1988) lxiv–lxv, Barbantani (2017) 72–73; su Nestore: Barbantani (2017) 75; riguardo a Festo: Fantuzzi (1988) lxxix–lxxx, Barbantani (2017) 74–75. 77 Per le varie ipotesi cf. Magnelli (2002) 96 n. 12. 78 Come è evidente già nella ‘Tattoo Elegy’ di P.Brux. 22: vd. Magnelli (2002) 98 e n. 20. Per la storia degli studi relativi alla ‘Tattoo Elegy’ vd. Benedetto (2018) 430–435. 79 Su Euforione poeta (esclusivamente) esametrico Magnelli (2002) 93–94 e n. 3. Nei frammenti del Θρᾷξ (frr. 413–415 Powell, SH 413–415) «rapide ed allusive menzioni» si alternano a «sezioni succinte ma esplicite»: vd. Magnelli (2002) 97–98. Anche i riferimenti contenuti nelle Χιλιάδεϲ (frr. 46–49 Powell, SH 418–427) – in 5 libri – non dovevano essere troppo sintetici. 80 Billerbeck (2008) 306–307, 311–312. 81 Vd. Magnelli (2002) 99–101. 82 Sui problemi posti dall’epigramma di Cratete vd. cap. 3 § 6.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

sandro). Il legame tra Cherilo e Omero desumibile dalle fonti rende verosimile che l’opera su Alessandro fosse composta nel rispetto della lexis ionico-epica.83 Bisognerebbe presupporre che l’autore presentasse anche se stesso nella propria opera o con una tradizionale ϲφραγίϲ (non è raro che in simili occasioni il poeta alludesse alla propria patria)84 o nel corso di un episodio in cui aveva un qualche ruolo. In questo caso potrebbe trattarsi anche di una scena (omericamente) metapoetica: l’Odissea descrive performances aediche ambientate in corti principesche alla fine dei banchetti; anche per Cherilo e altri poeti alla corte di Alessandro non è inverosimile ritenere che la recitazione avvenisse in un contesto simposiale, come è chiaro da Plut. Alex. 50,8 a proposito di un altro poeta di Alessandro (Pranico ovvero Pierione).85 Un verso contenuto in una sezione programmatica dell’opera avrebbe peraltro potuto facilmente fissarsi nella tradizione grammaticale. Si può infine pensare a una menzione di Cherilo nella commedia attica. La forma ἐών poteva qui occorrere in momenti dedicati alla parodia del genere epico, sulle orme di Ar. Av. 688 (τοῖϲ αἰὲν ἐοῦϲιν). Anche il frammento relativo a Protagora ὁ Τήιοϲ (supra, § 2.1) proviene infatti da una commedia (Eupoli). I comici della commedia di mezzo e nuova evitarono gli attacchi personali, ma ebbero a cuore la critica filosofica e letteraria. Come si vedrà, è inoltre possibile che il Curculio plautino erediti da un modello greco una parodia nei confronti di Alessandro Magno, che d’altra parte doveva già essere il bersaglio polemico di alcuni luoghi menandrei a noi noti per tradizione indiretta (vd. cap. 2 § 2.4). Anche A.M. Biraschi ha ipotizzato che una commedia di Epigene possa alludere ironicamente a Cherilo.86 Lo stato frammentario della tradizione impedisce di decidere definitivamente tra le varie opzioni discusse. Anche se l’autore resta ignoto, è in ogni caso possibile intuire l’antichità e l’attendibilità della notizia offerta in questo passo degli Ἐθνικά; l’esistenza di un Cherilo nativo di Iaso, già deducibile dalla lettura della Suda, riceve dunque sostanziale conferma da un particolare testuale sopravvissuto all’epitomazione dell’opera di Stefano e fedelmente trasmesso dalla tradizione medievale.

83 Su Cherilo e Omero vd. capp. 3 § 5.2 e 4 § 1.1. 84 Così avviene in h.Ap. 172 e in Theog. 22–23; l’ambientazione beotica è invece chiara nel proemio di Esiodo Theog. 21–36, ma non è esplicitata dall’etnonimo. Circa la fortuna ellenistica di questo motivo vd. Klooster (2011) 175–208. Per una storia (e una critica) del concetto di ϲφραγίϲ vd. Edmunds (1997) 30–33. 85 Altrimenti ignoto; la testimonianza manca nel SH e in Barbantani (2017): vd. Weber (1992) 68–69, Cameron (1995) 279, e già Koepp (1873) 49. 86 Biraschi (2015) 151. Discussione nel cap. 4 § 2.2.

3 Cherilo autore di epistole, epigrammi e commedie? La testimonianza di ps.-Eudocia 

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3 Cherilo autore di epistole, epigrammi e commedie? La testimonianza di ps.-Eudocia Il capitolo 1012 Flach dedicato al tragediografo Cherilo di Atene (test. 1b) all’interno del Violarium (Ἰωνιά) tràdito sotto il nome dell’imperatrice Eudocia Macrembolitissa (XI secolo) si conclude con una breve appendice relativa a Cherilo di Samo che contiene informazioni ulteriori rispetto alla voce della Suda: la composizione di epistole, epigrammi e commedie.87 L’opera è però un falso realizzato probabilmente poco dopo la metà del XVI secolo da Costantino Paleocappa, calligrafo e bibliotecario cidonio di stanza a Fontainebleau.88 Di mano di Paleocappa è peraltro uno dei soli due codici che trasmettono l’opera, il Paris. gr. 3057 (l’altro, il Paris. suppl. gr. 42, del secolo successivo, ne è copia diretta). Paleocappa attinse a edizioni già pubblicate a stampa – la Suda, Diogene Laerzio, il lessico di Favorino, Cornuto e Palefato – e probabilmente anche a fonti manoscritte, come l’omonima Ἰωνιά di Apostolio.89 Un lemma dedicato a Cherilo è presente solo nella Suda, in cui non è dunque difficile riconoscere la fonte di Paleocappa per questa scheda. La voce della Suda è ripresa quasi letteralmente: la presentazione degli etnonimi è una semplice banalizzazione, che riporta l’ambiguità dell’originale alla ‘normale’ formula con ἤ (vd. supra, § 1.2).90 Le opere citate alla fine del capitolo, assenti nel lemma della Suda corrispondente, aprono tuttavia alla possibilità che il compilatore abbia attinto ad altre fonti, poi perdute, in cui i Cherili erano già confusi, come suggerisce la varietà dei generi letterari menzionati. Se preso per vero, il capitolo darebbe così una base più solida per l’attribuzione dell’epitafio di Sardanapalo (testt. 15, 16; cf. epigr. °1) a un Cherilo, sia questi il Samio o lo Iaseo;91 la composizione di commedie potrebbe essere attribuita a un Cherilo Comico (ma della sua

87 Dall’indicazione di Radici Colace (1979) 2 app. («ἔγραψε – κωμῳδίαϲ om. S») risulta che l’espunzione sia avvalorata da S (siglum che Flach utilizza per la Suda). In realtà, l’intera tradizione manoscritta (vd. infra) è concorde. 88 Su Paleocappa vd. García Bueno (2013). Flach, l’ultimo editore dell’opera, resterà invece convinto dell’autenticità dell’opera. 89 Sulle fonti del Violarium cf. Kindstrand (2000), con bibliografia. Il legame con Apostolio è sottolineato da Curnis (2004) 76–83 (Bellerofonte è tuttavia presente in Cornuto e in Palefato e gli è in realtà dedicata una voce anche da Favorino). 90 La formula (ἔϲτι) καὶ ἕτεροϲ ricorre spesso nel Violarium per introdurre la (più breve) biografia di un omonimo del personaggio principale descritto nella scheda: vd. e.g. 906 e 996. 91 Così Naeke (1817) 102.

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esistenza si tende ormai a dubitare);92 il riferimento alle epistole sarebbe l’unica traccia di un epistolario, con ogni probabilità pseudoepigrafo.93 Questa possibilità va in realtà esclusa. È innanzitutto improbabile che Paleocappa abbia conosciuto un’opera poi scomparsa e non ne abbia neppure dato notizia. Il capitolo ps.-eudociano presenta inoltre alcune stranezze che suggeriscono come qualcosa dovette andare storto nella compilazione del lemma. Prima della Schriftenliste manca in effetti l’assegnazione del poeta a un genere letterario, con violazione di una ‘legge’ della pinacografia antica che non trova paralleli nel Violarium. Nella Schriftenliste non è peraltro citato alcun poema epico, a fronte dello spazio dedicato a opere comunque minori. Anche Flach, pur convinto dell’attribuzione dell’opera a Eudocia, espungeva perciò la pericope in quanto aggiunta «a lectoribus sive librariis»,94 e ugualmente fanno gli editori di Cherilo di Samo.95 La pericope non va tuttavia espunta, perché per quanto ne sappiamo corrisponde all’ultima volontà dell’autore. Rimane in ogni caso complesso definire la genesi di questa aggiunta.96 Si potrebbe innanzitutto pensare a una falsificazione di Paleocappa, che gli fu forse suggerita dal riferimento che si legge alla fine della voce della Suda a ἄλλα τινὰ ποιήματα. Anche in questo caso non si comprenderebbe tuttavia l’inserimento delle epistole (verosimilmente in prosa, dunque non ποιήματα). Nel Violarium non sussistono inoltre paralleli di tale modo di operare.97 Secondo Flach, la confusione proverrebbe invece dalle schede quasi immediatamente precedenti di

92 Vd. ancora Naeke (1817) 58. La notizia che faceva di questo Cherilo uno schiavo e collaboratore di Ecfantide sembra tuttavia spiegabile come l’elaborazione di un motivo comico inventato da Cratino per schernire il rivale attraverso l’accostamento al tragico Cherilo: vd. Bruzzese (2008) 103–104. 93 Naeke (1817) 101–102. 94 Cf. Flach (1880) viii. 95 Lloyd-Jones – Parsons (1983) si limitano a ricordare il lemma nell’apparato di SH 315. 96 Vd. Lloyd-Jones – Parsons (1983) 147: «unde habuerit falsarius, incertum». 97 Per le altre voci che risalgono alla Suda, Paleocappa si attiene generalmente alla fonte. Anche quando il testo di riferimento è raramente arricchito da sue glosse e chiose, non si nota tuttavia alcuna voluta falsificazione. A volte la fonte di queste aggiunte è riconoscibile, mentre in alcuni casi si può pensare a sviste e confusioni di Paleocappa stesso (cf. e.g. 376: a Ermogene sono attribuiti due difetti che Philostr. V.Soph. 2,8 riferisce con le stesse parole a un altro deuterosofista, Filagro; 381: Epigene è considerato un esponente della commedia antica e non di mezzo; 447, 452: confusioni omonimiche già presenti nella Suda sono ulteriormente complicate). Alcune di queste, come la chiosa alla scheda 255, sono difficilmente comprensibili, mentre altre sembrano interventi intenzionali, diretti a spiegare un testo ritenuto scorretto o incompleto (288: un’aggiunta a margine propone un parallelo tra l’opera di Cassio Dione e Livio; 160: le due distinte voci della Suda relative a Arcedico sono conflate, anche se in modo un po’ meccanico).

4 Iaso tra Cherilo e Alessandro 

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Chionide di Atene (1009) e Cristodoro di Copto (1010).98 Il meccanismo è in effetti attestato anche nella Suda.99 In nessuno dei due lemmi sono tuttavia citate le epistole (il lemma ne ricorda peraltro ‘molte’: ἐπιϲτολὰϲ πολλάϲ).100 Inoltre, più in generale, non si capirebbe perché le notizie della composizione di epigrammi e commedie, da riferire rispettivamente a Cristodoro e a Chionide, siano state conflate prima di essere attribuite a Cherilo. Tra il capitolo relativo a Cristodoro di Copto e Cherilo intercorre infine la scheda dedicata a Cristodoro di Tebe, che contribuisce a rendere la dinamica ancora più problematica.101 Non ha aggiunto elementi utili l’esame dell’edizione aldina della Suda, generalmente ritenuta la fonte diretta di Paleocappa, come neanche controlli effettuati sul codice del Violarium di sua mano, il Paris. gr. 3057, e dell’unico codice della Suda presente a Fontainebleau quando Paleocappa lavorava alla redazione del catalogo della Biblioteca reale negli anni Cinquanta (Paris. gr. 2622).102 Anche se la genesi delle informazioni resta oscura, l’analisi qui condotta è tuttavia sufficiente per relegare le notizie su Cherilo offerte dalla scheda del Violarium a un ruolo del tutto secondario.

4 Iaso tra Cherilo e Alessandro Dalla tradizione greca sopravvive dunque menzione di un Cherilo di Iaso, dai testimoni latini quella di un Cherilo che seguì Alessandro in Oriente celebrandone le imprese: i due profili sono riconducibili a un unico personaggio, come la notizia relativa a un premio in stateri aurei riferita dalla Suda a Cherilo di Samo ha permesso di dimostrare (§ 1.3). Nelle prossime pagine intendo evidenziare altri argomenti a sostegno di questa identificazione, indagando in particolare i rapporti di Alessandro con Iaso, i quali confermano ulteriormente la possibilità che uno dei suoi ‘poetastri’ fosse originario di questa polis. Ciò è suggerito in primo luogo dalla fioritura a Iaso nel IV secolo a.C. di una poesia encomiastica rivolta agli Ecatomnidi, i sovrani di Caria, la quale permette di avere un’idea del 98 Tesi ribadita due anni dopo nell’edizione di Esichio di Mileto: vd. Flach (1882) 238. 99 Cf. e.g. il lemma relativo a Ippi di Reggio (ι 591), la cui Schriftenliste deve essere stata trasposta dalla voce relativa a Ipponatte (ι 588): vd. l’analisi di Giangiulio (1994). Un’analoga interpolazione riguardante la lista delle opere si verifica alla fine del lemma su Ione di Chio (ι 487), su cui vd. Leurini (1985) 8–11. 100 Si potrebbe pensare a una confusione con l’epistolario (pseudepigrafo) di Chione di Eraclea, di cui però non vi è traccia nel Violarium. 101 Potrebbe anche trattarsi dello stesso Cristodoro, come ritiene da ultimo Tissoni (2000) 18–29. Paleocappa non seguiva però questa esegesi, perché i Cristodori sono distinti in due schede. 102 Cf. il codice nr. 462 in Omont (1889) 153.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

milieu culturale in cui probabilmente visse Cherilo (§ 4.1). Alcuni indizi consentono inoltre di ricostruire un legame privilegiato tra Iaso e il Macedone, anche se sembra che questi non abbia mai messo piede in città (§ 4.2). La familiarità di Alessandro con almeno un altro personaggio originario della città caria, Gorgo, che lo seguì in Oriente, costituisce poi un fondamentale parallelo per la vicenda di Cherilo (§ 4.3). L’insieme di queste considerazioni permette di avanzare infine un’ipotesi sulle possibili circostanze dell’incontro tra il sovrano e il suo futuro poeta (§ 4.4).

4.1 Poesia encomiastica a Iaso La dinastia ecatomnide, regnante sulla Caria nel IV secolo a.C.,103 attuò una consapevole politica culturale. I sovrani favorirono la costruzione di palazzi e monumenti funebri, spesso commissionati ad artisti greci,104 ma non trascurarono neanche l’opera di oratori e poeti, come dimostrano gli epitafi per Mausolo composti da Teopompo, Teodette, Naucrate e Isocrate (di Apollonia) in occasione dell’ ἀγών indetto da Artemisia II alla morte del marito, e soprattutto la tragedia Mausolo di Teodette.105 È significativo che quanto noto a proposito di una poesia encomiastica dedicata agli Ecatomnidi abbia trovato conferma proprio in un recente ritrovamento archeologico a Iaso.106 Qui nel 2005 sono stati rinvenuti due blocchi di un imponente monumento onorario dedicato dai cittadini ai sovrani di Caria.107 Su uno dei due è inciso un epigramma esametrico (epigr. °2) che celebra il potere degli Ecatomnidi; dopo un cenno a Idrieo, è lodato un altro membro della famiglia regnante, probabilmente (il nome è infatti celato da un’erasione) Ada,108 figlia di Ecatomno e sposa

103 Hornblower (1982) 34–51. 104 Cf. Hornblower (1982) 294–332 a proposito del «building programme» messo in atto dagli Ecatomnidi, 223–274 riguardo al Mausoleo. 105 Sul Mausolo come ‘tragedia encomiastica’ vd. Sistakou (2016) 77–78. 106 Rapporti tra Iaso e il potere ecatomnide sono attestati anche precedentemente nelle iscrizioni: cf. Hornblower (1982) 112–114. Prima di questa scoperta nessuna di esse lasciava tuttavia pensare allo sviluppo di una vera e propria poesia encomiastica. È oggetto di discussione se l’epiclesi di Zeus Ἰδριεύϲ attestata in I.Iasos 52 sia da leggere come un culto regionale, essendo collegabile al coronimo Ἰδριάϲ, o vada invece ricondotta alla deificazione di un altro Ecatomnide, Idrieo; in questo secondo caso, l’influenza dei sovrani avrebbe riguardato non solo il piano politico, ma anche la sfera cultuale. Discussione e bibliografia in Fabiani (2005) 174–176. 107 Analisi in Masturzo (2015). 108 Nafissi (2015) 76–77.

4 Iaso tra Cherilo e Alessandro 

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del fratello Idrieo.109 La composizione può essere datata al 344/3–341/0 (primo regno di Ada); l’erasione al 341/0–336/5 (governo dell’usurpatore Pissodaro).110 Dell’epigramma tratterò più ampiamente nel cap. 4 § 2.2, perché l’autore potrebbe essere proprio Cherilo;111 esso basta in ogni caso a provare che la celebrazione del potere ecatomnide diede impulso alla composizione di una poesia encomiastica anche a Iaso.112 Il dato è notevole sotto più punti di vista, anche perché non ha finora trovato paralleli in altre città della Caria.113 L’epigramma può innanzitutto spiegare pratiche cui Cherilo fu abituato finché rimase nella nativa Iaso. Si può tuttavia ragionevolmente supporre che l’eulogia degli Ecatomnidi, forse non limitata a questi versi, sia stata conosciuta anche fuori dalla città, almeno fino alla capitale Alicarnasso e di qui sino a Alessandro, il quale venne a contatto con la corte caria in più momenti (sui quali infra, § 4.4). L’epigramma potrebbe dunque in qualche misura anche motivare l’attenzione per un cantore originario della città da parte del Macedone, alla ricerca di poeti che celebrassero le sue imprese.

4.2 Alessandro a Iaso? Una conoscenza ‘a distanza’ Prima di affrontare il problema di un eventuale passaggio di Alessandro a Iaso, comunque non attestato nelle fonti, è opportuno soffermarsi su alcuni indizi che dimostrano che il Macedone intrattenne un legame privilegiato con la polis caria.114 a) La ‘leggenda’ del delfino di Iaso è trasmessa in diverse versioni, tutte comunque incentrate sulla prodigiosa familiarità esistita tra un fanciullo di Iaso

109 Presso gli Ecatomnidi era in uso la pratica del matrimonio tra fratelli, come è stato già variamente sottolineato: un’interpretazione in Carney (2005) 81–83. 110 Nafissi (2015) 91. 111 Già Maddoli (2010) 128; cf. Nafissi (2015) 88. 112 Nafissi (2015) 88. 113 Diverso, invece, il caso della statuaria che raffigurava esponenti della dinastia ecatomnide, diffusa anche in altre poleis carie, fra le quali comunque il monumento di Iaso si doveva distinguere per grandiosità: cf. Nafissi (2015) 81–82 e n. 36. 114 Il primo contatto sicuro tra Alessandro e la città li vide rivali: nei momenti immediatamente successivi alla conquista di Mileto, una nave di Iaso alleata della flotta persiana fu catturata nel corso di un tentativo di riconquista della città. L’episodio è tuttavia poco indicativo. È noto in effetti che i rapporti tra Iaso e il potere persiano furono sempre problematici – vd. Nafissi (2015) 90–91 e n. 69 –, e d’altra parte la città dovette presto passare alla parte di Alessandro: cf. Franco (2004) 384. Da Arriano Anab. 1,19,10–11, unica fonte dell’episodio, non è inoltre possibile conoscere le sorti dell’equipaggio.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

(Ermia o Dionisio) e un delfino.115 In una di esse  – attestata in Plinio Nat. hist. 9,27 e significativamente nella fonte più antica, Duride FGrHist 76 F 7 (fr. 22 Landucci Gattinoni) – si trova coinvolto appunto Alessandro: interpretando come un segno divino le attenzioni del delfino, egli avrebbe affidato al fanciullo il culto di Poseidone a Babilonia.116 Nonostante alcuni elementi favolistici, la versione di Duride–Plinio potrebbe avere una base storica,117 e testimoniare così un contatto tra Alessandro e almeno un altro cittadino di Iaso, oltre a Cherilo (e Gorgo, su cui infra, § 4.3). A differenza di Cherilo e Gorgo, Ermia/Dionisio non avrebbe comunque seguito l’esercito macedone nella spedizione in Oriente: da Duride è chiaro che Alessandro lo fece invece chiamare (μετεπέμψατο δὲ καὶ τὸν ἐκ τῆϲ Ἰαϲοῦ παῖδα) una volta giunto a Babilonia nel 324 a.C. Anche se tuttavia si volesse negare al racconto ogni storicità, è evidente che la costruzione di un collegamento del delfino iaseo con Alessandro può essere motivata solo alla luce di un consapevole adattamento, variamente spiegabile nell’interesse di una delle due parti (Iaso e Alessandro) o anche di entrambe:118 o come tentativo locale di «‘storicizzazione’ della saga», che permetteva di connettere Iaso a un personaggio autorevole, o alla luce di un preciso disegno di Alessandro, che vedeva così collegata la propria personalità a un prodigio letto in chiave religiosa.119 b) Uno speciale legame della dinastia macedone con Iaso si comprende anche alla luce di miti genealogici e di fondazione. La dinastia degli Argeadi, cui Alessandro apparteneva per linea paterna, fu considerata argolica perché 115 Lo studio più completo dell’episodio è Franco (1993). Cf. anche Gutzwiller (2002/03) 102–103. Il riferimento a Iaso è condiviso da tutte le fonti. Solo le indicazioni dello ps.-Aristotele e di Antigono di Caristo (rispettivamente περὶ Καρίαν ed ἐν Καρίᾳ) sono più generiche, ma comunque compatibili. Polluce tace circa l’ambientazione dell’episodio, ma nulla lascia pensare che gli fosse nota una versione differente. 116 Franco (1993) 228 e (2004) 389. Il racconto pliniano è più completo, ma compatibile con il frammento di Duride; Plinio potrebbe dunque riportare la versione che leggeva in Duride, ma i due testimoni potrebbero anche risalire a una fonte comune. Sulla questione vd. Baron (2013) 251–252. 117 Così ritiene Baron (2013) 252. Franco (1993) 227–228 menziona simili racconti leggendari relativi a delfini, a un certo punto integrati con il riferimento a un personaggio famoso, come Tolemeo II o Augusto. Almeno il nucleo originario della ‘leggenda’ precede l’età di Alessandro, perché la tipica monetazione iasea che rappresenta il fanciullo con il delfino è attestata già per il V secolo a.C. Cf. Ashton (2007). Altrettanto fantasioso sarebbe ritenere che il Macedone abbia assistito personalmente al prodigio, come però P. Green (20032) 194; vd. Benoit – Pierobon Benoit (1993) 907–908. 118 Come sottolinea Landucci Gattinoni (1997) 114. 119 Per la prima opzione vd. Franco (1993) 227–228, per la seconda Landucci Gattinoni (1997) 114.

4 Iaso tra Cherilo e Alessandro 

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discendente dai Temenidi, il cui eponimo (bisnipote di Eracle) fondò la Argo dorica. Anche per Iaso è attestata una tradizione che la voleva fondazione argiva, come si legge in Polibio e pare che sia stata interpretata l’espressione omerica Ἴαϲον Ἄργοϲ.120 In entrambi i casi il riferimento a Argo permetteva di rivendicare un’antica origine greca, ma poteva essere sfruttato anche con altri scopi. A questa comune origine si appellò infatti probabilmente la città all’arrivo di Alessandro in Asia Minore e della suggestione può essersi servito anche il sovrano macedone per assicurarsi l’alleanza di Iaso.121 c) A Iaso è stata rinvenuta un’ara dedicata, come rivela l’iscrizione che vi è incisa, a Alessandro e Olimpiade, copia di un’epigrafe perduta risalente all’epoca della spedizione in Asia Minore.122 Sebbene il culto di Alessandro fosse diffuso in molte città microasiatiche,123 l’età dell’epigrafe (I secolo a.C./I d.C.) attesta una notevole continuità.124 Va sottolineato soprattutto il riferimento a Olimpiade in un culto congiunto di madre e figlio, che non trova peraltro paralleli altrove. Olimpiade era ritenuta discendente di Pirro figlio di Achille e di Eleno figlio di Priamo:125 lo specifico interesse per Olimpiade a Iaso sembra da leggere ancora alla luce di una rivisitazione campanilistica di temi omerici, che dovevano essere molto sentiti nella città caria, come dimostra tra l’altro la politica matrimoniale attuata da Pissodaro e da Ada.126 Sembra infine che Cherilo abbia tenuto conto del modello di Achille per celebrare Alessandro.127 Potrebbe perciò non essere casuale che le suggestioni di una discendenza di Alessandro dall’eroe iliadico per via materna siano state sfruttate proprio da un poeta di Iaso, che accedeva a questo repertorio mitico non solo nella prospettiva del conquistatore, ma anche nell’ottica di un paradigma identitario di cui era venuto a conoscenza già quando si trovava in patria.128

120 Vd. supra, § 2. 121 Su questi problemi vd. Biraschi (2015) 149–150. 122 Edizione e commento in Maddoli (2015). 123 Sul culto di Alessandro in Asia Minore vd. Habicht (19702) 17–25, Maddoli (2015) 138–139. 124 Per la datazione vd. Biraschi (2015) 145 e Maddoli (2015) 141. Al I secolo d.C. pensava già Maddoli (2010) 131. 125 Cf. Carney (2006) 5–18, Biraschi (2015) 145–149. Questa lettura in chiave esplicitamente greco-troiana era stata spesso sottolineata per ribadire la liceità della spedizione in Oriente. 126 Sul valore politico dell’adozione di Alessandro da parte di Ada vd. Biraschi (2015) 152. 127 Cf. cap. 4 § 1.1. 128 Biraschi (2015) 152.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

Nonostante il rapporto privilegiato intrattenuto con Iaso, sembra che Alessandro non si sia mai fermato in città.129 Iaso non è infatti mai menzionata dalle fonti tra le tappe della marcia da Mileto a Alicarnasso nell’estate-autunno 334 a.C. (Arr. Anab. 1,20,2 e Diod. 17,24,1). Visti i ripetuti legami tra Alessandro e la polis caria, l’assenza del riferimento a Iaso nelle fonti resterebbe problematica se il passaggio si fosse effettivamente verificato. Il silenzio dei testimoni si spiega più facilmente come una semplice omissione dei motivi che impedirono una deviazione sull’isola (forse tecnico-militari, o comunque accidentali).

4.3 Gorgo di Iaso al séguito di Alessandro L’origine iasea di Cherilo trova un significativo riscontro nei contatti che intercorsero tra Alessandro e due eminenti cittadini di Iaso, Minnione e Gorgo figli di Teodoto. La loro attività è ricostruibile fondamentalmente sulla base di due epigrafi provenienti l’una da Iaso (I.Iasos 24+30) e l’altra da Samo (SIG3 312). Nella prima, da datare probabilmente agli ultimi anni del regno di Alessandro, i fratelli sono onorati per aver ottenuto dal sovrano macedone la restituzione a Iaso della μικρὴ θάλαϲϲα. Nel decreto di Samo, che deve risalire al 324/3 a.C. perché connesso con l’ ‘editto sugli esuli’, essi sono invece onorati per la loro attività a favore dei Samî in esilio contro gli interessi ateniesi, quindi Gorgo è lodato singolarmente per i suoi meriti personali.130 Le iscrizioni attestano una frequentazione del sovrano, esplicitamente citato in entrambi i testi. Gli onori conferiti ai fratelli nell’epigrafe di Iaso permettono di intuire quale influenza Gorgo e Minnione dovettero esercitare su Alessandro. Dal decreto di Samo appare chiaro che almeno Gorgo fece parte del suo più stretto entourage: grazie alla sua consuetudine presso la corte di Alessandro (διατριβών . . . παρὰ Ἀλεξάνδρῳ), egli poté impegnarsi con successo in difesa della causa samia, offrendo al sovrano una corona in segno di omaggio (ἐϲτεφάνωϲε).131 Da quest’ultima epigrafe è peraltro chiaro che Gorgo seguì Alessandro in Oriente: dalla corte del sovrano, probabilmente nella veste di φίλοϲ, continuò a trattare

129 Favorevoli a postulare una sosta a Iaso: Engels (1978) 34 n. 46 e P. Green (20032) 194; scettici Benoit – Pierobon Benoit (1993) 906–908 e Franco (2004) 384. 130 Sulle due iscrizioni vd. Rhodes  – Osborne (2003) 456–463. L’unione dei due frammenti dell’epigrafe da Iaso si deve a Fabiani (2007); sulla datazione vd. da ultimo Vacante (2009) in partic. 229–231. Diversamente Franco (2004) 385. Per i problemi storiografici connessi all’ ‘editto (o decreto) degli esuli’ vd. Dmitriev (2004) e Worthington (2015). 131 Per una ricostruzione complessiva dei rapporti di Gorgo e Minnione con Alessandro vd. Franco (2004) 385–388.

4 Iaso tra Cherilo e Alessandro 

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con la propria città, forse avendo per tramite il fratello rimasto in patria.132 La notizia rende Gorgo il più vicino parallelo per Cherilo, il quale Alexandrum secutus est – come riferiscono alcuni scolî oraziani (testt. 6a, 7). Il quadro finora intuibile dalle iscrizioni è confermato e arricchito da Ateneo 12,538b. Qui si riporta il frammento di un oscuro alessandrografo, Efippo, ambientato nel 324 a.C. a Ecbatana durante un banchetto alla presenza di Alessandro (FGrHist 126 F 5):133 ἄλλων γὰρ ἄλλο τι ἀνακηρυττόντων καὶ ϲτεφανούντων τὸν Ἀλέξανδρον εἷϲ τιϲ τῶν ὁπλοφυλάκων ὑπερπεπαικὼϲ πᾶϲαν κολακείαν κοινωϲάμενοϲ τῷ Ἀλεξάνδρῳ ἐκέλευϲε τὸν κήρυκα ἀνειπεῖν ὅτι· «Γόργοϲ ὁ ὁπλοφύλαξ Ἀλέξανδρον Ἄμμωνοϲ υἱὸν ϲτεφανοῖ χρυϲοῖϲ [χρυϲίοιϲ Olson] τριϲχιλίοιϲ· καὶ ὅταν Ἀθήναϲ πολιορκῇ, μυρίαιϲ πανοπλίαιϲ καὶ τοῖϲ ἴϲοιϲ καταπέλταιϲ καὶ πᾶϲι τοῖϲ ἄλλοιϲ βέλεϲιν εἰϲ τὸν πόλεμον ἱκανοῖϲ».

L’enfasi dell’esposizione si spiega forse alla luce della polemica antimacedone se non di Efippo, almeno di Ateneo,134 ma non vi è ragione di dubitare della testimonianza.135 La notizia che Gorgo sia potuto diventare ὁπλοφύλαξ (una delle più alte cariche dell’esercito macedone) si accorda con la sua presenza al séguito di Alessandro e il ruolo che svolse presso il sovrano.136 La posizione antiateniese espressa da Gorgo, evidente anche nel decreto di Samo, fu peraltro probabilmente condivisa da Cherilo nei Λαμιακά.137 Ma ancor più degno di nota è l’atteggiamento decisamente ‘cherileo’ che Efippo attribuisce a Gorgo in questo breve schizzo. Anche il riferimento all’oro – sebbene Alessandro sia qui il destinatario dell’elargizione e non il benefattore – richiama gli stateri aurei donati da Cherilo ricordati dalla Suda e dalla tradizione latina.

132 Franco (2004) 388. 133 Un’analisi del frammento in Levi (1977) 36–37, Gadaleta (2001) 108–112, Prandi (2016a) ad l., Ravazzolo (2017) 84–111, in partic. 102–111. 134 Su Efippo critico di Alessandro cf. Levi (1977) 33–37, in partic. 36–37 sul fr. 5; la tesi è stata ridimensionata da Gadaleta (2001) 141 e soprattutto da Ravazzolo (2017) 13–16. Riguardo a Ateneo vd. Zecchini (1984) in partic. 208–212. 135 Cf. Gadaleta (2001) 110–111. 136 Su questa carica vd. Heisserer (1980) 169–171. Cf. Tritle (2009) 125. 137 Preludio della guerra fu, già secondo le fonti antiche, proprio la crisi samia in cui i figli di Teodoto rivestirono un ruolo non secondario, come rivela il decreto da Samo. Cf. Sordi (1987b) = (2002) 463–475 e Franco (2004) 386. Sui Λαμιακά vd. il cap. 4 § 1.2. A proposito della posizione antiateniese di Gorgo vd. Pearson (1960) 63–65, Levi (1977) 37, Franco (2004) 386–388, Gadaleta (2001) 106–107, Ravazzolo (2017) 109–110. L’opposizione a Atene era probabilmente condivisa da un ampio strato delle aristocrazie microasiatiche e specialmente iasee, come sottolinea in partic. Franco (2004) 388.

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

4.4 Cherilo, gli Ecatomnidi e Alessandro: una proposta Il rapporto privilegiato che Alessandro intrattenne con Iaso rende verosimile che il Cherilo del suo séguito fosse originario della polis caria. È allora forse possibile avanzare un’ipotesi circa il momento e il luogo del loro incontro. Quello delle circostanze dell’incontro con il Macedone è un aspetto su cui tacciono le fonti anche a proposito degli altri ‘poeti alessandrografi’:138 Agide di Argo, Anassimene di Lampsaco, Pirrone di Elide, Cleone Siculo, Escrione di Mitilene e Pranico/Pierione.139 Sembra che Escrione si trovasse già alla corte di Filippo II;140 lo stesso è stato ipotizzato per Anassimene.141 Se nell’Ermocrate ϲοφιϲτήϲ di Diod. 16,94 coevo di Filippo II si potesse riconoscere il grammatico Ermocrate di Iaso maestro di Callimaco,142 si avrebbe notizia di almeno un altro cittadino di Iaso presente alla corte macedone. Nel caso di Cherilo, l’incontro è tuttavia avvenuto più probabilmente in un momento successivo, come si ritiene per Pirrone.143 Anche Cleone, secondo la ricostruzione proposta da M. Sordi, sarebbe stato uno degli uomini di Dionisio II di Siracusa e sarebbe entrato a contatto con la corte macedone nel 338 a.C., al momento dell’esilio a Corinto di Dionisio. 144 Cleone sarebbe perciò definito ‘rifiuto della sua città’ da Curzio Rufo (test. 11) proprio perché in quel momento si trovava nella condizione di esule.145 La vicenda di Cleone sembra un valido termine di confronto per quella di Cherilo. Come per Cleone l’incontro con Alessandro deve essere avvenuto lontano dalla patria del poeta, così si può ritenere anche per Cherilo, soprattutto se Ales138 Per questa definizione vd. Pelucchi (2022) 36. 139 Per un inquadramento generale: Barbantani (2017) 69–75 (include anche poeti successivi a Alessandro). L’elenco più completo è in Weber (1992) 68–69. Su Agide e Cleone vd. cap. 2 § 4.2. 140 In Suda αι 354 (SH 1 = FGrHistCont 1112 F 1) Escrione è definito γνώριμοϲ e ἐρώμενοϲ di Aristotele. Sull’attendibilità della notizia e sul ruolo della fonte citata dalla Suda sono stati espressi pareri discordi: cf. Fantuzzi (1988) lvii–lviii. 141 Cf. Fantuzzi (1988) lx e Barbantani (2017) 71. Sul problema posto da Anassimene e da un eventuale omonimo vd. cap. 3 § 2.1. 142 Su cui cf. Leurini (2000). Il nome si è probabilmente banalizzato in Hermocles in Val. Max. 8,14, ext. 4: per l’identificazione vd. Bradford Welles (1963) 99 n. 2. 143 Discussione in Decleva Caizzi (1981) 177 = (2020) 192. 144 Sordi (1983) 19–23 = (1992) 148–153 e (2004) 194. Sanders (1987) 95 n. 22 ritiene che la tesi «can hardly be substantiated»; è invece recepita da Muccioli (1999) 435. 145 Sordi (1983) 20 n. 25 = (1992) 149 n. 25. Diversamente interpreta Tarn (1948) II 56: «the rest he lumps together as cetera urbium suarum purgamenta». Anche il giudizio negativo sulla natio di Cleone espresso da Curzio va spiegato secondo Sordi (1983) 19–20 = (1992) 148–149 alla luce della «tirannide che fino a pochi anni prima di Alessandro aveva governato la Sicilia». Peltonen (2019) 136 ricorda un giudizio negativo espresso da Filippo II su Cherilo, ma esso non è attestato in alcuna fonte.

4 Iaso tra Cherilo e Alessandro 

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sandro non mise mai piede a Iaso (supra, § 4.2). Non sembra poi ingiustificato che Alessandro abbia individuato i futuri cantori della propria impresa in poeti che si erano già dedicati alla lode di altri sovrani: come Cleone fu al servizio di Dionisio II, si può pensare che Cherilo sia entrato a contatto con la dinastia ecatomnide (vd. supra, § 4.1). La presenza di Cherilo alla corte dei sovrani di Caria è suggerita anche dall’etnico Ἁλικαρναϲεύϲ che compare nella voce della Suda relativa a Cherilo di Samo (§ 1). A Alicarnasso infatti era stata trasferita, probabilmente nel primo periodo del governo di Mausolo, la capitale del regno, prima Milasa.146 L’etnonimo è generalmente spiegato come variante dell’origine di Cherilo di Samo, ma, come si è accennato supra, § 1.1, non si può escludere che la notizia fosse tratta dal βίοϲ dello Iaseo. Ciò è suggerito dall’ordine in cui sono presentati i tre etnici (Ϲάμιοϲ, τινὲϲ δὲ Ἰαϲέα, ἄλλοι δὲ Ἁλικαρναϲέα ἱϲτοροῦϲι), che colloca Alicarnasso dopo Iaso. Alessandro si inserì nella storia di Caria, venendo a contatto con la famiglia regnante, in tre momenti: a) durante il così detto Pixodaros affair, probabilmente da collocare tra il 337 e il 336, quando Pissodaro propose a Filippo II un matrimonio politico tra i loro figli (Ada II e Arrideo) e Alessandro si offrì spontaneamente come sposo di Ada II, ottenendo l’approvazione di Pissodaro ma non di Filippo, che sperava per lui un’unione più conveniente;147 b) all’arrivo di Alessandro in Caria nel 334, quando si scontrò vittoriosamente con il successore di Pissodaro, Orontobate, il quale aveva intanto probabilmente sposato proprio Ada II;148 c) nelle fasi successive allo scontro con Orontobate,149 quando Ada, relegata a Alinda dopo l’esilio perpetratole dal fratello e usurpatore Pissodaro, andò incontro a Alessandro, che le restituì il potere sulla Caria, la riconobbe come regina e si fece adottare da lei.150

146 Per la datazione e le ragioni che possono aver motivato il trasferimento vd. Hornblower (1982) 68, 78–79, 188–189. Sul ruolo giocato da Ada nella riconquista di Alicarnasso vd. Howe (2021). 147 Sul racconto di Plutarco (Alex. 10,1–5), unica fonte dell’episodio, sono state espresse varie perplessità, ma esso sembra attendibile almeno nelle linee generali. La bibliografia sul Pixodarus affair è raccolta da Hatzopoulos (1982) 65 nn. 33–34 e da Ruzicka (2010) 234 n. 12. 148 Cf. Hornblower (1982) 49–50. Il dato lascia pensare che il rapporto tra Alessandro e Orontobate sia stato più complesso di quanto non traspaia dalle fonti, esclusivamente attente agli aspetti bellici. 149 Dal racconto di Arr. Anab. 1,23,8 sembra che l’incontro sia avvenuto prima della caduta di Alicarnasso; dopo di esso, invece, secondo Strab. 14,2,17,656–657. 150 Arr. Anab. 1,23, Strab. 14,2,17,657, Diod. 17,24,2–3, Plut. Alex. 22,7–8. Vd. Carney (2005) 70. Un quadro dei rapporti tra Alessandro e Ada è tracciato da Sears (2014).

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 Capitolo 1 Di Samo, di Iaso, di Alicarnasso?

Quest’ultima è la più probabile circostanza dell’incontro tra Alessandro e Cherilo.151 In occasione del Pixodaros affair, infatti, Alessandro non si recò di persona in Caria, ma inviò come messo Tessalo. Non sembra inoltre che Cherilo abbia seguito Orontobate. Nel terzo caso, invece, i positivi rapporti tra Alessandro e Ada e la continuità di potere che li lega rendono l’incontro assai plausibile. Conferma proviene ancora dal passo di Curzio Rufo (test. 11). Cleone potrebbe non essere stato il solo esule, ma come lui anche altri ‘poetrastri’ di Alessandro (et cetera urbium suarum purgamenta) – tra cui Cherilo, esplicitamente menzionato.152 Ada fu in effetti mandata in esilio dopo la congiura ordita dal fratello Pissodaro, quando riparò a Alinda, dove non è difficile supporre che fu seguita dalla corte e quindi anche da Cherilo. Lo sfondo più verosimile su cui collocare l’incontro di Alessandro con Cherilo è dunque costituito dai contatti tra Alessandro e Ada, da datare al 334 a.C. La parallela vicenda di Cleone dimostra che Alessandro poteva avere un interesse per poeti che si erano già precedentemente dedicati a encomi di sovrani. L’etnico Ἁλικαρναϲεύϲ che compare nella voce della Suda è compatibile con la sede della corte del regno di Caria voluta da Mausolo. Se poi l’epigramma dedicato a Ada (°2) è davvero opera di Cherilo, non sorprenderebbe che egli sia stato chiamato quale poeta di corte a Alicarnasso: il compito potrebbe essergli stato assegnato proprio perché egli rappresentava già in quel momento il più evidente trait d’union tra Iaso e il governo ecatomnide. Ma anche senza ascrivere l’epigramma a Cherilo, un suo passaggio dalla corte di Ada a quella di Alessandro apparirebbe logico, considerando che Ada venne direttamente a contatto con il Macedone, lo adottò e grazie al suo intervento riottenne il trono di Caria.

151 Vd. già Maddoli (2010) 128. 152 Sull’attendibilità di questo passo curziano vd. cap. 2 § 4.

Capitolo 2  Cherilo e Alessandro Tra biografia e aneddotica La notizia dell’origine iasea di Cherilo è conservata unicamente dalla Suda e Stefano Bizantino. Per ulteriori informazioni sulla sua biografia bisogna invece rivolgersi ad altre testimonianze (3, 5–7, 10–14, °18, °20). Un certo scetticismo a proposito del valore di queste fonti è più che giustificato: oltre a riferire particolari improbabili, esse cadono anche in contraddizione tra di loro, ora affermando che Cherilo sarebbe stato apprezzato e ricompensato da Alessandro, ora riportando che il poeta sarebbe stato criticato e punito per i suoi pessimi versi. La loro analisi è tuttavia ineludibile, perché sono le uniche testimonianze a conservare notizie altrimenti ignote: la partecipazione alla spedizione di Alessandro Magno, la composizione di un’opera dedicata alle sue imprese, la ricezione dell’opera da parte del Macedone, ed eventualmente la morte. L’analisi condotta su ciascuna testimonianza ai §§ 2–8 permetterà di proporre in conclusione una ricostruzione della vita di Cherilo (§ 9), affrontando in particolare il problema dell’incompatibilità delle diverse versioni trasmesse.

1 La tradizione ‘oraziana’ Le testimonianze 3–14 costituiscono un insieme unitario, perché solo da esse è noto un Cherilo cantore di Alessandro presentato in termini estremamente negativi. Poiché tutte si rivelano in qualche modo connesse ai due passi di Orazio relativi a Cherilo (testt. 3 e 4), la tradizione cui appartengono potrebbe essere definita ‘oraziana’, purché ciò non implichi che esse abbiano attinto esclusivamente a Orazio. I passi del De poematis possono allo stesso modo essere ascritti a questo gruppo per i legami che sussistono tra Filodemo e Orazio, sebbene almeno per ragioni cronologiche vada escluso che Filodemo abbia conosciuto Cherilo da Orazio. Come in parte suggerito da C.O. Brink,1 all’interno di tale tradizione sembra di poter individuare due differenti linee di interesse nei confronti di Cherilo. Nella maggior parte dei testimoni – l’oraziana Epistula ad Augustum (test. 3), gli scolî di Porfirione e Pseudacrone (5–7), gli scolî a Ovidio (10), Curzio Rufo (11), Ausonio 1 Brink (1982) 244: «this legend», cioè l’episodio narrato da Orazio in Epist. 2,1,232–4, «needs to be distinguished from the assessment of Choerilus in Hellenistic and later criticism». Vd. anche Brink (1971) 365–366. https://doi.org/10.1515/9783110747041-003

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

(13), Ennodio (14) e forse Manilio (°20) – il riferimento a Alessandro consente di considerare Cherilo ancora un personaggio storico, per quanto in larga misura già trasfigurato dall’aneddoto. Una diversa prospettiva si trova invece nel De poematis di Filodemo (testt. 8, 9) e nell’Ars poetica di Orazio (4), dove Cherilo è menzionato antonomasticamente come pessimus poeta. La distinzione naturalmente non va enfatizzata. Anche nel primo gruppo di testimoni Cherilo ha fama di cattivo poeta e lo stesso Filodemo sembra consapevole del legame con Alessandro, come dimostra l’accostamento a un altro dei suoi ‘poetastri’, Anassimene (cf. cap. 3 § 2.1). Un legame tra i due gruppi è inoltre costituito proprio da Orazio. La bipartizione è tuttavia utile almeno perché consente di affrontare separatamente i diversi problemi posti dai due gruppi di testimoni: il primo – discusso nel presente capitolo – dà la possibilità di accostarsi alla ricostruzione della figura storica di Cherilo, il secondo – come si vedrà nel capitolo seguente – di analizzare il problema dell’origine della sua cattiva fama. Essa potrebbe inoltre avere un ruolo non indifferente per la ricostruzione di due diversi canali di circolazione delle notizie relative allo Iaseo, che sembrano aver goduto di opposta fortuna.2

2 La testimonianza di Orazio, Epistula ad Augustum 2.1 Cherilo e Orazio, Cherilo e Virgilio, Alessandro e Augusto Orazio ricorda Cherilo di Iaso nell’ultima parte dell’Epistula ad Augustum (test. 3).3 Come è noto, il corpo centrale della lettera traccia un profilo della letteratura latina orientato a posizioni anti-arcaizzanti, critiche soprattutto verso il rinnovamento del teatro latino auspicato dal princeps, mentre l’ultima sezione si indirizza direttamente a Augusto, ricollegandosi al ‘secondo preambolo’ (5–17), dove ne era lodata la virtù che lo aveva reso degno dell’eccezionale concessione di un culto già in vita.4 In questa ultima parte (214–270) Orazio ribadisce innanzitutto la propria preferenza per la letteratura destinata alla lettura rispetto al teatro; ai poeti il princeps deve dunque rivolgersi, nonostante i loro difetti (219–228), per garantire la propria fama presso i posteri. La riflessione introduce l’elegante ma decisa recusatio rispetto alle richieste che, si deve dedurre, gli erano state rivolte

2 Vd. infra, § 2.2. Sugli scolî oraziani in particolare cf. infra, § 3.3. 3 La struttura dell’epistola è ripercorsa puntualmente da La Penna (1963) 148–151 e da Fedeli (1997) 1317–1320. 4 Sul ‘primo’ e ‘secondo preambolo’ cf. Brink (1982) 31–57, 464–466.

2 La testimonianza di Orazio, Epistula ad Augustum 

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da Augusto.5 Essa si articola nei seguenti passaggi:6 dall’opera dei poeti dipende il ricordo delle imprese (229–231); la cattiva poesia offusca infatti le grandi opere (235–237), come è avvenuto per Alessandro, che se da una parte fu cattivo giudice di poesia (232–234), dall’altra impose con un editto che solo Apelle e Lisippo potessero raffigurarlo (237–244); d’altronde, Augusto ha dato finora prova di iudicium nel sapersi affidare a ottimi poeti, Virgilio e Vario (245–250); anche Orazio celebrerebbe la materia epica costituita dai trionfi del sovrano,7 se ne avesse le forze (250–263); il risultato sarebbe tuttavia nefasto: i suoi versi finirebbero come chartae destinate al mercato (265–270). Il riferimento a Alessandro e Cherilo svolge un ruolo decisivo all’interno dell’argomentazione, rappresentando il termine di confronto negativo del rapporto tra poeta e sovrano. Ciò spiega perché alla vicenda, di fatto descritta in tre versi (232–234), l’autore si richiami fino alla fine del componimento in almeno altre due allusioni: prima per evidenziare il diverso (e più accorto) comportamento tenuto da Alessandro nei confronti delle arti figurative (237–238) idem rex ille, poema qui tam ridiculum tam care prodigus emit . . .

e infine nella chiusa della lettera,8 quando Orazio assume il punto di vista del destinatario per ribadire il pericolo cui Augusto andrebbe incontro se l’autore dell’epistola si dedicasse all’opera che gli richiede (264–266):9 nil moror officium quod me gravat, ac neque ficto in peius voltu proponi cereus usquam nec prave factis decorari versibus opto.

La figura del ‘peggior poeta’ greco cui Orazio è disposto a paragonarsi implicitamente doveva apparirgli perfettamente adatta a rappresentare i rischi in cui sarebbe incorso il princeps se le sue imprese fossero state cantate in un’opera non degna di lui.10 Cherilo è dunque in un certo senso alter ego di Orazio non meno

5 Vd. ora Canfora (2015) 441–445. 6 Sui quali vd. Barchiesi (1993) 156–157. 7 La serie di immagini e il successivo riferimento a Virgilio e Vario lasciano pensare a un poema epico, o comunque a poesia in esametri, come un panegirico: cf. Brink (1982) 254–257. 8 Goldberg (2005) 187. 9 Lowell Bowditch (2001) 32 così descrive il meccanismo retorico messo in atto da Orazio: «I can imagine your situation in a way that justifies mine»; cf. Barchiesi (1993) 155–157. Stando a Svet. Aug. 89,3, si trattava di un pericolo di cui il princeps era al corrente. Vd. anche Goldberg (2005) 183–184. 10 Cf. Oliensis (1998) 194–195.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

di quanto Alessandro lo sia di Augusto,11 ma come il princeps supera Alessando nel curarsi non solo di pittori e scultori ma anche di poeti, così Orazio è migliore di Cherilo perché, consapevole dei propri limiti, declina saggiamente l’invito.12 Il riferimento a Cherilo si presta dunque a varie letture. In primo luogo, Orazio intende mettere in luce i rischi di una poesia esclusivamente cortigiana – un problema che certo avvertì personalmente e al quale in questa epistola diede una chiara, e forse convincente, risposta.13 L’opposizione tra Cherilo e Virgilio– Vario(–Orazio) si gioca inoltre sul piano dell’antitesi tra venalità e gratuità della poesia, per affermare la necessità e la superiorità di quest’ultima.14 La figura di Cherilo è poi funzionale a instaurare un confronto tra Augusto e Alessandro, per mostrare la preminenza del primo sul secondo.15 In linea con quanto sostenuto nella parte centrale della lettera, il confronto tra Cherilo e Virgilio–Vario è inteso infine a ribadire la grandezza raggiunta dalla poesia romana dell’età di Orazio contro posizioni in parte condivise dallo stesso Augusto che tendevano a celebrare tutto ciò che fosse arcaico.16 In questa prospettiva non sembra casuale che l’opposizione a Omero, che si trova in varî testimoni e anche nell’Ars poetica, sia sostituita qui dal confronto con il novus Homerus, Virgilio.

2.2 Cherilo nell’Epistula ad Augustum La testimonianza oraziana assicura l’ampia circolazione delle notizie relative a Cherilo. Il riferimento al poeta con ille nel senso di ‘quel famoso’ dimostra infatti che Cherilo apparteneva a un repertorio condiviso non solo dall’autore e dal 11 «In the rhetoric of the poem’s conclusion, Virgil, Varius and Horace correspond to the triad of Lysippus, Apelles and Choerilus» Freudenburg (2014) 126 n. 85. 12 Cf. Oliensis (1998) 194–195, Goldberg (2005) 183–188. Diversa interpretazione in Peltonen (2019) 136–137. 13 Almeno secondo Fraenkel (1957) 383; diversamente Brink (1982) 495, 561, 565. Secondo la vita svetoniana di Augusto, non sembra che il princeps abbia gradito: vd. Canfora (2015) 445. Sul rapporto tra Orazio e l’ ‘ideologia augustea’, dopo La Penna (1963), vd. Santirocco (1995) e Lowrie (2007). 14 «No doubt Choerilus produced bad poetry because he lacked talent, but Horace also implies that the openly venal exchange of verse for money is more likely to yield such flawed results than is the gift economy in which poets such as Varius and Vergil participate» Lowell Bowditch (2001) 34. Cf. Brink (1982) 484, Barchiesi (1993) 156 n. 10, Oliensis (1998) 194–195. 15 Cf. Brink (1982) 494–495, Kilpatrick (1990) 1, Goldberg (2005) 183–184. Sull’imitatio Alexandri e il suo superamento vd. Cresci Marrone (1993) 31–49 e Braccesi (2006) in partic. 117–140. Cf. anche Peltonen (2019). Questo aspetto parve forse decisivo agli occhi degli interpreti antichi, perché se ne trova traccia nello scolio di Pseudacr. ad Epist. 2,1,233 (da confrontare con lo scolio, testualmente più problematico, di Porfirione allo stesso verso). 16 Braccesi (2010) 245 = (2019) 117 e (2014) 111.

2 La testimonianza di Orazio, Epistula ad Augustum 

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destinatario, ma probabilmente anche da un più ampio pubblico. L’indicazione coincide con quella di Ars poetica 357 (test. 4), Choerilus ille, e il parallelismo – probabilmente ricercato per istituire un rimando interno alla propria opera – contribuisce a difendere la lezione dei manoscritti contro l’emendazione di P. Hofman Peerlkamp in illi, per altri aspetti non priva di eleganza.17 Senza voler enfatizzare la variazione osservabile tra i due riferimenti, da una parte l’enjambement ille | Choerilus, dall’altro il più piano Choerilus ille, si può tuttavia osservare che nella lettera a Augusto il riferimento è molto più circostanziato: ciò permette di supporre che Cherilo fosse meglio noto per la sua fama di cattivo poeta, mentre la sua collocazione al séguito di Alessandro era più oscura. L’insistenza su ille, maggiore qui che non nell’Ars, potrebbe dunque trovare una spiegazione proprio nell’intenzione di assicurare al lettore che si trattasse proprio del Cherilo a lui già noto (ille | Choerilus), di cui verranno forniti dettagli meno conosciuti.18 La formula incultis . . . versibus et male natis è la testimonianza meno vaga sui difetti della poesia di Cherilo, semplicemente definita come malvagia o pessima nel resto della tradizione e dallo stesso Orazio nell’Ars poetica, dove Cherilo è citato in opposizione al migliore dei poeti, Omero. La formula è tuttavia troppo generica perché possa far comprendere i problemi dell’opera di Cherilo: la scelta è naturalmente enfatica e si deve anche ai motivi retorici appena segnalati.19 A differenza che nell’Ars poetica (test. 4), l’ironia di Orazio non si rivolge solo al ‘poetastro’, ma anche a Alessandro. A Cherilo è attribuita la colpa di non essersi rifiutato di comporre un poema che le sue capacità non potevano sostenere, peraltro in cambio di denaro, piuttosto che porgere  – come Orazio  – un cortese rifiuto. L’autore rivolge tuttavia la polemica anche verso Alessandro, che d’altra parte è introdotto per primo (gratus Alexandro . . .): ciò appare comprensibile, considerando che anche nella parte finale dell’epistola Orazio assume il punto di vista di Augusto (265–270).20 17 Cf. Brink (1982) 247. Sulla filologia di Hofman Peerlkamp, in particolare alla luce di un ambiguo giudizio di Wilamowitz che la paragonava a quella di Maas, vd. Benedetto (2019) 464–465, con i necessari riferimenti. 18 Orazio doveva in ogni caso conoscere i dettagli relativi alla vita di Cherilo anche al tempo della composizione dell’Ars poetica, la quale è probabilmente posteriore. Diversamente Braccesi (2010) 247 = (2019) 117–118. Sulla cronologia relativa delle due opere vd. D’Anna (1996) 260–261; cf. Fedeli (1997) 1321–1322. 19 Per un’analisi dell’espressione cf. Fedeli (1997) 1383 («male natis: sembra proprio che si tratti di aborti»; la metafora sottesa a incultis è invece tratta «dal linguaggio dell’agricoltura») e Brink (1982) 245 ad l. Naeke (1817) 40 percepiva una critica innanzitutto metrica. 20 Per la presentazione di Alessandro, «preparata con ironica maestosità», vd. Fedeli (1997) 1382 (ille è però riferito a Cherilo). Sul passaggio alla prima persona singolare Brink (1982) 486–487.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

La critica rivolta a Alessandro sembra percepibile anche nell’inciso che lo designa quale rex magnus. La formula permette l’immediata identificazione con il celebre sovrano macedone evitando possibili confusioni omonimiche, ed era necessaria soprattutto se il legame tra Cherilo e Alessandro non era noto a tutto il pubblico. Essa esplicita inoltre un ironico contrasto tra il Macedone e la presentazione della figura del suo cantore,21 evidenziando agli occhi di Augusto come anche un grande re (quale egli stesso era, anche grazie all’eccezionale divinizzazione ricordata a 5–17) potesse scegliere male i propri poeti. rex è richiamato anche dal successivo regale nomisma, che contribuisce all’effetto parodico nel contrasto con il valore (in realtà non degno di un re) dei versi di Cherilo. Orazio ricorre però alla formula rex magnus che, a differenza del solo epiteto magnus comune a tutte le fonti latine sin da Plaut. Monst. 775–776, sembra recare ancora traccia dell’originale parallelismo con il ‘Gran Re’ persiano implicato dalla formula (βαϲιλεὺϲ) μέγαϲ, poco apprezzata dagli alessandrografi proprio per l’implicita barbarizzazione.22 In questa direzione la formula rex magnus, non ancora cristallizzata e privata della sua originaria ambiguità, consente di cogliere un’eco, probabilmente ironica e forse ripresa dalla sua fonte, della polemica relativa alla natura della regalità (e della personalità) di Alessandro. Una conferma potrebbe provenire dalla testimonianza di Curzio Rufo (test. 11), in cui la menzione di Cherilo occorre proprio nel contesto della discussione relativa alla concessione degli onori divini a Alessandro. Stando all’Epistula ad Augustum, Cherilo sarebbe stato apprezzato e ricompensato da Alessandro. Il racconto di Orazio differisce dunque da alcuni scolî nei quali si riporta l’esito opposto (testt. 6a e 7). Anche gli scolî che tuttavia si attengono alla versione oraziana (5a, 5b) aggiungono un particolare non esplicitamente riportato dall’Epistula: Cherilo sarebbe stato premiato con una moneta d’oro per ogni verso composto. La notizia potrebbe essere stata nota a Orazio stesso. Una forma di proporzione sembra infatti di cogliere anche nel parallelismo che contrappone ironicamente i due tricola (incultis . . . versibus . . . male natis e acceptos . . . regale nomisma . . . Philippos). Come si è notato, Orazio intende infatti opporre la ricompensa di Cherilo alla poesia donata al princeps da Virgilio e Vario: il valore della buona poesia è incommensurabile; il calcolo non può dunque essere proprio che della cattiva.23 Ciò è sottolineato anche dalla formula 21 Cf. Brink (1982) 244. 22 Sul problema vd. Cagnazzi (2005). Per la fortuna dell’epiteto, apparentemente attestato per la prima volta in Efippo, vd. le precisazioni di Prandi (2010) 83–84, 89–90 e Ravazzolo (2017) 56–57. La peculiarità dell’espressione è notata da Fedeli (1997) 1382, secondo il quale l’aggettivo sarebbe inteso a enfatizzare «la straordinaria personalità del rex». 23 Cf. supra, § 2.1.

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del linguaggio tecnico-contabile rettulit .  .  . acceptos che, generalmente intesa a esprimere una transazione finanziaria, si oppone espressamente al presente oggetto di scambio, un poema di lode.24 Non è improbabile che Orazio abbia avuto presente anche la versione alternativa, secondo la quale Cherilo sarebbe morto per i colaphi. Il distico dell’Ibis (test. °18), dal quale sembra che Ovidio conoscesse la versione più cruenta della storia, potrebbe dimostrare che essa circolava già in età augustea (cf. infra, § 5.3). Se anche così fosse, non sembra che egli abbia modificato la versione originaria ai fini della propria argomentazione, per opporre Alessandro a Augusto, come spesso si ritiene.25 Orazio è d’altra parte pronto a riconoscere l’abilità di Alessandro nella scelta di pittori e scultori.26 Il fatto che egli riporti soltanto la versione ‘a lieto fine’ (almeno per Cherilo) sembrerebbe dimostrare anche che l’altro racconto godeva ai suoi occhi di minor credito.27 Un ultimo aspetto da analizzare riguarda il pagamento di Cherilo in filippi aurei. L’unico altro punto in cui Orazio menziona una moneta greca è Sat. 2,7,43, dove il servus Davo, durante i Saturnali, accenna al costo irrisorio per il suo acquisto (500 dracme).28 Nonostante l’enfasi, il cenno sembra accurato sul piano numismatico, considerata la probabile origine greca di Davo.29 Come si vedrà infra (§ 9.2), anche nel caso dei Philippi di Cherilo il riferimento sembra affidabile. In greco il termine poteva indicare anche le monete coniate da Alessandro (propriamente οἱ Ἀλεξάνδρειοι), per le quali comunque in latino non fu mai coniato l’equivalente Alexandrinus. Philippus (o più raramente Philippeus) era invece entrato nel lessico latino già ai tempi di Plauto.30 Rimane invece problematico stabilire se Orazio trovasse l’indicazione nella propria fonte o se invece inventasse un particolare coerente con il contesto delineato. L’inciso regale nomisma è apparentemente inteso a spiegare un termine

24 La parafrasi di Porfirione ad l. (tamquam diceret: legitime vendidit) coglie dunque nel segno. Per l’uso dell’espressione e luoghi paralleli vd. Brink (1982) 245 e Fedeli (1997) 1382. Alla «metafora commerciale» allude anche Barchiesi (1993) 156 n. 10; cf. Rudd (1989) 114, Ingleheart (2010) 70. 25 Così Brink (1982) 246, Rudd (1989) 114, Lowell Bowditch (2001) 34. 26 Con qualche enfasi, probabilmente, perché è noto solo da questo passo che Alessandro emanò un vero e proprio editto in materia: vd. Brink (1982) 247–248. 27 Vd. infra, § 9.2. 28 Il riferimento – più o meno circostanziato – a monete romane è invece frequente: cf. Pera (1997). 29 Δᾶοϲ è personaggio della commedia di Menandro, cui corrisponde Davus nella palliata terenziana. La maschera è nota a Orazio: cf. Sat. 1,10,40; 2,5,91; ‘A.P.’ 237. Molti schiavi portati a Roma erano d’altra parte greci. 30 Cf. Nadjo (1989) 57–62.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

anomalo  – quasi come la glossa a una citazione.31 Nel riferimento ai Philippi devono tuttavia aver giocato anche motivi stilistici, orientati ad alzare il tono in corrispondenza del riferimento alle ampie disponibilità finanziarie del ‘Gran Re’ Alessandro.32 Il termine era stato impiegato prima di Orazio, per quanto ne sappiamo, solo nella palliata plautina, ma proprio da questa potrebbe averla ripresa Orazio per la vicenda di Cherilo, non priva di una connotazione comica.

2.3 Filodemo fonte di Orazio? Da dove Orazio recuperava le notizie su Cherilo? Il problema si pone indipendentemente dall’eventuale lettura di Cherilo, che affronterò nel commento al passo contenuto nell’Ars poetica (cap. 3 § 1.4). Le notizie biografico-aneddotiche contenute nell’Epistula ad Augustum devono infatti presupporre una fonte differente. La prima possibilità cui si pensa è Filodemo, senz’altro noto a Orazio e anch’egli testimone di Cherilo in almeno due passi del De poematis (testt. 8–9).33 L. Braccesi ha infatti proposto che Orazio attingesse proprio alla testimonianza di Filodemo non solo per il giudizio su Cherilo (chiaro soprattutto nell’Ars poetica) ma anche «per la notizia della mercede pagata in ‘filippi’» (dunque l’Epistula ad Augustum).34 Riguardo alla derivazione del riferimento contenuto nell’Ars dal De poematis si tornerà nel capitolo seguente (§ 1.4). La notizia del pagamento non è invece presente in nessun passo del De poematis ed è improbabile che qui se ne discutesse: il tono argomentativo del trattato non lascia generalmente spazio a divagazioni di tipo aneddotico e anche il tema del rapporto tra poesia e κολακεία non è affrontato in alcuno dei frammenti superstiti.35 Filodemo può averne discusso in un’opera come il De vitiis, i cui primi due libri erano dedicati alla κολακεία.36 Nel corso del trattato Filodemo attingeva ampiamente a esempi connessi a «vicende e figure della storia e della filosofia»,37 31 Su questo stilema vd. comunque Brink (1982) 245. 32 Cf. Brink (1982) 246. Da notare anche l’associazione con il grecismo nomisma. Cf. però Barchiesi (1993) 156 n. 10. 33 Sul rapporto tra Orazio e Filodemo vd. cap. 3 § 1.4. 34 Braccesi (2010) 247 = (2019) 117–118. 35 Lo stesso problema della moralità del poeta non è in realtà oggetto di discussione. Filodemo sembra al contrario favorevole a svincolare il giudizio sulla buona poesia dalla necessità che essa abbia un contenuto morale: vd. Mangoni (1993) 28–31, anche per una discussione della bibliografia precedente. 36 Circa la struttura del trattato vd. Capasso (2010) 99–104. Sulla presenza di Alessandro nei papiri ercolanesi vd. Indelli (1987) e Capasso (1988) 127–128. 37 Capasso (2016) 187.

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compresi Alessandro e alcuni membri del suo entourage: in P.Herc. 1675 col. 4–5 oggetto di discussione è il rapporto che intrattenne con Anassarco di Abdera e Callistene di Olinto, avversari nella disputa sulla proskynesis.38 Si deve inoltre ritenere che la menzione di Alessandro non fosse isolata, se egli era citato in P.Herc. 223, dove nel fr. 1,1 Gigante – Indelli il contesto rivela che l’Alessandro di cui si tratta (τοῦ Ἀλε]|ξάνδρου) è Alessandro Magno.39 Un’allusione alla vicenda di Cherilo e al premio dei filippi non sarebbe inopportuna in questo contesto. A questo proposito si può notare come in P.Herc. 223 fr. 1,9  – dunque a poca distanza dalla menzione di Alessandro – si legga il riferimento a una moneta (l. 9): τὸ Ἀττικὸν νόμ[ιϲμα. L’interpretazione del frammento non è pacifica, ma l’interesse per un aspetto tecnico-economico rende comunque possibile ipotizzare che altrove fossero citati gli ϲτατῆρεϲ Φιλιππείοι donati a Cherilo di Iaso. All’interno del Περὶ κολακείαϲ la φιλαργυρία aveva peraltro probabilmente un ruolo non trascurabile.40 Nonostante gli indizi che suggeriscono questa conclusione, essa deve rimanere un’ipotesi, anche perché nessuna traccia dei papiri è apparentemente compatibile con il nome di Cherilo.

2.4 Cherilo, il modello del Curculio e un ‘Rätsel’ plautino La fonte (o una delle fonti) di Orazio potrebbe essere anche una commedia perduta, ma la cui esistenza può essere ragionevolmente presupposta alla luce di una curiosa connessione esistente con il Curculio plautino e sinora sfuggita. Il Curculio, la più breve commedia del corpus Plautinum, annovera tra i propri protagonisti la maschera del miles gloriosus, in questo caso di nome Terapontigono Platagidoro.41 Numerosi particolari, scene e comportamenti a lui riferiti lasciano pensare che dietro al personaggio vada riconosciuta una parodia di Alessandro Magno.42 Lo suggeriscono in particolare il catalogo delle prodigiose

38 Vd. Prandi (1985) 118–119 e Capasso (2007); cf. anche Prandi (2016b) 206–212 e Dorandi (2019) 479–484. 39 Il suo nome tornava forse anche nel fr. 4, dove Gigante – Indelli (1978) 129 integrano dubitativamente τιμῶϲι Ἀλέ[ξανδρον (l. 8). 40 La φιλαργυρία – oltre a occupare probabilmente un’altra autonoma sezione del De vitiis – era oggetto della trattazione dei ‘vizi affini’ che occupava soprattutto il secondo libro del Περὶ κολακείαϲ: vd. Capasso (2010) 101. I cenni a Alessandro e il ‘nomisma attico’ suggeriscono di non escludere che essa (con un opportuno riferimento a Cherilo) potesse trovare spazio anche nel primo. 41 I riferimenti sono all’edizione di Lanciotti (2008). 42 Elderkin (1934) 29, Settis (1968) 55–70, in partic. 62, Webster (1970) 198.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

conquiste che gli attribuisce Curculio (442–448)43 e l’iconografia dell’anello che svolge un ruolo fondamentale sulla scena fino a permettere l’agnizione finale; l’immagine che vi è incisa (424 clipeatus elephantum ubi machaera diligit) riprende infatti verosimilmente la ‘leggenda’ del duello tra Alessandro e Poro.44 Anche altri particolari, come l’arrivo di Terapontigono ex India (439), confermano questa interpretazione.45 La polemica qui rivolta alla figura di Alessandro è con ogni probabilità retaggio del modello greco (o di uno dei modelli greci) di Plauto.46 S. Settis non a torto pensa a Menandro; alla sua opera appartengono infatti i rari passi della commedia nuova in cui si fa riferimento a Alessandro, sempre in tono di scherno.47 Oltre al Κόλαξ, dove l’eccesso nel bere del Macedone dà adito a una facile battuta (fr. 2 K.–A. = 2 Pernerstorfer), Menandro conia Ἀλεξανδρώδηϲ quale hapax per designare (negativamente) qualcosa fatto ‘al modo di Alessandro’. La parodia contenuta nel fr. 598 K.–A. prende inoltre di mira proprio un momento topico della vulgata su Alessandro, il prodigioso ritirarsi del mare durante la marcia sulle coste della Pamfilia48 – qualcosa di simile a ciò che avviene nel Curculio, dove Terapontigono è beffato per le sue incredibili imprese (favolose uccisioni di elefanti, la conquista in venti giorni di dimidia pars nationum). In assenza del modello seguito per il Curculio, è impossibile precisare come abbia lavorato Plauto. Questi può aver volutamente ripreso i riferimenti a Alessandro perché fossero colti dal suo pubblico, ma si può anche pensare che egli abbia mantenuto le caratteristiche che erano riferite al Macedone nel suo modello solo nella misura in cui esse contribuivano a una rappresentazione stilizzata, e dunque comica, della maschera del miles gloriosus.49 In entrambi i 43 Altri parallelismi sono stati proposti, per esempio con Tolemeo III, ma meno convincenti: vd. Monaco (1969) 188–189 n. 18, con bibliografia. Oltre alla velocità della conquista, divenuta presto proverbiale, alcuni dettagli del catalogo pronunciato da Curculio sembrano ancora tradire un legame con una tradizione specificamente connessa a Alessandro, come il riferimento alle Amazzoni, assente in effetti nel catalogo del Miles gloriosus (42–45). Sulle Amazzoni vd. in particolare Settis (1968) 61–62 n. 17. 44 Per come era attestata nelle monete e in un aneddoto relativo a Aristobulo di Cassandrea (FGrHist 139 T 4 e F 44): cf. Settis (1968) 55–70, Webster (1970) 198. Holt (2003) 82–84 ha obiettato che tale iconografia non era diffusa a tal punto da poterne rintracciare una parodia in Plauto o nel suo modello, ma anche in questo caso la coincidenza con l’aneddoto risulterebbe difficilmente casuale. 45 Per ulteriori aspetti vd. ancora Elderkin (1934) e Settis (1968) 55–70. 46 Elderkin (1934) 29, Settis (1968) 68, Webster (1970) 198. Sul problema della fonte del Curculio vd. Cappiello (2015) 19–24. 47 Settis (1968) 68. 48 Settis (1968) 68 e n. 55. 49 Sulla presenza dei re nella commedia plautina vd. Richlin (2016) 67–72.

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casi, alcuni elementi presenti nella trama del Curculio lasciano ipotizzare che nel modello di Plauto avesse un ruolo il riferimento a Cherilo di Iaso, nel contesto della parodia di cui era fatto oggetto Alessandro. Innanzitutto, lo scherno di cui è fatto oggetto Terapontigono/Alessandro passa attraverso la ridicola descrizione delle sue imprese proposta dal protagonista, che in quel momento si finge suo servus per ottenere il denaro precedentemente depositato dal miles presso Licone (371–461, in partic. 432–461). A 442–448 è infatti Curculio a tessere le sue lodi, narrando con piglio epico le imprese di conquista del falso padrone. Il ruolo di Curculio sembra esattamente quello assunto dal χορόϲ di κόλακεϲ καὶ ϲοφιϲταί alla corte di Alessandro,50 che con le loro opere diedero avvio a una lettura encomiastica delle sue imprese, contribuendo alla formazione del ‘mito’ di Alessandro. Il Macedone ebbe una parte centrale in questo processo, ma è notevole che le millanterie esibite anche altrove dai milites gloriosi plautini siano qui riferite dal falso servus, che si comporta in questo modo proprio per dimostrare di agire per conto del proprio padrone. Anche il denaro ricevuto da Curculio nella commedia plautina può far intendere che nel suo modello fosse evocato l’episodio oraziano del pagamento di Cherilo in filippi d’oro. Si è già notato (supra, § 2.2) come Philippus occorra in latino, prima di Orazio, solo in Plauto, che probabilmente lo recuperava dai suoi modelli greci. A questo proposito è significativo che nel Curculio, nella stessa scena del catalogo delle terre conquistate da Terapontigono, il protagonista immagini che il miles abbia progettato una statua con le proprie sembianze costruita ex auro Philippo (438–441).51 L’allusione a Cherilo alle spalle di Curculio è inoltre suggerita da un particolare testuale, cioè il riferimento alla Caria, dove si svolge l’incontro tra Curculio e Licone appena ricordato. Finora il particolare è rimasto immotivato ed è perfino apparso a F. Leo come vero e proprio ‘Rätsel’.52 Per rendere verosimile il percorso di Curculio, si è pensato a un cambiamento introdotto da Plauto53 o a una confusione con il demo attico dell’(I)caria54 oppure con l’isola di Ca(lau)ria nel Peloponneso;55 più spesso si è ammesso che l’absurdum fosse da attribuire al

50 L’espressione è di Plut. Adul. 65d. 51 Sul particolare si sofferma Settis (1968) 61–62 e n. 17, il quale è tuttavia propenso a riconoscere una «sottile allusione al padre di Alessandro». 52 Leo (1895) 200 n. 2. 53 Wilamowitz ap. Leo (1895) 200 n. 2. La tesi è accolta da Lefèvre (1991) 89–90 = (2014) 280–281. 54 Zuretti (1906) 17–18. 55 Legrand (1905) 27–29; contra, tra gli altri, Monaco (1963) 79 e Lefèvre (1991) 90 n. 74 = (2014) 280 n. 74.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

modello greco,56 senza tuttavia tentare di spiegarne la presenza in quel contesto. È improbabile che si tratti di un’invenzione di Plauto sulla base del v. 438:57 anche prima della narrazione vera e propria dell’episodio, il testo insiste ripetutamente su questo dettaglio (67, 206, 225, 275, 329, 339), e la Caria non è certo un luogo topico della commedia plautina (per quanto ne sappiamo, il Curculio è l’unica in cui questa regione era menzionata). Il riferimento a Cherilo, originario di Iaso in Caria, permetterebbe di comprendere perché la fonte di Plauto inserisse la Caria nella trama, e va dunque letto insieme agli altri elementi che contribuivano alla rappresentazione parodica di Alessandro Magno. Nonostante gli ampi legami che Alessandro intrattenne con la Caria e in particolare con Iaso (cf. cap. 1 § 4.4), il quadro delineato si risolve compiutamente pensando a Cherilo. Curculio è inviato proprio in Cariam per recuperare l’argentum; egli si rivela presto quale ridicolo cantore delle sue imprese agli occhi del banchiere (nugas blatis, riconosce Licone), ma ciò non gli impedisce comunque di ottenere il denaro richiesto.58 La versione, come si vede, coincide con quanto noto dall’Epistula ad Augustum di Orazio, contro quanto sostenuto da alcuni scolî. Più difficile rimane naturalmente entrare nei dettagli. La vicenda poteva essere esplicitamente ricordata, o solo evocata, da altri personaggi; la scena plautina dell’incontro con Licone (432–461) potrebbe riprendere, pur restando più vaga nelle allusioni, un precedente greco nel quale un κόλαξ o un παράϲιτοϲ rappresentavano apertamente Cherilo di Iaso.59 Il ruolo del riferimento non sarebbe secondario, se si potesse dimostrare che il nome Χοιρίλοϲ sia stato ripreso da Plauto nel vagamente assonante ‘Curculio’, con comica allusione all’omonimo insetto parassita del grano (curculio), ma anche alla bocca (gurgulio), ovvio strumento di lusinga. Una lettura da parte di Orazio di opere della commedia greca, anche della νέα, è possibile;60 Menandro è peraltro esplicitamente menzionato proprio nell’Epistula ad Augustum (57). In questo avvicinamento Plauto può aver costituito un tramite importante: nonostante le critiche rivoltegli nella lettera a Augusto e nell’Ars poetica, Orazio attinse spesso alla sua opera e neanche il Curculio doveva essergli ignoto.61

56 Cf. Tandoi (1961) 236–237 n. 4 = (1992) I 92 n. 49, Monaco (1963) 79. Cf. Fantham (1964). 57 Fantham (1965) 88 n. 1, seguita da Cappiello (2015) 17. 58 Non sarà casuale che Curculio stia in realtà ingannando Terapontigono; l’ ‘inganno’ sarebbe il modulo comico in cui il rapporto Cherilo–Alessandro poteva essere rappresentato. 59 Uno scambio tra parassita e schiavo non è d’altra parte inverosimile; cf. Richlin (2016) 92. Sui due termini vd. Pernerstorfer (2009) 151–166. 60 L’eco si avverte soprattutto nelle Satire: vd. Delignon (2006). 61 Cf. La Penna (1963) 148–158. Vd. anche Jocelyn (1995).

3 Le testimonianze di Porfirione e di Pseudacrone 

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Un ‘passaggio’ di Cherilo attraverso la commedia attica potrebbe trovare conferma nella citazione che si è individuata in Stefano Bizantino, che si è già detta compatibile con un verso comico (cf. cap. 1 § 2.2).

3 Le testimonianze di Porfirione e di Pseudacrone Notizie relative alla vita di Cherilo si trovano nei testi che rappresentano quanto è sopravvissuto di tutto il materiale esegetico oraziano accumulatosi dall’antichità all’età carolingia: gli excerpta del commentario di Porfirione e gli scolî di Pseudacrone. I commentatori non si limitano a una parafrasi del testo oraziano, ma inseriscono altre informazioni su Cherilo, unendo materiali di varia origine e attendibilità, che richiedono un vaglio.

3.1 Il testo La presente edizione include tra le testimonianze di Cherilo cinque passi tratti da Porfirione e da Pseudacrone. L’inserimento, rispetto al SH, di due nuovi testi è dovuto a considerazioni di diversa natura: test. 6b è stato aggiunto alla luce della problematica posizione degli scolî λφψ all’interno dello stemma di Pseudacrone; la presenza di 5b è invece apparsa necessaria perché, senza questo passo, la notizia della ‘proporzione’ tra i versi e i filippi di Cherilo sarebbe sembrata attestata solo in Pseudacrone. Riguardo all’ordine dei testimoni ho seguito un criterio contenutistico. Non è stato infatti possibile stabilire priorità e rapporti di dipendenza tra i testimoni. È perciò sembrato preferibile attenersi a un principio per così dire esterno, procedendo tendenzialmente dagli scolî vicini al testo di Orazio a quelli che invece più se ne discostano,62 raggruppando i testimoni con informazioni simili o uguali. Porfirione e Pseudacrone costituiscono in realtà due corpora molto diversi, per origine e tradizione: gli excerpta del commentario di Porfirione (III secolo d.C.) sono trasmessi in forma continua senza il testo di Orazio,63 mentre ‘Pseudacrone’ è costituito da un gruppo di estratti e di scolî presenti in codici oraziani e rimasti anonimi fino al XV secolo,64 quando furono attribuiti al commento di Elenio Acrone 62 Per questo motivo si trova invertita, rispetto al SH, la collocazione dei commenti di Porfirione e Pseudacrone al passo dell’Ars poetica, qui rispettivamente testt. 6a e 7. Un tentativo di chiarire i rapporti tra gli scolî è offerto infra, § 3.3. 63 Su Porfirione vd. Diederich (1999) 1–14. 64 O al XIV, se coglie nel segno Formenti (2015) 149–153.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

(ca. 150–200 d.C.). Con Acrone essi non hanno tuttavia probabilmente nulla a che vedere, essendo frutto di stratificazioni dal V secolo all’età medievale.65 Per Porfirione ho seguito l’edizione di Holder (1894), ancora ritenuta affidabile.66 Problemi diversi pone la tradizione pseudacroniana. Le fondamenta del testo stabilito da Keller (1902–1904) sono state messe in crisi da Noske (1969), che ha proposto una differente ricostruzione dello stemma: in particolare, all’idea di un corpus unitario tardoantico progressivamente ampliatosi, si è sostituita quella di tre nuclei originari, due tardoantichi (l’expositio A e il commento §) e uno più tardo (Φ).67 Nonostante i recenti studi dedicati a Pseudacrone, non è ancora stata tuttavia prodotta una nuova edizione.68 Per l’edizione delle testimonianze relative a Cherilo, riguardo al commento § (l’expositio A è ricostruibile solo per l’Orazio lirico fino a Od. 4,3) mi sono basato sul testo di Keller,69 come anche per le indicazioni dei testimoni, nella cui valutazione ho comunque tenuto presente lo stemma ricostruito da Noske.70 Ho inoltre confrontato le lezioni dei codici λφψ, pubblicati da Botschuyver (1935) e la cui assegnazione alla ‘costellazione’ pseudacroniana non è concorde: a giudizio del loro editore, essi vanno ritenuti commenti a sé stanti, derivati da una rielaborazione di diverse fonti, tra cui gli scolî di Pseudacrone; secondo Noske, costituiscono invece la terza e più recente famiglia della tradizione pseudacroniana (Φ).71 Nel loro utilizzo ho seguito due orientamenti diversi: in test. 5a, dove il testo coincide pienamente con quello di Pseudacrone, ho annoverato λφψ tra i testimoni; in 6b, in cui il testo è differente e si avvicina invece a Porfirione (dal quale forse deriva), li ho presentati come una tradizione indipendente. 65 Su Acrone e sul legame tra Pseudacrone e Acrone vd. da ultima Formenti (2015) rispettivamente 137–141 e 154–155. 66 Cf. La Penna in La Penna – Funari (2015) 29 n. 109. La revisione curata da Paretti in Gamberale – Paretti – Spurio (1998) 735 (6a) e 778 (5b) non presenta peraltro differenze significative. 67 Noske (1969). Integrazioni e correzioni in Formenti (2016) 6–16; vd. anche Formenti (2015) 141–153. Cf. Longobardi (2004). 68 Vd. Longobardi (2011) e Formenti (2016). 69 Confermato nella revisione di Spurio e di Paretti in Gamberale – Paretti – Spurio (1998) rispettivamente 911 (5a) e 923 (7). 70 Per lo scolio ad Epist. 2,1,233 (test. 5a), Keller attingeva in ogni caso ai tre rami della tradizione del commento §, basandosi sulla ‘recensio §’, ricostruita attraverso V, e la ‘recensio Γ’ (attestata da γ r α ε). Secondo Noske (1969) 72–176, invece, il ‘commento §’ fu ampliato e modificato da tre commentatori che crearono tre redazioni distinte: N, cui appartiene V (con altri); Γ, cui appartengono γ r (con altri); Θ, cui appartiene α (con altri). Il cod. ε è invece considerato indipendente. Per il passo dall’Ars poetica (test. 7) Keller attingeva da una parte a V con c e ζ, dall’altra a Γ (γ r), ma manca in questo caso l’apporto del terzo ramo, Θ. 71 Discussione in Noske (1969) 191–205. Cf. Formenti (2016) 15–16. Keller non li utilizzò nella propria edizione; vd. tuttavia Keller (1904) 103.

3 Le testimonianze di Porfirione e di Pseudacrone 

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Sul valore degli scolî del Commentator Cruquianus, la discussione è ancora aperta.72 Per gli scolî relativi a Cherilo non si notano tuttavia differenze significative rispetto al resto della tradizione. Mi sono dunque limitato a integrare gli apparati dei passi di Pseudacrone con riferimento alle varianti del testo del Commentator. Non ho invece incluso gli scolî post-carolingi, le cui differenze si spiegano come rielaborazioni successive e sono perciò inutili per ricostruire un profilo di Cherilo.73

3.2 Antichità delle notizie su Cherilo Il trattamento di Cherilo negli scolî oraziani non differisce sostanzialmente dalle allusioni, rapide e ‘di scuola’, ad altri poeti greci:74 esse difficilmente presuppongono una lettura originale e sono intese ad arricchire, anche se solo nozionisticamente, la lettura del testo di Orazio. Per Cherilo l’attenzione è tuttavia rivolta soprattutto all’aspetto ‘curioso’ della vicenda, evidente soprattutto nella versione che lo voleva ucciso per i colaphi infertigli per ogni malum versum (test. 7); non è invece particolarmente sottolineato il suo ruolo all’interno dell’argomentazione oraziana, se si esclude un cenno alla superiorità di Augusto su Alessandro nella capacità di giudicare i poeti.75 Maggiore sottigliezza si nota invece nei più abbondanti scolî al passo relativo all’Ars.76 Come gran parte del materiale presentato negli scolî, i riferimenti a Cherilo si comprendono dunque pienamente nel contesto della scuola antica e tardoantica.77 All’interno del ricco materiale esegetico costituito dai commenti a Orazio sono confluite notizie di varia pertinenza, attinte a fonti di diverso valore e risa-

72 Status quaestionis in Borzsák (1998b) 23. Noske riteneva che fosse un ramo indipendente di Pseudacrone. 73 Per esempio, Cherilo è curiosamente definito philosophus Alexandri negli scholia Vindobonensia risalenti al XI secolo (p. 43 Zechmeister) e non poeta come in tutti i testimoni, ma lo stesso termine è utilizzato anche in riferimento a un tragediografo, come nota Zechmeister (1877) 43 app. I boni versi di Cherilo sono quinque nel ‘Materia commentary’ del XII secolo (p. 373 Friis-Jensen) e non sette, come invece in test. 5a, ma su questo dettaglio vd. infra, § 3.3. Per un quadro generale degli scolî post-carolingi vd. Fredborg (2014) 402–410. 74 Sulle annotazioni relative ai poeti citati da Orazio vd. Formenti (2016) 447–456. 75 Cf. supra, § 2.1. L’osservazione secondo cui Augusto avrebbe ricompensato i suoi (buoni) poeti, a differenza di Alessandro, che premiò invece pessimi poeti, non sembra del tutto corretta: Orazio non considerò con ogni probabilità positive le forme di pagamento in denaro, come dimostra il confronto con Virgilio e Vario, i quali offrirono i loro poemi gratuitamente. 76 Cf. Pseudacr. ad Hor. ‘A.P.’ 358. 77 Per Porfirione vd. Diederich (1999), su Pseudacrone: Longobardi (2017) 17–23.

76 

 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

lenti a differenti momenti della tradizione. Interpretazioni scorrette, spiegazioni fantasiose e palesi invenzioni sono unite a «materiale di valore» che rimonta all’«epoca d’oro dell’esegesi scientifica» di Virgilio e di Orazio, che ebbe il suo culmine nell’arcaismo del II secolo d.C.78 Occorre dunque domandarsi se anche le notizie riferite a Cherilo derivino dal fondo antico della tradizione scoliastica. La risposta è senz’altro positiva, almeno per alcune di esse. La presenza di notizie tra loro contrastanti, e talvolta opposte, consente innanzitutto di notare come i processi di contaminazione non abbiano comportato un completo livellamento.79 Gli scolî relativi a Cherilo sono poi tendenzialmente ben attestati: egli è citato in Porfirione e nei rami tradizionali più antichi di Pseudacrone.80 Le notizie fornite dagli scolî trovano inoltre paralleli nella tradizione greca. Gli scolî più vicini al testo dell’Epistula ad Augustum (testt. 5a e 5b) concordano con la notizia riferita dalla Suda a Cherilo di Samo (test. 1a).81 Anche l’epifonema di Alessandro relativo a Achille e Tersite (testt. 6a e 7) si trova attestato unicamente in fonti greche, lo Gnomologium Vaticanum e il Romanzo di Alessandro.82 L’altra versione rintracciabile negli scolî, incompatibile con quanto riferito da Orazio nell’Epist. 2,1 e indubbiamente più ‘curiosa’, sembrerebbe un’invenzione seriore: è presente esclusivamente in un passo di Pseudacrone (test. 7) e Ausonio non sembra conoscerla (test. 13). Se però fu nota a Ovidio (infra, § 5), questo differente esito della storia di Cherilo doveva essere circolante già in età augustea. Gli scolî su Cherilo sembrano derivare – attraverso un numero imprecisabile di passaggi – da fonti antiche, forse anche greche. A esse non è inverosimile che attingessero ancora i grammatici, dotti in utrisque linguis, che operarono dalle origini della critica oraziana sino all’arcaismo del II secolo d.C., e almeno in parte anche oltre.83 Una conferma potrebbe essere riconosciuta nell’uso del grecismo colaphus (test. 7), ma il termine era già entrato in latino all’epoca di Plauto.

78 Borzsák (1998b) 20. 79 Per esempio in test. 5a sembra chiaro che il riferimento ai ‘sette versi’ sia tratto da uno scolio simile a test. 6a, ma ciò non ha comportato l’eliminazione della notizia, pur avendo creato una certa incoerenza. L’idea di una dipendenza di Pseudacrone da Porfirione, anche se da ridimensionare, può essere evocata anche in riferimento a Cherilo, come mostra il confronto tra testt. 6a e 7; essa però non fu tale da determinare l’assimilazione di 5a e 5b, che presentano una notizia incompatibile. 80 Discussione supra, § 3.1. 81 Ma da assegnare a Cherilo di Iaso, come si è accertato nel cap. 1 § 1.3. 82 Riferimenti e analisi infra, § 9.1. 83 Sulla conoscenza del greco negli scolî oraziani vd. Formenti (2016) 434–435, e (2019) 116–118 specificamente riguardo alle fonti geografiche.

3 Le testimonianze di Porfirione e di Pseudacrone 

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Una datazione relativamente antica della circolazione di queste notizie è suggerita anche dal confronto con la testimonianza di Curzio Rufo (11), il cui riferimento a Cherilo pure va compreso in un ambiente ‘di scuola’, vicino a quello in cui operarono gli scoliasti di Orazio (infra, § 4.2). Curzio definisce infatti Agide Argivo come pessimorum carminum post Choerilum conditor, una formula paragonabile a quella presente nei commenti di Porfirione e Pseudacrone all’Ars poetica, dove Cherilo è definito pessimus poeta. Nonostante l’incerta cronologia di Curzio Rufo, da collocare in età augustea o flavia,84 l’interesse retorico per Cherilo sembra dunque precedente all’età di Porfirione.

3.3 Attendibilità, convergenze e divergenze L’antichità e l’attendibilità delle fonti degli scolî, appena dimostrata (§ 3.2), non rende superfluo un vaglio delle informazioni fornite, poiché esse propongono versioni incompatibili, oltre a dettagli prodotti non nell’interesse di ricostruire un profilo storico-biografico di Cherilo, ma per schizzare il profilo di un personaggio assurdo e curioso.85 Nonostante la difficoltà di districare i legami tra gli scolî, è ancora possibile in qualche misura comprendere i meccanismi sottesi ai varî passaggi di notizie e le ragioni che favorirono la preferenza accordata a una versione invece che all’altra o che ne hanno ostacolato la diffusione; è inoltre possibile tentare di cogliere quali dettagli hanno maggiori probabilità di essere invenzioni autoschediastiche e quali notizie originarie. La tabella riassume le convergenze e le divergenze tra le versioni proposte dagli scoliasti a proposito di alcuni aspetti della ‘storia’ di Cherilo [Tab. 1]. La differenza fondamentale, all’origine delle altre e che permette di distinguere i testimoni in due gruppi, riguarda il giudizio espresso da Alessandro su Cherilo: positivo secondo 5a e probabilmente anche 5b;86 negativo secondo 6a, 7 e probabilmente anche 6b.87 Tale discrepanza dipende dal passo oraziano rispettivamente commentato: Epist. 2,1 per 5a e 5b, ‘A.P.’ nel caso di 6a, 6b e 7. Nell’Epistula ad Augustum Cherilo è infatti detto gratus Alexandro, il quale lo premiò con aurei Philippi; il passo dell’Ars poetica non specifica invece alcun dettaglio di questo tipo. È dunque logico che la versione relativa al giudizio negativo da 84 Una rassegna delle principali opzioni con relativa bibliografia in Albrecht (20123) II 916 e n. 1. 85 La loro testimonianza andrà perciò presa in seria considerazione al § 9. 86 Lo scolio si limita a precisare la notizia di Orazio; non vi sono dunque ragioni per ritenere che fosse contrario a quanto era affermato nei versi di Epist. 2,1. 87 Benché non sia affermato esplicitamente, anche 6b  – che è non è altro che una versione abbreviata e rielaborata di 6a – appartiene idealmente a questo gruppo.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

Tab. 1: Convergenze e divergenze tra le versioni degli scoliasti oraziani. test. 5a

5b

6a

6b

giudizio di Alessandro su Cherilo

positivo

(positivo)

negativo (negativo)

‘proporzione’ tra versi e monete

x

x

numero di versi laudabiles epifonema Tersite/Achille

x

7

Pseudacr. Porphyr. Porphyr. Σ (λφψ) ad Pseudacr. ad Epist. 2,1 ad Epist. 2,1 ad ‘A.P.’ ‘A.P.’ ad ‘A.P.’ negativo

(x) x x

x x

parte di Alessandro si trovi documentata negli scolî all’Ars poetica, ma non abbia potuto raggiungere gli scolî al passo di Epist. 2,1, dove avrebbe creato un’evidente contraddizione rispetto al testo commentato. Su altre notizie grava il sospetto di autoschediasmi: l’epifonema di Alessandro su Achille e Tersite, l’informazione relativa ai septem versus laudabiles, l’idea che Cherilo abbia composto un lungo poema. Il dettaglio del pagamento κατὰ ϲτίχον (testt. 5a e 5b) potrebbe derivare da Orazio stesso (cf. supra, § 2.2), ma il confronto con la Suda suggerisce un intermediario greco (§ 3.2). La battuta relativa a Achille e Tersite è nota anche da altre fonti, che tuttavia la immaginano rivolta a Anassimene o genericamente a ‘un poeta’.88 Stabilire a chi vada riferita la frase non è semplice, ma si può osservare come il riferimento alla γνώμη di Alessandro si presti a essere spiegato come autoschediasma; nell’Ars poetica (test. 4) Orazio propone infatti un confronto tra Cherilo e Omero. Anche l’Epistula ad Augustum poteva in qualche modo facilitare la connessione perché, se pur indirettamente, la poesia di Cherilo è contrapposta a quella del novus Homerus, Virgilio.89 Tuttavia, poiché il confronto compare anche in Filodemo (test. 8), non si può escludere che gli scolî lo leggessero altrove.90 La notizia secondo la quale Cherilo sarebbe autore di soli sette versi buoni (5a, 6a, 6b) è rielaborata a partire dall’Ars poetica (4),91 dove Orazio si mera-

88 Vd. infra, § 9.1. 89 Vd. supra, §. 2.1. 90 La questione sarà in ogni caso affrontata più diffusamente a § 9. 91 Tra le testimonianze si notano minime varianti, non significative. La formulazione di 6a (omnino septem versus laudabantur) suggerisce a Crusius (1899) 2362 che il verbo abbia valore di

3 Le testimonianze di Porfirione e di Pseudacrone 

 79

viglia delle ‘due o tre volte’ (bis terve) in cui Cherilo scrive qualcosa di buono. Lloyd-Jones e Parsons hanno in effetti dubitativamente proposto di correggere VII in III.92 L’emendazione è ingegnosa e paleograficamente non impossibile, ma l’interpretazione si può accettare anche mantenendo la lezione dei manoscritti. Il testo di Orazio non fornisce infatti un dato preciso e lo scoliasta poteva liberamente sostituire l’allusione ai ‘due o tre’ versi con un numero ugualmente basso, poi ripreso dagli altri commentatori. Chi inventò la notizia ebbe comunque presente il passo dell’Ars poetica, e non quello contenuto nell’Epistula ad Augustum; la precisazione del numero di versi buoni ha infatti senso esclusivamente nel contesto della versione relativa al giudizio negativo su Cherilo da parte di Alessandro che occorre appunto solo negli scolî all’Ars. La notizia è in effetti attestata in due scolî relativi a questo passo (6a, 6b), nei quali va riconosciuta la fonte di Pseudacrone per 5a. Qui è tentata anche una conciliazione (tramite la concessiva) tra i sette versi probi con la notizia oraziana del giudizio positivo di Alessandro. L’ultimo punto si riferisce alla versione, nota solo da test. 7 (ad ‘A.P.’), secondo cui Cherilo avrebbe ricevuto una moneta per ogni verso buono, un colaphus per ogni verso cattivo: questi ultimi, che furono molti di più, ne provocarono la morte. Il racconto sembra implicare che Cherilo avesse composto un lungo poema e l’idea è suggerita in test. 5a.93 Anche questo potrebbe spiegarsi come autoschediasma, visto che nel testo di Orazio non mancano indicazioni di questa natura. Esprimendo il rifiuto a celebrare il princeps in un carme epico come quelli composti da Virgilio e Vario (cf. supra, § 2.1), Orazio si attribuisce la sola possibilità di produrre un parvum | carmen (257–258) adatto alle proprie capacità: non è improbabile che in questo quadro il poema di Cherilo sia stato assimilato a un magnum carmen. In alternativa si può pensare che lo scoliasta avesse presente il passo dell’Ars poetica in cui la poesia di Cherilo è confrontata con i poemi omerici, definiti opus longum a 359. L’attribuzione a Cherilo della stessa caratteristica non è impensabile, anche se bisognerebbe presupporre una lieve distorsione del testo oraziano. In ultima analisi, dagli scolî sono note due versioni della vicenda di Cherilo e Alessandro: una segue e integra quella fornita da Orazio in Epist. 2,1 (ed è infatti trasmessa dagli scolî a questo passo); l’altra è invece opposta (ed è contenuta solo negli scolî al passo dell’Ars). Gli scoliasti non sembrano essersi posti il problema di scegliere quale delle due versioni fosse attendibile, ma evitarono che si creas-

‘citieren’, ma Berve (1926) II 409 n. 1 gli attribuisce correttamente il significato di ‘gutfinden’. Questo valore si trova anche in 6b (laudabilis, che non significa mai ‘citabile’) e 5a (probus). 92 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 154 ad l. 93 Sul problema vd. anche cap. 4 § 1.1.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

sero contraddizioni tra il commento e il testo commentato. È impossibile accordare a priori a una delle due versioni una preferenza in base a criteri interni: né l’autorità di Orazio fu tale da permettere agli scoliasti di accettare la sua versione anche nel commento all’Ars poetica, né la versione degli scolî a quest’ultima fu considerata sufficientemente ‘autorevole’ da poter essere sostituita (o almeno accostata) al racconto oraziano di Epist. 2,1. Sebbene alcuni aspetti della versione che faceva morire Cherilo a causa dei colaphi sembrino spiegabili come autoschediasmi, è tuttavia impossibile definire la priorità di una versione sull’altra: la scelta dovrà necessariamente essere affidata a criteri esterni (infra, § 9).

4 La testimonianza di Curzio Rufo Il riferimento a Cherilo nelle Historiae di Curzio Rufo (test. 11) si colloca nel corso del racconto dei preparativi per la conquista dell’India, quando è introdotta la discussione sull’attribuzione degli onori divini a Alessandro che condurrà allo scontro con Callistene e alla morte di quest’ultimo (5,5–8,23).94 Nei capitoli precedenti, da riferirsi a eventi del 328/7 a.C., era dedicato ampio spazio all’episodio dell’uccisione di Clito (1,20–2,12) e alle campagne di Alessandro tra Sogdiana e Battriana (2,13–4,20), dove era stato accolto da Coriene e ne aveva preso in sposa la figlia Rossane,95 matrimonio che aveva suggerito a Curzio un paragone con l’unione tra Achille e Briseide. Il dibattito sulla proskynesis è occasione per una topica critica moralistica diretta contro Alessandro e il gruppo di adulatori che aveva assecondato il suo progetto di essere onorato come divinità già in vita. Tra i poeti sono citati con disprezzo Agide Argivo, il cui riferimento consente una rapida allusione a Cherilo, e Cleone Siculo, personaggio altrimenti ignoto che avrà un ruolo significativo nella discussione seguente, e altri che rimangono non nominati (cetera urbium suarum purgamenta).

94 La collocazione cronologica degli eventi corrisponde a quella presentata da Plut. Alex. 50–55, mentre differisce da Arr. Anab. 8–14. Per l’analisi e il confronto di questi tre passi cf. Prandi (1985) 167–176. 95 Ancora Lucarini (2009a) accoglie il testo dell’aldina Oxyartes (che si ritrova in Diodoro e Arriano) per Cohortandus della tradizione manoscritta, che sembra tuttavia da difendere. Nel Liber de morte Alexandri Magni (28–29) si legge che Alessandro fu accolto nella casa di Coriene, dove si tenne un banchetto cui prese parte anche Oxyatris filia Roxane: Curzio deve aver confuso i due personaggi basandosi su una fonte che presentava una situazione simile, in cui venivano menzionati sia Ossiarte sia Coriene: vd. Atkinson II (2000) 494 ad l.

4 La testimonianza di Curzio Rufo 

 81

A proposito del valore della testimonianza di Curzio su Cherilo sono state espresse opinioni opposte,96 che riflettono più in generale il problema di valutare complessivamente la sua opera: Curzio rimane una fonte storica fondamentale perché poté attingere a testi ora perduti, ma è spesso inesatta e tendenziosa.97 Tale ambiguità si ritrova anche nell’episodio della concessione degli onori divini: nonostante alcune palesi invenzioni finalizzate a presentare Callistene come portavoce dei valori di gravitas et prompta libertas, Curzio è centrale per la ricostruzione della vicenda.98 Riguardo a Cherilo, i dubbi relativi al valore della testimonianza delle Historiae dipendono dal fatto che Curzio ebbe qui presente il passo dell’Epistula ad Augustum di Orazio (test. 3).99 Sembra di poter porre la questione in questo modo: Curzio conobbe Cherilo esclusivamente da Orazio o attinse anche ad altre fonti? Nel primo caso, andrebbe considerato solo quale testimone della fortuna di Orazio; nel secondo, bisognerebbe invece ritenerlo una fonte primaria.

4.1 I Dioscuri di Augusto e di Alessandro Secondo Alessandrì, poiché il riferimento ai Dioscuri appartiene al ‘mito’ non di Alessandro ma di Augusto, anche il riferimento a Cherilo sarebbe stato ereditato dall’epistola oraziana.100 Per risolvere il problema, si può innanzitutto concentrare l’analisi sulle divinità menzionate da Curzio. Una ‘citazione’ di Orazio Epist. 2,1,5 in questo passo è, come si è già notato, innegabile: lo dimostrano la coincidenza verbale

96 «[A]n invaluable passage» secondo Tarn (1948) II 50; cf. anche Bellinger (1957) 93 e Braccesi (2010) 246 = (2019) 117 e (2014) 110. Diversamente Alessandrì (1969) partic. 209–210 la ritiene una fonte secondaria, derivata da Orazio. 97 Sul valore storico di Curzio cf. Albrecht (20123) II 921–923, Atkinson I (1998) xxv–xxvi. Curzio si rivela disposto ad alterare le notizie per ottenere effetti patetici e retorici volti a rappresentare in modo ostile Alessandro come simbolo della degenerazione del potere in tirannide: vd. Zecchini (2016) 157–158. Alcuni hanno ritenuto che la rappresentazione di Alessandro fosse positiva, altri negativa, altri ancora incoerente perché Curzio avrebbe assecondato il giudizio delle fonti seguite per i varî episodi: cf. Atkinson I (1998) xxvi–xxix, con la bibliografia necessaria. Sullo stile di Curzio cf. Albrecht (20123) II 919–920, Atkinson I (1998) xxix–xxxi. 98 La centralità di Curzio è stata ribadita da Prandi (1985) 25–29, 167–179, la quale pure ritiene la versione di Curzio con ogni probabilità posteriore a quelle di Arriano e Plutarco. Cf. Heckel (2020) 210. 99 Cf. Steele (1905) 410–411, Brugnoli (1966) 220–221, Brink (1982) 42, Albrecht (20123) II 921. 100 Alessandrì (1969) 196–203.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

Herculemque Romulus

et Patrem Liberum et Liber Pater

et cum Polluce Castorem et cum Castore Pollux

(Curzio) (Orazio)

e l’affinità di contesto e contenuto.101 La conoscenza di uno degli auctores del canone latino è inoltre resa plausibile dall’influenza che la retorica esercita su molti passi delle Historiae.102 Questa ricostruzione non sembra tuttavia considerare una possibilità: Curzio può aver espresso in termini oraziani un’informazione – la presenza dei Dioscuri nella costruzione del ‘mito’ di Alessandro – che trovava in altre fonti. Ciò è suggerito a mio avviso dal carattere ‘meditato’ della citazione curziana, la quale non sembra sfuggita all’autore per una reminiscenza di scuola, ma va spiegata alla luce di una ricercata corrispondenza con il modello oraziano.103 L’allusione ha infatti un obiettivo esplicitamente polemico: la critica, di matrice callistenica, contro la divinizzazione in vita, tanto di Alessandro quanto (indirettamente, e contro Orazio) di Augusto.104 Inoltre, la citazione non poteva essergli suggerita da un uguale incipit, che viene anzi modificato perché sia aderente al nuovo contesto.105 Non si può dunque escludere che egli leggesse dei Dioscuri nel proprio modello.106 Castore e Polideuce non sono d’altra parte del tutto assenti nelle storie di Alessandro e sono anzi ricordati da Arriano nell’episodio dell’assassinio di Clito (Anab. 4,8,1–3): il sacrificio annuale che, dovuto a Dioniso, il Macedone avrebbe compiuto per i Dioscuri motiva la vendetta del dio, che lo indurrà a uccidere il compagno; anche nel banchetto si discute di loro. Il fatto che questo riferimento non si trovi in Curzio non dimostra che si tratti di un’invenzione di Arriano; esso è d’altra parte presente anche in Plutarco Alex. 50,7. L’assenza del riferimento ai Dioscuri nel racconto di Curzio della morte di Clito va invece spiegata alla luce del diverso atteggiamento dei due autori nei confronti di Alessandro: Arriano (come Plutarco) attenua la colpa di Alessandro attribuendo parte della responsabilità dell’omicidio a una punizione divina; Curzio al contrario non intende sminuirne la responsabilità.

101 In entrambi i casi, ne va della concessione degli onori divini in vita, come sottolinea Alessandrì (1969) 195. Sul piano formale, le inversioni sono minime e sembra che Curzio abbia sottoposto a simili cambiamenti anche le citazioni di altri autori: vd. Steele (1905) 411, Alessandrì (1969) 204 n. 15. Il luogo oraziano potrebbe comparire a ragione nell’apparato delle fonti di questo passo di Curzio. 102 Cf. Alessandrì (1969) 209, Braccesi (2010) 246–247 = (2019) 117 e (2014) 112. 103 Diversamente Braccesi (2010) 246 = (2019) 117 e (2014) 112. 104 Così Alessandrì (1969) 209–210. 105 Le citazioni oraziane nell’opera di Curzio sono peraltro relativamente rare: un elenco in Steele (1905) 410–411; un riferimento a due passi oraziani è colto inoltre da Borzsák (1998a) 93. 106 Cf. Bellinger (1957) 94–97.

4 La testimonianza di Curzio Rufo 

 83

Nel successivo discorso di Cleone (11) sono menzionati solo Ercole e Libero, ma questo potrebbe essere dovuto a una semplificazione che ha soppresso uno degli elementi (non a caso l’ultimo) del precedente elenco.107 Fonti diverse dall’Epistula ad Augustum sembrano in ogni caso sottese anche al riferimento a Cherilo.

4.2 Cherilo e i pessimi poeti: tradizione scolastica e alessandrografia La fama di pessimus poeta attestata anche nelle Historiae è in realtà più vicina all’Ars poetica (test. 4) che non all’Epistula ad Augustum (test. 3). La conoscenza dell’Ars da parte di Curzio non è improbabile, ma mancano riprese letterali, a differenza che per Epist. 2,1.108 In ogni caso, la formula pessimus carminum conditor non appartiene propriamente neanche al passo dell’Ars,109 bensì ai relativi scolî, nei quali ricorre quasi la medesima espressione (e.g. test. 6a: poeta pessimus fuit Choerilus; cf. anche 6b). Non occorre pensare a un rapporto di dipendenza diretta: Curzio sembra piuttosto aver attinto al medesimo repertorio di informazioni da cui deriva la tradizione scoliastica oraziana, prodotta nell’àmbito delle scuole di retorica, comune a entrambi,110 e ne venne forse a contatto anche prima che subisse fenomeni di riduzione al momento dell’inserimento nei corpora scoliastici. Questo quadro può essere confermato confrontando la definizione di Agide Argivo data da Curzio con un verso di Ov. Ib. 520 (test. °18), come si vedrà infra, § 5.3: senza pensare a una conoscenza del passo ovidiano da parte di Curzio,111 la vicinanza si spiega ancora con riferimento

107 Un riferimento a Eracle e Dioniso in assenza dei Dioscuri si trova anche nell’epifonema attribuito da Plutarco a Agide Argivo (SH 17) e da Filodemo a Anassarco (72 A 7 D.–K.6). 108 Nessun luogo dell’Ars poetica sembra citato letteralmente da Curzio: cf. Steele (1905) 410–411. 109 La tradizione manoscritta è concorde nella lezione piissimorum, la quale è insostenibile: bisognerebbe pensare a una ricercata ironia di Curzio connessa alla volontà dei poeti di paragonare Alessandro alle divinità tradizionali, visto che egli assume per questioni di natura religiosa un atteggiamento di scetticismo razionalista. Vd. Atkinson I (1998) xix. Ciò sembra estraneo anche al suo usus scribendi. Già Pomponio Leto correggeva in pessimorum, emendazione accolta da tutti gli editori alla quale si è opposto Walter (1918) 935–936, proponendo p⟨ut⟩i⟨d⟩issimorum, di significato non davvero dissimile ma che dovrebbe essere più giustificato sul piano paleografico. In realtà la corruttela di pessimorum in piissimorum sembra spiegabile in riferimento all’allusione alle divinità che accolgono Alessandro nel racconto curziano e potrebbe anche essere dovuta all’intervento consapevole di un copista dotto, che avrebbe giudicato l’aggettivo pessimi meno adatto di piissimi a definire i poeti del Macedone, almeno in questo contesto. 110 Vd. supra, §§ 3 e 4. Così anche Alessandrì (1969) 209. 111 Steele (1905) non elenca alcun passo tratto da Ovidio.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

al medesimo ambiente grammaticale. Non si può in ogni caso escludere che Curzio avesse a disposizione ulteriori fonti, alessandrografiche o di altra natura.112 Quali che fossero le sue fonti, rispetto a Orazio (ma anche rispetto agli scolî oraziani) Curzio sembra inserire Cherilo nel χορόϲ degli adulatori di Alessandro. Di questo gruppo Curzio ha una conoscenza di gran lunga migliore della nostra. In primo luogo, è l’unico testimone della presenza di Cleone Siculo (FHG IV p. 365),113 di cui ricorda la condizione di esule (purgamentum).114 Non vi sono ragioni per dubitare della testimonianza curziana, come talvolta si è proposto.115 Curzio è in ogni caso il solo a menzionare la fama di Agide quale cattivo poeta: quest’ultimo è ricordato anche in altre fonti (SH 17), che tuttavia non gli attribuiscono tale nomea. Che si tratti di un’invenzione curziana è improbabile, perché lo stesso giudizio si trova riferito da Filodemo e a proposito di Anassimene.116 Il riferimento ad altri poeti potrebbe non essere solo retorico: nella Vita di Alessandro (50,8) Plutarco narra che di un banchetto in cui furono letti

112 A una «fonte storiografica» pensa Braccesi (2010) 246 = (2019) 117. In effetti l’episodio narrato da Curzio attinge a una versione altrimenti ignota dell’episodio: cf. supra, § 4.1. Per un quadro delle fonti di Curzio vd. Albrecht (20123) II 918–919 e Atkinson I (1998) xix–xxv, con bibliografia. La fonte non è in ogni caso Cherilo stesso, come ha dubitativamente proposto, riguardo alle divinità citate da Curzio, Bellinger (1957) 100 nel solco di un’idea di Tarn (1948) II 61: cf. cap. 4 § 1.1. 113 Non incluso nel SH perché «poetam fuisse non constat»: Lloyd-Jones  – Parsons (1983) 7; contra Cameron (1995) 278. Cf. anche Sordi (1983) 19 e n. 24 = (1992) 148–149 e n. 24, che tuttavia lo identifica con il Cleone di Siracusa autore di un’opera geografica Περὶ τῶν λιμένων citato da Stefano Bizantino, ma si tratta difficilmente della stessa persona. 114 L’espressione risente forse di Liv. 1,56,2 receptaculum omnium pergamentorum urbis, dove però occorre in senso letterale riferito alla Cloaca Maxima. L’uso traslato ‘feccia’ si trova anche in Curt. Ruf. 6,11,2 purgamenta servorum, ma con Sordi (1983) 20 n. 25 = (1992) 149 n. 25 bisogna probabilmente riconoscere nel termine un riferimento alla condizione di esule in cui si trovava Cleone Siculo (e forse anche Cherilo: vd. cap. 1 § 4.4). 115 Il ruolo svolto da Cleone nella discussione sulla proskynesis coincide con quello di Anassarco in Arr. Anab. 4,10,6–7. Ciò ha indotto Atkinson II (2000) 498 a sospettare che il personaggio sia un’invenzione curziana ispirata al Cleone demagogo dei tempi di Aristofane. Confusioni ed errori nei nomi propri sono frequenti in Curzio (su Coriene vd. supra), ma non sembrano dovuti a una voluta falsificazione. ‘Cleone’ è poi un nome tutt’altro che improbabile; il LGPN ne elenca 532, la maggior parte (295) attestati nell’area dorica, Sicilia inclusa – donde è originario il Cleone di Curzio. I discorsi di Anassarco in Arriano e Cleone in Curzio sono poi simili, ma irriducibili l’uno all’altro, come nota Prandi (1985) 176. Cleone appare una figura anche storicamente verosimile, come ha dimostrato Sordi (1983) 19–23 = (1992) 148–153. 116 Un Ἆγιϲ è ricordato anche nel fr. 6 di N 403, da attribuire al De poematis – al quinto libro secondo Janko (2020) 6 –, dunque nello stesso trattato dove sono più volte ricordati Cherilo e Anassimene (testt. 8, 9, °17). L’edizione più recente è di Sbordone (1971) 350–351 = (1983) 259–260. L’identificazione con l’Agide di Alessandro è dubitosamente proposta da Lloyd-Jones – Parsons (1983) 7 ad SH 17.

4 La testimonianza di Curzio Rufo 

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ποιήματα Πρανίχου τινόϲ, ὡϲ δέ φαϲιν ἔνιοι, Πιερίωνοϲ, εἰϲ τοὺϲ ϲτρατηγοὺϲ πεποιημένα τοὺϲ ἔναγχοϲ ἡττημένουϲ ὑπὸ τῶν βαρβάρων ἐπ᾽ αἰϲχύνῃ καὶ γέλωτι.

Il passo presenta diverse affinità con la testimonianza di Curzio: Plutarco condivide in particolare l’idea che l’episodio di Clito costituisca per molti aspetti la premessa della discussione sulla concessione degli onori divini. Non sembra dunque casuale che proprio in questo contesto sia ambientata la lettura del ‘poema’ di Pranico o Pierione,117 che potrebbe essere uno dei ‘poetastri’ cui allude Curzio. Un ruolo di Cherilo nel dibattito sulla proskynesis rimane incerto. Esso è suggerito dal confronto con Orazio, Epist. 2,1 (test. 3), in cui Alessandro è definito rex magnus, con una probabile allusione al titolo persiano di ‘Gran Re’.118 Nella narrazione dell’episodio che si trova in Curzio il modello di regalità cui fa riferimento Cleone è quello persiano, in particolare a 8,5,11: Persas quidem non pie solum sed etiam prudenter reges suos inter deos colere. Simili allusioni si colgono anche nei resoconti di Plutarco e di Arriano; la proskynesis era d’altra parte una pratica persiana, condannata dai Greci proprio per le implicazioni che comportava: il riconoscimento del sovrano quale divinità in vita, come avveniva alla corte del Gran Re.119 Il ruolo di Cherilo in quell’occasione non sembra tuttavia paragonabile a quello svolto da Agide e tantomeno da Cleone: in tal caso, Curzio lo avrebbe certamente menzionato nel corso del racconto. Se Cherilo fu presente, preferì forse tenersi in disparte.120 Non si può invece escludere che egli abbia contribuito al dibattito presentando nella sua opera una qualche forma di divinizzazione di Alessandro, come suggerisce Curzio.121 Ho finora dato per scontato che il riferimento a Cherilo sia rapido perché, noto dalla scuola, apparteneva al patrimonio condiviso dall’autore e dal pubblico. Non si può tuttavia escludere che Curzio affrontasse la vicenda di Cherilo, non si sa quanto diffusamente, in una parte precedente della propria opera, la quale è giunta mutila dei primi due libri oltre che di alcune sezioni degli altri. Le Historiae iniziano quando la campagna in Asia Minore è ormai conclusa: Alessandro è quasi a Celene, in Frigia, poco prima dell’episodio del ‘nodo’ di Gordio (333 a.C.); l’autore si era dunque già lasciato alle spalle due momenti che potevano offrire l’occasione di un riferimento a Cherilo. Esso poteva essere contenuto

117 Sul quale vd. cap. 1 §§ 2.2 e 4.4. 118 Vd. supra, § 2.2. 119 Su questo tema cf. Cagnazzi (2005) 136–137. 120 Il protagonista dell’episodio è indubbiamente Cleone, con cui Alessandro si mette d’accordo perché pronunci il discorso a favore della concessione degli onori divini mentre lui si allontana strategicamente dalla sala. Agide fu sicuramente presente perché è di nuovo citato a 8,5,21. 121 Il tema è ripreso nel cap. 4 § 1.1.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

nella narrazione della visita di Alessandro alla tomba di Achille che trovava verosimilmente spazio nei primi due libri; gli scolî (testt. 6a e 7) intendono infatti che l’epifonema di Alessandro su Achille e Tersite fu pronunciato contro Cherilo; il Romanzo di Alessandro e lo Gnomologium lo ambientano nel contesto del passaggio a Troia.122 Un riferimento a Cherilo, se non un vero e proprio excursus,123 poteva essere inoltre narrato, sempre in uno dei primi due libri, in occasione della campagna di Alessandro in Caria, quando conobbe l’ultima Ecatomnide, Ada, e forse – se si accetta la ricostruzione proposta nel cap. 1 § 1.4 – anche Cherilo.

5 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?) 5.1 Una strana assenza Paradossalmente, verrebbe da dire, nell’Ibis ovidiano non vi è traccia di Cherilo.124 Eppure la sua tragicomica fine, per come è raccontata da Pseudacrone (test. 7), non sarebbe fuori posto nel catalogo delle varie morti che l’autore augura all’oscuro destinatario dell’opera. Trovare un riferimento a un poeta di Alessandro in Ovidio non sorprenderebbe: come Orazio, anch’egli fu esposto ai temi della imitatio Alexandri augustea e conobbe personalmente – non meno, e più tragicamente, di Orazio – l’incidenza del potere sulla vita e sull’opera dei poeti.125 Proprio all’inizio dell’Ibis si legge peraltro un ringraziamento a Augusto, ricordato come maximus tra gli dèi (25–28) per essersi limitato a condannare Ovidio alla relegatio senza aggiungere la confisca dei beni. Nell’Ibis Alessandro compare inoltre personalmente (297–298), e Ovidio ricorda anche altri personaggi del suo séguito, come Callistene (519–520) e Anassarco (571–572). È vero che non è stata finora riconosciuta un’allusione ad alcuno dei poeti che seguirono il Macedone in Oriente, ma questo non sorprende, 122 Vd. infra, § 9.1. 123 Digressioni di questo tipo non sono inusuali in Curzio. A 8,3 ampio spazio è dedicato alla vicenda di Spitamene ucciso dalla moglie. Qualcosa di simile può essere avvenuto anche per il passaggio in Caria: sulla storia degli Ecatomnidi vd. il cap. 1 § 4. 124 I rimandi sono intesi all’edizione di La Penna (1957). A una nuova edizione (che forse sarà digitale e includerà anche gli scolî) sta lavorando T. Keeline: vd. Keeline (2016), con una diversa proposta di stemma. 125 Naturalmente questa osservazione sarebbe rafforzata se si accogliesse la teoria di Schiesaro (2011) secondo cui dietro Ibis si nasconderebbe Augusto stesso. Rassegna delle proposte in La Penna (1957) xvi–xix e André (1963) xxiv–xxvi; per la bibliografia successiva vd. Masselli (2002) 57–58 n. 36.

5 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?) 

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di fronte alla totale perdita di informazioni sulla loro vita e sulle circostanze della loro morte. Il personaggio che si nasconde nel riferimento contenuto nel distico 549–550, finora rimasto misterioso, potrebbe infatti essere il Cleone Siculo di Curzio Rufo: utve Syracosio praestricta fauce poetae,      sic animae laqueo sit via clausa tuae.

Non è noto alcun poeta siracusano morto strozzato (impiccato?) e la notizia degli scolî che riconduce a Teocrito questi versi non sembra degna di fede, anche perché non è attestata nel manoscritto più autorevole (P).126 Non è invece improbabile che Cleone Siculo fosse descritto come poeta Syracosius;127 anche per altri membri dell’entourage di Alessandro sono attestate tradizioni secondo le quali sarebbero morti a causa di simili supplizi, loro inflitti da Alessandro stesso, come per Callistene, o da altri, come nel caso di Anassarco.128 L’assenza di Cherilo è ancora più strana se si considera che Ovidio sfiora diversi temi non distanti da quanto noto dell’opera del ‘poetastro’. Dopo il riferimento a Alessandro, descritto nella sua origine divina come de Iove natus (297–298), sono infatti citati altri Achillidi (301–308); come è noto da Porfirione e da Pseudacrone (test. 6a e 7), una tradizione attribuiva a Cherilo il confronto tra Alessandro e Achille.129 Subito dopo (312) è peraltro ricordata la fine di Sardanapalo, al cui epitafio lo Iaseo sembra in qualche modo connesso (epigr. °1).130 Non sono neanche rare le occasioni, nel corso del poemetto, che avrebbero potuto permettere una menzione della morte di Cherilo. Una sezione (519–526) è anzi dedicata proprio agli scrittori che perirono a causa della propria opera: oltre che a Callistene, si allude ai casi di Archiloco e di Ipponatte. La vicenda

126 Cf. la rassegna in La Penna (1957) 147–148 ad l. Leggere un riferimento a Cleone sarebbe peraltro in linea con il principio espresso da La Penna, secondo il quale «non i poeti sono sconosciuti, ma le leggende relative alla loro morte». Sul ruolo di P vd. La Penna (1959) v–vii. 127 Su Cleone vd. supra, § 4.2. poeta sembra anche nel racconto curziano, dove è associato a Agide e Cherilo. Cleone poteva poi davvero provenire da Siracusa: la presentazione di Cleone ex Sicilia in Curzio serve a preparare l’inciso polemico rivolto contro tutti i Siculi, presentati come un popolo di adulatori; cf. Sordi (1983) 19–20 = (1992) 148–149. Una arbitraria sostituzione di Siculus con Syracosius non è in ogni caso difficile da immaginare, anche per motivi metrici. 128 Sulla morte di Callistene vd. infra, § 5.3. Se Cleone, nonostante il discorso in difesa della proskynesis riportato da Curzio, si alienò le simpatie di Alessandro e morì per un suo verdetto, i versi di Ovidio guadagnerebbero indubbiamente in sarcasmo. Cleone potrebbe tuttavia anche essere stato ucciso dopo la fine di Alessandro, e proprio per essersi esposto apertamente durante il suo regno, come Anassarco. 129 Discussione infra, § 9.1. 130 Vd. cap. 4 § 2.1.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

della morte di Cherilo avrebbe potuto essere opportunamente inserita in questo gruppo, ma nell’unico γρῖφοϲ rimasto irrisolto (525–526) è impossibile cogliervi un riferimento.131 Ovidio sembra infine conoscere il passo oraziano relativo a Cherilo contenuto nell’Epistula ad Augustum (test. 3).132 Nel proemio del libro 2 dei Tristia si trova infatti la stessa metafora tecnico-contabile presente nel passo oraziano (10 acceptum refero versibus esse nocens). Non solo la ripresa letterale lascia pensare a una voluta allusione, ma anche il contesto.133 Ovidio sta infatti trattando il delicato tema dei rapporti col princeps, mettendo in luce come un’opera mal composta abbia provocato i danni di cui egli paga ancora le conseguenze. Il riferimento implicito è naturalmente alla recusatio oraziana dell’Epistula ad Augustum, ma Ovidio ricerca un contrasto in particolare con la vicenda di Cherilo, il cui panegirico, benché di scarso valore, gli aveva procurato una lauta ricompensa.134 Anche quando scrisse l’Ibis, Ovidio doveva dunque conoscere Cherilo da Orazio.135 Insieme alla stessa assenza di Cherilo nel poemetto, questo sembrerebbe confermare che l’unica versione a lui nota fu appunto quella oraziana, secondo la quale Cherilo non morì a causa dei colaphi, ma fu invece premiato per la sua opera. Se così fosse, Ovidio potrebbe costituire il terminus post per la diffusione della versione presente solo in Pseudacrone: se fosse stata già circolante nel I secolo d.C. in ambiente scolastico, difficilmente gli sarebbe potuta sfuggire. Come si vedrà nelle prossime pagine, tuttavia, Ovidio conobbe probabilmente anche la versione attestata in Pseudacrone.

5.2 Callistene e Cherilo negli scolî all’Ibis L’assenza di Cherilo all’interno dell’Ibis induce a prestare particolare attenzione agli scolî relativi al distico dedicato alla morte di Callistene (519–520). In alcuni di essi si è verificata infatti una confusione con Cherilo, come evidenzia la lettura degli scolî della famiglia γ, la più feconda del secondo ramo (test. 10).136 A essa

131 Per le varie ipotesi cf. La Penna (1957) 139–140 ad l. 132 Sulla fortuna di Orazio in Ovidio vd. Scivoletto (1998). 133 Sui rapporti tra Orazio e la poesia ovidiana dell’esilio, in particolare tra l’Epistula ad Augustum e il libro 2 dei Tristia, vd. F. Gatti (2021) 69–70, con ulteriore bibliografia. 134 Barchiesi (1993) 159–165, in partic. 160–161, seguito da Ingleheart (2010) 70. Cf. Brink (1982) 245. Per l’espressione oraziana vd. supra, § 2.2. 135 Sulla cronologia relativa di Tristia e Ibis vd. comunque La Penna (1957) vii–xiii. 136 Tutti gli scolî al passo sono raccolti da La Penna (1959) 155–156; per i commentari umanistici vd. Guarino Ortega (1999) 374–375. Sul secondo ramo cf. La Penna (1959) vii–xxiii.

5 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?) 

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appartiene anche un passo del Fabularius di Corrado di Mure (test. 10d), che nel XIII secolo ebbe accesso a testimoni perduti appartenenti a diversi rami degli scolî all’Ibis di Ovidio.137 A differenza che per Porfirione e Pseudacrone (test. 5–7),138 ho raccolto gli scolî all’Ibis sotto un unico testimone, perché la loro comprensione è favorita da una lettura unitaria. Mentre in Porfirione e Pseudacrone è infatti possibile distinguere almeno due nuclei originari di informazioni,139 negli scolî a Ovidio la progressiva distorsione delle notizie presentate è in certa misura ricostruibile a partire dai rapporti stemmatici tra le varie redazioni.140 Per il riconoscimento di questi ultimi l’ordine di presentazione degli scolî non è indifferente: ho mantenuto quello stabilito da La Penna secondo un principio inevitabilmente ibrido, in parte stemmatico e in parte contenutistico, come richiede la presenza di varie contaminazioni orizzontali.141 In effetti, come si è osservato, l’errato riferimento a Cherilo si trova in quasi tutti i testimoni della famiglia γ:142 il primo ramo, rappresentato da P, la prima famiglia del secondo ramo (Bab) e forse la terza (attestata per questo passo solo in C1)143 ‘risolvono’ correttamente il distico con riferimento a Callistene.144 P

Callisthenes, qui res Alexandri scripsit, in custodia fame expiravit, eo quod parum speciose res eius scripserat. Ba Callisthenes (Calistones B), qui res Alexandri male descripsit, in custodia positus fame expiravit.

137 Per questo motivo il passo è stato incluso nella presente edizione (come già La Penna), diversamente dagli scolî post-carolingi a Orazio (vd. supra, § 3.1). Per i rapporti tra Corrado e la tradizione scoliastica dell’Ibis vd. van de Loo (2006) xxvii–xxviii, con la bibliografia precedente. 138 Vd. supra, § 3.1. 139 Cf. supra, § 3.3. 140 La Penna (1959) 155–156 ad l. 141 Vd. La Penna (1959) xxxvii. 142 Oltre che in Domizio Calderini: vd. Guarino Ortega (1999) 374. L’unica eccezione è costituita dagli scolî del codice E, che al v. 519 annota semplicemente Callisthenes. Ciò può essere dovuto a una correzione seguita al confronto con gli scolî che presentavano la lezione esatta. Si potrebbe tuttavia anche pensare che il riferimento a Callistene sia dovuto solo all’estrema sintesi che caratterizza questi scolî a partire dal verso 399, che avrebbe potuto indurre il loro compilatore a ridurre una formula quale Callisthenes vel Choerilus in Callisthenes. Su queste caratteristiche di E vd. La Penna (1959) xiii. 143 Sulla difficile collocazione di H e C1 nello stemma vd. La Penna (1959) xiv–xv. 144 Così anche la maggior parte degli interpreti umanistici: vd. Guarino Ortega (1999) 375. L’intricata situazione stemmatica degli scolî all’Ibis è stata in gran parte ordinata da La Penna: vd. La Penna (1959) v–l, li–lx per i contributi precedenti.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

Callisthenes, historiae Alexandri Magni scriptor, eius iussu cavea inclusus inedia periit. Callisthenes descripsit historiam Alexandri. Qui, cum male scripsisset, positus in arca fame periit.

Secondo La Penna, Callisthenes «si è corrotto in G o prima in base a Orazio, Epist. II 1, 232 ss.», mentre «[a]ltri codici del secondo ramo hanno messo la lezione corrotta accanto a quella giusta come variante» e «Z e Corrado nella seconda versione ampliano attingendo dal passo citato di Orazio».145 Callistene è in effetti coinvolto in alcune delle frequenti confusioni onomastiche che occorrono negli scolî all’Ibis: negli scolî della seconda famiglia al v. 273 Callisthenes (Callitenes in Bab, Callisthenes in CDE) è una delle forme, con Calixto di G, in cui si è corrotto l’originario Callimachus (restituito dagli scolî l1). Le tre forme attestate nella tradizione rendono inoltre chiaro che l’archetipo del secondo ramo (α) doveva esibire semplicemente il troncamento Cal(l), risolto poi in tre diversi modi: Callisthenes, Calixtus e Callimachus. La corruttela di Callimachus in Callisthenes è in ogni caso paleograficamente assai più giustificata, visto l’omeoarcto, di quanto non sia quella di Callisthenes in Choerilus.146 Le ragioni della comparsa del nome di Cherilo non vanno dunque cercate sul piano paleografico: occorre pensare a un commentatore che ha consapevolmente equiparato la vicenda di Cherilo a quella di Callistene; alla sua lettura altri scoliasti si sono poi adeguati, integrandola e correggendola variamente. Non trattandosi dunque di una corruttela, ho estromesso il nome di Cherilo dalle cruces poste da La Penna.147 Varî riferimenti agirono facilitando la confusione tra Callistene e Cherilo. Come si è visto, La Penna ipotizza al riguardo un richiamo a Hor. Epist. 2,1 (test. 3), dove però non vi è traccia della morte di Cherilo. La tradizione qui coinvolta è invece quella scoliastica; in particolare, si coglie una connessione con lo scolio

145 La Penna (1959) 157–158 ad l. 146 Sulle varianti dei due nomi vd. l’apparato. 147 L’indicazione è infatti corretta sul piano testuale, anche se implica un errore nell’esegesi dei versi. Come ho potuto appurare sulle riproduzioni dei codici, il nome di Cherilo è leggibile tanto in G quanto in Z. Ho invece lasciato tra croci elimones di G (10a), da considerarsi una corruttela, visto che non dà senso. Il personaggio originariamente presente era solo uno, probabilmente Cherilo, cui fu poi aggiunto un secondo nome, di difficile lettura (forse una glossa intrusa nel testo). Dietro elimones si potrebbe forse riconoscere una corruttela per Callisthenes, come propone Mayer (1916) 104: sul piano paleografico, oltre al simile finale, è facile il passaggio da c a e. Ho invece estromesso dalle croci vel Helymones nel caso di Z (10c): vel assicura che il redattore degli scolî doveva ritenere di trovarsi di fronte a un nome alternativo rispetto a quello di Cherilo e la pericope è dunque da conservare. Le cruces sono omesse anche nel testo di Corrado di Mure, che pure non sembra aver sospettato l’errore: vd. infra.

5 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?) 

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di Pseudacrone all’Ars poetica (test. 7).148 Non si deve naturalmente concludere che gli scoliasti ovidiani dipendano da una diretta lettura dello scolio di Pseudacrone che, per come lo leggiamo, potrebbe anche essere posteriore rispetto alla redazione degli scolî ovidiani stessi;149 tra i due corpora scoliastici (oraziano e ovidiano) non sussistono peraltro altri luoghi paralleli.150 Il legame tra le due tradizioni rivela piuttosto l’appartenenza al medesimo ambiente culturale, nel quale furono prodotti e rielaborati i materiali poi in parte confluiti negli scolî. Si è già notato che la storia di Cherilo deve essere circolata proprio in questo àmbito, come attestano i riferimenti contenuti in Porfirione, Pseudacrone e Curzio Rufo (cf. supra, §§ 3.2, 4.2).151 Le due tradizioni sono infatti scarsamente sovrapponibili sul piano letterale, nonostante condividano alcune espressioni, ma presentano le stesse notizie relative dalla morte di Cherilo. Gli scolî a Ovidio si rivelano così una testimonianza tutt’altro che secondaria rispetto ai passi di Porfirione e Pseudacrone, attestando una versione della morte di Cherilo che, dal solo Pseudacrone (test. 7), si sarebbe potuta ritenere assai più circoscritta. In àmbito grammaticale erano dunque note due storie originariamente distinte: l’una relativa a Callistene, l’altra relativa a Cherilo. Le si trovano riportate rispettivamente nella maggior parte degli scolî a Ovidio (PBabEC1) e negli scolî di Pseudacrone a Orazio (test. 7). In alcuni rami della tradizione ovidiana, tuttavia, le due vicende furono confuse per la loro evidente affinità: la morte di uno scrittore legato a Alessandro Magno come conseguenza di un’opera mal composta. Come si vedrà tra poco (§ 5.3), l’errore potrebbe essere stato facilitato dallo stesso testo di Ovidio. In ogni caso, la dinamica è in buona misura ancora precisabile. In B e C1, dove l’accostamento alla vicenda di Cherilo non è ancora avvenuto, il concetto, ma anche la formulazione (res Alexandri male descripsit), sono già rischiosamente vicini a quelli che si trovano negli scolî oraziani e in particolare a Pseudacrone (poeta malus . . . descripsit, malum [versum], male dicendo). In G (10a) Cherilo si è già sostituito a Callistene; negli scolî CFD (10b) i due personaggi sono accostati come alternative (Callisthenes vel Choerilus) e la vicenda narrata coincide pienamente con quella nota in Pseudacrone. Negli scolî Z (10c) la confusione non è avvenuta con le notizie dello scolio di Pseudacrone all’Ars (test. 7), ma con quelle confluite negli scolî di Pseudacrone e di Porfirione all’E148 Così già Ellis (1881) 89 ad l. 149 Diversamente Borzsák (1998a) 93, ma senza precisazioni. 150 Gli scolî a Ovidio mostrano invece contatti con altri corpora scoliastici: un elenco si trova in La Penna (1959) 272–273 (qui il passo di Pseudacrone manca, perché, come si è osservato, La Penna ritiene che il modello degli scolî ovidiani sia Orazio). 151 Lo si vedrà anche per Ausonio e Ennodio: infra, §§ 6 e 7.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

pistula ad Augustum (testt. 5a e 5b), dove ricorrono lo stesso concetto e quasi le stesse parole.152 Il modus moriendi di Cherilo, in tutti i casi, è naturalmente quello noto per Callistene: lo scoliasta aveva lo scopo primario di spiegare il distico ovidiano, in cui si ricordava che Callistene era morto inclusus .  .  . cavea. La confusione tra la vicenda di Callistene e quella di Cherilo non fu risolta neanche da Corrado de Mure (test. 10d).153 Come gli scolî della famiglia γ, Corrado continua a ritenere che sia in gioco solo un personaggio sulla cui morte circolavano due diverse notizie, che accosta come alternative (vel aliter): la conoscenza dei rispettivi passi di Ovidio e di Orazio qui contestualmente citati, uno chiaramente riferito a uno storiografo e uno a un poeta, non gli fu sufficiente per risolvere l’enigma e ricondurre le due morti ai due diversi personaggi.

5.3 Callistene e Cherilo nell’Ibis? I meccanismi che indussero gli scoliasti di Ovidio a confondere Callistene con Cherilo sono stati in buona parte ricostruiti. Un particolare finora sfuggito merita tuttavia ancora di essere analizzato, soprattutto perché può illuminare anche il distico ovidiano. Della morte di Callistene sono note differenti versioni, fondamentalmente riconducibili a due opposte tradizioni: secondo l’una (narrata tra gli altri da Tolemeo ap. Arr. Anab. 4,14,3 e Curzio Rufo 8,21–22) sarebbe stato messo a morte da Alessandro; secondo l’altra (seguita tra gli altri da Carete ap. Plut. Alex. 55,9 e Aristobulo ap. Arr. Anab. 4,11,3) sarebbe morto di malattia dopo una lunga reclusione trascorsa in attesa del giudizio.154 La versione di Ovidio si inserisce nel solco di questo secondo filone, rispetto al quale costituisce una degenerazione favolistica non dissimile dal racconto di Trogo–Giustino (15,3,3–7), con il quale condivide l’ambientazione della prigionia in una cavea, da intendersi naturalmente 152 La fonte non può essere neanche in questo caso la lettura di Orazio, dove l’idea di un pagamento ‘proporzionale’ al numero dei versi è assente (o implicita: supra, § 2.2); vd. invece La Penna (1959) 155 ad l. L’integrazione di accipiebat, proposta da La Penna, trova anzi conferma proprio nel confronto con 5a e 5b (non sembra invece necessario l’intervento male ⟨eum⟩ tractavit: il pronome – riferito all’argomento del poema o a Alessandro – può essere piuttosto sottinteso). L’alternanza tra Philippi e Bysantii (genericamente ‘monete bizantine’ nel senso di ‘greche’) non sorprende e si verifica anche altrove nella tradizione (cf. test. 7 app.), mentre male tractare è un semplice sinonimo di male describere. 153 Corrado ricorda di nuovo Cherilo poco oltre nello stesso Fabularius (p. 218,633–636 van de Loo): Cherilus fuit quidam vilis poeta. 154 Per un elenco completo delle fonti e delle varianti in cui si differenziano le due opposte tradizioni vd. Prandi (1985) 31–32 e Mangia (2001) 369–377.

5 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?) 

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come γαλεάγρα ‘gabbia per animali’ di Diogene Laerzio 5,5 (e non come custodia ‘prigione’, arca ‘cella’ o fovea ‘fossa’, secondo la parafrasi di alcuni scolî).155 La morte per inedia (o per inedia e per il freddo) è naturalmente un’invenzione degli scolî,156 contro la tradizione più attendibile che affermava fosse morto di ftiriasi.157 Ciò su cui bisogna portare l’attenzione è la causa della morte di Callistene. Tutta la tradizione  – incluso Trogo–Giustino  – è infatti concorde, indipendentemente dalla versione narrata, nell’affermare una connessione con la congiura dei paggi.158 Nulla a che vedere, dunque, con la versione offerta da tutti gli scolî a questo passo, che ne attribuisce la causa all’insoddisfazione da parte di Alessandro per l’opera storiografica di Callistene. Alessandro e Callistene poterono avere dei contrasti anche in materia di storiografia, ma essi non sono attestati in alcuna fonte e non è dunque possibile attribuire loro un ruolo nella sua morte.159 Un rapporto causale tra la colpa dello scrittore e la sua fine è stabilita anche dal ramo più attendibile degli scolî all’Ibis, P (eo quod parum speciose res eius scripserat). Si tratta di un aspetto significativo anche per la presente indagine, perché proprio a esso si deve l’avvicinamento con la vicenda di Cherilo che indurrà alcuni scolî alla confusione tra i due personaggi, secondo i meccanismi delineati al § 5.2. Questa versione alternativa sulla causa della prigionia di Callistene può essere individuata proprio nel distico ovidiano commentato negli scolî (test. °18). Ovidio non afferma esplicitamente che la causa della morte dello storico fu la composizione di uno scritto. ‘Autore di una storia destinata a non giovargli’ potrebbe infatti essere ritenuta una perifrasi esornativa per indicare Callistene, senza che vada instaurato un nesso causale tra la morte e la composizione dell’opera. Contro questa interpretazione giocano tuttavia una serie di considerazioni.160 In primo 155 cavea occorre sia in Ovidio sia in Trogo–Giustino inteso nel senso di ‘gabbia’, come dimostra anche il racconto di quest’ultimo, nel quale si immagina che all’interno di essa Callistene sia portato in giro per rappresentare i rischi di un’opposizione a Alessandro (il che sarebbe impossibile intendendo cavea come ‘fossa’). Riguardo alla polisemia di fovea che ricorre nello scolio G, il verbo (praecipitatus) chiarisce che lo scoliasta pensava a una caduta dall’alto verso il basso, dunque in una ‘fossa’ o simili. 156 fame secondo gli scolî PBabGZC1 e Corrado; frigore et fame secondo gli scolî CFD. Prandi (1985) 32 n. 81 lo giudica un autoschediasma; lo scoliasta potrebbe anche essere stato influenzato dal confronto con la vicenda del tiranno di Sicione, Nicocle, morto per frigus . . . famesque (317–318). 157 Attestata da Carete ap. Plutarco e dalla Suda; Trogo–Giustino pensa invece al veleno dato a Callistene da Lisimaco, impietosito dalla sua condizione. 158 Anche su questo aspetto le fonti presentano pareri opposti; per la documentazione e un tentativo di ricostruzione vd. Prandi (1985) 29–31. 159 Cf. Prandi (1985) 110, con riferimento agli scolî CFD. 160 La critica è generalmente concorde, con l’eccezione, parziale, di André (1963) 51. Cf. La Penna (1957) xlvii, Rubinsohn (1993) 1319 n. 108, Schiesaro (2011) 123 e soprattutto Rzepka (2016) ad T 18b.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

luogo, la tradizione scoliastica – nelle parti più antiche e autorevoli – concorda con questa esegesi.161 Tutti gli autori citati in questa sezione, inoltre, muoiono per colpe connesse ai loro scritti: Archiloco, Ipponatte e il lyrae vates di difficile identificazione (519–526).162 Anche l’usus scribendi impone questa conclusione: quando Ovidio non nomina direttamente i personaggi in questione, la brevitas impedisce che le perifrasi formulate per indicarli siano esornative; generalmente, esse non solo contribuiscono a identificare il protagonista del distico, ma ne contestualizzano e motivano anche la morte.163 Perché Ovidio avrebbe riconosciuto dunque all’origine della morte di Callistene la sua stessa opera, contro tutta la tradizione che individuava la colpa dello storico nella partecipazione alla congiura ordita contro Alessandro? Si potrebbe pensare a una sovrapposizione con le notizie relative ai poeti, menzionati nei distici immediatamente seguenti, periti a causa dei loro versi.164 Sembra tuttavia più probabile che qui Ovidio abbia specificamente presente la notizia della morte di Cherilo stesso e che la abbia confusa  – più o meno consapevolmente  – con quella di Callistene. Una confusione tra Callistene e Cherilo appare spiegabile alla luce del legame che entrambi ebbero con Alessandro, della composizione di un’opera a lui dedicata e della circolazione di notizie connesse alla loro morte a causa del Macedone. Che si tratti di Cherilo è suggerito anche dal confronto con Curzio Rufo (test. 11), dove Agide (assimilato a Cherilo) è definito carminum conditor: un’espressione che certamente richiama conditor historiae dell’Ibis.165 I due passi risultano assai vicini: i carmina di Cherilo e Agide sono pessimi, le historiae di Callistene non profecturae. Con ogni probabilità Curzio non ebbe presente Ovidio per questo passo,166 ma su entrambi dovettero agire i medesimi influssi scolastico-grammati-

161 Lo scolio risale, secondo La Penna (1959) 155 ad l., al ‘fondo antico’: vd. La Penna (1959) xxiii–xxvi; cf. P.L. Gatti (2014) 33–37, 124–136. 162 Su cui supra, § 5.1. Su questi versi considerati come una sezione relativamente autonoma cf. La Penna (1957) xlvii, Schiesaro (2011) 123. 163 Così per esempio anche a 493–494 (vel de praecipi venias in Tartara saxo, | ut qui Socraticum de nece legit opus): anche Cleombroto è genericamente ‘colui che lesse il libro socratico sulla morte’ (il Fedone), ma la lettura è anche la causa della sua morte. 164 Rzepka (2016) ad T 18b sospetta che Ovidio abbia consapevolmente alterato la versione più nota della vicenda «to his own purpose», il quale non è tuttavia immediatamente chiaro. 165 La Penna (1970) 199 n. 5 ritiene che Ovidio abbia presente l’epigramma citato da Quint. 8,3,29, che parodizza l’arcaismo di Sallustio: Et verba antiqui multum furate Catonis | Crispe, Iugurthinae conditor historiae. L’eguale clausola ha indotto Skard (1956) 104 n. 2 ad assegnare il distico a Ovidio stesso. Mi sembra invece che su Ovidio agisse una memoria grammaticale: la stessa che si ritrova in Curzio. 166 Cf. supra, § 4.2.

5 La testimonianza degli scolî all’Ibis di Ovidio (e dell’Ibis di Ovidio?) 

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cali, che tramandavano notizie sulla vita (e sulla morte) di Cherilo, delle quali possiamo avere un’idea leggendo Pseudacrone (test. 7) e alcuni scolî all’Ibis (10).167 In ogni caso, se si accetta questa ricostruzione, Ovidio deve aver conosciuto la versione della morte di Cherilo a causa dei colaphi, pur senza dedicarvi specificamente uno dei distici dell’Ibis. Una ragione potrebbe essere individuata nel riferimento a Orazio (test. 3) contenuto nei Tristia (cf. supra, § 5.1). In questo passo di Orazio è infatti conservata la versione ‘a lieto fine’ della storia di Cherilo; Ovidio potrebbe dunque aver deciso di seguire proprio questa testimonianza contro quella attestata negli scolî, che forse godeva ai suoi occhi di minor credito. È pur vero che nella scelta degli episodi che costellano l’Ibis Ovidio non sembra guidato da un gusto per versioni meglio attestate o più verosimili; egli sembra al contrario selezionare varianti anche meno probabili ma più cruente. Il sofferto cenno contenuto nei Tristia suggerisce tuttavia di non escludere questa possibilità. Non è inverosimile che l’implicito paragone che qui egli instaura tra sé e Cherilo nei diversi esiti che il loro poema aveva sortito presso un sovrano abbia impedito a Ovidio di augurare a Ibis di perire della stessa morte del ‘poetastro’ di Alessandro. La leggenda della sua tragicomica fine emerse comunque, volutamente o meno, al momento del cenno alla morte di Callistene. Se questa ricostruzione è corretta, gli scolî non andarono molto lontano dal vero assimilando le vicende di Cherilo e Callistene, perché tale confusione può essere riconosciuta già nel distico ovidiano, l’unico luogo della tradizione relativa alla morte di Callistene in cui si afferma che egli perì a causa della sua opera. Non si può escludere che il confronto con Cherilo sia stato proposto con buone ragioni da un lettore dotto che aveva riconosciuto l’allusione a Cherilo. Ciò sembra tuttavia improbabile, poiché il riferimento a Cherilo, attestato solo in rami secondari dello stemma, è apparso facilmente spiegabile alla luce di una confusione con una tradizione parallela (supra, § 5.2). Se le considerazioni esposte sinora colgono nel segno, Ovidio va considerato il terminus ante per la circolazione della versione relativa alla morte di Cherilo che si trova in Pseudacrone (test. 7). Questa non sembra dunque molto posteriore alla versione nota a Orazio e andrà dunque opportunamente considerata per tentare una ricostruzione della vicenda (infra, § 9).

167 Sul ruolo della retorica e della scuola in Ovidio e soprattutto nell’Ibis vd. Masselli (2002) in partic. 9–29, con la bibliografia indicata a 13 n. 5.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

6 La testimonianza di Ausonio La menzione di Cherilo in Ausonio si colloca nella praefatio della lettera, da datare al 372–375, rivolta a Sesto Petronio Probo (test. 13), personaggio di enorme prestigio e influenza nella storia politica del IV secolo d.C.168 L’epistola era concepita come accompagnamento a un omaggio librario costituito dagli apologi di Tiziano e dai chronica di Cornelio Nepote, che erano stati richiesti – come si intuisce – per l’educazione dei figli.169 Agli apologi Ausonio ha premesso pauci epodi,170 i 105 dimetri giambici in lode di Probo che sono presentati nel séguito della lettera. Il riferimento a questi versi offre occasione per il cenno a Cherilo: Ausonio forse celebrerà un giorno e più degnamente le gesta dell’illustre destinatario dell’epistola, nella speranza che, pur avendo imitato vesania Choerili, colpevole di essersi dedicato a un canto troppo superiore alle proprie possibilità, ottenga come lui in cambio magnanimitas Alexandri. Secondo Crusius, il riferimento di Ausonio andava letto in riferimento a una «uns nicht bekannte Anekdote»;171 il rapido cenno a Cherilo sembra invece confermare che Ausonio seguì la versione dell’oraziana Epistula ad Augustum (test. 3), che vede Cherilo apprezzato (e lautamente ricompensato) da Alessandro. Orazio è ben noto a Ausonio,172 e la conoscenza di questo passo dell’Epistula può essere dimostrata sulla base del confronto con altri due luoghi dell’epistolario ausoniano, in particolare in due lettere a Teone e a Ursulo grammaticus (7, 17 Mondin = 15, 10 Green),173 dove la ripresa è ad verbum:174 rettulit acceptos, regale nomisma, Philippos . . . (Hor. Epist. 2,1,234) Ergo interceptos, regale nomisma, Philippos | accipe . . . (Auson. Epist. 7,5–6) Bis septem rutilos, regale nomisma, Philippos . . . (Auson. Epist. 17,19)

168 La testimonianza di Ausonio non è stata particolarmente valorizzata dalla critica, nonostante il monito di Naeke (1817) 37. Qualche cenno al passo si può tuttavia leggere in Crusius (1899) 2363, Bellinger (1957) 99 n. 15, Alessandrì (1969) 208 n. 25, Radici Colace (1996) 689. Sulla datazione della lettera e il suo destinatario vd. Mondin (1995) 152–153, anche per la discussione della bibliografia precedente. 169 Entrambe le opere sono di difficile identificazione: vd. ancora Mondin (1995) 154 e 164–165. 170 Mondin (1995) 154. 171 Crusius (1899) 2363. Il riferimento è ritenuto ‘strano’ anche da Mondin (1995) 155–156 ad l. 172 Vd. Nardo (1990). 173 L’epistola per Ursulo è di poco successiva a quella per Probo, essendo databile tra il 375 e il 377; per il 376 o più probabilmente il 377 propende Mondin (1995) 121. La datazione della lettera a Teone resta oscura: Mondin (1995) 217. 174 Cf. Nardo (1990) 332.

6 La testimonianza di Ausonio 

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L’espressione potrebbe semplicemente nobilitare un riferimento di per sé poco elegante quale sarebbe stato l’esplicita menzione dei solidi aurei.175 Il ruolo della citazione oraziana non va enfatizzato nell’epistola a Teone, dove la somma viene scherzosamente ricordata in riferimento a un debito di Teone nei confronti di Ausonio, evocato come motivo dalla sua prolungata irreperibilità.176 Il riferimento sembra invece più meditato nell’epistola per il grammatico Ursulo,177 che doveva accompagnare le scuse per l’invio tardivo di una strena di Capodanno da parte dell’imperatore, la quale consisteva appunto in sei aurei. Il riferimento a Cherilo non è in effetti fuori luogo, perché si tratta in entrambi i casi del dono offerto da un sovrano (Alessandro e l’imperatore Graziano); anche la ripresa dell’espressione regale nomisma appare dunque opportuna.178 La lettera è peraltro rivolta a un grammaticus che si deve supporre potesse comprendere l’allusione.179 In ogni caso, anche qui la citazione alza il tono della missiva, ma con un effetto diverso da quello ottenuto nell’epistola per Teone. Nella lettera si colgono infatti svariati segni di disistima nei confronti di Ursulo:180 anche il riferimento alla prestigiosa moneta di Filippo, enfatizzato dalla citazione, potrebbe cercare ironicamente un contrasto con il valore effettivo del dono, «large but not princely».181 Il parallelo implicitamente istituito tra Ursulo e Cherilo presuppone poi che in entrambi i casi il beneficiario abbia ricevuto un dono immeritato.182 Il cenno contenuto nella lettera a Probo (test. 13), in ogni caso, è di altro tenore. Senza alludere esplicitamente a un premio, e profondendosi anzi in eccessive precisazioni (si mihi vita suppetet) ed espressioni di modestia (quamvis incultus), Ausonio si augura che il panegirico, non apprezzato, almeno non susciti disprezzo (etsi lectum non probes, scriptum boni consulas). In questo contesto il riferimento a Cherilo è opportunamente collocato, perché Ausonio, ponendosi

175 Come tali i Philippi erano già correttamente interpretati da Regling (1909). L’alzamento del tono va attribuito all’intera espressione, non solo per il grecismo ma soprattutto per il riferimento oraziano; di per sé Philippus era infatti ormai un termine diffuso, usato iperonimicamente per designare qualsiasi moneta aurea: vd. Mondin (1995) 122–123. 176 Teone, pur essendo il terzo più assiduo interlocutore presente nell’epistolario ausoniano, è altrimenti ignoto. Per un suo profilo vd. Pastorino (1971) 47 e Mondin (1995) 84. 177 Sugli echi oraziani in Ausonio, con varie intenzioni e differenti gradi di profondità, vd. Nardo (1990) e Prete (1998). 178 Cf. Mondin (1995) 122 ad l.: «regale nomisma non solo perché nella circostanza sono un dono dell’Augusto, ma forse anche perché recano la sua venerata effigie». 179 Su Ursulo, altrimenti ignoto, vd. Mondin (1995) 121. 180 Mondin (1995) 121. 181 R.P.H. Green (1991) 623. 182 Anche la ricercata variazione interceptos dell’oraziano acceptos contiene forse un riferimento al disturbo procurato a Ausonio: cf. R.P.H. Green (1991) 623; contra Mondin (1995) 122 ad l.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

modestamente come imitator di un poeta vesanus,183 può alludere alla magnanimitas del suo destinatario – pari nientemeno che a quella di Alessandro.184 È tuttavia probabile che dietro alla condiscendenza invocata per la propria opera l’autore abbia celato l’allusione a una qualche forma di retribuzione per il proprio lavoro. Ausonio era infatti pienamente consapevole della ricompensa di Cherilo, visto che richiamava i Philippi negli altri due passi del proprio epistolario. Il riferimento alla magnanimitas Alexandri non lascia dubbi sulla versione seguita da Ausonio, che coincide con Orazio e non con il racconto riportato dagli scolî di Porfirione (test. 6a) e Pseudacrone (test. 7) al passo, secondo i quali Alessandro non avrebbe apprezzato il suo poema e lo avrebbe anzi punito con un pugno per ogni verso mal composto. Ci si può domandare se Ausonio ebbe presente anche questa versione, considerando il profondo legame tra Ausonio e l’àmbito della scuola, donde trae origine anche il materiale scoliastico.185 La risposta deve tuttavia essere negativa. Ausonio si rivolge a Probo con estrema deferenza, consapevole del ruolo e del potere che il suo destinatario esercitava.186 Il contesto, estremamente delicato, impedisce di ritenere che Ausonio conoscesse la versione presente in Pseudacrone; in tal caso, avrebbe probabilmente evitato l’allusione. Egli non ebbe probabilmente accesso a questa versione, che è peraltro riferita dagli scolî in connessione al passo dell’Ars poetica e non dell’Epistula ad Augustum cui Ausonio fa esplicito riferimento.

7 La testimonianza di Ennodio Più di un secolo dopo Ausonio, Cherilo è citato in un altro panegirico, rivolto da Ennodio a Teoderico (test. 14). Il testo deve essere stato pronunciato o inviato in lettura al sovrano nel 506 o nel 507. Scopo di Ennodio è presentare il ‘barbaro’ 183 La vesania non consiste in altro che «nell’essersi cimentato in imprese poetiche troppo superiori alle sue modeste facoltà»: Mondin (1995) 156 ad l. Così Bellinger (1957) 99 n. 15, Alessandrì (1969) 208 n. 25. È improbabile che il termine vada inteso positivamente e che alluda quindi alla passione di Cherilo, la quale lo accomunerebbe a Ausonio, come invece Peltonen (2019) 140. 184 L’identificazione di Ausonio e di Probo con Cherilo e Alessandro è segnalata in Mondin (1995) 155 ad l. 185 Ausonio insegnò dapprima come grammaticus, poi rhetor nella nativa Burdigala, quindi (verso il 364) come precettore di Graziano al palazzo imperiale di Treviri, dove fu chiamato verosimilmente per la sua fama di insegnante: cf. Pastorino (1971) 21. 186 La proposta di comporre un panegirico in suo onore è introdotta con continue e financo ridondanti espressioni di modestia; è evidente che ogni parola è stata attentamente ponderata da Ausonio per eliminare la possibilità di fraintendimenti.

7 La testimonianza di Ennodio 

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Teoderico come degno erede della tradizione imperiale romana e inviato da Dio per restaurare l’antico splendore dell’Italia.187 Il riferimento a Cherilo si colloca nelle mosse finali dell’orazione, dove Ennodio confronta Teoderico a Alessandro, secondo un modulo tipico della letteratura panegiristica.188 Le imprese di Alessandro appaiono ingigantite rispetto alla loro reale portata grazie al ‘merito di scrittori eloquenti’ (dos loquentium), che le amplificarono con menzogne e simulazioni. Le imprese di Teoderico sono invece così grandiose che non hanno bisogno di esagerazioni (78). Alessandro affidò l’incarico di cantare le proprie imprese unicamente a Cherilo, consapevole che una multitudo di poeti avrebbe rischiato di mostrare il carattere mendace dei loro racconti, rivelando il poeta quale testis impudentiae (79).189 Ennodio si serve quindi del confronto con Alessandro per passare al tema che più gli sta a cuore: ciò che distingue Teoderico è in realtà la fede cristiana, che gli consente di attribuire con umiltà i propri successi a chi ne è il vero responsabile, cioè Dio, incarnando l’idea di princeps romano et sacerdos cristiano (80).190 Il riferimento a Cherilo non appare del tutto integrato nell’argomentazione sviluppata in questo punto del Panegirico. Ennodio fa infatti inizialmente riferimento alle lodi degli scrittori che con la loro eloquenza hanno gonfiato i meriti di Alessandro: la colpa non sembra qui riconosciuta alla multitudo degli scrittori, che sono invece lodati per il loro dos. Essi sono peraltro probabilmente gli storici di Alessandro più che i suoi poeti.191 Cherilo è invece menzionato con specifico riferimento alla scelta di Alessandro di averlo quale unico testimone della propria impresa. Il tema dell’esclusività non è ripreso neanche nel séguito. Il riferimento a Cherilo non va comunque letto troppo analiticamente e appare comprensibile all’interno della strategia argomentativa adottata da Ennodio. Dopo aver accennato alla costruzione letteraria del mito di Alessandro, Ennodio dovette trovare opportuno un riferimento al suo celebre poeta, così alludendo al fatto che Teoderico non ha bisogno né di storiografi mistificatori né di un poeta di corte ‘ufficiale’. La fonte del passo deve essere Orazio, anche altrove citato da Ennodio e a lui noto almeno come autore di scuola.192 Qualche dubbio potrebbe lasciare il fatto

187 Per i problemi posti dal Panegirico vd. Rohr (1995) 1–63 e soprattutto Rota (2002) 22–132. 188 Vd. Rota (2002) 407–408, con ulteriore bibliografia. 189 Seguo l’interpretazione di Rohr (1995) 255 e di Rota (2002) 408–409. 190 Vd. il commento di Rota (2002) 406–411. Sull’uso di beneficio vd. Rota (2002) 101–102. 191 Cf. le traduzioni di Rohr (1995) 253 e di Rota (2002) 221. Rohr (1995) 12 indica peraltro Cherilo come ‘Biograph’ di Alessandro. 192 Circa le reminiscenze di autori classici nel Panegirico vd. Rota (2002) 117–128; su Ennodio e Orazio cf. Piscitelli (1998). Per la formazione classica di Ennodio vd. Rohr (1995) 11–15; più in generale sulla situazione culturale e scolastica nell’Italia ostrogotica vd. Rota (2002) 17–22.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

che manca qualsiasi cenno all’inadeguatezza poetica di Cherilo, un elemento che non sarebbe suonato inopportuno nel contesto della polemica contro Alessandro. Orazio – come tutti gli altri testimoni – non fa d’altra parte riferimento all’esclusività concessa da Alessandro a Cherilo; nell’Epistula ad Augustum sono anzi citati Apelle e Lisippo, ai quali il Macedone affidò un ruolo importante nella propria propaganda, non poetica ma comunque artistica.193 Ennodio aveva con ogni probabilità presente il passo dell’Epistula oraziana (test. 3), dove l’elemento della pessima qualità dei versi non è centrale come nell’Ars poetica (test. 4).194 Si può supporre che abbia lasciato questo elemento sullo sfondo per sottolineare che Teoderico è superiore a Alessandro in quanto le sue imprese non necessitano di poesia cortigiana, indipendentemente dal fatto che essa sia buona o cattiva. La strategia adottata da Ennodio è diversa da quella di Ausonio (test. 13: cf. supra, § 6). Per Ausonio Cherilo e Alessandro rappresentano un esempio positivo, mentre per Ennodio sono riferimenti negativi della relazione tra sovrano e poeta di corte.195 In entrambi i casi, il riferimento a Alessandro è naturalmente funzionale alla lode del destinatario, che viene assimilato o giudicato superiore al sovrano per eccellenza. La diversa valutazione di Alessandro si riflette anche nella diversa relazione che Ausonio e Ennodio instaurano con Cherilo. Ausonio si pone modestamente come imitatore del ‘poetastro’ suggerendo a Probo di dimenticarne le mancanze, per rivelarsi così all’altezza di Alessandro. Pur lodando Teoderico, Ennodio dichiara invece che egli non ha in realtà bisogno di alcun elogio e prende così esplicitamente le distanze da Cherilo, respingendo un’eventuale identificazione. L’affinità dei due passi è tale che si può domandare se Ennodio avesse presente, oltre a Orazio, anche lo stesso Ausonio, dal quale si sarebbe intenzionalmente distanziato. I due autori condividono l’origine gallica e Ennodio mostra in più punti dell’opera di riferirsi alla tradizione di ispirazione pagana dei panegirici latini – pur aggiornata alla luce di una sensibilità cristiana –, cui anche l’epistola di Ausonio in qualche modo appartiene.196

193 Rota (2002) 409. 194 All’Epistula ad Augustum pensa Rota (2002) 408, a entrambi i passi Rohr (1995) 253 n. 64, il quale ipotizza anche una ripresa da Curzio Rufo. Essa appare tuttavia improbabile proprio per l’esplicita menzione di altri poeti assoldati da Alessandro: vd. supra, § 4.2. In questo caso, si dovrebbe supporre che Ennodio abbia intenzionalmente modificato la propria fonte. 195 Simili rilievi in Peltonen (2019) 140–141. 196 Sui rapporti tra Ennodio e la tradizione dei Panegyrici Latini vd. Rota (2002) 128–132.

8 Cherilo nel terzo proemio degli Astronomica di Manilio? 

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8 Cherilo nel terzo proemio degli Astronomica di Manilio? Nel proemio al terzo libro degli Astronomica, Manilio chiama le Muse a guidarlo nelle vie inesplorate che percorrerà con il suo canto (1–4). Per rivendicare l’originalità della propria opera, elenca quindi argomenti già precedentemente trattati in poesia: la gigantomachia (5–6), le vicende troiane (7–8), i sortilegi di Medea (9–13), la guerra messenica (14), la saga dei sette contro Tebe (15–17), la vicenda dei figli di Tieste (18–19), le guerre persiane (19–21), le imprese di Alessandro Magno (22–23), l’origine di Roma (23–26). Dopo aver richiamato la difficoltà della trattazione in versi della materia celeste, dovuta in primis al vocabolario tecnico-scientifico (26–35), l’autore si rivolge direttamente al lettore, cui richiede di non aspettarsi dulcia carmina da una poesia didascalica e di sopportare l’uso di termini stranieri, impossibili da tradurre in latino (36–42). Come si può osservare, il proemio, esplicitamente programmatico, affronta problemi di poetica ed è paragonabile ai prologhi del primo e del secondo libro,197 entrambi pure orientati a sottolineare attraverso l’uso del modulo augusteo della recusatio l’originalità della materia astrologica rispetto all’epica precedente;198 in particolare, un catalogo letterario ad excludendum era già presente all’inizio del secondo libro (1–48).199 Il rex magnus che occupa il penultimo posto del catalogo maniliano è indubbiamente Alessandro.200 In questi versi J. van Wageningen ha rinvenuto un riferimento al poema di Cherilo di Iaso (test. °20), mediato dall’Epistula ad Augustum di Orazio (test. 3).201 L’idea fu rifiutata da Housman con un lapidario «non credo» inserito tra gli addenda del 1930 al terzo libro.202 Successivamente sono stati espressi giudizi più sfumati, ma spesso aperti alla possibilità di una precisa allusione al poeta di Alessandro.203 Essa appare probabile alla luce di una serie di elementi. Tutto il catalogo prevede il riferimento a temi già affrontati nell’epica mitologica o storica precedente: senza richiedere al testo un eccessivo rigore, è possi197 La presenza nel terzo proemio di un’invocazione alle Muse, unita ad altre stranezze, ha indotto Flores (1995) a ritenere che esso fosse stato originariamente composto per il primo libro. Sul terzo proemio vd. anche Baldini Moscadi (1981), Landolfi (1990) = (2004) 61–76, Perutelli (2001) 76–84, Merli (2016) 105–108. Sui proemi maniliani vd. Landolfi (2004). 198 Cf. Hollis (2000) 14. 199 Cf. Perutelli (2001) 67–76. Sul secondo proemio vd. anche Landolfi (1992) = (2004) 29–59. 200 Così già Bentley (1739) 139 ad v. 22. 201 Van Wageningen (1921) 161 ad v. 22. 202 Housman (1930) 148 ad vv. 19–30. A Housman si allineò Bühler (1959) 482. 203 Cf. Goold (1977) 165 n. e, Landolfi (1990) 74 n. 30, 76 e n. 38 = (2004) 69 n. 35, 71 e n. 44, Costanza (1991) 487–488 n. 38, Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 248 ad l.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

bile individuare in ognuno degli argomenti elencati il circostanziato riferimento a un’opera letteraria che il lettore è invitato a riconoscere.204 Gli argomenti non sono infatti selezionati in base a un criterio che considera la loro ampia diffusione in poesia; Manilio include anzi temi precedentemente cantati in una sola occasione: annosa . . . Messenae bella (14) erano stati narrati, per quanto ne sappiamo, solo da Riano,205 e che l’autore si riferisca proprio ai Μεϲϲηνιακά è dimostrato dalla considerazione in cui Tiberio teneva questo poeta;206 le guerre persiane erano state messe in versi solo da Cherilo di Samo,207 probabilmente non ignoto a Manilio (vd. infra).208 Il riferimento esatto, ma non esplicito, a precisi poemi è inoltre pienamente comprensibile alla luce della distanza che Manilio intende porre tra la propria opera e quei precedenti, non meritevoli neanche di essere nominati. La facilità di soluzione dei varî γρῖφοι è poi funzionale a dimostrare quanto quei temi fossero così noti al pubblico che il riferimento a essi poteva essere facilmente intuito. Sembra logico attendersi che anche dietro all’allusione alle imprese di Alessandro si celi l’esatto riferimento a un poema su di lui, comprensibile al lettore di Manilio. Cherilo è l’unico poeta di Alessandro ad aver trovato spazio nella letteratura latina: ciò è sufficiente a escludere che Manilio abbia alluso all’opera di un altro poeta alessandrografo. Manilio conobbe certamente Orazio,209 e questo passo potrebbe essere aggiunto a quelli già segnalati. È probabile che Manilio conoscesse Cherilo anche per il tramite dell’Ars poetica,210 ma la connessione con Alessandro, la ripresa verbale della formula rex magnus, cui in latino è sempre

204 Tra gli altri cf. van Wageningen (1921) 160–162 ad l., Goold (1977) 162–165 n. d, Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 245–249 ad l. 205 Van Wageningen (1921) 160 ad l., Goold (1977) 163 n. d, Baldini Moscadi (1981), Costanza (1991) 488 n. 38, Landolfi (1990) 74 = (2004) 68, Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 247 ad l., Perutelli (2001) 79. 206 Cf. Svet. Tib. 70. Su Tiberio e Riano vd. Castelli (2016) 48–51. Per la datazione degli Astronomica all’età tiberiana vd. Merli (2016), cui rinvio anche per la letteratura sul problema. 207 Van Wageningen (1921) 161 ad l., Newman (1967a) 119–120 = (1967b) 199–200, Goold (1977) 164–165 n. d, Landolfi (1990) 74 = (2004) 68, Hollis (2000) 14, Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 248 ad l. Anche Housman (1930) 148 ad vv. 19–30 era peraltro concorde nel riconoscere un riferimento a Cherilo di Samo. Il passo maniliano non compare nelle edizioni né di Radici Colace (1979) né di Bernabé (19962), ma potrebbe essere annoverato tra i testimonia (almeno tra i dubia). 208 In realtà sembra che anche Empedocle abbia composto Περϲικά, ma del poema deve essersi presto persa memoria ed esso non è comunque noto alla tradizione latina: sul problema vd. Sider (1982). 209 Cf. Salemme (1998). 210 Landolfi (1990) 74 n. 30, 76 e n. 38 = (2004) 69 n. 35, 71 e n. 44.

8 Cherilo nel terzo proemio degli Astronomica di Manilio? 

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preferito il solo Magnus,211 e il contesto di una recusatio lasciano pensare che egli avesse innanzitutto presente, nella composizione di questi versi, l’Epistula ad Augustum.212 Come è già stato variamente notato, questo proemio presenta inoltre alcuni punti di contatto con la tradizione retorica e scolastica.213 L’àmbito della scuola riservò un chiaro interesse alla vicenda di Cherilo, come rivela l’attenzione che le rivolsero testi connessi a questo ambiente, quali gli scolî a Orazio e a Ovidio (testt. 5–7, 10), ma anche Curzio Rufo (11), forse coevo a Manilio. In particolare, come si è notato supra (§ 3.3), anche alcuni scolî oraziani presuppongono una lunga estensione per il poema di Cherilo. Il dettaglio trova riscontro in Manilio: il confronto che egli propone tra tempo del canto di Cherilo e tempo dell’azione di Alessandro si comprende solo presupponendo che il poema di Cherilo fosse di ampie dimensioni, almeno nell’immaginario dell’autore degli Astronomica. Il contatto con la scuola può spiegare anche l’eco, colta in questo passo, con un frammento di Timeo (FGrHist 566 F 139) che pure ebbe una certa fortuna in àmbito grammaticale se fu commentato da ‘Long.’ Subl. 4,2.214 Il riferimento alla poesia di Cherilo di Iaso  – emblema del pessimus poeta negli scolî (testt. 5–7) e già in parte nell’Ars poetica (4) – risulterebbe infine pienamente comprensibili alla luce della critica, implicita alla recusatio di Manilio, relativa alla superiorità del proprio canto rispetto ai contenuti mitologici e storici già ampiamente sfruttati dai suoi predecessori. L’opposizione di Manilio sembra diretta soprattutto contro vicende incredibili o comunque paradossali, alle quali oppone un canto veritiero.215 La poesia di Cherilo, per quel che si può ricostruire

211 Su questa formula vd. supra, § 2.2. L’allusione sarebbe avvertibile anche nel testo di Manilio secondo Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 248 ad l. 212 Così anche van Wageningen (1921) 161 ad l., Goold (1977) 165 n. e, Landolfi (1990) 74 n. 30, 76 e n. 38 = (2004) 69 n. 35, 71 e n. 44, Costanza (1991) 487 n. 38, Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 248 ad l. 213 Baldini Moscadi (1981), Landolfi (1990) 75 n. 32 = (2004) 69 n. 37, Perutelli (2001) 79. Cf. anche Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 245–246. 214 Bühler (1959) 482, Goold (1977) 165 n. e. Manilio sembra peraltro accogliere la critica rivolta da ‘Longino’, che notava come la ϲύγκριϲιϲ instaurata da Timeo tra il tempo impiegato da Alessandro per conquistare l’Asia e gli anni necessari a Isocrate per completare il Panegirico fosse ridicola perché si applicava a termini di confronto fra loro eterogenei: cf. Mazzucchi (20102) 149 ad l. Nel terzo proemio degli Astronomica, il paragone è infatti stabilito tra il tempo necessario per cantare le imprese di Alessandro e la durata delle imprese stesse. 215 Vd. Perutelli (2001) 77, 79, con un confronto con il secondo libro. Cf. anche Newman (1967a) 115–122 = (1967b) 195–203, Salemme (1998) 44.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

dagli scolî, doveva rappresentare agli occhi di Manilio un simbolo perfetto di ciò che il suo poema non doveva essere.216 Tutte le informazioni su Cherilo che si possono trarre da Manilio sembrano dovute a una rielaborazione dei passi oraziani e dei relativi scolî. Non è dunque necessario ipotizzare che egli conoscesse il poema su Alessandro per lettura diretta,217 meno probabile anche rispetto ad altri poeti allusi nel proemio come Cherilo di Samo e Riano.218 In particolare, l’idea che Cherilo avesse composto un longum carmen, quale probabilmente il suo poema non fu, suggerisce una conoscenza solo indiretta dell’opera.219 Se si ammette la ricostruzione proposta, vale la pena di sottolineare come il riferimento al poema di Alessandro faccia immediatamente séguito al cenno relativo alle guerre persiane (19–21). Da questi versi sembra infatti di poter dedurre la precisa consapevolezza da parte di Manilio dell’esistenza di due Cherili, forse giustapposti proprio per alludere alla loro omonimia e a confusioni che si erano già verificate in àmbito grammaticale.220

9 Cherilo al séguito di Alessandro: «falsa mixta veris» Alla luce del pressoché totale naufragio delle informazioni relative alla vita di Cherilo, che i paragrafi precedenti – pur impegnati a interrogare tutti i testimoni – hanno reso ben evidente, non sorprende che non si sia fatto molto per tentare di proporre una ricostruzione della sua biografia e in particolare dei rapporti che intercorsero con Alessandro.221 L’unica notizia certa, accettata da tutti gli interpreti e attestata tanto in Orazio (test. 3) quanto negli scolî (testt. 5–7), è che Cherilo conobbe personalmente Alessandro poiché lo seguì in Oriente. Si tratta di un’informazione fondamentale, che permette di stabilire una cronologia per Cherilo, collocando la sua opera a diretto 216 Sulle caratteristiche del poema di Alessandro, ricostruibili anche sulla base delle informazioni degli scolî probabilmente noti a Manilio, vd. cap. 3 § 1.1. 217 Cf. Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 248 ad l. 218 Sulla fortuna ‘tiberiana’ di Riano vd. supra. Circa la circolazione dei Περϲικά ancora all’altezza cronologica di Manilio vd. cap. 3 § 5.2. Cf. anche Radici Colace (1996) 689 e Barbantani (2017) 73–74. Cherilo di Samo sottolineava all’inizio del poema l’originalità del proprio tema in modo non dissimile da Manilio: cf. Newman (1967a) 118 = (1967b) 199 e Landolfi (1990) 67 = (2004) 61. 219 Per il problema in rapporto a Orazio vd. cap. 3 § 2.4. Sull’estensione del poema: cap. 4 § 1.1. 220 Cf. cap. 1. 221 Qualche cenno si legge in Naeke (1817) 38–39, Crusius (1899) 2364, Brink (1982) 246, Rudd (1989) 114–115, Borzsák (1998a) 93–94, Radici Colace (1996) 688, Lowell Bowditch (2001) 34.

9 Cherilo al séguito di Alessandro: «falsa mixta veris» 

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contatto con il Macedone.222 Il dato è anche confermato dalla notizia di altri Iasei al séguito di Alessandro, come Gorgo;223 sono inoltre noti altri poeti che come Cherilo cantarono le sue imprese seguendolo in Oriente.224 Cherilo è inoltre citato da Aminta in relazione all’epitafio inciso sulla tomba di Sardanapalo a Ninive (test. 15, cf. cap. 4 § 2.1). Tutte le altre informazioni devono essere dedotte per congettura, come la possibile presenza di Cherilo al dibattito sulla proskynesis,225 o necessitano di un vaglio, essendo incompatibili tra loro e contenendo perciò necessariamente, secondo una formula di Naeke, «falsa mixta veris».226 La tabella presenta un quadro delle diverse versioni offerte dalla tradizione [Tab. 2]. Tab. 2: Quadro delle differenti notizie offerte dalla tradizione su Cherilo e relative fonti. Giudizio di Alessandro Ulteriori dettagli

Fonti

A) Positivo

1) Pagamento di Cherilo in monete auree

Hor. Epist. 2,1 (3); cf. Auson. (13)

2) Pagamento di Cherilo con una moneta aurea per ogni verso

Pseudacr. ad Epist. (5a), Porphyr. ad Epist. (5b)

1) Si stabilisce che Cherilo riceva un filippo per ogni verso buono, un pugno per ogni verso cattivo; egli muore dunque a causa dei pugni a) Cherilo scrive appena sette versi laudabiles b) Cherilo muore a causa della propria opera

Pseudacr. (8)

2) Alessandro afferma che preferirebbe essere il Tersite di Omero che non l’Achille di Cherilo

Porphyr. ad ‘A.P.’ (6a), Pseudacr. ad ‘A.P.’ (7)

B) Negativo

Pseudacr. ad Epist. (5a), Porphyr. ad ‘A.P.’ (6a), Σ λφψ ad ‘A.P.’ (6b) Pseudacr. ad ‘A.P.’ (7), Ov. Ib. (°18) e Σ ad l. (10)

La differenza, come si vede, non è di poco conto: occorre decidere se Alessandro apprezzò e ricompensò Cherilo o se invece lo giudicò negativamente, sino a deter-

222 Pallone (1984) 165 lo colloca nella «prima metà del III secolo a.C.», ma la cronologia va leggermente abbassata: cf. e.g. Rostagni (1931), Radici Colace (1996) 688. Kirk in Kirk – Raven – Schofield (1983) 97 n. 2, già in Kirk – Raven (1957) 96 n. 2, e Scarcia in Feraboli – Flores – Scarcia II (2001) 248 datano il poema al III–II secolo a.C. 223 Su cui vd. cap. 1 § 4.3. 224 Vd. cap. 1 § 4.4. Anche Leschide seguì Eumene nelle sue spedizioni militari: sul tema vd. Barbantani (2001) 19 e n. 59. 225 Cf. supra, § 4.2. 226 Naeke (1817) 58, riferendosi in particolare agli scolî di Pseudacrone e di Porfirione a Orazio.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

minarne la morte. Anche se soprattutto negli scolî a Orazio e Ovidio è chiara la tendenza alla distorsione aneddotica dei fatti e alcuni dettagli sono spiegabili come autoschediasmi,227 nessuna versione si mostra assolutamente preferibile sulla base di criteri interni. La critica ha sinora tendenzialmente preferito la versione degli scolî,228 ma un esame del problema sembra condurre alla conclusione opposta.

9.1 Cherilo disprezzato: la morte e l’epifonema su Achille La versione che fa di Cherilo un poeta disprezzato da Alessandro (B nella Tab. 2) non pare accettabile almeno per due dettagli: la morte di Cherilo (B1) e l’epifonema su Achille (B2). La notizia sui sette versi laudabiles (B1a) è invece probabilmente un autoschediasma nato nell’àmbito degli scolî oraziani, come si è dimostrato supra, § 3.3. Una ‘morte per i pugni’ sarebbe un unicum della tradizione antica e non sembra neanche coincidere con il supplizio dell’ ἀποτυμπανιϲμόϲ,229 e appare eccessiva persino per Alessandro, il quale pure non dimostrò clemenza né per Clito né per Callistene.230 La notizia non può corrispondere al vero soprattutto perché, come si deduce dalla Suda (test. 1a), Cherilo di Iaso fu autore di un’opera intitolata Λαμιακά: la composizione di un poema sulla guerra lamiaca presuppone che egli non sia morto sotto Alessandro, ma sia anzi vissuto sufficientemente a lungo per mettere in versi quel conflitto, probabilmente già concluso, o comunque avviato.231 Per rendere la notizia accettabile, si potrebbe interpretare necatus est in senso lato, come enfasi per «paene usque ad mortem fatigatus».232 La confusione

227 Cf. Borzsák (1998a) 93–94. Per alcuni probabili autoschediasmi della tradizione scoliastica oraziana vd. supra, § 3.3. Sulla relativa antichità della versione sulla morte di Cherilo: § 5.3. 228 Cf. Rudd (1989) 114–115 e Lowell Bowditch (2001) 34. Una preferenza per la versione degli scolî è percepibile anche in Brink (1982) 246. Qualche perplessità relativamente alla versione tràdita dagli scoliasti è invece sollevata da Naeke (1817) 38–39, Crusius (1899) 2364, Rostagni (1931), Borzsák (1998a) 93–94, Radici Colace (1996) 688. 229 Vd. Landucci Gattinoni (1998) 95 e n. 46 con ulteriore bibliografia. 230 La fine di Cherilo non è peraltro attestata altrove, neanche in autori, come Curzio (test. 11), che pure avrebbero potuto utilizzare questo aspetto per confermare l’idea della degenerazione del potere di Alessandro. 231 Non vi è accordo sul momento in cui va collocato l’inizio dello scontro, ma è chiaro che la composizione del poema deve essere successiva almeno all’assedio di Lamia. Su questi problemi vd. cap. 4 § 1.2. 232 Già Naeke (1817) 39 interpretava in questo modo l’espressione, ritenendo che così la formula fosse «fortasse dignius grammatico».

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tra Cherilo e Callistene che si osserva negli scolî all’Ibis di Ovidio (test. 10) e forse in Ovidio stesso (°18) poté tuttavia avvenire solo intendendo necatus in senso letterale: è più probabile che il verbo sia stato sempre inteso in questo senso. La tradizione oraziana fornisce anche un altro elemento apparentemente inventato: l’epifonema pronunciato da Alessandro contro Cherilo relativamente a Omero, Achille e Tersite. La battuta attribuita a Alessandro da Porfirione (test. 6a) e Pseudacrone (7), pur inserendosi nel solco della versione secondo cui Alessandro non avrebbe apprezzato il poema di Cherilo (B della Tab. 2), non è forse del tutto incompatibile con il racconto oraziano. Come Ziegler già notava, Alessandro potrebbe aver ricompensato il poeta nonostante fosse consapevole dello scarso valore della sua poesia (è la stessa soluzione ‘concessiva’ che venne in mente a Pseudacrone, test. 5a).233 L’episodio fu però con ogni probabilità ispirato da un aneddoto circolante su Alessandro, originariamente non connesso a Cherilo. I loci paralleli sono costituiti da un passo del Romanzo di Alessandro (1,42,9–13) καὶ περιγίνεται (scil. Alessandro) εἰϲ Φρυγίαν καὶ ἐλθὼν εἰϲ τὸν Ϲκάμανδρον ποταμόν, ὅπου ἥλατο Ἀχιλλεύϲ, ἐνήλατο καὶ αὐτόϲ. θεαϲάμενοϲ δὲ τὸ ἐπταβόειον Ἀλέξανδροϲ, οὐ πάνυ μέγα οὐδὲ οὕτωϲ θαυμαϲτὸν καθὼϲ ϲυνέγραψεν Ὅμηροϲ, εἶπεν· «μακάριοι ὑμεῖϲ οἱ ἐντυχηκότεϲ τοιούτου κήρυκοϲ τοῦ Ὁμήρου, οἵτινεϲ ἐν μὲν τοῖϲ ἐκείνου ποιήμαϲι μεγάλοι γεγόνατε, ἐν δὲ τοῖϲ ὁρωμένοιϲ οὐκ ἄξιοι τῶν ὑπ᾽ ἐκείνου γεγραμμένων». καὶ προϲελθὼν αὐτῷ ποιητήϲ τιϲ εἶπεν· «Ἀλέξανδρε, κρείττον ἡμεῖϲ γράψομεν Ὁμήρου». ὁ δὲ Ἀλέξανδροϲ εἶπεν· «βούλομαι παρ᾽ Ὁμήρῳ Θερϲίτηϲ εἶναι ἢ παρὰ ϲοὶ Ἀγαμέμνων».

e da una sentenza dello Gnomologium Vaticanum 78 Sternbach (FGrHist 72 T 27) Ὁ αὐτὸϲ (scil. Alessandro) ἐλθὼν εἰϲ Ἴλιον καὶ θεαϲάμενοϲ τὸν Ἀχιλλέωϲ τάφον ϲτὰϲ εἶπεν· «ὦ Ἀχιλλεῦ· ὡϲ μέγαϲ ὢν μεγάλου κήρυκοϲ ἔτυχεϲ Ὁμήρου». παρόντοϲ δὲ Ἀναξιμένουϲ καὶ εἰπόντοϲ «καὶ ἡμεῖϲ ϲέ, ὦ βαϲιλεῦ, ἔνδοξον ποιήϲομεν», «ἀλλὰ νὴ τοὺϲ θεοὺϲ», ἔφη, «παρ᾽ Ὁμήρῳ ἐβουλόμην ἂν εἶναι Θερϲίτηϲ ἢ παρὰ ϲοὶ Ἀχιλλεύϲ».

L’aneddoto è chiaramente lo stesso: nel Romanzo il riferimento a Agamennone e non a Achille nella recensio β non va sopravvalutato, anche perché Achille è invece citato nella versione armena e in Giulio Valente (testimoni indiretti della recensio α).234 I due passi divergono invece nel destinatario della battuta di Alessandro, indicato

233 Ziegler (19662) 22. 234 Ἀγαμέμνων potrebbe sembrare difficilior visto il legame che unì Alessandro e Achille, ma forse anche improbabile. Se Ἀχιλλεύϲ era la lezione originaria, Agamennone sarebbe stato introdotto per il suo ruolo di comandante della spedizione, considerato più vicino allo status di Alessandro. Su entrambe le recensiones e sui rapporti tra di esse vd. Franco (2001) 65–66 e Stoneman (2007) lxxiii–lxxxviii, con bibliografia.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

non in Cherilo ma in Anassimene o in un ποιητήϲ τιϲ, che potrebbe essere Cherilo, Anassimene, o un altro poeta ancora.235 La versione originaria dell’aneddoto non sembra aver coinvolto Cherilo. Il Romanzo e lo Gnomologium ambientano l’episodio nella circostanza della visita alla tomba di Achille. Il poeta promette a Alessandro che eternerà le sue imprese come Omero (γράψομεν e ποιήϲομεν ἔνδοξον) e Alessandro gli risponde che preferirebbe (βούλομαι e ἐβουλόμην) essere il Tersite di Omero più che l’Achille di lui: la battuta è un rifiuto preventivo all’offerta del poeta.236 In Porfirione e Pseudacrone manca invece il riferimento alla visita alla tomba di Achille e la battuta di Alessandro sembra presentata come conseguenza del pessimo poema dedicatogli da Cherilo.237 La situazione presupposta da Porfirione e Pseudacrone doveva però essere la stessa descritta nel Romanzo e nello Gnomologium: l’uso del presente (malle) rimanda a un momento in cui il poema non era ancora stato composto. Una simile battuta nella stessa occasione della visita a Ilio è peraltro riportata da Plut. Alex. 12,1 e da Arr. Anab. 1,12,1. Porfirione e Pseudacrone conoscevano dunque probabilmente lo stesso aneddoto per come è noto dal Romanzo e dallo Gnomologium (a una fonte sembra rimandare anche fertur),238 ma devono averlo riferito a Cherilo per il confronto tra Omero e Cherilo che leggevano nell’Ars poetica. L’aneddoto non doveva dunque essere originariamente riferito a Cherilo, ma a Anassimene, che potrebbe nascondersi anche dietro al ποιητήϲ τιϲ del Romanzo di Alessandro.239 Rimane in ogni caso improbabile che la frase sia stata davvero pronunciata.240 Essa sembra piuttosto un’invenzione seriore, formulata con l’intenzione di smentire la fama che Alessandro si era ormai guadagnato come cattivo 235 Teoricamente si potrebbe anche pensare che Alessandro abbia ripetuto la battuta a entrambi i poeti. 236 Diversamente Usener (1888a) = I (1912) 329. Così anche Fantuzzi (1988) lx. 237 et hinc di Porfirione farebbe pensare a un’istintiva reazione di Alessandro, deluso dai risultati del poema di Cherilo. et hinc è tuttavia emendazione proposta da Petschenig a fronte di ut hic dei codici. et huic suggeritomi da D. Obili è tuttavia un’alternativa equipollente sul piano della dinamica dell’errore e forse preferibile sulla base del confronto con Pseudacrone (test. 7 cui Alexander dixisse). 238 Nella letteratura latina, una simile battuta era presentata da Cicerone, Arch. 24, sempre con riferimento alla visita alla tomba di Achille. 239 Così Fantuzzi (1988) lx–lxi, Squillace (2004) 68, Barbantani (2017) 71–72. Usener (1888a) = I (1912) 328–329 cambia avviso in Usener (1888b) = I (1912) 329 n. ✶. Franco (2001) 218 n. 141 ad l. ritiene che la battuta sia stata rivolta a Cherilo, ma ne trova conferma in Giulio Valerio, il quale però non lo menziona. Cf. anche Spina (1984) 361. Sull’identificazione di Anassimene vd. in ogni caso cap. 3 § 2.1. 240 Per questa soluzione mi sembra inclinare Alessandrì (1969) 207. Walsh (2011) 539 n. 7 definisce l’epifonema «probably apocryphal».

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giudice di poesia. Non è un caso che essa sia collocata all’inizio del Romanzo di Alessandro, con lo scopo programmatico di chiarire il punto di vista di Alessandro in materia di κόλακεϲ e cattiva poesia.241 Si può così anche spiegare la strana sequenza cronologica appena discussa: Alessandro sembra avere presenti poemi che all’epoca della visita alla tomba di Achille non potevano ancora essere stati scritti, perché essi erano perfettamente noti all’inventore dell’aneddoto, che lo formulò proprio in reazione a essi.242 Anche per questo, l’aneddoto poteva essere riferito ora a Anassimene ora a Cherilo: i tratti del ‘poetastro’ descritto nel Romanzo erano adatti a entrambi, perché proprio a essi erano ispirati.243 Proporre una datazione dell’aneddoto rimane problematico. Esso richiama una notizia fornita da Strabone 14,5,14,674 a proposito di un tale Boeto di Tarso (SH 230). Strabone riporta che Boeto – descritto come κακὸϲ μὲν ποιητήϲ κακὸϲ δὲ ποιλίτηϲ –, dopo aver messo in versi la vittoria di Antonio a Filippi, era stato nominato per svolgere un incarico pubblico nella madrepatria, ma aveva frodato tra l’altro olio d’oliva. Nel contesto del giudizio condotto di fronte a Antonio, Boeto tenta di salvarsi ricordando di aver celebrato Antonio ὥϲπερ Ὅμηροϲ ἐξύμνηϲεν Ἀχιλλέα καὶ Ἀγαμέμνονα καὶ Ὀδυϲϲέα. La risposta di Antonio è ovvia: a differenza che Boeto, Omero non ha rubato né a Achille né a Agamennone. La storia riferita da Strabone doveva circolare già nel I secolo a.C. e i punti di contatto con la vicenda di Cherilo e Alessandro potrebbero suggerire una datazione alta anche per quest’ultimo. Si tratta tuttavia di motivi facilmente poligenetici.244

9.2 La versione di Orazio: una proposta per la biografia di Cherilo Eliminati i dettagli che sono interpretabili come errori o manipolazioni della tradizione (§ 9.1), la versione sulla ricezione negativa di Cherilo da parte di Alessandro potrebbe essere ancora considerata attendibile. A essa si oppone il racconto oraziano. In entrambe le versioni è presente una corrispondenza tra versi e monete: gli scolî raccontano l’aneddoto in forma completa e Orazio elimina la seconda parte

241 Naturalmente il riferimento a Omero e Achille era ben scelto: vd. cap. 3 § 5.4 e cap. 4 § 1.1. 242 Non diversamente, una tradizione riportata da Luciano Hist. conscr. 12 (FGrHist 139 T 4) riferisce che Alessandro avrebbe gettato nell’Idaspe l’opera di Aristobulo, giudicandola inverosimile e adulatoria: vd. Settis (1968) 66–67, Borzsák (1998a) 94–95; cf. Pownall (2013) ad T 4 e Moretti (2013) 19–23. 243 Cf. Fantuzzi (1988) lx, il quale ritiene tuttavia più probabile che la battuta sia stata davvero rivolta da Alessandro a Anassimene. 244 Per i paralleli tra i due aneddoti vd. Fantuzzi (1988) lxv.

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 Capitolo 2 Cherilo e Alessandro

del racconto o, al contrario, Orazio riporta la versione originaria, poi ampliata e distorta dagli scolî? Orazio in realtà non avrebbe alcun interesse nel falsificare la tradizione.245 Un intervento di questo tipo non sarebbe poi ascrivibile alla Suda (test. 1a), che pure riferisce la notizia di un premio in monete calcolato κατὰ ϲτίχον da attribuire a Cherilo di Iaso.246 Il riferimento ai colaphi è qui assente ed è improbabile supporre che il redattore del lemma lo abbia soppresso. La versione riflessa nel racconto di Orazio sembra inoltre sostanzialmente difficilior, perché narra un’accoglienza favorevole dell’opera di Cherilo, mentre tutte le altre fonti (Orazio e i suoi scoliasti inclusi) lo descrivono come cattivo poeta. La sua pessima fama può al contrario essere riconosciuta all’origine dell’invenzione e della diffusione di una versione alternativa, quale si legge in Pseudacrone (test. 7), che fa risalire la ricezione negativa dell’opera di Cherilo già al suo ‘committente’ (in modo non diverso da come fece chi gli attribuì l’epifonema su Achille e Tersite: § 9.1). Il fatto che fosse pagato con una moneta per ogni verso permise a qualcuno, non privo di uno humour un po’ macabro, di aggiungere che i Philippi gli furono donati solo per ogni verso ben composto; per tutti gli altri, che erano anche molto maggiori, egli ricevette invece colaphi. Questa trovata fu verosimilmente favorita dalla notizia dell’Ars poetica, dove Orazio ammette – ma con ben altre ragioni: vd. cap. 3 § 1.1 – di trovare ogni tanto (bis terve) un verso ben formulato anche in Cherilo. La tradizione erudita era poi particolarmente sensibile al fascino di morti straordinarie: l’invenzione di un simile aneddoto si comprende facilmente in un ambiente grammaticale. Il racconto di Pseudacrone secondo il quale i colaphi furono molti sembra peraltro presupporre l’idea di un longum carmen: se però Cherilo scrisse un Kleinepos (cf. cap. 4 § 1.1), la notizia degli scolî deve naturalmente essere considerata un falso. La versione di Orazio e della Suda appare dunque attendibile. La generosità di Alessandro è peraltro attestata nelle fonti: anche se alcuni episodi sembrano rielaborazioni successive, non si può dubitare che si trattasse di un tratto reale della sua personalità, attestato anche per altri sovrani macedoni.247 Lo stesso paga245 Cf. supra, § 2.2. 246 Sulla Suda vd. il cap. 1 § 1. 247 Riguardo a Pirrone vd. cap. 1 § 1.3. Su Senocrate, cui Alessandro avrebbe inviato una grande somma di denaro (50 talenti o 3000 dracme attiche), vd. Berti (2010) 239. Secondo Plut. Apophth. reg. 179f–180a, Alessandro avrebbe dato a Anassarco qualsiasi somma gli avesse chiesto, e non si sarebbe scomposto neanche di fronte alla richiesta di 100 talenti. Anche Focione, innanzitutto secondo Plut. Phoc. 18,1, avrebbe ricevuto 100 talenti da Alessandro. Riguardo ai predecessori, lo sfarzo di Archelao era proverbiale: vd. Aelian. Var. hist. 1,17 e 13,4. Naturalmente anche la notizia della somma che donava quotidianamente a Cherilo di Samo (cf. cap. 1 § 1.2) si iscrive in questa tradizione. Sul ruolo di Archelao vd. Hardiman (2010) 507.

9 Cherilo al séguito di Alessandro: «falsa mixta veris» 

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mento in Philippi sembra affidabile. Il riferimento esatto si trova solo in Orazio e negli scolî ad l., mentre nella Suda ricorre il generico, ma compatibile, ϲτατὴρ χρυϲοῦϲ (cf. cap. 1 § 1.3). Potrebbe sembrare strano il ricorso a questa moneta da parte di Alessandro, visto che all’epoca dell’anabasi egli aveva già coniato un proprio statere aureo (Ἀλεξάνδρειοϲ ο νόμιϲμα Ἀλεξάνδρειον). In realtà le denominazioni presto si confusero, perché il valore delle monete era del tutto equivalente, e infine prevalse ‘filippo’ a designare qualsiasi moneta aurea. Cherilo poté dunque essere pagato in monete che raffiguravano Alessandro e/o Filippo.248 Un dubbio può rimanere riguardo al dettaglio del pagamento κατὰ ϲτίχον. Il dato è tuttavia ben attestato, trovandosi in Pseudacrone (5a) e in Porfirione (5b), dove non è un autoschediasma tratto dall’Epistula ad Augustum, perché si legge anche nella Suda (test. 1a).249 Una retribuzione di questo tipo non sarebbe un unicum: qualcosa di simile è attestato anche per Oppiano e per Giovanni Lido.250 Essa è inoltre compatibile con l’idea di un poema di breve estensione. In ultima analisi, la vicenda sembra essersi svolta come racconta Orazio: Cherilo sarebbe stato premiato da Alessandro per i suoi versi  – forse con una moneta per ogni verso che aveva composto. La versione sulla sua morte si diffuse comunque presto, ed esisteva forse già all’epoca di Ovidio e forse già di Orazio, quando però non godeva di ampio credito rispetto all’altra: Orazio l’avrebbe ignorata (cf. supra, § 2.2); da Ovidio traspare probabilmente nell’Ibis solo per una confusione con Callistene, mentre il poeta seguiva la versione oraziana nei Tristia (§ 5).

248 Cf. Troxell (1997). Fedeli (1997) 1383 pensa a uno specifico riferimento alle monete di Filippo II. 249 Circa la possibilità che Orazio conoscesse questo dettaglio vd. supra, § 2.2. 250 Cf. Crusius (1899) 2362. Riferimenti e discussione nel cap. 1 § 1.3.

Capitolo 3  Il giudizio su Cherilo Filodemo, Orazio e l’estetica ellenistica La tradizione ‘oraziana’, pur non concorde se Alessandro abbia apprezzato l’epica di Cherilo, condivide senza eccezioni un giudizio negativo sull’opera del poeta. Questo è presentato senza ulteriori precisazioni in tutte le testimonianze. Il presente capitolo offre un’analisi dei passi di Filodemo, dell’Ars poetica di Orazio e di Festo, affrontando anche le testimonianze spurie, da attribuire a Cherilo di Samo (§§ 1–4). L’obiettivo è di specificare come e perché il giudizio sulla poesia di Cherilo sia stato formulato, indagando in particolare i modi in cui esso si cristallizzò fino a fare di lui il ‘peggior poeta’ greco. La sua fama va inscritta nel contesto dei dibattiti poetologici ellenistici di cui recano traccia almeno il De poematis di Filodemo e l’Ars poetica di Orazio. A partire da queste testimonianze è infatti possibile tentare una ricostruzione delle discussioni che ebbero luogo nel primo ellenismo. Un ruolo sembra da riconoscere al problematico confronto con il modello omerico, cui Alessandro – nuovo Achille – aveva chiesto ai propri poeti di attenersi (§ 5). Una conferma potrebbe essere individuata anche nell’epigramma di Cratete (§ 6). Alla luce di queste considerazioni è dunque possibile motivare, e quindi in certa misura relativizzare, il giudizio espresso sulla poesia di Cherilo, sebbene un esame del problema sia reso impossibile dalla scomparsa della sua opera (§ 7).

1 La testimonianza di Orazio, Ars poetica 1.1 Cherilo nell’Ars poetica: virtus ed error dei poeti Cherilo è ricordato nell’ultima macrosezione dell’Ars poetica (295–476), dedicata a delineare la figura del buon poeta. Sulla struttura dell’opera sono state avanzate varie proposte interpretative,1 ma l’unità di quest’ultima parte è assicurata dai versi 295–308, nei quali è tratteggiata una sorta di sommario degli argomenti trattati di lì alla conclusione.2 Orazio si dedica prima al problema relativo alla ricerca dell’argomento, connesso al sapere e all’insegnamento morale (309–322); dopo un 1 Sulla struttura dell’Ars vd. Brink (1963) 15–40 e Mangoni (1993) 53–59. Per gli studi precedenti cf. Sbordone (1981) 1866–1872, 1886–1902. 2 Cf. Brink (1971) 329–338. https://doi.org/10.1515/9783110747041-004

1 La testimonianza di Orazio, Ars poetica 

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breve excursus sul differente approccio educativo di Greci e Romani (323–332),3 passa quindi a trattare il problema dello scopo che il poeta deve perseguire, rappresentato dal connubio tra utile e dulce (333–346). Il riferimento a Cherilo è introdotto nella sezione seguente – segnalata da tamen –, che si dedica a definire quo virtus, quo ferat error (347–360).4 Secondo Orazio, gli errori in una buona opera meritano di essere perdonati, in quanto dovuti a incuria o a humana natura. Immaginando una richiesta di spiegazioni da parte del lettore (Quid ergo est?), Orazio prosegue introducendo il celebre confronto tra Cherilo e Omero (test. 3). Il senso dei versi è chiaro: i frequenti errori di Cherilo (come quelli di un cattivo copista o citaredo) non meritano di essere scusati, a differenza delle rare sviste di Omero. Il ragionamento procede tuttavia in modo mosso e lievemente ellittico, se non contraddittorio.5 In una nota apparentemente personale, l’autore rivela infatti di apprezzare ogni rara volta (bis terve) in cui incontra un verso di Cherilo ben composto,6 e di essere invece indispettito (indignor) dai pur sporadici errori di Omero – affermazione che è peraltro in contrasto rispetto a quanto affermato poco prima (non ego paucis | offendar maculis).7 Anche la similitudine non è del tutto coerente: come un copista e un citaredo sempre disattenti non meritano di essere scusati, così non dovrebbe esserlo neanche Cherilo – invece Orazio afferma letteralmente di guardare a Cherilo con ammirazione, sebbene un po’ divertita (cum risu miror). Anche i toni usati contro Omero sembrerebbero ingiustificatamente molto forti (somnum dormitare, con l’intensivo).8 Tali oscillazioni sono probabilmente dovute al peculiare posizionamento assunto da Orazio nel dibattito in cui si inseriva con questi versi e che si può tentare di ricostruire.

1.2 Gli errori di Omero, il confronto con Cherilo Nei versi di Orazio si incontrano temi ricorrenti in altri luoghi della letteratura poetologica antica, anch’essi dedicati al problema di definire la perfetta poesia, 3 La sezione è considerata in continuità con la precedente da Brink (1971) 338; contra, forse più correttamente, Kilpatrick (1990) 46–47. 4 Secondo l’indicazione del sommario (308). 5 A una contraddizione seppur apparente fa riferimento Fedeli (1997) 1582. 6 Su bis terve (‘raramente’), da preferire a bis terque (‘ripetutamente, spesso’), come suggerisce anche la tradizione indiretta, vd. Brink (1971) 366–367 ad l. 7 Sembra inutile speculare sulla differenza tra indignor e offendar: vd. Brink (1971) 367 ad l. 8 De Martino (1991) 48–53 studia il potenziale metaforico di questa espressione, mettendola in particolare in rapporto con la testimonianza di Quint. 10,1,24 relativa a Cicerone, che avrebbe sostenuto che anche Demostene di tanto in tanto sonnecchia (dormitare interim Demosthenes): Orazio si farebbe scudo di Cicerone nella sua ‘critica’ a Omero.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

sebbene da differenti prospettive. Orazio sembra combinare in particolare due topoi: la discussione sugli errori di Omero e la contrapposizione tra ottima e pessima poesia. La questione degli errori presenti nei poemi omerici era ai tempi di Orazio già antica. Per difendere Omero, soprattutto in àmbito aristotelico, si era talvolta cercato di dimostrare come ciò che sembrava un errore in realtà non lo fosse.9 Il metodo non poteva tuttavia funzionare per tutti i casi. Orazio adotta infatti una strategia apologetica più sofisticata: ammettere la presenza di errori in Omero, negando però che questi avrebbero compromesso l’eccellenza della sua poesia.10 Traccia di tale orientamento si ravvisa in un passo di Lucilio (345–347 Marx), in cui si afferma che di Omero si possono culpare singoli aspetti (versum unum, verbum, enthymema . . .) ma non l’intera opera (poesis),11 e soprattutto nel capitolo 33 del Sublime.12 ‘Longino’ inserisce il riferimento all’interno dell’excursus sul tema del rapporto tra grandezza/sublimità (μέγεθοϲ) e irreprensibilità/esattezza (τὸ . . . ἐν παντὶ ἀκριβὲϲ): la presenza di qualche distrazione è ritenuta inevitabile in opere sublimi.13 Tra le alternative sottoposte retoricamente al lettore (Eratostene–Archiloco, Bacchilide–Pindaro, Ione di Chio–Sofocle) appare anche Omero, confrontato con Apollonio Rodio.14 L’opposizione richiama quella tra poesia della μανία e poesia della τέχνη presente in un passo di Ermia Alessandrino, dove Omero e Pindaro sono contrapposti a Cherilo di Samo e Callimaco (test. °°21).15 ‘Longino’ sembra inoltre implicitamente criticare la poetica ellenistica.16 Orazio e ‘Longino’, che indipendentemente l’uno dall’altro sembrano rifarsi a un dibattito più ampio sul modo in cui intendere l’eccellenza poetica,17 condividono la stessa posizione teorica di fondo, pur nelle differenti prospettive. Come

9 Cf. Pfeiffer (1968) 69–74 e De Martino (1991) 48. 10 De Martino (1991) 48 indica questo indirizzo come «difesa statistica». 11 Ardizzoni (1953) 38–39 e n. 12 ritiene che Orazio avesse immediatamente presente questo passo; cf. però Brink (1971) 364, che sottolinea soprattutto le divergenze. 12 Tra gli altri, rinvio a Immisch (1932) 188–190, Rostagni (1939) 102, Ardizzoni (1953) 39 n. 13, Brink (1971) 363, 367–368, Manieri (1994) 111, Mazzucchi (20102) 257. 13 Discussione e analisi del passo in Mazzucchi (20102) 255–261. Cf. Halliwell (2021) 416–429. 14 A proposito della tendenziosità del riferimento vd. Mazzucchi (20102) 258. 15 Analizzato infra, § 4.1. Il confronto è proposto da Lombardi (1997) 101–102 e Mazzucchi (20102) 260. 16 Mazzucchi (20102) 259. Cf. anche Guidorizzi (1991) 159 n. 145, con richiamo a «una sorta di querelle des anciens et des modernes in cui i moderni sono esempi di una mediocrità sostenuta da una tecnica inappuntabile, gli antichi di grandezza anche se non priva di macchie». Contra Hunter in Fantuzzi  – Hunter (2004) 446. Sulla classificazione degli errori vd. Halliwell (2021) 422–423 ad l. 17 Sui passi paralleli e le relative differenze vd. Mazzucchi (20102) 256–256.

1 La testimonianza di Orazio, Ars poetica 

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Orazio, neanche ‘Longino’ si compiace degli errori e ne tenta anzi una classificazione distinguendo tra ἁμαρτήματα ἑκούϲια e sviste dovute alla distrazione (παροράματα δι᾽ ἀμέλειαν . . . cf. in Orazio incuria).18 In ‘Longino’ si trova affermata anche la tendenza a essere maggiormente impressionati dalle imperfezioni che non dai pregi di un’opera: si nota così che quella introdotta da Orazio come una nota personale era probabilmente un luogo comune molto diffuso.19 Tra Orazio e ‘Longino’ si osserva tuttavia una differenza sostanziale, che riguarda proprio Cherilo di Iaso. Orazio attingeva verosimilmente il riferimento a un’altra tradizione, di cui è possibile avere un’idea da alcuni passi filodemei (testt. 8, 9, °17), dove il tema è la contrapposizione tra ottima e pessima poesia.20 Il riferimento risulta infatti irriducibile al dibattito attestato innanzitutto in ‘Longino’, nel quale Cherilo non trova spazio e sarebbe d’altra parte fuori luogo: per dimostrare l’eccellenza di Omero nonostante i suoi errori, Orazio avrebbe piuttosto dovuto fare riferimento a poeti irreprensibili, non certo al ‘peggior poeta’ greco; in ‘Longino’ Omero si trova infatti contrapposto a Apollonio. Ne deriva, rispetto al Sublime, una diversa enfasi posta sull’errore: ‘Longino’ insiste maggiormente sulla necessità dell’imperfezione, che risulta quasi un male necessario, connaturato alla poesia sublime, Orazio invece sull’opportunità di scusare gli errori della migliore poesia, nonostante si sia istintivamente portati a fare il contrario. Nella sostituzione, potrebbe aver giocato un ruolo anche il debito di Orazio nei confronti della poetica ellenistica, che costituisce un termine chiaramente negativo nella tradizione attestata nel Sublime.21 Lo scarto introdotto da Orazio sembra in ogni caso ancora percepibile nella lieve deviazione dal ragionamento condotto sino a questo punto, già notato supra (§ 1.1).22 Il v. 360 chiarisce perciò infine il pensiero di Orazio, recuperando le fila di un discorso leggermente divagante:23 anche se si sarebbe indotti a condannare Omero e a giustificare Cherilo, Orazio invita a un giudizio equilibrato, basato sulla valutazione che alcune sviste sono inevitabili in un opus longum.

18 Diversamente Brink (1971) 363 ravvisa una differenza tra ‘Longino’ e Orazio proprio su questo punto. La posizione di Orazio è giudicata «più pragmatica di quella di L(ongino)» da Halliwell (2021) 423. 19 Lo si trova anche in Cic. De or. 1,129. 20 Per l’analisi di questi passi vd. infra, § 2; su Orazio e Filodemo § 2.4. 21 Sull’anti-alessandrinismo di ‘Longino’ vd. Mazzucchi (20102) 259–260. Riguardo al rapporto tra Orazio e Omero, che pure potrebbe marcare una differenza rispetto al Sublime, vd. De Martino (1991). 22 Una differente lettura delle oscillazioni alla luce dell’ ‘umanità’ di Orazio offre Ferriss-Hill (2019) 58–59. 23 Anche per questo motivo non può essere espunto, come talvolta si è proposto. Cf. anche Brink (1971) 368 ad l. e Fedeli (1997) 1582–1583.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

1.3 Cherilo e l’ut pictura poesis Il ragionamento di Orazio non sembra concludersi con il v. 360, ma con la sezione immediatamente seguente (361–365), dove è introdotto il celebre paragone tra poesia e arti figurative (ut pictura poesis).24 Il confronto tra pittura e poesia è qui scandito in tre coppie antitetiche che giocano sul limite della metafora (alcune caratteristiche si addicono infatti alla pittura, altre alla poesia): A) propius vs A1) longius, B) obscurum vs B1) sub luce, C) placuit semel vs C1) deciens repetita placebit.25 Il passaggio è generalmente connesso alla parte che segue (costituirebbe cioè l’inizio della parte dedicata alla trattazione della mediocrità in poesia: 366–390).26 Sull’interpretazione non vi è poi accordo, ma i critici tendono a riconoscere una contrapposizione tra buone e cattive opere d’arte e cercano poi di ricondurre le varie caratteristiche alla polarità positiva o negativa, ipotizzando quasi sempre uno o più chiasmi nel testo oraziano.27 Il problema sembra superabile leggendo questi versi in relazione alla sezione precedente e non alla successiva. Non c’è infatti alcuno stacco dai versi precedenti, mentre con i seguenti il passaggio è marcato dall’invocazione ai Pisoni, che segnala anche formalmente l’inizio della nuova sezione sulla mediocritas.28 Inoltre, ut pictura riprende anaforicamente ut scriptor: a così breve distanza, ciò è difficilmente casuale. Il legame con i versi relativi a Cherilo e Omero è marcato anche da precise corrispondenze verbali: semel (365) è identico a bis terve (358); sub luce richiama nitent (351). Conferme esterne provengono infine dal confronto con almeno due loci paralleli: un passo di Cicerone (Tusc. 5,114), dove proprio la poesia di Omero è definita pictura,29 e un passo del De poematis di Filodemo

24 Per l’analisi di questo fortunato passo mi limito a rinviare a Ardizzoni (1953) 36–39, Brink (1971) 368–372, Trimpi (1973), Rudd (1989) 209, Manieri (1994). 25 Riprendo lo schema proposto da Trimpi (1973) 1–2. 26 Con l’eccezione di Ardizzoni (1953) 37–39; cf. anche Fedeli (1997) 1583. Vd. invece tra gli altri Brink (1971) 368: «Horace makes an abrupt new start». Cf. anche Rostagni (1939) 103 ad l. 27 Con l’eccezione di Trimpi (1973). Riassunto delle posizioni in Manieri (1994) 106–110, cui si può aggiungere Rudd (1989) 209. Secondo Manieri, invece, Orazio distinguerebbe due modi di comporre e di fruire la poesia, diversi ma entrambi leciti. Cf. anche Ferriss-Hill (2019) 187–118. È tuttavia difficile non cogliere una valutazione anche di ordine estetico almeno nella seconda e nella terza coppia antitetica, le quali si riferiscono a una poesia che per essere apprezzata deve essere letta in penombra – su entrambi gli aspetti Rudd (1989) 209 ad l. –; sembra invece giudicata positivamente quella che vuole essere contemplata in piena luce (Orazio precisa peraltro che quest’ultima non teme il giudizio del critico) e che letta più volte reca sempre lo stesso piacere. Così anche Fedeli (1997) 1583. 28 Kilpatrick (1990) 48: «The most decisive break in the poem occurs at v. 366». 29 Vd. già Ardizzoni (1953) 38 n. 12.

1 La testimonianza di Orazio, Ars poetica 

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(°17), in cui la contrapposizione Omero/Anassimene (e Cherilo?) introduce un paragone con la pittura.30 Se il confronto tra Cherilo e Omero si conclude nel parallelismo instaurato tra poesis e pictura,31 i termini delle coppie antitetiche vanno attribuiti rispettivamente a Omero e Cherilo senza ipotizzare chiasmi o altre figure di ordine:32 a Omero sono attribuibili i termini A1 B1 C1 (la sua poesia va contemplata longius, perché da vicino mostra qualche difetto; sub luce, perché in essa plura nitent;33 si apprezza – ovviamente – anche deciens repetita); a Cherilo A B C (la sua poesia può essere apprezzata propius, perché solo così si notano gli unici due o tre versi ben composti;34 obscurum, per non coglierne la struttura complessiva, senz’altro insufficiente; si apprezza comunque semel, perché le successive letture ristabiliscono il corretto giudizio). Anche in questo caso si potrebbero notare lievi incongruenze: la poesia di Omero, a rigore, se fruita sub luce, dovrebbe mostrare dei difetti,35 mentre l’idea sembra qui trasferita a longius; allo stesso modo, l’osservazione propius della poesia di Cherilo dovrebbe farne notare le mancanze. La conclusione è tuttavia suggerita da precise riprese verbali e dal senso generale. Il ragionamento risulta nel complesso molto chiaro e lievi oscillazioni caratterizzavano anche i versi precedenti, come si è notato.

1.4 Fonti oraziane. Orazio lettore di Cherilo? L’affinità che i passi di Orazio e di Filodemo relativi a Cherilo rivelano non sembra dovuta a un caso, se si considera il legame, forse anche personale, che unisce i

30 Il confronto è significativo anche senza accogliere la proposta di Janko (discussa infra, § 2.3): nel passo di Filodemo buoni e cattivi poeti sono accostati a buoni e cattivi pittori. 31 Così già Ardizzoni (1953) 38–39, che però attribuiva a Omero A B1 C1 e a Cherilo A1 B C, con le contraddizioni che segnala anche Manieri (1994) 110. 32 Come già Trimpi (1973), la cui ricostruzione è tuttavia giustamente criticata da Manieri (1994) 108–109. Chiasmi sono presupposti anche nella ricostruzione di Ardizzoni (1953) 37–39. 33 Manieri (1994) 110 contesta infatti a Ardizzoni di assimilare «la poësis di Omero alle pitture che vogliono essere viste da vicino e in piena luce. Questo perché, come si è visto, nei versi che introducono il discorso sull’ut pictura poësis, Orazio non esita a rilevare la presenza di piccole “macchie” in Omero». 34 Così risolverei il problema della contrapposizione tra propius e longius, per la quale la critica  – con la sola eccezione di Trimpi (1973)  – ha ritenuto necessario ipotizzare un chiasmo: propius appare infatti una caratteristica positiva, a differenza di longius. Vd. tra gli altri Manieri (1994) 108–109. 35 Cf. Manieri (1994) 110.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

due autori.36 La fonte di Orazio nell’Epistula ad Augustum non può tuttavia essere il De poematis, dove non si leggono le stesse notizie, come si è già dimostrato (cap. 2 § 2.3). Per la pessima reputazione di Cherilo, dichiarata invece in entrambi gli autori, Filodemo potrebbe ancora essere ritenuto la fonte di Orazio.37 In realtà, stabilire se Orazio ebbe presenti i passi di Filodemo è un falso problema.38 Sia nell’Ars sia nel De poematis Cherilo è infatti presentato come cattivo poeta per eccellenza, senza alcuna ulteriore precisazione – segno che tale fama era ampiamente nota anche fuori dal circolo di Filodemo.39 Nulla consente di escludere che Orazio conoscesse Cherilo anche dalla lettura del De poematis.40 È inoltre possibile che sia Filodemo sia Orazio ne trovassero riferimento in una fonte comune, Neottolemo di Pario, noto a entrambi.41 Nei due autori Cherilo appare in ogni caso un personaggio ormai topico. Un problema differente è costituito dall’eventuale lettura di Cherilo da parte di Orazio.42 Nell’Ars egli si presenta come lettore di Cherilo, nell’atto di meravigliarsi (miror) ogni volta che incontra un verso ben composto. Questa sembra tuttavia un’invenzione poetica e la fama del poeta non deve avergli suggerito una lettura particolarmente attenta – se mai questa avvenne. Non è però improbabile che egli avesse ancora accesso all’opera di Cherilo. Una circolazione in età augustea dell’opera del ‘poetastro’ non è improbabile alla luce dell’imitatio Alexandri di Augusto, che spiegherebbe un interesse per la letteratura su Alessandro;43 è inoltre noto il legame di Orazio con la letteratura ellenistica. Il giudizio espresso

36 Filodemo è citato da Orazio in Sat. 1,2,121, mentre Filodemo non ricorda mai Orazio, neanche nel De vitiis, dove menziona Virgilio, Plozio (Tucca), (Lucio) Vario e Quintilio (Varo). Sul problema vd. da ultimo Indelli (2019). In particolare, l’Ars poetica è dedicata a L. Calpurnio Pisone Pontifex (e ai suoi figli) e il proprietario della ‘Villa dei papiri’ a Ercolano apparteneva probabilmente alla stessa gens Calpurnia (il proprietario è generalmente identificato con L. Calpurnio Pisone Cesonino, il patronus di Filodemo, teste Cic. Pis. 68–72). La nuova cronologia proposta per la Villa non cambierebbe questa ricostruzione. Si accorderebbe infatti perfettamente con Pisone Pontifex stesso: cf. Dorandi (2017) 193–194. 37 Così Braccesi (2010) 247 = (2019) 117–118 e (2014) 110. 38 Un rapporto diretto è postulato da Braccesi (2010) 247 = (2019) 117–118 e (2014) 110. La convergenza era notata già da Crusius (1899) 2362, Berve (1926) II 409, Rostagni (1939) 102, Brink (1971) 366, Alessandrì (1969) 208, Radici Colace (1996) 688. 39 Su Orazio cf. cap. 2 § 2.2, per Filodemo infra, § 2.4. 40 Ed eventualmente dalle conversazioni avute con Filodemo. Cf. Cataudella (1950) = (1974) II 79–95. 41 Cf. Wilkinson (19512) 97 n. 1, Sbordone (1981) 1882, Mangoni (1993) 56–59. Sulle fonti di Filodemo vd. infra, § 2.4. 42 Generalmente negata: Rostagni (1939) 102, Alessandrì (1969) 205, Radici Colace (1996) 688, Coppola (2017) 127. Diversamente Tarn (1948) II 61, Bellinger (1957) 99. 43 Cf. cap. 2 § 2.1.

2 La testimonianza di Filodemo, De poematis 

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nell’Ars non sembra in ogni caso basato su una diretta conoscenza del poeta, come si è notato, anche se essa può avere eventualmente confermato il giudizio corrente sui suoi versi. La possibilità che Orazio abbia almeno avuto tra le mani l’opera di Cherilo sembra suggerita anche dalla sua conoscenza dell’estensione del poema, probabilmente molto limitata (cf. cap. 4 § 1.1).44 È in ogni caso da escludere che Orazio abbia citato versi di Cherilo. Anche se ne ebbe una vaga conoscenza diretta, come si è suggerito, la considerazione in cui ne teneva la poesia rende improbabile una ripresa letterale.45 L’incipit del ‘secondo preambolo’ dell’Epistula ad Augustum, che ricorre similmente in Curzio, non può peraltro avere come fonte Cherilo; è anzi Curzio a citare Orazio.46 Qualche possibilità in più potrebbe forse avere un passo dell’Epistula ad Florum (Epist. 2,2,214: lusisti satis, edisti satis atque bibisti) che richiama un verso dell’epitafio per Sardanapalo, in qualche modo connesso a Cherilo (epigr. °1,1–2: ταῦτ᾽ ἔχω ὅϲϲ᾽ ἔφαγον καὶ ἐφύβριϲα καὶ μετ᾽ ἔρωτοϲ | τέρπν᾽ ἔπαθον). Il tema è tuttavia topico; l’epigramma era stato tradotto anche da Cicerone (Tusc. 5,101); Orazio potrebbe peraltro avere qui presente un verso di Livio Andronico (fr. 41 Morel).47

2 La testimonianza di Filodemo, De poematis Cherilo di Iaso è ricordato due volte da Filodemo nel De poematis (testt. 8–9). Il suo nome è inoltre proposto come integrazione da Janko in un altro passo della stessa opera (°17).48

2.1 Eufonia e ϲύνθεϲιϲ nei buoni e nei cattivi poeti La prima testimonianza filodemea (8, conservato in P.Herc. 994) deriva dal libro 2 del De poematis.49 Filodemo attacca qui diversi ‘eufonisti’, teorici di vario orienta44 Diversamente dagli scolî, su cui vd. cap. 2 § 3.3. 45 Decisive a questo proposito le considerazioni di Alessandrì (1969) 205. 46 Cf. cap. 2 § 4. 47 Vd. Brink (1982) 411; sulla paternità dell’epigramma vd. cap. 4 § 2.1. 48 L’integrazione Χο̣ [ιρίλοϲ proposta da Philippson (1920) 268 a P.Herc. 247 IVb 21 (Choeril. Sam. test. °15 B.2), che riporta un passo del De pietate di Filodemo, è invece assai incerta (e potrebbe comunque eventualmente trattarsi di Cherilo di Samo): vd. Schober (1988) 80. Per una possibile menzione nel De vitiis vd. cap. 2 § 2.3. 49 Un’analisi più estesa del passo filodemeo in Pelucchi (2022) 28–30. Per le indicazioni relative al papiro, ai disegni e agli studi precedenti rinvio a Janko (2020) rispettivamente 49–55, 59–60, 61–62, 5–16.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

mento che ravvisavano nella qualità dei suoni (εὐφονία) e nel loro accostamento (ϲύνθεϲιϲ) la causa irrazionale del piacere estetico.50 Nel primo libro si trovava un riassunto delle loro posizioni, verosimilmente attinto a uno scritto di Cratete di Mallo; già nel primo e poi per tutto il secondo libro esse erano quindi confutate, con ogni probabilità nello stesso ordine.51 In particolare, nella sezione cui appartiene il passo nel quale è menzionato Cherilo, Filodemo critica l’analisi dei suoni proposta da un ‘eufonista’ le cui posizioni erano state esposte nel libro precedente (il passo corrispondente sembra tuttavia perduto). Se l’avversario fosse Cratete di Mallo, uno dei suoi seguaci o Pausimaco, non è chiaro (il soggetto di ὑπελάμβανε è implicito): secondo Janko, Filodemo si opporrebbe qui a Pausimaco, ‘the most radical of euphonists’.52 L’opzione è la più probabile, anche se in una situazione testuale così intricata non sembra possibile trovare argomenti definitivi.53 In ogni caso, in questo passo Filodemo ricorre alla contrapposizione tra buoni e cattivi poeti (Omero vs Cherilo e Anassimene, Euripide vs Carcino e Cleeneto) per evidenziare una contraddizione presente nel ragionamento dell’avversario, riportato probabilmente secondo il resoconto fornito da Cratete. Essa non va individuata nel fatto che l’avversario, pur riconoscendo la preminenza (ἡγημονία) dei suoni, avrebbe affermato che buoni e cattivi poeti differiscono in ‘ciò che è centrale e principalissimo tra gli elementi insiti nell’arte poetica’ (τ̣ ὸ ϲυνέ̣ χο̣ ν καὶ κυριώτατον̣ τῶν ἐμ ποιη̣ τικῆι); l’aggiunta di δέ dopo κυριώτατον̣ è infatti ingiustificata.54 ἡγημονία e τ̣ ὸ ϲυνέ̣ χο̣ ν καὶ κυριώτατον̣ τῶν ἐμ ποιη̣ τικῆι sembrano invece sinonimi e le due affermazioni non sono dunque in contrasto: proprio perché 50 Cf. Rispoli (1984), Janko (20032) 120–189, Pace (2009) 257–258. Il rapporto con i così detti κριτικοί non è pacifico: cf. Janko (20032) 125–127. 51 Vd. da ultimo Janko (2020) 154–156. Non è chiaro se Cratete sia la fonte diretta o indiretta (via Zenone Sidonio): cf. Janko (2020) 154 e n. 7, con ulteriore bibliografia. Sulle corrispondenze tra riassunto e confutazione vd. Janko (20032) 128–129, cf. 92–93, 103, con gli aggiornamenti in Janko (2020) 98, 133, cf. 100–103. 52 Janko (2020) 131–133. La definizione è ripresa da Janko (20032) 188. Sbordone (1983) 150 propende per il seguace di Cratete, ma è più dubbioso in Sbordone (1976) xxx, come ancora Janko (20032) 173 n. 2. 53 Inoltre, questo passaggio non è più da ritenere la confutazione di Poem. 1 col. 126,24–127,5, in cui erano riassunte tesi di Pausimaco (fr. 130 Janko), come aveva inizialmente ritenuto Janko (20032) 341 n. 7: vd. ora Janko (2020) 473 n. 5, 597–598. Omero e Euripide compaiono tra gli autori preferiti da Pausimaco  – vd. Janko (2020) 150–151  –, ma neanche questo è davvero conclusivo. Anassimene e forse Cherilo sono confrontati con Omero anche in Poem. 1 col. 43 (test. °17), ora assegnato da Janko a Eracleodoro (e non più allo stesso Pausimaco): vd. Janko (2020) 133, 530–531. 54 La proposta risale a Gomperz (1891) 37 ed è accolta da Sbordone (1976) 87 e da Nardelli (1982) 488. Vd. Janko (20202) 88–89 n. 4, ma già Usener (1888a) = I (1912) 328.

2 La testimonianza di Filodemo, De poematis 

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riconosce l’egemonia nei suoni, l’avversario ritiene che la contrapposizione tra buona e cattiva poesia si giochi su questo piano. La contraddizione – segnalata da una reductio ad absurdum – è la seguente: se il metro di giudizio fosse costituito dalla sola εὐφονία, non ci dovrebbe essere differenza tra ottimi e pessimi poeti, perché tutti si servono delle stesse lettere, sillabe e parole, e perciò degli stessi suoni. Ottima e pessima poesia sono però differenti e quindi i suoni non possono essere l’elemento ‘costitutivo e più importante’ della poesia.55 Lasciando da parte il valore dell’argomento proposto da Filodemo, che potrebbe anche essere retorico, il séguito (col. 25,15–26,10) sembra confermare questa ricostruzione. Le tradizioni relative ai poeti citati da Filodemo come esempi negativi (Cherilo, Anassimene, Carcino, Cleeneto) sono particolarmente sporadiche, come prevedibile per autori che godettero di una reputazione così negativa. Si possono tuttavia individuare tracce di tale giudizio anche fuori da Filodemo, che non può dunque essere considerato l’inventore della nomea dei poeti citati – neanche di quella di Cherilo.56 L’accostamento di Cherilo e Anassimene assicura l’identificazione dei due personaggi citati con gli omonimi poeti di Alessandro. Cherilo non può che essere lo Iaseo anche perché non sembra che il Samio si sia mai guadagnato una fama così sfavorevole (cf. infra, § 5.2). Riguardo a Anassimene (FGrHist 72 T 26, SH 45), la questione è più complessa, perché è incerto se si debba seguire la notizia dell’esistenza di due Anassimeni di Lampsaco (Diog. Laert 2,3), uno retore (probabilmente autore della Rhetorica ad Alexandrum) e l’altro storiografo di Filippo II: il primo sarebbe il miglior candidato, perché Suda α 1989 testimonia che avrebbe accompagnato Alessandro in Oriente.57 Poiché Diogene è il solo a ricordare due Anassimeni, si ritiene solitamente che la distinzione non sia affidabile: il retore e lo storico sarebbero la stessa persona, mentre il nipote (ammesso che sia mai esistito) avrebbe scritto solo opere minori. In questo secondo caso, il poema su Alessandro andrebbe verosimilmente assegnato al primo Anassimene e non all’omonimo ‘minore’.58 A ogni modo Filodemo (o il suo avversario) doveva attingere a una tradizione che gli attribuiva ἔπη ἐϲ Ἀλέξανδρον, la quale si può supporre abbia goduto di un certo credito, se ancora Pausania 6,18,2 negava l’autenticità dell’opera. Tale giudizio a proposito della poesia di Anassimene non è altrimenti attestato, ma sembra 55 Vd. la parafrasi di Sbordone (1983) 150; cf. Sbordone (1976) xxx. 56 Vd. anche infra, § 2.4. 57 Usener (1888a) = I (1912) 328, Pearson (1960) 244, Janko (20032) 232–233 n. 1 e (2020) 473 n. 6, Williams (2013) ad T 26a–d. 58 Williams (2013) ad T 3 e 6. Ritengono che sia la stessa persona anche Fantuzzi (1988) lix–lxi e Barbantani (2017) 71.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

originario, perché è attestato anche per altri poeti alla corte di Alessandro.59 In questa luce va forse compresa la resistenza di Pausania ad assegnare l’opera a Anassimene di Lampsaco: dal momento che egli conosceva un solo Anassimene, doveva giudicare l’opera qualitativamente incompatibile con il grande storico e retore allievo di Aristotele.60 L’ordine con cui Filodemo presenta prima Cherilo e poi Anassimene non è in ogni caso necessariamente cronologico, ma va spiegato alla luce della più ampia circolazione della fama di Cherilo rispetto a quella di Anassimene, meno noto come poeta epico.61 La nomea di Cleeneto e ‘Carcino’ non è attestata altrove in termini così negativi, ma anche in questo caso non occorre pensare a una Augenblickserfindung di Filodemo o della sua fonte.62 Cleeneto (TrGF 84) era infatti già deriso in una commedia di Alessi (fr. 268 K.–A.) per la sua ghiottoneria: poiché in commedia i tragediografi sono spesso accusati di golosità, Alessi intende alludere con ogni probabilità ad alcuni aspetti dell’arte del tragediografo, mettendoli in ridicolo. L’allusione a ‘Carcino’ è più sibillina. Sono infatti noti due tragediografi con questo nome, uno nipote dell’altro, vissuti rispettivamente nel V e nel IV secolo a.C.: Carcino I (TrGF 21) e Carcino II (70). Contrariamente a quanto generalmente ritenuto, non ci sono buone ragioni per propendere necessariamente per Carcino II.63 Carcino I sembra più adatto per il ruolo di ‘pessimo tragediografo’: gli attacchi cui Aristofane sottopose il suo stile verbale e coreografico lasciarono una traccia significativa nella cultura grammaticale, come rivelano gli ampi scolî relativi a questi passi. Carcino II non ebbe invece mai tale fama; egli sembra anzi letto e apprezzato fino all’età imperiale, come rivelano i cenni e le citazioni in Aristotele, in Lisia, in Menandro e in Plutarco. L’accostamento a un tragediografo di IV secolo come Cleeneto lascia tuttavia propendere per un autore contemporaneo; ciò sarebbe anche simmetrico allo stretto legame tra Cherilo e Anassimene. Si potrebbe dunque proporre che Filodemo (o il suo avversario) abbia attribuito a Carcino II – per errore o per una distorsione ritenuta opportuna o comunque accettabile, anche alla luce della parentela tra i due – alcuni tratti deteriori che la tradizione di matrice aristofanea aveva assegnato a Carcino I.

59 Cf. infra, § 5.1. 60 Pausania riporta non senza ammirazione alcuni aneddoti su Anassimene e ne dichiara l’abilità retorica (FGrHist 72 T 6). 61 Cherilo è singolarmente citato in test. 9; il nome Anassimene è invece accompagnato a quello di un altro poeta (forse proprio Cherilo) anche in °17; vd. anche il problematico Ἀναξ[ in un passo del terzo libro (infra, § 2.2). 62 Su Cleeneto e Carcino vd. più diffusamente Pelucchi (2022) 31–35. 63 Discussione in Pelucchi (2022) 33–35.

2 La testimonianza di Filodemo, De poematis 

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2.2 L’originalità come criterio della buona poesia La seconda testimonianza filodemea deriva dal libro 3 del De poematis.64 Si tratta di una sezione dell’opera estremamente lacunosa, anche perché il sommario degli argomenti di questo libro è perduto, ma sembra che la polemica vertesse innanzitutto sulle relazioni tra suono, dettato ed eccellenza poetica. Janko ha potuto perciò sostenere che Filodemo attaccasse un unico avversario (‘critic A’) vicino alle posizioni dei κριτικοί, che propone di identificare con Cratete di Mallo.65 Nel fr. 28 (test. 9, conservato in P.Herc. 1403) Filodemo o il suo avversario si interrogano in particolare se nell’originalità si debba ravvisare l’elemento che contraddistingue (ἰδιότηϲ) la buona poesia. La risposta sembra negativa: il poeta di cui si tratta, il cui nome è perduto (con ogni probabilità un tragediografo, forse Carcino o Cleeneto di test. 8), pur essendo completamente originale, possiede l’eccellenza (ἀρετή) non dell’ ἐπαινετὸϲ τραγῳδόϲ, ma di Cherilo.66 Cherilo è forse qui citato semplicemente come pessimo poeta per eccellenza, ma il riferimento alla sua poesia in rapporto al tema dell’originalità potrebbe non essere casuale, come si vedrà (infra, § 5.4). I frammenti che immediatamente precedono e seguono permettono solo una vaga contestualizzazione. Soprattutto i primi sono particolarmente disperanti; sembra che la discussione vertesse sui suoni,67 e che il tema fosse messo in relazione a commedia e tragedia (frr. 23–24). Da Ἀναξ[- - - di fr. 23,4 non si può concludere molto, perché non è certo che vada integrato con il nome di Anassimene.68 Il riferimento a Euripide immediatamente successivo (fr. 29,14) è contenuto in un ragionamento verosimilmente speculare a quello esposto in test. 9: il tragediografo deve essere ritenuto eccellente anche se non è il πρῶτοϲ εὑρετήϲ (di che cosa? Janko propone μ̣ [έλοϲ, ma il testo è incertissimo). Altre considerazioni sono necessariamente più congetturali, anche perché le linee finali di fr. 28 risultano

64 Per le indicazioni relative al papiro, al disegno e agli studi precedenti rinvio a Janko (20202) rispettivamente 21–22, 28, 17–18. 65 Cf. Janko (20202) 57–64, anche per la bibliografia sui κριτικοί. 66 Parafrasi in Janko (20202) 88 n. 4. Spina (1988) 107, inizialmente seguito da Janko (20032) 23 n. 8, aveva proposto Κλε|αι]νέτου, che però avrebbe richiesto l’articolo, per il quale non vi è spazio: cf. D. Armstrong ap. Janko (20202) 88 ad l.; l’integrazione è da rifiutare anche perché non darebbe senso; il ragionamento suonerebbe all’incirca così: ‘Il cattivo poeta, pur essendo originale, non è uguale a Cleeneto (cioè a un cattivo tragediografo) ma a Cherilo (cioè a un cattivo poeta epico)’. Janko (20202) 88–89 n. 4 (che integra ἐπαινετὸϲ) ammette che il riferimento ai due tragediografi rimane il più probabile. 67 Janko (20202) 53. 68 Vd. Janko (20202) 87 n. 2 (con altre possibilità). Il contesto farebbe peraltro pensare a un tragediografo. Scettica anche Williams (2013) ad T 26d.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

corrette dal copista.69 Sembrano tuttavia esservi buone ragioni per ritenere che la peculiarità (ἰδιότηϲ) della poesia, e soprattutto della buona poesia, costituisse il filo rosso di una buona parte del libro.70 La discussione sembra già avviata all’inizio di P.Herc. 1087, almeno per quanto si può dedurre dalle parole leggibili negli scarni lacerti di fr. 1, che contiene un riferimento a Omero e Euripide, i due boni poetae per antonomasia già in test. 8.

2.3 (Cherilo?,) Anassimene, Omero e la pittura Janko ha integrato il nome di Cherilo in un altro luogo del De poematis (test. °17). Si tratta di un oscuro passaggio del primo libro del trattato: il nome di Cherilo sarebbe stato presente alla fine della colonna 42 (conservata in N 1073), completamente mutila della seconda metà. Nella colonna successiva (da N 466), molto meglio conservata,71 Filodemo riporta le affermazioni di un avversario, in cui Janko ha riconosciuto Pausimaco,72 che oppone Omero a Anassimene, ricordati rispettivamente come buono e cattivo poeta per antonomasia.73 Il contrasto era utile a Pausimaco, con ogni probabilità, per mostrare che la cattiva poesia non migliora se declamata, mentre i poemi omerici ricevono giovamento da una lettura ad alta voce. Anassimene manca infatti dell’ ἴδιον della poesia: in sua assenza, i poeti finiscono come i cattivi pittori, che non colgono l’oggetto che raffigurano e anzi lo alterano.74 L’integrazione del riferimento a Cherilo appare giustificabile sotto varî punti di vista. a) Il plurale -των (l. 2), integrato da Javarone αὐ]|τῶν e da Janko τού]|των, assicura che Ἀναξιμένηϲ era correlato da καὶ con un altro soggetto: verosimilmente, il nome di un poeta che doveva trovarsi alla fine della colonna precedente.75 69 Così Janko (20202) 88 app. 70 Ricorre sia prima (fr. 15) sia dopo (frr. 43, 54). Vd. Janko (20202) 51–52. 71 Entrambi i papiri sono andati perduti nelle operazioni di scorzatura, ma sono ricostruibili grazie ai disegni e alle trascrizioni degli interpreti: vd. le indicazioni in Janko (20032) rispettivamente 28, 32–39, cf. 39–47 per gli studi precedenti. 72 Janko (20032) 231 n. 1. 73 Vd. già Nardelli (1983) 147. 74 Parafrasi e commento di questo passo in Janko (20032) 167, 232–233. Nella traduzione di Janko, l’ ἴδιον sembra qui corrispondere ai πράγματα, ‘contents’, ma potrebbe anche trattarsi della ϲύνθεϲιϲ, come si ci aspetterebbe da un κριτικόϲ. Nella parte precedente del papiro, da cui il frammento è diviso da una ampia lacuna, il tema era proprio la ϲύνθεϲιϲ, affermata come criterio della buona poesia (5–9). Per questi motivi, nella tradizione ho mantenuto l’incertezza sul valore di πράγματα, che qui potrebbe anche avere il significato meno tecnico di ‘opera letteraria’. 75 La connessione tra le due colonne è stabilita da Janko (20032) 231 n. 1.

2 La testimonianza di Filodemo, De poematis 

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b) Perché la contrapposizione di Omero abbia senso, bisogna pensare alla correlazione con il nome di un malus poeta, il quale non può che essere Cherilo: i due cantori di Alessandro sono infatti menzionati insieme anche in test. 8. Sarebbe improbabile presupporre l’accostamento a Carcino o Cleeneto. Il tema trattato nei due frammenti è naturalmente simile, cioè la contrapposizione tra buona e cattiva poesia, ma i passi sembrano avere in comune anche la discussione di teorie dello stesso avversario (o comunque di avversari differenti, ma di posizioni simili). Se la connessione stabilita da Janko fosse accertabile, il cenno all’ ἰδιότηϲ all’inizio della col. 42 richiamerebbe anche un altro passo dove si fa riferimento a Cherilo (test. 9).76 c) Il raffronto instaurato tra poesia e pittura è confrontabile con la testimonianza dall’Ars poetica di Orazio (4),77 dove il parallelo tra pictura e poesis chiude – almeno secondo l’interpretazione del passo oraziano proposta supra (§ 1.3) – la sezione dedicata al tema della perdonabilità degli errori dei poeti, contenente il riferimento a Cherilo. L’integrazione di Janko è dunque non solo plausibile ma anche probabile,78 sebbene l’assenza di una sia pur minima traccia testuale suggerisca di mantenere la testimonianza tra i dubia.

2.4 Cherilo prima e dopo Filodemo I luoghi filodemei sono cronologicamente i primi ad attestare la fama di Cherilo di Iaso:79 se in test. 8 (e forse °17) è ancora avvicinato a Anassimene nel confronto con Omero – dunque come malus poeta epico –, test. 9, dove Cherilo compare da solo e in una pointe di tono quasi proverbiale, suggerisce che egli era già ritenuto il pessimus poeta per antonomasia. Filodemo non è tuttavia all’origine della fama negativa di Cherilo (lo stesso vale anche per gli altri poeti citati in test. 8: cf. supra, § 2.1). La rapidità dei riferimenti lascia intuire che essa era nota a Filodemo e al suo pubblico. In tutti questi

76 Vd. supra, § 2.2. All’inizio di col. 42, qualcosa è definito come ciò che è πρῶ[τ]όν τ̣ ε καὶ ἴδιον e può quindi determinare se un’opera sia buona o meno: ipotesi in Janko (20032) 231 n. 3. 77 Janko (20032) 231 n. 8 e già Nardelli (1983) 148. 78 Favorevole anche Williams (2013) ad T 26b. Non sembra invece significativo il confronto – proposto da Janko (20032) 231 n. 8 – tra la critica rivolta in questo luogo a (Cherilo e) Anassimene e le riserve espresse nei Topici da Aristotele (test. °°22): cf. infra, § 4.2. 79 La cronologia tradizionale di Filodemo è confermata da ultimo da Fleischer (2019). Una alternativa per la data di nascita è proposta da Angeli (2019) 52–57.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

passi sembra peraltro che Filodemo stia citando il proprio avversario.80 Ciò non stupisce alla luce del modo assai pedissequo in cui Filodemo riporta le proprie fonti, in particolare nel caso del suo maestro, Zenone di Sidone.81 Filodemo segue inoltre solitamente la distinzione tra i diversi generi letterari, apparentemente ignorata in test. 9, dove epica e tragedia sono equiparate.82 In questo passo, la considerazione sembra facilmente riferibile al suo avversario: se si trattasse davvero di un κριτικόϲ, sarebbe ovvio che non riconoscesse l’eccellenza della poesia nell’originalità (bensì nella ϲύνθεϲιϲ). Neanche lo schema che contrappone buoni a cattivi poeti in test. 8 risale a Filodemo.83 È probabile che egli lo riprendesse da Cratete, ma esso appare ancora precedente. Già la scelta di Euripide tra gli ἄριϲτοι si comprende in età post-classica, perché solo a questa altezza cronologica egli divenne il tragediografo per eccellenza.84 Nello schema si riconosce inoltre il gusto tipicamente ellenistico per la formazione dei ‘canoni’ dei migliori autori di un determinato genere letterario, da collocare soprattutto a Alessandria e a Pergamo, ma le cui radici affondano probabilmente negli studi del Peripato.85 Un’eco di queste operazioni di sistemazione si coglie nel prologo degli Aitia di Callimaco, in cui è affermata la superiorità delle opere brevi di Mimnermo e Filita rispetto ai loro lavori di maggiore estensione.86 Proprio il Peripato potrebbe aver avuto un ruolo nella formazione del ‘canone’ dei pessimi poeti attestato in Filodemo. È noto l’interesse di Aristotele e della scuola peripatetica per Omero e per la poesia tragica, in particolare per Euripide, definito ὁ τραγικώτατοϲ nonostante i suoi errori (Poet. 1453a29). In questo contesto sarebbe inoltre opportuno il riferimento a Cherilo e Anassimene in rapporto a Omero. Alessandro fu infatti affidato a Aristotele a partire dal 343 a.C. e non è improbabile che questi abbia avuto un ruolo nell’interesse di Alessandro per Omero e soprattutto per l’Iliade. Secondo la testimonianza di Plutarco Alex. 8,2, il Macedone avrebbe portato con sé l’Iliade nell’ ‘edizione’ curata dal maestro

80 Cf. supra §§ 2.1 e 2.2. 81 L’originalità di Filodemo non va sopravvalutata: vd. Dorandi (2000) 827. Sulla pars construens del De poematis (forse da attribuire a Zenone stesso) vd. Mangoni (1993) 30–31 e Janko (2020) 157–158. 82 Nardelli (1982) 489–490. Lo stesso avviene in parte anche in test. 8; vd. invece Janko (2020) 473 n. 11. Su Filodemo e la πολυείδεια: Fantuzzi in Fantuzzi – Hunter (2004) 457–459. 83 Diversamente Sbordone (1976) xxx, Janko (20202) 88–89 n. 4, Wright (2016) 150. Vd. più diffusamente Pelucchi (2022) 39–44. 84 Su Omero nella poesia ellenistica vd. ora Lightfoot (2022). 85 Vd. Pfeiffer (1968) 69–74 e infra, § 5.4. Sui ‘canoni’ vd. Matijašić (2018) 7–38, con ulteriori riferimenti. 86 La contrapposizione è interna alla produzione letteraria di Mimnermo e Filita: vd. Pretagostini (2006) 20–21.

2 La testimonianza di Filodemo, De poematis 

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(Ἀριϲτοτέλουϲ διορθώϲαντοϲ), detta anche ‘della cassetta’ (ἐκ τοῦ νάρθηκοϲ).87 La morte di Callistene – allievo e congiunto di Aristotele – costituì una frattura irreparabile con l’ambiente greco-macedone e alienò da Alessandro le simpatie della scuola peripatetica.88 In ogni caso, i passi filodemei declinano il riferimento a Cherilo in modo ogni volta differente e anche il tono varia, essendo inserito ora in sezioni argomentative (8, °17) ora presentandosi quasi come una battuta (9). Tutti i passi sono tuttavia accomunati dalla polemica contro gli eufonisti, soprattutto i κριτικοί, che impegna i primi tre libri del De poematis. L’avversario sembra Pausimaco in 8 e °17, il cui pensiero era forse riportato via Cratete; un κριτικόϲ o Cratete stesso in test. 9.89 Cratete di Mallo  – la principale fonte di Filodemo per la polemica contro gli eufonisti – è l’elemento ricorrente ed è probabile che Cherilo trovasse spazio nel suo trattato. Si potrebbe altrimenti pensare a Neottolemo di Pario, noto sia a Filodemo sia a Orazio.90 Una reductio ad unum non è tuttavia necessaria. Le teorie presentate nei tre passi non sembrano peraltro assegnabili allo stesso studioso. Il ritorno di Cherilo in due (e forse tre) passi del De poematis da riferire ad altrettanti libri del trattato e probabilmente a differenti avversari conferma la pervasività del riferimento a Cherilo nella letteratura poetologica ellenistica, dei cui temi è spesso possibile avere un’idea solo leggendo le pagine del De poematis.91 In questa prospettiva, una diretta lettura dell’opera di Cherilo da parte di Filodemo sembra ancora più improbabile che per Orazio:92 Filodemo conosce molta poesia ellenistica, ma i riferimenti appaiono mediati da altre fonti, e i poeti di Alessandro non sembrano costituire un’eccezione.93 Quale ruolo attribuire a Filodemo nella circolazione della fama su Cherilo? Sembra che i trattati filodemei abbiano avuto una limitata circolazione, come dimostra anche la modalità in cui si sono conservati sino a oggi.94 Non sembra perciò di poter concludere che la presenza di Cherilo nel De poematis abbia con-

87 Cf. anche Strab. 13,1,594. Sul problema vd. Talin (2022) 37–39. 88 Alcune fonti appaiono attente a mostrare la continuità con cui Alessandro si dedicò alla filosofia, probabilmente proprio in reazione a queste notizie: vd. Berti (2010) 319. Sul rapporto tra Alessandro e Callistene vd. Prandi (1985) 19–25. Cf. Heckel (2020). 89 Cf. supra, §§ 2.1, 2.2, 2.3. 90 Cf. supra, § 1.4. 91 Cf. Mangoni (1993) 23–31. 92 Vd. supra, § 1.4. 93 Cf. Ciampa (2006) in partic. 102. 94 Sulla circolazione dell’opera di Filodemo sono state espresse posizioni in parte diverse; conclusioni equilibrate in Capasso (2003) 104–107.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

tribuito alla diffusione della sua fama. I passi oraziani (testt. 3, 4) rivelano d’altra parte che essa doveva essere ampiamente nota.95

3 La testimonianza di Festo Festo allude rapidamente a ‘Cherilo’ nell’epitome dell’opera di Verrio Flacco s.v. tam (test. 12), dove è citato nell’esempio portato a proposito di un utilizzo della correlazione con quam: quam malus Homerus, tam bonus Choerilus poeta est.96 Esso compare con lievi modifiche anche in Paolo Diacono, che per il resto semplifica molto la voce. Il confronto con Omero appartiene alla tradizione relativa a Cherilo di Samo come a quella su Cherilo di Iaso (cf. infra, § 5.2). Festo doveva tuttavia avere presente il poeta di Alessandro.97 I termini in cui è posto il confronto con Omero ricordano più i passi di Orazio e Filodemo (soprattutto testt. 4, 8, 9) che non quello di Aristotele relativo a Cherilo di Samo (°°22).98 Cherilo e Omero rappresentano infatti qui il bonus e il malus poeta per eccellenza. Anche l’espressione bonus Homerus richiama il passo dall’Ars poetica (test. 4,359).99 Non risulta peraltro che Cherilo di Samo abbia avuto alcuna fortuna nella tradizione grammaticale latina, a differenza di Cherilo di Iaso. È curiosa la modalità in cui il riferimento è presentato: Festo esemplifica l’uso della correlazione ex contrario, intendendo segnalare come la sequenza delle congiunzioni possa trovarsi rovesciata (quam . . . tam). L’esempio (quam malus Homerus, tam bonus Choerilus poeta est) è tuttavia volutamente paradossale, perché Omero è 95 Sul rapporto tra Orazio e Filodemo vd. supra, § 1.4 (oltre a cap. 2 § 2.3). 96 La sintassi del lemma non è del tutto coerente: ho inteso cum ponimus come inciso (‘quando lo introduciamo nel discorso’: la virgola manca nell’edizione di Lindsay), ma il seguente aut cum dicimus non sembra comunque pienamente integrato. Il senso appare tuttavia chiaro. Il testo è ripubblicato in Lindsay (1930) 449–450, senza differenze: solo alcune pericopi sono poste tra parentesi uncinate in quanto «adicienda videntur». Un’edizione parziale (che non include questo passo) si trova in Di Marco (2021) 153–211; un commentario, anch’esso parziale, in Pieroni (2004) 39–168. Il lemma in questione è in ogni caso ricostruibile dai manoscritti umanistici copiati dal codice farnesiano e non dal Farnesiano stesso. Sulla tradizione manoscritta e sulla storia editoriale vd. ora Di Marco (2021) rispettivamente 79–151 e 49–77. Circa i rapporti tra i tre stadi del testo (Verrio, Festo, Paolo): Pieroni (2004) 9–22 e Di Marco (2021) 6–14. 97 Così Schwering (1913) 403,42–43 e Bearzot (2017) ad F 10a. Cf. già K.O. Müller (1839) 361 n. ad l. e Naeke I (1842) 158. 98 Sul quale vd. infra, § 4.2. 99 Un indizio potrebbe essere individuato nel precedente riferimento alla corrispondenza tra opus e pretium (tam egregium opus tam parvo pretio), che fa pensare a una conoscenza dell’aneddoto relativo a Cherilo (test. 3).

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citato come poeta malus e Cherilo come bonus.100 Nell’epitome di Paolo Diacono l’ordine di tam . . . quam è ristabilito (non si fa infatti riferimento a un uso ex contrario), ma il rovesciamento concettuale è mantenuto: Tam significationem habet propositivam, cui subiungamus quam, ut: tam bonus Choerilus, quam malus Homerus.

In ogni caso, il fatto che si potesse giocare su Cherilo e Omero in termini di buona e cattiva poesia dimostra che il riferimento doveva essere pienamente comprensibile al pubblico. La testimonianza di Festo (e indirettamente di Verrio) si comprende dunque ancora alla luce della circolazione di notizie sulla figura di Cherilo in àmbito scolastico. Il mantenimento dell’esempio attinto a Verrio Flacco sembra dimostrare che esso era ancora compreso all’epoca di Festo; al IV secolo d.C. risale la testimonianza di Ausonio (13).101 Anche Paolo Diacono conservò il cenno a Cherilo, che doveva essergli noto dalla medesima tradizione grammaticale, forse rafforzata da letture oraziane.102

4 Spuria 4.1 Ermia Alessandrino su Cherilo di Samo Commentando il passo del Fedro in cui si contrappongono  – a tutto vantaggio della prima – poesia ispirata dalla μανία e poesia informata dalla τέχνη (245a),103 Ermia Alessandrino si domanda retoricamente: τί γὰρ ὅμοιον ἡ Χοιρίλου καὶ Καλλιμάχου ποίηϲιϲ πρὸϲ τὴν Ὁμήρου καὶ Πινδάρου; (test. °°21). Sulla base del confronto con Omero che si trova in Filodemo (test. 8) e negli scolî a Orazio (6a, 7), si è inizialmente riconosciuto nel Cherilo qui citato lo Iaseo,104 trovando una conferma della sua fortuna nella letteratura poetologica

100 Alcuni manoscritti scambiano di posizione malus e bonus, ma si tratta naturalmente di una banalizzazione. 101 Cf. cap. 2 § 6. 102 Come d’uso, Paolo elimina invece le citazioni dei tragici arcaici che si leggono nella sezione precedente del lemma di Festo. 103 Il passaggio appartiene al secondo discorso di Socrate, che si impegna a dimostrare la superiorità di chi ama rispetto a chi non ama; il primo è infatti in uno stato di μανία, che non va inteso negativamente: l’ ἔρωϲ è anzi una delle quattro forme di μανία divinamente ispirata. Per un commento al passo vd. Waterfield (2002) 85–86 e Bonazzi (2011) 79–87. 104 Crusius (1899) 2362, Berve (1926) II 409, Immisch (1932) 189, Rostagni (1931), Brink (1971) 366, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 154. Cf. già L. Müller II (1893) 305.

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di età ellenistica.105 I dubbi già espressi da P. Radici Colace relativamente a questa tesi sono stati ripresi da A.S. Hollis, il quale ha avanzato argomenti risolutivi per l’identificazione con il Samio (test. °2 R. C. = °13 B.2).106 Ermia, riprendendo il ragionamento condotto da Socrate nel luogo commentato, opera una distinzione tra poeti ‘per ispirazione’ e poeti ‘per tecnica’, affermando la superiorità dei primi.107 Il passo richiama lo schema che contrappone boni e mali poetae attestato in Filodemo (test. 8; alla tragedia subentra qui la lirica, con il parallelo tra Callimaco e Pindaro). Il fatto che qui il Cherilo citato sia Cherilo di Iaso non deve tuttavia trarre in inganno. Nonostante le corrispondenze formali, la contrapposizione risulterebbe infatti eccessivamente sbilanciata: perché confrontare Pindaro con un poeta del valore di Callimaco, ma Omero con un ‘poetastro’ come Cherilo di Iaso? La poesia del Samio fu infatti spesso apprezzata e il suo poema fu letto almeno sino all’età imperiale.108 Cherilo di Samo, insieme a Callimaco, è inoltre adatto a esemplificare il valore poetico della τέχνη, come rivelano i cenni programmatici contenuti all’inizio dei Περϲικά (fr. 1 R.  C.= SH 317 = fr. 2 B.2: soprattutto 3 ἔχουϲι δὲ πείρατα τέχναι). Il confronto con Omero, di per sé comunque molto generico, è attestato anche per Cherilo di Samo.109 Una critica sembra in particolare di cogliere in Aristotele (test. °°22), dove Cherilo di Samo è giudicato più oscuro di Omero nell’uso di metafore e similitudini.110 Il passo si rivela vicino a un passo del Sublime (supra, § 1.2), nel quale pure è assente la figura del ‘peggior poeta’. ‘Longino’ dichiara di preferire la poesia sublime di Omero rispetto a quella priva di errori di Apollonio Rodio: la mancanza di errori – precisa l’autore del Sublime (36,4) – è dovuta alla τέχνη, mentre l’eccellenza alla φύϲιϲ, un’opposizione in cui è facile ravvisare la dicotomia presente in Ermia. Anche l’oscurità delle metafore e delle similitudini

105 Vd. soprattutto Rostagni (1939) 101. 106 Radici Colace (1979) 5 n. 2, (1986) 278, (1996) 688, Hollis (2000). Il riferimento era già inteso a Cherilo di Samo da Michelazzo (1983) 27–28 n. 50 e Lombardi (1997) 102, i quali tuttavia non discutevano l’alternativa. La tesi è recepita da Lloyd-Jones (2005) 41 ad SSH 333, Lucarini – Moreschini (2012) 286 s.v. Χοιρίλοϲ, Barbantani (2017) 73–74. Sulla sensibilità per la critica letteraria nel commentario di Ermia vd. Moreschini (2009) 522–523. Circa il problema delle fonti di Ermia, difficilmente riducibili al solo Siriano, vd. Finamore – Monolea – Wear (2020) 1–2, con bibliografia. 107 Vd. tra gli altri Koster (1970) 19, Radici Colace (1979) 5 n. 2, Lombardi (1997) 101–102, Mazzucchi (20102) 260, Hollis (2000) 13. Nel solco di Häußler (1978) I 74 e 162, Michelazzo (1983) 28–29 n. 50 ritiene invece che «il confronto sia, all’interno di ciascun genere, fra il più illustre rappresentante e l’epigono». Contra Lombardi (1997) 101–102. 108 Sul tema vd. infra, § 5.2. 109 Vd. infra, § 5.2. 110 Cf. infra, § 4.2.

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di Cherilo denunciata da Aristotele sembra il risultato di una concezione della letteratura in cui l’elemento tecnico di ricerca formale trovava ampio spazio.111 L’osservazione di Ermia è in ogni caso verosimilmente molto più antica di Ermia stesso (V secolo d.C.), che cita Cherilo solo in questo punto di tutto il commentario. La fortuna del Samio non sembra infatti andare oltre l’età flavia,112 e un riferimento alla sua opera sarebbe risultato incomprensibile in un’epoca in cui non si aveva più conoscenza delle sue peculiarità stilistiche. La notizia sembra da datare entro la prima età imperiale e forse all’età ellenistica, come suggerisce anche il confronto con il passo del Sublime.

4.2 Aristotele su Cherilo di Samo Un confronto tra ‘Cherilo’ e Omero si trova all’inizio dell’ottavo e ultimo libro dei Topici aristotelici in relazione a problemi di ornatus (test. °°22).113 Aristotele invita a proporre similitudini e metafore chiare come Omero e non come Cherilo.114 Difficilmente il Cherilo qui citato potrà essere lo Iaseo.115 I Topici sono infatti datati alla fase giovanile dell’opera di Aristotele (ca. 360 a.C.),116 quando Cherilo non poteva ancora aver composto il poema su Alessandro.117 Sarebbe inverosimile supporre il riferimento a una precedente opera di Cherilo. Nel corpus aristotelico non vi è inoltre alcun indizio che il filosofo abbia mai letto o conosciuto il poeta di Alessandro. Il Cherilo menzionato nel titolo degli aristotelici Ἀπορήματα Ἀρχιλόχου Εὐριπίδου Χοιρίλου (teste Hesych. Vit. Aristot. 166 Dorandi), infine, non può essere lo Iaseo: anche se l’opera è perduta, l’associazione con Archiloco e

111 Analisi dello stile di Cherilo di Samo in Lombardi (1997) 92–97, in partic. 94 per l’uso delle similitudini, 103 per la critica di Aristotele. Cf. anche Angeli Bernardini (2004). 112 Hollis (2000) 14–15. Ermia può al più aver conosciuto i versi citati da Aristotele nella Retorica (cf. infra, § 4.2). 113 Il libro è dedicato al sillogismo dialettico, le cui premesse non sono vere e necessarie ma ἔνδοξα. Lo scopo è rendere il lettore abile nella discussione. Ciò spiega in larga misura la peculiarità del libro nel contesto dei Topici, per il resto dedicati ad argomenti più vicini alla logica formale. Sulla struttura del trattato vd. Brunschwig I (1967) viii–ix e Zadro (1974) 36–54. 114 L’interpretazione secondo la quale Aristotele inviterebbe a citare il noto Omero e non l’ignoto Cherilo è invece improbabile. Vd. Almagor (2019) ad F 33fβ. 115 Diversamente, in tempi recenti, Forster (1960) 686 n. a, Brunschwig II (2007) 269 n. 5 (cf. cap. 5 § 3). Cf. anche Schwering (1913) 403,42–43 (a proposito della traduzione del passo aristotelico realizzata da Boezio). A tale conclusione era già pervenuto Naeke (1817) 92–95. 116 Brunschwig I (1967) lxxxiii–xc; cf. Zadro (1974) 60–66. 117 Soprattutto se coglie nel segno la collocazione dell’incontro tra Alessandro e Cherilo all’arrivo di Alessandro in Asia Minore (vd. cap. 1 § 4.4).

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

Euripide suggerisce che si trattasse di un poeta più famoso, dunque l’Ateniese (TrGF 2 T 8) o il Samio (test. °14 B.2).118 La critica assegna perciò opportunamente la testimonianza ora a Cherilo di Samo (test. 11a R. C. = 7 B.2) ora al tragediografo Cherilo di Atene (TrGF 2 T 9), entrambi vissuti nel V secolo a.C.119 La prima ipotesi è ampiamente preferibile. Aristotele non ricorda infatti mai l’Ateniese all’interno della propria opera, mentre cita il proemio dei Περϲικά in Rhet. 3,14,1415a11 (fr. °1a R. C. = SH 316 = fr. 1 B.2).120 Rimane inoltre più probabile che il confronto sia avvenuto all’interno dello stesso genere letterario.121 Non è infine noto un uso particolarmente oscuro di similitudini e metafore da parte del tragediografo, mentre è possibile trovare alcuni esempi nei frammenti di Cherilo di Samo.122 Una conferma proviene anche dal passo di Ermia (°°21), dove il Samio rappresenta il simbolo della poesia basata sulla τέχνη ed è contrapposto a Omero. Come si è già accennato (§ 4.2), la critica che si legge in filigrana nel passo di Aristotele sembra infatti dello stesso tenore: alle metafore e similitudini troppo artificiose di Cherilo sono contrapposte quelle più semplici ed efficaci proprie dello stile omerico.

5 L’origine della fama di Cherilo: l’estetica ellenistica Il giudizio sulla poesia di Cherilo di Iaso pone una domanda: da dove deriva e come si è consolidato fino a farne il ‘peggior poeta’ greco? Le testimonianze si limitano ad affermarne la pessima poesia senza ulteriori precisazioni,123 così che è stato possibile formulare varie ipotesi, connesse a una supposta critica moralistica alla poesia cortigiana, al trasferimento di una polemica originariamente condotta contro l’opera di Cherilo di Samo, o al presunto discredito di cui godé l’epica presso i poeti alessandrini e soprattutto Callimaco. Dopo aver analizzato le opzioni finora proposte, tenterò infine una nuova spiegazione della pessima reputazione di Cherilo, da rintracciare nei dibattiti ellenistici in materia di estetica e di poetica.

118 Vd. Bernabé (19962) 190. 119 Per Cherilo di Samo vd. tra gli altri Radici Colace (1979) 3, Alessandrì (1969) 208, De Martino (1984) 16, Bernabé (19962) 189. Su Cherilo di Atene: Snell (1971) 67 e con qualche riserva anche Wright (2016) 12–13 e n. 37. 120 Lo nota anche Wright (2016) 13. 121 Wright (2016) 13 n. 37. 122 Cf. Lombardi (1997) 94. 123 Con la (parziale) eccezione dell’Epistula ad Augustum (test. 3), dove i versi di Cherilo sono definiti inculti . . . et male nati, in realtà una formula molto generica: vd. cap. 2 § 2.2.

5 L’origine della fama di Cherilo: l’estetica ellenistica 

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5.1 Adulatore, quindi pessimo poeta? Nessuno dei testimoni analizzati nel capitolo 2, che citano Cherilo come adulatore di Alessandro Magno e autore di un epos encomiastico in sua lode, instaura una relazione tra pessima poesia e poesia cortigiana, quale è stata talvolta ipotizzata.124 Tale connessione non è neanche implicita, perché sarebbe in contrasto con quanto affermato nell’Epistula ad Augustum (test. 3) e in Ausonio (13). La poesia di Cherilo è infatti criticata da Orazio perché, in quanto cattiva, non è in grado di rendere adeguato onore alle imprese di Alessandro; ma non è cattiva in quanto encomiastica – lo sarebbero altrimenti anche i poemi di Virgilio e Vario per Augusto.125 L’affermazione sarebbe incompatibile anche con le intenzioni di Ausonio, che ricorda Cherilo mentre propone a Probo di mettere in versi le sue imprese: un’offerta di questo genere non può sottintendere una critica al genere encomiastico; Cherilo è infatti per Ausonio il simbolo del cattivo poeta premiato nonostante la sua cattiva poesia, ma è citato proprio in virtù del suo legame con il re.126 In Curzio Rufo (test. 11) la cohors di adulatori del Macedone è criticata per aver nutrito l’aspirazione di Alessandro a essere adorato come divinità già in vita, ma anche in questo caso il giudizio su Agide e Cherilo come pessimi poeti è espressamente distinto dall’accusa di essere perniciosi adulatores che pure è loro rivolta. Anche Curzio, che con intento polemico avrebbe potuto unire i due aspetti, differenzia dunque vizi morali e difetti poetici.127 Non è inverosimile che il giudizio su Cherilo sia stato formulato per la prima volta presso la corte di Alessandro.128 Invidie cortigiane e reciproche accuse tra poeti ‘concorrenti’ potrebbero essere connesse anche al pagamento che ricevette da Alessandro.129 Se pure fosse possibile sostanziare queste ipotesi, è improbabile che il giudizio su Cherilo derivi recta via da tali maldicenze, anche perché esse non si trovano registrate da alcuna fonte.130

124 Vd. Franco (1997) 13 e Fantuzzi (1997). Cf. anche Hardie (1983) 86–87 e Bearzot (2017) ad F 10a. Fa eccezione Ennodio (test. 14), dove però la poesia di Cherilo non è neanche esplicitamente definita in modo negativo: vd. cap. 2 § 7. Sulla satira del potere monarchico in Grecia vd. Muccioli (2018) in partic. 14–21 circa l’ironia contro la κολακεία cortigiana, 31–37 riguardo a Alessandro. Sugli adulatori al séguito di Alessandro vd. Tritle (2009). 125 Sulla contrapposizione tra Augusto e Alessandro cf. cap. 2 § 2.1. 126 Cf. cap. 2 § 6. 127 Vd. cap. 2 § 4.2. 128 Vd. in partic. Crusius (1899) 2362. 129 Bergk II (1883) 485–486. Sul pagamento di Cherilo vd. cap. 2 § 9. 130 Anche Curzio, che pure avrebbe potuto riferirvisi nel contesto della polemica che conduce, sembra ignorarle.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

Il gruppo dei poeti alla corte di Alessandro sembra essere stato generalmente giudicato in modo negativo. Filodemo (test. 8) ricorda Anassimene e Cherilo, Curzio (test. 11) Agide, Cherilo e altri poeti; la battuta di Alessandro su Achille e Tersite (test. 6a, 7) è riferita a Cherilo, Anassimene o più genericamente a ‘un poeta’.131 I ‘poetastri’ non sembrano tuttavia biasimati per essersi dedicati alla poesia encomiastica, ma perché le loro opere non si erano rivelate all’altezza dell’argomento, come suggerisce la stessa battuta di Alessandro. In ogni caso, all’interno di questo gruppo Cherilo conserva un ruolo di spicco, distinguendosi tra i mali poetae. Già il riferimento dell’Ars, in cui Cherilo è scelto in contrapposizione a Omero, rivela che doveva apparire tanto a Orazio quanto ai suoi lettori il ‘Prototyp des Dichterlings’.132 Anche Filodemo, che in test. 8 ricorda Cherilo insieme a Anassimene, lo cita da solo in test. 9. Egli è inoltre definito pessimus in Porfirione (test. 6a), negli scolî λφψ a Orazio (6b), oltre che in Curzio Rufo (11). All’origine di tale ‘eccellenza’ devono aver giocato altri fattori.

5.2 Cherilo di Samo e il confronto con Omero Alle radici dei malevoli giudizi su Cherilo di Iaso si ipotizza talvolta una confusione con analoghi pareri espressi su Cherilo di Samo. Il paragone con Omero che si trova nella tradizione oraziana ricorre infatti anche in alcune testimonianze relative al Samio: queste secondo alcuni avrebbero determinato una valutazione negativa poi passata per uno scambio omonimico allo Iaseo.133 Il punto di partenza per affrontare la questione è costituito dalla lettura delle fonti nelle quali è instaurato il raffronto con Omero: Orazio e Filodemo (3, 8, °17) per lo Iaseo, Aristotele e Ermia (°°22, °°21) per il Samio. Le due tradizioni non sono davvero sovrapponibili e sembrano persino inconciliabili. Diversamente da come avviene nelle testimonianze relative allo Iaseo, Cherilo di Samo non è mai definito pessimus poeta: i limiti segnalati da Aristotele nell’uso delle similitudini non ne svalutano infatti l’opera in toto.134 Orazio e Filodemo oppongono ottimi e pessimi poeti, mentre Ermia poeti migliori e peggiori in un àmbito specifico.

131 A proposito di questo aneddoto vd. cap. 2 § 9.1. 132 Häußler (1986) 236. 133 Vd. Alessandrì (1969) 204–210, in partic. 208. Cf. anche Albrecht (20123) II 921 e Borzsák (1998a) 94. Per altri argomenti che contraddicono a questa ricostruzione vd. cap. 1 § 1.3. La tesi opposta è accennata da Michelazzo (1983) 12 n. 4: vd. infra. 134 Aristotele rivolge critiche puntuali anche a poeti da lui chiaramente ammirati, come Euripide: cf. Zagdoun (2006). Diversamente Michelazzo (1983) 27–28 e Lombardi (1997) 103; sul dibattito cui si riferiscono vd. infra, § 6.1.

5 L’origine della fama di Cherilo: l’estetica ellenistica 

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Contro Omero, Ermia associa infatti Cherilo di Samo a Callimaco, mentre Filodemo accosta Cherilo di Iaso all’epica di Anassimene, assimilandolo indirettamente a poeti dimenticati come Cleeneto e Carcino. L’accostamento a Omero è inoltre presentato in termini positivi per Cherilo di Samo in almeno un caso: nella Suda (test. 1a) si riporta la notizia di una votazione per la pubblica lettura dei Περϲικά insieme ai poemi omerici, verosimilmente a Atene durante le Panatenee.135 Cherilo di Samo fu peraltro letto e ammirato almeno fino all’età imperiale. Al tempo di Platone Cherilo era in auge, secondo la testimonianza di Proclo (τῶν Χοιρίλου τότε εὐδοκιμοῦντων).136 Aristotele Rhet. 3,14,1415a11 cita due versi del proemio dei Περϲικά (fr. °1a R.  C. = SH 316 = fr. 1 B.2) senza precisare il nome dell’autore e accostandoli ai celebri incipit omerici.137 Cherilo è inoltre citato in un frammento del Lino di Alessi.138 Tracce di un apprezzamento di Cherilo di Samo si riscontrano anche nei secoli successivi: egli fu lodato – anche se forse per motivi innanzitutto campanilistici – da Duride, alluso e ripreso da Nevio a Lucano, e il suo poema era ancora copiato in Egitto intorno al 200 d.C., come attesta P.Oxy. 1399 (test. 7 R. C. = SH 314 = test. 6 B.2).139 Il confronto con Omero, che è dunque l’unico elemento comune ai due poeti, non è sufficiente per autorizzare una reductio ad unum. È inverosimile che la fama di pessimus poeta, mai attestata per Cherilo di Samo, si sia riversata su un omonimo poeta senza lasciare tracce.140 In conclusione, si può proporre una possibile origine del confronto tra Cherilo e Omero. Nel proemio dei Περϲικά (fr. 1 R. C. = SH 317 = fr. 2 B.2) Cherilo si rivolge infatti a un poeta, definendolo μάκαρ, nel quale bisogna riconoscere Omero.141 Con una metafora agonistica tratta dalla corsa, Cherilo suggerisce che Omero, partendo per primo, ha trovato davanti a sé un prato immacolato, mentre Cherilo stesso è ironicamente ὕϲτατοϲ: pur partendo per ultimo, egli rivendica orgogliosamente la novità del proprio canto, simboleggiato da un carro appena aggiogato

135 Cf. cap. 1 § 1.3. 136 Discussione infra, § 6.1. 137 Cf. Cucinotta (2011) 100. 138 Lombardi (1997) 96 n. 48. Cf. cap. 4 § 2.1. 139 Per alcuni momenti della storia della fortuna di Cherilo di Samo vd. Michelazzo (1983), Lombardi (1997) 101–102, Hollis (2000). Cf. anche Piccirilli (1985) 116. 140 Michelazzo (1983) 12 n. 4 suggerisce dubitativamente il meccanismo opposto, secondo cui la fama di pessimus poeta di Cherilo di Iaso potrebbe essere stata trasferita al Samio. Anche questa conclusione non è tuttavia necessaria, proprio perché non trova sicura attestazione nella tradizione relativa al Samio. 141 Huxley (1969) 16, De Martino (1984) 16–32. Vd. però Cucinotta (2011) 107.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

(νεοζυγὲϲ ἅρμα).142 L’accostamento a Omero attestato nella tradizione potrebbe perciò risalire in ultima analisi al proemio degli stessi Περϲικά.143

5.3 Poesia alessandrina e critica dell’epica Secondo la tesi esposta da Ziegler in Das hellenistische Epos, l’origine della fama di Cherilo di Iaso risalirebbe al I secolo a.C., quando a Roma si affermarono i principî della poesia alessandrina e in particolare callimachea.144 Il giudizio attestato in Orazio deriverebbe in ultima analisi proprio «aus der Küche des Kallimachos».145 Il primo problema posto da questa interpretazione è connesso alla difficoltà di ascrivere la critica alla poesia epica a posizioni callimachee. Sembra infatti sempre più chiaro che l’obiettivo dell’attacco di Callimaco non fosse l’epica, bensì l’elegia di stile epico.146 È comunque plausibile ritenere che i poeti alessandrini, se mai la conobbero, non avrebbero apprezzato l’opera di Cherilo.147 La spiegazione di Ziegler incontra tuttavia un ostacolo più grave nel non poter chiarire il motivo per cui di tutti gli epici greci l’unico a essersi guadagnato una fama così negativa sarebbe Cherilo. Il passo di Filodemo (test. 8), che riprende verosimilmente trattati precedenti,148 coinvolge inoltre non solo i peggiori poeti epici, ma anche i peggiori tragediografi, quali Carcino e Cleeneto.

142 Cf. De Martino (1984) 16–32. L’interpretazione è accolta da Fantuzzi (1987) 144; a conclusioni molto simili perviene in modo indipendente MacFarlane (2009). Diversamente Cucinotta (2011) 106–107. 143 Cf. Barbantani (2001) 31 n. 101. 144 Ziegler (19662) 22–23; sul «blühende Kallimachismus im I. Jh. v.Chr.» vd. anche Fantuzzi (1997). Anche se la fama di Cherilo sembra un’invenzione di I secolo a.C., Ziegler (19662) 23 ritiene che il giudizio negativo sulla sua opera sia stato formulato per la prima volta da Alessandro: vd. cap. 2 § 9.1. Sul ruolo del pamphlet di Ziegler e sul contesto in cui fu composto vd. Fantuzzi (1988) xxv–liii. 145 Ziegler (19662). L’affermazione va intesa in senso lato  – cf. anche la parafrasi di Fantuzzi (1988) xxxi –: secondo Ziegler, responsabile della fama di Cherilo sembra sia stato Orazio, per quanto influenzato dalla moda alessandrina imperante a Roma. Questo naturalmente non è possibile: il giudizio su Cherilo è precedente a Orazio trovandosi almeno in Filodemo (cf. supra, §  2.4). Trasponendo la critica ‘alessandrina’ rivolta a Cherilo dal I al III secolo a.C., la tesi di Ziegler ha però ancora valore. 146 Così Cameron (1995) 303–361, la cui tesi è stata ampiamente condivisa: vd. e.g. Lehnus (1999) 212–213 = (2016) 141–142. 147 Sulla natura dell’epos di Cherilo vd. cap. 4 § 1.1. Sull’eventuale conoscenza di Cherilo da parte di Callimaco vd. Lehnus (1999) 219 e n. 96 = (2016) 147 e n. 97. 148 Cf. supra, § 2.4.

5 L’origine della fama di Cherilo: l’estetica ellenistica 

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5.4 Pessimi poeti e pessimi emulatori. Cherilo ὁ Ὁμηρικόϲ All’affermazione della fama di Cherilo come ‘pessimo poeta’ devono aver giocato varî fattori, difficili da ricostruire perché i frammenti di Filodemo permettono di avere un’idea solo parziale dei dibattiti ellenistici in cui tale reputazione fu formulata e consolidata per divenire quasi proverbiale anche a Roma, dove ‘il famoso Cherilo’ era noto a Orazio e al suo pubblico (cf. supra, § 2.4). Fu poi proprio Orazio a sancire definitivamente tale nomea, come dimostra l’eco che ebbe nella letteratura successiva (cf. cap. 2). Anche alla luce della sua fortuna in àmbito poetologico, sembra di poter collocare l’origine della cattiva reputazione di Cherilo proprio su basi estetiche. In particolare, appare decisivo il tema della ripresa non riuscita – in termini naturalmente sia di imitatio sia di aemulatio – di un modello illustre.149 Il confronto con Omero è una costante della tradizione connessa a Cherilo di Iaso, come si è notato supra, § 5.2. La tradizione relativa al Macedone è d’altra parte costellata di riferimenti omerici, soprattutto iliadici.150 Il fallimento della ripresa omerica dovette apparire particolarmente grave in rapporto alla scelta del tema, cioè le imprese di Alessandro, che pur superiori a quelle di Achille non avevano avuto un degno cantore. L’idea è ben nota alla letteratura su Alessandro, come dimostra il confronto con il ‘secondo proemio’ dell’Anabasi di Arriano (1,12,2–3).151 La tesi sembra trovare sostegno nelle due testimonianze filodemee, 8 e 9.152 In quest’ultimo luogo è infatti discusso il tema del rapporto tra originalità, imitazione ed eccellenza poetica. Il riferimento a Cherilo non sembra casuale: la novità della sua poesia doveva essere evidente soprattutto in rapporto al tema, trattandosi delle imprese di Alessandro a lui contemporanee.153 Il confronto con un tragediografo pessimo quanto originale potrebbe inoltre recare traccia di una critica dell’emulazione di Omero realizzata  – con esito rovinoso  – da Cherilo stesso. In test. 8 la contrapposizione di Cherilo (e Anassimene) con Omero è inserita in uno schema più ampio, che prevede anche l’opposizione di Euripide a Cleeneto e ‘Carcino’. Anche la critica rivolta a tali autori poteva originariamente basarsi sul tema della inadeguata imitazione del modello citato nello schema filodemeo. Euripide costituì infatti un modello incontrastato per i tragici di IV

149 Così in parte già Immisch (1932) 189. 150 Sul carattere omerico del poema e circa il rapporto di Alessandro con Omero vd. cap. 4 § 1.1. 151 Cf. Alessandrì (1969) 207–208 e Barbantani (2017) 55. Sul ‘secondo proemio’ vd. le indicazioni di Sisti (2001) lviii–lxi, cui aggiungere ora Liotsakis (2019) 172–185. 152 Per quanto segue vd. più in generale Pelucchi (2022) 44–47. 153 Cf. McOsker (2022) 84 n. 42.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

secolo.154 Era in particolare discusso il diverso finale della Medea di Carcino II, nel quale la celebre infanticida si rivelava innocente e anzi vittima della vendetta dei Corinzi – in chiaro contrasto con il modello euripideo.155 Conferma che tale fu la probabile origine della fama di Cherilo può forse essere rinvenuta anche nel celebre epigramma scoptico rivolto a Euforione (test. °19, su cui si torna nel paragrafo seguente), dove Euforione è definito Ὁμηρικόϲ dopo essere stato presentato come imitatore di un ‘Cherilo’.156 Nell’affermazione della cattiva reputazione di questi poeti sembra dunque assai probabile il ruolo da attribuire al confronto con un modello. Bisogna tuttavia notare che essa sarebbe valida per tutti i poeti alessandrografi (in Filodemo si trova infatti anche il nome di Anassimene) e non motiverebbe la specifica attenzione per Cherilo, attestata in Filodemo (9) e poi soprattutto in Orazio. Se la scuola peripatetica ebbe però un ruolo, come si è ipotizzato a § 2.4, si capirebbe perché la scelta sia caduta su Cherilo e non su Anassimene alla luce del rapporto, teorico e personale, che quest’ultimo intrattenne con Aristotele. In queste coordinate teoriche, possono aver giocato molti fattori in una specifica polemica contro Cherilo  – l’unico che passerà infatti alla storia come ‘il peggior poeta’. Gli abitanti di Iaso erano proverbialmente noti per la loro ignoranza e rozzezza, come attesta l’aneddoto del ‘concerto disertato’ tràdito da Strabone (14,2,21,658).157 Certo Iaso non fu la città descritta in questo aneddoto e il suo ruolo è chiaro non solo dal punto di vista politico (cf. cap. 1 § 4) ma anche culturale, se in età ellenistica diede i natali a personalità quali il tragediografo Dimante, il filosofo Diodoro Crono, il γραμματικόϲ (e maestro di Callimaco) Ermocrate.158 Il racconto di Strabone può tuttavia dare un’idea della presenza di una cattiva nomea della città in termini di sensibilità poetica. Anche Diodoro Crono divenne presto un personaggio comico, come dimostrano alcune storie circolanti sul suo conto e lo stesso soprannome affibbiatogli. Potrebbe peraltro non essere casuale che egli sia il protagonista di un aneddoto che lo voleva morto indegnamente per non aver saputo risolvere alcuni problemi dialettici postigli da Stilpone.159 154 Sull’influenza di Euripide sulla tragedia di IV secolo vd. Xanthakis-Karamanos (1980) in partic. 28–34, Duncan (2017) 536–537. Contro alcune esagerazioni vd. comunque Wright (2016) 113–114, 120–122. 155 «Carcinus must have known the Euripidean play without which his variation is unthinkable» Xanthakis-Karamanos (1980) 35. Cf. Duncan (2017) 536. Sulla possibile confusione dei due Carcini vd. supra, § 2.1. 156 Vd. infra, § 6.3. 157 Cf. Franco (2004) 383–384. 158 Vd. rispettivamente Franco (1997) 13 e (2004) 390–392; Leurini (2000). 159 Teste Diog. Laert. 2,112. Sulla biografia di Diodoro Crono vd. Montoneri (1984) 123–125, in partic. 123 n. 1 per il soprannome.

6 Un’anodina testimonianza: l’epigramma di Cratete 

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6 Un’anodina testimonianza: l’epigramma di Cratete Cherilo di Iaso potrebbe essere citato nell’epigramma AP 11,218 attribuito a un misterioso ‘Cratete’ (test. °19).160 Il componimento deve risalire alla piena età ellenistica, poiché l’attacco contro Euforione sarebbe difficilmente comprensibile a grande distanza dalla morte del poeta.161 I due distici consentono perciò di cogliere un frammento dei dibattiti in materia di poetica, che dovettero coinvolgere Euforione, Filita, Antimaco e ‘Cherilo’, qui tradotti in un attacco personale. L’ironia su cui si basa l’epigramma risiede nell’ambiguità di ogni sua parte, che si presta a essere letta sia in modo letterale sia come allusione sessuale. Sul piano denotativo, l’autore afferma che Euforione a) cita sempre ‘Cherilo’, b)  compone poemi pieni di glosse, c) conosce Filita,162 d) è omerico. In realtà: a) Χοιρίλον allude a χοῖροϲ, b) l’ambiguità di κατάγλωϲϲα si basa sulla polisemia di γλῶϲϲα, c) ‘Filita’ sottintende un riferimento a φιλέω (e derivati), d) Omero a ὁμηρίζω (o anche a μηρόϲ).163 I problemi rimasti irrisolti – oltre all’identificazione dell’autore – riguardano tutti il piano letterale, a) l’imitazione di ‘Cherilo’ e d) la definizione di Euforione come omerico: né uno dei Cherili né Omero sembrano tra i modelli di Euforione.164 È improbabile che questi cenni fossero inseriti solo per creare le allusioni oscene e che si debba perciò rinunciare a capire se dietro al Cherilo dell’epigramma si nasconda il Samio o lo Iaseo;165 allo stesso modo, il riferimento a Omero potrebbe non essere semplicemente un’espressione approssimativa.166 Più che a un’imprecisione dell’epigrammista, la difficoltà potrebbe essere da ascrivere alla totale perdita dei dibattiti cui egli si riferiva.

160 Sul problema dell’identificazione di Cratete si tornerà infra, § 6.3. 161 Gow – Page (1965) II 222, Pfeiffer (1968) 243, C.W. Müller (1990) 36 = (1999) 507, Sbardella (2000) 4 n. 9. Si pensa altrimenti all’età imperiale: vd. Dettori (2000) 11–12 e n. 20, con la necessaria bibliografia. 162 Il manoscritto ha φίλιτρα, che però non dà senso. Dietro l’errore fu per la prima volta riconosciuto Filita da Dobree II (1843) 336 = (1874) III 116, opzione pressoché unanimemente accolta. Sin da Saumaise, che ne diede notizia nell’edizione della Historia Augusta – Saumaise (1620) 44 delle emendationes et notae –, era invece stata proposta la congettura φίλητρα, e per la quale si tentarono varie spiegazioni. Vd. le indicazioni di Dettori (2000) 11 n. 19. 163 Vd. l’analisi in Gow – Page (1965) II 222–223. 164 Cf. Magnelli (2002) 54–54. 165 Gow – Page (1965) II 222. 166 Magnelli (2002) 55.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

6.1 Cherilo (di Samo) contro Antimaco? Il confronto tra ‘Cherilo’ e Antimaco instaurato nell’epigramma è la principale ragione all’origine dell’identificazione con Cherilo di Samo. Sulla base di alcune fonti si è infatti postulata una diatriba che avrebbe avuto luogo tra i suoi ammiratori e quelli di Antimaco. Grazie agli studi di F. Michelazzo e M. Lombardi, tale discussione si è tuttavia rivelata una costruzione storiografica, già presente in Naeke ed elaborata tra gli altri da Rostagni.167 Oltre all’epigramma di Cratete, l’unico passo in cui si leggerebbe una contrapposizione tra Cherilo di Samo e Antimaco è infatti di Proclo Diadoco in Plat. Tim. 21b7–d3:168 εἴπερ γάρ τιϲ ἄλλοϲ καὶ ποιητῶν ἄριϲτοϲ κριτὴϲ ὁ Πλάτων, ὡϲ καὶ Λογγῖνοϲ ϲυνίϲτηϲιν. Ἡρακλείδηϲ γοῦν ὁ Ποντικόϲ φηϲιν, ὅτι τῶν Χοιρίλου τότε εὐδοκιμοῦντων Πλάτων τὰ Ἀντιμάχου προὐτίμηϲε, καὶ αὐτὸν ἔπειϲε τὸν Ἡρακλείδην εἰϲ Κολοφῶνα ἐλθόντα τὰ ποιήματα ϲυλλέξαι τοῦ ἀνδρόϲ. μάτην οὖν φληναφῶϲι Καλλίμαχοϲ καὶ Δοῦριϲ ὡϲ Πλάτωνοϲ οὐκ ὄντοϲ ἱκανοῦ κρίνειν ποιητάϲ· δηλοῖ γοῦν αὐτοῦ καὶ τὰ προκείμενα τὴν φιλόϲοφον κρίϲιν. καὶ ταῦτα ἱϲτορικώτερα θείη τιϲ ἄν. _______ Longin. fr. 34 Brisson – Patillon, Heraclid. Pont. fr. 6 Wehrli2 = 8 Schütrumpf, Choeril. Sam. test. 12 R. C. = SH 328b = test. °11 B.2, Antim. test. 4 Matthews, Call. fr. 589 Pf., Duris FGrHist 76 F 83.

La notizia è resa confusa dalla stratificazione di fonti, che neanche Proclo leggeva probabilmente di prima mano.169 È tuttavia chiaro che nel passo non sono affatto contrapposti ‘filo-antimachei’ e ‘filo-cherilei’, né academici e peripatetici. Cherilo è citato solo in rapporto a Platone: Proclo si limita ad affermare che il filosofo preferì la poesia di Antimaco in tempi in cui l’attenzione di tutti era rivolta a Cherilo (τῶν Χοιρίλου τότε εὐδοκιμοῦντων).170 Non si tratta dunque neppure di

167 Michelazzo (1983) 22–28, Lombardi (1997) in partic. 102–103, Naeke (1817) 92, 96–97, Rostagni (1927) 166–173 = I (1955) 314–322. Cf. anche Barigazzi (1950) 23–24, Koster (1970) 19, Häußler (1978) I 77. 168 Nel passo commentato da Proclo si legge una curiosa affermazione di Crizia, secondo il quale Solone, se si fosse dedicato solo alla poesia, sarebbe stato superiore persino a Omero e Esiodo. Proclo sembra voler sottrarre Platone all’accusa di essere un cattivo giudice di poesia. 169 Il problema è stato impostato con chiarezza da Michelazzo (1983) 22–23; cf. Swift Riginos (1976) 167–168. Con ogni probabilità Proclo riprendeva tutte le notizie dal suo maestro, Cassio Longino, esplicitamente citato: vd. Lehnus ap. Cozzoli (2004) 394. Egli le leggeva forse in Crantore, come propone Tarrant (2006) 75–76 n. 118. 170 La notizia richiama l’eccezionale lettura, a fianco dei poemi omerici, di cui sarebbe stato onorato Cherilo secondo la Suda (test. 1a): vd. cap. 1 § 1.3.

6 Un’anodina testimonianza: l’epigramma di Cratete 

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un vero e proprio confronto tra i due poeti.171 Lo stesso vale per le fonti citate successivamente. Da Proclo si deduce solo che il giudizio platonico fu criticato da Callimaco, verosimilmente senza alcun riferimento a Cherilo, né tantomeno un giudizio positivo sulla sua opera.172 La polemica di Duride contro Platone è stata invece spiegata alla luce di una campanilistica difesa di un suo concittadino, alla quale difficilmente si aggiunse una critica della poesia di Antimaco.173 L’unico dibattito di cui siamo a conoscenza è la disputa epigrammatica che oppose i sostenitori di Antimaco  – Asclepiade, Posidippo e Antipatro  – a Callimaco, il quale criticò apertamente la Lyde.174 Anche all’interno di tale discussione Cherilo non ha però alcun ruolo. Una contrapposizione tra Cherilo di Samo e Antimaco non è dunque dimostrabile; vengono perciò meno i motivi che imponevano di riconoscere nel Cherilo ricordato da Cratete il Samio.175 Se già B.A. van Groningen prendeva perentoriamente posizione per lo Iaseo, Bernabé e Magnelli hanno prudentemente mantenuto il dubbio tra i due omonimi.176

6.2 Cherilo (di Iaso?) peggiore di Antimaco: Euforione, Callimaco e la Lyde Cratete instaura una chiara gerarchia tra Cherilo e Antimaco prima di criticare Euforione, colpevole di imitare proprio Cherilo. Il giudizio negativo espresso su ‘Cherilo’ sembra più compatibile con lo Iaseo che non con il Samio. Come si è dimostrato, né la preferenza accordata da Platone a Antimaco sembra aver implicato una polemica contro Cherilo di Samo, né tale

171 Secondo Michelazzo (1983) 25 la fonte di Proclo avrebbe inserito il dettaglio relativo a Cherilo per «sottolineare il coraggioso anticonformismo di Platone». Sulle ragioni dell’apprezzamento di Antimaco da parte di Platone vd. Lombardi (1997) 102, anche per la bibliografia precedente. Circa la fortuna di Antimaco nell’antichità vd. Matthews (1996) 64–76. 172 La tesi secondo cui Cherilo sarebbe stato criticato nel prologo degli Aitia, espressa da Barigazzi (1956), va rifiutata: vd. Magnelli (2002) 54 n. 190, con bibliografia. 173 Michelazzo (1983) 25, Lombardi (1997) 102–103. Plutarco aveva probabilmente come fonte Duride in Lys. 18,7–10: vd. Landucci Gattinoni (1997) 235–236. Cherilo e Antimaco sono citati in successione, ma non è espresso alcun giudizio negativo su Antimaco. Egli è inoltre contrapposto non a Cherilo, ma a Nicerato di Eraclea. 174 Sull’intera vicenda vd. Krevans (1993). 175 Al passo di Proclo si appellavano, tra gli altri, Barigazzi (1950) 23–24 e Gow – Page (1965) II 222. Per l’identificazione con Cherilo di Samo vd. da ultimo Almagor (2019) ad F 33h. 176 Vd. van Groningen (1977) 9, Bernabé (19962) 190 e Magnelli (2002) 54 n. 189 e (2016) 522. Per Cherilo di Samo propendono anche Acosta-Huges – Cusset (2012) 8 n. 20.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

critica è ascrivibile a Aristotele o ad alcun poeta ellenistico.177 Cratete sarebbe dunque l’unico a criticare così esplicitamente Cherilo di Samo: ciò non è impossibile, ma rende più verosimile l’identificazione con lo Iaseo, la cui fama di pessimo poeta è attestata nelle fonti. Si ritiene di solito che Antimaco e ‘Cherilo’ siano opposti in quanto, rispettivamente, buono e cattivo poeta. Il riferimento a Antimaco va tuttavia riconsiderato alla luce delle coeve polemiche che divisero i poeti ellenistici a questo riguardo (cf. supra, § 6.1). Sembra difficile che la critica di Cratete, essendo indirizzata a Euforione, non tenesse conto del giudizio espresso da Callimaco.178 Per un callimacheo come Euforione, dopo che il suo maestro aveva definito la Lyde καὶ παχὺ γράμμα καὶ οὐ τορόν (fr. 398 Pf.), essere ‘peggiore di Antimaco’ significava essere ‘peggiore di un cattivo poeta’.179 Nell’epigramma si afferma peraltro che Cherilo era assai inferiore (πολὺ λείπεται) a Antimaco:180 la stessa formulazione negativa suggerisce di leggere il riferimento in questa direzione. Ciò non impedisce di supporre che Cratete fosse uno dei sostenitori di Antimaco, come si ritiene in genere, e che assumesse una posizione anti-callimachea perfettamente compatibile con un attacco personale contro Euforione. In tale ottica, il riferimento a Cherilo di Iaso risulterebbe pienamente comprensibile: Euforione, pur criticando come il suo maestro un buon poeta come Antimaco, imita in realtà poeti sulla cui incapacità non vi è neanche discussione. Difficilmente Euforione doveva davvero imitare Cherilo di Iaso: nella pointe si può cogliere più un leggero slittamento (Euforione ha sulle labbra i versi di Cherilo, o come quelli di Cherilo: comunque, pessimi versi),181 ma non si può neanche escludere che il riferimento fosse più sottile.182 Un’eventuale imitazione di Cherilo di Samo sarebbe invece difficile da motivare.183

177 Vd. supra, §§ 4.2 e 5.2. 178 Anche Barigazzi (1956) 169–170 ritiene che Euforione condividesse il parere di Callimaco. 179 Cf. invece Magnelli (2002) 65 n. 28: l’epigramma di Cratete «attesta solo che Euforione preferiva Cherilo (di Iaso o di Samo?) a Antimaco, il che  – indipendentemente dal doppio senso osceno del v. 2 – può significare tanto “non apprezzava Antimaco” quanto “apprezzava Cherilo ancor più di Antimaco”». Su Callimaco e Euforione vd. tuttavia Magnelli (2002) 22–26. 180 Secondo De Martino (1986) 144, l’espressione sottenderebbe un riferimento alla metafora sportiva presente nel proemio dei Περϲικά. 181 Di ‘esagerazione’ parla Magnelli (2002) 54. Cf. Acosta-Hughes – Cusset (2012) 8 n. 22. 182 Sull’ Ἀλέξανδροϲ di Euforione (forse Alessandro Magno) e per un possibile riferimento a Cherilo in altre sue opere vd. il cap. 1 § 2.2. 183 Non sono mancati tentativi per ravvisare in Cherilo di Samo caratteristiche vicine a Euforione: vd. Barigazzi (1956) 169–170 e Huxley (1969) 27. Su alcuni elementi ‘preellenistici’ vd. Lombardi (1997) 92–97 e MacFarlane (2017) 236. Vd. tuttavia Magnelli (2002) 54 n. 191.

6 Un’anodina testimonianza: l’epigramma di Cratete 

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6.3 Euforione ὁ Ὁμηρικόϲ e ‘Cratete’ L’identificazione di ‘Cherilo’ con Cherilo di Iaso può forse trovare conferma nella sibillina chiusa dell’epigramma, dove Euforione è sorprendentemente definito ‘omerico’.184 Come segnala γάρ, l’ultima critica va posta in relazione a quanto precede. L’affermazione non sembra tuttavia spiegabile solo sulla base del riferimento immediatamente precedente a Filita, la cui nomea di omerista sarebbe peraltro affermata solo in questo passo.185 La fama di ‘omerico’ pare invece collegabile con l’iniziale cenno a ‘Cherilo’, cui Cratete tornerebbe alla fine dell’epigramma.186 Un confronto con Omero è attestato per entrambi i Cherili, ma l’unico per il quale ha valore apertamente negativo, e quasi proverbiale, è Cherilo di Iaso (cf. supra, § 5.2). Se inoltre l’origine della nomea di Cherilo come pessimo poeta è da rinvenire nella deludente imitazione di Omero, l’epigramma di Cratete ne darebbe conferma, insieme alle testimonianze di Porfirione (test. 6a), di Pseudacrone (7) e forse anche di Filodemo (8, 9, °17).187 Euforione sarebbe dunque omerico proprio perché imita un (pessimo) imitatore di Omero. L’aggettivo assume perciò significato negativo, per gli impliciti significati di cui esso si era caricato con riferimento a Cherilo, incapace di reggere il confronto con il modello che si era posto.188 Che poi occorra leggere una critica all’imitazione di Callimaco da parte di Euforione, non può essere escluso, ma neanche affermato con certezza. Complessivamente, Cratete sembra dunque insistere sul problematico rapporto coi modelli in tutte le critiche da lui rivolte a Euforione:189 a questo tema possono essere ricondotti non solo il cenno a Omero, ma anche l’imitazione di Cherilo e di Filita; pure il riferimento alle glosse implica un rapporto potenzial-

184 Vd. Magnelli (2002) 5–56; cf. van Groningen (1977) 10 e Acosta-Hughes – Cusset (2012) 9 n. 24. 185 Dettori (2000) 11–12. A una ripresa di Filita e di καταγλῶϲϲα pensa C.W. Müller (1990) 37 = (1999) 507. 186 Lo suggeriscono in parte Gow – Page (1965) II 223 e Magnelli (2002) 55. 187 Cf. supra, § 5.4. 188 Magnelli (2002) 55 n. 196 si domanda se dietro a Ὁμηρικόϲ non si possa ravvisare una polemica basata sull’assimilazione della poesia di Euforione a «quella dei tanti Ὁμηρικοί da strapazzo avversati dai suoi modelli alessandrini». Cf. anche Garulli (2017) 150. Nell’unico frammento di Euforione in cui è citato (fr. 118 Powell), Omero è definito ἀπροτίμαϲτοϲ, hapax di Il. 19,263, con un gioco ironico messo in luce da Acosta-Hughes – Cusset (2012) 209 n. 274. 189 Il minimo comune denominatore delle quattro critiche rivolte a Cratete è individuato da Magnelli (2002) 54 n. 191 nello stile. Questo aspetto sarebbe naturalmente incluso in una polemica contro Euforione come emulatore.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

mente problematico con gli auctores.190 γάρ potrebbe dunque riferirsi con valore conclusivo a tutti gli esempi citati. Una conferma della ricostruzione proposta potrebbe essere riconosciuta nell’oscuro autore dell’epigramma, semplicemente indicato come ‘Cratete’ nell’Anthologia Palatina. I migliori candidati sono il grammatico Cratete di Mallo, il filosofo cinico Cratete di Tebe e l’ ἐπιγραμμάτων ποιητήϲ, altrimenti ignoto, ricordato da Diogene Laerzio (4,23). Nessuna di queste ipotesi si può davvero escludere, sebbene allo stesso tempo tutte presentino qualche difficoltà.191 Se tuttavia l’autore fosse davvero il Mallota, si avrebbe un altro argomento a favore dell’identificazione di ‘Cherilo’ con lo Iaseo. Tutti i passi di Filodemo che menzionano Cherilo di Iaso come esempio del pessimus poeta sono infatti in qualche modo connessi a Cratete di Mallo, la cui opera risulta essere stata la fonte principale di Filodemo per le teorie degli eufonisti e dei κριτικοί (vd. supra, § 2.4). Lo Iaseo era difficilmente ignoto a Cratete, che poté dunque servirsi della sua fama non solo in un trattato, ma anche nel dispettoso epigramma indirizzato a Euforione.192

7 Rivalutare Cherilo? Il giudizio unanimemente espresso su Cherilo di Iaso dalle fonti antiche fu per la prima volta davvero messo in discussione da K. Ziegler.193 Non sorprende che sino a quel momento i rari tentativi di rivalutazione del poeta di Alessandro si limitassero a brevi cenni non davvero significativi, quali si erano letti nelle pagine di Naeke e di Bergk, secondo cui Cherilo sarebbe stato nei fatti «nicht schlechter als die anderen» (cioè di altri poeti alessandrografi).194 L’epica ellenistica diventava infatti per la prima volta, più che ‘ein vergessenes Kapitel griechischer Dichtung’, come recitava il sottotitolo del pamphlet di Ziegler, «un capitolo sostanzialmente disprezzato, quasi rimosso» della letteratura greca in frammenti – uno dei pochi àmbiti perduti cui non si riservavano i tradizionali lamenti sulla scarsità dei resti, ma anzi si cercava di consolare il lettore sull’esiguo valore della perdita.195 Das hellenistische Epos mirava proprio a colpire la communis opinio continuamente

190 C.W. Müller (1990) 37 = (1999) 507. 191 Discussione e bibliografia in Broggiato (2001) lxvi–lxvii. 192 I motivi dell’opposizione a Euforione possono essere ricostruiti solo per via ipotetica: cf. van Groningen (1977) 9. Per i limiti di questa identificazione (in primis cronologici) vd. Broggiato (2001) lxvi–lxvii e Magnelli (2002) 55. 193 Ziegler (19662) 22–23. 194 Naeke (1817) 40, Bergk II (1883) 485–486 e n. 37. 195 Fantuzzi (1988) xxv.

7 Rivalutare Cherilo? 

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affermata, e non sorprende dunque che anche la fama negativa quasi incontrastata di cui Cherilo aveva goduto dai tempi di Orazio fosse chiamata in causa nel nuovo paradigma che il saggio di Ziegler andava proponendo.196 Dopo Ziegler, capita ancora di leggere tentativi di ‘riabilitare’ la poesia di Cherilo.197 Il contributo più interessante in proposito è senz’altro quello di C. Franco, il quale ritiene che un cambiamento di prospettiva a proposito della produzione dello Iaseo sia reso necessario dai Λαμιακά: l’opera sulla guerra lamiaca dimostrerebbe che Cherilo non fu solo «un ridicolo zimbello del re» ma «il testimone di una attualità drammatica».198 Naturalmente non è mancato chi si è affidato con minore scetticismo al parere oraziano.199 Ci si potrebbe dunque chiedere se il giudizio su Cherilo, di cui in questo capitolo si è indagata la possibile genesi, sia ancora condivisibile, o se occorra invece prenderne le distanze. Le circostanze in cui Cherilo si trovò a operare in quanto poeta ‘sul campo’200 e la precoce morte di Alessandro possono certo aver influito negativamente sulla qualità del poema. Esso non gli impedì peraltro di essere ricompensato dal Macedone (cf. cap. 2 § 9) e verosimilmente di essere assoldato da Antipatro per comporre i Λαμιακά (cap. 4 § 1.2). Suscitano però ovviamente qualche perplessità la perentorietà e la ripetitività (si direbbe quasi proverbiale) con cui la pessima fama di Cherilo torna continuamente nelle testimonianze. È peraltro vero che ogni tentativo di spiegare l’origine di questa fama implica una radicale sfiducia nelle fonti: tutte le ipotesi partono dal presupposto che il parere sia stato formulato in modo arbitrario, o comunque fazioso. Si può anche ammettere che la definizione di pessimus poeta ha in sé qualcosa di eccessivo, che difficilmente può rispondere al vero; è dunque chiaro che nella sua formulazione e diffusione giocarono anche aspetti di reciproco condizionamento tra gli autori che la trasmettono e un gusto per l’ironia e i giudizi inappellabili.201

196 Sulla difesa di Cherilo, certo non priva di arguzia, vd. in particolare Ziegler (19662) 22–23, che riprendendo il giudizio formulato da Federico II di Prussia su Goethe chiosa: «Die Helden des Schwertes sind nicht immer die maßgeblichsten Kunstrichter». Il giudizio è tuttavia reversibile: il genio politico-militare di Alessandro non deve necessariamente aver trovato riflesso in àmbito poetico. Sul valore di alcune osservazioni di Ziegler vd. cap. 2 § 9.1 e supra, § 5.3. 197 Cf. Tarn (1948) II 57, Bellinger (1957) 99. 198 Franco (2004) 390 e già (1997) 13. Sui Λαμιακά – anch’essi in realtà probabilmente composti con intenti cortigiani – vd. cap. 4 § 1.2. 199 Soprattutto Mariotti (1971) 148 ritiene, in polemica con Ziegler, che la tradizione antica sia sostanzialmente affidabile riguardo al giudizio su Cherilo. Vd. tra gli altri anche Magnelli (2002) 54 n. 191. 200 Cf. cap. 4 § 1.1. 201 Sull’etichetta di ‘pessimo poeta’ nell’antichità e non solo vd. Pelucchi (2022) 48 e n. 101.

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 Capitolo 3 Il giudizio su Cherilo

Una reale rivalutazione di Cherilo rimane tuttavia impossibile alla luce delle scarse testimonianze rimaste. La damnatio del poeta avvenne così presto e in modo così concorde da determinare la completa scomparsa della sua opera, l’unica alla quale ci si sarebbe potuti rivolgere per ripensarne il valore.202

202 Sui frammenti dell’opera di Cherilo vd. cap. 4.

Capitolo 4  L’opera superstite Frammenti ed epigrammi Stando alle fonti antiche, Cherilo avrebbe scritto un poema per Alessandro e uno intitolato Λαμιακά. Egli è inoltre connesso, sebbene in modo non chiaro, alla tradizione relativa all’epigramma di Sardanapalo. Il capitolo si propone di definire per quanto possibile le caratteristiche dell’opera epica (ed eventualmente epigrammatica) di Cherilo, prima di indagare i frammenti a lui attribuiti con vario grado di certezza.

1 Cherilo ‘epico’ Delle due opere ‘epiche’ di Cherilo di Iaso rimangono poche informazioni: per l’opera su Alessandro la tradizione oraziana  – condizionata dalla convinzione dello scarso valore poetico dello Iaseo – si limita a cenni essenziali e ripetitivi; dei Λαμιακά è tramandato appena il titolo.

1.1 ‘L’Achille di Cherilo’: l’encomio epico per Alessandro Magno Orazio (test. 3) e più esplicitamente i suoi scoliasti (5–7) informano che Cherilo compose il proprio poema mentre si trovava al séguito di Alessandro.1 Ciò permette di stabilire che Cherilo si dedicò a un’epica storico-encomiastica (o storico-panegiristica) relativa a fatti contemporanei,2 diversa dunque dall’opera di altri poeti che cantarono le imprese di Alessandro anche molto dopo (Arriano, Nestore, Festo), la quale potrebbe essere definita storica tout court o storico-antiquaria.3 Gli scoliasti di Orazio descrivono la materia in termini alquanto vaghi: Alexandri gesta (5a), opera (6a, 6b) oppure bella (7). Da tali cenni sembra di poter con-

1 Tarn (1948) II 60 ritiene che i poeti di Alessandro avrebbero composto le proprie opere «not all necessarily before Alexander’s death»; una poesia encomiastica si comprende tuttavia più facilmente mentre il laudandus è ancora in vita. 2 Fantuzzi (1984) 71 n. 11. Cf. anche Pallone (1984) 164–165. 3 Su questi oscuri poemi vd. cap. 1 § 2.2. Circa il valore in gran parte convenzionale di tali distinzioni cf. comunque Lehnus (1999) 224–225 = (2016) 151–152. https://doi.org/10.1515/9783110747041-005

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 Capitolo 4 L’opera superstite

cludere che il poema di Cherilo avesse per oggetto le imprese di Alessandro, con particolare riguardo – ovviamente – per le vicende belliche. La questione del contenuto è connessa al problema dell’estensione dell’opera. È infatti chiaro che la narrazione dell’intera anabasi di Alessandro potrebbe aver trovato spazio solo in un poema di ampie dimensioni, verosimilmente in più libri; ciò sembrerebbe suggerire anche l’aneddoto secondo cui Cherilo sarebbe morto per aver ricevuto un colaphus in cambio di ogni verso mal composto.4 La tesi è tuttavia da rifiutare: l’aneddoto sulla morte di Cherilo sembra un’invenzione successiva, peraltro non collimante con la più plausibile versione offerta da Orazio.5 È inoltre sempre più chiaro che in età ellenistica l’epica fu praticata prevalentemente nelle forme del Kleinepos (epilli ed encomi dinastici):6 anche se non è impossibile individuare alcune eccezioni, la ‘regola’ fissata da Alan Cameron sembra pienamente applicabile all’epos di Cherilo.7 Già l’ampiezza dalle imprese di Alessandro deve aver sconsigliato di intraprendere un’opera che potesse contenerle interamente; la presenza di più poeti alla corte del Macedone potrebbe essere legata a qualche forma di suddivisione delle imprese da cantare. Le circostanze della composizione, contemporanee o appena successive allo svolgersi degli eventi narrati, lasciano pensare a un’opera di estensione ridotta. La relativa brevità del poema contribuisce a rendere non inverosimile anche il dettaglio del pagamento κατὰ ϲτίχον.8 Nel passo oraziano dell’Ars poetica (test. 4,359), inoltre, le sviste presenti nel testo di Omero sono ritenute perdonabili perché contenute in un opus longum: la contrapposizione tra Omero e Cherilo presentata nei versi precedenti lascia intendere che l’opera del ‘poetastro’ fosse di minore estensione.9

4 Cf. Naeke (1817) 38. Cf. cap. 2 § 3.3. 5 Discussione nel cap. 2 § 9. 6 Cameron (1995) 263–302, in partic. 278–280; la tesi è anticipata da Naeke (1817) 38–39 (vd. cap. 5 § 2). Non è in ogni caso necessario rinunciare alla definizione di ‘epica’: cf. Franco (2004) 390 n. 34. Senza far ricadere necessariamente nella categoria di epica tutta la poesia esametrica, vi si potrebbe includere testi con diversi contenuti e forme: vd. Fantuzzi (1984) 71 n. 11. Ciò sembra peraltro in linea con la percezione antica, osservabile anche nella terminologia in uso negli agoni ellenistici, in cui erano presenti due specialità, ποίημα ἐπικόν e ἐγκώμιον ἐπικόν, senza che dunque fosse notata una differenza qualitativa tra poemi ed encomi, entrambi concepiti all’interno della categoria ‘epica’. Cf. Pallone (1984) 163. 7 Cameron (1995) 278–280, cf. Lehnus (1999) 224–225 = (2016) 151–152, anche per l’individuazione di alcune eccezioni. Discussione e bibliografia in Nelson (i.c.s.), che prospetta una posizione di equilibrio tra Ziegler e Cameron. 8 Cf. cap. 2 § 9.2. 9 Cf. cap. 3 § 1.1. Sul problema dell’eventuale lettura e/o conoscenza del poema di Cherilo da parte di Orazio: cap. 3 § 2.4.

1 Cherilo ‘epico’ 

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Nella prospettiva evidenziata, anche l’unità della materia potrebbe essere messa in discussione alla luce del confronto con gli ἔπη ἐϲ Ἀλέξανδρον di Anassimene di Lampsaco attestati in Pausania 6,18,2 (SH 45).10 L’uso del plurale suggerisce un insieme di carmi, se non autonomi, comunque solo parzialmente coesi. L’episodio presentato da Plutarco Alex. 50,8 a proposito della lettura dei versi di Pranico/Pierione nel corso di un banchetto apre uno squarcio sulle modalità di fruizione della poesia che fiorì alla corte di Alessandro, che appaiono più facilmente compatibili con composizioni di breve estensione.11 Non occorre tuttavia concludere che la poesia recitata in questi contesti fosse solo del genere che sembra praticato da Pranico/Pierione.12 Se sembra dunque chiaro che Cherilo affrontò solo alcuni episodi (cronologicamente o tematicamente scelti) relativi ai gesta Alexandri, componendo un epos storico-encomiastico, un poemetto o un encomio,13 rimane difficile precisare quali momenti e aspetti siano stati effettivamente selezionati. Sembra tuttavia certo il rapporto di Cherilo con Omero. Sulla base di questa connessione, si è talvolta tentato di attribuire a Cherilo (e ad altri poeti di Alessandro) alcuni episodi ‘omerici’ relativi alla vicenda del Macedone poi attestati nella storiografia o nell’epica di età successiva.14 La pervasiva presenza di riferimenti omerici nella tradizione relativa a Alessandro non è casuale e certamente i poeti devono aver sfruttato i paralleli epici all’interno dei loro poemi: è facile pensare che l’attenzione si sia rivolta alla visita di Alessandro alla tomba di Achille e il riferimento all’eroe omerico può anche aver suggerito un excursus genealogico che riconnetteva Alessandro all’illustre antenato.15 Si deve tuttavia rinunciare a entrare più nel dettaglio di quali scene ed episodi siano stati richiamati da Cherilo.16 La loro invenzione non può infatti essere assegnata a una personalità specifica,17 ma va letta alla luce di un processo mitopoietico più complesso in cui dovette avere

10 Vd. cap. 2 § 9.1, con la bibliografia. 11 Su questo passo vd. anche cap. 2 § 4.2. 12 «[S]hort elegies, or even iambic invectives» secondo Cameron (1995) 279; vd. anche Clayman (2009) 32–33. Sul carattere serio dell’epos di Cherilo vd. infra. 13 Per queste definizioni vd. rispettivamente Fantuzzi (1984) 71 n. 11, Pallone (1984) 165, Cameron (1995) 279. 14 Cf. in particolare Tarn (1948) II 55–62, Borzsák (1998a) 55–98. Riferimenti in Squillace (2004) 66–67. 15 Al tema di una discendenza divina sembra in particolare riferirsi Arriano Anab. 4,9, dove però è citato Agide, non Cherilo. Sul legame tra Iaso e Alessandro–Olimpiade: cap. 1 § 4.2. 16 È arbitraria la ricostruzione di Tarn (1948) II 59, il quale ritiene che Alessandro sarebbe stato cantato da Pisandro come Eracle (cui Strabone 14,2,13,655 e 15,1,9,688 attribuisce – non senza dubbi – una Ἡράκλεια), da Agide e Cleone come Dioniso, da Cherilo come Achille. 17 Proprio a Cherilo pensa invece Tarn (1948) II 57, 269.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

un ruolo significativo il legame del Macedone con l’Iliade e in particolare con la figura di Achille. Anche gli storici devono peraltro aver contribuito ad arricchire questo immaginario.18 Anche la presenza di un Götterapparat di tipo omerico, spesso postulato per l’epica ellenistica,19 non è improbabile. Le divinità più plausibili sono Eracle, alla luce di Strabone 15,1,8–9,687–688 e del legame che lo univa alla dinastia argeade,20 Dioniso, per le sue imprese indiane, e i Dioscuri, che pure appaiono più raramente nelle fonti.21 Anche in questo caso non si può tuttavia entrare maggiormente nel dettaglio. Ancora più congetturale rimane ipotizzare che tali riferimenti implicassero una divinizzazione del Macedone, come si è pensato sulla base del confronto tra Orazio Epist. 2,1,5 e Curzio Rufo (test. 11).22 La comparsa degli dèi in concili e battaglie non richiede necessariamente che Alessandro fosse a loro eguagliato: ciò potrebbe essere avvenuto anche solo in similitudini e confronti laudatorî.23 L’imitazione omerica non risiedeva probabilmente solo nel contenuto ma anche nella forma.24 È tuttavia difficile precisare se l’opera di Cherilo fosse più tradizionale o se vi trovassero invece spazio novità riscontrabili in altra poesia di IV secolo, innanzitutto in Antimaco di Colofone. Si è già notato che il poema di Cherilo doveva avere un’estensione assai limitata, una caratteristica che sembra anticipare successive tendenze della poesia ellenistica di scuola callimachea.25 La ripresa di Omero avveniva in ogni caso nel contesto di un epos ‘serio’, difficil-

18 Su Alessandro e Omero vd. Barbantani (2016) 1–5 e (2017) 51–55; in particolare riguardo a Arriano: Liotsakis (2019) 163–225; cf. cap. 3 § 5.4. Il legame tra Alessandro e Achille è ritenuto una costruzione posteriore da Heckel (2015); cf. Moloney (2015). 19 Ziegler (19662) 23–37, Feeney (1991) 266–267. 20 Crusius (1899) 2362, Tarn (1948) II 57. 21 Vd. cap. 2 § 4.1. Per la presenza di Giganti e Titani vd. Koepp (1873) 47–50 e Crusius (1899) 2362. 22 Così Bellinger (1957) nel solco di un’idea di Tarn (1948) II 61. La tesi è accolta da Doblhofer (1966) 129–137 e da Dickie (1983) 77. L’elenco delle divinità presente in Orazio e Curzio non deriva da Cherilo, ma è Curzio a riprenderlo da Orazio, come dimostrato nel cap. 2 § 4.1. Coppola (2017) 127–129 ritiene che la fonte non sia Cherilo, ma «racconti presenti in Storie del Macedone». Tarn (1948) II 56 nota comunque che il luogo curziano, pur discutendo la divinizzazione del Macedone, non presuppone una identificazione tra Alessandro e Eracle o Dioniso. 23 Su questo aspetto, tipico degli encomi, vd. Cameron (1995) 279. 24 La differenza era nota agli antichi: per esempio, Arato è definito imitatore di Omero esclusivamente κατὰ τὴν τῶν ἐπῶν ϲύνθεϲιν, cf. Cameron (1995) 380. 25 Un (fallito) tentativo di superare di Omero potrebbe essere all’origine della fama di Cherilo: cf. cap. 3 § 5.4. Si segnala anche lo stile particolarmente audace del fr. °3, su cui vd. infra, § 3.3. Suggestivamente, bisogna ricordare che secondo la ricostruzione di Wilamowitz e Pfeiffer proprio ai poeti dell’Eolide–Ionia–Caria e delle isole antistanti si dovrebbe l’impulso decisivo alla nuova poesia ellenistica: vd. Lehnus (1993a) 104 = (2016) 93.

1 Cherilo ‘epico’ 

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mente assimilabile all’opera epico-parodica di Timone, Archestrato o Matrone, come pure si è talvolta supposto.26 Nessun frammento attribuibile a Cherilo presenta elementi comici; alcuni potrebbero anche rivelare un interesse filosofico.27 A questa conclusione invita anche la testimonianza di Orazio nell’Epistula ad Augustum, in particolare per il confronto con l’opera di Virgilio e Vario.28 Ciò non esclude naturalmente che l’epos di Cherilo, enfatico e trionfalistico, sia potuto apparire involontariamente comico.29 Il fallimento doveva risultare chiaro soprattutto alla luce del modello omerico, forse da porre all’origine della cattiva fama del poeta (cf. cap. 3 § 5.4). La connessione con Omero assicura in ogni caso che il poema di Cherilo fosse in esametri. Ciò è sufficiente per escludere la possibilità che frammenti del suo poema vadano riconosciuti nei coliambi tràditi nel Romanzo di Alessandro, di fatto gli unici resti di poesia alessandrografica giunti sino a noi.30 La loro qualità è certo modesta, anche se non infima come talvolta si è ritenuto.31 Una datazione coeva a Alessandro non può essere completamente esclusa, sebbene appaia improbabile.32 Il titolo dell’opera – se ne ebbe uno, come suggerisce il confronto con i Λαμιακά – è perduto.33 Essa potrebbe essere stata designata con formule equivalenti a quella tràdita da Pausania a proposito dell’opera di Anassimene, cui si è già accennato (ἔπη ἐϲ Ἀλέξανδρον). In alcuni scolî oraziani già citati (testt. 6a, 6b) si legge che Cherilo opera Alexandri descripsit; già Tarn ipotizzava per l’espressione, in effetti lievemente straniante, un modello greco (πεπραγμένα).34 Se tuttavia si intende opera in senso letterario – come suggerisce il confronto con il passo oraziano commentato da Porfirione (test. 4,359) in cui opus compare in tale accezione – l’espressione risulta

26 Clayman (2009) 32–33. La differenza risiede innanzitutto nei temi: gastronomici per Archestrato e Matrone, filosofici per Timone. Anche il parallelo con Pitone (vd. supra) non è indicativo, essendo questi autore di un dramma satiresco. Sul carattere non comico del fr. °3 vd. infra, § 3.3. 27 Vd. infra, §§ 2.1, 3.2, 3.4, 3.5. 28 Cf. cap. 2 § 2.1. 29 Barbantani (2015) ad F 1a definisce l’epica di Cherilo ‘bombastic’ e ‘triumphalistic’. 30 Per i riferimenti a Alessandro nella poesia ellenistica vd. invece Barbantani (2017). 31 Secondo Knox (1929) xxv–xxvi sarebbero «surely the worst verses, in every respect except that of the metre, that were ever written». 32 Stoneman (2007) xxix, xlvi propone di assegnare i coliambi a Escrione di Samo o di Mitilene (SH 1), l’unico poeta alessandrografo per il quale è attestata una tradizione sulla composizione di giambi. Sulla necessità di distinguere due Escrioni vd. tuttavia Lloyd-Jones – Parsons (1983) 4. Per la datazione vd. l’analisi di Braccini (2004) xlv–l, che per quanto concentrata su uno dei brani citati nel Romanzo (1,46a) avvalora una datazione all’età imperiale. 33 Lo segnala esplicitamente Pallone (1984) 165. 34 Tarn (1948) II 47.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

facilmente sovrapponibile alla formula utilizzata da Pausania (ἔπη ἐϲ Ἀλέξανδρον). Essa sembra tuttavia più una designazione generica,35 forse diffusa in àmbito grammaticale, che non un titolo vero e proprio; descripsit pare d’altra parte introdurre più il contenuto che non il titolo del poema, che risulterebbe peraltro un unicum. ἔπη pare altrimenti rimandare ai tipici titoli al neutro plurale come i Μηϲϲενιακὰ ἔπη di Eschilo di Alessandria (SH 13), da confrontare con i Μηϲϲενιακά di Riano.36 Per l’opera su Alessandro un titolo del genere, che pure avrebbe trovato conferma nell’unica altra opera nota di Cherilo, i Λαμιακά, va tuttavia senz’altro escluso: quando al centro dell’opera si trova una persona (essere umano o divinità) si preferisce il semplice nome, come nel caso dell’ Ἀντίπατροϲ di Antigono di Caristo (SH 47),37 o forme derivate, come per la Διονυϲιάϲ di Neottolemo di Pario (fr. 1 Powell).38 Sembra dunque probabile che l’opera di Cherilo fosse intitolata Ἀλέξανδροϲ ο Ἀλεξανδριάϲ, come rispettivamente gli scritti di Euforione (forse dedicato proprio a Alessandro Magno) e dell’Arriano ἐποποιόϲ menzionato dalla Suda (SH 207).39

1.2 Le battaglie e l’assedio: i Λαμιακά per Antipatro Secondo la Suda (test. 1a) Cherilo di Samo avrebbe composto un’opera intitolata Λαμιακά. Il neutro plurale di aggettivi etnici o geografici si trova utilizzato sia in epica sia in storiografia,40 ma il contesto non lascia dubbi circa il fatto che qui si tratti del primo caso. Il riferimento è naturalmente alla città tessala di Lamia e, comunque lo si intenda, esso impedisce di assegnare la notizia a Cherilo di Samo.41

35 Naturalmente ἐϲ può essere anche un adattamento di Pausania in luogo di un originario εἰϲ: cf. Fantuzzi (1988) lx. 36 Su questi titoli vd. Walsh (2011) 541–542. Circa il poema di Riano vd. Bertelli (2010) ad F 38. 37 Cf. Fantuzzi (1988) lxii. 38 Fantuzzi (1988) lxxiv–lxxv. Così anche la Ἡρακλείαϲ di Fedimo (SH 667), opera però forse in distici elegiaci: vd. Fantuzzi (1988) lxxix. Adottando un’indicazione geo-etnografica, a quale regione e a quali popoli si potrebbe altrimenti limitare l’encomio di Alessandro? I titoli Περϲικά, Ἰνδικά o ancora Βαρβαρικά sembrano troppo distanti dal contenuto del poemetto, almeno per come appare alla luce delle notizie degli scoliasti di Orazio. 39 Vd. le indicazioni nel cap. 1 § 2.2. Un’alternativa meno probabile potrebbe essere suggerita ancora dagli scolî oraziani; dalla formula gesta o bella (e anche opera, qualora lo si intenda come Tarn) Alexandri si potrebbe ricostruire un titolo simile agli Ἡρακλέουϲ ἆθλα di Diotimo menzionati dalla Suda (SH 394), che circolarono probabilmente anche come Ἡράκλεια (SH 393) – se si può concedere che si tratti della stessa opera: vd. Fantuzzi (1988) lxiv. 40 Jacoby (1909) 85–109 = (1956) 22–48, Walsh (2011) 541–542. 41 Solo Pelluci Duarte Mortoza (2016) 103–105 propone dubitosamente che si tratti di un titolo alternativo per l’epigramma di Sardanapalo (epigr. °1) alla luce della presenza della radice

1 Cherilo ‘epico’ 

 153

Se l’opera fosse considerata un epos cittadino in cui trovavano spazio le mitologie locali attestate in Stefano Bizantino s.v. Λάμια (λ 25),42 l’autore sarebbe dovuto essere originario della regione; rimarrebbe tuttavia oscuro il motivo per cui il titolo sarebbe confluito nella voce della Suda relativa al Samio. D’altra parte, con l’eccezione di Pausania che ricorre all’aggettivo per designare il golfo lamiaco,43 Λαμιακόϲ è utilizzato esclusivamente per designare la guerra lamiaca. L’opera, che si rivela cronologicamente incompatibile con l’attività di Cherilo di Samo, va dunque attribuita allo Iaseo, cui sono riconducibili anche altre informazioni presenti all’interno del lemma.44 In alternativa, si dovrebbe correggere Λαμιακά in Ϲαμιακά, seguendo una congettura di Daub già considerata e rifiutata da Naeke:45 l’emendazione non è necessaria da nessun punto di vista, come ha definitivamente dimostrato J. Walsh.46 Riguardo all’estensione dell’opera, vale quanto si è concluso a proposito del poemetto su Alessandro: anche la forma dei Λαμιακά è riconducibile all’àmbito del Kleinepos ellenistico. In questo caso una conferma ex silentio può essere individuata nel fatto che la Suda non precisa il numero di libri, informazione che tende invece a fornire nei casi di opere più estese.47 Il confronto con l’opera per Alessandro suggerisce che anche i Λαμιακά appartenessero al sottogenere storico-encomiastico. È da considerarsi certo che Cherilo abbia assunto una prospettiva filomacedone e dunque antiateniese;48 lo stesso orientamento abbracciò peraltro Gorgo, suo concittadino.49 Antipatro si rivela il più probabile destinatario e protagonista dell’opera, sia perché fu uomo di lettere sia alla luce della naturale continuità di potere che lo lega a Alessandro Magno.50 Cherilo potrebbe aver composto il poemetto mentre si trovava al séguito

λαμ- (designante voracità) che si ritrova in Λάμια, il mostro che secondo la tradizione si cibava di carne umana. 42 Naeke (1817) 101. 43 Paus. 1,4,3, 7,15,2, 10,1,2. Deve trattarsi della denominazione meno nota per il Μαλιακὸϲ κόλποϲ più volte menzionato da Strabone. 44 Vd. cap. 1 § 1. 45 Daub (1880) 416, Naeke (1817) 101. La proposta di Daub è accolta da Fantuzzi (1997), Cameron (1995) 278, Almagor (2019) ad F 33a. Vd. già Mülder (1907) 42–43, Huxley (1969) 23, Michelazzo (1982). Cf. anche West (2012). 46 Walsh (2011) 541. Cf. già Radici Colace (1979) 1, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 154, Bernabé (19962) 188, MacFarlane (2002) 303–304. Mantengono il dubbio Crusius (1899) 2362, Fantuzzi (1988) lxvi, Franco (2004) 180. 47 Così e.g. s.v. Ῥιανόϲ (ῥ 158). 48 Walsh (2011) 543–544 e (2012) 153; ma già Franco (1997) 13 e (2004) 390. 49 Franco (1997) 13 e (2004) 390; vd. cap. 1 § 4.3. 50 Vd. rispettivamente Walsh (2011) 543 e (2012) 153. Antipatro fu storiografo ed epistolografo egli stesso e forse anche mecenate: vd. Walsh (2011) 149–154.

154 

 Capitolo 4 L’opera superstite

di Antipatro o, meno probabilmente, vi si dedicò proprio per essere ammesso alla corte del diadoco. L’analisi dei Λαμιακά presenta difficoltà diverse dall’opera su Alessandro, sebbene sia comune (e persino più grave) la carenza di testimonianze. La ricostruzione del poema è infatti ostacolata dalle incertezze che gravano sull’origine dell’espressione ‘guerra lamiaca’ e sui limiti cronologici in cui il conflitto va inscritto. Riguardo a questo secondo punto, M. Sordi ha dilatato la tradizionale durata dello scontro dimostrando che esso fu intrapreso prima della morte di Alessandro e che sul fronte etolico ebbe termine solo con la κοινὴ εἰρήνη stabilita nel 319 a.C. dal διάγραμμα di Polisperconte.51 Circa la denominazione del conflitto noto anche come Ἑλληνικὸϲ πόλεμοϲ, il conio della formula Λαμιακὸϲ πόλεμοϲ è generalmente fatta risalire a Ieronimo di Cardia. Rispetto a tale posizione, il titolo dell’opera di Cherilo permette senz’altro, come ha segnalato Walsh, di retrodatare ulteriormente l’uso del termine.52 Rimane tuttavia da stabilire se nell’opera del poeta l’espressione si limitasse a descrivere l’assedio di Lamia oppure includesse già le battaglie di Amorgo53 e di Crannone (se non l’intero conflitto, per come è stato ricostruito da Sordi). Anche se è lecito attendersi la presenza di riferimenti minori a questi ultimi scenari (sotto forma di excursus, di anticipazioni, di notizie riportate agli assedianti e/o agli assediati),54 sembra più probabile che ai fatti di Lamia fosse dedicata la maggior parte della narrazione.55 a)

In Plutarco Demetr. 10,2, l’unico altro passo della letteratura greca in cui la guerra lamiaca è indicata esattamente come nel titolo dell’opera di Cherilo, è possibile cogliere una distinzione tra gli eventi propriamente lamiaci, designati come Λαμιακά, e la successiva battaglia di Crannone: ἀπὸ τῶν Λαμιακῶν καὶ τῆϲ περὶ Κραννῶνα μάχηϲ.56 L’espressione è da assegnare alla fonte di Plutarco, che in Pyrrh. 1,6 ricorre alla formula più comune Λαμιακὸϲ πόλεμοϲ, e sembra risalire a una fase iniziale della storiografia in cui i diversi momenti del conflitto non erano ancora stati raccolti sotto un’indicazione unitaria. A

51 Per entrambi gli aspetti vd. rispettivamente Sordi (1987a) 32–34 = (2002) 437–440 e (1987b) 33–34 = (2002) 463–465. 52 Walsh (2011). 53 Ed eventualmente anche delle Echinadi e dell’Ellesponto: circa la mancata convergenza delle fonti e su alcune ipotesi per spiegarla vd. Landucci Gattinoni (2008) 92–95. 54 D’altra parte lo scontro a Amorgo si svolse mentre l’assedio non era ancora concluso. 55 Secondo Walsh (2011) 543 «Choerilus could well have treated the larger events of the war in such a poem». 56 Crannone è distinta dal resto della guerra anche in Plut. Phoc. 26 (καὶ γενομένηϲ πάλιν ἐν Κραννῶνι παρατάξεωϲ). Vd. Walsh (2011) 538–539.

1 Cherilo ‘epico’ 

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tale rappresentazione dello scontro doveva senz’altro attenersi – per motivi cronologici – anche il poema di Cherilo. b) Sulla base di una riconsiderazione delle testimonianze di Diodoro e di Plutarco la critica ha ampiamente relativizzato il ruolo delle sconfitte di Amorgo e di Crannone.57 La responsabilità della resa sembra che vada invece attribuita al partito filomacedone presente a Atene (in primis a Focione e a Demetrio Falereo).58 Non è dunque inverosimile che tali battaglie fossero perlopiù escluse dalla narrazione. c) La scelta dell’assedio come momento cardine del poemetto ben si comprende alla luce del modello omerico, specificamente iliadico, già seguito da Cherilo nell’opera su Alessandro (vd. supra, § 1.1) e forse impostogli dallo stesso Antipatro.59 d) L’eventuale centralità di Lamia nel poema ben si connette con la tesi che riconosce in Antipatro il committente dell’opera.60 Se ciò rende probabile un riferimento (verosimilmente conclusivo) alla battaglia di Crannone, rimane infatti vero che questi si trovò per la maggior parte del conflitto nel ruolo di assediato né poté prendere parte allo scontro di Amorgo. Potrebbe apparire insolito che per celebrare il proprio committente l’autore di un encomio epico abbia scelto un episodio che presentava il laudandus chiuso in una roccaforte, impegnato in uno scontro prevalentemente difensivo. La presentazione del conflitto poteva tuttavia prevedere fasi alterne; d’altra parte Antipatro risulterà infine vincitore; anche nell’Iliade, in ogni caso, l’iniziale situazione di difficoltà determinata dall’allontanamento di Achille anticipa la riscossa achea che occupa la seconda parte del poema. La vittoria dell’eroe assediato rivelerebbe in ogni caso un significativo capovolgimento del modello omerico, anticipando il trattamento di Aristomene nei Μηϲϲενιακά di Riano. Pausania assicura infatti che il protagonista della seconda guerra messenica (infine sconfitto) era presentato quale ‘nuovo Achille’.61

57 Sordi (1987a) 30–31 = (2002) 435. Cf. anche Landucci Gattinoni (2008) 93–94. 58 Su Focione vd. in partic. Sordi (1987a) 31 = (2002) 436. 59 Forse su imitazione dell’illustre predecessore. Come Alessandro, anche Antipatro ebbe un rapporto privilegiato con Aristotele (Suda α 2703 lo descrive come μαθητὴϲ Ἀριϲτοτέλουϲ), per i cui studi omerici vd. cap. 3 § 2.4. Sul modello iliadico dell’assedio vd. Walsh (2011) 543–544. 60 Walsh (2011) 543–544 e (2012) 153. 61 Sull’innovazione del modello presupposta da questa sconfitta vd. Castelli (1994b) 13–15.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

Al pari che per l’opera su Alessandro, è quasi impossibile precisare con più esattezza il carattere iliadico dei Λαμιακά.62 Gli elementi omerici pur presenti nei resoconti storiografici dell’assedio possono essere spiegati come una libera rielaborazione degli stessi autori – o delle loro fonti – prima che come una ripresa dell’opera di Cherilo. Sembra tuttavia significativo almeno il confronto con il racconto di Diodoro 18,13 a proposito della morte di Leostene causata da una pietra:63 scene simili sono tipiche nell’Iliade e furono riprese anche da Riano.64 La fine di Leostene poteva essere opportunamente messa in relazione all’intervento di una divinità che avrebbe guidato la pietra contro lo stratego ateniese:65 la presenza di un Götterapparat omerico, come già per l’epos su Alessandro, è verosimile anche per i Λαμιακά.66 Il dettaglio presente in Diodoro potrebbe risalire a una narrazione ‘iliadica’ del conflitto, in qualche modo connessa all’opera di Cherilo. Su tale questione pare opportuno concludere. Attribuire al poeta un ruolo nell’affermarsi della visione del conflitto poi attestata nella storiografia sembra incompatibile con il giudizio che grava sulla sua poesia, sebbene esso non coinvolga direttamente i Λαμιακά.67 È tuttavia verosimile che l’opera abbia almeno contribuito a diffondere una prospettiva sulla guerra che poneva al centro l’assedio lamiaco, senza che sia necessario individuare in Cherilo il primus inventor di tale narrazione. Essa potrebbe infatti essere ascritta a un desiderio di Antipatro ed era probabilmente diffusa nell’àmbito del suo entourage. La prossimità cronologica del ‘poetastro’ rispetto alle vicende narrate e la presenza della formula nel passo plutarcheo già menzionato (Demetr. 10,2) sembrerebbero tuttavia suggerire che la prospettiva presente nel poema di Cherilo non sia stata del tutto ininfluente, soprattutto se si considera che la centralità di Lamia era 62 Si è generalmente insistito sulla tragicità che dominava la scena: vd. Franco (1997) 13 e (2004) 390, Walsh (2011) 543. Se davvero presente, essa doveva comunque assecondare la celebrazione di Antipatro. 63 Diodoro è l’unica fonte che riporta questo dettaglio, con l’eccezione di Giustino 13,5,12, il quale però riferisce di un telum. 64 Il particolare è peraltro enfatizzato da Diodoro: la fine della carismatica guida dei Greci e ‘autore’ della guerra è presentata come il punto di svolta del conflitto, il che è in parziale contraddizione con il ruolo poi attribuito a Crannone e Amorgo. Si ritiene tuttavia generalmente che questo aspetto derivi dal «filone pubblicistico iperideo»: vd. Landucci Gattinoni (2008) 84. Su Riano vd. Castelli (1994b) 14–15. 65 Così sia Diodoro sia Pausania 1,25,5 e 3,6,1. 66 Vd. supra, § 1.1. 67 Se essa riguarda apparentemente il solo poemetto per Alessandro, non risulta tuttavia che i Λαμιακά furono valutati diversamente o in misura tale da limitare l’universale dissenso sull’opera del ‘poetastro’. Vd. Walsh (2011) 543–544. Una rivalutazione dell’opera di Cherilo a partire dall’opera sulla guerra lamiaca è tentata da Franco (1997) 13 e (2004) 390, ma rimane problematica: vd. cap. 3 § 7.

2 Cherilo epigrammista? 

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emblematicamente segnalata già nel titolo – l’unica traccia dell’opera in effetti conservata.

2 Cherilo epigrammista? A Cherilo di Iaso sono assegnati due epigrammi esametrici: l’epitafio di Sardanapalo (testt. 15–16, identificato con epigr. °1) e un’epigrafe rinvenuta a Iaso (epigr. °2). Sebbene non se ne possa trovare conferma negli ἐπιγράμματα menzionati dalla ps.-Eudocia (test. 1b),68 entrambe le attribuzioni, che pure devono naturalmente rimanere dubbie, appaiono verosimili. La produzione ‘epica’ ed epigrammatica risultano pienamente compatibili e diversi poeti ellenistici si cimentarono in entrambi i generi.69 I due epigrammi assegnati a Cherilo sono peraltro in forma esametrica e le due attribuzioni potrebbero in parte sostenersi a vicenda. Alcuni elementi suggeriscono in ogni caso che lo Iaseo, se davvero vi si dedicò, abbia riservato a questo genere un impegno secondario: l’epitafio di Sardanapalo era eventualmente inserito senza soluzione di continuità all’interno del poemetto per Alessandro; l’iscrizione rivenuta a Iaso andrebbe collocata nella prima fase della sua produzione.

2.1 Cherilo ‘traduttore’. L’epigramma e gli epigrammi per Sardanapalo Nel corso del libro dodicesimo dei Deipnosofisti, dedicato a varî aspetti della voluttuosità, sulla base della testimonianza di Aminta Ateneo menziona un ‘Cherilo’ in relazione all’epitafio che si trovava sulla tomba di Sardanapalo a Ninive (test. 15).70 L’assenza dell’etnico lascia naturalmente aperte tutte le possibilità per l’identificazione. Il problema non è risolvibile considerando quali Cherili furono noti a Ateneo:71 Χοιρίλοϲ ὁ ποιητήϲ ricordato a 8,345d è naturalmente il Samio,72 come con ogni probabilità anche il Cherilo del frammento tratto dal Lino di Alessi

68 Vd. cap. 1 § 3. 69 Per esempio Riano, Antagora, Niceneto, Fedimo e forse l’Archia di Cicerone. Su Fedimo e Archia vd. rispettivamente Gow – Page (1965) II 453 e (1968) II 434–435. 70 Sulla grafia del nome vd. Schneider (2000) 122–123, con le precisazioni di De Stefani (2018) 61 n. 34. 71 Diversamente Drews (1970) 187. 72 Il riferimento a Archelao assicura che si tratti di Cherilo di Samo (test. 5 R. C.= 4 B.2).

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 Capitolo 4 L’opera superstite

(fr. 140 K.–A.), in cui alcuni riconoscono tuttavia l’Ateniese;73 l’autore di tre esametri (fr. °3) assegnati a Χοιρίλοϲ ὁ ἐποποιόϲ potrebbe essere tanto il Samio quanto lo Iaseo (11,464ab).74 Lasciando da parte la questione se Ateneo si sia posto il problema di quale fosse l’autore menzionato dalla sua fonte,75 occorre piuttosto rivolgere l’attenzione a quest’ultima. Aminta (FGrHist 122) è un personaggio oscuro e sulla sua opera, di cui rimangono solo otto frammenti, sono state espresse interpretazioni discordi. Sembra tuttavia che egli vada considerato  – come anche Betone  – uno dei bematisti di Alessandro Magno anziché un autore più tardo liberamente ispiratosi all’opera di Betone.76 In entrambi i casi il rapporto con Alessandro rimane comunque evidente. Il Cherilo ricordato da Aminta non può che essere il ‘poetastro’ che seguì Alessandro in Oriente. Cherilo di Samo avrebbe potuto interessarsi alla vicenda di Sardanapalo nell’àmbito della trattazione delle ‘antichità orientali’ contenuta nei Βαρβαρικά o nei Μηδικά,77 ma non si comprenderebbe perché la notizia sia trasmessa solo da uno scritto tecnico e di scarsa circolazione come gli Ϲταθμοί di Aminta.78 Stando alla testimonianza di Ateneo, Aminta riportava la versione greca del testo inciso in ‘lettere caldee’ sulla stele della tomba di Sardanapalo a Ninive, lo stesso testo che sarebbe stato tradotto e messo in versi da Cherilo.79 L’invito edonistico che anima il testo di Aminta si ritrova apparentemente in altre due forme dell’epitafio di Sardanapalo note alla letteratura greca, una in prosa ionica (a), l’altra invece in versi (b), che presentano affinità e differenze rispetto alla versione di Aminta.

73 Choeril. Sam. test. °1 R. C. = °12 B.2: cf. Lombardi (1997) 96 n. 48. Sull’attribuzione a Cherilo di Samo, e non all’omonimo tragico, vd. Huxley (1969) 25. Per l’attribuzione a Cherilo Ateniese vd. Drews (1970) 187 n. 22 e Arnott (1996) 410. 74 Discussione infra, § 3.3. 75 Drews (1970) 187 ritiene che Ateneo conoscesse un solo Cherilo, il Samio, come parrebbe suggerire la mancanza di indicazioni nei passi menzionati. Ciò è ovviamente possibile, ma Ateneo cita molti alessandrografi: vd. Zecchini (1989) 60–68. Una conoscenza di Cherilo di Iaso non può essere esclusa. 76 Vd. il «Biographical Essay» in Bearzot (2006), cui rinvio per la discussione della bibliografia precedente. 77 Siano essi opere autonome o più probabilmente sezioni dei Περϲικά: cf. cap. 1 § 1.3. 78 Huxley (1969) 27. La paternità dello Iaseo è riconosciuta (con varî gradi di sicurezza) tra gli altri da Naeke (1817) 196–256, Crusius (1899) 2362, Weißbach (1920) 2445, Radici Colace (1979) 8 n. 7, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 157, Bearzot (2006) ad F 2, Williams (2018) ad F 303, Almagor (2019) ad F 33a. Per Cherilo di Samo vd. Corssen (1917) 47–51, Berve (1926) II 409, Alessandrì (1969) 206 n. 21, Drews (1970) 187–188, Prandi (1985) 148–151; cf. anche Radt VIII (2009) 119; contra Bernabé (19962) 190. 79 Sulle ‘lettere caldee’ (anche ‘assire’) vd. Schmitt (1992) in partic. 27–28, 33–35.

2 Cherilo epigrammista? 

a)

b)

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Della versione prosastica (vd. l’Appendix dell’edizione) sono testimoni Aristobulo via Ateneo, Strabone e Arriano (FGrHist 139 F 9), Apollodoro, come ricordano alcuni scolî agli Uccelli aristofanei (FGrHist 244 F 303), Ellanico e/o Callistene in Fozio e nella Suda (FGrHist 4 F 63b, 124 F 34);80 sulla versione di Clearco (fr. 51d Wehrli2 = 51d Dorandi), che presenta una variante significativa, si tornerà in séguito. Il testo, la cui veste dialettale rimanda a un autore in ionico,81 si sarebbe concluso con τούτου, che si riferiva – come precisano le fonti – al gesto della statua che si trovava nei pressi del monumento, la quale raffigurava Sardanapalo nell’atto di schioccare le dita oppure, secondo i diversi testimoni, di applaudire o anche di danzare tenendo le mani sopra la testa.82 Gli autori non concordano neanche a proposito della localizzazione del monumento: Ateneo, Arriano, Strabone menzionano Anchiale; Fozio e la Suda affermano che si trovava sia a Ninive sia a Anchiale. Il celebre epigramma di Sardanapalo (°1) è un’esortazione edonistica a godere dei piaceri. Nella forma più estesa, esso è costituito da sette versi, ma gli ultimi due denunciano un carattere seriore.83 Due versi furono noti a Cratete (SH 355) e probabilmente a Aristotele (fr. 90 Rose3 = Protrept. fr. 16 Ross), i quali costituiscono dunque sicuri termini ante per la composizione almeno della parte che citano.84 Le fonti sembrano in questo caso meno attente al luogo in cui era inciso l’epigramma, segno dell’interesse innanzitutto filosofico che fu riservato al testo.85 È tuttavia presente anche in questa tradizione qualche indicazione che connette l’epigramma alla tomba di Sardanapalo e alle ultime volontà espresse del sovrano;86 la localizzazione più probabile sembra dunque la capitale Ninive.

Punto di partenza per districarsi tra i tre testi è la versione in prosa ionica, la quale sembra inaffidabile per varî aspetti. Se la prima parte dell’iscrizione poteva trovarsi opportunamente incisa su una stele che celebrava la fondazione della città in cui era collocata, la seconda risulta invece incompatibile con tale conte80 Vd. la discussione in Pownall (2016) ad F 63b e in Rzepka (2016) ad F 34. Cf. anche Prandi (1985) 148–151. 81 Con l’eccezione di Arriano, il quale ne offre una versione (da lui?) atticizzata. L’autore potrebbe essere Ellanico: cf. Weißbach (1920) 2444–2445 e Radt VIII (2009) 119. 82 Vd. Papadopoulou (2005). 83 Ne propose per primo l’espunzione Nauck (1866) 734–738. 84 Ctesia, forse fonte di Diodoro 2,23, è termine più incerto. Cf. Drews (1970) 188–189 n. 26. 85 Ateneo 8,335e–337a dichiara peraltro di attingere la versione citata da Crisippo, il quale è generalmente ritenuto la sua fonte per la polemica condotta contro un edonismo letto in chiave specialmente gastronomica. 86 Σ Ar. Av. 1021c, Diod. 2,23, Polyb. 8,10, Cic. Tusc. 5,101.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

sto.87 La spiegazione del gesto di Sardanapalo è inoltre dovuta a un fraintendimento dell’iconografia assira;88 ma se a essa rimandava τούτου bisogna dubitare che sull’epigrafe trovasse spazio l’invito edonistico presente nella seconda parte, che manca infatti nella versione di Clearco.89 La statua cui si riferiscono gli alessandrografi non raffigurava probabilmente Assurbanipal, bensì il più antico Sennacherib, anch’egli re assiro, che la avrebbe fatta costruire dopo la conquista di Anchiale.90 L’epigrafe sembra dunque un monstrum nato da un tentativo di ricondurre l’iscrizione di Anchiale all’immagine stereotipata di Sardanapalo – sia esso frutto di un errore o di una voluta distorsione. La stele di Anchiale, restituita a Sardanapalo/Sennacherib, si trova dunque distinta dall’epigrafe tradotta da Cherilo. Quest’ultima, nel testo di Aminta tràdito da Ateneo (test. 15), può invece essere confrontata con il celebre epigramma di Sardanapalo (epigr. °1). Entrambi i passi sembrano riferirsi alla tomba di Sardanapalo a Ninive e presentano alcune elementi comuni: oltre al tema e all’uso della prima persona, tornano anche alcune corrispondenze letterali (ἐβαϲίλευϲα ~ βαϲιλεύϲαϲ, εἰδὼϲ ~ εἰδὼϲ, ἕξουϲι ~ ἔχω, καταλίπω ~ λέλειπται). I due testi non sono tuttavia davvero riducibili l’uno all’altro. Il testo di Aminta si sofferma in particolare sul tema della perdita dei beni non goduti, che vengono così lasciati agli altri, fa riferimento alla fugacità della vita e accenna anche ai dolori che si alternano ai piaceri: tutti questi aspetti sono completamente assenti nell’epigramma di Sardanapalo.91 A differenza di come proponeva Naeke riconoscendo un riferimento all’epigramma nei septem versus laudabiles ricordati dagli scolî oraziani,92 non sembra in ogni caso possibile attribuire l’epitafio a Cherilo di Iaso, soprattutto per motivi cronologici; i vv. 4–5 erano infatti già noti – come si è accennato – almeno a Aristotele e a Cratete Tebano nel IV secolo. Solo i vv. 1–3 non sono attestati prima dell’età di Alessandro: il terminus ante è in questo caso costituito dalla parodia realizzata da Crisippo (SH 388) sul modello di Cratete (SH 355).93 87 Vd. tra gli altri Prandi (1985) 149–150. 88 Vd. Lanfranchi (2003) 82–84. Cf. Moretti (2013) 94–96. 89 Lanfranchi (2003) 86. 90 Weißbach (1920) 2466, Prandi (1985) 150–151, Lanfranchi (2003) 86. 91 Sulle divergenze insiste Weißbach (1920) 2446, sulle affinità Bearzot (2006) ad F 2. 92 Vd. cap. 2 § 3.3, anche per il modo in cui va probabilmente intesa la scelta del numero sette. La tesi di Naeke è difficile da sostenere anche perché l’epigramma consta di sette versi solo nella versione più ampia, presente esclusivamente in Ateneo e in alcuni scolî aristofanei; nella tradizione latina sembrano peraltro noti solo due versi, tradotti da Cic. Tusc. 5,101. 93 Per una possibile allusione in Fenice di Colofone vd. De Stefani (1997) 60–61 e (2018) 57–58. La paternità (e dunque la datazione) di un frammento di Alessi (25 K.–A.) citato già dubbiosamente da Ateneo è messa in discussione da Arnott (1996) 819–830.

2 Cherilo epigrammista? 

 161

Per risolvere il problema Lloyd-Jones e Parsons hanno ipotizzato che l’epigramma sia stato sottoposto a un processo di traduzione/composizione ‘stratificata’. Di esso sarebbero cioè stati tradotti due versi (gli attuali 4–5) nel IV secolo; i primi tre sarebbero invece da attribuire proprio a Cherilo di Iaso, che servendosi di una lettura completa della stele di Sardanapalo li avrebbe integrati nel testo già noto.94 D’altra parte una visita di Alessandro alla tomba del sovrano a Ninive non è improbabile se si considera che la città non era molto distante da Gaugamela, sede della celebre battaglia combattuta nel 331. L’interesse di Alessandro per il monumento di Sardanapalo potrebbe inoltre trovare conferma nel fatto che due versi dell’epigramma erano stati citati da Aristotele, suo precettore, in un’opera giovanile.95 Anche ammettendo l’esistenza di un modello ‘barbaro’,96 alcuni dubbi tuttavia rimangono. Nessuna fonte associa l’epigramma al nome di Cherilo (neanche Ateneo, che conosce entrambe le versioni dell’epitafio),97 con l’unica parziale eccezione costituita da un passo di Strabone (test. 16), che si limita in realtà ad accostare i due testi.98 La fonte che più si avvicina nell’istituire un collegamento con Cherilo è Diodoro 2,23, il quale come Aminta dichiara che i versi dell’epigramma furono tradotti, senza tuttavia riportare il nome del poeta e limitandosi ad affermare che la traduzione fu effettuata ὑπό τινοϲ Ἕλληνοϲ. Se questi sia da identificare con Cherilo, rimane tuttavia problematico, e anche in questo caso potrebbe essersi verificata una semplice confusione tra la versione di Aminta e il celebre epigramma. È infine difficile porre all’origine di una tradizione ‘fluviale’ quale è quella che ha trasmesso l’epigramma di Sardanapalo un poeta negletto come Cherilo di Iaso. Occorre perciò tornare al testo di Aminta, l’unico esplicitamente riferito a Cherilo (di Iaso, come si è dimostrato). La forma in cui il bematista presenta l’epitafio non ricorre altrove, il che – in una tradizione fortemente contaminata come quella che riguarda l’epigramma di Sardanapalo – sembra garantirne l’attendibilità. La presenza del bematista al séguito di Alessandro, il genere letterario cui appartengono gli Ϲταθμοί e la strana assenza dell’articolo davanti a

94 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 157–158. La tesi è accolta da Spoerri (1994) 211–212 e da De Stefani (1997) 60. 95 Vd. infra, § 3.2. 96 Vd. però De Stefani (1997) 60 n. 16. 97 Vd. Weißbach (1920) 2446. 98 Meyer (1899) 542, Weißbach (1920) 2445, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 157. Di parere opposto Drews (1970) 186–188 e Prandi (1985) 151. Strabone menziona Cherilo e poi si limita ad accennare alla circolazione (περιφέρεται) di due esametri, ma senza specificare se siano davvero di Cherilo. Vd. anche Radt VIII (2009) 119.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

φῶϲ suggeriscono che Aminta abbia annotato il testo effettivamente tradotto da qualche interprete al servizio di Alessandro e poi versificato da Cherilo.99 Il testo dell’epigramma del ‘poetastro’, che non corrisponde pienamente alla versione nota da Crisippo né si trova mai esplicitamente connesso a quest’ultima, deve essere semplicemente andato perduto – come è peraltro accaduto a tutta la sua opera. Il testo non ebbe probabilmente ampia circolazione: l’epitafio tradotto in prosa nell’occasione della visita di Alessandro a Ninive come anche la notizia della traduzione poetica di Cherilo sopravvivono solo nelle parole di colui che era presente in quella circostanza, fortunosamente recuperate da Ateneo. Se davvero presente, in ogni caso, la traduzione dell’epigramma era verosimilmente inserita nel continuum narrativo del poemetto su Alessandro, come curiosità etnografica o all’interno di una riflessione relativa alla regalità orientale, alla quale Alessandro aveva forse richiesto che il suo potere fosse contrapposto. Si è già accennato al legame tra Alessandro e Aristotele da una parte; tra Aristotele e Sardanapalo dall’altra: entro questi riferimenti si può tentare di ricostruire lo spazio che l’epigramma del re assiro occupava nel poema di Cherilo. Cherilo è in effetti citato da Curzio (test. 11) nel contesto del dibattito sulla proskynesis.100 Conferma si potrebbe inoltre ravvisare in un frammento poetico conservato in P.Paris. 2, dubbiosamente attribuito al poeta (fr. °2) in cui qualcuno dichiara di non apprezzare la διάνοια di Sardanapalo: il concetto non sarebbe fuori luogo sulle labbra di Alessandro all’interno del poema di Cherilo.101

2.2 Prima di Alessandro: l’epigramma per l’Ecatomnide Ada A Cherilo è stato dubitativamente attribuito un epigramma (°2) inciso su un piedistallo rinvenuto nel 2005 a Iaso nel corso degli scavi della Missione Archeologica Italiana.102 Insieme a un altro blocco, esso è tutto ciò che rimane di un monumento onorario dedicato dai cittadini agli Ecatomnidi, sovrani di Caria, che con le sue (almeno) quattro statue bronzee doveva presentarsi assai imponente.103

99 L’articolo è integrato da Kaibel III (1890) 168; così anche Olson VI (2010) 94. Vd. però Olson (2019) 34. 100 Per questo problema vd. anche supra, § 1.1. 101 Analisi infra, § 3.2. 102 La storia è ripercorsa da Masturzo – Nafissi (2015) 24. 103 Per le varie ipotesi sul numero delle statue, l’identificazione dei personaggi rappresentati e la loro sequenza, oltre che per il problematico allineamento con le due sezioni superstiti del piedistallo, vd. Masturzo (2015) 45–57; cf. Nafissi (2015) 70–72.

2 Cherilo epigrammista? 

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L’edizione stabilita da M. Nafissi dopo una serie di studi e προεκδόϲειϲ chiarisce le principali difficoltà del testo.104 I primi due versi celebrano il potere dei βαϲιλεῖϲ (senza dubbio gli Ecatomnidi); nei rimanenti, dopo un breve cenno a Idrieo, ricordato per aver ‘salvato’ il potere paterno, l’eulogia vera e propria passa a un altro membro della famiglia regnante, il cui nome è oscurato da un’erasione seguita a una damnatio memoriae facilmente comprensibile negli anni turbolenti delle lotte interne alla famiglia degli Ecatomnidi per il potere, prima dell’arrivo di Alessandro. Si tratta con ogni probabilità non di Idrieo, come si era inizialmente pensato, ma di Ada, figlia di Ecatomno e sposa di Idrieo.105 L’assegnazione a Cherilo, già prudentemente avanzata da Maddoli e ribadita da Nafissi, rimane «un’ipotesi di consistenza incerta».106 Essa si basa sulla localizzazione iasea e sulla natura encomiastica dell’iscrizione, che può essere messa in relazione al ruolo di poeta cortigiano poi svolto presso la corte di Alessandro. Che Cherilo si fosse distinto già in patria per i suoi versi permetterebbe di comprendere perché l’attenzione del Macedone si sia rivolta proprio a lui,107 eventualmente al momento del suo arrivo in Asia Minore; non sembra inoltre casuale che Alessandro conobbe personalmente Ada, da cui fu formalmente adottato quando le restituì il potere sulla Caria.108 L’ipotesi guadagna in verosimiglianza se si considera che non dovevano essere molti gli Iasei in grado di comporre esametri (anche se tradizionali, quelli dell’iscrizione si presentano tutt’altro che malvagi), soprattutto se si concede qualche valore al racconto di Strabone 14,2,21,658 che li rappresentava come un popolo rozzo e ignorante.109 Anche al testo ci si potrebbe rivolgere nella speranza di trovare qualche conferma. La dizione dell’epigramma rivela senz’altro un «aspetto omerico», evidente nell’uso dell’articolo e nell’aoristo ‘privo di aumento’;110 anche se sembra che Cherilo ebbe quale modello principale tanto dell’opera su Alessandro quanto dei Λαμιακά l’Iliade, esso non costituisce tuttavia un elemento davvero caratterizzante.111 A.M. Biraschi ha riconosciuto nello Μνημάτιον di Epigene un’allusione

104 Nafissi (2015) in partic. 63–66, 70–92. Per le προεκδόϲειϲ e gli studi precedenti vd. Masturzo – Nafissi (2015) 24 n. 3. 105 La proposta è di Nafissi (2015) 76–77. Sugli Ecatomnidi vd. cap. 1 § 4. 106 Nafissi, per litteras (27 settembre 2017). Vd. Maddoli (2010) 128, Biraschi (2015) 151, Nafissi (2015) 88. 107 Cf. cap. 1 § 4.1. 108 Per una proposta di ricostruzione dell’incontro tra Alessandro e Cherilo vd. cap. 1 § 4.4. 109 Su questo passo vd. cap. 3 § 5.4. 110 M. Sonnino ap. Nafissi (2015) 79. 111 Inoltre εὐνομία tradisce un modello non omerico (la parola ricorre solo una volta, come εὐνομίη): vd. Nafissi (2015) 79–81.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

all’epigramma.112 Nell’unico frammento superstite della commedia (6 K.–A.) – il cui titolo rimandava alla costruzione da parte di Pissodaro di un piccolo μνῆμα dedicato a sé o a Mausolo che si aggiungeva al Μαυϲωλεῖον di Iaso – Pissodaro è indicato come βαϲιλεύϲ e lo stesso vocabolo si trova nell’epigrafe di Iaso.113 L’ipotesi può apparire troppo sottile, anche se lo stesso contesto, la cui comicità si basa su giochi lessicali, invita a porre attenzione a particolari di questo tipo, perché Pissodaro è deriso per non conoscere il lessico greco del vasellame utilizzato nel simposio. Se il legame fosse dimostrabile con certezza, si avrebbe notizia di una conoscenza non solo locale dell’epigrafe.114 Ciò non è naturalmente sufficiente per dimostrare che l’autore dell’epigramma fosse Cherilo, che tuttavia continua ad apparire un’opzione verosimile.

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 3.1 La lancia macedone: tra Cherilo e Callimaco Commentando Aen. 12,691 striduntque hastilibus aurae, Servio cita un verso assegnandolo a Omero (fr. °1). Il testo, frainteso dai testimoni medievali, è stato ricostruito da Allen e soprattutto da West, il quale introducendo l’emendazione Μακηδονίϲ ha fornito l’elemento fondamentale per l’interpretazione del frammento.115 Sembra infatti logico concludere che si tratti di «a piece of Hellenistic military epic» (intendendo ‘epica’ nel senso precisato supra, § 1.1),116 anche se le proposte di attribuzione avanzate sono varie. West ritiene possa essere attribuito a uno dei poeti di Alessandro; la tesi è fondamentalmente seguita da Hollis, il quale non esclude tuttavia che

112 Biraschi (2015) 151. 113 La scelta della designazione nell’epigramma di Iaso non è ovviamente casuale, ma risponde alla volontà di enfatizzare l’identità e l’autonomia greca contro il dominio persiano: vd. Nafissi (2015) 89–91. 114 Un sostegno – ma molto incerto – potrebbe ravvisarsi nel frammento citato nella testimonianza di Stefano Bizantino (2), forse tratto da una commedia: vd. cap. 1 § 2.2. 115 Allen (1912) 151, West (1964). L’emendazione è stata unanimemente accolta, da ultimo dai recenti editori di Servio: vd. Murgia – Kaster (2018) 493, con i necessari riferimenti. La pericope è stata ulteriormente semplificata nel Servius auctus. Per le precedenti proposte di emendazione vd. Thilo (1884) 633 ad l., cui aggiungere μακεδνόν ἵπτατο vel ἵϲτατο di Allen (1912) 151. 116 Hollis (1992) 282; concorde Cameron (1995) 282. La cronologia è condivisa da Lloyd-Jones (2005) 130, il quale inserisce il frammento nel SSH (stranamente, nella sezione degli adespota papiracea).

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 

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il frammento sia da assegnare all’epos di un altro re macedone o dei Tolemei,117 che spesso enfatizzarono la propria origine macedone.118 In questa direzione si è mosso Cameron, proponendo di assegnare il verso alla Galatea di Callimaco.119 Tra i poeti cui pensa West si trova anche Cherilo di Iaso.120 Paradossalmente, verrebbe da dire, lo stesso verso viene così a trovarsi assegnato al ‘migliore’ e al ‘peggiore’ dei poeti greci. La questione, occorre precisarlo, non può tuttavia essere affrontata sul piano del valore letterario: il verso di per sé non è malvagio, ma ciò non è sufficiente per assegnarlo a Callimaco e sottrarlo a Cherilo. A tre aspetti più certi occorre invece rivolgersi per cercare di far luce, pur nei limiti posti da una materia estremamente rarefatta, sul più probabile autore del verso: a) il rapporto tra il frammento e il passo di Virgilio che offre occasione della citazione a Servio; b) le ragioni dell’attribuzione, palesemente erronea, del verso a Omero; c) la conoscenza del verso eventualmente esibita (oltre che, come si è già accennato, da Virgilio) da altri autori. Riguardo alla prima questione (a), Hollis ritiene che né il testo serviano né il confronto tra i due versi assicurino che Virgilio avesse presente proprio questo frammento: l’immagine è in realtà alquanto tradizionale anche nell’Eneide (e.g. 9,698 volat Itala cornus). D’altra parte non si deve presupporre che tutti i riferimenti intertestuali segnalati da Servio risalissero a Virgilio stesso: il confronto può essere emerso successivamente, in àmbito grammaticale. Non è tuttavia impossibile che il poeta avesse presente questo verso.121 Servio è infatti estremamente parco nelle citazioni di poeti ellenistici (Callimaco incluso)122 e non sembra casuale che un frammento altrimenti ignoto della letteratura greca sia sopravvissuto proprio nel commento a questo luogo virgiliano. I due passi si rivelano effettivamente sovrapponibili (ϲυρίζουϲα ~ stridunt, ἵπτατο ~ aurae, hastilibus ~ λόγχη).

117 «Who is the subject – Alexander the Great (perhaps most likely), a later king of Macedon, or another dynasty which took pride in its Macedonian descent (as did the Ptolemies)?» Hollis (1992) 282. 118 Come tali sono celebrati soprattutto da Posidippo, anch’egli macedone: cf. van Bremen (2007) 373–374, con ulteriore bibliografia. Anche nell’epigrafe commemorativa della propria vittoria pitica del 310 a.C. Tolemeo I si proclamava Μακεδών, almeno stando al racconto di Paus. 6,3,1. Su Callimaco vd. infra. 119 Cameron (1995) 282. 120 Gli altri sono Anassimene di Lampsaco e Agide di Argo. 121 Discussione in Hollis (1992) 282 e Cameron (1995) 282. 122 Vd. i passi segnalati nell’Index fontium da Lloyd-Jones – Parsons (1983) 827, perlopiù riferiti a testimonianze e frammenti di Euforione. Le uniche testimonianze callimachee presenti in Servio sono i frr. 189, 190, 696, 698 Pf.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

Tali considerazioni giocano apparentemente contro l’assegnazione a uno dei poeti di Alessandro;123 assai più probabile sarebbe l’attribuzione a Callimaco, la cui presenza in Virgilio è acclarata.124 Se il confronto fosse da far risalire alla tradizione grammaticale, all’interno della quale qualcuno avrebbe colto l’eco, ancorché non ricercata dall’autore, nel testo di Virgilio, il verso potrebbe appartenere a Cherilo di Iaso: egli fu infatti conosciuto nell’ambiente della scuola e ne è nota la fortuna augustea – presso Orazio (testt. 3, 4) e probabilmente Ovidio (°18);125 il verso, di argomento chiaramente militare, troverebbe opportuna collocazione nel poema che narrava bella Alexandri secondo la testimonianza di Pseudacrone (7). Non è infatti difficile immaginare il frammento nel poemetto per Alessandro Magno, dove la λόγχη poteva essere scagliata tanto da Alessandro quanto da un soldato macedone.126 L’origine dell’indicazione attestata in Servio non sarebbe naturalmente benevola, ma si potrebbe comprendere alla luce delle correnti antivirgiliane che attraversarono la critica antica. La notazione potrebbe essere collocata nel contesto dell’opera di Ottavio Avito e Perellio Fausto, i quali denunciarono i furta virgiliani documentandoli in vere e proprie sillogi.127 La ricostruzione proposta avrebbe almeno il vantaggio di spiegare la falsa attribuzione serviana del frammento a Omero (b). L’errore non è in realtà un unicum in Servio: a lui e ad altri scoliasti virgiliani appartengono molti dei versi citati come omerici ma in realtà assenti nell’Iliade, nell’Odissea e negli Inni.128 Alcuni di questi possono essere assegnati ai poemi del ciclo,129 ma per gli altri – compreso il presente frammento, per il quale Μακηδονίϲ impedisce tale spiegazione – non sembra accettabile la proposta di Skutsch che ipotizza una confusione «between the two senses of ὁ ποιητήϲ as ‘the poet (of whom I am speaking)’ and ‘Homer’».130 Alla luce della sua fortuna in Orazio e soprattutto negli scolî oraziani, è possibile che Cherilo fosse ben noto alla tradizione

123 Cameron (1995) 282: «it is hardly likely that Vergil would have paid them the compliment of imitation». 124 Cf. Lehnus (2000) 430–434. 125 Per l’analisi di questi testimoni vd. il cap. 2. 126 A un soldato pensa Cameron (1995) 282. Non si può escludere che potesse apparire anche nei Λαμιακά (dove sarebbe riferita a Antipatro o a un esponente del suo esercito), ma l’opera non sembra nota in àmbito latino. 127 L’ascendenza della notizia serviana da tali autori è condivisa da Cameron (1995) 282 n. 108, il quale non la mette tuttavia in relazione a una critica a Virgilio. Il poeta ebbe anche altri obtrectatores (cf. Elio Donato V.Verg. 43): per i riferimenti essenziali vd. Ziolkowski  – Putnam (2008) 485–487. 128 Raccolti da Allen (1912) 147–151. Cf. Davies (1988) 104–112. 129 Timpanaro (1957) 158–159 e n. 11 = (1978) 433–434 e n. 8. 130 Skutsch (1985) 631–632.

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 

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grammaticale latina – di cui sono espressione tanto Porfirione e Pseudacrone quanto Servio – come pessimo emulatore di Omero;131 Homerus di Servio (ma probabilmente già delle sue fonti) potrebbe perciò essere ciò che rimane di una spiegazione più ampia, che proponeva il tradizionale confronto tra Cherilo e Omero. Rispetto a questa tesi appare potenzialmente contraddittoria la presenza di echi del verso in altri autori (c). È stato specialmente enfatizzato un passo delle Dionisiache di Nonno che descrive il combattimento di Dioniso contro l’indiano Egretio (30,307–308 ἱπταμένη δὲ | Βακχιὰϲ ἐρροίζηϲε δι᾽ ἠέροϲ ἔγχεοϲ αἰχμὴ),132 ma anche altri luoghi del poema sembrano rivelare una conoscenza del frammento. Alle Dionisiache appartiene infatti l’unica altra occorrenza di Μακηδονίϲ della letteratura greca, peraltro nella stessa sede metrica del nostro frammento (2,400 Πιερικῷ δὲ τένοντι Μακηδονὶϲ ἴαχεν ὕλη). Non sembra casuale che anche ϲυρίζουϲα sia attestato in due luoghi dello stesso poema e che ricorra in entrambi nella medesima sede (41,20 e 42,389). Lo stesso si può dire di ἵπτατο, presente nelle Dionisiache dieci volte, di cui otto eadem sede. Se si ammette – e sembra difficile negarlo – che Nonno abbia conosciuto il nostro frammento, guadagna senz’altro valore la proposta di Cameron che ne riconosce la paternità in Callimaco.133 Anche metricamente il verso è callimacheo: in esso si ritrovano infatti associate la cesura κατὰ τὸν τρίτον τροχαῖον (B2 nella terminologia di Fraenkel) e la cesura bucolica (C2).134 Le vicende politico-militari che sembra sottendere il frammento non caratterizzarono la poesia di Callimaco, che i Telchini criticavano proprio perché non cantava ‘re ed eroi’ (fr. 1,3–5 Pf.), ma è comunque possibile che abbiano trovato spazio nella Galatea.135 Si tratta di un oscuro epillio di cui sopravvivono appena due frammenti certi (378–379 Pf.)136 i quali permettono di ipotizzare che fossero trattati episodi tanto mitici quanto storico-contemporanei come l’invasione galata del 279/8 a.C.137 cui prese parte anche Tolemeo II, ripetutamente celebrato da Cal-

131 Per questi aspetti vd. rispettivamente capp. 2 § 3 e 3 § 5.4. 132 Hollis (1992) 282; vd. anche Cameron (1995) 282. 133 Su Nonno e Callimaco vd. De Stefani – Magnelli (2011) 557–562. 134 Sul piano linguistico, nessuno dei termini presenti nel frammento è attestato in Callimaco, che peraltro preferisce a ἵπτατο le forme derivate da πέτομαι (Del. 115, Pall. 123, fr. 1,13 Pf.), ma non si tratta di un elemento decisivo, alla luce del naufragio della produzione epica non apolloniana. In Teocrito convivono comunque entrambe le forme πέτομαι e ἵπταμαι (cf. 23,59, 14,40–41). 135 Cameron (1995) 282. La tesi è accolta favorevolmente da Goulas (2014) 175–176 e n. 304. 136 Livrea (1998) 31–33 = (2016) 173–175 ha tentato di aggiungere un ‘frammento-fantasma’ in qualche modo connesso all’ordalia del Reno. 137 Analisi e riferimenti in Barbantani (2001) 185–187.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

limaco negli Inni (a Delo, a Zeus, e forse a Apollo).138 La lancia apparterrebbe dunque proprio al Filadelfo e la definizione di ‘macedone’ non sorprenderebbe, essendo a lui riferita anche in Del. 167;139 la precisazione potrebbe peraltro non essere stata solo esornativa, alla luce della problematica ‘etnicità’ della regalità tolemaica.140 Potrebbe infine non apparire casuale che la combinazione delle cesure B2 e C2 osservabile nel frammento di Servio ricorra anche in entrambi in versi della Galatea che possediamo in forma completa (fr. 378 Pf.). A favore di Callimaco si può rivendicare anche il ruolo di Servio, che del poeta rivela talvolta una conoscenza indiretta (vd. supra). La confusione Callimaco–Omero è invece difficile da motivare. Entrambe le proposte, Cherilo e Callimaco, appaiono dunque legittime, pur presentando elementi di debolezza. Rimane da discutere solo una proposta di West, il quale, per conciliare l’attribuzione del frammento a uno dei poeti del Macedone con l’evidenza di una fortuna tardoantica,141 ipotizzava la mediazione di «some better-known poet in the context of Dionysus’ conquest of India».142 È tuttavia ancora più improbabile immaginare che il verso di Cherilo sia giunto a Nonno e a Servio (e forse prima a Virgilio) dopo essere stato ripreso da un altro poeta.143 Se si vuole conservare l’attribuzione a Cherilo, rimane più probabile immaginare una sua fortuna sommersa, in àmbito grammaticale, le cui origini andrebbero collocate al tempo di Augusto.144 In alternativa, è meglio attribuire il verso alla Galatea di Callimaco; non sarebbe infatti chiaro perché Servio (oltre che eventualmente Virgilio) avrebbe dovuto citare un’opera su Dioniso.

138 Barbantani (2011) 181–200. 139 Cameron (1995) 282; cf. Barbantani (2011) 200. 140 Su cui vd. Barbantani (2001) 111–114, 147–159. 141 Secondo West solo serviana; ma come si è accertato supra, anche nonniana. 142 West (1964). In età ellenistica più poemi furono dedicati a Dioniso, come il Διόνυϲοϲ di Euforione, la Διονυϲιάϲ di Neottolemo di Pario, i Βακχικὰ ἔπη di Teolito: vd. Fantuzzi (1988) lxxiv– lxxv. 143 Sul piano linguistico, non sembra peraltro vi siano buone ragioni per ritenere la cronologia dell’epigramma posteriore all’età ellenistica. La stessa forma ἵπταμαι, che pure non occorre in Apollonio, si registra già in Nicandro (Ther. 456, 803); λόγχη, che pure sarebbe un hapax callimacheo e non è attestato nella poesia né omerica né ellenistica, ricorre nel peana di Mace(donio): vd. Powell (1925) 139. 144 Si è d’altra parte già notato che Dionys. 30,307–308 è ambientato in India e il verso è riferito a Dioniso. Si potrebbe ipotizzare, su questa linea, che anche nel poema di Cherilo il verso fosse in relazione con la parte indiana dell’anabasi di Alessandro oppure anche con il parallelo tra il Macedone e Dioniso (su cui vd. supra, § 1.1).

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 

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3.2 Ancora Sardanapalo: un anonimo frammento in un papiro ‘crisippeo’ A Cherilo di Iaso è stato attribuito un verso che si legge sul ‘recto’ di P.Paris. 2 (P.Louvre inv. 2326), uno dei papiri provenienti dell’archivio di Tolemeo e del fratello Apollonio, κάτοχοι del Serapeo di Memfi.145 Sul ‘verso’ Tolemeo stesso ha annotato un sogno e dei conti, apponendovi due date (159 e 156 a.C.) e permettendo così di datare il ‘recto’ all’inizio del II secolo a.C., se non all’ultimo quarto del III.146 Il papiro presenta un ampio testo in forma dialettica volto a confutare una altrimenti ignota teoria sulla negazione.147 L’argomentazione è costellata da citazioni poetiche tratte dall’epica, dalla lirica e dalla tragedia che forniscono esempi di proposizioni negative. Tra queste se ne trova una in cui è menzionato Sardanapalo (fr. °2). L’autore è indicato semplicemente come τιϲ τῶν ποιητῶν e il verso è trasmesso unicamente da questo passo. Le sole ipotesi di attribuzione sinora formulate lo hanno associato a Cherilo di Samo o a Cherilo di Iaso.148 Entrambe si basano sul seguente quadro indiziario. a) Da Ateneo è noto che Crisippo, cui fu originariamente attribuito il testo conservato nel papiro, discuteva il celebre epigramma metrico di Sardanapalo fornendone contestualmente una parodia. b) Da Aminta (test. 15) sappiamo che l’epitafio di Sardanapalo presente a Ninive fu tradotto e messo in versi da ‘Cherilo’. c) Anche se il testo di Aminta e il verso di P.Paris. 2 non coincidono, la connessione Crisippo–Sardanapalo–‘Cherilo’ permette di assegnare il frammento conservato nel papiro proprio a ‘Cherilo’.149 Circa l’oscillazione che si registra tra il Samio e lo Iaseo, essa riflette quella che si registra a proposito dell’identificazione del personaggio ricordato da Aminta.

145 Su cui vd. Legras (2011). 146 Da ultimo Cavallo (2008) 47–48. 147 Per gli aspetti filosofici vd. Cavini (1985). 148 Cherilo di Samo: Bergk (1841) 6 ad l. e 36 = II (1886) 115 ad l. e 143, Hülser I (1987) 1438. Cherilo di Iaso: Nardelli (1987) 18 e 21, Donnini Macciò – Funghi (1985) 134, Bernabé (19962) 190. Già secondo Schneidewin (1838) 13–14, il verso «ist offenbar von einem elegischen Dichter»; la connessione che egli instaura con l’autore dell’epigramma di Sardanapalo, per il quale sposa la tesi di Naeke, fa pensare che egli condividesse l’attribuzione allo Iaseo, che pure non dichiara esplicitamente. Anche Legras (2011) 239 e n. 41 riferisce il verso a Cherilo di Iaso, ma attribuisce la conclusione a Lloyd-Jones – Parsons (1983) 155–158 (si tratta in realtà dell’epigramma di Sardanapalo: il frammento papiraceo è assente dal SH). Con la parziale eccezione di Bernabé (19962) 190, il verso non è stato sinora accolto in nessuna raccolta di frammenti poetici, come segnala anche Hülser I (1987) 1440. 149 Il ragionamento si trova espresso in questi termini già nell’editio princeps curata da M. Letronne: vd. Letronne (1838) 316–317. L’edizione fu più volte ristampata con integrazioni e correzioni: vd. Letronne (1841) 5 e Brunet de Presle (1865) 86 (edizione definitiva, postuma).

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 Capitolo 4 L’opera superstite

Poiché come si è già dimostrato (§ 2.1) non vi sono dubbi che in questi sia da riconoscere il ‘poetastro’ di Alessandro, tra le due l’attribuzione allo Iaseo rimane l’unica accettabile. Essa presenta tuttavia alcune difficoltà che mi propongo di discutere: pur non compromettendo definitivamente il valore dell’assegnazione a Cherilo di Iaso, esse suggeriscono di mantenere il frammento tra i dubia;150 sarà inoltre possibile avanzare infine una possibile ipotesi alternativa. Un primo ostacolo è rappresentato dalla discussa paternità crisippea del trattato, sempre più spesso negata.151 Anche se non di Crisippo, il testo sembra comunque a lui riconducibile: la terminologia impiegata è «indubbiamente stoica»;152 la datazione del papiro al III secolo impedisce di sottrarre l’anonimo autore a un’influenza dello scolarca, da cui sembra peraltro condizionato anche nell’ampio ricorso a citazioni poetiche; inoltre, se la dottrina confutata non è né stoica né dialettica, W. Cavini ammette che l’ ἔλεγχοϲ cui essa è sottoposta «può essere tuttavia opera di uno stoico della seconda metà del III secolo a.C. (forse Crisippo stesso)».153 Anche il verso relativo a Sardanapalo  – significativamente il primo esempio introdotto nell’argomentazione  – rivela un legame con Crisippo,154 del quale è nota via Ateneo 8,337a una parodia (SVF III fr. 11 = SH 338) del celebre epigramma del sovrano assiro (°1). In secondo luogo, non vi è alcuna certezza che Crisippo abbia conosciuto Cherilo e che il ‘poetastro’ fosse per lui connesso alla traduzione dell’epitafio di Sardanapalo; è infatti significativo che Ateneo, che aveva come fonte proprio Crisippo, non ne ricordi il nome nel contesto in cui cita il celebre epigramma del sovrano assiro. Come si è proposto supra (§ 2.1), ciò può essere spiegato sostenendo che l’epigramma tradotto da Cherilo, che al pari di tutta la sua opera sarebbe perduto, non è quello che si legge in Ateneo. Occorre infine notare che il testo di Aminta, esponendo la ‘filosofia’ edonistica di Sardanapalo, non è sovrapponibile a quello presentato dal frammento del papiro, che esprime anzi una critica nei confronti della διάνοια del re assiro.155 Se la traduzione dell’epitafio era presentata da Cherilo nel continuum del proprio

150 L’indicazione con cui è indicato Cherilo (τιϲ τῶν ποιητῶν) non ha nulla di dispregiativo nonostante la genericità, perché la formula ricorre anche per introdurre tre frammenti, due lirici, e uno tratto dai Cypria. Non è perciò significativo neanche il confronto con Diod. 2,23, dove è peraltro incerto che si tratti di Cherilo: vd. supra, § 2.1. 151 Discussione in Cavini (1985) in partic. 107 per la storia del problema; vd. anche Hülser I (1987) 1440–1446. 152 Cavini (1985) 119. 153 Cavini (1985) 120–121. 154 Nardelli (1987) 21, contra Donnini Macciò – Funghi (1985) 134. 155 Vd. Donnini Macciò – Funghi (1985) 134.

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 

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poema,156 egli poté forse opporvi un’affermazione di Alessandro come quella presente nel nostro frammento: Alessandro avrebbe così preso le distanze dalla volontà di assumere su di sé un potere ‘barbaro’  – simboleggiata dal sovrano orientale – di cui era stato accusato in primis da Callistene (FGrHist 124 F 34), il quale pure menzionava Sardanapalo nella propria opera forse a tal proposito.157 La scelta di un termine filosoficamente connotato come διάνοια, posto peraltro metricamente in evidenza, può essere letto alla luce del legame tra Alessandro e Aristotele, nei cui dialoghi giovanili Sardanapalo fu presentato come ‘antifilosofo’.158 L’iniziativa di tale contrapposizione potrebbe essere da attribuire a Cherilo (Iaso aveva dato i natali anche al megarico Diodoro Crono),159 ma sembra improbabile che non vada almeno parzialmente connessa a un’esplicita richiesta di Alessandro. Potrebbe peraltro non essere casuale che diversi frammenti dubbiosamente attribuiti a Cherilo di Iaso (°4, °5) presentino terminologie o temi filosofici.160 L’assegnazione del frammento a Cherilo di Iaso non è dunque improbabile, sebbene rimanga molto incerta. Almeno un’alternativa appare ugualmente percorribile. Si è già detto che il contenuto del verso richiama le critiche di Aristotele e la parodia di Cratete che furono rivolte all’epigramma di Sardanapalo (epigr. °1). Quest’ultima si inseriva peraltro nel solco di una tradizione inaugurata da Cratete Tebano (SH 355). Nell’àmbito di tale fortuna filosofica  – e poetica – dell’epigramma potrebbe essere collocato un verso come quello citato nel testo del papiro. Anche se il poeta non ne faceva una parodia al pari di Cratete e di Crisippo, egli potrebbe aver inaugurato la tradizione avversa a Sardanapalo attestata già in Aristotele. Se l’autore del trattato di P.Paris. 2 riprendeva il verso proprio dal passo aristotelico alluso da Cicerone (Tusc. 5,101), la data di composizione dello scritto giovanile del filosofo costituirebbe il terminus ante per la composizione del verso.161

156 Vd. ancora supra, § 2.1. 157 Su questa testimonianza vd. supra, § 2.1. 158 Per le varie ipotesi avanzate vd. Spoerri (1994) 209–211, con ampia bibliografia. Sul rapporto tra Alessandro e Aristotele vd. cap. 3 §§ 2.4 e 5.4. Vi è traccia di una riflessione aristotelica sul potere di Alessandro, come rivela l’ Ἀλέξανδροϲ ἤ περὶ ἀποικῶν. È inoltre significativo che Alessandro sia menzionato nel Περὶ βαϲιλείαϲ. 159 Vd. cap. 3 § 5.4. 160 Vd. infra, §§ 3.4 e 3.5. 161 Il confronto con la cronologia degli altri autori nominati nel testo del papiro (Saffo, Ibico, Alcmane, Euripide, Timoteo Comico), nessuno dei quali supera la metà del IV secolo a.C., lascia preferire una datazione anteriore a Cherilo di Iaso.

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3.3–6 I frammenti ‘di Cherilo’ Alcuni frammenti di Cherilo di Iaso potrebbero nascondersi tra quelli assegnati dalle fonti al più celebre Cherilo di Samo senza ulteriori precisazioni. Tra questi ve ne sono alcuni la cui connessione con l’opera del Samio non appare stringente sulla base di elementi interni, quali i riferimenti alle guerre persiane e a Samo,162 o esterni, come l’antichità della fonte.163 L’intuizione, che permette di isolare quattro frammenti (°3–°6: frr. 7, °9, °10, °13 R. C. = SH 329–332 = frr. 9, 11, 12, 4 B.2), risale a Lloyd-Jones e Parsons,164 e non è stata sinora realmente discussa:165 mi propongo di farlo nei seguenti paragrafi.

3.3 Il coccio di calice e Dioniso: simposi tempestosi tra Serse e Alessandro Nelle parti introduttive del libro 11, poi dedicato al celebre catalogo di bicchieri e vasi potori, Ateneo sconsiglia l’uso di κεράμεα ποτήρια, ricordando un passo di Ctesia sull’uso persiano di far bere da calici di terracotta come segno di ἀτιμία (FGrHist 688 F 40). Segue quindi una citazione attribuita a Χοιρίλοϲ ὁ ἐποποιόϲ (fr. °3).166 Il frammento è animato dalla tradizionale allegoria simposiale-mari-

162 Così invece frr. 3, 5–6 R. C. = SH 319, 321, 322 = frr. 5, 7–8 B.2. 163 Aristotele per i frr. 1, 4 R. C.= SH 317, 320 = frr. 2, 6 B.2. Il fr. 4 R. C. = SH 320 = fr. 6 B.2 è introdotto da un riferimento all’antichità di Cherilo (Χοιρίλοϲ . . . ἀρχαιότεροϲ ποιητήϲ). Vanno ovviamente attribuiti al Samio anche i frammenti accompagnati dall’indicazione Περϲικά, titolo che rimane improbabile per l’opera di Cherilo relativa a Alessandro (vd. supra, § 1.1): frr. 2, 8 R. C.= SH 318, 323 = frr. 3, 10 B.2. 164 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 152–153, vd. 158: «Choerili Iasii fort. sunt 329–332 aut omnia aut aliqua». 165 I frammenti che comparivano come dubbi in Radici Colace (1979) sono anzi ritenuti certi da Bernabé (19962), il quale registra la proposta di Lloyd-Jones – Parsons per i frr. °3 e °4, ma non per °5 e °6 (a proposito di quest’ultimo si discute soprattutto l’eventuale assegnazione a Cherilo Ateniese: la conferma che il frammento sia «Choerilo epico adtribuendum» non esclude però lo Iaseo). La collocazione tra i dubia è comunque approvata da Radici Colace (1986) 278, la quale suggerisce di inserire anche i frr. °11–°12 R. C. (°°26 B.2), che sembrano tuttavia da assegnare a Cherilo Ateniese. 166 Per le varie proposte di emendazione del primo verso vd. Radici Colace (1975) 278–280, di cui si accoglie l’inversione ribadita anche in Radici Colace (1979) 65 ad l. e (1986) 278. Per le congetture avanzate successivamente vd. l’apparato; su χθέζινον proposto da Olson V (2009) 226, ora dubitativamente in Olson (2020) 258 app., cf. Rodríguez-Noriega Guillén (2011) 315. La proposta di Hermann χερϲὶν ⟨δ᾽⟩ ὄλβον sembra una zeppa, ma si potrebbe spiegare come aplografia, essendo presente nel testo che introduce la citazione: Χοιρίλοϲ δ᾽ ὁ ἐποποιόϲ.

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 

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nara in cui i cocci dei calici sono descritti come relitti di un naufragio provocato dal ‘soffio di Dioniso’;167 lo stile risulta particolarmente audace. Con l’eccezione ‘iniziale’ di Bernard Martin, il quale lo assegnava al «malus et ineptus versificator» disprezzato da Orazio, e quella ‘finale’ di Lloyd-Jones e Parsons,168 il frammento è stato in genere attribuito ai Περϲικά di Cherilo di Samo.169 La conclusione, già suggerita dal riferimento ai Persiani presente nel frammento di Ctesia,170 sembrò trovare definitiva conferma nella tesi di Hermann che individuava la persona loquens dei versi in Serse sconfitto.171 Anche lo stile, per quanto particolarmente enfatico, è sembrato in linea con altre arditezze del Samio.172 Il dubbio sollevato dagli editori del SH su base esclusivamente stilistica invita a riconsiderare il problema dell’attribuzione relativamente a questo e ad altri aspetti. a)

b)

L’accostamento al passo di Ctesia non sembra originario e si può facilmente ascrivere a Ateneo. La κύλιξ citata da ‘Cherilo’ è di argilla, perché se fosse stata in metallo non si sarebbe potuta rompere, ma nei versi di ‘Cherilo’ non sembra tuttavia possibile riconoscere la battuta pronunciata dal Persiano colpito da ἀτιμία del frammento di Ctesia. La connessione si gioca su un diverso piano: l’uso del vasellame in terracotta è sconsigliato dapprima per il valore che possiede in àmbito persiano (Ctesia), quindi per i suoi difetti ‘pratici’ (‘Cherilo’). L’identificazione della persona loquens con Serse si scontra con il carattere tradizionale della metafora presente in questi versi, attestata già in autori della seconda metà del V secolo quali Dioniso Calco e Eveno; anche la connessione tra banchetto e ὕβριϲ è topica (cf. Anacr. fr. 33 Gentili = 356 Page).173

167 Ciò apparve chiaro sin dai primi interpreti: vd. Naeke (1817) 165–166. Cf. Radici Colace (1979) 66 e Cazzato (2016) 188–189. 168 Martin (1605) 137. Su Lloyd-Jones – Parsons vd. supra, § 3.3–6. 169 Senza particolare attenzione per l’alternativa. Accennano al problema Naeke (1817) 167–169 (che pensa a un diverso poema: cf. infra) e Huxley (1969) 23; cf. anche MacFarlane (2002) 175–176. 170 Naeke (1817) 168, Huxley (1969) 23, Radici Colace (1979) 66, Angeli Bernardini (2004) 44, Cazzato (2016) 189. 171 Hermann (1817) 2235. Sulla paternità hermanniana della recensione vd. cap. 5 § 2. La tesi è ampiamente accolta: Huxley (1969) 23, Radici Colace (1979) 66, Angeli Bernardini (2004) 44, Cazzato (2016) 189. Come è stato notato, il frammento proverebbe la presenza nel poema della prospettiva persiana (con una significativa convergenza rispetto ai Persiani eschilei): vd. anche MacFarlane (2017) 237. 172 Vd. tra gli altri Lombardi (1997) 92–97. 173 West (1981) 105: «the interpretation according to which the speaker is the downcast Xerxes seems far-fetched». Vd. la discussione in MacFarlane (2002) 178–183. Cf. anche Kessels (1984) 175 e Cazzato (2016) 189.

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c)

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Erodoto 7,190 racconta il ritrovamento di coppe preziose dopo che una tempesta che si era abbattuta sulla flotta persiana nel corso dei preparativi in vista dello scontro all’Artemisio;174 i ποτήρια menzionati non possono tuttavia essere quelli del frammento di ‘Cherilo’, essendo descritti come χρύϲεα e ἀργύρεα. Risulta dunque specioso postulare che l’immagine rimandasse ai relitti dell’Artemisio e/o di Salamina,175 né probante appare il confronto con Eschilo Pers. 419–420,176 poiché ναυάγιον ricorre spesso in tragedia in senso metaforico (e.g. Eur. Hel. 409–410). La lingua e lo stile del frammento sono in genere sembrati conciliabili con quelli che si osservano nei passi superstiti di Cherilo di Samo; sono invece apparsi recenziori a Lloyd-Jones e Parsons, non senza ragione.177 Pur ammettendo la presenza di tratti già preellenistici nell’opera del Samio, la ricercatezza delle immagini e la densa allegoria non sembrano in effetti pienamente assimilabili agli aspetti di moderata innovazione riconoscibili nei frammenti dei Περϲικά.178 La presunta citazione del verso in Apollonio Rodio 1,1168– 1169, che imporrebbe di assegnare il verso al Samio, è invece incerta: sia Apollonio sia Cherilo sembrano piuttosto riprendere Od. 4,508, l’unico luogo omerico in cui ricorre τρύφοϲ (cf. lo stesso χερϲίν a 506).179

Ammettendo le difficoltà poste da un’assegnazione ai Περϲικά, si possono tentare due vie. La prima prevede l’assegnazione a un’altra opera del Samio, di contenuto allegorico-morale, come suggeriva Naeke,180 o meglio agli encomi composti per Lisandro (test. 4 R. C. = SH 325 = test. 3 B.2).181 Più verosimilmente, sembra altrimenti di poter pensare all’unico omonimo autore di esametri, Cherilo di Iaso,

174 Cf. Radici Colace (1979) 68. 175 A Salamina pensa Huxley (1969) 23. 176 Vd. Radici Colace (1979) 68. 177 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 152. 178 Sullo stile di Cherilo, le cui spinte innovative sono spesso eccessivamente enfatizzate, vd. cap. 3 § 6.2. 179 Diversamente Radici Colace (1975), (1979) 67, (1986) 278. Apollonio e Cherilo di Samo non sembrano peraltro avere molti contatti: appena un esempio in Lombardi (1997) 93 n. 34. 180 Naeke (1817) 168, cf. anche 102. La tesi di Naeke si basa tuttavia sulle opere attribuite a Cherilo di Samo da Eudocia (test. 1b), su cui vd. cap. 1 § 3. 181 Ammettendo che in un’epica di circolazione verosimilmente più circoscritta potessero trovare spazio forme di poesia dotta più ricercata, come ritiene Lombardi (1997) 97. Nessun frammento superstite è tuttavia sicuramente assegnabile all’opera su Lisandro, né è noto alcun simposio ‘degenerato’ cui Lisandro avrebbe preso parte (il banchetto cui fu invitato da Ciro secondo la testimonianza di Senofonte e Diodoro non ebbe tale esito).

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noto a Ateneo anche in un altro passo.182 Il confronto con il trattamento della metafora simposiale in poeti della seconda metà del V secolo, che la utilizzano in termini più distesi e tradizionali, potrebbe suggerire l’attribuzione del frammento più a un poeta di IV che non a uno di V secolo. La presenza di elementi omerici, per quanto variati, non è infine in contrasto con il modello probabilmente seguito da Cherilo di Iaso.183 All’interno del poemetto per Alessandro i versi potrebbero trovare un’opportuna collocazione nell’àmbito della narrazione del banchetto nel corso del quale Alessandro uccise Clito; le fonti principali dell’episodio,184 pur distribuendo variamente le responsabilità tra il Macedone e Clito, concordano sul fatto che entrambi fossero dominati dal vino (a questo alluderebbe πνεῦμα Διωνύϲοιο). La persona loquens del frammento sarebbe in ogni caso Alessandro. La battuta potrebbe contenere una critica rivolta a Clito, alla cui ὕβριϲ fa esplicitamente riferimento Arriano (4,8,7).185 Si potrebbe altrimenti ritenere che i versi esprimessero un’autocritica del Macedone, che trova conferma nel rimorso seguito all’omicidio secondo il resoconto delle fonti: il riferimento a Dioniso si chiarirebbe alla luce dell’interpretazione dell’episodio come vendetta del dio, offeso perché Alessandro aveva sacrificato ai Dioscuri invece che a lui (Arr. Anab. 4,8,2). Il frammento deve dunque restare tra i dubia tanto del Samio quanto dello Iaseo, anche se l’assegnazione a quest’ultimo appare più probabile. Se fosse possibile confermarla definitivamente, si potrebbe avere un’idea dei motivi per cui questi fu considerato il ‘peggior poeta’ greco: il frammento presenta evidenti tratti omerici, ma l’esibita ricerca di elementi patetici e l’estrema sovrabbondanza metaforica potevano risultare stucchevoli e offrirsi alla critica di chi ammirava la sobrietà dell’originale. I versi non si prestano invece ad assecondare la tesi secondo cui lo Iaseo avrebbe composto per Alessandro un poemetto epicoparodico, come vorrebbe Clayman:186 più pesanti che comici, essi suggeriscono piuttosto che l’epica di Cherilo di Iaso poté essere anche troppo ‘seria’.

182 Vd. supra, § 2.1. La mancata precisazione dell’opera non permette di inferire che fossero citati i Περϲικά, come invece Dübner (1841) 25. 183 Vd. supra, § 1.1. Su τρύφοϲ vd. supra; la clausola ἀμφὶϲ ἐαγόϲ riecheggia Il. 11,559; ἀνδρῶν δαιτυμόνων è frequente nell’Odissea; ἔκβαλεν eadem sede occorre in Il. 5,39 e 15,468; ὕβριοϲ trova un parallelo in Il. 1,214. Notevole è soprattutto οἷά τε πολλὰ, clausola omerica – riferimenti in Radici Colace (1979) 68 ad l. – non del tutto integrata, oscillante tra valore avverbiale e pronominale: cf. Ruijgh (1971) 917. 184 Arr. Anab. 4,8–9, Plut. Alex. 50–52, Curt. Ruf. 8,1,20–2,12, Iustin. 12,6, Itin. Alex. 90–92. 185 Al carattere irascibile e superbo di Clito fa riferimento anche Plutarco Alex. 50,9. 186 Clayman (2009) 31–33. Su questa ipotesi vd. anche supra, § 1.1.

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 Capitolo 4 L’opera superstite

3.4 La goccia d’acqua e la pietra Commentando un passo della Fisica aristotelica (8,253b6) dedicato a confutare la teoria di chi ritiene che gli enti siano sempre in movimento, senza soluzione di continuità,187 Simplicio ne riprende un’immagine (ϲταλαγμὸν κατατρίβειν . . . τοὺϲ λίθουϲ) citando un esametro di cui non nomina l’autore (fr. °4). Il verso non è attestato prima del II secolo d.C., quando è ricordato in due passi di Galeno (e parafrasato in un luogo dello ps.-Plutarco, di datazione più incerta).188 La sua fortuna va tuttavia prevalentemente collocata in età tardoantica, quando esso è riportato nell’àmbito della letteratura medica (Palladio), cristiana (Giovanni Crisostomo, Isidoro di Pelusio) e appunto neoplatonica (Simplicio stesso, Giovanni Filopono), oltre che parafrasato da Gregorio Nazianzeno, Temistio, Aristeneto.189 Simplicio e Filopono sono gli unici ad assegnare il verso a un autore, anche se appaiono in disaccordo su quale sia. Il frammento appare come la versione poetica di un proverbio ampiamente noto sin dai presocratici (Melisso, Empedocle) e attestato almeno in Aristotele, in Mosco e nella letteratura latina.190 Non sembra tuttavia lecito dubitare che il verso possa essere assegnato a un autore: esso conserva una fisionomia testuale che lo distingue tanto dal proverbio quanto dalla versione giambica di ampia fortuna bizantina (ῥανὶϲ ἐνδελεχοῦϲα κοιλαίνει πέτραν);191 gli ionismi (πέτρην, ἐνδελεχείῃ) lo rendono plausibile anche sotto il profilo dialettale. L’assimilazione al proverbio che si osserva tra l’altro nelle forme trasmesse da Aristeneto e dallo ps.-Plutarco può anzi spiegare perché il nome dell’autore sia stato oscurato e quindi recuperato solo da una tradizione erudita. È dunque possibile discutere le alternative assegnazioni proposte da Simplicio e da Filopono. Il primo attribuisce il frammento a ‘Cherilo’, il secondo associa invece il verso al nome di Mosco, come informa uno scolio alla Fisica aristotelica edito tra gli excerpta Parisiensia da Vitelli. L’alternativa di Filopono potrebbe essere stata formulata in aperta opposizione a Simplicio, anche se non è possibile accertarlo a partire da questo solo scolio. La divergenza sembra in

187 Commento in Graham (1999) 63–65. 188 Per i riferimenti rimando all’apparato. 189 Oltre all’apparato della presente edizione, vd. Sternbach (1922) 58–73. Cf. anche Naeke (1817) 170–171, Leutsch in Leutsch – Schneidewin II (1851) 633–634, Otto (1890) 156–157, Radici Colace (1979) 80–81, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 152–153, Bernabé (19962) 196. 190 Come proverbio lo indica Mosco (ὅπωϲ λόγοϲ). Vd. Tosi (20172) 792–794. Riferimenti in Sternbach (1922) 58–71. Problematico rimane naturalmente stabilire se tali autori dipendessero direttamente dal verso o dal proverbio. 191 Per le molte fonti, cui altre se ne potrebbero aggiungere, vd. Sternbach (1922) 71–73.

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ogni caso da ascrivere più probabilmente al ricorso a due fonti differenti che non alla luce delle rivalità che divisero Simplicio e Filopono sul piano dottrinale. Tra le due, l’attribuzione più attendibile sembra quella a ‘Cherilo’. Quella di Mosco è dovuta a una confusione con il frammento di Bione (fr. 4 Gow) in cui è espresso il medesimo concetto, senza che tuttavia vi si possa riconoscere il verso in questione.192 Con sporadiche eccezioni,193 in ‘Cherilo’ è stato riconosciuto Cherilo di Samo,194 e se il neoplatonico si pose il problema dell’identità di ‘Cherilo’ bisognerà attendersi che fosse dello stesso parere. Qualche perplessità in merito a questa attribuzione, già avanzata da Radici Colace, è stata espressa da Lloyd-Jones e Parsons, i quali hanno sollevato il dubbio di una possibile assegnazione allo Iaseo.195 A differenza di quanto riteneva Naeke,196 non sembra impossibile che il verso appartenesse a un epos storico o storico-encomiastico: l’esaltazione del valore della perseveranza nel capovolgere ruoli di potere apparentemente già definiti a priori non sarebbe fuori luogo almeno in riferimento a dinamiche militari. Ciò non esclude tuttavia l’opera né di Cherilo di Samo né di Cherilo di Iaso. Il verso, di chiara matrice proverbiale, potrebbe essere stato utilizzato anche da entrambi gli autori. L’attribuzione a Cherilo di Samo potrebbe porre alcune difficoltà sul piano stilistico e lessicale. Aristotele (test. °°22) afferma infatti che le metafore di Cherilo di Samo, diversamente da quelle di Omero, mancano in chiarezza, un difetto di cui non sembra possibile accusare l’immagine presente nel frammento in questione.197 Riguardo al lessico, ἐνδελέχεια costituirebbe inoltre la prima attestazione

192 Diels II (1895) 1196 app. 193 Naeke (1817) 172 ricorda Hadrianus Junius (Adriaen de Jonghe), al quale è attribuito il proverbio nell’edizione degli Adagia erasmiani del 1599. Qui si legge un chiaro riferimento a «Choerilus, malus poeta»: vd. Junius (1599) 195. L’attribuzione a Junius è tuttavia un errore, poiché l’analisi del proverbio manca nelle Adagiorum centuriae VIII di Junius (1558) e sembra invece da attribuire a Gilbert Cousin: vd. Cousin (1562) 104, poi ripreso nella Παροιμιῶν συλλογή stampata in appendice agli Adagia, Cousin (1571) 1250. In entrambi i passi il riferimento è però semplicemente a «Choerilus». L’aggiunta «malus poeta» non si trova che in una ristampa della Παροιμιῶν συλλογή di Cousin (1574) 334 e l’autore dell’intuizione rimane perciò difficile da individuare. Vd. anche Stein (1693) 19. 194 In particolare Naeke (1817) 172, Düntzer (1840) 98, Dübner (1841) 26, Leutsch in Leutsch – Schneidewin II (1851) 633, Kinkel (1877) 271, Sternbach (1922) 64, Tsirimpas (1950) 77, Huxley (1969) 25, Bernabé (19962) 196. 195 Radici Colace (1979) inserisce il verso tra i dubia, ma le perplessità sembrano riguardare l’attribuzione a uno specifico autore più che al Samio in particolare. Su Lloyd-Jones – Parsons (1983) vd. supra, § 3.3–6. 196 Naeke (1817) 172–173; vd. anche Huxley (1969) 25 e Radici Colace (1979) 79. 197 Analisi nel cap. 3 § 4.2.

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del termine nella letteratura greca: anche se neoformazioni e hapax non sono ignote alla lexis del Samio, alla coniazione di inediti sostantivi astratti il poeta sembra preferire artificiosi composti.198 ἐνδελέχεια non stupirebbe invece in un poema di IV secolo, essendo il termine attestato anche in un frammento di Menandro (749 K.–A.) nello stesso contesto. È invece incerto che esso avesse un ruolo nella filosofia del primo Aristotele – un elemento che avrebbe fatto pensare allo Iaseo, alla luce del legame del filosofo con Alessandro e della corrispondenza con la chiusa ‘filosofica’ riconosciuta anche in fr. °2.199 Nessuno di questi argomenti si rivela tuttavia decisivo contro l’attribuzione a Cherilo di Samo. Aristotele si riferisce forse all’uso più appariscente delle metafore di Cherilo, ma non bisogna escludere che il poeta potesse ricorrere anche a immagini più tradizionali.200 Il Samio (e non lo Iaseo) è inoltre citato anche da altro tardo commentatore neoplatonico, Ermia Alessandrino (test. °°21).201 Solo l’ampio Nachleben – certo poco compatibile con Cherilo di Iaso – lascia qualche sospetto anche riguardo al Samio. Il verso potrebbe essere stato concepito anche prima di Cherilo di Samo, ma da lui effettivamente impiegato per la prima volta in letteratura.

3.5 Talete e l’immortalità dell’anima Nel profilo dedicato a Talete Diogene Laerzio riporta la notizia, riferita da ‘taluni’, secondo cui Talete sarebbe stato il primo a definire le anime come immortali; tra costoro vi sarebbe anche ‘il poeta Cherilo’ (fr. °5). Prima che la problematica identificazione di Cherilo, ha sollevato alcuni dubbi la plausibilità storico-filosofica della notizia relativa a Talete. Con l’eccezione della Suda s.v. Θαλῆϲ (θ 17),202 essa non è infatti attestata altrove e la tradizione è assai oscillante nell’individuazione del πρῶτοϲ εὑρετήϲ di tale dottrina 198 Vd. Lombardi (1997) 93. ῥανίϲ non costituisce invece problema, appartenendo al bacino lessicale postomerico e prosastico cui non di rado attinge il Samio: vd. Lombardi (1993) 52 n. 91 e (1997) 93. 199 Vd. supra, § 3.2. Per il dibattito sull’ ἐνδελέχεια  – eventualmente da distinguere da ἐντελέχεια – vd. i riferimenti raccolti da Huby (1999) 18–20; cf. ora le precisazioni in Mansfeld – Runia (2020) III 1405–1406. 200 Vd. fr. °22 R. C.= °21 B.2, dove appare tra l’altro πέτρῃ. L’attribuzione è però molto dubbia. 201 Commento nel cap. 3 § 4.1. 202 Naeke (1817) 182 ritiene che la voce della Suda non dipenda da Diogene Laerzio, ma da Esichio di Mileto; lo nega invece Radici Colace (1979) 84, la quale pare tuttavia confondersi con Esichio di Alessandria: vd. West (1981) 105. Su Diogene e la Suda vd. Dorandi (2009) 136–152. Per una simile affermazione vd. in ogni caso anche Aezio 4,2,1.

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(soprattutto Ferecide, Pitagora e altri, ma anche popoli non greci come Egizi, Caldei e μάγοι indiani).203 L’affermazione è peraltro sembrata talvolta inconciliabile con il pensiero di Talete,204 ma potrebbe non esserlo, riconoscendo in ψυχή non l’anima che dopo la separazione del corpo conserva la propria individualità, ma come principio che anima la φύϲιϲ.205 Non bisogna concludere che Diogene Laerzio interpretasse correttamente l’affermazione, come suggerisce l’uso del plurale, ma il contesto cosmologico in cui la riflessione del filosofo è inserita suggerisce che le sue fonti fossero attendibili. La varietà dei modi in cui poteva essere inteso un termine come ψυχή (oltre che naturalmente ἀθάνατοϲ) può in ogni caso spiegare almeno parzialmente le molteplici attribuzioni circolanti nell’antichità circa l’origine della dottrina. ‘Cherilo poeta’ potrebbe essere identificato con ciascuno dei Cherili noti. Non sembra infatti improbabile che un poeta epico o tragico menzionasse la ψυχὴ ἀθάνατοϲ, intesa come anima individuale: cenni a questo concetto possono essere colti già in Omero e nei lirici. Stando a Diogene, ‘Cherilo’ non si limitava tuttavia a menzionare il concetto, ma lo riferiva esplicitamente a Talete: l’attenzione storico-filosofica rivelata dal cenno al filosofo sembrerebbe meglio comprensibile all’interno di un poema in esametri.206 La critica ha infatti generalmente riferito il verso al Samio;207 solo G.S. Kirk e J.E. Raven lo attribuiscono invece allo Iaseo, ma senza ulteriori spiegazioni;208 il dubbio tra i due è infine mantenuto da LloydJones e Parsons.209 Non si può naturalmente escludere che la notizia sia semplicemente un’invenzione delle fonti, sorta per qualche ormai inestricabile confusione. Diogene ha uno specifico interesse per la poesia filosofica, ma un sospetto solleva in particolare la menzione del solo nome di Cherilo tra gli ἔνιοι che avrebbero 203 Ferecide secondo Cicerone, almeno stando a quod litteris extet (Tusc. 1,16,38 = Pherec. 7 A 5 D.–K.6). Il primato di Pitagora è affermato da Massimo di Tiro Diss. 10,2. Egli è citato insieme ad altri (tra cui Platone) da Aezio 4,7,1, dove pure il tema della priorità non è affrontato esplicitamente: vd. Mansfeld – Runia (2020) III 1503–1525 per il testo ricostruito e i luoghi paralleli (tra cui il presente). Sugli Egizi vd. Erodoto 2,123,2; per i Caldei infra. 204 Vd. la bibliografia indicata da Radici Colace (1979) 85. Cf. anche Radici Colace (1986) 278. 205 Cf. O’Grady (2002) 108–123. Vd. anche la discussione in Almagor (2019) ad F 34i. 206 L’assegnazione a Cherilo Ateniese è esplicitamente rifiutata da Huxley (1969) 24. 207 Vd. tra gli altri anche Naeke (1817) 182–183, Kinkel (1877) 271, Huxley (1969) 24, Bernabé (19962) 196. 208 Kirk in Kirk – Raven – Schofield (1983) 97 n. 2, già in Kirk – Raven (1957) 96 n. 2. Propende per il Samio, ma ritiene plausibile un’assegnazione allo Iaseo Wöhrle (2009) 31 n. 1; essa è invece rifiutata da Huxley (1969) 24 e Classen (1965) 938 = (1986) 43 n. 23. O’Grady (2002) 110 e 122 n. 6 identifica Cherilo con lo Iaseo (a 39 n. 20 afferma tuttavia trattarsi del Samio). 209 Lloyd-Jones  – Parsons (1983) 153; cf. Almagor (2019) ad F 34i. La testimonianza era già considerata dubbia da Radici Colace (1979), la quale tuttavia non proponeva di attribuirla a un omonimo.

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riportato questa notizia, forse traccia di una stratificazione nella composizione delle Vite.210 Nonostante i dubbi evidenziati, per entrambi i Cherili si potrebbe pensare che la morte di un eroe desse occasione della citazione dell’epifonema sull’immortalità dell’anima,211 accompagnato da un riferimento a Talete; qualcosa come: ‘il nostro eroe è morto, ma la sua anima è immortale, come assicura Talete’. Una menzione di Talete più circostanziata non appare altrimenti improbabile nell’opera di Cherilo di Samo: il filosofo poteva essere menzionato per i consigli che secondo il racconto di Erodoto diede a Ciro durante la guerra lidio-persiana contro Creso (1,75) e agli Ioni in occasione della resistenza attuata contro lo stesso Ciro (1,170).212 Non sembra tuttavia che temi filosofici abbiano trovato spazio in questo poema,213 mentre è possibile che essi ne avessero in Cherilo di Iaso, come suggeriscono altri frammenti a lui attribuibili.214 Se bisogna riconoscere qualche valore alla notizia, ‘Cherilo’ attingeva in ogni caso probabilmente a una tradizione poco diffusa, di circolazione locale o comunque microasiatica, infine raccolta da Diogene. La rivendicazione a Talete di una teoria di ampia fortuna – anche con lievi distorsioni – filosofica potrebbe essere stata perseguita anche per motivi extrafilosofici, campanilistici o polemici. L’assegnazione della teoria ai Greci in funzione anti-barbara non apparirebbe fuori luogo in nessuno dei due poemi. Da Pausania 4,32,4 è noto che la dottrina fu attribuita anche a popoli ‘barbari’, dai quali sarebbe stata ripresa dai filosofi greci: il riferimento ai ‘Caldei’ permetterebbe di collocare l’allusione nell’àmbito dei Περϲικά; quello ai μάγοι indiani non esclude un riferimento agli estremi confini del mondo raggiunti da Alessandro, lasciando aperta la possibilità di una menzione nell’opera di Cherilo di Iaso. Perché la teoria sarebbe stata però assegnata proprio a Talete? Secondo Gigon, Cherilo  – da lui identificato con il Samio – avrebbe inteso sottrarre a Pitagora la paternità di una celebre dottrina.215 Lo stesso Pitagora era tuttavia originario di Samo: non si comprenderebbe perché 210 Sul metodo di lavoro di Diogene vd. Dorandi (2007) 19. 211 Almagor (2019) ad F 34i. L’eroe sarebbe, nel caso di Cherilo di Iaso, «most likely Alexander». 212 Cf. Barigazzi (1956) 181, secondo il quale ‘Talete’ sarebbe in realtà Zalmoxis, filosofo tracio poi venerato come una divinità che avrebbe diffuso la dottrina dell’immortalità delle anime (la notizia è tràdita solo da Porphyr. V.Pyth. 14). La tesi è accolta da Huxley (1969) 24 n. 49. Vd. anche Radici Colace (1979) 83. 213 Diversamente Huxley (1969) 24. Cf. Radici Colace (1979) 74–75. 214 Vd. i commenti supra, §§ 3.2, 3.4; cf. epigr. °1 (e commento supra, § 2.1). Qualche valore potrebbe anche essere riconosciuto al legame tra Alessandro e Aristotele, la fonte principale per il pensiero di Talete. È tuttavia improbabile che in questi casi ‘Cherilo’ sia la fonte di Aristotele, come afferma O’Grady (2002) 29. 215 Gigon (1945) 57.

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l’autore dei Περϲικά, in cui non mancano accenti campanilistici, avrebbe voluto privare la propria polis di questo merito.216 Sarebbe forse allora più probabile un riferimento nel poema dello Iaseo, che avrebbe così rivendicato il merito al filosofo di Mileto – città caria – contro lo ionio Pitagora.

3.6 L’Eridano in Germania e la ‘tragica’ morte di Fetonte La menzione dell’Eridano in Verg. Georg. 1,482 offre agli scoliasti bernensi l’occasione per un catalogo di alcune tra le varie localizzazioni del fiume presenti nella letteratura greca (fr. °6).217 Gli autori menzionati sarebbero in errore rispetto alla tradizione rappresentata da Virgilio, in cui Eridanus designa il Po, come notano i commentatori: ‘Eusebio’, forse corruttela per Eschilo (TrGF F 73a,II),218 lo avrebbe identificato con il Rodano; Ctesia lo avrebbe collocato in India (FGrHist 688 F 65); ‘Cherilo’ in Germania; Ione di Chio in Achaia (TrGF 19 F 59 = fr. 123 Leurini2), cioè in Grecia.219 Il riferimento a Cherilo si accompagna a quello al mito di Fetonte, che in quel fiume sarebbe morto. Com’è chiaro, lo scoliasta ha selezionato le varianti più bizzarre che offriva la tradizione; ciò sembra spiegabile sia come un’eco dell’atteggiamento critico di Plinio nei confronti delle conoscenze geografiche dei Greci (Nat. hist. 37,32), volto in questo caso a esaltare la doctrina virgiliana, ma soprattutto alla luce di un’erudizione curiosa attenta alle notizie apparentemente più improbabili. La notizia su Eschilo non è difficile da decifrare, perché la confluenza dell’Eridano e del Rodano è attestata anche in altre fonti;220 la localizzazione in India appare ovviamente aberrante, seppur non del tutto peregrina;221 anche la collocazione in Grecia è rara.222 Non vi è comunque ragione per dubitare di tali notizie, che sono quasi sempre confrontabili con altri testimoni. Anche la localizzazione in Germa-

216 Sul campanilismo samio di Cherilo vd. Michelazzo (1982). Circa la composizione di Ϲαμιακά vd. però supra, § 1.2. 217 Lo scolio è riportato negli Scholia Bernensia A (cioè la Brevis expositio) e negli Scholia Bernensia B, con alcune varianti. Per entrambe le sillogi occorre riferirsi alle edizioni di Hagen (1867) e (1902). Della nuova edizione dell’intero corpus bernense intrapresa da L. Cadili, D. Daintree e M. Geymonat è apparso il primo volume, a cura di Cadili: vd. Cadili (2003a). 218 È proposta di Hagen (1867) 882, ribadita in Hagen (1902) 275, sulla base del confronto con Plin. Nat. hist. 37,32, il quale afferma che Eschilo avrebbe localizzato l’Eridano in Hiberia. 219 Leurini (1980) 121 n. 7. 220 Pezzelle (2015) 236–237. 221 Cf. Radici Colace (1979) 95–96. 222 Vd. però i paralleli indicati da Leurini (1980) 121–122; cf. Leurini (20002) 122.

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nia attribuita a ‘Cherilo’, che almeno così formulata appare come un unicum, va dunque considerata con attenzione. Il frammento è stato generalmente attribuito al Samio,223 anche se non è stato del tutto escluso che potesse trattarsi dell’Ateniese;224 per lo Iaseo hanno sollevato un dubbio i soli Lloyd-Jones e Parsons.225 Nonostante le incertezze, sembra nel complesso più probabile l’attribuzione del frammento al tragico di V secolo.226 Il testo della tradizione va innanzitutto difeso contro la congettura proposta da Bernabé Gerania, regione tracia e luogo del mitico scontro tra Pigmei e gru: poiché esso è trattato da Erodoto, il più importante (se non l’unico) tra i modelli narrativi dei Περϲικά, sarebbe eventualmente logico pensare a Cherilo di Samo.227 Anche se il nome è attestato in Plin. Nat. hist. 4,44, non sarebbe detto altrove che l’Eridano si trovava in Tracia; bisognerebbe inoltre escludere la connessione con Fetonte, sulla quale si tornerà infra. Fino all’età ellenistica la localizzazione del fiume è alquanto oscillante. Contrariamente a come ritiene lo scoliasta virgiliano, l’identificazione dell’Eridano con il Po non è tuttavia originaria. Da Erodoto 3,115 (e probabilmente Esiodo)228 è anzi chiaro che il fiume fu collocato innanzitutto nell’estremo nord ‘iperboreo’;229 solo nel V secolo inoltrato, con Euripide ed Eschilo (rispettivamente Hipp. 736–737 e TrGF F 73a, dalle Ἡλιάδεϲ), esso fu abbassato nella zona alto-adriatica per essere infine identificato con il Po.230 La localizzazione dell’Eridano in Germa-

223 Così Naeke (1838/39) = I (1842) 273–275 (il frammento, sfuggitogli nel 1817, gli fu segnalato da W. Dunn), Düntzer (1840) 98, Dübner (1841) 27, Kinkel (1877) 271–272, Jacoby III C (1958) 546, Huxley (1969) 25, Bernabé (19962) 193. 224 Nauck (18892) 720, vd. già Nauck (18561) 577. Più dubbioso Snell (1971) 68: «potius Choerilo poetae epico attribuendum». 225 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 153. 226 Considerazioni circa l’epoca degli autori citati (e l’ordine in cui sono presentati) non sembrano risolutive. Anche in base a questo criterio, tuttavia, la presenza di Cherilo sarebbe leggermente aberrante; sarebbe infatti il più recente e interromperebbe la sequenza cronologica vagamente seguita. 227 Bernabé (1984). Bernabé trova inoltre conferma in Call. fr. 1,13–16 Pf., in cui un riferimento a Cherilo è improbabile (vd. cap. 3 § 6.1). 228 L’idronimo compare in Theog. 338, dove Eridano è indicato come figlio di Oceano e Teti, e in fr. 311 M.–W., in cui è messo in relazione con il mito di Fetonte e il pianto ambrato delle Eliadi; i due passi citati non informano circa la localizzazione del fiume. Esso andrebbe tuttavia collocato nell’estremo nord in fr. 150,20–24 M.–W., accogliendo l’integrazione di Allen e ipotizzando una connessione con la successiva menzione degli Iperborei. Vd. Radici Colace (1979) 93 e Pezzelle (2015) 227–228. 229 Un’eco di tale concezione si coglie ancora in Apollonio Rodio 4,611–618, che però si distanzia dalla notizia definendola una βάξιϲ dei Celti. 230 Riferimenti essenziali in Pezzelle (2015).

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nia, probabilmente un toponimo dovuto allo scoliasta (o alla sua fonte), sembra indicare un posizionamento del fiume nel centro-nord Europa.231 Nel quadro delineato, la localizzazione ‘germanica’ suggerisce dunque di collocare ‘Cherilo’ più nel V che nel IV secolo. Tra il Samio e l’Ateniese (entrambi vissuti nel V secolo), la vicinanza a Esiodo e l’opposizione rispetto a Euripide e a Eschilo sembra far propendere per Cherilo di Samo. Nulla assicura tuttavia che l’Ateniese si dovesse allineare all’opinione di Euripide e Eschilo; in quest’ultimo la posizione del fiume è peraltro ancora oscillante.232 Qualche perplessità potrebbe inoltre suscitare il fatto che il Samio non avesse colto l’osservazione di Erodoto. Non vi è accordo se la pericope relativa al mito di Fetonte debba essere considerata parte della citazione di Cherilo o un riferimento inserito dallo scoliasta. Per quest’ultima possibilità si è espresso West, notando l’oratio recta.233 Non bisogna però forse attendersi uno stile troppo sorvegliato in uno scolio che presenta varî problemi testuali. Il riferimento a Fetonte potrebbe dunque essere da includere nel frammento di ‘Cherilo’: sebbene la connessione tra Fetonte e l’Eridano sia attestata anche in altre fonti (tra cui forse la citata tragedia di Eschilo), lo scoliasta menziona Fetonte non alla fine dell’elenco delle varie localizzazioni, ma solo in riferimento a ‘Cherilo’ e all’Eridano ‘germanico’. Se così fosse, sembrerebbe più probabile che il mito di Fetonte trovasse spazio in una tragedia di Cherilo Ateniese che non nei Περϲικά. Assegnando il frammento ai Περϲικά, Naeke avanzava cautamente l’ipotesi che egli fosse ricordato in relazione a un confronto con Serse;234 la tesi non trova tuttavia sostegno in alcun luogo parallelo.235 Anche se non ne mancano cenni nell’epica greca arcaica e tardoantica, oltre che latina,236 la vicenda di Fetonte fu invece al centro delle tragedie di Euripide e Teodoride, ed era almeno ricordata nelle Ἡλιάδεϲ di Eschilo. Alcuni temi connessi alla morte di Fetonte evocata dallo scolio – la ὕβριϲ, l’ambrato pianto delle Eliadi, il contrasto tra necessità divina e aspirazioni dell’uomo – contribuiscono a rendere verosimile il cenno in una tragedia di Cherilo Ateniese.

231 «The name Germania would be a gloss by the scholiast» Huxley (1969) 25. Cf. Radici Colace (1979) 95. Una simile rielaborazione è invece ritenuta improbabile da Bernabé (1984) 321. 232 Cf. Pezzelle (2015) 236–237. 233 West (1981) 105, seguito da Bernabé (1984) 320. Vd. anche Kessels (1984) 175. 234 Naeke (1838/39) ii = I (1842) 275. 235 Il sostegno che Radici Colace (1979) 92 ravvisa nella presenza di altre coppie padre–figlio, in cui quest’ultimo è associato a Fetonte, è molto fragile; lo stesso vale per la «connotazione di ὕβριϲ» comune tanto al personaggio del mito quanto a Serse. 236 Esiodo, cui si è già accennato; Nonn. Dionys. 38,142–428; Ov. Met. 1,743–779 e 2,1–400.

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3.7–8 I papiri Tra gli adespota papyracea del SH si trovano tre frammenti attribuiti molto dubbiosamente ai ‘poetastri’ di Alessandro: 913–921, 937, 950 (rispettivamente P.Oxy. 2520, 2814, P.Pisa Lit. 1).237 Dalla presente edizione si è escluso solo il primo: se nel ‘Filippo’ in esso menzionato bisogna riconoscere Filippo II (e in ‘Ieronimo’ l’omonimo ἐκ Μαινάλου citato da Paus. 8,27,2), si dovrebbe più probabilmente pensare a Anassimene di Lampsaco o anche a Festo (SH 670);238 se ‘Filippo’ è invece da identificare con Filippo V (e ‘Ieronimo’ con il tiranno di Siracusa),239 l’eventuale assegnazione a Cherilo di Iaso andrebbe a fortiori esclusa. Entrambi i frammenti papiracei rimanenti meritano invece di essere discussi in relazione alla paternità di Cherilo di Iaso.240 Curiosamente, si ritrova ancora l’associazione con Cherilo di Samo (cf. supra, §§ 3.3–6), poiché anche per questi si è proposta tra le altre l’attribuzione a Cherilo di Samo.241

3.7 P.Oxy. 2814 «There is too little about which there is certainty in the following remnant of a composition in hexameters to make it profitable to spend time on its identification»: quasi con rassegnazione Lobel introduceva l’analisi dei 36 lacunosi versi di P.Oxy. 2814 pubblicandoli nel 1971 (fr. °7).242 L’editor princeps non rinunciava tuttavia a pronunciarsi per una probabile assegnazione ai Περϲικά di Cherilo di Samo: i vv. 27–28, presentando l’opposizione tra il ‘popolo d’Europa’243 e i ‘Persiani’, non gli lasciavano dubbi circa il contenuto del papiro, che doveva narrare una delle guerre persiane combattute dagli Ateniesi nel V secolo, e conferme provenivano da alcune integrazioni proposte con vario grado di certezza

237 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 422, 435, 452. 238 Per Anassimene (Φιλιππικά o ἔπη ἐϲ Ἀλέξανδρον?), su cui cf. cap. 3 § 2.1, vd. Fantuzzi (1988) lx–lxi e Barbantani (2017) 71–72. Riguardo a Festo vd. cap. 1 § 2.2. 239 Cameron (1995) 278 e n. 87. 240 Gli unici effettivamente considerati anche da Barbantani (2017) 69. 241 Di entrambi i papiri M. Perale ha in preparazione una nuova edizione nel terzo volume degli Adespota Papyracea Hexametra Graeca, rispettivamente come APHex 126 e 130; vd. l’indice al primo volume: Perale (2020) xxiii. 242 Lobel (1971) 54–60. 243 Lobel (1971) 60 non esclude tuttavia che le due parole non fossero unite in un unico sintagma.

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(16–17: Μιλ]τ̣ ιάδου, Μα̣[ραθῶνι, Ϲ]α̣λ̣α̣μι̣ [-);244 Lobel riconosceva in particolare nel comandante morto Milziade e nel παῖϲ il figlio Cimone.245 La tesi non è inverosimile, anche perché è noto che Cherilo di Samo era ancora letto a Ossirinco agli inizi del III secolo d.C., all’epoca cioè in cui è databile P.Oxy. 1399 con il celebre κολοφών della sua opera,246 dunque non molto dopo che fu scritto il nostro papiro, assegnabile al secolo precedente. Come si è accennato, Lobel non nascondeva comunque le difficoltà presenti in tale attribuzione, che riconosceva innanzitutto nei tratti di recenziorità evidenti nella lingua.247 Le perplessità dell’editor princeps si ritrovano nella critica successiva, che alle notazioni linguistiche ha aggiunto la difficoltà di conciliare con l’àmbito delle guerre persiane di V secolo la menzione di Arcadi e Traci all’interno del catalogo delle forze greche (21–22)248 e soprattutto la descrizione del bottino promesso alle truppe (34–36).249 L’impresa di Milziade poteva dunque essere menzionata come «Erinnerung an die Große Vergangenheit»,250 in un flashback o meglio in una contio.251 Conferma sembra di poter trarre a questo riguardo dal v. 15, letto con le integrazioni via via proposte: ἀρχαίω]ν κλέοϲ ἐϲ[θλὸν] ἐνίϲποιμ[εν.252 Quando collocare dunque il presente della narrazione? Gli editori del SH hanno avanzato l’ipotesi che il testo alluda all’imminente anabasi di Alessandro Magno.253 Il personaggio loquens, verosimilmente ateniese, rievocherebbe le passate vittorie contro i Persiani; il condottiero morto che avrebbe riunito Traci e Arcadi sotto il proprio comando sarebbe Filippo, morto quando stava preparando lo scontro con i Persiani. ‘Ora’ (31 νῦν) non bisogna però dimenticarne il progetto: suo figlio, naturalmente da identificare con Alessandro, ne raccoglierà l’eredità e distribuirà le

244 Ulteriore conferma potrebbe ravvisarsi nel confronto suggerito da Bernabé (19962) 24 ad v. 27 con fr. °1a R. C. = SH 316 = fr. 1 B.2, dove si trova un riferimento a Εὐρώπη. 245 Lobel (1971) 54. 246 Per i necessari riferimenti vd. Angeli Bernardini (2004) 32–33. Anche P.Oxy. 2524 (frr. °14a– °21 R. C. = SH 928–935 = frr. °13–°20 B.2), dubbiosamente assegnato a Cherilo di Samo, risale al III secolo. Cf. West (1966) 23. 247 Lobel (1971) 54, con riferimento a πανέπαρκιοϲ (v. 27) e a ἐφεϲπομένοιϲ (34). Cf. Irigoin (1972) 233, Luppe (1973) 327, Radici Colace (1979) 133, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 435. Su ἐφεϲπομένοιϲ vd. però West (1981) 105. Dubbi su questo criterio sono avanzati da Perale (2022) 266–267. 248 Radici Colace (1979) 135–137. 249 Luppe (1973) 327. Vd. anche Lloyd-Jones – Parsons (1983) 435. 250 Luppe (1973) 327. 251 A un flashback pensa Meliadò (2013) 52, a una contio Lloyd-Jones – Parsons (1983) 435. 252 Da ultimo Meliadò (2013) 52; vd. l’apparato dell’edizione. 253 Così anche Meliadò (2013) 52. La tesi è qui attribuita a West, ma deve trattarsi appunto di Lloyd-Jones – Parsons (1983).

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ricompense promesse a chi lo seguirà.254 Si è dunque potuto attribuire dubitativamente i versi a uno dei ‘poetastri’ di Alessandro (Agide, Anassimene, Cherilo), senza escludere tuttavia la possibilità di un loro epigono.255 L’assegnazione a uno dei poeti del Macedone non è inverosimile: lo stile del frammento, se non ‘pessimo’, non appare comunque particolarmente sorvegliato;256 non mancano riprese omeriche (spesso clausole),257 che si può supporre caratterizzassero  – sebbene certo non in modo esclusivo  – la lexis dei poeti di Alessandro.258 La presenza di Filippo farebbe propendere per Anassimene, il quale dedicò al sovrano una narrazione storiografica intitolata Φιλιππικά.259 Il riferimento ai premî promessi dal comandante alla fine del frammento potrebbe invece andare nella direzione proprio di Cherilo di Iaso, che sarà a sua volta ricompensato in stateri aurei:260 si potrebbe immaginare che un poeta cortigiano abbia sornionamente alluso al compenso che avrebbe ricevuto, presentando Alessandro quale re capace di mantenere i propri impegni. Anche se la ricostruzione di Lloyd-Jones e Parsons è convincente, l’estrema lacunosità del papiro impone prudenza. Molte integrazioni su cui si basa l’assegnazione sono infatti dubbie.261 D’altra parte né Alessandro né Filippo sono mai esplicitamente menzionati; non sarebbe neppure chiaro perché i poeti avrebbero scelto di narrare proprio un episodio ‘ateniese’. Se l’assegnazione a Cherilo di Samo non può essere completamente esclusa,262 l’eco di Apollonio Rodio 2,417–418 che si coglie al v. 21 suggerirebbe una datazione posteriore persino ai ‘poetastri’

254 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 435. Vd. Meliadò (2013) 52. Entrambe le alternative sono presentate da Daris (1989) 70 e da Barbantani (2016) 6 n. 22 e (2017) 69. 255 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 435. Cf. Barbantani (2016) 6 n. 22. 256 Daris (1989) 70 lo definisce «di modesta qualità». 257 Ampiamente segnalate negli apparati di Lloyd-Jones – Parsons (1983) e di Bernabé (19962), oltre che nel commento di Radici Colace (1979) 133–142. 258 Vd. supra, § 1.1. 259 Sarebbe comunque decisivo stabilire se Anassimene scrisse solo ἔπη ἐϲ Ἀλέξανδρον o anche Φιλιππικά, come ipotizza Fantuzzi (1988) lx–lxi. Su Anassimene vd. cap. 3 § 2.1. La migliore collocazione del frammento risulterebbe comunque un poema su Alessandro; è infatti improbabile che la morte di Filippo II fosse narrata nel modo breve e indiretto di fr. °7 se questo apparteneva a un poemetto dedicato a Filippo stesso. 260 Vd. cap. 2 § 9.2. 261 L’integrazione Θρηϊ]κ̣ εϲ (21) di Lobel, accolta da Bernabé, è ritenuta dubbia («fort. spatio longius») da Lloyd-Jones – Parsons. Ἀρκά]δεϲ (22) di Lobel, già messa in dubbio da Lloyd-Jones – Parsons i quali proponevano γυμνά]δεϲ, è negata da Angiò (2007) 54, che suggerisce οὐλά]δεϲ. Dubbi su Μιλ]τ̣ ιάδου, Μα̣[ραθῶνι, Ϲ]α̣λ̣α̣μι̣ [- (vv. 16–17), proposti con varî gradi di certezza da Lobel, sono espressi ancora da Lloyd-Jones – Parsons; vd. contra, da ultimo, Bernabé. 262 L’attribuzione è accolta ancora da Daris (1989) 70 e da Barbantani (2017) 69.

3 I frammenti attribuiti a Cherilo di Iaso 

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del Macedone.263 L’assegnazione a un poema più recente ispirato alla vicenda di Alessandro (Arriano? Nestore? Festo?) – appunto un ‘epigono’ – rimane altrettanto plausibile.264

3.8 P.Pisa Lit. 1 Un frustulo papiraceo opistografo conservato presso la Bibliothèque publique et universitaire di Ginevra, inv. 326 (P.Pisa Lit. 1), datato al V secolo d.C. e di provenienza ignota,265 presenta sul lato perfibrale le lettere iniziali di una colonna e sulla facciata transfibrale quelle finali di un’altra colonna (fr. °8). L’estrema lacunosità del papiro ha naturalmente suggerito proposte esegetiche divergenti circa l’autore e il genere letterario di appartenenza dell’opera qui contenuta. L’unico dato sicuro che permette un orientamento sembra ξέρξηϲ̣ (a,4), ma anch’esso ha dato adito a diverse interpretazioni, come si vedrà tra breve. Secondo l’editor princeps A. Concolino Mancini il papiro conserva frammenti di un testo in prosa, come dimostrerebbe «l’allineamento regolare alla fine dei righi» del ‘verso’;266 vi hanno invece riconosciuto un frammento esametrico Lloyd-Jones e Parsons, seguiti da Bernabé e da Perale.267 L’allineamento a destra può in effetti essere spiegato anche luce di esametri particolarmente regolari e sembra di poter leggere un’espressione poetica come ἐϲ χθο̣ ν̣ [α (a,6). La lettura non è tuttavia sicura.268 Un ostacolo sembra rappresentato anche da θυγατέρων̣ (a,9), che per la sequenza di tre brevi non compare nell’epica prenonniana con la sola eccezione di Apollonio Rodio 4,10.269 La difficoltà di stabilire definitivamente se il testo sia poetico o prosastico rende l’analisi del contenuto ancor più problematica. Secondo Concolino Mancini ξέρξηϲ̣ sarebbe la parte finale di una parola che incominciava nel rigo precedente: Ἀρτο]|ξέρξηϲ̣ (vel Ἀρτα]|ξέρξηϲ̣ ), padre di Dario II, soprannominato Νόθοϲ (compatibile con le tracce di a,8: καὶ νοθο̣ [ ), domò una rivolta dei Medi (a,5) e sposò 263 Radici Colace (1979) 133. In alternativa, sarebbe Apollonio a citare tale poeta, il che sembra meno probabile. 264 A un ‘epigono’ di tali poeti pensavano eventualmente già Lloyd-Jones – Parsons (1983) 435. 265 Sulla datazione e il momento dell’acquisto vd. Concolino Mancini (1978) 32. La datazione è accolta da Lloyd-Jones – Parsons (1983) 452 oltre che da Bernabé (19962) 205. 266 Concolino Mancini (1978) 34. 267 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 452, Bernabé (19962) 207, Perale (2020) 18 n. 44. 268 La proposta di lettura era già avanzata e rifiutata da Concolino Mancini (1978) 34. 269 Il confronto con il passo apolloniano esclude comunque che il papiro presentasse un testo in versi scritti in scriptio continua: se si ammette che il testo sia poetico, sarebbe una coincidenza eccessiva postulare che θυγατέρων̣ si trovi proprio a inizio di rigo.

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una  delle figlie (a,9) dello stesso Artaserse.270 Secondo Lloyd-Jones e Parsons, ξέρξηϲ̣ – trovandosi a inizio di verso – non può che essere Ξέρξηϲ̣ ; ciò rimanda naturalmente all’àmbito delle guerre persiane, anche se viene meno la conferma di Μήδων, che potrebbe in realtà essere μηδε̣ ν̣ [ (così gli stessi Lloyd-Jones e Parsons). Il quadro delineato dagli editori del SH, già necessariamente incerto, come si è notato, induce gli studiosi ad avanzare tre possibili alternative circa la paternità del frammento: Cherilo di Samo, uno dei poeti di Alessandro Magno, un mediocre poeta egiziano (ipotesi considerata più probabile).271 Tra le possibilità, quella che potrebbe coinvolgere Cherilo di Iaso si presenta senz’altro come la più debole.272 Serse è infatti solo indirettamente connesso con la vicenda di Alessandro, anche se si può naturalmente immaginare che egli fosse evocato al pari di Milziade in P.Oxy. 2814.273 Anche in questo caso il frammento potrebbe riportare il discorso di un altro personaggio (in oratio recta, come suggerirebbe l’integrazione di κ̣ λ̣υ̣[θ]ι̣ in a,1).274 Mi sembra tuttavia improbabile pensare che l’opera di un ‘poetastro’ del Macedone fosse ancora trascritta nel V secolo, datazione che risulta assai problematica anche per Cherilo di Samo.275 Anche θυγατέρων̣ , che si incontra sistematicamente solo nell’esametro di Nonno (cinque volte eadem sede),276 lascia propendere per un poeta più tardo.

270 Concolino Mancini (1978) 33, cui rinvio anche per i riferimenti. Il papiro sembrerebbe narrare gli eventi su cui si interrompe P.Baden 59 (anch’esso di V secolo), ma il rapporto tra i due testi è difficile da sostanziare. 271 Lloyd-Jones – Parsons (1983) 452. 272 Vd. Barbantani (2016) 6 n. 22 e (2017) 69. 273 Vd. supra, § 3.7. 274 Proposta dubbiosamente da Bernabé (19962) 207 ad l. 275 Sulla fortuna di Cherilo di Samo vd. cap. 3 § 5.2. 276 Dionys. 5,204, 34,176, 36,286, 40,124, 43,253.

Capitolo 5  La ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso Prima e dopo Naeke 1 Perplessità vecchie e nuove All’affermazione dell’esistenza di un Cherilo di Iaso cantore di Alessandro Magno e pessimus poeta si può giungere attraverso una serie di punti che possono essere così ripercorsi. a)

Il Cherilo menzionato nella tradizione ‘oraziana’ (vd. cap. 2 § 1) non può essere il Samio: la notizia del suo legame con Alessandro Magno lo rende cronologicamente incompatibile con floruit dell’autore dei Περϲικά, da collocare nella seconda metà del V secolo.1 Vi furono dunque due Cherili, entrambi poeti epici. b) La Suda s.v. Χοιρίλοϲ (test. 1a) presenta notizie inconciliabili con l’attività di Cherilo di Samo: il titolo dei Λαμιακά presuppone che siano stati composti da un poeta vissuto durante (o dopo) la guerra lamiaca;2 il premio in stateri aurei κατὰ ϲτίχον, che il Samio avrebbe ricevuto dagli Ateniesi in occasione della pubblica lettura dei Περϲικά alle Panatenee, non risulta compatibile alla luce di considerazioni storiche e numismatiche.3 c) Sia il riferimento ai Λαμιακά sia quello al premio confluirono nel lemma della Suda, con ogni probabilità, per una confusione omonimica, supportata dalla scarsa coerenza cronologica riscontrabile in tutta la voce, e appaiono riferibili al Cherilo di Alessandro: la composizione dei Λαμιακά perché il conflitto presenta molti legami con il Macedone e con alcune personalità a lui connesse;4 il pagamento κατὰ ϲτίχον perché la notizia coincide con quanto noto da Pseudacrone (test. 5a) e da Porfirione (5b), a proposito del Cherilo di Alessandro.5 d) Il Cherilo con cui è avvenuta la confusione – cioè il Cherilo di Alessandro – era originario di Iaso; il compilatore della voce della Suda (ma probabilmente già la sua fonte) riferisce infatti che secondo alcuni Cherilo di Samo sarebbe provenuto da Iaso, secondo altri ancora da Alicarnasso: segno evi-

1 Sulla vita di Cherilo di Samo vd. cap. 1 § 1.3. 2 Vd. cap. 4 § 1.2. 3 Vd. cap. 1 § 1.3. 4 Vd. cap. 4 § 1.2. 5 Per una lettura complessiva di queste fonti vd. cap. 2 § 9.2. https://doi.org/10.1515/9783110747041-006

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dente dell’unione di βίοι originariamente distinti e relativi ai due Cherili. L’esistenza di un Cherilo di Iaso distinto dal Samio è peraltro confermata da un passo di Stefano Bizantino (test. 2).6 Le conclusioni, accolte da tutta la critica otto e novecentesca,7 sono state rifiutate da alcuni interpreti tra i quali spicca S. Alessandrì,8 che ha proposto una spiegazione alternativa: a Cherilo di Samo andrebbero ricondotti tanto il pagamento κατὰ ϲτίχον attestato nella Suda quanto la fama di pessimus poeta connessa al confronto con Omero, affermato sia nella voce della Suda sia in un passo aristotelico (test. °°22). Tutta la tradizione relativa al Cherilo di Alessandro deriverebbe dunque da notizie originariamente riferite al Samio, che enfatizzate e distorte lo avrebbero reso col tempo il ‘peggior poeta’ greco. Di lui non conosceremmo dunque altro che il suo legame con il Macedone. La composizione dei Λαμιακά di cui dà notizia la Suda potrebbe essere ricondotta al Samio accogliendo l’emendazione in Ϲαμιακά.9 Sarebbe inoltre possibile dubitare anche della provenienza da Iaso, che si può sostenere solo sulla base di un’interpretazione della voce della Suda rifiutata dallo studioso. Già si è dimostrato perché questa tesi vada rifiutata (cap. 1 § 1). È tuttavia curioso notare come Alessandrì riapra un dibattito assai più antico. La distinzione dei due Cherili contro la quale si schiera lo studioso è infatti in realtà un’acquisizione stabilizzatasi solo agli inizi del XIX secolo. Di tale distinzione si trova traccia già nel pieno Cinquecento, ma essa fu poi a lungo trascurata o apertamente rifiutata prima di raccogliere nel XVII secolo ampi consensi, cui però si accompagnarono resistenze ancora nel successivo. Solo con Naeke essa si afferma definitivamente, assumendo valore di vulgata, anche se la consapevolezza dei varî passaggi che sostanziavano il ragionamento ne risultò oscurata.

6 Vd. cap. 1 § 2. 7 Vd. Naeke (1817) in partic. 34–36, 43–45, 82–86, Riedel (1831) 369–373, Düntzer (1842) 2, Dübner (1841) 22, Kinkel (1877) 265, Crusius (1899) 2362, Mülder (1907) 41–42, Ziegler (19662) 22, Huxley (1969) 27 n. 59, Drews (1970) 189 n. 28, Michelazzo (1983) 12 n. 4, Fantuzzi (1997), Hollis (2000) 13 n. 7, MacFarlane (2002) 143, 302–304, Walsh (2011) 540, Barbantani (2017) 73–74, Almagor (2019) ad F 33a, oltre che da tutti i più recenti editori di Cherilo di Samo: Radici Colace (1979) 7–9, Lloyd-Jones – Parsons (1983) 154, Bernabé (19962) 187–188. 8 Alessandrì (1969) in partic. 205–210. La posizione non è sviluppata con pari sistematicità in nessun altro luogo della bibliografia su Cherilo di Iaso, ma a conclusioni simili pervengono Albrecht (20123) II 921, Borzsák (1998a) 94 e Almagor (2019) ad F 33a. 9 Per l’emendazione di Daub vd. cap. 4 § 1.2. Su questo punto tuttavia Alessandrì non si esprime; riconduce invece espressamente l’epitafio per Sardanapalo (epigr. °1) a Cherilo di Samo: vd. Alessandrì (1969) 206 n. 21.

2 Il ruolo di A.F. Naeke 

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A più di duecento anni dalla pubblicazione dell’opera di Naeke (1817) è dunque utile ripercorrere i momenti più significativi di un dibattito che, altrimenti spento da un secolo e mezzo, la proposta di Alessandrì – negando l’esistenza di un Cherilo di Alessandro  – ha riaperto. Gli opposti orientamenti della critica, le posizioni espresse sul problema, le connesse esegesi del passo della Suda e del luogo aristotelico si rivelano ancora interessanti per un riesame della ‘questione cherilea’.

2 Il ruolo di A.F. Naeke All’opuscolo di Naeke Choerili Samii quae supersunt (Lipsiae 1817) risale la definitiva acquisizione circa l’esistenza di un Cherilo di Iaso distinto dal Samio, con la sistematica esposizione degli argomenti a sostegno di questa tesi (cf. supra, § 1).10 Non a torto la critica lo ha perciò riconosciuto come momento fondamentale degli studi su Cherilo di Iaso, giungendo talvolta persino di attribuirgli in toto la ‘scoperta’ del dimenticato poeta greco, contro le sue stesse indicazioni.11 In età napoleonica, dunque nei decenni immediatamente precedenti la pubblicazione dell’opera di Naeke, con una curiosa sincronia, Cherilo aveva goduto di una discreta fortuna, essendo citato tra gli altri da Monti e da Cesarotti, evidentemente colpiti da questa figura nell’epoca di un ‘nuovo Alessandro’, come già era avvenuto a Orazio.12 L’opera, pubblicata quando l’autore era quasi trentenne,13 si struttura, dopo la dedica al padre e una breve praefatio, in due parti: la dissertatio «de Choerili Samii aetate vita et poesi aliisque Choerilis», in dodici capitoli, e la raccolta commentata dei frammenti di Cherilo di Samo, dodici anch’essi; la concludono due appendici relative rispettivamente all’epigramma per Sardanapalo (attribuito allo Iaseo) e al metro cherileo (il riferimento è a Cherilo Ateniese).

10 La discussione sul luogo di origine si trova a 40–44; riguardo al premio in monete vd. 81–86; sui Λαμιακά 101. All’epigramma per Sardanapalo è dedicata una delle due ‘appendici’ finali (196–256; la seguente, decisamente più breve, è relativa al metro cherileo) annunciata sin dal frontespizio («inest de Sardanapali epigrammatis disputatio»). 11 Per tutti vd. Crusius (1899) 2361. 12 Su Monti vd. Tongiorgi (2006), riguardo a Cesarotti: Gallo (2008) 671–672. Cf. anche la lettera di G.F. Borgno a Foscolo edita in Carli (1953) 340. 13 Naeke era nato il 15 maggio 1788: mancavano dunque pochi giorni al trentesimo compleanno quando egli completò la dedica al padre che apre il volume, datata 13 maggio 1817: vd. Naeke (1817) iv. Con l’opera non terminarono peraltro le sue ricerche cherilee: vd. Naeke (1827/28) e (1838/39) = I (1842) 158–161, 273–275.

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 Capitolo 5 La ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso

Diversi meriti giustificano il ruolo riconosciuto allo scritto, che assicurò al suo autore la chiamata nella neonata università di Bonn,14 rimanendone a lungo il lavoro più noto, anche a discapito di contributi non meno significativi. La dissertazione su Cherilo – o meglio sui Cherili – ben si comprende infatti con riferimento all’interesse di Naeke per i poeti frammentari (specialmente ellenistici ed ellenistico-romani), chiaramente attestato dai contributi sulla Lydia di Valerio Catone e sulla Pleiade alessandrina,15 ma soprattutto dagli studi sull’Ecale di Callimaco.16 Tale aspetto dell’opera di Naeke si inscrive nella tradizione anglo-olandese ripresa quasi senza soluzione di continuità dalla filologia tedesca di scuola ‘formale’ della prima metà dell’Ottocento nell’àmbito della quale Naeke si era formato frequentando a Lipsia le lezioni del capofila dei ‘Wortphilologen’, G. Hermann17 (proprio al suo maestro va ascritta l’anonima recensione dell’opuscolo cherileo uscita lo stesso anno sulla Leipziger Literatur-Zeitung).18 Oltre che dall’interesse per un poeta conservato in frammenti, tale orientamento è in ogni caso rivelato dall’attenzione per questioni innanzitutto linguistiche,19 metriche20 e critico-testuali.21 Nei confronti della pratica congetturale l’autore mostra particolare sensibilità: se ancora corregge banalizzando il passo di Stefano Bizantino (test. 2), la proposta

14 Vd. Benedetto (1993) 27 e n. 1, con bibliografia. L’origine di tale giudizio va forse ravvisato nella praefatio di Welcker a Naeke I (1842) iv. 15 Cf. tra gli altri Naeke (1828) = I (1842) 303–312; il suo lavoro sul testo fu però in larga misura pubblicato solo postumo a cura dell’allievo L. Schopen: vd. Schopen (1847). Sulla Pleiade alessandrina vd. Naeke (1812). 16 Vd. Benedetto (1993) 27–38. Cf. Lehnus (1993b) 176 = (2016) 67, dove Naeke è definito «unico vero callimachista tedesco della prima metà dell’Ottocento». 17 Cf. Schlegel (1839) 223. Hermann è ricordato all’inizio dell’opuscolo su Cherilo: Naeke (1817) iii. 18 L’attribuzione è suggerita dal legame dello studioso con Lipsia, dall’estensione e dall’orientamento della recensione, ma traspare anche dal tono paterno con cui l’anonimo recensore distribuisce complimenti e correzioni. Inoltre, Kinkel (1877) 271 assegna a Hermann la tesi secondo cui la persona loquens di un frammento forse di Cherilo di Samo (°3: vd. cap. 4 § 3.3) sarebbe Serse, ed essa è effettivamente esposta nella recensione (2231). Hermann scrive preferenzialmente in latino e non in tedesco, ma non si tratta di un unicum: oltre alle Rezensionen che rivolse a Müller nel corso dell’ ‘Eumenidenstreit’, vd. Hermann VI 1 (1835). 19 Vd. la discussione sulla grafia originaria di ‘Cherilo’ come di ‘Iaso’, rispettivamente a 32–34 e 41–42 e l’analisi dei significati di θεράπων a 55–56. 20 Al metro cherileo è dedicata la seconda ‘appendice’ dell’opuscolo (257–266). Al pari di Hermann, anche il nome di Naeke risulterà associato a una legge metrica, il ‘ponte bucolico’ (o appunto ‘ponte di Naeke’), enunciata in Naeke (1835) 517 = II (1845) 104–105. 21 Sui molti passi citati Naeke esercita un paziente vaglio di varianti ed emendazioni. Vd. e.g. l’analisi del passo di Stefano Bizantino a 41–43, ma anche la discussione relativa al luogo plutarcheo a 46.

2 Il ruolo di A.F. Naeke 

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di emendare il tràdito Λαμιακά in Ϲαμιακά (test. 1a) è avanzata e contestualmente rifiutata,22 quasi al pari di una maasiana ‘congettura diagnostica’. Naeke non si dimostra tuttavia solo brillante hermanniano. Se le pagine che affrontano problemi di ‘attribuzionismo’ e di cronologia sono forse ancora riconducibili alla matrice formale della filologia naekiana,23 la rilevanza conferita a motivi storici e financo economici rivela l’apertura a ogni tipo di testimonianza.24 Considerazioni di ampio respiro sono alla base anche dei capitoli in cui Naeke delinea lo sviluppo dell’epica greca;25 soprattutto la convinzione che la poesia epica fosse finita all’epoca di Alessandro Magno (40: «fractam fuisse Alexandri Magni tempore poesin epicam»)26 si impone all’attenzione alla luce della tesi, più radicale ma affine, recentemente proposta da Alan Cameron, il quale nega che esistette un’epica ellenistica almeno nel senso di un Großepos a tema eroico e guerresco.27 Naeke si distingue anche per la sensibilità – non comune presso i suoi contemporanei – rivolta alla storia degli studi,28 che si concretizza in puntuali rassegne volte a rendere ragione delle acquisizioni e degli errori dei predecessori.29 Una simile ἀρχαιoλογία non manca neanche a proposito della ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso. Il tema era caro all’autore, il quale vi torna in almeno due punti (37–45, 82–85; vd. anche 100) che non a caso paiono tra i più animati dell’opera. È merito di Naeke aver compreso che per studiare la tradizione relativa a Cherilo di Samo occorreva discutere anche le notizie relative al cantore di Alessandro e,

22 Rispettivamente a 41–43 e 101. Cf. cap. 1 § 2 e, sulla fortuna dell’emendazione, cap. 1 § 1.2. 23 Vd. rispettivamente 194–256 sulla paternità dell’epigramma di Sardanapalo e 14–20. Qui le conclusioni di Naeke coincidono con quelle proposte da Radici Colace (1979) 9–13. 24 Vd. a 85 la discussione sul premio in stateri aurei (discussione nel cap. 1 § 1.3). In questa prospettiva non sembra casuale che i due volumi degli Opuscula philologica saranno curati postumi da F.G. Welcker, il quale come il suo maestro A. Boeckh seguì un orientamento eminentemente ‘monumentale’. 25 Vd. in partic. i capitoli 8 e 9 (59–77). 26 La posizione di Naeke – per quanto peculiare – è sostanzialmente coerente con la diffusa svalutazione della poesia epica ellenistica negli studi coevi (su cui vd. cap. 3 § 7), ai quali tuttavia non si allinea completamente. 27 Anche su questo specifico punto vi è convergenza; vd. Naeke (1817) 38: «valde incertum est [. . .] an [. . .] magno et continuo carmine bella Alexandri comprehenderit Choerilus». Sulla tesi di Cameron vd. cap. 4 § 1.1. 28 La conoscenza dei contributi dei dotti della Repubblica delle lettere è viva anche in altri filologi, ma solo Naeke ne commenta sistematicamente e meticolosamente le posizioni via via espresse, dimostrando così di avere un’attenzione specifica e autonoma per gli studi a lui precedenti. Per un confronto con un più rarefatto uso dei riferimenti vd. gli Analecta Alexandrina di A. Meineke (1843), anch’egli allievo di Hermann, appena più giovane di Naeke. 29 Vd. e.g. l’escussione della bibliografia proposta in merito all’epigramma di Cratete a 97–99.

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 Capitolo 5 La ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso

seppur in misura minore, a Cherilo tragico.30 In questa prospettiva si comprende la severità con cui egli giudica coloro che ignorarono o rifiutarono «vel per obstinationem, vel per errorem» (p. 38) la tesi che distingueva il Cherilo di Alessandro dal più celebre autore dei Περϲικά.31 Sciogliere l’intricata rassegna proposta dall’autore costituisce ancora un punto di accesso privilegiato per ricostruire le alterne vicende di Cherilo di Iaso sino alla (definitiva) acquisizione naekiana.

3 ‘Cherilo’ tra il XVI e il XVIII secolo Distinguere due Cherili fu innanzitutto una necessità cronologica: la medesima persona non poteva essere vissuta sia entro il V secolo (come si deduce dalla Suda) sia all’epoca di Alessandro Magno (come si legge in Orazio). Il ragionamento si trova già chiaramente espresso da Lilio Gregorio Giraldi (1479–1552) nel profilo dedicato a Cherilo di Samo all’interno degli Historiae poetarum tam Graecorum quam Latinorum dialogi decem (Basileae 1545), per molti aspetti la ‘prima letteratura greca’.32 Qui si legge, a proposito di ‘Cherilo’:33 iste de quo Horatius, circa Olympiadem CXIII cum Alexandro Macedone vixit: ille de quo ego modo loquebar, LXXV Olympiade floruit: quare omnino duos satius puto erit ut statuamus.

Il passo pare costituire la più antica trattazione del Cherilo di Alessandro nella storia degli studi (sin dal Duecento il Cherilo di Alessandro aveva ricevuto una certa attenzione nell’àmbito della fortuna letteraria, ma da nessuno dei luoghi in cui è menzionato traspare una riflessione sulla sua identità e sui suoi rapporti col

30 La confusione ha proceduto infatti per genere letterario e non per sincronia. Naeke raccoglie solo i frammenti di Cherilo di Samo, ma una silloge pressoché completa delle testimonianze relative allo Iaseo si trova già nelle pagine della dissertazione. La prospettiva ‘onomastica’ di Naeke, che non si trova nelle edizioni di Radici Colace (1979) e Bernabé (19962), è stata ripresa da Lloyd-Jones – Parsons (1983), che hanno riedito entrambi gli autori nel SH. Il ‘ritorno’ a Naeke è stato proficuo, perché ha consentito agli autori di interrogarsi sulla paternità di due frammenti e due testimonianze generalmente attribuiti al Samio: vd. cap. 4 § 3.3–6. 31 Riguardo a questo aspetto, Naeke è critico di Pier Vettori, di Turnèbe, di Lambin, di Meursius, ma soprattutto di Scaligero (cf. in partic. 38, 44–45): le loro posizioni saranno riprese e commentate infra (§ 3). 32 Riprendo la definizione da Foà (2001) 454. Su Giraldi vd. anche Mund-Dopchie (1985), con ulteriore bibliografia. I cenni di Giraldi permettono di comprendere che egli attinse non solo a edizioni della Suda e di Orazio, ma anche degli scoliasti oraziani e persino ovidiani, come rivela il cenno a ‘Helymon’ (cf. test. 10). 33 Giraldi (1545) 323–326.

3 ‘Cherilo’ tra il XVI e il XVIII secolo 

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più celebre Samio).34 Già qui, il ragionamento presentato è più sottile di quanto non si lasci apparentemente intendere.35 Giraldi introduce infatti il luogo oraziano dell’Epistula ad Augustum (test. 3) dopo aver posto in rilievo la notizia della Suda (test. 1a) relativa al premio in stateri aurei attribuito a Cherilo di Samo.36 Il riferimento a Orazio, con i problemi biografici posti dalle due simili notizie (a chi assegnare il pagamento? al Samio, allo Iaseo o a entrambi i Cherili?), non è poi esplicitamente ripreso; il luogo di Giraldi rimane tuttavia significativo perché vi si trovano precocemente – e forse in parte involontariamente – accostati i due passi centrali su cui dovranno ancora insistere i successivi interpreti. Opposta soluzione prospetta invece Giuseppe Giusto Scaligero nel Thesaurus temporum (Ludguni Batavorum 1606):37 illum Choerilum, quem deridet Horatius, non agnosco. Et puto esse hallucinationem Horatii, qui Alexandro attribuit, quod Archelao potius debebat: qui numisma aureum pro singulis versibus Choerilo numeraverit.

Il Cherilo di Alessandro Magno non sarebbe altro che una «hallucinatio Horatii» derivata dalla confusione tra Alessandro Magno e Alessandro I, il sovrano che nonostante la condotta tenuta durante le guerre persiane fu onorato dagli Ateniesi con il titolo di πρόξεινόϲ τε καὶ εὐεργέτηϲ (Herodot. 8,136,1).38 Ma come spiegare il parere negativo che graverebbe dunque su Cherilo di Samo?

34 Qui egli è sempre citato solo come pessimus poeta e talvolta come spregevole simbolo di ‘poetastro’ adulatore. Lo si incontra già nell’epistola metrica del ‘preumanista’ Lovato Lovati a Bellino Bissolo 3,15–16: vd. Foligno (1906/07). Il Nachleben trecentesco di Cherilo inizia con Petrarca, che lo menziona in più momenti: vd. Martellotti (1968) 62. Egli è noto anche all’umanista trentino Giovanni Lagarino, su cui vd. Papaleoni (1886) 100–101, e al dotto boemo Bohuslav Hasištejnský z Lobkovic: cf. Vaculínová (2006) 183. Il passo di un’epistola metrica di Angela Nogarola è stato segnalato da Piacentini (2013) 117–118. Successivamente, Cherilo è ricordato da Cristoforo Landino in più sedi: cf. Bugada (2012) 5. Così anche Erasmo, in più punti dell’epistolario, e Thomas More, sul quale vd. Rognoni (2008) 235–236. Nel Cinquecento egli è ricordato anche da Ludovico Paterno nel Nuovo Petrarca (poi Rime): vd. Paterno (1560) 586. Nel XVII secolo è citato tra gli altri da Pierre Langlet, autore del carme Ad Choerilum. Quis Poëta bonus?, in Langlet (16922) 149–150. Girolamo Del Buono così soprannominò polemicamente Biagio Schiavo, il quale a sua volta si appropriò dell’appellativo – l’intera vicenda è ripercorsa dallo stesso Schiavo, in cui va riconosciuto l’autore della Prefazione alle rime di M. Laura fatta da un amico dell’autore del Filalete: Schiavo (1741) 46–103. 35 Erudizione e originalità di Giraldi nel trattamento del materiale antico sono segnalate, sul versante tragico, da Mund-Dopchie (1985) 143–149. 36 Opportunamente confrontata con il passo della Suda s.v. Ὀππιανόϲ: cf. cap. 1 § 1.3. 37 Scaliger (16061) 94. Cf. anche l’editio altera: Scaliger (16582) 101. 38 Anche se non lo dichiara esplicitamente, Scaligero sembra avere presente un frammento di Istro il Callimacheo citato da Ateneo 8,345d, sul quale vd. cap. 1 § 1.3.

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Lilius Gyraldus putat duos Choerilos fuisse, alterum summum poetam, alterum ridiculum, cuius meminerit Horatius. Sed non advertit summos poetas Horatio ridiculos esse, Plautum, et Laberium. Quare frustra id putavit. Alioquin hoc modo duos Laberios, duosque Plautos fuisse statuendum fuerit.

Per Scaligero anch’esso va compreso alla luce del «κακοήθες oraziano»:39 benché non debba essere da noi condiviso, come dimostrano gli illustri versi del proemio dei Περϲικά,40 la diversità di giudizio non è sufficiente per distinguere due Cherili, come riteneva invece Giraldi. Altrimenti, conclude non senza arguzia Scaligero, applicando lo stesso criterio si dovrebbero immaginare anche due Plauti e due Laberî, alla luce delle critiche che Orazio rivolge al commediografo e al mimografo.41 Per Scaligero il giudizio negativo su Cherilo va ricondotto alla sensibilità di Orazio; egli non ritiene dunque necessario cercare sostegno nel passo dei Topici (test. °°22) che pure attesta come già in antico fosse stata formulata una critica all’arte di Cherilo (di Samo), per quanto limitata all’uso di metafore e di similitudini. Già entro la fine del XVI secolo il passo aveva tuttavia suscitato l’attenzione della critica: per primo Pier Vettori nell’edizione commentata della Retorica (Florentiae 1548), presto seguito da Denis Lambin,42 aveva scorto nel Cherilo lì menzionato il poeta di Alessandro.43 Il passaggio non può riferirsi allo Iaseo per motivi cronologici, ma l’identificazione del Cherilo ricordato da Aristotele col Samio non dimostra in realtà che già Cherilo di Samo avrebbe avuto fama di pessimus poeta, come affermerà Alessandrì,44 poiché la critica è assai circostanziata. Il segno lasciato della tradizione è tuttavia evidente: la maggior parte dei commenti otto e novecenteschi come anche l’attuale edizione autoritativa della Retorica riconosce nel Cherilo citato lo Iaseo.45

39 L’espressione occorre solo nell’editio altera: Scaliger (16582) 101. 40 L’attuale fr. 1 R. C. = SH 317 = fr. 2 B.2. Il giudizio positivo di Scaligero («Haec satis sunt eludendo iudicio hominis libertino patre nati, cui in huius Poetae versibus satis lippiebant oculi») anticipa in un certo senso pareri altrettanto positivi espressi anche successivamente sulla poesia di Cherilo di Samo: vd. e.g. Huxley (1969) 12 e West (2012). 41 La mossa è certo in parte retorica: le critiche rivolte a Plauto non impedirono a Orazio di rifarsi sotto diversi rispetti all’opera del commediografo (cf. cap. 2 § 2.4). Nulla di simile si riscontra invece per Cherilo di Samo (e tantomeno per lo Iaseo: vd. cap. 3 § 1.4). 42 Nell’edizione di Orazio: Lambin (1561) 447. 43 Vettori (1548) 587: «Hic est Chaerilus ille, qui carminibus Horatii, ut malus poeta proscissus fuit: nec non etiam ab Aristotele ipso in VIII libro Topicorum damnatus est». Su Vettori vd. Mouren (2009), cui si rinvia anche per la bibliografia. 44 Vd. supra, § 1. 45 Vd. cap. 3 § 4.2. Fa eccezione Zadro (1974) 523 n. 10.

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Già nel XVI secolo la ‘questione cherilea’ – come molte questioni erudite che costellano la storia della filologia classica  –46 vede dunque contrapporsi una posizione ‘analitica’, sostenuta da Giraldi, e una ‘unitaria’, proposta da Scaligero. È significativo che pur nella differenza di vedute entrambe le soluzioni pongano al centro il problema dell’omonimia: omonimia dei Cherili per il primo, «regis Macedonum homonymia» per il secondo. Ricerche in questo àmbito, nel solco di una tradizione già antica a bizantina,47 trovarono in effetti ampio spazio tra XVI e XVIII secolo, e soprattutto nel XVII, quando costituirono un vero e proprio genere letterario;48 incontreranno naturalmente il gusto sistematizzatore di Fabricius.49 Tale sembra dunque il terreno in cui si innestarono anche le ricerche relative al Cherilo di Alessandro, il quale – al pari di molti omonimi ‘minori’, come Apollonio ὁ εἰδογράφοϲ – sembra (ri)nascere da una ‘costola’ del più celebre Cherilo di Samo. D’altra parte proprio una confusione omonimica aveva oscurato la sua figura nella tradizione attestata nella Suda. In ogni caso, il dibattito si arricchì, agli inizi del XVII secolo, dell’inedita soluzione avanzata da Daniel Heinsius nel De satyra Horatiana stampato in appendice all’edizione di Orazio (Lugduni Batavorum 1612, 16292).50 Le pagine finali dell’opera, più ampiamente dedicata a varî problemi connessi all’origine della satira latina e a delineare le caratteristiche della satira oraziana, sono dedicate a «pars illa, quam Criticen diximus», nella quale cioè Orazio «de scriptis aliorum sententiam pronunciat».51 Dopo varî riferimenti, tra cui si segnala quello a Lucilio Serm. 1,10,1–8,52 Heinsius si allontana dall’àmbito propriamente satirico passando allo «iudicium» espresso da Orazio «de Plauto, Choerilo, et Laberio» nel secondo libro delle Epistulae. L’accostamento dei tre autori fa tornare alla mente il passo di Scaligero, che in effetti è poi esplicitamente menzionato. Heinsius fu d’altra parte suo devoto protégé e non a caso in apertura del trattato definisce il

46 Cf. Valerio (2014) 81–82. 47 Al tema era interamente dedicato almeno il Περὶ ὁμωνύμων ποιητῶν τε καὶ ϲυγγραφέων di Demetrio di Magnesia (FGrHistCont 1038). 48 In particolare sulla figura di Allacci e sulle opere da lui dedicate al tema dell’omonimia vd. Benedetto (2017) 9–10. 49 Su cui si torna infra. 50 Heinsius (16121) 166–170, poi (16292) 264–272. Le due redazioni sono sostanzialmente diverse: la materia fu significativamente ampliata e strutturata in due libri. Per quanto riguarda Cherilo, tuttavia, non si notano differenze notevoli, se si esclude la diversa formulazione di alcune frasi e l’aggiunta della testimonianza di Curzio Rufo. Per un commento alla prima redazione vd. Burkard (2008). 51 Sul problema vd. de Smet (1996) 49–51. La struttura del trattato del 1612 è tracciata da Burkard (2008) 279. 52 I versi non sono in realtà autentici: per i riferimenti vd. Gowers (2012) 309.

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maestro «Criticus divinus».53 Dal Thesaurus temporum sono infatti ripresi il giudizio positivo sulla poesia di Cherilo di Samo54 e l’enfasi posta sul problema cronologico («metachronismus sane non paucorum annorum»), ma Heinsius giunge a opposte conclusioni: si sciens (scil. Orazio) Caesari Augusto persuadere voluit, vixisse sub Alexandro, qui non vixerit; magna se obstrinxit impudentia. Sin ex ignorantia est lapsus; hoc vero plane ineptum est ac triviale. Ut omittam, esse introlerabile, quod bis de optimo sic iudicat poeta. Atqui viro maximo memoria imposuit. Inter scriptores enim Alexandri, praeter Horatii interpretes, Choerilum Plutarchus ponit. Verba eius sunt in Alexandro: τῶν δὲ ποιητῶν Χοιρίλον μὲν ἀεί περὶ αὑτόν εἶχεν, ὡς κοσμήσοντα τὰς πράξεις διὰ ποιητικῆς. Ait eum semper habuisse circa se hunc Choerilum, qui illius gesta illustraret.

Della testimonianza di Orazio, ritiene Heinsius, non si può davvero dubitare, anche perché troverebbe conferma in un luogo plutarcheo (Lys. 18,7). Il filologo olandese confonde in realtà Alessandro con Lisandro, come gli rimprovererà giustamente Naeke,55 ma egli ebbe senz’altro il merito di individuare un passo di grande interesse, che la critica ‘unitaria’ avrebbe potuto opportunamente sfruttare. Nel passo della Vita di Lisandro che segue immediatamente la pericope citata da Heinsius, Plutarco menziona infatti Antiloco, un poeta che presenta alcune caratteristiche simili al Cherilo di Orazio, essendo ricordato come poeta non eccellente e nondimeno ricompensato da Lisandro.56 Questa svista, in ogni caso, condusse il filologo a utilizzare il passo plutarcheo per avvalorare l’opposta tesi ‘analitica’: la distinzione di due Cherili, uno vissuto sotto Archelao, e apprezzato; uno vissuto sotto Alessandro, e disprezzato. Heinsius nota peraltro lucidamente come il confronto con Omero ricorra per entrambi, senza che questo gli imponga di riprendere la tesi del suo maestro.57 Anche Gerardus Joannes Vossius sembra avere presente la posizione di Scaligero,58 ma la soluzione di quest’ultimo è mediata con le conclusioni di Giraldi.59

53 Nella prima edizione: Heinsius (16121) 16. 54 L’unica differenza risiede nel passo citato: mentre Scaligero ricorda il proemio, Heinsius riporta i versi che corrispondono in questa edizione a fr. °3. 55 Naeke (1817) 38, il quale pure riconosce che per il resto il ragionamento di Heinsius procede «doctissime». 56 Cf. cap. 1 § 1.3. 57 Uno è attestato nella Suda, l’altro in Orazio (e nei Topici di Aristotele, per le ragioni esposte supra). Questo aspetto è invece, come si è notato, ancora centrale nella dimostrazione di Alessandrì: vd. supra, § 1. 58 Per la bibliografia relativa a Vossius vd. Rademaker (2000) 340 n. 5. 59 Anche in questo seppur limitato àmbito potrebbe dunque trovare conferma la definizione proposta da Rademaker (1981) 353 che fa di Vossius un «‘hekkensluiter’, a ‘last comer who closes the gate behing a period’».

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La proposta è avanzata all’interno del profilo di Cherilo di Samo tracciato – trattandosi di «poeta historicus» – in un’altra storia letteraria, il De historicis Graecis (Lugduni Batavorum 1624).60 Con Scaligero Vossius condivide l’idea di una confusione presente nel testo oraziano e non nella Suda («memoria fefellit Horatium»): poiché la notizia del premio in stateri presente nella Suda sarebbe da riferire al Samio – come si era ritenuto sino ad allora –, il sospetto di errore ricade sulla testimonianza dell’Epistula ad Augustum.61 Come Giraldi, Voss ritiene tuttavia che Orazio «[n]imirum duos Choerilos confudit»,62 e che dunque due furono i Cherili, temporis causa, essendo impossibile che lo stesso autore sia vissuto contemporaneamente sotto Archelao e sotto Alessandro (Magno). In séguito, la tesi ‘analitica’ diventa decisamente preponderante,63 mostrando anche qualche ulteriore inopportuna duplicazione. Lorenzo Crasso nella Istoria de’ poeti greci (Napoli 1678) riconoscerà nel Cherilo di Plut. Lys. 18,7  – in cui Heinsius scorgeva erroneamente il poeta di Alessandro – un ‘Cherilo Lacedemone’ distinto dal Samio,64 anziché lo stesso Samio, come opportunamente affermerà Naeke.65 Il rischio di eccedere nelle distinzioni, contro cui quasi predittivamente ironizzava già Scaligero, non è d’altra parte del tutto assente neanche in Naeke, che tenterà di sostenere l’esistenza di un Cherilo ‘comico’.66 La pagina di Crasso, in cui il Cherilo di Alessandro è anche l’unico a cui non è associato un etnico (contro ‘Cherillo’ Ateniese, Cherilo Samio e Cherilo Lacedemone), è in ogni caso emblematica del fatto che l’interpretazione della voce della Suda – l’unica che ne conserva la provenienza, insieme a Stefano Bizantino – era ancora agli esordi. Sino a questo momento era stata oggetto di attenzione solo la notizia del premio in monete auree, ricorrente anche in Orazio (oltre che il detta60 Vossius (16241) 370–371, poi (16512) 455–456. L’editio altera ha goduto di una ristampa a cura di A. Westermann, con praefatio e un ampio apparato di note. Nella parte dedicata a Cherilo, Westermann rinvia più volte all’opera di Naeke, segnalando limiti e meriti del ragionamento di Vossius: vd. Westermann (1838) 44–45. Cherilo è ricordato anche nei postumi De veterum poetarum temporibus libri duo (Amstelaedami 1654), dove sono tratte le medesime conclusioni: vd. Vossius (1654) 28. 61 Vossius non menziona solo il passo dalla lettera a Augusto, ma anche la testimonianza presente nell’Ars poetica. L’attenzione per la riflessione poetologica antica troverà realizzazione nel 1647 (due anni prima della morte di Vossius) nei Poeticarum institutionum libri tres, recentemente riediti, tradotti e commentati da Bloemendal: vd. Bloemendal (2010), sul ruolo dell’Ars poetica in partic. I 26–27. 62 Vossius (16512) 456 (la pericope è assente nella precedente edizione). 63 Vd. le indicazioni di Naeke (1817) 37. 64 Crasso (1678) 111. Su Crasso vd. Serra (2000/01) in partic. 144–148 sulla produzione biograficoerudita. 65 Naeke (1817) 46–50. 66 Naeke (1817) 51–58; su questo Cherilo vd. cap. 1 § 3.

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glio del pagamento κατὰ ϲτίχον negli scolî), e ne erano state date due spiegazioni alternative. Se Vossius pensava a un lapsus oraziano, Adrien Turnèbe nei postumi Adversaria (Parisiis 1580) aveva lasciata aperta la possibilità che la notizia fosse duplice perché il fatto si era verificato due volte: gli Ateniesi avrebbero ricompensato Cherilo di Samo, Alessandro invece avrebbe rimunerato il proprio ‘poetastro’, forse proprio per imitare il gesto della polis.67 L’eventualità che la notizia dovesse essere attribuita al solo Cherilo di Alessandro sembra sia stata prospettata per la prima volta invece da Naeke.68 Il curioso accumularsi di tre provenienze all’inizio della voce della Suda (test. 1a: Χοιρίλοϲ, Ϲάμιοϲ, τινὲϲ δὲ Ἰαϲέα, ἄλλοι δὲ Ἁλικαρναϲέα ἱϲτοροῦϲι) e il riferimento a un Cherilo di Iaso in Stefano Bizantino (test. 2) non avevano suscitato alcun sospetto, come neppure il titolo Λαμιακά. I tre etnici erano stati intesi perlopiù al pari di varianti meno note dell’origine samia, come riteneva anche Meursius nell’edizione commentata di Esichio di Mileto (Lugduni Batavorum 1613).69 Per vedere la questione affrontata e risolta bisogna attendere lo scoccare del XVIII secolo, anche se un curioso prodromo può essere individuato ancora nell’opera di Giraldi (p. 731). Egli sospettava infatti che dietro il Χοιρίλοϲ ἐὼν Ἰαϲεύϲ di Stefano Bizantino andasse ravvisato il tragico Cherilo di Atene («erat Choerilus Atheniensis, licet apud Stephanum Iasseus vocetur»).70 Fabricius nella seconda edizione della Bibliotheca Graeca sembra invece il primo a riconoscere il poeta di Alessandro nel Cherilo presente nella Suda e in Stefano Bizantino, chiamandolo ‘Cherilo di Iaso’. A partire dalla seconda edizione (Hamburgi 1708) si legge:71 Choerilus Atheniensis circa Olympiadem LXIV clarus, ex quorundam sententia primus personatos induxit, auctor tragoediarum CL terdeciesque victor. Vide Suidam et de aliis duobus huius nominis Samio Ol. LXXV poeta epico, et tertio Alexandri M. aequali Iassensi (Steph. in Ἰασσός).

67 Turnèbe III (1573) 68. 68 Naeke (1817) 84–85. Nessuno degli editori della Suda – elenco in Adler I (1928) xi–xii – indica i problemi sottesi al passo. Solo l’ultima editrice segnala che le pericopi τινὲϲ δὲ Ἰαϲέα e Λαμιακά «ad iuniorem (scil. Choerilum) rettulit Naeke», mentre non si trova nessuna indicazione per ἐφ᾽ οὗ ποιήματοϲ κατὰ ϲτίχον ϲτατῆρα χρυϲοῦν ἔλαβε, restituita al Cherilo di Alessandro già da Flach (1882) 237–238 app. ad 875: vd. Adler IV (1935) 834. Cf. il cap. 1. 69 Meursius (1613) 220. Vd. la discussione nel cap. 1 § 1.2. 70 Cf. Naeke (1817) 10. 71 Fabricius (17082) 673. Su Fabricius vd. Petersen (1998), in danese, con un riassunto in tedesco a 868–892.

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Per la prima volta il Cherilo di Alessandro ritrova il proprio etnico.72 Non sorprende che l’intuizione sia passata inosservata per più di un secolo, sino a quando fu accolta da Naeke.73 Essa non si trova infatti alla voce Choerilus contenuta nel meticoloso Catalogus scriptorum de rebus gestis Alexandri M(agni),74 né è in alcun modo indicata nei pressi della traduzione della voce della Suda fornita all’interno dell’Index scriptorum, quorum Suidas notitiam tradit per ordinem litterarum.75 L’ipotesi fu peraltro contestualmente confutata in nota nella riedizione a cura di G.C. Harles (Hamburgi 1781).76 Non devono d’altra parte destare sorpresa il modo e il luogo in cui la conclusione è proposta, i quali potrebbero lasciar pensare che l’intuizione risalisse a una fonte di Fabricius. L’attenzione nel distinguere gli omonimi è infatti particolarmente avvertita dall’autore e se ne comprende la ragione alla luce della struttura stessa dell’opera: pur già presente nella tradizione erudita precedente,77 tale aspetto è particolarmente decisivo proprio nell’impressionante opera di sistematizzazione costituita dalla Bibliotheca.78 L’omissione del riferimento andrebbe peraltro motivata, perché l’autore usa rinviare puntualmente ai contributi cui attinge. Si vede dunque anche in questo caso che un poliistore come Fabricius sapeva andare oltre la ripetizione e l’accumulo della tradizione precedente, fornendo uno spunto originale. Il dominio della materia e della bibliografia riusciva infatti ad assecondare, anziché ostacolare, conclusioni puntuali e originali, come è possibile osservare anche nella breve nota relativa a Cherilo.79 Si giunge infine a Naeke. Come si è già detto, è proprio questi a recuperare, tra i fili di una storia di studi apertasi con Giraldi, l’intuizione di Fabricius. A 72 Circa l’etnico di Cherilo, gli editori del SH hanno preferito Iasius determinandone una certa diffusione: vd. e.g. Davies (1988) 92. Fino a quel momento la forma con il morfema latino Ias(s)ensis era stata preferita: oltre a Fabricius e a Naeke, vd. Kinkel (1877) 265 e Adler IV (1935) 834. Nella presente edizione si è preferita la forma Iaseus, già usata da Giraldi, perché Ἰαϲεύϲ è in realtà l’unica grafia attestata sia nella Suda sia in Stefano Bizantino; si tratta probabilmente della forma tipicamente caria: vd. Fraser (2009) 280–281. Più che un dubbio solleva invece l’uso di Iasius. Se è vero che si tratta dell’unica forma attestata in latino (hapax di Val. Flac. 4,353), è pur vero che essa non significa ‘di Iaso (città)’ quanto ‘di Ias(i)o’, il re di Argo, ed è quindi sinonimo di ‘argivo’. Anche in Valerio Flacco la virgo Iasia è Io, così definita perché argiva in quanto figlia di Inaco, re di Argo. In Stefano Ἰάϲιοϲ è indicato come l’etnico non di Ἴαϲοϲ bensì di Ἴαϲον Ἄργοϲ. 73 Naeke (1817) 40–41. 74 Fabricius – Harles III (1793) 38. 75 Fabricius – Harles V (1798) 440. 76 Vd. Fabricius – Harles II (1791) 292–293 n. z. 77 Vd. supra. 78 Sull’opera del Fabricius vd. Petersen (1998) 623–653. 79 In questa prospettiva è significativo notare il legame personale che unì, pur nella sostanziale diversità di orientamento, Fabricius e Bentley: cf. Petersen (1998) 654–687.

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lui si devono anche una coerente interpretazione della voce della Suda volta a restituire al Cherilo di Alessandro l’etnico, la notizia del pagamento κατὰ ϲτίχον, la composizione dei Λαμιακά,80 ma anche una nuova lettura del passo dei Topici di Aristotele e del luogo plutarcheo.81 Il peso dell’argomentazione di Naeke è tale che la tesi di un «Choerilus, Alexandri Magni comes, Iasensis» diventa quasi una vulgata. Non sorprende dunque che Alessandrì abbia potuto riprendere alcuni aspetti problematici della costruzione già naekiana;82 è invece significativo trovare nelle dense pagine del suo saggio le perplessità già espresse da Scaligero e da altri ‘unitari’, oltre che talvolta le medesime argomentazioni.83 Ad alcune di esse Naeke aveva già trovato risposte soddisfacenti; nuovi argomenti a sostegno della tesi sono stati rintracciati nel capitolo 1.

80 Riferimenti supra, § 2. 81 Rispettivamente a 92–95 e 46–50. 82 Alessandrì non cita infatti esplicitamente Naeke, ma rivela di conoscerne indirettamente le posizioni. 83 Tra queste spicca senz’altro la centralità conferita al passo aristotelico (test. °°22).

Conclusioni I risultati circa la vita e l’opera di Cherilo di Iaso si basano su un riesame della tradizione che lo riguarda, nella convinzione che solo un confronto con tutte le testimonianze possa avvicinare a una figura la cui opera sopravvive in modo del tutto indiretto nell’ampio ma ripetitivo Nachleben che lo ha progressivamente ridotto al ruolo di ‘peggior poeta’ greco. La memoria di Cherilo è affidata non solo alla tradizione greca ma soprattutto a quella latina. Il diverso peso assunto dalle fonti latine appare certo curioso, ma non è in realtà raro, appena si pensi alla sorte di altri poeti ellenistici. Le due tradizioni – greca e latina – che informano su Cherilo sembrano in ogni caso operare modalità in parte differenti. La tradizione latina è quella che meglio ha conservato il ricordo di Cherilo di Iaso, la cui esistenza potrebbe essere altrimenti solo divinata. L’ampia fortuna del ‘poetastro’ fu determinata dalle citazioni di Orazio, il quale menziona peraltro Cherilo in due opere particolarmente fortunate, l’Epistula ad Augustum e l’Ars poetica. La figura di Cherilo entrò nel repertorio della tradizione di scuola, come dimostrano gli scoliasti oraziani (Porfirione e Pseudacrone) e ovidiani. Ulteriore conferma si può trovare nella presenza di Cherilo in autori fortemente connessi alla scuola come Curzio Rufo, Ausonio, Ennodio, oltre che probabilmente Manilio e Festo: se Paolo Diacono manterrà il cenno a Cherilo contenuto nell’epitome del De verborum significatu di Festo, i rivoli della tradizione scolastico-grammaticale antica e tardoantica riferibili a Cherilo non dovevano aver perso vitalità ancora alle soglie del medioevo (e oltre, considerando la tradizione scoliastica oraziana di epoca post-carolingia e Corrado di Mure). Non si può perciò liquidare la tradizione latina come ripetitiva e inattendibile: anche se vi confluirono notizie varie per valore e per origine, gli scoliasti e Curzio Rufo attinsero a materiale per noi perduto, in alcuni casi direttamente o indirettamente connesso alla più antica alessandrografia. Ogni dubbio circa l’antichità delle notizie degli scolî oraziani si può sciogliere ammettendo che Ovidio abbia sovrapposto la fine dello storico di Alessandro con quella del suo ‘poetastro’ attestata in alcuni scolî a Orazio, che doveva quindi essere circolante già in età augustea. Cherilo di Iaso era in ogni caso ampiamente noto alla letteratura latina della fine del I secolo a.C.: a Orazio è sufficiente accennarvi appena (ille Choerilus); su Ovidio, lo si è notato, sembra influire una memoria in parte inconsapevole. La sfida è stata dunque in parte quella di ricostruire le vicende di Cherilo prima della sua fortuna scolastico-grammaticale latina. Ai testimoni greci si devono notizie fondamentali e non attestate altrove. Si tratta però di una tradizione più confusa e rarefatta, per molti aspetti ricostruihttps://doi.org/10.1515/9783110747041-007

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 Conclusioni

bile solo congetturalmente. Dall’opera di Filodemo è in particolare possibile ricostruire il ruolo che Cherilo dovette avere nei dibattiti poetologici ellenistici. La memoria del poeta sopravvive inoltre nel lemma della Suda relativo all’omonimo di Samo, dove alcune informazioni originariamente relative al suo βίοϲ sono confluite per errore quando si perse nozione della sua esistenza. Si può inoltre rivalutare la breve testimonianza di Stefano Bizantino. Nel lemma dedicato a Iaso egli ricorda che dalla polis proviene Χοιρίλοϲ ἐὼν Ἰαϲεύϲ: lo ionismo ἐών, insieme al confronto con altri passi di Stefano, permette di riconoscere nella pericope un frammento, il quale assicura la presenza del poeta di Alessandro in un’opera epica o in una commedia. In effetti alcune corrispondenze, difficilmente casuali, lasciano supporre che il Curculio di Plauto – autore certo noto a Orazio – potesse essersi ispirato a una commedia greca in cui Cherilo svolgeva un ruolo forse centrale. Prima ancora che in un’eventuale commedia, sembra tuttavia che Cherilo sia stato oggetto di particolare ‘sfortuna’ filosofica, soprattutto in àmbito peripatetico. Il mediocre poeta fu infatti coinvolto nelle polemiche condotte dai successori di Aristotele contro Alessandro Magno, che con la morte di Callistene (allievo del filosofo) si era fatalmente inimicato le simpatie del mondo peripatetico. Riconsiderando complessivamente le testimonianze e i frammenti riferibili a Cherilo di Iaso, se ne può tracciare, per quanto possibile, un profilo della vita e dell’opera. Oltre all’indagine sulla tradizione, si è rivelato necessario considerare la storia caria di IV secolo, prima e dopo l’arrivo di Alessandro, avvalendosi anche del confronto con le testimonianze sui ‘poetastri’ che come Cherilo seguirono la spedizione in Oriente. L’edizione offre così una silloge ampliata e aggiornata dei testimoni relativi a Cherilo dopo la raccolta del Supplementum Hellenisticum. Aggiunge inoltre per la prima volta una raccolta dei frammenti via via assegnati a Cherilo con vario grado di certezza. Nel primo capitolo, l’indagine incentrata sulla Suda e su Stefano Bizantino permette di ribadire l’origine del Cherilo di Alessandro dalla caria Iaso. La notizia è conservata solo da queste fonti, in modo peraltro problematico. Essa trova però conferma in alcuni elementi, non ultimi la presenza di una poesia encomiastica attestata in città sotto il governo ecatomnide e il rapporto che il Macedone mantenne con la polis e con alcuni suoi cittadini che lo seguirono in Oriente. Si può così avanzare una proposta circa la prima parte della vita del poeta, precedente all’incontro con Alessandro. La sua vicenda sembra inserirsi nelle ultime concitate fasi dello scontro tra i figli di Mausolo che si alternarono sul trono di Caria: Cherilo sembra in particolare connesso alla corte di Ada e pare aver seguito la sovrana quando fu esiliata dal fratello e usurpatore Pissodaro da Alicarnasso (e Ἁλικαρναϲεύϲ ‘Cherilo’ è definito anche dalla Suda) a Alinda. Ada venne inoltre

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direttamente a contatto con Alessandro del 334 a.C., all’arrivo del Macedone in Asia Minore. In tale congiuntura, alla luce della continuità di potere cariomacedone, sembra lecito inscrivere il momento più probabile dell’incontro tra Alessandro e il suo futuro ‘poetastro’. Il capitolo successivo si rivolge al periodo della vita di Cherilo trascorso presso la corte di Alessandro, affrontando i problemi sottesi alle notizie biografico-aneddotiche attestate particolarmente nella tradizione latina (l’Epistula ad Augustum di Orazio, gli scoliasti oraziani e ovidiani, Curzio Rufo, Ausonio, Ennodio). Esse necessitano di un vaglio perché si presentano tra loro contraddittorie: Orazio (e quindi alcuni suoi scoliasti e Ausonio) afferma che Cherilo sarebbe stato ricompensato da Alessandro con una moneta per ogni verso della sua opera; secondo la maggior parte della tradizione il poeta avrebbe invece ricevuto una moneta per ogni verso buono, ma anche una percossa per ogni verso mal composto, e sarebbe morto in questo modo. Non si era sinora tentato di distinguere all’interno di questa inaffidabile tradizione le notizie vere da quelle false, negando generalmente la versione oraziana come invenzione del poeta. Tale posizione non è parsa condivisibile: sulla base di considerazioni di varia natura e facendo soprattutto riferimento alla presenza della notizia non solo in Orazio, ma anche nella Suda e in un passo di Porfirione, sembra più probabile che Cherilo sia stato apprezzato – e lautamente ricompensato – da Alessandro Magno. L’invenzione della alternativa fine di Cherilo va verosimilmente ascritta proprio a una tradizione che non volle ammettere che il Macedone potesse essere stato cattivo giudice di poesia. Il terzo capitolo è dedicato alla fortuna di Cherilo nell’àmbito delle discussioni ellenistiche in materia di poetica ed estetica. Sulla base dei riferimenti contenuti in due testi poetologici come l’Ars poetica di Orazio e il De poematis di Filodemo si può tentare un’ipotesi sull’origine della fama letteraria di Cherilo e sulle modalità in cui essa si cristallizzò rendendolo il ‘peggior poeta’ greco. Le risposte sinora offerte dalla critica, che ha ipotizzato una confusione con Cherilo di Samo o ha ritenuto Cherilo vittima di una polemica avversa all’epica o alla poesia cortigiana, si sono rivelate insoddisfacenti. È rilevante invece il ruolo giocato dal confronto con Omero, in effetti attestato in tutte le testimonianze che riguardano Cherilo di Iaso. A questo accostamento il poeta fu sottoposto ben presto, se nell’Iliade bisogna probabilmente riconoscere il modello che lo stesso Alessandro gli impose. Potrebbe così trovare conferma anche la possibilità, cui si è già accennato, che la fama di Cherilo abbia avuto origine in àmbito peripatetico. Un ruolo decisivo va riconosciuto a Orazio, come dimostra l’ampia tradizione a lui connessa. Le restanti notizie su Cherilo di Iaso non possono che derivare da un’indagine della sua opera. Tanto quella su Alessandro, probabilmente intitolata Ἀλέξανδροϲ ο Ἀλεξανδριάϲ, quanto il poema Λαμιακά dedicato alla guerra lamiaca sono da leggere alla luce del recente dibattito relativo all’epica elleni-

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stica. L’esistenza di quest’ultima è stata di recente persino negata, almeno nelle forme più ‘monumentali’: anche senza escludere la possibile esistenza di eccezioni, anche le opere di Cherilo devono essere appartenute al genere del Kleinepos. Entro certi limiti, se ne possono definire più precisamente alcune caratteristiche. Nel poemetto per Alessandro doveva essere chiaro il modello iliadico. Ai Λαμιακά, per quanto ne sopravviva appena il titolo, si può ricorrere invece per conoscere che cosa fu di Cherilo dopo la morte di Alessandro: il riferimento alla guerra lamiaca lascia pensare che egli lo scrisse al servizio (o per entrare al servizio) di Antipatro. L’opera di Cherilo costituisce la più antica attestazione della formula utilizzata per designare lo scontro noto anche come ‘guerra ellenica’. A differenza di quanto ritiene Walsh, l’espressione non sembra tuttavia ancora includere i fatti di Amorgo e Crannone, apparendo perlopiù incentrata sull’assedio di Lamia. Anche i Λαμιακά dovevano quindi essere caratterizzati da una chiara connotazione omerica: Lamia era probabilmente presentata come una ‘nuova Troia’, implicando un vero capovolgimento degli eventi dell’Iliade, con la vittoria finale degli assediati. Negli epigrammi e nei frammenti a lui dubitosamente assegnati risiede l’unica possibilità di cogliere l’autentica voce poetica di Cherilo. Sfortunatamente, nessuno di essi gli è davvero attribuibile al di là di ogni dubbio. Per alcuni frammenti l’assegnazione rimane tuttavia assai probabile. Da una notizia di Aminta – anch’egli al séguito di Alessandro, ma come bematista – è noto che ‘Cherilo’ tradusse e mise in versi l’epitafio inciso sulla tomba di Sardanapalo a Ninive. La critica ha talvolta riconosciuto in ‘Cherilo’ il Samio, non ritenendo possibile attribuire allo Iaseo il celebre epigramma del re assiro, due versi del quale gli sono peraltro sicuramente precedenti. La traduzione di Cherilo non deve essere tuttavia identificata con il citatissimo epigramma di Sardanapalo, come si è sinora pensato. Il Cherilo di cui tratta Aminta non può in effetti che essere lo Iaseo, il quale dovette versificare il contenuto dell’epigrafe del sovrano assiro quando la tomba fu visitata da Alessandro: la sua versione si è con ogni probabilità semplicemente perduta – come d’altra parte quasi tutta la sua opera. La presenza di Sardanapalo nel poema per Alessandro, nel cui continuum l’epigramma era forse inserito, non è peraltro difficile da motivare: Cherilo avrebbe potuto semplicemente riportare l’epigramma in occasione della visita alla tomba del sovrano assiro, ma è difficile resistere all’idea che il riferimento a Sardanapalo fosse inserito con riferimento alle discussioni circa la regalità di Alessandro, che con il procedere dell’anabasi era sempre più spesso accusato di imitare i costumi dei barbari. Da un anonimo frammento contenuto in un papiro parigino si sa che in poesia prima del III secolo a.C. qualcuno dichiarava di non apprezzare la διάνοια di Sardanapalo: non a torto lo si è assegnato a Cherilo di Iaso e il verso non stonerebbe in effetti sulle labbra di Alessandro. Anche altri frammenti rivelano comunque un interesse filosofico. Alcuni di

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questi, attribuiti dalla tradizione a ‘Cherilo’, non vanno forse assegnati a Cherilo di Samo, ma proprio allo Iaseo. È questo in particolare il caso di tre versi dallo stile molto audace che propongono la consueta allegoria marinara del simposio: nella persona loquens sembra di poter riconoscere non il Serse del poema del Samio, come si è spesso ritenuto, ma Alessandro, dunque all’interno del poema dello Iaseo, dove il discorso poteva comparire in rapporto al banchetto che porterà alla morte di Clito. Nell’ultimo capitolo è ricostruita infine una pagina di storia degli studi di cui si era persa memoria. Essa permette di concludere, ricollegandosi al problema già sollevato nel primo capitolo a proposito della distinzione tra Cherilo di Samo e Cherilo di Iaso, entrambi già confusi nel lemma della Suda. Poiché anche di recente si è proposto di negare l’esistenza del cantore di Alessandro Magno, si è rivelato utile ripercorrere i momenti più significativi che hanno segnato la ‘scoperta’ di Cherilo di Iaso dall’Umanesimo agli inizi del XIX secolo. Si nota così che anche gli argomenti più recentemente avanzati, come i testi cui ci si è appellati per sostenerli, sono in realtà più volte stati evocati e utilizzati dalla critica moderna. Recuperare le fila del dibattito che, iniziato nel XVI secolo, carsicamente proseguì sino al ‘definitivo’ saggio di Naeke (1817), rappresenta una via privilegiata per riconsiderare il problema e per ribadire infine con rinnovata decisione l’esistenza di un Cherilo di Iaso, cantore di Alessandro Magno e ‘peggior poeta’ greco, irriducibile al più celebre Samio. Ci si è dunque potuti avvicinare, per quanto consente una tradizione particolarmente ingenerosa, a una figura che appare ora meno evanescente. La vita, la fortuna e l’opera di Cherilo di Iaso mostrano una fisionomia più precisa, utile per riconsiderare un momento particolarmente oscuro della poesia di IV secolo: il circolo dei ‘poeti alessandrografi’ che seguì Alessandro in Oriente, nessuno dei quali riuscirà però a produrre un’opera capace di cantare il Macedone. Non senza acume, qualcuno (se ne ignora sfortunatamente l’identità) volle già in antico segnalare la paradossale assenza di Alessandro in poesia attribuendogli una sarcastica battuta che la tradizione connetterà tra gli altri anche a Cherilo stesso: egli avrebbe preferito essere, come dichiarava, ‘il Tersite di Omero piuttosto che l’Achille di Cherilo’. In realtà Alessandro fu forse davvero cattivo giudice di poesia, ma è soprattutto nella breve e drammatica parabola della sua esistenza, oltre che nelle condizioni in cui l’anabasi si svolse, che occorre cercare le cause che gli impedirono di trovare anche un solo poeta che sapesse celebrarlo in modo degno delle sue imprese. L’esempio di Alessandro non fu tuttavia sterile neanche sotto questo aspetto: spetterà a diadochi ed epigoni raccoglierne gli spunti irrealizzati. Soprattutto i Tolemei riconosceranno il ruolo fondamentale del legame tra poesia e potere. La poesia ‘alessandrina’ sarà quindi così la poesia non di Alessandro,

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ma di Alessandria d’Egitto, sorta all’ombra della protezione e del mecenatismo di Tolemeo Soter, del Filadelfo e dell’Evergete. Cherilo e Alessandro si imposero comunque nella storia come monito e simbolo delle contraddizioni e dei rischi insiti nell’alleanza tra poesia e potere: non a caso la vicenda del ‘poetastro’ colpì un poeta come Orazio, che molto si interrogò sul legame tra poesia, ideologia e principato, né appare infine accidentale che Cherilo sia tornato ancora alla mente di Monti e di Cesarotti proprio all’apparire del ‘nuovo Alessandro’, Napoleone.

Bibliografia La bibliografia include esclusivamente le opere citate nel presente volume, abbreviate secondo il sistema Cognome (anno). L’iniziale del nome è specificata in casi di omonimia. Per i nomi degli umanisti e dei dotti della Repubblica delle lettere l’uso è inevitabilmente ibrido, ma si preferisce generalmente la forma non latinizzata, con qualche eccezione (e.g. Heinsius, Meursius, Vossius). Per i periodici adotto il sistema dell’APh, ricorrendo per i meno recenti in particolare a P. Rosumek, Index des périodiques dépouillés dans la Collection de Bibliographie classique et index de leurs sigles (Paris 1982). La sigla BAIC corrisponde al Bollettino dell’associazione Iasos di Caria. Abbrevio inoltre i seguenti repertori: ANRW BNJ DKP DNP DPhA EO FGrHistCont

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Index fontium ?Alexis – fr. 25 K.–A. 

epigr. °1,4–5, 3

Anecdota Oxoniensia – IV p. 219 Cramer (ex cod. Barocc. 194)  epigr. °1,4–5, 3 Anthologia Palatina – 7,286: vd. Antipater – 7,325 – 11,218: vd. Crates Antipater (Thessalonicensis?) – epigr. 14,3 G.–P. (AP 7,286)  Apostolius – 15,33 (II p. 637,6–16 Leutsch)  Appendix Planudea – 27 (Plan. 3a,7,2) 

epigr. °1,4–5

epigr. °1,5 Appendix epigr. °1,1–6

Appendix Proverbiorum – 3,68 (p. 450,2–16 Leutsch – Schneidewin)  Appendix Aristaenetus – 1,17 

fr. °4

Aristoteles Topica – 8,1,157a14–17 

test. °°22

Arrianus Anabasis – 2,5,2–4 

Appendix

Athenaeus – 8,335e–336b  – 11,464ab  – 12,529de  – 12,529e–530a  – 12,530b  Augustinus De civitate Dei – 2,20 

epigr. °1 fr. °3 Appendix test. 15, cf. epigr. °1,1–5 Appendix

epigr. °1,4–5

https://doi.org/10.1515/9783110747041-009

Ausonius Epistulae – 11,1,5 Mondin (9 Green) 

test. 13

Chrysippus Stoicus – SH 338 

epigr. °1,1–5

Cicero Tusculanae disputationes – 5,101 

epigr. °1,4–5

Clemens Alexandrinus Stromata – 2,20,118,6 (II p. 177,12–14 Stählin)  epigr. °1,4–5, 3 Crates – epigr. 1 G.–P. (AP 11,218)  Crates Thebanus – SH 355 Conradus de Mure Fabularius – C (p. 193,46–53 van de Loo) 

test. °19 epigr. °1,4–5

test. 10d

⟨Constantinus Palaeocappa⟩ Eudocia Violarium – 856 Flach  epigr. °1 – 1012 Flach  test. 1b Constantinus Porphyrogenitus Excerpta De virtutibus et vitiis – II 1 p. 123,13–15 Büttner-Wobst – Roos  epigr. °1,4–5, 3 – II 1 p. 207,28–29 Büttner-Wobst – Roos  epigr. °1,4–5 Curtius Rufus – 8,5,7–8  Diodorus – 2,23 (cod. Da)  – 2,23 (codd. CVL)  Diogenes Laertius – 1,24 

test. 11 epigr. °1,1–5 epigr. °1,4–5 fr. °5

234 

 Index fontium

Dion Chrysostomus Orationes – 4,135 (p. 176,9–10 Vagnone) 

epigr. °1,4–5

Ennodius Panegyricus dictus clementissimo regi Theoderico – 79 (p. 254,2–5 Rohr)  test. 14 Eustathius Commentarii ad Homeri Iliadem pertinentes – 9,487 (II p. 769,18 van der Valk)  epigr. °1,4 – 21,76 (IV p. 460,19 van der Valk)  epigr. °1,4 Commentarii ad Homeri Odysseam pertinentes – 2,315 (p. 436,10–11 Cullhed)  epigr. °1,1 Galenus De locis affectis – 1,2,12 (p. 256,22–26 Gärtner) 

fr. °4

De temperamentis – 3,4 (p. 104,15–19 Helmreich) 

fr. °4

Georgius Monachus Chronicon – 1,7 (I pp. 13,13–14,9 de Boor)   epigr. °1,4–5, 3 Gregorius Nazianzenus Orationes – 18,11 (PG XXXV p. 997c) 

fr. °4

Hermias Alexandrinus In Platonis Phaedrum scholia – 245a (p. 104,5–6 Lucarini – Moreschini)  test. °°21 Horatius ‘Ars poetica’ – 354–365 

test. 4

Epistulae – 2,1,232–234 

test. 3

Festus – s.v. tam (p. 494,12–28 Lindsay) 

test. 12

Inscriptiones Graecae – EGr 546b,15  – I.Iasos, ed. Nafissi  Inscriptiones Latinae – CIL VI 18131 = CLE 244  Iohannes Chrysostomus In illud: Si esurierit inimicus – 2 (PG LI col. 173–174) 

epigr. °1,5 epigr. °2 epigr. °1,4–5

fr. °4

Iohannes Philoponus In Aristotelis Physica commentaria – 8,253b14–15 (CAG XVII p. 826,13–15 Vitelli)  fr. °4 Isidorus Pelusius Epistulae – 2,284 (PG LXXVIII col. 716a)  fr. °4 – 5,236 (PG LXXVIII col. 1476b = 1530,10 [II p. 215 Évieux])  fr. °4 [Malalas] – p. 19,11–14 (Chilmead –) Dindorf (ex cod. Barocc. 182)  epigr. °1,4–5, 3 Manilius – 3,22–23 

test. °20

Michael Ephesius In Aristotelis De partibus animalium libros commentaria – 1,640a10 (CAG XXII 2 p. 5,23 Hayduck)  fr. °4 In Aristotelis Parva naturalia commentaria – 451b (CAG XXII 1 p. 28,29–31 Wendland)  fr. °4 Nicetas Choniates Historiae – p. 322,31 van Dieten  Ovidius Ibis – 519–520 

epigr. °1,4

test. °18

Index fontium 

Papyri (et delineationes pap. Herc.) – N 466 fr. 5: vd. Philod. Poem. 1 col. 43a Janko – N 1073 fr. 17: vd. Philod. Poem. 1 col. 42,28 Janko – P.Herc. 994 col. 25,5–14: vd. Philod. Poem. 2 col. 208,5–15 Janko – P.Herc. 1403 cor. 1 fr. 4: vd. Philod. Poem. 3 fr. 28,18–27 Janko – P.Oxy. 2814  fr. °7 – P.Paris. 2 col. 2,4–11 (p. 141,4–19 Donnini Macciò – Funghi)  fr. °2 – P.Pisa Lit. 1 (P.Gen. inv. 326)  fr. °8 Palladius Medicus Commentarius in Hippocratis librum sextum de morbis popularibus – II p. 142,8 Dietz  fr. °4 Philodemus De poematis – 1 col. 42,28 + 43a Janko  – 2 col. 208,5–15 Janko  – 3 fr. 28,18–27 Janko  Phoenix Colophonius – fr. 1,9–24 Powell 

test. °17 test. 8 test. 9 epigr. °1,1–5

Photius Lexicon – s.v. Ϲαρδαναπάλουϲ (ϲ 80 Theodoridis)  Appendix Plutarchus De Alexandri Magni fortuna aut virtute – 1,9,330f  epigr. °1,4 – 2,3,336c  Appendix De laude ipsius – 17,546a  [Plutarchus] De liberis educandis – 4,2d 

epigr. °1,4–5

fr. °4

Polybius – 8,10 (II p. 344,20–22 [Dindorf –] Büttner-Wobst)  epigr. °1,4–5

 235

Porphyrion Commentum in Horatium Flaccum – ad Hor. Epist. 2,1,234 (p. 388,4 Holder)  test. 5b – ad Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 175,15–20 Holder)  test. 6a Pseudacron Scholia in Horatium – ad ‘A.P.’ 357 (II p. 365,9–16 Keller)  test. 7 – ad Epist. 2,1,233 (II pp. 295,27–296,3 Keller)  test. 5a Scholia in Aristophanem – Σ (RVEΓM) Ar. Av. 1021b (p. 159 Holwerda)  Appendix – Σ (VEΓ3MLh) Ar. Av. 1021c (p. 160 Holwerda)  epigr. °1 Scholia in Horatium – Σ (φψ) Hor. Epist. 2,1,233 (p. 409 Botschuyver)  test. 5a – Σ (λφψ) Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 447 Botschuyver)  test. 6b – Vd. etiam Pseudacron, Porphyrion. Scholia in Ovidium – Σ (CFD) Ov. Ib. 519–520 La Penna  test. 10b – Σ (G) Ov. Ib. 519–520 La Penna  test. 10a – Σ (Z) Ov. Ib. 519–520 La Penna  test. 10c Scholia in Strabonem – Σ (BCgqvxyz) Strab. 14,5,9,672  epigr. °1,1–6 Scholia in Vergilium – ΣBA (LNPG) Verg. Georg. 1,482 (p. 275,4–7 Hagen)  fr. °6 – ΣBB (BCV) Verg. Georg. 1,482 (p. 882 Hagen)  fr. °6 Servius In Vergili Aeneidos libros commentarii – 12,691  Simplicius Simplicii in Aristotelis Physicorum libros commentaria

fr. °1

236 

 Index fontium

– 8,253b6 (CAG X pp. 1196,32–1197,2 Diels) 

fr. °4

– 8,253b (CAG V 2 p. 215,23–25 et 216,5–6 Schenkl)  fr. °4

Stephanus Byzantius – s.v. Ἀγχιάλη (α 53 Billerbeck)   epigr. °1,4–5, Appendix – s.v. Ἴαϲοϲ (ι 16 Billerbeck – Zubler)  test. 2

[Themistius] In Parva naturalia commentarium – 451b (CAG VI 2 p. 10,25–27 Wendland) 

Strabo – 14,5,9,672  test. 16, epigr. °1,4–5, Appendix

Theocritus – 16,42 (22–23?) 

Suda – s.v. Χοιρίλοϲ (χ 595 Adler)  test. 1a – s.v. Ϲαρδανάπαλοϲ (ϲ 121 Adler)  epigr. °1,4 – s.v. Ϲαρδαναπάλουϲ (ϲ 122 Adler) Appendix

Theodoretus Graecarum affectionum curatio – 12,93 (p. 445,12–14 Canivet2) epigr. °1,4–5, 3

Themistius In Aristotelis Physica paraphrasis – 7,250a (CAG V 2 p. 208,8–9 Schenkl)  fr. °4

Tzetzes Chiliades – 3,95,456–460 (p. 103 Leone)  epigr. °1,1–5

fr. °4

epigr. °1,5 (6–7?)

Index locorum Choerilus Iaseus Si segnalano in corsivo le pagine che contengono il commento ai rispettivi passi. Testimonia 1a 33–42, 43, 76, 106, 110, 111, 135, 140 n. 170, 152, 153, 189, 193, 195, 200 1b 49–51, 157, 174 n. 180 2 42–49, 190, 192, 200 3 36, 61, 62–68, 81, 83, 85, 88, 90, 95, 96, 100, 101, 104, 105, 109–111, 113, 128 n. 96, 133, 134, 147, 166, 195 4 61, 62, 65, 78, 79, 83, 100, 103, 112–117, 125, 128, 148, 151, 166 5–7 61, 73–80, 89, 103, 104, 147 5a 36, 66, 74, 75 n. 73, 76–79, 92, 105, 107, 111, 147, 189 5b 36, 66, 73, 74 n. 66, 76–78, 92, 105, 111, 189 6a 57, 66, 73 n. 62, 74 n. 66, 76–79, 83, 86, 87, 98, 105, 107, 129, 134, 143, 147, 151 6b 73, 74, 77–79, 83, 105, 134, 147, 151 7 36, 47, 57, 66, 74 n. 69, 74 n. 70, 76–79, 86, 87, 91, 92 n. 152, 95, 98, 105, 107, 108 n. 237, 110, 129, 134, 143, 147 8 61, 62, 68, 78, 84 n. 116, 105, 115, 119–122, 123, 124–130, 134, 136, 137, 143 9 61, 62, 68, 84 n. 116, 115, 119, 122 n. 61, 123–124, 125–128, 134, 137, 138, 143 10 61, 86–95, 103, 105, 107, 194 n. 32 10a 90 n. 147, 91 10b 91 10c 90 n. 147, 91 10d 89, 92 11 58, 60, 66, 77, 80–86, 94, 103, 106 n. 230, 133, 134, 150, 162

https://doi.org/10.1515/9783110747041-010

12 61, 128–129 13 61–62, 76, 96–98, 100, 105, 129, 133 14 61, 62, 98–100, 133 n. 124 15 49, 105, 157–162, 169 16 49, 157, 161 °17 84 n. 116, 115, 116–117, 119, 120 n. 53, 122 n. 61, 124–125, 127, 134, 143 °18 61, 67, 83, 93–95, 105, 107, 166 °19 46 n. 75, 47, 138, 139–144 °20 61, 62, 101–104 °°21 114, 129–131, 132, 134, 178 °°22 125 n. 78, 128, 130, 131–132, 134, 177, 190, 196, 202 n. 83 Epigrammata °1 49, 87, 119, 152–153 n. 41, 160–162, 170, 171, 180 n. 214, 190 n. 9 °2 52–53, 60, 157, 162–164 Fragmenta °1 164–168 °2 162, 169–171, 178 °3 150 n. 25, 151 n. 26, 172–175, 192 n. 18, 198 n. 54 °4 171, 172, 176–178 °5 171, 172, 178–181 °6 172, 181–183 °7 184–187 °8 184, 187–188 Appendix 159

238 

 Index locorum

Loci selecti Aeschrio Samius vel Mitylenaeus SH 1 78 n. 140, 151 n. 32 Aeschylus TrGF F 73a,II: vd. Choeril. Ias. fr. °6 Agis Argivus SH 17 (vd. anche Choeril. Ias. test. 11) 83 n. 107, 84 Alexis fr. 25 K.–A. 160 n. 93 fr. 140 K.–A. 46 n. 75, 157–158 fr. 268 K.–A. 122 Amynthas FGrHist 122 F 2: vd. Choeril. Ias. test. 15 Anaximenes SH 45 (FGrHist 72 T 26, BNJ 72 T 26a): vd. Choeril. Ias. test. 8 BNJ 72 T 26b: vd. Choeril. Ias. test. °17 Antilochus SH 51: vd. Plut. Lys. 18,7 Antimachus test. 4 Matthews: vd. Procl. in Plat. Tim. 21b7–d3 test. 18 Matthews: vd. Choeril. Ias. test. °19 Apollonius Rhodius 1,1168–1169 174 2,417–418 186–187 4,10 187 Aristobulus Cassandreus FGrHist 139 T 4 70 n. 44, 109 n. 242 FGrHist 139 F 44 70 n. 44 FGrHist 139 F 9 159 Aristophanes Aves 688 48

Ranae 367 40 718–726 39 n. 32 Aristoteles Physica 8,253b6 176 Rhetorica 3,14,1415a11: vd. Choeril. Sam. fr. °1a R. C. = SH 316 = fr. 1 B.2 Fragmenta fr. 90 Rose3 = Protrept. fr. 16 Ross 159 Arrianus Anabasis 1,12,1 108 1,12,2–3 137 1,19,10–11 53 4,8,1–3 82 4,8,2 175 4,8,7 175 Athenaeus 6,234d 45 n. 67 8,335e–337a 159 n. 85 8,337a: vd. Crysipp. SH 338 8,345d 38, 157, 195 n. 38 12,538b: vd. Ephipp. FGrHist 126 F 5 Ausonius Epistulae 17,19 Mondin (15 Green) 96–97 7,5–6 Mondin (10 Green) 96–97 Bion fr. 4 Gow 177 Boetus SH 230: vd. Strab. 14,5,14,674 Callimachus Hymni Del. 167 168 Fragmenta

Loci selecti 

fr. 1,3–5 Pf. 167 fr. 378 Pf. 167, 168 fr. 398 Pf. 142 fr. 589 Pf.: vd. Procl. in Plat. Tim. 21b7–d3 Callisthenes FGrHist 124 T 18b: vd. Choeril. Ias. test. °18 FGrHist 124 T 18c: vd. Choeril. Ias. test. 10c Carcinus II TrGF 70 T 7: vd. Choeril. Ias. test. 8 Choerilus Atheniensis TrGF 2 T 8: vd. Hesych. Vit. Aristot. 166 Dorandi TrGF 2 T 9: vd. Choeril. Ias. test. °°22 TrGF 2 F °4: vd. Choeril. Ias. fr. °6 Choerilus Samius Testimonia test. 1 R. C. = 1 B.2 (FGrHist 696 F 33a): vd. Choeril. Ias. test. 1a test. 2 R. C. = 1 B.2: vd. Choeril. Ias. test. 1b test. 4 R. C.= SH 325 = test. 3 B.2: vd. Plut. Lys. 18,7 test. 5 R. C. = 4 B.2: vd. Athen. 8,345d test. 6 R. C. = 5 B.2 38 n. 24 test. 7 R. C. = SH 314 = test. 6 B.2 135 test. 11a R. C. = 7 B.2 (FGrHist 696 fr. 33fβ): vd. Choeril. Ias. test. °°22 test. 12 R. C. = SH 328b = test. °11 B.2: vd. Procl. in Plat. Tim. 21b7–d3 test. 13 R. C. = SH 328 = test. °11 B.2 (FGrHist 696 F 33h): vd. Choeril. Ias. test. °19 test. °1 R. C. = °12 B.2: vd. Alex. fr. 140 K.–A. test. °2 R. C. = °13 B.2: vd. Choeril. Ias. test. °°21 test. °14 B.2: vd. Hesych. Vit. Aristot. 166 Dorandi test. °15 B.2 119 n. 48 Fragmenta fr. 1 R. C.= SH 317 = fr. 2 B.2 130, 135, 196 n. 40 fr. °1a R. C. = SH 316 = fr. 1 B.2 132, 135, 185 n. 244 fr. 3 R. C. = SH 319 = frr. 5 B.2 172 n. 162 fr. 4 R. C. = SH 320 = fr. 6 B.2 172 n. 163 fr. 5 R. C. = SH 321 = fr. 7 B.2 172 n. 162

 239

fr. 6 R. C. = SH 322 = fr. 8 B.2 172 n. 162 fr. 7 R. C. = SH 329 = 9 B.2: vd. Choeril. Ias. fr. °3 fr. °9 R. C. = SH 330 = fr. 11 B.2: vd. Choeril. Ias. fr. °4 fr. °10 R. C. = SH 331 = fr. 12 B.2 (FGrHist 696 F 34i): vd. Choeril. Ias. fr. °5 frr. °11–°12 R. C. = °°26 B.2 172 n. 165 fr. °13 R. C. = SH 332 = fr. 4 B.2: vd. Choeril. Ias. fr. °6 frr. °14a–°21 R. C. = SH 928–935 = frr. °13–°20 B.2 246 fr. °22 R. C.= fr. °21 B.2 178 n. 200 fr. °23 R. C. = °22 B.2: vd. Choeril. Ias. fr. °7 frr. °25a–b B.2: vd. Choeril. Ias. fr. °8 Chrysippus SH 338 170 Cicero Tusculanae disputationes 5,101 119, 159 n. 86, 160 n. 92, 172 5,114 116 Cleaenetus TrGF 84 T 3: vd. Choeril. Ias. test. 8 Cleo Siculus FHG IV p. 365: vd. Choeril. Ias. test. 11 Conradus de Mure Fabularius C (p. 218,633–636 van de Loo) 92 n. 153 ⟨Constantinus Palaeocappa⟩ Eudocia Violarium 1009 Flach 50–51 1010 Flach 50–51 Ctesias FGrHist 688 F 40: vd. Choeril. Ias. °3 FGrHist 688 F 65: vd. Choeril. Ias. °6 Curtius Rufus 6,11,2 84 n. 114 8,5,11 85 8,21–22 92

240 

 Index locorum

Diodorus Siculus 2,23 159 n. 84, 159 n. 86, 161, 170 n. 150 18,13 156 16,94 58 Diogenes Laertius 2,3 121 4,23 144 5,5 93 9,50 45 Duris FGrHist 76 F 7 (fr. 22 Landucci Gattinoni) 54 FGrHist 76 F 83: vd. Procl. in Plat. Tim. 21b7–d3 Ephippus FGrHist 126 F 5 57 Epigenes fr. 6 K.–A. 164 Euphorion test. 8 van Groningen = 6 Acosta-Hughes – Cusset: vd. Choeril. Ias. test. °19 Euripides TrGF T 201a: vd. Choeril. Ias. test. 8 Gnomologium Vaticanum 78 Sternbach 107–109 Herodotus 3,115 182 7,190 174 Hesiodus Theogonia 338 182 n. 228 Fragmenta fr. 13 M.–W. 44 n. 61 fr. 35 M.–W.: vd. Steph. s.v. Γερηνία (γ 60) fr. 311 M.–W. 182 n. 228 fr. 150,20–24 M.–W. 182 n. 228 Hesychius Milesius Vita Aristotelis

166 Dorandi 131–132 Homerus Odyssea 4,506–508 174 Horatius ‘Ars poetica’ 257–258 79 295–476 112 366–390 116 Epistula ad Augustum (Epist. 2,1) 5 81–82, 150 5–17 62, 66 214–270 62 237–238 63 264–266 63 Satirae 1,10,1–8 197 2,7,43 67 Inscriptiones I.Iasos 52 52 n. 106 I.Iasos 24+30 56 SIG3 312 56 Iohannes Lidus De magistratibus 3,27 40 Ion Chius TrGF 19 F 59 = fr. 123 Leurini2: vd. Choeril. Ias. fr. °6 Ister Callimacheus FGrHist 334 F 61: vd. Athen. 8,345d Liber de morte Alexandri Magni (‘epitome di Metz’) 28–29 80 n. 95 Livius 1,56,2 84 n. 114 ‘Longinus’ De sublimitate 4,2 103

Loci selecti 

33 114–115 Lucianus De dea Syria 1 44 Quomodo historia conscribenda sit 12: vd. Aristobul. FGrHist 139 T 4 Lucilius 345–347 Marx 114 Manilius 3,14 102 Marcellinus Vita Thucydidis 29 34 n. 6 Menander fr. 2 K.–A. = 2 Pernerstorfer 70 fr. 598 K.–A. 70 fr. 749 K.–A. 178 Nonnus Dionysiaca 2,400 167 30,307–308 167 41,20 167 42,389 167 Ovidius Ibis 297–298 86 312 86 519–526 87–88 549–550 87 571–572 86 Tristia 2,10 88, 95 Papyri P.Herc.: vd. Philodemus P.Oxy. 1399: vd. Choeril. Sam. test. 7 R. C. = SH 314 = test. 6 B.2 P.Oxy. 2481: vd. Hes. fr. 13 M.–W. P.Oxy. 2524: vd. Choeril. Sam. frr. °14a–°21 R. C. = SH 928–935 = frr. °13–°20 B.2

 241

Pausanias 4,32,4 180 6,18,2 121, 149 Philitas test. 8 Dettori = 17 Sbardella = 8 Spanoudakis: vd. Choeril. Ias. test. °19 Philodemus De pietate P.Herc. 247 IVb 21 (p. 80 Schober): vd. Choeril. Sam. test. °15 B.2 De poematis 1 col. 126,24–127,5 Janko 120 n. 53 2 col. 25,15–26,10 Janko 121 3 fr. 1 Janko 124 3 frr. 23–24 Janko 123 3 fr. 23,4 Janko 123 3 fr. 29,14 Janko 123 3 fr. 42 Janko 125 n. 76 De vitiis P.Herc. 223 fr. 1,1 Gigante – Indelli 69 P.Herc. 223 fr. 1,9 Gigante – Indelli 69 P.Herc. 223 fr. 4 Gigante – Indelli 69 n. 39 P.Herc. 1675 col. 4–5 Capasso 69 Plautus Curculio 371–461 71 424 70 438–441 71 442–448 70, 71 Plinius Naturalis historia 4,44 182 9,27 54 37,32 181 Plutarchus Vitae Alexander 8,2 126–127 12,1 108 50,7 82 50,8 48, 84–85 Demetrius

242 

 Index locorum

10,2 154, 156 Lysander 18,7 41, 198 Pyrrhus 1,6 154 Pollux 9,59 40 Polybius 16,12,2 43 Porphyrion Commentum in Horatium Flaccum ad Hor. Epist. 2,1,234 (p. 388,2–3 Holder)  67 n. 24 Proclus Diadochus In Platonis Timaeum commentaria 21b7–d3 140–141 ps.-Callisthenes Historia Alexandri Magni (‘Romanzo di Alessandro’) 1,42,9–13 107–109 Pyrrho Eleus test. 21[b] Decleva Caizzi (FGrHist 153 F 12b) 40 test. 22 Decleva Caizzi 40 Quintilianus 8,3,29 94 n. 165 10,1,24 113 n. 8 Scholia in Horatium Σ (‘Materia commentary’) Hor. ‘A.P.’ 353 (p. 373 Friis-Jensen) 75 n. 73 Σ (‘Vindobonensia’) Hor. ‘A.P.’ 357 (p. 43 Zechmeister) 75 n. 73 Scholia in Ovidium Σ (PBabC1) Ov. Ib. 519–520 La Penna 89–90 Sozomenus Historia Ecclesiastica praef. 6 40

Stephanus Byzantius s.v. Βιθύνιον (β 99 Billerbeck) 44–45 s.v. Γερηνία (γ 60 Billerbeck) 44 s.v. Λάμια (λ 25 Billerbeck) 153 s.v. Λητή (λ 49 Billerbeck) 46 n. 73 s.v. Τέωϲ (τ 107 Billerbeck – NewmannHartmann) 44 n. 62, 45 Strabo 14,2,21,658 42, 138, 163 14,5,14,674 109 15,1,8–9,687–688 150 Suda s.v. Ἀναξιμένης (α 1989 Adler) 121 s.v. Ἀριστοφάνης (α 3932 Adler) 35 n. 13, 37 n. 21 s.v. Ἡρόδοτος (η 536 Adler) 35 n. 12 s.v. Θαλῆϲ (θ 17 Adler) 178 s.v. Ἴων (ι 487 Adler) 51 n. 99 s.v. Ἵπυς (ι 591 Adler) 51 n. 99 s.v. Ὀππιανός (o 452 Adler) 34 n. 3, 41 Svetonius Augustus 89,3 63 n. 9 Tiberius 70 102 n. 206 Thales 11 A 1 D.–K.6: vd. Choeril. Ias. fr. °5 Timaeus FGrHist 566 F 139 103 Valerius Maximus Factorum ac dictorum memorabilium libri IX 8,14, ext. 4 58 n. 142 Vergilius Aeneis 9,698 165 12,691 164 Georgica 1,482 181

Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici) Sono omesse le voci Cherilo di Iaso e Alessandro. Achaia 181 Achille 55, 76, 78, 80, 86, 87, 105–109, 110, 112, 134, 137, 147, 149–150, 155, 207 Achillidi 87 Acrone: vd. Elenio Acrone e Pseudacrone Ada 52–53, 55, 59–60, 86, 162–164, 204 Ada II 59 Aezio 178 n. 202, 179 n. 203 Agamennone 107, 109 Agide Argivo 58, 77, 80, 83–85, 87 n. 127, 94, 133, 134, 149 n. 15, 149 n. 16, 165 n. 120, 186 Alceo Comico 34 Alcmane 37 n. 21, 171 n. 161 Alessandria 126, 208 Alessandro I 195 Alessi 46 n. 75, 122, 135, 157, 160 n. 93 Alicarnasso 33, 34–35, 37, 53, 56, 59–60, 189, 204 Alinda 59–60, 204 Amazzoni 70 n. 43 Aminta 105, 157–162, 169, 170, 206 Amorgo 154, 155, 156 n. 64, 206 Anassarco 69, 83 n. 107, 84 n. 115, 86, 87, 110 n. 247 Anassimene di Lampsaco 58, 62, 78, 84, 108, 109, 117, 120–127, 134, 135, 137, 138, 149, 151, 165 n. 120, 184, 186 Anassimene di Lampsaco ‘minor’ 121–122 Anchiale 159, 160 Androne 35 n. 11 Antagora 157 n. 69 Antigono di Caristo 54 n. 115, 152 Antiloco 41, 198 Antimaco 139–142, 150 Antipatro 145, 152–156, 166 n. 126, 206 Antipatro (di Sidone) 141 Antonio 109 Apelle 63, 64 n. 11, 100 Apollodoro (di Atene) 159 https://doi.org/10.1515/9783110747041-011

Apollonio (fratello di Tolemeo κάτοχος) 169 Apollonio Rodio 34 n. 3, 114, 115, 130, 168 n. 143, 174, 182 n. 229, 186, 187 Apollonio ὁ εἰδογράφοϲ 34 n. 3, 197 Apostolio 49 Arcadi 185 Arcedico 50 n. 97 Archelao 38, 39, 41, 110 n. 247, 157 n. 72, 195, 198, 199 Archestrato 151 Archia 157 n. 69 Archiloco 87, 94, 114, 131 Argo 54, 55, 56, 201 n. 72 Argo dorica 55 Aristeneto 176 Aristobulo 70 n. 44, 92, 109 n. 242, 159 Aristofane 35 n. 13, 39 n. 32, 40, 48, 84 n. 115, 122, 159, 160 n. 92 Aristomene 155 Aristotele 58 n. 140, 122, 125 n. 78, 126–127, 128, 130, 131–132, 134, 135, 138, 142, 155 n. 59, 159–162, 171, 172 n. 163, 176, 177, 178, 180 n. 214, 190, 191, 196, 198 n. 57, 202, 204 Arriano 53 n. 114, 56, 59 n. 149, 59 n. 150, 80 n. 94, 80 n. 95, 81 n. 98, 82, 84 n. 115, 85, 92, 108, 137, 149 n. 15, 150 n. 18, 159, 175 Arriano (ἐποποιόϲ) 47, 147, 152, 187 Arrideo 59 Artaserse 188 Artemisia 35 Artemisia II 52 Artemisio 174 Asclepiade 141 Asia 103 n. 214 Asia Minore 35 n. 9, 55, 57 n. 137, 85, 131 n. 117, 163, 180, 205 Asinio Pollione 36 n. 15 Asinio Pollione di Tralle 36 n. 15 Assurbanipal (vd. anche Sardanapalo) 160

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 Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici)

Atene (Ateniesi) 35, 39, 40, 42, 56, 57, 135, 153, 155, 185, 186, 189, 195, 200 Ateneo 38, 45 n. 67, 57, 157–162, 169, 170, 172–175, 195 n. 38 Augusto 54 n. 117, 62–67, 72, 75, 81–82, 86, 118, 133, 168, 198, 199 n. 61 Ausonio 61, 76, 91 n. 151, 96–98, 100, 129, 133, 203, 205 Babilonia 54 Bacchilide 114 Battriana 80 Bellerofonte 49 n. 89 Bene 37 n. 21 Betone 158 Bione 177 Bitinia 44 Bitinio 44 Boeto di Tarso 109 Briseide 80 Burdigala 98 n. 185 Calauria 71 Caldei 179, 180 Callimaco 58, 90, 114, 126, 130, 132, 135, 136, 138, 140–143, 164–168, 182 n. 227, 192 Callistene 69, 80, 81, 82, 86–95, 106, 107, 111, 127, 159, 171, 204 Carcino 120, 121–122, 123, 125, 135, 136, 137–138 Carcino I: vd. Carcino Carcino II: vd. Carcino Carete 92, 93 n. 157 Caria 33, 35, 42, 51–60, 71–72, 86, 150 n. 25, 162–163, 181, 201 n. 72, 204 Cassio Dione 50 n. 97 Cassio Longino 140 Castore (vd. anche Dioscuri) 82 Celene 85 Celti 182 n. 229 Cercida 44 n. 63 Cerea 37 n. 21 Cherilo Comico 49–50 Cherilo di Atene 49, 132, 158, 172 n. 165, 179, 182–183, 191, 192, 199, 200

Cherilo di Samo 33–43, 44 n. 62, 46 n. 75, 49, 50, 51, 59, 76, 102, 104, 110 n. 247, 112, 114, 119 n. 48, 121, 128, 129–132, 134–136, 139–142, 152–153, 157–158, 169, 172–188, 189–200, 204, 205, 206–207 Cherilo Lacedemone 199 Chione di Eraclea 51 n. 100 Chionide di Atene 51 Cicerone 108 n. 238, 113 n. 8, 115 n. 19, 116, 118 n. 36, 119, 157 n. 69, 159 n. 86, 160 n. 92, 171, 179 n. 203 Ciro (il Grande) 180 Ciro (il Giovane) 174 n. 181 Clearco 159, 160 Cleeneto 120, 121–122, 123, 125, 135, 136, 137 Cleombroto 94 n. 163 Cleone (demagogo) 84 n. 15 Cleone Siculo 58–60, 80, 83–85, 87, 149 n. 16 Clito 80, 82, 85, 106, 175, 207 Commentator Cruquianus 75 Coriene 80, 84 n. 115 Corinto (Corinzi) 58, 138 Cornelio Nepote 96 Cornuto 49 Corrado di Mure 89, 90, 92, 93 n. 156, 203 Costantino Paleocappa 49–51 Crannone 154, 155, 156 n. 64, 206 Crantore 140 n. 168 Cratete (autore di AP 11,218) 46 n. 75, 47, 112, 139–144, 193 n. 29 Cratete (epigrammista citato in Diog. Laert. 4,23) 144 Cratete di Mallo 120, 123, 126–127, 144 Cratete Tebano 144, 159–160, 171 Cratino 50 n. 92 Creso 180 Crisippo 159 n. 85, 160, 162, 168–170 Cristodoro di Copto 51 Cristodoro di Tebe 51 Crizia 140 n. 168 Ctesia 159 n. 84, 172–173, 181 Curculio 70–72 Curzio Rufo 58, 60, 61, 66, 77, 80–86, 87, 91, 92, 94, 100, 103, 106, 119, 133, 134, 150, 162, 175 n. 184, 197 n. 50, 203, 205

Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici) 

Dario II 187 Davo 67 Decelea 39 Demetrio di Magnesia 197 n. 47 Demetrio Falereo 155 Demostene 113 n. 8 Demostene di Bitinia 47 Dimante 138 Diodoro Crono 138, 171 Diodoro Siculo 56, 58, 59 n. 150, 80 n. 95, 155, 156, 159 n. 84, 159 n. 86, 161, 170 n. 150, 174 n. 181 Diogene Laerzio 45, 49, 93, 121, 138 n. 159, 144, 178–180 Dionisio (o Ermia) di Iaso 54 Dionisio II di Siracusa 58, 50 Dioniso 82, 83 n. 107, 149 n. 16, 150, 167, 168, 172, 173, 175 Dioniso Calco 173 Dioscuri (vd. anche Castore e Polideuce) 81–82, 83 n. 107, 150, 175 Diotimo 152 n. 39 Duride 54, 135, 140–141 Ecatomnidi 52, 53, 58–60, 86, 162, 163, 204 Ecatomno 52, 163 Ecbatana 57 Ecfantide 50 Echinadi 154 n. 53 Efippo 36 n. 15, 57, 66 n. 22 Eforo 36 n. 15 Egitto 135 Egizi 179 Egretio 166 Elenio Acrone 73–74 Eleno 55 Eliadi 182 n. 228, 183 Elio Donato 166 n. 127 Ellanico 159 Ellesponto 154 n. 53 Empedocle 39 n. 26, 102 n. 208, 176 Ennodio 62, 91 n. 151, 98–100, 133 n. 124, 203, 205 Eolide 150 n. 25 Epigene 48, 50 n. 97, 163 Eracle 55, 82, 83 n. 107, 149 n. 16, 150 Eracleodoro 120 n. 53

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Eraclide Mopseate 45 n. 67 Eraclide Pontico 140 Eratostene 114 Ercolano 118 n. 36 Ercole: vd. Eracle Eridano 181–183 Erinna 45 n. 67 Ermia Alessandrino 114, 129–131, 132, 134, 135, 178 Ermia di Atarneo 36 n. 15 Ermia di Iaso: vd. Dionisio di Iaso Ermolao 43 n. 56 Erodoto 35, 44, 46, 174, 179 n. 203, 180, 182, 183, 195 Erodoto (citato in Steph. Byz. ο 53) 44 n. 63 Ermagora di Temno 34 n. 3 Ermocrate di Iaso 58, 138 Ermocrate (ϲοφιϲτήϲ, vd. anche Hermocles) 58 Ermogene 50 n. 97 Eschilo 173, 174, 181–183 Eschilo di Alessandria 152 Escrione di Mitilene 58, 151 n. 38 Escrione di Samo: vd. Escrione di Mitilene Esichio di Alessandria 178 n. 202 Esichio di Mileto 34, 43, 51 n. 98, 131, 178 n. 202 Esiodo 44, 48 n. 84, 140 n. 168, 182, 183 Eudocia (Elia) 50 Eudocia Macrembolitissa 49 Euforione 47, 138, 139, 141–144, 152, 164 n. 192, 165, 168 Eunapio di Frigia 34 n. 3 Eunapio di Sardi 34 n. 3 Eupoli 45, 48 Euripide 120, 123, 124, 126, 132, 134, 137–138, 171 n. 161, 174, 182, 183 Europa 183, 184 Eusebio 181 Eveno 173 Favorino 49 Fedimo 152 n. 38, 157 n. 69 Ferecide 179 Festo (poeta) 47, 147, 184, 187 Festo (lessicografo) 112, 128–129, 203 Fetonte 181–183

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 Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici)

Filagro 50 n. 97 Filippi 109 Filippo II 40, 58, 59, 111 n. 248, 121, 184, 186 n. 259 Filippo V 184 Filita 126, 139, 143 Filodemo 61, 62, 68–69, 78, 83 n. 107, 84, 112, 115 n. 20, 116, 117–119, 119–128, 129, 130, 134, 135, 136, 137–138, 143, 144, 204, 205 Filone (citato in Steph. Byz. μ 168) 44 n. 63 Filostrato 50 n. 97 Focione 110 n. 247, 155 Fozio 159 Gaugamela 161 Gerania 182 Germania 181–183 Giovanni Crisostomo 176 Giovanni Filopono 176 Giovanni Lido 40, 111 Giove 87 Giulio Valente 107 Giulio Valerio 108 n. 239 Giustiniano 42 n. 56 Giustino 92, 93, 156 n. 63, 175 n. 184 Gordio 85 Gorgo 52, 54, 56–57, 105, 153 Graziano 97, 98 n. 185 Grecia (Greci) 52, 67 n. 29, 70, 71, 75, 85, 94 n. 164, 113, 133 n. 124, 136, 156 n. 64, 165, 179, 180, 181 Gregorio Nazianzeno 176 Helymones (Helymon) 90 n. 147, 194 n. 32 Hermocles 58 n. 142 Hiberia 181 n. 218 Iasio: vd. Iaso (re) Iaso (Iasei) 33, 34–35, 37, 42, 45, 46, 48, 50, 51–60, 72, 138, 149 n. 15, 157, 162, 164, 171, 189, 190, 192 n. 19, 201, 204 Iaso (re) 201 n. 72 Ibico 171 n. 161 Ibis 86 n. 125, 95 Icaria 71

Idaspe 109 Idrieo 52–53, 163 Ieronimo (tiranno di Siracusa) 184 Ieronimo di Cardia 154 Ieronimo di Menalo 184 Inaco 201 n. 72 India (Indiani) 70, 80, 150, 167, 168, 179, 180, 181 Io 201 n. 72 Ione di Chio 51, 114, 181 Ionia (Ioni) 45, 150 n. 25, 180 Iperborei 182 Iperide 156 n. 64 Ipparco 39 Ipponatte 51 n. 99, 87, 94 Isidoro di Pelusio 176 Isocrate 103 n. 214 Isocrate di Apollonia 52 Istro il Callimacheo 38, 41, 195 n. 38 Istro (citato in Steph. Byz. κ 30) 45 n. 67 Itome 37 n. 21 L. Calpurnio Pisone Cesonino: vd. Pisone Cesonino L. Calpurnio Pisone Pontifex: vd. Pisone Pontifex Laberio 196, 197 Lamia 36, 37, 38, 106, 146, 152–156, 189, 205–206 Laurio 39 Leostene 156 Libero 82–83 Licone 71–72 Lidia 180 Lisandro 41, 174, 198 Lisia 122 Lisimaco 93 n. 157 Lisippo 63, 64 n. 11, 100 Livio 50 n. 97, 84 n. 114 Livio Andronico 119 Longino: vd. Cassio Longino ‘Longino’ (autore del Sublime) 103 n. 214, 114–115, 130 Lucano 135 Luciano 44, 109 n. 242 Lucilio 114, 197 Lucio Vario: vd. Vario

Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici) 

Macedonia (Macedoni) 38 n. 24, 54, 57, 58, 110, 127, 153, 155, 164–166, 168, 197, 205 Mace(donio) 168 Manilio 62, 101–104, 203 Marcellino 34 n. 6, 38 n. 24 Marco Aurelio 40, 41 Massimo di Tiro 179 n. 203 Matrone 151 Mausolo 52, 59, 60, 164, 204 Medea 101, 138 Melisso 176 Memfi 169 Menandro 67 n. 29, 70, 72, 122, 178 Messene 37 n. 21, 101–102, 155 Milasa 59 Mileto 53 n. 114, 56, 181 Milziade 185, 188 Mimnermo 126 Minnione 56 Mosco 176–177 Muse 101 Naucrate 52 Nearco 46 n. 73 Neottolemo di Pario 118, 127, 152, 168 n. 142 Nestore (poeta) 47, 147, 187 Nevio 135 Nicandro 34 n. 2, 168 n. 143 Niceneto 157 n. 69 Nicerato di Eraclea 141 n. 173 Nicocle 93 n. 156 Nicomaco di Alessandria in Troade 34 n. 3 Ninive 105, 157–162, 169, 206 Nonno 167–168, 183 n. 236, 187–188 Oceano 182 n. 228 Olimpiade 55, 149 n. 15 Omero 39, 41, 42, 47, 48, 55, 64, 65, 78, 79, 105, 107–109, 112–117, 120, 124–126, 128–132, 134–137, 139, 140, 143–144, 148–151, 155, 156, 163, 164–168, 175, 177, 178 n. 198, 186, 179, 190, 198, 205, 206, 207 Oppiano di Apamea 34 n. 3, Oppiano di Cilicia 34 n. 3, 40, 41

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Orazio 33, 34, 36, 38–42, 47, 50, 57, 61, 62–111, 112–119, 125, 127, 128, 129, 133, 134, 136, 137, 138, 145, 147, 148, 150, 151, 152, 156, 160, 166, 173, 183, 189, 191, 194–199, 203, 204, 205, 208 Orontobate 59–60 Ossiarte (vd. anche Coriene) 80 n. 95 Ossirinco 185 Ostrogoti 99 n. 192 Ottavio Avito 166 Ovidio 47, 61, 67, 76, 83, 86–95, 103, 106, 107, 111, 166, 183 n. 236, 194 n. 32, 203, 205 Palefato 49 Palladio (Medico) 176 Pamfilia 70 Paniassi 35 Paolo Diacono 128–129, 203 Pausania 37 n. 21, 121, 122, 149, 151–152, 153, 155, 156 n. 65, 165 n. 118, 180, 184 Pausimaco 120, 124, 127 Perellio Fausto 166 Pergamo 126 Persia (Persiani) 35, 37, 39 n. 26, 40, 53 n. 114, 66, 85, 101, 102, 104, 164 n. 113, 172–174, 180, 184–185, 188, 195 Pierione: vd. Pranico Pigmei 182 Pindaro 114, 130 Pinito 44 Pirro 55 Pirrone Eleo 40, 58, 110 n. 247 Pisandro (poeta) 149 n. 16 Pisistrato 39 Pisone Cesonino 118 n. 36 Pisone Pontifex 118 n. 36 Pisoni 116 Pissodaro 53, 55, 59–60, 164, 204 Pitagora 179–181 Pitone 151 n. 26 Platone 135, 140, 141, 179 n. 203 Plauto 48, 66, 67, 68, 69–73, 76, 196, 197, 204 Plinio 54, 181 Plozio Tucca: vd. Tucca

248 

 Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici)

Plutarco 41, 48, 59 n. 147, 59 n. 150, 71 n. 50, 80 n. 94, 81 n. 98, 82, 83 n. 107, 84, 85, 92, 93 n. 157, 108, 110 n. 247, 122, 126, 141 n. 173, 149, 154, 155, 175 n. 184, 175 n. 185, 198, 199 Po 182 Polibio 43, 55, 159 n. 86 Polideuce (vd. anche Dioscuri) 82 Polisperconte 154 Polluce (Dioscuro): vd. Polideuce Polluce (Giulio) 40, 54 n. 115 Porfirio 180 n. 212 Porfirione 61, 64 n. 15, 67 n. 24, 73–80, 87, 89, 91, 98, 105, 107, 108, 111, 134, 143, 151, 167, 189, 203, 205 Poro 70 Poseidone 54 Posidippo 141, 165 n. 118 Pranico (Pierione) 48, 58, 85, 149 Prassifane di Mitilene 34 n. 6 Priamo 55 Probo: vd. Sesto Petronio Probo Proclo 42, 135, 140, 141 Protagora 45, 48 ps.-Aristotele 54 n. 115 ps.-Esichio 34 n. 4 ps.-Eudocia 33, 49–50, 157 ps.-Plutarco 176 Pseudacrone 61, 64 n. 15, 73–80, 86, 87, 88, 89, 91, 95, 98, 105, 107, 108, 110, 111, 143, 166, 167, 189, 203 Quintiliano 94 n. 164, 113 n. 8 Quintilio Varo: vd. Varo Riano 37 n. 21, 47, 102, 104, 152, 155, 156, 157 Rodano 181 Roma (Romani) 44, 64, 67 n. 28, 67 n. 29, 99, 101, 113, 136, 137, 192 Rossane 80 Saffo 171 n. 161 Salamina 174 Sallustio 94 n. 165 Samo (Samî) 34, 35 n. 9, 35 n. 11, 35 n. 12, 37, 56, 57, 172, 181 n. 216

Sardanapalo 48, 87, 105, 119, 147, 152, 157–162, 168–171, 190, 191, 193, 206 Sennacherib (vd. anche Sardanapalo) 160 Senocrate 110 n. 247 Senofonte 174 n. 181 Serse 35, 172–173, 183, 188, 192 n. 18, 207 Servio 164–168 Sesto Petronio Probo 96–98, 100, 133 Sicilia (Siculi) 58 n. 145, 84 n. 115, 87 n. 127 Simplicio 176, 177 Siracusa 84 n. 113, 87 Siriano 130 Socrate 129 n. 103, 130 Sofocle 114 Sogdiana 80 Solone 39, 140 n. 168 Sparta 39, 40 n. 33 Spitamene 86 n. 123 Stefano Bizantino 33, 42–48, 61, 73, 84 n. 113, 153, 164 n. 114, 190, 192, 199–201, 204 Stilpone 138 Strabone 42, 43 n. 53, 59 n. 149, 59 n. 150, 109, 127 n. 87, 138, 149 n. 16, 150, 153 n. 43, 159, 161, 163 Talete 178–180 Tebe 101 Telchini 167 Temenidi 55 Temeno 55 Temistio 176 Teo 45 Teocrito 87, 167 n. 134 Teoderico 98–100 Teodette 52 Teodoride 183 Teodoto 56, 57 n. 137 Teognide 44 n. 63 Teolito 168 n. 142 Teone 96–97 Teopompo 52 Terapontigono Platagidoro 69–72 Tersite 76, 78, 86, 105, 107–108, 110, 134, 207 Tessalo 60 Teti 182 n. 228 Tiberio 102 Tieste 101

Indice dei nomi antichi (mitologici, storici, geografici) 

Timeo 103 Timone 151 Timoteo Comico 171 n. 161 Tiziano 96 Tolemei 165, 207 Tolemeo (κάτοχοϲ) 169 Tolemeo I (Soter) 92, 165 n. 118, 208 Tolemeo II (Filadelfo) 54 n. 117, 167, 208 Tolemeo III (Evergete I) 70 n. 43, 208 Tracia (Traci) 180, 182, 185 Treviri 98 n. 185 Trogo 92, 93 Troia 55 n. 125, 86, 101, 206 Tucca 94 n. 164 Turî 35 n. 12

 249

Ursulo 96, 97 Valerio Catone 192 Valerio Flacco 201 n. 72 Valerio Massimo 58 n. 142 Vario 63–64, 66, 75 n. 75, 79, 118 n. 36, 133, 151 Varo 118 n. 36 Verrio Flacco 128, 129 Virgilio 62–64, 66, 75 n. 75, 76, 78, 79, 118, 133, 151, 165–168, 181–182 Zalmoxis 180 n. 211 Zenone Sidonio 120 n. 51, 126 Zotico 40

Indice degli autori (secoli XIV–XIX) trattati nel capitolo 5 Allacci, Leone (1586–1669) 197 n. 48 Borgno, Girolamo Federico (1761–1817) 191 n. 12 Cesarotti, Melchiorre (1730–1808) 191, 208 Crasso, Lorenzo (1623–1691) 199 Del Buono, Girolamo (1689–1765) 195 n. 34 Erasmo da Rotterdam, Desiderio (ca. 1466–1536) 195 n. 34 Fabricius, Johann Albert (1668–1736) 197, 200–201 Giovanni Lagarino († post 1540) 195 n. 34 Giraldi, Lilio Gregorio (1479–1552) 194–195, 196, 197, 198, 199, 200, 201 Harles, Gottlieb Christoph (1738–1815) 201 Hasištejnský z Lobkovic, Bohuslav (1461–1510) 195 n. 34 Heinsius, Daniel (1580–1655) 197–198, 199 Hermann, Gottfried (1772–1848) 192, 193

https://doi.org/10.1515/9783110747041-012

Lambin, Denis (1516–1572) 194 n. 31, 196 Landino, Cristoforo (1424–1498) 195 n. 34 Langlet, Pierre (1660–1707) 195 n. 34 Lovati, Lovato (ca. 1240–1309) 195 n. 34 Meursius, Johannes (1579–1639) 194 n. 31, 200 Monti, Vincenzo (1754–1828) 208 More, Thomas (1478–1535) 195 n. 34 Naeke, August Ferdinand (1788–1838) 190, 191–194, 198, 199, 200, 201–202, 207 Nogarola, Angela (1380–1436) 195 n. 34 Paterno, Ludovico (1533–post 1575) 195 n. 34 Petrarca, Francesco (1304–1374) 195 n. 34 Scaliger, Joseph Justus (1540–1609) 194 n. 31, 195–196, 197, 198, 199, 202 Schiavo, Biagio (1675–1750) 195 n. 34 Turnèbe, Adrien (1512–1565) 194 n. 31, 200 Vettori, Pier (1499–1585) 194 n. 31, 196 Vossius, Gerardus Joannes (1577–1649) 198–199, 200