Categorie e fisionomie. Introduzione a un'ontologia del vivente 9788888444628

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Categorie e fisionomie. Introduzione a un'ontologia del vivente
 9788888444628

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POLIS Collana di studi per la formazione, la ricerca, la socialità

Daniele Nani

Categorie e fisionomie Introduzione a un’ontologia del vivente

EDITRICE

NOVALIS

© 2014 Editrice Novalis, via Angera 3, 20125 Milano www.librerianovalis.it ISBN 978-88-88444-62-8

Questo volume è stato stampato presso Andersen SpA Via Quarta Brughera, 28010 Boca (NO)

Indice

Prefazione…………………………………………………………………………………………………………………………………… IX Fenomenologia e psicologia……………………………………………………………………………… 3 Rappresentazione e emozione…………………………………………………………………… 14 Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia…………………………………………………………………………………………………………67 Significato e senso percettivo………………………………………………………………………94 Epilogo………………………………………………………………………………………………………………………………………… 173 Note…………………………………………………………………………………………………………………………………………………

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Bibliografia………………………………………………………………………………………………………………………………243

a Tommaso e Giovanni

Prefazione Gianfranco Dalmasso

Introduzione ad un’ ontologia del vivente… Questo libro non delude l’impegno di tale promessa. Anzi tale impegno è esaltato dal prodigioso percorso di questo lavoro. Daniele Nani non è un filosofo nel senso accademico del termine, ma proprio per questo ha delle chances in più nel suo approccio alla filosofia. Egli è un medico, un biologo oltre che, a pieno titolo, uno scienziato della vita. Annoverando me stesso fra i filosofi accademici confesso la mia ammirazione per questo testo che sfugge alla fastidiosa auto-relazionalità di molti “discorsi sulla vita” scritti da “filosofi” e da studiosi di discipline affini alla filosofia. Oggi discorsi di questo tipo imperversano spesso, peritandosi di “parlare della vita” come per sentito dire, senza avere una pratica e una intelligenza sufficiente delle esperienze e dei linguaggi teorici implicati da questa problematica – la vita! - solenne ed inaugurale dello stesso pensare. La “vita” infatti è un concetto più radicale dell’essere. Tale concetto non può essere “cosificato”, ancor meno che l’essere. Esso implica un coinvolgimento di chi lo pensa, di chi ne parla, alla radice del costituirsi dello stesso parlante. “Parlare la vita” implica riconoscersi già collocato nel nesso inscindibile fra la vita e il pensare, sorprendersi in un movimento generativo in cui non posso, per così dire, “guardarmi dal di fuori”. Questo testo di Daniele Nani si svolge in modo disinvolto e al tempo stesso implacabile, strumentato di una sicura conoscenza e familiarità con la fenomenologia husserliana, dosando e sintetizzando miniere di saperi anatomici, biologici, psicologici, che si miscelano con rigore in un discorso che, nella sua struttura e nel suo metodo, rimane all’altezza della vita. IX

Prefazione

Nani, come in altri suoi testi, non risparmia critiche alle posizioni dell’empirismo inglese. Egli obietta alle impostazioni di una tale gnoseologia che pretende procedere sintetizzando elementi semplici e oggettivabili in una totalità più complessa. Questo modo di procedere, poco o tanto inadeguato alla natura delle cose, è ancor più clamorosamente fallimentare allorchè siano in questione oggetti e significati che riguardano il vivente. La psicologia della Gestalt, agli inizi del Novecento, ha denunciato tale scorrettezza di metodo dimostrandola anche con le procedure delle scienze sperimentali. La teoria della Gestalt per altro, pur pretendendo di chiarire lo sguardo del vivente, e di quel vivente che è l’essere umano, non riesce a liberarsi dalla fissità di una visione oggettivata e si esclude metodologicamente dal movimento generativo del suo stesso sguardo, dal movimento generativo del suo stesso gesto. Questa filiera di pensieri e di analisi porta l’Autore alla questione centrale del suo libro: che cosa è un volto? Quali sono le condizioni per riconoscere un volto? La formidabile tematica, portata negli ultimi decenni alla ribalta della razionalità filosofica da Levinas, è rilanciata da Nani nei termini di un sapere sia fenomenologico sia scientifico. L’Autore scorge nel volto umano, nella densa carnalità, corporeità del volto umano, un rigoroso unificarsi di sentimenti e un rigoroso unificarsi di elementi storici. Tutto ciò è reso possibile da uno stile e da un metodo di sapere per cui è impossibile separare i sentimenti dalle strutture, la storia dai significati, la forma dalla materia e soprattutto il pensare dalla vita. È un pensiero vivente che l’autore ci propone, o meglio che l’autore stesso incarna. Già Husserl in alcuni manoscritti aveva posto le Stimmungen, le tonalità emotive, come nessi della dimensione storica dell’umano*. Nani intensifica la storicità delle emozioni proprio nella loro inseparabiltà dal corpo. Il pensiero filosofi* Cfr. Vincenzo Costa, I modi del sentire. Un percorso nella tradizione fenomenologica, Quodlibet, Macerata 2009, pp.176-178.

X

Prefazione

co così sembra riposare in una unità precedente e generativa dove il significato, oserei dire la “verità” della carne, diventa accessibile. È una commozione la struttura di questo discorso, che può parlare all’interno di una grande tradizione, da Plotino al neo-platonismo rinascimentale a Goethe e all’idealismo tedesco, al mondo della vita secondo Husserl, a Merleau-Ponty, riletta con gli occhi di un filosofo-scienziato. In che senso ho usato il termine com-mozione? Nel senso di un movimento del pensiero, che si muove insieme al suo corpo, ed in questo gesto ritrova in modo inaudito la sua intima parentela con la vita. Com-mozione è il gesto che riconsegna ciò che è portato dalla vita ad un pensare che si scopre esso stesso in un legame imprendibile con essa. Questo mi sembra anche il movente invincibile ed insieme la posta in gioco di questo lavoro.

XI

“Quinque sunt fratres...” (16)

Fenomenologia e psicologia

1  Nella nostra epoca di civiltà, attraverso il processo della perce-

zione, il mondo esterno ci appare segmentato in strutture che presentano il carattere di oggetti. Anche agli animali viene attribuita, in generale, la proprietà di percepire l’ambiente circostante come un aggregato di entità oggettuali. Indipendentemente dal livello culturale, ogni essere umano del nostro tempo vive in un mondo di oggetti che sono permeati “dai sedimenti delle operazioni logiche” (E. Husserl, 1995) con cui la scienza, in particolare la fisica-matematica, costruisce l’immagine del mondo e della natura. Questi oggetti esistono in uno spazio-tempo esatto, idealizzato, che è proprio della geometria e della fisica, e non corrisponde per nulla allo spazio e al tempo dell’esperienza originaria “che si compie nel mondo della vita.” (ibidem). Il problema di un’ontologia del “mondo della vita” (Lebenswelt), cioè del mondo che è accessibile prima di ogni scienza, ha occupato le ultime opere di Edmund Husserl, in particolare La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (E. Husserl, 2002d). 2  La psicologia indirizzata in senso fenomenologico ha avuto ori-

gine in seno alla scuola filosofica di Franz Brentano, nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Questo autore ha identificato i fenomeni psichici con le rappresentazioni, intendendo con questo termine non il rappresentato, ma il rappresentare stesso. “Questo rappresentare”, afferma Brentano, “costituisce la base ultima non solo del giudizio, ma anche del desiderio, così come di ogni altro atto psichico. Nulla può venir giudicato, ma nemmeno desidera3

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to, sperato o temuto, se non è stato rappresentato.” (F. Brentano, La psicologia dal punto di vista empirico, 1989). Ciò che caratterizza in modo essenziale il fenomeno psichico e che Husserl mutua da Brentano, mettendolo a fondamento della propria ricerca fenomenologica, è il concetto di intenzionalità. “Ogni fenomeno psichico”, afferma Brentano, “è caratterizzato da ciò che gli scolastici del Medioevo chiamavano l’ in-esistenza intenzionale (o mentale) di un oggetto, e che noi, anche se in modo non del tutto privo di ambiguità, definiamo il rapporto con un contenuto, la tensione all’oggetto (che non va inteso come realtà), oppure, infine, l’oggettualità immanente. Ogni fenomeno psichico contiene in sé qualcosa come oggetto, anche se non ogni fenomeno lo fa nello stesso modo. Nella rappresentazione qualcosa è rappresentato, nel giudicare qualcosa viene accettato o rifiutato, nell’amore c’è un amato, nell’odio un odiato, nel desiderio un desiderato, etc..” (ibidem). 3  Lo spostamento dell’interesse, rispetto al processo rappresenta-

tivo, sull’atto del rappresentare, cioè sulla coscienza che esperisce, piuttosto che sul rappresentato, porta ad operare una differenza radicale tra fenomeno e oggetto. Gli oggetti, in senso pregnante, sono gli oggetti di cui si occupano le scienze naturali oggettive. Husserl li chiama “extra-coscienziali” o “trascendenti”. Anche se vengono percepiti grazie a una rappresentazione interna alla coscienza, la coscienza stessa li coglie come estranei, come esistenti al di fuori di essa. Diversamente, i fenomeni sono afferrati dalla coscienza come “immanenti”. Essi sono essenzialmente “esperienze vissute”. (E. Husserl, 2003). Nel caso dei fenomeni, l’oggetto è l’esperire stesso. 4  Per Husserl, il fenomeno presenta, per così dire, due lati: il lato

“noetico”, o “noesi”, che rappresenta l’aspetto soggettivo dell’esperienza vissuta, l’elemento “psichico”, per eccellenza, che sta alla base del “conferimento di senso” e dell’intenzionalità, intesa come la proprietà dei vissuti di essere “coscienza di qualche co4

Fenomenologia e psicologia

sa”. L’altro lato che costituisce il fenomeno è quello “noematico”, o “noema”, cioè l’aspetto oggettivo dell’esperienza vissuta, o, più precisamente, il “senso”. Il soggetto, ad esempio, percepisce un albero concreto, reale, che è presente nel mondo esterno. Husserl chiama “iletici”, o “materiali” (ὕλη = materia), i dati che si presentano soggettivamente nell’atto del percepire, come dati cromatici, tattili, etc.. Questa molteplicità “adombra” la medesima cosa oggettiva, l’unità albero-percepito. Ma il noema dell’albero, il senso, non va confuso con l’albero reale e concreto che sorge nel giardino. Husserl offre una bellissima e suggestiva immagine, al paragrafo 89 delle Idee... (E. Husserl, 2002c): “L’albero simpliciter, la cosa della natura, è qualcosa di completamente diverso da questo albero-percepito come tale, che come senso percettivo appartiene inscindibilmente alla percezione. L’albero simpliciter può bruciare, dissolversi nei suoi elementi chimici, etc.. Ma il senso – il senso di questa percezione, cioè qualcosa che appartiene necessariamente alla sua essenza – non può bruciare, non ha elementi chimici, forze, proprietà reali.”. 5  Tutte le considerazioni precedenti trovano la loro chiarificazio-

ne solo prendendo in esame la cosiddetta “svolta trascendentale” compiuta da Husserl nell’epoca successiva alle Ricerche logiche. La fenomenologia come “scienza rigorosa” può cominciare solo se viene compiuto un percorso metodologico che il filosofo chiama epoché fenomenologica o trascendentale. L’atteggiamento naturale, proprio sia della vita quotidiana che delle scienze positive, accetta acriticamente l’esistenza degli oggetti fuori della coscienza, cioè, in generale, l’esistenza di un mondo esterno dato. Il procedimento dell’epoché fenomenologica non nega, né afferma questo fatto, ma sospende il giudizio, mettendo tra parentesi il mondo naturale, fisico e psicofisico. Con ciò, “risultano messe fuori circuito tutte le scienze naturali e quelle dello spirito, con il loro intero patrimonio conoscitivo, appunto in quanto scienze che richiedono l’atteggiamento naturale.” (ibidem). In questa prospettiva, gli oggetti della 5

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coscienza non risultano più cose reali, ma vengono considerati nella loro fenomenicità, nell’essere, appunto, fenomeni puri, immanenti alla coscienza. In questa luce, appare chiaro che il senso dell’albero, dell’adombramento precedente, il suo noema, immanente alla coscienza, risulta un’entità separata “da un abisso da ogni natura e scienza fisica, e non meno da ogni psicologia.” (ibidem). Si tratta di un’essenza, di un vero e proprio “eidos” che emerge nell’atteggiamento eidetico, attraverso l’epoché fenomenologica. 6  Come fenomenologo, Husserl guarda alla psicologia, non come

a una scienza dei fenomeni puri, ma come a una scienza naturale, alla stregua della fisica e della chimica. La psicologia “è una scienza obiettiva e... si fonda in maniera assoluta sulle esperienze, nelle quali è data e accettata, attraverso le manifestazioni, una realtà esterna alla coscienza. In maniera paradossale e tuttavia con pieno diritto, si può dire: la psicologia è, tanto quanto la scienza della natura in senso stretto e abituale, senz’altro scienza dell’esperienza esterna. Innanzitutto ciò vale in maniera chiara nel caso si assuma l’intero mondo materiale come realtà pre-data; poiché essa non è una scienza indipendente dalla scienza fisica, bensì è fondata su di essa, la presuppone. All’interno della realtà materiale esperita in maniera spazio-temporale si presentano le cose materiali, detti corpi umani o animali, e in connessione con questi si farà esperienza delle così dette esperienze vissute fisiche.“ (E. Husserl, 2003). Per Husserl, i metodi psicofisici, sperimentali e statistici non sono in grado di rimediare alla carenza di attenzione che, in generale, la psicologia manifesta nei confronti delle componenti intenzionali della coscienza. “Così come stanno le cose oggi”, aggiunge Husserl, “lo stesso tipo di coscienza inferiore, come le percezioni della cosalità spaziale dal lato della psicologia, mancano di una reale analisi immanente della coscienza, al posto dell’analisi dell’essenza troviamo un’abbondanza di teorie causali, che mancano di ogni presupposto e tralasciano tutti i problemi essenziali (alludo qui alle famose teorie dell’origine psicologica delle rappresentazioni spaziali e in seguito delle rappresentazioni delle cose).” (ibidem). 6

Fenomenologia e psicologia

7  “Nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensu”, recita il

vecchio adagio. Il rapporto tra percezione e pensiero resta uno dei nodi più profondi della teoria della conoscenza e della psicologia. Come è stato accennato, Husserl ha operato una netta distinzione tra psicologia, intesa come scienza di dati di fatto e fenomenologia pura o trascendentale che è, invece, una scienza di essenze, cioè una scienza eidetica, che attraverso l’epoché, o riduzione fenomenologica, si pone il compito di purificare i fenomeni psicologici dai loro aspetti reali e empirici, per elevarli al livello della generalità essenziale. Alcuni fenomenologi si sono limitati, nelle proprie indagini, solo al riconoscimento del carattere intenzionale della coscienza. Tra questi possiamo ricordare Nicolai Hartmann, Max Scheler e Martin Heidegger. Come vedremo in seguito, possiamo considerare un antesignano della fenomenologia lo stesso Goethe, che più di ogni altro ha posto l’accento sull’importanza della morfologia e dell’osservazione spregiudicata dei fenomeni, nella conoscenza della natura. Per quanto riguarda il rapporto tra percezione e pensiero e con il proposito di inoltrarci un po’ più profondamente nelle questioni fondamentali proprie della psicologia, val la pena prendere in considerazione la distinzione operata da Carl Stumpf tra “apparenze” e “funzioni psichiche”. 8  Carl Stumpf, a cui Husserl dedicò le sue Ricerche logiche, fu

uno dei più brillanti allievi di Franz Brentano. La sua fama è dovuta più che altro ai sui studi sul rapporto tra lo spazio e la qualità che lo riempie (colore, suono, etc.) e alle ricerche sulla cosiddetta “fusione tonale”. Le analisi sul rapporto tra spazio e qualità assumono, nell’opera di Stumpf, un valore e un significato che va al di là del problema specifico e fornisce un primo abbozzo di una “mereologia” (teoria del rapporto tra le parti e l’intero), che Husserl inserisce nella terza Ricerca logica, “dove le osservazioni mereologiche di Stumpf vengono estese ed inserite in un organismo teorico che starà poi a fondamento dell’idea di fenomenologia.” (V. Fano, La filosofia dell’analitico a posteriori, in C. Stumpf, 1992). Nello scritto del 1907, dal titolo Apparenze e funzioni psichiche 7

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(in ibidem), Stumpf distingue tra “apparenze” (Erscheinungen) e “funzioni psichiche”. Con il termine “apparenze”, egli indica 1) i contenuti delle sensazioni: “La psicologia moderna”, afferma il filosofo, “annovera qui a ragione anche l’estensione spaziale e la distribuzione delle impressioni visive e tattili, poiché non solo è dato ciò che questi contenuti sensibili hanno di qualitativo, ma anche, allo stesso modo, ciò che hanno di quantitativo. Per lo più anche la durata e le sequenze temporali vengono considerate un contenuto sensibile. Sebbene relativamente al tempo sussistano ancora delle difficoltà, qui lo considereremo tra i contenuti sensibili, dato che tutte le riflessioni che seguono sono applicabili alle proprietà temporali così come ai contenuti sensibili. Invece il cosiddetto momento sensibile del piacere e del dolore lo lasceremo da parte, dato che alla base della concezione teorica della piacevolezza e della spiacevolezza puramente sensibili ci sono ancora delle differenze troppo grandi. Non ho tuttavia niente da obiettare, se lo si vuole anch’esso subordinare semplicemente alle apparenze, non come attributo, ma come classe a sé. 2) Le omonime immagini della memoria, i colori, i suoni etc., meramente rappresentati. Senza pregiudicare il rapporto di questa classe con la precedente, vogliamo distinguerla da quella come classe delle apparenze del secondo ordine rispetto alle apparenze del primo ordine. Tra le apparenze sussistono determinati rapporti. Essi sono dati in e con una coppia di apparenze; non vengono posti da noi in esse, ma percepiti. Essi appartengono alla materia delle funzioni intellettuali, ma non sono funzioni, né sono prodotti da esse. Con funzioni psichiche (atti, stati, vissuti) indichiamo il notare le apparenze e i loro rapporti, l’unire le apparenze in complessi, la formazione dei concetti, l’afferrare e il giudicare, i moti dell’animo, il desiderare e il volere. Con ciò non si è data una classificazione precisa ed esauriente, ma solamente un panorama degli esempi più importanti. Quando separiamo le funzioni intellettuali da quelle emozionali, utilizziamo questa vecchia e comoda distinzione senza pregiudizi quanto alla sua definitiva esattezza.” (C. Stumpf, in ibidem). 8

Fenomenologia e psicologia

9  Per Stumpf, il percepire o notare (prender nota) costituisce la

funzione più primitiva. Egli chiama il percepire delle apparenze del primo ordine, cioè la percezione sensibile nel senso abituale, “sentire”. Mentre il percepire delle apparenze del secondo ordine viene chiamato dall’autore “rappresentare”. “Il mero rappresentare dei colori e dei suoni è tuttavia anche una sorta di vedere e udire, un notare delle apparenze di questi gruppi che emergono (eventualmente anche sotto l’influsso della volontà). Ogni percezione sensibile è un notare delle parti in un intero, nonché dei rapporti tra queste parti.” (ibidem). Tutta la psicologia associazionista sostiene che solo le apparenze sono date immediatamente: “L’affermazione secondo cui tutto ciò che è esperibile psichicamente, a prescindere dalle sensazioni, si può chiarire mediante le regole dell’associazione, è solamente una forma particolare della teoria generale secondo cui tutto ciò che è esperibile psichicamente consisterebbe di apparenze. Per le apparenze del secondo ordine, si potrebbero dare altre leggi oltre a quelle dell’associazione. La maggior parte dei fisiologi contemporanei e degli psichiatri, nonché molti psicologi sperimentali, sostiene, per quanto riguarda ciò che è dato immediatamente, questa visione puramente fenomenista.” (ibidem). Le funzioni, afferma Stumpf, sono sempre strettissimamente intrecciate con le apparenze in relazione con esse. Tutto ciò che viene riassunto sotto il nome di apparenze non potrebbe sussistere senza risultare il contenuto di una funzione psichica. Nello scritto del 1907, dal titolo La suddivisione delle scienze (in ibidem), Stumpf chiarisce, da un altro versante, il problema del rapporto tra apparenze e funzioni psichiche: “Le apparenze sono il punto di partenza: esse sono necessariamente anche la materia originaria delle funzioni intellettuali. Gradualmente vengono percepiti dei rapporti tra le apparenze, mentre le funzioni psichiche si attuano su di esse; anche queste ultime vengono percepite. Il pensiero (inteso come l’insieme delle funzioni intellettuali) porta inoltre alle forme nel senso chiarito in precedenza: concetti, aggregati, stati di cose. Ora, ciò che noi chiamiamo oggetto nel senso più ampio del termine, su cui pensiamo e parliamo, è ogni volta 9

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già una forma, e cioè una forma concettuale. Anche ciò che è individuale non si può mai descrivere se non con l’aiuto dei concetti generali. Se diciamo ‘questo rosso qui’, allora i dimostrativi ci dicono che si tratta di qualcosa di individuale, ma ‘rosso’ è il nome di un concetto. Quindi gli oggetti non si costituiscono tramite il percepire, né tramite il risaltare di un’apparenza dal caos delle diverse impressioni, ma tramite la formazione dei concetti. Quando cogliamo con i concetti generali un’apparenza o un complesso di apparenze, oppure anche un rapporto o una funzione o un complesso di tali elementi, essi diventano, da meri contenuti, oggetti del pensiero. Nel linguaggio si notifica questa trasformazione mediante l’uso conforme al senso dei nomi generali. A questo proposito, la maggior parte delle volte il significato del concetto e del nome non coincide con la materia dell’apparenza, inclusi i contenuti della rappresentazione associata (apparenze del secondo ordine), ma ne rimane al di sotto. Noi diciamo e pensiamo ‘palla’, mentre tanto le sensazioni che sono presenti, quanto le rappresentazioni associate fin da prima con queste sensazioni e con la parola palla corrispondono solamente in modo molto incompleto al significato del nome che ci è ben noto e chiaramente presente. Tuttavia non vorrei (Husserl sembra propenso a ciò) considerare questo fatto come l’autentica nota caratteristica che, se è vera, chiarisce la differenza tra contenuto e oggetto. Una cosa è la formazione di un oggetto di pensiero, un’altra pensare un oggetto da un determinato lato, secondo una nota caratteristica singola, intendendo l’intero. Quest’ultimo tratto si aggiunge al pensiero oggettuale, ma non ne costituisce l’essenza.” (ibidem). 10  Per riassumere brevemente, quanto è stato detto rispetto al

rapporto tra apparenze e funzioni psichiche, occorre sottolineare che per Stumpf, le funzioni si dividono sostanzialmente in funzioni intellettuali e in funzioni emozionali. Il tutto può venire ordinato in un sistema di livelli che si includono a vicenda. Le funzioni intellettuali, come è stato detto, comprendono il notare (distinguere), l’unire, la formazione dei concetti e il giudicare. Le funzioni 10

Fenomenologia e psicologia

emozionali comprendono sia emozioni attive che emozioni passive. “Prima di Brentano”, afferma Stumpf, nella Autobiografia intellettuale (in ibidem), “Lotze aveva sottolineato le proprietà strutturali delle funzioni della coscienza, in special modo del ‘pensiero relazionante’.”. 11  Il costituirsi degli oggetti fenomenici, cioè il fatto che quan-

do apriamo gli occhi, ci troviamo di fronte un mondo formato di oggetti dotati di senso: case, alberi, animali, persone, automobili, etc., e non percepiamo invece radiazioni elettromagnetiche, impulsi retinici e processi nervosi che, d’altra parte, come ci insegna la fisiologia, hanno luogo nel nostro organismo, ha condotto a diversi tentativi di spiegazione scientifica. Due importanti indirizzi psicologici di impostazione molto diversa l’uno dall’altro hanno cercato di spiegare il modo con cui il campo percettivo si segmenta e si articola in unità discrete dotate di senso che chiamiamo, appunto, oggetti fenomenici. Il primo indirizzo, più antico, originato in seno all’empirismo inglese, possiede un’impostazione prevalentemente atomistica e associazionistica. “Ogni impulso proveniente da un recettore darebbe luogo a livello dei centri corticali ad altrettante ‘sensazioni elementari’, con una corrispondenza punto a punto fra ‘stimoli prossimali’ e sensazioni. Si postula così l’esistenza di una prima fase psichica, di livello ‘inferiore’, quella delle ‘sensazioni elementari’. Su queste interverrebbero poi facoltà o istanze psichiche cosiddette ‘superiori’, e cioè la memoria, il giudizio, il ragionamento, le quali, attraverso giudizi o inferenze in gran parte ‘inconsapevoli’ fondate su esperienze passate specifiche e generiche, associerebbero o integrerebbero le sensazioni elementari, in modo da dar luogo a quelle unità percettive più vaste che sono gli oggetti della nostra esperienza, con la loro forma e con il loro significato. Wundt chiama ‘sintetico-produttiva’ o ‘appercettiva’ questa attività, intendendo per ‘appercezione’ appunto questa seconda fase ‘superiore’, che interviene sulla prima elementare forma di attività ‘sensoriale’.” (G. Kanizsa, 1980). La teoria atomistica ed 11

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associazionistica, dotata di un’apparente logicità e chiarezza ha dominato per lungo tempo, nel passato e ancora oggi, presentata con una terminologia più adeguata ai tempi, trova ancora credito presso molti scienziati, soprattutto psicologi, fisiologi e neurologi. Si tratta sostanzialmente di un costrutto ipotetico “per definizione non verificabile empiricamente” e “molto insoddisfacente perché blocca la ricerca e maschera i problemi dandoli per risolti. Senza contare che le capacità di distinguere e di riconoscere gli oggetti e gli individui, di cogliere significati espressivi, di vedere qualità globali, sono immediate e vivacissime anche nei bambini, nei primitivi e persino negli animali dei più bassi gradini della scala zoologica, ai quali non si può certo riconoscere le doti intellettuali necessarie per compiere i ragionamenti postulati dalla teoria delle ‘inferenze o giudizi inconsci’ “ (ibidem). L’approccio, per così dire polare a quello atomistico-associazionistico, è quello proposto dalla psicologia della Gestalt, nata in seno all scuola di Berlino, dove a Carl Stumpf era succeduto Wolfgang Köhler, uno dei suoi migliori allievi, insieme a Kurt Lewin e a Kurt Koffka. Questi autori, insieme a Max Wertheimer, sono stati i fondatori della scuola gestaltista. Il principio fondamentale della psicologia della Gestalt consiste nel fatto che non sono gli elementi che contribuiscono a determinare la percezione d’insieme, ma, invece, la percezione del tutto viene prima di quella delle parti, che risultano, quindi, solo delle astrazioni. In realtà, Carl Stumpf fu critico nei confronti dell’impostazione gestaltista. “Egli definisce infatti la Gestalt come un aggregato di rapporti, che si contrappone al complesso, che è invece un aggregato di contenuti semplici. Proprio la loro particolarità di fondarsi sui rapporti spiega come sia possibile che le Gestalten siano trasponibili (1), la qual cosa costituisce la loro proprietà più significativa, come già indicava von Ehrenfels nel suo lavoro pionieristico sulle qualità figurali (C. von Ehrenfels, 1979). Secondo Stumpf, le Gestalten intese come un intero che precede le sue parti non spiegherebbero questa capacità, che dipende invece dal fatto che esse sono dei rapporti tra rapporti, cioè dei rapporti del secondo ordine, che quindi non 12

Fenomenologia e psicologia

dipendono direttamente dai contenuti che formano i rapporti del primo ordine. Stumpf obietta ancora che se noi percepiamo sempre le sensazioni in connessione con altre sensazioni, questo non significa che percepiamo esclusivamente delle Gestalten, ma solo che, percependo un contenuto assoluto, percepiamo sempre anche una Gestalt.” (V. Fano, in ibidem). Rispetto all’approccio atomistico-associazionistico, la psicologia della Gestalt non considera le unità di analisi come delle entità che devono essere costituite mentalmente, come le sensazioni elementari, ma considera quelle strutture globali che ci troviamo direttamente davanti nell’esperienza immediata. Alla base della teoria della Gestalt, vi è l’articolazione figura-sfondo che determina le condizioni, in base alle quali è possibile prevedere “quale zona del campo assumerà con maggior probabilità il ruolo di ‘figura’ rispetto alle altre zone. Le più importanti di tali condizioni sono la grandezza relativa delle parti, i loro rapporti topologici e i tipi dei loro margini. A parità delle altre condizioni, tenderà cioè a emergere come figura la zona più piccola e così sarà favorita nel ruolo di figura una zona inclusa e circondata da altre aree, le quali assumeranno piuttosto carattere di sfondo.” (G. Kanizsa, ibidem). 12  Le leggi della segmentazione del campo visivo o leggi della for-

mazione delle unità fenomeniche, sono state studiate da Max Wertheimer, che ha individuato un certo numero di fattori che “favoriscono il raggruppamento o l’unificazione degli elementi di un tutto. A tale problema egli diede una risposta del tutto diversa da quella dell’associazionismo atomistico classico, rinnovando a fondo il tipo di approccio e le concezioni intorno ai fenomeni psichici e dando inizio a un indirizzo di ricerca tra i più fecondi e originali nella storia della psicologia in generale e dello studio della percezione in particolare. I principali fattori di unificazione o di organizzazione in unità del campo percettivo sono: la vicinanza, la somiglianza, la continuità di direzione, la chiusura, la pregnanza, il destino comune, l’esperienza passata.” (Kanizsa, ibidem). 13

Rappresentazione e emozione

1  Il tentativo di comprendere il rapporto tra i processi psichici e

la struttura del sistema nervoso centrale ha dato vita, nella nostra epoca, al paradigma delle neuroscienze cognitive che è divenuto, per così dire, il paradigma scientifico dominante, paragonabile al paradigma delle scienze fisiche e a quello della genetica molecolare, rispettivamente all’inizio e nella seconda metà del secolo ventesimo appena trascorso. Le neuroscienze cognitive sono nate all’interno della corrente di pensiero chiamata, in genere, filosofia analitica. Questo modo di pensare sorto in Europa soprattutto sotto l’influenza del filosofo austriaco, di origine ebraica, Ludwig Wittgenstein, si è sviluppato tra i logici, soprattutto in Inghilterra e, in seguito, negli Stati Uniti, dove si è congiunto con il pragmatismo. Il pensiero angloamericano, d’impronta, appunto, analitica, viene, in genere, contrapposto al pensiero “continentale” che, tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, si è diffuso nella Mitteleuropa, sotto l’influsso della filosofia di matrice linguistica tedesca, caratterizzata, invece, da un’impronta sintetica e fenomenologica. Come è stato messo in evidenza da Husserl, soprattutto nell'opera Storia critica delle idee (1989), tutta la storia del pensiero europeo può essere osservata attraverso la dialettica tra due istanze filosofiche contrapposte e polari: quella dell’ idealismo e quella dello scetticismo. Platone e Aristotele, da un lato, e i Sofisti, dall’altro, all’inizio della filosofia greca classica, i realisti e i nominalisti, nel medioevo, i razionalisti, come Cartesio, e gli empiristi inglesi, nell’epoca moderna, e, infine, nell’epoca contemporanea, il pensiero analitico e quello sintetico fenomenologico. Questi poli possono venir guardati, in questa luce, come una contrapposizione vitale nel dar luogo allo sviluppo della cultura e della 14

Rappresentazione e emozione

civiltà europee. Si può considerare la filosofia analitica, come ha fatto, ad esempio, sir Michael Dummet, soprattutto nel libro Origini della filosofia analitica (2001), in rapporto al cosiddetto “mito platonico” delle idee. Lo spostamento dell’interesse dei filosofi dal pensiero al linguaggio avrebbe avuto origine, in questa luce, dalle difficoltà sorte in relazione all’ontologia delle idee. L’indicazione data da Wittgenstein, nelle Ricerche filosofiche (1999), di spostare lo sguardo dai fenomeni a ciò che si dice su di essi, vale a dire, sulle strutture linguistiche e sulla loro genesi storica, nel processo di comunicazione intersoggettiva, ha avuto la più grande rilevanza, assieme al concetto di “gioco linguistico”, nello sviluppo della filosofia analitica, nata appunto come una filosofia del linguaggio. Oltre a ciò, va notato che questo tipo di pensiero si è sviluppato, soprattutto, in ambito logico, e ha perciò privilegiato quel tipo di evidenza, cosiddetta “apodittica”, che riguarda la necessità nel rapporto tra le premesse e le conseguenze (if... then) delle proposizioni logiche, oltre che tutte quelle strutture di natura concettuale, coinvolte nella predicazione, chiamate, di solito, universali o categorie. Diversamente, la fenomenologia, nonostante l’impronta fortemente logica, datale da Husserl fin dalle sue Ricerche logiche (1968), nel tentativo di raggiungere, attraverso la riduzione fenomenologica, le cosiddette strutture “eidetiche”, pone l’accento sull’intuizione, intesa come la percezione del presente “in carne e ossa”, e, quindi, sull’evidenza che si ottiene immediatamente attraverso l’atto intuitivo. 2  Nello studio della mente animale, la psicologia sperimentale e

comparata hanno sviluppato metodi estremamente sofisticati, che hanno gettato luce sia sul comportamento che sulle regioni del sistema nervoso centrale coinvolte nei processi cognitivi. Nonostante ciò, il problema del dualismo mente-corpo non ha trovato ancora una soluzione soddisfacente e rimane uno dei problemi nodali della filosofia e della scienza. Inoltre, in questo tipo di studi sugli animali, viene attribuita particolare importanza ai processi di “categorizzazione”, che costituiscono una parte notevole dei proces15

Categorie e fisionomie

si cognitivi della mente umana. La coscienza degli animali viene messa a confronto con la coscienza umana attuale, spesso senza tenere in dovuto conto che il mondo animale, non avendo subito un’evoluzione culturale, si trova, in realtà, più vicino a quel tipo di coscienza che gli esseri umani possedevano prima e durante le epoche del “mito”. Come è stato osservato da alcuni autori, in particolare da Kurt Hübner (1990), l’ontologia del mito presenta caratteristiche molto diverse rispetto all’ontologia della scienza. In particolare, occorre rilevare che gli “universali mitici” non corrispondono agli “universali logici”, cioè alle categorie. Le strutture cognitive coinvolte nella conoscenza mitica sono strutture tipologiche, e presentano caratteri fortemente figurativi. Hübner chiama tali strutture con il termine di “essenze numinose”, e le descrive come entità dotate del carattere della “persona” e quindi le considera come entità di natura “fisiognomica”. Nello stesso senso, Tito Vignoli, antropologo e dal 1893 direttore del Civico Museo di Storia Naturale di Milano, nel libro Mito e scienza (1879), parlava del “dono della personificazione”, tipico della psiche animale e dell’umanità alle soglie tra preistoria e epoca mitologica. 3  Le teorie che configurano la moderna scienza della mente, nata,

come afferma Eric R. Kandel (1999), dalla confluenza della psicologia cognitiva con le neuroscienze, fanno uso, come accade per le scienze fisiche, di modelli, che rappresentano le strutture astratte, con cui si organizzano i concetti che riguardano i fenomeni e i fatti sperimentali. Anche il concetto di “rappresentazione”, fondamentale nella definizione del fenomeno psichico, viene elaborato secondo modelli, nella cui costruzione gioca un ruolo essenziale il criterio nominalisitico e empiristico di parsimonia, espresso incisivamente dal cosiddetto “rasoio di Occam” (Novacula Occami): “entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem”. Il modularismo, ad esempio, nella versione di Fodor, prevede un’architettura cognitiva distinta in strutture verticali, chiamate appunto “moduli” che trasformerebbero computazionalmente gli input in rappresentazioni. Diversamente, il connessionismo, un’altra corrente del16

Rappresentazione e emozione

le scienze cognitive, tende a far uso di modelli, basati su strutture, chiamate “reti neurali”, attraverso le quali, ad esempio, può venir elaborato il concetto di rappresentazione del mondo esterno (P. Legrenzi, R. Luccio, 1994). 4 L’ontologia del mito, diversamente, ha a che fare con “simboli”

e non con “modelli”. Il concetto di rappresentazione, nel contesto mitologico, deriva da configurazioni “fisiognomiche” che costituiscono delle unità di senso elementari e che sono dotate di struttura “simbolica”. Se si vuol comprendere il tipo di esperienze che sta alla base dei processi percettivi e del comportamento degli animali, e non solo manipolarne le strutture psichiche e nervose, al fine di ottenere risultati solo “utilitaristici”, occorre tener conto della loro “arcaicità” che risulta anche in rapporto con l’arcaicità delle loro strutture encefaliche. Nell’evoluzione del cervello animale, assistiamo alla progressiva comparsa di strutture nuove che non si sommano in modo lineare a quelle precedenti, ma implicano ogni volta un rimaneggiamento plastico del sistema nervoso nel suo insieme. Inoltre, queste trasformazioni “morfodinamiche” hanno luogo contemporaneamente alla trasformazione della morfologia globale dell’organismo e dello scheletro dei diversi tipi animali. Psicologia e morfologia possono, in questa luce, venir considerate nella loro connessione evolutiva e nelle connessioni “simboliche” che si realizzano tra le parti degli animali, osservati come delle totalità “tipologiche”. Nell’epoca moderna, Goethe è stato colui che più di ogni altro ha posto l’accento sull’importanza della morfologia e dell’osservazione spregiudicata dei fenomeni, nella conoscenza della natura. Forma e funzione, come sintesi e analisi, possono venir considerate come i due poli fondamentali entro i quali si svolge il divenire degli organismi viventi che, ad un certo punto dell’evoluzione, manifestano chiaramente la proprietà emergente della coscienza. La vita e il senso, cioè il contenuto intenzionale della coscienza, sono rispettivamente gli oggetti della biologia e della psicologia, e sono concetti strettamente connessi e inseparabili. Il senso, come la vita, non possono venir trattati “meccanici17

Categorie e fisionomie

sticamente”, essendo per loro natura entità organiche e sintetiche. Un essere di tipo organico possiede una struttura interna, articolata in modo gerarchico e complesso, per usare un termine in voga nell’epistemologia contemporanea. Sia la forma che la funzione sono il risultato della complessità dell’organizzazione e l’evoluzione della coscienza, quindi del processo di “rappresentazione”, va di pari passo con le trasformazioni morfodinamiche degli organismi e dei loro cervelli. In questo scritto, perciò, si tenterà di chiarire alcuni aspetti del fenomeno psichico che sono in rapporto con le trasformazioni della morfologia degli animali e dell’uomo. In particolare verranno presi in considerazione i concetti di “categoria” e di “fisionomia”, poiché entrambi questi concetti sono fondamentali per la comprensione e per la definizione del processo di rappresentazione che, come ha indicato chiaramente Franz Brentano (ibidem), sta alla base del fenomeno della coscienza. Verrà inoltre considerato il concetto di “emozione”, inteso come uno strato più arcaico e più profondo della rappresentazione, soprattutto alla luce di alcune considerevoli intuizioni di Max Scheler. Inoltre, si tenterà di mostrare, dal punto di vista dell’anatomia comparata e della biologia evolutiva, la connessione tra fenomeno psichico e cervello, tenendo conto delle strutture simboliche che, ai vari livelli evolutivi, caratterizzano i singoli tipi animali. 5  Si fa risalire a Cartesio la formulazione più esplicita del duali-

smo mente-corpo, nella forma della separazione del soggetto e del mondo, in una res cogitans e in una res extensa. La res extensa è lo spazio-tempo, la materia, mentre la res cogitans possiede natura solo temporale ed è ciò che il soggetto conosce dall’interno dei fenomeni psichici. Oltre che temporali, i fenomeni psichici ci appaiono immediatamente intessuti di senso. Un pensiero, un desiderio, un’emozione, un ricordo, vogliono dire qualcosa al soggetto. Perciò Franz Brentano, nel primo volume del libro La psicologia dal punto di vista empirico del 1874 (ibidem), ha affermato che tra i vari aspetti che caratterizzano in modo inequivocabile il fenomeno psichico, due risultano particolarmente rilevanti e cioè il suo 18

Rappresentazione e emozione

darsi nella forma della rappresentazione e l’intenzionalità. Non vi è coscienza senza queste due proprietà essenziali. Le rappresentazioni, quindi, in questa luce, risultano delle strutture temporali, dotate di un’intelaiatura di senso, cioè, possiamo dire, delle strutture senso-temporali, per distinguerle dai fenomeni fisici che sono, invece, strutture spazio-temporali. 6  Come abbiamo già affermato all’inizio di questo scritto, Hus-

serl ha dato un contributo essenziale allo studio delle rappresentazioni. Nell’opera, già citata, del 1913, dal titolo Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (2002c), egli ha distinto il processo rappresentativo in noesi e noema. Come aveva già sottolineato Brentano (ibidem), la rappresentazione consiste di due parti, il “rappresentare”, cioè l’atto, e il “rappresentato”, vale a dire, il contenuto. Considerata da un punto di vista psicologico questa distinzione, come annota Husserl nello scritto citato (ibidem), corrisponde a quella operata da Stumpf, in “apparenze” e “funzioni psichiche”, in particolare, la noesi, in quanto mette in forma le materie trasformandole in vissuti intenzionali, costituisce il lato funzionale dell’atto rappresentativo, mentre il noema ne costituisce il contenuto immanente di senso, il contenuto, appunto, di ciò che appare. “La percezione, per esempio, ha il suo noema, più radicalmente il suo senso percettivo, ossia il percepito come tale. Allo stesso modo ogni ricordo ha il suo ricordato come tale appunto come il suo ricordato, precisamente come è inteso, come è dato alla coscienza nel ricordo; e il giudicare ha il suo giudicato come tale, il godere ha il suo goduto come tale, etc.. Il correlato noematico che è detto qui (in un significato molto ampliato ‘senso’) è sempre da assumere esattamente quale si trova ‘immanentemente’ nel vissuto della percezione, del giudizio, del godimento, etc., ossia quale ci viene offerto dallo stesso vissuto, se noi lo interroghiamo nella sua purezza.” (ibidem). Occorre notare, che la distinzione operata da Husserl non risulta meramente psicologica, ma è fenomenologica, in quanto si riferisce alla questione eidetica, cioè a cosa sono la percezione e la rappresentazione come 19

Categorie e fisionomie

tali, nella loro purezza, nella loro essenza. La psicologia studia la natura, mentre la fenomenologia si occupa dei fenomeni, non in quanto meramente esperiti, ma si occupa dell’esperire stesso, cioè della coscienza pura. Perciò Husserl paragona spesso la fenomenologia alla geometria, che studia lo spazio puro, ideale, mentre la psicologia può essere paragonata alla fisica che, in quanto scienza della natura, ha a che fare con spazi concreti e reali (E. Husserl, 2003). Le rappresentazioni vengono, in generale, articolate attraverso il linguaggio. Le rappresentazioni particolari devono venir trasformate in rappresentazioni generali che sono le strutture attraverso cui si costituisce e si articola la predicazione. Tuttavia, ciò che appare nella coscienza non consiste solamente nelle proposizioni, con cui ha a che fare la predicazione, ma si manifesta sotto forma dell’immagine. Come afferma chiaramente Maurice Merleau-Ponty (Fenomenologia della percezione, 1965): “Nel silenzio della coscienza originaria, si vede apparire non soltanto ciò che vogliono dire le parole, ma anche ciò che vogliono dire le cose, il nucleo di significato primario attorno al quale si organizzano gli atti di denominazione e di espressione.”. Parole e immagini sono termini che indicano cose diverse, anche se entrambe hanno a che fare, in modo essenziale, con il significato. 7  Sia il cogito di Cartesio che le idee di Locke, si riferiscono all’at-

tività rappresentativa, in modo generico, comprendendo in sé sia il pensiero logico, sia la percezione, che l’immaginazione e l’attività mnemonica. Con il termine “psicologismo”, si intende in genere designare in modo polemico “la confusione tra la genesi psicologica della conoscenza e la sua validità.” (N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, 1977). L’atto psichico del pensare, cioè il pensiero empirico, si costituisce come un processo temporale, nella coscienza, e va distinto dal contenuto logico che “ha altro modo di essere, quello della validità.” (ibidem). La connessione dei concetti e delle idee si articola nel “logos” e non nel “tempo”, per cui queste strutture sono da considerarsi “atemporali”. Perciò, Frege (F. L. G. Frege, Ricerche logiche, 1988), ricorse al suo concetto di “terzo 20

Rappresentazione e emozione

regno”, per indicare una regione dove i pensieri “sono” nella loro verità atemporale. Tra concetto e idea, da un lato, e rappresentazione, dall’altro, intercorre una differenza ontologica e gnoseologica fondamentale, essendo le rappresentazioni delle strutture temporali, anche quando portatrici di un contenuto logico e eidetico. Con il nominalismo e, poi, con l’empirismo, i concetti e le idee, cioè i cosiddetti “universali”, sono divenuti meri schemi astratti, dotati solo della consistenza di un flatus vocis, e si è cominciato, perciò, a confonderli con le rappresentazioni generali della coscienza empirica che si costituiscono, come insegnava Hume, nel suo Treatise, attraverso l’abitudine, cioè attraverso “la disposizione, prodotta dalla ripetizione di un atto, a rinnovare l’atto stesso senza che intervenga il ragionamento.” (N. Abbagnano, ibidem). Le idee astratte non sono, in questa luce, che idee particolari assunte come segni di altre idee particolari simili. La connessione, poi, tra l’idea e la parola, già messa in evidenza da Locke, è stata considerata sempre più fondamentale, soprattutto nell’ambito logicoempiristico di lingua inglese, fino alla cosiddetta “svolta linguistica” (linguistic turn), allorquando, sotto l’influsso di Wittgenstein, il pensiero è stato escluso dalla teoria della conoscenza, e si è cominciato a considerare solo il linguaggio. La dimensione segnica è divenuta perciò predominante, nello studio della percezione e delle rappresentazioni. Solo in ambito fenomenologico, si è rivendicata la natura di immagine delle rappresentazioni percettive e si è cercato di indagarne la struttura profonda. Nell’ambito dell’empirismo, si tende invece a considerare la percezione come un’interpretazione segnica e tale atteggiamento si può già riscontrare in Hobbes, e lo si ritrova anche in alcuni psicologi tedeschi, tra cui Helmoltz, che considera la percezione come una vera e propria “inferenza inconscia”. 8  Uno dei problemi fondamentali della percezione riguarda il suo

essere essenzialmente uno stato “presente”. Questo fatto è stato profondamente sottolineato da Husserl che, a più riprese, ha messo in evidenza come la percezione offra alla coscienza il presente 21

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immediato “in carne e ossa”. I fenomeni puri, perciò, non corrispondono agli oggetti, i quali costituiscono delle realtà che si manifestano nei fenomeni. L’idealismo fenomenologico-trascendentale di Husserl costituisce la concezione che “accetta la sfida scettica ad attenersi all’ambito del fenomeno e, proprio a partire dalla struttura dell’esperienza fenomenica, mostra come, nell’esperienza, sia proprio la cosa stessa a darsi… Il fenomeno non è, dunque, una parvenza o una copia, ma il manifestarsi del reale. Di conseguenza, la cosa non è una collezione di sensazioni tenute insieme dal nome. Questa prospettiva fenomenista è proprio quella che apre la strada all’enfatizzazione del ruolo del linguaggio e, in generale, della spontaneità concettuale nella costituzione dell’esperienza. Vi è, in altri termini, una solidarietà sistematica tra fenomenismo e costruttivismo, e sono i presupposti che reggono queste due concezioni, opposte ma forse fondamentalmente solidali, che Husserl intende lasciarsi alle spalle.” (Vincenzo Costa, La questione della cosa e il realismo, in Edmund Husserl, La cosa e lo spazio – Lineamenti fondamentali di fenomenologia e critica della ragione, 2009). “ ‘Oggetto’, ‘ente’ nel senso logico più ampio significa soggetto di predicazioni vere.” (E. Husserl, 2003). “Oggetto”, perciò, risulta già una struttura “teoretica”, mentre “fenomeno” indica un’entità “prelogica”, quindi “ante-predicativa”. È questo il significato fondamentale del suo essere presente. In breve, per Husserl, la percezione, in quanto intuizione piena e originaria del presente immediato, fornisce il “principio dei principi” (J. Derrida, La voce e il fenomeno – Introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl, 1997), cioè l’evidenza “originariamente offerente”. Quando consideriamo la percezione del mondo esterno, ci troviamo di fronte a un’immediata polarità, che sussiste tra la percezione visiva e la percezione uditiva. La visione ci offre una realtà, che nella sua essenza risulta simultanea. È questa la proprietà più immediata della dimensione spaziale, che, come afferma Leibniz, consiste nell’ordine della coesistenza. Una molteplicità di elementi è data tutta insieme, contemporaneamente. Una forma, come una 22

Rappresentazione e emozione

figura geometrica, ad esempio un quadrato disegnato, è originariamente costituita da una molteplicità di elementi che sono dati simultaneamente, come afferma, ad esempio, Christian von Ehrenfels (Le qualità figurali, 1979), considerato il padre della psicologia della Gestalt. Diversamente, nella percezione uditiva, la forma, ad esempio una melodia, può costituirsi solo attraverso un processo temporale, nell’ordine della successione, come lo chiama Leibniz. Questi elementi si collegano tra loro nel tempo e nello spazio, nella tradizione sensista che ha origine dall’empirismo inglese, sono entità atomistiche tra loro separate e divengono percepibili, attraverso la mera associazione, per cui le cose non risultano altro “che complessi associativi, che si rimandano gli uni agli altri in forza dell’abitudine, che si presentano secondo una regolarità empirica come coesistenti o successivi, nell’esperienza sensibile.” (E. Husserl, Storia critica delle idee, 1989). L’empirismo compie un salto ontologico tra la percezione e il pensiero, inteso come pensiero inferenziale, cioè logico. Le sensazioni elementari sono caratterizzate da un’omogeneità confusa di elementi puntiformi, mentre ciò che si configura come conosciuto, è già un’idea, cioè pensiero. La concezione empiristica è ben riassunta da una considerazione di Helmoltz, riportata da Paolo Bozzi (Unità, identità, causalità, 1969): “Nella misura in cui la qualità della nostra sensazione ci dà notizia del fattore esterno, dal quale essa è stata suscitata, essa può valere come un segno, ma non certo come un’immagine. Da un’imma­ gine si desidera infatti una somiglianza con l’oggetto raffigurato: da una statua l’uguaglianza di forma, da un disegno l’uguaglianza della proiezione prospettica nel campo visivo, da un dipinto si desidera altresì l’uguaglianza dei colori. Un segno, invece, non deve avere alcuna somiglianza con ciò di cui è segno. Il rapporto tra i due termini si limita al fatto che un uguale oggetto, agendo in circostanze uguali, evoca lo stesso segno, e che segni diversi corri­ spondono, dunque, sempre ad azioni diverse.”. Per Husserl, invece, gli elementi che costituiscono una forma percettiva sono delle proprietà, cioè sono già in sé unità di senso. Inoltre, “il presentarsi in dati sensoriali, è qualcosa di completa23

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mente diverso dall’interpretare segnico.” (E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, 1993). La percezione, infatti, per il filosofo “è coscienza originale di un oggetto individuale, temporale, e per ogni ‘ora’ abbiamo nella percezione la sua impressione originaria nella quale l’oggetto viene originalmente afferrato nell’ora, nel suo momentaneo punto di originalità.” (ibidem). 9  Gli oggetti esterni sono costituiti di parti, ad esempio, un organismo è composto di tessuti e di organi. Un animale possiede arti, coda, testa, etc., e queste parti, come anche gli organi interni, si collegano tra loro, attraverso connessioni anatomiche. Tuttavia, la connessione che si offre alla coscienza nel presente percettivo non ha natura anatomica, ma risulta una connessione di senso. È una proprietà essenziale della coscienza umana l’unificazione dell’esperienza, secondo una sintesi di senso. Una sintesi che è, inoltre, fondamentalmente temporale. Possiamo perciò affermare che la coscienza, essenzialmente, risulta in una sintesi senso-temporale dell’esperienza, che si manifesta sotto forma di rappresentazione. A questo proposito, occorre precisare che sia Husserl che Frege fanno un’importante distinzione tra significato e senso (2). In particolare, Husserl considera il senso, non solo da un punto di vista linguistico, ma anche dal punto di vista degli aspetti noetico-noematici della percezione, sottolineando che tutti gli atti connessi con questa sfera presentano un carattere espressivo. Il significato logico risulta, in questa prospettiva, l’espressione concettuale, o universale, del senso percettivo. Il concetto, il significato, costituiscono l’espressione compiuta della cosa percepita. Il senso, invece, sta a fondamento della rappresentazione, quindi del fenomeno psichico. Naturalmente, risulta chiaro, che il senso si manifesta attraverso una sintesi temporale, mentre il significato è logico, quindi “atemporale” [Husserl chiarisce molto bene questi aspetti nelle Lezioni sulla sintesi attiva, 2007]. La natura di presente immediato che possiede, essenzialmente, la percezione, secondo Husserl, pone, tuttavia, notevoli difficoltà, se si studia profondamente il processo che porta alla costituzione della rappresentazione. Sen24

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za rappresentazione sembra che non vi sia possibilità di un’esperienza cosciente, poiché, come abbiamo detto, la sintesi che rende possibile l’esperienza cosciente, è una sintesi senso-temporale. La coscienza deve “ritenere” il contenuto di senso che costituisce la rappresentazione. La percezione pura, il presente assoluto, sembra irraggiungibile per la coscienza. Forse per questo, gli antichi Greci distinguevano tra “attimo”, in greco “ἐξαίϕѵης”, e “istante” o “ora”, in greco “τὸ ѵῦѵ”, indicando, col primo, un’entità metafisica, come in Platone, che “non è né il tempo né l’eternità, né il movimento, né la quiete, ma sta in mezzo tra essi e costituisce il loro punto d’incontro.” (N. Abbagnano, ibidem), e, con il secondo, il minimo tempo possibile nell’esperienza vissuta. Se consideriamo queste entità, da un punto di vista mitologico, viene subito in mente di riferire l’attimo alla dimensione “apollinea”, mentre l’istante, o l’ora, la res fluens, come la chiamavano i filosofi medievali, in quanto flusso eracliteo, richiama la dimensione del “dionisiaco”. La simultaneità, che risulta connessa con il concetto greco dell’attimo, è una proprietà che appartiene alla sfera delle idee e del significato, cioè alla sfera del logos. La coscienza empirica, che si svolge in processi temporali, ha a che fare solo con la res fluens, con il “flusso eracliteo”, come lo chiama Husserl. A questo proposito, Max Scheler, nello scritto del 1912, dal titolo Gli idoli della conoscenza di sé (in Il valore della vita emotiva, 1999), afferma: “In realtà, lo sviluppo del significato si compie in forma rigorosamente simultanea con l’elaborazione di rappresentazioni simultanee... il ‘comprendere’ l’idea, cioè l’impossessarsi dell’intenzione unitaria che domina il successivo discorso – come vediamo nei casi in cui dapprima non capiamo, ma oscilliamo di qua e di là – non è un processo che cresce lentamente... bensì un atto che interviene improvvisamente in un luogo determinato, paragonabile a una luce, che illumina di colpo il buio. Del tutto analogamente, anche l’unità di una melodia viene ‘compresa’ d’un colpo; lo stesso avviene per il ‘senso’ estetico di un complesso di colori e di forme.”. Questo punto di vista, che è condiviso anche dalla psicologia della Gestalt, mette in evidenza il carattere irriducibile di totalità 25

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unitaria di ciò che, nelle strutture percettive, costituisce la parte ideale, concettuale o, in generale, significativa. Gli psicologi della Gestalt attribuiscono un carattere di “campo” a queste strutture formali globali. Da queste considerazioni, risulta chiaro che ciò che viene dato, in un atto percettivo, nella coesistenza, ad esempio, per i fenomeni visivi, e, nella successione, per i fenomeni uditivi, non è il senso, ma la molteplicità degli elementi fisici, i colori, le forme, i suoni, etc.. Tuttavia, la percezione visiva, per la sua proprietà essenziale di fornire gli elementi di una molteplicità fenomenica tutti insieme d’un colpo, costituisce la forma suprema di percezione, quella che, fisicamente, più si avvicina alla simultaneità della dimensione dei concetti, delle idee e, quindi, del significato. Perciò, già nella parola greca “theoria” (θεωρία) è contenuta la radice del verbo greco “orao” (ὁράω), vedere. Vedere è ciò che più si avvicina, nella sfera della percezione, al pensiero, inteso come coglimento diretto e immediato dell’idea. Diversamente, l’udito, per la sua necessità di accoglimento dei suoni in una successione, implica l’intervento della memoria, di qualcosa di imparentato con la morte. Il problema nodale dell’intervento della memoria, nel processo percettivo, è stato al centro degli interessi di Husserl, soprattutto, nelle lezioni e studi (1904/5-1910), pubblicate, come già detto, sotto il titolo di La coscienza interiore del tempo (2002a). In questo scritto, viene analizzato profondamente il processo di “ritenzione”, cioè quella componente della memoria, che sta alla base del costituirsi delle rappresentazioni. Il presente percettivo, il presente vivente, “in carne e ossa”, come lo chiama Husserl di frequente, costituisce la sfera o l’oggetto proprio dell’atto percettivo, il punto nodale, che sta al centro dell’interesse della fenomenologia. Sul presente, dato pre-categorialmente, in modo immediato e originario, si fonda l’evidenza dell’atto intuitivo. Tuttavia è chiaro che la possibilità della rappresentazione, cioè della connessione di senso, immanente alla coscienza, è strettamente legata alla “ritenzione”, cioè al consolidamento cosciente del dato percettivo. Il senso, il contenuto intenzionale dell’ogget26

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to percettivo, non è una riproduzione fotografica dell’albero, del paesaggio, del volto, che esistono fuori, nel mondo fisico esterno. Come lo spazio reale, così anche il senso immanente è inconcepibile senza una durata, pur non essendo soggetto a leggi naturali, come invece accade agli oggetti del mondo esterno. “Tutto ciò che, in maniera puramente immanente e ridotta, è proprio del vissuto, tutto ciò che non è in sé, e che nell’atteggiamento eidetico emerge eo ipso come eidos, è separato da un abisso da ogni natura e scienza fisica, e non meno da ogni psicologia.” (E. Husserl, ibidem). E, tuttavia, e proprio qui, si fa valere la distinzione tra significato e senso (tra Bedeutung e Sinn). Il senso può essere osservato solo nel tempo. Ma quanto tempo? Il tempo puntuale, l’istante, risulta un’entità empirica, quindi misurabile. Se la percezione deve essere tenuta distinta da un atto logico, se la sua natura è, come afferma la fenomenologia, di tipo pre-categoriale, poiché l’attimo risulta percettivamente irraggiungibile, la sua sfera di manifestazione, il suo dominio deve essere l’istante, il tempo puntuale. A questo proposito sono state dette molte cose. Alexius von Meinong (Gli oggetti d’ordine superiore in rapporto alla percezione interna, 1979), per esempio, ha mutuato da W. Stern, il concetto di “tempo di presenza” (Präsenzzeit). Questo concetto dovrebbe indicare la temporalità propria dell’atto percettivo, cioè una sorta di “risonanza” del presente. “Se si può percepire un tono o un colore, allo stesso modo”, afferma Meinong, “si può percepire anche una melodia o un movimento, purché si svolgano entro i limiti del ‘tempo di presenza’.”. Questo tempo costituirebbe, con la sua durata, l’unità della percezione, e, in questo modo, il sottile confine tra sapere percettivo e sapere mnemonico, perderebbe molto del suo significato ontologico. 10  Husserl chiama “ricordo primario” la ritenzione e “ricordo

secondario” la rimemorazione, cioè la “riproduzione di contenuti obiettivi di tempo” (La coscienza interiore del tempo, 2002a). La fenomenologia, in quanto metafisica della presenza, attribuisce un valore assoluto al momento presente, in quanto punto di ori27

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gine che va tenuto distinto da ogni riproduzione. Tuttavia, come fa notare Derrida (1997), Husserl ha affermato “che la ritenzione è ancora una percezione”. Nel “ricordo primario”, infatti, il passato si costituisce in modo “presentativo”, non “ripresentativo”, come nel “ricordo secondario”, cioè, nella rimemorazione. La ritenzione è percezione originaria del passato, che in essa vi trova il suo punto sorgivo. Da quanto è stato detto, risulta chiaro che, se l’attimo, in quanto entità di natura ideale, è costituito dalla connessione originaria, indipendente dalla durata, l’istante, in quanto entità reale, deve, invece, possedere una quantità misurabile di tempo, in grado di distinguere, ad esempio, all’interno del mondo animale, le innumerevoli e variegate esperienze della coscienza, nel suo divenire filogenetico. Ci devono, cioè, essere temporalità diverse in animali diversi. A questo proposito, sono interessanti le considerazioni di Jacob von Uexküll, nello scritto del 1934, dal titolo I mondi invisibili (1936). Lo zoologo tedesco definisce l’istante, come “il più breve intervallo di tempo durante il quale l’ambiente non varia in modo percettibile. Per la durata dell’istante, il mondo rimane immobile: e per l’uomo un ‘istante’ dura 1/18 di secondo.”. Come afferma lo stesso autore, questi dati sono forniti dalla visione cinematogafica. Infatti, per la proiezione di una pellicola, è necessario che l’immagine resti immobile per un istante. Questa durata minima permette che avvenga la ritenzione di ogni immagine, e che quindi il processo rappresentativo abbia luogo (4). 11  Come è stato detto, Franz Brentano ha fondato l’essenzialità

del fenomeno psichico sulla intenzionalità e sulla rappresentazione. Quesi due concetti cardinali sono anche il punto di partenza della fenomenologia. Fin dagli studi di Locke, Hume e Berkeley, fino alla fenomenologia e alla psicologia della Gestalt, lo studio della percezione del mondo esterno ha svolto un ruolo cruciale sia nella chiarificazione che nella definizione dei fenomeni psichici. Questo fatto ha portato alla tendenza a studiare il mondo della coscienza, 28

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concentrandosi sulla forma del mondo della percezione esterna. Questo mondo risulta per eccellenza un mondo dato e fornisce, quindi, un punto di partenza fondamentale per l’indagine sulla costituzione della struttura percettiva. Per Max Scheler, tuttavia, l’aver trovato nello spazio e nel tempo del mondo esterno “quella forma indeducibile di molteplicità” (Il valore della vita emotiva, 1999) tipica della coscienza, costituisce “una delle fonti di illusione più fondamentale” della psicologia. L’unità e molteplicità dei dati della percezione interna è cosa molto diversa da quella dell’essere naturale, di cui tratta la fisica. “Così come quest’ultima molteplicità”, afferma Scheler, “rappresenta un essere separato (auseinender), che caratterizza in maniera identica le forme dello spazio e del tempo e attraverso il cui ordine specifico si possono ancora determinare le diversità di spazio e tempo, la molteplicità psichica originaria, quale è colta in connessione essenziale con l’essenza dell’atto, rappresenta una molteplicità in cui non c’è più alcun essere separato. Qui c’è solo l’essere insieme (zusammen) non ulteriormente definibile nell’io, dove ‘io’ significa solo la specifica forma di unità di tale molteplicità.” (ibidem). Il dato dell’essere separato, come sottolinea l’autore, costituisce un fenomeno “contenuto sia nella molteplicità spaziale, sia in quella temporale.” (ibidem). Sentimenti, idee, immagini, stanno insieme, in gran quantità, negli atti della percezione interna, in un modo che non è né temporale, né spaziale, bensì, come afferma Scheler, intuitivo, “sebbene sui generis”. 12  Uno dei più importanti contributi dati da Scheler alla psicolo-

gia è stato quello di portare l’analisi fenomenologica fin nel nucleo più profondo ed essenziale del fenomeno psichico, cioè fin dentro alla vita emotiva. Le emozioni costituiscono, infatti, una tipologia di fenomeni psichici che va tenuto ben distinto dai cosiddetti processi rappresentativi. La segmentazione degli stati mentali in stati rappresentazionali risulta fondamentale, nell’espressione linguistica del pensiero, 29

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che avviene ordinando le rappresentazioni in quelle strutture del linguaggio, chiamate proposizioni. Queste ultime consistono, essenzialmente, nell’articolazione di un predicato con un soggetto, attraverso un verbo. “Questo è rosso”, ad esempio, è una tipica proposizione che esprime un giudizio percettivo. Un termine particolare viene connesso con un termine generale. Esistono tuttavia esperienze percettive che non possono venir tradotte, immediatamente, in termini cognitivi. Si pensi soltanto alla musica, la cui articolazione temporale offre un esempio di segmentazione non-linguistica degli stati di coscienza. Sono state tentate numerose classificazioni delle rappresentazioni e delle emozioni, sia nell’ambito della fenomenologia che in quello della psicologia cognitiva (si veda ad esempio il breve saggio di Simone Gozzano dal titolo Ipotesi sulla metafisica delle passioni (in Filosofia ed emozioni, 1999). Tuttavia, uno dei nodi fondamentali della psicologia (e della fenomenologia) consiste nella chiarificazione del rapporto tra ciò che è particolare e individuale e ciò che è generale. Questo problema di filosofia prima sta alla base di innumerevoli confusioni, sia nelle indagini sulle rappresentazioni, che in quelle sulle emozioni. Nel caso delle emozioni, viene messa in dubbio, ad esempio da Scheler (Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, 1996), la loro “rappresentabilità”. “I valori”, afferma Scheler, “ci sono dati anzitutto nella percezione affettiva.”. Tuttavia, il filosofo mette in guardia dal rischio di “intellettualizzare”, come fa Brentano, la “vita delle tendenze”, la quale non si dà alla coscienza in forma di rappresentazione. Scheler distingue, perciò, la “coscienza che tende” dalla “coscienza della tendenza” (ibidem). L’impulso, che sta alla base di un’emozione, non presuppone una rappresentazione dell’oggetto che l’ha generato. “La ricchezza, l’ampiezza e la differenziazione della nostra tendenza non dipendono mai univocamente dall’ampiezza, dalla ricchezza e dalla differenziazione della vita intellettiva, della nostra rappresentazione o del nostro pensiero. Esso possiede una sua propria origine ed una sua specifica profondità significativa.” (ibidem). 30

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La vita emotiva ci connette immediatamente con il mondo che ci circonda, il quale ci attrae o ci respinge (si pensi alla vita animale), in rapporto con i nostri bisogni più fondamentali. Lo spaventapasseri che inganna gli uccelli, li illude con la sua parvenza fisiognomica, senza bisogno di una categorizzazione di tipo concettuale. Esso respinge immediatamente perché la sua fisionomia penetra direttamente. 13  Il carattere in cui sentimenti, idee e immagini stanno insieme

nell’io, probabilmente, in gran quantità in ogni atto determinato della percezione interna, e che, come è stato detto, non risulta, secondo Scheler, né temporale , né spaziale, bensì “intuitivo sebbene sui generis”, “diventa tanto più chiaro quanto più, dagli strati periferici dei fenomeni di coscienza, lo strato delle immagini sensoriali e dell’io corporeo, dove è particolarmente difficile la distinzione di fisico e psichico, ci volgiamo agli strati situati più in profondità, quelli della sfera del sentire e tendere spirituale e della sfera del pensiero. Anche l’apparenza di un ‘essere separato’ declina sempre di più, quanto più, muovendo verso il centro, ci spostiamo verso quella parte dello psichico il cui carattere è particolarmente marcato; e che proprio perciò può essere punto di partenza per la conoscenza dell’essenza dello psichico in generale... Ciò che è stato detto”, continua Scheler, “indica che il mondo della coscienza, già per la forma che lo costituisce, è un mondo totalmente diverso da quello della percezione esterna; e mostra anche che noi dobbiamo per così dire lottare con il nostro linguaggio del mondo esterno anche solo per descrivere la conformazione più semplice. Una delle fonti di illusione più fondamentali consiste allora nel fatto che trasferiamo quella forma indeducibile di molteplicità, più o meno immaginosamente, nelle forme di spazio e tempo a noi note dal mondo esterno, e ciò in particolare in virtù del fatto che al posto dei fatti psichici in sé mettiamo puri simboli, che dovrebbero adempiere una funzione analoga a quella svolta per gli oggetti fisici e il loro ordinamento spazio-temporale; e, rispettivamente, al loro posto, [mettiamo] l’ordinamento dei pro31

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cessi corporei e delle parti del corpo vivente, ai quali essi aggiungono una relazione accertabile; e infine i fenomeni e i movimenti espressivi corporei da essi suscitati. Ciò viene in luce in primo luogo nelle molteplici immagini desunte dal mondo esterno, che minacciano sempre di nuovo di occultare la specificità della molteplicità e dell’unità di coscienza.” (M. Scheler, 1999). 14  “Una delle più copiose fonti di illusione della percezione in-

terna e in particolare dell’autopercezione interna è data inoltre dal significato rivestito dalla comunicabilità dei vissuti e delle possibili conseguenze della comunicazione per la loro percezione e comprensione. Sarebbe un grave errore”, continua Scheler, “che lo strumento della comunicazione, il linguaggio, avesse solo il significato e la funzione di comunicare vissuti già percepiti. In realtà, l’influsso si spinge molto più in là. I significati verbali per i fatti psichici, che noi ereditiamo dalla tradizione, esercitano piuttosto una forza largamente determinante per ciò che noi in generale percepiamo in vissuti propri e estranei. Un vissuto, per il quale non sussista alcuna parola specifica, oppure la particolare qualità di un vissuto per il quale esista solo un significato verbale del tutto generale, indifferenziato, perlopiù non viene percepito neppure dall’individuo che lo esperisce, o è percepito solo nella misura in cui corrisponde a quel significato verbale. Non è quindi che, per ‘comprendere’ e usare un significato verbale, che ha per oggetto lo psichico, dobbiamo già aver vissuto noi stessi e interiormente percepito il vissuto relativo. Un bambino conosce i significati verbali di ‘gelosia’, ‘compassione’, ‘paura della morte’ ecc. ben prima di aver scoperto in sé questi vissuti. E a priori è diretto verso i suoi vissuti in modo di cogliere più nettamente solo quelli che sono adatti a riempire quei significati verbali... Noi non scorgiamo innanzitutto nella nostra vita psichica i fenomeni vissuti in sé, bensì le interpretazioni che ce ne vengono fornite dalla tradizione verbale della comunità.” (M. Scheler, ibidem). 32

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“La psicologia associazionistica” afferma ancora Scheler, “che fa della nostra anima una società democratica di elementi ultimi, ha il suo ultimo fondamento nel fatto che in essa solo l’’io sociale’ dell’uomo diventa oggetto di conoscenza. In realtà però l’io individuale è un’unità inscindibile, che si vive insieme a ogni esperienza. Ciò che chiamiamo ‘vissuti’, non sono parti dell’io, bensì simboli astratti per la stessa unità, a partire dai quali ricostruiamo di nuovo quella totalità unitaria a scopo di comprensione sociale.” (ibidem). 15  Nella tradizione empiristica inglese, ma anche in autori tede-

schi come Helmoltz, il processo percettivo viene concepito come un atto di interpretazione segnica o come un’inferenza inconscia, in ogni caso come un atto “intellettuale”, contrassegnato, essenzialmente, da un’integrazione cognitiva, in cui interviene il pensiero. Thomas Hobbes può considerarsi il massimo esponente di questa tendenza della gnoseologia inglese. L’elemento essenziale della ragione umana è il linguaggio, caratterizzato dall’uso di “segni” convenzionali idonei a designare le idee delle cose che sono nella mente. Il ragionamento funziona come un “calcolo” operato sulle idee. La percezione non costituisce né una somiglianza con l’oggetto percepito, né un’analogia, ma risulta, essenzialmente, un processo “simbolico” di interpretazione “segnica”. L’aver posto il linguaggio e non il pensiero alla base del processo percettivo, può essere considerato un importante passo verso ciò, che in un tempo successivo, porterà allo sviluppo della “filosofia analitica” (o filosofia del linguaggio). A questo proposito, Husserl, nelle lezioni tenute a Friburgo, nel semestre invernale 1923-24, e pubblicate sotto il titolo di Erste Philosophie (in Storia critica delle idee, 1989), afferma: “È necessario a questo punto mettere in risalto un nuovo tipo di errori fondamentali che, a partire dall’empirismo inglese, hanno determinato in modo gravido di conseguenze l’intera filosofia moderna. Essi sono indubbiamente un antico male ereditario, un’eredità dello scetticismo classico e del nominalismo medievale, che trapassa con Hobbes 33

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nel cosiddetto empirismo moderno. Il nostro tema è la cecità nei confronti delle idee e delle leggi ideali nel senso platonico correttamente inteso.”. 16  La sesta Meditazione metafisica di Cartesio introduce, insieme

al pensiero puro (intellezione) e alla percezione sensibile, la memoria e l’immaginazione, come gradi progressivi che articolano il “cogito” in un modo gerarchico, dallo spirito fino al corpo (Cartesio, Meditazioni metafisiche, 1998). Che rapporto intercorre tra la percezione, il pensiero, la memoria e l’immaginazione? La figura 1 mostra un volto. Affermare che la figura rappresenta un volto significa riconoscere le somiglianze degli attributi o proprietà del disegno che giace nello spazio bianco del foglio, e costituisce un’unità, una totalità di parti che nella rappresentazione percettiva si ricostituiscono nella temporalità immanente della coscienza che si chiama, tradizionalmente, “ritenzione”. Tali attributi sono, nella percezione visiva, perlopiù accolti in un atto “simultaneo” a differenza, ad esempio, di una melodia. Come afferma Husserl, nella nota 1, Lezione XXI, del testo citato (1989), “Hobbes (come in seguito anche Locke) identifica la cosa della percezione – l’unità che fun1 ge da sostrato alle proprietà percepite – con il complesso di dati dei sensi che divengono visibili costantemente nella riflessione sulla sensazione, complesso che ‘ha’ i propri dati singoli come elementi di una collezione, ma in nessun modo a titolo di proprietà. Va tenuto chiaramente presente che già una singola proprietà è data come unità sintetica evidente nella continuità della sua percezione.”. Non percepiamo una sintesi di atomi sensoriali che si associano, ma proprietà, 34

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o meglio unità di “senso”. Nel secondo libro del Saggio sull’intelligenza umana ( J. Locke, 2003) viene analizzata l’astrazione. L’astrazione viene resa possibile dalla somiglianza che intercorre tra le singole cose. Locke ha messo in luce la stretta connessione, già riconosciuta da Hobbes, del procedimento dell’astrazione con la funzione simbolica del linguaggio. “Questo è ciò che si chiama astrazione, mediante la quale le idee tratte da esseri particolari diventano le generali rappresentanti di tutti gli oggetti della loro specie, e i loro nomi diventano nomi generali, applicabili a tutto ciò che esiste ed è conforme a tali idee astratte. Tali nude e precise apparenze nella mente, l’intelligenza le mette da parte (assieme ai nomi che comunemente vanno loro connessi), senza fermarsi a considerare come, da dove o con quali altre idee le siano venute, come altrettanti modelli per classificare gli esseri esistenti sotto diverse specie, a seconda che essi corrispondano a quegli esemplari, e per denominarli in conformità. Così, venendo oggi osservato nel gesso o nella neve lo stesso colore, che ieri la mente ha ricevuto dal latte, essa considera quella sola apparenza e ne fa una rappresentazione di tutte le altre idee della medesima specie; e avendogli dato il nome bianchezza, con questo suono significa la medesima qualità dovunque essa venga immaginata o incontrata; e così vengono composti gli universali, che si tratti di idee o di termini.”. Questo modo di procedere tende ad assumere nel processo percettivo solo quelle caratteristiche che manifestano una somiglianza maggiore, rinunciando alle determinazioni particolari e tipicamente individuali, e le prendiamo in astrazione dalle altre, non considerando ad esempio le circostanze di tempo e di luogo e le altre caratteristiche che sono proprie di questo o di quell’individuo particolare e lo differenziano dagli altri: abbiamo così ottenuto un’idea generale, la quale, proprio in quanto astratta, può rappresentare un gran numero di individui, anziché uno solo. “All’idea astratta si associa agevolmente il linguaggio, cioè quel segno convenzionale atto a suscitare nel commercio umano la presenza di certe idee generali. Nasce ad esempio la parola ‘uomo’ che è segno dell’idea generale corrispondente, la quale a 35

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sua volta sta al posto di un certo numero di individui realmente esistenti.” (E. Husserl, 2002a). L’affermazione, del tutto legittima, che la figura 1 è un “volto”, rappresenta un tipico giudizio percettivo, che, nella vita quotidiana, non risulta certo privo di utilità pratica. La rapidità, con cui la maggior parte degli esseri umani è in grado di compiere questo tipo di giudizio è senz’altro legata all’abitudine e alla frequenza con cui incontriamo dei volti nella nostra vita quotidiana. La sintesi che compiamo nel produrre questa rappresentazione è una “sintesi delle somiglianze”. In questo caso particolare la sua funzione risulta del tutto innocua e dotata di una certa utilità pratica. Tuttavia, se l’esperienza percettiva si riduce, in generale, solo a ciò, può costituire un grande “impoverimento” e una tendenza a vivere in luoghi comuni. Si pensi all’esperienza di un essere umano davanti al mare, alla natura, al mondo delle opere d’arte, etc.. Nel libro Esperienza e giudizio (1995), Husserl avverte che il mondo in cui viviamo e in cui si compiono le nostre attività di coscienza, “ci è sempre dato in anticipo come permeato dai sedimenti delle operazioni logiche.”. Viviamo nell’epoca della “scienza”, in un mondo fortemente afflitto dalle astrazioni, dai luoghi comuni, dai codici e dagli acronimi, dalle spiegazioni attraverso modelli teorici, pervaso dalle categorie con cui ci illudiamo di comprendere la molteplicità variegata della realtà, attraverso una massima economia di concetti e di rappresentazioni generali. Sempre in Esperienza e giudizio, Husserl afferma che “con ciò, il mondo della nostra esperienza è già anticipatamente inteso con l’aiuto di un’idealizzazione... Ora”, continua il filosofo, “se vogliamo risalire all’esperienza intesa nel senso ultimo e originario che stiamo ricercando, questo non può essere altro se non l’esperienza originaria che si compie nel mondo della vita, la quale nulla sa ancora di quelle idealizzazioni, ma ne è il necessario fondamento. Con questo regresso all’originario mondo della vita non si accetta semplicemente il mondo della nostra esperienza, nel modo in cui ci è dato, ma si cerca la storicità che vi si è già depositata rifacendosi alle sue origini. È in questa storicità che il mondo ha ottenuto il senso proprio di mon36

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do ‘in sé’, esistente, oggettivamente determinabile, e ciò in base all’intuizione e all’esperienza originaria.” (ibidem). Nella generale esperienza col mondo circostante, l’umanità, mediamente, vive in un sistema di rappresentazioni generali. Le persone che camminano in strada, le case, le automobili, il cielo e il sole, passano davanti agli occhi come un flusso di rappresentazioni generali, tranquillizzanti nella loro immutabile monotonia; è un mondo già dato, che ha più le caratteristiche di un ricordo, che quelle di una percezione. Non è un mondo di entità individuali uniche e irripetibili, ma un mondo di “categorie”. Nel suo Treatise, David Hume si avvalse del concetto di “abitudine” per spiegare la funzione delle idee astratte, “che egli considerò come idee particolari simili. L’abitudine di considerare unite tra loro idee designate da un unico nome, fa sì che il nome stesso risvegli in noi, non una sola di quelle idee, né tutte, ma l’abitudine che abbiamo di considerarle insieme e quindi l’una o l’altra di esse a seconda dell’occasione (Treatise, I, 1, 7).” (N. Abbagnano, ibidem). Come afferma Rudolf Arnheim, psicologo dell’arte (Il pensiero visivo, 1974), è stato Aristotele a introdurre il concetto di “induzione”. “Attraverso l’induzione”, afferma l’autore, “pertanto che ‘procede mediante l’enumerazione di tutti i casi’, giungiamo alla concezione dei generi superiori, per via di astrazione. L’astrazione elimina gli attributi più particolari dagli esempi più specifici, giungendo così ai concetti superiori più poveri di contenuto, ma di portata più ampia. Ciò suona alquanto famigliare e moderno. Introduce la nozione di astrazione in quanto essa coinvolge una sempre crescente distanza rispetto all’esperienza immediata. Fornisce quel tipo di generalizzazioni svuotate che hanno reso possibile la scienza moderna. Tali generalizzazioni si limitano a quanto tutti gli esempi di una famiglia di casi possiedono in comune, e ignorano tutto il resto. Sono l’opposto stesso dei generi platonici, che divengono tanto più pieni e ricchi, quanto più in alto sono collocati nella gerarchia delle ‘idee’.” Tuttavia, come fa notare lo stesso Arnheim, non si deve confondere l’”universale” aristotelico con lo schema “generale” degli empiristi e dei nominalisti. 37

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Gli oggetti individuali sono per Aristotele sinoli di materia e forma, dove la forma (eìdos, morfé) non è la forma esterna o la figura estrinseca delle cose, né costituisce una vuota generalità, ma rappresenta “la loro intima natura, il che cosa è (to ti esti) o l’essenza intima (to ti en einai, cioè, ciò che era l’essere) della medesima. La forma o l’essenza dell’uomo, per esempio, è la sua anima, ossia ciò che fa di lui un essere vivente e razionale.” (Aristotele, Il motore immobile, 1984). La rappresentazione generale, ottenuta dagli oggetti individuali, per astrazione, a partire dal nominalismo, è divenuta soltanto un mero segno dotato della proprietà di essere predicato di più cose: un nome generale o un flatus vocis. Esso non corrisponde in nessun modo, né all’idea platonica, né all’universale aristotelico, o forma della cosa individuale. Nel libro citato (ibidem), Arnheim differenzia molto chiaramente il rapporto tra universale e particolare, nell’esperienza artistica e in quella scientifica: “… I criteri dell’esattezza sono in arte del tutto diversi da quelli della scienza. In una dimostrazione scientifica, l’aspetto particolare di quanto si mostra, conta, per la validità dell’esperimento, soltanto nella misura in cui sia sintomatico rispetto ai fatti. La forma dei contenitori, la dimensione dei quadranti, il colore preciso di una sostanza possono non avere alcun rilievo. Similmente, proposizioni, gli angoli, i colori particolari di un diagramma può darsi non abbiano alcuna importanza. Ciò perché nella scienza gli aspetti delle cose sono puri indicatori, che alludono, al di là di se stessi, a costellazioni nascoste di forze. La dimostrazione di laboratorio e il diagramma del manuale non sono ipotesi scientifiche, ma solo illustrazioni di tali ipotesi. Nell’arte, l’immagine coincide con l’ipotesi, contiene e dispiega le forze circa le quali riferisce. Pertanto, tutti i suoi aspetti visuali sono parti importanti di quanto viene detto. In una natura morta, i colori particolari e le forme delle bottiglie e la loro disposizione, sono la forma del messaggio che l’artista ci presenta. “. Le strutture privilegiate dalla scienza contemporanea sono i “modelli”, cioè la specie fondamentale dei concetti scientifici. I modelli ideali che hanno la caratteristica della semplicità, della 38

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sobrietà e dell’eleganza formale possiedono struttura logico-matematica. Nel XIX secolo queste strutture furono di predominio della fisica meccanica, ma, ai nostri giorni, sono entrati in uso, nella maggior parte delle discipline scientifiche, dalla biologia alla psicologia, dall’antropologia all’economia, etc.. Un’altra caratteristica fondamentale di queste strutture è “la somiglianza o l’analogia con le realtà che sono destinate a trattare.” (N. Abbagnano, ibidem). “I modelli”, afferma Abbagnano, “costituiscono semplificazioni o idealizzazioni dell’esperienza e si ottengono portando al limite caratteri o attributi propri degli oggetti empirici. Sono modelli in questo senso, i concetti di velocità istantanea, di sistema isolato, di gas perfetti e in generale i modelli meccanici.” (ibidem). Veniamo ora al rapporto tra universale e individuale (o, in termini più nominalistici, al rapporto tra generale e particolare). Come afferma Kurt Hübner, nel libro La verità del mito (ibidem), l’abisso tra l’ontologia del mito e quella della scienza si apre con l’eliminazione progressiva della “personificazione” degli oggetti da parte della scienza (fisica) e sostituzione delle “essenze intuibili sensibilmente” con entità matematiche astratte, per l’appunto, i “modelli”. cose-oggetti (modelli) scienza

persone mito

fenomeni (riduzione fenomenologica) fenomenologia

I modelli e, in generale, i concetti scientifici, sono caratterizzati dalla dissoluzione dei particolari nel generale. Come afferma, in altri termini, Husserl, in Esperienza e giudizio (ibidem), “… questo universo di determinatezze in sé, in cui la scienza esatta coglie l’universo dell’essere, non è altro che un rivestimento di idee sopra il mondo dell’intuizione e dell’esperienza immediata, sopra il mondo della vita, in modo che ciascun risultato scientifico ottiene il suo fondamento di senso sull’esperienza immediata e sul mondo dell’esperienza e a esso si riconduce. ‘Questo rivestimento di idee fa sì che noi assumiamo come essere vero ciò che è un metodo’ [loc. cit.] e fa sì che noi intendiamo il mondo della nostra esperienza sempre nel senso del rivestimento di idee su di esso, 39

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come se esso fosse ‘in se stesso’ così. Ogni riflessione che ci riporta all’esperienza pura, e soprattutto le riflessioni di questo genere già famigliari al positivismo, si arrestano a una natura di già idealizzata, e lo stesso vale per lo studioso di logica quando egli si pone il problema dei fondamenti empirici della conoscenza; ciò non vale poi meno per lo psicologo, il quale considera a priori la vita della coscienza nella sua correlazione con il vero essere delle cose e il quale crede di poter trovare questa vita nelle sue determinazioni oggettive attuali o possibili.”. Come abbiamo anticipato, all’inizio di questo scritto, la psicologia animale, sperimentale e comparata, tratta gli animali, come se anche essi vivessero in un mondo di “oggetti” idealizzati, alla stregua di noi esseri umani del XXI secolo. E, allo stesso modo, la psicologia evolutiva tratta i fanciulli. L’essere umano medio, ingenuo, considera, allo stesso modo, “oggetti”, le formiche, gli orologi, i computer, le case e perfino la luce e gli elettroni. Le “rappresentazioni”, che costituiscono il risultato “cognitivo” più immediato degli atti percettivi, le “rappresentazioni particolari”, come quella che si costituisce nella nostra coscienza, osservando il volto della figura 1, può servire da esempio per comprendere in modo semplice e immediato come, alla luce delle precedenti considerazioni, può venire affrontato il problema del rapporto tra “generale” e “particolare”. I cosiddetti “modelli” che rappresentano le leggi naturali e sono costituiti dai concetti universali degli oggetti materiali, contengono, ad esempio, “posizioni spaziali e temporali come variabili” (K. Hübner, ibidem), oppure pressioni, volumi e costanti. Per quanto non tutti abbiano in mente l’equazione che rappresenta il modello della teoria cinetica dei gas:

pV = nRT dove p rappresenta la pressione, V il volume, T la temperatura, n le moli di gas e R è una costante che deve venir determinata sperimentalmente per ogni gas (D. Halliday, R. Resnick, Fisica generale, Vol. 1, 1968), di fronte al vapore che sale da una pentola d’acqua 40

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che bolle, solo una minoranza di fini osservatori si occuperà della “rappresentazione particolare”, cioè del “fenomeno”. Per la maggioranza, l’acqua allo stato gassoso, cioè il vapore, verrà spiegato, in caso qualcuno venga interrogato, come un banale fatto di molecole in agitazione caotica, le cui interazioni risultano tra loro molto più deboli che nei liquidi e nei solidi. Un artista che volesse ritrarre la pentola d’acqua che bolle con il suo vapore fluente, dovrebbe occuparsi, invece, della “rappresentazione particolare”, con tutti i suoi elementi caratteristici, e, invece di dissolvere i particolari del fenomeno nella generalità della teoria cinetica, dovrebbe invece dedicarsi all’elemento “tipologico”, cioè all’universale contenuto nel fenomeno particolare di quella pentola lì, sul fuoco, con la sua nebbia caldo-umida, magari attraversata dalla luce di una lampada e ravvivata da innumerevoli riflessi. Il rapporto tra questo esempio e quello del volto della figura 1 diventa chiaro se pensiamo alla differenza tra il “giudizio percettivo”, che, in un certo senso, liquida la figura con la semplice proposizione “questo è un volto”, e la “rappresentazione particolare” che costituisce la “fisionomia” propria di quel volto particolare. La fisionomia è una “sintesi delle differenze”, non delle “somiglianze”. La fisionomia del gas che emana dalla pentola sul fuoco costituisce il “volto” del fenomeno. Se, invece del volto della figura 1, guardiamo il volto della Vergine “Sistina” di Raffaello, al museo di Dresda, il significato profondo dell’elemento “fisiognomico” viene immediatamente alla luce. Riferendosi alla pittura delle icone, Pavel Florenskij fa alcune considerazioni sul senso più alto del ritratto che, veramente, toccano in profondità sia l’intelligenza che il sentimento. Florenskij si riferisce al “ritratto” come a una “sintesi biografica”, quindi “temporale” e non “spaziale-anatomica”. “Nella misura in cui si realizza la sintesi biografica, la rappresentazione deve distanziarsi particolarmente dall’identificazione anatomica, perché essa non trasmette più un certo settore, preso separatamente, della vita di una data persona, ma il percorso coerente di tutto il suo sviluppo. Una rappresentazione di questo ti41

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po si riferisce immediatamente sia all’infanzia che alla giovinezza, all’età matura e alla vecchiaia del volto che rappresenta; e riferendosi a tutte le età nel loro complesso, evidentemente non può, e non deve, dare un’immagine separata di un qualche singolo periodo della biografia. Rappresentando la persona nella sua totalità temporale, questa rappresentazione non è perciò compatibile con alcun momento singolarmente preso, di questa totalità. Essa scintilla dei singoli momenti che brillano in lei, come le cellette di un cocomero tagliato. E ciascun momento trova il suo posto in questa totalità e vi lascia la sua traccia, ma non può strappare se stesso dalla totalità, perché esso assomiglia alla totalità, ma la totalità non gli assomiglia. In questa rappresentazione si può avvertire e riconoscere qualsiasi manifestazione profonda di una data personalità, in tutte le sue età e a tutti i livelli di crescita, ma lo sforzo di identificarla con un aspetto particolare rivelerebbe l’incomprensione totale dello scopo stesso della rappresentazione. Questo volto non è né giovane né vecchio, e non è rappresentato in alcuna singola emozione, ma non è neppure, ovviamente, qualcosa di intermedio. Esso non è un’astrazione generica di tutti gli stati, ma un’unità concreta e visibile di essi, cioè la fisionomia spirituale di una data personalità, la sua idea in senso platonico o entelechia.” (P. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, 1995). A questo livello, “personalità” e “fisionomia” costituiscono gli elementi ineffabili dell’universale contenuto nel particolare. Nell’opera d’arte si manifesta ciò che è esattamente “polare” al “modello” della scienza sperimentale contemporanea, nella cui “idealizzazione”, i particolari si dissolvono, si perdono, per realizzare una struttura di grande “potenza” tecnica, in grado di servire allo scienziato come strumento teorico di controllo, di previsione e di manipolazione della natura. Ciò, che, più esattamente, risulta polare al “modello” è l’elemento “simbolico” che si costituisce nel connubio dell’ideale con l’individuale. Friedrich Creuzer (1771-1858), nello scritto Simbolica e mitologia (2004), attribuisce al concetto di simbolo (σύμβολον) il signi42

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ficato di “uno composto di due”. “Anzitutto ora si chiama simbolo la parola, in quanto segno della cosa, e perciò anche l’immagine di senso come segno esteriore di un’azione o di un sentimento. Tutti i significati finora osservati si lasciano derivare senza difficoltà dall’uso primigenio di symbàllein, congiungere qualcosa di separato, e dal concetto più elementare di symbolon (un composto) che gli è connesso.”. La sfera del simbolo viene riferita da Creuzer alla dimensione della religione e del sacro. Un significato di simbolo, molto interessante, ricavato “da un linguaggio segnico somatico la cui essenza consisteva nella brevità e nell’abbreviazione…” (ibidem), è quello di “evidenza istantanea”, e sembra indicare una totalità eidetica che si “presenta” con una simultaneità assoluta. Parlando del tentativo dell’anima di innalzarsi al mondo delle idee, sembra risuonare, nelle parole di Creuzer, quasi un’intuizione fenomenologico-trascendentale. L’anima vorrebbe la visione dell’essenza, ma resta, per così dire, sospesa “fra il mondo delle idee e il regno dei sensi”. Il simbolo, nelle parole di Creuzer, sembra, infatti, il risultato di questo tentativo di cogliere l’infinito nel finito. Si pensi agli eventi meteorologici, i lampi, i fulmini, o l’apparizione e l’incontro degli uccelli, ritenuti sacri, presso gli antichi Greci. La manifestazione di una connessione di senso che promana dal mondo degli dei (o delle idee) e che si annuncia in eventi fisici come l’unione dell’infinito col finito. È indubbio, in ogni caso, che anche volendo “desacralizzare” il termine “simbolo”, riportandolo nel regno più terreno della psicologia e della fenomenologia, la contrapposizione polare con il concetto scientifico di “modello”, appare estremamente suggestiva, ed euristicamente feconda. 17  L’epoca del pensiero scientifico oltre al carattere della “perso-

nificazione” ha perduto anche il carattere della “fisionomia”, cioè del “volto” delle cose. Questo fatto riveste oltre che un importante significato antropologico, anche un significato psicologico di notevole portata. Nel costituirsi del contenuto di “senso” della “rappresentazione”, la “fisionomia” svolge un ruolo rilevante. C’è un 43

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legame profondo tra “fisionomia” e “senso”. I fiori, le piante, gli animali, e, in generale, la natura sono caratterizzati da un elemento “fisiognomico”, che per gli antichi era un tratto dominante della “forma”, nel loro modo di pensare e di sentire il mondo circostante. “Quella mentalità era in Grecia”, afferma Creuzer (ibidem), “una credenza universalmente diffusa alla quale il popolo era attaccato con un amore costante, come si rivela nella immaginificità e nel carattere mitico del suo linguaggio. La stessa sensibilità e lo stesso linguaggio per immagini, percepì quel più innocente mondo preistorico negli elementi della natura. Non si sapeva nient’altro, se non che anch’essa era agitata da gioia e dolore, e che esprimeva in immagini eloquenti le sue sensazioni. Il suolo patrio piange la morte di un eroe amato ed ammirato non meno del popolo. La terra deve generare fiori che nel colore e nella natura espressiva associno la loro tristezza ai lamenti degli uomini: e affinché non si estingua la memoria del compianto, viene disposta una celebrazione annuale per la quale il muto linguaggio di quelle piante serve da squisito segno di ricordo.”. Sono fiori che possiedono il colore della tristezza e delle lacrime, muto simbolo di un dolore che irradia dal mondo delle idee fin dentro i petali e le foglie di quelle piante languenti. “Tutte le qualità percettive”, afferma Rudolf Arnheim, nel libro Arte e percezione visiva (2003), “hanno un carattere di generalità. La rozzezza, la rotondità, la piccolezza, la lontananza, la velocità si vedono, sì, incarnate in esempi individuali, ma cariche di un ‘genere’ di esperienza piuttosto che di una sola esperienza di peculiarità irripetibile... Le caratteristiche dinamiche sono strutturali, e oltre che nella visione si sperimentano nel suono, nel tatto, nella sensazione muscolare; ma quel che più conta, definiscono anche la natura e il comportamento della mente umana, e in modo molto coercitivo. L’aggressività del fulmine è collegata al veloce zig zag del suo tragitto, mentre il subdolo insinuarsi del serpente è collegato alla sua andatura, quando non ci si limiti a vederla come una sequenza di curve definibili geometricamente.”. Arnheim definisce l’”espressione”, “come l’insieme di quelle modalità del comportamento organico e inorganico che appaiono nell’aspetto 44

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dinamico degli oggetti e degli eventi percettivi.” (ibidem). Lo psicologo dell’arte rifiuta l’idea che si debba limitare quest’uso del termine “espressione” al volto e ai gesti con cui l’essere umano esprime quanto vive nella propria interiorità e nega che “la pietra, la cascata e il fulmine non abbiano espressione se non in senso figurato, per analogia con il comportamento umano.” (ibidem). La fisiognomica, “come metodo di apprendimento diretto è stata ardentemente propugnata e aspramente attaccata fin dall’antichità, quando Aristotele dedicò all’argomento un trattato. Si legge di un editto, al tempo della Regina Elisabetta I [1533-1603] per il quale ‘chiunque ostenti nozioni di fisiognomica o di analoghe assurde fantasie’ era passibile di ‘essere denudato dalla vita in su e pubblicamente fustigato finché il suo corpo sanguini’.” (ibidem). La credenza popolare ha negato che oggetti non umani possano possedere genuine qualità fisiognomiche. Queste vengono solo considerate come “vestiti” di espressioni umane, proiettati sugli oggetti e risultano il mero effetto di un atteggiamento sostanzialmente di tipo “antropomorfico”. “Ma se invece l’espressione è una caratteristica intima inerente ai pattern percettivi,”, sottolinea Arnheim, “le sue manifestazioni nella figura umana non sono che un caso speciale di un fenomeno più generale.” (ibidem). La fisionomia, in senso lato, non comprende solo il fenomeno della forma e la dinamica, ad esempio, del gesto, ma anche la musica e il colore possono essere considerati come espressioni “fisiognomiche”. Fisionomia e melodia, ad esempio, rappresentano, in un certo senso, una polarità. La fisionomia è un’espressione dello spazio, la melodia, invece, del tempo. La Teoria dei colori di Goethe, soprattutto la sesta sezione sulla “azione sensibile e morale del colore”, mette in luce il significato “simbolico” di questa entità della natura, così strettamente connessa con l’elemento “emozionale” della psiche. “L’esperienza insegna”, afferma Goethe nell’opera citata (1981), “che ogni singolo colore dona un particolare stato d’animo... Ogni colore singolo stimola nell’occhio, mediante una sensazione specifica, l’aspirazione all’universalità.”. Goethe sottolinea che questo impiego del colore 45

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“per determinati scopi sensibili, morali, estetici... del tutto in accordo con la natura potrebbe definirsi quello simbolico, quando cioè ci si servisse del colore secondo la sua azione e il vero nesso esprimesse subito il significato.” (ibidem). Ogni oggetto colorato è un simbolo in quanto contiene l’universale, in modo immediatamente evidente, nella sua apparente semplicità. 18  Il rapporto tra la fisionomia e le passioni, o, in senso più tec-

nicamente psicologico, le emozioni, è noto fin dalla più remota antichità. Nella dottrina platonica, in particolare nel Timeo, il rapporto tra sensazione (aístheˉsis) e l’elemento emotivo, è inteso nel senso “dell’effetto prodotto da un evento che in qualche modo viene a colpire l’anima o il corpo (pátheˉ ma).” (Patrizia Magli, Il volto e l’anima, 1996) e, a sua volta, viene messo in relazione alla conformazione degli elementi primi. “Aria, acqua, fuoco, terra sembrano, dunque, le categorie alle quali ricorrono le prime speculazioni per descrivere il cosmo, il corpo, le passioni. Sono categorie prime, le più prossime, le più famigliari all’uomo, le più fortemente valorizzate.” (ibidem). Per Platone, ad ogni senso corrisponde un elemento: “alla visione, il fuoco; al tatto, la terra; al gusto, i succhi (l’acqua) e la terra; all’odorato, l’acqua e l’aria che compongono la varietà dei vapori; all’udito, l’aria... Gli elementi naturali sarebbero, secondo alcuni studiosi, gli universali figurativi dell’immaginario. Costituirebbero il grande arsenale dei simboli di cui l’immaginazione dispone anche nei discorsi astratti e nelle descrizioni scientifiche.” (ibidem). 19  Per la psicologia, il concetto di “fisionomia” presenta una rile-

vanza estrema, in quanto costituisce, in qualche modo, l’elemento polare al concetto di “categoria”. fisionomia –– categoria

Come ha ripetutamente affermato Husserl, soprattutto nelle sue opere ultime, cioè Esperienza e giudizio (ibidem) e La crisi delle 46

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scienze europee e la fenomenologia trascendentale (ibidem), il mondo fenomenico reale, in cui esseri umani, piante e animali conducono la propria esistenza quotidiana, cioè il mondo “originario”, è il “mondo della vita”. Questo mondo originario non è, ancora, il mondo idealizzato dell’astrazione logico-matematica, avvenuta a partire da Galileo e da Newton. Il problema che Husserl affronta in Esperienza e giudizio e nelle Lezioni sulla sintesi passiva (1993), soprattutto, riguarda l’esperienza ante-predicativa, cioè pre-categoriale, che ha luogo nel processo percettivo. La circonferenza disegnata sul foglio bianco, nella figura 2, non corrisponde in nessun modo alla “categoria” circonferenza della geometria pura. La forma della circonferenza disegnata viene, in genere, immediatamente collegata col predicato logico “circonferenza”, come accade nel giudizio percettivo, che non ha bisogno di venir esplicitamente formulato. Il fatto elementare consiste nell’immediato riconoscimento della forma disegnata e la sua riduzione alla forma logica della circonferenza ideale della geometria pura. Come per il volto della figura 1, anche la circonferenza disegnata della figura 2 può venir intuita come entità fisiognomica, come la fisionomia di una curva chiusa, di quella particolare curva chiusa, che è circondata da uno sfondo particolare dotato di quel peculiare colore bianco, un po’ opaco. A questo proposito, Maurice Merleau-Ponty, nelle Lezioni al Collége de France 1956-1960 (in La natura, 1996), afferma che la circonferenza, in quanto percepita, “è una totalità 2 che, tuttavia, non è minimamente sottoposta all’analisi: la fisionomia di questa curva si fa riconoscere per il fatto che cambia direzione in ogni istante e perché essa stessa cambia in egual misura.”. Il suo significato, la sua definizione logico-analitica, per cui la circonferenza è, ad esempio, “il luogo dei punti equidistanti dal centro”, o l’equazione x2 + y2 = R2,, vengo47

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no “estratti” dalla scienza, per necessità di chiarezza intellettuale. “È la scienza che libera il significato.”, continua Merleau-Ponty. Che dire del contenuto di senso che si costituisce, nella temporalità della coscienza, e che costituisce la base della rappresentazione percettiva particolare? La forma della figura 3, pur rappresentando una curva chiusa, non è una “circonferenza”. Somiglia alla circonferenza ideale, meno di quella della figura 2. Noi viviamo in un mondo delle “sembianze”, che è un mondo fluttuante, dominato dalla “similitudine”, dalla “somiglianza”, non dalla “uguaglianza”, intesa come corrispondenza esatta tra due enti, oppure, come afferma Leibniz, come sostituibilità di un ente con un altro nello stesso contesto. Quindi, il giudizio percet3 tivo: la forma disegnata nella figura 2 “è” una circonferenza, andrebbe, in realtà, corretta con il giudizio: la forma disegnata nella figura 2 “somiglia” a una circonferenza. Nel mondo empirico, d’altronde, come affermava Leibniz, “Non ci sono individui indiscernibili” (IV Lettera a Clarke, in N. Abbagnano, ibidem). Il principio della “identitas indiscernibilium” statuisce che, in natura, non esistono due individui che non possono essere distinti. “Porre due cose indiscernibili significa porre la stessa cosa sotto due nomi.” (Leibniz, in ibidem). Questo principio era il motivo per cui Leibniz negava l’esistenza degli atomi [non possono esistere due atomi uguali], e che lo condusse, inevitabilmente, a riconoscere il principio della “monade”, cioè di una “sostanza” priva di parti e quindi “indivisibile”. A differenza di Cartesio e degli empiristi, il punto di vista di Leibniz sul mondo è “organico”, non “meccanico”. E soltanto partendo da un punto di vista “organico”, cioè “vivente”, è possibile comprendere il significato della “fisionomia”. Possiamo definire la fisionomia, come il “volto” delle cose, ma il “volto” non nel senso 48

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statico della “forma”, intesa come Gestalt. Questa prospettiva “non parte dalla forma, ma dall’espressione, dall’individuale, cioè dalla tesi secondo cui, a ben vedere, non ci sono occhi, orecchie, bocca, ma solo il volto. Moltissimi hanno il naso di Tolstoj, ma solo Tolstoj ha avuto il suo volto. Oppure anche il suo naso può averlo avuto solo lui, nella misura in cui nel naso è contenuto l’intero volto.” (R. Kassner, I fondamenti della fisiognomica, il carattere delle cose, 1997). Chi osserva il volto umano in questa prospettiva “differenziale... chi cioè si concentra sull’espressione, vede qualcosa di fluido, di dinamico, ed è costretto a cercare i passaggi, i collegamenti, le suture e le pieghe dell’essere. Per lui infatti – vale ripeterlo – non c’è naso, occhio, orecchio, etc., ma tutto è nel frammezzo tra l’uno e l’altro.” (ibidem). Rudolf Kassner (1873-1959), uno dei più grandi studiosi della fisiognomica, mette in evidenza, in queste parole citate, che l’elemento fisiognomico costituisce una totalità dinamica e vivente, in cui gioca un ruolo fondamentale la relazione e la connessione delle parti. La fisiognomica che ha di mira Kassner è “una fisiognomica ritmica, simbolica, a differenza di quella meccanica, razionale degli antichi, che prendendo le mosse da Aristotele, ha tenuto banco fin nel diciottesimo secolo.” (ibidem) (7). Con altre parole, Goethe esprime lo stesso concetto di totalità organica, allorquando, negli scritti sulla scienza della natura, del 1790 (La metamorfosi delle piante e altri scritti sulla scienza della natura, 1983), afferma: “Ciò che chiamiamo parti di un essere vivente è talmente inseparabile dal tutto che le stesse parti possono essere comprese soltanto nel e con il tutto; e né le parti possono essere adoperate come misura del tutto, né il tutto come misura delle parti.”. Un altro concetto che Kassner condivide con Goethe è quello della “metamorfosi”. In un brillante passo dello scritto citato (ibidem), Kassner afferma che “L’origine dell’universo deve essere stata preceduta dall’infinità.”, perché soltanto così essa poteva essere “origine” (non “caso”), e quindi volto, forma, metamorfosi. “Ogni origine”, continua il filosofo, “(che non è meramente casuale), ogni presente – nel mondo infinito non c’è altra origine che 49

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il presente – ogni volto è metamorfosi. Nel mondo dello spirito. In questo mondo infinito della creazione di forme ogni essere è un essere-trasformato.” (ibidem). Questa tesi, secondo Kassner, può valere solo nel mondo della libertà e della personalità. La fisionomia è “carattere”, “espressione”, e non possiede le proprietà di una figura geometrica. Una cosa, come totalità fisiognomica, può essere afferrata solo dall’immaginazione, altrimenti non può significare nulla (8). L’immaginazione è, in qualche modo, il ponte tra il corpo e lo spirito puro, come risulta molto chiaramente dalla VI meditazione metafisica di Cartesio (Meditazioni metafisiche, 1998). Nel pensiero, l’anima si rivolge a se stessa e coglie le sue idee, gli universali, che sono propriamente, gli oggetti della metafisica. Nell’immaginazione, invece, l’anima si rivolge al corpo e coglie ciò che le viene offerto dai sensi, attraverso il processo percettivo, e, naturalmente, dalla “ritenzione” dovuta alla memoria (9). La fisiognomica di Kassner è una scienza che mette in crisi il concetto di “identità”, proprio del pensiero logico e scientifico, e fa ricorso invece alle categorie di individuo, metamorfosi, tempo e libertà. 20  È interessante notare, come fa lo stesso Giovanni Giurisatti,

nel saggio introduttivo al libro di Kassner (ibidem), come sia Goethe che Leibniz abbiano colto pienamente il senso profondo della fisionomia. Cartesio e Leibniz, da questo punto di vista, costituiscono due pensatori polari, il primo interessato a trovare nelle cose un oggetto della scienza, il secondo, invece, interessato all’elemento del vivente e dell’individuale. Émile Boutroux, che si può considerare uno dei massimi interpreti dell’opera di Leibniz, nella sua introduzione e commento alla Monadologia (È. Boutroux, in La monadologia, 1943), afferma, in una nota, che “Cartesio si pone dal punto di vista delle condizioni della scienza. Egli sostiene che, per trovare nelle cose un oggetto di scienza, bisogna rimuovere tutto ciò che partecipa del soggetto pensante, e ridurle all’elemento geometrico. D’altra parte, secondo lui, affinché il soggetto pen50

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sante possa essere sicuro di non deformare, per quel che sta in lui, le cose, bisogna che esso sia libero da tutte le influenze corporali, e che sia interamente puro.”. Diversamente, la percezione è, per Leibniz, “Nihil aliud... quam multorum in uno expressio” (citazione in ibidem). La conciliazione, non più astratta, ma “vivente”, come sottolinea acutamente Boutroux, dell’uno col molteplice, tipica della percezione, ha, alla base, l’operazione del soggetto pensante. “L’essere non è forma, ma sforzo, tendenza verso la percezione distinta.” (ibidem). Cartesio che ha soprattutto interessi matematici non apprezza la “diversità”, ma il suo sforzo è quello di scoprire, al di là del diverso, che costituisce solo un aspetto esteriore delle cose, la “omogeneità”. “Leibniz, invece, dotato com’è di un vivo senso della realtà e della bellezza, mentre come matematico ammette la riduzione logica del diverso all’omogeneo, e dell’oscuro al chiaro, come metafisico si propone un compito diverso: quello di mostrare come, dal punto di vista dell’esistenza, l’uno, e l’omogeneo deve generare il molteplice, il distinto, l’infinita varietà delle forme compatibili con la legge dell’armonia.” (ibidem). Leibniz cerca l’idea che manifesti la maggior varietà di particolari, con la massima distinzione. “A Cartesio bastava l’estensione, Leibniz sente il bisogno della vita.” (ibidem). E questo atteggiamento di Leibniz verso il vivente e l’individuale, può essere considerato a ragione un ideale “fisiognomico”. E qui si apre un nodo che interessa anche la fenomenologia e la psicologia della Gestalt, oltre che, naturalmente, l’empirismo inglese e le scienze cognitive contemporanee: il nodo della spiegazione scientifica e astratta del processo percettivo. Per Leibniz, è la “qualità” e non la “quantità” che fonda l’essere, “e la qualità non è tale veramente se non in quanto consiste nell’azione spirituale o tendenza alla percezione distinta.” (ibidem). Se sussistono differenze “quantitative”, queste si devono basare e fondare su differenze “qualitative”. Quanto abbiamo detto precedentemente, a proposito del principio degli indiscernibili, significa, da questo punto di vista, che “due nature che non avessero fra loro altro che differenze quanti51

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tative, senza neppure una differenza qualitativa ed interna, sono indiscernibili per l’intelletto e quindi formano in realtà una sola e medesima cosa.” (ibidem). Le rappresentazioni percettive si fondano su somiglianze e differenze “qualitative”. Sono entità “individuali” e “viventi”, dinamiche e temporali, e non spaziali e geometriche. La fisionomia, il senso e la vita sono entità ontologicamente e strutturalmente del medesimo livello. 21  Uno dei problemi che hanno massimamente occupato i filosofi,

nell’indagine della psiche, è stato quello dell’origine dei concetti, delle idee e delle rappresentazioni generali. Il problema, in realtà, è antichissimo e risale a Platone e a Aristotele. Questo è un evidente problema di “filosofia prima”. Nella prima parte dell’opera di Husserl, dal titolo Erste philosophie, (in Storia critica delle idee, 1989), che raccoglie il contenuto di lezioni tenute all’Università di Friburgo nel semestre invernale 1923-1924, il filosofo mette in luce una contrapposizione, che potremmo chiamare “archetipica”, lungo tutta la storia del pensiero filosofico, e, cioè, la contrapposizione tra “idealismo” e “scetticismo”. Agli albori della filosofia greca, ci troviamo di fronte alla contrapposizione tra il pensiero di Platone e di Aristotele, da una parte, e quello dei sofisti (in particolare Protagora e Gorgia), dall’altra. Ritroviamo la medesima contrapposizione, in seguito, nel Medioevo, tra i filosofi che come Tommaso d’Aquino sostenevano la realtà degli universali e i nominalisti. Più avanti, nell’epoca moderna, questa contrapposizione ci appare tra filosofi come Cartesio, Leibniz e Spinoza e, dall’altro lato, gli empiristi inglesi, come Locke e Hume, in particolare. Il carattere relativo, quindi arbitrario e non assoluto, dell’esperienza soggettiva, alla quale non si riconosce la possibilità di raggiungere “l’essere in sé (o un essere in se stesso) separato da qualsiasi apparenza, assolutamente identico con se stesso.” (ibidem), costituisce il nucleo gnoseologico dominante dello scetticismo. L’empirismo di Locke e il razionalismo di Cartesio offrono un esempio chiaro e particolarmente interessante, per illustrare la contrapposizione nodale sull’origine delle idee, che occupò in par52

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ticolare Leibniz, nel tentativo di una riconciliazione tra questi due modi polari di concepire la teoria della conoscenza e di fondare, quindi, una psicologia. Cartesio considerava le idee “innate”, cioè impresse nell’anima umana da Dio, mentre Locke derivava tutte le idee dall’esperienza (sia interna che esterna). Nei Nuovi saggi sull’intelletto umano (1999), composti sotto forma di dialogo, nel 1703, Leibniz sottopone a critica, una dopo l’altra, tutte le parti dell’opera di Locke Saggio sull’intelligenza umana (2003). Come afferma Boutroux (ibidem), Leibniz, avvicinando le due dottrine di Cartesio e di Locke, rispettivamente alla teoria della “reminiscenza” di Platone e a quella della “tabula rasa” di Aristotele, anche se in modo non totalmente “legittimo”, “vede in esse i due estremi tra i quali un sistema filosofico saggio deve cercare il termine medio.”. Alla fine Leibniz accorda a Cartesio “che tutte le nostre idee sono innate; a Locke, che tutte sono acquisite e vengono dall’esperienza: intese nel loro senso esoterico, e più vero, le parole esperienza e innatismo, lungi dall’indicare cose incompatibili, rappresentano i due momenti necessari di un medesimo sviluppo. Un po’ di meditazione ci fa credere di agire e di pensare solo sotto l’influenza delle cose, ma una meditazione più profonda ci insegna che tutto, anche le percezioni e le passioni, ci viene dal nostro essere stesso con una perfetta spontaneità.” (ibidem). La critica a cui Leibniz sottopone il pensiero di Cartesio e di Locke è articolata e complessa, e si voleva qui solo mettere in luce il risultato finale della critica. In realtà, questo problema resta un nodo fondamentale della teoria della conoscenza e della psicologia, per tutto il diciannovesimo secolo, fino ai nostri giorni. 22  Husserl vede nell’empirismo inglese l’erede dello scetticismo e

del nominalismo medievale. La cecità che deriva dalla negazione delle idee e delle leggi ideali, come travisamento del platonismo correttamente inteso, e la nozione di “segno”, per definire la funzione delle idee generali, trapassa già con Hobbes nella corrente dell’empirismo moderno, come abbiamo precedentemente sottolineato. 53

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“Ciò che caratterizza, per così dire, l’empirismo tradizionale, è il pregiudizio di principio secondo il quale solo l’individuo può essere originariamente intuitivo. Parallelamente alla negazione dell’apprendibilità intuitiva degli ‘universali’ procede la negazione del loro essere possibile.” (Husserl, Storia critica delle idee, ibidem). Con Locke, l’empirismo, attraverso l’identificazione dell’intuizione con l’intuizione individuale (10) ottenuta per mezzo della percezione, diventa un empirismo “del naturalismo immanente” (Husserl, ibidem). I dati che si imprimono, attraverso l’esperienza, sulla “tabula rasa” della coscienza, sono entità psichiche individuali, fatti particolari temporali, della stessa specie degli elementi della natura esterna. Gli “universali” risultano, in questa prospettiva, solo degli schemi prodotti da generalizzazioni di individualità. “Ad esempio”, afferma Husserl, “se vi sono molte cose eguali in quanto rosse, possiamo considerare separatamente in se stesso questo momento di concordanza che si ritrova egualmente in tutte come una vera e propria idea che naturalmente è qualcosa di individuale. Ma la mente si serve di questa singolarità come rappresentante, come modello, per pensare come cosa rossa ogni cosa concreta eventuale che abbia in sé un momento ‘rosso’ eguale al modello astratto ‘il rosso’; soltanto ciò renderebbe possibile la designazione generale, che ha un’utilità così grande, la formazione e l’uso di parole generali come rosso, rotondo, etc., e di conseguenza l’attività enunciativa generale.” (ibidem). La critica di Husserl alla teoria dell’astrazione di Locke è rivolta soprattutto a mettere in evidenza il mancato riconoscimento dell’intenzionalità, attraverso la quale, nella coscienza si formano degli oggetti di natura del tutto “peculiare”, che sorgono in modo originariamente intuitivo, come delle “autodatità immediate”, siano essi gli oggetti individuali del mondo esterno, oppure le essenze generali, o, in termini platonici, per le “idee”, “e quindi anche per l’apprensione intuitiva degli stati di cose generali, per i rapporti tra le idee.” (ibidem). 54

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23  Due elementi caratteristici della concezione empirista inglese

sono particolarmente rilevanti per tutto il successivo sviluppo della psicologia e della scienza. Il primo elemento consiste nella distinzione operata da Locke (Saggio sull’intelligenza umana, ibidem), tra “qualità primarie” o “originali” e “qualità secondarie”. L’altro elemento, che ha in realtà una profonda connessione con il primo, è il carattere di “segno” linguistico. Le idee prodotte dalla sensazione, le percezioni, non sono né “immagini” né “simiglianze di qualcosa inerente all’oggetto: poiché la maggior parte delle idee nate dalla sensazione, che si trovano nella nostra mente, non somiglia a qualcosa che esista fuori di noi, più che non somiglino alle nostre idee i nomi che stanno per esse, sebbene tali nomi non manchino mai di suscitarle in noi non appena li sentiamo menzionare.” (ibidem), (11). Locke considera “qualità primarie” delle cose, la solidità, l’estensione, la figura, il numero, il movimento o il riposo. L’esempio addotto da Locke, per dimostrare l’importanza delle qualità primarie, è quello del chicco di grano, che, per quanto possa venir successivamente diviso, “avrà sempre estensione, solidità, figura e mobilità.” (ibidem). Qualunque azione che si può esercitare su un corpo con una macina, con un pestello o con un altro corpo, non può mai eliminare queste qualità primarie, che risultano, per così dire, inestinguibili. Colori, suoni, sapori, odori, etc., dipendono totalmente e sono causati dalle qualità primarie, che, perciò, rappresentano le proprietà della materia dotate del massimo interesse scientifico. Nei primi anni del ventesimo secolo, Lord Rutherford diceva ai suoi studenti che tutte le scienze o sono fisica o sono una collezione di francobolli, perché il “qualitativo” non risulta che meramente “quantitativo”. Il successo della fisica, in particolare, e delle sue conseguenze tecnologiche ha un rapporto strettissimo con la teoria della conoscenza derivata dall’empirismo inglese. Le conseguenze più strettamente psicologiche dell’interpretazione lockiana della moderna scienza della natura consistono nel fatto che l’immagine percettiva interna risulta “una commistione di elementi immaginativi veri e propri e di segni causali: i primi concernono le cosiddette qualità primarie e originarie degli oggetti 55

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che si manifestano intuitivamente e sensibilmente nella percezione esterna: l’estensione vista è effettivamente un’immagine nella misura in cui è un analogon dell’estensione inerente alle cose estese. Lo stesso vale per la grandezza, la forma, la posizione, il movimento, il numero, etc.. Di contro, le specifiche qualità di senso, le cosiddette qualità ‘secondarie’ o ‘derivate’ non hanno alcuna analogia con le qualità delle cose naturali stesse, che non hanno proprietà visive, acustiche, etc.. Nella natura stessa vi sono certi processi dinamici, vi sono cose fornite esclusivamente di qualità primarie, matematico-meccaniche e, attraverso tali proprietà e le causalità loro inerenti, tali cose sono le cause esplicative dei colori, dei suoni, etc., dati ai sensi, che si presentano nella nostra immagine percettiva.” (E. Husserl, Storia critica delle idee, ibidem). La cosiddetta “associazione”, che costituisce il processo fondamentale attraverso il quale i dati sensoriali, provenienti dai diversi sensi, si aggregano tra di loro, ha alla sua base un “je ne sais quoi” dove svolge il proprio ruolo “un’inferenza causale che procede dall’effetto a una causa trascendente.” (ibidem). C’è un abisso, un salto “ontologico” tra la percezione della cosa, l’unità sensibilmente esperita, e l’atomismo confuso dei dati per principio non esperibili, che costituiscono le cose del mondo esterno. Hume, che si può considerare il vero e proprio fondatore della dottrina psicologica dell’associazione delle idee, ridusse a tre principi il modo e la forma di aggregazione degli elementi semplici della sensazione, i minima visibilia: la rassomiglianza, la contiguità nello spazio e nel tempo e causa ed effetto (in Abbagnano, ibidem). Sarà la psicologia della Gestalt ad opporsi, con una visione “polare”, all’atomismo dell’associazione delle idee, considerando fondamentale come punto di partenza il principio opposto a quello della psicologia associativa. Il fatto essenziale della coscienza non è, per gli psicologi della Gestalt, l’elemento, ma la “forma totale” o “Gestalt”, la quale non risulta mai riducibile ad una somma degli elementi. Naturalmente, la psicologia atomistico-associazionistica, di cui abbiamo ricordato i padri, appartenenti alla corrente dell’empiri56

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smo inglese, non è stata patrimonio assoluto degli psicologi britannici. All’inizio del diciannovesimo secolo, molti filosofi e psicologi, soprattutto basandosi sull’indagine “mentale” ottenuta attraverso l’introspezione, accettarono per lo più il “sensismo”, con i suoi caratteri tipicamente analitici e atomistici. Tra questi studiosi, molti continuarono a considerare le leggi dell’associazione come sostanzialmente sufficienti per spiegare il combinarsi e l’integrarsi degli elementi sensoriali. Inoltre si accontentavano dell’introspezione come metodo privilegiato per le indagini sui processi psichici. In ogni caso fu la filosofia inglese a influire più profondamente sulla nascita della psicologia sperimentale. La teoria della conoscenza di stampo empiristico fu accettata, sostanzialmente, anche tra psicologi tedeschi, come Helmoltz e Wundt, che più di ogni altro si sforzarono di fare della psicologia sperimentale una disciplina a sé (in R. Thompson, Storia della psicologia, 1975). La psicologia della Gestalt, tra i cui massimi esponenti si contano Max Wertheimer (1886-1943), Kurt Koffka (1866-1941) e Wolfgang Köhler (1887-1967), fu la psicologia che, sul versante “sperimentale”, oltre che “filosofico”, massimamente si oppose alle teorie atomistico-associazionistiche. Nonostante i suoi rapporti con la fenomenologia, dovuti, soprattutto, ai legami degli studiosi ricordati con Carl Stumpf e con la scuola di Brentano, la psicologia della Gestalt si allontanò molto dai problemi posti dalla fenomenologia e soprattutto si allontanò dall’impostazione di Husserl rispetto alla teoria della conoscenza. Il problema delle proprietà “emergenti” di una “totalità”, rispetto alla mera somma e composizione delle parti, era già stata posta da Platone, nel Teeteto, e da Aristotele nella Metafisica. Nel dialogo di Platone, Socrate parla dei rapporti che legano le lettere dell’alfabeto in una sillaba (e dell’unità degli oggetti fatti in pezzi, “i cento pezzi del carro” dell’emistichio di Esiodo, citato come esempio) e dei numeri. Socrate mostra come, a seconda dei casi, valga la tesi che il “tutto non è la somma delle parti”, oppure la tesi opposta. In ogni caso vien messo in luce che “la sillaba non è le lettere, bensì una specie di idea unica nata da quelle con un’unica forma 57

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sua per se stessa, e diversa dalle lettere”. L’irriducibilità dell’intero alla somma delle parti rappresenta, come è già stato detto, il fondamento della concezione che sta alla base della psicologia della Gestalt. Come punto di partenza di questa concezione vengono in genere considerati l’articolo di Christian von Ehrenfels, discepolo di Franz Brentano, Le qualità figurali (1979) e gli studi di Alexius von Meinong sulla Teoria degli oggetti (Gli oggetti d’ordine superiore in rapporto alla percezione interna, 1979). Le sette leggi di Wertheimer, precedentemente ricordate: vicinanza, somiglianza, destino comune, direzione, chiusura, pregnanza e esperienza passata, statuiscono gli aspetti fondamentali che stanno alla base della costituzione dell’unità della “forma”, come proprietà irriducibili degli oggetti, in quanto oggetti della percezione. Nonostante il grande interesse che questa teoria globale e strutturale ha presentato e l’influenza che ha persino avuto sulle scienze cognitive, apparentemente molto più “funzionalistiche” e “astratte”, tuttavia sembra presentare il limite che presenta anche la teoria embriologica del “campo morfogenetico”. Il concetto di “campo”, che sta alla base di entrambe queste due teorie, risulta infatti come vedremo, un concetto, essenzialmente, “astratto” e “teorico”. 24 Nella seconda Meditazione cartesiana (Meditazioni cartesiane,

2002b), Husserl afferma, come d’altronde in molte altre occasioni, che il vero inizio della fenomenologia e, anche, di una psicologia introspettiva pura, non può essere altro che l’evidenza dell’ego cogito (che fu, per Husserl, la grande scoperta filosofica di Cartesio), inteso come l’evidenza assoluta e immediata (12). Il partire, come fanno gli psicologi della Gestalt, da una teoria della sensazione, invece che da una “dottrina descrittiva della coscienza che inizia radicalmente”, porta ad aver di fronte a sé dati e totalità che posseggono il carattere, ancora, del “pregiudizio”. Gli psicologi della Gestalt, infatti, per evitare l’atomismo, formulano la dottrina per la quale, “in questi dati le totalità sono necessariamente fondate” (ibidem), e quindi risultano “precedenti” rispetto alle parti. Che la “totalità” risulti il fatto preminente ed essenziale e non sia riduci58

Rappresentazione e emozione

bile alle parti “non potrà essere deciso che a titolo di un risultato speciale di un lavoro di scoperta e di descrizione.” (ibidem), che ha le sue basi nella pura evidenza intuitiva immediata dell’esperienza fenomenologica, intesa nel suo senso più radicale. 25  Il concetto di forma o configurazione, con cui traduciamo

la parola tedesca “Gestalt”, è stato enormemente esteso, dagli psicologi gestaltisti, che hanno incluso, oltre tutte le forme derivanti dalle percezioni dei singoli sensi particolari, anche le forme del pensiero, dell’azione e dell’emozione (D. Katz, La psicologia della forma, 1979). Ciò che vi è di più essenziale, nel concetto di “forma” dei gestaltisti, è che essa è una “struttura”, che presenta il carattere della totalità e dell’unità e che può essere definita ed espressa, nel modo più chiaro e rigoroso, attraverso il concetto di “campo”. Il concetto di campo, sviluppato da Faraday, nello studio dell’elettromagnetismo e applicato successivamente alla gravitazione può essere applicato ai fenomeni viventi che possono essere messi in rapporto alla manifestazione di un “essere geometrico”, il campo morfogenetico, proprio come il campo elettromagnetico o quello gravitazionale (vedi D. Nani, Sotto le ceneri della scienza, 1995). René Thom, ad esempio, afferma che “gli esseri viventi sarebbero le particelle o le singolarità strutturalmente stabili di tale campo... La stabilità di ogni essere vivente, come di fatto ogni forma strutturalmente stabile, riposa in ultima analisi su una struttura formale, in sostanza un ente geometrico, la cui realizzazione biochimica è l’essere vivente.” (R. Thom, Structural stability and morphogenesis, 1989). Risulta chiaro il carattere di “modello”, posseduto dal concetto di campo. Vincenzo Costa sottolinea con chiarezza come la “esaltazione del momento strutturale”, connessa con il concetto di Gestalt, sia però, inesorabilmente, “accompagnata dal rifiuto della prospettiva genetica.” (La generazione della forma – La fenomenologia e il problema della genesi in Husserl e Derrida, 1996). Anche Jean Piaget (1896-1980), il fondatore dell’epistemologia genetica, rim59

Categorie e fisionomie

provera agli psicologi della Gestalt questa assenza di considerazione per la dimensione genetica delle strutture psichiche. Secondo Piaget, la psicologia della Gestalt, ispirata ai suoi inizi dalla fenomenologia, si sarebbe orientata, in un secondo tempo, “verso un fisicalismo completamente antihusserliano, trascurando sempre di più il soggetto, perché con la nozione di interazione indissociabile [il fenomeno in sé, al di là del dualismo tra soggetto e oggetto], la psicologia della forma o Gestalt ha ereditato dalla fenomenologia anche quello che si potrebbe chiamare il suo attualismo o assenza totale di considerazione per la dimensione storica e genetica.” (J. Piaget, Saggezza e illusioni della filosofia, 1969). In realtà, Piaget mostra, in questo saggio, nel quale molto spazio è dedicato a una critica della fenomenologia, in quanto psicologia “filosofica”, in contrapposizione alla psicologia “sperimentale”, di non conoscere l’evoluzione del pensiero fenomenologico di Husserl, nel tempo successivo all’opera Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (2002c). Il problema del tempo e della genesi dei fenomeni saranno approfonditi da Husserl in numerose opere e ricerche, diventando, insieme al problema del mondo-della-vita, il tema dominante degli studi del filosofo tedesco, soprattutto nell’ultima fase della sua vita. 26  In questo studio si tenta di affrontare, in particolare, il pro-

blema della realtà psicologica del fenomeno e della sua natura originaria, mostrando come gli aspetti essenziali che lo caratterizzano, non riguardino tanto quelli che si possono raggruppare sotto il titolo di struttura, di Gestalt e di campo, quanto piuttosto di senso, significato, espressione e fisionomia. Lo stesso Husserl, in particolare, nei suoi studi sulla sintesi passiva, si è occupato, soprattutto, della genesi del senso, nella temporalità della coscienza esperiente. Il “senso” e la “vita” sono categorie strettamente connesse, dalla cui corretta comprensione dipende molto del destino della soluzione del dualismo mente-corpo, che tanto ha occupato e continua a occupare i filosofi e gli studiosi della psiche. 60

Rappresentazione e emozione

Riguardo alla morfologia vegetale e quindi al problema della manifestazione fenomenica dell’essere vivente, Goethe fa un’importante distinzione terminologica, che risulta importante, oltre che per il concetto della “vita”, anche per il concetto di “senso”, nella prospettiva che ci proponiamo di seguire in questo scritto. “Per indicare il complesso dell’esistenza di un essere reale, il tedesco si serve della parola Gestalt, forma; termine nel quale si astrae da ciò che è mobile, e si ritiene stabilito, concluso e fissato nei suoi caratteri, un tutto unico. Ora, se esaminiamo le forme esistenti, ma in particolar modo le organiche, ci accorgiamo che in esse non vi è mai nulla di immobile, di fisso, di concluso, ma ogni cosa ondeggia in un continuo moto . Perciò il tedesco si serve opportunamente della parola Bildung, formazione, per indicare sia ciò che è già prodotto, sia ciò che sta producendosi. Ne segue che, in una introduzione alla morfologia, non si dovrebbe parlare di forma e, se si usa questo termine, aver in mente soltanto un’idea, un concetto, o qualcosa di fissato nell’esperienza solo per il momento. Il già formato viene subito ritrasformato; e noi, se vogliamo acquisire una percezione vivente della natura, dobbiamo mantenerci mobili e plastici riguardo l’esempio ch’essa stessa ci dà.” (J. W. Goethe, La metamorfosi delle piante e altri scritti sulla scienza della natura, 1983). Il concetto di “fisionomia”, come abbiamo già brevemente accennato, è, in qualche modo, connesso con i concetti di senso, di tempo e di vita. Cercheremo di articolare, nei limiti del possibile, questi concetti, all’interno di un discorso razionale. Alla parola “fisionomia” si associa, con assoluta appropriatezza, il termine tedesco “Bildung”, con il quale possiamo intendere l’aspetto “morfodinamico” delle manifestazioni fenomeniche. Il legame indissolubile tra morfologia e fisionomia è stato sottolineato da Patrizia Magli (ibidem), la quale intravede nel “concetto di entelechia” la categoria che “sembra stare a fondamento dello stesso paradigma organicista che, da Aristotele fino a Goethe, ha fecondato, anche se in modo vago e indeterminato, le scienze mor61

Categorie e fisionomie

fologiche.”. L’apparenza esteriore, la fenomenicità, di un organismo è dominata, secondo Goethe, da un “principio interno” che sta alla base della connessione, quindi della relazione tra le parti esterne. “Per Goethe, la comprensione di questo principio, completamente pervaso dall’antico ideale di entelechia, era il problema teorico centrale della biologia. In questo senso, dice Bühler [1934], possiamo tranquillamente sostenere che ‘storicamente’, dal grembo dell’antica fisiognomica è nata la scienza esatta della morfologia moderna.” (ibidem). Il paradigma della “forma”, intesa nel senso di Goethe, è un paradigma organico e dinamico e corrisponde a quello della “fisionomia” e non a quello della “geometria”. 27 Il rapporto tra psiche e sistema nervoso centrale è, come è sta-

to già detto, al centro delle ricerche delle neuroscienze contemporanee. L’intento di questo scritto non è una critica alle neuroscienze e ai suoi metodi, né, in generale, una critica alla scienza sperimentale, che si è sviluppata in modo sempre crescente dal Rinascimento, fino ai nostri giorni, soprattutto grazie ai metodi esatti della fisica matematica. Viene, invece, messa in discussione l’equazione scienza = conoscenza, che viene spesso data, ingenuamente, per scontata. In questo contesto, quindi, diviene fondamentale la questione delle “rappresentazioni particolari”, che sono alla base della percezione del mondo esterno. Gli aspetti espressivi e simbolici della percezione possono essere colti solo nell’esperienza fenomenologica, o nell’esperienza artistica, nel senso indicato da Klee, che “l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. Abbiamo definito precedentemente la fisionomia come la “sintesi delle differenze”, e non la “sintesi delle somiglianze”. Le “rappresentazioni particolari” possono seguire il destino della “predicazione”, quando da esse viene, per così dire, estratta la “categoria”, cioè il predicato generale, come nei giudizi percettivi. Oppure esse possono seguire il destino della “espressione”, quando soggior62

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niamo in esse, cogliendo quelle caratteristiche individuali e irripetibili, che costituiscono la “fisionomia” della cosa rappresentata. Quando siamo nell’atteggiamento di cogliere il “volto” delle cose, cioè la fisionomia, non ci occupiamo della connessione “causale” tra gli eventi e delle regolarità della natura che le categorie generali della conoscenza scientifica ci aiutano a scoprire, nell’associazione delle percezioni. Diversamente, ci approssimiamo a un tipo di ordine che sembra governato dal “senso”. Non abbiamo di mira la forma esatta e logica delle cose e degli eventi naturali, ma siamo attratti dallo strato fluente e inafferrabile come “oggetto” che caratterizza la ”vita” (13). Nell’arte (vedi figura 4, Gedanken bei Schnee, 1933, di Paul Klee), soprattutto nell’espressionismo astratto, ci troviamo spesso di fronte a paesaggi o a situazioni che ci presentano la loro fisionomia, e si estendono come volti che esprimono l’interiorità di ciò che viene rappresentato, sia esso qualcosa di vivente o di inorganico, come una natura morta, una roccia o un fiume che scorre entro un paesaggio. Nell’opera Esperienza e giudizio (1995), Husserl studia la genesi e lo sviluppo dei giudizi percettivi, cioè, dei giudizi fondati sulla percezione esterna. Tra il pensiero e la percezione (intuizione), sussistono alcune differenze fondamentali, la più fondamentale delle quali si riassume 4 nel concetto di attività dell’io; mentre gli oggetti dell’esperienza intuitiva sono dati al soggetto passivamente, gli oggetti del pensiero necessitano di un’attività dell’io che li costituisce. Oltre a ciò, gli oggetti del pensiero si presentano come delle generalità, che derivano, appunto, dall’attività formatrice dell’io, mentre gli oggetti della percezione sono oggetti indivi63

Categorie e fisionomie

duali. Il dominio che Husserl analizza, nell’opera citata, è quello della passività e della ricettività, il dominio o dimensione “ante-predicativa” o “pre-categoriale” dell’esperienza conoscitiva. Gli oggetti si costituiscono nella temporalità immanente della coscienza, come entità dotate di “unità” e di “medesimezza” (identità). 28  Nel bellissimo saggio di Pavel Florenskij, dal titolo Il significa-

to dell’idealismo (1999), si trova formulato chiaramente il concetto che non ogni percezione di ciò che è animato è una “percezione sintetica”, capace di andare oltre i limiti del “qui e ora”. La possibilità di cogliere il “movimento” nelle “forme”, apparentemente statiche, che si danno nella “simultaneità” della forma esterna, è, o un dono dato all’artista dalla natura, oppure è il risultato di un esercizio “fenomenologico” che ci aiuta a divenire coscienti di come si costituiscono le immagini nella percezione. Il primo ostacolo, come abbiamo già detto, consiste nel pregiudizio, sottolineato da Husserl, dovuto alla “idealizzazione” del mondo reale, attraverso il metodo “astratto” della fisica-matematica. La consapevolezza, quindi, dell’esistenza di un piano “ante-predicativo” o “pre-categoriale”, come punto di partenza dell’indagine morfologica, è un aspetto fondamentale del tipo di approccio che viene proposto in questo scritto. Maurice Merleau-Ponty, nel saggio del 1945, dal titolo Fenomenologia della percezione (1965), sottolinea il dato fondamentale che la “forma” rappresenta “l’identità dell’esteriore e dell’interiore”. Il filosofo francese afferma: “Se nella nostra percezione la ‘forma’ è privilegiata, non è perché realizzi un certo stato di equilibrio, perché risolva un problema di pregnanza e, nel senso kantiano, renda possibile un mondo: essa è l’apparizione stessa del mondo, e non la sua condizione di possibilità... è l’identità dell’esteriore e dell’interiore, e non la proiezione dell’interiore nell’esteriore... La Gestalt di una circonferenza non è la legge matematica, ma la fisionomia.”. C’è un legame profondo tra “forma” e “senso”, intendendo con quest’ultimo termine, il “senso percettivo”, che si costituisce nella temporalità immanente del64

Rappresentazione e emozione

la coscienza. Questo rapporto tra forma e senso è fondamentale per comprendere e chiarificare il concetto di fisionomia che, nelle varie epoche di cultura, ha presentato e mantenuto non poche oscurità e ambiguità di significato. Tutto ciò che indichiamo con forma, senso e fisionomia, nell’esperienza fenomenica cosciente, ci è dato come “rappresentazione”. Sempre nell’opera citata (ibidem), Merleau-Ponty afferma: “Nel silenzio della coscienza originaria si vede apparire non soltanto ciò che vogliono dire le parole, ma anche ciò che vogliono dire le cose, il nucleo di significato primario attorno al quale si organizzano gli atti di denominazione e di espressione.”. Le rappresentazioni, come “visioni di significati”, sono ampliamente stratificate. Dalle rappresentazioni particolari, per lo più privilegiamo la via che porta alle rappresentazioni generali, come “sintesi delle somiglianze”, con cui operiamo nelle connessioni giudicative. La forma della “proposizione” permette la riflessione, il giudizio e la comprensione dei significati, nonché la comunicazione intersoggettiva. L’altra via, più “interna” alle rappresentazioni particolari, tipica dell’esperienza artistica, cioè la via dell’ osservazione della fisionomia, come “sintesi delle differenze”, costituisce un percorso che può rivestire interesse non solo “artistico”, ma anche “scientifico”. È appunto la via della “morfologia scientifica”. 29  La via della “matematizzazione” della natura, seguita dalla

scienza sperimentale, dal Rinascimento in poi, ha portato alla riduzione degli organismi a meccanismi e, di conseguenza, all’interno di questa prospettiva, la “forma” tende ad esaurirsi nella “funzione”. L’importanza della fenomenologia e della teoria della conoscenza, nello studio del mondo organico e nella fondazione di una morfologia scientifica, è connessa con la necessità di chiarificazione di alcuni rapporti fondamentali, che intervengono nel processo di conoscenza degli esseri viventi, come è il caso del rapporto tra forma e significato, che non è stato ancora sufficientemente indagato. L’organismo adulto si manifesta come una totalità percettiva “simultanea”, dotata di una fenomenicità espressiva. 65

Categorie e fisionomie

A differenza del concetto e della rappresentazione generale che sono “sintesi delle somiglianze” e stabiliscono l’identità tra gli individui di una classe o di un gruppo, il Tipo costituisce una “sintesi delle differenze”, anche se delle differenze “possibili”. L’identità delle strutture individuali che si raggruppano sotto il termine Tipo, è un’identità “dinamica”, regolata, secondo Goethe, dal principio di metamorfosi. “Tutte le forme sono affini, e niuna somiglia all’altra... ” (in J. W. Goethe, La metamorfosi delle piante... , ibidem). La comparazione permette di cogliere le somiglianze nelle differenze, collegandole al Tipo, come principio che sta alla base della metamorfosi che avviene sul piano concreto della manifestazione naturale. In questo senso, il Tipo è un “universale fisiognomico”, un “super-individuo” che contiene le radici delle differenze possibili. L’immaginazione, attraverso il procedimento scientifico della comparazione, coglie la fisionomia “fluente” del Tipo, che scorre all’interno degli individui concreti che si manifestano. Goethe è riuscito a dimostrare la sua teoria per il mondo delle piante (ibidem). A questo livello la metamorfosi può essere seguita e osservata in un modo lineare e convincente. Diversamente, per il mondo animale, la situazione risulta più complessa. Gli animali sono dotati di una psiche e di un comportamento. Le trasformazioni, nel mondo animale, sono molto più complesse che nel mondo delle piante. Altre categorie, come quella di “sincronicità” (D. Nani, Sincronicità e dinamica della forma – Connessioni simboliche nell’anatomia dei vertebrati, 2001), oltre a quella di “metamorfosi”, sembrano necessarie per descrivere e spiegare le trasformazioni e le connessioni che si presentano nel mondo degli animali.

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Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

1  Max Scheler afferma che l’esperienza dello psichico può venir

colta solo se ci spostiamo dagli strati più esterni della coscienza a quelli più interni, se ci spostiamo, cioè, dal piano della rappresentazione a quello dell’emozione. L’emozione, l’impulso, e, nella sua forma più alta, il sentimento, sono l’essenza della realtà dell’anima. 2  La classica suddivisione delle attività psichiche in pensare, sen-

tire e volere, sembra la più idonea, a tutt’oggi, per affrontare il problema dell’essenza dei fenomeni psichici e quello del rapporto mente/corpo.

3  La vita emotiva o affettiva costituisce un ponte tra la sfera dell’a-

zione e quella della rappresentazione, che caratterizza tutte le attività del pensiero cosciente e, in senso lato, della percezione e dell’immaginazione. 4  Nel mondo animale, assistiamo, sia dal punto di vista ontoge-

netico che da quello filogenetico, a una progressiva “differenziazione” delle funzioni psichiche e del comportamento. Il dispositivo anatomico più elementare è caratterizzato da un’articolazione sinaptica tra due elementi neuronali: quello sensitivo e quello effettore o motorio. Questo dispositivo viene chiamato catena bineuronale e costituisce la base anatomica della funzione più semplice detta “atto riflesso” (A. Bairati, Anatomia umana, 1959). In termini molto semplificati, la frapposizione di neuroni tra il polo sensitivo e quello motorio sembra costituire l’edificio basilare per lo sviluppo di architetture nervose più complesse, come quelle dei sistemi nervosi centrali. L’evoluzione del substrato nervoso va di 67

Categorie e fisionomie

pari passo con quella della psiche dei diversi animali. Il cervello si costituisce, come organo di “integrazione” tra un polo sensitivo e un polo motorio. 5  Negli animali inferiori, prevalgono le attività riflesse. La pro-

gressiva costituzione di un mondo interno, di una vita interiore vera e propria, è un fenomeno lento e progressivo che presenta dei gradi ben definibili nella scala zoologica. Dove prevale l’attività riflessa, il mondo esterno, la Umwelt, caratteristica di un certo animale (J. von Uexküll, I mondi invisibili, 1936), costituisce una sorta di psiche esteriorizzata, alla quale l’organismo reagisce. Von Uexküll rifiuta l’idea darwinistica dell’esistenza di un unico mondo esterno, di un unico ambiente, identico per tutti gli esseri viventi. Ogni animale possiede, per il biologo tedesco, un proprio mondo ambiente che lo circonda come una “bolla” ed è caratterizzato dall’interazione tra i suoi organi di senso e tra i suoi organi motori e il mondo ambiente che su di essi si plasma e si differenzia. Il mondo esterno di una mosca è diverso da quello di un lombrico o di un elefante. In questa differenziazione entrano in gioco anche importanti fenomeni di “scala”, che determinano la qualità e il tipo della “fenomenicità” caratteristica per ogni specie animale. La psiche degli animali superiori si costituisce attraverso una progressiva interiorizzazione delle funzioni psichiche che giungono a realizzare un mondo interno, entro il quale diventa possibile una vita interiore. Questi processi di progressiva costituzione di un ambiente interno, separato dal mondo esterno, non riguardano solo il cervello e la psiche, ma coinvolgono l’intera morfologia degli organismi animali. Deve avvenire, ad ogni tappa, un rimaneggiamento globale di tutte le strutture corporee. 6  Gli animali inferiori (e questo vale per gli invertebrati e per i

vertebrati) sono diretti dall’esterno. Il sistema nervoso di questi animali trova la propria “interiorità” nella propria Umwelt, nel proprio peculiare ambiente esterno. 68

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

Tra i vertebrati, i pesci sono animali ancora completamente dominati dall’ambiente esterno, del quale, la propria attività motoria, le caratteristiche sensoriali e il comportamento costituiscono fondamentalmente un “riflesso”. Le proprietà dell’acqua si riflettono, infatti, nel movimento tipicamente ondulatorio e continuo e nelle qualità sensoriali caratterizzate, in particolare, dalla percezione del movimento e, quindi, dello spazio. 7  Negli animali inferiori, nei quali prevale l’attività riflessa, la vi-

ta emotiva non si traduce in rappresentazioni, ma si esaurisce nel continuo trapasso dalla sensazione al movimento e dal movimento alla sensazione. Questa situazione condusse von Uexküll a concepire ogni animale come “un fascio ordinato di riflessi”, come “una macchina a risposta” (Antwortmaschine), nei confronti delle azioni del mondo esterno. “Se dunque il riflesso costituisce l’elemento originario (Urelemente) di ogni piano costitutivo dell’animale, compito della biologia sarà quello di studiare il sistema nervoso in tutte le sue complesse disposizioni, che collegano organi recettori ed organi di movimento.” (J. von Uexküll, in Ambiente e comportamento, 1967). 8  Maurice Merleau-Ponty dedica una parte consistente delle

sue lezioni al Collège de France (1956-1960), tradotte in italiano nell’opera, già citata, dal titolo La natura (1996), alla concezione ambiente-organismo, in von Uexküll. Gli animali inferiori non possiedono [ancora], al loro interno, una “riproduzione del mondo esterno”. “Allo stadio degli animali superiori, la Umwelt non è più chiusura, ma apertura. Il mondo esterno viene ‘distillato’ dall’animale che, differenziando i dati sensoriali, può rispondere loro con azioni sofisticate e queste reazioni differenziate sono possibili solo perché il sistema nervoso si organizza come una riproduzione del mondo esterno (Gegenwelt), come una ‘riproduzione’, una ‘copia’... Per le meduse, gli stimoli esigono una risposta definita in anticipo dalle strutture dell’organismo; per gli animali superiori, essi sono trasmessi a un’elabora69

Categorie e fisionomie

zione nervosa e tradotti nel sistema linguistico del sistema nervoso. Tra il mondo esterno e l’organismo vivente, sta l’inserimento di un insieme che ordina, coordina e interpreta: il sistema nervoso è specchio del mondo (Weltspiegel).” (ibidem). 9  L’animale superiore costituisce dunque una Umwelt che ha una

Gegenwelt, una riproduzione nel suo sistema nervoso. Nella sua opera del 1934 (ibidem), von Uexküll precisa questa nozione di Gegenwelt. Distingue la Welt: il mondo oggettivo, la Umwelt: l’ambiente che l’animale si forma e la Gegenwelt: la Umwelt degli animali superiori. La Umwelt interiorizzata è, a sua volta, formata da due sistemi: la Merkwelt [il mondo della percezione] e la Wirkwelt [il mondo dell’azione]. La Merkwelt dipende dal modo in cui sono fatti gli organi sensoriali. Questi realizzano una classificazione degli stimoli secondo una disposizione propria dell’animale. La Merkwelt è una griglia interposta tra l’animale e il mondo. Per determinare il mondo dell’animale bisogna far intervenire anche la Wirkwelt, ossia le reazioni dell’animale nell’ambiente, le melodie di impulsi (ibidem). L’importanza di queste considerazioni, così ben riassunte da Merleau-Ponty, consiste nel fatto che, nel mondo animale, non viene ancora infranta quella barriera che porta dalla dimensione delle “situazioni” a quella della “oggettività” e del “significato”, come fa notare Cassirer, nelle sue bellissime annotazioni sulla coscienza animale (in Metafisica delle forme simboliche, 2003). L’animale non sembra poter infrangere il muro costituito dal suo ambiente. Esso non è neppure in grado di notarlo, se lo porta in giro per tutta la sua esistenza, “come un involucro impenetrabile”. “... la molteplicità dei segnali non si concentra in un ‘nucleo’ stabile, simile a una cosa.” (ibidem). E lo stesso vale per l’unità della coscienza, per l’io. “... in particolare gli animali inferiori non sembrano in nessun modo distinguere nettamente tra il ‘proprio’ corpo e i corpi dell’ambiente, del ‘mondo esterno’... il ‘proprio’ corpo non si distingue ancora in modo preciso dal suo ambiente, non è ancora separato da esso.” (ibidem). 70

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

10  “Al livello animale”, afferma Cassirer, nella medesima ope-

ra (ibidem), “... non ci sono strutture di cose in cui viene articolata la totalità dei dati di senso e ugualmente questi dati non sono divisi in singoli atomi di senso, in semplici ‘sensazioni’.” (ibidem). In luogo di oggetti e di rappresentazioni, l’animale possiede un flusso di qualità diffuse che possono venir considerate come “melodie sensoriali”. Hans Volkelt (Über die Vorstellungen der Tiere: ein Beitrag zur Entwicklungspsychologie, 1914), citato da Cassirer, afferma che il paesaggio che, ad esempio, si presenta a un piccione, durante il volo, appare inarticolato e diffuso: “Le impressioni del paesaggio che si susseguono l’una all’altra non si riuniscono in una serie di immagini articolate in sé e reciprocamente delimitate, ma sono come una melodia ottica... Con queste melodie gli animali trovano la propria via di paesaggio in paesaggio, come uno che riproduce un canto ritrova la via di tono in tono.” (in Cassirer, ibidem). 11  Melodia, fisionomia. Il mondo animale come il mondo mitico

soggiace alla legge della metamorfosi (Cassirer, ibidem).

12  Lo studio comparato dei processi cognitivi, nel mondo animale,

viene condotto, in generale, all’interno della prospettiva evoluzionistica, inaugurata da Darwin. La mente animale (e umana) viene indagata come un fenomeno “naturale” che si è sviluppato da meccanismi foggiati dalla selezione naturale. I processi cognitivi risultano, perciò, innanzitutto, delle specializzazioni “adattative”, sorte in risposta a specifici problemi che gli animali hanno incontrato nel loro ambiente (G. Vallortigara, Altre menti – Lo studio comparato della cognizione animale, 2000). La psicologia sperimentale tende, inevitabilmente, a proiettare i concetti e le esperienze della mente umana in quella animale. Tende cioè a far uso di concetti, come quello di “rappresentazione” che sono mutuati dall’analisi psicologica descrittiva dei processi mentali umani. 71

Categorie e fisionomie

13  “Il concetto di rappresentazione è centrale nelle moderne scien-

ze cognitive. Almeno in teoria, esso dovrebbe essere inteso con lo stesso significato che ha in matematica: quello cioè di un isomorfismo funzionale tra sistemi differenti... In pratica, nel corso dei processi cognitivi, l’analogia dovrebbe essere tradotta più o meno in questi termini: una rappresentazione mentale è un isomorfismo tra certi processi nel cervello e certi aspetti dell’ambiente ai quali tali processi provvedono ad adattare il comportamento di un organismo.” (G. Vallortigara, ibidem). Il risultato di ciò consiste, essenzialmente, nella produzione di “inferenze”, “valide circa gli eventi e le relazioni tra gli eventi nel sistema che viene rappresentato, e cioè l’ambiente di un organismo.” (ibidem). Nel caso della rappresentazione dello spazio, ad esempio, sembra sia ormai dimostrata, nei vertebrati, l’esistenza di “mappe cognitive” dell’ambiente, che possiedono un complesso circuito neuronale nell’ippocampo (una struttura implicata nella funzione della memoria) (14). 14  Anche per le emozioni, come per le rappresentazioni e per i

comportamenti motori, sono state individuate regioni cerebrali che ne costituiscono il substrato neurologico. In particolare, l’esperienza emotiva della paura sembra essere connessa con il lobo temporale e, più precisamente, con l’amigdala, che per il suo rapporto con l’ipotalamo e con il sistema nervoso autonomo, sembra fornire un ponte tra il sistema nervoso centrale e quello periferico “con importanti funzioni nel processo cognitivo di comprensione e valutazione della situazione emotiva.” (M. Balconi, Neuropsicologia amigdala delle emozioni, 2004). L’amighippocampus dala fornirebbe un contributo 5 rilevante “nei processi di valu72

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

tazione del significato dello stimolo, in termini di valore positivo e negativo per l’organismo.” (ibidem). Questa struttura cerebrale riceve afferenze dalle aree visive, olfattive, somatosensoriali, etc.. Emozione e memoria sono funzioni strettamente connesse. Sia l’amigdala che l’ippocampo sono strutture fondamentali per la mediazione tra emozioni e sistemi di memoria. La mimica facciale e i correlati vocali sembrano fondamentali nell’evocazione dei processi emotivi. A questo livello emerge, immediatamente, l’elemento fisiognomico e, potremmo aggiungere, melodico, nella produzione degli stati emotivi, sia nell’essere umano che negli animali. Nei vertebrati superiori, dove risulta evidente la differenziazione delle funzioni emisferiche, sembra ormai appurato, in linea generale, che l’emisfero sinistro svolge un ruolo eminente nella “categorizzazione” del mondo delle esperienze. L’emisfero destro, invece, “si occuperebbe dell’analisi dettagliata di specifici esemplari della stimolazione, e quindi della rilevazione di proprietà e caratteristiche che sono uniche piuttosto che comuni a molti stimoli. È il caso, per esempio, delle proprietà che consentono di riconoscere individualmente un conspecifico, oppure dell’apprendimento della topografia dell’ambiente (le posizioni spaziali sono sempre, per definizione, uniche).” (G. Vallortigara, ibidem). L’emisfero destro risulterebbe, perciò, connesso con la “espressione” e con il riconoscimento della “fisionomia” delle cose, attraverso la “sintesi delle differenze” e non delle “somiglianze”. emisfero sinistro categoria sintesi delle somiglianze

emisfero destro fisionomia sintesi delle differenze

15  Quando osserviamo un oggetto nella sua fisionomia, cioè nei

suoi tratti individuali, siamo in una condizione simile a quando ascoltiamo la musica: ascoltiamo l’oggetto. Questa situazione percettiva è, ad esempio, tipica, nella contemplazione di un’opera d’arte. 73

Categorie e fisionomie

16  Il senso percettivo che si costituisce, come ha sottolineato Hus-

serl, nella temporalità della coscienza, non segue la via che porta al significato concettuale, ma resta allo stato ante-predicativo (precategoriale). Le cinque mele osservate come “natura morta”, non sono solo “cinque mele”. La coscienza soggiorna entro la forma individuale e irripetibile che si costituisce nel rapporto tra l’oggetto e il contesto. L’universale in gioco in questa operazione non è il significato concettuale che risulta dalla predicazione logica, ma è l’essenza che rende l’oggetto un’individualità unica, un esemplare. È questo processo che caratterizza la differenza tra ciò che Goethe e Schiller chiamavano “empirismo razionale”, rispetto alla “induzione empirica”, tipica del metodo della scienza sperimentale, inaugurata da Bacone e da Newton (D. Nani, Evolution and metamorphosis in the perspective of rational empiricism, 1998). 17  Come afferma Hans Reichenbach, in un passo del suo libro La

nascita della filosofia scientifica (1961): “Se è possibile mostrare che una combinazione di segni è vera o falsa, si dice che è fornita di significato. Questo concetto è importante, perché spesso si danno combinazioni di segni la cui verità o falsità non può essere determinata subito, ma lo può in un tempo successivo. Asserzioni non verificate come ‘domani pioverà’ sono di tale tipo. Il riferimento alla verificabilità costituisce un elemento indispensabile della teoria del significato. Una proposizione la cui verità non può essere determinata con possibili osservazioni è priva di significato. I razionalisti hanno creduto nell’esistenza di significati in sé, ma da parte empiristica si è sempre sostenuto che il significato dipende dalla verificabilità. La scienza moderna fornisce argomenti a favore di questa concezione.”. Anche se oggi, gli scienziati preferiscono evitare il termine “verità” e “verifica”, e preferiscono termini quali “conferma provvisoria” o, addirittura, sulle orme di Popper, “falsificazione”, il problema della tendenza alla generalizzazione dei fatti empirici, attraverso leggi, teorie e modelli, resta lo scopo fondamentale della scienza sperimentale. 74

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

“Lo scopo della scienza è la spiegazione sistematica. Nelle scienze della natura, ad esempio, qualcosa viene spiegato in quanto viene ricondotto a leggi naturali.” (Kurt Hübner, La verità del mito, 1990). I sistemi di spiegazione più evoluti, per completezza e complessità, sono le “teorie”, i cui assiomi sono costituiti da leggi o regole, articolate logicamente in modo più o meno rigoroso. Hübner (ibidem) specifica ulteriormente questa situazione “ontologica” delle scienze naturali: “... è importante innanzitutto tener presente che questa ontologia contiene una serie di nette separazioni. Vengono separati gli oggetti materiali da quelli ideali, i singoli oggetti dai loro concetti e dal medium spazio-temporale in cui si trovano. Tutto ciò è a sua volta separato dalle leggi naturali, che esprimono universalmente come i singoli oggetti materiali da sussumere sotto i concetti vadano inseriti nello spazio e nel tempo e posti in relazione reciproca. Per quanto riguarda queste relazioni si presuppone inoltre che gli oggetti da esse collegati siano inizialmente separati l’uno dall’altro, cioè che il relato preceda la relazione. Separate sono anche le leggi naturali da quei processi altrettanto regolari che sono determinati da fini. E, per concludere, il tutto è separato dalla parte, nel senso che la parte rappresenta un oggetto sussistente per sé fuori dal tutto.” (ibidem). 18  Le scienze della natura si sono sviluppate avendo come model-

lo la “fisica”. Anche in biologia, il concetto di funzione ha avuto il sopravvento, rispetto al concetto di forma, per cui i grandi sviluppi della biologia contemporanea sono dovuti soprattutto ai risultati della biologia molecolare e della genetica, mentre la morfologia è passata in secondo piano. Il rapporto tra logica e biologia, che è stato uno dei fondamenti dell’opera di Aristotele, ha avuto il suo apogeo nel Systema Naturae (1735) e nella Philosophia Botanica (1751) di Linneo. In queste opere, la molteplicità delle forme naturali trovava, per la prima volta, un ordine sistematico, basato su specie, generi, ordini e classi. Linneo, tuttavia, era perfettamente consapevole che il suo 75

Categorie e fisionomie

Systema Naturae restava un mero “sistema artificiale”, utile solo a fini diagnostici, ma sprovvisto di un autentico valore conoscitivo. Il problema del rapporto tra il particolare e il generale, negli organismi viventi, sarà alla base della problematica del Bauplan, in tutta la biologia del diciannovesimo secolo. Problematica che, nel ventesimo secolo, sarà soppiantata dagli sviluppi della genetica che tende a risolvere la forma e la struttura degli organismi a livello molecolare. 19  Quello che manca ed è mancato è un’autentica scienza degli

“individui”, nella quale devono convergere la biologia, la psicologia e la teoria della conoscenza. Si tratta di risalire alle origini e di rivolgere lo sguardo all’interno della struttura individuale. 20  Nell’epoca attuale di cultura, nel processo percettivo, preval-

gono le rappresentazioni generali. La rappresentazione particolare che descrive i tratti peculiari di un oggetto qualsiasi viene bypassata dall’emergere immediato e automatico della rappresentazione generale, per cui nella comunicazione intersoggettiva, prevalgono di gran lunga le “categorie” rispetto alle descrizioni particolari. L’osservazione dei particolari che caratterizza la percezione di un oggetto individuale implica uno sforzo notevole dell’attenzione e, ai fini pratici, come anche nell’atteggiamento scientifico, l’elemento “funzionale”, utilitaristico, prevale rispetto all’elemento formale, puramente descrittivo. Tutto ciò conduce a un impoverimento dell’esperienza del mondo e del linguaggio che lo descrive e lo definisce. In generale, possiamo affermare che il pensiero tende a prevalere sulla percezione. Si può studiare botanica e zoologia, trascurando completamente la morfologia degli organismi, e approfondendo solamente il livello molecolare-biochimico e la fisiologia. 21  Consideriamo la fisionomia del volto. I cambiamenti rapidi so-

no dovuti prevalentemente alla mimica della muscolatura facciale. La totalità espressiva di un volto è dotata sia di una profondità “spaziale” che di una profondità “temporale”. Il volto è un esem76

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

pio tipico di “entità individuale”. Il volto è “individuum” per eccellenza. “Il volto costituisce uno stimolo specifico e altamente prioritario rispetto all’elaborazione di altri oggetti quotidiani, dal momento che possiede caratteristiche distintive e uniche se confrontato con altre configurazioni visive. Esso è definito, infatti, come una configurazione unitaria, non ulteriormente scomponibile in sottocomponenti.” (M. Balconi, ibidem). La prosopagnosia costituisce un deficit neurologico, in cui, è preservata la capacità ad identificare gli oggetti in generale, mentre risulta compromessa la “capacità di elaborare caratteristiche specifiche dei volti.”. Dal punto di vista del substrato neurologico, Eric R. Kandel et al. (Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, 1999) affermano che “Lo studio di pazienti che in seguito ad un ictus cerebrale non sono più in grado di riconoscere le fisionomie... ha fornito prove convincenti dell’esistenza di una via specifica deputata al riconoscimento delle facce. Questi pazienti sono portatori di lesioni a carico della corteccia infero-temporale e sono in grado di identificare una faccia come tale o le sue diverse parti e possono persino riconoscere le particolari espressioni emotive dipinte su un volto, ma non sono in grado di identificare una persona osservandone il viso... Ciò che viene meno in questi pazienti non è la nozione dell’identità di una persona, ma solo la connessione fra i lineamenti di un volto e l’identità specifica della persona stessa.”. “Ogni cosa a questo mondo, di qualunque cosa si tratti, ha una propria fisionomia specifica e individuale; ogni pera, ogni mela, ogni grappolo d’uva, ogni foglia ha una sua fisionomia caratteristica in base alla quale possiamo giudicare la sua intima costituzione individuale.” (Johann Kaspar Lavater, Sulla fisiognomica, in M. Balconi, ibidem). Il problema nodale, come abbiamo già rilevato, consiste nella distinzione tra “riconoscimento” e “identificazione”. “Quando in una folla anonima una faccia improvvisamente si distingue dal resto e diventa per noi volto, viso, persona? A questo proposito, forse è necessario distinguere ciò che potremmo chiamare rico77

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noscimento di un volto in quanto attribuzione di quel volto a una classe generale, dalla sua identificazione, ovvero, dall’appercezione di un volto in quanto unico e irripetibile.” (M. Balconi, ibidem). La forma individuale, abbiamo detto, è la “sintesi delle differenze”, diversamente dalla forma generale, che è “sintesi delle somiglianze”. 22 La fisionomia, come “sintesi delle differenze”, viene colta dal-

la coscienza, nell’atto percettivo, come una “totalità simultanea”. Nell’opera Esperienza e giudizio (ibidem), Husserl distingue, molto chiaramente, le fasi dell’atto conoscitivo. Alla fase “ricettiva” in cui si costituisce un oggetto “identico e identificabile”, sopravviene la fase propriamente “attiva”, in cui l’oggetto si conserva nella sua identità “al di là del tempo in cui è dato all’intuizione”. Questa fase porta alla “conoscenza predicativa”, attraverso la quale “si costituiscono oggettività di nuovo genere che possono esse stesse essere poi colte e fatte diventare tema; sono queste le formazioni logiche che noi chiamiamo oggettività categoriali.” (ibidem). Queste formazioni conoscitive di tipo “logico” sono le vere e proprie “oggettività dell’intelletto”. Husserl pone lo scopo dell’attività conoscitiva nel “pensare universale”, dal quale dipende la possibilità dell’oggettività del conoscere e della sua comunicazione intersoggettiva. Il pensiero universale è il pensare concettuale, che è di natura essenzialmente “inferenziale”. È il pensare “logico”, in senso pregnante. “Tempo” e “logos” sono due dimensioni che vanno tenute ben distinte, sul piano gnoseologico. La mancanza di chiarificazione rispetto a queste due dimensioni porta allo “psicologismo”, cioè alla tendenza a credere “che nella logica ci si occupi del processo mentale del pensare e delle leggi psicologiche secondo le quali esso si svolge.” (G. Frege, Il pensiero - una ricerca logica, in Ricerche logiche, 1988). La differenza fondamentale tra pensiero logico e rappresentazione è stata ben delineata da Frege. La rappresentazione è, infatti, una struttura empirica e temporale, mentre il pen78

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

siero “logico”, o possiamo dire, intendendolo in senso dinamico, il concetto, è “atemporale”. Vogliamo contrapporre e chiarificare, ora, in modo polare, e, all’interno di queste due dimensioni del “tempo” e del “logos”, il pensare “immaginativo”, che mettiamo in relazione allo studio della “fisionomia”, e il pensare “logico” che è in relazione con la “categoria”. 23  La fisionomia è una struttura temporale in un duplice sen-

so. Il primo senso riguarda il fatto che la fisionomia, in quanto rappresentazione particolare, si costituisce come un’entità temporale della coscienza soggettiva, come quel “determinato” vissuto. Quest’ultimo, per usare la terminologia di Husserl, contiene un nucleo “noematico”, un “senso”. Attraverso il percorso “logico”, questo “senso” viene innalzato “al regno del logos” (Husserl, Idee… , ibidem). Il “senso” diventa “significato”, come nel giudizio percettivo “questo è bianco”, dove “bianco” è un predicato universale, è un concetto. La struttura “temporale” tipica delle “individualità” e la struttura “logica” (o “ideale”), tipica delle “generalità”, degli “universali” sono profondamente diverse l’una dall’altra. L’individuo è un’unità “connessa”, mentre l’universale è un’unità “categoriale”. Alla luce di questi problemi, risulta chiara l’importanza attribuita da Kant al tempo inteso come “forma” della sensibilità. Quando si pensa alla temporalità della coscienza, si fa immediatamente riferimento, innanzitutto, all’esperienza della memoria. In realtà, se si vuole trovare un qualche tipo di parallelismo o analogia tra struttura della coscienza e struttura dell’ambiente fisico del mondo esterno, si dovrebbe dire che noi viviamo, nella nostra coscienza, in una sorta di “atmosfera” temporale, dove, per analogia con lo spazio, il tempo deve risultare “trasparente”. Noi “vediamo” i fenomeni, non il tempo, noi vediamo i fenomeni “attraverso” il tempo. Uno dei meriti filosofici di Kant, è stato quello, nella Critica della ragion pura (1971), di aver chiaramente notato la duplice “aper79

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tura” del tempo al “fenomeno” e alla “idea”. Questo problema viene di solito considerato sotto il titolo di “schematismo trascendentale”. Appunto nella Critica della ragion pura, il filosofo afferma: “Ora io chiamo schema di un concetto la rappresentazione di procedimento generale, onde l’immaginazione porge a esso concetto la sua immagine… il concetto del cane designa una regola, secondo la quale, la mia immaginazione può descrivere la figura di un quadrupede in generale, senza limitarla ad una figura particolare che mi offre l’esperienza, o a ciascuna immagine possibile, che io possa in concreto rappresentarmi. Questo schematismo del nostro intelletto, rispetto ai fenomeni, e alla loro semplice forma, è un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il cui vero maneggio noi difficilmente strapperemo mai alla natura, per esporlo scopertamente innanzi agli occhi.”. Per Kant, lo schema trascendentale è possibile attraverso la determinazione trascendentale del tempo, la quale è “omogenea alla categoria (che ne costituisce l’unità), in quanto è generale, e poggia sopra una regola a priori. Ma, dall’altro lato, è omogenea al fenomeno, in quanto il tempo è contenuto in ciascuna rappresentazione empirica del molteplice.” (ibidem). Il tempo non scorre tra il prima e il dopo, in questa prospettiva, ma, potremmo dire, tra fisionomia e categoria (15). categoria → tempo ← fisionomia

Si comprendono le difficoltà teoretiche e linguistiche che ha dovuto affrontare Husserl nei suoi studi sulla coscienza interna del tempo e sulla sintesi passiva. Husserl è stato colui, che più di ogni altro, dopo il filosofo di Königsberg, ha cercato di svelare questa arte segreta, nella quale consisterebbe lo “schematismo trascendentale”, come problema filosofico “primo”, in ordine di importanza metafisica e fenomenologica. La distinzione di Husserl tra “noesi” e “noema” è stata probabilmente una via, attraverso la quale penetrare il più profondamente possibile, nel problema posto dallo schematismo trascendentale, e che sta alla base del processo di “donazione di senso” 80

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e di elevazione degli oggetti percepiti dal piano del “tempo” a quello del “logos”. Il “senso” della percezione particolare (Husserl fa l’esempio dell’albero, in Idee... , ibidem) non possiede né forze, né elementi chimici, né connessioni anatomiche, ma è un eidos, cioè una essenza. Ora, sembrerebbe una proprietà fondamentale del tempo, del suo particolare tipo di “trasparenza”, la possibilità di “far vedere” l’essenza nella percezione del particolare individuale. Husserl distingue nettamente tra il tempo della coscienza, il tempo del vissuto, e il tempo oggettivo in cui giace il mondo fisico esterno. Inoltre, afferma Husserl sempre nelle Idee (ibidem) “vi è sì un parallelismo tra noesi e noema, ma in maniera tale che le configurazioni devono essere descritte da ambo i lati e nel loro essenziale reciproco corrispondersi. Il piano noematico sarebbe il campo dell’unità, il piano noetico quello delle molteplicità ‘costitutive’. La coscienza, che unifica ‘funzionalmente’ il molteplice e costituisce nello stesso tempo l’unità, non mostra infatti mai un’identità, mentre nel correlato noematico è data l’identità dell’oggetto. Mentre, per esempio, le diverse sezioni di un percepire che dura e che costituisce l’unità di una cosa indicano un qualcosa di identico, questo unico albero che resta invariato in quanto senso di questo percepire – un albero che si offre ora in questa orientazione ora in quella, ora dal lato anteriore ora da quello posteriore, dapprima in maniera indistinta e indeterminata e poi chiara e distinta rispetto alle sue determinazioni caratteristiche visivamente afferrate a partire da una posizione qualunque – l’oggetto reperibile nel noema è dato alla coscienza come un oggetto identico in senso letterale, ma la coscienza di esso nelle diverse sezioni della sua durata immanente non è identica, ma soltanto connessa, unificata in virtù della sua continuità.” (ibidem). Tuttavia, Husserl, consapevole dell’estrema complessità di questo problema, sottolinea che non va confuso il parallelismo “tra l’unità dell’oggetto ‘preso’ noematicamente ‘di mira’... e le configurazioni coscienziali costitutive [ordo et connexio rerum – ordo et connexio idearum] col parallelismo tra noesi e noema, inteso in 81

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particolare come parallelismo tra i caratteri noetici e i corrispondenti caratteri noematici.” (ibidem). In sostanza, Husserl afferma che la connessione che rende il noema, cioè il senso percettivo, un “identico”, è dovuto non ai modi della coscienza, cioè del vissuto, ma ai modi di ciò che è “dato” alla coscienza, che sono caratteri inerenti a qualcosa di “ideale”. C’è una stratificazione gerarchica dei noemi, cioè del senso. Esso può venir “presentificato” nella percezione, ovvero “dato in carne e ossa” oppure, attraverso il ricordo o l’immaginazione. “Ogni grado noematico”, afferma Husserl, “è ‘rappresentazione’ delle datità del grado seguente.”. Qui Husserl parla di “rappresentazione” non come relazione tra la coscienza e l’oggetto della coscienza, ma nel senso di una “intenzionalità noematica”, inclusa nell’intenzionalità noetica, come se fosse inscatolata. In sostanza, il dato che si manifesta alla coscienza, il fenomeno, sia esso percezione o ricordo o risultato di complicate operazioni dell’immaginazione ha una sua unità e identità che non è determinata da atti della coscienza. 24 Il secondo senso, per cui la fisionomia è dotata di caratteri tem-

porali, riguarda la propria profondità temporale interna. Tuttavia, prima di affrontare questo argomento, vanno chiariti alcuni altri aspetti relativi alla struttura delle rappresentazioni particolari. 25  Tempo, somiglianza, identità: tre concetti misteriosamente

connessi, nella vita di coscienza. 26  Nell’ontogenesi dei vertebrati, come è stabilito dalle leggi di

von Baer (1828), le caratteristiche generali di un grande gruppo appaiono nell’embrione prima delle caratteristiche speciali (la costanza di queste caratteristiche costituisce, in biologia, qualcosa di analogo alle costanti universali della fisica). Ciò significa, che nello sviluppo degli organismi le somiglianze sono più antiche delle differenze. Questo fatto trova un’analogia nel processo di fenomenizzazione, che ha luogo attraverso la percezione. Prima delle differen82

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

ze appaiono le somiglianze. La primigenia e più originaria unità di senso è quella della “cosalità”. La “cosa” percepita si manifesta come un’unità dotata di identità. Quando camminiamo, distrattamente, senza porre attenzione agli oggetti determinati, il mondo ci appare, tuttavia, costituito di entità dotate di unità e identità, indipendentemente da qualsiasi “attività” dell’io. “La coscienza del tempo è il luogo originario della costituzione di ogni unità identica in generale... Ciò che in una descrizione puramente statica si dà come eguaglianza o somiglianza è quindi da riguardarsi altresì come prodotto di una o di un’altra sintesi di identificazione, sintesi che noi intendiamo con l’espressione tradizionale di associazione, ma in un senso nuovo. Il fenomeno della genesi associativa è quello che domina nella predatità passiva, ed è basato sulla sintesi della coscienza interna del tempo... L’associazione viene qui in questione esclusivamente come la connessione puramente immanente ‘qualcosa ricorda qualcos’altro’, ‘una cosa indica un’altra’... ogni associazione immediata è associazione di somiglianza.” (Husserl, “Esperienza e giudizio”, ibidem). Somiglianza e durata sono gli ingredienti dell’unità e dell’identità del senso percettivo. 27  L’albero che si staglia contro lo sfondo bianco costituisce un

intero, una totalità, data alla percezione visiva, come “totalità simultanea”. È chiaro che, perché ci sia unità e identità (o medesimezza), è necessario che “qualcosa” sia dotato di continuità. Quando afferriamo un concetto, non afferriamo un’unità statica. Se ripetiamo a memoria il concetto, allora questo appare statico. Ma la sua genesi “logica”, cioè, l’afferramento “originario” del concetto, è un atto che comporta un’articolazione dinamica. L’essenza del concetto è la sua connessione “dinamica”. Quando diciamo che “la circonferenza è il luogo dei punti equidistanti dal cen- 6 83

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tro” (e non lo ripetiamo a memoria), riflettendo attivamente sul fatto che questa connessione “dinamica” di termini è ciò che accomuna tutte le figure geometriche che chiamiamo “circonferenza”, prendiamo coscienza dell’articolazione “logica” del “concetto”. Quest’ultimo non corrisponde alla “rappresentazione generale” della “circonferenza”, che per abitudine evochiamo nel riconoscimento delle circonferenze più o meno regolari del mondo empirico. La rappresentazione generale è, infatti, uno schema statico, una struttura “psichica”, depositata nella memoria. Non è un’entità “logica”, in senso stretto (logica in modo “originario”). È l’immagine mnemonica del concetto. Nel caso di entità diverse da quelle geometriche o, in generale logico-matematiche, la rappresentazione generale evolve nel tempo, si amplia e si trasforma con l’educazione e con l’esperienza. La rappresentazione “cavallo” dipende dalla nostra esperienza e dalla cultura. Un biologo ha una nozione più ampia di questo animale, rispetto ai non specialisti. Tuttavia, anche per il concetto “cavallo” vige la stessa differenza che vale per la “circonferenza”. La definizione concettuale dell’animale cavallo, che è un vertebrato, mammifero, etc., è molto complessa e non corrisponde alla rappresentazione generale che vale come schema mnemonico. Il “concetto” perciò è un’entità dotata di un’articolazione “logica” che è, per sua natura, dinamica, anche se parliamo di un dinamismo atipico, di tipo “semantico” e “atemporale”. Il concetto, infatti, si articola nel “logos” e non nel “tempo”. Quindi, la sintesi delle somiglianze che compiamo “attivamente” quando formiamo un concetto, è una sintesi “logica”, e non “temporale”. Comporta, infatti, un afferramento dinamico, un’attività, che si compie attraverso il “linguaggio”. Attraverso il linguaggio compiamo i passaggi che servono alla connessione “significativa” che si realizza nel concetto. Perciò, Frege chiama “senso di un enunciato assertorio” il pensiero “logico” (Frege, ibidem). E, in questa luce, Frege distingue il “pensiero” dalla “rappresentazione”: “Se il pensiero che articolo nel teorema di Pitagora può essere riconosciuto vero tanto dagli altri che da me, non appartiene al contenuto della mia coscienza, e quindi non ne sono il portatore: posso tuttavia 84

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

riconoscerlo come vero.” (ibidem). Non si tratta quindi di “rappresentazioni”, ma di leggi logiche, di “concetti”. La connessione della rappresentazione percettiva, diversamente, è una connessione “temporale”. Abbiamo paragonato i gradi dell’afferramento “percettivo”, ai gradi dell’ontogenesi, caratterizzati dalle leggi di von Baer. Come è stato detto, esse stabiliscono che il generale appare prima del particolare e che le somiglianze sono più antiche delle differenze. L’afferramento percettivo può seguire due vie: la prima via è stata battuta da Husserl, che l’ha indagata con grande profondità. È la via che porta dalla percezione al concetto, alla “categoria”. La seconda via è stata battuta dagli antichi fisionomisti, e nell’epoca moderna, soprattutto da Goethe. È la via che porta alla “fisionomia”, allo studio scientifico della fisionomia. Può anche essere chiamata la via della “morfologia scientifica”. Queste due vie hanno, tuttavia, una radice comune che consiste nella fase “ricettiva”, in quella che Husserl chiamava la “sintesi passiva”, e nella ricerca della “originarietà” del punto di partenza percettivo, che Husserl cercava nel “mondo della vita” e nell’epoché trascendentale. Rispetto al problema dell’unità e dell’identità che costituisce una totalità percettiva simultanea, del tipo di quella illustrata nella figura 6, abbiamo parlato della formazione percettiva di un continuum. La sintesi delle somiglianze deve, innanzitutto, costituirsi nella “durata” temporale. Si tratta della “successione” del simile. Come afferma Husserl, e anche gli psicologi della Gestalt, nella percezione, noi afferriamo, innanzitutto, un intero. Nella fase “ricettiva”, prima che intervengano atti di spontaneità creativa dell’io, tra i quali la stessa attenzione, l’oggetto percettivo viene “dato” come un intero. Possiamo considerarlo un intero “grezzo”, una totalità omogenea e indifferenziata. La “cosalità” unitaria compare per prima. È come se ci trovassimo di fronte all’embrione di un percetto. Gli psicologi della Gestalt sottolineano l’importanza del rapporto figura/sfondo che costituisce il “campo” percettivo. L’atto “intenzionale” è già un rapporto: la coscienza e il suo oggetto; 85

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“... il primo universale... è la separazione tra il cogito e il cogitatum qua cogitatum.” (Husserl, Meditazioni cartesiane, ibidem). Il suono nell’aria, là fuori, diviene il suono, lo stesso suono, ora, nella coscienza. Dal terreno punteggiato degli “individuali”, dal mondo empirico, ogni punto entra nella coscienza “dilatato”, trasformato dal suo ingresso nella temporalità pura. Questo è il nodo fondamentale, che già Kant aveva sottolineato e considerato come un’arte segreta. È l’essenza della “intenzionalità”. L’oggetto “intenzionale” è diverso dall’oggetto “reale”, pur essendo “lo stesso oggetto”. La rappresentazione è una “dilatazione” nella temporalità psichica dell’oggetto empirico. Ora la domanda è: come fa il tempo a compiere questa “dilatazione”? Il tempo non è un tunnel “lineare”. Va immaginato piuttosto come un cono, dove il vertice si dilata nella base. Il tempo, in questa prospettiva, non è un ponte tra il prima e il dopo, ma si estende tra fenomeno e idea. Il tempo è una lente che legge il “logos”, che fa vedere l’unità nella molteplicità. Ma non l’unità, dal punto di vista generico, come somma, ma come “senso”. Il tempo trasforma tutto in “senso”. Questa è l’essenza dell’intenzionalità nella prospettiva di Brentano: l’essenza del fenomeno psichico. L’atto percettivo, l’atto “intenzionale” realizza il passaggio dal campo “spazio-temporale” del mondo empirico a quello “sensotemporale” della coscienza. campo spazio-temporale → tempo → campo senso-temporale

Avviene, cioè, una “de-spazializzazione”. È un po’ quello che accade con le soluzioni, che possono fornire una buona analogia. Il discontinuo diventa continuo, si “delocalizza” (questo è il significato della de-spazializzazione), si “scioglie” nel tempo. L’effetto di tale dissoluzione, di questo passaggio al continuum, è il costituirsi del “senso” percettivo. La coscienza è il campo del senso e, nel tempo della coscienza, il senso si costituisce. Goethe vede nascere i colori dall’incontro della luce con la tenebra, il senso nasce dall’incontro di una cosa con un contesto, di una forma con uno sfondo. La somiglianza che fonda 86

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

l’unità e l’identità di una cosa non può esistere senza la differenza. L’unità passiva è il senso allo stato embrionale. Noi percepiamo unità di senso. Sia una cosa che le sue proprietà, sia l’intero che le parti, sono dati come unità di senso, non come atomi sensoriali, come volevano, invece, gli empiristi inglesi (Husserl, Storia critica delle idee, ibidem). L’oggetto “intenzionale”, o “mentale”, è unità di senso. Quindi la domanda fondamentale sulla percezione è come la coscienza, attraverso il tempo, crei delle unità di senso. La percezione “fa vedere” il senso, non lo esprime attraverso la parola. È a livello prelinguistico che si esplica la funzione del tempo come “forma della sensibilità”, per usare i termini di Kant. 28  Cosa significa che noi “vediamo” delle totalità di senso, degli

“interi”? Nella figura 6, l’intero della forma dendritica, dell’albero stilizzato, che si staglia sullo sfondo bianco del foglio, è determinata, in primo luogo, dal “contrasto” figura/sfondo e dall’omogeneità del colore scuro dell’albero, che appare come un continuum. L’albero, che come afferma Husserl, ci appare come il “medesimo”, a colpo d’occhio, comunque muoviamo gli occhi intorno alla figura, anche se lo osserviamo dal lato opposto, al contrario, è la medesimezza di un’unità cosale, inizialmente indifferenziata. Cogliamo che c’è qualcosa di “medesimo”, un “intero” scuro su uno sfondo chiaro che ha la sua continuità e medesimezza, altrettanto. La “ramificazione” che rende la forma “dendritica” è il fattore “significativo” essenziale, per la formazione “logica” del predicato “albero”. Tuttavia, il primo predicato “logico” è: “una cosa intera dotata di medesimezza”. L’essere una “totalità”, quindi, e la “medesimezza” appaiono per prime. La cosa “particolare”, “individuale”, viene dunque de-localizzata nel coglimento di essa come “generalità”. Identità, unità e generalità sembrano apparire d’un solo colpo. Così, davanti a una bottiglia, vediamo prima la “bottiglia” e poi differenziamo e qualifichiamo le sue parti. La rapidità, con cui gli interi di senso si costituiscono nella coscienza percettiva è tale che, solo in casi particolari, 87

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riusciamo a cogliere il passaggio per cui prima, in realtà, appaiono medesimezza e interezza come totalità, generalità indifferenziate. Come fa la coscienza a passare dallo “spazio-tempo” al “sensotempo”? Prima di diventare “significato concettuale”, logico, il senso percettivo è “significato visibile”, è immagine significativa. Se pensiamo al mondo esterno, in assenza di coscienza, l’immagine che ci appare alla mente è quella del “totum simul”, di una totalità istantanea. È come se la “durata”, di cui normalmente conosciamo la “profondità”, si estendesse in superficie, abbracciando tutto in 7 un solo istante presente. Passato e futuro si sgretolano. In assenza di qualsiasi riferimento, qualsiasi mutamento avrebbe una velocità infinitamente piccola e, contemporaneamente, infinitamente grande. Un paradosso: una vibrazione eternamente presente. Cosa sarebbe dunque un giardino senza tempo e senza coscienza? Alla percezione visiva, sono date, quasi sempre, delle molteplicità differenziate, in ogni elemento delle quali afferriamo con immediatezza degli interi unitari di senso. Essi sono dati prima di tutto nella forma generale della cosa unitaria che dura invariata. Questo, abbiamo detto, è l’embrione del senso. Non dobbiamo, tuttavia, confondere l’atto logico della predicazione con il riconoscimento mnemonico degli oggetti percettivi. A livello del riconoscimento mnemonico, infatti, il predicato generale non implica un atto dell’io di tipo logico, ma si tratta, invece, di una evocazione. Dobbiamo distinguere: ritenzione (ricordo primario) rimemorazione (ricordo secondario) predicazione logica

La medesimezza e l’unità dell’oggetto, dato come un intero di senso ancora “indifferenziato”, si costituiscono attraverso la ri88

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tenzione. L’oggetto deve costituirsi come un’entità unitaria, nella forma di una rappresentazione particolare, data come una totalità di senso. 29  La via intrapresa da Ludwig Klages per spiegare l’unità e

l’identità del senso. Metafisica dell’espressione. Nello scritto La natura della coscienza (in L’anima e lo spirito, 1940), Ludwig Klages (1872-1956), afferma che l’unità e l’identità della cosa, cioè l’identità del mondo percettivo “... è il riflesso dell’identità della facoltà concettuale, e l’identità di qualsiasi cosa nello scorrere del tempo è il riflesso dell’identità dell’io.”. Per Klages, “L’io è l’unico noumenon possibile che sia nello stesso tempo phainomenon”. È l’unità dell’io che fonda l’unità che appare nelle cose. Le cose sono interconnesse. Nella realtà, ogni cosa è connessa con tutto il resto del mondo. Le cose possono, quindi, essere colte come “unità” solo attravero la facoltà dell’io. “Come è certo che tutte le unità fuori dell’io sono state poste da esso, così è ugualmente certo che l’io, che le pone, deve essere nel mondo dei fenomeni un’essenza realmente esistente.” (ibidem). Inoltre, “... come l’essere dell’io forma il modello delle cose, così l’affermazione dell’io forma il modello della facoltà di agire delle cose e quindi della ‘causa’ e della ‘forza’.” (ibidem). Unità e causalità sono, quindi, in questa prospettiva, prodotti dall’attività essenziale dell’io. “La cosa è il punto di riferimento in sé identico, nel corso del tempo, di una serie di immagini che stanno in connessione tra loro. Se prendiamo in considerazione il fatto del suo perdurare immobile, le qualità dell’immagine diventano le proprietà della cosa: se invece prendiamo in considerazione il fatto che ogni cosa nasce e muore, le proprietà della cosa diventano una specifica e determinata facoltà di agire. Invece della realtà di accadimenti noi abbiamo una realtà derivata che consta di movimenti e processi, derivati da cause e forze.” (ibidem). L’anima possiede la capacità di “rivivere” e non sta con il corpo in un rapporto causale. Il rapporto tra anima e corpo è “... quello del senso con il fenomeno del senso. L’anima è il senso del fenomeno corporeo ed il corpo è 89

Categorie e fisionomie

il fenomeno dell’anima. Né quella agisce su questo né questo su quella; poiché nessuno dei due appartiene al mondo di cose. Se la sequenza causa-effetto significa meramente una relazione tra parti di una connessione che noi abbiamo disciolto, senso e fenomeno del senso sono loro stessi una connessione, anzi il prototipo di ogni connessione. Se riesce difficile immaginare un rapporto incomparabilmente diverso dal rapporto causa-effetto e incomparabilmente superiore per intima fusione, si consideri il rapporto simile che esiste tra il segno e ciò che viene designato.” (ibidem). In tutta la serie di eventi fisico-corporei che stanno alla base del parlare, dai movimenti della lingua, a quelli della laringe e delle labbra, fino alla struttura ricettiva di chi ascolta, fin nei movimenti molecolari del cervello, c’è un circuito chiuso, da cui non si può uscire. Ma in nessun luogo di questa catena di cause ed effetti, troviamo mai il “senso” della parola pronunciata. “La parola è il segno dell’unità di significato e l’unità di significato è ciò che è designato dalla parola... Similmente come nella parola è implicito il significato, così nel corpo si cela l’anima; l’unità di significato è il senso della parola; la parola è la veste del pensiero, il corpo l’apparizione fenomenica dell’anima. Come non esiste unità di significato senza segno, così non vi sono anime che non appaiono fenomenicamente... E come infine non esistono parole prive di significato, poiché senza significato il suono non sarebbe più una parola, così non vi sono fenomeni privi di anima... tutto ciò che appare ha un’anima.” (ibidem). Questa è la conclusione del discorso di Klages sull’unità e l’identità del senso, sull’apparire fenomenico degli oggetti. Cosa e fenomeno sono due entità da tenere ben distinte. “Non le cose bensì le immagini sono animate”, afferma Klages. Secondo il filosofo, nessuna “scienza naturale” può comprendere il mondo originario delle immagini, perché “... la realtà di una scienza è soltanto il mondo derivato delle cose”. In questo senso, la dottrina di Klages è, per eccellenza, una dottrina “fenomenologica”. “Tutto ciò che è ‘cosa’”, aggiunge il filosofo, “sta ‘in un legame chiuso’; di conseguenza tra le cose e l’anima non esiste alcuna azione reciproca, perché con ciò si spezzerebbe la catena delle 90

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

cause e a maggior ragione non esiste alcun parallelismo, perché in questo caso verrebbe annientata la connessione di entrambe. In un mondo di cose, di cause e di forze, le anime non trovano alcun posto; la loro patria è la realtà delle immagini.” (ibidem). Per Klages, il linguaggio e, quindi, l’espressione è il punto di partenza e lo strumento dell’analisi fenomenologica. Diciamo, per esempio, “rosso scuro” e “rosso caldo”. Nel primo caso, ci limitiamo “... ad una più esatta designazione del rosso.”. Nel secondo caso vogliamo esprimere il “carattere”. “Ma se di conseguenza”, continua Klages, “le stesse parole designano sia la proprietà delle cose che il carattere delle immagini, l’impressione, che ne è la causa, deve essere nello stesso tempo espressione di un’anima capace di apparire.” (ibidem). Se si indaga la storia dell’etimo delle parole, ci si imbatte in un significato “sensibile” originario. “Quanto più la ricerca abbraccia sfere linguistiche lontane l’una dall’altra, tanto più irrefutabile si rivela in genere la base intuitiva di ogni denominazione e si svela così il nesso tra le proprietà dell’essenza e le qualità sensibili e come sia insito nelle determinazioni di queste ultime, di essere la realtà fenomenica delle prime.”. “La ‘realtà in sé’ è un mondo di immagini animate o di anime che appaiono fenomenicamente... “ (ibidem). Klages distingue nettamente la “sensazione” dalla “visione” o “contemplazione”. “Per mezzo della sensazione, il soggetto animato che reca in sé lo spirito percepisce delle cose che hanno delle qualità: per mezzo della visione percepisce anime che appaiono fenomenicamente.” (ibidem). Klages distingue con assoluta nettezza tra le “cose” che sono senza vita, e le “apparizioni fenomeniche”, i “fenomeni” che “sono senza eccezione viventi”. “Considerate come immagini che si possono rivivere, vivono non soltanto le piante, gli animali e le persone, ma anche la roccia, la nuvola, l’acqua, il vento e la fiamma; vive il pulviscolo che brilla nel sole, il mattone, la scrivania, il cielo stellato, perfino lo spazio e il tempo. Considerato soltanto come una cosa pensabile, all’opposto, persino l’uomo è come tutte le cose un fascio di atomi che si muovono meccanicamente.” 91

Categorie e fisionomie

(ibidem). Klages, seguendo Carus, considera la realtà vivente del mondo organico, caratterizzata dalla procreazione e dalla riproduzione. Ciò che passa da un essere all’altro, e, nel tempo, all’interno di uno stesso essere vivente, non è la materia. La materia si consuma, viene sostituita. Ciò che passa e si conserva è l’immagine. “L’immagine della quercia, l’immagine del pino, l’immagine del pesce, del cane, l’immagine dell’uomo, ritorna in ogni singolo rappresentante della specie. ‘Riproduzione’ significa il processo (fisicamente sempre inacessibile) del passaggio dell’immagine originaria della specie, di luogo in luogo e di tempo in tempo... Da un punto di vista fisico delle vere trasformazioni sono impossibili: mutarsi incessantemente è il segno caratteristico di tutto ciò che è vivente. Ne segue che la vita è al di fuori del mondo pensato delle cose e si trova nella realtà delle immagini.” (ibidem). Il senso (l’anima come lo chiama Klages) e la vita, come è stato già detto, sono “ontologicamente” connesse da un nesso profondo. La meccanizzazione del mondo, attraverso il pensiero scientifico, ha portato alla sostituzione dell’immagine intuitiva con la cosa giudicata. L’unità della cosa che perdura immobile nel corso del tempo, in quanto cosa “pensata” viene trovata da qualsiasi soggetto percipiente, in qualsiasi momento, sempre come il medesimo “quid”, “... mentre la sua immagine originaria [il fenomeno], se è lecito chiamarla così, dato che possiamo soltanto viverla, non si ripete mai per la seconda volta neppure per il medesimo osservatore... il contenuto dell’immagine che ci è dato solo di vivere è un’onda della sconfinata corrente della realtà e di conseguenza [è] un’apparizione fenomenica dell’essenza del mondo.” (ibidem). Ernst Cassirer cita ripetutamente Ludwig Klages, nella Filosofia delle forme simboliche (Fenomenologia della conoscenza, 2002; Metafisica delle forme simboliche, 2003). Anche il pensiero di Klages, come quello di altri autori, quali Tito Vignoli (Mito e scienza, ibidem) e Hans Volkelt (Über die Vorstellungen der Tiere : ein Beitrag zur Entwicklungspsychologie, in Cassirer, Metafisica delle forme simboliche, ibidem), porta ai concetti di “fisiognomica” e di “per92

Rappresentazione, emozione, senso e fisionomia

sonificazione” che si configurano come forme conoscitive proprie della sfera del mito, da un lato, per quanto riguarda l’evoluzione della coscienza umana, e, dall’altro, per quanto riguarda il mondo animale, che a quella sfera è rimasto, per così dire, ancorato. Ci riferiamo al tipo di coscienza che sta prima della nascita del linguaggio e che non coglie il mondo come un mondo di oggetti. “Le singole qualità, le qualità del caldo e del freddo, del duro e del tenero, del liscio e del ruvido si differenziano, ma, sulla base di tutte queste differenze, non viene ‘riconosciuto’ un oggetto e non gli viene attribuito un determinato nome di cosa.” (Cassirer, Metafisica delle forme simboliche, ibidem). La “generalità” costituisce un impoverimento rispetto alla variegatezza e alle innumerevoli quantità di sfumature che il mondo, in quanto “melodia sensoriale”, possiede. A questo proposito, val la pena di leggere ancora una volta quanto Volkelt, nell’opera citata da Cassirer (ibidem), afferma: “Le impressioni del paesaggio che si susseguono [per l’animale] l’una all’altra non si riuniscono in una serie di immagini articolate in sé e reciprocamente delimitate, ma sono come una melodia ottica… Con questa melodia gli animali trovano la propria via di paesaggio in paesaggio, come uno che riproduce un canto ritrova la via di tono in tono.”. Melodie e fisionomie non sono soltanto mere analogie. Sono strutture cognitive ben precise e determinate e, quindi, indagabili fenomenologicamente.

93

Significato e senso percettivo

1  “In realtà”, afferma Scheler, nell’opera del 1912, Gli idoli del-

la conoscenza di sé (in Il valore della vita emotiva, ibidem), già citata in precedenza, “Lo sviluppo del significato si compie in forma rigorosamente simultanea con l’elaborazione di rappresentazioni sensoriali, e tutto avviene sotto il reciproco influsso. Lo stesso vale per la percezione e il ricordo. Se si indagano i processi corporei che portano a una data percezione, occorre soltanto far corrispondere la totalità del processo centripeto alla totalità della percezione; ma non singole parti di questo processo a parti della percezione.”. In definitiva, anche nel linguaggio, “… l’idea sta di fronte a me come un’unità simultanea, mentre le parole si succedono. Nella frase l’idea trova la sua ‘espressione’, ma non come se a ogni parte della frase, per esempio a ogni parola, dovesse corrispondere una ‘parte’ specifica dell’idea.” (ibidem). La simultaneità della “comprensione” ha il carattere della luce, “… che illumina di colpo il buio. Del tutto analogamente, anche l’unità di una melodia viene ‘compresa’ d’un colpo; lo stesso avviene per il ‘senso’ estetico di un complesso di colori e forme.” (ibidem). Queste considerazioni portano a una revisione delle elaborazioni condotte sul modo di sviluppo dell’unità e dell’identità, nel processo percettivo. 2  Che rapporto sussiste tra la funzione “costitutiva” del tempo

nella sintesi passiva e l’afferramento dell’unità e dell’identità? Le scienze naturali e, tra esse, la psicologia, considerano il processo conoscitivo, come il processo che porta alla “conoscenza oggettiva”, cioè alla conoscenza delle “leggi” che governano la connessione degli oggetti, quindi delle regolarità che intervengono nel 94

Significato e senso percettivo

rapporto tra le cause e gli effetti nel mondo reale, inteso, appunto, come mondo oggettivo. Le leggi hanno la forma di “generalità”, di “categorie”, di “concetti” e di connessioni di concetti (le “idee”, nella tradizione filosofica idealista e romantica). Le scienze esatte, come la fisica, esprimono queste generalità nella forma dei “modelli” e delle “teorie”. La “teorizzazione” costituisce, perciò, il livello supremo, nelle scienze della natura. Anche la psicologia, soprattutto la psicologia sperimentale, fa uso di teorie e di modelli. Nel mondo del mito, nel mondo della coscienza animale, e nell’arte, il concetto di “conoscenza” assume altri significati. Nell’arte, per esempio, le “rappresentazioni particolari” presentano un valore speciale, rispetto alle “rappresentazioni generali”. La “sintesi delle somiglianze” che sta alla base della costituzione delle categorie, dei concetti, e, in senso lato, delle “rappresentazioni generali”, non svolge lo stesso ruolo e non riveste la stessa importanza nella scienza e nell’arte. Come si costituiscono identità e unità a livello del “senso percettivo”, di quello che possiamo chiamare il lato “visibile” del significato? Vogliamo mostrare che il “senso percettivo” è strettamente connesso con il concetto di “fisionomia”. Che rapporto sussiste tra coscienza (o soggetto), senso percettivo e fisionomia? Spazio, tempo, identità e unità si articolano nella costituzione del senso. Che ruolo svolge la somiglianza in questo processo costitutivo? 3  Nell’ottica di Klages, è l’unità dell’io a fondare l’unità del senso dei fenomeni. Vogliamo ora guardare “direttamente” al processo costitutivo. Cosa ci appare nella realtà del mondo esterno prima che intervenga il “linguaggio” e il giudizio “logico”? Il mondo esterno è già costituito, è una molteplicità di unità differenziate. Anche il rapporto figura/sfondo della Gestalt, è già una molteplicità. Si tratta di due entità, non di una. In una molteplicità qualsiasi, lo sfondo è rappresentato dal contesto. Tutto ciò che avanza oltre l’unità presa di 95

Categorie e fisionomie

mira. La molteplicità è “originaria”, non l’unità. La molteplicità è antecedente, rispetto all’unità. L’unità, in senso supremo e assoluto, è l’universo, l’insieme di tutte le connessioni tra gli enti. Nel processo percettivo, si presentano sempre molteplicità e unità “relative”. Nella realtà, infatti, nulla si presenta mai da solo, la situazione limite è il rapporto figura/sfondo, la forma più elementare di molteplicità. Così come non c’è unità assoluta (all’infuori dell’universo), così non c’è neppure identità assoluta. Nel mondo empirico non è data uguaglianza (identità numerica), ma solo “somiglianza”. Quindi, anche nel caso dell’identità, abbiamo ancora molteplicità. Ad esempio, nel caso minimo, due “simili”. Non c’è dunque “oggettività”, ma “fluttuazione”. 4  Una molteplicità di cose appare come un universo. Parte e to-

talità, particolare e contesto. Il senso di γ (nella figura 8) dipende dal contesto: naso o foglia? Volto o pianta? Anche nella fase prelinguistica, prima che il “predicato” venga pronunciato o formato interiormente, l’esperienza “estetica” è diversa.

α β

γ

8

Ogni forma è una fisionomia. La fisionomia è lo strato “estetico” del significato. La fisionomia è la “prospettiva” del senso. Appare come appare la “profondità” in una figura solida spaziale. 96

Significato e senso percettivo

La coscienza ha una funzione “sintetica”, intenziona gli oggetti. Ma la convinzione che il mondo sia composto di oggetti è un falso “a priori”. Conoscere e ascoltare (contemplare) non sono la stessa cosa. Comprendere e contemplare: comprendo una frase, ascolto una melodia (la contemplo acusticamente). Lo stesso vale per l’esperienza visiva. Fisionomia e melodia. Il mito scientifico della conoscenza oggettiva aliena e deforma il processo percettivo. La coscienza compie sintesi temporali. Come con la matita compiamo sintesi spaziali, disegnando, così la coscienza fa con il tempo. La sintesi temporale della coscienza è “immaginativa”, non “logica”. La percezione è “immaginazione”. Il “senso” percettivo è un prodotto immaginativo. Cosa faccio con la coscienza quando immagino un tavolo? Non produco un concetto attraverso un atto logico. Uso il materiale mnemonico. Ma quello che è essenziale è che lo metto insieme nel tempo. Il tempo è la plastica con cui lavoro. La funzione del tempo ha a che fare, innanzitutto, con la relazione tra il tutto e le parti. Il tempo è organico, come la vita. Il tempo produce organismi. Per questo la coscienza opera col tempo. La produzione di un’immagine è morfogenesi, è ontogenesi. Quando immagino un tavolo devo creare una totalità connessa. Il senso sta dentro le parti dell’immagine come, nel linguaggio, sta dentro le lettere di una parola. Solo che, invece di lettere, abbiamo qualità, proprietà, caratteristiche morfologiche: colori, forme, etc. Un’immagine è un’entità individuale, differenziata, è una “sintesi delle differenze”, è un’entità “fisiognomica”. Le immagini sono totalità simultanee, ma non sono dotate di parti e di connessioni fisiche e anatomiche. Somigliano ai ricordi, perché attingono dai ricordi forme e colori. I ricordi sono entità emozionali oltre che morfologiche. Nel “rappresentare” interiore, immaginativo, vediamo chiaramente come l’atto stesso del rappresentare si configuri e si costituisca, senza ombra di dubbio, come una sintesi di senso. Non attingiamo dalla memoria nulla di “atomistico”, ma delle proprietà o qualità, che sono, a loro volta, “sintesi” di senso, unità di senso. Ma tutta l’opera di costruzione interiore dell’immagine non avviene nello spazio, ma nel tempo. L’immagine mentale è una strut97

Categorie e fisionomie

tura temporale. È una produzione organica. Il punto di partenza dell’immagine, non sono le parti, ma il senso globale, l’intero. Se scrivo la parola “albero”: ALBERO

le singole lettere vengono disposte secondo un ordine che dipende dall’intero pensato. L’intero è antecedente, ovviamente, rispetto alle parti. Lo stesso accade se immagino un oggetto concreto. Noi immaginiamo “rappresentazioni particolari” che sono guidate, nella loro costituzione, dalla rappresentazione del senso. Non posso immaginare un albero “generale”. La rappresentazione interna, immaginativa, è sempre una rappresentazione particolare. La totalità di senso precede le parti. L’atto che mette insieme le parti opera in modo che i singoli elementi di senso trovino posto all’interno della connessione globale. Lo spazio viene “simbolizzato” nel tempo. Non c’è uno spazio “reale” nell’immagine, ma solo uno spazio “simbolico”. Immagino un paesaggio, c’è un forte contenuto emotivo. È un paesaggio col mare, un mare del nord, freddo. In lontananza vedo delle case. L’intonazione emozionale, affettiva, dona all’immagine un gioco molto intenso di colori e i profumi del vento. L’unità dell’immagine non viene dall’immagine stessa, non è una sua proprietà intrinseca, come se vi fosse un centro di gravità, ma viene dall’atto dell’io che “rappresenta”, che mette insieme le parti. L’unità viene perciò dal “rappresentare”, non dal “rappresentato”. È dunque l’atto dell’immaginare che compie la sintesi. Attraverso il processo del pensiero, afferma con molta chiarezza Rudolf Steiner, nell’opera del 1894 dal titolo La filosofia della libertà (1978), “... ricomponiamo in unità ciò che avevamo ricevuto separato attraverso le percezioni.”. La funzione del pensare è essenzialmente quella di collegare le parti di ciò che nella percezione si presenta, appunto, sotto forma di entità singole, ricomponendole in unità. L’immagine “dura” finché dura l’atto rappresentativo. Ma il tempo dell’immagine, come lo spazio, sono “simbolici”. È una temporalità rappresentata. Qualcuno nasce, vive e muore, nell’im98

Significato e senso percettivo

magine. La sua storicità è “velocizzata”. In un minuto di vissuto della coscienza dell’immagine, accadono cose molteplici, con tempi simbolici lunghissimi. Ogni datità che “compone” l’immagine è, a sua volta, un’unità di senso. Ci sono molteplici unità di senso unificate nel senso globale. E tutto avviene nel tempo empirico della coscienza. Che differenza c’è tra il “quadrato” immaginato e il “quadrato” disegnato? Nel caso dell’immaginazione, risulta evidente che l’essenza del quadrato consiste nel suo “senso” e, cioè, che i quattro lati devono essere rappresentati come “simultanei”. Il quadrato non ha solo quattro angoli e quattro lati uguali, ma soprattutto ha quattro lati (e quattro angoli) “simultanei”. Si tratta di una totalità simultanea. Questa è l’essenza che viene rappresentata nell’immaginazione. Io posso ruotare mentalmente l’immagine, ma il suo “senso” rimane il medesimo. La medesimezza è connessa con la sua unità di senso, non con la durata delle sue parti. Essere un’unità identica non vuol dire “durare”. Non si tratta di un fenomeno temporale. Infatti, se separo le sue parti: l’aggregato di segmenti continua a durare, nel disegno, o nell’immagine. Ma non posso più parlare di identità del quadrato. L’identità è un fenomeno del “senso”, non della struttura fisica, materiale. È la totalità di senso (cioé, il significato) che continua a essere se stessa. La continuità di senso non è una continuità temporale. Non si deve confondere il “senso” con il 9 “tempo”. Il “senso” è un oggetto ideale (cioé, più propriamente, il senso “effonde” nel significato “logico”), è un oggetto “intenzionale”. Abbiamo visto come sia Frege, sia Husserl, distinguono il senso e il significato. Il tempo è un’entità polarizzata, ha un lato ideale: il significato, e un lato materiale: la durata o la successione (la durata è la succes99

Categorie e fisionomie

sione dell’identico). Il tempo congiunge una totalità con i particolari, mentre lo spazio congiunge solo i particolari tra di loro: differenza ontologica e strutturale tra spazio e tempo. Il tempo, allo stato puro, può essere colto solo nella coscienza, nel fenomeno psichico. Il tempo come durata e il tempo come successione. La termodinamica e la biologia mettono in evidenza il significato e la struttura del tempo. Un corpo caldo si raffredda. Un organismo nasce, vive e muore. Questo è il riflesso della temporalità nella “storia”. Il tempo, essenzialmente, è posto tra idea e fenomeno. È un’entità polarizzata. Il tempo ha un lato ideale-universale e un lato concreto-individuale. Lo spazio è, invece, un’entità omogenea. La caratteristica dello spazio, nella produzione di forme, ad esempio attraverso il disegno, è la “vicinanza”, la “contiguità”. La linea è composta di punti uno accanto all’altro. La forma totale può essere, ad esempio, un “quadrato”. Lo spazio è “istantaneo”. La sua essenza è l’estensione simultanea. Il quadrato disegnato “dura”, perché il “substrato” possiede la caratteristica di durare. Ma lo spazio, in sé, per essenza, non ha durata. Tra la circonferenza geometrica pura, ideale, e quella disegnata sul foglio c’è una mera “somiglianza”. C’è una totalità simultanea ideale e una totalità simultanea individuale, empirica, concreta, che assume durata attraverso il substrato materiale (ad esempio il foglio di carta). Tra la circonferenza ideale e quella particolare, empirica, non c’è uno sviluppo, ma solo una “riproduzione”. Il particolare tende ad adeguarsi al generale. La caratteristica del tempo è, invece, lo sviluppo. Nell’ambito dei processi immaginativi abbiamo delle “formazioni”. Anche a questo livello sembra valere la distinzione fatta da Goethe, a proposito del mondo organico, tra Gestalt e Bildung, tra forma meramente spaziale, statica, e forma temporale, dinamica e evolutiva (Goethe, Introduzione all’oggetto, in La metamorfosi delle piante, ibidem). La pianta è, infatti, un’analogia del tempo. Una Bildung, come la chiama, appunto, Goethe. L’unità di senso della rappresentazione di una cosa prende forma, si sviluppa. La totalità deve 100

Significato e senso percettivo

svilupparsi. Non bisogna confondere l’immaginazione con l’immagine mnemonica simultanea, tipo la circonferenza che ci viene in mente già pronta. Come afferma con molta lucidità Jean-Paul Sartre, nello scritto del 1936, dal titolo L’imagination (L’immaginazione, 2004), a proposito del problema della “sintesi”, già posto da Klages, “Tutto il guaio è nato dal fatto che ci si è accostati all’immagine con l’idea di sintesi invece di ricavare una certa concezione della sintesi da una riflessione sull’immagine. Ci si è posti il seguente problema: come può l’esistenza dell’immagine conciliarsi con le necessità della sintesi – senza accorgersi che la concezione atomistica dell’immagine era già implicita nella maniera stessa di formulare il problema. Si deve allora rispondere nettamente: se rimane contenuto psichico inerte, in nessun modo l’immagine può conciliarsi con le necessità della sintesi. Può entrare nella corrente di coscienza solo a condizione che sia essa stessa sintesi e non elemento. Non ci sono, non potrebbero esserci immagini nella coscienza. Ma l’immagine è un certo tipo di coscienza. L’immagine è un atto e non una cosa. L’immagine è coscienza di qualche cosa.”. Dobbiamo osservarci mentre tentiamo di creare un oggetto con l’immaginazione per renderci conto di come funziona il tempo. Come già detto, la connessione nelle strutture immaginative temporali non è tra punti o parti equipotenziali, ma tra totalità e parti. L’afferramento delle parti in una connessione di senso costituisce l’atto fondamentale dell’immaginazione (e della percezione). Nella Essenza del ritmo (in Klages, ibidem), Klages afferma: “Se la realtà è realtà dell’accadimento, neppure la spazialità del fenomeno può sfuggire al perpetuo trasmutarsi, e nel cosmo concepito come vivente il polo temporale delle immagini starebbe al polo spaziale nello stesso rapporto che l’anima ha col corpo. Lo spazio della realtà sarebbe il corpo del tempo; e il tempo sarebbe l’anima dello spazio.”. Anche in questa saggezza, espressa da Klages, appare chiaramente che il tempo è il ponte tra l’idea e il fenomeno, tra la totalità ideale e il corpo spaziale, che è, innanzitutto, un insieme di parti connesse. 101

Categorie e fisionomie

5 L’identità, la medesimezza, risulta dalla durata temporale di qual-

cosa. Ci vogliono due punti del tempo. Per comprendere la “percezione”, occorre comprendere la “immaginazione”. Per Bachelard (citato da Jean-Jacques Wunenburger, Filosofia delle immagini, 1999), le categorie dell’immaginario sono costituite dai “quattro elementi”, che rappresentano gli “universali figurativi” dell’immaginazione. Il mito è la dimensione culturale entro la quale si è costituita, come afferma anche Cassirer, la “logica” dell’immaginazione. “Husserl”, afferma Wunenburger, “subordina sempre il processo di conoscenza rappresentativa al primato del dato sensoriale, che solo è in grado di riempire con un contenuto oggettivo ciò che si dà nel tessuto noematico dell’immagine. In altri termini, l’immagine, qualunque sia il suo ruolo nella costituzione di una conoscenza eidetica, resta in ogni caso subordinata a un evento noematico assoluto: il contatto con la cosa stessa.” (Wunenburger, ibidem). La temporalizzazione resta, per Husserl, come per Kant, l’atto o il processo fondamentale attraverso il quale si configura nella coscienza la rappresentazione (sia essa immaginativa o percettiva). Il pensiero logico, invece, come ha sottolineato Frege, ha a che fare col vero e col falso, mentre l’immaginazione ha a che fare con la forma del senso e con l’esistenza. A

senso

10

A

B

C

B

C

11

A, B, C… n sono le parti di un oggetto “percettivo” o “mentale” (immaginato). Il tratteggio indica le relazioni “spaziali” tra le parti del tipo. 102

Significato e senso percettivo

Le relazioni temporali sono, invece, indicate dalle rette passanti dal vertice V (vedi figura 12). È evidente che non si tratta, nel caso della relazione temporale, di una connessione “lineare” del tipo A → B → C → n. Ogni elemento della relazione ABC… n è connesso attraverso il suo rapporto con la base del cono, che corrisponde alla totalità del senso. Si tratta di una relazione organica. Ogni parte è connessa con l’altra, attraverso il suo legame con la totalità della struttura, con l’intero. In questo caso con il “senso”. Il senso percettivo o immaginativo non corrisponde al significato concettuale, pur essendo una struttura “globale”. Un oggetto percettivo è un insieme di differenze e di somiglianze. Tuttavia, ciò che dona la forma individuale è la “sintesi delle differenze”. Dalla “sintesi delle differenze” si costituisce il senso percettivo o immaginativo. Dalla “sintesi delle somiglianze” si costituisce il concetto o la rappreV sentazione generale che è la sua controparte mnemonica. Ogni oggetto ha differen12 ze e somiglianze. C

A 13

F

B

D

E

Il triangolo ABC ha come elementi di somiglianza con il triangolo DEF le continuità che determinano i lati e l’area. L’area è, infatti, un continuum di elementi simili. Come un colore. 103

Categorie e fisionomie

L’elemento area o superficie delimitato dai lati costituisce rispetto ai lati stessi una differenza. Tra il triangolo ABC e il triangolo DEF sussistono le somiglianze che ci fanno dire che si tratta di due individui del triangolo. In questo senso parliamo di sintesi di somiglianze. Ma, in questo caso, si tratta di una sintesi “categoriale”. È un atto di classificazione e articolazione “logica” che produce la sintesi categoriale. Siamo nella fase “predicativa” che porta, in questo caso, al giudizio percettivo “questo è un triangolo”. Si tratta di un’operazione diversa da 1 = 1, ma di un’operazione del tipo ▲ 1 è simile a ▲ 2 e possono perciò venire riuniti nella classe “triangolo”. La sintesi delle somiglianze, all’interno dell’atto percettivo o immaginatiC vo relativa al triangolo (figura 14) è di natura diversa. Qui abbiamo una somiglianza per contiguità spaziale e temporale. Le parti dell’area formano un continuum spaziale unitario “reale”, nel disegno (realespaziale), mentre nell’immaginazioA B ne è un continuum ideale-temporale. Il triangolo si estende, ma solo 14 “simbolicamente”. Il tempo diventa “simbolo” o “rappresentante” dello spazio. Oltre a ciò vi è la durata che conserva l’identità dell’area, simile nella successione. Ogni fase della successione permane “simile” (non uguale) a quella precedente, che cade nella “ritenzione” (si tratta perciò di una quasidurata). Ma la sintesi più originaria, che rende l’oggetto, questo oggetto individuale e differenziato, fisiognomicamente determinato, è la sintesi che unisce le parti AB + AC + CB + l’area che vi è contenuta. Cioè la sintesi delle differenze. Ogni elemento è diverso dall’altro. È la forma della relazione specifica. Ma, sia nella percezione, che nell’immaginazione, questa sintesi non è una somma delle parti collegate fra loro “anatomicamente”, ma è una sintesi di “senso”. Per questo vale la rappresentazione: 104

Significato e senso percettivo

AB

AC senso oggettivo totale

CB area contenuta tra i tre lati

15

È una sintesi “organica” e non “meccanica”. Non è, in nessun modo, una somma. È a questo livello, in questa operazione, che la funzione schematico-trascendentale del tempo entra in gioco, per usare la terminologia kantiana. Il tempo è il ponte tra la totalità e la parte. In termini husserliani, la base del cono, o dei coni, costituisce il lato “noetico”. do

re

melodia

mi

16

fa

105

Categorie e fisionomie

Come afferma Ludwig Klages, è l’unità dell’io, del senso, o dell’anima, che unifica le parti nell’oggetto percepito o immaginato. Come abbiamo detto in precedenza, il tempo ha due poli: la coscienza, che è unità, sintesi, e la molteplicità degli elementi individuali, le parti del fenomeno. Appare un certo parallelismo con la noesi e il noema di Husserl. L’interazione reciproca che va dall’unità alla molteplicità e dalla molteplicità all’unità non costituisce né un processo lineare, né rigido, ma fluttuante. Si pensi a una melodia (vedi figura 16): non la somma meccanica: do + re + mi + fa + etc.

ma la somma “organica”, in cui le singole note si rapportano tra loro passando sempre per l’unità globale, per la melodia (M), intesa come totalità simultanea: doMre + reMmi + miMfa + etc.

Siamo di fronte a quella struttura che Jung ha chiamato “sincronicità”. Una totalità connessa nel significato. Da questo processo ha origine il senso come “fisionomia”, non come “categoria”. Christian von Ehrenfels, nello scritto del 1890, dal titolo Le qualità figurali (1979), che segna la nascita della Gestalt-Psychologie, afferma che “… le qualità figurali si incidono nella memoria con ben maggior sicurezza che non le proprietà degli elementi semplici.”. Sia una melodia che una fisionomia sono, nell’ottica di Ehrenfels, delle qualità figurali, la prima una qualità figurale “temporale”, la seconda “intemporale”. Sia una melodia che una fisionomia sono un “di più” della semplice somma dei loro elementi singoli. Ognuna di esse è, come si ama dire oggi, una “struttura emergente”. Nella percezione di una musica o di un volto è il “sapore” globale di queste strutture emergenti a dominare l’integrazione mnemonica del complesso dei singoli suoni o tratti e a permettere l’esperienza “estetica” di una musica o di un ritratto. La fisionomia è una sintesi delle differenze, costituita da una totalità simultanea, entro la quale, tuttavia, si cela una profondità temporale. Quando immaginiamo un volto o lo ricordiamo, l’e106

Significato e senso percettivo

stensione spaziale si trasforma in un’estensione simbolica. Non c’è spazio nella rappresentazione, c’è senso. La profondità temporale è una profondità di “senso”. Una totalità simultanea dotata di una profondità temporale, di una profondità simbolica. È difficile esprimere questi concetti in parole. E, tuttavia, il senso che appare somiglia al senso di una parola. Un senso “visto”, “percepito”, che “appare”, non “compreso” come si comprende un concetto. Non conoscenza, ma espressione, non sapere, ma simbolo. Questo è ciò che intendeva Goethe con le parole “tutto ciò che è effimero è simbolo”. Ogni particolare, ogni unità di senso, intesa come qualità o proprietà, è una totalità. L’universale è dentro in questa profondità, la “riempie”, come una pietra preziosa incastonata in un anello. Qui, abbiamo a che fare col “totale”, con l’universale, non con il “generale”, che è vuoto. 6  Il tempo unisce il particolare con l’universale. Occorre tenere

ben distinto, in un oggetto qualsiasi, l’insieme delle connessioni “fisiche” tra le parti e l’insieme delle connessioni di “senso”. L’esempio più elementare è l’immagine-ricordo di un oggetto, ad esempio quella di un “animale”. Prendiamo un cane: esso è composto di parti anatomiche che sono connesse tra loro nello spazio fisico, secondo un ordine ben preciso.

17

La figura 17 rappresenta la “fisionomia” di un cane (o, come la chiama Ehrenfels, una “qualità figurale” intemporale). Ogni singola unità di senso: zampa, orecchio, bocca, coda, torace-addome, testa, occhio, etc., ha una collocazione spaziale ben precisa all’interno della totalità figurale. La forma si presenta come una totalità 107

Categorie e fisionomie

simultanea. La fisionomia, a differenza di una melodia, è un’entità spaziale, data tutta insieme contemporaneamente. La coscienza nel ritenere l’immagine, la rappresentazione, lascia fuori dalla mente lo spazio. Trasforma la struttura spazio-temporale in una struttura senso-temporale. La ritenzione dell’immagine costituisce una “rappresentazione particolare”: la rappresentazione di questo particolare cane. La via logica, predicativa, porta al giudizio assertorio “questo è un cane”. Il riconoscimento è immediato. La sintesi delle somiglianze porta al confronto tra la rappresentazione generale mnemonica che è in mio possesso con l’oggetto particolare disegnato. Se allontano lo sguardo, mi appare l’oggetto forse nella forma di un quadrupede, di un animale in generale; il mammifero viene riconosciuto con facilità, anche a una distanza che non mi permette il riconoscimento dei tratti fisiognomici particolari. Più mi avvicino con lo sguardo, più mi risulta chiaro che si tratta proprio di un cane. La ritenzione mnemonica dell’oggetto raffigurato è un processo complesso che non ha nulla a che fare con la mera “riproduzione”. Una fotografia o un altro disegno non farebbero che “riprodurre” i tratti in quella particolare relazione: la connessione degli elementi del disegno verrebbe “raddoppiata”. Nella percezione e nell’immaginazione si passa invece dall’ordine dell’esistenza o dell’essere all’ordine del “voler dire”, cioè all’ordine del “senso” (e del “significato”). Noi sappiamo che la figura, l’insieme dei segni grafici, passa dalla carta a un substrato “elettromagnetico” che sta alla base dell’attività nervosa. Ma, fenomenologicamente, quello che importa è l’ordine e la sequenza di questa traduzione. Sappiamo che nella coscienza si apre un’interiorità, entro la quale il fenomeno non ha luogo come una riproduzione lineare di tratti A + B + C + D + …n

ma abbiamo detto che l’analogia più verosimile è rappresentata dal grafico nella figura 18. I nessi tra A, B, C, D... n non sono più nessi “fisici”, “anatomici”, ma sono nessi “significativi”. Esattamente come i nessi tra C, A, N, E 108

Significato e senso percettivo

A

B

18

C

D

n

vogliono dire “cane” cioè una totalità di senso non scomponibile in pezzi. Quello che si costituisce nella coscienza, linguisticamente o in immagine, è una totalità irriducibile, una sintesi di differenze che “vuol dire” proprio quella cosa particolare, pronunciandola o rendendola visibile. La fisionomia è lo strato più superficiale dell’idea. Nella fisionomia, l’universale è contenuto in immagine. È questa la funzione del tempo nella percezione e nell’immaginazione. Mentre nella predicazione, nel giudizio percettivo, il particolare è contenuto nell’universale (nella classe), nella fisionomia l’universale è contenuto nel particolare. Quando la fisionomia raggiunge la sua acmé, cioè la sua manifestazione più pura e originaria, ci troviamo di fronte a un “simbolo”. Ogni parte trova la sua collocazione all’interno della connessione globale per effetto dell’universale “incastonato” in essa. Il disegno della figura 17 è stato prodotto in questo modo. Le connessioni di senso sono connessioni simboliche, non causali o funzionali. 7  Veniamo ora all’immaginazione “scientifica”, quella che cercava

Goethe, con la sua “morfologia”. “Guardate dunque, con occhio modesto, dell’eterna tessitrice il prodigio… “ (sono versi del Faust). 109

Categorie e fisionomie

In queste parole è contenuta una preziosa evocazione della natura e del suo operare nel tempo. L’analogia geometrica della figura 18 rende bene l’idea della “intessitura”. Quello che ci appare nella mente come figura spaziale è una “intessitura” di senso. Un vissuto di senso. In una nota del II volume della Filosofia delle forme simboliche, dedicato al pensiero mitico, Cassirer fa un’osservazione a proposito del metodo fenomenologico di Husserl: “Nella via che Husserl stesso ha percorso dalle Logische Untersuchungen [Ricerche logiche] alle Ideen zu einer reinen Phänomenologie [Idee per una fenomenologia pura] risulta sempre più chiaro che il compito della fenomenologia, come egli la intende, non si esaurisce nell’analisi della conoscenza, ma che in essa debbono essere studiate le strutture di campi completamente diversi di oggetti, secondo il loro puro ‘significato’ e senza che si tenga conto della ‘realtà’ dei loro oggetti. Una ricerca di tal genere si dovrebbe estendere anche al mondo mitico, non già per dedurne il peculiare contenuto mediante l’induzione partendo dalla varietà dell’esperienza offerta dall’etnologia e dalla psicologia dei popoli, ma per intenderlo in un’analisi puramente ‘ideante’. Ma, per quanto vedo, un tentativo del genere non è stato finora intrapreso né da parte della fenomenologia, né da parte della concreta indagine del mito, dove tiene ancora quasi incontrastata il campo la problematica volta in senso geneticopsicologico.” (E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche – il pensiero mitico, 2002a). In effetti, Husserl non sembra aver esteso la propria “epoché” trascendentale fino alle origini mitiche della coscienza. Consideriamo che il mondo animale, indagato dalla psicologia sperimentale e comparata, conduce la propria vita in uno stato di coscienza che è vicino allo stato originario della coscienza mitica umana, che, evolutivamente, è esistita prima della coscienza scientifica. Portare l’epoché fino alla coscienza mitica, vuol dire incontrare, innanzitutto, un mondo della vita originario, nel quale giocano un ruolo essenziale i “quattro elementi”. Il mondo originario non può essere trovato qui e ora, ma deve essere “purificato” da tutte le rappresentazioni e dagli elementi “idealizzanti” che la 110

Significato e senso percettivo

scienza vi ha posto sopra come un involucro. Noi viviamo a contatto con oggetti artificiali e sono rare le situazioni in cui il mondo ci può apparire nella sua originaria purezza. L’immagine dell’isola deserta o di un luogo incontaminato possono essere un punto di partenza fecondo. L’immaginazione deve venire, innanzitutto, ricondotta alle sue origini, a quel momento in cui uomo e animale possedevano ancora una radice psichica comune, pur vivendo nel proprio ambiente, nella propria Umwelt, come ha sottolineato von Uexküll (ibidem). Il “mondo della vita”, la Lebenswelt, ha un’origine remota, accessibile solo all’immaginazione. Una morfologia scientifica, nel senso di Goethe, ha bisogno di un’indagine fenomenologica radicale che ritrovi fisionomie originarie, nella complessità del mondo attuale, nello stato attuale di civiltà in cui viviamo. La via della predicazione logica è la continuazione del processo di sintesi passiva e non tiene conto di questo stato di cose. Esso riguarda, infatti, gli universali figurativi che gli antichi individuarono nei quattro elementi. 8  Lo spazio fisico esterno non corrisponde allo spazio “ideale” della geometria pura. È un mondo che la fisica ci descrive come dotato di un’atmosfera, una miscela di gas che respiriamo, entro il quale stanno innumerevoli oggetti. Gli enti della natura, minerali, piante, animali e esseri umani, nonché gli oggetti della tecnica e dell’artigianato che, nella nostra epoca di cultura, dominano sul resto del mondo, imponendosi ovunque e sempre. Noi chiamiamo il mondo fisico un mondo spazio-temporale, un mondo che si estende e che dura e, naturalmente, che si trasforma continuamente. Lo spazio vuoto è una realtà a cui ci possiamo avvicinare solo sperimentalmente, almeno nelle condizioni terrestri. L’unità del mondo è l’universo: il cielo e la Terra. Dove non vi sono oggetti, ad esempio in una stanza vuota, o in un deserto, esiste solo “atmosfera”: aria più o meno immobile, oppure in moto, come quando c’è il vento. Il mondo esterno si presenta alla percezione come una molteplicità dotata di relazioni e connessioni, totalità e 111

Categorie e fisionomie

parti. Gli oggetti di una molteplicità si presentano a volte separati da spazi vuoti, ma sempre riempiti da atmosfera. Il vuoto, sulla Terra, non si trova in nessun luogo. Poi c’è la coscienza, la psiche, che ha, a sua volta, i suoi oggetti. Qual’è il substrato della coscienza? Ciò che, paragonato all’esistenza nel mondo fisico esterno, corrisponde all’atmosfera? Brentano afferma che l’essenza del fenomeno psichico è la “rappresentazione” (La psicologia dal punto di vista empirico, 1997). Come afferma Scheler (Il valore della vita emotiva, ibidem), a differenza del mondo esterno naturale, che è caratterizzato da una molteplicità rappresentata dall’”essere separato” (auseinander), il mondo della coscienza, “la molteplicità psichica originaria, quale è colta in qualunque atto della percezione interna dotata di una connessione essenziale con l’essenza dell’atto, rappresenta una molteplicità in cui non c’è più alcun ‘essere separato’. Qui c’è solo l’’essere insieme’ (zusammen) non ulteriormente definibile nell’’io’, dove ‘io’ significa solo la specifica forma di unità di tale molteplicità.”. Questo “essere insieme” di sentimenti, idee, immagini, nell’io, “non è né temporale né spaziale, bensì intuitivo, sebbene sui generis. Esso diventa tanto più chiaro quanto più, dagli strati periferici dei fenomeni di coscienza, lo strato delle immagini sensoriali e dell’io corporeo, dove è particolarmente difficile la distinzione di fisico e psichico, ci volgiamo agli strati situati più in profondità, quelli del sentire e tendere spirituale e della sfera del pensiero. Anche l’apparenza di un ‘essere separato’ declina sempre di più quanto più, muovendo verso il centro, ci spostiamo verso quella parte dello psichico il cui carattere è particolarmente marcato, e che proprio per ciò può essere punto di partenza per la conoscenza dell’essenza dello psichico in generale.” (ibidem). Il fissare la ricerca dell’essenza dello psichico allo strato più periferico della coscienza, quello della sensazione conduce alla assurda tesi che “tutto lo psichico si possa ricondurre a cosiddette sensazioni e complessi di sensazioni... “ (ibidem). Il nucleo più intimo del fenomeno psichico, della coscienza, è il nucleo affettivo o emozionale, dove vige e prevale l’unità, l’esse112

Significato e senso percettivo

re insieme. Perciò è un errore “vedere la sequenza delle cause fisiche nella sequenza dei fenomeni di coscienza.”. La melodia, per esempio, è un susseguirsi “non-quantitativo”. “Così considero, per esempio, il ‘succedersi’ dei suoni in una melodia; non li considero simultanei, ma ‘susseguentisi’; e nessun tipo di ordine semplice nei caratteri qualitativi dei suoni, che fossero dati ‘in prima istanza’ come simultanei, potrebbe darmi il fenomeno del ‘succedersi’, se non stesse già nel fenomeno stesso; tale succedersi ha invece luogo nell’unità di una formazione, che io colgo in un atto in quanto tutto. Tale fenomeno non ha nulla a che fare con la sequenza oggettiva dei fenomeni sonori e ancor meno con la sequenza di stimoli e choc nervosi a essi fisicamente e fisiologicamente corrispondenti. Così come l’estensione del dolore non è una grandezza misurabile, nemmeno questo tipo di ‘susseguirsi’ di suoni può essere considerato dal punto di vista quantitativo. È infatti fondato sull’insieme della ‘forma’ melodica e sull’insieme dell’unità del ‘ritmo’ e varia in dipendenza da queste forme nel suo carattere specifico, ‘veloce’ o ‘lento’, qualità che non hanno senso per il tempo misurabile oggettivamente. Io incontro di nuovo immediatamente questo ‘susseguirsi’ in determinate circostanze anche nel contenuto intuitivo di un atto del ricordo e di un atto di attesa; e ciò senza ricorrere all’oggettiva sequenza temporale delle datità del mondo esterno o senza dover fare operazioni di tipo conclusivo. In ogni atto della percezione interna mi è però dato qualcosa come ‘presente’, qualcosa come ‘passato’, qualcosa come ‘futuro’, e tutto in modo immediato; tenendo conto sempre del fatto che la pienezza globale di ciò che è dato in questo modo può crescere e diminuire. Ciò che così mi è dato appare sullo sfondo impreciso di tutto l’’io’ indiviso. L’io che appare nella percezione interna è pertanto sempre co-inteso come presente nella sua totalità [a questo proposito l’autore si riferisce a Wilhelm Dilthey, Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften, Berlin, 1910]. L’io del presente spicca solo in quanto cima particolarmente luminosa… [Le] unità di coscienza, che io colgo in atti della percezione interna, possono avere una pienezza di contenuto molto diversa. 113

Categorie e fisionomie

Tuttavia, ognuna di queste totalità tanto diverse, unificate da un atto, rientra di nuovo in una totalità della medesima natura e molteplicità, anche se di ordine superiore; e non sussiste mai alcuna legittimazione a instaurare tra di esse un ordine di successione nel tempo misurabile oggettivamente; altrettanto ingiustificato pensarle estese nello spazio. Ciò che è stato detto indica che il mondo della coscienza, già per la forma che lo costituisce è un mondo totalmente diverso da quello della percezione esterna… Una delle fonti di illusione più fondamentali consiste allora nel fatto che trasferiamo quella forma indeducibile di molteplicità, più o meno immaginosamente, nelle forme di spazio e tempo a noi note dal mondo esterno, e ciò in particolare in virtù del fatto che al posto dei fatti psichici in sé mettiamo puri simboli, che dovrebbero adempiere una funzione analoga a quella svolta per gli oggetti fisici e il loro ordinamento spazio-temporale; e, rispettivamente, al loro posto, l’ordinamento dei processi corporei e delle parti del corpo vivente, ai quali essi aggiungono una relazione accertabile; e infine i fenomeni e i movimenti espressivi corporei da essi suscitati.” (ibidem). Inoltre, più avanti nello stesso scritto, Scheler aggiunge: “Riveste qui significato fondamentale per la teoria delle fonti di illusione della percezione interna uno schema che continua a dominare i manuali di psicologia: lo schema secondo il quale in ogni vita individuale ci sarebbe un ‘grado di sviluppo’, in cui sarebbero date solo ‘sensazioni’, quindi uno in cui si formano ‘percezioni’, a cui si accompagnano poi ‘riproduzioni’, ‘ricordi’ e infine ‘significati’ e ‘giudizi’. In realtà, non c’è nulla di simile nella coscienza, né può darsi da un punto di vista essenziale. Una costruzione ideale del contenuto di coscienza, già dissolto secondo il criterio dello spezzettamento delle sue cause fisiche nei momenti corrispondenti a tali cause, diventa qui uno svolgimento oggettivo, una ‘storia’; e componenti costitutivi di ogni percezione, di quella più semplice così come di quella più complessa, vengono considerati formazioni genetiche che si succedono le une alle altre. In realtà, lo sviluppo del significato si compie in forma rigorosamente simultanea 114

Significato e senso percettivo

con l’elaborazione di rappresentazioni sensoriali, e tutto avviene sotto il reciproco influsso. Lo stesso vale per la percezione e il ricordo. Se si indagano i processi corporei che portano a una data percezione, occorre soltanto far corrispondere la totalità del processo centripeto alla totalità della percezione; ma non singole parti di questo processo a parti della percezione. Solo la variabilità dai due lati secondo diverse direzioni – di quel processo nervoso nella sua unità e di quella percezione – può condurre alla conoscenza di ulteriori dipendenze più specifiche tra i momenti delle due serie di variazioni. Ciò che vale per la successione temporale di cause ed effetti dello psichico vale anche per il carattere semplice e composto di cause ed effetti di fatti psichici. Pertanto i fenomeni dei colori variopinti sono semplici, per quanto collocati in molteplici relazioni di somiglianza, immediatamente evidenti, per quanto composte possano essere anche le cause fisiche che determinano la loro visione. Nell’arancio non ci sono ‘componenti’ gialle e rosse. Né – per prendere un esempio da un campo totalmente diverso – l’articolazione di un pensiero, che io esprimo in parole e frasi, corrisponde alla composizione degli elementi delle frasi relative. L’idea sta di fronte a me come unità simultanea, mentre le parole si succedono. Nella frase l’idea trova la sua ‘espressione’, ma non come se a ogni parte della frase, per esempio a ogni parola, dovesse corrispondere una ‘parte’ specifica dell’idea.” (ibidem). La comprensione dell’idea è come una luce che illumina di colpo il buio. “Del tutto analogamente, anche l’unità di una melodia viene ‘compresa’ di un colpo; lo stesso avviene per il ‘senso’ estetico di un complesso di colori e forme.” (ibidem). 9  Ogni spirito, afferma Scheler nel libro Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori (1996), è “personale”, è una “persona”. “... la persona è un nome assoluto, non relativo alla percezione affettiva. Il termine ‘io’ implica costantemente un riferimento sia ad un ‘tu’ e sia ad un ‘mondo-esterno’. È quanto non si verifica a proposito del nome “persona”. Dio, ad esempio, può essere persona 115

Categorie e fisionomie

ma non un ‘io’, dal momento che per lui non si danno né un ‘tu’ e neppure un ‘mondo-esterno’. Quanto viene inteso con il termine ‘persona’ possiede, rispetto all’io, il carattere di una totalità che è sufficiente a se stessa... all’essenza della persona pertiene il fatto di esistere e vivere unicamente nel processo di compimento di atti intenzionali. Per essenza essa non è quindi un ‘oggetto’.” (ibidem). La persona, per Scheler, non può mai e in nessun modo venir pensata come una “cosa”. Come abbiamo detto all’inizio di questo scritto, Tito Vignoli (ibidem) parlava del “dono della personificazione”, riferendosi all’esperienza tipica della psiche animale e dell’umanità nell’epoca del mito. Tuttavia, le considerazioni più pregnanti le ho trovate nell’opera di Pavel Florenskij La colonna e il fondamento della verità (Lettera quarta, 1998), dove l’autore afferma, a proposito dell’identità, che “l’identità nel suo significato proprio e primario può essere vista solo nella autoidentità della persona e non nella autosomiglianza della cosa.”. È stato Leibniz a statuire, nel principio della “identitas indiscernibilium”, che, in natura, non esistono due individui che non possono essere distinti. “Non ci sono individui indiscernibili” affermava Leibniz nella IV lettera a Clarke, o più precisamente: “Eadem sunt, quorum unum potest substitui alteri salva veritate” (le cose delle quali l’una può essere sostituita dall’altra mantenendone intatta la verità, sono le stesse). Le “cose” possono solo somigliarsi. L’origine prima dell’idea di identità che è denominata identità originaria si trova solo nell’interiorità della persona viva, continua Florenskij: “È chiaro che non può essere diversamente. Perché l’identità numerica è la caratteristica più profonda e, si può dire, unica della persona viva, e definire l’identità numerica significherebbe definire la persona. Definire significa fornire un concetto; ma non è possibile dare il concetto della persona, perché questa si distingue dalla cosa proprio perché ‘inconcepibile’, perché trascende i limiti di ogni concetto, mentre la cosa è sussumibile al concetto e perciò è ‘comprensibile’. È possibile creare solo un simbolo della caratteristica radicale della persona... Quanto poi al contenuto di questo simbolo, esso 116

Significato e senso percettivo

non può essere razionale ma solo esperimentato immediatamente nell’esperienza della autocreazione, nell’attività dell’autoedificazione della persona, nell’identità dell’autocoscienza spirituale. Ecco perché il termine ‘identità numerica’ è soltanto un simbolo e non un concetto.” (ibidem). cosa spazio autosomiglianza categoria (concetto)

persona tempo autoidentità fisionomia (simbolo)

Anche Scheler sottolinea la differenza radicale tra “cosa” e “persona”. Si tratta di una differenza “ontologica”: “La persona non è, in se stessa, una cosa, né porta con sé l’essenza della ‘cosalità’ in sé, come invece accade fondamentalmente per tutte le cose di valore. Come unità concreta di tutti gli atti possibili, essa si contrappone all’intero ambito degli ‘oggetti’ possibili (oggetti della percezione interna ed esterna, oggetti fisici e psichici) occupando quindi ‘a fortiori’ una posizione opposta all’intero ambito delle cose che fanno a loro volta parte di un insieme precedentemente dato. Essa esiste solo nel compimento dei suoi atti.” (M. Scheler, Il formalismo... , ibidem). 10  Scheler fa un’importante distinzione, oltre che tra “persona” e

“cosa” (oggetto), anche tra “persona” e “io”. Come è stato appena detto, il termine “persona” possiede, rispetto all’io, il carattere di una totalità che è sufficiente a se stessa. Una “persona”, ad esempio, “agisce”, “va a passeggio” o simili; un “io”, al contrario, non ha la possibilità di farlo. Gli “io” non agiscono, né vanno a passeggio. “La persona è attualità continua”, afferma Scheler in una nota (in ibidem). Mentre la “cosa” è, a tuttaprima, un’entità statica e spaziale, la “persona” è una totalità dinamica e temporale dotata di proprietà espressive, cioè di una “fisionomia”. Inoltre, la “persona” può essere considerata una “struttura emergente”. Una struttura emergente è costituita da un insieme di parti che interagiscono tra loro 117

Categorie e fisionomie

e possiede una forma e delle caratteristiche che risultano inspiegabili sulla base delle proprietà che governano le sue componenti prese singolarmente. Una melodia, ad esempio, è una struttura emergente da una sequenza di suoni. ”Il sorriso della Gioconda come fenomeno unitario dotato di tutta una serie di proprietà peculiari come la sua enigmaticità, il suo essere beffardo ecc., è una struttura emergente da un insieme di proprietà formali individuali e da particolari relazioni di unificazione spaziale fondate a loro volta in parti anatomiche fisicamente realizzate mediante sostanze colorate disposte secondo certe forme e relazioni. Anche la forma di un oggetto… intesa come struttura organizzata e chiusa, dotata di suoi caratteri interni specifici è una struttura emergente [e, in questo caso, anche un oggetto può possedere una fisionomia.]. Più in generale, sembra possibile caratterizzare la stessa nozione di fenomeno, intesa precisamente come l’aspetto o il modo in cui qualcosa ci appare e ci si presenta a livello sensoriale e mentale, come una struttura emergente fondata nell’interazione percettiva o sensoriale fra un soggetto cognitivo empirico e un oggetto fisico esterno.” (Carlo Conni, Identità e strutture emergenti – Una prospettiva ontologica dalla Terza ricerca logica di Husserl, 2005). Gli oggetti, in quanto individui concreti, esterni e quindi separati dal soggetto, possiedono al loro interno determinazioni e proprietà intrinseche, indipendenti dal soggetto stesso e dai suoi atti cognitivi. Perché un oggetto possa considerarsi un “intero”, esso deve essere “abbracciato” da una “fondazione strutturale” (Fundierung). “L’oggetto fisico non può più essere considerato come paradigma della realtà. Questo era, già nei primi anni del secolo breve, parte sostanziale del progetto husserliano di un’ontologia la quale, presentando (in quanto ontologia formale) i tratti comuni ai diversi tipi di realtà denominati ontologie regionali (o ‘materiali’, nel senso di sachhaltig, specifiche o concrete) prevedeva un’articolazione pluralistica degli esistenti. Li disponeva appunto in regioni di realtà i cui enti, pur in una identica articolazione formale o categoriale (ovunque ci sono oggetti, proprietà, relazioni, stati di cose e anche eventi) presentassero diverse caratteristiche essen118

Significato e senso percettivo

ziali, dando luogo a diversi tipi di cose: diversi ontologicamente, così che rispetto all’ontologia A (poniamo, la regione ‘cosa materiale’, questa volta nel senso di ‘corpo’) l’ontologia B (poniamo, la regione ‘persona’, con la sotto-regione ‘oggetto sociale’) contenesse entità nuove, dotate quindi di condizioni di identità e conseguentemente di modi di esistere diversi. A questo scopo Husserl aveva elaborato quello che, se messo formalmente a punto, sarebbe stato un potente strumento di descrizione di tutto l’esistente, capace di far risaltare le distinzioni ontologiche e la ratio distinguendi, sullo sfondo comune. Questo strumento è la teoria husserliana degli interi e delle parti sviluppata nella Terza ricerca logica, il cui cuore è la teoria della relazione di Fundierung.” (Roberta De Monticelli, Prefazione, in C. Conni, ibidem). Nella “Terza ricerca logica”, Husserl statuisce la seguente legge: “Se un α come tale può esistere soltanto in una unità comprensiva che lo connette ad un μ, noi diciamo che un α come tale ha bisogno di essere fondato [strutturalmente] da un μ, o anche: un α come tale ha bisogno di essere integrato da un μ. Se perciò αº e μº sono casi particolari determinati dai generi puri α e μ, che si realizzano in un unico intero e che si trovano nel rapporto indicato, noi diciamo che αº è fondato [strutturalmente] da μº, e soltanto da μº, se il bisogno di integrazione di α viene soddisfatto unicamente da μ.” Se consideriamo una superficie colorata, il colore costituisce una parte non-indipendente rispetto all’estensione, cioè non è una “frazione”, ma un “momento” dell’intero. Diversamente la gamba di un tavolo è una parte o un contenuto indipendente (e reale), in quanto la possiamo pensare “indipendentemente” dal tavolo. Inoltre essa diventa un intero quando la separiamo fisicamente dal resto del tavolo. Diversamente, un colore non può essere rappresentato indipendentemente dalla superficie che ricopre e questo vale in generale per il rapporto tra estensione spaziale e qualità. 119

Categorie e fisionomie

Anche la “fisionomia”, in quanto “totalità espressiva”, è una “struttura emergente”, come lo è una “melodia”. Inoltre, anche la fisionomia non può essere rappresentata indipendentemente dalla superficie che ricopre, come il colore. Espressione, persona e biografia sono tre termini fondamentali dell’Antropologia filosofica tedesca, tra i cui pionieri si annoverano Max Scheler, Helmuth Plessner e Wilhelm Dilthey. La “fisionomia” è l’espressione dinamica e biografica della persona. Come abbiamo detto, si tratta di una struttura “temporale”. A proposito del ritratto eseguito nella prospettiva temporale della “sintesi biografica”, Pavel Florenskij afferma che “Rappresentando la persona nella sua totalità temporale, questa rappresentazione non è perciò compatibile con alcun momento singolarmente preso, di questa totalità… E ciascun momento trova il suo posto in questa totalità e vi lascia la sua traccia, ma non può strappare se stesso dalla totalità, perché esso assomiglia alla totalità ma la totalità non gli assomiglia… Esso [il ritratto] non è un’astrazione generica di tutti gli stati, ma un’unità concreta e visibile di essi, cioè la fisionomia spirituale di una data personalità, la sua idea in senso platonico o entelechia.” (Pavel Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, 1995). In questa prospettiva, la fisionomia è un simbolo del movimento, del divenire interiore della persona. “L’aspetto contemplativo dell’occhio diventa invisibile, ma lo sguardo è mostrato in modo più espressivo, quasi come azione.” (ibidem). Occorre notare che la “qualità fisiognomica” non è una caratteristica solo degli oggetti umani o animali, ma tutti gli oggetti possiedono genuine qualità espressive: “Ma se invece”, afferma Rudolf Arnheim, “l’espressione è una caratteristica intima inerente ai pattern percettivi, le sue manifestazioni nella figura umana non sono che un caso speciale di un fenomeno assai più generale. Il confronto dell’espressione di un oggetto con uno stato d’animo umano non è che un processo secondario. Un salice piangente non appare triste perché sembra una persona triste; è più appropriato affermare che – dato che la forma, la direzione, la flessuosità dei rami, del salice convogliano l’espressione d’un penzolare passivo - si impone 120

Significato e senso percettivo

da sé in un secondo tempo, un confronto con quello stato d’animo e di corpo strutturalmente simile che chiamiamo tristezza.” (Rudolf Arnheim, Arte e percezione visiva, 2003). Invece che antropomorfizzare l’espressione sembra più appropriato fare il contrario “e descrivere il comportamento e l’espressione umana mediante le più generali caratteristiche della natura intesa come un tutto.” (ibidem). In questo modo gli oggetti e gli eventi concreti mostrano il loro significato simbolico e l’universale può apparire nel particolare. “La precedenza delle qualità fisiognomiche non dovrebbe sorprenderci: i nostri sensi non sono organi di registrazione autonomi che operino per loro conto; si sono sviluppati nell’organismo come un aiuto per poter reagire in maniera appropriata all’ambiente.” (ibidem). Una forma dotata di qualità eminentemente ”temporali” è quella della “pianta”. La pianta che ci sta di fronte possiede una struttura dotata di gradini evolutivi. Ogni gradino evolutivo (seme, foglia, fiore, frutto) è un “divenuto” e si manifesta in modo statico [come incantato nello spazio]. La pianta che percepiamo è percorsa da un movimento evolutivo che può essere afferrato solo dal pensiero e costituisce una realtà più alta di quella percepibile coi sensi. Si tratta infatti di una forma del tempo. Tuttavia, il movimento evolutivo risulta “percepibile” ad un occhio attento e allenato [a un “Geistesauge”, a un occhio spirituale, nel senso di Goethe]. Come una figura geometrica, ad esempio un quadrato, si mostra con una ben precisa “prospettiva spaziale”, quando osservato in certe condizioni (si presenta, cioè, come un trapezio), così una pianta e, ciò che più importa, una “fisionomia”, ci offrono una “prospettiva temporale”, determinata dal diverso stadio evolutivo, o,

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Categorie e fisionomie

più precisamente, “biografico”, delle sue parti, nel caso della fisionomia. Nella figura 20, possiamo vedere un autoritratto di Vincent van Gogh. A differenza di una pianta, i cui elementi sono le foglie, i frutti, i fiori, etc., in una fisionomia, gli elementi non sono gli occhi, le orecchie, le labbra, etc., cioè gli elementi anatomici, ma so20 no piuttosto le “unità espressive”. È la relazione tra queste unità che determina lo sviluppo di una geometria dinamica, ad esempio, del volto, la sua “prospettiva temporale”. A questo proposito, Florenskij afferma (in ibidem) che “Una percezione artistica di oggetti in movimento può avvenire soltanto là dove la legge del movimento esterno venga interpretata e assimilata come un ritmo particolare della nostra vita interiore, quando l’oggetto in movimento quasi si disfa nella [nostra] anima trasmettendole il suo movimento in forma di vibrazione. In senso artistico il movimento di oggetti esterni indica soltanto il fremito dell’anima immobile. E il compito dell’artista è trattenere questi ritmi interiori nell’anima che vibra... Il limite [estremo] conosciuto al mondo di questo sprofondare, di questo concentrarsi di ritmi interiori, verso il quale tendono e nel quale si riunificano tutti i movimenti sulla base del loro significato interiore, è la persona umana nella sua propria autoconsapevolezza. E il simbolo visivo di tutti questi movimenti interiori è il volto...”, e ancora, “Un ritratto che non renda i moti della vita interiore, cioè, in altre parole, che non riunifichi in un’unica immagine espressioni diverse, ciascuna delle quali risponde a un proprio stato spirituale, non ha niente a che fare con l’arte, non è una rappresentazione della personalità, ma di una particella microtomica di essa.”. Florenskij afferma, inoltre, che la condizione, dal punto di vista anatomico, di questa rappresentazione del 122

Significato e senso percettivo

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volto, è che le sue singole parti siano in reciproca contraddizione. Nella contraddizione dei tratti, si realizza, infatti, la dinamica temporale della “sintesi biografica”. Per comprendere più a fondo il modo attraverso il quale la “sintesi biografica” determini la “fisionomia” di un volto, si può prendere in considerazione il lavoro di Wentworth D’Arcy Thompson On Growth and Form (1917), tradotto in italiano con Crescita e forma (1992), in cui lo scienziato scozzese ricorre al metodo delle “coordinate ortogonali”. Facendo variare i parametri degli assi x e y del sistema, è possibile eseguire delle trasformazioni di forme viventi, quali foglie, fiori, conchiglie, animali e parti scheletriche, in altre forme. La comparsa di una forma, diversa dall’originale da cui si è partiti, ma dotata di “senso”, ci permette di arrestare il processo di metamorfosi, finchè un’altra forma dotata di senso, ma diversa, non appare. Albrecht Dürer (14711528) aveva applicato questo principio alla fisionomia del volto e del corpo umano (figura 21, in W. D’Arcy Thompson On Growth and Form), scoprendo che ogni cambiamento “impone la riorganizzazione di tutto l’insieme” (P. Magli, ibidem). 123

Categorie e fisionomie

“Dürer costruisce un “reticolo uniforme”, cioè un piano quadrettato, all’interno del quale le fattezze umane hanno una griglia di riferimento comoda. Nessun altro pittore del Rinascimento si spinge esplicitamente a tanto: Dürer è convinto di aver trovato una classificazione dei tipi umani, attraverso una geometria dinamica! Scrive il trattato Unterweisung der Messung, citato con grande rispetto da Galileo Galilei (1564-1642) e da Johannes Kepler (15711630)... “. (D’Amore B., La matematica è dappertutto, in Marazzani I., La matematica e la sua didattica, 2007). La distinzione fatta da Frege e da Husserl tra “senso” e “significato” può servire da chiave di lettura fondamentale per comprendere l’essenza della struttura fisiognomica. Patrizia Magli, nel libro citato (ibidem) afferma che “Nelle trasformazioni i cui gradi sono potenzialmente illimitati, è solo la variazione di significato a stabilire una sorta di discretizzazione all’interno della continuità. Il significato è l’operatore di riorganizzazione di un nuovo sistema formale, all’interno di una serie di facce.”. Vogliamo mostrare come la “fisionomia” sia una “struttura simbolica” che, seguendo Creuzer (ibidem), costituisce una “evidenza istantanea” cioè una totalità eidetica che si “presenta” in modo simultaneo. Attraverso il simbolo l’infinito può essere colto nel finito. Come sottolinea Rudolf Arnheim, nel libro Il pensiero visivo: la percezione visiva come attività conoscitiva (1974), il processo di astrazione, nell’accezione nominalistica, “Fornisce quel tipo di generalizzazioni svuotate che hanno reso possibile la scienza moderna. Tali generalizzazioni si limitano a quanto tutti gli esempi di una famiglia di casi possiedono in comune, e ignorano tutto il resto. Sono l’opposto stesso dei generi platonici, che divengono tanto più pieni e ricchi, quanto più in alto sono collocati nella gerarchia delle ‘idee’.”. Nella “evidenza istantanea” di cui parla Creuzer, abbiamo a che fare, appunto, con strutture “ideali” di livello gerarchico elevato. Sono “tipi”, “significati” e non vuote “generalità”. Occorre distinguere, a questo proposito, i modi della temporalità che sono in gioco in queste strutture e nelle “fisionomie” concrete e individuali che percepiamo coi sensi. 124

Significato e senso percettivo

In quanto “eida”, in quanto “universali”, queste strutture “ideali” sono “sovratemporali” (überzeitlich), sono oggettualità “categoriali”. A questo proposito, Husserl, nell’estratto delle lezioni sulla logica trascendentale del 1920/21 (Lezioni sulla sintesi attiva, 2007), chiarisce le modalità temporali delle oggettualità individuali e di quelle categoriali. “L’idealità della proposizione come idea di una unità sintetica che si dà nel divenire è l’identità di qualcosa che può comparire in atti individuali in ogni posizione temporale [Zeitstelle]; e in tutte quelle in cui compare, compare necessariamente in maniera temporale, mutandosi nel tempo, e tuttavia essa è ‘sempre’ [allzeit] la stessa. Ad attraversare [hindurchgehen] la molteplicità temporale è quindi una unità sovratemporale [überzeitlich] che si trova nella molteplicità temporale stessa. Questa sovratemporalità [Überzeitlichkeit] è indice di questa onnitemporalità [Allzeitlichkeit]. In ogni molteplice di questo tipo si trova sempre il medesimo elemento unitario che così risiede nel tempo, e naturalmente lo fa nella forma prescritta dalla coscienza. Se adesso io compio un giudizio, il che-cosa del giudizio, l’asserzione giudicativa, è data alla coscienza nel modo dell’ora, e tuttavia non è in una posizione temporale. L’atto giudicativo non è legato ad alcuna posizione temporale e non è rimpiazzato in alcun modo da un momento individuale, da una singolarizzazione individuale. Esso è se stesso che diventa-se-stesso in ogni posizione temporale, una posizione in cui si dispiega un corrispondente atto giudicativo. Mentre però l’elemento individuale ha la ‘sua’ posizione temporale e la ‘sua’ durata temporale, comincia in una posizione, trapassa in un’altra e così diventa passato, una tale idealità ha l’essere temporale della sovratemporalità... “. Nella struttura “fisiognomica”, ad esempio in un volto, è presente una stratificazione gerarchica dello spirituale. Partendo dal campo percettivo, la fisionomia si presenta innanzitutto come “senso” [Sinn]. In un volto, la fisionomia è determinata soprattutto dalle strutture scheletriche e da quelle muscolari, coi loro movimenti espressivi. Inoltre, risultano molto importanti le qualità della cute che rappresenta il confine estremo col mondo esterno. Adolf Port125

Categorie e fisionomie

mann (1897-1982), zoologo e morfologo svizzero di formazione goethiana, nel libro La forma degli animali (2013), afferma che “I differenti percorsi di sviluppo ci offrono la possibilità di disporre le forme in un certo ordine e rappresentano una base importante per distinguere tra tipi animali inferiori e superiori. Chiameremo ‘inferiore’ l’animale il cui aspetto esteriore reca segni evidenti del decorso evolutivo embrionale, quello che, insomma, non si allontana poi molto dall’originario piano embrionale; consideriamo ‘superiori’, invece, i tipi che si discostano in maniera significativa dalle strutture dei primi stadi embrionali. Prescindendo completamente dal significato funzionale delle parti, possiamo quindi affermare che la forma animale pienamente sviluppata mostra particolari tratti formali che rinviano ai processi evolutivi e si conservano in maniera differente nei diversi animali.”. Tutto ciò sembra riflettere la legge di von Baer che afferma che le somiglianze sono più antiche delle differenze. La “fisionomia” appare su un substrato organizzato in modo gerarchico. Nel caso dell’essere umano, ad esempio, la forma del volto sorge alla superficie di un cranio vertebrato e mammifero. Ciò che condividiamo con gli animali superiori sono i caratteri e i tratti più stabili, modificati, naturalmente, dalle strutture “emergenti” che qualificano l’essere umano come tale. Uno di questi caratteri, forse il più rilevante, è la “neotenia”, che risulta immediatamente evidente dal fatto che “i crani dell’uomo e dello scimpanzé sono molto più simili nello stadio fetale... che nello stadio adulto... L’uomo avrebbe infatti ritenuto... dei caratteri embrionali degli antenati, nel suo stadio adulto.” (D. Nani, Sotto le ceneri della scienza, 1995). Questo fatto dimostra che l’evoluzione neotenica sarebbe servita a far aumentare il volume del nostro cervello e renderebbe conto “dello sviluppo enorme delle facoltà intellettuali umane dovuto alla conservazione di una plasticità “fetale” del sistema nervoso centrale (D. Nani, ibidem). Adolf Portmann, nello stesso scritto (ibidem) si domanda se la forma esterna degli animali presenti una qualche corrispondenza con il livello di differenziazione raggiunto nel processo filogeneti126

Significato e senso percettivo

co. Ci sono tratti formali dell’apparenza fenomenica, del disegno e della colorazione che vanno di pari passo con il grado di sviluppo del cervello (vedi figure 22 e 23, da A. Portmann, La forma degli animali) e, quindi, con il livello di differenziazione degli animali. “Il fatto che praticamente tutti i mammiferi di livello inferiore siano animali in cui prevale il senso dell’olfatto, e che l’importanza degli occhi cresca di pari passo con l’aumento dell’organizzazione cerebrale, rientra a sua volta tra i fattori che determinano il rango di un animale: anche le funzioni sensoriali consentono un rapporto con il mondo di contenuto assai diverso.” (A. Portmann, ibidem). Cervello, organi di senso e forma esterna (quindi, in primo luogo, la “fisionomia”) evolvono parallelamente, possiamo dire in modo sincronistico (vedi D. Nani, Sincronicità e dinamica della forma – connessioni simboliche nell’anatomia dei vertebrati, 2001). Lo sviluppo della morfologia globale degli animali, osservabile chiaramente nei vertebrati, va di pari passo con lo sviluppo del sistema nervoso centrale e degli organi di senso, nonché con la defini-

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Categorie e fisionomie

zione dei quattro organi fondamentali (fegato, polmone, reni e cuore). Nei mammiferi, ad esempio, in cui si definisce in modo completo il cuore, la realizzazione di una forma armonica del corpo e di un’elevata specializzazione delle singole parti, come gli organi interni e gli arti, vanno di pari passo con lo sviluppo della neocortex, che raggiungerà la sua massima manifestazione nell’uomo (D. Nani, ibidem). Nonostante alcune eccezioni, il riscontro che il valore formale e l’indice di sviluppo dell’encefalo sono fortemente correlati, sembra un principio assai generale. “Dobbiamo passare”, afferma Portmann, “dalla pura e semplice concezione funzionalistica, che giudica tutto soltanto sulla base di scopi e prestazioni, a una visione che non disconosce mai l’elemento funzionale, ma sa anche quanto più ampio e profondo sia il significato della forma degli animali.” (ibidem). Va inoltre notato che lo stesso sistema nervoso centrale, che è in sé un sistema nel quale sembra prevalere l’elemento funzionale su quello formale, si presenta, tuttavia, nel corso dell’evoluzione, sempre più elaborato anche morfologicamente, come si può osservare nella figura 22. Nella figura 22, infatti, possiamo osservare encefali di vertebrati di complessità crescente (da A a C). In nero è rappresentata la porzione residuale del tronco cerebrale. In particolare: A tipo fondamentale ritrovabile nei pesci arcaici e negli anfibi; B mammiferi a bassa organizzazione (porcospino); C mammiferi superiori (ungulati); B’ uccelli con basso livello di organizzazione (pollo o piviere); C’ uccelli superiori (pappagallo); 1 emisferi cerebrali (lobi olfattivi punteggiati); 1a centri superiori degli emisferi; 2 ghiandola pineale; 3 mesencefalo; 4 cervelletto; 5 nervo ottico (da Portmann, ibidem). Nella figura 23 sono rappresentati gangli cerebrali di tre artropodi: ”... in alto, uno dei crostacei meno evoluti, appartenente al gruppo dei fillopodi; al centro, un tipo di gamberetto appartenente ai crostacei maggiormente differenziati; in basso, un insetto altamente differenziato. Si notino, in particolare, le differenze nell’estensione dei centri nervosi ottici e dei cosiddetti corpi fungiformi [mushroom body]. 1: occhio impari mediano; 2: occhi sfaccettati; 3: esofago in sezione trasversale; 4: connettivo periesofageo; 5: centri ottici; 6: 128

Significato e senso percettivo

importanti centri di connessione tra gli occhi e gli organi dell’olfatto; 7 e 8: zone di connessioni centrali; 9: corpi fungiformi, massimi centri nervosi.” (da Portmann, ibidem). Nel corso del processo evolutivo, la testa, che rappresenta il tratto distintivo di un’organizzazione superiore, tende a divenire il veicolo della struttura fisiognomica di un animale e tende, perciò, a separarsi dal resto del corpo, per mezzo di un collo ben sviluppato. Negli animali inferiori, infatti, tutto il corpo tende ad esprimersi in modo “fisiognomico”, e, in alcuni casi, lo fa soprattutto attraverso il “movimento”. Ciò accade in particolare nei momenti di maggior eccitazione, come quelli associati alla riproduzione. Nella figura 24 (in Portmann, ibidem), si può notare la testa di un Mandrillo maschio africano. “Con l’avvicinarsi della maturità sessuale”, afferma Portmann, “compaiono il colore scarlatto del naso (riconducibile ai vasi sanguigni) e quello blu dei cercini nasali (colore strutturale).” (ibidem). L’accentuazione dei tratti del volto nel periodo degli amori indica chiaramente il carattere comunicativo della fisionomia, cioè il suo esistere per un occhio ed un’anima che osserva. Portmann sottolinea un principio generale della forma degli animali: “Le parti del corpo visibili sono le uniche a esibire un pattern otticamente configurato; 24 quelle nascoste, invece, appaiono otticamente indifferenti. Ogni organo ha la sua particolare funzione: la parte visibile di una forma sembra fatta apposta per produrre un effetto visivo.” (ibidem). Per lo zoologo svizzero, la forma possiede delle proprietà “assiologiche”, che egli chiama “valore di presentazione”. La “forma” viene considerata da Portmann, addirittura, come un “organo”, che egli ha battezzato con l’espressione di “organo dell’esser visto”. 129

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Anche negli artropodi è stata, di recente, dimostrata un’abilità percettiva di discriminazione della forma individuale. In particolare, studi condotti da Elisabeth A. Tibbetts (Università del Michigan) e da Adrian G. Dyer (Università di Melbourne), su alcuni tipi di vespe e di api, hanno messo in luce un’abilità intellettiva: il riconoscimento delle facce dei loro simili (Insetti fisionomisti, in Le Scienze, 2014). “L’osservazione che le vespe della specie Polistes fuscatus presentano specifiche marcature facciali individuali ha permesso di scoprire che gli insetti si servono di questi disegni [strisce, macchie gialle, marroni e nere] per riconoscere i singoli compagni di nido e interagire con loro nel modo socialmente più appropriato. Come noi esseri umani, le vespe percepiscono ed elaborano una faccia come un tutto, anziché imparare separatamente ciascuna caratteristica.” (ibidem). La cosa più sorprendente è stato riconoscere che la rimozione delle antenne dall’immagine della faccia di una vespa, “o risistemarne le componenti ne riduceva decisamente l’impressionante capacità di imparare i volti... La differenza nella capacità delle vespe di imparare le facce delle vespe con le antenne rispetto a quelle senza antenne è una solida prova che questi insetti hanno sistemi neurali specializzati per imparare le facce dei loro consimili. Le facce senza antenne sono composte degli stessi colori e disegni di quelle normali, ma il sistema visivo delle vespe non elabora l’immagine alterata in modo affidabile né la riconosce come faccia. L’effetto dell’eliminazione delle antenne sull’apprendimento indica che questi imenotteri, come gli esseri umani, percepiscono le facce con un meccanismo di elaborazione di tipo olistico: la vespa non impara ciascun elemento della faccia separatamente, elemento per elemento, ma percepisce ed elabora la faccia come una totalità.” (ibidem). Rispetto all’evoluzione del cervello di questi artropodi, sembra non siano state riconosciute modificazioni significative della grandezza delle strutture nervose, in relazione al sorgere di queste incredibili abilità cognitive di discriminazione della fisionomia delle facce, quanto, piuttosto, un aumento di specializzazione dei circuiti neuronali all’interno di strutture superiori come i lobi antennali (antennal 130

Significato e senso percettivo

lobes) e i corpi fungiformi (mushroom bodies). Questi ultimi, inoltre, mostrano un’evoluzione convergente con la corteccia cerebrale dei vertebrati (Farris S. M., Evolutionary Convergence of Higher Brain Centers Spanning the Protostome-Deuterostome Boundary, 2008).

25 Alexej von Jawlensky, Meditation

26 Alexej von Jawlensky, Dark Buddha Painting

Alexej von Jawlensky (1864-1941), nell’ultimo periodo della sua opera, compone dei ritratti, in cui la fisionomia viene massimamente stilizzata (figure 25 e 26). Si può notare come, nel modo più semplice, come se fosse in atto una sorta di “sacrificio” estremo delle forme, il pittore russo elimini ogni ridondanza, in cerca della massima sobrietà espressiva. Questa “scarnificazione” lascia però emergere un “simbolarium” delle forme elementari, una “mathesis universalis” pittorica della forma, quella che aveva cercato Was­ sily Kandinsky, nei suoi studi sullo spirituale nell’arte. Nel libro Punto, linea, superficie – contributo all’analisi degli elementi pittorici (1999), il ricercatore russo tenta di analizzare, tenendo conto “dei valori sintetici”, gli “elementi primari grafici”, in modo puro e in relazione con altri valori espressivi, quali il colore e il suono. Lo scopo essenziale di quella che Kandinsky chiama “scienza dell’ar131

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te”, è, come afferma egli stesso: “1. trovare il vivente, 2. renderne percepibile il pulsare, e 3. stabilire quale sia l’elemento normativo nel vivente stesso. In questo modo si raccolgono realtà viventi – in quanto fenomeni singoli e nelle loro connessioni… ”. Ad esempio, nella ricerca di affinità tra colore e forma grafica, Kandinsky scrive: “Queste affinità, che sono da intendersi non come valori assolutamente uguali, ma solo come paralleli interiori, possono essere rappresentate con uno schema di questo genere: Forma grafica. Rette: 1. orizzontale, 2. verticale, 3. diagonale, 4. retta libera.

Forma pittorica. Colori primari: nero, bianco, rosso (o grigio, o verde), giallo e azzurro.

Il parallelo: diagonale – rosso viene proposto qui come una affermazione, senza darne le prove circostanziate, che esorbiterebbero troppo dal tema di questo libro. Ma possiamo dire sommariamente: il rosso si distingue dal giallo e dall’azzurro per la sua proprietà di aderire stabilmente alla superficie; si distingue dal nero e dal bianco per un suo intenso ardore interno, per la tensione che porta in sé. Ciò che differenzia la diagonale dalle rette libere è il suo modo di aderire stabilmente alla superficie; ciò che la differenzia dalle orizzontali e verticali è una maggiore tensione interna.”. Kandinsky continua, facendo interessanti considerazioni anche sul rapporto tra forma grafica e suono. A questo proposito, afferma: “Il punto che riposa al centro di una superficie quadrata fu definito sopra come unisono del punto con la superficie, e l’immagine intera veniva designata come il prototipo dell’espressione pittorica. Una orizzontale e una verticale quando sono centrate su una superficie quadrata costituirebbero un’ulteriore complicazione di questo caso. Queste due rette sono, com’è già stato detto, sole e solitarie entità viventi, che non conoscono nessuna ripetizione. Esse sviluppano, perciò, un suono forte, che non può mai essere completamente coperto da un altro suono, e rappresentano perciò il suono originario delle rette.”. 132

Significato e senso percettivo

Le “unità espressive” della fisionomia, ad esempio di quella di un volto, non corrispondono tout court alle parti anatomiche, ma costituiscono delle “unità di senso”, come le “parole” di una frase. In un “lampo” di intuizione, Ludwig Wittgenstein scrive: “Se la proposizione può apparirmi come un dipinto di parole (nella verde valle risuonano canti gioiosi)... ”. E subito dopo, “Ma se la proposizione può apparirmi come un dipinto di parole e la singola parola nella proposizione come un’immagine…” La filosofia della psicologia, Oxford, 1982/1992, Bari, 2004). Abbiamo precedentemente affermato, come nell’analisi della temporalità condotta da Husserl nelle Lezioni sulla sintesi attiva (ibidem), una “proposizione” consista in una “idealità”, dotata dell’essere temporale della “sovratemporalità”. Gli “eida”, in quanto universali, sono costituiti da una “relazione semantica”, da una “sincronicità”. Le connessioni tra gli elementi, o parti di un intero di questo tipo, sono “connessioni significative”, non “spaziali”, né “temporali”. Abbiamo, quindi, a che fare con una struttura “a-temporale”, caratterizzata dalla simultaneità. Si tratta di una struttura “categoriale” che compare in atti individuali e, per apparire, deve attraversare “la molteplicità temporale”. Si dà, cioè, come “senso”. Le singole “parole” di un’asserzione giudicativa si offrono alla coscienza “nel modo dell’ora”, come le “immagini” e le “unità espressive” di un volto, di una “fisionomia”. (universale) significato → tempo → senso (individuale)

Ricorrendo alla terminologia filosofica, in voga ai tempi della disputa sugli universali, potremmo dire che nella “fisionomia”, in quanto struttura temporale, soggetta al divenire e a cambiamenti rapidi, dovuti ai movimenti della muscolatura facciale, vive l’io come universale in re. Nella rappresentazione che si costituisce quando la coscienza coglie “percettivamente” il “senso” oggettivo della fisionomia del volto, vive, invece, l’io come universale post rem. Quando la coscienza coglie l’idealità contenuta nel “simbolo”, cioè il “significato” concettuale, allora viene colto l’io come universale ante rem. 133

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A proposito della relazione tra anima e corpo, è estremamente interessante quanto afferma Ernst Cassirer, nel volume Fenomenologia della conoscenza (Filosofia delle forme simboliche, 2002), sempre riferendosi a Klages: “Per ogni metafisica che non voglia fin da principio essere ‘ontologia’, ma lasci invece sussistere il fenomeno dell’espressione nella sua peculiare struttura e lo riconosca in questa struttura, il problema assume subito effettivamente una forma completamente diversa. Nella metafisica moderna è stato Klages a seguire per primo questa via. Per lui le pure esperienze espressive sono in certo qual modo il punto di appoggio, facendo leva sul quale, egli cerca di scardinare il mondo dell’ontologia. In tal modo per lui viene meno la distinzione dell’essere in due ‘parti’: una costituita dal corpo e l’altra dall’anima. Egli osserva: ‘l’anima è il senso del corpo, e il corpo è la manifestazione dell’anima. Né l’anima esercita un’azione sul corpo, né il corpo esercita un’azione sull’anima: infatti nessuno dei due appartiene a un mondo di cose. Siccome l’esercitare un’azione è inseparabile dal fatto che le cose influiscono le une sulle altre, il rapporto di causa e di effetto indica semplicemente le parti separate di un nesso già sciolto; significato ed espressione sono però essi stessi un nesso, anzi sono il modello di tutti i nessi. Chi trova difficile rappresentarsi un rapporto, che è totalmente diverso dal rapporto della causa con l’effetto ed è rispetto a questo molto più intimo, si aiuti considerando l’analogo rapporto del segno con la cosa designata... Come il concetto si trova nella parola, così l’anima si trova nel corpo; la parola è la veste del pensiero, il corpo è la manifestazione dell’anima. Come non vi sono concetti senza parola, così non vi sono anime che non si manifestino.’. Noi accettiamo questa significativa formulazione, giacché con essa ci troviamo di nuovo al centro del nostro proprio problema sistematico. Il rapporto dell’anima col corpo rappresenta il primo esempio e il primo modello di una relazione puramente ‘simbolica’, che non si lascia convertire dal pensiero né in un rapporto di cose né in un rapporto causale.”. A questo livello, afferma il filosofo, “vige una connessione che non ha bisogno di essere formata mediante l’unione di elementi sepa134

Significato e senso percettivo

rati, ma è fin da principio un tutto significativo che interpreta se stesso... Il rapporto della ‘manifestazione’ col contenuto spirituale che in essa si esprime, il rapporto della parola col senso che essa rappresenta... tutto questo non ha nulla che gli somigli nel modo in cui le cose sono giustapposte nello spazio, nel modo in cui gli eventi si succedono nel tempo o nel modo in cui i cambiamenti reali derivano gli uni dagli altri.”. Georg Simmel (1858-1918), citato da Patrizia Magli (in ibidem), usa il termine Stimmung, per indicare una “atmosfera”, una “intonazione” o una “accordatura”, in senso musicale, che costituisce “quella sorta di tonalità spirituale, quel quid unitario che continuamente o provvisoriamente tinge la tonalità dei... singoli contenuti spirituali. Quel quid che, pur non essendo collegato in modo preciso al particolare, è tuttavia l’universale in cui tutti i particolari si incontrano... La Stimmung è quel principio di ordine semantico che, di fatto, si costituisce non solo come variazione di senso di una figura rispetto a un’altra, ma in se stessa è unità di senso compiuta.”. La Stimmung è, propriamente, la “qualità figurale” tipica di una “persona”, quel quid che fa di un volto una totalità individuale completamente determinata, cioè, una struttura “emergente”. Tutte le trasformazioni che si compiono in un volto sono variazioni di una “tipica”. La “fisionomia” è l’espressione di una “tipica” che sopravvive a tutte le trasformazioni possibili, entro un range ben definito. All’interno di questo range tutte le trasformazioni sono “continue”, la “fisionomia”, in quanto struttura temporale, è un’entità “spettrale”, quindi “monadica”, come il colore. Esiste tuttavia un limite, varcato il quale la transizione diventa, all’improvviso, “discontinua”, come un punto di “catastrofe”, nel senso della teoria delle catastrofi di René Thom. A questo proposito, la “caricatura” costituisce un esempio di grande importanza, nello studio del rapporto tra “fisionomia” e “emozioni”. Nella caricatura le variazioni sono condotte alla soglia delle “catastrofi”. Lo zoomorfismo dei volti ne è un chiaro esempio, dove la fisionomia umana trapassa in quella animale, per mostrare l’effetto dei vizi e delle passioni sulla morfologia del volto e sull’e135

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spressione. La caricatura è un portrait chargé, e, come il mostro per Goethe, risulta estremamente importante per studiare e comprendere la natura. I fenomeni abnormi, infatti, possono rivelare molto riguardo ai processi normali, e compiono spesso “esperimenti a vantaggio dell’osservatore”. Il mostro, teras, è soggetto nella sua formazione alle stesse regole che entrano in gioco nella formazione degli esseri normali. Nella caricatura, la “persona” diviene “personaggio”. “Secondo Simmel”, afferma Patrizia Magli (in ibidem), “il volto possiede la misura estrema dell’unità tra corpo e anima... L’effetto caricaturale... sussiste solo quando una ‘personalità spirituale’ continua a essere sentita come se fosse rimasta nelle dimensioni consuete. In questo caso, la comicità o la causticità della caricatura risultano dal contrasto tra la totale esteriorità di un solo tratto unilateralmente esagerato e un equilibrio di rapporti che si avverte ancora in qualche modo operante. La premessa di ogni caricatura, dunque, è quel che si dice ‘unità della personalità’.”. “La fisionomia dalla somma clemenza di Dio […], acciocché ciascuno da manifesti segni ammonito, sappia, chi elegger, o fuggir debba.” Della Porta, Della fisionomia dell’huomo, Proemio (in P. Magli, ibidem). Il riconoscimento delle forme nelle fasi precoci dell’ontogenesi animale e umana, si assomiglia. Nei pulcini, ad esempio, i processi legati all’imprinting sembra includano due meccanismi distinti, uno innato, chiamato da Mark Johnson, Conspec, che rappresenta una predisposizione innata a prestare attenzione agli oggetti che assomigliano ai conspecifici e uno acquisito, Conlern, che costituisce un meccanismo di apprendimento delle caratteristiche dell’oggetto (o degli oggetti) verso cui è stata attirata l’attenzione tramite Conspec. “In ambiente naturale, Conspec assicura che Conlern possa apprendere le caratteristiche di una particolare chioccia... Per parecchio tempo”, continua Giorgio Vallortigara (Altre menti. Lo studio comparato della cognizione animale, 2000), “si è creduto che 136

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i neonati umani non apprendessero le caratteristiche del viso umano fino a circa 2 o 3 mesi di vita. Gli studi che impiegano la tecnica della fissazione preferenziale, nella quale vengono presentati al neonato stimoli costituiti da un disco al cui interno sono collocati occhi, naso e bocca schematici disposti o nell’ordine giusto (‘facce’) oppure in maniera casuale (‘non-facce’), mostrano concordemente che i neonati non hanno alcuna tendenza a guardare più a lungo le prime rispetto alle seconde fino ai tre mesi di vita. Tuttavia, più di recente, si è scoperto che neonati di solo un’ora di vita inseguono con gli occhi e con il capo stimoli che si muovano lentamente nel loro campo visivo molto più facilmente quando questi sono costituiti da facce che da non-facce... Anche i neonati, quindi, possiederebbero un meccanismo innato che li porta a prestare attenzione a stimoli che assomigliano ai conspecifici. Così come per il pulcino, questa idea innata della madre sarebbe alquanto rozza: un disco con tre piccoli tondi disposti al suo interno nell’ordine giusto, due in alto orizzontali per gli occhi e uno in basso al centro per la bocca, sono sufficienti per evocare la risposta di inseguimento oculare nel neonato... Nel pulcino è possibile dimostrare che Conspec e Conlern sono dissociabili per ciò che concerne i loro substrati neurali: IMHV [Intermediate Medial Hyperstriatum Ventrale] è necessario per il processo di apprendimento (per esempio, per distinguere tra due galline) ma non lo è per lo sviluppo della predisposizione (anche in assenza di IMHV, il pulcino preferisce la gallina ad un oggetto artificiale). Nel neonato umano si può dimostrare una dissociazione in qualche modo simile. La corteccia visiva primaria va incontro ad un lungo processo di maturazione nei primi mesi di vita del neonato, mentre i circuiti subcorticali che mediano i comportamenti riflessi sono attivi da subito. È caratteristico che lo sviluppo dei circuiti corticali si accompagni ad una inibizione di quelli subcorticali... Ad un’ora dalla nascita il neonato preferisce inseguire con il capo e con gli occhi facce schematiche le cui caratteristiche sono correttamente posizionate, anziché stimoli costituiti dal riassemblaggio casuale di quelle stesse caratteristiche. Questo comportamento, 137

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evocato solo da stimoli in movimento, è sotto il controllo di strutture subcorticali quali i collicoli superiori [del tetto del mesencefalo]... e scompare attorno a 4-6 settimane dalla nascita. A tre mesi, però, compare la preferenza per le facce stazionarie, misurabile attraverso la tecnica della fissazione preferenziale. Inoltre, a partire da questo momento, i bimbi sanno distinguere facce tra loro differenti, per esempio quella della madre da quella di un estraneo. Questo meccanismo più tardivo viene mediato da circuiti nervosi diversi, ma esso viene, per così dire, ‘servito’ dal primo meccanismo, che dirige l’attenzione del bimbo verso quella particolare classe di stimoli che sono le facce.”. Va notato che le ricerche nel campo delle neuroscienze hanno portato al riconoscimento di alcune regioni della corteccia cerebrale deputate all’analisi di cosa sia una certa immagine visiva. La corteccia infero-temporale (IT) costituisce la regione corticale più strettamente connessa con il riconoscimento di tali intime caratteristiche delle cose. Circa il 10% delle cellule di questa corteccia risultano selettive per particolari immagini come le mani e i volti. “Per alcuni neuroni selettivi per i volti, lo stimolo più efficace è la visione frontale della faccia mentre per altri lo è la vista di profilo. Altri neuroni, ancora, rispondono preferenzialmente alle espressioni del viso. Nell’Uomo le lesioni di questa regione della corteccia determinano prosopagnosia, che è un deficit specifico nel riconoscimento dei volti... Queste osservazioni indicano che la corteccia inferotemporale è strettamente in rapporto con il riconoscimento dei volti.” (Eric R. Kandel et al., Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, 1999). In ogni caso, più precisamente, le regioni sensibili alle facce sono state riscontrate nel giro fusiforme (FFA) e in quello temporale inferiore (IT), compresa l’adiacente corteccia delimitata dai solchi occipito-temporali. Sono stati riconosciuti neuroni selettivi per il riconoscimento dei tratti particolari e neuroni selettivi per il riconoscimento delle caratteristiche globali. Abbiamo già visto come l’emisfero sinistro, sia nei vertebrati superiori che nell’uomo, svolga la funzione di “categorizzare” il mondo delle esperienze. “Esso tratterebbe esemplari anche molto 138

Significato e senso percettivo

diversi come membri della categoria, e in quanto tali degni dello stesso identico tipo di risposte [ad esempio, la presentazione ripetuta di una pallina da beccare, a dei pulcini]. Solo quando vengono superati certi valori soglia e un determinato stimolo si trova, per così dire, ad uscire dalla categoria, esso può venir trattato in maniera differente.” (G.. Vallortigara, ibidem). Nell’emisfero sinistro si compie la “sintesi delle somiglianze”, e prevalgono, quindi, elementi di “discontinuità”. Diversamente, l’emisfero destro “si occuperebbe dell’analisi dettagliata di specifici esemplari della stimolazione, e quindi della rilevazione di proprietà e caratteristiche che sono uniche piuttosto che comuni a molti stimoli. È il caso, ad esempio, delle proprietà che consentono di riconoscere individualmente un conspecifico, oppure dell’apprendimento della topografia dell’ambiente (le posizioni spaziali sono sempre, per definizione, uniche).” (ibidem). Nell’emisfero destro, si compie la “sintesi delle differenze”, e in esso prevalgono, perciò, elementi di “continuità”. Ha luogo, cioè, un trapassare spettrale delle forme, come all’interno di una determinata fisionomia. Una gran varietà di mammiferi e uccelli sembra presentare asimmetrie cerebrali. “L’emisfero destro nella nostra specie è implicato nel controllo delle espressioni emozionali e nell’elaborazione delle informazioni relative alle facce... Poiché i muscoli che controllano l’espressione facciale (quelli inferiori per la precisione) sono controllati su ciascun lato del viso dall’emisfero controlaterale e poiché l’emisfero destro è dominante in tale controllo, ne segue il fatto curioso che le emozioni vengono espresse e percepite più intensamente sul lato sinistro del viso. Questo lo si può vedere bene chiedendo alle persone di valutare le espressività di fotografie chimeriche, ottenute mettendo insieme due lati destri oppure due lati sinistri di una stessa faccia. Più semplicemente ancora, si possono utilizzare disegni schematici di facce speculari [figura 27]... Quando guardano l’una o l’altra faccia fissandone il centro, le persone vedono prevalentemente un’espressione ridente nella faccia di sinistra e una mesta in quella di destra. Ciò sembra dovuto al 139

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fatto che quando si guardano facce con asimmetrie di espressione tra la parte destra e sinistra, l’impressione che se ne riceve è determinata dalla parte sinistra, cioè quella elaborata principalmente dall’emisfero destro... “ (ibidem). In realtà, non solo i volti e i corpi umani e animali possiedono delle fisionomie, non solo le piante, i cui tratti fisiognomici erano usati nell’antichità, nella concezione della signatura rerum, come indicatori delle proprietà balsamiche e farmacologiche, ma anche gli oggetti, anche i colori. Nella Teoria dei colori (1981), Goethe afferma che “I colori sono azioni della luce, azioni e passioni.”. Essi possiedono, oltre che un’azione sensibile, anche un’azione “morale”. “I colori dal lato del Più”, scrive il poeta, “sono il giallo, il giallo-rosso (arancio), il rosso-giallo (minio, cinabro). Essi danno luogo a stati d’animo attivi, vivaci, tendenti all’azione... I colori dal lato del Meno sono l’azzurro, l’azzurro-rosso e il rossoazzurro. Essi dispongono a uno stato d’inquietudine, di tenerezza e nostalgia... “. Rispetto al “rosso”, poi, Goethe afferma: “L’azione di questo colore è particolare come la sua natura. Esso dona un’impressione tanto di gravità e dignità che di clemenza e grazia. E produce la prima nel suo stato scuro e concentrato, la seconda nel suo stato chiaro e rarefatto. Così, la dignità della vecchiaia e l’amabilità della giovinezza possono vestirsi di un unico colore... “. Il riconoscimento della pregnanza della “forma” e dell’”espressione” conduce, come ha affermato Cassirer, a proposito di Klages, a una metafisica dell’espressione. Per Klages, il carat140

Significato e senso percettivo

tere “fisiognomico”, cioè “Il dono personale di cogliere la totalità della realtà nel carattere d’espressione e di farla risorgere da esso come totalità particolare, conduce verso una teoria filosofica il cui punto di partenza non è l’’’essere’, o una qualche determinazione oggettiva, ma la pura funzione dell’espressione in quanto tale. Ciò che Klages riconosce come ὂντως ὂν, come realtà vera e originaria, si manifesta e si esaurisce in quest’unica funzione fondamentale. Conformemente a ciò è la dottrina della ‘realtà delle immagini’ che costituisce una delle più importanti determinazioni della sua metafisica e forse il suo cardine sistematico. L’essere dell’immagine, rispetto all’essere della cosa, dell’oggetto, non appare in alcun modo come qualcosa di secondario o derivato, qualcosa di semplicemente ‘soggettivo’, ma piuttosto, è la vera radice, l’essere realmente originario.” (E. Cassirer, Metafisica delle forme simboliche, ibidem). Nel medesimo senso, per Goethe, la “forma” costituisce “l’annuncio e la visibilità immediata dell’idea.” (G. Simmel, “Goethe”, 2012). Possiamo considerare il colore una “fisionomia” senza forma. In questo senso, il colore costituisce un’entità “espressiva”. Qualcosa “esprime” attraverso il colore ciò che altrimenti si potrebbe esprimere attraverso linee, angoli, curve e superfici. Si vedano, a questo proposito, gli studi di Kandinsky, in Punto, linea e superficie (ibidem): “L’elemento freddocaldo del quadrato e la sua chiara natura di superficie ci suggeriscono subito il rosso, che rappresenta un grado intermedio tra giallo e azzurro e ha le proprietà freddocalde. […] Se mettiamo davanti le aperture di due angoli [di 60° gradi] abbiamo un triangolo equilatero – 3 angoli acuti, attivi, che ci rimandano al giallo […] L’angolo ottuso perde sempre più in aggressività, penetrazione, colore, ed è perciò lontanamente affine a una linea senza angoli, che […] produce […] il cerchio. E l’elemento passivo dell’angolo ottuso, la quasi insussi141

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stente tensione in avanti, dà a questo angolo una leggera colorazione azzurrina.” (ibidem). Nella Teoria dei colori (ibidem), Goethe si sofferma ampliamente sui colori chimici che si ritrovano, in natura, dal regno minerale fino a quello umano e descrive, ad ogni livello, il tipo di colore che entra in gioco a riempire le superfici corporee. Più si sale di livello, più i colori elementari scompaiono e si manifestano “colori piuttosto compositi, smorzati mediante combustione organica”, i quali “indicano approssimativamente il livello degli esseri ai quali appartengono.” (ibidem). A proposito della colorazione umana, il poeta afferma che “il colore della pelle umana, in tutte le sue variazioni, non è assolutamente un colore elementare, bensì una manifestazione altamente elaborata mediante una combustione organica.” (ibidem). Il colore e la forma [Gestalt], afferma Husserl, nella Terza ricerca (Ricerche logiche, ibidem), “dovrebbero valere come membri connessi nell’unità di un’estensione colorata… Nel caso di interi di questo genere, cioè, i membri sono relativamente ‘non-indipendenti’ l’uno rispetto all’altro, e noi li troviamo così strettamente unificati che parliamo perfino di ‘compenetrazione’.”. I contenuti non-indipendenti non possono per loro natura essere rappresentati separatamente. La “forma” di un oggetto è una struttura “emergente” e non può mai essere considerata come la somma delle sue parti. Carlo Conni (ibidem) afferma, ad esempio nel caso di una figura geometrica, che “È solo quando emerge l’unità formale del triangolo che i tre segmenti diventano lati di questa figura... Non è l’esistenza della figura composta da tre segmenti ad emergere dai tre segmenti, ma la sua identità di triangolo, con tutte le proprietà specifiche ad essa connesse.”. La “forma”, secondo Husserl, è un contenuto fondato non-indipendente, inoltre è una “parte impropria” dell’oggetto, nel senso che è “un contenuto che appartiene all’intero oggetto senza mai poter appartenere ad una singola parte costitutiva di esso.” (C. Conni, ibidem). “La forma di un’estensione non può essere contenuta come parte in nessuna delle sue 142

Significato e senso percettivo

parti.” (E. Husserl, Terza ricerca, ibidem), a differenza dell’estensione stessa o del colore. Le forme che ritroviamo come entità percettive nel mondo fisico esterno sono sempre delle “essenze non esatte”. “Le essenze colte nelle datità intuitive”, afferma Husserl, nella Terza ricerca (ibidem), “mediante un’ideazione diretta sono essenze ‘inesatte’ e non debbono esser confuse con le essenze ‘esatte’, che sono idee nel senso kantiano, e che sorgono (come il punto ‘ideale’, la superficie, la forma spaziale ideale, o la specie ‘ideale’ di colore nel corpo colorato ‘ideale’) da una ‘idealizzazione’ di genere peculiare.”. Nel mondo empirico, non troviamo triangoli o circonferenze perfette. Nel “mondo della vita” (Lebenswelt), di cui parla Husserl soprattutto in Esperienza e giudizio (ibidem) e nella sua opera ultima La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (2002d), non esistono spazi esatti “euclidei” e la forma spaziale dell’albero percepito come tale, che ci offre la sua ombra, non è una figura geometrica, non è qualcosa di “ideale” o di “esatto”, nel senso dell’esattezza della geometria e della matematica. Allo stesso modo, afferma il filosofo, nella Terza ricerca, “il colore intuitivo come tale non è un colore ideale, la cui specie sia un punto ideale nel ‘corpo colorato’.”. Il rapporto tra forma e colore, nei processi percettivi, può venir studiato nel test di Rorschach. “Alcune delle tavole di questo test”, scrive Rudolf Arnheim, in Arte e percezione visiva (2003), “offrono all’osservatore l’opportunità di basare la descrizione di quello che vede sul colore piuttosto che sulla forma, e viceversa; qualche soggetto può identificare una figura dal suo contorno, anche se il colore ne contraddice l’interpretazione, mentre un altro può descrivere due rettangoli azzurri disposti simmetricamente come ‘il cielo’, o dei ‘non ti scordar di me’, trascurando la forma a favore del colore. Rorschach [1884-1922] e i suoi seguaci affermano che tali differenze di reazione sono in rapporto con analoghe differenze di caratteri della personalità. I primi ad essere sottoposti a questo esperimento furono dei malati mentali. Rorschach scoprì che gli individui di carattere euforico erano più sensibili al colore 143

Categorie e fisionomie

mentre i tipi depressi reagivano di preferenza alla forma. Il predominio del colore indica apertura agli stimoli esterni: si riscontra quindi in individui sensibili, facilmente influenzabili, instabili, disorganizzati, facili alle esplosioni emotive. La propensione per la forma si accorda con il carattere introverso, con un forte controllo degli impulsi, con l’atteggiamento pedantesco e poco emotivo. Rorschach non avanzò alcuna teoria sui rapporti che intercorrono tra il comportamento percettivo e la personalità. Ernest Schachtel, invece, ha fatto notare che l’esperienza del colore assomiglia a quella dell’affetto e dell’emozione. In ambedue i casi tendiamo a comportarci come dei ricettori passivi dello stimolo. L’emozione non è il prodotto dell’attività organizzativa della mente; presuppone semplicemente un genere di apertura che, per esempio, una persona depressa può non avere. Essa ci colpisce nello stesso modo in cui ci colpisce il colore. La forma, per contro, sembra esigere una risposta di carattere più attivo: noi esaminiamo l’oggetto in ogni sua parte, ne stabiliamo lo scheletro strutturale e i rapporti delle diverse parti col tutto… In parole povere: nella visione del colore si ha azione che parte dall’oggetto e che si esplica sulla persona; per percepire la forma, è la mente organizzatrice che va verso l’oggetto.”. Dove la connessione tra forma e colore trova la sua massima rilevanza estetica ed espressiva è nella “fisionomia” del volto umano. Le superfici esterne, visibili, degli esseri naturali, veicolano la forma e il significato, attraverso un linguaggio che si manifesta sulla stessa scala dei sensi. “L’esterno”, dice un bellissimo frammento di Novalis, “è un interno elevato allo stato di mistero.”, e il volto ne è un esempio tra i più interessanti, dal punto di vista di una teoria dell’espressione. Alla base della filosofia naturale di Goethe vi era la fisiognomica che egli aveva conosciuto, soprattutto, attraverso l’opera di Lavater, “tanto che la sua morfologia potrebbe essere definita una ‘fisiognomica del volto della natura’.” (Giovanni Giurisatti, Dizionario fisiognomico: il volto, le forme, l’espressione, 2006). Come abbiamo detto in precedenza, la “fisionomia” è, per eccellenza, una “sintesi delle differenze”, una rappresentazione 144

Significato e senso percettivo

dell’individuale. Abbiamo visto, come, ad esempio nella prospettiva di Tito Vignoli, la fisionomia sia stata privilegiata, come forma di conoscenza, dal mondo animale e dal mondo mitico, entrambi dotati del “dono della personificazione”. Anche il mondo dell’infanzia è “baciato” da questo dono. “Sotto il profilo espressivo, l’oggetto della rappresentazione”, afferma Giorgio Colli (Filosofia dell’espressione, 1978), “viene interpretato come un segno, un geroglifico che indica qualcos’altro.”. In questo senso la fisionomia è simbolica. La fisionomia è “presente organico”. Mentre, “Il presente, considerato dal punto di vista psicologico, è un corso temporale la cui estensione è da noi riassunta come un’unità.”, afferma Wilhelm Dilthey (Progetto di continuazione per la costruzione del mondo storico, in Scritti filosofici 19051911, Torino, 2004). Per Dilthey, solo il presente è reale, e, nel presente (in ogni presente), è contenuta la totalità della vita: “... tutto ciò che esiste per noi, esiste soltanto come tale se dato nel presente. Anche se un Erlebnis è passato, esso esiste per noi solamente in quanto è dato in un Erlebnis presente.”. La totalità della vita è data nel presente, la rappresentazione del passato, come ricordo, quella del futuro, come fantasia. Il “significato”, afferma inoltre Dilthey, “è la categoria più comprensiva sotto cui si può cogliere la vita.” (ibidem). Il “significato” (Bedeutung), seguendo la terminologia di Husserl, riguarda la “totalità”, il “senso” (Sinn), la “parte”, quella che si manifesta nel presente fenomenologico, come la punta di un iceberg che, però, lascia trasparire, in forma “simbolica”, la vita nella sua significatività globale, “il singolo momento acquista un significato in virtù della sua connessione con la totalità” (Dilthey, ibidem). La “fisionomia” non rivela la “forma” statica, ma la “formazione” che, come afferma Dilthey, “è una proprietà generale della vita.”. La “biografia”, come continuazione della vita biologica, costituisce la “formazione” dell’individuo come “persona”. La “persona”, come abbiamo visto, è una “struttura emergente” (vedi Carlo Conni, ibidem) e la “fisionomia” è lo specchio, in cui la persona si riflette e appare. 145

Categorie e fisionomie

La fisionomia si costituisce come lo strato più esterno di una struttura multistratificata e organizzata gerarchicamente. Il modo e il grado di questa organizzazione dipende dal tipo di oggetti che prendiamo in considerazione. Nel caso del “volto” umano, ci troviamo di fronte a una struttura molto complessa e elaborata. La superficie esterna, su cui si imprime la fisionomia, si sviluppa su un’estensione cutanea. Al di sotto troviamo il sottocute, poi i muscoli, quindi, le ossa del cranio. Dall’esterno verso l’interno, andiamo dal particolare al generale e dal più labile al più stabile. I cambiamenti morfologici che avvengono più all’esterno sono più rapidi e più fini. In profondità giacciono strutture, come le ossa craniche, che si sono organizzate in tempi evolutivi più profondi. Le modificazioni dipendono anche dall’invecchiamento fisiologico, soprattutto, a carico delle strutture più superficiali, come la cute e il sottocute. La relazione tra parte e tutto, all’interno della vita, come sottolinea Dilthey, “non può mai venir compiuta interamente. Si dovrebbe attendere la fine del corso della vita, e soltanto nell’ora della morte si potrebbe guardare la totalità in base a cui stabilire la relazione delle sue parti... D’altra parte la totalità esiste per noi solamente in quanto può venir compresa attraverso le sue parti.” (ibidem). Tuttavia, poiché ogni istante “presente” contiene in sé il ricordo e l’attesa, le vicende compiute e gli scopi verso i quali la persona anela, la totalità può essere intuita come una struttura globale, la cui parte futura è “potenziale” e si manifesta nell’insieme di impulsi che vivono nelle profondità emotive della psiche, come una forma della “tendenza”. Nella fisionomia si esprimono perciò i contenuti dinamici “vissuti” che imprimono sul volto i tratti, determinati dalle emozioni e dalla volontà. L’Erlebnis di uno stato presente contiene quindi la mescolanza degli stati emotivo-affettivi della nostra storia compiuta e di quella a venire. Come la pianta deve la sua forma alle forze cosmiche e a quelle terrestri che la percorrono, così la fisionomia deve la propria struttura alle forze del passato e a quelle del futuro che irrompono continuamente nei suoi tratti. Abbiamo detto che la morfologia, nel senso di Goethe, può essere definita una “fisiognomica del volto della natura”. Ogni 146

Significato e senso percettivo

fisionomia passato

presente

futuro

abitudine

azione

geni

scopi

reattività forma della provenienza

forma della tendenza

oggetto individuale costituisce, in questa prospettiva, un’entità fisiognomica, dotata di tratti individuali, di differenze, e quindi irriducibile a una rappresentazione generale. Più un oggetto è “significativo”, cioè più risplende, nel suo senso percettivo, la luce del significato, più tale oggetto costituisce un vero e proprio “simbolo”. A questo proposito, Goethe fa un bellissimo esempio, quando afferma: “Il magnete è un fenomeno originario che basta nominare per averne la spiegazione; in questo modo diventa anche un simbolo per tutto ciò per cui non abbiamo bisogno di cercare né parole né nomi.” (Massime e riflessioni, N° 434, 1988). Nella massima 569, Goethe è ancora più esplicito: “L’universale e il particolare coincidono: il particolare è l’universale che si manifesta in condizioni diverse.” (1829, in ibidem). Categoria e fisionomia, concetto e simbolo sono strutture fondamentalmente “polari”. Il “simbolo” rivela l’universale attraverso la percezione dell’individuale, il “concetto”, invece, riunisce gli individuali entro una rappresentazione generale attraverso il pensiero. categoria concetto pensiero l’individuale nell’universale sintesi delle somiglianze significato idea

fisionomia simbolo percezione l’universale nell’individuale sintesi delle differenze senso fenomeno

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Questa “polarità” può essere letta, seguendo Cartesio, nello stesso senso della polarità res cogitans/res extensa. Come afferma Helmuth Plessner, nell’opera I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica (2006), “Con l’identificazione di corporeità ed estensione e la concomitante equivalenza fra estensione e misurabilità, il principio dell’alternativa fra res cogitans e res extensa porta automaticamente con sé la fondamentalizzazione di una scienza matematica della natura. È vero che in origine la suddivisione di tutto l’essere in res extensa e res cogitans è intesa in senso ontologico. Tuttavia riceve quasi automaticamente un significato che ha un effetto ulteriore sul piano metodologico, e che in un certo senso si sottrae alla critica ontologica. Con l’equiparazione di corporeità ed estensione, la natura viene resa accessibile soltanto alla conoscenza tramite misurazione.” . Poiché la natura non è costituita solo da corpi inorganici, ma anche e soprattutto da corpi viventi, e, inoltre le proprietà di tali corpi non sono solo “quantitative”, il concetto di res extensa risulta insufficiente a determinare e a definire compiutamente una realtà come quella in dotazione agli esseri viventi. Il “principio di equivalenza fra estensione e misurabilità”, continua Plessner, “… doveva condurre alla dissoluzione dei rapporti fisici in rapporti puramente quantitativi, vale a dire rappresentabili mediante calcoli… allora le proprietà non misurabili e qualitative dei corpi non possono appartenere all’essenza della corporeità.” (ibidem). Tra la res cogitans e la res extensa deve esistere qualcos’altro di intermedio che permetta una Steigerung (intensificazione), nel senso di Goethe, tra i due estremi della polarità cartesiana. Vogliamo chiamare tale “intermedio” res vivens, intendendo con questo termine una dimensione totalmente altra rispetto ai concetti che sono stati in uso nel “vitalismo”, in voga tra la metà del Settecento e la metà dell’Ottocento. Aggiunge Plessner, riguardo al “qualitativo”, che “Un dato di fatto che sta alla base di ogni esperienza, cioè il fatto che i corpi nella generalità delle loro manifestazioni consistono di qualità, viene spiegato dal principio cartesiano dell’alternativa a partire dal 148

Significato e senso percettivo

contatto ineliminabile dei corpi con l’interiorità, dinanzi alla cui peculiarità individuale in qualche modo l’essere esteso si accende alla molteplicità intenzionale dell’esserci qualitativo: in una maniera inconcepibile a partire sia dai principi della res extensa che da quelli della res cogitans. Il conjunctum delle due sostanze, che rende possibile la presenza dei corpi al sé, diviene la ragione ultima non di questa o quella proprietà, ma della qualitatività stessa delle proprietà. Nel suo apparire, il corpo si mostra qualitativo.” (ibidem). I filosofi, gli psicologi e anche i neuroscienziati hanno, da molto tempo, tentato invano di trovare il “ponte” tra anima e corpo rimasti separati dopo la dichiarazione di Cartesio. Kant aveva intuito nel “tempo” la struttura in grado di connettere universale e particolare, e l’aveva chiamata “schema trascendentale”. Dai tempi di questa grande intuizione, non è stato compiuto nessun passo avanti significativo. Il problema del rapporto tra universale e particolare, posto da Kant nella Analitica trascendentale (Critica della ragion pura, ibidem), è stato, in qualche modo, reimpostato da Husserl, nella Terza ricerca (Ricerche logiche, ibidem), nella forma del rapporto tra l’intero e le parti. Nel libro La filosofia contemporanea (1974), Enzo Paci ha sottolineato come la maggior parte della filosofia contemporanea sia una continuazione della critica kantiana. In particolare, il problema del “tempo” costituisce il nodo fondamentale, nella veste dello “schema trascendentale” kantiano, che viene affrontato dai filosofi del ventesimo secolo. “Kant”, afferma Paci, “aveva parlato di schematismo trascendentale a proposito della congiunzione tra il sensibile e le categorie: lo schema è appunto l’omogeneizzazione del piano empirico e di quello categoriale… Come congiunge il sensibile intuito alle categorie, così lo schema congiunge il divenire temporale e la molteplicità spaziale con delle forme costanti di rappresentazione del mondo logicamente collegate: queste rappresentazioni-concetti ci danno quelli che si possono chiamare i veri oggetti, in quanto conosciuti scientificamente.”. Lo schematismo, quindi, è “… strettamente legato ai rapporti tra il tempo e la logica… “ e per questo motivo, soprattutto, il pensiero contempora149

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neo continua ad occuparsene senza, tuttavia, essere giunto, finora, a una qualche definitiva soluzione. La temporalità, abbiamo visto in precedenza, è necessaria nell’atto costitutivo di una rappresentazione. Nella coscienza la realtà è garantita dalla temporalità, come afferma Husserl nella Seconda ricerca: “reale [real] è per noi sia ciò che è ‘nella’ coscienza, sia ciò che è ‘fuori’ di essa. Reale è l’individuum con tutti i suoi elementi costituitivi; esso è un hic et nunc. Come contrassegno caratteristico della realtà ci basta la temporalità.”. Husserl parla qui di realtà nel senso empirico. La realtà nel senso ideale, come viene indicato da Husserl, ad esempio, nelle Lezioni sulla sintesi attiva (ibidem) ha come contrassegno la “a-temporalità”. Questo è il modo di essere reale del “significato”. Qui la relazione di essenza è una relazione significativa. Il tempo è necessario perché qualcosa sia reale empiricamente, nella spazio-temporalità del mondo fisico esterno alla coscienza, o nella senso-temporalità della coscienza e più in generale della psiche. Il tempo, quindi, ontologicamente e gerarchicamente, costituisce il “fiume”, le cui acque lambiscono le sponde di due mondi, il mondo delle idee e quello degli individui concreti.

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Nella figura 28, il fiume da A a B, va dal passato al futuro, e costituisce il tempo cronologico, mentre da a a b va dal fenomeno all’idea e rappresenta il tempo morfologico. Il tempo da a a b costituisce perciò lo “schema trascendentale”, che congiunge gli individui alle categorie. 150

Significato e senso percettivo

11  Un “organismo” costituisce un intero ed è una struttura emer-

gente. Ogni intero possiede una “identità formale”. Le parti della “forma” non corrispondono alle parti della “materia”. A questo proposito e, considerando come intero una “anfora”, Carlo Conni (in ibidem) afferma che “... non sono i singoli frammenti materiali che possiamo sottrarre a delimitare con esattezza il confine ontologico fra un’anfora e qualcos’altro, ma piuttosto le proprietà individuali che costituendo effettivamente le parti proprie della forma-ad-anfora si modificano gradualmente ma tuttavia non secondo unità discrete puramente materiali... L’identità formale di un oggetto, così come altri tipi di predicati, sono proprietà che si determinano secondo delle modalità di costituzione o composizione diverse da quelle che ad esempio determinano il peso, la grandezza o la temperatura di un oggetto.”. Anche in un intero organico, come un “organismo” vivente, le parti anatomiche non corrispondono alle “proprietà individuali” che lo costituiscono come “struttura emergente”. A questo proposito, in uno studio di anatomia simbolica (D. Nani, Dinamiche simboliche nell’evoluzione dei vertebrati: considerazioni orientative sulla dinamica della forma nei vertebrati alla luce dell’anatomia comparata e della teratologia, 1998), è stato messo in evidenza come “il corpo umano può venir osservato... al di là delle rappresentazioni abituali della morfologia puramente descrittiva e della fisiologia, nelle sue relazioni qualitative... “. Tali relazioni, studiate dal punto di vista dell’anatomia comparata e della teratologia, sono state chiamate, nel contesto di questo lavoro, “relazioni morfodinamiche” e mettono in luce le molteplici corrispondenze che sussistono tra l’organizzazione interna del corpo e il suo esterno. La mappa che ne risulta non è geograficamente sovrapponibile a quella originata dall’anatomia e dalla fisiologia normali. L’anatomia normale, infatti, studia le parti corporee, nella loro disposizione spaziale, fondata sulla “contiguità” e sulla “continuità” topografiche. Le “connessioni funzionali”, diversamente, “vengono per lo più ricondotte, nel processo conoscitivo, allo spazio-tempo fisico e vengono rappresentate, nella maggior parte dei casi, secondo una 151

Categorie e fisionomie

catena lineare di causalità meccanica suscettibile di una formalizzazione geometrico-matematica.” (ibidem). Un organismo vivente, un corpo, è una struttura “emergente” e non corrisponde alla semplice somma delle sue parti o elementi o momenti, a differenza di un oggetto “inanimato”, come una macchina. Ciò che unifica veramente ogni cosa sono i rapporti di Fundierung, di fondazione, come li chiama Husserl, nella Terza ricerca (ibidem). L’intero “fondato” possiede molto di più della “contiguità” e della “continuità”, come unità di fondazione. Carlo Conni e Roberta de Monticelli (Ontologia del nuovo – La rivoluzione fenomenologica e la ricerca oggi, 2008) affermano che un intero fondato “Ha un’identità emergente, relativamente perdurante e riconoscibile rispetto ai suoi materiali costitutivi. Ha un’identità afferrabile, ha una fisionomia.”. Nella Filosofia dell’aritmetica (2001), Husserl scrive, a proposito del confronto tra un “aggregato” e un “intero fondato”: “Per notare in esso le relazioni colleganti è necessario compiere un’analisi. Se per esempio si tratta dell’intero rappresentazionale che chiamiamo rosa, allora attraverso l’analisi otteniamo successivamente le sue diverse parti: i petali, lo stelo, ecc. (le parti fisiche); poi i colori, la loro intensità, il profumo, ecc.(le proprietà). Ogni parte viene messa in evidenza attraverso un peculiare atto del notare e tenuta ferma assieme alle parti già separate. Quale conseguenza diretta dell’analisi risulta, come vediamo, un aggregato, ovvero l’aggregato delle parti dell’intero che si notano per sé. Ma oltre a ciò, considerando l’unificazione delle parti nell’intero intuitivo, compaiono ancora le relazioni colleganti quali contenuti relazionali primari peculiari e specificamente determinati – nel nostro esempio: i collegamenti continui dei petali o i collegamenti delle proprietà, come il colore rosso, l’estensione spaziale, ecc., a loro volta caratterizzate in modo del tutto diverso. Le relazioni colleganti si presentano così come un di più rispetto al mero aggregato, che sembra solo tenere ferme le parti, ma non collegarle.”. Se consideriamo un organismo vivente, dal punto di vista di Goethe, cioè dal punto vista di una morfologia intesa nel senso di 152

Significato e senso percettivo

una “fisiognomica del volto della natura”, ci rendiamo conto immediatamente che la “fisionomia”, come il “colore”, non è rappresentabile senza l’estensione, è, cioè, un contenuto non-indipendente. Inoltre, notiamo che le parti anatomiche non corrispondono, nella fisionomia, alle unità espressive vere e proprie, che costituiscono le parti, ad esempio, del volto di una persona. Carlo Conni, sempre nell’opera citata (ibidem) afferma: “All’interno di una struttura emergente si è notato che i singoli contenuti non-indipendenti interagiscono fra di loro come i poli di un campo di forze che congiuntamente fondano una struttura unitaria emergente. Proviamo a considerare ancora l’esempio dello sguardo del volto di una persona.”. Lo “sguardo” rappresenta, infatti, un’importante struttura unitaria espressiva “fisiognomica” del volto umano. “I costituenti di base”, continua Conni, “sui quali questa struttura unitaria è fondata sono le molteplici proprietà individuali formali di alcune delle parti anatomiche del volto di una persona. Abbiamo visto che questi contenuti non-indipendenti nei quali lo sguardo è fondato, considerati astrattamente, al di fuori dell’apprensione del nuovo contenuto emergente ‘sguardo’, sono fra di loro relativamente indipendenti, non si condizionano in modo reciproco, non intrattengono relazioni di dipendenza esistenziale generica, individuale e nemmeno relazioni di tipo causale. Per intenderci con un esempio, la forma della curva della palpebra non condiziona né causa la tonalità di colore della pupilla o il volume e la forma del naso che sporge fra i due occhi, e in nessuno di questi elementi è contenuta la struttura espressiva ‘sguardo’.”. Negli esseri viventi, il rapporto tra il tutto e le parti resta uno dei problemi fondamentali e irrisolti della biologia di tutti i tempi. Tale tema tocca infatti il punto cruciale del problema della vita e del misterioso linguaggio con cui essa opera nella natura. Abbiamo detto che la fisionomia è una struttura temporale. Nella fisionomia si rispecchia la biografia psicologica, esistenziale e biologica di una persona. La fisionomia è una struttura “monadica”, le cui trasformazioni si svolgono in modo spettrale, continuo. I suoi cambiamenti somigliano a un movimento significativo, come quel153

Categorie e fisionomie

lo che ritroviamo in un gesto. Tuttavia, i cambiamenti che hanno luogo in una fisionomia possiedono un’organizzazione gerarchica: esistono trasformazioni più lente, di tipo filogenetico e ontogenetico, e cambiamenti più rapidi, come quelli dovuti all’attività della muscolatura della faccia, nel caso di un volto. Esistono poi cambiamenti di tipo patologico. Da ultimo, possiamo considerare anche i cambiamenti artificiali, come quelli dovuti al trucco, alla chirurgia plastica o, nelle civiltà più arcaiche, i cambiamenti provocati da tecniche che possono alterare, addirittura, la forma del cranio, approfittando della plasticità infantile, come quelle in uso, ad esempio, nelle civiltà sciamaniche mesoamericane (A. Aimi, D. Nani, Gli sciamani nell’arte mesoamericana: iconografia e interpretazioni neurologiche, 1997). cambiamenti espressivi rapidi (naturali, patologici, artificiali) cambiamenti ontogenetici cambiamenti filogenetici

Se osserviamo un animale, ad esempio un cane, quando si muove, scodinzolando e salterellando, per esprimere gioia e affetto nei riguardi del padrone, possiamo notare come l’espressione fisiognomica riguardi tutto il corpo dell’animale. Ciò che si muove sul “volto” di un animale è inessenziale: il cane non ride e non piange, versando lacrime, come noi umani. Dobbiamo immaginare che nel processo evolutivo, la testa si sia separata dal corpo in modo sempre più definito, dai pesci ai mammiferi, e poi, in modo assai rilevante, con l’apparire dell’uomo, al punto che il movimento globale del corpo di un mammifero superiore si sposta completamente sul volto umano. Il “volto” diviene il veicolo, per eccellenza, dell’espressione delle emozioni, anzi, possiamo dire, di tutta l’interiorità. La filogenesi porta a compimento i caratteri tipici del genere e della specie, l’ontogenesi i caratteri dell’individuo. Le trasformazioni più rapide riguardano, invece, l’espressione delle emozioni nel momento presente di una vita, in modo tale che i caratteri più antichi costituiscono la “materia”, mentre i più recenti la “forma”. 154

Significato e senso percettivo

Esiste un range entro il quale le trasformazioni continue della fisionomia lasciano invariata la sua identità formale. Quando si raggiunge una determinata soglia, un cambiamento discontinuo determina d’un colpo una mutazione dell’identità formale: non siamo più di fronte allo stesso volto. La figura 28 mostra un’immagine della “temporalità”: come abbiamo già detto, il tratto AB costituisce il tempo cronologico, il tratto ab rappresenta, invece, il tempo morfologico. Il tempo opera nella creazione della forma come un fiume che scorre tra due sponde. Le sponde determinano il paesaggio, mentre l’acqua scorre tra il punto di partenza e la meta. L’immagine del fiume ha una forte potenza simbolica. Non è una metafora, è quasi un’analogia del tempo della vita. Entità di così grande complessità, come il tempo e la vita possono venir compresi solo attraverso strutture simboliche adeguate e dotate di notevole potenza. Noi vediamo lo spazio sempre dall’esterno, nel mondo empirico fuori dalla coscienza. Non lo spazio esatto euclideo, ma lo spazio, come afferma Husserl, del mondo della vita (Lebenswelt). Questo spazio fisico, e non geometrico, è riempito di atmosfera, di luce, di colori, di odori, etc.. È interessante, a proposito dello spazio fisico, la definizione di Florenskij (in P. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, ibidem): “L’essere posti al di fuori, cioè il trovarsi fuori l’uno dall’altro di certi elementi distinti, è il segno fondamentale della spazialità.”. Il tempo, invece, non possiamo vederlo dall’esterno, ma solo dall’interno, come contenuto della coscienza. Non possiamo vedere il tempo in modo “puro”, ma sempre come sostrato delle immagini. Quindi, il tempo, nella coscienza, appare sempre rivestito di “qualità”. Diversamente dallo spazio, il tempo non ha dentro di sé un’atmosfera, non è riempito dalla luce del sole, ma esiste nelle e tra le immagini. Come il sole irradia la sua luce nello spazio, che si trasforma nelle foglie delle piante e rende possibile la visione, così le idee mandano i loro raggi entro la materia e vengono individuate, per trasformarsi, all’interno della coscienza, nelle immagini, e nel mondo fisico esterno, nelle forme viventi individuali, rendendo possibili le rappresentazioni. 155

Categorie e fisionomie

Nel mondo fisico esterno, il tempo si presenta come sostrato dei processi di crescita e di trasformazione. La “pianta” è l’immagine più pregnante, simbolicamente, del tempo. Nella pianta il tempo mostra il suo rapporto con la “forma”: nella pianta il tempo cronologico e il tempo morfologico si incrociano e si incontrano. Il tempo vuoto, omogeneo di Newton, che, nell’Opticks, egli chiama”durata”, è un’astrazione. La fisionomia di una persona, afferma Florenskij, “può essere mostrata soltanto attraverso la legge unificante della sua vita, dalla culla alla tomba, cioè con la forma della sua personalità nel tempo.” (ibidem). Sul volto del giovane Arthur Rimbaud (figura 29) c’è tutta la sua esistenza di maledetto. Il suo 29 sguardo ha qualcosa di inconsolabile e incontrollabile e accompagna come un’apertura alla perdizione. La fronte rivela l’intensità dei suoi pensieri e il mento il suo ardimento trasgressivo. Il suo sorriso è come una lacrima. “Je serais bien l’enfant abandonné sur la jetée partie à le haute mer, le petit valet suivant l’allée dont le front touche le ciel.”. (Io potrei essere il fanciullo abbandonato sul molo slanciato verso l’alto mare, il piccolo valletto che cammina sul viale la cui fronte tocca il cielo.). (Arthur Rimbaud, Illuminazioni, 1874 -1886, Verona, 1996). E ancora, nella stessa raccolta, il poeta francese scrive il verso di intonazione orfica: “Sono realmente d’oltretomba, e niente incombenze.”. Nella fisionomia, la legge unificante di una vita, come la chiama Florenskij, appare come qualcosa di “possibile”, che in parte 156

Significato e senso percettivo

si è già attuato e in parte può ancora attuarsi, come una forma che è, nello stesso tempo, un archetipo e un’entelechia, un principio e una meta. Il flusso delle qualità che incrociano il tempo di una vita, appartengono al paesaggio di simboli che esiste sulle sponde del fiume. Nel caso di Rimbaud, su una sponda, le case di Charleville e poi di Parigi, le nubi tormentose della guerra franco-prussiana e poi della Comune di Parigi, e le immagini della sua vita errabonda e avventurosa, i viaggi in treno e a piedi, anche attraverso le Alpi, l’amicizia con Verlaine e, alla fine, il tumore al ginocchio e la cancrena che l’ha divorato il 10 novembre del 1891. Sull’altra sponda l’idea e il significato, in una parola il suo archetipo, che vive fuori dal tempo e dallo spazio, come le dee, nel Faust di Goethe. “Dee dominano altere in solitudine non luogo intorno ad esse e meno ancora tempo.”. Riguardo alla temporalità della vita, abbiamo cercato una struttura simbolica adatta a lasciarci intravedere il modo in cui la forma e la materia si incontrano negli organismi viventi. Nel mondo fisico esterno, nel macrocosmo, la luce del sole agisce nella morfogenesi delle piante, attraverso la fotosintesi. Il processo di crescita, indicato con il tratto AB (tempo cronologico) incrocia il processo di differenziazione, indicato con il tratto ab (tempo morfologico), che conduce la forma incontro alla materia (più propriamente alla b

sole, calore B crescita

(AB) tempo cronologico

morfogenesi

A

a

30

(ab) tempo morfologico differenziazione idea forma

157

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materia/energia), nel processo di morfogenesi. La forma della foglia si costruisce dall’esterno, mentre la fisionomia di un organismo e, in particolare di una persona, si realizza dall’interno, nell’interiorità del microcosmo. La fisionomia costituisce il confine del corpo con il mondo esterno e dipende, in parte, dalle risposte dell’individuo alle condizioni che si presentano in ogni momento della vita. Nella figura 31 (da Jean-Pierre Changeux, Paul Ricœur, La nature et la règle. Ce qui nous fait penser, Paris, 2008), possiamo osservare sei immagini di un volto, la cui fisionomia varia in maniera sistematica da a a g, dove appare un parossismo. Come si vede dalle immagini neuroradiologiche del cervello, una risposta neurologica “molto focalizzata si sviluppa nell’amigdala sinistra, dove l’intensità si accresce con il livello della paura e decresce con quello della gioia.” (ibidem). La fisionomia di base si trasforma rapidamente, attraverso i cambiamenti che hanno luogo nella muscolatura della faccia. Le emozioni possono spingere un volto ad una fisionomia parossistica, fino ad un limite, stabilito, in primo luogo, dall’anatomia soggiacente. Già nell’immagine f della figura, l’espressione risulta quasi una caricatura. Abbiamo detto che i cambiamenti espressivi del volto sono dovuti ad almeno tre livelli di trasformazione. Le trasformazioni più interessanti, dal punto di vista fisiognomico, sono quelle che si verificano durante l’ontogenesi. Il bambino, alla nascita, ha una fisionomia abbastanza indeterminata. I caratteri individuali si imprimono nel corpo e sul volto man mano che l’essere umano si sviluppa in rapporto con l’ambiente circostante. ”Il corpo vivo materiale si intreccia con la psiche”, afferma Husserl (Idee… , Volume II, ibidem), e la psiche è “un flusso di vissuti”, che si svolge nella temporalità della coscienza. Abbiamo detto che il tempo cronologico è incrociato dal tempo morfologico. In questo modo la forma si può imprimere nella fisionomia. “Il gioco della fisionomia”, scrive Husserl (ibidem), “è un gioco della fisionomia visto ed è immediatamente latore di senso per la coscienza dell’altro... “. L’idea che collega i molteplici aspetti della Bildung (formazione) di una persona, la sua legge unificante, che sta alla base della 158

Significato e senso percettivo

a

b

c

e

f

g

b

Sagittale

Sagittale

Transversale 3

2

1

0 31

159

Categorie e fisionomie

sua identità formale, unifica anche le molteplici unità espressive di un volto e più in generale di un corpo vivo. Le unità espressive di una fisionomia sono gli elementi di senso, cioè quegli elementi che rivelano in un oggetto individuale il significato. Da un lato, abbiamo il processo formativo, la a Bildung, dall’altro lato, il processo conoscitivo, attraverso il quale formiamo la rappresentazione. La figura b corrisponde alla figura a vista in prospettiva. Abbiamo, cioè, un trapezio che ci “fa b vedere” un rettangolo. Possiamo 32 immaginare che la fisionomia costituisca la prospettiva dell’entità reale che essa vuole rappresentare. È come se la fisionomia fosse il disegno sopra la superficie estesa di un volto. Nel caso della fisionomia vediamo, per così dire un trapezio, ma non sappiamo di cosa sia la prospettiva. Non siamo, infatti, di fronte a una forma spaziale, ma temporale, e, inoltre, dinamica. La fisionomia è una struttura gerarchica: a un livello inferiore abbiamo le parti anatomiche, gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca, etc.; al di sopra abbiamo delle strutture emergenti, i cui elementi costitutivi sono le unità di senso espressive. Al di sopra degli occhi, emerge lo sguardo, al di sopra della bocca, ad esempio, emerge il sorriso, e così via. La sintesi delle unità di senso espressive elementari costituisce la fisionomia, che è la struttura emergente superiore. La fisionomia del volto, nella figura 33, corrisponde al trapezio della figura 32 e ? corrisponde al rettangolo. Ma ? è una struttura temporale e dinamica, non una struttura spaziale e statica, come il rettangolo. È una struttura vivente. 160

Significato e senso percettivo

a

33

b

Ora il problema è: di cosa è espressione la fisionomia? Abbiamo detto in precedenza che l’idea, i concetti e, in generale, le “categorie”, sono strutture sincronistiche, cioè fondate su una connessione significativa, non temporale. Le rappresentazioni, invece, sono strutture senso-temporali, mentre gli oggetti individuali sono strutture spazio-temporali. Se osserviamo gli oggetti nell’ottica della morfologia di Goethe, essi risultano strutture fisiognomiche. Tutti gli individui del mondo della natura hanno, in questa prospettiva, un volto. idee rappresentazioni oggetti

connessione significativa connessione senso-temporale connessione spazio-temporale

Abbiamo detto, a proposito di Klages, che egli riconosce come ὂντως ὂν, come realtà vera e originaria, la funzione dell’espressione. Ciò che appare rilevante, in quest’ottica, è l’essere dell’immagine, rispetto all’essere della cosa. La forma, quindi, non risulta qualcosa di meramente “soggettivo”, ma, come nel caso di Goethe, citato da Simmel, la “forma” costituisce “l’annuncio e la visibilità immediata dell’idea.” (G. Simmel, ibidem). La connessione significativa dell’idea, che è data tutta insieme contemporaneamente e in modo simultaneo, nella sincronicità, 161

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può apparire nella rappresentazione, per virtù delle proprietà del tempo, in particolare, di quel tipo di temporalità che abbiamo chiamato tempo morfologico. Il problema, quindi, è come avviene la trasformazione da connessione significativa a connessione sensotemporale. La connessione categoriale deve, perciò, trasformarsi in una connessione fisiognomica, cioè, in una connessione empirica. Lo studio del comportamento animale ha messo in evidenza dei fenomeni che fanno pensare che la vita “non sia sottoposta semplicemente al principio di utilità e che ci sia una morfogenesi con intento espressivo.” (M. Merleau-Ponty, La natura – Lezioni al Collège de France 1956-1960, 1996). Abbiamo visto come anche Adolf Portmann avesse elaborato questo punto di vista. Merleau-Ponty afferma, nell’opera citata, che il comportamento è la continuazione del corpo: “Da un lato, il corpo è come l’involucro, l’abbozzo del comportamento, dall’altro il comportamento è, in senso stretto, un secondo corpo che si aggiunge al corpo naturale. Da un lato il corpo è un abbozzo del comportamento, lo sviluppo embrionale anticipa il comportamento futuro, gli organi o abbozzi di organi dell’embrione non hanno alcun senso se si considerano indipendentemente da tutta la logica del comportamento.” (ibidem). A questo proposito, Merleau-Ponty cita le idee di Arnold Gesell (1880-1961), studioso dello sviluppo infantile, e sottolinea il paragone fecondo che questo autore fa tra i comportamenti a carattere organico e le attività superiori come l’apprendimento (learning) e il linguaggio: “Se si innesta un tessuto sull’embrione, l’organo che ne risulta dipende da tre fattori: i geni presenti nel tessuto innestato, il punto di applicazione di quest’ultimo, il momento della crescita in cui l’innesto ha avuto luogo (localizzazione cronogenica)... Altrettanto per il linguaggio. Una data parola ha un senso peculiare, che si differenzia nello spazio, secondo il posto che occupa nella frase, nel tempo, secondo lo stato della lingua.” (ibidem). Per Gesell, afferma Merleau-Ponty, “lo studio del vivente può avere soltanto un oggetto: la forma.”: Gesell enuncia sette principi della “morfologia dinamica”, dei quali il “principio di intreccio reciproco”, viene spiegato con l’analogia del telaio, che ri162

Significato e senso percettivo

corda il bellissimo verso di Goethe, nel Faust: “Guardate pure con occhio modesto,/dell’eterna tessitrice il prodigio:/come un colpo di piede metta in moto migliaia di fili,/e su e giù la spola passi e ripassi mai stanca,/e invisibili scorrono i fili, e da solo/un colpetto li intrecci e combini./Tutto ciò essa ha riunito non d’accatto,/ma l’ordisce da sempre,/perché possa l’artefice eterno,/gettare sicuro la trama.”. Per fare chiarezza su cosa sia il significato e come esso si incarni, come struttura categoriale e ideale in qualcosa di empirico, sia esso una rappresentazione o un oggetto individuale, può essere utile considerare, innanzitutto, il linguaggio. In particolare, val pena soffermarsi ancora su quanto afferma Cassirer a proposito della metafisica di Klages: “‘... Come il concetto si trova nella parola, così l’anima si trova nel corpo; la parola è la veste del pensiero, il corpo è la manifestazione dell’anima. Come non vi sono concetti senza parola, così non vi sono anime che non si manifestino.’. Noi accettiamo questa significativa formulazione, giacché con essa ci troviamo di nuovo al centro del nostro proprio problema sistematico. Il rapporto dell’anima col corpo rappresenta il primo esempio e il primo modello di una relazione puramente ‘simbolica’, che non si lascia convertire dal pensiero né in un rapporto di cose né in un rapporto causale... “ (Cassirer, ibidem). Ora, la domanda è: come si connette con la temporalità della coscienza/nella coscienza una connessione significativa, cioè una connessione composta da una molteplicità di elementi che hanno tra loro un legame nel significato? Come nel caso di una parola, in cui le lettere presentano quella particolare relazione e disposizione l’una rispetto all’altra, perché in quel modo e solo in quel modo AMORE

esse significano. Il significato è una totalità ideale atemporale e per entrare nella coscienza deve connettersi con il tempo. Come lo spazio è la dimensione del mondo esterno empirico, così il senso è la dimensione della coscienza e più in generale della psiche. Parliamo, quindi, di dimensione senso-temporale della coscienza. Il tempo, afferma Husserl (Per la fenomenologia del163

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la coscienza interna del tempo, 1893-1917, 2001a), “è forma di ogni obiettività individuale.”. Il tempo è, quindi, la forma della fenomenalità. Anche le rappresentazioni sono entità individuali. Rudolf Steiner (La filosofia della libertà, 1978) le definisce “concetti individualizzati”. a

b

significato abc… n = senso

c 34

n

Jean-Paul Sartre, abbiamo detto in precedenza, afferma che l’immagine è un atto e non una cosa, e costituisce un tipo di coscienza, mentre il tempo è la sua forma essenziale. Inoltre va ricordato che, nelle Idee… (ibidem), Husserl distingue il significato (Bedeutung) dal senso. Il senso (Sinn) costituisce la forma in cui troviamo il significato negli oggetti individuali (vedi figura 34), quindi è strettamente connesso con la fisionomia. La realtà empirica ha due poli: la materia e il senso. Vincenzo Costa, nel libro L’estetica trascendentale fenomenologica – Sensibilità e razionalità nella filosofia di Edmund Husserl (1999), offre una preziosa chiarificazione sulla temporalità. Husserl, infatti, nell’opera La cosa e lo spazio – Lineamenti fondamentali di fenomenologia e critica della ragione (2009), ha compiuto un’importante distinzione tra tempo fenomenale, che viene attri164

Significato e senso percettivo

buito all’oggetto e tempo prefenomenale o trascendentale, che è “la forma di ogni possibile oggettività” (E. Husserl, ibidem), “perché al suo interno le manifestazioni ottengono un primo ordinamento, cosicché la temporalità può a giusto titolo essere considerata una forma che dà unità al formato, e precisamente un’unità ordinata. La forma temporale della percezione dà ai contenuti sensibili di ogni fase dell’appercezione un’unità, e cioè un’unità seriale ‘continua’.” (V. Costa, ibidem). Ai fini dell’espressione, come abbiamo visto nel caso di una parola del linguaggio, è molto importante il “posto” che un elemento di un intero percettivo occupa nel processo di ritenzione. “Ogni fase della percezione”, precisa Husserl, “pone certo un punto temporale, ed ha quindi, nella sua apprensione, non solo momenti riferiti alle determinatezze della cosa, secondo il suo contenuto di riempimento temporale, ma ha anche un momento in cui si costituisce il punto temporale.” (ibidem). La posizione che occupa, nello svanire nella memoria, un elemento di una percezione, determina il senso, come nel caso di una lettera in una parola. La distinzione che abbiamo fatto tra tempo cronologico e tempo morfologico costituisce un altro tipo di classificazione, sicuramente più generale. In ogni caso, quello che viene messo in rilievo è il legame indissolubile tra il tempo e la forma, nel processo percettivo. La fisionomia è, innanzitutto, la sintesi delle proprietà terziarie di un oggetto percettivo individuale. Esse sono le qualità espressive, come l’essere lugubre di un nero o l’essere festoso di un rosso acceso. Lo sguardo e il sorriso sono, a loro volta caratteri espressivi. La connessione fisiognomica è una connessione di senso (Sinn). Viene percepita come un profumo o un colore, più che come una forma geometrica o una figura. Nella fisionomia prevale il qualitativo dinamico, cioè il movimento temporale. È come se la fisionomia evaporasse dal volto, sia esso il volto umano o, più in generale, il volto delle cose. Abbiamo detto, dunque, che la fisionomia si presenta come una emanazione. Abbiamo anche detto, citando Patrizia Magli (ibidem), che i quattro elementi dell’antica sapienza greca costi165

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tuiscono degli universali fisiognomici. L’elemento in cui il tutto e la parte risultano massimamente integrati è l’acqua. Nella simbolica della figura 28, che mostra il fiume che scorre, il tempo cronologico è incrociato in ogni punto dal tempo morfologico, la risultante è un tempo non-lineare, ma globale e costituito di proprietà evolutive che connettono i significati (essenze) con i concreta individuali che, nel processo percettivo, si costituiscono, in un soggetto percipiente, nelle rappresentazioni. Queste sono strutture monadiche, intessute di senso. Nel caso della fisionomia di oggetti, eventi o di esseri naturali, essa, come abbiamo detto in precedenza, risulta una sintesi delle unità espressive che appartengono alle qualità terziarie. Nella fisionomia si incarna il significato, cioè l’essenza che fonda l’identità biografica di una persona. Va sottolineato che la fisionomia, fenomenologicamente osservata, non è una obiettività naturale, ma fenomenale. Possiamo, quindi, chiamare questa struttura fenomenologica “fisionomia trascendentale”. La fisionomia trascendentale è un fenomeno espressivo, non una cosa. È diversa dalla fisionomia di un volto quale si può osservare in una fotografia mediocre. Come afferma Sartre, a proposito dell’immagine dell’amico Pierre, “la fotografia manca di vita: riproduce a perfezione le caratteristiche esteriori del viso di Pierre, ma non l’espressione.” (L’immaginario. Psicologia fenomenologica dell’immaginazione, 2007). Per cogliere e ritrarre o fotografare l’espressione ci vuole la mano dell’arte. Nell’espressione coesistono il tempo, la vita, e il senso. Husserl ha studiato a fondo il fenomeno della “fusione”, già elaborato da Carl Stumpf, nella sua Tonpsychologie, del 1883. Gli elementi della molteplicità di un’entità fisiognomica sono, come abbiamo già specificato, le “unità espressive”, come lo sguardo, il sorriso, etc., nel caso di un volto. Negli esseri viventi, in un volto, in un corpo o nell’intero organismo di una pianta o di un animale, la fisionomia è composta di unità espressive differenziate in senso evolutivo. Mentre in una figura geometrica, come un quadrato, i lati coesistono, essendo dotati di una medesima “età” evolutiva, negli esseri viventi, ogni unità espressiva appartiene a 166

Significato e senso percettivo

una “temporalità” diversa, cioè a un’età diversa dello sviluppo organico, durante l’ontogenesi. Come vediamo sorgere il cubo, nella figura 35, come una struttura tridimensionale, attraverso la prospettiva, disegnata su una superficie bidimensionale, così vediamo comparire una fisionomia, come una struttura temporalmente stratificata, dalla totalità delle unità espressive che giacciono alla superficie di un volto, di un corpo o di un organismo, sia esso pianta o animale. L’effetto fisiognomico è dovuto alla “fusione” degli elementi coesistenti e di quelli che appartengono ai vari strati di temporalità, per quanto anche essi giacciano sulla superficie l’uno accanto all’altro, nella 35 coesistenza. Questo uno-accantoall’altro è in realtà un uno-dopo-l’altro, nel senso della scansione generativa di apparizione, durante la Bildung organica. Al soggetto percipiente, la fisionomia si offre, dunque, con il suo “movimento temporale”, come una “melodia” che genera nel soggetto una risposta “affettiva” ben determinata. La fisionomia risulta, quindi, una melodia ottica, talmente complessa è la forma dell’idea, che in essa viene portata a rivelazione, dopo essere stata ricamata nello spessore del tempo: la fisionomia è, perciò, un simbolo. A questo proposito, risulta particolarmente interessante l’opera di Carl Gustav Carus, medico, naturalista e raffinato pittore, amico di Goethe e importante interlocutore all’interno della cerchia romantica. I suoi studi sul paesaggio, spesso confrontati con quelli di Constable, e, in particolare, le ricerche sulla fisiognomica delle montagne, costituiscono un prezioso contributo di fenomenologia e di morfologia della natura. L’attenzione di Carus, sempre ravvivata dal suo atteggiamento artistico, era rivolta alle foglie, ai germogli e ai fossili. Con Goethe egli condivideva la ricerca di un ordine e di una legge nello sviluppo della natura. 167

Categorie e fisionomie

“Ancor prima di conoscere le idee di Humboldt su di una fisiognomica dei vegetali”, afferma Carus (Appunti per una fisiognomica delle montagne, in Lettere sulla pittura di paesaggio, 1991), “avevo raggiunto sufficiente dimestichezza con le fisionomie degli alberi e delle piante, il cui profilo generale mi appariva altrettanto importante della fisionomia di un uomo ai fini di stabilirne il carattere, o della conformazione generale degli animali in relazione alla loro struttura interiore. Con altrettanta attenzione ho osservato alcuni fenomeni atmosferici, con particolare riguardo alla formazione delle nuvole, alla rifrazione dei colori, ecc., e in futuro tenterò forse di darne una descrizione. Ma tali ricerche mi hanno infine condotto all’oggetto del presente saggio, ovvero ad intuire l’esistenza di una fisiognomica delle montagne, passata fino ad oggi inosservata senza neanche l’onore di una menzione.”. L’osservazione fisiognomica porta, inevitabilmente e con fecondità, all’uso di analogie, che mostrano l’isomorfismo strutturale di oggettualità appartenenti a diversi ambiti della natura. Carus, nel descrivere la fisionomia dei monti dei Giganti, paragona la loro forma alla cresta di un’onda marina “che si alza delicatamente dal mare leggermente increspato, non certo all’onda appuntita che si infrange durante la tempesta.” (ibidem). “In queste catene aperte”, continua l’autore, “vaste e possenti, si crede di riconoscere una delicata formazione cristallina dei tempi remoti, e allo stesso tempo si può dedurre la loro venerabile età, che la mente umana non potrebbe calcolare, osservando le superfici, trasformate da un millennio di continua erosione in un terreno quasi ovunque favorevole ad una vita organizzata, fertile e rigoglioso. In questa maniera le forme scabre ed appuntite si sono addolcite, tanto da essere tentati di paragonare il dorso di una simile montagna ad un corpo umano ben conformato, in cui lo scheletro si evidenzia solo in alcuni punti, restando altrimenti celato dalla muscolatura e dall’epidermide.”. Inoltre, è molto interessante il paragone che fa Carus tra la morfologia dei cristalli e quella degli organismi: “Ogni fossile non è che una parte, un frammento, e solo nei cristalli tali frammenti si avvicinano alle 168

Significato e senso percettivo

strutture regolari che possiamo osservare sezionando un organismo.” (ibidem). Le figure 36 e 37 sono tratte dall’opera di Carus Symbolik der menschlichen Gestalt – Ein Handbuch zur Menschenkenntnis (1962). Come afferma Friedrich Arnold, curatore di questo scritto, Carus si allontana da ciò che Klages chiama “espressione”. Nella sua fisiognomica egli cerca l’idea nella sua manifestazione individuale. Come per Goethe, anche per Carus, le due categorie fondamentali sono quelle dell’essenza e della manifestazione. E, in secondo luogo, anche se non meno rilevante, le categorie di polarità e di Steigerung (intensificazione), che costituiscono i pilastri entro i quali si svolge la metamorfosi. Il corpo è il luogo dove l’essenza si manifesta e si rivela come in un simbolo. In realtà la visione di Klages e quella di Carus non si contraddicono, ma si completano. L’ontologia di Carus è più orientata nel senso della tradizione classica.

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Categorie e fisionomie

Come esempio del modo con cui Carus applica il metodo goethiano, basato sulla polarità, risulta particolarmente interessante il paragrafo dell’opera citata sulla storia morfologica della mano, in cui l’autore afferma “Da tutto ciò si riconoscerà qui, come siamo perfettamente autorizzati a dichiarare, che tutta la straordinaria varietà di mani a 1, 2, 3, 4, 5 dita che si presentano principalmente tra gli anfibi e i mammiferi dovrebbero venir considerate soprattutto soltanto come anelli intermedi di congiunzione tra quelle formazioni estreme della pinna e dell’ala e che tra tutte queste ancora, tra la troppo grande sottigliezza e espansione da un lato, e la smisurata goffaggine e contrazione dall’altro, la nobile forma della mano umana appare come il vero e proprio più alto centro. Nella maggioranza degli animali la mano mantiene ancora soltanto il significato del piede, e si scosta spesso di poco dal vero piede, in modo tale che da questo, a dire il vero, risulta già deciso, come ogni inclinazione della formazione della mano umana o verso una maggiore riduzione o verso una massa goffamente aumentata debba sempre necessariamente esprimere un certo svilimento della forma o una somiglianza con gli animali (Thierähnlichkeit).”. Il grande naturalista tedesco descrive quattro tipi di mano (figura 37): 1 la mano elementare (elementare Hand); 2 la mano motoria (motorische Hand); 3 la mano sensibile (sensible Hand); 4 la mano psichica (psychische Hand). Secondo Carus, le qualità, che emergono dall’osservazione di questi diversi tipi di mano, assumono importanza per lo sviluppo di una fisiognomica scientifica e per una classificazione psicologico-costituzionale dell’essere umano (D. Nani, Sincronocità e dinamica della forma – Connessioni simboliche nell’anatomia dei vertebrati, ibidem). Riguardo alla fisionomia del volto umano, Carus prende in considerazione, soprattutto, i rapporti, come si può vedere nella figura 38. In particolare, egli chiama triade, in modo abbastanza schematico, l’insieme dei segni che rappresentano gli occhi, la bocca e il naso e i corrispondenti sensi: vista, gusto e olfatto. Questi rapporti hanno per Carus una profonda valenza simbolica. 170

Significato e senso percettivo

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Il naso è l’organo dell’olfatto, e i nervi olfattivi, afferma Carus, sono l’immediata continuazione degli emisferi cerebrali. Essi veicolano la vita intelligente dell’anima [si ricordi il rapporto tra vescicola olfattiva e telencefalo]. Il naso costituisce il prolungamento della regione frontale, che è simbolo della vita spirituale dell’essere umano. Gli occhi sono responsabili del senso della vista, attraverso i nervi ottici che originano dal cervello medio. A questo livello del sistema nervoso viene vissuta la vita inconscia dell’anima. Questa regione è, perciò, espressione della vita di sentimento. Da ultimo, la bocca, con le labbra, i denti e la lingua. A questo livello il senso del tatto viene congiunto con il senso del gusto. Questa regione è espressione del metabolismo e della nutrizione, e mantiene un misterioso rapporto con la sfera della sessualità. Questa suddivisione, simbolizzata schematicamente dai segni della triade di Carus (figura 38), corrisponde anche alla classificazione delle attività psichiche in pensare, sentire e volere che ritro171

Categorie e fisionomie

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viamo, ad esempio, nell’opera di Rudolf Steiner. In particolare, Steiner, nel capitolo Le connessioni fisiche e spirituali dell’entità umana (in Gli enigmi dell’anima, 1987), mette in connessione il pensare, il sentire e il volere con le tre parti dell’organismo umano costituite dal capo, dal sistema ritmico (torace) e dal ricambio (addome e membra). La fisiognomica di Klages e quella di Carus presentano notevoli differenze nei fondamenti ontologici. Tuttavia queste due concezioni della forma risultano complementari. Infatti, per entrambi questi pensatori, la relazione che connette le parti dell’intero morfologico è, fondamentalmente, una relazione semantica. Come nella morfologia di Goethe, essa è, innanzitutto, indipendente dal substrato, cioè dalla materia, come nel caso delle rune, e, in generale, dei simboli di un linguaggio: “Come per le rune, anche per le forme della natura il mezzo attraverso il quale esse vengono prodotte non ha importanza; è il loro ordine che risulta rilevante, la relazione semantica che le costituisce.” (D. Nani, Evolution and metamorphosis in the perspective of rational empiricism, 1998). A proposito della morfologia di Goethe, che rappresenta il modello di una “fisiognomica del volto della natura”, Ernst Cassirer “ha messo in evidenza che, per Goethe, la morfogenesi non è storica, ma ideale e simbolica.” (ibidem).

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Epilogo

Prima di concludere questo scritto, vale la pena di fissare alcuni punti, riassumendo, con altri termini, e precisando, le considerazioni e i significati che hanno costituito il ductus di tutta la nostra ricerca. Ora, esistono almeno tre tipi di strutture conoscitive per la coscienza: i concetti, le rappresentazioni generali e le rappresentazioni particolari. I concetti appartengono al regno delle categorie, di cui parla, in modo particolarmente pregnante, il matematico e filosofo inglese Alfred N. Whitehead, la cui opera si inserisce nella corrente platonica della Università di Cambridge. Il punto di vista di questo autore, che può essere chiamato “realismo d’essenza” è particolarmente rilevante, in quanto si stacca dalla tradizione del mondo inglese, caratterizzata da una concezione fortemente nominalista e empirista. Nel libro La scienza e il mondo moderno (1979), Whitehead afferma con molta chiarezza il suo pensiero riguardo alle strutture eidetiche: “Le entità trascendenti sono denominate ‘universali’. Io preferisco chiamarle ‘oggetti eterni’ per svincolarmi dai presupposti radicatisi nell’altro termine nel corso del suo lungo impiego nella storia della filosofia. Gli oggetti eterni sono, intrinsecamente, astratti. Con ‘astratto’ intendo dire che ciò che un oggetto eterno è in sé, vale a dire la sua essenza, è comprensibile indipendentemente dal riferimento a una qualche specifica occasione di esperienza. Essere astratto vuol dire trascendere specifiche occasioni concrete di accadimento reale. Ma trascendere un’occasione reale non significa non avere alcuna connessione con essa. Al contrario, io sostengo che ogni oggetto eterno ha una sua speciale connessione con ognuna di queste occasioni, connessione che io definisco il suo modo di 173

Categorie e fisionomie

inserimento nell’occasione. Un oggetto eterno ha quindi: 1) una sua specifica individualità; 2) relazioni generali con altri oggetti eterni capaci di realizzarsi in occasioni reali; 3) inserimento in specifiche occasioni reali. Le tre suddette proprietà sono espressione di due principi. Il primo principio è che ogni oggetto eterno è un’individualità che, nel suo peculiare modo di essere, è ciò che è [questa affermazione tipicamente platonica possiede una grande potenza ontologica. Si ricordi che per Platone le idee sono “in sé”.]. Questa particolare individualità è l’essenza individuale dell’oggetto e non può essere definita altrimenti se non dicendo che essa è se stessa. L’essenza individuale non è quindi altro che l’essenza considerata sotto l’aspetto della sua unità. Inoltre l’essenza di un oggetto eterno è semplicemente l’aggiunta del contributo unico dell’oggetto eterno a singole occasioni reali. Tale contributo unico è identico per tutte le occasioni riguardo al fatto che l’oggetto, in tutti i modi di inserimento, è esattamente identico nella sua essenza. Ma varia da una occasione all’altra riguardo alle differenze nei modi di inserimento. Pertanto lo stato metafisico di un oggetto eterno è quello di una possibilità che può diventare realtà.” (ibidem). Antonio Banfi, nell’introduzione al libro di Whitehead, appena citato, sottolinea come la teoria delle forme eidetiche, nella complessa storia del pensiero platonico, si connetta alla teoria delle strutture matematiche, oltre ad affiorare tra i realisti inglesi e a intrattenere rapporti con il realismo americano di Santayana e con la fenomenologia di Husserl. Guardandoci bene dal cadere nel relativismo e per evitare di attribuire significati troppo rigidi e restrittivi a termini come realtà, contingenza, mondo, natura, idea, cosa, etc., che, come afferma Husserl, possono condurre a tutta una gerarchia di equivoci e di ambiguità, dalle più innocue alle più pericolose, abbiamo preferito limitarci a nominare le differenze di statuto ontologico, attraverso il confronto, come quando contrapponiamo, in una polarità, concetti come scienza di dati di fatto, di matters of fact (nel senso di David Hume) e scienza di essenze (o eidetica). In 174

Epilogo

quest’ottica, è preferibile, al posto di definire, ad esempio, i concetti di reale e di ideale, semplicemente osservarli nella loro polarità, riconoscendone le differenze, come quando sperimentiamo la polarità di freddo e caldo, o di chiaro e scuro, senza darne una definizione individuale. Nel I libro di Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (ibidem), Husserl afferma che la fenomenologia pura non è psicologia, così come la geometria non è scienza naturale. Sempre nel I libro di quest’opera, il fondatore della fenomenologia introduce due concetti di grande rilevanza, il concetto di categoria e quello di regione: “... ‘oggetto’ è un titolo per una varietà di formazioni, connesse le une con le altre, per esempio ‘cosa’, ‘proprietà’, ‘relazione’, ‘stato di cose’, ‘insieme’, ‘ordine’, ecc. Esse non stanno tuttavia tutte sul medesimo piano, ma rimandano a una specie di oggettualità che ha per così dire il privilegio dell’oggettualità originaria, e rispetto alla quale tutte le altre sarebbero in certo modo semplici variazioni. Nel nostro esempio, questo privilegio tocca naturalmente alla cosa stessa, in contrapposizione alla proprietà fisica, alla relazione, ecc. Ma siamo condotti così a quella struttura formale, senza la cui chiarificazione sia il concetto di oggetto che quello di regione oggettuale restano confusi. Da questa chiarificazione... emergerà l’importante concetto di categoria, che è in rapporto con quello di regione.”. Husserl si propone di ottenere “una ripartizione di tutti gli esseri individuali intuibili secondo regioni dell’essere, delle quali ciascuna circoscrive una scienza... eidetica ed empirica... Così per esempio la ‘cosa materiale’ e la ‘psiche’ rappresentano diverse regioni dell’essere, e tuttavia l’ultima è fondata sulla prima, per cui la psicologia è fondata sulla somatologia.” (ibidem). Il mondo delle categorie è, quindi un mondo di essenze. Le idee, i concetti, che vengano chiamati “universali” o “oggetti eterni”, sono tutte strutture dotate di continuità, le cui connessioni interne sono di natura semantica e sono strutture atemporali. Esse sono strutture trascendenti rispetto alla coscienza del soggetto. Diversamente, le rappresentazioni generali, che abbiamo degli oggetti o 175

Categorie e fisionomie

delle proprietà, pur essendo dotate di continuità, sono strutture temporali, che vivono nella memoria (sono, quindi, immanenti), e devono entrare nel pensiero per essere percepite internamente. La rappresentazione generale “circonferenza” è altra cosa rispetto al concetto “luogo dei punti equidistanti dal centro”, che costituisce anche il suo significato logico, in quanto la rappresentazione generale risulta, come ha affermato Steiner, un concetto individualizzato, la cui individualità dipende dal soggetto pensante. Infatti, la “circonferenza” rappresentazione generale è cresciuta dentro di noi, nel tempo della nostra vita e la sua forma è la sintesi delle immagini delle diverse circonferenze che abbiamo incontrato. Da questa sintesi dipende la sua individualità. Le rappresentazioni particolari, invece, sono entità fisiognomiche. Abbiamo detto che la loro struttura è senso-temporale. Esse sono fenomeni, quindi strutture emergenti. Abbiamo, quindi, chiamato questo tipo di struttura fisionomia trascendentale. Anche le rappresentazioni generali sono senso-temporali, ma, in modo diverso. Infatti, l’individualità, nel caso delle rappresentazioni particolari, “è” nell’oggetto esterno, trascendente rispetto alla coscienza del soggetto che percepisce. Le proprietà, le caratteristiche, i tratti peculiari, ad esempio, di un volto, sono inscritte nel volto stesso. Queste strutture, nel mondo della natura, riflettono la loro “essenza”, la rivelano e sono, quindi, “simboli”. Gli oggetti creati dall’uomo diventano simboli solo nell’opera d’arte. Il concetto (categoria) e il simbolo (fisionomia) sono strutture “polari”. Significato e senso, categoria e fisionomia, concetto e simbolo. L’incorporazione, la Verkörperung, è l’atto attraverso il quale ha origine il simbolo. Il termine tedesco vuol dire anche incarnazione e personificazione. Questo atto può realizzarsi solo attraverso la vita o per mezzo dell’arte. Negli esseri viventi, la forma individuale, la manifestazione rende visibile l’essenza. Questo è possibile solo grazie alla vita. Lo iato incolmabile tra la res cogitans e la res extensa cartesiane può essere colmato solo attraverso la vita. Per questo, abbiamo chiamato questo intermedio con il termine res vivens. Rudolf Steiner chiama 176

Epilogo

questa entità fondamentale con il termine corpo eterico. È il tipo di temporalità di questo “ens” intermedio che permette al significato (Bedeutung) di diventare senso (Sinn). Si tratta di una temporalità evolutiva o morfologica, non di una temporalità lineare. È questo tipo di tempo a stare alla base degli “schemi trascendentali” kantiani. Solo la vita (e l’arte) può fare incontrare il piano dell’essenza e quello della manifestazione. Occorre però aggiungere che la vita vegetale trae il suo impulso formativo da un’entità cosmica. Il vero soggetto della pianta, attivo nella Bildung è un archetipo. Per questo, Goethe ha chiamato Urpflanze, pianta primordiale, l’entità unitaria, il Tipo, che contiene in sé la totalità dell’essere vegetale e delle sue forme. Tutte le piante della Terra sono fisionomie di questo volto universale, che sorride nella Chamomilla e appare infuriato nell’Aconitum. La pianta primordiale è l’immagine vivente del mondo vegetale. Le diverse forme hanno origine dall’incontro di questo principio ideale con il mondo elementare. Usando la terminologia di Whitehead, possiamo dire che la pianta primordiale, in quanto principio ideale, “oggetto eterno”, incontra e si connette con determinate occasioni reali, costituite da luoghi, da coordinate geografiche e geologiche, che partecipano come principi di individuazione e di formazione a costituire le gerarchie tassonomiche “naturali” [e non artificiali] che governano l’apparire delle piante nel tempo e nello spazio. Diversamente, nell’animale e nell’essere umano la vita è governata da impulsi che appartengono a soggetti, i quali, nel corso dell’evoluzione, hanno cominciato a operare sempre più profondamente nell’interiorità di un corpo vivo. Nell’antica alchimia, si trovano rappresentati molti di questi concetti nella forma simbolica tipica che possiede una struttura enigmatica. Nell’opera Psicologia e alchimia (1981), Carl Gustav Jung afferma: “Lo spirito è vita; viene nutrito dalle stelle, e dà nutrimento a tutto ciò che è vivo, che alberga nel suo grembo... ”. E più avanti: “Un’idea simile si trova in Michael Maier [De circulo physico quadrato]: dopo milioni di rivoluzioni intorno alla terra, il sole ha filato in essa l’oro. E gradatamente ha impresso alla terra 177

Categorie e fisionomie

la propria immagine. Questa immagine è l’oro. Il sole è l’immagine di Dio, il cuore è l’immagine del sole nell’uomo, così come l’oro è l’immagine del sole nella terra. L’oro è chiamato anche ‘Deus terrenus’ e nell’oro si può discernere Dio. Quest’immagine di Dio che appare nell’oro è probabilmente l’ anima aurea la quale, soffiata nell’argento vivo comune, lo trasforma in oro. Riplaeus è dell’opinione che sia necessario estrarre dal caos il fuoco, e renderlo visibile. Questo fuoco è lo Spirito Santo che unisce Padre e Figlio. Viene rappresentato spesso come ve39 gliardo alato, come Mercurio in forma di dio della rivelazione, che corrisponde a Ermete Trismegisto, e che con Re e figlio di Re forma una trinità alchimistica.” (C. G. Jung, ibidem). Il processo di immaginazione simile a quello dei sogni, in cui la coscienza viene invasa da contenuti inconsci, viene paragonato ai processi che hanno luogo nell’attività alchemica, condotta in laboratorio. Una trinità chimica famosa è quella di zolfo, mercurio e sale che rappresentano lo spirito, l’anima e il corpo o anche la mente, la parte volatile e la materia. Nella figura 39, è rappresentato il simbolo del mercurio. L’immagine mostra due aperture, una verso l’alto curvilinea che sembra aprirsi all’aspetto cosmico, l’altra verso il basso è formata da una croce, che rappresenta i quattro elementi e sembra aprirsi agli aspetti terrestri. In mezzo, la circonferenza sembra rappresentare il tutto o lo spirito. Il mercurio era considerato una forza sintetizzatrice degli opposti. La mercurialità è sicuramente una proprietà che rende possibile il passaggio tra due mondi che possiedono forma e legalità diverse. Sicuramente una proprietà mercuriale della vita è quella di mettere e tenere in rapporto l’intero e le parti. Mercurio era quindi, per l’alchimia, il simbolo dell’unificazione. Questa proprietà unificatrice degli opposti appartiene sia al tempo che alla vita. Si può dire, più precisamente, che la vita biologica scorre in un tempo morfologico, per cui forma, tempo e vita 178

Epilogo

si intrecciano e creano il multiforme mondo della natura organica. Noi abbiamo esperienza di questa temporalità morfologica nei processi della coscienza, nei quali possiamo osservare il tempo al lavoro nella costituzione delle immagini. Tuttavia, il senso prende il posto della vita nel processo di rappresentazione. Abbiamo detto che le rappresentazioni sono strutture monadiche, spettrali, quindi dotate di continuità, come lo spettro dei colori. Il collegamento tra le parti dell’intero rappresentativo si realizza per mezzo del senso. La rappresentazione di un animale, ad esempio, non è costituita attraverso il collegamento di parti anatomiche, discrete, ma attraverso il collegamento di unità di senso, continue, come i colori. La rappresentazione particolare, cioè, la rappresentazione fisiognomica risulta intessuta di senso. Il senso è la vita della coscienza e, in generale, della psiche. La totalità delle connessioni di senso rende “visibile” il significato. A questo proposito, nel primo volume delle “Idee... ” (ibidem), Husserl afferma che “Il significato logico è un’espressione.”, e aggiunge: “... l’esprimere inerisce originariamente al significato. L’’espressione’ è una forma distintiva che si lascia adattare a ogni ‘senso’ (al ‘nucleo’ noematico) e lo innalza al regno del ‘logos’, del concettuale e quindi dell’’universale’.”. Abbiamo già accennato al parallelismo tra proposizioni e fisionomia, rispetto all’espressione. A proposito del linguaggio nella metafisica di Klages, Cassirer afferma: “Come il concetto si trova nella parola, così l’anima si trova nel corpo; la parola è la veste del pensiero, il corpo è la manifestazione dell’anima.” (Fenomenologia della conoscenza, ibidem). Come una parola esprime un concetto, così una fisionomia esprime il significato di una vita. Le unità espressive di una determinata fisionomia sono, dunque, unità di senso. Riassumendo, senso e vita risultano collegati, il primo, con una temporalità morfologica regressiva, la seconda, con una temporalità morfologica progressiva. Esiste, cioè, una doppia corrente evolutiva: la corrente del senso e quella della vita, come due grandezze vettoriali di verso e direzione opposti. 179

Categorie e fisionomie

senso

vita

doppia corrente evolutiva del tempo morfologico 40

Si possono così individuare due caratteristiche strutture polari: la rappresentazione, da un lato, e l’organismo, dall’altro. La rappresentazione e, in generale, le immagini sono strutture intessute di senso, gli organismi, invece, sono strutture intessute di vita. È sempre la res vivens il canale che può essere percorso in due sensi. O si genera la vita o si costituisce la conoscenza: idea → vita, oppure, vita → idea. Vita e morte. Occorre sottolineare che il termine fisionomia può essere usato in due modi. Nel primo modo, esso indica la sintesi espressiva di un volto umano o, in senso lato, del volto degli oggetti, siano essi oggetti naturali o artificiali. Tale sintesi è prodotta, negli enti naturali, attraverso la spontaneità interiore, in tutti i gradi della stratificazione, a cui abbiamo già accenato, che comprende i cambiamenti filogenetici, ontogenetici e quelli espressivi rapidi. Da questo punto di vista, la fisionomia risulta una creazione della vita. Nel secondo modo, il termine fisionomia indica la rappresentazione, prodotta in un soggetto percipiente, di tale sintesi. In questo caso, essa risulta una creazione del senso. In quanto “fenomeno”, e oggetto di indagine fenomenologica, l’abbiamo chiamata fisionomia trascendentale. Vediamo dunque quanto è profondo il collegamento tra vita e senso. La fisionomia che viene intessuta dalla vita durante l’ontogenesi di un essere vivente, ad esempio, è un simbolo. La sintesi espressiva prodotta attraverso l’interiorità dell’organismo rivela il contenuto logico, il significato. In quanto simbolo si presenta a un soggetto percipiente, il quale, attraverso il collegamento delle unità di “senso”, produce una rappresentazione, che è una vera e propria “messa in forma [Formung] spirituale”, e non un me180

Epilogo

ro contenuto psicologico. Ciò che nella genesi della fisionomia di un organismo è “vita”, nella rappresentazione diventa “senso”, come se il senso fosse il vissuto intenzionale della vita, il suo “gusto” segreto. Questa entità fenomenale intessuta di senso è la fisionomia trascendentale. fisionomia-senso-rappresentazione fisionomia-vita-organismo

Sia il senso che la vita si costituiscono a loro volta nel tempo morfologico. Significato e senso, spirito e vita. Organismo e rappresentazione. Categoria e fisionomia. significato

spirito

senso

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vita

L’introspezione, basata sull’analisi della coscienza secondo il metodo della fenomenologia, intesa, nel senso di Husserl, come una “scienza rigorosa”, ci permette di avvicinarci, attraverso una sorta di immagine riflessa, o, detto altrimenti, per analogiam, anche al fenomeno della “vita”. Infatti, afferma Husserl, nel secondo libro delle Idee... (ibidem, Gli aistheta in rapporto col corpo vivo aisthetico), “qualsiasi cosa, qualsiasi realtà del mondo circostante dell’io ha una propria relazione con il corpo vivo.”. Abbiamo detto che l’unione, o contatto, tra res cogitans e res extensa risulta 181

Categorie e fisionomie

impossibile, senza un intermedio che abbia delle proprietà, in qualche modo analoghe a quelle possedute dal tempo, nel collegamento tra gli universali e gli individui, nello schema trascendentale kantiano. Nel capitolo Gli stati ontici di senso della cosa intuitiva come tale (in Idee... , libro II, ibidem), Husserl sottolinea l’importanza di chiarire “come le determinatezze psichiche che spettano alle realtà animali ottengano una necessaria determinatezza spaziale in un modo completamente diverso, attraverso il fondarsi dello psichico nel materiale.”. La psiche, in quanto “oggetto” temporale individuale, quindi “empirico” (senso-temporale individuale, precisamente), deve connettersi con l’estensione. L’essenza dell’estensione, continua il filosofo tedesco, ”comporta la possibilità ideale della frammentazione.” (ibidem). psiche (res cogitans) senso tempo vita (res vivens) corpo (res extensa)

“Gli uomini e gli animali”, afferma Husserl, “hanno corpi vivi materiali, e per questo hanno anche una spazialità e una materia­ lità.”. L’estensione è un attributo essenziale della materialità. “La cosa materiale si ordina sotto la categoria logica individuum simpliciter (oggetto ‘assoluto’). A questo oggetto si riferiscono le modi­ ficazioni logiche (oppure formalmente ontologiche): proprietà individuale (qui, determinazione caratteristica della cosa), stato, processo, relazione, complessione, ecc. In ogni campo dell’essere troviamo modificazioni analoghe, e la chiarezza fenome­nologica esige di risalire all’individuo come all’oggettualità originaria. Tutte le modificazioni logiche attingono a questa oggettualità la determinazione del loro senso.” (ibidem). Occorre precisare che tutte le definizioni, le descrizioni e le esplicazioni ottenute, a livello riduzionistico, entro il paradigma della scienza normale, soprattutto, attraverso la biologia molecolare, non consentono di afferrare le peculiarità qualitative, che realizzano la forma essenziale del vivente, in particolar modo, ciò 182

Epilogo

che lo distingue dagli altri piani dell’essere naturale, quindi, più precisamente, la sua “ontologia”. In quest’ottica, la proprietà emergente “vita”, tipica di un organismo e di ogni sua parte, caratterizza tutti gli esseri viventi ed è controllata da un programma genetico che segna il confine tra mondo inanimato e mondo vivente. Per il resto, tutti gli organismi sono governati dalle stesse leggi causali che governano tutti gli enti del mondo fisico. Nel famoso saggio Il caso e la necessità – saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea (1973), Jacques Monod individua tre proprietà generali che distinguono gli esseri viventi dal resto dell’universo. Esse sono: teleonomia, morfogenesi autonoma e invarianza riproduttiva. Quest’ultima, afferma Monod “è quella che più agevolmente si presta a una definizione quantitativa.”. È la proprietà che garantisce l’origine del simile dal simile. Le proprietà essenziali della vita, tuttavia, possono essere afferrate, in quanto categorie, solo nell’intuizione. A questo proposito, Helmuth Plessner afferma (in ibidem) che questi caratteri d’essenza costituitivi del vivente, in quanto categorie “definiscono la vita come essere per l’intuizione, e non hanno immediatamente niente a che vedere con quegli ambiti dell’essere con cui ha a che fare la formulazione dei concetti fisici e chimici.”. La questione che resta aperta è, quindi, se sia possibile, in un modo fecondo, una teoria a priori dell’organico che possa mettere le proprietà essenziali della vita in rapporto con i risultati della ricerca scientifica quantitativa. Questo era, in fondo, ciò che si augurava Kant, nella Critica del giudizio, allorché affermava che non era ancora nato il Newton del filo d’erba. Prima di ritornare alle considerazioni di Husserl sul corpo vivo, è interessante sottolineare quanto afferma Merleau-Ponty, a proposito del tentativo fatto da Gesell di liberarsi, nella caratterizzazione delle proprietà essenziali della vita, dal vecchio dibattito tra meccanicismo e vitalismo: “La forma o la totalità, ecco dunque il carattere del vivente.” (La natura. Lezioni al Collège de France, 1956-1960, ibidem). Gesell considera l’organismo come un “campo”, “Solo un campo ha proprietà tali da distinguersi sempre dalle 183

Categorie e fisionomie

cose partes extra partes, poiché comporta sempre una relazione tra le parti e il tutto. È un principio regolatore, ‘un sistema d’ordine tale che la posizione presa da entità instabili in una porzione del sistema reca una relazione definita con la posizione presa da entità instabili in altre porzioni.’… “ (ibidem). Merleau-Ponty sottolinea come la psicologia della percezione abbia sviluppato dei modelli di questa idea di totalità che mostrano l’analogia che intercorre tra il processo della vita e quello della rappresentazione. Sia tra le parti di un organismo che tra le parti di una rappresentazione, intercorrono dei rapporti di senso. È quindi interessante mettere a confronto la struttura del senso e quella della vita, soprattutto in rapporto con la struttura del tempo. Data la difficoltà di procedere in modo esclusivamente logico, nel tentativo di definire e descrivere entità come il senso, la vita e la stessa psiche, si può chiedere aiuto all’immaginazione e all’analogia. Goethe ha chiamato questo tipo di approccio coi termini “fantasia sensibile esatta, senza la quale non sarebbe pensabile l’arte.” (Sull’opera di Ernst Stiedenroth: psicologia per la spiegazione delle manifestazioni dell’anima, 1824, in La metamorfosi delle piante, ibidem). Come afferma Husserl, nel secondo libro delle Idee... (ibidem), “molto di ciò che va sotto il titolo, ampio e inizialmente non chiaro, di psichico possiede qualche cosa come una diffusione [Ausbreitung] (ma non un’estensione nello spazio). Per principio, nulla, da questo lato, è esteso in senso proprio, nel senso dell’estensione che abbiamo descritto.”. Si può immaginare, per lo psichico, a proposito della diffusione, a qualcosa di analogo alla luce. Il colore, diversamente dalla luce, è un contenuto non-indipendente e non può essere rappresentato senza l’estensione. Noi non vediamo il colore, vediamo sempre qualcosa di colorato. Allo stesso modo per la vita. Noi vediamo sempre esseri viventi, organismi, mai la vita. Se osserviamo interiormente l’immaginazione, vediamo un processo che nella sua capacità di prendere forma e di trasformarsi continuamente somiglia alla vita. Consideriamo l’immaginazione 184

Epilogo

musicale, per esempio quella di una melodia. “La melodia”, afferma Merleau-Ponty (in ibidem), “ci dà una coscienza particolare del tempo. Noi pensiamo naturalmente che il passato secerna il futuro davanti a sé. Ma la melodia rifiuta tale nozione del tempo. Nel momento in cui comincia la melodia, l’ultima nota è, a suo modo, presente. In una melodia avviene un’influenza reciproca tra la prima e l’ultima nota, e noi dobbiamo dire che la prima nota è possibile solo attraverso l’ultima e viceversa. È così che avvengono le cose nella costruzione di un essere vivente.”. La melodia è la forma di una totalità a cui le parti sono sottomesse. A questo proposito sono illuminanti le parole di Goethe, dedicate alla “natura”: “ha pensato e non cessa mai di pensare; non come l’uomo, tuttavia, ma come natura. Si è riservata un’intelligenza propria, che abbraccia ogni cosa e di cui nessuno può carpirle il segreto... È un tutto; ma non è mai compiuta... “ (La natura, 1782, in ibidem). Ciò che qui, ora, più ci interessa, riguardo all’immaginazione, non sono i contenuti delle immagini, ma la forma del processo stesso dell’immaginare. Inoltre, ci interessa analizzare la temporalità del flusso immaginativo. Esso è, innanzitutto, un flusso di qualità. Il tempo oggettivo, misurabile, il tempo cronologico, non è importante, a questo livello. Ci interessa invece quello che abbiamo chiamato tempo morfologico. Abbiamo detto, in precedenza, che la dimensione, entro la quale hanno luogo i processi psichici, è la dimensione senso-temporale. Al posto dello spazio, dell’estensione, abbiamo qui a che fare col senso. Le rappresentazioni sono, infatti, “organismi” connessi nel senso. Totalità e senso sono per le rappresentazioni ciò che per gli organismi viventi sono totalità e forma, avendo presente che, come afferma Gesell, totalità e forma sono i caratteri della vita. Sia nel caso delle rappresentazioni che in quello degli organismi viventi è il tempo morfologico a entrare in gioco. In entrambi i casi è l’idea a farsi senso oppure forma. Da un lato, abbiamo il piano dell’essenza, dall’altro, il piano della manifestazione. Noi cogliamo la forma degli organismi viventi attraverso gli organi di senso, cioè 185

Categorie e fisionomie

attraverso la percezione esterna. Diversamente, afferriamo il senso, cioè il contenuto noematico delle rappresentazioni, attraverso la percezione interna. È interessante sottolineare, che a livello riduzionistico, i substrati biologici e fisiologici dei due processi, cioè la chimica-fisica del processo di costituzione del senso delle rappresentazioni e di quello della forma degli organismi viventi, sono diversi. La chimica-fisica della coscienza è, infatti, molto diversa, da quella della vita. Tuttavia, in entrambi i casi, non è il tipo di materia dei substrati che conta, ma l’ordine, la relazione semantica. Da questo punto di vista, troviamo una somiglianza molto forte tra i due processi, che portano alla costituzione di due relazioni semantiche, quella del senso e quella della vita. Possiamo parlare, quindi, di forma del senso e di forma della vita. Nella percezione di una pianta, ad esempio, se ci poniamo nell’atteggiamento fenomenologico, vediamo il costituirsi del fenomeno, come oggetto intenzionale, nel vissuto della coscienza. La forma della pianta, nell’Erlebnis fenomenologico, si fenomenizza e noi formiamo la rappresentazione, nella quale, la forma (quindi, la vita) diventa senso, diventa, cioè, il contenuto noematico della percezione. Il senso non è che la forma, nella sua esistenza fenomenologica, all’interno della coscienza. Nel suo passaggio trascendentale, la forma diventa noema, diventa senso. Possiamo dire che la forma, in quanto fisionomia, costituisce il volto della vita. Il senso è la forma trascendentale della vita, la sua fisionomia all’interno del vissuto della coscienza. Perciò, lo studio accurato del senso ci permette di avvicinarci al mistero della vita e degli organismi viventi. Quindi, si può anche dire che il senso è la vita vista dall’interno, attraverso un’inversione del verso e della direzione di flusso del tempo morfologico. Tuttavia, occorre sottolineare ancora una volta che, come afferma Goethe, nella Introduzione all’oggetto del 1807 (in La metamorfosi delle piante, ibidem), la forma degli esseri viventi non è una totalità statica, una Gestalt, ma è una totalità dinamica, cioè una Bildung. La forma degli organismi viventi è fluida, e presenta la natura dell’acqua, che è l’elemento fondamentale della vita. 186

Epilogo

Un’analogia ci permette di comprendere meglio questa forma allo stato fluido che costituisce la morfologia (o meglio, la morfodinamica) degli organismi viventi, la Bildung. Se prendiamo un cristallo di cloruro di sodio, esso presenta una forma cubica caratteristica, una Gestalt, nel senso indicato da Goethe. Se ora lo sciogliamo nell’acqua, la forma del sale passa allo stato fluido. Ciò che si manifesta come Bildung, negli organismi viventi ha natura “ideale”. Nelle rappresentazioni, abbiamo detto, seguendo Husserl, troviamo, invece, il senso. Il senso è ciò che fluisce nel pensare in una connessione di momenti noematici e che può essere espresso, in modo tale che l’espressione innalza il senso al “regno del logos, del concettuale e quindi dell’universale”. L’espressione costituisce, quindi, il significato logico. In questo modo anche nel pensiero, nel ricordo, e, in ciò che qui più ci interessa, nell’immaginazione, abbiamo un flusso di natura ideale. L’idea vive in uno stato aionico, nella dimensione della atemporalità. Essa ha un’esistenza istantanea, come un insieme di stelle, dotate di un ordine senza tempo. Ciò, quindi, che dal mondo categoriale, dal mondo degli oggetti eterni, fluisce nell’esteriorità del mondo fisico come vita e nella interiorità della coscienza come senso, possiede una stessa natura ideale originaria. Questa natura ideale si dona attraverso il tempo morfologico, come un flusso stellare, che dà origine alle forme dinamiche degli organismi viventi e dell’immaginazione. Per questa somiglianza originaria la vita può essere colta attraverso l’immagi­nazione, attraverso la fantasia sensibile esatta, di cui parla Goethe, e che potremmo chiamare anche fantasia logica. Inoltre, poiché gli animali e l’uomo sono dotati di un corpo vivo, secondo la terminologia di Husserl, la psiche e il corpo, in virtù della somiglianza, potremmo dire dell’omogeneità tra senso e vita, possono entrare in contatto e interagire. Le emozioni, la percezione e la memoria partecipano alla costituzione dell’immaginazione. La metrica che esse introducono è molto diversa da quella dello spazio-tempo del mondo fisico esterno. La memoria, infatti, introduce il principio generale che l’intensità dei vissuti ha la funzione di regolarne la distanza rispetto al momento presente in cui i vissuti vengono rievocati. Anche il signifi187

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cato influenza profondamente la metrica del flusso immaginativo. La metrica incide anche sulla forma, per cui le trasformazioni dello “spazio interno” del senso dipendono dall’intensità e dal significato dei vissuti. La fisionomia, perciò, costituisce una mappa geografica dell’immaginazione creativa della vita. La geografia di un volto, ad esempio, non si basa sull’anatomia e le caratteristiche dei luoghi di una fisionomia non seguono le leggi della geometria, ma costituiscono un’immagine delle differenze di intensità e di significato dei vissuti. Il flusso temporale della vita e quello del senso costituiscono, perciò, domini di qualità che posseggono una determinata disposizione all’interno di relazioni, che, ad esempio, viste dall’esterno assumono una prospettiva spazio-temporale caratteristica della fisionomia di una certa pianta, di un certo animale, e, in generale, di un determinato organismo vivente, mentre, all’interno, danno forma al senso di un determinato atto intenzionale della coscienza, di una certa rappresentazione. Le qualità che fluiscono attraverso l’immaginazione non sono solo qualità estetiche, come i colori o le qualità figurali, ma anche qualità affettive, cioè tipi di impulsi, di emozioni, etc.. Nel caso della vita, come afferma Goethe, citando Blumenbach (Impulso formativo, 1817-1820, in La metamorfosi delle piante, ibidem), il nucleo qualitativo che provoca la Bildung, la formazione, non è una vis essenzialis, una forza, alla cui espressione “rimane sempre appicicato qualcosa di materiale”, ma si tratta di “un nisus formativus [Bildungstrieb], una tendenza, un impulso, un’ attività vigorosa...”. Abbiamo preferito usare il termine immaginazione, rispetto al termine pensiero, in quanto l’immaginazione unifica in un solo processo la memoria, le emozioni e le percezioni. Quando ricordiamo un evento passato, anche molto lontano, riecheggiano in noi le immagini di tutto ciò che era presente in modo originario nel momento del vissuto e, soprattutto, la nostra esperienza affettiva. La metrica, di cui abbiamo parlato, sta alla base della prospettiva, attraverso la quale lo spessore insieme affettivo e morfologico, in una parola, la fisionomia dell’immagine, si costituisce. 188

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Il sistema organi di senso/cervello si è sviluppato durante l’evoluzione contemporaneamente alla forma esterna dell’organismo, in modo tale che la psiche del soggetto percipiente e la fisionomia del corpo percepita si trovano sulla medesima scala. Il corpo vivo può divenire così il substrato di segni che possono essere osservati direttamente dal soggetto come parti di una struttura simbolica. Questa scala nella quale soggetto umano o animale e simbolo possono incontrarsi è la scala mesocosmica, vale a dire la sfera dei fenomeni (D. Nani, Evolution and metamorphosis in the perspective of rational empiricism, ibidem). Abbiamo dunque affermato che il mesocosmo rappresenta la scala nella quale i fenomeni possono essere direttamente osservati e riconosciuti nella loro pregnanza simbolica. Nella prospettiva di Goethe e di Schiller (empirismo razionale), di una morfologia fisiognomica del mondo della natura, l’idea dal piano dell’essenza diventa visibile nel piano della manifestazione, come fenomeno. Per tentare di fornire una descrizione del modo di esistenza della vita e del suo operare, possiamo ricorrere, ancora una volta, all’analogia. Una psiche, una mente, entro la quale vive e compie atti intenzionali un soggetto, inteso come una forma dello spirito, o un’idea, è in rapporto con il proprio cervello, nel quale hanno luogo processi di tipo chimico-fisico, come risulta dalle indagini compiute nell’ambito della scienza riduzionistica. Possiamo immaginare che qualcosa di analogo accada nell’ambito della vita di un organismo. L’idea che costituisce la legge di una determinata pianta o di un determinato animale, per esistere e operare come vita, deve trasformarsi e passare dallo stato atemporale dell’universo categoriale (o del mondo degli oggetti eterni di Whitehead) allo stato, previsto dal mondo empirico, che si annuncia come mondo a dimensione spazio-temporale. Deve cioè passare, innanzitutto, dal piano logico a quello temporale. Un’entità ideale è una totalità, l’unità delle cui parti avviene attraverso connessioni logico-semantiche che la costituiscono come una struttura sincronistica. La sincronicità, abbiamo detto, è un’unità connessa nel significato, dotata, quindi, di simultaneità, e rappresentabile, come afferma Scheler, attraverso l’analogia 189

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di una luce che illumina di colpo il buio (Gli idoli della conoscenza di sé, in Il valore della vita emotiva, ibidem). Attraverso il tempo, l’idea può penetrare, da un lato, nella dimensione empirica della coscienza, cioè nella psiche, la quale è connessa con il proprio cervello. Nella psiche, l’idea (in questo caso l’io con i suoi atti intenzionali) può dare origine alle rappresentazioni che costituiscono i fenomeni essenziali della psiche. Dall’altro lato, l’idea penetra, attraverso il tempo, nella dimensione empirica della vita, dove esiste e opera attraverso trasformazioni morfologiche, cioè, attraverso la Bildung, dando origine alle forme degli organismi della natura. Nella psiche, quindi, le idee debbono costituirsi come strutture senso-temporali, nella vita, invece, si costituiscono come strutture spazio-temporali. idea



psiche → strutture senso-temporali → rappresentazioni vita → strutture spazio-temporali → forme viventi idea → tempo → senso → rappresentazione idea → tempo → spazio → forma (fisionomia)

Lo spazio rappresentato è cosa diversa dallo spazio geometrico reale. Inoltre, lo spazio della vita non può essere statico, ma deve possedere una struttura morfodinamica. Lo spazio più simile allo spazio della vita è lo spazio dell’arte. Lo spazio classico della geometria è lo spazio kantiano-euclideo che Pavel Florenskij (Lo spazio e il tempo nell’arte, ibidem) caratterizza con le seguenti proprietà: è infinito, illimitato, omogeneo, isotropo, bipolare, continuo, connesso, tridimensionale, univoco e ha una curvatura costante, uguale a 0.

Diversamente, lo spazio psicofisiologico si presenta in una molteplicità di spazi: lo spazio visivo-contemplativo, lo spazio visivocinetico, lo spazio muscolare-percettivo, lo spazio muscolare-tatti190

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le, lo spazio auditivo, lo spazio termico, lo spazio dell’odorato, del gusto, etc.. “La grandezza dei vari spazi psicofisiologici”, afferma Florenskij, “è molto diversa. Le sensazioni visive sono contenute nello spazio più esteso, ma esso non va al di là del firmamento cristallino che si estende sulla nostra testa.”. Lo spazio della vita è uno spazio, il cui grado di complessità è a tutta prima inafferrabile. Le innumerevoli proprietà della vita non possono essere afferrate, neppure se potessimo coglierle tutte insieme contemporaneamente, attraverso le numerose capacità percettive in nostro possesso. Lo spazio visivo-contemplativo e lo spazio muscolare-percettivo che possiamo osservare, attraverso la percezione della forma, costituiscono lo spazio dotato della massima pregnanza simbolica. Ciò che è elevato a simbolo costituisce, infatti, per sua natura, il geometrale, per dirla con Leibniz, di tutte le proprietà, colte tutte insieme contemporaneamente, in questo caso, della vita. La forma individuale, la vera e propria struttura fisiognomica, è ciò che si offre in qualità di rappresentante simbolico della misteriosa entità che chiamiamo vita.

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Nella figura 42, sono messi in evidenza i movimenti oculari di un soggetto normale durante l’esame di una figura (Alexandr R. Luria, Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia, 1977). Tali movimenti risultano fortemente disorganizzati e atassi191

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ci, in pazienti con agnosia simultanea e atassia di fissazione. Sempre nella stessa figura, risulta chiaro come, nel soggetto normale, il movimento cinestesico sia in grado di collegare lo spazio con il tempo. Gli esseri della natura, le piante e gli animali, non raggiungono la dimensione del linguaggio parlato, ma la loro interiorità si esprime attraverso la fisionomia, quindi attraverso la forma del corpo. Abbiamo detto che la fisionomia è il risultato di almeno tre tipi di cambiamento, quello filogenetico, quello ontogenetico e quello dovuto ai mutamenti rapidi della struttura corporea. I primi due tipi di cambiamento sono prodotti da processi, essenzialmente, morfogenetici attraverso il movimento di crescita e di differenziazione, mentre i cambiamenti rapidi sono dovuti, soprattutto, ai movimenti cinestesici. In ogni caso, l’entità ideale, che sta alla base delle trasformazioni che hanno luogo nei processi della vita, è una struttura la cui unità si basa originariamente su connessioni semantiche, che si devono trasformare in connessioni morfologiche. La figura 43 mostra il fonte battesimale della chiesa di Norum, in Svezia. La connessione semantica delle rune visibili sulla pietra costituisce un simbolo suggestivo per tutte le connessioni che possiedono valore significativo.

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Nel processo che conduce alla realizzazione di una rappresentazione (vedi figura 42), è l’attività dell’io, nella coscienza, la sua “intenzione-verso”, a dare origine ai movimenti oculari, che gioca192

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no un ruolo fondamentale, nella determinazione della configurazione psichica (V. Costa, L’estetica trascendentale fenomenologica... ibidem). Nella creazione delle forme viventi della natura, invece, l’idea, in quanto soggetto dotato di impulsi morfogenetici, dà origine ai movimenti, attraverso i quali può avere luogo la Bildung. Abbiamo detto che attraverso il movimento avviene il collegamento tra lo spazio e il tempo. Il linguaggio, come ha affermato Cassirer a proposito di Klages (ibidem), costituisce l’analogia più pregnante per comprendere il tipo di connessioni che hanno luogo tra la sfera della psiche e quella del corpo. Anche la creazione della forma, nell’ambito della vita, si presenta come un linguaggio. Le descrizioni e le spiegazioni fornite dalle scienze naturali riguardo alla vita tentano di mettere in rapporto gli eventi che si svolgono a livello riduzionistico con algoritmi complessi che dovrebbero essere adatti alla formalizzazione dei processi biologici. Ad esempio, alcuni autori, come S. N. Salthe e G. A. Chauvet, hanno tentato di formalizzare la struttura funzionale e quella morfologica degli organismi viventi, osservandola come un’organizzazione gerarchica. “Il medodo di Chauvet consiste essenzialmente nel porre in relazione la descrizione dinamica con quella topologica. La prima descrive l’esistenza di interazioni funzionali, mentre la seconda definisce i cambiamenti spazio-temporali dei processi associati a queste interazioni. Per quanto riguarda la seconda descrizione, si cerca attraverso un approccio ‘variazionale’, un ‘principio’ che spieghi la stabilità topologica del sistema, come il principio di Hamilton per la meccanica dei sistemi conservativi. Con ciò viene tentato un confronto tra sistema biologico e sistema fisico. La struttura topologica del sistema biologico che risulta da questo approccio consiste in un sistema gerarchico il cui ‘principio di stabilità’ per l’evoluzione temporale viene dedotto da una funzione di stato chiamata il ‘potenziale di organizzazione’. Tale principio di stabilità, dovuto alla non-simmetria delle interazioni funzionali, può essere considerato ‘un principio di aumento dell’ordine funzionale tramite gerarchizzazione’ e tende a condurre il sistema verso uno stato stabile con il massimo di specializzazione. 193

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Per la descrizione dinamica dei processi associati alle interazioni funzionali, viene invece proposta da Chauvet una teoria di ‘campo’. I processi fisiologici vengono perciò concepiti come il trasporto di una variabile di campo sottoposta all’azione di un operatore di campo specifico. ‘A causa della gerarchia, questa teoria di campo è basata sul concetto di non-località e include un operatore non-locale e non-simmetrico di interazione.’. Il tipo di formulazioni usate in questo lavoro porta a una definizione coerente di auto-organizzazione: un sistema biologico formale (FBS), risulta auto-organizzato se evolve da uno stato stabile a un altro, per le sue caratteristiche dinamiche (D-FBS), sotto l’influenza di certe modificazioni della sua topologia (O-FBS). Le proprietà ‘dedotte’ con questo formalismo mostrano le relazioni tra geometria e topologia in un ‘sistema biologico formale’. Con questo lavoro viene tracciato un programma di biologia teorica che ricorda in qualche qualche modo il passaggio dalla meccanica sperimentale di Newton alla meccanica analitica di Lagrange. Anche qui la componente formale/deduttiva risulta prevalente e si raggiunge un certo grado di ‘idealizzazione’ del mondo organico.” (D. Nani, Matematica e morfologia: punti essenziali nella teoria della conoscenza, in Sotto le ceneri della scienza, 1995). In ogni caso, tutti gli algoritmi usati in questi lavori risultano dei “surrogati” rispetto alla forma visibile degli organismi viventi. Una ricerca condotta, presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali, dell’Università di Bologna, sull’effetto di ultrahighdilutions [UHD] (soluzioni ultradiluite di sostanze attive biologicamente), su modelli in vivo e in vitro di germinazione e di crescita di semi di frumento, ha messo in evidenza una diminuzione sistematica 44 della variabilità, come si legge 194

Epilogo

nell’abstract: “A series of experiments, performed on plant models with ultra high dilutions (UHD) of arsenic trioxide at 45th decimal potency has been reviewed with a particular focus on variability. The working variables considered are: the number of germinated seeds out of a fixed set of 33, the stem length of wheat seedlings and the number of necrotic lesions in tobacco leaf disks inoculated with tobacco mosaic virus (TMV). A thorough comparison between treatment and control group has been proposed, considering the two main sources of variability in each series of experiments: variability within and between experiments. In treated groups, a systematic decrease in variability between-experiments, as well as a general decrease, with very few exceptions, in variability within experiments has been observed with respect to control. Variability is traditionally considered as control parameter of model systems. Our hypothesis, based on experimental evidences, proposes a new role of variability as a target of UHD action.” (D. Nani, M. Brizzi, L. Lazzarato, L. Betti, The role of variability in evaluating ultra high dilution effects: considerations based on plant model experiments, 2007). La dimostrazione sperimentale, quindi, di un andamento sistemico, in un processo biologico, mette in luce l’operare di quel carattere della vita che abbiamo chiamiato totalità. Questo ed altri esperimenti (L. Betti, G. Trebbi, M. Brizzi, G. L. Calzoni, F. Borghini, D. Nani, Effects of homeopathic arsenic on tobacco plant resistance to tobacco mosaic virus. Theoretical suggestions about system variability, based on a large experimental data set, 2003) hanno messo in evidenza che le piante usate nella ricerca reagiscono, sotto l’azione di triossido di arsenico a diverse ultradiluizioni, come strutture capaci di comportamento non-locale. Non sono parti della pianta, o punti focali, come i recettori, secondo la teoria basata sul modello molecola/recettore, a rispondere agli stimoli, ma la pianta sembra rispondere come un tutto. Per quanto possiamo dire entro i limiti che ci siamo posti in questo scritto, le ultradiluizioni non sembrano agire né su loci particolari, disposti sulle parti delle singole piantine, né sugli individui, come enti separati l’uno dall’altro e, quindi, indipendenti, ma sembra farsi valere un principio di equilibrio sopra-individuale, per 195

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il quale le piante si comportano come le unità di una molteplicità che tende a reagire come un sistema. Questo principio di equilibrio sembra costringere le singole piantine a crescere o ad arrestarsi nella crescita, entro i limiti imposti da un vincolo specifico che governa la totalità sistemica e che fa apparire le modificazioni delle piante come l’onda di una fluttuazione continua. È interessante notare che la diminuzione sistematica della variabilità risulta un concetto probabilistico, per cui la formalizzazione dei dati sperimentali può basarsi solo su degli algoritmi statistici. Rupert Sheldrake, nel libro The presence of the past (1988) ha distinto, nella elaborazione e formalizzazione dei campi morfogenetici, che costituiscono una possibile rappresentazione del vivente, tra algoritmi platonici e algoritmi aristotelici: “Esistono altre teorie cosiddette strutturali per spiegare la morfogenesi. Si fa ricorso ad esempio a strutture matematiche sia di tipo platonico che aristotelico a seconda che le equazioni del campo siano strutture matema­ tiche a priori o consistano di attrattori. Quest’ultimo tipo di algoritmi agirebbe infatti a posteriori funzionando come un bacino di attrazione per i processi morfogenetici.” (D. Nani, nota 7, 2001). Val la pena, a proposito del significato della matematizzazione nelle scienze della natura, prendere in esame il “modello” platonico dei tre regni: “Ora ci sono tre regni di ὄѵτα: ἰδέαι, μαθηματικά, σώματα…” (Friedrich Nietzsche, Einleitung in das Studium der platonischen Dialoge, Basilea, 1871-1876, in Plato amicus sed, 1991). Per Platone gli enti matematici costituiscono un passaggio obbligato nel processo di realizzazione di un “singolo ὄѵ”, di un’oggettualità individuale. Il numero, in quanto forma della quantità, è situato, gerarchicamente, tra le idee e i corpi, tra la forma e la materia, tra qualità e quantità, tra tempo e spazio. Ritroviamo, quindi, la legalità contenuta nelle idee, sia nella fisionomia, cioè nella forma individuale visibile, che nell’espressione geometrico-matematica degli organismi. Esiste un legame profondo tra matematica e morfologia che si riflette nell’armonia delle forme visibili e, in generale, sul loro aspetto estetico globale. 196

Epilogo

Ritroviamo un riflesso di questa legalità, anche a livello riduzionistico, benché gli algoritmi utilizzati fino ad oggi, per formalizzare i processi che hanno luogo nell’ambito della vita degli organismi, non abbiano ancora dimostrato un sufficiente grado di adeguatezza. La figura 44 mostra delle circonferenze concentriche che somigliano alle onde generate da un sasso gettato nell’acqua. È molto difficile avvicinarsi all’ontologia della vita, attraverso il pensiero logico, per cui può risultare fecondo tentare di accedervi attraverso l’immaginazione e attraverso l’argumentatio analogica. Abbiamo detto che, attraverso il movimento, lo spazio e il tempo possono essere collegati. L’idea esiste allo stato di sincronicità, nell’universo categoriale, come un’unità dotata di connessioni significative, semantiche. La sua totalità è simultanea e analoga a una luce che illumina di colpo il buio, come il totum simul di Tommaso d’Aquino. La connessione semantica, simultanea deve trasformarsi in una connessione temporale, attraverso la quale gli elementi significativi devono disporsi in una successione, come i segni di una lingua antica, originaria, in cui la forma del significante ha la funzione di un simbolo visivo, che si integra fortemente con le linee del pensiero mitologico, tipico delle culture primitive. Per questo motivo, André Leroi-Gourhan ha usato il termine di mitografia che è “l’esatto corrispondente manuale” della mitologia (Il gesto e la parola, volume I, 1977). Nelle creazioni della vita, perciò, cambia, innanzitutto, la forma della sintesi del molteplice: gli elementi sono dati, ora, nella connessione temporale, in successione; inoltre, tali elementi mutano da elementi significativi in elementi sensibili. Abbiamo paragonato la struttura delle rappresentazioni, in quanto interi connessi nel senso, agli organismi viventi che sono interi connessi nella forma. Le rappresentazioni costituiscono i fenomeni originari della psiche, mentre, gli organismi viventi costituiscono i fenomeni originari della vita. Questo confronto fa venire in mente la discesa alle Madri di Faust, nell’opera di Goethe, dove solo l’incontro con Eros “che sta al principio di ogni cosa” permette a Homunculus di ritrovare il proprio corpo vivo. Solo il 197

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“pulsare dell’amore”, cioè l’emozione, può catalizzare la trasformazione del puro spirito nella vita. La “formazione” potrà compiersi solo quando il puro spirito di Homunculus proverà “lo strapotente desiderio”. Nelle forme organiche, afferma Goethe (Introduzione all’oggetto, Jena, 1807, in La metamorfosi delle piante, ibidem), “ogni cosa ondeggia in un continuo moto... “. L’osservazione della formazione della pianta ci offre l’immagine più essenziale del fenomeno della vita. “Ogni vivente non è un singolo,”, scrive Goethe, nel saggio appena citato, “ma una pluralità, anche presentandosi come individuo, rimane tuttavia un insieme di esseri viventi ed autonomi, che, eguali secondo l’idea e per natura, appaiono empiricamente identici o simili, diversi o dissimili. Questi esseri sono in parte fin dalle origini uniti, in parte si trovano e si riuniscono in seguito, si dividono e tornano a cercarsi, generando una produzione infinita in tutti i modi e in ogni direzione.”. “… E andò su e giù rotando l’entità primigenia che tutto in sé racchiude/ed è sola ed eterna sempre mutando aspetto sempre a se stessa uguale…” (Goethe, versi del Satyros). Un individuo che risulta un insieme di esseri viventi ed autonomi corrisponde molto bene al concetto di monade elaborato da Leibniz, nella sua Monadologia. La pianta è l’esemplare più tipico della vita e del modo in cui la forma “diviene” nel processo di metamorfosi. Per Goethe, è la foglia elementare il principio della metamorfosi vegetale. La foglia elementare non corrisponde a nessuna foglia fisica. È come l’elemento “acqua”, rispetto ai fluidi concreti. Come l’acqua elementare, così anche la foglia elementare costituisce un principio. Da un punto di vista ontologico, la foglia elementare o primordiale presenta, come abbiamo suggerito, la struttura di una monade, possiede, cioè, la forma di un’unità del divenire. Essa si trasforma, entrando in rapporto con l’ambiente elementare. La vita è l’espressione diacronica dell’idea, la cui legalità incontra la legalità degli elementi, come quando, seguendo Steiner (Le opere scientifiche di Goethe, 1944), versiamo nell’acqua fredda dei metalli fusi e osserviamo come un metallo passa attraverso due stati di aggregazione 198

Epilogo

successivi, il primo ottenuto mediante la temperatura più elevata, il secondo mediante quella più bassa. La formazione di questi due stati non dipende solo dalla natura del calore, ma anche da quella del particolare metallo. Un metallo diverso, posto nelle medesime condizioni, mostra un comportamento completamente differente. “Anche gli organismi”, afferma Rudolf Steiner, “si lasciano influenzare dall’ambiente che li circonda, anch’essi assumono, sotto l’azione dell’ambiente, condizioni diverse, e precisamente in modo corrispondente alla loro natura essenziale, a quel quid che ne fa appunto degli organismi.”. Nella figura 45, possiamo osservare la struttura primordiale della pianta che costituisce un’immagine della sua legalità essenziale. Possiamo, inoltre, pensare, in via euristica, che questa immagine sia contenuta nella foglia-monade-elementare come modello del rapporto pianta-ambiente, esistente, allo stato potenziale, all’interno dell’idea, come una sorta di DNA spirituale. La pianta cresce e si trasforma secondo le leggi della meta- 45 morfosi, attraverso la quale una parte si produce mediante l’altra, e le forme più diverse hanno origine per metamorfosi di un solo organo. “Dal seme fino al punto massimo di sviluppo della foglia caulinaria, “, afferma Goethe nel paragrafo 73 della Metamorfosi delle piante, “avevamo dapprima notato un’espansione; poi, avevamo visto il calice nascere per contrazione, i petali ancora per espansione, gli organi riproduttivi invece per una nuova contrazione; ben presto la massima espansione ci si rivelerà nel frutto e la massima concentrazione nel 199

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seme. Attraverso queste sei fasi, la natura compie in un processo continuo l’opera eterna della riproduzione sessuale delle piante.”. L’universo interiore dell’idea, invece, non va dalla periferia al centro di uno spazio fisico, ma va dal generale al particolare, dalla totalità alla parte, dal genere alla specie e dalla specie all’individuo, di una estensione logica. Le parti della pianta, radice, foglia, fiore, frutto e seme, all’interno della foglia-monade, sono contenute in modo spettrale, continuo, ondulatorio, e trapassano l’uno nell’altra come i colori. Nel mondo esterno, le parti si presentano, invece, come enti discreti, separati l’uno dall’altro dallo spazio fisico. Esistono, cioè, secondo la modalità della trascendenza. La forma degli organismi viventi è l’aspetto simbolicamente più pregnante. Tuttavia, dobbiamo immaginare che i processi che attraversano, ad esempio, una pianta che si trasforma, possiedano qualità diverse dalla forma stessa, come la luce, il colore, il suono, l’odore, etc., che esistono a tutti i livelli, dalla superficie alla profondità, dal piano di organo, a quello cellulare, fino a quello chimico-fisico e sub-atomico. Nei Dialoghi metafisici (2006), Hedwig Conrad-Martius, discepola di Husserl, nella cerchia di Göttingen, e amica di Edith Stein, si interroga sulle proprietà essenziali che caratterizzano l’ontologia della vita. La vita è necessariamente attraversata dall’essere e “Le differenze d’essenza o le differenze nelle basi ultime dell’essere giungono a espressione, da ultimo, in un qualche modo nella organizzazione esteriore… “. La figura 44 mostra delle circonferenze concentriche che possono essere simbolo contemporaneamente di due caratteristiche essenziali dello sviluppo del vivente. In primo luogo le circonferenze rappresentano i mutamenti continui che attraversano la monade come onde che si susseguono l’una dopo l’altra nel divenire morfogenetico e morfodinamico. In secondo luogo, esse rappresentano i livelli discreti, nei quali le strutture emergenti della vita, della psiche e dello spirito individuale si manifestano. L’idea, che come vita attraversa l’organismo e determina le relazioni tra l’intero, come totalità, e le parti, a livello dell’essere umano, si manifesta come persona dotata di un io attivo capace 200

Epilogo

di atti intenzionali. Nella vita allo stato elementare, l’entità persona si manifesta come un embrione. Ciò che, nella persona umana si manifesta come autocoscienza, sentimento e volontà, allo stato embrionale della vita, opera come impulso formativo, come il nisus formativus di Blumenbach, nel quale pensare, sentire e volere sono ancora uniti indissolubilmente e appaiono sotto la veste della forma nella organizzazione esteriore degli organismi. La pianta costituisce la forma elementare e più rappresentativa della vita. Per Goethe la sua essenza è la metamorfosi. Conrad-Martius, a questo proposito, afferma, attraverso la voce di Montano, che “la costituzione della pianta è, per così dire, una costituzione in tutto e assolutamente a strato unico… Poiché essa rappresenta soltanto questa ‘forma’ [Gebilde] vivente che è cresciuta esteriormente… La pianta è, per così dire, solo ‘messa in forma’.” (ibidem). Noi troviamo la vita nel mondo animale e nell’essere umano, ma la vita allo stato originario si trova nella pianta. Ogni pianta ha la sua Umwelt, con cui entra in rapporto, e la sua vita riflette la simultaneità dell’idea, in modo che ogni istante del presente è riempito da una totalità, composta dalla “foglia”, che costituisce l’unità del divenire formativo, che irradia dalla terra e dal cosmo. Cosicché gravità e luce formano i poli entro i quali si sviluppa il processo formativo, come il movimento continuo di un’onda di crescita e di differenziazione che, seguendo Pavel Florenskij (Lo spazio e il tempo nell’arte, ibidem), raggiunge la sua ἀκμή (“acme”) nel fiore. Questo stadio piu significativo della Bildung veniva dagli antichi considerato il rappresentante simbolico dell’essenza di un processo, cioè, la sua entelechia o l’atto di un divenire potenziale, come lo chiama Aristotele. La forma della pianta a fiore, appartenente, cioé, al tipo delle Fanerogame, costituisce, per Goethe, il modello vegetale più evoluto, cioè quello che ha in sé tutte le potenze della pianta primordiale, la sua fisionomia essenziale, esattamente come il Bauplan dei mammiferi per il mondo animale. Queste piante sembrano liberarsi dalla gravità terrestre, quando, al termine del processo di crescita, la vita sembra aprirsi verso la regione dell’anima, tanto, dice Conrad-Martius, che “ci possiamo raffigurare, sulla base dell’essenza 201

Categorie e fisionomie

del fiore, un’anima floreale... “. Il fiore appartiene alla fisiognomica della luce e dell’aria, come le radici, simili a rette che convergono verso il centro della terra, appartengono alla fisiognomica della tenebra e della terra. Queste polarità configurano una totalità spaziale. La polarità del giorno e della notte, invece, configura una totalità temporale, che dà origine a un ritmo. Entrambe queste polarità, infine, sono “abbracciate” dal susseguirsi delle stagioni, attraverso le quali si apre e si chiude il ciclo della vita; essa sembra distendersi lungo il corso dell’anno, nelle fanerogame con dinamica temporale su scala annuale, come se queste piante tenessero le radici nell’inverno e liberassero il fiore e il frutto tra l’estate e l’autunno, per rendere manifesto lungo il corso dell’anno l’istante assoluto dell’idea, già contenuto in potenza nella foglia-monade. Goethe definisce la “crescita come una riproduzione successiva, e la fioritura e la fruttificazione come una riproduzione simultanea... Una pianta che cresce si allunga più o meno, sviluppa uno stelo o un caule, gli internodi sono generalmente pronunciati, le foglie si allargano in tutte le direzioni del fusto. Invece, una pianta che fiorisce si contrae in tutte le sue parti, lunghezza e larghezza sembrano svanire, e tutti gli organi, in stato di altissima concentrazione, appaiono sviluppati l’uno contro l’altro.” (paragrafo 114, ibidem). “La pianta può crescere, fiorire e fruttificare;”, ribadisce il poeta, “ma sono sempre gli stessi organi che, in destinazioni e forme spesso diverse, seguono le prescrizioni della natura. Lo stesso organo che come foglia, si espande dal fusto e prende forme straordinariamente diverse, si contrae poi nel calice, torna ad espandersi nei petali, si contrae negli organi riproduttivi, per riespandersi infine come frutto.” (paragrafo 115, ibidem). Non possiamo pensare l’idea che come soggetto. Per questo, la vita, per Klages, non può essere che “esperienza vissuta”, che abbraccia l’intero campo degli impulsi istintivi. “Infine”, afferma Klages (L’essenza del ritmo, in L’anima e lo spirito, ibidem), “l’intero campo dei cosiddetti impulsi istintivi, senza i quali non si potrebbe studiare neppure l’attività volontaria cosciente dell’uomo, non è altro che una prova importantissima dell’incoscienza dei pro202

Epilogo

cessi vitali.”. La vita è presente sia durante la veglia che durante il sonno profondo senza sogni e non viene mai interrotta. Il fatto che l’umore, al risveglio, sia spesso diverso da quello che avevamo prima di addormentarci, dimostra, secondo il filosofo, la presenza di un vissuto incosciente durante il sonno. “Solo chi riesce a capire l’incoscienza dell’esperienza vissuta, può ottenere un concetto della vita che sia qualcosa di più di un puro nome... “, continua Klages, “Egli ora sa che vivere coincide col poter avere esperienze vissute, anzi col continuo vivere esperienze... “ (ibidem). “Nel fatto di rinnovarsi, più nettamente che nel fatto della continuità, si rivela l’appartenenza del ritmo alla vita... “ (ibidem); Klages sottolinea la presenza del ritmo ovunque nella natura. Anche il mero crescere non avviene mai in modo uniformemente continuo: “il processo del crescere non avviene mai con continuità rettilinea, ma ritmica.” E ancora: “Affinché in spazi di tempo simili si rinnovi qualcosa di simile, è necessario che ciò che vien rinnovato decada: questo è il senso di ogni successione e di ogni giustapposizione, alla quale – con o senza battuta – spetti il nome di ritmo.”. Abbiamo parlato, in questo scritto, di tempo morfologico. Klages è convinto che il ritmo appartenga indissolubilmente al tempo: “Lo spazio della realtà sarebbe il corpo del tempo; e il tempo sarebbe l’anima dello spazio. Ma se l’anima appare libera da ogni barriera nel ritmo, l’alternarsi di andare e venire, che ci è sembrato essere la chiave essenziale del ritmo, sarebbe proprio della temporalità stessa, e, - per quanto ciò possa parere mitologico al fisico, il quale conosce soltanto lo strumento di misura, il secondo lineare – l’estremo profondo significato del ritmo starebbe nel corso pulsante del tempo reale.” (ibidem). Noi chiamiamo vita, sia la vita biologica che la biografia. Esse sono due aspetti di quello che Eugène Minkowski ha chiamato il tempo vissuto [le temps vécu] (Il tempo vissuto – Fenomenologia e psicopatologia, 2004). Lo psichiatra russo prende in esame, a questo proposito, le “considerazioni di Bergson che concernono la differenza tra la durata pensata con i suoi punti giustapposti e la durata vissuta con la sua costante organizzazione vivente.”. Sia 203

Categorie e fisionomie

la durata vissuta che la successione vissuta sono per Bergson sullo stesso piano. Infatti, questi due aspetti del tempo vissuto possono essere distinti solo attraverso un pensiero capace di astrazione. Il filosofo francese, citato da Minkowski, afferma che “non c’è differenza essenziale tra passare da uno stato a un altro e persistere nello stesso stato”. Per cui, “Tutto ciò che è uno in relazione al divenire dura scorrendo e scorre durando; tutto ciò che è due in rapporto al tempo si succede.”. In un istante infinitamente piccolo, nel presente assoluto, dove il tempo sfocia nell’eternità, durata e successione coincidono e il tempo diventa significato. Questo è il punto di origine di una trama. Sia la vita biologica che quella biografica sono dense di una trama che, nella prima, appare come un intricato flusso di eventi morfodinamici, un flusso di forme, e, nella seconda, appare come storia individuale. Rudolf Steiner dà una preziosa definizione del tempo, quando afferma che esso nasce laddove l’essenza di qualcosa si manifesta (1944, ibidem). Da tutte queste considerazioni, non abbiamo derivato una definizione esatta della vita, ma, in modo sicuramente frammentario, abbiamo cercato di avvicinarci ad essa come ci si avvicina a un’immagine. E l’immagine che risulta è che la vita è un soggetto incosciente, potremmo dire dormiente. Il suo essere soggetto riflette l’essere dell’idea, che, come l’essere della vita, non può mai venir concepita come una “cosa”. Dall’universo categoriale, l’idea trapassa nel mondo empirico del molteplice individuale, l’idea diventa fisionomia. Tutto ciò che ci appare si presenta con un “volto”. In particolare, si è cercato di ritrarre il volto della vita, un volto che gli antichi Greci hanno dipinto come il ritratto di un demone. All’epoca del mito, il dono della personificazione permetteva agli esseri umani di vedere un mondo popolato di dei e di demoni, e la vita era persona. Attraverso la filosofia, intesa come disciplina del thaumazein, della meraviglia, abbiamo cercato, attraverso le immagini, di avvicinarci all’ontologia della vita. L’idea, soggetto essenziale si fa vita, nella temporalità morfodinamica e ritmica della natura. La vita è un demone che si agita nel bosco delle forme. 204

Note

1  Così, ad esempio, una stessa melodia si mantiene costante al variare

dell’ottava nella quale viene eseguita.

2  Sia Frege che Husserl fanno un’importante distinzione tra significato e

senso. Nel libro Senso, funzione e concetto (2003), nel capitolo dal titolo Senso e significato, Frege afferma: “viene dunque naturale concepire un segno (nome, gruppo di parole, lettera) come collegato oltre che a quel che designa, che io propongo di chiamare significato (Bedeutung), anche a quello che io propongo di chiamre il senso del segno, nel quale è contenuto appunto il modo di darsi dell’oggetto. Pertanto nel nostro esempio il significato delle espressioni ‘punto di intersezione di a e b’ e ‘punto di intersezione di b e c’ è il medesimo, ma non il senso. Anche il significato di ‘stella del mattino’ e di ‘stella della sera’ è il medesimo, ma non il senso.”. Nel primo volume delle Idee... (ibidem), al paragrafo 124, Husserl afferma: “Noi limitiamo l’ambito delle nostre considerazioni esclusivamente al ‘significare’ e al ‘significato’. Originariamente queste parole si riferiscono soltanto alla sfera linguistica, a quella dello ‘esprimere’. Ma è quasi inevitabile, e rappresenta inoltre un importante passo avanti nella conoscenza, ampliare il significato di queste parole e modificarle opportunamente in modo che possano essere in una certa maniera applicate all’intera sfera noetico-noematica, ossia a tutti gli atti, siano o no intrecciati con atti espressivi. Così noi abbiamo sempre parlato riguardo a tutti i vissuti intenzionali di ‘senso’ – una parola che generalmente viene usata come equivalente di ‘significato’. Per amore di chiarezza preferiamo, per il vecchio concetto, la parola significato, in particolare nella locuzione complessa di significato ‘logico’ o ‘espressivo’. La parola senso continuiamo invece ad adoperarla sempre nella sua massima ampiezza... Il significato logico è un’espressione. Il suono verbale può dirsi espressione solo perché il significato che gli appartiene esprime: l’esprimere inerisce originariamente al significato. L’espressione è una forma distintiva che si lascia adattare a ogni ‘senso’ (al nucleo noematico) e lo innalza al regno del ‘logos’, del concettuale e quindi dell’universale!”. Abbagnano, nel Dizionario di filosofia (ibidem), aggiunge, o meglio riformula: “La sua tesi (di Husserl) è che ‘il significato logico è un’espressione’, nel senso che esso solleva al regno del logos, dell’universale, il 205

Note

senso (Sinn) percettivo della cosa. In altri termini, Husserl sostituisce alla dicotomia oggetto-concetto, la dicotomia senso (percepito)-concetto, nella quale il concetto è l’essenza della cosa, la sua concettualizzazione o espressione compiuta.”. 3  Nelle lezioni sulla coscienza interiore del tempo (La coscienza interiore

del tempo, 2002a), in particolare, Husserl dice: “Se chiamiamo per percezione l’atto in cui riposa tutta la ‘origine’, originariamente costituente, il ricordo primario è allora percezione. Dal momento che soltanto in esso si costituisce il passato, e in vero non ‘rappresentativo’, ma ‘presentativo’. L’appena-stato, il prima, in opposizione all’adesso, può essere direttamente visto solo nel ricordo primario; è sua essenza portare a intuizioni primarie, dirette, questo elemento nuovo e peculiare, certamente così come l’essenza della percezione dell’adesso è portare l’adesso direttamente all’intuizione. Di contro la rimemorazione [ricordo secondario] come la fantasia ci offre la semplice presentificazione, essa è quasi la stessa coscienza come l’atto di adesso e l’atto del passato, quasi la stessa coscienza, ma certo modificata. L’adesso fantasticato rappresenta un adesso, ma non offre esso stesso l’adesso: il prima e il dopo fantasticato rappresentano solo un prima e un dopo, etc..”. 4  Esattamente, von Uexküll scrive, in una nota: “Questi dati ci sono for-

niti dalla visione cinematografica: per la proiezione della pellicola occorre che ogni immagine rimanga ferma per un istante, e sia poi sostituita dalla successiva: ma la visione riesce netta soltanto se l’atto della sostituzione è nascosto mediante uno schermo. Ebbene questi innumerevoli successivi oscuramenti non sono percepiti dall’occhio, purché la permanenza dell’immagine ed il suo oscuramento si compiano in 1/18 di secondo. Se la durata è maggiore, si verifica il fenomeno sgradevolissimo del tremolio dell’immagine. “ (da I mondi invisibili, ibidem). Esistono animali, come la zecca, del cui comportamento von Uexküll parla ampiamente, nel testo citato, che possono resistere per anni (nel caso della zecca diciotto) in un mondo individuale (la Umwelt) immutato. In questo senso, possiamo dire che l’istante della zecca può durare diciotto anni. Il concetto di mondo individuale risulta un concetto estremamente fecondo, dal punto di vista della psicologia animale. Diversamente dalla concezione evoluzionistica di impostazione darwinistica, per la quale esiste un unico ambiente per tutti gli animali, entro il quale operano le forze della selezione naturale, per von Uexküll, ogni animale, essendo dotato di una particolare organizzazione percettiva, e più in generale cognitiva, oltre che di un peculiare sistema di azione o di movimento, vive entro un proprio ambiente, o mondo individuale (Umwelt), che circonda come una 206

Note

sfera o una “bolla” il suo organismo. “Una delle illusioni in cui è più facile cullarsi”, afferma lo zoologo tedesco, “è che i rapporti del subietto con le cose del suo mondo si svolgano nello stesso spazio e nello stesso tempo in cui si svolgono quelli che ci legano al nostro mondo: e ad alimentare questa illusione concorre la credenza che esista un solo mondo, in cui tutti i viventi sono contenuti, come in una scatola, e che perciò spazio e tempo siano uguali per tutti.” (ibidem). 5  Nello scritto Gli idoli della conoscenza di sé (in Il valore della vita emo-

tiva, 1999), Max Scheler scrive: “A questa prima fonte generale di illusione della percezione interna, consistente in generale nel trasferire i fatti che provengono dalla percezione esterna nel contenuto della percezione interna, fatti che provengono dalla percezione dell’estraneo nel contenuto della percezione di sé, accosto subito una seconda, non di minore rilievo. Essa consiste nel trasferire forme della molteplicità, proprie solo del mondo fisico, nonché determinati rapporti temporali e causali tra cause ed effetti fisici di fatti psichici, e infine anche la semplicità e connessione delle cause fisiche di fatti psichici, in questi stessi. L’unità e molteplicità di quanto è dato nella percezione interna è sui generis, e non paragonabile a nessun altra.”. 6  Patrizia Magli, nell’opera citata (ibidem), ricorda, ad esempio, Gaston

Bachelard, che “nel suo lavoro sui quattro elementi, sostiene che l’uomo costantemente fu ricorso ad essi, non solo nelle fantasticherie, ma anche nel tentativo di dare una spiegazione a gran parte dell’esperienza concreta. La contemplazione del fuoco, della terra, dell’acqua e dell’aria farebbe scattare fantasie il cui sviluppo sarebbe regolare e fatale.”. È stato, comunque, storicamente, Empedocle di Agrigento il primo a dar vita a una cosmologia “che costituisce uno dei fondamenti più importanti per tutta la trattazione fisiognomica. I pitagorici avevano venerato il quattro come numero perfetto, al quale fu attribuito da Empedocle anche un contenuto psichico, trasformando così il simbolismo pitagorico dei numeri nella dottrina degli elementi cosmici. Empedocle parla di quattro primi o ‘radici’ eterne (rhizómata): fuoco, aria, acqua, terra. Tutte le cose dovevano potersi considerare come derivate dalla loro combinazione. “ (ibidem). Le quattro radici tendono a restare immobili e inalterate, senza l’intervento di due forze cosmiche che Empedocle chiama Amore o Amicizia, e Odio o Discordia. Anche qui appare evidente il rapporto “psichico” tra l’elemento passionale-emotivo e i quattro universali fisiognomici, costituiti dagli elementi primi. Anche nel Rinascimento, la filosofia della natura vide all’opera forze come la Simpatia e l’Antipatia, all’opera nelle trasformazioni cosmico-naturali. “All’interno di questa fitta trama di corrispondenze prende posto, con tutte le risonanze cosmologiche che le sono connesse, 207

Note

un’interpretazione del volto e del corpo in quanto specchio, microcosmo, appunto, dell’intero macrocosmo. Si può ipotizzare che Empedocle stia all’origine della teoria degli umori e dei temperamenti che a questa visione è fatalmente legata... La teoria degli elementi sta a fondamento della teoria umorale, quest’ultima destinanta a dominare incontrastata il corso della fisiologia e della psicologia fin quasi a oggi. La teoria degli umori, infatti, è strettamente legata al campo della fisiognomica e si costituisce come spiegazione di gran parte dei suoi principi.” (ibidem). 7  Kassner afferma che “L’idea fondamentale della fisiognomica razionale è costituita dal parallelismo tra anima e corpo. La fisiognomica ritmica rifiuta invece qualsiasi parallelismo. Per essa il tipo, il tipico, è solo l’espressione più chiara del fatto che la natura rifugge i paralleli. Una concordanza fisiognomica simile, anche se remota, la si può trovare fra la betulla e il russo delle grandi foreste del nord, dove l’inverno più rigoroso si accompagna all’improvviso sbocciare della primavera, dunque fra l’anima della betulla e l’anima dell’uomo russo. Osservate come in entrambi la durezza si accompagna alla tenerezza e alla delicatezza! Osservate come dopo un inverno terribile, al cui gelo nessun altro fusto potrebbe resistere, la betulla, nel giro di pochi giorni, si riveste di foglie verde chiaro, aghiformi e delicate: è forse diversa l’anima russa, che spunta bruscamente e precocemente, senza la logica del latino e la capacità di sviluppo del tedesco, anima brusca, al tempo stesso debole e dotata di forza primordiale? Quest’anima può essere colta sul volto di quest’uomo proprio come l’anima della betulla si esprime nella sua corteccia, nei suoi rami e nelle sue foglie; e per chi sa vedere, nel volto di certi russi del nord, attorno alle sopracciglia, all’attaccatura dei capelli e alla bocca c’è qualcosa della betulla. Vorrei aggiungere che quando parlo di anima della betulla non intendo affatto usare una metafora: la betulla possiede un’anima esattamente come l’uomo, l’animale o il pianeta.” (R. Kassner, I fondamenti della fisiognomica, il carattere delle cose, 1997). [N. B. → Il carattere delle cose traduce i termini “signatura rerum” della filosofia della natura del Rinascimento.]. 8  Nel saggio introduttivo allo scritto di Rudolf Kassner (Le metamorfo-

si del volto, la fisiognomica interpretativa di Rudolf Kassner, in ibidem), di Giovanni Giurisatti, viene definito in modo molto appropriato il rapporto tra una morfologia scientifica e la morfologia fondata sulla fisiognomica: “Al mondo statico-spaziale-finito della spiegazione scientifica (che mira al tipo) Kassner sostituisce quello dinamico-temporale-infinito dell’interpretazione ermeneutica, che mira all’individuo e ha nelle categorie dell’immaginazione, dell’intuizione visiva e del sentimento i suoi presupposti gnoseologici.” (ibidem). 208

Note

9 Nella VI meditazione metafisica, c’è un passo dove risulta molto chiaro

ciò che Cartesio intende con il processo dell’immaginazione: “Affinché ciò risulti manifesto, prendo in esame in primo luogo la differenza che c’è tra l’immaginazione e la pura intellezione. Certamente, ad esempio, quando immagino un triangolo, non soltanto concepisco che è una figura compresa entro tre linee, ma contemporaneamente vedo anche queste tre linee presenti all’occhio della mente, e questo è quel che chiamo immaginare. Se invero voglio pensare a un chiliogono, senza dubbio concepisco che è una figura che consta di mille lati altrettanto bene quanto concepisco che il triangolo è una figura che consta di tre lati; ma non immagino quei mille lati allo stesso modo, cioè non li vedo come presenti. E sebbene poi, per l’abitudine che ho di immaginare sempre qualcosa ogni volta che penso ad una cosa corporea, forse mi rappresento confusamente una qualche figura, è tuttavia manifesto che non è un chiliogono, perché non è diversa in nulla da quello che mi rappresenterei anche se concepissi un miriogono, o un’altra figura qualunque di moltissimi lati; e non sarebbe affatto utile per riconoscere quelle proprietà per le quali il chiliogono si differenzia dagli altri poligoni. Se invece si tratta di un pentagono, posso invero pensarne la figura, allo stesso modo della figura del chiliogono, senza l’aiuto dell’immaginazione; ma posso anche immaginarla, appunto applicando l’occhio della mente ai suoi cinque lati, e, contemporaneamente, all’area in essi contenuta. E così mi rendo conto in modo manifesto che per immaginare mi è necessaria una particolare tensione dell’animo, che non mi serve per le intellezioni: la quale nuova tensione dell’animo mostra chiaramente la differenza tra l’immaginazione e la pura intellezione.” (Meditazioni metafisiche, ibidem). L’interesse di queste considerazioni, che in realtà Cartesio mette in opera per dimostrare l’esistenza del corpo e delle cose corporee, consiste nel fatto che risulta chiaro il ponte tra res cogitans e res extensa costruito dall’immaginazione. L’aver sottolineato il rapporto tra immaginazione e sensazione, quindi con la percezione, lascia intravedere la possibilità di considerare l’immaginazione come parte integrante del processo della percezione, inteso quindi come processo “creativo”, in un senso “artistico”. Nell’empirismo inglese, già a partire da Hobbes, è prevalso, nel rapporto tra pensiero e percezione, il senso segnico-linguistico dell’atto di intellezione. La percezione, come afferma anche Helmoltz, ha luogo per mezzo di una “inferenza inconscia”, di un atto di tipo “logico” e non certo “immaginativo”. Il merito di Cartesio è di aver collocato, nel giusto livello “gerarchico”, il processo dell’immaginazione, secondo la serie: idee (universali, innati e infusi da Dio, nell’anima umana), immaginazione, memoria, sensazione. Dai concetti “universali” alle rappresentazioni particolari. 209

Note

10  Con il termine “intuizione” si indica il rapporto diretto con un oggetto,

che avviene senza l’intrusione di intermediari. Il carattere peculiare, quindi, dell’intuizione e la sua superiorità, rispetto ad altri atti della coscienza, è costituito dalla “presenza” immediata dell’oggetto. Husserl applica il concetto di intuizione, sia all’intuizione degli oggetti particolari, individuali, che caratterizzano l’intuizione individuale empirica, che all’intuizione delle essenze o intuizione eidetica. Così come considera l’intuizione eidetica come una “intuizione”, allo stesso modo, Husserl considera l’oggetto eidetico come un “oggetto” (Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, 2002c): “Anche le essenze generali sono oggetti, vengono intese dalla coscienza come oggetti, si effettuano predicazioni intorno ad essi, in modo adeguato, evidente o non evidente, come nel caso di ogni oggetto di altro genere e in particolare di oggetti individuali. Come gli altri oggetti, come gli oggetti individuali, essi sono unità nella varietà della coscienza da cui proprio essi sono intenzionati, e come gli altri oggetti essi possono essere dati alla coscienza anche in quella modalità eminente in cui pervengono all’apprensione diretta e immediata: quindi, in modo interamente analogo alle cose percepite nella percezione.” (Husserl, Storia critica delle idee, ibidem). 11  Anche Berkeley ha utilizzato la nozione di “segno” per “definire la fun-

zione delle idee generali, che sarebbero idee particolari ‘assunte a rappresentare o a stare per altre idee particolari della stessa sorta’.“ (George Berkeley, Principles of human knowledge,1710, in Abbagnano, ibidem). In generale, nell’empirismo inglese, fino alla filosofia analitica dei nostri giorni, il presentarsi in dati sensoriali viene concepito, sostanzialmente, come un interpretare segnico. Diversamente, nella prospettiva fenomenologica, e, soprattutto, nella prospettiva di Husserl, la rappresentazione mentale non costituisce assolutamente un evento “simbolico”, nel senso di un interpretare segnico, ma è un evento “originario” che ha luogo nella coscienza, cioè nella psiche empirica, dove si sviluppa ed esiste nella processualità temporale. Nelle Lezioni sulla sintesi passiva, (1993), Husserl afferma che “la percezione è coscienza originale di un oggetto individuale, temporale, e per ogni ‘ora’ abbiamo, nella percezione, la sua impressione originaria nella quale l’oggetto viene originalmente afferrato nell’ora, nel suo momentaneo punto di originalità.”. La filosofia analitica, soprattutto sotto l’influsso di Wittgenstein, porterà a compimento la cosiddetta “svolta linguistica” (linguistic turn), in realtà già contenuta “in nuce” nell’opera di Thomas Hobbes. L’elemento essenziale della ragione umana è il “linguaggio” caratterizzato dall’uso di “segni” convenzionali, idonei a designare le idee delle cose che sono nella mente. Il ragionamento funziona come un “calcolo” operato sulle idee. La percezione non costituisce, in questa prospettiva, né una somiglianza con l’oggetto per210

Note

cepito, né un’analogia, ma risulta, essenzialmente, un processo “simbolico” e astratto di interpretazione “segnica”. L’aver posto il linguaggio, quindi, e non il pensiero alla base del processo percettivo, può essere considerato un importante passo verso ciò, che in un tempo successivo, porterà, appunto, alla “svolta linguistica” e allo sviluppo della “filosofia analitica”. 12  Naturalmente, “l’assioma dell’autocertezza assoluta dell’ego” (Husserl,

Meditazioni cartesiane, ibidem), su cui si fonda il soggettivismo trascendentale di Cartesio, è un’esperienza immediatamente “intuitiva” e non un’inferenza o una deduzione logica, quale potrebbe risultare da una superficiale considerazione del “cogito ergo sum”. Il grande rivolgimento di Cartesio, afferma Husserl, “eseguito in modo giusto, conduce alla soggettività trascendentale: la svolta verso l’ego cogito come quel che è apoditticamente certo e come campo giudicativo apoditticamente certo e ultimo su cui può fondarsi ogni filosofia radicale.” (ibidem). Naturalmente, è implicito, è l’atto dell’epoché trascendentale, della messa tra parentesi del mondo e di ogni “credenza d’esperienza” che riguarda il mondo oggettivo, che diventa il mezzo metodico “con cui io mi colgo come quell’io e quel vivere coscienziale, in cui e per cui l’intero mondo oggettivo è per me ed è proprio come esso è per me.” (ibidem). Cartesio denota con la parola cogito l’avere esperienza, il percepire, il ricordo, il pensiero, la valutazione, il giudizio etc.. Il mondo riceve l’intero suo senso e valore d’essere solo all’interno e attraverso le cogitationes. Cartesio, tuttavia, rimane prigioniero di un modo di concepire l’ego cogito come un assioma apodittico fondamentale, in connessione con un modo di vedere la scienza more geometrico. Ma, nello stesso tempo, avendo compiuto la “più grande scoperta”, senza avere, a sua volta, varcato la soglia dell’autentica esperienza trascendentale, ha aperto la via alla possibilità, rimanendo fedeli al principio dell’intuizione pura, di poter esperire “soltanto” ciò che noi stessi vediamo. In questa “evidenza assoluta” e intuitiva del “cogito” è data la possibilità della fondazione assoluta della scienza, secondo Husserl. 13  Sotto il profilo psicologico, afferma Ernst Cassirer, nel volume sulla feno-

menologia della conoscenza (Filosofia delle forme simboliche, 3, 1, Fenomenologia della conoscenza, 2002), “... sembra che il compito della percezione sia stato assolto quando si è scoperto il divenire della percezione e si sono stabilite le leggi causali di questo divenire. Queste, come particolari leggi empiriche, non possono essere trovate e determinate se non nel quadro della complessiva immagine della natura. Pertanto l’immagine della natura, quale viene abbozzata particolarmente dalla fisica, serve come necessario punto di partenza... La regolarità della natura e le categorie generali della conoscenza della natura vengono affermate fin dal principio: e da esse e in 211

Note

base a esse deve essere raggiunta la specifica spiegazione della percezione. In tal modo la psicologia della percezione sfocia necessariamente nella fisiologia e nella fisica. La psicologia diventa psicofisica, il cui compito primo consiste nello stabilire la dipendenza che sussiste tra il mondo delle percezioni e il mondo degli stimoli.”. Anche sotto il profilo gnoseologico che non parte dalle cause fisiche, quindi dalle cause della percezione, ma, all’opposto, dai “fenomeni” stessi, gioca un ruolo determinante lo “scopo” che viene posto alla percezione, cioè, il fatto di “rendere possibile l’esperienza”. “Ora il significato della percezione”, afferma il filosofo, “non consiste quindi nell’essere copia di un mondo esistente, bensì nell’essere in un certo senso il modello dell’oggetto naturale.” (ibidem). Cassirer sottolinea come la percezione contenga già in precedenza le determinazioni dell’oggetto naturale, in una specie di disegno schematico sul quale operano le pure funzioni dell’intelletto. “In base a questo nesso si spiega come anche qui la percezione venga di solito accolta fin da principio come una specie di ‘compagine’ oggettiva, del tutto analoga nella sua disposizione alla compagine della ‘natura’, alla struttura del mondo delle cose. Alle ‘proprietà’ delle cose corrispondono determinate ‘qualità’ della percezione.” (ibidem). In tal modo essa si presenta fin dall’inizio articolata e divisa in una molteplicità di categorie già orientate verso la “oggettualità” e la “oggettività”. “Di conseguenza, per quanto la pura critica della conoscenza nella sua descrizione della percezione ‘immediata’ risalga indietro, questa descrizione si trova sempre sotto quella norma universale che risulta dal concetto e dal compito generale della stessa critica della conoscenza. L’essenza della percezione viene determinata secondo la sua ‘oggettiva validità’.“ (ibidem). Diversamente, il mondo del mito, si presentava, secondo Cassirer, come un mondo tutt’altro che privo di struttura, “ma che non conosce ancora l’articolarsi della realtà in ‘cose’ e ‘proprietà’.” (ibidem). Il mondo “originario” è un mondo caratterizzato dalla “fluidità”, dalla “metamorfosi” e non ancora segmentato e suddiviso in un ordine di classi fisse. 14  Annotazioni sulla memoria [questa nota che segue costituisce una

libera riflessione che si svolge, volutamente, con molte ripetizioni, e si propone esclusivamente di presentare, attraverso l’immaginazione, delle ipotesi di lavoro]: Sostanza e tempo: il durare, il conservarsi. Quest’acqua che guardo, immutabile. Nell’aria appare il movimento, la sostanza diventa invisibile. Il tatto solamente sente il movimento del vento. Mi tocca e mi raffredda delicatamente. 212

Note Rispetto alle categorie di Salthe (Evolving Hierarchical systems, New York, 1985) 1)  Focal level 2)  Boundary conditions 3)  Initiating conditions

fenomeno ambiente costituenti interni

La sostanza corrisponde ai costituenti interni, a ciò di cui un’entità fenomenica è composta. Le sostanze di un tessuto sono le cellule. Per sostanze qui intendo il fenomeno che si presenta a un livello più profondo: il materiale elementare che appare. Le cellule sono invisibili a occhio nudo. E dire che gli organi sono la “sostanza” di un organismo appartiene a un livello categoriale più astratto. Sostanza va intesa qui a un livello descrittivo elementare e generale, come l’insieme di proprietà che costituiscono la fenomenicità più grossolana di un fenomeno. La materialità di una moneta, ad esempio. Gli animali percepiscono la fenomenicità elementare. Sostanza va qui intesa in questo senso. La forma di una moneta è l’ordine entro cui la sostanza si organizza, ma la sostanza è fenomenologicamente una totalità come la forma, è una totalità plastica. Per comprendere il significato delle categorie è necessario analizzare la loro genesi a partire dal processo percettivo stesso. Nella genesi della categoria “forma”, facciamo primariamente appello alla funzione visiva. La lucentezza di un vetro o di un metallo è spesso associata alla sensazione di “liscio” che apprendiamo dal tatto. Nella percezione degli oggetti fisici, la vista e il tatto sono fondamentali. La categoria “forma”, tuttavia, necessita della vista, perché la visione abbraccia la totalità delle cose simultaneamente. La vista è primariamente una percezione simultanea della totalità. Il tatto necessita del tempo, come l’udito. Se prendiamo in mano anche un oggetto di piccole dimensioni non possiamo percepire la forma, nella sua totalità, solo stringendolo in pugno. Dobbiamo tastarlo. Nell’atto di tastare, la forma non viene data simultaneamente, ma deve venir ricostruita dopo averla sperimentata in successione. Il colpo d’occhio è possibile, in modo particolarmente efficace, con la vista. Un altro senso che è dotato del colpo d’occhio è il senso chimico del gusto/olfatto. La percezione olfattiva/ gustativa, il sapore e l’odore, hanno la caratteristica, come la vista, di avvenire in modo simultaneo. Certamente, il tempo permette una migliore analisi, ma ciò che si percepisce, viene percepito come una totalità. Un odore o un sapore non sono scomponibili. Lo stesso vale per l’immagine visiva. È un tutto. Appare come una totalità. Vista olfatto gusto



udito tatto

 successione

simultaneità

213

Note

Queste proprietà costituiscono l’ontologia peculiare dei vari tipi di percezione. La vista trova un punto di contatto con l’udito e il tatto, nella percezione del movimento. Qui la successione appare, anche per la vista, come un fatto fondamentale. La proiezione encefalica, per questo scopo, non è quella corticale, ma quella che va al tetto del mesencefalo. Queste considerazioni ci permettono di distinguere, nel cervello, delle strutture che sono connesse, quindi, con la percezione in successione e con quella simultanea. Questa distinzione sembra ontologicamente non di scarsa rilevanza, perché pone il problema del rapporto che il cervello intrattiene con lo spazio e con il tempo. Esistono tuttavia delle qualità che non possono venir scomposte e hanno il carattere della continuità. Il duro, il molle, il liscio, il ruvido, gli odori, i sapori, il caldo, il freddo, il colore, il suono. Tutte queste proprietà vengono percepite come totalità continue. Sono elementi non scomponibili. La sostanza, intesa fenomenologicamente, può essere percepita come totalità, in un atto simultaneo, ad esempio attraverso il tatto. Una moneta, come sostanza, appare immediatamente definita attraverso una percezione simultanea. Certamente, un oggetto può essere composto di sostanze diverse e può essere troppo grande per essere tastato nella sua interezza, ma questo vale anche per le proprietà visive. Come possibilità, la sostanzialità può essere percepita istantaneamente, in un atto unico. Nella musica, la forma si manifesta, tipicamente, attraverso il tempo. La forma musicale è una forma temporale, così come sono temporali le forme del linguaggio, del pensiero e le forme dei processi di sviluppo organico, sia vegetali che animali. La vista non può cogliere questi processi. Una trasformazione, un processo di crescita (ammettiamo) accelerato di una pianta non può venir colto da un atto visivo unico, ma necessita del tempo. A questo livello, entra in gioco la memoria, come nei casi sopraddetti di percezione tattile e uditiva. Ciò che caratterizza la percezione simultanea, tipica della vista, è che l’atto percettivo è dato come totalità senza apparente bisogno della memoria (percezione istantanea). [Tuttavia, per apparire come rappresentazione (o presentazione, citando Brentano), la percezione deve avere una durata minima, garantita da ciò che Husserl chiama ritenzione o ricordo primario (aggiunta 2013)]. Appare chiaro che la percezione simultanea di una totalità si può considerare un atto di coscienza. Mentre una percezione nella successione è un atto che avviene nello spessore del tempo ed è quindi primariamente un atto della memoria. La forma si costruisce in modo che la parte successiva deve connettersi col ricordo di quella precedente. In questo modo, la forma è una forma mnemonica non una forma solo cosciente. 214

Note

Atti coscienti successivi di parti di una forma non potrebbero costituire quella determinata forma definitiva senza l’attività della memoria. La forma simultanea e la forma nella successione sono due fatti di natura profondamente diversa. La memoria connette esperienze coscienti successive.

46

Se guardo un oggetto e chiudo gli occhi, mi resta il ricordo dell’oggetto, come una specie di eco. L’intensità percettiva è diminuita. Se tuttavia una forma come totalità viene percepita attraverso atti successivi, l’apparire della forma come totalità produce un ravvivamento della coscienza. L’atto conoscitivo paga il prezzo determinato dalla diminuzione dell’intensità percettiva nel ricordo. Il ricordo, infatti, è una traccia percettiva, primariamente, un estratto di una percezione, sotto forma di rappresentazione. Una rappresentazione si costruisce come successione di percezioni che si esauriscono in una catena di echi mnemonici. Alla fine la forma appare nella coscienza come una catena di echi mnemonici delle percezioni che chiamiamo rappresentazione. Ciò che appare come totalità simultanea non ha in sé echi mnemonici, ma è attualmente e originariamente percepita. L’esperienza musicale è per essenza una catena di echi mnemonici. Ogni suono si aggiunge al ricordo del suono precedente per diventare a sua volta ricordo. La forma musicale è un continuo trapassare della percezione nel ricordo. Per questo l’esperienza della musica è così diversa dalla percezione visiva. Nella musica, la forma deve divenire ricordo per “fenomenizzarsi” nella coscienza, per apparire. Non esiste percezione della forma musicale, ma solo memoria della forma. Della musica abbiamo solo ricordo, non propriamente percezione. E la stesso vale per il linguaggio. Per questo, credo, Shelley diceva, nel Prometheus unbound: “Language is a perpetual Orphic song”, grande intuizione poetica. musica linguaggio

forma significato

Un ritmo come il lampeggiamento nelle lucciole non genera una forma mnemonica. Ogni impulso luminoso è un evento percettivo. La differenza tra una forma percettiva e una forma mnemonica consiste nel fatto che la 215

Note

47

connessione tra gli elementi che determinano la forma (suoni, colori, linee), nella forma percettiva, appartiene, almeno apparentemente, all’oggetto esterno. Si tratta comunque di una connessione simultanea. Non è ancora il fenomeno della rappresentazione, ciò di cui si parla. Anche se la connessione non è integrata come rappresentazione, essa tuttavia deve penetrare nel cervello attraverso i sensi. La rappresentazione è già un atto cognitivo più elevato. Una forma visiva, qualunque cosa essa sia, deve prima entrare in contatto con i sensi visivi. Qui si tratta solamente di notare la differenza tra il tessuto percettivo della forma visiva simultanea e il tessuto mnemonico della forma uditiva. tessuto percettivo tessuto mnemonico

forma visiva forma uditiva

simultaneità successione

La memoria, nella percezione musicale, non entra in gioco come riconoscimento, ma come intessitura strutturale cognitiva primaria della forma della melodia. Nel linguaggio si tratta dell’intessitura della parola e della frase. Nella vocalizzazione, della forma di un canto o di una frase del dialetto. La vista come l’olfatto stabiliscono la connessione dall’esterno. La forma olfattiva e visiva hanno in sé le connessioni che unificano le parti in una totalità, ammesso che in un odore si possa parlare di parti. Il messaggio, la forma, è intessuta nella simultaneità e l’intessitura fa parte del mondo esterno, non del mondo interno. La forma uditiva, diversamente, è generata da una connessione interna, basata sulla memoria. È qui che appare la diversità, nell’ontologia dei due fenomeni, simultaneo e successivo. Se venisse percepita simultaneamente, la successione di suoni di una melodia, verrebbe percepita come un accordo, come un’armonia, e sarebbe un’esperienza di natura completamente diversa. La memoria è diversa dalla coscienza, ontologicamente. Nel caso di cui si sta parlando, la coscienza costituisce il principio unificante interiore della psiche, è l’atto percettivo centrale, non periferico dell’organismo. Nell’uomo, la coscienza si fonda sulla rappresentazione. Ma la rappresentazione, nel caso di una forma visiva, simultanea, 216

Note

è la categorizzazione astratta primitiva (rappresentazione generale), la più semplice, che implica il “riconoscimento”. L’immagine visiva simultanea prerappresentativa, che noi, dall’esterno, chiamiamo forma, non è, in realtà, ancora una forma, al livello pre-rappresentativo. Si tratta tuttavia sempre di una connessione simultanea tra elementi o eventi. La coscienza intesse la forma al presente. È la memoria che permette la durata e intesse la forma nel tempo. Cosa garantisce lo spessore temporale della realtà per gli animali inferiori? L’apprendimento e la memoria sono congiunti e sembrano molto scarsi ai livelli inferiori della scala zoologica. Se la memoria è l’“organo” della durata e della conservazione, cosa garantisce lo spessore temporale della realtà agli animali, in cui la memoria è molto primitiva e rudimentale? Cosa intesse la continuità temporale, in assenza di percezione? L’ambiente circostante, la forma dei luoghi, che si manifesta nella simultaneità della visione, si modifica con il movimento dell’animale. Ciò che resta più costante è l’odore. L’odore crea il continuum percettivo, non mnemonico (e l’emozione interna). Le forze della memoria entrano in gioco in misura molto piccola. Nell’esperienza musicale come nel linguaggio parlato appare chiaro come ogni suono o ogni sillaba debbano trapassare nella memoria per connettersi col suono o con la sillaba successiva.

48

Il suono presente, percepito, si lega all’eco mnemonica (che continuamente si allunga) del suono precedente. Della percezione resta un’eco. La capacità di fissare in tracce le percezioni aumenta nella scala zoologica ed è correlata con l’aumento della capacità di apprendimento degli animali. La coscienza è una proprietà essenzialmente ricettiva, inizialmente basata sulle emozioni/sensazioni e in seguito arricchita dallo sviluppo della percezione, e più tardi, a livello umano, dal pensiero. coscienza

 emozione → percezione → pensiero

217

Note

Il pensiero, come il linguaggio e la musica (comprese le vocalizzazioni) necessita di connessioni mnemoniche che si svolgono nell’ordine di successione. Ciò che determina la connessione si deve ammettere sia contenuto nel dato sensibile. Non deve venir prodotto da un’azione interna. Il nesso formale appartiene alla percezione sensibile esterna, ma deve venir suscitato “automaticamente” all’interno del cervello dell’animale, almeno nei gradi inferiori. La memoria non è sufficiente a produrre l’esperienza interna della forma, ad esempio musicale, così come la forma simultanea contenuta in una percezione visiva non è sufficiente a produrre l’esperienza interna della forma. L’esperienza della forma implica una integrazione a un livello superiore, corticale, nei mammiferi e nell’uomo. La percezione visiva simultanea offre solo un continuum sensoriale, un “pieno” di elementi percettivi. Solo che nella vista, il “pieno”, il “tessuto”, è percettivo. Nell’esperienza uditiva, invece, è mnemonico. Ciò che dà continuità all’esperienza interna di un insetto è sicuramente la percezione, mentre a livelli più alti, e certamente nell’uomo, è il tessuto mnemonico. La psiche animale è “al presente”, è formata dal continuum percettivo. L’ambiente, la Umwelt, è la “memoria” dell’insetto. Gli animali inferiori vivono nell’esperienza spaziale, non in quella temporale, tipica della coscienza umana. La memoria è la base per la formazione di una relazione stabile di elementi percettivi dati. L’atto di individuazione della relazione come forma non appartiene più alla memoria, ma è un atto cognitivo superiore. La memoria fornisce, per così dire, la sostanzialità necessaria perché una forma temporale si iscriva. Gli animali inferiori vivono probabilmente nell’istante percettivo che appartiene alla dimensione della simultaneità, come un lampeggiamento ritmico di percezioni istantanee, senza durata. “istante percettivo” animali inferiori

“durata mnemonica” uomo

Ogni “istante percettivo” costituisce una “totalità”. La dimensione propria della psiche umana è quella della “durata mnemonica”, quella degli animali inferiori, invece, è la dimensione dell’“istante percettivo”. La durata mnemonica è ciò che garantisce la possibilità dell’autocoscienza del genere umano. L’ “istante percettivo” non rappresenta tuttavia un elemento di una forma in successione, ma è una totalità, come è una “totalità” la forma visiva simultanea. L’uomo, attraverso il consolidamento dell’esperienza mnemonica, possiede un “ambiente interno” psichico, individualizzato, biografico che si contrappone all’ambiente esterno (interiorizzazione della Umwelt), come “totalità simultanea”, in ogni istante della vita. {A questo proposito Dilthey afferma che “... il singolo momento [della vita] acquista un significato in virtù della sua connessione con la totalità... ” 218

Note

(W. Dilthey, Progetto di una continuazione per la costruzione del mondo storico, ibidem), la vita, cioè, è come una “proposizione” significativa, in cui le parti hanno un senso in rapporto con la totalità (ibidem).} (aggiunta 2013). Ogni percezione è costituita da un elemento ricettivo, un elemento emotivo e uno mnemonico. L’atto cosciente è la risultante di questi tre elementi: ricettivo emotivo mnemonico

Ricezione è cosa diversa da sentire. È come la differenza tra sensazione e sentimento. Il sentimento è un’esperienza più globale. Ogni percezione produce una trasformazione locale e una globale. Quella locale è la ricezione, mentre la memoria e l’emozione sono esperienze globali. Si può dire che, ascoltando una musica, la forma musicale si costituisce proprio per un passaggio dalla percezione “locale” (ricezione) di ogni singolo suono, alla sua memorizzazione ed “emozionalizzazione” che fa sì che l’eco mnemonica di un suono non sia, a livello umano, una semplice traduzione da un dato locale esterno a un dato locale interno. Se la sequenza di suoni ABCD... n entra nella psiche attraverso l’udito, in modo che il suono B si connetta con l’eco mnemonica del suono A precedente, e così via, si deve immaginare che l’eco mnemonica implichi una trasformazione globale quando è entrata nella psiche. Il flusso sonoro viene “emozionalizzato” e memorizzato, e la forma sonora “emerge” interiormente come una forma che non è la semplice somma dei singoli suoni, esattamente come l’acqua non è la semplice somma di una molecola di ossigeno e due molecole di idrogeno. Nel fenomeno “acqua” non c’è più né il fenomeno “ossigeno”, né il fenomeno “idrogeno”. Così la forma psichica non può considerarsi la semplice somma di suoni successivi. La relazione tra le funzioni psichiche memoria, coscienza, volontà etc., è analoga alla relazione tra gli organi del corpo di un animale superiore. Ogni organo implica la funzione degli altri; gli organi, infatti, sono tutti connessi tra loro. Le trasformazioni che avvengono tra le percezioni e le strutture mnemoniche della percezione non sono lineari. Negli animali inferiori è l’ambiente esterno, la Umwelt, a garantire la durata psichica, quindi la continuità. L’animale vive nel presente percettivo dell’ambiente che perdura. La sua vita psichica è ancora un riflesso dell’ambiente. È l’ambiente esterno, la Umwelt, la “mente” dell’insetto. Il corpo del singolo insetto vive entro la “mente” dell’ambiente, nell’“istante percettivo”. Poiché gli insetti vivono nell’“istante percettivo” e non possono sviluppare una memoria tale da ricevere una forma nello spessore del tempo, i messaggi ritmici acquistano importanza fondamentale. Un suono o un lampeggiamento si presentano per l’animale come totalità simultanee. 219

Note

Si può immaginare che ogni suono, ad esempio, venga percepito e produca quindi una trasformazione. Tuttavia questa trasformazione non lascia una traccia mnestica. “Traccia mnestica” vuol dire che il suono As si trasforma nella traccia mnestica Am. Deve cioè venir “interiorizzato”. Se non resta la traccia mnestica, il suono produce solo una specie di risonanza come un diapason che risuona al vibrare di un altro diapason uguale. Allora il fenomeno avrà un’intensità e una durata. Si spegnerà entro un certo valore di tempo. Si può ammettere che la “risonanza” che ha luogo nel cervello dell’animale sia connessa con una risposta “emotiva”. Nelle lucciole, ad esempio, il maschio lampeggia più o meno ritmicamente. Allora la femmina emette un lampeggio esattamente due secondi dopo che il maschio ha finito. In questo caso l’intervallo del segnale è della più grande importanza. Si può sperimentalmente attirare un maschio di una certa specie, facendo lampeggiare una luce due secondi dopo che questo ha terminato. Si può immaginare che il maschio percepisca il proprio lampeggio come una trasformazione del proprio senso della vista: una specie di risonanza, che può essere rappresentata come un’onda che si smorza.

49

Il lampeggio della femmina deve sommarsi in un punto, producendo un effetto che viene riconosciuto come un messaggio. Il fatto importante è che un lampeggio o un suono produca una trasformazione che può essere rappresentata come un fenomeno di risonanza, con un’onda che raggiunge un picco e poi si smorza (figura 49). La “memoria” dura fin che dura la risonanza. Questo potrebbe rappresentare un indizio per una memoria primordiale. memoria ← risonanza di una percezione

Il concetto di risonanza è importante perché implica una struttura che risuona con un fenomeno esterno. Il primo livello cognitivo, negli animali inferiori, si basa sullo stato di coscienza che possiamo chiamare dell’“istante percettivo”, in cui la simultaneità della percezione è il fondamento dell’architettura cognitiva. L’impossibilità dell’esperienza dello spessore temporale riduce la struttura dell’evento percettivo, non sostenuto dal persistere dello stimolo, quindi dalla durata esterna, a una risonanza che tende a smorzarsi. La struttura dell’esperien220

Note

za psichica dipende dall’ambiente esterno, dalla “mente esterna” di cui la psiche animale è solo un riflesso. La presenza di pacemakers nel sistema nervoso degli animali inferiori è il risultato di questa situazione primitiva. I ritmi rappresentano la forma elementare, primordiale della comunicazione animale. ritmi (vista/udito, lampeggiamento, suoni etc.) percezione del movimento e equilibrio comunicazione chimica

Nello sviluppo della struttura cognitiva degli animali, la memoria gioca un ruolo chiave. Le funzioni superiori della coscienza, pensiero rappresentativo, concettualizzazione e linguaggio, dipendono dallo sviluppo della memoria. Lo smorzarsi della risonanza può essere letto come un fenomeno di autoregolazione omeostatica dell’organismo. L’organizzarsi di una memoria più complessa significa lo sviluppo di qualcosa in grado di conservare le trasformazioni prodotte a partire dai sensi. Nel cervello devono apparire una o più strutture dotate di questa proprietà etero-statica. La memoria non può svilupparsi solo come un’appendice aggiuntiva, ma come una struttura integrata nella totalità del sistema. Gli eventi nuovi devono venir “assorbiti” senza che il sistema venga perturbato. L’omeostasi alla fine deve venir mantenuta, oppure il sistema deve essere in grado di “aggiustarsi” a un gradino diverso. Il sistema deve essere progettato come un sistema ontogenetico che abbraccia i cambiamenti dovuti all’attività cognitiva nella propria ontogenesi. La memoria deve essere cioè una continuazione dell’ontogenesi. Il fatto che il maschio della lucciola si avvicini alla femmina, dopo che questa ha lampeggiato a distanza di due secondi esatti, mette in evidenza un fatto fondamentale: dopo due secondi dal proprio lampeggio, il maschio si trova in uno stato tale che il lampeggio della femmina innesca una risposta comportamentale innata, un riflesso sessuale di avvicinamento. Così come nell’arco diastaltico lo stimolo innesca il riflesso muscolare, così nel riflesso di avvicinamento è una certa intensità, probabilmente ottenuta per sovrapposizione della fine del proprio lampeggio con quello della femmina a innescare il riflesso. I comportamenti innati implicano una “memoria” della specie che si può immaginare geneticamente determinata nella struttura del cervello. Il lampeggiamento sincronizzato attiva un impulso innato, una parte dell’istinto dell’animale. Questa memoria è strutturale e determina una reazione comportamentale come la struttura di un composto chimico determina il suo comportamento ossido-riduttivo. Questa memoria è strutturale e disposizionale, è costituita dagli impulsi allo stato potenziale. memoria strutturale o disposizionale

impulsi allo stato potenziale

N. B. Nel cervello, come negli invertebrati, non ci sono recettori del dolore.

221

Note

Memoria umana (da Kandel et al., Fondamenti delle neuroscienze e del comportamento, ibidem). Lobo temporale ippocampo – memoria a breve termine: pochi secondi e minuti, – memoria a lungo termine: giorni, – trasferimento della memoria a breve termine a quella a lungo termine (deficit dopo ablazione bilaterale del lobo temporale), sganciamento delle abilità logico-meccaniche da quelle mnemoniche. Memoria esplicita: impariamo che cosa indica una parola, e quindi impariamo a conoscere le persone, i luoghi e le cose che hanno accesso alla nostra coscienza → lobo temporale mediale. Memoria implicita: impariamo come fare le cose, e quindi acquistiamo abilità motorie o percettive che non hanno accesso alla coscienza → vie percettive e riflesse. “La memoria esplicita codifica l’informazione che riguarda gli eventi autobiografici e le sue conseguenze relative a fatti passati. La sua formazione dipende da processi cognitivi come la valutazione, il paragone e l’inferenza. Le tracce mnemoniche possono essere attivate mediante un atto intenzionale di richiamo alla mente.” (Kandel et al., ibidem). “La scorsa estate sono andato a trovare mia nonna nella sua casa in campagna.”. “L’oro è più pesante dell’acqua.”. Parte mediale del lobo temporale → accumulo a lungo termine di nuovi ricordi. “L’ippocampo sembra essere soltanto un deposito temporaneo per la memoria a lungo termine. Esso trasferisce le informazioni apprese ad altre aree, presumibilmente alla corteccia cerebrale, dove vengono immagazzinate in modo permanente. Per esempio le informazioni sensoriali necessarie per il riconoscimento di una faccia vengono elaborate nelle aree visive della corteccia cerebrale implicata nel processo di riconoscimento delle facce, situate nella corteccia infero-temporale. Queste informazioni inerenti le facce vengono inviate contemporaneamente alla corteccia entorinale, che dà origine al fascio perforante, che è la via afferente più importante all’ippocampo. L’ippocampo e le aree del lobo temporale immagazinerebbero e elaborerebbero le informazioni appena apprese per alcune settimane o mesi e poi le trasferirebbero alla corteccia cerebrale, alle aree implicate nel riconoscimento delle facce.” (ibidem). 222

Note

“La memoria implicita possiede proprietà automatiche o riflessive e la sua formazione ed il suo richiamo non dipendono affatto dalla coscienza o da processi cognitivi. Questo tipo di memoria si accumula lentamente con la ripetizione di numerose prove successive [ad esempio, imparare un pezzo al pianoforte], si manifesta in paricolar modo attraverso il miglioramento delle prestazioni e di solito non è possibile esprimerla con parole. Esempi di memoria implicita comprendono le abilità percettive e motorie e l’apprendimento di alcuni tipi di tecniche e di regole, come quelle grammaticali... Il richiamo alla mente delle informazioni apprese con questo tipo di apprendimento è automatico ed avviene senza alcuno sforzo intenzionale;… la memoria implicita relativa a particolari compiti [sembra] collegata con l’attività dei sistemi sensoriali e motori implicati nell’apprendimento del compito stesso e [viene] conservata mediante meccanismi di immagazzinamento inerenti a ciascuno di questi sistemi." (ibidem). Le ricerche di Pavlov sul condizionamento, all’inizio del secolo XX, segnarono un importante passaggio da una fase in cui veniva enfatizzata l’importanza dell’introspezione ad una nuova in cui veniva privilegiata l’analisi obiettiva [sperimentale] di stimoli e risposte. Le risposte incondizionate sono innate (ad esempio: il cibo determina salivazione), e ad esse si associa uno stimolo condizionato [che non evoca risposte innate]. In questo modo si studia il meccanismo dell’associazione. Il condizionamento classico determina spesso la formazione di una memoria implicita. Alcune forme di memoria implicita comportano l’intervento dell’amigdala e del cervelletto; in particolare lesioni del cervelletto interferiscono con varie forme di apprendimento motorio. La memoria a lungo termine richiede la sintesi di nuove proteine e lo sviluppo di nuove connessioni sinaptiche. Le mappe somatotopiche cerebrali possono venir modificate dall’esperienza – cioè l’apprendimento induce modificazioni strutturali nel cervello – sembra che nei mammiferi e nell’uomo l’apprendimento possa determinare modificazioni in molte cellule nervose e che ciò possa modificare gli schemi fondamentali di interconnessione che sono caratteristici dei diversi sistemi sensitivi e motori interessati a un particolare compito di apprendimento. La modificazione di mappe corticali sembra coinvolta nell’espressione biologica dell’individualità. Memoria strutturale o disposizionale innata Il problema principale nello studio dell’attività psichica riguarda il passaggio dalla perturbazione fisica esterna che ha origine nei recettori, all’esperienza psichica interna che necessita della funzione del cervello come un tutto. 223

Note

Ogni esperienza implica un’azione globale dell’encefalo, che si appoggia su certe strutture particolari, ma deve alla fine implicare una molteplicità di connessioni neurali. L’esperienza psichica si manifesta con due fenomeni fondamentali: l’emozione e la rappresentazione. emozione

rappresentazione

Nell’emozione c’è l’elemento primordiale impulsivo dell’esperienza psichica. Nelle emozioni si prova qualcosa. Tutti gli stati della psiche costituiscono dei gradi di emotività. L’emozione comprende sia l’impulso che la percezione. L’emozione ha in sé in germe sia il conoscere che l’agire. La paura è, allo stesso tempo, una forza oscura di conoscenza e un impulso a fuggire. La percezione rappresenta il passaggio dallo stato fisico allo stato psichico. La percezione musicale risulta particolarmente utile per analizzare a fondo il problema di questo passaggio. La forma musicale non rappresenta una mera somma o associazione di suoni. Il passaggio che avviene nel processo percettivo è un passaggio dallo stato di esistenza reale, cioè l’in-sé, allo stato di esistenza intenzionale, cioè il fenomeno. I fenomeni sono inevitabilmente oggetti ideali. L’in-sé ci parla, diventa fenomeno. La psicologia è la scienza filosofica che cerca di studiare come l’in-sé diventi fenomeno, cioè la fenomenologia della fenomenizzazione. Lo spazio e la prospettiva non sono la stessa cosa. Lo stesso vale per il tempo, soltanto che per il tempo, non è stato mai a fondo chiarito cosa sia la prospettiva. È qui che l’analisi kantiana ha sbagliato. Kant ha confuso lo spazio e il tempo con le prospettive. Una cosa è lo spazio in-sé, come ordine, una cosa è lo spazio come fenomeno, cioè la prospettiva. Nella musica e nel linguaggio appare la prospettiva temporale. Il ritmo è la forma primordiale del messaggio percettivo. È interessante che la rete nervosa dei Celenterati cnidari sia la forma primordiale di SNC. Questa struttura a rete, nei vertebrati e nell’uomo, entra in gioco nella formazione reticolare ed è connessa con il tono generale corticale. È quindi connessa con l’attenzione. Le percezioni producono, attraverso la formazione reticolare, un aumento del tono elettrico del cervello e partecipano alla costruzione dello stato interiore di veglia. Negli animali inferiori dove non c’è una chiara demarcazione tra lo stato di veglia e di sonno, lo stato interiore generale deve dipendere totalmente dalla percezione, cioè dall’afflusso di stimoli attraverso i sensi. Ciò che noi riempiamo attraverso la memoria e il pensiero, negli animali inferiori è colmato dall’afflusso percettivo. Probabilmente gli animali inferiori sono attraversati da stati emotivi profondi e inconsci. Si può immaginare che l’emotività generale sia condizionata dall’afflusso percettivo che è alla base della continuità dello stato psichico. Le percezioni e il loro flusso sono la base dello stato 224

Note

psichico generale di un animale inferiore, il giorno e la notte hanno, per gli invertebrati, la funzione che il sonno e la veglia hanno per i mammiferi. La forma elementare di percezione è determinata fondamentalmente dall’intensità di un impulso sonoro, luminoso, olfattivo o tattile. Non è una forma determinata, ma un continuum che manifesta un’intensità. Se lo stimolo è intermittente, l’effetto è rappresentabile con un’onda che ha un picco → un flusso di stimoli, negli invertebrati, genera uno stato emozionale. La memoria elementare è ricordo, come permanenza di uno stato emozionale legato a una percezione. La percezione produce una perturbazione fisica che si traduce, dalla periferia al cervello, in una integrazione elementare, come perturbazione di uno stato emozionale elementare. massima intensità Le variazioni della temperatura, della luminodell'effetto sità, della densità del mezzo, producono mo50 dificazioni degli stati emozionali. Così come, progressivamente, negli animali, nel cervello si consolida, anteriormente, una parte ben distinta, così al suo interno, le funzioni tendono ad organizzarsi in maniera gerarchica, disponendosi in alto come corteccia, negli animali superiori. Lo stato emozionale si separa e si differenzia nelle sue parti: → rappresentazioni → immagini → impulsi

Lo studio della percezione della musica è interessante, perché, pur essendo una melodia un fenomeno altamente differenziato e, non potendosi parlare di forma nel senso usuale, visivo, del termine, tuttavia la percezione musicale costituisce un chiaro esempio di come il cervello risponda come un tutto alle perturbazioni locali dei timpani. La risposta del cervello come una totalità dà origine alla prospettiva temporale e all’effetto estetico della percezione musicale. L’istante percettivo presente, il suono in atto, deve connettersi al suono precedente, che si è trasformato in un’esperienza interna. In cosa si è trasformato? Certamente il flusso musicale dà origine a un flusso di sensazioni interne, globali, che possiamo chiamare emozioni estetiche. La musica non dà immediatamente origine a rappresentazioni, come fa la forma visiva. Un “volto” o un “albero”, viene riconosciuto. Il godimento estetico di un quadro è collegato con la rappresentazione. La musica è più simile a una bevanda, può, ad esempio, essere “dolcissima” o “fredda”. Ciò che viene primariamente suscitato è un’emozione, un sentimento, o, 225

Note

in generale un “sentire”. La componente “cognitiva”, rappresentativa, il contenuto intellettuale è minimo nell’esperienza musicale. Il sentimento prevale nettamente. L’emozione domina sulla rappresentazione. La melodia si configura come un’intessitura mnemonica, non attualmente percettiva. Il suono presente è l’ultimo di una “catena” di ricordi di suoni. Di fronte a una forma visiva simultanea, ogni elemento della forma presente è “percettivo”, non mnemonico.

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I gradini attraverso i quali il processo si configura sono: 1) un suono è attualmente percepito 2) il suono percepito resta allo stato di eco mnemonica 3) il suono attuale e l’eco mnemonica vengono associati4) sintesi dei suoni associati Abbiamo quindi le seguenti entità: – – – – –

dato come percezione attuale dato come eco mnemonica associazione tra eco mnemoniche sintesi delle eco mnemoniche associazione tra l’ultima eco mnemonica e il suono percepito o meglio tra il suono percepito e la sintesi tra gli eventi già accaduti – sintesi dell’associazione tra sintesi precedente e suono attuale percepito Abbiamo quattro entità fondamentali: – il dato come percezione – il dato come eco – l’associazione – la sintesi Nell’osservazione di un volto, l’associazione avviene tra gli elementi percettivi – questi apparentemente entrano tutti insieme – mentre i suo-

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Note

ni entrano, in una melodia, già come elementi isolati, in una forma visiva simultanea, entrano simultaneamente tutti gli elementi, anche quelli che appartengono allo sfondo. Perciò deve avvenire un’analisi prima della sintesi degli elementi della forma. In ogni caso il dato ontologicamente più rilevante è che la percezione visiva introduce tutti gli elementi contemporaneamente e non uno alla volta. Ciò che risulta da queste considerazioni è che la percezione è un fatto eminentemente spaziale. Il tempo implica necessariamente la memoria. Memoria e percezione si affacciano l’una sull’altra. Il punto di contatto tra il mondo esterno e il mondo interno è la memoria. La psiche si presenta al mondo esterno come memoria. La coscienza o è coscienza di percezioni in atto, o è coscienza di stati mnemonici [anche la coscienza di un’emozione è coscienza di una percezione in atto]. La percezione interna [l’unica, secondo Brentano], dell’organismo, come esperienza psichica o è esperienza di emozioni e impulsi in atto, o è esperienza di eco mnemoniche. La durata come esperienza o è riempita di percezione o è riempita di memoria. Ma la durata come “corpo” va distinta dalla durata come fenomeno psichico. La coscienza di un insetto è istantanea, è “istante percettivo”. La memoria della specie è una memoria strutturale che dà la forma attuale dell’organismo. Ogni istante è costituito dall’incrocio tra percezione esterna e percezione dello stato istantaneo interno, che entrano in contatto continuamente. Tutto è presente per un insetto, l’insetto rinasce ad ogni istante. La durata si fonda sulla continuità percettiva. La forma dell’ambiente, della Umwelt, è la forma della mente dell’animale. L’esperienza introspettiva umana mostra come la continuità dell’esperienza cosciente sia dovuta al fatto che l’istante si connette col passato attraverso la memoria [la ritenzione]. La coscienza umana non è istante percettivo (anche le emozioni vengono percepite), ma è flusso. Cosa significa flusso? Significa che l’istante percettivo, che nell’uomo è “rappresentazionale”, si connette continuamente con l’istante precedente che perdura allo stato di eco mnemonica. Solo nei processi inconsci siamo come gli insetti. Nei sogni, ad esempio, l’inconscio entra in qualche modo attraverso il ricordo nella coscienza. Il ricordo è il passato della coscienza. Ogni istante si trasforma in ricordo. La musica lo mostra chiaramente. Kant nella Dottrina trascendentale degli elementi (Critica della ragion pura, parte II, Logica trascendentale), confonde il tempo con la memoria. Attribuisce al tempo, che è solo un ordine (della successione, seguendo la notazione di Leibniz), la funzione che ha invece la memoria, come “funzione” (o struttura?) cognitiva. La memoria è un fattore biologico. Le rappresentazioni e gli universali intuiti devono venir ricordati per entrare in gioco nelle operazioni mentali della conoscenza. 227

Note

Il problema è sempre il passaggio da uno stato attuale presente che deve per forza essere percettivo (percezione esterna o interna) a uno stato “passato” interno, che deve configurarsi come ricordo, cioè deve trapassare nella memoria. Nella memoria, il tempo appare come prospettiva, analogamente a come appare lo spazio per la vista. Nella musica, la sequenza dei suoni non crea (o non suscita) un processo rappresentativo nella coscienza, ma un processo estetico dove la prospettiva del tempo appare. La musica crea l’effetto “prospettiva” nel tempo. In ogni caso la percezione uditiva, sia essa musica o linguaggio, è possibile perché le percezioni trapassano in ricordi. La sintesi superiore è fatta su un’associazione o relazione di elementi mnemonici. Qualsiasi movimento necessita della memoria per essere percepito. Non bastano gli organi di senso. È il cervello che “percepisce” il movimento, non gli organi di senso. Devono esister strutture capaci di modificazioni transitorie. Consideriamo ancora la musica: il suono B segue il suono A in una melodia formata dai suoni ABCDE. Immaginiamo che la melodia sia rappresentabile nella forma di una figura geometrica,

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che va pensata come qualcosa di fluido, come uno sviluppo. Quando il suono D è in atto, cioè presente, la relazione ABC possiede già nella coscienza la forma:

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cioè è stata sintetizzata e deve esistere allo stato di eco mnemonica cosciente. Questa forma è generata da molteplici fattori: intensità, durata degli intervalli, etc…. Non è il suono A che viene memorizzato e poi il suono 228

Note

B etc.. Ma deve avvenire un’integrazione, cioè una sintesi immediata che deve permanere come eco. Il processo è probabilmente molto complicato. È una forma che si sviluppa, non un suono che si associa all’altro, in modo lineare. È cioè qualcosa di “organico”. Il processo mnestico è un processo “morfogenetico”, sostanzialmente. [Abbiamo citato precedentemente queste considerazioni di Merleau-Ponty (La natura. Lezioni al Collège de France, 1956-1960, ibidem): “La melodia”, afferma Merleau-Ponty, “ci dà una coscienza particolare del tempo. Noi pensiamo naturalmente che il passato secerna il futuro davanti a sé. Ma la melodia rifiuta tale nozione del tempo. Nel momento in cui comincia la melodia, l’ultima nota è, a suo modo, presente. In una melodia avviene un’influenza reciproca tra la prima e l’ultima nota, e noi dobbiamo dire che la prima nota è possibile solo attraverso l’ultima e viceversa. È così che avvengono le cose nella costruzione di un essere vivente.”. La melodia è la forma di una totalità a cui le parti sono sottomesse, come conferma anche Géza Révész (Psicologia della musica, 1982): “Certo la melodia è costituita da toni singoli, così come una figura è formata di linee; ma il prodotto finale, che appare immediatamente, è un’unità, un’individualità che non può essere colta partendo dagli elementi componenti.”. Tuttavia, continua Révész, deve trattarsi di musica “che si muove nel nostro sistema tonale, che ci sia nota e famigliare.”. Nel caso della musica esotica, ad esempio, dobbiamo imparare a conoscerne la struttura “prima di poterla cogliere come una forma unitaria.” (ibidem). Aggiunta 2014]. la memoria come morfogenesi

Il cervello, quindi, deve essere organizzato per produrre degli sviluppi morfogenetici, non riducibili a schemi o modelli lineari e meccanici. Se la memoria è un processo morfogenetico, allora le rappresentazioni neurofisiologiche sono insufficienti. La presenza di sintesi proteiche nelle sinapsi va, in ogni caso, d’accordo con queste ipotesi. La “mnemonica” è un’attività organica dinamica come la logica e il linguaggio. Memoria, pensiero e linguaggio sono tutte attività morfogenetiche, organiche e complesse e non sono riducibili a modelli e schemi di tipo lineare. La logica della memoria o “mnemonica” va studiata e costruita. Dimenticanza (oblio) e ricordo sono come analisi e sintesi, sono processi complessi e dinamici. La memoria non è una somma di ricordi (come una melodia non è una somma di suoni). Come il linguaggio è articolato, ad esempio, in una sintassi basata su soggetto, verbo e complemento oggetto, così il ricordare ha una sua articolazione. pensiero → rappresentazione linguaggio → parola memoria → ricordo

229

Note

Come il pensiero porta alla luce i concetti, attraverso le rappresentazioni, e il linguaggio le frasi, attraverso le parole, così la memoria si costituisce attraverso i ricordi. Un ricordo è un insieme di tracce mnestiche, o meglio, un sistema o un organismo. Il pensiero usa il linguaggio per costruire i concetti e il linguaggio usa la memoria per creare la sua struttura temporale, la sua architettura. La memoria si configura attraverso le percezioni, a livello filogenetico e ontogenetico. L’ordine gerarchico può essere rappresentato in questo modo: A = animali inferiori

B = animali superiori e uomo Al livello più elementare: pensiero B linguaggio memoria

coscienza

volontà

A percezione

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volontà →

memoria

← coscienza

percezione

Memoria e percezione costituiscono lo stato emozionale di un animale inferiore (uno specchio dell’ambiente). L’emozione è una rappresentazione trattenuta, in un certo senso. Negli animali inferiori che vivono allo stato di “istante percettivo”, la coscienza è ridotta alla percezione e la volontà all’impulso o pulsione.

55

L’istante percettivo è una dimensione diversa da quella temporale della coscienza umana. La vita psichica di un animale è al presente, è un “lampeggiare” di istanti percettivi. L’animale inferiore vive nella percezione. 230

Note

L’ambiente comprende i molteplici individui della specie – e di altre specie – l’ambiente è il soggetto o la mente, per gli animali inferiori. ←

ambiente



specie (molteplicità ← società di individui) individuo

Negli animali inferiori, la forma più elementare di memoria è la continuità dello stimolo percettivo, che irradia dall’ambiente, ad esempio, una costellazione di odori. vita nell’attimo della percezione

Poiché lo stimolo non giunge ad evocare una rappresentazione, che è un atto cognitivo più elevato, si può immaginare che lo stimolo provochi, come reazione globale del SNC, un’emozione determinata (una specie di simpatia/antipatia). L’emozione, per un processo di abituazione, si stabilizza. L’emozione contiene la rappresentazione trattenuta dell’odore. Anche nell’uomo e nei mammiferi, emozione e memoria coinvolgono le stesse aree sottocorticali (amigdala, ippocampo, lobo limbico, in generale). odore ←

ambiente

emozione interna

Vogliamo ribadire questo concetto che ci sembra importante: l’odore, lo stimolo olfattivo, ha la proprietà di offrire la propria qualità, cioè la propria “forma”, nell’istante percettivo, in modo simultaneo. La permanenza di un odore crea una continuità temporale percettiva esterna, una sorta di memoria esterna. E qui si può mettere in evidenza il legame profondo tra percezione e memoria: l’esperienza della continuità della coscienza. La coscienza in un caso come questo è una catena di istanti percettivi identici, un tessuto mnemonico esterno. Poiché l’animale inferiore non possiede una durata interna cosciente, l’ambiente funge da memoria primordiale, attraverso la percezione – sentire l’ambiente vuol dire che la mente dell’animale inferiore è fuori di sé. Un Celenterato cnidario, probabilmente, sente l’ambiente come la propria mente – il sé è fuori. Quel germe d’emozione suscitato dagli stimoli esterni è in rapporto con una psiche fuori dall’animale. Il diminuire degli stimoli, ad esempio, durante la notte, fa emergere, forse, la percezione interna. Sicuramente una percezione interna c’è sempre e aumenta quando 231

Note

calano gli stimoli esterni. La fame, la sete e altri stimoli si affacciano da dentro come percezione. La continuità temporale, in ogni caso, è determinata dalla presenza di stimoli percettivi che perdurano. La memoria primordiale ha la forma della percezione – nelle piante, dove non c’è percezione, gli stimoli esterni vengono integrati nei processi morfogenetici. La percezione sorge al posto della morfogenesi, ne è la continuazione [una sorta di morfogenesi inversa]. Il movimento nello spazio è la base del comportamento animale. Alla base del movimento c’è la pulsione, l’impulso. Un particolare movimento risulta come attuazione di un particolare impulso – un istinto è un programma specifico generato da una certa categoria di impulsi. Quando la pianta giunge a maturazione, si sviluppa il fiore e il frutto. Quando l’animale giunge a maturazione sviluppa un comportamento sessuale, ad esempio. La sequenza degli eventi che costituiscono un determinato comportamento non può essere colta nel suo spessore temporale, perché l’animale non ha una continuità della coscienza, cioè manca di una memoria cosciente. L’animale inferiore vive nell’istante, non nel tempo. Ogni istante è una totalità conchiusa. Il movimento da A a B è un tutto in A come in B. Anche un comportamento deve essere “organico”: la parte deve sempre contenere la totalità. L’impulso rappresenta la totalità di un istinto nell’istante emozionale, psichico – ogni singolo impulso deve contenere tutto l’universo interno della specie, come ogni istante percettivo deve contenere la proiezione della totalità del mondo esterno. Un comportamento si svolge, come si svolge un giorno attraverso i cambiamenti della posizione solare. L’animale ha un certo comportamento, passa attraverso cambiamenti fisici e spostamenti, come se il mondo interno fosse un altro ambiente esterno. Come si muove il sole e cambia la luminosità, così avvengono cambiamenti nel suo corpo, così il suo corpo si sposta da A a B e cambia di luogo. Ma la sua coscienza vive nell’istante percettivo. Nell’istante della percezione simultanea si incontrano due mondi, quello esterno dell’ambiente, in cui l’animale incontra i propri simili, e il mondo interno dei suoi istinti, cioè degli istinti della specie. Specie e ambiente si incontrano nell’istante percettivo, coi loro mutamenti. Il comportamento specifico non è che la continuazione all’esterno della fisiologia degli organi. Tutto è inconscio, sincronico e automatico. L’emozione animale è il punto “cosciente” e istantaneo di convergenza tra questi due mondi. Ma non c’è ancora memoria, solo impulso e percezione. L’impulso genera il movimento, cioè un dato comportamento, come la percezione genera la coscienza. Nell’istante percettivo coscienza e memoria coincidono. La forma elementare della memoria è la continuità temporale, la dura232

Note

ta dello stimolo percettivo, esterno o/e interno. Tutto converge nell’emozione. Lo stato emotivo è la risposta individuale. L’individuo emerge come individuo emotivo. Ora consideriamo uno stimolo che non sia continuo, come ad esempio un lampo di luce o un suono. Il lampeggiare di un odore è impensabile. L’odore è uno stimolo di natura particolare, anche perché implica una modalità chimica. Un lampo o un suono finisce: ha una certa durata e una determinata intensità. Quando è scomparso cosa può accadere? Quando colpiamo una campana, essa risuona per un tempo maggiore rispetto a quello necessario per produrre il suono. Il battito del martello è istantaneo, la vibrazione della campana ha una durata. Il cervello è come una campana, toccato in un punto, cioè nel recettore, “vibra” come un tutto, come una campana. Questa analogia può risultare utile per comprendere il passaggio dalla percezione alla memoria. Ancora più forte appare l’analogia di due campane che vibrano in consonanza, o due diapason uguali. La risonanza come fenomeno elementare guida il pensiero ad avvicinarsi al concetto di “memoria”, attraverso un procedimento fenomenologico. La risonanza ha una durata e un’intensità e rappresenta la trasmissione e la riproduzione di un fenomeno. Negli animali inferiori, la percezione non produce una rappresentazione, ma uno stato emotivo. Una perturbazione emozionale corrisponde a una risposta globale a uno stimolo localizzato in un determinato organo di senso, qualcosa di paragonabile al piacere o al dolore. La rappresentazione, nell’essere umano, è una forma complessa, in cui la percezione visiva gioca un ruolo determinante. Si può dire, in senso vago e generale, come ipotesi di lavoro, che il rappresentare unifica l’esperienza uditiva e quella visiva. L’esperienza visiva è, gnoseologicamente, l’esperienza più “chiara” da un punto di vista psichico. Il pensare e il vedere sono esperienze congiunte e lo mostra anche l’etimo: teoria ha dentro di sé la radice di orao, vedere [in Platone, l’idea, ad esempio, è ancora un “vedere”, se pure intellettuale]. È come se risuonassero insieme nella parola “teoria” il “divino” teo- e il “vedere” orao: visione divina-pensiero. È la simultaneità della visione [gesto apollineo] a portare questa componente conoscitiva della rappresentazione, la parte, per così dire, spaziale, del conoscere. La parte temporale [il gesto dionisiaco], la prospettiva del tempo, come successione, viene invece dall’orecchio, dalla percezione uditiva, come risulta chiaramente da un’analisi fenomenologica dell’esperienza musicale, in cui la “forma” come “melodia” si sviluppa nel tempo [la melodia come “fisionomia” temporale]. Tempo e sviluppo, simultaneità e visione, suono e luce [occhio e orecchio]. 233

Note

L’esperienza olfattiva è invece la base, il germe, in cui, ciò che nella visione e nell’udito è separato, risulta unito. Nell’odore che dura e resta uguale a se stesso è data la possibilità della continuità temporale e dell’esperienza della qualità. Non ancora la “forma”, ma la “qualità”, qualcosa che non può venir rappresentato, che resta come un germe a livello di emozione. Nella visione, il colore e l’intensità luminosa portano a un tipo analogo di esperienza. Ma nell’olfatto, la variegatezza delle sfumature è superiore, imbattibile. Esiste una sorta di gerarchizzazione delle percezioni: pensiero (concetto) linguaggio (rappresentazione)

vista

memoria

udito

emozione percezione

olfatto tatto

forma

significato relazione

sostanza

movimento

56

La gerarchizzazione delle funzioni psichiche e delle percezioni può essere comparata in questo modo (figura 56). La funzione della memoria assolve a ciò che Kant cercava nei suoi “schemi trascendentali”, per i quali entrava in gioco primariamente il tempo. La forma è l’entità cognitiva su cui si fonda il pensiero. La qualità è la categoria formale più elementare. Tra le categorie di Aristotele, “qualità” e “tempo”, come risulta nella classificazione di Franz Brentano, nel libro del 1862, dal titolo Sui molteplici significati dell’essere secondo Aristotele (1995), sono entrambe proprietà formali dell’essere. Il tempo è, per così dire, il mediatore tra qualità e forma, nel senso cognitivo più alto del termine. L’“odore” è “qualità”, nel senso elementare, come il “colore”, ma non è ancora “forma”. Il passaggio è dovuto al tempo. Il significato è l’essenza della forma, la qualità il suo atomo sostanziale. Le qualità, come il “rosso”, un odore, un suono, il calore, etc., hanno la proprietà di essere indivisibili, continue, ma nello stesso tempo possiedono una specificità, una determinatezza. Nella psiche, le qualità stanno alla base dell’architettura interna, sono elementi essenziali della fenomenicità. Fenomeno e qualità sono indissolubilmente legati. continuo qualità

discontinuo forma

Forma implica una rottura di simmetria, una pluralità di elementi, e una rottura della continuità. La qualità più elementare, il calore ha una proprietà, rispetto alla questione percettiva, che assomiglia (è analoga) all’odore 234

Note

e al suono. Un oggetto caldo (inorganico) si raffredda spontaneamente. Il raffreddarsi spontaneo somiglia all’estinguersi di una “risonanza”. La percezione di un suono, di un odore, si estingue, così come un corpo caldo tende a raffreddarsi. Estinzione e dimenticanza. Risonanza e memoria. Tutte le sensazioni, nell’uomo e nei mammiferi, eccetto l’olfatto, giungono alla corteccia da due vie, dal talamo e dal mesencefalo. La via olfattiva, invece, è diretta. Questo è un fatto primordiale. Il fenomeno della risonanza offre una preziosa analogia per comprendere la genesi della memoria. La rappresentazione è una struttura cognitiva complessa. Occorre immaginare che la situazione di coscienza di un invertebrato sia tale che il suo patrimonio cognitivo non si fondi su rappresentazioni, ma su emozioni elementari. La memoria primordiale, quindi, non può essere memoria di rappresentazioni, ma di stati emozionali. Un odore per essere ricordato deve suscitare un’emozione che si conserva, vale a dire, che deve rimanere “associata” un’emozione a un particolare odore. La risonanza, cioè la reazione dell’organismo allo stimolo, si estingue al cessare dello stimolo stesso, ma il cervello resta “sensibilizzato”. La memoria della specie, in un animale inferiore, deve essere tale che, filogeneticamente, un cervello di un animale di una certa specie, sia conformato in modo tale da riconoscere certi stimoli. Come un diapason A uguale a un diapason B risuona con il diapason B, quando questo vibra, così il cervello di un animale di una certa specie risuona con gli stimoli del suo ambiente, della sua Umwelt, e solo con quelli. Il cervello è quindi originariamente, il risuonatore di un ambiente, l’organo di una mente esterna. L’organismo che sta al di qua del cervello risulta a sua volta connesso col cervello secondo certe risonanze.

cervello

organismo percezione interna

ambiente percezione esterna

memoria specifica

57

235

Note

Ogni animale ha una Umwelt percettiva che sta dentro l’ambiente globale che è connesso con l’animale come organismo e con l’animale come psichismo. La Umwelt specifica percettiva è la mente vera e propria dell’animale. L’interazione organismo/ambiente vive nella psiche. Quest’ultima si completa alla fine del processo morfogenetico. Le relazioni morfogenetiche tra le parti, si trasferiscono nella psiche che diventa il direttore d’orchestra delle funzioni. Una faccia dello psichismo è rivolta verso l’organismo e correla le funzioni attraverso l’interazione neuro-endocrina. L’altra faccia è rivolta verso l’ambiente ed è il suo specchio cosciente. Non l’ambiente generale, ma, come diceva von Uexküll, la Umwelt specifica dell’animale. La memoria innata fa sì che l’animale possieda comportamenti riflessi. Non c’è apprendimento, ricordo, riflessione, rappresentazione. Al massimo una percezione. La risposta riflessa, come l’arco diastaltico patellare, è associata a una sensazione tattile di pressione che non giunge a suscitare un’emozione generalizzata. Ma è un primo punto di partenza, fenomenologico, per riflettere sulle coscienze animali. Il movimento esteriore di estensione della gamba nel riflesso patellare costituisce la risposta. La percezione tattile ha la caratteristica di essere un’esperienza localizzata. tatto     localizzazione

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Il gusto possiede ancora una certa localizzazione. Con l’olfatto l’esperienza si generalizza e diventa sempre più globale. La percezione più elementare è la percezione tattile legata al movimento ondulatorio in un animale marino “accarezzato dall’acqua”. galleggiamento

→ nuoto → movimento e tatto

Un invertebrato marino che oscilla nelle correnti. Percezione senza memoria. L’istante percettivo è inimmaginabile. È uno stato pre-cognitivo. Movimento allo stato puro, forse non diverso dalla quiete. La memoria origina dalla percezione. percezione

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→ emozione → memoria

Note

L’odore dà un’esperienza più interna, più globale. Il perdurare di un odore con l’emozione corrispondente. Un’emozione olfattiva, diversa con odori diversi. Alcuni odori hanno proprietà endocrino-stimolanti. Il perdurare dell’emozione dovuta a un odore: una memoria primordiale. olfatto → emozione → memoria

Le sensazioni termiche sono meno interne, sono più periferiche? Anche le percezioni interne come quelle evocate dalla fame, dal cibo, etc., sono importanti. Tuttavia l’olfatto è qualitativamente fondamentale. odore del cibo, della preda, del sesso → emozioni → durata emozione + durata → memoria

→ percezione

La memoria origina da una percezione che dura. La percezione del cambiamento implica memoria. Si deve stabilire la possibilità della traccia di una relazione di elementi in successione. Sembra interessante l’analogia del passaggio dalla melodia all’armonia (accordo). melodia → armonia (accordo)-

Ma l’accordo ha una prospettiva, come lo spazio-prospettiva temporale e percezione di una successione. La percezione del movimento implica altresì tempo. È la percezione più elementare. Se si usa l’analogia della risonanza per spiegare l’associazione di due suoni, come si può spiegare la percezione del movimento, quale metafora o, meglio, analogia, è più utile? Nei pesci, il sistema della linea laterale/orecchio interno è l’organo per la percezione del movimento. Tatto e udito sono ancora uniti. Le antenne degli insetti sono analoghe ai lobi olfattivi dei vertebrati. È interessante questa posizione in cima alla testa, che mostra come l’olfatto sia un senso del tutto peculiare. Nella continuità della percezione del mondo esterno si costruisce la memoria elementare degli invertebrati. Tutto ciò che esiste nel mondo esterno si deve tradurre in emozione. L’emozione contiene il germe della rappresentazione. L’organizzazione dell’encefalo degli animali deve seguire i gradini percezione → emozione → memoria → linguaggio → pensiero. La struttura temporale della percezione deve essere tradotta nella struttura psichica dell’emozione. Deve sorgere una struttura mnemonica come traduzione psichica della prospettiva temporale. La memoria deve sorgere come prospettiva temporale psichica dell’emozione. L’emozione è il fenomeno psichico elementare nei vertebrati inferiori, l’elemento cognitivo profondo. Nell’uomo, come ha mostrato Brentano, il 237

Note

fenomeno primario è la rappresentazione [vedi l’obiezione di Scheler, in Formalismus... , ibidem]. I fenomeni psichici oscillano tra i poli del cognitivo e del motorio. Il polo cognitivo e il polo motorio sono entrambi latenti nell’impulso. L’impulso possiede una forma o una qualità, come l’odore, nella sua modalità più elementare. La memoria si genera come mediatore tra il polo cognitivo e quello motorio. La paura ha un aspetto cognitivo e uno motorio che spinge l’animale a compiere qualcosa, ad esempio, a fuggire. emozione → polo cognitivo-memoria (durata)

→ polo impulsivo

Col procedere della filogenesi, si sviluppa la possibilità dell’apprendimento. Questo implica la possibilità che la durata interna della coscienza non sia più solo percettiva. È come il passaggio da una figura bidimensionale a una tridimensionale. La memoria non è più solo percettiva (la durata di un odore percepito). Il movimento del corpo in uno spazio non è più una somma di elementi istantanei percettivi simultanei e dissociati. La memoria produce associazione di elementi interni che durano. Non c’è più soltanto uno stato emozionale cangiante che si trasforma continuamente, oppure permane uguale, perché la percezione non varia. All’emozione si aggiunge il ricordo. percezione → emozione → ricordo → rappresentazione → concetto

Il fenomeno dell’associazione non è lineare, ma rappresenta uno sviluppo paragonabile a un processo morfogenetico. La possibilità di pensiero si basa sulla percezione interna di associazioni. Il ricordo è diverso dalla percezione, somiglia più alla musica. La struttura del ricordo è acustica. Il passaggio dall’emozione al ricordo è come il passaggio dall’olfatto all’udito. olfatto (vista) udito (tatto)

simultaneità e durata (percettiva) successione

Il pensiero, come organo della verità (come ἀλήθεια – non nascondimento, secondo l’accezione di Heidegger), è legato invece alla vista anche se necessita del ricordo e quindi della struttura acustica. Gli elementi che costituiscono una percezione simultanea (spaziale) sono dati in una relazione di coesistenza che è intessuta dalla percezione stessa. Tessuto o associazione percettiva. Certamente nell’atto cognitivo questi elementi devono essere isolati, analizzati e riassociati internamente. Tuttavia la percezione visiva introduce simultaneamente il tutto in forma per238

Note

cettiva – l’emozione congiunta a una percezione visiva non ha certo la trasparenza di una rappresentazione. Non è ancora un atto cognitivo. Si può immaginare che la visione simultanea sia simile, nei vertebrati inferiori, alla percezione olfattiva. La percezione acustica resta una percezione di suoni dissociati, colti nell’istante percettivo, come la vibrazione di una molteplicità di vibrazioni. Un mutamento continuo. La percezione acustica, ad esempio, di una vocalizzazione è come la percezione musicale. Per essere colta come successione associativa, e non dissociativa, deve comprendere il ricordo. Si forma un’emozione articolata dotata di uno spessore temporale prospettico. Cioè un’emozione che possiede una forma temporale. Questo è qualcosa che precede filogeneticamente e ontologicamente la rappresentazione vera e propria. Il ricordare emerge quindi come forma emozionale, dotata di un’architettura temporale. Un’associazione non-lineare, ma morfogenetica di elementi sonori. Il mesencefalo (e in particolare il tetto) è la parte del cervello implicata essenzialmente in questo processo. [A. Oliverio (Cervello e linguaggio, http://www.oliverio.it/ao/didattica/ linguaggio.pdf ), a proposito dei processi di vocalizzazione, afferma che “... esistono almeno tre tipi di richiami emessi in rapporto a comportamenti aggressivi, di disagio (isolamento) e di coesione sociale: essi possono essere indotti - senza alcun rapporto con la situazione ambientale – attraverso la stimolazione elettrica di specifiche aree cerebrali del mesencefalo. La stimolazione di queste aree attiva reti di neuroni che codificano questi segnali specie-specifici che vengono realizzati dall’apparato vocale sulla base di schemi motori stereotipati. Si tratta delle cosiddette aree della vocalizzazione primaria, che dipendono dal mesencefalo (una struttura nervosa situata tra il ponte e la corteccia) ed esistono in numerose altre specie animali, anfibi compresi... “, aggiunta 2013]. La forma sonora è movimento, è dinamica. Il mesencefalo ha la funzione di argine sulla integrazione di forma e movimento – forse prima separando, poi ricongiungendo? Un fatto fondamentale che va immediatamente riconosciuto è che la struttura “cognitiva” e “intenzionale” della psiche è simbolica. Un’emozione rispetto agli elementi di una percezione è come l’acqua rispetto agli elementi idrogeno e ossigeno. La memoria si struttura su questa base, come una forma associativa simbolica. La memoria emerge nel momento in cui può essere prodotta nel cervello una “relazione interna”. Lo stato emotivo prodotto da una percezione a struttura temporale come quella musicale deve poter “crescere”, svilupparsi, invece che modificarsi continuamente come accade nella situazione, tipica degli animali inferiori, dell’istante percettivo. 239

Note

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Il ricordare implica poi che tale emozione, anche in forma attutita, ma dotata di quella “forma”, possa venir di nuovo “evocata”, in assenza di percezione. La percezione in sé è un fatto istantaneo, la percezione di elementi simultanei, come nel caso di un odore, può durare, la continuità è determinata dal persistere della percezione in atto. Il cambiamento non può venir percepito come “forma”, ma come istante percettivo variabile. La percezione è sempre lo stato istantaneo in atto. La forma di una melodia non è la mera somma di stimoli consecutivi, ma di uno stimolo presente con la risposta appena passata. Quando il nuovo stimolo “avviene”, c’è in atto la “risposta” allo stimolo precedente. L’effetto musicale nasce in questo modo. Ma finché non c’è risposta, non c’è percezione, quindi è necessario che la forma si costruisca attraverso l’associazione delle risposte. È l’unità determinata dall’associazione delle risposte [esperita come un tutto] la forma musicale. Ma questo effetto non è dovuto alla mera somma lineare delle risposte. Si può immaginare che avvenga come uno sviluppo organico, dove ogni nuovo stimolo si introduce in una totalità che si trasforma e che sta alla base della forma musicale. La memoria è dunque una funzione stratificata che sorge originariamente come persistenza della percezione. Il tempo della coscienza origina dalla percezione. M4  persistenza di una associazione di risposte M3  associazione delle risposte diverse (successione) M2  associazione delle risposte (uguali → durata) M1  persistenza della percezione M4 = durata della successione mnemonica allo stato latente M3 = successione mnemonica M2 = durata mnemonica M1 = durata percettiva

M4 può essere evocata da uno stimolo esterno o da un atto intenzionale interno come ricordo.

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Note

15  L’albero che vive tra cielo e terra e

sfera del logos (idee e concetti)

connette, nella sua vita interiore, le forze cosmiche della luce e del calore con quelle dell’acqua e dei minerali, costituisce un “simbolo” del tempo che, nella prospettiva degli schemi trascendentali kantiani, funziona come ponte tra il concetto e l’individuo. 16 Questo piccolo adagio medievale,

attribuito a Alberto Magno, maestro di Tommaso d’Aquino, recita: Quinque sunt fratres. Duo sunt barbati, Duo sine barba nati. Unus e quinque Non habet barbam utrinque e significa: sono cinque fratelli, due hanno la barba, due sono nati senza, uno dei cinque non ha la barba da entrambi i lati. I cinque fratelli, a cui l’autore allude, sono i sepali che compongono il calice della rosa e la barba rappresenta le frange che si trovano sui lati. Due sepali sono barbuti su entrambi i lati (1 e 2, nella figura 61) , due sono completamente senza barba (4 e 5) e uno ha la barba solo da un lato (3). I versi alludono a una legge ideale che costituisce la disposizione o forma essenziale delle rosacee.

sfera empirica (oggetti particolari, individui)

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Quaderni di Flensburg QF1 I retroscena del 666 QF2 Esercizi per l’autoeducazione QF3 Angeli QF4 Il doppio QF5 Confrontarsi con la morte QF6 Scontro tra culture? QF7 Coniugi e partner QF8 Impressioni sull’Islam QF9 Ritorno alla vita QF10 Cosa ci dicono gli esseri elementari QF11 Resurrezione QF12 Il lavoro biografico QF13 Depressione QF14 Karma e reincarnazione QF15 Nuovi dialoghi con gli esseri elementari QF16 Famiglia in trasformazione QF17 Contributo antroposofico alla psicoterapia QF18 Le dipendenze QF19 La guarigione QF20 I sogni QF21 Eternità e ombre esistenziali QF22 Lo spirito del tempo QF23 Individualità QF24 Crisi biografiche QF25 Cancro: un occhio sull’abisso QF26 A colloquio con gli animali QF27 Forze di guarigione QF28 Libero arbitrio QF29 Il vischio e la terapia col vischio QF30 Fine o nuovo inizio? QF31 Gli autistici raccontano

Collana Medicinalia B. Denjean-von Stryk, D. von Bonin – Arte della Parola terapeutica AA.VV. – Chi mi porto a casa? G. Boriosi – Come si fa a leggeri i polsi senza conoscere il cinese? C. C. Liebig – Il bagno in dispersione oleosa F. Ghelfi – Il cuore La Parola AA.VV. – L’arrivo di un bimbo in famiglia D. Beck, H. Dekkers, U. Langerhorst – Malattie borderline: contributo per lo sviluppo di una psicoterapia antroposofica M. Hauschka – Massaggio ritmico della dottoressa Ita Wegman S. Nicolato, D. Merlini – Piccole malattie quotidiane A. Dekkers – Psicoterapia della dignità umana H. Dekkers-Appel, A. Dekkers, A. R. Meuss – Psicoterapia e lotta per divenire uomo S. M. Francardo – Rispetto del bambino è salute

Collana Poliedrica W. Hartinger – Antroposofia e protezione dell’animale H. van Dyke – Artaban. Il quarto Re AA.VV. – Che cosa fa l’Angelo nel nostro corpo astrale? M. Schneider – Enigma e opera di Giuseppe Verdi N. Starcˇevicˇ – Fedeli al Sé: il senso nell’amore W. Klünker – Il ruolo dell’angelo nell’incarnazione A. Calzolari – In cammino verso l’uomo invisibile D. Schulz – Percorsi speciali

Fiabe e narrativa G. Chiantelli – Il diamante magico G. Chiantelli – Le storie della notte G. Chiantelli – Le storie di Nanogiallo G. Chiantelli – Taddeo e il cervo

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