Biomeccanica degli Sport
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Table of contents :
1. Introduzione
La biomeccanica nel tempo e nella storia.
2. La biomeccanica sportiva
Pedagogia
Biomeccanica qualitativa
Biomeccanica quantitativa
3. la fisica per la biomeccanica sportiva.
la meccanica, L’analisi dimensionale
4. La biomeccanica ed il movimento del corpo umano.
La struttura fisica del corpo umano
Baricentro e piani di simmetria
Elementi di meccanica articolare
Catene biocinetiche
Posture rotazioni e locomozione
Reazioni posturali e condizioni di equilibrio
Rotazioni e principi di conservazione
Cenni di meccanica della locomozione
La dinamica inversa.
Il corpo umano e le prestazioni fisiche
La capacità di lavoro muscolare e l'energia del corpo
I modelli matematici del muscolo
5. L’allenamento, la prestazione e le macchine.
Allenamento e prestazione sportiva
Cenni di fisiologia dell’allenamento
Le macchine sportive ed il loro utilizzo
Principi fisici di funzionamento delle macchine
Accelerometri,dinamometri, elettromiografia, baropressori, elettrogoniometri, cinematografia, videoriprese.
Cenni di teoria del trattamento dei dati
6. La classificazione degli Sport.
La classificazione fisiologico-biomeccanica,
la classificazione fisico biomeccanica
7. La fisica semplice applicata agli Sport.
Sport ciclici- corsa, marcia, sprint, sci di fondo, discesa libera, nuoto, ciclismo, canottaggio, pattinaggio su ghiaccio.
8. Sport aciclici- lancio del disco, lancio del martello, lancio del peso, lancio del giavellotto, salto in alto, triplo, in lungo, salto con l’asta, salto con gli sci, sollevamento pesi, tuffi, ginnatica .
9. Sport, ciclici alternati - corsa ad ostacoli, 3000 siepi, golf,
10. Sport di situazione duali (I) –
A) Sport di situazione duali senza contatto- Tennis-Ping Pong.
B) Sport di situazione duali puri. – Lotte, Judo, Pugilato,karate.taekwondo, kick boxing.
Applicazione agli sport di combattimento Corpo a corpo, a distanza
Parametri Biomeccanici fondamentali
Velocità (di spostamento e di movimento)
Rapidità d'attacco e capacità di reazione
Posizioni relative ( coppia chiusa, coppia aperta: guardia, prese, squilibri , equilibrio)
Teoria biomeccanica delle tecniche sportive razionali in piedi nelle lotte
.( combattimento corpo a corpo)
Forze, angoli e traettorie nelle tecniche sportive razionali in piedi
Principi fisici di base e "fondamentali" del movimento
Classificazione Biomeccanica delle Tecniche sportive razionali in piedi
Teoria biomeccanica delle tecniche sportive razionali del karate.(combattimento a lunga e media distanza)
Classificazione Biomeccanica angoli e traettorie nelle tecniche sportive razionali di base di karate.
Comparazione
Principi biomeccanici applicabili nella lotta a terra
Biomeccanica qualitativa della dinamica competitiva
Descrizione del moto della "Coppia di Atleti chiusa"
Interazione fra gli atleti
a) Posizionamento relativo ( fase iniziale, fase intermedia )
b) Penetrazione nella difesa
c) Contrasto di forza (push-push)
d) Effettuazione della proiezione
e) Evoluzione tecnica prevedibile.
Descrizione del moto della "Coppia di Atleti aperta"
Interazione fra gli atleti
a) Traiettorie degli spostamenti
b) Superficie utile d'attacco
c) Penetrazione nella difesa
d) Evoluzione tecnica prevedibile.
11. Sport di situazione di squadra (II)
A) Sport di squadra senza contatto- Baseball-Pallavolo
I ruoli lanciatore, battitore, cattura della palla
Fisica della mazza.
Le azioni tecniche di base.
Le nuove regole e la variazione d’ impegno fisiologico
Le azioni tecniche fondamentali.
B) Sport di situazione di squadra puri. Calcio, Palla canestro, Rugby
I metodi di rilevamento di squadre
Osservazione ed analisi del moto umano su ampie superfici
La metodologia biomeccanica da applicarsi agli sport di squadra
Lo studio del moto
Lo studio dell’interazione.
• Tabelle e Appendici
• Tabelle
1) Un esempio avanzato di biomeccanica applicata:
Confort termofisiologico Scarpa Sportiva.
2) Un esempio avanzato di biomeccanica teorica:
Teoria della competizione degli sport duali di combattimento
3) Un esempio di conoscenza avanzata
La fisica del motore Browniano base della contrazione muscolare

12. Bibliografia.

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Attilio Sacripanti

Biomeccanica degli Sport Un viaggio nella fisica dello Sport

F=1/2ρv²SC

mr²ω=cost

V2= V1 I (1+e) /I+mr²

M=F·d

F=ma

F1+F2=mg

F1V1=F2V2

V=L·N

Guida Ragionata a cinque letture diverse del libro 1+2+6 =lettura essenziale 1+2+5+11 (B: I,II )+App.I (11) = panoramica tecnologica. 1+2+3+4 ( I-IX )+ 5+6+T= conoscenza di base 6+7+8+9+10+11 = biomeccanica applicata allo sport 4( X) App.I (9-10-12)+ App.II+ App.III= lettura matematica avanzata. 1,2,3…..11 = numerale del capitolo. I,II,….IX = numerale del paragrafo relativo al capitolo App I, II, III = Appendici T = Tabelle in Appendice

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Attilio Sacripanti

Biomeccanica degli Sport Un viaggio nella fisica delloSport. 1. Introduzione La biomeccanica nel tempo e nella storia. 2. La biomeccanica sportiva Pedagogia Biomeccanica qualitativa Biomeccanica quantitativa 3. la fisica per la biomeccanica sportiva. la meccanica, L’analisi dimensionale 4. La biomeccanica ed il movimento del corpo umano. La struttura fisica del corpo umano Baricentro e piani di simmetria Elementi di meccanica articolare Catene biocinetiche Posture rotazioni e locomozione Reazioni posturali e condizioni di equilibrio Rotazioni e principi di conservazione Cenni di meccanica della locomozione La dinamica inversa. Il corpo umano e le prestazioni fisiche La capacità di lavoro muscolare e l'energia del corpo I modelli matematici del muscolo 5. L’allenamento, la prestazione e le macchine. Allenamento e prestazione sportiva Cenni di fisiologia dell’allenamento Le macchine sportive ed il loro utilizzo Principi fisici di funzionamento delle macchine Accelerometri,dinamometri, elettromiografia, baropressori, elettrogoniometri, cinematografia, videoriprese. Cenni di teoria del trattamento dei dati 6. La classificazione degli Sport. La classificazione fisiologico-biomeccanica, la classificazione fisico biomeccanica 7. La fisica semplice applicata agli Sport. Sport ciclici- corsa, marcia, sprint, sci di fondo, discesa libera, nuoto, ciclismo, canottaggio, pattinaggio su ghiaccio. 8. Sport aciclici- lancio del disco, lancio del martello, lancio del peso, lancio del giavellotto, salto in alto, triplo, in lungo, salto con l’asta, salto con gli sci, sollevamento pesi, tuffi, ginnatica . 9. Sport, ciclici alternati - corsa ad ostacoli, 3000 siepi, golf, 10. Sport di situazione duali (I) – A) Sport di situazione duali senza contatto- Tennis-Ping Pong. B) Sport di situazione duali puri. – Lotte, Judo, Pugilato,karate.taekwondo, kick boxing. Applicazione agli sport di combattimento Corpo a corpo, a distanza Parametri Biomeccanici fondamentali Velocità (di spostamento e di movimento)

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Rapidità d'attacco e capacità di reazione Posizioni relative ( coppia chiusa, coppia aperta: guardia, prese, squilibri , equilibrio) Teoria biomeccanica delle tecniche sportive razionali in piedi nelle lotte .( combattimento corpo a corpo) Forze, angoli e traettorie nelle tecniche sportive razionali in piedi Principi fisici di base e "fondamentali" del movimento Classificazione Biomeccanica delle Tecniche sportive razionali in piedi Teoria biomeccanica delle tecniche sportive razionali del karate.(combattimento a lunga e media distanza) Classificazione Biomeccanica angoli e traettorie nelle tecniche sportive razionali di base di karate. Comparazione Principi biomeccanici applicabili nella lotta a terra Biomeccanica qualitativa della dinamica competitiva Descrizione del moto della "Coppia di Atleti chiusa" Interazione fra gli atleti a) Posizionamento relativo ( fase iniziale, fase intermedia ) b) Penetrazione nella difesa c) Contrasto di forza (push-push) d) Effettuazione della proiezione e) Evoluzione tecnica prevedibile. Descrizione del moto della "Coppia di Atleti aperta" Interazione fra gli atleti a) Traiettorie degli spostamenti b) Superficie utile d'attacco c) Penetrazione nella difesa d) Evoluzione tecnica prevedibile. 11. Sport di situazione di squadra (II) A) Sport di squadra senza contatto- Baseball-Pallavolo I ruoli lanciatore, battitore, cattura della palla Fisica della mazza. Le azioni tecniche di base. Le nuove regole e la variazione d’ impegno fisiologico Le azioni tecniche fondamentali. B) Sport di situazione di squadra puri. Calcio, Palla canestro, Rugby I metodi di rilevamento di squadre Osservazione ed analisi del moto umano su ampie superfici La metodologia biomeccanica da applicarsi agli sport di squadra Lo studio del moto Lo studio dell’interazione. • Tabelle e Appendici • Tabelle 1) Un esempio avanzato di biomeccanica applicata: Confort termofisiologico Scarpa Sportiva. 2) Un esempio avanzato di biomeccanica teorica: Teoria della competizione degli sport duali di combattimento 3) Un esempio di conoscenza avanzata La fisica del motore Browniano base della contrazione muscolare 12. Bibliografia.

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I- INTRODUZIONE La biomeccanica nel tempo e nella storia In questo testo che vuol essere per il lettore un compagno di viaggio nel mondo della fisica dello sport o, meglio della biomeccanica sportiva, vengono affrontati diversi argomenti di interesse per gli studiosi di Scienze Motorie. Nei vari capitoli si snodano i principi fisici di base, i modelli matematici dei muscoli, le basi scientifiche del funzionamento delle apparecchiature di misura , la teoria delle misure e degli errori, ed infine la fisica degli sport più diffusi. Di questi si è tentato un aggiornamento delle conoscenze delle leggi del moto o dei fenomeni connessi con una revisione degli studi aggiornata al 2003, ma la parte di certo originale del libro è data dallo sviluppo completo dello studio approfondito degli sport di situazione: sia duali ( ove in appendice si trova la trattazione fisicomatematica definitiva ), sia di squadra, che a loro volta vengono originalmente analizzati in termini di analisi comparata, sia del moto globale degli atleti, sia dei vari principi di base. Il testo infine è corredato di tre lunghe appendici, la prima mostra con un esempio, la complessità degli studi sperimentali che devono essere necessariamente affrontati con gruppi di studio multidisciplinari. La seconda vuole mostrare, con la prima teoria matematica completa degli sport duali di situazione, come complessa è la biomeccanica dello sport se si vuole affrontarla nella sua intima essenza. La terza indica brevemente i recentissimi traguardi teorici e sperimentali raggiunti nella comprensione della contrazione muscolare e, come d’incanto, ci si è ritovati nella antichissima fisica aristotelica. Ma a questo punto ci si può porre la domanda non retorica, ma serve la fisica o meglio la biomeccanica dello sport? Forse poco chiara può apparire allo spettatore profano la ragione tecnica della sostituzione, nel salto in alto, dello stile ventrale con lo stile dorsale. Pure poco credibile è che, nel lancio del peso, un atleta possa superare in una sera ben sette volte se stesso ed il record del mondo di addirittura 90 cm. Inoltre, nè diete speciali né tecniche segrete possono giustificare, in questi ultimi cinquanta anni, il superamento vertiginoso di limiti prima ritenuti invalicabili. Bisogna così comprendere che nel mondo dello sport il record non è frutto di magia, ma conseguenza della conoscenza e dell'applicazione scientifica tesa sempre più ad ottenere il massimo rendimento dalle capacità fisiologiche e tecniche dell'uomo. La biomeccanica è la scienza che, attraverso le sue varie branche, studia le leggi che regolano l'origine, il mantenimento e lo sviluppo dell'azione motoria degli organismi viventi. La nascita della biomeccanica, volendo risalire alla "quasi mitica" trattazione del moto di Aristotele (libri 3-7 della "Physica" od il suo "De incessu animalium") in cui la forza è proporzionale alla velocità ovvero F=kv, è stata lenta e di pari passo con l’evoluzione della cultura scientifica nel mondo. Sulla sua nascita ha avuto una importanza decisiva lo sviluppo della meccanica e, soprattutto, il nuovo indirizzo

iniziato ai tempi di Galileo e Newton.per cui la forza com’è noto risulta F=ma. Però non vi è incoerenza fra le due rappresentazioni, infatti come la meccanica Newtoniana rappresenta il limite per velocità lontane da quella della luce della meccanica relativistica di Einstein in cui la forza è F= d/dt (mv/[(1-v²/c²) ½] così la meccanica Aristotelica è il limite della meccanica Newtoniana per forze d’attrito molto elevate. Già L. Da Vinci era convinto che: "la scienza meccanica é nobile ed utile più delle altre scienze e, come risulta, tutti i corpi viventi hanno possibilità di movimento e agiscono secondo le sue leggi”

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Ma, per convenzione, la nascita ufficiale come branca autonoma della scienza può senza dubbio coincidere con la pubblicazione del "De motu animalium" (1680), di Giovanni, Francesco, Antonio, Alonso Borelli. fisiologo e fisico napoletano, allievo di B. Castelli e condiscepolo di E. Torricelli In quest'opera, infatti, l'autore per primo tentò di spiegare il movimento del corpo umano, mediante l'applicazione delle leggi della statica e della dinamica.

Gli studi biologici ed anatomici del XVIII secolo hanno apportato nuovi elementi conoscitivi, ma è stato nel XIX e XX secolo che sono state poste le basi della moderna biomeccanica umana. Partendo con la macchina fotografica e le note esperienze di Marey (1895) fig 5,6

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Infatti, per studiare a fondo l'attività motoria dell'uomo, che è uno dei fenomeni più complessi di cui oggi ci si interessi, ci si rese ben presto conto che non bastavano le sole leggi della meccanica newtoniana. La "scienza biomeccanica" venne così pian piano acquisendo l'aspetto articolato che oggi mostra, con i suoi tre grandi indirizzi e le sue molteplici diramazioni. Una parte della sua attuale schematizzazione si deve ai lavori dei tedeschi Braun e Fischer, (1905) fig 7,8 ma fondamentali furono anche le ricerche ed i risultati dei russi Secenov, Pavlov e Bernstein, grazie ai quali la biomeccanica acquisì l'aspetto sistemico attuale, comprendente tre branche. Il primo indirizzo, detto meccanico, è volto all'applicazione delle leggi della meccanica al funzionamento degli

organi interni, al moto dei corpi, allo studio del moto delle articolazioni e delle loro proprietà, con lo scopo di ottenere una determinazione quantitativa dei processi motori, componente fondamentale per la comprensione dei meccanismi fisici. Il secondo, l'indirizzo anatomo-funzionale, mira all'analisi delle varie modalità d'intervento muscolare, sia nel corso del mantenimento delle "posture". sia nel corso dell'esecuzione di azioni motorie più complesse. Infine, il terzo, l'indirizzo neuro-fisiologico, è volto sia allo studio delle relazioni fra i meccanismi che regolano le azioni motorie, sia allo studio dell'interazione dovuta all'intervento del sistema nervoso sull'organismo e sia all'influenza dell'ambiente sull'individuo. Nel corso degli anni, la biomeccanica generale ha riscosso notevoli successi nei più disparati campi applicativi. Infatti, avendo questa scienza come oggetto principale di analisi l'uomo con le sue caratteristiche e particolarità, è subito nato uno stretto collegamento con i vari settori del sapere e dell'industria in cui si studiano le applicazioni ed i supporti tecnici per le attività dell'uomo. Ad esempio, con la fisiologia e l'ergonomia del lavoro, con la bioingegneria industriale, che s'interessa della costruzione di strumenti ed attrezzi atti a migliorare ed incrementare la capacità lavorativa dell'individuo, con la biomeccanica medica, interessata tra l'altro alla progettazione ed alla costruzione di protesi articolari sempre più sofisticate, con la robotica fine e l'architettura delle "suppellettili", come i sedili anatomici degli aviogetti o delle auto, i caschi protettivi, eccetera. Come si può facilmente notare, il suo campo applicativo è vastissimo, e ovunque si possono individuare problemi di base da risolvere e nuovissime possibili applicazioni più approfondite. Per esempio, nella medicina: biomeccanica in diagnostica e trattamenti nella riabilitazione. Nell'industria: ingegneria biomeccanica, ingegneria genetica, strumentistica. Nell'agricoltura: medicina veterinaria, genetica ed allevamento, genetica botanica, condizionamento. Come per le altre scienze di carattere eminentemente applicativo, anche per la biomeccanica esiste un ramo conoscitivo, ritenuto di ricerca pura, forse perché più vicino alle tradizioni storiche che caratterizzano l'inizio di questi studi, o forse perché meno vincolato a specifiche finalizzazioni industriali: la biomeccanica sportiva. Questa branca è strettamente connessa all'individuazione ed al superamento dei limiti tecnico-fisiologici di alcune specifiche attività motorie, singole o di gruppo, che si espletano nel campo della pratica sportiva. La prima applicazione della teoria scientifica agli esercizi ginnici ed allo sport può ricondursi ad un lavoro svolto da P. Lesgaft, il quale, nel 1877, elaborò in Russia il primo sistema organico nazionale di Educazione Fisica basato sulla teoria del movimento. Scopo precipuo della biomeccanica sportiva è quello di dare risposte ai seguenti tre problemi fondamentali, intimamente correlati; a) valutazione funzionale dell'atleta; b) individuazione della tecnica sportiva razionale; c) perfezionamento della tecnica personale.

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Cap. II LA BIOMECCANICA SPORTIVA 2.1 Biomeccanica Qualitativa La maggior parte del lavoro dell'allenatore nel campo della preparazione tecnica si basa sull'analisi dell'esecuzione degli esercizi eseguiti dagli allievi. Questo atteggiamento é talmente ovvio che sarebbe difficile concepirne la mancanza durante le prove specifiche. Tuttavia, parlando dell'analisi dell'esecuzione degli esercizi, non sempre un determinato concetto racchiude lo stesso significato. L'analisi biomeccanica potrà essere quantitativa, ed allora sarà effettuabile solo da equipes di ricercatori in pochi e ben attrezzati laboratori, oppure qualitativa, ed allora essa sarà alla portata di tutti gli esperti che potranno facilmente utilizzarla nelle proprie palestre per il miglioramento tecnico dei propri allievi e delle proprie metodiche d'insegnamento, con maggior beneficio dello Sport, in un mondo dove tutto si evolve verso forme sempre più alte di professionalità. L'analisi qualitativa dell'esecuzione degli esercizi può avere contenuti di carattere completamente diverso. é opportuno distinguere due delle sue forme fondamentali: 2.1.1- Analisi pedagogica Intendiamo conglobare in questa classe tutte le valutazioni degli esercizi tecnici che si basano solo su scienze umanistico-scientifiche e che non prevedono quindi lo studio quali-quantitativo delle forze in gioco o dei consumi energetici associati. In questo caso l'analisi dell'esecuzione degli esercizi si effettua, senza alcun impiego sostanziale della biomeccanica e delle sue leggi, sia dal punto di vista della tattica sportiva che da quello psicologico ed anche basandosi su criteri estetici o su criteri determinati dalle regole della competizione. La risoluzione di questo o di quel compito tattico di solito, ad esempio, dipende dalla scelta della tecnica di esecuzione. Così durante la messa a punto di una tecnica di attacco nella lotta, quando l'avversario é sensibilmente più debole e nell'incontro si é avvantaggiati di molti punti, l'atleta può permettersi di correre un rischio maggiore rispetto a quei casi in cui l'avversario é forte.Il principale obiettivo tecnico, di conseguenza può essere quello di mantenere la superiorità ai punti, fino al termine dell'incontro. Ma che cosa s’intende per "permettersi un rischio maggiore"? Significa nel processo di preparazione dell'attacco e di esecuzione dell' azione stessa, di poter utilizzare una tecnica unita ad alcune posizioni intermedie variabili ( cioé un complesso tecnico tattico ) che gli permette di controllare meglio l'avversario pur potendo di fatto subire un contrattacco. 2.1.2 - Analisi qualitativa biomeccanica Essa ha lo scopo di portare al miglioramento della tecnica personale o al miglioramento di metodiche di allenamento tecnico dello sport. Essa può essere di due tipi: a) fondamentale o di base - che ha come obiettivo la comprensione della tecnica osservata ed il suo miglioramento, senza l'utilizzazione dei materiali derivati dagli apparecchi di foto e cineprese e cinetogrammi, cioé dai materiali dell'analisi quantitativa b) approfondita - tramite minuziose scelte dei materiali forniti dai diversi apparecchi di rappresentazione visiva, cinetogrammi, foto e cine-riprese ecc., ed anche utilizzando delle teorie logiche, comprendenti i dati derivati dalle scienze affini. Questo tipo di analisi é quella di maggior pertinenza negli sport di combattimento ed é quella che già tutti i maestri, istruttori ed allenatori sviluppano ed elaborano quotidianamente (pur senza chiamarla così) nell'ambito della loro palestra. Essa si sviluppa ed articola in sei scopi relativi alla preparazione tecnica di base. 1) - Utilizzazione ottimale delle possibilità motorie dell'atleta nei limiti stabiliti nella pratica sportiva e determinati dalle regole arbitrali della disciplina sportiva. 2) - Revisione delle tecniche consolidate, degli esercizi e delle azioni con lo scopo di aumentare la loro efficacia, (in alcuni casi questo giustifica anche la revisione corrispondente delle regole arbitrali). 3) - Riconoscimento, determinazione e spiegazione degli errori motori. 4) - Ricerca delle vie e dei mezzi per evitare, prevenire e compensare gli errori motori. 5) - Selezione e costruzione degli esercizi efficaci per la preparazione, il condizionamento e la strutturazione dei sistemi d'attacco o di difesa. 6)-Acquisizione oggettiva dell'informazione relativa alla esecuzione delle tecniche, o delle azioni per l'utilizzazione successiva in competizione

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L'analisi biomeccanica dello sport, molte volte persegue anche uno scopo pedagogico.Il principale settore di applicazione nella pedagogia comprende: - la competizione sportiva; - gli allenamenti degli atleti organizzati sotto la guida degli allenatori; - gli allenamenti autonomi di gruppo, organizzati per gli altri; - gli allenamenti individuali degli atleti in ordine all'autopreparazione. In conclusione é opportuno sottolineare i principali benefici che produce una seria e regolare applicazione dell'analisi biomeccanica qualitativa per gli insegnanti e gli atleti: - Oggettivazione delle risultanze e perciò aumento dell'efficacia dell'allenamento. - Aumento della parte "consapevole" dell'insegnamento che implica, conseguentemente, l'aumento dell'attività creativa da parte degli atleti e della loro autonomia. - Approfondimento della comprensione motoria; variazione del suo ordinamento da una informanzione sensoria generica ad un'interpretazione intelletiva dei segnali sensori. - Accrescimento nell'atleta, delle capacità di riflessione, di analisi, di precisione, e di responsabilità relative alle conclusioni. - Aumento delle possibilità conoscitive e comunicative, specifiche da parte degli atleti e degli allenatori.

2.2 Biomeccanica Quantitativa. 2.2.1 - Analisi quantitativa biomeccanica L’analisi quantitativa è il tipo d’ analisi più sofisticata. Essa si basa sulla misura dei fattori che producono il movimento e sull’assegnazione di valori numerici misurati rispetto alla loro variazione nel tempo. Essa ad esempio deve includere la durata di un movimento preparatorio o di una fase di un movimento, o la differenza tra due fasi del movimento. Sul piano delle misure spaziali la misura dovrà includere la determinazione della direzione, intensità e verso per ogni vettore che deve essere valutato. Le misure vettoriali tipiche sono relative a velocità, accelerazioni, momenti angolari, ecc. L’analisi statistica di un gran numero di dati permetterà raffronti numerici significativi con altri tipi di ricerche ad esempio sia qualitative che quantitative. L’analisi quantitativa biomeccanica ha lo scopo, attraverso modelli fisico-matematici complessi, di portare al miglioramento della tecnica personale o alla più completa comprensione del processo fisico-tecnico dello sport, attraverso valutazioni e dati quantitativi forniti da opportune apparecchiature. si effettua in due fasi; a) - con elaborazione semplificata ed utilizzazione comparata dei dati sommari dei diversi apparecchi di misurazione, cinetogrammi, foto o cine-riprese, tenendo conto soltanto dei fattori più importanti e serve di base conoscitiva per meglio indirizzare le ricerche. b) - con elaborazione minuziosa ed utilizzazione dei dati esatti forniti dai diversi apparecchi di misurazione, cinetogrammi, foto o cine-riprese ecc. tenendo conto delle possibilità di un gran numero di fattori secondari. Essa richiede un gran numero di apparecchiature ed un elevato lavoro di ricerca di equipe, come nel caso della citata ricerca CONI-ENEA-FILPJK (cfr. volume Fondamenti di Biomeccanica) a cui partecipano, biomeccanici, fisiologi, tecnici, ingegnieri, che utilizzano apparecchiature altamente sofisticate come, grossi computers, video camere a termovisione, maschere Cosmet, ecc.

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Cap. III LA FISICA PER LA BIOMECCANICA SPORTIVA 3.1

I Concetti di Base

3.1.1 Il sistema di riferimento In fisica, ma anche nella vita comune, per descrivere il moto di un corpo è necessario specificare la sua posizione nello spazio e come essa varia con il trascorrere del tempo. Naturalmente, non è di nessuna utilità o significato specificare la posizione del corpo relativamente a se stesso. Descrivere il moto di un'auto con una frase del tipo: "l'auto che era lì, ora è qui, poi andrà là “ è privo di significato e non permette né di comprendere né di ricostruire il moto, in quanto lì, qui e là sono indicazioni così vaghe e generiche che non permettono di soddisfare le caratteristiche di una descrizione scientifica classica, che sono: 1. Descrizione chiara ed univoca del fenomeno: 2. Capacità di prevedere la sua futura evoluzione; 3. Riproducibilità del fenomeno. Per descrivere un moto della fisica classica in maniera significativa e per soddisfare le tre caratteristiche, bisogna che esso sia definito relativamente a qualcosa dì noto: es. il volo dì un aereo è descritto in relazione ad un sistema di coordinate fisse rispetto alla terra, il moto dell'auto dell'esempio precedente può essere descritto in relazione al suo punto dì partenza, indicandone la velocità e la direzione, lo spostamento dì due atleti può essere descritto in funzione degli spigoli della palestra. etc... Quindi, per la fisica, è importantissimo definire un sistema di riferimento unico, rispetto a cui saranno descritti tutti i fenomeni mediante le loro caratteristiche spaziali. Esse permettono dì determinare le posizioni, per es. l'inizio del movimento ed il suo termine (con le coordinate). e il movimento (con la traiettoria). Ogni volta che in fisica classica. mediante un’equazione. si descrive un fenomeno o un processo, si sottintende. anche se non è esplicitamente detto. che l'equazione è riferita al sistema fondamentale, detto: "sistema inerziale delle stelle fisse Questo sistema fu individuato da Newton, e, in più, Galileo dimostrò che ogni sistema di riferimento, che si muove a velocità costante rispetto a quello delle stelle fisse, è anch'esso adatto a descrivere i fenomeni fisici in modo semplice. Il principio della relatività galileiana ci assicura quindi che esistono infiniti sistemi dì riferimento, detti "inerziali", per cui l'equazione del moto dì un corpo. scritta relativamente alle stelle fisse, è sempre la stessa, anche se, per sistema di riferimento, sì prendono gli spigoli delle pareti della stanza in cui il moto sì compie. Questo ci assicura dì poter descrivere, in modo corretto, il moto degli atleti in ogni palestra e di poter ricavare equazioni identiche per movimenti identici, ogni volta che sì presenta l'occasione dì studio. Il sistema dì riferimento è identificato da tre rette perpendicolari fra dì loro, dette assi, che si incontrano in un punto, detto origine. Gli assi ortogonali che rappresentano le tre dimensioni, altezza, larghezza e profondità, vengono genericamente chiamati assi x, y, z. Un punto P nello spazio viene individuato da tre numeri detti Coordinate (X1,Y1,Z1>, che rappresentano la distanza dall'origine alla intersezione della perpendicolare all'asse relativo, dal punto in esame. Un tale sistema geometrico dì coordinate fu per la prima volta proposto dal fisico Cartesio ed è, pertanto, detto ed universalmente conosciuto come Sistema di assi cartesiani ortogonali (fìg. 1).

3.1.2 Grandezze Scalari e Vettoriali Nello studio dei fenomeni fisici. così come nella vita di ogni giorno. si incontrano essenzialmente due tipi di quantità misurabili. le Grandezze Scalari e quelle Vettoriali. Le prime sono esattamente definite mediante un numero. Per esempio. la massa di un corpo può essere misurata in modo compiuto attraverso il peso espresso in Kg. la temperatura in gradi. il volume di un liquido in litri. la superficie del tappeto di una palestra in metri quadri, e, molto importante. il tempo. espresso in secondi. Nella

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biomeccanica. come inizio di calcolo del tempo. di solito. si assume il momento dell’inizio dell’osservazione dei movimenti. Nel corso dì una osservazione si usa un solo sistema di misurazione. Per unità di misura si assume il secondo con i suoi sottomultìpli. cioè: decimi. centesimi. millesimi. Queste quantità. che sono completamente caratterizzate da un solo numero. sono dette Scalari (Tab.1). Tempi

GRANDEZZE FISICHE SCALARI ordine di grandezza

Età dell’universo Precessione dell’asse terrestre Durata della vita umana Un anno Un giorno Viaggio della luce dal sole Intervallo fra due battiti cardiaci Battito d’ala di una mosca Durata lampo stroboscopio Durata breve impulso laser Tempo in cui la luce attraversa un atomo Vita di una particella subatomica instabile

1017 1012 109 107 105 103 100 10-3 10-5 10-9 10-18 10-23

sec. sec sec sec sec sec sec (1 sec) sec sec sec sec sec

Tab. 1 – Il campo di variazione dei tempi Vi sono però. come detto. altre quantità. chiamate Vettori (Tab.2). che richiedono. per la loro completa caratterizzazione. non solo che sia definita la loro grandezza. ma anche la direzione ad esse associata: es. la lancetta dell'orologio si muove da sinistra verso destra in senso positivo. se si inverte la rotazione (quando c’è l’ora legale) si sottrae il tempo. Più semplicemente. se un’auto viaggia alla velocità di 20 Km h. se non si indica la direzione, l’auto in generale può andare a marcia avanti o a marcia indietro e, quindi, in un caso può avvicinarsi e, nell’altro. può allontanarsi da un certo punto. Distanze

GRANDEZZE FISICHE VETTORIALI ordine di grandezza 1026 1022 1017 1011 107 103 100 10-2 10-4 10-5 10-8 10-10 10-14

Distanza della più lontana galassia osservata Distanza della galassia più vicina Distanza della stella più vicina (anno luce) Distanza del sole Diametro della terra Un chilometro Altezza di un uomo Spessore di un dito Spessore di un foglio di carta Dimensioni di un batterio Dimensioni di un virus Dimensioni di un atomo Dimensioni di un nucleo

m. m m m m m m (1 m) m m m m m m

Tab. 2 – Il campo di variazione delle distanze Queste quantità vettoriali possono essere rappresentate da segmenti di linea retta. la cui lunghezza equivale alla grandezza del vettore e la direzione (o verso) indica la grandezza positiva o negativa. Mentre le operazioni sugli scalari seguono le regole. note a tutti dell'algebra elementare. (es. 2 Kg. di carciofi 4 Kg. di carciofi = 6 Kg. di carciofi...). le operazioni sui vettori sono più complesse e seguono regole particolari di tipo geometrico (fig. 2).

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Riguardo le operazioni miste. cioè tra grandezze scalari e vettoriali, non sono possibili addizioni o sottrazioni. ma sono ammesse divisioni e moltiplicazioni. Vi sono anche casi particolari in cui il prodotto di due vettori può dar luogo ad una quantità scalare (Prodotto scalare di due vettori). come, ad esempio. il Lavoro.

3.2

La Meccanica Classica

3.2.1 La Cinematica In fisica. la meccanica viene ordinariamente suddivisa. per comodità di studio. in tre parti: Cinematica, Statica e Dinamica. Nella cinematica si studiano i moti. da un punto di vista astratto e geometrico. senza occuparsi delle cause (le forze) che li producono. Nella statica si studiano le forze in condizioni di equilibrio, mentre nella dinamica si analizzano le forze in azione e le loro relazioni con i moti. Questa divisione è un artificio didattico simile al metodo differenziale usato dal dott. Jigoro Kano, fondatore del judo, per la didattica delle proiezioni. il quale ha suddiviso il lancio in tre fasi: Tsukuri, Kuzushi, Kaké. La cinematica è, dunque, una specie di “geometria del movimento", che congiunge l'idea di spazio (che è la base della geometria) a quella di tempo (che è la base del movimento) e permette di studiare le proprietà dello spazio in relazione al trascorrere del tempo. In generale, non è sufficiente conoscere la posizione di un corpo in un determinato istante, ma occorre conoscere anche i punti via via occupati, ossia la traiettoria (= luogo delle posizioni successive del corpo nel tempo). È ovvio che, nota la traiettoria. è facile ricavare, per qualunque istante. la posizione del corpo in moto. La cinematica si interessa del moto del “punto materiale” lungo la traiettoria, che è la “strada”. percorsa, cioè l'insieme dei punti dello spazio che vengono toccati dal punto nel corso del suo moto e che può essere rettilinea o curvilinea. Il primo concetto fondamentale di collegamento fra spazio e tempo in Cinematica è quello di Velocità. La velocità, che è una grandezza vettoriale. rappresenta "la rapidità con cui la posizione di un corpo cambia nel tempo". Essa può essere positiva o negativa. uniforme (cioè costante), o variabile (fig.3).

Il secondo concetto fondamentale è quello di Accelerazione. L'accelerazione, che è anch'essa una grandezza vettoriale, è collegata alla velocità e rappresenta "la rapidità con cui la velocità di un corpo cambia nel tempo" Figura 4

Essa può essere positiva o negativa, uniforme o variabile.

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Sia la velocità che l'accelerazione, essendo vettori. si sommeranno, si scomporranno. si moltiplicheranno o divideranno con le regole geometriche proprie dei vettori. I moti, a loro volta, saranno detti rettilinei o curvilinei. a secondo che la traiettoria percorsa dal corpo sarà una linea retta o curva. Oltre al moto. con velocità variabile in modo generico. esistono dei moti particolari, detti speciali, in cui la velocità gode di particolari proprietà. Tali moti vengono detti: A - Moto Uniforme (rettilineo o curvilineo) è il moto di un corpo che si sposta con velocità costante. cioè percorre spazi uguali in tempi uguali. (es. il moto della lancetta dell'orologio. il moto di un'automobile che viaggia a velocità fissa ecc). N.B. Se la velocità è fissa. cioè costante. e non varia. allora l'accelerazione del corpo è uguale a zero (fig. 5 .

B - Moto Uniforme Accelerato o Ritardato (rettilineo o curvilineo) è il moto di un corpo che si sposta con velocità che decresce o cresce sempre in modo uguale; es.: è accelerato quello di una pietra lasciata cadere verso il basso. ritardato quello di una pietra lanciata verso l'alto (fig. 6-7-8).

C - Moto Periodico (moto armonico semplice) è il moto di un corpo che oscilla fra due punti fissi con un tempo costante, detto periodo. In tal caso, spostamento, velocità e accelerazione sono legate da relazioni più complesse delle precedenti (es il moto dello jò-jò, quello di una molla a spirale d'acciaio, i nostri bioritmi, il moto di un pendolo, il moto della gamba che s'innalza e falcia l'avversario, ecc.) (fig. 9)

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3.2.2 La Statica Se le forze agenti su di un corpo non producono nessuna accelerazione, allora esse devono neutralizzarsi reciprocamente e, pertanto, si dice che esse formano un sistema di forze in equilibrio. Un corpo sottoposto ad un sistema di forze in equilibrio, dunque, o è fermo, o si muove a velocità costante (cfr. moto uniforme - accelerazione nulla). Un corpo si dice in condizioni di equilibrio stabile se, dopo che le forze hanno agito su di esso, dopo un piccolissimo spostamento, ritorna alla sua posizione originale. Un corpo si dice in condizioni di equilibrio instabile se, dopo che le forze hanno agito su di esso, dopo un piccolissimo spostamento, tende a muoversi ulteriormente dalla sua posizione originale. Un corpo si dice in condizioni di equilibrio indifferente se le forze conservano lo stato di equilibrio quando il corpo è in una nuova posizione (fig. 10).

Pertanto, come regola generale, quando un corpo è fermo. le forze esterne che agiscono su di esso formano un sistema detto in equilibrio, cioè che non produce accelerazione ed è a velocità nulla. Se il corpo poggia su un piano, le forze esercitate dal corpo sul supporto si chiamano Reazioni e quelle uguali ed opposte esercitate dal supporto sul corpo si chiamano Forze di Supporto o Reazioni Vincolari. Se su di un corpo agiscono più forze, l'azione finale sarà data dalle regole dei vettori e la forza finale si chiamerà Risultante (fig. 11).

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Se le forze sono tutte parallele e concordi, la risultante sarà ancora parallela ad esse ed il suo punto di applicazione (nel caso della forza peso) si chiamerà centro di gravità o baricentro del corpo (fig. 12).

Se le forze sono solo due, di eguale grandezza, ma agenti in direzione parallela ed opposta, questo sistema particolare si dirà Coppia di Forze ed esso, invece di essere in equilibrio, darà sempre luogo ad una rotazione del corpo, che si esprime anch'essa con un vettore, detto Momento della coppia (fig. 13).

Tale vettore è uguale al prodotto della grandezza di una delle forze per la distanza perpendicolare che la separa dall'altra forza (braccio della forza). Un esempio noto di momento di una coppia è la rotazione che si imprime ad una moneta, posta di taglio su di un tavolo, con l'indice ed il pollice, o quello di alcuni fuochi d'artificio ruotanti costituiti da un asse e due razzi uguali montati in maniera opposta alla estremità dell'asse (le note girandole), oppure la rotazione che si imprime alla barca remando in modo tale che i remi si muovano in senso opposto. La coppia di forze ha una vasta applicazione negli sport di combattimento. 3.2.2.1 La Leva Appartiene al gruppo delle macchine dette semplici, che sono strumenti opportuni adatti a cambiare la direzione o l'intensità delle forze. Essa è costituita da un corpo rigido. in genere a forma di sbarra. che può ruotare intorno ad un asse fisso o ad un punto di questo, detto fulcro. La forza motrice (Potenza) e la forza che si oppone (Resistenza) sono applicate a due punti generici dell'asta. La condizione di equilibrio della leva, nel caso ideale di assenza d'attrito, si ottiene eguagliando i momenti delle due forze, dati dal prodotto di una delle forze per la distanza del fulcro. La classificazione tradizionale prevede tre tipi di leve (fig. 14):

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I° - genere. Fulcro tra potenza e resistenza (Interfissa) II°- genere. Resistenza tra fulcro e potenza (Interresistente) III°- genere. Potenza tra fulcro e resistenza (Interpotente) La leva è la base di moltissimi tipi di attrezzi d'uso comune: schiaccianoci, forbici. bilancia etc. Nel caso reale di presenza di attrito, la potenza applicata, per riuscire ad equilibrare la leva, deve sempre essere maggiore della potenza ideale fornita senza attrito. Il rapporto fra la potenza ideale fornita e quella reale applicata è detto rendimento della leva ed è sempre minore di 1. La leva, come vedremo, ha svariate applicazioni negli sport di combattimento. 3.2.3 La Dinamica Traslazionale 3.2.3.1 I Tre Principi della Dinamica Come già accennato. la dinamica è quella branca della meccanica che si interessa del moto dei corpi e delle cause che li generano, cioè le forze. Con il termine di forza, in meccanica. si intende ciò che nel linguaggio corrente è noto come una spinta o una trazione. Possiamo fare una prima grande distinzione tra: a) le forze di contatto (il corpo che esercita la forza si trova a contatto con il corpo sul quale la forza agisce. (Esempio, una molla in tensione. l'aria compressa in un contenitore. una locomotiva che traina i vagoni): b) le forze con azione a distanza (esempio le forze di attrazione gravitazionale, le forze elettriche e quelle magnetiche). Un'altra suddivisione delle forze può essere effettuata tenendo presente se esse sono esterne (ossia sono corpi esterni quelli che esercitano le forze su un corpo) oppure sono forze interne ( quelle esercitate da parti di un corpo su altre parti dello stesso corpo) Le forze sono Vettori. In altre parole le forze sono caratterizzate da: - Intensità o modulo (unità di misura newton>: - Direzione: - Verso; - Punto di applicazione. In effetti, per determinare, istante per istante., la posizione di un corpo nello spazio, vi è la necessità di utilizzare quelli che in fisica vengono definiti come sistemi: uno per definire gli intervalli di tempo, uno per stabilire la posizione del corpo mediante le variazioni di spazio e le sue coordinate. Tali mezzi o sistemi vengono forniti dal primo principio della dinamica che, come formulato da Newton. enuncia: ogni corpo persiste nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non interviene una forza esterna a mutare il suo stato. Insite, nell'enunciato di tale principio. risultano le definizioni di: A) sistema inerziale: una terna di assi cartesiani ortogonali con origine nel baricentro del sistema solare e orientazione invariabile rispetto alle stelle fisse. Per il principio di relatività galileiana, gli assi potranno essere considerati fissi alle pareti dell'edificio entro cui si sperimenta, o al tatami su cui si eseguono le tecniche. B) orologio, o meglio di strumento atto a misurare gli intervalli di tempo mediante il moto uniforme. Così, il primo principio ci fornisce, in modo univoco, un sistema per misurare le variazioni spaziali ed uno strumento per misurare le variazioni di tempo. Il secondo principio è un cardine storico per lo sviluppo degli studi sul movimento dei corpi Esso, nella famosa formulazione classica, enuncia: una forza esterna, applicata ad un corpo, produce su di esso un'accelerazione proporzionale all'inerzia o massa del corpo stesso.

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La proprietà di un corpo, che richiede una forza per cambiare il suo stato di moto, cioè che si oppone al moto, è chiamata inerzia del corpo, e la misura numerica di tale proprietà è chiamata massa. Così, il secondo principio della dinamica definisce l'inerzia e quindi la massa di un corpo (fig.15-16).

Il terzo principio della dinamica. o principio di azione e reazione, partendo dall'esperienza pratica e prendendo in esame le interazioni meccaniche che avvengono fra i corpi, enuncia un fondamentale risultato sperimentale, cioè che: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Poiché l'azione può, comunque. essere esemplificata come la risultante di tutte le forze esterne ad un corpo. l’inerzia di un corpo. in un'interazione. produce sull’inerzia del corpo interagente una forza uguale e contraria Pertanto, definito nel II° principio il concetto d'inerzia o massa, il III° principio può essere visto come la definizione operativa del concetto di forza.

3.2.4

Impulso di una forza e quantità di moto di un corpo

Si definisce impulso di una forza. agente sempre nella stessa direzione della forza. il prodotto della forza per la durata della sua azione. L'impulso di una forza è anch'esso una quantità vettoriale, per cui si sommerà o sottrarrà come i vettori e potrà anche definirsi il momento dell'impulso come il prodotto dell'impulso per la distanza perpendicolare dal punto, rispetto a cui si vuole calcolare il momento. La quantità di moto di un corpo è data dal prodotto della massa del corpo per la sua velocità. ed è anch'essa una quantità vettoriale e sottostà alle regole dell'analisi vettoriale. Essendo una quantità vettoriale, è possibile anche definire il momento della quantità del moto di un corpo, detto anche Momento Angolare. Se la forza agisce su di un corpo di massa M in un certo intervallo di tempo, allora l'impulso della forza è uguale alla variazione della quantità di moto del corpo, cioè al prodotto della massa del corpo per la sua variazione di velocità. Il concetto di impulso è utile nel caso di impatto fra due corpi (urto). Infatti. prima. durante e dopo un urto, la somma della quantità di moto dei due corpi è costante, cioè è sempre la stessa (fig. 17).

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Lo stesso Newton aveva formulato diversamente la sua seconda legge. Egli aveva introdotto il concetto di "impulso della forza" e di "quantità di moto" ed aveva determinato la dipendenza della variazione della velocità del corpo dalla grandezza della forza agente, non direttamente, però, ma attraverso il concetto di "quantità di moto": la variazione della quantità di moto è proporzionale alla forza agente applicata ed avviene nella direzione della stessa retta lungo la quale la forza agisce. Il rapporto fra la differenza delle velocità dopo l'urto e quelle prima dell'urto è detto coefficiente di restituzione ed è direttamente legato all'energia in gioco, per cui, se esso è uguale a 1, l'urto è detto elastico e l'energia cinetica totale si conserva, cioè la velocità prima e dopo l'urto sono uguali. Se esso è uguale a 0, l'urto è detto anelastico e l'energia cinetica non si conserva, cioè le velocità iniziali differiscono, mentre dopo l'urto sono uguali. Questo enunciato, detto teorema della conservazione della quantità di moto, ha validità generale e permette di prevedere o ricavare, ad esempio in fisica atomica, dati sulle interazioni di particelle. In fisica classica, la sua conoscenza è fondamentale per la comprensione del gioco del biliardo. Negli sport di combattimento, essa vale nell'urto tra i corpi degli atleti in una fase di lancio, permettendo in effetti di risolvere in parte il problema delle traiettorie e di ottenere dati quantitativi sul conseguente consumo energetico. 3.2.5 Forze di gravità e peso Secondo le leggi della gravitazione universale, tutti i corpi sulla terra risentono della forza di attrazione terrestre. La forza di gravità di un corpo è la misura della sua attrazione da parte della terra (in funzione dell'influenza della rotazione terrestre). La forza di gravità dipende sia dalla massa della terra e del corpo attratto, sia dalla distanza intercorrente tra essi. Sul corpo e su ogni sua parte agiscono le forze di gravità quali forze esterne, generate dall'attrazione e dalla rotazione terrestre. La risultante delle forze parallele di gravità di un corpo è applicata nel suo centro di gravità (detto anche baricentro). Quando il corpo è in quiete su un appoggio (oppure sospeso), la forza di gravità, applicata ad esso. preme sull'appoggio (oppure tende ad allontanarlo dalla sospensione). Questa azione esercitata dal corpo sull'appoggio (alto o basso) si misura con il peso del corpo. Il peso del corpo (statico) è la misura dell'azione esercitata dal corpo in quiete sull'appoggio. anch'esso in quiete, che ostacola la sua caduta. La forza di gravità ed il peso del corpo non sono però la stessa forza. Il peso di tutto il corpo umano non è applicato a se stesso, ma al suo appoggio (la forza di gravità è una forza "di distanza", il peso "di contatto").

3.2.6

Forze di reazione all'appoggio

L'azione esercitata sull'appoggio dal peso del corpo incontra delle opposizioni, che si chiamano reazioni d'appoggio. La reazione d’appoggio è la misura dell’opposizione offerta dall’appoggio all’azione esercitata dal corpo con il quale si trova a contatto (in quiete o in movimento). Essa è uguale alla forza dell'azione del corpo sull'appoggio. diretta nella parte opposta e applicata a questo corpo. Di solito, l'uomo, che si trova su di un appoggio orizzontale,. sente una opposizione al suo peso. In questo caso la reazione d'appoggio, come il suo peso. è indirizzata perpendicolarmente ad esso. Questa è la reazione d'appoggio normale (o ideale). Quando il peso è statico, la reazione d'appoggio è statica ed ha grandezza uguale al peso statico. Se l'uomo che si trova su di un appoggio si muove con una accelerazione diretta verso l'alto, al peso statico si aggiunge la forza d'inerzia e si ha una reazione dinamica d'appoggio. La reazione d'appoggio è una forza passiva (reattiva). Essa non può, di per se, provocare una accelerazione positiva. Ma senza di essa, se non c'è l'appoggio o l'allontanamento o l'attrazione verso di questo, l'uomo non può spostarsi attivamente. Se egli non si allontana verticalmente dall'appoggio orizzontale. anche la forza di pressione esercitata sull'appoggio non sarà applicata sulla sua superficie, ad angolo retto. In tal caso, anche la reazione d'appoggio non sarà perpendicolare alla superficie, ed è possibile scomporla in due componenti: normale e tangenziale. A contatto con delle superfici piane (tappeto, materassina, suola delle scarpe ecc.) la componente tangenziale della reazione d'appoggio si riduce alla forza d'attrito (fig. 18 - 19).

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3.2.7

Forze di contatto ed attrito

Le forze di contatto, che nascono, quindi, dall'interazione tra i corpi che si toccano, sono tutte forze che, attraverso la loro azione, potranno opporsi al compito tecnico dell'atleta. La prima e più importante fra le forze di contatto è certamente la reazione vincolare prodotta dall'appoggio dei piedi sulla superficie del tatami o della materassina. Tale reazione vincolare è una forza passiva e non può di per sé creare moto, ma, in virtù del terzo principio della dinamica, come già detto, l'atleta può spostarsi attivamente. È sempre possibile scomporre la reazione vincolare di un appoggio in una componente tangenziale ed in una componente normale alla superficie del tatami o della materassina. Nel nostro caso da analizzare, "piedi degli atleti sul tatami", la componente tangenziale della reazione vincolare si identifica con le forze d'attrito. La relazione per calcolare la resistenza dell'attrito è data dalla formula di Newton: R = - K N L'origine della forza d'attrito viene spiegata in meccanica con la presenza di rugosità ed irregolarità microscopiche fra le superfici di contatto. Analizzando il concetto di attrito, si può comprendere come esso possa essere tanto di ostacolo quanto di aiuto negli sport e nelle performance sportive. La forza R rappresenta l'attrito, che è sempre presente ovunque, fra materiali o corpi, sia solidi che liquidi, che si muovono l'uno rispetto all'altro. Poiché, dunque, l'attrito è una forza sempre presente durante il moto, una chiara comprensione di questo fattore sarà essenziale per analizzare e comprendere i vari movimenti tecnici. Pertanto, riassumiamo alcuni punti chiave che possono tornare utili sull'argomento. 1. L'attrito statico (o di partenza) è sempre maggiore di quello dinamico durante il moto. 2. Sebbene vi possano essere anche altri fattori, generalmente l'attrito dipende da: velocità. peso, natura e condizione delle due superfici di contatto. 3. Maggiore sarà l'attrito. più grande sarà lo sforzo muscolare da opporre. 4. Maggiore sarà l'attrito, più grande sarà la diminuzione di velocità del corpo dell'atleta. 5. L'attrito, in un movimento, può essere utilizzato convenientemente in un successivo contro movimento

3.2.8 Lavoro, Energia e Potenza Il lavoro fatto da un corpo che si muove nello spazio, sotto l'azione di una forza, è definito come il prodotto scalare della forza per lo spostamento. Ciò significa che, sebbene forza e spostamento siano vettori e vengano definiti attraverso grandezza e direzione, il loro prodotto scalare Lavoro è una quantità scalare ed è individuata solo dalla sua intensità o grandezza (un numero) (fig.20- 21 – 22)

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Il lavoro fatto sul corpo dalla forza agente è uguale alla variazione di una quantità particolare molto importante detta energia. Pertanto, si dice che un corpo possiede energia quando ha la capacità di produrre o compiere un lavoro. Un corpo può possedere questa capacità, sia in funzione della sua posizione, sia in funzione del suo stato fisico, detta condizione. Quindi, se un corpo, trattenuto, è in grado di poter produrre lavoro non appena viene liberato, si dice che esso possiede una energia di posizione o Energia Potenziale (fig. 23).

Se invece un corpo si muove con una certa velocità. si dice che esso possiede una energia del suo stato di moto o Energia Cinetica La misura del lavoro fatto, nel tempo impiegato a compierlo, cioè il rapporto fra lavoro effettuato e l'intervallo di tempo in cui si è eseguito, viene definito Potenza che risulta uguale alla variazione di energia del corpo in quell'intervallo di tempo. Bisogna notare che è molto più importante. nella pratica. il concetto di Potenza che quello di Lavoro. Infatti. il lavoro fisico è indipendente dal tempo, cioè la quantità di lavoro fatto può essere compiuta in un secondo o in un anno ed è sempre la stessa, mentre nel primo caso la potenza impiegata è molto più grande che nel secondo caso. La potenza risulta di interesse più attuale sia per il ricercatore che per il preparatore atletico e l'istruttore. 3.2.9

Le Leggi di conservazione

Le leggi di conservazione, in fisica, si riferiscono a proprietà sperimentali notevoli, che permettono di risolvere il problema del moto di un corpo in modo più "semplice" (trattando ad esempio con quantità scalari, anziché vettoriali. come nel caso dell'energia). In termini di una visione più filosofica della Meccanica. si può dire che esistono delle quantità, in fisica, che godono della proprietà generale di non variare nel tempo. Da tali grandezze è possibile trarre una serie di informazioni riguardo allo stato fisico dei corpi, ad esempio dopo una interazione. se si conosce il loro valore prima della loro interazione. Queste grandezze devono la loro invarianza a ragioni profonde, connesse con due proprietà fondamentali dello spazio e del tempo, cioè con la condizione di omogeneità (uniformità) e la proprietà dell'isotropia (indipendenza dalla direzione>. Dall'omogeneità del tempo ne deriva che la grandezza di un corpo e di un sistema meccanico isolato, chiamata Energia, si conserva nel tempo. Dalla omogeneità dello spazio ne deriva che le proprietà meccaniche di un corpo o di un sistema non cambiano se esso si sposta parallelamente nello spazio. Pertanto, la grandezza chiamata quantità di moto si conserva nel tempo. Dalla isotropia dello spazio ne deriva che le proprietà meccaniche di un corpo e di un sistema non cambiano se esso ruota nello spazio. Pertanto. la grandezza chiamata momento della quantità di moto o momento angolare si conserva nel tempo. Tutto quanto descritto precedentemente può essere dimostrato rigorosamente in termini matematici. facendo riferimento alla funzione Energia Potenziale. Infatti. se la funzione potenziale è indipendente dal tempo, allora anche la funzione Energia totale è indipendente dal tempo e si conserva rimanendo costante. Se la funzione potenziale è invariante per rotazione nello spazio. allora il momento della quantità di moto o momento angolare è indipendente dal tempo e si conserva mantenendosi costante.

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3.2.10

Cenni di Dinamica Roto-Traslazionale

L'analisi fin qui effettuata del moto dei corpi e dei processi ad essi collegati è stata effettuata, per semplificare la trattazione, solo attraverso lo studio dei moti traslatori (spostamento lungo traiettorie rettilinee), senza prendere in considerazione la possibilità di moti rotazionali (spostamento lungo traiettorie curvilinee). Sebbene tutti i concetti sin qui introdotti possano perfettamente adattarsi ad una estensione rotazionale, è opportuno ridefinire in modo coerente, espressamente per questo ampliamento, tutti i concetti di base, prima di interessarci di un moto generico lungo una traiettoria qualsiasi. Acquista un'importanza fondamentale, nel contesto di questa estensione, il concetto di momento. che è dato dal prodotto della quantità traslazionale precedentemente definita per la distanza dal punto (polo) di rotazione scelto. Questo inciso ci rende chiaro il ruolo secondario giocato dalla "quantità" fisica traslazionale nella sua estensione rotazionale ed il ruolo cardine giocato dal polo nei confronti del quale avviene la rotazione. La nozione di spostamento lineare muta in quella di spostamento angolare. Il concetto di velocità viene definito come la variazione dello spostamento angolare nel tempo, l'accelerazione diviene la rapidità di variazione della velocità angolare. la massa di una rotazione viene reinterpretata come momento di massa o momento di inerzia. Il concetto di forza che si lega alle traslazioni si muta in quello di momento di una forza, collegato alle rotazioni. La quantità di moto diviene, in dinamica rotazionale, momento della quantità di moto o momento angolare. Le altre grandezze derivate, come Lavoro, Energia e Potenza, restano invariate come sostanza, anche se vengono riferite a quantità angolari. Possiamo così esprimere i tre principi della dinamica traslazionale prima esposti, nella loro estensione rotazionale. Il primo principio enuncia: Un corpo che ruota continuerà a ruotare intorno al suo asse di rotazione con momento angolare costante, fintanto che una coppia di forze esterna o il momento di una forza non sia applicato su di esso. Un tale enunciato è conosciuto come principio di conservazione del momento angolare. Il secondo principio viene in tal modo riformulato: La variazione del momento angolare di un corpo è proporzionale al momento della forza esterna agente su di esso. La variazione prodotta è nella direzione in cui agisce il momento della forza. Il terzo principio in forma rotazionale diviene: Se un corpo esercita un momento di una forza su di un secondo corpo, il secondo per reazione eserciterà sul primo un momento uguale e contrario. La descrizione analitica del moto, cioè mediante equazioni, è la forma più complessa di avvicinamento al problema. In senso più generale e descrittivo, un movimento può essere descritto come efficace o inefficace, efficiente o inefficiente, sicuro o insicuro. Se un movimento è efficace può non essere necessariamente il più efficiente, basti pensare a quelle tecniche di lotta o di judo che vengono dette d'astuzia (il movimento può non essere il più efficiente, ma sicuramente risulta altamente efficace). L'efficienza può però essere misurata mediante il calcolo del costo metabolico della tecnica, che è proporzionale al consumo di ossigeno rispetto alla quantità di lavoro effettuato. La relazione tra il costo della tecnica, o input di energia, e lavoro compiuto, o output di energia, determina l'efficienza. In formula:

=

L E

La descrizione Lavoro-Energia di un moto è una diversa visione del medesimo problema, cioè da un punto di vista diverso rispetto a quella Momento-Impulso mentre quest’ultima è più legata a variabili meccaniche come la forza o il momento angolare. La prima può applicarsi sia a moti rettilinei che curvilinei ed ha il vantaggio di utilizzare quantità scalari anziché vettoriali, per cui, invece di scrivere tre relazioni ognuna secondo un asse cartesiano, basterà scrivere una sola relazione che conterrà solo quantità scalari. L'approccio Lavoro-Energia è utile nell'analisi del sollevamento pesi e per ordinare le tecniche di Judo o lotta, in base al lavoro compiuto od alla potenza necessaria per eseguirle,o a classificare gli sforzi particolari in uno sport. La posizione di un corpo o di un sistema nello spazio è individuata se si conoscono tre coordinate e tre angoli. Dunque, per determinare un corpo nello spazio, si ha bisogno di sei variabili e si dirà, perciò, che il corpo possiede sei gradi di libertà (cioè può muoversi in tre differenti direzioni e ruotare in tre piani diversi). Il moto generico di un corpo solido nello spazio può essere sempre rappresentato come la somma di due moti semplici: uno di pura traslazione più uno di pura rotazione. Anche l'energia cinetica di un corpo, in questo caso, può essere presentata come la somma di due termini, di cui il primo rappresenta l'energia cinetica di traslazione del corpo, come se tutta la massa fosse concentrata nel baricentro, ed il secondo termine rappresenta l'energia cinetica di rotazione intorno ad un asse passante per il centro di massa. La definizione di tutti i concetti espressi nei paragrafi precedenti può essere estesa al problema della rotazione di un corpo rigido intorno ad un asse fisso di un sistema inerziale. L'argomento dei moti rotatori di corpi rigidi è talmente complesso, che una completa trattazione generale è al di là dello scopo di questo testo. Amche nel caso rotatorio si avranno in analogia tutte le variabili incontrate nelle traslazioni solo che mantre in

21

quest’ultima l’unità di spostamento è rettilinea nelle seconde sarà angolare. Varranno ovviamente gli stessi principi di conservazione Energia, massa e quantità di moto, con le opportune modifiche in Energia, momento angolare e momento della quantità di moto. Appare utile, comunque, raccogliere in una tabella tutte le equazioni della dinamica rotazionale e confrontarle con quelle che reggono la dinamica traslazionale, in modo d'avere un rapido ed opportuno confronto.

3.2.10 Equazioni ed Analisi Dimensionale Se si divide un numero Δ L unità di lunghezza, per un numero ΔT unità di tempo affinché sia conservata la relazione fra i valori numerici varrà la relazione (v)= ΔL/ΔT. Questa relazione è detta equazione dimensionale della velocità in funzione della lunghezza e del tempo. Relazioni analoghe valgono per tutte le quantità fisiche. L’esame delle equazioni dimensionali può essere molto utile se si passa da un sistema di misura ad un altro in cui rimangano inalterate le regole di derivazione. D’altra parte ogni relazione tra grandezze a cui si pervenga attraverso un calcolo od un ragionamento, deve far apparire nel primo e nel secondo membro ed anche nei diversi termini di una somma, le stesse dimensioni. Questa che è dettao criterio di omogeneità è la base di quella che normalmente viene definita analisi dimensionale. Se infatti la formula non dovesse risultare omogenea ciò significa che deve esser stato commesso un errore. Si ha in tal modo un utile strumento di verifica dei propri calcoli. Ad esempio se

si considera il periodo T = 2

che conferma l’assunto.

22

l vale la relazione T = g

l l

T −2

= T2 =T

Cap. IV LA BIOMECCANICA ED IL MOVIMENTO DEL CORPO UMANO 4.1

La Struttura Fisica del Corpo Umano

Lo studio della meccanica classica, applicata al corpo umano ed ai suoi possibili moti, é un argomento di tale complessità tecnico-scientifica e di tale infinita varietà di applicazione che solo una parte ben ristretta è stata definitivamente affrontata e risolta. Per esempio, quella essenzialmente collegata ai moti semplici degli arti od al moto semplice del corpo singolo. Nella meccanica si studiano le leggi dell’azione delle forze, indipendentemente dalle origini. Nella biomeccanica, invece. si studiano le origini delle forze e di conseguenza il valore della forza utilizzabile per l'organismo umano. Tutte le forze. applicate all'atleta, costituiscono il sistema di forze dette esterne ed interne. Il sistema delle forze esterne può apparire anche come resistenza, per superare la quale si impiegano le energie motorie e le tensioni muscolari. Le resistenze si suddividono, a loro volta, in positive e negative. Il superamento delle resistenze positive, di solito, costituisce il compito principale dei movimenti umani (per es. il superamento del peso del corpo avversario è lo scopo dei movimenti di lancio). Le resistenze negative. d'altra parte, dissipano il lavoro positivo e sono inevitabili (per es. le forze d'attrito). Spesso le forze esterne sono utilizzate dall'uomo a vantaggio dei propri movimenti. Ad esempio. l'uomo, per compiere il lavoro necessario a superare le resistenze, può utilizzare: il peso, le forze elastiche, quelle inerziali ecc.. In questo caso, le forze esterne costituiscono una parte dell'energia utilizzabile e l'uomo consuma, perciò. una minore energia muscolare ed è come se compisse un lavoro scomponibile in due parti: a) il lavoro diretto al superamento di tutte le resistenze (positive e negative) b) il lavoro diretto a comunicare una accelerazione al proprio corpo e agli oggetti esterni. Nella biomeccanica, la forza-agente dell'uomo è la forza dell'influenza esercitata sull'ambiente fisico esterno, trasmessa attraverso i punti di lavoro del corpo (ad es. le prese). I punti di contatto con i corpi esterni comunicano ad essi movimento (quantità di moto e momento cinetico) ed energia (movimenti traslatori e rotatori). La descrizione anatomico-fisiologica di queste azioni, in termini di ossa ed inserzioni muscolari, che risulterebbe estremamente complessa e particolareggiata (Si pensi che lo scheletro è costituito da circa 200 segmenti ossei su cui agiscono più di mille muscoli organizzati in sistemi o gruppi), è opportuno che venga sostituita da un'astrazione semplificata che, al posto dei segmenti ossei, preveda segmenti rigidi uniti da cerniere, e, al posto dei vari muscoli agenti. preveda la risultante delle forze (fig. 24) Una tale astrazione, detta "atleta biomeccanico", potrà, in realtà, come il corpo umano, muoversi solo in termini di rotazioni reciproche tra le parti (arti, ecc.). Nell'ottica semplificativa prima enunciata, si definirà dunque "Atleta Biomeccanico": "Un solido a geometria variabile ed a simmetria cilindrica, che può assumere differenti assetti, normalmente posto in condizioni di equilibrio instabile nel campo gravitazionale su di una superficie piana con attrito, che, attraverso gli snodi articolari. è capace di compiere solo definite rotazioni"

23

4.2

Baricentro e Piani di Simmetria

Come è stato accennato precedentemente. il moto di un corpo viene completamente descritto con ausilio di due sistemi di riferimento, uno inerziale ed immobile, generalmente collegato con gli spigoli della,palestra. ed uno mobile. strettamente legato al corpo dell'atleta e partecipe di. tutti i suoi movimenti. con l'origine posta nel suo baricentro. Il baricentro generale di un corpo umano. posto immobile in posizione (o stazione) eretta. è un punto geometrico situato in media tra il 54 e il 57 % dell'altezza dell'individuo, approssimativamente all'interno della prima vertebra sacrale. In questo punto. che è il punto di applicazione della risultante delle forze peso. dovrà installarsi l'origine del sistema cartesiano mobile detto "sistema proprio dell'atleta" (fig 25). E’ opportuno ricordare che il sistema di riferimento del laboratorio è un sistema inerziale ( in buona approssimazione) pertanto le leggi descrittive del moto dell’atleta in esso saranno più semplici, mentre il sistema proprio dell’atleta è un sistema non inerziale, pertanto la descrizione in esso dello stesso movimento risulterà più complessa per la presenza delle cosiddette forze fittizie.

É importante notare che la descrizione fisica del gesto sportivo presenta un'ulteriore grado di difficoltà. Infatti. poiché il corpo in moto è formato da segmenti mobili tra loro (le catene biocinetiche). il baricentro del corpo risulta anch'esso mobile e può. nel corso dell'esecuzione di alcuni gesti sportivi. venirsi a trovare addirittura fuori dal corpo dell'atleta. A tale riguardo, pare stimolante la figurazione espressa dal prof. Dal Monte, per cui le posizioni che il baricentro generale dell'atleta può occupare, sono comprese in una superficie pseudo -ellissoidale che si può espandere concentricamente a se stessa (Uovo di Dal Monte) (fig. 26).

il sistema cartesiano, detto "sistema proprio" dell'atleta. permette di individuare tre piani di simmetria del corpo umano. detti piani di orientazione. Essi sono il piano Frontale, che divide il corpo in parte anteriore e parte posteriore; il piano Sagittale o Antero-

24

Posteriore. che divide il corpo in due metà speculari: il piano Orizzontale o Trasverso. che divide il corpo in una parte superiore ed una inferiore (fig. 27). Utilizzando. in prima approssimazione, come supporto rigido di traslazione delle risultanti delle forze. la struttura ossea dello scheletro, è possibile definire il baricentro del corpo di un uomo immobile. Nelle ricerche di biodinamica sportiva, è necessario avere informazioni sulle proprietà inerziali e sui baricentri dei segmenti corporei degli atleti coinvolti. Normalmente, si fa uso di tabelle e dati che risalgono a studi di Fisher del 1800 (fig. 28), o a dati più raffinati ottenuti dal Dipartimento di Medicina Aereospaziale degli Stati Uniti, ma. a causa dell'ampia variabilità singola, spesso è necessario effettuare calcoli specifici per estrapolazione da modelli computerizzati (matematico-geometrici) come sostituire agli arti degli atleti dei tronchi di cono opportunamente collegati (fig. 29). oppure considerare il corpo dell'atleta composto di porzioni ellittiche di due cm. di densità costante ecc. (fig. 30). La nozione di baricentro è importante e va considerata non solo per l’atleta immobile, ma, a maggior ragione, durante il suo moto, a causa delle semplificazioni concettuali che si ottengono nello studio analiticoquantitativo dei moti complessi degli atleti. Nelle figure viene mostrato l'abbassamento del baricentro dell'uomo, dallo stato pre-natale a quello di adulto. nei piani frontale e sagittale 28-2

4.3

Elementi di meccanica articolare

I dispositivi che collegano le ossa. consentendone la mobilità. vengono dette articolazioni. Esse si distinguono in tre categorie fondamentali. denominate sinartrosi. anfiartrosi e diartrosi figura 30

1. Nelle sinartrosi (giunzioni immobili), le ossa sono collegate mediante l'interposizione di un'altro tessuto, che stabilisce una continuità diretta tra i segmenti scheletrici. 2. Nelle anfiartrosi (giunzioni semi-mobili), le superfici ossee sono collegate mediante cartilagini e comportano un legamento interosseo interposto. 3. Nelle diartrosi (giunzioni mobili), le ossa sono collegate mediante superfici lisce rivestite di cartilagine e legate da una capsula o manicotto connettivale che avvolge la giunzione. La forma di un'articolazione determina la natura dei movimenti che essa può effettuare. L'assimilazione delle superfici articolari a quelle di solidi notevoli permette di classificare abitualmente sei tipi diversi di giunzioni (fig.34).

25

È sufficiente, però, per la nostra trattazione, distinguere le articolazioni attraverso il movimento per esse possibile, detto grado di libertà (fig. 31). Pertanto si avranno:

1. Articolazioni ad un grado di libertà: sono tutte quelle diartosi che possono muoversi in un solo piano, come, ad esempio, i movimenti di flessione-estensione dell'articolazione omeroulnare (gomito) o delle giunzioni interfalangee (dita). 2. Articolazioni a due gradi di libertà: sono tutte quelle diartrosi che possono muoversi in due piani ortogonali, come, ad esempio, l'articolazione del ginocchio che può effettuare il movimento di flessioneestensione nel piano sagittale e quello di rotazione nel piano frontale, o l'articolazione omero-radiale (gomito), che può effettuare sia il movimento di flessione-estensione che quello di rotazione, detto di pronazionesupinazione, nel piano perpendicolare al precedente. 3. Articolazioni a tre gradi di libertà: sono tutte quelle diartrosi che possono effettuare il massimo numero di movimenti. cioè due traslazioni ed una rotazione nei tre piani di simmetria del corpo. Esse sono l'articolazione della spalla, dell'anca, del collo, della caviglia. I moti delle articolazioni sono prodotti dalle contrazioni muscolari. In termini fisici, le articolazioni non sono altro che cerniere che vengono mobilitate dalla risultante delle forze muscolari. Quale che sia la natura del muscolo agente e l'inserzione dei suoi tendini sull'osso, in caso di movimento (contrazione isotonica), una delle inserzioni tendinee di un capo del muscolo è fissa, l'altra è mobile. Il risultato è il moto della parte scheletrica su cui si inserisce l'inserzione mobile. I diversi spostamenti rientrano quindi nel campo della meccanica della leva, il cui fulcro è dato dall'articolazione interessata. In ogni caso, bisogna ricordare che, nei movimenti naturali e nei gesti sportivi, si tratta di sistemi di leve complessi. mobilizzati dall'azione sinergica dei gruppi muscolari. A questo riguardo, la fisiologia ci rammenta che l'esecuzione di un movimento deriva dalla cooperazione di tre categorie funzionali di muscoli: 1. Muscoli agonisti, che lottano contro le resistenze e generano l'inizio del movimento. 2. Muscoli antagonisti. che bilanciano e frenano l'azione dei precedenti. 3. Muscoli fissatori, che assicurano la stabilizzazione delle ossa conferendo loro la fissità per effettuare il movimento. In realtà, i muscoli che circondano le articolazioni (detti periarticolari) possono funzionare, a seconda dei casi, sia come agonisti che come antagonisti .Il loro stato di tensione può trasformare un'articolazione a più gradi di libertà in una ad un solo grado di libertà, con una determinata direzione di movimento ed una certa capacità di velocità. Nelle articolazioni a due o tre gradi di libertà. il gesto sportivo si attua grazie alla successiva interazione dei muscoli funzionali, La contrazione degli agonisti determina la direzione del movimento della parte, quella degli antagonisti ne determina la velocità. In alcuni movimenti complessi, il ruolo dei muscoli può variare nel tempo. Questo interscambio rende conto del fatto che non è possibile un perfetto dosaggio delle contrazioni di ogni muscolo, se non a prezzo di un lungo e costante allenamento. che sfocerà nella migliore, più precisa ed economica attuazione del compito motorio prefisso.

26

4.4

Catene Biocinetiche

Lo studio statico e dinamico del corpo umano, in base alle leggi della meccanica classica, richiede l'astrazione del cosi detto "atleta biomeccanico". In tale atleta. il collegamento di due parti ossee variabili, vicine. viene chiamata "coppia biocinetica". In essa, la possibilità del movimento viene caratterizzata dalla struttura delle articolazioni e dalla risultante delle forze prodotte dall'azione dei muscoli sulle ossa (fig. 32).

Le catene biocinetiche sono formate dall'unione di più coppie biocinetiche, che possono essere aperte o vincolate (dette impropriamente chiuse) (fig. 33).

Le catene, ovviamente, seguono le leggi della statica o della dinamica, in modo diverso a seconda del loro grado di vincolo. Infatti, le catene vincolate possono muoversi sfruttando solo le reazioni vincolari dei loro estremi. Pertanto, nelle catene vincolate, non sono possibili i movimenti isolati di una sola articolazione, mentre le catene aperte possono rendere mobili uno o più segmenti, fissando i rimanenti. La forza agente, dovuta alla contrazione, può essere scissa in due componenti, una secondo l'asse dell'osso (longitudinale), una secondo la sua perpendicolare La componente longitudinale non favorisce il movimento, ma compensa la tendenza alla dislocazione nella coppia biocinetica dovuta alla forza centrifuga. D'altro canto, la componente perpendicolare provoca una rotazione della leva (fig. 38 - 39)

27

La linea ideale che congiunge i due centri di rotazione dello stesso segmento osseo si chiama "anello". La linea d'azione, così definita, può essere parzialmente esterna all'osso corrispondente, quando esso è curvilineo. Questa è la ragione per cui la "coppia biocinetica" risulta di lunghezza diversa da quella delle ossa corrispondenti. Inoltre, anche se si ipotizza che l'osso non si deformi, in pratica la lunghezza della catena non è necessariamente costante. In effetti, i centri di rotazione istantanea non hanno una posizione fissa, a causa dell'irregolarità delle superfici articolari a contatto e la loro posizione può variare in alcuni casi di circa 2-3 cm. in funzione dei segmenti ossei mobilizzati. Questo esempio dà conto della sensibile imprecisione che può verificarsi nel considerare le catene biocinetiche di lunghezza costante. Inoltre, i movimenti possono variare a seconda che gli elementi della coppia, su cui i muscoli sono inseriti, sono legati ad una o più articolazioni. Pertanto. si parlerà di muscoli mono - articolari, bi-articolari o pluri-articolari nel caso in cui siano mobilitate una. due o più articolazioni. Nell'ultimo caso. ad esempio, al moto dell'articolazione più vicina che incrocia il muscolo, si aggiungono quelli di altre articolazioni più lontane. Questi accenni permettono di comprendere che, nell'analisi globale del moto di un corpo o della esecuzione di un gesto sportivo, si ha a che fare con sistemi complessi di leve variabili in cui. come ulteriore grado di difficoltà, le forze agenti sono originate da gruppi di muscoli a volte lontani o da più muscoli che agiscono sulla stessa catena biocinetica. Nel caso specifico del Judo, in cui le catene biocinetiche superiori possono essere sottoposte a tecniche di leva al gomito basate sulla iperestensione e/o supinazione e pronazione. Bisogna ricordare che le forze attive agiscono solo lungo i segmenti ossei e che i distretti muscolari di chi li subisce possono opporsi alla forza agente solo entro certi angoli. in cui l'articolazione viene stabilizzata per fissazione (cfr. "Biomeccanica del Judo">. Nelle catene biocinetiche. le articolazioni a due o tre gradi di libertà non possono compiere movimenti illimitati in una stessa direzione, per cui tutti i movimenti hanno un carattere ciclico, ad esclusione del moto circolare complesso, in cui la catena compie un moto conico. In ogni articolazione, la direzione e l'ampiezza del movimento sono limitate, ovvero, in altre parole, il segmento osseo non può avere infinite possibilità di movimento, ma solo quelle proprie della posizione anatomica (fig. 40-41).

28

4.5 4.5.1

Posture, Rotazioni e Locomozione Reazioni Posturali e Condizioni di Equilibrio

Le posture o posizioni che un atleta o un individuo può assumere sono pressoché infinite. Ognuna di esse si esprime attraverso la "fissazione" e l'immobilizzazione dei segmenti scheletrici in una posizione determinata come "attitudine" dell'insieme corporeo. Ognuna di esse può essere mantenuta per un certo intervallo di tempo. Ciò significa che essa è rappresentata da uno stato più o meno marcato di equilibrio del corpo. Comune ad ognuna di esse è la necessità di dover controbilanciare la forza di gravità, che tende a mantenere il corpo disteso al suolo. La conservazione di una attitudine corporea, o "postura", non rappresenta che una parte dell'attività muscolare antigravitazionale, che si basa essenzialmente sull'attività tonica inconscia della muscolatura, guidata dalla struttura nervosa midollare (via extrapiramidale cfr. "Biomeccanica del Judo"). Tre tipi di reazioni posturali sono da individuarsi per ognuna delle possibili postu re: 1. Le reazioni di conservazione. Sono quelle azioni grazie a cui il corpo adotta e conserva l' "attitudine" o postura in questione, quando l'appoggio sulla superficie di sostegno è energeticamente conveniente. 2. Le reazioni di recupero. Sono quelle azioni grazie a cui il corpo riacquista "l'attitudine" in questione, partendo da una qualsiasi posizione. 3. Le reazioni di stabilizzazione. Sono quelle azioni grazie a cui si assicura al corpo la stabilità della postura, contrapponendosi a delle forze di perturbazione. Secondo la loro importanza, tali reazioni possono spaziare dalla organizzazione dell'attività tonica dei muscoli. fino alla esecuzione di veri e propri movimenti di correzione. La condizione di equilibrio di un solido è definita da due condizioni: 1. La risultante delle forze applicata deve essere nulla. 2. La risultante dei movimenti applicati deve essere nulla. Il corpo umano non può essere assimilato ad un solido rigido, formato da più segmenti mobili fra loro, incernierati dalle articolazioni. È più corretto assimilarlo ad un sistema deformabile di solidi geometrici (cfr. Atleta Biomeccanico). Un tale sistema è dunque in equilibrio quando le forze agenti su ogni sua parte sono in equilibrio. Per i segmenti scheletrici delle catene biocinetiche si avrà che, o l'elemento riposa sull'elemento posto al disotto di lui mediante l'articolazione, o i muscoli effettuano la funzione contro le forze esterne. Nel caso di reazioni di conservazione, le condizioni meccaniche di equilibrio sono le seguenti: 1. Tutti i centri di gravità segmentari debbono essere allineati lungo la linea di gravità; 2. Tutti gli assi di rotazione dei segmenti corporei devono essere sulla linea di gravità: 3. La linea di gravità generale deve passare attraverso il poligono di sostegno. detto "superficie trapezoidale ottimale" (fig. 42).

Se, per caso, una di queste condizioni non fosse soddisfatta, l'equilibrio posturale si può mantenere lo stesso. ma grazie ad una azione più accentuata delle forze muscolari. Nel caso delle reazioni di stabilizzazione, forze esterne di origine diversa (es. una spinta costante) o, nel caso dello spostamento, accelerazioni angolari o lineari possono applicarsi alle masse muscolari del corpo. generando forze perturbatrici anche di alta intensità e rapidamente variabili, che saranno sempre contrastate da forze muscolari originate nei settori periarticolari. Tutte le reazioni posturali possono essere considerate, dopo un congruo periodo di allenamento. prima percepite a livello corticale dai recettori propriocettivi. poi ottenute da sforzi muscolari non coscienti. governati essenzialmente dalla zona spinale.

29

4.5.2 Rotazioni e principi di conservazione Ricordando il principio di conservazione del momento della quantità di moto in formule I = mr

 = cos t

2

questo significherà se I 2  I 1  se; I = cos t.; che 2  1 , cioè la velocità angolare aumenterà in modo da poter mantenere invariato il momento della quantità di moto totale del corpo umano. L’energia cinetica però del sistema subirà la seguente variazione :

E =

1 1 1 I 2 22 − I 112  I 11 ( 2 − 1 ) 2 2 2

Data lavoro positivo delle forze centripete interne che hanno provocato l’avvicinamento all’asse di rotazione dei punti distali del corpo umano, si vede inoltre che la variazione di energia cinetica è proporzionale all’aumento della velocità angolare. Vediamo nel seguito per il sistema corpo umano su di una piattaforma girevole alcune applicazioni ed alcuni effetti del principio di conservazione che sono applicati in forma apparentemente diversa in tutti gli sport. Si vedrà ora come produrre un moto senza intervento di forze esterne, se le braccia si levano in un piano perpendicolare al moto (1) o se le braccia si muovono orizzontalmente di moto opposto (2) non si genera rotazione, se il braccio si muove in una direzione (3) il corpo ruoterà nella direzione opposta, se il tubo ruoterà in un verso il corpo ruoterà in senso opposto (4) moti complessi delle braccia possono determinare rotazioni determinate ad esempio 180°(5) se invece si lancerà una massa in una direzione per il terzo principio della dinamica rotazionale il corpo inizierà a ruotare in modo continuo in direzione opposta (6).

30

4.5.3 Cenni di Meccanica della Locomozione Le conoscenze attuali sulla meccanica della locomozione derivano dal frutto di ricerche fondamentali, fatte all'inizio di questo secolo, prima dalla scuola tedesca e francese, poi dalla scuola russa ed infine da quella americana. Nella locomozione sono individuabili tre fasi: fase di appoggio, fase di oscillazione, fase di doppio appoggio. Poiché l'articolazione coxo-femorale non è fissata durante la locomozione. il suo moto perturba le condizioni di equilibrio del bacino e del tronco Di conseguenza, l'avanzarsi è connesso a moti complessi necessari per esigenze di equilibrio di ordine posturale. Questi, infatti, interessano particolarmente il tronco, che conserva la propria posizione in rapporto al bacino, grazie ad oscillazioni nei differenti piani di simmetria. Durante la locomozione, testa. fianchi e spalle descrivono, nei piani sagittale, frontale e trasverso, delle traiettorie che sono quasi delle complete e perfette sinusoidi. La sinusoide verticale giacente sul piano sagittale ha il periodo o la lunghezza d'onda della dimensione di una fase, la sinusoide orizzontale giacente nel piano trasverso ha il periodo della dimensione di una doppia fase e la lunghezza d'onda della sinusoide giacente sul piano frontale è anch'essa della dimensione di una doppia fase figura 43 –a,b,c.

Le spalle e le anche, durante la locomozione, producono curve corrispondenti, ma in direzione opposta. La locomozione umana è un caso speciale e complesso della meccanica classica. Pertanto, le leggi della fisica newtoniana ed i principi insiti in essa debbono poter essere provati nel caso della locomozione. In termini di meccanica classica, i problemi della locomozione umana sono evidenziabili nella soluzione delle seguenti questioni: 1. Il mantenimento e la conservazione dell'equilibrio. 2. L'origine delle forze propulsive e di arresto, considerando le componenti rotatorie relative agli arti. 3. Il principio d'inerzia durante la locomozione. Riguardo al punto primo, se si considera un solo passo della locomozione, è corretto dire che l'equilibrio è perduto e riguadagnato dall'individuo, ma in effetti il centro di gravità è semplicemente fatto oscillare in un moto complesso che si scompone in tre moti semplici, nei tre piani di simmetria, sempre nel rispetto delle leggi che regolano l'equilibrio (fig. 44 a-b-c).

31

Riguardo al secondo punto, è corretto affermare che l'effetto traslatorio del moto è il risultato finale di una combinazione di moti rotatori effettuati alternativamente dall'anca, dal ginocchio e dall'avampiede sotto la condizione necessaria e sufficiente che la somma degli angoli relativi tra le parti mobili sia zero. Infatti, è possibile dimostrare che solo sotto questa condizione il risultato finale è assimilabile ad una traslazione rigida (fig. 45 –46 - 47).

Ciò in base al teorema che enuncia: Una serie di movimenti articolari rotatori corrisponde ad una traslazione. se è soddisfatta la condizione che la somma degli angoli relativi è nulla, mentre corrisponde ad un movimento rotatorio se la somma degli angoli è diversa da zero. Riguardo al punto terzo, è corretto affermare che il principio di inerzia è soddisfatto dai vari moti relativi che si generano fra le catene biocinetiche inferiori ed il tronco mediante le anche. Infatti, come esempio, durante la locomozione (a causa della coordinazione cinestetica), il tronco si inclina ruotando in avanti per equilibrare la rotazione all'indietro prodotta dalla resistenza dell'aria e dall'inerzia di trascinamento delle catene biocinetiche. Ciò, in termini fisici, garantisce la conservazione sia della quantità di moto che del momento angolare figura 48 provando che il principio di inerzia si mantiene valido nel corso della locomozione umana.

32

Il moto di un individuo o di un atleta è un problema meccanico di alta complessità ed è essenzialmente dovuto alla condizione di equilibrio instabile dell'individuo alla presenza del campo gravitazionale ed all'esistenza dell'attrito. In questo quadro definire il contributo muscolare alla locomozione in un modello più realistico del corpo rigido, è problema di ardua e difficile soluzione. In quanto esiste il fenomeno spesso sottovalutato della coordinazione muscolare. Esso è basato non solo sul contributo di più muscoli ( sia attivo che passivo di controbilanciamento) ad uno stesso movimento, ma anche al contributo di muscoli biarticolari ad uno stesso movimento. Sfortunatamente lo stabilire e comprendere la coordinazione muscolare della locomozione è argomento quasi proibitivo a causa delle molteplici catene biocinetiche interessate a cui si coordina, come si è visto, anche il tronco. Le forze risultanti alle giunture, derivano dall’accelerazione dei segmenti del corpo e dall’interazione delle forze con l’ambiente esterno, esse si possono essenzialmente individuare nei contributi di gravità ed attrito. Queste esemplificazione trascura in realtà le forze di contatto alle articolazioni, che includono le forze di compressione prodotte dai muscoli, dai legamenti e da altre potenziali strutture che traversano l’articolazione. Di norma per il calcolo degli sforzi alle giunzioni, nella locomozione umana, si usa la potenza segmentale alle articolazioni delle catene biocinetiche, il suo computo si basa su due metodi: 1.Metodo cinematico. 2.Metodo cinetico. Il primo utilizza le variazioni delle posizioni dei punti di repere, dell’orientazione, delle velocità lineari ed angolari dei segmenti in un intervallo di tempo, per valutare le variazioni d’energia cinetica e potenziale del segmento in esame. Il secondo calcola la potenza ad un determinato istante, sommando l’energia entrante ed uscente dal segmento prodotta da tutte le forze ed i momenti agenti sulla catena biocinetica, che possono esser valutati con il metodo di Newton-Eulero detto della dinamica inversa. Questi due metodi teoricamente uguali producono risultati non equivalenti per problemi metodologici associati, sia quando la differenziazione numerica introduce errori nei dati cinematici, sia quando i punti di repere si muovono non consistentemente con l’assunzione di corpo rigido. DEFINIZIONE DI DINAMICA INVERSA Una definizione normalmente accettata di problema inverso della dinamica è quella data da Suslov: Per problema inverso della meccanica si intende l’individuazione delle forze, dalle proprietà individuate del moto studiato. VANTAGGI DELLA DINAMICA INVERSA 1.Il segmento prossimale della catena cinetica studiata non deve esser modellato, per calcolare il momento e la forza intersegmentali. 2.In presenza di dati di disturbo, per ottenere la stima migliore sia del momento che della forza può esser usato il metodo dei minimi quadrati. 3.Le equazioni base di Newton-Eulero per il moto di locomozione sono: 4.F=ma ed M=Iα LIMITI DELLA DINAMICA INVERSA 1.Un limite è dato dall’incertezza nella stima del consumo energetico muscolare basato sui flussi energetici alle articolazioni. 2.Sebbene il contributo globale possa esser decomposto nel contributo dei vari muscoli, l’accelerazione prodotta da essi non può esser calcolata. 3.Le equazioni di Newton –Eulero per una catena cinetica sono un set di equazioni dinamiche del moto incomplete. APPLICAZIONE DELLA DINAMICA INVERSA ALLA LOCOMOZIONE DI UNA CATENA CINETICA INFERIORE Ordinamento dei segmenti 1.Bisogna partire da un segmento finale della catena. 2.Bisogna conoscere le forze di reazione al suolo. (sia =0, che , ≠ 0). 3.Se le forze esterne sono ignote non è possibile affrontare il problema.

Metodologia ed ipotesi di base 1.Si divide il corpo in catene cinetiche. 2.Si divide la catena in segmenti. 3.Si assume che ogni segmento sia un corpo rigido. 4.Si assume che l’attrito sia trascurabile.

33

Organizzazione del calcolo inverso. 1.Definire il diagramma di corpo libero per la parte distale studiata. 2.Bisogna trovare la risultante delle forze che agiscono su di esso. 3.Se la parte distale contatta l’ambiente bisogna aggiungere le forze di reazione (non note). 4.Bisogna semplificare le forze non note ove possibile.

Esempio di diagramma di corpo libero della parte distale. Si individua il centro di massa del piede ed aggiungere la forza peso.

Si individuano e si aggiungono le forze di reazione al contatto. Si individuano e si aggiungono le forze prodotte dai muscoli ai rispettivi punti di applicazione.

Si individuano e si aggiungono le forze di reazione ossea e quelle dei legamenti. Poiché vi sono tre equazioni del moto e più di tre forze sconosciute il problema non è analiticamente risolvibile.

34

Bisognerà allora ridurre le forze sconosciute a tre, ovvero: Fx, Fy, Mz. Si considera la forza di un singolo muscolo.

Si trasla il punto di applicazione della forza allo snodo articolare Si aggiunge una forza uguale ed opposta, che bilancia l’azione del muscolo.

Si crea così una coppia di forze di momento Mf k Si sostituisce la coppia con il suo momento

Si analizzano di nuovo tutte le forze agenti sulla parte distale della catena. Si sostituiscono le forze, con le forze muscolari, e con i relativi momenti prodotti.

35

Si aggiungono tutte le forze che agiscono sulla caviglia e si ottiene così il diagramma finale. Si individuano i bracci dei momenti delle coppie agenti. r caviglia r suolo

Si individuano in tal modo le equazioni del sistema.

Fx = ma x : Fx ( caviglia) + Fx ( suolo) = ma x ( piede). Fy = ma y : Fy ( caviglia) + Fy ( suolo) − mg = ma y ( piede). M z = I : M z ( caviglia) + rcaviglia  Fcaviglia + rsuolo  Fsuolo z = I piede z

La medesima metodica si applicherà alle altre parti della catena cinetica, (gamba e coscia) ricordando il principio di azione e reazione.

Le relative equazioni sono:

Fx = ma x : Fx ( ginocchio) − Fx ( caviglia) = ma x ( gamba ). Fy = ma y : Fy ( ginocchio) − Fy ( caviglia) − mg = ma y ( gamba ). M z = I : M z ( ginocchio) + rginocchio  Fginocchio − M z ( caviglia) + rcaviglia  (− Fcaviglia ) = I gamba z

z

36

Fx = ma x : Fx ( anca ) − Fx ( ginocchio) = ma x (cos cia). Fy = ma y : Fy ( anca ) − Fy ( ginocchio) − mg = ma y (cos cia). M z = I : M z ( anca ) + ranca  Fanca z − M z ( ginocchio) + rginocchio  (− Fginocchio ) = I cos cia z

Le equazioni che descrivono la potenza dei complessi muscolo-tendinei mono e bi articolari sono:

Puni = Fm (vi − vo ) = M m i

Pbi = Fm (vi − vo ) = M bi11 + M bi 2 2 = P1 + P2

Ovviamente dalle equazioni precedenti si nota che il muscolo biarticolare, interagisce simultaneamente con due segmenti, la forza prodotta da un muscolo biarticolare è vantaggiosa per la locomozione, in quanto, l’energia da esso prodotta viene scambiata tra i due segmenti in modo non paragonabile a quella prodotta dai muscoli monoarticolari In recentissimi studi si è tentato di simulare il contributo dei singoli muscoli alle accelerazioni e potenze segmentali, includendo termini addizionali nella forza di reazione al suolo, nel caso in cui il contatto piede/suolo è modellato con un set di elementi viscoelastici. Le equazioni dinamiche del moto sono:





q = I −1 (q)  R(q) F mus (q, q ) + F re (q, q ) + G (q) g + C (q, q ) + F div (q, q )

Dove q sono le coordinate generalizzate, I la matrice delle masse del sistema, R la matrice dei momenti, F forze dal muscolo, F reazione al suolo, G vettore gravità, C forze di Coriolis e centripete, forze esterne diverse I MODELLI SEMPLICI DELLA LOCOMOZIONE II piu semplice dei modelli è quello del pendolo inverso.

Il modello mostrato precedentemente è un eccellente esempio di modello semplice che fornisce dati sufficientemente corretti sull’energetica della locomozione, scambi tra cinetica e potenziale, ma esso però non da conto di due picchi che si osservano sempre nel diagramma della forza di reazione al suolo nella locomozione umana.. Il modello introdotto da Mc Mahon è basato sul fatto che durante l’oscillazione il moto del corpo può esser descritto da un opportuno set di condizioni cinematiche al distacco delle dita del piede, in quanto l’energia si scambia tra: l’arto oscillante –il tronco- l’arto d’appoggio, pertanto esso è detto balistico. Il limite di questi semplici modelli è nel fatto che sebbene essi permettano di analizzare bene le relazioni di base tra corpo, massa, altezza, stiffness delle gambe e loro lunghezza, velocità ed energetica globale, comunque non forniscono dati sul coordinamento muscolare a causa della loro semplicità di modellazione.

37

Non solo l’aspetto muscolare della locomozione è complesso ma anche il più “semplice” sistema osseo in dinamica nasconde complessità tutt’altro che semplici da superare, ad esempio si può vedere che il piede nel suo movimento cambia addirittura la sua struttura statica aumentando ed irrigidendo parti che in posizione statica mostrano un altro comportamento: al termine della fase di stazione il piede ruota sulla testa del primo metatarso mentre il tallone ruota verso l’esterno e la fascia plantare in tensione aumenta l’altezza dell’arco longitudinale, creando una relativa stabilità e rigidità per la fase di spinta successiva.

STUDIO SPERIMENTALE DELLA LOCOMOZIONE Esso avviene mediante apparati sofisticati : telecamere ad alta velocità, computer, indicatori di posizione , elettromiografi telemetrici, piattaforfe di forza, ecc.attraverso i seguenti step

Misura dei dati cinetici con tv e pc Analisi statistica

Strutturazione matrice dati

Individuazione e correlazione piani di movimento

Filtraggio dati

Iterpretazione grafica

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Esempi di risultati cinetici:

L’analisi statistica dei dati e l’individuazione dei piani di giacitura delle varie catene biocinetiche durante la locomozione, permette di individuare all’istante se vi sono difetti in quella particolare locomozione esaminata. L’analisi statistica dei dati e l’individuazione dei piani di giacitura delle varie catene biocinetiche durante la locomozione, permette di individuare all’istante se vi sono difetti in quella particolare locomozione esaminata. I difetti e la loro identificazione quantitativa vengono classificati attraverso l’ GQI ( indice di qualità della locomozione). Esso dipende dalla distribuzione probabilistica dei punti durante le prove, tale distribuzione forma un ellisse con il seguente campo di esistenza.

K p =  f ( x1 , x2 , t )dx1dx2 A

0  Kp 1 Ed è definito come il punto che soddisfa la relazione:

CQI =

xt − s ST = x−s SM

Dove il punto T è la misura ottenuta per il soggetto analizzato. S è un punto dello spazio ottenuto come media di molte locomozioni ed M è il punto sull’ellisse della distribuzione probabilistica più vicino a T , se il rapporto fra questie due distanze ST ed SM è 1 la locomozione è non normale. Una recentissima metodica per calcolare la forza sviluppata alle anche durante la locomozione usa le seguenti equazioni dei momenti e delle forze che tengono conto dei muscoli agonisti ed antagonisti 6

F cont = A13  ai Fi ag + B01 i Fi rot ,est . + C01 i M iantag . + F int esr. i =1

6

M est = A13  ai M iag + B01 i M imomen,est. + C01 i M iantag . i =1

39

Una riflessione, in termini delle dimensioni del corpo degli atleti e della necessità di adeguare al loro organismo ed al loro "normotipo le tecniche di uno sport, trova spazio in quella branca della scienza denominata antropometria fisiologica. Che vi sia uno stretto legame tra costituzione fisica e prestazione sportiva, oltre che apparire ovvio, è stato anche scientificamente provato. In un atleta, di cui siano noti i valori medi di concentrazione dei principali "combustibili" energetici del muscolo, quali il glicogeno, la fosfocreatina, l'adenosinfosfato, la mioglobina, la conoscenza dell'entità delle sue masse muscolari in termini di antropometria fisiologica permette di conoscere, con una sufficiente approssimazione, l'entità del debito massimo di ossigeno alattacido e l'ammontare delle riserve energetiche muscolari del soggetto. Parametri importanti, che permettono, in pratica, la previsione della massima prestazione muscolare dell'individuo. La prestazione individuale è il risultato combinato e coordinato di una varietà di funzioni fisiologiche, biomeccaniche, intellettive ecc. Ovviamente, non è possibile rispondere in modo esatto e quantitativo alla domanda: quali sono le capacità più importanti per ottenere una prestazione di altissimo livello? E evidente, in primis, che dipende dallo sport praticato, e, poi, nelle performances, è forse più importante il particolare ed armonico equilibrio fra queste capacità che il raggiungimento del valore massimale per alcune di esse. La costituzione naturale, in termini di patrimonio genetico, gioca, probabilmente, il ruolo più importante nella prestazione dell'individuo, ma, per raggiungere ed ottenere risultati di eccellenza, si deve necessariamente curare l'allenamento specifico che può, se opportunamente condotto. migliorare il grado di relazione armonica fra le varie capacità interessate.

4.6

La Capacità di Lavoro Muscolare e l'Energia del Corpo

Sin dal tempo di Lavoisier, che affermò "La vita è una lenta combustione", si è pensato all'analogia fra il motore animale ed una macchina termica, ma questa approssimazione, anche se appassionante, non è propriamente esatta, perché, in effetti, il motore muscolare, come l'insieme dell'organismo, dissipa energia anche in condizioni di riposo e senza lavoro fisico. Lavoisier e Laplace dimostrarono, con l'uso di una cavia, la conservazione dell'energia presso l'essere vivente (60 anni prima della formulazione del primo principio della termodinamica). Benedict e Atwater dimostrarono che questo principio valeva anche per l'uomo. In effetti, l'uomo è una pessima "macchina termica", che consuma la maggior parte della sua energia per mantenersi in vita, mentre produce lavoro meccanico con un rendimento totale medio. Nel caso dello sport, si può intendere, in una prima approssimazione, per lavoro meccanico. solo quello che comporta il sollevamento del baricentro proprio o dell'avversario. Un maratoneta che corre 42 Km. in piano non compie lavoro in senso fisico. mentre un saltatore in alto od un sollevatore di pesi compiono lavoro fisico solo nella fase di sollevamento. Infatti. se si considera anche la fase di ritorno. il lavoro fisico è, in prima approssimazione. nullo perché. in termini di sola e pura fisica. essendo L = Fr ed essendo un percorso r (ad esempio del peso) nullo, il lavoro finale è ovviamente zero. Se il lavoro fisico è comunque nullo. il lavoro "biologico" o. meglio. la variazione di energia metabolica è certamente positiva. Pertanto, un atleta. pur compiendo un lavoro nullo in senso fisico, può spesso consumare una notevole quantità di energia metabolica, che in massima parte sarà poi dispersa sottoforma di calore all'esterno del corpo umano. Ad esempio. per un atleta ben allenato. la dispersione di energia si attesta tra il 75-80% e. conseguentemente. viene utilizzato il 20-25% dell'energia prodotta dall'ossigeno consumato. La prestazione fisica è fondata sul concetto di capacità di poter compiere lavoro muscolare. Tale capacità è essenzialmente legata alla possibilità che il muscolo ha di effettuare contrazioni. In generale, si definisce "contrazione di un muscolo" la sua possibilità di variare tono, ovvero "durezza", o lunghezza. Nel primo caso, si avrà una contrazione isometrica. cioè il muscolo non varia la sua lunghezza, ma solo l'entità del suo "indurimento". Poiché dunque, il muscolo non varia la sua lunghezza. la contrazione isometrica è legata al concetto di fissazione dell'articolazione, e perciò non potrà produrre lavoro in senso fisico. La contrazione isotonica, in cui il muscolo varia la sua lunghezza, è l'unica che, agendo sulle leve articolari. permette al corpo umano di poter compiere un lavoro in senso fisico. Per il perfezionamento delle azioni motorie. è necessario minimizzare il costo energetico e, quindi, studiare le origini dell'energia, le vie della sua trasformazione. le condizioni dello sfruttamento individuale e, quindi. la sua dispersione.

40

Lo sviluppo dell'energia nel sistema biomeccanico avviene: 1. 2.

con la trasformazione dell'energia chimica in energia meccanica potenziale di tensione muscolare: nella conversione del lavoro delle forze esterne in energia cinetica del sistema biomeccanico e in energia potenziale delle deformazioni muscolari del corpo spostato

L’energia si disperde in: 1. lavoro produttivo: 2. dispendi improduttivi legati alla trasformazione e alla dispersione dell'energia: 3. sua conversione durante l'accumulazione nel muscolo in tensione. Il movimento meccanico dell'uomo è determinato dall'energia biomeccanica del sistema. Il valore ed il tipo di consumo dell'energia nel corso dei movimenti dipende dalle particolarità motorie dell'azione. La capacità di contrazione o contrattilità del muscolo dipende dalla sua struttura fisiologica. il meccanismo di base è molto complesso ed è stato spiegato solo negli anni '70 (cfr. Biomeccanica del Judo): il combustibile di base è l'ATP (Adenosintrifosfato) ed il processo viene innescato da fenomeni di natura elettrica attraverso la placca motoria. La scissione dell'ATP in ADP + Pi è una reazione esogena molto energetica, ma il rendimento della "macchina umana" è molto basso, per cui la maggior parte dell'energia (80%) si accumula sotto forma di calore all'interno dell'organismo. 4.6.1 I modelli matematici del muscolo. Nell’ambito dei modelli matematici del muscolo ormai sono utilizzati modelli a qualsiasi grado di descrizione, così si passa dai modelli macroscopici descrittivi del muscolo come elemento meccanico, ai modelli microscopici che descrivono la contrazione, partendo dall’interazione actina- miosina.. Il modello classico sviluppato da Hill, Maxwell e Voigt si basa sul un modello di muscolo senza entrare nei particolari della sua costituzione intima, potremo dire che è un modello a black box. Facendo riferimento alla configurazione che va sotto il nome di Maxwell, le caratteristiche del modello sono descritte da un elemento contrattile in serie con un elemento appunto in serie ed un elemento elastico in parallelo.

Un’ equazione costitutiva del modello di Maxwell, primo in figura 50. Si ottiene nel modo seguente: Siano L la lunghezza del muscolo, L la lunghezza a riposo, η la lunghezza dell’elemento in serie ,δ l’accorciamento dell’elemento contrattile, ed L la sua lunghezza a riposo si potrà scrivere:

L = Lc −  +  ; dL d d =− + dt dt dt

e vale anche la relazione tra Tensione T del Parallelo e dell’elemento di Serie T=P+S.

Pertanto vale la medesima legge di variazione come quella mostrata nella contrazione del muscolo. E si potrà scrivere.

dT dP dS = + ; dt dt dt

tenendo a mente la seconda relazione potremo scrivere e ricordando che valgono anche

le relazioni:

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dP dP dL dS dS d = ; = dt dL dt dt d dt

l’equazione finale della tensione muscolare da cui si ricaveranno sia il caso

della contrazione isometrica che isotonica sarà:

 dP dT dS  dL dS d  = + + .  dt d  dt d dt  dL

Isometria − L = cos t. dT dS d  d d = ; = dt d dt dt dt Isotonia − T = cos t. dS d  dL d dt = dt  dP dS   dL + d    −

Il modello appena descritto può definirsi il modello più semplice che descrive la contrazione muscolare senza entrare nel merito della costituzione fine del muscolo, ne nei meccanismi microscopici della contrazione. Come si è accennato all’inizio del paragrafo i modelli matematici che descrivono la contrazione muscolare sono moltissimi e di differente grado di descrizione dei meccanismi interni. Uno dei più riusciti ed anche il primo che prese in considerazione l’interazione actina – miosina fu il modello di Huxley. Nel seguito sarà mostrata la più moderna evoluzione di questo modello, detta modello WLC dall’inglese wormlike chain, questo modello mostra allo stato attuale i migliori risultati di correlazione con le curve di contrazione muscolare. Esso si basa su alcune semplici assunzioni, riguardanti la distribuzione della miosina contrattile e delle velocità di slittamento dei ponti. Tali assunzioni portano alla dimostrazione del comportamento sperimentale della contrazione muscolare. Dalla non linearità scoperta da Hill nel 1938 alla massima forza prodotta durante lo stretching che risulta essere il doppio della forza isometrica come mostrato da Katz 1939, la leggera concavità della relazione forza-lunghezza durante un immediato cambio di lunghezza, come trovato da Lombardi e Piazzesi 1990, o l’accurata valutazione del rateo di consumo di ATP Shirakawa 2000, etc. Nella figura 51 è mostrato il modello base dello spostamento actina – miosina.

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il modello può essere espresso semplicemente ricordando che la tensione totale T sarà la somma di quella sviluppata da ogni elemento contrattile del muscolo. N

Ttot =  ni s( xi ) se n = N allora è possibile mostrare che la tensione finale sarà uguale a i =1

b

Ttot =

1 N Wx = ab  s( x )dx x b−a a

nei modelli di Hill e di Huxley la funzione forza s(x) è definita per

semplicità come se fosse lineare ovvero risulta

s( x ) = kab x per cui la tensione risulta essere uguale a :

b

N 1 T = ab  kab xdx = kab N ab (b + a ) b−a a 2

Nel nuovo modello proposto da Nielsen 2002 la funzione s(x) prende la seguente forma più complessa, data dalla seguente espressione :

      k T  x 1 1  s( x ) =   −  +  A  L 4    1 − x 2     4     L    in cui si evidenzia il primo termine fra parentesi come un termine lineare simile a quello di Hill mentre il secondo termine è di tipo non lineare, e rappresenta il contributo di forza prodotto in una catena polimerica Marko 1995. La soluzione dell’integrale della tensione nel caso in cui la forza è del tipo WLC è il seguente:

N ab T = b−a =

k T  x 1  1 a A  L − 4 + 4(1 − x / L)2  dx = b

N ab k  T  b 2 − a 2 b − a L  1 1  − +  −   b − a A  2L 4 4  1 − b / L 1 − a / L  

Dove il terzo termine tra parentesi è il termine equivalente al termine di forza sviluppato dall’ipotesi lineare di Hill.

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La validazione globale di questo modello ha ricevuto un notevole successo sperimentale: 1. 2. 3.

nella ricostruzione del consumo di ATP, nel calcolo dell’efficienza globale, nella valutazione del rateo di consumo energetico (calore ) detto di fondo del muscolo che si contrae.

Comunque anche questo modello ha mostrato recentissimamente le sue limitazioni infatti con un brillante articolo alcuni ricercatori giapponesi tra cui Kitamura hanno rilevato, marcando una molecola di miosina con un indicatore fluorescente, il suo movimento lungo un filamento di actina. Le risultanze sono state davvero sorprendenti infatti nei modelli sopra brevemente descritti la testa della molecola di miosina si muove in modo deterministico e controllato. In realtà queste nuove ricerche indicano che la miosina si muove usando l’energia conservata nell’ATP per muoversi lungo l’actina per step che possono variare da 5.5 a 27.5 nanometri. Occasionalmente la miosina si muove anche all’indietro, ovvero la direzione netta del movimento è in avanti, ma questa ricerca sottolinea la inconsistenza dei modelli precedenti che consideravano solo il movimento deterministico in avanti. La spiegazione è che ci si trova in presenza di uno dei recentissimi così detti “motori Browniani” che sono ultimamente stati ritrovati nelle proteine. La fisica è nel contempo riuscita non solo a modellare matematicamente il comportamento di questi motori Browniani, ma persino a riprodurli in quella branca modernissima detta nanomeccanica . La rappresentazione matematica di questi modernissimi fenomeni è certamente al difuori della portata di questo libro, ma ricordiamo che essa attiene al campo della meccanica moderna cioè dinamica non lineare, teoria del caos, moto Browniano frazionario, Frattali ecc. Il fenomeno è in sintesi quello delle particelle Browniane attive che si muovono non solo passivamente tra le molecole in agitazione termica, ma grazie a dei potenziali così detti di rettilineazione, esse possono compiere moti attivi quasi deterministici sfruttando, in modo selettivo, sempre i moti incoerenti dell’agitazione termica. Proprio nel campo della nanomeccanica e della fisica molecolare che sono mirate alla costruzione dei nanocomputer la fisica ed i fisici con gli ingegneri. s’interessano di riprodurre a livello molecolare, sfruttando appunto il moto Browniano delle molecole, generato dall’agitazione termica del corpo, pompe, o motori che frequentemente richiedono un’ energia minore di quella dei motori convenzionali che noi usiamo e conosciamo a livello macroscopico, mostrando un’efficienza di funzionamento elevatissima , tanto da sfiorare il così detto “Moto Perpetuo”, nel campo naturale la testa della miosina si muove appunto come detto sul filamento di actina, la figura successiva mostra appunto l’andamento Browniano del fenomeno di moto che si discosta dal presupposto moto deterministico finora modellato dai ricercatori. In appendice tre viene mostrata la trattazione matematica del motore browniano. .

In relazione al calore è da notare che l'organismo è una struttura pressoché isoterma e mal sopporta una grande escursione di temperatura. La temperatura interna può variare appena nell’arco di 37/38 C°-. Se il corpo di un uomo supera la temperatura di 39 C°, dopo un certo periodo, il soggetto va in coma e se supera i 40 C° non

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sopravvive. Di conseguenza, il calore viene disperso attraverso la pelle (coefficiente di trasmissibilità termica 0.97-0.98) mediante un sofisticato sistema di raffreddamento (vasodilatazione, ghiandole sudoripare. Perspiratio insensibilis). I meccanismi di trasferimento sono noti dalla fisica e dalla biologia . Il primo ad effettuare lavori quantitativi sul trasferimento del calore è stato Isacco Newton, che ha individuato e descritto parte dei meccanismi di trasferimento: Convezione-Conduzione-EvapoTraspirazione. La Radiazione fu scoperta solo in un secondo tempo e poiché la pelle, come organo, si comporta come un radiatore (o corpo nero), segue la legge di Stefan-Boltzman figura 49 I fisiologi hanno poi individuato il meccanismo della perspiratio insensibils (evaporazione continua dei liquidi attraverso la pelle) e l'evaporazione attraverso l'atto respiratorio Pertanto. il Bilancio Energetico completo dell'emissione termica di un corpo umano prende la forma dell'equazione seguente:

Q = Em + C + Cd + Ev + R + P + L + Qi

Variazione di calore = variazione dell'energia metebolica +/- convezione +/- conduzione +/- evapo-traspirazione (dalla pelle e dalla respirazione) +/- radiazione +/- perspiratio insensibilis +/- lavoro fisico +/- contenuto termico corporeo. Figura 50

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Pertanto, dai dati quantitativi sull'emissione termica. si può risalire al consumo energetico totale relativo al lavoro effettuato. Per gli sport di combattimento. il lavoro compiuto in competizione non è del tipo costante o crescente. ma essenzialmente di carattere variabile. Si tratta, in questi casi, di lavoro muscolare che alterna prestazioni energetiche straordinariamente intense di tipo anaerobico a fasi di riposo o di attività muscolare più moderata e tali da permettere il pagamento anche totale del debito di O2 contratto precedentemente. In questi tipi di sport, non solo hanno importanza la potenza anaerobica e quella aerobica del soggetto. ma anche la capacità di contrarre un elevato debito di O2. Si richiedono. inoltre, una buona coordinazione dei movimenti, che conduca a un elevato rendimento meccanico, e un lavoro intelligente di pianificazione dell'attività, oltre a un continuo controllo dell'esecuzione

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Cap. V L’ALLENAMENTO, LA PRESTAZIONE E LE MACCHINE 5.1 Allenamento e prestazione sportiva L’allenamento sportivo può esser definito in molti modi ed ha avuto nel corso del tempo e della storia, molte definizioni, legate spesso anche all’accrescimento delle conoscenze specifiche. Il prof. Carlo Vittori ad esempio ha definito l’allenamento come: “l’organizzazione dell’esercizio fisico ripetuto in quantità ed intensità tali da produrre sforzi progressivamente crescenti che stimolano i processi fisiologici d’adattamento dell’organismo e favoriscono l’aumento delle capacità fisiche,psichiche e tecniche dell’atleta al fine di consolidare ed esaltare il rendimento di gara”. Tutti i lettori dovrebbero almeno essere a conoscenza dei rudimenti della teoria dell’allenamento che di fatto si esplica nella conoscenza degli esercizi e dell’intensità opportune per favorire il miglioramento globale dell’atleta. Un’altra definizione meno raffinata, ma pur accettabile può essere la seguente: L’allenamento sportivo è la ripetizione d’ esercizi concatenati volti a stimolare opportune proprietà fisiologiche, o ad accrescere determinate destrezze, che permettono di migliorare la prestazione sportiva. Questa definizione utilizzata ci permette in tal modo di introdurre il concetto di prestazione sportiva. In base di quanto detto nei capitoli precedenti si può definire in termini di biomeccanica fisica la prestazione sportiva di un atleta come: l’ insieme dei moti tesi a raggiungere la massima performançe nell’espletamento della Tecnica Sportiva Efficace. I moti che caratterizzano le performançes sportive sono ovviamente descritti cinematicamente in biomeccanica, da quantità fisiche note come gli angoli, le lunghezze ed il tempo, o dalle loro combinazioni algebriche come velocità, accelerazione ed impulso. Se invece si prendono in considerazione altre quantità come le forze, il tempo e la massa, le performançes sportive possono essere caratterizzate anche da quantità fisiche globali come l’energia, il lavoro o la potenza che sono più direttamente correlabili a quantità fisiologiche. Poiché la simmetria e le capacità di movimento del corpo umano è identica per tutti gli atleti, le discipline sportive spesso presentano strutture motorie simili, che sono correlate in modo differente tra loro per espletare il particolare gesto dello specifico sport. Nel caso dell’analisi qualitativa biomeccanica della performançe è possibile individuare dei veri e propri criteri generali di valutazione della funzionalità dei movimenti, da applicarsi con l’opportuna cautela del caso nel corso dell’analisi differenziale della tecnica. Questi criteri sperimentali di osservazione, dovuti all’esperienza pratica degli allenatori, vengono definiti nel gergo comune Principi qualitativi biomeccanici e sono: 1. Percorso ottimale d’accelerazione, studio e sfruttamento della relazione tra la velocità massima finale e spazio percorso per ottenere la massima accelerazione. 2. Uso della Forza Elastica uso opportuno della relazione tra il movimento d’ ammortizzazione e la successiva spinta d’accelerazione in un gesto sportivo. 3. Uso del tempo d’accelerazione uso opportuno della relazione tra il tempo e la forza massima lungo la traiettoria percorsa per ottenere la velocità massima del punto estremo che si muove. 4. Coordinazione degli impulsi uso opportuno della relazione tra lo slancio preparatorio delle catene cinetiche e la spinta d’accelerazione del corpo. 5. Uso delle forze di Reazione utilizzo opportuno della relazione tra le azioni delle singole parti del corpo ed il punto di contatto con il terreno od un attrezzo. 6. Uso della conservazione dell’impulso utilizzo corretto della relazione cinetiche durante le rotazioni del corpo dell’atleta.

tra i moti delle catene

Oggi giorno è noto a tutti che l’allenamento sia di atleti di elitè che di semplici dilettanti e sviluppato e programmato mediante l’utilizzo di macchine ed attrezzature sofisticate spesso connesse con il problema della muscolazione specifica di parti del corpo dell’atleta, come mostrato nella figura successiva ripresa dallo splendito testo di Delavier, “Guida ai movimenti di muscolazione Ed. Vigot publicata in Spagna per l’editorial PAIDOTRIBO nel 2001.

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5.1.1 Cenni di fisiologia dell'allenamento L'allenamento fisico che per anni è stato solo approfondito per gli sport “semplici” in questi ultimi anni, a ragione, sta prendendo un peso sempre maggiore nell'allenamento generale degli sport anche di situazione. Appare dunque opportuno fornire alcuni dati sull'argomento, al fine di comprendere meglio le questioni di fondo su cui si basa una sana e corretta metodica di allenamento Scopo dell'allenamento fisico è quello di sottoporre l'organismo da allenare ad un carico di lavoro di intensità, frequenza e durata tali da ottenere effetti migliorativi misurabili. Il carico di lavoro è non solo relativo al livello di preparazione, ma anche all’intensità del lavoro che l'atleta svolge in competizione. Appare evidente che, per ottenere ulteriori miglioramenti, poiché si sviluppano i meccanismi di adattamento naturale, il carico di lavoro deve essere accresciuto. Logicamente, esiste anche un limite superiore alla crescita. oltre il quale l'atleta non può ottenere risultati migliorativi, per cui non è possibile stabilire in maniera generale il programma di allenamento e la grandezza esatta del carico di lavoro tale da produrre effetti ottimali. Essi. infatti, variano non solo da un individuo ad un altro, ma persino per lo stesso individuo, con il progredire dell'età ed in funzione delle condizioni fisiche del momento. I miglioramenti derivati da un opportuno allenamento devono essere intesi primariamente in termini di effetti sugli organi o sulle funzioni fisiologiche dell'atleta da cui poi deriveranno gli effetti sulla performance atletica finale. La cosa importante in termini di fisiologia,è riuscire ad ottenerela variazione delle funzioni organiche opportune, per produrre la performance migliore in un determinato sport. Per effetto dell'allenamento: 1. Aumenta la forza dei muscoli. 2. Aumenta il volume delle masse muscolari e, quindi, poiché la composizione chimica del muscolo rimane costante, la quantità di fosfageno disponibile per un lavoro anaerobico. 3. Migliora la condizione neuromuscolare, che conduce a una maggior perizia del movimento e quindi ad un aumento del rendimento, cioè a un minor dispendio energetico per ottenere la stessa quantità di lavoro. 4. Aumenta la ventilazione polmonare e migliora la funzione cardiovascolare, favorendo un maggior trasporto di ossigeno ai muscoli in attività e, quando si renda necessario, il passaggio di una maggior quantità di sangue attraverso la cute, utile ai fini della dispersione del calore. 5. Tutti i fattori suddetti conducono ad una migliore potenza muscolare, riferita sia alla contrazione anaerobica sia a quella aerobica; quest'ultima si manifesta con un possibile leggero aumento del massimo consumo di ossigeno. 6. La migliore ossigenazione a livello dei tessuti porta a una minore produzione di acido lattico per un esercizio di una determinata densità. 7. Lo sforzo volitivo del soggetto, necessario per la prestazione, è ridotto e l'individuo allenato è capace di spingersi più a fondo nel lavoro anaerobico e quindi è in grado di tollerare un maggior accumulo di acido lattico. 8. Aumenta la gittata cardiaca, con un aumento più moderato della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, quando si tratti di esercizi sottomassimali.

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9. Il recupero, a giudicare dal ritorno della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, ai valori di riposo in seguito ad un esercizio sottomassimale, viene accelerato. 10. Migliorano la dispersione del calore e la regolazione della temperatura corporea durante il lavoro. L'ipertrofia muscolare da allenamento è dovuta ad un aumento del volume delle fibre e non del loro numero. Aumentano anche il numero di capillari sanguigni e la concentrazione di mioglobina nelle fibre muscolari. Non esiste, però, una relazione diretta tra l'aumento della forza e la ipertrofia del muscolo. E possibile aumentare due volte e più la potenza dei muscoli senza che si abbia un proporzionale aumento di volume. Un corretto allenamento, infine, può far sì che aumenti nei muscoli anche la quantità di glicogeno e di fosfocreatina. Normalmente si distingue l’allenamento in funzione del carico di lavoro che l’atleta deve espletare in competizione ed anche in funzione dei substrati energetici che esso va a stimolare. Pur senza entrare nello specifico delle teorie dell’allenamento per ogni sport si darà una lettura generale dei principi che sono alla base diella teoriua dell’allenamento in generale. Si può parlare di allenamento aerobico ed allenamento anaerobico. I sistemi energetici che sono alla base delle prestazioni sportive possono fornire combustibile all’atleta secondo le seguenti modalità di tempi: • Sistema fosfageno - 10 secs di esercizio alla massima intensità • Glicolisi anaerobica - 30 secs di esercizi ad alta intensità • Sistema ossidativo – può contribuire al 40-45% dell’energia necessaria dopo 20-30 secs di attività intensa. Per allenare gli atleti con il così detto training anaerobico devono essere usati opportuni modi di esercitarsi e conseguenti metodi di allenamento, pertanto si avrà: Modi- sprint, pliometria, saltar per le scale, saltare I muretti, pesistica olimpica . Metodi - training explosivo, training di velocità, interval training , vari metodi di training di resistenza. Sottoporre un atleta a training anaerobico porterà ovviamente delle variazioni fisiologiche nel suo fisico che possono esser riassunte nelle seguenti variazioni a carico del sistema muscolare. • Ipertrofia • Iperplasia • Varazioni dei tipi di fibre - IIb in IIa avviene con l’attivazione delle unità motorie IIb • Veriazione dimensionale delle fibre • Riduzione della densità mitocondriale • Aumento della forza. Il training aerobico come quello anaerobico appena accennato produce anch’esso degli adattamenti fisiologici negli atleti che lo praticano, in genere a posteriori di un buon allenamento aerobico si ha: • Aumento del massimo uptake di ossigeno • Increaaumento nel volume plasmatico • Aumento della gittata cardiaca • Aumento della potenza aerobica ( essa in generale può esser accrescita dal 5 al 30% inegli atleti) I tempi per questi adattamenti sono tra i sei mesi ed un anno. Altri adattamenti che un allenamento aerobico provoca e che sono ben noti a tutti sono i seguenti Basse concentrazioni di lattato nel sangue Aumento della densità mitocondriale e dei capillari Miglioramento dell’attività enzimatica.

Riduzione del grasso corpore Aumento dell’ uptake massimo di ossigeno Aumento della capacità aerobica

Per tutti gli sport ad alto contenuto tecnico specifico non bisogna però dimenticare che la fase "allenante" cioè di esercizi e pesi, non deve andare a discapito della fase "addestrante", cioè "tecnica", che dovrà occupare, nella pianificazione generale, la necessaria parte di tempo. Spesso la sua durata temporale sarà inversamente proporzionale all'età dell'atleta. Infatti, l'addestramento tecnico, preponderante nel periodo iniziale, fa luogo di solito all'allenamento fisico con il maturare delle capacità individuali. I concetti di base esposti e la loro applicazione al corpo umano rappresentano la sostanza conoscitiva che un istruttore deve applicare all'analisi dell'esecuzione degli esercizi eseguiti dagli allievi, nel campo della preparazione tecnica. In generale però per gli atleti evoluti, poiché l'allenamento é specifico, è opportuno costruire una metodica adeguata per ogni atleta d'élite, sia in funzione del carico di lavoro corrispondente allo sport praticato, sia in funzione delle sue capacità fisiologiche.

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5.2 Le macchine sportive ed il loro utilizzo. Partendo dal significato più ampio possibile di macchina cioè quello di meccanismo atto ad effettuare rilevamenti e misure, o di sistema fisico atto a cambiare l’intensità o la direzione delle forze ( le cosiddette macchine semplici in Fisica), possiamo introdurre un ampio discorso sull’utilizzo delle macchine nello sport attuale. Le macchine, che si usano nello sport, possono essere mirate verso due grandi filoni: uno conoscitivo, uno addestrativo, all’analisi biomeccanica quantitativa della performançe oppure al miglioramento tecnico o al rafforzamento fisiologico dell’atleta. Le prime vengono comunemente chiamate strumentazioni biomeccaniche., le seconde macchine sportive. Una prestazione, in generale è legata a dati qualitativi e quantitativi sul lavoro fisico che si effettua in competizione, nel caso degli sport da combattimento che fanno capo alla Filpjk., la cosa è di grande complessità ed è a questo scopo che si è effettuata per un periodo di un quadriennio una ricerca congiunta CONI-ENEA-FILPJk per ottenere, "per la prima volta", dati quantitativi sul consumo energetico degli sport di combattimento in competizione reale La ricerca, utilizzando speciali telecamere all'infrarosso, ha cercato di determinare il consumo energetico dell'atleta in competizione reale. attraverso la sua emissione termica. Le immagini quantitative della ricerca (del tipo a bassa definizione) sono mostrate a pag. 43. Un altro parametro anche molto importante si ottiene dalla mappatura termica del corpo dell'atleta, da cui si evidenziano i muscoli maggiormente impegnati (più caldi), e si forniscono così dati quali-quantitativi sull'impegno muscolare specifico. La difficoltà di tale ricerca quantitativa può essere intravista nell'equazione originale di scambio termico, che è stata messa a punto dall'autore ed utilizzata per questo studio, e dai risultati comparativi con il consumo d'ossigeno mostrati nei grafici seguenti figura 51 - 52 4 S Ts −Tb  Ts4 − Ta4  kS Re 0.8 Pr 0.33 Ti − Ta  − lh Tb −Ta   + 0.6n Q = S  + e   t − t l t − t   0  0   4S 2 k Re 0.8 Pr 0.33 (Ts − Ta )1.2   4S 2 D Re 0.8 Sc 0.33  M s e s M a e a  (Tvs − Tva )1.2     0.2 0 . 132  + 0 . 16 ( 1 −  ) −     h h T T hl 2 Ta0.2 (t − t 0 )   Rl 2 h  a  Tva (t − t 0 )   s    −( 0.2 2 + 0.5 −0.7 ) P −  P e − 1    

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Le strumentazioni biomeccaniche, senza entrare negli esempi avanzati mostrati in precedenza, sono macchine quantitative atte a misurare, angoli, lunghezze, tempi, masse, e temperature oppure loro combinazioni o funzioni dirette od indirette quali: velocità, accelerazioni lineari od angolari, potenze ed energie in gioco. Esse normalmente possono essere usate per ottenere dati quantitativi sulla performançe di un atleta d’elite, oppure per ottenere indici quantitativi per i test di valutazione e controllo degli atleti, del loro stato d’allenamento, o del loro progresso nel tempo. Le seconde in larga parte sono presenti in ogni palestra ben attrezzata, e sono sempre più spesso macchine quantitativo/qualitative atte a ripetere parte dei moti della performançe, in modo da allenare parti specifiche del corpo dell’atleta alla tecnica personale sotto gli angoli opportuni d’utilizzo. Questo tipo di macchine è comunemente noto con il nome di Macchine per cultura fisica. In alcuni casi di macchine più costose con supporti elettronici o addirittura computerizzate, esse possono essere macchine quantitativo/qualitative atte a ripetere ove possibile la performançe nel suo intero, anche se semplificata, in modo da allenare globalmente l’atleta. Questo tipo di macchine, specifico per ogni performance, è comunemente noto con il nome di Ergometri specifici. Questi secondi tipi di macchine sono ovviamente più costose e spesso sono prototipi messi a punto per atleti olimpici dai vari comitati nazionali, la computerizzazione e il basso costo dell’elettronica fanno si che sempre di più anche questi prototipi trovino mercato nelle palestre se non addirittura nelle case degli sportivi amatoriali.

5.2.1Principi fisici di funzionamento delle macchine Principi Fisici di funzionamento delle macchine La valutazione obiettiva dei movimenti sportivi od in generale dei movimenti umani, si basa sulla necessità di registrazione e raccolta dati mediante vari tipi di apparecchiature e misure. Pertanto si parlerà in genere di misure antropometriche e di tecniche di cinematografia, elettromiografia, accelerometria, baropodometria, dinamometria o elettrogoniometria, telecamere e termocamere. Nel seguito tratteremo in modo più approfondito dei principi fisici che sono alla base del funzionamento di tali apparecchiature, e sui dati che da esse si potranno in generale acquisire e delle informazioni biomeccaniche che se ne ricaveranno. Un illustrazione generale di un generico sistema di acquisizione dati in biomeccanica sportiva , essi sono in genere formati da più sistemi tra cui alcuni di acquisizione di un trasduttore che avrà la funzione di cambiare la variabile d’interesse in un segnale elettrico, che sarà a sua volta amplificato e passato ad un convertitore analogico/digitale e ad un computer che fornirà i dati da raccogliere ed analizzare.

nella figura il trasduttore è formato da una piattaforma di forza che converte la forza di reazione al suolo in un segnale elettrico, il segnale amplificato è inviato ad un convertitore analogico digitale che lo invia al computer. Simultaneamente alcune camere acquisiscono dati filmati sul moto del corpo espresso come posizioni segmentali che si evolvono nel tempo. L’elettromiografo, telemetrico è il terzo sistema che raccoglie dati sul comportamento muscolare del soggetto in esame. I segnali come si vede dallo schema precedente potranno esser trasmessi sia via cavo sia in telemetria, ovviamente ognuna delle soluzioni avrà i suoi pregi e le sue manchevolezze.

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Ovviamente l’approccio più completo ad una misura biomeccanica è quello mostrato nella figura precedente, cioè l’utilizzo di più sistemi di rilevazione contemporaneamente per le rilevazioni da fare. Nel seguito però per semplicità d’uso si tratteranno tutti gli apparecchi citati in precedenza, singolarmente, in modo da fornire con chiarezza e sinteticità le informazioni necessarie. Tratteremo brevemente delle misure di base a cui spesso fanno riferimento buona parte delle rilevazioni sperimentali effettuate nei laboratori di scienze motorie.

Antropometria L’antropometria studia le misure del corpo umano per utilizzarle nelle valutazioni biomeccaniche. Nella tabella successiva si vede l’evoluzione dell’utilizzo nel tempo delle misure antropometriche.

• • • •

Evoluzionismo Studi antichi

Valutazioni storiche

Parametri di performance Studi di interfaccia uomo/macchina

Sviluppi tecnologici recenti

in antropometria si possono distinguere una serie di misure statiche, ed un insieme di misure cinematiche Misure statiche • Indice di massa altezza/statura² - Volume • Altezza seduta/statura - Area • Bicristal/biacromico - Circonferenza • Indice ponderale – altezza/peso1/3 - Spessore della pelle • Caratteristiche (somatotipo –,ecc - Lu nghezza Misure cinematiche calcolo della forza e del momento d’inerzia L’insieme di tutte le misure antropometriche è stato immesso in tabelle o diagrammi di valutazione comparata di cui vengono mostrati due esempi nelle figure successive.

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. Drillis and Contini (1966) hanno calcolato un’espressione per poter risalire alla densità del corpo conoscendo altezza e massa dell’atleta. Con la seguente relazione. d = 0.69 + 0.9K Kg /litri dove K = (altezza in metri)/(massa in Kg)1/3 altri studi concernenti l’antropometria sono relativi all’individuazione del centro di massa dell’atleta o delle sue parti segmentarie, normalmente valgono in antropometria le seguenti convenzioni di calcolo. – I termini centro di massa e baricentro sono usati indifferentemente. – I rapporti tra massa totale e massa degli arti seguono le seguenti convenzioni. • Crescita della massa totale crescita proporzionale nella massa segmentale • Possibilità di poter esprimere la massa di ogni arto come parte percentuale della massa totale • Le proporzioni variano in termini di età sesso razza ecc. • Il centro di massa è individuato come percentuale della lunghezza della colonna • La determinazione del centro di massa deriva dallo studio dei cadaveri.

La massa totale di un segmento M = mi mi = diVi densità = massa/volume M =  diVi

il momento d’inerzia di un corpo o di un segmento può esser calcolato dal raggio di girazione. Il raggio di girazione denota la distribuzione della massa del segmento rispetto ad un asse di rotazione ed è dato dalla distanza dell’asse di rotazione ad un piunto in cui si può assumere di concentrare tutta la massa del segmento senza cambiarne le sue caratteristiche inerziali, in formule: I = mr² con r raggio di girazione. Terminate la breve disamina delle misure antropometriche di base che spesso si utilizzano nei laboratory o nelle valutazioni di scienze motorie, passiamo alla descrizione delle attrezzature che un ricercatore potrà incontrare nel corso della sua attività evidenziandone i principi fisici di funzionamento.

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Accelerometri Un accelerometro è uno strumento elettro-meccanico atto a misurare un’accelerazione, dovremo nel calcolo reale sperimentale sempre parlare di accelerazione o decelerazione media che lo strumento calcolerà, ovvero: Accelerazione = Velocità (finale) – Velocità (iniziale) Tempo (finale) – Tempo (iniziale) Se il valore sarà positive si parlerà più propriamente d’accelerazione se negative di decelerazione. Normalmente in campo le accelerazioni si misurano tramite ◼ Video ◼ Trasduttori di forza ◼ Accelerometri Nel seguito sono mostrati alcune tipologie di accelerometri in vendita, e come vengono utilizzati su di un atleta per ottenere le misure mostrate nel grafico. Nel diagramma finale è mostrato il principio fisico di funzionamento di questi strumenti.

la figura precedente mostra la differenza fra accelerazione a piede nudo e con la scarpa

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Strain Gauge

Massa

Strain Gauge

Adattatore di segnale ed alimentatore nel diagramma precedente è mostrato un moderno accelerometro piezoelettrico, mentre i classici accelerometri meccanici sono piccoli dispositivi costituiti solitamente da una scatolina contenendo un corpo vincolato ad una molla e un sistema in grado di misurare la forza applicata alla molla e di risalire all' accelerazione, lineare o angolare impressa all'accelerometro. Quelli elettronici sono basati su fenomeni piezoelettrici, o piezoresistivi. Normalmente possono misurare l’accelerazione su uno, o tre assi , ma essenziali per la loro valutazione della loro bontà sono i seguenti parametri operativi: ◼ ◼ ◼ ◼ ◼

◼ ◼ ◼ ◼ ◼

Sensibilità Risposta in frequenza Isteresi dello strumento Numero di assi Peso

Durata Chiarezza del Picco d’accelerazione Tempo di risposta Accelerazione media Accelerazione in un punto specifico

Ad ogni buon conto gli accelerometri sono semplici da usare e facili da analizzare perché forniscono misure facilmente interpretabili.

Elettrogoniometri L’elettrogoniometro è la versione elettrica del goniometro ed è delegato alla misura degli angoli di spostamento delle articolazioni. Nella figura sono visibili gli elettrogoniometri applicati alla gamba del soggetto analizzato. Essi possono essere mono, bi e triassiali il loro utilizzo è semplice e nelle due figure successive sono mostrati il modo d’applicazione ed una serie di elettrogoniometri normalmente utilizzati in laboratorio.

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Gli elettrogoniometri permettono una rapida misura degli angoli (compreso l’orientamento tridimensionale) Uno degli svantaggi maggiori come si vede in figura è la necessità d’utilizzo di tutori che limitano il moto naturale dell’articolazione. In telemetria non permettono di definire la posizione nello spazio dell’articolazione ma solo la sua variazione d’ampiezza angolare. Tra i vantaggi vi sono le misure dirette ed istantanee di rotazioni degli arti, essi quindi sono uno strumento semplice ed efficiente per studiare la locomozione.Essi come mostrato in figura sono formati da due bracci connessi con un potenziometro che fornisce i dati in forma analogica ad un computer

Gonio - Graph

Posizione dell’articolazio ne

tempo Così riassumendo questi apparati rendono possibile la rilevazione diretta delle misure angolari, cioè degli spostamenti reciproci di due segmenti corporei in corrispondenza di un articolazione Essi sono costituiti da un sistema di aste incernierate che vengono fissate al soggetto in modo che la rotazione della cerniera sia solidale a quella dell’articolazione. L’elettronica integrata al sistema si fa carico di trasdurre la grandezza in segnale elettrico rendendo così disponibile la misura su visualizzatore o su PC.

asse

bracci

Potenziometro Computer con A/D

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Dinamografi. La dinamometria è la misura delle forze. La misura diretta delle forze esterne generate dal terzo principio della dinamica, viene effettuata attraverso la piattaforma di forze, quando questi dati sono connessi con le riprese cinematografiche e le misure antropometriche , essi permettono una stima più precisa delle forze interne. Questi dati possono esser ottenuti anche dalle sole riprese cinematografiche o video come si vedrà più innanzi. La comprensione delle forze interne in gioco risulta fondamentale in medicina sportiva per la comprensione e prevenzione dei traumi sportivi. Si pensi che il carico misurato per alcuni esercizi sul tendine di Achille ha raggiunto valori di 9000 N , corrispondenti in quei casi a circa 12,5 volte il peso del corpo. I dinamometri sono composti di un trasduttore che trasforma la deformazione meccanica in un segnale elettrico che è proporzionale ovviamente alla forza applicata. Come già visto negli accelerometri questi trasduttori sono di tipo piezoelettrico o strain gauge. Ricordando che i piezometri sono connessi alle proprietà elettriche dei materiali cristallini come il quarzo, mentre gli strain gauge sono connessi alle deformazioni meccaniche che generanovariazioni di resistenza elettrica dello strumento.

Piattaforme di forza I dinamometri più comuni usati in biomeccanica sono le piattaforme di forza, esse generalmente sono costituite da trasduttori di forza racchiusi tra superfici rigide come mostrato in figura.



Le forze sono misurate da trasduttori multipli



Essi convertono le forze in voltaggi e presentano una risposta lineare e sono sempre posti fra due piatti rigidi.

in genere I trasduttori sono posti ai vertici dei piatti rigidi, poiché ognuno fornisce le tre componenti della forza da queste dodici misure si può ottenere la risultante forza di reazione al suolo. Inoltre si possono calcolare i momenti relativi al centro di pressione che si riferisce al centro della piattaforma. Un esempio globale dei dati che si possono ottenere è mostrato nella figura successive.

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Figure 7 forze di reazione al suolo (a) misure da una piattaforma; (b) centro di pressione sotto il piede (FR) di un corridore sull’avanpiede la pressione d’allontanamento contrasta con un “frame” della piattaforma. (c) forza di reazione al suolo e momento al tallone; e (d) all’avanpiede di una locomozione veloce Le misure ottenute sono usate per la comprensione di molti movimenti sportive e della locomozione normodotata o da handicap. Inoltre le forze esterne sono usate per valutare il carico applicato sul corpo, mentre il moto del centro di pressione sebbene non sia collegabile al moto del baricentro del corpo è stato usato come indice posturale per il tiro con l’arco ed il tiro a segno.

Differenze fra forze di reazione al suolo di un corridore e di uno sprinter.

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Baropressori plantari In questi ultimi tempi si sono diffusi a livello dei laboratori di biomeccanica dei nuovi strumenti di misura delle solette baropressorie molto sofisticate che forniscono sia staticamente che dinamicamente la misura della pressione su circa 1000 punti della pianta del piede nudo o all’interno delle scarpe. Questi nuovi mezzi ed i risultati ottenibili sono mostrati nelle figure successive.

Il funzionamento tecnico di questi sbaro sensori è basato su un sistema di variazione di capacità tra due piastrine reciprocamente affacciate, questa variazione di capacità che dipende dalla distanza tra le piastrine è direttamente e linearmente proporzionale alla pressione applicata sul sensore, l’intimo meccanismo di funzionamento è mostrato nella figura seguente.

I dati raccolti vanno poi via cavo ad un computer che ne permette la visualizzazione digitale a colori sia statica che dinamica.

Elettromiografia La contrazione muscolare è accompagnata da attività elettrica e la detezione e la misura di questa attività è lo scopo di una tecnica di misura chiamata elettromiografia. Essa in effetti misura le variazioni del potenziale elettrico muscolare e le correnti elettriche che si propagano lungo la membrana muscolare. Le fluttuazioni misurate sono prodotte dal trasferimento di ioni attraverso la membrana delle cellule muscolari in seguito alla stimolazione elettrica. Pertanto esse sono una misura indiretta della tensione totale sviluppata dal muscolo e ciò bisogna ricordarlo bene nel momento della interpretazione di un elettromiogramma. In termini generali la misura indica solo se vi è una attività muscolare o no. Più in generale l’ elettromiografia (EMG) risulta essere una tecnica diagnostica in grado di monitorare le strategie di produzione del movimento, la generazione di forze, i meccanismi di affaticamento, tramite la registrazione dell’attività elettrica muscolare. Specificamente le misure di tale attività sono effettuate : per via invasiva – elettrodi ad ago od a filo che incidono su un limitato numero di fibre; per via non-invasiva – elettrodi superficiali che registrano l’attività relativa ad un vasto numero di fibre.

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Proprio su questa base si può affermare che la grandezza del segnale registrato dipende da numerosi fattori e non può essere tout court relazionato alla contrazione muscolare. Infatti esso può dipendere dal tipo di elettrodi, dalla loro dimensione, dalla preparazione o dal posizionamento ed inoltre dal tipo di fibra muscolare, dalla loro lunghezza dal tipo di azione muscolare e dalla variazione di lunghezza delle fibre. Quindi un elettromiogramma può esser considerato una misura indicativa e non quantitativa della forza prodotta da un muscolo solo a patto che le condizioni di misura siano controllate correttamente. Nelle figure successive viene mostrato in modo sintetico sia il risultato dell’elettromiogramma come somma di segnali elementari delle fibre sia la struttura di un apparecchio di prelievo e misura dell’attività elettrica del muscolo.

Ricordando che la contrazione del sarcomero crea un campo elettromagnetico che può essere usato per misurare l’attività muscolare, e che tale segnale locale si estende per conduzione di volume attraverso i tessuti, si rende così possibile la sua registrazione sia all’interno del muscolo che sulla pelle.

Tecniche di cattura d’immagine. Queste tecniche in generale si basano sull’analisi d’immagini sia di tipo cinematografico che video, ovvero dello studio di movimenti complessi in generale attraverso un’analisi dettagliata delle sequenze d’immagini sia video che fotografiche. Tuttavia è necessario comprendere a priori il problema della frequenza di campionamento delle immagini qualunque sia lo strumento d’acquisizione che venga usato infatti sia cine che video sono processi d’acquisizione che campionano un processo continuo ( il moto dell’atleta) con mezzi discreti nel tempo. Secondo il teorema di Shannon la frequenza minima ottimale di campionamento di un moto deve essere almeno doppia nei confronti della componente di frequenza più alta che è presente nel movimento. Ad esempio in un salto in alto la frequenza maggiore viene data dal lo spostamento in alto del braccio, nel salto con l’asta dal moto dei piedi, nel lancio del disco dal moto del braccio. Comunque ricordiamo che tutte le tecniche di cattura d’immagine permettono da sole solamente una descrizione qualitativa del movimento, mentre per ottenerne una quantitativa esse devono esser integrate con altre tecniche di rilevazione essenzialmente di tipo cinematico.

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Cinematografia I primi esempi di quantificazione complessa del movimento umano risalgono alla fine dell'ottocento. Con l'avvento della fotografia si sviluppa infatti in quegli anni la fotogrammetria analitica, che anche se condotta con mezzi per oggi rudimentali ha portato gli studiosi di quel tempo a formulare ipotesi ancora valide. La tecnologia anche in questo campo si è evoluta rapidamente e si è passati in seguito all'utilizzo della cinematografia e delle tecniche video. Diventa quindi più semplice ottenere una sequenza di immagini e questo può essere fatta ad una frequenza prestabilita, 50 immagini al secondo per le riprese televisive e la cinematografia tradizionale e da 200 a 500 fotogrammi al secondo per sistemi ad alta velocità di scorrimento della pellicola adatti quindi alla ripresa di movimenti molto veloci. Una frequenza di campionamento di 500 Hz corrisponde ad un tempo d’esposizione di circa 1/10000 s . Comunque normalmente frequenze tanto elevate devono essere usate solo per pochissimi casi, in genere una frequenza di campionamento più bassa risulta sufficiente. Ad esempio per il colpo di golf basta approssimativamente un’esposizione di 1/3600 ovvero una frequenza di circa 400 Hz , mentre per tutte le attività di corsa un semplice tempo d’esposizione di 1/800 ovvero solo 100 Hz risultano sufficienti per catturare opportunamente il moto delle gambe. Per questi sistemi però la digitalizzazione delle informazioni, ossia l'estrazione dall'immagine delle coordinate, deve passare dalla fase di riconoscimento manuale da parte di un operatore dei punti anatomici o dei contrassegni presenti sulla scena. La raccolta dei dati per questi sistemi si svolge manualmente in sale particolarmente attrezzate dette di digitalizzazione vedi figura successiva.

questa è ovviamente la fase di maggior dispendio di tempo, i dati digitalizzati sotto forma di coordinate verranno poi inseriti in un computer, essi dovranno subire prima dei pre –processamenti come lo smoothing per poi poter essere manipolati in forma matematica in modo da ottenere i dati cinetici o cinematici voluti. I dati dai film sono normalmente raccolti in vari tipi di formato come:

analisi planare di una singola cinepresa analisi planare multi cine analisi tridimensionale multi-cine Videoriprese Le riprese video possono essere considerate un sistema d’analisi più oggettivo della cinematografia La frequenza di campionamento può passare da 25 immagini al secondo fino a 2000 immagini al secondo, altre frequenze più basse possono esser raggiunte dalle videocamere digitali, però oggi con l’utilizzo di opportuni registratori , uscite firewire, e framegrabber di qualità è possibile ottenere dati digitali direttamente da video convenzionali.

Telecamere all’Infrarosso Le telecamere all’infrarosso o termocamere sono delle videocamere specializzate nelle riprese solo delle lunghezze d’onda dell’infrarosso, vicino o lontano, per cui i loro dati possono fornire non solo informazioni cinetico dinamiche , ma anche informazioni termiche generali o particolari esempi di riprese all’infrarosso sono mostrate a pag 43 del testo e sono relative a ricerche (all’ora all’avanguardia) effettuate dall’autore nel lontano 1990 .

61

Sistemi optoelettronici per l'analisi del movimento Nei primi anni 80 sono stati sviluppati i sistemi per analisi del movimento basati su speciali videocamere a infrarossi e marker riflettenti. I marker, di forma sferica o semisferica vengono posti sul soggetto in esame e l'infrarosso riflesso da questi viene visto dalle telecamere come un punto luminoso sulla scena. il sistema, che deve essere composto da un numero minimo di due telecamere, è in grado, attraverso algoritmi matematici e procedure di stereofotogrammetria di combinare le immagini bidimensionali provenienti da ogni telecamera ed elaborare un'immagine tridimensionale. Per ottenere le elevate prestazioni di accuratezza e velocità necessarie per l'analisi di movimenti rapidi la maggior parte dei sistemi attuali permettono alte frequenze di acquisizione, tipicamente attorno alle 100 immagini al secondo ma che possono arrivare anche a 500 o 1000 immagini al secondo. Tali sistemi sono quindi In grado di restituire le coordinate x,y,z, in mm per ogni marker presente sulla scena per tutta la durata dell’acquisizione con una precisione che può variare da qualche centimetro per grandi campi visivi a 1 mm per campi ristretti. Le informazioni che si ottengono quindi per mezzo di tali sistemi di analisi del movimento sono la descrizione della variazione della posizione di zone segnate dagli appositi marker. Dalle misure di spostamento è possibile ricavare in maniera relativamente semplice delle grandezze derivate, come velocità e accelerazioni e anche dei parametri più complessi, come range di movimento, angoli, spostamenti reciproci di segmenti ecc.

Sistemi d’analisi a circuito chiuso Questi sistemi si basano su riprese video attraverso digitalizzazioni hardware che vengono scaricate direttamente su computer per le analisi necessarie, quindi non esiste una videoripresa su nastro dell’esperienza analizzata, le immagini in movimento vengono infatti ricostruite con i dati conservati nel computer. Questi sistemi sono essenzialmente stati sviluppati per l’analisi della locomozione in laboratorio e la loro performance può degradare se vengono usati in condizioni così dette non controllate all’aperto.

Analisi video Come I due precedenti metodi questo sistema permette all’utilizzatore di analizzare dati bi e tridimensionali relativi al moto o alla performance dell’atleta. La differenza è che le immagini vengono raccolte su videotape , questo permette non solo di rivedere le immagini in movimento ma anche di rianalizzare o modificare i dati ottenuti.

Trattamento dati Il problema del trattamento dei dati, raccolti dalle attrezzature precedentemente descritte è un problema che nasce dalla natura delle uscite degli strumenti che sono analogiche e da quella dei computer che li devono analizzare che sono di natura digitale. Nelle figure successive sono mostrati alcuni esempi di dati analogici ricavati dagli strumenti descritti. Nell’ordine si vedono un accelerogramma, un goniogramma, una forza di reazione al suolo da due piattaforme ed un elettromiogramma.

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Questi dati vengono essenzialmente ottenuti come curve continue nel tempo di alcuni parametri, i computer invece sono abilitati a ricevere solo dati discreti che eventualmente possono descrivere le curve puntualmente nel tempo come l’esempio mostrato nella figura successiva. In cui un voltaggio nel tempo è misurato ad intervalli periodici, e descritto discretizzato dai valori del voltaggio in quei punti.

0 2 3 4 4 3 2 0

Un altro importante problema nella raccolta dei dati sperimentali, sono gli errori casuali o rumore che può difatto completamente cambiare la risposta di un sistema analogico, e così di seguito verranno errati tutti i dati digitalizzati da questo segnale formato da la risposta vera più il “rumore”. Il rumore in un sistema analogico ha, in generale, sempre origine da vibrazioni del sistema, radiazione elettrica ed anche movimenti spuri dei cavi di connessione e collegamento. Ovviamente lo scopo principale è quello di ottenere i dati originali di misura sottratti del rumore presente a tale scopo sono stati inventati molti sistemi di filtraggio dei dati sia di natura hardware che software. Ad esempio il filtraggio digitale basato sulla frequenza caratteristica delle misure è un processo matematico che elimina la parte dei dati prodotta dal rumore. L’ipotesi di base di questo processo è che il rumore copre frequenze diverse da quelle coperte dai dati. Un esempio di quanto possa esser diversa la risposta di un sistema analogico sommata al rumore nei confronti dei dati di misura reali è data dalle figure seguenti:

Segnale bruto = dati + rumore

Segnale filtrato

Altre possibilità di manipolazione e pulizia dei dati sono date dalle tecniche di smoothing, , o dal sostituire il segnale bruto con curve di fittine, o calcolare con il sistema dei minimi quadrati la curva interpolante. Tutti questi ultimi sistemi algebrici sono efficaci anche se come metodica sono di carattere più generale del filtraggio digitale dei dati. Spesso questi ultimi sistemi menzionati vengono utilizzati prime per semplificare curve di forma complessa non periodiche. Una più approfondita analisi del trattamento dati è rimandata al paragrafo successivo.

63

5.2.2

Cenni di Teoria elementare del trattamento dei dati

Tratteremo brevemente il trattamento dei dati che possono essere ottenuti con l’utilizzo delle macchine biomeccaniche in laboratorio, la seguente trattazione sarà la più completa possibile sebbene in un’ottica volutamente semplificata e limitata a considerazioni semplici che possono essere fatte sul trattamento dei dati in laboratorio. In tale ottica precedentemente espressa si parlerà della teoria elementare dei campioni, della teoria statistica della stima, dei test di significatività dei dati o delle ipotesi, della teoria dei piccoli campioni ed infine della teoria della correlazione dei dati. 5.2.2.1 Teoria elementare dei campioni La teoria dei campioni è lo studio delle relazioni esistenti tra una popolazione di dati rappresentanti l’esperienza fatta, ad esempio tutte le possibili velocità ed i dati estratti dalla popolazione ( le velocità effettivamente sviluppate dagli atleti) misurata attraverso le apparecchiature dell’esperienza ( es. cronometri). Un altro esmpio può essere la forza massimale di un numero di atleti misurata attraverso i chilogrammi sollevati. Ancora gli spazi percorsi dai giocatori di una quadra in relazione ai tipi di velocità attuata. Questa teoria è di grande importanza perché risulta utile in un numero grande di casi d’interesse come: nella stima dei valori ignoti dei parametri del fenomeno, ( es, la media, la varianza, ecc.) , infatti questi parametri si possono stimare dalla conoscenza dei parametri corrispondenti ( es, la media, la varianza, ecc.) delle misure fatte. Ovvero se facciamo una serie non numerosissima di misure e ne calcoliamo la media o la varianza, possiamo stimare la media e la varianza del nostro fenomeno come se avessimo fatto molte ma molte più misure. La teoria dei campioni è utile anche per determinare se la differenza osservata tra due misure sia da ritenersi casuale o piuttosto sia significativa di un qualche processo. Ovvero in altre parole, la teoria dei campioni ci fornisce dei mezzi oggettivi per dire se la nostra misura può essere sbagliata o meno. Le due figure successive mostrano una curva di dispersione naturale detta gaussiana ed un esperimento semplice che mostra come si distribuiscono naturalmente in forma gaussiana dei pallini di piombo intercettati da un reticolo di chiodi.

Lo scarto quadratico medio della distribuzione di un insieme di misure è spesso detto errore standard della distribuzione stessa. Nella tabella successiva sono elencati gli errori standard delle distribuzioni di diverse statistiche campionarie di misura, per valutazioni ottenute da analisi di tipo strumentale con un gran numero di rilevamenti. Normalmente queste formule valgono per distribuzione Normale o Gaussiana dei dati oppure per un numero di misure superiore a 100.

64

Molto spesso nella pratica si devono prendere decisioni sull’andamento delle misure sulla base di un numero di informazioni ( misure) parziali, ad esempio si può essere interessati a decidere sulla base di dati ottenuti se le misure effettuate siano significative o meno.

65

Per illustrare i concetti precedenti ipotizziamo che la distribuzione delle misure S sia Gaussiana o Normale con media μ  e scarto quadratico medio σ. Allora la distribuzione standardizzata, con Media zero e Varianza 1 è data da z = (S-μ)/σ Figura 53

se dunque una nostra misura cadrà all’interno della curva potremo dire che l’ipotesi fatta è sicura al 95% se invece il dato cadrà in una delle due regioni estreme ( indicate come regioni critiche) potremo dire che esso ha una probabilità di essere significativo solo dello 0,05% cioè praticamente non accettabile per cui la misura sarà sicuramente da rivedere. E’ altresì noto che l’area sotto la curva delimitata da due ordinate qualsiasi e da due valori della variabile z rappresenta la probabilità P(z) che z sia compresa fra i due valori dati. Normalmente le aree sotto la curva standardizzata sono riportate in tabelle apposite, forniamo comunque una rapida formula approssimata dell’integrale relativo, che permette di calcolare le aree per qualsiasi numero z. Area =



1 1 − (1 + 0.1970z + 0.1154z 2 + 0.0004z 3 + 0.0196z 4 ) −4 2



Se , come spesso accade non facciamo un numero immenso di misure ( maggiore di 100) ma restiamo in un range considerato accettabile di circa 30 misure o meno, allora si può ricorrere a due distribuzioni che valgono per piccoli campioni e che ci permetteranno di ottenere tutte le informazioni necessarie al riguardo, la prima è la così detta t di Student dallo pseudonimo del suo scopritore Gosset , che pubblicò il lavoro all’inizio del ventesimo secolo. Se consideriamo la statistica t uguale alla precedente z , con il valore speciale per σ = s/√N allora avremo: t= (S-μ)/ s/√N. se consideriamo la distribuzione del t di student allora si ottiene la formula

=

:Y

Y0  t  1 +  N − 1   2

N /2

=

Y0  t2  1 +    

( +1) / 2

Y dipende dal numero N di misure e l’area sotto la curva vale 1 la

distribuzione della formula precedente è detta t di Student e permette di ottenere dati con un’ottima approssimazione e con la stessa significatività come se si trattasse di una distribuzione Gaussiana. Figura 54

Se definiamo la statistica :

 = 2

Ns 2

2

(X =

1

−X

) + (X 2

2

−X

)

2

2

(

+ ..... + X n − X

66

)

2

detta del chi –quadro e consideriamo N misure effettuate e per ciascuna stima calcoliamo il chi-quadro possiamo allora ottenere la distribuzione detta del chi-quadro Figura 55 : 1 ( −2 ) 2 2

Y = Y0 (  )

e

1 − 2 2

= Y0 

(v −2 )

e

1 − 2 2

anche nel caso del chi quadro sarà possibile per mezzo delle tavole definire i limiti e gli intervalli di confidenza voluti, in tal modo si potà stimare, entro specificati limiti di confidenza, lo scarto quadratico medio del fenomeno esaminato, in termini di scarto quadratico medio delle misure. Spesso in pratica i dati calcolati sono legati da relazioni semplici o complesse a seconda delle misure effettuate. Per determinare l’equazione che leghi le due variabili, spesso nelle misure di biomeccanica una delle variabile può essere il tempo, l’altra dipenderà dal tipo di esperimento effettuato. Il primo ovvio passo sarà quello di riportare i punti (x,y) o (x,t) su di un diagramma cartesiano, l’insieme dei punti calcolati, non legati da nessuna relazione si dirà diagramma a dispersione. In esso l’occhio attento del ricercatore esperto spesso individua la curva che è in grado di approssimare al meglio i dati, questa curva è detta interpolazione o curva interpolante Figure 56 - 57

la curva interpolante potrà in tutta generalità essere una retta o una curva generica. Per ottenere in modo oggettivo la curva interpolante si applica il metodo dei minimi quadrati Prendiamo ad esempio tutte le coppie di numeri (x,y) che definiscono ni nostri punti sul grafico, indichiamo come errore E la distanza del punto generico dalla curva interpolante, si dirà che l’interpolazione è tanto migliore quanto la somma di tutti gli errori E è più piccola. Se ad esempio i punti sono (x,y) (x,y)…(x,y) e la curva è una retta, possiamo scrivere y=Ax+B, la somma degli errori sarà:

E

2

= ( y1 − Ax1 − B ) 2 + ( y1 − Ax1 − B ) 2 + .... + ( y1 − Ax1 − B ) 2 rendendo minima questa somma

ponendo la sua derivata parziale seconda rispetto ad A e B uguale a zero si otterranno le due incognite A e B, e così sarà definita la retta che interpola a meglio i dati del diagramma disperso. Tale metodo è detto correlazione essa è essenzialmente come già detto una tecnica per individuare una relazione fra due variabili.

67

Nella maggior parte dei casi non vi è alcuna manipolazione delle variabili da parte dello sperimentatore. La correlazione si può distinguere attraverso il così detto “grado di correlazione”, per cui si avrà: –Basso grado di correlazione (punti lontani dalla “linea di regressione”) –Elevato grado di correlazione (punti vicini alla “linea di regressione”)

1,2

1 0,9

1 0,8

Capacità richiamo

0,7 0,6 0,5 0,4

0,8

0,6

0,4

0,3 0,2

0,2

0,1

0

0 0

10

20

30

40

50

0

60

10

20

30

40

50

60

Eta

Gli scopi della correlazione possono riassumersi nei seguenti: •Previsione: previsione del valore di una variabile target in base al valore di una variabile predittore •Validazione: confronto fra i risultati di un test nuovo e i test già noti •Affidabilità: replicabilità degli esperimenti/test •Verifica di previsioni teoriche: verifica di un rapporto previsto fra due variabili se la correlazione cercata è di tipo lineare allora si parlerà di analisi di regressione essa è una tecnica statistica per individuare la linea di regressione ottimale (“best fit”) per un determinato insieme di osservazioni essa di fatto permette di individuare per la retta y= a+bx i valori di a e b. La linea di regressione ottimale si definisce come quella linea che minimizza le distanze verticali fra le osservazioni e la linea stessa 1,2

Capacità richiamo

1

0,8

0,6

0,4

0,2

0 0

10

20

30

40

50

60

Eta

Distanza verticali Alcune distanze sono “positive” altre sono negative. L’ottimizzazione minimizza la somma degli scarti Quadratici definiti come:

 (Y − Yˆ )

2

le formule che permettono di ottenere i parametri a e b sono dette stima di regressione e sono le seguenti:

b=

SP dev.q x

a = Y −bX i limiti di tale metodo sono da ritenersi collegati al fatto che•La linea di regressione non dev’essere utilizzata per prevedere valori di Y per valori di X inferiori o superiori a quelli compresi nel campione. Essa dunque permette di facilitare la comprensione della relazione fra due variabili, d’individuare la tendenza centrale della relazione (così

68

come la media) individua la tendenza centrale per un insieme di osservazioni e di prevedere il valore di Y per un X ignoto (interpolazione/estrapolazione)

Cap. VI LA CLASSIFICAZIONE DEGLI SPORT 6.1 La classificazione fisiologico biomeccanica delle attività sportive le classificazione degli sport e delle attività sportive in genere, può servire a vari filoni utilizzativi come quello, didattico funzionali, quello conoscitivo operativo, quello didattico- scientifico, in questi grandi filoni possiamo individuare i seguenti scopi applicativi nel campo della fisiologia applicata:: 1. valutare le attitudini e le capacità di un soggetto a svolgere una o più specialità sportive. 2. effettuare il bilancio degli effetti di un sistema di allenamento su di una determinata attività sportiva.. Infatti nei vari sport gli interventi muscolari distrettuali possono essere a parità di lavoro degli organi di trasporto, di impegno assolutamente differenziato. Pertanto secondo il Prof. Dal Monte una classificazione, per essere utile ai fini pratico-sperimentali, deve fondarsi su tre presupposti necessari: a. individuare la sollecitazione funzionale prevalente, nei vari organi ed apparati utilizzati nell’esecuzione di un particolare sport mediante i suoi gesti tecnici. b. Definire, anche in forma indicativo/qualitativa, l’impegno settoriale a carico dei muscoli, ovvero il grado d’intensità delle contrazioni e la massa percentuale di muscolatura impegnata. c. Mettere a disposizione del “funzionalista” una definizione ed una graduatoria d’importanza che va seguita per ottenere una corretta valutazione di attitudine ed efficienza In base a tali criteri le attività sportive possono essere classificate, sempre secondo il Prof. Dal Monte in attività ad impegno prevalentemente anaerobico, ad impegno aerobico/anaerobico massivo, di tipo prevalentemente aerobico, ad impegno aerobico/anaerobico alternato, attività di potenza, attività di destrezza. Non entriamo nel merito dell’analisi critica di codeste definizioni, esse sono state proposte dall’autore, non con lo scopo di critica ma, solo come esempio indicativo e qualitativo, non privo d’imperfezioni che comunque riesce a dare un’ idea tipica della classificazione fisiologica degli sport. Ricordando che in buona approssimazione si può considerare valida la relazione di proporzionalità inversa tra quantità percentuale di masse muscolari impegnate ed intensità della forza impiegata, possiamo allora individuare le seguenti linee guida di indirizzo. Nelle attività ad impegno prevalentemente anaerobico sono comprese le discipline sportive che hanno una durata complessiva compresa tra i venti ed i quarantacinque secondi. In tale categoria sono racchiuse le attività che cimentano al massimo gli elementi della macchina umana capaci di assicurare all’apparato locomotore le massime quantità di energia, tra esse si collocano gli sport per cui: • Sport in cui viene impegnata un’elevata percentuale delle masse muscolari totali. • Sport in cui viene impegnata una percentuale media delle masse muscolari totali. Nelle attività ad impegno aerobico/anaerobico massivo, sono comprese le discipline sportive che hanno una durata complessiva compresa tra i quaranta secondi ed i 4-5 minuti primi. Vi possono pertanto appartenere le attività i cui movimenti richiedono una grande potenza dell’apparato cardiorespiratorio, ed una simultanea grande capacità di lavoro anaerobico. Le discipline sportive comprese in tale gruppo possono essere estremamente diverse tra loro e tra esse si possono collocare sport per cui: • Sport in cui viene impegnata un’elevata percentuale delle masse muscolari totali, con un impegno distrettuale non elevato della forza. • Sport in cui viene impegnata una percentuale media delle masse muscolari totali, con un impegno distrettuale medio della forza. • Sport in cui viene impegnata una percentuale delle masse muscolari, piuttosto ridotta, con massive richieste distrettuali di forza. Nelle attività con prevalente impegno aerobico vi sono le discipline sportive la cui durata risulta superiore a 4 minuti ed in cui l’attuazione dei movimenti sportivi per la massima parte della competizione sono di tipo aerobico.. Anche in questa categoria vi saranno sport con impegno di differenti quantità percentuali di masse muscolari.per cui ricordando la validità della relazione inversa precedentemente sottolineata potremo dire che maggiore è la quantità di masse muscolari impegnate, minore sarà sia la forza impegnata che il tempo di tale impegno.

69

Nelle attività ad impegno anaerobico/aerobico alternato saranno comprese le discipline sportive che si basano su di un’alternanza più o meno regolare di fasi sub-aerobiche, aerobiche,anaerobiche e di riposo. Nel gruppo delle attività di potenza sono compresi tutti quegli sport che hanno la necessità d’imprimere grandi accelerazioni a masse od a “proiettili” , in genere in tali sport l’attività di sollecito delle capacità anaerobico lattacide sono limitate in tempi brevissimi, mentre il meccanismo d tipo aerobico viene impegnato per il pagamento del debito lattacido al termine dell’esercizio. Nelle attività di destrezza si possono annoverare tutti gli sport in cui l’efficienza psicosensoriale e quella del coordinamento neuromuscolare sono affiancate sia da cospicue richieste di lavoro muscolare che da bassa richiesta di tale impegno.

6.2 la classificazione fisico-biomeccanica Una classificazione con un chiaro connotato concettuale di inquadramento metodologico, piuttosto che operativo del tipo valutativo funzionale è invece quella chiamata fisico-biomeccanica. Essa si basa non sui concetti prima espressi d’energia ed impegno delle masse muscolari corporee, bensì sull’astratto, ma più fisico, quantitativo e registrabile concetto di moto e di interazione. Infatti la classificazione fisico biomeccanica raggruppa gli sport in modo concettualmente più immediato e verificabile anche ad un’analisi biomeccanica qualitativa.. In essa ponendo in primo piano il concetto di complessità strutturale del moto che l’atleta compie nell’esecuzione di tale attività fisica, contemporaneamente a quello d’interazione sia con l’attrezzo o con un eventuale avversario, gli sport vengono suddivisi nelle seguenti categorie: Sport ciclici, sport aciclici, sport ciclici alternati, sport di situazione. In questo tipo di classificazione non viene né indicata la lunghezza temporale dell’impegno sportivo ne i tipi di substrati energetici che vengono più o meno attivati, essa è una classificazione di tipo astratto che si basa sull’analisi fisica del moto eseguito nella disciplina sportiva analizzata e delle eventuali interazioni ad esso connesse , per enuclearne le metodiche d’analisi biomeccanica più adatte alla comprensione del gesto sportivo, al suo potenziale miglioramento, alla sua espressione mediante opportune equazioni del moto.. Si definiranno sport ciclici tutte quelle attività sportive in cui la performance sportiva si riduce essenzialmente ad un movimento definito che viene ripetuto ciclicamente nel tempo, pertanto il moto può essere biomeccanicamente studiato, analizzando in modo completo solo il movimento di base, in essi può verificarsi la presenza d’interazione con un attrezzo, me più spesso questo o è una fase transitoria ,(start nello sprint) o non avviene del tutto. Sport aciclici, saranno così definite tutte quelle attività sportive in cui la performance sportiva si riduce ad un solo movimento specifico che verrà effettuato una sola volta nel tempo e frequentemente in interazione con un attrezzo, quindi il moto potrà essere biomeccanicamente analizzato studiando in modo specifico, solo questo movimento speciale. Sport ciclici alternati, saranno definite tutte quelle attività sportive in cui l’espletamento della performance sportiva si può identificare con due o raramente più movimenti “semplici” che vengono effettuati ripetutamente nel tempo , spesso in essi l’interazione con l’attrezzo avviene per uno o più dei movimenti semplici che compongono la performance. Nel caso più semplice c’è la ripetizione e l’interazione con lo stesso attrezzo, nei casi più complessi gli attrezzi possono cambiare nel corso della performance. Tali moti per l’indipendenza delle azioni simultanee possono essere studiati analizzando singolarmente questi moti “semplici” di base. Sport di situazione, saranno definite così tutte le attività sportive, in cui l’espletamento della performance sportiva non può individuarsi in una periodizzazione semplificativa dei movimenti effettuati, a causa della presenza di uno o più avversari nel campo. Essi possono esser raggruppati in due grandi categorie: A) sport di situazione senza contatto ,duali o di squadra B) sport di situazione puri duali o di squadra. Non essendovi quindi uno schema fisso nel tempo, facilmente identificabile, non è possibile a tali sport applicare il principio della indipendenza delle azioni simultanee. Questa è stata la ragione di base per cui, per lunghi anni, l’analisi biomeccanica di queste attività sportive è stata di fatto la cenerentola di tutta la biomeccanica sportiva. Infatti lo studio biomeccanico di tali attività, tra cui si annoverano gli sport di combattimento duali e quasi tutti gli sport di squadra, può essere affrontato solo con metodologie più complesse di quelle messe a disposizione dalla meccanica classica. Il loro studio può infatti essere affrontato solo con un salto di qualità, utilizzando metodologie di analisi di gran lunga più sofisticate, sulla base cioè, delle metodiche complesse, proprie della meccanica statistica e della teoria del “Caos”.

70

71

Cap.VII LA FISICA SEMPLICE APPLICATA AGLI SPORT. 7.1 Sport cicliciCorsa, marcia, sprint, sci di fondo, slalom, discesa libera, nuoto, ciclismo, canottaggio, pattinaggio su ghiaccio. Come si è gia detto nella classificazione biomeccanica degli sport basata sulle proprietà del moto dell’atleta, Si definiscono sport ciclici tutte quelle attività sportive in cui la performance sportiva si riduce essenzialmente ad un movimento definito che viene ripetuto ciclicamente nel tempo. In tale accezione l’analisi biomeccanica di questi sport si effettuerà, dopo l’opportuna analisi differenziale, sia sul movimento semplice di base che caratterizza lo sport studiato sia su eventuali altri movimenti di interesse che possano individuarsi nel corso della performance sportiva.

Locomozione, marcia, corsa, sprint. L’analisi Biomeccanica degli sport ciclici può essere svolta a vari gradi di complessità e a vari livelli di approfondimento. Per rimanere nel solco preparato per questo testo l’analisi degli sport, che seguirà, sarà essenzialmente un’analisi fisica che privilegerà la chiarificazione dei principi di fisica che sono alla base degli sport, quindi della dinamica ( le forze in gioco e le traiettorie) o degli scambi energetici, dati sul consumo energetico e sulla potenza espressa , però non potendo sottostimare il valore che la fisiologia gioca nell’espletamento di una performance se possibile si darà anche qualche accenno sulle implicazioni fisiologiche seppur in modo semplificato. Il primo degli sport ciclici che analizzeremo sarà la corsa e lo sprint, ove per corsa s’intendono tutte le distanze del mezzo fondo, fondo, gran fondo e maratona, ovvero dagli ottocento metri fino ai quarantadue chilometri della classica maratona. Mentre per sprint s’intenderà l’analisi di tutte le gare di velocità: 100, 200, 400 m piani. Tutti questi tipi di locomozione umana saranno definiti per comodità locomozione veloce, questo tipo di definizione operativa indica anche la strada che si percorrerà in questa analisi, infatti sarà certamente più proficuo per il lettore valutare in modo comparato i tipi di locomozione umana, partendo dalla locomozione di base che è presente nella marcia passando dalla corsa fino a terminare allo sprint. A parte saranno trattati le fasi evidenziate in funzione dell’analisi differenziale dello sprint: la partenza e l’arrivo dello sprint. Nel caso della corsa come in quello della marcia o della locomozione, l’azione umana è ciclica; per le gambe possono individuarsi tre fasi. Per la locomozione/marcia esse sono le già note: spinta, doppio appoggio ed ammortizzamento, mentre per la corsa e lo sprint si possono individuare delle leggere varianti simili, in quanto si passa dalla fase di doppio appoggio ad una fase detta di volo, dove non si poggiano per nulla i piedi a terra. 1 .Fase di spinta. 1. Fase di spinta. 2. Fase del doppio appoggio 2 Fase. di volo 3. Fase d’ ammortizzamento. 3. Fase d’atterraggio/supporto. Nella figura 58 che segue è mostrata la fase di volo che si sviluppa sia nella corsa che nello sprint.

Il moto delle anche è rotatorio ciclico nel piano trasverso. Quello delle braccia è pendolare alterno nel piano sagittale ed il suo scopo biomeccanico principale è quello di controbilanciare il movimento prodotto dalle gambe, il centro di gravità nella corsa viene sollevato tra i 5-6,5 cm , rispetto ai 2-3,5 cm della locomozione, inoltre nella corsa di lunga distanza il baricentro s’innalza meno che nello sprint. Il tronco è leggermente flesso in avanti per contrastare i momenti esterni agenti sul corpo

72

E’ importante verificare nell’analisi comparata dove e quando variano i movimenti o i tempi di effettuazione del movimento, nella figura successiva si mostra l’evoluzione dello spazio dalla locomozione allo sprint tramite la corsa. Si vede chiaramente nella figura 59 e nel diagramma normalizzato accanto, come si anticipa la fase di spinta , sia nella corsa, che nello sprint, rispetto alla locomozione, come scompaiano tutte le fasi intermedie che si svolgono in volo accorciando i tempi e semplificando il diagramma.

Inoltre scompare come già ricordato la fase del doppio appoggio ed il moto pendolare delle gambe, non solo è più ampio e veloce, ma contribuisce in modo sostanziale alla spinta in avanti del corpo. Le quantità fisico biomeccaniche legate, sia alla locomozione/marcia, come per la corsa e lo sprint sono: 1.L= lunghezza del passo 2.N =( frequenza) numero dei passi al secondo 3.V=L*N= velocità 4.T=L/N =tempo del passo variando opportunamente frequenza e lunghezza si possono ottenere, fino ad un certo limite, degli effettivi miglioramenti sulla performançe di corsa, un po’ meno significativo è l’incremento nello sprint. Nella tabella successiva vengono analizzate le variabili indicative per la marcia di due gruppi di studio formati da marciatori professionisti. Variabili gruppi di studio Velocità (m/s) 3.13 4.07 Tempo d’appoggio (s) 0.40 0.40 T d’appoggio/T.di moto 1.14 0.89 Lunghezza passo totale (m) 2.17 2.59 Lunghezza falcata (m) 80.06 83.82 Estensione ginocchio (grad) 184 190 In genere la lunghezza media del passo è di 1,21 volte l’altezza dell’atleta, quella media massima, è 1,24 volte l’altezza dell’atleta, ma per i campioni questo rapporto sale a 1,266 volte. Si ricorda che però cambiare la frequenza, cioè il numero dei passi al secondo, implica una preparazione fisicofisiologica opportunamente mirata. Le forze esterne agenti su di un corridore o uno sprinter sono mostrate in figura 60. Le forze esterne agenti sul corpo

Rh yh +A ya =Rv x Dove Rv = reazione verticale

73

x= distanza del centro di gravità dalla reazione Ya= distanza del centro di gravità dall’applicazione della resistenza dell’aria Rh = reazione del suolo Yh = distanza del baricentro dal suolo A= resistenza dell’aria in formula

0.5SC x v 2 con ρ densità dell’aria che varia con l’altezza da 1,23 kg/m+ a

livello del mare a 0,932 kg/m+ a 2300 m d’altezza.. Fondamentale per la corsa è lo studio delle calzature ( vedere appendice per una trattazione particolare) , comunque un modello matematico della corsa, con lo specifico intento di ricavare informazioni per le calzature è stato presentato nel 1990 da Mc Mahon e Chen le equazioni che descrivono tale modello sono:

d 2 = k leg (1 − L) sin  dT 2 d 2 = k leg (1 − L) cos  − 1 dT 2

g x l  = ; y = yl0 ; L = ; T = t   l0 l0  l0 

1/ 2

; K leg = k leg

l0 il modello mg

viene presentato nel seguito:

ovviamente un tale modello semplificato non può fornire dati validi per tutti. Esso infatti prevede che l’angolo θ rimanga costante, in questa approssimazione è possibile legare la massa dell’atleta e la lunghezza delle catene biocinetiche con la velocità di corsa, e si può anche ricavare il valore di k che consente la stabilità nel gesto tecnico. Questo metodo risulta piuttosto generale anche nel calcolo della stifness del soggetto che può esser posta in forma dimensionale come:

K vert =

k vert l 0 lo scopo di questa rappresentazione è quello di poter connettere la stifness verticale con le mg

dimensioni dell’atleta ( incorporandole) in modo da avere una risposta indipendente dall’antropometria del soggetto. Similmente la forza media di pressione sul suolo può esser calcolata dalla variazione di momento durante il contatto al suolo per cui si ottiene:

v F = 2  tc

t  gt  + mg ricordando che v = a si ottiene dividendo per la forza peso F = 1 +  a 2   tc

  che è una 

relazione dimensionale che ci indica che la forza esercitata dal corridore sul suolo è una relazione dipendente dal tempo di contatto e dal tempo di permanenza in aria.

74

Un’analisi in termini d’ energia meccanica fornisce altre fondamentali informazioni sulla differenza tra la locomozione e la corsa., infatti in questo campo si verifica la differenza più marcata fra le due situazioni di locomozione. Operativamente l’energia spesa nella corsa o meglio il lavoro meccanico prodotto si può calcolare in quattro modi differenti secondo le relazioni seguenti: t1

1.

W =  LR dt...;....conLR = FRVCM R F vettore reazione del suolo VCM velocità del centro di massa t t1

2.

1 W =  E cm dt...;....conEcm = mVcm2 + mghcm 2 t t1

3.

n 1 1  W =  E tot dt...;....conEtot =   mi vi2 + I i i2 + mi ghi  2  i =1  2 t

4.

W =

4

j =1

t1

L

j

dt...;....conL j = M j q j

t

Ognuno di questi quattro metodi, a causa degli errori associati, se applicato ad uno stesso atleta ed alla stessa performançe fornisce risultati diversi entro l’ordine di grandezza del 12% dei valori ottenuti. Ciò significa che i dati d’ energia normalmente riportati in letteratura per essere valutati correttamente devono essere associati al metodo di calcolo. L’ottimizzazione energetica di qualsiasi tipo di locomozione è data dal minimo del rapporto tra energia metabolica totale e la distanza percorsa dal baricentro in un ciclo. In formule:

(

  54      B +  Am + M m+ S m + Wm  m =0  0 Eo = = 0 xcm (t c ) − xcm (0) xcm (t c ) − xcm (0) tc

 E Mtot dt

tc

) dt 

dove B è l’energia basale, A il calore di attivazione muscolare, M il rateo di calore di mantenimento, S il rateo di calore d’accorciamento , W il rateo di lavoro meccanico di ognuno dei 54 muscoli attuatori dei movimenti. Nella locomozione normale l’energia potenziale gravitazionale e l’energia cinetica sono in opposizione di fase, ovvero quando l’una è massima l’altra, come ci si attende in un campo conservativo, risulta minima dando conto del continuo fluire dell’una, nell’altra, pertanto l’energia potenziale risulta il serbatoio dell’energia cinetica e viceversa. Nel caso della corsa tutto ciò non avviene, le due energie risultano in fase per cui si verifica nella corsa che l’energia cinetica è ovviamente massima nelle fasi di volo in stretta relazione con l’energia potenziale che risulta massima quando è più alto il baricentro dal suolo, sempre nella fase di volo. Come mostrato nella figura 61

75

Il miglioramento della corsa passa, attraverso l’ottimizzazione della posizione, il rafforzamento opportuno dell’atleta (corretto bilancio potenza Massa Muscolare /peso), lo studio di frequenze e lunghezze opportune dei passi. In termini di ottimizzazione globale bisogna ricordare che studi effettuati hanno sottolineato che la frequenza liberamente scelta dagli atleti è quella che minimizza il dispendio energetico della corsa. Infatti rispetto ad un incremento del 32% della velocità ( da 3,15 a 4,12 m/s) si sviluppa un aumento conseguente della lunghezza del passo di circa il 28% ma la frequenza rimane pressoché stabile con variazioni tra lo 0 ed il 4%.. Cavanagh e Kram hanno mostrato che per velocità comprese fra 3 e 4 m/s è possibile individuare per un’atleta una sola frequenza ottimale, ma risulta praticamente improponibile per velocità maggiori una variazione qualsiasi di frequenza. Inoltre è più costoso diminuire la frequenza ed allungare il passo, che l’inverso, mentre un aumento di frequenza produce un conseguente aumento della potenza meccanica interna ed una diminuzione di quella esterna. Relativamente alla frequenza ottimale liberamente scelta da ogni atleta, Cavagna ha mostrato non solo che l’ aumento di frequenza s’accompagna ad un aumento del consumo energetico globale e ad una riduzione della potenza meccanica utile, ma addirittura che la sua diminuzione produce un maggior dispendio energetico ed un aumento relativo della potenza, come mostrato nella figura 62

un interessante confronto è stato mostrato da Nocacheck relativamente al contributo energetico prodotta dalle singole parti delle catene cinetiche inferiori nella locomozione, nella corsa e nello sprint. Dalla figura precedente si evidenzia il ruolo fondamentale del ginocchio nella corsa di resistenza sia nei confronti dello sprint che della locomozione. Le anche invece giocano un ruolo sempre meno importante passando da un 53% nella locomozione ad un 14% nello sprint, mentre l’estensione dei fianchi gioca il ruolo inverso passando da un 7% ad un 24% dalla locomozione allo sprint.

76

Lo sprint può esser ben descritto dal modello di Alexandrov e Lucht (1981) in cui le forze resistive sull’atleta sono descritte dall’equazione F = -σmv mentre le forze propulsive sono proporzionali alla massa F= fm in tal caso l’equazione del moto sarà :

d 2 x(t ) f = f − v(t ) la cui soluzione è in funzione della velocità è v(t ) =  2 dt 

(

)

 −t + v0 e −t  1− e 

I due autori hanno anche calcolato la soluzione dell’equazione tenendo conto del raggio di curvatura R della curva e della dimensione della corsia l’equazione generale è:

 dv v4  + v =  f 2 − 2  dt R  

1

2

questa equazione non è risolvibile ma può ricavarsi una soluzione approssimata con

il metodo delle perturbazioni, dopo i dovuti passaggi la soluzione è del tipo:

(

)

2

1  f  f  1  f  f  f v(t ) =   1 − e −t −   +    2  2    R  2    R 2   

2

2

 10  f  f  − 2t t  −t e  − 4 ln e e − 3  2  3     R 

Cenni di biomeccanica della partenza La partenza è una delle fasi più studiate dell’intera area dell’ atletica. Molti ed importanti sono stati gli studi effettuati per questa fase della gara, la prima nozione generale che è subito venuta alla luce da questi studi è che: i diagrammi dello spostamento orizzontale,in funzione del tempo; velocità in funzione del tempo ed accelerazione in funzione del tempo sono caratteristiche di ogni singolo sprinter. Quindi possono essere utilizzati solo per il perfezionamento dell’atleta stesso e non come caratteristica generale. Ovviamente lo scopo della partenza è quello di facilitare un efficiente spostamento dell’atleta nella direzione del traguardo. Lo scopo della posizione di partenza è quello di poter lasciando i blocchi accelerare nel più breve tempo. Tutto ciò si ottiene a) assumendo una posizione ben bilanciata sui blocchi, b) far si che il centro di massa sia tanto alto e così avanzato da essere leggermente fuori dalla base d’appoggio in quadrupedia, c) applicare una forza sui blocchi che sia passante per il baricentro del corpo d) con un’angolo di applicazione di circa 45° e) posizionare le ginocchia con l’angolo ottimale f) lasciare i blocchi in equilibrio e con il massimo della spinta. Vi sono tre tipi di posizioni considerate nella classificazione dell’analisi della partenza. 1. raccolta < 35cm 2. media 35-55 cm 3. allungata >55cm Henry nel lontano 1952 concluse con una serie di esperimenti che mostrarono la superiorità della posizione media (dai 41cm ai 53cm ) nei confronti delle altre due, ma se con la allungata veniva spesso recuperato il ritardo di partenza , la posizione raccolta provocava un significativo rallentamento a 10 e 50 yards. Quanto sia importante la partenza lo si può evincere ad esmpio dal record di Ben Johnson in Roma nel 1987 con 9,83 il secondo Carl Lewis segnò un tempo di 9,93 cioè 0,10 sec in più. All’uscita dai blocchi il distacco a favore di Johnson era di 0,067 circa i 2/3 del vantaggio totale all’arrivo. La relazione biomeccanica che descrive la partenza è: Ft = (mv fin − mvin ) ma la velocità iniziale è 0 per cui Ft = mv fin e da ciò si deduce che maggiore è l’impulso esercitato dall’atleta sui blocchi, maggiore è la velocità che si ottiene. La velocità e quindi l’accelerazione sono anche funzione dell’inclinazione della base dei blocchi come si comprende facilmente ed è mostrato nella seguente tabella ripresa da Guissard 1992

Velocità ed accelerazioni per differenti angoli di pendenza dei blocchi di partenza Angolazione dei blocchi (gradi) 70

Velocità ai blocchi (m/s) 2.37

Accelerazione ai blocchi (m/s²) 7.46

50

2.80

8.36

30

2.94

9.03

Bisogna però notare che il grande impulso deve essere quasi tutto a carico della forza esercitata, perché se ad aumentare è il tempo allora si svilupperà una accelerazione più piccola con danno per l’atleta.

77

Nella figura 63 è mostrato il profilo velocità tempo per i primi 25 m di un atleta d’elite di sprint valutato simultaneamente mediante la cinematografia ultraveloce ed un innovativo sistema a microonde Doppler.

I tempi di reazione al segnale dello starter sono ovviamente profondamente diversi e vanno in media per campioni d’elite da 0,015 s a 0,027 s per atleti di levatura nazionale. Riguardo alla postura iniziale questi studi hanno evidenziato che migliori sono gli sprinter più il peso del corpo sbilanciato in avanti grava sulle braccia, per cui si passa da 75-85% per i campioni e ad un semplice 52-67% per atleti di levatura nazionale. Lo studio di diagrammi del tipo precedente ha dimostrato anche che la velocità si sviluppa con una ben precisa progressione che analisi standard hanno riportato ai seguenti valori, dopo 2 s 76% ; dopo 3 s 91% ; ed infine il 95% entro i primi 4 s..

78

Sci alpino Lo sci alpino nelle sue varie manifestazioni ed applicazioni dallo sci, allo slalom, al gigante , alla discesa libera, allo snowboard, allo sci acrobatico, hanno fisicamente un denominatore costante tutti gli sciatori controllano la loro velocità mediante la lateralizzazione delle forze. Di fatto essi manipolano le forze sui bordi o i tagli degli sci per governare la capacità di scivolare. In tutta semplicità, lo sci come strumento è una trave atta a trasmettere il peso distribuito di colui che lo monta alla neve e le irregolarità del manto nevoso a colui che lo usa. Le più importanti proprietà di uno sci sono: lunghezza, peso, ampiezza, taglio laterale, la flessibilità ( cioé la capacità di curvarsi e torcersi) e l’altezza della curvatura. Ila distribuzione sulla neve del peso di uno sciatore che risulta importante per la capacità di scivolare e di ruotare è distribuito essenzialmente dalla lunghezza dello sci ed è funzione della sua curvatura e della sua flessibilità.. La geometria dello sci è mostrata in scala nella figura 64.

Le forze che dirigono lo sci Le forze di pressione agli estremi dello sci piatto si calcolano secondo la seguente formula

F = K b h dove h è

l’altezza della curvatura. e Kb è la costante elastica della trave di punta e di coda., forze tipiche sono dell’ordine di 9 - 13 N sufficienti a permettere una stabilità direzionale dello sci. Se si desidera calcolare la forza di direzione laterale essa deriva dalla seguente formula

Fl =

h + 0.5s tan  1 + w2 Kb 4Kt

Dove F rappresenta la massima pressione al taglio dello sci che curva; s è la deformazione strutturale della sagoma tra la punta ed il mezzo; w è lo spessore massimo della punta e della coda; β rappresenta l’angolo che il taglio fa con il terreno, e K è la costante torsionale elastica di punta e coda dello sci.. Passiamo di seguito a determinare le forze che determinano il moto di uno sciatore in una gara di slalom, in modo da individuare l’equazione globale che descrive il fenomeno., quando lo sciatore scia in moto stazionario. Lo scopo è quello d’individuare alcuni parametri che permettono l’ottimizzazione della performance dell’atleta. La prima semplificazione fisica è quella di considerare ovviamente la massa dell’atleta concentrata nel suo baricentro e quindi studiare il moto di questo punto,massa. Vedi figura 65

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Le forze attive sono: la reazione del suolo, le forze di attrito sia tra gli sci e la neve che quelle aerodinamiche che si oppongono al moto, ed infine la forza esterna che è la componente della forza di gravità in funzione dell’angolo di pendenza della pista. Per cui potremo considerare la frenata dinamica e la frenata aerodinamica come le forze che rallentano il moto mentre la velocità aumenta proporzionalmente nel tempo sotto l’impulso della componente di gravità, se però per semplificare i calcoli consideriamo il raggiungimento di un regime quasi stazionario allora l’accelerazione potrà esser considerata pressoché nulla e potremo scrivere in formule: F1 + F2 + ma = mg sin  → F1 + F2  mg sin  con F1 frenata dinamica dovuta alla forza centrifuga nello slalom, ed F2 frenata dovuta all’attrito aerodinamico. Allora potremo scrivere.

 1  1 4Ry 1  mgK cos  + mKV 2  + AC x V 2  mg sin  2 2  2  2 2 Rx + R y   nelle figure 66 - 67 che seguono sono mostrate le traiettorie di slalom e le forze laterali esercitate da uno sciatore nel corso di una gara e le posizioni aerodinamiche che uno sciatore può acquisire nel corso di una gara

da questa relazione è possibile ricavare la velocità di discesa V e dalla relazione L/t =V sarà possibile ricavare il tempo totale del percorso che, dopo alcune assunzioni semplificative , risulta uguale a:

80

4 KR y  AC x     +   2 m 2 (R x2 + R y2 )  questo tempo totale è quello passato, se lo sciatore si 4 R h   = 1+ K sin   3R      g  sin  − cos      2    2 x 2 y

t tot

muove direttamente in regime stazionario, ma poiché questa approssimazione è raggiungibile dopo un certo tempo di transizione allora per la indipendenza delle azioni simultanee potremo scrivere : T = t +t’/2 Dove il tempo t’ approssimativamente sarà uguale a :

1

t' = g sin 

 AC x    4 KR y  2   + 1 + K 2 − c tan       2  2 (R x2 + R y2 )    2m 

Pertanto il tempo di raggiungimento del regime stazionario da parte dello sciatore , si può considerare come un tempo di aggravio che ritarda la performance finale dell’atleta. Senza entrare nello specifico dei calcoli si possono ottenere interessanti indicazioni dalle equazioni precedenti opportunamente trattate. Infatti se la massa magra dello sciatore grazie all’allenamento aumenta di 10 Kg. Egli avrà un abbassamento del tempo di percorso rispettivamente di 0.6 s nello slalom, di circa 1 s nello slalom gigante, e di ben 2,5 s nella discesa libera. La discesa libera ovviamente è fondata sulla capacità dello sciatore di ben ammortizzare gli sbalzi durante il percorso, infatti le sue caviglie e le sua ginocchia vengono sottoposte a sollecitazioni che in alcuni casi particolari possono raggiungere fino al 300% del peso dell’atleta. Ma la condizione fondamentale per una discesa è la posizione ed il relativo Cx. dell’atleta nei confronti dell’aria. Risultati sperimentali hanno mostrato che il Cx diminuisce quando diminuisce la superficie frontale dell’atleta, o le zone di ricircolazione dell’aria intorno al suo corpo. Specialmente nelle zone a valle dietro le ginocchia o il fondo schiena. Elmetto, scarponi, tute e gli stessi sci in questi casi sono anche studiati per consentire una posizione di discesa più stabile in modo da agevolare il mantenimento della posizione ottimale dell’atleta come mostrato in figura .

Anche in questo caso il coefficiente d’attrito è dato dalla nota formula di Hoerner:

Cd =

2D V 2 S

ovviamente il coefficiente di resistenza aerodinamica D dipende dalla posizione globale dell’atleta e dai particolari indumenti sportivi adottati. Per ottenere una relazione legata alla competizione reale questo coefficiente può esser connesso con la forza agente nella discesa. In tal modo si ricava l’efficienza della discesa definita dalla formula:

=

mg D 81

Nuoto Come sport ciclico il nuoto è uno sport che in tutti i suoi stili impegna la quasi totalità dei muscoli del corpo. La condizione del nuoto data la particolare posizione del corpo e la presenza dell’acqua, genera negli atleti una ipoventilazione leggera, in quanto la pressione dell’acqua rende l’azione del respirare leggermente più difficoltosa. Prima di affrontare la descrizione dei suoi movimenti base, ricordiamo un fatto biomeccanico applicativo poco noto: Ricordando che la velocità è un vettore e che quindi possiede una direzione ed un verso in una gara di nuoto vale relazione: Vm= V-V = 0 cioè la velocità media del moto è nulla. Nell’asse dei tempi il moto dl nuoto che si sviluppa su di un numero pari di vasche ha come lunghezza totale: Ttot = T3 + T4 + T5 con T3 tempo della partenza = Tblocco + Tvolo + Tscivolamento; T4 tempo di battuta; T5 tempo della virata. lo start del nuoto è l’equivalente dello start dello sprint è una fase molto studiata in biomeccanica del nuoto specialmente nella fase di scivolamento, tanto che nei tempi moderni questa fase ha praticamente cambiato la strategia di competizione degli ultimi anni.

La propulsione è la forza che determina l’avanzata del nuotatore, regolata dall’azione-reazione, attraverso mani e piedi che spingono l’acqua. Lo Stile Libero Nello stile libero la trazione anteriore è generata dalle braccia e quella posteriore è sviluppata dalle gambe la seconda però è quasi annullata dalla resistenza di risucchio, prodotta dall’acqua. Nella figura 68 vediamo lo sviluppo della forza di propulsione legata all’azione delle braccia nello stile libero.

la forza propulsiva F è una componente della forza reattiva F, normalmente vi sono due componenti attive nella propulsione la forza di resistenza e la forza di galleggiamento. Alcune fasi dello stile libero di fronte e di profilo sono mostrate nella figura 69.

82

Nella figura 70 precedente sono mostrate le forze propulsive di resistenza D e quelle di galleggiamento L e la loro risultante R nel corso della bracciata dello stile libero. Risulta importante studiare le varie fasi di palata nel nuoto stile libero, di fatto ogni atleta sviluppa una sua tecnica efficace che dipendendo dalle sue caratteristiche morfologiche lo diversifica dagli altri nuotatori. Come viene mostrato nella figura 71.. Sono infatti di seguito mostrate le tecniche sportive efficaci di tre campioni nell’ordine si ha: (a) Spitz (b) Schwannhauser (c) Montgomery

Nella figura 72 è mostrato l’andamento della Velocità delle braccia nelle varie fasi della bracciata dello stile libero, è d’altro canto facilmente comprensibile che la velocità vada aumentando costantemente dall’avanti al dietro con un minimo assoluto nel momento di passaggio del braccio per la posizione perpendicolare al verso del moto nell’acqua.

83

La forza più importante che un nuotatore deve vincere e la resistenza dell’acqua, normalmente essa risulta dalle 500 alle 600 volte maggiore della resistenza dell’aria, in tale contesto appare chiaro che una performançe di nuoto dipende non solo dalla forza propulsiva dell’atleta, ma anche dalla sua capacità di minimizzare la resistenza durante il nuoto. La propulsione è essenzialmente a carico dei muscoli dorsali deltoidi trapezio e in minor parte dei pettorali. Vi sono tre tipi di resistenza dell’acqua che agiscono sul corpo dell’atleta immerso. L’attrito di mezzo, la resistenza alla forma e la resistenza superficiale di formazione d’onda. L’attrito di mezzo si sviluppa tra le molecole d’acqua e la pelle dell’atleta esso è direttamente proporzionale alla velocità del nuotatore ed alla sua superficie corporea secondo la relazione:

Ds = C s Sv la resistenza della forma è una forza d’attrito direttamente proporzionale all’area frontale (o 1 2 sezione d’urto) del corpo del nuotatore ed al quadrato della velocità secondo la relazione: D A = C A Av 2 nelle figure successive si vede nelle prime due un buon esempio di posizione nei confronti di una cattiva, attrito di forma minore nella prima che nella seconda . Nella terza invece è mostrato un esempio di attrito di superfice.

Nello stile libero come già ricordato le gambe contribuiscono poco alla forza propulsiva n quanto la turbolenza dell’acqua disperde quasi del tutto la spinta propulsiva della battuta di gambe, essa comunque risulta essenziale alla propulsione sotto un altro aspetto, in quanto sostenendo il galleggiamento del corpo ne diminuisce sensibilmente l’attrito alla forma nel corso dello spostamento, come viene mostrato nella figura. 73

recenti studi hanno comunque mostrato che le gambe contribuiscono per circa un 10% dell’intera forza propulsiva negli sprint veloci da 25m

84

In tempi recentissimi un ricercatore neozelandese Toshimasa Yanai (2003) , sulla scia di una linea di ricerca nel nuoto, nata negli anni 70 con East e giunta fino ad Arellano 1994 , ha sviluppato una serie di interessanti ricerche incentrate sul collegamento tra frequenza di bracciata e lunghezza del ciclo di bracciata confermando in primis tutti i risultati globalmente ottenuti in tutte le ricerche precedenti. Cioè che gli atleti in breve tempo sono capaci di aumentare la frequenza di bracciate e nuotare più svelti, essendo questo incremento più naturale, mentre sono capaci di aumentare la loro velocità massima durante la performance dopo una stagione d’allenamento. Ciò implica che il nuotatore impara nel tempo a nuotare ad una data velocità con un numero opportuno di bracciate.

Yanai ha anche calcolato sia l’effetto di rullio impresso dalle forze esterne del fluido che la loro influenza sulla frequenza di bracciata secondo le formule:

FR =

d (I S s ) − (I F − I T ) F  T dt

FB =

1 = 2 T

(I

FR (max) A

)

+ I RC (max)

dove rispettivamente di ha la forza di rullio dipende dai momenti d’inerzia del corpo secondo i tre assi di simmetria ( sagittale, frontale, traverso ) e dalle tre velocità angolari, mentre la frequenza di bracciata è legata alla forza massima di rullio, al momento d’inerzia medio del corpo ed al rullio massimo del corpo del nuotatore. La figura successiva mostra in via geometrica il perché i nuotatori d’elite stanno tutti allineandosi a l valore ottimale di sei “palate” per ciclo di nuoto. In quanto per ogni semiciclo di nuoto ( sinusoide meno marcata ) il numero tre di semirullio si adegua bene come intervallo temporale da cui ne deriva che un ciclo intero è ben correlato a sei “palate”.

85

Lo Stile Farfalla Nello stile farfalla invece il movimento del braccio in forma propulsiva può esser descritto da un’entrata, una spazzata esterna, una interna , una verso il basso ed una di grande portata verso l’alto, mentre le catene cinetiche inferiori sviluppano un movimento ondulatorio detto a delfino. Come si vede nel ciclo di figura successiva in questo ciclo viene ripreso l’ex campione del mondo il russo Pankratov. Appare pertanto ovvia la riflessione che la scelta del movimento di nuoto in uno stile complesso come lo stile farfalla dipende dalla capacità dell’atleta di minimizzare le resistenze, massimizzando al contempo la velocità. Come si può biomeccanicamente notare il massimo della spinta propulsiva risulta a carico della struttura toracica al completo: Pettorali, dorsali, trapezio, deltoidi, mentre gli addominali ed i lombari effettuano una funzione fondamentale di raccordo con il bacino e le catene cinetiche inferiori.

Ciò avviene per i farfallisti più veloci perché sembra che essi riescano ad ottimizzare il rapporto spinta/ resistenza nelle diverse fasi del movimento figura 74.

86

un interessante apparato sperimentale è stato utilizzato per il calcolo dell’attrito che la posizione frontale del corpo dell’atleta opponeva al fluido,questi risultati sono stati utilizzati per ottimizzare la posizione e quindi la performance degli atleti farfallisti. Di seguito vediamo il posizionamento stereografico delle telecamere usato per ottenere dati sulla situazione reale in vasca

la situazione reale è stata ricostruita in laboratorio al fine di utilizzare un manichino che avesse la stessa sezione d’urto utile degli atleti, nelle figure che seguono si vede l’apparato sperimentale usato e un paragone fra manichino ed atleta.

87

Lo Stile Rana La propulsione nello stile rana determina l’avanzata del nuotatore, quasi a scatti, a causa della reazione prodotta da mani e piedi che spingono l’acqua. Nello stile rana la trazione anteriore è sempre generata dalle braccia e quella posteriore sviluppata dalle gambe che si muovono con uno specifico movimento. Dalla posizione iniziale gambe flesse divaricate, 1°(spinta) viene effettuata una forte spinta in avanti verso le ginocchia mediante le braccia e le gambe, 2° ( scivolamento)il corpo si distende con le braccia tese in avanti, 3°(flessione) le braccia si flettono verso i gomiti,4°(raccolta) le braccia si stendono e le gambe si raccolgono. I primi due movimenti spinta scivolamento, sono fasi propulsive effettuate con le braccia e le gambe. Nei secondi due movimenti flessione e raccolta la velocità diminuisce e si prepara al contempo il ciclo successivo Nella figura 75 viene mostrato il movimento a frustata specifico dello stile rana.

Nel movimento della rana si è visto che alla fase propulsiva partecipano anche le gambe in modo sostanziale nella figura 76 viene mostrato l’andamento della Velocità delle braccia nelle varie fasi della bracciata dello stile rana

88

Per tutti gli stili di nuoto le quantità biomeccanicamente rilevanti, legate alla locomozione in acqua, sono: 1.LB= lunghezza della battuta/numero di cicli di braccio completi. 2.FB =frequenza di battuta = numero di cicli di braccio completi / tempo della battuta. 3.V= LB • FB = m/s La resistenza idrodinamica alla figura risulta importante come per lo stile libero, anche per lo stile rana di seguito nelle figure 77 – 78 si mostrano due differenti assetti della posizione delle gambe nello stile rana per abbassare la resistenza idrodinamica ed aumentare la velocità rendendo il flusso laminare

Nell’ultimo periodo si è sviluppata l’abitudine a proseguire con una fase di nuoto ondulatorio sommerso, subito dopo la partenza le prime volte ciò è accaduto alle olimpiadi di Mosca nel 1980 ove furono coperti fino a 25 m in tale stile non ortodosso, oggi questa tecnica che si è dimostrata più redditizia in quanto diminuisce la resistenza globale della prima fase di nuoto. Essa è stata studiata estesamente da Vorontosov, Rumyantsev e da Colman o Aurellano. La resistenza del pelo d’acqua dipende dal numero di Froude che secondo Videler può esprimere la quantità di energia persa nel creare le onde in superficie.

F=

v dove v è la velocità , g l’accelerazione di gravità ed L la lunghezza del corpo fuori dall’acqua. gL

v2 La profondità minima per nuotare senza sviluppare onde superficiali è data da questa relazione h = 2 gCW Dove C è il coefficiente di produzione d’onda, la resistenza superficiale di produzione d’onda è data dalla equazione: DW

=

A3 (v sin  )3 cos  

dove A è l’ampiezza dell’onda, ρ densità dell’acqua, λ lunghezza

d’onda v è la velocità di spostamento ed α l’angolo fra la direzione del centro di massa ed il fronte della prima onda. La riduzione della resistenza e la creazione efficiente di vortici, ottenuti con tale stile riduce il tempo totale sia nella fase di partenza che di rotazione, comunque nonostante la limitazione imposta a livello di regolamento internazionale sulla lunghezza di utilizzo di questo stile ( max 15 m) , la sua efficacia permette ad alcuni campioni con l’uso efficiente di questo stile di poter migliorare ancora i tempi di gara.

89

Ciclismo La posizione del ciclista è fissa ed il moto viene svolto attraverso la bicicletta., il cui il moto rotatorio diviene moto traslatorio. La bicicletta è di fatto uno strumento molto efficiente per la trasmissione degli sforzi muscolari esercitati sull’appoggio.

F1

L3

F2

F3=F2

Lo scopo della trasmissione è quello di convertire il prodotto di una grande forza per una bassa velocità ( al Pedale) in una bassa forza per un’alta velocità ( alla Ruota ). Ovviamente la potenza applicata al pedale sarà uguale alla potenza espresso alla ruota se si trascurano gli attriti interni. (F1 x V1) = (F4 x V4)

L2

L4 L1

F4 La pressione esercitata dalle gambe sul pedale è una forza interna del sistema uomo-bicicletta. La pressione P esercitata sul pedale crea un momento di forza rispetto all’asse dell’ingranaggio principale. Il contatto della ruota con il suolo e la presenza della forza d’attrito, permette alla forza agente costituita dai muscoli della gamba di trasmettersi attraverso la biella ed il pedale mediante la catena fino all’ingranaggio posteriore. L’ingranaggio posteriore fornisce all’asse, a lui legato, un’ accelerazione in avanti, attraverso la pedalata. Il fulcro del moto risiede nella forza d’attrito che come unica forza esterna, permette l’accelerazione e la traslazione del sistema sulla superficie orizzontale. Ovviamente anche in questo caso la resistenza aerodinamica dell’attrito del mezzo è del tipo:

Ra =

1 2 v Ca A 2

dall’ equazione precedente ne deriva che la potenza spesa da un corridore in presenza di vento e con velocità di traslazione V’ è del tipo:

Pa =

1 2 v V ' Ca A dalle formule precedenti si può calcolare che una diminuzione del 2

10% nella superficie d’impatto A del ciclista porta ad un aumento conseguente della velocità del 3%, fattore che non è certamente da sottovalutare nel corso ad esempio di un record dell’ora. L’attrito di “rotolamento” è dovuto alla deformazione dei corpi che sono a contatto, in formule : R =  r mt g in cui m è la massa totale e g l’accelerazione di gravità, mentre il coefficiente d’attrito da studi sviluppati risulta essere

r =

a + (b / P ) C s con a = - 0,00051, b = 9,73744 P pressione degli pneumatici Φ 

diametro dello pneumatico, e C coefficiente di attrito di rotolamento tra i materiali ( es. asfalto-gomma). Il costo energetico del ciclismo è circa 1 / 5 del costo del passeggio. Il potere aerobico medio varia fra 70 - 74 ml/kg min. mentre l’efficienza della pedalata dipende fortemente dal tipo di pedale usato. La potenza netta trasmessa alla bicicletta prendendo in considerazione anche le perdite meccaniche risulta essere.

  v2 Pn =  Ca A + mt g ( r + sin(arctan ( pendenza% ))) in questa equazione si identificano subito tre 2   termini la resistenza del mezzo, la resistenza di rotolamento e la resistenza di pendenza data dalla percentuale della pendenza. Pertanto sia la potenza sviluppata sia la componente aerodinamica in funzione della velocità sviluppata, seguono le curve mostrate nei seguenti grafici: Figure 79 – 80 .

90

Di fatto il miglioramento biomeccanico del gesto tecnico deve avere il seguente scopo, miglioramento dell’efficienza globale dello sforzo, attraverso il posizionamento ottimale dell’atleta sulla bicicletta ( angoli articolari d’attacco, posizionamento del manubrio, del sellino, ecc.), questo significa trovare la posizione in cui i muscoli applicano la risultante maggiore. I muscoli delle catene cinetiche inferiori, che agiscono attivamente nel gesto semplice della pedalata sono mostrati in figura 81

Modificare la performance attraverso la correzione degli errori posturali può essere un interessante capitolo di analisi. Per prima cosa esiste un ben preciso e rigido protocollo di miglioramento della posizione 1. Si parte dalla ottimizzazione dell’interfaccia piede/pedale. 2. Si valuta l’ ottimizzazione della lunghezza dei pedali. 3. Si passa all’ottimizzazione del posizionamento della sella. 4. Si termina infine con il posizionamento ottimale delle catene cinetiche superiori. Nella figura 82 è mostrata a scopo indicativo la parametrizzazione di una bicicletta sportiva pronta per il protocollo di miglioramento della posizione dell’ atleta.

In genere nel caso di uno sport come il ciclismo, miglioramento della tecnica sportiva razionale e della tecnica efficace coincidono. Un altro fronte di miglioramento è quello dell’aerodinamicità del sistema ( ruote lenticolari, caschi, manubri in posizione particolare, ecc.), mentre il peso della bicicletta incide veramente in modo trascurabile sulla performance dei ciclisti.

91

Canottaggio Il canottaggio è uno sport singolo e di gruppo che si espleta su di una barca con l’ausilio di un remo. Le barche da competizione possono essere le vecchie Jole ed i moderni fuori scalmo, le prime sono più vicine alle vecchie barche con lo scalmo sulla murata pertanto risultano più pesanti e larghe dei moderni fuori scalmo. Queste barche sono molto affusolate, ridotte di larghezza alla dimensione di un seggiolino, posseggono lo scalmo che è fissato sulla sponda ma sporge da essa del punto di trazione del remo. Le barche sono in legno molto leggero e vanno dal singolo lungo 8,20 m largo 40 cm e del peso di soli 14 Kg fino all’otto con timoniere lungo 17,50m, largo 65 cm e del peso di 93 Kg. Lo studio biomeccanico del canottaggio può facilmente applicarsi allo studio di un ciclo di remata da parte di un canottiere, che si ripete nel tempo come tutti gli sport ciclici. Nella figura 83 è mostrato il ciclo di remata di un canottiere che rema in un singolo , quindi con due remi, normalmente negli armi con più vogatori ogni rematore governa un remo con due braccia.

Nella figura 83 è mostrato il ciclo di spinta (A) ed il ciclo di recupero (B). In termini meccanici il sistema può esser definito in modo semplificato, senza in prima approssimazione tener conto delle complicazioni idrodinamiche, come mostrato in figura 84

92

in tal caso potremo scrivere il bilancio totale delle forze diviso in forze che descrivono la dinamica della barca e forze che descrivono la dinamica del rematore ovvero in formule per la barca valgono le due seguenti relazioni per gli assi x e z:

F

= Fox − Fsx + m B x − Dt

x

F

e

= Fu − Fo − FRS − FSZ + mB ( z − g )

z

analogamente potrà scriversi per la dinamica del rematore nei due assi x e z:

F

= Fox − Fhx + mR x

F

= Foz − Fhz − mR ( z + g ) − FRS

x

z

e

Le equazioni del moto per il canottaggio sono state presentate da diversi autori noi ci ispireremo alla trattazione presentata da Bearley e de Mestre del 1996, utilizzando le loro approssimazioni meccaniche. L’equazione del moto per un ciclo completo di palata sarà divisa in due fasi fase dell’attacco e fase di recupero, ricordando che il rematore si muove sul carrello mobile prima nel senso del moto e poi successivamente in senso inverso potremo scrivere:

( mb + mr )

dv = F (t ) − mr a1* (t ) − R (t ) dt

( mb + mr )

dv = mr a2* (t ) − R (t ) dt

dove F rappresenta la forza assiale esercitata dalla pala nell’acqua, R la somma di tutte le resistenza sia aerodinamiche che meccaniche che idrodinamiche. Se si accetta l’ipotesi di Bearly e de Mestre allora si potrà descrivere il moto relativo del rematore in ogni ciclo come un moto armonico semplice, allora si potrà scrivere:

a1* = L

 p p2 cos   t t12  t1 

a2* = L

 p p2 cos   t t22  t2 

con L = cos t  m

1

3

Se utilizziamo l’approssimazione di Millward 1996 allora la forza assiale F sarà :

 F (t ) = Fmax sin 2  

 t 

Se conglobiamo tutte le ipotesi precedenti nelle equazioni del moto , allora le equazioni finali prenderanno la forma seguente:

93

(

)

( mb + mr )

dv  = Fmax sin 2  dt 

( mb + mr )

 p dv p2 1 = mr cos t  m 3 cos   t − R (t ) 2 dt t2  t2 

(

 p p2 1  3 t − m cos t  m cos   t − R (t ) r  t12   t1 

)

sia per la fase attiva d’attacco ( percorso della palata nell’acqua), sia per la fase di recupero ( percorso della palata fuori dall’acqua). l’attività muscolare durante l’attività ciclica del remare è mostrata nella figura 85:

Nella tabella seguente viene fornito un paragone di parametri scelti tra tre gruppi di canottieri gruppo I atleti Internazionali, gruppo II atleti nazionali, gruppo III atleti dilettanti.

Valutazione del lavoro meccanico di una palata può essere calcolata in base a numerose ed analoghe formule che di seguito vengono mostrate. 

W = Fh  l ;

W =  Fh dt  0

W =   V  L 2 h

l ; t0

W = Fh  (V  t p + r ) ; W = m    Vh  t p + m 

n



i =1

0

2 2

 tp

; W =  Fh  S i  cos  i ; W =  F (t )  x t (t )dt

alcuni valori di letteratura relativi al lavoro per palata sono dell’ordine tra i 400 - 700 KJ Anche la valutazione della potenza meccanica segue la stessa modellazione derivata dalla meccanica classica e per calcolare valori sperimentali compresi tra 250 – 380 W sono state usate le seguenti formule:

P = 2.8V 3.2 ;

F (t )  h   (t )dt ; P =W /t c t

Pi = P1 + P2 + P3 ; P = 

94

Pattinaggio su ghiaccio Per individuare le forze agenti nel pattinaggio veloce su ghiaccio risulta opportuno fissare il sistema di riferimento inerziale al punto di contatto tra il pattino ed il ghiaccio, vedi figura: 86

E’ facile vedere che per il terzo principio della dinamica la forza propulsiva è da individuarsi nella reazione Fp che l’attrito permette di sviluppare. La posizione di base del pattinaggio su ghiaccio può esser definita univocamente con l’aiuto di tre angoli, quello che individua la posizione del tronco θ l’angolo θ che individua la flessione del ginocchio ed infine l’angolo θ che definisce la posizione ottimale di flessione della caviglia, come si evidenzia facilmente dalla figura 87 La condizione necessaria e sufficiente per l’ottimizzazione della posizione è data dall’angolo θ che risulta formato dalla somma degli angoli θ + θ

Il principale problema per un pattinatore di velocità è dato dal migliore utilizzo della spinta di reazione del ghiaccio e dalla massima diminuzione dell’attrito aerodinamico dato, come ben noto, dal Cx del corpo. Su questa base gli angoli θ e θ sono direttamente collegati all’area utile del corpo o all’area della sezione d’urto che l’atleta sviluppa nei confronti dell’aria. Capitale risulta per l’attrito l’inclinazione del busto sia nel piano sagittale che nel piano frontale, infatti un’inclinazione del busto di circa 10° può causare un incremento dell’attrito aerodinamico globale di circa il 12% con un notevole rallenta,mento della velocità. Non meno critica è per l’attrito la posizione delle braccia, per esse, se lontane dal corpo l’attrito aerodinamico globale che il pattinatore può persino raddoppiare di valore. Per la corsa a squadre importante risulta il fattore di schermo fornito dal compagno che permette ad esempio ad un metro di diminuire il fattore d’attrito di circa il 20% La differenza di velocità tra le anche e le caviglie

V =

dS HA dipende dall’ampiezza dell’angolo θ. Se esso dt

raggiunge il valore di 180° atleta diritto la conseguente differenza risulta nulla. Vedi Figura 88

95

L’attrito del ghiaccio è dato dalla nota formula di Newton F = N . L’andamento sperimentale della forza d’attrito nel tempo è mostrato nella figura 89

Le perdite totali per attrito che un pattinatore può incontrare nel corso della sua performance che non dimentichiamo è basata sulla velocità e sulla capacità di ottimizzare le curve della pista, è data dalla relazione:

Pr = 0.0205m1 / 3l 0 e −0.000125h F (1 )G ( 0 ) H ( v + v1 )  (v + v1 ) v + mgv 2

La tecnica in curva, come per la posizione base precedentemente analizzata, dipende in modo essenziale da alcuni angoli, uno infatti sarà ottimale per il miglior sfruttamento della spinta di reazione prodotta dal terzo principio della dinamica fra il pattino ed il ghiaccio. Quest’angolo Φ , mostrato nella figura 90, determina,come detto, l’efficacia della spinta attiva che il pattinatore deve imprimere al proprio corpo

nell’effettuazione della curva la proiezione del baricentro deve cadere all’interno del raggio di curvatura e per diminuire la superficie della sezione d’urto aerodinamica del corpo risulta essenziale che l’angolo Φ sia minoreovviamente di 90° durante l’intera curva, come mostrato nella figura 91. Negli ultimi anni si è avuta l’introduzione di un nuovo tipo di pattini che permettono di sfruttare meglio la spinta naturale dell’arco plantare ottimizzando in tal modo la performance dell’atleta.

96

Pattinaggio a rotelle Con la nascita dei nuovi pattini a rotelle in linea, sia per il pattinaggio su ghiaccio che per quello a rotelle i principi e le leggi della fisica per attuare i movimenti son gli stessi. Nel caso del pattinaggio a rotelle a parte la presenza di ruote che producno un attrito diverso ( volvente nei confronti di radente), le tecniche che normalmente si adoperano per effettuare la spinta hanno nomi diversi ma si basano ancora sui medesimi principi fisici. La tecnica della spinta come per i pattini da ghiaccio non viene effettuata con una spinta diretta nella direzione di spostamento in quanto si perderebbe potenza , ma piuttosto si aumenta l’efficienza del gesto tecnico spingendo in modo angolato ed alternato. Per cui uno spostamento in avanti si può svolgere secondo le modalità della figura successiva con un angolo costante tra piedi e asse del corpo, nella condizione di maggiore semplicità

la massima forza di spinta si dovrebbe ottenere con un’angolazione di circa 45°. per cui sarà possibile scrivere Fmax = -μv-Mg Vista la pressocchè totale similitudine tra queste due discipline trattiamo nel seguito sia il problema delle perdite di energia meccanica attraverso le ruote di gomma, sia quello dell’attrito volvente dei pattini.

in figura è mostratala bassa efficienza del surbotano una gomma che è stata studiata in modo da agevolare le perdite di energia meccanica sotto forma di innalzamento termico. Se si considera la ruota come un insieme di moduli elastici (molle) connessi come mostrato nella figura successiva allora sarà possibile valutare sia la compressione che il fattore di perdità energetica connesso con il materiale delle ruote dei pattini a rotelle. E dalla energia dissipata si potrà calcolare la potenza dissipata dai pattini a danno dell’atleta.

97

potremo dunque scrivere :

d 2 x bN dx kN g + + x − cos at = 0 2 M dt M N dt g cos(at −  ) b N x= ed il fattore di smorzamento risulta S m = 2 kdt  2 kN   bN  2 a − −  a M  M   se si può dimostrare che la potenza espressa è , dopo semplici calcoli con le lettere relative alle figure precedenti:

P=

(mg ) 5 / 4 v 2 2

4

1 1  8 NY R0

8

R0 r

4

 R  1 − i  la potenza dissipata viene calcolata in maniera analoga ,  R0 

ma per comodità del lettore vengono omessi i tediosi passaggi di calcolo. La formula successiva rappresenta la potenza che viene dissipata nell’azione di pattinare.

Ps =

7 4

3 2

tan g (m g )v 2

3

1 8  R0   1        R0  r   8 NY  4

5 4

 R  1 − i   R0 

3

P..J. Baum ha calcolato nel 1997 che pattinando con solo la metà delle rotelle a disposizione si aumentava la perdita di potenza di circa il 68% se le ruote erano composte di solo surbotano. Ovviamente da semplici ragionamenti fisici deriva che per diminuire le perdite di potanza è conveniente aumentare il diametro delle ruote, o diminuire la dimensione del copertone, o diminuire la propria massa (peso). P.J. Baum nel 2000 ha anche calcolato un semplice modello adatto a descrivere le perdite di potenza dovute al pattinare in linea retta con il taglio delle ruote dei pattini. Questa azione aumenta di molto la temperatura del rivestimento di gomma e quindi l’attrito. Egli ha calcolato perdite di 15.6 watts alla velocità di 5m/s e di 31.2 watts a 10 m/s. Ricordando che la tecnica base della spinta prevede l’utilizzo del pattino in diagonale e quindi lo sfruttamento dell’attrito di taglio, andiamo a verificare l’andamento dei fenomeni fisici in queste determinate e particolari condizioni.

98

nelle figure precedenti sono mostrati rispettivamente la metà di una ruota di pattino, l’andamento del coefficiente d’attrito della gomma che ricopre la ruota a 20° di temperatura per diverse velocità e l’ingrandimento dell’aria gialla di contatto della ruota CP , con l’esplicitazione dei fenomeni fisici che vi occorrono. Da ciò si evince che nella zona gialla di compressione avvengono fenomeni noti di comportamento viscoelastico che si possono modellare come due comportamenti opposti: uno scivolamento ed un aumento della rugosità , questo è dovuto al fatto che pattinando sul taglio una parte della gomma viene viene distesa ed elongata con diminuzione della rugosità e nascita di fenomeni di slittamento, mentre per contrasto la zona opposta verrà compressa con aumento conseguente della rugosità. La figura centrale rappresenta l’andamento del coefficiente d’attrito della gomma su due superfici una di carburo di silicone ed un’altra di vetro, senza entrare nello specifico delle dimostrazioni sperimentali la semplice visione dell’andamento in figura, premette di rilevare un’importante notizia diversa dalle nozioni elementari in cui vien detto che il coefficiente d’attrito va diminuento con l’aumentare della velocità, questo comportamento che risulta vero per metalli su metello, non appare vero per manufatti di gomma in determinati range di velocità. Si desidera notare che nella figura sperimentale precedente l’andamento del coefficiente d’attrito non è espresso linearmente con la velocità ma con il suo logaritmo.

Nell’ambito dell’analisi della tecnica del pattinaggio artistico su rotelle, due interessanti lavori sull’Axel e sul Toe loop sono stati svolti da Claudio Goirgi e Sara Turchetti i risultati generali comparati per diversi esercizi di toe loop suddiviso nelle classiche sei fasi : 1. 2. 3. 4. 5. 6.

PREPARAZIONE PUNTATA STACCO FASE DI VOLO ATTERRAGGIO-AMMORTIZZAMENTO USCITA

sono mostrati nelle due figure seguenti il confonto con alcuni dati cinematica e la statistica finale sull’utilizzo percentuale di forza esplosiva, slancio di braccia ed effetto rimbalzo:

99

Per l’axel che viene suddiviso dagli autori nelle 8 fasi classiche 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

PREPARAZIONE - BILANCIATO PREPARAZIONE - RIPRESA CARICAMENTO SLANCIO STACCO FASE DI VOLO ATTERRAGGIO-AMMORTIZZAMENTO USCITA

Dopo lo studio delle caratteristiche cinematiche comparate di cui un esempio è mostrato nelle figure successive, le conclusioni sono state che l’esercizio risulta piuttosto strutturato nell’uso degli arti inferiori mentre ancora abbastanza personalizzato nell’uso degli arti superiori. Di seguito vengono mostrate le altezze dei salti in funzione del CM e le velocità orizzontali prima dello stacco

100

Analisi Biomeccanica dell'Axel - Velocità orizzontale (m/s)

Note per la lettura di questi grafici: Il grafico di sinistra si riferisce ai salti semplici, quello di destra ai doppi. In ciascun grafico le femmine sono a sinistra e i maschi a destra. La linea orizzontale che taglia entrambi i grafici dà il valore medio complessivo dei dati disponibili. I puntini neri posti su ognuna delle quattro popolazioni ne rappresentano il valore medio. In alcuni grafici i dati per i salti da un giro non sono disponibili.

101

Cap. VIII 8.1 Sport acicliciLancio del disco, lancio del peso, lancio del martello, sollevamento pesi, tuffi, salto in alto, salto in lungo, salto triplo, salto con l’asta, salto con gli sci. Definiamo sport aciclici quegli sport in cui, l’espletazione della performance sportiva si riduce ad un movimento specifico che viene effettuato una sola volta nel tempo e quindi il moto può esser studiato, analizzando questo movimento speciale. Tra i seguenti sport tratteremo : Lancio del disco, lancio del peso, lancio del martello , sollevamento pesi, tuffi, salto in alto, salto in lungo, salto triplo, salto con gli sci. La fisica semplice di tutti i lanci. Lo studio della traiettoria reale dei lanci è piuttosto complesso comunque una prima approssimazione semplice può esser sviluppata nella meccanica classica. Se si considera il moto del centro di massa del proiettile e si trascurano sia la forma estesa che le resistenze aerodinamiche allora si potrà provare in prima semplice approssimazione che la traiettoria di volo di tutti i lanci è di forma parabolica. La traiettoria, calcolata in queste assunzioni esemplificative, è:

x = x0 + v x0 t ed

y = y0 + v y 0t −

1 2 gt 2

da cui si ottiene, ricavando la variabile t per sostituzione l’equazione della parabola cercata :

v y 0 gx0   g   v y 0 gx0  y y = − 2  x 2 +  − 2  x +  0 − + 2  x0 questa relazione ci permette di ottenere la  2v x 0   vx0 vx0   x 0 v x 0 2v x 0  distanza a cui viene lanciato il proiettile che data in termini generici è della forma seguente:

r = v cos  − t considerando che il punto di atterraggio del proiettile è al disotto del punto di lancio la meccanica classica ci permette di calcolare la formula corretta della distanza raggiunta dal proiettile, che in questo caso è :

r=

 v2 1 + 2 gh sin 2 1 + 2g v 2 sin 2  

   

Ancora in generale è importante, in quest’analisi comparata, considerare l’aereodinamicità relativa dei proiettili usati in atletica leggera tale parametro è dato dal rapporto tra la massima forza di resistenza aerodinamica e la forza di gravità agente su di esso, in formule si ha , ricordando gia i parametri usati per il nuoto od altri sport

v 2

AC 2 Faereo    v  AC  = 2 =     Ricordando che l’equazione generale del moto è mg mg  2  g  m  dv dv m = − g (1 −  ) = −mg + Faereo introducendo il parametro Ψ prima definito, si ottiene: dt dt quando  =0 si è dimostrato che la traiettoria è parabolica, pertanto  rappresenta di quanto si discosta la ciclici :  =

traiettoria da una pura parabola. Se il proiettile è sferico l’attrito è sempre diretto in direzione opposta alla velocità. Se il proiettile non è puramente sferico allora si può ottenere una componente di spinta perpendicolare alla velocità di traslazione ( lo spin nel disco, o il galleggiamento nel giavellotto) che può allungare la traiettoria di traslazione del proiettile Nella tabella seguente vengono mostrate le caratteristiche fisiche dei proiettili usati in atletica leggera Proprietà peso martello disco giavellotto Massa (kg) 7.26 7.26 2 0.8 Volume (l) 0.7 0.7 0.9 1.25 Velocità (m/s) 15 30 25 30 Max distanza nel vuoto (m) 22 94 66 94 0.0095 0.0138 0.039 0.063 Area (m) Coefficiente D’attrito 0.47 0.7 1 1.2 0.0086 0.075 0.764 5.33 

102

Lancio del disco Il lanciatore del disco effettua un movimento rotatorio in cui accentua la velocità di rotazione. Questo movimento imprimendo un’alta velocità angolare permette attraverso un movimento elicoidale di lanciare il disco, imprimendogli anche un movimento di spin Le velocità di lancio sono comprese fra 25- 27,5 m/s. Gli angoli di lancio compresi tra 29°-39.° Le altezze di lancio sono comprese tra 1,21 m e 1,75m . E’ anche interessante notare che i tempi di effettuazione del movimento completo di lancio sono direttamente proporzionali alle distanze ottenute: ad esempio 1,6s=65,4m ; 1,9s = 65,8m ; 2,3s=66,6m ; 3s = 69,4m. I parametri fisici importanti nel disco sono: h del lancio (= h atleta) ; V velocità di uscita del disco, r distanza fra i piedi dei lanciatori, ω velocità angolare del tronco e θ angolo di rilascio. Queste sono le quantità biomeccaniche che permettono la definizione dell’equazione del lancio Nella figura 92 sono mostrate le traiettorie di spostamento dei piedi per una serie di lanciatori del disco (chiamati dromogrammi)

Come è facile verificare ogni traiettoria è relativa al singolo atleta ed al singolo lancio , mentre per uno stesso atleta esse definiscono una famiglia di traiettorie di spostamento che dipendono dalla sua tecnica efficace.

103

Se si considera solo il disco si può facilmente notare che la sua traiettoria dipenderà dall’angolo di rilascio θ, dall’angolo di attitudine φ e dall’angolo detto di attacco γ.come mostrato nella precedente figura 93. Le equazioni del moto sono relativamente semplici da calcolare. Per prima cosa valutiamo i fattori che influenzano il volo del disco, in realtà se il lancio è in presenza di vento allora l’attrito dell’aria non agirà nella direzione opposta al moto, ma piuttosto nella direzione relativa definita dalla velocità specifica data dalla differenza della velocità del disco meno quella del vento v spec = vd − vv come gia calcolato precedentemente per altri sport la forza d’attrito e la forza di galleggiamento sono

a=

Fa =

1 1 2 2 pertanto l’accelerazione dovuta alle forze aerodinamiche è Ca Av spec eFg = C g Av spec 2 2

1 2 (Ca + C g ) / m Av spec 2

le equazioni del moto possono essere abbastanza semplici se le velocità risultano tutte perpendicolari al piano del disco allora in questo caso si possono facilmente separare le componenti x ed y e si avrà:

d 2x 1 2 = − (Av spec / m )(Ca cos  + C g sin  ) 2 dt 2 d2y 1 2 = − g + (Av spec / m )(Ca sin  + C g cos  ) 2 dt 2 dove β è mostrato in figura 94

104

Il lancio del peso. Come mostrato nella seguente figura 95

Il lanciatore del peso può effettuare due tipi di movimento: 1.uno rotatorio o 2.il vecchio stile a fiondata. Nel primo movimento si sfrutta la velocità angolare per sviluppare l’opportuna potenza del lancio. Nel secondo la potenza del lancio è a carico della massima velocità di fiondata che l’atleta può sviluppare. Nella figura 96 è mostrata una sequenza del moderno stile rotatorio.

Una più completa, ma certamente più complessa trattazione si può ottenere considerando l’influenza delle variabili ambientali sul lancio mostrate in figura 97.. Dove per variabile ambientale sarà presa in considerazione solo la componente dovuta alla rotazione terrestre.

La trattazione ambientale del lancio di stile rotatorio può esser assimilata anche per il lancio del martello,.

Lancio del martello Il martello è una sfera di metallo di 7,25 kg di peso legato ad una catena di lunghezza 121 cm Questo è l’unico lancio che si effettua a due mani, in esso la forza centrifuga ha un’altissima rilevanza, maggiore che nel disco. La traiettoria reale non risulta simmetrica o circolare, ma ellittica con continue variazioni di eccentricità. L’aumento della velocità dell’attrezzo avviene in genere in quattro fasi: A.La velocità acquisita dal sistema totale (atleta +attrezzo) sotto forma di quantità di moto B.La velocità è comunicata alla parte alta dell’ atleta biomeccanico C.La velocità è comunicata all’attrezzo mediante le braccia

105

D.Per aumentare l’impulso cioè il tempo d’influenza della forza del corpo sull’attrezzo si usa il sistema detto del “sorpasso delle catene biocinetiche” Il lanciatore del martello effettua un movimento rotatorio in cui accentua la velocità di rotazione. Questo movimento imprimendo un’alta velocità angolare permette attraverso un movimento ellittico ed eccentrico di lanciare il martello con l’opportuna accelerazione Nella figura 98 vediamo lo spostamento del baricentro del lanciatore di martello nel corso dell’effettuazione delle sue rotazioni e si nota con chiarezza che l’equilibrio .dinamico del sistema martello più corpo all’accentuarsi della velocità di rotazione, implica uno spostamento sempre più accentuato del baricentro dell’atleta.

la trattazione matematica, quindi considerando un sistema cartesiano x,y,z. fisso sulla superficie terrestre. allora , in questo sistema rotante, l’equazione del moto per il lancio del peso o del martello è :

d 2r dr kA  dr  m 2 = mg + 2m   −  −W  dt dt 2  dt 

2

dove si osserva che la forza è funzione della forza peso, dell’accelerazione di Coriolis ( secondo termine) e dipende dalla resistenza dell’aria ( terzo termine del secondo membro). Da questa equazione si può verificare che dal livello del mare a duemila metri un lancio del peso allungherebbe la sua traiettoria dell’ 1,9 per mille mentre il martello dell’ 1%. Mentre gli angoli ottimali di lancio risultano di circa 38° per il peso e di circa 44° per il martello.

Lancio del Giavellotto Il giavellotto è una lancia aereodinamica di peso leggero. Normali sono gli standard seguenti : lung.= 2,60-2,70m peso = 0,8 Kg. Il giavellotto è tanto leggero ed aereodinamico che la sua traiettoria non è una vera traiettoria parabolica ma una pseudo parabola, sia a causa delle forze di galleggiamento che di attrito nel mezzo. Storicamente il record del giavellotto passò dai 50 m. del 1908 ai 95 m del 1976 fino ai 104,8 m del 1984 . Giunto a tali distanze che potevano porre a rischio la sicurezza degli spettatori la IAAF decise di cambiare le regole di costruzione e permettere solo giavellotti che volassero meno. Ciò fu ottenuto spostando in avanti di 4 cm il centro di massa dell’ attrezzo. La quantità biomeccanica più importante nel lancio del giavellotto risulta essere : 1.V=velocità di lancio In second’ordine vengono: 1.θ=L’angolo d’attacco 2.Il modo d’impugnare 3.La rotazione verticale 4.La rotazione lungo l’asse traverso. In effetti i parametri di lancio più importanti sono la velocità di lancio l’altezza di lancio e l’angolo ottimale d’attacco che possono essere individuati come nella figura 99

106

Normalmente il giavellotto durante la sua traiettoria di volo non esegue un volo parabolico, a causa delle forze ambientali in gioco (vento), ma spesso ruota lungo il suo asse maggiore, comunque i parametri a cui esso è sottoposto durante il volo possono esemplificarsi nei seguenti punti: forza assiale, angolo d’attacco, centro di gravità, centro di pressione, attrito, forza di sollevamento, e momento di lancio. In definitiva l’applicazione delle nuove regole costruttive ha ridotto la lunghezza dei lanci di circa 15 - 20 m. ed ha reso il lancio meno sensibile alle condizioni iniziali, in quanto il nuovo attrezzo è dotato di una spinta negativa che agevola la sua discesa come è visibile dal raffronto di figura 100.

Salto in alto, in lungo, salto triplo, salto con l’asta, salto con gli sci. Descrizione generale I tre tipi di salti normalmente utilizzati in atletica leggera, sono stati il soggetto di lunghe ed elaborate analisi biomeccaniche nel corso degli anni, analisi specifiche che hanno permesso di mettere in luce le particolarità e la biomeccanica generale posta alla base di questi sport aciclici. La traiettoria di volo per ogni singolo salto può esser calcolata allo stesso modo delle traiettorie generali dei lanci, nel seguito analizzeremo le differenze insite non solo nei vari stili di salto ma anche nelle tre tipologie utilizzate.

Salto in alto. Nel salto in alto gli stili che per ultimi si sono contesi il primato sono stati lo stile ventrale e quello Fosbury. Essi saranno analizzati con un’attenzione maggiore in modo da individuare vantaggi e svantaggi dell’uno e dell’altro. Generalmente nel salto in alto stile ventrale il tempo di stacco o battuta è dell’ordine di 0,17-0,23 s Nello stile Fosbury il tempo di battuta risulta in media più breve 0,12-0,17s Questo permette agli atleti che adottano il secondo stile di sviluppare potenze istantanee medie utili per il salto maggiori di circa 1,4 volte, a parità di lavoro sostenuto. Se si analizzano a mo’ di esempio tre stili diversissimi tra loro: sforbiciata, ventrale e fosbury, la razionalità degli ultimi due, nei confronti del primo sistema, salta subito agli occhi se si analizzano le altezze relative che compongono l’altezza totale del salto. Generalmente nel salto in alto la razionalità di uno stile viene determinata per confronto in base alla formula: H=h1+h2+h 3 Rispettivamente: altezza baricentro, altezza del balzo come moto del baricentro, distanza del baricentro dell’atleta dall’assicella allo scavalcamento. Nello stile Fosbury h1 risulta minore (gamba flessa) H=h1+h2 è eqivalente in tutti e tre i metodi h 3 è pressocchè uguale nel Ventrale e nel Fosbury (6-8 cm) mentre nel salto a sforbiciata risulta essere di (25 –30 cm)

107

L’esempio mostrato nella figura precedente 101 è fuorviante. Le risultanze delle misure relative al salto di Dwinght Stone filmato con una cinepresa ad alta velocità hanno mostrato che con un altezza dell’atleta di 1,96 e l’assicella a 2,30m le altezze componenti il salto sono state: h1= 1,40 m h2= 0,87m h3= -0,03m

Pertanto essendo il baricentro dell’atleta passato, ben tre centimetri, sotto l’assicella h3=-0,03 questo mostra che in termini biomeccanici lo stile Fosbury non solo è più energeticamente favorevole perché permette di sviluppare una potenza istantanea maggiore a parità di lavoro, ma anche perché permette all’atleta che lo usa di effettuare un lavoro minore sollevando il proprio baricentro al di sotto dell’assicella da superare.

Salto in lungo

In una prima approssimazione per ottenere la distanza coperta dall’atleta nel salto in lungo va sufficientemente bene l’ipotesi della massa concentrata nel baricentro e pertanto si ottiene ancora una parabola, come nella descrizione generale dei lanci. Se però si approfondisce di più la meccanica fine del processo allora bisogna strutturare un esperimento assemblato nel modo mostrato in figura 102

Le equazioni del moto considerando anche il contributo del vento o dell’altezza sul livello del mare sono da calcolarsi con la seguente metodologia.

108

Se consideriamo un punto materiale che viaggia con velocità v e che salta con un angolo d’attacco di 45° la distanza percorsa con il salto sarà

l=

v2 g

questo significa che se noi applichiamo il ben noto modello balistico al salto in lungo possiamo scrivere la distanza ottenuta in funzione anche della gravità come :

l =

(v2

 − 2 hg )   

2h + g

2

(h

+ h )    g 

se dunque consideriamo l’effetto dell’attrito a livello del mare, esso rallenterà la corsa dell’atleta ed abbasserà la sua traiettoria di volo, l’effetto sulla performance sarà di una riduzione di circa il 13 - 15% ricordando che la densità dell’aria e l’accelerazione di gravità diminuiscono con l’altezza si può affermare calcolandolo dall’equazione precedente che vi sarà un incremento della performance di circa il 2 –2,5% dal livello del mare ai 2000 m di Città del Messico. Salto triplo Nel caso del salto triplo ovviamente per ogni singolo salto o fase le equazioni della traiettoria semplice sono le medesime di quelle calcolate per il salto in generale con, chiaramente, le opportune componenti della velocità sia ascensionale che traslazionale. Però per decenni si è discusso nell’ambito degli specialisti di questa disciplina di come dovesse essere distribuito lo sforzo dell’atleta nelle fasi di salto, sollevamento e ricarica. Nel 1992 J. Hay ipotizzò per la prima volta tre stili o tipi di salto triplo relativamente alla distribuzione degli sforzi: 1. stile con balzo dominante 2. stile con salto dominante 3. stile bilanciato. Tuttavia lo stesso Hay non è riuscito a trovare un razionale sostenibile per questa classificazione adottata.

Nel corso di questi ultimi anni si è rassodata la convinzione che la classificazione di Hay fosse troppo meccanicistica ed, in effetti, gli ultimi studi hanno mostrato che non vi è un solo rapporto di fase ottimale fra velocità traslazionale e velocità di elevazione, in assoluto , ma che esso è relativo ad ogni singolo atleta e legato alla sua migliore performance. Il rapporto di ottimizzazione può esser limitato quindi a migliorare il rapporto

vtrasl per ogni fase di salto con i vascen

seguenti interessanti risultati medi 33% - 30% - 36,7% Salto con l’asta Il salto con l’asta è una tra quelle discipline che ha acquisito maggiori supporti dall’analisi del gesto tecnico e dall’evoluzione della tecnologia dei materiali. L’asta, infatti, svolge nel moderno salto con l’asta olimpico, tre fondamentali funzioni che permettono l’esecuzione dell’esercizio. 1. funzione di accumulo dell’energia cinetica e restituzione elastica. 2. funzione di colonna che permette il superamento dell’asticella. 3. funzione di stifness. I livelli ottenibili oggi, cioè: altezze superiori ai 6 m. che competono a questo gesto tecnico altamente complesso. Come mostrato in figura 104 , sono resi possibili non solo dagli speciali materiali che compongono l’asta, ma anche da una ben definita metodica biomeccanica di ottimizzazione dell’attrezzo.

109

-

I principi di ottimizzazione dell’asta come attrezzo fisico possono essere riassunti per comodità didattica nella minimizzazione della seguente funzione .

m = d

lmax

 x  dl 0

Dove m è la massa dell’asta, d il suo diametro, ρ la densità del materiale usato, l la lunghezza dell’asta, Δx lo spessore delle pareti dell’asta composita. Il concetto di minimizzare la massa di una molla ( l’asta nella fattispecie ) implica che bisogna produrre uno stress massimo ed uniforme quando essa è soggetta al carico massimo. Infatti vale la seguente equazione classica per le molle:

a = 1.

Ea d a  1 1 −   2  rmin ra  Il primo principio d’ottimizzazione, passa per la massimizzazione del diametro dell’asta in modo che essa possa sostenere il massimo livello di stress medio nel corso della performance. Dall’equazione precedente si ricava la seguente relazione.

da = 2 2.

 a  rmin ra 

  l’ottimizzazione porta ad un diametro di circa 40 mm. Ea  ra − rmin 

il secondo principio d’ottimizzazione è relativo allo spessore dello strato esterno. Partendo dalla stress analisi lineare , il massimo stress curvilineo lungo la lunghezza dell’asta è dato dalla relazione:

a =

M da M =4 I  d a2 x

Dove M rappresenta il momento angolare ed I rappresenta il secondo momento rispetto all’angolo θ, per ottenere il massimo stress curvilineo lungo l’asta il rapporto M / I deve restar costante lungo tutta l’asta e poiché M varia lungo l’asta allora per conservarlo costante dovrà variare lo spessore lungo l’asta. Il massimo momento angolare è dato dalla relazione:

M  = mgrmin sin ( +  ) − sin   per ottenere la variazione con la lunghezza basta sostituire  =

l rmin

pertanto attraverso delle semplici sostituzioni dalla prima equazione si ottiene la relazione a cui deve soddisfare Δx che è la seguente:

x =

4  d a2 a

     l  mgrmin sin   +  − sin    . rmin      

L’ottimizzazione di questo valore passa attraverso la considerazione dell’energia conservata dall’asta essa è:

U=

1 2 mv − mg (ha − h ) dopo alcune sostituzioni che omettiamo si ottiene la distribuzione ottimale dello 2

spessore Δx che prende la forma finale seguente:

110

    raU sin( +  ) − sin   4   x =   2  d a a      ( ra − rmin ) cos  +   −  sin     2     3.

Il terzo ed ultimo principio di ottimizzazione è quello della massa totale dell’asta in funzione dell’energia che può conservare, e questa a sua volta è funzione del diametro, dello strato limite e del materiale usato. L’ottimizzazione della massa dell’asta si ottiene facilmente con alcune semplici sostituzioni essenzialmente sostituendo Δx e d ricavati precedentemente nella prima equazione, saltando tediosi calcoli il risultato finale è: ma

=

2U   Ea       a2 

Nella figura 172 è mostrato in modo esemplificativo l’effetto che a deformazione di un’asta rigida o flessibile possono avere sulla traiettoria di volo dell’atleta.

Essenzialmente il salto con l’asta prevede una trasformazione dell’energia cinetica dell’atleta, in energia potenziale elastica dell’asta prodotta dallo stress elastico, e quindi una trasformazione ancora dell’energia potenziale dell’atleta. Ad esempio per un atleta di 80 kg di peso possiamo ottenere dalla solita relazione

1 2 mv = mgh che esso può 2

raggiungere, se corre ad una velocità di 10 m/s , l’altezza di 5 m. Ma poiché è noto che molti atleti saltano oltre i 6 m, pare che vi sia una violazione del principio di conservazione dell’energia meccanica. Ovviamente ciò è falso e quindi l’energia in più che permette all’atleta di superare l’altezza limite viene fornita da un complesso processo di lavoro e movimento che svolge l’atleta che carica in tal modo, mediante il lavoro dei suoi muscoli l’asta dell’energia mancante, che viene ceduta in ritorno con un rendimento di circa il 49% permettendo così all’atleta di superare distanze superiori ai 6 m. Dai tempi del Bambù, che era capace di conservare un carico di circa 100 J come carico di rottura , si è giunti ai nostri giorni con le aste in fibra composita vedi figura 173 , che possono reggere un carico di circa 2500 J. Quantità che, in teoria con il rendimento ipotizzato, permetterebbe di superare i 6,8 m. Nel seguito viene mostrata la complessità strutturale di una moderna asta in fibra.

111

Salto con gli sci. Il salto con gli sci rappresenta una delle pochissime discipline olimpiche invernali che si espletano con un gesto aciclico. Tutta la biomeccanica di questa disciplina è essenzialmente basata sulla ricerca di una sempre più efficace aerodinamicità nella posizione dello sciatore. Il gesto sportivo può per l’analisi differenziale essere analizzato in tre fasi intimamente connesse, ma fattorizzabili: 1.) Fase dello scivolo e preparazione al salto. 2.) Fase di decollo. 3.) Fase di volo . Nella prima di queste fasi acquista importanza non solo la posizione aerodinamica del corpo , ma anche , nella fase finale la posizione delle catene cinetiche superiori, infatti è stato mostrato da simulazioni di laboratorio che lo slancio con le braccia è di aiuto presso che nullo alla preparazione alla seconda fase cioè quella del decollo, ed inoltre l’ipotizzato vantaggio della spinta con le braccia è pressoché annullato dall’aumento della sezione dell’atleta con conseguente aumento dell’attrito, come si può facilmente vedere dai grafici seguenti la posizione con le braccia dietro permette un miglior adattamento alla fase di volo successiva.

la fase di stacco e decollo è stata divisa dai biomeccanici e dagli allenatori ancore in tre sottofasi: a) Timing b) Posizionamento c) Stacco Per timing s’intende l’inizio del caricamento per effettuare il volo, i migliori saltatori mostrano un timing particolare cioè effettuano il caricamento quasi al termine della discesa, in modo da ottenere uno stacco nel tempo migliore e più breve. Il posizionamento è dato dal raggiungimento dell’angolazione ottimale per la fase successiva di volo esso come la fisica semplice ci indica e l’esperienza di gara ci conferma è all’incirca di 45°, mentre lo stacco è una fase biomeccanica delicatissima in cui l’atleta cerca di ottenere la massima componente verticale della velocità traslazionale che ha acquisito al termine della discesa.. La fase di volo è anch’essa stata oggetto di moltissime ricerche per primo Straumann addirittura nel 1927 presentò delle risultanze ricavate dallo studio della posizione di volo in una tunnel a vento. Questi studi anche se piuttosto datati rappresentano la base scientifica oggettiva della posizione ottimale di volo nei confronti dell’attrito del mezzo, sia per individuare la miglior posizione relativa delle catene cinetiche e del corpo sia per definire gli angoli fondamentali ed individuare il range della loro possibile variazione, moderni studi con modelli 1:1 hanno mostrato che l’accelerazione gravitazionale e le forze di galleggiamento in aria, determinano la traiettoria di volo sottoposta alle seguenti equazioni:

112

v x =

(− FD cos  − F1 sin  )

; x = v x m . ( F1 cos  − FD sin  ) v y = − g ; y = v y m

113

Tuffi La biomeccanica dei tuffi segue una fisica semplice per quanto riguarda il moto di caduta libera dal trampolino, infatti durante la fase di volo l’atleta è sottoposto solo alla forza di gravità per cui il moto del suo baricentro segue la legge della caduta dei gravi. Per cui segue l’equazione:

v = gt

s=

1 2 gt 2

molto più complesso invece risulta la spiegazione degli aggraziati movimenti di salti mortali che il corpo sospeso nel vuoto riesce ad eseguire . infatti se il corpo è sospeso nel vuoto ( e questo vale anche per la ginnastica artistica a corpo libero o all’uscita degli attrezzi) vige la conservazione del momento angolare, per cui attraverso quali meccanismi si riesce a ruotare più volte nello spazio , cambiando posizione al corpo, senza sfruttare nessun appoggio ? per spiegare tutto ciò bisogna partire dalla forza propulsiva, che nei tuffi per il terzo principio della dinamica è data o dalla risposta elastica del trampolino o dalla spinta dell’atleta sulla piattaforma. Se prendiamo in considerazione il salto dal trampolino per produrre qualsiasi tipo di rotazione ( spin ) opportuno, esso deve esser preparato quando la depressione del trampolino è minima, in quanto il trampolino al termine della sua fase di ritorno ha acquisito la massima velocità , in tal modo si otterrà in massimo della forza elastica di risposta, in caso contrario se il movimento di creazione avviene prima della fase finale del rilascio lo spin prodotto sarà troppo basso e l’atleta ruoterà con lentezza, se invece il movimento preparatorio dovesse effettuarsi dopo il rilascio l’atleta non potrà più crere alcun moto di rotazione. E’ importante notare che il movimento preparatorio dello spin può esser fatto da una sola parte del corpo che si muove velocemente ( es. le braccia) , in tal modo coordinandolo con la spinta finale delle gambe si ottiene che il momento rotazionale accumulato in una catena cinetica prima del decollo sarà trasferito al corpo intero dopo il decollo. In pratica al moto delle braccia si combina anche il contributo del tronco in modo da accentuare la capacità di rotazione nello spazio. Ovviamente l’uso della risposta elastica dal trampolino di 3m ha anche il compito di permettere all’atleta di sollevarsi in aria in modo da aver più spazio per la sua esecuzione. Questa forza non può esser sfruttata dalla piattaforma in cemento di 10m e quindi da essa possono anche iniziarsi salti con il solo sbilanciamento, mentre questo metodo risulta di grande ostacolo alla produzione di tuffi complessi dal trampolino.

per poter effettuare un salto mortale il tuffatore deve raccogliersi diminuendo il suo momento d’inerzia ed aumentando la propria velocità angolare ( vedi rotazioni nel cap.IV).

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Una possibilità di creare al distacco una componente rotazionale è prodotta dallo spostamento laterale del corpo dalla linea di giacitura della forza di reazione passante per i piedi . Il modo più efficiente però di produrre una componente rotazionale al distacco viene dato dalla spinta dei piedi, accompagnata da un moto del busto in avanti che porta il baricentro fuori dal corpo. Più il baricentro è spostato in avanti maggiore è la componente rotazionale conferita al corpo. Se a questo movimento si aggiunge anche il moto opportuno delle braccia allora la componente rotazionale sarà ancor più grande a causa di questo secondo contributo. Il tuffo completo con più salti mortali ed anche carpiato, può esser geometricamente descritto in modo completo nello spazio, mediante l’ausilio di tre angoli nei tre piani di simmetria del corpo umano, uno giacente nel piano saggittale ( angolo di capovolta o somersault ), uno nel piano frontale ( angolo di deviazione o tilt ) ed uno nel piano traverso ( angolo di nutazione o twist ). Nelle due figure successive vengono mostrati gli angoli base ed un metodo di creazione della componente rotazionale.

avendo prodotto fisicamente una componente rotazionale crando un opportuno raggio di girazione ( cfr. Pag 47 antropometria). Poiché il coefficiente angolare rimane costante vale la relazione

 = cos t. = I = mr 2 bisogna comunque notare che nella relazione precedente, che è costante , la massa non può variare in quanto l’atleta non aumenta e diminuisce di peso nel corso del tuffo, pertanto egli potrà variare solo r il raggio di girazione, e questo si può fare in quanto il momento angolare totale pur rimanendo costante, può variare di volta in volta due o tutt’e le sue tre componenti, pur rimanendo la somma totale costante. Ad esempio nel caso più semplice rimanendo nello stesso piano di rotazione se l’atleta avvicina a se le braccia o si raccoglie curvandosi su se stesso la sua velocità di rotazione aumenta, se si distende rallenta e così di seguito. È importante anche individuare nel corso del tuffo gli assi di rotazione in quanto solo rispetto ad esse potrà variare il raggio di girazione, con gli opportuni movimenti del corpo. Come viene mostrato nelle figure successive.

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Assi di rotazione

Nelle figure successive vengono mostrati ad esempio due salti mortali con rotazione, ma se si guarda con attenzione la figura si vede che il moto del baricentro dell’atleta è una semplice parabola mentre tutte le rotazioni sono sviluppate o allargando e chiudendo le braccia o piegando lateralmente il busto, o raccogliendosi e così di seguito.

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Ginnastica Nel caso della ginnastica in quanto ci si ritrova in presenza di un alto numero di esercizi, spesso uno diverso dall’altro, si cercherà utilizzando l’analisi differenziale di questi esercizi di raggruppare tra loro I moti comuni a più esercizi ed analizzarne le componenti biomeccaniche. Pertanto potremo trattare i moti secondo la seguente classificazione differenziale: Attacco agli attrezzi + moto proprio dell’esercizio+ fase di distacco ed arrivo. È comunque utile ricordare che dal punto di vista fisico i metodi di movimento ed innalzamento sugli attrezzi si basano tutti sul principio della conservazione del momento angolare, variando opportunamente le distanze fra gli arti ed il corpo, mentre si ruota. Mentre la base cinematica di tutti gli esercizi è quella di un moto pendolare di un pendolo fisico composto che è retto dalla nota equazione:

 + Mgr sin  = 0 . I Nel caso della ginnastica a corpo libero per la meccanica dei movimenti di salto mortale che vengono prodotti valgono per essi gli stessi principi di fisica già visti per i tuffi. Si rimanda dunque al paragrafo dei tuffi per la loro trattazione, ma si ricorda che poiché il ginnasta non parte dal trampolino e quindi la sua distanza da terra è minore, deve sopperire a questa difficoltà aumentando al massimo la sua energia cinetica e quindi utilizzando una maggior velocità d’attacco ai salti spesso inoltre preparando il salto mortale anche con una serie di capovolte in modo da sfruttare con tali esercizi pliometrici l’energia elastica dei muscoli delle gambe per ottenere una maggiore elevazione. La ginnastica è dunque, come ben noto, uno sport che si sviluppa per il ramo maschile su sei attrezzi e per quello femminile su quattro. Tutti gli esercizi sugli attrezzi vengono sviluppati in esercizi di routine che rappresentano una serie di abilità personali. Tali esercizi di abilità possono essere concatenati in combinazioni che ovviamente rendono il numero degli esercizi completi circa vicino al migliaio. Sebbene un buon numero di queste abilità tecniche possa essere raggruppato comunque il loro numero è così elevato che è praticamente impossibile per gli studiosi sviluppare un’analisi completa di tutte le possibili combinazioni. Nel corso della nostra trattazione cercheremo di trattare le classi più comuni di abilità tecniche che s’incontrano in ginnastica. Per prima cosa si analizzerà il movimento semplice dì attacco agli attrezzi, poi si studierà una fase dell’esercizio degli anelli, in seguito, la meccanica della sbarra compresa la preparazione all’uscita e l’errore di uscita, ed infine il volteggio sul cavallo e l’asse di equilibrio. Il movimento di attacco agli attrezzi è propedeutico per tutti gli esercizi con gli attrezzi, questo movimento può esser biomeccanicamente affrontato con la modellazione di un movimento pendolare.

Le variabili in gioco definite nella traiettoria sottostante saranno legate dalla seguente relazione.

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c  g 2  +  l + 2  + sin  = 0 l

ml 

l

senza entrare nei particolari di calcolo Nakawaki e compagni hanno

mostrato che il movimento semplice si può ottimizzare e questo equivale in termini matematici a trovare le due condizioni per l’ Hamiltoniana del sistema.

 = H ;   H  =  le variabili d’ottimizzazione della traiettoria sono rilevabili dalla figura successiva.

Per cui seguendo la traiettoria, il movimento semplice d’attacco all’attrezzo può esser visualizzato come se fosse sviluppato da un sistema a tre gradi di libertà. Ricordando che uno degli scopi di questo movimento è di permettere al centro di massa dell’atleta di spostarsi lungo una ben determinata traiettoria, mentre l’altro è quello di mutare l’energia cinetica e potenziale in energia rotazionale per poter raggiungere l’appoggio all’attrezzo..

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Ricordando che gli attrezzi per gli esercizi di ginnastica sono sei : anelli, sbarra, parallele simmetriche e parallele asimmetriche, cavallo, asse d’equilibrio passiamo rapidamente a vedere la fisica applicabile a questi particolari moti dell’atleta. Certamente il più studiato in assoluto è stato l’esercizio alla sbarra a causa della sua essenziale semplicità fisica, inoltre una più approfondita analisi degli esercizi mostra che ogni atleta applica in effetti il moto di base semplice, relativo all’attrezzo che usa e sviluppa tutta la sua capacità ideativa nei salti mortali di uscita , questo fa si che anche per gli attrezzi la fisica dei salti mortali è essenzialmente basata sui principi espressi nel capitolo dei tuffi .

Sbarra e parallele asimmetriche Molti sono stati gli studi sviluppati in tutto il mondo sulla meccanica ed energetica della sbarra, i più moderni e complessi ovviamente grazie alluso dei calcolatori sono giunti a calcolare il momento angolare dell’atleta rispetto a l centro di massa di ben 15 segmenti corporei secondo la formula: 15

M tot =  (H i + ri  pi ) e l’energia e la potenza meccanica secondo queste altre formule, i =1

1 1  Etot =   mi vi2 + I i i2 + mi ghi  2  i =1  2 15

n

n

n

j =1

j =1

j =1

Qi = (−ri  F ) −  (rij  G j ) +  (rij  p j ) +  H j P = Qi q i

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Nella figura successiva sono mostrati nove metodi di uscita, normalmente usati nella parallele asimmetriche e nella sbarra

Sia per le parallele che per la sbarra sono state studiati minuziosamente gli scambi energetici fra atleti e sbarra, in modo da studiare le differenze fra energia meccanica prodotta ed assorbita dai muscoli durante la giravolta in avanti o indietro. Nell’effettuazione di questi esercizi sono state individuate due fasi prima dell’uscita, sia per la giravolta in avanti che per quella indietro. Nella prima si verifica un trasferimento d’energia dall’atleta all’ attrezzo. Nella seconda invece l’energia è trasferita dall’ attrezzo all’atleta. Nella prima fase della giravolta in avanti l’energia del sistema cresce questo avviene mediante la flessione attiva delle anche degli atleti che producono l’energia muscolare necessaria, nella seconda fase decresce. All’inverso avviene per la giravolta indietro.

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Anelli Il moto fisico degli esercizi agli anelli è basato su di una serie di moti pendolari che attraverso la riduzione e l’aumento del proprio momento d’inerzia permettono di ruotare a maggiore o minore velocità. Le figure statiche delle croci possono essere descritte da una serie di parametri statici d’equilibrio dinamico relativo alle dimensioni antropometriche degli atleti. Negli ultimi anni uno dei movimenti rotazionali più studiati dai ricercatori è stato è certamente l’avvitamento d’uscita dall’esercizio che con una sua cattiva esecuzione può compromettere non solo tutta la performance dell’atleta, ma anche la sua integrità fisica. In un brillante lavoro di Yeadon l’atleta è stato simulato con una serie di molle e con un sistema tridimensionale , vedi figura successiva.

questa simulazione ha permesso di ottimizzare il movimento di preparazione all’uscita e ricontrollare l’evoluzione nel tempo degli angoli alle articolazioni, riuscendo in tal modo ad individuare l’attimo di tempo in cui la simulazione ha un minimo ottimizzando in tal modo la performance , vedi grafici successivi.

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Volteggio al cavallo

La fisica del volteggio al cavallo è facilmente definibile con un modello matematico usato già in fisica classica Quello di un pendolo con oscillazioni forzate in presenza d’attrito. La fisica del movimento del corpo è troppo complessa per questo tipo di trattazione , può essere utile peròstudiare il moto del baricentro dell’atleta che potrà più facilmente essere modellato. Infatti se sul baricentro agiscono la forza di restituzione, F, la forza d’attrito R proporzionale alla velocità, e la forza perturbatrice Q di tipo oscillatorio l’equazione del moto del baricentro ha la forma :

d 2x dx m 2 = −cx −  + Q0 sin pt dividendo per la massa m e riarrangiando può scriversi: dt dt d2 x dx + 2b + k 2 x = P0 sin pt questa è la forma base dell’equazione delle oscillazioni forzate del punto 2 dt dt in presenza di resistenza. La soluzione di quest’equazione differenziale non banale si ottiene dopo alcuni passggi standard di calcolo ed è del tipo :

x = ae −bt sin(kt +  ) + A sin( pt −  ) le oscillazioni considerate sono complesse e comprendono oscillazioni proprie (a) le oscillazioni forzate (b) e la loro somma per il principio delle azioni simultanee è mostrata nella curva (c) della figura successiva, calcolata nel caso di rapido smorzamento e tempo di stabilizzazione opportuno.

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Asse d’equilibrio

La fisica degli esercizi sull’asse d’equilibrio, disciplina esclusivamente femminile, non si basa esclusivamente sui movimenti pendolari essa invece è basata su posture statiche d’equilibrio, che si connettono fluidamente mediante la conservazione del momento d’inerzia e che permettono all’atleta di eseguire le sue figure studiate. Per la fase di uscita , in cui si sviluppano salti mortali con conservazione del momento angolare vale la stessa fisica dei tuffi.

Uscita dagli attrezzi.

La biomeccanica dall’uscita dagli attrezzi attiene ancora a movimenti di destrezza che si basano sui principi della conservazione del momento angolare come per i tuffi, ma nella fase di uscita spesso avvengono o incidenti o movimenti involontari di cedimento che vanificano tutto il lavoro spesso ottimo svolto precedentemente dall’atleta nel corso della performance sportiva. Tutti infatti avranno notato come, a fronte di un'esecuzione perfetta sugli attrezzi, l'atterrraggio possa essere mediocre. In pratica, si nota che un ginocchio cede con conseguente perdita di equilibrio. Qual è la ragione biomeccanica per un tale comportamento inconscio da parte degli Atleti? Il problema purtroppo non è facilmente controllabile da parte del ginnasta, essendo di natura riflessa. Infatti com’è noto risiedono nei tendini dei recettori di tensione , detti recettori di Golgi. .Quando nel tendine si sviluppano forti tensioni, si ha stimolazione dei recettori le cui afferenze sono inibitorie sulla contrazione muscolare. Questo riflesso di natura protettiva: in pratica, inibendo la contrazione muscolare evita il rischio di rottura del tendine o di strappo del ventre muscolare.

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Durante l'atterraggio di un ginnasta ad esempio, i muscoli quadricipiti sono sicuramente sollecitati da forti tensioni, per cui scatta il riflesso che, se da un lato è protettivo, dall'altro sicuramente causa quella flessione delle ginocchia che rende l'atterraggio molto goffo. Paradossalmente, questo riflesso inibitorio cancella un altro riflesso sempre a partenza da recettori muscolari che è invece eccitatorio, cioè stimola la contrazione muscolare. Come vanno dunque interpretati due riflessi di natura opposta e soprattutto quale dei due prevale? Sino a un certo grado di tensione, il riflesso eccitatorio: infatti, nell'impatto della caduta, il ginnasta flette le gambe e questo ovviamente comporta un aumento della forza muscolare dei quadricpiti. Ma, se la tensione muscolare sale troppo, scatta il riflesso opposto (che ha soglia di attivazione più elevata) ed ecco che il ginocchio cede. Nelle figure che seguono sono mostrate differenti posizioni dei segmenti corporei durante le fasi di uscita in modo da studiare l’effetto combinato di questi cambiamenti sui carichi meccanici dei muscoli tesi a contrastare la forza di reazione al suolo che come si è precedentemente accennato se supera i livelli di attivazione dei ricettori del Golgi può indurre errori nell’atterraggio o addirittura danni all’apparato muscolo tendineo degli arti inferiori.

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Pesistica La biomeccanica della pesistica moderna ha subito un notevole contributo su base sia qualitativa che quantitativa dalle moderne tecniche di ripresa. L’ analisi biomeccanica in pesistica ha portato all’individuazione della tecnica sportiva razionale ed alla sua suddivisione didattica in periodi e posizioni intermedie. Bisogna ricordare che l’interazione fra atleta e attrezzo è uguale a quella che si prova in allenamento, pertanto perfezionare il movimento in allenamento significa, per l’atleta perfezionarsi,in condizioni ottimali per la gara . Questo fa comprendere come l’analisi differenziale del gesto tecnico sia giunta al parossismo in questo sport . Nella tabella che segue vengono individuati i fattori che globalmente influenzano l’osservazione della performance, la performance stessa degli atleti in pesistica e quelli che possono produrre errori di tipo sistematico nella valutazione biomeccanica qualitativa o quantitativa.

nelle tabelle seguenti vengno mostrati alcuni risultati analitici relativi alla performance di pesistica del movimento dello strappo: Nella prima vengono mostrate le grandezze ottimali degli angoli delle principali articolazioni nei momenti di passaggio tra le fasi. Nella seconda la variazione di alcuni parametri cinetici durante le principali fasi e periodi dello strappo. I valori sono la media dei dati rilevati su di un gruppo di campioni di elevata qualificazione a Mosca nel 1977.

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quanto sia stata spinta in avanti e fino a che grado di particolare, l’analisi differenziale in Pesistica viene mostrato nelle successive figure che mostrano che a fini didattici il movimento completo dell’esercizio di slancio è stato scomposto in ben 5 periodizzazioni differenti con il ragguardevole numero di 17 posizioni da analizzare.

la scomposizione viene ancor di più accentuata nello studio della genesi ( o dell’utilizzo) delle traiettorie, che sono non solo dinamicamente collegate al consumo energetico metabolico, ma anche alla struttura antropometrica del soggetto, per cui una traiettoria ottimale per un soggetto può rivelarsi pessima per un altro. Non dimentichiamo che l’appoggio di un pesista risulta fondamentale con la postura finale dì equilibrio, per cui tali traiettorie risultano connesse anche con la posizione dell’appoggio e la superficie trapezoidale ottimale dell’atleta, come mostrato nelle figure successive :

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in cui si nota la differenza di carico che grava sulle basi d’appoggio grande e piccola in termini di percentuale di peso dell’atleta, ed anche lo spostamento relativo in avanti della perpendicolare baricentrale durante una fase del sollevamento.

Una ragione ovvia ma che spesso può sfuggire ad un osservatore distratto, sempre nel campo dell’equilibrio finale statico del pesista è che, sollevando il peso, si sposta in avanti la perpendicolare baricentrale del soggetto, aumentando il suo grado d’instabilità, ma la ragione di questo spostamento è data dal contemporaneo innalzamento del baricentro del sistema atleta + peso, che si sposta drammaticamente in alto verso il baricentro dell’attrezzo alcune volte anche di più di un metro quando le braccia sono distese, questa è la ragione del perché per ritenersi valido l’esercizio l’atleta, al termine, deve restare immobile con le braccia distese per una manciata di secondi, in modo da dimostrare che la sua tecnica di sollevamento è tanto buona da garantire il perfetto equilibrio ( instabile) al sistema atleta + bilanciere + campo gravitazionale.

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CAP IX 9.1 Sport ciclici alternati. Definiamo sport ciclico alternati quegli sport in cui, l’espletazione della performance sportiva si può individuare in due o più movimenti che vengono effettuati alternativamente nel tempo e quindi il moto per la indipendenza delle azioni simultanee può esser studiato, analizzando singolarmente questi movimenti. Pertanto l’analisi biomeccanica di questi sport, si effettuerà sui movimenti in analisi differenziale : Corsa ad ostacoli= corsa+salto 3000 siepi = corsa + salti di ostacoli vari Golf =colpo+spostamento Corsa ad ostacoli L’approccio biomeccanico in partenza per gli ostacoli è il medesimo della partenza dello sprint veloce, tranne che per alcune differenze, trascurabili. Nella fase di corsa invece diviene fondamentale l’opportuno equilibrio fra le quantità notevoli già individuate per la corsa semplice. L= lunghezza del passo N =( frequenza) passi al secondo V=L*N= velocità T=L/N =tempo del passo Lo studio della corsa ad ostacoli, come interazione dell’atleta con l’attrezzo (l’ostacolo) ci mostra le differenze più marcate che ci sono sia nella postura della fase di corsa, per cui tra le differenze più macroscopiche oltre al salto dell’ostacolo, sono la flessione del collo e del busto che impedisce che il centro di massa dell’atleta. vada troppo in alto l’ottimizzazione dell’interazione fa si che il vertice della parabola debba essere situato leggermente prima, in fronte all’ostacolo.

Questo permette che appena superato l’ostacolo, l’atleta si trovi già nella fase discendente ottenendo in tal modo un guadagno di tempo. Un altro contributo all’ottimizzazione dell’interazione è dato dal centro di massa dell’atleta che viene sollevato il meno possibile sull’ostacolo in modo da raggiungere più velocemente il suolo. Le braccia si spingono velocemente indietro, sì da compiere una reazione equilibrante alla gamba che si estende per superare l’ostacolo. Tutto lo sforzo dell’ostacolista è teso ad evitare perdite di tempo dovute a movimenti parassiti, non ottimizzati. La distanza di partenza per il salto dell’ostacolo è particolare per ogni atleta dipendendo dalla sua conformazione biomeccanica, studi statistici hanno mostrato che le lunghezze variano fra 1,75m e 2,44m con una lunghezza media valutata in 2,10m. Mentre le distanze di atterraggio variano fra 1,22m e 1,52m con una media di 1,38m. Ancor più che per la corsa lineare, frequenza e lunghezza dei passi sono essenziali in questa disciplina alternata.

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Infatti dai dati ricavati da gare olimpiche e mostrati qui di seguito, si evince che mentre nella corsa veloce o sprint le quantità biomeccaniche notevoli giocano un ruolo essenziale, anche per la corsa ad ostacoli può dirsi lo stesso , infatti dai dati seguenti si evince che Moses ha corso la sua gara con una frequenza come se fosse indipendente dagli ostacoli ottenendo il miglio tempo in assoluto. Es. 1968 Mexico City – Hemery-13passi fino al 6° ostacolo 15 succ. Es. 1972 Monaco -Akii-Bua-13passi fino al 5°ostacolo 14 fino al 9°. 15 succ. Es. 1976 Montreal – Moses-13 passi per tutto il percorso. Es. 1980 Mosca – Beck-13passi fino al 6° ostacolo 14 succ.

48,1s 47,82s 47,64s 48,70s

3000 siepi L’approccio biomeccanico dei tremila siepi è l’insieme di una corsa di resistenza con ostacoli e salti. Oltre agli ostacoli classici v’è anche una riviera (ostacolo con acqua),

Gli ostacoli classici dell’altezza di 0,914 m vengono affrontati dall’atleta 28 volte nel corso della gara mentre la riviera consistente nell’ostacolo di 0,914m posto di fronte ad una buca quadrata piena d’acqua di 3,66 m di lato, viene affrontata 7 volte. Pertanto i 3000 siepi sono uno di quegli sport ciclici alternati in cui non solo avviene una interazione diversa con gli attrezzi ( ostacoli e riviera) , ma anche con frequenza diversa 28 contro 7. L’interazione con l’ostacolo classico è praticamente simile alla corsa ad ostacoli e quindi l’ottimizzazione del movimento passa attraverso gli stessi principi. Totalmente diversa risulta l’interazione con la riviera e quindi anche l’ottimizzazione segue parametri diversi. Lo stile classico prevede che l’atterraggio oltre la riviere sia ad una distanza media di circa 0,60 m.. Le attuali tendenze stilistiche sono tese non al superamento diretto della riviera, ma alla diminuzione della lunghezza del salto. In quest’ordine di cose l’atleta salta volutamente nell’acqua e rimbalza fuori (molto spesso) prima che la fase di volo del salto vecchio stile sia terminato.Questo nuovo tipo di tecnica si sta diffondendo a livello internazionale. E’ d’interesse per i 3000 siepi l’utilizzo di alcuni computer e programmi commerciali (ad esempio il “Computomarx” reperibile via internet) che calcolano per l’atleta le traiettorie di spostamento in pista, preferibili, sulla base dei dati forniti, e cosi riescono ad indicare sia la traiettoria di avvicinamento migliore sia il tempo connesso ai singoli passaggi ed ovviamente il finale, che l’atleta potrà ottenere lungo i percorsi scelti.

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Golf La fisica del golf è stato un argomento oggetto di numerosissime pubblicazioni sia anglosassoni che giapponesi l’argomento golf è stato sviscerato a pieno partendo dalla modellazione matematica del colpo “swing” si sviluppata su base teorica sia con misure cinematiche sugli atleti, altro argomento analizzato è stata la tecnica specifica del colpo come urto tra mazza e palla, per cui si è avuto lo studio dell’impatto, dell’aereodinamica della palla, lo studio dell’atterraggio e dell’interazione con il green. L’ultimo e non meno importante campo di ricerca è la mazza, la sua forma migliore il materiale ecc. Il giocatore di golf, per ottenere la migliore performançe deve connettere una corretta biomeccanica del gesto di lancio, con la necessaria precisione del tiro per ottenere l’arrivo in buca con il minor numero di colpi. La corretta posizione biomeccanica del lancio passa attraverso l’ottimizzazione degli angoli relativi di lancio

Lanci lunghi. L’azione dei fianchi per sviluppare la massima velocità d’impatto della mazza sulla pallina è compiuta in circa 0,1 s prima dell’impatto. Questo movimento costa circa 1,8 kw a fronte dei 2,2- 2,9 kw prodotti per il lancio La forza totale impressa nei lanci lunghi ad una pallina varia tra 133% ed 150% del peso del corpo del giocatore

La fisica dello swing si rifà al primo modello presentato per descrivere tale movimento, questo modello è quello di un pendolo doppio il cui percorso di discesa può essere suddiviso in due parti : A. L’angolo polso-mazza risulta fisso ed il pendolo doppio ruota in modo rigido. B. La fase successiva inizia quando lo swing si muove nella fase finale e termina con il colpo

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Le equazioni del moto, prima descritto, secondo la forma usata da Daish nel 1972 sono le seguenti:

A + B cos( −  ) − B 2 sin( −  ) = − 0 +  h B cos( −  ) − B 2 sin( −  ) + C =  le costanti ABC sono funzioni della massa ,della lunghezza e del primo e secondo momento delle catene. Durante la fase iniziale ascendente del colpo la differenza di angoli (φ-θ) è fissa e pertanto si può semplificare l’equazione ponendo.

 =  = −

0 I

dove I è il momento d’inerzia dell’intero sistema che ruota intorno alla mazza. In tempi recenti il modello a doppio pendolo è stato modificato da Jorgensen (1994) che ha introdotto uno spostamento laterale della mazza, che teneva conto di dati reali ottenuti da atleti esperti.

Jorgensen ha anche studiato l’energia cinetica delle catene cinetiche superiore ed inferiore nello swing il risultato è mostrato nel grafico seguente:

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Mather nel 1999 ha sviluppato una serie di misure cinetiche sui giocatori di golf ponendo a confronto amatori e professionisti, nel grafico seguente si vede il confronto delle velocità della mazza e come , avvenendo l’impatto dello swing a β=190°, come gli amatori disperdano energia accelerando molto prima del punto d’impatto, mentre i professionisti ottimizzino lo sforzo giungendo al punto d’impatto con la massima velocità dello swing.

Lo studio della precisione è fondamentale nell’analisi biomeccanica della performance di golf. La precisione deriva ovviamente non solo dall’armonico movimento dei muscoli del corpo del giocatore di golf, ma anche dalla corretta effettuazione dell’urto tra mazza e pallina, ricordando che negli urti si conserva la quantità di moto fra i sistemi (uomo+mazza) e ( pallina) Il modello che descrive la palla di golf e le equazioni che reggono il fenomeno secondo Johnson e Lieberman (1994) sono illustrati di seguito.

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In questo modello le forze in gioco, sono sviluppate dagli elementi elastici e sono proporzionali ad una potenza della tensione.

mx1 = −k1 x1a − c( x1 − x2 ) c( x1 − x2 ) = k 2 x2b questo modello e le equazioni associate fittano al meglio i dati sperimentali se i coefficienti a,b prendono il valore di 3/2. Ovviamente l’interazione mazza pallina viene governata dalla conservazione della quantità di moto, infatti Le quantità di moto ( mv) prima dell’impatto e dopo l’impatto, in un colpo di golf, si conservano.

Dati sperimentali hanno mostrato che il coefficiente di restituzione di una pallina, poiché l’urto è anelastico a causa della deformazione della pallina, varia sia in funzione della velocità della mazza che effettua il colpo, sia in funzione delle caratteristiche costruttive della pallina stessa Per cui si passa da 0.85 per velocità d’impatto di 20m/s , a 0,78 per velocità dell’ordine di 45m/s, Chou 1994 . Mentre Gobush calcolò (1990) che il coefficiente di una pallina fatta da due pezzi era di 0.78, mentre una fatta da tre pezzi aveva un coefficiente di soli 0.68. Una fase molto importante è l’interazione al termine del volo tra la pallina ed il green, i campioni amano far rotolare a lungo la pallina sul campo, daish ha determinato il coefficiente d’attrito minimo affinché la pallina abbia un opportuno back spin è

 min =

2(v x + r ) 7(1 + e )v y

La dotazione di mazze di un giocatore può raggiungere il considerevole numero di 14 la loro massa è un fattore importante per dare maggiore velocità alla pallina, infatti la velocità di lancio è:

vp =

(1 + e)Vm

1+ M p / M m

per cui se la massa della palla scende da 190g a 170 la velocità dovrebbe crescere del 8.5%

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Cap. x GLI SPORT DI SITUAZIONE DUALI Come già accennato nella classificazione biomeccanica tra gli sport di situazione sussiste un’ulteriore suddivisione sempre in base al moto degli atleti dal più semplice al più complesso. Infatti avremo Sport duali di situazione suddivisi in A) senza contatto e B) con contatto questi sono i così detti sport di situazione pura e così anche per quelli di squadra la possibilità o meno del contatto tra gli atleti permette una semplificazione notevole del moto del sistema, ed inoltre si semplifica anche la interazione in quanto i costituenti possono agire gli uni contro gli altri solo attraverso lanci.

10.1 Sport duali di situazione senza contatto. A questi sport appartengono sport del tipo tennis, tennis tavolo, badminton, beach volley, ed altri. Come si può ben notare ad esempio in un analisi biomeccanica qualitativa preliminare, un incontro di doppio di tennis come moto è più simile ad un incontro di beach volley o di palla a volo ridotta che ad un incontro di calcetto. Questa notazione ci permette subito d’individuare i cardini dell’analisi differenziale per questo sport. Situazione senza contatto = moto + lanci a sua volta essa può esser suddivisa in

Moto = locomozione + corsa + salti; lanci = servizio + rimessa.

Ovviamente l’aver affrontato precedentemente gli sport semplici ci permette semplicemente di rimandare ad essi per lo studio di queste azioni di base come locomozione, corsa, e salti. Approfondiamo invece la biomeccanica dei lanci precipui di questo sport per poi passare ad analizzare in analogia con altri sport il supporto tecnologico fornito dalla racchetta. La prima tecnica che passiamo ad analizzare è il servizio , come giustamente nota Elliot la cosa più importante nel servizio di tennis è il ritmo di coordinazione che le catene cinetiche ed il corpo presentano in funzione del colpo da effettuare. Nella figura successiva vengono mostrate la componente verticale e quella orizzontale della forza di reazione al suolo in un servizio, nei momenti del salto e dell’atterraggio.

Il servizio parte da una posizione statica a fondo campo la pallina palleggiata mentre il braccio si carica portandosi sul retro della spalla, poi avviene il lancio con precisione e forza. Nell’effettuazione del lancio i muscoli più impegnati sono i muscoli dorsali del tronco ed i muscoli pelvici esso è comunque l’insieme di un moto traslatorio e di uno rotatorio. Nelle figure successive si può facilmente notare sia il moto completo della racchetta durante un servizio ,sia in termini biomeccanici il carico compressivo che durante un servizio si sviluppa sul rachide dell’atleta

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Ovviamente la tecnica di colpo mediante la racchetta segue la meccanica degli urti e la conservazione del momento, anche nel caso del tennis la palla può esser colpita centralmente e con forza in modo che la sua velocità durante il servizio raggiunga il massimo, pur non avendo spin altra cosa è il servizio “morbido” in cui la palla dotata di spin segue una traiettoria curvilinea. Differenti come applicazione biomeccanica sono i vari colpi di rimessa o attacco che il tennista può effettuare, ma se l’impegno muscolare risulta diverso e quindi l’origine e l’intensità della forza possibile invece la fisica del processo rimane sempre la stessa Nel disegno successivo e nella foto vengono mostrati rispettivamente le fasi di un diritto, e nella foto un rovescio.

Facilmente si vede il movimento di torsione e flessione laterale nella risposta di rovescio

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Dal punto di vista dell’impegno fisiologico il tennis è un’attività intermittente caratterizzata da picchi di alta intensità intervallata da periodi di riposo o di attività moderata. Ls durata di un incontro può essere di mezz’ora o può protrarsi fino a diverse ore. La durata dell’attività intensa può raggiungere il 25% del tempo totale dell’incontro durante il quale il tennista alterna azioni di sprint o ad alta velocità con improvvisi cambi di direzione e precisi piazzamenti del corpo. L’esecuzione richiede specifici cambi di direzione nei segmenti corporei organizzati in determinate sequenze di spazio e di tempo. L’insieme di tali capacità richiede tempi di reazione molto brevi, coordinamento motorio elevato e visuale di lungo campo molto elevata. Le richieste metaboliche in gara sono dell’ordine del 50% della potenza aerobica massimale, cioè dell’ordine circa di 24-28 ml /kg min, pur rimanendo questi dati altamente variabili in funzione del sesso e degli atleti. Le variazioni di frequenza cardiaca riflettono l’andamento alternato di questo sport, nel corso del match raggiunge valori prossimi al massimale dell’atleta subito dopo descresce specialmente nel cambio campo. Lo stress termico durande l’estate può portare alla deidratazione se l’intake di acqua non è appropriato.in media gli uomini perdono 2 l di sudore all’ora le donne circa la metà. Nel corso di un torneo l’agilità e la velocità delle catene cinetiche inferiori è cruciale pertanto esse richiedono uno specifico condizionamento nel corso dell’allenamento alla competizione. La fisica della racchetta. “il colpo morbido” come ognuno può immagianare esiste un punto della racchetta in cui se la palla colpisce praticamente il tennista non avverte alcun risposta torcente sul polso, questo punto è definito dagli inglesi sweet spot, interessanti studi di fisica sono stati sviluppati dagli americani fin dal lontano 1979 ad opera di Brody. In effetti gli studi hanno mostrato che esistono due punti dolci sulla racchetta uno di essi è il nodo di vibrazione , situato presso il centro della racchetta sulle corde, il secondo coincide con il così detto Centro di Percussione COP come si può vedere dalla figura successiva.

In questa figura sono mostrate le zone d’interesse anche più generali, quella del nodo di vibrazione, il centro di percussione COP , il punto di colpo “morto” punto di maggior assorbimento,ed il punto di maggir rimbalzo, il CM centro di massa della racchetta. Contrariamente a quanto si creda i due punti “morbidi” precedentemente indicati non corrispondono ai punti di massima velocità di risposta della palla, bensì uno corrisponde all’assenza di componenti vibrazionali ed il secondo corrisponde ad un minimo di forza impartita alla mano ed all’avanbraccio. Come qualsiasi attrezzo colpito da una forza una racchetta di tennis colpita da una palla entra in vibrazione queste vibrazioni presentano dei nodi e dei ventri un nodo è gia stato individuato presso il centro della racchetta, il secondo viene a trovarsi nel manico, per una racchetta elastica la frequenza di vibrazione è di circa 100 Hz per una rigida di circa 140 Hz nelle figure successive sono mostrate lae vibrazioni di base di una racchetta ed il suo spettro di frequenze particolari.

La figura successiva mostra l’insieme delle forze che agiscono per il terzo principio della dinamica sulla mano e sull’avanbraccio dopo il colpo della palla a diverse altezze della racchetta. Si vede pertanto che prima dell’impatto ovviamente non agiscono forze di reazione, se invece la palla colpisce la racchetta in funzione dell’altezza del colpo la reazione del polso può essere a seconda dei casi: negativa, positiva o nulla . nulla ovviamente nel caso di colpo al COP il famoso colpo morbido.

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Evidenziati nella figura sono anche i relativi assi di rotazione che la racchetta presenta nel sistema di riferimento del laboratorio ( sistema inerziale).

Il coefficiente di resituzione di una racchetta è pressoché indipendente dalla forza con cui il tennista tiene la racchetta e dipende ovviamente solo dai materiali costituenti la racchetta, nella figura successiva è mostrato l’andamento del coefficiente di restituzione di una palla da tennis su di una un’asta di alluminio di 6mm di spessore e di 110 cm di lunghezza descrive con un’ottima approssimazione l’andamento del coefficiente di restituzione di una racchetta d’alluminio. L’effetto della forza di reazione della palla si scarica completamente sul polso del tennista, ma la spinta ricevuta dalla palla dipende solo dalle capacità meccaniche dei materiali della racchetta e non dalla reazione del polso, in quanto per una superball il tempo di rimbalzo è tanto breve che è molto al disotto della capacità di reazione umana.

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10.2 Sport duali di combattimento a corpo a corpo ed a distanza. Lo studio biomeccanico degli sport di combattimento sarà fatto partendo dalla visione globale del sistema "Coppia di Atleti " e delle proprietà notevoli che esso presenta nel campo della biomeccanica qualitativa. Per, le lotte ed il judo si parlerà di coppia di atleti chiusa , cioè di una coppia di atleti che per la maggior parte del tempo di competizione hanno almeno un contatto ( presa ) stabile, mentre per il karate, il pugilato, la Kick boxing, il teakwondo, ecc. l'analisi si incentrerà su di una coppia di atleti aperta, cioè di una coppia di atleti che per la maggior parte del tempo di competizione non ha un contatto ( presa ) stabile. Si parlerà di miglioramento delle tecniche di base più agevole per le lotte a distanza, perché si tratta dello studio di un'atleta singolo, con le sue particolarità e peculiarità. Ci si interesserà poi, dei mezzi biomeccanici per trasferire l'energia all'avversario e della reciproca interazione, che si basa sull'applicazioni delle tecniche agonistiche efficaci che sono l'interpretazione evoluta e personalizzata delle tecniche sportive razionali. Nel seguito, per le lotte ed il judo si analizzeranno le tecniche sportive razionali in piedi, classificandole in funzione dei principi fisici usati e dei mezzi biomeccanici per applicarli, individuando i movimenti semplici di base detti "fondamentali" e le proprietà articolari su cui si basano. L'analisi sarà completata con una visione comparata delle tecniche sportive razionali per vari stili di lotta . La fase successiva sarà costituita dallo studio dei principi biomeccanici applicabili nelle varie situazioni della lotta a terra, per terminare con lo studio biomeccanico qualitativo della competizione, che rappresenta il banco di prova di tutti i sacrifici effettuati in precedenza e di tutti gli studi e gli allenamenti sviluppati in palestra dagli atleti. Per il combattimento si analizzerà la posizione relativa di due atleti che si fronteggiano, il loro moto o spostamento, e le loro “interazioni” cioé le tecniche permesse per vincere. Per karate, pugilato, kick boxing , taekwondo ecc. dopo la classificazione e lo studio di alcune delle "tecniche sportive razionali" di base, si analizzeranno le differenze prodotte dai regolamenti, si effettuerà lo studio di alcune tecniche agonistiche "speciali" ed infine si tratterà del combattimento e delle sue fondamentali implicazioni sull'evoluzione tecnica e tattico strategica. di questi sport. Prima di sviluppare lo studio delle tecniche in modo approfondito, saranno definiti ed analizzati alcuni parametri biomeccanica fondamentali comuni a tutti questi sport di situazione che ne permettono il raggiungimento di prestazioni della massima efficacia.

Parametri Biomeccanici fondamentali, per il raggiungimento di prestazioni della massima efficacia: a) - Velocità ( di spostamento e di movimento ) b) - Rapidità d'attacco e capacità di reazione. c) - Posizione relativa dei corpi ( coppia chiusa; coppia aperta: posizione guardia, prese, squilibri, distanza, equilibrio). Lo studio del sistema biomeccanico "Coppia d'Atleti" durante l'allenamento o nel corso della competizione, evidenzia che i parametri fondamentali da curare per ottenere prestazioni della massima efficacia sono tre: A1) - Velocità di spostamento. ( Coppia chiusa ). La velocità di spostamento "della Coppia di Atleti" sulla materassina é la velocità a cui si muovono ambedue gli atleti visti come un sistema unico. Essa é importante, in quanto, ad ogni classe di velocità (alta, media, o bassa) corrisponderà la possibilità di applicare solo alcune determinate tecniche in piedi e quindi, per il raggiungimento di prestazioni della massima efficacia una ben definita strategia di competizione. Basti pensare che ogni atleta ha incosciamente una sua velocità di spostamento preferita, che spesso dipende dai suoi speciali, pertanto farlo muovere con una velocità a lui "non gradita" gli provocherà una "difficoltà" tecnico-psicologica di non trascurabile entità. A2) Velocità di movimento. ( Coppia aperta ). La velocità di movimento é la proprietà di velocità che si riferisce alla "Coppia di Atleti aperta" cioè al singolo atleta di karate, pugilato, kick boxing, taekwondo, quando si sposta in preparazione di un attacco o di una difesa. Più che la semplice qualità fisico-fisiologica della velocità appare fondamentale per questi atleti curare invece la capacità di sviluppare repentini ed elevati cambi di velocità ( in termini biomeccanici elevate accelerazioni ) che di fatto permettono di accorciare o allungare opportunamente le distanze relative ai fini dell'attacco o della difesa.

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B) - Rapidità dell'attacco e capacità di reazione. La rapidità assoluta dell'attacco che, per essere tatticamente efficace, deve essere la più elevata possibile é una qualità fisico-tecnica propria dell'atleta. Essa è una qualità allenabile e quindi incrementabile e grande attenzione deve essere posta al suo miglioramento, specialmente nella prima fase della vita atletica del soggetto. Bisogna però ricordare che il suo incremento non deve andare a discapito della precisione di un gesto tecnico che comunque, si ribadisce, deve conservare un ampio margine di flessibilità per adattarsi alle infinite situazioni possibili, pertanto appare consigliabile incrementare prima la rapidità e poi, con il maturare della capacità tecnica, affinare la precisione della tecnica. In lotta o judo, la rapidità dell'attacco risulta certamente, nella maggior parte dei casi, indipendente dalla velocità di spostamento della "coppia di atleti" nel suo insieme, ma ovviamente ad alta velocità di spostamento per effettuare un'attacco rapido l'atleta necessita di eccellenti capacità coordinative. Poichè l'incremento della rapidità d'attacco oltre la soglia propria dell'atleta appare complessa se non impossibile, esiste un artificio Biomeccanico quanto mai ovvio ed efficace, per impedire all'avversario di preparare un'opportuna reazione all'attacco, quello di diminuire i "tempi" ed i "percorsi logici" dell'attacco es: (Attacco in tre tempi → Attacco in due tempi) questa fà si che la reattività dell'avversario non si attivi in modo opportuno e la tecnica spesso sarà subita senza che una reazione difensiva possa efficacemente aver luogo. Negli sport di combattimento a distanza, la velocità di movimento e rapidità assoluta dell'attacco sono intimamente connesse, per cui, a livello di controllo neuromuscolare e di coordinazione globale, risulta più complessa l'effettuazione del gesto motorio agonistico in combattimento. Poichè anche per questi atleti la soglia personale di rapidità (in assoluto) rimane un limite praticamente invalicabile, gli artifici biomeccanici opportuni da usarsi per superare le capacità difensive avversarie sono quelli dell'utilizzo delle così dette traiettorie "neutre" o "ambigue", traiettorie particolari che solo nell'ultima parte permettono di intuire il bersaglio dell'attacco e quello degli "spostamenti combinati", traiettorie di spostamento che prevedono l'aggiramento della difesa avversaria. Tali artifici fanno si che la reattività dell'avversario non si attivi in modo opportuno e la tecnica spesso sarà subita senza una reale reazione difensiva. C) - La posizione relativa dei corpi. La posizione relativa dei corpi acquista un'importanza fondamentale ai fini della strategia dell'attacco e dell'esecuzione di un determinato atto motorio, cioé la tecnica "speciale" che l'atleta preferisce effettuare. Coppia di atleti chiusa Analizzando questo aspetto, dal punto di vista del sistema biomeccanico "coppia di atleti chiusa", si individuano subito tre fasi, biomeccanicamente distinte nel corso di una competizione, che dipendono dalla distanza relativa fra gli atleti. 1) Fase iniziale. Risulta spesso estesa nel tempo per le categorie leggere di lotta libera , per il judo invece gli episodi sono da associarsi all’ uso delle tecniche dette “d’astuzia” che tendono a prendere alla sprovvista l’avversario. Essa é quella fase in cui i due atleti in piedi sono separati a distanza maggiore di un braccio e non hanno punti di contatto, pertanto vi è una gamma infinita di posizioni, spostamenti, prese, attacchi, o combinazioni da prendere in considerazione (fig.1),

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inoltre tenendo conto della meccanica possibile dell'interazione e delle tre classi di guardie: alta, media e bassa che sono direttamente predisposte agli attacchi ed inversamente favorevoli alle difese (fig. 2) (cioé guardia alta migliore per l'attacco, guardia bassa -migliore per la difesa-); si evidenzia che l'atleta sia esso lottatore o judoka, ha a disposizione in ognuna di queste classi di posizioni separate, un'area di attacco, contrattacco e difesa ben determinata entro cui deve conoscere le azioni tecniche che potrà effettuare o subire.

Un tale tipo di preparazione e consapevolezza é quella che differenzia gli atleti d'elite, dai principianti o dagli atleti meno esperti. Di seguito (fig. 3) vengono mostrate indicativamente le (superfici utili) nella lotta grecoromana, lotta libera e judo, considerando una determinata posizione di partenza. I vistosi prolungamenti laterali del judo sono dovuti alla presenza del judogi che può permettere di effettuare tecniche con una sola presa e con squilibrio completamente lateralizzato anche in fase di azione d'attacco, con partenza separata.

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2) - Fase intermedia E’ quella fase in cui i due atleti sono in presa stabilizzata e possono pertanto portare solo un numero definito di attacchi o combinazioni. Questa fase pare più articolata negli incontri di judo, a causa della presenza del judogi, é infatti possibile classificare almeno sei sottogruppi appartenenti alle due classi di velocità di spostamento possibili in una competizione di judo (fig. 4).

Nel corso degli incontri di lotta greco-romana o lotta-libera non sembrano praticabili prese a distanza, cioé a "braccio teso" per lungo tempo come nel judo, pertanto saranno di preferenza utilizzabili solo quelle simili al primo gruppo (velocità di spostamento molto bassa o praticamente nulla). 3) - Fase finale. Gli atleti effettuano la tecnica efficace e spesso, grazie ad una notevole rapidità d'attacco frutto anche di una presa favorevole, o di opportuni artifici biomeccanici come quelli accennati, passano dalla fase di lotta in piedi alla fase di lotta a terra. Coppia di atleti aperta L'analisi biomeccanica della "coppia di atleti aperta" per il karate, il pugilato la kick boxing, il taekwondo permette di individuare immediatamente il parametro di riferimento fondamentale che è capace di far gestire il combattimento in modo da definire utilmente la posizione relativa dei corpi. Esso é la distanza relativa fra i due atleti: In quest'ottica la strategia d'attacco e l'esecuzione di un determinato atto motorio "lo speciale" dipendono direttamente da questo parametro. nel corso di un combattimento di karate, di pugilato di kick boxing, taekwondo si individueranno, per comodità, tre distanze diverse che impongono un trattamento biomeccanico separato.

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1) Distanza lunga. E' la distanza da cui l'atleta potrà con successo effettuare un attacco di calcio, oggi essa é di fatto considerata la distanza ottimale di combattimento che si utilizza negli incontri di karate-moderno, kick boxing, taekwondo. Essa non esiste nel pugilato E' interessante notare che in questi sport a causa della essenza meccanica e del relativo regolamento arbitrale (cioè la possibilità di vittoria attraverso un colpo sia esso calcio o pugno, ovvero in condizioni di assenza di contatto esteso tra i corpi ) le tre classi di guardie connesse cioè: bassa, media ed alta hanno un'efficacia diversa in caso di difesa da quello visto per la lotta in fig. 2 , come si può facilmente vedere da (fig. 5 ).

Fig. 5 - Le guardie e la loro predisposizione all' attacco ( karate, kick boxing, taekwondo). E' comunque importante notare che la curva dell'attacco é costantemente al disopra di quella della difesa, cosa che evidenzia la maggior difficoltà tecnica nel karate moderno della difesa nei confronti dell'attacco. Questo anche alla luce delle attuali startegie di combattimento utilizzate. 2) Distanza media. E' la distanza da cui staticamente é possibile portare con successo un attacco di pugno. E quindi è la distanza ottimale per un incontro di pugilato, ma ovviamente essa vale anche per gli altri sport. Praticamente questo tipo di distanza tra gli atleti é rappresentativa di un karate "antico" più statico e preordinato e pertanto essa é pressocchè scomparsa dalla pratica agonistica, in quanto ovviamente sarà possibile colpire il Karateka che preferisce questa distanza con calci di incontro o sbarramento, impedendogli in tal modo l'accorciamento della distanza e ponendolo in inferiorità tecnico-psicologica. Appare importante notare il parallelo che viene ad istaurarsi tra velocità di spostamento della coppia chiusa e distanza relativa nella coppia aperta, infatti ambedue questi parametri forniscono all'osservatore informazioni tattiche utili e sono indicativi di strategie preferenziali di combattimento. 3) Distanza di contatto. E' quella distanza relativa a cui, anche nella coppia aperta, é possibile effettuare: Per il pugilato attacchi al corpo o al viso dell’avversario con ganci corti tipo: swing, hook, crochet o uppercut, o chiudere in clich Per gli altri sport invece oltre agli attacchi di pugno v’è anche la possibilità di effettuare la proiezione dell'avversario, in questi sport come karate, kick boxing, taekwondo ecc., le tecniche di proiezione maggiormente utilizzate sone tecniche di falciata, definite biomeccanicamente come tecniche della coppia di forze appartenenti al gruppo gamba/braccio. In questi ultimi tempi, anche grazie alla scuola francese, questa fase del combattimento di karate sta acquisendo un risalto ed un' importanza fino ad oggi ritenuta soltanto teorica.

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Coppia di Atleti Chiusa Sistemi di trasferimento dell’energia e collegati. Prese Le prese, all'interno del raggruppamento biomeccanico "coppia di atleti chiusa" svolgono il ruolo fondamentale di trasmissione dell'energia all'avversario, sia per contrastare l'azione nemica, che per agevolare la propria. In judo la presenza del judogi e della cintura permettono una presa più libera ed agevole che può esser mantenuta per lungo tempo, pertanto in judo é possibile mantenere prese diagonali o doppie, a distanza (braccio teso), mentre la coppia di atleti si sposta velocemente sul tappeto. Nella lotta stile libero o greco-romana le prese efficaci vengono fissate praticamente pochi istanti prima dell'applicazione della tecnica, che viene sempre e comunque terminata con continuità al suolo. L'abbondante sudorazione in competizione rende sicuramente poco agevole in lotta la possibilità di prese, in cui la distanza della parte superiore degli atleti sia "massima" (braccio teso), anche perchè vi é la possibilità di subire, in quella condizione tecniche d'attacco efficaci. Il tipico assetto di posizione di guardia "raccolta" fa si che, in lotta la velocità media di spostamento della "coppia di atleti " sulla materassina sia minore di quella possibile in judo, a causa dell’ assenza del judogi che permette posizioni di guardia anche a distanza "massima" (braccio teso). Squilibri Per portare a buon fine una "tecnica efficace" sono stati già analizzati,all'interno del raggruppamento "Coppia di Atleti chiusa" ( che é un sistema snodato in equilibrio stabile, formato da due parti, gli atleti, ognuna in equilibrio instabile) i concetti di rapidità di attacco e quello di prese connesse con le posizioni di guardia che permettono determinate velocità di spostamento, a cui possono essere collegate solo alcuni tipi di tecniche di proiezione. Infatti, se da fermi possono essere effettuate tutte le tecniche di proiezione, man mano che aumenta la velocità di spostamento diventa sempre più difficile applicarne alcune, fino a che ad alta velocità sarà possibile solo l' applicazione di un numero molto piccolo di lanci. Per comprendere bene quanto affermato si considerano, in questo caso, solo le tecniche in cui i due atleti si continuano a muovere sulla materassina, simultaneamente come un "sistema" unico, altro é il caso in cui chi effettua la tecnica si "ferma", per un attimo, e proietta. In tal caso, in quell' attimo, le parti del "sistema" non si muovono più con la stessa velocità e così si rientra nel caso precedente in cui uno degli atleti é fermo. Nel paragrafo dove viene definita la posizione di equilibrio di un corpo rigido su un piano orizzontale la condizione fisica di equilibrio stabile é definita come: quello stato di un corpo, in cui una forza orizzontale applicata ad esso, può provocare solo l'innalzamento del baricentro del corpo. Nel caso del corpo umano, solamente la posizione di giacitura supina su un piano orizzontale gode di tale proprietà, mentre la posizione naturale all' impiedi ( detta di stazione eretta ) é una posizione di equilibrio instabile di tipo oscillatorio. Ciò a causa del fatto che le forze di contrazione muscolare, che equilibrano la forza di gravità agente sul corpo, risultano non essere costanti perché risultanti di un delicato gioco di equilibrio fra muscoli agonisti ed antagonisti detti posturali. L'azione equilibratrice prodotta dai vari gruppi posturali è governata dai centri nervosi cinestetici : ricettori governati dal cervelletto, che trasmettono l' informazione riguardo alla tensione a cui sono sottoposte le strutture. Per tale ragione l'atleta può utilizzare per il mantenimento della stazione eretta, solo l'area detta di appoggio effettivo, cioé quella superfice trapezoidale avente per lati i suoi due piedi e le linee congiungenti gli alluci e i talloni (fig. 5). Egli potrà spostare il punto di proiezione del suo baricentro giacente sul piano di appoggio e quindi la verticale detta perpendicolare baricentrale per tutta l'estensione di questa superfice ottimale mantenendo facilmente la posizione, d'equilibrio. Se però tale linea e dunque la proiezione del baricentro si allontanano dalla superfice trapezioidale ottimale solo di poco, la stabilità sarà ancora sufficente ( Zona di mantenimento) ma sarà necessario uno sforzo maggiore da parte dei muscoli equilibranti. Nel caso in cui la proiezione del baricentro si allontani oltre i limiti della zona di mantenimento, il sistema muscolare dell'atleta biomeccanico non può ristabilire la posizione di stazione eretta e si ha lo Squilibrio o rottura dell'equilibrio con conseguente caduta dell' atleta. La stabilità meccanica del corpo in stazione eretta dipende dunque da due fattori: a) - ampiezza della base d'appoggio ( legata all’altezza del baricentro). b) - distanza della perpendicolare del baricentro del confine della base d'appoggio. Un tipico concetto che discende dalla condizione di equilibrio instabile, per un atleta in stazione eretta è quella di squilibrio che si può indissolubilmente legare a quella del risparmio energetico da parte dell'atleta. Cioé "la massima efficacia con il minimo sforzo" che si può tradurre in termini biomeccanici in due importanti principi applicabili alle tecniche di proiezione: 1) - più evoluta è la tecnica, massima è l'economia dei movimenti. 2) - più evoluta è la tecnica, massima è l'economia di energia muscolare.

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Una tecnica evoluta ed efficace è anche gradevole a vedersi ed energicamente economica in quanto manca di movimenti inutili e superflui. Questo dà conto del valore della componente estetica nel corso dell' analisi biomeccanica qualitativa di una tecnica. Per capire l'importanza dello squilibrio negli sport di combattimento. Ricordiamo che una descrizione biomeccanica dello scopo della competizione può essere: far passare con mezzi opportuni e tecnicamente corretti l'avversario da una condizione di equilibrio instabile (in stazione eretta) ad una di equilibrio stabile (schienato a terra). Come già descritto l'atleta può utilizzare per il mantenimento della stazione eretta, solo l'area di appoggio detta "superfice trapezoidale". La stabilità dei piedi è direttamente dipendente dalla grandezza dell'area di appoggio e dalla condizione che in essa giaccia la "perpendicolare baricentrale". Durante l'esecuzione di movimenti o spostamenti la superfice d'appoggio varierà in forma e dimensione e di conseguenza aumenterà o diminuirà anche la distanza del baricentro dalla materassina. L'angolo formato dalla posizione baricentrale ed il lato della superfice d'appoggio è detto angolo di stabilità ed è inversamente proporzionale all'altezza del baricentro. Il concetto di equilibrio e di squilibrio che ha un'ampia applicazione nelle tecniche in piedi, conserva come si vedrà, la sua importanza anche in lotta a terra, con la medesima sottile efficacia. Coppia di Atleti aperta Sistema di trasferimento dell’energia per il terzo principio della dinamica Equilibrio. Negli sport di combattimento a distanza, se può esser considerato di relativamente scarsa importanza il problema dello squilibrio dell'avversario se non in una situazione di contatto come si è visto, diviene di estrema importanza all'interno del sistema "Coppia di Atleti aperta" quello dell'equilibrio del singolo componente. Ricordando che la locomozione umana scientificamente detta bipodalica è un susseguirsi continuo di perdita e riacquisto dell'equilibrio, e permette lo spostamento del corpo per il terzo principio della dinamica ( azionereazione), questo fa comprendere certamente l'importanza dell'equilibrio in generale, ma soffermandoci sull'analisi di movimenti tecnici come i calci ruotati ( mawashi geri ) in cui il corpo dell'atleta muovendosi in rotazione nel piano mediano orizzontale intorno ad un asse verticale passante per il piede di stazione è teso a colpire l'avversario, si comprenderà facilmente che importanza debba ricoprire per il karateka la capacità condizionale dell'equilibrio, connessa con la precisione tecnica: Inoltre queste doti debbono esser congiunte ad una non comune capacità di controllo neuromuscolare, in quanto sebbene i colpi siano tecnicamente abbastanza semplici e quindi più naturali delle tecniche di proiezione delle lotte, essi debbono essere velocissimi in modo da superare se possibile la capacità di reazione difensiva dell'avversario ed al contempo, specialmente nella zona del viso in cui è vietato ogni contatto, debbono essere arrestati a pochi millimetri dal bersaglio. Questa importanza preminente dell'equilibrio in questo sport portò i primi maestri di karate giapponesi a sviluppare un'acuta analisi e classificazione delle posizioni di base (anche se in condizioni statiche o semistatiche). Nel karate moderno, nella kick boxing e nel taekwondo, in cui la dinamica è assurta ad un'importanza preminente i concetti di equilibrio statico, ma ancor più dinamico, sono stati raffinati fin quasi alla perfezione biomeccanica, in quanto un atleta d'elite - che deve tra l'altro eccellere in questa capacità condizionale - li applica in combattimento in condizioni spesso al limite dell'acrobatica. Per il pugilato è ancora valido tutto il discorso precedende, ma bisogna ricordare che la posizione d’equilibrio viene mantenuta eseguendo dei saltelli sugli avanpiedi, in modo da poetr esser pronti sia ad attaccare che a ruotare che a retrocedere, conservando in tal modo la condizione biomeccanica più elastica per le azioni d’attacco o di difesa che dovranno seguire. Teoria biomeccanica unificata delle tecniche sportive razionali in piedi nelle lotte combattimenti corpo a corpo. L'analisi biomeccanica qualitativa è un potente strumento di indagine che permette di ottenere, rapidamente e con mezzi semplici ed eleganti, la risoluzione di problemi di ardua impostazione analitica. I suoi strumenti di base sono l'analisi differenziale e la sintesi strutturale. La prima consiste nella suddivisione della performance tecnica in più particolari (es. prese, posture, squilibrio, posizionamento, lancio, ecc.). Questa risulta essere una semplificazione utile per comprendere in modo immediato il problema complesso del corretto uso delle forze propulsive nello spazio. La seconda consiste in quella fase mediante la quale i meccanismi semplici o i sottoinsiemi correlati della perfomance tecnica vengono reinterpretati nella loro integrità. Nel nostro esempio di analisi comparata, mediante l'analisi differenziale e la sintesi strutturale, si svilupperà secondo i passi logici dello svolgimento mostrato. Il combattimento fra due individui disarmati, secondo determinate regole, è un'arte che può dirsi nata con l'uomo. Noti sono gli affreschi della tomba di Backtas (2500 a.C.) che rappresentano ben oltre 200 posizioni di lotta, o le rappresentazioni etrusche e romane del "pancratius".

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In tutte le nazioni si sono sviluppati metodi di combattimento, spesso differenti per nome e aspetto rituale, ma l'ovvia considerazione per cui la "struttura"del corpo umano è la stessa sotto tutte le latitudini, ci permette di affermare e comprendere che "l'essenza" meccanica di tutte queste forme di lotta deve essere unica. L'applicazione dell'analisi biomeccanica comparata agli sport di combattimento afferenti alla Filpjk : lotta grecoromana, stile libero e judo, conferma la validità della precedente riflessione nella teoria delle tecniche sportive razionali di base. Lo studio infatti della meccanica delle proiezioni alla luce dei principi esposti nei paragrafi precedenti ci permette di affermare che: 1) - I meccanismi "fisici" per poter proiettare e lanciare la "struttura"dell'atleta biomeccanico sono gli stessi per le tre discipline. 2) - I movimenti semplici di base, detti "fondamentali" comuni a tutte le tecniche di lancio eseguite dall'atleta biomeccanico sono gli stessi per le tre discipline. 3) - Le differenze generate dal regolamento di competizione o dalla presenza del judogi, influenzano essenzialmente solo il problema della direzione delle forze nello spazio. Da ciò consegue che: poiché i meccanismi fisici ed i fondamentali sono gli stessi, anche se la direzione delle forze varia a causa dei punti di contatto (prese) che possono agire sotto angoli diversi, le traiettorie dovranno risultare simili in quanto le simmetrie degli atleti biomeccanici sono identiche.

Forze angoli e traiettorie nelle tecniche sportive razionali in piedi nelle lotte. Secondo il regolamento di competizione la differenza fra gli stili greco romano e libero è data dal fatto che per il primo, ai due combattenti è fatto divieto di afferrarsi al disotto della cintura con le mani o di falciare o sbarrare con le gambe le gambe dell'avversario. In generale l'applicazione dell'analisi differenziale permette di risolvere il problema del corretto uso delle forze nello spazio, in forma semplificata ma con validità generale. Sebbene consideriamo gli atleti fermi, senza mutua opposizione, la soluzione del problema in base al principio di relatività Galileiana sarà valida anche per atleti in movimento con opposizione reciproca. Pertanto suddividendo il problema tridimensionale, in due bidimensionali più semplici, il corretto uso delle forze utilizzate per proiettare soddisferà nel piano orizzontale e nel piano verticale tre corollari: A) – I° Corollario o degli squilibri Le forze sono efficaci e possono essere applicate nel piano orizzontale, nell'intero angolo giro (360°) .In questo corollario, si considera il problema della traslazione del centro di gravità dell'atleta che si difende, fuori della "superficie d'appoggio" (prese, posture e fase di squilibrio) (fig. 7) pertanto le direzioni di squilibrio saranno infinite. B) - II° Corollario o del Sollevamento verticale Sono efficaci le forze che possono essere applicate, nel piano verticale, in un angolo di circa 45° verso l'alto. In questo corollario, si considera il problema del sollevamento verticale dell'atleta che si difende (fase di sollevamento) C) – III° Corollario o delle proiezioni, schiacciamenti e portate a terra Sono efficaci le forze che possono essere applicate, nel piano verticale, in un angolo di circa 45° verso il basso. In questo corollario, si considera il problema della direzione della risultante delle forze usate per proiettare o rovesciare a terra l'atleta che si difende (fasi di proiezione, schiacciamento e portata a terra) La seconda fase è la sintesi strutturale, in questo contesto è possibile affrontare l' aspetto dinamico del problema. Applicando dunque il principio di composizione delle forze si può effettuare lo studio delle traiettorie e delle simmetrie. Se le forze obbediscono ai tre precedenti corollari, la soluzione del problema dinamico semplificato (considerando la variazione direzionale della risultante delle forze propulsive nel tempo), si identifica nello studio delle traiettorie e delle loro simmetrie. Le traiettorie, che il corpo dell'atleta che subisce può percorrere, possono essere raggruppate in tre semplici tracce o in una loro composizione. A) - Traiettoria Circolare simmetria sferica B) - Traiettoria Elicoidale simmetria cilindrica C) - Traiettoria Rettilinea simmetria conica

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Per il Judo la differenza fondamentale consiste nella presenza del judogi il pesante costume sportivo di cotone formato da una giacca, una cintura ed un pantalone. In termini di analisi differenziale per questo sport rimane inalterato solo il primo dei corollari precedenti mentre il secondo perde la validità d'uso ed il terzo prende la forma: B) – II° Corollario o dei lanci Sono efficaci le forze che possono essere applicate, nel piano verticale, per l'ampiezza di un angolo di circa 90° In questo corollario si considera il problema della direzione della risultante delle forze usate per lanciare l'atleta che si difende (Uké) al tappeto (fase del Kaké) (fig. 12 ).

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In realtà i limiti angolari delle forze usate per proiettare possono essere ottenuti con un angolo di circa 45°verso l' alto (a differenza della lotta) o di circa 45° verso il basso (come per la lotta III° corollario). La presenza del judogi rende possibile in judo anche l'applicazione dei "sutemi" tecniche in cui la forza iniziale propulsiva è fornita dal peso del corpo che si lascia cadere giù. Pertanto essi in violazione del corollario precedente applicano la forza con un angolo maggiore di 45° verso il basso. Per questa ragione necessitano, per essere effettuati completamente (con separazione dei corpi), di un significativo aiuto direzionale dato o dalle gambe o dalle braccia che allontanano il corpo dell' atleta che subisce. La sintesi strutturale ci fa rendere subito conto che per il Judo le traettorie che il corpo dell' atleta che si difende può percorrere sono solo due: A) - Traettoria Circolare simmetria sferica B) - Traettoria Elicoidale simmetria cilindrica (fig. 13).

Principi fisici di base e "fondamentali" del movimento delle tecniche sportive razionali in piedi E' opportuno notare che sia in lotta che in judo le traettorie individuate sono le geodetiche delle nostre simmetrie (tranne il sollevamento). Cioé, per l'attaccante, sono le linee di minor dispendio energetico che egli può usare per lanciare l'avversario. Pertanto se si considerano i 3 corollari (o i 2 per il Judo) sulla direzione delle forze e le traettorie individuate, è possibile ottenere i meccanismi fisici che permettono l'esecuzione di tutte le tecniche di lancio per la lotta Greco-Romana, Stile libero ed il Judo e cioé: 1) - Tecniche in cui l'attaccante fa uso di una leva fisica per proiettare (schiacciare o portare a terra) l'avversario 2) - Tecniche in cui l'attaccante fa uso di una coppia di forze per proiettare l'avversario.

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In tal modo si ottengono le seguenti rappresentazioni sintetiche per tutte le infinite tecniche di lotta in piedi, appartenenti non solo alla lotta Greco-Romana , alla Lotta Stile Libero ed al Judo, ma anche al Sumo, al Sambo ecc. ( vedi diagramma)

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Bisogna anche notare che, poiché la struttura dell'atleta biomeccanico è identica ed i meccanismi fisici sono uguali ne deriva, che i movimenti semplici comuni a tutte le tecniche (fondamentali) sono gli stessi per le tre discipline e possono derivarsi da precise proprietà meccaniche di alcune articolazioni (fig.14): 1) - I tre gradi di libertà dell'articolazione coxo-femorale. 2) - I tre gradi di libertà dei dischi vertebrali lombari. 3) - I due gradi di libertà della catena chiusa formata dalle anche e dalle catene biocinetiche inferiori.

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CLASSIFICAZIONE DELLE TECNICHE SPORTIVE RAZIONALI IN PIEDI

Classificazione Biomeccanica delle tecniche in piedi nelle lotte. Il passo successivo sarà la classificazione delle tecniche sportive razionali di base, cioé l'ordinarle in base ai principi ed in funzione delle parti del corpo che ne permettono l' applicazione o dell' altezza del punto di sbarramento (fulcro). Questo passo risulta essere fondamentale per l' insegnamento, infatti raggrupparle secondo criteri chiari e logici permetterà ai principianti una più facile comprensione ed ai maestri un lavoro più chiaro e scientificamente corretto, che permette di risolvere varie delle imperfezioni presenti nelle classificazioni in uso. Ovviamente la definizione di tutte le possibili tecniche di tutte le possibili lotte esula dagli scopi del presente volume comunque a scopo indicativo nelle figure successive alcuni esempi agonistici di tecniche in cui l’applicazione del principio della leva e del principio della coppia di forze risulti praticamente evidente.

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Teoria biomeccanica delle tecniche sportive razionali del karate combattimento a lunga e media distanza. Per gli sport di combattimento a distanza l'analisi qualitativa biomeccanica per le tecniche a media e lunga distanza, pur utilizzando gli stessi strumenti concettuali ( analisi differenziale e sintesi strutturale ) risulterà profondamente diversa in qualità ed utilità. Infatti essendo le tecniche sportive razionali (di base ), in una prima fase d'insegnamento, eseguibili da soli senza l'avversario sarà possibile, applicando ad esse l'analisi qualitativa biomeccanica , migliorare e perfezionare il gesto sportivo in termini di efficacia. Entro certi limiti, l'analisi biomeccanica sarà più semplice perché prescinderà dall'avversario e più utile perché potrà migliorare l'efficacia del gesto tecnico. Come sempre nella vita si pagherà questa facilitazione iniziale quando si passerà all'analisi della competizione o combattimento libero, in quanto i gradi di libertà che si presentano all'analisi sono, in media, di gran lunga maggiori di quelli di un combattimento di lotta corpo a corpo ( lotta, judo ), per cui l'analisi della competizione risulterà biomeccanicamente più complessa. Classificazione biomeccanica angoli e traiettorie delle tecniche sportive razionali di base di karate, tae kwondo, pugilato, kick boxing. Le tecniche sportive razionali per questi sport possono essere classificate in funzione delle catene cinetiche che le eseguono, mentre lo scopo, (attacco o difesa) ad esse connesso, influenzerà essenzialmente la scelta degli angoli di applicazione e dei piani preferenziali di giacitura. Per cui si avrà: Catene cinetiche superiori Pugni, colpi di taglio,colpi di gomito. Catene cinetiche inferiori Calci, colpi di ginocchio. A valle di questa classificazione funzionale è possibile individuare sempre per le tecniche sportive razionali di base, i piani di giacitura e gli angoli di applicazione che risultano preferenziali per lo scopo, a cui è connessa la tecnica: cioé Attacco o Difesa. Le azioni d'attacco possono essere individuate essenzialmente in pugni, calci e tecniche di lancio. Per ciò che riguarda l'analisi biomeccanica delle ultime, essa è stata svolta nei paragrafi precedenti relativi alle lotte.

ATTACCO A MEDIA DISTANZA ( Pugni I ). La catena cinetica superiore ha come fondamentale funzione quella dell'azione a media distanza con il mezzo che comunemente si definisce pugno. Ovviamente la superfice che un arto può coprire è data dalla semisfera facente centro nella spalla, per cui le direzioni angolari in cui può esser indirizzato un pugno sono in teoria infinite. Nel karate e nel taekwondo si eseguono essenzialmente pugni senza l’intervento della spalla per aumentare la velocità relativa dell’arto, nel pugilato si esegue il pugno con l’intervento della spalla per aumentarne la potenza.. La classificazione dei pugni in funzione delle proprietà della catena cinetica fa risaltare che per ogni gruppo individuato varierà l'occasione tecnica per effettuarlo e l'intervento prevalente dei muscoli interessati. Così si individuerà:

Spalla fissa

Direzione Avanti

Piano di giacitura Orizzontale Piano di giacitura Obliquo

Spalla mobile

Direzione Avanti

Piano di giacitura Orizzontale Piano di giacitura Verticale Ascendente Piano di giacitura Obliquo< Discendente

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ATTACCO A MEDIA DISTANZA ( Pugni II ). Le azioni applicabili con la catena cinetica superiore (pugni) per il pugilato e la kick boxing, sono diverse da quelle utilizzate in karate e taekwondo perché prevedono l’uso e l’avanzamento della spalla nella direzione del colpo con conseguente leggera rotazione del busto: una tale azione in assoluto, rallenta la velocità della mano che sta per colpire di un qualche percento della velocità massima, ma induce nel contatto una massa maggiore, per cui risulta maggiore l’impulso ceduto all’avversario. I pugni di pugilato per tale caratteristica possono essere considerati più pericolosi, ma la presenza dei guantoni con la loro triplice funzione: a) difesa dell’arto b) salvaguardia dell’avversario c) aumento del tempo di contatto, con conseguente diminuzione dell’impulso trasferito all’avversario. La leggera azione rotazionale nel pugilato e nella kick boxing sono totalmente assenti negli altri sport di combattimento che hanno come regola di colpire l’avversario con colpi diritti diagonali ascendenti o discendenti senza l’intervento della spalla e senza la minima rotazione del busto. Per tale ragione nel pugilato e nella kick boxing esistono i pugni detti ganci che non vengono invece utilizzati in karate e taekwondo. I ganci secondo la classificazione usuale possono essere corti o lunghi destri o sinistri e con la seguente classificazione dei piani di giacitura vengono considerati tutti i ganci possibili, noti come: crochet ( orizzontale), uppercut ( verticale ascendente), swing (discendente ) hook ( ascendente obliquo) spinnig back come pugno ruotato semplice del braccio arretrato. Spalla mobile

Direzione ruotata in Avanti

Piano di giacitura Orizzontale Ascendente Piano di giacitura Verticale< Discendente Ascendente Piano di giacitura Obliquo< Discendente

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DIFESA A CORTA E MEDIA DISTANZA ( Parate ). Le azioni di difesa relative alla catena cinetica superiore sono le parate a media e corta distanza. Con tale struttura semisnodata si copre un volume di spazio che è dato da due semisfere con centro nella spalla ( che agisce) e raggio della lunghezza del braccio o dell'intera catena cinetica ( braccio + avanbraccio+ mano) I tempi di applicazioni di tali tecniche sono quanto mai rapidi, ma la loro efficacia deve essere ottimizzata evitando il contrasto diretto nella direzione dell'attacco e preferendo la deviazione della forza d'impatto , così da evitare di subire danni. Comunque bisogna ricordare che esse necessitano di un tempismo notevole. Le azioni di parata possono raggrupparsi in funzione della distanza e delle articolazioni interessate.

Spalla mobile-Gomito fisso

Distanza corta

Semisfera di braccio R'= braccio

Distanza media

Semisfera di braccio R''= braccio+ avanbraccio

Distanza massima

Semisfera di braccio R''' = braccio + avambraccio + mano tesa

Spalla mobile-Gomito mobile Spalla fissa-Gomito mobile

Spalla mobile-Gomito mobile

Spalla fissa-Gomito mobile

ATTACCO A LUNGA DISTANZA ( Calci ). Le catene cinetiche inferiori sono più forti di quelle superiori ( circa tre volte ) pertanto queste tecniche sono molto più pericolose delle precedenti ed inoltre permettono di gestire lo scontro su quella che può essere definita la distanza massima utile, permessa ad un uomo. Anche nel caso del calcio le direzioni teoriche d'attacco sono infinite, ma in realtà esse saranno limitate dalla mobilità dell'articolazione coxo-femorale. Da questo commento discende la necessità imperativa per poter avere un'efficace capacità offensiva di dover conservare le anche molto sciolte ed elastiche. Anche per i calci risulta possibile una classificazione funzionale che ne individui i piani di giacitura e quindi le direzioni preferenziali d'attacco. Così in analogia con la catena cinetica superiore si avrà:

Direzione Avanti (indietro)

Piano di giacitura Verticale

Direzione Laterale (dx-sx)

Piano di giacitura Obliquo

Anca fissa

Anca mobile

Piano di giacitura Orizzontale Ascendente Piano di giacitura Obliquo < Discendente

Direzione Circolare

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L'analisi biomeccanica qualitativa delle tecniche di calcio degli sport di combattimento a distanza, permette d'individuare le componenti semplici ad esse appartenenti. Quest'analisi permette di comprendere meglio ed in modo fruttuoso i principi biomeccanici utili ad ottimizzare le azioni di tali colpi, senza peraltro scendere nell'analisi particolare di ogni gesto tecnico che, pur essendo utile dal punto di vista scientifico, sarebbe al difuori del taglio proposto per questo lavoro ed anche di limitato uso pratico. Il lavoro analitico sarà ovviamente prima limitato allo studio del singolo e successivamente (nel paragrafo teoria della competizione ) si prenderà in esame l'avversario considerando l'intero sistema biomeccanico " Coppia di Atleti aperta".

Esempio di analisi biomeccanica di kizami zuki ( pugno improvviso ). Ricordiamo che l'analisi differenziale di una tecnica sportiva razionale di base prevede la scomposizione del gesto tecnico in più fasi concettuali.Per il karate sembrano appropriate le seguenti : caricamento, traiettoria di spostamento, impatto. Questo studio sarà effettuato in condizione statica ( da fermo) in quanto questo ci permetterà di effettuare i miglioramenti opportuni in condizioni biomeccaniche più semplici. Tali miglioramenti saranno validi in termini di efficienza ed in termini di efficacia anche nella fase di combattimento libero, perché la condizione pratica dello scontro avrà riflessi sull'equilibrio dinamico del sistema "atleta", ma non sull'essenza biomeccanica delle tecniche. Bisogna qui sottolineare che una forma semiempirica di analisi qualitativa biomeccanica é quella che già tutti gli insegnanti di karate, sulla scorta dei predecessori giapponesi, effettuano nel corso delle loro lezioni, quando correggono gli atleti che ripetono in modo "errato" la tecnica sportiva razionale che poco prima hanno spiegato. La conoscenza della biomeccanica serve sia a sfatare " leggende" ed "errori comuni" che ci si riporta dalla tradizione orale, sia ad ottenere più rapidamente il risultato valido ricercato. Il Kizami zuki viene effettuato con il braccio dal medesimo lato della gamba avanzata mentre il tallone del piede arretrato è di norma sollevato. La posizione di base è diversa dalla tradizionale posizione frontale o zenkutsu dachi riguardo alla quale la tradizione "orale" di maestri come Nakayama, Shirai, Nishyama, Song ed altri ha dibattuto a lungo sulla distribuzione del peso fra piede anteriore e posteriore ( 60 :-: 40 oppure 70:-:30 ) sull'angolazione verso l'esterno del piede posteriore ( da 20° a 45° ) Song e Ventrusca ed altre finezze del genere, al fine di definire in modo ottimale quella che viene detta " tecnica sportiva razionale". Nella posizione di base considerata il piede arretrato, posizionato come detto, permette il migliore sfruttamento meccanico del III° principio per l’azione dinamica che si deve eseguire. Nella descrizione biomeccanica, applicando l'analisi differenziale, abbiamo individuato le seguenti tre fasi generali: Retropulsione o caricamento, traiettoria di spostamento, impatto. Retropulsione o caricamento. Questa fase nella particolare azione d’attacco analizzata è del tutto assente ( da ciò deriva la denominazione particolare di improvviso ) in quanto la catena biocinetica superiore avanzata si distende in avanti lanciando un colpo istantaneo senza il preavviso della retropulsione. Traiettoria di spostamento L'azione di spostamento, ad esempio, della gamba sinistra avanzata al momento dello scatto in avanti viene accompagnata da una fondamentale rotazione dell’anca, mentre al contempo il ginocchio sinistro sollevato di scatto all’altezza dell’addome, permette di effettuare un vero e proprio “affondo di scherma “ che fa guadagnare all’atleta qualche decina di centimetri di distanza utile. La tecnica si potrà effettuare anche senza “ l’affondo “, ciò dipende dalla distanza relativa tra gli atleti della Coppia aperta, ma comunque il tallone resta sollevato mentre busto ed anche assumeranno la classica posizione Hamni ( ruotati cioé di 45° )

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Un particolare non secondario è che nemmeno la mano destra effettua un movimento di retropulsione ( Hikite ) ma più utilmente si pone in difesa preventiva all’altezza del gomito sinistro, ad esempio in una posizione di Te nagashi uke ( parata deviante con la mano ). La distribuzione del peso tra i piedi passa, nell’azione di “affondo”, da un 54%:-:46% iniziale, ad un 100% - 0% intermedio, ad un 50.5% :- :49.5% finale. Quest’azione, che è uno dei colpi più usati dagli agonisti, necessita di una raffinatezza tecnica notevole, in quanto spesso la sua effettuazione nella foga del combattimento porta l’atleta che l’esegue a scomporre il suo assetto aprendo la guardia ed offrendo così un maggior bersaglio utile alle tecniche d’incontro dell’avversario ( Vedi Gyaku zuki agonistico ). La tecnica termina con una controrotazione delle anche che agevolerà il ritiro veloce del braccio teso in posizione iniziale. Impatto. Ricordando che l'impatto è un urto anelastico ne deriva che, maggiore sarà la velocità del pugno, maggiore sarà l'energia cinetica trasferita all'avversario, secondo Plagenhoef un altro fattore determinante è il grado di rigidità del corpo. Rammentiamo inoltre che il Seiken ( parte anteriore del pugno ) per essere efficace deve portare il colpo di primo impatto con la colonna portante media composta dal terzo metacarpo, dal semilunare e dal grande osso cioé dalla direzione del medio; infatti se si colpisce prima con l'indice ( colonna portante esterna) o con l'anulare ed il mignolo ( colonna portante interna ) si andrà incontro a possibili fratture dell'arto. Le energie cinetiche medie trasferite, che a causa del movimento d'avvitamento del braccio d'azione è meglio che siano tradotte in pressioni, sono dell'ordine dei 400:-:500 Kg/cm2 , misura che facilmente fa comprendere la pericolosità reciproca di tali colpi, sia per l'avversario, che per la struttura ossea della mano , se non opportunamente preparata. Esempio di analisi biomeccanica di un gancio di pugilato Un primo fattore veramente importante relativo al pugilato è che esistono pochissimi studi pubblicati, quasi che la scienza del pugilato si sia evoluta apparentemente solo come biomeccanica qualitativa e non quantitative.

nella figura precedente viene mostrato l’esempio di un gancio destro, portato al volto. È chiaramente visibile l’azione di rotazione del busto da parte del pugile che porta il gancio destro al volto dell’avversario. Un altro punto importante non solo nei ganci ma per ogni pugno è che il pugile deve distribuire il suo peso sugli avanpiedi, saltellando sulle punte. Questa posizione è fondamentale per poter spostare rapidamente il proprio peso da una gamba all’altra, sia per agevolare movimenti di difesa sia per accentuare l’efficacia degli attacchi. Nel caso della foto si vede facilmente che il peso dalla gamba sinistra viene portato sulla gamba destra per accentuare l’efficacia del crochet destro. Esempio di analisi biomeccanica di Mawashi geri ( calcio circolare). L'analisi biomeccanica di questa tecnica di gamba denominata Mawashi geri o calcio circolare può essere sviluppata sui tre momenti fondamentali comuni a tutte le tecniche di karate ( caricamento, traiettoria di spostamento, impatto ). Mawashi geri classico è una tecnica di calcio, in cui la frustata del ginocchio e la rotazione interna dell'anca devono essere applicate simultaneamente per attaccare un avversario di fronte in modo efficace.

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Un vantaggio tecnico notevole di questa azione è che essa può essere effettuata indifferentemente con la gamba anteriore o posteriore . Caricamento La fase iniziale di questa tecnica prevede che la distribuzione del peso vari drasticamente da 50% a 50% al 100% sulla gamba d'appoggio. Sollevando la gamba per equilibrare il peso, il corpo tenderà ad inclinarsi in direzione opposta alla gamba per conservare la possibilità ottimale di rotazione . Passando dall'appoggio bipodale ( due piedi ) a quello unipodale ( un piede), bisogna ricordare che l'unico punto d'appoggio del tronco sulla gamba è fornito dall'anca, la cui stabilità ruotando sull'asse del femore condizionerà grandemente il calcio. Ricordando, d'altro canto, che il momento angolare varia con il quadrato della distanza delle masse distali dall'asse di rotazione , l'inclinazione o l'allargamento devono essere i minori possibili per non rallentare il colpo, pertanto questa è la ragione biomeccanica per cui sarà necessario mantenere il calcagno vicino alla natica e le braccia il più vicino possibile al corpo, per accrescere così la velocità di rotazione e rendere più efficace il calcio. Traiettoria di spostamento La migliore traiettoria di spostamento per questa tecnica in condizioni statiche ed in allenamento solitario, è quella relativa alla traslazione del membro inferiore raccolto nel piano trasverso, per poi definire il bersaglio ( Yodan, Chudan, Gedan) nella seconda metà del colpo con la distensione del ginocchio. Ricordando che la vera "locomotiva" del calcio è il femore con i muscoli interessati la traiettoria può avere un percorso angolare tra i 120° ed i 180° a secondo del grado di flessibilità dell'anca dell'atleta ed è essenzialmente diretta dal complesso anca, femore d'azione che producono un momento rotante nella direzione del calcio. Poiché il karateka è fermo, per la conservazione del momento angolare,la gamba di sostegno all'altezza della caviglia deve reggere un momento angolare opposto in intensità e direzione. Inoltre ricordando che l'atleta calciante può essere assimilato ad un rotore verticale cilindrico, la biomeccanica ci assicura che considerando l'attrito con l'aria, la velocità angolare dell'atleta aumenterà nel tempo tendendo ad un valore limite dato dal momento della forza diviso il coefficiente d'attrito dell'aria, in termini qualitativi : più lunga sarà la traiettoria di rotazione, maggiore sarà la velocità angolare finale, per cui il colpo risulterà più potente. Ricordiamo che il movimento di rotazione interna dell'anca è governato dal muscolo chiamato piccolo gluteo, durante la fase iniziale della rotazione sarà quello opposto ( cioé quello della gamba di sostegno) che governerà il movimento. Quando invece il ginocchio sarà disteso, durante la parte terminale del colpo, sarà quello omologo dal lato del ginocchio che dirigerà la rotazione interna dell'anca e la traiettoria finale dell'azione. Impatto L'impatto dovrà essere portato nel mawashi geri con la testa del 1° e 2° metatarso del piede, con le dita in estensione, per trasferire il massimo dell'energia cinetica il piede dovrà avere una grande velocità, che come abbiamo visto dipenderà dalla maggiore lunghezza della traiettoria. Bisognerà però far attenzione, sia al ginocchio della gamba d'azione, ricordando che la potenza dell'attacco deriva dall'azione combinata di anca e femore , che al ginocchio della gamba di sostegno. Infatti al momento dell'impatto esso a causa dello slancio tenderà a distendersi e sarà essenziale mantenerlo leggermente flesso per evitare che il brusco arresto per il principio di azione e reazione possa procurare danni ai legamenti. Infatti la condizione di leggera flessione è per questa articolazione la sola che permetta la rotazione assiale del ginocchio che di fatto insieme alla caviglia si troverà a dover assorbire completamente, per il principio di conservazione dell'energia, il contraccolpo derivato dall'impatto. Nell’ambito delle lotte a distanza molti sono stati i lavori scientifici effettuati, ma l’aspetto principale di queste ricerche è la loro limitazione ad ad ambiti ristretti ed a soluzioni di problemi particolari senza affrontare il problema generale nel suo insieme. ( vedi appendice II ). Un ura mawashi gheri in combattimento.

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Nel seguito vediamo le risultanze di cinque lavori recenti, il primo di essi è essenzialmente legato all’apprendimento dell’equilibrio posturale ed alla capacità dell’atleta agonista di acquisire la migliore e più redditizia posizione di guardia in competizione. Tutto ciò grazie all’abitudine d’allenamento degli sport di combattimento duali di prepararsi con competizioni d’allenamento a lunga distanza. Nel seguito è mostrata una fase d’allenamento del Karate al pugno diretto che viene svolta in movimento solitario ( cioè senza l’avversario ) in modo da acquisire la postura corretta per quel movimento, mentre nella sequenza successiva viene mostrata una metodica d’allenamento a due utilizzata nella boxe francese. Le risultanze di questa ricerca hanno mostrato che con l’aumentare della competenza tecnica aumenta nell’atleta anche la capacità di gestire il suo equilibrio sia statico che dinamico sempre meglio.

altro lavoro in cui si è studiata la capacità di risposta degli atleti ad attacchi sempre più complessi e si è potuto constatare che al crescere della complessità degli attacchi diminuisce, ovviamente in modo proporzionale la capacità di una difesa adeguata dell’attaccato. Questo chiarisce perché ad alto livello agonistico la complessità delle combinazioni d’attacco riesca generalmente a prevalere sulle capacità difensive degli avversari. Nella sequenza successiva , pur con degli esempi didattici semplici, viene mostrata la difficoltà correlata alla difesa da un calcio alto, nei confronti di un calcio basso in cui la traiettoria è più breve e quindi la capacità reattiva dell’attaccato è messa a dura prova.

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un terzo lavoro spazia su di un’altra area studiata approfonditamente in questi anni, cioè la definizione e la valutazione del tempo di reazione ad un attacco , o in una difesa. Questi studi sviluppati con videofotogrammetria veloce, sono stati molto sviluppati con il crescere delle tecnologie video. Ad esempio i frame di video tape mostrati successivamente indicano : 1. che atleti esperti mostrano tempi di reazione più brevi dei principianti . 2. che i tempi di reazione comunque nei riguardi di un’area d’attacco per gli atleti di karate è mediamente superiore. 3. che non si evidenziano per la difesa differenze notevoli con altri sport di combattimento a distanza.

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un altro lavoro è dedicato alle metodologie quantitative del pugilato in esso è stato provato un sacco di pugilato strumentato per poter avere indicazioni utili sull’impegno energetico del pugile durante l’allenamento, al fine di poter meglio programmare la distribuzione degli sforzi nel tempo. Il lavoro sperimentale è uno dei pochi apparsi in questi ultimi anni nella branca del pugilato

Infine ecco le risultanze cinematiche dello studio di un calcio diretto del Karate, nei grafici seguenti vediamo nell’ordine delle tipiche velocità angolari valutate il momento della forza la potenza sviluppata nel ginocchio e nelle anche: la freccia di sinistra indica la fase di sollevamento, quella di destra la fase di contatto.

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COMPARAZIONE Esempi comparati di applicazioni del principio della leva e del principio della coppia di forze negli sport di combattimento corpo a corpo I principi fisici di base ed i fondamentali precedentemente individuati, sono la sintesi conoscitiva che spiega il meccanismo principale delle "tecniche sportive razionali", cioé quei gesti tecnici di base che devono essere insegnati ai principianti, per permettergli di progredire nella capacità tecnica fino alla maestria. La considerazione quasi ovvia alla luce della biomeccanica, ma fino ad oggi sottilmente nascosta è che, avendo tutti gli atleti le medesime caratteristiche biomeccaniche, i mezzi ed i meccanismi applicati sono i medesimi per tutte le lotte corpo a corpo possibili ed immaginabili. L'unica cosa che potrà variare saranno i regolamenti di competizione, ma non le basi su cui poggiano i meccanismi di atterramento, rovesciamento ed altro. A conferma di quanto affermato vengono mostrati alcuni gesti tecnici simili per la Lotta Stile Libero, GrecoRomana ed il Judo con a monte l'evidenza dei principi fisici di base

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A mò di curiosità, si mostra una tabella comparativa delle identità biomeccaniche delle tecniche, di stili di lotta ritenuti a torto diversi, mentre sono scientificamente equivalenti in termini di meccanismi di base

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Le identità biomeccaniche tra Sumo, Lotta Stile Libero, Lotta Greco- Romana, Judo e Sambo si riferiscono nelle prime due tecniche della figura ad esempi appartenenti al gruppo della leva applicata con braccio minimo e quindi con un maggiore consumo energetico, a parità di altre condizioni. Le tre seguenti appartengono al gruppo della coppia di forze rispettivamente applicata da: tronco-gamba, da braccia-gamba, spalle-braccia; esse sono energeticamente più convenienti e possono essere effettuate anche in condizioni di alta velocità di spostamento del sistema "Coppia di Atleti chiusa". L'ultima è ancora un esempio di tecnica appartenente al gruppo della leva applicata con braccio minimo, ma essa per essere portata a termine necessita di due successivi accorgimenti: primo, la caduta volontaria dell'attaccante al tappeto, in quanto il fondamentale di base comporta un sollevamento verticale dell'avversario con un angolo minore di 45° rispetto alla verticale e secondo, l'applicazione di una opportuna rotazione, eventualmente accompagnata da un'azione di allontanamento effettuata dalle braccia, per evitare che l'avversario possa cadere sull'attaccante ed acquisire così una posizione di vantaggio, pur avendo subito la tecnica.

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Indicazioni di analisi Biomeccanica qualitativa di alcune tecniche agonistiche "speciali" Lo studio delle tecniche agonistiche, a differenza di quelle delle "tecniche sportive razionali" prevede che l'analisi sia estesa a tutta la sequenza completa: presa; superamento della difesa; penetrazione nella guardia; posizionamento relativo a proiezione dell'avversario. Lo studio avanzato per gli atleti di elite, prevede l'analisi esaustiva delle "combinazione" o dei "complessi tecnicotattici" , insieme di attacchi, difese e contrattacchi che per atleti evoluti può raggiungere il ragguardevole numero di 4 tecniche concatenate con le relative varianti. Nel seguito sono mostrate sequenze di attacchi o contrattacchi relativi agli sport di combattimento duali Judo una serie di attacchi consecutivi che cambiando la direzione d’attacco ottengono la vittoria.

taekwondo una concitata fase agonistica di calci: attacco con calcio indietro , contrattacco con calcio in avanti, durante una competizione.

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karate una sequenza che mostra il raro attacco di spazzata all’avversario che poi si conclude con attacco classico di un pugno diretto.

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lotta una potente tecnica di sollevamento con rovesciamento e schienata dell’avversario.

Pugilato una serie di attacchi connessi con veloci spostamenti rotanti fino al gancio destro che provocherà il K.O.

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Sumo un rapidissimo attacco con una tecnica di proiezione del gruppo della coppia di forze in uno sport considerato a torto lento e statico.

Kick Boxing questo sport prevede che gli atleti posseggano riflessi rapidissimi data la velocità degli attacchi come facilmente si evince dalla sequenza.

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Biomeccanica dele tecniche di caduta classiche e non ortodosse. Nella pratica del Judo è di fondamentale interesse lo studio teorico e pratico del modo di assorbire l’impatto di una proiezione in modo da evitare danni fisici. Le tecniche di controllo della caduta UKEMI , furono messe a punto dal dr Kano fondatore del judo per poter far evolvere un’arte marziale ju-jitsu in judo sport. Nella pratica deljudo classico le cadute sono cinque In avanti, in dietro, laterale sinistra, laterale destra, rotolata in avanti. Le tecniche di ukemi sono basate su di un chiaro e preciso principio di fisica: l’assorbimento dell’energia cinetica in modo da evitare danni al fisico. Questo principio si esplica attraverso due chiare fasi: 1. fase dissipativa 2. fase impulsivo-reattiva. La prima si sviluppa come un’ assorbimento di una parte dell’energia cinetica traslazionale trasformandola in energia cinetica rotazionale. Assorbimento della rimanente parte di energia traslazionale mediante la battuta del braccio sul tappeto che per il terzo principio della dinamica provoca un impulso di smorzamento. L’ analisi differenziale dell’ intero processo di caduta in quattro fasi due coscienti e due inconsce, mostra come l’intero processo di assorbimento dell’energia traslazionale inferta al corpo, sia complesso sul piano scientifico e biomeccanico. Secondo l’analisi differenziale di una fase di caduta dallo stacco dei piedi all’arresto per terra si sviluppano le seguenti fasi: a) Prima fase del processo impulsivo reattivo.fase inconscia I riflessi posturali del collo provocano un aumento del tono muscolare degli arti superiori. b) Prima fase del processo dissipativi. Fase inconscia I riflessi posturali del labirinto dell’orecchio interno provocano una estensione delle catene cinetiche inferiori con conseguente aumento del momento d’inarzia dell’atleta e rallentamento della caduta. c) Seconda fase del processo dissipativi. Fase conscia L’atleta si pone consciamente in una posizione raccolta rettificando le cifosi e la lordosi lombare, ponendo in sicurezza la spina dorsale dall’impatto rotolato. d) Seconda fase del processo impulsivo reattiv. Fase conscia La parte rimanente dell’energia traslazionale di caduta non dissipata attraverso le oscillazioni del corpo viene smorzata bruscamente dalla battuta del braccio sul tappeto che applica al corpo un impulso uguale e contrario alla intensità della battuta. Potremo scrivere questre quattro fasi in formule:

energia − cinetica − totale = 1 − I 2  I 1   2  1

1 2 1 2 mv + I 2 2

1 1 1 1 2 2 2 2 2 − mv1 + I1  mv 2 + I 2 2 2 2 2 1 1 1 1 2 2 2 2 3 − mv1 + I1 − I 2 = mv 2 2 2 2 2 4 − Fdr − Fdt = 0 nelle figure successive è mostrata una sequenza di gara con caduta classica.

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Il regolamento di competizione per il judo prevede una valutazione secondo il modo e la parte del corpo che tocca il tappeto dopo la caduta, proprio per questa ragione, sono entrati nell’ordine dell’insegnamento le così dette cadute non ortodosse che pur di fatto mettendo a rischio l’incolumità di chi viene proiettato, sono studiate in modo che l’arbitro non possa valutare positivamente la proiezione o non gli possa donare il massimo punteggio

l nelle foto che seguono si vedono due applicazioni in competizione reale dei canoni delle cadute non ortodosse.

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4.

PRINCIPI BIOMECCANICI APPLICABILI NELLA LOTTA A TERRA

Rovesciamenti, Ponte, Quadrupedia, Immobilizzazioni ( principi e classificazione), Leve, Strangolamenti. In lotta a terra il principio biomeccanico applicabile è soltanto uno quello della leva, questo perché i due atleti toccano sempre il tappeto e se anche si applicasse una coppia l'atleta attaccato farebbe sempre punto d'appoggio su di un ginocchio, gomito, o altro. Rovesciamenti Nei rovesciamenti, molto utilizzati sia in lotta che in judo, possiamo vedere che in pratica vengono applicati tutti e tre i tipi di leva (fig. 28 ) anche se i più comuni sono due: tipo interpotente e tipo interfisso (fig. 29). Le differenze di regolamento di competizione ci inducono a studiare con più approfondimento per la lotta: la posizione in quadrupedia ed il ponte. E per il Judo: immobilizzazioni, leve e strangolamenti. Il ponte Il ponte di un lottatore (fig.30 ) è una posizione importante da studiare biomeccanicamente sia in funzione difensiva come risorsa nelle posizioni di "messa" in pericolo, sia in funzione d'attacco come momento finale di una souplesse. Anzi in quest'ottica è possibile seguire la dinamica completa di una souplesse e così definire la configurazione migliore che ogni atleta può raggiungere con il ponte in funzione dell'altezza del ponte e della distanza tra l'occipite e i talloni. In condizioni di lotta a terra il ponte può essere visto come il mezzo biomeccanico più importante insieme al momento rotante per liberarsi della pressione dell'avversario, come sarà più estesamente analizzato per la biomeccanica della liberazione dalle immobilizzazioni di Judo. La posizione in quadrupedia (fig.31 ) Questa posizione è ovviamente una posizione di maggior stabilità ma di minor mobilità, nei confronti della posizione di "stazione eretta" (in piedi) in quanto il baricentro è più vicino alla materassina e la superfice di appoggio è più estesa. Pertanto per effettuare un rovesciamento la via più energeticamente conveniente è quella della rotazione lungo l'asse logitudinale, infatti l'angolo di stabilità (verso il fianco) è minore sia dell'angolo di stabilità ( verso la testa) che di quello (verso i piedi). Il modo più semplice per evitare di essere rovesciato è ovviamente quello di abbassare al massimo il baricentro ed aumentare al massimo la superfice di appoggio, cioé distendersi prono sulla materassina con braccia e gambe tese formanti un angolo di circa 45° con l'asse longitudinale del corpo. In tale posizione il rovesciamento mediante l'applicazione di una forza orizzontale sarà praticamente impossibile, mentre tale posizione risulterà biomeccanicamente più debole alle trazioni verso l'alto, pertanto bisognerà difendersi da tentativi di sollevamento con torsione che possono portare di fatto al rovesciamento.

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Immobilizzazioni ( Principi e Classificazione ) Il principio biomeccanico, che si trova alla base della classificazione delle tecniche di controllo, appare chiaro e di facile comprensione. E' il principio di fisica che assicura, che se la pressione esercitata da Tori ( l’attaccante ) su di Uké ( l’attaccato) posto sulla schiena in posizione supina, è maggiore di una certa quantià R (uguale alla massima forza di reazione che Uké può sviluppare), il controllo sarà efficace e duraturo; Uké non sarà in grado di rialzarsi per almeno trenta secondi, secondo gli attuali regolamenti sportivi. L'unica forza agente sul sistema biomeccanico "coppia di atleti chiusa" è la forza di gravià, la quale agendo sulla massa corporea di Torì genera il peso che agirà sotto forma di pressione sulla superfice toracica di Uké bloccando a terra le sue spalle. Appare opportuno evidenziare alcuni particolari che emergono alla luce di una analisi biomeccanica delle immobilizzazioni di judo. La differenza più marcata fra il gruppo Kesa ( a fascia ) e quello Shiho ( su quattro punti ) è che la pressione esercitata dal torace di Torì, è nel primo caso effettuata con la parte latero-costale del tronco e nel secondo caso con la parte sternale del torace. Questa differenza implica una disomogeneità della pressione applicata sul corpo di Uké; infatti ricordando la formula dP = dF/S = dmg/S si deduce che, poiché la superficie di contatto del gruppo Kesa è minore, la pressione esercitata dal peso del corpo di Torì è maggiore; viceversa essendo la superficie di contatto maggiore nel gruppo Shiho, la pressione risulta minore e tanto più si avvicinerà a questa condizione biomeccanica di ottimalità, quanto più il corpo di Torì risulterà: rilassato non rigido ed a contatto con quello di Uké. Appare evidente, a causa della diminuita pressione, che nel gruppo Shiho le catene biocinetiche superiori (braccia), svolgono un ruolo fondamentale per la buona riuscita del controllo. Questo perché le prese hanno lo scopo di vincolare fermamente il corpo di Uké a quello di Torì, sopperendo alla diminuita pressione con l'aumento vincolante del grado di collegamento rigido, mentre le catene biocinetiche inferiori (gambe), poste preferibilmente in posizione tesa, svolgono essenzialmente un ruolo di contrasto: o aumentando il momento d'inerzia di Torì, o bloccando materialmente per opposizione la possibilità di rotazione di Uké (fig.32). Poiché nel gruppo Shiho la maggioranza delle reazioni di Uké si basa su di una semplice rotazione è buona norma da parte di Torì garantirsi che la testa di Uké, posta con una guancia sul tatami, vi venga compressa opportunamente. Una tale posizione, per ovvie ragioni fisiologico-biomeccaniche gli garantirà di dover controllare solo rotazioni dalla parte del naso di Uké, ottenendo in tal modo la drastica riduzione (50% circa) della capacità di reazione di Uké. Nel caso del gruppo Sankaku (triangolo) la pressione sulla parte alta del torace - cintura scapolo omerale - viene effettuata dal bacino di Torì, mentre le catene biocinetiche inferiori svolgono una funzione di blocco delle spalle di Uké e quelle superiori una funzione stabilizzante. Ricordando che la pressione esercitata da chi immobilizza nel gruppo Kesa è applicata dalla parte latero - costale del torace. Nel gruppo Shiho è applicata dalla parte sternale del torace. Nel gruppo Sankaku è applicata dal bacino

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( zona addominale ) e dalle catene cinetiche inferiori (gambe ) e nel gruppo degli ultimi Osaekomi agonistici , essa è applicata spesso dal bacino (zona glutei ) direttamente dal di sopra. Possiamo classificare biomeccanicamente le tecniche di osaekomi, partendo da quelle che producendo la maggior pressione, implicano un minor consumo energetico Tab. 4. 1 Gruppo Kesa Gatame

> Press.

< Energ.

2 Gruppo Shiho Gatame

< Press.

> Energ.

3 Gruppo Sankaku Gatame < Press. 4 Gruppo Osae-agonistici

Energ. >> Energ.

Tab. 4 Classificazione Biomeccanica degli Osae waza. I simboli significano rispettivamente < minore maggiore, >> molto maggiore. Come regola generale, dettata da ragioni anatomiche ed arbitrali, il punto più "pericoloso" e quindi di principale controllo sono le spalle di Uké, il quale mediante violente oscillazioni del dorso o delle gambe, tenterà di creare una separazione fra i due corpi liberando le anche, condizione necessaria e sufficiente per intraprendere delle azioni di kaeshiwaza (controtecniche) Il ruolo delle catene cinetiche sia superiori che inferiori nei vari gruppi può esser suddiviso in : A) Supporto primario ( cioé di vincolo fondamentale ai fini dell'immobilizzazione ) questa funzione è legata direttamente alla pressione esercitata ( maggiore è la pressione, minore è l'uso di supporto primario delle catene cinetiche ). B) Supporto secondario ( cioé di stabilizzazione ) questa funzione è legata direttamente alla pressione esercitata ed alla posizione relativa dei corpi, che condiziona le possibili reazioni difensive Tab.5 Supporto primario Braccio Braccia Gambe Braccia e Gambe

Gruppo KESA Gruppo SHIHO Gruppo SANKAKU Gruppo AGONISTICO

Supporto secondario. Braccio e/o Gambe Gambe Braccia Braccia e Gambe

Gruppo KESA Gruppo SHIHO Gruppo SANKAKU Gruppo AGONISTICO

Tab 5 Ruolo delle catene cinetiche nelle immobilizzazioni

Per chiarire i concetti espressi precedentemente, riguardo i ruoli svolti dalle catene biocinetiche superiori ed inferiori (braccia e gambe) di Torì nei confronti di Uké, appare opportuno analizzare e definire con maggior profondità i medoti di difesa che Uké pu˜ utilizzare, per liberarsi da un Osae waza (tecniche d’immobilizzazione), in modo da individuare i meccanismi biomeccanici che sono alla base di tali contromisure. Dal punto di vista energetico i Kaeshi waza si basano essenzialmente sulla possibilità di sfruttare opportunamente la tensione del corpo di Torì, creata da un'abile azione preparatoria, per poterlo ruotare e rovesciare. Sfuttando in tal modo a proprio vantaggio, parte dell'energia cinetica e potenziale di Torì ( fig. 33).

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Altri metodi sono collegati alla possibilità di effettuare da parte di Uké degli shime o dei kantasetsu o di bloccare Torì mediante un agganciamento di uno degli arti inferiori con ambedue le gambe. Così i medoti biomeccanici a disposizione di Uké come base delle sue azioni difensive, possono raggrupparsi in due grandi categorie o in una loro combinazione. 1 ) - Opposizione diretta alla pressione esercitata dalla componente gravitazionale; metodo del ponte. 2 ) - Opposizione indiretta alla pressione esercitata dalla componente gravitazionale; metodo del momento 3 ) - Opposizione combinata alla pressione esercitata dalla componente gravitazionale; metodo del ponte con applicazione di un momento rotante. Strangolamenti Gli shime waza (strangolamenti) sono una diversa applicazione della macchina semplice chiamata leva. In generale essi hanno come scopo la compressione meccanica del collo dell’avversario per impedire il transito del sangue verso il cervello, o dell’aria verso i polmoni, ottenendo così la resa dell’avversario. Le tecniche di proiezione del gruppo delle leve con braccio variabile, sono di fatto leve di tipo interfisso (I genere); tutti gli shime si basano sul principio della leva di tipo interresistente (II genere), in quanto la resistenza del collo di Uké è sempre fra le catene cinetiche superiori di Torì. Leve articolari Per i Kansetsu waza (tecniche di disarticolazione) il principio fisico alla base di tali tecniche è, ancora una volta, quello della leva interfissa, l'effetto è quello di costringere la meccanica dell'articolazione e la funzione dei muscoli predisposti al movimento, oltre la loro capacità fisiologica naturale. La morfologia anatomica delle catene biocinematiche superiori (braccia) ed il medoto meccanico di applicazione permettono di suddividere gli Ude waza ( tecniche al gomito) in due sottogruppi (fig. 34a/34b). 1 ) - Uno fondato sulla meccanica dell'iperestensione del braccio (ude hishigi) . 2 ) - Uno fondato sulla meccanica della supinazione o pronazione del braccio (ude garami)

BIOMECCANICA QUALITATIVA DELLA DINAMICA COMPETITIVA

Definizioni e Forze Agenti In questo paragrafo accenneremo al primo tentativo di effettuare un'analisi biomeccanica qualitativa globale della competizione per gli sport di combattimento. Prima fase dell'analisi è la definizione delle condizioni fisiche del sistema coppia di atleti, durante la competizione. Si ricorda che per le lotte si parlerà di "Coppia di Atleti chiusa" e per il karate di "Coppia di Atleti aperta" cioé senza prese stabili e che nei momenti iniziali delle lotte corpo a corpo ed in alcune fasi di proiezione di karate, le definizione possono invertirsi . La presenza di prese stabili tra gli atleti cambia profondamente le condizioni d'equilibrio del sistema e quindi la sua trattazione biomeccanica. A valle di questa chiarificazione, è possibile individuare il sistema di forze esterne che agisce sugli atleti ( quelle cioé che permettono loro di far variare lo stato di moto). a I Definizione Il problema biomeccanico della competizione, per l'atleta, sia della Coppia chiusa che della Coppia aperta, è analogo a quello di un sottosistema semisnodato, in equilibrio instabile su di una superfice piana con attrito, posto in un campo gravitazionale e sottoposto costantemente o periodicamente alle forze esterne del sottosistema avversario. a II Definizione Il problema biomeccanico della competizione, per la "Coppia di Atleti chiusa", é analogo a quello di un sistema snodato, in equilibrio stabile su di una superfice piana con attrito, posto in un campo gravitazionale. a III Definizione Il problema biomeccanico della competizione, per la “ Coppia di Atleti aperta”, è analogo a quello di due sottoinsiemi snodati ( gli atleti ) in equilibrio instabile , su di una superfice piana con attrito, posti in un campo

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gravitazionale e sottoposti per brevi istanti di tempo alle intense forze esterne prodotte dall'impatto dei colpi generati dal sottoinsieme avversario. Forze Agenti Da queste definizioni risultano delle informazioni notevoli: la “ Coppia di Atleti chiusa “, come sistema, è interessata solo da una sola forza esterna. L’ attrito, fondamentale per l'esistenza della competizione, mentre l’attrazione gravitazionale è costantemente annullata dalla reazione prodotta dal tappeto. Gli atleti e la Coppia aperta sono invece sottoposti alle forze d'impatto e/o di spinta prodotte dall’avversario. a) L' attrazione gravitazionale Questa forza interviene nella competizione in piedi: a contrastare la fase iniziale della proiezione; ad agevolare la fase discendente del volo; a permettere la fase di squilibrio di uno dei due atleti. Essa partecipa allo spostamento di un atleta isolato, che è in equilibrio instabile, ma non partecipa invece allo spostamento della "coppia di atleti chiusa" che essendo in equilibrio stabile implica Fest = 0. Nella competizione a terra (immobilizzazioni e rovesciamenti) è la forza attiva fondamentale contro cui l'atleta in svantaggio deve combattere. b) L'attrito L'esistenza dell'attrito, sia fra le piante dei piedi degli atleti ed il tappeto, che fra gli atleti è di fondamentale importanza per le competizioni; in quanto: 1. senza attrito, gli atleti non possono sportarsi sul tappeto; 2. senza attrito, non si possono effettuare le tecniche di lancio; 3. senza attrito, non si può trasferire l'impulso all'avversario. Appare dunque necessario spendere qualche parola su questa forza che permette l'effettuazione della competizione. L'attrito è una forza dissipatrice (cioé che consuma energia) detta di contatto, perché si genera solo quando vi è contatto fra i corpi. Non esiste una teoria completa di questo fenomeno, però la relazione sperimentale di Leonardo, tradotta in formula da Newton, rappresenta per il nostro caso un'approssimazione più che sufficiente. Essa si basa sulle seguenti affermazioni sperimentali: "l' attrito prodotto da un peso si oppone al moto nella stessa maniera, sebbene il contatto possa avere lunghezza e larghezza diverse". "Se si raddoppia il peso, raddoppia anche la forza d'attrito". Perciò in formula, può scriversi: F = - μ N Sembra opportuno notare che l'attrito è direttamente collegato con il peso dell'individuo, ma indipendente dal concetto di pressione, in quanto come si è visto non dipende dalla superfice di contatto. L'attrito pertanto viene definito radente o dinamico, se un corpo (piede) scivola su di un altro (tappeto) (caso di marcia scivolata), statico quando un corpo (piede) poggia da fermo su di un altro (tappeto) (caso di marcia normale). Il coefficente di attrito (μ) non ha sempre lo stesso valore, ma in genere diminuisce con l'aumento della velocità, con il suo massimo che si ha nella condizione di primo distacco. Pertanto nella traslazione detta marcia scivolata, con l'aumento della velocità della coppia di atleti chiusa, l'attrito va diminuendo. Mentre nella traslazione detta marcia normale, essendo il piede sempre fermo sul tappeto all'inizio di ogni passo, l'attrito è costante e sempre massimo. Per quanto riguarda la deambulazione si è notato che la componente orizzontale della forza del piede corrisponde al 15% dell'intero peso del corpo quando si posa il tacco ed al 20% quando si solleva la punta (fig.35)

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Fig. 35 - Percentuale di divisione del peso nella marcia normale. F max deve superare questi valori perché il piede non scivoli. Il valore della forza normale in questi punti mentre cammina è maggiore del peso del corpo a causa e della quantità di moto, quando si posa il tallone, e della spinta della flessione plantare prima che si sollevi la punta. E' più facile che un piede scivoli quando si posa che quando si solleva; questo spiega perché in Judo l'insegnante consiglia di spazzare il piede mentre esso è sul punto di appoggiarsi o si è appena appoggiato al tappeto. Inoltre nel passo, le forze laterali tangenti e di torsione esercitate contro il suolo dal piede devono, anch'esse, essere controbilanciate dall`attrito. L'attrito esiste anche nell'interno del corpo umano e lubrificanti esistono attorno ai tendini e dentro le articolazioni; inoltre sacche piene di liquido sono poste nei punti di logorio. Esse sono chiamate borse e si trovano tra strati di tessuto muscolare e tendini, tra le strutture dei tessuti connettivali come fascia, grasso ed osso e sotto la pelle che si muove su proturberanze osse, come per esempio l'olecrano (gomito). Le borse sono strutture piatte con un soffice rivestimento di mucosa e servono a diminuire l'attrito che si verifica tra le superfici in movimento. Esempi notevoli sono la larga borsa sottoacromiale che permette alla testa dell'omero di scivolare sotto il processo acromiale quando si solleva il braccio, la borsa trocanterica sotto i tendini abduttori della coscia , anche i tendini che passano tra scanalature ossee sono forniti di guaine sinoviali che riducono l'attrito ed il logorio. I problemi concernenti gli attriti nelle articolazioni non sono ancora risolti ed i molti punti di vista divergenti riguardanti l'intensità delle forze che si generano nelle giunture durante le tecniche, dimostrano che bisogna compiere ancora una grande quantità di lavoro sperimentale prima che si possa affermare di avere una perfetta conoscenza dei meccanismi articolari. Coppia di Atleti Chiusa In relazione alla classificazione biomeccanica delle tecniche di lancio relative alla "Coppia di Atleti chiusa" può affermarsi che: A) - Le tecniche della coppia, a causa del loro meccanismo, possono essere applicate anche senza lo squilibrio. Questa affermazione implica una dipendenza meno marcata dall'attrito. Ovvero le tecniche della coppia di forze sono indipendenti dalla velocità di spostamento della coppia di atleti chiusa, e possono essere sempre effettuate qualunque sia la velocità del sistema. B) - Le tecniche della leva debbono essere effettuate con l'applicazione dello squilibrio. Quest'affermazione implica una marcata dipendenza dall'attrito. Ovvero le tecniche della leva debbono essere effettuate, preferenzialmente, da fermi o con bassa velocità di spostamento della coppia di atleti chiusa. Da fermi o a bassa velocità, all’interno della coppia, la differenza della velocità relativa fra i due atleti gioca un ruolo importante per l'effettuazione delle tecniche della leva. Per le tecniche della coppia invece, quando gli atleti hanno un'alta velocità di spostamento, una tale differenza è praticamente ininfluente. Inoltre l'azione di schiacciamento verso il basso, che spesso viene effettuata in competizione, provoca per colui che la subisce un aumento dell'attrito, con conseguente maggior difficoltà di spostamento. Mentre la trazione verso l'alto, diminuendo il peso dell'avversario diminuisce conseguentemente anche l'attrito ed agevola quindi l'azione di proiezione. Coppia di Atleti Aperta Nel caso della " Coppia di Atleti aperta" l'attrito svolge la sua funzione fondamentale nel permettere il movimento ed i necessari cambi di velocità . La velocità di movimento di un'atleta di karate può esser migliorata con alcuni piccoli trucchi biomeccanici. Ad esempio ricordando che sollevando i fianchi si riduce l'ampiezza del passo, si otterrà un'alta velocità spostando il più parallelamente possibile al tappeto il baricentro ( fig 36-37) inoltre sarà buona norma flettere leggermente le

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ginocchia per ampliare l'ampiezza degli spostamenti ( specialmente se rotatori) aumentando di fatto leggermente la velocità di tali movimenti.

L'analisi biomeccanica della competizione per la "Coppia di Atleti chiusa" non può prescindere dal comprendere alcune necessarie riflessioni sull' impostazione rotazionale del combattimento. Essa dal punto di vista energetico è di gran lunga preferibile, per due ordini di ragioni: Primo perché la struttura muscolare del corpo umano si presta meno bene a difendersi dai fianchi. Secondo perché l'utilizzo in rotazione dell'impeto dell'avversario: a) - non frena, ma devia opportunamente la forza dell'avversario, sfruttandola a pieno; b) - ruotando nell'azione, si compie una rotazione del corpo che rende più rapida la sua preparazione. Lo sviluppo rotazionale della tecnica di lancio vera e propria deve però anche identificarsi con la fase di squilibrio rotazionale, che imposta sulla rotazione il modo di utilizzare l'energia di attacco dell'avversario. Questo discorso è maggiormente identificabile nella coppia di atleti aperta, negli attacchi a media distanza infatti di fatto karate e taekwondo utilizzano solo tecniche dirette o diagonali di pugno, mentre pugilato e kick boxing utilizzano anche ganci e pugni con rotaazione del busto, che a questa distanza sembrano essere più efficaci come tecnica ed inoltre meno contrastabili dei diretti utilizzati in modo prevalente nelle due altre discipline. Per il pugilato ovviamente il moto è diverso perché il pugile si muove saltellando dugli avanpiedi o facendo scivolare i piedi sempre poggiando il peso del corpo sugli avanpiedi. Questo movimento che permette improvvisi cambi di direzione o rapide schivate o ancora attacchi in cui il peso del corpo gioca un ruolo fondamentale di supporto.

Descrizione del moto ( Coppia di Atleti chiusa) L'analisi del moto in competizione, mediante la meccanica statistica ( ricordando che tale coppia è in equilibrio stabile e che l’unica forza agente è la forza di spinta-trazione prodotta dagli atleti ) permette di affermare che esso soddisfa l'equazione di Langevin. Inoltre l'autore ha dimostrato attraverso l’analisi sperimentale di studi fatti dai giapponesi, relativi al campionato assoluto del Giappone del 1971 che, valutando un numero di combattimenti statisticamente significativi, la forza di spinta trazione non ha una direzione privilegiata, ciò consente di identificare e classificare il moto della "Coppia di Atleti chiusa" nella classe particolare dei moti detti dei moti Browniani ( Vedi Appendice II).

Interazione fra gli atleti Il problema dell'interazione all'interno del sistema "Coppia di Atleti chiusa", deve essere affrontato mediante l'analisi differenziale, dividendo cioè il tutto in sottosistemi temporalmente separati: A) - posizionamento relativo (fase iniziale e fase intermedia). B) - penetrazione nella difesa C) - Contrasto di forza ( push push ). D) - Effettazione della proiezione. E) - Evoluzione tecnica prevedibile.

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A) - Posizionamento relativo ( fase iniziale e fase intermedia) 1) fase iniziale. Per il Judo può avvenire che la dinamica competitiva presenti alcuni momenti di “ Coppia di Atleti aperta “ in cui è possibile, in questa fase, solo l’utilizzo di tecniche della coppia di forze essenzialmente appartenenti ai gruppi ( braccia , e braccio-gamba ). Per la lotta Stile Libero, invece, quasi il 40% degli incontri presenta questa fase particolare di assenza di prese e distanza maggiore di un braccio teso, specialmente nelle categorie di peso più leggero. Le tenciche di portata a terra applicabili in questa fase sono anch’esse appartenenti in genere al gruppo della coppia di forze applicate da ( braccia, o spalla - braccia ). 2) fase intermedia. Dopo aver stabilizzato le prese e “chiuso” la coppia, le posizioni relative ottimali possono essere infinite, per cui è necessario che questo problema sia connesso più all'azione utilizzata che alle posizioni d'arrivo, in quanto esse, come già ricordato, sono un numero pressocché infinito rispetto ai modi impiegati. Per cui è possibile individuare, ad esempio per il Judo le seguenti azioni: saltare dentro (tobikomi), tirar fuori squilibrando (hikidashi), ruotar all'interno (mawarikomi), entrare velocemente dentro (oikomi), tirare in due tempi (nidanbiki), agganciare la gamba (ashimoki), lasciarsi cadere giù (sutemi),per le lotte le azioni saranno in numero minore a causa dell'assenza del judogi che permette di utilizzare più angoli di trazione, per cui si potrà avere: schiacciare, trascinare, sollevare, portare a terra, ecc. B) - Penetrazione nella difesa Questo problema a sua volta può essere scomposto in due fasi: identificazione dei metodi difensivi, e definizione dei metodi per superarli . 1) - Identificazione dei metodi difensivi Per metodi difensivi devono intendersi i meccanismi biomeccanici di base che sono usati per impedire il contatto e l'effettuazione della proiezione, tutto questo in relazione alle varie posizioni di guardia. 2) - Definizione dei metodi per superare la difesa Per superare le difese avversarie, possono utilizzarsi tutti i metodi che, in termini biomeccanici, tendono ad annullare opportunamente la distanza relativa fra gli atleti (cfr. Biomeccanica del Judo). Nell'ambito di quanto individuato, possono elencarsi i seguenti: rompere il blocco delle braccia, con rotazione o con allargamento, afferrare il gomito dell'avversario e deviarne il braccio, superare il blocco andando di lato, aggirando, abbassandosi; abbassare in prosecuzione il proprio baricentro; cambiare direzione all'attacco; lasciarsi cadere.per effettuare il lancio. C) - Contrasto di forza o push-push Nel caso particolare della lotta Greco-Romana, ma anche valido per la lotta Libera, v'è la necessità nello studio dell'interazione fra gli atleti di introdurre un sott'insieme molto importante e spesso presente nella fase preliminare alla penetrazione della difesa, quello che può essere definito "contrasto di forza o push-push". Di solito due lottatori durante l'esecuzione di un contrasto di forza, mantengono l'immobilità grazie alla contrazione muscolare limite. Questo però non significa che in determinate posizioni le loro possibilità, di forza siamo uguali (fig. 38). In figura l' intervallo D = ( P a - Pb ) indica che con la velocità nulla , il valore della forza limite è compreso fra Pa e Pb.. Dall'osservazione si può vedere che se uno degli atleti cede in maniera insignificante sotto la pressione dell'avversario, e successivamente stabilizza la posizione si ottiene quello che in gergo è detto “ livellamanto di forza”. Tale livellamento viene spiegato, se il regime statico del lavoro è preceduto immediatamente da un lavoro di superamento, in quanto la tensione muscolare sviluppata non può superare il valore di Pb; se invece a precedere il livellamento fosse il regime di cedimento, allora la tensione sviluppata raggiunge il valore di P a che è maggiore permettendo così una più agevole gestione del push-push.

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Nelle variazioni che avvengono periodicamente, delle posizioni dei lottatori: uno dei due può cedere di pochissimo, per poi ristabilizzare nuovamente la posizione. E' come se "ricaricasse" i muscoli , aumentando la loro tensione fino al livello Pa cioé fino al limite più alto dell'intervallo D. Nel contrasto di forze di cui stiamo effettuando la descrizione, i muscoli del vincitore lavorano in un regime di superamento, ( azione concentrica) quelli del vinto in un regime di cedimento ( azione eccentrica ). Se le possibilità di forza degli avversari fossero identiche, quello i cui muscoli lavorano in un regime di cedimento potrebbe sviluppare una forza maggiore di quello i cui muscoli lavorano in un regime di superamento, ed arrestare immediatamente l'attacco dell'avversario. Se le possibilità di forza di uno dei due contendenti sono anche di poco maggiori egli, in un regime di superamento, è in grado di sviluppare la stessa forza che l'altro è in grado di sviluppare soltanto in un movimento di cedimento Nei movimenti di superamento la forza limite è minore, rispetto al regime statico, mentre in quelli di cedimento è maggiore. Di conseguenza il movimento articolare (quasistatico), in un regime di cedimento è leggermente più facile da eseguire rispetto a quello di superamento di opposta direzione. D’altro canto più lento è il movimento di cedimento e più difficile è la sua esecuzione, con lo stesso carico; mentre è più facile l'esecuzione del movimento di superamento più lento. Il regime quasistatico del lavoro delle parti è simile a quello statico, anche se si manifestano alcune differenze come ad esempio la velocità nei movimenti quasistatici dei lottatori: Quando uno si oppone all'altro che gli è superiore per forza, ma inferiore per resistenza, può utilizzare il tempo cercando di conservare il più a lungo possibile la situazione, sperando in tal modo di fiaccare la capacità di resistenza dell’avversario. Un 'atleta può aumentare anche il valore della propria resistenza con un semplice artificio biomeccanico cioé: diminuendo il braccio della forza agente, ovvero tenendo la posizione eretta con le braccia e le gambe non distese ma flesse o semiflesse, questo farà si, che dovendosi opporre ad un momento delle forze agenti leggermente minore sarà agevolato il protrarsi della sua azione difensiva nel tempo.

D) - Effettuazione della proiezione. Ricordando che l'inizio del lancio è prodotto da un urto anelastico con presenza d'attrito, è possibile effettuarne uno studio per mezzo dell'analisi variazionale. Questo problema è stato affrontato e risolto, in fase statica, con l'idividuazione dei corollari sull'utilizzo delle forze nello spazio, in fase dinamica, con l'analisi delle traettorie e relative simmetrie ed ha portato all'identificazione dei meccanismi fisici di base delle proiezioni. Questi problemi affrontati e risolti, in condizioni di velocità, di spostamento degli atleti nulla, hanno permesso di formulare dei principi in maniera tanto generale, che l'aggiunta di una qualsiasi velocità di spostamento, non potrà variare l'essenza del problema e la validità della soluzione.

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Per cui è possibile estendere, per il principio di relatività galileana, la loro validità anche alla fase di competizione dinamica. E) - Evoluzione tecnica prevedibile L'analisi del comportamento della "Coppia di Atleti chiusa" in competizione, ha permesso di ottenere una serie di utili informazioni. A) - La velocità di spostamento della coppia è inversamente propozionale alla massa degli atleti. B) - Il tempo di ritardo nella variazione di velocità è direttamente proporzionale alla massa degli atleti. C) - Nelle nostre ipotesi l'energia cinetica è direttamente proporzionale al consumo d'ossigeno ed al rendimento. D)- In quest' ipotesi la variazione della forza è determinata dalla grandezza dell'attrito, ove il fattore essenziale di proporzionalità è dato dal consumo d'ossigeno. E) - La variazione della velocità è invece indipendente dall'attrito, direttamente proporzionale al consumo d'ossigeno ed al rendimento, ma risulta inversamente proporzionale alla massa dei due atleti. Nell'analisi dell'interazione dell'atleta, sebbene nel caso del lancio si tratti di un urto anelastico con presenza d'attrito, le nostre ipotesi semplificative hanno permesso di ricondurre il problema dell'effetto (cioé la fase di volo e la conseguente traiettoria) a casi noti della fisica classica. Il concetto di attrito, come accennato, è direttamento connesso con il concetto di dissipazione dell'energia. 1) In funzione dell’energia Pertanto, sulla base del principio di ottenere in competizione il massimo effetto con il minimo consumo d'energia, è possibile indicare le classi di tecniche che saranno sempre più usate preferenzialmente nelle future competizioni. In generale si tenderà a dare la preferenza a quelle della coppia su quelle della leva. Fra quelle della leva si tenderà a dare la preferenza a quelle del "braccio massimo". Mentre le stesse tecniche della leva tenderanno ad essere mutate, sempre più, in varianti in cui verranno applicati nuovi movimenti tesi ad innestare il concetto di coppia su quello di sbarramento. Ad esempio: per il judo spazzata supplementare con il movimento di distensione della gamba nella tecnica della leva a braccio massimo detta (Tai Otoshi ), spazzata supplementare del bacino nella tecnica della leva a braccio variabile detta Seoi Nage , evoluzione della tecnica della leva a braccio medio detta Ashi Guruma in tecnica della coppia, ecc. In particolare, per queste ragioni, la velocità di spostamento della coppia di atleti, tenderà ad aumentare, con conseguente aumento dei ritmi di gara. Mentre, per le stesse ragioni, si allungherà il più possibile il "braccio di rotazione" delle tecniche della coppia. D'altro canto, la tendenza preferenziale all'utilizzo di tecniche della leva con "braccio massimo" porterà ad un conseguente e necessario aumento della velocità relativa fra gli atleti della coppia, sia come velocità di entrata, che come spostamento relativo. Tutte queste riflessioni non potranno applicarsi alla lotta Greco-Romana che, a causa del suo regolamento di competizione, è principalmente interessata all'analisi del contrasto di forza ed alle sole tecniche che appartengono al gruppo della leva, le quali però non presenteranno in questo caso la loro naturale possibilità di evoluzione verso quelle della coppia. 2) In funzione della potenza fisica in questi ultimi anni spesso anche ad opera delle scuole orientali europee, il potenziamento fisico ha avuto uno sviluppo preponderante nei confronti della tecnica classica, in tali condizioni gli atleti prediligono invece un rallentamento della velocità di spostamento un sempre maggior coinvolgimento del corpo a corpo con chiusura totale delle distanze in modo da poter applicare tecniche di caricamento tipo kata guruma che vengono portate anche in forma inversa a tutte le altezze, in piedi o in combinazione con altre tecniche ad altezzadei fianchi. Queste tecniche che prevedono una potenza muscolare notevole si basano sul concetto del distacco dei piedi dell’attaccato dal tappeto per poi poterlo proiettare opportunamente spesso anche con l’ausilio di movimenti di makikomi o sacrificio.

179

Studi Statistici sulla competizione Tutti gli sport hanno necessità di avere dati dalla competizione reale, sia per la valutazione dell’impegno energetico, che poi sarà connesso con la metodica d’allenamento più efficace e necessaria all’atleta. Negli sport di situazione duali questo input è necessario anche su di un altro fronte, quello cioè della individuazione di strategie standard ( vedi testo Biomeccanica del Judo ), sia per poter sviluppare dati analitici che permettono d’individuare l’evoluzione tecnica dello sport analizzato. Poco è reperibile in letteratura su quest’argomento perché i dati noti vengono considerati troppo importanti dalle federazioni nazionali per essere pubblicati. Comunque per rendere comprensibile questo discorso si prenderà l’esempio paradigmatico del judo per lo studio metodologico di questi dati in tutt’ e due le direzioni. Ovviamente la metodologia applicativa sarà la stessa per tutti gli sport di combattimento, quello che i tecnici di altri sport diversi dal judo dovranno tener conto è che cambieranno gli impegni energetici e le tecniche per ogni singolo sport. La raccolta dati di competizioni ad alto livello è fattore comune di ogni federazione nazionale, nel seguito vengono mostrati i dati relativi alle competizioni ad alto livello per il periodo 1985-2000 raccolti per il judo in diversi pregevoli lavori da Sterkowicz dell’accademia dello sport di Kracovia. Nel seguito vengono mostrate alcune delle elaborazioni possibili prese dai lavori di Sterkowicz che si ottengono dai dati statistici sulle competizioni. Il primo grafico mostra il tempo medio dei combattimenti limitatamente alla lotta a terra fornendo così informazioni sul carico energetico per questo tipo di lotta.

il grafico successivo mostra lo stesso tipo d’informazione relativo solo alla lotta in piedi con associato il tempo medio di sosta nel corso della competizione.

i grafici a torri ed a torta che seguono forniscono la medesima informazione in modo più organico riferendosi ad un numero maggiore di competizioni.

180

questo è l’esempioindicativo di come i dati grezzi possano fornire informazioni generiche sul carico fisiologico a cui l’atleta è sottoposto, durata della fase agonostica in piedi, tempi di riposo decretati dall’arbitro, tempi di combattimento a terra. Ma i dati statistici ricavati dalla competizioni possono fornire ad esempio indicazioni sulle tecniche maggiormente usate, sul lato dell’attacco ad esempio sinistra o destra, sull’efficacia o meno di tali tecniche ed infine sulle strategie competitive connesse al tempo di combattimento, come facilmente si vede nel grafico a torta presentato di seguito. Tab 1. utilizzo delle tecniche in Tachi Waza Nome delle tecniche

Numero Totale dei tentativi

Numero dei tentativi a sinistra

Numero dei tentativi a destra

% del numero totale di attacchi

1. SEOI-NAGE 2. UCHI- MATA

144 121

97 57

47 64

18 15

3. TAI-OTOSHI

70

39

31

9

4. KUCHIKI-TAOSHI

59

40

19

7

5. O-UCHI-GARI

39

22

17

5

6. KO-UCHI-GARI

35

16

19

4

7. HARAI-GOSHI

29

13

16

4

8. O-SOTO-GARI

28

12

16

4

9. KO-UCHI-MAKIKOMI

26

16

10

3

10. YOKO-OTOSHI

25

17

8

3

11. SEOI-OTOSHI

21

10

11

3

12. TANI-OTOSHI

20

12

8

3

13. KO-SOTO-GARI

20

11

9

3

14. KO-SOTO-GAKE

19

12

7

2

15. KATA-GURUMA

19

10

9

2

16. SUKUI-NAGE

18

10

8

2

17. DE-ASHI-HARAI

18

10

8

2

18. SASAE-TSURI-KOMI-ASHI

14

6

8

2

19. UKI-WAZA

12

11

1

2

20. MOROTE-GARI

11

5

6

1

21. TOMOE-NAGE

10

6

4

1

22. SUMI-GAESHI

8

3

5

1

23. SOTO-MAKIKOMI

6

2

4

1

24. O-GOSHI

6

3

3

1

25. URA-NAGE

5

5

0

1

26. SUMI-OTOSHI

4

2

2

1

27. KIBISU-GAESHI

3

2

1

>1, allora il rateo di trasferimento

10

D Kts M 1  Kds M 1  1− 10 + T   1 − 10  KpM  Kp(1 − 10 ) D

Mentre il flusso totale del vapore composto dai contributi del flusso molecolare j1d diffusivo, del flusso convettivo 1vk e del flusso effusivo je è dato da:

j1 = −

1 D M 1 

 M1 K   K  10 ds  1 − 10 ts T  − 1 Keff  1  1 − M Kp  K RT (1 − 10 )  T 

La pressione di vapore p1 è funzione del contenuto di umidità e della temperatura per cui in generale sarà p1 (u,T), e perciò la variazione di pressione può essere scritta:

 p (u, T )   p (u, T )   p1 =  1  u +  1  T  u  T  T  u Allora la seconda formula si può riscrivere :

j1 = −a1cap  0 u − a1Tcap  0 T T

dove a1cap e a 1cap sono i coefficienti di diffusione di massa e di diffusione termica del vapore umido nei corpi capillari-porosi, rispettivamente,

 1 D M 1  M 1 10 Kds   1 Keff a1cap 0 =   +  1 − MKp   T  RT (1 − 10 )  a mT 0 =

 p1     u  T

1 D M 1   p1 T  M 1 10 K ds   p1  A10 K ts  − 1 −   + 1 K eff  RT (1 − 10 )  MKp   T  u K  T  u

Si può notare che nell’ultima formula il terzo termine ha il segno meno. Significa che il trasferimento di vapore umido per “squilibrio diffusionale” ha la direzione inversa del flusso del calore. Perciò, se la somma dei primi due termini della suddetta formula e’ minore del terzo, allora il coefficiente T a 1cap sarà negativo. Il flusso totale di umidità e’ allora T j = j1 + j2 = amcap 0 u − amcap 0 T

dove amcap e a

T mcap

sono i coefficienti di diffusione di massa e di diffusione termica dell’umidità T amcap = a1cap + a2 cap ; amcap = a1Tcap + a2Tcap

Nei materiali colloidali con pori capillari il trasporto di vapore e’ descritto dalla formula:

(

J = −am 0 u − amT 0 T = −am 0 u +  T T

)

dove am , a m sono coefficienti di diffusione termica e di massa e  e’ il coefficiente relativo uguale a

a m = a mcap

T T a mT = a mcap + a mk

270

a mT : am

ed il coefficiente relativo di diffusione termica e’

=

cap a mcap +  k a mk a mcap + a mk

La continua crescita del coefficiente am con l’umidita’ contenuta nel materiale poroso e’ caratteristica del trasferimento di vapore. Il sistema delle equazioni differenziali che reggono il trasferimento di calore e di massa quest’ultimo inerente al trasferimento a velocità finita ( wm  , wq = ), con l’ipotesi che le proprietà di dei materiali che influenzano il trasferimento siano costanti , può essere espresso con l’ausilio delle variabili generalizzate. In questo caso esso si presenta nella seguente forma:

T  =  2 T − KO * FO FO

  2 + K 2 = Lu ( 2 − Pn  2 T ) FO Fo dove K0 ( numero di Kossovich) e’ il rapporto fra la quantita’ di calore usato nell’evaporazione del liquidoe quella usata per riscaldare il corpo, Lu ( numero di Luikov ) e’ il rapporto fra il coefficiente di diffusione di massa e quello termico, Pn ( numero di Posnov ) e’ il rapporto fra la diffusivita’ termica umida rispetto alla diffusivita’ umida ed Fo (numero di Fourier) e’ il rapporto fra il numero di Luikov e quello di diffusivita’ di Luikov ( rapport tra diffusivita’ convettiva e termica ), infine

2    = 2+ x x x 2

;

 = 0,1,2,...;  =

a rm aa = 2 m2 2 R R wm

Nell’ultima condizione a e am sono i coefficienti di diffusione del calore e della massa, rispettivamente; mentre x è la coordinata adimensionale, ed R una dimensione caratteristica. La prima equazione è di tipo parabolica. Questo è dovuto al fatto che la velocità di propagazione del calore wq è molto grande [ciò è dovuto al fatto che il cosidetto “relaxation time” rq per i metalli è dell’ordine di grandezza circa 10 -11 s ad esempio per l’alluminio, mentre per i gas rq è di circa [10-9 s]. La velocità di propagazione del calore è, in tali condizioni, dell’ordine di grandezza della velocità di propagazione del suono, cioè è molto grande ( wq = 330 m/s). La velocità di propagazione della massa durante la diffusione nei corpi capillari porosi, è minore di wq di circa 10 6 - 10 7 volte e dovrebbe quindi essere inclusa nelle equazioni di trasferimento-massa in tab. 1 sono mostrati alcuni parametri sperimentali ricavati per materiali porosi non espansi.

271

Parametri di diffusione per flussi di umidità attraverso materiali porosi non espansi

Materiali resistenza alla

Densità volumetrica b,

Porosità

Tortuosità

Coefficiente , di

kg/m3

m3/m3

m/m

alla diffusione D

Strati di sfere Sfere di vetro, 1.9 mm Sfere di vetro, 0.5 mm Sabbia di mare, 0.2 mm

-

0.365 0.37 0.36

1.13 1.4 1.7

3.1 3.8 4.7

Materiali per costruzione Materiale fibroso

300-380

0.81-0.76

Cemento spumoso

650-840

0.71-0.62

Cemento di 2o scelta

1140

0.50

2.0-2.6 3.0-3.9 4.1-5.3 4.3-5.5 4.3-5.0

Calce gesso, 1:3 sabbia Calce cemento, 1:3 ghiaia

1800 2140

0.28 0.21

2.4-2.7 10.5-17.5

Generi alimentari Verdure asciutte Uova in polvere Fondi di caffè

135 305 400

0.907 0.79 0.725

1.6 1.9 1.16

1.7 2.4 1.6

Budino di cioccolato in polvere

725

0.5

3.4

6.8

Latte in polvere

750

0.482

1.6

3.3

1.4-2.6 1.8-7.7

3.2-7.5 7.3-33

Altri materiali Cuoio full-chrome Cuoio semi-chrome

-

0.280-0.405 -

2.5-3.2 4.0-5.1 5.8-7.5 6.9-8.9 8.5-10 8.6-9.8 5.0-83.5

tab. 1) - Parametri di diffusione per flussi di umidità attraverso materiali porosi non espansi

10.2 Assorbimento e deassorbimento del vapore d'acqua. Uno dei fattori fondamentali per al caratterizzazione del comfort termofisologico di una scarpa passa attraverso lo studio del comportamento della struttura "scarpa" nei confronti del "sudore" prodotto dal piede, che per comodità sarà indicato nel seguito con il termine di vapor d'acqua. Un primo aspetto che deve essere valutato è la capacità d'assorbimento e/o deassorbimento del vapor d'acqua da parte del sottopiede. E' ben noto dalla fisica che se il processo è quello dell'assorbimento, il meccanismo con cui avviene è analogo a quello della diffusione e può più correttamente chiamarsi "imbibizione". Se invece si manifesta anche il processo dell'adsorbimento delle sostanze disciolte allora questo processo è da imputare ad interazioni deboli delle forze di Van der Waals che comportano per di più anche l’emissione un calore di adsorbimento di ordine di grandezza del calore di condensazione dell'adsorbito. Questo tipo di fenomeno, per l'adsorbimento di uno strato monomolecolare, è retto dalla equazione di Langimur:

x kP =C m 1 + kP dove x è la massa dell'adsorbito, m la massa dell'adsorbente, C una costante sperimentale, k il coefficiente d'adsorbimento della sostanza adsorbita e P la pressione.

272

La relazione precedente si può generalizzare a più strati (equazione B.E.T.) assumendo che ciascun strato abbia lo stesso calore di adsorbimento e che per ciascun valga la relazione di Langimur per cui si potrà scrivere in formule:

P 1 C −1 P = + ( P0 − P)V VmC VmC P0 dove V è il volume totale del gas adsorbito, Vm il volume di gas necessario al ricoprimento della superficie con uno strato monomolecolare, P0 è la pressione di saturazione dell'adsorbito mentre C è una costante che dipende dal calore di adsorbimento del primo strato, dal calore di condensazione dell'adsorbito e dalla temperatura. Questa tipo di relazione si accorda soddisfacentemente con gli andamenti sperimentali calcolati. Un fattore indicativo molto importante relativo all'adsorbimento è la presenza del calore di adsorbimento che permette di comprendere se il processo è di natura fisica o chimica. L'esperienza ha mostrato che esso decresce all'aumentare dell'estensione del ricoprimento della superficie, a causa della non omogeneità della superficie adsorbente che spesso presenta centri attivi caratterizzati da una energia di adsorbimento diversa. Sperimentalmente si è anche verificato che nell'adsorbimento vengono prima impegnati i centri con maggiore energie di adsorbimento in valore assoluto e poi di seguito di altri. Spesso la determinazione della capacità d'adsorbimento delle sostanze utilizzate nelle scarpe passa solo per rilevazioni semplici di tipo gravimetrico. (cfr. appendice norme UNI) che forniscono l'assorbimento del liquido o del vapore in percentuale di massa.

11.0 - Strumentazione usata

11.1 - Termocoppie La termocoppia è, a buon diritto, considerata il più semplice, ma anche uno dei più affidabili dispositivi di rilevamento quantitativo delle temperatura. Come è noto essa è costituita essenzialmente da due fili di metalli diversi saldati insieme nella zona di misura. Ogni giunzione di questo genere , a seconda dei metalli usati, fornisce, a contatto con un corpo caldo, una tensione più o meno elevata che dipende direttamente dalla temperatura del campione analizzato. Le termocoppie sono disponibili in combinazioni standard di metalli che, a seconda del range di temperatura, posseggono un’uscita ragionevolmente lineare entro la zona di temperatura che interessa. Nella tabella 1, assieme al valore della temperatura massima che è possibile misurare con quel tipo di termocoppia, sono riportate alcune delle combinazioni più comuni che hanno trovato impiego generale. Quelle usate nel corso della nostra esperienza sono termocoppie definite in gergo tecnico di tipo T, formate cioé da una combinazione Rame-Constantana ed utilizzate fino ad una temperatura massima di 370 °C con un buon andamento lineare alle basse temperature. La scelta di questo particolare tipo di termocoppie è stato favorito pertanto da una serie di proprietà utili che di seguito vengono indicate. Bassa temperatura di lavoro. Elevato potere termoelettrico. Limite di errore pari a 1% del valore letto.Eccellente stabilità e riproducibilità dei dati. Eccellente robustezza e faciltà d’istallazione. Le 20 termocoppie tipo T ( 10 per ogni piede ) con fili da 0.13 mm , isolati in theflon, ed aventi lunghezza di 1.5 mt. sono state collegate ad un sistema di acquisizione, che tramite un’apposita scheda, riceve i valori di tensione di ciascuna termocoppia e li invia ad un’elaboratore che processa i valori trasmessi dall’acquisitore , sulla base dei parametri di taratura propri di ciascuna termocoppia fornendo così in tempo reale l’evoluzione termica del corpo in esame nel tempo. tipo

metalli costituenti

temp. max

T Rame-Costantana 371 C J Ferro-Costantana 760 C K Nichel cromo-Nichel (cromo/alluminio 1260 C E Cromo-Costantana 871 C R Platino/13%-Rodio platino 1482 C S Platino/10%-Rodio platino 1482 C Tab. 1) - Combinazioni tipiche di metalli di uso comune e limiti superiori di temperatura

273

La scelta del sensore del tipo sudetto è giustificata, oltre che da un limite di errore pari a +1% del valore letto: dalla bassa temperatura di lavoro, dall’elevato potere termoelettico (4045 V/C ), dalla sua eccellente stabilità e riproducibilità, dalla flessibilità, robustezza e facilità di installazione.

11.1.1 - Taratura Perché la ricerca dia risultati soddisfacenti, i dati ricavabili dalle esperienze debbono essere di grande precisione. Nel caso delle termocoppie si è cercato di diminuire l’errore sulla grandezza misurata al di sotto del valore nominale accettabile definito dalle norme U:N:I:. Si è deciso, pertanto, di effettuare una taratura individuale dei sensori che permettesse non solo di verificare se tutti gli elementi fossero conformi alla normativa U:N:I:, ma anche di abbassarne l’incertezza attribuibile alle misure dell’utilizzatore. Per ciascuna termocoppia i punti di taratura nell’intervallo 5  90 C sono stati 7, più che sufficenti per assicurare un valore minimo dell’errore di interpolazione alle temperature intermedie (mediamente 0.05 C). Per tali punti, seguendo la procedura che prevede il confronto degli elementi in prova con un termometro campione a resistenza di platino, è stato possibile verificare che l’incertezza nominale non solo soddisfaceva quella delle norma U:N:I: ( 0.3 C nel campo 0  600 C ), ma anzi era inferiore. L’incertezza totale, ricavata come funzione delle incertezze relative ai riferimenti ed alla strumentazione, risulta di circa  48 mK. L’interpolazione dei dati sperimentali, per ciascun elemento, è stata eseguita col medoto dei minimi quadrati delle differenze tra i valori misurati dalle f.e.m. e quelli teorici ricavati dalle tabelle U.N.I. tipo 7938. La curva d’interpolazione è del tipo JE = A + BtT + Ct2

dove J,A,B,C, sono opportuni coefficenti e t è la temperatura campione e fornisce i valori della f.e.m. nella forma E=F(t) dove nel caso specifico F ( t ) è un polinomio dell’ottavo grado. L’incertezza per i punti intermedi, prodotta dall’interpolazione ( tra 30 e 80 mK ), va aggiunta a quella trovata precedentemente. Altre fonti di incertezze sono da valutare analizzando l’applicazione specifica ( tipo di contatto, strumenti di misura, collegamenti, ecc. ). In appendice C viene viene mostrato a titolo di esempio un certificato completo di taratura, emesso dal centro di metrologia SIT/ENEA e relativo ad una delle termocoppie usate nel corso dell’esperienza.

274

11.2- Sistema videotermografico La videotermografia è quella tecnica che permette la visualizzazione, su video, della mappa termica dell’oggetto/soggetto inquadrato dall’obbiettivo di uno scanner all’infrarosso Tutte le sostanze hanno la capacità di emettere con continuità radiazioni elettromagnetiche in virtù dell’energia interna della materia stessa, associata all’agitazione molecolare ed atomica. In stato di equilibrio questa energia interna è proporzionale alla temperatura della materia. L’energia radiante emessa varia dalle onde radio, che possono avere lunghezze d’onda di centinaia di metri, ai raggi cosmici che hanno lunghezza d’onda di 10-14 m. La sola radiazione che viene presa in considerazione in questa ricerca è quella rilevata come calore (radiazione termica) e occupa un intervallo di lunghezza d’onda intermedio. In particolare, la banda dell’infrarosso (IR) si divide in 4 regioni i cui limiti sono convenzionalmente indicati nella tabella 2) che segue. Banda IR vicino medio lontano estremo

da m 0.5 3 6 15

a m 3 6 15 1000

Tab. 2) - Bande convenzionale IR I sistemi videotermografici lavorano nell’infrarosso medio o lontano; in questa bande l’energia radiante da un oggetto è funzione essenziale della sola temperatura superficiale e non dall’energia radiante riflessa, generata da corpi attigui. Sistema termografico HUGEHS/AVIO Il sistema termografico HUGEHS/AVIO, utilizzato nell’ambito dei vari step della ricerca è composto da tre sottosistemi: a - Termocamera con ottica, b - unità di processamento, c - monitor. L’immagine viene riprodotta sia in toni di grigio che con colori virtuali legati alla temperatura superficiale dell’oggetto; lo scanner termico Hughes/Avio 2000, utilizzato nelle nostre riprese, è un sensore passivo per il rilevamento delle radiazioni termiche nella banda dell’infrarosso medio che fornisce in tempo reale una mappatura termica quantitativa di un corpo (mediante 256 colori virtuali ). L’apparecchiatura effettua letture termiche nel range -20 ; + 300 °C, in ambienti con temperatura variabile da -10 a + 45 °C ed umidità massima del 90% attraverso una lente che delimita il campo di ripresa, l’energia infrarossa emessa dal soggetto viene captata da una matrice di rivelatori ad Antimoniuro di Indio; questi la convertono in un insieme di segnali elettrici che corrispondono alla mappa termica dello stesso. Un prisma rotante con 10 specchi costituisce il sistema meccanico di scanzione per ottenere l’immagine video; i segnali prodotti vengono inviati all’unità di processamento. Nel range di temperature analizzate nella nostra ricerca ( +15 °C +50 °C ) la precisione sulla misura di temperatura letta risulta dell’ordine del 3% , ovvero dell’ordine di  1,5 °C. Le caratteristiche dello scanner sono: array di rivelatori a 10 elementi di Antimoniuro d’Indio, raffreddamento a circuito chiuso a ciclo Stirling, campo di visione (FOV=Field of View) di 15 Orizzontale x 10 Verticale, risoluzione geometrica (IFOV) 2.2 mrad, campo di messa a fuoco da un minimo di 20 centimetri ad infinito, • regolabile anche con telecomando • resistenza alle vibrazione di 2 g • resistenza allo shock di 10 g Lo scanner effettua letture termiche comprese tra -20C e +300C in ambiente con temperature variabili da -10C a +45C e con umidità massima del 90%; la risoluzione termica è di 0.1C a 30C, ma con media di 0.05C (a 30C) sulle immaggini riprese (51200 pixel =256x200). La precisione sulle misure della temperatura letta risulta del +\- 3% ovvero di +\- 2% quale valore massimo. La termocamera può essere dotata di obiettivi aventi differenti aperture di campo, intercambiabili con lo standard (15 Orizzontale x 10 Verticale), che spaziano dal teleobiettivo al grand’angolo. Inserendo opportuni filtri è possibile variare il campo spettrale (sia all’interno che all’esterno dell’infrarosso medio) ed anche misurare temperature fuori dal normale intervallo di ripresa.

275

E’ predisposta inoltre, per supportare una telecamera operante nel visibile la cui immagine, attraverso un piccolo mixer video, può essere soprapposta all’immagine infrarossa. L’unità di processamento (elaboratore d’immagini) HUGHES/AVIO riceve il segnele elettrico dalla telecamera e lo elabora per convertirlo in una immagine video in falsi colora; a ciascuno di essi corrisponde un campo di temperatura differante. L’immagine così realizzata viene inviata al monitor in tempo reale. L’elaboratore d’immagini HUGHES/AVIO è munito di :pannello frontale con comandi floppy disk 3.5” ; 1.44 MB, monitor a colori da 6” ad alta risoluzione,tastiera alfanumerica ed è collegato, tramite un cavo lungo 5 mt. allo scanner consentendo la massima libertà di movimenti senza interferire nel campo delle riprese Questo elaboratore presenta nel suo standard le seguenti caratteristiche: uscita video in RGB (1 volt p-p)o PAL frequenza di scanzione variabile ( con valore massimo di 30 immagini al minuto), temperatura di funzionamento da 0C a +45C, registrazione di 40 immagini su floppy disk ( FD) da 3.5” velocità di registrazione dell’immagini su FD e Playback variabile da 10 secondi a 99 minuti, trigger esterno per comando congelamento e registrazione immagine Il software installato permette di: selezionare i colori della scala delle temperature in 16, 64, 128, 256, colori selezionare 3 differenti scale di colori e per ciascuna di esse, ottenerne anche il bianco\nero o il negativo visualizzare la scala di riferimento a colori con l’indicazioni delle temperature, visualizzare le temperature in gradi centigrati o in gradi Farenait congelare l’immagine, indicare le temperature di 5 punti selezionabili a piacere tramite opportuni cursori, effettuare la media tra più immagini , inserire le isoterme, regolare il livello della temperatura (thermal level), regolare la sensibilità, fare lo zoom x2 (con panning), scrivere messaggi, che veranno registrati, sull’immagine; l’alfabeto comprende i caratteri da A a Z e numeri da 0a 9, adeguare la sensibilità della camera sull’emissività del soggetto (da 0.1 a 1), tararsi automaticamente sulla temperatura ambiente, calibrarsi per lenti e filtri aggiuntivi (10 tavole interne di parametri correttivi), fornire data e ora, eseguire un tracking automatico in funzione della temperatura del cursore di riferimento o della temperatura massima o minima dell’immagine (aggiustamento del valore medio), memorizzare 5 differenti serie di parametri dell’utente.

11.2.1 - Taratura La taratura delle termocamere viene eseguita per confronto con un termometro campione a resistenza di platino da 100 Ohm a 100 C, tarato a sua volta per confronto con campione di seconda linea del centro di taratura SIT presso il CR della Casaccia. Il termometro di riferimento viene inserito all’interno di un corpo nero costituito da un cilindro di grafite munito di un coperchio con un foro di 10 mm, a sua volta inserito in un bagno termostatato ad acqua. Un cono di allumina viene inserito tra la finestra del corpo nero e la bocca del tubo. Le misure vengono eseguite per 6 valori della temperatura compresa tra 0 C e 40 C, dopo la stabilizzazione del bagno alla temperatura voluta. Durante le misure la termocamera viene focalizzata sul corpo nero ad una distanza di 68 cm. Le condizioni ambientali debbono essere ben definito ( T = 23.5 C,  = 42 %). Per ogni punto di taratura vengono eseguite le seguenti operazioni: - selettore Filter a 0 - apertura Diaframma ad 1.8 - regolazione grossolana tramite Thermal Level (e se necessario anche tramite Thermal Range) al fine di avere il massimo dettaglio dell’immagine - regolazione del contrasto e della luminosità per ottenere lo stesso in entrambe le immagini (diretta ed inversa - commutatore Dir/Rev ) - regolazione fine del Thermal Level (tramite anche Isorthermal Level),in modo da far risaltare la zona isoterma del corpo nero - lettura del valore della temperatura campione. L’incertezza sul valore della temperatura misurata dal campione è di +/- 0.1 C

276

11.3. - Sfigmomanometro Nell’uomo la pressione arteriosa si misura con lo sfigmomanometro strumento messo a punto nella sua versione moderna dall’italiano Scipione Riva-Rocci. Esso si basa sul principio della misurazione del valore pressorio necessario ad impedire la trasmissione dell’onda sfigmica. L’apparecchio consta di un ampio manicotto di gomma che viene cinto attorno al braccio e nel quale può venire compressa dell’aria con una piccola pompa. La pressione che vi si determina, è misurata da un manometro a mercurio inserito fra la pompa e il manicotto e che possiede un rubinetto atto a diminuire gradatamente la pressione in tutto il sistema. La determinazione viene fatta applicando al braccio il manicotto di gomma, che è tenuto a posto da una fascia di tela fissata con fibbie. L’osservatore palpa il polso alla radiale con una mano, mentre con l’altra fa funzionare la pompetta, che comprime aria nel manicotto. La fascia di tela impedisce al manicotto stesso di distendersi oltre un certo limite, cosicchè a poco a poco l’aumento di pressione nel bracciale arriva ad obliterare l’arteria omerale ed a determinare alla radiale la scomparsa del segnale del polso. Si legge sul manometro il valore della pressione esercitata. Poi per mezzo del rubinetto esistente si diminuisce gradatamente la pressione nel sistema, finchè ad un certo momento comincia a ridiventare percettibile il polso radiale. A questo punto si legge ancora sul manometro il valore della pressione, che viene esercitata sull’arteria. La media delle due determinazioni dà il valore della pressione arteriosa sistolica. (Pressione massima). Esso rappresenta la pressione esercitata sulla parete esterna dell’arteria, quando il suo lume sta per obliterarsi. Continuando a diminuire molto cautamente la pressione si osserva che ad un certo momento le oscillazioni del mercurio nel manometro presentano escursioni massime ad ogni sistole cardiaca. Ciò è dovuto al fatto che la pressione sistolica è sufficiente a distendere il vaso mentre fra un battito cardiaco e l’altro le pareti dell’arteria collabiscono. A questo punto la pressione registrata dal manometro è la cosidetta pressione diastolica ed è precisamente indicata dal livello più basso, cui arriva la colonna di mercurio nelle sue escursioni. Valutata la pressione diastolica e quella sistolica può essere stabilita la pressione del polso, facendo la differenza fra i due valori. Un’importante modificazione a questa tecnica è quella proposta da Koronoff con il metodo ascoltatorio. Alla palpazione diretta dell’arteria si sostituisce l’auscultazione con uno fonendoscopio. Se si appogia questo strumento sull’arteria omerale, subito al disotto del bracciale, si ascolta una serie di suoni man mano che va diminuendo la pressione che in precedenza era stata esercitata fino ad obliterare completamente l’arteria. Oggi vengono largamente commercializzati ed usati manometri elettronici con display digitale ed altoparlante, per di più autotaranti, che forniscono simultaneamente su di uno schermo a cristalli liquidi: la pressione massima o sistolica, la pressione minima o diastolica, la frequenza cardiaca, cioè il numero dei battiti cardiaci al minuto ed il suono di Koronoff per un esame auditivo della loro frequenza. Un si fatto strumento è stato utilizzato nel corso della ricerca per assicurarsi la mancanza dello stato di stress negli atleti, che avrebbe potuto influenzare la persiratio insensibilis. 11.4 - Bilance La bilancia in senso stretto è lo strumento di misurazione delle masse, per antonomasia. Infatti mentre il peso di un corpo varia da luogo in luogo la massa è una caratteristica invariante dei corpi in quiete. Ora poiché in un luogo circoscritto della Terra l’accelerazione di gravità g è costante, la relazione che intercorre tra le forze peso e le masse è (P1/P2) = (m1 / m2) La bilancia quindi per questa relazione è strumento di misurazione diretta delle masse dei corpi. Nell’ambito della nostra sperimentazione si è dovuto affrontare il problema della misurazione di due masse poste su scale di grandezza diversa, corpi degli atleti e quantità di perspiratio insensibilis, pertanto si è dovuto ricorrere all’utilizzo di specifiche strumentazioni: A) bilancia pesapersone; B) bilancia analitica.

277

11.4.1 - Pesapersone Nel corso della fase modulare 1, è stata usata una bilancia pesapersone, con una portata massima di 130 kg ed una precisione ai 100 g di tipo elettronico. Questo tipo di bilance si sono sviluppate in questi ultimi anni, in esse la parte essenziale è il sistema di trasduzione della grandezza fisica da misurare (la forza peso) in grandezza elettrica. L’elemento essenziale per tale processo di trasduzione è l’estensimetro. Uno strumento che in genere trasforma la variazione di una lunghezza da misurare, in una variazione di una grandezza elettrica, molto più comoda da misurare. Nel nostro caso esso, nella configurazione di celle di carico, produce un segnale elettrico proporzionale alla forza peso. Particolarmente interessante è l’elaborazione del segnale elettrico proporzionale al peso. Questo segnale convertito in forma digitale è inviato ad un microprocessore (sensitive computer) che lo elabora e ne permette la visualizzazione del peso su di un display a cristalli liquidi. Queste bilance oltre alla caratteristica compattezza ed alla trasportabilità, mostrano anche un alto grado di riproducibilità ed affidabilità della misura. Una siffatta bilancia usata nel corso delle esperienze ha mostrato una risposta molto soddisfacente dal punto di vista della accettabilità dei dati forniti. 11.4.2 - Analitica Per le misure gravimetriche delle quantità in gioco nel calcolo della perspiratio insensibilis in condizioni di “basale termico” si è usata una bilancia di tipo analitico ( Gibertini 41 S. ) con una portata massima 100 g ed una precisione di 0.0001 g . Le bilance analitiche sono essenzialmente costituite da una leva di primo genere, indeformabilei a bracci uguali, girevole intorno ad un fulcro a filo di coltello, appoggiato su di un piano d’acciaio o di agata. Essa era basata sul sistema Mendeleev in cui si pone un carico fisso bilanciato da una massa nota. La pesata avviene mettendo sull’altro piatto la massa incognita da misurare e caricando masse campione sino a raggiungere l’equilibrio. Il caricamento delle masse campione è compiuto dall’esterno con la semplice rotazione di opportune manopole in tal modo lo strumento viene reso a lettura diretta sull’apposito display. Con bilance di questo tipo si possono raggiungere 10-9 kg a fronte di portate di 10-2 Kg.. La precisione di questo tipo di apparecchi ha permesso di effettuare il sistema della pesata unica, in quanto le prove di riproducibilità effettuate si sono mostrate di fatto irrilevanti rispetto agli ordini di grandezza in gioco. VALORI ORIENTATIVI DI CALORE SPECIFICO DI COMPONENTI DI SCARPE DA GINNASTICA (J/GG*C) COMPONENTE

15C

20C

25C

30C

35C

40C

Suola parte bleu plantare Pelle eureka Pelle flyer Plantare cuoio Fodera pelle doppio fissaggio Pu sint SL 0.5 T661 + foam + 42G t/g Nylon T661 Sottopiede strong Suede PU SM649 + foam +42G T/g Pelle abrasivata Pelle cardif Pelle alce Ny brush 150.4 Nabuk alce Ko P3 Fodera miura Costo lama Suola, parte rigida di raccordo

1.53 1.27 1.34 1.24 1.30 1.56 1.38 1.19 1.18 1.40 1.18 1.48 1.46 1.42 1.42 1.43 1.40 1.54 1.44 1.49

1.55 1.29 1.34 1.26 1.29 1.59 1.41 1.23 1.21 1.44 1.21 1.49 1.46 1.43 1.46 1.44 1.43 1.56 1.47 1.52

1.55 1.29 1.31 1.26 1.28 1.60 1.42 1.24 1.21 1.44 1.22 1.48 1.44 1.42 1.48 1.43 1.44 1.57 1.47 1.53

1.57 1.31 1.34 1.29 1.32 1.65 1.46 1.28 1.24 1.49 1.28 1.51 1.48 1.45 1.57 1.46 1.50 1.63 1.51 1.58

1.59 1.35 1.37 1.33 1.36 1.69 1.48 1.32 1.27 1.53 1.33 1.55 1.52 1.50 1.64 1.50 1.54 1.67 1.54 1.61

1.61 1.39 1.42 1.36 1.43 1.73 1.50 1.35 1.31 1.55 1.37 1.59 1.57 1.55 1.71 1.54 1.58 1.72 1.57 1.65

278

12.0 - Descrizione generale del modello fisico

I modelli sono essenzialmente delle espressioni matematiche rappresentanti in maniera semplificata concetti e/o dati complessi. Occorre, però, aver a disposizione oltre al modello anche dei dati sperimentali che integrino le assunzioni concettuali in modo organico. La modellistica è stata ampiamente utilizzata per migliorare le nostre conoscenze fondamentali sulla natura e sugli organismi viventi. In modo particolare è applicata per stimare il comportamento di sistemi quando misure dirette sono troppo costose o impraticabili e, quindi, per stimare le prestazioni di questi sistemi in una serie variegata di condizioni al contorno. In questa ottica si colloca il modello del piede standard descritto in questo lavoro. Per gli aspetti inerenti l’analisi termica, il modello proposto considera la superficie esterna del piede come sviluppata su di un piano e suddivisa in settori rombici (fig. 1).

A ciascun settore è quindi associato uno spessore equivalente di materiale biologico del piede che caratterizza i valori numerici dei parametri specifici del problema, come per esempio la capacità termica, la conducibilità termica, la perfusione sanguigna. I settori individuati sono i più rappresentativi dal punto di vista fisiologico e sono suddivisi in due gruppi che fanno riferimento alla parte superiore e alla parte inferiore del piede. Di seguito è riportata la descrizione dettagliata della suddivisione: A) parte inferiore: a) alluce (un settore) b) aponeurosi plantare (due settori) c) arco del piede (un settore) d) calcagno (due settori) B) parte superiore: a) avampiede, biforcazione dei canali pressori(un settore) b) tarso, metatarso (due settori) c) tallone (un settore). La necessità della suddivisione consegue dalla diversa risposta termofisiologica per temperature esterne maggiori di 28 0C. E’ noto che gli aspetti di termofisiologia sono legati, oltre che ai parametri termici specifici anche all’afflusso sanguigno e alla sudorazione attraverso la pelle. Nel 1948 H.H. Pennes propose un modello termofluidodinamico, tuttora ampiamente utilizzato, per lo scambio termico conduttivo e convettivo tra il sangue contenuto nelle vene e nelle arterie con i tessuti adiacenti (/1/). Il modello descritto dal presente lavoro utilizza l’equazione di Pennes caratterizzata per il piede medio standard:

  k t ,i Tt ,i − wb ,i cb ,i (Tt ,i − Tb ) + Si = t ,i ct ,i

Tt ,i 

1.1

Il pedice i si riferisce al settore i-esimo, l’unità di misura prescelto è il Sistema Internazionale (S.I.); inoltre:

kt ,i = conducibilità termica del tessuto del settore wb ,i = rateo della perfusione sanguigna attraverso il piede (kg./m3s)

279

cb ,i = calore specifico del sangue Tt ,i = temperatura del tessuto considerato Tb = temperatura del sangue (0K) Si = potenza termica volumetrica

t ,i =

densità del settore

ct ,i = calore specifico del sangue  = tempo Il contorno è individuato dalla sezione trasversale del piede all’altezza della caviglia e in questa zona si impone la temperatura (condizione di Dirichlet) come condizione al contorno. I seguenti paragrafi descrivono i parametri fisici utilizzati nella 1.1.

12.1 - Coefficienti Termofisiologici Si assume, in prima approssimazione, che il sangue e il materiale biologico “equivalente” abbiano le stesse proprietà termofisiologiche e quindi assumiamo come costanti in tutti i settori le seguenti grandezze:

c = cb ,i = ct ,i = 4185. (J/ Kg.0K) k = kt ,i = 0.5 (W/m.0K)

 = 1000. (Kg./m3) Occorre sottolineare che le proprietà termofisiologiche di un settore si riferiscono ad una miscela di sostanze, sangue compreso, pertanto, dato che in condizioni di sollecitazione meccanica la quantità di sangue che irrora un settore può variare notevolmente, anche le proprietà termofisiologiche possono variare in modo sensibile. 12.2 - Perfusione sanguigna Il calcolo generale della perfusione sanguigna durante lo stazionario e durante il transitorio comporterebbe l’utilizzo delle equazioni di conservazione della massa e della quantità di moto (/2/). In prima approssimazione, però, risultano accettabili le assunzioni riportate di seguito. Introduciamo una temperatura media, rappresentativa del piede:

Tm =

Ss ,i 1 Sinf,i 1 Ts ,i  + Tinf,i   4 Stot 6 Stot

1.2

dove:

Ts ,i = temperatura della termocoppia associata al settore i-esimo superiore Tinf,i = temperatura della termocoppia associata al settore i-esimo inferiore S tot = area della superficie totale del piede S inf,i = area della superficie i-esima inferiore S s,i = area della superficie i-esima superiore.

I settori superiori sono 4, mentre i settori inferiori sono 6. Sia, inoltre, W il rateo della perfusione totale nel piede; è ragionevole ipotizzare che la perfusione locale sia legata alla temperatura locale del tessuto e alla perfusione totale. La più semplice relazione è la diretta proporzionalità tra la perfusione locale con il prodotto della temperatura locale del tessuto, normalizzata con la temperatura media, e la perfusione totale:

wb ,i =

Ti W Tmed .

1.3

280

12.3 - Termine di sorgente Con il termine di sorgente si comprende sia la produzione metabolica di calore per unità di volume ed unità di tempo, S0, sia lo scambio di calore con l’esterno, S1. Il termine di produzione metabolica è considerato, in prima approssimazione, come termine costante. Per lo scambio termico tra la pelle e l’esterno, utilizziamo, punto per punto, la relazione di Sacripanti (/3/). La relazione di Sacripanti considera lo scambio termico mediante un termine radiativo, un termine convettivo ed un termine associato al trasporto di energia per trasporto di massa (sudore) opportunamente tarati con coefficienti anche adimensionali che includono le caratteristiche geometriche del piede (e del corpo umano in generale) e la specificità del sistema complesso (con cambiamento di fase) del problema in considerazione. La relazione considerata è pertanto la seguente:

S1 = A  (Tt 4 − Ta4 ) + B(Tt ) 

 M t  et M a  ea  (Tv ,t − Tv ,a )1.2 (Tt − Ta )1.2 + C −   Ta 0.2 Ta  Tv ,a 0.2  Tt

1.4

A = coefficiente che include la superficie del piede; il termine di Wien corretto per superfici grigie; il fattore di vista Tt = temperatura del tessuto Ta = temperatura ambiente B(Tt) = coefficiente associato al fattore di “cut off” della sudorazione;all’umidità relativa; alla superficie globale del piede; alla larghezza e alla lunghezza del piede;alla diffusività termica attraverso la “boundary-layer” che si genera sulla superficie del piede; al numero di Reynolds e di Prandtl in condizioni di piede in movimento o al numero di Grashof e Prandtl in condizioni di piede fermo e quindi in convezione libera C = coefficiente associato all’umidità relativa; alla superficie globale del piede; alla larghezza e alla lunghezza del piede; alla diffusione di vapor d’acqua; al calore latente di vaporizzazione nelle condizioni superficiali del piede; al numero di Reynolds e di Schmidt o al numero di Grashof e di Schimdt; alla capacità fisiologica del corpo umano di espellere acqua mediante sudorazione Mt =massa del vapor d’acqua provocata dalla sudorazione et = pressione del vapor d’acqua nell’intorno della pelle del piede Ma= massa del vapor d’acqua nell’ambiente circostante ea =pressione del vapor d’acqua nell’ambiente circostante Tv,a = temperatura modificata dell’ambiente secondo il fattore di Cookman (/3/) Tv,t =temperatura modificata del tessuto secondo il fattore di Cookman(/3/)

  e Tv ,... = T... 1 + 0.38   ...   Paria

  

dove: e... = pressione parziale del vapor d’acqua nell’intorno del piede o nell’ambiente circostante Paria = pressione totale della miscela aria-vapor d’acqua 12.4 Equazione finale Dalle precedenti considerazioni si desume che l’equazione modificata di Pennes assume la seguente forma:

t ,i ct ,i

Tt ,i Tt ,i = k t ,i  2 Tt ,i − W   c ( T − T ) + S0 +  Tmed . b ,i t ,i b

 M t  et M a  ea  (Tv ,t − Tv ,a )1.2 (Tt − Ta )1.2 + A  (Tt − T ) + B(Tt )  + C −  Ta 0.2 Ta  Tv ,a 0.2  Tt 4

4 a

281

1.5

Come è evidente la 1.5 è non lineare e questo comporta la necessità dell’adozione di metodi iterativi. 12. 5 Cenni sul modello meccanico Alcuni degli aspetti delle funzionalità meccaniche del piede, come per esempio il range del moto, i carichi esterni e cosi’ via, possono esser misurati direttamente. Però, molto spesso, le variabili meccaniche di più grande interesse come, per esempio, le forze attraverso le giunture o le tensioni nelle ossa non sono facilmente accessibili per delle misure accurate. Un modello biomeccanico realistico dovrebbe permettere il calcolo o la deduzione analitica delle variabili d’interesse. Tuttavia un modello matematico è di limitata utilità senza la disponibilità di dati mediante i quali verificare delle previsioni e delle estrapolazioni: ciò comporta la complementaritàdell’approccio matematico con l’approccio sperimentale. I risultati di un’attività fisica sono ottenuti dall’uomo in una pluralità di modi che sono influenzati da un insieme di fattori quali le condizioni fisiche e le risposte psicomotorie. I carichi alle giunture influenzano le normali risposte fisiologiche dei tessuti connettivi. La degenerazione delle giunture cartilaginee e la labilità capsuloligamentosa possono esser attribuite all’ampiezza e al tipo della trasmissione del carico attraverso le giunture stesse. E’ evidente che la conoscenza dell’intensità e del tipo di carico al quale il corpo umano è sottoposto è importante nel determinare il possibile meccanismo e la prevenzione di un danno occorrente durante le normali attività occupazionali o sportive. Le analisi delle forze in sistemi muscoloscheletrici sono sviluppate dalle tecniche del “free-body”. In queste analisi una parte del corpo è isolata, considerata a sè stante ed assunta come rigida senza alcun moto relativo interno. Si analizzano le forze statiche e dinamiche che agiscono sull’elemento libero e in accordo con la seconda legge di Newton se le forze applicate al corpo rigido non sono in equilibrio, allora il corpo subisce un’accelerazione lineare che è proporzionale all’intensità e direzione della somma vettoriale non bilanciata delle forze. La costante di proporzionalità è la massa del corpo rigido. Similmente, quando i momenti applicati al corpo rigido non sono in equilibrio, il corpo rigido subisce un’accelerazione angolare. Analogamente l’intensità dell’accelerazione è proporzionale all’intensità dello sbilanciamento del momento. La costante di proporzionalità è il momento d’inerzia del corpo. Quando si sviluppa l’analisi delle forze di un sistema a corpo libero è molto utile la costruzione di un diagramma. Una decisione fondamentale che deve esser adottata è quale debba esser il corpo rigido libero da scegliere. Nel caso del piede possono esser scelti i singoli elementi ossei che lo compongono. L’elemento,quindi, è isolatodal resto dei corpi del sistema. In generale quando il sistema muscoloscheletrico è impegnato in attività, vi sono due tipi di carico: statico e dinamico. Un carico statico può esser dovuto al carico di un oggetto posto sul sistema,come per esempio un peso o la forza risultante nel tirare o spingere un oggetto. Un carico dinamico, risultante da carichi inerziali è generato durante il movimento del corpo. Se l’esatta storia del moto o della cinematica del sistema è disponibile, i carichi dinamici possono esser calcolati applicando le equazioni del moto del sistema. Nel caso del piede, i carichi dinamici inerziali sono relativamente piccoli. Quindi si adotta un’analisi quasi statica. Questo significa che si assume il corpo libero in equilibrio in ciascun istante e che si possa svolgere l’analisi meccanica in ciascun istante senza alcun riferimento alla posizione, alla velocità o all’accelerazione del piede in altri intervalli di tempo. Se l’elemento è in contatto con qualche superficie esterna che trasmette forze e momenti esterni, ovviamente questi effetti devono esser inclusi nelle analisi. E’importante notare che alle estremità di ciascun elemento scelto come corpo libero, vi sono delle forze e dei momenti che sono scambiati con gli altri elementi del sistema mediante le tensioni muscolari, i vincoli capsuloligamentosi etc. Le analisi meccaniche di ciascun elemento, la determinazione delle tensioni interne a ciascun elemento possono esser studiate mediante codici di calcolo agli elementi finiti che, però, in questo lavoro non sono trattati. 12. 6 Modello numerico La soluzione dell’equazione 1.5 non può che esser di tipo numerico, oltre che per la non linearità dell’equazione stessa anche per la complessità della geometria del dominio d’integrazione della stessa. Per la struttura del modello fisico descritto nel precedente capitolo, in particolare per la suddivisione a settori del piede, risulta evidente il vantaggio dell’utilizzo del metodo agli elementi finiti quale strumento numerico per ottenere la risposta termofisiologica del piede a sollecitazioni esterne.

282

La risposta del sistema, soluzione dell’equazione 1.5, consiste in un set di temperature, alcune delle quali già note in quanto risultato di misure sperimentali, mentre le altre sono dedotte numericamente in particolari punti o “nodi” del reticolo con il quale il piede è stato suddiviso. Si ritiene opportuno, nel seguente paragrafo, introdurre brevemente il “metodo agli elementi finiti”. 12.7 Breve descrizione del metodo agli elementi finiti Il metodo agli elementi finiti può esser dedotto da principi variazionali (si rende minimo un “funzionale” che costituisce il “potenziale” dell’equazione differenziale), ma questo è possibile solo se risulta agevole trovare il “potenziale” in questione. Si può dimostrare che un’equazione differenziale definita “autoaggiunta” possiede le caratteristiche per essere trattata mediante il principio variazionale. In generale, però, le equazioni differenziali non sono autoaggiunte, per cui occorre partire da altri metodi come, per esempio, il metodo ai residui pesati, in grado di ottenere soluzioni approssimate di equazioni differenziali parziali lineari e non lineari. Questo metodo ci permette, quindi, di formulare le equazioni agli elementi finiti. L’applicazione del metodo dei residui pesati (il più comune è il metodo di Galerkin o sue modifiche) comporta due fasi. La prima è di suddividere il dominio d’integrazione in tanti semplici elementi geometrici (segmenti, triangoli, rettangoli oppure parallelepipedi e così via) e di scegliere delle funzioni che, non essendo in generale la soluzione esatta in quanto non nota, soddisfi approssimativamente l’equazione differenziale nel dominio d’integrazione con le relative condizioni al contorno. La sostituzione di questa approssimazione nell’equazione originaria con le relative condizioni al contorno comporta necessariamente un qualche errore chiamato residuo. Si cerca, quindi, di rendere in media nullo il residuo su tutto il dominio. La seconda fase consiste nel risolvere l’equazione (o le equazioni) ottenute dalla prima fase e quindi specificare in modo più accurato la forma generale della soluzione cercata. Vediamo di rendere più concreto il discorso con un problema tipico. Supponiamo di dover trovare una soluzione approssimata per la variabile  che soddisfa un’equazione differenziale del tipo:

L( ) − f = 0

2.1

nel dominio D limitato dall’intorno . Il simbolo L rappresenta tutte le operazioni di derivazione richieste dall’equazione differenziale che si intende risolvere. La funzione f è una funzione nota delle variabili indipendenti. Si assume, inoltre, che sul contorno siano state poste le opportune condizioni al contorno. Si applichino le due fasi. Suddividiamo il dominio geometrico in tanti elementi semplici che determinano una griglia con un certo numero di nodi individuati da un indice “i”. In ciascun nodo è calcolato il valore numerico i della variabile . A questo punto occorre ipotizzare quale sia l’andamento della  tra un nodo e l’altro. E’ possibile farlo scegliendo in ciascun nodo “i” opportune N i , funzioni di “forma” delle coordinate, che devono soddisfare le condizioni al contorno globali, cioè su tutto il dominio. Approssimiamo, infine, la soluzione esatta  con una soluzione

 tale che: M

   i N i

2.2

i =1

con M numero totale di nodi. Dato che

 è una soluzione approssimata, in generale si otterrà:

L( ) − f = R

2.3

con R  0 . Se il “residuo” R fosse identicamente zero su tutto il dominio allora  sarebbe la soluzione esatta, ma questo in generale non è vero. Pertanto l’idea è quella di “pesare” il residuo R moltiplicandolo per un set di funzioni indipendenti Wi , cioè non combinazioni lineari le une delle altre, definite in ogni nodo “i” e diverse da zero solo negli elementi che condividono il nodo i-esimo e nulle altrove. Si pone, infine, nullo l’integrale di R  Wi su tutto il dominio, per tutti i nodi. Si ottiene un sistema di M equazioni nelle M incognite i :

  L( ) − f   W dD =  R  W dD = 0 i

d

i

,

i=1,2,.........,M

2.4

d

Ovviamente la forma della distribuzione dell’errore dipende dalla scelta sulle funzioni peso. Il sistema 2.4 è un sistema di equazioni algebriche, se non ci sono le derivate rispetto al tempo, altrimenti il sistema 2.4 è un sistema di equazioni differenziali la cui soluzione rientra nei classici canoni del calcolo numerico.

283

Si può dimostrare che esistono molti problemi lineari e non per i quali per M che tende all’infinito, la soluzione approssimata tende alla soluzione esatta; comunque, in generale , occorre analizzare la convergenza e stimare l’errore. Il metodo più utilizzato per la scelta delle funzioni peso Wi è il metodo di GALERKIN con sue modifiche: le funzioni utilizzate per pesare il residuo sono le stesse già utilizzate per approssimare le funzioni i , cioè :

Wi = N i ,

i=1,2,............,M

2.5

Si può dimostrare che la scelta fatta è in grado di rendere minima la stima dell’errore tra il valore numerico i trovato in ciascun nodo e il corrispettivo valore analitico. La scelta del tipo di elemento geometrico sul quale applicare le approssimazioni introdotte in questo paragrafo risulta condizionante tutta l’algebra per la soluzione del sistema algebrico o di equazioni differenziali 2.4. Per il modello proposto in questo lavoro si è scelto l’elemento triangolare che verrà descritto nei seguenti sottoparagrafi.

12.7.1 Elementi bidimensionali Elementi finiti bidimensionali sono stati ampiamente utilizzati in quanto l’idealizzazione bidimensionale dei domini è giustificata in molti problemi. Tra gli elementi bidimensionali più utilizzati si annovera senza alcun dubbio l’elemento triangolare per la sua flessibilità a ricoprire domini non regolari. Per ogni elemento occorre introdurre un particolare sistema di coordinate di riferimento; i più utilizzati sono due: le coordinate rettangolari cartesiane standard o le coordinate “naturali” (adimensionali). 12.7.1.1 Elemento triangolare in coordinate cartesiane Le proprietà geometriche di questo elemento sono caratterizzate da coordinate cartesiane rettangolari (xi) con la loro origine al centro del triangolo. Se il triangolo è identificato mediante le coordinate cartesiane globali (X i), con la loro origine fuori dal triangolo, si nota che sussistono le seguenti relazioni (si veda fig. 2.1):

x1+x2+x3=0 e y1+y2+y3=0 ; sussistono, inoltre le seguenti: x1 = X1 - (X1+X2+X3)/3 x2 = X2 - (X1+X2+X3)/3 . . . y3 = Y3 - (Y1+Y2+Y3)/3

2.6

284

Si consideri, come descritto nei paragrafi precedenti, una soluzione approssimata dell’equazione che deve esser risolta. La forma più semplice, nel caso bidimensionale, è l’espansione della variabile T (nel caso in oggetto è la temperatura del piede): T=a0 + a1x + a2y

2.7

si suppone, pertanto, che in ciascun elemento la temperatura vari in forma lineare rispetto la x e la y che vengono trasformate nelle X e nelle Y mediante le 2.6. Per valutare le tre costanti a0, a1, a2, dobbiamo imporre che la T generica assuma i valori T 1, T2 T3 ai vertici (nodi) dell’elemento triangolare. Dovrà sussistere il seguente sistema: T1 = a0 + a1x1 + a2y1 T2 = a0 + a1x2 + a2y2 T3 = a0 + a1x3 + a2y3

2.8

Risolvendo il sistema 2.8 nel quale a0, a1, a2 sono le incognite, si nota che l’espressione 2.7 s trasforma nella seguente: T = 1T1+2T2+3T3

2.9

La distribuzione (approssimata) di temperatura nell’elemento è, quindi, funzione della somma delle temperature nei tre nodi pesati mediante delle funzioni “forma” opportune :  N = a N + b Nx + c Ny

2.10

dove: a1 = (x2y3 - x3y2)/|D|

a2 = (x3y1 - x1y3)/|D|

a3 = (x1y2 - x2y1)/|D|

b1 = (y2 - y3)/|D|

b2 = (y3 - y1)/|D|

b3 = (y1 - y2)/|D|

c1 = (x3 - x2)/|D|

c2 = (x1 - x3)/|D|

c3 = (x2 - x1)/|D|

2.11

essendo |D| = due volte l’area del triangolo. Da notare che i numeri 1,2,3 sono stati assegnati in senso antiorario; se fossero stati assegnati in senso orario si sarebbe ottenuto : |D| = - due volte l’area del triangolo. 12.7.1.2 Elemento triangolare con coordinate “naturali” o di area Per un elemento rettangolare le direzioni cartesiane parallele ai lati di un rettangolo appaiono come una scelta “naturale”, per un triangolo, invece, non è molto conveniente. Un set di coordinate L1, L2 , L3 , che risulta più interessante per elementi triangolari è definito dalle seguenti relazioni lineari(si veda la fig. 2.2):

x = L1x1 + L2x2 + L3x3 y= L1y1 + L2y2 + L3y3 1 = L 1 + L2 + L3

2.12

285

A ciascun set L1, L2 , L3 (che non sono indipendenti, ma sono in relazione mediante la terza equazione), corrisponde un unico set di coordinate cartesiane; inoltre si noti che nel punto 1, L 1=1 e L2=L3=0 e così via. Una definizione alternativa per la coordinata L1 del punto P è la seguente: L1 =

areaP23 area123

2.13

Da qui il nome di coordinate d’area. Risolvendo il sistema 2.12 si ottiene:

L1 =

a1 + b1 x + c1 y 2

L2 =

a2 + b2 x + c2 y 2

L3 =

a3 + b3 x + c3 y 2

2.14

 = area123, mentre i valori degli altri parametri sono identici a quelli già trovati nel paragrafo precedente; pertanto : L1 = 1,

L2 = 2,

L3 = 3

2.15

12.7.1.3 Funzioni d’interpolazione globale Nei paragrafi precedenti sono state introdotte le funzioni d’interpolazione locale. Questo è lecito in quanto il sistema 2.4 in realtà, per le caratteristiche delle funzioni Wi , spezza il dominio intero in sottodomini che dal punto di vista della soluzione numerica sono più trattabili. Quindi ,individuato l’algoritmo locale, occorre che sia effettuato il passaggio all’algoritmo globale. Per far questo si consideri un dominio costituito da due soli elementi (fig. 2.3).

I sottodomini siano inoltre indicati con il simbolo e con il suo contorno e . Si può dimostrare (/4/) che sussiste la seguente relazione tra la temperatura in tutto il dominio e le temperature nei nodi i-esimi: T(x,y) = 3(1) T1 + (1(1)+2(2))T2 + (2(1)+1(2))T3 + 3(2) T4

2.16

la forma esplicita delle N è già stata fornita nei paragrafi precedenti ; in particolare occorre sottolineare che la forma delle N è uguale per tutti gli elementi e variano solo i valori numerici dei parametri che dipendono solo dalle dimensioni dell’elemento stesso. E’ proprio questo la grossa potenza del metodo agli elementi finiti.

286

12.7.1.4 Problemi dipendenti dal tempo In generale vi sono due approcci ai problemi dipendenti dal tempo. Il primo approccio considera la funzione interpolante come dipendente dal tempo come se fosse una ulteriore dimensione spaziale; uno svantaggiodi questo metodo è l’aumento del costo computazionale derivante dall’aumento della dimensionalitàdel problema. Il secondo approccio è il metodo chiamato “semidiscreto” in cui la derivata rispetto al tempo della variabile è sostituita da un operatore temporale (per esempio operatore alle differenze finite). Esplicitando: • T ( x , y ) = i T i 

2.17

12. 8 Algoritmo risolvente Si consideri l’equazione 1.5 compattata nelle seguente forma:

T = a 2 T + b(t ) + S 

2.18

Si applichi all’elemento generico triangolare e il metodo agli elementi finiti sommariamente descritto nei paragrafi precedenti. Come soluzione approssimata si scelga il seguente sviluppo: T = 1T1+2T2+3T3 = NTN

(in notazione indiciale o di Einstein)

2.19

quindi si sostituisca la soluzione approssimata nella 2.18. Si ottiene:

N

TN − a  TN   2N − b(N , TN ) − S = R 

2.20

Come già visto il valore del residuo R è in generale diverso da zero. Si ponga uguale a zero la media, “pesata” secondo le M ,in ogni elemento e :



 

N

e

TN  − a  TN   2 N − b(N , TN ) − S   M dxdy = 0  

M=1,2,3 (tre nodi per ogni elemento) 2.21

Integrando per parti il nabla al quadrato, non considerando le condizioni al contorno per gli elementi interni (come previsto dalla teoria) si ottiene:



 

e

N M

  M N M  TN  dxdy +  a  TN  N + dxdy −  b(N , TN )M dxdy −  SM dxdy = 0   y y   x x    e

e

M=1,2,3

indicando con:

287

e

2.22

T   ANM =  N M N dxdy    e   M N M  BNM =  a  TN  N + dxdy y y   x x e

CNM (TN ) =  b(N , TN )M dxdy e

FM =  SM dxdy

2.23

e

si ottiene: •

ANM T M + BNM TM − CNM (TM ) = FM

2.24

da notare che, poichè le  dipendono solo dalle cooerdinate locali x ed y, A NM e BNM assumono dei valori che dipendono unicamente dalle condizioni geometriche di ciascun elemento. Il termine C NM(TM) è un termine che comprende, oltre le caratteristiche geometriche di ciascun elemento anche alcune potenze dei valori nodali della temperatura; è proprio questo termine che rende non lineare tutto il modello. Costruendo la forma globale (/4/) dell’algoritmo finale, come già accennato nei paragrafi precedenti, otteniamo la seguente espressione: •

Aij Tj + Bij Tj − Cij (Tj ) = Fi

i=1,2,.........N* (nodi globali) j=1,2,3

(nodi locali)

2.25 E’ importante notare che nell’assemblaggio di tutti gli elementi, occorre moltiplicare ciascun coefficiente A, B, C ed F per lo spessore equivalente di ciascun elemento. •

Per la discretizzazione di

T j si presentano diverse possibilità:  Tj ( n+1) − Tj ( n )     (n ) ( n −1)  Tj − Tj • Tj =     T ( n+1) − T ( n−1) j  j   

2.26

la prima discretizzazione è chiamata “differenze in avanti”; la seconda “differenze all’indietro”; la terza “differenze centrali. Per il modello presentato in questo lavoro si adotta la discretizzazione alle “differenze in avanti:

288

Aij

Tj ( n+1) − Tj ( n ) 

+ Bij Tj − Cij (Tj ) = Fi

i=1,2,.........N* (nodi globali)

j=1,2,3

(nodi locali) 2.27

mentre per le T j del resto dell’equazione si adotta l’algoritmo di CRANK-NICHOLSON (/4/) che assicura stabilità incondizionata, cioè indipendente dal “time step” adottato:

 Tj ( n+1) + Tj ( n )  Tj =   2  

2.28

per cui l’algoritmo finale assume la seguente definitiva forma:

Aij

Tj ( n+1) − Tj ( n ) 

+ Bij

Tj ( n+1) + Tj ( n ) 2

− Cij (

Tj ( n+1) + Tj ( n ) 2

) = Fi ( n )

2.30

La non linearità è affrontata con il metodo iterativo di NEWTON-RAPHSON (/4/). Le condizioni al contorno sono introdotte imponendo i valori delle T i sul contorno.

13. Conclusioni Questo lavoro complesso ed articolato portò l’equipe a fornire elementi per un nuovo prototipo di scarpa alla Diadora, ma anche la messa a punto di due brevetti uno un Prototipo di piede medio standard che, connesso ad un software specifico, riproducesse il comportamento termico e l’evapotraspirazione di un piede “normale” su base statistica. Sia il prototipo che il software sono stati acquistati dalla ditta ERGOLINE di Trieste e testati dall’Università di Verona per studi sul comportamento termico delle scarpe sportive e convenzionali la figura successiva mostra due schermate del software 3D messo a punto dall’autore e dalla TINYCOM spa.

289

APPENDICE II

Un esempio avanzato di biomeccanica teorica

BREVE DISSERTAZIONE SU DI UN SISTEMA FISICO COMPLESSO.

Teoria biomeccanica generale della competizione degli sport duali di combattimento.

290

291

I Introduzione.

II Il sistema Atleta ed il sistema Coppia di Atleti: definizioni e caratterizzazione fisica. III La distanza relativa, parametro fondamentale della dinamica competitiva. IV I sistemi di riferimento e l’interazione: definizione e classificazione. V Studio generale delle classi di potenziali possibili. VI Potenziale ed interazione nel sistema del baricentro. VII Il moto nel sistema inerziale del laboratorio. A) Coppia di Atleti chiusa. B) Coppia di Atleti aperta. VIII Validazione sperimentale. IX Meccanismi fisici e traiettorie d’interazione per la Coppia di Atleti chiusa. Classificazione biomeccanica delle tecniche di lancio, angoli e traiettorie delle tecniche corpo a corpo X Analisi meccanica e probabilistica dell’interazione per la Coppia di Atleti aperta. Classificazione biomeccanica, angoli e traiettorie delle tecniche a media e lunga distanza XI Indicazioni probabilistiche sulla competizione. XII Analogie tra aspetto meccanico e termodinamico del sistema Coppia di Atleti. XIII Conclusioni. XIV Bibliografia.

292

293

I Introduzione. L’analisi della dinamica del combattimento per gli sport di situazione “cosiddetti duali” , sotto forma di teoria matematica, quindi applicabile ad ogni sport di combattimento è l’argomento che interesserà questo lavoro. Sebbene ogni competizione sia differente da un’altra e le regole di competizione degli sport di combattimento siano differenti le une dalle altre, per cui non è concepibile pensare di risolvere il problema in modo univoco e deterministico, pur tuttavia una opportuna fusione del metodo classico-deterministico e del moderno metodo della Fisica di affrontare il problema dei cosiddetti sistemi fisici complessi (teorie del Caos) ci permetterà di ottenere le leggi meccaniche generali che regolano il moto e/o l’interazione nel corso della competizione di questi sport. Dopo la definizione fisica dei sistemi: Atleta e Coppia di Atleti e dopo l’individuazione del parametro fondamentale per lo studio dell’interazione, si valuteranno le possibili classi di potenziali che descrivono l’interazione, per definire in generale la loro forma funzionale più adatta. Infine si individueranno, con il metodo statistico, le equazioni del moto identificandone la “classe”. La validazione sperimentale di codesta appartenenza, con i suoi notevoli riflessi filosofico-conoscitivi, sarà ricavata dallo studio delle traiettorie del moto (dromogrammi ) del sistema Coppia di Atleti ottenute in competizione reale. I meccanismi dell’interazione reciproca saranno definiti con il metodo deterministico, in una prima fase, nelle condizioni “statiche”, individuando in tal modo le equazioni e le traiettorie che descrivono il fenomeno dei “lanci” e gli angoli ed i piani che descrivono il fenomeno dei “colpi”, la cui estensione alla fase dinamica è garantita nella nostra approssimazione dal principio di Relatività Galileana. Sarà poi sviluppata una trattazione analitica della fase d’interazione per la Coppia aperta, basata sulla teoria degli urti anelastici con presenza d’attrito e si offrirà uno scorcio al primo approccio probabilistico sulla materia, rimandando gli approfondimenti specifici ad altri lavori. Una interessante linea foriera di ulteriori fruttuosi ed interessanti sviluppi è stato lo studio delle analogie fra meccanica e termodinamica del sistema. Una simile trattazione, pur con i suoi limiti logico-formali ha permesso di ottenere una serie copiosa d’informazioni, che spazia dalla verifica formale di alcune chiare evidenze meccaniche , fino alla meno evidente categorizzazione energetica di alcuni processi propri dell’interazione durante la competizione. L’approfondimento del problema permetterà, inoltre, di ottenere indicazioni utili sull’energetica del fenomeno. Inoltre mediante l’analisi dell’analogo processo stocastico si è individuata sia la traiettoria di spostamento più probabile che la Coppia di Atleti può percorrere durante l’incontro, sia lo spostamento del baricentro della coppia nel tempo dell’incontro. Si rammenta inoltre che il tutto descritto in funzione di parametri di tipo energetico, cioè il più possibilmente misurabili sia direttamente che indirettamente, fornirà indicazioni utilizzabili anche per allenatori e ricercatori della materia estensibili a tutti gli sport duali di combattimento. Si vuole inoltre qui sottolineare che si è in presenza di una teoria originale, ma in termini didattici appare opportuno rammentare che il metodo di analisi utilizzato è di per se stesso l’unione di metodi ben noti alla fisica sia moderna che addirittura classica. E’ pertanto l’utilizzo di un metodo “misto” ( ovvero un insieme di teoria classica e teoria moderna), che applicato in modo congiunto cioè non”ortodosso” ha prodotto una teoria originale. Forse di qualche interesse pedagogico potrà apparire la storia evolutiva della messa a puntodi questa teoria che è durata ben 14 anni! Il primo approccio classificatorio è stato applicato al Judo ed al sistema “Coppia di Atleti chiusa” statico ( meccanica classica) individuazione dei principi fisici di base delle tecniche di lancio, individuazione degli angoli di applicazione delle forze, delle traiettorie e delle simmetrie ad esse associate,. In un secondo tempo si è esteso lo studio al moto del sistema ( teorie statistico-caotiche ), trovandone la validazione sperimentale in lavori di altri ricercatori che avevano sviluppato i loro studi per individuare principi per la strategia della competizione. In una fase successiva si è generalizzata la teoria a tutti i sistemi di lotte corpo a corpo. Infine lo studio ha abbracciato il sistema “coppia di atleti aperta” sia in interazione statica che dinamica ed in ultimo si è potuta estendere tutta la teoria a tutti gli sport duali di combattimento, sviluppando in un sistema coerente il formalismo fisico-matematico che chiarisce il comportamento di un tale sistema complesso. L’ultimo sforzo ha cercato di puntualizzare le analogie tra trattazione meccanica e termodinamica del sistema, illuminando alcune caratteristiche che altrimenti sarebbero passate inosservate ed evidenziando alcune vie di approfondimento ulteriore che possono percorrersi con raggionevole probabilità di successo nella sempre maggior conoscenza dei sistemi complessi.

294

II Il sistema Atleta ed il sistema Coppia di Atleti: definizioni e caratterizzazione fisica. La caratterizzazione fisica dell’ambiente di competizione ci porta facilmente ad individuare le forze agenti sugli Atleti: 1) la forza di gravità; 2) la forza d’impatto e/o di spinta prodotta dall’avversario; 3) le reazioni vincolari prodotte dalla materassina e trasmesse mediante l’attrito. Se si definisce il subsistema Atleta in termini operativi di “atleta biomeccanico” cioè un solido a geometria variabile ed a simmetria cilindrica, che può assumere differenti assetti e che mediante gli snodi articolari è capace di compiere solo determinate rotazioni, possiamo poi, passare alla definizione del sistema globale d’interesse della nostra analisi della competizione, cioè il sistema Coppia di Atleti, che definiremo come: un sistema snodato a simmetria cilindrica, formato dall’unione semirigida di due atleti biomeccanici. Un tale sistema potrà avere solo due di quelli che definiremo come “ stati energetici” a cui sono legati un numero diverso di gradi di libertà . A) Coppia di Atleti chiusa: i due atleti biomeccanici hanno dei punti di contatto fissi e semirigidi “ le prese”, in tal modo i due atleti perdono la loro individualità e si fondono in un sistema unico in equilibrio stabile , che si sposta per il terzo principio della dinamica, mentre le forze di reazione esistenti saranno, in questo caso, la risultante delle forze di spinta-trazione prodotte da ambedue gli atleti. B) Coppia di Atleti aperta: i due atleti biomeccanici non hanno dei punti di contatto fissi e per conservare la loro condizione di equilibrio instabile saranno al meglio approssimati da un pendolo rovesciato (8) ( Pedotti 1980 ), mentre grazie all’esistenza dell’attrito si potranno spostare per il terzo principio della dinamica. Caratterizzato il sistema Coppia di Atleti con i suoi due stati ed i suoi componenti cioè gli Atleti, lo studio della dinamica del combattimento si tradurrà in termini biomeccanici, nello studio di due condizioni: il moto del sistema e l’interazione mutua delle sue componenti : che per il principio della sovrapposizione degli effetti potranno esser studiate separatamente per giungere ad una soluzione formale più semplice e comprensibile. L’analisi della meccanica della competizione : “ situazioni” non ripetibili, che si verificano in maniera “casuale “ con una certa probabilità di frequenza su di un gran numero di combattimenti, non può esser affrontata con gli strumenti deterministici della meccanica newtoniana. Appare pertanto più proficua l’analisi con le metodiche proprie della meccanica statistica, che sono in grado di fornire indicazioni utili su grandezze, che possono essere valutate sperimentalmente. III La distanza relativa, parametro fondamentale della dinamica competitiva. L’analisi biomeccanica del sistema “ Coppia di Atleti aperta “ permette di definire immediatamente il parametro di riferimento fondamentale che individua e fa classificare utilmente la posizione relativa dei corpi. Esso è la distanza relativa tra i due Atleti, la strategia d’attacco e l’esecuzione di un determinato atto motorio (lo speciale ) dipendono direttamente da questo parametro. Per comodità si individueranno tre distanze diverse, che impongono un trattamento biomeccanico differenziato. Fig.1

Figura 1 Rappresentazione schematica della coppia di atleti e della distanza relativa

1) Distanza lunga .

295

( Sport rappresentativo Karate). E’ la distanza da cui l’Atleta, se disarmato, potrà effettuare con successo un attacco di calcio. Essa può considerarsi, di fatto, la distanza di combattimento da utilizzarsi negli incontri di Karate. 2) Distanza media ( Sport rappresentativo Pugilato ). E’ la distanza da cui, statisticamente, è possibile portare con successo un attacco di pugno. In pratica questo tipo di distanza tra gli Atleti è rappresentativa di sport quali il pugilato. 3) Distanza minima (Sport rappresentativo Lotte corpo a corpo ). E’ quella distanza relativa a cui è possibile fissare un contatto semirigido fra gli Atleti ( le prese ) che di fatto cambiano la condizione fisica degli Atleti da equilibrio instabile a equilibrio stabile. Le prese svolgono il ruolo fondamentale di trasmissione dell’energia all’avversario, sia nel contrasto dell’azione nemica, che nell’agevolazione della propria. IV

I sistemi di riferimento e l’interazione: definizione e classificazione.

Definito il sistema ed individuate le condizioni al contorno che regolano la sua dinamica, il passo successivo alla specificazione del parametro di base che permette di descrivere l’interazione reciproca ( combattimento ) dei due Atleti, o il loro moto comune, è quello di individuare i “ Sistemi di riferimento” rispetto a cui descrivere matematicamente la dinamica competitiva e l’interazione . Ovviamente il primo di essi sarà la terna di assi cartesiani solidale alle mura della palestra, che con buona approssimazione, potremo definire sistema inerziale o del laboratorio. Il secondo sistema di riferimento, valido per lo studio semplificato dell’interazione reciproca e del moto, sarà quello individuato da una terna di assi cartesiani posta nel baricentro mobile del sistema Coppia di Atleti, sia essa chiusa o aperta; che chiameremo sistema del baricentro. Pertanto si può affermare che in ogni sport di combattimento duale, l’ interazione può esser vista, in funzione della distanza fra gli Atleti, come un continuo accorciarsi ed allungarsi nel tempo di tale parametro, più la somma di alcuni meccanismi fisici tesi ad ottenere una vittoria (simbolica ) secondo le regole dello specifico sport. Questi meccanismi per gli sport di combattimento possono classificarsi essenzialmente in due categorie. A) Coppia di Atleti chiusa Meccanismi di vittoria tesi a proiettare a terra l’avversario con due specifici meccanismi fisici: (10, 11, 12) 1) APPLICAZIONE DI UNA COPPIA DI FORZE; 2) APPLICAZIONE DI UNA LEVA FISICA : Per cui l’interazione avviene mediante la ricerca di un punto di contatto, che nel caso del secondo meccanismo prevede anche l’uso necessario dello squilibrio. (Lotta S.L. , Lotta G.R., Judo, Lotta Canaria, Lotta Leonessa, Sumo, Sambo, ecc.). B) Coppia di Atleti aperta. Meccanismi di vittoria ( 17, 18,19 ) basati sulla APPLICAZIONE DELLA MECCANICA DEGLI URTI con colpi diretti portati a parti sensibili o convenzionali. Per cui l’interazione avviene avvicinandosi fino a che si giunge alla distanza utile per effettuare il colpo permesso. (Pugilato, Karate, Scherma, Tae Kwon do, Kung fu, Savate, Kendo, Tennis, ecc.) V Studio generale delle classi di potenziali possibili. L’interazione di un qualsivoglia sport di combattimento si basa su due fasi distinte, una comune (accorciamento della distanza reciproca ) ed una specifica (applicazione del modo permesso per ottenere il vantaggio: colpo,

296

mezzo per proiettare...). La parte comune può assimilarsi ad un noto caso della fisica classica : il problema a due corpi in presenza di un campo centrale. Dalla fisica ricordiamo che: a) invece di studiare il moto reciproco dei due atleti, è stato dimostrato che il moto della coppia è equivalente al moto di un atleta fittizio , nel baricentro del sistema, dotato di massa “ridotta” uguale a

m1 m2 m1 + m2

.

b) Il moto nel sistema del baricentro può tradursi in una traiettoria bidimensionale che, sul piano della materassina, può esser descritta dalle coordinate r e . c) Piuttosto che risolvere gli integrali del moto attraverso le equazioni differenziali sarà preferibile utilizzare per questo scopo la lagrangiana del sistema; cioè le funzioni: energia cinetica e potenziale. Per poter individuare la classe generale di potenziali che descriveranno la fase comune dell’interazione è conveniente studiare il caso più semplice del moto con momento angolare costante. In questo caso la traiettoria bidimensionale potrà esser trattata come unidimensionale perché

 =

l mr 2

e dunque la forza d’interazione F(r) dipenderà sola dalla distanza tra l’atleta fittizio ed il baricentro del sistema Coppia di Atleti, cioè da un potenziale fittizio del tipo

V’ = V(r) +

V(r) = - K

l mr 2

dove in questo caso V(r) prenderà la forma generica

r −a

con a che può prendere valori interi 0,1,2,3,... Il potenziale fittizio V’(r) apparterrà ad una delle seguenti classi Fig.2. Questa esemplificazione evidenzia che solo forme potenziali attrattivo-repulsive del tipo

V '( r1 ) saranno valide

per descrivere per la competizione la parte comune dell’interazione. Fig.3

Figura 2 Classi di potenziali generici

297

Figura 3 Potenziali somma

VI Potenziale ed interazione nel sistema del baricentro Il potenziale generale che descriverà l’interazione, dovrà dunque avere forma esponenziale generale:

r − a + r −2 a

V’ = Dalle riflessioni precedenti si può affermare che la parte comune dell’interazione può esser descritta dalla famiglia di curve espressa da un potenziale generalizzato di Morse.

e −2 a ( r− r ) − 2e − a ( r− r )

0 0 V= D( ) di cui la forma V’ è un caso particolare di sviluppo in serie. L’individuazione della forma generale del potenziale d’interazione, permette di ottenere una serie di relazioni utili. 1) r0 rappresenta la distanza di equilibrio (cioè la distanza delle prese nel caso del corpo a corpo). 2) D rappresenta l’energia potenziale meccanica nel punto d’equilibrio, che risulta eguale all’energia meccanica

media spesa nell’attacco, espressa come 3) La costante

O2 .

a può esser calcolata sviluppando in serie il potenziale nel punto di minimo, si ottiene così che

essa è legata al termine armonico secondo la relazione

Da 2 (r − r0 ) 2 = Ec

da cui si ricava

a=

1 Ec L D

con

L = (r − r0 )

La conoscenza del potenziale permette di risalire alla espressione algebrica della forza, per cui:

F = mr = 2aD(e − ar − e −2 ar ) L’aver individuato la parte comune dell’interazione come un problema a due corpi in un campo centrale, ci permette di utilizzare un importante risultato della fisica classica ( il teorema del Viriale di Clausius ) sulle medie temporali di alcune grandezze. Sia per il moto che per l’interazione, esso ci garantisce che se la F risulta dalla somma di forze d’attrito e non, l’energia cinetica media nel tempo, del sistema Coppia di Atleti è indipendente dalle forze d’attrito per cui, sotto alcune condizioni semplificatrici si può scrivere l’interessante relazione:

298

T = −1 / 2

V  r  O2 − V =  1 O 2 − V r e

che ci indica che l’efficienza globale del combattimento è sempre minore di quella dell’attacco. La conservazione dell’energia meccanica media nel tempo, in base al teorema del Viriale, permette di ottenere l’espressione della velocità di spostamento (3,4).

2 1O2 r 2 2 − ar −2 ar  r = − D e − 2 e ( ) m   d  Il limite per r→ 0 di questa espressione ci permette di calcolare la velocità dell’attacco, al momento dell’impatto ( r=0) , che può esser espressa (3,5) , in funzione del consumo d’ossigeno dell’attacco come:

lim r = r→0 VII

2D = m

2O2 m

Il moto nel sistema inerziale del laboratorio.

L’analisi della meccanica della competizione, come fenomeno formato da “situazioni” praticamente non ripetibili, che si verificano in maniera “casuale” con una certa probabilità di frequenza su un gran numero di combattimenti; non può essere affrontato con gli strumenti deterministici della meccanica newtoniana. Appare pertanto opportuno analizzarlo con le metodiche proprie della meccanica statistica, che sono in condizioni di fornire una serie d’indicazioni utili su grandezze che possono essere valutate sperimentalmente. Lo sviluppo successivo si fonda sull’ estensione formale della teoria statistica all’analisi del sistema “unico” , chiuso, in cui non si vuole in una prima fase analizzare l’interno. Pertanto la massa, la velocità, l’energia e le altre grandezze devono sempre intendersi come proprietà dell’intera coppia e non del singolo atleta. Considerando la “Coppia di Atleti “ che si sposta sul tappeto, è lecito affermare che essa compie spostamenti “casuali” prodotti dall’aumento o dalla diminuzione di velocità di scivolamento della coppia , o dal cambio di direzione prodotto dalla risultante delle forze generate dai due atleti, al fine di creare una opportuna “situazione” già interiorizzata da uno dei due, perché studiata precedentemente in allenamento, per applicare opportunamente la tecnica “risolutiva” contro l’altro. Ove il termine “casuale” sottintende la condizione che su di un gran numero di combattimenti ( al limite infiniti ) non deve esistere una direzione privilegiata di spostamento. A) Coppia di Atleti chiusa. Il sistema Coppia di Atleti chiusa, compie come già accennato, spostamenti “casuali” prodotti dalla variazione di velocità di coppia, o dal cambio di direzione della risultante delle forze generate dai due atleti al fine di creare una “situazione” opportuna, che permetta di applicare la tecnica risolutiva. Ove “casuale” definisce la condizione che statisticamente non esiste una direzione privilegiata degli spostamenti. Questo moto è possibile, grazie all’attrito presente al “contatto” tra piedi e materassina, in base al III Principio della Dinamica.

mv = F .

L’equazione generale che descrive questa situazione dinamica è la seconda legge di Newton Nella forza generalizzata F compariranno sia i contributi “attrito” che quelli “spinta trazione”. La componente attrito è proporzionale alla velocità

Fa = − v . I cambi di velocità e direzione determinati da

opportune spinte/trazioni sono prodotti dalla risultante delle forze sviluppate dai due atleti. Essi rappresentano, rispetto all’intera durata dell’incontro, impulsi agenti su brevissimi intervalli di tempo. Pertanto la singola variazione può esser espressa dalla  di Dirac dell’impulso u della forza elementare. Dove u rappresenta in effetti la variazione del momento meccanico v m.

299

 ( t ) = u j  ( t − t j ) La risultante è data dalla somma algebrica delle spinte/trazioni in cui dovranno considerarsi anche i cambi casuali di direzione ( descritti dalla variazione di segno ( 1) La forza totale è :

j della forza elementare).

 (t ) = u j  (t − t j )( 1) j = F’. F = Fa + F ' e l’equazione generale del moto che ha la forma

Pertanto la forza generalizzata è dell’equazione di Langevin sarà:

v = −

 m

v+

u  ( 1) j (t − t j ) = Fa + F ' m j

Essendo la risultante delle spinte/trazioni di tipo “casuale” non è possibile predire la traiettoria in un singolo incontro, ma l’analisi statistica estesa ad un numero significativo di competizione, permetterà di trarre informazioni sul comportamento del sistema. 1) Poiché i cambi di direzione sono equiprobabili, cioè su di un gran numero di combattimenti, non esiste una direzione privilegiata allora il valor medio di F’ su una sequenza casuale di direzioni è nullo

F' = 0

2) Se si considera il prodotto di due spinte/trazioni e si media sul tempo e sulle direzioni, la funzione prodotto fornirà informazioni sulla variazione della forza nel tempo (4)

u2 u2 F '(t ) F '(t ') = 2 ( 1) j ( 1) j  (t − t j ) (t '−t j ) = 2  (t − t ') = C (t − t ' ) m m t0 La verifica di queste condizioni ci permette di affermare che il moto degli atleti, può esser descritto in termini di meccanica statistica, come un moto Browniano su una superficie infinita. L’equazione del moto può esser risolta ( con il metodo della variazione della costante). t

v (t ) =  e



− ( t − t ') m

F ' ( t ' ) dt '+ v ( 0) e



− t m

0

Da cui ne deriva immediatamente che la velocità v del sistema è direttamente proporzionale all’impulso u delle spinte/trazioni ed inversamente alla massa totale m , per cui atleti più pesanti si muovono statisticamente a velocità più bassa.

v (t ) 

u . m

In questi casi è valido trarre solo predizioni sui valori medi delle quantità, ad esempio la funzione di correlazione

v (t )v (t ' )

fornirà il tempo di ritardo che deve passare affinché la velocità vari

apprezzabilmente La soluzione è

v (t )v (t ' ) t t'

= C  e 0 0





− ( t − ) − ( t '' −  ') m m

 − ( t + t ')  m  − m ( t − t ')  ( −  ' ) dd ' = C  e −e m  2  

per t>t’.

300

Se consideriamo lo stato stazionario (t+t’)>>(t-t’) si ha come risultato finale  − ( t − t ') m m Ce v (t )v (t ' ) = 2 m ed il tempo di ritardo è t * = direttamente proporzionale alla massa degli Atleti



Ipotizzando nulla la velocità iniziale, cioè per t=0 v(0)=0 si può calcolare il valor medio dell’energia cinetica di più competizioni: t −  ( t − ') m 2 m t − m ( t − ) v =  e F ' ( ) d  e m F ' ( ' ) d '  = 2 2 0 0

2  2 − t + ( − ') − t mt t m2  m m = C ( −  ' ) e dd ' = C1 − e m    2 00 4  

per t→  il termine esponenziale converge rapidamente a zero e quindi può scriversi la relazione per lo stato “stazionario”

m 2 m2 v = C 2 4

La costante C può esser calcolata con il metodo di Einstein per il moto browniano classico, leggermente modificato. Pertanto se si considera che il biosistema Atleta nello svolgere lavoro ha un rendimento piuttosto basso, in formule

scrivere

L =   1  0.2, allora (12) si può O2 4 m 2 m2 v = C = O2 ovvero C = 2 O2 . m 2 4

Ricordando che la costante C compare anche nella funzione di correlazione delle forze di spinta/trazione, ne deriva che la variazione della forza dipende dall’attrito  .Pertanto la grandezza della variazione della forza risultante dipende dalla grandezza dell’attrito  dal quadrato della massa degli atleti e dal consumo di ossigeno totale. Da questi dati si può ricavare che il quadrato della quantità di moto è direttamente proporzionale all’attrito ed al

u 2 = 4 t 0O2 , mentre la funzione di correlazione delle velocità, ci indica che  − ( t − t ') 2 m O2 e la variazione di velocità mediata nel tempo acquista il valore v ( t ) v ( t ' ) = dal che m consumo totale di ossigeno

si ricava che la fluttuazione delle velocità è inversamente proporzionale alla massa m e direttamente proporzionale al volume d’ossigeno consumato, ma cosa molto importante è indipendente dall’attrito. Per cui si può dire che l’attrito ha riflessi sulle forze e quindi sulle energie in gioco, ma non sulle velocità. Possiamo inoltre vedere l’andamento della funzione di correlazione dei momenti per cui si avrà:

301

u(t )u(t ')  = 2mO2 e



− ( t −t ') m

Questa relazione ci fornisce un’importante informazione, la fluttuazione dei momenti (e quindi anche delle velocità) ha una memoria nel tempo che è dell’ordine del tempo di ritardo t*, che rappresenta l’intervallo di tempo dopo cui il sistema coppia ha un momento o una velocità apprezzabilmente diversa dalla precedente. Come ben si osserva, questo tempo aumenta con la massa degli atleti, per cui i massimi, ad esempio, avranno una difficoltà maggiore a variare apprezzabilmente la loro velocità; ma esso dipende inversamente anche dal coefficiente d’attrito, per cui ad attrito nullo, il tempo di ritardo risulta infinito; ovvero gli atleti non possono cambiare il loro stato di moto! Prova rimarchevole della importanza, ma anche della necessità dell’attrito in competizione. Bisogna però ricordare che la funzione di correlazione determina u(t) solo in “media”, per cui curve u(t) che sembrano profondamente diverse in dettaglio possono avere la medesima correlazione tra i momenti a tempi diversi. La Fig. 4 mostra due casi limite due atleti “leggeri” che effettuano poche “interazioni” fra di loro ma di grande potenza nel corso della competizione con tempi di ritardo dell’ordine di



m





m



.

Due atleti pesanti che effettuano un insieme quasi continuo di spinte trazioni con tempi di ritardo dell’ordine



m



Dove





m



m



.

. è il così detto tempo di collisione ( cioè la distanza media fra due successive interazioni

statisticamente indipendenti ) che differisce dalla durata di una singola interazione t

Figura 4 Curve tipiche di u(t). La curva superiore “atleti leggeri” sottoposti a forti spinte-trazioni; la curva inferiore “atleti pesanti” sottoposti ad un insieme quasi continuo di spinte-trazioni

Sperimentalmente risulta più semplice determinare la posizione di una coppia di atleti piuttosto che il suo momento. Integrando la funzione di correlazione dei momenti sul tempo da 0 a t ed usando la relazione classica di definizione si ottiene dopo alcuni calcoli un risultato importante concernente l’evoluzione statistica della posizione del baricentro della Coppia chiusa nel tempo, nel limite di intervalli di tempo molto piccoli o molto grandi rispetto al tempo di ritardo, ovvero :

u = mx

x(t ) − x(0)2

m  2  t → 0  t   = (2O2 )    2t → t  m   

Come si può osservare la dipendenza del valor medio nel tempo, del quadrato dello spostamento del baricentro nel tempo, dipende sempre dall’energia ma in un caso va come il quadrato del tempo mentre nell’altro essa varia linearmente nel tempo, pur se in questo caso entra in gioco il coefficiente d’attrito (Figura 5).

302

Figura 5 Andamento del quadrato dello spostamento del della coppia nel tempo

baricentro

B) Coppia di Atleti aperta Si è dimostrato che il sistema “legato” cioè la Coppia di Atleti chiusa, su di una superficie infinita, si muove di moto browniano e da esso abbiamo ricavato una gran mole d’informazioni interessanti. Sulla superficie di combattimento è ragionevole ritenere, per la sovrapposizione degli effetti, che il moto sia formato da riflessioni ai bordi (esprimibili come un campo centrale) più il moto browniano individuato. Ovvero, il moto somma appartiene alla classe dei così detti moti browniani generalizzati. Nel caso della Coppia Aperta, il sistema è dato dalla somma di due sottoinsiemi separati (gli atleti ) che sono in equilibrio instabile. Se si modella l’atleta biomeccanico introducendo il modello classico del pendolo invertito, le cui oscillazioni rappresentano il metodo utilizzato dall’atleta per contrastare la forza gravitazionale. Allora con tale artificio i due atleti biomeccanici potranno considerarsi, con buona approssimazione, in equilibrio stabile; così all’intero sistema Coppia di Atleti aperta potrà estendersi la metodologia prima applicata alla Coppia di Atleti chiusa ( però con una distanza reciproca maggiore e con le oscillazioni che permettono di annullare la forza di gravità ). Anche in quest’altro stato, l’intero sistema si muove di moto browniano generalizzato nel sistema inerziale del laboratorio. Le equazioni del moto di un singolo atleta nel sistema inerziale , con modellazione a pendolo invertito, sono state ricavate da parecchi autori (Pedotti 1980, Mc Ghee 1980, Mc Mahon 1981 ). Per semplicità, riferendo lo studio alle traiettorie bidimensionali sulla materassina e non al moto tridimensionale nello spazio ed essendo la traiettoria di spostamento browniana, varrà (3,4,5) la relazione :

r = dt 

d 1 =  2r2 t

ovvero

=

d 4 2 r 2

il significato fisico di questa frequenza si intuisce se si passa al limite per r→  e per r→ 0, in tal modo dal risultato dei limiti si deduce che essa è la frequenza di contatto (o frequenza d’attacco), ovvero in funzione di parametri più valutabili:

=

2O2 vi = 2 2 r m 2 2 r 1

La modellazione di un sistema isomorfo ( due sfere elastiche) fu effettuata da Krylov (2) ed estesa da Sinai ( 2) al sistema di due dischi collidenti in un biliardo, tali sistemi fu dimostrato che erano ad evoluzione caotica, in successivi studi Sinai ha esteso il concetto di stocasticità (caoticità) anche al caso in cui i due dischi potevano muoversi liberamente. In tali analisi viene individuato anche il parametro di mixing K=/r > 1 che per analogia in questo lavoro acquista il seguente significato. = cammino libero medio tra due interazioni. r = distanza tra gli Atleti. Per cui il moto del sitema diventa caotico o stocastico se viene soddisfatta questa relazione. Stabilito che il Sistema “Coppia di Atleti” sia nella condizione “chiusa”, sia nella condizione “aperta” si muove di moto Browniano è possibile mediante l’utilizzo della meccanica statistica individuare, se non la traiettoria effettiva di spostamento, almeno quella più probabile .

303

Infatti se in generale f(q,t)dq è la probabilità di ritrovare la Coppia di Atleti, o più correttamente il suo baricentro generale, nella posizione q dell’intervallo dq al tempo t ; allora evitando di introdurre la distribuzione di probabilità delle spinte/trazioni durante il tempo dell’incontro ed altri tediosi calcoli, diamo per scontato che è possibile dimostrare (4,6) che la probabilità soddisfa l’equazione di Fokker-Planck, la quale, com’è noto, descrive la variazione della distribuzione continua di probabilità di presenza durante il tempo dell’incontro. Ovvero in formule:

df d 1 d2 = − ( Kf ) + Q 2 f dt dq 2 dq dove K= -µq è il così detto coefficiente di spinta/trazione e Q è il così detto coefficiente di diffusione. Ora ricordando la famosa relazione di Einstein, esso può esser messo in relazione con l’evoluzione statistica della posizione del baricentro della Coppia nel tempo, nel limite di intervalli di tempo molto piccoli o molto grandi rispetto al tempo di ritardo, ovvero con la media temporale del quadrato dello spostamento e quindi con l’energia che per tempi molto grandi rispetto al tempo di ritardo, risulta uguale : Mentre in analogia per tempi molto piccoli si potrà scrivere:

 x 2  q 2 = 2Qt = 2O2 t 2 Così il coefficiente di diffusione per tempi grandi è direttamente proporzionale al doppio dell’energia spesa ed inversamente proporzionale al coefficiente di attrito. Mentre per tempi piccoli è direttamente proporzionale al doppio dell’energia per il tempo. La funzione f fornisce, nel tempo, la traiettoria di spostamento più probabile, che viene individuata dall’insieme dei punti di massima probabilità della funzione stessa nel tempo. Fig. 6.

Figura 6 Traiettorie di spostamento più probabili della coppia di atleti

VIII Validazione sperimentale. Le risultanze dello studio delle traiettorie di spostamento del sistema Coppia di Atleti durante il combattimento, fin qui effettuato con le tecniche della meccanica statistica in quanto si analizza una classe particolare di eventi, formati da situazioni non ripetibili, che si verificano in maniera “casuale” con una certa probabilità di frequenza su un gran numero di eventi, potrebbero apparire un mero esercizio teorico, se non fossero corroborate da una verifica sperimentale ottenuta per di più da dati ricavati sperimentalmente per altri fini. Se ricordiamo che il nocciolo della dimostrazione, che il moto è Browniano si basa sul fatto che valgano le relazioni 1 e 2, allora si comprenderà che dimostrare che su base statistica nel tempo non vi sia una direzione privilegiata di moto del sistema “Coppia di Atleti” ma che tutte le direzioni siano equiprobabili significherà dimostrare l’assunto. Nelle figure si mostrano i dromogrammi ( tracce delle traiettorie di spostamento del sistema “Coppia di Atleti “ ) rilevati da studi della competizione di judo ( a fini strategici ) effettuati in Giappone ( 1971 ) (1); già il dromogramma somma di soli 12! incontri (quantità statisticamente irrilevante ) mostra chiaramente che non vi è una direzione privilegiata nel moto, pertanto essendo il valor medio nel tempo delle forze di spinta trazione nullo se ne deduce che il moto appartiene alla classe dei moti Browniani. c.d.d..

304

Il medesimo risultato si è ottenuto anche con i dromogrammi relativi ad incontri di lotta libera. (9) Fig. 7,8. La considerazione del sistema Coppia aperta porta alle medesime conclusioni concettuali, in tal caso però il moto sarà appartenente alla classe dei moti browniani generalizzati.

Figura 7 Dromogrammi somma di 10 combattimenti di lotta

Figura 8 Dromogrammi somma di 7 e 12 combattimenti di judo

IX Meccanismi fisici e traiettorie d’interazione per la Coppia di Atleti chiusa Classificazione biomeccanica delle tecniche di lancio, angoli, traiettorie e simmetrie delle tecniche corpo a corpo. Il problema della seconda fase, cioè della parte dell’interazione specifica per ogni sport di combattimento è stato risolto precedentemente dall’autore (1985-87 ) ed ha portato all’ individuazione dei corollari sull’utilizzo delle forze nello spazio, in condizioni statiche, all’individuazione delle traiettorie di volo e delle relative simmetrie, in condizioni dinamiche, e all’identificazione dei meccanismi fisici di base delle proiezioni. La metodica operativa per analizzare e risolvere problemi modellistico-concettuali di ardua soluzione analitica si basa sull’utilizzo di due strumenti logici noti. L’analisi differenziale e la sintesi strutturale (10). Per il principio di relatività galileana, è possibile estendere la validità dei risultati ottenuti per il sistema “Coppia di Atleti” in condizioni statiche (fermo) anche alla fase di competizione dinamica (velocità di spostamento essenzialmente costante nel tempo ) (12). Il corretto modo di procedere alla caratterizzazione dei Principi Generali, passa attraverso la definizione dei corollari sulla direzione delle forze ( Analisi Statica ) e poi attraverso l’identificazione delle traiettorie lungo cui si muove il corpo di chi viene proiettato ( Analisi Dinamica) e le conseguenti simmetrie del sistema “Coppia di Atleti”.

Analisi Statica ( Principio di Scomposizione delle Forze ) I seguenti corollari definiscono l’intero problema direzionale dell’utilizzo statico delle forze utilizzate per poter effettuare un lancio. L’intero problema direzionale in tre dimensioni sull’uso statico delle forze può essere scomposto per semplificarlo in due problemi bidimensionali, uno nel piano verticale ed uno nel piano orizzontale, che soddisferanno i seguenti corollari. I° Corollario ( degli Squilibri ). Le forze sono efficaci e possono essere applicate nel piano orizzontale sull’intero angolo giro (360°). II° Corollario ( del Sollevamento Verticale). Le forze sono efficaci e possono essere applicate nel piano verticale su di un angolo di 45° gradi verso l’alto. III° Corollario ( delle Proiezioni, Schiacciamenti, Portate a terra). Le forze sono efficaci e possono essere applicate nel piano verticale su di un angolo di 45° gradi verso il basso.

305

E’ interessante notare che questi corollari mantengono la loro validità generale per tutte le lotte corpo a corpo senza casacca es: ( Sumo, Koresh, lotta Stile libero, lotta Greco-Romana, ecc.). Se si considerano invece le lotte con casacca es: ( Judo, Sambo, Lotta Stile canario, ecc.) Allora il grado di libertà direzionale in più introdotto da questo indumento, fa si che i due corollari II° e III°si fondino in un solo corollario che può enunciarsi: II° Corollario ( dei Lanci ). Le forze sono efficaci e possono essere applicate nel piano verticale su di un angolo di 90° gradi (45° gradi verso l’alto e 45° gradi verso il basso). I corollari ci assicurano che l’angolazione utile per proiettare l’avversario al suolo è data dall’angolo piatto con giacitura sul piano verticale, mentre l’angolazione più energeticamente conveniente risulta essere quella del corollario delle lotte con casacca. Angolo retto con vertice sul piano verticale e lati indirizzati a 45° gradi verso l’alto e 45° gradi verso il basso. Analisi Dinamica ( Principio di Composizione delle Forze ) Se le forze efficaci nello spazio obbediscono contemporaneamente ai tre corollari statici ( due per le lotte con casacca ), la soluz ione del problema dinamico semplificato, cioè considerando la variazione di direzione della risultante delle forze propulsive nell’intervallo di tempo, passa attraversol’individuazione e lo studio delle traiettorie percorse dal corpo dell’atleta lanciato e delle proprietà di simmetria relative al sistema Coppia di Atleti. Esse possono esser raggruppate in tre semplici tracce. Traiettoria circolare. Traiettoria elicoidale. Traiettoria rettilinea. Queste traiettorie sono le geodetiche di altrettante simmetrie a cui soddisfa il sistema Coppia di Atleti. Simmetria sferica. Simmetria cilindrica Simmetria conica Lo studio di queste traiettorie e simmetrie permette di enucleare i principi fisici di base a cui soddisfano tutte le tecniche di proiezione delle lotte a corta distanza, cioè per il sistema Coppia di Atleti chiusa, come indicato nel paragrafo IV. Le seguenti figure chiariranno i discorsi precedenti In Fig 9 sono mostrate le geodetiche e le simmetrie per il Sistema Coppia chiusa ( senza casacca). Mentre in fig.10 sono mostrate le geodetiche e le simmetrie per il Sistema Coppia chiusa ( con casacca). Fig 9 Angoli, Geodetiche e Simmetrie per il Sistema Coppia chiusa ( senza casacca).

306

Fig10 Angoli, Geodetiche e Simmetrie per il Sistema Coppia chiusa ( con casacca).

Per le tecniche della coppia di forze, applicheremo il principio d’indipendenza delle azioni simultanee, in tal modo il problema del moto del corpo nello spazio, può esser semplificato nella somma di un moto piano giacente nel piano sagittale o in quello frontale, più eventualmente un moto semplificato nello spazio tridimensionale. Così il primo moto, prodotto dall’applicazione della coppia di forze ( detta principale) risulta essere un moto piano, rotatorio puro nel piano z y, indipendente dal campo gravitazionale. Per cui può scriversi Fig. 11,12

307

Figura 11 Applicazione della coppia principale

L= I

1

d dt

e

Figura 12 Applicazione della coppia secondaria

I1 = F  R

ed il moto sarà descritto dall’equazione generale ( se si pone z=s )

2 2  d 2s Ml  = Ml 2 3 dt

ovvero

2 ( z − l ) + 2 z + z = 0 3

Mentre il secondo ( che risulta applicato in un altro gruppo di tecniche della stessa classe) è dato dalla somma dei moti prodotti da una coppia perpendicolare al campo gravitazionale e dal campo gravitazionale stesso. In termini di analisi variazionale, la traiettoria del primo moto è definita dagli x2

estremali della funzione generale.

1

I =  y r (1 + y ' 2 ) 2 dx

per r = -1

x1

con soluzioni x = a - b sin e y = c- bcos per cui l’estremale è l’arco di cerchio di raggio b e centro B ( a,c). Mentre la seconda traiettoria è , con buona approssimazione, un arco di parabola con vertice V coincidente con il centro di rotazione B della coppia principale. 2) Tecniche della leva Schematizzando l’atleta biomeccanico come un cilindro rigido, applicato il punto di sbarramento (fulcro), l’impulso iniziale è da considerarsi necessario e sufficiente ad effettuare lo squilibrio, cioè a spostare la perpendicolare baricentrale al di fuori della superficie di appoggio, mentre imprime al corpo dell’avversario un momento rotante sotto la condizione

1 I z  2z  2 Mgl 2 Così l’atleta può essere assimilato ad un rotatore simmetrico pesante, che parte in caduta nel campo gravitazionale. Fig.13. Inoltre, poiché l’impulso iniziale può considerarsi, agente per un breve intervallo di tempo, si ha che la traiettoria in un campo di forze viene fornita dalla soluzione del principio variazionale: q2

t2

q1

t1

   j p j dq j −   H ( p, q )dt Nel caso in esame il campo di forze esterne è conservativo, varrà pertanto il principio di minima azione, cioè : t2

t2

t2

t1

t1

t1

   j p j q j dt =   dt =   dt =  (t 2 − t1 ) Ovvero il corpo percorrerà la traiettoria di minor tempo di transito.

Figura 13 Applicazione di una tecnica del momento (rotazione intorno ad un punto di sbarramento)

La forma di Jacobi del principio di minima azione ci fornisce un’altra informazione t2

2

t2

2

  dt =   H − V (  )d = 0 il parametro  misura la lunghezza della traiettoria si ha, ricordando che  è una costante del moto, che il punto rappresentativo percorre una curva di lunghezza minima nello spazio delle configurazioni, questo ci assicura che il corpo percorrerà una geodetica di una determinata simmetria.

309

Nel caso in esame si può dimostrare che percorre un arco di elica, che risulta essere la geodetica della simmetria cilindrica. Infatti l’energia cinetica e potenziale avranno la forma:

t

= 0

V=Mgl

=t

V= Mgl cos

=

tf

W=0 W=

V=0

dove si ha

I1 = I 2 =

I1  2 2 I ( sin  +  2 ) + 3 ( cos +  ) 2 2 2 I1  2 I 3 2 W=  +  2 2

2 2 Ml 3

e

I3 =

1 Mr 2 2

mentre le dipendenze angolari sono:

 = se

b − cos sin 2

 z = cos t .

e

 =

I1 b − cos a − cos ( ) I3 sin 2

allora si ha

W = I 3 ( cos +  ) = I 3 z = I 3 a  Se il momento iniziale risulta, L= I

d dt

le equazioni del moto sono simultaneamente:

  sin = Mglsin I 1 + ( I 3 − I 1 ) 2 sin cos + I 3   cos − I   =0   cos ) + ( I − I ) I 1 (sin +  1 3 3

  sin +  ) = 0 I 3 ( cos −  Ricordando che sia l’energia che la velocità angolare (

E = T + V = cos t  E ' = E − ponendo s=cos e ricordando i valori di



e

 z ) sono costanti del moto, allora si avrà :

I 1 I 3 2z = 1 ( 2 +  2 sin 2 ) + Mgl cos = cos t . 2 2



la traiettoria percorsa dal corpo sarà data dalla quadratura:

 = s ( 0)

s(l )

ds (1 − s 2 )( − s) − (b − as) 2

che deriva dall’equazione:

 2 sin 2 = sin 2 ( −  cos ) − (b − a cos ) 2

310

con

=

2E ' I1

e

=

2 Mgl I1

la soluzione per le condizioni iniziali  =0 e

 =  = 0

risulta E’= Mgl = cost.

e la traiettoria individuata nello spazio fra

 0 = 0 e 1 =

 2

è un arco di elica geodetica di una

simmetria cilindrica. Ora ricordando dalla meccanica classica, che per un moto eliciodale vale simultaneamente:

vT = h e

T = 2 pertanto il passo dell’elica è :

h = 2

v



Passando al limite di queste espressioni si comprende perché un aumento della componente rotazionale è equivalente, in termini di efficacia, ad un abbassamento dell’atleta, in quanto diminuendo il passo dell’elica si abbrevia la traiettoria di volo dell’avversario, riducendo al minimo le sue possibilità difensive di tipo acrobatico. (12,13).

X Analisi meccanica e probabilistica dell’interazione per la Coppia di Atleti-aperta. Classificazione biomeccanica, angoli e traiettorie delle tecniche a media e lunga distanza Nel caso dello studio della parte specifica dell’interazione per la Coppia di Atleti aperta, la meccanica dello scontro come abbiamo già rilevato (7), si basa sulla teoria degli urti. Gli urti in questo caso saranno di natura complessa (urti anelastici tra corpi a geometria variabile in presenza d’attrito ) ovviamente non esiste una trattazione matematica soddisfacente di tale fenomenologia, pertanto la modellazione più vicina alla complessità del fenomeno reale è quella della descrizione dello stesso soggetto, ma per corpi rigidi in presenza d’attrito nel caso in cui la direzione di spostamento vari opportunamente ( 16, 17 ) come nell’evenienza dell’uscita verso l’angolo morto ( 18 ) da parte di atleti d’élite nel caso del combattimento di Karate. Per la Coppia di Atleti aperta le tecniche di attacco e difesa possono essere classificate in funzione delle catene cinetiche che le eseguono, mentre lo scopo ad esse connesso influenzerà essenzialmente la scelta degli angoli di applicazione e dei piani preferenziali di giacitura di tali tecniche. Pertanto si avrà per gli attacchi a corta e media distanza TabI e fig 14

311

Tab I SPALLA FISSA Orizzontale Direzione avanti

piano di giacitura < Obliquo

SPALLA MOBILE

piano di giacitura Orizzontale Direzione avanti

piano di giacitura Verticale Ascendente piano di giacitura Obliquo < Discentente

Le azioni di difesa relativa alla catena cinetica superiore, cioè parate a corta e media distanza, sono quei movimenti che con tale struttura semisnodata permettono la copertura di un volume di spazio che è formato da due semisfere una con centro nella spalla ed una con centro nel gomito. Esse possono essere classificate in funzione del raggio di copertura come in tab II e fig 15. Tab II Distanza minima

Spalla mobile - gomito fisso

Semisfera di raggio R’ ( braccio )

Distanza media

Spalla fissa – gomito mobile Spalla mobile – gomito mobile

Semisfera di raggio R’’ ( braccio + avambraccio )

Distanza massima

Spalla fissa – gomito mobile Spalla mobile – gomito mobile

Semisfera di raggio R’’’ (braccio+avambraccio+mano)

312

Per gli attacchi a lunga distanza, lo stesso metodo classificativo porta facilmente a poter individuare piani di giacitura e direzioni privilegiate di azione delle risultanti delle forze. Come in tab III e fig 16 Tab III ANCA FISSA Avanti / Indietro

Piano di giacitura Verticale

Laterale (sx-dx)

Piano di giacitura Obliquo

Direzione

ANCA MOBILE Piano di giacitura Verticale Direzione Circolare

Ascendente Piano di giacitura Obliquo < Discendente

313

Fisica dei colpi. La trattazione meccanica della collisione tra la parte di catena cinetica dell’attaccante ed il corpo o la parte di catena cinetica dell’attaccato (parata) si riduce in effetti alla determinazione dei  tra velocità dei centri di massa V e velocità angolari  prima e dopo l’urto. Per far ciò bisogna introdurre la forza d’impatto che tenendo conto del principio di azione e reazione (15, 16), in generale potrà scriversi :

 (−1) j    F( t  t c ) =  j ( t  t c )  tc  dove t’ è il tempo di contatto fra i due corpi. La forza  dipenderà dalle velocità dei corpi durante l’impatto , pertanto se

mj

è la sua massa e J è il tensore centrale d’inerzia, inoltre se

( )

G je t  T

)

e

sono rispettivamente le risultanti delle forze esterne e dei momenti esterni.

Le equazioni del moto sono :

mj

 ej ( t  T

dV =  j ( t ' t c ) +  ej ( t ' T ) dt '

e

314

d (J j j ) dt '

= R( t ' T )   j ( t ' t c ) + G je ( t ' T ) t

se d’altronde  è il coefficiente di azione delle forze esterne allora  = c

t'

variabile temporale t =

mj

tc

le equazioni del moto diverranno:

dV =  j ( t ) + T ej (t ) dt '

d (J j j ) dt

ed introduciamo una nuova

T

e

= R j ( t )   j ( t ) + TG je ( t )

mentre nell’istante della collisione

(forze esterne trascurabili ) →0 si avrà :

mj

dV j dt

=  j (t )

J j ( 0)

e

d j dt

= R j ( 0)   j ( 0)

Peraltro il  di variazione delle velocità e dei momenti sarà 

V j = (−1) j m−j 1 I

e



 j = (−1) j J j−1 ( R  I )

dove l’impulso I ha come componente normale all’impatto nI = (t) e ricordando che vale la relazione:

 (1) −  ( t 0 ) = e ( coefficiente di restituzione )  (t 0 )

ovvero

 (1) = (1 + e) ( t 0 ).

In generale l’impulso I in funzione delle sue componenti normale e tangenziale sarà (15) durante la collisione:  (1)

(1+ e ) 0

I =  (1) n −  0 v t ( ) d = (1 + e) 0 n −  0

v t ( ) d

così i  cercati diverranno





 j = (−1) j J j−1 ( R  (1 + e) 0 n −  0



V j = (−1) j m−j 1 (1 + e) 0 n −  0



(1+ e ) 0

(1+ e ) 0

v t ( )d

v t ( ) d



)



dove la velocità tangenziale, dopo elaborati calcoli (15) può esser ricavata attraverso le relazioni : '

v t ( ) = v t ( 0) e

 0 g ( )/ h ( ') d '

e

315

'



 = v t ( 0) 

e

 ( 0 ) g ( ')/ h ( ') d '

h( ' )

0

d '

e l’impulso risulta, nel caso di variazione di direzione dello scivolamento





I = (1 + e) o n −  * vt (0) −  (1 + e) 0 −  * vt ( * ) così sostituendo questa espressione nelle equazioni precedenti si ottengono i  cercati.

(−1) j V j = (1 + e) 0 n −  * v t ( 0) −  (1 + e) 0 −  * v t ( * ) mj









(−1) j  j = R  ((1 + e) 0 n −  * v t ( 0) −  (1 + e) 0 −  * v t ( * )) Jj









Se desideriamo esprimere queste quantità in funzione dell’ossigeno, ricordando di aver già ottenuto in quest’ottica (15 ) il valore del quadrato della quantità di moto, possiamo scrivere:

u 2 = 4t0 1O2

si ha

v =

1 4t 0  m

(

1O2 −  2 O2 )

Inoltre ricordando che si è precedentemente ricavata la formula della velocità dell’attacco al momento dell’impatto , possiamo scrivere:

2O2 1  2t   = 4t 0 1O2   =  0  1  m  m m dal che ricaviamo una forma più esplicita della costante di proporzionalità del rendimento dell’attacco, rispetto al rendimento globale del combattimento, proporzionalità che si era ritrovata precedentemente in forma approssimata. Questo può esser considerato a conferma e raffinamento del risultato ottenuto precedentemente partendo dall’energia Nel caso della competizione i  possono essere ricavati sperimentalmente, ma queste relazioni forniscono comunque alcuni spunti interessanti di riflessione. In primis si ricava subito che per lo stesso atleta il rapporto tra il suo rendimento d’attacco e quello globale dipende dal tempo dell’attacco, dall’attrito ed è inversamente legato alla massa. Inoltre per due atleti diversi il rapporto dei loro rendimenti d’attacco, a parità delle altre condizioni, dipenderà solo dal reciproco delle loro masse.

1 m2   2 m1 Atleti leggeri possono infatti produrre una variazione di velocità tra prima e dopo l’impatto, più ampia degli atleti di altre categorie più pesanti come i massimi.

316

Ovviamente la massima differenza di velocità sarà ottenuta in linea di principio nelle competizioni di Karate , in quanto gli atleti non si toccano, questo implica che nelle relazioni precedenti bisogna porre  = 0 ed e=0 , per cui le variazioni dipenderanno solo dalla velocità di attacco iniziale . Considerazioni analoghe potranno esser svolte anche per le velocità angolari prime e dopo l’urto. In relazione alla perdita d’energia cinetica prima e dopo l’urto, citando il teorema di Carnot che dice “l’energia cinetica perduta dal sistema di corpi durante un urto anelastico è proporzionale all’energia cinetica che il sistema avrebbe se i suoi corpi si muovessero con le cosiddette velocità perdute ( date dai  delle velocità prima e dopo l’urto) nel caso in cui l’attrito possa considerarsi trascurabile “ potrà scriversi la relazione, ricordando che:

1 2 m2 v 2 = 4t0 O2  mv 2 = t0 O2 2 m  1O2j1  2 O2j2   T = - e/(2+e) ( 2 t 0  )  +  m m2   1 Dal che si evince che la dispersione può essere di notevole entità e che dipende fortemente dal rendimento globale del sistema considerato. La fenomenologia meccanica dell’attacco ci garantisce che esso ha solo due possibilità: Riuscire o Non riuscire, a fronte di una difesa, a sua volta, efficace o meno. Sorge a questo punto, quasi spontanea la domanda, quale probabilità di riuscita avranno difesa ed attacco e come potranno esser collegate tra loro mediante l’analisi probabilistica. Poiché in prima approssimazione, non considerando cioè finte o combinazioni, ogni attacco diretto risulta indipendente, si è per definizione in presenza di un insieme di prove di Bernoulli (22). Applicando la distribuzione binomiale all’attacco, la probabilità di avere 2 successi su 10 tentativi di attacchi è, sulle 12 possibilità di attacco ipotizzabili. 2

10! 1  1  A=   1 −  2!(10 − 2)!  12   12 

10− 2

= 0155 .

mentre la probabilità di avere 2 successi sulle 8 possibilità di parare è: 2

10! 1  1  P=   1 −  2!(10 − 2)!  8   8 

10 − 2

= 0.05

Così si ricava che la probabilità matematica di 2 successi su dieci attacchi diretti è del 16% , mentre quella di 2 successi su 10 parate è del 5% . Pertanto l’analisi probabilistica sembra indicare che negli sport a distanza sia più semplice e proficuo portare l’attacco che effettuare la difesa. Molto più utile per gli addetti ai lavori dovrebbe risultare l’analisi statistica in funzione del tempo di combattimento (22). Cioè una risposta probabilistica alla domanda più stringente:- Qual è la probabilità che venga messo a segno un punto vincente ( Ippon, Knock Down , ecc. ) nel primo , o nell’ultimo minuto di un incontro.

317

XI Indicazioni probabilistiche sulla competizione La competizione per gli sport di combattimento duali, si svolge di regola in un determinato intervallo di tempo, suddiviso in tempi, rounds, o con il tempo effettivo cioè non prendendo in considerazione le eventuali soste. Studi statistici sulle competizioni ad alto livello come quelli effettuati da Muller Deck (23) da Sikorski (24) ed H.D. Heinisch (25) per il Judo da F.J. Muller (26) per la scherma, da H: Tunnemann (27) per la lotta , da M. Bastian (28) per il pugilato. hanno mostrato alcuni interessanti accadimenti Ad esempio la probabilità di successo per gli attacchi di judo ha una maggiore ricorrenza alla fine del 1° minuto ( 26% ) ed alla fine dell’ultimo minuto ( 42%). Questa fenomenologia sembra indicare un fenomeno interessante e poco appariscente, poiché il processo su base statistica sembra stazionario parrebbe che nel caso delle competizioni il primo avvenimento può esser descritto, in buona approssimazione, come appartenente alla classe dei processi markoviani , cioè senza memoria. Mentre il secondo che si basa essenzialmente sulla stanchezza e sull’abbassamento della tensione difensiva dell’avversario sembra, in fin dei conti, esser meglio descritto come processo non-markoviano, che cioè risente della storia pregressa del fenomeno. Altre indicazioni possono esser ricavate su base statistica riguardo all’efficacia delle tecniche dirette o delle combinazioni, ecc. Persino lo studio delle tecniche relativo alla parte del tappeto o materassina ove preferibilmente vengono applicate con successo è un altro dato ricavabile da questi studi.

XII Analogie tra aspetto meccanico e termodinamico del sistema Coppia di Atleti. Come è noto ed è stato già ricordato in precedenza; l’uomo, in generale, è una pessima macchina termica con un rendimento molto basso, che in media si aggira intorno al 20-25%, ciò significa che della quantità di “carburante” bruciato ben il 75-80% viene disperso sottoforma di calore all’ambiente circostante. Se gli atleti del sistema sono in equilibrio termico con l’ambiente circostante e non sudano (ad esempio prima della competizione ) potremo studiare in codesto stato ideale l’andamento delle fluttuazioni di temperatura ( superficiale ) del sistema . Ora nello stato idealizzato ipotizzato e senza considerare che il sistema biologico, per rimanere in vita, necessita di un complesso sistema di trasformazione continua di energia, come source term interna; è veramente interessante osservare che che tali fluttuazioni soddisfano, nelle nostre ipotesi, la seguente equazione:

C d (T ) h F + T = m dt m m

Dove : C/m = calore specifico di Steady State del sistema. h/m = coefficiente massico di trasferimento termico all’ambiente F/m = irraggiamento incidente assorbito dall’ambiente. La funzione di risposta di un tale sistema (6) sarà:

G ( ) =

1 iC + h

m

Il segnale di risposta in Steady-State sarà:

T =

F h

La fluttuazione in temperatura di questo sistema sarà:

(T ) 2 =

kmT 2 C

Mentre la funzione di correlazione per la fluttuazione di temperatura è:

318

h

kmT 2 − C  T (t )T (t +  ) = e C Facilmente si nota che se  non è costante, ma è in realtà una (t) , cioè la variazione della temperatura nel tempo (t) = d ((t) ) / dt, allora l’equazione mostrata è l’equazione che regge i fenomeni Browniani, per cui possiamo dire che,se la forza generalizzata F ha un valor medio nel tempo uguale a zero, allora le fluttuazioni della temperatura del sistema Coppia di Atleti in equilibrio, già nelle approssimazioni ipotizzate, hanno un’evoluzione di tipo Browniano. Un caso più generale, atleti in movimento che effettuano lavoro e sudano in condizioni non controllate, è stato analizzato dall’autore sulla base di alcuni modelli numerici termodinamici originali, sperimentalmente testati. In questa condizione l’equazione generale che descrive la fluttuazione rimane identica ma con la specificazione di alcuni dei termini acquista un nuovo e più generale significato.

d  C (t ) dT  h dT F =  + dt  m dt  m dt m Con C(t)= calore specifico di processo. h=coefficiente di trasferimento termico, esso in questo caso prevede i contributi per irr,per conv, per diff, e per respirazione dT= differenza fra la temperatura superficiale della pelle e la temperatura ambiente, ma la temperatura superficiale della pelle è in effetti la media pesata delle temperature medie superficiali delle varie parti del corpo ( Soderstrom e Du Bois ). m= massa dell’atleta. F=contributo dell’irraggiamento ambientale assorbito dall’atleta. Lo svolgimento delle derivate porta all’equazione:

C d 2T 1  dC  dT F + h + − =0  2 m dt m dt  dt m Il coefficiente h somma di quattro termini, h(irr)+h(resp)+h(conv)+h(diff), deve soddisfare la seguente equazione (30,31), validata come equazione alle differenze finite per condizioni ambientali non controllate.

 T 4 − Ta4 S  s  t − t0

4 S Ts −Tb  kS Re 0.8 Pr 0.33 Ti − Ta  − lh Tb −Ta  + 0.6n + e  l t − t  0 

  

 4 S 2 k Re 0.8 Pr 0.33 (Ts − Ta ) 1.2   4S 2 D Re 0.8 Sc 0.33 0 . 132  + 0 . 16 ( 1 −  )    h h hl 2 Ta0.2 (t − t 0 )   Rl 2 h 

 M s es M a ea  − T Ta  s

 (Tvs − Tva ) 1.2    0.2   Tva (t − t 0 )  

 − ( 0.2 2 + 0.5 −0.7 ) P −   P − 1 =  e   E’ interessante notare che in questa equazione, che è stata validata uguagliandola all’ossigeno introdotto in termini di energia equivalente; i primi due termini sono i contributi energetici dovuti all’irraggiamento netto dal corpo e all’emissione termico-energetica dovuta alla respirazione. I secondi due termini a loro volta danno conto della convezione e della diffusione e trasporto di massa (sudore), non esiste infatti il termine di conduzione in quanto esso nella realtà del movimento atletico è difatto trascurabile. Bisogna considerare che i termini conduttivo-diffusivi, per descrivere soddisfacentemente l’andamento del consumo d’ossigeno, sono moltiplicati per un termine esponenziale connesso di fatto alla storia termica precedente dell’atleta in termini di rendimento, ciò può intendersi che mentre i primi due processi nella nostra modellazione possono considerarsi con buona approssimazione markoviani, i secondi due appaiono essere logicamente non markoviani, risentono cioè della storia precedente e non perdono memoria del passato. Il secondo termine esponenziale presente nell’equazione di scambio termico è difatto un termine di cut-off, introdotto ad hoc, che modula la perdita di liquidi dell’atleta. Un altro spunto teorico/sperimentale è dato dalla forma matematica C(t) il così detto “calore specifico di processo”, questa quantità funzione sembra esprimere meglio il comportamento variabile nel tempo dell’inerzia termica del corpo umano, per il quale, il diffuso concetto di calore specifico (costante) appare non idoneo in

319

quanto ovviamente il corpo è più simile ad un impianto che ad una sostanza semplice ( per cui è nato il concetto di calore specifico ). Questa quantità ( emissiva ) risulta connessa al contrasto generato dai boundary layers prodotti sia dalla la diffusività termica che dalla diffusione del vapor d’acqua (sudore) in aria, e dipende drasticamente dal coefficiente h di scambio termico per i fenomeni non marcoviani di convezione e diffusione di vapore. Questa funzione dovrebbe permettere la descrizione del transitorio termodinamico dell’inerzia termica del “sistema” corpo umano, come funzione esplicita di t ed implicita della temperatura T. Il modello teorico proposto ma non ancora validato sperimentalmente soddisfa la seguente equazione:  l 2 hS  t      −e( G − g ) )  − 1  S 2 mc   1 Q   Dl 2    10 Cp = 1 − ( 1 −  ) te   2   m T  S   

2

Il modello a black box, (28-29) che ha permesso di sviluppare sia l’equazione per l’emissione energetico-termica, validata per il consumo d’ossigeno:

 che l’equazione Cp, è in fase di successivo ampliamento e generalizzazione prevedendo il collegamento della emissione termico-energetica con la microcircolazione superficiale e la perfusione sanguigna locale, partendo dall’evidenza sperimentale che i muscoli più attivi sono anche i più caldi, l’emissione termica sarà maggiore nei muscoli attivi ( cioè più caldi ), ma essi sono più caldi per un maggior afflusso sanguigno locaqle (perfusione ), pertanto attraverso l’equazione di Pennes-Sacripanti-Pasculli (32):

 t ,i c t ,i

Tt ,i 

= k t ,i  2Tt ,i − W

Tt ,i Tmed

cb ,i (Tt ,i − Tb ) + S 0 + 

Si cercherà di collegare la complessità interna in termini di perfusione superficiale con l’emissione esterna in termini di irraggiamento, respirazione, convezione e sudorazione.

XIII Conclusioni L’analisi biomeccanica della competizione relativa a tutti gli sport di combattimento svolta in questo lavoro ha individuato alcuni capisaldi importanti che pare opportuno riassumere in forma concisa: a) il moto del sistema Coppia di Atleti è di tipo browniano generalizzato; b) l’interazione tra gli atleti può essere suddivisa in due parti una comune (avvicinamento reciproco) ed una specifica che dipende dal tipo di sport (lotte a distanza: colpi diretti a parti sensibili/convenzionali ) oppure ( lotte corpo a corpo : meccanismi tesi ad atterrare l’avversario con l’utilizzo di 2 principi fisici); c) l’energia cinetica dell’atleta dipende solo dal suo rendimento e dal consumo di ossigeno; d) la possibilità di variare la velocità è indipendente dall’attrito, inversamente proporzionale alla massa e direttamente dipendente dal rendimento e dal consumo di ossigeno; e) il tempo di variazione della velocità è invece dipendente dalla massa ed inversamente proporzionale all’attrito; f) la velocità dell’attacco all’impatto è data dalla radice quadrata del doppio del consumo d’ossigeno per il rendimento, diviso la massa dell’arto o del corpo; g) la grandezza della variazione della spinta/trazione è determinata dalla grandezza dell’attrito con il fattore di proporzionalità dato dal consumo di ossigeno; h) il valor medio nel tempo della variazione del momento e quindi delle velocità dovuta alle spinte /trazioni presenta una memoria che è dell’ordine del tempo di ritardo i) il valor medio nel tempo del quadrato dello spostamento del baricentro generale è linearmente dipendente dal doppio dell’energia e per i due casi limite valutati cresce o come il quadrato del tempo o linearmente col tempo.

320

j) il corpo di chi è proiettato percorre nello spazio, a secondo della tecnica subita, la geodetica di una determinata simmetria; k) le tecniche della coppia di forze sono indipendenti dall’attrito, ovvero si possono effettuare quale che sia la velocità di spostamento del sistema; l) le tecniche della leva dipendono dall’attrito, cioè si possono effettuare solo se l’avversario viene fermato o si ferma per un attimo; m) le tecniche energeticamente più convenienti sono quelle della coppia di forze; n) Il sottogruppo del braccio massimo è energeticamente più conveniente tra le tecniche della leva; o) la frequenza degli attacchi è direttamente legata alla velocità d’impatto ed inversamente proporzionale alla distanza reciproca; p) la frequenza degli attacchi è legata direttamente all’energia cinetica per il tempo ed inversamente alla massa ed al quadrato della distanza; q) il colpo dell’attacco diretto ha una probabilità di riuscita di circa il 66% nei confronti della difesa; r) la variazione di velocità, prima e dopo l’impatto, prodotta dai pesi leggeri ( a parità di condizioni) è più grande di quella prodotta dai massimi; s) per ciascun atleta, il rendimento dell’attacco singolo risulta essere maggiore del rendimento globale dell’incontro, di una quantità che dipende dall’inverso della massa, dal coefficiente d’attrito e dal tempo medio dell’attacco. t) la perdita d’energia cinetica durante l’attacco della Coppia aperta (urto) è proporzionale all’attrito, al tempo medio dell’attacco, al rendimento ed è inversamente proporzionale alla massa. u) nel corso dell’attacco, il rendimento di atleti di piccola taglia è maggiore, a parità di tutte le altre condizioni, di quelli di taglia più grande v) il rapporto tra i rendimenti d’attacco fra un leggero ed un massimo, ad esempio, è proporzionale al rapporto inverso delle masse degli atleti. w) con l’ausilio dell’analisi probabilistica è possibile conoscere la traiettoria di spostamento più probabile., ma non quella reale. x) le fluttuazioni della temperatura superficiale dell’atleta appaiono essere di tipo browniano. y) Se l’ipotesi teorica del “calore specifico di processo” verrà validata sperimentalmente dovrà riguardarsi il valor medio del rendimento degli atleti attualmente accettato.

321

APPENDICE III

Un esempio di conoscenza avanzata

Fisica del motore Browniano base della contrazione muscolare.

322

323

La fisica dei motori Browniani Come già accennato nel testo alcuni recentissimi esperimenti svolti su scala mondiale, cioè ripetuti in diversi paesi avanzati, hanno studiato in modo più approfondito, con l’utilizzo di un indicatore fluorescente, il movimento della testa della miosina lungo un filamento di actina. Le risultanze sono state davvero sorprendenti infatti nei modelli classici la testa della molecola di miosina si muove in modo deterministico, controllando in maniera univoca un comando on-off. In realtà queste nuove ricerche indicano che la miosina si muove usando sia l’energia termica sia l’energia conservata nell’ATP per muoversi lungo l’actina e questo movimento avviene per step che possono variare di lunghezza partendo da 5.5 fino a raggiungere i 27.5 nanometri. Occasionalmente la miosina si muove anche all’indietro, ovvero la direzione globale del movimento è in avanti, ma queste ricerche hanno sottolineato la limitazione dei modelli precedenti, i quali consideravano solo il movimento deterministico della miosina in avanti. La spiegazione di queste nuove risultanze sperimentali è che ci si trova in presenza di un meccanismo naturale solo recentissimamente individuato, capito e spiegato, quello dei così detti “motori Browniani” che sono stati poi individuati in molte proteine. La fisica è nel contempo riuscita non solo a modellare matematicamente il comportamento di questi motori Browniani, ma persino a riprodurli in quella branca modernissima detta nanomeccanica . Il fenomeno è in sintesi quello delle particelle Browniane attive che si muovono, non solo passivamente tra le molecole in agitazione termica come nel moto Browniano classico, ma grazie a dei potenziali così detti di rettilineazione, esse compiono moti attivi quasi deterministici sfruttando, in modo selettivo, attraverso i potenziali i moti incoerenti dell’agitazione termica. Questi motori sfruttando appunto il moto Browniano delle molecole, generato dall’agitazione termica del corpo, frequentemente richiedono un’ energia minore di quella dei motori convenzionali usati a livello macroscopico, mostrando un’efficienza di funzionamento molto superiore al classico 25-30% , tanto da sfiorare il così detto “Moto Perpetuo”. Il funzionamento di codesti motori Browniani è ben descritto dal modello di motore di Feynman mostrato nella figura successiva, la possibilità di rettilineare il moto è dovuta alla differenza di temperatura dei due ambienti se infatti T1 è uguale a T2 allora si è in presenza di moto Browniano ed il motore non ha un movimento preferenziale in una o nell’altra direzione, se invece T 1 > T2 il motore si muove solo in senso antiorario, se invece T1= 0 , in questo caso infatti la particella non sarà sottoposta ad una spinta direzionale privilegiata e pertanto si genera il moto così Browniano prodotto dall’agitazione termica ( la forza esterna) delle molecole che circondano la particella. Per comprendere bene la meccanica del moto browniano di una particella, bisogna concepire che il suo moto anche a temperature ambientali è il frutto di un enorme numero di collisioni che hanno singolarmente un effetto trascurabile sulla posizione della particella, ed è solo la fluttuazione dell’accumulazione di un enorme numero di piccolissime variazioni nella velocità della particella che fornisce alla traiettoria la sua apparenza irregolare. Nel caso di un Motore Browniano, nella formula precedente deve considerarsi la presenza di un potenziale di indirizzo che aiuta la particella nella rottura delle simmetrie del suo moto permettendole così un moto direzionale. Possiamo allora scrivere: mx(t ) + V ( x(t )) + x =  che potenziale sia periodico non lede la generalità della trattazione, mentre per le forze esterne valgono le note relazioni:   = 0;  ,   = 2 T (t ) (t − t ' ) nel caso del moto della testa della miosina sul filamento di actina, le fluttuazioni statistiche sono rette da un’equazione di Langevin supersmorzata ( mezzi altamente viscosi ) in cui il termine inerziale può considerarsi trascurabile per cui mx  0 e l’equazione di langevin accordandosi alla meccanica Aristotelica descrive la forza agente proporzionale alla velocità: x = −V ( x(t )) +  ma il moto è ancora browniano perché vale la relazione: lV x 1 t  = − lim  dt ' P( x, r )dx = 0 nonostante l’evidente asimmetria prodotta dal 0  t →0 t t → t 0

 x =  lim

potenziale. Il moto, in definitiva, per il caso dei motori browniani molecolari è prodotto sia dal ciclico alternarsi delle variazioni di temperatura ( la cui media è comunque zero) sia dalla presenza del potenziale d’indirizzo, come mostrato chiaramente dalla seguente figura di Riemann che è anche ruscito a realizzarlo sperimentalmente in diverse condizioni nel 2002.

La cosa sconvolgente è che a causa di questi due contributi la particella si muove in media producendo lavoro positivo contro una forza esterna anche nulla, come mostrato sperimentalmente.  x   0 : per : F = 0 In effetti a livello molecolare uno sconvolgente motore rotante è presente nella sintesi dell’ATPase ( l’enzima che +

usa il gradiente H per produrre l’ adenosintrifosfato ATP ) che ruota ad una velocità di circa 4 Hz per generare 3 molecole di ATP ogni rivoluzione.

325

Nel caso della contrazione muscolare siamo in presenza invece di un motore lineare, se si vuole il primo che si avvicinò di più alla comprensione del sistema della contrazione actina –miosina è stato certamente Sir Andrew Huxley nel 1957

attualmente si sa che i motori proteinici sono suddivisi in famiglie di similarità sequenziale ad esempio : miosinaV e miosina II si muovono sul filamento di actina e producono la contrazione muscolare, mentre chinesina e dienina trasportano carichi lungo i microtubuli. La miosina II agisce con un cosidetto un motore non processivo, ( cioè che non si sposta , figura b ) ma espleta la sua funzione quasi-statica, mediante connessioni alternate al filamento si actina con un meccanismo si/no . Il motore browniano agisce sulla rettificazione dell’agitazione termica a cui è sottoposta la testa della miosina II che fluttua liberamente, favorendo lo spostamento direzionale con un’ angolazione preferenziale della testa della miosina II che si lega al filamento di actina. Poiché il tempo di contatto della miosina II è piuttosto breve, essa per essere efficace, deve lavorare in gruppo per produrre una contrazione utile.

Un motore Browniano che si sposta per distanze notevoli prima di connettersi è detto motore processivo a questa categoria appartengono la chinesina e la miosina V. La natura browniana del motore è la chiave di volta del suo spostamento direzionale, mentre il rumore termico di fondo è essenziale per permettere il superamento dei vari potenziali di attivazione. In queste molecole si verificano fenomeni affascinanti che possono essere già trattati a livello di formulazione matematica come, isteresi normale ed anomala, mobilità negativa, transizione di fase, comportamento oscillatorio, ecc. Senza entrare nei meccanismi specifici di spostamento che siembra si attuino anch’essi in quattro fasi, un motore di chinesina ( figura a) copre una distanza di qualche micrometro ( μm) , con una velocità di circa 1 μm/s ad una concentrazione di 10 mM di ATP prima di perdere il contatto con il filamento di microtubulo. Per cui un singolo motore di chinesina può compiere centinaia di contatti unidirezionali senza mai staccarsi dal microtubulo o scivolare liberamente su di esso muovendosi in modo processivo. Bisogna notare che le due teste della chinesina debbono coordinare la loro azione, ma non è ancora chiaro se una testa si muova singolarmente mentre l’altra è connessa o se si muovano alternativamente superandosi l’un laltra. Recentissimi esperimenti sviluppati da Hua alla fine del 2002 sembrano indicare questa seconda via. Un esempio di motore Browniano non processivo in quattro fasi per la miosina II è mostrato nella figura seguente.

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Ritornando dunque al motore della miosina II si può dire che la testa fluttua liberamente in una posizione x sottoposta alle sollecitazioni Browniane. La probabilità di distribuzione della testa della miosina ha un’andamento Gaussiano nel tempo. Quando la reazione chimica ha permesso alla miosina di accedere allo stato legato, a causa dell’asimmetria del potenziale essa priviligerà la posizione 1 ala posizione 4 in quanto il potenziale è più negativo e la connessione più stabile. La densità di probabilità di trovare la miosina nella posizione x nello stato D piuttosto che nello stato F al tempo t segue l’equazione di Fokker- Planck :

 PF J F  t + t =  f ( x) PD − g ( x) PF    PD + J D = g ( x) P − f ( x) P  F D  t t la densità di probabilità di corrente prende in questo caso la forma generale:

J ( x, t ) = −

k B T P 1  + (−V + F ) P da cui si ricava facilmente , per un determinato carico applicato alla  t 

fibra muscolare che la velocità di steady-state di accorciamento della fibra è descritta dall’equazione: d

v0 =  J F ( x) + J D ( x)  dx in cui d rappresenta la periodicità del filamento d’actina. 0

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