Archeologia Della Morte [Paperback ed.] 9788843061006

Che ruolo avevano i riti funerari nell'organizzazione sociale del mondo antico? Qual era il loro significato simbol

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Archeologia Della Morte [Paperback ed.]
 9788843061006

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ARCHEOLOGIA ARCHEOLOGIA DELLA MORTE

Che ruolo avevano i riti funerari nell'organizzazione sociale del mondo antico? Qual era il loro significato simbolico e ideologico? A quali modalità di trattamento era sottoposto il corpo del defunto? Come interpretare i corredi funerari e le offerte posti sia all'esterno sia all'interno delle tombe? In quale modo si esprimeva la distinzione tra le classi sociali dopo la morte? Nel rispondere a queste e altre domande, il testo si propone come guida basilare per studenti e studiosi interessati ai significati sociali e culturali dei costumi funerari delle società antiche.

Nicola Laneri è ricercatore in Archeologia

del Vicino Oriente nell'Università di Catania. Ha scritto numerosi saggi e articoli, tra cui Biografia di un vaso. Tecniche di produzione del vasellame ceramico del Vicino Oriente antico tra il ve il II millennio a.e. (Paestum 2009), e la curatela Performing Death: The Socia/ Analyses of Funerary Traditions in the Ancient Near East and Mediterranean (Chicago 2007).

1 11 111 11 11 1 11 1 1111 1 1 ISBN 978-88-430-6100-6

9 788843 061006

€ 1 ì, 00

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L'editore è a disposizione per i compensi dovuti agli aventi diritto.

l'edizione, settembre 2011 © copyright 2011 by Carocci editore S.p.A., Roma Editing e impaginazione Fregi e Majuscole, Torino Finito di stampare nel settembre 2011 da Eurolit, Roma ISBN 978-88-430-6100-6

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo v�lume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Via Sardegna 50 00187 Roma. TEL 06 42 81 84 17 FAX 06 42 74 79 31

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it

Nicola Laneri

Archeologia della morte

Carocci editore

A Mauro

Nota Il riquadro contrassegnato dalla bussola un approfondimento.

G) contiene

Indice Introduzione 7 1.

Approcci allo studio dei riti funebri 11

1.1. Il rito funebre e la collettività 11 1.2. Rito, mito e antenati 13 -,W�11aborazione del lutto 17 1.4. Dall'archeologia funeraria alla new archaeology 20 1.5. L'archeologia interpretativa e contestuale 26

2.

Il potere del corpo 32

2.6. 2.7.

Il valore culturale del trattamento del corpo 32 Modalità di deposizione del cadavere 35 L'inumazione 39 La mummificazione 40 La cremazione 43 Il corpo mutilato 46 Quando manca il corpo 48

3.

La tomba, il corredo e le offerte funebri 52

3.1. 3.2. 3.3. 3.4. 3.5. 3.6. 3.7. 3.8. 3.9. 3.10.

I resti del rito funebre 52 Le necropoli 53 Luoghi della memoria collettiva 55 Il tipo di deposizione funeraria 59 Le deposizioni sotterranee 60 Tombe e paesaggio 65 Le strutture funerarie 72 I contenitori funerari 76 I corredi funerari 80 Statistica, informatica e pratiche funerarie 85

.-� -,,.::::

2.2. 2.3. 2.4. 2.5.

5

4.

La morte tra i vivi 89

4.1. Gli aspetti ideologici del rituale funerario 89 4.2. Morte e rango sociale 91 4.3. La morte dei sovrani e le tombe monumentali 97 Gli eroi e la "bella morte" 104 4.5. Il culto degli antenati 109, 4.6. L'uso dei resti umani per ricordare i defunti 111

@

5.

Eros e Thanatos: la morte come esperienza di rinascita 115

(.� Morte e fertilità 115 5.2. Le stele funerarie 118 5.3. Il banchetto funerario 121 Il sacrificio 124 5.5. L'iconografia funeraria 127 5.6. L'aldilà, l'immortalità e i testi 130

S-�4-

Bibliografia 134

6

Introduzione Quando ci siamo noi, non c'è la morte, e quando c'è la morte, non ci siamo noi. Epicuro, Lettera sulla felicità (a Meneceo), 125

La sepoltura del corpo di un defunto e la pratica di cerimonie fune­ bri ad essa associate sono elementi imprescindibili nella distinzione tra esseri umani e animali e c��-�neriiza11,o l'evoluzione culturale. e sociale dell'umanità sin dai primi esempi di dep_osi:z,ione fy,_n.eraria volontaria� come la famosa "tomba con fiori" neandertaliana ritro­ vata all'interno di una grotta presso il sito di Shanidar, in Iraq setten­ trionale, e databile a circa 60.000 anni or sono. Anche se altre scoper­ te fanno ipotizzare che le prime sepolture formali di esseri umani risalgano addirittura al Pleistocene Medio (circa 350.000 anni fa), è l'esempio di Shanidar che meglio testimonia l'importanza della defi­ nizione della valenza spirituale della morte nella fase fondante del processo di evoluzione dell'essere umano. La morte è infatti un momento drammatico, che non comporta solo il termine della vita biologica di un individuo e il dolore della comunità dei vivi per la perdita di un suo membro, ma soprattutto definisce le regole di socializzazione tra le persone che fanno parte di un determinato gruppo e modifica i sistemi di organizzazione sociale di un'intera comunità (Thomas, 1976). La morte, il dolore per l'avvenimento, la perdita di un membro della società devono essere quindi gestiti dai vivi con la trasformazione di un evento naturale in un fenomeno culturale, che deve essere esteriorizzato tramite la creazione di regole sociali, ideologiche ed economiche attuabili attraverso la pratica di riti funebri che si succedono Immediatamente dopo il decesso (Laneri, 2007). Questa dicotomia tra il biologico e il culturale nella ritualità funeraria fu brillantemente fatta notare da Benedetto Croce in alcuni passaggi dei Frammenti di etica (1931; ed. 1994, pp. 33-5), in cui il filosofo napoletano esternò, in modo chiaro e conciso, l'importanza delle pratiche funerarie nel superamento del lutto, osservando in panico7

lare che è «con l'esprimere il dolore, nelle varie forme di celebrazione e di culto dei morti» che «si supera lo strazio, rendendolo oggettivo» (ivi, p. 34). Questa oggettivazione della morte da parte dei vivi rende l'esperienza dei riti funebri un evento sociale che racchiude al suo interno temi e pratiche simboliche, religiose e ideologiche diretta­ mente legati alla vita quotidiana della comunità di riferimento. Il superamento della morte di un individuo da parte del gruppo sociale di appartenenza deve quindi avvenire attraverso un costrut­ to culturale che separi il biologico dal sociale e che perciò imprima continuità alla morte biologica degli esseri umani grazie all'immor­ talità della memoria del defunto tra i vivi. Nel fare ciò, al corpo, essenza biologica dell'individuo, viene associata un'anima, elemen­ to culturale e sociale che ha le potenzialità di risolvere idealmente la fine fisica della vita umana. È attraverso l'attuazione di riti funebri che questa dicotomia viene espressa e superata grazie all'esaltazione dell'aspetto non corporeo del morto. La pratica di un rito funebre da parte del gruppo di riferimento (la famiglia, il clan, i cittadini), che esalti le gesta del defunto e renda pubblico il dolore dei cari riuniti attorno alla sua tomba, è un punto di partenza imprescindi­ bile per il superamento dell'assenza fisica del deceduto e l'esaltazio­ ne dell'immortalità della sua anima tra i membri della comunità dei vivi. In altre parole, la morte viene concepita e superata dalla socie­ tà combinando la dimensione immaginaria (attraverso la creazione di storie mitico-religiose) con quella pratica (con la performance di riti) (Di Nola, 1966; ed. 1995, pp. 11-9). Questo elemento emerge chiaramente nelle narrazioni mitologiche delle popolazioni antiche che, sin dalla stesura della saga di Gilga­ mesh in Mesopotamia circa 5.000 anni fa (una serie di testi che raccontano le avventure epiche del primo eroe della storia mondiale; cfr. PAR. 5.6), tentano disperatamente di trovare una chiave mentale per superare la mortalità degli esseri umani (Mander, 2009).

Come studiare i riti funebri antichi È da questo punto di partenza che archeologi, antropologi e storici devono accingersi all'arduo compito di far convergere entro un unicQ.punto analitico 8

la c!J_meo.sione.biologica/natU+.l.le ( rappresentata dai resti ossei del J;funto reperiti dentro la tomba) e quella social_e/c11_lturale (racchiu­ sa invece nella culcura materiale visibile all'interno del contesto archeologico oppure nei testi dedicati alla descrizione dei riti fune­ bri) della morte degli individui nelle società antiche. Il tentativo di coniugare questi due aspetti appare ben evidente nella storia degli studi sui riti funebri, sia tra le società antiche che tra quelle contem­ poranee (cfr. CAP. 1). In particolare, l'obiettivo dello studio dei riti funebri antichi deve essere quello di individuare un sottile filo comune che connetta le analisi dedicate alle modalità di trattamento del corpo del defunto (inumazione, cremazione, mummificazione ecc.; cfr. CAP. 2), gli studi sulla localizzazione e sulla tipologia delle deposizioni funerarie e, infi­ ne, le ricerche dirette all'interpretazione dei corredi funerari e delle offerte poste sia all'interno che ali'esterno delle tombe (CAP. 3). Nel far ciò, bisogna prestare molta attenzione all'interpretazione ideologica e simbolica delle cerimonie funebri, con particolare enfa­ si sulla presenza fisica e spirituale della memoria dei defunti nella comunità dei vivi (CA P. 4). All'interno di questa visione del rito funebre, occorre evidenziare fortemente il rapporto metaforico che si instaura tra morte, fertilità e rinascita e come questo elemento sia rintracciabile tra le evidenze iconografiche e testuali delle comunità antiche (CAP. 5). Questo volume vuole quindi essere una guida basilare per studenti e studiosi interessati ad affrontare i significati sociali e culturali dei costumi funerari delle società antiche. Il suo obiettivo è nel contem­ po quello di evidenziare la dinamicità del dato storico e archeologi­ co, che deve essere sempre osservato e interpretato dallo studioso quale espressione materiale della pratica di riti e cerimonie da parte dei membri della comunità dei vivi.

9

1. Approcci allo studio dei riti funebri 1.1. Il rito funebre e la collettività Sin dagli albori dell'antro­ pologia moderna, il tentativo di comprendere il significato della morte per i membri delle società antiche e contemporanee ha segna­ to il percorso di numerosi studiosi, che hanno tentato di legare la ritualità funeraria alle forme più remote di religiosità connesse al culto degli antenati e alla comprensione della dimensione sociale della morte tra i vivi (Robben, 2004). È in questa direzione che si devono inquadrare, ad esempio, i lavori di James Frazer, di Edward Tylor e di Lucien Lévy-Bruhl, che tra la fine del xix e i primi decenni del xx secolo tentano di affrontare lo studio dei costumi funerari tra le popolazioni "primitive" enfatizzando soprattutto la paura del morto (e del suo fantasma) da parte della comunità dei vivi e il superamento di tale fobia attraverso la pratica di riti fune­ bri. In particolare, la prospettiva di analisi dei rituali funerari di questi studiosi è figlia dell'evoluzionismo sociale e culturale intro­ dotto in quegli anni da Charles Darwin e Herbert Spencer, e consi­ dera il culto dei morti e degli antenati come un prototipo nella scala evoluzionistica che ha portato alla creazione delle prime forme religiose (cfr. Fabietti, 2001, pp. 5-39 ). Nuova linfa vitale ali' analisi della dimensione sociale del rituale funerario fu apportata dagli antropologi francesi che, a partire dai primi anni del Novecento, compresero la fondamentale importan­ za di questa branca degli studi etnoantropologici. In particolare, furono gli adepti della scuola sociologica francese, fondata e capita­ nata da Emile Durkheim prima e da Marce) Mauss poi, a porre un accento più marcato sugli eventi rituali considerati quali fotti socia­ li, di cui si può capire la logica solo se li si interpreta alla stregua di fenomeni parziali di un più ampio sistema di regole che definisco­ no le modalità di aggregazione di un gruppo. Per Durkheim i fatti sociali rappresentano "maniere di fare" che esercitano una castri11

zione esteriore sugli individui, ne regolano la vita quotidiana e le forme di socializzazione e possono essere analizzati oggettivamente, come se fossero "cose materiali" Questa prospettiva sociale dell'e­ vento rituale della scuola sociologica francese è estremamente inno­ vativa e segna gli studi delle società antiche, moderne e contempo­ ranee degli anni a venire. In questo ambiente vibrante e stimolante, Robert Hertz nel 1907 e Arnold van Gennep nel 1909 affrontano le tematiche rituali con due ricerche che diverranno pietre miliari nel campo degli scudi dedica­ ti alla comprensione delle dinamiche sociali utilizzate dalle comu­ nità dei vivi per superare la perdita di un loro caro. Nell'ambito di questa visione sociale del rito, il giovane Hertz, nella sua pur breve vita, riuscì a scrivere uno degli studi più interessanti sul contesto funerario analizzando il rituale della deposizione secon­ daria (cfr. PAR. 2.2) degli individui appartenenti alle comunità indi­ gene dei Dayak delle isole del Borneo (moderna Indonesia) per dimostrare che i rituali associati alla morte, come erano stati studia­ ti fino a quel momento, erano ben lungi dall'essere stati compresi nella loro enorme vastità di valori simbolici ed emozionali, in un contesto ampio quale può essere quello della trasformazione della dimensione sociale della collettività. Per Hertz (1907, trad. it. p. 54), nello studio delle «pratiche concernenti la morte» occorre compren­ derne il rapporto con tre elementi fondamentali: il corpo dell'indivi­ duo, la sua anima, la comunità dei vivi. Lo studioso francese nota come tra le popolazioni dayak questa complessità delle pratiche funerarie si evidenzi nella cl.u.pfu:-e- sepoltura del corpo (si depone dapprima il corpo in una bara di legno; quindi, una volta decom­ posti i tessuti corporei, se ne pongono le ossa in un ossuario che viene seppellito definitivamente in un'abitazione sacra apposita­ mente dedicata), nel trasferimento dell'anima del defunto dal soggiorno temporaneo terreno a quello definitivo nel "mondo delle anime", infine, nel processo di "liberazione dei vivi" dalla morte dell'individuo attraverso un gran banchetto finale in cui la comu­ nità festeggia con "danze di gioia" e vestiti nuovi il ritorno alla "normalità" 12

L'attenta analisi di Hertz dei costumi funerari dei Dayak del Borneo mette in luce due elementi fondamentali che saranno ripresi da Van Gennep, ossia: 1. lo sviluppo temporale dei riti funebri; 2. l'impatto che essi hanno nella trasformazione sociale della comunità dei vivi. Per meglio comprendere questi punti, basta rileggere il paragrafo riassuntivo del breve studio di Hertz (1907, trad. it. p. 104): Per la coscienza collettiva, la morte è un'esclusione temporanea dell'individuo dalla comunione umana, esclusione che gli permette di passare dalla società visibile dei vivi a quella invisibile degli avi. Il lutto consiste all'origine nella partecipazione dei familiari allo stato mortuario del loro parente e ne ha la stessa durata. In ultima analisi, la morte in quanto fenomeno sociale è un duplice penoso lavoro di disgrega­ zione e di sintesi mentale; solo quando esso è compiuto la società, ritornata alla sua pace, può trionfare sulla morte.

1.2. Rito, mito e antenati Nell'ambito dell'innovativo approc­ cio sociale alla ritualità delle popolazioni non ancora sconvolte dall'influenza delle società moderne proposto dalla scuola sociolo­ gica francese, il volume di Van Gennep (1909) rappresenta un modello che farà scuola. Suo obiettivo è classificare quei rituali che l'autore definisce riti di passaggio, i quali segnano la trasformazione dell'identità sociale di un individuo in relazione con la società di appartenenza. Secondo lo studioso francese, questi riti sono legati alla nascita, all'adolescenza, alla pubertà, al matrimonio, alle prati­ che di iniziazione e a quelle connesse alla morte. Egli riconosce, all'interno della ritualità utilizzata per il superamento di queste fondamentali tappe dell'essere umano, una struttura ricorrente che coinvolge sia il soggetto agente che la comunità di riferimento. In particolare, Van Gennep nota chej riti di passaggio si articolan-0 generalmente nelle tre scansioni temporali seguenti, che demarcano a�_c:he la dimensione sociale dell'individuo entro lo spazio sociale del gruppo di appartenenza: una prima fase di distacco dell'indivi­ duo dalla comunità (separazione); una seconda di transizione e alie­ nazione della figura sociale (liminalità, intesa come "soglia" ovvero "limite", dall'etimo latino limes); un'ultima fase in cui l'individuo 13

trova una sua nuova dimensione sociale all'interno della comunità di riferimento (riaggregazione). Ovviamente, questo approccio può essere utilizzato in ognuna delle casistiche rituali prese in esame dallo studioso francese; tuttavia, come vedremo anche in seguito, sarà nell'analisi e nell'interpretazione dei contesti funerari che questo sistema analitico avrà particolare fortuna in ambito sia etnoantropologico che archeologico (cfr. FIG. 1). Questo tentativo di classificare le pratiche rituali non fu però preso in considerazione dagli studiosi contemporanei di Van Gennep, anzi molte furono le critiche che ricevette. Il suo approccio classifi­ catorio al complesso sistema della trasformazione dei ruoli che donne e uomini vengono a svolgere nel corso della loro vita era infatti considerato inutile e pretenzioso. In particolare, furono gli antropologi legati alla scuola sociologica francese di Durkheim a contrapporsi fermamente alla visione classificatoria dei rituali di

FIGURA 1

La morte come rito di passaggio

Deposizione Reliquie dei resti umani

Trattamento del corpo

Riti

Morte

post mortem

Veglia e corteo funebre Rito di separazione

Rito di riaggregazione

(liminalità/transizione)

14

Van Gennep, imputandogli, fra l'altro, di aver ripreso molte delle teorie di Hertz senza mai citarlo. Bisogna comunque riconoscere a entrambi i testi (sia a quello di Hertz che a quello di Van Gennep) il merito di essere stati innova­ tivi e di aver lasciato un segno profondo nella tradizione degli studi sui rituali e, in modo particolare, in quella funeraria. Infatti, il breve saggio di Hertz dedicato all'analisi dei rituali funerari secondari è divenuto, con il passare degli anni, uno dei testi teorici fondamen­ tali sul valore e sulla complessità del ruolo del defunto all'interno della comunità dei vivi. Questo fu inoltre il primo studio a individua­ re, nel rapporto tra i viventi e il defunto, il complesso sistema di elaborazione del distacco, profondamente emozionale, che avviene nel gruppo con la perdita di un singolo soggetto, il cui ricordo va a risiedere nella memoria collettiva della comunità stessa. Il concetto di morte non è qualcosa di finito, ma è un divenire continuo che si protrae nel tempo per rendere meno traumatica la perdita di un membro della comunità. Infatti, in numerose società premoderne e moderne il corpo non viene quasi mai eliminato immediatamente dal contesto sociale della comunità dei vivi, ma diventa invece il luogo in cui far confluire tutte le frustrazioni della società rispetto a questo avvenimento improprio. Alla morte fisica succede «quella seconda morte culturale che vendica lo scandalo della morte naturale» (De Martino, 1958; ed. 2000, p. 214) e tenta di disgregare l'effetto negati­ vo prodotto dall'evento luttuoso attraverso un lungo processo temporale che è riconoscibile nelle esequie funebri. Nel caso della tradizione cristiana, Philippe Ariès (1978, pp. 89-90), elaborando e ampliando la struttura del rito di passaggio proposto da Van Gennep, individua quattro scansioni temporali: il cordoglio, la ceri­ monia, il corteo jùnebre e l'inumazione. Con la fase finale (post mortem), il defunto non è più un'unica enti­ tà, ma è generalmente composto da un contenitore, il corpo, che è segregato all'interno del sepolcro, e da un contenuto, lo spirito o anima del morto, che diviene il perno centrale della venerazione e del culto dei defunti (Di Nola, 1966; ed. 1995, pp. 245-91). Come dimostrato dai lavori di Hertz e Van Gennep, il trascorrere del 15

tempo permette alla comunità dei vivi di passare dal limbo della disperazione per l'avvenuta morte a uno stadio finale positivo, in cui l'anima del defunto entra a far parte di una nuova realtà ance­ strale della memoria collettiva (in forma di fantasma, di antenato, oppure di vera e propria divinità), mentre la comunità torna a occu­ pare il proprio ruolo sociale. Accanto ali'approccio degli studiosi francesi alle realtà etnografica­ mente note, lo studio partecipante di Bronislaw Malinowski mette in evidenza l'importanza dei rituali funerari quali precursori di un pensiero religioso che si esprime tramite la pratica del culto degli antenati, il quale appare funzionale allo sviluppo organico dell'or­ ganizzazione sociale di una determinata comunità. All'interno di questa visione, la religiosità dei popoli si costruisce attraverso la commistione tra una parte mentale, che viene chiaramente racchiu­ sa all'interno della costruzione di miti, e una corporea e sensoriale, che si esplicita nella pratica dei riti. Ecco quindi che i miti, che stan­ no alla base del rituale della morte, sono in genere legati alla crea­ zione di una necessità esplicativa di un fenomeno basilare nella vita di una comunità, ossia quella di dare un senso sociale alla fine dell'esistenza fisica di un singolo individuo. La visione funzionali­ sta di Malinowski �acchiude in sé elementi analitici già emersi, ad esempio, nel brillante studio sul rituale e sul sacrificio compiuto da Robertson Smith alla fine del xrx secolo. La novità nel pensiero di Malinowski è sicuramente rappresentata da una visione olistica e organica del rapporto tra i diversi elementi (religioso, economico, tecnologico ecc.) che sovrintendono ali'organizzazione sociale di una comunità etnograficamente nota, visione che diverrà il cardi­ ne dell'approccio epistemologico della tradizione antropologica strutturalfunzionalista di stampo angloamericano (Fabietti, 2001, pp. 99-109). La funzione sociale del rituale funerario, osservato quale parte inte­ grante di un complesso sistema sociale di adattamento alla natura che consiste nell'organizzazione sociale di una data comunità, conti­ nua a essere posta come premessa da altri eminenti studiosi di questa scuola di pensiero, quali Alfred Radcliffe-Brown ed Edward Evans16

Pritchard (Scarduelli, 2007, pp. 7-28). Secondo questa prospetti­ va, i rituali funerari devono essere intesi in un'ottica di consolida­ men� dei legami sociali esistenti, di espressione di solidarietà tra i membri del gruppo e di manifestazione dell'autorità politica vigen­ te attraverso riti che superano la paura per la "presenza" del corpo del defunto. È all'interno di questo filone funzionalista che si avverte anche l'esi­ genza di differenziare le cerimonieJùnebri, che sono legate al supera­ mento immediato del decesso dell'individuo, dal culto degli antena­ ti, che invece ha una valenza storico-sociale molto più complessa, direttamente connessa alla costruzione della memoria collettiva e sociale del gruppo e alla creazione di un rituale di commemorazio­ ne che va al di là della semplice cerimonia praticata nelle immedia­ te vicinanze della tomba del defunto (cfr. PAR. 4.5). Il culto degli antenati ha l'obiettivo di rendere immortale lo spirito di alcuni individui che godono di una certa rilevanza nell'organizzazione sociale, come può essere il caso dei capifamiglia. Questi spiriti degli antenati acquisiranno così una forza sovrannaturale, che permette­ rà la cementificazione delle regole di discendenza tra i membri della comunità dei vivi. 1.3. Elaborazione del lutto Un altro approccio che ha avuto una grande influenza nell'analisi della ritualità funeraria è legato all'aspetto emozionale e psicologico che la morte e il lutto ad essa associato hanno nel vissuto di un individuo. La sterminata letteratu­ ra psicologica e psicoanalitica dedicata al tema dell'elaborazione del lutto da parte dell'individuo coinvolto nella dipartita di un suo caro (si pensi agli studi compiuti da Sigmund Freud e da Karl Abraham) diventa, per un certo periodo storico, uno stimolo a comprendere la valenza delle pratiche rituali quali strumenti per superare la crisi emozionale del trauma post mortem (che corrisponde alla negazione della morte; cfr. Di Nola, 1966; ed. 1995, pp. 39-46). La visione psicoanalitica del lutto si confronta anche con quei simboli e tabù associati alle pratiche rituali e al pensiero mitico che lentamente vengono assorbiti dal subconscio umano, e in tal modo creano i 17

presupposti per quelle patologie mediche (psicosi, manie depressi­ ve, nevrosi) che, ad esempio, caratterizzano sempre di più le socie­ tà moderne. La combinazione di tutti questi elementi (storici, culturali, sociali e psicologici) appare chiara nella definizione dell'importanza catarti­ ca del lutto nella gestione della collettività sociale della comunità, evidenziata nello straordinario volume pubblicato da Ernesto de Martino nel 1958. L' etnoantropologo napoletano, partendo dalla domanda posta da Benedetto Croce ( «Che cosa dobbiamo fare degli estinti ?» , Croce, 1931; ed. 1994, p. 33), illustra le complesse dinamiche rituali connesse al lutto attraverso esempi etnografici provenienti dal Sud Italia e casi storicamente e archeologicamente noti di ambito mediterraneo. Nella sua ricerca storico-culturale di chiaro stampo crociano, De Martino comprende l'importanza che le pratiche rituali han no nel controllare la crisi del cordoglio in società non ancora modernizzate, tramite la creazione di simbolismi che richiamano alla mente la dicotomia nascita/morte della produ­ zione agricola e dei cicli stagionali e segnano la vittoria culturale degli esseri umani sulla natura, oltre a destoricizzare e regolamenta­ re la morte "culturale " degli individui; soprattutto, De Martino può essere considerato un precursore per il fatto di aver capito che è attraverso la commistione dei mezzi di comunicazione (gesti, paro­ le, musica, balli, cibi, luoghi ecc.) che la performance rituale acqui­ sisce forza, e quindi potere, nel processo di superamento della crisi del cordoglio. I riti funebri sono quindi pratiche simboliche che han no profonde valenze sociali, economiche e ideologiche tra e per i vivi. Con questa prospettiva, De Martino diviene il primo a sotto­ lineare, nella tradizione antropologica, l'importanza che le dimen­ sioni sensoriali ed emozionali, espresse durante l'attuazione delle pratiche rituali, rivestono per la costruzione del sistema percettivo e cognitivo degli esseri umani. Nel corso degli anni', e specialmente negli ultimi decenni, l'aspetto funzionale e sociale del rituale è stato messo in secondo piano dagli studiosi che si sono occupati di questo specifico argomento, i quali h anno privilegiato maggiormente le valenze culturali, ideologiche e 18

simboliche dei riti funebri. In seno a questa prospettiva innovativa, le espressioni della ritualità funeraria devono essere osservate entro l'ambito in cui vengono praticate, perché esse cambiano a seconda del contesto socioculturale e geografico e in base alle necessità di mistificare il dato oggettivo della realtà degli avvenimenti, come è evidente negli studi presentati da Jack Goody (1962), concernenti l'analisi dei costumi funerari delle popolazioni Lo Dagaa dell'Africa occidentale, oppure in quelli compiuti da Maurice Bloch (1971 ) sulle popolazioni Merina del Madagascar. ln particolare, l'importanza della dimensione simbolica e ideologi­ ça delle pratiche funerarie nella dialettica tra individui e gruppi emerge in tutta la sua evidenza negli studi antropologici che, a partire dagli anni sessanta e settanta, sottolineano come la dicoto­ mia vita/morte si risolva attraverso la creazione di elementi simbo­ lici che richiamano alla mente dei partecipanti ai riti funebri tema­ tiche connesse alla fertilità, alla rinascita, alla rigenerazione e alla _ ç_r escita. Questi aspetti sono evidenti non solo nelle società che hanno una struttura sociale non molto complessa e un sistema reli­ gioso politeista, ma anche nelle comunità contemporanee contrad­ distinte da sistemi religiosi complessi e monoteisti. All'interno di questa dimensione simbolica del rituale funerario, meritano una menzione particolare: l'attenta analisi compiuta da Victor Turner (1969) sull'importanza della fase di !iminalità nello svolgimento dei riti di passaggio, osservata come momento di aggregazione diverso e ibrido, durante il quale si attuano performance rituali che non hanno nulla a che fare con le regole della quotidianità del gruppo; l 'importante ricerca effettuata da Maurice Bloch e Jonathan Parry ( 1982) sulla relazione tra morte, pratiche funerarie e fertilità nella creazione del bagaglio culturale, simbolico e ideologico di una comunità; il diligente studio di Mary Douglas (1 993) sull'impor­ tanza che i rituali hanno nel risolvere la dicotomia di opposti polluzione (morte) /purezza (vita ovvero rinascita); infine, per la chiara dimostrazione di come il trattamento, l'esposizione e la gestione del corpo del defunto da parte della comunità dei vivi acquistino un valore simbolico fondamentale nel processo rigene19

rativo della società dopo la dipartita del proprio caro, lo studio di Peter Metcalf e Richard Huntington (1985) sulla relazione tra la decomposizione del corpo del defunto e la fermentazione del riso per la preparazione del vino tra le popolazioni berewan del Borneo, in Indonesia. 1.4. Dall'archeologia funeraria alla new archaeology Se non in casi sporadici, in ambito archeologico e antichistico la ricerca non segue inizialmente gli approcci che caratterizzano l'antropolo­ gia culturale. Questi rari esempi consistono negli studi di Fuste! de Coulanges (tra i cui discepoli vi fu anche Durkheim) e Henry Maine, che notano, grazie anche all'apporto dei testi, come in ambito romano e greco antico vi sia un legame tra i riti funebri, la localizzazione delle tombe, il culto degli antenati e il mantenimen­ to di legami sociali tra gli appartenenti a un gruppo corporativo. Questo tipo di approccio è chiaramente permeato dalle linee teori­ che che in quegli anni solcavano gli ambienti accademici europei e americani, ma segna anche un primo interesse per l'interazione tra la localizzazione della tomba, l'organizzazione dei sistemi di discen­ denza/ parentela e l'accesso alle risorse naturali, che diverrà tipico della più tarda archeologia neoevoluzionista. Tra queste prime analisi dei contesti funerari antichi spicca sicuramente un breve arti­ colo redatto nel 1945 da una delle maggiori figure della tradizione archeologica mondiale, Vere Gordon Childe, che apre una nuova prospettiva nell'analisi delle deposizioni funerarie antiche. All'inter­ no di questo articolo, lo studioso australiano osserva come la complessità del dato funerario riproduca non solo elementi ricon­ ducibili ali'evoluzione dell'organizzazione sociale delle società anti­ che, ma anche l'espressione ideologica delle relazioni sociali che intercorrevano tra i membri della comunità dei vivi. In particolare, Childe (1945) nota come, in alcuni contesti, le tombe reali rappre­ sentino una forma ideologica di comunicazione del potere delle élite alle classi subalterne attraverso la ricchezza dei corredi, la maestosità delle strutture funerarie e, soprattutto, la presenza di sacrifici umani e animali. 20

La tradizione archeologica della prima metà del Novecento semb'ra essere comunque sempre contraddistinta dal tentativo di descrive­ re, definire e classificare gli elementi comuni nelle deposizioni fune­ rarie delle società del mondo antico (come, ad esempio, il tipo di trattamento del corpo, la tipologia della struttura funeraria e degli oggetti che compongono il corredo funerario). In questa prospetti­ va, gli aspetti diacronici e di specificità culturale e ambientale di una determinata società non vengono presi in esame dagli studiosi del mondo antico, così come non viene colta l'importanza rappresenta­ ta dalle differenze tra i resti dei riti funebri antichi. Questa prospettiva interpretativa del dato archeologico funerario sarà però criticata aspramente dall'avvento della posizione teorica neopositivista della new archaeology e dell 'archeologia processuale che, a partire dagli anni sessanta, segnerà gli studi archeologici dedicando un'attenzione particolare all'analisi dei contesti funera­ ri, considerati uno "specchio fedele" del rango sociale raggiunto dagli individui alla loro morte (Giannichedda, 2002). Il principale fautore della new archaeology, Lewis Binford (1971), apporta nuova linfa vitale allo studio dei contesti archeologici, rifiutando decisa­ mente l'approccio storico-culturale, idealista e diffusionista dei decenni precedenti, e mettendo invece sul piatto della bilancia l'importanza di un'analisi scientifica che possa, attraverso l'appli­ cazione di una "teoria del medio raggio" (middle range theory), relazionare la staticità del dato archeologico alla dinamicità dei comportamenti delle popolazioni antiche che hanno creato e utilizzato quel dato. Attraverso un tale approccio metodologico, l'archeologo potrà individuare generalizzazioni transculturali che permettano di ricostruire l'organizzazione sociale di società antiche ed etnograficamente note tramite l'utilizzo di un processo interpre­ tativo ipotetico-deduttivo (ossia, formulare ipotesi, costruire model­ li interpretativi, generare conclusioni basate sulla verifica delle ipotesi attraverso l'uso di casi di studio qualitativamente e quanti­ tativamente attendibili). Secondo Binford, questo tipo di approc­ cio analitico è-di più semplice applicazione all'interno del contesto funerario, l'unico luogo dove si può evidenziare la distinzione tra 21

le classi sociali e si possono facilmente identificare i diversi aspetti della socia!pers�rza del defunto {c fr. riquadro di approfondimento) ,

(§)

Socia/ persona

Segu e n d o i d etta m i d i Wa rd Good e n o u g h (1965) i n m e rito a l con cetto d i organizzazione sociale e, i n pa rti co l a re, a l l a d efi n iz i o n e di ruolo e rango sociale d e l l ' i n d ivi d u o , �i nfo rd (1971) ç_o n ia i l term i n e so.eia/ ..E!{J..Q.D.a. p e r i n d i ca re l ' i n s i e m e d e l l e i d e ntità socia l i otte n ute i n vita d a l l ' i n d ivi d u o e ricon osci ute q u a l i fo n d a nti al m o m e nto d e l l a m o rte d e l l o stesso. Con q u esto tipo di a p p roccio, e g l i co m p re n d e l ' i m porta n ­ za d e l rico n osci m e nto d e l ra n go socia l e d e g l i i n d ivi d u i d a pa rte d e l l a co m u n ità e co m e q u esto ve n ga pa rti co l a r m e nte evi d e n ziato d u ra nte l ' attuazione d e i riti fu n e bri, la c u i ricchezza è d i retta m ente proporzio­ n a l e a l l ' i m po rta nza del ru o l o soci a l e ra ggi u nto dal d efu nto i n vita . In p ra t i c a , l ' a lta va r i a b i l ità d e g l i attri b u t i riconosci b i l i a l l ' i nte r n o d e l contesto fu n e ra ri o è d a m ette re i n re l a z i o n e d i retta con u n co m p l esso s i ste m a di n o r m e c h e rego l a n o l·e d i sti n z i o n i di status t ra i m e m bri d e l l a com u n ità . L' i n d ividuazione, a l l ' i nterno del contesto fu nera rio, degli elementi disti n ­ tivi d e l l a rea ltà soci a l e ed economica d e l d efu nto con n essi a l la sua età , a l suo ruolo e a l la sua posizione socia l e a l l ' i nterno d e l l a com u n ità è da considera rsi com e un fon d a menta l e passo i n ava nti n e l l ' a n a l isi a rcheo­ logica, per tro p po te m po ri masta sch iava della sua i d e ntità a ntiq u a ria. Qu esta tra i etto ria e p iste m o l ogica h a segn ato i m p resci n d i b i l m e nte l e ricerche a rcheologiche dedicate a l lo stu d i o dei resti fu n e ra ri d e g l i a n n i a ven i re, ma è stata a nche fortemente criticata da u n a serie d i stud iosi che, a pa rti re d a l l ' i n izio degli a n n i otta nta , mostra ron o come, a l l ' i nte rno di a l c u n e società (ad esem pio le com u n ità d i gita n i b rita n n ici) , l'ostentazio­ n e m a n ifestata d u ra nte i l rito fu nebre non fosse d i retta m ente correlata a l l a posizione soci a l e raggi u nta d a l d efu nto i n vita , owero com e a l c u n i p e rsona ggi d i a lto ra ngo n o n ve n i ss e ro n e cessa ri a m e nte d e posti i n to m be m o n u m e nta l i e con ricc h i corre d i fu n e b ri , co m e n e l c a s o d e i preside nti degli Stati U n iti d 'Ameri ca sepolti n e l cim ite ro d i Arl i n gto n .

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che è in pratica un prodotto delle identità sociali acquisite in vita dall'individuo e riconosciute dal resto della comunità al momento della sua morte. In particolare, lo studioso statunitense pone in dlretta relazione la variabilità del contesto funerario e delle moda­ lità di inumazione degli individui con la complessità sociale, tecno­ logica ed economica raggiunta dalla società stessa in una determi­ nata fase storica. Nel suo attento studio, Binford riconosce nell'età, nel sesso, nella posizione sociale, nel tipo di morte, nella localizzazione della tomba e nelle affiliazioni sociali le dimensioni dell'identità sociale del defun­ to; in particolare, egli individua nella modalità di trattamento e disposizione del corpo del defunto, nella tomba utilizzata, nel suo orientamento e nella sua localizzazione, nella quantità e nella quali­ tà del corredo funerario gli dementi che possono permettere ali'ar­ cheologo di ricostruire il ruolo sociale svolto dal defunto nella socie­ t�. di riferimento. All'interno di questa prospettiva socioeconomica, Binford nota come la variabilità funeraria abbia forti corrisponden­ ze anche con il tipo di economia di sussistenza adottato da una determinata comunità: le società che hanno un'economia basata sull'agricoltura mostrano pratiche funerarie di maggiore complessi­ tà rispetto a quelle riscontrabili all'interno di gruppi di cacciatori­ raccoglitori oppure dediti a·un'economia di tipo prevalentemente pastorale. Come accennato in precedenza, è proprio a cavallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta che l'interesse per un'a­ nalisi scientifica e socioeconomica del record archeologico associa­ to ai riti funebri antichi prende piede in ambito statunitense e britannico. In un breve lasso di tempo, escono numerose pubblica­ zioni che si occupano di questo argomento, analizzando scientifica­ mente e con modelli matematici e tassonomici la tipologia di trat­ tamento del corpo del defunto (deposizione primaria, deposizione secondaria, cremazione ecc.), il suo orientamento, il sesso e l'età dell'inumato, la tipologia di struttura architettonica utilizzata e, infine, la tipologia dei manufatti che compongono il corredo fune­ rario, con l'obiettivo di mettere in luce la dimensione sociale delle 23

p ra tiche funerarie (cfr. CA P P. 2-3). Secondo i dettam i dell a new archaeology, un'analisi scientifica e coerente di questi elementi può

for nire un quadro chiaro delle tipologie di relazione soci ale e, conseguentemente, del tipo di organizzazione della società presa in considerazione. È in questa direzione che va la tesi di dottorato di Arthur Saxe (1970), il quale, seguendo i paradigmi binfordiani e attraverso un'a­ nalisi prettamente scientifico-matematica di contesti funerari etno­ graficamente noti, introduce, per primo, l'idea di una griglia preconfezionata in cui poter inserire e disciplinare i comp ortamenti funerari delle società; Saxe utilizza otto ipotesi interpretative (che potremmo anche definire assiomi) che servono per relazionare le pratiche funerarie alle dimensioni sociali e possono essere breve­ mente riassunte nei seguenti punti: 1 . mettendo insieme diversi aspetti delle pratiche (ad esempio presenza/assenza di determinati oggetti tra il corredo funerario e tipo di inumazione) si possono creare combinazioni di elementi che facciano luce sulla socia! p erso­ na del defunto (ad esempio alta presenza di armi e tomba monu­ mentale = figura socialmente preminente all'interno di una società di stampo militare); 2. le società più complesse presentano un maggior numero di dimensioni sociali; 3. gli individui con un basso livello sociale avranno un numero di oggetti limitato nel proprio corredo funerario (e viceversa); 4. le dimensioni sociali più impor­ tanti del defunto saranno quelle più rappresentate nel contesto funerario (ad esempio il capo di un gruppo sociale riceverà un trat­ tamento adeguato al suo rango elevato); 5. attraverso l'utilizzo di formule matematiche, Saxe ipotizza che un più alto livello di ridon­ danza tra gli attributi funerari sia imputabile a una maggiore complessità sociale (e viceversa); 6. sulla base di calcoli statistici si cerca di dimostrare che a una minore complessità sociale corrispon­ de una tnaggiore coerenza nel rapporto tra valori simbolici e signi­ ficati sociali degli stessi (e viceversa); 7. le società meno complesse mostra no un minore livello di variabilità funeraria; 8. le aree desti­ nate ,11 1 -l deposizione funeraria dei defunti (necropoli) servono a legittÌIT\are l'accesso privilegiato di un determinato gruppo alle 24

risorse economiche del territorio attraverso la creazione di una linea di discendenza tra i membri dello stesso e gli antenati. Nell'ambito di questa nuova visione altamente scientifica dell'ar­ cheologia, l'uso di elaboratori elettronici permette di classificare e creare statistiche coerenti per testare le ipotesi teoriche di partenza. Ecco così che l'analisi dei gruppi ( cluster analysis; cfr. PAR. 3.9) e molte altre tecniche analitiche mutuate dal campo delle metodolo­ gie statistiche vengono messe alla base di una ricerca che si pone come obiettivo primario l'individuazione di risultati certi, in grado di fugare i dubbi delle ipotesi di partenza nell'analisi interpretativa dei contesti funerari. In quest'ottica, sono stati effettuati numerosi tentativi di individua­ re nella variabilità delle pratiche funerarie elementi utili per rico­ struire dinamiche sociali di popolazioni antiche ed etnograficamen­ te note. Tra questi, meritano una menzione particolare: lo sforzo di J oseph Tainter (1978) di correlare il livello di energy expenditure ("spesa energetica") dei riti funerari con il grado di gerarchizzazio­ ne sociale di una determinata società (vale a dire, più complesse e diversificate sono le strutture funerarie, maggiore è la stratificazio­ ne sociale verticale della società presa in esame); quello di Chris Pebbles e Susan Kus (1977) di identificare una differenziazione verticale (distinzione di rango sociale) e orizzontale (appartenenza a uno stesso sodalizio) distinguendo gli elementi comuni (o "subor­ dinati", ossia l'età, il sesso e la posizione raggiunta in vita), quelli cioè che si possono trovare all'interno di tutte le tombe e indicano un'appartenenza a uno stesso gruppo, dagli elementi straordinari (ovvero "superordinanti", come ad esempio oggetti unici trovati all'interno del corredo funerario), che segnalano una differenziazio­ ne di status tra i membri di quel determinato gruppo. Con la pubblicazione della raccolta di saggi The A rchaeology of Death (Chapman, Kinnes, Randsborg, 1981), l'approccio teorico degli archeologi neoevoluzionisti e processuali, interessati allo studio dei costumi funerari antichi, raggiunse il suo apice; nel contempo, però, si iniziavano a intravedere le prime incongruenze di carattere metodologico di questo sistema interpretativo altamen25

te scientifico. In precedenza, tali limiti dell'approccio empirico e matematico-statistico ai costumi funerari delle popolazioni antiche erano stati messi in luce da un breve e molto pacato articolo di Peter Ucko (1969), in cui si evidenziava ancora una volta come l'analisi archeologica del rituale funerario avesse bisogno della comprensio­ ne del suo contesto culturale e dei valori simbolici associati a queste pratiche. Di conseguenza, le generalizzazioni poste in essere dagli studiosi della new archaeology e dell'archeologia processuale potevano creare modelli che non avevano coerenza con la realtà dei dati e delle società prese in considerazione. 1.5. L'archeologia interpretativa e contestuale Tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta, comincia a farsi sentire una critica veemente all'approccio scientifico e positivista e al metodo oggettivo e generalizzante che in quegli anni caratterizza­ vano sia la ricerca archeologica che quella antropologica. Queste voci dissonanti esprimevano l'esigenza di restituire importanza alla dimensione culturale e simbolica che il dato archeologico possiede e che non può essere negata dalla spasmodica ricerca di verificare ipotesi di lavoro precostituite. La diffidenza nei confronti dell'as­ sioma della ricerca archeologica positivista - dato archeologico = ricostruzione sociale - si palesa chiaramente nell'antropologo britan­ nico Edmund Leach (1977) che, in una famosa postfazione a un volume dedicato al rapporto tra archeologia e antropologia, mette alla berlina la correlazione diretta tra variabilità funeraria e status sociale raggiunto in vita dal defunto, evidenziando invece l'impor­ tanza degli aspetti simbolici, ideologici, storici e culturali del dato archeologico, giacché gli oggetti non sono solo cose, ma «rappre­ sentazioni di idee di esseri umani» (ivi, p. 167). Nell'Europa conti­ nentale, questa critica ali'eccessiva oggettivazione del dato archeo­ logico è fatta propria dal filone francese e italiano dell'antropologia del mondo antico (ben rappresentato dal volume curato da Gherar­ do Gnoli e Jean-Pierre Vernant nel 1982 e dagli studi di Bruno D'Agostino, Angela Pontrandolfo, Luca Cerchiai, Anna Maria Bietti Sestieri e Maria Assunta Cuozzo), mentre in Gran Bretagna 26

e nel N o rd Europa questa tendenza a cercare di comprendere gli aspetti ideol og ici e simbolici del dato archeologico confluirà nella cosiddetta 4rcheologia postprocessuale ( Cuozzo , 1 9 9 6 ) . Per quanto riguarda l 'ambito funerario, esso non viene p i ù trattato separata­ mente, bensì i ncorporato all'interno di una visione focalizzata prin­ cipalmente sui contesto geografico e culturale dei resti archeologici. I n particolare, !'.interesse degl i studiosi nei riguardi dei fenomeni legati alla ri tual ità funeraria si concentra sull'interpretazione degli elementi simbolici che danno significato alle pratiche funerarie in quanto superamento dell'evento biologico, sulla concezione della ritual i tà funeraria come espressi o n e culturale e ideologica del rapporto tra i l mondo dei vivi e quello dei morti e , i n fi ne, sulla comprensione dell'azione rituale ( performance) come espress ione m u l t i mediale che ha u n fo rte i m patto sul sistema percettivo e cognitivo dei p;utecipanti al rito funebre. Nel corso degli an n i , la critica all ' approccio metodologico prece­ dente si fa sempre più radicale: si comincia a util izzare la semiotica per i ndividuare il valore reale dei sign i fi cati (cultura materiale = testo) del rituale funerario fermato dal tempo e sepolto sotto strati di terra; ci si sforza di determinare i rapporti di potere che costitui­ scono le funzioni del rituale, attraverso l'individuazione del valore ideologico attri b u i b i l e a i s i m b o l i rintracciab i l i sia nella cultura materiale che nella gestione del corpo del defunto; s i i n izia a mostrare maggiore in teresse per la comprensione, attraverso un approccio che segue i dettami di Antonio G ramsci, della funzione del rituale funerario quale espressione della dialettica di potere tra le classi egemoni e i gruppi subalterni ; si tenta di definire l'impatto che l'azione pratica del rituale ha sull'appartenenza sociale dell'in­ dividuo partecipante al gruppo; e , i n fi n e , si cerca d i cap i re che i mportanza ha i l posizio namento della to mba nella costruzione della topografia mentale degli individui attraverso un'analisi feno­ menologica e cognitiva del rapporto tra contesto funerario e ambi­ to insediamentale. L'in troduzione di un'etnoarcheologia dei simboli , considerata non come ricerca di paragoni transculturali per la normal izzazione dei

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contesti funerari antichi (come avveniva con gli approcci neopositi­ visti), ma quale sforzo di comprensione dei valori attribuiti dalle popolazioni antiche ali'azione rituale, trasforma radicalmente .i.l ·sèfiso delle ricerche in ambito funerario. Ian Hodder (1992), con il suo studio delle società contemporanee di Baringo in Kenya, è stato sicuramente uno dei primi a comprendere i limiti di una ricerca sulle ritualità funerarie fondata su una pedissequa analisi scientifica e oggettivizzante del dato archeologico, in quanto questa non permette di capire la complessità della totalità del rituale e dei valo­ ri simbolici che risiedono sia all'esterno che all'interno della strut­ tura funeraria stessa. In questo senso, egli non risparmia critiche agli archeologi processuali che nel!' analizzare le tombe megalitiche del Neolitico nordeuropeo avevano attribuito a queste strutture il rico­ noscimento di uno status sociale conquistato dalle élite nella gestio­ ne delle risorse agricole. Hodder (1984), invece, scorge una notevo­ le similitudine fra le strutture megalitiche funerarie e le abitazioni, e ipotizza pertanto che la comunità dei vivi si avvalesse di tale verosi­ miglianza per creare una dialettica positiva di superamento della morte biologica degli individui attraverso la costruzione di un'ideo­ logia non necessariamente tesa a evidenziare e rappresentare relazio­ ni sociali asimmetriche fra i componenti di una determinata comu­ nità, ma concepita bensì in un'ottica di superamento della morte tramite la creazione di un contesto che simbolicamente richiamasse alla mente la dimensione domestica e ancestrale della comunità di riferimento. Fra i temi centrali di questa nuova prospettiva interpretativa vi è anche l'analisi del trattamento del corpo del defunto, inteso come mezzo di comunicazione culturale e sociale; cale manipolazione sottolinea inoltre l'importanza dei diversi sistemi di controllo della putrefazione dell'individuo (cfr. PA R. 2 . 1 ) quali mezzi per definire regole di identificazione etnica ovvero per gestire dialettiche ideolo­ giche era i diversi gruppi sociali (Parker Pearson, 1999, pp. 45-71). Questo tipo di approccio è sicuramente figlio dell'interesse per i riti funebri di deposizione secondaria e per la rappresentazione colletti­ va della morte espresso inizialmente da Hertz, ma pone anche un 28

forte accento sulle «trasformazioni culturalmente controllate e significative di ciò che resta dei c-;rpi» ( vale a dire, interventi di tanato-metamorfosi; cfr. Favole, 2003, p. 114), e sull'equivalenza tra corpo e oggetto. Le fasi di decomposizione del corpo del defunto hanno infatti un ruolo centrale nella pratica attiva dei riti funebri; successivamente, i suoi resti ossei possono acquisire una forte valenza ideologica, riconoscibile anche dal loro riposizionamento al di fuori della tomba e in contesti politicamente validanti (cfr. PAR. 4.6; Remotti, 2006). Questo tipo di approccio è chiaramente riscontrabile anche nei più recenti studi di tafonomia culturale compiuti da archeologi e antropologi fisici britannici e francesi (Duday, 2006). La straordinaria importanza dell'approccio postprocessuale deriva anche dal fatto che apre a una molteplicità di interpretazioni e visio­ ni il dato archeologico preso in considerazione dallo studioso del mondo antico. Infatti, un'archeologia dei simboli, visti nel loro significato in divenire durante la performance di un'azione rituale, non garantisce una soluzione unica, ma individua processi di intera­ zione tra i membri della comunità che superano le tradizionali prospettive socioeconomiche verticali (élite contro sudditi) e oriz­ zontali (appartenenza a un determinato gruppo sociale). All'inter­ no di questa prospettiva, il fattore ideologico acquista un rilievo fondamentale, divenendo così il fulcro della gestione dei gesti colle­ gati al rituale funerario. La forza dell'ideologia è anche legata alla possibilità di variare le logiche sociali mascherando, ad esempio, le differenze sociali attraverso un sistema funerario che, a prima vista, potrebbe sembrare tipico di società egualitarie prive di differenzia­ zioni sociali verticali, come è il caso dei cimiteri protestanti del Nord Europa o degli Stati Uniti d'America. 1 1 fulcro della ricerca archeologica deve essere quindi la comprensio­ ne delle pratiche rituali nella loro complessità, che include le moda­ lità di trattamento del corpo del defunto, il valore simbolico degli oggetti che fanno parte del corredo funerario, l'importanza ideolo­ gica delle pratiche rituali post mortem, il rapporto tra il contesto fu nerario e quello abitativo/produttivo e, infine, il cambiamento 29

delle pratiche funerarie nel corso del tempo come indicatore di trasfo rmazioni sociali, culturali e ideologiche, e non solo degli aspetti economici di una comunità. Ecco allora risorgere come fenici dalle ceneri le teorie di Van Gennep, Hertz e Childe sul rito di passaggio, il valore col lettivo della morte e l'aspetto ideologico e culturale delle pratiche funerarie nel mondo antico. L'interpretazione dei contesti funerari non appa­ re più Jegata a un'osservazione del dato archeologico concepito come mero deposito di società antiche, ma come espressione della dinamicità di un'azione rituale avvenuta in tempi antichi e che, _grazie a un attento studio e all'analisi dei contesti funerari, può esse­ re ricostruita. Quest'opera di revisione è stata resa possibile anche da una nuova visione del dato etnoarcheologico, che ha permesso di osservare direttamente le dinamiche legate alla pratica sociale della costruzione dei differenti rituali che caratterizzano la struttura ideo­ logica e culturale di una comunità. !n questo modo, l'archeologo non attua più una comparazione generalista tra realtà antiche e comunità etnografìcamente note nello sforzo di trovare risposte oggettivamente valide ai muti contesti archeologici, bensì speri­ menta una visione multiprospettica delle società viventi nel tentati­ vo di osservare le variazioni dinamiche dei simboli atti alla costru­ zione del rituale analizzato. La ricerca archeologica si focalizza così sull'analisi di nuovi elemen­ ti, con la consapevolezza che, ad esempio, un rituale funerario non termina mai con la semplice deposizione del corpo del defunto e la chiusura della tomba. I l rituale resta nella memoria della società attraverso le commemorazioni, le libagioni e le feste dedicate al morto, il culto ancestrale delle anime dei defunti. Il defunto diven­ ta quindi una sorta di simulacro in cui bisogna credere per poter basare su di esso le proprie speranze di vita. La morte, com'è ovvio, spaventa tutti ed è da sempre ritenuta una delle cose più illogiche nella natura dell'uomo. La costruzione di credenze, fondate sul funzionamento delle basi ideologiche dei singoli individui nella logica comportamentale dell'intera comunità, diventa per l'umani­ tà una delle poche, se non addirittura l'unica via di scampo alla 30

paura della morte. L'impossibilità di raggiungere l'immortalità fa pertanto sorgere nei componenti della collettività l'esigenza di fondare dei miti esplicativi del corso naturale della vita, attraverso la creazione di una tradizione orale e/o scritta quale ad esempio il viag­ gio intrapreso dall'eroe sumerico Gilgamesh negli inferi per riuscire a conquistare il bene prezioso della vita eterna (Pettinato, 2004). Ed è in questo viaggio, .i.lla ricerca dei signifìcati e delle valenze simboliche_ amibuiti dalle comunità antiche a quei riti funebri che consentivano il superamento della morte biologica dell'individuo, che lo studioso del mondo antico si deve avventurare. Nel far ciò, dovrà poter disporre di una serie di strumenti che gli consentano di assolvere alle necessità scientifìche di analisi del dato archeologico e al contempo di tentare di interpretare gli aspetti culturali, sociali, economici e ideologici dei costumi funerari delle società antiche.

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2.

Il potere del corpo

2.1. I l va lore cu ltu ra l e del tratta mento del corpo Il punto di partenza per una ricerca dedicata ai rituali funerari antichi è sicura­ mente rappresentato dall'analisi e dall'interpretazione della relazione tra il_c_Q_rp_Q dd_defunto, dagli oggetti del suo corredo funerario e dalla s_trun_uraJu neraria in cui esso è stato deposto, ma è soprattutto il corpo del defunt�T elemento centrale da cui occorre partire per uno studio coerente sull'argomento. In particolare, la_"ges!iof!e delcada­ yete-'.'._dev� essere tenuta in forte considerazione, perché può racçh i\J­ der� !_l_l sé elementi importanti per la comprensione degli orientamen­ tw:eJigigsi di una determinata società. Il mante�imento del corpo in un b uono stato di conservazione prima dell'attuazione delle cerimonie funebri attraverso la sua, _puri­ ficazione, che consiste generalmente in u.11-bagno rituale (abluzione rituale) � nell'unzione con oli profumati, è un passaggio cruciale per moltissime società. Nella tradizione greca, ad esempio, l'importan­ za del trattamento del corpo prima della sua deposizione finale all'interno del sepolcro si deduce sia dalle evidenze testuali (Mirto, 2007, pp. 58-65) sia da un'attenta analisi dei residui organici in contesti funerari che, sin dall'epoca micenea, evidenziano tracce dell'uso di particolari oli e resine (Cultraro, 2006, pp. 138-43). La decomposizione del cadavere a causa di agenti atmosferici o animali ovvero la sua mutilazione o profanazione da parte dei nemi­ ci sono infatti eventi da evitare in ogni modo. La possibilità che ciò avvenga è da considerarsi alla stregua di una maledizione per gli eroi morti in battaglia. Un accadimento che neanche le divinità voglio­ no, come si può ben dedurre nell'Iliade dall'attenzione dedicata da Afrodite, Apollo e Ermes alla preservazione del corpo di Ettore dopo la sua uccisione per mano di Achille, dalla preoccupazione dello stesso Achille nei riguardi della possibile decomposizione del corpo dell'amico Patroclo, oppure dalla cura mostrata da Apollo per il trattamento del cadavere di Sarpedone, figlio mortale di Zeus (Mino, 2007, pp. 56-8, 103-9; Vernant, 2000, pp. 71-2). 32

Te_rminatala purifìc.:azi_onç del cadavere, questo può entrare nella fase fìnale.. del. trattame11to de/.co_!jJo che, come giustamente osserva Thomas (2006, p. 27), ha l'obiettivo primario «di sottrarre allo sguardo la decoi:i:iposizione della carne» attraverso la mummificazio­ ne2-�he bJoc_c� la pt1trefazione dei tessuti, la cremazione, che la elimi­ na�e1::1re la sepoltura, che la nasconde. Jr1 u_�tcri.ta indagine archeologica sui resti umani che tenda a comprendere le valenze socioculturali delle pratiche funerarie, oltre alle modalità di trattamento del cadavere J:,is_ognerà Jçne_r conto anche di altri e!�JEenti legati alla gestione del_çor_po del defunto e, i n particolare, al suo p�5-izionamento e orientamento all'interno del sepolcrq,_ lnfatti, la morte è spesso immaginata come un viaggio nel mondo dell'oltretomba, e quindi il cadavere deve essere pronto a effettuare tale viaggio con una postura corretta e con lo sguardo rivolto nella direzione in cui è ubicato l'aldilà oppure un importan­ te centro religioso. La r!cerca sui resti ossei umani è di estrema importanza anche per la comprensione di altri aspetti fondamentali della "biografia" dell'in­ dividuo, come la determinazione del sesso, dell'età e delle cause di decesso (paleopatol