Anima. Dramma in tre atti
 888402210X

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AMELIA

PINCHERLE

ROSSELLI

ANIMA DRAMMA IN TRE ATTI A cura di

Natalia Costa-Zalessow

SALERNO EDITRICE

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AMELIA

PINCHERLE

ROSSELLI

ANIMA DRAMMA IN TRE ATTI A cura di Natalia Costa-Zalessow

SALERNO

EDITRICE

Si ringraziano gli Eredi Rosselli per aver concesso il permesso di pubblicazione del dramma Anima”.

ISBN 88-8402-210-X

Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 1997 by Salerno Editrice S.r.l, Roma. Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la

preventiva autorizzazione scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.

INTRODUZIONE

1. Amelia Pincherle Rosselli è sempre ricordata come la madre di Carlo e Nello Rosselli, i ben noti fondatori del movimento antifascista « Giustizia e Libertà », che furono

assassinati in Francia nel 1937. Ma prima di questo tragico

evento, Amelia Rosselli era conosciuta come drammaturga, scrittrice di romanzi e racconti, nonché come

animatrice

dei circoli letterari fiorentini, famosa per la sua instancabile

attività in favore degli interessi femminili, soprattutto fra i poveri. Amelia (anagraficamente Bice Amalia, ma preferf poi la forma Amelia) Pincherle Moravia nacque il 16 gennaio 1870, a Venezia, da Giacomo e Emilia Capon (Reato, p. 5).

Suo padre era stato un ardente patriota durante il Risorgimento e conservava, come ricordo, un pezzo di pane, di in-

certa mescolanza, fatto nella città lagunare durante l’assedio del 1848-1849 (Viviani, p. 71). Era sorella di Gabriele

(1851-1928), magistrato e autore di vari libri di giurisprudenza, che fu nominato senatore nel 1913 (Diz. Tosi, p. 323), e di

Carlo (1860-1942), architetto e padre dello scrittore Alberto Moravia.!

Nel 1885 Amelia si trasferî con la famiglia a Roma, ma sappiamo ben poco della sua giovinezza e del tipo di studi che le fecero fare. Nel 1892 sposò Giuseppe Emanuele Rosselli, detto Joe, membro della famiglia Rosselli di Livorno, legata alla memoria di Giuseppe Mazzini, morto nel 1872 a Pisa nella casa di Pellegrino Rosselli, la cui moglie, Giannetta, era figlia di Sara Nathan, protettrice del famoso esiliato. I. Moravia era molto grato alla zia Amelia, perché era stata lei a convincere i suoi genitori a farlo ricoverare a Cortina d'Ampezzo, salvandolo cosî dalle cure antiquate del suo medico romano e forse anche dalla morte (ELKANN, p.15; MARAINI, pp. 36-37. Le sigle sono sciolte nella successiva Tavola delle abbreviazioni, pp. 34-35).

INTRODUZIONE

Poco dopo il matrimonio, andò a Vienna con il marito, il

quale vi si recò per studiare composizione musicale. Il loro primo figlio, Aldo, nacque nella capitale austriaca nel 1895. Amelia, nonostante i suoi doveri di moglie e madre, trovò il tempo di scrivere Anima, il suo primo lavoro letterario, reci-

tato e premiato nel 1898. Il secondo figlio, Carlo, nacque a Roma nel 1899 e il terzo, Nello (Sabatino all'anagrafe), a Firenze nel 1900. Ma la famiglia ebbe problemi economici,

provocati da una speculazione sbagliata. Joe dovette abbandonare la musica per occuparsi di cose pit prosaiche. Nel 1903 Amelia si stabilf con i figli a Firenze, dove la vita era

meno cara che a Roma, e divenne il capofamiglia prima della separazione ufficiale dal marito, che mori nel r9r1. Secondo Moravia, sua zia Amelia fu abbandonata dal marito

per una sciantosa, ma dopo molti anni lui si ammalò e venne a morire nella stessa strada dove abitavano la moglie e i figli (Elkann, p. 10; Maraini, p. 35). Qualche vago accenno a questa vicenda si trova nelle lettere familiari dei Rosselli. Carlo, scrivendo alla moglie dal confino di Ustica nel 1927, le raccomanda di scrivere alla mamma, «tanto delusa come moglie ». Similmente Nello ricorda nel 1919 che il padre ha

avuto una parte molto relativa nella loro vita e nei loro affetti. La Rosselli stessa, nel 1932, alludendo forse all’anno in

cui fu abbandonata, dice che dal lontano 1902 non aveva più festeggiato con nessuno la mezzanotte del 31 dicembre (Rosselli C., pp. 348, 466, 525). Morendo, il marito le lasciò

alcune azioni poco fruttuose, per cui Amelia si ritrovò in grosse ristrettezze economiche, ma poi le azioni salirono e

nel 1925 poté permettersi il lusso di comprare la casa al numero 16 di Via Giusti, a Firenze. La gioia della proprietà fu pienamente condivisa da Carlo e Nello (ibid., pp. 256 e 279). La Rosselli, piccola di statura, non era solo intelligente,

ma era anche una donna forte e indipendente, che riusci ad educare i tre figli, a scrivere opere letterarie, a promuovere la cultura nell'ambiente della buona società fiorentina, ed a

INTRODUZIONE

migliorare la vita delle operaie. Era, inoltre, una donna bella, come risulta dalle fotografie che si sono conservate. Oltre il primo dramma, la Rosselli pubblicò altre sette

opere teatrali, due volumi di novelle, Felicità perduta (Livorno, Belforte, 1901), e Gente oscura (Torino, Roux e Viarengo, 1903), un romanzo, Fratelli minori, due libri per bambini, 70-

pinino (Torino-Roma, Roux e Viarengo, 1905) e Topinino garzone di bottega (Firenze, Bemporad, 1909), la traduzione della fiaba in sei atti L’uccellino azzurro di Maeterlinck, e diversi

articoli, apparsi soprattutto nel « Marzocco », per cui lavorò dal 1904. Collaborò con Maria Bianca Viviani della Robbia alla rivista «Società Amici del Libro», per la quale curava la

sezione delle recensioni. Era membro e fu anche vicepresidente della società culturale fiorentina « Lyceum ». A Roma, nel 1902, aveva collaborato con la contessa di Brazzà, fondatrice dell’associazione «Industrie Femminili», che ebbe

una sede a Firenze. Lo scopo di questa associazione era di insegnare alle donne del contado l’arte del ricamo. Le signore si offrivano volontarie per illustrare la tecnica del ricamo e provvedere esempi e disegni, spesso copiati da antiche opere d’arte. La Rosselli era anche consigliere e vicepresidente del Consiglio Italiano delle Donne, una società costituita da una dlite di signore che promuovevano gliinteressi femminili. Organizzò poi un’associazione per assicurare l'iscrizione delle domestiche alla Cassa Nazionale Invalidità e Vecchiaia, una prima forma di assistenza sociale,

che, in quel periodo, era obbligatoria solo per gli operai (Viviani, p. 73). Più tardi, diresse, per l'editore Le Monnier, una collana di libri per fanciulle, la « Biblioteca delle Giovani

Italiane». La Rosselli, continuando la tradizione familiare, fu anche patriota fervente e, in quanto tale, ardente interventista du-

rante la prima guerra mondiale. Come risultato, il primogenito, Aldo, parti volontario appena l’Italia dichiarò guerra all'Austria. Perse la vita il 27 marzo 1916 a Pal Piccolo in

INTRODUZIONE

Carnia. La Rosselli sopportò fieramente il dolore, nella speranza che questo sacrificio non fosse stato inutile, come scriveva all’amica Viviani della Robbia, a guerra finita, nel

1918, trovando perfino il coraggio di concludere la breve missiva con un «Viva l’Italia » (Rosselli, p. 44). Per anni, nelle lettere familiari, continuò a ricordare il compleanno e la data di morte di Aldo. Nello, scrivendo alla madre nel 1925,

rievoca l’ultima partenza del fratello e conclude: «se cosî rimescolato mi sento ancora io dopo quasi dieci anni, che non devi provare tu?» (Rosselli C., p. 272). Il libro Fratelli minori, pubblicato nel 1921 (Firenze, Bemporad), è la storia romanzata del suo dolore di madre e della visita fatta al campo di battaglia dove il figlio era morto per la patria, scritta perifratelli minori, Mario e Lina, che continuavano

la loro vita con ideali diversi, nell’Italia del dopoguerra, confusa da opposte tendenze politiche, mentre la madre rimaneva con il suo dolore, serbando l’amor patrio. Questo romanzo è un «libriccino doloroso e timido, composto con un’ansia che mormora e sospira», secondo Ojetti, che lo

consigliava ai giovani scrittori italiani, perché conteneva, in

nuce, tanti drammi personali degli italiani del primo Novecento, i quali erano stati « nazionalisti, socialisti; poi interventisti, disfattisti; poi fascisti, comunisti; poi... Lo vedre-

mo fra dieci anni» (Ojetti, pp. 98 e 101). Tale lode spiega perché Carlo scriveva alla madre il 16 maggio 1926 di averle sacrificato malvolentieri la stroncatura di Ojetti che doveva uscire su « Critica Sociale» (Rosselli C., p. 303). Dopo la morte di Aldo, la Rosselli non poteva abbandonarsi al dolore di madre. Aveva altri due figli cui pensare, e tutt'e due finirono sotto le armi: Carlo fra gli alpini e Nello all'accademia militare. Dopo la guerra, la Rosselli continuò a sorvegliare e consigliare i due figli, ormai studenti universitari. Era preoccupata soprattutto per Carlo che non deci-

deva mai quale facoltà scegliere e voleva fare troppe cose contemporaneamente. La madre vedeva in questo una caIO

INTRODUZIONE

ratteristica ereditata dal padre e ne era molto preoccupata. Nelle lettere scritte ai figli si dimostra donna pratica, di forti sentimenti morali basati sui concetti di giustizia e libertà,

intelligente, capace di esporre la sua opinione su vari temi, e sempre pronta a consigliare una via pratica e concreta. Per

esempio, la massoneria nel primo Novecento le sembrava un anacronismo assurdo, che ormai aveva fatto il suo tempo, sebbene fosse stata utile quando non c'era la libertà di

pensiero e di parola (Rosselli C., p. 50). Certamente non poteva immaginare, nel 1917, che tale libertà sarebbe poi sparita nell'Italia fascista. La discussione sull’esistenza di Dio le sembrava inutile, perché, a suo parere, nessuno dei grandi

spiriti umani era ateo. Lo studio delle religioni l’affascinava. Lodava il monoteismo della religione ebraica, a cui il cristianesimo portò «l’altro elemento che le mancava, e che era mancato a tutte le antiche religioni: l'eguaglianza degli uomini», e deplorava il fatto che i sacerdoti ebraici non avessero accolto le innovazioni di Gest Cristo, il quale «non fece che modificare la religione israelitica », e « questa sarebbe oggi la religione universale » (ibid., pp. 60 e 91-92). Benché irredentista lei stessa sulla questione dalmata, era indignata quando i fascisti tolsero la libertà di parola a Bissolati, sostenitore dell'opinione contraria (ibid., p. 86). Sono interessanti anche i suoi commenti sul cinema e sulla letteratura italiana contemporanea. Scrivendo nel 1932,

afferma che la gente diserta il teatro perché questo non può competere con il cinema, che dispone di ben altri mezzi. Consiglia di andare a vedere il film Shangai Express, ambientato su un treno che corre a grande velocità, « con tutti gli effetti di ambiente che ti puoi immaginare: perfino la visione degli alberi in corsa visti attraverso i finestrini, proprio come quando si è in treno». Ritiene che il teatro dovrebbe cercare nuove vie, evitando qualsiasi « esteriorità » di azione e ambiente: occorre tornare al teatro tutto «interiore » co-

me lo concepivano gli antichi (ibid., p. 526). Sul conto della II

INTRODUZIONE

letteratura osserva acutamente nel 1933 che «gli scrittori

d’oggi sono del tutto disorientati, e cosî lontani dal sentir i complessi grandiosi e diciamo pure paurosi problemi dell'umanità di oggi, che si restringono in modo assai meschino in una ricerca di forma, senza nessun contenuto » (ibid., p.

543).

Non sorprende perciò la scelta dei figli, che si opposero al fascismo con il giornale clandestino « Non Mollare », sor-

to in casa loro nel 1925, mentre nel 1929 venne fondato in Francia il movimento clandestino « Giustizia e Libertà », sui

fondamenti teorici espressi da Carlo nel suo libro Socialismo liberale (un socialismo che ricusò il marxismo con la sua lotta di classe e rivoluzione totale, a favore di una riforma che

preservasse la libertà). Ma la pace era fuggita da casa Rosselli fin dall’estate del 1925. I fascisti fiorentini invasero la loro

abitazione in cerca di Salvemini il 14 luglio e ci ritornarono una seconda volta in ottobre. Nel 1926, in primavera,

Carlo fu aggredito per strada a Milano, dove insegnava, da tre fascisti, ma riusci a difendersi. Poco dopo, espatriato Turati, fu sospeso dall’insegnamento, arrestato e carcerato. Fu mandato prima al confino a Ustica, poi processato e confinato a Lipari, ma riusci a fuggire con due amici in Francia

nell'estate del 1929. Anche Nello subi la prigione e il confino, la prima volta a Ustica, per un articolo non suo, la secon-

da, a Ponza, solo perché il fratello era fuggito in Francia. Ma fu liberato come non colpevole e gli permisero di andare a Londra per fare delle ricerche. Non si occupò di politica, cosî da proteggere la moglie e la madre. A causa dell’attività politica di Carlo, entrambi i fratelli Rosselli furono assassinati il 9 giugno 1937 a Bagnole-de-l'Orne, in Normandia, da fascisti francesi, o cagoulards, su ordine di Musso-

lini. Scrivendo alla Viviani della Robbia dalla Francia, dove si era rifugiata anche lei con la vedova di Nello, Maria Tode-

sco e i suoi figli, per raggiungere la vedova di Carlo, l’ingle12

INTRODUZIONE

se Marion Cave e i suoi figli, la Rosselli lamenta il suo terribile destino: Il tempo per me non conta pitù, sento che vivo assolutamente e non per modo di dire fuori del tempo, |...] ma perché, perché doveva aspettarmi questa terribile fine della mia vita, questa distruzione atroce di tutta me stessa, questo sopravvivermi, morta,

fino a quando - chi sa quando? Cosa ho fatto per meritare, per trovare giusto, Dio mio, non giusto ma sopportabile un dolore cosi fuori dell'umano, che non consente neanche quella rassegnazione, quella pace che poi, alla fine, un giorno viene per tutti i do-

lori? (Rosselli, p. 61).

Ma di nuovo dovette soffocare il proprio dolore di madre per aiutare le sue nuore, che considerava colpite anche di più per la perdita dei mariti ancora giovani. Le portò con tutti inipoti prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Nel 1946 tornò con le nuore e i nipoti a Firenze nella sua casa in

Via Giusti, fiera di essere nella sua terra. Poco dopo il ritorno, scrisse all’amica Gina Raccà che «nonostante le emo-

zioni, le preoccupazioni, la tristezza per il nostro povero Paese, il ritrovarci tra la nostra gente è dolcezza tale che soverchia tutto il resto », e le sembrava che lo spirito dei suoi figli fosse placato «nel vederci tornate coi loro figliuoli al nostro posto » (Raccì, p. 236). Due dei suoi nipoti scelsero la carriera letteraria. Aldo, figlio di Nello, divenne romanziere, mentre Amelia, figlia di Carlo, la quale aveva ricevuto il

nome della nonna, divenne poetessa. Nonostante il successo letterario, era soggetta a depressioni e si tolse la vita in un

momento di disperazione, gettandosi dalla finestra della sua casa vicino a Piazza Navona, a Roma, l’1I febbraio 1996

(Corti, p. 25). Amelia Pincherle Rosselli mori il 26 dicembre 1954 a Fi-

renze. Seguendo i suoi desideri, la sua morte fu annunciata solo dopo la tumulazione nel cimitero israelitico di Roma («La Nazione», 30 dic. 1954, p. 8).

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2. Il contributo principale della Rosselli alla letteratura italiana è costituito dalle sue opere teatrali. Il dramma Anima fu « rappresentato la prima volta a Torino dalla Compagnia del Teatro d’Arte, al “Gerbino”, la sera del 29 ottobre

1898, protagonisti Alfredo De Sanctis e Clara Della Guardia »,2 come spiega l’autrice stessa in apertura dell’edizione originale del 1901 (Torino, Lattes). Vinse anche un concorso nazionale drammatico, come indicano alcune delle poche fonti bibliografiche. Pare che si trattasse del premio torinese di L. 2.000, offerto dal Comitato per l’Esposizione Drammatica perché « due commedie e un dramma fossero sottoposti al giudizio del pubblico dalla compagnia del Teatro d’Arte nel più rigido anonimato; vinse Anima di Amelia Rosselli», per quanto si indichi erroneamente la data del 1900 (Encicl. Spett., col. 436). Questo primo lavoro della giovane drammaturga fu scritto in polemica con l'atto unico di Giuseppe Giacosa, Diritti dell’anima, apparso quattro anni prima, nel 1894, e vi-

vacemente discusso nel secondo atto di Anima. Giacosa, il maggiore drammaturgo italiano del tardo Ottocento, fu, in questo caso, influenzato da Casa di bambola (1879) di Ibsen, che rinnovò il teatro europeo con i suoi drammi psicologici nei quali la donna acquistava il diritto di avere una vita indipendente, diversa da quella voluta per lei dal marito. In Casa di bambola, la protagonista, Nora, abbandona il marito e i

figli per trovare se stessa. Tale novità suscitò scandalo e non 2. All’attore Alfredo De Sanctis (1866-1954) fu affidata la direzione del Teatro d’Arte (creato a Torino da Domenico Lanza nel 1898), che durò

meno di un anno, dal 1898 al 1899. L’attrice Clara Della Guardia (18651937), nata Miguet e detta « Clarin» dai torinesi, fece parte del Teatro d’Arte con De Sanctis (Encidl. Spett., vol. 4 1957, coll. stt-13 e 401-2).

3. Fu rappresentato la prima volta il 26 febbraio 1894, a Verona, al Teatro Nuovo, dalla compagnia Zacconi-Pilotto-Sciarra, formata nel 1894 dall’attore Ermete Zacconi (1857-1948) (Encicl. Spett., vol. 9 1962, coll. 206769).

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fu subito accettata in tutti i paesi. In Germania, la famosa attrice Hedwig Niemann-Raabe (1844-1905) convinse Ibsen a cambiare la fine del dramma per il pubblico berlinese, in

modo da evitare un rimaneggiamento forzato da parte di estranei. Nacque cosî la seconda versione, in cui Nora si sa-

crifica per i figli e rimane con il marito, che non ama e non rispetta più (Archer, p. 67). In Italia, Casa di bambola fu recitata per la prima volta il 9 febbraio 1891 al Teatro dei Filodrammatici di Milano, nella

traduzione di Luigi Capuana fatta per Eleonora Duse, che aveva insistito sul finale originale del dramma, contro il parere di Capuana e di Arrigo Boito, ancora suo consigliere in quel periodo. La grande attrice aveva inteso meglio dei due scrittori che il pubblico era ormai abbastanza maturo per capire Ibsen. Dopo il successo milanese, un po’ riservato, a dire il vero,4 fece conoscere il dramma ibseniano nella versione italiana anche all’estero, iniziando la sua tournée in

Russia, nell'autunno del 1801 (Signorelli, p. 79). Si trovò poi al centro della nuova e pit duratura polemica scoppiata intorno al modo di recitare questo dramma ibseniano. La Duse fu molto lodata per l'ottima interpretazione dei due diversi aspetti del carattere di Nora - donna allegra e spensierata al principio del dramma, che matura e trova, alla fine, la

forza di abbandonare il marito. Il rifiuto della Duse di ballare la tarantella, nel primo atto, piacque già a William Archer, che trovò il suo modo di recitare pit nobile, mentre

Hofmannsthal lo paragonò a quello calmo e misurato di un attore nella parte di Cristo in una sacra rappresentazione (Williams, p. 177), a cui bisogna aggiungere la capacità di rendere in pieno la figura ideata dall’autore, ricreandone soprattutto la tensione psicologica (Hofmannsthal, p. 75). 4. Il finale di Casa di bambola fu accolto con mormorii di protesta (C. MOLINARI, L’attrice divina: Eleonora Duse nel teatro italiano fra i due secoli, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 144-45).

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Seguendo il coraggioso esempio della Duse, altri famosi attori italiani inclusero poi i drammi del grande norvegese nel loro repertorio (Weaver, p. 86). Anche Anna, l’eroina dell’atto unico di Giacosa, Diritti

dell'anima, abbandona il marito Paolo (non ci sono figli a complicare le cose), ma per rivendicare il diritto di dedicarsi alla memoria del suo amore platonico, puramente spirituale, per Luciano, un cugino del marito che si era ucciso, credendosi non amato da lei. Il dramma, però, è costruito male,

perché Giacosa imposta l’azione sul marito, il quale rivela al fratello Mario il segreto della moglie, scoperto da lui leggendo le lettere del defunto. Paolo, benché abbia le prove che non è mai stato tradito dalla moglie, insiste a voler sapere se lei abbia provato dei sentimenti per Luciano. Lei gli confessa di aver amato Luciano con passione, senza averglielo mai detto. Ora che è morto, se ne pente, e per questo

si rifiuta di riconciliarsi con il marito che non ama. Il problema, perciò, è diverso da quello di Nora. Lo sfacelo del matrimonio avviene per colpa della gelosia del marito che insiste nel voler sapere i particolari di un amore platonico o ideale (contrapposto alla passione fatale), che era ancora un tema letterario nel tardo Ottocento: Fogazzaro e Anna Radius Zuccari (Neera) lo avevano infatti utilizzato in alcuni dei loro romanzi, mentre Neera scrisse anche un saggio 5. È interessante notare che l’opera fu stampata con una dedica a Fogazzaro: « Ad Antonio Fogazzaro / con affetto fraterno / Giuseppe Giacosa» (G. Giacosa, Diritti dell'anima, Tristi amori, Milano, Treves, 1927). 6. Per es. nel romanzo Daniele Cortis (1886), Fogazzaro fa trionfare lo

spirito nella lotta fra amore e dovere e ci dà una vera « teoria intorno all’amore che [...] si afferma come elemento spirituale per mezzo della rinunzia », dato che i protagonisti sono congiunti solo nello spirito, « oltre lo spazio e il tempo », in una « sublimazione accorta e misurata del senti-

mento d’amore nella sfera di un platonismo che ha non poco di terreno » (A. PiromatLi, Antonio Fogazzaro, in Letteratura italiana: I minori, Milano, Marzorati, 1962, vol. 4 pp. 3007-10). Per Neera, che si definiva scrittrice in

cerca dell’ideale nel reale, basterebbe citare il romanzo L’amuleto (1897), 16

INTRODUZIONE

sull'amore platonico.” Secondo l’interpretazione generalmente accettata, l’amore platonico, essendo puramente spirituale, non era un amore peccaminoso, anzi, era un senti-

mento nobile. D'altra parte scrittori come De Roberto, au-

tore del saggio pseudo-fisiopsicologico L’amore,8 si occuparono, in quello stesso periodo, dell’amore appassionato, fa-

tale e quasi sempre degradante, tendenza letteraria che derivava dal naturalismo francese e dalla fede nella psicologia come scienza del cuore, simile a quella professata da Paul Charles Bourget, con la differenza che in De Roberto manca la giustificazione morale e l’apologo rimane fine a se stesso (Mariani, pp. 410-11). La letteratura europea separò fin dai tempi dei trovatori provenzali i due tipi di amore, quello erotico e quello ideale, non conciliabili fra di loro,

a causa del cristianesimo, secondo Denis de Rougemont, mentre nei popoli non cristiani non esisteva il senso di colpa perché l’amore erotico faceva parte della religione.? A questo bisogna aggiungere un altro fattore: la nuova posizione sociale e spirituale che, solo in Europa, la donna andava faticosamente conquistando nei paesi di tradizione cristiana, mentre altrove rimaneva tagliata fuori dalla cultura. La Rosselli, in un certo senso, era più moderna. In Anima dove la protagonista si rifugia nella « sublimazione dell’amore platonico » (A. ArsLan, Introduzione, in NeERA, Crevalcore, Milano, Lombardi, 1991,

p. 35).

7. Nel 1897 Neera pubblicò il saggio L’amor platonico, in cui difende l’a-

more spirituale come sentimento pit nobile della semplice attrazione fisica, ma conclude dicendo che tutta « la profonda anima umana tende alla

perfezione di se stessa, e verrà giorno in cui non si parlerà più di amore fisico e di amore platonico, ma solamente dell'amore » (L’amor platonico, in Neera, a cura di B. Croce, Milano, Garzanti, 1943, p. 775). 8. Pubblicato nel 1895 e recensito lo stesso anno nella « Nuova Antologia», s. mi, vol. 60 pp. 187-89.

9. De Rougemont osserva che l’amore è legato al mito. I due miti estremi dell'erotismo occidentale sono rappresentati da Don Giovanni e Tristano (DE ROUGEMONT, p. 24). I7

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mette alla berlina l’amore platonico, ma nello stesso tempo lo esalta, sostenendo la tesi che l’amore vero consiste in una perfetta armonia fra passione e ideale spirituale, come forse

auspicava Neera. Inoltre, il suo dramma esprime una vera e propria condanna di come venivano scelte le mogli nel XIX secolo: prima gli uomini si divertivano con donne considerate non degne di matrimonio, e poi sposavano ra-

gazze di buona famiglia, ingenue e innocenti, con l’idea di formarle, o, peggio ancora, mirando solo alla dote. Ma le cose non sempre andavano secondo i loro piani. Alcune ragazze, che erano state tenute sotto severa disciplina dai genitori e avevano avuto un'educazione molto limitata, in se-

guito rendevano difficile la vita del marito, con il loro continuo civettare e con i loro interessi meschini, come fa Gra-

ziana in Anima. Dall'altra parte, Olga, la protagonista, che era stata violentata appena quindicenne, rappresenta non

solo la donna pit intelligente e matura, che viene abbandonata dal fidanzato, quando gli rivela il suo segreto, ma anche la professionista, anzi la pittrice anticonformista (la pittura professionale era considerata inconciliabile con l’ideale della moglie borghese). Alcune delle idee esposte dalla Rosselli in Anima sono valide ancora oggi, soprattutto quelle che riguardano il trauma subîto dalla vittima di uno stupro. Attuale è anche il concetto che un buon matrimonio deve essere basato su interessi comuni, i quali permettono ai coniugi di vivere molte cose insieme, e sul reciproco rispetto o comprensione spirituale, che la Rosselli chiama «anima». Il suo dramma

mette a fuoco i seri problemi di Olga, abilmente presentati su un piano parallelo a quelli di Marietta, sua modella, che è stata abbandonata dall’amante, un pittore. Olga aiuta Marietta e le dà consigli, ma non è capace di applicarli al proprio caso, che si svolge subito dopo. In questo modo la Rosselli presenta due esempi di destini femminili a due livelli sociali diversi, entrambi egualmente tristi. 18

INTRODUZIONE

Fin dall’inizio la Rosselli mette in primo piano la professione della protagonista. All’alzarsi del sipario, vediamo Olga De Vela-

ris mentre dipinge. Interrompe il lavoro solo perché la sua modella, Marietta, non riesce a stare ferma. Quando Olga la rimpro-

vera, Marietta si mette a piangere. È disperata perché è stata abbandonata insieme al figlio dall’amante, un pittore che se n'è an-

dato per sposare una donna con dote, come veniamo a sapere in seguito. Olga le offre una stanza in casa sua, affinché non finisca per strada. Marietta esce per prendere la sua roba e intanto arriva Giorgio Mauri per felicitarsi con Olga del successo ottenuto da uno dei suoi quadri esposti in una mostra. L’ammirazione di Giorgio non è limitata al lavoro della pittrice. Cerca di capire se è corrisposto nei suoi sentimenti. Ma Olga lo ferma subito, sicché lui arriva alla conclusione che lei ami un altro. È deluso. Le dice che è un gran peccato, perché lei ha bisogno di un marito che la sappia comprendere ed apprezzare, e lui non cercherebbe mai di competere con lei, né le chiederebbe di abbandonare la sua professione, come farebbe la maggior parte degli uomini (è interessante notare come la Rosselli metta in bocca a un uomo questa descrizione del marito adatto per una professionista). La loro discussione è interrotta dall’arrivo della signora Mauri e di Graziana, madre e sorella di Giorgio. Anche loro hanno visitato la mostra e la signora Mauri comincia a lamentarsi dell’eccessiva nudità nell’arte moderna, per cui non è possibile mandare ragazze innocenti come la sua Graziana a vedere i quadri. Appena Giorgio si congeda, la signora Mauri, amica della madre di Olga, morta di tisi, rimprovera Olga del suo modo di vive-

re. Allude al fatto che la gente parla degli uomini ricevuti da lei in casa, dove non c’è nessuna sorveglianza di famigliari. Olga protesta, dicendo che lei stessa è responsabile della sua reputazione. Ma quando arriva Silvio Vettori, la signora Mauri cambia completamente. Vuole vedere tutti i disegni dei nudi, tanto criticati prima, per occupare Olga e dare la possibilità a Graziana di parlare con Vettori, considerato un buon partito. Rimasti soli, Olga si lamenta del modo di fare della madre e della figlia, ma Silvio suggerisce di non perdere tempo con loro, perché lui ha delle notizie importanti. Suo padre ha finalmente dato l'approvazione per il loro matrimonio e Silvio vuole sposare subito, prima della par-

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INTRODUZIONE

tenza per Berlino, dove lavorerà per circa un anno. Olga è contenta ma preoccupata. Propone di aspettare ancora un poco, ma poi decide che lui debba sapere la verità prima di sposarla. Gli racconta come era stata mandata in campagna dopo la morte della madre, per diventare pit robusta. Ma lî, quando aveva appena quindici anni, fu violentata da un ragazzo che credeva amico. Da quel giorno in poi viveva con un trauma costante. Non ne aveva mai parlato con nessuno, si era aggrappata, però, all’idea che ancora

aveva un’anima, un’anima che nessuno poteva toglierle con la forza, e che poteva conservare per l’uomo che avrebbe amato. Silvio, prima l’accusa di averlo ingannato, ma sentendola narrare le

sue sofferenze è commosso. Sembra che i due si stano compresi. Però all’arrivo di Marietta con il suo baule, Silvio, come sveglian-

dosi da un sogno, decide che Olga non è molto diversa da Marietta e se ne va, facendole capire che lei potrebbe solo fargli da amante.!®

Il secondo atto si svolge nell’appartamento di Giorgio, dove avrà luogo un pranzo in onore di Bei che si è finalmente laureato in legge. Al principio Silvio confida a Giorgio di voler sposare Graziana e gli chiede di parlarne ai genitori. Giorgio, che non sa niente dell’amore fra Silvio e Olga, è sorpreso ma contento. I due

amici escono per ordinare qualcosa per il pranzo. Intanto arriva Graziana, accompagnata dalla governante, in cerca del fratello.

Informate dal cameriere che Giorgio sarebbe tornato tra breve, la governante esce e Graziana si sdraia sul sofà, accende una sigaretta e si mette a leggere un libro semi-pornografico, trovato sullo 10. Questa allusione ricorda il finale della commedia Le vergini di Marco Praga, rappresentata a Milano nel 1889, e rievocata, per altri motivi, nel

primo atto di Anima. Praga, che documentò i costumi del tardo Ottocento nelle sue opere teatrali, non offre, in questo caso, una soluzione al pro-

blema della donna rifiutata come moglie, in quanto macchiata da un passato disdicevole, ma desiderata ancora solo come amante. La protagonista, Paolina, che fa una vita ritirata e seria, si ribella, rifiutandosi di diven-

tare l’amante del giovane che non vuole pit sposarla, dopo aver sentito la sua confessione. Le due sorelle di Paolina, piuttosto frivole, ma vergini,

incoraggiate dalla madre, si rovinano la reputazione, cercando di attirare l’attenzione degli uomini per trovare marito. Su Le vergini vd. G. PuLLINI, Marco Praga, Rocca San Casciano, Cappelli, 1960, pp. 38-55, 134-36. 20

INTRODUZIONE

scaffale. È sorpresa in questo atteggiamento da Corrado Salvelli,

uno degli invitati, che la prende per l'amante di Giorgio. Perciò attacca una conversazione piena di doppi sensi, a cui lei, la cosid-

detta ragazza ingenua e pura, partecipa con grande malizia. Ma quando rientra la governante, Graziana se ne va, consegnando al

cameriere una lettera del padre per Giorgio. Salvelli è stupefatto del suo errore e riesce appena a ricomporsi all'arrivo di Giorgio e degli altri invitati. Seduti intorno alla tavola, mentre si godono il buon pranzo, gli

amici ascoltano le prodezze combinate da Bei durante gli esami. L’allegria dei giovani è interrotta dall’arrivo inaspettato di Olga, venuta solo perché sapeva di trovarvi Silvio. Giorgio, senza sospettare nulla, si sente onorato, mentre Silvio è indignato. Olga, nervosissima, cerca di provocare Silvio. La conversazione è inge-

gnosamente costruita. Quando Silvio cerca di andarsene, con la scusa che ha un biglietto per la recita di un dramma, cioè Diritti dell'anima di Giacosa, gli amici cominciano una discussione, in cui

la Rosselli non solo mette in ridicolo l’amore platonico tradizionale, esaltandone però il lato spirituale, ma tratta pure, in modo originale, la questione se sia più importante l’anima o il corpo. Come conseguenza, Olga provoca Silvio con la dichiarazione che lei non ci tiene affatto alla sua anima (l’anima che era il suo ideale), tanto da essere pronta a venderla a chi offrirà di più. Ne segue un nuovo tipo di vendita all’asta - il punto culminante del dramma. Silvio è trascinato via dall’amico Lorenzi, l’unico a sapere del

suo amore per Olga, ma è Giorgio che mette fine all’assurdo gioco con l’offerta: «Tutto quello che posseggo ». Mentre gli altri si ritirano discretamente, senza aver capito niente, Giorgio ne chie-

de una spiegazione a Olga. Lei però fraintende e crede che lui voglia approfittare di lei. Ma Giorgio, che l’ama sul serio, la calma e

la fa accompagnare a casa dal cameriere. Le chiede solo il permesso di andare a trovarla per sapere come sta. La tensione drammatica di questo atto è abilmente mescolata con una dose di umorismo nel dialogo dei personaggi minori, che rende l’azione più vivace. Il terzo atto si volge quasi due anni pit tardi, in campagna, nella villa dei Mauri. Olga e Giorgio sono felicemente sposati, mentre l’opposto è evidente per Silvio e Graziana, che sono venuti in vi2I

INTRODUZIONE

sita appena tornati dalla Germania. Giorgio sta per partire per Roma dove deve uscire un suo libro di storia dell’arte, scritto su in-

coraggiamento di Olga. C'è qui l’idea che una donna intelligente aiuta il marito a dedicarsi alle cose serie, mentre una moglie frivola, come Graziana, non è capace di questo, anzi, non si interessa

neanche del lavoro che il marito fa. Silvio, pentitosi dello sbaglio commesso e invidioso della felicità di Giorgio, confessa a Olga che il suo matrimonio è un totale fallimento, perché lui possiede

solo il corpo ma non l’anima di sua moglie, che non lo comprende e non lo ama, nonostante tutti i suoi sforzi di venirle incontro.

Chiede a Olga un po’ di comprensione e amore — amore platonico, si intende — ma lei risponde che non gli può dare quello che appartiene a Giorgio, l’uomo che le ha ridato la vita. Non tanto il rifiuto di Olga quanto il comportamento sciocco e superficiale di Graziana, portano Silvio all'ultima disperazione.

In questo dramma la Rosselli critica il modo di vivere della società “per bene” fin de siècle, condannando soprattutto il comportamento ipocrita di persone come la signora Mauri e la stupidità delle giovani come Graziana, risultato di un’educazione sbagliata. Per la Rosselli, un matrimonio ben riuscito presuppone due persone che si capiscano e si rispettino. Il corpo non basta, se manca l’anima. Si può fare violenza al corpo, ma non all’anima, che va custodita e col-

tivata con la più grande cura. Come opera teatrale, il dramma è solidamente costruito.

Il dialogo procede speditamente, con situazioni originali e battute argute. Ogni atto contiene alcune scene comiche, che fanno da contrappeso alla tensione drammatica dei tre protagonisti, Olga, Giorgio e Silvio, o servono per distinguere questi dai personaggi secondari. Nel primo atto, la Rosselli usa l'espediente di paragonare il vivere in una casa appena costruita, non toccata da altri, al vantaggio/svantag-

gio di vivere in un edificio vecchio o in un quartiere storico. Perla Rosselli, al «nuovo » manca « l’anima » che si trova nel

vecchio, anche quando esso è solo una rovina. Simbolica22

INTRODUZIONE

mente, l’anima che nessuno ci può togliere, è più importan-

te del corpo che può essere violato. Il secondo atto è il più originale. La cena allegra dei cinque uomini è interrotta dall’arrivo di Olga, che permette all’autrice di spostare l’attenzione e di creare un’aria di ammirazione intorno alla bella pittrice. Qui la Rosselli inventa un nuovo tipo di chiromanzia, fatto sul guanto di Olga. Poi la discussione si concentra sull’atto unico di Giacosa e sull’amore platonico, che è messo in ridicolo con vivo umorismo, solo per sottolineare l’importanza dell’anima, posta in vendita subito dopo da Olga nella sua disperazione di aver perduto Silvio. L'atmosfera allegra che regnava al principio dell'atto è completamente capovolta dalla crescente tensione drammatica. Considerando l'epoca in cui fu scritto, Anima è un dramma notevole che merita di essere letto e rappresentato. Purtroppo è stato completamente dimenticato, non solo dagli specialisti del teatro italiano,!! ma perfino dai compilatori di libri specializzati, dedicati alle scrittrici venete o italiane in genere degli ultimi cento anni.!2 Eppure la Rosselli è l’unica drammaturga notevole del suo periodo, come aveva già capito l'anonimo recensore della sua commedia El rèfolo, il tI. Si cercherà invano una voce dedicata alla Rosselli nella Enciclopedia

dello spettacolo. Il suo nome non appare nella Storia del teatro di Silvio d’Amico. Nel volume Il teatro italiano dal naturalismo a Pirandello (a cura di A. TinTeRRI, Bologna, Il Mulino, 1990), che riguarda il periodo della Rosselli, si parla, nella terza parte (La donna e l’attrice, pp. 169-209), delle attrici,

dell’emancipazionismo femminile, del rapporto con il teatro e di alcune drammaturghe, ma il nome dell’autrice di Anima non è menzionato. Per il contributo delle donne al teatro italiano si veda la mia introduzione alla Rosselli in Modern Drama by Women 1880s-1930s: An International Anthology, a cura di K. KeLLey, London-New York, Routledge, 1996, pp. 44-46. 12. Alludo al volume Le stanze ritrovate: Antologia di scrittrici venete dal Quattrocento al Novecento, a cura di A. ArsLan, A. CHEMELLO, G. PIZZAMI-

eLIo, Mirano-Venezia, Eidos, 1991, e anche al recentissimo Italian Women's

Writing 1860-1994 di S.Woop (London & Atlantic Highlands [N.J.], Athlone Press, 1995), dove non appare il nome della Rosselli. 23

INTRODUZIONE

quale lodava le eccellenti qualità sceniche della Rosselli, riscontrabili, secondo lui, anche nel suo primo lavoro, cioè Anima, che facevano di lei « la migliore, per non dire la sola,

fra quante scrittrici italiane osarono affrontare il Teatro »

(Anonimo, p. 168). 3. Dopo il successo ottenuto con Anima, la Rosselli scrisse Illusione, commedia in tre atti, recitata la prima volta il 26

gennaio 1901, al Carignano di Torino, con Teresa Mariani !3

nella parte della protagonista. Si tratta di un dramma scritto sotto l'influenza di Ibsen, in cui l’autrice presenta il tema della moglie soffocata dai continui sospetti di un marito che prima l’aveva scacciata di casa e poi le aveva perdonato la “colpa” di una risposta imprudente alla lettera di un giovane ammiratore. Riammessa sotto il tetto coniugale ma spogliata di tutti i suoi diritti materni e sociali, e messa da parte come « donna cattiva », Emma Gianforti decide di abbando-

nare il marito e i figli, perché non riesce a sopportare la triste situazione in cui si trova a vivere. Benché non del tutto convincente come opera teatrale, il problema della moglie, molto pit giovane del marito, oppressa per un lieve sbaglio, viene qui esposto al femminile, attraverso gli occhi della protagonista. Questo avvicina la Rosselli alla produzione teatrale di altre drammaturghe europee di questo periodo, come la Leffler Edgren o Elsa Bernstein.!4 Illusione fa pubblicata nel 1906 insieme a due altre commedie, L’idea fissa e L’amica (Torino-Roma, Roux e Viarengo). 13. Teresa Mariani (1871-1914) era allora « rosea e paffuta col nasetto af-

fusolato e le fossette nelle guance, e, nella persona, un garbo piccante [...] deliziosa attrice nella comicità e incomparabile nella tenerezza, nel dolore e nel pianto » (R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, a cura di L. RipENTI, Torino, Società Editrice Torinese, 1951, vol. 1 p. xLu).

14. Vd. l'introduzione alla Leffler Edgren di A.CH. Hanes Harvey in Modern Drama by Women 1880s-1930s, cit., pp. 17-20, e quella a Elsa Bern-

stein di ST. Korp, ibid., pp. 80-83.

24

INTRODUZIONE

L’amica è un atto unico in cui Maria De Martini spiega al-

l’amico Gino Martogli che una vera amicizia non può pit esistere fra di loro, dato che lui le aveva dichiarato il suo

amore e poi, essendo stato respinto, si era gettato in una relazione sensuale, rompendo cost i legami dell'amicizia. Secondo lei, una donna non perdona questo atteggiamento neppure a un uomo di cui respinge la passione. Potranno diventare amici di nuovo solo in vecchiaia. La Rosselli illu-

stra qui due punti di vista diversi, femminile e maschile, sull’amore e sull’amicizia fra uomo e donna. Dei tre lavori del volume, L’idea fissa spicca per originalità. È un atto unico, quasi un monologo, perché il secondo personaggio, Giuseppina, la vecchia governante, riveste solo una parte minore. Luigi, un giovane benestante, sta per

sposare l'amata Angiolina. Fra un mese comincerà la nuova vita, ma lui non è del tutto contento, benché il dottore non

lo consideri piti nevrastenico. In un lungo monologo Luigi spiega il suo tormento. Sa di avere una doppia personalità. Si rende conto di essere al contempo cattivo e buono, di avere sempre due interpretazioni per tutto. Come risultato, è sempre incerto, non sa neanche lui stesso cosa desidera, e

peggio ancora, è cosî confuso che non riesce a parlare con nessuno. Sta aspettando un amico che deve comunicargli il risultato di un affare importantissimo. Decide di rimanere calmo in ogni modo, ma continua a pensare che tutto questo tormento potrebbe finire con un salto dalla finestra. Cerca di consolarsi con l’idea che fra poco pranzerà con la sua bella Angiolina che lo renderà allegro. Il suo rimuginare è interrotto dalla vecchia governante che viene a riprendere il vassoio della prima colazione. Gli rimprovera di avere bevuto troppo caffè e di non aver mangiato niente. Cerca

di convincerlo a vestirsi e uscire di casa, a prendere aria, a godersi la bella giornata. Apre la finestra per fargli vedere come si respira meglio fuori che nella stanza afosa. Ma Luigi, che dapprima si era fatto convincere, perde coraggio ap25

INTRODUZIONE

pena lei si allontana. Invece di passare attraverso la porta e affacciarsi alla vita, corre alla finestra e trova la morte, preci-

pitando nel vuoto. Quando questo dramma psicologico apparve nel 1906, Pirandello aveva appena cominciato a scrivere per il teatro, benché avesse trattato problemi simili in alcune delle sue novelle. Comunque, L'idea fissa èun’opera teatrale originale, piuttosto moderna peritempi in cui fu scritta. Una versione contemporanea della stessa problematica si può trovare nel film di Marco Ferreri L’uomo dei palloncini (1969), noto anche sotto il titolo Break-up, versione più lunga dell’episodio L’uomo dei cinque palloni (1965), incluso in Oggi, domani, dopodomani, in cui un giovane (Marcello Mastroianni), proprietario di una fabbrica di caramelle, che ha una bella amica e molti soldi, è tormentato dalla fissazione della precisione matematica e finisce col buttarsi dalla finestra (Diz. Cinema, pp. 576- 77).15 La Rosselli scrisse poi due commedie in dialetto veneziano, El rèfolo e El socio del papà, in omaggio alla sua città natale. El rèfolo fu scritto per Ferruccio Benini!6 e la sua compagnia di attori. Andò in scena a Roma al Teatro Quirino il 26 gennaio 1909 e fu pubblicato nel 1910 (Milano, Treves) con una dedica al fratello Gabriele, che, come scrive l’autrice, le 15. Questo film di Ferreri non fu recepito dalla critica, che considerò la fissazione del protagonista una semplice assurdità, piuttosto che una malattia provocata dalla precisione matematica della civiltà moderna che ossessionava il protagonista. 16. Ferruccio Benini (1854-1916) nacque a Genova da padre bolognese e da madre fiorentina, entrambi modesti attori. Cominciò a recitare fin

da bambino nella compagnia del padre Gaetano, dopo la cui morte passò alla compagnia dialettale veneziana diretta da Enrico Gallina, fratello del commediografo. Sciolta questa compagnia, Benini, ormai celebre, ne fondò una sua, di cui fecero parte la moglie Amelia Dondini Benini, e la so-

rella Italia Benini Sambo, con il marito Luigi Sambo. Vd. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, cit., vol. 1 pp. xxvi-xxxvi, e S. D'AMICO, Cronache del teatro, a cura di E. PaLMIERI e Sa. D'Amico, Bari, Laterza, 1963-1964, vol.

I pp. 480-83, vol. 2 pp. 371-78. 26

INTRODUZIONE

ricorda Venezia e la vecchia casa paterna. È una commedia

vivace che illustra il contrasto fra il vecchio mondo malinconico fondato sul rispetto per i genitori e sulla rassegna-

zione da parte dei giovani, soprattutto delle donne, e la generazione moderna, pronta a difendere i propri diritti. Danilo Reato commenta che il tema dello scompiglio fra vecchi e giovani non è nuovo nel teatro italiano. Si possono trovare delle affinità con altre commedie, come El moroso

dela nona (1875) di Giacinto Gallina, Il Minuetto (1891, pubblicato nel 1900) di Attilio Sarfatti, o La vedova (recitata nel 1902 e pubblicata nel 1906) di Renato Simoni, ma, come disse un anonimo recensore, la commedia della Rosselli sor-

prende « per la sua forma comica quasi perfetta, per l’equilibrio fra le sue parti, per la misura, per una visione di vita intima, piena di soavità e di delicatezza » (Reato, p. 10; Anoni-

mo, p. 168). Comunque bisogna aggiungere che qui la Rosselli sperimenta un’impostazione diversa da quella delle tre precedenti commedie.!7 La vecchia signora Caterina, vedova da anni, riceve la quotidiana visita del signor Momolo, che l’amava da giovane ed era da lei riamato, ma non l’aveva potuta sposare perché i genitori di lei la destinarono a un altro. Nessuno dei 17. Nella commedia El moroso dela nona è la vecchia nonna che riesce a

far sposare la nipote con un giovane ricco, perché riconosce nello zio di lui, che gli fa da padre, il suo innamorato da cui fu separata mezzo secolo prima (vd. G. PutLInI, Il teatro veneto di Giacinto Gallina, in Teatro italiano fra due secoli: 1850-1950, Firenze, Parenti, 1958, pp. SI--88). Il minuetto ci presenta due vecchietti del Settecento che, osservandoi giovani, ricordano e rimpiangono il passato (vd. la voce Sarfatti, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Torino, Fondazione Treccani, vol. 30 1936, p. 870). La vedova,

invece, ha come tema il contrasto fra la giovane nuova e i suoceri, che l’hanno accolta in casa dopo la morte del figlio, il quale l'aveva sposata contro la loro volontà. Quando la giovane se ne va per risposarsi, la suocera è contenta, ma il vecchio suocero si sente ricadere nel mondo malinco-

nico degli anziani da cui è sparito il sole (vd. D'Amico, Cronache del teatro, cit., vol. 2 pp. 489-93).

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INTRODUZIONE

due trovò il coraggio di ribellarsi, solo la vecchiaia li ha riavvicinati e ora passano i pomeriggi giocando a carte. La loro

pacifica partita viene interrotta dall'arrivo improvviso di Marinella, nipote di Caterina, che era scappata di casa per raggiungere il giovane che amava nonostante l'opposizione dei genitori. Durante il viaggio in treno aveva però perduto il coraggio e deciso di fermarsi dalla zia. Questa è scandalizzata e insiste che Marinella deve chiedere perdono ai genitori; la ragazza si dice disposta solo a certe condizioni e il povero Momolo cerca di mettere pace fra le due donne. Segue uno scambio di telegrammi fra Marinella e i genitori, con risultati comici, creati dai loro diversi concetti di obbe-

dienza e dai messaggi non coordinati. Dopo aver ottenuto il permesso di sposare il suo giovane, per evitare uno scandalo

(secondo i genitori), Marinella ritorna a casa e i due vecchietti riprendono la partita, disturbati però da questo vento inaspettato. A Momolo, che si era schierato dalla parte di Marinella, Caterina rinfaccia di non aver fatto niente per difendere il loro amore tanti anni prima. Questa commedia fu ripubblicata, a cura di Reato, nel

1981, nella serie «Teatro Veneto». Era già stata tradotta in francese, con il titolo Le coup de vent, da Julie Darsenne, e re-

citata a Parigi all’Odéon. Ma il suo successo parigino, passato inosservato in Italia, non fu duraturo. Rappresentata insieme ad una commedia francese che non piacque, fu tolta dal repertorio (Reato, pp. 14-15), per essere poi pubblicata

nel 1921 (Paris, Annales Politiques et Littéraires). Anche EI socio del papà, rappresentata da Ferruccio Benini per la prima volta al Teatro Goldoni di Venezia il 17 febbraio IQII, è una commedia briosa, costruita sul contrasto generazionale. Inoltre, i quattro figli adulti di Gigi Beneti, negoziante, e sua moglie Pina, rappresentano caricature di quattro tipi diversi: un libero pensatore, un clericale, un figlio di mamma viziato, e una donna emancipata, tutti in contrasto

con il padre, uomo all’antica, e la madre casalinga, i quali 28

INTRODUZIONE

non si accorgono che i figli sono cresciuti, che hanno le loro idee e che vogliono una propria vita. L’azione si svolge a Venezia in casa di Gigi Beneti. I tre figli più grandi sono tornati a casa per celebrare il compleanno della madre. Ma i contrasti nascono quasi subito. Aneta, la figlia, non è solo maestra e donna emancipata, ma

è anche socialista. Invece di aiutare ad apparecchiare la tavola, comincia a dare consigli alla vecchia domestica, affinché possa rivendicare i propri diritti. Ma questa interpreta tutto a modo suo con risultati comici. Bepi, la cui moglie aspetta un bambino, scandalizza i genitori quando dichiara che non ci sarà nessun battesimo perché lui è un libero pensatore. Valentin, che è impiegato a Roma, è diventato un moralista clericale con un’aria di superiorità e rifiuta perfino di parlare il dialetto nativo. Carleto, il più giovane, tenta

di ottenere aiuto dai fratelli. Vuole trovare un lavoro e andarsene da casa perché è stanco di essere trattato come un bambino: si sente soffocare dall'amore materno. Udendo questo, il padre è colpito, perché aveva già fatto preparare la nuova scritta per il negozio: Gigi Beneti e Figlio, convinto che Carleto sarebbe rimasto a lavorare con lui. Quando tutti i

figli se ne vanno, i genitori rimangono soli e abbattuti. Ma una giovane entra e chiede di Carleto. Informata che è partito da Venezia, lei sparisce, lasciando il suo bambino con la

domestica. Questa era l’unica a sapere che Carleto avesse un’amante, perché aveva trovato le lettere di lei mentre faceva le pulizie nella camera del giovane. Papà Gigi rimane fulminato e dichiara alla moglie che, se dovesse incominciare la vita da capo, non vorrebbe figli, ed esce di casa per bersi un bicchierino con gli amici (cosa che non faceva da anni). Pina, invece, suo malgrado, è attirata dal bambino. Guardando-

lo scopre che rassomiglia tanto al suo Carleto quando era piccolo. Qui cala il sipario e lo spettatore è indotto a credere che il nipotino ristabilirà l'equilibrio in famiglia. Questa commedia in tre atti fu pubblicata nel 1912 a Milano da Treves. 29

INTRODUZIONE

Nell’imminenza della grande guerra, la Rosselli scrisse il dramma storico-patriottico San Marco, che fu recitato la prima volta a Milano, al Teatro Manzoni, il 19 maggio 1913, da

Ferruccio Benini, e pubblicato l’anno seguente da Treves. L’azione, basata sulla rivolta veneziana del 1848-1849 contro gli austriaci, ha soprattutto un’intonazione patriottica, per-

ciò San Marco fu elencato sotto la rubrica L'indipendenza italiana nelle commedie e nei drammi della « Rivista Teatrale Italiana ».18 Tutti i veneziani si sacrificano per la libertà della patria, incluso il vecchio nonno Zuane Barbarigo, nobile decaduto, che era contro l’attività politica del figlio Alvise. Le vicende personali diventano secondarie, ma, sfortunatamente, il drammaè viziato da troppi clichés (la ragazza, figlia di Alvise, sedotta a tradimento dal cattivo austriaco, la ripadine oh patto che il padre abbandonii ribelli, il nobile rifiuto di questo e il generale sdegno dei familiari per tale offerta). L’ultima delle sue opere teatrali, Emma Liona (Firenze, Bemporad, 1924) è la storia di Lady Hamilton, vista come la responsabile della persecuzione dei patrioti italiani, nell’ultimo decennio del Settecento, a causa della sua negativa influenza sull’ammiraglio Nelson e sulla corte napoletana. La Rosselli imposta il dramma (in quattro episodi) sul presupposto che Emma Liona, l’avventuriera dei bassifondi di Londra, era diventata una donna malvagia, avida di potere, perché era stata sfruttata ed abbandonata dall’uomo fiduciosamente amato, Carlo Gréville, il quale la mandò a Napoli dallo zio rimasto vedovo, Lord Hamilton, per assicu-

rarsi l'eredità. Lei invece si vendicò, sposando l’ambasciatore d'Inghilterra presso la corte borbonica, invece di distrarlo e predisporlo a favore del nipote. Ma sembra quasi che attribuendo tutta la colpa a Lady Hamilton, la Rosselli cerchi di diminuire la responsabilità di Nelson, mero esecuto18. A. xI1I 1914, vol. 18, fasc. 2 p. 90.

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INTRODUZIONE

re degli ordini ricevuti dai superiori. Il governo inglese non poteva avere alcun interesse a vedere un’altra rivoluzione

di tipo francese prendere piede nella penisola italiana. D’altra parte, attribuendo tanto potere alla protagonista, la Ros-

selli sviluppa il tema della donna umiliata ed ingannata, che si vendica con l’arma della sua bellezza, diventando una

donna fatale che porta sfortuna e calpesta anime e cuori senza nessun riguardo. Nelle sue lettere del 1923, Carlo diede alcuni suggerimenti alla madre per il quarto atto (ma non furono accolti), e le mandò da Londra il facsimile di una lettera di Nelson a Emma. Quindi si meravigliò molto che la madre non si fosse informata meglio sul conto di Cirillo, il patriota presentato nel dramma come un martire

fiero e consapevole, mentre in realtà aveva inviato una supplica a Lady Hamilton, implorandola di intercedere per lui (Rosselli C., pp. 167-69, 171-72, 177 e 409). Carlo, ovviamente, dava più peso ai fatti storici che alla fantasia letteraria.

Questi ultimi due drammi della Rosselli riflettono la tradizione risorgimentale della sua famiglia, nonché l’irreden-

tismo veneto, una delle cause principali dell'intervento da parte dell’Italia nella prima guerra mondiale. Ma dal punto di vista letterario, questi due drammi sembrano segnare un regresso. Fanno pensare all’eccessivo sentimentalismo me-

scolato col patriottismo, presenti nei primi romanzi verghiani, I carbonari della montagna (1861) e Sulle lagune (1863), romanzi ormai poco letti, perché lontani dal famoso verismo del grande scrittore siciliano. Se potevano piacere nel periodo in cui furono scritti, sia per i sentimenti patriottici,

sia per l’ambiente storico, San Marco e Emma Liona oggi non possono pit incontrare lo stesso interesse. Comunque, ap-

partengono al genere delle tragedie storiche, molto coltivato nell’Ottocento e ancora popolare nel primo Novecento, soprattutto grazie ad autori come D'Annunzio, Sem Benelli, o Nino Berrini. Tanto è vero che Pirandello mise in ridi-

colo la voga del dramma storico nel suo Enrico IV, dove fa 3I

INTRODUZIONE

dire a uno degli inservienti del pazzo: « qua l'apparato ci sarebbe; il nostro vestiario si presterebbe a fare una bellissima comparsa in una rappresentazione storica, a uso di quelle che piacciono oggi nei teatri» (atto 1). Dopo questi lavori, la Rosselli pubblicò la traduzione della fiaba teatrale di Maeterlinck, uscita nel 1922 (Firenze,

Le Monnier), con una prefazione di Aldo Sorani. La traduzione era già pronta nel settembre del 1921, come risulta da una lettera di Carlo, dove figura sotto il titolo Uccellino turchino (Rosselli C., p. 143). Con questa traduzione, che ebbe una seconda edizione nel 1936, la Rosselli concluse la sua

carriera letteraria, alla quale aggiunse solo un discorso commemorativo, Virginia Mieli Nathan: Parole commemorative

(Roma, Tip. Centenaria, 1926). Segui poi il periodo tormentato delle lotte politiche dei figli, le carcerazioni, i confini, gli esili e la loro uccisione, che distrussero la Rosselli come

madre e scrittrice. Già nel 1927 scriveva a Nello: Tutti questi giorni mi proponevo di scriverti, ma un po il da fare,

e molto moltissimo la ripugnanza che mi prende da qualche tempo in qua per lo scrivere, quando sono triste (e dire che una volta

ero una scrittrice anche letterariamente parlando!) mi hanno indotta al silenzio. Il giorno ancora ancora, si tira avanti alla meglio;

la notte invece mi sveglio ogni ora a dir poco con quella coltellata al cuore al pensiero improvviso di “Nello a Ustica”. Non mi ci sono ancora abituata, sono ancora a quel primo stadio del dispiacere quando la nozione di esso ti coglie cosî, come una mazzata, tutte le volte che ci pensi... (ibid., p. 316).

Eppure era solo il principio dei suoi tormenti, di cui i figli erano ben consci. Tutti e due le chiedevano scusa per averle causato nuovi dolori. Pensavano a lei, le facevano coraggio, senza mai lamentarsi del proprio destino, anzi, erano fieri di aver scelto la via giusta, seguendo l’insegnamento della madre che, come diceva Nello, ascendeva dal materiale al-

l'ideale, dall’interesse all’ideale (ibid., pp. 385, 412, 462, e

464-65). 32

INTRODUZIONE

Ho ritrovato Anima nella biblioteca della University of California (Berkeley), quando mi fu chiesto di selezionare un lavoro italiano da includere nell’antologia internazionale Modern Drama by Women 1880s-1930s.! La traduzione inglese del dramma ha susci-

tato molto interesse (ne è stata fatta una parziale lettura drammatica presso la Texas A&M University); 2° mi sembra quindi opportuno offrire la versione originale dell’opera al pubblico italiano in questa nuova edizione. Si riproduce il testo della prima e unica edizione del 1901 (Torino, Lattes), rispettandone in linea di massima le caratteristiche linguistiche e grafiche. Si è ritoccata, secondo l’uso moderno, la

grafia di a rivederci, e delle congiunzioni allora che, a pena, e pure, fuor che, ne anche, o pure e si che. È stata eliminata una i nelle forme plurali studii, pelliccie e principii. La punteggiatura è stata lievemente corretta.

19. A. RosseLLI, Her Soul, trad. di N. Costa-ZALEssow, con la collaborazione di J. BorreLLI, in Modern Drama by Women 18805-1930s, cit., pp.

49-79.

20. Il primo e il secondo atto furono letti sul palcoscenico il 28 febbraio

e il 1° marzo 1996 dagli studenti di arte drammatica della Texas A&M University.

33

TAVOLA

DELLE

ABBREVIAZIONI

ANONIMO

Recensione del vol. A. Rossetti, E! Rèfolo, Commedia veneziana in 2 atti, Milano, Treves, 1910, in « Rivista Teatrale Italiana », a. x I9IT, vol. 15, fasc. 3 p. 168.

ARCHER

W. ArcHER, Breaking a Butterfly (A Doll’s House), in Ibsen: The Critical Heritage, a cura di M. Egan, London & Boston, Routledge and Kegan Paul, 1972, pp. 65-72. M. Corti, Amelia che rubò il tempo e fu sconfitta, in «La Repubblica», I1 marzo 1996, p. 25. D. De ROUGEMONT, Les mythes de l'amour, Paris, Gallimard, 1972. Dizionario del cinema italiano: I film, a cura di

CORTI DE ROUGEMONT

Diz. Cinema

R. Poppi

e M. PecorarIi,

Roma,

Gremese,

1992, vol. 3 pp. 576-77. Diz, Tosi

Dizionari biografici e bibliografici Tosi, s. xt. Ministri deputati e senatori d’Italia dal 1848 al

ELKANN

A. ELKANN-A. Moravia, Vita di Moravia, Milano, Bompiani, 1990. Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le Ma-

1922, Roma, Tosi, 1946, vol. 2 p. 323.

Encicl. Spett.

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34

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35

Cambridge

ANIMA

PERSONAGGI

OLgca DE VELARIS SiLvio VETTORI Teresa MAURI GIORGIO

2

suoi figli

GRAZIANA

Marchese BEI SALVELLI

Avvocato

LORENZI

FERRANDI

Virginia, vecchia governante in casa di Olga Friulein BETT, istitutrice di Graziana

MARIETTA, modella PaoLo, cameriere di Giorgio Mauri

Un facchino Altro facchino

L’azione si svolge a Roma, alla fine dell'Ottocento.

ATTO

PRIMO

Studio di Olga In fondo, la comune. A sinistra, porta che conduce nelle stanze interne. Le

pareti sono ingombre di schizzi e di disegni, parecchi dei quali sono studi di nudo. A sinistra, in evidenza, un cavalletto con sopra un quadro nonfinito,

rappresentante una rovina dell’antica Roma. Qua e là tappeti, vasi, stoffe, ecc., il tutto in artistico disordine. Olga sta dipingendo: davanti a lei Marietta, immobile, posa in costume di antica romana. SCENA. I

OLga e MARIETTA; poi VIRGINIA.

OLca (impaziente). Su, quella testa! Pit a destra... no! Troppo! Cosî... e ferma, se ti riesce! (Ricomincia a dipingere). Pare impossibile! Cosa diavolo hai, oggi? Non si può far niente, in questo modo. (Siede in collera sul divano). Vattene, è meglio! M’hai fatto diventare nervosa... (Marietta dà in uno scoppio di pianto). Eh! Ora piange! Via, via, lo sai, che quando mi sento nervosa non misuro pit tanto le paroleto, MARIETTA (fra i singhiozzi). Non è per questo! OLga. E perché, allora? Non ti senti bene? Potevi dirmelo;

si smetteva prima. No? O dunque? MAarieTTA (con un grido doloroso). Mi ha... mi ha lasciata! OLga. Chi? Leonardi? Ti ha lasciata? Ma non è possibile! Avrete avuto una delle solite scenate; si sa, fra amanti... Torna a casa, che lo troverai, sciocca!

MArIETTA. È partito!

OLca. Ma che, partito! MariETTA. Oh, se le dico che è partito da due giorni, e che ha portato via tutta la roba!... Ah, non torna più! Non torna più! Lo conosco, io, Giovanni! Se mi avesse lasciata,

cosî, da un momento all’altro ... ci spererei, ancora; ha il 39

ANIMA

carattere focoso... Ma ha agito con una freddezza, con un calcolo... OLga. Ma perché? Che cosa ti ha detto? MarieTTA. M’ha detto... m’ha detto che se le cose erano andate bene fino adesso, non era una buona ragione perché dovessero andar bene per l'avvenire; che egli doveva pensare a sistemare la sua vita, e io la mia... OLca. Infame! MArIETTA. E poi! ... Mi ha trattata in un modo!... Come se

fossi una donnaccia... OLga. Poveretta! Già, lo imaginavo che sarebbe finita cost. Te l’avevo sempre detto: non dargli retta, a Leonardi. MArIETTA. Gli volevo bene... OLca. È un egoista. Finché gli hai fatto comodo, ti ha tenuta con sé. Ora che col successo del suo quadro si vede trasportato di punto in bianco in un’altra sfera, non sa più che cosa farsene di te. E tu, sciocca, che hai tanto poco orgoglio da mostrare a lui e a tutti la tua debolezza, per dargli anche quest’ultima soddisfazione! MARIETTA. Oh, che cosa m'importa! ...L’orgoglio!...E dove lo prendo, ora, che tutti potrebbero buttarmi sul viso una parolaccia? OLca. Ah, non creder mica, sai, che la virtà d’una donna

stia tutta Iîl... MarietTA. Le giuro che non ho mai avuto un pensiero cattivo! Anche se ho fatto quello che ho fatto! ... Gli volevo bene, ecco; perché, se fossi stata furba, non mi troverei, ora, a far la modella!

OLca. E cos'è? Una vergogna? MarieTTA. Quando penso al mio bambino!... Non dico

che dovesse aver pietà di me, ma di quella creaturina che non gli ha fatto niente... Quando penso che un giorno mi chiederà di suo padre! Che cosa ti risponderò, tesoro mio?

OtLca. La verità. (Marietta si nasconde il viso fra le mani). Non 40

ATTO

PRIMO

devi vergognarti per aver voluto bene a un uomo che credevi degno. Vergogna sarebbe che tu avessi finto di amarlo per un secondo fine...

MARIETTA (un poco sollevata). Oh, benedetta! Come mi fa bene questo che mi dice! E io lo sentivo, dentro di me,

ma non capivo... non mi riusciva di metterlo fuori...

OLca. Povera Marietta! L'abbiamo tutti in noi, sai, questa voce che ci parla dentro dentro al cuore... Ma il difficile è appunto far tacere le altre per ascoltare unicamente questa. Coraggio! E se hai bisogno d’un consiglio, o d’un aiuto, ricordati che ci son qua io. (Marietta vorrebbe baciare la mano di Olga, ma questa le prende la testa fra le mani e la bacia sulla fronte). E ora va’ a vestirti. Presto, perché aspetto gente. (Marietta si cela dietro un paravento. Olga si accinge a pulire i pennelli). MARIETTA (dietro il paravento). Devo tornare domani? OLga. Sf. Ma un po’ prima. Puoi?

MARIETTA. Si figuri! OLca. E se per caso... fossi impedita, scrivo al solito indirizzo, è vero?

MARIETTA. Eh, no, signorina. Non ci sto più, là. Vado adesso a far su quel po’ di roba... OLga. Ah, vai via?

MARIETTA. E come fo a restare? Scade per l'appunto oggi la pigione.

OtLga. Ma il bambino? Marietta. L'ho sempre a balia, grazie a Dio, e in quanto a

me... Dio provvederà. (Ricompare vestita). OLga. Ma stanotte, dove dormi? Hai già trovato l'alloggio? MarieTTA. No. (Con voce improvvisamente cupa). Ma c’è sem-

pre dove andare, alla peggio. Orca. Marietta! MarriettaA. Mi scusi. Ho detto, cosî... OLGA. Verrai a dormire da me, finché avrai trovato una ca-

meretta come si deve. 4I

ANIMA

MARIETTA. Qui? OtLga. Credo che sarà meglio, sî... MARIETTA. Io, qui? Oh, signorina! E che cosa dirà la gente?

OLca. Questo non ti riguarda. Appena hai sistemato le tue faccende, torna qui con la roba. Siamo intese?

MARIETTA (confusa). È troppo buona... Oca (chiamando). Virginia! Virginia! Vircinia (entrando da sinistra). M’hai chiamata? OLcga. Senti, Marietta dormirà qui per qualche notte. Ti dispiacerebbe di farle preparare il letto nella camera in fondo, dove stanno le tele?

MariettA. Allora vado ... Riverisco, signorina. (A Virginia) Riverisco. OLga. Addio, a più tardi, Marietta.

(Marietta esce). SCENA II VIRGINIA

e OLGA.

Virginia. Ma cosa ti salta in testa? OLga. Perché? VircInIa. Farla venire in casa dopo tutto quello che si sa sul conto suo!

OLca. Eh!... Che cosa si sa? Che è stata l'amante di Leonardi. Vircinia. Stata?... Non lo è più? OLga. L’eroe si è dileguato. Vircinia. Oh, poveretta! Che infami, questi uomini! OLca. Ti pare che io possa lasciarla in mezzo alla strada, perché finisca... VircINIA. No, ma...

OLca. Sii buona! Che smania che hai di fare la cattiva! Ma se senti più compassione di me per quella poveretta! 42

ATTO

PRIMO

VircIinia. Ma è un’imprudenza... specialmente nel tuo caso. OLga. Non ci sei tu? VirgINIA. Sf, sf, ma non basta! OLca. Sf, che basta. Sei la mia vecchiettina cara, la mia amica, la mia guardiana, la mia... tutto, insomma. E poi hai

un’autorità!... Non sono nelle tue mani i portafogli di tutti 1 Ministeri?

Vircinia. Meno quello degli Esteri! OLca (scherzosa). Sî, ai rapporti coll’estero ci penso io... VircINIA. Appunto lf è più facile sbagliare! OLca (sempre scherzosa). Mi sono mai immischiata nei tuoi poteri, 10? E tu non immischiarti nei miei!

VircINnIA. Ma cosa dirà il mondo? Che sono una vecchia pazza! OLca. Oh, senti! Ne sono annoiata, di questo mondo stupi-

do che s’impiccia dei fatti miei! E me ne rido altamente. VIRGINIA. Bada, è il mondo di Silvio, al quale egli è molto sommesso;

lo sai.

OLga. Anche lui! Sempre il mondo in bocca. Se mi amasse uti po più...

Virginia. È un giovane con la testa al posto, grazie al Cielo, mentre tu, la testa al posto non l’hai mai avuta. OLca. Ah, se egli pure la pensasse come me! Virginia. Non ci mancherebbe altro! Tu sei scusabile, abi-

tuata fin da piccina a una vita libera, indipendente... OLca. Triste libertà quella che si gode per la morte dei propri genitori!

VIRGINIA....Sei cresciuta senza il freno di quelle tre o quattro formule necessarie, vitali...

OLca. False! Vircinia. ...senza le quali il mondo non cammina. OLga. Per me va egualmente. Vircinia. Ah, che Dio gliela perdoni al tuo povero babbo! Ma lasciar vegetare per tanti anni una ragazza in un vil43

ANIMA

laggio perduto fra i monti, presso una famiglia di contadini ... Sarà sano, non dico, ma è poco ragionevole, quan-

do poi questa ragazza è destinata alla vita della grande città! OLga. È una minaccia grave, sai, aver ricevuto la vita da un

corpo consumato dalla tisi! E se qualcosa può scongiurarla, questa minaccia, è appunto un regime di vita sana,

semplice, nella sconfinata libertà dei campi. E poi... (turbandosi) lasciamo stare ... Poveretto, l’ha fatto per il mio bene. Se non c'è riuscito, non è colpa sua. VircINIA. Hai salute da vendere. OLca. Ah, non dico per questo! ... (Pausa. Poi, come parlando fra sé) Come mai Silvio non è ancora venuto?

VIRGINIA. A proposito, si decide, sf o no? Non è mica bella questa posizione incerta, mal definita... OtLga. Ma sf, cè tempo. Nessuno sa nulla... VircInIA. Questo lo credi tu. E ti dirò anzi, francamente,

che ho una mezza voglia d’immischiarmene io, in questa faccenda.

OLca (con violenza). Guai a te, se lo fai! Vircinia. Ma perché, scusa?

OLca. Perché no. Virginia. Non ho... non dico il diritto, ma il dovere di

pensare al tuo avvenire? Non mi sei stata raccomandata

dal tuo povero babbo? Orca

ssi

Virginia. E io mi domando tante volte se corrispondo come dovrei alla fiducia di quel poveretto, e mi pare di no! Oca (con affetto). Senti, io non so se ci sia o non ci sia una seconda vita. Ma se c’è, e se egli può vederci, e la mia po-

vera mamma anche, non possono che benedirti. Vircinia. Ma dunque lascia che io... OLca. Ah no, no! Non devi dire una parola. Guarda, te ne

scongiuro a mani giunte! VircINIA. Ma perché?

44

ATTO

PRIMO

OLga. Non domandare ...Sono tanto felice cosi! E sai, sono

rimasta un po’ contadina nell’anima... sono superstiziosa. Mi pare che se rimuovo di tanto cosî questo stato di cose, mi succede una disgrazia. Vircinia. Allora... fai tu. OLca. Ma sf, lasciami fare.

VircinIA. Vado a preparare quella camera... già che bisogna fare a modo tuo! OLcga (guardando l'orologio). Le tre, e Silvio non si vede ancora!

Vircinia. Sarà andato all'Esposizione... (andando verso la porta in fondo dalla quale entra in quel momento Giorgio) Ah! Il signor Mauri! Venga, venga... (Entra Giorgio Mauri; Virginia esce). SCENA OLga

III

e GIoRrgIO.

Giorgio (inoltrando). Disturbo? OLga. Ma vi pare! Che buon vento vi porta? Sedete. Giorgio. Grazie. Tornavo dall’Esposizione ... OLca. Ah! Ci siete andato!...

GiorcIo....e passando di qua, non ho potuto resistere alla tentazione di salire un momento per dirvi che il vostro quadro è un capolavoro. OLga. Niente meno!

Giorgio. Proprio. Ed è stato anche messo in buona luce, cosa che succede di rado. Ma vi dico: un successone!

OLga. Quanti complimenti! Giorgio. No, no, è un fatto. Sapete che un pochino, d’arte, me ne intendo... OLga. Oh, per questo, più di un poco! E se aveste avuto vo-

glia di studiare... 45

ANIMA

Grorcio. Se avessi avuto!... Quando un verbo è coniugato cosî, non c’è più niente da fare. OLca. Male. Giorgio. Lo dite sul serio? OLca. Ma certamente.

Giorgio. Badate, se me lo dite ancora una volta su quel to-

no, vi giuro che mi metto a lavorare. Ma già sarebbe tropPa itardi OLga. Non è mai troppo tardi. Io, è vero, avevo cinque anni quando presi per la prima volta una matita in mano, ossia,

un pezzo di carbone... Facevo certi ghirigori, oh, una bellezza! Sopra una pietra, una grande pietra che stava presso un pino, di fronte alla casa, e che serviva di banco a tutta la mia famiglia adottiva nelle sere di estate. Mi pare di vederli: papà Tonio con la sua pipetta, zi’ Marta con la sua treccia, e noi bambini intorno intorno, come tanti

pulcini! E ogni sera i miei capolavori venivano cancellati... Ah, ah! Ho esordito come Giotto, con la differenza

che se anche Cimabue fosse passato di là,imiei scarabocchi non l'avrebbero certamente colpito! Giorgio. Troppo modesta... Del resto, è questione di natura, credetemi. Io, per esempio, appartengo a quella classe d’individui, tanto numerosa e tanto inutile, che sente dentro di sé il bello, il buono e il grande, ma non ha

la forza necessaria per esprimerlo con parole, con scritti o con quadri. Ho detto inutile, ma lo è, poi, veramente? Voi

artisti avete in noi i più fervidi ammiratori, e nello stesso tempo i critici più imparziali; e critica e ammirazione

non sono cosa tanto facile, al giorno d’oggi! OLga. E vero. Ma io non ammetto l’esistenza d’una classe

di individui passivi. In natura non esiste. Giorgio. Scusate, in natura esistono esseri, Corpi, chiamate-

li come volete, i quali non sono attivi che grazie alla cooperazione di altri esseri, di altri corpi, e che soltanto cosî

sono suscettibili a diventare perfetti. E questo non può 46

ATTO

PRIMO

avvenire anche per l'umanità? Platone lo ammetteva, dunque? OLca. Piano, piano! Egli ammetteva che l’unione di due anime formasse l'essere perfetto, non già che le due parti,

perché divise e distinte, non un dato lavoro. Giorgio. Siete terribile. Non Orca. Semplicemente perché come il vostro vada perduto voi... Giorgio (vivamente). Sarebbe

potessero ognuna compiere

mi lasciate via di scampo. rimpiango che un talento cosî. Se non m’interessassi a

vero... che v'interessate a

me? OLga. Che domanda! Non è naturale, data l'amicizia che

mi lega alla vostra famiglia? Giorgio (deluso). Ah! Per questo! OLGA. Cioè?

Giorgio. Mi concederete che non è la cosa pit lusinghiera di questo mondo saper d’inspirare interesse non per noi stessi, ma perirapporti più o meno amichevoli che corrono fra due famiglie. OLga. Ho capito. Vorreste una dichiarazione per vostro uso

personale? Posso farvela, se ci tenete. Grorcio. È crudele lo scherzo! OLca. Oh, non siete tanto serio da sdegnarvi per uno scherzo!

Giorio (alzandosi e avvicinandosi a una delle tele dipinte). Dite, questa tinta brillante l’avete ottenuta subito, alla prima pennellata, o pure è il risultato di una sovrapposizione di tinte medie? OLga. Naturale. Giorgio. Se io dunque potessi toglier via questo strato superficiale di colore, ne troverei sotto uno meno vivo, me-

no brillante; e se potessi levare anche questo, ne troverei un altro più smorto ancora, e cosi di seguito ... è vero? OLca. Si sa. Perché? Volete imparare?

47

ANIMA

Giorgio. No, voglio insegnarvi. Se vi foste una sol volta occupata di me, avreste scoperto che sotto questo primo strato brillante di scherzo e di allegria ne esiste un secondo assai diverso... come in quella tela. OLca. Sublime! Un trattato di pittura vivente! Giorgio. Come siete cattiva! E se vi dicessi che ne soffro? OLGA (improvvisamente seria). Sentite, amico mio, parliamoci chiaro. Non giudicatemi né leggera né cattiva, se vi canzono un poco. Ma da qualche tempo mi sono accorta d’un mutamento in voi... e siccome vi voglio bene... (sorridendo) vedete che ho la sfacciataggine di dirvelo!.. Giorgio. Appunto perché non me ne volete! OLga....non voglio farvi soffrire inutilmente. Pare impossibile! Che benedetta smania avete voialtri uomini! Eravamo due buoni amici, passavamo insieme delle ore cosf simpatiche, senza imbarazzi, senza sottintesi. No signori,

bisogna subito cadere nel sentimentale, sospirare... Giorgio. Che colpa ne ho io se a poco a poco, insensibilmente, il sentimento amichevole che nutrivo per voi ha mutato natura?

OLca. Colpa, no! Ma bisogna far subito dietro-front. Subito. Giorgio (con voce tremante). Volete bene a un altro, è vero? OLGga. Cosa c'entra questo?

Giorcio. Perché non me lo dite francamente? Forse che non avete il diritto di disporre di voi stessa? No, no, non

abbiate paura. Non sono di quelli che fanno scene o che si atteggiano a vittime. So soffrire in silenzio, senza essere

di molestia a nessuno. OLga (dopo una breve esitazione). Ebbene... voglio essere franca: sf. Giorgio (impallidendo). Ah, vedete! OLca (fa un movimento verso di lui). Ma vi assicuro che... Giorgio. Per carità! Nessun conforto, vi prego! Mi sarebbe odioso. Guardate, non vi domando neanche il nome. Sol-

tanto ... è un peccato che non abbiate voluto bene a me. 48

ATTO

PRIMO

OLga. Ma io ve ne voglio! Giorcio. Sf, sî, ma intendo... in quell’altro modo. Perché

non so imaginare con chi potrete trovare la vostra felicità.

Se sposate un artista, finirete per diventare rivali, per distruggervi scambievolmente; oppure — siete capace di farlo — vi annullerete, per non intralciare con la vostra la

sua gloria. Se invece sposate un borghese qualunque, soffrirete e lotterete molto, perché tutto, in voi, nella vostra

esistenza, è diametralmente opposto a quello che si pensa, si fa e si vuole nella cosiddetta società per bene.

OLGA (con accento canzonatorio, ma tuttavia turbata). Sicché voi sareste l’unico?... Giorgio. È ridicolo, lo so. Ma siete una natura troppo com-

plessa per essere capita, e, quand’anche capita, apprezzata dal primo venuto. Ci sono in voi degli abissi di mistero che bisogna saper rispettare, dei fiotti di luce cosî ardente, che ne resterebbe bruciato l'occhio indiscreto di chi volesse!fissarli.. OLca (turbatissima). Chi vi ha detto?... (Entrano dalla comune Teresa e Graziana). SCENA Detti, GRAZIANA

IV

e TERESA MAURI.

TERESA. Si può?

(I due si ricompongono). GRAZIANA (accennando a Giorgio). Chi si vede! (Scambio di sauti). OtLca. Oh, signora Teresa! Brava! Come sta? Buongiorno, Graziana...

Teresa (additando Giorgio). Quel discolaccio! Che cosa facciamo in casa d’una signorina per bene? 49

ANIMA

Giorgio. Ma... quello che ci vieni a far tu: né più né meno. Orca. Come siete state buone a venire! Non ci si vede alia

Graziana. Ma davvero! OLga. Sono cosi occupata...

Teresa. E noi! Abbiamo sempre cento cose da fare... Sai quante visite son notate per oggi? (mostrando ilportabiglietti). Graziana. Dieci.

OLca. Misericordia! Teresa. E poi, figurati, siamo anche state all’Esposizione. OLca. Ah sî? E che cosa ne dice? Graziana. Ho visto il tuo quadro. Non ti pare che la cravatta di quell'uomo sia troppo stretta? Usano tanto larghe, ora!

OLga (ironica). Non ci ho pensato, cara, davvero! Teresa. Sembra che tu abbia riportato un gran successo... (Graziana si mette a esaminare gli studi alle pareti). OLca-W#Perscantali.

Giorgio. Una bella cosa, proprio. Teresa. Almeno cosî sentivo dire. Io, poi, non me n’inten-

do. Di questa vostr’arte moderna non ci capisco un’acca. OLga. Non è poi tanto oscura.

GRAZIANA (additando uno dei disegni). È questo qui lo studio per il tuo quadro, è vero? OLGa-SÌ

GRAZIANA. E questo, (guardando un nudo) cos'è? Teresa (a Graziana, rabbiosamente). Non guardare, non c'è bisogno. (a Olga) Già, dicevo, tutto questo verismo non mi va. Non sono pit esposizioni, ma botteghe di carne umana... Nudi di qua, nudi di là... E di carne andata a

male, anche. (Odora un'essenza). OLgca. Com'è severa!

Giorgio. Critica a base di odorato! 50

ATTO

PRIMO

Teresa. Ah, già! Sei moderno anche tu. Anzi, ho visto che

hai fatto un acquisto. Giorgio. Non ti piace? Teresa. Sarà bellissimo, ma in casa mia, intendiamoci bene,

quel quadro lf non ce lo voglio. Giorgio. Non dubitare. È per mio uso e consumo perso-

nale. GRAZIANA. Dove lo metti? Giorgio. Non so ancora...

OLga. Cos'è? Mi dica. Graziana. La Baccante di Gianforti. Giorgio. Già.

OtLca. Ha avuto buon gusto. Giorgio. Non è vero? Teresa. Sf; sf; intanto questa è l’ultima volta che mi ci ve-

dono a un’Esposizione, almeno con lei (accennando a Graziana sempre occupata a guardare gli studi di nudo). Hai capito di non guardare? (Ad Olga) Anche tu, potresti avere un po’ più di riguardo, dal momento che questo è il tuo salotto. OLca (ironica, alzandosi). Oh, scusi! Non ci avevo proprio pensato ... (Toglie via due o tre studi di nudo e li ripone in un angolo). GrAzIANA (in collera). Avanti! Avanti! Sarebbe meglio mi rinchiudessi in un convento! OLca. Povera Graziana! A te, ora puoi guardare... GRAZIANA. Non più teatri, non più esposizioni, non più li-

bre Teresa. Mah!... Non sono io che scrivo le commedie immorali e i libri indecenti. Giorgio. Che esagerazioni! Teresa (piano a Giorgio). Ah sf? Ma dimmi, se domani un uomo o una donna andassero a passeggiare per la strada...in costume ...c'intendiamo! Non ci sarebbero cento guardie pronte ad arrestarli? SI

ANIMA

Giorgio. Cosa c'entra questo?

Teresa. C’entra benissimo, perché quelli che passeggiano in effigie lungo le pareti delle esposizioni dovrebbero essere soggetti alla stessa sorveglianza... secondo me almeno. Giorgio (alzandosi per salutare). Secondo te, ma non secondo gli altri. Teresa. Oh, tu, si sa! Sei superiore...

GRAZIANA (a Giorgio). Vai via? Teresa. Vieni a pranzo a casa, stasera? Giorgio. Mi dispiace, ma sono invitato.

Teresa. Allora domani? Giorcio. Sai che aspetto degli amici... Graziana. Non vieni mai...

Teresa. È come se non l’avessi, questo figliuolo. Una bella moda, che i giovanotti debbano avere un appartamento separato. Ai miei tempi non usava. Ai miei tempi i figliuoli ricevevano gli amici in casa dei genitori; al giorno d’oggi, invece... basta, lasciamo andare. Giorgio. Ti sbagli, sai, perché sarà un pranzo moralissimo. Teresa. È meglio non parlarne. Graziana. Ci sono anche quelli immorali? Teresa. Zitta, pettegola! Giorgio. Ti posso anche dire chi verrà: il marchese Bei, l’avvocato Vettori... Teresa (con interesse). Chi? quello... Giorgio. Che era a Viareggio, sî. (Graziana arrossisce. Olga la osserva). Teresa. A dire il vero, avrebbe potuto venire almeno una volta a trovarci, dopo tanta intimità! GRAZIANA (a Olga). Da te ci viene, è vero? OLca (con lieve imbarazzo). Qualche volta... Giorgio. Dunque: Bei, Vettori, Salvelli ...

Graziana (maliziosa). Quello della Liuzzi? OLca. È bene informata! $2

ATTO

PRIMO

Teresa. Sciocca! Ripete come un pappagallo ...

Giorgio. Si festeggia Bei che, dopo dieci anni, è stato finalmente laureato in legge. Teresa. Te li scegli bene, i tuoi amici! Grorcio (ridendo, a Olga). Signorina, arrivederla. (Scambio di saluti). Teresa. Buon

dî, capo scarico!

(Giorgio esce). SCENA V OLGA, TERESA e GRAZIANA.

Teresa (a Olga). Vedi, a me, in questi tempi, fa l’effetto di camminare sul ghiaccio, col pericolo di scivolare a ogni passo. Quando poi dobbiamo sostenere una di queste innocenti ... (accennando a Graziana) Ah, la responsabilità è assai grave!

OLga. Cara signora, tutti questi pericoli non esisterebbero, se le ragazze venissero educate in altro modo. Teresa. Ah, già, le tue teorie! OLga. Quando voi dite ad esse, sapete, ci sono due specie di

verità: queste, che potete conoscere, e quest’altre, che dovete ignorare. Che cosa succede? Che delle verità concesse non si occupano né punto né poco, mentre su quelle che devono ignorare si gettano con la curiosità morbosa che desta il frutto proibito. Teresa (con furia). Ma Olga, Olga! Hai una libertà di linguaggio!... (A Graziana) Va a farti dare un bicchier d’acqua. Un po’ di riguardo, santo Cielo! (Graziana via).

53

ANIMA

SCENA VI OLGA

e TERESA.

Teresa. Una diecina di ragazze come te e il mondo sarebbe bell’e rivoluzionato! Già, non potrebbe essere altri-

menti... Non vuoi ascoltare i consigli di chi ti vuol bene... Cosa direbbe la tua povera mamma, buon’animal...

OLGA. Ho sempre pensato ch’essa mi avrebbe educato cosî, come mi sono educata io. Teresa. Ah, no! Fra una santa donna. Una creatura dolce e

sommessa.... OLga. Era anche, e lei me l’ha detto tante volte, incapace di

una menzogna o di una bassezza; anch'essa adorava la verità e non credo condannerebbe la sua figliuola per aver fatto della verità la sua fede e la sua religione... Mi dica, sono poi tanto cattiva, cosî, come

sono?

Teresa. Cattiva!... Che discorsi! OLga. Male dispiacerebbe, è vero, che Graziana stesse mol-

to tempo con me?

Teresa. No! Ma hai certe idee... OLca (improvvisamente seria). Ha ragione. Non dovrebbe

condurla mai, qui. Teresa. Benedetta figliuola! Eppure, credi, un consiglio buono, qualche volta, non ti farebbe mica male. I giovani

non hanno esperienza... non vedono i pericoli... Nessuno, più di me, sa che tu... ma infine...

OLga. Ma cosa? Cosa?

Teresa. Per esempio, ti pare bello quello che vanno raccontando? Che sei emancipata, che in casa tua i giovanotti vengono e vanno... OLca. Ah! Teresa. Una ragazza è presto compromessa. OLca. A questo ci devo pensare io. 54

ATTO

PRIMO

Teresa. Oh, figurati! Come non detto ... (Pausa) A proposito, quel Vettori... lo conosci bene? OLca. Perché? Teresa. Domando... OLGA. Sf.

Teresa. Perché vorrei... (avvicinandosi a Olga) che tu, una volta, oh, cosî, en passant... gli parlassi di Graziana... per sentire un po’ che cosa ti risponde ... No, non c’è niente! Ma... appunto, a Viareggio ... le faceva un po la corte... e ti dico la verità... mi piacerebbe assai non lasciar raffreddare la cosa. Di quei giovani lf, al giorno d’oggi, se ne trovano pochi. Eh? Che cosa ne dici? OLca. Per carità! Non mi dia di quest’incarichi! lo non mi occupo di combinare matrimoni.

Teresa. Ssst!... (Si guarda intorno) Dicevo, cosi... del resto, sai, non importa. SGENA-VII Dette, GRAZIANA

e SILVIO.

GRAZIANA (entrando, agitata, col bicchiere d’acqua in mano, seguita

da Silvio). Guarda chi c'è, mamma! Teresa. Dammi, che la versi tutta! (Prende il bicchiere). Silvio. Come sta, signora Mauri?

Teresa (a Silvio). Bisogna venire qui per avere il bene di vederla! Silvio (a Olga, offrendo un mazzo di fiori). Ci dovrebbero essere anche delle foglie d'alloro... Le mie congratulazioni.

OLca (fredda). Grazie. Teresa (a Silvio). Dica, perché non è mai venuto a trovarci? SiLvio. Mi perdoni. Sono un orso...

(Olga, frattanto, sarà andata verso la parte opposta col pretesto di disporre i fiori nei vasi). SS

ANIMA

SiLvio (a Graziana).E lei sta bene? Come ha passato l’inverno? Si è divertita? Ha ballato molto? GraziaNA. Ma che! La mamma pretende che sono troppo giovane per andare in società. Silvio. La mamma

ha ragione.

Graziana. Ho quasi diciannove anni, sa?

Silvio. Uh, com'è vecchia!

Teresa. Hanno sempre tanta fretta queste benedette ragazzel GRAZIANA. E a Viareggio, ci tornerà quest'anno? Srrvio. Oh no, non credo.

OLGA (ironica). Perché? Dicono che l’aria sia molto salubre, laggiù.

GRAZIANA (eccitata). E poi ci si diverte tanto! Si ricorda quella gita in barca, che finf cosî tragicamente? SiLvio. Altro! (Guarda di tratto in tratto, imbarazzato, dalla par-

te di Olga). GRAZIANA. Il mio povero vestito! ... L'ho ancora cosî, tale e quale, tutto macchiato dall’acqua salsa. Se lo ricorda? SiLvio. Era a quadretti celesti e bigi. OLca (cs.). Che buona memoria! Sivio (indispettito). Non c'è niente di straordinario! Teresa (alzandosi e avvicinandosi con affettazione a Olga). Che cosa fai? OLcaA (fredda). Sto accomodando i fiori. Teresa (Vedendo un fascio di disegni alla rinfusa). Oh, quante belle cose! OLca. Sono studi di nudo, a lei non piacciono.

Teresa. Mostrami, mostrami. (Tiene occupata Olga doman-

dandole schiarimenti). GRAZIANA (a Silvio). Ma davvero non tornerà più a Viaregglo?

SiLvio. Non credo. E loro? GRAZIANA. Guai se tutti fossero infedeli come lei! Sitvio. Mi calunnia. 56

ATTO

PRIMO

Graziana. E allora perché non è mai venuto a trovarci? Perché non le importa più niente di me, lo confessi. Silvio. Oh, che discorsi!

GRAZIANA. Fosse venuto almeno una volta a informarsi se ero viva o morta!

SiLvio. Sapevo da Giorgio che ha sempre goduto di perfetta salute... Ma ci verrò, da loro. Sarà un’eccezione, perché non faccio mai visite... (A Olga, avvicinandosi) E a noi non fa vedere nulla? OLca (fredda). Sono cose che ha già vedute. Graziana. E che io non posso vedere. Sirvio (avvicinandosi al quadro rappresentante l’arco in rovina). Ah, ci ha lavorato!

OLca (voltandosi). Dove? Ah, tre orette stamattina, sf. Teresa. Splendido! GRAZIANA. Magnifico!

OLga. Oh! ... È appena abbozzato ... (A Silvio) E lei non dice nulla? SiLvio. Ma... ecco, io vorrei che qualcuno, che lei, signori-

na, mi spiegasse una buona volta che cosa trova da ammirare in quei quattro vecchi sassi. Graziana. Che orrore! OLca. Andiamo, via...

Sivio. Si scandalizzano perché io sono franco? Credano a me, fra quelle migliaia di persone che si piantano davanti il Foro Romano e vi restano per ore e ore in contemplazione, non ce ne sono dieci in buona fede.

GRAZIANA. Questo lo dice lei. OLGA. Zitto, zitto. Son bestemmie.

Sitvio. E allora m’aiuti lei a capire. OLga. Non è certo il mio lavoro che può aver questa pretesa... ma non vede, non vede balenare fra pietra e pietra

l’anima delle cose morte? Silvio. L'anima delle cose morte... E poi? OLca. Mi pare che basti. È tanto bello il passato! D7

ANIMA

SILvio. È tempo di scuotersi, che diamine! Sapete che effetto mi fa la vostra alma Roma? Né più né meno che quello di una bella donna, la quale, vedendo la sua bellezza sfiorita, si butti a fare la commedia dell’anima. Io ne ho abbastanza, dico la verità. OLgca. Ma è scandaloso, addirittura!

Teresa. Non si faccia sentire!

Graziana. E per questo che abita su al Macao?! Silvio (ridendo). Precisamente. Là, almeno, si respira. Non dico, di tanto in tanto, una scappatina anche da questa parte ... ma perla vita di tutti i giorni ci vuole l’ambiente sano. Teresa. In questo ha ragione. OLca. Resta a vedersi se le case di Roma alta, che non han-

no altro pregio che quello di essere nuove, mi compensano della mancanza di quell’estetica squisita che trovo nei miei quattro vecchi sassi, come li chiama lei. Sivio. E le pare piccolo pregio, per una casa, quello di essere nuova? Guardi, del mio appartamentino al Macao, sono il primo inquilino, il primo, capisce, dacché quella casa è stata costruita. Sa che piacere è il mio pensare che quelle pareti sono vergini d’impronta altrui, che nessun piede, prima del mio, ha lasciato la sua orma sul pavimento levigato?... La verginità di una casa!... Ma la parola stessa non le dice trattarsi di una cosa preziosa? OLca. Preziosa! Secondo i casi.

Sivio. Che paradossi! (A Teresa) Che cosa ne dice, signora? Teresa. Oh, stia un quarto d’ora con Olga e ne sentirà delle

belle. (Si alza). OLGA. Cosî presto? I. Macao: oggi strada romana vicino al Museo Nazionale Romano delle Terme, nel Rione Castro Pretorio, sviluppato alla fine dell'Ottocento. Per far posto alle nuove costruzioni furono abbattute molte ville e perfino delle rovine romane. Vd. M.G. BARBERINI, Rione XVIII: Castro Pretorio, Roma, Fratelli Palombi, 1987, parte 1 pp. 5-20. 58

ATTO

PRIMO

Teresa. Te l’ho detto, abbiamo tante visite da fare... (A Sil vio) Dunque venga a trovarci.

SiLvio. Mi procurerò questo piacere. GRAZIANA. Va all'Argentina stasera? SIGVIO Sia

GRAZIANA. Anche noi... Sirvio. Allora mi permetterò di far la mia prima visita nel loro palco... Teresa. Bravo: numero 12, primo ordine. (A Graziana) An-

diamo. SiLvio. Me ne ricorderò. A proposito di teatro, ha sentito che cosa è accaduto alla signora Pattiani? (Graziana ride). Teresa. Mi lasci andare, è tardi... SiLvio. No, no, senta, prima, è carina. Davano Le vergini3 al

Valle. La signora Pattiani, giudicando la commedia dal titolo, vi andò con le figliuole. Teresa. Brava!

Sitvio. Subito, alle prime scene, si accorse d’averla fatta grossa ... Che cosa fare? Andarsene, pensò, avrebbe dato

troppo nell’occhio, tanto più che non erano in palco, ma in poltrona. Teresa. Io me ne sarei andata. SiLvio. Essa, invece, rimase, ricorrendo a un espediente...

ingegnoso. 2. Argentina: teatro romano, cosi detto dal nome della Torre Argentina,

già appartenente a Giovanni Burcardo (Johannes Burckhardt), prelato di Strasburgo, l'antica Argentoratum. Fu eretto nel 1732 per iniziativa del duca

Sforza Cesarini su disegno del marchese Theodoli. Fu uno dei migliori teatri di Roma, famoso per l'ottima acustica. Nel 1816 ospitò la prima del Barbiere di Siviglia di Rossini, che cadde clamorosamente, per trionfare la

seconda sera. Ora è adibito a spettacoli di prosa. 3. Le vergini: su questa commedia di Marco Praga, vd. l’Introduzione, p. 20 n. 10. 4. Valle: teatro romano vicino a Piazza Navona. Fu costruito in legno da T. Morelli nel 1726-1727 e restaurato nel 1820-1822 da G. Valadier e G. Camporese.

59

ANIMA

OLGA. Cioè? Sivio. Quello di tossire nei punti più scabrosi. Ora... loro conoscono la commedia?

Teresa. No, ma ne ho sentito parlare. SiLvio. Bene, questo voleva dire ... tossire abbastanza spesso. — I vicini, seccati, incominciarono a zittire. Per farla

breve, la povera signora ha dovuto inghiottire la sua tosse, con immenso gaudio delle ragazze. Teresa. Che orrore! Sivio. E stamattina, all'Esposizione, non si parlava che della tosse della signora Pattiani, e ci fu qualcuno che le offerse una scatola di pastiglie... (Tutti ridono). Teresa. È cosî che c’incoraggiano a fare il nostro dovere! Ingrati! Dovreste esser voi i primi a proteggerci!

GRAZIANA. Del resto, è stata fatica sprecata, perché avevano letto la commedia di nascosto... OLga. Capisce?

Teresa. Benedette ragazze!... Via, andiamo, che è tardi. (Scambio di saluti. Teresa e Graziana escono). SCENA VIII OLGA

e SILVIO.

OLca. Quelle sono le ragazze pure! Peuh!... Gigli che guazzano nel fango! SiLvio. Perché? OLca. Vuoi darmi a intendere che non te ne sei avveduto della corte che ti ha fatto quella civetta? Stevio. Ehl-Se non.c'èvaltro, Orca. Oh già, tu ne ridi. SiLvio. Dovrei farne una tragedia? OLga. Dunque ti pare bello il modo con cui s'è condotta con tetî 60

ATTO

PRIMO

Sivio. Né bello né brutto: naturale. Si sa come succede: ci siamo trovati in uno stabilimento di bagni; essa era carina, io non avevo niente da fare e l’ho corteggiata. Si torna in città; noi dimentichiamo, ma esse, poverine, no. Al primo incontro arrossiscono, si confondono, tentano un ritorno all’intimità di un tempo, senza accorgersi che stuona maledettamente nel nuovo ambiente. Serbano gelosamente nascosto un fiore marcito, un vestito macchiato ...

Vuoi farne loro una colpa? OLca. Se lo facessero soltanto una volta!... Ma lo fanno sempre. Quindici giorni fa, tutta Roma la diceva fidanzata d’un tale, ora s’attacca a te... Sitvio. Via, via, quella povera ragazza non merita poi tutta

quest'ira.

OLca. Oh già! Perché, per voi, la colpa non è che... quella! Per me, invece, è la prostituzione continua del proprio pensiero: oggi a te, domani a un altro. Ma delle segrete dedizioni di queste cocottes dell'anima nessuno si scandalizza, e bisogna, davanti a loro, badare come si

parla! SiLvio. Ma sai che sei originale? Dunque la purezza del corpo non ha nessun valore? OLga. Di fronte a quella dell'anima, no certo!

Srrvio. Anima, anima! È una parola. OLga. Ah, bene! Facciamone pure mercato, purché restia-

mo materialmente pure! Questa è la grande virtà, questa è la vera castità! E perché? Ve l’hanno forse detto, che sia questa e non l’altra? SiLvio (serio). Mia cara, quando un’idea si propaga di secolo in secolo, quando da generazione a generazione essa vie-

ne consegnata ed accolta come un'eredità di verità sacrosanta, quando la maggioranza la considera un'idea di verità e di giustizia, ho diritto di credere in essa e di proclamare nel torto chi pensa altrimenti. OLga. Anche al tempo di Galileo si ragionava cost. 6I

ANIMA

Silvio. Ma l’uomo non potrebbe vivere neanche un momento al di fuori di queste leggi! Esse sono la sua schiavità e la sua libertà insieme, la sua debolezza e la sua for-

za. Bisogna accettarle senza discuterle. Come in religione la discussione crea l’ateo, anche in questo chi discute finisce col mettersi al di fuori dell’orbita comune, dove

non c’è più né legge né diritto, né dovere, né verità, né menzogna. (Olga resta come atterrita e lo guarda smarrita). Piccola ribelle, che vorresti mutare le leggi umane, nientemeno! Perché, poi? Sono le persone inasprite da forti dolori che diventano i grandi ribelli, ma tu?...- E ora piangi? — Olga! — Su, alza la testa... Oh, che sciocchi! Star qui a perdere il nostro tempo, mentre invece ho tante cose da dirti! OLca (sforzandosi di sorridere). Scusami, sono un po’ nervosa... Forse ho lavorato troppo. Silvio. Quando saremo insieme, nasconderò i pennelli. OLca (dolcemente). Mi ribellerò.... Silvio. A me sî, potrai ribellarti!- Dunque, senti.- Ho combinato con l’ingegnere Ciatti. OLca. Ah! Sivio. Le trattative per l’impianto di quell’industria sono quasi conchiuse; io, con Ciatti, ne assumo

la direzione

amministrativa... OLca. Qui?

Sivio. A Berlino. — Ti dispiacerebbe molto lasciare !’Italia? Già, capisco... Ma si tratterebbe, al massimo, di due anni, in capo ai quali, se gli affari andranno bene, si metterà una succursale in Italia, a Milano, per esempio,

della quale sarò io il direttore. Ma di questo riparleremo. E adesso... veniamo al buono! (le mostra una lettera) Guarda. OLga (turbandosi). Di tuo padre? SiLvio. Col suo consenso. - Come

sono

felice! Perché,

quantunque fossi deciso a sposarti in ogni modo, mi sa62

ATTO

PRIMO

rebbe rincresciuto assai agire contro la sua volontà... Non dici niente? OLca. La sorpresa... SiLvio. Capisco. Questa sorda opposizione è stata dura per

la tua fierezza. Ma devi scusarlo. I vecchi hanno certe idee... Mio padre vagheggiava per me una moglie queta, umile, un po’ insignificante ... una ragazza, insomma, co-

me Graziana e tante altre sue pari. L'idea di avere per nuora un'artista lo spaventava. Gli pareva impossibile, povero vecchio, che chi si chiama Olga De Velaris potesse adattarsi alla vita oscura di famiglia... potesse essere una buona moglie... Ma tu non devi tenergli broncio, adesso si è persuaso... OLca (come fra sé). E aveva ragione... Silvio. Come? OLga. Niente...

SiLvio. Ed è cosî che accogli una notizia simile? OLga. Cosa devi pensare di me! (Con impeto improvviso). Silvio! Mi vuoi bene? Silvio. Lo sal.

OtLga. No, dimmelo ... Ho bisogno di sentirmelo dire... Sivio. Sei il mio amore caro... OLga, Anch'io, sai, ti voglio bene... Oh, perché non c’è

una parola più forte, più intensa... una parola che non siaimialbistataidetta.o. Silvio. Cara! — E adesso saremo felici, sempre insieme... impre \iscmprcss OLGA. No, no, zitto ... non bisogna... non bisogna domandare troppo... (posa la testa sulla spalla di lui). Cosî ... cosî IDNEtErno,.. Silvio. Angiolo! — Oggi stesso scriverò a mio padre, e quan-

do verrà qui ci fidanzeremo; e tra due mesi... Orca *NOo,. ho.

Sivio. Perché, capisci, in settembre dovremo essere a Berlino! E... il viaggio di nozze... 63

ANIMA

OLcga (risollevandosi, dolorosamente). Perché dici tutte queste cose? Non siamo felici, cosî?

Silvio (con passione). Non vuoi esserlo anche di più? OLgaA (come sognando). Anche di più! Silvio. Faremo un bel viaggio... in Isvizzera. Ti piace? OLGA (dopo un breve silenzio). Senti, non credi che sarebbe meglio aspettare di sposarci al tuo ritorno? Silvio. Quale ritorno? OLga. Da Berlino. Cosî ci sistemiamo una volta per sem-

pie i Silvio. Ma come! Dici sul serio? Aspettare altri due anni! E questo il bene che mi vuoi? OLca. Hai ragione. E poi... sarebbe lo stesso. SiLvio. Olga! Cosa vai dicendo? OLga (risolutamente). Ascoltami, devo dirti una cosa. SiLvio. Sentiamo.

OLca. Ma devi rispondermi francamente, sai, proprio come se tu fossi in punto di morte. Silvio. Che allegria! OLGA (con sforzo). Ci tieni molto a questo matrimonio? Sitvio. Olga!... OLga. Rispondimi... Silvio. Mi nascondi qualche cosa. — Ti sei pentita! Orca. No, no, caro...

Sitvio. Non mi vuoi più bene! OLca. Lo sa Dio se te ne voglio!

SiLvio. E allora? OLca. È tanto tempo che ci penso... È inutile, non sono la moglie che ci vuole per te. Oggi poi, me ne sono proprio convinta. SiLvio. Ma questo è affar mio. Tu non c'entri. Io ti voglio cosî come sei. Se non fossi cosî, non ti avrei voluto bene.

OLca (dolorosamente). Ma avrai la forza di sormontare tanti pregiudizi, tanti principi a cui tieni? Sivio. Quali? 64

ATTO

PRIMO

OLca. Quelli stessi periquali tuo padre esitava a dare il suo consenso ... SiLvio. Un vecchio, si sa, ha certi preconcetti.

Orca. Anche tu. SiLvio. Io? OLca. Tù, sî, non l’hai detto anche poco fa, davanti a me?

SiLvio. Grazie! Una cosa è mettersi al disopra del pregiudizio che comanda, per esempio, di ricevere una sposa dal-

le mani della madre, un’altra è calpestare, per conquistarla, un sacro principio... OLGA (cupamente). E se tu dovessi farlo? — (Silvio si scosta, la guarda) Lo vedi! Ah lasciami! Lasciami, prima che sia troppo tardi! SiLvio (con voce terribile). Cosa dici! Cosa dici! OLGA (con voce morente, volgendo lo sguardo verso il quadro non finito). Silvio! Sono... sono... anch’io... una... rovina...

(Si copre il viso con le mani). SiLvio (stenta a capire, la guarda, poi, come in un lampo, compren-

de, respinge Olga lontano, con ribrezzo). Ah! ... Infame!. OLga (buttandoglisi davanti in ginocchio). No! No, non ho fatto niente di male! Te lo giuro! Te lo giuro per la memoria di mia madre morta! Ascoltami! (Silvio la respinge e fa per andarsene). No, per amor di Dio! Non lasciarmi cosî! Silvio, non lasciarmi senza che io ti abbia detto... Sirvio (scotendole il braccio, brutalmente). E che cosa Ae mi, infame! Commediante! OLga. Lo so! Lo so! Ma non è vero! Non ho mai avuto un pensiero che non fosse per te! Sono stata più tua

cosi che se fossi diventata la tua amante! ... Mi credi? Mi credi?

Sivio (ferocemente). Credo... Oh! Che cosa ho fatto per meritare!... (Si getta, singhiozzando, sopra una sedia). OLGA (trascinandosi presso di lui). Non piangere! Ti giuro che non devi piangere! Dovevo dirti prima... è vero... ma avevo sempre sperato che tu non fossi come gli altri... e 65

ANIMA

poi non potevo vivere senza di te ... È stata una maledetta fatalità! ... (con accento rotto e convulso) Ero una povera bambina ignorante, capisci? Avevo appena quindici anni... Che cosa vuoi che sapessi? M’hanno presa, cosî, co-

me si prende un fiore da un prato... Cosî! Cosf! Credi che non ti direi la verità, ormai?... Aspetta, voglio dirti

tutto... (Si tocca la fronte, smarritamente). Ero in campa-

gna... dove m’avevano mandato dopo la morte della mamma...

Oh, mamma

mia santa! — In casa di buona

gente... Mi tenevano come figliuola. E, per occuparmi, mi avevano affidato il piccolo gregge, che io menavo ogni mattina al pascolo ... Oh, le lunghe ore solitarie! Io pensavo alla mamma

morta, al babbo iontano, alla casa

dove non ero mai pit entrata... Che tristezza! (Pausa) Ed egli... egli veniva qualche volta a sedere presso di me... Si taceva, affranti dal caldo... Ah, mi ricordo! Mi ricor-

do! ... (rabbrividendo) Quel giorno! ... (Pausa) A un tratto vidi passare in quegli occhi di fanciullo una fosca fiamma che m’impaurî, e senza sapere il perché, mi diedi a fuggire... Ma egli mi rincorse, mi raggiunse ... (Si copre il viso con le mani) — Oh Silvio, l’orrore di quella colpa commessa nell’incoscienza, il ribrezzo di me stessa, il terrore de-

gli altri, e quella voce assidua di rimpianto e di vergogna, e l'angoscia immensa per il male irreparabile... Ah, quante lacrime piene di umiliazione! - Ma poi, pit tardi, lo sprazzo di luce improvviso nelle tenebre del mio cervello infantile, e dal fondo del mio cuore l'eco di quell’altra voce, confusa e terribile: « Perché ti umili, perché

ti umili cosî? Non è in te qualche cosa ancora che nessuno ti può portar via, se tu non vuoi donare? Su, alza la testa! A te, povera bambina che piangi, resta ancora un’animal». (Con un grido, esaltandosi) Un’anima!... Un bene tutto mio, che possedevo senza saperlo, una verginità sacra sulla quale dovevo vegliare; ah no, non piangere! Mi pareva di vederla, tutta bianca, tutta pura, innocente, e 66

ATTO

PRIMO

mia, unicamente mia; e giuravo a me stessa di non conta-

minarla mai e provavo per essa tenerezze materne, orgogli materni, e pensavo all’uomo che l'avrebbe avuta un giorno, che vi avrebbe scritto sopra, primo e unico, un nome adorato... Tua, Silvio, tua e di nessun altro, mai!

Tutti i miei pensieri a tel... A te, tutti anche i più segre-

ti... Che cosa importa il resto? — È vero, Silvio? Non mi rispondi? — (con angoscia) Vorresti dunque negarmi ciò che

Dio mi prometteva quando ero una povera bambina ignorante? Silvio! Una parola! (Silenzio. Poi, con voce morente) Avevo dunque ragione di piangere! ... Ah, avevo ra-

gione!... (Silvio avrà seguito il racconto prima con diffidenza, con disperazione, poi con commozione sempre crescente... Alle ultime parole egli la considera lungamente, intensamente, gli occhi negli occhi, senza fiatare . Poi, d'improvviso, la solleva e l’attira a sé... Olga, da prima dubbiosa, a poco a poco cede, finché, indovinando, si getta, con un grido, fra le sue braccia. — Restano cosi avvinti, immobili, nella penombra. Poco dopo si sente bussare

all’uscio: si scuotono, come se si destassero da un sogno. Hanno appena il tempo di ricomporsi. Dall’uscio che si apre entra un fascio di luce). SCENA

IX

Detti e MARIETTA.

MARIETTA. Scusi, signorina... ho portato la roba... OLga. Passa, passa pure. MarieTTA. Se permette, c'è il facchino col baule... OLca. Ah, va bene.

MariETTA. Lo faccio posare là fuori? OLca. Sf. Chiama la signora Virginia, che ti farà vedere...

(Marietta esce).

67

ANIMA

SCENA X OLGA e SILVIO.

Sirvio. Chi è? OLga. Non l’hai vista? — Marietta. Silvio. Cosî al buio... La modella? OLGA. SÎ... Silvio. E che cosa viene a fare qui, a quest'ora? Con quel

baule? OLga. Poveretta! Non lo sai? Leonardi l’ha lasciata da un momento all’altro ...E io le ho offerto di venire a dormire da me, per qualche notte... Ho fatto male? Silvio. Ah già, m’avevano detto... Sposa una signorina di Milano. Si è fidanzato ieri. (Pausa: durante la quale Silvio guarda intorno a sé con l’espressione di un uomo che, ridestandosi, torna a poco a poco alla realtà delle cose. Indi si alza e prende il cappello che, entrando, aveva posato sulla sedia. Olga segue inquieta ogni sua mossa). OLga. Te ne vai? Cosi presto? Silvio... Sivio (freddo). Non facciamo scene, è vero? OLGA (con angoscia improvvisa). Silvio! ...

Sirvio. Lasciami andare tranquillamente. È meglio per te e pere; OLGA (con disperazione). Silvio!! Ah! Ti sei pentito! Non mi credi! Silvio. No! OLgA. Ma se ti giuro!

Sirvio. È lo stesso... OLca. Ma allora... prima... Hai mentito! SiLvio. Ho sognato. E ai sogni segue sempre il risveglio, o

presto o tardi. Lasciami andare. OLga. Ma come!... Mi lasci? Mi lasci? Silvio!!! SiLvio. Non gridate cosî. Cosa volete? Siamo stati vittime di un’allucinazione ... Abbiamo creduto possibile l’impossibile. Siate ragionevole... 68

ATTO

PRIMO

OLga (cadendo a sedere sul divano). Ah! Non mi ama più!!... Sivio (curvandosi su di lei, con voce rauca). Ma io ti adoro! ... E se tu volessi... (Olga, con un grido terribile, cade riversa sul divano. Silvio fugge via). Cala rapidamente la tela.

69

ATTO

SECONDO

Salotto in casa di Giorgio A destra, scrivania; accanto piccolo centro formato da poltroncine, sedie, una chaise-longue, ecc. A sinistra, biblioteca. Pure a sinistra, finestra. In fondo, a sinistra, buffet. In fondo, a destra, porta che conduce alla camera da

letto, celata da una tenda. La comune a destra. In mezzo, tavola apparecchiata per cinque persone. Sulla scrivania, diverse fotografie di donna. SCENA'I GiorcIO

e SILVIO; poi PaoLO.

Giorgio. Ma io ti ringrazio, amico mio. E ti posso assicurare che mio padre accoglierà la tua domanda con vero pia-

cere. La felicità di Graziana non potrebbe venire affidata meglio che a te. Sirvio (turbato). Ti giuro che per quanto sarà in mio potere

farò il possibile perché la sua vita scorra tranquilla e sereDa Giorgio. Come ne sarà contenta mia madre! E anche a me viene tolto un gran pensiero... Sai che nutro per quella fanciulla una tenerezza quasi paterna; ho dieci anni più

di lei! E il suo avvenire era per me un terribile problema. So troppo bene che cosa sia la vita del giovanotto, al giorno d’oggi, per non tremare all’idea ch’essa s'innamorasse d'uno dei tanti Don Giovanni da salone... SiLvio. Ma noi parliamo di tutto questo come se fossimo sicuri del fatto nostro... Giorio. Dubiti del suo consenso? Ma se ti ha sempre voluto

bene, dal primo giorno che ti ha conosciuto! Non te ne sei accorto? A Viareggio ne parlavano tutti... E, sai, con mia

madre si era anche vagheggiata l’idea d’un matrimonio... Poi, tornati in città, e visto come la cosa s'era fermata li,

pensai che si fosse trattato d’un semplice flirt... 70

ATTO

SECONDO

SiLvio. Ecco, francamente ... Direi una bugia se ti affermas-

si d'aver pensato a lei durante quest'inverno. Quando la conobbi, laggiti, sentii subito per essa una simpatia vivissima, e durante quel tempo vissi proprio sotto il suo fascino, però non pensando neanche da lontano al matrimonio... Giorcio. Già, già!

SiLvio. Tanto che, tornato a Roma, avevo ripreso le mie vecchie abitudini; non solo, ma avevo anche annodato nuove...infine, mero buttato un’altra volta nel vortice della

vita da scapolo... Giorgio. Intendo, intendo...

Sivio. Poi... dei dispiaceri... Giorgio. Dispiaceri? ... SiLvio. Oh, sciocchezze! Ma, sai, viene il momento che ti

accorgi del vuoto di un'esistenza come quella... talvolta basta una piccola cosa, per far traboccare la bilancia, per farti gridare: basta! E allora, rivedendo ieri sera tua sorella, mi sono accorto che la simpatia esisteva sempre, benché latente, e...

Grorcio. Ci sei rimasto a lungo, in palco! SiLvio. Mi pareva che la sua compagnia mi facesse bene... quell’ingenuità, quella freschezza d'immagini, tutto quel non so che di puro col quale noi giovanotti veniamo cos di rado a contatto, m’ha impressionato, ha agito come un balsamo sui miei nervi un poco tesi... Giorgio. E per paura di pentirti, non hai voluto por tempo in mezzo? Silvio. Non

mi pentirò, non dubitare.

Giorgio. Certo ... sposando una ragazza sul tipo di Graziana, c'è il vantaggio di farne quel che si vuole. E poi... sai bene che la moglie è quale la fa il marito. (Guarda l’orologio). Oh, perbacco! Sono le cinque e mezza... Bisogna che esca un momento ... Ho dimenticato di ordinare una cosa. Tu, cosa fai? Resti? (Suona). zi

ANIMA

Silvio. Verrò anch'io...

Paoro (entrando). Comanda? Giorio. Il paletot e il cappello. (A Silvio). E... ne parlerò intanto a casa, ch?

Silvio. Aspetta due o tre giorni ancora, preferirei... Giorgio (scherzoso). Ho capito. Abbiamo qualche negozio da sistemare... qualche vecchia partita da saldare... SiLvio. No, non per questo...

Giorgio (c.s.). Va là, vuoi dirlo a me? Son pochi quelli che sarebbero pronti a fidanzarsi, cosî su due piedi. I pit domanderebbero un mese di tempo per potersi presentare bianchi come panni di bucato! (indossando ilpaletot) Solamente... badiamo, eh?

Sivio (turbato). Che discorsi! PaoLo (piano a Giorgio). Non c'è champagne... Giorgio. L'ho ordinato. (A Silvio) Veramente questo è il dietro scena al quale un invitato non dovrebbe assistere. SiLvio. Ma ti pare! Fra noi!

(Escono). SCENA

II

PaoLo e un facchino.

Paoto (finisce di apparecchiare. Dopo poco suonano. Paolo esce e torna subito, seguito da un facchino). FaccHINO (con una cesta sulle spalle). Dove la metto? PaoLo. Qua. Piano, ohè! Non lo vedete che ci sono i bicchieri?

(Il facchino posa la cesta in terra e ne trae fuori le bottiglie). FaccHINO (contando). Due, quattro, sei. E questo è il conto.

Paoto. Portatelo in casa Mauri. FaccHINO. O questa, cos'è? PaoLo. La succursale: qui si riceve, ma non si paga. 72

ATTO

SECONDO

FaccHino. Allora lo porterò là. (Riprende la cesta). Via Goito, è vero?

PaoLo. Numero dodici.

(Il facchino esce. — Paolo si occupa intorno alla tavola. — Altra sonata. Paolo esce). SCENA

III

PaoLo, GRAZIANA, Fraulein BETT.

Graziana (entrando con Paolo). Ah, non è in casa? Paoto. No, signorina. Saranno dieci minuti che è uscito. Graziana. Solo? Paoto. Col signor Vettori. Graziana. Ah! (guardando la tavola) Oh, oh, che preparativi!

Per che ora è il pranzo? Paoto. Per le sei e mezza. FrAuLEIN BeTT (a Graziana). Dunque, che cosa si fa?

Graziana. Mi lasci pensare ... (A Paolo) Avete detto che tornerà fra poco? PaoLo. Ma, cosî credo, signorina.

GRAZIANA. Lo aspetterò...

Paoto. Se vuol dire a me...

(Paolo esce). FraAULEIN BETT. Allora... se aspetti... vorrei profittarne per... ho una commissione da fare, qui accanto... GraziIANA (guardandola con intenzione). Va bene. FrAuLEIN BETT. Fra dieci minuti torno. GRAZIANA. Vada pure. FrAuLeIN BeTT. Non dirlo a tua madre... Graziana. Non dubiti! (Fra s6, mentre Fraulein Bett si avvia per

uscire) Come se non lo sapessi, dove vai!

(Friulein Bett via). 73

ANIMA

SCENA GRAZIANA

IV

sola; poi SALVELLI; poi PaoLO.

GraziIANA (vedendo lefotografie). Altro che esposizione! Qui davvero sarebbe il caso di dire: non guardare! Che grazia di Dio! (Ne prende alcune, le osserva) Questa è bellina... ma cosî magra! ... Anche quest'altra... Pare che Giorgio abbia un debole per le magre: ce n'è una collezione ... Oh! Oh! Che posa ardita! Sfido io che cosî si è belle! Vestita.... più no che sî... affondata tra le pellicce e i fiori... e poi pretendono che i giovanotti ci preferiscano, noi, povere diavole ... (Va alla biblioteca, l’apre, ne esamina i libri) « Fi-

siologia dell'amore»... Cosa vorrà dire? (Prende il libro con sé e torna sul davanti della scena, verso la chaise-longue. Passando accanto alla scrivania scorge le sigarette, ne prende una, l’accende) Già che nessuno mi vede!... (Si sdraia sulla chaise-longue in posa piuttosto libera, e incomincia a leggere). SALVELLI (entrando dalla comune scorge Graziana, che gli volta le spalle; l’osserva a lungo, con occhio di conoscitore, poi si mette a tossire).

GRrazIANA (trasalendo e voltandosi). Oh Dio! SaLveLLI. Perdoni...Mi dispiace d’aver spaventata la signomina, Elostrovatozla porta tapertaia GRAZIANA. La porta aperta?

SaLveLLI. Già... forse il cameriere sarà sceso un momenLOR

GRAZIANA. Cercava Giorgio? SALVELLI. Precisamente.

Graziana. Anch'io lo sto aspettando ... Or ora verrà. S'accomodi, intanto ... (Tenta di nascondere il libro). SaLvELLI. Non si disturbi, per carità ... Se permette, mi pre-

sento da me: Salvelli, Corrado Salvelli. (Graziana sorride con intenzione; egli la guarda, interdetto) Mi... Avevo forse

l’onore di essere già conosciuto dalla signorina? 74

ATTO

SECONDO

GRAZIANA. No, ma avevo sentito parlare tanto di lei ... (Il libro cade a terra). SaLvELLI (imbarazzato). Ah! ...(Raccatta il libro e ne legge il titolo) Brava! (Con malizia) Cosa ne direbbe, se lo leggessimo insieme? ...

Graziana. So leggere anche da me... SALVELLI. Dicevo ... perché questi libri ...si leggono meglio in due. GRAZIANA (con finta ingenuità). Non capisco... SaLveLLi (guardandola con intenzione). Allora lo rimetteremo al posto, va bene? (si alza). Graziana. È meglio. Se viene Giorgio...

SALVELLI (c.s.). Già, potrebbe credere... (Ripone il libro) Mi sorprende che non mi abbia mai parlato di voi. Questo torto non doveva farmelo... Di che cosa ha paura? Conosco troppo bene il dovere verso un amico. Graziana. In che cosa consiste?

SALVELLI. Potrei andare con voi in capo al mondo, senza... GRAZIANA. Senza?

SALVELLI (stringendosi nelle spalle). Senza! ... (Pausa) Dite, che cosa ne pensate di Giorgio? GRAZIANA. Questa è bella! Lo domandate a me? Lo doman-

do piuttosto io a voi! SaLveLLi. Oh! Per buono, nessuno può dire che non sia buono. Ma... GRAZIANA. Cosa?

SaLveLLIi. Non c'è da fidarsi, è molto leggero. Graziana. Ah sî? SATVELLIO If: GRAZIANA. Badate, non ditene male davanti a me! SaLveLLi. Tutt'altro. Volevo dire... Ecco, vedete, io per esempio, sono meno ricco di lui, certamente (marcando),

ma... sono d’una costanza!... Graziana. Cosa c'entra una cosa con l’altra? SaLveLLI. Oh, so bene che voi... siete certamente al diso75

ANIMA

pra... ma, infine, dicevo, cosî ... Già; se io, vedete, faccio

tanto d’innamorarmi .... è finita. Giorgio, invece ... E poi

quella raccolta li... (additando le fotografie) ne fa fede. Graziana. Dunque egli miete molte vittime?

SaLveLLI. Io vi parlo da amico... Graziana. Ma non da amico di Giorgio!

SarveLLi. Infine, ognuno tira l’acqua al suo molino. E Giorgio se lo meriterebbe, sapete! Oh, se lo meriterebbe!

GRAZIANA. Cosa? SaLveLLI. Guardate, mi spiego con un esempio. Non c'è

niente di male, è vero? Un esempio. GRAZIANA. Dite. SALVELLI. Tizio entra in casa di Caio e trova un tesoro, nota-

te bene: un tesoro dimenticato sopra una sedia. Lo contempla, è vero? GRAZIANA (ingenuamente). Non ci vedo nessun male... SaLveLLi. Lo contempla con insistenza, con cupidigia... GRAZIANA. Avanti.

SaLveLLI. Gli si avvicina, lo tocca... (Eseguisce). GRAZIANA. Avanti.

SaLveLLI. Appunto, lo prende, e lo mette in tasca e se lo porta via. Eh? (Si sente una sonata di campanello). Graziana. Ah! Cosî! Fate vedere ... (Si alza, esamina la tasca di Salvelli; poi, con un riso malizioso) Un’altra volta vi consi-

glio di farvela fare pit ampia! (Si avvia verso la comune, ridendo). Paoro (entrando dalla comune). La signorina l’aspetta git. GRAZIANA (a Paolo). Eccomi. Vedo che il signor Giorgio tarda molto a venire. Non posso trattenermi più a lungo. Gli consegnerete voi questa lettera. Badate dove la mettete, mi raccomando che non vada smarrita.

PaoLo. Non dubiti. Graziana. Consegnategliela appena viene, e ditegli che il babbo aspetta la risposta, che gliela faccia avere appena può. 76

ATTO

SECONDO

PaoLo. Sf, signora.

GRAZIANA (maliziosa, a Salvelli). Arrivederla! (Via). SCENA V SALVELLI

e PaoLO.

SaLvELLI (a Paolo). Ohè! Sentil!... PaoLo. Comanda? SALvELLI (piano, additando Graziana). Chi è? Paoto. La signorina Graziana, la sorella del padrone. Ma, scusi, o lei, di dove è entrato?

SALVELLI (con comico terrore). La sorella di Giorgio?! Paoto. Per servirla. Ma lei, di dove è entrato?

SaLveLLi. Lasciami stare! Che granchio!! E sî che me ne in-

tendo! Avrei giurato!... (si mette a ridere). Paoto (fra sé). Quella bestia del facchino avrà lasciato la porta aperta... (Esce). SCENA:VI SaLveLLI, PAoLO, LORENZI; poi GIORGIO, SILVIO, BEI.

(Paolo introduce Lorenzi). Lorenzi (a Salvelli). Ah, sei qui? SaLveLLI (sempre ridendo). Ah, lasciami stare! LoreENzZI. Cosa c'è?

SaLveLLI (cs.). M’è successa bella! Famosa!... Lorenzi. Quando crederai... SALVELLI (avvicinandoglisi, piano). Figurati che, nientemeno,

ho scambiato per una cocotte...

(Entra Giorgio, Salvelli tossisce). Giorgio. Mi scuserete... TI

ANIMA

SALVELLI (a Lorenzi). Già, capisci! Son cose che non capitano tutti i giorni. Lorenzi. Se ci capisco qualche cosa, che il diavolo mi porti!

SALVELLI (piano). Sta zitto, bestia! (forte) Un bel modo di fare! Arrivano gl’invitati e il padrone di casa si fa trovar fuori. Giorgio. Colpa vostra che venite troppo presto. Io, del resto, ho fatto tardi perché... Figuratevi, ero uscito un momento per ordinare una cosa, e nel rientrare... SaLveLLI. Spero che ci darai almeno un buon pranzo? Non ho fatto colazione, apposta... Giorgio. Hai fatto malissimo... Dirò a Paolo di servirti l’ultimo... Dunque... cosa dicevo? SaLveLLi. Niente, finora, salvo una bestialità. Giorgio. Ah si! Stavo, dunque, per rientrare, quando, qui

sotto, sapete chi vedo? Matilde, tutta in lagrime! Lorenzi. Diavolo, diavolo!

SaLveLLI. Che cosa è successo? È morto Varsaghi?

Giorgio. Molto peggio: è morto Sultano! SaLveLLi E LorENzI (a un tempo). È morto Sultano?

Grorcio. È morto Sultano! Questa orrenda novella vi do. SALVELLI. Ma come!

Giorgio. In un modo molto semplice ... molto prevedibile. Quell’imbecille di Varsaghi lo stava trenando per domenica; nel saltare una siepe, gli fa prendere poco slancio: Sultano cade, si rompe una gamba. SaLveLLI. Oh perdio! Gliel’avevo detto di farlo montare da White! E l'hanno ammazzato? Giorgio. Subito. Ormai... SALVELLI. E io che avevo scommesso!

Giorgio. fosche SALVELLI. Giorgio.

E io? Rompergli la testa, bisognerebbe! Già, è vese l'essialrotta ti. Come? Come? S'è fatto male? Fracassata addirittura!

(Nel frattempo entra Silvio, scambio di saluti). 78

ATTO

SECONDO

SaLveLLI. Una bella azione, non fo per dire! E Matilde? Giorcio. Dovevi vederla! Non mi riusciva pit di spiccicarmela di dosso. Lorenzi. Addio collier! SaLveLLI. Ma non abbiate paura. Quella non è donna che perda il suo tempo. Scommetto che domani si lascerà confortare da... ve lo immaginate? Silvio. Secondo me, è stato Luigi a consigliare Varsaghi di montare il cavallo... Lorenzi. Che scoperta! Giorgio. Non l’ha pensata male. E adesso, cosa farà?

SaLveLLIi. Chi? Giorgio. Varsaghi è rovinato... SaLveLLI. Peuh! Ha ancora due mezzi per vivere: tirarsi una

revolverata o andare in America a fare il conduttore di tramways. SiLvio. Bella prospettiva! Lorenzi (a Silvio, a parte, mentre Salvelli e Giorgio parlano fra di loro). E cosî? SiLvio. Cosa? LorenzI. Questo matrimonio... adesso che il consenso è

arrivato, quando si fa? SiLvio (dando in una risata nervosa). Caro mio, arrivi con l’ultimo treno.

Lorenzi. Come sarebbe a dire? SarveLLI. È finito in una bolla di sapone. Lorenzi. Scherzi! SiLvio. Niente affatto ... Lorenzi. Ma come... Da un giorno all’altro? Silvio. Succedono tante cose da un giorno all’altro. Lorenzi. Non può essere che un malinteso! SiLvio. Ma che malinteso! Del resto, già che ci tenevi tanto, al mio matrimonio, confortati. Se il primo è andato a monte... Ho domandato la mano di sua sorella... (addi-

tando Giorgio). UO

ANIMA

Lorenzi. Sei matto! Silvio. No, no, sono nel miglior senno. Lorenzi. Ma come... SiLvio. Basta cosî. In altro momento,

forse.

Lorenzi. Ma scusa...

Bri (entrando). Buonasera a tutti! Turr"Ooohht: Bei. Vedete che cosa succede a passar bene gli esami? Dà la iettatura. Ventimila lire, mi costa! SaLveLLI. Ah, ah, anche lui!

Bei. Brutto mascalzone! Paoto. È servito.

Lorenzi. Chi? Varsaghi o il pranzo? Giorcio. Tutti e due. (A Paolo, indicando Salvelli) Il signore lo servirai ultimo. SALVELLI. Questo poi!

Lorenzi. Ma sf, mangi per quattro...

SALVELLI (sedendo a tavola). Bene, beati gli ultimi se i primi hanno creanza!

(Siedono tutti, Paolo serve). Giorcio (a Bei). E cost, eh? Se la moglie del professor Torni non si lasciava sorprendere con Vittorio, saresti stato boc-

ciato per la decima volta! Lorenzi. La caduta di una donna che impedisce quella di uno studente!... Bel. Strano, ma vero. Adesso vi racconterò ... Buono, que-

sto risotto. SaLveLLI (con voce lamentevole). Beati gli ultimi, se i primi hanno creanza! Bei. Prima di tutto, spero che non mi farete l’affronto di non credermi se vi dico che ho fatto tutto il possibile per essere bocciato... Turi. Non ne dubitiamo! 80

ATTO

SECONDO

Ber. Ma cosa volete! Quel pover’uomo aveva ben altro per il capo!... Sitvio. Chi? Br (a Silvio). Il professor Torni. Non lo sai? Ha scoperto in questi giorni che la moglie lo tradiva ... E, neanche a farlo apposta, gli ho presentato una tesi... Oh, ma se vi dico! È stata una commedia. SiLvio. Una nuova?

Bei. Ma che! SaLveLLI. Allora sempre quella... Bei. Sulla legittimazione dei figli naturali. Giorgio. Ad hoc! (A Salvelli, che sta vuotando il piatto) Non far complimenti, sai. SALVELLI. No, amico mio.

Bel. E poi, l'avevo corretta e ampliata, secondo le mie pit recenti esperienze...

Lorenzi. Personali? Bel. Io non potevo immaginare, dieci anni fa, quando il professor Torni era ancora scapolo, che dieci anni dopo la signora Torni non solo avrebbe avuto un amante, ma anche la sfacciataggine di dire a suo marito ... quello che ha detto. SiLvio. E cosî? BeI. A un certo momento, durante la discussione, ho avuto

l'opportunità di citargli sul viso parte di quell’articolo 165 del Codice Civile in cui è detto che «il marito non può ricusare di riconoscere il figlio per causa di adulterio, fuorché quando gliene sia stata celata la nascita». TUTTI. Oooh! Grorcio. È troppo, via!

Bei. State a sentire. Ho creduto gli venisse un colpo. Si confuse, annaspò, balbettò ... e io ne profittai per snocciolare una massa di corbellerie, finché i suoi colleghi, presi da

pietas.

SiLvio. Per chi? Per te o per lui? 8I

ANIMA

Ber. Per tutti e due, s'intende... mi congedarono a pieni voti. Giorgio. Questo poll...

Lorenzi (alzandosi). Amici, vinvito a bere alla salute dei mariti!

Giorgio. Ma che! TurtI. Abbasso! Abbasso i mariti! Lorenzi. Evviva! Perché se non ci fossero i mariti, non ci sa-

rebbero le mogli. È chiaro. Silvio. Bravo, Lorenzi!

Bei. A proposito di mariti e di mogli. Che cosa ne dite del matrimonio di Bardi? (Silvio si turba). SaLveLLI. Cinquecentomila franchi di dote: è detto tutto. Lorenzi. Brutta come un accidente. Bei. Che importa? (Continuano a parlare fra di loro. Paolo, che era uscito un momento, torna e dice qualche cosa all’orecchio di Giorgio). Giorgio. Ma come! È di là?

Paoto. Sf signore.

Giorgio. Ma cosa vuole? (Si alza). PaoLo. Non mi ha detto...

BeI (a Giorgio). Dove vai? Grorgio. Scusate, un momento...

SALVELLI. Ho capito. Falla entrare!

Lorenzi (disputando con gli altri). Non è vero. Non aveva nessun obbligo! Sitvio. Sarebbe bella, che si dovessero sposare le cocottes! Bri. Io vi citerò l’articolo...

Lorenzi. Non c'è articolo che tenga!

(Mentre Giorgio si avvia per uscire, la porta si apre e sulla soglia appare Olga, pallidissima).

82

ATTO

SECONDO

SCENA VII Detti

e OLGA.

(Durante tutta questa scena il contegno di Olga lascerà trasparire,

attraverso i discorsi banali, un’esaltazione nervosa, mal repressa).

Giorgio (confuso). Perdonate ... la sorpresa... OLca. Credevo che non mi voleste! (Gli stringe la mano e si avanza). Bel (piano agli altri). Chi è? SaLveLLI. Perdio, che bellezza!

(Silvio rimane atterrito. Lorenzi l’osserva, inquieto).

OLca. Disturbo, a quanto pare. Giorgio (con voce mal sicura). Nella mia casa non potete essere che la ben venuta, sempre. OLca. A la bonne heure!... E allora... presentatemi i vostri amici.

Giorgio (offrendole una sedia). Vi prego... OLga. Grazie... No, no, lasciate. Non voglio portare lo scompiglio. (Guardando Silvio, come se si accorgesse in questo

momento soltanto della sua presenza) Oh! ... Siete qui anche voi? Buonasera, come

state?

(Silvio s’inchina, pallido). Grorcio (presentando). Il marchese Bei, l'avvocato Salvelli, il contellLorenzi.:.

Lorenzi. Ho già avuto l’onore... OLga. Sf, mi ricordo...

Giorgio. La signorina De Velaris...

(Tutti si guardano fra di loro, sorpresi). Orca. Prego, continuino ... (a Giorgio) Vi sorprende di ve-

dermi piombare cosi in casa vostra? 83

ANIMA

Grorcio. È la grata sorpresa di chi non s’aspettava da voi simile cortesia. OLga. Eppure, niente di più naturale. Ero sola, con la prospettiva di una serata interminabile; mi sono ricordata che stasera eravate in casa, in buona compagnia, e sono

venuta. (Si toglie la mantiglia, Bei si alza per prenderla) Grazie, marchese.

SaLveLLI. Noi v'abbiamo ammirata, ieri, nella vostra opera... OLca. Oh, per carità! Non ricordatemi la mia miseria. Sapete, noi artisti siamo fatti cosî... Ci sono momenti in cui vorremmo dimenticare noi stessi... non so se potete capirmi.

Giorcio. Se posso offrirvi di tenerci compagnia... (offrendole della frutta). OLca. Non supporrete, spero, che vi facessi il complimento di venire digiuna? SaLveLLI. Noi saremmo stati ben lieti di dividere con voi questo misero pranzo. OLGca (a Giorgio). È lusinghiero per voi!

Giorgio. Non dategli retta. Egli ha l'abitudine di digiunare per ventiquattr'ore la vigilia di un invito; perciò anche il pranzo il più pantagruelico è insufficiente alla sua voracità. OLga. Davvero?

SaLvELLI. Egli maschera con una calunnia la sua avarizia. Giorgio. Come se non avessi confessato tu stesso di non aver fatto colazione stamane! SALVELLI. Ma è un atto della più elementare cortesia portare a casa dell'ospite un appetito forte di dodici ore di digiuno! Se lo sapevo, non mi sacrificavo...

Lorenzi. Povera vittima! SALVELLI. È destino, a questo mondo, essere misconosciuti.

Non vi pare?

OLga. Non saprei... (Ironica) Io ho sempre avuto la rara fortuna di essere apprezzata e capita... 84

ATTO

SECONDO

Giorgio. Oh, voi! È naturale... Orca. Credete? Non sempre avete pensato cosî..

SaLveLLi. È questione di nascere sotto una buona o una cattiva stella. OLca. Precisamente. E la mia, infatti, era buonissima. Mi

raccontava una buona donna che mi ha fatto le veci di madre, come, nel momento in cui nascevo, tutto il cielo fosse coperto di neri nuvoloni carichi di tempesta, e soltanto una piccola stella facesse capolino fra una nube e l’altra, quasi volesse spiarmi... Ber. Una piccola stella in un cielo in tempesta: bisognerebbe tirarne l'oroscopo. Grorcio. È facile. Vittoriosa sempre. Lorenzi. Amante dei pericoli.

Oca. E la buona donna diceva anche che io sarei stata molto felice perché avrei avuto un’anima forte. (Ride amaramente). Bei. Perché ridete? OLgca. Cosî ... queste vecchie fole mi fanno sempre ridere. E voi Vettori? ... Fate un poco sentire la vostra voce!

SiLvio. Non ho niente da dire... SaLveLLI. Vi dà noia il fumo? Orca. Ma che! Guardate! (Tira fuori un portasigarette). SarveLLi. Oh allora! Bel (additando Silvio). Forse non lo conoscete abbastanza. È un povero ragazzo colpito da mutismo alla presenza della bellezza. Permettete... (Le offre un fiammifero acceso). OLga. Grazie.

Be1. Del resto, si notano in parecchi individui questi strani Mi OLga. Ah sf? Bel. Ma certamente. Anzi, è mia idea farne soggetto d’un prossimo studio. Sirvio (seccato). Dici delle bestialità... Bei. Il soggetto riacquista la favella: cattivo segno! 85

ANIMA

OLga. Siete veramente profondo, marchese. Ber. Oh! Nessuna scienza mi è occulta. Io posso darvi lezioni di fisiologia, alchimia, chiromanzia...

OLga. Davvero! Allora... vediamo fin dove arriva il vostro sapere. Qua, leggete nella mia mano. (Fa l’atto di togliersi il guanto). Bei. Se non vi dispiace, leggerò tutto quello che vorrete nel vostro guanto. OLca. Nel guanto? Giorgio. La profondità dei suoi studi gli permette di fare anche questo! BEI. Ma... piano: levatevelo diritto, cosî... ecco. Lorenzi. Come si vede che si è laureato in legge due giorni fa! Bei (esaminando il guanto). Guanto nero: carattere rigido. L’impronta delle unghie molto marcata, specie quella del pollice: segno di natura autoritaria. Guardate come la pelle è sciupata, qui, nel cavo della palma: abitudine di tener la mano chiusa. Forza di volontà. Oh! Oh! Questo è sintomatico! Giorgio. Cos'è?

Bei. Vedo nettamente impresso il segno di tre unghiate in forma di mezzaluna: guardate. OLGA (seccata). Non vedo niente. Br. Eppure... Scommetto che questi segni li trovo anche sulla mano... Permettete ... (Esamina la mano di Olga) A voi! — Ahi! Ahi! Questa è dura! OLga. Cosa c'è? Dell’altro, ancora?

Ber. Neanche a farlo apposta! Vedete dove si trova questa piccola unghiata, quella medesima del guanto? OLca. Si...

Bri. A metà dell’asta dell’M! — (Con comico accento solenne) Voi avete, in un accesso di collera, spezzata la vostra vita. Lorenzi. Via, smettila.

SaLveLLI. Ciarlatano! 86

ATTO

SECONDO

OLga (turbata). Vi consiglio di studiare ancora. Non siete abbastanza profondo. Ber. Non domando di meglio che essermi ingannato. Permettetemi intanto di cooperare alla distruzione di questo segno fatale ...(Bacia lungamente la palma della mano di Ol-

ga). Giorgio. Mi pare che cooperi un po’ troppo!

Bel (tornando al posto). Si fa quel che si può. Sirvio (alzandosi di scatto). Mi scusate, ma devo andarmene. Giorgio. A quest'ora? Silvio. Già... non ti ho detto?... Ho un appuntamento.

SaLveLLI. Poco galante, l’amico! Giorgio. Ma che appuntamento! Silvio. Ma sî, ti assicuro... al Valle.

OLGA (ironica). Poveretto! Lasciatelo andare ... Forse non si sente bene. SiLvio (contenendosi a stento). V'ingannate. Sto benissimo. Se avessi lontanamente supposto che ci tenevate, alla mia picscnzazio OLca. Si sa. Non è naturale, fra vecchi amici?

Svio (avvicinandosi a Olga, piano). È una provocazione? OLga (piano). Perché? SiLvio. OLca. Silvio. OLga.

Questo non è il posto per voi. Anzil!... Uscite: vi accompagno. Iroppo onore. — Resto.

SiLvio. Badate ... OLga. Minacce? — Dimenticate che non ne avete pit il di-

ritto! (Forte) Cosa c'è al Valle, stasera? SaLveLLi. La prima dei Diritti dell’anima.

Lorenzi (piano a Silvio). Vieni via. Sivio (piano). No. Giorgio. Di Giacosa, è vero?

Bei. Che titolo curioso! Giorgio. È una tesi molto ardita. Ammettere che una don87

ANIMA

na possa permettersi le infedeltà del pensiero, purché non si dia materialmente...

SaLveLLi. Io la trovo bellissima. Ber. Anch'io. Cosî si vengono a stabilire due stati civili: uno per il corpo e l’altro per l’anima. Si leggerà, per esempio, nei giornali: « Oggi è stato celebrato il matrimonio spirituale fra il signorX e la signora Y. Testimonio della sposa il signor Z, suo marito corporale; testimonio dello sposo

ecc., ecc. Gli sposi sono partiti per un platonico viaggio di nozze negli spazi del pensiero» (Tutti ridono). Lorenzi. In quanto a me, preferirei essere il marito testi-

monio. SaLveLLI. Furbo, l’amico!

Giorgio. E io, quasi quasi, starei per l’altro... Tutti. Eh, eh!

Giorgio. Sî, signori. Data questa scissione, resta a stabilirsi in

quale dei due modi si possegga più e meglio una donna. Bel (indicando Olga). Eccone una che sarà al caso di giudicare. OLca. Mauri, non dite spropositi, amico mio... Giorgio. Ma come! OLga

(contenendosi a stento). L'anima...

Sentimentalismi

d’altri tempi. Cosa ne dite, Vettori? — Voi ne sapete qualche cosa, credo.

SiLvio (fuori di sé). Sî! Io sostengo che la purezza del corpo va innanzi a tutto, e che l’anima è il vieto pretesto di chi

non ha altro da offrire! SALVELLI. Bravo! Bel. Ha ragione! Giorgio. Ha torto!

(contemporaneamente).

OLga (con esplosione a Silvio). Ah, credete che io ci tenga, all’anima mia? Mi credete di quelle che la serbano per le grandi occasioni? Ah, ah! (con una risata nervosa) Volete vedere che conto ne faccio? Qua: la vendo! La vendo a

chi mi dà di più! 88

ATTO

SECONDO

Turti. Bellissima! — Originale! OLga. Su, quanto offrite? Silvio. Io non ho mai comprato anime.

OLga. Ma vi dò anche il resto per giunta! Spero che varrà qualcosa ancora. Eh? (Agli altri, che hanno seguito questo rapido dialogo senza comprenderne il significato occulto) Anche voi! — Chi dà di più? SaLveLLI. Diecimila lire! Ber. Ventimila! Giorgio (scherzoso, ma un poco turbato). Cinquantamila! OLGA (con esaltazione). Cinquantamila! Vettori, fatevi in qua! Avete paura?

Sirvio (fuori di sé). Vergognatevi! OLca. Ah! Ah! Lorenzi (a Silvio). Vieni via. SiLvio. Lasciami stare. (Ad Olga) E se credete... (Fa per scagliarsi su di lei). OLga. Cosa? Cosa?

Lorenzi. Ma Silvio! Sei matto? (Riesce ad allontanarlo da Olga). Bei. Centomila! SaLveLLi. Duecentomila! Giorcio. Basta!

OLGA (sempre più esaltata, fuori di sé). Avanti, duecento! Vettori! (In questo momento Silvio viene trascinato fuori da Lorenzi). Giorgio (con voce potente). Tutto quello che posseggo! OLca. Ah!... (Cade affranta sopra una sedia. Silenzio. Poi, con voce morente) Datemi da bere ... (Giorgio le mesce un bicchie-

re d’acqua). SaLveLLI (a parte, a Bei). È finita. Bei (con comica desolazione). Non ci resta che ritirarci... SaLveLLi. Sempre cosî: fra i due litiganti... (Nel frattempo Olga sarà andata presso la finestra, alla quale essa si sarà affacciata, rimanendovi immobile, in modo da voltare le spalle agli altri). 89

ANIMA

Bri (piano a Giorgio). Le mie congratulazioni! SALVELLI (piano). Anche le mie. Carina, sai, l’idea!....

Be (cs.). Sai niente la ragione? Giorgio. Un momento di pazzia! Bri. Della quale però hai profittato. Giorgio. Voi mi farete il piacere di andarvene, e mi darete

la parola d’onore di non fiatare. Bei. Figurati!

SaLvELLI. Acqua in bocca! Giorgio. Direte anche agli altri due... Mi posso fidare? BeI. Ma diavolo! SaLveLLi. Mi meraviglio! Briccone! (Escono ridendo e mormorando fra di loro). (Tutto questo dialogo, come pure la scena dell’asta, devono essere re-

citati rapidissimamente). SCENA VIII OLGA

e GIORGIO.

Giorgio (dopo avere accompagnato fuori i due amici, rientra e chiude l’uscio ... Considera lungamente Olga, sempre immobile, e le si avvicina lentamente). Olga... (Olga trasale, si volta, lo guarda, smarrita) Cosa avete fatto?... OLGA (di nuovo esaltata). Ma sî! Lo so! Lo so!

Giorgio. Non gridate! (Va fino all’uscio, come per assicurarsi che non c'è nessuno in ascolto). Orca (ingannandosi sulla sua intenzione). Non abbiate paura! Non scappo, no. (In un parossismo sempre crescente di esaltazione) Guardate, non mi muovo! Che cosa aspettate?

Non sono una cosa vostra?... E quando ne avrete abbastanza mi caccerete ... e io andrò da un altro!... e poi da un altro... (Muove alcuni passi come ebbra. A un tratto getta un grido) Ah!... Dio!... Che ho fatto!... (Sta per cadere: 90

ATTO

SECONDO

Giorgio corre a sorreggerla) No! Lasciatemi! Non voglio! Non voglio ... Giorgio (portandola quasi di peso sul divano). Per amor di Dio, non gridate cosî... Non vi faccio nulla, guardate ... non vi tocco. Siete nella casa d’un amico. Calmatevi... OLGA (lo guarda fisso, poi, con voce tremula, come di bimba spaurita). Non fatemi male. Siate buono! Vi domando un minuto, un minuto solo... Giorgio. Ma sf, non vi tocco...

OLca. Soffro tanto ... qui... sentite. (Gli prende una mano e se l’accosta alla fronte) Sentite? Batte... No, non levatela. (Lo costringe a tenere la mano sulla sua fronte) Mi fa bene. È cosî fredda... Perché avete la mano cosi fredda? Ah, che infamia, è vero, dirmi quello che mi ha detto! A mel...

Anche a Marietta hanno detto lo stesso ... ma lei almeno ha un bambino... un bambino tutto suo... Capite! Io non ho nessuno, più nessuno che mi voglia bene! È vero che non lo meritavo? Ditelo voi, Mauri, che colpa ne ho io se quell’infame ... (Giorgio si copre con una mano gli occhi) Piange!... Perché piangete? Vi dispiace, a voi, perché siete buono... L’ha fatto apposta, a dirmi!... Per provocarmi. Ve ne siete accorto? Apposta...

Giorgio (con forza). Dove l'avete veduto? OLca (come conscia di un pericolo). Dove? Ho detto dove?... Che cosa ho detto?... Giorgio. Qui, in casa mia? OLga. No, no! Fuori, lontano!

Grorcio. È Vettori! Dite? OLga. No, no!

Giorcio. È lui! OLca. No! Giorgio. Sf! OLca. No, no!

Giorcio (stringendole il braccio). E allora, ditemi, chi è? OLca. Non so... Mi fate male! 9I

ANIMA

Giorgio. Ditelo! OLga. Mi fate male! (Si divincola e si alza) E cosa vimporta? Si domanda forse a una creatura come me il nome del suo primo amante?

Groreio (fuori di sé). Ah, avete avuto un amante! (riprendendosi) No, non è possibile ... perché mi dite delle cose che non sono?

OLga. Che non sono?... Giorgio. Sî, si!

OLca. Che ne sapete voi? Giorgio. Vi conosco...

OLga. Mi conoscete? Voi! (Con una risata amara) Nessuno mi conosce!

Giorio (con passione irrompente). Olga! Voi sapete che io... vi amo!

OLca. No! Ve ne scongiuro! Che almeno io non abbia quest'ultima umiliazione!... Oh, che orrore! Che orrore!

(Ricade a sedere singhiozzando). Giorgio (con dolcezza, piano). L’uomo che ama veramente, rispetta la donna amata anche se essa è caduta nell’ultima abiezione ... OLga (con dolorosa ironia). Rispetta! ... Giorgio. Sf... sî...rispetta... Non piangete più. Non pos-

so vedervi cosî... OLca. Ma perché mi trattate in questo modo? Ma non capite che è peggio, che... oh! Ma non vi faccio orrore? Giorgio. Vi amo...

OLca. Ditemi delle cose orribili... Ditemi... Ma non la pietà, no, no!

Grorcio. Vi offende la pietà di chi vi ama? Io so che voi avete sofferto tanto, povera cara... E sento pietà di voi.

OLga (smarritamente). Chi ha sofferto? Giorgio. Voi mi direte tutto, un giorno. OLca. Ah, si, tutto!... A voi, tutto! Ma ora... non posso.

Giorgio. Non ora... Un giorno. Quando vorrete. 92

ATTO

SECONDO

OtLga. Un giorno, si... Domani, forse. Ma quando sapre-

tel... Ah!... Anche voi, allora... (esaltandosi di nuovo) come lui! Come lui! Giorgio. No, no... calmatevi. Ora basta. Entrate là, a rav-

viarvi i capelli ...i vostri bei capelli tutti scomposti ... (Li accarezza con mano tremante) Venite. (La precede verso la porta della camera da letto, sollevando un poco la tenda. Olga, dopo una breve esitazione, entra. Giorgio, lasciata ricadere la tenda,

suona il campanello). SCENA

IX

Giorgio, PaoLO, poi OLGA.

(Paolo si presenta sull’uscio). Giorio (prendendo in mano il mantello e il cappello di Olga, dice a Paolo, con voce soffocata). Andrete a chiamare una carrozza e accompagnerete la signora a casa. (Olga, la quale, rientrando, ha sentito queste parole, guarda Giorgio con espressione di profonda sorpresa e insieme di gratitudine indicibile).

Giorcio (l’aiuta a indossare il cappello e la mantiglia, indi, a voce alta). Vi ringrazio per essere venuta... A domani, è vero? (S’inchina profondamente). OLga (sempre guardandolo, si avvia all’uscio, e, sulla soglia con voce profondamente commossa, mormora). Voi siete buono!...

(ed esce). (Giorgio, rimasto solo, si getta a sedere, disfatto, nascondendosi il viso fra le mani). Cala la tela.

93

ATTO

TERZO

Stanza terrena in Villa Mauri

In fondo, porta a vetri sul giardino. A sinistra e a destra, due porte che conducono nelle stanze interne. SCENA

I

SiLvio, GIORGIO, OLGA.

(Silvio sta seduto in disparte, davanti alla triste e depressa. Entrano da sinistra Giorgio corgendosi della sua presenza, continuano Giorgio è pronto per partire. Silvio li osserva rosa invidia).

scrivania, in attitudine e Olga, i quali, non aca parlare fra di loro. con espressione di dolo-

OLga (a Giorgio). Ma tornerai davvero domani sera? GiorcIo. Certamente. OLga. Mi sembrerà triste la casa, senza di te. GrorciIo. E io, credi tu che sarò lieto, lontano da te? Ma co-

me si fa? Non possiamo lasciare tutti e due i nostri ospifi OLca. Mi telegraferai appena arrivato? Giorgio. Sî, e tu, mi scriverai?

OLca. Un letterone di dieci pagine. Giorgio. Brava. E ti ricorderai anche di riguardare quelle bozze? OLca. Senza dubbio. Sarà un modo di passare il tempo, pensando a te... Giorgio. Cara! (La bacia. Voltandosi,scorge Silvio) Ah!... Buon giorno! Ben alzato! (Gli stringe la mano). Sirvio (inchinandosi a Olga). Ah, non mi sono mica alzato adesso! Giorgio. Bravo. L’aria della mattina fa bene. Dov'è Graziana?

94

ARLOSTERZO

Silvio. Credo sia ancora in camera...

Giorgio. Che pigrona! OLca. Ha le abitudini cittadine... Giorgio. Per ora lasciamola fare a modo suo: in questa prima settimana deve riposarsi... ma poi, m’incarico io di

svegliarla ogni mattina alle sei. Che diamine!... Cos perde le ore migliori... (frugando nel portafogli e nelle tasche) Oh, questa è bella!... OtLga. Hai perduto qualche cosa? Grorcio. Quella ricevuta, nientemeno! OLca. Sarà rimasta in camera. Vado a vedere. (Esce a destra).

Giorgio. Avrei giurato d’averla messa qui...

SiLvio. Vedrai che sarà in camera, come dice la signora Olga. Giorgio. Già, speriamo...

SiLvio. Torni domani sera? Giorcio. Sf... Mi dispiace di lasciarvi, ma non posso pro-

prio farne a meno... SiLvio. Quando si tratta di affari, non è il caso di far complimenti.

Giorgio. Non è per affari... ossia... Ora ti faccio ridere: ho un appuntamento col mio editore... SiLvio. Col tuo editore!... Giorgio. Già. Ho un libro sotto i torchi... SiLvio. Tuo? Sul serio? Giorgio. Si... Uno studio sull’arte nel Quattrocento... SiLvio. Oh guarda! Non avrei mai creduto... Me ne congratulo. Giorgio. Di’, di’ pure! Non avresti mai creduto che io riuscissi a fare qualche cosa, è vero? Silvio. Intendiamoci, non per incapacità... ma per pigrizia. Giorgio. Si, si, è vero; non l’avrei creduto neanch'io! Tutto

merito di Olga. Infatti avevo bisogno di essere punzecchiato, spronato, come un cavallo restio ... Figurati, è sta-

ta una combinazione, si può dire. Un giorno, poco dopo sposati, essa, riordinando un mio cassetto, trovò, fra mol95

ANIMA

te vecchie carte, un mio abbozzo su quell’argomento, ap-

punto. Sai che ho sempre scribacchiato, a tempo perso. Buttavo git le idee, cosi come mi venivano, per lasciarle poi marcire nel cassetto. Ebbene, Olga lesse quell’abbozzo, le piacque, e da allora incominciò a tormentarmi, a

dirmi che l’idea era buona, che dovevo svilupparla; infine, tanto disse e tanto fece, che riusci a scuotere la mia fe-

nomenale pigrizia. Mi accinsi a preparare il materiale per il mio lavoro, e... a poco a poco, sai bene come succede,

ci presi gusto... E poi, Olga sempre al fianco per consigliarmi, aiutarmi... Ah, è piacevole il lavoro, cosî! M’ave-

va installato una scrivania nel suo atelier; essa dipingeva e io scrivevo ... E adesso, dopo un anno e mezzo di lavoro indefesso, ho finito. Stiamo correggendo le bozze. Uscirà in novembre. Sitvio (che l’avrà ascoltato avidamente, con un senso di pena). Bravo, bravo!

OLga (rientrando e agitando un foglio). Te l'avevo detto! Giorgio. Ah, c'era?

OLga. Era caduto dietro il cassettone.

Giorgio. Meno male. Grazie. (Ripone la ricevuta. A_ Olga) Stavo parlando di te, sai? Stavo dicendo male di te...

OLga (scherzosa). Che vergogna! Giorgio. Sî, dicevo a Silvio che se sono riuscito a qualche

cosa, è unicamente per merito tuo. OLca. Eh, via!

Giorio. È la verità. E la verità bisogna dirla, è vero? SiLvio (con voce malsicura). Certamente ...

Orca (cercando di sviare il discorso). Non è ora di partire? Giorgio. Mi manda via! OLca. Il treno non aspetta. Giorgio. C'è tempo, c'è tempo.

OLga. Chi sa se la carrozza è pronta... (Esce sul giardino). SiLvio (con accento intensamente doloroso, prendendo le mani di Giorgio). Come devi essere felice! 96

ANLONIERZO

Grorcio. Sf... non credo che due nature potessero accordarsi meglio... E dire che ho dovuto lottare tanto per conquistarla! SiLvio (con voce tremante). Lottare?...

Giorcio (in fretta, sorvolando). Oh, certe sue idee... (A voce pit alta) E poi, mia madre: te lo imagini! ... Ma adesso si è ricreduta, sai. Olga è un angiolo... Bisogna conoscerla

bene: ha il carattere un po’ chiuso... Anche a te sembrerà fredda, qualche volta. Ella non sa abituarsi alle intimità improvvise ... (accorgendosi del turbamento di Silvio) Ma tu, dimmi, che hai? Non ti riconosco pit... Non sei contento, anche tu? SiLvio. Sf, sf, contentissimo. Perché?

Giorcio. Silvio! Silvio! ... Non sono mica cieco. Né la felicità mi rende egoista a segno di non preoccuparmi di chi mi sta vicino. Forse qualche affare?... Silvio. Oh, vanno a gonfie vele. Giorgio. E allora non capisco ... (Improvvisamente, guardandolo) Graziana?... Sitvio. Ma no, credimi... non ho niente... passerà... Grorcio. Sono due sere che invece di coricarti passeggi su e giù per lo studio fino all'alba... Silvio. Come lo sai? Giorcio. Il tuo studio è proprio sopra la nostra camera... SiLvio. Non lo sapevo. Mi dispiace avervi disturbato... Giorgio. Che discorsi! Ma però questo dinota che qualche cosa ti tormenta ... E il giorno sei sempre triste e tacitur-

no... Perché, dimmi, perché? SiLvio (con sforzo). È vero, sono un po’ triste... Ma nessuno ne ha colpa, fuori che io stesso. Passerà... Troverò io il

modo di guarire... lo troverò, certamente... (come parlando a se stesso) Sono, infatti, un troppo triste compagno per voi tutti... Giorgio. No! Ma vorremmo vederti lieto...

SiLvio (con voce cupa). Mi faccio l’effetto di una macchia ne97

ANIMA

ra sul vostro bel cielo azzurro. (Lentamente, con intenzione)

E le macchie vanno levate.

GIORGIO (prendendogli una mano, affettuosamente). Quando tornerò, mi dirai tutto. OLca (dal giardino). Gioi Si fa tardi! Giorgio. Eccomi! Vengo. (A Silvio) Dunque arrivederci. SiLvio. Addio. Buon viaggio! Giorgio. Salutami Graziana. E sta di buon animo, che dia-

volo! Silvio (additando Graziana). Guardala, eccola... SCENA II Detti e GRAZIANA.

GRAZIANA (entrando da sinistra, in costume di amazzone, a Gior-

gio). Vai via? Giorgio. Pigrona! Ti sei alzata adesso, eh? Scappo, perché è tardi. Vuoi niente da Roma? Graziana. No, grazie. (Si baciano) Buon viaggio. OLca (dal di fuori). Ma Giorgio! Perderai la corsa! Giorgio. Eccomi! (Esce in fretta). SCENA

III

GRAZIANA € SILVIO.

Silvio (a Graziana). Dove vai?

GRAZIANA. Monto a cavallo. Sirvio. Sola? GrAzIANA. Con Ferrandi. Silvio. Desidererei che tu non andassi, oggi che non c’è Giorgio. GRAZIANA. Perché?

Sivio. Cosi, perché... voi due soli... 98

ATTO TERZO

Graziana. Non ci trovo niente di male. SiLvio. Forse, ma ti prego di rinunciarvi, per oggi. Se non

vuoi farlo per riguardo a me, fallo per riguardo verso gli altri... Graziana. Ma perché? Non capisco. Silvio. Perché appare strano, per non dir altro, che dopo

due anni di assenza, smaniosa come dovresti essere di goderti la tua famiglia, tu passi tre quarti delle tue giornate con una persona che non è né tua madre, né tuo fratello,

né tua cognata. E infatti non sono il solo a osservarlo.

GRAZIANA (ironica). Olga: è vero? SiLvio. No, no, tua madre. Ieri sera, per esempio, veden-

do che non ti decidevi a rientrare dal giardino, dove stavi da più di un’ora sola con Ferrandi, si è ritirata senza salutarti.

Graziana. Aveva mal di capo. SiLvio. La conosco abbastanza! Ti vuol troppo bene per fare, davanti a me, un’osservazione a tuo riguardo; ma, se lo vuoi proprio sapere, si è ritirata perché dolorosamente colpita dal tuo contegno. 9

.

GRAZIANA. Va bene. Glielo domanderò, se è cosî come dici.

SiLvio. Per carità!

GRAZIANA. Questa è di nuovo genere! Non potrò più rivolgere la parola a nessuno? — Sempre la stessa storia! SiLvio (sforzandosi di essere calmo egentile). Non farmi apparire stupido. Sai ciò che voglio dire. Guarda tua cognata... Graziana. E dalli! - Caro mio, quando si è fatto quello che si è voluto prima, riesce facile far le brave dopo!

SiLvio (severamente). Come sarebbe a dire? GRAZIANA. Ma si! Ha forse mai subito il controllo d’una madre o d’un fratello, Olga? Silvio. Non ne aveva bisogno.

GRAZIANA. Per quello che ne sai tu... Sivio. E, del resto, questo non ci riguarda. (Con un senso

d'invidia) Io vedo che Giorgio è felice... 99

ANIMA

GRAZIANA. Tu, si sa, sei una povera vittima.

SrLvio (sempre molto calmo e dignitoso). Spero che non avrai la pretesa di credere che in questo modo procuri la mia felicità ...- Noi due siamo pitù estranei l’uno all’altra che se ci fossimo conosciuti ieri. (Con impeto doloroso, avvicinandosele) Possibile che tu non provi il bisogno d’un sentimento pit forte, più profondo, pit intimo di quello che ti viene offerto negli omaggi scipiti di codesti sconosciuti? GRAZIANA. Ci siamo! SiLvio (con angoscia). Non posso più continuare cosf, te l’av-

verto. Te l’ho già detto altre volte... Non posso. Non sono natura da vivere come un automa... Ho bisogno di convincermi che vivo, che sento, che amo; ho bisogno di

compagnia, e mi sento invece cosî solo...

GRAZIANA (ironica). Solo?... Siamo una brigata... SiLvio (toccandosi il petto). Solo qui dentro, Graziana... e ho paura! ...Se sapessi com'è triste questa continua solitudi-

ne morale! Se sapessi com’è amaro il dire a se stesso: — sei chiamato marito, figlio, fratello, e pure sei più solo che se

vivessi in mezzo a un deserto! Com'è dolorosa la certezza che, di tanti che ti stanno intorno, non uno coltiva nel-

l’anima un pensiero per tel... GRAZIANA. Io non capisco. Ti metti in mente certe idee... SiLvio. È cosf, è cosî, lo sento. E allora, vedi, si prova uno

smarrimento, un’angoscia, par di morire, par di essere già

morti ...E si soffre della felicità degli altri... Sf, si diventa anche cattivi... (Con un senso di gelosia) Quando io vedo quei due cosî uniti, cosî felici, an! ... Graziana, guariscimi tu... tu potresti, se volessi. Potremmo

anche noi, forse,

essere felici, senza invidia e senza rimpianto ... (posa la testa sulla spalla di Graziana). GRAZIANA (fredda). Guarire! Sei malato? SiLvio. Sf, molto malato...

Graziana. Chiama un dottore (lo respinge). SiLvio (contenendosi a stento). Ah! ... (Silenzio. Poi, con accento TOO

ATTO TERZO

freddo e risoluto) Dunque siamo intesi. Stamattina non uscirai.

GRAZIANA. Ho già ordinato i cavalli. Silvio. Non importa. Graziana. Come sarebbe a dire? Silvio. Ci andrai domani, se ci tieni tanto, oggi, no. Oggi

non c'è Giorgio... Voglio che tu stia con me. GRAZIANA. È un capriccio. Sitvio. Ebbene, sia; è un capriccio. Non me lo concedi? GRAZIANA. No. Silvio. Graziana! GRAZIANA. E mi hai seccata, sai.

Silvio. Bada, se non m’ascolti, si parte domani.

Graziana. Ah! Era questo a cui miravi! Su, parla chiaro! era questo. SiLvio. Non è vero. GRAZIANA. Sf, sf, ora capisco!

Silvio. Non andare!

Graziana. Vorrei vedere anche questa! SiLvio. Te lo proibisco! SCEINASIV Detti e TERESA.

Teresa (accorrendo da sinistra). Ma figliuoli! Che cosa succede? (A Graziana) Tesoro mio! GRAZIANA. Vuol partire. Teresa. Perché? Ma se siete appena arrivati! Non mi avevate promesso di star qui un mese?

GRAZIANA. Oh, egli si cura assai delle promesse! Teresa (a Silvio). È vero? Volete portarmela via? Silvio. Voglio, signora, essere ascoltato. Teresa (a Graziana). Che cosa dice? GRAZIANA. È annoiato ... cerca un pretesto per andarsene. IOI

ANIMA

Teresa. Se credete che io vi abbia dato mia figlia perché la trattiate in questo modo!... Povero angiolo!... Guardate com'è pallida! Quando mi ha lasciata era un fiore... (a Silvio) Del resto, vi faccio osservare che non siete il solo ad avere autorità su di lei. Ci sono io, e c’è Giorgio. Vedremo che cosa ne pensa, del vostro progetto. Silvio. Giorgio sa benissimo che fra mia moglie e me nessuno ha il diritto d’intervenire. (A Graziana) Siamo dunque intesi. (Si avvia all’uscio di sinistra, poi torna indietro, si avvicina a Graziana e le mormora, supplichevole) Graziana... Graziana... (ma Graziana si allontana con dispetto: Silvio allora esce, addolorato). SCENA:V GRAZIANA

e TERESA; poi FERRANDI.

GRAZIANA. Lo senti?

Teresa. Ma cos'è? A proposito di Ferrandi, è vero? Graziana. Già. Come se facessi qualche cosa di male! Teresa. Non ha tutti i torti, sai. Graziana. Anche tu, adesso! Teresa. No, benedetta; vedi come l’ho trattato, e che cosa

gli ho detto; ma... fra noi... è lui che ha ragione. Lo lasci sempre solo... FERRANDI (entrando dal giardino). Signore, buongiorno. Come va? Teresa. Buongiorno, Ferrandi. GRAZIANA. Buongiorno. Dove vi eravate cacciato? Ho fatto

tutto il giro del giardino, fino al cancello... FeRRANDI. Se aveste dato un’occhiata dalla parte della scuderia, mi avreste trovato che stavo lavorando per voi. (A Teresa) Giovanni voleva sapere se avevate commissioni,

perché va in paese. Teresa. Sf, sf. Dov'è? 102

ATTO TERZO

FerrANnDI. Là fuori... Giorgio è partito?

Teresa. Con la corsa delle 11. Scusatemi... (Va verso la porta del giardino, chiamando) Giovanni! Giovanni! Quando hai attaccato, vieni da me, che devo consegnarti delle lette-

re... (Esce a sinistra). SCENA VI GRAZIANA

e FERRANDI.

Graziana. Non credete che bisognerà domandare a mia cognata se desidera venire con noi, oggi che non c’è Giorgio?

FeRRANDI. Oh, ve ne prego! GRAZIANA. Siete poco cavaliere. FERRANDI. Fate come volete. Ma è una passeggiata comple-

tamente sciupata... M’ero ripromesso tanta felicità da questo téte-a-téte ... Graziana. Non abbiate paura, non accetterà.

FeRRANDI. Tanto meglio. Io so un certo posticino, laggiti

nellasforestato: GRAZIANA (cantando). « Laggiti, laggiti » — Sapete che sfido un gran pericolo, venendo adesso con voi? FERRANDI. Un pericolo? Graziana. Mio marito ha minacciato di uccidermi. FERRANDI (inquieto). Ucciderci? Graziana. No, no. (Marcando) Uccidermi. Non abbiate paurati. FERRANDI (respirando). Ah! GRAZIANA. E questo, vedete, mi fa un piacere immenso. Io sono un po’ come il cavallo da guerra: l’odor della polvere mi eccita.

FerranDI

(guardandola). Quanto siete bella!... Lo siete

sempre, ma come stamattina... Sapete, io vi ho spiata, dalla finestra della mia camera, e vi ho intravveduta un 103

ANIMA

istante, nell’atto di schiudere le persiane, tutta rosea in

quella veste leggera... Sembravate l'aurora. GRAZIANA. Un’aurora un po’ in ritardo, se vogliamo. FERRANDI (con accento triste). Avevate l’espressione calma e

felice di chi ha riposato bene. Graziana. Ott’ore filate... E voi? FERRANDI. Oh, io!. GRAZIANA. Poveretto! È cosî noioso non poter dormire.

FERRANDI (ansioso). Dunque la provate anche voi, qualche volta, questa tortura? Il tormento del pensiero assiduo, dolce e terribile ... Graziana (maliziosa). Ah si! Mi ricordo, una volta... oh, tanto tempo fa... M’era morta una cagnolina che adoravo. Non potei chiuder occhio, tutta la notte. Era un amore! Da allora ho giurato di non tener più bestie in casa. (Pausa. Poi, guardando Ferrandi) Che cosa avete? FeRRANDI. Niente.

GraAzIANA. Vi dispiace che io dorma bene, a quanto pare? FERRANDI. Ma no; dormite, dormite. Che v’importa se c'è

qualcuno che veglia, nell'ombra, soffrendo? GRAZIANA. Voi soffrite? FerRANDI. Me lo domandate? Quando credo di essere riuscito a ispirarvi un po’ di simpatia, mi gettate a terra con

una parola crudele... Come ieri sera, per esempio. Graziana. Sfido io! Qualche volta siete d’un’impudenZaloa

FERRANDI. Quando mi guardate in quel modo, perdo la teSta GRAZIANA (provocante). In che modo? FERRANDI. Come mi guardate adesso.

Graziana. Oh, allora... (Si copre gli occhi con la mano). FERRANDI. Siete troppo cattiva. Andrò via oggi. Graziana. E io vi comando di restare.

104

ATTO TERZO

SCENA VII Detti

e OLGA.

Graziana (ad Olga). Oh, brava! Per l'appunto, ti cercavo. Volevamo domandarti se verresti con noi... OLga. Grazie, ma non posso...

GRAZIANA (a Ferrandi). Ve l'avevo detto. Peccato! È una mattinata incantevole. FERRANDI (con intenzione). Ma ci sono certi nuvoloni per aria... non mi meraviglierei che piovesse. Graziana (maliziosa). Davvero? Non me n’ero accorta. (A Olga) Ma perché non vuoi venire? Oca. Ho promesso a Giorgio di ricopiargli una certa coa... E se non mi ci metto subito, non fo in tempo... Graziana. Allora addio. (A Ferrandi) Son pronti codesti benedetti cavalli? FERRANDI. Ma sîf, da un’ora.

Graziana. Dunque andiamo. (A Olga) Arrivederci a più tardi. OLca. Starete via molto? Graziana. Ma che! Appena una mezz'oretta; il tempo di fare un bel galoppo...

(Esce con Ferrandi dalla parte del giardino). SCENA VIII

OLGA sola; poi SiLvio.

(Olga, dopo averli seguiti con lo sguardo, scuote il capo e rimane come assorta in un suo pensiero. Silvio intanto entra da sinistra: la guarda, incerto se inoltrarsi o no; indi si decide e le si avvicina). SiLvio. Avete veduto Graziana?

OLca (trasalendo). Oh Dio! Che paura mi avete fatto! SiLvio. L'avete veduta? 105

ANIMA

OLga (imbarazzata). Graziana? Silvio. Non era qui? DIGAZSIO SrLvio. È uscita: è vero? OLca. Infatti, credo...

Silvio. Ma sf. È uscita con Ferrandi. Tanto meglio. (Olga fa per andarsene) Restate un momento, vi prego. Debbo parlarvi. OLga. A me?

SiLvio. Sî. (Volgendo lo sguardo verso ilgiardino, con accento amaro) Che cosa ne dite? Potete essere contenta! OLga. Di che cosa? Non vi capisco.

SiLvio. Se il vostro orgoglio, per essere soddisfatto, chiedeva la rovina di chi l’aveva ferito, esso ha avuto ampia giustizia.

OLca (freddissima). Anzi tutto, non so con quale diritto voi evochiate un passato che appartiene a me sola. In secondo luogo, vi prego di credere che il mio orgoglio non è uso a chiedere simili compensi. SiLvio. Permettetemi allora di dirvi che siete poco generoCERI OLGA. Sitvio. OLca. Silvio.

Cioè? Mi sfuggite continuamente... Non avrei nessuna ragione per farlo. Continuamente. Ditemi se in questi otto giorni io

sono OLca. Silvio. OLca.

mai riuscito a vedervi un momento da solo a sola! Considerando che non abbiamo niente da dirci... Più niente!... Non lo trovate orribilmente triste? Direi, piuttosto, logico.

SiLvio. Avete ragione. Ma io non vi ho trattenuta per que-

sto. Volevo semplicemente approfittare di questa solitudine, che non si offrirà un’altra volta, per chiedervi scusa se vi ho imposto la mia presenza... Credo che partirò presto ... OLga. Come! 106

ATTO TERZO

Silvio. D'altra parte mi era impossibile evitare quest'incontro, senza far capire... OLga (con fredda cortesia). Siete nella casa di mio marito, sposo di sua sorella; la vostra presenza è dunque assai natu-

rale. SiLvio. Ma questo non la rende a voi meno odiosa... Non negatelo! Sarebbe inutile. OLga. Mio Dio! Poiché questo doveva, o presto o tardi, succedere, meglio cosî. Almeno non ci si pensa pit... Sivio. Nient'altro? (Olga lo guarda) Non avete altro da dirmi? Non una parola, non un... nient'altro? (Olga fa cenno di no) Ci lasceremo dunque cosi, senza un saluto, senza una spiegazione... (amaramente) Siamo fratelli, dopo tutto; l’avete dimenticato?

OLca (con un riso doloroso). Fratelli! ... SiLvio. Siete almeno felice, voi?

OLGA. Sf.

Silvio. E mi avete perdonato? OLGA (con sottile ironia). Che cosa? Di avermi fatto conoscere e stimare un nobile cuore? Per questo non si perdona: si ringrazia.

SiLvio, Sieto crudele... OLca. Più che ringraziarvi... Sivio. Almeno non usate quest’espressione!

Orca. Perché? SiLvio. Perché mi fa soffrire... Ma dunque non l’avete indovinato, il martirio di questi giorni? Non avete capito ciò che ho sofferto in questo quotidiano confronto fra quello che è la mia vita e... quello che avrebbe potuto essere? Ah, come sono stato punito! Punito là, dove ave-

vo colpito. È giusto, ma doloroso. Ho conosciuto la verità

quando ormai l'errore m’aveva fatto suo per sempre, itrimediabilmente ... OLGA (triste). Io sapevo che sarebbe venuto questo giorno e questo momento. 107

ANIMA

SiLvio. Ah, trionfatene pure! Voi meritavate questa vendetta. OLga (con grande dolcezza). Io ne soffro per voi, Silvio. SrLvio (con un lampo di gioia negli occhi). Voi dunque non mi odiate? OLga. No... SrLvio. Oh, benedetta!

OLGaa. È forse colpa vostra se eravate immerso nel pregiudizio, come tutti gli altri? Quello che è avvenuto era fatalmente necessario. Era necessario, perché riconosceste l'errore, fare della mia anima quello strazio, e subire l’esperienza dolorosa... SiLvio (con accento d’intenso rimpianto). Ah, l’anima vostra! Io le ho innalzato nel mio cuore un altare dove, silenziosa-

mente, l’adoro e la piango... OLca. Potete ben dire d’averla uccisa, quella sera! Né io

credevo che sarebbe rinata più mai... SiLvio (con disperazione). Ora, ora comprendo il bene sovrumano di quel possesso e la vanità del resto! Ora che l’ho perduto per sempre... Ah, cara anima, che s'era data a

me tutta quanta, che io sentivo palpitare dentro di me, che con me soffriva e godeva, lottava e sperava... Olga, Olga, com'erano vere le vostre parole: «Io sono stata più tua cosî, che se fossi diventata la tua amante ...». Vi ricor-

date? Vi ricordate?

OLca (turbata). Che vale rivangare il passato? SILvio (con impeto). Ma quando non si ha altra dolcezza nella vita? Quando il ricordare è l’unico segno che non si è morti ancora? Caro, unico ricordo che anima la mia soli-

tudine e conforta la mia angoscia, che io sento in me cosf

vivo e palpitante, come se per lui il dolore più non esistesse, che mi fa vivere in voi e per voi, come al tempo del nostro amore felice... Ah, lasciatemelo! Non vi doman-

do altro. OLcga. Voi dimenticate che il vostro pensiero non vi appartene: piu 108

ATITOERZO

SiLvio. Ma vi pare che Graziana avrebbe ancora il diritto di offendersi se vedesse dentro alla mia anima? Non credete che io abbia ormai conquistato il diritto di disporne a mio talento? Ah, voi non sapete!... Ma pensate che non C'è stato un minuto della sua vita, da che l’ho sposata, non un minuto, in cui l’anima di quella fanciulla sia stata mia! anche adesso, la vedete ... Eppure avevo tanto lotta-

to per conquistarla! M’ero detto, dopo commessa l’imperdonabile pazzia, che non era giusto ch’essa fosse la vittima del mio errore; e avevo cercato in me, onesta-

mente, la possibilità di ricostruire la mia vita distrutta... Sentivo che avrei potuto, se essa mi avesse aiutato, e cercavo d’interessarla al mio lavoro, domandando

il suo

consiglio, mettendola a parte dei miei progetti, ragionando del mio avvenire, cercando, infine, di stabilire fra essa

e me quella corrente di sentimento e di pensiero, senza la quale, ah, ora lo so, non c’è vero possesso... Ma essa!

(Con un riso ironico) Essa non mi capiva, o m’interrompe-

va per leggermi i versi che il marchese B. aveva scritto nel suo album, o per sonarmi la romanza che il signor C. aveva composto per lei. Essa, anzi che vedere in me il compagno della sua vita, l’amico, lo sposo, non vedeva che lo strumento di quella libertà alla quale aveva tanto anelato - (Pausa. Poi, a voce bassa, lentamente) A poco a poco, si ii silenzio; sapete, quel silenzio delle anime che persiste anche quo le labbra parlano... Io ebbi allora momenti d’angoscia cosî viva che credetti di morirne... OLca (con accento di pietà intensa). Poveretto! Poveretto! SiLvio (amaramente). Eppure il destino, nella sua ironica compiacenza non mi aveva concesso ciò che avevo chiesto? Il trionfo, per il mio orgoglio maschile, di dire a me stesso, guardando mia moglie: « nessuna carezza è passata su quel corpo, fuorché la tua ...». Che trionfo!...E, accanto, il dolore di pensare che l’anima che esso celava 109

ANIMA

non era mia, né mai lo era stata, ma che su di essa era pas-

sato e ripassato, come una torbida onda di fango, il desiderio di mille uomini ... Allora, allora compresi il significato profondo e santo della verginità vera; allorché, ba-

ciando quel corpo casto e unicamente mio, mi struggevo di rabbia all’idea che l’anima in quel momento stesso, forse, era lontana da me... era in balia d’un altro, amante

d’un altro... (Con un grido) Ah, come avrei voluto spezzare quella fronte pura per scoprire la sozzura, per sorprendere il tradimento! Come avrei voluto che il corpo vanisse, onde poterla afferrare tra le mie mani, e vederla, e sentirla, cosî, tutta contaminata! ... (Pausa. Poi, con voce

mutata) Che miseria! Che miseria! OLGA. Poveretto!

SiLvio. Voi mi comprendete... Voi sola al mondo potete comprendermi. Ah, perché distruggere con le vostre mani la felicità nostra? Perché non aver taciuto, quella sera? L’inganno, l’inganno pietoso non sarebbe stata miglior cosa, finché i miei occhi avessero scoperto da loro la verità? OLGA. Povero Silvio, la verità non sarebbe mai venuta in voi

senza l'esperienza... Silvio. Noi ora saremmo felici. OLca. Voi ora sareste straziato dalla gelosia pit bassa e pit umiliante ... SiLvio (con angoscia). Olga, Olga, che cosa sarà di me? Ditemi voi, che cosa devo fare?

OLca. Voi dovete armarvi di pazienza e aspettare. Graziana è tanto giovane...

Silvio (smarrito). AL non posso! Non Losa) Non ho più forza ...Io ho bisogno di voi, per vivere ... unicamente di voi, Olga!... Graziana? Lasciate ch’essa si diverta a suo

talento! Ma ditemi che nella vostra anima il ricordo di me non è affatto morto ... ditemi che c’è in essa qualche cosa di me che vive e che palpita ancora... Non mi abIIO

ATTO TERZO

bandonate! Mi basta il vostro più piccolo pensiero ... Un piccolo pensiero rivolto a me: non vi domando altro... OLca. Voi mi domandate quello che non posso darvi... SiLvio. Non mi abbandonate, non mi date voi pure la sensa-

zione orribile di questo vuoto, di questo silenzio, di questa morte!

OLca. Io non vi abbandono. L’avete detto, poc'anzi, siamo fratelli... Io vi aiuterò, farò tutto ciò che è in me per ricondurvi Graziana... Ma non domandatemi altro. Sirvio (con gelosia). Ah, perché voi amate Giorgio! Perché avete potuto dimenticare e amare una seconda volta! OLca (fieramente). Sî!... E me ne fate un rimprovero! Voi dunque avreste voluto ritrovarmi nell’abiezione in cui m’avevate gettata? Siete sempre stato un egoista, nel vo-

stro amore ...E quando quell’uomo mi ha steso la mano, paese olio cheicdla respingessi e che non cercassi di riamarlo con quel poco di vivo ch'era rimasto ancora in me? Ah, ma io avrei voluto trovare in me, per offrirglielo intatto, un qualche tesoro indicibilmente prezioso. E invece... Non ho avuto neanche la dolcezza di dare a lui,

che la meritava, l’unica verginità che m’era rimasta! Voi avevate tutto devastato in me, tutto inaridito ... E ora vi

rincresce che su questa rovina sia spuntato un fiore? Ah,

Silvio! Non vi pare che io abbia già sofferto abbastanza per colpa vostra? SiLvio (cupo) Avete ragione ... Perdonatemi! Non vi turbe-

rò più con la mia presenza. OLga. Perché dite queste cose?

Silvio. Perché è cosi... Perché sono di peso agli altri. Orca. Silvio! Sivio. Si, sî, di peso a tutti... (Con scoraggiamento) Per chi o per che cosa dovrei vivere?

OLGA. Voi sapete che c’è qualcuno che ha grande bisogno di Vol... Silvio. E che m'importa? Sono io che ho bisogno, immenso III

ANIMA

bisogno di voi, Olga! Ditemi che mi amate ancora, ah, ditemelo, se non volete che io commetta uno sproposito! OLGA (con terrore). Silvio! SiLvio (fuori di s6, implorando). Abbiate pietà di me... ditemi qualche cosa... Una parola buona... Possibile, possibile che abbiate dimenticato? Olga!... (Si sente dal giardino la voce di Graziana. Silvio, che aveva afferrato la mano di Olga, la lascia ricadere, e si scosta. Nei suoi occhi è una

luce strana). SCENA Detti, GRAZIANA

IX e FERRANDI.

Graziana (dal di fuori). Ho una fame!... Speriamo che la colazione sia pronta... (entrando con un enorme fascio difiori fra le braccia) Ah, siete qui? OLca (sforzandosi di dominare il proprio turbamento). Come! Già tornati? Graziana. Minaccia un temporale. (Lascia cadere a terra ifiori).

OLca. Sul serio? (Va verso la porta del giardino). FERRANDI (di malumore). Ma che, temporale! Si è lasciata impressionare da una nuvoletta di passaggio... Graziana. La chiama nuvoletta! Questo mi piace. (A Olga, che rientra) Che cosa ne dici? Otca. Il cielo è tutto nero... Incominciano a cadere dei goccioloni. GRAZIANA (a Ferrandi).Avoi! Chi aveva ragione? (Si china sui fiori). OLca. Dio, che quantità di fiori!

Graziana. Belli, è vero? Avresti dovuto vedere! Sai il piccolo prato in mezzo alla foresta? Non si vede pit il verde, tanti sono i fiori... Ferrandi, aiutatemi a riempirne i vasi. II2

ATTO TERZO

(Divide ifiori in mazzi, passandoli a mano a mano a Ferrandi,

che li distribuisce nei vasi) Ne abbiamo ricoperto perfino i nostri cavalli... OLga. Come sono belli! (Ne prende uno, che più tardi lascerà distrattamente cadere a terra). Graziana. Ma Delfina se li mangiava, quelli a cui poteva arrivare! Non ha mica torto. I calici di alcuni sono tanto dolci. Assaggia questo! Orca. No, cara, non mangio fiori.

Graziana. A me invece piacciono molto. (Succhiando un calice) Già ho un tale appetito che li divorerei tutti... A che ora si va a colazione? OLga. Anche subito, se vuoi: chiameremo

la mamma...

GRAZIANA. Ah, sî, andiamo! (Si avvia verso la porta di sinistra,

seguita da Ferrandi). OLGa (a Silvio, che durante la scena sarà rimasto immobile e cupo). Venite?

Silvio (trasalendo). Subito... Ora vengo... (Si avviano tutti verso l’uscita di sinistra. Silvio rimane solo. Giunge dalla stanza accanto un rumore confuso di risa, di sedie smosse, di

piatti, un chiamarsi ad alta voce. Silvio raccoglie ilfiore che Olga ha lasciato cadere e lo bacia con passione infinita. Rimane lungo tempo pensoso, mentre, a poco a poco, l’espressione del suo viso dinota che si

va maturando in lui una risoluzione. A un tratto apre il cassetto della scrivania, impetuosamente, ne estrae un piccolo revolver, lo considera un momento, ma poi, come pentito, lo rimette al posto. Va verso l’uscio di sinistra; rimane immobile, in ascolto. In quel mentre si sente la voce di Graziana esclamare: Andiamo, Ferrandi, venite

qua... Indietreggia, e dando in una risata nervosa, torna verso la scrivania, riapre il cassetto, afferra il revolver, esce disperato dalla porta delgiardino. Subito dopo, affievolita per la lontananza, giunge l’eco di un colpo di revolver). Cala immediatamente la tela.

113

INDICE

INTRODUZIONE TAVOLA

DELLE

ABBREVIAZIONI

34

ANIMA PERSONAGGI

38

Arto I

39

Artrosi

70

AtroxIII

94

IIS

FINITO DI STAMPARE PRESSO LE OFFICINE DI BERTONCELLO ARTIGRAFICHE IN CITTADELLA (PADOVA) A CURA DELLA SALERNO EDITRICE NEL MESE DI APRILE 1997

OMIKRON Volumi pubblicati:

. Torquato TAsso, Intrichi d'Amore. Comedia, a cura di E. Malato, pp. xVI-280.

. Denis DiperoT, Supplemento al Viaggio di Bougainville e altri scritti sulla morale e sul costume, a cura di R. Pastore, introduz. di P. Casini, pp. 144. . Otto Lupwic, Tra cielo e terra, traduz. di E. Pochar, introduz.

di L. Quattrocchi, pp. 240. . FERDINAND GREGOROVIUS, Lucrezia Borgia, a cura di A. Romano, traduz. di L. Quattrocchi, introduz. di M. Martelli, pp. 392. . UGo Foscoto, Autobiografia dalle lettere, a cura di C. Varese, pp. 328. . Franz Liszt, Divagazioni di un musicista romantico, a cura di R.

Meloncelli, pp. 216. . HAMILTON G1BB, Vita di Saladino dalle opere di Imàd ad-din e Ba-

hà ad-din, a cura di A. Borruso e M.T. Mascari, pp. 96. . Till Eulenspiegel, a cura di L. Tacconelli, pp. 304. . ERIcH MùHSsAM, Ragion di Stato. Una testimonianza per Sacco e

Vanzetti, a cura di C.Quarta, introduz. di ILA. Chiusano, pp.140. . TawrîQ AL-Hagim, Shahrazàd, a cura di A. Borruso, con una

nota di F. Gabrieli, pp. 84. . Einarpo, Vita di Carlo Magno, a cura di G. Bianchi, introduz.

di C. Leonardi, pp. 112. . ARTURO GRAF, Il diavolo, a cura di C. Perrone, introduz. di L. Firpo, pp. 292.

. Scrittori della jettatura, a cura di G. Izzi, premessa di G. Manganelli, con una nota antropologica di L. Lombardi Satriani, pp. 348. . Conrap FERDINAND MEvER, Il Santo (Thomas Becket), a cura di G. Martorelli, introduz. di L. Zagari, pp. 200. 15; GIovaN BATTISTA Pino, Ragionamento sovra de l’asino, a cura di 16.

O. Casale, introduz. di C. Bernari, pp. 180. AnnIBAL Caro, Gli amori pastorali di Dafni e di Cloe, a cura di L. Silori, pp. 148.

OMIKRON

17-18. UmBERTO FraccHIA, Novelle e racconti, a cura di A.M. Tosi, pp. 224 + 192. 19. Dizionario politico popolare, a cura di P. Trifone, introduz. di L. Serianni, pp. 320. 20.

Luigi Firpo, Il supplizio di Tommaso Campanella. Narrazioni -

Documenti - Verbali delle torture, pp. 298. 2I. FrIEDRICH von Spe, Cautio Criminalis, ovvero Dei processi alle streghe, a cura di A. Foa, traduz. di M. Timi, pp. 340. 22. Ivan ALEXEEVIC BunIN, Viali oscuri, a cura di A. Romanovic, Dp1372: 23: ANNETTE von DrosTE-HùLSHOFF, Ilfaggio degli ebrei, a cura di

F. Politi, con una nota introdut. di J.Kunz e un profilo biografico-critico di E. Alker, pp. 124. 24. Il Piacevol Ragionamento de l’Aretino. Dialogo di Giulia e di Madalena, a cura di C. Galderisi, introduz. di E. Rufi, presentaz. di

G. Aquilecchia, pp. 132. 25: Quinto TuLLio Cicerone, Manualetto di campagna elettorale

(Commentariolum petitionis), a cura di P. Fedeli, con una premessa di G. Andreotti, pp. 224. 26. Luigi CAPRANICA, Donna Olimpia Pamfili. Storia del sec. XVII, a

cura di A. Romano, pp. 564. 207 ANTONIO Rocco, L'Alcibiade fanciullo a scola, a cura di L. Coci, pp. 104. 28.

MarceL PacnOL, L’acqua delle colline. 1. Jean de Florette, a cura di

C. Galderisi, introduz. di E. Rufi, pp. 304. 29. MarceL PagnoL, L'acqua delle colline. 11. Manon delle Sorgenti, a cura di E. Rufi, introduz. di C. Galderisi, pp. 300. 30; THoMmas PLATTER, Autobiografia, a cura di F. Cichi e L. De Venuto, presentaz. di E. Campi, pp. 164. 91 PeTRONIO ARBITRO, I racconti del ‘Satyricon’, a cura di P. Fedeli e

R. Dimundo, pp. 164. 32. Pasquinate del Cinque e Seicento, a cura di V. Marucci, pp. 360. 33. Henri DE LATOUCHE, Fragoletta, ossia Napoli e Parigi nel 1799, a cura di D. Frisoli e C. Lucarini, pp. 392. 34. Sievès, RoBESPIERRE, DE MAISTRE, Pro e contro la Rivoluzione, a cura di C. Galderisi, A.M. Rao e E. Rufi, introduz. di G. Galasso, pp. 376. 35. Pasquino e dintorni. Testi pasquineschi del Cinquecento, a cura di A. Marzo, pp. 232.

OMIKRON

36.

Lettere di cortigiane del Rinascimento, a cura di A. Romano, pp. 176.

37. ALEssanDRO VERRI, Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene, a cura di A. Cottignoli, pp. 208, con 18 tav. f.t. 38. CHITARRELLA, Le regole del gioco del mediatore, del tressette e dello scopone, a cura di E. Malato, con una « Nota » di G. Doria, pp. 180, con I tav. n.t. 39. Ign aL-MuqQarra$ Il libro di Kalila e Dimna, a cura diA.Borruso

e M. Cassarino, pp. 268, con 4 tav. f.t. 40. Novelle della Roma umbertina, a cura di A.-C. Faitrop Porta, pp. 292. 4I. Ghino di Tacco nella tradizione letteraria del Medioevo, a cura di B.

Bentivogli, pp. 124. 42. WiLLIAM ROBERTSON, La scoperta dell'America, a cura di L. Ma-

scilli Migliorini, pp. 236.

43.

GiusEPPE COMPAGNONI, Le veglie di Tasso, a cura di D. Rieger,

45.

prose, a cura di A.-C. Faitrop Porta, 2 voll. di compless. pp. 696, con ill. n.t. Torquato Tasso, Il Conte overo de l’imprese, a cura di B. Basile,

pp. 136, con 4 tav. f.t. TrILUSSA, Le prose del « Rugantino » e del « Don Chisciotte » e altre 44.

pp. 240, con I tav. f.t.

. Le storie di Giulietta e Romeo, a cura di A. Romano, 2 voll. di

compless. pp. 732. . Vincenzo MONTI, Lettere d’affetti e di poesia, a cura di A. Co-

lombo, pp. 424. . JoHANN WoLFGANG GOETHE, ‘Laocoonte’ e altri scritti sull’arte (1789-1805), a cura di R. Venuti, pp. 268. . Carro Dossi, Due racconti giovanili, con un racconto di Luici

PeRELLI, a cura di P. Montefoschi, pp. 268.

. Lune digiada. Poesie cinesi C. D'Alessio, pp. 192. . ALessanDRO D’ANcONA, cura di A. Borruso, pp. 32: FiLippo SASSETTI, Lettere

tradotte da ARTURO ONOFRI, a cura di

La leggenda di Maometto in Occidente, a 156. dall’India (1583-1588), a cura di A. Dei,

pp. 264. 53.

Luigi FerpinANDO MarsiLI, Ragguaglio della schiavità, a cura di B. Basile, pp. 80, con 16 tav. f.t.

OMIKRON

54. AmBrorsE Part, Mostri e prodigi, a cura di M. Ciavolella, pp. 20SNCONU77ACAVIsit

ss. VirciLio MaLvezzi, Davide perseguitato, a cura di D. Aricò, pp.

152. 56. AMELIA PINCHERLE RossEeLLI, Anima. Dramma in tre atti, a cura

di N. Costa-Zalessow, pp. 120. Volumi di prossima pubblicazione: Corrapo ALvaro, Lettere parigine e altri scritti, 1922-1925, a cura di

A.-C. Faitrop-Porta.

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AMELIA PINCHERLE

ROSSELLI

ANIMA Amelia Pincherle Rosselli (1870-1954)è

oggi nota forse più in relazione ad a protagonisti della nostra recente storia sociale e culturale che per la sua attività letteraria. Fu infatti madre di Carlo e Nello Rosselli, i

fratelli antifascisti fatti trucidare da Mussoli» ni in Francia nel 1937; zia di Alberto Mora-

via; nonna dell'omonima poetessa Amelia Rosselli, suicida nel 1996. Ma la Rosselli fu,

oltre che donna di eccezionale tempra, anche scrittrice di notevole e non immeritata fama, a cavaliere del nostro secolo, nonché animatrice di vari circoli culturali e sociali,

nella Firenze dei primi anni del Novecento. Tra le sue opere (pièces teatrali, novelle, romanzi, articoli vari) assume un particolare rilievo Anima, dramma in tre atti rappresentato e premiato a Torino nel 1898. Stupiscono, rileggendolo a cent'anni di distanza, la

straordinaria freschezza e attualità del quadro disegnato dalla Rosselli: una società bigotta, piccolo-borghese, dagli orizzonti desolatamente limitati, in cui poche persone di valore lottano contro i pregiudizi della massa. Olga, la pittrice indipendente, segnata da una terribile ferita giovanile; Silvio, il suo fi-

danzato, che in realtà non la capisce e non l’accetta; Giorgio, innamorato segretamente di Olga; Graziana, l’ “innocente” fanciulla at-

tratta dal fascino del proibito: sono i protagonisti (insieme a numerosi personaggi “di contorno”) di un mondo di convenzioni soffocato dal perbenismo e dal moralismo, per molti versi rimasto inalterato. Sapiente ritratto d’un’epoca giocato tra dramma e comicità, Anima appare un recupero importante, di un’autrice ingiustamente dimenticata, ma dalle grandi qualità lette-

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rarie, meritevole di una rinnovata attenzione

critica.

ISBN 88-8402-

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In copertina:

SiLvesTRO Leca, La pittrice (1869). Coll. peg: Il volume: L. 16.000

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