Analisi marxista e società antiche
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ISTITUTO GRAMSCI

ANALISI MARXISTA E SOCIETÀ ANTICHE

EDITORI RIUNITI - ISTITUTO GRAMSCI

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ANALISI MARXISTA E

SOCIETÀ ANTICHE



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Istituto Gramsci

Analisi marxista e società antiche a cura di Luigi Capogrossi Andrea Giardina Aldo Schiavone

Editori Riuniti

Istituto Gramsci

I edizione: febbraio 1978 © Copyright by Editori Riuniti Via Serchio 9/11 - 00198 Roma Copertina di Bruno Munari CL 634273-X

Indice

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Nota editoriale

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Introduzione di Massimo Brutti

Relazioni 45

Lorenzo Calabi Categorie marxiste e analisi del mondo antico

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Aldo Schiavone Per una rilettura delle « Pormen »: teoria della storia, dominio del valore d’uso e funzione dell’ideologia

107

Mario Mazza Marx sulla schiavitù antica. Note di lettura

147

Domenico Musti Per una ricerca sul valore di scambio nel modo di produzione schiavistico

175

Ettore Lepore Nna postilla Dibattito

187

Antonio La Penna

201

Guido Carandini

205 Domenico Musti

207

Ettore Lepore

211

Giuseppe Pucci

217

Luigi Capogrossi Colognesi

227

Luciano Canfora

235 Nicola F. Parise 239

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Andrea Carandini

Nota editoriale

Dall’ottobre del 1974 si è costituito presso l’istituto Gramsci, nel quadro delle attività della sezione di storia e scienze sociali, un gruppo di studio di antichistica, che riunisce storici dell’economia, della politica e della società, del diritto, della letteratura, dell’arte e della cultura materiale. Alle riunioni, hanno anche partecipato sto­ rici del pensiero economico moderno \ Questo libro presenta una parte delle ricerche compiute nei primi due anni di attività. Esso non riporta l’intero lavoro svolto, ma ne riproduce l’andamento essenziale, senza eccessive ripetizioni, anche se con alcuni impoverimenti. In particolare, sono state qui raccolte tutte le relazioni tenu­ te nel primo anno di attività, nel loro ordine originario, e una serie di « interventi » che hanno seguito la loro esposizione. I testi sono stati, naturalmente, rivisti per la stampa 12: ma era­ no e restano non più che spunti di riflessione per una ricerca che sta continuando. Del suo sviluppo si darà conto in un convegno internazionale che avrà luogo entro quest’anno. Il libro è dedicato alla memoria di Ranuccio Bianchi Bandinelli e di Emilio Sereni. 1 Hanno preso parte all’attività del gruppo: Cécile Andreau, Jean Andreau, Gabriella Bodei Giglioni, Mario Bretone, Massimo Brutti, Lorenzo Calabi, Lucia­ no Canfora, Renata Canfora, Èva Cantarella, Luigi Capogrossi Colognesi, Andrea Carandini, Guido Carandini, Gian Mario Cazzaniga, Guido Clemente, Filippo Coarelli, Mireille Corbier, Franca De Marini, Augusto Fraschetti, Andrea Giardina, Giuseppe Giliberti, Francesco Grelle, Fiorella Imparati, Luigi Labruna, Antonio La Penna, Ettore Lepore, Antonio Mantello, Mario Mazza, Alfonso Mele, Massi­ mo Messina, Vincenza Morizio, Domenico Musti, Emanuele Narducci, Nicola Fran­ co Parise, Giuseppe Pucci, Aldo Schiavone, Feliciano Serrao, Tullio Spagnuolo Vi­ gori ta, Mario Talamanca, Mario Torelli. 2 Le relazioni di Lorenzo Calabi e di Aldo Schiavone sono già apparse nel volume collettivo Problemi teorici del marxismo, Roma, 1976, p. 165 sgg. e 189 sgg. Tutti gli altri scritti sono inediti.

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Massimo Brutti Introduzione

Questo volume raccoglie la storia di due anni di lavoro. È il risultato dell’attività di un gruppo di studio costituito presso l’istituto Gramsci. Rappresenta un bilancio e segna contemporanea­ mente l’apertura di un dibattito. Da esso si ricava il progetto di una ricerca, come si è soliti dire, interdisciplinare, cioè volta ad un og­ getto storico unitario. Le pagine che seguono contengono — in forma rielaborata dagli autori — le relazioni e alcuni interventi attraverso cui si sono sviluppate la riflessione e l’indagine di un gruppo di storici della antichità, provenienti da diversi campi di studio (le forme della produzione materiale e la cultura, l’economia e il diritto). A questo lavoro hanno preso parte anche studiosi del pensiero economico, che portavano nel gruppo una più determinata esperienza d’indagine sulla critica marxiana dell’economia politica. Se si passano in rassegna, scorrendo i nomi dei partecipanti al dibattito, gli specifici interessi e le tradizioni di studio da cui essi muovono, si ha una prima idea di quali siano stati gli scopi e le occasioni del loro incontro. Anzitutto l’esigenza di far converge­ re ed integrare ambiti distinti di ricerca. È possibile, per esempio, che gli storici del diritto utilizzino sistematicamente il lavoro degli archeologi? O che la storia della letteratura s’incontri con la storia sociale ed economica, la storia della filosofia con quella del linguag­ gio o delle mentalità, la storia della cultura con la ricostruzione delle forme di coscienza delle classi subalterne? E simili raccordi non implicano necessariamente domande storiografiche diverse da quelle tradizionali nelle rispettive discipline? Cominciamo a raccontare come siano emersi questi interroga­ tivi e come sia nato da essi un lavoro comune. Il dibattito sviluppa­ tosi soprattutto in Italia ed in Francia, sulle nozioni marxiane di 9

formazione economico-sociale e modo di produzione, offriva nume­ rosi spunti di riflessione e proposte di ricerca agli storici dell’anti­ chità. I temi nuovi e le esigenze che il marxismo dell’Europa occi­ dentale sottoponeva alla storiografia, additando nelle pieghe di un passato lontano questioni leggibili a partire dal presente, hanno per primi smosso le acque. La revisione e la critica dello storici­ smo, la ripresa della tematica labrioliana della morfologia, in pole­ mica con lo schema dell’interazione affine alla vecchia teoria dei fattori, le discussioni sulla processualità della formazione economico-sociale e in essa sul modo di produzione (modello o struttura reale), il tema della discontinuità (e citiamo in disordine solo alcu­ ne questioni) non potevano che suscitare echi e dubbi entro il la­ voro storiografico \ La prima proposta costruttiva per ripensare i termini della querelle teorica alla luce di problemi storici concreti venne in occa­ sione dei Colloqui sulla schiavitù di Besangon, con il progetto di un incontro fra studiosi italiani e francesi che facesse il punto sugli schemi euristici e le prospettive di lavoro offerte dal dibatti­ to marxista, più aperto e più in movimento rispetto al passato. L’idea non ebbe -seguito, forse anche perché le sollecitazioni ricevu­ te dovevano ancora essere misurate ed assimilate a fondo dentro la ricerca. Occorreva ripensare temi specifici d’indagine e dare l’av­ vio a nuove indagini. Questa esigenza era condivisa da parecchi storici d’ispirazione marxista, che oltre a tenere d’occhio quali novità potessero ricavare 1 I contributi piu importanti al dibattito sono di E. Sereni, Da Marx a Le­ nin: La categoria di « formazione economico-sociale », in Quaderni di Critica marxista, n. 4, 19'70, p. 29 sgg.; G. Dhouquois, J. Texier, P. Herzog, R. Gallissot, P. Gruet, G. Labica, C. Glucksmann, Modo di produzione e formazione econo­ mico-sociale, in Critica marxista, 9, n. 4, luglio-agosto 1971, p. 84 sgg. (questi stessi interventi, ai quali se ne aggiunge uno di M. Godelier, sono anche pub­ blicati, assieme alla traduzione del saggio di Sereni, in La Pensée, n. 159, sett.-ott. 1971; nel medesimo ordine di problemi, cfr. già C. Parain, Comment caractériser un mode de production?, in La Pensée, n. 132, 1967); V. Gerratana, Pormazione sociale e società di transizione, in Critica marxista, 10, n. 1, genn.-febbr. 1972, p. 44 sgg., ora in Ricerche di storia del marxismo, Roma, 1972, p. 297 sgg. C. Luporini, Marx secondo Marx, in Critica marxista, 10, n. 2-3, mar.-giu. 1972, p. 48 sgg., ora in Dialettica e materialismo, Roma, 1974, p. 213 sgg.; dello stesso autore, La nozione marxiana di «formazione economica della società» e la Prefa­ zione di Eric Hobsbawm alle Pormen, in Critica marxista, 10, n. 2-3, mar.-giu. 1972, p. 291 sgg.; G. Prestipino, Concetto logico e concetto storico di « forma­ zione economico-sociale », in Critica marxista, 10, n. 4, lu.-ag. 1972, p. 54 sgg.; G. La Grassa, Modo di produzione, rapporti di produzione e formazione econo­ mico-sociale, ivi, p. 84 sgg.; dello stesso autore, Sul concetto di «formazione so­ ciale di transizione », in Valore e formazione sociale, Roma, 1975, p. 195 sgg.

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dalle svolte della teoria, intendevano stabilire un fondamento, un comune orizzonte problematico per il raffronto e la reciproca uti­ lizzazione dei risultati del loro lavoro. Essi hanno infatti intrapreso la collaborazione di cui si docu­ mentano alcuni risultati in questo volume, sulla base di un presup­ posto: che la interdisciplinarità delle indagini da condurre sia pos­ sibile solo muovendo da una teoria dell’oggetto, capace di rendere complementari i diversi approcci. Chi scrive ha partecipato ai primi incontri, nella primavera del 1974, in cui sono state gettate le basi della discussione e del lavoro comune. Si cercava fin dall’inizio di mettere a fuoco una tematica sulla quale avviare la ricerca concreta. Quest’ultima espres­ sione ■(•« ricerca concreta ») ricorre sovente, come noto, nei discor­ si degli storici. Se essa ha un senso non retorico è sicuramente quello di indicare la necessità di una consapevole determinazione e relativizzazione degli schemi rappresentativi astratti che rendono possibile la conoscenza e si utilizzano nella narrazione storica. Ciò significa che ogni analisi della teoria è raffronto con i fatti, enuclea­ zione dei fatti, lettura e rilettura (capace di utilizzare tecniche molteplici) delle fonti che li manifestano. È venuta cosi in primo piano la scelta dei temi della ricerca, e contemporaneamente la riflessione sugli interrogativi da rivolgere alle fonti. Di qui lo studio (non più dominato dal problema di classificare epoche storiche e tipi di società) delle determinazioni concettuali marxiane, dall’analisi delle forme di divisione del lavoro nell'ideologia tedesca, al rapporto fra movimento della merce e processo di valorizzazione nel Capitale. Di qui il riesame critico soprattutto dei Grundrisse, in cui vengono maggiormente alla luce non solo la dimensione morfologica dell’indagine di Marx, ma anche le sue implicazioni storiografiche. Basta vedere l’introduzione di Hobsbawm al « saggio » sulle Forme precapitalistiche, per scorgere quali e quanto nuove siano in questo campo le prospettive aperte dagli spezzoni di « ricerca concreta » che Marx propone, e quanti i temi ancora da esplorare2. Muovendo dall’intenzione di mettere in rapporto storiografia 2 E. Hobsbawm, Prefazione a K. Marx, Forme economiche precapitalistiche, Roma, 19672 (ma la Prefazione è scritta nel 1964). Nel solco della problematica aperta da Hobsbawm si collocano le osservazioni (che muovono dalla « teoria economica del sistema feudale » di Kula) proposte da A. Monti, La teoria eco­ nomica del sistema feudale: modelli euristici e astrazioni determinate nell’analisi dei processi di transizione, in Quaderni storici, 26, maggio-agosto 1974, p. 293 sgg.

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ed analisi morfologica, ci domandavamo se fosse il caso di scegliere un campo d’indagine individuato — un’area geografica, un periodo di tempo — o se si dovessero condurre sondaggi su fonti di epoche e luoghi diversi, per poi combinare insieme i risultati in un « mo­ dello ». Si è scelta alla fine concordemente la prima delle due ipote­ si, che rispecchia di più il modo in cui lo stesso Marx si avvicina ai problemi storici. Sono state utili in proposito le discussioni introduttive, rima­ ste poi fuori dalla redazione del volume, che hanno avuto per pro­ tagonisti Mazza e Torelli, ed ancora il contributo di Mario Breto­ ne su quale collegamento dovesse instaurarsi fra storiografia e teoria. Se la determinazione morfologica muove dal presente, il rischio per lo storico è l’autoproiezione, cioè sostituire procedi­ menti speculativi alla misurazione dei concetti sul metro dei fatti. È una visione evoluzionistica dei processi: proprio la rappresenta­ zione della storia che Marx denuncia come apologetica e non cri­ tica 3. È significativo che a riconquistare questo aspetto importante del campo teorico marxiano in cui si muovono i Grundrisse abbiano spinto efficacemente le obiezioni di chi sottolineava la problemati­ cità dell’accertamento storiografico, la diversità dell’antico rispetto alle forme di coscienza moderne, il necessario spessore di scientifi­ cità del lavoro filologico. Si è tentato insomma di annodare la teoria ai problemi ed agli interessi che ognuno dei partecipanti al dibattito ricavava dal proprio mestiere di storico. D’altro canto, lo sforzo di far incontrare la rilettura di Marx con le questioni della storia antica ha permeato anche i contributi teorici di Lorenzo Calabi e Guido Carandini, più esterni rispetto alla definizione del nostro oggetto storico di indagine. Fin qui la cronaca, che costituisce lo sfondo del volume. Le pagine di questa introduzione, che pure intendono cogliere alcuni punti-chiave del lavoro portato avanti finora, non offrono una sinte­ si deh dibattito, ma piuttosto un ulteriore contributo ad esso: un riepilogo necessariamente soggettivo dei problemi affrontati e delle scelte tematiche che emergono dalle relazioni e dagli interventi. 3 Cfr. K. Marx, Introduzione (Quaderno M, iniziato il 23 agosto 1857), in Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, ediz. it. a cura di G. Backhaus (apparato critico dellTMEL), Torino, 1976, pp. 5-37, in particolare, sul punto indicato nel testo, p. 51.

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1. Il problema centrale assunto a base della discussione è quello dei rapporti tra il marxismo teorico e la storiografia che ha ad oggetto il mondo antico. Rapporti che, secondo la nostra iniziale ipotesi, possono essere di reciproca utilità soltanto se libe­ rati da ogni residuo dogmatico: adeguati da una parte al livello del dibattito teorico, dall’altra alle domande di conoscenza degli storici. Vorrei interpretare, in queste pagine, l’atteggiamento che il lavoro complessivo del gruppo ha espresso e le scelte compiute, so­ stanzialmente unitarie, pur attraverso la varietà di voci che il volu­ me documenta. Richiamerò a tale scopo quelli che mi paiono i presupposti sottesi al dibattito. Da un lato la presenza nella nostra cultura storiografica di una determinata impostazione del rapporto fra mar­ xismo e storiografia, in chiave « metodologica », cioè in termini di sostenuta o negata corrispondenza tra una generale spiegazione della realtà e i fatti narrati: con essa abbiamo dovuto fare i conti ed abbiamo tentato di superarla. Dall’altro la necessità di un ap­ proccio al pensiero di Marx capace di cogliere, all’interno della sua critica del presente, la specificità della conoscenza (storica) dell’antico: o meglio l’analisi del modo di produzione schiavistico in quanto partecipe di un complesso procedimento di scomposizio­ ne e comparazione, che storicizza le categorie moderne dell’econo­ mia politica, tra cui l’idea stessa di valore, e critica la valorizzazio­ ne capitalistica. Dall’intreccio di questi problemi hanno avuto origine le discus­ sioni e le ricerche. Se la fase dell’incontro spontaneo ha rivelato l’esistenza di interessi largamente condivisi dagli studiosi d’ispira­ zione marxista e l’urgere di domande storiografiche per le quali è utile un impegno non più solo individuale, essa ha anche messo in luce la mancanza di un quadro teorico comune, capace subito di unificare le indagini che per strade diverse volgono ad una lettura « en matèrialiste » della storia antica. Direi di più: la stessa esigenza di unificare le ricerche e il loro statuto teorico nella prospettiva del marxismo urta con alcune persuasioni di fondo della nostra cultura storiografica. Infatti, anche quando ci si rifà al marxismo come ad una guida o un sussidio per la conoscenza del passato, si sottolinea il più delle volte la necessità di un atteggiamento flessibile e disin­ teressato dello storico, irriducibile alla pura teoria della società e del suo divenire. 13

Certo, la diffidenza dello storico verso le generalizzazioni è non solo giustificata, ma necessaria. Nella Introduzione a Per la critica dell’economia politica, dove è in primo piano la questione dell’ordine formale dei fenomeni nella rappresentazione scientifica e quindi il suo rapporto con il movimento reale, Marx ha occasione di sottolineare come « anche le categorie più astratte [l’esempio da cui muove è il lavoro], sebbene siano valide — proprio a causa della loro natura astrat­ ta — per tutte le epoche, sono tuttavia, in ciò che vi è di determi­ nato in questa astrazione, il prodotto di condizioni storiche e pos­ seggono la loro piena validità solo per ed entro queste con­ dizioni» 4. La formulazione va intesa in due sensi. La determinatezza dell’astrazione è data in primo luogo dalla sua inerenza alla società borghese, nella quale la generalità del concetto appare praticamente vera. Infatti, se in questa società gli individui passano facilmente da un lavoro all’altro e il genere determinato del lavoro non appare come destinazione particolare dell’individuo (il legame della tradi­ zione), ma è per lui fortuito e quindi indifferente, si può dire che l’astrazione del lavoro in generale, come mezzo per creare ric­ chezza, corrisponde allo sviluppo moderno del concreto, segnato da una totalità molto sviluppata di generi reali di lavoro, nessuno dei quali domina più sull’insieme s. D’altra parte, la storicità dell’astrazione moderna si mette a fuoco, ma si separa anche dal concetto generale, attraverso la compa­ razione tra presente e passato. Descrivendo le condizioni di uso del concetto di produzione, Marx distingue (pur senza servirsi di una rigida partizione terminologica) l’astratto come determinazione corrispondente al pieno sviluppo della società borghese ed il gene­ rale come schema euristico, impensabile senza l’astratto del presen­ te, ma ugualmente impensabile al di fuori della comparazione con il passato. Quest’ultima è la via per intendere le differenze specifi­ che, quindi il carattere non universale e non definitivo dell’astratto moderno6. 4 K. Marx, op. cit., p. 30. Tengo presente ed utilizzo in questa breve analisi della Introduzione del ’57, anche la trad. it. di E. Cantimori Mezzomonti, in K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Roma, 19713, pp. 171-199. 5 Cfr. K. Marx, op. cit., pp. 28-30. 6 K. Marx, op. cit., pp. 7-8: «Quando si parla di produzione, si parla quindi sempre di produzione ad un determinato livello dello sviluppo sociale, si parla della produzione di individui sociali. Potrebbe dunque sembrare che, per parlare in generale di produzione, si debba seguire il processo dello sviluppo

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Se dunque le astrazioni sono valide in rapporto a determinate condizioni storiche, attraverso la comparazione si stabilisce la loro validità; la teoria generale non può precedere l’indagine sul concre­ to, su una fase o su diverse fasi del suo sviluppo, ma piuttosto si forma con l’indagine. Benché nella comparazione le molteplici determinazioni con­ crete a cui si volge la conoscenza appaiano come varianti i(e variabi­ li) di uno schema generale, è questo in realtà che si costruisce sull’analisi delle varianti. E lo stesso si può dire all’interno del storico nelle sue differenti fasi, oppure dichiarare fin da principio che si ha a che fare con una determinata epoca storica, quindi ad esempio con la moderna produzione borghese, la quale in effetti è il nostro tema reale ». Queste scelte precluderebbero entrambe la costruzione dello schema euristico. Nel primo caso esso si scioglie nella narrazione di una grande mole di fatti eterogenei; nel secondo si appiattisce sui caratteri del presente. « Ma tutte le epoche della pro­ duzione hanno taluni caratteri comuni, talune determinazioni comuni. La produ­ zione in generale è un’astrazione, ma un’astrazione sensata, in quanto mette effettivamente in luce, fissa l’elemento comune, risparmiandoci quindi la ripetizio­ ne. Nondimeno questo generale, ossia l’elemento comune selezionato attraverso il confronto, è esso stesso qualcosa di molteplicemente articolato, che diverge in differenti determinazioni. Parte di esso è di tutte le epoche; un’altra parte è comune solo ad alcune. [Talune] determinazioni saranno comuni all’epoca piu moderna e alla piu antica. Senza di esse non si potrà concepire alcuna produzione; ma se le lingue più sviluppate hanno in comune leggi e determinazioni con le meno sviluppate, proprio ciò che costituisce il loro sviluppo le differenzia da questo ele­ mento generale e comune; le determinazioni che vigono per la produzione in gene­ rale debbono venir separate proprio perché al di là dell’unità — la quale risulta già dal fatto che il presente è spesso richiamato per illuminare il passato; ma prevale la tecnica dell’accostamento e dell’analogia; si corre con­ tinuamente il rischio dell’autoproiezione. Cfr., nell’analisi della storia ateniese, l’analogia fra la tirannide dei Pisistratidi e il secondo impero in Francia (p. 49 sgg.), entrambi dapprima legati all’elemento cittadino, poi «emanazione della piccola proprietà campagnuola ». Cfr. p. 85 sgg. (analogia tra la piccola pro­ prietà contadina in Attica nel IV secolo e quella del secondo impero in Fran­ cia). Ma già nella società ateniese della fine del V secolo si sarebbe formato, con l’accumulazione della ricchezza e il costituirsi di un proletariato di liberi, « un ambiente che, nella sua struttura economica, superava spesso i confini del­ l’economia antica, per costituire come un’anticipazione del nostro ambiente eco­ nomico » (p. 74). Cfr. inoltre p. 119 («il mercato degli schiavi era la “Borsa romana”; e ciò potrebbe ripetersi, in proporzioni piu ridotte, per le altre parti del mondo antico, dove la ricchezza fu pili attiva e pili sviluppata»); p. 124 sgg. (sul lavoro a cottimo e lo sviluppo del lavoro libero: mi sembra che l’autore faccia discendere dalla limitatezza dello sviluppo varianti solo quan­ titative, rispetto ad un modello che egli ricava dal primo libro del Capitale e che presuppone la pienezza dello sviluppo del lavoro astratto); p. 134 sgg. (ritorna lo schema dell’anticipazione riferito al mondo greco); p. 139 («In queste città del periodo ellenistico si sente talvolta qualche cosa, che è come un’anticipazione fuggevole delle nostre città industriali, della nostra vita mo­ derna... »); p. 230 sgg. (il lavoro libero e il lavoro servile, in seguito allo sviluppo e all’emergere delle contraddizioni della produzione schiavistica in Ro­ ma, assumono un’impronta di lavoro salariato). Mi pare che l’autore descriva la composizione della forza lavoro ed il suo funzionamento entro il mondo pro­ duttivo, sia nella società greca sia in quella romana, avendo in mente la figura dell’operaio moderno come schema euristico, di cui però si sottovalutano le differenze (rispetto alle categorie antiche) inerenti alla sua storicità. Cfr., ad esempio p. 99 sgg., ove si utilizza l’analisi marxiana della divisione del lavoro nell’industria in rapporto alla mano d’opera servile nelle manifatture ateniesi (ma si trascurano le pagine di Marx sulla esclusiva finalizzazione dello schema della divisione del lavoro negli scrittori dell’antichità classica alla qualità e al valore

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ipotetica e congetturale. L’acquisizione più importante del comples­ so di note che egli dedica nei Quaderni al problema della storio­ grafia è la consapevolezza dell’unità del processo storico, che fa degli sviluppi susseguenti e del presente medesimo documenti per la comprensione del passato e dei suoi tratti specifici. Al tempo stesso si denuncia come speculativa e in sostanza legata alla cultura positivistica l’identificazione della filosofia della prassi con una rac­ colta sistematica di canoni esterni di ricerca storica 18. La teoria d’uso; cfr. K. Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Roma, 19645, I, trad, it. di D. Cantimori, p. 408 sgg., ove sono utilizzate fonti greche, in particolare Platone, nell’opera del quale si scorge « una idealizzazione ateniese del sistema egiziano delle caste »). L’elemento di analogia è nel fatto che l’intelligenza sociale sia tutta al di fuori del lavoro vivo: è nell’ignoranza dei produttori immediati (« madre dell’industria come della superstizione »). Ma questa ignoranza per gli operai della produzione capitalistica è legata alla impersonalità delle prestazioni e quindi alla forma astratta e fungibile della forza lavoro alienata. Tutti elementi non riferi­ bili agli schiavi e che ineriscono alla complessiva struttura della società capitali­ stica. Secondo il disegno di quest’opera, invece, la figura dell’operaio moderno sarebbe già implicita, se pure non rivelata, nella intima contraddizione della schiavitù ( « un uomo considerato e destinato a funzionare come una cosa », p. 240) ed emergerebbe progressivamente nello sviluppo del lavoro mercenario (p. 124 sgg. e 294 sgg.). Questi sono dunque gli svolgimenti e i risultati della ricerca di Ciccotti, che per tanti aspetti riflette una lettura del marxismo non riduttiva come quella di certi suoi contemporanei e tuttavia mette in primo piano «le leggi della vita sociale e delle sue trasformazioni» (p. 1), intese alla maniera positivistica, come enunciati di uniformità. È questo, come si è detto, il punto che Gramsci osserva, caratteristico non del solo Ciccotti. Il marxismo come scoperta di leggi e lo studio storico come ricerca di esempi. 18 Cfr. Q. 4, XIII, p. 425: « Materialismo storico e criteri o canoni pra­ tici di interpretazione della storia e della politica. Confronto con ciò che per il metodo storico ha fatto il Bernheim » (l’opera citata è il Lehrbucb der bistorischen Methode, VI ediz., Leipzig, 1908, conosciuta da Gramsci nella [incom­ pleta] traduzione italiana La storiografia e la filosofia della storia, MilanoPalermo-Napoli, 1907; cfr. le «Note al testo» dei Quaderni, cit., p. 2627). « Il libro del Bernheim non è un trattato della filosofia dello storicismo, cioè della filosofia moderna, tuttavia implicitamente le è legato. La “sociologia marxista” (cfr. il Saggio popolare) dovrebbe stare al marxismo, come il libro del Bernheim sta allo storicismo: una raccolta sistematica di criteri pratici di ricerca e di in­ terpretazione, uno degli aspetti del “metodo filologico” generale. Sotto alcuni punti di vista si dovrebbe fare, di alcune tendenze del materialismo storico (e, per avventura, le più diffuse) la stessa critica che lo storicismo ha fatto del vecchio metodo storico e della vecchia filologia, che avevano portato a nuove forme ingenue di dogmatismo e sostituivano l’interpretazione con la descrizione esteriore, più o meno accurata dei fenomeni e specialmente col ripetere'sempre: “noi siamo seguaci del metodo storico!”». La struttura di questa nota è com­ plessa e va esaminata dall’interno per capire poi quale segno il discorso assuma nella redazione più tarda (Q. 16, XXII) e cogliere i nessi con altri testi che ruotano attorno al Saggio popolare, affrontando il tema di una storiografia con­ nessa alla filosofia della prassi e libera dalle deformazioni positivistiche. Quello che Gramsci chiama Saggio popolare è l’opera di N. I. Bucharin, La teoria del materialismo storico. Manuale popolare di sociologia marxista, Mosca, 1921; la trad, francese usata da Gramsci era uscita a Parigi nel 1927: cfr. «Note al

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non può essere, secondo Gramsci, una guida astratta alla storiogra­ fia, ma dev’essere piuttosto connessione concettuale fra la storia narrata e la storia in movimento, fra il passato rappresentato nella testo», cit., p. 2539. Gramsci stabilisce, nel brano citato, lo scopo e il limite di lavori come quello di Bucharin: definire un apparato di strumenti di ricerca e criteri pratici d’interpretazione: cioè — io direi — criteri validi entro i limiti della concreta attività interpretativa che li genera. Tale dovrebbe essere la socio­ logia marxista, che invece porta, come il vecchio metodo storico e la vecchia filologia, a forme ingenue di dogmatismo. Nella redazione piu tarda (Q. 16, XXIiI, p. 1845), si indica ancora più in positivo il carattere strumentale di una rassegna quale quella di Bernheim: carattere che dovrebb’essere proprio della sociologia marxista come raccolta di criteri immediati e di cautele critiche. L’idea di questa raccolta assume maggior valore nella seconda redazione; coin­ cide infatti con il « repertorio della filosofia della praxis »: l’inventario delle que­ stioni aperte, die Gramsci ritiene necessario per far procedere correttamente il dibattito sul marxismo. La critica di alcune diffuse tendenze del materialismo storico, di cui si parla nella seconda parte della nota, in entrambe le stesure, deve intendersi sostanzialmente diretta contro il tentativo di fare della sociologia, che è — lo si è visto — una raccolta di canoni, la teoria stessa della filosofia della prassi. Cfr. in proposito Q. 11, XV-LII, p. 1431 sgg. (tutto il para­ grafo è espressamente dedicato al libro di Bucharin): «... cosa significa che la filosofia della praxis è una sociologia? E cosa sarebbe questa sociologia? Una scienza della politica e della storiografia? Oppure una raccolta sistematica e classificata secondo un certo ordine di osservazioni puramente empiriche di arte politica e di canoni esterni di ricerca storica? Le risposte a queste domande non si hanno nel libro, eppure esse sole sarebbero una teoria. Cosi non è giu­ stificato il nesso tra il titolo generale Teoria ecc. e il sottotitolo Saggio popo­ lare. Il sottotitolo sarebbe il titolo più esatto se al termine di “sociologia” si desse un significato molto circoscritto. Infatti si presenta la quistione di che cosa è la “sociologia”? Non è essa un tentativo di una cosi detta scienza esatta (cioè positivista) dei fatti sociali, cioè della politica e della storia? cioè un embrione di filosofia? La sociologia non ha cercato di fare qualcosa di simile alla filosofia della praxis? ... La sociologia è stata un tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un si­ stema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico, sul quale la so­ ciologia ha reagito, ma solo parzialmente. La sociologia è quindi diventata una tendenza a sé, è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descri­ vere e classificare schematicamente fatti storici e politici, secondo criteri co­ struiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare “sperimentalmente” le leggi di evoluzione della società umana in modo da “prevedere” l’avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia. L’evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico... ». Parecchi problemi rimangono aperti: in primo luogo, quali siano i confini della filosofìa. Mi pare che Gramsci tenda a distìnguere l’indagine del Capitale, come indagine (sistematica) sulla economia, dalla filosofia implicita nella Prefazione del ’59, che utilizza spesso (v. nota 19). Però, come vedremo, è essenziale all’idea gram­ sciana di filosofia lo « studio concreto della storia » (v. nota 19). Si può dire invece che la sociologia ispirata al positivismo è una filosofia nella quale lo studio concreto della storia manca o è difettoso. «Descrivere e classificare sche­ maticamente »: ritroviamo l’idea di « descrizione esteriore », proposta da Gram­ sci nel paragrafo che ho citato prima e distinta dall’interpretazione. D’altro

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sua effettività e il presente che produce la rappresentazione 19. Per tale via il marxismo appare come scienza della storia e della politica all’altezza di un presente determinato, non come insieme di conget­ ture ricavate da esperienze circoscritte ed assunte — quasi per scommessa — a strumenti di descrizione e comprensione di ogni società. Emerge anche l’esigenza di mediazioni complesse e proble­ matiche {la filologia), che tendano ad articolare unitariamente non solo le grandi linee, ma i fatti particolari del passato e del presente. Posto di fronte al problema dei rapporti tra filosofia della prassi e storiografia, Gramsci indica una soluzione, che consiste canto anche quella che abbiamo chiamato « indagine sulla economia » e che Gramsci in piu punti denomina « economia critica » ha bisogno di uno studio storico che dia la premessa reale delle ipotesi scientifiche. Cfr. Q. 10, XXXIII, p. 1284 sgg. Mi sembra infine messo in luce come il procedimento induttivo implichi un rapporto determinato tra teoria e prassi: la validità delle generaliz­ zazioni che si fanno previsioni discende da una visione evoluzionistica della realtà. 19 Cfr. Q. 11, XVIII, p. 1433 (ancora sul saggio di Bucharin): «...Una quistione teorica si presenta all’autore fin dall’inizio quando accenna a una ten­ denza che nega la possibilità di costruire una sociologia dalla filosofia della praxis e sostiene che questa può esprimersi solo in lavori storici concreti. L’obbiezione, che è importantissima, non è risolta dall’autore che a parole. Certo la filosofia della praxis si realizza nello studio concreto della storia passata e nell’attività attuale di creazione di nuova storia. Ma si può fare la teoria della storia e della poli­ tica, poiché se i fatti sono sempre individuati e mutevoli nel flusso del movimento storico, i concetti possono essere teorizzati; altrimenti non si potrebbe neanche sapere cosa è il movimento o la dialettica e si cadrebbe in una nuova forma di nominalismo... ». In realtà il nominalismo è l’estremo opposto dell’in­ duzione positivistica, di cui si è richiamata la critica nella nota 18. Mentre l’in­ duzione presuppone una immagine dei processi reali come evoluzioni uniformi, il nominalismo, che è legato allo storicismo individualizzante, scarta l’idea me­ desima di processo definibile. Nella prospettiva gramsciana, invece, i concetti possono essere teorizzati, in quanto da un lato spiegano il movimento dei fatti, ne connettono e ne articolano il flusso; dall’altro vi partecipano, ponendosi nel pre­ sente come strumenti di padronanza politica. Cosi il concetto di rapporti sociali di produzione, e quello dell’antagonismo implicito e progressivamente rivelantesi nello sviluppo delle forze produttive, sono gli schemi della politica e provano la politicità della conoscenza. Per questa via i principi ricavabili dal­ la Prefazione marxiana del ’59 (« Nessuna società si pone dei compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni necessarie e sufficienti o esse non siano almeno in via di apparizione e di sviluppo; ...nessuna società si dissolve e può essere sostituita se prima non ha svolto tutte le forme di vita che sono implicite nei suoi rapporti »; Q. 13, XXX, p. 1579) si riannodano alle Tesi su Feuerbach. I canoni della conoscenza sottintendono il nesso unitario fra presente e passato: la loro ragion d’essere è la politica del presente. V. in pro­ posito Q. 10, XXXIII, p. il242. Da qui nasce l’immagine dello sviluppo susse­ guente come « documento » della storia precedente. I temi e i testi che sto richiamando sono trattati con ampiezza e lucidità d’indagine da L. Paggi, La teoria generale del marxismo in Gramsci, in Storia del marxismo contemporaneo. Annali Feltrinelli 1973, Milano, 1974, p. 1318 sgg., passim, spec. pp. 1320-1344.

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nel ricomprendere la conoscenza storica dentro il costituirsi della filosofia della prassi. I principi di questa sono tutt’uno con l’accer­ tamento dei fenomeni di antagonismo (organico e congiunturale) su cui si articola il movimento storico, a partire dalle condizioni presenti di visibilità dell’antagonismo 20. Sottolineo questi aspetti della riflessione dei Quaderni, poiché mi sembra che essi vadano ben piu avanti della opposizione fra teoria e « saggi storici particolari », ugualmente insuperata dalle correnti positivistiche come dal neo-idealismo21. Tuttavia, bisogna anche notare che Gramsci considera un problema aperto la fonda­ zione, dal punto di vista della dialettica reale, della filosofia come « metodologia storica ». È un problema — egli osserva — che « Croce si è posto e ha cercato di risolvere dal punto di vista specu­ lativo »22. Qui, sia pure con una sorta di rovesciamento materiali­ stico della problematica filosofico-speculativa (non solo crociana), Gramsci continua ad utilizzare il concetto di metodologia, che si presta per sé all’equivoco di una scissione fra teoria e storia. Ma egli propone una metodologia « storica » e contemporaneamente scarta e denuncia come metafisica, in polemica con il Saggio popo­ lare di Bucharin, « ogni formulazione sistematica che si ponga come verità extrastorica, come un universale astratto fuori del tempo e dello spazio » 23.

2. Vi è dunque un’immagine diffusa del rapporto tra marxi­ smo e storiografia, dominata dalla duplice esigenza di ricavare spe­ culativamente un metodo dal pensiero di Marx e di usarlo con libertà nella ricerca. Gramsci ne critica i presupposti teorici, pur continuando ad utilizzare il concetto di metodologia riferito alla filosofia della prassi. Per storicizzare questa immagine dobbiamo prendere in esame, come già si è accennato, la revisione del marxismo, la diversità 20 V. in proposito Q. 13, XXX, p. 1578 sgg. 21 Cfr. Q. 1'1, XVIII, pp. 14284431-. 22 Q. 11, XVIII, pp. 14014403. 23 Q. LI, XV11I, pp. 1402; 1404: « Occorre fissare che ogni ricerca ha un suo determinato metodo e costruisce una sua determinata scienza, e che il metodo si è sviluppato ed è stato elaborato insieme allo sviluppo e alla elabora­ zione di quella determinata ricerca e scienza, e forma tutt’uno con esse ». Un’at­ tenta analisi intorno alla genesi politico-teorica delle critiche di Gramsci a Bucharin, ambientate nel dibattito che precede il costituirsi della ITI Internazionale, è in A. Zanardo, Gramsci e Bucharin (1958), in Filosofia e socialismo, Roma, 1974, p. 277 sgg.

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delle sue componenti e l’incisività delle sue critiche, viste sullo sfondo dell’evoluzionismo storico che nutriva la cultura socialista dopo Marx. Ricordiamo le pagine che Croce dedicò al marxismo teorico tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro. Domandiamoci a che cosa corrisponda la sotterranea vitalità di tali critiche entro le discipline storiche e quanto sopravviva della tendenza crociana a scorgere nella teoria del marxismo solo un antistoricismo più fragile di altri, perché mirante ad alimentare la conoscenza della storia. Per rispondere a tali domande bisogna individuare, oltre al fraintendimento del rapporto fra astrazione, generalità e sviluppo del concreto in Marx, che è proprio delle tendenze revisionistiche, anche un ulteriore profilo: le critiche crociane traggono spunto da un’effettiva limitatezza e rigidità della visione della storia propo­ sta dal marxismo della II Internazionale. Le parole rivolte a Croce da Antonio Labriola in una lettera del febbraio 1898, « tu disputi con te stesso per sapere che uso devi fare del marxismo, ma non per sapere che cosa esso sia », tracciano con una lucidità che va oltre l’impostazione generale della polemica contro il disimpegno crociano (« il mestiere onesto di onesto scrittore per... nobile passatempo ») i limiti di una lettura del marxismo tenuta dentro coordinate teoriche completamente estranee ad esso: un’idea della storia che sfugge alla scienza, una idea di astrazione (come universale costruito dalla mente umana) su cui dovrebbe imperniarsi la economia generale o pura, sola capa­ ce di misurare la scientificità del marxismo 24. Si guardi la contrap­ posizione, delineata proprio in un saggio del ’98, fra concetti gene­ rali (il valore, il lavoro astratto) ed attuazioni, pensata come rap­ porto fra semplice e complesso; ed inoltre la critica alla indeter­ minatezza del procedimento di cui si servirebbe Marx per passare dall’uno all’altro piano 25. È il caso di rammentare che la semplicità 24 La lettera di Labriola è in B. Croce, Come nacque e come mori il marxi­ smo teorico in Italia (1895-1900), prefazione alla ristampa di Antonio Labriola, La concezione materialistica della storia, Bari, 1938, ora in Materialismo storico ed economia marxistica, X ediz., Bari, 1961, p. 279 sgg., spec. p. 312. Cfr. anche la lettera del 17 novembre ’98, sul disimpegno di Croce, che questi in parte riproduce: op. cit., pp. 3-14-315. 25 Cfr. B. Croce, Per la interpretazione e la critica di alcuni concetti del marxismo, in Atti dell*Accademia Pontaniana, n. 27, 21 novembre 1897, ora in Materialismo storico, cit., p. 57 sgg. V. su questo saggio G. Marramao, Marxismo e revisionismo in Italia dalla «Critica sociale» al dibattito sul leninismo, Bari, 1971, p. 139 sgg.

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delle categorie, per Marx, non coincide con la loro generalità; e quando una simile coincidenza viene prospettata, si tratta di una semplicità solo apparente, se è vero che la costruzione di categorie generali nella critica dell’economia politica presuppone sempre conv plessità e comparazione di determinazioni concrete 26. A partire da questi schemi, si tenta un superamento di Marx con argomenti destinati a non rimanere nel chiuso delle dispute accademiche, ma anzi rivolti contro il marxismo sia come « filosofia della storia » o « metodo del pensiero storico », sia come teoria del presente. La revisione crociana ha alle spalle il senso comune della cultu­ ra storicistica e mira a ridimensionare il pensiero di Marx ed Engels. Questo è secondo Croce predicazione, attaccata all’esperienza della vita, è conoscenza approssimativa del presente: è un aiuto per illu­ minare la configurazione sociale con temporanea, ma nell’intenderla procede senza rigore teorico, dominato piuttosto dalla convinzione morale e dalla forza del sentimento. Così riguardo alla storia. Il marxismo ne favorisce la comprensione, ma non può {e del resto non vuole) coglierne con piena intelligenza i fattori, la trama indivi26 Cfr. K. Marx, Introduzione (Quaderno M), cit., pp. 8-11, ove vengono criticati il concetto e la procedura della « parte generale » nelle trattazioni degli economisti. Cfr. p. 24 sgg.: il semplice si costruisce entro il procedimento che articola ed organizza la totalità. Perché la popolazione da « immagine caotica dell’insieme » divenga « totalità di molte determinazioni e relazioni » è neces­ sario passare attraverso una determinazione piu precisa e pervenire « sempre piu, analiticamente, a concetti più semplici; dal concreto immaginato [von dem vorgestellten Konkreten], ad astrazioni sempre più sottili, fino a giungere alle determinazioni più semplici ». L’astratto, che per Luporini (v. nota 6) rappre­ senta il punto di partenza del circolo logico proprio dell’attività scientifica, non è che questo « concreto immaginato », consegnato nelle forme di sapere tradi­ zionali, muovendo dal quale si giunge al concreto costruito come totalità. Cosi alla fine la popolazione sarà pensata scientificamente. Si prenda inoltre la catego­ ria del lavoro di cui Marx, come già abbiamo visto, indica le condizioni di gene­ ralità (op. cit., pp. 28-30): «Il lavoro sembra una categoria semplicissima [il corsivo è mio; qui Marx intende che la semplicità è apparente]. Anche la nozione [die Vorstellung] del lavoro in questa generalità — come lavoro in gene­ rale — è antichissima. Nondimeno, compreso in questa semplicità dal punto di vista economico, il “lavoro” è una categoria moderna quanto i rapporti che creano questa semplice astrazione... È stato uno straordinario progresso che Adam Smith abbia rigettato ogni determinatezza dell’attività creatrice di ricchezza e l’abbia considerata lavoro tout court... [siamo ad una svolta nella storia del “concreto immaginato”: la nozione antichissima del lavoro in generale viene costruita come categoria economica]. L’indifferenza verso un genere di lavoro determinato presuppone una totalità molto sviluppata di generi di lavoro reali, nessuno dei quali domini più sull’insieme. Cosi le astrazioni più generali sor­ gono solo dove più ricco è lo sviluppo concreto, dove un elemento appare come un elemento comune a molti, comune a tutti. Allora esso cessa di potere essere pensato solo in forma particolare ». In altre parole, si costituisce allora la sua semplicità apparente.

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duale e sempre diversa: « questo mistero che noi stessi fac• 27 . clamo» Per Croce il problema di fondo resta quello del rapporto tra fatto individuale e connessione oggettiva, tra esperienza e forma, tra descrizione del particolare (perfino del « bizzarro ») e teleolo­ gia. È certo un nodo che non poteva essere sciolto dalle rappresen­ tazioni evoluzionistiche abbozzate nel marxismo della II Interna­ zionale, legate alla coscienza dì un movimento debole e perciò tanto piu bisognoso di immaginare la storia come progresso unilineare. Ma è anche un problema ricorrente fino ad oggi nella cultura sto­ riografica europea, proprio perché connesso alle ragioni di fondo dello storicismo, alla teoria della comprensione come individuazio­ ne, quindi a due premesse distinte ed interdipendenti: la origina­ lità del fatto e la generalità dei quadri di riferimento che lo rendono intellegibile. Benché le critiche di Croce slittino nel primo decennio di questo secolo verso un atteggiamento francamente conservatore 27 28, esse comunque si accostano, per una certa analogia di risultati, alle discussioni sollevate nell’ambito del movimento operaio tedesco, ed in particolare alle tesi bernsteiniane, sulla validità euristica del marxismo di fronte agli sviluppi nuovi del rapporto economia-po­ * litica La revisione proposta da Bernstein è più strettamente legata ad una scelta di strategia e muove dall’analisi di aspetti determinati del movimento storico, che gli sembrano non considerati da Marx. Al contrasto già colto da Engels tra democrazia politica e dominio capitalistico si sovrappone l’ipotesi di una graduale ricom­ posizione del disuguale economico nell’uguale politico-giuridico, svalutando la centralità della contraddizione fra socializzazione pro­ gressiva dei rapporti capitalistici ed appropriazione privata del capi­ tale, quindi del dominio. In questo senso Bernstein respinge la teoria del crollo e contesta sostanzialmente la scientificità di molte analisi marxiane, unilaterali perché limitate all’economico. La premessa generale delle sue critiche è rappresentata dalla distinzione, che ritiene valida per tutte le scienze, quindi anche per il « socialismo scientifico », di una dottrina pura (elemento 27 B. Croce, Sulla forma scientifica del materialismo storico, in Atti deirAc­ cademia Pontaniana, v. 26, 3 maggio 1896, ora in Materialismo storico, cit., p. 1 sgg. spec. p. 21. 28 Cfr. in proposito E. Santarelli, La revisione del marxismo in Italia. Studi di critica storica (1964), nuova ediz. riveduta ed ampliata, Milano, 1977, p. 70 sgg.

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costante della teoria) e di una dottrina applicata (elemento varia­ bile) 29. Su questa base, egli mette in luce la mancanza di un’opera di sistematica separazione della scienza pura del marxismo dalle sue parti applicate e fornisce due esempi di dottrina pura: la Intro­ duzione di Marx a Per la critica dell’economia politica e la terza sezione del libro di Engels, Lo sviluppo del socialismo dall’utopia alla scienza. Soprattutto nel testo di Marx sarebbero tracciate « le linee fondamentali della sua filosofia della storia o della società in un complesso di tesi rigorose, determinate e separate da ogni altra relazione a fenomeni e forme particolari »30. Questa valuta­ zione svela l’intento di isolare entro il « socialismo scientifico » le condizioni a priori per la conoscenza dei fenomeni nuovi e non previsti da Marx. È lo stesso compito che Bernstein affida ad una scolastica critica del marxismo, per cui — affermerà in polemica con Plechanov — occorre un Kant « che con convincente rigore chiarisca che cosa, nell’opera dei nostri grandi precursori, merita ed è destinato a sopravvivere, e che cosa invece deve e può mo­ rire »31. Maturata all’interno del movimento operaio, nel cuore della ortodossia tedesca, questa revisione presuppone comunque che il socialismo abbia bisogno di un’analisi scientifica della società capa­ ce di sorreggerlo e adeguata ai fatti coi quali esso si scontra. Il problema è definirne meglio i limiti e le articolazioni. Nasce a questo scopo la dicotomia tra dottrina pura e dottrina applicata, che da un lato rende possibile la delineazione di una filosofia della storia, dall’altro svincola da questa le ricerche analitiche. Mentre per Bernstein il marxismo conserva una validità teorica generale nella misura in cui viene kantianamente costruito come scienza pura, per Croce esso non è propriamente una teoria (cioè non resiste al vaglio della speculazione filosofica, come crede invece Bernstein), ma è solo un « canone empirico », che interviene sul 29 Cfr. E. Bernstein, I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemo­ crazia, (1899), Bari, 1968, p. 27 sgg. (il volume raccoglie scritti pubblicati a partire dal 1895 sulla Neue Zeit). 30 Ivi, p. 28. 31 Ivi, p. 265. Da questa idea della teoria marxista còme costruzione concet­ tuale, rigidamente separata dall’accertamento dei fatti, viene una svalutazione della storiografia che resta confinata nell’empirico e nel particolare. La configurazione teorica del movimento si ritrae nell’immagine statica dei « fattori ». Un’analoga scissione della ricerca storica dalla teoria generale si trova in recenti letture ed applicazioni del marxismo come « strutturalismo » (vi è forse anche qui una com­ ponente neokantiana). Cfr. B. Hindess e P. Q. Hirst, Pre-capitalist modes of production, London a. Boston, 1975, spec. pp. 1-20; 178->1« moissoneuse » in Gallia — sembrerebbe attestato, almeno in alcune aree del’impero romano, una certa tendenza ad introdurre e sfrutta­ re le innovazioni tecnologiche. Piu in generale, per quanto concerne il mondo antico, si tende però