Agrigento romana. Gli edifici pubblici civili. Vol. 6 9788862273800, 9788862273817

La tradizione di studi su Agrigento classica è stata sempre preminentemente dedicata all'arte e alla cultura della

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Agrigento romana. Gli edifici pubblici civili. Vol. 6
 9788862273800, 9788862273817

Table of contents :
SOMMARIO
PRESENTAZIONE
PREFAZIONE
CONTESTO STORICO DELLA SICILIA ROMANA
STUDI SU AGRIGENTO ROMANA
DA AKRAGAS AD AGRIGENTUM. LA ROMANIZZAZIONE
L’ETÀ IMPERIALE
Il Triportico
Il Tempio
Identificazione con l’Iseo
La base votiva e il supposto edificio degli Augustales
IL GINNASIO
CONSIDERAZIONI SULLA EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA URBANA IN RAPPORTO CON L’ARTICOLAZIONE FUNZIONALE DELLE AREE PUBBLICHE DALL’ETÀ GRECA ALL’ETÀ ROMANA
TAVOLE
BIBLIOGRAFIA
INDICE DELLE FIGURE
INDICE DELLE TAVOLE

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ERNESTO DE MIRO · GRAZIELLA FIORENTINI · VI. AGRIGENTO ROMANA. GLI EDIFICI PUBBLICI CIVILI

isbn 978-88-6227-380-0 isbn elettronico 978-88-6227-381-7

De Miro_Sovracoperta A 22/03/11 10.13 Pagina 1

In copertina: Area del Foro di età imperiale. Il triportico con il tempio.

V I . AG R I G E N T O RO M A NA GLI EDIFICI PUBBLICI CIVILI ERNESTO DE MIRO · GRAZIELLA FIORENTINI

FABRIZIO SERRA EDITORE, PISA · ROMA

V I . AG R IG E N TO ROMANA GLI EDIFICI PUBBLICI CIVILI

RE G ION E S IC ILIANA A S S E S S O R ATO D E I BE N I C ULT URALI, A M B I E N TALI E PUBBLIC A IS T RUZ ION E PA RCO A RCHE OLOG IC O E PAE S AG G IS T IC O D E L LA VALLE D E I T E M PLI D I AG RIG E N TO

V I . AG R I G E N T O RO M A NA GLI EDIFICI PUBBLICI CIVILI

ERNESTO DE MIRO · GRAZIELLA FIORENTINI

PISA · ROMA FA B R I Z I O S E RRA E D ITORE MMXI

Fabrizio Serra editore Casella postale n. 1, succursale n. 8, I 56123 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] * Uffici di Pisa: I 56127 Pisa, Via Santa Bibbiana 28, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: I 00185 Roma, Via Carlo Emanuele I 48, tel. +39 06 70493456, fax + 39 06 70476605, [email protected] www.libraweb.net * isbn 978-88-6227-380-0 isbn elettronico 978-88-6227-381-7 * De Miro, Ernesto Agrigento romana: gli edifici pubblici civili/Ernesto De Miro, Graziella Fiorentini. Pisa · Roma: F. Serra, 2010. 1. Edifici pubblici – Agrigento – Sec. 3. a.C. - 5. I. Fiorentini, Graziella . SBN Pal0231780 725.09378 CDD -22 cip - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

SOMMARIO Presentazione Prefazione Contesto storico della Sicilia romana (Ernesto De Miro) Studi su Agrigento romana (Ernesto De Miro) Da Akragas ad Agrigentum. La romanizzazione (Ernesto De Miro) L’età imperiale (Ernesto De Miro) Il Foro Il Triportico Il Tempio Identificazione con l’Iseo La base votiva e il supposto edificio degli Augustales Il Ginnasio (Graziella Fiorentini) Considerazioni sulla evoluzione della morfologia urbana in rapporto con l’articolazione funzionale delle aree pubbliche dall’età greca all’età romana (Graziella Fiorentini) Tavole Bibliografia (a cura di S. C. Sturiale) Indice delle figure Indice delle tavole

9 11 13 23 25 45 45 47 50 57 68 71

97 103 147 153 155

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PRESENTAZIONE

I

l Parco Archeologico e Paesaggistico della Vale dei Templi, che ho l’onore di dirigere, può ascriversi a merito una serie di iniziative e di realizzazioni nel campo dello scavo e della valorizzazione per la migliore conoscenza del patrimonio culturale della Valle. Se i monumenti ed i complessi di età greca hanno ricevuto particolare attenzione (ne sono testimonianza le non poche pubblicazioni in questo campo), Agrigento di età romana, rimasta in un certo senso in ombra, ha ricevuto un impulso nella conoscenza e divulgazione di testimonianze monumentali non meno importanti. L’intero complesso urbanistico-architettonico del Quartiere ellenistico-romano, scavato e sondato dalla Soprintendenza di Agrigento per decenni a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, mercè una sistematica ripresa di saggi di controllo e opere di restauro a cura del Parco, ha già avuto in una recente monografia di Ernesto De Miro il coronamento che si attendeva sul piano scientifico e della conoscenza dell’architettura domestica. Ad essa si accompagnano singoli volumi sui materiali provenienti dallo scavo e di essi il primo ha già visto la luce a cura di Antonella Polito sulla ceramica romana. Dall’architettura privata a quella pubblica in età romana è stato il tema di campagne di scavo riprese dal Parco dopo le prime ricerche operate a suo tempo dalla Soprintendenza. La presente pubblicazione – accentrata su due grandi complessi, il Ginnasio e il Foro – autori Ernesto De Miro e Graziella Fiorentini, costituisce un momento importante per la conoscenza di Agrigento romana e confido che il Parco, in avvenire, non verrà meno a tale promettente impegno. Agosto 2010 Pietro Meli Direttore del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento

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PREFAZIONE

L

a tradizione di studi su Agrigento classica – in virtù della eccezionale testimonianza monumentale dell’architettura dorica, nota e celebrata da una plurisecolare documentazione letteraria e storico-iconografica – è stata sempre preminentemente dedicata all’arte e alla cultura della città greca. Va detto, d’altra parte, che anche sul piano della ricerca storica, solo da tempi relativamente recenti sono apparsi studi che riguardano Agrigento in età romana, in gran parte in indagini settoriali o in opere di carattere generale sulla Sicilia romana. E così anche i risultati della ricerca archeologica, che pur da vari decenni ad Agrigento ha dedicato specifiche e approfondite campagne di scavo a monumenti, testimonianze e livelli di vita della città romana, non avevano avuto ancora una idonea presentazione in pubblicazioni scientifiche complete, adeguate alla importanza e all’interesse degli esiti conseguiti. Va, pertanto, dato merito al Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento di avere realizzato – a seguire nella serie di volumi su Agrigento greca, iniziata dalla Soprintendenza e puntualmente continuata dal Parco medesimo – la pubblicazione delle prime importanti monografie scientifiche su Agrigento romana: l’una – recentemente data alle stampe, sugli scavi dell’abitato del così detto Quartiere Ellenistico-Romano, l’altra, che appare con questo volume, sul complesso monumentale degli edifici pubblici civili di Agrigento, che si estende tra il Poggio di S. Nicola ed i terrazzi a Sud di esso. Si tratta di un complesso archeologico che costituisce testimonianza essenziale della vita politico-rappresentativa e religiosa della città in età romana (è stato messo in luce anche un tempio romano su podio), la cui pubblicazione va ad arricchire e ad integrare il quadro di conoscenze sulla vita e la società di Agrigento dall’età tardo-repubblicana e augustea all’età imperiale, come riccamente documentata dalla recente monografia sul Quartiere dell’Abitato Ellenistico-Romano. Va ricordato, inoltre, che le due citate monografie su Agrigento romana sono opere che danno conto di lunghi periodi di ricerca sistematica, condotta prima dalla Soprintendenza Archeologica di Agrigento e portata avanti nell’ultimo decennio (2002-20010) con intensive campagne di scavo ad opera del Parco Archeologico e Paesaggistico che ha realizzato anche una completa e aggiornata documentazione di rilevamento archeologico tradizionale e strumentale. Per tutto quanto sopra, gli autori del presente volume tengono a ringraziare il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi nelle persone dei Presidenti del Consiglio del Parco succedutisi nel tempo e specialmente del Direttore del Parco Archeologico Arch. Pietro Meli, per la cortese disponibilità e per la assicurata continuità alla direzione scientifica delle ricerche su Agrigento romana. Un sentito ringraziamento, per il supporto e le agevolazioni offerte nell’espletamento delle ricerche e degli studi, va ai Dirigenti della Sezione tecnica del Parco, a cominciare dal Responsabile della Sez. iii Dott. G. Leto Barone, ma soprattutto al Dirigente Responsabile del Settore Archeologico (UO.V) Arch. Carmelo Bennardo, per il suo entusiastico, efficace e instancabile impegno sempre profuso per la realizzazione delle ricerche, degli studi e anche della presente pubblicazione. Non vi è dubbio che i risultati conseguiti a seguito delle ricerche di cui sopra non sarebbero stati garantiti senza la preziosa collaborazione delle Archeologhe che hanno

12 prefazione puntualmente seguito lo svolgimento delle ultime campagne di scavo e degli architetti - rilevatori che ne hanno curato la documentazione, rispettivamente: per l’area del Foro, le dott.sse Antonella Polito, Santina Sturiale, Elisabetta Tramontana e gli Arch. Giuseppe Cavalieri e Annalisa Tuttolomondo; per il Ginnasio, le dott.sse Luciana Borrello, Annalucia Lionetti e l’Arch. Giuseppe Cavalieri. Anche a questi validissimi collaboratori va la gratitudine degli autori. E. D. M. · G. F.

CONTESTO STORICO DELLA SICILIA ROMANA

U

n approccio, anche parziale, alla Sicilia romana, e in particolare Agrigento, è reso possibile in questi ultimi decenni grazie a risultati degli scavi che hanno interessato abitato, edifici pubblici, necropoli nelle città sopravvissute alla ricca stagione greca, la quale, per altro, nei vari settori ha, per così dire, monopolizzato l’attenzione degli studiosi. Alcune lacune, specie in campo socio-economico, attendono ancora di essere convincentemente colmate: per esempio, una ricostruzione della storia agraria della Sicilia romana ancora aperta a vedute diverse (come si vedrà appresso, a proposito delle guerre servili). Cicerone1 dice della Sicilia prima omnium provincia est appellata; la data della sua introduzione è stata variamente fissata: al 241 a.C. (fine della prima guerra punica e acquisizione della Sicilia punica); vetus provincia al 227 (istituzionalizzazione della provincia) con la pretura di Gaio Flaminio, e al 210 (acquisizione dello stato siracusano di Gerone).2 Dopo due tentativi di ordinamento della provincia Sicilia alla fine della seconda guerra punica, il primo da parte Q. Lutazio,3 il secondo da parte di Marcello dopo la presa di Siracusa,4 un nuovo definitivo assetto venne dato dal console Levino nel 210 a.C. dopo la presa di Agrigento. Le disposizioni di Levino furono poi praticamente confermate dalle riforme pubblicate dai proconsoli P. Rupilio nell’anno 131 a.C., al termine della prima guerra servile e da M. Aquilio nel 99 a.C. (Lex Rupilia e Lex Aquilia). Nella organizzazione della provincia Sicilia, riferita da Cicerone,5 Agrigento figura tra le civitates decumanae. Per quanto riguarda l’ordinamento interno, ad Agrigento come ad Eraclea, la popolazione si divideva in due classi: quella dei “vecchi” e quella dei “nuovi” (coloni) cittadini6 (artefice Scipione, che va identificato con Cornelio Scipione l’Asiageno). Secondo una prescrizione di Scipione, in Agrigento i senatori scelti tra i “cittadini vecchi” dovevano formare sempre la maggioranza nel senato. Cerchiamo di considerare gli avvenimenti in Sicilia dalla fine della seconda guerra punica alla fine delle guerre servili. M. Valerio Levino, che nel 209 rimane in Sicilia in qualità di proconsole, ebbe particolare attenzione alla ripresa della coltivazione del grano, constatando di persona nei numerosi viaggi per tutta l’isola7 (in Livio8 la Sicilia è detta provincia frumentaria, quale produttore di grano da vendere a Roma, secondo una tradizione che risaliva ai tempi di Catone (iii-ii sec. a.C.) e che verrà riconosciuta nella Lex Rupilia (seconda metà ii sec. a.C.). Nel 208 a.C. si favorì un ritorno in Sicilia dei profughi in Grecia, con la promessa della restituzione dei loro beni. Negli anni successivi Scipione Emiliano restituì alle città siciliane le opere d’arte che i Cartaginesi avevano rapinato e, tra queste, ad Agrigento il famoso Toro di Falaride. 1 Cic., Verr., 2,2. 4 Liv. 25.40. 7 Liv. 27,8.

2 Pinzone 1999, p. 29. 5 Cic., Verr. 3,13. 8 Liv. 26,40.

3 Polyb. i,63. 6 Cic., Verr. 2,123.

14

ernesto de miro Duramente trattata la città al termine della seconda guerra punica,1 tuttavia, in Agrigento già sotto Levino gli scampati potevano aver fatto ritorno, una volta avviata la ricostruzione. In Cicerone,2 il merito implicito di aver ridato l’autonomia alla città è ascritto al pretore T. Manlius (da identificare con il pretore del 197 a.C., Manlio Vulsone), il quale avrebbe dedotto in Agrigento ex senatus consulto coloni da centri interni. Successivamente uno Scipione (da identificare con l’Asiatico, pretore nel 193 a.C.) promulgò leggi per la cooptazione dei membri del senato cittadino. Scoppiata in Sicilia la rivolta servile, nel 134 a.C. vi fu mandato il console C. Fulvio Flacco, che non riuscì a domare la rivolta; l’anno successivo, nel 133 a.C., è console L. Calpurnio Pisone.3 Successo ebbe finalmente l’incarico dato al console P. Rupilio, che sconfisse Cleone, catturò Euno e prese la roccaforte di Enna. Rupilio intraprese un’opera di ristabilimento dell’ordine pubblico e diede alla Sicilia una nuova costituzione (Lex Rupilia). Occorre ricordare come durante la rivolta il cilicio Cleone, addestrato sin da giovane al brigantaggio, devastò il territorio di Agrigento, e, come sembra, saccheggiò anche questa città. Una nuova insurrezione scoppiò nel 104/103 a.C., ad opera di Salvio Atenione,4 capitale della rivolta fu stabilita a Triocala (Caltabellotta). La rivolta fu domata definitivamente dal console M. Aquilio nel 99 a.C. L’affermazione di Cicerone5 che nelle guerre servili Atenione non provocò grave rovina starebbe a significare che nella seconda insurrezione non caddero in mano agli schiavi città importanti (quale Agrigento), al contrario di quanto avvenuto nel corso della prima guerra servile. Diodoro6 afferma che il numero totale dei ribelli nel corso della prima guerra servile raggiunse la cifra di 200.000, mentre decisamente minore è la cifra fornita da Livio7 (70.000) e da Floro8 (60.000). Tali dati sono risultati di particolare interesse, in quanto da essi si è cercato di inferire sulla situazione schiavistica in Sicilia nella seconda metà del ii sec. a.C., e in conseguenza l’ammissione del latifondo, fenomeno quest’ultimo che si sarebbe sostituito alla progressiva scomparsa della piccola proprietà terriera, anche se a una corretta interpretazione delle Verrine ciceroniane nel i sec. a.C. la Sicilia apparirebbe caratterizzata, invece, proprio dalla piccola proprietà terriera. Al di là della teorizzazione di una immagine latifondistico-pascolativa in Diodoro e quella fondamentalmente cerealicola in Livio, Floro, Cicerone, la situazione agraria della Sicilia al tempio di Cicerone, già approfonditamente indagata da J. Carcopinò,9 è quella caratterizzata dalla media e piccola proprietà terriera, in mano di italici e di siciliani, nel quadro di una radicale trasformazione a seguito della Lex Rupilia, al termine della prima guerra servile (le grandi proprietà risultano riconoscibili nel periodo imperiale e particolarmente tardo-romano). Comunque, al termine delle guerre servili, si determinò uno spazio favorevole per il ceto medio, come risulta dalle Verrine, per cui al tempo di Cicerone appare predominante il ceto medio benestante, e rimasero ricchi alcuni signori romani. La Sicilia tornò a 1 Gli abitanti di Agrigento erano stati resi schiavi, in numero superiore a 25.000, già durante la prima punica, nel saccheggio seguito al lungo assedio del 261 a.C. (Polyb. i,19, 5; Diod. xxiii,9,1; Oros. 4,7,6; Zon. 8,10). La caduta nel 210 significò ancora una volta per gli abitanti di Agrigento la schiavitù e la vendita dei loro beni mobili (Liv. 26,40, 13). 2 Cic., Verr. 2,123. 3 Cic., Verr. 3,195. 4 Diod., 36,6,7. 5 Cic., Verr. 3,125. 6 Diod., 34-35,2,18. 7 Liv. Per. 56. 8 Flor. 21,7, 2. 9 Carcopinò 1905, pp. 3-53; Idem 1906, pp. 128-185.

contesto storico della sicilia romana 15 ricomporsi nel proprio plesso cittadino alquanto accresciuto, conservando l’antica struttura agraria di tipo parcellare.1 La presenza di elementi latini e italici, precoce ed aggressiva già dalla fine del iii secolo e dall’inizio del ii, si accrebbe, se è vero che, nel racconto posidoniano della seconda rivolta servile, proprietario di una tenuta con 80 schiavi, da cui viene assassinato, è un Publio Clonio, cavaliere romano, e parecchi schiavi portano nomi latini. Se il maggior numero di cittadini romani risulta residente a Siracusa nell’età di Verre, ad Agrigentum sono definiti permulti. Un notevole momento di attenzione alla Sicilia fu quello del governatore Asylios,2 da identificare con L. Sempronio Asellio, nell’anno 96 o 94 a.C.: questi avrebbe risollevato «la provincia caduta in rovina», avrebbe riservato particolari cure alla divinità, accordato ogni protezione di evergete a quanti erano «sospinti da quella lodata arte»; si impegnò nella retta amministrazione della giustizia, eliminando dal foro la “sicophantia”, prestando protezione ai deboli, agli orfani e alle vedove. Come dice Diodoro, egli restituì l’isola nell’antica felice prosperità di un tempo. Nell’82 a.C. l’isola, controllata ancora dal mariano Perperna, fu invasa con una grande flotta e 6 legioni dal giovane Gn. Pompeo, al quale le città si sottomisero, evitando ritorsioni. Al medesimo si riferisce una dedica posta a Roma dopo il 79 dagli Italici, qui Agrigenti negatiantur.3 Dall’81 a.C. in poi i governatori della Sicilia furono propretori; nel 73-71 lo fu il famigerato Verre, contro cui Cicerone scrisse i libri ii-iv della seconda orazione, mai pronunziata. Dalle Verrine apprendiamo che fin da allora molti cittadini romani abitavano in Sicilia o vi avevano proprietà, appalti, affari. La moglie del console G. Cassio per eredità possedeva beni in Sicilia, in territorio di Leontini.4 Il senatore G. Anneo Brocco possedeva beni nel territorio di Segesta;5 il senatore G. Cassio possedeva beni in Sicilia;6 di Q. Vario sono ricordati procuratores in Sicilia.7 Dell’ordine equestre sono ricordati moltissimi. Specialmente a Siracusa abitavano molti cavalieri romani,8 e tra essi era forse il più ragguardevole Minucio, presso il quale abitò il re Antioco;9 è detto che lui voleva appaltare le decima di Leontini, ed è ricordato come grossista. Q. Lollio aveva un appalto nel territorio di Etna.10 Gn. Calidio11 aveva per molti anni commerciato in Sicilia, e possedeva bei vasi d’argento, che gli furono rubati da Verre; M. Petilio, cavaliere romano a Siracusa, fu nominato giudice da Verre;12 G. Sertio e M. Modio13 furono costretti a pagare a Verre in un processo; Q. Septicio era possidente in Sicilia;14 C. Matrinio fu tenuto sotto custodia nel foro di Leontini per opera di Apronio, amico di Verre,15 e doveva possedere armati; gli fu estorto denaro sotto il pretesto che i suoi pastori avevano ordito una congiura; cavalieri residenti in Sicilia erano L. Flavio;16 L. Rubirio e P. Scandilio;17 C. Servilio, vecchio commerciante in Panormo;18 M. Annio, che fu testimonio delle infamie commesse da Verre contro 11 14 17 10 13 16

Manganaro 1980, p. 440. Cic., Verr. 3.97. Cic., Verr. 2,119. Cic., Verr. 3,61-63. Cic., Verr. 2,119. Cic., Verr. 5,156.

12 15 18 11 14 17

Diod., 37,8. Cic., Verr. 3.93. Cic., Verr. 3,133. Cic., Verr. 4,44. Cic., Verr. 3,36. Cic., Verr. 3,132,135.

13 16 19 12 15 18

illrp , 380. Cic., Verr. 3.93. Cic., Verr. 2,69. Cic., Verr. 2,71. Cic., Verr. 3,60; 5,15. Cic., Verr. 5,140.

16 ernesto de miro cittadini romani;1 L. Suettio2 e G. Numitorio;3 il giovane M. Celio, il quale abitava a Lilibeo;4 L. Papinio, derubato d’un turibolo;5 L. Recio, che dimorava a Panormo;6 M. e P. Cottio che erano stanziati nel territorio tauromenitano.7 Semplici cittadini residenti in Sicilia erano: C. Cacurio,8 proprietario di oggetti preziosi, sottratti da Verre; L. Curidio9 a cui toccò la medesima sorte; L. Tizio,10 il quale abitava in Agrigento; S. Cominio, che fu maltrattato da Verre;11 T. Erennio, il quale fu suppliziato;12 P. Gavio di Compsa.13 In vari passi è ricordato il grande numero di cittadini romani nella Sicilia in generale e in particolare a Siracusa e Agrigento. Sono ricordati anche non pochi siciliani, i quali erano stati fatti cittadini romani:14 S. Pompeo Cloro, Q. Cecilio Dione in Alesa; Gn. Pompeo Teodoro, Polidio Macrone di Solunto; Q. Lutazio Diodoro a Lilibeo, A. Clodio a Drepano. Nel De officiis Cicerone15 narra la storiella della fraudolenta vendita di una villa e viene ricordato un C. Canio, il quale dimorava a Siracusa, beffato da un argentarius siracusano. Una gens non nobile, la quale ebbe molteplici rapporti con la Sicilia, e che vi doveva risiedere, è quella degli Herennii, e un Erennio siracusano fu tra le vittime di Verre; un Erennio Siculo era originario della Sicilia, più precisamente di Catina. Il cittadino romano G. Servilio risiedeva a Panormo;16 in Sicilia risiedeva il cavaliere romano P. Servilio, il quale ebbe in appalto la tassa sui pascoli.17 Già all’epoca di Verre risultano uffici del portorium ad Akragas, così come a Siracusa, Panormo, Thermae, Halaesa, Catina, Finziade e Messana.18 Da Diodoro apprendiamo che autore della rinascita dell’Isola in modo particolare furono il pretore L. Asilio e l’amico C. Longo, e che inoltre nel disegno di promuovere la prosperità ebbe parte un ragguardevole cavaliere romano di nome Publio. Nell’82 a.C. il giovane Gn. Pompeo è governatore della Sicilia, e di lui Cicerone magnifica la grande rettitudine.19 Per quanto riguarda Agrigento si ricorda l’iscrizione in Roma proveniente da questa città.20 Nel 76 a.C. Cicerone ottiene la questura della Sicilia occidentale, essendo propretore Sesto Peduceo, anch’egli esaltato per rettitudine. Nel 73 a.C. Verre è destinato in Sicilia quale propretore, e non si sa se ascrivere alla sua abilità di governo l’assenza di ribellioni servili, quando nello stesso periodo in Italia imperversava il brigantaggio di Spartaco. Ad Agrigento, il senato cittadino era composto di “cittadini nuovi” e di “cittadini vecchi”; Verre fece senatore un “cittadino nuovo” a danno di un “cittadino vecchio”: primo segno delle sue malversazioni. Di coloro che formavano la corte di Verre si distinse per furfanteria e perversione il liberto Timarchide, che ebbe il titolo di accensus (ministro pubblico), gran consigliere del capo. Cicerone21 narra l’episodio di rapina perpetrata ad Agrigento: «in Agrigento, non lontano dalla piazza principale, sorge un tempio di Ercole veramente sacro per gli 11 14 17 10 13 16 19

Cic., Verr. 5,73,74,156. Cic., Verr. 4,37. Cic., Verr. 5,165. Cic., Verr. 4,58. Cic., Verr. 5,161,168. Cic., Verr. 5,140. Cic., Verr. 3,42.

12 15 18 11 14 17 20

Cic., Verr. 5,147. Cic., Verr. 4,46. Cic., Verr. 4,37. Cic., Verr. 4,24. Cic., Verr. 2,23; 102; 4; 27. Cic., Verr. 3,167. Kaibel 955.

13 16 19 12 15 18 21

Cic., Verr. 5,163. Cic., Verr. 5,168. Cic., Verr. 4,44. Cic., Verr. 5,155. Cic., De Off. 3,58 De Laet 1949, p. 165. Cic., Verr. 4,94.

contesto storico della sicilia romana 17 abitanti e da essi molto venerato. Al suo interno è custodita una statua in bronzo raffigurante proprio Ercole, e credo di poter asserire senza difficoltà di non aver visto nulla di più bello… Mentre Verre si trova in Agrigento, succede un fatto improvviso: a notte fonda un gruppo di schiavi armati sotto la guida di Timarchide accorre in massa verso questo tempio e lo prende d’assalto. Si levano grida d’allarme da parte degli uomini della ronda e dei custodi del santuario… Subito dopo gli aggressori, divelti i chiavistelli e sfondati i battenti, tentano di rimuovere la statua e di scalzarla facendo leva con dei pali… Ad Agrigento non ci fu nessuno, né di età avanzata né così debole di forze, che in quella notte, svegliato da una simile notizia, non sia balzato in piedi e non abbia afferrato la prima arma che gli capitava sotto mano… Piombano addosso gli Agrigentini accorsi in massa. Ne nasce una fitta sassaiola; i soldati, amici della notte di questo nostro illustrissimo generale, se la danno a gambe. Riescono tuttavia a portarsi via due statuette molto piccole». Ma già ad Agrigento Verre aveva portato via dal «veneratissimo santuario di Esculapio un ricordo del medesimo Publio Scipione, cioè la bellissima statua di Apollo, che recava scritto sulla coscia il nome di Mirone in piccoli caratteri d’argento»… «Perciò da parte di coloro che occupavano nella comunità una posizione di primo piano si assegna ai questori e agli edili l’incarico tassativo di istituire delle ronde notturne nei pressi degli edifici d’arte. Infatti ad Agrigento, a causa, penso, del gran numero e del coraggio degli abitanti, e in considerazione del fatto che moltissimi cittadini romani, risoluti e rispettabili, vivono in questa città e commerciano con gli agrigentini stessi in perfetta armonia, Verre non osava chiedere o portar via apertamente gli oggetti che gli piacevano». A proposito di furti di opere d’arte perpetrati da Verre, Cicerone si chiede quanto grande dovesse essere la perdita intera, essendo molto probabile che, oltre che da Siracusa, anche da altri porti, come Agrigento, Lilibeo, Panormo, Thermae, Alesa, Catina, Messana venisse esportata quantità di oggetti. Verre aveva anche particolare predilezione per gli anelli di valore artistico, e quando un giorno ricevette una lettera da Agrigento da parte di tale L. Tizio, egli pretese la consegna del prezioso sigillo. La pretura di Verre in Sicilia durò tre anni; nel 70 a.C. gli successe L. Cecilio Metello. Dal 70 al 30 a.C. la Sicilia subì la minaccia dei pirati, che erano già forti al tempo di Verre. A Sesto Pompeo spettò di ricacciare i pirati verso i paesi dell’Oriente, fino ad imporre ad un certo numero di pirati vinti di stabilirsi a Soli, in Cilicia. Al tempo di Cesare la Sicilia dovette ottenere la latinità.1 Antonio, dopo la morte di Cesare, emise la Lex Iulia de Siculis, per la quale i siciliani ottenevano il diritto di cittadinanza romana2 (44 a.C.); in conseguenza, le comunità siciliane vennero ad avere l’ordinamento di municipi o di colonie romane. Nel periodo 43/35 a.C. tutta la Sicilia è in potere di Sesto Pompeo, che presso Nauloco viene sconfitto da Ottaviano; questi ebbe cura di pacificare l’isola, liberandola dalle bande di briganti che infestavano i territori e dalle rovinose conseguenze della guerra civile. La signoria di Sesto Pompeo in Sicilia e la guerra contro Ottaviano sono gli ultimi avvenimenti dell’isola, che abbiano avuto risonanza nella storia del Mediterraneo antico. La Sicilia usciva dallo scontro tra Ottaviano e Pompeo gravemente danneggiata e squilibrata nel suo assetto geopolitico. Prima di fare ritorno a Roma, Ottaviano deve aver cacciato la popolazione di Tauromenio, centro della resistenza pompeiana, deducendovi una colonia con distribuzione delle terre. 1 Cic., Ad Att. 14,12.

2 Diod., 13,35.

18

ernesto de miro Alla fine del 22 a.C. e all’inizio del 21 a.C. Augusto dimorò in Sicilia prima di proseguire il suo viaggio in Oriente.1 Si ritiene che in tale occasione egli debba aver proceduto a un riordinamento giuridico delle città siceliote; venne, così, riconosciuto il diritto di colonia romana a Siracusa e ad alcune altre città,2 e la condizione di municipi romani ad altre, mentre alle restanti, le più numerose, viene riconfermato il diritto latino. Grazie ad alcune emissioni monetali in bronzo, ad iscrizioni, ad accenni di Strabone e a notizie di Plinio il Vecchio,3 si può ricostruire con sufficiente chiarezza il quadro giuridico della Sicilia augustea. Ben 48 città, le meno importanti, elencate da Plinio in ordine alfabetico, rimasero municipi latini soggetti al tributo (stipendiariae): ad esse afferiscono Kentoripa, Netum, Segesta. Altre da tale condizione – quale risulta per Agrigento e Panormo in base ad emissioni monetali con testa di Augusto e leggenda in greco – passarono nella categoria di municipi romani: Messana, Lipara (che Plinio definisce oppida civium Romanorum), Alontion, Lilibaeum, Agrigentum, Alaisa, Tyndaris e Panormos. Colonie romane figurano Tauromenion, Catina, Syracusae, Thermae. Molte città interne, incluse fra le stipendiariae, scesero a livello di centri rurali; Morgantina «non più città, le contrade meridionali da Pachino a Lilibeo abbandonate».4 La decadenza di strutture interne favorì la formazione del latifondo a pascolo in mano di ricchi romani. I centri lasciati nella condizione di municipi latini costituirono la roccaforte della grecità linguistica, la quale finì col riemergere anche nelle città dichiarate colonie e municipi romani, nelle quali gli immigrati di lingua latina nel giro di qualche generazione risultano assorbiti. In sostanza, ciò che si può attribuire alla riorganizzazione di Augusto indica interventi limitati, anche se, a mezzo immissione di nuovi cittadini e ripresa di attività pacifiche, si diede impulso alla vita dell’Isola, senza, tuttavia, modificare in profondità le strutture politico-sociali. Per Agrigento il periodo augusteo e imperiale segna una situazione di tranquillità e di attività economiche. È ormai lontano il tempo in cui nel 210 a.C. gli Agrigentini erano stati venduti schiavi.5 Del resto, nel periodo tardo ellenistico repubblicano (ii-i sec. a.C.) si verifica in effetti una larga ripresa. Ricordiamo che a seguito di un senatus consulto de oppidis Siculorum, Agrigento ricevette la deduzione di coloni6 e in Agrigento agivano negotiatores, cives romani multi.7 Cosa notevole è che Agrigento in età imperiale risulta essere centro dell’industria dello zolfo, come documentano le tegulae mancipum sulfuris.8 Scrive Mommsen: «iam tegulae hac declarant, certe inde a seculo tertio imperatores sulfurarias fedinas in Sicilia per mancipes exercuisse»: (i mancipes erano appaltatori dello sfruttamento della cava, i conductores gli imprenditori dei lavori). Se nell’età di Augusto la Sicilia figura poco nella storia, non mancano per ricostruire avvenimenti i dati archeologici. Sono pervenute notizie circa visite fatte dagli imperatori nell’isola. Dopo Augusto anche Caligola fu in Sicilia,9 e in Siracusa celebrò dei giochi detti “astici”; anche Adriano visitò la Sicilia nel 125 d.C., al ritorno del grande viaggio intrapreso nel 119 d.C.; Settimio Severo, il futuro imperatore, fu proconsole di Sicilia probabilmente nel 189 d.C., e a lui e alla sua famiglia furono dedicate molte statue e iscrizioni. Al periodo augusteo risale la maggior parte delle opere pubbliche, anche se le condizioni generali della Sicilia rimangono quelle di un isolamento politico-sociale. Dei pri1 Dio Cass., 54,6,7; Zon. 10,14. 4 6,2,4. 7 Cic., Verr. 2,153; 4,93.

2 Dio. Cass., 54,7,1. 5 Liv., 26,40. 8 Mommsen, cil x, p. 857 n. 8044.

3 N.H. 3,8,423-431. 6 Cic., Verr. 2,123. 9 Suet., Cal. 51.

contesto storico della sicilia romana 19 mi tempi dell’impero è pervenuta una descrizione della Sicilia, tutt’altro che favorevole, da parte di Strabone1 il geografo al tempo dell’imperatore Tiberio. Di città sulla costa orientale si ricorda Messana, Tauromenio, Katane, Siracusa; Naxos e Megara non esistono più. La costa meridionale (che aveva sofferto delle guerre con Cartagine) è detta del tutto deserta, e di città si trovano soltanto Agrigento, il porto di Agrigento e Lilibeo; non esistono nè Finziade nè Eraclea. Di Camarina avanzano solo tracce; Selinunte e Gela sono disabitate; più popolata è la costa settentrionale, dove, tuttavia Imera non esiste più, ma esistono ancora Alesa, Tindari, Cefalodio, Segesta e Panormo, che ha ricevuto una colonia romana. Il primo quadro della Sicilia che incontriamo dopo Strabone è dato dal citato Plinio. Plinio, dopo aver indicato alcune misure, dice: «dopo il Peloro, sulla costa del mare Ionio, seguono Messana, abitata da cittadini romani, dai cosiddetti Mamertini; il promontorio Drepano, la colonia Tauromenio, il fiume Asines, il monte Etna con cratere di 20 stadi di perimetro; vengono i tre scogli dei Ciclopi, il porto di Ulisse, la colonia Catina, i fiumi Simeto e Taria; nell’interno le pianure dei Lestrigoni, le città di Leontini e Megara, il fiume Pantagia, la colonia di Siracusa con sei fonti, il porto Naustatmo, il fiume Eloro, il promontorio Pachino. Quindi, il fiume Irmino, la città di Camarina, il fiume Gela, la città di Agrigento, la colonia di Terme, i fiumi Achate, Mazara e Hypsas, la città di Selinunte, Lilibeo, Drepano, il monte Erice, la città di Panormo, Solunto, Himera col fiume omonimo, Cefaladio, Alunzio, Agatirno, la colonia Tindari, la città di Mile».2 Nell’interno dell’isola sono città di condizione latina Centuripa, Neto, Segesta; tributarie sono 47 città. Sulla attendibilità dell’elenco di Plinio, Holm avverte: «l’elenco di Plinio ci si appalesa come un frettoloso lavoro di compilazione di elementi disparati, nel quale per l’introduzione e per le due parti principali sono usati termini diversi senza alcuna spiegazione sulle relazioni che hanno tra loro, e che nella descrizione delle coste, e specialmente nell’interno, contiene grossolani errori, come quello di collocare falsamente nell’interno anziché sul mare un quarto circa dei luoghi ricordati». Agrigento da Plinio è designata oppidum, e l’indicazione duumviri sulle monete augustee e su iscrizioni lapidee dell’età di Augusto non devono suggerire necessariamente la condizione di colonia. È da tenere presente che colonie e municipi hanno in comune la qualità di essere abitate da cittadini romani; inoltre, mentre in età repubblicana i municipi erano stati di grado più elevato, in età imperiale la posizione si inverte con le colonie, diventando i municipi città secondarie prive di importanza politica. Una colonia è perfetta immagine di Roma imperiale e conserva lingua, religione e diritto della città madre; invece nei municipi le leggi locali potevano essere largamente conservate. E Agrigento è assai probabile che sia rimasta municipium sino anche ad età medio imperiale. In tutte le comunità, colonie municipi, città latine (in queste ultime la cittadinanza romana non è posseduta da tutti, ma solo da coloro che hanno occupato una carica onorifica) la costituzione è essenzialmente la stessa. Le autorità cittadine sono innanzitutto i duoviri iuri dicundo, quindi due aideles; i magistrati supremi sono i duumviri, i quali prima erano propri delle coloniae, mentre i municipi avevano i quattorviri; in seguito i duumviri si trovano anche nei municipi. Troviamo duumviri a Tauromenio (cil 6994), Centuripa (cil 7004) Catina (cil 7023, 7024, 7025, 7029, 7032), Henna (su monete), Lilybaeum (cil 7210, 7211, 7235), Panhormus (cil 7274, 7275), Thermae (cil 7348, 7353), Halaesa (su 1 vi, 265-278.

2 Holm 3,430.

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ernesto de miro

monete), Agrigentum (iscrizioni del Ginnasio); gli aediles a Catina (cil 7026), a Lilybaeum (cil 7211, 7239). Il senatus si chiamava anche curia, ordo decurionum; i decuriones erano eletti a vita; il loro numero differiva da città a città, ma generalmente era 100. Ad Agrigento, in base ai posti a sedere nell’edificio (che era stato prima bouleuterion), è stato calcolato un numero di 300; ma un decreto di proxenia in onore del siracusano Demetrio databile nel ii sec. a.C., dà per Agrigento una composizione di 110 membri. Appartenevano al senatus (organo consultivo e deliberativo) i cittadini di un certo censo; classe privilegiata erano gli augustales, che avevano il compito di curare il culto della gens Julia e della casa imperiale. Dal tempo di Augusto le colonie romane adoperarono nei documenti ufficiali la lingua latina; ma anche i municipi potevano, accanto al greco, adoperarla; gli Aluntini si valsero anche del greco e le monete di Lipara sono coniate con leggende greche. Se alcuni dati confermano la persistenza nell’alto impero del ruolo della Sicilia nel rifornimento granario, nella sostanza rimane il ruolo marginale dell’isola dopo che Egitto e Africa rivestirono al riguardo una posizione privilegiata. «L’esistenza di attività commerciali, il ruolo continuo di provincia granaria; le notizie su alcune città che mantennero un livello di vita e una organizzazione sociale articolata; in definitiva, la massa di documenti sparsi, se inquadrati nel contesto di un isolamento politico evidente e di una attività amministrativa ai margini rispetto ai centri di interesse vitale durante l’alto impero, indicano non prosperità diffusa e un assetto sociale ed economico in espansione, ma, il contrario, un persistente regresso rispetto all’assetto ellenistico; regressione non sanata da interventi pure importanti, come quello augusteo, in quanto risultato di una situazione generale sfavorevole all’isola nell’ambito dei nuovi orientamenti determinatisi nell’alto impero».1 Contro questa visione di marginalità e di relativo isolamento della Sicilia si è opposto G. Manganaro,2 sostenendo una apprezzabile vitalità dell’isola, la quale anche se «con Augusto non dovette più destinare una cospicua parte della sua produzione granaria all’annona urbana, tuttavia potè sviluppare un suo mercato di grano di prima qualità in piena autonomia, incrementare una viticoltura per la esportazione e certe produzioni industriali (zolfo, allume, lana); essa, anzi, divenne un mercato acquisitivo per prodotti artistici urbani (ritratti, sarcofagi) e potè richiamare maestranze africane e visse in costante comunione con l’Italia (dalle cui città provenivano cospicui gruppi di cives ormai integrati in varie città siceliote), con la Grecia e con l’Egitto, oltre che con l’Africa». «Non è una colpa davanti al tribunale della storia, che la Sicilia imperiale sia stata diversa e meno centrale di quella ellenistica: essa è diventata una provincia suburbana, in cinque città, tutte costiere, nella quale furono sistemate colonie romane». Una rivalutazione della Sicilia in età imperiale viene dalla considerazione delle notevoli opere pubbliche realizzate. Così, a Siracusa in età augustea e giulio-claudia si hanno: la nuova sistemazione della Neapolis, con l’ippodromo, l’anfiteatro, l’arco onorario, il ninfeo, la monumentalizzazione della piazza antistante l’ara di Ierone. Annoveriamo ancora il tempietto celebrativo di Capo Molini presso Catania; l’edificio degli Augustales a Centuripe; ad Agrigento la nuova sistemazione del Foro, con il ginnasio sul terrazzo inferiore, la curia e il triportico con il tempio di Iside nel terrazzo superiore. 1 Clemente 1980, p. 472.

2 Manganaro 1988, pp. 10-11.

contesto storico della sicilia romana 21 Nel periodo flavio-traianeo si pone il teatro di Termini Imerese. Nel periodo adrianeo-antoniniano, si riscontra un vasto programma di opere pubbliche, che interessano soprattutto le città orientali dell’isola (Catania e Taormina). Sotto l’impero di Costantino cessarono le persecuzioni anticristiane, e di tale evento anche la Sicilia rivela testimonianze. Uscito dalla clandestinità, il cristianesimo fece rapidi progressi nelle città, più lenti nelle campagne. Templi pagani si trasformarono in chiese, e il ritmo di crescita è dimostrato dai complessi cimiteriali e dalle tombe private (Siracusa, Agrigento, Lilibeo, Carini, Palermo, regione iblea). Nel v sec. d.C. la Sicilia occupa un posto importante nei destini imperiali, a seguito delle invasioni barbariche e della divisione dell’impero nella metà occidentale, a sua volta frammentaria, e l’altra metà orientale con capitale Bisanzio. La tribù germanica dei Vandali, padrona del Nord Africa, nel 440 fece una prima incursione in Sicilia, finché nel 468 d.C. riuscì a ottenere il totale controllo militare nell’Isola. Dopo otto anni di dominio, un altro germano Odoacre otteneva in cessione l’isola dal re vandalo Genserico, e il periodo di pace che ne seguì fu interrotto allorché nel 535 il generale bizantino Belisario la conquistò. Giustamente ha scritto Finley che l’anno 535 «può essere considerato l’ultimo del governo romano in Sicilia, divenuta poi una provincia bizantina fino alla conquista araba».1 Dagli avvenimenti politici passiamo al quadro sociale ed economico di quei secoli. Per il iii-iv d.C. l’epigrafia cemeteriale, di aree cittadine, suburbane, campagnole, concentrate nei territori di Catania, Siracusa, Enna, Ragusa, Gela, Agrigento, consente di delineare una fisionomia sociologica a livello medio-benestante. «Erano artigiani, e padroni di bottega (falegnami, marmorari, fulloni, figuli, speziali), agrimensori, medici, tessitori, tintori di porpora, operai navali, marinai, armatori, che vivevano gomito a gomito con nutriti gruppi di immigrati più o meno recenti, specialmente provenienti dalla Siria Palestina, ma anche dalla Pentapoli, dall’Egitto, dai centri dell’Asia Minore, da Costantinopoli».2 L’isolata sopravvivenza di forme organizzative municipali in qualche centro della Sicilia si prolungò sino ad epoca assai tarda, mentre l’uso tradizionale e arroccato del grano perdurava sin dentro l’avanzato iv sec. d.C. La vita urbana viene erosa col il trasferirsi nelle campagne dell’attività economica. Tra il iv e il v sec. d.C. intervengono mutamenti importanti con il determinarsi di un duplice baricentro verso l’Africa e verso l’Oriente, rispettivamente nel settore occidentale e in quello orientale dell’Isola, con esclusione delle allora imperanti dispute ideologiche e teologiche. «In Sicilia è la presenza monolitica e totalizzante di proprietà imperiali, senatorie ed ecclesiastiche controllate dal centro in forma ravvicinata evidentemente tale da non lasciare spazio alcuno a soluzioni alternative».3 A partire dai primi decenni del iv sec. d.C. la Sicilia ebbe a giocare un ruolo importante nell’orbita dell’impero, sia come base strategica per spedizioni militari verso l’Africa, sia come transito frumentario dei convogli verso Roma, quando non anche di fornitura diretta in contrasto con il blocco delle scorrerie di barbari, sia come anello di una rete di interessi fondiari estesi dal Lazio alla Campania alla Sicilia all’Africa. «La presenza della nobiltà romana nell’isola per ragioni pubbliche, amministrazione o governo, provocò lo sviluppo di grandiosi complessi residenziali nei latifondi e, per 1 Finley 1975, p. 201. 2 Cracco Ruggini 1980, p. 485. 3 Cracco Ruggini 1980, p. 488.

22 ernesto de miro conseguenza, il riplasmarsi su di essi della rete itineraria terrestre e marittima, l’incrementarsi delle esportazioni private e pubbliche verso Roma, il riattivarsi della vita ludica e della edilizia in alcuni grossi centri cittadini». Ma a questo punto la voce chiarificatrice è affidata alle testimonianze dell’archeologia.

STUDI SU AGRIGENTO ROMANA

U

na ricerca esaustiva su Agrigento romana rimane sostanzialmente ancora da scrivere. Ci provò Giulio Schubring con un capitolo, il decimo, della sua Topografia storica di Agrigento,1 capitolo in cui, tuttavia, per le conoscenze del tempo non va al di là dei noti passi pliniani e ciceroniani, relativi sia all’assetto generale delle province di Sicilia che a quello specifico di Agrigentum;2 e, per quanto riguarda la parte archeologica, non si citano che tre sarcofagi figurati, di cui notissimo quello del mito di Fedra, che «si dice trovato fuori dalla città nel pendio a Sud vicino le mura».3 Né valse molto ad aumentare la conoscenza di Agrigento in età romana il riconoscimento da parte del Toniazzo di una abitazione romana in quella che comunemente si indicava allora come “casa greca”.4 Più consistente l’apporto di Pirro Marconi, che nel capitolo della sua monografia su Agrigento,5 fissava assai correttamente i limiti cronologici tra fine del iii sec. a.C. (conquista di Agrigento nel 210) e il v sec. d.C.; e, grazie agli scavi e alle ricerche presso il cosiddetto “Oratorio di Falaride”,6 delle case in contrada San Nicola,7 della necropoli a Sud delle mura,8 potè dare un’idea della città in età romana, fiorente nell’abitato e sotto tono negli edifici sacri, non mancando, tuttavia, di inserire qualche elemento deviante e di disorientamento con errate interpretazioni di un portico ellenistico-romano, là dove è la platea di un tempio greco smantellato, a Sud del più noto detto dei Dioscuri. Situazione di conoscenze riprese in Biagio Pace.9 Sicché si può dire che il primo ad impostare l’esigenza di una pagina positiva dell’archeologia romana di Agrigento fu, già nell’immediato dopoguerra, Pietro Griffo, con un opuscolo Agrigento romana,10 in cui, seppur limitatamente ai monumenti sepolcrali, si davano corrette anticipazioni dei monumenti agrigentini di questo periodo, con aggiunta di nuove e, sia pure forzatamente, ridottissime indagini. Dopo qualche accenno in un contributo generale sull’architettura ellenistica e romana in Sicilia, dovuto a Giuseppe Lugli,11 dagli anni Cinquanta ad oggi circa mezzo secolo di scavi e ricerche in Agrigento, condotte, prima dalla Soprintendenza e negli ultimi tempi dal nuovo Ente Parco Archeologico della Valle, anche su monumenti di età romana, se hanno ricevuto relazioni preliminari,12 attendono di vedere i risultati coordinati nella sintesi descrittiva e interpretativa di un quadro generale. La stessa meritoria 1 Schubring 1887, p. 222 sgg. 2 Plin., 3, 272; Cic., Verr., 2, 122, 123, 153, 185; 3, 103, 180; iv, 93,95. 3 Schubring 1887, p. 229. 4 Schubring 1887, p. 216. 5 Marconi 1929, p. 115 sgg. 6 Marconi 1926, p. 106 sgg. 7 Gabrici 1925, p. 425 sgg.; Marconi 1929, p. 117. 8 Salinas 1901, p. 29 sgg.; Marconi 1929, p. 121 sgg. Il Marconi successivamente riconosce il tempio detto L nella serie cronologica da lui ordinata. 9 Pace 1958, p. 285 sgg. 10 Griffo 1948. 11 Lugli 1955, p. 88 sgg. 12 De Miro 1957, p. 125 sgg.; Griffo 1963, p. 163 sgg.; De Miro 1984-1985, pp. 460-465; Idem 1985-1986, p. 7 sgg.; Idem 1982-1983, p. 319 sgg.; Idem 1988, p. 63 sgg., Valbruzzi 1991, p. 299 sgg.; Dimas 1988, p. 15 sgg., p. 300, kat. 377, taf. 1,1; De Miro 1994; Fiorentini 1993-1994, p. 725 sgg.; Eadem 1992, p. 5 sgg.; Carra 1995; Aa.Vv. 1996; De Miro 2000, p. 380 sgg.

24 ernesto de miro opera di Roger Wilson sulla Sicilia di età romana imperiale,1 sulla base dei dati editi e di osservazioni autoptiche, si concentra per Agrigento in particolare sulle abitazioni del “Quartiere di San Nicola”, fra il ii-i sec. a.C. e il v sec. d.C., e sui monumenti funerari della piana di San Gregorio a Sud della Collina dei Templi tra il i e il iii sec. d.C. A Wilson si deve anche un precedente tentativo di delineare un quadro dell’architettura romana nel contesto culturale greco della Sicilia.2 Un apporto decisivo a collocare cronologicamente, sulla base dei dati di scavo, monumenti di età romana, di vecchia e nuova acquisizione – e questo sia nell’abitato che nella necropoli, e nelle aree pubbliche – è venuto a partire dagli anni Ottanta ad opera di Ernesto De Miro e Graziella Fiorentini. E se la storia monumentale, sociale ed economica di Agrigento romana appare meglio definita nei secoli ii-iii d.C., e soprattutto nell’abitato e nell’impianto urbano, la prima età imperiale è rimasta sinora sfuggente e va emergendo in particolare negli scavi degli edifici pubblici civili, avviati da alcuni anni. In verità dall’abitato romano in contrada San Nicola, estesa esemplificazione dell’urbanistica di Agrigento antica, erano venuti i segni di una vitalità risalente al periodo augusteo e continuata nell’età imperiale.3 Segni circostanziati erano venuti dalla necropoli romana di contrada San Gregorio con gli scavi effettuati dalla Soprintendenza alla fine degli anni Settanta, ricollegatisi a precedenti ricerche.4 Si tratta di una successione di recinti sepolcrali, alcuni di notevoli dimensioni, all’interno dei quali sono numerose tombe a fossa, a sarcofago e, in taluni casi, anche edicole o veri e propri mausolei, con impianto nel periodo augusteo-giulio claudio, uso sino al periodo degli Antonini, che sembra, poi, essere quello di maggiore prosperità economica. Non v’è dubbio che dalle più recenti ricerche pertinenti a edifici pubblici civili sono venuti i maggiori elementi di conoscenza di Agrigento in età augustea e primo impero. Sul piano urbanistico una modifica importante viene apportata nel punto cerniera nell’assetto di età ellenistica, bene individuato in località San. Nicola. Infatti, il poggetto di San Nicola occupa una posizione centrale nell’area urbana terrazzata, ereditata dall’impianto precedente di età greca, con un assetto regolare di plateiai-decumani est-ovest e di stenopoi-cardines nord-sud, in una maglia ippodamea di m 295 × 35.5

1 3 4 5

Wilson 1990a. 2 Wilson 1988, pp. 177-185, Idem 1990b, p. 67 sgg. De Miro 1980-1981, p. 571 ss. Salinas 1901, p. 29 ss.; Bovio Marconi 1942-1943, p. 97 ss.; Griffo 1946, p. 21 ss. De Miro 1988, p. 63 ss.

DA AKRAGAS AD AGRIGENTUM. LA ROMANIZZAZIONE

P

rima di addentrarci nel discorso di Agrigento romana è bene riferirci al momento di passaggio, che possiamo chiamare da Akragas ad Agrigentum, sulla base delle più recenti acquisizioni archeologiche e fare alcune precisazioni. Il primo punto riguarda la situazione delle città siciliane della costa, fornite di porto come Syrakusae, Catana, Messana, Tyndaris, Thermae, Panhormus, Lilybaeum e Agrigentum, che devono aver goduto dopo le guerre servili, dagli inizi del i sec. a.C. alle luttuose vicende di Sesto Pompeo, di una favorevole congiuntura economica.1 Alla fine del iii sec. a.C. Agrigento aveva presentato una notevole flessione sul piano politico, sociale e culturale, priva com’era della autonomia, risultando esclusa dall’itinerario delfico, per cui non figura tra le città da invitare alle feste Pitiche nella nota iscrizione, che, proprio per il silenzio su Agrigento, si colloca tra il 210 (amministrazione di Levino) e il 197-193 a.C. (riforma di Scipione).2 Sappiamo che in quegli anni il pretore Titus Manlius (Vulso?) avrebbe dedotto ex senatus consulto colonie dai centri interni e che Scipione l’Asiatico avrebbe ristrutturato il senato cittadino. Al termine della terza guerra punica (146 a.C.) il filo-ellenismo di Scipione l’Emiliano non sembra essere andato per Agrigento oltre al recupero a Cartagine della statua del toro che aveva legato il suo nome a Falaride.3 Erano poi intervenute le guerre servili devastanti, sì che Agrigento non appare, anche su dati archeologici, in verità modesti, aver avuto nell’arco di buona parte del ii sec. a.C. un ruolo rilevabile. Solo tra il ii e i sec. a.C. si può cominciare a sostenere una ripresa cittadina, come documentano l’ancora di piombo a Siracusa con il nome di un navarca agrigentino4 e le anfore italiche, contenitori di vino che riprendono ad abbondare, richiamando in parte quello che era stato il fervore mercantile tra il iv e il iii sec. a.C., così come l’importazione di vino rodio può ben riferirsi al periodo, sopra ricordato, della restituita autonomia ad opera del pretore T. Malius del 197 a.C.5 Una ripresa socioeconomica agrigentina nel ii-i sec. a.C. si inquadra, del resto, nel più generale risollevamento della provincia a seguito della sana amministrazione del governatore Asellio, a cui Diodoro6 attribuisce il merito del ritorno nell’isola della prosperità di un tempo. Si perviene, così, ai tempi dello scontro tra Ottaviano e Sesto Pompeo (43-32 a.C.), una guerra che deve aver segnato l’esperienza e il comportamento di Ottaviano e della sua politica nell’isola a vicenda conclusa. Se, in generale, si può dire che la Sicilia usciva dallo scontro tra Ottaviano e Sesto Pompeo impoverita e squilibrata nel suo assetto geopolitico, è pur vero che le vicende avevano interessato il triangolo Tauromenion-Messana-Mylai – punto chiave dell’acces-

1 Manganaro 1980, p. 411 ss.; Idem 1988, p. 3 sgg. 2 Plassart 1921, p. 2 ss.; Manganaro 1964, p. 419; Manni 1966, p. 175 sgg. 3 Diod., 33, 25. 4 Manganaro 1972, p. 453. 5 Nicolet 1966, p. 307; Criscuolo 1982, p. 321; Brugnone 1984, p. 126 sgg.; Empereur 1982, p. 219 sgg.; Tchernia 1986, p. 49 sgg.; Campagna 1992, p. 29 sgg. 6 Diod., 37, 8.

26 ernesto de miro so all’isola – e le città della costa ionica, Syracusae, Catana, Leontini,1 mentre alquanto defilate rimasero le città della costa meridionale, Agrigento e Lilibeo, grazie anche al controllo esercitato dalla flotta di Lepido. Al tempo delle Verrine ciceroniane, le condizioni giuridiche, politiche e amministrative di Agrigento sono quelle di civitas decumana. Nella lista pliniana,2 Akragas figura tra gli oppida insieme ad altri undici centri, mentre coloniae sono solo Tauromenion, Catana, Syracusae, Thermae e Tyndaris. Sul significato di oppidum quale sinonimo di municipium (latinae condicionis), in cui la presenza di stationes della organizzazione doganale comportava presidi militari,3 è stato discusso. Che Agrigento fosse municipium e non colonia, come pensa Holm,4 è comporvato dalla iscrizione agrigentina di ii sec. d.C. – lapide riadoperata in una tomba tardo-antica – in cui figura un [RVFVS] POTIANVS … OMNIBUS MUNICIPALIBUS H[ONORI[BUS FUNCTUS;5 e non è certamente ipotizzabile il passaggio dallo stato di colonia a quello di municipium (Tav. xxiii, 1). Dalla visita di Augusto in Sicilia (22-21 a.C.)6 non derivò ad Agrigento la posizione di colonia, come poteva essere stato riconfermato per Siracusa. Si può solo ammettere che dalla visita di Augusto Agrigento dovette beneficiare del passaggio dalla categoria di municipio latinae condicionis a quella di municipio romano. A questo punto occorre rivolgerci alla documentazione archeologica acquisita in questi ultimi anni. È facile ritenere che, dopo la situazione di grave incertezza provocata dalla guerra di Sesto Pompeo, l’interessamento di Augusto in Sicilia determini un’attività di ristrutturazione e di rivitalizzazione, sinora documentata per le città della costa orientale e settentrionale. Oggi siamo in grado di delineare anche un primo quadro della situazione socio-economica e culturale di Agrigentum nel periodo augusteo e protoimperiale. Sul piano dell’organizzazione urbana l’eredità greca aveva lasciato un impianto di città terrazzata, dalle pendici dell’Acropoli alla Collina dei Templi, con un assetto regolare di tipo ippodameo (Fig. 1). Tale impianto viene fondamentalmente rispettato, ma nello stesso tempo si incide in alcuni settori nevralgici con notevoli modifiche (Fig. 2): ciò si verifica, per esempio, nel punto di cerniera funzionale che lega in un complesso i monumenti pubblici civili. In tale maglia regolare (Fig. 3) risultano inseriti due monumenti pubblici, l’ekklesiasterion sul versante sud del poggetto e il bouleuterion sul quello nord, la cui area è modulata sulle misure degli isolati, definiti a Nord dalla plateia-decumanus maximus, ad Ovest dallo stenopos-cardo, ai piedi della depressione indiziata come possibile sito del teatro, ad Est dallo stenopos-cardo, che segna il limite tra lo spazio pubblico e l’area del quartiere residenziale. Una modifica importante viene apportata nel punto cerniera dell’assetto di età ellenistica. In età romana, verso la fine del i sec. a.C., il grande asse viario di età ellenistica divenuto decumanus maximus, ai piedi del terrazzo del bouleuterion a Nord, rispetto a cui correva con un dislivello di m 8, viene interrotto nel suo percorso, con un riempimento che annulla tale dislivello e innalza il piano della strada per consentire un ampliamento 1 Strab., 6, 2, 4, c 270; c 272; 2, 7, c 273. 3 Manganaro 1988, p. 20. 5 Griffo 1963, p. 175 sgg.

2 Plin., N.H. 3, 8, 88-93. 4 Holm 1901, p. 430. 6 Dio. Cass., 54, 6 sg.

da akragas ad agrigentum . la romanizzazione

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Fig. 1. Planimetria di Akragas nella restituzione aereofotogrammetrica (da Schmiedt-Griffo 1958).

del terrazzo medesimo del bouleuterion, ampliato e trasformato in odeon1 (Fig. 4, Tav. i, 1), sostenuto da un poderoso muro di contenimento in tecnica isodoma con filari sovrapposti a gradoni, ammorsati nel terrapieno (Tav. i, 2); contemporaneamente, un altro poderoso muro a gradoni viene innalzato e sbarrare trasversalmente il corso della strada, la quale, pertanto, viene ad interrompersi prima dell’incrocio con il cardo ad Ovest (cfr. Fig. 19). Quali fossero i motivi di tale rinnovamento costruttivo, che hanno determinato la modifica nel sistema viario in un punto nodale dell’urbanistica ellenistico-romana, non è dato per il momento precisare, anche se si può ipotizzare l’intenzione di eliminare l’inconveniente di una difficile regimentazione delle acque, in un’area di 1 De Miro 1985-1986, p. 7 sgg.

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Fig. 2. Pianta schematica della città con i settori terrazzati.

particolare depressione morfologica. Certo è che il conseguente ampliamento del terrazzo appare in funzione di una nuova, notevole architettura, che monumentalizza il foro della città romana là dove era stata l’agorà superiore. Un significativo momento delle vicende di Agrigento nel corso della seconda guerra punica si materializza nel ritrovamento archeologico nel 1987 di un tesoretto di ori “marziali”, contenuto entro un vasetto acromo, seppellito all’interno di una canaletta abbandonata, che sino ad età ellenistica assicurava il deflusso delle acque connesse con la plateia est-ovest, che si insellava nella depressione fra i due terrazzi del bouleuterion-odeum e del foro romano, prima che il suo corso in disuso (nel frattempo invasa dalla struttura d una latrina) fosse definitivamente tagliato fuori in età augustea, bloccandone con l’erezione di un muro di terrazzamento il superiore sviluppo a limite del terrazzo del Foro. Il gruzzolo è costituito da ben 52 pezzi in ottimo stato di conservazione, caratterizzati sul dritto dalla testa di Marte barbato con elmo corinzio, e sul rovescio dall’aquila con ali spiegate su fulmine. Il tesoretto è stato egregiamente studiato da Maria Caccamo Caltabiano,1 e dalla studiosa giustamente messo in relazione con l’occupazione cartaginese agli inizi del 214 a.C. di Agrigento, già importante base di operazione dei Romani, ai quali essa ritornerà in possesso definitivamente nel 210 a.C. Doveva essere in quel periodo, tra il 215 1 Caltabiano 1990, pp. 49-65.

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Fig. 3. Settore centrale del tessuto urbano.

e il 214 a.C., di fronte alla minaccia della occupazione da parte di Imilcone, che in Agrigento un romano – non precisabile se responsabile della paga di quadri dell’esercito – si sia preoccupato di occultare il gruzzolo aureo, che non fu più recuperato. Conoscere cosa fosse accaduto nel periodo tardo ellenistico-repubblicano nell’impianto a Sud del poggetto potrà meglio illuminarci sui caratteri del nuovo assetto di età augustea e protoimperiale. Dobbiamo pertanto considerare l’area del tempietto tardo ellenistico-romano, noto come “oratorio di Falaride” sul versante meridionale del poggetto medesimo. Contemporaneamente all’impianto originario del boluleuterion, sul versante opposto era stato, come sappiamo, costruito nel iv-iii sec. a.C. l’ekklesiasterion, con gradini per la massima parte ricavati nel banco roccioso in leggero pendio (Fig. 5, Tav. i, 3). Tale edificio veniva abbandonato tra il ii e gli inizi del i sec. a.C., la sua struttura obliterata e ricoperta da uno spesso riempimento arenario, a costituire il battuto di una piazza, su cui veniva elevato un tempietto prostilo, dorico/ionico su podio non aggettante, preceduto da gradinata (Fig. 6). Vale a questo punto richiamare la descrizione di Marconi,1 sufficientemente analitica, dopo quella di Koldewey-Puchstein:2 «L’edificio è fondato sulla roccia. Su questa specie nel tratto compreso nel basamento della scala sono della traccie di fondazioni antecedenti di una costruzione orientata di1 Marconi 1926, p. 106 sgg.

2 Koldewey-Puchstein 1899, i, pp. 182-183; ii, tav. 24.

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Fig. 4. Pianta schematica del bouleuterion.

versamente dalla nostra, da NO a SE.1 Il suolo, per quanto livellato ed eguagliato, pende da est verso ovest; pertanto è stato necessario costituire una base piana all’edificio per mezzo di uno stereobate di m 12,40 × 8,85, non massiccio ma vuoto nel mezzo, coincidente con una incisione non profonda nel suolo destinata ad accogliere i conci, composto in altezza secondo i punti di uno o due strati di conci collocati per il lungo e, in ispessore di due file di conci; così è alto da m 0,46 a 0,80 e spesso m 2,20, e lavorato come per essere lavorato tanto all’esterno che all’interno. Sopra si innesta il podio alto m 1,57, vuoto all’interno,2 composto dei soli quattro muri perimetrali, larghi m 1,10 di tre strati di blocchi sovrapposti su due file collocati nel senso della larghezza; nei lati esterni e visibili è formato alla base e al coronamento, di un profilo che si ripete invertito, composto di una quadra e di un kymathion lesbio con lysis (Fig. 7), nel lato orientale i profili svoltano l’angolo continuando sino all’innesto della scala, larga m 7,15. Noto però che nel lato meridionale il profilo non si arresta all’inserzione della scala, ma continua lungo tutt’un altro blocco, coperto dal muro; data la certezza delle misure della gradinata e del punto in cui si lega al podio, questo fatto rimane oscuro: si potrebbe giustificare duplicemente: o come un errore, che non si ritenne il caso di correggere cambiando o scalpellando il 1 Trattasi dei resti della gradinata dell’ekklesiasterion che Marconi non conosceva. 2 È da considerare che l’interno può essere stato svuotato del suo riempimento (terra, pietrame) al momento della trasformazione dell’edificio in cappella cristiana con cripta.

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Fig. 5. Pianta ekklesiasterion e sovrapposte strutture della piazza con tempietto (“Oratorio di Falaride”).

blocco messo erroneamente, o meno probabile, data l’unità della costruzione ammettendo che la scala fosse dapprima più piccola e aggrandita in momento ulteriore: allora il blocco in questione apparterebbe alla prima fase. Della scala restano solo i conci di fondazione (sul lato orientale ne manca qualcuno, ma rimane il loro giacimento incavato nella roccia), formando un rettangolo di m 7,15 di fronte per m 4.90 di lato. Per ricostruirne la parte mancante abbiamo il dato prezioso dei due blocchi angolari, lunghi m 1,18, e larghi 0,60, colle tacche dei gradini inferiori misuranti di lunghezza rispettivamente cm 20,44, 44,20, e di altezza da 10 a 20. Date queste proporzioni ci è facile raccoglierle in unità integrando la scala con dieci gradini. Il basamento di essa doveva essere massiccio: ne rimane una parte nello spazio compreso tra gli attacchi delle ante, costituita di blocchi irregolari e disordinati. Sopra il podio si colloca un altro stereobate che costituisce il pavimento e insieme la base della cella soprastante: si compone di uno strato di blocchi e, caduto nel centro rimane chiarissimo nei blocchi perimetrali inseriti tra i conci dei muri e con loro connessi. La cella angusta ricavata nel podio rimane così coperta; essa risulta alta da m 1,90 a 2.,20, e la sua larghezza è di m 6,30 per 4; essendo il muro del podio più stretto rispetto a quello dello stereobate inferiore, se ne determina all’interno una panchina che corre tutto intorno; la porta è nel fianco meridionale, alta m 1,60. larga 0,60. La superficie dello stereobate superiore ci è data con esattezza dalla svolta dei profili del podio, misurante m 10,90 per 7,40. Sopra sta il tempietto; ne rimane la cella appena rettangolare, larga all’interno m 5,95 per 5,30; i muri nord e sud sono spessi m

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Fig. 7. Profili del tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”) (da Marconi 1926).

0,80, gli altri m 0,64; ad oriente sporgono per m 1,20, due ante corte e grosse, negli angoli NO e SO si profilano due pilastri piatti per meno di 3 cm; eguale sporgenza a mo’ di zoccolo è nei due strati inferiori di conci delle pareti. Ante e pilastri hanno una base attica imbastardita con cuscini tozzi quasi eguali e collo alto, e un capitello di tipo dorico ma usato, specie nell’ellenismo in Asia minore, anche in edifici ionici, con collo, regolo rotondo, kymation Fig. 6. Pianta schematica area liscio e lysis. È da notare che le misure dei della piazza porticata con tempietto su podio, singoli capitelli e basi non sono eguali: in altare, esedra. media la base è alta cm 30, il capitello cm 35, le ante sono larghe m 0,82. Sopra le ante, sporgendo di cm 2,5, corre l’epistilio, alto m 0,48, che porta le regulae con sei gocce cilindriche in alto rilievo; otto nei lati maggiori, sette nei minori; regulae e spazi misurano rispettivamente m 0,45 e 0,65. Manca il triglyphon e ogni altro elemento di trabeazione: con analogia ai monumenti del genere calcolando lo spazio metopale più alto che largo con proporzione di 7:8 (cfr. il prostilo B di Selinunte) possiamo pensare l’altezza del triglyphon pari a m 0,75. Abbiamo però un frammento di geison di cm 42 × 20, col cassettone inferiore contente quindici gocce su tre file di cinque ciascuna, e un frammento di cornice semplice, sagomata quadra, kymation e lysis che pensiamo fosse la terminale del frontone1 (Fig. 8). Nel lato orientale si apre la porta, di sagoma dorica con1 Per quest’ultimo elemento riportiamo la scheda dettagliata in Sydow 1984, pp. 295 e 298, fig. 45. tav. 85,3: «Blocco di cornice con gheison ionico e kyma “ieronico” in calcare conchiglifero, abraso in superficie, spezzato. Lungh. max. cm 102,5; h cm 38,8; prof. cm 41,3. Nello strato superiore una cavità da trave, doppio buco, canaletta di deflusso; circa 100 a.C.». Erroneamente Sydow pensa che l’elemento architettonico appartenga a una casa con peristilio. Trattasi, invece, nell’appartenenza al tempietto, di quella commistione di ordini frequente nell’architettura ellenistica; per cui è preferibile l’ipotesi Marconi che pone l’elemento terminale del frontone.

da akragas ad agrigentum . la romanizzazione 33 servata nella parte superiore, ciò che rende impossibile il calcolo della luce, che attualmente ammonta a m 2,80: essa è composta delle parti regolari, antepagmentum supercilium, hypertyron e corona (vedi Vitruvio iv, 6,2), che a loro volta si smembrano in vari elementi decorativi. Davanti alla cella colle ante m 8,51, resta uno spazio profondo m 2,40: è il luogo per il colonnato, logicamente richiesto da tutti gli elementi dell’edificio. Dimensioni e misure di colonne Fig. 8. Profilo cornice presso e colonnato potevano essere decisi solo dal l“Oratorio di Falaride” (da von Sydow 1984). ritrovamento del dato di fatto: lo scavo ha permesso di ritrovare due notevoli frammenti di colonna ionica del diametro di m 0,61, con sedici scanalature, forniti di incastri per le grappe bronzee. Così oltre ad avere risolta la questione dello stile delle colonne, possiamo determinare esattamente le misure del pronao e le proporzioni del colonnato. Il pronao è poco profondo m 2,40, poco più di un quarto del totale; le colonne sottili, alte m 5,85, si dispongono con un vasto intercolumnio di moduli 2,5; la proporzione tra altezza e diametro ammonta quasi a dieci moduli. L’altezza totale dell’edificio compreso il triglyphon è di m 9,06, Dai calcoli e dalle considerazioni su esposte esce logicamente la ricostruzione che presentiamo in altro luogo:1 sono congetturali e da accettare come tali le balaustre della gradinata per le quali il dato di fatto non è decisivo perché non si sa di quanto può continuare la sporgenza, ma che sono confermati dal confronto con tempietti ed heroa di poco posteriori; e la parte superiore al triglyphon, che gli elementi disponibili e noti ci fanno conoscere nella descrizione, ma non nelle misure e proporzioni essenziali; ma anche in questa ricostruzione ci siamo serviti del confronto con gli edifici contemporanei integri. Lo scavo ha forniti dati decisivi per la cronologia dell’edificio. Sotto la fondazione della gradinata nella base di edifici anteriori, vennero trovate due testine ellenistiche di terrecotta del ii sec. a.C., che forniscono un solido dato ante quem (!, vale per post quem); ma un argomento definitivo è fornito dall’iscrizione dedicatoria dell’edificio (Tav. xxiii, 2), di cui la parte finale, incisa in un concio di tufo di m 1,46 × 0,46 × 0,36, venne ritrovata tra le macerie ad oriente del tempietto. L’incisione è perfetta, coi segni a sezione rotondeggiante. Le lettere sono alte cm 9,5; l’esame epigrafico permette una datazione nel i secolo a.C.2 Non sono inutili ancora alcuni dati sulla tecnica costruttiva essa è prettamente classica, con i particolari aspetti che l’opera greca assume in Sicilia. I muri sono fatti di conci squadrati di tufo conchiglifero: nella parte inferiore collocati alternativamente di testa e di lato, per meglio legare la costruzione, privi di anatyrosis, tranne uno solo nel basamento della scala, certo però proveniente da edificio anteriore, solo i conci della trabeazione e rocchi delle colonne sono legati a mez1 Marconi 1929, p. 124, fig. 78, vedi ivi tav. xxiii,2. 2 Marconi ritiene l’iscrizione funeraria pertinente ad un heroon, gli scavi degli anni ’60 del secolo scorso hanno dimostrato trattarsi di un tempietto con altare sulla fronte ed esedra laterale, nel contesto di una piazza forense di tipo tardo ellenistico. Per conseguente diversa interpretazione dell’iscrizione cfr. De Miro 2000, pp. 95-96.

34 ernesto de miro zo di grappe. Uno stucco bianco di opera non perfetta ricopre le parti esterne dell’edificio, secondo la norma antichissima di edificare siciliana, però nel basamento inferiore lo stucco è più grosso e impastato con coccio finemente tritato, che gli fa assumere un colore rosso cupo: in Sicilia tra gli edificio tardi solo il prostilo B di Selinunte, presenta eguale opera, che ritroviamo in seguito nei muri romani». Fin qui la descrizione del Marconi,1 che noi completiamo con nuovi rilievi (Figg. 9-10-11-12-13, Tav. ii, 1-2). Completa la descrizione della piazza con tempietto su podio, la presenza sulla fronte dell’edificio alla distanza di m 11,00 ca. preceduto da una pavimentazione a lastre calcaree, di un piccolo altare quadrangolare (m 3,00 × 3,00) con pedana di protysis e gradino ad Ovest; il corpo orientale dell’altare presenta una cavità quadrata di m 1,50 ca. (Figg. 14-15, Tav. iii, 1). Secondo una possibile ricostruzione al corpo orientale sarebbe sovrapposto un corpo analogo “rovesciato” con modanature su tre lati, invertite sopra quelle sottostanti (unione di kyma reversa e kyma recta); il piano sacrificale doveva essere inquadrato da ante laterali. In tal caso non verrebbero escluse le seguenti possibilità: a) appartenenza alle sponde dell’altare dei tre blocchi di triglyphon rinvenuti dal Marconi nello scavo antistante il tempietto e da lui ritenuti per le misure pertinenti ad altra costruzione minore; similmente, il blocco di triglyphon rinvenuto dal Salinas nelle vicinanze; b) copertura “a baldacchino”, come suggerirebbero i cavi di alloggiamento per pali ben visibili nel basamento dell’altare. Una esedra semicircolare in blocchi di arenaria (diam. inf. m 3,50) si apre a Sud verso l’altare (Tav. iii, 2). Pertanto, siamo in presenza di un tempietto con altare, collocato a distanza sulla fronte, e i cui caratteri tipologici e formali si riconducono a modelli italico-romani di diretta influenza o mediati dall’ambiente microasiatico del ii sec. a.C. Questo edificio di cui possiamo accogliere la datazione proposta dal Marconi agli inizi del i sec. a.C. sulla base degli elementi di scavo, è collocato su fondo di un’area libera triporticata, aperta con l’unica parete rocciosa a Nord costituita dal pendio collinare. Senza necessità di richiamare il più noto esempio del Forum Iulium, possiamo concludere che ci troviamo in presenza di una concezione ancora ellenistica della piazza del foro, con tempio sul fondo, ma aperta e accessibile, anche allorché porticata. Una situazione ben diversa dalla concezione della piazza porticata chiusa all’esterno e del tempio tipicamente romano con podio ad avancorpo, esemplificato nel complesso monumentale di età augustea e giulio-claudia sul versante nord della collina adiacente al terrazzo del bouleuterion. Inoltre l’assetto urbanistico realizzato nel ii-i sec. a.C. con l’assicurata continuità della boulè sul versante nord del poggetto, e su quello sud la prima creazione forense di un triportico aperto ancora di tradizione ellenistica, col tempietto su podio – i cui caratteri assimilano modelli italico-romani ad una tradizione architettonica dell’ellenismo anatolico – può configurarsi come risposta non ancora del tutto definita, alle nuove esigenze amministrative relative ai parametri municipali, proposti da Roma. A questo punto dobbiamo richiamare la precedente situazione ellenistica della zona a Nord del poggetto, vale a dire l’area del bouleuterion. Se l’abbandono dell’ekklesiasterion nel ii sec. a.C. trova spiegazione nella connessione storica con l’organizzazione della 1 L’edificio, detto “Oratorio di Falaride” fu trasformato in cappella cristiana in epoca medievale con modifiche conseguenti (porticina archiacuta sul lato ovest; abside, ora scomparsa, sul lato est; cella con volta a vela).

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Fig. 9. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Pianta archeologica (Ril. Arch. G. Cavaleri).

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Fig. 10. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Sezioni est-ovest e nord-sud (Ril. Arch. G. Cavaleri).

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Fig. 11. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Prospetti est-ovest (Ril. Arch. G. Cavaleri).

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Fig. 12. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Prospetti laterali sud e nord (Ril. Arch. G. Cavaleri).

da akragas ad agrigentum . la romanizzazione 39 provincia romana, il bouleuterion continua ad essere in uso modificando il proprio assetto struttivo originario. Infatti dell’edificio si possono distinguere tre fasi principali (Figg. 16-17-18): a) la prima è quella dell’impianto da collocare nel iv-iii sec. a.C. (il muro ovest di spalla della gradinata “taglia” due precedenti livelli di vi-v sec. a.C., e l’insieme è in relazione con le imponenti opere di terrazzamento di iv-iii sec. a.C. (Tav. iv, 1-2). Come in altri esempi anche il bouleuterion ellenistico di Agrigento si apriva sul davanti, su una grande area porticata di m 20,50 × 4,80: un portico lungo la fronte della cavea, con muro di stilobate a grossi blocchi di arenaria, delle cui colonne rimangono tre tamburi di base e per le altre traccia della imposta (diam. 0,80), con interasse di m 2,50; la pavimentazione del portico è a lastroni di arenaria, conservati solo in parte. Probabilmente una strada nord-sud (cardo) si innestava nel portico colonnato sulla fronte dell’edificio, avente la stessa ampiezza, quasi a servire di passaggio e di collegamento tra i due tronchi stradali a Est e a Ovest. b-c) fase romana tardo repubblicana-imperiale, con ampliamento e trasformazione, oltre che Fig. 13. Sezione lato sud del podio prevedibilmente in curia, successivamente in con modanature (Ril. Arch. G. Cavaleri).

Fig. 14. Pianta archeologica della piazza con tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”).

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ernesto de miro odeum, verosimilmente in parte coperto, quale si coglie nel primo quarto del iv sec. d.C. con orchestra pavimentata a mosaico (Tavv. iv, 3-4). A questa fase romana appartengono la canaletta per il deflusso delle acque ricavata dietro il primo dei gradini retrostante la proedria; modifica del principio geometrico con spostamento a NordOvest del centro dell’orchestra e conseguente spostamento dell’ala nord della cavea, dove vengono rifatti i gradini in pietra arenaria; rimaneggiamento dei gradini della cavea con probabile sopraelevazione del riempimento artificiale su cui vengono poggiati gli ultimi tre ordini di gradini; pavimentazione con mosaico policromo dell’area dell’orchestra fino a coprire la pedata originaria della proedria (frammento Fig. 15. Particolare altare, esedra. con decorazione a spirali) e dell’area del portico antistante (frammento figurato con grifone e tripode buccellato); apertura di due soglie laterali all’asse dell’orchestra, di cui in vista quella a Nord; probabile monumentalizzazione architettonico-decorativa (Tav. iv, 5) del muro curvilineo di limite della gradinata (tuttavia tale circostanza va ap-

Fig. 16. Pianta archeologica del bouleuterion sovrapposto al sacello arcaico (da De Miro 1985-1986).

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Fig. 17. Pianta fasi a colori del bouleuterion (da De Miro 1985-1986).

profondita), ormai divenuto esterno dell’odeum scoperto, con una cornice marmorea ornata di ovuli e mensole di acanto (grosso elemento rinvenuto in tempi antichi nella zona e reimpiegato nel 600 nel muro curvilineo di un cisternone del Convento di San Nicola; riuso di una serie di strutture di ambienti a Est del portico (ancora da meglio investigare). In età tardo romana, pertanto, l’area porticata ha subito delle modifiche. Il portico monumentale sulla fronte è stato pavimentato con mosaico figurato (lo stilobate ellenistico risulta coperto dal mosaico) e i tamburi di colonne risultano rivestiti di spesso intonaco. Della fase romana si conserva, con sopraelevazione dei livelli, la rampa gradinata nel corridoio sud dell’impianto ellenistico, per consentire la correlazione tra il livello dell’area antistante con il livello di calpestio retrostante l’edificio, e, per esso, con l’ordine superiore dei sedili.

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Fig. 18. Stratigrafie del bouleuterion (da De Miro 1985-1986).

A questo punto interviene il problema storico. Riassumendo le fasi di vita dell’edificio, anche con cronologie piuttosto larghe, avremo: fase protoellenistica di iv-iii sec. a.C.; fase di rifacimento tardo repubblicana nel ii-i sec. a.C. (ceramica campana C è stata raccolta sotto il piano battuto del livello di calpestio secondario, protrattosi sino ad epoca romana imperiale); fase tardo imperiale di trasformazione del bouleuterion anche nella

da akragas ad agrigentum . la romanizzazione 43 sua funzione, nel iii sec. d.C. (verosimilmente a partire dalla seconda metà: moneta bronzea di Gordiano III 238-244 d.C., sotto il gradino di una scaletta della cavea; moneta bronzea di Gallieno 254-268 d.C., nel sottofondo del mosaico del cortile antistante). Nella seconda fase, piuttosto che nella prima, potrebbe cadere il decreto ig xiv, 9523, con cui gli agrigentini conferirono la proxenia al siracusano Demetrio di Deodoro per servizi resi a Roma, dove doveva risiedere; nella deliberazione si prevedeva, appunto, che una copia di bronzo del decreto dovesse essere posta ÂȘ ÙÔ ‚Ô˘ÏÂ˘Ù‹ÚÈÔÓ. Come è noto, l’iscrizione oscilla tra il penultimo decennio del iii sec. a.C. e la metà del i sec. a.C.1 Partendo dalla constatazione che la capienza del bouleuterion di Agrigento, così come è giunto l’edificio, rivela un numero di circa 300 posti, tale situazione è da riferire alle modifiche successive di ampliamento. In tal caso il decreto della proxenia di Demetrio che contiene una Û‡Á¯ÏËÙÔ˜ ÚÈ (vale a dire un senato di 110 membri), potrebbe riferirsi a data anteriore al 193 a.C., l’anno della pretura di Scipione Asiageno, che molto probabilmente fu colui che legiferò de senatu cooptando, poco dopo la colonia dedotta dal pretore Manlius Vulso.2 In tal caso il decreto della proxenia di Demetrio rispecchierebbe con i suoi 110 membri una situazione precedente, e si può opinare che Scipione, a seguito della ripopolazione della città, non si fosse limitato a legiferare sulle regole della cooptatio tra veteres e novi cives, ma conseguentemente avesse innovato nella composizione del senato cittadino aumentandone il numero dei membri. A tale evento può riferirsi la fase di ampliamento dell’edificio, databile nel ii sec. a.C. In ogni caso il numero di 300 posti calcolabile sullo stato di conservazione dell’edificio non può non ascriversi, anche, se non esclusivamente, al momento della rifunzionalizzazione in odeum. Dobbiamo, tuttavia, spiegarci come nel iii sec. d.C. probabilmente nella seconda metà, se non in epoca costantiniana, le strutture della vita municipale in Agrigento subiscano una notevole trasformazione: si tratta probabilmente di esigenza di un theatrum monumentalizzato, destinato a declamazioni e discussioni filosofiche, secondo la moda tardo antica, riservata ad un pubblico ridotto. In questo quadro si richiama la pavimentazione a mosaico figurato, con la rappresentazione di un grifone che, ali alzate, avanza verso un tripode (rendimento ingenuo e impacciato e stilizzazione delle spirali sul bordo), sacro animale mitico di simbologia mistica nel dibattito filosofeggiante tardo antico.

1 Decreto di Demetrio siracusano (ig xiv,952), De Waele 1971, pp. 34-37, 174-177. Datazione diversa in Forni 1957, p. 65 sgg. (iii sec. a.C.); Ghinati 1959, p. 136 (220-218 a.C.); Sartori 1961 (penultimo decennio del iii sec. a.C.), pp. 53 sgg.; Manganaro 1963, p. 205 sgg. (ii sec. a.C.). 2 Manganaro 1980, p. 423.

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L’ETÀ IMPERIALE Il Foro

C

ome abbiamo precedentemente detto, in età augustea-giulio-claudia, un rinnovato assetto ha consentito di ampliare verso Nord-Est l’area del terrazzo del bouleuterion, creando altro terrazzo su cui sistemare la nuova realizzazione architettonica del foro (Fig. 19, Tav. v). Questa consiste, a quota m 125,30, in un triportico delimitante una piazza di m 60 × 36 (rapporto 1:1,7), su cui si erge un tempio con podio, secondo il modulo di un piede di cm 30. Alla piazza porticata si accede dalla strada a Sud mediante una rampa di tre gradini intonacati (Tav. vi, 1).

Fig. 19. Area del bouleuterion-odeum e terrazzo del Foro di età imperiale.

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Fig. 20. Pianta archeologica del Foro di età imperiale. Il triportico con il tempio.

l ’ età imperiale

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Il Triportico Misura all’esterno m 60 rispettivamente sui due lati lunghi est ed ovest, m 36 sul lato breve nord. I lati del triportico presentano un muro di fondo conservato per una altezza di m 2,00 circa (portico nord), e di m 1,60 (portico ovest); del muro di fondo del portico est è per il momento in luce un tratto dell’angolo nord-est (Fig. 20, Tavv. vi, 2-vii, 1). Il muro di fondo del portico ovest (Tav. vii,2), messo in luce per una lunghezza di m 32, presenta un elevato di conservazione pari a quattro filari di conci squadrati per una altezza complessiva di m 1,60 circa. È da osservare che la porzione meridionale di tale muro non conserva i filari superiori, asportati nelle operazioni di riutilizzazione medievale e settecentesche; nella porzione settentrionale la cresta del muro conservato risulta parzialmente coperta da uno strato di malta (quota m 125,96), riconosciuto quale piano di calpestio di una fase tarda di frequentazione dopo l’abbandono del portico monumentale (seconda metà del iv sec. d.C.). Il portico è largo m 4,80 ed ha sulla fronte un colonnato a fusto liscio intonacato con numero di 25 colonne più una semicolonna terminale incassata per una profondità di cm 20 nella parete del muro di limite sud della piazza. Il muro di stilobate del colonnato consta di due filari per una altezza pari a m 1,00 circa; esso presenta il filare superiore notevolmente usurato, i cui conci squadrati non superano l’altezza di m 0,35, e sono messi in opera con alternanza dei blocchi di imposta delle colonne – nei quali è lavorata anche la radice della colonna stessa per l’altezza di cm 20 – ai blocchi posti negli intercolunni, i quali ultimi sono generalmente in numero di due (l’uno maggiore allungato, l’altro piccolo posto a chiudere lo spazio di raccordo con il blocco di imposta della colonna). L’intercolumnio è di m 1,70, l’interasse di m 2,20. Il portico nord conserva il muro di fondo per buona parte del tratto orientale (lunghezza m 24) e per una altezza massima di m 2,00 circa (Fig. 21, Tav. viii, 1-2). La struttura è in tecnica isodoma di conci di arenaria di modulo regolare, e ogni filare è alto m 0,50. Il muro stesso segna il limite nord della piazza monumentale, e al di là corre un asse viario secondario, di cui la porzione inferiore del muro funge da sostegno del riem-

Fig. 21. Prospetto del portico nord.

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ernesto de miro pimento, segnando un salto di quota di m 1,00 circa. Come per gli altri lati del triportico, la parte interna del muro di fondo del portico nord conserva cospicui resti di intonaco bianco, e nel caso specifico non mancano tracce di restauro antico con l’impiego di rottami di mattone cementati con malta. Le colonne sulla fronte del portico nord sono in numero di 13 (non tutte riportate alla luce). Lo stilobate presenta la stessa tecnica costruttiva notata nel portico ovest, risultando di due blocchi di arenaria, l’uno maggiore l’altro stretto, incuneato tra i blocchi di base delle colonne. La base della colonna è intagliata nello stesso blocco dello stilobate per un’altezza conservata di soli cm 5. Le colonne risultano di sottili fusti sovrapposti, per un’altezza ciascuno di poco più di un metro. Le colonne superstiti del portico nord consentono di fare alcuni rilievi tecnici. La superficie di contatto dei fusti presenta al centro l’incavo per il perno di stabilità, e, in oltre, sulla faccia verticale si osserva talora una tacca evidentemente destinata al richiamo dei fusti di contatto. Sempre sulla faccia laterale di alcune colonne sono alcuni incassi Fig. 22. Pianta schematica ricostruttiva di forma tronco-conica, all’interno dei del Foro di età imperiale. Particolare. quali si conservano resti di calce, per cui è possibile ipotizzare l’alloggiamento di sostegni di transenne negli intercolunni. Resti di un rivestimento di intonaco grossolano aderiscono ai fusti delle colone superstiti, mentre risalta evidente la finezza di un intonaco originario nello zoccolo inferiore della colonna, sottrattosi alla più tarda reintonacatura, obliterato per via della sopraelevata pavimentazione. Il lato orientale del triportico non è stato possibile al momento portare alla luce, almeno sino al muro di fondo, in quanto sottostà al muro di cinta settecentesco del complesso monasteriale (Tav. viii, 3-4). Sono in vista le creste di 17 fusti di colonne e, come per il portico occidentale, anche quello orientale chiude a Sud con il muro di contenimento e di spalla del decumanus, attestandosi ad esso con una semicolonna incassata. Le colonne misurano m 0,45 di diametro inferiore di cm 5 rispetto alle colonne degli altri lati, a parità di quota. Se si volesse offrire una ricostruzione del triportico (Fig. 22), esso in pianta ed elevato figurerebbe con un numero complessivo di 61 colonne e due mezze colonne terminali, alte fino a metri 4,50/5,00 (rapporto diametro inferiore-altezza 1:10), con capitello di tipo tuscanico, trabeazione con architrave fregio e cornice per una altezza complessiva di m 1,20, un tetto ad unico spiovente ricoprente lo spazio di m 4,80. Dati utili per l’architet-

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Fig. 23. Blocchi di trabeazione appartenente al portico (Ril. Arch. G. Cavaleri).

tura orizzontale del portico vengono dal crollo di alcuni elementi architettonici a nord del tempio, crollo avvenuto in momenti diversi, a quote diverse, in parte a contatto con il battuto della piazza. Si tratta di un blocco unico di architrave e fregio dorico di pietra arenaria (Fig. 23, Tav. ix, 1-2), lungo m 1,96, alto m 0,65, con modanatura grossolanamente intonacata; tre blocchi di cornice (altezza m 0,45) con ampio canale di scolo al margine superiore ed un profondo incasso quadrangolare sul lato posteriore, conservante resti di intonaco sulla superficie modanata a profilo concavo ed uno spesso strato di malta idraulica sul canale di scolo. Interessante è il blocco del fregio dorico, costituito da metope alternate a triglifi, con l’inserimento di un elemento a rilievo liscio, che con un intervallo di due triglifi si sostituisce al triglifo stesso. La scansione del fregio rispetta intervalli regolari, per cui le metope larghe m 0,33 si alternano ai triglifi larghi m 0,25; la medesima misura mantengono gli elementi inseriti a rilievo liscio. Non appare dubbio, anche per la giacitura nel crollo, che gli elementi architettonici appartengano alla trabeazione del portico settentrionale, per cui il blocco di architrave e fregio ben si adatta, con le dimensioni conservate (lunghezza m 1,95) e tenuto conto della frattura, a coprire lo spazio tra le colonne, misurante m 1,60 (interasse m 2,10/m 2,20). Completano l’architettura della parte alta del portico nord i seguenti elementi decorativi: a)protome leonina a fauci spalancate, in pietra arenaria (altezza m 0,20; larghezza m 0,16); la superficie posteriore è piana con un incasso poco profondo all’altezza della bocca, destinato all’alloggiamento (Tav. ix, 3); b) testa di divinità femminile in pietra calcarea con polos, orecchino, capelli divisi in bande da una riga centrale (altezza m 0,125; larghezza m 0,085), superficie posteriore piana e grossolana, ed un foro passante attraversa la parte posteriore del polos per l’inserimento di una qualche grappa (Tav. ix, 4). Il tutto fa ritenere trattarsi di un rilievo figurato metopale, e la sua raffigurazione po-

50 ernesto de miro trebbe ben essere collegata, come vedremo, alla nostra recente interpretazione del complesso monumentale quale Iseo. Come risulta dalla fitta concentrazione di crollo nello spazio interno dei portici ovest e nord, la copertura era ottenuta con tegole ricurve del tipo tardoromano generalmente associati a materiali di iv-v sec. d.C. (tegole del tipo B della classificazione Wilson),1 con l’estremità a bordo ingrossato e arrotondato, e la parte posteriore ad angoli smussati, alcune con il contrassegno X inciso; tale copertura, evidentemente, apparteneva alla fase ultima di vita del monumento, fase costantiniana?, e la cronologia del crollo si pone nella seconda metà del iv sec. d.C. (terremoto del 365 d.C.)2 ovvero nella prima metà del v sec. d.C. (probabilmente da ricollegare alla invasione vandalica del 440 d.C.).3 Il Tempio All’interno dello spazio racchiuso dal triportico, in posizione pressoché centrale (m 7,50 dai portici ovest ed est e m 6,50 e m 29,00 rispettivamente dal portico nord di fondo e dal muro di limite sud, lungo il corso ristretto del decumano) sta il tempio, disposto nord-sud (Fig. 24, tavv. x, 1-2-3). Il tempio si compone di cella e pronao ad avancorpo su podio. La cella misura alla base del podio m 12,35, in elevato m 11,90 × m 7,60; il podio del pronao misura m 12,20 di larghezza e m 6,10 di profondità, con un rapporto di 1:2; gli aggetti per le rampe laterali misurano m 2,25. La lunghezza complessiva dell’edificio in elevato è, pertanto, di m 18,00; e l’altezza massima conservata relativa al basamento è di m.1,50 (lato est della cella). Anche qui il calcolo di costruzione risulta su modulo di un piede di circa cm 30. La fondazione del basamento della cella è costituita da un sistema di concamerazioni,4 indagato in numero di tre, con filari di conci squadrati paralleli ai lati brevi e ammorsati nel terreno di riempimento (Tav. x, 4). La tecnica costruttiva dei muri del basamento della cella impiega filari regolari di conci di arenaria squadrati, alternatamente affiancati di testa e di taglio. Dalla parte interna i conci aggettano in modo irregolare e discontinuo, funzionale al migliore ammorsamento al terreno di riempimento interno al basamento medesimo. All’esterno il basamento sui lati ovest, nord ed est presenta una ricca modanatura su due blocchi, consistente in una larga fascia a gola dal profilo morbido, alla base della quale è una duplice risega aggettante rispettivamente di m 0,25 e di m 0,10 (0,17 sul lato nord); tale modanatura non si estende al muro sud della cella, in quanto esso costituiva la parete di fondo alla quale si appoggia il podio del pronao. All’interno, sul fondo, sono i resti in pietra arenaria della base di una statua (lungh. mass. cons. m 1,00 circa). La struttura del podio del pronao presenta pianta rettangolare trasversale alla fronte della cella, rispetto alla quale aggetta per lato di m 2,25. Il muro del podio consta di tre filari di conci squadrati di arenaria, pari a m 1,55 di altezza a partire dalla risega di fondazione; esso presenta una cornice (conservatasi sui lati est e sud, Tav. xi, 1-2-3) e una mo-

1 Wilson 1979, p. 11 sgg. 2 Di Vita 1990, pp. 441-465. 3 Mazza 1997-1998, pp. 107-138; Di Stefano 2006, pp. 1216-1218; Wilson 1990a, pp. 330-331. 4 Si può richiamare il tempio B di Pietrabbondante dove è nel podio un perfetto sistema di concamerazioni (La Regina 1984, pp. 248-249).

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Fig. 24. Pianta archeologica del tempio.

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Fig. 25. Il podio del tempio di età imperiale. Lato est.

Fig. 26. Il podio del tempio di età imperiale. Lato nord.

danatura alla base più semplice di quella del muro della cella, a profilo convesso sopra una risega aggettante a spigolo vivo (Figg. 25-26-27). La tecnica di costruzione vista dall’interno, liberato dal terreno di riempimento, mostra una scarsa cura nella messa in opera dei conci; per cui, se il lato settentrionale sfrutta la parete del basamento della cella, i muri laterali presentano filari di conci di lunghezza decrescente a partire dall’alto, seguendo la modanatura del basamento della cella a cui si appoggiano (Tav. xi, 4). Per la costruzione del podio risultano impiegati blocchi di riutilizzo (altezza m 0,50; lunghezza m 0,80/1,25), alcuni dei quali conservano sulla superficie resti evidenti di un originario rivestimento di intonaco; inoltre, alcuni incassi e sporgenze su tali blocchi, non risultando funzionali alla struttura del podio, denunciano il loro riuso da strutture preesistenti. Il podio era pavimentato con lastroni di arenaria allineati in senso est-ovest, di modulo regolare (lunghezza m 1,50; larghezza m 0,60; spessore m 0,20). Al podio si accedeva mediante due rampe laterali di nove gradini (larghezza m 1,50; pedata m 0,30; altezza m 0,20), contenuti tra l’aggetto laterale del muro nord del podio medesimo e il muro di spalla sagomato a volute (Figg. 28-29); all’altezza del secondo gradino un foro praticato nella risega del muro della cella suggerisce l’esiFig. 27. Sezione del lato ovest del podio stenza di un cancello (Tavv. xii, 1-2-3-4). con le modanature.

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Fig. 28. Pianta particolare dell’avancorpo e delle rampe.

Fig. 29. Sezione del saggio 4/95.

A m 10.00 ca. a Sud del tempio sono affiorati i resti dell’altare (scavi in corso, Tav. xiii, 1-2-3). Se volessimo dare una restituzione del tempio, in pianta e in elevato (a parte gli elementi lapidei sparsi intorno), dovremmo proporre una cella indivisa su basamento con pronao ad avancorpo più largo, aggettante sui lati di m 2,25, pari a un terzo della larghezza della cella, e collocare quattro colonne sulla fronte (di cui le esterne in asse con i muri della

54 ernesto de miro cella) e due laterali, con interasse di m 2,40; altezza presunta m 6,00, trabeazione con fregio dorico (Tav. xiv). Al tempio su podio tardo-ellenistico-repubblicano, così detto “Oratorio di Falaride”, che accoglie sulla fronte prostila la rampa di accesso, secondo esempi ricorrenti in Sicilia (si pensi al tempio di Capo Mulini presso Acireale), il nostro tempio oppone la soluzione di un podio che si continua in un avancorpo aggettante lateralmente, nelle cui rientranze sono accolte le rampe di accesso. La modanatura di base e di cornice del basamento della cella non si continua sulla fronte, per cui è da ritenere che il progetto prevedesse o una rampa frontale addossata (successivamente sostituita dall’avancorpo del pronao) o sin dal primo momento la soluzione dell’avancorpo medesimo, che, comunque, sarebbe stato realizzato dopo circa un quarantennio (come preciseremo più avanti nella trattazione cronologica). La soluzione del pronao ad avancorpo trasversale aggettante sui lati non ha esempi in Sicilia. Se tale soluzione è stata preceduta in ambiente urbano dal tempio di Venere Genitrice nel Forum Iulium (prima fase),1 e ribadita dal tempio di Minerva nel Foro Transitorio,2 essa trova il suo parallelo nel mondo provinciale ad Ampurias nel triportico cintato e tempio sul fondo con pronao ad avancorpo trasversale aggettante, tetrastilo, e rampe laterali, al margine sud-orientale della Neapolis, risistemata nel terzo quarto del i sec. a.C., quando il centro ricevette il titolo di municipium.3 Portico e tempio vengono indicati contemporanei dai dati di scavo. Così, il battuto di calpestio esterno relativo allo stilobate del portico nord, raggiunto in un apposito saggio (Figg. 30-31), fatto di arenaria compatta, conteneva un frammento di sigillata italica; il riempimento originario dell’alto basamento della cella fin dentro la concamerazione di fondazione ha restituito, fra l’altro, un frammento di piatto Conspectus 12 associato ad altro di coppa Conspectus 26 in sigillata italica, suggerendo, pertanto, per la costruzione della cella un momento tardoaugusteo-tiberiano; il riempimento all’interno della struttura del podio del pronao ad avancorpo aggettante, insieme a frantumi di grossi blocchi conservanti resti di intonaco (strutture murarie preesistenti riferibili ad una originaria scalea frontale?), ha restituito in uno strato ben definito frammenti di vasellame da mensa in sigillata italica, databile nella tarda età tiberiana o verso la prima metà del i sec. d.C. Con la tarda età augustea si accorda l’ellenizzazione delle forme,4 che in Agrigento, non è solo nella affermata tradizione struttiva classica a conci squadrati ma ancora nelle modanature di base del podio della cella, dove si recupera la continuità unificante del profilo. Lo scarto cronologico tra cella e avancorpo del pronao è confermato dalla constatazione stratigrafica, in quanto il battuto a ridosso della fondazione della cella e ad essa coerente risulta tagliato dalla fondazione del podio del pronao, aggiunto, pertanto, circa una generazione più tardi. Un problema cronologico a sé è costituito anche dalle rampe laterali di accesso, in quanto la presenza di sigillata africana della produzione A pone la costruzione nel corso del ii sec. d.C. 1 Gros 1976, Tav. ix; Amici 1991, p. 31 sg. 2 Bauer-Morselli 1995, p. 307 sgg. 3 Aquiluè-Mar-Ruiz De Arbulo-Samalti 1984; Gros-Torelli 2007, p. 299 sgg. 4 Delbrueck 1907-1911; Gros 1987; Idem 1996, pp. 127-130.

Fig. 30. Sezione stratigrafica nord-sud del portico nord e del tempio di età imperiale.

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Fig. 31. Sezione stratigrafica all’interno del podio del tempio di età imperiale.

Fig. 32. Sezione stratigrafica a ridosso del lato ovest del tempio (1995).

Stando così le cose, è possibile ipotizzare che originarie rampe laterali in pietra arenaria, coerenti con le rientranze dell’avancorpo avvolgente, una volta usurate, dopo oltre un secolo siano state sostituite da quelle pervenuteci, appoggiate alle pareti del tempio, con sponda a voluta “barocca”, ben inquadrabile in età antoniniana. Il complesso monumentale è rimasto in vita sino oltre la fine del iv sec. d.C., con il crollo della copertura del portico (frammenti di terra sigillata africana della produzione D1 fra le tegole del crollo) e con l’innalzamento del piano di calpestio dell’intera piazza con un battuto di argilla, finché sopravviene il suo abbandono e l’area venne utilizzata come discarica di macerie di edifici vicini (la discarica a più gettate contiene ceramiche di iv e v

l ’ età imperiale 57 sec. d.C., quali vasellame da fuoco di produzione africana, Pantellerian Ware, anfore forma Keay liii ): avvenimenti da porre verosimilmente in relazione con il sacco di Genserico del 440 d.C. e con successive opere di risistemazione urbana che devono essere seguite a tale distruzione (Fig. 32). Identificazione con l’Iseo Dai resti, la cella doveva essere pavimentata con lastroni di arenaria, e sul fondo, una base di blocchi doveva reggere la statua della divinità, a cui verosimilmente riferire il piede marmoreo, con lembo di chitone morbido sul dorso, di una statua femminile panneggiata (Tav. xv, 3). Diciamo sin da adesso che la nostra proposta è identificare il tempio con un Iseon, sulla base di elementi che appresso valuteremo. La statua di divinità femminile di cui gia detto, in questo caso, può essere stata del tipo dell’Iside da Taormina al Museo di Palermo1 Inv. 704. Fig. 33. Rinvenimento dei due togati Lungo i portici dei lati est e ovest basi in a Sud-est del tempio. pietra arenaria dovevano sostenere statue marmoree di divinità connesse, come nell’Iseo pompeiano.2 Tuttavia, la recente scoperta nell’area di statue di togati può lasciare spazio anche per queste ultime3 (Fig. 33, Tav. xv, 1-2). 1 Pace 1938, p. 144; Idem 1945, p. 680, fig. 186; Bonacasa 1964, p. 100, n. 128, tavv. lviii, 3-4 e xii, 4; Malaise 1972, p. 324, 9, pl. 64; Sfameni Gasparro 1973, p. 225, tav. xxviii, 44. 2 Tran Tam Tinh 1964. 3 Le due statue marmoree di togati di grandezza maggiore del vero sono state rinvenute giacenti in prossimità dell’avancorpo del tempio. Assicurata l’assenza di statue con toga exigua di età repubblicana, ci limitiamo in questa sede a descrivere la scultura che meglio si conserva, segnalando che alle due ritrovate negli scavi vanno aggiunte altre due, provenienti verosimilmente dallo stesso sito, in un ritrovamento non meglio determinato del xix secolo e che hanno fatto parte della collezione del Museo Civico, adesso esposte nel Museo Archeologico Regionale di Agrigento. La statua A, da noi considerata, è alta m 1,73. Perduta la testa, perduti gli avambracci di riporto. L’abbigliamento è nella resa tipica: ampia toga indossata sopra la tunica, lembo sulla spalla sinistra ricadente sul davanti; fascia di pieghe raccolte sul petto (umbo); gruppo di pieghe risalente sul davanti, dall’ascella destra (balteus); orlo curvilineo ricadente all’altezza del ginocchio flesso (sinus); ampio panneggio a sinus che risale dal piede della gamba destra per ricadere avvolgente sul braccio sinistro, e da qui su di una cista cilindrica con coperchio e bendatura; orlo inferiore raggruppato a frangia centrale sulla base (lacinia); piede calzante il calceus. Sul retro, ampia fascia pieghettata attraversa verticalmente il corpo dalla spalla alla base. Gli elementi di cui sopra, con l’ampia corposa drappeggiatura tra le gambe e sul fianco sinistro, non esente da esiti chiaroscurali conseguiti senza indulgere, collocano la datazione delle sculture nella prima metà del i sec. d.C. Può trattarsi di magistrati o comunque di personaggi di ruolo nella realtà politico amministrativa della città; e non è esclusa

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ernesto de miro Strutture e ambienti collaterali al santuario dovevano svilupparsi a Ovest del peribolo, verso la conca dell’euripo e ad Est nello spazio che separa dal quartiere di abitazioni romane (il c.d. quartiere ellenistico-romano di contrada S. Nicola), dai cui scavi sono noti oggetti di carattere egizio, fra cui alcune lucerne con raffigurazione di Serapide e di Iside1 (Tav. xv, 4). Ancora in corso sono il restauro e la classificazione dei materiali rinvenuti nello scavo del santuario, e in particolare di quanto in gran numero si è rinvenuto nelle gettate a Nord del tempio dopo il suo abbandono nel v sec. d.C. Tuttavia, alcuni oggetti sono stati di già considerati significativi per la natura del luogo sacro, già di per sé così caratterizzato sul piano architettonico. La nostra attenzione è caduta innanzitutto su un oscillum fittile con duplice foro di sospensione (diam. cm 7,00; spess. cm. 2,5) con bollo al centro (diam. cm 1,6 × 1,9). Nelle tre fasi del tempio da noi riconosciute (quella di prima età imperiale con gradinata sulla fronte della cella; poi con pronao; e terza quella di età adrianeo-antonina con pronao prostilo e scalette laterali), l’oscillum potrebbe appartenere all’ultima (Tav. xvi, 1-2). Nel bollo è raffigurata una figura femminile – secondo noi Iside – nella iconografia, qui adattata, dell’Afrodite accoccolata, che, di creazione tardo ellenistica alessandrina, dal luogo di rinvenimento di un pregevole esemplare marmoreo è detta Afrodite tipo Rodi. Nella rielaborazione greco-egizia di età romana l’iconografia della dea, con le braccia sollevate a strizzare i capelli umidi di bagno, è stata modificata talora con semplice aggiunta di attributi egizi, talora nella stessa composizione e con ideologia iconografica accentuatamente egizia. Nel primo caso possiamo richiamare il rilievo calcareo del Museo Egizio di Torino 1668,2 dove Iside accoccolata con torso e volto di prospetto figura all’interno di un naiskos egiziano coronato da urei; con un ginocchio puntato sopra un coccodrillo disteso e semplice aggiunta del basileion sul capo, che ella tocca con la mano destra sollevata. Nel secondo caso ricade il nostro oscillum, dove la figura divina di profilo è inginocchiata con il corpo su ambedue le gambe distese, secondo una tradizione egizia, notoriamente rappresentata dalla stessa statuetta lignea dipinta di Iside al Louvre.3 Inoltre le braccia della dea, simmetricamente sollevate verso l’alto, disegnano l’arco del crescente lunare, a sostenere il disco solare, e l’intera elaborazione iconografica diviene del tutto funzionale a esprimere natura e ideologia divina. l’ipotesi di personaggi legati a forme di evergetismo interessanti il Foro. Il confronto dei nostri togati va innanzi tutto con i quattro esemplari da edifici pubblici da Termini Imerese, in cui è analoga concezione maestosa del panneggio, anche se con maggiore accentuazione di sottosquadri, specie in quella che per datazione si avvicina più all’età flavia (Bonacasa 1960, pp. 12-15, tavv. 6-7; Belvedere 1993, fig. 21). Si aggiungano i confronti con i togati dagli edifici pubblici da Scolacium, di trattazione meno plastica nel verticalismo delle pieghe sul retro (Scolacium, pp. 101-102, figg. 8,10,12); Né si può omettere il richiamo alla nota statua di togato da Velia, datata in età giulio claudia (Pugliese Carratelli 1988, p. 230-231, figg. 281-281), confronti si possono estendere alla provincia iberica, ai togati dal teatro di Tarraco (Aquilué 1991, p. 47) e con le due statue di Merida con firma dello scultore, datate in epoca flavia (Guerrini, p. 927 s.v. Merida). 1 Le lucerne provenienti dal quartiere ellenistico-romano sono inedite. 2 Adriani 1961, p. 19, fig. 1; 27, n. 106; Tran Tam Tinh 1990, p. 781 n. 259; Donadoni et alii 1988, p. 213. 3 Vandier 1948.

l ’ età imperiale 59 Nei processi sincretistici di età greco-romana si fa di Iside una divinità cosmica, che riunisce in sé le caratteristiche e gli attributi di numerose divinità femminili a lei assimilate, fra cui si evidenzia, nel nostro caso, Afrodite/Venere, dea dell’amore con cui Iside/Athor si identificava.1 Sulla compresenza di Iside/Afrodite sino alla identificazione delle due divinità si citano gli esempi di Atene, Dion, Kyme (il centro più importante del culto iliaco nell’Eolide),2 e la presenza di una statua di Afrodite con Eros risulta dall’Iseo di Cirene.3 In Sicilia l’associazione Iside-Afrodite si riscontra a livello topografico-religioso a Erice, sede del famoso tempio di Venere, dove una nota terracotta raffigurante Iside con caratteri egizio-punici4 denuncia l’esistenza di un Iseo contiguo o assimilato con lo stesso tempio della dea poliade. È chiaro a questo punto che, partendo dall’oscillum con Iside-Afrodite, il nostro discorso intende avvalorare la seducente proposta di riconoscere nel tempio con triportico un Iseo, e ancora raffronti e considerazioni possono venire a suffragare la nostra proposta. Il nostro tempio su podio all’interno di un’area recintata e porticata con basamenti di statue lungo il lati est e ovest del peribolo – sia pure in una composizione architettonica semplificata e resa spoglia dallo stato di conservazione privo di elevato – richiama il triportico dell’Iseo Campense anch’esso protetto da un alto muro alla maniera egizia, e, più visibilmente, l’Iseo di Pompei5 con quadriportico, e come quest’ultimo, trovasi in un contesto urbanistico di edifici pubblici civili, quali il bouleuterion-odeon, e, verosimilmente, il teatro. Nell’Iseo di Pompei le statue di Iside e di Venere sono compresenti e, in particolare, va segnalato che nell’angolo sud del quadriportico fu trovata la statua marmorea della Venere accoccolata che si strizza le chiome dopo il bagno, ora al Museo Nazionale di Napoli (tipo presente in rielaborazione greco-egizia nel nostro oscillum). Lo scavo del triportico in Agrigento non ha ancora raggiunto il livello originario e, pertanto, non è da escludere l’esistenza di una rete di canalette di natura pratica e religiosa, dato che l’acqua sembra avere avuto parte importante in tale genere di edifici; inoltre non è esclusa l’esistenza di un euripus nel taglio nord-sud al limite meridionale del terrazzo del santuario. Ancora in corso, come già detto, sono il restauro e la classificazione del materiale rinvenuto, e quindi mancano per adesso ulteriori notevoli elementi atti a verificare l’identificazione dell’Iseo, ma riteniamo di dover segnalare sin da adesso altri oggetti che appaiono particolarmente significativi. Innanzitutto, è stato rinvenuto un orologio solare o gnomone (Tav. xvi, 3) che, al pari della clessidra, caratterizza la presenza di un Iseo, come per l’Iseo fuori Porta Portese a Roma ove tale ipotesi è stata prospettata.6 Tale oggetto, legato al computo del tempo, rientrava nell’arredo del tempio isiaco, ai cui sacerdoti era demandato il compito di 1 Donadoni et alii 1988, p. 74, cat. 694. 2 Dunand 1973, pp. 86 ss., 259 ss.; Walker 1979; Pandermalis 1982, pp. 727-735; Wild 1984, pp. 17391185. 3 Ghislanzoni 1927, p. 116 sgg., fig. 24; Paribeni 1959, p. 99, n. 258, tav. 130; Ensoli Vitozzi 1992, p. 233, tav. xx, 2. 4 Bisi 1969; Sfameni Gasparro 1973, p. 253, tav. liv, 88. 5 Lanciani 1883, pp. 33-60; Coarelli 1996, pp. 107-109; Alfano 1992, pp. 11-12; Ensoli 1998, pp. 407438. 6 Coarelli 1982, p. 65 n. 13.

60 ernesto de miro scandire il ritmo temporale. Iside era venerata come divinità astrale, senza escludere, come nell’Iseo Campense, un contesto religioso di assimilazione divina dei sovrani defunti, sino all’associazione con il culto imperiale,1 sulla linea della tradizione faraonica e tolemaica che identificava il sovrano con la divinità. Seguono i seguenti oggetti: - Braccio in marmo2 di stata femminile di grandezza al vero (Iside?). Lungh. res. cm 18, largh. cm 10,9 (Tav. xvi, 4). - Testina femminile con modio (alt. cm 15), orecchini, pupilla rilevata e segnata, in pietra arenaria (Tav. ix, 4), un foro alla sommità (per attributo o grappa); la testa è in alto rilievo, per cui è piatta e grezza la parte posteriore. Non escludiamo possa trattarsi di un rilievo raffigurante Cibele, del tipo di quella in naïskos da Siracusa,3 atteso che la figura di questa divinità è frequentemente attestata nei santuari isiaci, sino alla identificazione con la dea egizia.4 - Potrebbe essere connesso, sia pure non direttamente, con tale divinità asiatica il rilievo in pietra arenaria di protome leonina, feroce nella espressione e agitata nei ciuffi della corta criniera (Tav. ix, 3); il rilievo non appartiene ad una grondaia decorativa, quanto piuttosto a composizione narrativa di un qualche fregio architettonico. - Un frammento di lastra marmorea a rilievo piatto con fiore di loto e tracce di colore rosso potrebbe ben trovare collocazione in tale contesto isiaco (tav. xvii, 1). - Un piccolo pendaglio-amuleto, in pasta vitrea verde scuro (tav. xvii, 2). Tale genere di oggetti ricorre nei culti egizi, e in Sicilia larga documentazione, anche figurata, proviene da Panormo.5 Particolare interesse riveste un frammento di tegola che presenta come contrassegno il prospetto a rilievo di un edificio (naiskos?), al cui centro interno è la rappresentazione di un elemento aniconico, e, in alto, al di sopra, il disco solare reso a pallina piena (Tav. xvii, 3). Non mancano testimonianze di idoli aniconici riferiti alle divinità orientali; in ambiente punico si può richiamare, tra l’altro, la stele votiva con “idolo a bottiglia” proveniente da Nora (iv sec. a.C.?), al Museo di Cagliari.6 Così, al di là di semplice motivo decorativo, concorrono al contesto della simbologia egizia le teste di ariete appaiate in rilievo sulla presa di un louterion fittile rituale (Tav. xvii, 4). In conclusione, al momento, non possiamo richiamare il numeroso materiale di simbologia orientale rinvenuto nello scavo del tempio romano, materiale convergente verso la nostra identificazione del triportico santuariale con l’Iseo di età imperiale. Tuttavia, per ultimo citiamo, fra le non poche lucerne, un esemplare tipo viii Atlante,7 databile nella seconda metà del iv sec. d.C., che presenta raffigurato nel tondo un personaggio teriomorfo di profilo a sinistra, con corta veste e mantello, testa felina dalla bocca digrignante con denti aculeati, orecchie sollevate e tre ciuffi ritti alla sommità del capo, braccio destro abbassato con zampa a cuscinetto, l’altro sollevato che tiene per il collo un volatile o serpente, gambe libere pendenti nel canale della lucerna (Tav. xvii, 5). 1 Ensoli 1998, pp. 415-417. 2 Area del piazzale, us 1131, AgP. 3 Graillot 1912, p. 36, tav. i; Sfameni Gasparro 1973, p. 264, tav. lxi. 4 Dunand 1973, pp. 267-268. Per le tematiche soteriologiche, Sfameni Gasparro 1985; Malaise 1972, pp. 467-468. 5 Sfameni Gasparro 1973, p. 246 sgg. Per gli amuleti, cfr. Reisner 1907-1958. 6 Moscati 1988, p. 318. 7 Atlante i , pp. 194-195, tav. xcvii, 4.

l ’ età imperiale 61 Se così stanno le cose, l’Iseo di Agrigento è l’unica testimonianza archeologica monumentale che di tali santuari si conoscano in Sicilia, ad accezione degli avanzi, tuttora visibili, di un Serapeo-Iseo inglobati nelle strutture murarie della chiesetta di S. Pancrazio a Taormina. Iside e Serapide sono noti in Sicilia sulla base di testimonianze letterarie ed epigrafiche. L’esistenza di un Serapeo a Siracusa è attesta da Cicerone (Verr. ii, 160), che lo definisce celeberrimus atque religiosissimus locus; tale esistenza è indirettamente attestata da alcune iscrizioni, fra cui la nota epigrafe funeraria, in cui figura la qualifica sacerdotale di Isidis scoparius.1 Quanto all’aspetto sincretistico cultuale, l’Iside siracusana pare doversi identificare con Artemide.2 Iside-Fortuna è presente in un bronzetto ellenistico romano da Leontini al Museo Archeologico di Siracusa,3 come in una serie di bronzetti da Catania al Museo del Castello Ursino.4 Iside Hestia è identificata in una iscrizione greca da Taormina:5 La connessione Iside-Cibele figura attestata in una terracotta ellenistica da Messina.6 L’aspetto Iside-Afrodite, presente in Agrigento, è pressoché isolato nel contesto siciliano, solo se si pensi a una discussa iscrizione centuripina7 e al santuario di Venere ericina nei termini sopra detti. Possiamo, pertanto, concludere che in Agrigento è la unica testimonianza archeologica e architettonica conservata di un Iseo di età imperiale in Sicilia, e della relativa singolare assimilazione della dea egizia con Afrodite/Venere. Completa la configurazione della piazza porticata la presenza di una strada larga m 3,20, che alle spalle del muro nord del triportico corre in senso est-ovest, parallela al decumanus, costituendo un asse viario di servizio del complesso monumentale (Tav. xviii, 1). Tale strada, durante l’ultima fase di utilizzo, presenta un piano di calpestio in battuto arenario, al di sopra del quale lo scavo ha incontrato uno strato di macerie (riporto per innalzamento del piano di frequentazione?). Lo strato ha restituito materiale che copre un arco cronologico estremamente ampio, dall’età greca all’età tardo romana: in esso l’elemento più tardo è costituito da un orlo di anfora tipo Kaey LVa, databile dalla fine del v alla fine del vi sec. d.C., in ciò accordandosi con la datazione fornita dalle gettate di abbandono a ridosso del tempio, per cui ne deriva la conclusione che la strada medesima nel corso del vi d.C. non dovette essere più in uso, così come visto per l’intera area della piazza. A Nord della strada, limitata dal muro perimetrale di un isolato, sono allineati sei ambienti (da Ovest a Est: m 4,50 × 2,85; 4,30 × 2,85; 4,70 × 4,00; 5,00 × 4,00; 4,50 × 6,00; 3,50 × 9,50), nessuno dei quali risulta aprirsi sulla strada, rendendosi, così, ancora più limitata la funzione della strada medesima ad esclusivo servizio del complesso della piazza porticata, la cui fronte si apriva a Sud sul decumano (Fig. 34, Tav. xviii, 2). 1 2 4 5 6 7

cil x, 7129; Manganaro 1961, p. 176 sgg.; Sfameni Gasparro 1973, p. 3 sgg. 1963, p. 65. 3 Sfameni Gasparro 1973, pp. 55 e 203, fig. 25. Libertini 1930, p. 87, n. 192; Sfameni Gasparro 1973, pp. 63 e 211-212, fig. 30. ig xiv, 433; Manganaro 1961, p. 18; Sfameni Gasparro 1973, p. 71. Orsi 1916, c. 126; Sfameni Gasparro 1973, pp. 77-78. Libertini 1926, p. 78; Nock 1953, p. 289; Sfameni Gasparro 1973, pp. 70-72.

Fig. 34. Planimetria del settore M, strutture a Nord del portico settentrionale con la strada interposta.

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l ’ età imperiale Due cardines, adiacenti ai muri che delimitano la piazza ad Est e ad Ovest, dovevano verosimilmente raccordare tale asse viario secondario con il decumano. La destinazione degli ambienti non è definibile allo stato attuale dello scavo, che ha costatato almeno in uno di essi l’esistenza di un piano superiore i cui pavimenti crollati sono in cocciopesto mosaicato e in mosaico di tessere bianche. Non si esclude per alcuni degli ambienti un uso pubblico (edificio termale).

11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16)

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Elenco blocchi architettonici Blocco di cornice modanato (Saggio 6/95), appartenente al lato est del portico (Fig. 35) Blocco di cornice modanato (Saggio 6/95, us 356), appartenente al lato est del portico (Fig. 35) Blocco squadrato (us 378, nella cella del Fig. 35. Blocchi architettonici 1 e 2, giacenti tempio vicino a usm 259), non attribuinell’area del portico orientale. bile Blocco (us 379, addossato a usm 375), non attribuibile Blocco (all’interno del riempimento dell’avancorpo del tempio), non attribuibile Blocco di cornice (us 441, a Nord della cella del tempio, inserito nella ricostruzione della trabeazione del portico) (Fig. 23, Tav. ix, 2) Blocco di architrave con triglifi (us 441, a Nord della cella del tempio, inserito nella ricostruzione della trabeazione del portico nord) (Figg. 36, 23, Tav. ix, 2) Blocco di cornice (us 441, a Nord della cella del tempio, inserito nella ricostruzione della trabeazione del portico) (Figg. 36-37, 23, tav. ix, 2) Blocco di cornice spezzato (us 441, a Nord della cella del tempio), appartenente al portico (Fig. 38, Tav. xix, 1) Blocco di cornice (Fig. 39, Tav. xix, 2) probabilmente appartenente al lato nord del portico Blocco di architrave con triglifi (Fig. 40, Tav. xix, 3) probabilmente appartenente al tempio Blocco (nel portico settentrionale) nella gettata del portico nord probabilmente appartenente a edificio distrutto (Fig. 41, Tav. xix, 4) Blocco di cornice (nel portico settentrionale), nella gettata del portico nord probabilmente appartenente a edificio distrutto (Figg. 41-42, Tav. xix, 5) Blocco con modanatura su tre lati intonacato (a Sud dell’avancorpo del tempio), con modanatura simile a quella della cornice superiore dell’avancorpo (Fig. 43, Tav. xix, 6) Blocco con triglifi (nel portico ovest), probabile appartenenza al tempio (Fig. 44, Tav. xx, 1) Blocco di cornice (all’interno del fossato nel portico ovest), probabilmente appartenente al tempio (Fig. 45, Tav. xx, 2)

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Fig. 36. Pianta particolare con blocchi architettonici 7-11 a Nord-est del tempio.

Fig. 37. Blocco 8, sezione.

Fig. 38. Blocco 9, sezione.

Fig. 39. Blocco 10, sezione.

Fig. 40. Blocco 11, sezione.

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Fig. 41. Sezione con posizione dei blocchi 12 e 13 nel portico nord.

17) Blocco di cornice (usm 1156, non ancora completamente messo in luce) 18) Blocco di cornice (usm 1156), probabilmente appartenente al lato est del portico (Fig. 46, Tav. xx,3) 19) Blocco di cornice (usm 1156) probabilmente appartenente al lato est del portico (Tav. xx, 4) 20) Blocco di cornice (usm 1156) probabilmente appartenente al lato est del portico

Fig. 42. Blocco 13, sezione.

Fig. 43. Blocco 14 in pianta, prospetto e sezioni.

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Fig. 44. Blocco 15 in prospetto e sezione.

Fig. 45. Blocco 16, sezione.

Fig. 46. Blocco 18, sezione.

21) Blocco di cornice (usm 1156) probabilmente appartenente al lato est del portico 22) Blocco di cornice (usm 1156) probabilmente appartenente al lato est del portico 23) Blocco di cornice (usm 1156), probabilmente appartenente al lato est del portico (Fig. 47, Tav. xx, 5) 24) Blocco di cornice (usm 1156, inglobato in usm 1132), probabilmente appartenente all’altare (Fig. 48, Tav. xx, 6) 25) Blocco di cornice (facente parte dell’altare, usm 1130) probabilmente appartenente all’altare (Tav. xxi, 1) 26) Blocco di cornice (ad Est del tempio) 27) Blocco di cornice (ad Est del tempio) 28) Blocco di cornice (ad Est del tempio) 29) Blocco di cornice (ad Est del tempio) 30) Blocco di cornice angolare (portico settentrionale, angolo nord-est) 31) Blocco sagomato (portico settentrionale a Nord della cella) 32) Blocco (portico settentrionale a Nord della cella) Fig. 47. Blocco 23, sezione.

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Fig. 48. Blocco 24, sezione.

33) 34) 35) 36) 37) 38) 39) 40) 41) 42) 43) 44)

Blocco di cornice (usm 225, portico settentrionale) Capitello? (usm 225, portico settentrionale) Capitello (usm 225, portico settentrionale) Rocchio di colonna scanalata (usm 225, portico settentrionale) (Tav. xxi, 2) Rocchio di colonna scanalata (usm, area ad Est del piazzale), probabilmente appartenente al tempio (Fig. 49, Tav. xxi, 3) Rocchio di colonna scanalata (usm 225, portico settentrionale) (Tav. xxi, 4) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354)

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Fig. 49. Colonna 37, pianta.

45) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354) 46) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354), probabilmente appartenente al tempio (Fig. 50, Tav. xxi 5) 47) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in usm 354), diam. cm 68 (Tav. xxi, 6) 48) Rocchio di colonna scanalata (inglobato nel muro del colonnato ovest) 49) Rocchio di colonna scanalata (inglobato in un muro tardo a Nord sul decumano) Fig. 50. Colonna 46, prospetto e sezione. con 20 scanalature, diam. cm 62 (Tav. xxii, 1) 50) Capitello pertinente probabilmente al tempio (sul piazzale ottagonale) (Fig. 51, Tav. xxii, 2) 51) Capitello probabilmente pertinente al portico (Fig. 52, Tav. xxii, 3)

La base votiva e il supposto edificio degli Augustales Il ritrovamento di una base marmorea iscritta (Tav. xxiii, 3) in un punto prossimo all’area del Foro, a Nord-est del triportico,1 anche per il contenuto ha fatto ipotizzare l’esistenza di un edificio degli augustales. La base misura m 0,326 × 0,246; alta m 0,188; presenta nella parte superiore un incasso profondo m 0,029, la cui superficie è scalpellata, per cui si ipotizza che la base doveva sostenere una stele o un piccolo busto-ritratto, ad incastro nell’alloggio suddetto. Sui due lati maggiori sono le seguenti iscrizioni: A) iscrizione su tre righe P(ubli et) M(arci) ANNIEI P(ubli) F(ilii)/VOT(um)/CAESARIS FILIO 1 Il ritrovamento è avvenuto in occasione di lavori di un edificio rurale esistente, in uno con strutture murarie che non si è avuta la possibilità di esplorare del tutto. Per la lettura Volturia (con riferimenti alla tribù, cfr. G. Salmieri, Sicilia romana. Sroeia e storiografia, Catania, 1992, pp. 29-43.

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Fig. 51. Capitello 50, pianta e prospetto.

B) iscrizione su tre righe P(ubli et) M(arci) ANNIEI P(ubli) F(ilii)/VOT(um)/G(aio) CAESARI AUGUST(i) F(ilio) Il ductus e la tecnica di iscrizione delle lettere sono identici su entrambi i lati (lato A: cm 3,8; cm 3,3; cm 2,9 – lato B: cm 3,6; cm 3,00; cm 2,8). L’iscrizione è stata pubblicata e interpretata da De Miro1 nel modo seguente: sul lato A, iscrizione votiva rivolta ad Augusto, “figlio di Cesare” (come è noto C. Giulio Ottaviano fu adottato come figlio da Cesare il 14 settembre del 45 a.C.), sul lato B, iscrizione votiva rivolta a G. Cesare, “figlio di Augusto” (com’è noto G. Giulio Cesare fu adottato, assieme al fratello Lucio, da Augusto nel 17 a.C., e morì nel 4 d.C., due anni dopo la morte del fratello). Pertanto sembrerebbe esservi un legame tra le due iscrizioni: l’onore che si rende a due figli adottivi, Ottaviano, figlio di Cesare e Gaio Giulio Cesare, figlio di Ottaviano Augusto. La dedica nell’uno e nell’altro caso è di Publius e Marcus Annius, personaggi della gens Annia. Deve trattarsi di personaggi della nuova borghesia romana stabilitasi in Agrigento dopo il viaggio di Augusto in Sicilia tra il 21 e il 20 a.C., quando egli fece colonie romane Siracusa e alcune altre città. Se non si tratta di dedica votiva privata, è possibile che dopo la morte di Augusto, Publius e Marcus Annius abbiano avuto cariche tra gli augustales (anche se non v’è cenno 1 De Miro 1984-1985, pp. 464-465, tav. xxxv, 1. A tale iscrizioni accennano Manganaro 1988, p. 47, portando a conoscenza anche da Lipara; e Wilson 1990a, p. 297 n. 88.

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Fig. 52. Capitello 51, rilievi.

di qualifica nell’iscrizione), come suggerirebbe il ritrovamento presso strutture adiacenti al Foro.1 Gli appartenenti a tale famiglia Annia devono aver fatto fortuna in Agrigento, e liberti di essa figurano proprietari di praedia minerari di zolfo (ANNIORUM; A. ANNI EROTIS) dal i-ii sec. d.C.

1 È testimoniata la devozione di munifici augustales (Cracco Ruggini 1980, p. 487, n. 26); e sappiamo che all’uscita di carica seviri augustales solevano dedicare anche statuine sacre (Manganaro 1988, p. 47).

IL GINNASIO

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’ intero complesso dell’agorà inferiore è attraversato dal reticolato stradale ed è delimitato ad Est dallo stenopos che conduceva, a Sud, verso il tempio di Eracle e verso la Porta iv in direzione dell’emporio (porta recentemente individuata nei pressi di Villa Aurea e dell’omonimo tempietto arcaico)1 (Fig. 53). Il tratto mediano di detto stenopos limitava ad occidente l’intero complesso monumentale del Ginnasio, articolato su due ampi pianori estendentisi a valle del poggio di S. Nicola e a Nord della Collina dei Templi, cioè tra l’agorà superiore e quella inferiore e, più precisamente, su due terrazzi rispettivamente a Nord e a Sud di un profondo vallone orientato nord-est/sud-ovest, in antico superato da una rampa monumentale. Di tale grandioso complesso lo scavo ha sinora messo in luce gran parte del settore a Sud del vallone e una minima ma significativa porzione di quello a Nord di esso. Il settore del ginnasio messo in luce sul terrazzo immediatamente a Sud del vallone (Fig. 54, Tav. xxiv, 1) occupa, in senso Est-Ovest, l’ampiezza di un isolato limitato a Ovest, dallo stenopos sopra indicato, qui riconoscibile soprattutto dal suo margine est segnato dalla base del muro di fondo di un lungo portico di cui meglio si conserva lo stilobate (Tav. xxiv, 2). Gran parte di questo stilobate e di altre strutture erano già state individuate, a tratti, negli anni ’50 del secolo scorso, dal Soprintendente Pietro Griffo a seguito della scoperta fortuita – per affioramento causato da dilavamenti – di un settore di sedile iscritto (ora al Museo Regionale di Agrigento) con dedica ad Hermes ed Herakles, iscrizione e dedica che suggerirono l’identificazione della zona come sede del Ginnasio.2 Lo stadio, il portico e i sedili iscritti Il portico indagato nei recenti scavi rappresenta uno degli elementi più caratterizzanti e significativi dell’intero complesso del Ginnasio, costituendo un vero e proprio ͢ÛÙfi˜ (per le esercitazioni e le gare al coperto) lungo il quale si svolgeva parallela la pista a cielo scoperto (·Ú·‰ÚÔÌ›˜). Il portico si diparte, a Nord, dal margine del vallone e dalla rampa che lo attraversa e si estende verso Sud per la lunghezza accertata di m 190; è formato da un’unica “navata” larga m 7, con un colonnato di cui restano le tracce della base sullo stilobate e frammenti architettonici delle colonne, dei capitelli, della trabeazione e della cornice, rinvenuti sia sparsi nell’area di scavo sia reimpiegati in strutture successive. Le fondazioni dello stilobate, in prossimità del margine del vallone (Tav. xxv, 1), sono realizzate con otto filari sovrapposti di conci e raggiungono una profondità di m 4.00, ma dove il banco roccioso naturale è affiorante, nella zona più a Sud, le fondazioni sono costituite da un solo filare.3 Dagli elementi su esposti si possono ricostruire le caratteristi1 Sulla nuova proposta di individuazione della Porta iv, v. Tripodi 2003, pp. 685-691. 2 Griffo 1963, pp. 163-184; De Waele 1971, pp. 38-39; Moretti 1976, pp. 182-186. 3 Si sarebbe portati a pensare che il tratto di fondazione approfondita non fosse concepito originariamente anche come muro di contenimento di un terrapieno per la sistemazione del terrazzamento dell’isolato, perché in tal caso la sua collocazione si sarebbe dovuta porre lungo il margine ovest del cardo, cioè lungo il muro di fondo del portico. Poiché, tuttavia, questo è qui completamente perduto (per smottamento verso il canalone?), non si può escludere che presentasse le stesse caratteristiche dello stilobate.

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Fig. 53. Area degli edifici pubblici (Rielaborazione grafica Arch. G. Cavaleri).

che essenziali del portico colonnato, di ordine dorico, che di seguito si riassumono (Tav. xxvi, 1). Il colonnato doveva avere una copertura ad unica falda a spiovente; lo stilobate è composto da blocchi quadrangolari di arenaria (m 1,00 × 0,90) e presenta una crepidine (sorta di marciapiede) formata da lastre dello stesso calcare larghe circa m 1 (Tav. xxiv, 2). Sui

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Fig. 54. Planimetria generale del complesso monumentale del Ginnasio (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

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graziella fiorentini blocchi della base è ricavata una stretta canaletta che alimentava una serie di pozzetti di forma ovoidale posti ad una distanza regolare di m 17,501 (Tav. xxv, 2). Il piano di calpestio interno doveva essere formato da lastre di calcare (m 0,90 × 0,40; 0,65 × 0,40; 0,40 × 0,25) di cui rimangono poche tracce. L’interasse delle colonne è di m 1,74 e l’intercolumnio di m 1,23. Le colonne, compreso il capitello, sono alte m 2.45 e presentano un fusto rastremato, composto da tre rocchi di calcare sovrapposti (m 1,01, m 0,97, m 0,25) (Fig. 55, Tav. xxvii, 1); l’imoscapo misura m 0,51, il sommoscapo m 0,42. Nel fusto si contano 20 scanalature con profilo poco profondo, originariamente coperte di intonaco, solo in minima parte conservato. Il capitello (Fig. 56, Tav. xxvii, 2) è alto complessivamente m 0.22, presenta un echino (altezza m 0,06, diametro m 0,55) dal profilo molto teso, pressoché troncoconico; l’abaco misura m 0.66 di lato e m 0.08 di altezza. La trabeazione è alta complessivamente m 1,52. L’architrave è formato da blocchi di calcare (lunghi m 1.74, alti m 0,57, larghi m Fig. 55. Ginnasio. Rilievo grafico di rocchi 0,51) coronati da una fascia (taenia), alta 7 di colonna (Arch. G. Cavaleri). centimetri, con regulae (lunghezza m 0,24, altezza m 0,02) e guttae in numero di sei e di forma cilindrica (diametro m 0,02) (Tav. xxviii, 1). Il fregio si compone di blocchi lunghi m 1,74, alti m 0,55, larghi m 0,46, ciascuno

Fig. 56. Ginnasio. Rilievo grafico del capitello (Arch. G. Cavaleri). 1 Il sistema è simile a quello utilizzato ad Olimpia e Nemea.

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Fig. 57. Ginnasio. Rilievo grafico del blocco di fregio (Arch. G. Cavaleri).

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Fig. 58. Ginnasio. Rilievo grafico del blocco di cornice.

dei quali comprende tre metope (alt. m 0,39, largh. m 0,35) e tre triglifi (0,39 × 0,24). Le metope presentano ancora piccole tracce di intonaco bianco sulla superficie. Sia le metope che i triglifi dovevano essere sormontati dalla fascia di coronamento che risulta attualmente abrasa (Fig. 57, Tav. xxviii, 2). La cornice (Fig. 58, Tav. xxix, 1-2) è costituita da blocchi dell’altezza complessiva di m 0.41, una lunghezza di m 0,87 e una larghezza di m 0,74 (larghezza della base m 0,52, larghezza del gocciolatoio m 0,19). Il soffitto del gocciolatoio è decorato con mutuli (m 0,24 × 0,18 × 0,02) ornati da un’unica fila di guttae. Lungo il portico, a m 7 ad Est dello stilobate del portico si estendeva la pista scoperta (·Ú·‰ÚÔÌ›˜). Anche se non sono stati individuati gli esatti punti di partenza (¿ÊÂÈÛȘ) e di arrivo (Ù¤ÚÌ·), è ipotizzabile che la lunghezza della pista corrispondesse a quella accertata per il portico (190 metri), o di poco maggiore se si pone il termine di arrivo sulla rampa, all’estremità nord della pista: avremmo in tal caso una misura compatibile con quella dello stadio olimpico (m 192,27); supponendo, invece, il termine in un punto più arretrato, in corrispondenza della terminazione dei sedili delle autorità,1 avremmo invece una pista della lunghezza corrispondente piuttosto allo stadio ateniese (m 177,6). La pista era larga m 9.502 e la sua pavimentazione era costituita da battuti di sabbia o di argilla e solo nel tratto corrispondente al termine dei sedili era formata da uno strato di tritume di arenaria (quota m 68,75 s.l.m.): la differenza può essere attribuita ad un migliore stato di conservazione nel tratto terminale, ma è più probabile che si debba all’esigenza di rinforzare la consistenza della pista in prossimità della linea di arrivo (Ù¤ÚÌ·); infatti, anche se non si sono rinvenuti elementi che segnassero tale termine, 1 V. infra, p. 76 sgg. 2 Valutando la larghezza di m 1,50 per ciascuna corsia, una pista dell’ampiezza di m 9,50 consentiva la competizione di sei atleti: non sappiamo se la relativa limitatezza di tale dimensione (la gran parte delle ·Ú·‰ÚÔÌ›‰Â˜ misurava circa 100 metri per la competizione di venti atleti) si debba ad una scelta legata alle esigenze e alla situazione delle attività “sportive” esercitate in quel tempo o alla necessità di adattarsi alle dimensioni dell’isolato. È probabile che l’una e l’altra ipotesi siano valide e la prima condizione abbia semplificato le esigenze della seconda.

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graziella fiorentini questo doveva comunque trovarsi nei pressi dell’ultimo tratto dei sedili. Ciò che risulta certo, invece, è che questo tratto finale della pista era delimitato, lateralmente, da due file contrapposte di sedili, ciascuna distinta in due settori, caratterizzati dalla presenza di una epigrafe incisa sul cocciopesto di rivestimento. Più precisamente, le due file di sedili (rispettivamente di m 45 e m 47,50) sono disposte alla distanza di m 10 l’una dall’altra e, quella ovest, a circa m 7 dal portico (Fig. 59). I sedili sono composti da elementi di conci semplicemente intagliati, con sezione a L, ciascuno di lunghezza variabile da m 1,25 a m 1,50, la cui superficie era originariamente resa continua da uno spesso strato di intonaco (Tav. xxx, 1). La spalliera, dove integralmente conservata, ha una altezza di m 0,30 (Tav. xxxi, 1). I sedili poggiano su una base costituita da un singolo filare di normali conci parallelepipedi (Tav. xxxi, 2) e sono distinti in quattro segmenti, due per ciascuna fila, delimitati da semplici braccioli, formati da una lastra posta di coltello. Il segmento di sedili di cui sono pervenuti integralmente i limiti provvisti di braccioli è quello di Fig. 59. Ginnasio. Piantina schematica dell’area del Ginnasio con indicazione Sud-ovest (Tav. xxxii, 1). È probabile che i dei sedili iscritti, lungo il tratto terminale due settori di ciascuna fila fossero separati della pista. da un breve spazio o ambito di passaggio. La fila di sedili al margine ovest della pista risulta molto più danneggiata rispetto a quella ad Est, essendo quasi affiorante nello strato di humus interessato dall’azione del dilavamento superficiale e dei mezzi agricoli. Del settore nord di questa fila rimane attualmente in situ solo il filare di base ed il relativo sedile, a suo tempo affiorato a seguito dei fenomeni suddetti, si identifica con la porzione recuperata e rimossa dal Griffo, recante la nota e già citata iscrizione con dedica di Lucio ad Ermes ed Eracle. Anche i sedili portati in luce dallo scavo regolare recano tutti le relative iscrizioni sulla spalliera, seppure in stato alquanto lacunoso nel segmento di sedile a Sud-ovest. Prendendo in esame dettagliatamente l’iscrizione, va detto innanzitutto che i segni sono incisi profondamente nello spesso strato di intonaco tanto da raggiungere e intaccare la pietra sottostante. Le iscrizioni presentano lettere alte cm 19-20, larghe dai 15 ai 20 cm, in caratteri greci, databili, come si vedrà, in età augustea. Il testo si svolge a partire dal settore nord-est dei sedili e procede su quello sud-est della stessa fila per continuare nella fila contrapposta

il ginnasio 77 sui sedili del settore sud-ovest e concludersi su quelli del settore nord-ovest, e cioè sui sedili rinvenuti dal Griffo, conservati al Museo Regionale di Agrigento. Esaminiamo, pertanto, l’epigrafe nel senso su indicato, dettagliatamente per ciascun settore di sedile. Settore nord-est dei sedili (Tavv. xxx, 1-2, xxxi, 1-2) Rinvenuto inglobato ed obliterato sotto il piano di calpestio di un grande edificio rettangolare (ed. 2) appartenente ad un complesso architettonico di età costantiniana,1 presenta l’estremità nord della spalliera priva di iscrizioni per circa cinque metri, dopo i quali prende inizio l’iscrizione della quale facilmente possiamo leggere: E¶I KAI™APA AOY°OY™TON º§AMENO™ §OYKIOY E°NATIOY; quindi una parola lacunosa ma integrabile: [§]OY[KI]OY seguita da YIOY e, infine, una parola di cui si leggono le prime due lettere: ° A e parte della terza che, per confronto con il ductus di corrispondenti segni dell’iscrizione, possiamo ritenere una M o più probabilmente §. Da qui il sedile risulta molto danneggiato. Settore sud-est dei sedili Il tratto di sedile che continua a Sud dell’edificio 2 (e che, per simmetria con il sedile prospiciente riteniamo corrispondente all’inizio del settore di sedile contiguo, cioè quello di Sud-est) non conserva tracce di iscrizioni in nessuno dei tre blocchi evidenziati; ciò non sembra casuale ma per rispettare un ordine compositivo analogo a quello del settore precedente. La parte centrale di questo settore di sedile, per un tratto di m 8, risulta obliterato sotto le fondazioni di un altro edificio della fase costantiniana, (edificio circolare 1); l’ultimo tratto, anch’esso in parte inglobato all’interno di un edificio rettangolare dello stesso complesso architettonico costantiniano (edificio 3), termina con un bracciolo in corrispondenza con il limite della fila di fronte. Su questo ultimo tratto gli spazi tra le lettere sono doppi rispetto alla precedente porzione di iscrizione. Nel tratto compreso tra l’edificio 1 e l’edificio 3 sono chiaramente leggibili due parole e l’inizio di una terza, e precisamente: ¢YON ¢E A, quindi, dopo un’interruzione per la sovrapposizione di una parete dell’edificio 3, l’iscrizione riprende con un segno facilmente integrabile come P, seguito da altre due lettere: ø N, con cui essa in questo sedile termina, lasciando libera, anche qui, la superficie della parte terminale della spalliera. Settore sud-ovest dei sedili Si è già detto che questo settore di sedili (inglobato sotto il piano di calpestio dell’edificio circolare 1) è il più danneggiato nelle spalliere: completamente perduta l’iscrizione nel primo segmento del sedile, mentre nel secondo, cioè nella porzione nord del settore stesso, sono facilmente integrabili solo la prima parola: ™E•TO[Y] e l’ultima: [P]OYºOY. Nello spazio intermedio, di circa m 6, sono leggibili soltanto pochi segni superstiti nella metà inferiore: E, seguito da una lacuna di circa m 1,20, poi due lettere incerte che potrebbero essere AT, oppure, meno probabilmente, AI o §I, quindi la lacuna di una lettera ed altri due segni, molto probabilmente OY; segue una parola integrabile facilmente in ™[E]•[T]O[Y] e, infine l’ultima parola già citata di questo settore, [P]OYºOY (Tav. xxxii, 1). 1 V. infra, p. 85 sgg.

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Settore nord-ovest dei sedili Come già detto, in questo settore l’iscrizione si completava sui sedili rimossi e conservati al Museo Regionale di Agrigento, con la citata dedica del gimnasiarca Lucio. Nell’insieme, pertanto, lungo i sedili contrapposti, partendo da Nord-Est e finendo a Nord-Ovest, leggiamo la seguente iscrizione: E¶I KAI™APA AY°OY™TON º§AMENO™ §OYKIOY E°NATIOY [§]OYKIOY YIOY °A§ . . . . . . ¢YøN ¢E A[N¢]PøN . . . . . . . . . . ™E•TOY E . . . . . . AT[I]OY ™[E]•[T]O[Y] [YIOY] POYºOY §OYKIO™ [. . . . .]™ §OYKIOY YIO[™] . . . . . . O… [°YMNA™IAPXO™ TøN TE EºEBøN KAI NE] øTEPøN TOY™ AN[K]§ITA™ EK TøN I¢IøN EPMAI KAI HPK§E[I] Traducendo, avremmo: Durante il principato di Cesare Augusto, essendo flamine Lucio Egnatio, figlio di Lucio, della Tribù Galeria1 (?) . . . . . ed essendo duoviri …………… e Sesto …… E(gna)tio2 (?), figlio di Sesto, Rufo, Lucio (Egnatio?), figlio di Lucio, gimnasiarca degli Efebi e dei Neoteroi, a proprie spese dedica i sedili a Ermes e ad Eracle. Area settentrionale dello scavo del Ginnasio (Fig. 60) Nel tratto terminale nord, la pista era connessa con una rampa in grandi lastre tufacee articolate a gradoni, che spicca alla quota di m 68.70 s.l.m. Questa rampa, della quale restano più evidenti tracce del piede al limite sud-ovest (Tav. xxxii, 2), doveva probabilmente occupare l’ampiezza dell’intero isolato e svilupparsi per la lunghezza di circa m 7, raggiungendo la quota di m 70,00 s.l.m. Tale quota corrisponde al piano del lastricato esterno di una vasca monumentale ubicata al margine del terrazzo a Nord del vallone, margine eroso e alterato nel tempo anche a seguito di interventi edilizi di età moderna,3 con la perdita della parte terminale sud delle strutture monumentali e della vasca in particolare (Tav. xxxiv, 1). La struttura della vasca, di forma rettangolare, con orientamento Nord-Sud, è raccordata alla pista del ginnasio tramite la rampa4 e presenta un bacino interno profondo m 1,60, largo m 8,60, della lunghezza residua di m 11, ed era raggiungibile attraverso tre gradini posti sul lato est. L’adduzione dell’acqua avveniva tramite un condotto in tubuli fittili di cui restano tracce sul lato nord della vasca. Il sistema di deflusso doveva trovarsi sul lato sud, come indica la stessa pendenza del fondo della vasca. La parte terminale del condotto, per una lunghezza conservata di m 9,00, è stata rintracciata presso il tratto occidentale delle fondazioni del portico. Si tratta di una struttura in blocchi di arenaria costituita da due spallette alte m 0,60, distanti tra loro m 0,50.

1 La tribù Galeria è attestata Messana nel ii/iii sec. d.C., legata alla famiglia dei Baebii Iuncini (Cfr. Forni 1980, pp. 953, 959); in alternativa le lettere °A§ potrebbero riferirsi direttamente al cognomen (°A§§OY? °A§§IKANOY?). 2 A tale integrazione sembra contrastare l’eccessivo spazio (m1) per l’inserimento di sole due lettere (°N). 3 Un riattamento della vasca, forse ad usi agricoli, ha comportato la realizzazione di una pavimentazione in cemento 20/30 cm sopra il fondo originario intonacato. 4 La rampa doveva superare il vallone sostenuta da un massiccio riempimento, contenuto da muri laterali residui solo nel limite sud-ovest, come già sopra accennato.

Fig. 60. Ginnasio. Planimetria della zona a Nord dello stadio, ai margini del vallone (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

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graziella fiorentini La copertura e il fondo sono realizzati con blocchi disposti di testa. Il condotto si immette in un pozzo di scarico quadrangolare (non esplorato), probabilmente collegato con il sistema di canalizzazione di età classica.1 Area ad Est dello stadio

Sul lato est dell’isolato, lungo il tracciato dello stenopos o cardo, sono state messe in luce notevoli tracce del percorso di una caFig. 61. Ginnasio. Planimetria della vasca nalizzazione che alimentava il complesso ad esedra (Rilievo Arch: G. Cavaleri). ed articolato sistema idraulico del Ginnasio. Innanzitutto si è individuato un condotto a sezione quadrangolare (larghezza m 0,10, profondità m 0,07), ricavato, a livello del piano stradale, sulla faccia superiore dei blocchi costituenti il muro di delimitazione del cardo est. Il primo tratto di questo condotto, conservato a Nord, evidente per una lunghezza di m 2,20, alimentava una vasca rettangolare (m 2 × 1,30) e una serie di canalette secondarie poste su differenti livelli che convogliavano l’acqua parte in un pozzo di scarico e parte, anche con l’utilizzo del troppo pieno (Tav. xxxiii, 1), raggiungeva una vasca monumentale ad esedra, posta alle spalle del settore nord-est dei sedili e probabilmente, tramite il collegamento di un condotto nord-sud ai piedi della rampa, raggiungeva la canaletta presente sullo stilobate del portico. La vasca ad esedra (ad arco policentrico con luce di m 4) (Fig. 61, Tav. xxxiv, 2) realizzata in blocchi di calcare di forma pressoché quadrata, chiusa da una corda di m 7,5 formata da blocchi rettangolari; le pareti esterne sono rivestite di intonaco di cui restano tracce di due strati: il più antico e più spesso, rosso e ricoperto da uno più sottile e bianco, il fondo è rivestito da uno spesso strato di cocciopesto steso su una massicciata di scaglie e blocchetti di arenaria legati con argilla. Il fondo presenta una pendenza verso l’angolo nord-ovest dove si ipotizza la presenza del condotto di deflusso collegato al tratto di canalizzazione immediatamente a Sud del pozzo di scarico cui si è sopra accennato. Detto 1 Le indagini condotte sul sistema di canalizzazione delle acque connesso all’impianto del Ginnasio hanno evidenziato la presenza, nel settore nord dell’area di scavo, di un condotto costruito in conci tufacei, relativo alla rete del monumentale impianto idraulico che attraversava l’intera area urbana, messo in opera ad Agrigento dopo la battaglia di Imera (480 a.C.) ed attribuito all’architetto Feace (Cfr. Diod. Sic. 11, 25). In particolare la struttura individuata è localizzata sotto il cardo est, dove è visibile per una lunghezza di circa m 2, con direzione nord-est/sud-ovest. È costituita da due spallette distanti tra loro m 0,90, sulle quali si imposta la copertura formata da due lastre oblique, chiuse da una lastra orizzontale. Il fondo doveva trovarsi intorno alla quota di m 66,00 s.l.m., corrispondente al fondo del successivo pozzo di scarico di età augustea appartenente all’impianto del Ginnasio. Il condotto doveva proseguire, al di sotto dell’area occupata dall’isolato, con più diretto andamento est-ovest: ciò si desume dalla ubicazione, all’altezza del portico del Ginnasio, di un altro pozzo di scarico, collegato al canale di deflusso delle acque della natatio del Ginnasio medesimo. Il tratto di condotto rinvenuto, relativo alle opere idrauliche di epoca teroniana, era evidentemente collegato al bacino della Colymbetra (v. Diod. Sic., l.c.) e doveva avere funzione di drenaggio e irregimentazione delle acque di un torrente presente nel vallone, costituendo quindi un intervento preliminare alla successiva edificazione dell’isolato.

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Fig. 62. Ginnasio. Planimetria dell’altare monumentale (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

pozzo è di forma rettangolare (m 0,90 × 0,60), costruito in blocchi di arenaria e raggiunge la profondità massima complessiva di m 3,50, si collega sul fondo al già citato condotto preesistente di età classica con direzione est-ovest e doveva essere chiuso superiormente da una lastra, come documenta la risega (alt. 0,20) all’imboccatura1 (Tav. xxxiii, 2). A caratterizzare architettonicamente e funzionalmente il complesso del Ginnasio nella zona orientale dell’isolato, e precisamente nell’area del piazzale esistente tra gli edifici di età costantiniana, è stata messa in luce la struttura appartenente ad un altare monumentale, ubicata circa m 15 a Sud della vasca ad esedra ed in asse con essa, alle spalle del settore sud-est dei sedili (Fig. 62, Tav. xxxv, 1). Il monumento, appartenente alla tipologia degli altari a ¶, è costruito in blocchi di calcare (m 7 Nord-sud × m 3,80 Estovest) ed è superstite nella fondazione e nella prima assisa di elevato; la gradinata di accesso (larga m 4,45) era sul lato ovest, compresa tra due bracci laterali, composta probabilmente da tre gradini e chiusa da una cancellata.2 Il podio doveva essere delimitato lungo il perimetro da transenne marmoree di cui sinora non si è rinvenuto alcun resto.3 1 La risega è più larga (m 0,30) sul lato est e si trova a una quota più bassa per facilitare le manovre di sollevamento della lastra di chiusura. 2 Della cancellata rimane la fondazione costituita da blocchi architettonici di riutilizzo (cornici), segnati da fori e incassi per gli elementi metallici. 3 Va tuttavia osservato che i conci della prima e unica assisa superstite del basamento presentano il profilo esterno superiore segnato da una lieve solcatura in cui, più che una modanatura, potrebbe riconoscersi una sorta di incasso per l’alloggiamento di lastre marmoree di rivestimento di cui pure, date le spoliazioni, non è rimasta traccia.

82 graziella fiorentini Ai lati della scalinata, incassi lineari (lunghi m 0,80) sui blocchi del podio suggeriscono la presenza di due tabellae bronzee. Negli strati di preparazione dei livelli pavimentali circostanti l’altare si è riscontrata la presenza di frammenti di ceramica sigillata italica, mentre negli strati a contatto del banco roccioso naturale nella fossa di fondazione dell’altare e nei livelli superficiali del riempimento sottostante i piani di calpestio del Ginnasio si sono rinvenuti frammenti di ceramica presilgillata.1 Detto riempimento si configura come un riporto massiccio che si approfondisce particolarmente nell’avvallamento al margine sud del canalone al limite nord del complesso architettonico del Ginnasio e, in particolare, a contatto delle fondazioni dello stilobate: è costituito da terra scura di matrice sabbiosa ricca di frammenti ceramici, laterizi (in prevalenza tegole a embrice sovradipinta in rosso), blocchi tufacei, riferibili ad un arco cronologico tra il vi ed il iii sec a.C. A Oriente della parte Nord dell’altare, al margine del cardo, è collocato un blocco tufaceo a contorno ottagonale (largh. max m 0,25; lato m 0,25; altezza residua m 0,95), con un foro centrale, sporgente solo pochi centimetri dal livello del piano di calpestio, che potrebbe interpretarsi come un reggivessillo (Tav. xxxv, 1). Nell’area a Sud dell’altare, sono state individuate tracce relative alla sistemazione degli spalti per il pubblico. Infatti, in questa zona, all’interno dell’isolato, si conservano cospicue tracce relative ad una sorta di terrapieno composto di tritume di arenaria ben compatta con superficie in pendenza da Est verso Ovest, e precisamente, da quota di m 70 s.l.m. al limite superiore, corrispondente al limite Ovest del cardo, a quota di m 69,35/69,29 s.l.m. al limite inferiore. Si può ipotizzare che su questo piano inclinato fosse collocata una tribuna a gradoni alla quale si accedeva dal cardo, a Est, mediante cinque gradini – meglio evidenti all’angolo nord-est dell’edificio costantiniano 3 – tagliati nel banco roccioso naturale, in cui si articolava, in questo tratto, la spalletta occidentale del cardo medesimo a livello del piano stradale, a quota di m 68,65. Di questo resta una pavimentazione costituita da uno acciottolato dello spessore costante di m 0,30, riscontrato anche circa 50 metri più a Nord,2 alla quota di m 69,48: l’asse viario, pertanto, presentava una pendenza da Nord verso Sud, opposta a quella del banco roccioso naturale,3 pendenza realizzata mediante uno strato di riporto sottostante all’acciottolato, senza dubbio per raccordarne il livello con quello dell’agorà inferiore e della plateia che la attraversava. Non si sono individuate tracce del muro di limite est di questo cardo, probabilmente asportato da spoliazioni successive. Del cardo che marginava ad Ovest l’isolato del Ginnasio non si è conservata la pavimentazione a causa del forte dilavamento degli strati superficiali; il muro di limite est delle strada coincide con il muro di fondo del portico, si conserva solo parzialmente nel settore meridionale ed è costituito da blocchi tufacei disposti di testa (Tav. xxxv, 2); il muro di limite ovest è individuabile solo nel breve tratto a cui aderisce una struttura artigianale di età ellenistica.4 1 Tra questi si segnala la presenza di un frammento di piattello con orlo espanso a profilo convesso, con iscrizione graffita all’interno lungo il bordo: •ENIO™ §AM¶A. 2 Precisamente nel tratto successivamente intaccato dalla costruzione di una fornace araba (v. infra, p. 95 (Fig. 69, Tav. xl, 2; xli, 1-2). 3 Questa pendenza sembra dovuta all’esistenza di in paleo-alveo – più profondo ed antico rispetto a quello formatosi per colmature alluvionali in età non storica – che costituiva l’affluente del corso d’acqua presente all’interno del profondo vallone che attraversa in senso est-ovest il settore nord dell’area di scavo (v. supra, p. 71 e Fig. 53 e p. 78, nota 4). 4 V. infra, p. 98 e Fig. 54.

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Ristrutturazione del cardo a Est del Ginnasio e obliterazione del sistema idraulico Lo scavo nel settore orientale dell’area dell’isolato ha consentito di individuare una fase di ristrutturazione del muro di limite occidentale del cardo est e forse anche degli spazi funzionali interni del ginnasio, questi ultimi a loro volta obliterati da trasformazioni successive (Fig. 63). Il tratto rifatto del muro di delimitazione dell’asse viario è stato individuato sotto la parte (circa la metà Sud) della parete perimetrale est dell’edificio 2, di età costantiniana e prosegue anche a Sud, nell’area del piazzale (quote m 69,82-83 s.l.m.). Detto nuovo muro, che oblitera il condotto del sistema idraulico correlato al Ginnasio, raggiunge una lunghezza complessiva di m 27 ed è costruito in blocchi posti di testa (larghezza m 0.60-0.70) e ad esso si legano ortogonalmente a catena blocchi sporgenti dal filo interno del muro, distanti tra loro, rispettivamente, m 5,70, m 12,40, m 5,70, probabilmente resti superstiti di muri relativi a nuovi ambienti o ripartizioni degli spazi interni al complesso del Ginnasio, andati completamente distrutti forse nella fase edilizia costantiniana. La fossa di fondazione del muro ricostruito, all’interno dell’isolato, ha intaccato la stratigrafia relativa ai piani di frequentazione del Ginnasio, che si conservano solo parzialmente, ed ha interessato probabilmente anche il margine Ovest della strada. I riempimenti della fossa, caratterizzati da terra mista a grossi cumuli di carbone, hanno restituito materiali ceramici in gran parte databili in età augustea. Le caratteristiche di questi riempimenti si sono individuate anche all’interno dell’edificio 3 e fanno attribuire alla medesima fase la distruzione degli spalti, probabilmente lignei, localizzati in quest’area, cui potrebbero riferirsi i massicci cumuli di carbone. La datazione dell’intervento di ricostruzione del muro di limite ovest del cardo può collocarsi alla fine del i sec. d.C. per la presenza di una moneta di Domiziano e di vari frammenti di ceramica sigillata africana A e di ceramica africana da cucina.1 Distruzione abbandono del Ginnasio Nell’intera area di scavo del complesso architettonico, dalla vasca della natatio a Nord al limite evidenziato del portico a Sud, sono evidenti gli strati relativi alla distruzione e alle successive fasi di abbandono del Ginnasio. La distruzione è documentata da consistenti crolli di tegole concentrati soprattutto nell’area del portico e nel settore a Nord-est della vasca o fontana ad esedra. Tra le tegole ad embrice dei crolli delle coperture del portico si sono rinvenuti diversi frammenti contrassegnati dal bollo °YM (Tav. xxxvi, 1), con evidente riferimento all’edificio di appartenenza (Á˘ÌÓ¿˜ÈÔÓ) che hanno confermato la identificazione del complesso monumentale come Ginnasio, in precedenza ipotizzato solo in base al testo dell’iscrizione dei sedili rinvenuti fortuitamente negli anni ’50 del secolo scorso.2 Nell’area del portico si sono rinvenuti anche vari, già descritti, frammenti architettonici (una colonna ricomponibile da due frammenti, due capitelli, un blocco di architrave, nove blocchi di cornice) che hanno consentito una ideale ricostruzione del monumento (Tav. xxvi). 1 Frammenti assegnabili, rispettivamente, al tipo Hayes 8A ed Hayes 197. 2 L’integrazione dell’iscrizione con riferimento agli efebi e ai neoteroi e la dedica ad Ermes ed Eracle oltre al confronto con altri documenti epigrafici pertinenti i gymnasia (v. supra, p. 71, nota 2).

Fig. 63. Planimetria del complesso monumentale del Ginnasio con indicazione schematica delle principali fasi edilizie.

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il ginnasio 85 Lo strato di crollo è coperto da un massiccio ed omogeneo deposito di terra sabbiosa mista a minuti frammenti di bruciato, dello spessore di m 0.75, riscontrabile soprattutto nella zona Nord-est ove la stratigrafia è meglio conservata. In base ai reperti ceramici1 la distruzione del complesso del Ginnasio e la successiva fase di abbandono possono essere datati tra la fine del ii e la prima metà del iii sec. d.C. L’area del Ginnasio nel iv sec. d.C. Dopo un lungo periodo di abbandono, nell’area dell’isolato già occupata dal settore esplorato del Ginnasio a Sud del canalone, si insedia un nuovo complesso architettonico secondo un’impostazione simmetrica e assiale in senso nord-sud.2 Si tratta di tre grandi edifici e precisamente: un edificio circolare al centro (ed. 1, diametro interno m 22,20, diametro esterno m 23,50) e due edifici rettangolari (ed. 2, lungh. m 37, largh. m 12,30 = dimensioni interne 36 × 12; edificio 3, uguale all’edificio 2, esplorato solo per un terzo della lunghezza) ubicati in posizione simmetrica e accostati con gli angoli, rispettivamente a Nord/est (Tav. xxxvi, 2) e a Sud/est (Tav. xxxvi, 3), all’edificio circolare 1, alla distanza da questo di m 0.70. Un quarto edificio della stessa fase, ma di minori dimensioni (edificio 4) era ubicato a Nord-ovest (Figg. 54, 67) dell’edificio 2. Costituendo l’ultima fase architettonica di quest’area degli edifici pubblici, rimasta pressoché inalterata (avendo subito spoliazioni ma non ricostruzioni),3 lo scavo ne ha consentito una lettura più precisa e dettagliata rispetto al complesso monumentale del Ginnasio, di età ellenistico-romana. Le strutture di quest’ultima fase si sviluppano per una lunghezza di almeno m 90 in senso nord-sud e occupano, nell’insieme, l’intera larghezza dell’isolato. Sul lato est, i muri perimetrali degli edifici rettangolari coincidono con il limite ovest del cardo; sul lato ovest dell’isolato, il muro di fondo del portico del ginnasio, probabilmente allora ancora in vista per un’altezza di circa un metro, continuava a costituire limite del cardo Ovest e insieme muro di contenimento del terrapieno – formato dagli strati di abbandono del Ginnasio e da riporti artificiali – sul quale venne fondato il nuovo complesso monumentale. Tutti gli edifici di questa fase architettonica risultano privi di piani pavimentali rifiniti. Non essendosi rinvenute tracce di alcun genere di pavimentazione e data la presenza di fosse di spoliazione riempite di tegole di copertura, è verisimile che i pavimenti siano stati completamente asportati prima del crollo del tetto. Edificio circolare 1 L’edificio (Fig. 64, Tav. xxxvii, 1), come sopra già indicato, aveva un diametro esterno di m 23,30, interno di m 22,20.4 La fondazione è realizzata a fossa stretta con taglio degli strati di abbandono del ginnasio, costituita da muratura di pietrame legato con malta; la risega, larga m 0,15, (quota m 69,37 s.l.m.) era coperta dallo strato di tritume areanario 1 In particolare frr. di anfore tipo Africana iia. Dagli strati di abbandono proviene un coprisigillo bronzeo con decorazioni in smalto. 2 Cfr. Figg. 54, 63. 3 Nel complesso monumentale si inserirono, in età medievale, solo modeste e limitate strutture a destinazione artigianale non invasive. 4 L’intera circonferenza perimetrale era già stata evidenziata dai saggi del Griffo (Griffo 1961, tav. a pp. 100-101).

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Fig. 64. Ginnasio. Planimetria dell’edificio 1, di età costantiniana (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

il ginnasio 87 relativo al piano di lavorazione dell’alzato dell’edificio (strato che costituisce anche l’ultima gettata di riempimento dell’edificio 2). All’interno dell’edificio, alla distanza di m 4 dalla faccia interna del muro perimetrale, erano collocati 18 pilastri o basi di colonne di cui rimane la fondazione di forma quadrata (lato m 0,80). Le colonne, o pilastri, distano tra loro m 1,50. Lo spazio definito dalla peristasi interna ha un diametro m 12,70. Sul lato orientale dell’edificio si apriva un ingresso largo m 2,60 segnato da una soglia di cui restano le fondazioni formate da due porzioni di fusto di colonna segato. Poiché l’edificio è collocato quasi a contatto con gli edifici rettangolari, i cui rispettivi angoli Sud-Ovest e Nord-Ovest distano solo m 0,70, spazio che consente il passaggio di una singola persona per volta, si può ipotizzare la presenza di una seconda apertura che facilitasse il deflusso del pubblico, probabilmente sul lato Ovest, andato distrutto, ove rimane solamente affiorante il corrispondente tratto dello stilobate del Ginnasio (Tav. xxxvii, 2); ricostruendo la circonferenza dell’edificio su questo lato, si rileva una distanza dall’allineamento del cardo ovest di m 2,50, spazio che poteva essere occupato da una sorta di propileo (gradonato?) che collegava l’edificio alla strada (il sistema del doppio ingresso simmetrico-contrapposto è, peraltro, presente anche nell’edificio 2, ma in senso inverso, cioè, rispettivamente, sui lati nord e sud). Nessuna traccia di pavimentazione, cancellata da spoliazioni e da fenomeni di erosione. Non è improbabile che l’edificio prendesse luce anche da finestre aperte nel muro perimetrale; la copertura era probabilmente conica di tipo semplice, o tronco-conica con lanterna. Edificio rettangolare 2 Preliminare alla costruzione dell’edificio 2 risulta la colmatura di una grande fossa nel settore Nord-Est, realizzata con un riempimento di argilla di cava, sterile e impermeabile, attuato a seguito della spoliazione dei blocchi del condotto di epoca classica, ancora funzionante durante la frequentazione del Ginnasio.1 Tale operazione, conseguente forse a un naturale collasso strutturale del manufatto e alla necessità di ripristinare un livello omogeneo prima della costruzione dell’edificio, venne probabilmente suggerita anche dalla esigenza di recuperare materiale da costruzione. L’edificio (Fig. 65, Tav. xxxviii, 1) è realizzato con blocchi di arenaria, in gran parte di riutilizzo, legati mediante sottili letti di malta, posti su assise di altezza disuguale. La fondazione del muro perimetrale est dell’edificio è ricavata dal preesistente muro di delimitazione del cardo, quella del muro ovest è stata appositamente costruita entro una larga fossa, ed è formata da assise di blocchi posti di taglio su un allettamento di blocchi posti alternatamene di testa e di taglio, con riempimento di terra e pietrame. Le dimensioni dell’edificio sono di m 37 Nord-Sud e di m 12,30 Est-Ovest (interno 36 × 11). Originariamente le pareti dovevano essere completamente intonacate come risulta dai resti ancora visibili in posto. Due ingressi si aprivano sui lati brevi, rispettivamente a Nord e a Sud, e di essi rimangono le soglie in blocchi di arenaria (a Nord quota m 70,36 s.l.m.; a Sud quota 69,69 s.l.m.). Le aperture, larghe circa m 3,70, erano coperte da architravi in conci rinvenuti sul posto del crollo. L’interno era diviso, in senso longitudi1 La dismissione di questo sistema di drenaggio delle acque di fondovalle determinerà nel tempo la formazione di depositi alluvionali lungo le direttrici stradali e, soprattutto, il delinearsi della frattura corrispondente ai margini dell’odierno vallone.

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Fig. 65. Ginnasio. Planimetria dell’edificio 2 (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

il ginnasio 89 nale, da una fila di nove pilastri a corpo rettangolare (m 1,20 × 0,80) di cui uno con crollo in situ (Tav. xxxviii, 2), distanti m 2,20 l’uno dall’altro e m 5 dalle pareti laterali, mentre quelli più prossimi agli ingressi, in asse con i medesimi, distano da essi m 3,50. Non vi è traccia della pavimentazione, mentre si sono individuati i piani di lavorazione degli alzati (quota m 69,55/69,30 s.l.m.). Edificio rettangolare 3 L’edificio rettangolare 3, contrapposto e simmetrico all’edificio 2, è stato messo in luce, ad oggi, per circa m 12, pari ad un terzo della lunghezza totale, e si conserva, in alzato, solo sul lato breve nord (Fig. 66). Dei lati lunghi est ed ovest, allo stato attuale delle ricerche, sono visibili solo le fondazioni, realizzate a fossa stretta entro uno strato preparatorio di livellamento, costituito da tritume di arenaria (quota m 69,72/69,50 s.l.m.). Il muro di fondazione del lato ovest è formato da blocchi di riuso posti di testa; ad est, la struttura è costituita da blocchi e conci di arenaria inzeppati con pietrame minuto misto ad argilla e presenta l’utilizzo di elementi simili a quello interpretato come reggi-vessillo, rinvenuto alle spalle dell’altare di età augustea. Sul lato nord è collocato un ingresso, largo m 3,10, di cui resta una soglia (quota m 69,74 s.l.m.) con battente sul lato esterno, costituita da due blocchi di calcare su cui sono evidenti gli incassi quadrangolari per i cardini ed evidenti tracce di usura che testimoniano l’uso del monumento. Un altro accesso, dell’ampiezza di m 1,50, è stato individuato sul lato orientale, a m 1,50 dall’angolo NE dell’edificio (quota m 7,10 s.l.m.), collegato al piano stradale del cardo est mediante due gradini. Per la parte esplorata, le dimensioni e le caratteristiche dell’edificio non differiscono da quelle dell’edificio 2, compresa la fila di pilastri sull’asse longitudinale (Tav. xxxix, 1), dei quali restano le basi dei primi tre a Nord, manifestando una perfetta simmetria delle due strutture architettoniche. Edificio 4 Un quarto edificio della stessa fase (Fig. 67, Tav. xxxix, 2), di assai minori dimensioni (edificio 4, dimensioni esterne, m 6 Est-ovest × m 4 Nord-sud; interne m 4,50 × 2,20) è ubicato immediatamente a Nord-ovest del rispettivo angolo dell’edificio 2: presenta tracce di pavimentazione a mosaico ed un’ampia soglia a Sud (larga m 3,60), sull’asse del pregresso tracciato dello stadio. Non è da escludere che questo edificio costituisca l’unico ambiente superstite di un più articolato insieme di strutture che fiancheggiavano lo spazio antistante all’ingresso nord dell’edificio 2, lungo il margine del canalone, andate perdute, come sembrano suggerire tronconi di muri paralleli al lato breve dell’edificio 4: strutture forse impostate su un precedente sistema architettonico costituente cerniera, unitamente alla rampa, tra i due terrazzi del Ginnasio, a Nord e a Sud del vallone. Articolazione urbanistico-funzionale del complesso monumentale di iv sec. d.C. Gli edifici principali (1, 2, 3) prospettano su un piazzale rettangolare (m 8,70 Est-ovest × m 16,50 Nord-sud) delimitato ad Ovest dal muro curvilineo dell’edificio circolare 1 (so-

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Fig. 66. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana: planimetria dell’edificio 3 (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

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Fig. 67. Planimetria dell’edificio 4, di età costantiniana (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

vrapposto, nel tratto di massima curvatura, al settore sud-est dei sedili del Ginnasio); ad Est, il piazzale era chiuso da un muro – in parte asportato da spoliazioni – che ricalcava il limite ovest del tracciato del cardo, ancora praticabile, muro in cui è ipotizzabile vi fosse una apertura, posta sull’asse dell’ingresso dell’edificio circolare, per rendere accessibile il piazzale dalla strada medesima. Nell’area del piazzale sono evidenti ampie porzioni degli strati di preparazione del piano di calpestio, costituiti da tritume di arenaria

92 graziella fiorentini fittamente connesso. La superficie appare sensibilmente inclinata verso Ovest (m 69,94/69,48 s.l.m.); lo stesso riempimento, con analogo andamento, si è potuto notare nella risega di fondazione dell’edificio 3. La fase architettonica in esame si configura come un intervento organico ed unitario di riqualificazione monumentale dell’isolato comprensivo della ristrutturazione degli assi viari, quanto meno del cardo est. Di questo, il rudus di pavimentazione è formato da sabbia fortemente pressata mista a ciottoli e frammenti ceramici. Lungo il muro perimetrale est dell’edificio 2, sono visibili i resti della crepidine, costituita da setti verticali di lastre calcaree perpendicolari al muro suddetto, riempiti con frammenti di conci di arenaria. Nel tratto indagato, la strada, in forte pendenza da Nord verso Sud (m 70,35/69/57 s.l.m.), ha un aspetto omogeneo, senza buche o lacune, il che fa pensare ad una regolare manutenzione sino al momento dell’abbandono. Quanto alla praticabilità del complesso di edifici in relazione alla viabilità della zona, i dati a disposizione, allo stato attuale delle ricerche, ci consentono alcune limitate ma essenziali considerazioni. Gli edifici erano tutti dotati di un doppio ingresso e ciò consente una ricostruzione dei percorsi secondo le seguenti modalità: - edificio 2: accesso privilegiato dall’ingresso nord provenendo dal terrazzo settentrionale del Ginnasio e dalla plateia nord, attraversamento dell’edificio e uscita sul piazzale rettangolare dall’ingresso sud, possibilità di accesso all’edificio rettangolare 3 e all’edificio circolare 1 o immissione nel cardo est. Evidentemente era possibile anche il percorso inverso, con l’accesso dal cardo est, attraverso l’ingresso meridionale, provenendo dalle plateiai sud e nord; - edificio 3: accesso privilegiato attraverso l’ingresso sud1 provenendo dalla plateia sud e uscita sul piazzale dall’ingresso nord, possibilità di accesso agli edifici 2 e 1 o immissione nel cardo est verso la platea nord etc.; anche in questo caso è possibile il percorso inverso. - edificio 1: accesso privilegiato dal cardo ovest attraverso l’ingresso ipotizzabile su questo lato e uscita sul piazzale attraverso l’ingresso est; possibilità di accesso agli edifici rettangolari 2 e 3 o immissione nel cardo est; accesso anche dal cardo est provenendo dalle plateiai sud e nord, uscita sul cardo ovest attraverso l’ingresso occidentale. L’analisi dettagliata dei percorsi evidenzia come gli edifici siano facilmente raggiungibili da punti diversi della città, tradizionalmente considerati essenziali nella topografia della città greca e romana, quali l’agorà superiore, sede del centro politico-amministrativo e l’agorà inferiore legata alla attività mercantile e a funzioni rappresentative. Le strutture si dispongono simmetricamente, all’interno dell’isolato, facilitando i collegamenti lungo l’asse nord-sud tramite i due edifici rettangolari collocati lungo il cardo est, e lungo l’asse est-ovest tramite l’edificio circolare 1, che risulta elemento focale dell’impianto, assicurando il collegamento tra il cardo est ed il cardo ovest e con le direttrici viarie ad esso collegate. Non vi è dubbio che la rigorosa disposizione simmetrica tripartita del complesso sia legata ad una precisa destinazione d’uso variamente distribuita e articolata all’interno dei vari edifici. Non vi sono espliciti elementi che rivelino tale destinazione ancora collegata ad attività atletico-pedagociche o intellettuali, in genere, in qualche modo ricon1 L’ingresso, insieme a tutta la porzione sud dell’edificio, non è stato ancora messo in luce, ma non vi è dubbio sulla sua esistenza data la perfetta simmetria dei due edifici contrapposti (2 e 3).

il ginnasio 93 ducibili alla funzione tradizionale del Ginnasio; né vi sono elementi atti ad indicare che il nuovo complesso sia sorto in sostituzione o come potenziamento di impianti di epoca precedente (romano-imperiale) dislocati in punti diversi della città. L’assoluta assenza di resti di pavimentazioni in fase antecedente al crollo delle coperture, potrebbe portare a ipotizzare una continuità di attività atletico-sportive con uso di battuti sabbiosi, in seguito disintegrati; in alternativa si dovrebbe pensare ad un abbandono degli edifici e ad una spoliazione dei pavimenti intervenuti prima del crollo dei tetti La realizzazione del complesso si configura, in ogni caso, come un organico ed innovativo intervento architettonico-urbanistico che testimonia una riqualificazione dell’intero isolato, che viene ad assumere una rinnovata importanza sul piano urbanistico-funzionale nel tessuto della città, che saremmo portati a mettere in relazione a rinnovate funzioni, se non sul piano della preparazione atletico-sportiva, su quello di potenziate attività commerciali, mercantili e di scambi economici in genere della città medesima.1 Elementi di datazione del complesso monumentale Una prima analisi dei reperti monetali rinvenuti in punti significativi dello scavo indicano la data di realizzazione del complesso monumentale nel secondo quarto del iv sec. d.C. (terminus ante quem 336 d.C.).2 Infatti le monete rinvenute sono tutte riferibili all’Imperatore Costantino I e sono databili entro il 336 d.C., quindi prima della demonetizzazione del 348 d.C.; inoltre esse non presentano segni di usura e, per quanto in bronzo, sono ottimamente conservate: ciò fa pensare alla scelta di monete “fior di conio” per una deposizione con carattere di consacrazione (exauguratio) del nuovo impianto architettonico. La frequentazione dell’intero complesso è documentata da numerose monete del periodo costantiniano; gli strati di abbandono del piazzale hanno restituito alcune monete di Costanzo II databili intorno al 360 d.C., ultima testimonianza di frequentazione prima della formazione degli strati sabbiosi di deposito alluvionale. 1 Non è da escludere la presenza di un macellum e/o di un “mercato coperto”, legato ad attività commerciali e finanziarie. Tale destinazione sembra anch’essa compatibile con la presenza di semplici pavimentazioni in battuti di terra e conglomerati sabbiosi. 2 Sulla risega di fondazione del primo pilastro a Sud dell’edificio rettangolare 2: 1) D/Testa di profilo volta a destra con diadema di perline; legenda: CONSTAN TINUS AVG; R/Nel campo entro corona di alloro su due linee VOT XX; in basso: SIS; Legenda: DN CONSTANTINI MAX AVG; in basso SIS. Zecca: Siscia (in epoca costantiniana una delle principali di Europa). Cfr. ric, vii, nn. 148, 159, 169, 171. Datazione: 321-324 d.C. 2) D/Testa di profilo volta a destra, con fascia nei capelli decorata con crocette e cerchi. Legenda: CONSTAN TINVS AVG; R/Palazzo imperiale con due torrette, costruito in muratura con sette ricorsi di blocchi, porta centrale; in alto, stella; legenda: PROVIDEN TIAE AVGG; in esergo SMKS. Zecca: Cizico. Cfr. ric, vi, n. 60. Datazione: 329-330. 3) D/Busto di Roma volta a sinistra con elmo e mantello. Legenda: VRBS ROMA; R/Lupa con gemelli. In alto due stelle e corona; in esergo: P CONST. Zecca: Arles. Cfr. ric, vii, nn. 343, 392, 407. Datazione: 330-336 d.C.; Dalla fossa di fondazione per la messa in opera dei muri perimetrali dell’edificio 3: D/Testa di profilo volta a destra con diadema di perline; legenda CONSTANTINVS AVG; R/Palazzo con due torrette, muratura costituita da cinque ricorsi di blocchi, porta centrale; in alto, stella. Legenda: PROVIDEN TIAE AVGG. In esergo: P A RL. Zecca: Arles. Cfr. ric, vii, n. 326. Datazione: 325-326 d.C. Dall’us 286, riempimento della fossa di fondazione 297, proviene il reperto particolare n. 9.

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Fig. 68. Impianto artigianale di torchio (vii sec. d.C.). Planimetria (Rilievo Arch. G. Cavaleri).

Distruzione e abbandono degli edifici costantiniani e degli assi stradali Dopo il crollo del tetto interviene una fase di recupero del materiale edilizio: operazione che appare radicale nell’edificio 3, giungendo fino al piano di spiccato dei muri perimetrali est ed ovest e alla prima assise di alzato del muro nord, mentre nell’edificio 2 l’alzato risulta in parte conservato. Alla fase di spoliazione segue probabilmente il collasso del

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Fig. 69. Area del Ginnasio. Fornace medievale n. 2: planimetria (Rilevo Arch. G. Cavaleri).

sistema di drenaggio, con conseguente formazione di strati alluvionali di sabbia e limo che obliterano gli assi viari ed i resti monumentali (quota m 70,60/70,20 s.l.m.). Nell’edificio 2 i depositi alluvionali, frenati dai muri perimetrali hanno subito una trasformazione strutturale assumendo consistenza argillosa (quota m 70,50/70. 28 s.l.m.). La fine di questa fase di abbandono assoluto del complesso monumentale e di correlata formazione dello spesso strato di depositi alluvionali può porsi entro il vi sec. d.C., come dimostrano alcuni elementi di sigillata africana D riferibili alla forma Hayes 88. In seguito, l’area si configura come zona a destinazione artigianale con la presenza di un torchio ricavato all’interno dell’edificio 2 (vii sec. d.C.) (Fig. 68, Tav. xl, 1), poi con la realizzazione di due fornaci (Fig. 69, Tavv. xl, 2 e xli, 1-2) nell’area del cardo est (viii/ix sec. d.C.), per trasformarsi, infine in uno spazio rurale produttivo dall’età arabo-normanna sino ai tempi moderni.1 1 Fiorentini 2009, pp. 103-107.

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CONSIDERAZIONI SULLA EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA URBANA IN RAPPORTO CON L’ARTICOLAZIONE FUNZIONALE DELLE AREE PUBBLICHE DALL’ETÀ GRECA ALL’ETÀ ROMANA

I

saggi effettuati nell’area del Ginnasio, anche in profondità, a contatto delle fondazioni del portico e lungo le due direttrici dei cardines che marginano l’isolato, non hanno rintracciato precedenti piani stradali o strutture al di sotto del piano di uso – peraltro anch’esso assai scarsamente conservato – relativo al livello dello stilobate del portico e del calpestio esterno, pari circa all’attuale piano di campagna. Per altro verso, gli scavi condotti recentemente lungo importanti assi viari (in particolare lungo la plateia i-l) compresi tra il margine nord della Collina dei Templi e le pendici sud-orientali della Rupe Atenea, hanno rintracciato i livelli di calpestio delle strade di età ellenistico-romana a quote che vanno da circa un metro (tratto mediano del decumano i-l nella zona di incrocio con il cardo i) a circa due metri al di sotto di quella degli attuali piani di campagna (tratto orientale dello stesso decumano, nelle vicinanze di Porta ii), così che in antico la Collina dei Templi doveva spiccare suggestivamente al di sopra del livello dei terrazzi dell’abitato ai suoi piedi; i piani di uso dei cardines nell’area esplorata del quartiere di abitazioni sul pianoro prospiciente la Collina dei Templi, a Est di S. Nicola, non differiscono, invece, sostanzialmente, dagli attuali livelli di calpestio, ma si approfondiscono anch’essi (almeno il cardo i) verso sud, nella zona attraversata dal decumano, per riprendere quota sulle pendici della Collina sacra. Pertanto, da un lato, è evidente un notevole mutamento della situazione geomorfologia dei luoghi, rispetto all’epoca moderna, avvenuto per cause sia storiche che naturali a partire dal medio evo, dall’altro, relativamente alla città grecoromana, sono riconoscibili delle trasformazioni, parte del profilo altimetrico e, soprattutto, dell’articolazione funzionale dell’abitato. Limitandoci a considerare quanto avvenuto nella città greco-romana, si può tentare una rapida visione diacronica delle principali fasi di trasformazione dell’assetto urbano a partire dall’età arcaica per considerare la situazione rappresentata in epoca romana, almeno in base a quanto risulta dagli scavi condotti nella zona degli edifici pubblici e dai saggi sugli assi viari, cui si è accennato. Si può pensare che tra la fine del vi e gli inizi del v sec. a.C., l’occupazione dell’area urbana con regolare e significativa edificazione inserita nel reticolato viario, fosse concentrata solo in alcune principali zone di interesse pubblico della città: sull’Acropoli, sulla Collina dei Templi e le sue immediate pendici e nella zona – urbanisticamente essenziale, del Poggio di S. Nicola, mentre il costone roccioso coincidente con il perimetro urbano era segnato dalla presenza di edifici sacri non lontani dalle principali porte urbane Una buona parte dell’ampio territorio all’interno della cinta muraria urbana doveva essere sistemata, nella fase più arcaica di vita della città, a terrazzamenti ad uso agricolo per le necessità dei coloni;1 con il primo quarto del v sec., in età teroniana, si dovette 1 Cfr. Di Vita Gafà 1985, p. 407.

98 graziella fiorentini dar corso alle grandi opere preparatorie (quali condotti idrici e di drenaggio, sistemazioni di terreni dissestati) per l’estensione di una più ampia e articolata rete viaria, realizzata nel corso del v sec., a coprire quasi l’intera area urbana – sino ad allora, come già detto, occupata probabilmente in modo discontinuo – così da facilitare i collegamenti fra le aree essenziali per le attività pubbliche, sacre e civili, della città, quali, appunto, la vasta zona dei santuari sulla collina meridionale e gli adiacenti edifici pubblici (agorà, pritaneo) ed il centro strategico della città sul colle di S. Nicola, sede già di un bouleuterion, di stoai e di edifici sacri. Questa più regolare e completa pianificazione di v sec. a.C., dovette comportare un sistema di terrazzamenti che mantenevano, tuttavia, notevoli dislivelli e talora sfasature degli orientamenti in relazione a particolari situazioni geo-morfologiche: caratteristiche mantenute, in buona misura, sino all’epoca ellenistico-romana: si è già accennato alle notevoli differenti quote di affioramento dei piani stradali della città antica nelle aree che vanno da porta ii alla Collina dei templi, mentre deviazioni dell’impianto ortogonale sono riconoscibili anche nel reticolato sino in età romana nella zona collinare di S. Nicola. L’ampliamento delle aree di edificazione abitativa, avvenuto nel corso del v secolo, dovette probabilmente svilupparsi a partire dai poli creatisi attorno alle zone pubbliche, fra cui possiamo annoverare anche le zone nei pressi delle principali porte urbiche: forse non è casuale che testimonianze di abitazioni inserite nel reticolato viario databili al v sec. a.C. siano state individuate proprio nelle su citate aree, come il quartiere di case nella zona della Collina dei Templi, compreso tra il santuario delle divinità cthonie ed il tempio di Zeus (non lontano da Porta v); le abitazioni rintracciate sotto le fondazioni di età ellenistico-romana in contrada S. Nicola; il quartiere di abitazioni sul pianoro marginale della Rupe Atenea presso Porta ii, distrutto dai Cartaginesi alla fine del v sec. (dove in seguito venne ricostruito il complesso abitativo-artigianale c.d. punico); le abitazioni del v sec. individuate dal Griffo nella zona tra porta vi e Poggio Meta, tradizionalmente indicato come sede dell’antico ippodromo. A giudicare da quanto risulta dalle ricerche effettuate nell’area degli edifici pubblici, si direbbe che anche nel iv-iii sec a.C. sia l’aspetto del profilo altimetrico sia l’estensione e l’articolazione planimetrica del tessuto urbano rimanessero pressoché inalterati: se veniva potenziata e più intensamente edificata la zona pubblica destinata all’attività politico-amministrativa posta al centro della città (Poggio di S. Nicola), con la costruzione dell’ekklesiasterion e del nuovo bouleuterion, le aree intermedie comprese tra i due essenziali centri tradizionali della vita pubblica sacra e civile (la citata zona di S. Nicola da un lato, la Collina dei templi con l’adiacente agorà inferiore dall’altro) dovettero mantenere quasi gli stessi terrazzamenti, con notevoli dislivelli, che assicuravano i collegamenti tra le aree pubbliche, raccordati, a varie quote, mediante strade, rampe e scalinate. In tali aree intermedie potevano trovare posto anche modesti insediamenti artigianali, come la fornace per ceramiche, di iii sec. a.C., messa in luce a ridosso del lato occidentale del cardo di limite ovest dell’isolato in cui venne poi costruito il Ginnasio. E fu proprio solo con il rinnovato impianto urbano della seconda metà del ii sec. a.C. che queste aree intermedie vennero occupate da una più intensa edificazione e da un regolare reticolato, in alcune aree, prevî livellamenti di quote con spianamenti di macerie e riporti di terra, come la zona tra l’agorà superiore e l’agorà inferiore, in altre, mantenendo i terrazzamenti e i livelli stradali pressoché alle medesime quote dei ter-

considerazioni sulla evoluzione della morfologia urbana 99 razzi dell’impianto precedente,1 con un paesaggio urbano segnato essenzialmente dai rilievi della Collina dei Templi, dal prospiciente pianoro del quartiere abitativo sul dorsale del colle presso S. Nicola, dai rilievi dell’acropoli e dal costone roccioso che contornava la città, con le porte urbane cui facevano capo i principali assi viari interni e la viabilità esterna. In questa evoluzione e articolazione funzionale dell’impianto urbano vanno considerate anche l’ubicazione e la costruzione del Ginnasio. Ci si può chiedere, innanzitutto, se potesse già esistere, nel v sec. a.C., un primo, sia pur limitato, impianto destinato all’educazione fisica e alla preparazione atletico-sportiva. Tale ipotesi non sembra da escludersi se si considera la tradizione storico-letteraria che propone Agrigento come patria di atleti olimpionici e terra rinomata per i suoi cavalli e per le prestigiose gare “sponsorizzate” dai suoi tiranni. In tal caso, l’ubicazione del ginnasio o palestra potrebbe immaginarsi in un’area esterna alla città, come in genere i ginnasia più antichi,2 o forse in area interna ai bordi dell’abitato, ad esempio tra Porta vi e Poggio Meta, ritenuto tradizionalmente sede dello stadio per le gare ippiche. Dopo il rinnovamento edilizio di età timoleontea, allorché sull’agorà superiore sorgono l’eklesiasterion ed il nuovo bouleuterion, il ginnasio, se già esistente – ma di esso non abbiamo per ora traccia – avrebbe potuto trovar sede, secondo la tendenza dei tempi, al centro della vita pubblica della città, tra l’agorà superiore e l’agorà bassa, forse più vicino a quest’ultima, nei pressi del tempio di Eracle, il cui culto è tradizionalmente associato ai gymnasia. Più consistenti elementi vi sono, in ogni caso, per ritenere che, proprio con il rinnovato impianto urbano del ii sec. a.C., mentre viene ridotta e limitata la funzione dell’agorà inferiore, trasferita in media urbis sull’altura di S. Nicola, sia nato il primo impianto del complesso del ginnasio rivelato dagli scavi, sorto sui nuovi terrazzi creati con lo spianamento di macerie e riporti di terra, nell’area che si trova a Sud del centro di attività politico-amministrative dell’agorà superiore e a Nord della Collina dei Templi, non lontano dall’agorà bassa, di cui in parte il nuovo impianto pubblico dovette forse integrare le funzioni come sede di attività pubbliche di interesse collettivo e in parte sostituirsi nel ruolo simbolico-rappresentativo,3 allorché l’agorà inferiore continuava ad essere luogo di aggregazione (il forum ancora attestato da Cicerone)4 forse solo per attività precipuamente commerciali favorite dalla immediata vicinanza alla Porta iv, collegata all’emporio, e come farebbero pensare anche le ampie aree libere, delimitate da portici e da grandi ambienti privi di pavimentazione, che prospettano, a Nord e a Sud, sulla grande plateia i; ed è proprio questa porta «che conduce al mare» – secondo la definizione liviana – ad immettere, all’interno della città, nel cardo dal quale si accede direttamente al 1 Ai margini del decumano i-l, a Est e ad Ovest del cardo i, si sono rintracciati muri di contenimento di terrazzamenti con riporti di terra datati da materiali ceramici che coprivano un arco cronologico dal vi al ii sec. a.C., pur non risultando, in questa zona, una soprelevazione di quote dei livelli stradali e dei terrazzi del nuovo impianto, che dovette qui limitarsi ad una sistemazione e regolarizzazione dei moduli del reticolato urbano. 2 Cfr. Delorme 1960, p. 441 sgg. 3 Cfr. Delorme 1960, pp. 457-458 sul ruolo simbolico dei gymnasia in questo periodo: «A côté donc de l’agora dont la fonction commerciale l’avait emporté sur les autres, en décadence, il représentait ce qui subsistait de l’idéal dépassé de la souveraineté populaire et, plus encore, symbolisait ce dont les Grecs hellénistique ont été le plus fiers … leur mode de vie, leur formation intellectuelle, morale, physique, en un mot, leur civilisation». 4 Cic., Verr. 4,94.

100 graziella fiorentini Ginnasio. Il nuovo grande complesso del Ginnasio – la cui identificazione è indubitabilmente testimoniata dai numerosi embrici di copertura con bollo °YM (cfr. Tav. xxxvi, Fig. 1) – nasce, dunque, nel quadro del nuovo sistematico assetto urbano che investe anche estese aree urbane, in precedenza non edificate, rese pianeggianti mediante massicce colmate di terra al di sopra degli antichi terrazzamenti (potenziate ed aumentate, successivamente in età giulio-claudia nella zona più a Nord): riporti che interessarono anche il terrazzo inferiore, a Sud del Ginnasio, tra il così detto pritaneo ed il piazzale esterno al tempio di Zeus e che, unificando i piani d’uso, dovettero obliterare anche il monumento (di cui si è rinvenuto il basamento interrato) che simbolicamente segnava il limite tra l’agorà e l’area sacra esterna all’Olympieion, area che sino al iv-iii sec. a.C. doveva emergere più vistosamente rispetto al terrazzo dell’agorà inferiore. La contiguità di spazi, creatasi con il nuovo assetto, tra l’agorà inferiore ed il ginnasio sembra, pertanto, evidenziare un nesso tra questi due spazi funzionali pubblici divenuto costante in età ellenistica.1 Una importante fase di rinnovamento del complesso del Ginnasio è documentata in età augustea, per iniziativa di generosi e importanti pubblici magistrati romani, con interventi che sembrano privilegiare l’aspetto competitivo e spettacolare delle gare, quali esibizioni sportive aperte al pubblico, come indica la creazione di tribune per gli spettatori, cui si accede direttamente dal cardo orientale, e con la realizzazione di un complesso impianto idraulico collegato con la nuova vasca quadrangolare al limite della pista a Nord del vallone: caratteristiche venute meno alla fine del i sec. d.C. con l’obliterazione di buona parte del condotto idraulico e la eliminazione degli spalti, mentre si conserva soltanto l’uso della pista e del portico, con testimonianza di frequentazione sino alla prima metà del iii sec. d.C.; non è improbabile che, sul terrazzo settentrionale, proprio nel corso del i sec. d.C. si sia sviluppato un complesso di palestra collegata ad impianti di ‚·ÏÓÂÖ·, in aderenza alla tendenza dei tempi e agli acquisiti usi della società romana. Ed è proprio in età giulio-claudia che ha luogo anche un riassetto dell’area pubblica dell’agorà alta, trasformata con la costruzione del tempio romano e dell’ampio triportico:2 riassetto ottenuto, tra l’altro, con la costruzione di nuovi tratti di muraglioni e, anche qui, con massicce colmate e riporti di terra. Una singolarità che stupisce, e che risulta da tutti gli scavi condotti lungo i tracciati viari di piena età romana ad Agrigento, è l’assoluta assenza dei lastricati o di qualsiasi pavimentazione in pietra o di regolari acciottolati del tipo solitamente noto in tutte le strade di età romana. L’anomalia può essere forse dovuta all’assenza di cave di pietra dura nel territorio agrigentino, ricco, invece, di roccia tufacea, inadatta all’uso e all’usura delle sedi stradali; pertanto si continuò a realizzare pavimentazioni stradali in battutti di sabbione tufaceo, talora con semplici rifacimenti ed ispessimenti dei battuti dei tracciati dell’impianto di ii sec. a.C. Tornando all’area archeologica in esame, l’importanza e l’interesse archeologico della zona del Ginnasio – sotto il profilo urbanistico, architettonico-rappresentativo e dell’articolazione funzionale dell’edilizia urbana – è testimoniata ancora dal complesso sorto in età costantiniana nell’area del portico e della pista. Si tratta evidentemente di un complesso destinato alla frequentazione di un pubblico numeroso, come indicano i vasti spazi, le dimensioni degli edifici, la disposizione simmetrica degli edifici stessi e dei 1 Cfr. Delorme 1960, l.c.

2 V. supra, pp. 50-61.

considerazioni sulla evoluzione della morfologia urbana 101 relativi ingressi, in grado di assicurare un percorso continuo tra di essi e sugli assi viari limitrofi, ancora in uso e probabilmente ancora funzionali al collegamento tra l’agorà superiore e quella inferiore: infatti, la zona di quest’ultima doveva essere ancora frequentata, se non altro, come area contigua alla Porta iv, punto di accesso dagli approdi marini; l’agorà superiore, negli ultimi scavi, ha rivelato tracce, limitate ma significative, di una fase architettonica di età costantiniana: più precisamente, una ristrutturazione del lato ovest del triportico e, riteniamo, il lembo di decorazione musiva pavimentale del c.d. odeon nella zona del bouleuterion, rinnovato per nuove funzioni che dimostrano una ancor viva o rinnovata fase di vita culturale dell’agorà superiore.1 Il nuovo complesso pubblico sorto nell’area del Ginnasio, dovette assumere ora una nuova funzione, favorita dall’ubicazione intermedia tra due punti rimasti essenziali della topografia cittadina e come indicano anche le caratteristiche evidenziate degli edifici sopra descritti e la loro articolazione funzionale ai percorsi sugli assi di collegamento tra i due poli suddetti: tutto ciò farebbe pensare ad una destinazione del complesso finalizzata ad attività commerciali e mercantili, quali quelle di un mercato coperto, come indicano anche gli ampi spazi continuamente percorribili, il grande edificio circolare ed il tipo di pavimentazione non lastricata, come quella usata nelle strade e negli spazi comuni urbani. L’imponenza degli edifici, la loro simmetrica ed organica disposizione, la strategica e funzionale ubicazione, per così dire “a cerniera”, dell’intero complesso architettonico tra i due tradizionali poli della vita pubblica cittadina, si inseriscono in un piano sistematico e in una visione unitaria predeterminata, consoni con il clima di “restaurazione” proprî dell’età costantiniana: ed è questa l’ultima immagine, archeologicamente documentata, di Agrigento come grande centro urbano dell’antichità. A segnare cronologicamente l’ultimo periodo di frequentazione del complesso – prima dell’abbandono, la successiva trasformazione dell’area in zona di modesti impianti artigianali e poi in area agricola – è il rinvenimento, nell’ultimo piano di uso del piazzale compreso fra i tre grandi edifici, di una moneta di Costanzo II, databile al 360 d.C. La data non può non fare pensare ai rovinosi movimenti tellurici che investirono la Sicilia negli anni 360-365 d.C.2 La costruzione degli edifici si data anch’essa in base a reperti numismatici provenienti dalla fondazione di un pilastro dell’edificio 2, e si pone in un periodo omogeneamente indicato tra il 321 e il 336, forse intorno al 330 d.C. Non fu dunque molto lungo il periodo di vita del nostro complesso monumentale: poco più di un trentennio, ma non vi è dubbio che la fase architettonica costantiniana emersa nell’area del Ginnasio ha aperto uno squarcio di luce su una fase edilizia significativamente rappresentativa di un periodo in precedenza, sotto il profilo architettonico, pressoché ignoto ad Agrigento.

1 V. supra, p. 43. 2 Lo stesso tipo di crollo simultaneo dei pilastri documentato da un esemplare rimasto in situ (Cfr. Tav. xxxviii, 2) sembra compatibile con l’effetto di un movimento tellurico quale la distruzione sismica del 365 d.C., v. supra, p. 50, nota 2.

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TAVOLE

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tavola i

1. Veduta del bouleuterion ampliato. 2. Muro di contenimento del terrazzo del bouleuterion. 3. L’ekklesiasterion e il sovrapposto tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”).

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tavola ii

1. Il tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). 2. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Ricostruzione Marconi (1929).

tavola iii

1. Il tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”) e l’altare. 2. L’esedra del tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”).

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tavola iv

1. Bouleuterion. Muro di terrazzamento a L (da De Miro 1985-1986). 2. Muro terrazzamento nord-sud bouleuterion (da De Miro 1985-1986). 3. Mosaici romani bouleuterion-odeum (da De Miro 1985-1986). 4. Mosaici romani bouleuterion-odeum (da De Miro 1985-1986). 5. Cornice in marmo.

tavola v

Foto satellitare dell’area degli edifici pubblici (ekklesiasterion, bouleuterion, agorà superiore, terrazzo del tempio di età imperiale) (da Google Earth 2009).

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tavola vi

1. Il Foro. 2. Foto satellitare area del Foro di età imperiale (da Google Earth 2009).

tavola vii

1. Area del Foro di età imperiale. Il triportico con il tempio. 2. Il portico occidentale.

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1. Foro. Particolare del portico nord e gettate dell’abbandono. 2. Tratto nord-ovest del portico nel corso dello scavo. 3. Portico orientale e portico settentrionale. 4. Veduta portico orientale con muro del monastero seicentesco, in primo piano portico nord e strada.

112 tavola viii

1. Area del Foto. Veduta con trabeazione appartenente al portico. 3. Protome leonina in pietra arenaria.

2. Blocco di architrave appartenente al portico. 4. Testa di divinità femminile in pietra calcarea.

tavola ix 113

1. Il triportico con il tempio (veduta da Est). 3. Il tempio da Sud.

2. Il triportico con il tempio (veduta da Nord-est). 4. Saggio nella cella.

114 tavola x

1. Spigolo sud-est del podio. 3. Spigolo sud-est dell’avancorpo.

2. Tratto sud-est del podio del tempio. 4. saggio nell’avancorpo.

tavola xi 115

1. Lato orientale del tempio. 3. Lato occidentale del tempio.

2. Rampa lato est del tempio. 4. Rampa lato ovest del tempio.

116 tavola xii

tavola xiii

1. Saggio a ridosso dell’altare. 2. Saggio allo spigolo sud-est affiorante dell’altare. 3. Altare-tempio.

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Tav. xiv. Ricostruzione del tempio e del portico (Arch. G. Cavaleri).

118 tavola xiv

tavola xv

1. Statua di togato A presso lo spigolo sud-est del tempio. 2. Statua di togato B durante lo scavo. 3. Piede marmoreo. 4. Lucerna romana.

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tavola xvi

1. Area del tempio. Oscillum fittile con raffigurazione di Iside. 2. Oscillum fittile con raffigurazione di Iside, particolare e disegno restitutivo (Arch. M. Cotroneo). 3. Orologio solare. 4. Mano in marmo.

tavola xvii

1. Area del tempio. Lastra marmorea con fiore di loto. 2. Pendaglio-amuleto in pasta vitrea. 3. Tegola con rilievo. 4. Ansa di louterion. 5. Lucerna tardo-romana.

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tavola xviii

1. Area del Foro. La strada a Nord del triportico. 2. Veduta botteghe a Nord della strada.

tavola xix

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Area del tempio. 1. Blocco 9.1 3. Blocco 11. 5. Blocco 13.

2. Blocco 10. 4. Blocco 12. 6. Blocco 14.

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tavola xx

1. Blocco 15, probabile appartenenza al tempio. 2. Blocco 16. 3. Blocco 18. 4. Blocco 19. 5. Blocco 23. 6. Blocco 24, appartenente all’altare.

tavola xxi

1. Blocco 25, appartenente all’altare. 3. Rocchio di colonna 37. 5. Rocchio di colonna 46.

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2. Rocchio di colonna 36. 4. Rocchio di colonna 38. 6. Rocchio di colonna 47.

1. Rocchio di colonna 49.

2. Capitello 50.

3. Capitello 51.

126 tavola xxii

tavola xxiii

1. Epigrafe funeraria in marmo (da Griffo 1963). 2. L’iscrizione dedicatoria del tempietto su podio (da Marconi 1929). 3. Base marmorea iscritta (da De Miro 1984-1985).

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tavola xxiv

1. Complesso monumentale del Ginnasio: settore messo in luce a Sud del vallone. 2. Il portico del Ginnasio, da Sud.

tavola xxv

1. Ginnasio. Tratto nord delle fondazioni dello stilobate del portico 2. Ginnasio. Lo stilobate del portico con canaletta e pozzetto di raccolta.

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Tav. xxvi, 1. Ricostruzione grafica del portico del Ginnasio di Agrigento (Elaborazione grafica G. Cavaleri).

130 tavola xxvi

tavola xxvii

1. Ginnasio. Colonna del portico parzialmente ricomposta. 2. Capitello del portico del Ginnasio di Agrigento.

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tavola xxviii

1. Ginnasio. Blocco di architrave del portico. 2. Ginnasio. Blocco del fregio del portico.

tavola xxix

1. Ginnasio. Blocco di cornice. 2. Ginnasio. Blocco di cornice: soffitto del gocciolatoio.

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tavola xxx

1. Agrigento. Ginnasio. Settore nord-est dei sedili (Sedile B. Nord), con tratto iniziale dell’iscrizione interrato sotto il piano di calpestio dell’edificio 2 di età costantiniana. Alle spalle, la fontana ad esedra. 2. Ginnasio. Settore nord-est dei sedili (Sedile B. Nord): particolare della spalliera frammentaria con inizio dell’iscrizione.

tavola xxxi

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1. Ginnasio. Sedile in pietra con iscrizione incisa sulla spalliera: settore nord-est (Sedile B. Nord). 2. Ginnasio. Sedile iscritto con relativa base. (Sedile B. Nord).

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tavola xxxii

1. Ginnasio. Limite nord del Settore sud-ovest (Sedile A): particolare del sedile iscritto con il bracciolo. 2. Ginnasio. Area a Nord dello stadio. Veduta del piede della rampa a ridosso della fondazione del portico, all’interno del vallone.

tavola xxxiii

1. Ginnasio. Impianto idraulico lungo il margine del cardo est. 2. Ginnasio. Impianto idraulico. Particolare delle vaschette e del pozzo di raccolta al margine del cardo est.

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tavola xxxiv

1. Ginnasio. Area a Nord dello stadio: la vasca della natatio al margine nord del vallone con evidenti distruzioni ed alterazioni di età moderna. 2. Ginnasio. Area ad Est dello stadio. La vasca ad esedra.

tavola xxxv

1. Ginnasio. Area a Est dello stadio. Altare monumentale: basamento e resti della gradinata di accesso. 2. Ginnasio. Tratto sud del portico con stilobate e muro di fondo coincidente con il limite est del cardo occidentale.

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tavola xxxvi

1. Ginnasio. Frammenti di tegole (embrici) con bollo °YM, dal crollo della copertura del portico. 2. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana: particolare dell’edificio 2 accostato con l’angolo (a Nord-Est) all’edificio circolare 1. 3. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana: particolare dell’edificio 3 accostato (a Sud-Est) all’edificio circolare 1.

tavola xxxvii

1. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio circolare 1. 2. Ginnasio. Resti dei blocchi di base dell’edificio circolare 1 poggiati sopra lo stilobate del portico del Ginnasio.

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tavola xxxviii

1. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio 2 (da Sud-est). 2. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio 2: veduta della fila di pilastri con il crollo in situ di uno di essi.

tavola xxxix

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1. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio 3: particolare della soglia nord. 2. Area nord del Ginnasio. Fase edilizia costantiniana: l’edificio 4 a Nord-Ovest dell’edificio 2, a Sud della rampa sul vallone.

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tavola xl

1. Impianto artigianale (torchio) del vii sec. d.C., installato nell’angolo nord-est dell’edificio 2 di età costantiniana. 2. Area del Ginnasio: la sede del cardo orientale occupata dalle fornaci medievali.

tavola xli

1. Area del Ginnasio. La fornace medievale n. 1 (viii/ix sec. d.C.), sul cardo est, a ridosso delle strutture del torchio. 2. Area del Ginnasio. Fornace medievale n. 2.

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INDICE DELLE FIGURE Fig. 1. Planimetria di Akragas nella restituzione aereofotogrammetrica (da Schmiedt-Griffo 1958). Fig. 2. Pianta schematica della città con i settori terrazzati. Fig. 3. Settore centrale del tessuto urbano. Fig. 4. Pianta schematica del bouleuterion. Fig. 5. Pianta ekklesiasterion e sovrapposte strutture della piazza con tempietto (“Oratorio di Falaride”). Fig. 6. Pianta schematica area della piazza porticata con tempietto su podio, altare, esedra. Fig. 7. Profili del tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”) (da Marconi 1926) Fig. 8. Profilo cornice presso l“Oratorio di Falaride” (da von Sydow 1984) Fig. 9. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Pianta archeologica (Ril. Arch. G. Cavaleri). Fig. 10. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Sezioni est-ovest e nord-sud (Ril. Arch. G. Cavaleri). Fig. 11. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Prospetti est-ovest (Ril. Arch. G. Cavaleri). Fig. 12. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Prospetti laterali sud e nord (Ril. Arch. G. Cavaleri). Fig. 13. Sezione lato sud del podio con modanature (Ril. Arch. G. Cavaleri). Fig. 14. Pianta archeologica della piazza con tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Fig. 15. Particolare altare, esedra. Fig. 16. Pianta archeologica del bouleuterion sovrapposto al sacello arcaico (da De Miro 1985-1986). Fig. 17. Pianta fasi a colori del bouleuterion (da De Miro 1985-1986). Fig. 18. Stratigrafie del bouleuterion (da De Miro 1985-1986). Fig. 19. Area del bouleuterion-odeum e terrazzo del Foro di età imperiale. Fig. 20. Pianta archeologica del Foro di età imperiale. Il triportico con il tempio. Fig. 21. Prospetto del portico nord. Fig. 22. Pianta schematica ricostruttiva del Foro di età imperiale. Particolare. Fig. 23. Blocchi di trabeazione appartenente al portico (Ril. Arch. G. Cavaleri). Fig. 24. Pianta archeologica del tempio. Fig. 25. Il podio del tempio di età imperiale. Lato est. Fig. 26. Il podio del tempio di età imperiale. Lato nord. Fig. 27. Sezione del lato ovest del podio con le modanature. Fig. 28. Pianta particolare dell’avancorpo e delle rampe. Fig. 29. Sezione del saggio 4/95. Fig. 30. Sezione stratigrafica nord-sud del portico nord e del tempio di età imperiale. Fig. 31. Sezione stratigrafica all’interno del podio del tempio di età imperiale. Fig. 32. Sezione stratigrafica a ridosso del lato ovest del tempio (1995). Fig. 33. Rinvenimento dei due togati a Sud-est del tempio. Fig. 34. Planimetria del settore M, strutture a Nord del portico settentrionale con la strada interposta. Fig. 35. Blocchi architettonici 1 e 2, giacenti nell’area del portico orientale. Fig. 36. Pianta particolare con blocchi architettonici 7-11 a Nord-est del tempio. Fig. 37. Blocco 8, sezione. Fig. 38. Blocco 9, sezione. Fig. 39. Blocco 10, sezione. Fig. 40. Blocco 11, sezione. Fig. 41. Sezione con posizione dei blocchi 12 e 13 nel portico nord Fig. 42. Blocco 13, sezione. Fig. 43. Blocco 14 in pianta, prospetto e sezioni. Fig. 44. Blocco 15 in prospetto e sezione.

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Fig. 45. Blocco 16, sezione. Fig. 46. Blocco 18, sezione. Fig. 47. Blocco 23, sezione. Fig. 48. Blocco 24, sezione. Fig. 49. Colonna 37, pianta. Fig. 50. Colonna 46, prospetto e sezione. Fig. 51. Capitello 50, pianta e prospetto. Fig. 52. Capitello 51, rilievi. Fig. 53. Area degli edifici pubblici (Rielaborazione grafica Arch. G. Cavaleri) Fig. 54. Planimetria generale del complesso monumentale del Ginnasio (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 55. Ginnasio. Rilievo grafico di rocchi di colonna (Arch. G. Cavaleri). Fig. 56. Ginnasio. Rilievo grafico del capitello (Arch. G. Cavaleri). Fig. 57. Ginnasio. Rilievo grafico del blocco di fregio (Arch. G. Cavaleri). Fig. 58. Ginnasio. Rilievo grafico del blocco di cornice. Fig. 59. Ginnasio. Piantina schematica dell’area del Ginnasio con indicazione dei sedili iscritti, lungo il tratto terminale della pista. Fig. 60. Ginnasio. Planimetria della zona a Nord dello stadio, ai margini del vallone (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 61. Ginnasio. Planimetria della vasca ad esedra (Rilievo Arch: G. Cavaleri). Fig. 62. Ginnasio. Planimetria dell’altare monumentale (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 63. Planimetria del complesso monumentale del Ginnasio con indicazione schematica delle principali fasi edilizie. Fig. 64. Ginnasio. Planimetria dell’edificio 1, di età costantiniana (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 65. Ginnasio. Planimetria dell’edificio 2 (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 66. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana: planimetria dell’edificio 3 (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 67. Planimetria dell’edificio 4, di età costantiniana (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 68. Impianto artigianale di torchio (vii sec. d.C.). Planimetria (Rilievo Arch. G. Cavaleri). Fig. 69. Area del Ginnasio. Fornace medievale n. 2: planimetria (Rilevo Arch. G. Cavaleri).

INDICE DELLE TAVOLE Tav. i, 1. Veduta del bouleuterion ampliato. Tav. i, 2. Muro di contenimento del terrazzo del bouleuterion. Tav. i, 3. L’ekklesiasterion e il sovrapposto tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Tav. ii, 1. Il tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Tav. ii, 2. Tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Ricostruzione Marconi (1929). Tav. iii, 1. Il tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”) e l’altare. Tav. iii, 2. L’esedra del tempietto su podio (“Oratorio di Falaride”). Tav. iv, 1. Bouleuterion. Muro di terrazzamento a L (da De Miro 1985-1986). Tav. iv, 2. Muro terrazzamento nord-sud bouleuterion (da De Miro 1985-1986). Tav. iv, 3. Mosaici romani bouleuterion-odeum (da De Miro 1985-1986). Tav. iv, 4. Mosaici romani bouleuterion-odeum (da De Miro 1985-1986). Tav. iv, 5. Cornice in marmo. Tav. v. Foto satellitare dell’area degli edifici pubblici (ekklesiasterion, bouleuterion, agorà superiore, terrazzo del tempio di età imperiale) (da Google Earth 2009). Tav. vi, 1. Il Foro. Tav. vi, 2. Foto satellitare area del Foro di età imperiale (da Google Earth 2009). Tav. vii, 1. Area del Foro di età imperiale. Il triportico con il tempio. Tav. vii, 2. Il portico occidentale. Tav. viii, 1. Foro. Particolare del portico nord e gettate dell’abbandono. Tav. viii, 2. Tratto nord-ovest del portico nel corso dello scavo. Tav. viii, 3. Portico orientale e portico settentrionale. Tav. viii, 4. Veduta portico orientale con muro del monastero seicentesco, in primo piano portico nord e strada. Tav. ix, 1. Area del Foro. Veduta con trabeazione appartenente al portico. Tav. ix, 2. Blocco di architrave appartenente al portico. Tav. ix, 3. Protome leonina in pietra arenaria. Tav. ix, 4. Testa di divinità femminile in pietra calcarea. Tav. x, 1. Il triportico con il tempio (veduta da Est). Tav. x, 2. Il triportico con il tempio (veduta da Nord-est). Tav. x, 3. Il tempio da Sud. Tav. x, 4. Saggio nella cella. Tav. xi, 1. Spigolo sud-est del podio. Tav. xi, 2. Tratto sud-est del podio del tempio. Tav. xi, 3. Spigolo sud-est dell’avancorpo. Tav. xi, 4. saggio nell’avancorpo. Tav. xii, 1. Lato orientale del tempio. Tav. xii, 2. Rampa lato est del tempio. Tav. xii, 3. Lato occidentale del tempio. Tav. xii, 4. Rampa lato ovest del tempio. Tav. xiii, 1. Saggio a ridosso dell’altare. Tav. xiii, 2. Saggio allo spigolo sud-est affiorante dell’altare. Tav. xiii, 3. Altare-tempio. Tav. xiv. Ricostruzione del tempio e del portico (Arch. G. Cavaleri).

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Tav. xv, 1. Statua di togato A presso lo spigolo sud-est del tempio. Tav. xv, 2. Statua di togato B durante lo scavo. Tav. xv, 3. Piede marmoreo. Tav. xv, 4. Lucerna romana. Tav. xvi, 1. Area del tempio. Oscillum fittile con raffigurazione di Iside. Tav. xvi, 2. Oscillum fittile con raffigurazione di Iside, particolare e disegno restitutivo (Arch. M. Cotroneo). Tav. xvi, 3. Orologio solare. Tav. xvi, 4. Mano in marmo. Tav. xvii, 1. Area del tempio. Lastra marmorea con fiore di loto. Tav. xvii, 2. Pendaglio-amuleto in pasta vitrea. Tav. xvii, 3. Tegola con rilievo. Tav. xvii, 4. Ansa di louterion. Tav. xvii, 5. Lucerna tardo-romana. Tav. xviii, 1. Area del Foro. La strada a Nord del triportico. Tav. xviii, 2. Veduta botteghe a Nord della strada. Tav. xix, 1. Area del tempio. Blocco 9. Tav. xix, 2. Area del tempio. Blocco 10. Tav. xix, 3. Area del tempio. Blocco 11. Tav. xix, 4. Area del tempio. Blocco 12. Tav. xix, 5. Area del tempio. Blocco 13. Tav. xix, 6. Area del tempio. Blocco 14. Tav. xx, 1. Blocco 15, probabile appartenenza al tempio. Tav. xx, 2. Blocco 16. Tav. xx, 3. Blocco 18. Tav. xx, 4. Blocco 19. Tav. xx, 5. Blocco 23. Tav. xx, 6. Blocco 24, appartenente all’altare. Tav. xxi, 1. Blocco 25, appartenente all’altare. Tav. xxi, 2. Rocchio di colonna 36. Tav. xxi, 3. Rocchio di colonna 37. Tav. xxi, 4. Rocchio di colonna 38. Tav. xxi, 5. Rocchio di colonna 46. Tav. xxi, 6. Rocchio di colonna 47. Tav. xxii, 1. Rocchio di colonna 49. Tav. xxii, 2. Capitello 50. Tav. xxii, 3. Capitello 51. Tav. xxiii, 1. Epigrafe funeraria in marmo (da Griffo 1963). Tav. xxiii, 2. L’iscrizione dedicatoria del tempietto su podio (da Marconi 1929). Tav. xxiii, 3. Base marmorea iscritta (da De Miro 1984-1985). Tav. xxiv, 1. Complesso monumentale del Ginnasio: settore messo in luce a Sud del vallone. Tav. xxiv, 2. Il portico del Ginnasio, da Sud. Tav. xxv, 1. Ginnasio. Tratto nord delle fondazioni dello stilobate del portico. Tav. xxv, 2. Ginnasio. Lo stilobate del portico con canaletta e pozzetto di raccolta. Tav. xxvi, 1. Ricostruzione grafica del portico del Ginnasio di Agrigento (Elaborazione grafica G. Cavaleri).

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Tav. xxvii, 1. Ginnasio. Colonna del portico parzialmente ricomposta. Tav. xxvii, 2. Capitello del portico del Ginnasio di Agrigento. Tav. xxviii, 1. Ginnasio. Blocco di architrave del portico. Tav. xxviii, 2. Ginnasio. Blocco del fregio del portico. Tav. xxix, 1. Ginnasio. Blocco di cornice. Tav. xxix, 2. Ginnasio. Blocco di cornice: soffitto del gocciolatoio. Tav. xxx, 1. Agrigento. Ginnasio. Settore nord-est dei sedili (Sedile B. Nord), con tratto iniziale dell’iscrizione interrato sotto il piano di calpestio dell’edificio 2 di età costantiniana. Alle spalle, la fontana ad esedra. Tav. xxx, 2. Ginnasio. Settore nord-est dei sedili (Sedile B. Nord): particolare della spalliera frammentaria con inizio dell’iscrizione. Tav. xxxi, 1. Ginnasio. Sedile in pietra con iscrizione incisa sulla spalliera: settore nord-est (Sedile B. Nord). Tav. xxxi, 2. Ginnasio. Sedile iscritto con relativa base. (Sedile B. Nord). Tav. xxxii, 1. Ginnasio. Limite nord del Settore sud-ovest (Sedile A): particolare del sedile iscritto con il bracciolo. Tav. xxxii, 2. Ginnasio. Area a Nord dello stadio. Veduta del piede della rampa a ridosso della fondazione del portico, all’interno del vallone. Tav. xxxiii, 1. Ginnasio. Impianto idraulico lungo il margine del cardo est. Tav. xxxiii, 2. Ginnasio. Impianto idraulico. Particolare delle vaschette e del pozzo di raccolta al margine del cardo est. Tav. xxxiv, 1. Ginnasio. Area a Nord dello stadio: la vasca della natatio al margine nord del vallone con evidenti distruzioni ed alterazioni di età moderna. Tav. xxxiv, 2. Ginnasio. Area ad Est dello stadio. La vasca ad esedra. Tav. xxxv, 1. Ginnasio. Area a Est dello stadio. Altare monumentale: basamento e resti della gradinata di accesso. Tav. xxxv, 2. Ginnasio. Tratto sud del portico con stilobate e muro di fondo coincidente con il limite est del cardo occidentale. Tav. xxxvi, 1. Ginnasio. Frammenti di tegole (embrici) con bollo °YM, dal crollo della copertura del portico. Tav. xxxvi, 2. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana: particolare dell’edificio 2 accostato con l’angolo (a Nord-Est) all’edificio circolare 1. Tav. xxxvi, 3. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana: particolare dell’edificio 3 accostato (a Sud-Est) all’edificio circolare 1. Tav. xxxvii, 1. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio circolare 1. Tav. xxxvii, 2. Ginnasio. Resti dei blocchi di base dell’edificio circolare 1 poggiati sopra lo stilobate del portico del Ginnasio. Tav. xxxviii, 1. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio 2 (da Sud-est). Tav. xxxviii, 2. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio 2: veduta della fila di pilastri con il crollo in situ di uno di essi. Tav. xxxix, 1. Ginnasio. Fase edilizia di età costantiniana. Edificio 3: particolare della soglia nord. Tav. xxxix, 2. Area nord del Ginnasio. Fase edilizia costantiniana: l’edificio 4 a Nord-Ovest dell’edificio 2, a Sud della rampa sul vallone. Tav. xl, 1. Impianto artigianale (torchio) del vii sec. d.C., installato nell’angolo nord-est dell’edificio 2 di età costantiniana.

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Tav. xl, 2. Area del Ginnasio: la sede del cardo orientale occupata dalle fornaci medievali. Tav. xli, 1. Area del Ginnasio. La fornace medievale n. 1 (viii/ix sec. d.C.), sul cardo est, a ridosso delle strutture del torchio. Tav. xli, 2. Area del Ginnasio. Fornace medievale n. 2.

co m p o sto i n c a r att ere da nte m onotype da lla fa b ri z i o se rr a edito re, pisa · ro m a . sta m pato e rilegato nella t i p o gr a f i a d i agnano, ag na no pisa no (pisa ).

* Aprile 2011 (cz 2 · fg 21)