A cura di Giorgio Maragliano Plastica [First ed.]

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Italian Pages 154 [77] Year 1994

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A cura di Giorgio Maragliano 
Plastica [First ed.]

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I\ ·sthet ica cJizioni

via Giusti 25

90144 Palermo

Indice

Presentazione, di Giorgio Maragliano

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Plastica, di Johann Gottfried Herder Capitolo primo

39

Capitolo secondo Capitolo quarto

51 67 81

Capitolo quinto

93

Capitolo terzo

I'r0getto grafiw dello Studio Maravigna

Note

107

Appendice biobibliografica,di Giorgio Maragliano Indice dei nomi

139 149

Presentazione di Giorgio Maragliano

Libro doppio, la Plastica. Essa è certo un saggio di teoria del1'arte figurativa, dove per la prima volta pittura e scultura vengono considerate arti pienamente autonome l'una dail' altra, al di là delle preoccupazioni gerarchiche del "Paragone" cinquecentesco. Per quanto tuttavia Herder conosca e discuta, spesso tacendo le fonti, le tesi di autori seicenteschi come Junius, Bellori, De Piles, e di contemporanei quali Caylus, Falconet, Dandrè Bardon, Hemsterhuis, Hogarth, per tacere di Winckelmann e Lessing, il libro non è solamente un saggio di teoria dell'arte. Esso è anche un lavoro di estetica, nel senso di teoria della percezione sensibile e del bello: bello che per Herder non è l'oggetto di una facoltà distinta dell'anima, né è il frutto di una trascendenza ideale della forma, ma rimane nella sua caratteristica riluttanza all'analisi il segno certo della determinatezza sensibile delle nostre conoscen ze. Qui gli autori di riferimento sono Leibniz, Locke, Berkeley, Condillac, W olff, Diderot. Berkeley e la distinzione tra idee della vista e idee del tatto; Leibniz, l'albero di Porfirio in cui la conoscenza si articofa secondo i gradi della sua chiarezza, e la vis repraesentativa; W olff, il sistema e la psicologia; Condillac e la metafora della statua; Diderot e l'esempio delia cecità; Kant e la critica del concetto logico di esistenza ... quest'elenco un po' caricaturale di filosofi e concetti, sui quali dovremo ritornare, non basta certo a rendere ragione della novità del libro. I momenti di pensiero mediante i quali la filosofia del primo Settecento cercava di rispondere al problema della costituzione della soggettività vengono posti al servizio di una domanda nuova, appunto quella che l'estetica filosofica cerca di formulare. Se i trattatisti del Seicento non avrebbero mai pensato di dover fondare ex novo una dottrina della conoscenza per scrivere di Raffaello e Poussin, né Diderot né chiunque altro dei nomi sopra ricordati aveva posto le sue tesi sulla sensibilità al servizio di una nuova definizione del-

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L'interrogativa sobrietà di questo passo, tratto da un manos ·ritto non destinato alla pubblicazione, non deve ingannare. Motivi esteriori hanno fatto sì che alcuni tra gli scritti più penetranti degli anni 1765-70, periodo in cui il progetto "estetico" era il fuoco virtuale del pensiero di Herder, siano rimasti allo stato di frammento, oppure inediti sino a ben addentro l'Ottocento, come nel caso della quarta Selva. Non per questo la novità filosofica del progetto di Herder è meno chiara. L'estetica non è, come per Baumgarten, «ars pulchre cogitandi», essa non è sapere tecnico deputato al miglioramento della conoscenza sensibile, "arte" che educa dilettando. Né d'altra parte Herder pensa che la comprensione del bello possa esaurirsi in analisi delle sensazioni, come avveniva nd pensiero degli illuministi berlinesi Sulzer e Mendelssohn. Due sono gli effetti principali di questa impostazione. Da una parte, contro la pretesa coeva di ridurre tutte le arti e scienze ad un unico principio soggettivo produttivo o psicologico, sia esso l'imitazione o il sentimento di piacere e dispiacere, la condizione di chiarezza confusa che contraddistingue il bello viene ascritta al rapporto tra i sensi specifici e le arti che vi si rivolgono. Dall' altra, l'irriducibilità al concetto che trovava espressione nel "nonso-che" o nel "gusto" diviene proprietà della cosa bella, nel mom nto in cui rivela una formatività che si manifesta all'uomo soltanto quando la cosa è già del tutto formata. L'unità indivisa della figura bella orienta finalisticamente la percezione, senza che per questo l'esperienza estetica sia riconducibile ad una causali1~1 di cui si possa dare ragione. L'idea ancora viva nel Seicento di una poieticità originaria della natura non è affatto estranea al pensiero di Herder. Essa attraversa tuttavia una trasformazione essenziale, nel momento in cui viene a cadere il riferimento ad un sapere insegnabile che orienta e i_nfonna l'attività dell'artista, offrendogli i modelli ai quali guardare per riuscire ad attingere la naturalezza di ciò che agisce "de

son bon gré", liberamente, al di qua delle costrizioni dovute all'ambiente, all'abitudine e all'istruzione 2 . Condizione, questa, alla quale l'uomo poteva avvicinarsi quando l'"arte" nel senso ampio di tecnica produttiva si tendeva al limite delle sue capacità, e arrivava così a realizzare opere che nascondono la loro fattura. Caduto il riferimento ad un "saper fare", ad una aristotelica episteme, lo stesso concetto di "arte" si svuota dall'interno, per assumere il suo senso moderno. Nelle opere d'arte si manifesta un principio eccentrico alla intenzionalità tecnica, una "Bildung" autopoietica 3 che informa, nei suoi correlati semantici ("bilden", formare; "Bildner", scultore), l'agire dell'artista. Herder recide così la complicità tra "arte" e "natura" che sottendeva l'idea, ancora presente in Winckelmann, di una imitazione della natura bella attraverso lo studio e l'imitazione normativa dell'antico. Le belle figure greche, che egli ha imparato a conoscere leggendo i testi di Winckelmann e visitando Mannheim e Versailles, sono alla lettera corpi viventi fermati nel marmo. Nessuna "arte" può riprodurre i corpi greci, poiché la loro bellezza dipende da condizioni irriproducibili, quali ciò che egli chiama «carattere della stirpe». Non è questo il luogo per discutere le interpretazioni naziste alle quali questo motivo ha dato la stura: ci basta notare che nella Plastica esso è funzionale ad un intento del tutto opposto a quello, attualizzante, della riproposizione di una classicità mediterranea o ariana. Proprio perché la bellezza greca è dovuta a condizioni contingenti, è impresa folle voler riproporre nella contemporaneità opere che mimano la funzione delle statue antiche. Come un adulto non può apprendere di nuovo ad esperire il mondo attraverso il tatto al pari di un bambino, così un artista moderno mai potrà produrre statue greche, poiché la sua stessa formazione ("Bildung") glielo impedisce. L'antico assume così una determinatezza temporale del tutto impensabile ancora nei primi venti anni del Settecento. Certo, la cesura temporale imposta da Herder viene preparata lungo il secolo dall'enorme trasformazione dello statuto significante attribuito ai resti dell'antichità che viene a giorno nei libri di Richardson, Caylus, Winckelmann. Trasformazione, questa, in cui la statua greca a figura intera emerge dall'insieme indifferenziato che a fine Seicento è designato come "antico", dove gemme, medaglie e pietre incise greche e romane convivono con i resti statuari. L'osservazione diretta dell'opera antica costituisce nella prima metà del secolo il veicolo essenziale di un'esperienza per nulla ovvia, se si

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lo sLII 1110 dcJJc arti figurative. Herder lo sapeva, quando scriveva 1wl