14 tesi di etica 9788832825978

nrique Dussel 14 tesi di etica In un mondo alienato abituato a considerare le persone come cose, che fare affinché l’Al

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14 tesi di etica
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Opera pubblicata nell'ambito del Programma "Sur" di sostegno alla traduzione del Ministero degli Affari Esteri e Culto della Repubblica Argentina.

Obra editada en el inarco del Programa "Sùr" de apoyo a las traducciones del Ministerio de Relaciones Exteriores y Culto de la Republica Argentina. Titolo originale: 14 Tesis de ética Traduzione dallo spagnolo di Federico Lopiparo I edizione: settembre 2019 © 2019 Lit Edizioni Sri Tutti i diritti riservati Castelvecchi è un marchio di Lit Edizioni Sri Sede operativa: Via Isonzo 34, 00198 Roma Tel. 06.8412007 [email protected] www.castelvecchieditore.com ristampa 87654321

anno 2019 2020 2021 2022

Enrique Dussel •

14 TESI DI ETICA

Traduzione di Federico Lopiparo

CASTELVECCHI



Prologo

Questo libro nasce dagli appunti che ho scritto per le lezioni di etica da me tenute nel primo semestre del corso di Studi in Filosofia. Rivol. gendomi a giovani studenti che stavano iniziando il loro percorso accademico, ho cercato di spiegare le questioni nel modo più sémpliée possibile. Tuttavia, ho fatto dei rimandi ad altre mie-opere che possono permettere anche agli studenti dei corsi più avanzati di approfondire le tematiche trattate. In questo testo non è .n1ia intenzione riassuplere quanto ho già scritto. negli altri libri di etica che ho pubblicato neglr ultimi quarant'anni, ma avanzare nuove ipotesi di lavoro: la definizione dell'etica come teoria generale di tutti ·i campi pratici (tesi 1), la distinzione, delineata nella parte critica dell'opera (seconda parte), tra l'aspetto negativo dei principi (tesi 9, 1Oe 11) e il loro aspetto positivo (tesi 12, 13 e 14), così da chiarire maggiormente la mia argomentazione confrontando l'aspetto normativo decostruttivo di un ordine morale, eticamente ingiusto e autoritario, con il suo aspetto creativo o innovatore, e.molti altri punti la cui novità emergerà man mano nell'opera. Rispetto ad alcune mie opere precedenti, in questo libro ho modificato la mia posizione su Hei mate.r:no, nel!'amicizia del fratel.lo, nell'amore della coppia riappare il faccia a facci-a. Questa prossimità è l'origine della storia e il suo telos, la sua realizzazione utopica. [1.08] Diciamo allora che la prossimità archeologica è data dal semplice fatto di nascere in Altro/a, in Qualcano (nostra madre, priv1legio indiscusso della maternità:: Coatlicue). In un certo senso., anche senza saperlo, in ogni istante della nostra esistenza proviamo incessantemente a rivivere quell'esperienza del faccia a faccia, del soggetto-soggetto. Cerchiamo la.compagnia, la comunità, l'amicizia. Proviamo a raggiungere un'impossibile identità completa coh l'Altro/a,.il nostro obiettivo sempre latente. Di conseguenza, qualsiasi utopia, anche sociale, economica e politica, è come un ritorno all' origi.ne: un voler vive.r;e nella sicurezza, nell'alimento, nella piena realizzazione del feto nell'utero materno. Immaginare un ritorno reale nel passato è pa.tologico; è invece sano cercare quell'armonia perfetta nelfuturo, come realizzazione biografica e storica nelle istituzioni del mondo, che ci interpellano dalla responsabilità • • or1g1nar1a. •

[1.09] La critica, quindi, consiste nel recuperare l'Altro/a come distinto dal sistema che lo ha cosi/icato, direbbe G. Lukacs, lasciandolo sotto il dominio della volontà di potenza. Rispettare I;alterltà dell'Altro/a è l'essenza e l'origine della critica, della protesta, della ribellione e, in certi casi limite, anche della rivoluzione contro i sistemi vigenti, frutto del processo di istituzionalizzazione del potere. Su questo argomento torneremo in seguito, ma è bene tenerlo presente fin dall'inizio.

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Nel deserto (arabo), all'orizzonte, un beduino semita, palestinese ma anche ebreo (migliaia di anni fa gli ebrei erano una delle tante tribù palestinesi fra l'Egitto e la Mesopotamia) sta avanzando come un punto distante; man mano che si fa più prossimo, si scopre a che clan, a che tribù, a che popolo appartiene. Giunto più vicino, in prossimità, il semita (non l'agguerrito oplita indoeuropeo, ellenico, rivestito di ferro) stabilisce il/accia a faccia. Panim el panim, si dice in quel dialetto palestinese chiamato ebraico. Pr6sopon pr6s pr6sopon, nella traduzione greca. Questa è la categoria che fonda tutte le categorie della critica. Il volto difronte al volto. Scoprendo il proprio volto, che teneva coperto per proteggersi dal caldo come fanno i tuareg del Sahara, l'Altro si rivela come altro, come qualcuno al quale, anche se fosse un nemico per via di un qualche conflitto situato nella storia, è necessario dare ospitalità (cibo, acqua, vestiti, una tenda), perché l'alterità è sacra, è il santo in quanto tale, il punto di partenza di una definizione etica della critica teorica . e pratica. [1.091] Qualcuno potrebbe pensare che Nietzsche sia il prototipo del pensiero critico e i postmoderni (che si ispirano a lui) gli ultimi critici della modernità. Ma in Nietzsche in realtà la critica è solo apparente, una ratifica dei valori moderni in nome di un nichilismo che si contraddice. Apparentemente', Nietzsche sembra opporsi con coraggio ali' abituale, alla ripetizione quotidiana dell'insignificante: «La storia dell'abito rappresenta il ritorno dalla libertà alla natura, o, più precisamente, l'irruzione della spontaneità naturale nel dominio della libertà>>4 ; Aristotele parla di virtù in quanto disposizioni (héxis). Nietzsche la chiama >, quello che si comprende ellenicamente, a partire dal mondo della vita della polis greca, dalla sua cultura; la "com-prensione dell'essere" ellenica.

[2.5] Il ''potere-essere" morale (2.51] L'esistenza quotidiana è morale nel suo fondamento. Questa esistenza morale ha inizio con il progetto di come l'essere umano si "com-prende-poter-essere". Com prendersi come poter-essere significa che tutto quello che si fa quotidianamente viene realizzato a partire da un pro-getto che consente di sceglìere delle mediazioni intese come 12 Al momento opportuno (dalla tesi 9 in poi) tracceremo una distinzione tra "essere" e "realtà", andando oltre il § 4.3 di Essere e tempo.

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14 TESI 01 ETICA

possibilità (si veda la tesi 3). Il contenuto del com-prendersi come poter-essere non può essere espresso, perché è ciò a partire da cui l'essere umano esprime tutto quello che lo circonda. Sartre lo chiamava il , dal momento che non è nessun ente, nessuna cosa, ma l'orizzonte concreto a partire da cui ciascun essere umano interpreta il resto. [2.52] È difficile descrivere il "poter-essere" solo come futuro, come

ciò che accadrà in un presente a venire. E questo perché il suddetto >. Questo ci richiama alla mente la poesia di Theodor Daubler: «Guai a chi non ha un nemico, poiché io sarò il suo nemico il giorno del Giudizio>>41 • Chi occupa le funzioni dominanti in un sistema istituzionale ingiusto ha "amici " che lo adulano per ricevere le briciole ed evita di criticare il sistema ingiusto per non farsi dei nemici (se incominciasse a criticare le ingiustizie del sistema, gli amici che aveva quando incarnava le funzioni dominanti si.trasformerebbero in nemici). Chi non sa distinguere tra la suddetta adulazione del complice e la prudente critica del collaboratore onesto che gli mostra i suoi errori esercitando un' amicizia autentica è ingiusto come colui che ha piena coscienza morale delle malvagità che commette o anche di più, perché non potrà neanche correggere il suo atto funzionale perverso.

Tesi5 Il principio della morale42

[5.01] Le tesi 2 e 3 sono state elaborate all'interno dell'orizzonte del metodo fenomenologico: un movimento dall'essenza nascosta ai feno-

41 Citato in C. Schmitt, Ex Captivitate Salus: esperienze degli anni 1945-1947, trad. dì C. Mainoldi, Adelphi, Milan o 1987, p. 93 . 42 Nelle test· 5, 6 e 7 mi riferirò alla mia Etica della liberazione, cit., capitoli 1, 2 e 3. Si tratta di una difficile sintesi dì questo materiale con quello contenuto in E. Dussel,

Para una ética de la liberaci6n latinoamericana, cit.,

PRIMA PARTE. LA MORALE DEL SISTEMA

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meni che si manifestano nel mondo. Le tesi5, 6 e 7 risponderanno piuttosto a esigenze poste soprattutto dal kantismo, in particolare nella sua formulazione contemporanea da parte di K.-0. Apel. Questi autori parlano di principi mo.rali o di una normatività meramente (o fondamentalmente) formale (spiegheremo il significato di formale nella tesi 6). Questa filosofia riflette quindi sui principi morali, cui la fenomenologia non dà importanza. Tale aspetto normativo, che affronteremo nelle tre tesi seguenti, è invece molto importante; è anzi un aspetto essenziale che completa la descrizione fenomenologica. E' arrivato dunque il momento di inquadrare questa problematica, che nell'Etica del 1973, elaborata già nel 1969 nell'opera intitolata Para una de-strucci6n de la bistorta de la ética, non abbiamo trattato in modo approfondito. [5 .02] Nel mio dibattito con Apel43 abbiamo delineato il ribaltamen-

to compiuto dalla seconda generazione della Scuola di Francoforte, che ha prodotto una decisiva svolta pragmatica, ma perdendo la materialità dell'etica e di conseguenza, inevitabilmente, il suo senso economico-politico critico. Questo testo (le 14 tesi di etica) intende quindi mostrare l'articolazione dell'aspetto fenomenologico dell'etica (le prime tre tesi) con quello normativo dei principi (le tre tesi che iniziano con la presente), ottenendo così una visione complessiva più ampia e aggiornata. Se la prima etica del 1973 ha rappresentato la ricezione del pensiero di Lévinas in America latina (una delle prime al mondo), questo è lo sviluppo post-habermasiano della nostra disciplina. Sfortunatamente per lo studente che inizia adesso il suo percorso filosofico, le opere più recenti (a partire dal 1992, con la Teoria dell'agi're co1nunicativo di ] . H abermas) presuppongono molte letture. Qui offriamo una mappa per chi intenda poi addentrarsi ulteriormente in questi argomenti. Tuttavia, voglio semplificare il più possibile la mia esposizione, perché rendere questa filosofia più comprensibile è uno degli obiettivi di questa opera.

43 Cfr. K.-0. Apel e E. Dussel, Etica della comunicazione ed etica della liberazione, a cura di A. Savignano, Editoriale scientifica, Napoli 1999.

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14 TESI

or ETICA

[5.1] La materialità della morale [5.11] Una prima difficoltà è data dal significato delle parole materiale o materialità. Questi termini non hanno niente a che vedere con la realtà fisica o con lesistenza materiale, per esempio, di un tavolo di legno. Stiamo parlando, invece, del contenuto di un atto umano: la sua materia (non la sua/orma44) è ciò chefa.L'atto del mangiare ha come fine la soddisfazione della fame, di un bisogno. Il suo contenuto è il masticare e il digerire il cibo. L'insegnamento ha come contenuto (in tedesco, Inhalt) gli atti attraverso cui il sapere si trasmette dal maestro ali' allievo. Materiale non si oppone quindi a spirituale o anirnico. Il materiale della morale (e dell'etica) si oppone al formale, non al non-fisico, allo spirituale o allo psichico.

[5.12] Abbiamo già detto che il contenuto dell'atto è il suo scopo. Mangiando si soddisfa la fame, insegnando si comunicano delle conoscenze. Ma questi scopi sono intermedi. P erché mangiamo? Perché insegniamo? Di "perché" in "perché" si arriva allo scopo ultimo, all'orizzonte di tutti i fini: vivere pienamente la vita umana. La vita umana, essendo il fine dei fini, è il contenuto ultimo di ogni atto umano. Di conseguenza, il contenuto finale di tutti gli atti è l'affermazione della vita umana, la sua materialità compiuta. Per inciso, il materialismo di Marx non è altro che un vitalismo economico critico (non un vitalismo di destra come quello dei razzisti che, come A. Hitler, parlavano cli una vita che avrebbe trovato il suo compimento in una razza sup eriore). Ci sono molti vitalismi; noi ci riferiamo a un vitalismo razionale, universale, etico, di sinistra. [5 .1.3] Ci sono molte morali (ed etiche) che si differenziano per il contenuto che le determina. La maggior parte cli queste afferm a un solo principio normativo. A mio avviso è invece necessario elaborare molti principi che si determinino a vicenda, articolati in una totalità più complessa. Tratteremo la questione più avanti. Da quanto abbiamo detto si evince che non c'è un'istanza ultima. Se proprio se ne volesse individuare una, tuttavia, sarebbe la realtà stessa della vita umana. I

44 Anche la parola "forma " ha un significato specifico (si veda la tesi 6).

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[5 .2] Il sistema limbico affettivo valutativo [5 .21] Il nostro cetvello, l'organo che ci costituisce fisicamente come soggettività (enigma immenso che forse non riusciremo mai a comprendere appieno, data la sua coh1plessità) si può suddividere in due parti. La prima, prevalentemente (non esclusivamente) cognitiva, è chiamata neocorteccia (con miliardi di neuroni, immensamente più complessae più estesa- dell'universo fisico che ci circonda). La seconda, composta da un tipo diverso di cellule, è denominata sistema limbico. Gli specialisti nei misteri del cervello hanno studiato il comportamento molto diverso che caratterizza questi due aspetti della nostra soggettività (entrambi di natura fisica). (5 .22] Secondo questi ricercatori, il criterio delle operazioni del cervello, e in particolare del sistema limbico, si basa sul valore4' . Questo significa che agisce sulla base di un criterio vita-morte: è necessario saper distinguere tra un alimento e un veleno. Gli esseri umani trasmettono questo sapere da millenni attraverso la loro cultura (conservando nella memoria la consistenza delle cose reali che li circondano). Tra ciò che ci nutre e ciò che ci uccide c'è una differenza: l'uno afferma e sviluppa la vita; l 'altro la sopprime. L'errore, in questo giudizio pratico (la negazione di un giudizio esclusivamente teorico è la non-verità, mentre in questo caso, come si vede dall'esempio che abbiamo appena fatto, l'errore mette a rischio la vita stessa: uccide), ha conseguenze decisive. Chi si sbaglia smette di essere un soggetto, muore. Altri potranno memorizzare la pericolosità di ciò che il morto ha ingerito, ma il morto resterà morto, non c'è ritorno possibile. [5 .23] Il sistema limbico esercita la sua funzione ricordando queste esperienze e valutando ogni atto in base al criterio pratico vita-morte. I neurologi sanno molto bene che il cervello, in presenza di un virus, segue questo criterio producendo anticorpi. Se gli anticorpi uccidono il virus, l'organismo umano sopravvive. Altrimenti muore. Questo criterio è inscritto nei nostri geni, negli istinti e nei tabù culturali. Ricordare ,

45 Cfr. E. Dussel, Etica de la liberaci6n en la época de lb globalizaa·on y la exclusi6n, cit., 1.1.

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e gerarchizzare valori (mediazioni per la vita) e pericoli (mediazioni per la morte che bisogna evitare) è molto importante. Ciò che si allontana dal criterio vita-morte, dal criterio della sopravvivenza, è gerarchicamente meno importante e alla fine viene dimenticato. [5.24] Il soggetto pratico ha una relazione veritativa con la realtà. La verità è l'attualizzazione cerebrale della cosa reale. Il suo criterio ultimo è la vita. Tra tutto ciò che intorno a noi è reale (nella circospezione mondana cui abbiamo già accennato), prestiamo attenzione a quello che ha valore, che può essere integrato nel plesso delle possibilità con cui affermiamo la nostra vita, individuale o comunitaria. Ciò che non si può integrare in questo plesso passa inosservato. Non gli diamo valore. Detto en passant, non conoscian10 nulla (nessuna teoria) che non abbia attirato la nostra attenzione, che non abbia ricevuto da parte nostra un valore e che non sia stato integrato affettivamente nel nostro progetto di vita. La teoria dipende interamente dal sistema affettivo-valutativo che ci spinge a conoscere e a memorizzare. Il punto di partenza è il piano morale pratico. Il cervello, quindi, è un organo morale in quanto ci obbliga a compiere le mediazioni necessarie per l'affermazione della vita umana, individuale o comunitaria. La morale in questo caso si situa sul piano neurologico; e il neurologico costituisce, in un modo ancora misterioso (perché in gran parte a noi sconosciuto), la nostra soggettività morale (ed etica). [5 .3] L 'apparente verità dell'utilitarismo

[5 .31] Una delle correnti morali più famose è quella anglosassone denominata utilitarismo. Come contenuto è una morale materiale, ma solo in apparenza. L'utilitarismo non è del tutto sbagliato, ma è parziale e fi, nisce per contraddirsi. E nato nel Regno Unito in piena rivoluzione industriale capitalista e ne porta il segno. John Locke, molto prima degli utilitaristi, aveva affermato: 46 • D. Hume 46 J. Locke, Piacere e dolore: sulle passioni, a cura di M. Abbagnano e N . Abbagnano, UTET, Milano 2015, p. 18.

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e A. Smith hanno continuato in questa direzione, considerando le passioni umane come l'aspetto materiale fondamentale. '

[5 .32] E però J. Bentham (filosofo ed economista) ad aver formulato

la base dell'utilitarismo: 48• [5 .3 3] Ma, cercando di determinare un po' di più il principio, lo stes-

so J .S. Mili cade in un dualismo inaccettabile: 49• A questo punto si impongono due riflessioni. In primo luogo, come si può dire buono l'atto dell'eroe, nonostante l'infelicità che comporta (ad esempio nel caso di M. Hidalgo, che è stato fucilato)? Non sempre il giusto è felice; è il caso paradigmatico di una storia etica come quella di Giobbe, nel pensiero ebraico. (5.34] In questo modo la corporeità umana resta in secondo piano e il principio critico, su cui ci soffermeremo più avanti (tesi 9), perde significato. La felicità è qualcosa di psichico, di spirituale, che attiene solo alle facoltà superiori del cervello, ai valori, alle virtù. Lo sfruttamento del corpo del lavoratore, per esempio, non verrà considerato qualcosa di malvagio o di ingiusto. I trattati utilitaristi vedono il capitalismo come la natura stessa dell'essere umano e non come un sistema storico concreto che causa infelicità alla maggioranza degli uomini.

47 J. Bentham, Un /ramnzento sul governo, trad. di S. Ma reucci e S. Marcucci, Giuffrè Editore, Milano 1990, p. 37. 48 J.S. Mili, L'utilitarismo, trad. di M. Baccianini, SugarCo Edizioni, Milano 1991, p. 17. 49 Ivi, p. 19.

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[5.4] I limiti del comunitarismo [5.41] Un gruppo di filosofi anglosassoni ha criticato il formalismo

astratto della morale analitica, che studia principalmente il linguaggio normativo, ricordando che il linguaggio della morale veicola i contenuti storici propri di una cultura, quella occidentale (europeo-nordamericana). Per questo motivo, tali studiosi danno grande importanza alla storia, mostrando come il significato normativo delle parole e dei concetti morali sia sempre riferito a contenuti culturali concreti. [5 .42] Ad esempio A. Maclntyre, in un testo intitolato A Short History

o/ Ethics, ricorda l'evoluzione del contenuto dei concetti morali della cultura occidentale e invita a tornare ai classici - Locke, Hume, More, Stevenson-, che >5'. Cioè, nell'atto buono la facoltà estimativa preferisce un valore (più alto) a un altro (più basso), ìncarnando nell'azione una scelta della volontà. Se la facoltà estimativa preferisce un valore più basso e la volontà non realizza il valore più alto, l'atto è cattivo. [5.55] All'interno di questa opera, 14 tesi di etica, il valore non costi-

tuisce un'entità autonoma in un mondo eidetico o metafisico specifico o:indipe'ndente (un'ontologia speciale, secondo l'espressione di Husserl e di Scheler), ma è semplicemente una mediazione (si veda quanto già è stato detto nella tesi 2) pet la vita umana. E' quello che in economia si definisce valore d'uso: la mediazione (l'atto umano o la cosa, la mela) ha valore nella misura in cui è un mezzo per l'affermazione della vita (la mela ha un valore d'uso. se c'è un essere vivente che ha fame; senza un essere vivente affamato, ha delle pro.prietà fisiche, ma nessun valore relativo a uno scopo). Il valore non è il fondamenta della morale (o del1'etica); ha un significato, ma si fonda sullo scopo, il cui fine ultimo è la vita umana, come vedremo nelle tesi 5.8-5.9. [5 .56] Di conseguenza, quando i 11eurologi afferm·ano eh.e il cervello

umano agisce sulla base del "valore" hanno ragione, ma nella misura in cui il valore e la gerarchia dei valori si intendono fondati sull'affermazione, la difesa e il miglioramento della vita. Quando il cervello produce un anticorpo contro un virus, giudica che tale anticorpo ha valore in quanto può eliminare qualcosa in grado di uccidere l'essere umano. Il luogo dei valori non è un mondo metafisico quasi platonico, ma il sistema rammemorante del cervello umano, strettamente legato al sistema limbico. Si può anche dire che il vero "luogo" dei valori corrisponde a urta funzione superiore ael cervello. Un essere umano! vedendosi scagliare contro una pietra, alza la mano per proteggersi la testa, mettendo Perché giudica che la mano abbìa meno a rischio il suo arto.. Perché?' ., valore del suo cervello. E quello che farebbe istintivamente anche un bambino. Così funziona, anche sul piano cultt1rale, il mondo dei valori e la sua gerarchia. Ha più valore ciò che è più utile per l'esistenza umana. Se la giustizia o la prudenza hanno un valore, è perché a valere, pti55 Ivi, p. 77.

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ma di tutto, è la vita della comunità. L'uomo giusto e prudente sostiene la vita comunitaria più di quello ingiusto e imprudente, e così via. E' necessario tornare a un realismo critico, abbandonando l'idealismo assiologico. Scheler, lottando contro il formalismo kantiano, è caduto in un formalismo dei valori. I valori esistono, ma non sono il fondamento della morale (né dell'etica) !

[5 .6] L'etica di Ari:çtotele [5.61] Il genio di Aristotele è immenso. Sembra che la sua opera gigantesca si sia nutrita delle scoperte seguite all'occupazione dell'Egitto e della Mesopotamia da parte dell'Impero alessandrino e che non sia solo il frutto del suo lavoro personale, ma anche della sua scuola, il Liceo (dei "peripatetici", così chiamati per via del loro riflettere camminando attorno all'Acropoli di Atene, su una via chiamata peripatos). In ogni modo, gli "appunti" e le riflessioni chiamati Etica nicomachea restano un'opera monumentale.

[5 .62] Aristotele intendeva con physis la totalità di ciò che si presenta (che appare) come orizzonte ontologico. Era l'essere da cui si distaccavano gli enti' (td 6nta o td/ain6mena) . Era la potenza (sia come dynamis che come energeia) o la materia (hyle) che costituiva ogni cosa. La physis era il necessario (ananke), opposto al contingente (quello che può non essere). Indicava le stelle, il mondo supralunare (oltre la luna, perché al di sotto di essa ogni cosa è contingente). La scienza e la filosofia propriamente dette dovevano studiare la physis, il da-sempre, il divino nell'eterno ritorno dell'uguale. L'eudaimonia era Iaphysis (natura) umana pienamente realizzata. I

[5 .63] Eudaimonia si traduce con felicità, ma non ha niente a che vedere con la happiness attuale. Formata da due parole (éu, bene, e daimon, le muse, lo spirito creativo, il sacro), questa parola indica l'orizzonte ontologico della com-prensione dell'essere umano. Tale orizzonte non può essere incontrato in modo diretto, non può essere descritto onticamente: è l'essere (direbbeJ.-P Sartre) a partire dal quale scegliamo, nominiamo e agiamo praticamente. 56• Heidegger l'ha interpretata come la com-prensione esistenziale (cioè pratica) dell'essere come télos (che .non è un mero fine, ma la realizzazione, mai compiuta, dell'essere com·e poter-essere). [5.64] Ma per Aristotele il problema filosofico era come cogliere qualcosa di permanente e di necessario nella.mutevole relazione umana con il contingente, con ciò che "può non.-essere". Ci sar3, un qualche aspetto che rimane necessario, anche se in modo approssimativo, come richiede la scienza? Per rispondere a questa domanda Aristotele ha elaborato la sua dottrina della virtù (éthos se intesa al livello della comunità, areté se co.n siderata al livello dell'individuo). In effetti, il comportamento Up:lano non è necessario (dal momento che possiede la spontaneità propria dell'dnthropos), ma può essere (kat4 physin): > spiega Apel «risiede nel fatto che per essere, in un certo senso, fonte inesauribile della generazione delle [altre] norme etiche, deve avere il carattere di principio metodico»79• [6.43] Questa norma potrebbe essere descritta come segue: 82• In altre parole, colui che in una discussione, in un dibattito o in un dialogo basato sull'argomentazione riconosce l'altro argomentante come qualcuno uguale a sé, dotato di ragione, tenuto a rispettare le conclusioni a cui si giungerà attraverso l'argomentazione stessa. In caso contrario, non si metterebbe ad argomentare e l'u.nico modo con cui l'altro potrebbe modificare la propria volontà pratica sarebbe attraverso la violenza, essendo escluso ogni argomento razionale mirante a un accordo. [6,44] Così, Apel, come C.S. Peirce (e anche come E. Lévinas e come

la filosofia della liberazione), dimostra che la morale {il riconoscimento pratico e teorico dell'altro come uguale) è il presupposto dell' argomentazione e della comunità scientifica. La morale, cioè, fonda la prima norma dell'argomentazione. [6.45] Il "tallone di Achille" di Apel è che la morale (secondo la nostra

proposta) fornisce le condizioni formali a priori dell'argomentazione, ma non può successivamente intervenire nell"'applicazione" (Anwendung) di tale norma alle concrete argomentazioni empiriche. A quel punto intervengono gli specialisti scientifici o tecnici, che sono esperti nei temi concreti. Questo problema diventa ancora più evidente nelle sue ultime opere. Sul piano concreto, infatti, mancano i criteri per sapere "dove" e su" cosa" si possa applicare il principio. Così, Peter Ulrich applica la dottrina di Apel ali' economia e propone di riunire in una comunità di comunicazione, per raggiungere consensi validi, degli imprenditori, senza mettere in questione il capitalismo (perché, come lo stesso Apel, non ha principi etici materiali adatti a formulare tale critica) e senza pensare di 80 Torneremo su questo punto più avanti, quando tratteremo la concezione consensuale della verità. 81 Si osservi che qui si non parla di verità, ma di validità. 82 K.-0. Apel, Estudios éticos, cit., p. 161.

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costituire questa comunità di comunicazione economica con gli operai (cosa che l'avrebbe portato a riprendere l'ipotesi di Marx8)).

[6.5] La ragione discorsiva habermasiana [6.51] J. Habermas è stato l'ultimo grande membro della prima generazione della Scuola di Francoforte. N el seguire la strada tracciata da Apel, Habermas si pone sul piano più concreto dell'applicazione del principio di validità, invece di occuparsi della fondazione ultima di tale principio. Il passaggio al "secondo" Habermas inizia nel 1975 e corrisponde a un ulteriore abbandono del livello materiale (livello su cui operava la "prima" generazione, che si ispirava a Marx, Freud, Schopenl1auer e Nietzsche) e a un approfondi1nento dei problemi relativi alla ragione discorsiva. Anche la sua opera classica, La teoria del!'agire comunicativo (1981), ha segnato un'epoca filosofica. Gli sviluppi principali di questa teoria nel c~mpo del diritto sono confluiti nell'opera Fatti e norme (1992). Noi assumeremo m olte delle posizioni di Habermas per quanto attiene all'aspetto formale della morale, ma faremo notare l 'impossibilità di recuperare il suo aspetto materiale. [6.52] Il nostro filosofo è chiaro: > di ciò che viene discusso (che resta nelle mani degli esperti). [6.56] Tuttavia, nel dibattito con P. Sloterdijk, Habermas si contraddice, parlando della possibilità di modificare il Dna di un feto non per migliorare la specie - perché quale sarebbe il criterio di un tale miglioramento?-, ma per evitare malattie ereditarie87• I n questo caso, per motivi formali, si interverrebbe materialmente affinché il futuro argomentante sia più sano, vale a dire, un miglior argomentante. Ma questo significa intervenire materialmente sulla soggettività per il suo contenuto. Si potrebbe quindi chiedere a Habermas: non si dovrebbe intervenire anche modificando le strutture sociali per far sì che un membro dominato diventi libero, colto, un cittadino alla pari con i più avvantaggiati socialmente e culturalmente? Non sarebbe una condizione a priori del discorso fare in modo che chi è meno avvantaggiato (come direbbe Rawls) per quanto attiene alle condizioni materiali venga aiutato a modificare la propria posizione all'interno delle suddette strutture, così che come argomentante possa avere risorse sufficienti sul piano delle informazioni e su quello della logica del discorso? Perché limitarsi a considerare l'uguaglianza solo sul piano formale, come una procedura che muove astrattamente da una simmetria ipotetica negata sul piano empirico? [6.57] Inoltre, il moralista Habermas, con le sue riflessioni sulla genetica, non è forse intervenuto nel dibattito degli esperti del settore "orientando" il discorso materiatmente? Il nostro filosofo, nel suo breve testo sulla genetica, ha fatto una vera e propria incursione nell'etica materiale. Sul tema però non è più tornato, perché altrimenti avrebbe dovuto rielaborare tutta la sua morale discorsiva, prigioniera del formalismo. In questa seconda fase della sua biografia intellettuale, Habermas non può essere critico nei confronti del capitalismo, perché il suo formalismo non lascia spa~io ad alcuna critica materiale.

87 Cfr. J. Iiabcrmas Il futuro della natura u111ana: I rischi di una genetica liberale, trad di L. Ceppa, Einaudi, Torino 2002.

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[6.6) L'importanza della validità del consenso [6.61] Pur avendo evidenziato i limiti del/ormalt'smo morale basato sul consenso, dobbiamo comunque integrarlo (con delle modifiche) nella formulazione dei principi universali della morale: il principio formale dovrà articolarsi con il principio materiale che abbiamo esposto nella tesi 5 (facendo in modo che i due non si escludano a vicenda), come accadeva nel marxismo-leninismo tradizionale. Una morale complessa è costituita da diversi principi. La sua complessità non è il frutto sol;nnente di necessarie distinzioni teoriche,, ma è qualcosa di inerente alla realtà stessa della morale (e ancor più dell'etica). Un certo materialismo non ha saputo definire sufficientemente il ruolo della ragione consensuale pratica e questo ha prodotto, in politica, la confusione tra la democrazia in sé e il suo esercizio liberale o borghese. D obbiamo liberare la democrazia da questa tara storica. [6.62] In America latina l'etica e la filosofia della liberazione hanno affermato fin dall'inizio che la teoria ha origine nella prassi. Ma questa teoria, anche se parlava della comunità dei movimenti sociali, era comunque formulata in modo monologico. Era il risultato del pensiero critico di un individuo. Il pragmatic turn (di Peirce e di Apel) ci ha permesso di definire meglio la comunità dei filosofi (o degli scienziati) come una comunità basata sulla comunicazione. In essa, la validità implica l'accettazione da parte dei suoi membri della proposta teorica meglio argomentata (che può essere espressa in molti modi, ad esempio anche con un'opera teatrale). Questa "accettabilità" del giudizio di un partecipante, raggiunta tramite il consenso della comunità, rende probabile che il giudizio stesso sia valido. Ma, ancora una volta, dovremo far intervenire anche un momento materiale, messo da parte dalla concezione consensuale della verità. [6.63] In Ethik und Dialog, A. Wellmer scrive: 89. E più avanti spiega: 90 • Sebbene altrove si sia espresso diversamente, qui Wellmer distingue chiaramente tra pretesa di validità e pretesa di verità. La questione potrebbe sembrare secondaria, ma per un'etica della liberazione è essenziale. [6.64] La pretesa di validità indica che colui che esprime qualcosa è convinto di avere gli argomenti necessari affinché gli altri membri della comunità accettino il suo giudizio. In questo caso, il giudizio sarà valido; in caso contrario, il giudizio verrà invalidato. La validità si riferisce all'accettabilità da parte della comunità. La pretesa di ven'tà, invece, si ottiene accedendo a una dimensione del reale (per esempio, Galileo che osserva le fasi calanti e crescenti cli Venere con il suo telescopio) attualizzata nella soggettività (cerebrale). La verità si riferisce alla realtà. Chi ha delle ragioni veritative (ad esempio sul fatto che Venere giri attorno al sole) spesso non vede riconosciuta la validità della propria tesi per molto tempo (Galileo è stato perfino condannato daBellarmino e da altre autorità; le sue ragioni hanno dovuto attendere decenni prima di essere accettate). Quando si scopre qualcosa di nuovo si ha una pretesa di verità, ma nella maggior parte dei casi la propria scoperta non viene accettata (si diventa dei dissidenti il cui accesso alla realtà non ha ancora raggiunto la validità; non ha il consenso della comunità)91 • In questi casi si può parlare comunque di pretesa di validità, dal momento che chi ha

88 Qui avrebbe dovuto scrivere «pretesa di verità». 89 Cfr. A. Wellmer, Ethik und Dial.og: Elemente des moralischen Urteils bei Kant und in der Diskursethik, Surkamp, Frankfurt am Main 1986. 90 Cfr. ivi.

91 Questa distinzione tra verità e validità è al cuore della mia opera Etica della liberazione. Si vedano, nell'indice analitico di questo testo, i concetti di realtà, di validità e di verità. La verità, in ultima istanza, si riferisce materialmente alla comunità di vita, alla vita, alla realtà; la validità si riferisce formalmente alla comunità razionale.

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una pretesa di verità spera di ottenete, prima o poi, il consenso della comunità scientifica. (6.65] Il formalismo implica un concetto della verità basalo sul consenso; alla fine, per i formalismi, la verità è un aspetto intersoggettivo della validità comunitaria (non puramente soggettiva o individuale, ma neanche reale). Negando il momento materiale (il contenuto veritativo), la realtà identificata come mezzo per la vita umana smette di essere un punto di riferimento esS'enziale e si cade in un certo idealismo. Wellmer non ha torto quando afferma che il consenso. non è una ragione veritativa. Al tempo di Galileo c'era un consenso generale sull'ipotesi che la Terra fosse il centro del sistema solare. L'astronomo fiorentino era diventato un dissidente, al di fuon del consenso vigente: aveva delle ragioni veritative contro la validità dominante. La sua ragione dissidente in futuro si sarebbe imposta a sua volta come validità vigente a p·artire dall'accettazione della verità delle sue ragioni. Chi è critico ha sempre all'inizio una pretesa di verità che non riesce a raggiungere la validità, se non difficilmente. Perché? Semplicemente perché le sue ragioni veritative sono nuove, perché sono contrarie alla tradizione consensuale dominante che l'inventore cerca di invalidare. Ma invalidare la tradizione vigente non è la stessa cosa di falsificare ciò che non è vero (distinzione che K. Popper non ha mai tracciato). Per prima cosa bisogna avere delle ragioni \reritative in grado di falsificare gli erroti contenuti nella validità vigente. L'inventore, o l'innovatore, deve falsificare gli errori che sono generalmente considerati veri, se vuo~e invalidare ciò che è accettato da tutti e quindi giungere a una nuova validità che corrisponda maggiormente alla realtà. La verità si falsifica; il valido si invalida. Il primo procedimento fonda e giustifica il secondo. [6.66] Da queste semplìci distinzioni si possono trarre innumerevoli conclusioni. La validita vigente, ad esempio, al livello giuridico della politica prende la forma della legge o del diritto. I partecipanti allo "stato di diritto ;i sono obbligati a obbedire alla legge che hanno contribuito a promulgare. La legittimità è I'origine e.il fandamento della legalità, come la verità lo è della validità. ·La validità, come.afferma Wellmer, non è una ragione in più, ma dà alla pretesa di verità una maggiore sicurezza (perché la comunità la accetta e le fa da sostegno). Allo stesso modo la legalità dà

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sicurezza ed essendo istituzionale ha anche la possibilità di rendere il rispetto della legge obbligatorio. Ma il fondamento della legalità è la legittimità (il consenso della comunità raggiunto attraverso ragioni legate alla sopravvivenza sul piano della giustizia materiale). Quando la comunità (per la critica degli oppressi, si vedano la tesi 9 e le successive) smette di fondare la legge sulla giustizia (contenuto materiale della legge), la legge stessa perde il consenso. Di conseguenza, comincia la crisi della mera legalità formalistica: inizia la critica della legge (come affermava Paolo di Tarso nel contesto del legalissimo Impero romano). La verità pratica della legittimità (il cui criterio è la vita della comunità) mette in questione la validità della legalità, che resta senza fondamento. In nome della legittimità del popolo, M. Hidalgo y Costilla ha messo in questione la legalità delle Leggi delle Indie, che definivano l'Anahuac come Nuova Spagna (fondata con il consenso degli spagnoli, non dei creoli, degli indigeni e degli schiavi nati in America). La verità si è imposta sulla validità coloniale, creando la nuova validità del Messico indipendente. Questo è un esempio delle possibili conseguenze politiche di quanto abbiamo fin qui esposto.

(6.7] Il principio formale della morale [6.71] Una descrizione sintetica di questo principio potrebbe essere la seguente: Agisci in modo che gli atti e le istituzioni siano tali da avere sempre come presupposto la partecipazione simmetrica delle persone coinvolte, al fine di giungere a un consenso condiviso da tutta la comunità, attraverso un dibattito in cui vengano presentate argomentazioni razionali; senza violenza. La comunità comunicativa dovrebbe essere considerata, in ultima istanza, come se fosse l'umanità intera e non una mera comunità empirica. In questo modo la verità del liberalismo verrebbe recuperata, superando i suoi limiti relativi alla possibilità di una partecipazione caratterizzata da libertà e uguaglianza. L'accettabilità del giudizio pratico formulato consensualmente obbligherebbe tutti i partecipanti per il fatto stesso di aver partecipato senza coercizione, liberamente, razionalmente e con pari diritti. [6.72] Questo argomento è stato sufficientemente chiarito da K.-0. Apel nel dibattito che ci ha visto protagonisti negli anni Novanta del se-

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colo scorso92 • Mi limiterò qui a mostrare la differenza tra l'Etica (la morale, secondo la definizione di Apel) del discorso e l'Etica della liberazione. Devo confessare che passare attraverso il discorso di Ape! mi è stato molto utile, perché mi ha permesso di precisare la questione del formale nella morale (e nell'etica), che fino a quel momento non mi era chiara. Ma perfino più importante è stata la scoperta dell'aspetto materiale, di cui all'epoca non avevo ancora preso del tutto coscienza. Tale acquisizione mi ha consentito di comprendere meglio l'obiettivo del programma di indagine critica di Marx. Qt1est'ultimo aveva defvuto come ultima istanza la vita umana immediata e non solo la produzione o l'economia. Mettendo a fuoco questo punto, ho potuto interpretare in modo nuovo la questione (elaborando ulteriormente i risultati raggiunti da E. Lévinas nella sua critica dell'ontologia, non solo contro Hegel e Marx, ma anche contro Heidegger, che con i primi presenta delle somiglianze analogiche). [6.73] Il mero principio materiale definito nella tesi5 non è sufficiente a mostrare le condizioni ontologiche (e, dal punto di vista critico, metafisiche) della bontà o della giustizia di un atto o di un'istituzione, che è quanto si propone l'etica come disciplina filosofica. Alcuni potrebbero pretendere di affermare e migliorare la vita dittatorialmente, come Hitler con il popolo tedesco. In questo caso, sebbene si tenga conto dell'aspetto materiale del principio, non è corretto il modo con cui sono stati decisi i mezzi per realizzarlo. Non basta che l'atto dotato di una pretesa ' . di bontà si limiti ad affermare la vita della comunità. E facile capire che una persona, per quanto saggia e prudente ritenga di essere, non può de, cidere moralmente per un popolo intero9>. E necessario che a decidere i mezzi riguardanti la vita umana sia la comunità intera, i cui membri, uguali tra loro; devono poter scegliere liberamente e senza violenza. È proprio dalla libertà (perché nessuno può essere costretto con la violenza a partecipare e a decidere in un certo modo) e dalle condizioni simmetriche di questa partecipazione che dipende la validità dell'accordo raggiunto. Si richiede simmetria al livello della razionalità (cultura dei partecipanti) e attenzione alle esigenze di tutti i partecipanti (non solo 92 K.-0. Apel e E. Dussel. Etica della comunicazione ed etù:a della liberazione, cit. 93 Un'altra questione che ho trattato nelle mie opere politiche riguarda la possibilità che un intero popolo sia alienato e decida quindi contro il bene comune. Ma questo è un tema che riguarda la politica e non l'etica generale.

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dei gruppi dominanti). Questa simmetria o uguaglianza di diritti è stata descritta da Apel e da Habermas (e, in modo meno completo, da J. Rawls). Ma il fondamento ultimo della ragione discorsiva o argomentativa -valida al livello consensuale, formale, metodico - non è sufficiente per una descrizione integrale della bontà di un atto o di un'istituzione. [6.74] Il dissenso comincia a essere radicale quando si rifiuta di assumere come morale (o erica) il contenuto stesso della discussione mirante a raggiungere un accordo su ciò che deve essere fatto. L'imperativo categorico, come abbiamo visto a proposito di Kant, non tiene conto di questo contenuto! Per il formalismo consensuale la morale ha raggiunto il suo scopo con la definizione delle condizioni formali a priori·dell'atto; in base a questo punto di vista, la morale non ha a che vedere con il contenuto della discussione e con le condizioni materiali a priori della simmetria. [6.75] Facciamo un esempio. In una c#scussione relativa al miglioramento dell'illuminazione di una città, il formalismo ritiene che la morale abbia a che fare con la simmetria degli esperti convocati, ma non con ciò che tali esperti decideranno. Qualcuno però potrebbe obiettare: quali ingegneri (vale a dire, quali specialisti del settore) invitare? Dovranno aver conseguito una laurea in un'università pubblica o privata? In America latina, e non solo, le università private sono pagate dagli studenti e dalle aziende private e formano ingegneri integrati nella produzione delle imprese capitaliste. Di conseguenza, bisogna porsi tutta una serie di domande: utilizzeranno materiali prodotti da imprese pubbliche o private, provenienti da aziende locali o importati? Saranno preferiti brevetti di ingegneri nazionali o si pagheranno delle royalty alle multinazionali straniere? Il miglioramento del sistema di illuminazione incomincerà dai quartieri più poveri (che non possono permettersi di investire fondi in tal senso) o dai più ricchi? Tutte queste decisioni sono anche pratiche e dipendono dalla formazione morale degli specialisti. La morale può (e dovrebbe) intervenire applicando i principi che stiamo esponendo e orientando i suddetti specialisti, che costituiscono una comunità di ingegneri dotati di coscienza morale. Ritengo che la morale possa e debba orientare il contenuto delle decisioni a partire dal principio della vita (quale decisione è più conveniente per un'economia e per una tecnologia ecologiche? Chi pensa alle vittime prima che ai de-

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tentori della posizione dominante?). Inoltre, quale decisione ha il consenso della maggioranza degli interessati o della comunità? Qual è più fattibile? Il criterio con cui si scelgono gli specialisti, la loro formazione accademica e i principi pratici in base ai quali questi prendono le decisioni non sono moralmente indifferenti. Non si tratta dì aspetti esclusivamente tecnici; sono anche e soprattutto questioni attinenti alla morale, situate al livello materiale!

Tesi 7

Il principio della fattibilità morale94 [7 .01] Se nella realizzazione di un'azione si usa solamente la ragione tecnica e un principio astratto di fattibilità, si diventa oggetto della critica d€lla ragione strumentale della Scuola di Francoforte. Ma se integriamo la ragione strumentale come un principio morale che sussume i due principi già descritti (quello materiale e quello formale), avremo una fattibilità morale che non opererà solo in base alla mera possibilità tecnica. G .W. Bush Jr. ha potuto (si tratta di una possibilità fattibile) disporre di un esercito composto da migliaia di soldati, aerei, portaerei e altri strumenti bellici con cui ha invaso l'I raq. Questo è stato possibile da un punto di vista, Strategico-militare, tecnico, caratteristico della ragione strumentale. E stato però un atto morale contraddistinto da una pretesa di bontà, vale a dire, giusto? L'occupazione ha migliorato la vita degli iracheni (primo principio) e ha avuto il loro consenso (secondo principio)? No. Allora è stato un atto tecnicamente fattibile e moralmente riprovevole, perverso, ingiusto, obiettivamente malvagio, ingiustificabile dal pu.n to di vista di una morale universale. [7 .02] La fattibilità di cui parlerò in questa tesi è una possibilità morale che tiene conto dei limiti posti alla pura fattibilità tecnica dalla fattibilità morale. Quest'ultima deve essere integrata agli altri principi in modo articolato. Nel terzo imperativo Kant afferma: >98• [7 .14] Le condizioni sono ciò che rende possibile la cosa (a); la quale passa dalla mera possibilità all'esistenza (b)99. graziè all'attività (e), che da 97 Marx applica questo testo al «lavoro vivo>> e): come «) e nforma. Cfr. anche E. Dussel, 20 tesi di politica, tesi 17.2. 117 Cfr. E. Dussel, 16 tesis de Economia Politica, cit., tesi 15.4.

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[7 .48] La pianificazione o la regolamentazione del mercato da parte del nuovo Stato sono necessarie per correggere la proposta ideologica di Hayek, del tutto infondata empiricamente, secondo cui il mercato sarebbe sufficiente a produrre l'equilibrio. Questa pianificazione deve avere dei limiti, nella consapevolezza della sua inevitabile fallibilità; allo stesso tempo, il mercato ha bisogno di una valutazione correttiva, formulata dal popolo attraverso le comunità del distretto o del villaggio, del comune, della provincia o del Poder Ciudadano (il quarto potere nella nuova costituzione del Venezuela), in accordo con i rispettivi livelli dello Stato, in base alle esigenze di una popolazione che sappia partecipare attivamente alla democrazia 118• La fattibilità partecipativa sarebbe quindi il compimento degli altri due principi (quello materiale e quello formale della morale e dell'etica).

[7 .5] Il principio della fattibilità morale [7 .51] A questo punto è possibile enunciare il terzo principio morale,

che suona approssimativamente così: Gli atti umani e le istituzioni comunitarie hanno una pretesa di bontà se e solo se, oltre ad a/fermare la vita (primo principio) e a essere condi.visi dalle persone coinvolte (secondo principio), sono empiricamente possibili nei vari campi e sistemi su cui intervengono nella loro concreta realzuazione. Ciò che èpossibile moralmente si distingue da ciò che èpossibile per il conservatore (che identifica il possibile con il dato, il meramente vigente) e da ciò che è possibile per l'anarchismo estremo (che mira ali'empiricamente impossibile). [7 .52] Il possibile, nell'accezione che abbiamo chiamato "fattibile", dipende da molti livelli di possibilità. Esiste ciò che può essere pensato, ma che è impossibile empiricamente (come il postulato della pianificazione perfetta o come un moto perpetuo in grado di vincere ogni inerzia). Una cosa può essere empiricamente possibile in base alle leggi necessarie della natura, ma essere impossibile per altri motivi (ad esempio tecnici o economici). Qualcos'altro può essere economicamente passi118 Ho gjà affrontato questo tema in E. Dussel, Democracia partecipativa, disoluci6n del Estado y liderazgo politico, cit.

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bile, ma impossibile politicamente. Oppure essere possibile politicamente, ma impossibile culturalmente e così via. Quali sono quindi le condizioni da soddisfare affinché, un atto o un'istituzione siano morali, empirici e realmente possibili? E necessario che siano soddisfatte le condizioni minime e necessarie affinché possa avere un'esistenza morale (le stesse dei due principi morali già enunciati nelle tesi 5 e 6) e le condizioni fondamentali dei diversi livelli, fisico-naturali, economiche, politiche, culturali, ecc., corrispondenti al campo pratico dell'atto o dell'istituzione. Pur appartenendo ali'ordine pratico ed essendo definiti a partire dall'orizzonte della morale (o dell'etica), atti e istituzioni di genere e atti e istituzioni economici non sono la stessa cosa e lo stesso vale per quelli politici e per quelli culturali, ecc. [7 .53] Quale facoltà umana decide che sono state soddisfatte le condizioni minime e necessarie della fattibilità morale? Questa virtù, chiamata dai Greci "saggezza pratica" (prudentia in latino, phr6nesis in greco) oggi deve essere situata in un contesto comunitario. È all'interno della comunità che bisogna raggiungere un consenso, un accordo ragionevole sul fatto che tali condizioni siano soddisfatte. Sbagliarsi e prendere per possibile qualcosa di impossibile può costare caro nella vita pratica. G.W Bush Jr. ha creduto possibile, e perfino facile, rovesciare Sàddam Hussein in Iraq, un piccolo tiranno di un Paese sottosviluppato nel mezzo del deserto che non avrebbe mai potuto resistere a delle arrr:W. di ultima generazione. Non ha però giudicato con saggezza pratica (né lui né il Pentagono né la società statunitense favorevole alla Guerra del Golfo) la non fattibilità di una tale impresa data la complessità dei popoli che costituivano quello Stato, la fase che stava attraversando e ia storia millenaria di quel1'area corrispondente ali' antichissima Mesopotamia. Di fatto non era fattibile un rapido trionfo in grado di pacificare la regione (per poterne sfruttare il petrolio, eliminando al contempo un nemico di Israele, suo alleato). A posteriori la guerra in Iraq si è dimostrata non solo non fattibile, ma anche immorale (perché non ha affermato la vita degli iracheni coinvolti, non ha avuto il loro consenso e non era fattibile. Mancavano cioè le condizioni affinché potesse essere un'impresa moralmente valida).

[7 .54] Questo non rende insensato il grido dalle popolazioni povere del Sud An1erica: . Tale espressione in-

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dica l'orizzonte di fattibilità di un ordine a venire possibile e migliore di quello attuale, ma inevitabilmente imperfetto, fallibile e, di conseguenza, non eterno; anche questo nuovo ordine dovrà inoltre imparare dalla storia e creare antidoti o istituzioni che impediscano la sua burocratizzazione, cosa che potrà accadere solo attraverso una partecipazione sempre più attiva di tutti i membri della comunità morale (politica, economica, culturale, di genere, eccetera). [7 .55] Il principio della fattibilità morale (o attuabilità) ci impone di avere sempre "i piedi per terra". La critica dell'ingiustizia, del male e della corruzione è necessaria, ma il loro superamento deve essere anche empiricamente possibile. Perché continuare a lottare per qualcosa di impossibile, di non realizzabile (se mancano cioè le condizioni "oggettive" che possano rendere l'impresa fattibile)? E' come battete la testa contro il muro (secondo il detto popolare): alla fine a rompersi non sarebbe il muro, ma la testa. La lotta contro l'ingiustizia e contro il male, tuttavia, è sempre possibile (come qualcosa in potenza) e necessaria. Si tratta di desiderare e di organizzare un'alternativa fattibile, oggi non compiutamente esistente, ma già incipiente nelle esperienze creative dei popoli.

Tesi 8 La pretesa morale di bontà e l'ordine vigente (8.01] Siamo arrivati alla fine. della prima parte, dedicata alla morale. E necessario a questo punto sintetizzare in cosa consista la realizzazione morale dell'atto o della istituzione morale sulla base di quanto abbiamo detto. I vari punti della tesi 8 descrivono una nuova architettonica della morale che, come vedremo, è post-moderna e post-habermasiana. Nella trattazione che stiamo per affrontare sui tipi di pretesa, che sfocerà nella proposta di una nuova pretesa in grado di riassumere tutto quello che si è detto nelle prime sette tesi, la riflessione moderna e soprattutto quella habermasiana saranno però presupposte. '

[8.02] Non si tratterà solo di descrivere la posizione soggettiva del soggetto morale vivente e corporeo, ma anche di illustrare l'ordine isti-

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tuzionale obiettivo (sempre intersoggettivo) frutto della creatività e della ripetizione abituale (per dirla con P. Bourdieu) degli atti funzionali che, in casi critici, trasformano le istituzioni dando origine a un ordine morale vigente.

[8.1] Pretesa [8.1 1] J. Habermas ha lavorato pazientemente per far emergere la complessità racchiusa nella parola pretesa (claim in inglese; Anspruch, in tedesco). Si tratta di una delle nozioni più suggestive della sua filosofia. Pretendere non è sinonimo di affermare, un giudicare che qualcosa sia certo o vero in modo dogmatico, ma è la manifestazione di un atteggiamento di speranza, di attesa, di apertura su qualcosa che non è ancora accaduto. Chi ha o possiede la verità la afferma, la insegna, la espone, può anche arrivare a difenderla con le armi (nel fanatismo o nel fondamentalismo). Chi pretende di affermare la verità ha una posizione soggettiva aperta alla discussione, al dibattito, alla possibilità che ciò che ipotizza esser vero sia falsificato, smentito, negato. Non è arrogante o orgoglioso, ma moralmente umile; presta orecchio alle ragioni dell' altro. Non esige dall'altro l'atteggiamento del discepolo, ma gli concede il diritto di avere un altro parere, forse più fondato del suo e quindi più vero. Questa è stata ad esempio la posizione di Bartolomé de Las Casas davanti agli indigeni americani. [8.12] K.-0. Apel ha mostrato come una delle acquisizioni della filosofia post-analitica è stato capire che qualsiasi proposizione (soggetto-verbo-predicato) è un enunciato astratto che in concreto è sempre inserito in un "atto linguistico" (Sprechakt in tedesco). Quest'ultimo ha un aspetto illocutorio («Ti dico ... >>) e un aspetto proposizionale(>) e pertanto è essenzialmente un atto di comunicazione pratica tra soggetti. In questo modo, tutta la riflessione analitica risulta subordinata a un ordine pratico, instaurato a partire da una morale (di ispirazione pragmatica, come suggerito da C.S. Peirce). Ogni espressione umana (anche il primitivo fischio del pastore che si sente da una montagna all'altra), essendo una comunicazione rivolta a un altro membro della comunità, è pratica.

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[8.13] Questa comunicazione vuole essere efficace e, pertanto, deve poter essere decodificata dagli altri soggetti a cui è rivolta. A questo scopo, ha come suo strumento privilegiato la lingua, vale a dire suoni e simboli che rappresentano parole o enunciati dotati di significato. Il modo in cui il significato si costruisce neurologicamente nella neocorteccia cerebrale dell'homo sapiens è il più complesso che conosciamo. Il linguistic turn ('svolta linguistica') si trasforma così nel pragmatic turn ('svolta pragmatica') di Ape!. La comunicazione (che nella Retorica di Aristotele è descritta come l'arte di farsi comprendere nell'assemblea della polis greca) diventa la filosofia prima (il cui priffio capitolo è costituito dalla fondazione morale della comunicazione stessa). In questo contesto, la pretesa .svolge un ruolo fondamentale, perché è il luogo a partire dal quale, nella comunità, ogni argomentante (o parlante) è stato educato; a partire dal quale, cioè, ha appreso e memorizzato l'uso dei significati espressi nella sua lingua. Colui che comunica linguisticamente pretende di essere compreso e dà per scontata l'accettabilità della sua espressione. Questa accettabilità costituisce il fondamento della validità dell'atto linguistico nella comunità, validità che si raggiunge solo soddisfacendo le condizioni di possibilità dell'espressione che il parlante assume come pretesa; altrimenti tacerebbe, starebbe in silenzio.

[8.2] Le quattro pretese della comunicazione in]. Habermas [8.21] Noi non possiamo limitarci a parlare di pretese di validità, sia perché in queste tesi con validità si intenderà qualcosa di diverso rispetto al significato che la parola ha in Habermas sia perché la comunicazione e la validità non sono la stessa cosa. Lo stesso Habermas non parla solo di pretese di validità, ma descrive quattro pretese o condizioni universali della comunicazione (la validità è pretesa o cercata come una di queste condizioni). Scrive Habermas: >. La parola bontà (goodness in inglese; gut sein in tedesco) può prestarsi a degli equivoci. Nel linguaggio quotidiano, questa posizione soggettiva125 (sempre intersoggettiva e comunitaria) viene spesso attribuita a una persona idealista, sognatrice, poco realista. In quest'opera, la bontà si riferisce semplicemente al concetto astratto del bene o del buono. Come è noto, un atto morale perfetto è impossibile; vale a dire che atti o istituzioni buoni, o giusti, e perfetti non sono realizzabili. Pertanto, il massimo a cui si può aspirare è una sincera pretesa di bontà nell'ambito del possibile. Bisogna impegnarsi il più possibile nel tentativo di soddisfare le condizioni necessarie, minime e universali, di atti o istituzioni che possano avere il predicato di "buoni" o di "giusti". [8.33] Abbiamo parlato quindi di pretese di comprensibilità, di verità, di validità, di giustizia e, adesso, di bontà (la quale, da parte sua, implica anche una pretesa di fattibilità e altre dimensioni che esporremo più avanti).

[8.4] Articolazione dei principi e delle componenti

dell'azione senza ultima istanza [8.41] Quella che abbiamo chiamato pretesa di bontà (concetto a cui Apel e Habermas non hanno mai fatto riferimento) è costituita da diverse componenti e da numerosi principi morali che devono articolarsi tra loro. [8.42] Avendo affermato l'esistenza di una molteplicità di principi,

nelle diverse sfere costitutive dell'atto e delle istituzioni morali umane, dobbiamo adesso definire in che modo tali principi si relazionano tra di loro. Le diverse scuole o tradizioni morali (o etiche) tendono a privilegiare un principio sugli altri. Ho già mostrato come nel liberalismo, ad esempio, si privilegi l aspetto formale della libertà e della democrazia (in125 La realizzazione oggettiva sarà uno ordine istituzionale giusto, buono, morale.

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terpretata unilateralmente); nel marxismo tradizìonale l'accento è'posto sul principio materiale, economico; nell'atteggiamento politico pragmatico (prendendo quest'ultimo termine nel suo significato quotidiano) si privilegia una fattibilità dominata esclusivamente dalla ragione strumentale, ecc. La nostra proposta prevede varie determinazioni determinate determinanti che non ricorrono a un'ultima istanza, ma seguono un processo ascendente a spirale in cui giocano il ruolo di codeterminazioni reciproche, naturalmente ognuna con un contenuto diverso.

' Schema s.3: Articolazione codeterminante delle componenti e dei principi della pretesa morale di oontà'2G.

Principio materiale o del contenuto La vita umana comunitaria (Pretesa veritativa materiale)

a .-:

I

Principio formale ,. Il consenso comunitario b (Pretesa formale di valìdità)

e

e

d

-

I

Principio di fattibilità Realizzare il possibile (Pretesa di realizzabilità)

- -----····-·

t

-

-·--

···--·--___J

(8.43] Il materiale può determinare il formale (la freccia diretta verso b nello schema 8.3). Si tratta del contenuto dell'atto, dell'istituzione o della discussione mirante a produrre consenso. Viceversa, il momento formale (freccia diretta verso a) determinere8be la decisione (e le sue conseguenze) relativa alla procedura da seguire per ottenere moralmente il consenso su come scegliere e realizzare il contenuto materiale. Allo stesso modo, la fattibilità determina l'aspetto materiale (direzione c) in merito alla fattibilità dell'affermazione o del miglioramento della vita attraverso un atto o un'istituzione. Da parte sua, il momento materiale

126 «Realizzare il possibile>>: Come mostreremo nella prossima tesi, «il possibile» è I'oggetto della critica della ragione utopica, secondo l'espressione di F. Hinkelammert.

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(direzione d della freccia corrispondente) determina la fattibilità in quanto costituisce il contenuto della domanda su cosa sia fattibile o meno avendo come orizzonte l'affermazione della vita delle persone coinvolte. Infine, l'aspetto formale e determina la fattibilità in quanto si può realizzare solo ciò che può con tare sul consenso delle persone coinvolte. E viceversa, la fattibilità pone dei limiti alla possibilità del consenso(/), dal momento che questo deve anche soddisfare delle condizioni reali (ad esempio, per discutere e raggiungere un consenso bisogna trovare un posto in cui riunire la comunità).

[8.44] Questi sei tipi di determinazione senza ultima istanza hanno diversi significati e si realizzano per mezzo di azioni e istituzioni morali distinte. E' qualcosa d i molto più complesso della riflessione elaborata ·da chi spiega la morale cercando di definire il bene o il male a partire da un unico principio, tentativo che non rende conto della ricchezza della morale stessa.

[8.5] L'incertezza di tutte le decisioni morali (8.51] La pretesa di bon tà (costituita da queste sei, almeno, codeterminazioni) raggiunge così una decisione (scelta pratica) che, tuttavia, non ha mai la certezza di un'equazione matematica. Questo non significa che la decisione sia meno reale o che la razionalità pratico-morale sia di rango inferiore rispetto a quella scientifica empirica o formale. Vuol dire invece che l'agire morale e il suo oggetto sono molto più complessi di quelli delle scienze, la cui precisione dipende dal loro essere più astratte e più semplici. Le scienze gestiscono meglio alcune dimensioni della realtà, ma spesso non tengono conto degli effetti negativi delle loro spiegazioni. Riflettere su di essi significa affrontare tutta la complessità della realtà fino alla responsabilità politica di una eventuale estinzione della vita sul pianeta Terra (estinzione che potrebbe essere prodotta proprio dalla tecnologia e dalla scienza). Questo fa sprofondare gli scienziati in un'incertezza analoga a quella della decisione morale quotidiana o teorica.

PRIMA PARTE. LA MORALE DEL SISTEMA

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[8.52] L'incertezza di ogni decisione deriva dal fatto che gli atti umani hanno come condizione di possibilità la complessa organizzazione del nostro cervello. Le decisioni, gli atti o le istituzioni sono molto più imprevedibili dei fatti astronomici o fisici, decisamente più semplici. Da un punto di vista empirico, se il futuro dei movimenti fisici è imprevedibile e irripetibile, nel senso della di Prigogine, secondo la termodinamica generalizzata all'universo e alla biologia, ancor di più lo saranno gli atti umani, sociali, storici o psichici (questi tùtimi considerati da un punto di vista empirico o fisico-biologico come un aspetto superiore dell'attività del cervello). Non stiamo dicendo che le scienze umane o morali sono meno razionali delle scienze fisico-astronomiche e biologiche, ma che la morale e la filosofia, ad esempio, hanno a che fare con un livello del reale più complesso rispetto a quello di cui si occupano le scienze cosiddette "dure" (definizione che implica una maggiore imprecisione delle scienze umane, dalle conclusioni meno solide). Le scienze umane devono spiegare realtà più complesse e concrete rispetto agli oggetti più astratti e più semplici delle scienze denominate equivocamente "di base". [8.53] L'incertezza della morale dipende dall'estrema complessità e dalla concretezza empirica con cui ci si confronta in questo campo. Facciamo un esempio. Uno scienziato può specializzarsi in oli che resistono alle alte temperature. Confrontato con uno studioso di etica che analizza l'atto umano libero (grazie ai miliardi di neuroni che permettono organicamente all'essere umano di avere coscienza dei propri atti) lo scienziato sembra occuparsi di cose più concrete, più certe. La ricerca scientifica appare più razionale di quella etica, più astratta e incerta. Ma è sufficiente porre qualche domanda per accorgersi che è vero il contrario. Se chiediamo allo scienziato: , la sua risposta potrebbe essere: , lo scienziato risponderebbe: direbbe l'ingegnere. >25 ) con cui hanno dominato i forti, i sani, gli ariani (come i fondatori greci e i partecipanti ai culti orgiastici dionisiaci), è necessario ritornare ali'origine dell'ellenicità indoeuropea e allo spirito della tragedia, nell' >31 alcuni fenomeni economici, che l'economia classica (a partire da A. Smith) chiama: denaro, merce, profitto, ecc. Tali categorie, che Marx chh~ma superficiali, sono enunciate senza un ordine precjso, saltando epistemologicamente da una ali' altra senza una concaténazione o un fondamento adeguati. Questo sarebbe l'ordine ontico dell'economia classica e del neliberismo, la positività data del sistema vigente (capitalista), che culmina nell'accumulazione del profitto o nel criterio di razionalità costituito dalla crescita del tasso di profitto. Tutto quello che accresce questo tasso è competitivo, efficace, produttivo. [9.44] Ma Marx, da.buon posthegeliano che sussume e supera Hegel, passa da questo ordine superficiale ontico al più profondo ambito ontologico. I fenomeni del mercato appaiono a partire da un fondamento (Grund), che è l' del capitale, il . Questo essere o fondamento resta nascosto dietro alla positività superficiale del mercato ed è l'essenza stessa del capitale (!'"essenza" nel senso hegelia30 Cfr. E. Dussel, Un Marx sconosciuto, cit. 31 La manifestazione, o apparenza, del fenomeno è descritta dalla fenomenologia (hegeliana, marxista e hussediana). Rifacendosi alla terminologia kantiana, si può distinguere tra «mera apparenza» (Schein} e «apparenza» dotata di senso (Erscheinung).

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14 TEST DI ETICA

no: l'essere in quanto fondamento di ciò che appare). È in questo ambito profondo della produzione, dell'impresa produttiva, che il lavoratore crea (in base alla terminologia di Marx non si deve usare qui o ), nel plus-tempo del plus-lavoro, un valore che per il capitale è gratuito, un plus-salario accantonato. Il misterioso segreto del capitale come tale consiste allora in questo plus-salario non pagato, (unbezahtte, secondo la terminologia di Marx). L'essere o l'essenza del capitale è l'accumulazione del plus-valore non pagato (> la barbarie degli asiatici, dei macedoni e degli eu-

SECONDA PARTE. L'ETICA CJUTICA

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ropei, della donna, del bambino e dello schiavo. Un diverso luogo di lettura poteva sorgere solo da una coscienza etica-critica. Il locus enuntiationis di cui si parla oggi, la svolta epistemologica della decolonizzazio11e, con la sua componente etica essenziale; nasce da un primato etico attribuito alle vittimé, al sud, ali' antico mondo coloniale c.he non ha ancora concluso il suo processo di liberazione. Anche la critica epistemologica ha inizio con l'etica37 •

Tesi 10 L'appello. I principi etico-critici negativi

(10.01] Nelle mie etiche precedenti i principi critici erano trattati in

modo tale che non si poteva distinguere con chiarezza il momento negativo e decostruttivo (o addirittura distruttivo) dell'ordine che si era totalizzato feticisticamente e che doveva essere superato e il momento positivo. È il caso di chi vuole costruire una nuova casa e ha un solo terreno: che fare? Non si può fare altro che distruggere la vecchia casa e sostituirla con la nuova. Ci sono quindi due momenti: la negazione o distruzione delle catene e la costruzione del nuovo ordine. Il primo è un momento nichilista, ateo, trasformatore o perfino rivoluzionario; il secondo è un momento creativo, costruttivo, innovativo. Nelle nostre etiche precedenti ogni principio normativo comprendeva entrambi i momenti'8• (10.02] In quest'opera, invece, prima descriveremo i momenti negativi dei tre principi (nelle tesi 10 e 11) e poi i rispettivi momenti positivi

(tesi 13 e 14). Questo consentirà di fare maggiore chiarezza sulle due componenti dell'atto liberatore: la liberazione dalle catene e la liberazione come costruzione del nuovo ordine. Devo sottolineare che spesso 37 Cfr. E. Dussel, Ética de la liberaci6n en la época de la globalizaci6n y la exclusi6n, cit., § 5.3; cfr. anche E. Dussel, Filosoffas del Sur. Descolonizaci6n y trans11·1 odernidad,

Akal, Madrid 2015. 38 Per questo in Ética de la liberaci6n en la época de la globalizaci6n y la exclusi6n i capitoli 4, 5 e 6, riguardanti i tre principi critici, erano suddivisi ciascuno in un mo. . mento negativo e Ln un momento positivo.

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14 TESI DI ETICA

questi due passaggi sono realizzati da persone differenti. Miticainente possiamo dire che il passaggio liberatore negativo in quanto lotta è rappresentato dal personaggio egiziano che ha tratto gli schiavi fuori dall'Egitto. Facendo parte di un racconto costruito con un senso sistemico, realizzato in base a un modello razionale (quello dell'Esodo be11 descritto da E. Bloch), il personaggio in questione può essere considerato eroico ed esemplare. È Toussaint Louverture per Haiti, M. Hidalgo per il Messico o San Martin per l'America del Sud. Si tratta della fase più pericolosa, in cui il messia (direbbe W. Benjamin) può anche finire crocifisso, come chi si ribellava all'Impero romano. [10.03] Il secondo passaggio liberatore positivo in quanto creaz.t'one

del nuovo, dopo la morte mitica di Mosè verso la fine della prima tappa, davanti al fiume Giordano, viene compiuto da Giosuè, che costruisce un nuovo ordine nella "Terra promessa". Una volta attraversato il Giordano, Giosuè deve incominciare dall'occupazione della Terra, dalla sua conquista e dalla distruzion'e di Gerico. Ambiguità etica (della politica) tanto criticata dal principio anarchico! Tuttavia, questa tappa è necessaria e inevitabile; è necyssaria per l'affermazione e lo sviluppo della nuova vita da parte di coloro che una volta erano schiavi in Egitto. Nasce così il nuovo ordine di Gerusalemme. Ma in futuro anche la città Santa sarà criticata: 41 • Continuiamo a leggere: 42• Il mondo è la totalità del senso che fonda il luogo significativo degli enti. Di conseguenza, può avere senso solo nel caso in cui sia costituito come un ente e questo si ottiene solo da un fuori del mondo. Nel mondo, pertanto, >11 tra le tracce dell'alterità. L'invocazione (appello) non è un realizzare ciò di cui esistono le condizioni; si tratta di irruzioni inattese dell'alterità che rendono la biografia del soggetto il servizio imprevedibile di colui che ha messo a tacere il proprio essere e si è aperto all'ascolto della rivelazione del mistero del1' alterità.

[10.2] Il principio critico negativo materiale [10.21] Ciò che si scopre inizialmente nell'ascolto dalla rivelazione dell'Altro è il suo stato di oppressione, la sofferenza di essere soggetti alla dominazione altrui. A questo punto, quello che abbiamo indicato nella tesi 10.15, cioè che la coscienza etica è all'origine di qualsiasi trasformazione storica mirante alla liberazione degli oppressi e degli esclusi, inizia a produrre i suoi effetti. In primo luogo, quindi, la coscienza è preceduta, educata, mossa da un a priori che le ha permesso di ascoltare le grida delle vittime. Questa luce, questa sorgente, è costituita dai principi normativi assunti dal super-io, principi che non sono più morali o propri del sistema dato, ma nuovi, creatori, critici, nati dalia negazione del m.ale originario (la negazione prima) che produce la vittima in quanto vittima. Per Plotino, l'alessandrino, avere un corpo era il (h6 pr6ton kak6n) (quello che sarà chiamato dal pensiero ebraico ellenizzato dal cristianesimo a partire dal III secolo, che non ha nulla a che fare con il mito adamitico). Per il pensiero ebraico, al contrario, il male è la struttura storica che condiziona l'emergere della soggettività all'interno della polarità dominatore-do51 A. Machado, Proverbi e cantari, XXVJJl, in Id., Poesie: Soledades - Campos de Casti/la, trad. di C. Rendina, Newton Cornpton, Roma 2007, p. 184.

SECONDA PARTE. L'E11CA CRITICA

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minato, a partire dal feticismo o dalla totalizzazione del sistema. Per il greco, il male è la determinazione o la fissazione della dif-ferenza di fronte all'universalità dell'identità (lo stesso vale per Hegel). Per l'ebreo, il male è la fissazione della totalità feticizzata come identità, come negazione dell'alterità distinta. (10.22] In questo modo, l'oppresso, ridotto a una dif-ferenzainterna alla totalità del sistema assolutizzato, è negato in quanto distinto, in

quanto possessore di quei diritti sacri che gli appartengono per il suo essere un'alterità anteriore al sistema. La vittima non può vivere appieno la vita alla quale sarebbe destinata. Il sistema lo determina a essere una parte oppressa. Il primo aspetto del principio materiale della vita (tesi 5) è negato. L'interpellato è così chiamato dalla sua coscienza etica a modificare la situazione: devo rispondere con la mz'a vita affinché la vita negata della vittima possa superare lo stato di oppressione in cui versa e possa svilupparsi secondo le esigenze della vita comunitaria. In ultima istanza, devo rispondere di tutte vittime dell'umanità. •

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[10.23] Questo principio è negativo nel senso che richiede di rove-

sciare lo stato di cose che produce vittime in modo sistematico. È quindi necessario negare la negazione degli oppressi, degli esclusi. Si tratta di un obbligo etico decostruttivo, di-struttivo, apparentemente caotico, senza senso. Tuttavia, questa apparenza anar~hica (che va verso, an6, l'origine: archè) del disturbo si trasforma in esigenza e in condizione della futura creazione del nuovo ordine. Il seme deve morire affinché possa nascere la nuova pianta; la donna deve soffrire i dolori del parto affinché possa nascere un nuovo essere umano. Il dolore della negazione dell'ordine si organizza sul dolore originario della vittima. L'amo redi-giustizia per la vittima (Lévinas lo chiama désir méthaphysique) è il potere del debole che lotta contro il potere del sistema; è quello che Antohio Negri chiama la forza dello schiavo e che esige da parte del filosofo (in un'etica non solo descrittiva ma anche normativa) >54 • Opporsi o negare il sistema in atto con tutto il suo potere significa, per il potere messianico, correre un rischio, dal momento che già solo ricordare la sua tradizione è un tradimento nei confronti del mondo così com'è. [10.3] Il principio critico negativo formale [10.3 1] La legalità del sistema non deve essere negata solo materialmente, per il contenuto della norma in vista dell'affermazione della vita negata delle vittime, ma anche nella misura in cui è ingiusta. E questa legalità sarà ingiusta se giustifica la trasformazione degli individui in vittime, anche nel caso abbia seguito il in base alla morale e all'istituzionalità mondana, vale a dire secondo il sistema vigente (di oppressione e di esclusione). Le vittime escluse, che non hanno fa tto parte del corpo legislativo né hanno avuto rappresentanti al suo interno, che non hanno ottenuto la dovuta simmetria, subiscono loro malgrado le norme stabilite. In questi casi il principio etico formale nel suo aspetto negativo si oppone alla legge vigente. Non sorprende che le vittime e le persone responsabili che le sostituiscono non possano essere nella legalità. G. Washington, ToussaintLouverture eM. Hidalgo sono stati illegali (per le leggi inglesi, francesi e spagnole, che consideravano 53 A. Negri, Tl lavoro di Giobbe: Ilfamoso testo biblico come parabola del lavoro umano, SugarCo, Milano 1990, p, 137. E cosl continua 1'autore, che ha sofferto la prigione italiana: «La funzione universale e costitutiva del patire si ritrova laddove la passione diviene compassione, e la tristezza si volge in gioia della comunione con l'altro. I..: ontologia della comunità è scopeta attraverso il patire assieme- un patire che si strappa perciò dalla passività e diviene costrutùvo. Eùco» [ibidem]. 54 W. Benjamin, Tesi di/ilosofia della storia, in Id., Angelus Novus, Saggie/rammenti, trad. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1962, p. 77.

SECONDA PARTE. L'ET ICA CRITICA

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le loro terre come colonie). Lottare per l'indipendenza di queste colonie ha voluto dire negare la giustizia della legge del tempo. [10.32] In questo senso si deve leggere la figura di un gigante della critica della cultura occidentale, riscoperto solo un decennio fa dalla comunità filosofica. Paolo di Tarso, nella sua Lettera ai Romani, è il testimone di un'etica nuova e rivoluzionaria; in quanto critica. Alle comunità del Mediterraneo orientale esiliate nella capitale dell'Impero romano insegnava a non prendere la legge (romana) come fondamento dell'atto giusto: 55 se sono ingiuste; pertanto, 56• Paolo quindi descrive due momenti: quello della vecchia legge, il sistema fondato sulla pretesa di bontà all'interno dell'Impero57 e quello della negazione della legge, che ha inizio quando si scopre la sua ingiustizia. Tale scoperta produce una crisi di legittimità della legge'8 e apre lo spazio del nuovo ordine etico al di là del sistema stabilito, così come aveva predicato l'unto (il messia). [10.33] L'etica in quanto critica non è una morale della legge, della legalità o del mero dovere fondato sul rispetto della legge, dal momento che questi non sono né la fonte né il fondamento dell'atto dotato di pretesa di bontà etica (vale a dire, critica). Non si tratta del dovere formalista rei ativo alla legge. L'etica ha un contenuto che si situa prima e sotto rispetto alla legge e al dovere. Si può quindi dire che Paolo di Tarso abbia criticato Kant con diciotto secoli di anticipo. Anche per questo, oggi 55 Romani, 3,19-20. 56 Ivi, 7 , 6-7 57 «Cosl la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento» llvi, 7, 12) «La legge, che doveva servire per la vita, è diventata per me n1otivo morte» [lvi, 7, 10]. 58 La legge ha ucciso il giusto, il messia, e per questo ha perso il proprio p restigio, la propria normatività, per i suoi discepoli, che si sono quindi opposti all'Impero, per esempio nel libro dell'Apocalissi. A essere negata è la legalità dello Stato oppressore.

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14 TESI DI ETICA

è molto studiato, mentre in passato, a causa della tradizione secolarista dell'illuminismo, era considerato un teorico settario di una comunità religiosa ed era bandito dalle facoltà di filosofia'9 • Nel suo aspetto negativo, abbiamo a che fare con una critica della legge, chiaramente delimitata dal concetto di legittimità (che analizzeremo nella tesi 12.5). Tutto incomincia, tuttavia, con la scoperta che la legge si fonda su una costituzione, la quale a sua volta procede da un'assemblea costituente convocata dalla sovranità popolare (ultima istanza delle legalità). Dal punto di vista dell'etica, l'origine della legittimità della legge non è la legge stessa, ma il consenso della comunità. La negazione dell'Altro, del popolo, da parte del sistema vigente lede la legittimità, privando la legge e la legalità del loro fondamento. I

[10.34] Giorgio Agamben, profondo conoscitore della legge roma-

na, nella sua opera Il tenzpo che resta mostra come, approfondendo il tema, si comprende che per Paolo la legge non è soppressa, ma , resa inoperosa da chi non la rispetta come ultima istanza: «Il messianico è non la distruzione, ma la disattivazione e l'ineseguibilità della legge. [... ] Solo in quanto il messia rende inoperoso il n6mos (la legge), lo fa uscire dall'opera e lo restituisce così alla potenza>>60• Dal momento che la legge, per via della sua ingiustizia, perde senso, si ha un ritorno alla sovranità del popolo. Quando i rappresentanti a cui è stato delegato il potere tradiscono la fonte del loro mandato, il popolo, si torna al potere in quanto possibile, affinché la legge possa essere rigenerata a partire da una nuova legittimità, in un nuovo "stato di diritto". Nel frattempo, si è entrati in uno "stato di eccezione", secondo le parole di Agamben (sarebbe meglio parlare di "stato di ribellione"). La negazione della legge lascia la comunità senza legge, nel tempo intermedio tra l'Egitto e la Terra promessa, nel deserto e nella desolazione. [1035] In base a quanto abbiamo detto, possiamo descrivere il principio formale critico nel suo aspetto negativo come segue: Si deve negare alla 59 Cfr. D. l-larink (a cura di.), Paul. Philosophy, Cascade, Eugene (Oregon) 2010, che espone i lavori su Paolo di A. Badiou, G. Agamben, S. Zizek e altri. Cfr. anche E. Dussel, J>ablo de Tarso, cit., e E. D ussel, Filoso/ias del Sur, cit. 60 G. Agamben, Il tempo che resta: Un commento alla Lettera ai Romani, cit., p. 93.

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legge ingiusta ogni pretesa di giustificazione dell'atto umano. L'ingiustizia può dipendere dal fatto che non si è permesso agli oppressi coinvolti dalla legge dt" partecipare simmetricamente alla sua elaborazione o al contenuto materiale di ciò che è stato deciso (qualora sia contrario al primo principio materiale già enunciato). La .negazione della legittimità della legge non si oppone a una pretesa di bontà critica, ma è piuttosto una condizione necessaria senza la quale non si potrà costruire un sistema più giusto. [10.36] Il consenso egemonico è messo in questione dal dissenso degli esclusi (mai unanime e spesso minoritario), degli Altri rispetto al sistema. Abbiamo quindi due tipi di consenso: a) quello dato, dominante (la cui legittimità è.in crisi) e b) quello innovatore, inteso come un dissenso legittimo. Bisogna sapersi mantenere in questo dissenso creativo, proprio di coloro che innovano, creano, inventano. Il compito del critico è scoprire la verità nella non-verità del sistema (direbbe Adorno), l'essere nel non-essere, l'Altro/a reale in ciò che nel mondo morale è assente o inesistente. Chi scopre un nuovo aspetto del reale, una nuova verità pratica, non può evitare di restare esposto alle «intero perie». E' la logica della creazione del nuovo. La felicità del servizio reso all'Altro ha sempre un prezzo. Non è la solitudine patologica dell'egoista, ma la solitudine di chi inizia qualcosa di nuovo; questa solitudine è inevitabile, fino a quando la verità pratica non coincide con ciò che è valido, con ciò che è legittimo per la società. Nel presente un piccolo gruppo anti.cipa il processo sulla base di una convinzione etica e avvia il cammino. Trattandosi di poche persone, Paolo di Tarso parla a questo proposito di : coloro che, per coscienza etica, affrontano la sofferenza nel crogiolo del fuoco, come l'oro puro, purificando le proprie esigenze a partire dalla responsabilità per 1'Altro/a o per gli Altri/e: queste persone sono il messia individuale o collettivo, la comunità in nuce del futuro populus (secondo la terminologia di E. Laclau). (10.37] L'intervallo in cui il messia si mantiene nella negazione del dato è il di cui parla W Benjamin; il tempo della persecuzione dell'h6s mé (di Paolo di Tarso). La vita quotidiana continua, ma come se non (h6s me} accadesse in modo normale. Nell' orizzonte di questo tempo della prova si apre, nel caso estremo, la possibilità della morte del critico. Ogni giorno è il > della prassi negativa della liberazione. (insegna il trattato cinese sull'arte della guerra di Sun Tzu), non affrontarlo, circondalo, abbattigli il/la "morale" (nel senso quotidiano, che con n1orale intende lo spirito, le motivazioni, i presunti valori; e nel senso di quest'opera, in cui il termine si riferisce al sistema normativo, che diventa falso, maligno, quando in suo nome si opprimono i deboli). Senza morale il sistema di dominazione vigente non può sostenersi nel lungo periodo. Ha , come abbiamo detto, e il caos, l' an~mia, l'ipocrisia che viene alla luce, lo smantellamento del feticismo fanno perdere a tale sistema di repressione efficacia, coesione e ".morale". Con le guerre per il petrolio degli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno perso la loro egemonia morale sul sistema mondo. Di conseguenza, stanno lentamente perdendo la guerra, anche se hanno vinto molte battaglie (ma cominciano a perdere anche le battaglie, come quelle in Iraq, Afghanistan, Siria, eccetera).

[11.2) L 'immoralità inevitabile [1 1.21] E' evidente e inevitabile che colui che si oppone alla morale vigente quando qt1esta si trasforma in u.na giustificazione dell'ingiusti zia o del dominio, colui che esercita la prassi negativa di liberazione, diventa agli occhi dei giudici della morale dominante una persona immorale. Non bisogna quindi avere paura di ciò che è considerato immorale dalla morale vigente. Serve un coraggio messianico per aprire la strada al futuro. Ciò che era buono (obbeclire al Faraone e alle sue leggi) diventa cattivo. Ciò che era bello diventa brutto. Ciò che era vero diventa la non-verità (di Adorno e di Nietzsche). Ciò che aveva valore diventa spregevole e non -valido. Ciò che dava gioia produce tristezza. E' la Umwertung effettiva, che si è fatta realtà. [11.22] Non si tratta però di una felicità piena (Nietzsche aveva ragione anche su questo). Al contrario, abbiamo a che fare qui con uria

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segreta e profonda felicità infelice; felicità del compimento dell'amore per l'Altro nell'infelicità di essere sopraffatti dalla responsabilità di abbattere la prigione dell'ingiustamente giustiziato e dalla sofferenza indifferibile che ne deriva. È.la "sov-versione": mettere sotto quello che era sopra70• Compito ingrato del messia, dell'eroe, dell'etica (che già non è più morale). [11.23] Questo è uno dei temi principali di un importante testo contenente il pensiero politico di Paolo di Tarso71: la svalutazione della legge e della legalità quando è posta a fondamento dell'oppressione, dell'ingiustizia, della morte dei giusti. Il soggetto della prassi negativa di liberazione comincia, quindi, a compiere atti che non rispondono più alla morale, ai valori dominanti, alla legge in vigore (quella romana, nel caso di Paolo):