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Italian Pages 246 Year 1974
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Caro Lettore,
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i.) (v. libraria di commissione Cedola
Arcana
167
ROMA
Giulia,
Editrice
Via
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sanno così di poterne usufruire liberamente per qualsiasi cosa possano avere bisogno. A
Londra,
c'è Bit,
un
organismo
al servizio
del movimento
co-
munitario. Bit è un ufficio (141, Westbourne Park Road WII) e un numero di telefono 01-229-8219, a cui si dà una risposta
alle telefonate (40.000 all’anno) di gente che domanda:
terra
libera per una comunità, prodotti macrobiotici, consigli giuridici, indirizzi per pratiche abortive e più spesso indirizzi di comunità dove si possa dormire gratuitamente. Ad Amsterdam, un bollettino che analizza i problemi delle comunità: Cormallen è pubblicato da una comunità di musicisti: il gruppo Marannon. o Idea centrale della controcultura e del movimento comunitari
è quella dei servizi alternativi validi per venire incontro a tutte le difficoltà e le necessità pratiche della gente in modo che 92
ci sia todo
una del
alternativa
alle
sistema borghese.
deficenze Un
e alla brutalità
servizio
alternativo
di me-
molto
im-
portante è stato ed è quello della free clinic che ha funzionato con successo anche in Italia. Un altro settore di base in cui intervengono i servizi comunitari alternativi è quello della droga, per i grandi problemi che essa si trascina dietro: pericolo di « sballare », grande confusione circa gli effetti specifici e quindi bisogno di chiarificazioni e soprattutto, assistenza legale in caso di arresto. A queste funzioni, che attualmente sono in parte esplicate a Roma presso la sede di Stampa Alternativa, rispondeva una associazione milanese Sima, i cui membri avevano tentato di condurre una vita comunitaria. Sima, ora in declino, anche per
l’evolversi della scena stessa, ha assolto per un certo periodo un compito di primaria importanza: « SIMA: due annunci su un
quotidiano
milanese,
circa
mille lettere
di risposta,
due
ma-
nifesti murali e decine di adesioni e aiuti da parte di medici, avvocati, studiosi. Questo è il primo bilancio dei risultati ottenuti dopo dieci mesi di oscuro e difficile lavoro di ricerca dei membri di SIMA. ” È il primo tentativo realizzato in Italia di servizio alternativo con qualche analogia con le associazioni inglesi e americane tipo BIT e RELEASE ”. ” Nel 1967 alcuni movimenti di rottura come Onda Verde e Mondo Beat stavano esaurendosi perché avevano consumato la
loro
funzione
iniziale.
D’altra
parte
molti
giovani
sentivano
ancora quei problemi che i beat ponevano in risalto con il loro modo di vivere. Nel ’68 poi, il movimento sente ha maturato politicamente e ideologicamente una parte della tematica che tali gruppi ponevano all’inizio, ma tralasciando, anzi rinnegando, aspetti essenziali che gli bippies continuavano a porre. Innanzittuto il fenomeno di milioni di ’ cittadini dell’Occidente’ che scoprono sostanze psichedeliche inutilizzate dalla loro cultura. Dicevo fenomeno: è un fenomeno morale, spirituale, una scelta:
ma
non
è
solo
individuale,
privato:
è
un
fenomeno
storico. È fuori dalla storia chi lo interpreta come fenomeno di consumismo: le motivazioni iniziali potranno anche essere consumistiche,
94
ma
non
interessano.
Interessa
perché
si continua.
Interessa la qualità dell’esperienza e come riesce a informare la vita delle persone. il fenomeno è storico perché le esperienze con quelle sostanze, i suggerimenti, le idee, le intuizioni, i conflitti, i drammi, che nascono da quelle esperienze ENTRANO più o meno consciamente nella vita individuale e sociale, di tutti i giorni, delle persone che hanno cominciato il viaggio nello spazio interno. Questa ’ entrata’, che è fondamentale, la abbiamo vista intuita in 4 anni e migliaia di articoli su ’ droga’ forse solo in 3 articoli: Maria Livia Serini sull’Espresso nel 68, Angelo Greco su Men nel ’68, Chiara Valentini su Panorama nel ’70. La
cosa
è
di
difficile
comprensione,
dato
che
a
livello
‘culturale’ queste cose si sapevano da tempo. Ma forse in Italia la cultura non ha perso tempo a leggere certe cose perché fin dal principio non interessavano. Forse perché la cultura era
condizionata
da
una
certa
immagine
lizzando i ’ beats’ in un certo modo. ressano milioni di persone, anche in realtà. SIMA è nata quando alcuni di stenza di questa nuova realtà e dei a creare.
a cui
era
arrivata
ana-
Però sono cose che inteItalia. Guardate la nuova noi hanno percepito l’esiproblemi che si venivano
Da un punto di vista cronologico, l’idea è nata nel ’67, l’associazione nel ’68, e l’attività nel ’70 con una relazione
(aprile) ”. Chi sono: Sima ? ”C'è un modo forse interessante di rispondere a questa domanda assurda (per noi). Se una persona normale, uno ’ square’, volesse cominciare a capire qualcosa del fenomeno ’ droga’, dovrebbe mettersi come uno studente a leggersi alcune centinaia di libri e alcune migliaia di articoli, spesso provenienti da discipline e culture che lui non conosce. Anche a questo punto dubito che basterebbe. Gli mancherebbe quella esperienza ’ dal di dentro ’ necessaria a fargli capire quello che legge ” ” Cioè l’esperienza della droga? ”. Non precisamente e non necessariamente. Basterebbe che per molto
tempo
fosse vissuto —
non da turista o da spettatore,
ma per scopi suoi, autentici — a contatto con la ” cultura della droga”, cioè con la musica, con le persone, con le vibrazioni, 95
coi linguaggi, con gli ambienti, con le sequenze di un certo mondo (non quello della dolce vita !). Essere vissuto a Ibiza, Amsterdam, Katmandu, Brera, St. Germain o nell’altra Londra, quella che i turisti italiani non vedono perché per vederla devono
averla
un
po’ dentro.
Aver
condiviso
parole,
stanchezze,
silenzi, vita con ragazzi e ragazze australiani, jugoslavi, spagnoli, giapponesi, afghani, norvegesi... In SIMA ci sono persone così e ci Sono persone che hanno letto e studiato le centinaia di libri e le migliaia di articoli. Forse (per la conoscenza) è più
importante
la prima
cosa,
ma
la seconda
è, per
un’azione
pubblica, almeno indispensabile. L’intreccio delle due costituisce la ” cultura SIMA ”, cioè le conoscenze scientifiche e vissute di cui i membri di SIMA si sono arricchiti e permeati a vicenda. Il nostro sforzo sarà per ora approfondire comunicare e utilizzare queste conoscenze ». Comunque si cerchi di organizzare dei servizi alternativi, vivere nelle città non è facile neanche per una comunità. Le paranoie della vita urbana inevitabilmente si riflettono anche nella vita comunitaria, rendendo molto più difficile l’accordo tra i membri, e una serena atmosfera nella comune. Spesso si arriva a dei livelli di vita che sono una sopportazione forzata più che uno stare liberamente e felicemente assieme. Spesso si finisce per unirsi solo per risolvere quei problemi economici, che
nelle città sono
pressanti. Vivere
insieme,
così,
troppe
volte vuol dire solo dividere le spese dell’affitto e delle cattive vibrazioni. Si raggiungono casi limite, come quello di una comune milanese che abbiamo visitato dove essendo la casa considerata solo un posto per dormine e per di più temporaneo, la sporcizia e la indifferenza avevano raggiunto un livello tale che si lasciava che un cagnolino con i vermi e la diarrea defecasse anche sopra i sacchi a pelo. Un problema pressante per tutte le comunità è quello della gente di passaggio che diviene nella città ancora più grave, soprattutto se la comunità si trova ad essere per qualche motivo anche un centro dove le notizie e le situazioni circolano più velocemente che altrove. Da Roma, ad esempio, un amico ci dice della comune di Renata C. ai Parioli: «Sono stato con loro per tre giorni il 27-28-29 agosto. La comune esiste da circa il novembre del ’72 quando la Renata, 96
che cui ad di è
possedeva una stanza-negozio al piano terra del palazzo in abita la sua famiglia, ha deciso di sistemarla e ci è andata abitare. Non so quanti erano all’inizio, né se erano gli stessi ora. Il numero delle persone della comune come al solito
estremamente
variabile.
Non
so
con
quale
scopo
preciso
sia
sorta. Comunque bha passato periodi di paranoia (giugno luglio) per la troppa gente che frequentava la comune che ha uno spazio limitatissimo. Come al solito quando si sparge la voce che c’è un posto così arrivano da tutti i posti. La casa si riempie. Si riempie di gente che sta tutto il giorno sdraiata senza fare niente e la paranoia coinvolge tutti anche quelli che avessero voglia di muoversi. E allora cattive vibrazioni, noia, atmosfera tesa, litigi ». Questo non è solo un problema italiano. In Francia succede la stessa cosa, osservano Roger Pol Droit e Antoine Gallien, autori di un libro sulle comunità giovanili francesi: « Come tutti gli accomunati di città gli accomunati parigini sono sovente insoddisfatti. La gioia di vivere delle comuni rurali io non l’ho ritrovata nei padiglioni comunitari dei sobborghi di Parigi. Perché ? Gli accomunati parigini non riescono quasi mai a dimenticare tutto quello che essi avrebbero voluto lasciare alle spalle il giorno che avevano deciso di vivere insieme nelle comunità: il lavoro, il tumore, la famiglia, la fatica, non sono riusciti ad eliminarli. Questa insoddisfazione e l’impazienza che li accompagna rende gli accomunati nervosi, qualche volta aggressivi. Sovente allora gli accomunati perdono coraggio e si separano » (*). La maggior parte di loro, infatti, vive in città, soltanto perché è impossibilitata, per un qualche motivo, nel muoversi verso la campagna o i monti, di cui però sogna i vasti orizzonti. C’è anche, è vero, un certo numero di persone che scelgono coscientemente di vivere nella comune urbana, formando comunità militanti politiche, tori di coscienza, di mistici, o di « maoisti ».
di obiet-
Queste comunità rivestono una funzione molto importante perché essendo punto di raccordo, di scambio di informazioni (2) Parigi,
Roger Pol Droit Calmann-Levy, 1972,
- Antoine Gallien, pp. 143-144.
La
chasse
au
bonbeur,
9q
e di idee per la gente che viene dalla provincia, per gli studenti, per gli hippies di passaggio, partecipano attivamente alla
vita sociale. Inoltre i membri di queste comunità, a differenza di
quelli
economica
delle
comuni
nella
agricole
coltivazione
che
ricercano
diretta
della
l’autosufficienza
terra,
sono
solita-
mente inseriti nel mondo del lavoro e quindi sono a conoscenza anche delle sue scadenze e dei suoi conflitti, per cui spesso scelgono anche la strada politica nell’opposizione alla società borghese. Poi ci sono le comuni degli « sbandati », dei fumatori di « merda », degli artisti mancati. Queste sono formate da persone che rifiutano l’inserimento nel mondo borghese del lavoro e allo stesso tempo non sono attratte dalla utopia agricola; costoro naturalmente sono portati a vivere nella città, o meglio nella grande città, dove se la morsa del sistema si fa più pesante, anche le sue contraddizioni sfruttabili sono più evidenti: nella città è più facile trovare dei lavori saltuari relativamente
ben
retribuiti
ed
in essa,
inoltre, può
sussistere
sem-
pre la speranza di un contatto con il mondo dello spettacolo o della cultura da cui sono spesso attratti. Comunque, la vita nella comune urbana spesso è solo il primo momento di un cammino comunitario; infatti i partecipanti scelgono di vivere inizialmente in città perché in essa vi sono delle possibilità di lavoro ben retribuito che permettono, con il risparmio comune di tutti, di raccogliere i fondi necessari all’acquisto di un appezzamento di terreno in campagna o di una cascina in montagna in cui trasferirsi per dare avvio al vero progetto comunitario. Altre volte si vagheggia una utopia più complessa: due comuni, una urbana e una cittadina, gestite dallo stesso gruppo in modo da poter usufruire di due strutture diverse ma complementari. Ma in generale l’odio per la vita urbana, per il senso di impotenza che essa provoca, è tanto e tale che si vogliono tagliare completamente i ponti con essa. Così in Italia, così in Europa, così in America: « Dopo parecchi anni spesi nella frustrazione, nella impotenza, nelle privazioni della vita cittadina, mentre durante tutto il tempo le mete della pace, della giustizia e della libertà sembravano
essersi
visione:
il mondo
neamente
98
nelle
allontanate,
del
teste,
Mungo
Vermont
e i suoi
esplose
Vermont ! Non
vedi
amici
press’a tu
ebbero
poco una
una
simulta-
fattoria
nel
Vermont! Una libera comune agricola di stampo ottocentesco, una larga, aperta, salutare, linda fattoria sulle verdi nobili montagne.
Un posto per ritrovarsi assieme di nuovo, liberi dalle velenose vibrazioni di Washington e dalla inutilità torturante della fetida America urbana » (°). Così si dette inizio al « totale moratorium della partecipazione costruttiva in questa società ». Dopo poco tempo Mungo e nove dei suoi erano alla « Montague Farm », leggendo Thoureau piuttosto che nuovi testi e lavorando duramente sul piano fisico: spaccar legna, sarchiare patate, estrarre lo zucchero d’acero. Mungo nel suo recente Reportage sull’esperienza comunitaria, intitolato « Total Loss Farm », scrive: « Quanto di importante c’è nel processo attraverso cui si diventa liberi nella mia terra credo consista nel ritiro da tutte quelle cose solenni e terribili di cui avevamo pensato deliberatamente e sistematicamente di aver bisogno... così che buona parte del nostro agire e del nostro programma deve essere negativo piuttosto che positivo. Noi siamo la gente che non fa tutte quelle cose corrotte, etc., etc. Ma io positivo considero il fatto che nuovi e avanzati aspetti della vita sono divenuti forti ora... » (*). La lunga strada che cominciò con i sit-in e procedette con le proteste contro la guerra, le ribellioni universitarie, le speranze di una nuova età da attuarsi con una insurrezione violenta condusse Ray Mungo (°) e parte dei suoi amici al di là della politica nella isolazione rurale della « Montague Farm ».
New
(3) Citato in Keith York, 1972, p. 81.
Melville,
Communes
in
the
counter
Culture,
(+) Ibid. pag. 82.
(5) La vita di Mungo, autore di ” Famous Long Ago” e di ” Total Loss Farm” è, nelle sue vicende, tipica. Mungo passò da un « violento marxismo » al pacifismo, introdusse un po’ prima di quanto fece la maggioranza bippies l’uso della droga, nel 1964 s’impegnò contro la guerra del Vietnam, tra il 1966-67 fu famoso come editore della Boston University News, alla fine giunse all’idea comunitaria e si ritirò sulle montagne.
9
UNA VISITA AD UNA COME CONCLUSIONE Quando
arrivo
mi
COMUNE
fanno:
« Ciao,
URBANA,
entra ».
Mi
accolgono
in una larga stanza; a terra dappertutto tappeti, in un angolo un giradischi, tutto intorno, addossati alle pareti, dei larghi letti bassi. Ci sediamo a gambe incrociate attorno al lungo tavolo centrale e incominciamo a parlare. « In quanti vivete qui » chiedo subito; si guardano l’un l’altro, c’è un attimo di silenzio, poi una ragazza incomincia ad elencare ad alta voce dei nomi, alla fine: « Ah sì, siamo in undici, sai non sappiamo neanche noi quanti siamo, perché c’è sempre qualcuno che viene e qualcuno che va. Ma di solito, fissi, siamo appunto in undici. L’anno scorso eravamo in otto e vivevamo in un’altra casa; qui ci siamo trasferiti da poco ». Poi mi spiegano che sono collegati con una comunità gemella di altre dieci persone. Speravano di potersi trasferire tutti nella zona, un po’ alla periferia di: Padova, dove ora in una grande casa si trasferirà l’altra comunità, ma non sono riusciti a trovare Îì una casa. Con la comunità gemella essi sperano di poter avere tra poco una sede, punto di incontro per la gente di passaggio, un po’ come quelle che già ci sono in Olanda e in Germania. Infatti portano avanti ancora il discorso della controcultura e delle strutture alternative, anche se tra loro si chiamano compagno e molti escono dalle file di Potere Operaio, di cui ancora dicono di condividere le idee: «sai, Potere Operaio è sempre stato molto bravo qui a Padova, ma si creavano delle fratture: non ci si può chiamare compagno davanti la fabbrica e poi a casa continuare a menare un’esistenza borghese ». Ora loro sono legati a Re Nudo di cui dicono di non condividere tutto ma « è una struttura; ci par giusto usarla »; infatti il loro bollettino, mezzo per rendere pubbliche le loro idee e il loro discorso, verrà inserito in Re Nudo come suo supplemento. Tramite i contatti allacciati con Re Nudo si stanno pure organizzando per dare il via, ogni quindici giorni, in una Casa dello studente di Padova, il Fusinato, gestita da dei compagni, a degli incontri musicali in cui inviteranno a suonare, naturalmente gratis, dei complessi e degli strumentisti di fama nazionale. Oltre queste 100
cose,
tramite la sede le due comunità
attività
artigianali
ed
artistiche
che
contano
ora
sono
di avviare delle
sacrificate
per
mancanza di spazio (la ceramica è una delle attività programmate). Mi spiegano: « Lo scorso anno, nell’altra casa, che era oltretutto piccola, C’era una situazione incasinata, perché lì ci si incontrava con gli altri, si ospitava gente, si organizzava, si lavorava, si viveva; mancava insomma uno spazio privato della comunità,
la
situazione
era
molto
tesa.
Ora
vogliamo
fare
una
sede. Ma non intendiamo limitarci neanche a questo, abbiamo in mente tante cose belle, happening, per esempio, in cui verificarci ed avviare un rapporto con gli altri. Per dire, tempo fa una nostra amica si è sposata, costretta dai genitori, e noi siamo andati tutti al suo matrimonio con bonghi, bonghetti, chitarre e una legalissima damigiana di vino e lì abbiamo cercato di creare delle vibrazioni, un’atmosfera diversa. Tra poco, siccome partiamo tutti per l’India, scenderemo in piazza, sempre con tutti i nostri strumenti e organizzeremo un free-shop con i mobili della vecchia casa che non ci servono più, sarà un’altra occasione per incontrare la gente. E poi anche Padova può essere entusiasmante, certe vecchie vie, angoli, piazze, sono da riscoprire ». Questa estate hanno lavorato tutti per poter mettere da parte i soldi per il viaggio in India; c’è chi ha confezionato vestiti con la stoffa dei vecchi jeans, chi ha fatto la commessa, chi il facchino. Ora partiranno, con il treno fino ad Instanbul, poi con quel che troveranno. Hanno escluso a priori l’idea del « furgoncino », innanzi tutto perché sono in tanti e poi perché vogliono partire assieme ma non in comitiva: ognuno deve essere libero di potersi muovere, espandere, fare esperienze come più gli piace. In effetti nella comunità sembra che ci sia molta libertà nonostante o forse proprio grazie al forte sentimento comunitario. Sono tutti giovani, studenti i più, esistono delle coppie fisse ma nessuno è sposato, dormono tutti assieme in due stanze. Non esistono ruoli o leadership, i problemi economici vengono risolti senza regole fisse ad eccezione dell’unica per cui c’è «un calderone comune in cui butti tutto e dividi tutto ». Chiedo: « Siete vegetariani o fate qualche dieta speciale », si mettono a ridere, poi un ragazzo risponde: « Ma
qualche volta facciamo una dieta da fame » poi scherzando aggiunge rivolgendosi ad una ragazza: « Poi c'è madame che fa 101
la cura dimagrante e allora lei mangia bistecchine e pompelmo ». Tutti ridono. Un gatto passeggia indolente sopra la tavola, è molto bello, ha il pelo maculato e lungo. Ne hanno dieci di gatti che vivono su un’ampia terrazza dell’appartamento; la vecchietta che abita al piano superiore a volte scende a portar loro il rognoncino o il pollo; adesso che i ragazzi partono sarà lei ad avere cura di essi. (documento
anonimo,
settembre
1973).
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ORNATA POVERA DI AVVENIMENTI -
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4) il
|
LA COMUNE RURALE back to nature
Una delle classificazioni più semplici che si può usare nell’esaminare il movimento comunitario è quella che ci permette di distinguere tra comune urbana e comune agricola o rurale. Il tema del ritorno alla terra costituisce, infatti il leitmotiv di molte delle comuni in questi ultimi anni negli Stati Uniti e nei paesi dell’Europa Occidentale. All’impossibilità di una vita urbana, che non sia il semplice sopravvivere, sentita particolarmente negli States dove in città come Frisco o Los Angeles camminare di sera può costituire un indizio di reato, si risponde con la fuga nei boschi ispirata, ancora una volta, al Walden del Thoreau. D’altronde, come ha già osservato Horkheimer « l’avversione individualistica per la civiltà si nutre dei
frutti della civiltà stessa » o meglio «i grandi individualisti che 103
criticano la vita delle città come Rousseau o Tolstoj in realtà avevano le loro radici intellettuali nelle tradizioni urbane; la fuga di Thoreau nei boschi fu concepita da uno studioso della polis
greca più che da un contadino » (’). gine
Al di là della sua immediatezza, che ci rimanda all’immaabusata dell’Arcadia, il ritorno dell’uomo alla natura pre-
cisa il suo
significato
nella critica di quella
civiltà borghese-
liberale (riflesso politico-sociale del potere capitalistico) che nel tentativo di soggiogare la natura, riducendola a semplice strumento dell’uomo, soggioga l’uomo stesso. I risultati di questa pretesa di dominio, che trova nella
ragione formalizzata un suo strumento,
si notano con maggior
chiarezza nei grandi agglomerati urbani, ammassi di cemento armato circondati da slums, città desolate della società estraniata da se stessa, luoghi privilegiati della mistificazione di massa. Ma « quanto più clamorosamente l’idea di razionalità in nome della quale la natura viene calpestata è proclamata e applaudita giusta, tanto più cresce negli uomini il rancore più o meno
consapevole contro la civiltà e contro il suo agente nell’individuo, cioè l’ego » (2).
L’individuo
ribelle
fuggendo
l’adattamento,
unico
e
su-
premo principio delle società industrializzate, cerca nell’antagonista alla dominante razionalità formalizzata, cioè nella natura, uno spazio fisico e psicologico in cui disporre della vita, che non sia la semplice sopravvivenza predisposta cinicamente alle esigenze del sistema che vuole perpetuare se stesso. Così la cultura giovanile alternativa, intuendo in modo confuso la problematica che, presente fin dalle origini della civiltà
occidentale,
è
insita
nel
contrasto
ragione-natura,
con-
trapponendone i due termini come astratte categorie, ignorando la possibilità di una interpretazione dialettica e operando con una analisi povera che vede in una presunta realtà tecnologica
la causa di tutti i mali di cui soffre il mondo propone il ritorno alla natura nelle comuni gica risoluzione del dramma in corso. (*) M.
Horkheimer,
Eclissi
della
p. 84. (2) M.
104
Horkheimer,
ibid.,
p.
85.
ragione,
contemporaneo,
agricole
Torino,
come
Einaudi,
ma-
1969,
Questo il punto d’arrivo dei figli ribelli (ribelli e non rivoluzionari) delle società industrializzate: la comune agricola. E tutto questo negli Stati Uniti dove, da anni, il giornale ufficiale delle comuni agricole The Mother Earth News che assomiglia a un manuale dei boy scout offre consigli pratici ‘per coltivare l’orto, aiutare a partorire la vacca, allevare i pulcini; oppure in Italia dove, ad esempio, la comunità ecologica di Bovolenta, in provincia di Padova, di cui ci parla anche il giornale femminile della media borghesia italiana Grazia, con un articolo intitolato « Da studenti a contadini per ritrovare la natura », vuole insegnare agli agricoltori le nuove leggi della biodinamica. Infatti la comunità ecologica permanente (questo il nome ufficiale del nucleo) che è formata da giovani operai e studenti universitari e non da hippies e drogati « come qualcuno in principio temeva » ha deciso di dar vita a un gruppo inserito in un ambiente agricolo il cui scopo sia tentare il recupero di quei valori naturali che si stanno sempre più perdendo. Ecologia e naturalità, ecco i due punti focali attorno a cui la comune di Bovolenta sviluppa quel discorso che se le è proprio è proprio in realtà anche alla maggior parte delle comunità agricole che si rifanno al « movement »; quel complesso ideologico che propone e auspica il ritorno alla terra inseguendo questi due obiettivi che se pur complementari sono distinti. Si va dunque nella direzione di una vita più sana sul piano fisico (di qui la rilevanza dell’ecologia e della macrobiotica) e verso il tentativo di riacquistare tramite il contatto diretto con la natura anche quella natura intima dell’uomo, o meglio, quella ‘parte della propria essenza naturale di cui la pretesa di dominio ha soffocato perfino la memoria. La liberazione dell’io dall’IO. Su un fascicolo di Stampa Alternativa dedicato alla macrobiotica
(a
cura
del
centro
di
controinformazione
si legge:
« La macrobiotica si adatta molto
la
generazione
nostra
sta
compiendo
nei
di
Roma)
bene alla svolta che confronti
del
sistema,
cioè alla vita-struttura alternativa. O se vogliamo è questa svolta che si riadatta alla macrobiotica, intesa come ritorno alla vita
semplice,
umana,
naturale.
La macrobiotica infatti è un’arte millenaria che gli estremo orientali e i nostri avi seguivano prima dell’avvento della « civi105
lizzazione ». 1 suoi principi sono stati portati dall’oriente dal famoso Oshawa ed adattati alla nostra mentalità. Perché ancora proprio l’oriente ? Non è un caso o una moda che i viaggi in India, la musica orientale, lo yoga, lo zen, la
macrobiotica
arrivino
adesso,
contemporaneamente.
soddisfa la nostra fame spirituale svolta. Come staccarsi praticamente
facendoci dal
sistema
stecca costa 800 lire e 300 lire un pezzo mangiare sono costretto a lavorare?
il
desiderio
dell’accumulare
in questa
quando
di
una
formaggio,
Il sistema è quell’ingranaggio nel quale mento, la pubblicità, il lavoro in fabbrica, anche
L’oriente
da guida
bi-
e per
esiste lo sfruttal’alienazione, ma
l’abbondanza,
e
con
essa,
nell’alimentazione, la raffinatezza dei cibi e la ricerca dei piaceri della gola e con esse le malattie, i dottori da pagare, le operazioni,
ecc.
ecc.
È ovvio che un piatto di riso bianco non soddisfa l’appetito perché essendo raffinato (non avendo il glume: l’elemento essenziale
nutriente),
non
ci
nutre
abbastanza
per
cui
oltre
al
riso abbiamo bisogno della bistecca. Ma anche un piatto di riso integrale non ci soddisfa, perché pur saziandoci non ci fa « godere » le raffinatezze degli altri piatti. La vita macrobiotica se vogliamo è un altro trip, in cui ci
si
nutre
mangiare,
lizza
di si
cose
lavora
l’equilibrio
semplici nella
fisico
per
e sostanziose,
natura,
non
cui
niente
si
si
spende
hanno
poco
padroni,
malattie,
né
si
dottori,
per rea-
né
operazioni; si realizza l’equilibrio psichico per cui niente desideri inutili o false esigenze, ecc. ecc. Sembrerebbe quindi molto semplice prendere un sacco di riso integrale in spalla e andare a vivere in comunità in qualche baita con un po’ di terreno da coltivare, vivendo di ciò che ti dà la terra. In realtà non è così semplice. In realtà l’ingranaggio del sistema non è solo fuori di noi ma è dentro noi; ne facciamo ancor parte sostanzialmente. Ce ne accorgiamo nel cibo che mangiamo, nelle cose che desideriamo, nelle tensioni che inconsciamente cerchiamo nelle città. Noi dell’alternativa stiamo compiendo la svolta, stiamo cambiando il trip, e quando si cambia il trip si deve essere ben
coscienti 106
che
non
solo
le strutture
esteriori
devono
cambiare,
ma anche soprattutto che i nostri istinti devono essere rieducati. La macrobiotica fra l’altro ci aiuta a prendere coscienza
della derivazione dei nostri istinti e della perversione dei nostri gusti: ritornare di botto all’estrema semplicità, allo stretto necessario, provoca delle violente reazioni al nostro piano mentale. Le vecchie abitudini ritornano a galla e prendono il sopravvento sui nostri ideali, diventando forti esigenze. Questo ci può indicare a quale stato di assuefazione siamo arrivati nell’alimentazione
porzione) Vi
daremo
pagnare
come
in
altre
cose.
Ci
troviamo
nella situazione del morfinomane in
seguito
indicazioni
il cambiamento)
del
trip
su
come
(nella
privato
debita
pro-
della droga.
cambiare
(0
accom-
dell’alimentazione.
107
Appare
chiara, da una parte, l’esigenza, non contestabile,
di una vita più sana, che si esprime tramite l’invito ad un ritorno alla terra e a una dieta naturale, quale è quella macrobiotica, dall’altra il desiderio di una vita diversa, più autentica; questo è l’aspetto più significativo ed è quello che Stampa Alternativa chiama la «svolta » che la nostra generazione sta compiendo nei riguardi del sistema, cioè, la vita-struttura alternativa: «... svolta intesa come un ritorno alla vita semplice, umana, naturale ».
In effetti il problema sollevato, cioè questo voler liberarsi dalle sovrastrutture, smettere di sopravvivere per cominciare a vivere, poteva, se approfondito in maniera radicale, permettere
un effettivo ripensamento del modo di percepire la realtà, e di conseguenza di un modo rivoluzionario di affrontarla. Purtroppo i termini del problema vengono qui, come nella maggior parte delle elaborazioni teoretiche della cultura giovanile, ancora impostati nel senso di un ritorno invece che in quello di un superamento. Forse l’unico tratto in comune tra questi giovani del dissenso e la generazione più anziana sta proprio qui, in questa forma di nostalgia. Non si guarda al futuro verso cui oscuramente si prova orrore, ma con l’angoscia del presente si riscopre il passato. Il lessico del Communal Moviment riflette un conscio desiderio di ritornare alla comunità integrale della società preindustriale, si guarda ad un mondo che fosse più semplice e più stabile di quello attuale. « Il pericolo di ogni forma di nostalgia è che è così semplice immaginare un passato che non è mai esistito » (*), il pericolo qui è aumentato dal fatto di parlare di realtà storiche, di cui si dimostra di conoscere ben poco, dal fatto di accennare a problematiche culturali di cui in realtà si ignora quasi tutto. Lo sguardo superficiale, tipico dei rigattieri dello spirito, ha mietuto altre vittime, illusioni dure a morire sono rinate. No, nessun ritorno è possibile: « L’antagonismo fra l’individualità e le condizioni economiche e sociali della sua esistenza è un elemento essenziale della individualità stessa » (*). Se di fronte a una società che domina e sovrasta (3) K. Melville, op. cit, p. 171. (4) M. Horkheimer, op. cit., p.
108
115.
l’individuo il senso di impotenza che ne deriva lo fa consegnare al desiderio di adattarsi, non è sufficiente opporvi da parte della cultura giovanile un progetto di vita alternativa, un progetto comunardo che tradisce le sue origini ottocentesche ritrovabili nel socialismo utopistico e nel movimento anarchico, un’altra forma di sopravvivenza, ma ancora uno sforzo: «solo la rinuncia al positivo, in cui si esprime il desiderio stesso di una riconciliazione non illusoria con esso, riesce ad evitare il sacrificio della ragione che crede di ravvisare in una cieca natura deformata e stravolta dal dominio l’ingannevole idolo di se stessa;
per
evitare
di
feticizzare
se
stesso
il pensiero
deve
far
proprio l’angolo visuale di una negatività destinata a restare assoluta finché non intervenga a rovesciare la realtà presente una prassi liberatrice » (°). Di fronte alla frantumazione dell’individuo umano, nella sua coscienza e nei suoi atti, di fronte al conseguente slogan « ritorno alla natura » è giusto ricordare che « la storia dello sforzo dell’uomo di soggiogare la natura è anche la storia del soggiogamento dell’uomo da parte dell’uomo » (°). Da una dimensione storica, in cui il dominio si manifestava come forza bruta, siamo passati ad una dove questo si è interiorizzato, acquistando quel nome che ci è diventato familiare con il lessico della psicanalisi: « super io ». Ma neppure la scuola psicoanalitica, che così ampia risonanza ha nella società attuale (come farebbe la signora dell’alta borghesia a rinunciare al salotto psicanalitico più di moda) ha saputo liberare l’uomo da questo dominio. È vero, oggi si è riusciti a rendere. l’ego indulgente con le emozioni piacevoli, è stata allungata di qualche metro la catena di prigionia di Eros, ma solo, sembra, per rigettare la riflessione da quelle tristi e mortali, questa morte che sembra entrata in ogni momento della nostra vita. Qui è allora il caso di difendere il Marchese De Sade, Lautreamont, Nietzsche, contro coloro che vorrebbero ridurre la vita ad un intervallo di tempo privo di speranza, privo di coscienza, nell’eden prefabbricato della tecnica. Solo da una dialettica autentica tra Eros e Tanatos può sgorgare la coscienza del vivere. p.
(5) T. Perlini, Autocritica della ragione 157. (5) M. Horkheimer, op. cit., p. 94.
illuministica,
Ideologie,
1969,
109
Dice Vaneigem: « I tecnocrati si propongono oggi, in un bello slancio umanitario, di porre fine all’alienazione primitiva, e incitano a sviluppare maggiormente i mezzi tecnici che permetterebbero » in sé « di combattere efficacemente la morte, la sofferenza, il malessere, la stanchezza di vivere. Ma il miracolo non sarebbe tanto di sopprimere la morte, quanto di sopprimere il suicidio e la voglia di morire. Vi è un modo di abolire la pena di morte che induce a rimpiangerla » (*). La strada per tentare di uscire da questo baratro è quella di una ragione che si faccia prassi. « Ma il fatto che la ragione sia stata ridotta (nell’attuale dominante cultura tecnica) a puro strumento finisce per influenzare anche il suo carattere in quanto strumento » (*). L’incapacità nell’uso, la mancanza di fiducia in questo uso abbandona l’uomo ad una incompleta impotenza, quale insetto che sbatta continuamente la testa contro barriere di vetro che non riesce a capire. Tutto assume la parvenza di realtà magiche imperscrutabili. « Le forze economiche e sociali assumono il carattere di cieche forze naturali che l’uomo, se vuol sopravvivere,
finale tato mare della
deve
dominare
adattandosi
ad esse.
Come
risultato
del processo abbiamo da una parte l’io, astratto ego svuodi ogni sostanza tranne che di questo tentativo di trasfortutto quanto sta nel cielo e nella terra in uno strumento sua sopravvivenza, e dall’altro una natura anch’essa svuo-
tata, degradata
a pura materia, che dev’essere dominata
senz’altro
fine fuorché quello appunto di dominarla » (°). La natura non è «buona». Il mito della madre terra che accoglie nelle sue amorevoli viscere l’uomo stanco di lottare, sarebbe il caso di relegarlo, ormai, nelle anticaglie del passato; infatti, se nelle civiltà automatizzate già si muore di noia, nelle civiltà non industriali si muore ancora di fame. « Ogni paradiso è artificiale. Ricca malgrado i tabù e i riti, la vita di un trobriandese è alla mercé di una epidemia di vaiolo; povera malgrado i conforts, la vita di uno svedese è alla mercè del suicidio e del male di sopravvivere » ("°). (*) R. p.
(8) M. (°) M. (‘°) R. generazioni,
110
Vaneigem,
Terrorismo
o
rivoluzione,
Roma,
Arcana,
1973,
9. Horkheimer, op. cit., p. 51. Horkheimer, op. cit., p. 87. Vaneigem, Trattato del saper vivere Firenze, Vallecchi, 1973, p. 13.
ad
uso
delle
giovani
L’unità dell’uomo primitivo con la natura è di essenza magica, così come l’unità dell’uomo moderno con la società; nell’uno come nell’altro caso l’uomo si ritrova in una posizione di oggetto. « Da questo punto di vista la storia non è che la trasformazione dell’alienazione naturale in alienazione sociale » (’). Ecco perché i valori della natura, della terra, del sangue, erano esaltati dai fascisti, ecco perché il moderno fascismo si può ritrovare nel qualunquismo della dolce e sommessa « Find the coast of freedom »: nell’uno come nell’altro caso l’uomo ponendosi come oggetto si preclude la sua realizzazione come soggetto. L’abbandono ai rapporti naturali nella loro immediatezza è l’abbandono alla strapotenza della forza.
Addenda
Alla luce delle problematiche sollevate. Si richiami l’attenzione sull’affermazione contenuta nello scritto di Stampa Alternativa secondo cui « soprattutto i nostri istinti devono essere rieducati »; sorvoleremo sulla troppo apparente contraddittorietà insita in un voler rieducare gli istinti, l’ironia vi avrebbe troppo facile gioco, ci soffermeremo invece su quel soprattutto. Sorge spontaneo il sospetto che questi giovani alternativi assomiglino ai giovani hegheliani, « novelli torrenti di fuoco », ci ricordano, appunto, il Feuerbach che tra il marzo e il settembre del 1843 nel carteggio con Marx, Ruge, Bakunin dibattente la possibilità di creare a non troppa lunga scadenza una situazione rivoluzionaria, esprimeva la convinzione che prima di tutto occorresse riformare l’uomo. Esclamava: « Abbiamo bisogno di uomini nuovi » e più avanti: « Ciò che unisce molte teste fa massa, si dilata e si fa posto nel mondo ». Intendiamo dire, cioè, che di fronte al malessere di cui soffre l’uomo nel mondo contemporaneo (talmente generalizzato da
aver
‘ormai
prodotto
assuefazione)
la
cultura
giovanile
soc-
combe nella misura in cui, riconoscendo la fonte dell’oppressione anche nell’individuo, cerca di liberarsene con un lavoro (41) Ibid.,
p.
4.
gue
di scavo interiore servendosi di pratiche yoga, contatto con la natura tramite un panteismo primitivo a base di danze sotto la luna, dimenticando quella massima che pure essa stessa aveva forgiato: « Anche i paranoici hanno nemici reali » che in questo caso suona: anche il super ego ha delle cause reali: le coercizioni del dominio. D’altronde non dobbiamo dimenticare che se l’ignoranza « non è il male minore presso i nemici dell’imperatore », in quei giovani alternativi a un Freud letto male fa riscontro un Marx non letto, e ciò spiega un ritardo teorico che si rivela nella prassi di almeno un paio di secoli. Ma forse Feuerbach era già più temerario, sia pure su un piano puramente ideale, perché ora non si guarda più neppure al mondo,
ci si accontenta
del
circuito
alternativo;
si legga,
in-
fatti, sullo stesso fascicolo l’appello finale.
APPELLO AGLI ASPIRANTI DELLA VITAVALTERNATIVA Nascano nelle macrobiotici.
città
10,
Nascano nelle campagne
1000
negozi
e
ristoranti
100, 1000 comunità agricole
Le comunità forniscano i negozi e i ristoranti prodotti genuini della nostra terra.
dei
Negozi e ristoranti servano da tramite per coloro che ancora nelle città stanno compiendo. la svolta E dalla città traggano i fondi necessari per il sostentamento proprio e delle comuni Ecco
concretizzarsi
il circuito
alternativo
sia nelle strutture esteriori sia nella profondità dell’io.
Infatti, quanto di fallimentare vi è nel discorso rivolto all’uomo è mostrato dallo sfacelo attuale dell’individualità e appare evidente non solo grazie a quella critica con cui da Marx in poi bisogna fare i conti, ma anche dai suoi risultati pratici. 114
Essa ci insegna ad intendere storicamente e a diffidare di ogni tentativo di reintrodurre sottomano obsolete concezioni romantiche. Poiché se è vero che la Weltanschauung romantica di per sé non era puramente conservatrice è ancor più vero che socialismo e romanticismo sono due differenti forme di opposizione al mondo borghese, di cui la seconda è solo apparente, come bene possiamo capire grazie alle armi critiche che la prima ci offre. Il romanticismo si rivoltò contro il mondo borghese in nome dell’« innerman » e delle sue esigenze del sublime e del misterioso, auspicò con la nostalgia dei tempi passati, in nome di un ritorno ad una malintesa vita naturale, la rispiritualizzazione di esso, ma queste robinsonate, che purtroppo hanno ancora eco, non ne espressero una critica sostanziale, ma, romantico fiore ideologico da cui maturerà il frutto borghese, furono il tentativo di intorbidire le già melmose acque ottocentesche per cercare di spacciare alla storia un concetto dell’uomo come essere spirituale naturalmente originato dalla natura, libero artefice della propria storia. Tanta ingenuità ai nuovi romantici non può più essere perdonata, veramente « il frutto prende il posto del fiore come sua verità » (*°). La « liberazione » è un atto storico non un atto ideale, «ed è attuata da condizioni storiche » (‘*). In questo preciso sensc la presunta liberazione dell’individuo nell’ambito di una vita comunitaria non è, nella maniera in cui si manifesta, che un vagheggiamento utopico privo di ogni reale incidenza nelle strutture sociali più atto ad essere una soluzione personale alla incapacità della frangia più sensibile della gioventù dei paesi ad alto sviluppo industriale di sopportare l’alienazione di un modello obsoleto di vita quotidiana quale è quello familiare. Il problema è, quindi, eliminare l’alienazione tout court e non il formare dei piccoli centri di vita in cui cercare di coltivare dei rapporti non alienati. Di fronte a un mondo che conosce l’uso della bomba atomica non solo non ci si può illudere di potersi nascondere dietro la siepe di bossolo che circonda la «farm », ma neanche di potere alla sua ombra sognare tranquillamente. (12) F. Hegel. (3) K. Marx.
115
La scelta comunarda (cioè la scelta di una vita non più dominata dalla merce e dalla sua circolazione che tutto riduce a sé, ma dai rapporti di liberi uomini che vivono assieme) è forse necessaria, ma non sufficiente ad una scelta rivoluzionaria. Vi è in essa un aspetto positivo: il tentativo di portare la critica al livello della prassi, ma questa non è ancora la prassi armata mentre il pericolo di queste esperienze è che possano indurre a pensare che sia possibile quella trasformazione globale necessaria per l’avvento di una società umanizzata partendo da esperienze
isolate;
invece
noi
sformazione « può avvenire zione » che «la rivoluzione classe dominante non può niera, ma anche perché la in una rivoluzione a levarsi a
diventare
capace
di
sappiamo
bene
come
questa
tra-
soltanto per mezzo di una rivolunon è necessaria soltanto perché la essere abbattuta in nessun’altra maclasse che l’abbatte può riuscire solo di dosso tutto il vecchio sudiciume e
fondare
su
basi
nuove
la
società » (**).
Ciò appare tanto più vero qualora si consideri la capacità del sistema di conglobare in sé anche il dissenso e di venderlo come
merce
spettacolare
(sezione
dissenso,
reparto
giovanile,
in-
dustria culturale, società dello spettacolo) tanto che il sistema può, nei riguardi della comune, permettersi il lusso dell’indagine sociologica e dei programmi televisivi, lusso che non si potrebbe permettere nei riguardi di quei fenomeni che mettessero realmente in forse l’esistenza.
(14) G. p.
116
32.
Lukacs,
Storia
e
coscienza
di
classe,
Milano,
Sugar,
1971,
da RE NUDO au gno 4971
N° 6
(N° 4 NUOVA SERIE)
Da
alcuni
mesi
è
sorta”nei
di Ovada una comune
pressi
agricola che
to tempo in grado
la comune di Ovada di sopravvivere, ma
sarà pen-
per certi aspetti si riallaccia all’esperienza tentata, a cavallo del ’67 e ’68 da alcuni compagni di « Mon-
siamo che sia dovere di ogni compagno e fratello fare in modo che essa viva il più a lungo possibile.
do
La comune ha in questo momento alcune necessità pratiche, utensile-
Beat
».
| compagni
e i fratelli di Ovada
questo
tentativo
come tando Noi non
loro
di
affermarsi
uomini liberi stanno moltissime difficoltà. possiamo
sapere
in
affron-
per quan-
ria agricola, sementi ecc.; se qualcuno di voi pensa di poterli aiutare si metta in contatto con Re Nudo. Questa esperienza comunitaria non è un ritorno alla natura secondo gli schemi di un rinnovato mito del « buon selvaggio » come ha tentato di far credere la stampa borghese come sempre presente nei tentativi di recupero e di mistificazione di ogni momento creativo del Movement. L'esperienza di Ovada non è neanche una riproposta anacronistica del comunismo agricolo di tipo primitivo come
era stato pratica-
to nelle comuni utopistiche del secolo scorso, che seguivano le idee del Fourier e di Owen. Ovada fornisce un'importante indicazione al Movement italiano, è un esempio, un’azione pratica di vita alternativa
che nasce da un tensione, da un ri-
spacciatori delle false rivoluzioni e del potere separato dalla verità e dalla felicità immediate. Ovada è un'alternativa, un momento di lotta contro tutte le caserme dell'ideo-
logia sedicente rivoluzionaria, tutti i gruppuscoli extraparlamentari che separano
il momento
della
militan-
za politica dalla vita quotidiana non vissuta perché vissuta secondo le regole
del
grande
stico. Ovada libera, felice,
|
fiuto,
DOLO
da
un
OA
i
desiderio
di
lotta
pre-
sente anche in Italia e non solo nel Movement internazionale. E’ uno dei modi di unire praticamente la politica
alla
vita
quotidiana:
inco-
minciare ad appropriarsi di tutto ciò che è proprio dell’uomo e rifiutare tutto ciò che è fatto per limitarlo, separarlo, incarcerarlo, ucci-
derlo. E’ il modo usato
di vita
ma è soprattutto il rifiuto
sicurezza
del
futuro
così
co-
me ci viene garantita dalla società
:‘o)
© 2 OT
miti
capitali-
di pensiero libero, creativo, decolonizzato da ideologie
e schemi della
mostro
è un momento
giusto
che
il proletariato
ria; scegliere sempre
ha
nella
sempre sua
sto-
la vittoria to-
tale al di la delle conquiste parziali contrabbandate come vittorie dagli
dominante. Ovada è anche un atto di accusa contro la città; la città baluardo dell’alienazione, strumento dell’oppressione e del controllo da parte della società borghese
che
realizza
della
attraverso
l’ideologia
programmazione
urbanistica
la gestione
unilaterale della comu-
nicazione, solamento
il domicilio coatto e l’imateriale nelle case dor-
mitorio di tutti i proletari, ponendo con ciò le basi concrete della carcerizzazione della vita quotidiana.
La città oggi non è più il luogo di incontro degli uomini, il punto focale in cui si possono stabilire libere comunicazioni,
vibrazioni, pra-
tica della felicità e del lettivo.
La
gioco
città è programmata
colper
facilitare la circolazione del denaro e perciò
essa
dà
luogo
solo
a rap-
porti mercificati tra gli uomini. La città è il tempio della merce, il museo in cui il sistema mostra il suo spettacolo ed è perciò lo spettacolo dell’asservimento dell’uomo alla
merce. | compagni e i fratelli della comunità di Ovada non sono fuggiti dal-
la città. A Ovada è cominciato sedio
armato
a
della
mercificazione,
quella che sarà tutte le città.
tutte la
le
l’as-
roccaforti
l’assaggio
di
distruzione
di
LA
COMUNE
DI
Negli anni tra ormai il riflusso e spontaneamente su di tutti i surrogati
OVADA
(2)
il ’69 e il ’71 molti compagni accusavano la stanchezza di un movimento che, nato posizioni di rifiuto e di aperta contestazione del « benessere » e della farsa delle ideologie
politiche nella società, aveva però esaurito la carica di rabbia e di creatività presente in alcune esperienze alternative. Alcuni compagni che avevano sperimentato in modo deludente la vita delle comuni di città, in cui dividere assieme qualche stanza e i pochi oggetti per vivere non era bastato a creare dei rapporti diversi da quelli di una « grande famiglia », decisero nello scorso inverno di caricarsi addosso gli zaini, le coperte e qualche attrezzo e di andare a costruire una comune agricola sulle colline di Ovada, un paesino del Monferrato. Ottenuto il permesso di stabilirvisi (presto però rimangiato dal padrone), questi compagni occuparono alcuni terreni e cascine abbandonati da anni; rimossero le travi e le tegole che cadevano in pezzi, aggiustarono le stanze e i fienili riempiendoli di oggetti, di scritte, di disegni, di vibrazioni, di felicità per essere usciti dalle Grandi Metropoli e dalle sue viuzze oscure. Vennero accolti i vecchi contadini che venivano a vedere questi giovani coperti di collane che tornavano a vivere nelle campagne e ben presto si formò con loro un’amicizia fatta di poche parole, con qualche bottiglione di vino, la sera intorno al pentolone della minestra. Dopo qualche mese, come le capre e le galline che spuntavano perfino dai sacchi a pelo, cominciavano a crescere di numero anche i compagni che evadevano dalle loro famiglie per venire a vivere a Ovada, cosicché giorno per giorno questa comunità assumeva una fisionomia diversa dalle altre comuni agricole: non si volevano porre recinti a questa crescita naturale, né si poteva discriminare tra quei compagni che venivano, come noi, non a cercarsi una fetta di paradiso terrestre ma a volersi provare in una vita libera tra gli uomini e la natura, senza essere schiacciati dalle paranoie familiari e dalle sbarre del nostro « egoismo sociale ». Mangiando assieme nello stesso pentolone e dividendo a volte anche le cicche di sigarette, coi tam tam e altri strumenti 119
tutti noi in circolo a suonare e urlare tutta la notte, cercato di parlarci con un altro linguaggio; giocando lavoro, dai piatti lavati al fiume alle zolle smosse una e sdraiandoci insieme sotto il sole a guardare i bambini
che si azzuffavano,
abbiamo
abbiamo con ogni per una; e i gatti
voluto provare le ideologie come
un erpice sull’erba. Poi,
con
l’accrescersi
dell’amicizia
dei
contadini
del
posto,
e d’altra parte, delle denuncie dei genitori ai figli scomparsi da casa, abbiamo cominciato a vedere quasi ogni giorno le camionette di polizia, gli appuntati che si arrampicavano per i monti fiutando la presenza di qualche minorenne, i funzionari zelanti che volevano sedurci con le loro cartacce e in coda a questi i giornalisti a caccia di notizie piccanti sulle nostre orge quotidiane. Venne anche il giorno che ci cacciarono con la forza sui loro cellulari, ci accusarono di aver abusato dei terreni di un Padrone, ci imbarcarono a forza sui treni, spedendoci come dei pacchi postali ai nostri luoghi di destinazione. Siamo tornati a Ovada nello stesso giorno, ci siamo ripresi i terreni e le cascine in parte saccheggiate e in parte bruciate dai poliziotti; alcuni compagni sono scesi in paese o sono tornati nelle città a dire alla gente che le manganellate dei poliziotti, i fogli di via, le denuncie e i chili di carta dei magistrati borghesi non ci costringeranno mai a lasciare la terra su cui abbiamo vissuto. La terra è di chi ci vive, OVADA È NOSTRA! (anonimo,
febbraio
PROSPETTIVE
1972)
PER
UNA
COMUNE
AGRICOLA
Per poter affrontare la prospettiva di una vita in comune, dobbiamo aver risolto molti problemi di ordine emotivo, psicologico e pratico. 120
Dobbiamo innanzitutto sentirci soffocati dalla cultura tradizionale, dalla sua ipocrisia e vacuità e dalla mancanza di sbocco. Dobbiamo essere fermamente convinti che la comune sia l’unico e significativo modo di vita e dobbiamo soprattutto rifiutare l’idea generale su questa nostra scelta, che sia cioè « un’irrealizzabile utopia », in quanto tale giudizio è frutto di apatia e bieco cinismo; dobbiamo inoltre renderci conto che verremo considerati dei « fuggitivi >» e fottercene altamente. In fondo perché non dovremmo fuggire? In ogni caso se anche fossimo in grado a livello teorico di ribattere a queste etichette (fuggitivi, riformisti, idealisti), resta il fatto che esiste un grosso ostacolo per la realizzazione del nostro progetto e che tale ostacolo altro non è che il decidersi a realizzarlo. Abbiamo bisogno di una infinità di cose: terre, edifici, mezzi di produzione, e soprattutto gente, e non poca, ma persone intenzionate a lavorare insieme, magari per
tanta, tante anni, prima
di poter raccogliere i frutti del lavoro. Nel momento in cui saremo riusciti a realizzare una vera comune, il richiamo che essa saprà esercitare su coloro che pur essendo abbastanza disponibili non riescono a decidersi, sarà tanto forte da attrarre molti, per cui allora i nostri problemi saranno diversi. Ma per ora la nostra unica attenzione dovrà essere rivolta alla soluzione dei rapporti interpersonali.
Dobbiamo
fugare l’idea comune dell’« esperimento », dimo-
strando che non sempre dopo un anno o due inevitabilmente si è costretti a sciogliersi, idea che purtroppo si è radicata anche per i nostri numerosi fallimenti. La realizzazione di un corpo di attivisti e simpatizzanti è uno dei momenti più difficili. Un altro importantissimo problema è la necessità di risorse materiali e di denaro in particolare. Nel momento in cui saremo riusciti ad avviare la nostra attività non dovrebbe essere difficile realizzare le condizioni di sopravvivenza, ma inizialmente nessuno ci finanzierà (perché dovrebbe ?) ed inoltre nessuno, nemmeno i « compagni » rivoluzionari ci accorderebbero fiducia (ancora, perché dovrebbero ?). (anonimo,
1972)
121
LA COMUNE Sono un ragazzo come voi e vivo in Scrivo queste righe perchè vi amo. Desidero
lanciare
un
appello
a
tutti
comune coloro
agricola. che
vogliono
l'estremismo
superato
abbiamo
ed
natura
la
con
puro
to
una
un rappoxe politico
tendano a divenire dei"Freak out". Freak out è colui o colei che non sente più le limitazioni del vivere borghese e vive divertendosi, cioè facendo ciò che desidera e realizzandosi così come sen te. Se qualcuno di voi sì accorge di vivere una vita di merda, perchè immerso nelle sue contraddizioni, stufo dello sfruttamento e
della
in
solita
campagna
tire
la
rate
stare
musica
o
nevrosi
ragazzì
e
a
casa,
comunque
in
in
della con
Se
cuì
poter
vivere
potete
tentare
di
è
difficile,
posso
fare
una
e
ne
in
mezzo
dalla ta al Si
natura
è
"a
voi
come
dire
me in
liberamente
agricola.
ecc..,
natura
scritto
dire
per
dove
vivo
insieme
anche
il
àesidedì
creativamen-
posso poi
non
smal-
compagnia e
Ho
vada
per
tenta-
esperienza ai
per-
miei
motivo.
modo nuovo e libero di vivere e di e decollare con l'acido mentre si è.
way
to
be
stoned"
completamente
diverso
solita "stonata" in città generalmente più nevrotica (dovucontinuo assorbimento di vibrazioni negative e di stress).
vive
aria
alla
lo
spiegherò
Premetto che la comune è un stare insieme: anche fumare
fabbrica alla
possibilmente
comune e
purtroppo
fratelli
anche
ma
perchè
Non
poi
in
mezzo
soli,
re,
sonale.
in
da
te,
molto
ufficio,
posto
città.
campagna
ragazze
in
un
molto
pura.
più
Insomma
possibilità
rilassati,si è
un
(artigianato,
modo
mangiano
cibi
meraviglioso
pittura,
di
scultura,
genuini
e
vivere
sì
con
ceramica
respira
infinite
e.....pian-
tagioni di erba). Spesso facciamo anche della musica "country", cioè ci esprimiamo con suoni e canti su come cì sentiamo,a contatto della natura. Però vivere così liberi e felici è una conquista che ognuno, se vuole, può e deve fare. Abbiamo ed abbiamo avuto tuttavia un sacco di problemi da risolvere: il principale problema è l'adat-. tamento
alla
campagna
e
quindi
riuscire
a
sqpravvivere
naturale di semina e raccolto con scadenze fisse. da sudare. Ma ciò non è più lavoro ma gioco se si liberamente
e
per
la
coscienza
e
la
valorizzazione
un
ciclo
Quindi c'è sceglie di
anche farlo
di
in
se
stessio
Alla comune sì fa ciò che sì desidera nel rispetto della libertà degli altri, che non sono più "altri", ma anzi amici e fratelli(e sorelle), ma non in senso borghese-tradizionale.
Quindi
non
esiste
sfruttamento,
ma
amore:
è
bellissimo
aiutarsi
nelle difficoltà e se è il caso, fare la Se sì attraversano situazioni difficili
fame insieme. ci sì affratella
camenta
diretta).
moltissimo
(parlo
Mi
piacerebbe
continuare
so
tutto
ma
ciò,
per
Ho
incontrato
mi
hanno
to
necessariamente
Lo
spazio
constatato
a
vitale
che
raccontarvi
di
è
di
all'interno
difficile anche
le
che
della
(purtroppo
di
vivere
ma
E'
bene
fare
la
comune
(almeno
inoltre
che
agricola
è
dire
abbiamo
insieme
perchè
contraddizioni
agricola
con
pian
fra
un
e
di
migliorarsi
Una
comune
tre
anni,
cessariìo
agricola,
prima
di
persone
sì
reciprocamente
poter
visto che le comuni
non
ristret--
piano
i
escono
membri
e
quin--
male e rischiano a cui interessa
numero
più
ristretto
conoscano
sempre
e
sì
amino
che abbiano la mas.desiderio di cono-
di
più.
è riuscito a noi, provateci già esistenti: F_ A TE LE!!!
dimenticarlo,
raggiungsre
svilupparsi
che
inizialmente).
queste
Comunque non spaventatevi anche voi, ma non cercate
e
darlo.
comune
reciprocamente, non molto, ma moltissimo, ossia sima fiducia l'uno nell'altro, idée chiare e il scersi
cose
potuto
Voglio
partire
persone
ho
una
di
per
sì
ora!).
possono nascere degli attriti che fanno molto far fallire tutto. Perciò, consiglio a coloro di
cì
è meraviglio-.
queste
non
dì di
possibile
come
desiderano
comune, di
per
minime
ancora
e
spazioe.s.sessssco
giovani
l'indirizzo
inevitabilmente
esperienza
esigenze
centinaia
chiesto
per
ha
bisogno
di
l'autosufficienza
lentamente
e
almeno
due
economica:
tranquillamente.
o
è ne-
E'
estre-
mamente difficile coi .volzere spiritualmente e materialmente ogni nuovo arrivato nel "trip" di vita della comune già esistente (ma
giià
non
impossibile
Perciò sempre
ih
amici, di
mento
in
più)
e
giusto
scambi
lrio,
di
di La
nuovi
troveremo
informazioni,
denaro
casi
e
come
compagni,
formate
ci
comune
un
rarissimi
fratelli,
di
agricola
è
già
comuni:
(ormai
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dimenticatelo,è
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li, per cui
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con
persone. inoltre,
noi).
siamo
|
sorgono» casini con la polizia (esempio: perquisizioni per "ruba" e per altre menate stronzissime), con le famiglie, con ia gente del posto, con il potere ecclesiastico, civile ecce... infaiti da molto fastidio alla gente "normale" che esistano persono cae si amano e vivono liberamente, cercando di liberarsi deila educazione
e
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che
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la
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tanto
amore.
PIZZICHINA Martino)
tre cose da premettere.
1) Siamo arrivati in due, nel primo periodo un po’ difficile per la comune
pomeriggio, ma in (motivi economici-
tecnici-sopravvivenza).
2) Accolti con freddezza a causa precedentemente da gente che era stata
creando
altri problemi
giatura... »).
(«...
qui
viene
della tensione creata lì senza collaborare,
gente
a farsi
la villeg-
3) Grande diffidenza, se non proprio ostilità verso tutti i « giornalisti > — e ci avevano preso appunto per qualcosa di simile — borghesi o no, e per l’informazione in generale. Bisogna tenere conto di Angelo Quattrocchi, che con i suoi annunci sballati ha fatto arrivare a Pizzichina centinaia di persone in cerca del paradiso perduto, e della irruzione della polizia in una comune dove la RAI aveva girato un documentario. 124
com-
La
comune
È sorta circa 4 anni fa, ed è costituita da una grande casa rurale, molto vecchia, in condizioni discrete, su una collina. Attorno ci sono i campi di proprietà della comune, 7-8 ettari.
Le condizioni economiche
non
sono molto floride (« ...qui
non si mangia mai carne... »), la terra sarebbe sufficiente per una-due famiglie al massimo, mentre ci vivono sopra 5-6 nuclei in media. Ci sono anche alcune capre, oche, un asino, un piccolo trattore, niente coltivazioni specialistiche, insomma una normale fattoria, dal punto di vista agricolo. Nell’abitazione c’è spazio sufficiente per tutti (una decina di persone, alcune coppie, tre-quattro bambini). La gestione, per quanto mi è capitato di vedere — non abbiamo parlato di questo punto per mancanza di tempo — è affidata a tutti, attraverso riunioni come quella che era in corso per decidere di un acquisto di 90 quintali di pomodori. C’è un grande numero di strumenti, suonano un buon indio-rock. I rappotti interni, il clima mi è sembrato abbastanza sereno e dolce. Anche con la gente vicina non ci sono grossi casini. È La polizia sorveglia da lontano, e ogni tanto viene a cercare ragazzi fuggiti da casa. La
visita
Quando siamo arrivati, nessuno della comune ci ha rivolto la parola, tranne uno sulle scale (« cosa vuoi qui ? ») sparito subito dopo. Alcuni stavano suonando; abbiamo cominciato a parlare con degli amici di Roma che erano Îì di passaggio. I « comunatrdi », quando hanno visto la roba di Stampa Alternativa che avevamo con noi hanno creduto che volessimo fare un servizio o scrivere un libro e cose così, e hanno ricollegato la cosa ad Angelo Quattrocchi. Quindi cattive vibrazioni reciproche. Intanto è cominciata l’assemblea per i pomodori. Solo alla fine della giornata, mentre stavamo andando via, qualcuno ha 125
cominciato a parlare. A questo punto sono venute fuori le ragioni del comportamento per lo meno poco ospitale dei comunardi di Pizzichina, e la loro lontananza dal discorso della controinformazione-controcultura che si sta facendo ad esempio a Stampa Alternativa. A Pizzichina vogliono soprattutto starsene in pace, per conto loro, a coltivarsi il campo. Non hanno nessun interesse alla
creazione
numero, spaventa gono 60 Non problemi, ché
di
altre
comuni
(« ...se
le
comuni
aumentano
di
il fenomeno si inflaziona, e questo è negativo... »), li un eventuale « movimento delle comuni» («... se sorcomuni la polizia ci farà saltare tutti... »). credono nell’informazione (