Il Libro delle parole degli anziani rappresenta un classico della spiritualità cristiana e un documento storico del mona
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Italian Pages 536 [538] Year 1997
Table of contents :
Temi Principali e Idee Chiave:
1. La Centralità della Parola di Dio e della Meditazione:
○ Il Salmo 1 viene presentato come un modello di beatitudine per l'uomo che "medita giorno e notte la legge del Signore" (Sal 1, 2). Questa meditazione è vista come un incontro con Dio nella Sua Parola, come ripreso nel Salmo 118 (119).
○ Citazione: "Nel salmo 1, che è come un titolo e una sintesi di tutto il salterio, viene proclamata la beatitudine dell’uomo che non segue il consiglio degli empi ma «medita» giorno e notte la legge del Signore (Sal 1, 2); lo stesso concetto e lo stesso termine sono ripresi ripetutamente nel salmo 118 (TM 119), la lunga litania che proclama in tanti modi il mistero dell’incontro con Dio nella sua Parola."
2. La Lotta Spirituale e le Tentazioni:
○ La vita monastica è costantemente presentata come una battaglia contro le tentazioni del "Maligno". Padre Antonio vede "tutte le reti del Maligno distese sulla terra" (77b; PJ XV, 3).
○ L'umiltà è indicata come l'arma principale per "scampare" alle reti del Maligno.
○ Vengono descritte diverse forme di tentazione, inclusi pensieri blasfemi (come riportato dall'interrogazione a Padre Poemen), fornicazione e ira.
○ Citazione: "Il padre Antonio disse: «Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: — Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse: — L’'umiltà» (77b; PJ XV, 3)."
○ Citazione (Poemen): "«Non affliggerti, figliolo; ma, quando ti viene questo pensiero, di’: - Io non c'entro; la tua bestemmia ricada su di te, Satana! 78. La mia anima non vuole questa cosa. É, ogni cosa che l’anima non vuole, dura poco»."
3. L'importanza dell'Umiltà e del Discernimento:
○ L'umiltà è ripetutamente sottolineata come una virtù fondamentale. Padre Giovanni afferma che l'"umiltà l'ha venduto [Giuseppe]" e l'ha reso capo dell'Egitto.
○ Il discernimento (διακρισις) è cruciale per la vita ascetica. Padre Antonio mette in guardia contro coloro che "martoriano il corpo nell’ascesi e, mancando di discernimento, si allontanano da Dio" (PJ X, 1).
○ L'episodio di Padre Agatone che accetta accuse gravi ma rifiuta quella di eresia illustra la profondità del discernimento spirituale.
○ Citazione (Antonio): "Il padre Antonio disse: «Vi sono di quelli che martoriano il corpo nell’ascesi e, mancando di discernimento, si allontanano da Dio» (PJ X, 1)."
○ Citazione (Agatone): "Disse loro: «Delle prime io stesso mi accuso, ed è utile all'anima mia, ma l’eresia è separazione da Dio e io non voglio essere separato da Dio»."
4. La Rinuncia al Mondo e ai Beni Materiali:
○ La rinuncia ai beni del mondo è un tema ricorrente. L'episodio del fratello che si tiene qualcosa per sé e viene istruito da Padre Antonio in modo drastico sottolinea la necessità di una rinuncia completa.
○ Padre Macario afferma che "se uno non rinuncia a tutte le cose del mondo, non può diventare monaco".
○ Citazione (Antonio): "Quelli che rinunciano al mondo e vogliono tenersi dei beni, vengono in tal modo fatti a brani lottando contro i demoni" (81c; P] VI, 1)."
○ Citazione (Macario): "Se uno non rinuncia a tutte le cose del mondo, non può diventare monaco."
5. L'importanza della Vita Solitaria (Esichia) e della Vigilanza:
○ La solitudine è vista come un luogo privilegiato per l'incontro con Dio e per la lotta spirituale. Tuttavia, alcuni Padri, come Longino, sottolineano che se non si riesce a controllare la lingua, la solitudine non porta frutto.
○ La vigilanza (νηψις) è essenziale per il progresso spirituale. Padre Giovanni dice: "Senza una grande vigilanza, l’uomo non progredisce nemmeno in una virtù".
○ Citazione (Giovanni): "Senza una grande vigilanza, l’uomo non progredisce nemmeno in una virtù" (117bc; PJ XI, 2b)."
○ Citazione (Giovanni): "Prigione è lo stare in cella e ricordarsi di Dio sempre" (213b)."
6. L'Obbedienza e la Sottomissione:
○ L'obbedienza ai Padri anziani e alle guide spirituali è presentata come una via di salvezza e di crescita. La storia del monaco zelante ma smemorato che viene aiutato dalla pazienza di Padre Giovanni illustra questo punto.
○ L'obbedienza è definita da un anziano come "la salvezza di tutti i fedeli! O ubbidienza, madre di tutte le virtù! O ubbidienza, rivelatrice del regno!".
○ Citazione (Anziano sull'obbedienza): "O ubbidienza, salvezza di tutti i fedeli! O ubbidienza, madre di tutte le virtù! O ubbidienza, rivelatrice del regno! O ubbidienza, che apri i cieli e innalzi gli uomini da terra! O ubbidienza, nutrimento di tutti i santi, da te allattati e per mezzo tuo resi perfetti! O ubbidienza, che abiti con gli angeli!"
7. Il Giudizio di Dio e il Giudizio degli Uomini:
○ Padre Antonio riconosce l'"abisso dei giudizi di Dio" e la loro imperscrutabilità per l'uomo. Viene consigliato di badare a sé stessi piuttosto che cercare di comprendere i giudizi divini.
○ Un anziano sottolinea la differenza tra il giudizio di Dio e quello degli uomini, affermando di non sentirsi sicuro delle proprie opere fino all'incontro con Dio.
○ Citazione (Antonio): "Antonio, bada a te stesso 5. Sono giudizi di Dio questi: non ti giova conoscerli" (76c; PJ XV, 1)."
8. La Condotta Verso il Prossimo:
○ Molti detti riguardano la relazione con gli altri monaci e con il prossimo in generale.
○ L'importanza di non giudicare gli altri è un tema centrale. Padre Poemen dice: "Se vuoi trovare pace in qualsiasi luogo tu sia e in qualsiasi circostanza, di’: — Chi sono io? E non giudicare nessuno".
○ La compassione e la misericordia sono virtù da coltivare. L'episodio del padre Giovanni che piange vedendo "Satana giocare sul volto" di una donna peccatrice e la conduce alla penitenza ne è un esempio.
○ Anche l'ospitalità è considerata importante, come illustrato dall'episodio dell'abate Giuseppe.
○ Citazione (Poemen): "Se vuoi trovare pace in qualsiasi luogo tu sia e in qualsiasi circostanza, di’: — Chi sono io? E non giudicare nessuno" (P] IX, 5)."
○ Citazione (Poemen sull'odio del male): "L'odio del male è questo, disse l'anziano: se uno odia i propri peccati e giustifica il suo prossimo."
9. La Pratica Ascetica:
○ Il digiuno, la veglia, la preghiera e il lavoro manuale sono elementi importanti della vita ascetica. Tuttavia, viene sottolineata l'importanza di un equilibrio e del discernimento in queste pratiche.
○ Padre Poemen consiglia di mangiare poco ogni giorno piuttosto che digiunare a giorni alterni in modo eccessivo.
○ Citazione (Poemen sul digiuno): "Vorrei che chi mangia ogni giorno mangiasse poco, così da non saziarsi."
10. La Morte e l'Aldilà:
○ La memoria della morte e del giudizio futuro è raccomandata come mezzo per distaccarsi dalle vanità del mondo e per perseverare nella vita spirituale, come espresso da Padre Evagrio.
○ Citazione (Evagrio): "Quando sei nella tua cella, raccogli il tuo pensiero; ricordati del giorno della morte, consi- dera la morte del corpo, pensa al tuo destino, accetta la fatica, disprezza la vanità del mondo, per poter perseverare nel pro- ponimento di perseguire l’unione con Dio, e non affievolirti."
Figure Chiave Menzione:
○ Padre Antonio: Considerato uno dei fondatori del monachesimo cristiano, molti detti e storie sono attribuiti a lui.
○ Padre Agatone: Notabile per il suo discernimento e la sua umiltà.
○ Padre Poemen: Molti apoftegmi sono attribuiti a lui, offrendo saggi consigli sulla vita spirituale.
○ Padre Macario l'Egiziano: Conosciuto per la sua profondità spirituale e le sue esperienze nel deserto.
○ Padre Mosè: Un esempio di umiltà e di attenzione ai propri peccati piuttosto che a quelli degli altri.
○ Padre Sisoes: Venerato per la sua santità e la sua morte gloriosa.
○ Padre Pambone: Esempio di preghiera costante e di umiltà.
○ Padre Giovanni (diversi): Ci sono più figure con questo nome, ciascuna con i propri insegnamenti.
○ Padre Arsenio: Noto per il suo silenzio e la sua riflessione sullo scopo della sua uscita dal mondo.
○ Evagrio: Un influente teologo e asceta del deserto.
Conclusione:
Gli estratti degli Apoftegmi dei Padri del Deserto offrono una preziosa finestra sulla spiritualità dei primi monaci cristiani. I temi ricorrenti dell'umiltà, della rinuncia, della lotta spirituale, della preghiera e dell'attenzione al prossimo forniscono una guida intramontabile per chiunque cerchi una vita più vicina a Dio. La saggezza pratica e concisa contenuta in questi detti continua ad ispirare e a sfidare i credenti di oggi.
Vita e detti
dei padri del deserto
Uri
1111174 DI CITTÀ NUOVA VITA E DETTI DEI PADRI DEL DESERTO
VITA E DETTI DEI PADRI DEL DESERIO a cura di Luciana Mortari
città nuova
Il presente volume riproduce il testo della III edizione 1990, riveduta, pubblicato nella collana «Spiritualità nei secoli» di Città Nuova Editrice.
I edizione minima di CITTÀ NUOVA, 1997 IV edizione rzirztrm2a di CITTÀ NUOVA, 2005
In copertina: Scuola del Nord, Ascesa al Cielo di Elia (sec. XV). Mosca, Galleria Tret’jakov. Grafica di Gy6rgy Szokoly © 1971, Città Nuova Editrice
Via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma tel. 063216212 - e-mail: [email protected]
Con approvazione ecclesiastica ISBN 88-311-1406-9
Finito di stampare nel mese di giugno 2005 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M. Via S. Romano in Garfagnana, 23 00148 Roma - tel. 066530467
e-mail: [email protected]
ELENCO DELLE PRINCIPALI SIGLE E ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
AB Amelineau
Antonio abate
Barsanufio
Basilio Magno Cabasilas Cassiano, Coll.
= Analecta Bollandiana, Bruxelles. = E. Amelineau, Histoire des monastères de la Basse-Egypte, Annales du Musée Guimet, t. XXXV,
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= Antonio abate, Detti - Lettere, a cura di L. Cremaschi, ed. Paoline, 1995.
= Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, ed.
italiana a cura di M.F.T. Lovato e L. Mortari, CN 93, Roma 1991; ed. francese a cura di L. Regnault, Ph. Lemarie, B. Outtier, Solesmes 1971 (testo greco edito a Volos nel 1960). = Basilio Magno, Opere ascetiche, a cura di U. Neri e M.B. Artioli, UTET, Torino 1980. = Cabasilas Nicola, La vita in Cristo, trad. di M. Gallo, a cura di U. Neri, CN, Roma 1994?, = Giovanni Cassiano, Conferenze spirituali, ed. italiana a cura di O. Lari, 3 voll., ed. Paoline, Cinisello B. 1965. (Testo latino e francese a cura di E. Pichery, SC 42, 54, 64, Parigi 1955-1959).
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6
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HL
HM
hom. Kimchi
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Sigle e abbreviazioni
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kai;
didaskaliwn
tw'n geofaovggun twn
qgeofovrm
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Piat
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= = = =
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= Quelques apophtegmes arabes sur la «Prière de Jésus», Irénikon LII (1979), 344-355.
9
Sigle e abbreviazioni
Regn. 1981
= Les Apophtegmes des Pères en Palestine aux V-VI
Regn. 1985
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Regula
ROC RSR Ruf
siècles, Irénikon LIV (1981), 320-336. mes, Solesmes 1985. = Benedetto di Norcia, La regola, testo latino e traduz. italiana a cura di A. Lentini, Montecassino 1947.
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Silvano (M. Athos)
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Tillemont Van Parys VA
= Silvano del Monte Athos, Dagli scritti, Lef, Firenze 1962. = Sources chrétiennes. = Teresa di Gesù Bambino, Gli scritti, a cura della
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VC
a cura di G.J.M. Bartelink, SC 400, Parigi 1994. = Vita Copta (E. Amélineau, Histoîre des monastères de la Basse-Egypte, Parigi 1894).
VCA
= Vita di Caritone = Cercare Dio nel deserto, a cura
di Leah Campagnano
Di Segni, ed. Qiqajon,
Bose 1991.
VG
VP
White
= Vita di Gerasimo e di Giorgio di Choziba = Nel deserto accanto ai fratelli, a cara di Leah Campagnano Di Segni, ed. Qiqajon, Bose 1991. = Girolamo, Vita di san Paolo, primo eremita. Opere scelte, 219-235.
=H.G. Evelyn White, The monasteries of the Widin Natrîn, t. II, The history of the monasteries of Nitria and of Scetis, New York 1932.
INTRODUZIONE
PREMESSA
In questi ultimi trent'anni i detti dei padri del deserto — gli Apophtegmata Patruri ! — sono stati tradotti soprattutto dal greco e dal latino — perché non mancano anche in altre lingue — in svariate lingue moderne e sono stati oggetto di ricerca accurata e approfondita da parte di vari studiosi 2. Dalla fine del IV secolo gli insegnamenti dei padri, provocati per lo più dalle domande dei discepoli 3, cominciarono a essere messi per iscritto e ordinati in raccolte: alfabetica, anonima, sistematica 4. La prima di queste, che pubblichiamo qui nella sua denominazione di A/phabeticon, si pone come la più antica, la più autorevole e diffusa, anche se a tutta questa letteratura — serie principali e serie minori — è toccata la sorte di una gran1 Dal termine greco ajpovfaegna, che significa: detto, parola, espres-
sione. In realtà non si tratta soltanto di «parole», ma anche di «fatti» della vita dei padri. 2 Si veda soprattutto la bibliografia di J.C. Guy, seguita da L. Regnault. 3 Secondo il tema caro a Perrone 1988, p. 465, nota 3; e 1996 passirz.
4 La serie latina, compilata e tradotta nel VI secolo dai due diaconi romani Pelagio e Giovanni, verrà indicata con la sigla tradizionale PJ, il numero del capitolo e il numero dell’apoftegma a cui ci si vuole riferire, che può essere ritrovato nel volume del Migne: PL 73, 562-657. Della Patrologia
Greca verrà invece indicato anche il numero della colonna del Migne. La serie alfabetica greca si trova in PG 65, 71-440. La lettera maiuscola N indicherà invece la serie cosiddetta di anonimi e altre serie minori edite da F. Nau in alcuni numeri della ROC (1907-1912). L’edizione è rimasta incompleta, ma L. Cremaschi ha tradotto anche gli inediti, in Detti inediti dei Padri del deserto, ed. Qiqajon, Bose 1986.
12
Introduzione
dissima diffusione. Gli autori dell’A/phabeticon sono raggruppati secondo l’ordine dell’alfabeto, ma all’interno di ogni lettera la classificazione non segue l’alfabeto, bensì i personaggi sono situati in ordine di grandezza, secondo la stima loro attribuita dal compilatore della raccolta; stima che per lo più certamente rispecchia il parere della tradizione a lui contemporanea. La serie alfabetica ci pone così, già nella sua suddivisione esterna, di fronte a un certo giudizio di merito della tradizione 5, e anche questo è un elemento molto interessante di questa raccolta. Un altro rilevante vantaggio della serie alfabetica consiste appunto nel raggruppamento degli apoftegmi per persone, così che ci troviamo di fronte a dei blocchi da cui trapela una certa fisionomia di una figura rispetto a un’altra, alcune caratteristiche della sua personalità e della sua dottrina. La serie alfabetica offre la possibilità di una immediata composizione di momenti o aspetti diversi di una stessa persona; alcune espressioni parziali o più estreme sono da altre integrate e relativizzate. Il materiale della serie alfabetica inoltre è più abbondante, un LS
.
? È significativo e probante il fatto che Basilio il Grande e Gregorio il Teologo vengano posti in testa alle lettere B e G, anche se non sono padri del deserto e anche se vengono riportati di loro rispettivamente soltanto uno e due detti; ma in questo modo anche la tradizione dei padri del deserto ha voluto rendere loro omaggio. La classificazione di merito è peraltro sempre inequivocabilmente
chiara: Antonio,
Arsenio, Agatone...; Macario,
Mosè,
Matoes...; Poemen, Pambone, ecc. A volte ci si trova di fronte a delle sorprese, ad es. nel caso di Eucaristo (p. 182) e di Pisto (p. 425) anteposti ad altri ben più famosi, ma è evidente che in questi casi il compilatore vuole sottolineare una tesi sull'importanza del carisma particolare di quell’anziano. A volte ci sono dei motivi di consuetudine o di «strategia» che fanno preporre una persona ad altre magari più dotate: le donne presenti in questa collana (Teodora, Sarra e Sincletica) vengono così messe per ultime nella rispettiva lettera alfabetica. E il grandissimo Evagrio Pontico, da cui dipende tanta parte della tradizione monastica, a motivo della sua non piena ortodossia dottrinale viene come un po’ camuffato all’interno della lettera E e posto penultimo, mentre sotto lo pseudonimo di Nilo viene messo in testa alla lettera N! (Cf. pp. 349ss.).
Introduzione
13
migliaio di apoftegmi contro i 676 della serie sistematica latina. Resta però la ricchezza propria della serie sistematica, la catalogazione per materie, molto utile per rilevare la convergenza su uno stesso tema dell’insegnamento di tanti padri, per vedere lo stesso argomento arricchirsi di molteplici sfumature e per avere in mano una specie di indice sistematico, seppure non completo, dei temi principali della spiritualità degli anacoreti. Date le caratteristiche proprie della serie alfabetica, si è creduto opportuno inserire in essa — in tutti i casi in cui era possibile — i profili biografici dei singoli anziani, servendosi di altre fonti parallele agli apoftegmi, vedendo la continuità di un anziano nella tradizione, puntualizzando una sintesi dei dati più emergenti dal gruppo stesso di detti a lui attribuiti. Il materiale così riunito ci consente di rappresentarci con notevole approssimazione il genere di vita, le dottrine, la spiritualità, che erano alla base della vita dei monaci nel deserto. Oltre al commento costituito dai profili biografici, quello pure non breve presente nelle note al testo cerca di chiarire i punti più oscuri, di sottolineare alcuni temi principali e di facilitare un uso proprio del volume con l’indicazione di qualche parallelo interno. È parso così più opportuno circoscrivere l’introduzione all’approfondimento di un tema unico e fondante tutti gli altri: il rapporto dei padri del deserto con la Parola di Dio, nella misura in cui si può dedurlo da un’analisi dei detti. La natura dell'argomento per sé richiedeva un’indagine analitica, ampia e approfondita, tale da non lasciare spazio e opportunità allo sviluppo di altri temi. E peraltro molto significativo che in tal modo tanti altri elementi emergano ugualmente, in maniera nettissima. Infatti anche i dati più quotidiani e continui dell'esperienza degli anacoreti, che si potrebbero ritenere frutto di una sapienza non strettamente biblica, trovano fondamento e riscontro nelle sante Scritture. La Parola che li ha spinti a lasciare ogni cosa per andare a «lottare» nel deserto continua a essere per tutta la
14
Introduzione
loro vita la fonte principale alla quale attingono le indicazioni per ogni giorno e circostanza. Si vedranno di questo moltissimi
esempi. Basti per ora segnalarne alcuni proprio sul tema basilare, oggetto continuo dell’esperienza dei monaci, particolarmente favorita dal venir meno di tante distrazioni, dalla solitu-
dine, dal silenzio: la coscienza della propria miseria, del proprio peccato, e il suo umile riconoscimento. «Il padre Matoes disse: “Quanto più l’uomo si avvicina a Dio, tanto più si vede peccatore. Il profeta Isaia infatti, quando vide Dio, si proclamò miserabile e impuro (Is 6, 5)”» (n. 2). «Un fratello chiese al padre Poemen: — Che devo fare? Gli disse: — Sta scritto: Annuncerò la mia ingiustizia e mi ricorderò del mio peccato (Sal 37,19)» (n. 153).
«Il padre Poemen disse che, se l’uomo giunge al detto dell’Apostolo: Tutto è puro per i puri (Tt 1, 15), si vedrà peggiore di ogni creatura...» (n. 97). Il suo occhio puro non si accorgerà del «bruscolo nell’occhio del fratello» (Mt 7, 3), ma vedrà in lui la presenza operante del Signore. Vedrà invece lucidamente in sé tutto quanto si oppone all’operazione di Dio, vedrà con chiarezza alla luce del Signore tutta la propria tenebra. Questi detti di Matoes e di Poemen mostrano con chia-
rezza la convergenza profonda e l’illuminarsi reciproco della Parola di Dio e dell’esperienza intima di un’anima condotta dallo Spirito. LA SACRA SCRITTURA NEI DETTI DEI PADRI DEL DESERTO
1. La memorizzazione della Scrittura
Un elemento basilare della preghiera, della vita e della dottrina dei padri del deserto è costituito dalla memorizzazione di molti brani della Scrittura. Il grande Macario si congeda
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dal monaco che era negligente e si era lasciato tentare dal demonio raccomandandogli digiuno, ascesi e: «...impara a memoria brani dell’Evangelo e delle altre Scritture» (n. 3). Lo stesso Macario racconta che, quando si trovò a celebrare l’ufficio dei «dodici salmi» con i due «piccoli stranieri», a un certo punto anch'egli recitò un po’ di Bibbia a memoria (n. 33). Nella Vita di Antonio $ si legge che prescriveva a tuttii monaci che si recavano da lui di imparare a memoria «i precetti delle Sacre Scritture» (c. 55). La Regola di Pacomio (c. 140) prescrive l’intero Nuovo Testamento e il salterio come quantità minima necessaria da imparare a memoria. Gli analfabeti venivano «molto diligentemente» istruiti, se nolenti costretti a imparare a leggere (c. 139), per poter accostare personalmente
il testo sacro. Di parecchi anziani, la Storia Lausiaca e la Historia Monachorum ? affermano che sapevano a memoria Antico e Nuovo Testamento: e altre fonti ancora concordano con i detti dei
padri nell’attestare questo modo di apprendere la Bibbia. Anche nella serie sistematica latina si possono incontrare molti casi eloquenti. Un anziano si recò da un altro; a sera si misero a celebrare la sinassi e proseguirono fino al mattino dimenticandosi di mangiare. «L'uno finì tutto il salterio e l’altro recitò a memoria i due grandi profeti» (PJ IV, 57 = N 150). Altra volta si legge che alcuni dichiarano: «...abbiamo cominciato a imparare tutte le Scritture a memoria, abbiamo concluso David» (PJ X, 91 = N 222); e un altro: «Padre, ho imparato a memoria il Vecchio e il Nuovo Testamento» (P/ X, 94 = N 385); e un altro ancora: «...so a memoria quattordici libri» (PJ X, 96 = N 227). E un fratello racconta di essere stato rimproverato aspramente dal suo anziano per aver dimenticato una
© Cf. p. 77.
” C£. note 101 e 103, pp. 130ss.
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parola nella recita a memoria di un salmo durante la sinassi 8. Il discepolo del padre Marcellino racconta che questi, recandosi all’Eucaristia la domenica, recitava a memoria dei brani della Scrittura (N 567). Sulla quantità di essa effettivamente appresa a memoria dall’uno o dall’altro, potrebbe forse talvolta esservi una certa esagerazione di natura apologetica. Non bisogna però dimenticare che nel mondo antico la memorizzazione giungeva di fatto a limiti per noi inattingibili e che considereremmo «miracolosi». Quanto meno dobbiamo misurare con un metro normale, nel caso specifico dello studio delle Scritture, questa facoltà di tanta memorizzazione che non si dà nella vita comune se non a persone straordinarie. Un’ampia conoscenza mnemonica della Bibbia era un dato abituale tra gli asceti del deserto, non solo fra quelli che normalmente sarebbero ritenuti «persone eccezionali». Ma certo è eccezione, miracolo, puro dono, come ogni elemento della vita dello spirito. Un testo della serie sistematica esprime molto eloquentemente questa coscienza che si tratta di un mero carisma, non
di un’acquisizione; e come tale la grazia del Signore può rinnovarlo istante per istante o può sottrarlo. La frase sopra menzionata: «So a memoria quattordici libri», è attribuita a un anziano che durante una liturgia era perseguitato da una distrazione e perciò non riusciva più a ricordare nulla di tutto ciò che aveva appreso a memoria nelle Scritture (PJ X, 96 = N 275). Puro dono quindi, che peraltro trova nel silenzio del deserto e nella cessazione di tante attività e distrazioni un terreno di accoglienza particolarmente favorevole. E certamente esige da parte dell’uomo una collaborazione, come tutti i doni: non solo nella fatica e nella tenacia del «ruminare» ripetutamente la Parola perché si imprima nella memoria, ma anche nella custodia e vigilanza continua della mente.
8 Vedi N 146a.
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2. Citazioni, allusioni, risonanze bibliche
a) Anche da un esame analitico delle citazioni scritturistiche nei detti dei padri, risulta chiaramente comprovata un’ampia conoscenza mnemonica delle Scritture. I richiami biblici fioriscono nel discorso con una frequenza, una spontaneità, e anche una libertà tanto grande nel distaccarsi dal loro contesto originario, tali da apparire inequivocabilmente come frutto di un processo mnemonico e non di un lavoro a tavolino. Molti versetti biblici in bocca agli anziani presentano una forma più o meno lievemente variata rispetto al testo sacro. È manifesto che la variante è frutto della ricostruzione mnemonica ed è per lo più inavvertita dall’anziano, perché parecchie volte sussiste con la volontà formale di una citazione biblica precisa, come appare dall’espressione introduttoria: «è scritto», «dice la Scrittura», o simili 9. Talvolta in un versetto sostanzialmente uguale c’è qualche parola in più o in meno o qualche spostamento nella costruzione della frase; talaltra i termini biblici ritornano esat-
tamente, nella loro forma e nella loro disposizione, ma la citazione dell’anziano salta qualche parte di versetto o congiunge alcune frasi di un brano saltando degli interi versetti intermedi. In alcuni casi questo può essere voluto per concentrare il discorso su quanto preme sottolineare. Sembra tuttavia trattarsi per lo più di un procedimento operato inavvertitamente e in ogni caso con grande spontaneità e a memoria 10. 9 Non c'è ragione inoltre di pensare a un testo biblico diverso da quello dei LXX che noi ora possediamo; è noto infatti che esso era già fortemente stabilito in Egitto nel IV secolo. 10 In un brano di Poemen (n. 60) che figura anche nella serie sistematica (P] I, 14), viene introdotto formalmente con l’espressione «sta scritto» un testo di Ezechiele 14. Poemen dice: «Se ci fossero questi tre uomini, Noè, Giobbe, Daniele, vivo io, dice il Signore». Rispetto al brano di Ezechiele, l’ apoftegma i inverte l'ordine di Giobbe e Daniele e congiunge una parte del v. 14 e una del v. 20. Nel testo biblico greco infatti sta scritto: «...se ci fossero
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b) Non pochi testi sono un vero e proprio mosaico di richiami biblici, in parte testuali, in parte più o meno precisi. conda i tratt le, paro i, sett -ver semi , etti vers di ecci intr sono Vi
testi diversi, talora strettamente connessi e paralleli, talaltra ad a, tenz peni alla i invit Gli . ente rend sorp o mod in i stat acco
i ca oni arm one fusi una in ando ecci intr e, volt più o es., ritornan
o l'un ora o, rend inse e i, llel para testi o ici bibl medesimi testi ora l’altro, un testo più differenziato che apporta un motivo le fra o ront conf il ardo rigu to ques a proprio. È sintomatico o. Nan ni van Gio di 34 e o oni Ant di 33 i bran dei e righ ultime derà chie ne ve Dio .. vita. ta ques a ate unci «Rin : L’uno dice conto
nel giorno
del giudizio;
soffrite la fame,
la sete, la
nudità, vegliate, affliggetevi, piangete, gemete nei vostri cuo-
questi tre uomini 17 rzezzo ad essa, Noè e Daniele e Giobbe... (v. 14) ...vivo io,
dice il Signore (v. 20)». (I termini in corsivo sono quelli in cui i due testi si differenziano). Nella serie sistematica si può vedere anche il caso dell’anziano che dice: «...è scritto: “Per due 0 tre peccati di Tiro, #24 per quattro non revocherò la r1a tra”...» (PJ XVIII, 24 = N 360). Il testo citato è da Amos 1, 9, il
quale dice: «Per tre peccati di Tiro e per quattro non /a revocherò». In questo e in simili casi si dà anche la possibilità di una voluta alterazione del testo, piegato dall’anziano al fine di sottolineare il proprio pensiero. Leggiamo ancora nel lungo episodio di Paolo il Semplice (p. 439): «Ho sentito... il santo profeta Isaia, o piuttosto Dio che parla attraverso di lui: — Lavatevi, diventate
puri, togliete dai vostri cuori le vostre malvagità dinanzi ai miei occhi...». Il testo del profeta (Is 1, 16) dice: «Lavatevi, diventate puri, togliete dalle vostre anime la malvagità dinanzi ai miei occhi». La citazione prosegue concentrando alcune parti dei versetti di Isaia tra il 16 e il 19. Le parti rimaste corrispondono esattamente al testo. Altra volta, Poemen (n. 100) introduce formalmen-
te i versetti 20 e 21 di 2 Tm 2 dicendo: «Per questo l’Apostolo disse: ...». Segue quindi esattamente la prima parte del v. 20, manca la seconda parte, cioè la frase di Paolo: «alcuni pregevoli, altri spregevoli». Il v. 21 è citato interamente ma con alcune varianti; Poemen dice: «Se dunque uno si purifica da tutti questi, sarà un recipiente pregevole, utile al padrone, preparato per ogni opera buona». Nel testo originale manca ttt, vi è prima di utile un altro attributo molto importante, sazzificato, che Poemen ha lasciato cadere. Citando a memoria, inoltre, è stato invertito l’ordine di alcuni termini, come risulta
dal confronto dei due testi greci. Si possono segnalare altri esempi analoghi: vedi Poemen 116 e 126.
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ri...». É il secondo: «Vivi nella rinuncia... nel digiuno, nella penitenza e nel pianto... compiendo con tranquillità il lavoro delle tue mani; nelle veglie notturne, nella fame e nella sete, nel freddo, nella nudità...» 11. I due testi di Orsisio (pp. 363ss.) manifestano una straordinaria familiarità con le Scritture, un vero
nuotare in esse con grande naturalezza, correndo dalla Genesi al Vangelo, da questo agli scritti apostolici, soffermandosi su dei luoghi puntuali e insieme assumendo la Scrittura nella sua globalità e leggendola nella chiave ultima della proiezione escatologica. Ma su questo avremo occasione di ritornare (vedi pp. 50s.). Anche un testo di Isidoro di Scete (n. 9) è molto ricco da questo punto di vista, e abbraccia in una densa sintesi un arco completo, dalla creazione dell’uomo alla tribolazione degli ultimi tempi 12. Si osservi l'accostamento di immagini parallele di testi diversi di Sisoes (n. 19): il fiume di fuoco, lo stridore dei denti, il verme che non muore, la tenebra esteriore (cf. note 23-27, p. 454). Si notino anche i due brani, che .in realtà sono uno solo,
di Poemen (nn. 193 e 194): egli disse: «David scrisse a Gioab: Continua la guerra e ti impadronirai della città e la distruggerai. Ora, la città è il nemico». «Disse ancora: — Gioab disse al popolo: Fatevi coraggio, divenite figli di potenza, e combattere-
mo per il popolo del nostro Dio. Ora, noi siamo questi uomi-
ni». Le citazioni, annunciate come formali, sono chiaramente
11 Nelle espressioni simili i due testi si rifanno rispettivamente a 1 Cor 4,11 e 2 Cor 11, 27, Gc 4, 9 e G12, 12. Ognuno però inserisce da altro contesto un motivo proprio: Antonio quello del giorno del giudizio (ct. Mt 10, 15 e par.), Giovanni quello del lavoro compiuto con tranquillità, ischia (cf. 2 Ts 3, 12).
12 Vedi inoltre le note 1-11 a pp. 363ss. e in particolare le osservazioni nella nota 11. Cf. altri casi significativi, anche se per lo più meno pregnanti: Dioscuro 3; Giovanni il Pers. 4; Or 13; N 186 = PJ V, 34, ecc.; vedi la fusio-
ne di vari termini biblici di diversi contesti nell’ultima frase di Poemen 31 e in Poemen 192, nel racconto dell’ortolano in N 67, nell’ultimo «capitolo» di Mosè (n. 7), ecc.
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mnemoniche. La prima è molto approssimativa (ct. 2 Sam 11, 25); la seconda è in realtà una fusione del tutto spontanea e inavvertita di una citazione testuale (2 Sam
13, 28) e di un
richiamo impreciso di 2 Re 10, 3; si tratta dello stesso gruppo di libri storici, e in entrambi i casi di un contesto di guerre, ma con grande intervallo di tempo e i personaggi non sono certo più né David né Gioab. Casi frequenti di fusione di luoghi strettamente paralleli degli Evangeli si danno per i prodigi operati dagli anziani e per lo stupore e la lode a Dio degli astanti e di quelli che ne odono la fama. Come verrà osservato più avanti da un altro punto di vista, in questi casi gli apoftegmi amano riprendere e spesso comporre le espressioni parallele che ritroviamo nei diversi Evangeli. Si tratta ad esempio degli imperativi del Signore per le guarigioni: «Alzati!»; «Esci!», e del commento degli evangelisti: «E subito fu guarito»; «E da quel momento fu sanato»; «E quelli che udirono furono presi da stupore»; «E diedero gloria a Dio», ecc. 13. Nell’ambito dei «mosaici» di testi biblici vi sono poi alcuni brani particolarmente lunghi, frutto di ‘una tradizione più costruita ed elaborata, che presentano una forte quantità di citazioni, in buona parte testuali. E più che probabile che tali brani siano costruiti, almeno parzialmente, a tavolino, controllando il
testo biblico. I padri del deserto non avevano però nessuno strumento del tipo «concordanze» o «vocabolari biblici» 14 per guidarli nella scelta e nell’accostamento di tanti passi delle Scritture; si muovevano sotto la guida della memoria nutrita di tanta e tanta Bibbia lentamente e ampiamente assimilata 15.
13 Bessarione 5; Macario 7; Xoio 2 e N 46 e 230, ecc. 14 Secondo alcuni studi recenti, pare che già dal III secolo fossero in uso delle concordanze bibliche; ma certo non le avevano i padri del deserto.
19 Si veda il lungo brano di Teofilo 4 e i tredici luoghi biblici segnalati
in nota, che vanno dai salmi ai profeti, dal Vangelo agli scritti apostolici; nel brano ancora più ampio di Paolo il Semplice (p. 438), che è già stato in parte
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c) Si è già accennato (p. 17) come, nel discorso dei padri, tanti elementi biblici sboccino con straordinaria spontaneità e freschezza, così da comporre con le parole degli anziani un tutto molto omogeneo. La ripetizione prolungata e tenace della Scrittura negli ampi spazi di preghiera e solitudine ha tanto imbevuto il loro cuore, che da esso germinano connaturalmente parole bibliche e parole plasmate dal linguaggio biblico. Molte volte il lettore s'imbatte in modo improvviso e sorprendente in citazioni che rivelano la capacità dei padri di fare con la Scrittura collegamenti rapidi ed estemporanei e di riferirsi ad essa in maniera, si direbbe talora, quasi irriflessa. Ne risulta ogni tanto qualche allusione un po’ sconcertante ed enigmatica, ma si tratta solo di una minoranza di casi. Per lo più invece si dischiudono alcune delle infinite potenzialità del testo biblico, a conferma della tradizione rabbinica, secondo cui la Paro-
la di Dio è come un martello che, battendo la roccia, fa sprigionare da essa infinite scintille 16. Si possono considerare alcuni esempi: Arsenio, che si era allontanato dai discepoli Alessandro e Zoilo, si ricongiunge a loro con l’intenzione di non separarsene più. Nel ritrovarlo, essi gli riferiscono il sospetto della gente: «Se non avessero disubbidito all’anziano non si sarebbe separato da loro. Egli disse: “Questa volta la gente dirà: — La colomba non trovò riposo ai suoi piedi e iama rich iche bibl i zion cita i diec le ano ved si 18), p. a, sopr i (ved ato ider cons te in nota, dai profeti e dai salmi, dagli scritti apostolici. Su questa linea è il brano di Sincletica 7, nella forma in cui l’ha tramandato la serie sistematica
latina (PJ VII, 41= N 175).
16 Commentando il salmo 62 (LXX: 61), 12 il Talmud, Sanbédrin, 34a (cf. Ger 23, 29) dice: «La parola di Dio è un fuoco, un martello che frantu-
ma la roccia; come il martello fa sprizzare dalla roccia che esso batte innumerevoli scintille, così ogni parola di Dio rivela molteplici significati». E un
testo famoso nella tradizione ebraica, ripreso da tanti: Jalqgut Ha-makiri (Sal 62), ecc. Anche A. Chouraqui ha citato questo punto del Ta/m2ud, Sanbédrin, ma c'è un errore di stampa: 64a invece di 34a... Cantique... Psaumes... p. 316. Lo cita anche il commento ai salmi del famoso Kimchi, come si può facilmente vedere nell’edizione italiana edita da CN.
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ritornò da Noè, nell’arca”
(cf. Gn
8, 9)» (Arsenio 32). Un
anziano malato accanto ad Agatone, sentendo leggere dal libro della Genesi il lamento di Giacobbe su Giuseppe e Beniamino, dice: «Non ti bastano gli altri dieci (figli), padre Giacobbe?». «Taci, anziano! — disse il padre Agatone, se Dio giustifica, chi potrà condannare? (Rm 8, 33)» (Agatone 22).
Il padre Xanthia (n. 3) disse: «Il cane è migliore di me, perché si affeziona e ron viene in giudizio» (Gv 5, 24)! Un fratello chiese al padre Poemen: «E bene pregare?». Dice a lui l’anziano: «Il padre Antonio ha detto che dal volto di Dio esce questa voce: “Consolate il mio popolo — dice il Signore —, consolate” (Is 40, 1)» (Poemen 87) 17.
d) Il linguaggio degli apoftegmi presenta inoltre moltissime risonanze bibliche costituite da una o due parole o da uno scorcio di frase che ritornano frequentemente; data la natura e la frequenza delle ripetizioni non sarà segnalata sempre e sistematicamente in nota l’origine biblica di tante espressioni di questo tipo: «bada a te stesso», «cuore duro», «entrare e uscire», «faticare invano», «guadagnare il fratello», «gridare a gran voce», «opera di Dio», «piacere a Dio», «ira di Dio», «regno dei cieli», «rendere male per male», ecc. 1/ Ancora due testi del padre Poemen: «Anche se l’uomo costruisse un
cielo nuovo e una terra nuova (cf. Ap 21, 1), non potrebbe essere senza solleci-
tudini» (n. 48). Un fratello, scosso dalla tentazione, chiede al padre Poemen
che deve fare; ed egli risponde: «La violenza fa sì che si scuotano piccoli e
grandi (cf. Ap 13, 16)» (n. 179). E la madre Sincletica disse: «Come la cera si scioglie dinanzi al fuoco (cf. Sal 67, 3), così l’anima è svuotata dalle lodi e abbandona la fatica» (n. 21 = S 3). Ma ancora più sorprendente è il brano n. 2 di Xoio nel quale si dice che egli, richiesto di supplicare il Signore perché facesse piovere, «tese le mani al cielo in preghiera. Piovve immediatamente». Questa frase riprende, quasi testualmente, le espressioni dei LXX in Esodo 9, 23, quando Mosè pregò il Signore, il quale fece piovere dal cielo fuoco e grandine sull’Egitto! Si possono segnalare altri brani, ma basta sfogliare la raccolta per essere colpiti dall’uno o dall’altro di essi. Cf. ad es. Ammone 11; Epifanio 1, 14; Evagrio 7; Mosè 1, 3 e 10 e passi; Matoes 7 e 8; Iperechio 1 e 2, ecc.
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Una delle maggiori ricchezze del linguaggio — per lo più molto semplice, scarno e discorsivo — è costituita dai non pochi «termini tecnici», che nella tradizione hanno assunto un valore
particolare; essi risalgono in gran parte alle Scritture nelle quali si ritrova il loro significato primario o il fondamento di esso. Si vedano, fra i tanti, i termini: compunzione, custodire, discernere, isichia, lottatore, lutto, meleti, misura, parrisia, pliroforia, rinunciare, straniero, ecc.
Restano ancora molte componenti da considerare, ma comincia di già a emergere in che misura il linguaggio dei padri del deserto — pur non esente da qualche influsso della filosofia popolare dell’epoca, stoicismo e platonismo «volgare» — sia modellato dalla Scrittura e impregnato di essa. 3. La fede nella Scrittura
Quanto si è detto mostra già con una certa chiarezza la fede che muoveva gli anacoreti del deserto ad accostarsi alla Bibbia: fede non soltanto nella sua autorità, ma anche nella sua sacramentalità, in una presenza, cioè, reale e privilegiata
del Signore in essa e quindi nella particolare efficacia della Parola come canale di grazia. La versione spuria della Sforza Lausiaca 18 racconta che Bessarione portava sempre sotto al braccio un piccolo Evangelo, perché il solo portarlo fosse per lui rimprovero, richiamo ad ubbidire alla Parola e a cercare di metterla in pratica (c. 116). Un apoftegma di Epifanio va ancora più avanti, e afferma che «il solo vedere la Bibbia dà forza contro il peccato e nella pratica della giustizia» (n. 8). Poemen dichiara che, come l’acqua goccia a goccia scava la pietra, così la Parola di Dio, ascoltata spesso, intenerisce a poco a poco la durezza del nostro cuore (n. 183). 18 Cf. nota 101, pp. 130s.
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Un tema sviluppato con chiarezza da Origene 19 trova riscontro puntuale anche presso i nostri anacoreti: «Vedi, padre, io medito 20, ma non vi è compunzione nel mio cuore, perché non capisco il senso delle parole». [L'anziano] gli rispose: «Basta che tu legga 21. Ho udito che il padre Poemen e molti padri dissero questa parola: — L'incantatore di serpenti non conosce il valore delle parole che pronuncia, ma la bestia ascolta e lo conosce e si sottomette e si umilia. Così è di noi: se anche ignoriamo il senso delle parole che diciamo, i demoni ascoltano e si allontanano con terrore» (PJ V, 32 = N 184). Un altro anziano paragona la pecora, che rumina l’erba dolce contro il bruciore delle spine del deserto, a colui che «rumina» le Scritture contro l'attacco dei demoni. Essi «tentano di sopprimere chi salmodia» e di farlo tacere, perché non possono resistere alla forza della Parola di Dio pronunciata contro di loro (N 626). La Scrittura è il primo fondamento su cui basarsi. Questa è una delle primissime parole che, non a caso, si trovano in testa alla raccolta alfabetica (Antonio 3): «Qualunque cosa tu faccia o dica, basati sulla testimonianza delle Sante Scritture». E ancora
Antonio, richiesto da dei fratelli: «Dicci una parola: come possiamo salvarci?». Risponde loro: «Avete ascoltato la Scrittura? É quel che occorre per voi» (n. 19). Se un fratello soccombe alla tentazione, il primo fondamento su cui ricostruire, il primo stru19 Origene, How. în Jos. 20, 1-2, SC 71, pp. 412-417.
20 E il verbo meletaw, spiegato nella nota 93, p. 127. Il valore che esso assume nella tradizione è uno sviluppo del senso molto preciso già assunto nella Scrittura sia dal verbo che dal sostantivo corrispondente. È molto significativo che entrambi si trovino in grande prevalenza nei salmi, in cui ricorrono ben 26 volte. Nel salmo 1, che è come un titolo e una sintesi di
tutto il salterio, viene proclamata la beatitudine dell’uomo che non segue il consiglio degli empi ma «medita» giorno e notte la legge del Signore (Sal 1, 2); lo stesso concetto e lo stesso termine sono ripresi ripetutamente nel salmo 118 (TM 119), la lunga litania che proclama in tanti modi il mistero
dell’incontro con Dio nella sua Parola.
21 E lo stesso verbo greco, tradotto diversamente nel tentativo di rendere più immediata alla lettura la percezione del problema.
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mento per la convèrsione è la melevth (la meditazione ripetuta, la rumzinatio) della Parola di Dio (N 168 = PJ V, 18). Questa fede nella realtà trascendente della Parola e nella
sua forza soprannaturale, si esprime in due atteggiamenti basilari e caratteristici, strettamente connessi tra loro: l’accostare la
Bibbia per riceverne indicazioni vitali, forza di conversione, conoscenza
della volontà
di Dio; la reticenza a scrutarne i
misteri,a pretendere di interpretarla, a parlarne.
a) Si legge all’inizio della Vita Antonii (c. 2) che egli un giorno, recandosi in chiesa, meditava sul come gli apostoli (Mt 4, 20), lasciato ogni loro bene, avessero seguito il Salvatore; inoltre pensava a quale e quanto grande speranza vi fosse nel regno dei cieli per quelli di cui si parla negli Atti degli Apostoli (4, 35), che vendevanoi loro possessi e ne portavano il frutto ai piedi degli apostoli, perché fossero distribuiti ai bisognosi. Riflettendo su questi episodi, entrò in chiesa e capitò che proprio allora venisse letto nel Vangelo il luogo in cui Cristo dice al ricco: «Se tu vuoi essere perfetto, va’, vendi le tue sostanze e dalle ai poveri, e avrai
un tesoro nei cieli, quindi vieni e seguimi» (Mt 19, 21). Antonio allora, come se per lui fosse stata fatta la lettura, uscito al più presto dalla chiesa, donò ai suoi compaesani i suol possessi... Antonio ha sentito la lettura come fosse per /ui. L'atteggiamento dei nostri anacoreti si sintetizza mirabilmente in questo sentirsi personalmente interpellati dalla Parola a cambiare vita. È con questo spirito chei padri del deserto nella maggior parte dei casi ricorrono alla Bibbia, si servono di frasi della Scrittura per dichiarare quali siano i fondamenti della vita spirituale, per spiegarne l’uno o l’altro aspetto, per illustrare come questa o quella frase della Scrittura si realizzi nella loro vita, per dare consigli, per rispondere a domande poste 22.
22 Sono gli esempi più frequenti che. s'incontrano a ogni passo; è impossibile richiamarli qui in proporzioni adeguate. Cf., frai tanti, Agatone 8;
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Nel racconto già più volte ricordato di Paolo il Semplice, discepolo di Antonio, la lettura del primo capitolo del profeta Isaia colpisce nell'anima e muove a conversione colui che era entrato alla liturgia in stato di peccato (p. 439). È pure attribuito ad Antonio uno dei non molti detti nominativi della serie anonima (N 518): una vergine riferisce all’anziano di avere grandemente digiunato e di aver appreso a memoria Vecchio e Nuovo Testamento. Egli la interroga per trovare in lei frutti di umiltà, carità, povertà; e non trovandoli conclude:
«...non hai imparato il Vecchio e il Nuovo Testamento, ma inganni te stessa». Alla medesima conclusione pervengono alcuni dei brani già considerati sull’apprendimento delle Scritture a memoria: le possiamo conoscere tutte, ma se mancano
la carità e l’umiltà «non abbiamo ciò che Dio cerca» (PJ X, 91 = N 222). A un fratello che vanta di sapere a memoria Vecchio e Nuovo Testamento, un anziano non esita a rispondere: «Hai riempito l’aria di parole» (PJ X, 94 = N 385).
b) Ne consegue una grande cautela nel modo di utilizzare le Scritture e nei consigli sul suo uso che vengono impartiti dagli anziani. Di frequente essi manifestano esitazione e reticenza nel parlare della Bibbia; consigliano molta prudenza nell’usarla, non sempre rispondono se interrogati su di essa. Talora lasciano cadere il discorso o si rifiutano di dare risposta, con forme di scontrosità e di durezza estremiste o fin paradossali. Ma è per far capire bene ciò che sta loro primariamente a cuore. Per zettere alla prova degli anziani venuti da lui, Antonio propose loro di interpretare una parola della Scrittura. Ciascuno si espresse secondo la propria capacità. Ma a ciascuno l’anziano diceva: «Non hai ancora trovato. Da ultimo chiede al padre Giuseppe: — È tu, che dici di questa parola? Risponde: — Non so. Il padre Antonio allora dice: — Il padre Giuseppe sì, che ha trovato la Giovanni Nano 38; Isacco di Tebe 2; Cassiano 1; Matoes 2; Poemen 34, 42, 45, 116-118, 153.
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strada, perché ha detto: “Non so”» (n. 17). Il padre Coprio, chiamato al raduno degli anziani che stavano discutendo su Melchisedech (cf. Gn 14, 18-20), «si batté tre volte la bocca dicendo: — Guai a te Coprio, guai a te Coprio, guai a te Coprio,
perché hai trascurato di fare ciò che Dio ti aveva comandato e indaghi su ciò che egli non pretende da te! A queste parole, i fratelli fuggirono nelle loro celle» (n. 3). Anziani quanto mai illuminati come
Arsenio, Pambone,
Poemen,
concordano
in
questa grande reticenza. Il primo «non voleva mai trattare di questioni riguardanti la Scrittura, benché avesse potuto farlo se avesse voluto» (n. 42). Il secondo, «se lo si interrogava su una parola delle Scritture o su un problema spirituale, non rispondeva subito, ma diceva di non conoscere la questione. Se si insisteva a interrogarlo, non dava risposta» (n. 9). Del terzo si rac-
conta questo episodio: un anacoreta straniero, attratto dalla sua fama, venne da una regione lontana per parlare con lui. «E cominciò a parlare della Scrittura e di cose spirituali e celesti. Ma il padre Poemen voltò la faccia e non gli diede risposta». Interrogato dal suo discepolo, Poemen motivò poi il suo atteggiamento: «Egli parla di cose celesti: io invece sono di quaggiù e parlo di cose terrene... Le cose spirituali, queste io non le so». É il fratello spiegò all’anacoreta desolato il comportamento dell’anziano: «...non parla facilmente della Scrittura, ma se qualcuno tratta con lui delle passioni dell'anima, gli risponde» (n. 8). È meglio parlare «con le parole dei padri e non con la Scrittura - dice Ammonio il Nitriota — perché in questo vi è un pericolo non piccolo» (n. 2). Rischio di orgoglio, nella presunzione di un carisma che forse il Signore non ha ancora concesso ?; rischio °° Ammone invece era ben consapevole di non possedere questo cari-
sma, mentre lo riconosceva al grande Antonio: quest ‘ultimo, interrogato dai fratelli su una parola del Levitico, si ritirò in preghiera chiedendo a Dio di spiegargliela. «E gli giunse una voce e gli parlò. Ora, il padre Ammone disse: — La voce che gli parlava l’ho udita, ma non ho compreso il senso del discorso» (Antonio 26).
28
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di curiosità e di evasione, nello scrutare ciò che è solo nelle mani
di Dio, sfuggendo a ciò che prima di tutto Egli vuol farci capire: la nostra impotenza e il nostro peccato, e la sua volontà su di noi, alla quale ci chiede di aderire concretamente 24; rischio di voler riflettere, trarre dalla Scrittura pensieri e risposte invece che sottometterci ad essa in semplicità e purità di spirito 25, rischio di contendere e discutere su differenti interpretazioni 26. Sarebbe del tutto improprio dedurre da tante affermazioni che i padri del deserto sconsigliassero di leggere la Bibbia. Tutt'altro! A parte quanto si è già cercato di riassumere nei punti precedenti, per convincersi del contrario basta scorrere anche rapidamente una raccolta di apoftegmi: era costante preoccupazione degli anziani rettificare gli atteggiamenti sbagliati, le deviazioni, gli abusi. Coprio, come abbiamo visto (vedi p. 27), si rifiuta di parlare di Melchisedech; ma sull’interpretazione di questa figura, così capitale per la cristologia, vedremo ritornare più volte i padri del deserto, non senza l'intervento positivo dello stesso grande dottore Cirillo d’Alessandria 27. Zenone in un primo momento risponde con sarcasmo ai fratelli che lo interrogano sulla Scrittura (vedi nota 24),
per correggere l’atteggiamento del loro spirito. Ma poi forni-
24 «Dei fratelli vennero dal padre Zenone e gli chiesero: — Che signifi-
ca questo passo del libro di Giobbe: I/ cielo non è puro innanzi a Lui? L’anziano rispose: — I fratelli hanno abbandonato i loro peccati e cercano i cieli! Questo è il senso della frase: poiché Egli solo è puro, per questo disse: — Il cielo non è puro» (n. 4). 25 Il padre Ammonio di Raito interrogò il padre Sisoes: «Quando leggo la Scrittura, il mio pensiero ama elaborare un discorso per avere una risposta da dare se mi interrogano». «Non è necessario — rispose l’anziano —, trai piuttosto dalla purità dello spirito sia di essere senza sollecitudini che di parlare» (Sisoes 17). 26 Secondo Cassiano, Giuseppe di Panefisi raccontò che lo stesso demonio può suggerire delle luci sulla Scrittura per «generare la discordia» tra i fratelli riuniti insieme, se questi non si attengono al precetto dei padri (Coll. XVI, 10). La medesima convinzione è confermata da altre fonti.
27 Cf. Daniele 8 e nota ad esso relativa; Epifanio 5 e Coprio 3.
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sce anche l’interpretazione richiesta. Come sempre, l’intento primario dei padri è di costruire sul fondamento dell’umiltà e di vigilare per custodirla. È famoso il racconto di un anziano che, dopo un lunghissimo e tremendo digiuno, chiese invano al Signore di essere illuminato su un testo della Scrittura. Decise allora di ricorrere all’aiuto di un fratello. E «appena chiuse la porta per andare, gli fu inviato un angelo del Signore che gli disse: “Le settanta settimane di digiuno non ti hanno avvicinato a Dio, ma quando ti sei umiliato ad andare dal tuo fratello, sono stato mandato
ad
annunciarti il senso di quella parola”» (P] XV, 72 = N 314). In uno dei «discorsi ascetici» di Isaia di Scete (P] VI, 1) sono riassunti non pochi dei motivi considerati in queste pagi-
ne: «Voler scrutare indiscretamente la Scrittura genera odio e contesa, mentre piangere sui propri peccati porta la pace... Chi
cerca di onorare Dio ama l’ignoranza nel timore di Dio. Colui che custodisce le parole di Dio, conosce Dio (cf. 1 Gv 2, 3), e le compie come un debitore. Non cercare le altezze di Dio mentre gli domandi l’aiuto di venire a te e di salvarti dai tuoi peccati, perché le cose di Dio vengono da sé quando il luogo è santo e puro... Chiunque veda le parole della Scrittura e le compia secondo il proprio giudizio e si appoggi su di esse per dire: È così!, costui ignora la gloria di Dio e le sue ricchezze; mentre
colui
che osserva e dice:
“Io non
so 28, Jo sono un
uomo”, costui rende gloria a Dio e, secondo la sua capacità e la sua intelligenza, la ricchezza di Dio abita in lui». 4. Ermeneutica ed esegesi
Sono state considerate finora soprattutto le condizioni preliminari e gli atteggiamenti fondamentali nel riferirsi alle Scritture, ma proseguendo nella rassegna e nell’analisi dei testi 28 Cf. Antonio 17.
30
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appare il delinearsi di alcuni modi particolari di interpretazione della Bibbia, di alcuni metodi esegetici aventi una fisionomia propria e caratteristica.
a
1) Più volte si fa riferimento alle grandi figure bibli-
che, Abramo, Giuseppe, Mosè, David, Elia, o a personaggi del
Vangelo: Maria che ha scelto la parte buona (Lc 10, 38-42), il pubblicano che prega nel tempio (Lc 18, 9-14), la cananea che grida a Gesù (Mt 15, 21-28), il ladrone che sulla croce ricono-
sce il Signore e chiede misericordia (Lc 23, 42). In questi personaggi viene solitamente individuata una caratteristica fondamentale che li fa assumere a mo’ di tipo: Abramo per l’ospitalità, Mosè per la mitezza, e così via. Talora i riferimenti allo
stesso personaggio, sempre secondo la medesima individuazione, ricorrono più volte: questo denota il determinarsi di alcune categorie bibliche esprimenti la meditazione e l’interpretazione di grossi tratti della Scrittura e di alcune figure portatrici di un messaggio particolare. Nella Scrittura troviamo l’esempio del continuo «servizio a Dio giorno e notte, come Hulda la profetessa che dimorava nella casa del Signore supplicandolo e servendolo (2 Re 22, 14) e anche come Anna che per ottant'anni non ha mai interrotto il suo servizio (Lc 2, 36)» 29. Alla domanda su «come si
deve attendere alla contemplazione», un anziano risponde: «Le Scritture hanno manifestato il come». «Come?». «Daniele contemplava come un Antico di giorni (Dn 7, 13), Ezechiele lo vedeva su un carro di cherubini (Ez 10, 18s.), Isaia su un trono eccelso ed elevato (Is 6, 1), Mosè sostenne la visione dell’Invisibile come se lo vedesse (Eb 11, 27)» 30. Anche per 29 È un apoftegma della collezione siriaca, presentato in traduzione francese in Bu II, 520, Regr. 19702, p. 250. 30 Si tratta di un paio (nn. 10-11) delle «domande e risposte» del Co/loguio di cui Guy ha pubblicato per la prima volta il testo greco nel 1962, RSR, 232-236.
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quanto concerne l’ospitalità, è la Scrittura innanzitutto a mostrarcene il significato più fondo e i modi. «Il padre Apollo disse riguardo all’ospitalità dei fratelli: “Bisogna prostrarsi ai piedi dei fratelli che vengono: con questo ci prostriamo a Dio, e non a loro. Quando vedi il tuo fratello, vedi il Signore Dio
tuo. Questo — disse — l'abbiamo appreso da Abramo (cf. Gn 18, 2ss.) 31. E quando accogliete un ospite, costringetelo a prendere ristoro: questo ce l’ha insegnato Lot, che costrinse gli angeli a fermarsi da lui” (cf. Gn 19, 2ss.)» (Apollo 3). «La beata Sincletica disse: “Imita il pubblicano, per non essere condannato con il tariseo. Imita la mitezza di Mosè 32, per convertire il tuo cuore di pietra in fonti di acqua”» (n. 11). Anche il padre Ammone (n. 4) raccomandava di ripetere incessantemente la preghiera del pubblicano 33. Essa è all’origine della supplica continua di misericordia, unita all’invocazione del Nome'di Gesù, fissatasi nella tradizione con la for-
mula: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore», o altre formule simili (vedi nota 121, pp. 142s.). Il patriarca Giuseppe è tipo della sopportazione delle tentazioni con umiltà e fede cieca in Dio 34. David per il riconoscimento del suo peccato (cf. 2 Sam 12, 13 e Sal 50) 35 e la cananea per l'accettazione di quanto il Signore le dice (ct. Mt 15, 21-28) 36 sono tipi dell’umiltà che trova esaudimento presso il Signore. Ma la figura prediletta, assieme al pubblicano, sembra essere 31 Sull’ospitalità di Abramo vedi anche Giovanni il Pers. 4; Nisteroo 2.
32 Sulla mitezza di Mosè vedi ancora Giovanni il Pers. 4. Evagrio
Pontico (cf. pp. 187ss.), grande lottatore contro la collera e maestro di mitezza, in una sua lettera (n. 56) si sofferma non poco a lodare la mitezza di Mosè, sottolineando il fatto che il versetto del libro dei Numeri che lo
loda (LXX: 12, 3) tralasci ogni altra virtù e prodigio per ricordare soltanto questo: «Mosè era grandemente mite più di tutti gli uomini sulla terra».
33 Cf. Epifanio 6 e 15.
34 Cf. Giovanni Nano 20; Orsisio 1 e Poemen 102. 35 Vedi ancora Giovanni il Pers. 4 e Nisteroo 2.
36 Vedi Epifanio 6 e Poemen 71.
32
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il ladrone (cf. Lc 23, 40ss.) 37, che «pendeva dalla croce e fu giustificato da una sola parola» (cf. Xanthia 1). «Ai peccatori che si pentono, come alla peccatrice, al ladrone e al pubblicano, il Signore perdona tutto il debito», disse Epifanio di Cipro (n. 15). Soprattutto altri due apoftegmi sono molto significativi al riguardo: è già stato più volte richiamato in nota il brano di Giovanni il Persiano (n. 4), che enumera in un elenco non brevissimo tante figure bibliche fissate in una tipizzazione caratteristica; egli dice di essere stato «ospitale come Abramo, mite come Mosè, santo come Aronne, paziente come Giobbe, umile come Daniele, eremita come
Giovanni,
mia, dottore come Paolo, fedele come
contrito come
Gere-
Pietro, saggio come
Salomone». Ma è molto importante il modo in cui conclude: egli non vanta tutto ciò come un merito, bensì come puro dono di Dio; e in ultima istanza si accomuna al ladrone e dice: «Credo come il ladrone che colui che per la sua bontà mi ha donato tutto ciò, mi darà anche il regno dei cieli». È pure molto significativo il modo in cui Anub, il fratello maggiore di Poemen, si immedesima per un istante nella figura del ladrone e apostrofa il fratello, di fronte al cui atteggiamento si era scandalizzato, con le stesse parole con cui il buon ladrone cominciò a ribattere gli insulti fatti al Cristo dall’altro ladrone: «Non temi Dio...?» (cf. Lc 23, 40) (Poemen 22).
a 2) A volte, per lodare un anziano si riferisce a lui un'immagine usata dalla Bibbia per un personaggio o un’altra figura. Il grande Antonio accoglie Ilarione, recatosi a visitarlo, con l’immagine molto poetica di Isaia 14, 12, completamente estrapolata dal suo contesto: «Benvenuto o astro del mattino che sorgi all’aurora» (vedi p. 277). Giovanni delle Celle loda 37 Cf. Climaco, Scala Par. XXVIII, 188: «La tua supplica sia assolutamente semplice, poiché con una sola parola il pubblicano e il figliuol prodigo si riconciliarono Dio»; ibid., 189: «Una sola parola del pubblicano placò Dio, e una sola parola piena di fede salvò il ladrone».
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il padre Matoes con la frase usata da Gesù per Natanaele: «Ecco veramente un israelita nel quale non vi è inganno (Gv 1, 47)» (Matoes 7). E il padre Poemen raccontava del padre Nisteroo: «Come il serpente di bronzo che Mosè fece per curare il popolo (cf. Nm 21, 9), così era l’anziano: egli posse-
deva ogni virtù e in silenzio curava tutti» (Nisteroo il Cenob. 1). Il padre Sisoes nella sua grande umiltà può avere l’audacia di identificarsi con l’apostolo Paolo proprio quando racconta di essere stato rapito fino al terzo cielo (cf. Silvano 3) e di essere stato oggetto di grandi rivelazioni (2 Cor 12, 2ss.). Sisoes riprende la stessa espressione paolina e dice ancora di sé: «...conosco un uomo (ibid.) che con fatica può portare il proprio pensiero» 38 (n. 9).
a - 3) Oltre alla tipizzazione di un personaggio o all’attribuzione di una frase o immagine della Scrittura, si ritrova talora, anche se più raramente, la breve narrazione di un episodio
biblico, ripresentato o riassunto per trarne applicazioni spirituali esplicite o implicite. Giovanni Nano risponde a un fratello che si lamentava per la fatica del lavoro: «Caleb disse a Giosuè figlio di Nun: “Avevo quarant'anni quando il servo del Signore Mosè mandò me e te dal deserto in questa terra. É adesso ho ottantacinque anni. Come allora, anche ora posso entrare e uscire in guerra” (cf. Gs 4, 7ss.). E così anche per te: se puoi entrare e uscire dalla tua cella, va’...» (Giovanni Nano 19). Nella raccolta degli anonimi (N 376) si legge: «Un anziano disse del povero Lazzaro (ct. Lc 16, 19-23): “Non troviamo che egli abbia mai mormorato contro Dio come se non gli avesse fatto misericordia, ma portò la sua fatica con rendimen38 Cf. Sincletica 7: «...Ti è stato dato un angelo nella carne? Esulta! Guarda a chi sei divenuto simile: sei stato reso degno della sorte di Paolo (2 Cor 12, 7)». Vedi anche Arsenio 28: «Non sono venuta per vedere un uomo — ve ne sono tanti in città! — ma per vedere un profeta (Mt 11, 9)»; Arsenio 42: «Era un uomo... pieno di Spirito Santo e di fede (At 11, 24)», ecc.
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to di grazie e non condannò il ricco; per questo Dio lo ha accolto”» 39, b - 1) Non mancano, benché nell’insieme siano relativa-
mente pochi 40 — circa una ventina su un migliaio di apoftegmi della serie alfabetica e sui 485 richiami biblici della medesima 41 —, gli esempi di interpretazione allegorico-spirituale. Ci si rifà qui certamente alla scuola alessandrina e soprattutto, in essa, a Origene, e si interpreta la Scrittura secondo un metodo esegetico che con diverse accentuazioni, ma con un valore e una convinzione costante, è stato praticato in ogni tempo dalla
tradizione ed è proposto formalmente all’interno delle Scritture stesse, soprattutto nell’epistola dell'apostolo Paolo ai Galati (4,22-5,1) 4.
39 Vedi anche Poemen 156. Sono riconducibili inoltre sotto questa classificazione anche buona parte degli esempi di interpretazione allegorica che stiamo per considerare.
40 E per di più concentrati in poche persone, dieci attribuiti al solo Poemen. Il conto preciso di brani di questo tipo, tra i quindici e i venti, dipende da come si considerano i doppioni e i testi meno espliciti. 41 Nell’art. Ecriture del DS, J.C. Guy, grande conoscitore degli apoftegmi, afferma che nella serie alfabetica i richiami biblici sarebbero soltanto 150! Evidentemente si è limitato a contare le citazioni più evidenti, esplicite e formali (DS, IV, col. 161).
42 Origene afferma che vi è connaturalità tra la Scrittura, in cui ogni parola parla dell’unica Parola, il Verbo di Dio, il Logos, e l’anima cristiana,
nella quale è impressa l’immagine di Cristo. Dischiudendo i tesori nascosti in essa, la Scrittura dischiude i tesori nascosti nel fondo dell’anima. Il senso spirituale della Scrittura risuona nell’anima perché questa è animata da uno stesso soffio divino. «Attingiamo, dice, ai pozzi della Scrittura... — Bevi le acque
delle tue fontane e dei tuoi pozzi... (Prv 5, 15). Tenta dunque, o mio ascoltatore, anche tu, di avere il tuo proprio pozzo e la tua propria fontana, perché anche tu, quando prenderai il libro delle Scritture, ti metta a trarre dal tuo proprio fondo qualche intelligenza; e secondo la dottrina che hai ricevuto nella Chiesa, tenta di bere, anche tu, alla fontana del tuo spirito. Vi è in te
una natura d’acqua viva... purifica dunque, anche tu, il tuo spirito... perché,
se tu hai ricevuto il Verbo di Dio in te, se tu hai ricevuto da Gesù Facqua viva
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Molte di queste interpretazioni allegoriche sono attribuite al padre Poemen. Una volta egli disse: «Se non fosse venuto Nabuzardan,
l’arcicuoco, il tempio
del Signore non sarebbe
stato incendiato (cf. 2 Re 25, 8s.). Ciò significa: se l’anima non cercasse la soddisfazione del cibo, lo spirito non cadrebbe nella lotta contro il nemico» (n. 16). E ancora: «Un fratello chiese al padre Poemen: “Che devo fare?”. L'anziano gli disse: “Quando Abramo entrò nella terra della promessa, si comperò un sepolcro, e in virtù di esso ereditò la terra” (cf. Gn 23, 4ss.). Dice il fratello: “Che cos'è un sepolcro?”. E l’anziano a lui: ‘ ‘Un luogo di pianto e di lutto”» (n. 50). Due esempi fra i più estremi sono costituiti da Cronio 2 e Pietro Pionita 2: nel primo viene raccontata la conquista dell’arca di Dio da parte delle genti straniere in seguito alla corruzione dei figli del sacerdote Eli, e la caduta della statua dell’idolo Dagon quando l’arca gli fu portata accanto (1 Sam 5, 1ss.). Segue l’interpretazione allegorica: «Se la mente dell’uomo si lascia imprigionare dalle proprie inclinazioni (= le genti straniere), esse la trascinano finché l’abbiano condotta sopra a una passione invisibile (= l'idolo). Se in quel luogo la mente si volge a cercare Dio (= l’arca) e si ricorda del giudizio eterno, subito la passione cade e si dilegua». Nel secondo è riassunta la legge degli schiavi, contenuta in Esodo 21, 1-6, quindi l’anziano dice: «Se un uomo si affatica in una cosa (nella fattispecie l'oggetto del discorso era il lutto) secondo le sue forze, in qualsiasi momento le cerchi per usarle, le troverà». L’interlocutore disorientato chiede ulteriori spiegazioni, e l'anziano conclude: con fedeltà, in te si aprirà una fonte d’acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4, 14)» (Hom. in Gen. XII, 5). E altrove: «Levate gli occhi e osservate i campi già bianchi per la mietitura (Gv 4, 35). Il Logos, presente ai suoi discepoli, avvertiva chi l’ascoltava di alzare gli occhi sui campi della Scrittura e sui campi del Logos cheè in ogni essere, per vedere la bianchezza e lo splendore della luce della verità, diffusa ovunque...» (Corzzz. in Jo. XIII, 42). (Cf., in Hom. in Ex., l’ introduzione di De Lubac all’edizione francese).
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«Nemmeno un figlio bastardo rimane schiavo di qualcuno, ma il figlio genuino non lascia suo padre» ‘3. b - 2) Due temi più volte ripetuti sono quelli di Eliseo e la Sunamita (2 Re 4, 8-17) e del morto presente in ogni casa di Egitto al passaggio dell’angelo devastatore (Es 12, 30). La loro esegesi allegorica doveva essere molto diffusa, perché si trovano qua e là rapide allusioni che senza dubbio rimandano ad essa: «Un fratello domandò a un anziano: “Padre, dimmi una
parola” L'anziano gli disse: “Quando Dio percosse l'Egitto, non vi era casa senza lutto” » (P] III, 25; vedi anche Poemen 6). Mosè l’etiope ne dà la spiegazione: «Significa che, se prestiamo attenzione a guardarei nostri peccati, non vediamo quelli del prossimo. Sarebbe follia se un uomo che ha in casa il proprio morto lo lasciasse per andare a piangere quello del prossimo» (VII cap., al p. Poemen, p. 330). Quanto alla lettura dell’incontro di Eliseo e la Sunamita, era diffusa l’interpretazione che «la Sunamita figuri l’anima e Eliseo lo Spirito Santo» 44. Il padre Cronio disse a un fratello: «Quando Eliseo venne dalla Sunamita, vide che essa non aveva rapporti con nessuno; per la presenza di Eliseo concepì e generò». Quindi, su richiesta del fratello, spiega: «Quando l’anima è vigilante e si raccoglie dalla distrazione, e abbandona la sua volontà, viene in lei lo Spirito di Dio; allora può generare, essa che è sterile» (n. 1). In margine a questi due temi se ne può aggiungere un terzo, del quale si trovano soltanto alcuni brevi accenni diretti; ma probabilmente più volte è sottostante: si tratta della categoria, già presente nella Scrittura, dell'Egitto come luogo del peccato e della mondanità 45, «terra in cui non vi era traccia di 43 Vedi nota 171, p. 431. Altri esempi di interpretazioni allegoriche: Cronio 4; Poemen 15, 60 e 115; PJIV, 47; XVIII, 24= N 360, e altri. 44 N 363 = P] XVIII, 27. Vedi nota 11, p. 298. 4 Cf. Giovanni Moschos, Pr. Spir. 152: 208. Vedi il profilo biografico di Antonio, p. 77.
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culto di Dio» (Orsisio 1). Al padre Isaia, che aveva versato un po’ d’acqua su pane e sale per «riuscire a mandarlo giù», Achilla dice con sarcasmo: «Eh, vedete Isaia che mangia il brodo a Scete. Se vuoi mangiar del brodo, va’ in Egitto!» (Achilla 3). È probabile che questa categoria soggiaccia alla distinzione che appare più volte tra Egitto e deserto, quasi che i deserti dove vivevano i monaci non appartenessero geografi. camente all’Egitto; infatti i padri dicono «recarsi in Egitto» intendendo l’andare dal deserto alla zona abitata 46.
c) Vi sono alcuni casi che rientrano in una categoria particolare che vale forse la pena di considerare a parte. Essi sono fondamentalmente riconducibili non tanto agli esempi di interpretazione diretta del testo sacro, quanto a quelli di evocazione di esso con grande spontaneità e libertà. Ma nel caso specifico non si tratta solo della grande libertà nell’estrapolare un versetto o un'immagine dal suo contesto originario, quanto addirittura di una specie di curioso rovesciamento del senso letterale del testo. È molto noto un brano di Giovanni Nano (n. 27): «Prigione è lo stare in cella e ricordarsi di Dio sempre; questo significa “ero in prigione e siete venuti a me”» (cf. Mt 25, 36) #7.
L'uso della Scrittura in questo caso è veramente singolare; il contesto biblico è tutt'altro: si tratta effettivamente della
visita ai carcerati da parte delle genti che non hanno conosciuto il Cristo, ma che lo incontrano e lo servono senza saperlo nei suoi discepoli cui fanno un atto di carità. Nel brano n. 38 di Macario si veda il richiamo di Isaia 55,
9 nell’espressione totalmente rifusa: «quanto dista il cielo dalla 46 Cf. nota 89, p. 127. Vedi pure Mosè 5; Silvano 7. Cf. PJ V, 35; XVII, 17, ecc.
47 La traduzione italiana non può rendere tutta la portata del brano,
in cui il termine greco dvAoKm significa insieme «prigione» e «custodia» ed è un termine tecnico per uno dei concetti più ribaditi nella vita monastica: la custodia della mente, del cuore, dei sensi (cf. nota 63, p. 114 ed Elenco dei termini tecnici).
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terra...». I due contesti sono diametralmente opposti: quello di Isaia è tutto misericordia e gioia, quello di Macario è una delle pagine più tremende sul giudizio di condanna! 48. Anche un testo di Poemen (n. 88) ci presenta con assoluta libertà l’evocazione di una parabola evangelica, quella delle mine (Lc 19, 16s.), rovesciando completamente il rapporto dieci-uno là espresso 42,
5. Rapporto tra il Vecchio e il Nuovo Testamento Molti dei luoghi esaminati e delle considerazioni già fatte mostrano con chiarezza che i padri del deserto conoscevano e usavano tutta la Sacra Scrittura, non solo il Nuovo Testamento ma anche l'Antico, che citavano abbondantemente: dal Penta-
teuco ai libri storici, da quelli sapienziali ai profeti. Emerge più frequente e più netta l’impronta dei salmi, che costituiscono una parte preponderante della preghiera liturgica quotidiana, ma la Bibbia è presente in tutte le sue parti. Le Scritture sono accolte nella loro unità, che culmina e si realizza in Cristo e nel precetto dell’amore, in cui si risolvono tutti i comanda-
menti 59, e che solo il dono dello Spirito, effuso sulla croce e con la glorificazione del Signore, può fare adempiere.
48 C£. anche il brano n. 2 di Xoio già richiamato (nota 17, p. 22); Ilarione, p. 276 (vedi pure sopra, p. 32); si veda anche il detto n. 14 di Pambone, Ivi commentato in nota.
4? Vedi nota 75 al brano dente il modo in cui Sincletica lazione nella carne» (cf. 1 Cor si, mentre san Paolo la usa per trapposizione a chi rinuncia ad
n. 88 di Poemen. È forse ancor più sorpren(n. 5) cita l’espressione paolina: «avere tribo7, 28); l’applica a coloro che praticano l’ascechi intraprende la via del matrimonio in conesso.
20 Quando gli apoftegmi parlano di «comando», «comando di Dio»
(EvtoAn),
senza
altri riferimenti
e specificazioni,
intendono
appunto
il
comandamento nuovo (cf. Gv 13, 34) dell’amore; vedi nota 5, p. 294 e nota p. 457. 40,
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C'è una netta prevalenza dei richiami neotestamentari (su 485 riferimenti biblici della serie alfabetica, almeno 330 sono dal Nuovo Testamento), sia nelle semplici evocazioni e assonanze che nei riferimenti più puntuali. La Regola di Pacomio,
prescrivendo per la memorizzazione almeno il Nuovo Testa-
mento e il salterio, rispecchia di fatto quanto vediamo realizza-
to dai solitari non sottoposti alla regola cenobitica: il vecchio Serapione, nell’intento di toccare il cuore alla meretrice con cui si era incontrato, compie la sua sinassi recitando tutto il salterio e molta parte dell’«Apostolo» (n. 1). Abbiamo visto che anche nell'ambiente dei nostri anacoreti si entrò vivacemente nella disputa sulla figura biblica di Melchisedech, il cui fulcro è l’interpretazione cristologica 51. È stato pure ricordato (cf. p. 34) come il punto di partenza della lettura allegorica origeniana della Bibbia — che ritorna qualche volta negli apoftegmi — sia la visione del Cristo, unica Parola del Padre, in ogni parola della Scrittura. Ma soprattutto nelle più ampie e profonde sintesi teologiche (pp. 42ss.), il ritorno all’Eden, la sequela del Signore Gesù, la tensione escatologica, apparirà manifestamente che l'elemento di sintesi e il nucleo portante è la cristologia. Questa scelta emergerà infine ancora più netta nei tanti richiami biblici che consistono nell’appropriarsi di parole che gli Evangeli attribuiscono al Cristo o riportano su di lui (cf. pp. 54ss.). Tutti questi elementi sono da sé già indicativi di una visione e di una sintesi del Vecchio Testamento alla luce del Nuovo. Ma ci sono alcuni testi ancor più puntuali ed espliciti. Disse un anziano: «Giuseppe di Arimatea prese il corpo di Gesù e lo pose in un lenzuolo pulito, dentro un sepolcro nuovo (Mt 27, 59s.), cioè nell'uomo nuovo (Ef 4, 24). Cerchi dunque ciascuno con cura di non peccare (2 Pt 3, 14), per non
offendere Dio che abita in lui (Gc 4, 5) e cacciarlo dalla pro21 C£. p. 28 e nota 13, p. 170.
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pria anima; a Israele fu data da mangiare la manna nel deserto, al vero Israele è stato dato il Corpo di Cristo (Gv 6, 48-51)» (N 24). In questo brano una densa sintesi neotestamentaria mo l’uo o: ent tam Tes hio Vecc del temi più a icit espl o ende sott il a evoc lui in ente pres to Cris del ia glor a dall eato ricr vo nuo il iama rich omo l'u nel Dio di ne azio abit L’in mo. Ada primo la : ezza salv a dell ia stor la a tutt in ante cost tema un di rdo rico aicit espl più ra anco E ni. uomi gli con are abit di Dio di brama il tra neo van gio o ront conf il ende ripr e fras tima l’ul mente, pane del cielo dato a Israele nel suo esodo dall'Egitto e il vero pane del cielo dato in Cristo al nuovo Israele. In un testo che è già stato ricordato (cf. p. 24) si dice che i demoni sono messi in fuga da chi salmodia «poiché essi non possono sentire chi loda il Cristo» (N 626): il salterio è visto dunque per quello che esso realmente è, cioè un libro che parla tutto del Cristo. Un. anziano tormentato letto recitava a memoria dogli: «Ah, sai recitare l'Antico Testamento. —
da un demonio, che infilatosi nel suo il libro dei Numeri, lo deride chiedena memoria? — Sì, disse il demonio, È il Nuovo, non lo sai?, gli disse
l'anziano. Ma appena il demonio udì il Nuovo, scomparve» (N 632; Regn., p. 150). Con questa scenetta si afferma che il Nuovo Iestamento rispetto al Vecchio contiene il compimento della storia della salvezza e la sconfitta definitiva del Maligno. Il testo più ricco ed esplicito è attribuito al padre Sisoes il Tebano (n. 35), che, interrogato da un fratello: «Dimmi una
parola!», rispose: «Che devo dirti? Leggo il Nuovo Testamento e mi volgo all’Antico». L'anziano prima di tutto rifiuta di anteporre una sua parola a quelle della Bibbia e ad esse soltanto rimanda; e insieme dichiara l’atteggiamento fondamentale nell’accostare le Scritture: riconoscere nel Nuovo Testamento l’apice e la pienezza della rivelazione, e soltanto alla sua luce e nella sua chiave leggere l'Antico. Come si vede, anche su questo punto non mancano negli apoftegmi indicazioni preziose. Data la frammentarietà e l’immediatezza proprie di questo genere letterario, non sarebbe
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legittimo attendersi una formulazione più ampia, complessa e sistematica del problema ?2. Per questo e per gli altri punti esaminati in precedenza, bisogna sempre tener conto del fatto che
la frammentarietà è insita nella natura stessa di questi testi: non bisognerà dunque cercare in essi, in base a categorie concettuali e sistematiche improprie, quanto essi non vogliono e non possono dare. Lutero ha definito molto bene la natura degli apoftegmi chiamandoli «fragmenta mensae evangelicae», briciole della mensa evangelica 53. Al termine di questa analisi risulterà peraltro evidente anche una grande capacità dei padri del deserto d’interpretare il testo sacro nelle sue strutture fondamentali e di ascoltarlo nella sua globalità. 6. Categorie bibliche e sintesi teologiche È importante richiamare alcuni altri apoftegmi che appaiono come squarci molto convincenti di una riflessione approfondita sulla Scrittura e di una sintesi penetrante dei suoi temi supremi: la creazione; Adamo e il suo dominio su di
22 Uno studioso di patrologia, molto quotato, ha scritto un lungo articolo sull’uso della Scrittura negli apoftegmi: H. Dòrries 1965, 251-276. Al termine dell’analisi da noi condotta, le sue conclusioni appaiono spesso alquanto minimiste. Egli tende a sminuire l’importanza della presenza della Scrittura negli apoftegmi, affermando che essi non si sono mai posti le grosse questioni del rapporto fra Antico e Nuovo Testamento, del senso globale della Bibbia, del rapporto tra legge e Vangelo, ecc. (p. 275, nota 116). Egli pretenderebbe evidentemente un modo di porsi i problemi alieno alla natura di questo genere letterario. È significativo, fra l’altro, che pur nel quadro di pensiero programmaticamente non sistematico della tradizione spirituale antica, opere per natura loro meno frammentarie, ma dello stesso ambito e
dello stesso alveo spirituale, come i Discorsi ascetici di Isaia di Scete o gli Insegnamenti di Doroteo di Gaza (e in una certa misura lo stesso Epistolario di Barsanufio e Giovanni), offrono degli spunti di riflessione più ampia e meno frammentaria sugli stessi punti da noi considerati. 23 Vedi il saggio considerato nella nota precedente, p. 271, nota 110.
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essa; l’inganno del tentatore e il peccato, la perdita dello stato primigenio; il lavoro come penitenza, il pianto; il ritorno all’innocenza antica e a uno splendore ancora più grande, la deificazione in Cristo mediante il battesimo nella sua morte e nella sua risurrezione: «Il Figlio di Dio è divenuto uomo per te, diventa anche tu per (= mediante) lui Dio» (Barsanufio, ep. 199); la sequela del Cristo nella sua umiliazione e nelle sue tentazioni, la lotta continua contro l’Avversario; la tensione verso
l'eredità eterna nei cieli e il ritorno del Signore. «Il padre Xanthia disse: — Il ladrone pendeva dalla croce e fu giustificato da una sola parola (Lc 23, 42); e Giuda, che era stato annovera-
to con gli apostoli (At 1, 16), in una sola notte perse ogni fatica (Gv 13, 30 e par.) e piombò dai cieli all'inferno (Is 14, 11ss.). Perciò nessuno che compie il bene si deve gloriare, poiché tutti quelli che hanno avuto fiducia in se stessi sono caduti» (n. 1). Oltre a essere un piccolo mosaico di riferimenti biblici, questo brano è particolarmente significativo per il richiamo di Isaia 14, 11ss. e per l’identificazione di Giuda con l’immagine del Maligno presentata dal profeta. Questa immagine comprova e rafforza le espressioni bibliche usate riguardo a Giuda: figlio di perdizione (Gv 17, 12) e colui nel quale è entrato il Satana (Gv 13, 27). Nel ricorrere a questo parallelo profetico Xanthia dimostra una grande conoscenza e padronanza della Scrittura.
a) Ritorno all’Eden. È rivelatore in questo senso anche un breve episodio di Teodoro di Ferme (n. 23), che potrebbe passare quasi inosservato e invece nasconde una grande ricchezza: «Un giorno il padre Teodoro andò ad attingere acqua con un fratello, il quale, giunto per primo al pozzo, vide un drago. L'anziano gli disse: — Schiacciagli il capo! (Gn 3, 15). Ma egli, spaventato, non osò avvicinarsi. Quando invece giunse il vec-
chio, fu la bestia che, al solo vederlo, fuggì nel deserto piena di confusione». Non si tratta di un prodigio come tanti altri. Certo ogni miracolo è segno del dominio del Cristo, nuovo Ada-
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mo, sulla creazione. Ma questo lo è in una maniera particolarmente precisa ed esplicita. «Drago» è uno dei modi in cui la Scrittura designa il serpente antico, il Satana, i mostri primordiali, espressione delle potenze del male (cf. Sal 73, 13-14, Gb 40, 25 e par.). L'immagine di «schiacciare il capo» a questo drago è contenuta nel primo annuncio del seme che uscirà dalla donna (Gn 3, 15), ed è ripetuta nel Sal 73 (74), salmo com-
piutosi alla risurrezione del Cristo. Questo apoftegma condensa così in una breve sintesi una rievocazione del primo peccato e dell'evento supremo della salvezza. Apoftegmi ed altre fonti ad essi collegate ritornano spesso su questo tema: la riconquista del dominio sulla creazione in virtù della nuova innocenza conferita nel battesimo e realizzata nell’obbedienza e nella sottomissione. Santi a cui è stato dato di custodire in modo particolare quest’innocenza e di ritornare ad essa e realizzarla in pienezza già in questa vita, attraverso il nuovo lavacro battesimale del pianto sul proprio peccato (cf. note 38 e 97, pp. 382 e 402), hanno veramente visto assoggettarsi a loro la creazione. Si possono citare molti casi. Di un certo padre Paolo (p. 435) è detto che «afferrava con le mani cerasti, scorpioni e serpenti, e li spaccava a metà. I fratelli gli si inchinavano davanti dicendo: “Dicci che opera hai compiuto per ricevere una tal grazia” “Perdonatemi padri — disse lui —, se uno acquista la purità, tutto gli si sottomette come ad Adamo quando era nel Paradiso, prima di trasgredire il precetto” (Gn 1, 28)» 54. Nella Historia Monachorum e nella Storia Lausiaca non mancano testi analo24 Il biografo di san Saba e del suo maestro Eutimio (cf. nota 9, p. 205) scrive di entrambi in termini analoghi. Racconta che Eutimio viveva continuamente in mezzo a bestie carnivore e velenose senza che gli facessero alcun male. «E questo non è da mettersi in dubbio se uno è iniziato alla Sacra Scrittura, perché allora sa bene che quando Dio abita in un uomo e ci si riposa, tutti gli esseri gli sono sottomessi, come lo erano ad Adamo
prima che trasgredisse il comando di Dio» (Vita Eutimzii 13, MO II, 1, p. 77; cf. Vita Sabae 33, MO III, 2, p. 45). In termini analoghi si esprime Giovanni Moschos nel Prato Spirituale (cf. nota 10, pp. 205s.) al cap. 107: un
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ghi. È deliziosa la storia della iena che l’una attribuisce al grande Macario, l’altra a Macario il cittadino 55: «Macario stava
ra alt un’ era vi o ant Acc o. ert des nel tta gro sua a nell do pregan ne ven essa a gav pre egli tre Men . iena una di lla que ta, grot lo ndi Qui i. pied i li arg chi dic mor a e mis si e lui accanto a la so ver va tira lo e ica tun a dell lo l’or per e ent cem dol ò afferr fare l vuo mai Che — o: end dic a uiv seg la re sua grotta. Il pad sua alla fino to dot con e ebb lo essa ndo Qua ? tia questa bes grotta, vi entrò e portò fuori i suoi piccoli che erano nati cieLa a. vist a dell ati dot ituì rest li glie e o lor di su gò pre chi. Egli iena allora, come segno di gratitudine, portò in dono al padre una grande pelle di montone e la depose ai suoi piedi. Egli le sorrise, come a una persona piena di gentilezza e di sensibilità, quindi prese la pelle e se ne fece un tappeto» 56. AI ricordo della prima pagina della Genesi e all’annuncio della nuova salvezza in Cristo rimandano pure due brevi sentenze, di Antonio (n. 36) e Poemen (n. 39)
«Ubbidienza e conti-
nenza ammansiscono le belve»; «Il lutto è duplice: opera e custodisce» (Gn 2, 15). Sia l'una che l’altra, seppure la prima in anziano fascia e cura un leone ferito che gli sta sottomesso con grande mansuetudine, «perché Dio voleva mostrare come le bestie fossero sotto-
messe ad Adamo...»; s'incontrano nella stessa opera molti episodi simili: un monaco che porta due leoncelli sotto il mantello, un altro che vorrebbe essere divorato da un leone e non ci riesce, un leone che si accosta a
rice-
vere il pane benedetto alla fine della liturgia, ecc. (cc. 18; 101; 125; cf. anche 1; 163; 167; 181).
? HM, XXI, 15-16; cf. HL 18, p. 83. 26 Tra gli apoftegmi vedi ancora Ammone 2: il padre Ammone vide
un basilisco nel deserto «e si gettò con la faccia a terra dicendo: “Signore,
chi deve morire, io o lui?”. Immediatamente il basilisco fu squarciato dalla
potenza di Cristo»; Giacomo 5 e 6 (molto significativo che in essi questa
innocenza sovrana sia mostrata in un fanciullino); Giovanni discepolo di Paolo, p. 271; N 46 (in questo brano è pure molto significativo il fatto che il fratello innocente e obbediente il quale passò il fiume in piena a cavallo di un coccodrillo, sia poi designato come un «angelo di Dio»; vedi nota 84,
p. 348).
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modo meno formale, si richiamano decisamente alle prime pagine della storia sacra rivelata nel libro della Genesi e comprovano quanto tali pagine siano presenti alla meditazione dei padri del deserto 7. E pure molto densa la sintesi racchiusa in un detto di una raccolta etiopica attribuito a Giovanni delle Celle 58: «Considera questa parola della Scrittura: “Ricordatevi i giorni antichi” (Dt 32, 7). Le Scritture ci svegliano, perché richiamano
alla nostra memoria i nostri giorni antichi, quando siete usciti dal mondo e avete rivestito la somiglianza del Signore...». I giorni di un tempo, dell’antica età primigenia, vengono riattualizzati nell’immersione battesimale che fa uscire dal «mondo» e nella
grazia della consacrazione a una vita di manifesto esilio dal mondo (cf. p. 50). Il Cristo, venuto nella carne come in esilio, fa cessare l’esilio di Adamo e lo conduce all’intimità deificante con Dio (cf. nota 7, pp. 296s.). b) Sequela del Cristo. In alcuni altri brani è condensata una breve sintesi cristocentrica, rivelatrice di cosa sta all’origine della vita dei monaci nel deserto: la chiamata a una sequela più esplicita e radicale del Cristo nel suo annientamento e nella sua passione. Isidoro di Scete si macerava senza darsi riposo, dicendo: «...non vi è più nessuna scusa per me: il Figlio di Dio è venuto qui per noi» (n. 5). Il padre Poemen, ritornato in sé dopo un’estasi, disse: «Il mio pensiero stava con la santa madre di Dio, Maria, che piangeva presso la croce del Salvatore; e anch'io avrei voluto piangere sempre così» (n. 144). E il padre Iperechio disse: «La gloria del monaco è l'obbedienza. Chi la possiede, sarà esaudito da Dio, e con franchezza starà di fronte al Crocifisso, perché il Signore crocifisso “si fece obbediente fino alla morte (Fil 2, 8)”» (n. 8). Un altro anziano si
57 Cf. anche Bessarione 12 (vedi nota 14, p. 153); Isidoro Presb. 1; Iperechio 5; Dial. 15 e 29 edito da Guy in RAM 1957, pp. 171-188.
58 Eth. Coll. 14, 40, Regr. 19702, p. 324.
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servì dell'esempio di un cane da caccia che insegue con tutte le forze una lepre, per concludere: «Allo stesso modo, chi cerca Cristo Signore, fissando incessantemente la croce supera tutti gli ostacoli che gli si oppongono, finché non abbia raggiunto il Crocifisso» (PJ VII, 35 = N 203) 59. Si osservi anche la dimensione verticale — al di là di ogni possibile equivoco teologico — secondo cui è impostato il precetto dell’amore, in chiave cristocentrica, nei testi che seguono: «Gli anziani dicevano: — Ciascuno deve fare proprie le vicende del prossimo, soffrire con lui in tutto e piangere con lui, sentirsi come se avesse il suo stesso corpo, e affliggersi come per sé quando egli è afflitto (cf. Rm 12, 15). Così sta scritto: Siazzo ur solo corpo în Cristo (Rm 12, 5), e: La moltitudine dei fratelli aveva un cuore e un'anima sola (At 4, 32)» (N 389). L'amore del fratello discen-
de dall’alto, può venire solo dal Signore. É sullo stesso piano anche il testo seguente: «Io sono come uno che vive sul Monte degli Ulivi con il Signore e con i suoi apostoli; e ho detto a me stesso: — D'ora innanzi non conoscerò più nulla secondo la carne (2 Cor 5, 16), ma sii sempre con loro, imitandone lo zelo
e il modo di vivere (Eb 13, 7), come Maria che sedeva ai piedi del Signore e ascoltava le sue parole (Lc 10, 39): — Diventate misericordiosi come il vostro Padre celeste (Lc 6, 36), — Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29)» 60,
c) Escatologia. Sebbene non sempre in modo altrettanto esplicito, sono tuttavia non meno cristocentrici, non meno fondati sulle Scritture e in particolare sul Nuovo Testamento, ?? Vedi anche il tema dei «folli per Cristo», nota 82, pp. 123s.; vedi il brano singolare di Epifanio e la nota su di esso (n. 2); Arsenio 33. «Ecco — dice — portano con superbia quella specie di giogo che è la giustizia e rifiutano di correggersi per percorrere la via umile di Cristo» (cf. Mt 5, 20 e 11, 29s.). Ed Elia 7: «...se non c’è fatica, non si può avere Dio con sé: egli infatti per noi è stato crocifisso». Cf. Apollo 1 e Cronio 4; Nilo 4, ecc.
| 90 Da una delle serie minori più antiche, presente nei codici principali: Dodici anacoreti4, Guy AB 1958.
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non meno espressione del nucleo sostanziale della vita cristiana, i brani che mostrano la tensione dei padri del deserto verso il ritorno del Signore e il giudizio finale, e il modo in cui essi intendono la lotta di ogni giorno contro il demonio. Vivere protesi verso il ritorno del Signore, attendendo e affrettando la parusia del suo giorno (2 Pt 3, 14), fa parte dell’essenza del cristianesimo, ma ancor più della vita monastica. Se «non sono del mondo» (Gv 17, 16) quelli che il Signore ha separati e consacrati nel battesimo, tanto meno dovrebbero esserlo quelli cui il Signore ha rivolto una chiamata particolare a testimoniare che «il tempo si è tatto breve» (1 Cor 7, 29) e che «l’apparenza di questo mondo passa» (:bid., 31). L'autore della Historia Monachorum dice nel prologo di non aver trovato presso i monaci d’Egitto «alcuna sollecitudine, alcuna preoccupazione del vestiario, del cibo, ma soltanto, al canto degli inni, l’attesa
del ritorno del Signore» (Pro/. 7). Il primo grande discorso di esortazione alla vita monastica, che Atanasio mette in bocca ad Antonio, appena uscito dalla sua vita solitaria nel fortino, è tutto incentrato sul paragone tra l’inconsistenza e la brevità di questa vita e l’eredità beata dei secoli senza fine (Vita, cc. 16-19).
Questa convinzione è così indispensabile alla stessa perseveranza nella vita ascetica, da costituire il substrato continuo del
pensiero dei monaci anche là dove non affiora esplicitamente. Certo si può dare nei singoli individui una maggiore 0 minore consapevolezza, ma alcuni detti che ora esamineremo chiariscono inequivocabilmente l'atteggiamento globale in questa direzione e la conoscenza viva di certi testi biblici di natura escatologica. Non si tratta cioè soltanto di un dato dell’esperienza e della tradizione monastica, ma anche qui — come per gli altri aspetti esaminati nei punti precedenti di questo paragrafo — di un frutto della meditazione delle Scritture. Un anziano disse: «Oh, che avverrà alla futura venuta del Figlio di Dio? Perché, dopo la risurrezione, gli spiriti degli uomini usciranno, a causa del timore che piomberà su tutta la terra, come ha detto il Signore (Lc 21, 26), e tremeranno dinanzi a ciò che
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accadrà» 61, Simile a questo, ma ancora più ricco di risonanze bibliche, è il seguente brano: «Se fosse possibile che, all’apparire del Cristo dopo la risurrezione, le anime degli uomini morissero, tutto il mondo morirebbe atterrito. Quale spettacolo sarà! I cieli squarciati (Mc 1, 10), Dio che si rivela nella sua ira e indignazione, e schiere innumerevoli di angeli e tutta l'umanità insieme! perciò dobbiamo vivere così, come se dovessimo ogni giorno rendere conto a Dio di ogni singolo atto» (PJ III, 21 = N 136). Una breve scenetta dei padri Or e Teodoro ci presenta in modo vivo e arguto l’attesa della visita del Signore: «...un giorno stavano costruendo una cella col fango e si dissero: — Che faremmo, se Dio ci visitasse 62 adesso? Piangendo, lasciarono il fango e si ritirarono ognuno nella propria cella» (Or 1). A un fratello che gli chiede una parola, il padre Matoes dice: «...Piangi e fa’ lutto, perché si è avvicinato il tempo» (Lc 21, 8) (n. 12). E il grande Antonio aveva detto: «...Ricordatevi di ciò che avete promesso a Dio, perché ve ne chiederà conto nel giorno del giudizio (Mt 10, 15 e par.); soffrite la fame, la sete, la nudità (1 Cor 4, 11), vegliate (Lc 21, 36), fate lutto, piangete (Gc 4, 9), gemete nei vostri cuori...»
(n. 33). I ripetuti inviti dei padri a vegliare, piangere, fare lutto, si fondano consapevolmente sui brani biblici in cui tali inviti sono appunto inseriti in contesti escatologici, sono in
vista dell’ultima grande tribolazione e del giorno della venuta del Signore 6. Poemen riassume questa consapevolezza in una breve sentenza: «Piangere è la via che ci hanno trasmesso la Scrittura e i padri» (n. 209) 64; Giovanni Climaco paragonerà questo lutto «beato e pieno di grazia» alla «veste 61 Arm. I, 520 (4) A, Regn. 19702, p. 255.
62 È usato qui inequivocabilmente il termine classico della Scrittura per la visita escatologica. 63 Cf. il libro del profeta Gioele passizz e par.; Mc 13, 35ss. e par.; 1 Ts 5, 68s.; Gc 4,9-5,3, ecc.
64 Cf. note 30 e 97, pp. 379 e 402.
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nuziale» (Mt 22, 11s.) 6, riprendendo così la grande sintesi, considerata nelle pagine precedenti, del ritorno all’Eden di Adamo, rivestito della veste di una nuova innocenza, signore di una nuova creazione ‘6, Questo richiamo ci consente di comprendere meglio lo spessore profondo del seguente brano del padre Dioscuro (n. 3): «Il padre Dioscuro disse: — Se rivestiamo l’abito celeste (1 Cor 15, 49), non saremo trovati 6 nudi. Se invece non saremo trovati con quella veste, che faremo, fratelli? Dovremo
anche noi udire quella voce che dice: — Gettatelo nelle tenebre esteriori; ivi sarà pianto e stridore di denti (Mt 22, 13)? Ora, fratelli, sarebbe una grande vergogna per noi, che da tanto tempo indossiamo l’abito monastico, se nell’ora suprema fossimo trovati senza la veste nuziale (Mt 22, 11s.). Quale pentimento allora ci prenderebbe! E quali tenebre piomberebbero su di noi di fronte ai nostri padri e fratelli, che ci vedrebbero castigati dagli angeli del castigo!». Riprendendo l’immagine paolina dell’«abito celeste», unificandola con quella evangelica della «veste nuziale», convogliando in esse anche il concetto di «abito monastico» 8, il padre Dioscuro condensa tutta una visione teologica: della nuova realtà instaurata da Cristo, nuovo Adamo, uomo celeste, contrapposto al vecchio Adamo, uomo terreno. Questa veste è nuziale: il Signore che ce la dona è veramente lo Sposo del suo popolo, annunciato dai profeti, e lo Sposo che ci invita al banchetto delle nozze eterne. Questa | | © Vedi nota 30, p. 379. 66 Vedi pp. 42-45, particolarmente alcuni testi ivi citati; vedi la nota al testo n. 39 di Poemen. 67 Anche l’espressione «trovare», «essere trovati», nel Nuovo Testamento è tipica, seppure non esclusiva, dei testi escatologici (cf. Mt 24, 46; Mc 13, 36; 1 Cor 4, 2; 2 Cor 5, 3; Fil 3, 9; 2 Pt 3, 14). Anche negli apoftegmi
riappare in contesti escatologici (cf. Ischirione, p. 278; Sisoes 38). 68 Cf. nota 3, p. 492 e PJ XVIII, 29 = N 365: «La forza che vidi al momento del battesimo, quella stessa la vidi sulla veste del monaco, quando
ha preso l’abito».
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veste di incorruttibilità e immortalità, di cui verranno rivestiti
un giorno anticipata nella vita. chiamata col Cristo
coloro che saranno trovati in Cristo — ci è già stata nel battesimo —, deve tuttavia realizzarsi pienamente Un segno peculiare di tale realizzazione è dato dalla alla verginità, testimonianza della vita di conrisorti e delle «potenze del secolo futuro» (Eb 6, 5). «La
ci ue seg che no bra il 20); 3, (Fil i» ciel nei è nza ina tad nostra cit
Uno e. ion ens dim sta que in ere viv ile sib pos sia e com mostra loro e dell o mbi sca uno per uti ven con eti cor ana dei dodici la plo tem con io rno gio ni «Og ta: con rac li itua spir e enz esperi Chiesa dei santi (1 Cor 14, 33) e in mezzo a loro il Signore della gloria (1 Cor 2, 8) che sopra tutti risplende. Quando sono preso dal tedio, salgo nei cieli e contemplo le meravigliose bellezze degli angeli e gli inni e le melodie che innalzano a Dio. Ai loro canti, alle loro voci e melodie mi elevo tanto da pensare a ciò che è stato scritto: I cieli narrano la gloria di Dio (Sal 18, 2), e ritengo cenere e spazzatura tutto ciò che è sulla terra (Fil 3, 8)». Si è già accennato (vedi p. 19) al brano n. 2 di Orsisio, che dopo aver riecheggiato la parabola escatologica delle vergini che attendono lo Sposo con le lampade rifornite di olio (Mt 25, 1-13), nella frase conclusiva compone e intreccia tante risonanze di testi escatologici del Nuovo Testamento; quasi ogni parola trova in essi piena rispondenza: «...Dio... misericordioso, ponendo nell’uomo il suo timore e il ricordo dei castighi... lo rifornisce disponendolo alla vigilanza e a custodire se stesso in vista delle cose future con molta stabilità, fino al giorno della sua visita» 69. Alla speranza della gloria futura, cui non sono paragonabili i patimenti del secolo presente (Rm 8, 18), e al timore dei castighi esortano molti altri apoftegmi. «Tesoro del monaco è la povertà volontaria. Che il tuo tesoro sia nel cielo (Mt 6, 20), fratello. Là sono i secoli di quiete sen-
69 Si confronti il testo greco con il testo originale dei brani biblici indicati nella nota 11, p. 365.
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za fine» 79; «...la fatica dura breve tempo e il riposo per sempre, grazie al Verbo di Dio» 71, Sulla scia della parabola evangelica dei servi vigilanti in attesa del ritorno del Signore, e del servo che invece dubita a motivo del suo ritardo (Lc 12, 3548), Evagrio (= Nilo 10) dice: «Il servo che non si prende cura delle opere del suo Signore, si prepari alle sferzate». Tre anziani si recano dal padre Sisoes e gli raccontano come siano vigilanti nel ricordo e nel timore del «fiume di fuoco», del «verme che non muore», della «tenebra esteriore e stridore di denti»,
tutte immagini bibliche tratte da contesti escatologici 72. Su queste e altre immagini simili si soffermano più diffusamente alcuni brani più ampi 72. In essi, come anche in altri detti più brevi 74, talora s'intrecciano e si confondono i piani, quello più propriamente escatologico, della prospettiva storico-salvifica del giudizio ultimo, e quello personale, dell’incontro con Dio di ciascuno dopo la morte. Molte volte anzi l’interesse si concentra esclusivamente su questo, come è d’altronde comprensibile, data la tendenza così forte di questo ambiente a trasferire tutto nell’esperienza personale. Se da una parte il monaco è proteso verso la consumazione di tutta la realtà nell’ultimo giorno, accoglie tuttavia e vive l'insegnamento neotestamentario secondo cui la grande lotta antagonidue i sono Satana e Cristo atto. in già è escatologica contro l’uno direttamente e e personalment combattono che sti Criil e croce sulla consumata stata già è lotta la Anzi, l’altro. svolgersi a continua essa ma te; definitivamen sto ha trionfato
van Gio 6; one Zen 14; a not e 12 e ion sar Bes .; ibid 7 cf. 6; hio rec 70 Ipe
ni il Pers. 4; Pafnuzio 1, e Paolo il Sempl. ultime righe, p. 440, ecc. "1 Mosè, VII cap. a Poemen, ultime righe, p. 330.
72 C£. Dn 7, 20, Is 66, 24; Mt 8, 12.
73 Cf. Evagrio 1; Teofilo 4; Sincletica 7 e Dodici anacoreti 12, Guy AB
1958.
74 Cf. Arsenio 40; Agatone 29; Ammone 1; Evagrio 4; Elia 1; Xanthia
3 e Orsisio 1; N 523, ecc.
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nel suo corpo che è la Chiesa fino alla fine dei giorni, quando Satana non avrà più alcun potere sull’uomo. I padri del deserto sono ben consapevoli che i protagonisti della lotta sono prima di tutto più grandi di loro e al di fuori di loro. «Io vedo il diavolo che vola cercando chi divorare (1 Pt 5, 8), e dovunque
egli vada lo vedo coi miei occhi interiori. E supplico Cristo Signore contro di lui, perché rimanga inefficace e perché su nessuno, e soprattutto su chi teme il Signore egli abbia alcun potere» (Dodici anacoreti 8; PL 73, 1061a). Contro le tentazioni, è solo nel Nome di Cristo, con la sua croce, con la sua for-
za, con le sue parole, che il monaco può lottare e vincere. Un fratello, assalito dai pensieri di lasciare la vita intrapresa, ripeteva la frase: «Nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, sopporto». A queste parole, aggiungeva: «“Vedi, miserabile, non con un uomo ma con Dio sei schierato”, e subito si metteva in
pace. In questo modo il fratello ritrovava sempre la serenità quando scorgeva qualche turbamento» (N 644). Un altro ripeteva al demonio la frase dettagli dal Cristo: Vattene dietro a me, Satana! (Mt 16, 23), e aggiungeva: «Non hai alcun potere sui servi di Cristo» (N 34). La madre Sarra, assalita un giorno con particolare violenza dallo spirito di fornicazione, «salì subito nella sua cella a pregare. Le apparve allora lo spirito di fornicazione in forma corporea e le disse: “Tu mi hai vinto, Sarra!”. Ma ella disse: “Non io ti ho vinto, ma il mio Signore, Cristo”» (n. 2) 75. E la madre Sincletica disse: «...se al sopraggiungere di un vento contrario spieghiamo la croce a mo’ di vela, senza timore porteremo a termine la navigazione» (n. 9).
Col segno della croce infatti gli anziani cacciavano demoni e operavano guarigioni 76. Su questa base dunque gli anziani interpretano tutta la propria vita come momento della grande lotta escatologica già in atto, ciascuno si sente in essa personal-
? C£. Elia 7; Xanthia 2 e Poemen 30; N 626, ecc.
76 Cf. Longino 3; Poemen 7 e N 12.
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mente coinvolto istante per istante e partecipe della forza vittoriosa del Cristo. «Togli le tentazioni e nessuno si salva» (Antonio 5); non c’è che «attendersi tentazioni fino all’ultimo respiro» (Antonio 2); «Questa è la parola scritta nell’Evangelo: Chi ha un mantello lo venda e compri una spada (Lc 22, 36). Ciò significa: chi ha quiete, la lasci e prenda la via stretta (Mt 7, 13s.)» (Poemen 112) 77. «Uno degli anziani venne a raccontare al padre Teodoro: — Ecco, il tal fratello è ritornato nel mondo. — Ti meravigli di ciò?, disse il vecchio. Non stupirti, meravigliati piuttosto se odi che qualcuno è riuscito a sfuggire alle fauci del nemico» (Teodoro di Ferme 8). La convinzione di essere continuamente assediato dal demonio è raffigurata in modo plastico e arguto nella scenetta dell’anziano che si sente sopraffatto dalle tentazioni e si allaccia i sandali per andarsene. E vede uno che fa altrettanto e gli dice: «Ti precederò ovunque tu vada». Comprende allora che si tratta di una visione del demonio e rimane nel luogo in cui era (Teodora 7). In conformità con la dottrina neotestamentaria, i padri sono pure certi che ci sarà un inasprirsi della lotta e uno scatenarsi sempre più violento delle potenze del male nel progredire della storia verso l’ultimo giorno (cf. nota 67, p. 278). Sisoes motiva questa certezza in modo strettamente biblico. «Un fratello chiese al padre Sisoes: — Satana ha perseguitato così gli antichi? L’anziano gli dice: — Adesso lo fa di più, perché il suo tempo si avvicina (Lc 21, 8), e si agita» (n. 11). Una versione
latina (Pasc. 25, 2) aggiunge: «...poiché si avvicinano i castighi, quando egli con le sue legioni sarà tribolato, poiché conosce lo stagno di fuoco e di zolfo (Ap 20, 10) nel quale arderà». Ischirione di Scete profetizza un progressivo scadimento delle generazioni nella fedeltà ai precetti di Dio, fino all’ultima, su cui «la tentazione sopravverrà» — l’espressione qui usata riecheggia
fortemente Ap 3, 10 — «e quelli che in quel tempo saranno tro"7 Cf. nota 5, p. 212.
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vati provati (1 Cor 4, 2 + 1 Cor 11, 19), saranno trovati più
grandi dei nostri padri» (p.278). Il grande Antonio, facendo una profezia che investe tutta l’umanità in modo radicale e globale, esordisce con una formula simile a quella di più di una profezia escatologica nell’Evangelo: «Verranno giorni...» (Lc 17, 22; 23, 29, ecc.). Egli dice: «Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, e al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro 78 dicendo: — Tu sei pazzo!, a motivo della sua dissimiglianza da loro» (n. 25). Altra volta Antonio elenca fra i segni premonitori della fine, insieme al dilagare della violenza e dell’impurità, la dissoluzione del monachesimo 79. Già la devastazione e l'abbandono di Scete (cf. pp. 93 e 98) — cui probabilmente allude pure il detto sopra riportato di Ischirione — saranno presentati e vissuti in termini improntati ai discorsi
escatologici dell’Evangelo. É molto eloquente il detto di Macario (n. 5): «Quando vedrete... sappiate che è vicina la sua desolazione (Lc 21, 20); ...è alle porte (Mt 24, 33)... prendete i vostri
mantelli e fuggite (Mt 24, 16s.)» 80, E un altro caso molto probante di quanto i padri si appropriassero delle parole della Scrittura e le vedessero realizzarsi nella loro vita.
d) Alter Christus. L’appropriarsi delle parole della Bibbia e l'’immedesimarsi in una figura o in un personaggio avviene inoltre anche secondo una chiave interpretativa particolare che costituisce il denominatore comune e unificante di tanti richiami biblici che potrebbero sembrare a prima vista troppo frammentari o estrapolati dal loro contesto con una libertà eccessiva.
78 L'espressione è identica a quella usata dall’Evangelo soltanto in Mt 10, 21 e nel parallelo di Mc 13, 12, in contesto chiaramente escatologico: «...i figli si avventeranno contro i genitori...» 1? Apoftegma di una raccolta copta, riportato da Amelineau, Morastères..., Parigi 1894, p. 28. 80 Cf. Arsenio 21; Mosè 9 e 10; PI XVIII, 25 = N 361, ecc.
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Il padre Ammone, uscito per recarsi dal padre Antonio, si smarrì nel deserto e supplicò Dio di. venirgli i in aiuto. «E gli apparve come una mano d’uomo sospesa in cielo, che gli indicò la via, finché giunse e si fermò sulla grotta 8! del padre Antonio» (n. 7). La frase «finché giunse...» riprende chiaramente, anche se non testualmente, il luogo evangelico di Mt 2, 9: la stella apparsa ai Magi e fermatasi a Betlemme sulla grotta dov'era Gesù appena nato. Del padre Poemen (N 448), il fratellino Paisio dice che il suo discorso è. duro, come gli ascoltatori di Gesù quando egli parlò loro.del Pane di vita (Gv 6, 60). Il padre Pambone (n. 2), interrogato da alcuni fratelli sul valore delle loro opere, scrive in terra le loro azioni, come il Signore
fece con i farisei, che gli avevano condotto la donna colta in adulterio (Gv 8, 6). Il comportamento di Sisoes il Tebano non era capito e dicevano: Ha un demonio! (n. 37), ripetendo l’accusa fatta dai giudei non solo a Giovanni Battista (Mt 11, 18), ma anche al Signore (Gv 10, 20). All’incursione dei barba-
ri a Scete, del padre Daniele (n. 1) si dice che passò attraverso di loro, come il Signore quando volevano ucciderlo ma non era ancora giunta la sua ora (Lc 4, 30). Del padre Sisoes raccontavano che, in punto di morte, :/ suo volto risplendette come il sole. E tutti furono presi da timore, com'è detto per la trasfigurazione del Signore (Mt 17, 2 e 6). Il brano (n. 14) che descrive in modo davvero mirabile la morte gloriosa di un santo, umilissimo nella sua grandezza, circondato dal coro dei profeti, degli apostoli, degli angeli, si conclude attribuendogli altre tre frasi tratte dai vertici dell’Evangelo: l’unzione di Betania, l'emissione dello Spirito sulla croce, la risurrezione: «E subito ezzise lo spirito (Gv 19, 30). E vi fu cozze un lampo (Mt 28, 3). E tutta la casa fu piena di buon profumo (Gv 12, 3)». Si
è già accennato in precedenza (vedi p. 20) ai non pochi luoghi
81 Per rendere la notazione visivamente più immediata, il richiamo biblicoè stampato in corsivo, anche se non si tratta di una citazione formale.
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in cui i prodigi operati dagli anziani, lo stupore della folla e la sua lode a Dio, il nascondimento dell’anziano perché non si divulgasse la fama del miracolo, sono descritti con termini che riprendono inequivocabilmente i i passi analoghi degli Evangeli 82. È stato pure richiamato (vedi p. 52), da un altro angolo visuale, il brano (N 34) in cui un anacoreta caccia il demonio
ripetendogli le stesse parole dette dal Signore a Pietro: Vattene dietro a me, Satana! (Mt 16, 23).
Non c’è dubbio: la chiave di tutti questi richiami del Vangelo è unica, è la convinzione della conformità dell’anziano - per lo meno di alcuni grandi anziani — al Cristo, per cui non si esita a porgli in bocca parole-del Cristo o ad attribuire alla sua vita espressioni usate dagli Evangeli per la vita del Signore. A parte i brani di miracoli e prodigi — in cui certe frasi ricorrenti sono la ripetizione di espressioni uguali o analoghe di testi evangelici paralleli —, muovendosi sulla base di questa chiave interpretativa i padri indugiano prevalentemente, e non a caso, sui testi della passione del Signore. La vediamo così snodarsi nella vita degli anziani e realizzarsi nei suoi vari momenti, dall’ingresso trionfale in Gerusalemme al discorso dell’ultima cena, da questo al processo, dal processo alla croce e all'ultimo respiro. Macario si recò un giorno a trovare i fratelli che vivevano non lontano da lui (n. 3). Questi gli uscirozo incontro con rami di palma, come le folle all’ingresso di Gesù in Gerusalemme (Gv 12, 13). Un vescovo che aveva peccato (N 31) si umiliò davanti ai suoi fedeli gettandosi con la faccia a terra e dicendo: «Non avrà parte con Dio chi, uscendo, non mi calpesterà». Il Signore nella sua umiliazione aveva detto a Pietro che non voleva lasciarsi lavare i piedi: «Se non ti laverò zor
82 Cf. Bessarione 5; Daniele 3; Eucaristo, p. 182; Macario 7 e 15; Xoio 2; Poemen 7; Sisoes 18, ecc. (In parecchi dei casi qui citati, la frase che interessa è quella conclusiva del brano). Considerare anche la nota 22, p. 453.
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avrai parte con me» (Gv 13, 8). L'episodio del vescovo prosegue con queste parole: «...quando l’ultimo uscì venze dal cielo una voce che disse: — Per la sua grande umiltà gli ho perdonato il peccato», così come nell’Evangelo è scritto che al Figlio di Dio, turbato per il sopraggiungere dell’ora della passione, verne dal cielo una voce: «L'ho glorificato e ancora lo glorificherò» (Gv 12, 27). Il padre Agatone, nel luogo dove aveva cominciato ad abitare con i suoi (n. 6), vide qualcosa che gli pareva non giovasse e disse: Alzatevi, andiamo via di qui, le stesse parole con cui si chiude, secondo l’Evangelo di Giovanni, una sezio-
ne del discorso dell’ultima cena (Gv 14, 31). Lo stesso discor-
so del Signore è evocato in due frasi di Arsenio alla sua morte (n. 40): «Non è ancora giunta l’ora (Gv 17, 1). Quando giungerà (Gv 16, 4), ve lo dirò». Dopo la Cena, l’agonia di Gesù nell’orto, la supplica del Cristo «con forte grido e lacrime a Colui che poteva salvarlo da morte» (Eb 5, 7). Anche di questa preghiera troviamo un richiamo puntuale nella vita di Arsenio (nn. 1 e 2). Mentre era ancora a corte (cf. p. 92), aveva pregato Dio di mostrargli «la via della salvezza». «Ritiratosi a vita solitaria, pregò ancora con le stesse parole...» (Mt 26, 44), manifestando al Signore la sua impotenza e il suo anelito alla salvezza, come Gesù nella sua agonia, carico di tutto il peccato dell’uomo, aveva chiesto al
Padre di salvarlo da quell’ora. Di Poemen, interrogato da un anziano venuto a lui senza sufficiente umiltà (n. 8), e di Sisoes,
apostrofato da eretici che parlavano male degli ortodossi (n. 25), è detto: Nor gli diede risposta (Gv 19, 9); non rispose loro nulla (Mt 27, 12.14), come fece Gesù durante il processo. Teodoro di Ferme (n. 29), assalito da tre ladri che lo depredarono di ogni cosa, fu spogliato anche della tunica. Egli disse loro di farne quattro parti (Gv 19, 23). E così fecero, come i soldati sotto la
croce con la tunica del Signore. Ponendo in bocca a Teodoro stesso l’invito: «...fatene quattro parti», l'episodio sottolinea la volontarietà dell’anziano nell’associarsi alla passione del Signore. Si è già vista (cf. p. 55) la morte straordinaria di Sisoes, per la
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quale la tradizione fissatasi in quel brano ha voluto evocare la e te mor la a, ani Bet di one nzi l’u , one azi insieme la trasfigur lo e rzis tras e, ent alm ter let più o se, Ezzi e. nor Sig del one ezi risurr 30. 19, ni van Gio di ole par le con nte lme tua tes to det è spirito, ren coe una è vi ti men eri rif sti que in che Si sarà osservato ere ess di e bal glo e ia mar pri ta scel la solo c'è non a: ern int za con la e ne, sio pas sua a nell e vita sua conformi al Cristo nella simas do gra in e zar liz rea sa pos si à mit for con tale che vinzione icorr una he anc c'è ia; unc rin di e o ici rif sac di vita mo in una
ltra tala te, den evi più ora tal — ti tes con di le tua pun spondenza vita a dell i sod epi gli e i lic nge eva i sod epi gli fra — più sottile degli anziani. Non a caso riguardo ai fratelli che chiedono se c'è salvezza in base alle loro opere, il padre Pambone ripete un’azione compiuta una volta da Gesù rispetto ai farisei (vedi p. 55). Il padre Daniele passò attraverso chi tentava di ucciderlo, come il Signore (5i4.). Al vescovo volontariamente umiliatosi venne dal cielo una voce per rendergli testimonianza come al Cristo turbato e umiliato alla soglia della passione (vedi p. 56). Il rifiuto a rispondere di Poemen e Sisoes (ibid.) associa in qualche modo superbi ed eretici ai persecutori del Signore. E così via: si potrebbe proseguire nell’analisi, ma le intenzioni di questi apoftegmi sono già apparse sufficientemente chiare. Rispetto ai testi considerati nei paragrafi precedenti, essi manifestano una dimensione nuova e suggestiva dell’orientamento cristocentrico della vita e del pensiero dei padri e della loro assimilazione della Scrittura, oltre a una grande consapevolezza della loro vocazione come sequela del Cristo. È ancora un apoftegma a fornirci il commento migliore per chiudere questo capitolo, il brano di Psentaisio (p. 498), nel quale vengono magnificate le virtù del grande Pacomio (cf. nota 1, p. 147). Il discepolo si domanda se è possibile seguirne i passi, e risponde atfermativamente citando una delle frasi evangeliche più consolanti sulla sequela del Signore. Conclude quindi esortando a conmorire e convivere con quel santo, usando i termini greci coniati dall’apostolo Paolo per esprimere il nostro essere, in
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virtù del battesimo, immedesimati al Cristo nella sua morte e
nella sua risurrezione: «...forse tutti possono seguirlo, come egli segue i santi. Perché sta scritto: Verite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo (Mt 11, 28). Moria-
mo dunque e viviamo con (2 Tm 2, 11) quest'uomo, perché egli ci conduce a Dio per via diritta». PAROLA DI DIO E PAROLA DELL'ANZIANO
Dal riconoscere in alcuni uomini una presenza così singolare del Cristo, consegue necessariamente il ricorrere ad essi per venire ammaestrati dalla loro esperienza e dalla loro sapienza. Chi riconosce con fede in questi anziani degli strumenti docili dell’azione dello Spirito, troverà in loro un punto di riferimento analogo e parallelo a quello costituito dalle Sacre Scritture. Le brevissime domande con cui gli anziani vengono per lo più interpellati: «Dimmi una parola!», «Come posso salvarmi?», e simili, mostrano chiaramente la fede di colui che pone
la domanda. Egli non ricerca una dottrina elaborata, un insegnamento lungo e complesso, ma una semplice parola «breve e salutare» (Cassiano 5), una parola di salvezza, di vita. Tale richiesta presuppone il riconoscimento di un carisma particolare 83 presente nell’anziano interpellato, in ordine all’efficacia operante della sua parola. la tra rapp il orto padr i dei cosc ienz a nell a allo è ra Qual Parola di Dio rivelata agli agiografi e consegnata alla Chiesa nelle Scritture, e la parola pronunciata da questi uomini spirituali, depositari di un particolare carisma divino?
8 Quando dei visitatori interrogavano il padre Anub, questi li inviava dal fratello Poemen, dicendo che egli aveva «il carisma della parola» (Poemen 108).
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Abbiamo visto la fede e la venerazione dei padri di fronte alla Parola di Dio, il timore di profanarne il mistero, e la scelta del silenzio piuttosto che scrutarla in maniera impropria (cf. pp. 26-29). Le molte volte in cui gli anziani, richiesti di un consiglio, rispondono con la Scrittura piuttosto che con le loro loro della zza guate inade dell’ enza cosci la rano most parole, ad bello, molto E Dio. di a Parol della onto confr a a parol ai dica o amin Beni e mort della emo supr atto nell’ che esempio, suoi figli le parole dell’Apostolo ai Tessalonicesi (1 Ts 5, 16s.): Siate sempre nella gioia, pregate senza interruzione, in ogni circostanza rendete grazie, e non aggiunge nient'altro (n. 4). Abbiamo visto Sisoes il Tebano, interrogato, rimandare soltan-
to alle Scritture: «Che devo dirti? Leggo il Nuovo Testamento e mi volgo all’Antico» (n. 35). E il grande Antonio: dei fratelli gli fecero visita e gli dissero: «Dicci una parola: come possiamo salvarci? L'anziano dice: — Avete ascoltato le Scritture? E quel che occorre per voi. Ed essi: — Anche da te, padre, vogliamo sentire qualcosa. L'anziano dice loro: — Dice il Vangelo: Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra (Mt 5, 39). Gli dicono: — Ma di far questo non siamo capaci». Soltanto a questo punto l’anziano si decide ad aggiungere il commento delle sue parole (n. 19). Lo stesso Antonio, nel suo primo discorso ai monaci, già citato (cf. p. 47), avrebbe detto 84: «Le Sacre Scritture sono sufficienti alla dottrina, ma è bello che noi ci esortiamo gli uni gli altri nella fede e che ci incoraggiamo con le parole» (c. 16). Egli afferma così da un lato che le Sacre Scritture contengono la pienezza della rivelazione, dall’altro che la parola carismatica dell'anziano è un tramite efficace della forza divina. Un testo di Ammonio, già richiamato (cf. p. 27), accentua ancor più la distinzione fra la Parola di Dio, unica e in-
84 Secondo Atanasio, autore della Vita Antoniî, che gli pone in bocca queste parole.
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confondibile, e l'insegnamento dei padri: «Se non puoi tacere, è meglio che tu parli con le parole dei padri e non con la Scrittura. Perché in questo vi è un pericolo non piccolo». Giovanni di Gaza illustra e commenta con ampiezza questo detto di Ammonio, in una lettera a un secolare (ep. 469). Innanzi tutto anch'egli dice, richiamando esempi biblici, che il meglio è il silenzio. Ma aggiunge subito che noi, a motivo della nostra debolezza, non riusciamo a percorrere la via dei perfetti e abbiamo bisogno di parole che giovino all’edificazione. Conviene però non «avventurarsi» nelle Scritture, ma «rifugiarsi»
nei padri. La prima cosa infatti è pericolosa per «chi non ha la scienza» spirituale. La consapevolezza della trascendenza assoluta della Parola di Dio rispetto a qualsiasi parola umana è uno dei due poli sempre presenti nella dinamica della tradizione. Ma il detto di Ammonio e questo suo commento rappresentano il punto estremo della distinzione tra i due termini. Per lo più invece la parola degli anziani è menzionata accanto alla Scrittura, con un accostamento sintomatico della
certezza che si tratti di due entità profondamente omogenee, frutto dell’unica e molteplice rivelazione dello Spirito consegnata alla Chiesa in diversi modi e momenti: «Scrittura e padri», «divine Scritture e sante rivelazioni», ecc. 89. Questa convinzione
è sicuramente alla base del modo così libero e spontaneo, che abbiamo ripetutamente riscontrato, di mescolare in uno stesso discorso parole proprie e parole della Scrittura. Ma vi sono alcuni dati più espliciti: Antonio e Macario vengono chiamati «pneumatofori», portatori dello Spirito, come la tradizione chiamava i profeti e soprattutto gli evangelisti. Una volta Antonio, richiesto di una profezia sulla fine del mondo, disse che già l'hanno fatta i profeti, Cristo e gli apostoli. Ma i monaci insistono: «Anche tu sei profeta, apostolo e padre di questo tempo» 86. 8 Cf. Poemen 119 e Paolo il Semplice, p. 437, ecc. 86 È lo stesso detto di cui è riportata a p. 54 la risposta che infine Antonio diede.
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Di alcuni anziani si dice che la loro parola era come una
«spada» 87, applicando così l’immagine usata dalla lettera agli Ebrei per la Parola di Dio (Eb 4, 12). Riguardo al carisma straordinario della parola presente in Efrem Siro, gli apoftegmi usano audacemente due immagini bibliche: quella profetica (Dn 4, 8s.), ripresa dall’Evangelo (Mt gli tutti da to abita terra, la ie riemp che o alber dell’ 13, 32), uccelli del cielo, e quella evangelica della fonte d’acqua zampillante (Gv 4, 14), «perché da Spirito Santo sono le parole che escono dalle labbra di Efrem» (cf. Efrem 1 e 2). Il compilatore della serie alfabetica dei detti dice nel prologo (pp. 75s.) di aver raccolto gli apoftegmi per l’edificazione dei lettori, perché l’anima si diletti delle parole degli anziani pià dolci del miele e del succo dei favi, espressione tratta testualmente dalla Bibbia, dove è riferita alle parole di Dio (Sal 18, 11). Il padre Abramo fu presente per caso due volte all’incontro del padre Ares con un fratello, che ricevette da lui indicazioni di un’ascesi molto dura. Abramo si stupì della differenza che Ares faceva fra questo fratello e gli altri, e Ares spiegò: «Gli altri fratelli, così come vengono pure se ne vanno, ma costui proprio per amore al Signore viene ad ascoltare una parola. È veramente operoso! Qualsiasi cosa io gli dico, la compie con zelo. Per questo io gli dico la parola di Dio» (pp. 138s.). Analogamente è detto del presbitero Timoteo, inviato da Poemen a incontrare una meretrice per richiamarla alla conversione: le parlò «la parola di Dio» (pp. 487s.). Si deve concludere da queste affermazioni che gli apoftegmi perdono di vista l’alterità e la trascendenza della parola rivelata nelle Scritture, o per lo meno che alcuni elementi sono contraddittori rispetto a tanti altri emersi nel corso di questa introduzione? È significativo l’atteggiamento di Poemen: pro87 Cf. Arsenio 31 e Amoe 2.
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prio nell’episodio già citato (cf. p. 57), in cui si dice che «voltò la faccia e non diede risposta» al forestiero che gli parlava «delle Scritture, di cose spirituali e celesti», subito dopo si vede lo stesso Poemen che accoglie con gioia e affetto il medesimo interlocutore di prima, ritornato a lui in atteggiamento
profondamente mutato di compunzione e di confessione dei
propri peccati. E quello stesso Poemen, che poco prima non
voleva sentir parlare delle Scritture, si rivolge a lui appropriandosi una frase detta da Dio stesso al suo popolo, secondo il Sal 80, 11: «...apri la tua bocca... e io la riempirò...» (n. 8). Egli, prima così cauto per il timore che il forestiero non riconoscesse sufficientemente la trascendenza della Parola di Dio e la propria miseria di fronte ad essa, diviene improvvisamente tanto audace da immedesimarsi con Dio stesso, pronunciando come proprie le parole da lui rivelate. Il medesimo Poemen altra volta disse: «Sta scritto: Testimonia ciò che i tuoi occhi banno visto (Prv 25, 7). Ma io vi dico:
non rendete testimonianza nemmeno di ciò che toccate con mano...» (n. 114). Questo esempio è veramente al limite, perché l’anziano si appropria delle parole: «sta scritto... ma io vi dico» (Mt 5, 21.27.31, ecc.), con cui il Cristo nel discorso della montagna si autoafferma come il Signore della rivelazione veterotestamentaria e come il suo unico interprete autorizzato.
Ma si ritorna così al punto lungamente esaminato in pre-
cedenza (pp. 56-59): la consapevolezza degli anziani di essere
conformati al Cristo nella sua umiliazione e nella sua glorificazione, e in lui deificati. Se l’uomo è così trasformato in Dio da essere veramente un «altro Cristo», non un’immagine, ma una presenza reale e privilegiata di lui, egli parla parole di Dio, sia che pronunci parole della Scrittura, sia che dica parole che nascono dal suo cuore. La Parola di Dio non perde la sua trascendenza e il suo mistero, ma è come deposta nell’uomo così deificato; cessa qualsiasi antinomia con la parola dell’uomo. Il perno del discorso è sempre la centralità dell’incarnazione, che fa cam-
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Introduzione
minare in novità di vita (cf. Rm 6, 4) e rende cristiformi: «santi, in cui parla il Cristo», come un altro apoftegma afferma (N 597). Non vi è confusione indifferenziata, ma continuità e assi-
milazione profonda fra la Parola di Dio e la parola dei santi così trasformati dal suo Spirito. Vale la pena di sottolineare il valore di due apottegmi della serie sistematica, che qui riportiamo (PJ XIV, 12 e 13 = N 290 e 388). Il valore è tanto più grande in rapporto al tema che si sta qui trattando, perché il primo è attribuito non a un anziano, ma «agli anziani» in genere, cioè alla tradizione nel suo insieme. «Gli anziani dicevano: — Se si ha fede in qualcuno e ci si abbandona alla sua obbedienza, non c’è bisogno di preoccuparsi dei comandamenti di Dio; basta abbandonare al proprio padre tutte le proprie volontà e si sarà senza colpa davanti a Dio, perché Dio ai novizi non chiede altro che il travaglio dell’obbedienza» (950b). E il secondo riguarda tutti i cristiani in genere, non delle categorie particolari. «Un anziano diceva: — Questo è ciò che Dio chiede ai cristiani, che si sotto-
mettano alle sante Scritture, poiché in esse troveranno ciò che bisogna dire e fare, e che si rimettano ai superiori e ai padri spirituali» (ibi4.). Nei due brani è manifesta questa certezza: la parola dei padri non è soltanto strettamente contigua e profondamente omogenea alla Parola di Dio, ma essi hanno nella Chiesa il carisma di essere tramiti di questa stessa Parola, vivente nella tradizione. La rivelazione contenuta nelle Scritture è unica, completa, irripetibile. Ma i santi «pneumatofori», docili all’ispirazione divina, la rendono in qualche modo presente e attuale a ogni generazione con un grado nuovo di certezza e con sempre nuove esplicitazioni. Tuttavia, finché non è giunta la consumazione finale, quando Dio sarà tutto in tutti (cf. 1 Cor 15, 28), finché il corpo della nostra umiliazione non è pienamente conforme al corpo della sua gloria (cf. Fil 3, 21), permane una dinamica di omogeneità e alterità, di unione e distinzione. Tale dinamica è
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espressa mirabilmente nel capitolo della Storia Lausiaca su Pambone (c. 10): «Interrogato su un pezzo della Scrittura o su qualche altra cosa pratica, mai rispondeva subito, ma diceva di non aver ancora trovato la risposta. Spesse volte passava anche un trimestre, e non dava risposta, dicendo di non aver ancora
capito. Perciò dava delle risposte con tanta ponderazione secondo Dio, che tutti le accoglievano con ogni timore come se venissero da Dio stesso». Quel perciò è molto importante: perché il Signore potesse mettere in lui le sue parole, era davvero necessario che egli riconoscesse la propria impotenza e implorasse con lunghissime suppliche, per lasciar passare attraverso di sé, come puro vaso, le parole del Signore.
L'umiltà profonda nel riconoscersi puri strumenti, e insieme l’intima certezza dell’ispirazione divina 88, è espressa in modo efficace da Giovanni di Gaza in un breve biglietto al vescovo, che dopo averlo interpellato su una questione ecclesiastica era rimasto stupito della sua risposta. Giovanni replica
(ep. 808): «In realtà non ho detto nulla da me stesso: ho pregato, e ho detto ciò di cui Dio mi ha dato rivelazione certa 89.
Non perché io sia capace è stata data mediante me questa risposta, perché, in caso di necessità, Dio apre la bocca anche di un’asina (Nm 22, 28)».
88 E la famosa rappnota dei santi. Vedi i richiami riportati nell’Elen-
co dei termini tecnici alla voce parrisia. 8? Sul termine tAnpodopia, di cui qui si tratta, vedi nota 6, p. 150.
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VITA E DETTI DEI PADRI DEL DESERTO
NOTA EDITORIALE
La serie alfabetica greca, tradotta integralmente in questo volume, raccoglie, come s’è detto (pp. 11s.), molti apoftegmi
attribuiti a un protagonista designato per nome. Questa serie
costituisce la più grossa raccolta greca interamente edita. Essa ha avuto numerose edizioni ed è senz’altro quella maggiormente diffusa. Il compilatore della raccolta, come egli stesso dice nel prologo (pp. 75s.), si trovava di fronte a un materiale solo in piccole parti già raggruppato, per lo più tutto da ordinare. Egli comincia a farlo nel corso del V secolo. L'enorme diffusione degli apoftegmi nei centri monastici antichi ha prodotto il moltiplicarsi dei manoscritti; nuovi codici si sostituivano a quelli precedenti, così che non si hanno più manoscritti anteriori al IX secolo. Il manoscritto base per l’edizione attualmente in uso della serie alfabetica greca è il codice di Parigi (fondo greco 1599) del XII secolo. Su di esso soprattutto si fonda la prima edizione, ad opera di J.B. Cotelier, apparsa a Parigi nel 1677, riprodotta nel Migne, PG 65, 71-440, e infine nell’edizione ateniese del 1961: Tò yepovtikov, NTot
aropbéyuata
ayiav yepovtaov, ed. Astir, a cura di P.B.
Paschos. Per la serie alfabetica, erano noti fino al 1962 altri sette manoscritti principali, che, a parte qualche omissione,
aggiunta e discrepanza nella numerazione, sono sostanzialmente concordi e attestano la presenza di una tradizione assai costante. Due di essi, quello già menzionato e un altro pure di Parigi, fondo greco 916, XI secolo, contengono soltanto la serie alfabetica. Gli altri comprendono, parzialmente o totalmente,
Nota editoriale
72
a. im on an l’ e ca ti be fa al l’ oè le due serie greche principali, ci
y Gu l de a um st po a er op me co Recentemente però è stata edita,
o ic it cr o st te l de e rt pa a im e frutto di suoi collaboratori, la pr o nd co se , 7) 38 C (S a ic at em st si dell’originale greco della serie o ic un l’ ma ni no -a ca ti be fa al e altre fonti particolari. Per la seri l de 8, 44 na ri te Ca s. o ec gr o ic manoscritto completo è il sinait ù pi Il . di an gr o n e m o ù pi , 1004. Tutti gli altri hanno lacune e, ch , lo co se XI X6, 12 n li is Co , gi ri Pa antico è forse il codice di
C. ]. i. im on an i st te i de 6 67 n. mutilo all’inizio, s'interrompe al di i st te i de ne io iz ad tr a ll de ma le ob pr Guy, nel suo studio sul hop Ap s de e qu ec gr n io it ad tr la r su s he rc apoftegmi greci (Reche lBo s de é ét ci So , 36 a n. ic ph ra og gi ha ia id tegmata Patrum, Subs landistes, Bruxelles
1962), classificava questi otto codici con
sigle, che saranno riprese in questo volume. Riportiamo perciò lo specchietto del Guy: A = Cotslin 126
E = Parigi, gr. 916
B = Berlino, 1624
F = Atene, 504
C = Cosslin 232 D = Parigi, gr. 1599
J = Sinai, 448 L = Londra, Addit. 22508
(G = testo del Cotelier, la cui base è il cod. D)
Sulla base di questi manoscritti, il Guy completava l’edizione del Cotelier con alcuni brani ad essa mancanti, presenti invece in più d’uno degli altri codici; nella sua traduzione francese, inoltre, egli corregge la numerazione del Cotelier. Dopo il 1962 egli ha scoperto altri due codici molto importanti (Vaz:cano greco 1599 e Napoli II-C-27), rispettivamente del X e XI secolo, che forniscono nuove possibilità di correzioni e integrazioni (v. 2° ediz. di Recherches nel 1984). Ma il testo critico
greco dell’A/phabeticon, interrotto per la sua morte, che permetter di fornire agevolmente dei nuovi dati, sarà pubblicato solo tra qualche anno, ancora nelle SC. Perciò, poiché non è
Nota editoriale
73
ancora stato edito un testo greco che riproduca tutta la numerazione corretta, si è preferito in questo volume seguire la numerazione del Cotelier, segnalando fra parentesi la correzione del Guy del 1962. I testi supplementari editi dal Guy vengono aggiunti al termine del gruppo dell’anziano cui si riferiscono, in numerazione
progressiva;
es.: Giovanni
Nano
41
(Guy 17), e al termine dell’apoftegma è aggiunta fra parentesi la segnalazione S 1 (cf. p. 244) che significa trattarsi del testo supplementare n. 1 edito dal Guy nel volume Recherches. Sono state però adottate alcune correzioni del Guy ritenute più strettamente indispensabili; in tal caso viene segnalato in nota l'errore del Cotelier. In quest'edizione si è voluto premettere a ogni gruppo di apoftegmi, quando possibile, il profilo biografico del singolo anziano, nell’intento di favorire la comprensione dei testi mediante l’indicazione di qualche dato storico e ambientale e la sottolineatura di alcuni temi. Per non appesantire troppo l’apparato delle note, già abbondanti, le fonti bibliografiche, che sono richiamate molte
volte nel corso del volume, sono segnalate con un'indicazione il più breve possibile. Questo si è fatto anche perché i luoghi citati sono facilmente reperibili sulla base della pura segnalazione del numero del capitolo, dell’epistola, o simili. L'indicazione completa delle fonti principali è stata data peraltro nella lista delle sigle e abbreviazioni (pp. 5-9). Sempre per evitare l’appesantimento dell’apparato, nel corso dei profili biografici molti richiami vengono fatti nel testo e non in nota. deser to del padri i nell’ intro duzio detto ne, è si Come usavano la Bibbia secondo la versione greca dei LXX, cui la Chiesa ha sempre attribuito grande autorità, riconoscendone il valore ispirato. Talvolta il testo greco si differenzia sensibilmente dal testo ebraico oggi trascritto nelle Bibbie più diffuse. In questa edizione ci si è sempre serviti del testo greco, che talora diverge dall’ebraico anche nella numerazione. Così i salmi sono sempre stati citati secondo la numerazione dei LXX (e della Vulgata).
PROLOGO AL LIBRO DELLE PAROLE DEGLI ANZIANI!
In questo libro si raccontano la virtuosa ascesi, l’ammirabile modo di vivere e le parole dei santi e beati padri, pet inftammare ed educare a imitarli quelli che vogliono condurre una vita celeste e vogliono percorrere la via che conduce nel regno dei cieli: bisogna dunque sapere che i santi padri, zelatori e maestri di questa beata vita monastica, una volta infiammati dall’amore divino e celeste, stimarono come nulla le cose
che gli uomini ritengono buone e pregevoli, e cercarono innanzitutto di non fare niente per essere visti. Fu col nascondersi e col celare, per eccesso di umiltà, la maggior parte delle loro opere, che percorsero la via che è secondo Dio: perciò nessuno ha potuto descriverci con precisione la loro vita; tuttavia alcuni si sono dati grande pena per affidare alla tradizione scritta un po’ delle parole e delle gesta da essi compiute, non per piacere a loro, ma per risvegliare lo zelo dei posteri. Parecchi dunque, in diverse epoche, hanno messo in forma di racconto i detti e le azioni dei santi anziani, con uno stile sem-
plice e disadorno, perché essi miravano a quest'unico scopo: l’edificazione di molti. Tuttavia, molto di questo materiale, essendo mescolato e non ordinato, presenta qualche difficoltà alla mente del lettore, che non riesce ad abbracciare con la 1 Alcuni mss. portano anche altri titoli: Prologo al libro sull'ascesi dei santi anziani, oppure: Prologo del libro dei santi anziani, che è chiamato Paradiso. L'antico redattore della raccolta, in questo prologo che a lui risale, spiega le ragioni che l’hanno indotto a intraprendere quest'opera.
Prologo
76
memoria il senso sparso qua e là per il libro. Perciò siamo stati costretti a una sistemazione in ordine alfabetico, in modo che
il materiale così ordinato possa offrire, a chi lo desidera, più utile comprensione
e pronta
edificazione.
Quindi,
ciò che
riguarda il padre Antonio, Arsenio e gli altri, che cominciano per alfa, è raccolto sotto la lettera 4/fa; ciò che riguarda Basilio il Grande, Bessarione e Beniamino, è raccolto sotto la lettera
beta, e così via fino all’orzega. Ma poiché vi sono anche altre parole e azioni di santi anziani, che non presentano il nome dei protagonisti, le abbiamo raccolte in capitoli alla fine della sistemazione per alfabeto 2. Dopo aver fatto ripetute ricerche in molti libri, abbiamo posto alla fine dei capitoli quanto abbiamo potuto trovare 3, perché l’anima ricavi da tutto edificazione, e si diletti delle parole degli anziani pid dolci del miele e del succo dei favi 4, e noi, vivendo in modo degno della chiamata cui siamo stati chiamati 5 dal Signore, raggiungiamo il suo Regno. Amen.
2 Si tratta della collezione sistematica, suddivisa cioè in capitoli per argomenti, che costituisce il nucleo principale della raccolta anonima che nella maggior parte dei mss. più importanti segue la raccolta alfabetica, e qui non pubblicata. 3 Questa affermazione è molto meno chiara della precedente e ha costituito difficoltà per la critica; sembra infatti alludere a un’inchiesta successiva alla costituzione della raccolta, il che parrebbe molto strano se fosse ad opera dello stesso primo compilatore. Il Guy ha formulato l’ipotesi che la frase sia da attribuirsi a un secondo redattore, che l’abbia interpolata per motivare le innegabili aggiunte di copisti successivi (Guy, Recb. p. 15). O forse potrebbe alludere ai brani su un anziano che in alcuni mss. sono aggiunti alla fine della rispettiva lettera dell’alfabeto o seguono il gruppo di detti di un altro anziano. Oppure la frase potrebbe semplicemente riguardare le serie minori che nel nucleo più antico di anonimi seguono la raccolta sistematica. A ogni modo, rimane non del tutto chiara. 4 Sal 18 11.
> Ef4, 1.
ANTONIO IL GRANDE
Se le date tramandate dalla tradizione sono esatte, visse più di 100 anni, dal 250-51 al 356. Era nativo di un villaggio copto; di famiglia cristiana, di cultura semplice e limitata. «Frequentava con i genitori la chiesa... era sottomesso ai genitori» (Vita Antonii, 1, 3), era un giovane molto pio. Rimase presto orfano, solo con una sorellina: «aveva 18 o 20 anni e si prendeva cura della casa e della sorella» (ibid., 2, 1). Pochi mesi dopo, sentì
irresistibilmente rivolta a lui la parola del Signore al giovane ricco, che udì leggere in chiesa: «Se vuoi essere perfetto va’, vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguiti» (cf. Mt 19, 21). Per gradini successivi
si diede a una vita di preghiera e penitenza, prima in casa; poi affidò la sorella «a delle vergini fedeli, che ben conosceva, perché fosse allevata nella verginità» (Vita, 3, 1), e iniziò una vita più
solitaria nelle vicinanze del villaggio, seguendo l'esempio e l'insegnamento di un vecchio asceta che viveva da quelle parti. Vi erano infatti già persone che, da sole o in piccoli gruppi, consacravano tutta la loro vita al Signore nella verginità, penitenza e preghiera. Ma il fenomeno non aveva ancora raggiunto né particolari dimensioni, né l'aspetto di esodo dai luoghi abitati che st verificò sulla scia di Antonio; a buon diritto quindi egli ha avuto il titolo di padre del monachesimo. Il suo rapporto con quell’anziano, congiunto alla ricerca di qualche contatto con gli uomini amanti di Cristo, è una testimonianza viva di un punto
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Antonio il Grande
essenziale della vita ascetica: il doversi mettere a scuola, il non poter iniziare senza maestro. Seguì poi il ritiro di Antonio più
lontano dal mondo, in una delle tante tombe di una regione disseminata di sepolcri. Qui visse fino all’età di 35 anni, per inoltrarsi quindi nel deserto e insediarsi a Pispiy, in un fortino semidistrutto. La sua fama diventa sempre più grande, e sempre più numerosa la gente che vuole udire da lui qualche parola. Frattanto cresce in lui il desiderio, inappagato, del martirio e di una solitudine sempre maggiore. Durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, si recò ad Alessandria sperando di essere anch’egli martirizzato,
ma
non
avvenne
così.
«Serviva
tuttavia i martiri
nelle miniere e nelle carceri e, assistendo ai processi, con i suoi discorsi esortava appassionatamente i lottatori perché avessero più pronta buona volontà al martirio» (ibid., 46, 3). Placatasi la persecuzione, Antonio ritornò nella sua solitudine, ove «subiva ogni giorno il martirio della coscienza e lottava la lotta della fede» (ibid., 47, 1). Dato che molti lo molestavano insistentemente, si allontanò dal Nilo inoltrandosi ancor più nel deserto, in direzione del Mar Rosso, per fermarsi «in monte interiore» (ibid., 51, 1), nella parte più interna di una montagna che ancora oggi porta il nome di monte di S. Antonio, monte da cui si può vedere il Sinai. Questo fu l’ultimo luogo di soggiorno di Antonio, che egli non lasciò più se non per recarsi una seconda volta ad Alessandria, sollecitato dal vescovo Atanasio a intervenire a suo
sostegno, assieme ad altri, in favore dell'ortodossia nella lotta contro gli ariani 1. Tornò presto nel luogo della sua solitudine 1 L’arianesimo è un’eresia trinitaria diffusa nel TV secolo da Ario, il
quale negava che il Figlio fosse coeterno e uguale al Padre. Il concilio ecu-
menico di Nicea, nel 325, condannò questa dottrina, ma essa sarà definitivamente vinta soltanto verso la fine del secolo. Prima di essere tacitata fu
oggetto, in Medio Oriente, in Asia Minore, in Egitto, di vivaci dispute teologiche cui presero parte non soltanto «specialisti», ma anche le folle. Atanasio, vescovo di Alessandria dal 328, è il grande difensore dell’ortodossia nicena. Per cinque volte andò in esilio; la terza rimase sei anni con i monaci
del deserto.
Antonio il Grande
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ove, negli ultimi anni della sua vita, compì grandi prodigi. Previde la sua morte e ordinò ai due fedeli discepoli di seppellire il suo corpo in luogo sconosciuto a tutti, perché non avvenisse — come »
soleva accadere — che în eccessi di devozione i fedeli lo rubassero. I discepoli obbedirono; e analogamente a quanto è scritto del patriarca Mosè nella Bibbia (cf. Dt 34, 6), Atanasio scrive che «nessuno sa dov'è nascosto il corpo di Antonio» (Vita, 92, 2). Questi sono i dati essenziali di una vita che si sviluppa in modo organico verso una solitudine e un’inamersione in Dio sempre più grandi, pur non potendo Antonio evitare un certo
numero di contatti spirituali con persone che venivano a cercarlo. La Vita Antonii, scritta da Atanasio poco dopo la morte del grande eremita, ebbe subito un grandissimo successo, com'’è provato dalla testimonianza di Agostino alla cui conversione contribuî fortemente (cf. Conf., VIII, 6, 14ss.), dal fatto che în breve fu tradotta in latino, copto, armeno, siriaco, arabo, etiopico e
georgiano, e da numerose tracce del suo vasto influsso. Dalla Vita e da altre fonti risulta che Antonio scrisse — anzi quasi sicuramente dettò, non essendo in grado di scrivere direttamente — sette lettere ai monaci e alcune altre lettere di risposta all’imperatore, al vescovo, ad altri personaggi. Antonio conosceva soltanto il copto e aveva bisogno dell’interprete per rivolgersi a persone di lingua greca. La più antica versione greca è andata perduta, ma
ne abbiamo
una successiva,
insieme ad altre versioni in
diverse lingue, oltre a qualche frammento copto. «L'autenticità di queste lettere viene oggi unanimemente affermata» (VA, Cre-
maschi, p. 86, v. l'ampia bibliografia nella nota 8). In esse Antonio ribadisce la vocazione a “uscire” da tutto come Abramo e ad affaticarsi cercando il timore di Dio nella pazienza e nella quiete (I, 1, 239). Lo Spirito di conversione viene in aiuto e insegna a lottare contro l'avversario (I, 2, 240).
Queste lettere sono un
modello di teologia “pneumatica”; lo Spirito vi appare continuamente nella sua dinamica: «Lo Spirito gli attesta î suoi peccati affinché non vi ricada» (I, 4, 245). Davanti all’intercessione di
tutti i santi, che pregavano per la guarigione della profonda feri-
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Antonio il Grande
ta dell’uomo, il Padre celeste (...) disse: «Figlio dell’uomo, pre-
para quello che occorre per la prigionia (Ez 12, 3) e parti di tua volontà per l'esilio» (III, 2, 253). Nella biografia, Atanasio pone
in bocca ad Antonio un lungo discorso, per così dire programmatico, della vita ascetica: penitenza, preghiera, lotta accanita contro i demoni compiuta soprattutto col segno della croce e col nome di Cristo; vivere giorno per giorno, non volgersi indietro alla vita passata, tener fisso lo sguardo all’eternità futura; un discorso molto più breve contro l’arianesimo; alcune dispute con filosofi pagani. Antonio appare come il tipo del cristiano formato dalla Scrittura e dall'esperienza, opposto al tipo del dotto educato nella cultura ellenistica. Com'°è noto, nella Vita scritta da Ata-
nasio occupa un posto eminente l'aspetto della lotta contro i demoni, che appaiono in tutte le fogge e sono inventori di ogni sorta di astuzie. Il quadro offerto dagli apoftegmi, che, pur non essendo moltissimi sono tuttavia estremamente ben scelti e bene accostati, è più ricco e ampio di quello che risulta dalla Vita, è più vario e completo del ritratto di altri anziani, che emerge da gruppi, numericamente anche più cospicui, di apoftegmi a loro attribuiti. Il compilatore della raccolta ha voluto evidentemente aprirla con un ritratto che si distinguesse per una particolare esemplarità e pienezza. Per fare ciò non ha avuto bisogno di aggiungere altri detti di Antonio che si trovano in altre raccolte, tanto è vasta e molteplice la gamma di questi. L'intenzione programmatica del compilatore è manifesta fin dal primo brano, che è chiaramente introduttivo, non solo della figura di Antonio, ma
di tutto il mondo degli apoftegmi. Ci dipinge infatti con semplicità e forza la giornata di un monaco del deserto: giornata di solitudine, preghiera, lavoro, tentazioni. Non è possibile né elencare né riassumere le innumeri testimonianze rese ad Antonio
dalla tradizione. Basti accennare a due fra le tante: l’autore di storia ecclesiastica Socrate dice che egli aveva gli occhi degli angeli, attraverso cui si vede Dio e si coglie la sua luce (HE, IV,
25); nel Commento al Vangelo di Matteo, Giovanni Crisostomo inserisce una grande lode di Antonio: «Si consideri il grande
Antonio il Grande
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e beato Antonio, cui va ancora oggi l'ammirazione di tutto il mondo e che, nato in Egitto, è divenuto quasi uguale agli apostoli Ricordiamoci che quest'uomo santo è nato nella terra dei faraoni, senza che da questi gli derivasse alcun danno. Anzi, egli è stato ben degno della visione divina e la sua vita non è stata altro che l'esatta manifestazione di quanto Gesù Cristo aveva comandato. Coloro che leggeranno attentamente il libro che riporta la storia della sua vita, riconosceranno ciò che ora io dico “
e si renderanno conto, da molte circostanze, che egli ha avuto
anche il dono della profezia... leggete il libro della sua vita... questa lettura istillerà in voi grande virtà» (VIII, 5). 1. Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva 2 nel deserto, fu preso da sconforto 3 e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: «O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?». Ora, sporgendosi un po’, Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo
si mette seduto a intrecciare corde, e poi
ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l’angelo ché diceva: «Fa’ così e sarai salvo». All’udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò (76b; PJ VII, 1).
sti pla e in ag mm ’i un è o ert des nel o oni Ant di » uto sed are «st 2 Questo corac di le tua abi più o ent iam egg att suo nel co na mo del a ic at mm ra og ca e pr mo pri sto que in ciò Per i. ion taz ten le nel nza era sev per , ità ill nqu glimento, tra r po Co @1 xa co gre e min ter e il ent alm ter let e der ren ito fer pre è si gma fte apo ora dim me co i min ter i altr e con ent cam eri gen più to dot tra rà ver e rov alt che re, abitare, vivere, rimanere, risiedere.
3 La traduzione più propria del termine greco diknòia sarebbe «accidia», ma si è preferito usare «sconforto», perché suggerisce a chiunque un'immagine più nota. Accidia significa tristezza, tedio, negligenza, svoglia-
tezza e simili. Certamente non è tentazione esclusiva dei monaci, ma assale in
modo speciale la gente che pratica una vita monotona e solitaria.
Antonio il Grande
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2. Il padre Antonio, volgendo lo sguardo all’abisso dei giudizi di Dio 4, chiese: «O Signore, come mai alcuni muoiono giovani, altri vecchissimi? Perché alcuni sono poveri, e altri ricchi? Perché degli empi sono ricchi e dei giusti sono poveri?». E giunse a lui una voce che disse; «Antonio, bada a te stesso 5. Sono giudizi di Dio questi: non ti giova conoscerli» (76c; PJ XV, 1).
3. Un tale chiese al padre Antonio: «Che debbo fare per piacere a Dio?». E l'anziano gli rispose: «Fa’ quello che io ti comando: dovunque tu vada, abbi sempre Dio davanti agli occhi; qualunque cosa tu faccia o dica, basati sulla testimonianza delle Sante Scritture; in qualsiasi luogo abiti, non andartene presto. Osserva questi tre precetti, e sarai salvo» (PJ I, 1). 4. Disse il padre Antonio al padre Poemen: «Questa è l’opera grande 6 dell’uomo: gettare su di sé il proprio peccato davanti a Dio; e attendersi tentazioni fino all’ultimo respiro» (77a; PJ XV, 2). 5. Egli disse ancora: «Nessuno, se non tentato, può entra-
4 Cf. Rm 11, 33.
> Espressione tratta dal Vecchio Testamento (cf. Gn 24, 6; Es 23, 21s.), in cui ricorre frequentemente. Negli apoftegmi è usata come invito alla compunzione, al raccoglimento, alla vigilanza, al preoccuparsi della propria anima e non immischiarsi in cose altrui o più grandi di noi. © Come nel Vangelo è detto di Maria che ha scelto la parte buona (Lc 10, 42), e non la più buona, a significare che è la parte buona per eccellenza, senza possibilità di paragone, così qui per il monaco non si parla dell’opera più grande, ma dell’opera grande; è cioè quella grande per antonomasia. I nostri autori ripetono spessissimo che la consapevolezza della propria miseria è il fondamento di tutto. Evagrio dice: «L’inizio della salvezza è condannare se stessi» (n. 8 = S 1; cf. PJ V, 15, passi). Santa Teresa di Gesù Bambino arriverà a dire: «Sì, basta umiliarsi, sopportare con dolcezza le proprie
imperfezioni: ecco la vera santità» (L 215, Gli scritti, p. 751). Vedi anche
nota 62, p. 332.
Antonio il Grande
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re nel regno dei cieli; di fatto — dice — togli le tentazioni, e nessuno si salva» 7. 6. Il padre Pambone chiese al padre Antonio: «Che debbo fare?». L'anziano gli dice: «Non confidare nella tua giustizia 8, non darti cura di ciò che passa, e sii continente nella lingua e nel ventre». 7. Il padre Antonio disse: «Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: — Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse: — L’'umiltà» (77b; PJ XV, 3). 8. Il padre Antonio disse: «Vi sono di quelli che martoriano il corpo nell’ascesi e, mancando
di discernimento,
si
allontanano da Dio» (PJ X, 1). 9. Disse ancora: «E dal prossimo che ci vengono la vita e la morte. Perché, se guadagniamo il fratello, è Dio che guadagniamo; e se scandalizziamo il fratello, è contro Cristo che pecchiamo» 2 (PJ XVII, 2). 10. Disse ancora: «Come 1 pesci muoiono se restano all’asciutto, così i monaci che si attardano fuori della cella o si
trattengono fra i mondani, snervano il vigore dell’unione con Dio. Come dunque il pesce al mare, così noi dobbiamo correre alla cella 109; perché non accada che, attardandoci fuori, dimentichiamo di custodire il di dentro» (77c; PJ II, 1). ? Vedi Evagrio 5; cf. Poemen 13. 8 Cf. 2 Cor 1,9. 2? Cf. 1 Cor 8, 12.
10 Il tema dello stare in cella ritorna più e più volte in questa letteratura. Molto spesso anziani interrogati da monaci in difficoltà risponderanno solo questo: rimani seduto nella tua cella (cf. Arsenio 11; PJ VII, 24; 27; 34;
37, ecc.). E la «parola» che Mosè (n. 6) dirà a un fratello venuto da lui: «Sta'
seduto nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa», usando la stessa
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11. Disse ancora: «Chi siede nel deserto per custodire la
lque e, dir l’u del lla que : rre gue tre da to era lib è Dio quiete con a: sol una ane rim ene Gli . ere ved del lla que e e, lar la del par quella del cuore» (P/ II, 2).
rac per o ni to An e dr pa dal no ro ca re si li tel fra ni cu 12. Al dai o e ver o an er se re de en pr ap e i ion vis o lor contargli le o. in mm ca il o ng lu rì mo e no, asi un o an ev av i demoni; ess : ne en ev pr li sti que , no ia nz ’a ll da ro se un gi ue Quando dunq «Come mai l’asinello è morto lungo la strada?». Gli dicono: «E come l’hai saputo, padre?». Ed egli a loro: «Sono stati i per o nt pu ap noi «E : no co di Gli ». re de ve o el rm fa a ni demo a ed pr o am si n no se i rt de ie ch per : uti ven o am av er to ques d’inganno, perché abbiamo visioni che spesso si mostrano vere». Ora, con l’esempio dell’asino, l’anziano li convinse che
erano dai demoni (77d; PJ X, 2a). 13. Nel deserto c’era un tale che cacciava belve feroci; e
vide il padre Antonio che scherzava con i fratelli e se ne scandalizzò. Ma l’anziano, volendo fargli capire che occorre talvolta accondiscendere ai fratelli, gli dice: «Metti una freccia nel tuo arco e tendilo». Egli lo fece. Gli dice: «Tendilo ancora», e lo fece. Gli dice un’altra volta: «Tendilo». Il cacciatore gli dice: «Se lo tendo oltre misura, l’arco si spezza». L’anziano gli dice: «Così accade anche nell’opera di Dio: se coi fratelli tendiamo l’arco oltre misura, presto si spezzano. Perciò talvolta bisogna essere accondiscendenti con i fratelli». Ciò udendo, il cacciatore fu preso da compunzione e se ne andò molto edificato. E anche i fratelli ritornarono confortati ai loro posti (77d-80a; PJ X, 2b). locuzione, «insegnerà ogni cosa» che troviamo in bocca al Signore quando preannuncia la venuta dello Spirito (Gv 14, 26). È l’unico «regalo» che il padre Apollo chiede a un fratello disperato che stava per ritornare nel mondo: «Per oggi... ritorna nella tua cella» (PJ V, 4). Questo è un punto molto importante di una dottrina che preferisce al volontarismo una perseveranza fondata sul discernimento umile e lucido dei propri limiti (cf. anche N 17).
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14. Il padre Antonio udì di un giovane monaco che aveva compiuto un prodigio sulla strada: visti degli anziani affaticati dal cammino, aveva ordinato agli onagri di venire e di portarli fino ad Antonio. Gli anziani riferirono la cosa al padre Antonio. Dice loro: «Quel monaco mi pare una nave piena di tesori; ma non so se giungerà in porto». Dopo qualche tempo, a un tratto, il padre Antonio si mette a piangere, a strapparsi i capelli, a gemere. I discepoli gli chiedono: «Padre, perché piangi?». Ed egli: «È crollata or ora una grande colonna della Chiesa» — intendeva dire
di quel giovane monaco. «Ma andate da lui — dice — a vedere quel che è accaduto». I discepoli dunque vanno e trovano il monaco che, seduto su una stuoia, piange il peccato commesso. AI vedere i discepoli dell’anziano, egli dice: «Dite al padre che supplichi Dio di concedermi solo dieci giorni di tempo, e spero di poterne fare ammenda». Dopo cinque giorni morì (80bc).
15. Un monaco fu lodato dai fratelli presso il padre Antonio. Egli lo prese seco e lo mise alla prova per vedere se sopportava il disprezzo. Visto poi che non era capace di soffrirlo, gli disse: «Sembri un villaggio tutto adorno sul davanti e dietro devastato dai briganti» (PJ VIII, 2).
». me r pe ga re «P o: ni to An e dr pa al e ss di lo el at fr 16. Un e ur pp ne e te, di à et pi e er av io o ss po on L’anziano gli dice: «N 3). X, (PJ o» Di e ar eg pr nel ti ar gn pe im a so es st tu Dio, se non sei
to An e dr pa al ta si vi ro ce fe i an zi an ni 17. Un giorno, alcu
tme r pe o, an zi an l' a Or . pe ep us Gi e dr pa nio; c’era con loro il
e a ur tt ri Sc a ll de la ro pa a un ro lo terli alla prova, propose si no cu as Ci o. at ic if gn si il e rn de ie ch a i an ov gi cominciò dai più o an zi an l’ no cu as ci a Ma . tà ci pa ca a ri op pr espresse secondo la e dr pa al de ie ch , mo ti ul Da . o» at ov tr ra co an i ha on diceva: «N on «N : de on sp Ri . ?» la ro pa ta es qu di ci di e ch tu, «E Giuseppe: ha e ch sì, pe ep us Gi e dr pa «Il : ce di ra lo al o ni to so». Il padre An trovato la strada, perché ha detto: — Non so» (80d; PJ XV, 4).
86
Antonio il Grande
18. Dei fratelli, da Scete, vollero far visita al padre Antonio. Imbarcandosi per compiere il tragitto, trovarono un anziano che pure voleva recarsi colà; ma i fratelli non lo conoscevano. Seduti sul battello, discorrevano delle parole dei padri, e di quelle della Scrittura, e dei loro lavori; il vecchio taceva. Quando giunsero all’ancoraggio, si accorsero che anche il vecchio andava dal padre Antonio. Arrivati che furono da lui, il padre Antonio dice loro: «Avete trovato una buona compagnia in quest’anziano». É all’anziano: «Padre, ti sei trovato con dei buoni fratelli». L'anziano risponde: «Buoni lo sono; ma la loro corte è senza porta e chiunque vuole può entrare nella stalla e sciogliere l’asino». Intendeva dire che parlavano di qualunque cosa venisse loro alla bocca (81a; P] IV, 1). 19. Dei fratelli fecero visita al padre Antonio e gli dissero: «Dicci una parola: come possiamo salvarci?». L'anziano dice: «Avete ascoltato la Scrittura? E quel che occorre per voi». Ed essi: «Anche da te, padre, vogliamo sentire qualcosa». L'anziano dice loro: «Dice il Vangelo: Se uro ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra 11». Gli dicono: «Ma di far questo non siamo capaci». L'anziano dice loro: «Se non sapete porgere anche l’altra, tenete almeno ferma la prima». Gli dicono: «Neppure di questo siamo capaci». E l’anziano: «Se neppure di ciò siete capaci, non contraccambiate ciò che avete ricevuto». Dicono: «Neppure questo sappiamo fare». Allora l’anziano dice al suo discepolo: «Prepara loro un brodino: sono deboli». E a loro: «Se questo non potete e quello non volete, che posso fare per voi? C'è bisogno di preghiere» (81b).
20. Un fratello che aveva rinunciato al mondo e dato ai poveri i suoi beni, ma si era tenuto qualcosa per sé, fece visita
al padre Antonio. Il padre, sapendo il fatto, gli dice: «Se vuoi
11 Mt 5, 39.
Antonio il Grande
8/
farti monaco, va’ al tuo paese, compera della carne, legala attorno al corpo nudo e vieni qui». Così fece il fratello; e i cani e gli uccelli gli dilaniarono tutto il corpo. Quando fu giunto dal padre, questi gli chiese se avesse fatto secondo il suo consiglio: egli mostrò il suo corpo pieno di ferite. Sant’ Antonio allora gli dice: «Quelli che rinunciano al mondo e vogliono tenersi dei beni, vengono in tal modo fatti a brani lottando contro i demoni» (81c; P] VI, 1).
21. Accadde a un fratello, nel cenobio del padre Elia, di soccombere alla tentazione; cacciato di là, se ne andò sul mon-
te dove era il padre Antonio. Dopo un anno che era presso di lui, questi lo rimandò al cenobio donde era uscito; ma, veduto che l’ebbero, quelli lo ricacciarono. Egli tornò dal padre Antonio e disse: «Padre, non hanno voluto accogliermi». L’anziano allora lo rimandò con questo messaggio: «Una nave in mare è naufragata, ha perduto il carico, ed è riuscita a stento a salvarsi a terra; voi volete gettare a mare quello che è arrivato salvo a terra?». Essi, quando seppero che era stato il padre Antonio a rimandarlo, subito lo accolsero (81d-84a; PJ IX, 1).
22. Il padre Antonio disse: «Ritengo che nel corpo ci sia non a nim l’a se sce agi non che ma le, ura nat con ico fis un moto un poi C’è e. nal sio pas non eo or rp co to mo ce vuole: è il sempli e i cib con po cor il are cur e e rir nut dal ne altro moto che vie a rgi ene ta des gue san il ti, men ele sti que da bevande: riscaldato w No : eva dic o tol pos l’A che sto que di ito pos pro a È nel corpo. nel e nor Sig il che e *2, ia sur lus la è le qua nel o, inebriatevi di vin
cuo il e tir san ppe l’a dal vi te da ar Gu : oli cep dis ai Vangelo ordinò llo que o: mot zo ter un he anc c'è E 13. za rez ebb ed a pul cra in re può Si . oni dem dei oso idi inv lto ssa l’a dal to tu at mb co è di chi
12 Ff5, 18.
13 Lc 21, 34.
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Antonio il Grande
dire dunque che ci sono tre moti corporei: uno che viene dalla natura, uno dai cibi presi senza discrezione, e il terzo dai demoni» (84ab).
23. Disse ancora: «Dio non permette che contro questa generazione si scatenino guerre come contro le antiche; perché
sa che è debole e non ha forza di sopportare» (PJ X, 4).
24. Il padre Antonio, nel deserto, ebbe questa rivelazio, ico med ne sio fes pro di è ia: igl som ti che uno c'è à citt «In ne: dà il superfluo ai bisognosi, e tutto il giorno canta il trisagio con gli angeli». 25. Il padre Antonio disse: «Verrà un tempo !4 in cui gli uomini impazziranno, e al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro 15 dicendo: — Tu sei pazzo!, a motivo della sua dissimiglianza da loro» (84c). 26. Dei fratelli fecero visita al padre Antonio e gli proposero una parola del Levitico. L'anziano allora si appartò nel deserto; il padre Ammone, che ne sapeva le abitudini, lo seguì di nascosto. L’anziano, allontanatosi assai, ritto in preghiera,
gridò a gran voce !6: «O Dio, manda Mosè a spiegarmi questa parola». E gli giunse una voce, e gli parlò. Ora, il padre Ammone disse: «La voce che gli parlava l’ho udita, ma non ho compreso il senso del discorso» 17,
27. Tre padri avevano costume di andare ogni anno dal beato Antonio; due di loro lo interrogavano sui pensieri e sulla 14 Cf. Lc 17, 22; 23, 29 e par.
15 Cf. Mt 10, 21.
16 C£. Mt 27, 50; At 7, 60 e par. 17 Il padre Ammone non raggiungeva la «misura» di Antonio: qualcosa aveva udito, ma non aveva potuto capire.
Antonio il Grande
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salvezza dell’anima; il terzo invece sempre taceva e non chiedeva nulla. Dopo lungo tempo, il padre Antonio gli dice: «E tanto ormai che vieni qui e non mi chiedi nulla». Gli rispose: «A me, padre, basta il solo vederti» (84d). 28. Si racconta che un anziano chiese a Dio di vedere i
padri e li vide, ma il padre Antonio non c’era 18, Dice allora a colui che glieli mostra: «E il padre Antonio dov’è?». Gli disse: «Egli è là dove c’è Dio» (84d-854a). 29. In un cenobio, un fratello fu falsamente accusato di
impurità: e si recò dal padre Antonio. Vennero allora i fratelli dal cenobio, per curarlo e portarlo via. Si misero ad accusarlo: «Tu hai fatto questo». Ed egli a difendersi: «Non ho fatto nulla del genere». Accadde per fortuna che si trovasse colà il padre Pafnuzio Kefala; egli disse questa parabola: «Sulla riva del fiume vidi un uomo immerso nella melma fino al ginocchio; e vennero
alcuni per dargli una mano,
ma lo fecero
affondare fino al collo». E il padre Antonio, riferendosi al padre Pafnuzio, dice loro: «Ecco un vero uomo,
capace di
curare e di salvare le anime». Presi da compunzione per la parola degli anziani, essi si inchinarono davanti al fratello; poi, esortati dai padri, lo riportarono al cenobio (85ab). 30. C'è chi racconta che il padre Antonio diventò pneumatoforo 19, ma non voleva parlare, a motivo della gente: pote-
va rivelare ciò che accadeva nel mondo e gli eventi futuri.
18 Si tratta di una visione che vuole significare come il padre Antonio fosse partecipe di una gloria incomparabile nel seno di Dio. 1? Cioè portatore dello Spirito. Di fatto ogni battezzato lo è, in virtù
dell’inabitazione personale dello Spirito Santo nell’anima. Ma vi sono particolari manifestazioni carismatiche dello Spirito in anime molto purificate: profezie, visioni, guarigioni e altri prodigi. In questo senso Antonio era diventato pneumatoforo.
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Antonio il Grande
31. Un giorno, il padre Antonio ricevette una lettera dell’imperatore Costantino che l’invitava a Costantinopoli. E si mise a riflettere sul da farsi. Chiede. dunque al padre Paolo, suo discepolo: «Bisogna andare?». Gli risponde: «Se vai, ti chiami Antonio; e se non vai, padre Antonio» 20.
32. Il padre Antonio disse: «Io non temo più Dio, lo amo. Perché l’azzore caccia il timore 21» (85c; P] XVII, 1).
33. Il medesimo padre Antonio disse: «Abbi sempre davanti agli occhi il timore di Dio; ricordati di chi dd la morte e la vita 2; odiate il mondo e tutto ciò che contiene ®; odiate
ogni soddisfazione carnale; rinunciate a questa vita e vivete per Dio; ricordatevi di ciò che avete promesso a Dio, perché ve ne chiederà conto nel giorno del giudizio 24; soffrite la fame, la sete, la nudità 25, vegliate 26, affliggetevi, piangete 27, gemete nei vostri cuori; esaminatevi se siete degni di Dio; disprezzate la carne per salvare le vostre anime». 34. Un giorno, il padre Antonio fece visita al padre Ammonio sul monte di Nitria. E, dopo che si furono incontrati, il padre Ammonio gli dice: «Poiché per le tue preghiere i fratelli sono cresciuti di numero e alcuni di loro vogliono costruire delle celle lontano per immergersi nell'unione con Dio, che distanza vuoi che ci sia di qui alle celle che verranno
20 Andando,
cioè, non
nascondimento e raccoglimento. 211 GvA4, 18. 221 Sam 2,6.
23 Cf. At 17,24 e par. 24 Cf. Mt 10, 15 e par. 25 C£.1 Cor 4,11. 26 Cf. Lc 21, 36. 27 Cf. Gc 4,9.
sarebbe
stato fedele alla sua vocazione
di
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Antonio il Grande
costruite?» 28, Egli disse: «Mangiamo qualcosa all'ora nona e poi usciamo a fare un giro nel deserto per vedere il posto». Dopo che ebbero camminato nel deserto fino al tramonto, il padre Antonio gli dice: «Preghiamo e piantiamo qui una croce: qui costruiscano quelli che lo vogliono; in modo che quelli di laggiù, quando vogliano incontrarsi con questi, possano consumare la loro leggera refezione all’ora nona 29, e arrivare qui al tramonto; e quelli che partono di qui, facendo allo stesso modo, possano incontrarsi con gli altri senza averne distrazione». Ora, tale distanza è di dodici miglia (85d-88a). 35. Il padre Antonio disse: «Colui che batte un blocco di ferro, prima pensa a quel che vuole farne; se una falce, o una spada, o una scure. E anche noi dobbiamo sapere a quale virtù tendiamo, se non vogliamo faticare invano» 30. 36. Disse ancora: «Obbedienza scono le belve» 31(88b).
e continenza
ammansi-
37. Disse anche: «Ho visto monaci dopo molte fatiche cadere e uscir di senno perché avevano confidato nella loro opera e trascurato quel precetto che dice: Interroga il padre tuo ed egli te lo annunzierà 32».
28 Cf. pp. 130ss. con le note relative. 29 Era consuetudine degli asceti consumare un unico pasto al giorno, molto sobrio, all’ora nona, cioè alle 15. Dopo la preghiera del mattino, per lo più lavoravano fino all’ora nona. Dopo il pranzo si riposavano, si davano alla preghiera, alla lettura spirituale, talvolta anche agli incontri e colloqui fraterni, come risulta da questo brano. Molte ore della notte erano dedicate alla preghiera. 30 Cf. Fil 2, 16. 31 Cf. Introd.,, p. 44. 32 Dt 32, 7.
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Antonio il Grande / Arsenio
38. Disse ancora: «Quando è possibile, il monaco deve affidarsi ai padri riguardo al numero dei passi da fare e delle gocce d’acqua da bere nella sua cella; se in queste cose non vuole cadere» 33, ARSENIO
Il brano n. 42, fra i seguenti raccolti sotto il suo nome, e il lungo brano n. 1 di Romeo — appellativo per indicare la provenienza da Roma —, anche se in parte manifestamente leggendari offrono materia per qualche notizia biografica su di lui. Nato a Roma verso il 354 e ordinato diacono da papa Damaso, trascorse la giovinezza alla corte di Costantinopoli, forse come precettore dei figli dell’imperatore Teodosio, forse con altra funzione che non sappiamo bene — l'attribuzione del ruolo di precettore può darsi gli sia stata data in base a una lettura erronea dell’apoftegma n. 42 —. In ogni modo, è certo che a corte ci stette e condusse una vita di grande dissipatezza, il cui ricordo rimase per lui sempre uno stimolo a una durissima austerità. Lo strappò alla vita 33 È molto importante che il gruppo di detti di Antonio si chiuda con questi insegnamenti: sui grandi prodigi dell’obbedienza, sul grande male della volontà propria, sul comando divino di affidarsi ad altri più sapienti e provati, sulla minuta concretezza dell’obbedienza monastica, che investe anche le piccolissime cose enunciate nel n. 38. È il nucleo centrale della vita dei
monaci, lo ritroveremo a ogni pagina, è la «regola aurea» per essere senza sollecitudini e trovare la quiete (cf. Sisoes 43), è l’opera più grande di ogni altra, che procura «la corona eminente», perché richiede una violenza continua a se stessi, equivalente al martirio (cf. Zaccaria 1; Giuseppe di Tebe; Pambone 3, ecc.). Non c’è nulla di più contraddittorio alla professione monastica che la pretesa di fare la volontà propria; questo procura soltanto infelicità e afflizioni. Una volta un anziano, costretto a fare ciò che non voleva, fu poi interrogato dai fratelli: «Non ti sei afflitto, padre?». Egli disse: «La mia afflizione è se faccio la mia volontà» (N 284). È così pericoloso fare la propria volontà, che i padri giungono a dire: «Se vedi un giovane che saleal cielo con la propria volontà, prendilo per i piedi e tiralo giù, gli fa bene» (N 244 = P]J X, 111). C£. nota 77, pp. 3425.
Arsenio
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mondana una voce: «Fuggi gli uomini», e si ritirò nel «vastissi-
mo deserto» di Scete (PL 21, 453), verso il cheggio di Scete, operato da un'incursione 407, fugge a Canopo di Alessandria; quindi fuggirne poi una seconda volta al secondo
394. Al primo sacdi barbari verso il ritorna a Scete, per sacco avvenuto nel
434. Si rifugia a Tura (a sud-est dell’attuale Cairo), dove rimane fino alla morte, avvenuta nel 449 circa. Alcuni degli apoftegmi su di lui possono lasciare un po’ sconcertati per la maniera radicale in cui cercò sempre di ubbidire a quella prima voce: «Fuggi gli uomini»; ma altri ci spiegano bene la profonda verità e unità che questo aveva nel suo spirito e nella multiforme economia divina. E significativo che l'iconografia abbia amato illustrare la deliziosa scenetta descrittaci dal n. 38 (cf. PE IV, p. 95). A differenza di altri, per lui come per Antonio la stragrande maggioranza dei detti di questa raccolta è presente anche nella serie sistematica latina. Un manoscritto importante aggiunge in testa alla
raccolta il seguente brano: «Del padre Arsenio dicevano che nessuno poteva eguagliare il suo modo di vita» (Guy S 1 p. 20). Quasi nessuno dei padri del deserto è stato tanto celebrato nella letteratura ascetica, nella storiografia, ed è presente in modo così
vivo negli ambienti monastici, talora anche molto diversi, di Egitto, Palestina, Siria e Bisanzio. In Palestina, la Vita di Eutimio, maestro del grande san
Saba (cf. nota 9, p. 205), lo dichiara modello di Eutimio e ne tesse un grande elogio. Racconta che Eutimio ripeteva sempre un motto del grande Arsenio: «A che sei uscito [dal mondo]?» (n. 40), e si faceva raccontare dai padri egiziani che venivano spesso a trovarlo le virtà di Arsenio e metteva tutto il suo zelo a imitarle (c. 21). Giovanni Climaco — uno dei più grandi e sottili teorici della vita spirituale, monaco al monte Sinai nel VII secolo, autore della famosa opera La scala del Paradiso, dal cui nome greco xiîuoé fu soprannominato Climaco — lo chiama «il grande e uguale agli angeli esicasta Arsenio» ed esorta chi vive nella solitudine a ricordarsi di lui e di come egli spesso rimandava î visitatori, per non perdere «la cosa più grande», cioè la contemplazio-
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Arsenio
ne di Dio (XXVII, 185). È molto significativo il fatto che proprio Teodoro Studita, il grande patriarca della vita cenobitica a Costantinopoli all’inizio del secolo IX, un monaco cioè che viveva e faceva vivere un'esperienza monastica molto diversa da quella di Arsenio, abbia scritto per lui una non breve Laudatio, che ne celebra la vita e le virtà e riunisce i detti su di lui in un mosaico ben costruito (PG 99, 849-881). Nell’epilogo commenta la sua preghiera notturna ispirandosi al v. 12 del salmo 138 (139) e dice che in virtà delle sue preghiere la notte si illumina-
va come'il giorno. Si potrebbero aggiungere altre fonti, greche, striache, che lo additano come modello di vita ascetica e che con-
tinuano a ritornare a lui anche parecchi secoli dopo. La Patrologia Greca (PG 66, 1617-1626) contiene due brevi scritti ascetici che con un buon numero di probabilità sono a lui attribuiti: essi trattano della fuga dal mondo, della vigilanza contro gli innumerevoli attacchi dei demoni, della purificazione del nostro «uomo interiore». E certamente sua una lettera spirituale conservata in
georgiano di cui M. von Paris ha sottolineato l’importanza (Guy 1993, p. 77). Parecchi altri apoftegmi, oltre al gruppo riunito sotto il suo nome, parlano di lui o almeno lo menzionano (cf Indice dei nomi). A parte Poemen, che è citatissimo nelle lettere di Barsanufio e Giovanni (cf. p. 367), queste riprendono i detti di Arsenio più frequentemente che quelli di altri. Il n. 1, congiuntamente al n. 1 di Antonio e al n. 15 dello stesso Arsenio, è cita-
to come esempio di grande umiltà (ep. Barsanufio per concludere una lettera zione a un fratello malato e tentato: rimarrà con te e ti darà forza nel suo secoli dei secoli. Amen» (ep. 45).
126) e il n. 10 è usato da di esortazione e consola«Afferra dunque Dio; e nome. A lui la gloria nei
1. Mentre era ancora a corte, il padre Arsenio pregò Dio dicendo: «Signore, guidami nella via della salvezza». E giunse a lui una voce che disse: «Arsenio, fuggi gli uomini, e sarai salvo» (88bc).
Arsenio
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2. Ritiratosi a vita solitaria, pregò ancora con le stesse parole 34, e udì una voce che gli disse: «Arsenio, fuggi, taci, pratica la solitudine». È da queste radici che nasce la possibilità di non peccare. 3. Un giorno i demoni assalirono Arsenio nella sua cella per tormentarlo; giunsero frattanto coloro che lo servivano 35 e, stando fuori dalla cella, lo udirono gridare a Dio: «O Dio, non mi abbandonare;
non ho fatto niente di buono
ai tuoi
occhi, ma nella tua bontà concedimi di cominciare» (PJ XV, 5). 4. «Si diceva che, come a corte nessuno portava vestiti più belli di lui, così tra i monaci nessuno li portava più vili» (PJ XV, 6).
5. Un tale disse al beato Arsenio: «Come mai tanta cultura e scienza non ci servono a nulla e questi zoticoni di egiziani pos-
siedono tali virtù?». Il padre Arsenio gli dice: «A noi non serve a nulla la cultura mondana, ma questi zoticoni di egiziani hanno conquistato le virtù con le loro fatiche» (88d-89a; PJ X, 5).
6. Un giorno il padre Arsenio sottopose i suoi pensieri a un padre egiziano. Uno che lo vide gli disse: «Padre Arsenio, come mai tu che possiedi una tale cultura greco-romana interroghi sui tuoi pensieri questo sempliciotto?». Rispose: «Certo
34 Mt 26, 44.
35 Bisogna intendere questa espressione nella sua accezione più semplice, prescindendo dal significato che essa assume in rapporto alla cultura e alla struttura economica e politica della nostra società. Se un anziano
viveva isolato, tanto più se, come Arsenio, non godeva buona salute, vi erano uno o più fratelli incaricati di qualche servizio nei suoi confronti, di qualche commissione e rapporto con l’esterno. Spesse volte questo «servitore», dlKOVNTTic, non è una persona che viene saltuariamente per qualche
servizio, ma lo stesso discepolo che vive accanto all’anziano.
Arsenio
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possiedo la cultura greco-romana, ma non ho ancora imparato l'alfabeto di questo semplice contadino!» (PJ XV, 7). 7.Il beato arcivescovo Teofilo si recò una volta dal padre Arsenio in compagnia di un magistrato. Chiese all’anziano di udire da lui una parola. Dopo un attimo di silenzio, egli rispose loro: «E se ve la dico, la osserverete?». Promisero di farlo.
Disse loro l’anziano: «Dovunque sappiate ci sia Arsenio, non avvicinatevi» (89b; P} II, 4a). 8.
Un’altra
volta,
l'arcivescovo,
volendo
nuovamente
recarsi da lui, mandò prima a vedere se l’anziano gli apriva. Questi gli spiegò: «Se vieni, ti aprirò. Ma se apro a te, aprirò a
tutti, e allora non rimarrò più in questo luogo». Udendo ciò, l’arcivescovo disse: «Se andandoci lo caccio, non ci vado più»
(PJ II, 4b). 9. Un fratello chiese al padre Arsenio di dirgli una parola. L'anziano gli disse: «Lotta con tutte le tue forze perché il lavoro che fai dentro di te sia secondo Dio e così vincerai le
passioni di fuori» 36 (89c; PJ XI, 1a). 10. Disse anche: «Se cerchiamo Dio, si rivelerà a noi. Se
lo teniamo stretto, resterà presso di noi» (PJ] XI, 1b).
11. Un fratello disse al padre Arsenio: «Mi tormentano i miei pensieri dicendomi: — Tu non puoi né digiunare né lavorare: visita almeno i malati, poiché anche questo è amore [di Dio]». Riconoscendo la semente del diavolo, l’anziano gli dice:
36 «Dentro» e «fuori» sono qui usati nel senso dell’espressione di origine stoica che ritroviamo in san Paolo (cf. 2 Cor 4, 16). Equivalgono prati-
camente a «anima» e «corpo»; custodire l’una comporta la vittoria sulle passioni del corpo (cf. Agatone 8; Sincletica 25; PJ XI, 45; 50 e passi).
Arsenio
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«Va’, mangia, bevi, dormi, e non lavorare; soltanto, non allon-
tanarti dalla cella». Sapeva infatti che la fatica dello stare in cella porta il monaco ad essere ciò che deve (PJ VII, 272).
12. Diceva il padre Arsenio: «Un monaco forestiero in terra non sua non si immischi a niente e resterà in pace» (89d;
PJ X, 6).
13. Il padre Marco disse al padre Arsenio: «Perché ci sfuggi?». L’anziano gli dice: «Dio sa che vi amo. Ma non posso essere contemporaneamente con Dio e con gli uomini. Le schiere celesti che sono a migliaia e a decine di migliaia hanno un'unica volontà, mentre gli uomini ne hanno tante. Perciò non posso lasciare Dio per venire dagli uomini» (92a; PJ XVII, 5). 14. Il padre Daniele raccontava che il padre Arsenio passava tutta la notte vegliando. Quando, verso la mattina, la natura sentiva bisogno di dormire, diceva al sonno: «Vieni,
servo malvagio». Si prendeva un po’ di sonno stando seduto; ma subito si levava (PJ] IV, 2). -
15. Il padre Arsenio diceva: «Al monaco dormire un'ora, se è un lottatore» (PJ IV, 3).
è sufficiente “
16. Raccontavano gli anziani che una volta furono regalati ai monaci di Scete alcuni fichi. Dato che erano cosa da nulla, non ne mandarono al padre Arsenio, perché non si offendesse. Saputolo, l’anziano non si recò alla liturgia. «Mi avete escluso - disse — dalla benedizione mandata da Dio ai fratelli, che io
non sono stato degno di ricevere». Tutti udirono e furono edificati dall’umiltà dell’anziano. Il presbitero si recò a portargli dei fichi e lo condusse con gioia alla celebrazione comune (92b; PJ XV, 8).
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17. Il padre Daniele raccontava: «Il padre Arsenio rimase per e pan di o tin ces un to tan sol amo dav gli noi; tanti anni con o vam gia man ne lo, var tro a mo ava and ndo qua un anno e poi, anche noi» 37 (PJ] IV, 4). va ia mb ca n no o ni se Ar e dr pa il che ra co an va ta on 18. Racc il per no; ’an all ta vol a un n no se a lm l’acqua delle foglie di pa cia rec int a: ltr l’a del e rn ge un gi ag ad va ta mi li si resto del tempo, ese chi gli i an zi an Gli ta. ses a ’or all o fin va ci cu e va infatti corde ». a! zz Pu a? lm pa di lie fog le del a qu ac l’ i mb ca n ro: «Perché no e i um of pr dei io mb ca in e or od t’ es qu e ar tt ce ac o ev Rispose: «D 5). IV, PJ c; (92 o» nd mo nel to du go ho cui di i om degli ar
19. Raccontò anche questo: «Quando il padre Arsenio udiva che ogni genere di frutti era maturo, diceva: — Portatemene. Quindi ne assaggiava una volta sola un po’ di ciascuno, rendendo grazie a Dio» (PJ IV, 6). 20. Un giorno a Scete, il padre Arsenio si ammalò e perciò ebbe bisogno di una camicia: non avendo il denaro per comperarla, accettò da uno la carità e disse: «Ti ringrazio, Signore, perché mi hai concesso di ricevere la carità per il tuo nome» (92d; PJ] VI, 3). 21. Si raccontava che la sua cella era lontana trentadue miglia. Usciva raramente; altri gli prestavano i servizi necessari. Quando Scete fu devastata uscì piangendo: «Il mondo ha perso Roma e i monaci Scete» 38 (93a; PJ II, 6). 37 Praticava, cioè, un tale digiuno che di quel poco pane ne restava sempre anche per gli altri. 38 Scete fu più volte devastata dai barbari (cf. p. 93). Arsenio paragona questo grande danno per i monaci al danno costituito per il mondo dal saccheggio di Roma avvenuto nel 410 d.C. Si allude qui evidentemente al sacco successivo a questa data, cioè a quello dell’anno 434.
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22. Il padre Marco domandò al padre Arsenio: «É bene non avere alcun conforto nella propria cella? Ho visto un fratello che aveva un po’ di piantine e le stava estirpando». Il padre Arsenio rispose: «È bene, ma dipende dalle disposizioni di ciascuno: se infatti non avrà la forza di vivere così, ne pianterà delle altre» (P] X, 7
23. Il padre Daniele, discepolo del padre Arsenio, raccontò di essersi trovato una volta vicino al padre Alessandro. Questi fu preso da dolori, e per il dolore si distese supino. Accadde che il beato Arsenio venne per parlare con lui e [da lontano] lo vide disteso; come aprì bocca, gli disse: «Chi è quell'uomo di mondo che ho visto qui?». Gli dice il padre Alessandro: «Dove l’hai visto?». Risponde: «Scendendo dal monte ho guardato quaggiù nella grotta e ho visto uno che giaceva supino». Allora il padre Alessandro si inchinò davanti a lui dicendo: «Perdonami, ero io, mi avevano preso dei dolori». «Ah, eri dunque tu — gli dice l'anziano —, bene! Credevo si
trattasse di un uomo di mondo, e perciò ho chiesto» (93b).
24. Una volta il padre Arsenio disse al padre Alessandro: «Quando hai finito di spezzare i tuoi rami di palma vieni a mangiare con me. Se invece sopraggiungono
ospiti, mangia
con loro». Il padre Alessandro soleva lavorare in modo regolare e pacato. Quando giunse l’ora [di pranzo] aveva ancora dei rami; ma, volendo ubbidire alla parola dell’anziano, aspettò di
averli finiti. Intanto il padre Arsenio, visto che tardava, mangiò, pensando che avesse degli ospiti. Il padre Alessandro venne quando ebbe finito, la sera tardi. Gli chiese l’anziano: «Hai avuto ospiti?». Ed egli: «No». «Come mai allora non sei venuto?». Disse: «Mi hai detto: — Vieni quando hai finito di spezzare i tuoi rami. Per ubbidire alla tua parola non sono venuto,
perché ho appena finito». L'anziano ammirò l'esattezza della sua ubbidienza e gli disse: «Rompi subito il digiuno per giun-
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il re nde pre er pot per e e ion taz agi za sen 3° rgia litu tua alla gere
» sto pre à lir ebo ind si po cor tuo il i ent rim alt a; cqu d’a tuo po’ (93c-96a; P] XIV, 1).
cui in o og lu un in se un gi o ni se Ar e dr pa il no or gi Un 25. tel fra ai se ie ch o an zi an L' 49. o nt ve dal e ss mo e erano delle cann . no do on sp ri , e» nn ca o on «S . ?» so as ac fr to es qu to li: «Cos'è tut corac il a ic at pr o un do an qu , ità ver «In o: an zi an Dice allora l' lo più ha n no e or cu il o, ell ucc un di ce vo la e od glimento, se te es qu di so as ac fr col , voi più to an Qu o. nt me li stesso raccog canne!» (PJ II, 5). 26. Raccontava il padre Daniele: «Alcuni fratelli, dovendosi recare nella Tebaide per comperare delle reti, dissero: — Coglieremo l’occasione per vedere anche il padre Arsenio». Il padre Alessandro entrò da lui per dirgli: «Dei fratelli giunti da Alessandria vogliono vederti». Dice l'anziano: «Informati per quale ragione sono qui». Udito che erano venuti in Tebaide per le reti, egli lo riferì all’anziano. E questi disse: «Sicuramente non vedranno la faccia di Arsenio, perché non sono venuti
39 La traduzione letterale del termine greco sarebbe «sinassi». C'è un larghissimo uso di questo termine, dalla stessa Eucaristia all’ufficio divino celebrato in comune o al medesimo ufficio celebrato in privato. Qui si intende certamente la celebrazione della liturgia delle ore o ufficio divino, secondo la terminologia occidentale. Al posto di «sinassi» si trova talora un altro termine greco: akKoX0v6ia. L'espressione usata qui da Arsenio, tua sinassi, indica chiaramente che il fratello celebrava da solo l’ufficio divino pomeridiano, dopo aver terminato il lavoro e consumato il pasto. La partecipazione
o meno del singolo alla celebrazione comune dipende dal diverso grado di impegno nella vita solitaria, dalla diversa ubbidienza ricevuta dal proprio anziano o anche, sembra talora, dal discernimento personale, secondo una libertà ed elasticità conformi allo spirito orientale (cf. Poemen 168). La consuetudine più diffusa era radunarsi il sabato, la domenica e le altre feste. Comunque fosse, o in comune o in privato, la liturgia delle ore veniva celebrata fedelmente. 40 Cf. Mt 11,7.
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per me ma per il loro lavoro. Falli ristorare e congedali in pace, dicendo loro che l’anziano non può incontrarli» (96b). 27. Un fratello si recò alla cella del padre Arsenio a Scete, guardò dalla finestra e vide il vecchio che era tutto come di fuoco: era degno infatti il fratello di vedere ciò. Quando bussò, l'anziano uscì e, vedendolo fuori di sé per lo stupore, gli chiese: «Bussi da molto tempo? Non hai visto nulla qui?». Disse: «No» 41. Allora si intrattenne con lui e quindi lo congedò (96c; PJ XVIII, 1). 28. Una volta, mentre Arsenio risiedeva a Canopo, ven-
ne da Roma per vederlo una vergine di famiglia senatoriale, molto ricca e timorata di Dio. L’accolse l’arcivescovo Teofilo:
essa gli chiese di persuadere l’anziano a riceverla. Egli, recatosi da lui, lo pregò dicendo: «E venuta da Roma la tale di famiglia senatoriale e vuole vederti». Ma l’anziano non acconsentì ad incontrarla. Quando le fu riferito, ella diede ordine di sellare le cavalcature. «Confido in Dio — diceva — che lo vedrò. Non sono venuta per vedere un uomo, ve ne sono tanti in città!, ma per vedere un profeta» 4. Quando giunse presso la cella dell’anziano, questi, per disposizione divina, si trovava proprio fuori dalla cella; vedendolo, ella si gettò ai suoi piedi, ma egli la fece alzare adirato e la fissò dicendo: «Vuoi guardarmi in faccia? Ecco, guarda». Ma lei, per la vergogna, non lo guardò in faccia. Le dice l'anziano: «Non hai udito le mie opere? Queste bisogna guardare. Come hai osato intraprendere un tale viaggio? Non sai che sei una donna? Non devi uscire a tuo piacere! O forse volevi tornare a Roma a dire alle altre donne di aver visto Arsenio, perché poi riducessero il mare a una via per donne che vengono da me?». Ella disse:
41 Disse così per non urtare la riservatezza dell’anziano. 42 C£. Mt 11,9.
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«Se il Signore vuole, non permetterò che alcuna venga qui. Ma tu prega per me e ricordati di me sempre». Ma egli rispose: «Prego Dio di cancellare il tuo ricordo dal mio cuore». Udendo questo, se ne andò sconvolta. Giunta che fu in città, dal dolore le venne la febbre. Fece sapere che era malata al beato arcivescovo Teofilo, che, recatosi da lei, la pregò di dir-
gli che cosa avesse. Ed ella gli disse: «Ah! Non fossi mai venuta qui! Ho chiesto all’anziano di ricordarsi di me e lui mi ha risposto: — Prego Dio di cancellare il tuo ricordo dal mio cuore. Ed ecco, io muoio di dolore!». L'arcivescovo le rispose: «Ma non sai che sei una donna e che il nemico si serve delle donne per combattere i santi? Per questo l’anziano ti ha parlato in quel modo. Ma, per la tua anima, egli prega continuamente». Così fu guarito il suo pensiero e se ne tornò a casa con gioia (96c-97b; PJ II, 7). 29. Il padre Daniele raccontò che una volta venne dal padre Arsenio un funzionario a portargli il testamento di un senatore suo parente che gli aveva lasciato un’eredità molto cospicua. Preso il testamento, Arsenio stava per strapparlo, quando il funzionario cadde ai suoi piedi dicendo: «Non strapparlo, ti supplico, mi costerebbe la testa!». E il padre Arsenio gli disse: «Io sono morto prima di lui e lui è morto appena ora!». E mandò indietro il testamento senza accettare nulla (97c; PJ VI, 2).
30. Raccontavano di Arsenio che il sabato sera, quando già spuntava la domenica, volgeva le spalle al sole e stendeva le mani al cielo in preghiera, finché di nuovo il sole gli risplendeva in viso; allora soltanto si metteva seduto (PJ XII, 1).
31. Del padre Arsenio e del padre Teodoro di Ferme si raccontava che più di tutti gli altri odiavano la gloria umana: solo di rado il padre Arsenio voleva incontrare qualcuno; il
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padre Teodoro invece li incontrava, ma era come una spada 4
(PJ VIII, 3).
32. Un giorno il padre Arsenio, dopo che si era stabilito nella zona inferiore dell’Egitto, poiché lì era molestato, pensò di abbandonare la cella. Senza prendere nulla con sé, si recò dai suoi discepoli Alessandro e Zoilo di Faran. Disse ad Alessandro: «Su, imbarcati». E così fece, e a Zoilo: «Vieni con me al fiume, cercami una nave che vada ad Alessandria e quindi imbarcati anche tu per raggiungere tuo fratello». Turbato da queste parole, Zoilo tacque. Quindi si separarono; discese dunque il vecchio nella regione di Alessandria, e si ammalò gravemente. I suoi discepoli si domandavano: «Non avrà uno di noi rattristato l'anziano, e per questo si è separato da noi?». Ma non trovarono in se stessi né di avergli disubbidito, né alcun’altra causa. Una volta guarito, l’anziano si disse: «Me ne andrò dai miei padri». Imbarcatosi, giunse a Petra, dove si trovavano i suoi discepoli. Mentre era vicino al fiume, sopraggiunse una fanciulla etiope che gli toccò il mantello. Ma il vecchio la rimproverò. La fanciulla allora gli disse: «Se sei monaco, va’ sui monti». L’anziano, preso da compunzione a queste parole, diceva fra sé: «Arsenio, se sei monaco, va’ sui monti». Mentre era in questi pensieri, gli vennero incontro Alessandro e Zoilo che si gettarono ai suoi piedi. Ma anche l’anziano si gettò a terra e piansero tutti. Poi l'anziano chiese: «Non avevate udito che ero malato?». Dissero: «Sì». Disse l'anziano: «E perché non siete venuti a trovarmi?». Dice il padre Alessandro: «Della tua separazione da noi non ci si rese ragione. Molti non ne furono edificati e dissero: — Se non avessero disubbidito all’anziano, egli non si sarebbe separato da loro». Egli disse: «Questa volta la gente dirà: — La colomba non trovò riposo ai
4 Diceva cioè parole taglienti.
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suoi piedi e ritornò da Noè, nell’arca 44». A queste parole furono confortati, e rimase con loro fino alla morte (97a-100c; P} XV, 9a).
33. Disse il padre Daniele: «Il padre Arsenio ci raccontò questa storia come accaduta a un altro, ma probabilmente era lui stesso. Giunse una volta a un anziano seduto nella sua cella una voce: — Vieni e ti mostrerò le opere degli uomini. Egli si alzò e uscì. Lo condusse allora in un luogo ove gli mostrò un etiope che tagliava legna e ne faceva una grande catasta. Tentava poi di portarla, ma non vi riusciva. Invece di toglierne una parte, ricominciava a tagliare legna e ad aggiungerla al mucchio. Così fece a lungo. Procedettero un po’ e gli mostrò un uomo che attingeva acqua da un pozzo per versarla in un recipiente forato che riversava la stessa acqua nel pozzo. Gli dice ancora: — Vieni, ti mostrerò un’altra cosa. É vede un tempio e due uomini a cavallo che portavano un palo trasversalmente, l'uno di fronte all’altro. Avrebbero voluto entrare per la porta, ma non potevano perché il legno era trasversale e nessuno dei due si umiliava a mettersi dietro all’altro per portare il palo diritto. E per questo rimanevano fuori dalla porta. — Ecco, dice, portano con superbia quella specie di giogo che è la giustizia e riflutano l'umiliazione di correggersi per percorrere la via umile di Cristo 45; per questo rimangono fuori del regno di Dio. Colui che taglia la legna è un uomo immerso in molti peccati, il quale, invece di convertirsi, vi accumula sopra nuove iniquità. Colui che attinge l’acqua è un uomo che compie buone azioni, ma, poiché sono commiste a malvagità, anche le opere buone vanno perdute. Bisogna che ognuno vigili sulle proprie azioni, per non faticare invano» 46 (100c-101a; PJ XVIII, 2).
44 Cf. Gn 8,9. 4 Cf. Mt 5, 20 e 11, 29s. 46 Cf. Fil 2, 16.
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34. Ancora Daniele raccontava che una volta vennero da Alessandria alcuni padri per vedere il padre Arsenio. Uno di essi era zio del vecchio Timoteo, arcivescovo di Alessandria, detto «il povero», e aveva con sé uno dei suoi nipoti. Ma l'anziano non stava bene e non volle incontrarli, perché non venissero poi altri a disturbarlo. Si trovava allora presso Petra di Tura. Ed essi se ne ritornarono afflitti. Sopravvenne poi un'incursione di barbari, ed egli si trasferì nelle regioni inferiori. Saputolo, essi ritornarono da lui per vederlo e furono accolti con gioia. E disse a lui il fratello che era con loro: «Non sai, padre, che siamo venuti a trovarti a Tura e non ci hai ricevuti?». «Voi avete gustato del pane e bevuto dell’acqua — gli dice l'anziano —; io invece, o figlio, in verità non ho gustato né pane né acqua né mi sono messo a sedere, per castigare me stesso,
finché non ho appreso che eravate giunti a casa vostra, perché per causa mia vi eravate disturbati; ma perdonatemi fratelli». Se ne andarono consolati (101bc).
35. Il medesimo raccontava che un giorno il padre Arsenio lo chiamò e gli disse: «Da’ sollievo a tuo padre, perché egli, quando giungerà presso il Signore, preghi per te e te ne venga del bene». 36. Del padre Arsenio raccontavano che un giorno in cui era ammalato a Scete, il presbitero lo portò in chiesa e lo adagiò su un tappeto, ponendogli sotto al capo un piccolo cuscino. Venne un anziano a fargli visita e, vedendolo sul tappeto e con un cuscino sotto di lui, si scandalizzò. «Questo è il padre Arsenio? — disse — e su queste cose si mette a giacere?». Allora il presbitero, presolo in disparte, gli dice: «Cosa facevi al tuo paese?». «Ero pastore», rispose. «Come vivevi?». «Con molti stenti». «E ora come vivi nella tua cella?». «Ho maggiore sollevo». Gli dice allora: «Vedi questo padre Arsenio? Era precettore di imperatori nel mondo e gli stavano intorno migliaia di servi che portavano cinture d’oro, gioielli e vestiti di seta.
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Sotto di lui vi erano tappeti preziosi. Tu invece, che eri pastore, non avevi nel mondo le comodità che hai ora. Ed egli qui non ha le delizie di cui godeva nel mondo. Tu ora trovi sollievo, ed egli tribolazioni». A queste parole, fu preso da compunzione e si inchinò dicendo: «Perdonami, padre, ho peccato. Questa è realmente la strada vera, poiché costui è giunto all’umiliazione, io invece al ristoro». É se ne andò edificato (101d-104a).
37. Uno dei padri si recò dal padre Arsenio. E come bussò alla porta, il vecchio aprì credendo che fosse il suo servitore; ma quando vide che era un’altra persona, si gettò con la faccia a terra. Questi gli disse: «Alzati, padre, perché io ti possa abbracciare». E l'anziano a lui: «Non mi alzo se non te ne vai». E nonostante molte insistenze, non si alzò finché non se ne fu andato (104b).
38. Si raccontava di un fratello venuto a Scete per vedere il padre Arsenio; giunto alla chiesa, pregava i chierici di farglielo incontrare. Gli dissero: «Ristorati un poco, fratello, e poi lo vedrai». Ma egli diceva: «Non toccherò cibo prima di averlo incontrato». Gli mandarono un fratello ad accompagnarlo, perché la cella di Arsenio era molto lontana. Dopo aver bussato alla porta, entrarono, e, salutato l’anziano, si sedettero in silenzio. Disse allora il fratello mandato dalla comunità: «Io vado, pregate per me». Il fratello forestiero, che non aveva il coraggio di rivolgere la parola all’anziano, gli disse: «Vengo anch'io con te». E uscirono insieme. Lo pregò poi: «Portami dal padre Mosè, quello che prima era un ladrone» #7. Al loro arrivo, questi li ricevette con gioia e li congedò dopo un’accoglienza molto ospitale. Il fratello che faceva da guida disse all’altro: «Ecco, ti ho portato da un padre straniero e da un egiziano, quale dei due ti è piaciu4 C£. pp. 321-330.
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to di più?». «Per ora mi è piaciuto di più quello egiziano», rispose. Uno dei padri, udito ciò, pregò Dio: «Signore, spiegami questa cosa: l’uno sfugge gli uomini per il tuo nome, l’altro per il tuo nome li abbraccia». Ed ecco gli apparvero due grandi navi su un fiume e vide in una di esse il padre Arsenio, che navigava in grande quiete con lo Spirito di Dio, nell’altra vide il padre Mosè insieme a degli angeli di Dio che navigavano con lui e lo nutrivano con favi di miele (104b-105b). 39. Raccontava il padre Daniele: «Quando il padre Arsenio stava per morire, diede quest'ordine: — Non preparate agapi per me. Se mi sono preparata un’agape, la ritroverò» 48 (P] X, 9). 40. Quando il padre Arsenio fu vicino alla morte, i suoi discepoli si turbarono molto. Disse loro: «Non è ancora giunta l’ora 49. Quando giungerà 59, ve lo dirò. Ma se darete a qualcuno il mio corpo 51, dovrò essere giudicato insieme a voi all’altare 52 del Tremendo» 53. Essi dissero: «Allora, che faremo? Poiché
non sappiamo seppellire morti». Dice loro l'anziano: «Non sapete legarmi una corda ai piedi e trascinarmi sul monte?». Sulla sua bocca c’era sempre stata questa parola: «Arsenio, a che scopo sei uscito dal mondo? Di aver parlato mi sono pentito molte volte, mai di aver taciuto». 48 All’uso, comune anche negli antichi culti egiziani, di imbandire, per la morte di un fratello, un banchetto fraterno come segno di comunione e immagine del banchetto celeste, Arsenio oppone che non importa preparare nulla per la morte: ciò che ritroveremo di là è quello che ci siamo preparati noi stessi di qui. Quasi certamente in questo caso il testo greco gioca
anche sul doppio significato del termine diyarn: sia banchetto fraterno che carità, amore.
49 Cf. Gv 17, 1. 20 Cf. Gv 16, 4.
21 Perché fosse venerato, perché ne traessero reliquie, come spesso accadeva. 92 C£. 2 Cor 5, 10. 23 Attributo divino secondo le scritture. Cf. Dt 10, 17 e par.
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In punto di morte, i fratelli lo videro piangere e gli dissero: «Davvero anche tu hai timore, padre?». Disse loro: «In verità il timore che provo adesso in quest'ora 54 mi ha sempre accompagnato da quando sono monaco». E così si addormentò (105c; PJ XV, 9b).
41. Si raccontava del padre Arsenio che per tutta la sua vita, mentre sedeva al suo lavoro manuale, teneva un pezzo di tela sul petto a causa delle lacrime che scorrevano dai suoi occhi (PJ III, 1). Quando il padre Poemen apprese la sua morte, disse piangendo: «Beato te, padre Arsenio, perché hai pianto te stesso in questo mondo; infatti, chi non piange se stesso di qua, piangerà eternamente nell’al di là. O in questo mondo per nostra scelta, o nell’altro per i tormenti, è impossibile non “N
piangere» (105cd; PJ XV, 9b). 42. Il padre Daniele raccontò di lui che non voleva mai trattare di questioni riguardanti la Scrittura, benché avesse potuto farlo se avesse voluto. Non era neppur facile che scrivesse una lettera. Quando, di tanto in tanto, veniva in chiesa,
si sedeva dietro a una colonna perché nessuno lo vedesse in viso e per non guardare a sua volta nessuno. Il suo aspetto era angelico, come quello di Giacobbe 55. Era tutto canuto, di figura elegante, asciutto. Aveva una lunga barba che gli arrivava fino al ventre, mentre le ciglia gli erano cadute dagli occhi per il pianto. Era alto, ma incurvato dalla vecchiaia. Visse novantacinque anni: quaranta nel palazzo di Teodoro il Grande, di divina memoria, come precettore dei divinissimi Arcadio e Onorio; quaranta a Scete, dieci a Tura sopra a Babilonia 24 C£. Gv 12, 27. 95 La Scrittura non dà questo attributo a Giacobbe. Può darsi esso si trovi in un testo apocrifo o in una fonte nota alla tradizione antica, che non siamo riusciti a identificare.
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di fronte a Menfi, tre a Canopo di Alessandria; e gli ultimi due ritornò a Tura, dove morì, compiendo la sua corsa 56 nella
pace e nel timore di Dio, poiché era un uomo buono, pieno di Spirito Santo e di fede 3. «Mi ha lasciato il suo mantello di pelle, un cilicio di pelo bianco e sandali di fibra di palma. E io indegno li ho indossati, per riceverne benedizione» (105d-
108b: P] XV, 10).
43. Del padre Arsenio raccontò ancora il padre Daniele: «Una volta chiamò i miei padri Alessandro e Zoilo e si umiliò dinanzi a loro dicendo: — Poiché i demoni mi fanno guerra e non so se si impadroniscano di me nel sonno, lottate con me questa notte e fate attenzione che io durante la veglia non mi assopisca. L'uno si sedette alla sua destra, l’altro alla sinistra, restando in silenzio fin dalla sera. Raccontarono poi i miei padri: — Noi ci addormentammo e poi ci ridestammo, e non ci accorgemmo se egli avesse preso sonno. All’alba, Dio sa se fece a posta perché pensassimo che si era addormentato, o se in realtà era stato vinto dal sonno, sospirò tre volte, si alzò subito e disse: — Mi sono proprio assopito. E noi rispondemmo: — Non lo sappiamo» (108bc).
44. Un giorno vennero dal padre Arsenio degli anziani che insistettero molto per incontrarlo. Egli aprì, ed essi lo pregarono di dir loro una parola su coloro che praticano la solitudine e non si incontrano con nessuno. Disse: «Finché la vergine è in casa di suo padre, molti vorrebbero sposarla; ma, dopo che ha preso marito, non piace a tutti: alcuni la disprezzano, altri la lodano, e non è più così stimata come prima, quando era nascosta. Altrettanto accade per le cose dell’anima: se vengono propalate, non possono convincere tutti» (108cd).
56 C£.2 Tm 4,7. DI At 11,24.
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Anch’egli monaco a Scete, dopo esserlo stato forse da giovane in Tebaide, anch'egli molto probabilmente della generazione che lasciò Scete al primo saccheggio del 407 circa. Lo ritroviamo infatti presso il Nilo, non lontano da Tura, prima che
Arsenio vi si recasse dopo il secondo sacco di Scete (cf. n. 28). Questa volta la serie alfabetica riporta molti più brani che non quella sistematica, alla quale mancano alcuni dei più significati vi; permette così di identificare una figura dolcissima, «nominatissimo nella virtà dell’umiltà e della pazienza» (Vitae patrum, III, 21 38), animato da una carità davvero senza paragoni: «Se
potessi incontrare un lebbroso, dargli il mio corpo e prendere il suo, lo farei volentieri: questo è l’amore perfetto» (n. 26). Non a caso la raccolta si conclude con il famigerato episodio dell'angelo apparsogli in forma di lebbroso, inviato per mettere alla prova la sua carità e la sua pazienza. L'ultimo dei «discorsi ascetici» di Isaia di Scete (cf. p. 199) è costituito soprattutto da qualche apoftegma che presenta le figure di alcuni padri del deserto: Poemen, Amun, Sisoes, Agatone. Lo spazio di gran lunga più ampio è dedicato al discepolo di Agatone, Abramo, che racconta ad Isaia di Scete molti aneddoti sul suo maestro. Quindi conclude così: «Era pacifico con tutti i fratelli con i quali abitava, tutti l’amavano e imitavano il suo modo di vivere».
Il detto n. 1 è particolarmente caro a Barsanufio e Giovanni, che lo citano espressamente ben cinque volte, insistendo che la sfrontatezza è madre di tutte le passioni, generatrice di tutti i mali, e fa perdere al monaco tutti i suoi frutti (cf. epp. 261; 28 Si tratta di una raccolta latina di apoftegmi falsamente attribuita a Rufino, ma certamente posteriore. Riprende tanti apoftegmi delle serie più antiche, per lo più ampliandoli e diluendoli, con chiarimenti, esortazioni, applicazioni, che indeboliscono la forza dei testi. Alcune volte però le varianti sono degne di rilievo.
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340; 342; 347; 458). Doroteo di Gaza 3° si appella più volte al suo insegnamento: in due delle sue “istruzioni” ricorda le parole di Agatone vicino alla morte, il suo timore e la sua insicurezza, perché uno è il giudizio degli uomini, altro quello di Dio (n. 29; cf. Barsanufio, ep. 410), e ne trae queste ammonizioni: «Ecco,
quest'anziano ci ha aperto gli occhi per comprendere l'umiltà e ci ha indicato la via per raggiungerla» (PJ II, 37). Le medesime parole di Agatone sono riprese da Doroteo a conclusione del capitolo fondamentalissimo sul non doversi fidare del proprio giudizio. Doroteo si appella ad Agatone e conclude: «Che Dio ci protegga dal pericolo di dirigerci da noi stessi e ci renda degni di tener ferma la via dei nostri padri» (Ins. V, 68). 1. Il padre Pietro, discepolo del padre Lot, raccontò che si trovava un giorno nella cella del padre Agatone, quando un fratello venne a dirgli: «Voglio abitare insieme ad altri fratelli. Dimmi in che modo devo vivere con loro». L'anziano gli rispose: «In tutti i giorni della tua vita considerati straniero come il primo giorno in cui ti sei unito a loro, per non avere mai con essi troppa libertà» 60, Il padre Macario gli chiede: «Ma che cosa fa que-
59 Nato probabilmente ad Antiochia all’inizio del VI secolo, entrò in giovane età nel monastero dove viveva Seridos (cf. p. 276); l’epistolario di Barsanufio e Giovanni comprende più di un centinaio di lettere a lui indirizzate, le quali ci mostrano la semplicità e totalità con cui apriva la sua coscienza agli anziani. Ebbe importanti incarichi nel monastero: portineria, accoglienza degli ospiti, infermeria e direzione spirituale dei fratelli. Il suo figlio spirituale più famoso — di cui è rimasta una breve biografia, probabilmente ad opera dello stesso Doroteo — è Dositeo, un vero «piccolo», giunto molto avanti nell’abbandono, nell’infanzia spirituale. Dopo la morte di Seridos e di Giovanni e la reclusione definitiva di Barsanufio, Doroteo fondò egli stesso un cenobio. Abbiamo di lui diverse lettere e diciassette istruzioni spirituali su vari temi della vita ascetica.
60 Il termine greco corrispondente, tappnoia, significa etimologicamente «dire tutto», cioè libertà di parola, e da qui confidenza, sicurezza, coraggio. E usato molte volte nel Nuovo Testamento, per lo più per indicare
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sta libertà?». Gli dice l’anziano: «La troppa libertà è simile a un violento scirocco che, quando arriva, tutti lo fuggono e distrugge i frutti degli alberi». Il padre Macario gli dice ancora: «E dunque così nociva la troppa libertà?». E il padre Agatone: «Nessun’altra passione è più nociva della troppa libertà: è la madre di tutte le altre; il monaco operoso deve guardarsene, anche se vive solo nella sua cella» (108d-109b; PJ X, 8).
2. Il padre Agatone disse: «Il monaco non deve permettere alla sua coscienza di accusarlo in alcuna cosa» (PJ XI, 2a). 3. Disse anche: «Non si può progredire nemmeno in una virtù senza osservare i comandamenti di Dio» 61.
4. Disse anche: «Non mi sono mai addormentato avendo rancore contro qualcuno; e, per quanto mi era possibile, non ho permesso che qualcuno si addormentasse avendo del rancore contro di me» (P] XVII, 6).
5. Si diceva che alcuni si recarono dal padre Agatone, poiché avevano sentito parlare del suo grande dono di discernimento. Per metterlo alla prova e vedere se si adirava, gli dicono: «Tu sei Agatone? Abbiamo sentito dire che sei fornila confidenza dei santi davanti a Dio o la sicurezza, in lui e per lui, della predicazione apostolica. Negli apoftegmi si trova alcune volte in questo senso positivo (cf. Evagrio 1: «familiarità» con Dio Padre, il suo Cristo, gli angeli, i santi; Pambone 14: «accesso sicuro» davanti a Dio; Iperechio 8: «franchezza» di fronte al Crocifisso); ma altre volte il termine è usato, come qui, in senso negativo, nel senso di spavalderia, sfrontatezza, sicurezza di sé,
indicando un atteggiamento del tutto contrario all’umiltà e alla delicatezza di chi dovrebbe sentirsi straniero e pellegrino — altro concetto che ritorna sovente —, quindi non libero di muoversi come a casa sua. 61 I comandamenti di Dio, cioè innanzitutto il decalogo consegnato a Mosè (cf. Es 20, 2ss.), sono la legge fondamentale posta da Dio; non si può
presumere di scavalcarla, non si può progredire in una sola virtù se non su questa base che il Signore ha posto.
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catore e superbo». Risponde: «Sì, è vero». «Tu sei Agatone, chiacchierone e pettegolo?». «Lo sono». Dicono di nuovo: «Tu sei Agatone, l’eretico?». «Non sono eretico», risponde. Lo pregarono: «Spiegaci perché, quando ti abbiamo accusato di cose tanto gravi, tu le hai accettate, e questa sola non l’hai sopportata». Disse loro: «Delle prime io stesso mi accuso, ed è utile all'anima mia, ma l’eresia è separazione da Dio e io non voglio essere separato da Dio». Udendo ciò, ammirarono il suo discernimento e se ne andarono edificati (109c; PJ X, 10).
6. Del padre Agatone raccontavano che impiegò molto tempo assieme ai suoi discepoli per costruire una cella. Quando l’ebbero finita, cominciarono ad abitarvi, ma già dalla pri-
ma settimana vide qualcosa che gli pareva non giovasse, e disse ai suoi discepoli: «A/zatevi, andiamo via di qui!» 6. Ne furono molto turbati e dissero: «Se proprio avevi l’intenzione di andartene, perché abbiamo tanto faticato per costruire la cella? La gente si scandalizzerà di nuovo e dirà: — Ecco, questi instabili, che se ne vanno di nuovo!». Vedendoli così avviliti,
egli disse loro: «Se anche alcuni si scandalizzeranno, altri, a loro volta, saranno edificati e diranno: — Beati costoro che per amore di Dio se ne sono andati disprezzando tutto. Comunque, chi vuole venire venga. Io adesso vado». Allora si gettarono a terra, pregando che permettesse loro di partire con lui (109d-112a; PJ VI, 4).
in e er av a nz se va ci us so es sp che lui di ra co an e 7. Si dic tasca nient'altro che il suo temperino. 8. Domandarono una volta ad Agatone: «Cosa vale di più, la fatica del corpo o la custodia del cuore?». L'anziano rispose: «L'uomo è come un albero: la fatica del corpo sono le
62 Gv 14,31.
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foglie, la custodia del cuore ® il frutto. Ora, poiché com'è
scritto: Ogni albero che non produce buon frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco *, è chiaro che tutto il nostro impegno deve snece è Ma ito. spir ro nost il e odir cust a cioè to, frut tendere al la cioè ie, fogl e dell to men rna l’o e ne ezio saria anche la prot fatica del corpo» (112b; P] X, 11a). a vit la nel , re ad «P e: on at Ag e dr pa al ro se ie ch li 9. I fratel o: lor ce Di ?». ica fat re io gg ma de ie ch ri tù vir spirituale quale me co de an gr ì cos ica fat sia vi n no o ns pe ma , mi te «Perdona ci mi ne i e, ar eg pr e ol vu mo uo l’ do an qu i, att Inf . Dio e ar preg aost ì cos no so la nul da che o nd pe sa n be o, rl di pe im di o an cerc nre ap tr in mo uo l’ a er op i as si al Qu a. er hi eg pr la dal me co ati col ea inv er hi eg pr La . ete qui à lA er ed ss po a, ess a in er ev rs pe se da, ce richiede lotta fino all’ultimo respiro» (112bc; PJ XII, 2). 10. Il padre Agatone era saggio nell’intelletto, operoso nel corpo, autosufficiente in tutto, nel lavoro manuale, nel cibo e nel vestito (P] X, 11b). 11. Il padre Agatone passeggiava un discepoli, quando uno di essi vide per terra chia verde. E gli chiese: «Padre, permetti L’anziano lo guardò stupito: «Sei stato tu «No», rispose il fratello. L’anziano gli disse: que prendere ciò che non hai messo tu?» (PJ
giorno con i suoi una piccola cicerche la prenda?». a metterla qui?». «Come vuoi dunIV, 8).
63 Il testo greco non dice in questo caso «cuore», ma «di dentro»,
«interno» (€vSov), nel senso che abbiamo già visto (cf. nota 36, p. 96); in realtà le due formule, entrambe frequenti nella tradizione, fondamentalmen-
te si equivalgono ed esprimono un concetto da essa molto ribadito: la necessità della custodia vigilante di cuore, memoria, sentimenti raccolti in Dio, perché non si insinuino le distrazioni e non si scatenino le passioni. Un versetto di un salmo secondo i LXX, diverso dall’ebraico, offre il modello di come è la Primizia della Chiesa e di come questa dovrebbe essere: «Tutta la gloria di lei, la figlia del Re, è nell’intimo» (Sal 44, 14).
64 Mt 3, 10.
Agatone
115
12. Un fratello venne dal padre Agatone e disse: «Permettimi di vivere con te». Lungo il cammino per andare da lui aveva trovato un pezzetto di nitro e l’aveva preso. L’anziano chiede: «Dove hai trovato il nitro?». E il fratello: «L'ho trovato per strada, camminando, e l’ho preso». Gli dice l’anziano: «Se
sel venuto per vivere con me, come hai potuto prendere qualcosa che non avevi messo tu?». E lo mandò a riportarlo là donde l’aveva preso (112d-113a).
13. Un fratello domandò all’anziano: «Mi è stato dato un ordine ma colà c’è una tentazione. Vorrei andare per ubbidire, ma temo la tentazione». L’anziano rispose: «Se fosse Agatone, eseguirebbe l’ordine e vincerebbe la tentazione» (PJ VII, 2). 14. Si tenne consiglio a Scete su un certo problema e si prese una decisione. Più tardi Agatone venne e disse: «Non avete deciso bene la cosa». Gli dissero: «E tu chi sei a voler parlare?». Rispose: «Un figlio d’uomo; sta scritto infatti: Se veramente parlate di giustizia, giudicate con rettitudine, o figli degli uomini 6» (PJ X, 12).
n co ni an tre e ss vi e on at Ag e dr pa il e ch 15. Raccontavano io nz le si il e ar ic at pr a cì us ri n no hé nc fi un sasso in bocca, (113b; PJ IV, 7).
an qu e, ch o ni mo Am e dr pa l de e lui di 16. Raccontavano e , la so a lt vo a un zo ez pr il no va ce di e, rc me a ll de do vendevano e ; to da ro lo va ni ve e ch ò ci ce pa n co e io nz le si prendevano in in o an ev rg po , sa co al qu re ra mp co quando a loro volta volevano e, rc me la no va ra ti ri e o, st ie ch ri ro lo va silenzio ciò che veni
senza dire una parola.
65 Sal 57,2.
116
Agatone
17. Il medesimo padre Agatone disse: «Io non ho mai dato un’agape, ma il dare e il ricevere era per me un’agape, perché %. » uale cult ta ffer un’o è ello frat del no dag gua il che o pens il che sa co al qu va de ve do an qu e, on at Ag sso ste Lo 18. o, «N : sso ste se a va ce di e, ar ic ud gi to lu vo e bb re av suo pensiero . 3c) (11 va ta ie qu ac si ro ie ns pe suo il E . lo» far n Agatone, no e ess fac se e ch an e, bil sci ira mo uo n «U e: ch an va ce 19. Di . 13) X, (PJ © o» Di a o tt ce ac è n no i, rt mo risuscitare i
che oli cep dis due o mp te un va ave e on at Ag re pad 20. Il i viv e om «C : uno a ese chi rno gio un ; ria ita sol a vit o an conducev nella tua cella?». Egli rispose: «Digiuno fino a sera, quindi mangio due piccoli pani». L'anziano gli disse: «Buon regime, senza gran fatica». Chiese anche all’altro: «E tu come?». Rispose: «Digiuno un giorno sì e un giorno no e ogni due giorni mangio due piccoli pani». Gli dice l'anziano: «Sei teso nello sforzo, perché devi sostenere due battaglie: se uno mangia ogni giorno senza saziarsi, si aftatica; c’è invece chi un giorno digiuna e un giorno si sazia. Tu invece fai il doppio, digiuni e non ti sazi mai» (113c-116a). 21. Un fratello interrogò il padre Agatone sull’impurità.
66 Agatone afferma che non era necessario per lui imbandire un’agape, un banchetto collettivo e solenne perché l’amore — e anche qui il testo greco gioca sull’ambivalenza del termine dryorn (cf. nota 48, p. 107) — offerto ai fratelli donandosi e accogliendoli è il vero banchetto sacro in continuità con la celebrazione eucaristica, l’espressione concreta e tangibile dell’olocausto che Dio ci concede di poter fare di noi in unione a quello di Cristo suo Figlio. 67 Questo ragionamento per assurdo è sulla linea delle riflessioni dell'apostolo Paolo nel capitolo sulla carità (cf. 1 Cor 13, 1-3): la carità è il più alto dei carismi, non c'è prodigio che compensi la mancanza di carità e pazienza.
Agatone
11/
Gli dice: «Va’, getta innanzi a Dio la tua infermità e troverai quiete» 68,
22. Si ammalarono un giorno il padre Agatone e un altro degli anziani e si misero a letto in una cella. Ora, un fratello leggeva loro dal libro della Genesi, e arrivò al capitolo in cui Giacobbe dice: «Giuseppe non è più, Simeone neppure, e volete togliermi anche Beniamino; voi farete scendere con dolore la mia vecchiaia nella tomba» 69. Intervenne allora l’altro anziano: «Non ti bastano gli altri dieci, padre Giacobbe?». «Taci, anziano!, disse, il padre Agatone, se Dio giustifica,
chi potrà condannare? 70 » (116ab). 23. Il padre Agatone disse: «Se so che qualcheduno mi porta a commettere una mancanza, sia pure una persona che mi è straordinariamente cara, tronco ogni rapporto con lei».
24. Disse ancora: «Bisogna che l’uomo sia sempre intento al giudizio di Dio».
25. Giuseppe raccontò da lui un za che lo
Mentre dei fratelli parlavano sulla carità, il padre disse: «Ma sappiamo noi che cos'è la carità? 71, É che il padre Agatone possedeva un coltellino; venne fratello e lo ammirò, ed egli non lo lasciò andare senavesse preso» (116bc).
un re ra nt co in i ss te po e «S : eva dic e on at Ag e dr pa 26. Il lebbroso, dargli il mio corpo e prendere il suo, lo farei volentieri: questo è l’amore perfetto».
68 Cf, Sal 54, 23. 69 Cf. Gn 42, 36ss. 70 Rm 8, 33.
71 C£. Ec9, 1.
Agatone
118
27. Raccontavano ancora, che una volta si recò in città
per vendere della merce, e trovò in piazza un forestiero che giaceva in terra malato, senza nessuno che si curasse di lui. e to affit in cella una ndo nde pre lui, con se rima o L’anzian gli che i sold i e; ual man ro lavo del zo prez col itto l’aff pagando lui con ase Rim to. mala del cura la per va nde spe li restavano ra Allo ito. abil rist fu si non to mala il hé finc quattro mesi, l’anziano ritornò alla sua cella in pace 72 (116cdì).
28. Il padre Daniele raccontava che i suoi padri vivevano con l’abate Agatone, prima che il padre Arsenio venisse a vivere con loro. L’abate Agatone amava il padre Alessandro, perché era un asceta e nello stesso tempo un uomo dolce. Ora, accadde che tutti i fratelli lavavano i giunchi nel fiume, e il padre Alessandro li lavava con grande calma. Gli altri fratelli dissero all’anziano: «Il padre Alessandro non fa niente». Ed egli, volendo correggerli, disse a lui: «Fratello Alessandro, lavali bene, perché sono fili di lino». Udendo ciò, egli si rattristò; ma in seguito l’anziano lo consolò col dirgli: «Credi che non sappia che lo fai bene? Ma ti ho detto questo di fronte a loro per guarirli dal loro pensiero con l’esempio della tua obbedienza, fratello» (116d-117a).
29. Raccontarono che il padre Agatone si sforzava di adempiere ogni comandamento: se saliva su un’imbarcazione, imbracciava per primo il remo; quando dei fratelli si recavano da lui, subito dopo la preghiera apparecchiava la tavola con le sue mani. Era infatti pieno d’amore di Dio. Quando fu vicino alla morte, rimase tre giorni con gli occhi aperti, immobili. I fratelli lo scossero dicendogli: «Padre Agatone, dove sei?». Dice loro: «Sono dinanzi al giudizio di Dio». Ed essi: «Anche 72 Anche questa espressione è di sapore biblico, riecheggia probabilmente la frase rivolta dal Signore alle persone da lui guarite: «Va’ in pace» (cf. Mc 5, 34; Lc 7,50 e par...
Agatone
119
tu hai timore, padre?». Dice loro: «Ho cercato finora con tutte le mie forze di osservare i comandamenti di Dio; ma sono un uomo. Come posso sapere se la mia opera è stata gradita a Dio?». «Non hai fiducia nelle tue opere — dicono i fratelli — che esse siano secondo Dio?». Dice loro l'anziano: «Non mi sento sicuro di nulla fino a che non avrò incontrato Dio; una cosa infatti è il giudizio di Dio e un’altra quello degli uomini». Poiché volevano interrogarlo ancora, disse loro: «Fatemi la carità di non parlarmi più, perché sono occupato». E morì nella gioia. Lo videro salire al cielo nell’atteggiamento di chi saluta i propri amici e parenti. Aveva avuto grande vigilanza in ogni cosa, e soleva dire: «Senza una grande vigilanza, l’uomo non progredisce nemmeno in una virtù» (117bc; PJ XI, 2b).
30. Un giorno il padre Agatone si recò in città a vendere un po’ di roba e trovò sul ciglio della strada un lebbroso. Il lebbroso gli dice: «Dove vai?». E il padre Agatone: «In città a vendere merce». «Fammi la carità — gli dice l’altro — prendimi su e portami là». Se lo caricò sulle spalle e lo portò in città. «Dove vendi la roba, lasciami lì», gli disse. E così fece. Quano quant «A e: chies gli oso lebbr il tro, canes un do ebbe venduto focac una i pram «Com egli: Ed disse. o Gliel l'hai venduto?». e: chies gli E tro. canes altro un poi ette Vend cia». La comprò. pra«Com egli: Ed ». tanto «A disse: Gli o?». quant «E questo a e tutto uto vend ebbe do Quan rò. comp mi questa cosa». Gliela «dì». . vai?» ne «Te e: chies gli oso lebbr il stava per andarsene, porta e su dimi pren — allora disse gli — carità tra un’al «Fammi lo e spalle sulle ò caric lo se one Agat mi dove mi hai trovato». to edet «Ben : infine disse gli oso lebbr Il . luogo quel in riportò one Agat 74. » terra in e cielo in 73 re Signo dal sei tu Agatone 73 Cf. Gn 14, 19 e par.
che e one creazi la tutta me riassu che o biblic io binom terra: 74 Cielo e
la Scrittura scandisce dal primo versetto: «In principio creò Dio il cielo e la terra» (Gn 1, 1); ricorre anche nel testo del Padre Nostro: cf. Mt 6, 10.
Agatone / Ammone
120
alzò gli occhi e non vide nessuno: era infatti un angelo del Signore, venuto per metterlo alla prova (117cdì). AMMONE (0 AMMONAS)
Discepolo di Antonio, il quale profetizzò di lui la grandezza che avrebbe raggiunto nell'umiltà e nell'innocenza (n. 8). Per quattordici anni fu monaco a Scete e quindi vescovo; non sappia-
mo se sia lui l’Ammone successore di Antonio in Pispir, luogo del primo ritiro di Antonio; avrebbe potuto forse esserlo fra la vita a Scete e l’episcopato. Ma nomi tome il suo 0 simili al suo (Ammonio, Ammona,
Amun,
ecc.) erano
molto frequenti
e questo
non
favorisce ricostruzioni storiche sicure. Gli vengono attribuite 14 lettere indirizzate a «figli e fratelli» 75. In una di esse riprende l'insegnamento di Antonio dicendo: «Il padre Antonio ci diceva: “Non può l’uomo senza tentazioni entrare nel regno deî cieli”» (PJ IX, 3). Le lettere trattano con molta ampiezza il tema della lotta contro le tentazioni e dell’acquisizione dello Spirito Santo. Doroteo di Gaza, nel suo capitolo sul dovere di non giudicare il prossimo, riprende l'apoftegma n. 10 e lo commenta così: «Quale misericordia dimostrò, quale carità aveva quell’anima santa!... E non solo, dopo Dio, protesse il colpevole, ma anche lo guarì correggendolo al momento opportuno... Immediatamente il fratello fu preso da dolore e compunzione, immediatamente agirono sulla sua anima l'amore e la compassione dell'anziano» (Ins. VI, 76).
1. Un fratello chiese al padre Ammone: «Dimmi una parola». L’anziano gli disse: «Ecco, poniti in mente ciò che pensano i malfattori in prigione: essi domandano sempre a tut7 Conservate integralmente in siriaco e parzialmente in greco, edite nella Patrologia Orientale (PO X, 567-616); pubblicate in francese a Bellefontaine, insieme ad altre, Lettres, 1985.
Ammone
121
ti dov'è il giudice e quando verrà, e piangono nell’attesa del castigo. Allo stesso modo il monaco deve sempre essere attento, e accusare l’anima sua dicendo: — Guai a me, come potrò presentarmi al tribunale di Cristo? 76. Come potrò giustificarmi dinanzi a lui? Se tu ripeti questo incessantemente, potrai salvarti» (120a; PJ III, 2).
2. Raccontano che il padre Ammone uccise una volta un basilisco: uscito nel deserto per attingere acqua al pozzo, vide un basilisco e si gettò con la faccia a terra dicendo: «Signore, chi deve morire, io o lui?». Immediatamente. il basilisco fu
squarciato dalla potenza di Cristo (120b).
3. Il padre Ammone ha detto: «Ho trascorso quattordici anni a Scete chiedendo a Dio giorno e notte la grazia di vincere l’ira» (P] VII, 3).
4. Uno dei padri raccontò che alle Celle vi era un monaco molto laborioso, che indossava una stuoia. Si recò un giorno dal padre Ammone. L'anziano lo vide vestito di una stuoia e gli disse: «Questo non ti giova a nulla». L'altro lo interrogò: «Sono preso da tre pensieri, se vagare nel deserto, se andare in terra straniera dove nessuno mi conosca, o se invece chiudermi in
una cella, non rispondere a nessuno, e mangiare un giorno sì e un giorno no». Il padre Ammone gli disse: «Nessuna di queste tre cose ti giova. Rimani piuttosto nella tua cella, mangia un po' ogni giorno, medita incessantemente nel tuo cuore la parola del pubblicano 77, e potrai salvarti» (120bc; PJ X, 16).
5. Dei fratelli vennero a trovarsi in angustie nel luogo dove abitavano e, pensando di lasciarlo, si recarono dal padre
76 Cf. 2 Cor 5, 10.
7? Cf. Rm 14, 10 e Lc 18, 13, congiunti in questo richiamo biblico.
Ammone
122
Ammone.
Ed ecco che l'anziano era in viaggio in barca; e,
vedendoli camminare sulla riva del fiume, chiese ai barcaiuoli:
«Mettetemi a terra!», e chiamò i fratelli: «Io sono quell’Ammoa inse conv li e i cuor loro i ò sol Con . re!» anda te vole cui ne da
raatt r pe e um fi al to nu ve , ne mo Am e dr 6. Una volta il pa e es pr e al qu l ne o, it st le al ne be lo el tt ba un ò ov versarlo, vi tr rpe a av rt po as tr e ch ro, alt un e rn ge un gi ag pr so posto. Ed ecco ag vi e, dr pa tu, e ch an ni ie «V : no co di i Gl i. ol ev sone ragguard e on zi ca ar mb ’i ll ne lo so o lg sa o «I : ce di i egl Ma . gia con noi» pubblica» 78. Egli aveva con sé un piccolo fascio di rami di palma, e sedeva intrecciando una corda e quindi disfacendola, finché l'imbarcazione non fu arrivata ed ebbe così raggiunto la riva. I fratelli si inchinarono davanti a lui dicendo: «Perché fai così?». Disse loro l’anziano: «Perché, avendo sempre il pensiero impegnato, io non divaghi». Ma questo è solo un esempio, per dire che dobbiamo percorrere con raccoglimento la via di Dio (120d-121a).
7. Un giorno il padre Ammone, uscito per recarsi dal padre Antonio, perse la strada. Si sedette allora per dormire un poco, quindi, alzatosi dal sonno, pregò Dio con queste parole: «Ti supplico, Signore Dio mio, non perdere la tua creatura!» 79. E gli apparve come una mano d’uomo sospesa in cielo, che gli indicò la via, finché giunse e si fermò 80 alla grotta del padre Antonio. 78 Non voleva cioè salire su un’imbarcazione privata, di lusso, in mezzo a persone altolocate. 7? Questa supplica riprende, variando il verso, una frase dell’anafora, cioè della preghiera eucaristica bizantina, attribuita a Basilio. Essa si richiama a sua volta a versetti di salmi e più specificamente al Sal 137, 8: «Non disprezzare le opere delle tue mani». 80 Cf. Mt 2,9.
Ammone
123
8. A questo padre Ammone, il padre Antonio profetizzò che doveva fare progressi nel timore di Dio; lo condusse fuori dalla cella e gli mostrò una pietra dicendogli: «Insultala e colpiscila!» 81. Dopo che ebbe fatto così, il padre Antonio gli chiese: «Forse che la pietra ha detto qualcosa?». L'altro disse: «No». E il padre Antonio a lui: «Ecco, anche tu devi arrivare a questo punto». E così avvenne: il padre Ammone fece tali progressi che per la sua grande bontà ignorava completamente il male. In questa situazione, divenuto vescovo, gli venne condotta un giorno una giovane che era incinta, e gli dissero: «Il tale... ha commesso questo. Puniscili!». Egli invece, fatto un segno di croce sul suo ventre, diede ordine di darle sei paia di lenzuoli, perché, se al momento del parto o lei o il bimbo fossero morti, non mancasse qualcosa in cui seppellirli. Quelli che l’accusavano gli dissero: «Perché fai questo? Puniscili piuttosto!». Ma egli disse loro: «Non vedete fratelli che è vicina alla morte? E cosa posso fare io?». E la congedò; né mai l'anziano osò condannare qualcuno (121bc). 9. Raccontavano che un giorno alcuni si recarono dal padre Ammone per essere giudicati da lui. Ma egli finse di essere stupido. Una donna allora disse al suo vicino: «Questo vecchio è folle!». Il vecchio la udì e, chiamatala, le disse: «Ho
fatto tanta fatica, nel deserto, per acquistare tale follia, e dovrei perderla oggi per te?» 82 (PJ XV, 12). 81 Questa esortazione all’indifferenza di fronte alle lodi e alle ingiurie, accompagnata da una simile dimostrazione pratica, si ritrova più volte: Anub 1, Macario 23. Poemen 198 (S 11) concentra questo insegnamento in una breve sentenza: «Un uomo che vive assieme ad altri deve essere come una colonna di pietra: insultato, non si adira; glorificato, non si innalza»; cf. anche N 384. 82 Il tema paolino della follia della croce (1 Cor 1, 18ss.), del farsi folli per amore di Cristo per diventare sapienti (:b:4. 3, 18; 4, 10) è uno dei grandi filoni della tradizione ascetica (cf. PJ XVIII, 19; Or 14; N 631). In Occidente,
la testimonianza più luminosa di questa follia secondo Dio è certo quella di
Ammone
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un in zo an pr a no or gi un e nn ve ne mo Am e dr 10. Il pa nve av E . ma fa a tiv cat va de go che lo tel fra un luogo dove vi era se un gi e] on zi la re in era lo tel fra l que cui on ne che la donna [c abi Gli . ma fa a tiv cat a ev av che lo tel fra del ed entrò nella cella du ra si e o on ar it ag si o, er pp se lo do an qu tanti di quel luogo, osc ve il che do en Ud la. cel sua la dal via narono, per mandarlo re ma ia ch a no ro da an lo o, og lu l que in vo Ammone si trovava la e os sc na e e rs co ac ne se lo tel fra Il perché venisse con loro. e dr pa il , ivò arr e nt ge la do an Qu te. bot donna in una grande le vol o, Di di e or am per e, , to du ca ac a er Ammone sapeva 8 cos' e ed di e te, bot la sul e tt de se si o, at tr En nascondere la cosa.
gafru ro be eb do an Qu la. cel la ta tut per ro ordine che cercasse se: dis ne mo Am e dr pa il a, nn do la e ar ov tr a nz se o tt tu er pp da to «Che cosa significa questo? Dio vi perdoni!». E dopo aver e lo tel fra del no ma la e es pr di in qu ti; tut ire usc e fec li o, at preg gli disse: «Bada a te stesso 84, fratello!». Detto questo, se ne andò (121d-124a).
11. Fu chiesto al padre Ammone: «Qual è la via stretta e piena di tribolazioni?» 8. Rispose: «È questa: fare violenza ai propri pensieri e recidere le proprie volontà per amore di Dio. Questo è anche il significato delle parole: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito 86».
san Francesco d'Assisi. In Oriente, si è avuta per secoli soprattutto in Russia un’ampia diffusione di solitari formalmente denominati «folli per Cristo». 8 Non per informazione umana, ma per rivelazione divina. 84 Cf. Gn 24, 6. 8 Cf. Mt 7, 14. 86 Mt 19, 27.
Achille
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ACHILLE (0 ACHILLA)
Poco o nulla sappiamo di lui, ma la sua memoria è molto viva nella tradizione, senza dubbio per la durezza della sua vita, che emerge manifestamente dai pochi detti su di lui. Il Vitimio di cui qui si parla è certamente lo stesso del famoso episodio di Macario e i due giovani stranieri (Macario 33). Achilla è ricordato nel sinassario (cioè il calendario liturgico) in onore di Antonio (17 gennaio), con accento che oggi risuona un po’ comico,
ma resta pur significativo: «Con le armi Achille distrugge la città di quaggit, con le fatiche Achilla arricchisce la città di lassù». All’inizio della grande celebrazione quaresimale, la Chiesa bizantina festeggia la memoria dei santi asceti e menziona Achilla e Amoe chiamandoli «i fiori del deserto» 8. La sentenza con cui si chiude l'apoftegma n. 3 è stata perfino messa în versi parecchi secoli dopo da un poeta bizantino, Giovanni Geometra (PG 106, 881c), il che attesta che tale episodio sia rimasto ben vivo nella tradizione orientale.
1. Si recarono un giorno dal padre Achilla tre anziani, dei quali uno aveva una cattiva fama. Uno di essi chiese: «Padre, 87 È molto bello il fatto che, accingendosi al grande digiuno quaresimale, la Chiesa bizantina celebri nella preghiera liturgica il ricordo di molti santi, e prima di tutto degli asceti. La vigilia della prima domenica di Quaresima, le grandi odi (composizioni inniche che costituiscono la parte principale dell’ufficio del mattino) menzionano uno dopo l’altro gran parte degli anziani di questa raccolta, aggiungendo per molti un attributo: Antonio «gloriosissimo», Ammonio «teoforo», cioè portatore di Dio, Arsenio «gloria del digiuno», Ammone «pneumatoforo», cioè portatore dello Spirito, Agatone «veramente vaso di Dio», ecc. La Chiesa bizantina vuole porre dinanzi agli occhi gli esempi delle loro lotte e delle loro fatiche e invocare la loro intercessione all’inizio del cammino quaresimale, perché essi siano guide, maestri e sostegni nella lotta (vedi Triodio, sabato Tîjc Tvpivnc, orthros, odi 1-8. L’ode nona e ultima celebra la memoria dei dottori: Atanasio, Basilio, i
due Gregorio, Giovanni Crisostomo, ecc.).
Achille
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fammi una rete». «Non la faccio», rispose. Il secondo chiese: «Facci questa carità, perché possiamo avere un tuo ricordo nel nostro monastero». Ma egli rispose: «Non ho tempo». Disse poi il terzo, quello che aveva cattiva fama: «Fammi una rete, perché ose risp lui A e». padr , mani tue le con o fatt tto ogge io abbia un : arte disp in poi sero chie gli due altri Gli ». farò subito: «Te la hai e tire nsen acco to volu hai non e hier preg re nost «Perché alle o dett ho voi «A : loro e diss o zian L’an ?». detto a lui; — Te la farò che o end sap i, istat rattr siete vi non voi che non l’avrei fatto e non che bbe dire lui, a ssi face la non ce inve Se non ho tempo. zespez to ques con E ati. pecc suoi dei to sapu ho voglio perché hé perc a, anim sua la e evar soll to volu ho ce Inve a. cord remmo la non sia sommersa dalla tristezza» (124bc; PJ X, 14).
2.Il padre un po’ di mele, anziani. Bussai questi mi disse:
Vitimio raccontò: «Scesi un giorno a Scete con che mi avevano dato perché le portassi agli alla cella del padre Achilla per dargliele, ma — Ti assicuro fratello, non avrei voluto tu bus-
sassi ora alla mia cella, nemmeno se avessi avuto la manna; e
non andare in nessun'altra cella 88. Ritornerai così alla mia cella, dopo aver portato le mele alla chiesa».
3. Un giorno a Scete il padre Achilla si recò dal padre Isaia, e lo trovò nella sua cella mentre stava mangiando e versava nella scodella acqua e sale. Ma, vedendo che nascondeva la scodella dietro le corde, gli chiese: «Dimmi, che cosa mangiavi?». L'altro disse: «Perdonami, padre, perché ho tagliato dei rami, sono rientrato proprio nell’ora dell’arsura e ho messo in bocca un pezzo di pane e sale. Ma la gola era secca per l’arsura, e il pezzo di pane non andava giù; perciò sono stato costretto a versare un po’ d’acqua sul sale, per riuscire a mandar giù. Ma tu perdonami!». «Eh! — disse l’anziano —, vedete 88 Per non disturbare il raccoglimento dei fratelli.
Achille
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Isaia che mangia il brodo a Scete. Se vuoi mangiar del brodo, va’ in Egitto!» 89 (124cd; P] IV, 10).
4. Uno degli anziani si recò dal padre Achilla e vide che rigettava sangue dalla bocca. Gli chiese: «Che cos'hai padre?». L'anziano rispose: «E una parola di un fratello che mi ha rattristato; ho lottato per non dimostrarglielo, e ho pregato Dio di toglierla da me 9, Allora la parola è divenuta come sangue nel-
la mia bocca 9; sputandolo, ho avuto pace e ho dimenticato la tristezza» (125a; PJIV, 9).
5. Il padre Amoe raccontò: «Mi sono recato dal padre Achilla insieme al padre Vitimio, e l’ho udito meditare questa parola: Now temere, Giacobbe, di discendere in Egitto 9. A lungo continuò a ripetere 9 questa parola. Quando bussammo, ci aprì e ci chiese: — Da dove venite? Non osando dirgli: — Dalle Celle 9, dicemmo: — Dal monte di Nitria. — Che cosa
82 Anche Scete e le altre zone desertiche abitate dagli anziani sono in Egitto, ma talora con questa contrapposizione i padri intendono per Egitto la zona abitata, o anche, secondo la categoria biblica, la zona della monda-
nità e del peccato (cf. p. 81; Orsisio 1 e passi). 90 Cf. 2 Cor 12, 8.
91 Cf, Ez 3,3 e Ap 10, 10. 92 Gn 46,3.
93 Si è introdotto qui, la prima volta con meditare, la seconda con ripetere, lo stesso termine greco ueAetao, che non corrisponde al concetto moderno più noto e diffuso di meditazione. La peXétn dei padri consiste infatti in una vera e propria ripetizione, molto spesso anche a voce alta — come appare chiaramente in questo e in altri casi —, di un versetto biblico appreso a memoria, o di una frase di supplica più o meno direttamente ispirata alla Scrittura (cf. Ammone 1; Apollo 2). La tradizione latina ha espresso questo modo di pregare col termine molto vivo e plastico di ruzzinatio. Ct. Introd., pp. 16 e 24. 94 Gli anacoreti ritiratisi nel più lontano deserto di Scete non accoglievano facilmente visitatori. Questi temevano di dire che venivano dalle Celle,
meno lontane da Scete di Nitria. Infatti l'anziano si sente obbligato a farli entrare, perché venivano da molto lontano.
Achille / Amoe
128
ci E o. an nt lo da te ni ve hé rc pe , ese chi ci ?, voi per posso fare cor e ar ci ec tr in per o lt mo re ra vo la o mm de ve Lo fece entrare. — e. on gi ra la e en rc di di o mm de ie ch de durante la notte, e gli di a zz he ng lu a un o at ci ec tr in ho se, Da sera fino a ora, egli dis Ma to. tan re ra vo la di o gn so bi ho n 120 piedi, e certamente no ri ve ro mp ri mi e me di ro nt co ri temo che il Signore si adi equ r Pe ? fai lo n no hé rc pe ; re ra vo la ti es dicendo: — Tu potr o mm da an ne Ce e. rz fo e mi le e tt tu e sto cerco di impiegar edificati» (125ab).
e id ba Te la dal e nn ve o an zi an de an gr un ta, 6. Un’altra vol ver o at nt te no so , re ad «P se: dis gli e a, ill Ach a trovare il padre so di te». L’altro gli dice: «Ma via, anziano! Proprio verso di me sei tentato?». L’anziano per umiltà rispose: «Sì, padre». Vi era lì presso la porta un anziano cieco e zoppo. L'anziano gli disse: «Volevo stare qui alcuni giorni, ma, a causa di questo anziano, non posso». A queste parole il padre Achilla ammirò l’umiltà dell'anziano e disse: «Questa non è impurità, ma invidia dei demoni malvagi» (125bc). AMOE
È già stato menzionato accanto ad Achilla (vedi sopra). È contemporaneo di Daniele, il discepolo di Arsenio (cf. Daniele
5). Come si vede chiaramente da questi cinque apoftegmi e da quello su Giovanni, suo discepolo (p. 271), al quale solo in punto di morte disse una parola di consolazione, Amoe è certamente nella linea del grande Arsenio e da lui ha imparato a difendere con una terribile fermezza l’austerità e il raccogli mento. 1. Raccontavano che il padre Amoe, quando andava in chiesa, voleva che il suo discepolo non gli camminasse a fian-
Amoe
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co, ma a distanza. Se gli si avvicinava per interrogarlo sui suoi pensieri, come soleva fare soltanto con lui, lo allontanava subito dicendogli: «Non avvenga che, mentre parliamo di cose utili all’anima, si insinui qualche parola estranea; per questo non ti permetto di restare vicino a me» (125c; PJ XI, 3).
2. Il padre Amoe cominciò col dire al padre Isaia: «Come mi vedi ora?». Gli dice: «Come un angelo, padre». Alla fine gli chiese: «E ora come mi vedi?». «Come il Satana; infatti, anche
se le parole che mi hai detto erano buone, io le sento come una spada» 9 (125d; P] XI, 4). 3. Si raccontava che il padre Amoe dovette restare a letto malato per molti anni, e non permise mai alla sua mente di distrarsi ad osservare cosa vi fosse nella sua cella, poiché gli portavano tante cose a motivo della malattia. Anche quando il suo discepolo Giovanni entrava e usciva, egli chiudeva gli occhi per non vedere cosa facesse. Sapeva d’altronde che era un monaco degno di fiducia (125d-128a; PJ V, 11).
4. Il padre Poemen raccontò che un fratello si recò dal padre Amoe per chiedergli una parola. Ma durante tutti i sette giorni in cui si trattenne presso di lui, non ebbe alcuna risposta. Congedandolo poi, il padre Amoe gli disse: «Bada a te stesso! 9. Quanto a me, i miei peccati hanno elevato ora un muro tenebroso fra me e Dio» 27. 95 Qui il Satana è inteso proprio nel senso etimologico di accusatore,
tentatore. La Parola di Dio è una spada penetrante (cf. Eb 4, 12) che rompe dentro di noi dei falsi equilibri, degli stati di falsa pace; ci svela la nostra miseria, non senza il prezzo di sofferenze e lotte. Per questo chi la usa, anche se santo — anzi, quanto più lo è — viene sentito come accusatore e tentatore. 96 Cf. Gn 24, 6 e par. (vedi nota 5, p. 82). 27 C£. Is 59,2.
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Amoe / Ammonio il Nitriota
5. Raccontavano che il padre Amoe, dopo aver cotto cinquanta artabe 98 di pane, perché venissero usate man mano che fosse necessario, le mise al sole. Ma, prima che fossero ben secai e diss e a, vav gio gli non che sa lco qua go luo che, trovò in quel o ron sta tri rat si essi Ma ». qua di via mo dia «An : oli cep dis suoi i per sce cre rin «Vi : loro e diss ati, rist ratt to mol oli end Ved molto. stre fine le ndo cia las e gir fug uni alc o vist ho che ro icu pani? Vi ass non É ”. ena gam per di li roto tro den con sco fre verniciate di le ndo cia las no aro and ne se ma te, por le o en mm chiusero ne aperte» (128ab). AMMONIO (0 AMUN) IL NITRIOTA
È contemporaneo di Antonio. Appartiene cioè alla prima grande generazione di monaci. È il fondatore della vita monastica nel deserto di Nitria 19, nel quale si ritirò verso il 330, dopo 18 anni di vita, non coniugale ma fraterna, con la moglie che uno zio gli aveva forzatamente imposta. Palladio 101 ci racconta 98 L’artaba è un’unità di misura egiziana equivalente a più di cinquanta chilogrammi. Per esigenze di povertà e di risparmio di tempo e per amore della mortificazione, cuocevano in una volta sola una così grande quantità di pane, cioè più di venticinque quintali, lo mettevano a seccare al sole perché non ammuffisse, e mangiavano sempre pane secco. 92 Chiamavano «finestre» anche le nicchie delle grotte che servivano loro da scaffali. Tali nicchie erano o naturali, o in parte modificate, o intera-
mente scavate da loro. Quest’episodio è analogo a quello di Agatone 6, che la serie sistematica colloca nel capitolo sul «dominio di sé». 100 La fondazione del grosso centro monastico di Nitria precede quella delle Celle e di Scete. Sarà il più vicino ad Alessandria; si trovava a circa 60 miglia a sud, approssimativamente lungo il percorso Cairo-Alessandria. Per forza di cose fu sempre maggiormente a contatto con la città, più coinvolto nelle vicende ecclesiali e molto travagliato da alcune dispute teologiche (cf. p. 188). Era relativamente vicino a un centro abitato, un villaggio che si trovava dall’altra parte di un canale. 101 Palladio, nato in Galazia verso il 363, ricevette un’ampia cultura. Tra il 388 e il 390 visse ad Alessandria e dintorni, per venire a contatto con
Ammonio il Nitriota
131
così la sua prima notte di nozze: «Dopo che tutti se ne furono andati... Ammonio
dice: — In questo
luogo,
signora
mia,
ti
esporrò la mia intenzione per il resto della vita. Il matrimonio che abbiamo contratto non ha grande valore. Perciò agiremo bene se da questo momento ciascuno di noi dormirà da solo, affinché noi continuiamo a piacere a Dio custodendo intatta la nostra verginità. E tolse dal suo seno un libretto in cui parlava l’Apostolo...» (HL 8); evidentemente si tratta del cap. 7 della Prima lettera ai Corinti — e in breve persuase la sua sposa, che gli chiese però di dimorare fraternamente insieme —. Dopo 18 anni si decise anch'essa per la vita solitaria e Ammonio fu libero di ritirarsi nel deserto. Non solo egli attinse all'insegnamento e all'esempio di Antonio, ma lo stesso Antonio attingeva a lui e ne aveva grandissima stima. I due grandi — che erano separati da una distanza di circa 13 giorni di cammino — si scambiarono alcune visite; risale probabilmente all'anno 338, quando Antonio si recò ad Alessandria per sostenere la causa di Atanasio (cf. p. 78), l'episodio narrato fra i detti di Antonio (n. 34): dopo essersi consigliato con lui, Ammonio dà inizio alla fondazione delle Celle, più lontane dalla zona abitata, per chi desiderava
una maggior solitudine che non a Nitria. Questo insediamento sarà costituito da celle sparse per la maggior parte su un’area più vasta e a una più grande distanza l'una dall'altra e dalla chiesa. Anche se su di lui abbiamo così pochi apoftegmi — e probabilmente anche il n. 2 è erroneamente attribuito a lui invece che a la vita monastica. Nel 390 è a Nitria, dal 391 al 399 alle Celle: fu discepolo di Evagrio Pontico (cf. pp. 187ss.) e gli rimase accanto finché questi morì. Durante il suo soggiorno alle Celle si inoltrò pure fino a Scete. Nel 400 passò di nuovo un breve periodo ad Alessandria, quindi in Palestina. Lo troviamo poi in Bitinia, ove strinse amicizia con Giovanni Crisostomo, che
lo consacrò vescovo di Elenopoli, attuale Hersek vicino a Nicea. Tra il 419 e il 420 scrisse la Storia Lausiaca, dedicata a Lauso, ciambellano imperiale di Teodosio II; in essa raccoglie e infiota di particolari leggendari i ricordi delle sue peregrinazioni tra i monaci di Egitto e dei suoi incontri con parecchi di loro.
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Ammonio il Nitriota
Ammone o altro anziano di nome simile 102 —, altre fonti hanno lasciato memoria della sua grande fama. Atanasio di Alessandria lo ricorda nella Vita di Antonio (c. 60) e indirizza a lui una non igi prod i molt vano onta racc Si 6). -117 1169 26, (PG era lett e brev bbe sare nio, Anto are trov a o and and , volta una : ardo rigu a suo pie in o Lic e um fi del là di al e nt me sa lo co ra mi o at rt po stato tras a sm ri ca del to ta do era ed li co ra mi i lt mo a iv mp co na. Egli stesso e ri ie ns pe i i, bil isi inv ltà rea le re de ve di no do del è dioratico, cio a un che ta on cc ra 19 um or ch na Mo ia or st Hi L' gli eventi segreti. se: dis i Egl e. can un da o rs mo o mb bi un o on ar rt po gli ta vol «Rendete a quella vedova il bove che avete ucciso e il bimbo guarirà» (PJ XXII, 4). Il brano n. 3 dell’attuale serie ha lasciato molte tracce nella tradizione apoftegmatica, così che lo ritroviamo, più o meno adattato, in numerose altre raccolte: ed è un
testo basilare per la dottrina sull’ubbidienza di Doroteo di Gaza:
102 Cf. p. 120. Diversamente, bisognerebbe ammettere l'ipotesi contrastata da altri elementi (cf. pp. 366s.), di due Poemen, perché il Poemen morto verso il 440, per longevo che fosse, prima della morte di Ammonio non poteva avere più di 10-15 anni. 105 E il racconto del viaggio in Egitto di sette monaci del Monte degli Ulivi, effettuato tra il 394 e il 395. Dopo varie soste e molte peripezie, giunsero fino all’attuale Assouan, a sud di Licopoli. Uno di essi volle poi lasciare per iscritto il ricordo degli incontri avuti con molti santi anziani: «Ho visto veramente il tesoro di Dio nascosto in vasi umani e non ho voluto tenerlo segreto, celando ciò che deve edificare la moltitudine» (Prologo, 3). Secondo il genere letterario di questi scritti, molti particolari sono leggendari; altri invece coincidono con altre fonti e aggiungono dati non inutili alla storia dei padri del deserto. Molti aspetti comunque contribuiscono a far rivivere quel mondo e a mostrarci di quale ascendente e di quale seguito godevano tanti anziani. Ancora nel Prologo, l’autore dell’Historia Monachorum scrive: «...La loro fede nel Cristo è capace pure di spostare le montagne... Ed è pienamente manifesto a tutti che in virtù loro il mondo sta in piedi e il genere umano sussiste e conserva qualche valore agli occhi di Dio» (9). Al diffondersi nella tradizione di quest’opera e della Storia Lausiaca, avvennero delle contaminazioni fra i due scritti, molto simili tra loro, così che è stata tramandata anche
una storia — fino al secolo scorso ritenuta erroneamente quella di Palladio — che assomma entrambe intrecciandole, e aggiungendo altri brani ancora (PG 34, 1007-1260).
Ammonio il Nitriota
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egli lo cita nel primo Insegnamento, sulla rinuncia al mondo e alla volontà propria, per sostenere la sua affermazione che «l'obbedienza e il non avere volontà propria strappa l’uomo alla stessa morte»
(I, 22-23).
Ammonio
morì prima
di Antonio,
quindi prima del 356. Antonio previde in ispirito la sua morte e lo mandò a chiamare, dicendogli di essere spinto a questo da una irresistibile rivelazione divina «perché noi possiamo godere l'uno dell'altro e intercedere l’uno per l’altro». Gli ingiunse di restare fino alla morte, che non tardò a venire, in una grotta vicina; e alla sua morte ne vide l’anima salire in cielo (HM, XXII, 9).
Molti illustri anziani sono suoi discepoli: Beniamino, Macario Alessandrino, Pambone, Pior
1. Il padre Ammonio di Nitria si recò dal padre Antonio e gli disse: «Ecco, la mia vita è più dura della tua, come mai sei più rinomato di me?». Il padre Antonio 104 gli dice: «Perché amo il Signore più di te» (128b; PJ XVII, 3). 2. Raccontavano che una piccola quantità di orzo era sutficiente al padre Ammonio per due mesi. Si recò da lui il padre Poemen e gli disse: «Se vado nella cella del vicino, o se questi viene da me per una qualsiasi ragione, dobbiamo stare attenti che non si insinui nel discorso qualche parola estranea». «Fai bene — gli dice l'anziano — poiché la gioventù ha bisogno di 104 Di fronte al pericolo, che talora emerge, di estremizzare le pratiche ascetiche e di assolutizzarne il valore, sono molto significativi certi confronti che ridimensionano e relativizzano l’importanza attribuita all’ascesi e la subordinano all’umiltà, all’ubbidienza, alla carità. Esempi eloquenti della dialettica ascesi-carità sono presentati in altri due brevi dialoghi fra anziani famosi, Epifanio e Ilarione (cf. Epifanio 4), Giovanni Cassiano e un altro Giovanni (cf. Cassiano 4). Il cap. IV della serie sistematica latina, intitolato «Il dominio di sé», accanto a esempi di austerità molto grandi, contiene anche questi due apoftegmi (vedi pure nota 32, p. 227; Poemen 203 = $ 16;
Sincletica 16; Iperechio 4, ecc.).
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Ammonio il Nitriota
vigilanza». Gli dice poi il padre Ammonio: «Ma che cosa faceo dit gre pro o van ave che ri pad «I e: pos ris Gli ». ri? pad i o van di tro den a ers div a cos una alc né mai o van ave non ù virt nella E e». lar par e ern dov da ca boc a sull ea ran est a cos una sé, né alc i vuo no, lcu qua con e lar par o ari ess nec è que dun «Se l’altro: dei ole par le con o ura itt Scr a dell ole par le con che lo faccia tu che lio meg è , ere tac i puo non «Se : ano nzi l’a padri?». Dice in ché Per . ura itt Scr la con non e ri pad dei ole par parli con le 20). XI, PJ 8c; (12 19 o» col pic non lo ico per questo vi è un
3. Un fratello venne da Scete a dire al padre Ammonio: «Il mio padre mi manda fuori per un servizio, ma io temo di cadere in impurità». Gli dice l'anziano: «Nel momento in cui ti viene la tentazione, di’: - O Dio delle schiere 19, liberami per le preghiere del padre mio!». Ora, un giorno una ragazza
chiuse la porta dietro di lui. Il fratello gridò a gran voce 107: «O Dio del padre mio 198, liberami!». E subito 199 si trovò sulla via di Scete (128d). 10 Abbiamo visto nel parlare della Bibbia è la Scrittura, per un sacro di Ammonio è stato pure
nell’Introduzione (cf. pp. 27s.) che la reticenza uno degli aspetti del rapporto di questi padri con timore e per paura di presunzione. Questo testo considerato nell’ultimo capitolo dell’Introduzio-
ne, pp. 60s.
106 Cf. Sal 58, 6 e par. 107 C£, Mt 27, 46 e par. 108 Cf, Es 15,2. 109 La subitaneità della liberazione operata da Dio è espressa parecchie volte nei Vangeli per le guarigioni compiute da Gesù con questo avverbio €00£0c, subito, immediatamente. Certamente questo testo si richiama alla parola evangelica (cf. Mt 8, 3; Mc 5, 42 e par.). È pure uno dei testi capitali per comprendere la grande fede degli antichi monaci nella preghiera di intercessione del padre spirituale. Ammonio non prega come gli era stato suggerito: «O Dio delle schiere, per le preghiere di mio padre...», ma, più radicalmente, usando un’altra formula biblica, dice: «O Dio di mio padre».
Simile a questo è un brano della fratello, tentato da una ragazza, padre mio salvami in quest'ora» teo di Gaza riprende i due brani
serie sistematica (P7 XIV, 16 = N 293): un pregò così: «Signore, per le preghiere del (cf. Gv 12, 27). E subito fu liberato. Doronel primo dei suoi Insegnamenti e commen-
Anub
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ANUB
È il maggiore di 7 fratelli, dei quali il minore è Paisio e il più famoso e autorevole Poemen (cf. p. 366). Al primo saccheggio di Scete si rifugiarono a circa venti miglia di distanza, a Terenuti, l’attuale Tarnut, sul ramo occidentale del delta del Nilo, all’inizio della diramazione. Paisio, il fratello più piccolo, era sempre trrequieto, non aveva mai pace, le inventava tutte
per far tribolare i fratelli; gli aneddoti su di lui sono molto divertenti 110. All’inizio la guida del gruppo era andata ad Anub, il più anziano: il detto n. 1 su Anub sembrerebbe dire che gli rimase per tutta la vita, mentre la lunga raccolta su Poemen mostra chiaramente che la responsabilità era poi passata a lui. Iuttavia è pure manifesto che tra i due rimase sempre una grande comunione e collaborazione, Anub doveva essere per così dire l’«aiuto» di Poemen. Lo spassoso aneddoto dell’ediz. Nau (N 448) ci rivela la fedeltà di Anub a Poemen, il suo paterno amore per il fratellino, il suo sapiente discernimento. 1. Il padre Giovanni raccontò che i padri Anub e Poemen e gli altri loro fratelli erano figli di una stessa madre e si fecero monaci a Scete. In seguito a un’invasione dei Mazici che per primi devastarono quel luogo 1!!, essi lo abbandonarono. Giunsero in una località chiamata Terenuti, e qui pensarono come potervi vivere. Rimasero alcuni giorni nell’antico tempio. ta: «Guardate la potenza della virtù, guardate l'energia di una parola, quale aiuto procura il solo appellarsi alle preghiere del proprio padre!... Considerate che umiltà e che pietà... guardate come hanno unito l'obbedienza all’umiltà...» (I, 23). Il tema è molto caro alla tradizione; basti guardare la voce «intercessione» nell’indice dell’edizione francese delle lettere di Barsanufio e Giovanni. 110 C£. Poemen 2; 173; 180; N 448. 111 Stirpe barbara di origine libica, cui viene attribuito il primo saccheggio di Scete, nel 407-408,
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Anub
Il padre Anub disse al padre Poemen: «Fammi questa carità, tu e i tuoi fratelli: ognuno di voi stia da solo in silenzio e non incontriamoci per questa settimana». Il padre Poemen disse: «Facciamo come vuoi». Così fecero. Vi era nel tempio una statua di pietra. Quando si alzava al mattino, il padre Anub gettava dei sassi contro la sua faccia, mentre alla sera le diceva: «Perdonami». Fece questo per tutta la settimana, finché il e: chies gli en Poem padre il o, varon ritro si do quan sabato, «Scusami padre, ti ho visto questa settimana gettare sassi contro la statua e quindi inchinarti davanti ad essa. Forse che un cristiano deve fare così?». L’anziano rispose: «Anche questo l’ho fatto per voi. Quando mi vedevate lanciar sassi contro la faccia della statua, ha detto forse essa una parola o si è adirata?». «No», disse il padre Poemen. «E quando mi inchinavo, ha forse dimostrato contrarietà e ha detto: — Non ti perdono?». «No», disse il padre Poemen. «Così noi — disse l’anziano — che siamo sette fratelli; se volete che viviamo insieme, dobbiamo diventare come questa statua che non si turba né quando è offesa né quando è lodata. Se non siete disposti a diventare così, ecco, nel tempio ci sono quattro porte, ognuno se ne vada per dove vuole». Essi si gettarono a terra dicendo al padre Anub: «Faremo ciò che tu vuoi, padre, e ascolteremo quello che ci dici». Raccontò poi il padre Poemen: «Abitammo insieme tutta la vita, lavorando secondo gli ordini dell'anziano e mangiando tutto ciò che ci poneva di fronte uno di noi che egli aveva istituito economo. Éra impossibile che uno dicesse: — Portami qualche altra cosa, oppure: — Non voglio mangiare questo. In tal modo trascorremmo tutta la nostra vita nella quiete e nella pace» (129abc; PJ XV, 11) 112. 112 Una variante latina più tarda (Rufino 199; cf. nota 58, p. 110) aggiunge: «E così vissero molti anni con grande umiltà e pazienza. Di notte dormivano quattro ore, quattro ore salmodiavano, quattro lavoravano; di giorno lavoravano fino all’ora sesta, quindi fino a nona, poi si preparavano da mangiare, raccogliendo alcune erbe della terra». Questa descrizione della
Anub / Abramo
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2. Disse il padre Anub: «Da quando fu invocato su di me il nome di Cristo, non uscì una menzogna dalla mia bocca» 113 (129d). ABRAMO
C'è un Abramo discepolo di Sisoes e un Abramo che viveva alle Celle assieme a Isacco (cf. p. 251) che non sono da confondersi con quest'Abramo: ci sono parecchi altri monaci che portano lo stesso nome. Qui si tratta con ogni probabilità di un monaco di Scete discepolo di Agatone, quello che raccontò ad Isaia di Scete tante cose sul suo maestro (cf. p. 110)e che qualche volta si recava pure a consultare il padre Poemen (cf. Poemen 67 e N 495, Regn., p. 81). E facile sia la stessa persona dell’apoftegma che segue sotto il nome di Ares.
1. Raccontano di un anziano che in cinquant'anni mangiò raramente pane e bevve vino; e affermava di aver ucciso lo spi-
rito di fornicazione, l’amore del denaro e la vanagloria. Il padre Abramo udì chi aveva detto ciò, si recò da lui e gli chiese: «Tu hai detto così?». «Sì», rispose. «Ecco — disse il padre Abramo -—, se tu entrando in cella vi trovassi una donna sulla
tua stuoia, potresti pensare che non «No, ma combatterei contro il pensiero ra il padre Abramo: «Non hai dunque vive; è soltanto incatenata». E ancora:
è una donna?». Dice: di toccarla». Dice alloucciso la passione, essa «Mentre passeggi vedi
vita del gruppo è con ogni probabilità in parte leggendaria, benché si sappia di qualche anziano che, non tanto per guadagnare quanto per vincere il sonno, o per mortificarsi maggiormente, lavorava anche una parte della notte. Ma doveva trattarsi certamente di una piccola minoranza di solitari. 113 È molto importante questo connettere al battesimo l'abolizione della menzogna (cf. Gregorio 1): dice implicitamente che il battesimo ci strappa totalmente al Satana, che è il padre della menzogna (cf. Gv 8, 44).
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Abramo / Ares
un pezzo di oro in mezzo a dei sassi e delle conchiglie. Potrebbe la tua mente pensarlo come i sassi o le conchiglie?». «No — dice —, ma lotto contro il pensiero di prenderlo». E l’anziano: «Dunque vive la passione, ma è legata». Dice ancora il padre Abramo: «Supponi di sentire che ci sono due fratelli: uno ti ama e l’altro ti odia e parla male di te. Ti sentirai ugualmente disposto verso quei due se verranno a trovarti?». Dice: «No; ma lotterò col mio pensiero per fare del bene a quello che mi odia come a quello che mi ama». Dice a lui il padre Abramo: «Vivono dunque le passioni, ma dai santi sono incatenate» (129d-132b).
2. Un fratello chiese al padre Abramo: «Se mi capita di mangiare molto, cosa significa?». «Cosa dici fratello? — rispose l'anziano —, tanto mangi? Credi forse di essere venuto in un granalo?».
3. Il padre Abramo raccontò di uno dei monaci di Scete che era scrivano e non mangiava pane. Venne da lui un fratello e gli chiese di copiargli un libro. L’anziano, che aveva la mente immersa in contemplazione, non scrisse tutte le righe, ma ne saltò alcune. Quando il fratello prese il foglio per leggerlo e si accorse che mancavano delle righe, disse: «Padre, mancano delle righe!». E l’anziano a lui: «Va’, e prima fa’ quanto c’è scritto; poi torna e ti scriverò quel che manca» (132bc). ARES
Il padre Abramo si recò dal padre Ares. Mentre erano seduti insieme, giunse dall’anziano un fratello e gli chiese: «Dimmi, cosa devo fare per salvarmi?». Gli dice: «Va’, e per tutto quest'anno mangia soltanto la sera, nient'altro che pane e sale. Poi torna e ti parlerò». Se ne andò e così fece. Al termine dell’anno il fratello ritornò dal padre Ares. E proprio in quel
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Ares / Alonio
giorno il padre Abramo si trovava colà. Il padre Ares gli disse ancora:
«Va’,
digiuna
anche
quest'anno,
a giorni
alterni».
Quando il fratello se ne fu andato, il padre Abramo chiese al padre Ares: «Come mai consigli a tutti i fratelli un giogo leggero, mentre a questo imponi pesanti carichi?» 114, «Gli altri fratelli — dice l'anziano — così come vengono pure se ne vanno, ma costui proprio per amore al Signore viene ad ascoltare una parola. E veramente
operoso!
Qualsiasi cosa io gli dico, la
compie con zelo. Per questo io gli dico la parola di Dio» 115 (132c-133a; PJ XIV, 2). ALONIO
Monaco a Scete. Contemporaneo
di Agatone e Poemen;
forse più anziano non solo di Agatone, ma anche dello stesso Poemen, il quale cita con deferenza una sua parola e un suo gesto (nn. 41 e 55 di Poemen). Doroteo di Gaza riprende e commenta l’apoftegma n. 4 di Alonio, che effettivamente può creare qualche problema (vedi sotto). Barsanufio inquadra e spiega molto bene il n. 1, che nella sua forma così lapidaria può lasciare a prima vista un po’ sconcertati. Nella lettera 346, rispondendo a un fratello che gli chiedeva: «Prega per me affinché Dio abbia pietà di me, perché io sono miserabile», Barsanufio scrive: «Chi vuole ottenere misericordia deve osservare il comandamento di non mangiare dall'albero [Gn 2, 17] e non cadrà nella disubbi114 C£. Mt 23,4. 115 Sul rapporto fra la Parola di Dio contenuta nelle Scritture e la parola dell’anziano, vedi Introd., pp. 59-65. Questo detto ci dice inoltre che il rapporto maestro-discepolo è una realtà molto soprannaturale. Se il discepolo si accosta all’anziano come a Dio per riceverne veramente la volontà del Signore su di lui, Dio ispira all’anziano, quasi gli detta, quanto gli deve dire. Per contro, se il discepolo non è disponibile, Dio non suggerisce all’anziano nessuna parola; questi si trova veramente nell’impossibilità di parlare (vedi Felice). Cf. nota 6, pp. 282s.
140
Alonio
dienza, e colui che non cade nella disubbidienza otterrà miseri-
cordia, sarà salvato dalla grazia del Cristo Dio nostro. Perché costui dirà al suo pensiero: — Io e Dio, noî siamo soli in questo
mondo, e se io non faccio la sua volontà, non è lui che to otterrò ma lo Straniero. Si aspetterà ogni giorno il suo esodo dal corpo e l’incontro che deve avere con Dio, e si attaccherà presto alla via della salvezza».
1. Il padre Alonio disse: «Se l’uomo non dice nel suo cuore: — Io e Dio siamo soli al mondo, non avrà quiete» (133a;
PJ XI, 5).
2. Disse anche: «Se non distruggessi tutto, non potrei costrulre me stesso».
3. Disse ancora: «Se l’uomo vuole, da mane a sera giunge alla misura di Dio» 116 (PJ XI, 6).
4. Una volta il padre Agatone chiese al padre Alonio: «Come posso trattenere la mia lingua dal dire menzogne?». Dice a lui il padre Alonio: «Se non mentisci, farai molti peccati». «Come?», chiede l’altro. E l’anziano a lui: «Ecco, due uomini commettono un delitto dinanzi ai tuoi occhi, e uno
fugge nella sua cella. Lo cerca un funzionario e ti chiede: — Il delitto è avvenuto di fronte a te? Se non mentisci, consegni un uomo alla morte; lascialo piuttosto libero dinanzi a Dio: è Lui che sa tutto» 117 (133ab). 116 Qui si intende certo, sulla scia di san Paolo, il giungere «all'uomo perfetto, alla misura dell’età della pienezza di Cristo» (Ef 4, 13). Quando parlano della «misura» di una persona, questi testi intendono il suo grado di perfezione, la sua maturità in Cristo. È sempre soggiacente la formula paolina (cf. Eucaristo; Giovanni Nano 33; N 67, ecc.). 117 Doroteo cita questo apoftegma al termine del suo capitolo sulla menzogna (Ins. IX, 102) come caso limite e assolutamente straordinario, come caso di grande necessità. Ma anche in tal caso non bisogna poi considerare con
Aphù / Apollo
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APHÙ (O APFÌ) VESCOVO DI OSSIRINCO
Ossirinco (attuale El-Babnasa) è una delle città del Fatyim, vasta oasi che si stende per 40 km. di lunghezza e 60 di larghezza verso la metà circa del corso del Nilo, limitata a ovest da contrafforti sabariani, a est da piccole colline prossime alla valle del Nilo. In essa sono stati scoperti migliaia di papiri molto importanti. Si racconta che nel V secolo i suoi dintorni fossero sovrappopolati da migliaia di monaci e monache. Del vescovo di Ossirinco, che si chiamava padre Aphù, si raccontava che, mentre era monaco, aveva praticato una ascesi molto dura; divenuto vescovo, avrebbe voluto mantenere lo
stesso rigore anche nel mondo, ma non ci riusciva. Allora si gettò dinanzi a Dio dicendo: «E forse a causa dell’episcopato che la grazia se ne è andata da me?». Gli fu allora rivelato: «No. Ma in quel tempo c’era il deserto e, non essendoci uomo, Dio ti sosteneva. Ora invece c’è il mondo, e ti sostengono gli uomini» 118(133bc).
APOLLO
Con ogni probabilità questi detti si riferiscono a due o tre persone distinte. Ma l’Apollo dell’azione macabra, oggetto poi di tanta misericordia, è quello ricordato da Cassiano come modello di discernimento e di fedeltà alla vita in cella (Guy 1993, p. 65). leggerezza la menzogna detta, ma «pentirsi e piangere davanti a Dio e ritenere questa cosa come un momento di prova». Egli ripete più volte che deve trattarsi di una grande necessità, che possa capitare solo rarissimamente. 118 L’ascesi non è frutto della forza dell’uomo, ma puro dono di Dio concesso a chi confida ciecamente in Lui e non ha altro sostegno che Lui solo.
142
Apollo
1. Vi era alle Celle un anziano di nome Apollo: qualsiasi lavoro gli venisse chiesto, egli andava con gioia dicendo: «E per l’anima mia che oggi posso lavorare con Cristo. Questo infatti è per essa la ricompensa» 119 (133). 2. Raccontavano era un pastore molto una donna incinta e, vedere come giace un il ventre e lo vide, ma
a Scete di un certo padre Apollo, che incolto. Un giorno incontrò nei campi spinto dal diavolo, si disse: «Voglio bimbo nel seno materno». Le squarciò subito il suo cuore lo rimproverò dura-
mente. Preso da compunzione, venne a Scete per riferire ai
padri quel che aveva fatto. Li udì mentre salmodiavano: «Sertanta sono gli anni della nostra vita, e, se Isiamo] in forze,
ottanta, ma la maggior parte di essi [è] fatica e affanno» 120, Egli disse loro: «Ecco, io ho quarant'anni e finora non ho mai pregato, ma, se vivrò altri quarant'anni, non cesserò di pregare Dio, perché mi perdoni i miei peccati». É non fece più lavoro manuale, ma pregava sempre dicendo: «Io ho peccato, perché sono uomo, ma tu che sei Dio, perdonami!»!21, E questa pre119 Cf. Mt 10, 42. 120 Sal 89, 10. 121 La supplica assidua e costante della misericordia di Dio è comune, ovviamente, a tutta la tradizione cristiana (e non solo a chi ha commesso un peccato oggettivamente così grave, ma ad ognuno che si vede con verità
davanti a Dio nella sua realtà di peccatore), ma è caratteristica in modo peculiare della tradizione monastica orientale. Essa ha congiunto l’insegnamento dell’Apostolo a pregare senza interruzione (1 Ts 5, 17) con l'esempio del pubblicano che prega nel tempio (Lc 18, 13; cf. Introd., p. 31); animata dalla fede nella potenza salvifica del Nome del Signore Gesù (At 2, 21 e par.), ha incentrato attorno all’invocazione del Nome la richiesta continua di perdono. Le formule più abituali di questa preghiera sono: «Signore Gesù Cristo, pietà di me», «Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, pietà di me peccatore», o simili (ct. PJ V, 32). C’è evidentemente un’interdipendenza reciproca fra la memoria di Dio (cf. nota 42, p. 383) e lo sgorgare continuo dall’anima di questa preghiera: il ricordo di Dio la suscita, ed essa, a sua volta, imprime sempre più profondamente nell’anima il ricordo del Signore e la potenza del suo Nome, che vince ogni assalto del nemico e caccia ogni pen-
Apollo / Andrea
143
ghiera divenne la sua meditazione giorno e notte 122. Un fratello che abitava con lui lo udì mentre diceva: «Signore, ti ho offeso, perdonami, perché io possa un poco aver quiete». É gli venne la certezza che il Signore gli aveva perdonato tutti i suoi peccati, anche quello della donna. Quanto al bambino, il fratello non ricevette nessuna certezza. Ma uno degli anziani gli disse: «Dio ti ha perdonato anche il fatto del bambino, ti lascia però nella sofferenza, perché giova all'anima tua»
(133d-136a). 3. Lo stesso Apollo disse riguardo all’ospitalità dei fratelli: «Bisogna prostrarsi ai piedi dei fratelli che vengono: con questo ci prostriamo a Dio, e non a loro. Quando vedi il tuo fratello, vedi il Signore Dio tuo !23. Questo — disse — l'abbiamo appreso da Abramo 124. E quando accogliete un ospite, costringetelo a prendere ristoro: questo ce l’ha insegnato Lot, che costrinse gli angeli a fermarsi da lui 125» (136b).
ANDREA
Il padre Andrea soleva dire: «Tre cose sono necessarie al monaco: estraneità, povertà, silenzio con sopportazione» (136b).
siero estraneo. Nell’abbazia di Chévetogne, in Belgio, dal Colloquio dell’ottobre 1974, fra gli studi sugli apoftegmi che si sono moltiplicati, è stato dato giustamente grande spazio alla “preghiera di Gesù”: «On sait, d’autre part, que les premières attestations concernant la prière continuelle HovoA0ytotoc viennent justement de Scete». E Lanne presenta la traduzione di diverse preghiere edite per ogni giorno della settimana, contenenti in varie forme la “preghiera di Gesù”: Irénikon 1977, pp. 163-203. 122 125 124 125
C£. Sal 1,2. «Signore Dio tuo», espressione biblica: Es 20, 2 e passirz. Cf. Gn 18, 2ss. C£. Gn 19, 2s.
144
Aiò / Ammonata
AIÒ
Raccontavano di un certo padre della Tebaide, di nome Antianò, che in gioventù si occupò molto di affari pubblici e nella vecchiaia si ammalò e divenne cieco. I fratelli cercavano in tanti modi di consolarlo della sua malattia e gli mettevano in bocca il cibo. E chiesero al padre Aiò: «Che risultato può ottenere tanta opera di conforto?». Egli disse loro: «Io vi dico che, se il cuore vuole e accondiscende volentieri, anche se mangia un solo dattero, il Signore lo sottrarrà alla sua tribolazione, ma se non accondiscende e accetta di malavoglia, il Signore conserverà intatta la sua tribolazione, perché è costretto senza volere; ed essi ne avranno ricompensa» 126 (136c). AMMONATA
Un giorno venne a Pelusio un pubblico funzionario e avrebbe voluto riscuotere dai monaci le tasse, come dalla gente del mondo. Tutti i fratelli si radunarono dal padre Ammonata e proposero che alcuni padri andassero dall'imperatore. Ma il padre Ammonata disse loro: «Non c’è bisogno di questo fastidio; rimanete piuttosto nelle vostre celle in solitudine e tranquillità e digiunate per due settimane. Con la grazia di Cristo tratterò da solo la questione». I fratelli si ritirarono nelle proprie celle e anche l'anziano rimase nella sua cella in solitudine e tranquillità. Dopo quattordici giorni, i fratelli si rattristarono contro di lui vedendo che non si era ancora mosso, e dissero:
«Il vecchio non si è occupato del nostro problema». Il quindi126 Cercare di sfuggire alla tribolazione è sottrarsi alla benedizione del Signore. Si può tuttavia accondiscendere soltanto esternamente, senza la partecipazione del cuore e della volontà, alla carità dei fratelli, per procurare
loro il merito (cf. Giovanni Nano 7) senza perdere per sé la benedizione della sofferenza mandata da Dio.
Ammonata
145
cesimo giorno i fratelli si radunarono come era stato stabilito. L’anziano giunse portando la dichiarazione dell’imperatore. I fratelli, vedendola, ne furono stupefatti, e gli chiesero: «Quando l’hai portata, padre?». «Credetemi, fratelli — disse l'anziano —, questa notte sono andato dall'imperatore e mi ha scritto questa dichiarazione. Mi sono recato poi ad Alessandria per farla sottoscrivere ai funzionari, e quindi sono venuto da voi». Udendo questo, presi da timore, si prostrarono davanti a lui. Così la questione fu risolta e quel funzionario non venne più a disturbarli (136d-137a).
BASILIO
Con questo episodio la tradizione apoftegmatica ha voluto rendere omaggio alla fama del grande vescovo di Cesarea, insigne dottore della Chiesa e patriarca della vita cenobitica in Cappadocia. Battezzato da adulto verso il 357 dopo una brillante carriera di studi, Basilio si recò quindi a visitare i monasteri di Palestina e di Egitto e ne trasse grande insegnamento e stimolo în ordine alla vita monastica che avrebbe in seguito istituita in Cappadocia, ma ne trasse anche ragioni di diffidenza verso la vita eremitica a motivo degli abusi, singolarità e rischi che aveva constatato. L'ideale di Basilio era la forma cenobitica permanente per tutta la vita, mentre tanti in Egitto e Palestina consideravano se mai la forma cenobitica come preliminare alla vita solitaria. Ma anche all’interno del monachesimo egiziano ciò fu oggetto di una certa dialettica, talora anche di una polemica acuta, cui le teorie di Basilio prestarono appoggio. Questo episodio di Basilio già vescovo non può che riferirsi a uno dei tanti cenobi da lui fondati in Cappadocia, come attesta anche Doroteo di Gaza che riprende quest'esempio nel capitolo sull’ubbidienza (Ins. I 24). Basilio riappare soltanto due volte negli apoftegmi, per raccontare la storia della monaca di Tabennesi, disprezzata e angariata da tutte, che si era finta pazza e indemoniata (PJ XVIII, 19) e per dire una parola sulla povertà, riportata da Casstano (n. 7). Ma chi sa quante altre parole di Basilio si sarebbero potute riportare, adatte al mondo degli apoftegmi! La parsimo-
Basilio / Bessarione
147
nia nell’evocare non solo Basilio — che, è vero, era cappadoce — ma anche Pacomio +, che era egiziano, probabilmente è mutuata dalla polemica sulla vita cenobitica e la vita solitaria. Un anziano raccontava che san Basilio, recatosi un giorno in un cenobio, dopo aver fatto ai monaci la consueta istruzio-
ne, chiese al superiore: «Hai qui un fratello ubbidiente?». Gli disse: «Sono tutti servi tuoi, Signore, e s'impegnano per conseguire la salvezza». Ma egli insistette: «Ne hai davvero uno ubbidiente?». L'altro gli presentò un fratello, e da lui san Basilio si fece servire a tavola. Dopo il pranzo, il fratello gli porse l’acqua per lavarsi, e san Basilio gli disse: «Vieni, ora ti porgo io l’acqua perché tu ti lavi». Il fratello acconsentì a lasciarsi versare l’acqua da lui. Gli disse ancora il vescovo: «Quando entro nel santuario, vieni, che ti farò diacono». E, avendo colui fatto così, lo ordinò prete e, per la sua obbedienza, lo prese con sé nel palazzo episcopale (136bc). BESSARIONE
La tradizione ha voluto farne un discepolo prima di Antonio poi di Macario il Grande (cf. p. 300), ma non lo sappiamo di preciso. Operò a Scete nella seconda metà del IV secolo vari 1 Dopo aver praticato egli stesso la vita solitaria (o «anacoretica», dal termine greco avaympò che vuol dire ritirarsi, allontanarsi) per sette anni, Pacomio divenne il grande iniziatore della vita cenobitica (cioè vita comune: Kotvòc Bioc), che promosse nel 323 circa a Tabennesi, un villaggio abbandonato dell’Alto Egitto. Era una vita fortemente strutturata attorno a frequenti atti comuni, sostenuta da un’ampia regola, praticamente la prima regola monastica vera e propria che sia stata scritta. Il monachesimo basiliano e benedettino si rifanno direttamente a Pacomio. Alla sua morte, nel 346, Pacomio aveva già istituito nove conventi maschili e due femminili. Anche dopo la sua morte, i suoi monasteri continueranno a espandersi.
148
Bessarione
miracoli di cui parlano gli apoftegmi, ma era tanto umile che per poterli vedere bisognava coglierlo di sorpresa. L'ultimo brano se he anc o, fic gra bio o dat e lch qua ce nis for ci 12) (n. della raccolta tanto pateticamente romanzato dai suoi discepoli, che dovevano
amarlo e rimpiangerlo molto. Essi avevano in lui una fiducia era che li dirg za sen to mor un i ant dav gli ter met da na pie così cepli sem li dirg da 5), (n. to ita usc ris bbe vre l'a che i cert morto, egli che za tez cer a nell o, ert des no pie in », sete ho , dre «Pa te: men sa che a, tiv ges sug to mol ura fig una E 4). (n. o dut vve pro e avrebb . ari din aor str i dig pro e rar ope di a enz pot e si, asce e ltà umi re uni Tillemoni, nelle sue Memoires, prima di riferire il prodigio dell'acqua del mare resa dolce (n. 1) scrive: «Come Bessarione aveva rinunciato a tutto per essere tutto per Dio solo, così si può
dire che Dio si donò tutto a lui, con il potere che egli ba sulle creature» (VIII, 488). Certo ci appare investito di una potenza veramente divina, sugli elementi del creato, sulla vita e la morte (cf. Introd. pp. 42-45). Il grande prodigio di avere arrestato il sole viene citato più avanti come esempio della grandezza della sua generazione rispetto a quelle seguenti (cf. Elia 2). Forse è da riferirsi a lui, forse invece a uno dei tanti di nome Serapione 2 un grazioso aneddoto: egli girava sempre con il Vangelo sotto il braccio, cercando di attuare in tutto la parola del suo Signore. Una volta s'imbatté in un morto e lo rivestì del suo mantello; in
seguito incontrò un uomo nudo e rimase nudo per rivestirlo. Gli restava ancora il Vangelo e sedeva nudo «tenendo sotto l'ascella la parola che fa ricchi». Passa un funzionario e gli chiede: «Chi ti ha spogliato?». Ed egli, mostrando il Vangelo, rispose: «Questo!». In seguito, incontrato per strada un povero, per aiutarlo
andò di corsa al mercato a vendere «quella stessa parola che dice: — Vendi quello che hai e dallo ai poveri».
2 Cf. p. 469. C'è una confusione di nomi nelle fonti. Si tratterebbe di
Bessarione secondo il cap. 116 della versione «spuria» della Storia Lausiaca (cf. nota 103, p. 132).
Bessarione
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1. Il padre Dula, discepolo del padre Bessarione, raccontava: «Un giorno, mentre camminavo lungo la riva del mare, ebbi sete, e dissi al padre Bessarione: — Padre, ho molta sete. Dopo aver pregato, l'anziano mi disse: — Bevi acqua del mare. L'acqua divenne dolce e ne bevvi. Ne attinsi anche con un vaso, temendo che mi venisse ancora sete, ma l’anziano, vedendo ciò,
mi dice: — Perché ne attingi? — Perdonami, gli dico, non vorrei che mi venisse ancora sete lontano da qui. Ed egli a me: — Dio è qui e Dio è dappertutto» (137c-140a; PJ XIX, 1). 2. «Un'altra volta, trovandosi in necessità, fece una pre-
ghiera, attraversò a piedi il fiume Crisoroa 3 e passò all’altra riva. Stupefatto, mi inchinai davanti a lui dicendo: — Che sensazione provavi ai piedi, camminando sull’acqua? — Fino ai talloni sentivo l’acqua, disse l'anziano, ma per il resto era come terra ferma» (PJ XIX, 2). 3. «Un’altra volta, mentre
ci recavamo insieme da un
anziano, il sole giunse al tramonto. Il padre pregò dicendo: Ti supplico, Signore, si fermi il sole 4, finché io non arrivi dal tuo servo. È così avvenne» (PJ XIX, 3). pie in vai tro lo e la cel sua la nel rai ent ta vol tra ’al 4. «Un di, in preghiera, con le braccia tese al cielo. Rimase così quati. uim Seg — se: dis mi e mò ia ch mi po do E . rni gio i dic tor Andammo nel deserto. Ebbi sete e gli dissi: — Padre, ho sete. Mi prese il mantello, si allontanò di un tiro di sasso, e, dopo che ebbe pregato, me lo riportò pieno d’acqua ?. Proseguendo x
\
3 Nome greco per il fiume Nilo che significa «dalle correnti d’oro». 4C£. Gs 10, 12. ©»
5 In questo apoftegma se ne intrecciano in realtà più d’uno: questo prodigio, simile a quello riportato nel detto n. 1; l’arrivo alla grotta dove incontrano il fratello seduto immobile e il ritorno ad essa dopo l’incontro con il padre Giovanni, dotato anch'egli, come Bessarione, del dono «diorati-
150
Bessarione
il cammino, giungemmo a una grotta, vi entrammo e trovammo un fratello che intrecciava la sua corda, seduto. Non ci fece e lar par o mod un alc in e voll non , utò sal ci non alcun cenno,
con noi. Il padre mi disse: - Andiamocene di qui, probabil-
mente questo padre non è sicuro in coscienza‘
con noi. Camminammo il padre Giovanni 7. Lo si sedette a parlare di padre Bessarione: — È
di poter parlare
fino a Lykos dove andammo a trovare salutammo, facemmo orazioni. Quindi una visione che aveva avuto. Disse il uscito un editto, che i templi siano
orrit l Ne 3). , XII (PJ tti tru dis no ro fu e, nn ve av distrutti. E così nare, giungemmo ancora presso la grotta in cui avevamo visto
che sa chi , lui da mo ia tr En — se: dis mi o an zi an L’ lo. tel fra l que Dio non gli abbia dato certezza che può parlare con noi.
Entrati che fummo, lo trovammo morto. Mi disse l'anziano: —
Vieni fratello, componiamo il suo corpo, per questo Dio ci ha mandato qui. Mentre così facevamo, per poi seppellirlo, scoprimmo che era una donna. Il padre, stupito, mi disse: — Vedi come anche le donne sconfiggono Satana, mentre noi, in città, facciamo una ben meschina figura? Lasciammo quel luogo
co», cioè di avere visioni, profezie, rivelazioni. La serie sistematica latina
contiene questo detto spezzato in due brani inseriti in due capitoli diversi:
cf. P] XII, 3e XX, 1.
6 Questo episodio si trova pure nella raccolta latina falsamente attribuita a Rufino (Rufizo 194) e in un’altra serie latina che consta di 44 capitoli e corrisponde a un originale greco a noi ignoto, tradotto da Pascasio, diacono vivente nel VI secolo nel monastero di Dumio in Francia (c. 34, 3). Sia l’una che l’altra versione dicono più semplicemente: «Non vuole parlare con noi», ma in questo modo si perde il senso del verbo greco molto importante, tANpodopò, che per lo più significa la comunicazione di una certezza da parte di Dio mediante rivelazione. Lo stesso termine è ripetuto poche righe sotto da Bessarione; l'avevamo gia trovato in Apollo 2. Lo incontreremo altre volte; ct. Teodoro di Ferme 25; Lot 2; Poemen 201 (S 14); Pambone 2, ecc. Vedi anche Introd., p. 65. ? Si tratta di Giovanni di Licopoli, un solitario molto famoso di cui hanno lasciato ampia testimonianza la Storia Lausiaca (c. 35) e l’Historia Monachorur (c. I).
Bessarione
151
dando gloria a Dio che protegge coloro che lo amano» 8 (140b-
141a; P] XX, 1).
5. «Un giorno venne a Scete un indemoniato, e si pregò su di lui in chiesa, ma era un demonio ostinato, che non voleva usci-
re. — Che cosa possiamo fare contro questo demonio?, dissero i chierici. Nessuno può cacciarlo se non il padre Bessarione. Ma se lo chiamiamo ora per questo, non verrà in chiesa. Facciamo così, egli suole venire in chiesa la mattina presto prima di tutti. Nel suo posto mettiamo il malato a dormire e quando egli entrerà, noi staremo in preghiera e gli diremo: — Padre, sveglia questo fratello. Così fecero; e, quando l’anziano entrò al mattino, si alzarono in piedi per pregare e gli dissero: — Sveglia questo fratello.
L’anziano gli disse: — Alzati, ed esci fuori 9. Subito il demonio uscì da lui e da quel momento fu sanato» 10 (141ab; PJ XIX, 4).
6. Il padre Bessarione disse: «Sono rimasto quaranta giorni e quaranta notti in mezzo alle spine, ritto, senza poter dormire» (PJ VII, 4).
7.Il presbitero allontanò dalla chiesa un fratello che aveva peccato. Il padre Bessarione allora si alzò e uscì con lui dicendo: «Anch'io sono un peccatore» (141bc; P] IX, 2).
8. Lo stesso padre Bessarione raccontò di non essersi coricato per quarant’anni, ma di aver dormito o seduto o ritto. 8 Cf. Sal 17,31. ? Quest’ordine è la fusione di due imperativi usati più volte dal
Signore nell’operare miracoli: cf. Mt 9, 5; Mc 1, 25 e par. Miracoli di questo
tipo appaiono più volte negli apoftegmi; vediamo così operante la virtù della «parola oggettiva», indipendentemente dalla consapevolezza dell’anziano che la pronuncia. Si dimostra perciò in modo supremo la qualità di puri strumenti di Dio di questi grandi anziani (cf. Macario 15; Sisoes 18; Introd.,
pp. 23ss. e 63ss.). 10 Cf, Mt 8, 13; 17, 18 e par.
Bessarione
152
9. Disse anche: «Quando
sei in pace e non sei tentato,
umiliati allora ancor più; perché non avvenga che siamo colti da una gioia fuori luogo, ci vantiamo, e veniamo così abbandonati alla tentazione. Spesso infatti è per le nostre debolezze che Dio non ci abbandona in preda alla tentazione, perché non andiamo perduti».
10. Un fratello che viveva con altri fratelli chiese al padre Bessarione: «Cosa devo fare?». Dice a lui l'anziano: «Taci, e non misurare te stesso».
11. Morendo, il padre Bessarione disse che il monaco deve essere come i cherubini e i serafini, tutto occhi 11 (141d).
12. I discepoli del padre Bessarione raccontarono che la sua vita era avvenuta così, come
un animale
dell’aria, del-
l’acqua, o della terra, senza turbamenti e senza preoccupazioni per tutto il tempo della sua vita: dell’abitazione non si preoccupava, né parve mai che la sua anima fosse dominata dal desiderio di un luogo piuttosto che di un altro, o di saziarsi col cibo, o di possedere case, o di avere a che fare coi libri; ma si
mostrò completamente libero dalle passioni del corpo, nutrendosi con la speranza delle cose future 12, Saldo sul baluardo della fede, perseverava a restare in qualsiasi luogo, come un
11 Questa breve parola di testamento del padre Bessarione è carica di molta forza e di un grande slancio; non a caso è ripresa in una pagina molto alta di Barsanufio: Coloro che sono pervenuti alla «fonte dell'amore, che non viene meno (1 Cor 13, 8)... hanno raggiunto la misura in cui non vi è più né agitazione né distrazione, poiché sono divenuti tutti interi mente, tutti interi occhio, tutti interi viventi, tutti interi luminosi, tutti interi perfetti, tutti interi dèi (Sal 81, 6)... Si rallegrano e rallegrano: si rallegrano nella Trinità indivisa e rallegrano le potenze celesti. Bramate di raggiungerli, correte la loro corsa...» (ep. 207). 12 Non è un vero e proprio richiamo biblico, ma un’assonanza di più luoghi (cf. At 24, 5 e Eb 11, 20).
Bessarione
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prigioniero. Stava sempre all’aperto, al freddo e nella nudità 33, e bruciato dall’ardore del sole. Si scorticava errando sulle ripide rocce dei luoghi deserti. Spesso si compiaceva di lasciarsi trascinare, come in un mare, sulla vasta, desolata distesa di
sabbia. Se poi giungeva in luoghi meno aspri, dove dei monaci si uniformassero a una vita comune, egli, seduto fuori dalla porta, piangeva e si lamentava come la vittima di un naufragio. Se un fratello usciva e lo trovava là seduto, come sogliono fare i mendicanti nel mondo, gli si accostava e gli diceva con compassione: «Perché piangi, uomo? Se hai bisogno di qualcosa di necessario, per quanto ci è possibile lo avrai, ma intanto entra, per aver parte alla nostra mensa e avere un po’ di sollievo». L'altro rispondeva di non potersi fermare sotto a un tetto, prima di aver ritrovato le ricchezze della sua casa. «Ho perso molti beni in diversi modi, diceva, sono caduto nelle mani dei
pirati, ho subito naufragio, sono decaduto dalla mia nobiltà, da nobile sono diventato ignobile». Fortemente commosso da queste parole, il fratello entrava a prendere un pezzo di pane, che poi gli porgeva dicendo: «Prendi questo, padre, e che Dio ti restituisca ciò che tu dici: la patria, la schiatta e la ricchezza che avevi». L'altro, facendo ancor più cordoglio, urlava tra forti singhiozzi: «Non so dire se potrò mai trovare ciò che ricerco dopo averlo perduto !4. Ma per ora gioisco piuttosto di essere ogni giorno in pericolo di morte 15, di non trovare sollievo alle mie incommensurabili sventure: è necessario che io compia la corsa 16 errando senza sosta» (141d-144c).
13 Cf. 2 Cor 11, 27. 14 Il Paradiso da cui Adamo è stato cacciato; è lo stesso concetto espresso poco sopra: «sono decaduto dalla mia nobiltà». Cf. Gn 3, 20-23. 15 C£. 1 Cor 15, 30. 16 Cf. At 20, 24e2Tm 4,7.
Beniamino
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BENIAMINO
È uno dei primi discepoli di Ammonio di Nitria; molto probabilmente è la stessa persona di cui racconta Palladio dicendo che visse 80 anni sulla montagna di Nitria, più o meno tra il 311 e il 391. Era un grande carismatico e guaritore di ogni malattia o con il puro contatto delle mani o con olio sul quale aveva pregato. Si ammalò poi di idropisia, gonfiandosi mostruosamente, così che non poteva né passare per la porta né
stare in un letto. Seduto su un sedile larghissimo continuava a guarire gli altri senza crucciarsi del fatto di non essere guarito egli stesso. E diceva: «Pregate, figliuoli, perché il mio uomo interiore non diventi idropico; questo corpo invece né mi giovò
quando stavo bene né mi danneggia da quando sono ammalato» (HL, 12).
1. Il padre Beniamino raccontò: «Quando scendemmo a Scete dopo il raccolto, ci portarono da Alessandria parte dei frutti: a ciascuno un vaso di olio raffinato, chiuso col gesso. Quando ritornò la nuova stagione dei raccolti, i fratelli portarono alla loro assemblea ciò che era avanzato. Io non avevo aperto il mio vaso, ma l’avevo forato con un punteruolo, per prendere solo un poco d’olio. E credevo in cuor mio di avere fatto gran cosa! Ma quando i fratelli portarono i loro vasi intatti, mentre il mio era forato, per la vergogna mi sentii come un fornicatore» (144cd).
2. Il padre Beniamino, presbitero alle Celle, raccontò: «Ci recammo insieme con altri da un anziano a Scete, e voleva-
mo dargli un po’ d’olio. Ma egli ci disse: - Ecco dov'è il vasetto che mi portaste tre anni fa. È ancora là dove l’avete messo. Ciò udendo, ammirammo la vita che l'anziano conduceva» (144d; PJ IV, 12).
Beniamino / Biarè
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3. Lo stesso padre raccontò: «Ci recammo da un altro anziano, ed egli ci trattenne a mangiare, e ci presentò olio di rafano. Gli chiedemmo allora: — Padre, dacci piuttosto un po’ di olio buono. A ciò, egli si fece un segno di croce dicendo: — Non so se esista altro olio all’infuori di questo» (144d-145a).
4. Morendo, il padre Beniamino disse ai suoi figli: «Fate questo e potrete salvarvi: Siate serzpre nella gioia, pregate senza interruzione, in ogni circostanza rendete grazie V»..
5. Il medesimo disse: «Percorrete la via regale 18, misurate le miglia, e non perdetevi d’animo». BIARÈ
Un tale chiese al padre Biarè: «Che devo fare per salvarmi?». Gli disse: «Va’, che il tuo ventre sia piccolo e poco il tuo lavoro manuale; nella tua cella non lasciarti prendere dal turbamento, e sarai salvo» (145ab).
171Ts5, 16s. 18 C£. Nm 20, 17.
GREGORIO IL TEOLOGO
Insieme a Basilio e a Giovanni Crisostomo costituisce la
grande trilogia della Chiesa cappadoce nel IV secolo, e l’iconografia bizantina ha amato rappresentare questi tre grandi inseparabilmente uniti. Gregorio nacque a Nazianzo nel 330 e morì nel 390
nella casa paterna di Arianzo, dove si era ritirato dopo le dimissioni dal seggio episcopale di Costantinopoli da lui coperto per breve tempo. Aveva un carattere indeciso, pavido, eccessivamente sensibile, di certo non poteva reggere a un posto di così grande responsabilità proprio in quegli anni tanto travagliati dalle dispute dottrinali. A dispetto dei suoi limiti psicologici, il suo pensiero è chiaro e profondo e espresso in uno stile esemplare, tanto che gli fu attribuito l'appellativo di «teologo». E in particolare fu soprattutto teologo della Trinità, in grande consonanza e comunione di idee con l’amico Basilio. Anche se non appartiene al mondo dei padri del deserto, essi hanno voluto rendergli omaggio come a Basilio, facendogli fare questa breve comparsa, tutt'altro che dissonante, nella loro letteratura. Un'altra parola di Gregorio, sul mistero trinitario, figura in testa alla serie edita dal Nau, che pre-
senta subito dopo un doppione del n. 1 di questa raccolta. Il detto di Gregorio in quella serie segue a una parola pure trinitaria di Atanasio d'Alessandria (cf. nota 1, p. 78). È degno di rilievo il fatto che, dando il posto a queste brevi presenze, i padri del deserto attestino la loro considerazione per il pensiero teologico dei grandi dottori della Chiesa.
Gregorio il Teologo / Gelasio
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1. Il padre Gregorio diceva: «Il Signore chiede tre cose a ogni uomo che ha il battesimo: all’anima la retta fede, alla lingua la verità, al corpo la continenza» (145b; PJ I, 3; N 3). 2. Diceva anche: «Tutta la vita dell’uomo è come un sol giorno !, per chi è travagliato dal desiderio ardente». GELASIO
Le sei non brevi storie su di lui ci mostrano una figura rilevante 2. I nn. 4 e 5 forniscono vari dati biografici: visse in Palestina nella seconda metà del V secolo, a Nicopoli (oggi Amwds, cioè Emmaus, a nord-ovest di Gerusalemme), prima nella solitudine, quindi come fondatore e capo di un cenobio, in rapporto al quale viene addirittura paragonato al grande Pacomio (cf. nota 1, p. 147), patriarca della vita cenobitica in Tebaide. Nella dolorosissima vicenda di incomprensioni e sanguinose fratture della Chiesa, seguite alle definizioni del concilio ecumenico di Calcedonia (a. 451), Gelasio fu, assieme a Eutimio — il padre e maestro di san Saba —, uno dei pochi monaci non bizantini che ebbero sempre le idee chiare, compresero interamente e accolsero in pieno il concilio di Calcedonia, si opposero all’usurpazione della cattedra di Gerusalemme da parte del monaco Teodosio e restarono fedeli al vescovo calcedonense Giovenale (cf. note 7-8, pp. 161s.). Il brano n. 4 è un documento molto interessante di storia ecclesiastica. Anche da altri particolari si deduce che chi ha compilato e tramandato questi racconti su Gelasio doveva avere una notevole cultura e un interesse preciso alla notazione di 1 Cf. Sal 89,4. 2 Tranne la prima, esse sono tutte sconosciute alla serie sistematica latina. L'ultima è presente nella serie sistematica greca, più breve, del ms. Cossltn 126 e dei mss. analoghi, ma è attribuita a Longino invece che a selasio. .
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Gelasio
alcuni aspetti della vita ecclesiale e civile di allora >. Si può rilevare così l'ampiezza di panorama che gli apoftegmi ci presentai tant ere osc con di tà ili sib pos la o ver dav o con nis for ci no: essi aspetti del mondo di quel tempo. 1. Raccontavano che il padre Gelasio aveva un pergamena, che valeva diciotto monete. Conteneva Vecchio e il Nuovo Testamento. Lo lasciava in chiesa, potessero leggerlo i fratelli che lo desideravano. Un
libro di tutto il perché giorno
venne un fratello forestiero a far visita all’anziano e, visto il
libro, bramò di possederlo; l’avesse notato, l'anziano non Giunto quegli in città, cercò ente, gli chiese la somma di
lo rubò e se ne andò. Benché gli corse dietro per prenderlo. di venderlo e, trovato un acquisedici monete. Colui che voleva
comperarlo, gli disse: «Dammelo,
prima lo faccio stimare, e
poi ti darò quel che vale». Avutolo, lo portò dal padre Gelasio perché lo stimasse, dicendogli il prezzo richiesto dal venditore. L’anziano gli disse: «Compralo, è bello e vale il prezzo che hai detto». Ma l’altro, tornato dal rivenditore, riferì la cosa diver-
samente da quanto l’anziano gli aveva detto. Disse: «Ecco, l'ho mostrato al padre Gelasio ed egli mi ha detto che è caro e non vale la cifra che hai detto». Udito ciò, il fratello gli chiese: «L'anziano non ti ha detto nient’altro?». «No». Allora dice: «Non voglio più venderlo». E, preso da compunzione, ritornò dall’anziano per esprimergli il suo pentimento e lo pregò di riprendere il libro. Questi non voleva, ma alle parole del fratello: «Se non lo prendi non avrò pace», disse: «Se non puoi aver pace, lo prendo». Il fratello rimase quindi presso di lui fino
> Vedi la vicenda di Vacato e l’ingresso negli apoftegmi anche della figura del grande Simeone Stilita (n. 2); vedi il sopraddetto accostamento a Pacomio (n. 5); vedi infine le varie notazioni, che danno un’idea di alcune
caratteristiche ambientali.
Gelasio
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alla morte, molto edificato dallo zelo del vecchio (145c-148a; PJ XVI, 1).
2. Il padre Gelasio ereditò un giorno la cella e il terreno circostante da un anziano, anch’egli monaco, che abitava vicino a Nicopoli. Un parente del defunto, contadino di Vacato — che a quel tempo era governatore di Nicopoli di Palestina — si recò da Vacato con la pretesa di avere quel terreno che, a suo parere, gli spettava per legge. Questi, che era un violento, tentò di prendere con le proprie mani il terreno al padre Gelasto. Ma il padre Gelasio non acconsentiva, perché non voleva che una cella monastica fosse data a uno del mondo. Quando Vacato vide le bestie del padre Gelasio trasportare le olive del terreno da lui ereditato, le trascinò dietro a sé con violenza,
portò le olive in casa sua, quindi rimandò con oltraggi le bestie e i loro conduttori. Il beato vecchio non reclamò alcun diritto sul raccolto, ma non cedette per nulla quanto al possesso del terreno, per la ragione che s’è detta. Infiammato d’ira, Vacato si diresse a Costantinopoli, spinto anche da altre questioni analoghe, perché era un uomo litigioso. Intraprese il viaggio a piedi e giunse vicino ad Antiochia, dove risplendeva un grande luminare, il santo Simeone 4. Vacato, che era cristiano, sentì
parlare di quest'uomo straordinario e fu preso dal desiderio di
4 È un anacoreta molto famoso, che, nella prima metà del V secolo, diede inizio a un nuovo tipo di vita ascetica: l’abitare su una colonna. Egli aveva trascorso 10 anni in un cenobio dimostrando una singolare chiamata a penitenze durissime. Dato il grande afflusso di gente che lo cercava, pensò di ritirarsi su una colonna, poi su un’altra ancora, poi su un’altra sempre più alta (30-35 metri circa). Molti lo accusavano di stravaganza. Dei monaci della zona gli mandarono un emissario con l’ordine di discendere dalla colonna, ed egli cominciò subito a scendere. Convinti allora della sua ubbidienza e disponibilità, lo lasciarono stare. Si racconta che morì colpito da un fulmine. Seguirono il suo esempio non pochi solitari, che furono chiamati «stiliti» dal termine greco TÙA.0c, colonna. L’iconografia ha amato rappresentare, non senza un certo burz0ur, questi anziani appollaiati su una colonna.
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vederlo. Il santo Simeone, dalla colonna, lo vide giungere e, entrato subito in monastero 5, gli chiese: «Donde vieni? E dove vai?». Egli disse: «Vengo dalla Palestina e vado a Costantinopoli». E l’altro a lui: «E per quale motivo?». «Per molti affari, gli disse Vacato, e spero, grazie alle preghiere della tua — ato! ntur «Sve i». pied i sant tuoi i are baci e e rnar santità, di rito eretrti esse di ere ett amm vuoi non — e eon Sim o sant il gli disse rivené gio, viag n buo farai non Tu Dio? di omo l’u to contro a torn o, igli cons mio il ire segu vuoi Se . casa tua la più drai mai
se o, ent tim pen tuo il gli stra dimo lui, da ta fret in va’ , etro indi mai tu riesca ad arrivare là vivo». Vacato, colto immediatamente da una forte febbre e trasportato in un lettuccio da coloro
che l’accompagnavano, si affrettò, secondo le parole del santo Simeone, a tornare dal padre Gelasio, per chiedergli perdono.
Ma, giunto a Berito, morì, senza aver visto la sua casa, secondo
la profezia del santo. Tutto questo è stato raccontato a numerosi testimoni degni di fede dal figlio di lui, che si chiamava pure Vacato, dopo la morte del padre (148ad).
3. Molti dei suoi discepoli raccontavano di lui anche questo: «Un giorno fu portato loro del pesce che il cuoco frisse e consegnò poi al cellerario. Sopraggiunta una qualche altra necessità, il cellerario uscì dalla dispensa lasciando il pesce in un recipiente per terra, raccomandando a un piccolo discepolo del beato Gelasio di custodirlo fino al suo ritorno. Ma il bambino, vinto dalla gola, si mise a mangiare avidamente il pesce. Quando il cellerario rientrò e lo trovò che mangiava seduto per terra, preso dalla collera, gli diede incautamente un calcio. Il bambino, colpito mortalmente da un’energia de-
moniaca, perse i sensi e morì. Il cellerario, in preda a grande
? Una grotta o altra abitazione vicina dove, molto di rado, Simeone scendeva per ricevere qualche ospite. Solitamente invece rivolgeva dalla colonna qualche breve esortazione spirituale.
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timore, lo avvolse nella sua stuoia e, tenendolo coperto, andò a gettarsi ai piedi del padre Gelasio e gli riferì l'accaduto.
Gelasio gli ingiunse di non dirlo a nessun altro, di portarlo nel diaconico 6 la sera, dopo che tutti fossero andati a letto, di porlo di fronte all’altare e poi andarsene. Quindi l’anziano, entrato nel diaconico, vi rimase in preghiera. Quando i fratelli si riunirono per la salmodia notturna, l’anziano uscì seguito dal fanciullo. E fino alla sua morte nessuno seppe il fatto tranne lui e il cellerario» (148d-149ab). 4. Non soltanto i suoi discepoli, ma anche molti di quelli che si recavano frequentemente a trovarlo, raccontavano questo
fatto, che al tempo del concilio ecumenico di Calcedonia 7, Teodosio, l’iniziatore in Palestina dello scisma di Dioscuro, al ritor-
6 Quella parte della chiesa dove i ministri si preparavano; equivale
cioè alla nostra sacrestia.
7? E il quarto grande concilio, che ebbe luogo nel 451, e pervenne a una formula basilare della fede cristologica, definendo la presenza, nell’uni-
ca persona del Cristo, Figlio di Dio e vero uomo, delle due nature, divina e umana, senza confusione né alterazione né separazione. Dioscuro d’ Alessandria non accettò la definizione di Calcedonia e si fece accanito sostenitore della tesi chiamata «monofisita» (tesi cioè di coloro che ritenevano — o in molti casi si credeva che ritenessero — non solo che nel Cristo vi sia un'unica persona, ma anche un’unica natura). Fu deposto dalla sua sede episcopale, ma con lui la maggior parte dei vescovi e delle cristianità d'Egitto e anche di Siria, nonché parte di quelli di Palestina, non accolsero i dettami di Calcedonia. Di fatto da molto tempo le sedi patriarcali di Alessandria (monofisita) e di Costantinopoli (calcedonese) si trovavano in grosse difficoltà reciproche, non solo per questioni dottrinali, ma per la confluenza di vari motivi, non ultimo la volontà di potenza e di sopraffazione della Chiesa di Costantinopoli, sostenuta dalle forze imperiali. Inoltre era sempre più difficile per le cristianità di lingua non greca capire le sottigliezze linguistiche di certe formulazioni e precisazioni, tanto più che molti vescovi d'Oriente non erano presenti a Calcedonia e non capirono con esattezza i testi ivi proclamati. Talvolta da più parti si diceva la stessa cosa senza capirsi e ci si arroccò nell’irrigidimento di formulazioni verbali, in faziosità e violenza che resero sempre più irreparabile la prima grande sanguinosa frattura della cristianità, la divi-
sione fra le chiese calcedonesi e non-calcedonesi.
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no da Costantinopoli — dove anch'egli, cacciato dalla propria patria come seminatore di disordini, era stato presente — precedette i vescovi che ritornavano nelle loro chiese. Corse dal padre Gelasio nel suo monastero, e gli parlò contro il sinodo, dicendogli che al concilio aveva prevalso la dottrina di Nestorio 8. Con questo sperava di conquistare il santo e di farne un complice del Dio che za igen tell l’in per egli, Ma ma. scis suo del e nno suo inga gli dava e per l'atteggiamento di quest'uomo, capì la corruzione della sua mente e, invece di lasciarsi trascinare ? dalla sua apostasia, come fecero allora quasi tutti, lo rimandò, dopo averlo
ingiuriato come si meritava: posto nel mezzo il bambino che aveva risuscitato
dai morti,
disse in tono
solenne:
«Se vuoi
discutere sulla fede, c’è lui che può ascoltarti e discutere con te. Io non ho tempo di ascoltarti». A queste parole Teodosio, pieno di confusione, si diresse in fretta verso la Città Santa, dove,
simulando zelo per il Signore, conquistò tutti i monaci. Conquistò anche l’imperatrice, che si trovava colà in quel tempo. Trovato così un sostegno, s'impadronì con violenza della cattedra di Gerusalemme, dopo essersi preparato questa rapina con delitti, illegalità e trasgressioni, che ancor oggi si ricordano. Divenuto in tal modo padrone della situazione e conseguito il suo scopo, consacrò molti vescovi, ponendoli nelle sedi di quelli che non erano ancora ritornati. Quindi mandò a chiamare il padre Gelasio e lo fece venire nel santuario 19, per raggirarlo e intimorirlo.
8 Costituito patriarca di Costantinopoli nel 428 per intervento dell’imperatore Teodosio II, aveva portato all’estremo la tesi della distinzione delle due nature, rifiutando alla Vergine il titolo di Madre di Dio proclamato ufficialmente dal III concilio ecumenico, a Efeso, nel 431. Nestorio fu deposto e esiliato, ma lasciò dietro a sé un partito di cosiddetti «difisiti». I non-calcedonesi monofisiti, talvolta in buona talaltra in mala fede, tacceran-
no di «difisismo» gli ortodossi calcedonesi (cf. Foca 1). ? C£. Gal 2, 13.
10 E la parte più sacra della chiesa, dove sta l’altare; nella tradizione
bizantina è separata dal resto della chiesa dall’iconostasi, una specie di parete costituita da icone.
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Quando il padre Gelasio entrò nel santuario, Teodosio disse: «Anatemizza
Giovenale!».
Ma
egli, per nulla turbato, disse:
«Non conosco altro vescovo di Gerusalemme all’infuori di Giovenale». A ciò Teodosio, nel «pio» timore che altri potessero imitare il suo santo zelo, comandò che fosse «gentilmente» cacciato dalla chiesa. I suoi compagni di scisma lo afferrarono e affastellarono legna attorno a lui, minacciando di bruciarlo. Vedendo però che nemmeno così cedeva né si spaventava, temettero una sollevazione popolare, poiché egli era molto famoso. Ma tutto ciò era stabilito dalla provvidenza celeste: lasciarono andare incolume il martire 11, che per Cristo era pronto a farsi immolare (149b-152a). 5. Raccontavano di lui, che nella sua giovinezza visse in povertà e solitudine. In quel tempo vi erano nella zona circostante anche parecchi altri, che avevano abbracciato la stessa vita, fra cui un anziano semplice e povero al massimo grado. Questi abitò in una cella da solo fino alla morte, sebbene nella
vecchiaia avesse dei discepoli. Insieme a coloro che vissero con lui fino alla morte, si esercitò attentamente a non possedere due tuniche e a non pensare al domani. Quando poi avvenne al padre Gelasio, con l’aiuto di Dio, di fondare il cenobio, gli fu
offerto pure molto terreno. Egli acquistò anche le bestie da soma necessarie al monastero e buoi. Lo Spirito di Dio, che aveva rivelato al santo Pacomio che egli doveva essere il primo fondatore di un cenobio !, aiutò anche lui nella costruzione del monastero. L’anziano che abbiamo sopra ricordato, quando lo
11 L ’espressione è qui usata non solo nel senso etimologico di testimone della fede, ma nel senso pieno di confessore della fede fino al martirio, anche se nel nostro caso non venne consumato; per essere chiamato così, è sufficiente la vera disponibilità ad esso. 12 Vedi nota 1, p. 147. La tradizione, rappresentata anche da una
vasta iconografia, attribuisce all'apparizione di un angelo l’ispirazione ricevuta da Pacomio di fondare un cenobio.
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Gelasio
vide occupato in questa impresa, mosso da sincero amore per lui, gli disse: «Temo, padre Gelasio, che il tuo pensiero venga gli tro l’al Ma o». obi cen del si ses pos i altr agli e pi cam ai legato rispose: «È più legato il tuo pensiero al punteruolo con cui lavo). 2bc (15 » nti ime sed pos sti que a o asi Gel di ro sie pen ri che il o bat tur dis sso spe era o asi Gel re pad il che no va 6. Dice suo al rno gio un se Dis o. ert des nel rsi ira rit di dal pensiero discepolo: «Fammi la carità, fratello, qualsiasi cosa io faccia questa settimana, sopporta e non dirmi nulla». Prese quindi un bastone di albero di palma e cominciò a camminare avanti e indietro nel suo cortiletto 13. Quando era stanco, si sedeva un poco, per poi alzarsi e riprendere a camminare. Venuta la sera, disse al suo pensiero: «Chi erra nel deserto, non mangia pane ma erbaggi; ma tu, per la tua debolezza, mangia un po’ di verdura». Così fatto, disse ancora al suo pensiero: «Chi sta nel deserto, non dorme sotto un tetto, ma all’aperto; fa’ dunque
altrettanto». É si coricò a dormire nel cortile. Dopo tre giorni, trascorsi camminando nel suo eremitaggio, mangiando la sera un po’ di insalata e dormendo all’aperto, era molto stanco. Rampognò 14 allora il pensiero che lo disturbava, confutandolo
13 La cella di un anacoreta era per lo più circondata da un piccolo cortile cinto da un muretto, chiuso da un cancello o una porta; i visitatori dovevano quindi fermarsi al di là del cortile. Per questo è usata a volte un’espressione che altrimenti non si capirebbe: «l'anziano uscì ad aprire» (cf. Teodoro di Ferme 28; Giovanni Nano 30; Nicone). Questo muretto era di un’altezza tale da separare dall'ambiente circostante la zona dove viveva un anziano. Anche quando le celle erano vicine, per esempio cavità naturali nello stesso blocco roccioso, i monaci
cercavano
di costruire o adattare
intorno alla cella questo cortiletto, in modo che l’uno uscendo non vedesse e non fosse visto dall’altro. Nei reperti archeologici si trovano ancora dei sassi accanto all’ingresso di una grotta, che corrispondono a un pezzo del suo recinto esterno. 14 Questo è un caso tipico in cui il pensiero, il A0Ylop0c, è come personificato (cf. Zenone 6; Teodoro di Ennaton 2; Macario 2; Matoes 9,
ecc.). Il verbo Emtuò, rampognare, sgridare, reprimere, viene usato nella
Gelasio / Geronzio
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con queste parole: «Se non puoi condurre la vita del deserto, rimani con pazienza nella tua cella a piangere i tuoi peccati e non andartene in giro, poiché l’occhio di Dio vede sempre le opere dell’uomo, nulla gli sfugge, e conosce chi compie il bene» 15 (152c-153a). GERONZIO
Il padre Geronzio, che viveva a Petra, disse: «Molti, tentati da desideri carnali, anche se non si accostano ad alcun cor-
po peccano con la mente. Anche se custodiscono vergine il corpo, nell'anima sono fornicatori 16. È buona cosa, o cari, compiere ciò che sta scritto e custodire il proprio cuore con ogni vigilanza» 17 (N 178) (153ab).
Scrittura soprattutto per indicare la lotta contro il Satana: cf. Zc 3, 2; Mc 1, 25; Gd 9, e contro tutte le forze mosse dalla sua potenza: cf. Mt 8, 26; Lc 4, 39, ecc.
15 Cf. Gb 34, 21 e Sal 32, 13-15, mirabilmente fusi in questa frase. 16 Cf. Mt 5, 28. 17 C£. Prv 4, 23. Vedi nota 63, p. 114.
DANIELE co se un o ut ss vi e et Sc di e el ni Da il Da non confondersi con to ra nt co in à gi o am bi ab lo ve do e, et Sc a ve lo dopo. Egli pure vi se in oi su i de e it am tr le pa ci in pr il e o ni se come il discepolo di Ar epr no so e, du i im pr i ne an tr i, gm te of ap ti es qu i tt Tu . ti gnamen o rt ce di e ch — o im pr il re pu Ep . na ti a la ic at em st si e ri se a ll senti ne ta en es pr la me co ta ol cc ra la al a st te in o te st en po lm na io nz è inte zione più degna della figura di Daniele — ha avuto molta fortuna: in Palestina, all’inizio del secolo seguente, il grande Saba e Giovanni di Colonia si troveranno alle prese con dei predoni e citeranno le parole di Daniele: «Se Dio non si prende cura di me, perché dovrei vivere?». E ancora: «Ecco, Dio si è preso cura di me...». Di fatto Dio manderà accanto a Giovanni come protettore un grosso leone 1! Anche la massima che chiude il brano n. 3 è molto famosa ed è stata più volte ripresa dalla tradizione. Fu
discepolo anche di Pafnuzio (p. 431), che lo portò al diaconato e successivamente al presbiterato, con l'intenzione di farne il suo successore, ma gli premorî (Guy 1993, p. 56).
1. Raccontavano del padre Daniele che, quando i barbari fecero incursione a Scete, i padri fuggirono. Ma l’anziano dis-
1 Cf. Vita Johannis Hesychastae 13, MO III, 3, p. 24.
Daniele
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se: «Se Dio non si prende cura di me, perché dovrei vivere?». E passò attraverso 2 i barbari, ed essi non lo videro. Disse allora a se stesso: «Ecco, Dio si è preso cura di rne e non sono
morto. Fa’ tu ora ciò che spetta all’uomo, e fuggi come gli altri padri» (153b).
2. Un fratello chiese al padre Daniele: «Dammi un precetto e lo osserverò». Gli dice: «Non intingere la mano nella scodella con una donna e non mangiare con lei, e così ti allontanerai un poco dal demone della concupiscenza» (153bc). 3. Il padre Daniele raccontò che a Babilonia la figlia di un alto funzionario era posseduta dal demonio. Suo padre era molto amico di un monaco, che gli disse: «Nessuno può curare la tua figliola se non quegli anacoreti che conosco. Ma, se li inviti a venire, non verranno per umiltà. Facciamo così: quando vengono al mercato, fingete di volere comperare la loro merce. E, quando vengono per riscuoterne il prezzo, diciamo
loro di pregare e credo che guarirà». Andarono al mercato e trovarono un discepolo dei padri seduto a vendere la sua merce, e lo fecero venire a portare i suoi canestri e a ritirare il
denaro. Quando il monaco entrò in casa, l’indemoniata gli andò incontro e gli diede uno schiaffo 3. Egli porse anche l’altra guancia, secondo il precetto del Signore 4. Il demonio ne fu tormentato e gridò: «Ahimè, il comando di Gesù mi caccia con violenza!». E subito la fanciulla fu mondata 5. Quando i padri giunsero, venne loro riferito l'accaduto. Ne
glorificarono Dio dicendo: «Accade sempre così alla superbia del diavolo, di cadere di fronte all’umiltà del precetto di Cristo» (153c-156a; PJ XV, 14). 2 Cf. Lc 4, 30, 3 C£f. Gv 18, 22. 4 Cf. Mt 5,39.
? Cf. Mt 8, 3 e par.
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Daniele
4. Il padre Daniele disse: «Quanto più fiorisce il corpo, tanto più si estenua l’anima, e quanto più si estenua il corpo tanto più fiorisce l’anima» (156b; PJ X, 17).
5. Un giorno il padre Daniele e il padre Amoe camminavano insieme. E il padre Amoe disse: «Quando rimarremo anche noi in cella, padre?». Il padre Daniele gli dice: «Chi ci toglie ora Iddio? Dio è in cella, ma Dio è anche fuori» (PJ XI, 8).
6. Il padre Daniele raccontò che a Scete, al tempo del padre Arsenio, c'era un monaco che rubava gli oggetti degli anziani. Il padre Arsenio lo prese nella sua cella per guadagnare la sua anima 6 e per dare pace agli anziani. E gli disse: «Se vuoi qualcosa, te la do; soltanto, non rubare». E gli diede oro, denaro, vestiario e tutto quanto potesse servirgli. Egli tuttavia, quando se ne andò dalla sua cella, riprese a rubare. Vedendo che non aveva smesso, gli anziani lo cacciarono dicendo: «Quando si trova in un fratello una debolezza, bisogna sopportarlo; ma se ruba e non cessa nemmeno dopo essere stato ammonito, cacciatelo, perché egli danneggia la sua anima e turba tutti quelli che abitano in quel luogo» (156bc; P] X, 18). 7. Il padre Daniele il faranita? raccontò: «Il nostro padre Arsenio ci diceva di un monaco di Scete che era molto operoso, ma rozzo nelle cose di fede. Per ignoranza si sbagliava e diceva: — Il pane che mangiamo non è realmente il corpo di Cristo, ma un simbolo. Due anziani udirono questa sua affermazione e, sapendo che nella vita era grande, pensarono che parlava senza colpa, per rozzezza. Si recarono da lui e gli dissero: — Padre, abbiamo udito che un tale dice una tesi contraria alla fede, il é L’uso dell’espressione «guadagnare», riferita sia alle anime in generale che al fratello, deriva dal Nuovo Testamento (cf. Mt 16, 26 e par.; 18, 15). 7 Cioè abitante o nativo del deserto di Faran, che si trova a sud della Palestina, fra la Palestina e il Sinai.
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pane che riceviamo non sarebbe realmente il Corpo di Cristo, ma un simbolo. Dice l’anziano: — Sono io che lo dico! Cominciarono allora a esortarlo: — Tu non devi credere a questo, ma a quello che ha tramandato la Chiesa cattolica. Noi crediamo che questo pane è il Corpo di Cristo e questo calice è il Sangue di Cristo, realmente e non un simbolo. Ma come in principio, prendendo la polvere dalla terra, Dio plasmò l’uomo a sua immagine 8 e nessuno può sostenere che non sia a immagine di Dio, anche se ciò è incomprensibile, così il pane che egli disse suo Corpo crediamo che sia veramente il Corpo di Cristo. Ma l’anziano disse: — Se non è un fatto a convincermi, non mi persuaderò. I due padri gli dissero: — In questa settimana pregheremo Dio riguardo a questo mistero, e crediamo che Dio ce lo svelerà. L'anziano accolse con gioia tali parole e pregò Dio dicendo: — Signore, tu lo sai, non è per cattiveria che io non credo; ma perché io non erri nell’ignoranza, fammi una rivelazione, Signore Gesù Cristo. Ritornati nelle proprie celle, i padri pregavano con queste parole: — Signore Gesù Cristo, rivela questo mistero all’anziano, perché creda e la sua fatica non vada perduta ?. E Dio li ascoltò entrambi 10. Alla fine della settimana, la domenica, andarono in chiesa e stettero tutti e tre
insieme in disparte, e il vecchio era in mezzo, su di un gradino. E i loro occhi si aprirono !!. Quando sul santo altare fu posto il pane in sacrificio, loro tre soli videro al suo posto un fanciullo; e quando il sacerdote tese la mano per spezzare il pane, ecco scendere dal cielo un angelo del Signore con una spada; immolò il bambino, e versò il suo sangue nel calice. Quando il sacerdote ruppe il pane in piccoli pezzetti, anche l’angelo tagliò dal fanciullo piccoli pezzi; e quando si avvicinarono per riceve8 7 10 11
C£. Gn 1, 26; 2, 7. C£.1Ts3,5. C£. Tb 3, 16. Cf. Mt 9, 30.
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re i santi doni, al vecchio soltanto venne offerta della carne san-
guinante. A quella vista fu preso dal timore e gridò: — Credo, o Signore, che il pane è il tuo Corpo e il calice il tuo Sangue. E subito la carne che aveva in mano divenne pane, secondo il mistero; e si comunicò ringraziando Dio !2, Gli anziani dissero poi: — Dio sapeva che la natura umana non può mangiare carne cruda, per questo ha trasformato il suo Corpo in pane e il suo Sangue in vino per coloro che lo ricevono con fede. E ringraziarono Dio, che non aveva permesso che le fatiche dell’anziano andassero perdute; quindi tornarono tutti e tre con gioia nelle proprie celle» (156c-160a; PJ XVIII, 3). 8. Il padre Daniele raccontò anche di un altro grande anziano, che viveva nell’Egitto meridionale, il quale nella sua ignoranza sosteneva che Melchisedech fosse il Figlio di Dio 13. Ne fu informato il beato Cirillo, arcivescovo di Alessandria, e
mandò qualcuno da lui. Ma egli sapeva che il vecchio era un taumaturgo e Dio gli rivelava qualsiasi cosa gli chiedesse: soltanto da ignoranza dipendeva: quell’affermazione. Usò quindi la seguente astuzia: gli fece dire: «Padre, ti prego, un pensiero mi dice che Melchisedech è il Figlio di Dio, un altro pensiero invece dice no, egli è un uomo, sommo sacerdote di Dio. Poiché sono incerto, ti mando a chiedere di pregare Dio che ti 12 Questo tipo di miracoli è attestato anche nella tradizione occidentale; il più famoso è il miracolo di Bolsena: nel 1263 un prete boemo che aveva dei dubbi sull’Eucaristia si trovò nelle mani carne sgorgante sangue. Questo episodio fu l'elemento decisivo per l’istituzione della festa del Corpus Domini, che già la Chiesa di Roma stava maturando di inserire nel calendario latino. 13 La misteriosa figura di Melchisedech (cf. Gn 14, 18-20), importantissima per la cristologia (cf. Sal 109, 4; Eb 7), ha costituito per la Chiesa antica un oggetto di grande interesse. Ne vediamo un riflesso anche negli apoftegmi (cf. Coprio 3). Si giunse però anche a interpretazioni non ortodosse che vedevano in Melchisedech il Figlio di Dio incarnato, non solo una presenza reale e misteriosa e una teofania non pienamente manifesta del Cristo preesistente. Altri dicevano che era lo Spirito Santo. Cf. invece Epifanio 5.
Daniele / Dioscuro
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o and fid con , ano nzi L’a . ciò» a do uar rig ne zio ela riv una ia facc nel valore della sua vita 14, disse con sicurezza: «Dammi
tre
giorni di tempo, io pregherò il Signore, e poi ti dirò chi è». Quando l’altro se ne andò, pregò Dio su questo problema. Dopo tre giorni, andò a dire al beato Cirillo: «Melchisedech è un uomo». «Come lo hai saputo, padre?», gli chiese l’arcivescovo. Egli disse: «Ho avuto da Dio questa rivelazione: tutti i patriarchi sono sfilati a uno a uno dinanzi a me, da Adamo a Melchisedech, e un angelo del Signore mi ha detto: — Questo è Melchisedech. Sii certo che è veramente così». Partitosene di là, egli stesso proclamava che Melchisedech è un uomo. Il beato Cirillo ne fu molto felice (160abc; PJ XVIII, 4). DIOSCURO
Potrebbe essere uno dei quattro LaxpoabeAgoi di Nitria, i «grandi fratelli» così chiamati per la loro alta statura, monaci molto in vista a Nitria. Dioscuro fu consacrato vescovo di Damanbur (Hermopolis parva) — diocesi di cui Nitria faceva parte — da Teofilo d'Alessandria fra il 391 e il 394, ma fu poi vittima della persecuzione antiorigenista dello stesso Teofilo insieme agli altri tre «grandi fratelli» e a trecento monaci di Nitria che fuggirono con loro. Dioscuro fu cacciato dalla sua sede dalle forze imperiali a servizio dell'arcivescovo di Alessandria (ct. p. 221). Però questo nome era piuttosto comune in Egitto e può
darsi si tratti qui di un altro Dioscuro.
1. Raccontavano del padre Dioscuro di Nachias, che mangiava pane d'orzo e di farina di lenticchie. Ogni anno si
14 Non nei propri meriti, che non esistono, ma nel valore oggettivo della preghiera e della vocazione seguita.
172
Dioscuro
proponeva la pratica di una nuova disciplina. Diceva: «Non avrò Incontri con nessuno
quest'anno», oppure: «Non
par-
lerò», oppure: «Non mangerò nulla di cotto», o ancora: «Non mangerò né frutta né verdura». Faceva così tutte le pratiche possibili; non faceva in tempo a compierne una che ne iniziava un’altra. E ciò avveniva ogni anno (160c; PJ IV, 13). 2. Un fratello interrogò il padre Poemen: «I miei pensieri mi turbano, facendo sì che io non mi curi dei miei peccati e presti attenzione alle mancanze del fratello». Gli raccontò allora il padre Poemen: «Il padre Dioscuro stava nella sua cella piangendo se stesso, mentre il suo discepolo sedeva in un’altra cella. Quando si recava dall’anziano e lo trovava in pianto, gli diceva: — Padre, perché piangi? E l’anziano diceva: — Piango i miei peccati. — Tu non hai peccati, padre, disse un giorno il suo discepolo. E l’anziano rispose: — In verità, o figlio, se io tralascio di vedere i miei peccati, non basteranno altre tre o quattro persone a piangerli» (160d-161a). 3. Il padre Dioscuro disse: «Se rivestiamo l’abito celeste 15, non saremo trovati nudi. Se invece non saremo trovati con quella veste, che faremo, fratelli? Dovremo anche noi udire quella voce che dice: Gettalo nelle tenebre esteriori; ivi sarà pianto e stridore di denti 16? Ora, fratelli, sarebbe una grande vergogna per noi, che da tanto tempo indossiamo l’abito monastico, se nell’ora suprema fossimo trovati senza la veste nuziale 17. Quale pentimento ‘allora ci prenderebbe! E quali tenebre piomberebbero su di noi di fronte ai nostri padri e fratelli, che ci vedrebbero castigati dagli angeli del castigo!» (161ab). 15 Cf, 1 Cor 15, 49. Vedi Introd.,, p. 49. 16 Mt 22, 13. 17 C£. Mt 22, 11s.
Dula
173
DULA
È il discepolo di Bessarione, che ha raccontato di lui parecchi episodi (cf. pp. 149ss.).
1. Il padre Dula diceva: «Se il nemico vuole costringerci ad abbandonare la solitudine, non ascoltiamolo; poiché nulla può combatterlo come la solitudine unita all’astinenza dal cibo: esse donano l’acutezza agli occhi interiori» 18 (161bc). 2. Disse anche: «Ironca molte relazioni, perché il tuo spirito non venga assediato da una guerra che lo distragga e turbi l'unione con Dio» (161c).
18 Le pratiche ascetiche, come già abbiamo visto (cf. nota 104, p. 133), non devono essere assolutizzate ma considerate nel loro valore strumentale; esse fanno tuttavia parte della lotta ineludibile per piegare l’uomo vecchio con le sue passioni: il gioco delle passioni è complesso, esse sono
strettamente concatenate; la continenza le combatte e impedisce che offuschino la visione della fede (cf. PJ IV, 14). Bisogna purificare i sensi — afferma un tropario pasquale di Giovanni Damasceno (Domenica di Pasqua,
Canone dell’orthros, ode I, 2, inaccessibile della risurrezione, nere la fede, vedere il Risorto, elementi corporei che deviano le sue operazioni.
CN 1974, pp. 190s.) — per vedere, alla luce il Cristo sfolgorante: non si può cioè mantesenza combattere a fondo la negatività degli continuamente e profondamente l’anima nel-
SANT'EPIFANIO, VESCOVO DI CIPRO
Nacque verso il 315 a Eleuteropoli in Palestina e probabilmente fu discepolo del grande Ilarione, il patriarca dei monaci di Terra Santa. Praticò il monachesimo in Egitto, prima di fondare un monastero a Besandik, vicino alla sua città natale, a metà strada fra Gaza e Gerusalemme. Di qui venne tratto nel 367 per essere creato vescovo di Costanza (Salamina) in Cipro, ove diede forte incremento alla vita monastica. San Girolamo, suo grande amico, scrive che vi erano a Cipro nume-
rosi monasteri abitati da moltissimi fratelli «attirati da ogni parte del mondo dall'amore di quel santo uomo» (ep. 108, 7). Anche un apoftegma della serie sistematica (PJ XV. 88) lo ricorda come un sant'uomo, un chiaroveggente, un profeta. La tradizione ecclesiastica lo venera come santo. Senza dubbio i 17 brani della raccolta alfabetica ci rivelano uno spirito molto fervente, fautore della preghiera continua (n. 3); conoscitore della ricchezza della preghiera e delle sue varie forme possibili (nn. 6 e 7); ancorato così saldamente ed espressamente alla Scrittura che quasi tutti i brani — 14 su 17 — ad essa si riportano. Ma ci sono purtroppo molti altri documenti che offuscano un quadro così roseo e fanno di questo santo una figura molto controversa: egli fomentò con impetuosa violenza la polemica contro gli origenisti (cf. Evagrio, p. 190), veri o presunti, perché nella sua fanatica avversione vedeva
origenisti dappertutto,
anche nel
vescovo Giovanni Crisostomo, che Epifanio ostacolò con indi-
Epifanio
175
cibile pervicacia. Nelle sue grandi battaglie il vescovo di Cipro coinvolse e istigò fortemente l’amico Girolamo e fu a sua volta istigato dall'arcivescovo di Alessandria Teofilo Anche se il bersaglio principale di Epifanio era scagliò molte frecce anche contro tanti altri. Oltre re, Epifanio ba lasciato due opere dai titoli molto
(cf. p. 221). Origene, egli a varie lettesignificativi:
Ancoratus, cioè uno scritto che voleva saldamente ancorare i
fedeli nella loro fede, e Panarion, cioè l’«armadio farmaceutico» contenente i rimedi a tutte le eresie che potevano minacciare la fede; l’autore ne elenca ben 80! Dopo avere interdetto, con un concilio locale, la lettura di Origene, il vecchio ormai quasi novantenne cercò di convincere gli altri vescovi e patriarchi a fare altrettanto. Siccome il Crisostomo faceva il sordo, Epifanio s'imbarcò per Costantinopoli nell’intenzione di convincerlo o di rompere definitivamente con lui. Morì nel 403, sulla via del ritorno da questa infelice spedizione. Non è l’unica figura di santo in questi secoli che offra il fianco a tante perplessità, soprattutto per la discordia che seminava ovunque; certo non era un fautore di pace. Ma questo è frequente in quell’epoca, in cui tanti cristiani erano coinvolti in appassionanti dispute dottrinali; è anche un segno della sincerità e vivezza della fede. Ma agli entusiasmi e passioni per la fede spesso s'intrecciavano,
specie da parte di vescovi, antipatie e
rivalità personali. Nel caso di Epifanio però si è tutti concordi nel dire che la sua polemica era esente da queste componenti, era soltanto frutto di una difesa della fede ingenua e viscerale. 1. Il santo Epifanio vescovo di Cipro raccontò che, al tempo del beato Atanasio il Grande, le cornacchie volavano attorno al tempio di Serapide urlando incessantemente: «Cras! Cras!». Presentatisi al beato Atanasio, i pagani gridarono: «Vecchio infame, dicci che cosa urlano le cornacchie!». Egli rispose: «Gridano cras cras, che, nella lingua italica, significa
176
Epifanio
domani». E aggiunse: «Domani vedrete la gloria del Signore» +. Il giorno seguente fu annunciata la morte dell’imperatore Giuliano 2. A questo fatto, essi corsero da Serapide e le urlarono contro: «Se non gli volevi bene, perché accettavi le sue offerte?» (161c-164a).
2. Il medesimo raccontò che vi era ad Alessandria un auriga, la cui madre si chiamava Maria. Nel corso di una gara ippica, egli cadde, ma si rialzò subito, sorpassò colui che l’aveva fatto cadere, e vinse. La folla gridò: «Il figlio di Maria è caduto, è risorto, e ha vinto» 3. Mentre ancora si levava questo grido, giunse alla folla la notizia che il grande Teofilo era venuto, aveva rovesciato l’idolo di Serapide e si era impadronito del tempio 4(164ab). 3. Il beato Epifanio vescovo di Cipro aveva in Palestina un monastero. Il suo abate un giorno gli mandò a dire: «Grazie alle tue preghiere non abbiamo trascurato la nostra regola, ma con zelo celebriamo l’ora di prima, terza, sesta, nona, e
l'ufficio del lucernario» 5. Ma egli li rimproverò con queste parole: «Evidentemente trascurate le altre ore del giorno aste-
1Es 16, 17.
2 È il famoso Giuliano l’Apostata che, nella seconda metà del IV secolo, osteggiò moltissimo il cristianesimo e tentò di fomentare una grande rinascita neo-pagana. 3 Senza saperlo la folla fa una perfetta professione di fede in Cristo, figlio di Maria, cioè venuto nella carne, morto e risorto. La punta del detto consiste nella tesi dell’oggettività della Parola che, quasi rivestita di personalità autonoma (si vedano al riguardo innumerevoli testi soprattutto dell’Antico Testamento), consegue il suo risultato anche prescindendo dall’intenzionalità con cui è pronunciata. La proclamazione della fede vince e distrugge l’idolatria.
4 Cf. p. 220. ? E l’ora dei vespri, come è stata chiamata anche nel rito ambrosiano:
al tramonto del sole, durante la celebrazione vespertina, venivano accese le luci, simbolo del Cristo, la luce che non tramonta.
Epifanio
1/7
nendovi dalla preghiera. Il vero monaco deve avere incessantemente nel cuore la preghiera e la salmodia».
4. Una volta il santo Epifanio, vescovo di Cipro, mandò a chiamare il padre Ilarione: «Vieni, incontriamoci prima di uscire dal corpo». Egli venne da lui e gioirono insieme. A pranzo furono serviti degli uccelli. Il vescovo ne porse al padre Ilarione che protestò: «Perdonami, da quando ho indossato l’abito monastico non ho più mangiato animali uccisi». E il vescovo a lui: «Io invece, da quando ho indossato l’abito monastico, non ho mai permesso che qualcuno si addormentasse senza essere in pace con me, né io mi sono addormentato senza essere in pace con qualcuno» 6. «Perdonami — disse l'anziano —, la tua vita è migliore della mia» (164c; PJ IV, 15). 5. Il medesimo diceva: «Se Melchisedech, figura del Cristo 7, benedì Abramo, la radice dei giudei, tanto più la Verità stessa, il Cristo, benedice e santifica tutti quelli che credono in lui» (164d).
6. Diceva ancora: «La cananea grida forte ed è esaudita 8, l’emorroissa tace e viene detta beata 9, il fariseo grida ed è condannato, il pubblicano non apre nemmeno la bocca ed è esaudito 10» (1652).
7.Il medesimo diceva: «Il profeta David pregava a notte fonda, si alzava a mezzanotte, prima dell’alba invocava aiuto, all’alba era in preghiera, al mattino implorava, alla sera e a
6 Cf. Mt 5, 22s.; Ef4, 26.
* C£. Gn 14, 19. Vedi nota 13, p. 170. 8 Cf. Mt 15, 22. ? Cf. Mt 9, 20. 10 Cf. Lc 18, 10-14.
Epifanio
1/8
mezzogiorno elevava suppliche. Per questo poteva dire: Serte volte al giorno ti do lode 11».
8. Disse ancora: «E necessario, se si può, possedere i libri cristiani 12, Infatti, il solo vedere la Bibbia ci rende più esitanti di fronte al peccato e ci dà maggior vigore a compiere la giustizia». 9. Disse ancora: «Grande sicurezza contro il peccato è la lettura delle Scritture» (165b).
10. Disse ancora: «L'ignoranza delle Scritture è un grande precipizio e un profondo baratro». 11. Disse ancora: «E un grande tradimento della salvezza non conoscere nessuna delle leggi divine». 12. Il medesimo diceva che i peccati dei giusti sono sulle labbra, mentre quelli degli empi sono in tutto il corpo. Per questo David canta: Poni Signore una guardia alla mia bocca e una porta che chiuda interamente le mie labbra 13; e: Ho detto: custodirò le mie vie, per non peccare con la mia lingua 34. 13. Interrogato sul perché i comandamenti della legge sono dieci e nove le beatitudini, rispose: «I comandamenti sono tanti quanti le piaghe d’Egitto, le beatitudini sono il triplo di tre, l’immagine della Trinità» (165bc).
14. Gli chiesero ancora se è sufficiente che un solo giusto supplichi Dio. Disse: «Sì. Egli dice infatti: Cercaterzi un solo 11 Sal 118, 64. 12 Come si vede chiaramente da quanto segue, con questo termine indica le Sacre Scritture, libro essenziale che un cristiano deve avere in quan-
to libro «cristiano» per eccellenza, che a ogni pagina parla del Cristo. 13 Sal 140, 3. 14 Sal 38,2.
Epifanio / Efrem
179
uomo che pratichi diritto e giustizia e io perdonerò a tutto il popolo 15».
15. Egli ancora disse: «Ai peccatori che si pentono, come alla peccatrice, al ladrone e al pubblicano 56, il Signore perdona tutto il debito; ma ai giusti chiede anche gli interessi. Ecco cosa significa ciò che disse agli apostoli: Se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli 7» (165c-168a). 16. Diceva anche che Dio vende a ben poco prezzo le sue giustizie a chi desidera comprarle: un pezzettino di pane, un umile vestito, una bevanda fresca 18, una monetina.
17. Aggiunse anche questo: «Se un uomo è costretto dalla povertà o dall’indigenza a prendere a prestito, quando restituisce il denaro ringrazia, ma lo rende di nascosto perché si vergogna. Il Signore Iddio invece fa tutto il contrario: il prestito lo fa di nascosto, ma la restituzione avviene di fronte agli angeli, agli arcangeli e ai santi».
ÉFREM
Nato verso il 306 in Mesopotamia,
dopo aver studiato l’animatore di una Edessa nel 367, a anche qui proseguì 15 16 17 18
a Nisibi o dintorni,
presso il vescovo di quella città, Giacomo, fu scuola di dottrina, poesia, canto. Si rifugiò a causa dell'occupazione persiana di Nisibi, e l’attività d'insegnamento, unita alla compo-
Ger 5, 1. C£. Lc 7, 37ss.; 23, 43; 18, 10ss. Mt 5, 20. Cf. Mt 10, 42.
180
Efrem
sizione di molti scritti esegetici,
catechetici e inni, in lingua
siriaca. Tale era la sua esuberanza poetica e tale il gusto dei siri per la poesia, che persino molte omelie sono composte in versi. Fu soprannominato «profeta dei siri» e «cetra dello Spirito Sani prim due dei stile o sull , arlo ific magn amò ne to» e la tradizio caridei so colo mira ento erim conf il li ndog ibue attr apoftegmi, o stat È ime. lacr e dell e anch e , enza sapi a dell la, paro a smi dell
altri agli come gere pian rale natu così era gli che lui di to scrit uomini respirare. Fin da molto giovane condusse con altri vita tibipa com ata, ritir vita a, tenz peni e rtà, pove tà, casti comune in
le però con l'insegnamento e la predicazione. Fu ordinato diacono, ma non sappiamo con esattezza quando. Sulla sua vita è stato scritto tanto, ma purtroppo intessuto di molte leggende. Varie fonti raccontano che si sia speso con grandissima generosità assistendo infermi, affamati, sebpellendo morti, in occasione di una grave carestia. Vera o falsa che sia questa notizia, è significativo come la tradizione abbia voluto tramandare di lui un'immagine completa, non solo di grande scrittore e innografo, ma anche di diacono dedito al servizio dei bisognosi. Morì nel 373. Fu tanto venerato che molto presto inni e altri suoî scritti furono introdotti nelle celebrazioni liturgiche. Fu tradotto în greco, in latino, rimaneggiato, inserito in moltissime raccolte; nel grande e anche ingenuo entusiasmo e amore per lui, si posero falsamente sotto la sua attribuzione molte opere che non gli appartenevano. La grandezza di s. Efrem ha raggiunto l'apice nel cantare le lodi della Madre di Dio. Mancava ancora molto tempo al concilio di Efeso (cf. nota 8, p. 162) e già il pensiero di Efrem su di lei era molto sviluppato e profondo. Egli ne contempla e celebra la straordinaria bellezza e vede rifulgere in lei, per una compartecipazione estremamente conti-
gua e privilegiata, la conformità al Cristo: il Signore e Sua Madre sono i soli perfettamente belli in questo mondo contaminato; nella Madonna risplende una somiglianza a Dio unica ed eccezionale.
Questi pensieri sono
ripetutamente
Efrem, soprattutto negli inni per il Natale.
espressi da
Efrem
181
1. Da fanciullo il padre Efrem ebbe questo sogno, o questa visione: una vite usciva dalla sua bocca e cresceva e riempiva tutta la terra ed era tutta piena di grappoli; e vennero tutti gli uccelli del cielo 19 e mangiarono del frutto della vite. Ma, più mangiavano e più i suoi frutti si moltiplicavano (168b; P] XVIII, 5). 2. Un'altra volta uno dei santi ebbe questa visione: una schiera di angeli scendeva dal cielo su comando di Dio e aveva
in mano un rotolo, ossia un volume scritto di dentro e di fuori.
E si chiedevano: «A chi dobbiamo affidarlo?». Gli uni dicevano: «A questo», gli altri: «A quest'altro», ma infine si risolsero e dissero: «Davvero sono santi e degni, ma a nessuno può essere affidato questo libro se non a Efrem». Quindi l’anziano vide che consegnarono il volume a Efrem 20; all’alba, quando si alzò, udì
come una fontana.che zampillava 2! dalla bocca di Efrem mentre componeva, e seppe così che proveniva dallo Spirito Santo ciò
che usciva dalle labbra di Efrem (168bc; PJ XVIII, 6).
3. Un giorno in cui Ffrem passava per strada, uscì da un'imboscata una meretrice per tentarlo a una turpe unione o per farlo almeno adirare, poiché mai nessuno l’aveva visto in preda all’ira. Egli le disse: «Seguimi». Quando furono giunti in un luogo molto affollato, le disse: «Qui, in questo luogo, fa’ quello che vuoi». Ma lei, vedendo la folla, disse: «Come possiamo fare questo di fronte a tanta gente, senza vergognarci?». Ed egli a lei: «Se ci vergogniamo degli uomini, tanto più dovremmo vergognarci di Dio, che scruta nei segreti delle tenebre!» 22. Ed essa, piena di vergogna, si allontanò senza aver compiuto ciò che voleva (168cd; P] X, 21). 19 C£. Mt 13, 32 e par. 20 Anche quest’episodio riecheggia una pagina della Scrittura (cf. Ap >, 2-9) e insinua il pensiero di una particolare conformità al Cristo di questo santo, perché Egli è l’unico degno di aprire il libro. Cf. Introd., pp. 54-59. 21 C£. Gv4, 14. 22 C£.1 Cor 4,5.
Eucaristo
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EUCARISTO, SECOLARE
si n no 0 , to ti is es t ma a si n no le de fe Può darsi che questo chiamasse così
e la storia sia inventata,
o sia una variante di
. he og al an e rm fo in e lt vo ù pi a rn to ri un'unica storia «topica» che mi no a si io od is ep to es qu e ch o tt fa È comunque degno di nota il — me no il o tt so ca ti be fa al e ri se nativo, faccia cioè parte della l ta to sì co e en vi e al qu il , le de fe vero o presunto che sia — di un e ch si te la e er en st so r pe i, an mente allineato coi grandi anzi de an gr a re ge un gi o on ss po ) 17 , XX PJ anche i laici (cf N 67; e nt me ta li so no so li mi si i od is ep i Gl . so perfezione. È l’unico ca et sp o at st è ne e ch no ia nz 'a ll de me no il anonimi o inseriti sotto e ri se la e ch An . ti ta on cc ra di in qu e , re tatore o li ha sentiti di e nn do e du e ll de lo el qu , e io od is ep to es e qu li og cc a ra ic at sistem n no e ma al ug ni co ta e vi al rm o no a an un ev uc nd co e te ch ta ri ma avevano mai detto una parola mondana o cattiva (XX, 17), nel capitolo intitolato: «La vita straordinaria di alcuni anziani». E molto importante che la tradizione monastica abbia accolto senza pregiudizi le testimonianze di questi fedeli alla stregua di quelle di grandi vegliardi 2. Due padri pregarono Dio di rivelare loro a quale grado di perfezione fossero giunti. E udirono una voce: «Nel tal villaggio d'Egitto c’è un laico di nome Eucaristo la cui moglie si chiama Maria. Voi non siete ancora giunti alla loro misura». I due anziani si misero in viaggio e giunsero al villaggio, dove, informatisi, trovarono l’abitazione di Eucaristo e sua moglie. Le chiesero: — Dov'è tuo marito? — È pastore, disse, e sta pascolando le pecore. E li fece entrare in casa. A sera Eucario
23 Anche dalla lettura della serie latina degli apoftegmi emerge la con-
vinzione che quel che conta non sia essere monaco o secolare, vergine o maritata, ma compiere la volontà di Dio «nella misura della disposizione di ciascuno»; cf. P] XX, 17.
Eucaristo / Eulogio
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sto ritornò con le pecore e, vedendo gli anziani, preparò la tavola e preparò l’acqua per lavare loro i piedi. Ma gli anziani dissero: - Non toccheremo cibo se non ci avrai detto come vivi. — Sono pastore — disse Eucaristo con umiltà —, e questa è mia moglie. Ma, poiché non voleva più rispondere alle domande che gli anziani insistevano a porgli, gli dissero: — Dio ci ha mandato qui. A queste parole fu preso da timore e disse loro: — Queste pecore le abbiamo avute dai nostri genitori; quanto il Signore ha la bontà di farci guadagnare da esse, lo dividiamo in tre parti: una parte per i poveri, una per gli ospiti, la terza parte per le nostre necessità. Da quando ho preso moglie, non ci siamo contaminati né io né lei: ella è vergine. Di notte dormiamo separati e indossiamo dei sacchi; di giorno, i nostri vestiti. Finora nessuno lo sapeva. Udendo [questo] rimasero stupiti e se ne andarono glorificando Dio 24
(168d-169c; PJ XX, 3).
EULOGIO, PRESBITERO
Questo discepolo del grande Giovanni Crisostomo fu monaco all’Ennaton, cioè nella località a nove miglia da Alessandria ove si trovava un importante insediamento monastico (cf. p. 217). Il suo nome ritorna in un’altra serie (N 541): ivi egli racconta l'episodio di un fratello che viveva alle Celle il quale, dopo aver letto per vent'anni le Scritture notte e giorno,
vendette tutti i libri che possedeva e si ritirò nel più lontano deserto per poter finalmente mettere in pratica quanto aveva
udito dalle Scritture. Potrebbe forse essere lo stesso Eulogio di cui parla l’Historia Monachorum (c. XVI), presbitero dotato del dono delle visioni: mentre celebrava l’Eucaristia vedeva chiaramente l’anima di chi si accostava ai misteri, respingeva
24 Cf. Lc 2, 18.20.
184
Eulogio
gli indegni e li invitava a penitenza. Se l'episodio qui sotto raccontato tratta del medesimo Eulogio, è senz'altro precedente, quando egli non aveva ancora ricevuto il dono di vedere le realtà invisibili.
Eulogio era un prete e un grande asceta, discepolo del teral rni, alte rni gio a ava iun Dig ni. van Gio vo sco ive arc beato man , ana tim set la a tutt a o iun dig il eva end est sso spe mine . ini uom li dag ato lod to mol era Ed . sale e e pan to tan sol giando Si recò un giorno dal padre Giuseppe a Panefisi aspettandosi di vedere da lui pratiche ascetiche ancor più dure. L'anziano, ricevutolo con gioia, gli fece porgere tutto quanto aveva. Ma i discepoli di Eulogio dissero: «Egli non mangia altro che pane e sale». Il padre Giuseppe mangiò in silenzio. Trascorsero tre giorni senza che li udissero salmodiare o pregare. La loro vita infatti era nascosta. Se ne andarono per nulla edificati. Ma il Signore dispose che perdessero la strada a causa della nebbia e ritornassero dall’anziano. Prima di bussare, udirono che stavano salmodiando. Dopo una lunga attesa, bussarono. Interruppero la salmodia per riceverli con gioia; dato che era molto caldo, i discepoli di Eulogio versarono acqua in un boccale e gliela porsero: era acqua di mare mista ad acqua di fiume, imbevibile. Egli, ritornato in sé, cadde ai piedi dell’anziano, e,
per apprendere il suo modo di vivere, gli chiese: «Padre, che significa questo? Prima non salmodiavate, ma adesso sì, dopo che noi siamo usciti; e ora, prendendo il boccale, ho trovato l’acqua salata». Gli dice il vecchio: «Il fratello è sciocco e vi ha mescolato per sbaglio l’acqua di mare». Ma Eulogio insisteva a pregare l’anziano, per sapere la verità. «Questa piccola coppa è per il vino ed è riservata al banchetto fraterno — dice l'anziano —, l’altra invece è l’acqua che bevono solitamente i fratelli». E gli insegnò a discernere i pensieri e troncò tutte quelle sue considerazioni umane. Così il padre Eulogio divenne prudente, e in seguito mangiò ciò che gli veniva posto
Eulogio / Euprepio
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innanzi e imparò anche lui a operare nel segreto 25. E disse all’anziano: «Davvero le vostre opere sono nella verità» 26
(169c-172a; PJ VIII, 4).
EUPREPIO
Sebbene sia rimasto un gruppetto di apoftegmi tutt'altro che irrilevanti, della sua vita non si sa nulla. Da altre fonti, risulta con certezza che il numero 7 in realtà non è un episodio di Euprepio, ma di Evagrio Pontico. 1. Il padre Euprepio disse: «Conserva in te la certezza che Dio è fedele e potente, credi in lui e avrai parte ai suoi beni; se
invece ti perdi di coraggio, significa che non credi. Infatti, poiché tutti crediamo che è potente, crediamo pure che a lui tutto è possibile 27. In lui dunque confida anche per quanto riguarda te stesso, perché anche in te egli compie prodigi» (172b). 2. Il padre Euprepio, un giorno in cui fu derubato, aiutò lui stesso i ladri. Dopo che se ne erano andati con tutto quanto aveva in casa, il padre vide che avevano dimenticato il loro bastone, e se ne dispiacque. Lo prese e li rincorse per restituirlo. Ma essi non vollero accettarlo, nel timore che capitasse loro qualcosa 28. Egli però, incontrate alcune persone che percorrevano lo stesso cammino, pensò di dare loro il bastone perché lo restituissero (172bc).
25 Cf. Mt 6,4. 26 Con una variante molto interessante la versione latina sostituisce «carità» a «verità» (PJ] VIII, 4).
27 C£. Mc 9, 23 e par. 28 Temevano che nel bastone potesse essere nascosto qualche incantesimo per recare loro una disgrazia.
Euprepio / Elladio
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o rp co il da ar gu ri che ciò to ut «T se: dis io ep pr Eu 3. Il padre se ; po am ci in di i on si ca oc le a am o nd mo il a am è materia: chi e er nd re e e irn gio a gn so bi , sa co al qu re ri ar sm quindi accade di ». ni io az up cc eo pr da ti era lib o am si do mo tal grazie, perché in di do mo l su io ep pr Eu e dr pa il ò og rr te in 4. Un fratello i rm do , ba er d’ i it st ve , ba er a gi an «M e: ss di vivere. L’anziano gli . o» rr fe di e or cu un i tt fa e o tt tu oè sull’erba: disprezza ci a tr en e om «C o: an zi an so es st o all ò 5. Un fratello domand è mo uo l’ e «S o: an zi an l’ e ss Di ». o? Di di re mo ti il pell’anima
a tr en o Di di re mo ti il ri, alt gli a ic ud gi n no se e , ro ve umile, po
in lui».
6.Il medesimo disse: «Timore, umiltà, scarsità di cibo, e
lutto rimangano in te» (172d).
7. All’inizio della sua vita monastica, il padre Euprepio si recò da un anziano e gli chiese: «Padre, dimmi una parola, come posso salvarmi?». L'altro gli disse: «Se vuoi salvarti, quando vai in visita da qualcuno non parlare prima di essere interrogato». Preso da compunzione a queste parole, si prostrò dicendo: «In verità ho letto molti libri, ma non ho mai trovato questo insegnamento» (PJ X, 19).
ELLADIO
Visse alle Celle dal 420 al 440 e si fece stimare come uno degli asceti più notevoli in quegli anni in cui pare che a Nitria e alle Celle vi fosse assenza di simili grandi e venissero rimpiante le prime generazioni. Questi due unici detti sono veramente fra 1 più eccessivi e discutibili che si possano trovare, ma sono probabilmente scelti a posta o anche estremizzati per dimostrare che pure în quegli anni vi erano grandi asceti e per rispondere a chi
Elladio / Evagrio
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lodava con rimpianto i tempi passati. Di fatto è contrario alla tradizione, codificata anche da norme canoniche, il fare digiuni e penitenze a Pasqua e le domeniche.
1. Dicevano che il padre Elladio passò vent’anni alle Celle, ma non alzò mai gli occhi per guardare il tetto della chiesa (173a; PJIV, 16). 2. Raccontavano che il padre Elladio soleva mangiare pane e sale; quando giunse la Pasqua, si disse: «I fratelli mangiano pane e sale; io dovrei fare un piccolo sforzo a motivo della Pasqua: dato che gli altri giorni mangio seduto, ora che è Pasqua, farò lo sforzo di mangiare in piedi». EVAGRIO
«Non è giusto lasciare nell'oblio la vita di Evagrio, il celebre diacono che visse a norma degli apostoli, ma stimo degno di affidare allo scritto quanto narro, per l’edificazione dei lettori e per la gloria della bontà del Salvatore nostro». Così inizia il non breve capitolo dedicato a Evagrio Pontico nella Storia Lausiaca di Palladio (HL, 38), suo ammiratore e discepolo. Evagrio era del Ponto, della città di Ibora, ove nacque verso il 345. Fu pro-
mosso lettore dal grande Basilio di Cesarea e ordinato diacono da Gregorio di Nazianzo, quindi affidato al patriarca di Costantinopoli Nettario. «Era abilissimo a confutare tutte le eresie e si distingueva nella grande città per i suoi discorsi pieni di giovanile ardore contro ogni errore» (ibid.), perciò lo fecero partecipare al II Concilio ecumenico, il Concilio Costantinopolitano del 381. Era «bello di aspetto e di buon gusto nel vestire» (Sozomeno, HE, VI, 30) e correva il rischio di essere trascinato nella vita mondana e nella lussuria. Le fonti raccontano che ebbe un sogno terribile sul giudizio — molto probabilmente da tale esperienza o
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Evagrio
da tale tradizione deriva un apoftegma insolitamente fosco quale il primo della raccolta — e vide il libro degli Evangeli come fonte della sua liberazione. Su di esso in sogno giurò di allontanarsi dalla città, e «alzatosi rifletté: — Sebbene il giuramento sia avvenuto in sogno, tuttavia ho giurato. Perciò gettate tutte le cose sue su una nave, se ne partì per Gerusalemme» (HL, 38). Qui giunto «ebbe dei dubbi, cominciò ad esitare» (ibid.), ma soste-
nuto quindi dalla beata Melania di Roma 29, si ritirò in Egitto, nel deserto di Nitria, e sinnamorò di quella vita «alla vista di coloro che là filosofavano» (Sozomeno, HE, VI, 30), cioè aveva-
no la vera filosofia, il vero amore della sapienza, la vita cristiana per eccellenza. Dopo due anni, s'inoltrò ancor più nel deserto, alle Celle, dove visse per 14 anni in grande austerità, guadagnandosi il cibo come copista di manoscritti, consumando 350 grammi di pane al giorno e 480 grammi di olio ogni tre mesi. Sicuramente conobbe Macario il Grande, di Scete, e forse fu discepolo un po’ di tutti e due i Macario (cf. pp. 300ss. e 345ss.). Raccontano che, mentre era a Nitria — dei tre grandi insediamenti monastici quello più vicino ad Alessandria —, sarebbe disceso spesso in città a disputare e «chiudeva la bocca» ai filosofi pagani (HM, XX, 15). Acquistò presto grande fama come uomo straordinariamente dotato a discernere î pensieri: «è dall'esperienza che aveva acquisito questo dono» (ibid.); «acquistò mediante le opere la filosofia, egli che prima era stato filosofo soltanto nella parola» (Socrate, HM, IV, 23). E che non fosse solo «filosofo» (cf. nota 33, p. 250) ma esperto di vita spirituale lo denota anche il seguente episodio: a un fratello turbato da fantasmi notturni ordinò digiuno e servizio ai malati, dicendo
29 Famosa dama romana che, rimasta vedova, aveva rinunciato a tutti i
suoi beni, era partita per l'Oriente e, dopo aver peregrinato fra i monasteri d’Egitto, aveva raccolto attorno a sé a Gerusalemme una comunità femminile di preghiera. La sua nipote omonima, chiamata poi Melania la giovane,
seguirà i suoi passi e, d'accordo col marito, lascerà Roma e la vita coniugale per proseguire nella vita monastica iniziata dalla nonna sul Monte degli Ulivi.
Evagrio
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che certe passioni da null'altro sono spente come dalla misericordia. Ciò non toglie che fu anche teorico a un grado del tutto eccezionale, insolito per i padri del deserto, così che è stato chiamato il «monaco filosofo per eccellenza»: era imbevuto di filosofia platonica e molto sensibile ai germi di pensiero orientale che circolavano allora ad Alessandria; fu seguace delle dottrine di Origene 30 e sviluppò e spinse all’estremo le tendenze più contestabili del suo maestro, giustificando così in parte le condanne postume di cui l’origenismo sarà oggetto dalla fine del IV secolo al VI. Per contro è grandissimo il valore della sua dottrina spirituale e del fatto che egli è uno dei pochissimi, per così dire, «intellettuali» del deserto: ba raccolto e costituito in corpo di dottrina l'insegnamento dei padri del deserto; la sua opera ascetica è una vera «summa»
in cui si trova condensata una
gran parte della loro spiritualità. Egli analizza con grande acutezza le passioni e i loro meccanismi, l’azione dei demoni che le muovono, la lotta contro i demoni, la vita di estraneità al mondo e di unione con Dio nella solitudine. Il suo influsso su tutta la tradizione ascetica successiva è decisivo, anche se il suo
nome, per ragioni di prudenza, viene nominato molto più di rado di quanto in realtà non ci si rifaccia a lui, consapevolmente o inconsapevolmente. Cassiano risente dell’influsso di Evagrio e, senza nominarlo, dedica un paragrafo delle Istituzioni 4 un fratello originario del Ponto «intento alla purità del suo
30 È praticamente il primo grandissimo (e forse non più superato) maestro di esegesi biblica. Insegnò ad Alessandria tra il 212 e il 231, morì a Tiro nel 252 o 253. Non si può prescindere dal suo modo di accostare la Scrittura tanto che è sempre necessario ritornare al suo insegnamento. Qual-
che volta però, soprattutto nelle opere non esegetiche ma speculative, Orige-
ne, trascinato dalla sua enorme cultura classica, neoplatonica, giudaica, si
avventurò un po’ troppo al di là delle certezze rivelate, attingendo ad altre dottrine nel trattare dell'anima, degli esseri, dei mondi, delle cose ultime. Perciò nella sua opera bisogna discernere e lasciare da parte qualcosa, il che non sempre è stato fatto dai suoi seguaci. Fra il III e il VI secolo la Chiesa fu travagliata da grandi dispute pro o contro l’origenismo.
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Evagrio
cuore e grandemente sollecito nella contemplazione divina», il quale, ricevuto da casa un pacchetto di lettere, con grande fermezza bruciò tutto senza aprirlo, per non fare entrare nel suo
spirito alcuna distrazione (V, 32). L'ultimo apoftegma di questo primo gruppo trova conferma in altre fonti: prima della grande pp. (cf. ilo Teof di e anio Epif di ta enis orig anti persecuzione 174s.; 221), Evagrio era stato nelle grazie dello stesso Teofilo, si egli ma is, Thmu di ovo vesc rlo acra cons to volu che avrebbe rifiutò. Morì prima della grande incursione di Teofilo contro i monaci origenisti, che ebbe luogo nella primavera del 400. Palladio racconta di aver assistito alla morte del suo maestro, avvenuta poco dopo la partecipazione all’Eucaristia della festa dell'Epifania del 399; aveva 54 anni. Varie fonti attestano che è lui l'interlocutore di Arsenio nel detto di Arsenio n. 5 ed è lui che alla notizia della morte di suo padre disse: «Cessa di bestemmiare, perché mio padre è immortale» (cf. PJ I 5). La serie sistematica «derivata»
(cf. Guy,
Recherches..., p. 239),
porta sparsi qua e là nei diversi capitoli ben 16 detti di Evagrio che non figurano nell’alfabetica; anche qui probabilmente ha giocato un motivo di prudenza: non essendo tutti in fila sotto il suo nome facevano meno effetto che raggruppati nella serie alfabetica. Gli apoftegmi che incontreremo più avanti sotto il nome di Nilo (p. 349) sono in realtà tutti di Evagrio e sono più significativi di questi, raccolti qui sotto il suo nome. In quella sede verrà aggiunto qualche altro dato su di lui.
1. Il padre Evagrio ha detto: «Quando sei nella tua cella, raccogli il tuo pensiero; ricordati del giorno della morte, considera la morte del corpo, pensa al tuo destino, accetta la fatica, disprezza la vanità del mondo, per poter perseverare nel proponimento di perseguire l’unione con Dio, e non affievolirti. Ricordati anche di chi ora è all’inferno, pensa alla situazione di quelle anime, quale terribile silenzio, che amarissimo gemere, quale timore e lotta, e quale prospettiva: dolore senza fine,
Evagrio
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l’incessante lacrimare dell’anima. Ma ricordati anche del giorno della risurrezione e di quando comparirai innanzi a Dio; immaginati quel terribile e tremendo tribunale; medita ciò che è riservato ai peccatori: la vergogna di fronte a Dio, agli angeli, agli arcangeli e a tutti gli uomini: castighi, fuoco eterno, il verme che non muore mai 31, l’abisso, le tenebre, lo stridore di denti 32, i terrori e le torture. Pensa però anche ai beni che sono riservati ai giusti: la familiarità con Dio Padre e con il suo Cristo, con gli angeli, gli arcangeli e tutte le schiere dei santi; pensa al regno dei cieli e ai suoi doni e alla gioia che vi si godrà. Di ambedue le cose serba in te la memoria. Per il giudizio dei peccatori piangi, addolorati, temendo che accada anche ate. Rallegrati e gioisci per i beni riservati ai giusti e cerca di conseguirne il godimento e di scampare a quelle pene. Guarda di non dimenticarti di tutto ciò, sia quando sei nella tua cella che quando sei fuori, per sfuggire i pensieri turpi e nocivi» (173abc; P] III, 3).
2. Disse anche: «Tronca molte relazioni, perché il tuo spirito non sia distratto e per non turbare l’unione con Dio» (cf. Dula 2) (173d).
3. Disse anche: «E grande cosa pregare senza distrarsi, più grande ancora salmodiare senza distrarsi» (PJ XI, 9). 4. Disse anche: «Ricorda incessantemente quando uscirai da questa vita e non dimenticare il giudizio eterno; così non ci sarà colpa nella tua anima» (PJ XI, 10).
5. Disse ancora: «Togli le tentazioni e nessuno si salva» (cf. Antonio 5) (1762).
31 Cf. Mc 9, 48.
32 C£. Mt 8, 12 e par.
Evagrio / Eudemone
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6. Raccontò ancora che un padre aveva detto: «Una regola di vita molto arida 33 e regolare, unita alla carità, conduce molto rapidamente il monaco al porto dell’impassibilità» (PJ I, 4). 7. Si riunirono una volta i monaci alle Celle per trattare una questione. Dopo che il padre Evagrio ebbe parlato, il prela nel o ast rim si fos tu se che re, pad o, am pi ap «S se: dis o ter sbi e o cov ves to enu div i est sar tà ili bab pro i ogn con , ria pat tua i Egl ». ero ani str uno me co sei ora qui ma ; eli fed ti mol di o cap e: pos ris e ta tes la sse sco e, on zi un mp co con ma, bò, tur si non
«È vero, padre, però io ho già parlato una volta e per la seconda non ho niente da aggiungere» 34 (P] XVI, 2). 8. Disse ancora: «Inizio della salvezza è condannare
se
stessi» (S 1; PJ XV, 15). EUDEMONE
Si trattava evidentemente di un ragazzetto al quale, a differenza di Zaccaria che apparteneva alla generazione precedente (cf. p. 197), non fu concesso di rimanere nel deserto.
Il padre Eudemone raccontò del padre Pafnuzio, l’abate di Scete: «Andai laggiù da giovane; ma non permise che vi rimanessi. — Non voglio con me a Scete, disse, un volto femmi-
nile, a causa degli attacchi del nemico» (176b).
33 La versione latina (PJ I, 4) dice: «Un nutrimento frugale preso regolarmente»; anche il testo greco potrebbe forse voler indicare solo il cibo, come quello latino. Ma la parola greca usata, dilata, può avere anche la più ampia accezione di regola di vita, sia riguardo al corpo che allo spirito. 34 Gb 40,5.
ZENONE
Discepolo di Silvano (cf. p. 462) insieme a Zaccaria, Marco (cf. pp. 197; 335) e altri otto fratelli che da Scete si trasferirono sul monte Sinai forse verso il 380. In seguito s'insediarono in Palestina, nella regione di Gaza, vicino a Gerara. Può darsi che la Palestina di cui parla il n. 6, così come la Siria menzionata al n. 3 di Zenone e al n. 5 di Marco, non siano che un'unica terra, cioè la
Palestina, che lo scrittore chiami genericamente Siria includendo sotto questo nome sia luna che l'altra regione. Le individuazioni geografiche dei nostri autori sono spesso imprecise, e di frequente sotto un unico nome s'intendono zone diverse — sotto Scete includevano spesse volte anche Nitria —. Di fatto non risultano insedia menti del gruppo di Silvano nella Siria effettiva, mentre si conoscono con certezza gli spostamenti da Scete al Sinai, dal Sinai alla Palestina. Può darsi però che, indipendentemente dal gruppo, Zenone, che un'antica fonte chiama «girovago» (vedi Chitty, p. 80, nota 99), abbia peregrinato non solo in Palestina ma anche in Siria. A ogni modo nel 443, all'arrivo in Gerusalemme dell’imperatrice Eudossia ripudiata dal marito, Zenone è una personalità di rilievo in Palestina e viene interpellato dall'imperatrice. Da parecchi anni egli era consigliere spirituale di Pietro iberico, il principe georgiano Nabarnugi, fuggito dalla corte di Costantinopoli e fattosi monaco in Terra Santa. Del padre Zenone si racconta che era piccolo e asciutto di corboratura, ma molto perspicace, pieno di fervore divino e di zelo, dotato di straordinaria simpatia, così che
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Zenone
da ogni parte monaci e secolari lo cercavano per aprirgli il loro cuore ed erano guariti (cf. PE, I 20, 4 e 21, 1= N 509-510). Verso
la fine della sua vita lo troviamo a Kefr She'arta, a 14 miglia a nord-est di Gaza, ove nel 450 si sbarrò e non volle più veder nesgia litur La . ente segu o 'ann nell o anno so stes lo quel in Morì . suno le cibi indi sua la per che ndo dice no, giug 19 il ora mem com lo a grec rtà, pove la per e amor suo il à, erit aust ema estr sua la obbedienza, La si. osses di ero num gran un rò libe e coli mira dei dono meritò il sua popolarità trova riscontro anche nel fatto che si trovano altri para nim ano la quel : serie altre in , enti segu dai rsi dive apoftegmi, zialmente edita dal Nau (nn. 509-511), quella siriaca ed armena. Non è escluso sia questi lo stesso Zenone di cui parla l'apoftegma n. 4 di Longino.
1. Il padre Zenone, discepolo del padre Silvano, disse: «Non abitare in luogo rinomato, non intrattenerti con persone famose, e non gettare mai le fondamenta per costruirti una cella»! (176b; PJ VIII, 5).
2. Raccontavano che il padre Zenone all’inizio non voleva mai accettare nulla da nessuno; ma coloro che gli portavano qualche dono se ne andavano rattristati dal fatto che egli non lo accettasse; altri poi venivano da lui desiderosi di portare via un piccolo ricordo di un così grande padre; e pure questi se ne andavano rattristati, perché egli non aveva niente da dare loro. «Che farò? — si disse l'anziano —. Se ne vanno dispiaciuti sia quelli che vogliono portare che quelli che vogliono prendere. E meglio che faccia così: se uno mi porta qualcosa, la prendo; se uno mi chiede qualcosa, gliela do». Così facendo, trovò quiete per sé e diede soddisfazione a tutti (176c).
1 Non mettere, cioè, radici durature in nessun luogo, altrimenti diventeral troppo conosciuto e ricercato.
Zenone
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3. Un fratello egiziano si recò dal padre Zenone in Siria e si accusò dei suoi pensieri davanti all’anziano. L’anziano, stupito, disse: «Gli egiziani nascondono le virtù che possiedono e si accusano sempre di debolezze che non hanno. I siri e gli elleni invece affermano di avere delle virtù che non possiedono e nascondono i difetti che hanno» (176cd).
4. Vennero da lui dei fratelli e gli chiesero: «Che significa questo passo del libro di Giobbe: I/ cielo non è puro innanzi a lui 2»? L'anziano rispose: «I fratelli hanno abbandonato i loro peccati e cercano i cieli! 3. Questo è il senso della frase: poiché egli solo è puro, per questo disse: — Il cielo non è puro» (PJ X, 22).
5. Raccontavano del padre Zenone che, mentre dimorava a Scete, uscì una volta di notte dalla sua cella per andare alla palude; ma smarrì la strada; e camminò tre giorni e tre notti, al termine dei quali si accasciò sfinito, per morire. Ed ecco, un fanciullo ritto innanzi a lui che gli porgeva del pane e un boccale d’acqua dicendogli: «Alzati, mangia!» 4. Levatosi, egli cominciò a pregare, credendo che fosse la sua immaginazione. L’altro gli disse: «Hai fatto bene». Pregò ancora una seconda e una terza volta, e l’altro ripeté: «Hai fatto bene». L'anziano si alzò infine, prese e mangiò. Quindi il fanciullo gli disse: «Sei lontano dalla tua cella tanto quanto hai camminato.
Ma
su,
levati e seguimi». E subito si trovò presso la sua cella. L'anziano disse: «Entra, fa’ orazione con me». Ma quando l’anziano entrò, il fanciullo scomparve 5 (177a; PJ XVIII, 7). 2 Gb 15, 15. 3 Zenone accusa questi fratelli di non avere, nel parlare della Scrittura e nell’interpretarla, la reticenza tante volte raccomandata dai padri del deserto contro il pericolo di orgoglio, contro il pericolo di dimenticare i propri peccati per occuparsi di questioni troppo elevate (cf. Introd., pp. 26-29). 4 Cf. 1 Re 19,7. ? Cf. 2 Mac 3, 34; Lc 24, 51 e par.
196
Zenone
6. Una volta il padre Zenone, mentre era in cammino in Palestina, si sedette stanco vicino a un campo di cocomeri, per mangiare. E il pensiero gli disse: «Prendine uno e mangia! Cosa c'è di male?». Ma egli rispose al pensiero: «I ladri sono condotti al castigo. Ora, mettiti alla prova, se sei capace di
sopportarlo!». Si alzò e rimase per cinque giorni ritto sotto il sole ardente. Infine, dopo essersi abbrustolito, disse: «Non posso sopportare il castigo». E, rivolto al pensiero: «Se non puoi, non rubare per mangiare» (177b). 7. Il padre Zenone disse: «Chi desidera che Dio esaudisca presto la sua preghiera, quando si alza e tende le mani al Signore, prima di pregare per ogni altra cosa e per la sua stessa anima, deve pregare di cuore per i suoi nemici. É per questa azione buona che Dio lo ascolterà, qualsiasi cosa poi gli chieda» (177c). 8. Raccontavano di un tale del villaggio che digiunava moltissimo, tanto che lo chiamavano «il digiunatore». Il padre Zenone udì di lui e lo mandò a chiamare. Egli venne con gioia; pregarono e si sedettero. L'anziano si mise a lavorare in silenzio. Dato che non poteva parlare con lui, il digiunatore cominciò ad essere oppresso dall’accidia e disse all’anziano: «Prega per me, padre: me ne voglio andare». E l'anziano gli disse: «Perché?». Rispose: «Perché il mio cuore è come infuocato e non so cos’abbia. Quando ero al villaggio, digiunavo fino a sera, e non mi è mai accaduto così». Gli dice l’anziano: «Nel villaggio eri nutrito dalle tue orecchie. Ma va’ adesso, e d’ora innanzi mangia all’ora nona: e ciò che fai, fallo in segreto» 6. Da quando cominciò a fare così, gli pesava anche attendere fino all’ora nona. La gente che lo conosceva diceva: «Il digiunatore è stato preso dal demonio». Egli ritornò allora dall’anziano a raccontargli tutto, e l’anziano gli disse: «Questa è davvero la via di Dio» (177cdì). 6 Cf. Mt 6, 4. Vedi Eulogio, p. 183.
Zaccaria
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ZACCARIA
Non è la stessa persona dell'omonimo discepolo e successore di Silvano a Gerara (cf. p. 193). I dati biografici su di lui si ricavano soprattutto dal brano n. 2 di Carione, suo padre secondo la carne, che si separò dalla moglie e si rifugiò a Scete portando con sé il figlioletto e lasciando con la moglie una bambina. Negli apoftegmi ritorna spesso il tema degli avvertimenti contro la presenza dei fanciulli, per una specie di terrore dei pericoli di degenerazioni omosessuali. Per questa ragione la presenza di Zaccaria diede luogo a sospetti e mormorazioni. Carione e il fanciullo fuggirono da Scete alla Tebaide, dalla Tebaide nuovamente a Scete, dove ilfanciullo di sua iniziativa si immerse nello stagno. di nitro, donde uscì sfigurato. Visse 45 anni nel deserto, dai 7 ai 52 anni, e fu in relazione con anziani famosi come Macario, Mosè, Poemen, Isidoro,
che non si vergognavano di essere talvolta loro stessi a interrogare lui, molto più giovane, data la ricchezza di Spirito di cui era stato riempito, la sua deliziosa innocenza, la sua obbedienza. Fa pensare a ciò che dice il cenobiarca dell'Occidente Benedetto (Regula 3), cioè che «spesso il Signore rivela al più giovane ciò che è meglio». Il termine tecnico greco per questo tipo di persone è radaproyépwv (cf. PGL, p. 995), congiunzione di fanciullo e anziano, nome dato per eccellenza a Macario il grande.
1. Il padre Macario chiese al padre Zaccaria: «Qualè il compito del monaco?». «Tu lo chiedi a me, padre?», disse l’altro. «Ho piena fiducia in te, figlio mio Zaccaria — disse il padre Macario —, c'è chi mi spinge a chiedertelo». Disse a lui il padre Zaccaria: «Secondo me, padre, monacoè colui che in ogni cosa fa violenza a se stesso» (177d-180a). 2. Il padre Mosè venne un giorno ad attingere acqua e trovò il padre Zaccaria in preghiera vicino al pozzo, e lo Spirito di Dio era su di lui.
Zaccaria
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3. Un giorno il padre Mosè chiese al fratello Zaccaria: «Dimmi che cosa devo fare». Ma questi si gettò a terra ai suoi piedi dicendo: «Padre, tu lo chiedi a me?». «Credimi, figlio mio Zaccaria — gli dice l'anziano —, ho visto lo Spirito Santo discendere su di te; per questo sono costretto a interrogarti». Zaccaria allora, levatosi dalla testa il cappuccio, se lo mise sot-
to ai piedi e lo calpestò dicendo: «Se l’uomo non è stritolato così, non può essere monaco» (180ab; PJ XV, 17). 4. Mentre dimorava a Scete, il padre Zaccaria ebbe un giorno una visione, e andò a riferirla a suo padre Carione. L’anziano, che si dava piuttosto alle opere 7, non era molto acuto in queste cose e lo picchiò, dicendo che proveniva dai demoni. Ma il pensiero rimase, e si alzò di notte per recarsi dal padre Poemen a raccontargli il fatto e come si sentiva ardere di dentro 8. L’anziano, capendo che la visione proveniva da Dio, gli disse: «Va’ dal tale anziano e fa’ quel che ti dirà». Egli vi andò, ma non fece in tempo a interrogarlo, perché questi lo prevenne dicendogli tutto: «La visione è da Dio. Ma va’ ora, e sit sottomesso al padre tuo» (180bc).
5. Il padre Poemen raccontò che il padre Mosè chiese al padre Zaccaria, quando questi stava per morire: «Che cosa vedi?». E l’altro disse: «Padre, non è meglio tacere?». «Sì, figlio mio, taci». Nell’ora della sua morte, il padre Isidoro, che
sedeva accanto a lui, guardando verso il cielo, disse: «Gioisci figlio mio Zaccaria, perché ti sono state aperte le porte del regno dei cieli» ? (P] XV, 18).
7 C£. p.287. 8 Cf. Lc 24, 32.
? Frase di sapore biblico, anche se non richiama un testo preciso. Cf.
Mt 5, 12 e Lc 10, 20.
ISAIA DI SCETE
L'abbiamo già incontrato come discepolo di Amoe (cf. Amoe 2) e di Achilla, da cui deve aver appreso, a prezzo di non piccole umiliazioni, uno spirito di sacrificio che inizialmente non aveva: è significativo, a questo riguardo, il confronto tra il n. 3 di Achilla e il n. 6 di Isaia, e l’aprirsi dei seguenti 11 apoftegmi con la comunicazione di un'esperienza vissuta nella propria carne, il disprezzo subito all’inizio della vita monastica. Ci sono delle incertezze nell’identificazione della persona, ma con molta probabilità Isaia di Scete e Isaia di Gaza sono un solo Isata, vissuto
a Scete nella prima metà del V secolo e morto nel 488 a Gaza di Palestina. In questo senso va la testimonianza convincente di Regn. 1970, pp. 42-44. A parte le fughe provocate dalle incursioni di barbari, non è infrequente l'esodo dall’Egitto di anziani, divenuti famosi e molto ricercati, per ritirarsi altrove, in particolare in Terra Santa. Isaia si sarebbe ritirato prima a Eleuteropoli,
quindi vicino a Gaza. Qui avrebbe fondato un monastero per lasciarne poi la direzione al suo discepolo Pietro e ritirarsi a vivere da recluso. Isaia personalmente non aderì a Calcedonia, sebbene consigliasse a dei monaci calcedonesi di restare fedeli a Calcedonia, e firmò l’Enotico, un documento che cercava di ristabilire l’unità dottrinale sulla base dei concili ecumenici, fino a Efeso compreso, e delle dichiarazioni di Cirillo di Alessandria, facendo un passo indietro rispetto agli enunciati tanto controver-
st di Calcedonia (cf. nota 7, p. 161).
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Isaia di Scete
Isaia è stato così annoverato fra î «monofisiti», sebbene non sia facile trovare nelle sue opere delle dichiarazioni non ortodosse. Nonostante i sospetti di monofisismo, Isaia ha avuto
un grandissimo influsso nella tradizione non solo copta o siriaca, ma anche bizantina. Giovanni Climaco lo cita e lo commenta,
Paolo Everghetinòs lo cita ben 66 volte e con ogni probabilità riporta interamente la sua opera. A parte gli innumeri frammenti disseminati nelle varie collezioni di apoftegmi, l’opera di Isaia si presenta raccolta in un Asceticon sotto forma di discorsi, loghoi, «precetti ai fratelli che vogliono vivere con lui», dice il loghos I. È un’opera composita e frammentaria, non sistematica,
dove si può ritrovare moltissimo dell’insegnamento dei padri del deserto, in parte anzi raccoglie proprio sentenze e detti. Certe parti sono sicuramente scritte da Isaia, altre dal suo discepolo Pietro. I richiami alla Scrittura sono frequentissimi; un indice dell’Asceticon siriaco dà più di 2.300 riferimenti. Molto forte l'influsso di Evagrio Pontico, anche se non è mai nominato. Sebbene non sia sistematica, tuttavia l’opera presenta chiaramente, anche per sua natura, un disegno didattico più unitario e manifesto che non le raccolte degli apoftegmi. In Occidente 1 è stata quasi ignorata fino al secolo XVI, quando ne è stata pubblicata a Venezia una versione latina e così Isaia è divenuto, assieme a
Doroteo di Gaza, uno degli autori consigliati per la formazione dei novizi nella Compagnia di Gesù. Nel VI secolo Isaia è in grande favore in Palestina: Barsanufio è profondamente impregnato del suo spirito e lo cita volentieri specialmente nella corrispondenza con Doroteo. Così è stato giustamente accolto nella
tradizione colui che aveva voluto muoversi soltanto nel solco dell’insegnamento dei padri, come più volte ripete nella sua opera, che si conclude con queste parole: «...costruiamo sul fonda-
1 Nel 1970 è stata pubblicata in Francia, nelle edizioni pro manuscripto dell'abbazia di Bellefontaine, Begrolle, la traduzione francese dell’opera di
Isaia, a cura dei monaci di Solesmes: Abbé Isaie, Recueil ascétique.
Isaia di Scete
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mento che i padri hanno posto, con la preoccupazione di quanto abbiamo visto e udito... Se noi lo custodiamo secondo le nostre
forze, la misericordia di Dio ci raggiungerà assieme a tutti i santi che sono piaciuti a Dio».
1. Disse il padre Isaia: «Niente giova al novizio più del disprezzo. Il novizio che è disprezzato e lo sopporta, è come una pianta che viene innaffiata ogni giorno» (180d-181a). 2. Disse ancora, di coloro che iniziano bene la vita mona-
stica e sl sottomettono ai santi padri: «Come accade alla porpora: la prima tintura non si scolora. E come i rami teneri si innestano e si piegano facilmente, così avviene dei novizi che vivono nella sottomissione». 3. Disse anche che un novizio che cambi da monastero a monastero, somiglia a una bestia trascinata qua e là alla cavezza.
4. Raccontò ancora: «Il presbitero di Pelusio, un giorno che si fece un banchetto fraterno e che i fratelli mangiavano e parlavano insieme nell’adunanza, li rimproverò dicendo: — State zitti, fratelli. Ho visto un fratello che mangia con voi e beve tanti bicchieri quanti voi, e la sua preghiera sale al cospetto di Dio come fuoco» (181ab).
5. Raccontavano che un giorno il padre Isaia, preso il suo bastone, andò nel granaio e disse al proprietario del terreno: «Dammi del grano». «Hai tu mietuto, padre?», gli dice l’altro. «No». «Come puoi dunque pretendere del grano se non hai mietuto?». E l’anziano a lui: «Chi non ha mietuto non riceve dunque nulla?». «No», dice il proprietario. E così l’anziano se ne andò. I fratelli, che avevano assistito all’episodio, si inchinarono davanti a lui e gli chiesero perché avesse fatto questo.
202
Isaia di Scete
Dice loro l’anziano: «Ho fatto questo per dare un esempio che chi non lavora non riceve da Dio alcun salario» 2 (181bc).
6. Lo stesso padre Isaia chiamò uno dei fratelli e gli lavò i piedi; quindi gettò nella pentola una manciata di lenticchie. Appena cominciarono a bollire, le tolse dal fuoco. Ma il fratello gli disse: «Non sono ancora cotte, padre!». «Non ti basta di aver semplicemente visto il fuoco? — gli disse l'anziano. Questa è già una grande consolazione». 7. Egli diceva: «Dio vuole usare misericordia a un’anima, ma essa non tollera le redini e le rifiuta per seguire invece la propria volontà. Egli lascia che soffra ciò che non vorrebbe, perché così impari a cercarlo».
8. Soleva anche dire: «Se qualcuno vuole rendere male per male 4, può ferire la coscienza del fratello anche con un solo cenno» (181cdì). 9. Gli fu chiesto: «Che cos'è l’amore del denaro?». Rispose: «E il non credere che Dio si prenderà cura di te, il disperare delle sue promesse, e il volere farti grande» (181d-184a).
10. Gli chiesero anche: «Che cos'è la maldicenza?». Rispose: «Misconoscere la gloria di Dio e invidiare il prossimo».
11. Gli chiesero pure: «Che cosè l’ira?». Rispose: «Litiglosità, menzogna e ignoranza».
2C£.2Ts3,10. 3 Per chi era avvezzo a grandi penitenze, è già una consolazione e un sollievo mangiare delle lenticchie non cotte, ma riscaldate al fuoco. Forse la
frase di Isaia ha un doppio senso: vuole alludere alle realtà divine da contemplare giocando sulla simbologia del fuoco, della luce. 4 Cf. Rm 12, 17.
Elia
203
ELIA
Sotto questo nome si celano probabilmente vari omonimi, e a più di uno di essi appartiene il gruppo dei detti che segue. La prima frase del detto n. 6, ripresa quasi testualmente da s. Benedetto: «Così stiamo nel salmeggiare, in modo che la nostra mente concordi con la nostra voce» (Regola, c. 19), costituirà
uno dei principi basilari della dottrina liturgica benedettina. Anche la seconda parte dello stesso brano si direbbe riecheggiare nella Regola di s. Benedetto, là dove egli, alla fine del Prologo, scrive che la via della salvezza non si può intraprendere che per un angusto inizio, «ma col progredire della vita e della fede, a cuore dilatato si corre con inesprimibile dolcezza di amore la via dei precetti divini». La stessa prima frase del n. 6 di Elia si ritrova in Doroteo di Gaza (Ins. XVII,
174), all’ini-
zio di un'istruzione su un testo di Gregorio Nazianzeno cantato în onore det santi martiri: «Dobbiamo anche noi cantare con attenzione e applicare la nostra mente alla potenza delle parole dei santi, affinché non solo la bocca, come è detto nel Gheron-
tikon, ma anche il nostro cuore (qui Doroteo sostituisce il voÙc — mente, spirito — del testo di Elia, con kapdia) canti assieme alla bocca».
1. Il padre Elia disse: «Io ho timore di tre cose: di quando l’anima uscirà dal corpo, di quando m’incontrerò con Dio, di quando la sentenza sarà proferita contro di me» (184a; PJ III, 4).
2. Gli anziani dissero al padre Elia in Egitto che il padre Agatone era un bravo padre. Dice loro l’anziano: «Rispetto alla sua generazione è bravo». «E rispetto agli antichi?», gli dicono. «Vi ho detto — ripeté — che è bravo rispetto alla sua generazione. Quanto agli antichi, ho visto un uomo a Scete che poteva arrestare il sole nel cielo, come Giosuè figlio di
204
Elia
Nun» 5. Ciò udendo, furono presi da meraviglia e diedero gloria a Dio (184b; PJ XIX, 5). 3. Disse il padre Elia, il diacono: «Che cosa può il peccato dove vi è il pentimento? É a che giova l’amore dove c’è l'orgoglio?» 6.
4. Il padre Elia raccontò: «Ho visto un tale che aveva sotto al braccio una fiaschetta di vino. Per svergognare i demoni, poiché si trattava di un’immaginazione, chiesi al fratello: — Fammi la carità, tira su un po’. Quando ebbe alzato il mantello, si trovò che non aveva nulla. Vi ho detto questo perché non vi fidiate nemmeno di quello che vedete con gli occhi, né di quel che sentite. Fate piuttosto attenzione a ragionamenti, considerazioni e pensieri, sapendo che sono i demoni a metterveli nell'anima, per macchiarla e farle pensare ciò che non dovrebbe, per distogliere lo spirito dal ricordo dei suoi peccati e dal pensiero di Dio» (184bc). 5. Disse ancora: «O gli uomini pongono mente ai peccati,
o a Gesù, o agli uomini».
6. Disse ancora: «Se la mente non salmodia insieme al corpo, è vana la fatica. Se infatti uno ama la tribolazione, essa gli diverrà poi gioia e quiete» (184cd). 7. Raccontò ancora che un anziano viveva in un tempio ”. Vennero i demoni a dirgli: «Vattene da casa nostra». E l’anzia? C£. Gs 10, 12-13; vedi Bessarione 3. 6 Il pentimento cancella il peccato e l’orgoglio l’amore.
? Gli antichi templi pagani, abbandonati-ò semidistrutti, erano non di rado abitazione dei padri del deserto (cf. Anub 1). Essi vi andavano consapevolmente, ritenendoli luoghi infestati in modo particolare dalla presenza dei demoni; e in quei luoghi già sede di molte idolatrie volevano, nella forza di Cristo, lottare contro i demoni e sconfiggerli (cf. Macario 13).
Elia
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no disse: «Voi non avete casa». Allora cominciarono a disper-
dergli tutti i rami di palma. Ma l’anziano pazientemente li rac-
colse. Infine, presagli la mano, il demonio lo trascinò fuori; ma egli, giunto alla porta, l’afferrò con l’altra mano gridando: «Gesù, aiutami!». E subito il demonio fuggì. E il vecchio si mise a piangere. Ma il Signore gli disse: «Perché piangi?». L’anziano disse: «Perché osano impossessarsi di un uomo e fare tali cose». «Sei stato negligente — gli disse il Signore —, vedi che mi sono lasciato trovare appena mi hai cercato. Questo ti dico:
molta fatica è necessaria: se non c’è la fatica, non si può avere Dio con sé: Egli infatti per noi è stato crocifisso» (184d-1854a). 8. Un fratello si recò dal padre Elia l’esicasta 8, nel cenobio della grotta del padre Saba ?, e gli chiese: «Padre, dimmi una parola». L'anziano disse al fratello: «Ai tempi dei nostri padri, erano amate queste tre virtù: la povertà, la mitezza, la continenza. Ora invece i monaci sono dominati dall’avidità, dall’ingordigia, dalla sfrontatezza. Scegli quello che vuoi!» 10(185ab). 8 Termine più ricco che non semplicemente «solitario»; indica lo scopo primario del ritiro nella solitudine: la ricerca della esichia, cioè dell’unione con Dio, della quiete con Lui, della concentrazione in Lui lontano dalle molte occupazioni e distrazioni. Cf. nota 2, p. 443. 9 «Cenobio della grotta» o ZrmMAaov, Spelonca, fu chiamato un monastero costruito vicino alla grotta in cui san Saba amava ritirarsi, a 5 km circa di distanza dalla Grande Laura da lui fondata e tuttora esistente in Palestina, nel deserto di Giuda. Il termine laura indica un ampio complesso comprendente la possibilità sia della vita comune che della vita solitaria a diversi livelli, con radu-
no di tutti il sabato e la domenica per la celebrazione liturgica. Maestro di Saba
fu Eutimio (377-473), che fondò varie laure nel deserto di Giuda. Saba, suo
discepolo, originario della Cappadocia, fondò nel 473 la Grande Laura, abitata ancor oggi da alcuni monaci ortodossi di lingua greca. San Saba morì nel 532, ricco di grande fama e prestigio. Cirillo di Scitopoli, suo discepolo, ha lasciato alla tradizione, fra le altre, due biografie molto vivaci e interessanti, rispettiva mente di Eutimio e Saba. Questi due santi e quasi tutti i loro seguaci rimasero sempre fedeli all’ortodossia calcedonese. Maggiori particolari sulle laure si possono attingere al libro di L. Campagnano, Vita di Caritone, passim.
10 Questo testo evidentemente tardo, perché posteriore a san Saba, è di certo un’aggiunta alla prima raccolta alfabetica; tra i manoscritti studiati
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Eraclio
ERACLIO
Un fratello, tentato 11 di vivere da solo, lo disse al padre Eraclio. Questi per confortarlo gli raccontò di un anziano che per anni ebbe con sé un discepolo molto obbediente, il quale un giorno, tentato, si inchinò dinanzi a lui e gli disse: «Fa' di me un monaco!» 12. «Cercati un luogo, ti faremo una cella e diventerai monaco», gli dice l’anziano. Allontanatosi di un miglio, lo trovò, andarono colà e costruirono la cella. E il vecchio dice al fratello: «Fa’ ciò che ti dico: quando hai fame, mangia; bevi, dormi: soltanto non uscire dalla tua cella fino a sabato. Allora vieni da me». I primi due giorni il fratello ubbidì al comando, ma il terzo, preso dallo sconforto, si disse:
«Ma perché l’anziano non mi ha detto di pregare?». E, alzatosi, salmodiò parecchi salmi. Dopo il tramonto del sole, mangiò, poi si alzò e andò a stendersi sulla stuoia. Ma vi trovò steso un etiope !3 che strideva i denti contro di lui. Preso da gran-
dal Guy (p. 72) lo riporta soltanto il ms. D. Esso corrisponde a un capitolo (n. 52) del Prato Spirituale di Giovanni Moschos (così come i detti di Giovanni di Cilicia equivalgono al cap. 115 di Moschos). Questi fu anch'egli monaco del deserto di Giuda, dopo la morte di san Saba. All’inizio del VII secolo fece un grande viaggio per visitare molti monasteri di Palestina e d’Egitto e scrisse un’opera simile a quelle dei secoli precedenti, che già conosciamo (cf. note 101 e 103, pp. 130ss.), divisa in capitoli, sotto il nome dell’uno o dell’altro anziano da lui incontrato e di cui si raccontano in modo un po’ miracolistico e leggendario le gesta e la dottrina. L’opera comprende non pochi apoftegmi. 11 Non ancora maturo, cioè, per la vita solitaria. Quindi il pensiero di tale vita non poteva essere una buona ispirazione, ma era una tentazione dia-
bolica per confonderlo e fargli eludere gli obblighi della vita comune. 12 Il termine «monaco» è qui usato nel suo senso etimologico (da uoOvoc), di chi vive veramente da solo, non nell’accezione più diffusa di consacrato al Signore che può valere sia per la vita solitaria che per quella cenobitica. Analogamente, il termine monastero è usato talora per indicare in senso stretto l’abitazione di un solitario (vedi Motio 2). 15 La ragione di questo modo molto diffuso di rappresentare il demonio va cercata nella storia delle ultime dinastie faraoniche e nelle credenze
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Eraclio
er «P o: nd ce di a rt po a all ò ss bu e no ia nz ’a ll da se cor de paura, donami,
padre,
aprimi!».
L'anziano,
che sapeva
come
non
avesse osservato la sua parola, non gli aprì fino al mattino; e al mattino, aprendo la porta, lo trovò fuori supplicante. Impietosito, lo fece entrare. «Ti prego, padre — disse il fratello —, ho trovato un negro etiope sulla mia stuoia quando sono andato per coricarmi». «Questo ti è accaduto — gli disse l'anziano — perché non hai osservato la mia parola». Quindi, dopo aver cercato per quanto poteva di fargli ben capire ciò che la vita solitaria richiede, lo congedò. E quegli in breve tempo divenne un buon monaco (185bcdì).
tradizionali dell’Egitto: secondo queste, ogni nemico dell’Egitto, come tale, è personificazione del male e gli etiopi vennero assimilati allo spirito del male. La tradizione cristiana copta, come vediamo da molti esempi nella letteratura e nell’iconografia, ha ereditato questa simbologia, che sarà colorata ulteriormente di tinte razziste. La «negritudo» è vista come un elemento del peccato. Nell’Historia Monachorum
(VIII, 3) s'incontra un anziano
di nome
Apollo che un giorno in cui era molto tormentato si mise una mano in testa e ne trasse fuori un piccolo etiope che gridava: «Io sono il demone dell’orgoglio!». Lo prese e lo seppellì per terra.
TEODORO DI FERME
Il primo apoftegma lo presenta subito come discepolo del grande Macario, quale infatti era; entrò quindi a Scete prima del 390, data della morte di Macario. Contemporaneo di Arsenio e, insieme a Cronito, discepolo del grande Antonio, fu maestro di Isacco delle Celle (cf. Isacco delle Celle 2). Era certamen-
te molto reputato, come dimostra l'ampiezza della raccolta, la presenza di parecchi detti nella serie sistematica e ancor più il fatto che sia accostato ad Arsenio: «Del padre Arsenio e del padre Teodoro di Ferme si raccontava che più di tutti gli altri odiavano la gloria umana...» (Arsenio 31). Di fatto i testi che seguono ci mostrano la sua fermezza nella preghiera, il suo fuggire le occasioni di distrazione, la sua coscienza del proprio nulla, il suo rifiuto degli onori, perfino quello dell’ordinazione diaconale. Nella consapevolezza piena della totale e universale impotenza dell’uomo: «Meravigliati se odi che qualcuno è riuscito a sfuggire alle fauci del nemico» (n. 8), egli è forte di una forza divina che gli fa dominare draghi, demoni e uomini (cf nn. 23, 27, 29; vedi Introd., pp. 42-45). Tillemont dice di lui
(XII, 365) che «portò l’amore alla solitudine a un punto tale che a poche persone sarebbe utile imitarlo», e che «una delle ragioni che gli facevano amare la solitudine e il silenzio era il timore di profanare la parola di Dio». Probabilmente si ritirò a Ferme al primo saccheggio di Scete, ma non si sa più esattamente dove fosse Ferme.
Teodoro di Ferme
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Palladio, che non vi si era recato personalmente, dice în modo vago cheè un'altura verso il deserto di Scete, abitata allora da circa 5.000 «uomini dediti all’ascetismo». È stata proposta l'identiftcazione con gli insediamenti monastici di Khashm el Qaoud, circa 20 miglia a ovest di Scete. Quiè stata ritrovata un’anfora con il nome di Paolo; e, secondo il racconto di Palladio
(HL, 20), Paolo è il primo monaco di Ferme di cui si sa il nome.
1. Il padre Teodoro di Ferme possedeva tre bei libri; si recò dal padre Macario e gli disse: «Ho tre bei libri che mi sono molto utili. Anche i fratelli li usano e ne traggono vantaggio. Dimmi, che devo fare? Li tengo per l’utilità mia e dei fratelli, oppure li vendo e do il ricavato ai poveri?». «Buone cose ambedue — rispose l’anziano — ma la cosa migliore di tutte è il non possedere nulla». A queste parole, Teodoro se ne andò, vendette i libri e distribuì il danaro ai poveri (188a; P] VI, 6).
2. Un fratello che viveva alle Celle era molto turbato dalla solitudine, e venne dal padre Teodoro di Ferme per dirglielo. Questi gli disse: «Va’, umilia il tuo pensiero, sottomettiti e vivi insieme con altri». Ma il fratello ritornò dall’anziano e gli
disse: «Nemmeno con altri uomini trovo pace». E il vecchio gli disse: «Se non trovi pace né da solo né con altri, perché sei venuto a farti monaco? Non forse per sopportare le tribolazioni? Dimmi, da quanti anni hai indossato l’abito?». «Otto», rispose. E l’anziano gli disse: «In verità sono settant’anni che porto l’abito e nemmeno un giorno ho avuto quiete. É tu pretendi di averla dopo otto?». Ciò udendo se ne andò, reso più forte (188b; P] VII, 5)
3. Si recò una volta dal padre Teodoro un fratello e rimase tre giorni con lui chiedendogli di poter sentire una parola. Ma l’altro non gli rispose. Il fratello se ne andò rattristato. Il discepolo di Teodoro chiese allora all’anziano: «Padre, perché lo hai
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Teodoro di Ferme
se Dis . ?» la ro pa a un li rg di a nz se to, lit aff via lasciato andare a lt mo dà si che o un E ta! det ho el' gli n no che l’anziano: «Certo 6). , II VI PJ c; 88 (1 » ui tr al le ro pa e ll de i rs ia or importanza e ama gl
evi ti es qu e no cu al qu n co ia iz 4. Disse anche: «Se hai amic oi pu se no ma a un li ig nd te , tà ri pu ne a cadere in tentazione di im a re de ua rs pe ia sc la si n no e a si e tiralo su. Ma se cade nell’ere un i rd ta Se i. lu n co to or pp ra ni distogliersene, tronca subito og ). 23 X, J (P o» ss bi ’a ll ne i lu n co to na ci po’, potresti essere tras
in st di si e rm Fe di o or od Te e dr pa il e 5. Raccontavano ch la i: tt pe as tre ti es qu r pe o tt tu at pr so ri alt gueva da molti . d) 88 (1 ni mi uo i gl da ga fu la e si ce as l’ à, povert
6. Il padre Teodoro si trovò Scete. Mangiando, essi prendevano silenzio senza dire: «Permetti». E monaci hanno perso le loro buone
un giorno con dei fratelli a educatamente i bicchieri in il padre Teodoro disse: «I maniere, non dicono più: —
Permetti» (PJ XV, 20).
7. Un fratello gli chiese: «Padre, posso non mangiare pane per qualche giorno?». «Fai bene — dice l’anziano —, anch'io ho fatto così». Dice il fratello: «Vorrei portare i miei ceci al mulino e farne della farina». «Se torni ancora al mulino — dice l’anziano —, fatti pure il tuo pane! Che bisogno c’è di questa uscita?» 1 (189a; PJ VIII, 7).
8. Uno degli anziani venne a raccontare al padre Teodoro: «Ecco, il tal fratello è ritornato nel mondo». «Ti meravigli di ciò? — disse il vecchio. — Non stupirti, meravigliati piutto-
1 Secondo la grande saggezza di Teodoro, la pratica del digiuno aveva senso soltanto se si accompagnava a quella della solitudine e della stabilità. In caso contrario, era meglio non fare nemmeno il digiuno.
Teodoro di Ferme
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sto se odi che qualcuno è riuscito a sfuggire alle fauci del nemico 2» (PJ X, 25). q
e
9. Un fratello venne dal padre Teodoro e cominciò a parlare e a trattare cose di cui non aveva ancora fatto esperienza. «Non hai ancora trovato la nave — gli dice l’anziano —, non hai ancora caricato il tuo bagaglio, e sei già arrivato in quella città prima di essere partito? Compi prima l’opera e poi giungerai a ciò di cui ora parli» (189b; P] VIII, 8). 10. Lo stesso padre si recò un giorno dal padre Giovanni, che era eunuco dalla nascita. Nel corso del colloquio, disse: «Quando eravamo a Scete la nostra principale occupazione era quella dell'anima, mentre il lavoro manuale era un’occupazione secondaria; ma ora il lavoro dell’anima è diventato secondario e
il lavoro secondario è divenuto il principale» (PJ X, 24). 11. Gli chiese allora il fratello: «Qual è il lavoro dell’ani-
ma che ora è per noi divenuto secondario, e qual è il secondario, che ora è divenuto principale?». «Tutto ciò che si compie per comando di Dio — dice l’anziano — è occupazione dell’anima, mentre dobbiamo
ritenere un lavoro secondario ciò che
facciamo e conduciamo a termine per noi stessi». «Spiegami questa affermazione», chiede il fratello. «Ecco — dice l’anziano — tu senti dire che io sono ammalato e devi venirmi a trovare. E dici fra te: — Devo lasciare il mio lavoro per andare? No, prima lo finisco e poi ci vado. Intanto ti capita un’altra occasione e magari non vieni per nulla. In seguito un altro fratello ti dice: — Fratello, dammi una mano! E tu dici: — Devo lasciare il mio
lavoro e andare a lavorare con lui? Dunque, se non vai, trascuri il comandamento di Dio, che è l'occupazione dell’anima, e fai il lavoro secondario, che è quello manuale» (189cdì).
2C£.2Tm4,17.
Teodoro di Ferme
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12. Il padre Teodoro di Ferme disse che un uomo saldo nello spirito di penitenza non è legato ai precetti 3.
13. Egli disse: «Non vi è virtù così grande come il non disprezzare». 14. Disse anche: «Chi ha conosciuto la dolcezza della cel-
la fugge il suo prossimo, ma non con disprezzo» (189d-192a).
15. Disse ancora: «Se non tronco decisamente con questi sentimenti di compassione, essi non mi permettono di divenire monaco»
4.
16. Disse ancora: «In questo tempo molti hanno scelto la quiete prima che Dio gliela concedesse» 5 (PJ X, 26). 17. Disse anche: «Non dormire in un luogo in cui vi sia una donna».
18. Un fratello interrogò il padre Teodoro dicendogli: «Voglio adempiere i comandamenti». L’anziano gli raccontò allora del padre Teona, che anche lui una volta aveva detto: «Voglio che ogni mio pensiero sia in accordo con Dio». Un giorno portò del grano al forno e ne fece dei pani. Dei poveri gli chiesero la carità ed egli li diede a loro. Poiché pure altri chiede> Non perché li trasgredisca, tutt'altro; ma perché opera la giustizia per la sua umiltà e compunzione, non per un’osservanza formale dei precetti. 4 Di fronte a queste affermazioni, bisogna relativizzarle al caso concreto di una determinata chiamata da parte del Signore. Se uno ha la certezza, come Arsenio (cf. p. 92), di una vocazione alla fuga dagli uomini, bisogna che rinunci a esercitare in modo visibile la carità e la compassione, di fronte
a tanti casi umanamente molto struggenti, per rimettere tutto nelle mani di Dio mediante una vita di rinunce, di penitenze, d’intercessione. > Bisogna, cioè, essere sempre pronti per il combattimento spirituale e
non presumere di poter vivere in pace prima che Dio la conceda (cf. n. 2).
Teodoro di Ferme
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vano, diede le ceste e il vestito che indossava. E ritornò in cella cinto del solo mantello. Ma ancora biasimava se stesso dicendo:
«Non ho ancora compiuto il comando di Dio» (192ab).
19. Un giorno il padre Giuseppe si ammalò e mandò a chiamare il padre Teodoro: «Vieni — gli disse —, che io possa vederti prima di uscire dal corpo». Era circa la metà della settimana, e il padre Teodoro non andò, ma gli fece sapere: «Se rimani fino a sabato verrò; ma se te ne vai prima, ci rivedremo nell’altro mondo» 6. 20. Un fratello chiese al padre Teodoro: «Dimmi una parola, perché sto andando in perdizione!». Ed egli con pena gli disse: «Io stesso sono in pericolo, che posso dirti?». 21. Un fratello venne dal padre Teodoro per farsi insegnare a intrecciare e gli portò anche la corda. L’anziano gli disse: «Va’, e ritorna domattina». E, alzandosi, l'anziano bagnò la
corda, e gli preparò l’orditura dicendo: «Fa’ così e così». Quindi lo lasciò, entrò nella sua cella e si sedette. All’ora del
pranzo, gli preparò da mangiare e poi lo congedò. Egli tornò anche il mattino seguente; e l'anziano gli disse: «Prendi la tua
6 Se si confronta questo brano col n. 11, si può trarne un’indicazione basilare sul modo di accostare gli apoftegmi: i due detti infatti sembrano contraddirsi; ma questo, a così breve distanza, non può essere sfuggito per ingenuità al compilatore della raccolta. Si è così aiutati a non pretendere un’uniformità sistematica da questa letteratura e a ricordare la natura di queste parole, che sono per lo più risposta a un interrogativo presentato da un discepolo o a un problema posto dagli eventi. Più l'anziano è sapiente e libero di spirito, più si muove non secondo categorie aprioristiche, ma cercando
di capire e interpretare momento per momento la volontà di Dio su di sé e sull’interlocutore. Non bisogna perciò stupirsi e vedere contraddizioni dove si rivela invece l’ubbidienza alla libertà sempre nuova e creatrice di Dio. Un’esemplificazione molto chiara di questo modo di muoversi si trova in Giuseppe di Panefisi 3.
Teodoro di Ferme
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ceo pr mi ar ur oc pr e mi ar nt te per to nu ve corda e vattene. Sei . 2c) (19 e ar tr en più ciò las lo n no E . cupazioni» or gi n «U : tò on cc ra o or od Te e dr pa l de 22. Il discepolo . so va un pì em ri ne me e e ll po ci di no venne un venditore e o an gr di so va un lui r pe pi em L’anziano mi disse: — Ri . no o un e to li pu o un o, an gr di daglielo. Vi erano due mucchi dò ar gu mi o an zi an l’ e , mo ti ul t’ es qu di Cominciai a versare e so va il i pp ru i, dd ca re mo ti il r Pe a. zz te con attenzione e tris lco è n no , ti za Al — e: ss di o an zi an l’ Ma mi gettai ai suoi piedi. a se mi si di in Qu o. tt de ho l’ te hé rc pe pa tua, io ho peccato, e em si in e ed di lo ie gl e to li pu o an gr di bo riempire il suo grem alle cipolle» (192cd). 23. Un giorno il padre Teodoro andò ad attingere acqua con un fratello, il quale, giunto per primo al pozzo, vide un drago. L’anziano gli disse: «Schiacciagli il capo!» 7. Ma egli, spaventato, non osò avvicinarsi. Quando invece giunse il vecchio, fu la bestia che, al solo vederlo, fuggì nel deserto, piena di confusione 8 (192d-193a). 24. Un tale chiese al padre Teodoro: «Se improvvisamente avviene
una
sciagura,
anche
tu, padre,
avrai
timore?».
Rispose: «Se anche il cielo precipitasse sulla terra, Teodoro non avrà timore». Aveva infatti pregato Dio che togliesse da lui ogni paura; e appunto per questo l’altro gli aveva posto questa
domanda (PJ VII, 6).
25. Raccontavano del padre Teodoro che; divenuto diacono a Scete, non voleva accettare di compiere questo ministero. E fuggi in vari luoghi, da cui gli anziani andavano sempre a
7 Cf. Gn 3, 15.
8 Cf. Introd., p. 42.
Teodoro di Ferme
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riprenderlo, dicendogli: «Non abbandonerai il tuo diaconato». Il padre Teodoro disse loro: «Lasciatemi, pregherò Dio che mi faccia capire se devo mantenere il posto di questo ministero». E pregò Dio così: «Se è tua volontà che io mantenga il posto di questo ministero, dammene la certezza». Gli apparve allora una colonna di fuoco ?, che dalla terra toccava il cielo, e una voce gli disse: «Se puoi diventare come questa colonna, va’ a fare il diacono!». Udito ciò, ritenne di non dover accettare.
Quando raggiunse i fratelli radunati in chiesa, si inchinarono davanti a lui e gli dissero: «Se vuoi esercitare il diaconato, prendi nelle tue mani il calice». Ma egli non accettò e disse: «Se non mi lasciate in pace, me ne andrò di qui». E così lo lasciarono stare (193ab; P] XV, 21).
26. Raccontavano di lui che, quando Scete fu devastata,
venne ad abitare a Ferme e, da vecchio, si ammalò. Gli portavano dei cibi, ma dava al secondo ciò che gli portava il primo, e così via, a ognuno dava ciò che il precedente gli aveva portato. All’ora del pasto, mangiava ciò che gli portava l’ultimo venuto (193bc).
27. Raccontavano del padre Teodoro che, mentre viveva a Scete, venne contro di lui un demonio che voleva entrare.
Ma egli lo legò fuori dalla cella. Ne sopraggiunse quindi un altro che pure voleva entrare, ma legò anche questo. Ne venne un terzo che, trovandoli legati, chiese: «Che cosa fate qui fuori?». Ed essi gli dissero: «E là seduto e non ci lascia entrare». Egli cercò di entrare facendo violenza, ma l’anziano legò anche lui. Spaventati dalle preghiere dell'anziano, lo pregarono: «Lasciaci andare!». «Andate!», disse loro l’anziano. E subito
fuggirono pieni di vergogna (193cd).
? Cf. Es 13,21.
216
Teodoro di Ferme
28. Uno dei padri raccontò di essere andato una volta verso sera dal padre Teodoro di Ferme e di averlo trovato rivestito di un panno a brandelli, il petto scoperto, e il cappuccio tirato davanti. Ed ecco sopraggiunse dal villaggio un tale e bussò alla porta. L'anziano uscì ad aprire 19, gli andò incontro, si sedette presso la porta a chiacchierare con lui. Questi con un lembo del suo mantello gli coprì le spalle, ma il vecchio lo allontanò da sé con un gesto deciso della mano. Quando l’altro se ne fu andato, gli chiesi: «Padre, perché hai agito così? Era venuto per essere edificato, non l’avrai invece scandalizzato?». Ed egli mi disse: «Cosa dici, padre? Dobbiamo proprio servire gli uomini? 11. Abbiamo compiuto quanto era necessario. Ma è cosa passata: chi vuole edificarsi, si edifichi; chi vuole scandalizzarsi, si scandalizzi. Io ricevo chi vie-
ne così come sono». E diede al suo discepolo questa ammonizione: «Se qualcuno viene per vedermi, non cercare nessuna scusa umana, ma, se mangio, digli: — Mangia; se dormo, digli: - Dorme» (193d-196a).
29. Un giorno tre ladri si gettarono su di lui. Due lo tenevano fermo, mentre l’altro portava via ciò che possedeva. Dopo aver preso i libri, volevano prendere anche la sua veste. Egli disse allora: «Questa lasciatemela». Ma poiché essi si ‘rifiutavano, con un movimento delle braccia si liberò dai due
che lo tenevano stretto. Ne rimasero sgomenti. E il vecchio disse loro: «Non temete, fatene quattro parti 12, tenetene tre e datemi la quarta». E così fecero, perché egli potesse avere la sua parte della veste che portava alla liturgia (196b).
10 C£. nota 13, p. 164. 11 Cf. Gal 1, 10.
12 Cf. Gv 19, 23.
Teodoro di Ennaton
217
TEODORO DI ENNATON
È un monaco della cerchia di Lucio e Longino (cf. pp. 292 e 296) sotto la direzione dei quali si formò all’Ennaton il centro della resistenza monastica alle definizioni di Calcedonia. Altre località prendevano il nome dalla distanza da Alessandria: troviamo ad esempio Pempton,
Oktokedekaton, Ikoston,
località cioè a 5, 18, 20 miglia. Ennaton però è di gran lunga la più famosa. 1. Il padre Teodoro di Ennaton raccontò: «Quando ero più giovane, abitavo nel deserto. Un giorno andai al forno per fare due pani, e vi trovai un fratello che voleva fare del pane, ma non aveva nessuno che gli desse una mano. Lasciai allora i miei pani per aiutarlo. Ma, appena fui libero, giunse un altro fratello, e ancora gli diedi una mano e feci i pani. Quindi ne giunse un terzo, e feci altrettanto; così per tutti quelli che venivano: feci in tal modo sei infornate di pani. Infine, quando non venne più nessuno, feci i miei due pani» (196bc). 2. Raccontavano che i padri Teodoro e Lucio di Ennaton per cinquant'anni si fecero beffa dei loro pensieri dicendo: «Sì, sì, da qui alla fine dell’inverno ce ne andremo». Quando
ritornava l’estate, dicevano: «Ce ne andremo dopo l’estate». In tal modo trascorsero la loro vita questi padri di perenne memoria (196c-197a; PJ VII, 7).
3. Il padre Teodoro di Ennaton disse: «Se Dio ci imputasse la negligenza nella preghiera e le distrazioni durante la salmodia, non potremmo salvarci» (P] XI, 11).
218
Teodoro (di Scete / di Eleuteropoli) / Teodoto
TEODORO DI SCETE
Il padre Teodoro di Scete diceva: «Mi viene un pensiero, o fin mi ur nd co può non ma ; gua tre dà mi non e ba mi tur ma tù; vir la nel re nza ava di ito tar sol e sc di pe im m’ e, all’azion ). 7ab (19 e» gar pre a a alz si e sé da ide rec lo nte ila vig l’uomo TEODORO DI ELEUTEROPOLI
già amo bbi l'a oli rop ute Ele la. nul mo ia pp sa non lui Di ePal in va tro Si ). 174 p. (cf. io fan Epi di ria pat e com a rat incont stina, fra Gerusalemme e Gaza. 1. Il padre Abramo iberico chiese al padre Teodoro di Eleuteropoli: «Che cosa è bene, padre, procurarsi gloria o disprezzo?». L’anziano disse: «Io voglio procurarmi gloria piuttosto che disprezzo. Se infatti mi si dà gloria perché faccio un’opera buona, posso sempre condannare me stesso, sapendo di non esserne degno. Il disonore invece è il frutto di cattive azioni. Come potrei in questo caso consolare il mio cuore, se
per causa mia dei fratelli sono scandalizzati? 13. E meglio dunque fare il bene e riceverne gloria». Il padre Abramo disse: «Hai detto bene, padre» (197bc). TEODOTO
Nel Migne, Teodoto non compare, perché il detto n. 2 non c'è e il n. 1 è riportato come n. 2 di Teodoro di Eleuteropoli, mentre il Guy lo restituisce a Teodoto sulla base di 6 su 7 mano13 Cf, Rm 14, 21.
Teodoto / Teona
219
scritti. Il n. 2 si trova in 2 manoscritti: BL, e anche nella serie del Nau come n. 11.
1. Il padre Teodoto ha detto: «La scarsità di cibo consuma il corpo del monaco». Un altro anziano ha detto: «Le veglie lo consumano ancora di più» (197c; PJ IV, 18).
2. Disse anche: «Non giudicare il fornicatore se sei continente; perché tu trasgredisci altrettanto la legge. Infatti colui che ha detto: — Non fornicare, ha detto anche: — Non giudicare» 14 (S 1; PJTIX, 10). TEONA
Lo conosciamo attraverso Cassiano, che lo incontrò a Pane-
fisi, località vicina alla costa, tra il Nilo e l’attuale canale di Suez, non lontano da Tanis. Cassiano trovò la zona in condizioni disastrose a motivo di un violento maremoto. Tanis era rimasta circondata da paludi salate. Gli anziani dimoravano in isolette
sparse nella palude «in un’orrenda vastità di solitudine», in una «amarezza di sabbie» (Coll. XXIV, 2). Stupisce quest'unico detto di un personaggio così famoso. Di fatto sono apoftegmi suoi Teodoro di Ferme 18, Poemen 51, e PJ IV, 25, in cui altri illustri
anziani riprendono il suo esempio e le sue parole. Uno di essi dice così: «Niente rallegra tanto i demoni ed è così nocivo per i monaci come quando essi nascondono i loro pensieri ai padri spirituali» (PJ IV. 25). Questo è uno degli insegnamenti fondamentali dei padri del deserto, così come l’unico apoftegma sotto il nome di Teona è la sintesi essenzialissima della dottrina dei padri sul ricordo di Dio. Finché questo ricordo permane în noi, 14 Cf. Gc 2,11.
220
Teona / Teofilo
siamo in certo senso impeccabili; il peccato si verifica immediatamente al dimenticarsi di lui e della sua presenza (cf. nota 42, pi
383).
Il padre Teona disse: «Quando la nostra mente si distoglie dalla contemplazione di Dio, diventiamo prigionieri delle passioni carnali» (197c; PJ XI, 12). TEOFILO ARCIVESCOVO
Dal 385 al 412 fu «papa» di Alessandria — così è sempre stato chiamato, e lo è tuttora, il patriarca di quella città —. Lo abbiamo già incontrato assieme a Epifanio di Cipro (cf. p. 174), del quale pare avesse tutti i difetti, e anche molto peggio, ma non le virtù. È zio e predecessore del grande Cirillo Alessandrino; e sarà la fama del nipote a rimbalzare sullo zio é a riabilitarne un po’ la memoria. Come appare anche dal detto n. 3 (cf. Epifanio 2), nella lotta contro il paganesimo Teofilo non esitava a far abbattere i templi pagani. Egli si serviva per questo delle armate imperiali e di schiere di monaci. Teofilo amava i monaci e ci teneva molto ai rapporti con loro, ma anche li circuiva per averli a disposizione per i suoi fini. Così da alcuni di essi era amato e venerato; in altri— fra cui probabilmente Arsenio (cf nn. 7 e 8 di Arsenio) e Pambone (vedi Teofilo n. 2) — si trovano segni di questa riserva. La tradizione apoftegmatica ha voluto lasciargli questo non brevissimo spazio, anche se di fatto egli non è, se non parzialmente, il protagonista dei primi tre brani, e il 4° è una di quelle esortazioni «topiche», di origine forse più tardiva, che ogni tanto ritornano, attribuite a questo o a quello che forse in realtà non le avevano mai pronunciate. La serie della madre Teodora, donna molto venerata nella tradizione, si apre con una richiesta a Teofilo perché le interpreti una parola della Scrittura. Il Tillemont, 4 questo proposito, dice che Teofilo, «il
Teofilo
221
quale sapeva parlare bene più che fare bene, le diede una spiegazione molto bella» (X, 474). Di fatto Teofilo sapeva ben parlare e ben scrivere, e scrisse lettere, sermoni, opere varie, sviluppando una cristologia non originale, ma molto ortodossa. All’inizio dei suoi interventi nelle lotte dottrinali, Teofilo ebbe il merito di operare una provvisoria riconciliazione — nella feroce disputa pro o contro Origene — di Rufino e Girolamo, nel 397, in Palestina. Nel 399 Teofilo promulgò una dura condanna dell’antropomorfi-
smo, eresia piuttosto diffusa fra i monaci più ignoranti, che attribuivano a Dio sembianze umane e un corpo soggetto alle passioni e alle debolezze umane. Questa condanna trovava perfettamente d'accordo i gruppi più colti di monaci, concentrati soprat: tutto a Nitria e secondariamente alle Celle, i seguaci di Evagrio e i cultori di Origene (cf. nota 30, p. 189). Fino ad allora Teofilo aveva simpatizzato per loro, tanto che aveva fatto vescovo uno degli evagriani più convinti, Dioscuro (cf. p. 171), e avrebbe voluto far vescovo anche Evagrio, come abbiamo visto (cf. . 190). Ma alle reazioni di parecchi monaci contro la condanna dell’antropomorfismo, Teofilo fece un totale e definitivo voltafaccia e si mise a perseguitare accanitamente qualsiasi origenista,
vero o presunto, servendosi anche degli antropomorfisti da lui poco prima condannati; si servì delle forze imperiali per deporre vescovi magari da lui stesso creati, come Dioscuro; per persegui-
tare Giovanni Crisostomo si servì del malcontento verso di lui dell'imperatrice Eudossia, punta nel vivo dai suoi richiami morali. Teofilo morì cinque anni dopo di lui, nel 412. Alla memoria del Crisostomo si fece ben presto giustizia, mentre su quella di lui pesò anche la scomunica lanciatagli, negli ultimi anni, da Innocenzo I vescovo di Roma.
1. Il beato arcivescovo Teofilo si recò un giorno sul monte di Nitria. L’abate del luogo gli venne incontro. L'arcivescovo gli dice: «Padre, che cosa hai trovato di speciale in questa via?». «L'accusare e biasimare sempre se stessi», gli dice
Teofilo
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» ta es qu e ch via ra alt c’è on «N : ce di o il of Te l’anziano. Il padre
(197cd; P] XV, 19).
I e. et Sc a no or gi un cò re si o ov sc ve ci ar 2. Il padre Teofilo ro pa a un pa pa al i’ «D e: on mb Pa e dr fratelli riunitisi dissero al pa dal o at ic if ed è n no e «S o: lor ce di o an zi an L’ ». la di edificazione . 42) , XV (PJ » le ro pa e mi e ll da o rl se es à tr mio silenzio, non po
a ri nd sa es Al ad mò ia ch o il of Te o ov sc ve ci ar 3. Un giorno l’ re nt Me . ni ga pa li mp te i e er gg ru st di e e ar dei monaci per preg e o, ll te vi di e rn ca a ll de a it rv se : ro lo fu , pranzavano con lui ne o ov sc ve Il e. ss fo sa co re pi ca a nz se re ia cominciarono a mang
a, gi an «M o: nd ce di no ci vi a av st gli e ch e dr pa porse un pezzo al o: er ss di ri alt gli ra lo . Al !» no ci on cc bo on bu padre, questo
«Finora abbiamo mangiato verdura; ma, se è carne, non ne
mangeremo». Così nemmeno uno di essi proseguì a mangiarne (200a; PJ IV, 63).
4. Lo stesso padre Teofilo disse: «Con quanto timore, tremore 15 e angustia dobbiamo pensare al momento in cui il corpo si separerà dall’anima. Si muoverà contro di noi l’esercito e la potenza delle forze nemiche, i principi della tenebra, i dominatori cosmici della malvagità, i principati e le potestà, gli spiriti del male 16, Essi sottoporranno l’anima a una specie di giudizio, ponendole di fronte i peccati commessi consapevolmente e inconsapevolmente, dalla giovinezza fino all’età in cui fu colta dalla morte. Sorgeranno accusandola di tutte le sue azioni. Quale tremore pensi dunque che avrà l’anima in quell'ora, finché non sarà pronunciata la sentenza e verrà liberata? Questa è l’ora della sua angustia, finché non vedrà che cosa le è riservato. Ma anche le potenze divine si ergeranno contro
15 Cf. Fil 2, 12 e par. 16 Cf. Ef 6, 12.
Teofilo
223
quelle nemiche e metteranno innanzi il bene che essa ha compiuto. Comprendi dunque con quale timore e tremore l’anima starà là in mezzo, finché il suo giudizio riceverà la sentenza da parte del giusto giudice 17, E, se è degna, ne avranno scorno le potenze nemiche e sarà strappata dalle loro mani. E vivrà libera da ogni preoccupazione, anzi, avrà dimora stabile, come sta scritto: In te è la dimora di tutti coloro che si rallegrano 18. Allora si compirà la parola: Là è travaglio, dolore e gemito 19. L’anima liberata se ne andrà verso quella ineffabile gioia 20 e gloria, in cui avrà dimora. Ma se si troverà che nella sua vita è stata negligente, udrà la terribile voce: Sia tolto l’empio, così che non veda la gloria di Dio 21. Allora piomberà su di lei il giorno dell’ira, della tribolazione, dell’angustia, giorno di oscurità e di caligine 22, Condannata alle tenebre esteriori 23 e al fuoco eterno 24, sarà punita per secoli infiniti. Dove sarà allora la gloria del mondo? Dove la vanità? Dove le delizie, il piacere, i sogni? Dove il riposo? Dove le lodi, le ricchezze, le nobili origini? Dove padre, madre, fratello? Chi di loro potrebbe liberare l’anima arsa dal fuoco e prigioniera di tormenti terribili? Di fronte a ciò, quali dobbiamo essere, in santi comportamenti e pietà 5? Quale amore dobbiamo possedere? Quali i nostri costumi, quale il modo di vivere, quale il nostro comportamento? Quanta l’esattezza, la preghiera, la fermezza? Dice infatti: Aspettando queste cose cercate di essere trovati in lui senza macchia e senza colpa, in pace 2%, per essere resi degni di
17 C£2Tm4,8. 18 Sal 86, 7.
1? Ap 21,4.
20 C£.1 Pt 1,8. 21Is 26, 11. 22 C£. Gl 2,2. 23 Cf. Mt 8, 12. 24 C£. Mt 18,8 e par. 252Pt3, 11. 262 Pt3, 14.
oa Teodor / il Teof
224
udire lui che dice: Venite, benedetti dal Padre mio, prendete
possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo 27, nei secoli dei secoli. Amen» (200a-201a).
se: dis te mor di to pun in o fil Teo vo sco ive arc sso ste 5. Lo «Beato te padre Arsenio, che hai sempre pensato a quest'ora»
(PJ III, 5).
LA MADRE TEODORA
Sia le Chiese d'Oriente che quelle d'Occidente festeggiano 11 settembre la memoria di questa santa, particolarmente conosciuta e venerata in Oriente, per una biografia di lei molto diffusa e ripresa dalle raccolte ascetiche come l’Everghetinòs. La vita è probabilmente in gran parte leggendaria, ma tale è passata nella tradizione e forse è alla base di altre storie simili che vengono «topicamente» ripetute con variazioni di particolari, a sostegno
della tesi che anche le donne possono giungere a un alto grado di ascesi e di perfezione. E un caso parallelo a quello delle storie di secolari citate a proposito di Eucaristo (cf. p. 182). Si racconta che Teodora era una donna sposata che decise di lasciare il marito per la vita monastica. Ma per non essere da lui inseguita e riconosciuta in qualche monastero femminile, si travestì da uomo e si fece accogliere, col nome di Teodoro, nel monastero maschile
che si trovava
nella
località
Oktokedekaton,
a 18
miglia da Alessandria. Qui si distinse per grandissimo spirito di rinuncia e sacrificio, tanto che sovente le venivano affidati duri lavori. Un giorno fu accusata di essere il padre di un bambino che una ragazza aveva avuto illegittimamente e aveva abbandonato presso la cella di Teodora. Ella sopportò l'accusa e il duro
21 Mt 25, 34.
Teodora
225
castigo, fu allontanata dal monastero assieme al bambino e cominciò a vivere nel deserto mangiando erbe selvagge e nutrendo il bambino con latte di capra. Il demonio la tormentava con tentazioni tremende, che però ai suoi segni di croce e alle sue preghiere si dileguavano come fumo. Dopo 7 anni fu ripresa in monastero e relegata in una cella molto appartata. Ma qui cominciò a distinguersi per miracoli di guarigioni e altri prodigi. Dopo due anni morì. Alla sua morte il superiore del monastero ebbe la visione di una donna bellissima condotta incontro allo Sposo da schiere di angeli, profeti, apostoli, martiri e tutti gli altri santi. I monaci, richiamati dal pianto del bambino da lei educato, nel comporre il suo corpo trovarono che era veramente una donna, come era stato rivelato all'abate.
1. La madre Teodora chiese un giorno al papa Teofilo che cosa significhi la parola dell’Apostolo: riscattando il tempo ®8. Egli le disse: «L'espressione indica il guadagno. Per esempio: c'è un tempo in cui sei offesa? Compra il tempo dell’offesa con l’umiltà e la pazienza e traine guadagno. E tempo di ingiuria? Con la rassegnazione compra il tempo e guadagna; se ti accusano ingiustamente, traine guadagno con la sopportazione e la guadano diventa o, vogliam se à, avversit le tutte Così speranza. gno per noi» (201ab).
so er av tr at e ar tr en r pe te ta ot «L e: ss di a or od 2. La madre Te raatt o an ss pa n no se : ri be al gli r pe me co la porta stretta 22. E sì Co . tti fru re da o on ss po n no , ge og pi le e i rn ve in verso gli er av tr at to an lt So o. rn ve in l' è te en es pr lo co se il , anche per noi del i ed er e ar nt ve di mo ia ss po ni io az nt te e ze en er so molte soff regno dei cieli 3%». 28 E£5, 16; Col 4, 5. 29 Mt 7, 13. 30 Cf. Gc 2,5.
226
Teodora
3 (Guy 4). Disse ancora: «È cosa buona cercare l’unione con Dio nella quiete, l’uomo saggio persegue questa quiete. È
cosa grande per una vergine o per un monaco, soprattutto per i giovani. Ma sappi che, appena la cerchiamo, il Maligno viene subito ad appesantire l’anima con l’accidia, lo sconforto, i pensieri. E appesantisce anche il corpo con infermità, debolezza, rilassamento delle ginocchia e di tutte le membra, e toglie la forza dell’anima e del corpo. — Sono malato, non posso andare alla liturgia, diciamo. Ma se siamo vigilanti, tutte queste cose scompaiono. Vi era un monaco che era colto da febbre, brividi e dolori di capo quando voleva andare alla liturgia; e così diceva a se stesso: — Ecco, sono malato, e una di queste volte muoio. Ebbene, mi alzerò prima di morire per recarmi alla liturgia! Con questo pensiero si faceva forza e andava alla liturgia. Così finiva la liturgia e finiva anche la febbre. Più volte questo fratello resistette, ripetendosi questo pensiero e recandosi alla liturgia. E vinse il Maligno» (201cdì). 4 (Guy 5). La madre Teodora disse anche: «Una volta una persona pia fu insultata da un tale, e gli disse: — Potrei anch'io risponderti cose simili, ma la legge di Dio mi chiude la bocca». Diceva anche
che un cristiano, discutendo
con un
manicheo 31 riguardo al corpo, gli aveva detto: «Da’ una legge al tuo corpo, e vedrai che il corpo appartiene al Creatore» (201d-204a).
31 ‘Il manicheismo è un movimento religioso che prende nome da Mani, suo fondatore, il quale nacque a Babilonia nell’anno 216. È fortemente sincretista e si caratterizza per una visione dualistica del mondo. Ci sarebbero due principi creatori, quello del male e quello del bene; tutto quanto
concerne il corpo discende dal principio del male ed è da reprimersi duramente; i manichei erano pertanto contrari al matrimonio e proclamavano la necessità di una totale rinuncia al vino, di una fortissima riduzione del cibo,
ecc. La madre Teodora oppone una frase di netta ispirazione biblica (ct. 1 Cor 6, 13 e par.): il corpo è del Signore.
Teodora
227
5 (Guy 6). Disse ancora, che chi insegna deve ignorare l’amore del potere e la vanagloria. Deve essere estraneo alla superbia, non deve lasciarsi ingannare dalle adulazioni né accecare dai regali, non deve farsi vincere dalla gola né dominare dall’ira. Ma deve essere longanime, mite, soprattutto umile, provato, paziente, sollecito e amante delle anime.
6 (Guy 7). La stessa disse ancora che né l’ascesi né le veglie né la fatica salvano, ma soltanto l’umiltà sincera. C'era infatti un anacoreta che cacciava i demoni, e chiese loro: «Che cosa vi fa
uscire? Il digiuno?». Dissero: «Noi non mangiamo né beviamo». «Le veglie?». «Noi non dormiamo». «La solitudine?».
Dissero: «Noi viviamo nei deserti!». «Ma allora, che cosa vi caccia?». Dissero allora: «Nulla ci vince se non l’umiltà». «Vedi che
l’umiltà è il mezzo per vincere i demoni?» 32 (204ab). 7 (Guy 8). Disse ancora la madre Teodora, che c’era un monaco il quale, a causa di molte tentazioni, disse: «Me ne vado di qui!». E mentre stava legandosi i sandali, vide un altro uomo che faceva altrettanto e che gli disse: «Te ne vai forse per causa mia? Guarda, io ti precedo dovunque tu vada».
8 (Guy 3). Ella fu interrogata sul problema delle cose che si sentono dire: «Come è possibile, ascoltando abitualmente 32 Ricorre più di un testo analogo, in cui ci si prende talmente gioco della pura ascesi assolutizzata, non vista nella sua natura di strumento per il fine essenziale (cf. nota 104, p. 133 e nota 18, p. 173), da attribuirla perfino ai demoni. L’anacoreta cui la madre Teodora allude è con ogni probabilità il grande Macario, come risulta dalla corrispondenza di questo brano con l’episodio n. 11 di Macario. Già Antonio aveva affermato in poche parole con grande forza che l’unica arma contro il demonio è l’umiltà (n. 7). E la dottrina unanime dei maestri cristiani di tutti i tempi. Con quest'arma e per quest'arma santa Caterina da Siena si è battuta disputando coi potenti: «Il dimonio non si caccia col dimonio; ma con le virtù dell’umiltà e benignità vostra il caccerete. Ché non sosterrà il dimonio questa umiltà perché non la può sostenere, anzi ne rimane sconfitto» (Caterina da Siena, lettera 285 a Gregorio XI, vol. I, p. 100).
228
Teodora
discorsi mondani e volgari, essere per Dio solo come tu hai detto?». Ed ella dice: «Come quando siedi a tavola e vi sono molti cibi prelibati, e tu ne prendi sì, ma non volentieri, allo stesso modo, anche se giungono alle tue orecchie dei discorsi mondani, tieni il cuore rivolto a Dio e in questa disposizione non li ascolterai volentieri e non ti danneggeranno» (S 1). 9. Raccontò di un altro monaco il quale fu provato nel corpo da rogna e da grande quantità di pidocchi. E proveniva da famiglia ricca. E i demoni gli dicevano: «Tu sopporti di vivere così, producendo vermi?». Ma per la sua tolleranza egli vinse (S 2).
10. Uno degli anziani interrogò la madre Teodora: «Alla risurrezione dei morti come risorgeremo?». Ella disse: «Abbiamo come pegno e come esempio e come primizia colui che per nol è morto e risorto, Cristo Dio nostro» 33 (S 3).
33 Cf. 1 Cor 15 passizm.
GIOVANNI NANO
«Ma chi è questo padre Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?» (n. 36). È la migliore presentazione di questo grande «piccolo» Giovanni. Le versioni latine banno tradotto con «Nanus» il greco koAofBéòc, breve, corto; appellativo che è rimasto a ricordare la sua bassa statura. L'abbiamo già incontrato come discepolo di Amoe (cf. n. 3), che egli servì fedelmente e assistette nella sua malattia fino alla morte avvenuta verso il 375. Giovanni era nato verso il 339 a Bab-
nasa e giunto a Scete verso il 356-57. L'ampia raccolta a lui dedicata st apre con una di quelle «storie modello» molto diffuse, che ritornano in forme analoghe attribuite a persone diverse: in qualche fonte a Efrem Siro, nelle Istituzioni di Cassiano (IV, 24) a Giovanni di Licopoli; e già la storia era nota attraverso Sulpicio Severo (Dial. I, 13). C’è però tutta una tradizione che riprende l’apoftegma n. 1 e celebra Giovanni Nano per questo prodigio. Un’ode copta di vari secoli dopo, che applica ai 4 santi di Scete i simboli della visione di Ezechiele tradizionalmente applicati agli evangelisti, attribuisce a Giovanni Nano il simbolo del toro, proprio per la fatica che fece piantando «l'albero nella terra arida finché fece frutto». Si venera ancora un «albero dell’obbedienza» sulle rovine del monastero che, si racconta, Giovanni costruî per volontà di Amoe: questi gliene avrebbe dato consegna prima di morire perché voleva che quel luogo restasse come memoriale. L'albero attuale non è certo quello, ma pare risalga
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Giovanni Nano
al XV secolo. Con buona probabilità si può ritenere data della sua morte — avvenuta a Clisma (attuale Suez) dove st era trasferito da Scete — la domenica 17 ottobre 409. La sua vita ci è descritta non solo dai numerosi apoftegmi, ma anche da un panegirico di Zaccaria, vescovo di Saba, pronunciato alla fine del VII secolo
e rimasto nella tradizione col nome di Vita copta. Come sempre, questi documenti sono da considerarsi con prudenza, ma sono significativi della venerazione di cui il santo era oggetto. La vita narra che all’inizio della sua esperienza monastica presso Amoe, questi per metterlo alla prova finse di cacciarlo e lo lasciò per sette giorni fuori della porta. Ogni giorno st ripresentava e Amoe lo cacciava, ed egli persisteva digiunando. E si ripeteva le parole della Scrittura: Chi è quel figlio che il padre non castiga? (cf. Eb 12, 7b); Nella vostra sopportazione possederete le anime vostre (Lc 21, 19), ecc. Una domenica mattina, uscendo di cella,
Amoe vide sette angeli risplendenti che lanciavano raggi sul capo di Giovanni e gli ponevano sul capo, una dopo l’altra, sette corone (VC, pp. 335s.). In seguito il maestro mandava spesso dal discepolo persone che venivano a chiedergli consigli. La fama della sua santità era tanto grande che più volte i padri lo misero alla prova ingiuriandolo e umiliandolo (cf. n. 46) ed egli sempre se ne rallegrava, secondo la parola del Vangelo (Mt 5, 10s.). Una volta si misero d'accordo di umiliarlo tutti insieme e lo cacciarono di chiesa. Quindi lo seguirono per vedere le sue reazioni; giunti alla sua cella sentirono un profumo squisito e lo videro col volto luminoso come quello di un angelo; e cantava circondato da cori di angeli (VC, pp. 340s.). La Vita racconta pure che il Signore gli diede due cherubini, per vegliare su di lui e nutrirlo spiritualmente della gioia nascosta dello Spirito Santo, a motivo del profumo della sua grande purezza: «E l'uno diceva all’altro con invidia degna di essere lodata: — Lasciami posare un po’ su di lui la mia ala, perché egli è purificato per il Signore delle schiere...» (p. 381). Doroteo usa il detto n. 34 di Giovanni nel suo capitolo «sull’edificio e l'armonia delle virtà dell'anima» per sostenere che «l’uomo non deve trascurare nessuna parte del-
Giovanni Nano
231
l’edificio ma deve farlo crescere uguale e armonioso» (Ins. XIV, 151). La figura di Giovanni, come emerge dai detti, è veramente grande e splendida di tante virtà, ma alcune si distinguono in modo particolare: l'umiltà, la disponibilità al prossimo e l'immersione continua in Dio. Queste ultime due non si contraddicono ma sussistono insieme in modo esemplare. Cinque manoscritti (A, B, C, J, L) riportano di lui i sette pezzi supple-
mentari editi dal Guy che sono stati qui aggiunti. La Vita racconta che gli apparvero Antonio, Macario e suo padre Amoe a rivelargli che stava per morire. Aveva 70 anni (pp. 400s.). AI venerdì mandò il suo discepolo a far commissioni per restare solo. La domenica mattina alle 5 vennero a prenderlo cori di angeli e di santi. Dopo la sua morte fece sentire la sua presenza con molti miracoli. La serie sistematica latina riporta come ano-
nimo il n. 28, nel capitolo sul dominio di sé (P]J IV, 61).
1. Raccontavano del padre Giovanni Nano che, ritiratosi a Scete presso un anziano della Tebaide, visse nel deserto. Il suo padre, preso un legno secco, lo piantò e gli disse di innatfiarlo ogni giorno con un secchio d’acqua, finché non desse frutto. L’acqua era tanto lontana che doveva partire alla sera per essere di ritorno al mattino. Dopo tre anni il legno cominciò a vivere e a dare frutti. L’anziano li colse e li portò ai fratelli radunati insieme, dicendo: «Prendete, mangiate il frutto del-
l'obbedienza» (204c; PJ XIV, 3).
2. Raccontavano che il padre Giovanni Nano disse un giorno al suo fratello maggiore: «Vorrei essere libero da ogni preoccupazione come lo sono gli angeli, che non fanno nessun lavoro, ma adorano Dio incessantemente». Si tolse quindi il mantello e se ne andò nel deserto. Trascorsa una settimana, ritornò dal fra-
tello e bussò alla porta. Questi, prima di aprirgli, gli chiese: «Chi sei?». Disse: «Sono io, Giovanni, tuo fratello!». Ma l’altro replicò: «Giovanni è divenuto un angelo, non è più tra gli uomi-
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ni». Giovanni supplicava: «Sono io». Ma il fratello non gli aprì e lo lasciò tribolare fino al mattino. Infine lo fece entrare e gli disse: «Sei un uomo, devi ancora lavorare per vivere». Allora si pro. 27) X, PJ ; 5a 20 d04 (2 » mi na do er «P se: dis e ò str
3. Il padre Giovanni Nano disse: «Quando un re vuole i e a cqu l’a lia tag to tut di ma pri , ica nem tà cit una re sta qui con . ano ett ogg ass si gli e, fam la dal i at um ns co , ici nem i ì cos ; eri viv Avviene la stessa cosa per le passioni della carne: se l’uomo oimp i res o son ici nem i e, fam la con e o iun dig col combatte tenti contro l’anima». 4. Disse anche: «Colui che si sazia e chiacchiera con un ragazzo, nella sua mente ha già fornicato con lui» !(205b).
5. Disse anche: «Un giorno, mentre percorrevo la strada di Scete portando le corde, vidi il cammelliere che mi fece adirare. Io allora abbandonai ogni cosa e fuggii» 2. 6. Un'altra volta durante la mietitura udì un fratello che
parlava con ira al vicino e gli diceva: «Ah! Anche tu?». Egli allora cessò di mietere e fuggì.
7. Accadde che un giorno gli anziani mangiavano insieme, e vi era con loro anche il padre Giovanni. Si alzò a porgere l’acqua un presbitero molto ragguardevole, e nessuno volle 1 Cf. Mt 5, 28. Giovanni Nano afferma la connessione fra la lussuria e l’ingordigia ed esprime il grande timore, che emerge negli apoftegmi con una frequenza impressionante, di tentazioni omosessuali costituite dalla presenza di fanciulli. Isacco delle Celle (n. 5) e Macario (n. 5) giungono fino ad
attribuire a questo l’abbandono di Scete da parte di moltissimi monaci (cf. anche Carione 2 e 3; Matoes 11; Poemen 176). 2 Quest’episodio, analogo al seguente, mostra la grande umiltà di Giovanni; batte subito in ritirata piuttosto che essere trascinato dall’ira. Cf. Isidoro di Scete 7.
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accettarla da lui tranne Giovanni Nano. Si stupirono e gli dissero: «Come mai tu che sei il più giovane di tutti hai osato farti servire dal presbitero?». Disse: «Quando io mi alzo per porgere la brocca, mi rallegro se tutti accettano, per averne merito. Per questo ho accettato da lui, per procurargli il merito, perché non si rattristi se tutti rifiutano». Si stupirono a queste parole e furono edificati dal suo discernimento (205bc; P] X, 28). 8. Il padre Giovanni Nano era seduto un giorno davanti alla chiesa. Si radunarono attorno a lui i fratelli e lo interrogavano sui loro pensieri. Vedendo questo, un anziano, tentato d'invidia, disse: «Giovanni, il tuo calice è colmo di veleno!».
«E proprio così, padre — gli dice Giovanni —, e dici questo benché tu veda soltanto l'esterno. Se tu vedessi l’interno, cosa
avresti da dire?» (PJ XVI, 3).
9.I padri raccontavano che un giorno in cui i fratelli mangiavano l’agape fraterna, uno di loro scoppiò a ridere a tavola. Vedendolo, il padre Giovanni pianse e disse: «Che cos'ha questo fratello nel cuore? Poiché ride, mentre dovrebbe piangere quando prende parte all’agape fraterna» 3 (205d-208a; PJ III 6). 10. Una volta dei fratelli si recarono dal padre Giovanni Nano per metterlo alla prova, poiché non permetteva alla sua mente di vagare né parlava di alcuna cosa di questo mondo. Gli dicono: «Ringraziamo Dio, perché quest'anno è piovuto molto, le palme hanno bevuto e mettono rami e i fratelli trovano il loro lavoro». Il padre Giovanni dice loro: «Così lo Spirito Santo: quando scende nel cuore degli uomini, essi si rinnovano e mettono rami nel timore di Dio» (PJ XI, 13). 3 Con questo il padre Giovanni intendeva dire che il banchetto fraterno è un momento tanto sacro che dovrebbe incitare alla compunzione e non alla dissipazione.
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11. Raccontavano di lui che un da per due cesti e la cucì a un cesto finché non l’ebbe appeso al muro, assorta nella contemplazione (PJ XI,
giorno intrecciò una corsolo; e non se ne accorse, poiché la sua mente era 14).
12. Disse il padre Giovanni: «Assomiglio a un uomo seduto sotto un grande albero, il quale vede molte bestie selvagge e rettili venire contro di lui. Quando non può più resistere, si salva arrampicandosi sull’albero. Così anch’io: siedo nella mia cella e vedo sopra di me i pensieri cattivi. Quando non posso resistere contro di loro, mi rifugio in Dio con la preghiera e mi salvo dal nemico» (208b).
13. Il padre Poemen raccontava che il padre Giovanni Nano aveva pregato Dio e furono allontanate da lui le passioni e fu liberato da ogni sollecitudine. Si recò allora da un anziano e gli disse: «Mi trovo nella quiete, e non devo sostenere nessuna lotta». Gli disse il vecchio: «Va’ e prega Dio perché sopraggiunga su di te la lotta e tu ne tragga quella contrizione ed umiltà che avevi prima. E attraverso la lotta che l’anima progredisce». L'altro pregò Dio per questo e, quando giunse la lotta, non pregò più perché la allontanasse da lui. Chiedeva invece: «Dammi, Signore, pazienza nei combattimenti» (208bc; PJ VII, 8).
14. Il padre Giovanni raccontò ciò che un anziano in estasi aveva visto: tre monaci si trovavano sulla riva del mare e udirono una voce che dall’altra sponda li chiamava: «Prendete delle ali di fuoco e venite a me!». Due le presero e volarono dall’altra parte, mentre il terzo rimase, e piangeva a dirotto e gridava. Infine anche a lui furono date delle ali, ma non di fuoco; erano deboli e senza forza. Sprofondava nel mare e si risollevava con fatica, finché, dopo aver molto tribolato, giunse sull’altra riva. Così pure questa generazione: anche se prende le ali, esse non sono di fuoco, ma deboli e senza forza (208cd;
PJ XVIII, 8).
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15. Un fratello chiese al padre Giovanni: «Come mai la mia anima, pur essendo coperta di ferite, non si vergogna di parlare male del prossimo?». L'anziano gli raccontò questa parabola: sulla maldicenza: «C'era un uomo povero; aveva moglie, ma ne vide un’altra che era attraente, e la prese. Entrambe erano ignude. In occasione di una festa in un luogo vicino, lo pregarono dicendo: — Portaci con te. Le prese tutte e due, le mise in una botte, e, imbarcatosi, giunse in quel luogo. Nell’ora del calore meridiano, mentre tutti si riposavano, una
delle due guardò fuori e, non vedendo nessuno, saltò su un mucchio di rifiuti, raccolse dei vecchi stracci, se li cinse attor-
no alla vita, e si aggirava quindi con libertà. L'altra, rimasta seduta ignuda nella botte, diceva: — Ecco, questa donnaccia
non si vergogna di andare in giro nuda! Molto afflitto di questo, suo marito le disse: — Lo strano è che lei ha coperto la sua vergogna, mentre tu, che sei tutta nuda, non ti vergogni di parlare così. Ecco cos'è la maldicenza» (208d-209a). 16. Parlando dell’anima che vuole convertirsi, l'anziano
disse ancora al fratello: «Vi era in una città una bella meretrice, che aveva molti amanti. Un giorno si recò da lei un principe, e le disse: — Promettimi che sarai casta, e io ti prenderò
per moglie! Glielo promise, ed egli la prese e la condusse in casa sua. Ma i suoi amanti la cercarono e dissero: — Quel principe l’ha presa con sé: perciò, se andiamo alla porta di casa sua e se ne accorge, ci castiga. Ma se andiamo dietro a casa e fischiamo, lei riconoscerà il fischio, scenderà da noi, e non
sarà scoperta la nostra colpa. Ma essa, al suono del fischio, si chiuse le orecchie, andò nella parte più interna delle sue stanze, e chiuse le porte». Il padre Giovanni spiegò che la meretrice è l’aniîna, i suoi amanti sono le passioni e gli uomini; il
principe è Cristo; i recessi della casa sono la dimora eterna; quelli che fischiano sono i demoni malvagi. Ma essa si rifugia sempre nel Signore (209bc).
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17 (Guy 18). Una volta in cui il padre Giovanni assieme ad altri fratelli saliva da Scete, la loro guida smarrì la strada, poiché era notte. I fratelli dicono al padre Giovanni: «Padre, che cosa facciamo? Poiché il fratello ha perso la strada. Non moriremo errando?». Dice l'anziano: «Se glielo diciamo, ne proverà dolore e vergogna. Ma ecco, io mi fingerò malato e dirò: - Non posso camminare, mi fermo qui fino all’alba». Allora anche gli altri dissero: «Non andiamo nemmeno noi, ma ci fermiamo qui con te». Aspettarono fino all’alba, e in tal modo il fratello non fu mortificato (209cd; PJ XVII, 7). 18 (Guy 19). Vi era a Scete un anziano molto zelante
nelle fatiche del corpo, ma non acuto nei pensieri. Venne dal padre Giovanni a interrogarlo sulla smemoratezza. Ascoltò le sue parole, ritornò nella l’abate Giovanni gli aveva volta, udì le stesse parole to alla sua cella, le aveva
sua cella, e si dimenticò ciò che detto. Si recò allora da lui un’altra e se ne andò. Ma quando fu arrivagia dimenticate. E così per parec-
chie volte: andava, ma, mentre ritornava indietro, cadeva vit-
tima della dimenticanza. In seguito incontrò l’anziano e gli disse: «Sai padre, che ho dimenticato ancora quello che mi hai detto? Ma, per non disturbarti, non sono venuto». Il padre Giovanni gli disse: «Va’ e accendi una lucerna». L'accese. Gli disse ancora: «Prendi delle altre lucerne e accendile alla sua luce». Quando lo ebbe fatto, gli chiese: «E forse diminuita la luce della prima lucerna perché da quella hai acceso le altre?». Dice: «No!». E l’anziano a lui: «E nemmeno Giovanni; anche se tutta Scete venisse da me, non mi
sarebbe di ostacolo alla grazia di Cristo; perciò vieni quando vuoi, senza esitare». E così, per la pazienza di entrambi, il Signore liberò quell’anziano dalla smemoratezza. Questo è il compito dei monaci di Scete, dare coraggio a coloro che sono tentati e fare violenza a se stessi, per guadagnarsi reciprocamente al bene (209d-212b; P] XI, 15).
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«Caleb disse a Giosuè, figlio di Nun: — Avevo quarant'anni quando il servo del Signore, Mosè, mandò me e te dal deserto in questa terra. E adesso ho ottantacinque anni. Come allora, anche ora posso entrare e uscire in guerra 4. E così anche per te: se puoi entrare e uscire dalla tua cella, va’; ma se non puoi, rimani nella tua cella a piangere i tuoi peccati. É se ti troveranno in stato di lutto, non ti costringeranno a uscire» (212bc; PJ XI, 16).
20 (Guy 21). Il padre Giovanni chiese: «Chi ha venduto Giuseppe?» 5. «I suoi fratelli», rispose uno. «No! — gli dice l'anziano — la sua umiltà l’ha venduto. Avrebbe potuto dire: — Sono loro fratello, e resistere. Invece, tacendo, egli stesso si è
venduto con la sua umiltà. E la sua umiltà lo ha costituito capo dell’Egitto» 6.
21 (Guy 22). Il padre Giovanni disse: «Se lasciamo il carico leggero, cioè l'accusa di noi stessi, ci carichiamo di quello pesante 7, cioè la giustificazione di noi stessi» (212dì). 22 (Guy 23). Lo stesso padre disse: «L'umiltà e il timore di Dio superano ogni altra virtù» (P] XV, 22b). 4 Cf. Gs 4, 7ss. Vedi anche Mosè 13. > Cf. Gn 27, 38. 6 Cf. Gn 41, 40.
? Le immagini di «peso leggero» e «pesante» sono certo tratte dall’Evangelo (cf. Mt 11, 30 e 23, 4) e ne sono un’applicazione. «Inizio della salvezza — dice Evagrio — è condannare se stessi» (n. 8 = S 1). Questo pensiero è ribadito più volte: «Non c’è altra via che questa», dice Teofilo (n. 1; cf. PJ V, 15, passira; nota 6, p. 82; Poemen 97, 98, 134; Or 12, ecc.). Giovanni
afferma recisamente che non ci sono alternative, non c’è una zona neutra; o si percorre la via dell’umiltà e del disprezzo di sé oppure si cade nell’orgoglio, nella contrapposizione a Dio, nella pretesa di una propria giustizia.
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23 (Guy 24). Egli era seduto un giorno in chiesa e gemeva, ignorando che vi era qualcuno dietro di lui. Quando se ne avvide, si prostrò dicendo: «Perdonami, ancora stato ammaestrato» 8 (212d-213a).
padre,
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sono
24 (Guy 26). Disse ancora al suo discepolo: «Onoriamo l’Uno e tutti onoreranno noi; ma, se disprezziamo l’Uno, cioè
Dio, tutti ci disprezzeranno e andremo in perdizione»?.
25 (Guy 27). Raccontavano che a Scete il padre Giovanni venne un giorno al raduno dei fratelli e udì alcuni di loro litigare. Ritornò allora verso la sua cella, e vi entrò dopo aver fatto tre giri attorno ad essa. Alcuni fratelli rimasero sconcertati al vederlo, e andarono a chiedergli il perché. Ed egli disse loro: «Le mie orecchie erano piene di litigi. Girai attorno [alla mia cella] per purificarle e potere quindi entrare in cella nel raccoglimento del mio spirito» 10. 26 (Guy 28). Venne una volta, di sera, nella cella del
padre Giovanni un fratello che aveva fretta di andarsene. E mentre parlavano delle virtù, giunse il mattino senza che se ne fossero accorti. Quando l’anziano uscì con lui per congedarlo, 8 Gli anziani avevano grande pudore dei loro sentimenti, si preoccupavano molto di non farsi notare durante la preghiera (cf. Arsenio 42; Titoes 1 e 6). Giovanni denuncia il non esservi riuscito come una colpa da inesperto, da monaco «non ancora ammaestrato».
? Non bisogna cercare la stima degli uomini; essa verrà da sé se
saremo concentrati sull’unico necessario, la ricerca di Dio. Ma se ci allon-
taneremo da lui per cercare la gloria degli uomini, non otterremo né l’uno né l’altro. 10 Questo brano sottolinea fortemente il valore sacro attribuito alla cella: come il sacerdote all’inizio della celebrazione liturgica compiva tre giri attorno all’altare bruciando incenso in azioni di grazie e di supplica per la
propria purificazione, così in questo caso, con una almeno parziale analogia, Giovanni gira tre volte attorno alla sua cella.
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ce fe lo di in Qu a. st se a or l’ al no fi e ar rimasero ancora a parl
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re sta lo è one igi «Pr se: dis ni an ov Gi re pad Il . 30) 27 (Guy in Ero — : ica nif sig sto que ; pre sem Dio di i ars ord ric e la cel in prigione e siete venuti a me» 2,
28 (Guy 33). Disse ancora: «Chi è più forte del leone? Eppure, spinto dal ventre cade in trappola e tutta la sua forza viene umiliata». 29 (Guy 34). Disse ancora: «Quando i padri di Scete mangiavano pane e sale, dicevano: — Non rendiamoci indispensabili il sale e il pane! E così erano forti nell’opera di Dio» (213c).
a ni an ov Gi e dr pa dal e nn ve lo tel fra Un . 35) uy (G 30 fra i, vuo a cos he «C : ese chi gli e ì usc i Egl te. ces le del prendere per o at tr en , sti que Ma . e» dr pa te, ces le el «D tello?». Disse: ò ss bu o ltr L'a . ire cuc a e tt de se si e ò, ic nt me di si prenderle, ta, ces a un mi ta or «P se: dis gli ì, usc o an zi an l’ do ancora e, quan di ò ss bu o ltr L'a . ire cuc a to du se se mi ri si e ò ntr rie padre». Egli e es pr Lo ». lo? tel fra i, vuo a cos he «C : ese chi gli e nuovo. Uscì le del oi vu e «S : li og nd ce di ro nt de ò rt po lo , no ma allora per ceste, prendile e va’ a spasso, io non ho tempo».
non Il ! ene ars and di ta fret va ave : uta arg one azi not la i erv oss 11 Si accorgersi del tempo che passa è diventato un elemento tipico nei racconti di colloqui spirituali. È notissimo nella tradizione occidentale l’episodio di san Benedetto e santa Scolastica, narrato nei Diz/oghi di Gregorio Magno (II, 33). In questo come in altri aspetti, Gregorio aveva certo ben presente la tradizione dei padri del deserto. 12 C£. Mt 25, 36. L’esegesi di questa frase evangelica è davvero singolare (cf. Introd., p. 37). Qui il testo greco si avvale anche di un gioco di parole, perché il termine $dvAaKn significa sia «prigione» che «custodia», la custodia tante volte ribadita della mente e del cuore.
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31 (Guy 36). Un giorno si recò da lui un cammelliere per prendere la merce e poi andarsene altrove. Egli, entrato in cella per portargli una corda, si dimenticò, poiché aveva la mente protesa a Dio. Il cammelliere lo disturbò ancora, bussando alla porta. E il padre Giovanni di nuovo entrò e non si ricordò. Quando bussò per la terza volta, l'anziano rientrò ripetendo: «Corda cammello corda cammello». Diceva così per non dimenticarsi (213d). 32 (Guy 37). Era fervente nello Spirito 13. Venne un tale a visitarlo e lodò il suo lavoro: stava lavorando alla corda, e rimase
in silenzio. Tentò una seconda volta di farlo parlare, ma egli continuava a tacere. La terza volta disse al visitatore: «Da quando sei venuto qui, hai allontanato da me Dio» (213d-216a). 33 (Guy 38). Venne un anziano nella cella del padre Giovanni e lo trovò addormentato, e vide presso di lui un angelo che gli faceva vento. A quella vista, si allontanò. Il padre Giovanni, svegliandosi, chiese al discepolo: «É venuto qualcuno mentre dormivo?». «Sì — disse —, il tale anziano». Il padre Giovanni sapeva che questo anziano era della sua misura, e che
aveva visto l’angelo.
34 (Guy 39). Il padre Giovanni disse: «Io penso che l’uomo dovrebbe avere un po’ di ogni virtù. Perciò ogni giorno, quando ti alzi al mattino, ricomincia da capo in ogni virtù
e in ogni comandamento di Dio, con grandissima pazienza,
timore e larghezza d’animo, nell’amore di Dio, con tutta la disponibilità dell'anima e del corpo, con molta umiltà; sii
costante nella tribolazione del cuore e nella vigilanza, con molta preghiera e molte suppliche, con gemiti, con la purezza della lingua e la custodia degli occhi. Ingiuriato, non adirarti, sii 15 Cf. Rm 12, 11.
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pacifico e non rendere male per male 14; non guardare agli errori degli altri, non misurare te stesso poiché sei al di sotto di ogni creatura. Vivi nella rinuncia a tutto ciò che è carnale e materiale, nella croce, nella lotta, nella povertà di spirito, con
una volontà ben determinata e con l’ascesi spirituale, nel digiuno, nella penitenza e nel pianto 5, nella dura lotta, nel discernimento, nella purezza dell’anima, nella disponibilità ad accogliere il bene, compiendo con tranquillità il lavoro delle
tue mani 56; nelle veglie notturne, nella fame e nella sete, nel freddo, nella nudità 1, nelle fatiche. Chiuditi nella tomba,
come se fossi già morto, così da pensare in ogni momento che la morte è prossima» (216abc; P] I, 8).
35 (Guy 42). Raccontavano che il padre Giovanni, quando rientrava dopo il lavoro della mietitura o dopo l’incontro con altri padri, si dedicava alla preghiera, alla meditazione e alla salmodia, finché il suo pensiero non fosse ristabilito nello stato precedente. 36 (Guy 43). Uno dei padri disse di lui: «Ma chi è questo padre Giovanni, che con la sua umiltà fa pendere dal suo dito mignolo tutta Scete?».
37 (Guy 44). Uno degli anziani chiese al padre Giovanni Nano: «Che cos’è un monaco?». Egli disse: «Fatica. Poiché in ogni azione il monaco deve sforzarsi. Questo è il monaco!» (216cd).
38 (Guy 45). Il padre Giovanni Nano raccontò di un santo anziano, che si era recluso in cella e che godeva di grande 14 Cf. Rm 12, 17. 15 Cf. Gl2, 12.
16 C£.2 Ts 3, 12. 17 C£. 2 Cor 11, 27.
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fama e onore in città. Gli fu rivelato: «Uno dei santi sta per morire; suvvia, va’ a salutarlo prima che spiri». Rifletté «Se esco di giorno, la gente mi rincorrerà, mi faranno festa e in questo non potrò trovare riposo. Me ne andrò di sera tardi, al buio, e sfuggirò a tutti». Ma quando
tra sé: grande quindi uscì di
tuta sto nasco ere riman di ne enzio l’int con cella, sua dalla sera
a ade lamp con Dio da i inviat o furon i angel due che ecco ti, il ndo vede se, accor città la tutta Così ino. camm il illuminargli tan, gloria alla arsi sottr di to cerca aveva più o fulgore. E quant to più fu glorificato. In ciò si realizza la parola: Chi si umzilia sarà esaltato 18(216d-217a).
39 (Guy 46). Il padre Giovanni Nano disse: «Non è possibile costruire una casa dall’alto verso il basso, ma dalle fon-
damenta verso l’alto». Gli chiesero: «Che significa questa parola?». Disse loro: «Il fondamento è il prossimo, che tu devi guadagnare. Questo è il primo dovere dal quale dipendono tutti i comandi di Cristo» 19,
40 (Guy 47). Sul padre Giovanni si raccontava anche questo episodio: Una giovinetta di nome Paisia rimase orfana di entrambi i genitori. Pensò allora di fare della sua casa un albergo per gli ospiti dei padri di Scete. Per un periodo non breve rimase lì, dando ospitalità e servendo i padri. Ma col tempo, quando il patrimonio fu consumato, cominciò a trovarsi in strettezze. Allora si attaccarono a lei degli uomini traviati e la distolsero dal buon proposito, tanto che cominciò a comportarsi male, fino a giungere alla prostituzione. I padri lo seppero e ne furono molto rattristati. Chiamano il padre Giovanni Nano e gli dicono: «Abbiamo saputo che quella sorella si comporta male, lei che, quando poteva, ci ha dimostrato il suo
18 Mt 23, 12. 19 Cf. Mt 22, 40.
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amore. Anche noi vorremmo ora dimostrarle il nostro amore alutandola. Datti tu pena di andare da lei e, secondo la sapienza che Dio ti ha dato, prenditi cura di lei». Il padre Giovanni si recò quindi da lei e disse alla vecchia portinaia: «Annunciami alla tua padrona». Ma quella tentò di rimandarlo con queste parole: «Prima voi avete divorato le sue sostanze, ed ecco, ora è in miseria». Dice a lei il padre Giovanni: «Dille appunto che posso esserle molto utile». I servitori ridacchiando gli dicono: «Che cosa hai tu da darle, che la vuoi incontrare?». Ed egli rispose: «Come fate a sapere che cosa le darò?». La vecchia salì da lei e le riferì la cosa. La giovane dice: «Questi monaci passano sempre sulla riva del Mar Rosso e vi trovano delle perle!». Si adorna e dice: «Sì, fallo venire su da me». Quando fu salito, essa, prevenendolo, si pose sul divano. Il
padre Giovanni andò a sedersi vicino a lei e, fissandola in viso, le disse: «Che hai da lamentarti di Gesù, che sei giunta a tal punto?». A queste parole, rimase tutta agghiacciata. Il padre Giovanni, abbassando la testa, cominciò a piangere a dirotto. Gli chiese: «Perché piangi, padre?». Dopo un breve cenno egli si ripiegò di nuovo, piangendo, e le disse: «Vedo il Satana giocare sul tuo viso e dovrei non piangere?». Chiede allora la donna: «Padre, c'è penitenza?». Le dice: «Sì». Ed ella: «Conducimi dove vuoi». Le dice: «Andiamo». E lei si alzò per seguirlo. Il padre Giovanni notò con stupore che non diede nessun ordine né disse nulla riguardo alla sua casa. Quando giunsero nel deserto, era tardi; egli formò un piccolo cuscino di sabbia, vi fece sopra un segno di croce, e le disse: «Dormi
qui». Si allontanò un poco, recitò le sue preghiere e si coricò. Svegliandosi verso mezzanotte, vide come una strada di luce che scendeva dal cielo fino a.lei, e vide gli angeli di Dio che trasportavano in alto la sua anima. Alzatosi, le si avvicinò e la toccò col piede; e vide che era morta. Si gettò allora col viso a terra pregando Iddio. E udì che il Signore aveva gradito un’ora del suo pentimento più di molti anni di pentimento di tanti non animati da un simile fervore (217b-220a).
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fi oso fil tre no ra 'e «C o: an zi an l' ra co an e ss Di . 17) 41 (Guy dei o un a lio fig suo ciò las o, nd re mo no, l’u e amici tra loro, si , to ot an ov gi un o at nt ve di fu do an qu , lio suoi amici. Ma il fig pu sa , sti que e to, eva all a vev l'a che ui col accostò alla moglie di i ti tut in o on rd pe e ss de ie ch e en bb se tolo, lo cacciò via. E al re ra vo la a Va’ — se: dis gli ma modi, non volle accoglierlo, i, ann tre po do e nn Ve ò. er on rd pe fiume per tre anni, quindi ti ri alt ra vo la , Va’ a. nz te ni pe to fat ra co an hai e gli disse: — Non ie. iur ing le o nd ta or pp so e o ari sal tuo il via o nd tre anni, da pa im e e en At ad ni vie a Or — se: dis gli Fece così. Dopo questo, fi oso fil dei a rt po a all to du se o an zi an un era Vi . ra la filosofia vagio Il a. ess di so er av tr at o an av tr en che lli que che insultava i ma me Co e: dic gli o an zi an l’ E . ere rid a se mi si , ne, insultato tre Da a? rid che oi vu n No — o: ltr l’a E i? rid tu e o io ti insult no so i ogg e o at lt su in ere ess per o ari sal o mi il via vo anni da insultato gratis? Per questo ho riso». Disse allora il padre Giovanni: «Questa è la porta di Dio 20, e i nostri padri con molti insulti sono entrati gioiosi nella città di Dio 21» (S 1).
42 (Guy 25). Il medesimo padre Giovanni disse al suo fratello: «Se anche siamo del tutto spregevoli dinanzi agli uomini, rallegriamoci di essere onorati dinanzi a Dio» (S 2). 43 (Guy 29). Diceva il padre Poemen che il padre Giovanni aveva detto che i santi assomigliano a un giardino di alberi che danno frutti differenti ma sono abbeverati da un’unica acqua. Altra infatti è l’opera di un santo, altra quella di un altro,
ma è un solo Spirito che agisce in tutti loro 22 (S 3). 44 (Guy 31). Il medesimo disse: «Se l’uomo ha nella sua anima lo strumento di Dio, può vivere in cella, anche se non ha 20 C£. Mt 7, 13s. 21 Cf, Eb 12, 22. 22 Cf. 1 Cor 12, 11.
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alcuno strumento di questo mondo. E ancora, se l’uomo possiede gli strumenti di questo mondo ma non possiede gli strumenti di Dio, a causa degli strumenti del mondo può anch'egli vivere in cella. Ma chi non ha affatto strumenti, né di Dio né di questo mondo, non può affatto vivere in cella» 23 (S 4).
45 (Guy 32). L'anziano disse ancora: «Vedi che il primo colpo che il diavolo inflisse a Giobbe fu ai suoi beni, e vide che non se ne rattristò né si allontanò da Dio. Al secondo colpo lo toccò nel corpo, e nemmeno così quel nobile atleta peccò con la parola della sua bocca 24. Egli aveva infatti dentro di sé i beni di Dio e rimaneva in essi incessantemente» (S 5). 46 (Guy 40). Egli sedeva un giorno a Scete e i fratelli attorno a lui lo interrogavano sui loro pensieri. E uno degli anziani gli dice: «Giovanni, assomigli a una meretrice che si fa bella per accrescere il numero dei suoi amanti». Il padre Giovanni lo abbracciò dicendo: «Dici la verità, padre». Dopo questo, uno dei suoi discepoli disse: «Padre, non sei turbato dentro di te?». Ed egli: «No; ma come sono di fuori, così sono anche di dentro» 25 (S 6).
47 (Guy 41). Raccontavano ancora di lui che il frutto di tutta la fatica che faceva alla mietitura lo portava a Scete dicendo: «Le mie vedove e i miei orfani sono a Scete» 26 (S 7). 23 Il ragionamento è un po’ estremizzato, ma probabilmente vuol dire
in sostanza questo: in ogni caso per condurre una vita solitaria bisogna avere
delle risorse. O queste derivano puramente dall'amore di Dio o sono risorse umane. Diversamente non si può ambire di essere autosufficienti. 24 Cf. Gb 1, 22. 25 Cf. n. 8. 26 Egli si era completamente votato alla comunità e metteva a disposizione di essa tutto il suo lavoro; non spettava quindi più a lui assolvere opera di soccorso alle vedove e agli orfani. Ma se egli compiva il suo dovere, è come se le avesse fatte; il Signore dispensa differenti carismi e funzioni, a ognuno spetta assolvere il proprio compito.
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Giovanni il Cenobita / Isidoro di Scete
GIOVANNI IL CENOBITA
Vi era un fratello che viveva in cenobio e praticava una grande ascesi. I fratelli udirono la sua fama e vennero a vederlo. Entrarono nel luogo deve lavorava; egli li salutò, si voltò
dall’altra parte e ricominciò a lavorare. Vedendo il suo comportamento, i fratelli gli chiesero: «Giovanni, chi ti ha dato l’abito monastico? Chi ti ha fatto monaco? E non ti ha insegnato a togliere ai fratelli il mantello e a dir loro: — Pregate!, oppure: — Sedetevi!?». Disse loro: «Giovanni il peccatore non ha tempo per queste cose» (220b). ISIDORO DI SCETE
Fu il presbitero in carica a Scete prima che Pafnuzio prendesse il suo posto, dopo che Macario si fu ritirato nel più profondo deserto. Gli anni 370-375 sono quelli della sua massima popolarità, insieme ad altri anziani (Guy 1993, p. 58). L'abbiamo già incontrato come anziano della generazione precedente a Zaccaria (Zaccaria 5); lo rincontreremo come maestro del grande Mosè l’Etiope. In questa veste lo cita Palladio, nel capitolo su Mosè, in circostanza analoga a quella che vedremo nel detto n. 1 di Mosè (cf. p. 323), cioè come padre che incoraggiava e consolava il figliolo nelle sue tentazioni verso le cattive abitudini della vita passata: «Non addolorarti: sono gli inizi della prova, e perciò fosti assalito con maggiore violenza, perché rinascesse la tua abitudine. Ti succede come a un cane che sia solito rodere ossa in un macello: non recede dalla sua abitudine; ma se trova il macello chiuso e nessuno gli dà nulla, non vi si avvicina più. Così sarà anche per te: se
rimani saldo al proposito, il demonio scoraggiato se ne andrà» (HL, 19). Era molto famoso: Rufino lo ricorda affiancandolo aî due grandi Macario e a Pambone (HE, IIg 4, 8), e anche Girolamo lo menziona insieme a Macario e a Pambone (ep. XXII, 33). Cassiano pure lo ricorda dicendo che «la munificenza del Signore
Isidoro di Scete
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gli aveva donato una potenza così grande che non gli era mai stato portato un ossesso che non fosse stato guarito prima ancora di varcare la soglia della sua cella» (Coll, XVIII, 15). Gli stessi manoscritti che lo citano, donano un bellissimo brano supplementare, presentandolo come suo unico insegnamento solenne
nell'assemblea liturgica e qui aggiunto come n. 10. La serie latina (PJ I\, 06) e il Nau (N 161) riportano come anonimo il detto n. 8, nel capitolo sul dominio di sé. Nel 386 andò ad Alessandria a consultare Teofilo. Morì prima del 399. 1. Raccontavano
del padre Isidoro, presbitero a Scete,
che se qualcuno aveva un fratello ostinato e debole, oppure negligente e protervo, e voleva cacciarlo, egli diceva: «Portatemelo qui». Lo accoglieva e con la sua pazienza lo salvava
(220bc; PJ XVI, 5).
2. Un fratello domandò al padre Isidoro: «Come mai i demoni ti temono tanto?». Disse: «Perché da quando sono monaco mi sforzo di non permettere all’ira di salirmi alla gola»
(PT IV, 22).
3. Disse il padre Isidoro: «Da quarant’anni sento dentro di me il peccato, ma non ho mai consentito né alla concupiscenza né all’ira» (PJ IV, 23).
4. Il padre Isidoro disse: «Quando ero giovane e stavo nella mia cella, non avevo limiti alla preghiera: per me era tempo di preghiera la notte come il giorno» (220cd; PJ XI, 17). 5. Il padre Poemen raccontò che il padre Isidoro intrecciava funi di palme durante la notte. I fratelli lo pregavano dicendo: «Riposati un poco, perché sei già vecchio». Ma egli diceva loro: «Bruciate pure Isidoro e disperdete le sue ceneri al vento, non vi è più nessuna scusa per me: il Figlio di Dio è venuto qui per noi» (220d-221a).
Isidoro di Scete
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6. Il medesimo raccontò che i pensieri suggerivano al padre Isidoro: «Sei un grande uomo»; ed egli diceva loro: «Assomiglio forse al padre Antonio? O sono diventato proprio come il padre Pambone o come gli altri padri che sono piaciuti a Dio?». Con queste obiezioni si metteva in pace. Quando l'ostilità dei demoni lo portava allo sconforto facendogli temere di essere gettato, dopo tutto questo, all’inferno, diceva loro: «Dovessi anche essere gettato all’inferno, troverei sempre voi sotto di me!».
7 (Guy 8). Il padre Isidoro raccontò: «Sono andato un giorno al mercato a vendere dei piccoli oggetti. Ma quando ho visto che si stava avvicinando a me l’ira, ho abbandonato la
merce e sono fuggito» (221b).
8 (Guy 9). Un giorno il padre Isidoro si recò dal padre Teofilo arcivescovo di Alessandria; quando ritornò a Scete, i fratelli gli domandarono: «Com'è la città?». Disse: «Vi assicuro, fratelli, che non ho visto il volto di nessuno, tranne che
dell’arcivescovo». A queste parole rimasero atterriti e gli dissero: «Padre, sono stati forse vittime tutti di una catastrofe?».
Egli disse: «No, affatto! Ma io non sono stato vinto dal pensiero di guardare qualcuno». A queste parole furono presi da ammirazione e si rafforzarono nel proposito di custodire i loro occhi dal guardarsi attorno. 9 (Guy 10). Lo stesso padre Isidoro disse: «Questa è la scienza dei santi, la conoscenza della volontà di Dio: quando obbedisce alla verità ?7, l’uomo è al di sopra di tutto, perché egli è immagine e somiglianza di Dio 28. Di tutti gli spiriti, il più terribile è seguire il proprio cuore, cioè il proprio pensiero
27 C£.1Pt 1,22.
28 Cf. Gn 1, 26.
Isidoro di Scete / Isidoro di Pelusio
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e non la legge di Dio. Questo alla fine diventa afflizione per l’uomo, perché non ha conosciuto il mistero di Dio, né ha trovato la via dei santi, per operare in essa. Ma ora è tempo di agire per il Signore 29, perché la salvezza è nel tempo della tribolazione 3°. E scritto infatti: Cor la vostra sopportazione acquisterete le anime vostre 31» (221). 10 (Guy 7). Il padre Poemen diceva anche, a proposito del padre Isidoro, che quando parlava ai fratelli in chiesa, diceva questa sola parola: «Fratelli, è scritto: — Perdona al tuo prossimo, per ricevere anche tu il perdono 32» (S 1). ISIDORO DI PELUSIO
Di origine e di cultura alessandrina, nato fra il 360 e il 370, di nobili natali, educato nella retorica e filosofia, esercitò la
professione di sofista prima della sua ordinazione al sacerdozio monastico, cioè celibatario. Svolse il suo ministero sacerdotale nella chiesa di Pelusio, attuale El-Farma, capoluogo della provincia Augustannica prima, a est del delta del Nilo, sulla costa,
all'estremità fra la zona abitata e il grande deserto arabico. E un po’ fuori dall'area e dal giro degli apoftegmi, ma è molto interessante che anche a lui essi abbiano voluto fare posto. Di Isidoro è rimasto un amplissimo epistolario, almeno 2000 lettere, ma si dice che ne avesse scritte molte di più. Alcune sono lettere fittizie, cioè non inviate a un destinatario reale, ma scritte per essere
pubblicate; altre sono estratti, frammenti di lettere in forma di sentenze, brevi massime: alcune di esse sono riprese tali e quali
29 Sal 118, 126.
30 C£. Sap 2, 11. 31Lc 21,19. 32 Cf. Mt 6, 14.
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Isidoro di Pelusio
negli apoftegmi qui raccolti. Egli fu forse cacciato o forse si ritirò spontaneamente dall'esercizio del ministero, a motivo della sua inflessibile opposizione alla corruzione morale — già dilagante — del clero pelusiota. Egli lo attacca con invettive e toni pessimistici motesti imo, atiss accur stile uno con endo scriv re, censo e grand da ne della sua cultura classica e retorica. Le lettere di Isidoro mostraiassim e colar parti una ure, Scritt le con à iarit famil e grand no una dipen e tia simpa me enor una mo, Giaco di ola Epist dell’ ne lazio denza da Giovanni Crisostomo. Sia che si indirizzi a monaci, a chierici, o a secolari, le sue lettere hanno come comune denomina-
tore la raccomandazione dell’obbedienza al Vangelo. In qualsiasi stato di vita, la «filosofia» cristiana esige la netta separazione dallo spirito del mondo, la povertà volontaria, la continenza. Morì verso
il 433. È certamente a motivo della sua grande stima per la vita monastica che i padri del deserto hanno voluto inserire nella loro tradizione la sua memoria e alcune delle sue parole. 1. Il padre Isidoro di Pelusio disse che una vita senza parola può giovare di più che la parola senza la vita: c’è chi tacendo edifica, c'è chi gridando disturba; ma se parola e vita convergono insieme, formano una sola immagine di ogni filosofia 33 (221d). 2. Il medesimo disse: «Stima le virtù e non cercare i suc-
cessi, poiché quelle costituiscono un possesso immortale, questi invece si spengono subito».
3. Disse anche che molti uomini aspirano alla virtù, ma esitano a percorrere la via che ad essa conduce; altri non sanno 33 La tradizione cristiana ha amato usare questo termine risalendo al suo senso etimologico di «amore della sapienza» e applicandolo a tutta la vita del cristiano nella sua globalità e coerenza, in contrapposizione alla «filosofia» come speculazione astratta di pensiero. Cf. p. 188.
Isidoro di Pelusio / Isacco delle Celle
nemmeno
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che esiste la virtù. Bisogna persuadere i primi a
deporre l’esitazione, e insegnare ai secondi che la virtù realmente esiste (221d-224a).
4. Disse ancora: «La malvagità ha allontanato gli uomini da Dio e li ha divisi gli uni dagli altri 34; perciò bisogna fuggirla precipitosamente e inseguire la virtù, che conduce a Dio e ci unisce gli uni con gli altri. Ora, la definizione della virtù e della filosofia è: semplicità con prudenza 35». 5. Disse ancora: «Poiché grande è l’altezza dell’umiltà e l'abisso dell’orgoglio, vi consiglio di abbracciare l’una e di non cadere nell’altro». 6. Disse anche: «Terribile e pronto a tutto è l’amore delle ricchezze; non
conosce
sazietà, e trascina l’anima che ne è
invasa all’estrema rovina: cacciamolo dunque con tutte le forze fin dall’inizio, perché, se prende il sopravvento, sarà poi indomabile» (224b).
ISACCO, PRESBITERO DELLE CELLE
Devoto discepolo di Cronio e di Teodoro di Ferme, si richiama anche all'insegnamento di Pambone. La notizia del sinassario alessandrino (14 maggio) collega la sua vocazione monastica all'incontro con vecchi monaci venuti a vendere i loro prodotti nel piccolissimo villaggio di cui egli era nativo e in cui viveva in condizioni molto povere. E ricordato come esperto conoscitore delle Scritture e come uomo animato da grandissima carità. Edificò un ospizio per é monaci malati. Fu obbligato dalla
34 C£. Gn 11,9. 35 Cf. Mt 10, 16.
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Isacco delle Celle
persecuzione di Teofilo (cf. p. 221) a lasciare il deserto ove viveva da circa 30 anni. Vi ritornò poi, al cessare della persecuzione, per morirvi qualche anno dopo.
1. Un giorno vennero dall’abate Isacco per ordinarlo presbitero, ma egli, udito ciò, fuggì in Egitto, andò in campagna, ngiu no, iva egu ins lo che ri pad I o. fien al zo mez in e cos nas si e ti in quel campo, si fermarono per riposarsi un po’, perché era notte, e sciolsero l'asino perché pascolasse. L'asino, allontanatosi, si fermò di fronte all’anziano. Quando, al mattino, anda-
rono in cerca dell’asino, trovarono anche il padre Isacco e si meravigliarono. Volevano legarlo, ma egli lo impedì dicendo: «Non fuggo più; è volontà di Dio, e, dovunque fuggissi, mi imbatterei in essa» (224bc).
2. Il padre Isacco raccontò: «Quando ero giovane, vivevo con il padre Cronio, il quale, sebbene fosse vecchio e tremolante, non mi diede mai un lavoro da fare. Anzi, egli stesso si alzava per porgere la brocca a me e agli altri. E ho vissuto anche con il padre Teodoro di Ferme, e nemmeno questi mi ha mai detto di fare qualche cosa, ma si apparecchiava da sé la tavola, e mi diceva: — Fratello, se vuoi, mangia qui. Ma io gli dicevo: — Padre, sono venuto per esserti utile, e tu non mi
dici mai di fare qualcosa? Ma poiché egli non rispondeva nulla, ne informai gli anziani, che vennero da lui e gli dissero: — Padre, un fratello è venuto ad abitare con tua santità per esserti di aiuto, e tu non gli dai mai niente da fare? L’anziano disse loro: — Sono forse il superiore di un cenobio, da dargli ordini? Finora non gli ho detto nulla, ma, se vuole, può fare anche lui ciò che vede fare da me. Da allora lo prevenni e facevo ciò che egli stava per compiere. Quando faceva qualcosa, lo faceva in silenzio; e questo mi insegnò a lavorare silenziosamente» (224cd).
Isacco delle Celle
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3. Quando il padre Abramo e il padre Isacco vivevano insieme, un giorno il padre Abramo, rientrando, trovò il padre Isacco che piangeva, e gli disse: «Perché piangi?». E l’anziano a lui: «E perché non dovremmo piangere? Dove potremmo andare? I nostri padri sono morti; il nostro lavoro non basterebbe per il costo della nave, se volessimo andare dagli anziani; adesso siamo rimasti orfani, per questo piango» (224d-225a).
4. Il padre Isacco, presbitero alle Celle, ha detto: «Conosco un fratello che, mentre era in un campo a mietere, ebbe voglia di mangiare una spiga. Chiese allora al proprietario del campo se poteva mangiarla; e quello, sorpreso, gli disse: — Padre, il campo è tuo, e a me lo chiedi? A tal punto giungeva la delicatezza del fratello» 36 (PJ IV, 21). 5. Disse pure ai fratelli: «Non conducete qui dei bambini, perché a motivo dei bambini quattro conventi di Scete sono divenuti deserti» 37 (225b; PJ X, 32).
6. Raccontavano del padre Isacco che egli mangiava assieme al suo pane la cenere dell’incensazione dell’offerta 38.
7. Il padre Isacco diceva ai fratelli: «I nostri padri e il padre Pambone indossavano abiti ricavati dalle foglie di palma, vecchi e rappezzati. E voi adesso portate vesti preziose. Andate via di qui, abbandonate questo luogo». Quando stavano per andare alla mietitura, diceva: «Non vi darò più nessun ordine, perché voi non li custodite» (PJ VI, 9).
36 Cf. Dt 25, 4: il fratello aveva rivolto una richiesta su quello che era
un suo diritto fondamentale, il nutrirsi del frutto del campo che lavorava.
3 C£. nota 1, p. 232. 38 E insieme atto di penitenza (cf. Sal 102, 10) e di comunione, cioè di
maggiore partecipazione all’offerta.
Isacco delle Celle
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8. Uno dei padri ha Isacco, giunse un giorno vestito con un abito corto. sto è un luogo per monaci.
raccontato che, al tempo del padre al convento delle Celle un fratello Ma egli lo cacciò dicendogli: «QueTu invece sei un secolare, non puoi
rimanere qui» (225bc; PJ VI, 8).
9. Disse il padre Isacco: mia cella un pensiero contro frire; e mi sono sempre dato fratello nella sua cella con un
«Non ho mai portato con me nella un fratello che mi avesse fatto sofpremura di non lasciare entrare un pensiero contro di me»39.
10. Il padre Isacco si ammalò gravemente e rimase malato a lungo. Il fratello che viveva con lui gli preparò un po’ di zuppa di farina, dentro a cui mise qualche piccola prugna; ma l’anziano non volle assaggiarla. Il fratello lo pregava: «Prendine un po’, padre, perché sei malato». Ma il vecchio gli dice: «Ti assicuro, fratello, vorrei passare trent'anni in questa malattia». 11. Del padre Isacco raccontavano che, quando fu vicino alla morte, si riunirono attorno a lui gli anziani e gli dissero: «Che faremo dopo di te, padre?». Ma egli disse: «Guardate come ho camminato innanzi a voi; se anche voi volete seguire e osservare i comandamenti di Dio, egli manderà la sua grazia e custodirà questo luogo. Ma se non li osserverete, non rimarrete qui. Anche noi eravamo tristi quando i nostri padri si avvicinarono alla morte. Ma l’osservanza dei precetti divini e dei loro insegnamenti ci permise di continuare a vivere qui come se anche loro fossero ancora fra noi. Fate così anche voi e vi salverete» (225d-228a).
12. Il padre Isacco raccontò che il padre Pambone aveva detto: «Il monaco deve portare un vestito tale che, se anche lo lasciasse per tre giorni fuori dalla cella, nessuno glielo porterebbe via». 39 Cf. Agatone 4.
Giuseppe di Panefisi
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GIUSEPPE DI PANEFISI
L'abbiamo già incontrato come protagonista del brano su Eulogio, che da lui ricevette una grande lezione di umiltà e discernimento e dall'incontro con lui «imparò anch'egli a operare nel segreto» (pp. 184s.). Di lui, di Cheremone e di Nisteroo, Cassiano dice di avere incontrati nel deserto di Panefisi tre anziani di età molto avanzata «anachoretae antiquissi» (Coll. XI, 3). Da lui si recava alcune volte Poemen per interrogarlo (nn. 2 e 3). Potrebbe forse essere lui — e l’episodio corrisponderebbe bene al suo spirito — il padre Giuseppe lodato dal grande Antonio per la sua umiltà nel non presumere di interpretare la Scrittura. «Il padre Giuseppe sì che ha trovato la strada, perché ha detto: — Non so» (cf. Antonio 17). In una conferenza attribuitagli da Cassiano, Giuseppe di Panefisi ricorda infatti come varie volte, quand'era giovane, radunandosi con altri fratelli per scam-
biarsi pensieri e interpretazioni della Scrittura, si accorgevano che certe luci, che credevano di avere avuto, erano ispirate dal
demonio per portarli a contendere tra di loro. Perciò gli anziani hanno sanzionato «che nessuno di noi dovesse credere al suo giudizio, più che a quello del fratello se non voleva essere ingannato dall'astuzia del nemico» (Coll. XVI, 10). Cassiano dice di lui che era nativo di Thmuis, uscito da famiglia illustre, istruito così bene sia nella lingua natale copta che in greco da esprimersi perfettamente anche in quest'ultima (ibid. XVI, 1). Viveva în una cella lontana circa sei miglia da quella del padre Nisteroo (ibid. XV 10). Sono attribuite a lui da Cassiano le conferenze XVI e XVII, sui temi l'una dell'amicizia, l’altra della legge, deft-
nizioni, vincoli e libertà. Egli consiglia una grande elasticità e libertà di spirito, ad esempio nel vincolarsi agli esercizi corporali, che sono strumentali e possono essere sostituiti o interrotti per il vantaggio interiore. Emerge fortemente la sua umiltà: egli ritorna più volte sul pensiero espresso sopra, che bisogna fidarsi più del pensiero altrui che del proprio. C'è in Cassiano una pagina molto bella, che vale la pena di riportare interamente: «È acca-
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Giuseppe di Panefisi
duto spesso di esperimentare ciò che dice l’Apostolo, cioè che Satana stesso si trasfigura in angelo di luce (2 Cor 11, 14); per insinuare in modo fraudolento scura e tetra tenebra dei sensi al posto della vera luce della scienza. Se non abbiamo un cuore umile e mansueto, che sottoponga tutto all'esame di un fratello molto maturo o di un anziano provatissimo, per pot accettare o
rifiutare secondo il giudizio da loro dato dopo attento esame, senza dubbio nei nostri pensieri venereremo l'angelo delle tenebre come un angelo di luce, e periremo della morte più terribile. È impossibile che chi si fida di se stesso eviti questa sventura. Dovrà invece divenire amante della vera umiltà e dovrà praticarla, adempiendo con tutta contrizione di cuore le parole dell’Apostolo: Se vi è qualche consolazione in Cristo, qualche conforto dell’amore, se [avete] viscere di misericordia, rendete piena la mia gioia, avendo il medesimo sentire, il medesimo amore, unanimi, con gli stessi sentimenti; non facendo niente per contesa né per vanagloria, ma con umiltà ritenendo ciascuno gli altri superiori a sé (Fié/ 2, 1-3), e: nell’onore anteponendo ciascuno gli altri a se stesso (Rr 12, 10). Così che ciascuno attribuisca al suo compagno più scienza e santità che a se stesso e creda che l'apice del vero discernimento sta più nel giudizio dell’altro che nel suo» (Coll. XVI, 11).
1. Alcuni padri salirono un giorno dall’abate Giuseppe a Panefisi per chiedergli come accogliere i fratelli ospiti presso di loro: bisognava usare con loro condiscendenza e libertà? Ma, prima che gli rivolgessero la domanda, l’anziano disse al suo discepolo: «Cerca di capire quel che farò oggi e abbi pazienza». Quindi pose due cuscini per terra, uno alla sua destra, l’altro alla sinistra, e disse: «Sedete!». Entrò nella sua cella, vi indossò abiti da mendicante e, uscito, passò in mezzo a loro. Entrò quindi una seconda volta, uscì con i propri abiti e si sedette in mezzo a loro. I padri rimasero sorpresi di ciò che l’anziano aveva fatto. Disse loro: «Avete capito ciò che ho
Giuseppe di Panefisi
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fatto?» 49. Dicono: «Sì». Dice: «Ero forse diverso con quel misero vestito?». Dicono: «No». «Se dunque con entrambi io sono il medesimo, e non cambio con il primo né ho alcun danno dal secondo, dobbiamo fare altrettanto quando riceviamo i fratelli stranieri, come dice il santo Evangelo: Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio 41; quando vengono in visita dei fratelli, riceviamoli con libertà; ma quando siamo soli abbiamo bisogno che rimanga con noi il lutto». I padri rimasero sorpresi delle sue parole, perché aveva detto loro ciò che avevano nel cuore prima che glielo chiedessero (228abc;
PJ XII, 1).
2. Il padre Poemen chiese al padre Giuseppe: «Dimmi, come posso diventare monaco?». Dice: «Se vuoi trovare pace in qualsiasi luogo tu sia e in qualsiasi circostanza, di’: — Chi sono io? E non giudicare nessuno» (P] IX, 5). 3. Il padre Poemen chiese al padre Giuseppe: «Che devo fare all'avvicinarsi delle passioni? Devo resistere, o lasciarle entrare?». L'anziano gli disse: «Lasciale entrare e combattile». L’altro ritornò a Scete e vi rimase. Giunse intanto a Scete uno della Tebaide, e raccontò ai fratelli di avere chiesto al padre Giuseppe: «All’avvicinarsi delle passioni, devo resistere o lasciarle entrare?», e che egli aveva risposto: «Non lasciarle entrare affatto, ma tagliale subito via!». All’udire che il padre Giuseppe aveva risposto così al fratello della Tebaide, il padre Poemen ritornò da lui a Panefisi e gli disse: «Padre, io ti ho confidato i miei pensieri, ed ecco, a me hai detto una cosa e al fratello della Tebaide ne hai detta un’altra!». L’anziano gli disse: «Non sai che ti amo?». Disse: «Sì». «Non mi avevi chiesto di parlarti come a me stesso?». «Certo». «Se tu dunque per-
40 Cf. Gv 13, 12. 41Lc 20, 25.
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metti alle passioni di entrare e le domini, esse ti rendono più provato; ti ho parlato come a me stesso; vi sono invece altri ai
quali non giova che le passioni si avvicinino, ma devono cacciarle immediatamente» 42 (228d-229a; PJ X, 29). 4. Un fratello chiese al padre Giuseppe: «Che cosa devo fare? Perché non so né sopportare le difficoltà, né lavorare, né dare amore». Gli dice l’anziano: «Se non puoi fare nemmeno una di queste cose, custodisci almeno la tua coscienza pura da ogni peccato contro il prossimo, e ti salverai» (229b; PJ X, 31). 42 Questo brano tocca il complesso problema delle diverse «tecniche» contro l’assalto dei pensieri passionali. La dottrina più diffusa presso i padri si può schematizzare così: ci sono diverse «misure» di perfezione; deve perciò conseguirne un diverso atteggiamento nei confronti dei pensieri. Vi è un primo stadio, sufficiente per chi è ai primi passi nella via dello spirito, che consiste nel non tradurre il pensiero in azione (cf., fra gli altri, N 515). In tal modo il pensiero è intimamente svigorito e finisce col lasciare l’assedio della mente. Vi è un secondo stadio, invece, dei più perfetti. Consiste, in coloro che già sono esercitati nella lotta spirituale, nel respingere il pensiero senza soffermarvisi. Accanto a questa dottrina, abbastanza pacificamente recepita, si collocano invece due tesi contrapposte riguardo alla tecnica migliore per sopraffare il pensiero cattivo, e al modo di trarne la maggiore utilità possibile. I «pensieri» stessi, infatti, se usati bene, possono essere occasione di progresso spirituale (cf. PJ X, 86). Secondo la dottrina, che pare più diffusa e sicura, il pensiero deve essere contrastato allo stesso insorgere (cf. Sisoes 22), e gli deve essere impedito assolutamente l’ingresso nel santuario dell'anima (così san Benedetto interpreta l’ultimo versetto del Sal 136, 9 («Beato chi prenderà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra»): bisogna respingere, annientare, sfracellare contro la Pietra, che è il Cristo, i pensieri provenienti dal Maligno, fin dal loro nascere; cf. Regola, Prol.). Secondo invece un’altra corrente, che
si esprimerà nel modo più forte e formale in opere messaliane (cf. nota 1, p. 293) — e che trova una certa rispondenza nel secondo consiglio dato da Giuseppe di Panefisi — sarebbe più saggio e «da forti» lasciare che il pensiero entri nell’anima, per ivi combatterlo e vincerlo, smascherandolo e discernen-
done chiaramente la portata e il significato. Questa dottrina presenta una non casuale analogia con l’altra, sostenuta negli stessi circoli messaliani, della possibile compresenza, nell’anima del credente, dello Spirito Santo e dello spirito impuro. Come in tutti i movimenti, vi sono però posizioni diversamente stumate; e si ritrovano anche all’interno dell’ortodossia dei germi di messalianismo positivi e fecondi.
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5. Un fratello raccontò: «Mi sono recato una volta a Eraclea nel sud, dal padre Giuseppe. Nel monastero vi era un bellissimo sicomoro. Al mattino egli mi disse: — Va’, mangia! Era venerdì, perciò, a motivo del digiuno, non vi andai; e lo pregai: — In nome di Dio, spiegami questo tuo pensiero. Tu mi hai detto: — Va’, mangia! Ma io non sono andato a motivo del digiuno. Anzi, mi vergognavo del tuo comando, e pensavo: — Ma in base a quale pensiero l’anziano mi ha detto così? Che cosa potevo dunque fare? Poiché mi avevi detto: — Va’. E l'anziano mi disse: — All’inizio i padri non dicevano ai fratelli cose rette, ma storte; e, se li vedevano
compiere cose storte,
non dicevano più loro tali cose, ma la verità, sapendoli ubbidienti in tutto» (229bc; PJ X, 30).
6. Il padre Giuseppe disse al padre Lot: «Non puoi divenire monaco se non diventi tutto come fuoco ardente».
7. Il padre «Padre, io faccio colo digiuno, la mento, cerco di
Lot si recò dal padre Giuseppe a dirgli: come posso la mia piccola liturgia, il mio picpreghiera, la meditazione, vivo nel raccogliessere puro nei pensieri. Che cosa devo fare
ancora?». Il vecchio, alzatosi, aprì le braccia verso il cielo, e le
sue dita divennero come dieci fiaccole. «Se vuoi — gli disse — diventa tutto di fuoco» (229cd; P] XII, 8).
8. Un fratello chiese al padre Giuseppe: «Desidero uscire dal cenobio e vivere da solo». L’anziano gli dice: «Fissa la tua dimora dove vedi che la tua anima trova la quiete e non è disturbata». Dice a lui il fratello: «Io sono in pace sia nel cenobio che nella solitudine, che vuoi dunque che faccia?». L'anziano gli dice: «Se trovi pace sia in cenobio che nella solitudine, metti questi tuoi due pensieri come su una bilancia, e, dove vedi che il tuo pensiero porta maggiormente utilità e fa più discendere la bilancia, compi questo» (229d-232a).
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Giuseppe di Panefisi / Giacomo
9. Un anziano si recò da un suo compagno per andare con lui a far visita al padre Giuseppe, e gli disse: «Di al tuo discepolo di sellare l'asino». L'altro gli dice: «Chiamalo tu e farà ciò che desideri». Dice: «Come si chiama?». «Non so». «Da quanto tempo vive con te, che tu non sai ancora il suo nome?». Ed egli: «Due anni» #4. Disse allora: «Se tu dopo due anni non sai il nome del tuo discepolo, che bisogno ho io di impararlo in un giorno?».
10. Un giorno dei fratelli si riunirono attorno al padre Giuseppe; mentre erano seduti e gli ponevano domande, egli trasalì di gioia e disse con ardore: «Oggi sono re, perché ho regnato sulle passioni» (232b). 11. Raccontavano che, mentre era vicino alla morte circon-
dato dagli anziani, il padre Giuseppe di Panefisi guardò verso la porta e vide un diavolo seduto sulla soglia. Chiamò allora il suo discepolo e gli disse: «Portami il bastone! Costui crede che io sia così invecchiato da non avere forza contro di lui». Appena egli brandì il bastone, gli anziani videro il diavolo dileguarsi come un cane attraverso la finestra, e divenne invisibile. GIACOMO
È difficile dire se si tratti dello stesso Giacomo di cui parla Foca (pp. 491ss.). I due pezzi supplementari, molto significativi (ct. Introd., pp. 42-45), editi dal Guy, sono aggiunti nei cinque manoscritti A, B, C, J, L. Il detto n. 2 si trova come anonimo nel
capitolo sull’umiltà della serie sistematica (PJ XV, 108).
4 È un esempio portato fino al paradosso di distacco dal mondo.
Giacomo
1. Il padre Giacomo
261
disse: «Piuttosto che ospitare, è N
meglio vivere come ospiti» 44(232b).
2 (Guy 4). Disse anche: «Se si riceve una lode, bisogna ricordarsi 1 propri peccati e pensare che non si è degni di quelle parole» (232c). 3 (Guy 5). Disse ancora: «Come una lucerna in un cubicolo oscuro, così anche il timore di Dio, quando giunge nel cuore dell’uomo, lo illumina e gli insegna tutte le virtù di Dio» 4 (PJ III, 7).
4 (Guy 6). Disse ancora: «Non c’è bisogno di parole soltanto — ce ne sono tante di parole fra gli uomini oggi! C'è bisogno invece di azione: questa è da cercarsi e non le parole, che non portano frutto». 5 (Guy 2). Raccontava anche che uno degli anziani aveva detto: «Quando vivevo nel deserto, avevo come vicino un fanciullo che praticava la solitudine. Un giorno, facendogli visita, lo vidi pregare e domandare a Dio di vivere in pace con le bestie selvagge. Dopo la preghiera, poiché vi era lì vicino una iena che allattava i suoi piccoli, il fanciullo andò a mettersi sotto di lei e cominciò a succhiare il latte assieme a loro» 46($ 1).
e ar nd ma do e e gar pre to vis o l’h ta, vol ra alt Un’ 3). 6 (Guy al Signore: «Dammi il carisma di essere amico del fuoco». Quindi accese un falò e si inginocchiò in mezzo ad esso, pregando Dio (S 2).
44 Il termine greco Éévoc significa sia «ospite» che «straniero»; cf. nota 7, pp. 296s. 4 C£. Prv 1,7.
46 Cf. Introd., p. 44.
262
Ierace
IERACE
Visse prima a Porfiriti, poi a Nitria. Da lui e da Cronio, Pal-
ladio dice di aver udito quanto racconta di Paolo il Semplice (cf p. 437), e pure a lui, a Cronio e ad altri «fratelli vicini» a loro Pascasio, nella sua raccolta latina di apoftegmi, attribuisce un racconto che censura severamente un monaco il quale, per sua comodità, non andasse ad aiutare qualcuno che avesse veramente bisogno (XIX, 5). Ierace visse a lungo, fin oltre novant'anni; pare fos-
se ancora vivo nel 408. Fu il più vecchio fra i monaci perseguitati da Teofilo, e si racconta che a novant'anni fu costretto a recarsi a Costantinopoli a implorare l’aiuto di Giovanni Crisostomo e dell’imperatore Arcadio, contro la persecuzione del fanatico «papa» di Alessandria. Data la coincidenza dei lunghi anni di vita, può darsi sia lo stesso Ierace di N 33, che risponde in modo
tanto arguto al demonio che voleva demoralizzarlo minacciandogli ancora molti anni di vita.
1 (Guy 2). Un fratello interrogò il padre Ierace: «Dimmi una parola; come posso salvarmi?». Gli dice l'anziano: «Rima-
ni nella tua cella; se hai fame, mangia; se hai sete, bevi. Non parlar male di nessuno, e ti salverai» (232d).
2 (Guy 3). Lo stesso padre disse: «Non ho mai detto né voluto udire una parola mondana». 3 (Guy 1). Un fratello interrogò il padre Ierace: «Dimmi, come posso salvarmi?». Dice a lui l’anziano: «Siedi nella tua cella, non dir male di nessuno, e ti salverai» (S 1).
Giovanni l’Eunuco
263
GIOVANNI L’'EUNUCO
Nella storia del monachesimo s'incontrano parecchi che portano il nome di Giovanni Eunuco.
Questi è certamente il
Giovanni «eunuco dalla nascita» che abbiamo già incontrato assieme a Teodoro di Ferme (Teodoro 10). Infatti il detto n. 1 di Giovanni riprende sostanzialmente e amplia quel detto di Teodoro di Ferme. Ma anche il detto n. 2, non per niente attribuito ad Antonio, rispecchia uno dei pilastri della tradizione. L'istruzione n. 4 di Doroteo di Gaza riprende molti passi della Scrittura per trattare dell'amore perfetto, che bandisce il timore (1 Gv 4, 18), e racconta, fra l’altro, del periodo in cui Doroteo.fu incaricato del servizio al padre Giovanni, il grande recluso compagno di Barsanufto (Ins. IV, 56). Ogni sera, quando Doroteo si congedava, il grande anziano gli faceva questa esortazione: «Una volta per tutte, fratello, che Dio ti custodisca la carità», seguita da una
breve sentenza tratta dalla Scrittura o dai padri. Una di queste sentenze: «Non ho mai preferito la mia volontà a quella del mio fratello», è chiaramente una sintesi del detto di Antonio (cf. PE, III, 36, 15) riferito da Giovanni Eunuco (n. 2), di un detto mes-
so in bocca a Poemen nella raccolta attribuita a Rufino: «Non
compiere mai la tua volontà, umilia piuttosto te stesso, per fare la volontà del tuo prossimo» (Ruf., 149, 1), e di altri simili che
costituiscono appunto una delle colonne su cui si fonda l’insegnamento dei padri relativo all'umiltà, alla rinuncia a se stessi e all’ubbidienza.
1. Il padre Giovanni l’Eunuco, da giovane, chiese a un anziano: «Come avete potuto voi compiere l’opera di Dio con calma? Noi non vi riusciamo nemmeno con aftanno!». Disse l’anziano: «Noi ci siamo riusciti perché l’opera di Dio era la nostra preoccupazione principale, mentre le esigenze del corpo erano l’ultima. Voi invece mettete al primo posto le esigenze del corpo e l’opera di Dio non costituisce per voi la cosa più
264
Giovanni l’Eunuco / Giovanni di Cilicia
necessaria. Perciò il Salvatore ha detto ai discepoli: O uomini di poca fede, cercate prima il regno di Dio e il resto vi sarà dato in sovrappià 1» (232d-233a).
2. Il padre Giovanni raccontò: «Il nostro padre Antonio aveva detto: — Non ho mai anteposto il mio vantaggio all’utilità del fratello». GIOVANNI DI CILICIA
Il Cotelier raggruppa questi brevi apoftegmi sotto il nome dell'anziano precedente, coi numeri 3-6: ma essi figurano soltanto nel codice D e corrispondono al capitolo 115 del Prato spirituale di Giovanni Moschos, sono senz'altro cioè un'aggiunta tardiva, che infatti il Guy non pubblica nella sua traduzione. Lo stesso capitolo di Moschos, oltre a questi, riporta altri due brani: «Ho incontrato degli anziani che hanno passato più di settanta anni mangiando soltanto erbe e datteri»; «Ho vissuto 76 anni in questo luogo, patendo molti mali e tormenti da parte dei demoni». Secondo lo stesso Moschos, è Giovanni di Cilicia a racconta-
re l'episodio raccapricciante del monaco impiccatosi nella cella di Evagrio (ct. p. 351).
1. Il padre Giovanni di Cilicia, superiore di Raito, disse ai fratelli: «Figlioli, come abbiamo fuggito il mondo, fuggiamo anche i desideri della carne» (2334). 2. Disse ancora: «Imitiamo i nostri padri: in quale austerità e solitudine hanno vissuto qui» (233b).
47 Mt 6, 33.
Giovanni di Cilicia / Giovanni delle Celle
265
3. Egli disse anche: «Non macchiamo, figliuoli, questo
luogo, che i nostri padri hanno purificato dai demoni». 4. Disse anche: «Questo è un luogo per asceti, non per trafficanti».
GIOVANNI DELLE CELLE
Il Cotelier pone questo detto come n. 2 di Giovanni delle Celle, ma tre manoscritti — B, J, L — distinguono due Giovanni, uno delle Celle, e uno della Tebaide.
Il padre Giovanni delle Celle raccontò: «Vi era in Egitto una prostituta, molto avvenente e ricca; anche i magistrati venivano da lei; un giorno si trovò per caso vicino a una chiesa e cercò di entrarvi, ma il suddiacono che stava alla porta non glielo permise dicendole: — Non sei degna di entrare nelal lite, una allora accese Si impura. sei perché Dio, di la casa cui rumore il vescovo uscì. — Non mi lascia entrare in chiesa,
perentrare, puoi Non — vescovo: il E gli dice la peccatrice. — promette: donna la , compunzione da ché sei impura. Presa qui porti Se — dice: le vescovo il E Non farò più la prostituta. le Come prostituta. la più fai non che saprò le tue ricchezze, chiein entrò donna La bruciò. le e prese portò, il vescovo le di nell’al questo, accade mi qui Se — sa piangendo e dicendo: un divenne e penitenza fece E patire? da là che cosa avrò vaso d’elezione 48» (233bc).
48 Cf. At 9, 15.
266
Giovanni della Tebaide / Isidoro Presbitero
GIOVANNI DELLA TEBAIDE
Il padre Giovanni della Tebaide diceva: «Bisogna che il monaco pratichi prima di tutto l’umiltà, perché questo è il primo comandamento del Salvatore; egli ha detto infatti: Beati : poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli 49» (233d). ISIDORO PRESBITERO
Anche di anziani con questo nome ce ne sono parecchi. Ci si è già soffermati su Isidoro di Scete (cf. pp. 246s.), pure presbitero,
che molte
testimonianze
della tradizione
concorrono
a
ricordare e lodare. Palladio non dice di aver conosciuto personalmente il “grande” Isidoro di Scete, di cui parla, mentre si dilunga su non pochi particolari del suo incontro ad Alessandria con un altro Isidoro presbitero, «uomo meraviglioso, dotato in ogni aspetto,
nella parola,
nel comportamento,
nella scienza»,
cui
dedica il primo capitolo della sua Storia Lausiaca. Isidoro di Alessandria era nato in Egitto verso il 318, ed era vissuto per molti anni sulla montagna di Nitria. Ordinato sacerdote, fu incaricato da Atanasio di Alessandria di occuparsi dello “xenodochio” della Chiesa alessandrina, cioè di accogliere i poveri e gli stranieri. A lui si affidò Palladio per essere iniziato all’ascetismo; così egli stesso scrive: «Venni da lui giovane e lo pregai di avviare i miei passi nella vita solitaria; e poiché la mia età era esuberante e non aveva bisogno di parole quanto di fatiche della carne e di dure pratiche del corpo, egli, come buon domatore di puledri, mi condusse circa cinque miglia fuori della città, nei luoghi detti eremitici» (HL, 1). Gli episodi che Palladio menziona sono molto consonanti con gli apoftegmi che seguono e inducono perciò a pensare che si tratti veramente di questo Isidoro di Alessan-
49 Mt 5,3.
Isidoro Presbitero
267
san le del a enz osc con e o rit Spi lo del zia gra e tal una va ve «A a. dri te Scritture, e comprensione delle verità divine, che durante gli stessi banchetti dei fratelli restava estatico e muto... Anch'io lo vidi più volte piangere a tavola e, interrogato sulla causa delle lacrime, lo sentii dire: — Mi vergogno di partecipare a un cibo
materiale, io che sono spirituale e devo vivere nel paradiso di delizie, in virtù della potestà data a noi da Cristo». Pare abbia partecipato più volte a importanti ambascerie a Roma. Ciò nonostante, anche se aveva fama e disponibilità di ricchezze, «morendo non scrisse testamento, non lasciò un soldo, non lasciò nulla
alle sue sorelle che erano vergini, ma le affidò a Cristo dicendo: - Dio che vi ha creato, provvederà egli stesso a voi le cose necessarie per vivere, come ha fatto con me. Vi era insieme alle sue sorelle una comunità di settecento vergini» (ibid.). Egli fu probabilmente uno dei tanti prima benvoluto da Teofilo d’Alessandria, anzi forse pure proposto per il seggio episcopale di Costantinopoli al posto di Giovanni Crisostomo, nel 388. In seguito invece subì i contraccolpi del voltafaccia di Teofilo e le prepotenze della sua persecuzione. Fu costretto così a lasciare l'Egitto e a rifugiarsi presso Giovanni Crisostomo, a Costantinopoli, dove morì nel 404 (cf Tillemont, V, 443). La sua memoria si celebra il 15 gennaio, assieme a quella di Paolo, vero o leggendario primo eremita (cf. p. 436).
1. Raccontavano che un fratello si recò un giorno dal padre Isidoro, il presbitero, per invitarlo a colazione, ma egli rifiutò dicendo che Adamo fu cacciato dal Paradiso dopo essersi lasciato sedurre dal cibo 50. «Quindi, tu hai paura di uscire dalla cella?», gli chiese il fratello. «Ho paura, figlio, perché il diavolo come leone ruggente si aggira cercando chi
20 Cf. Gn 3, 17; 23.
268
Isidoro Presbitero
divorare 31». Egli soleva anche dire spesso che, se uno si dà al vino, non riesce più a sfuggire alle insidie dei pensieri. Infatti Lot fu costretto dalle sue figlie a ubriacarsi di vino, e mediante l’ubriachezza il diavolo lo dispose facilmente a quella iniqua fornicazione 52 (233 d-236a).
2. Il padre Isidoro disse: «Se tu brami il regno dei cieli, disprezza le ricchezze 53 e aspira alla ricompensa divina». 3. Disse anche: «È impossibile vivere secondo Dio se si amano i piaceri e il danaro» (236b). 4. Disse anche: «Se praticate l’ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi» 24.
5. Disse ancora: «Bisogna che i discepoli amino i loro maestri come padri e li temano come sovrani; l’amore non deve dissolvere il timore, né questo deve offuscare l’amore». 6. Disse anche: «Se brami la salvezza, fa’ tutto ciò che a essa ti conduce».
7. Raccontavano che il padre Isidoro fuggiva nella parte più interna della sua cella se dei fratelli si recavano da lui. I fratelli gli dissero: «Padre, perché fai così?». Ed egli disse: «Anche le belve si salvano fuggendo nelle loro tane». Diceva questo per l’edificazione dei fratelli (236bc).
511 Pt5,8. 52 Cf. Gn 19, 30. 53 Cf. Lc 18, 24.
54 C£. nota 32, p. 227.
Giovanni il Persiano
269
GIOVANNI IL PERSIANO
Non si hanno notizie biografiche, tranne l’indicazione della sua origine e del fatto che visse in Egitto. Da questi quattro brani emerge tuttavia una figura di rilievo, soprattutto per un’innocenza e un amore spinti fino all’ingenuità. L'ultimo testo mostra un’ampia conoscenza e un uso molto sapiente della Scrittura (cf. Introd., p. 32).
1. Venne un giorno un fanciullo per essere liberato dal demonio; e giunsero dei fratelli da un cenobio dell’Egitto. Uscendo, l'anziano vide un fratello peccare col fanciullo, ma non li rimproverò, perché disse: «Se Dio che li ha creati vedendo questo non li brucia, chi sono io da rimproverarli?» (236c). 2. Uno dei padri raccontò che il padre Giovanni il Persiano per il suo grande amore era giunto a un grado di profondissima innocenza. Dimorava nell’Arabia d’Egitto. Un giorno si fece prestare da un fratello una moneta d’oro, con cui comprò della tela da lavorare. Ma venne da lui un fratello che lo pregò dicendogli: «Regalami un po’ di tela, padre, perché possa farmi una tunica». Gliela diede con gioia. Venne anche un altro, che gli chiese: «Dammi un po’ di tela per farmi un lenzuolo». Anche a lui la diede allo stesso modo. E ad altri che chiedevano donava con semplicità e con gioia. Infine giunse anche il creditore della moneta, per averla indietro. «Vado a prendertela», gli disse il vecchio. Non avendo da restituirla, si recò dal padre Giacomo, l’incaricato della diaconia, per pregarlo di dargli la moneta da restituire al fratello. Lungo la strada trovò per terra una moneta d’oro, ma non la toccò. Dopo essersi fermato a pregare, ritornò nella sua cella. Quando il fratello venne di nuovo a importunarlo per quella moneta, gli disse: «Ci penso io senz'altro». Uscì, e ritrovò la moneta per terra; là era
rimasta. Anche questa volta pregò, quindi ritornò nella sua cel-
270
Giovanni il Persiano
la. Ma anche il fratello che lo importunava ritornò. E l’anziano gli promise: «Senz'altro una buona volta te la porto». Alzatosi, si recò di nuovo in quel luogo, e trovò la moneta per terra. Dopo aver pregato, la prese, venne dal padre Giacomo e gli disse: «Padre, venendo da te ho trovato questa moneta lungo la via. Fammi la carità di farlo sapere nelle vicinanze, che uno non l’abbia smarrita. E, se trovi il suo proprietario, dagliela».
Dopo che l’anziano se ne fu andato, la cosa fu annunciata per tre giorni. Ma non si trovò nessuno che avesse perduto la moneta. L’anziano disse allora al padre Giacomo: «Se nessuno l’ha perduta, dalla al tal fratello, perché gli sono debitore di questo denaro. E, mentre venivo da te perché tu mi facessi la carità di aiutarmi a pagare il debito, l’ho trovata». L'anziano si meravigliò che non avesse preso subito la moneta per pagare il debito. E anche questo era meraviglioso in lui: se veniva qualcuno a chiedergli in prestito qualcosa, non gliela dava egli stesso, ma diceva al fratello: «Va’, prenditi ciò che ti serve». E, se
la riportava, gli diceva: «Rimettila al suo posto». Se invece non la riportava, non gli diceva niente (236d-237c; PJ VI, 7).
3. Raccontavano del padre Giovanni il Persiano che un giorno vennero da lui dei malfattori. Egli prese un catino e cominciò a lavar loro i piedi, ed essi, vergognatisi, cominciarono a pentirsi.
4. Un tale disse al padre Giovanni il Persiano: «Abbiamo tanto penato per il regno dei cieli; lo erediteremo infine?». E l'anziano disse: «Confido di ereditare la Gerusalemme dell’alto 55 iscritta nei cieli 56. Colui che ha promesso è fedele 3; perché dovrei dubitare? Sono stato ospitale come Abramo, mite come Mosè, santo come Aronne, paziente come Giobbe, umile 2 Cf. Gal 4, 26. 56 Cf. Eb 12, 23. 21 Eb 10, 23.
Giovanni (il Persiano / di Tebe / discepolo di Paolo)
2/1
come Davide, eremita come Giovanni, contrito come Geremia,
dottore come Paolo, fedele come Pietro, saggio come Salomone. E credo come il ladrone 58 che colui che per la sua bontà mi ha donato tutto ciò, mi darà anche il regno dei cieli» (237d-240a). GIOVANNI DI TEBE
Abbiamo già visto come il suo maestro Amoe fosse discepolo di Arsenio (cf. p. 128). Quest’unico apoftegma, molto significativo, fa parte, nella serie sistematica, del capitolo «sulla sopportazione».
Raccontavano che il piccolo Giovanni di Tebe, il discepolo del padre Amoe, servì per dodici anni l'anziano, quando era malato. Gli stava accanto seduto sulla stuoia, ma il vecchio lo
trattava con disprezzo. E, sebbene si affaticasse molto per l'anziano, questi non gli diceva mai: «Che Dio ti benedica!». Ma, mentre stava per morire, alla presenza degli anziani seduti attorno a lui, gli prese la mano e gli disse: «Dio ti benedica, Dio ti benedica, Dio ti benedica!». E lo consegnò agli anziani dicendo: «E un angelo, non un uomo» (240ab; P] XVI, 4).
GIOVANNI DISCEPOLO DEL PADRE PAOLO
Inutile dire che questo episodio, ai limiti dell'assurdo, è fra i più famosi della tradizione e viene spesso citato come modello incomparabile di obbedienza e di umiltà e come prova della forza miracolosa dell’obbedienza. I due protagonisti potrebbero essere gli stessi, Giovanni discepolo e Paolo abate, di un cenobio
28 C£. Introd., p. 32.
272
Giovanni discepolo di Paolo
presso Panefisi incontrati da Cassiano; induce a pensare così la sorprendente rispondenza delle caratteristiche di entrambi. Appena arrivati nel cenobio dell'abate Paolo, Cassiano e Germano lo vedono dare un sonoro manrovescio, alla presenza di tutti, a un fratello che era giunto con qualche ritardo ad assolvere il suo compito di servire i fratelli seduti a mensa. Il giovane monaco accettò con grande umiltà e mitezza. In quel monastero Cassiano incontrò pure Giovanni, un venerabile vegliardo che, dopo vent'anni di vita eremitica, era venuto a sottomettersi nel ceno-
bio del padre Paolo, a motivo della sua umiltà. A lui Cassiano attribuisce la conferenza n. 19, nella quale Giovanni si professa indegno di praticare la vita solitaria, che pure stima e apprezza con tutto il cuore. Egli espone i pericoli essenziali di entrambe le vie, sia quella cenobitica che quella solitaria, i rischi di chi si dà alla seconda spinto da un «desiderio immaturo», senza essere stato purificato nel crogiuolo della vita comune. Giovanni cita Mosè, Pafnuzio, i due grandi Macario, come esempi di anziani
che hanno saputo unire in sé la perfezione dell'una e dell'altra strada; la sopportazione della solitudine più tremenda e la preghiera pura, la spogliazione da ogni possesso e ricerca di sé e la pazienza immensamente compassionevole per le debolezze dei fratelli (Coll. XIX passim, sprt. 1, 2, 9, 10).
Raccontavano che il padre Giovanni, il discepolo del padre Paolo, era molto obbediente. In un luogo in cui vi erano delle tombe dimorava una iena. L’anziano vide in quei pressi degli escrementi di bue e disse a Giovanni di andarli a prendere. «E come farò, padre, con la iena?», gli chiese il discepolo. L’anziano, scherzando, disse: «Se ti assale, legala e conducila qui!». La sera il fratello si recò dunque colà, ed ecco che la iena lo assalìi, ma
egli, secondo
la parola dell’anziano, l’at-
frontò per prenderla. E la iena fuggì; ed egli la inseguiva dicendole: «Fermati, mio padre ha detto di legarti!». É, presala, la legò. Frattanto l’anziano, seduto in cella, lo aspettava con
Giovanni discepolo di Paolo / Isacco di Tebe
273
ansia. Ed eccolo arrivare con la iena legata. L’anziano ne rimase stupito, ma poiché voleva umiliarlo, lo sgridò dicendo: «Sciocco! Mi hai portato qui uno stupido cane?». Quindi l'anziano la slegò subito e la lasciò andare (240bc; PJ XIV, 4). ISACCO DI TEBE
La serie sistematica pone un intero capitolo comprendente anche l'episodio n. 1 di Isacco di Tebe sotto il titolo: «Non bisogna giudicare nessuno»; e questo tema, su cui ritornano moltissi-
mi detti in ogni raccolta (cf. fra i tanti: Pafnuzio 1; N 20, 67, 559, 592/39 e 40), costituisce uno dei capisaldi della dottrina di ogni vero maestro spirituale. Doroteo di Gaza ritorna costantemente
sull'argomento, oltre a dedicare ad esso un’intero Insegnamento. In questo (VI, 71) apre un paragrafo dicendo: «Non vi è dunque niente di più grave, niente di più pericoloso — come spesso ripeto
- che giudicare o disprezzare il prossimo. Perché non giudichiamo piuttosto noi stessi e i nostri mali, che conosciamo con precisione e dei quali dobbiamo rendere conto a Dio? Perché usurpiamo il giudizio di Dio? Che cosa pretendiamo dalle sue creature?» Quindi racconta l'episodio di Isacco di Tebe introducendolo con parole dure: «...Dovremmo tremare udendo cosa capitò a quel grande anziano!... Non sapete quale storia terrificante si narra di lui nel Gherontikon?...». Quindi Doroteo aggiunge qualche cosa che l'apoftegma non dice e che probabilmente a lui risultava da altra tradizione scritta o orale, cioè che Isacco era rimasto così
«sconvolto, da passare tutto il resto della sua vita in gemiti, lacrime, e mille fatiche, supplicando Dio di perdonargli quel peccato» e, nonostante avesse avuto dalle parole dell’angelo l'assicurazione del perdono di Dio, non volle «essere consolato del suo lutto, fino a quando morì». Questa aggiunta di Doroteo ci offre la possibilità di un collegamento più forte fra il primo apoftegma e il secondo, nel quale vediamo un Isacco così intento alla compunzione, e da essa tanto purificato.
Isacco di Tebe
274
1. Il padre Isacco di Tebe si recò un giorno in un cenonel uscì ndo Qua nò. dan con lo e e car pec ello frat un e vid bio: alla i ant dav si mar fer a ò and e nor Sig del elo ang un o, desert «Ma . e!» rar ent io lasc ti n «No e: diss gli e a cell sua porta della daman ha mi o «Di e: pos ris gli lo nge L'a tro. l’al e perché?», diss che uto cad ello frat il i gett io che ini to a chiederti: — Dove ord e: diss e ò str pro si cco Isa te men ata edi Imm ?». tu hai giudicato —, lo nge l'a se dis gli — i! zat «Al !». ami don per o, cat pec «Ho e ar ic ud gi dal ti da ar gu i nz na in ra d’o ma o; at Iddio ti ha perdon 3). IX, PJ ; cd 40 (2 o» at ic ud gi a bbi l’a o Di che qualcuno prima 2. Si raccontava che il padre Apollo aveva un discepolo di nome Isacco, perfettamente forzato in ogni opera buona 39. Aveva raggiunto durante la santa Eucaristia lo stato di raccoglimento perfetto. Quando si recava in chiesa, non permetteva a nessuno di unirsi a lui. Soleva dire infatti: «Ogni cosa è buona a suo tempo, vi è ur fempo per ogni azione 5». Quando la liturgia finiva, cercava di raggiungere la sua cella come se tosse inseguito dal fuoco. Spesso alla fine della liturgia veniva dato ai fratelli un pezzo di pane e un bicchiere di vino 6; egli però non ne prendeva, non per rifiutare la benedizione dei fratelli,
ma per conservare il raccoglimento della liturgia. Gli avvenne di mettersi a letto malato; saputolo, i fratelli vennero a trovarlo, e, sedutisi attorno a lui, gli chiesero: «Padre Isacco, perché
dopo la liturgia fuggi i fratelli?». Egli disse loro: «Non fuggo i
92Tm2,21.
60 Ec 3, 1.
61 Si tratta dell’arztidoro (= al posto del dono) o eulogia (= benedizione) costituito dagli stessi elementi fondamentali dell’offerta eucaristica, il pane e il vino. Durante la celebrazione, una parte di essi non veniva consacrata, ma semplicemente benedetta; alla fine era distribuita a tutti i presenti e inviata ai fratelli lontani. Era un segno di comunione anche con coloro che non si erano comunicati al Corpo e al Sangue del Signore, un segno della benedizione di Dio al lavoro dell’uomo, un segno clfe tutto discende dal Signore ed è dono suo, Ogni istante della vita quotidiana, il nutrimento, la forza.
Isacco di Tebe / Giuseppe di Tebe
275
fratelli, ma i raggiri dei demoni. Se infatti ci si ferma all’aria con una fiaccola in mano,
il vento la spegne.
Così avviene
anche a noi se, illuminati dalla santa Eucaristia €, ci attardiamo fuori della cella: la nostra mente si offusca». Questa era la vita del beato padre Isacco (241ab).
GIUSEPPE DI TEBE
Non è facile dire se sia questi, invece che quello di Panefisi, il Giuseppe lodato dal grande Antonio per la sua umiltà e reticenza di fronte alla Scrittura (cf. n. 17). E nemmeno se sia lo stesso Giuseppe che, insieme a Poemen, Rufino (cf. HE, II, 8) incontrò nel 370 a Pispîr, prima residenza di Antonio, e che si ritrova în alcuni detti di Poemen (ct. nn. 61 e 144). In ogni modo, quest’unico detto di un anziano sul quale non sappiamo nulla di sicuro, coglie uno dei punti chiave della dottrina di moltissimi grandi dottori di tutti i tempi. Cf. nota 5, p. 444.
Il padre Giuseppe di Tebe disse: «Tre cose sono preziose di fronte a Dio: la prima, se siamo malati, e alla malattia si gradi o ent dim ren con o iam ett acc le e i ion taz ten o gon iun agg zie. La seconda, se ogni nostra azione è pura dinanzi a Dio, i ess tom sot mo sia se a, terz La no. uma di la nul a ata non mescol
in obbedienza al padre spirituale e rinunciamo a ogni volontà te. nen emi ona cor una ha si o, cas imo ult st’ que In propria. Quanto a me, io ho scelto la malattia» (241bc; P] 1, 9).
62 Alcuni codici hanno la variante: dallo Spirito Santo nella santa Eucarestia.
276
Ilarione
ILARIONE
L'abbiamo già incontrato nell’apoftegma n. 4 di Epifanio, il quale, come già si è detto, deve essere stato în qualche modo anche suo discepolo. Ad entrambi si attribuisce il merito di aver portato in Palestina la vita monastica appresa in Egitto. Ilarione nacque in Palestina verso il 293, a Thawata, villaggio a cinque miglia circa a sud di Gaza, inaugurando così la tradizione monastica di questo luogo che vedrà, due secoli dopo la fondazione del monastero di Seridos, il cenobio da cui si irradiò la
fama dei quattro grandi già più volte incontrati: Doroteo e Dositeo e î due grandi reclusi che vivevano non lontano dal monastero, Barsanufio e Giovanni, e ne erano gli ispiratori e le
guide spirituali. Ilarione, da giovanetto, fu inviato dai genitori pagani ad Alessandria per completare gli studi. Udì parlare di Antonio, lo andò a trovare, probabilmente quando era già nella sua seconda sede, nella «montagna interiore». Ilarione abbandonò tutto, si fece cristiano e si ritirò nel deserto. Lavorava un po’ di terra, intrecciava giunchi, era tentatissimo dal demonio, faceva penitenze molto dure. Moltissimi furono attirati a mettersi al suo seguito e la Palestina si popolò di monasteri, da quello più vicino a Thawata, nell’attuale località di Deir-elBalah, a tanti altri. Divenne, per la Palestina, un po’ l’equivalente di Antonio per l'Egitto, così almeno ci ha tramandato Girolamo nella sua biografia (PL 23, 29-54): «In Egitto il Signore aveva il vecchio Antonio, in Palestina aveva il più giovane Ilarione» (col. 35). Non c'è dubbio che Girolamo avesse il chiaro intento di presentare la vita di Ilarione come parallela alla vita di Antonio e, da abile letterato quale era, è riuscito proprio bene a scrivere una vita romanzata in cui, ancor più che
in altri casi, è difficile Pare che Ilarione, pur solo presiedeva, ma cui zi, cucina, pulizia delle nella solitudine. Fuggî
discernere la parte effettiva di realtà! amando moltissimo i fratelli, che non voleva anche fare egli stesso umili servicelle e altri, non bramasse che il ritorno perciò dalla Palestina, dove era troppo
Ilarione
famoso
e cercato da tutti, per ritornare in Egitto.
2717
Fu presso
Antonio alla sua morte nel 356 — sempre se si deve credere a Girolamo — e non ritornò più in Palestina. Si ritirò nei pressi di
Alessandria, quindi, poiché anche lì tanti gli correvano dietro, si inoltrò sempre più lontano nel deserto, dove morì nel 371, circa ottuagenario. Dalla Vita di Girolamo, Giovanni di Gaza, il compagno di Barsanufio, riprende un insegnamento di Ilarione sulla povertà, che si ritrova in forma analoga in apoftegmi attributti a diversi anziani. Un fratello aveva chiesto all’anziano Giovanni se poteva accettare dei doni per distribuirli ai poveri. Giovanni l'aveva del tutto sconsigliato appoggiandosi anche all'insegnamento di Ilarione: «Anche san Ilarione ba agito in tal modo. Pregato infatti di accettare dei beni e di distribuirli, ha detto a colui che lo pregava: — Sta a te distribuire i tuoî beni... Ma io che ho abbandonato i miei beni perché mai dovrei accettare quelli di altri per distribuirli? Sarebbe occasione di vanagloria e di avarizia» (ep. 618 di Giovanni, che riprende il paragrafo 18 della vita di Ilarione).
Il padre Ilarione si recò dalla Palestina al luogo ove dimorava il padre Antonio. Questi gli disse: «Benvenuto, o astro del mattino, che sorgi all’aurora 3». E il padre Ilarione a lui: «Pace a te, o colonna di luce, che illumini il mondo» 6 (241c).
63 Is 14, 12.
64 Può darsi che, in corrispondenza all’esatta citazione biblica pronunciata da Antonio, Ilarione citi una frase precisa da un qualche testo della tradizione dell’Esodo (13, 21 e par.), ispirato dalla «colonna di fuoco»; o forse egli stesso, senza ricorrere ad altre fonti, si ispira a quella immagine biblica, e per salutare degnamente Antonio trova un’espressione sacra e poetica in sintonia col saluto ricevuto.
Ischirione
278
ISCHIRIONE
Si sa molto poco di lui, a parte la testimonianza di Rufino, che lo dà vivente ad Apeliote, località a noi ignota, verso il 375
(Guy 1993, p. 57).
I santi padri di Scete fecero questa profezia sull’ultima generazione. «Che cosa abbiamo compiuto noi?», dissero. Uno di loro, il grande padre Ischirione, rispose: «Abbiamo osservato i comandamenti di Dio». Ed essi a lui: «Ma che faranno invece quelli dopo di noi?». «Giungeranno alla metà della nostra opera». «E quelli dopo di loro?». Disse: «Non eguaglieranno in nulla la generazione precedente, ma la tentazione sopravverrà 6 su di loro, e quelli che in quel tempo saranno trovati provati 6, saranno trovati più grandi di noi e dei nostri padri» 67 (241d-244a). 6 Cf. Ap 3, 10. 66 Anche qui non si tratta di un’esatta citazione biblica, ma dell’accostamento di due espressioni neotestamentarie ricorrenti in vari luoghi (cf. 1 Cor 4, 2; 11, 19 e par.). 67 Questo tema ricorre frequentemente; è messo in bocca persino ad Antonio
(n. 23),
non
senza
un
certo
anacronismo.
In
parte
ci troviamo
senz'altro di fronte a un genere letterario ereditato dalla tradizione classica, la «lode del tempo passato». Ma non si tratta soltanto di questo; in grande conformità con i discorsi escatologici degli Evangeli (cf. Mt 24 e par.) e con il libro dell’Apocalisse, i padri del deserto affermano un aspetto imprescindibile della dinamica del reale, l’inasprirsi della lotta delle potenze del male e il radi-
calizzarsi del conflitto nell’avvicinarsi del giorno finale (cf. Sisoes 11). Ne consegue un grande venir meno della fede (cf. Lc 18, 8), il moltiplicarsi della malvagità, il raffreddarsi della carità di molti (cf. Mt 24, 12); nella vita dei monaci, col passare delle generazioni, si assiste allo scadimento di tanti aspetti (cf. Isac-
co delle Celle 7; Giovanni Nano 14; Macario 5 e par. — vedi in questo quadro
anche l’ossessione omosessuale —, 25; Poemen 166, ecc.). Si aggiunge per i deserti d’Egitto la situazione traumatica provocata dagli eventi di Nitria e
soprattutto dalla devastazione di Scete (vedi pp. 93 e 221, ecc. Cf. Introd., p. 54). La conclusione del detto di Ischirione è la seguente: chi avrà perseverato fino alla fine in tali condizioni, non solo sarà salvato (cf. Mt 10, 22 e par.), ma sarà trovato più grande dei suoi predecessori.
CASSIANO
Della sua vita abbiamo soltanto notizie incomplete, e non tutte sicure, ricavate in parte dalle sue opere, in parte da quanto scrive di lui Gennadio!. Nacque în Scizia, attuale. Dobrondja, nel 360 circa. Verso i
18 anni ritenne conclusa la sua formazione letteraria, precoce e rapida, ma accurata e geniale, e si sentì chiamato alla vita solita-
ria. Partì verso la Palestina col suo intimissimo fratello spirituale Germano, e a Betlemme intrapresero la vita monastica. Partirono poî per l'Egitto prima del 385-86, prima cioè che venissero a vivere a Gerusalemme Girolamo e Rufino, che Cassiano mostra di conoscere non personalmente, ma dai loro scritti. La Bibbia di cui Cassiano si serve, facendone a più riprese grandi lodi, è la traduzione latina di Girolamo, la Vulgata. Prima di inoltrarsi 4 Tanis, a sosta rono Germ e ano Cassi ano Scete, di nel deserto
Panefisi, a Diolco. Quindi raggiunsero Scete, ove dimorarono nel primo dei quattro gruppi, quello fondato dal grande Macario e retto dal presbitero Pafnuzio. Cassiano parla con grandissima ammirazione di Mosè, Pafnuzio, Daniele e Serapione, ma il «grande uomo» ai suoi occhi è soprattutto Macario (cf. Ist. V 41), da cui bevve moltissimi insegnamenti. Cassiano ebbe con-
1 De scriptoribus ecclesiasticis, c. 1; PL 58, 1094.
280
Cassiano
tatti pure con Nitria, dove viveva Evagrio Pontico, che, insieme a
Macario l’Egiziano, può dirsi quello che più ha influito su di lui Cassiano colse attraverso di loro qualcosa del grandissimo valore dell’esegesi scritturistica di Origene, della sua straordinaria ricchezza, del suo valore assolutamente decisivo e fondante per la tradizione della Chiesa (cf. nota 30, p. 189). Seppe guardarsi invece da certi aspetti più dubbi della dottrina speculativa e del modo di intendere la vita spirituale, certe pieghe di uno spiritualismo intellettualista non sempre sufficientemente cristocentrico. Il suo «ori-
genismo» fu appunto la causa per cui Cassiano dovette fuggire dall'Egitto a Costantinopoli, dove entrò nelle grazie di Giovanni Crisostomo, che lo ordinò diacono, e donde si recò a Roma per appoggiare la causa del santo e informare il vescovo di Roma Innocenzo I delle macchinazioni contro il Crisostomo. Fino all'arrivo a Roma, abbiamo notizie anche di Germano, suo fedele
compagno. In seguito, più nulla; se ne deduce che Germano sia morto a Roma. Non si sa se fra i 405 e 11 415 Cassiano sia rimasto esclusivamente o prevalentemente a Roma; certo è che, poco dopo il 415, già ordinato presbitero, lo troviamo a Marsiglia, ove fonda due monasteri, uno maschile e uno femminile, cercando di trasfondere in essi quanto aveva assimilato dalla sua esperienza egiziana. Parecchi anni dopo intraprese la stesura dellé sue opere, prima le Istituzioni, con cui si propone di trasmettere gli usi, i costumi, la vita e la dottrina dei monasteri da lui conosciuti, poi le Conferenze (Collationes), ix cui mette in bocca all'uno o all'altro dei personaggi principali da lui avvicinati l'esposizione di un tema di vita spirituale. Naturalmente, sia la sintesi nel presentare la vita e le usanze, sia la ricostruzione dei personaggi, degli incontri e dei discorsi avuti con loro, non è priva di artificio e di un taglio fatto secondo un'angolatura visuale talora, probabilmente, propria più a Cassiano che all’interlocutore reale. In ogni caso, entrambe le sue opere hanno trasmesso all'Occidente una conoscenza in gran parte genuina del monachesimo orientale e occidentale. Benedetto da Norcia nelle sue fondazioni si ispirerà a Cassiano. Durante il periodo trascorso a Marsiglia, Cassiano fu implicato nelle dispute
Cassiano
281
dottrinali sulla grazia, in cui Agostino giocava il ruolo principale. Cassiano era molto distante da lui come orientamento globale di pensiero e di spirito; Agostino gli pareva, da un lato troppo filosofo, dall'altro troppo duro in certe condanne, troppo tenebroso; in breve, Cassiano si buttò un po’ troppo dall'altra parte, e incorse in qualche formulazione semipelagiana, in cui sembra cioè attribuire all'uomo un po’ di bontà «naturale» e una qualche possibilità di iniziativa nel bene. Ma appena fu accusato di incorrere in questo errore, si ritirò umilmente dalla battaglia dottrinale e tacque. Non pochi dei personaggi degli apoftegmi appaiono anche negli scritti di Cassiano; questi apoftegmi a lui dedicati, per lo più tratti, con minime varianti, dalle sue opere, sono perciò anche un
omaggio dei padri del deserto a colui che è stato loro ospite e ha narrato di loro. (Per il n. 1 ef. Ist. V, 24; n. 3, Ist. V, 25, n. 4, Ist. V 27; n. 5, Ist. V 28; n. 6, Ist. V 31).
1. Il padre Cassiano raccontò: «Mi recai in Egitto assieme al santo Germano da un anziano che ci ospitò. Gli chiedemmo: — Come mai nell’ospitare dei fratelli forestieri non osservate la regola del digiuno quale l’abbiamo ricevuta in Palestina? — Il digiuno è sempre con me — rispose —, mentre non posso trattenere voi con me sempre 2, Il digiuno è certo utile e necessario, ma dipende dalla nostra scelta, mentre la legge di Dio esige l'adempimento della carità come dovere assoluto 3. Poiché in voi accolgo Cristo, devo servirvi con tutto il mio zelo; quando vi avrò congedati, potrò riprendere la regola del digiuno. Nor possono î figli del talamo digiunare finché lo sposo è con loro. Quando lo sposo sarà loro tolto, allora per forza digiuneranno 4» (244ab; PJ XIII, 2). 2 C£. Gv 12,8.
3 Vedi nota 104, p. 133, 4 Mt 9, 15.
282
Cassiano
2. Il medesimo raccontò che c’era un anziano servito da una santa vergine, e la gente diceva: «Non sono puri». Il vecchio lo seppe e, quando fu vicino alla morte, disse ai padri: «Quando morirò, piantate nella tomba il mio bastone: se germoglierà e darà frutti, saprete che sono puro da lei. Se non sermoglierà, significa che sono caduto con lei». Il bastone fu piantato e il terzo giorno germogliò e dette frutti; e tutti diedero gloria a Dio 3 (244bc). rì off ci che o, ian anz ro alt un mo am it is «V he: anc se 3. Dis
da mangiare e ci esortò a prendere dell’altro cibo anche quando fummo sazi. Poiché io dicevo di non poterne più prendere, rispose: — Io ho preparato la tavola sei volte perché vi erano dei fratelli, ho invitato ognuno a mangiare e ho mangiato con loro, e ho ancora fame. Tu invece, dopo aver mangiato una volta sola, ti
sei tanto saziato da non poter mangiare più» (P/ XIII, 3).
4. Il padre Cassiano ha raccontato che il padre Giovanni, superiore di un grande cenobio, si recò dal padre Paisio che da quarant'anni viveva in una estrema solitudine. E, poiché aveva per lui un grande amore e la confidenza che da esso deriva, gli chiese: «Tu che da tanto tempo vivi così appartato e difficilmente sei disturbato da qualcuno, che cosa hai realizzato?». «Da quando vivo da solo — rispose — il sole non mi ha mai visto mangiare». «Né ha mai visto me adirato», disse il padre Giovanni (244c-245a; PJ IV, 24). 5. Quando questo padre Giovanni fu in punto di morte,
e se ne andava a Dio con slancio e con gioia, i fratelli lo attorniavano e volevano che lasciasse loro in eredità una parola breve e salutare 6, per poter giungere alla perfezione ? Cf. Mt 9,8 e par. é In conformità alla dottrina abituale dei padri, la parola dell’anziano è considerata come un’entità molto concreta, che è consegnata, lasciata in
Cassiano
283
in Cristo”. Egli disse gemendo: «Non ho mai compiuto la mia volontà, non ho mai insegnato a nessuno qualcosa che non avessi prima fatto». 6. Raccontò ancora di un altro anziano che viveva nel deserto e aveva chiesto a Dio la grazia di non addormentarsi mai quando si teneva un discorso spirituale; di sprofondare invece immediatamente nel sonno se qualcuno facesse della maldicenza o dicesse parole oziose, perché le sue orecchie non gustassero questo veleno. Diceva: «Il diavolo è fautore delle parole oziose 8 e nemico di ogni insegnamento spirituale». E portava questo esempio: «Un giorno in cui dicevo ad alcuni fratelli delle cose utili, furono presi da un sonno così profondo da non potere nemmeno muovere le palpebre. Per mostrare l’azione del demonio, cominciai a fare chiacchiere sciocche. A
ciò si rallegrarono e si svegliarono subito; e io dissi sospirando: — Finché abbiamo parlato di cose celesti, tutti voi avevate gli occhi appesantiti dal sonno. Ma appena sono uscite dalla mia bocca parole oziose, vi siete destati subito con entusiasmo. Perciò, fratelli, vi esorto a riconoscere l’azione del demonio;
vegliate su voi stessi ? e guardatevi dal sonnecchiare quando fate o udite qualcosa di spirituale» (245abc; PJ XI, 18).
7. Raccontò di un senatore che aveva rinunciato al mondo e aveva distribuito ai poveri le sue ricchezze, tenendosi però eredità ai fratelli che la chiedono e la accolgono con fede. É molto forte il termine che essi usano per qualificare questa parola: «salvifica», CO@TNPLOG, termine che il Nuovo Testamento usa soltanto una volta, per designare la grazia di Dio manifestatasi nel Cristo Salvatore (cf. Tt 2, 11). Con questo termine essi mostrano la loro fede nel carisma proprio della parola degli anziani: quello di essere non tanto un consiglio o un'indicazione, ma una parola efficace e operante (per una certa analogia con la Parola di Dio, che non tor-
na indietro senza avere compiuto ciò per cui è stata mandata: cf. Is 55, 11). ? C£. Ef4, 13.
è Cf. Mt 12, 36, ? C£. Gn 24, 6 e par. Cf. nota 5, p. 82.
Cassiano / Cronio
284
qualcosa a proprio uso, poiché non voleva sopportare l’umiliazione di una completa rinuncia né la vera sottomissione alla regola cenobitica. Basilio gli rivolse queste parole: «Hai perduto la dignità di senatore e non sei divenuto monaco» (PJ VI, 10).
8. Raccontò anche di un monaco che viveva in una spelonca nel deserto. I suoi parenti secondo la carne gli fecero sapere: «Tuo padre è molto malato e sta per morire. Vieni per ricevere la tua eredità». Ma egli rispose: «Io sono morto al mondo prima di lui, un morto non può ereditare da un vivo» 10 (245cd).
CRONIO
L'abbiamo già incontrato come maestro di Isacco delle Celle (cf. p. 251), e come compagno di Ierace (ch. p. 262). Sia Palladio che l’autore dell’Historia Monachorum attestano di averlo incontrato a Nitria, molto avanzato negli anni. Nato forse verso
il 285 in un villaggio della Fenicia, si fece monaco in un cenobio; quindi, secondo le parole da lui stesso dette a Palladio, «pre-
so dall’accidia» fuggì dal monastero ed «errando» giunse al «monte del venerabile Antonio», cioè a Pispir (HL, 11). Ivi rimase per qualche tempo alla scuola del grande anziano, cui tal-
volta faceva da interprete greco, perché Antonio non parlava che egiziano. S'inoltrò quindi nel deserto di Nitria, dove scavò miracolosamente un pozzo d’ottima acqua. Si radunarono attorno a lui dei monaci. Fu elevato al sacerdozio, che esercitò per sessant'anni. Si racconta di lui che in tutti questi anni non uscì dal deserto e non mangiò un pezzo di pane che non fosse guadagna to col lavoro delle sue mani. La Historia Monachorum dà di lui una rapida e densa testimonianza: «Abbiamo visto anche un
10 Cf. Arsenio 29.
Cronio
285
altro padre di monaci, di nome Cronio, che era già avanzato fino a una bella vecchiaia; era stato uno degli antichi compagni di
Antonio e aveva 110 anni. Ci fece molte esortazioni e ammonizioni, ma considerava se stesso come un niente, tanto grande era
l'umiltà che aveva custodito fino alla vecchiaia» (c. XX, 13). Gli apoftegmi che seguono sono una testimonianza preziosa per capi. re alcune delle linee di accostamento alla Scrittura dei padri del deserto (ct. Introd., pp. 35s.; 455.).
1. Un fratello chiese al padre Cronio: «Dimmi una parola». Gli disse: «Quando Eliseo venne dalla Sunamita, vide che essa non aveva rapporti con nessuno; per la presenza di Eliseo concepì e generò» !!, Dice a lui il fratello: «Che cosa significa questa parola?». E l’anziano dice: «Quando l’anima è vigilante e si raccoglie dalla distrazione, e abbandona le sue volontà, viene in lei lo Spirito di Dio; allora può generare, essa che è sterile» (2482). 2. Un fratello chiese al padre Cronio: «Che cosa devo fare contro la dimenticanza, che rende prigioniera la mia mente e mi impedisce di accorgermi, tanto che mi porta fino al peccato?» 12, Gli dice l'anziano: «Quando, per il cattivo comportamento dei figli di Eli, le genti straniere si impadronirono dell’arca, la trascinarono finché l’ebbero condotta al tempio di Dagon loro dio, e questi cadde per terra bocconi» 13. Dice il fratello: «Che cosa significa questo?». E l'anziano disse: «Se la mente dell’uomo si lascia imprigionare dalle proprie inclinazioni, esse la trascinano finché l’abbiano condotta sopra a una passione invisibile. Se in quel luogo la mente si volge a cercare
11 C£. 2 Re 4, 8ss, 12 Cf. nota 42, p. 383.
15 Cf. 1 Sam 5, 1ss.
Cronio
286
si e e cad ne sio pas la ito sub , rno ete io diz giu del a ord ric si e Dio ora all o, nd me ge ai ger vol ti do an Qu i: att inf o itt scr dilegua. Sta ). 8ab (24 14» eri e dov i ira cap e o vat sal sarai
do mo e ch n «I : io on Cr e dr pa al se ie ch 3. Un fratello il o rs ve ra tt «A o: an zi an l' lui a ce Di . ?» tà l’uomo giunge all’umil re mo ti al va ri ar si me co a «M : ce di lo el timore di Dio». E il frat ni og da i os nd ra ti ri — o an zi an l’ ce di di Dio?». «Secondo me n co do an ns pe e o rp co del e ch ti fa e occupazione e dandosi all ). bc 48 (2 o» Di di io iz ud gi al e o rp co dal ta ci us tutte le forze all’ ot nd co se es av n no sè Mo se , che se dis io on Cr e 4. Il padr nel o oc fu il to vis e bb re av n no ai, Sin e nt mo al o to il gregge fin fra il ese chi , ?» to ve ro il i rs ta re rp te in ve de me co «E roveto 15. tello all’anziano. Gli dice: «Il roveto significa la fatica del corpo; è scritto infatti: I/ regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto în un campo 16». Dice il fratello all’anziano: «Dunque senza la fatica del corpo l’uomo non giunge a valere nulla?». Dice a lui l'anziano: «Sta scritto: Tezendo lo sguardo fisso all'autore e perfezionatore della fede, Gesù, il quale, in cambio del gaudio che gli era proposto, sopportò la croce 17; e anche David dice: Non darò riposo ai miei occhi né quiete alle mie palpebre 18, e il seguito» (248c-249a).
5. Il padre Cronio disse che il padre Giuseppe di Pelusio aveva raccontato: «Quando ero al Sinai, vi era un fratello buono e asceta, e anche bello fisicamente. E veniva in chiesa per la liturgia con un vecchio mantello corto e stracciato. Vedendolo ogni volta venire così alla liturgia, gli dissi: — Fratello, non vedi 14 15 16 17
Is 30, 15. Cf. Es 3, 1s. Mt 13, 44. Eb 12,2.
18 Sal 131,4.
Cronio / Carione
287
che i fratelli in chiesa alla liturgia sono come angeli? Come mai tu vieni sempre qui con degli abiti così vecchi? — Perdonami, padre, egli disse, è perché non ne ho altri. Lo condussi allora
nella mia cella, gli diedi una tunica e il resto di cui aveva bisogno. E da quel giorno si vestì come gli altri fratelli, e sembrava un angelo. Una volta avvenne che i padri dovettero inviare dieci fratelli dall'imperatore per una necessità. E scelsero anche lui per mandarlo con gli altri; ma egli, saputolo, si prostrò di fronte ai padri dicendo: — Perdonatemi in nome del Signore; io sono schiavo di uno di quei grandi di laggiù; se mi riconoscesse, mi toglierebbe l’abito e mi riprenderebbe al suo servizio. I padri, persuasi, non lo fecero partire. Seppero in seguito, da qualcuno che lo conosceva bene, che nel mondo era stato prefetto pretorio. Per questo aveva trovato quella scusa, per non essere riconosciuto e disturbato dalla gente. Tale era il desiderio dei padri, di fuggire la gloria e il sollievo di questo mondo» (249abc). CARIONE
L'abbiamo già incontrato assieme al grande e dolce Zaccaria, del quale era padre secondo la carne (cf. p. 197), ma che lo superava in statura spirituale, come lo stesso Carione qui riconosce (n. 1) e come si era già visto. Infatti il brano n. 4 su Laccaria lo presentava come «uomo pratico», TPAKTIKOG, dedito piuttosto all’azione, alle opere, e non dotato di sufficiente discernimento per riconoscere l'autenticità di certi fenomeni spirituali. Anche i detti che seguono parlano. in sostanza molto più del figlio Zaccaria che di lui.
1. Il padre Carione disse: «Mi sono sottoposto più del mio figlio Zaccaria a molte fatiche del corpo, ma non ho rag-
giunto la sua misura quanto all’umiltà e al silenzio» (249cd; PJ
XV, 16).
Carione
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2. Si fece monaco a Scete un tale di nome Carione. Aveva due figli, che lasciò alla moglie quando si ritirò dal mondo. Dopo qualche tempo scoppiò in Egitto una carestia. La moglie, ridotta alle strette, venne a Scete con i due fanciulli, un maschio di nome Zaccaria e una femmina. È si sedette lontano dall’anziano, nella bassura — wi è infatti una bassura a Scete, costuÉ —. acqua di fonti le anche e chiese le trovano si dove o fratello suo con parlare a viene donna una se che, Scete a me lontani seduti stando parlino si essi , parente altro qualche con l’uno dall’altra. «Ecco — disse la donna al padre Carione —, tu sei diventato monaco e c’è la carestia. Chi nutre ora i tuoi figli?». «Mandameli qui», le dice il padre Carione. «Andate da vostro padre», dice loro la donna. Mentre stavano andando verso il padre, la femmina tornò indietro dalla mamma, il maschio invece venne da suo padre. Egli allora le dice: «E bene come è avvenuto; prendi la femmina e va’, io tengo il maschio». Lo allevò quindi a Scete, e tutti sapevano che era suo figlio. Quando ebbe una certa età, i fratelli mormorarono
su di lui 19, Saputolo, il padre Carione disse a suo figlio: «Alzati, Zaccaria, andiamocene da qui, perché i padri mormorano». «Padre — dice a lui il ragazzo —, qui tutti sanno che sono tuo figlio, ma se andiamo in un altro luogo non potranno dire che sono tuo figlio». «Alzati, andiamocene da qui!» 20, ripeté l'anziano. Andarono nella Tebaide, dove, occupata una cella, rimasero alcuni giorni, finché anche lì si levò la stessa mormorazione sul fanciullo. Il padre disse allora: «Zaccaria, alzati, andiamo a Scete». Giunti a Scete e trascorsi pochi giorni, rico-
minciò la stessa mormorazione su di lui. Il fanciullo Zaccaria si recò allora allo stagno di nitro, si svestì e vi discese fino al naso. Vi rimase parecchio tempo, finché poté resistere, e il suo corpo ne fu deturpato come quello di un lebbroso. Risalito
19 Cf. nota 1, p. 232. 20 Cf. Gv 14, 31.
Carione / Coprio
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dallo stagno, indossò i suoi vestiti e andò dal padre, che lo riconobbe a stento. Quando si recò come di solito alla santa
comunione, fu rivelato al che cosa aveva fatto. Lo ciullo Zaccaria domenica uomo; ma ora è divenuto
presbitero di Scete, il santo Isidoro, guardò con stupore e disse: «Il fanscorsa è venuto e si è comunicato da come un angelo» 21(249d-252c).
3. Il padre Carione disse: «Un uomo che vive con un fanciullo, se non è solido cade; ma se anche è solido .e non cade,
tuttavia non fa progressi» (S 1). COPRIO
Se si tratta dell'anziano di questo nome cui l’Historia Monachorum dedica un capitolo (X), al tempo dell'incontro con l’autore di quest'opera, cioè verso il 394-395, avrebbe avuto ottant'anni e aveva sotto di sé cinquanta monaci. I due perso-
naggi si corrispondono quanto a umiltà; infatti anche il Coprio di cui ci parla l’Historia Monachorum si distingue per questa virtù e, interrogato dai suoi interlocutori, si nasconde dietro la grandezza di altri anziani, cui si proclama inferiore, e racconta soprattutto le gesta altrui e non proprie (cc. X-XII). Nel suo racconto entrano poî brevemente anche le narrazioni di alcuni prodigi di cui egli stesso fu strumento, l'avere reso fertile il suolo del deserto, la prova del fuoco vinta contro un manicheo, la conversione di veri pagani. Può darsi si tratti di due o tre persone diverse — tranne gli apoftegmi che lo situano a Scete, nessuno lo localizza con precisione —, può darsi sia un unico Coprio anche l'omonimo di cui ci parla Sozomeno (HE, VI, 28), cui erano stati dati da Dio carismi per la guarigione da passioni, malattie diverse e demoni.
21 C£. nota 84, p. 348.
Coprio / Ciro
290
a e s n u i g o i r p o C e r d a p l I « : a v a t n o c c a r n e m e o P e r d 1. Il pa a v a i z a r g n i r , o t a l a m o t t e l a a v e c a i g e r t n e m , e h c , a ‘ina tal misur . ) c 2 5 2 ( » à t n o l o v a i r p o r p a l o n e r e teneva a f n e r a c i t a f a l e n e i t s o s i h c o t a e B « : e s s i d o i r p o C e r d a 2. Il p . ) d 2 5 2 ( » e i z a r g dendo
o n a v e t u c s i d € o n o r i n u i r si e t e c S i d i r d a p i o n r o i g n U 3.
il e r a m a i h c i d i t a c i t n e m i d o n a r e si a m , 22 h c e d e s i h c l su Me
o n o r a g o r r e t n i o l e o n o r a m a i h c lo i d r a t ù i P . o i r p o C padre : o d n e c i d a c c o b la e t l o v e r t é t t a b si i l g e sull'argomento. Ma é h c r e p , o i r p o C te a i a u g , o i r p o C te a i a u g , o «Guai a te Copri i h g a d n i e o t a d n a m o c a v e v a ti o i D e h c ò ci re fa di o hai trascurat li el at fr i , e l o r a p e t s e u q A . 23 » te da e d n e t e r p n o n li eg su ciò che ). 24 , V X J (P e ll ce ro lo e fuggirono nell CIRO
Il padre Ciro di Alessandria, interrogato sui pensieri di fornicazione, rispose così: «Se non hai i pensieri, non hai la speranza 24; se non hai i pensieri, ti volgi alle azioni: questo significa che chi non combatte e non resiste nella sua mente contro il peccato, lo commette con il corpo. Chi di fatto lo
22 Cf. nota 13, p. 170.
23 Cf. Introd., pp. 26-29.
| 24E lo stesso pensiero espresso nella sentenza molto famosa di Antonio (n. 5 = Evagrio 5): «...Togli le tentazioni e nessuno si salva». Nel brano di Ciro, l’uso del termine «speranza» rende più esplicito il fondamento biblico: nella lettera ai Romani l’apostolo Paolo scrive: «...ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce la sopportazione, la sopportazione la virtù provata, la virtù provata la speranza; e la speranza non confonde...» (5, 3ss.). La speranza si radica e cresce in noi col superamento delle prove e delle contraddizioni, senza le quali non potremmo neppure sperare di essere sull’unica «via stretta» del patire, percorsa da Cristo.
Ciro
291
compie, non è disturbato dai cattivi pensieri». Quindi l’anziano chiese al fratello: «Hai forse a che fare con una donna?». É il fratello disse: «I miei pensieri sono immagini vecchie e nuove, sono ricordi che mi disturbano e fantasmi di donne». E
l’anziano a lui: «Non temere i morti, ma fuggi i vivi e protenditi con più slancio alla preghiera» (2534).
LUCIO
n to na En di o or od Te a e em si as , to ra nt co in già o am L'abbi e sed a, ri nd sa es Al da ia gl mi ve no a tà ali loc ta es qu in (p. 217), ien ov pr rò pe i Egl ra. lau e br le ce a un di e i er st na mo di parecchi Hie pa «a di o og lu nel co na mo to fat era si ove a, ici Cil la va dal o an zi an o nt sa un da me no va de en pr che è cio o og lu s», ronico che vi aveva fatto precedentemente la sua sede. Sotto la guida di Lucio, si fece monaco în quello stesso luogo Longino, che incontreremo subito dopo Lot (p. 296). Ma poiché i monaci del luogo volevano eleggere Lucio loro superiore, i due fuggirono insieme e si ritirarono in Siria. Anche qui però erano disturbati da molti visitatori, così che Lucio consigliò a Longino di ritirarsi a Ennaton, dove poco dopo lo raggiunse egli stesso. Era circa la metà del V secolo, l’epoca del concilio di Calcedonia (cf. nota 7, p. 161) e di tutta la dolorosissima vicenda di incomprensioni, resistenze, intolleranze, estremismi, che contribuiro-
no a operare una spaccatura non ancora sanata fra le chiese dell’ortodossia calcedonese, per lo più di lingua greca, appoggiate alla forza imperiale di Costantinopoli, e le chiese di Siria e di Egitto, che non riuscirono a capire e ad accogliere il concilio di Calcedonia. Anche Lucio e Longino, oltre agli altri della loro cerchia, si rifiutarono di accoglierlo. Proprio l’Ennaton diventerà a poco a poco il principale nucleo della resistenza anticalcedonese e il luogo di rifugio, ad esempio, dei siriani che nel secolo seguente, all'avvento dell’imperatore Giustiniano
Lucio
293
(527), saranno cacciati dalla loro terra a motivo del rifiuto del concilio di Calcedonia.
Un giorno si recarono dal padre Lucio a Ennaton alcuni monaci chiamati euchiti 1. L’anziano chiese loro: «Qual è il vostro lavoro manuale?». Essi dissero: «Noi non tocchiamo lavoro manuale, ma, come dice l’Apostolo, preghiamo senza interruzione» 2. «Ma non mangiate?», chiede l’anziano. Dicono: «Sì». «E allora, mentre mangiate, chi prega per voi?». Disse quindi: «Non dormite?». Dissero: «Sì». «Dunque, mentre dormite, chi prega per voi?». Ma non sapevano che rispondere a queste domande. «Scusatemi— disse loro l’anziano— ma voi non fate come dite: io vi dimostro che, mentre compio il mio lavoro manuale, prego incessantemente. Io me ne sto seduto 1 I messaliani (cf. nota 42, p. 258) — che prendevano nome da un termine siriaco, che significa «oranti», donde anche il termine corrispondente greco di «euchiti» con cui vengono designati, da £dyn, preghiera— hanno costituito una corrente spirituale mistica largamente diffusa soprattutto nell'Asia Minore. Come già indica il loro nome, essi erano caratterizzati da un’altissima valutazione della preghiera, fino a teorizzare e a praticare di fatto l’astensione da ogni lavoro, indegno dell’uomo spirituale (c£. Silvano 5). Le loro tesi principali, non di rado indurite dalla presentazione degli avversari, sono riassumibili in questi termini: 1) una svalutazione dell'efficacia dell'operazione sacramentale rispetto al valore dell'impegno ascetico dell’uomo; 2) la sottolineatura della dimensione «sensibile» dell’esperienza dello Spirito Santo presente nei santificati; 3) l’affermata possibilità o inevitabilità della coabitazione, nei salvati, dello Spirito Santo e dello spirito impuro. Ecco come riassume questo pensiero un loro accanito avversario, Diadoco di Foticea: «Essi dicono che nel cuore dei credenti coesistono i due aspetti della grazia e del peccato; e si appoggiano per questo alla parola del Vangelo: “La luce appare nelle tenebre e le tenebre non l’hanno afferrata” (Gv 1, 5). Vogliono confermare la loro opinione dicendo che in alcun modo lo splendore divinoè macchiato dalla mescolanza col Maligno, qualunque sia — essi dicono — nell’anima la vicinanza della luce divina con la. tenebra del demonio. Ma da quella stessa parola dell’Evangelo sono accusati di pensare in maniera non conforme alle sante Scritture» (Oewvres spirituelles, SC 5 bis, Parigi 1951). 2C£.1Ts 5,17.
Lucio / Lot
294
con Dio a inumidire i miei ramoscelli di palma e a intrecciazrli in corde, e dico: Abbi pietà di me, o Dio, nella tua grande misericordia, nella moltitudine delle tue compassioni cancella il mio delitto 3. Non è preghiera questa?». Dissero: «Sì». Ed egli a loro: «Se dunque trascorro tutto il giorno lavorando e pregando, guadagno più o meno sedici monete. Ne do due in elemosina e col resto mi mantengo. E quello che riceve le due monete prega per me mentre mangio e mentre dormo; così per la grazia di Dio adempio al precetto: pregate senza interruzione» (253bc). LOT
Abitava ad Arsenoe, cioè nell’oasi del Fatvàm (cf. p. 141). L'abbiamo già visto chiedere consigli al padre Giuseppe di Paneftsi. Il suo discepolo più conosciuto, nominato pit volte proprio come «il» discepolo del padre Lot (cf. Agatone 1), è Pietro Pionita, che incontreremo più avanti e che si richiamerà al nome e all'insegnamento del suo maestro (cf. p. 429).
1. Uno degli anziani si recò dal padre Lot presso la piccola palude di Arsenoe, e gli domandò una cella; Lot gliela diede. Il
vecchio era malato, e il padre Lot lo faceva riposare; e quando qualcuno veniva in visita da lui, lo mandava anche dall’anziano malato. Ma questi cominciò a diffondere le idee di Origene 4; il padre Lot ne era afflitto e diceva: «Non crederanno i padri che anche noi siamo così!». Ma temeva di cacciarlo, a motivo del
precetto >. Il padre Lot si recò allora dal padre Arsenio e gli rac3 Sal 50, 3.
4 Cf. nota 30, p. 189. ? C£. Teodoro di Ferme 18. Quando gli apoftegmi parlano dell’èvtoAm, il precetto,
il comando
«comandamento
di Dio,
senza
altre specificazioni,
intendono
il
nuovo» dell'amore reciproco dato da Gesù nell’Ultima
Cena (cf. Gv 13, 34s.).
Lot
295
contò di quell’anziano, e il padre Arsenio gli disse: «Non cac-
ciarlo via, ma digli: — Ecco, mangia e bevi ciò che vuoi dei doni di Dio, soltanto non fare questi discorsi. Se vorrà, si correggerà; se non vorrà correggersi, sarà egli stesso a chiedere di andarsene, e non sarai tu a dargliene occasione». Il padre Lot, al ritorno, fece così; e l'anziano, alle sue parole, non volle correggersi,
ma cominciò a pregare: «In nome del Signore, mandatemi via di qua, perché non posso più sopportare il deserto». Così se ne andò, e lo congedarono con amore (253d-256a). 2. Raccontarono di un fratello caduto in peccato, che si recò dal padre Lot; e, in grande turbamento, entrava e usciva dalla sua cella, poiché non riusciva a stare fermo. «Che hai fratello?», gli chiese il padre Lot. Disse: «Ho commesso un grave peccato e non ho Îa forza di dirlo ai padri». «Confessalo a me — gli dice l’anziano — e sarò io a portarlo». Allora il fratello dice: «Sono caduto nella fornicazione e per raggiungere il mio scopo ho commesso un assassinio». «Coraggio — gli dice l'anziano —, c'è penitenza: va’, rimani nella tua grotta e digiuna un giorno sì e uno no; e io porterò con te la metà del tuo peccato» 6. Al compiersi di tre settimane fu rivelato all’anziano che Dio aveva accolto la penitenza del fratello. E questi rimase sottomesso all’anziano fino alla morte di lui (256b). 6 Uguale promessa si trova nelle lettere di Barsanufio ad Andrea (epp. 72 e 73): Andrea rimane deluso che l’anziano gli avesse detto che si caricava della metà del suo peccato, e non di esso tutto intero, e protesta. Barsanufio
obietta che sarebbe stata presunzione dire: «Lo porto tutto». Ciò è «riservato ai perfetti». Se avesse detto così l'avrebbe inoltre escluso dalla «comune opera spirituale», in cui essi erano «compartecipi... della bella conversione». Il caricarsi del peccato confessato dal figlio spirituale è uno degli aspetti più profondi della dottrina tradizionale sul rapporto anziano-discepolo. Nell'ampia corrispondenza con Barsanufio, Doroteo gli chiede un giorno di caricarsi dei suoi peccati (ep. 270); il grande anziano gli dà una risposta che investe tanti aspetti di questo rapporto tutto soprannaturale: la compassione
e l’amore dell’anziano, la fede e l'obbedienza del discepolo: «Fratello, anche se mi chiedi una cosa superiore alle mie forze, ti mostro la misura dell’amo-
296
Longino LONGINO
Della sua vita e delle sue posizioni dottrinali si è già detto quasi tutto nella notizia biografica su Lucio (cf. p. 292). Quando questi lo raggiunse all’Ennaton, Longino aveva già radunati sotto di sé alcuni discepoli e, a motivo della sua autorità spirituale e del suo carattere energico, diverrà superiore della celebre laura dell’Ennaton. Lucio stesso, che era precedentemente stato suo maestro — come ce lo mostra il primo dei brani seguenti —, diverrà suo discepolo. La sua popolarità nella letteratura ascetica è grande; Doroteo riprende il detto n. 5 (cf. nota 11, pp. 2985.). La serie anonima greca (N 558 e 559), le raccolte armena e siria-
ca, i manoscritti inediti della Guy, Recherches..., p. 241), che lo mostrano immerso in Le Chiese precalcedonesi nei grande venerazione.
raccolta sistematica «derivata» (ct. attribuiscono a lui non pochi brani una grande umiltà e compunzione. loro sinassari lo commemorano con
1. Un giorno il padre Longino interrogò il padre Lucio su tre pensieri. Disse: «Desidero farmi straniero» 7. Gli dice: re, che fa violenza a se stesso fino a superare la propria misura. Ecco, io sono stupito davanti a te, e accetto, e porto il peso [dei tuoi peccati], ma a questa condizione: che tu porti il peso del custodire le mie parole e i miei comandi. Sono infatti salvifici (cf. nota 6, pp. 2825.) e vivrai senza essere confuso». ? L’«estraneità» (= Éeviteta) è una delle categorie fondamentali della tradizione monastica. Molti apoftegmi la puntualizzano. Giovanni Climaco ne parla nelle prime pagine della Scala del Paradiso, dedicando ad essa l’intero capitolo terzo. Come per tanti altri temi, egli ordina in una sintesi organica quanto troviamo sparso qua e là negli apoftegmi e in altre fonti a lui anteriori. La dottrina dell’estraneità ha un fondamento cristocentrico ben preciso, poiché il Cristo dai cieli, dal seno del Padre, si è fatto straniero per noi sulla terra. Fa parte del risalire, come per l’ubbidienza e la disubbidienza, la via di Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso (cf. Introd., pp. 42-45). Il capitolo di Climaco si apre con questa definizione (III, 10): «Estraneità è l’abbandono di tutto ciò che è nella nostra patria, che ci ostacola nel perseguire la
Longino
297
«Se non sai trattenere la lingua, non sarai straniero dovunque tu vada. Trattieni qui la tua lingua e sarai straniero». «Desidero digiunare», gli dice ancora. L’anziano rispose: «Dice il profeta Isaia: — Se ti pieghi come un anello e come un giunco fai il tuo collo, neppur questo sarà chiamato digiuno gradito 8. Domina piuttosto i pensieri cattivi». Gli dice quindi per la terza volta: «Desidero fuggire gli uomini». Rispose l'anziano: «Se prima non riesci a spuntarla con gli uomini, non riuscirai a spuntarla neppure nella solitudine» (256c; PJ x, 33).
2. Il padre Longino disse: «Se una volta stai male di’: — Che io stia pur male e muoia! Ma se mi chiedi di mangiare fuori tempo, allora non ti darò nemmeno il cibo quotidiano» (256d). 3. Una donna, che aveva al petto una malattia chiamata cancro, sentì parlare del padre Longino e cercò di incontrarlo. Egli dimorava allora a nove miglia da Alessandria. La donna andò a cercarlo e incontrò quel beato mentre raccoglieva legna presso il mare. Trovatolo, gli disse non sapendo che era lui: «Padre, dove abita il servo di Dio, il padre Longino?». Ed egli le disse: «Che cosa vuoi da quell’imbroglione? Non andare da lui, è un imbroglione. Cos'è che hai?». La donna gli mostrò la sua malattia ed egli, dopo averci fatto sopra un segno di croce, la congedò dicendole: «Va’, e Dio ti guarirà. Longino non avrebbe
pietà» (cf. Evagrio 7). «Estraneitàè un costume senza parresia (cf. Agatone 1)... vita nascosta.. , proposito di amore di Dio... profondità di silenzio». E ancora (III, 12): «Straniero è colui che sta in mezzo a genti di altra lingua come se non ne intendesse il linguaggio pur conoscendolo» (cf. Titoes 2). Vedi anche Ammone 4, Andrea e passizz. Il padre Pisto dà una definizione molto precisa: «In qualsiasi luogo tu vada, di’: “Non mi riguarda”, questo è vivere da stranieri». Farsi anche materialmente stranieri in mezzo a genti di lingua, cultura, mentalità, costumi diversi dai nostri è un modo di mettersi più radicalmente nelle mani del Signore e di sperare di essere afferrati più totalmente dal suo amore.
8 C£. Is 58,5.
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Longino
potuto per nulla aiutarti». La donna credette alla sua parola ?, se ne andò, e immediatamente fu guarita 19, Quando, in seguito, raccontò ad alcuni l'accaduto e descrisse la fisionomia dell’anziano, apprese che era lo stesso padre Longino (256d-257a). 4. Un’altra volta, gli portarono un indemoniato, ma egli disse loro: «Non so che fare per voi, andate piuttosto dal padre Zenone». Quando il padre Zenone cominciò ad esorcizzare il demonio per cacciarlo, questi si mise a gridare: «Padre Zenone, credi forse che io fugga per causa tua? Ecco, il padre Longino è là che prega e scongiura contro di me. Se io ora esco da costui, è per il timore delle sue preghiere. A te non avrei dato retta» (257ab).
5. Il padre Longino disse al padre Acacio: «La donna sa di aver concepito quando il suo sangue si ferma. Anche l’anima sa di aver concepito lo Spirito Santo, quando si placano le passioni che scorrono giù da lei 11; finché è impigliata in esse, ? C£. Gv 4, 50.
10 Cf, Lc 8, 47 e par. 11 Questa è un’altra faccia, molto suggestiva, di un tema ricorrente
sulla base di un’esegesi spirituale dell’incontro di Eliseo e la Sunamita (cf. 2 Re 4, 8ss.). L'abbiamo già visto in Cronio 1; sarà ripreso da Poemen (n.
205 = S 18). La versione latina di Pascasio aggiunge una lunga variante al brano n. 36 di Macario: «...saremo senza turbamento; sapendo che all’ini-
zio Dio creò le cose buone, ma il diavolo vi seminò sopra quelle cattive. Da
qui provengono danni innumerevoli». E aggiunge: «E colpa del monaco se, offeso dai fratelli, non va incontro [agli altri] per primo nella carità, con cuore purificato. Infatti la Sunamita non avrebbe meritato di ricevere Eliseo in casa sua se avesse avuto qualche questione con qualcuno. La Sunamita è figura dell’anima, Eliseo dello Spirito Santo; infatti se l’anima non è pura, non merita di ricevere lo Spirito di Dio. Così l’ira inveterata accieca gli occhi del cuore e impedisce all’anima la preghiera» (Pausch. 37, 4). Evidentemente non viene affermata con questo una possibilità di purezza dell’anima anteriore al dono dello Spirito, ma la disponibilità dell’anima, battezzata e confermata in grazia, ad abbandonare l’attaccamento alle passioni e ad aprirsi a successivi doni dello Spirito. Il brano di Longino è mol-
Longino
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npre e gue san Da’ le? ibi ass imp se fos si qua si tar van come può di Spirito».
to chiaro in questo senso. Doroteo di Gaza lo commenta in tal modo (ws. X, 104): «...se uno lotta, a poco a poco procede e infine agirà nella pace, poiché Dio vede la violenza che egli fa a se stesso e gli porge aiuto. Facciamo dunque anche noi violenza a noi stessi, mettiamoci all’opera, cerchiamo almeno di volere il bene... poiché dal volere giungeremo assieme a Dio anche a lottare, e dal lottare riceveremo aiuto per l’acquisizione delle virtù; per questo uno dei padri diceva: “Da’ sangue e prendi Spirito”, lotta cioè e giungerai al possesso della virtù».
MACARIO L’EGIZIANO
Nacque nel 300 o 301 da famiglia modesta ed esercitò da ragazzo la professione di cammelliere nella «Valle del Salnitro», lo Wéddi en Natrîn, che vedrà sorgere la grande fioritura monastica di Scete. Il primo racconto, che trova corrispondenza in altre fonti, ci fa intravvedere qualche particolare della sua giovinezza e della sua prima vita di lavoro sedentario e preghiera. A trent'anni circa si ritirò dal villaggio ove era stato calunniato, per insediarsi nel deserto di Scete, in un luogo non molto lontano da quello in cui i venditori estraevano il nitro. Secondo una leggenda popolare, ripresa dal sinassario arabo, in quei pressi avrebbe soggiornato la Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto; la Vergine o, secondo altre fonti, il Bambino, avrebbe benedetto quel luogo e profetizzato la «vita angelica» (cf nota 84, p. 348) che vi sarebbe fiorita. Un’etimologia copta del nome, incerta, ma anch'essa popolare, fa risalire la denominazione «Scete» a un aneddoto su Macario: un cherubino avrebbe posto una mano sul suo cuore pesandolo come su una bilancia, perciò quel luogo sarebbe stato chiamato con un termine che significherebbe: il luogo dove si pesano il cuore e i pensieri. Anche la tradizione araba riprende quest’etimologia popolare e dice che Scete significherebbe «bilancia del cuore». La «solitudine assoluta» di cui parla il racconto n. 3 è il luogo di un successivo insediamento di Macario, a sud del primo, sulla sommità di una roccia, ove scavò
due grotte, una delle quali gli serviva da oratorio. A una certa
Macario l’Egiziano
301
distanza «più sotto vi era un altro deserto», dove si costituì il
primo gruppo di ;...monaci, richiamato dalla sua grande fama. Erano già non pochi nel 340, data approssimativa dell’ordinazione presbiterale di Macario, che da anni era diacono. Successiva-
mente st formarono altri gruppi, così che nel 356, anno della morte di Antonio, Scete era già molto popolata. Fra î suoi discepoli che dimorarono a Scete vi sono Sisoes, Isaia, Atò, Mosè, Paf-
nuzio; fra quelli che vi dimorarono solo per breve tempo, ma pure attinsero da lui, vi sono Evagrio, Palladio, Cassiano. Similmente a quanto avverrà in Palestina, più di un secolo dopo, attorno a san Saba, si raggrupparono a Scete intorno a Macario il
Grande ben quattromila monaci di diverse nazionalità: egiziani, armeni, etiopi, asiatici, europei, dando luogo a interessanti incontri di pensiero e ad una ancor più interessante liturgia poliglotta. Il monastero di S. Macario è stato sempre abitato da monaci, dall'inizio ad oggi; e ora il p. Matta el Meskin presiede colà una comunità copto-ortodossa molto numerosa (Un moine de Saint-Macaire, p. 203). Anche se le cose non andarono esattamente come racconta l’aneddoto n. 4, tuttavia più fonti parlano dell'incontro, o forse di più incontri, fra Macario e Antonio il Grande. Nel 373 Macario il Grande fu esiliato assieme all’omonimo Macario di Alessandria (cf. p. 346) a causa della persecuzione ariana (cf. nota 1, p. 78). Nel 375 egli ritorna nel suo ritiro di Scete ove muore nel 390. Il suo corpo fu rubato da fedeli a lui devoti, ma fu poi restituito. Pochi anni dopo la sua morte troviamo già costituiti i quattro grandi nuclei di Scete: di Baramts, 0 Laura dei «romani», fondato in onore dei due «giovani stranieri», protagonisti della deliziosa storia n. 33; di Macario, nel luogo della roccia che fu chiamata «roccia di S. Macario», di Giovanni Nano, presso l’albero dell’obbedienza (cf. p. 229); di Bishoi o Psoto (nome di un altro anziano) a due miglia dal precedente, attualmente monastero dei siri. Macario è, tra i padri del deserto, uno dei più famosi, ha un larghissimo posto nell’agiografia delle Chiese orientali: ancora nel tardo Medioevo vengono scritte nuove vite e celebrazioni di lui. Abbiamo già
302
Macario l’Egiziano
ricordato come egli sia per Cassiano il «grande» per eccellenza (ct. p. 279) e uno dei pochi che seppe unire la perfezione della vita solitaria e della vita comune, senza cadere nei possibili limiti o estremismi dell'una o dell'altra (cf. pp. 271s.). Effettivamente quest’ampia scelta di apoftegmi — solo in parte presenti nella serie sistematica — ci fa conoscere un uomo austero e dolce insie-
me, arso dal timore di Dio, preoccupato di fuggire gli uomini e le distrazioni, e a un tempo pieno di misericordia tenerissima e di amore paterno e vigilante per i suoi figli. Fu chiamato anche lui roudapiov-yépwv, cioè fanciullo-anziano per eccellenza (cf. p. 197). É per questa sua misericordia che è detto «Dio sulla terra» (n. 32) e non per l'altezza della preghiera e dell’ascesi, né per le straordinarie vittorie contro i demoni. A parte la vita di Antonio, restando cioè nell'ambito degli apoftegmi, di nessun altro anziano sono narrati così tanti e così pesanti attacchi del demonio. Dieci dei quaranta detti di Macario vedono in scena il demonio. L'autore della Historia Monachorum,
Palladio, Cas-
stano, tutti cioè i pellegrini che hanno visitato î monasteri d'Egitto al tempo di Macario e che hanno lasciato testimonianze scritte del loro pellegrinaggio, parlano ampiamente di lui. Nelle lettere di Barsanufio e Giovanni e soprattutto nelle istruzioni di Doroteo di Gaza, si ritrova più di un apoftegma di Macario. Doroteo riprende più volte l’esortazione di Macario a non lasciarsi dominare dalla collera, citando non solo l’apoftegma n. 17 di questa serie (cf. Doroteo, ep. 2, 185), ma anche un altro detto che figura altrove, nell’Everghetinés (II, 35, 15) e în una fonte copta, detto ripetutamente usato da Evagrio: «E cosa estranea ai monaci adirarsi e far adirare alcuno». Doroteo, nella sua
istruzione sull’umiltà (II, 29), afferma che solo l'umiltà può liberare sia dalla vanagloria che dalla collera, e apre l'istruzione ottava, sul rancore, con questo detto, che egli attribuisce a Evagrio, ma che in realtà è di Macario. Macario è la fonte più autorevole della tradizione alla quale si rifanno Evagrio e i tre grandi di Gaza nella loro lotta contro la collera. Se c'è rischio di andare in collera, non bisogna assolutamente rimproverare un altro. La col-
Macario l’Egiziano
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3 33 . epp , ni an ov Gi e o fi nu sa ar (B ni io ss pa le del lera è la peggiore per che to fat il è o ri ca Ma di ma fa la del a ov pr ra lt e 489). Un'a con ti iu sc no co ri ora i, itt scr i lt mo i uit rib att ti sta no so gli oli sec io ad nn Ge e di nz ia on im st te le o nd co Se i. suo n no me co za tez cer (De vir. illustr. 10; PL 58, 1065), egli ha lasciato un solo scritto,
una lettera a dei giovani monaci. Le altre fonti antiche non fanno menzione di suoi scritti.
1. Il padre Macario raccontava di sé: «Quando ero più giovane e vivevo in una cella in Egitto, mi presero a forza e mi ordinarono chierico nel villaggio. Ma poiché non volevo accettare, fuggii in un altro luogo. Qui venne da me un pio secolare, che faceva il mio lavoro manuale e mi serviva. Avvenne che una vergine del villaggio, tentata, cadde in peccato. Quando si accorsero che era incinta, le chiesero: — Chi è stato a far questo? Disse: — L’anacoreta. Quelli del villaggio vennero a prendermi, mi attaccarono al collo delle pentole nere di fuliggine e dei manici di vasi di terracotta, e mi condussero in corteo per le strade del villaggio, percuotendomi e dicendo: — Questo monaco ci ha violato la vergine, prendetelo, prendetelo! E mi picchiarono tanto, che quasi ne morivo. Intervenne uno degli anziani e disse: — Fino a quando colpirete questo monaco straniero? Il mio servitore mi seguiva pieno di vergogna, mentre lo colpivano di insulti dicendogli: — Ecco che cosa ha fatto l’anacoreta a cui tu rendevi testimonianza! I genitori di lei dissero: — Non lo lasceremo andare finché non avrà assicurato di mantenerla. Lo dissero al mio servitore ed egli garantì per me; e io,
tornato nella mia cella, gli detti tutti i canestri che avevo dicendogli: — Vendili e da’ da mangiare a mia moglie. E dicevo fra me: — Vedi, Macario, hai trovato moglie; devi lavorare un po’ di più per mantenerla. Facevo canestri notte e giorno e glieli mandavo. Venne per l’infelice il tempo di dare alla luce il bimbo, e il travaglio durò parecchi giorni senza che riuscisse a partorire. Le dicono: — Cosa significa ciò? — Lo so, rispose, la
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Macario l’Egiziano
ragione è che ho calunniato l’anacoreta accusandolo falsamente. Non è stato lui, ma quel giovane. Il mio servo venne a raccontarmi felice che la ragazza non aveva potuto partorire finché non ebbe confessato: — Non è stato l’anacoreta, ho menti-
to contro di lui. Ed ecco che, udito ciò, tutto il villaggio vuole venire qui per darti onore e chiederti perdono. Ma io, a queste parole, per non essere disturbato dalla gente partii e mi rifugiai qui a Scete. Questo fatto è all'origine della mia venuta qui» (257c-260b; PJ XV, 25).
2. Una volta Macario l’Egiziano venne da Scete al monte di Nitria per partecipare all’Eucaristia celebrata dal padre Pambone. Gli dicono gli anziani: «Padre, di’ una parola ai fratelli». Ed egli: «Finora io non sono diventato monaco, ma ho semplicemente visto dei monaci. Un giorno in cui ero seduto nella mia cella a Scete, cominciarono a importunarmi i pensieri, e dicevano: — Va’ nel deserto e guarda ciò che là vedrai! Resistetti al pensiero cinque anni, temendo che provenisse dai demoni, ma poiché il pensiero persisteva, andai nel deserto. Vi trovai un lago, con un'isola nel mezzo, e gli animali del deserto venivano qui a bere. E in mezzo a loro vidi due uomini nudi. Il mio corpo cominciò a tremare, pensavo che fossero spiriti. Al vedermi cosi tremante, mi dissero: — Non aver paura, siamo
uomini anche noi! Dissi loro: — Donde siete? Come siete venuti in questo deserto? Dissero: — Proveniamo da un cenobio e ci trovammo d’accordo sul venire qui già quarant’anni or sono. Siamo l’uno egiziano, l’altro libico. Quindi anche loro fecero delle domande: — Come va il mondo? Scende la pioggia a suo tempo? Il mondo gode di prosperità? Dissi: — Sì, e a mia volta domandai: - Come posso diventare monaco? Dissero: — Se uno non rinuncia a tutte le cose del mondo, non può diventare monaco. — Sono debole, dissi, e non posso vivere come voi. È loro: — Se non puoi vivere come noi, rimani nella tua cella e piangi i tuoi peccati. Chiesi ancora: — Quando giunge l’inverno, non patite il freddo? E quando viene l’estate, non brucia il
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vostro corpo? Dissero: — Il Signore provvidenzialmente ha disposto per noi in modo che d’inverno non soffriamo il freddo e d’estate il caldo non ci disturba. Ecco perché vi ho detto di non essere ancora monaco, ma di aver visto dei monaci; perdonatemi, fratelli» (260b-261a; PJ XX, 4).
3. Il padre Macario visse in una solitudine assoluta, in un deserto dove era l’unico anacoreta. Più sotto vi era un altro deserto, abitato da parecchi fratelli. L’anziano osservava la strada: ed ecco un giorno passare di lì Satana in forma di uomo: sembrava che indossasse una tunica di lino piena di buchi, e dai buchi sporgevano delle fiale. «Dove vai?», gli dice il grande anziano. Ed egli: «Vado a insinuare i pensieri nei fratelli». E l’anziano: «E perché hai queste fiale?». Disse: «Porto ai fratelli delle golosità». «Così tante?», dice l’anziano. «Sì, rispose, se a uno una non piace, gliene presento un’altra; se
non gli piace nemmeno quella, un’altra ancora. Alla fine ve n’è sempre una che gli piace». E così dicendo si allontanò. L’anziano rimase a osservare la strada finché quello ritornò indietro. «Salve!», gli disse il vecchio vedendolo. «Macché salve!», rispose l’altro. «Perché?». «Perché tutti sono stati sgarbati con me e nessuno mi vuole». «Non hai dunque colà nessun amico?», gli dice l'anziano. Risponde: «Sì, ho un solo amico, lui mi dà retta e, quando mi vede, si contorce come il vento». «Come si chiama?». «Teopempto». Detto questo, se ne andò. Il padre Macario, alzatosi, si diresse verso il deserto che si tro-
vava a sud. Saputolo, i fratelli gli uscirono incontro con rami di palma !, e ognuno si preparava pensando che venisse da lui. Ma egli chiese: «Chi c’è qui che si chiama Teopempto?». Trovatolo, si recò alla sua cella, ove Teopempto l’accolse con gioia.
1 Cf. Gv 12, 13; sono le stesse parole dell’Evangelo per l’ingresso trionfale del Signore in Gerusalemme. Cf. Introd., p. 56.
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Quando fu solo con lui, l’anziano gli chiese: «Come ti vanno le cose, fratello?». Disse: «Bene, grazie alle tue preghiere». «Non ti fanno guerra i pensieri?». «No, finora sto bene». Si vergoiprat io che nsa «Pe : ano nzi l'a e dic Gli e. lar par a gnava infatti o h'i anc ure epp i, tutt da o rat ono o son e i ann i co l’ascesi da tant
ora All ». one azi nic for di ito spir lo dal o bat tur così vecchio sono e fins ano nzi L'a o». h’i anc re, pad mi, edi «Cr Teopempto rispose: e. sar fes con o farl per ri, sie pen i altr da he anc o tat ten di essere dice a», non ora all’ no «Fi . i?» iun dig o ant «Qu : dice gli Quindi , cesi l’as a tic pra e sera a fino na giu «Di : ano nzi l’a E l’altro. ; ure itt Scr e altr e dell e o gel van l’E del ni bra a ori mem a impara in pre sem ma so bas in re rda gua non ro, sie pen il le se ti assa ello frat al o dat r ave o Dop ». ito sub à ter aiu ti e nor Sig il e , alto queste indicazioni, l'anziano ritornò al suo eremo; e, mentre
stava osservando la strada, vide nuovamente quel diavolo e gli dice: «Dove vai ancora?». E l’altro: «A insinuare pensieri ai fratelli», e se ne andò. Quando ripassò di là, il santo gli domandò:
«Come
vanno
i fratelli?». «Male!»,
disse. «Per-
ché?». «Perché sono tutti sgarbati; e, quel che è peggio, anche quello che mi era amico e mi ubbidiva è cambiato non so come, e nemmeno lui mi dà più retta, anzi è diventato il più sgarbato di tutti. Ho giurato di non andare più da quelle parti, per molto tempo». Detto questo, se ne andò. E il santo rientrò nella sua cella (261a-264b; PJ XVIII, 9).
4. Il grande padre Macario si recò dal padre Antonio sul monte. Quando bussò alla porta, questi gli uscì incontro e gli chiese: «Chi sei?». Rispose: «Sono Macario». L'altro entrò, chiuse la porta, e lo lasciò fuori. Ma, vedendo la sua pazienza, lo fece poi entrare, e, mentre si intratteneva con gioia con lui,
gli disse: «Da lungo tempo desideravo vederti, perché ho udito parlare di te». Lo ospitò e lo fece coricare, perché era molto stanco. Quando fu sera, il padre Antonio mise a bagno le sue foglie di palma; il padre Macario gli disse: «Ordina che anch'io ne bagni!». «Fallo!», rispose. Ne fece un grande fascio
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e le mise a bagno. Sedendo insieme dalla sera in avanti, parlavano della salvezza dell'anima e intrecciavano la corda. Dalla finestra, la corda scese giù nella grotta 2, così che la mattina, entrando, il beato Antonio vide la lunghezza della corda del padre Macario e disse: «Da queste mani esce molta forza!» (264cd; PJ VII, 9). 5. Il padre Macario parlava così ai fratelli dell'abbandono di Scete: «Quando vedrete 3 una cella costruita presso la palude, sappiate che è vicina la sua desolazione 4; quando vedrete degli alberi, è alle porte 5. Quando vedrete dei fanciulli 6, pren-
dete i vostri mantelli e fuggite ?» (P] XVIII, 11).
6. Il padre Macario diceva, per incoraggiare i fratelli: «Giunse qui con sua madre un fanciullo indemoniato, e disse a sua madre: — Su, vecchia, andiamocene! Rispose: — Non posso camminare. E il bambino: — Ti porto io. Stupii, disse il padre Macario, della malvagità del demonio, come tenesse a farli fuggire da lì» (264d-265a; P] XVIII, 10). 7. Il padre Sisoes raccontò: «Quando eravamo a Scete con Macario, andammo un giorno con lui a mietere in sette persone. Dietro di noi vi era una vedova che spigolava e non faceva che
2 Sono note ormai le illustrazioni di grotte con un piano superiore, cui si accedeva dall’esterno, e una finestra. Evidentemente i due piani erano collegati da un’apertura interna, attraverso cui la corda di Macario scendeva. Soltanto al mattino, uscendo dal piano superiore e rientrando in quello inferiore, Antonio si accorse di quanto lavoro Macario aveva fatto. 3 C£. Lc 21, 20. 4 Ibid. ? Cf. Mt 24, 33. 6 Cf. nota 1, p. 232. 7 Cf. Mt 24, 16s. Macario indica qui, nei termini dei discorsi escatologici dell’Evangelo, un progressivo accondiscendere dei monaci alle comodità e alle tentazioni. Cf. Introd., pp. 53s.
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piangere. L'anziano chiamò il padrone del campo e gli chiese: — Che cos'ha questa vecchia che piange sempre? L'altro gli dice: — Suo marito aveva ricevuto da un tale un deposito, ma morì improvvisamente senza lasciar detto dove l’aveva deposto. E ora il proprietario della somma vuole fare schiavi lei e i suoi figli. Gli dice l’anziano: — Dille di venire da noi, nel luogo in cui riposiamo al riparo dal caldo. La donna venne e l’anziano le disse: — Perché piangi sempre così? Disse: - Mio marito è morto dopo aver ricevuto un deposito e morendo non mi ha detto dove lo aveva riposto. — Mostrami dove l’hai sepolto, le dice l’anziano; e, presi i fratelli con sé, venne con lei in quel luogo. Giunti che furono in quel luogo, l’anziano le disse: — Ritorna a casa. E,
mentre i fratelli pregavano, chiamò il morto e gli chiese: — Ehi, tu, dove hai messo il deposito che ti è stato affidato? Rispose: — È nascosto in casa mia, sotto il piede del divano. Gli dice l'anziano: — Rimettiti a dormire fino al giorno della risurrezione. A quella vista, i fratelli caddero ai suoi piedi sgomenti. L'anziano disse loro: — Questo non è avvenuto per me, perché io non sono nulla; Dio ha fatto ciò per la vedova e gli orfani. Questa è la cosa grande, il Signore vuole che l’anima sia senza colpe, e quando essa chiede riceve 8. Andò quindi dalla vedova e le riferì dov'era il deposito. Ella lo prese, lo diede al proprietario, e liberò così i suoi figli. E tutti quelli che udirono diedero gloria a Dio 9» (265abc; P] XIX, 8). 8. Il padre Pietro raccontò che san Macario, recatosi un giorno da un anacoreta e trovatolo malato, gli chiese: «Che vuoi da mangiare?», perché nella cella non c’era niente. E poiché egli disse: «Un pasticcino», quel forte non esitò ad andare a prenderlo fino ad Alessandria e lo portò al malato. E questo fatto meraviglioso rimase ignoto a tutti (265c-268a). 8 Cf. Mt 7,8. ? Questa frase è probabilmente la composizione di due luoghi dell’Evangelo: Lc 2, 18 e Mt 9, 8.
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9. Raccontò anche che il padre Macario agiva verso tutti i fratelli con grande semplicità. E alcuni gli chiesero: «Perché ti mostri così?». Rispose: «Ho servito dodici anni al Signore perché mi desse questo carisma, e voi tutti mi consigliate di rinunciarvi?» 10, 10. Raccontavano che il padre Macario, quando si ricreava con i fratelli, si era imposto una regola: se vi era del vino, lo beveva per riguardo ai fratelli, e, per un bicchiere di vino, stava un giorno senza bere acqua. Se i fratelli glielo davano per ristorarlo, l'anziano lo accettava con gioia per potere poi macerarsi. Ma il discepolo, che lo sapeva, disse ai fratelli: «In nome del Signore, non dateglielo, altrimenti nella sua cella si punirà!». Appreso questo, i fratelli non gliene offrirono più (268b; P] IV, 26). 11. Un giorno il padre Macario ritornava dalla palude nella sua cella, portando rami di palma. Ed ecco farglisi incon-
tro lungo la strada il diavolo con una falce. Cercò di colpirlo, ma non ci riuscì. Gli disse allora: «Macario, da te emana una tale forza, che io non posso nulla contro di te; eppure faccio tutto ciò che tu fai, tu digiuni, e io
non mangio per nulla; tu vegli, e io non dormo affatto, vi è una cosa sola in cui mi vinci». «Quale?», gli chiese il padre Macario. «La tua umiltà; per questo non ho alcun potere su di te» 11 (268bc; PJ XV, 26).
12. Alcuni padri chiesero al padre Macario l’Egiziano: «Come mai il tuo corpo è così asciutto sia quando mangi sia quando digiuni?». L’anziano rispose: «Il legno con il quale rivoltiamo la legna che arde è sempre consumato dal fuoco.
10 Cf. Ammone 9 e nota relativa. 11 Cf. Teodora 6 e nota relativa.
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Così, se l’uomo purifica il suo spirito nel timore di Dio, è lo stesso timore di Dio che divora il suo corpo» (PJ III, 8). 13. Salendo un giorno da Scete a Terenuti, il padre Macario entrò a dormire in un tempio. C'erano là antiche mummie greche. Egli ne prese una e la mise sotto al capo come cuscino. Visto il suo coraggio, i demoni ne ebbero invidia e cercarono di atterrirlo. Chiamarono come un nome di donna, dicendole:
«Tu, vieni con noi nel bagno!». Da sotto a Macario, un altro demonio rispose, come se fosse uno dei morti: «Non posso venire, c'è uno straniero sopra di me!». Ma l’anziano non ne fu atterrito. Anzi, con sicurezza diede un colpo alla mummia dicendo: «Alzati, va’ nelle tenebre se puoi!». A queste parole i demoni gridarono a gran voce 12: «Ci hai vinti!». E fuggirono pieni di vergogna (268c-269a; PJ VII, 10).
14. Raccontavano del padre Macario l’Egiziano che un giorno saliva da Scete portando canestri e, essendo molto atfaticato, si mise a sedere e pregò con queste parole: «O Dio, tu sai che non ne posso più». E subito si trovò presso il
fiume (PJ XIX, 6).
15. Vi era un tale in Egitto che aveva un figlio paralitico, lo portò presso la cella del padre Macario e si allontanò assai, lasciandolo fuori della porta a piangere. L’anziano si sporse a guardare e, visto il ragazzo, gli dice: «Chi ti ha portato qui?». Ed egli: «Mio padre mi ha gettato qui e se ne è andato». «Alzati e raggiungilo!» 13, gli dice l’anziano. Ed egli, guarito all’istante 14, si alzò e raggiunse suo padre; e così ritornarono a casa loro (PJ XIX, 7).
12 Cf. At 8,7. 13 Macario ignorava l’infermità del ragazzo. Cf. nota 9, p. 151. 14 Cf. Mc 5, 42 e par.; vedi nota 104, p. 133.
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16. A Scete il grande padre Macario, quando si scioglieva l'assemblea, diceva: «Fuggite, fratelli!». Uno degli anziani gli chiese: «Dove possiamo fuggire di più che in questo deserto?». Egli si poneva il dito sulla bocca dicendo: «Questo fuggite!». E, entrato nella sua cella, chiudeva la porta e si sedeva 15
(269b: PJ IV, 27).
17. Lo stesso padre Macario ha detto: «Se, rimproverando qualcuno, ti lasci prendere dall’ira, soddisfi una tua passione. Non perdere te stesso per salvare gli altri!» (PJ IV, 28). 18. Lo stesso padre Macario, mentre era in Egitto, trovò un giorno un uomo che era venuto con una bestia da soma per derubarlo di quel che possedeva. Egli si presentò al ladro come uno straniero, e lo aiutò a caricare la bestia 16. Quindi lo congedò in grande pace dicendo: «Posché non abbiamo portato nulla in questo mondo, niente, senza dubbio, possiamo portare via V. Il Signore ha dato; è avvenuto come egli ha voluto. In ogni cosa sta benedetto il Signore 18» (269bc; PJ XVI, 6).
19. Alcuni chiesero al padre Macario: «Come dobbiamo pregare?» 19. L'anziano rispose loro: «Non c’è bisogno di dire vane parole 20, ma di tendere le mani e dire: — Signore, come
15 Cf. Isacco di Tebe 2. 16 Il n. 40 riprende molto probabilmente lo stesso episodio, che-rappresenta una delle tante storie «modello» che ritornano più volte (cf. Euprepio 2 e Teodoro di Ferme 29) e sono molto indicative del distacco di questi anziani da ogni possesso. La frase: «Egli si presentò al ladro come uno straniero» ha un profondo spessore: vuole puntualizzare che si tratta di un aspetto della pratica dell’«estraneità» (vedi nota 7, pp. 296s.); tale estraneità è in questo modo portata al limite. 171Tm6,7. 18 Gb 1,21.
19 C£.Lc 11,1.
20 Cf. Mt 6, 7.
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vuoi e come sai, abbi pietà di me. Quando sopraggiunge una tentazione, basta dire: — Signore aiutami! Poiché egli sa che cosa è bene per noi e ci fa misericordia».
20. Il padre Macario disse: «Se il disprezzo diventerà per te come la lode, la povertà come la ricchezza, l’indigenza come l'abbondanza, non morirai. Perché è impossibile che chi crede veramente e agisce con pietà cada nell’impurità delle passioni e nell’inganno dei demoni» (269d). 21. Raccontavano che a Scete due fratelli peccarono e il padre Macario il Cittadino 2! li scomunicò. Alcuni andarono a dirlo al padre Macario il Grande, l’Egiziano. Egli disse: «Non sono i fratelli ad essere scomunicati, ma Macario, lui è scomu-
nicato». Lo amava infatti. Quando questo padre Macario udì che era stato scomunicato dall’anziano, fuggì nella palude. Il padre Macario il Grande lo trovò là tutto mangiato dalle zanzare e gli disse: «Tu hai scomunicato dei fratelli ed essi hanno dovuto ritornare al villaggio. Io ti ho scomunicato e tu sei fuggito qui come una vergine fugge nel più interno delle sue stanze. Io ho chiamato i fratelli per sapere cos'era accaduto e mi hanno detto che non sono affatto successe quelle cose. Sta’ attento anche tu, fratello, di non essere stato canzonato dai
demoni poiché non hai visto niente! Fa’ dunque penitenza del tuo peccato». L'altro disse: «Ti prego, dammi una penitenza!». L'anziano allora, vedendo la sua umiltà, gli disse: «Va’, digiuna
per tre settimane, mangiando una sola volta alla settimana!». In questo infatti egli si esercitava sempre, digiunare per delle settimane (269d-272b).
22. Il padre Mosè disse al padre Macario a Scete: «Io desidero praticare l'unione con Dio nella solitudine, ma i fratelli
21 Cf. p. 345.
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non me lo permettono». Il padre Macario gli dice: «Vedo che la tua natura è debole e non riesci a mandare via un fratello. Ma se vuoi vivere nella solitudine, addentrati nel deserto, verso Petra,
e lì praticherai la solitudine». Così fece e trovò la quiete.
23. Un fratello si recò dal padre Macario l’Egiziano e gli chiese: «Padre, dimmi una parola: come posso salvarmi?». Gli dice l'anziano: «Va’ al cimitero e insulta i morti». Il fratello vi andò, li insultò e li prese a sassate. Quindi ritornò a dirlo all’anziano e questi gli disse: «Non ti hanno detto nulla?». Ed egli: «No». Gli dice l’anziano: «Ritorna domani e lodali». Il fratello vi andò e li lodò chiamandoli apostoli santi e giusti. Quindi ritornò dall’anziano e gli disse: «Li ho lodati». Ed egli: «Non ti hanno risposto nulla?». «No». «Tu sai quanto li hai insultati — dice l'anziano — e non hanno risposto nulla, e quanto li hai lodati, e non ti hanno detto nulla; diventa anche tu morto in questo
modo, se vuoi salvarti. Non far conto né dell’ingiuria né della lode degli uomini, come i morti; e potrai salvarti» (272bc).
24. Un giorno il padre Macario passava per l'Egitto insieme a dei fratelli, e udì un ragazzino che diceva alla madre: «Mamma, c’è un ricco che mi ama, e io lo odio, e un miserabile che mi odia, e io lo amo». Udendolo, il padre Macario si meravigliò. Gli chiedono: «Padre, cosa significano queste parole, che ti sei meravigliato?». E l’anziano dice loro: «Davvero il Signore nostro è ricco e ci ama e noi non vogliamo ascoltarlo, mentre il diavolo nostro nemico è un miserabile e ci odia, e noi amiamo la sordidezza» (272dì).
25. Il padre Poemen lo pregò con molte lacrime: «Dimmi una parola, come posso salvarmi?». L'anziano gli rispose così: «Ciò che tu cerchi, oggi se ne è andato via dai monaci» 22. 22 Cf. nota 67, p. 278.
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26. Il padre Macario si recò un giorno dal padre Antonio, i ntro inco ero venn Gli e. Scet a rnò rito ato, parl gli aver o dop e, al o dett «Ho o: zian l’an loro e diss o, avan parl essi tre men i; padr si i padr I 23. » stia cari l'Eu o iam abb non qui che o oni Ant padre osta risp la li derg chie a senz , cose altre di are parl a ro mise ra Allo . loro e diss la o ari Mac e padr il o men nem e ; dell’anziano lli frate ai che ono ved i padr i ndo qua che, e diss i padr uno dei si , utile nto ome arg un su e and dom fare di à unit sfugge l’opport non se Ma zio. ’ini dall orso disc il iare minc rico di impongono re esse non per più, ano parl ne non lli, frate dai sono costretti paro no dico e ati rrog inte re esse a senz ano parl che li come quel le inutili (273).
27. Il padre Isaia chiese al padre Macario: «Dimmi una parola!». E l’anziano gli dice: «Fuggi gli uomini!». E il padre Isaia a lui: «Che cosa significa fuggire gli uomini?». L’anziano gli disse: «Significa rimanere nella tua cella e piangere i tuoi peccati» 24(273b).
28. Il padre Pafnuzio, il discepolo del padre Macario, raccontò: «Ho pregato il padre mio così: — Dimmi una parola! Ed egli ha detto: — Non far del male a nessuno e non giudicare nessuno: osserva questo e ti salverai». 29. Il padre Macario disse: «Non dormire nella cella di un fratello che goda cattiva fama».
30. Alcuni fratelli si recarono un giorno a Scete in visita al padre Macario; e non trovarono nella sua cella altro che acqua 23 Si tratta evidentemente della situazione precedente all’ordinazione presbiterale di Macario. 24 Questa parola è ripresa nell’ultimo detto (n. 41) e quindi manifesta-
mente considerata come una parola chiave e conclusiva dell’insegnamento di Macario. Anch’essa fa parte della dottrina costante dei padri del deserto: non si tratta di evasione, ma di ricerca di una maggior sofferenza.
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putrida. Gli dicono: «Padre, sali con noi al villaggio, e ti procureremo da rifocillarti». «Fratelli — disse loro l'anziano —, sapete dov'è il forno del tale nel villaggio?». Gli dicono: «Sì». Dice loro l'anziano: «Anch'io lo so. Sapete anche dov'è la proprietà del tale, là dove il fiume fa un’ansa?». Gli dicono: «Sì». Dice loro l’anziano: «Anch'io lo so; quindi, se voglio, non ho biso-
gno di voi, ma salgo da solo» (273bc). 31. Dicevano che, se un fratello si avvicinava con timore al
padre Macario, come a un santo e grande anziano, non gli parlava nemmeno. Se invece uno dei fratelli gli diceva come per disprezzarlo: «Padre, quando eri cammelliere e rubavi il nitro e lo vendevi, i custodi non ti percuotevano?». Quando qualcuno cominciava così, rispondeva alle sue domande con gioia. 32. Dicevano del padre Macario il Grande che diventò, come sta scritto, un dio sulla terra 25. Infatti, come Dio copre il
mondo con la sua protezione, così il padre Macario copriva le debolezze che vedeva come se non le vedesse, quelle che udiva come se non le udisse (273d).
e dr pa del to on cc ra to es qu erì rif o mi ti Vi e dr pa Il 33.
gio e du no or gi un ro se un gi te, Sce a vo ve vi e tr en «M Macario: vani stranieri, di cui uno aveva la barba, l’altro cominciava a
farsela crescere. E vennero da me a chiedermi dove fosse la ? lui da te le vo a cos e Ch o: lor si Dis o. ri ca Ma e dr pa del cella Dissero: — Siamo venuti qui per conoscerlo, perché abbiamo si i ess Ed o. lor si dis io, no So — te. Sce di e lui di e ar rl pa o tit sen nde ve io, Ma . qui re ne ma ri mo ia gl Vo — o: nd ce o di on ar tr os pr do che erano delicati e cresciuti nella ricchezza, dissi: — Non
potete rimanere qui. Disse il maggiore: — Se non possiamo rimanere qui, andremo altrove. Dissi allora al mio pensiero: — 25 Cf. Sal 81, 6.
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Perché li caccio e li scandalizzo? Sarà la fatica a farli fuggire da sé! E a loro dissi: — Venite, costruitevi una cella se potete. Risposero: — Mostraci il luogo e lo faremo. L'anziano diede loro una scure e un sacchetto di pane e sale e mostrò loro una dura roccia dicendo:— Cavate da qui delle pietre, portatevi della legna dalla palude, coprite con un tetto e dimorate qui 26. Credevo— disse — che se ne sarebbero andati per la fatica. Chiesero: — Che lavoro si fa qui? — Si intrecciano corde, risposi. Dopo aver preso dei rami nella palude, mostrai loro come si comincia a far la corda e come si fa l’orditura, e dissi: — Fate
dei canestri e portateli ai custodi, che vi daranno del pane. Quindi me ne andai ed essi fecero con pazienza tutto quanto avevo loro detto. È non vennero più da me per tre anni. Frattanto io ero combattuto da questo pensiero: — Che vita faranno, che non vengono mai a chiedere un consiglio? Vengono da me quelli che vivono lontano, e costoro che sono vicini non sono venuti, né sono andati da qualchedun altro. Vengono solo in chiesa in silenzio, per ricevere l'Eucaristia. E pregai Dio digiunando per una settimana perché mi mostrasse come vivevano. Al termine della settimana mi recai da loro per vedere la loro vita. Bussai; mi aprirono e mi salutarono in silenzio. Dopo aver pregato, mi sedetti. Il maggiore, fatto cenno al minore perché uscisse, si sedette a intrecciare la corda, senza
dir nulla. All’ora nona, il minore bussò, entrò, preparò un po’ di verdura bollita e, a un cenno del fratello maggiore, apparecchiò la tavola. Pose sulla tavola tre pani e stette ritto in silenzio. Io dissi: — Su, mangiamo! Ci alzammo per mangiare; portò
26 Con poche parole ci viene così illustrata la tecnica molto semplice
di costruzione di un tipo di celle diverso dalle grotte; con pietre, fango e legna, i monaci si improvvisavano muratori. Il risultato era una piccola
casetta, a uno O due vani, ricoperta da un tetto di legna e frasche, a volte un po’ più bassa dell’ altezza di un uomo di media statura, raramente più alta. La cella veniva regolarmente cinta da un muretto di separazione (ct. nota 13, p. 164).
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la brocca e bevemmo. A sera mi chiesero: — Te ne vai? — No, risposi, dormo qui. Stesero una stuoia per me da una parte, e per loro un’altra in un angolo, dalla parte opposta; si tolsero le cinture e gli scapolari, e si stesero insieme sulla stuoia di fronte a me. Quando si furono coricati, pregai Dio di svelarmi la loro vita. E il tetto si aprì e vi fu luce come di giorno, ma essi non vedevano la luce. Quando pensavano che io dormissi, il maggiore diede un colpo al minore sul fianco, si alzarono, si cinsero e levarono le mani al cielo. Io li vedevo, mentre essi non mi vedevano. Vidi i demoni venire come mosche sul più giovane; alcuni gli si posavano sulla bocca, altri sugli occhi. E vidi un angelo del Signore che brandiva una spada di fuoco e lo circondava con una siepe e cacciava da lui i demoni. Al fratello maggiore Invece non potevano avvicinarsi. Verso l’alba si coricarono; io feci come se mi svegliassi allora, ed. essi fecero altrettanto. Il maggiore mi disse solo questa parola: — Vuoi che recitiamo i dodici salmi? Dissi: — Sì. Il minore cantò cinque salmi di sei versi con un alleluia; e a ogni versetto usciva una fiaccola dalla sua bocca e saliva fino al cielo; così anche al
maggiore: quando apriva la bocca per salmodiare, vi era come una striscia di fuoco che usciva dalla sua bocca e arrivava al cielo. Anch’io recitai qualcosa a memoria, e uscendo dissi: — Pregate per me. Si prostrarono in silenzio. Avevo capito che il più grande era perfetto, mentre il più piccolo era ancora combattuto dal nemico. Dopo pochi giorni, il fratello maggiore morì; tre giorni dopo morì anche il più giovane». E quando qualcuno dei padri si recava dal padre Macario, egli lo conduceva nella loro cella dicendo: «Venite a vedere la testimonianza dei piccoli stranieri» 27 (273d-277b; PJ XX, 2
21 Per la parola greca paiptòpuov la traduzione latina nella serie sistematica (PJ XX,2) ha conservato martyrium come a sottolineare che questi
due giovani sono na veramente consumati con grande rapidità dal martirio del cuore e dello spirito nell’olocausto puro di sé al Signore.
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34. Un giorno gli anziani della montagna mandarono a dire al padre Macario a Scete: «Ti preghiamo di venire da noi, perché possiamo vederti prima che tu vada al Signore. Se non vieni tu, tutta la gente ti disturberà venendo da te». Quando egli giunse sul monte, tutta la gente gli si radunò attorno. Gli anziani lo pregarono: «Di° una parola ai fratelli». Disse: «Piangiamo, fratelli; i nostri occhi lascino scorrere lacrime prima
che andiamo dove le lacrime bruceranno i nostri corpi». É tutti piansero e caddero con la faccia a terra e dissero: «Padre, prega per noi» (277bc; PJ III, 9). 35. Un’altra volta, il demonio assalì il padre Macario con una spada, e voleva mozzargli un piede. Ma poiché, per l'umiltà di lui, non vi riuscì, gli disse: «Anche noi abbiamo tut-
to ciò che voi avete, solo per l’umiltà vi distinguete da noi e ci vincete» 28 (277cd).
36. Il padre Macario disse: «Se ci ricordiamo dei mali inflittici dagli uomini, sopprimiamo la facoltà di ricordarci di Dio 29; ma se ci ricordiamo dei mali che provengono dai demoni, diventiamo invulnerabili» (P] X, 34).
37. Il padre Pafnuzio, il discepolo del padre Macario, raccontò che l’anziano aveva detto: «Quando ero ragazzo, portavo al pascolo i vitelli insieme agli altri ragazzi. Essi andarono a rubare dei fichi, e ne lasciarono cadere a terra uno. Io lo pre-
28 Cf. n.11.
29 Anche in questo caso l’alternativa è radicale, non c’è via intermedia. Questo non nega, ovviamente, che ci sia una gradualità nel progresso spirituale; afferma però che l’unione a Dio, per sé, non può sussistere assieme al ripiegamento su se stessi alla tristezza, al rancore per i mali inflittici dagli altri. O ci ricordiamo veramente di Dio — e questo cancella dal cuore gli altri ricordi, placa le passioni, unifica e convoglia i desideri — o ci ricordiamo di
altre cose. Cf. nota 42, p. 383.
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si e lo mangiai. E quando me ne ricordo, mi metto a piangere» (277d-280a).
38. Il padre Macario raccontò: «Camminando nel deserto, trovai il cranio di un morto gettato per terra. Appena lo toccai con il mio bastone di palma il cranio cominciò a parlare. Gli dico:— Chi sei? Il cranio mi rispose: — Ero un sacerdote degli idoli dei greci che dimoravano in questo luogo. E tu sei Macario, il pneumatoforo 30. Quando tu ti impietosisci e preghi per quelli che giacciono nel luogo del castigo, essi ne hanno un po’ di consolazione. — Che consolazione e che castigo?, chiede l’anziano. Gli dice: — Quanto dista il cielo dalla terra 31, altrettanto è il fuoco sotto di noi. Siamo immersi nel
fuoco dalla testa ai piedi; e non è possibile guardarsi in faccia, perché ognuno ha le spalle attaccate alle spalle dell’altro. Ma quando tu preghi per noi, l'uno vede un po’ la faccia dell’altro: questa è la consolazione. Piangendo, l’anziano disse: — Guai al giorno in cui l’uomo è nato! 32. E chiese poi: — C'è un altro tormento peggiore? Il cranio gli dice: — Al di sotto di noi c’è un tormento più grande. Dice l’anziano: — E chi vi sta? Il cranio rispose: — Noi che non conoscevamo Dio abbiamo trovato almeno un poco di misericordia; ma coloro che conoscevano Dio e lo hanno rinnegato e non hanno comcrail prese L'anziano noi». di sotto sono volontà sua la piuto nio e lo seppellì (280ab; P]J XX, 16).
un ì sal no ia iz Eg l’ o ri ca Ma e dr pa il e ch 39. Raccontavano va ri ar r pe a av st do an qu e, ia tr Ni di e nt mo al e et Sc da no or gi cam tre Men ». nti ava più o poc un ’, «Va : olo cep dis al e diss re, minava un po’ avanti a lui, il fratello incontrò un sacerdote
30 Cf. nota 19, p. 89. 351Is55,9. 32 C£. Ger 20, 14.
Macario l’Egiziano
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pagano, e gli gridò: «Ehi, ehi, demonio, dove corri?». Quello, voltatosi gliele diede di santa ragione, tanto da lasciarlo mezzo morto 33; quindi, preso il suo bastone, proseguì il cammino. Poco dopo, mentre si affrettava per la strada, incontrò il padre Macario. Questi gli disse: «Salute, salute a te che sei affaticatrohai a «Cos e: chies gli e inò avvic si gli o l’altr to, Stupi to!». vato di buono in me, che mi hai rivolto la parola?». L'anziano gli dice: «Perché ho visto che ti stanchi, e non sai di affaticarti invano» 34. Allora il sacerdote gli dice: «Io sono stato preso da compunzione al tuo saluto e ho capito che tu appartieni a Dio. Invece un altro cattivo monaco che ho incontrato mi ha offeso e l’ho percosso a morte». L’anziano capì che si trattava del suo discepolo. E il sacerdote, afferrandogli i piedi, disse: «Se non mi fai monaco, non ti lascio andare». Giunsero poi dove giaceva il fratello, lo caricarono sulle loro spalle e lo portarono alla chiesa del monte. Si meravigliarono di vedere con lui il sacerdote pagano. E lo fecero monaco; e molti pagani per merito suo divennero cristiani. Il padre Macario soleva dire: «Una parola cattiva rende cattivi anche i buoni e una parola buona rende buoni anche i cattivi» (280c-281a). 40. Raccontavano che un ladro entrò nella cella del padre Macario, mentre egli era assente. Tornando nella sua cella, si imbatté nel ladro proprio mentre caricava il cammello con la sua roba. Entrato nella sua cella, egli stesso cominciò a portar fuori tutti gli oggetti e aiutò il ladro a caricare il cammello 35. Quando ebbero finito, il ladro si mise a battere il cammello,
perché si alzasse. Ma non si alzava. Vedendo che non si alzava, il padre Macario entrò nella sua cella e vi trovò ancora una piccola zappa. La prese, e la mise sul cammello dicendo: «Fra-
33 Cf. Lc 10, 30.
34 Cf. Fil 2, 16. 35 C£. nota 16, p. 311.
Macario l’Egiziano / Mosè
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tello, il cammello cercava questa». E, battendogliela contro un piede, l’anziano dice al cammello: «Alzati». Subito si alzò e in virtù di quella parola fece alcuni passi. Poi si sedette di nuovo e non si rialzò più finché non ebbero scaricato tutta la roba. Quindi se ne andò (281ab).
41. Il padre Aiò domandò al padre Macario: «Dimmi una parola». Il padre Macario gli disse: «Fuggi gli uomini, rimani nella tua cella a piangere i tuoi peccati, e non amare la conversazione con gli uomini. Così ti salverai». MosÈ
Nato verso il 332, morì nel 407 (Guy 1993, pp. 70-72), vîttima dell'invasione barbarica cui non aveva voluto sottrarsi (testo arabo delle Vite Copte, III, 19s., pp. 76s. e par, Pirone). Prima di farsi monaco era un ladrone; l'abbiamo già incontrato ripetutamente: contrapposto all’austerità di Arsenio per la sua cordiale amabilità (n. 38); vicino al giovane Zaccaria, di cui riconosceva la grandezza e cui non si vergognava di chiedere, lui più anziano, parole di esortazione (nn. 2, 3, 5); presso Macario în
qualità di discepolo (n. 22), ma in quest’ultimo caso per certuni poteva trattarsi di un altro Mosè, ma ora, col Guy ed altri, si è
certi che Mosè l’Etiope, già ladrone, certamente giunse a Scete prima della morte di Macario ed ebbe rapporto con lui. Era di carnagione nera, di statura gigantesca. Mangione, beone, lussurioso, era stato a capo di una banda di ladri e si era segnalato per terribili azioni brigantesche. Pare fosse giunto fino all’assassinio. Ma un giorno fu toccato dalla grazia e si recò dal santo Isidoro di Scete (cf. p. 246), che gli divenne maestro di mansuetudine e misericordia. Invidioso della sua conversione, Satana lo tormen-
tava con ogni sorta di tentazioni, fantasmi, ricordi della vita passata «per farlo ricadere nella vecchia abitudine», tanto che «poco mancò che il suo proposito si arenasse» (cf. HL, 19). Il ricordo
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Mosè
delle sue prove è rimasto tanto vivo nella tradizione, che Palladio parla soprattutto di esse nel capitolo della sua Storia Lausiaca interamente dedicato a Mosè (c. 19), e la raccolta alfabetica vuole subito, con il primo brano, delineare la durezza delle lotte di Mosè e il bisogno che ebbe dell’incoraggiamento e della con-
solazione di Isidoro. Palladio racconta ancora che «il demonio non lo poteva proprio sopportare» e lo fece pure ammalare gravemente, finché Mosè ricevette il dono di «un carisma contro i demoni, al punto che noi temiamo più le mosche di quanto egli temesse i demoni» (ibid.). Anche la Storia Ecclesiastica di Sozomeno (VI, 23) parla delle tremende tentazioni da cui era afflitto, tanto che per anni macerò il suo corpo con intere notti di veglia. Certe notti, per tenersi sveglio e per fare penitenza, faceva il giro delle celle dei monaci e riempiva le loro idrie di acqua, cosa molto faticosa, perché alcune erano parecchio distanti dal luogo in cui si trovava l’acqua. Si racconta anche che una volta fu assalito da quattro briganti, che non lo conoscevano personalmente, ma conoscevano la sua grande fama di celebre brigante. Egli non volle far loro del male, ma «li legò tutti in fascio e, collocatili sul
suo dorso come un sacco di paglia, li portò al luogo del raduno dei fratelli». Essi furono colpiti dalla sua misericordia e, saputo che era Mosè, «il famigerato e celebre brigante di una volta, glorificarono Dio e seguendo il suo esempio anch'essi abbandonarono il mondo» e si fecero monaci (HL, 19). Mosè si servì sapientemente di tutto, dei suoî peccati precedenti e delle umiliazioni che gli venivano a motivo del colore della sua pelle (nn. 3-4 e nota 13, pp. 206s.), come scuola di umiltà. E indubbiamente raggiunse alte vette nell’umiltà profonda, che non si acquista se non attraverso molte umiliazioni, che è prima di tutto accusa di sé, rinuncia a giustificarsi se accusati da altri, incapacità di giu-
dicare gli altri. Per queste caratteristiche, che emergono fortemente dai suoi apoftegmi, si rifanno a lui più di una volta i tre grandi di Gaza, fautori tanto coerenti dell'umiltà e della messa
in guardia contro il gran male di giudicare il prossimo. Cassiano racconta come Mosè fosse stato un tempo abbandonato in preda
Mosè
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a un demone crudele perché aveva detto una parola dura al padre Macario. Ma il Signore lo aveva guarito presto, grazie alle preghiere dello stesso Macario, mostrando che questo flagello era per la sua purificazione. Mosè è uno dei pochissimi che Cassiano affianca per grandezza a Macario (cf. p. 279). Cassiano dice che nel padre Mosè «niente mancò al merito della perfetta beatitudine» (Coll. IV. 5). Nelle Istituzioni, Cassiano scriverà
di Mosè addirittura che fu «il più grande di tutti i santi» (X,
25). Il grande Poemen attingerà al suo insegnamento e sarà ere-
de della sua grande dolcezza e condiscendenza (cf. p. 366). A lui Mosè indirizzò i cosiddetti «sette capitoli», che con lievi varianti si ritrovano in quasi tutte le raccolte e i manoscritti principali. Lo stesso Poemen dirà che con Mosè a Scete si è raggiunto il culmine della santità, dopo di lui i fratelli non hanno fatto progressi (n. 166). Su richiesta di molti fratelli, Mosè fu ordinato
sacerdote. Alla sua morte lasciò molti discepoli. È sempre più accolta la tradizione (cf. n. 10) secondo cui egli morì martire dell'incursione barbara a Scete nel 407-408. La presenza di que-
sto anziano è viva nel ricordo delle diverse Chiese d'Oriente; ed esse ne celebrano la memoria, assieme alla Chiesa d'Occidente,
il 28 agosto di ogni anno.
1. Un giorno il padre Mosè fu fortemente tentato di fornicazione e, poiché non riusciva più a resistere in cella, andò a
manifestarlo al padre Isidoro, e l'anziano 36 gli consigliò di ritornare nella sua cella. Ma egli non accettò e diceva: «Non ci riesco, padre». Questi allora lo prese con sé, lo condusse sul
tetto e gli disse: «Guarda verso occidente». Guardò, e vide una moltitudine innumerevole di demoni, che si agitavano e rumoreggiavano in assetto di guerra. «Guarda anche a oriente
36 Una delle versioni latine di questo brano aggiunge qui: «...lo consolò presentandogli delle testimonianze dalle Sacre Scritture» (Rufirzo 10).
Mosè
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— gli disse poi il padre Isidoro —, questi sono gli inviati di Dio in aiuto dei santi. A occidente ci sono coloro che ci fanno ì Cos 37. si» ero num più o son noi con o son che li quel ma ; guerra nelò orn rit e io, agg cor se pre , Dio ndo zia gra rin è, Mos il padre la sua cella (281bc; PJ XVIII, 12). na du ra ri, pad i e te; Sce a lo tel fra un ò cc pe no 2. Un gior n no i egl hé ic po , Ma . sè Mo e dr pa il re ma ia ch tisi, mandarono a
ti e nt ge la , ni ie «V : re di a ò nd ma gli ro te bi voleva venire, il pres
lle spa le sul do an rt po e, nn ve e e ss mo si ora all i Egl ». aspetta! dei ro nt co in no ro da an Gli . ia bb sa di a en pi ata for una cesta o lor e ss Di . ?» to es qu i ma 'è cos , re ad «P : ro se ie ch gli e li tel fra l'anziano: «Sono i miei peccati che scorrono via dietro di me senza che io li veda. E oggi sono venuto qui, per giudicare i peccati degli altri». A queste parole non dissero nulla al fratello, e gli perdonarono (281d-284a; PJ IX, 4).
3. Una volta in cui si teneva un raduno a Scete, i padri disprezzarono il padre Mosè, per metterlo alla prova. Dissero: «Perché anche questo etiope s’intromette in mezzo a noi?». A queste parole egli rimase in silenzio. Dopo che se ne furono andati, qualcuno gli chiese: «Padre, non ti sei turbato?». «Sì — dice loro — mi sono turbato, ma non ho detto nulla 38» (P] XVI, 7).
4. Del padre Mosè, raccontavano che, quando divenne chierico e gli imposero l’efod 39, l'arcivescovo gli disse: «Ecco,
padre Mosè, sei diventato tutto bianco». Ed egli: «L'esterno 31 Cf. 2 Re 6, 16. Rufino 10 ha qui un’altra aggiunta significativa: «...anche san Giovanni dice: “E più grande colui che è in noi di colui che è nel mondo” (1 Gv 4, 4)».
38 Sal 76,5. 8 6 39 È una parte dei paramenti sacerdotali, secondo le prescrizioni di Es , 655.
Mosè
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forse, signor papa, ma l’interno?». Per metterlo alla prova, l'arcivescovo disse ai chierici: «Quando il padre Mosè entra nel santuario, cacciatelo e quindi seguitelo per udire ciò che dice». L’anziano entrò nel santuario, ed essi lo insultarono e lo cacciarono dicendo: «Va’ fuori, etiope!». Egli uscì dicendo a se stesso: «Ben ti sta, o moro dalla pelle color di terra! Dato che non sei un uomo, perché vuoi andare in mezzo agli uomi-
ni?» (284ab; PJ XV, 29).
5. Un giorno fu dato ordine ai monaci di Scete di digiunare per quella settimana. E accadde che dall’Egitto 4° venissero dei fratelli in visita al padre Mosè, ed egli fece per loro un po’ di brodo. Vedendo il fumo, i vicini dissero ai chierici: «Ecco, il padre Mosè ha infranto i precetto e si è fatto un brodo».
Essi
dissero:
«Ne
parleremo
con
lui quando
verrà».
Quando giunse il sabato, i chierici, vedendo il nobile atteggiamento del padre Mosè, gli dissero di fronte a tutti: «Padre Mosè, hai infranto il precetto degli uomini, ma hai custodito quello di Dio» (284bc; PJ XIII, 4).
6. Un fratello si recò a Scete dal padre Mosè per chiedergli una parola. L’anziano gli disse: «Va’, rimani nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa» 4! (PJ II, 9). 7.Il padre Mosè disse: «Un uomo che fugge agli uomini assomiglia a una vite matura; ma quello che rimane in mezzo agli uomini è come uva acerba» (284c-285a).
8. Il magistrato sentì parlare del padre Mosè e andò a Scete per vederlo; ma alcuni avvisarono l’anziano, ed egli fuggì verso la palude. Quelli lo incontrarono per strada e gli chiese-
40 C£. nota 89, p. 127. 41 C£. Gv 14, 26. Vedi nota 10, pp. 83s.
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ro: «Dicci, anziano: dov'è la cella del padre Mosè?». Egli chiese loro: «Cosa volete da lui? È uno stolto!». Quando giunse alla chiesa, il magistrato disse ai chierici: «Poiché ho sentito parlare molto del padre Mosè, sono venuto per vederlo 4; ma abbiamo incontrato ora un anziano in cammino verso l'Egitto, e gli abbiamo chiesto: — Dov'è la cella del padre Mosè?, e ci ha detto: — Che volete da lui? È uno stolto! 43». A queste parole i i chierici si rattristarono e chiesero: «Com'era l’anziano che ha parlato in tal modo contro quel santo?». Risposero: «Era un anziano vestito.con vecchi indumenti, alto e scuro di pelle». Ed essi: «Ma questi è il padre Mosè! Vi ha risposto così perché non voleva incontrarsi con voi!». Il magistrato se ne andò molto edificato (285ab; P] VIII, 10). 9. A Scete il padre Mosè soleva dire: «Se custodiamo i precetti dei nostri padri, vi garantisco davanti a Dio che i barbari non verranno qui; ma se non li custodiamo, questo luogo sarà devastato» 44 (PJ XVIII, 13). 10. Il padre Mosè disse un giorno ai fratelli, che erano seduti attorno a lui: «Ecco, oggi verranno i barbari a Scete. Alzatevi e fuggite!». Gli dicono: «Ma tu non fuggi, padre?». Dice loro: «Aspetto da tanti anni questo giorno perché si adempia la parola di Cristo Signore che ha detto: Tutti quelli che prenderanno la spada, periranno di spada 4». Essi dissero: «Nemmeno noi fuggiremo, ma moriremo con te!». Ed egli: «Questo non mi riguarda; consideri ognuno da sé come comportarsi». Erano sette fratelli; e disse loro: «Ecco, i barbari
42 Rufino 119 invece che «sono venuto per vederlo» dice: «volevo essere benedetto da lui». 4 P] VIII, 10 aggiunge a «stolto» «eretico». 44 Come Macario (n. 5), predice la devastazione di Scete e la mette in rapporto con il decadimento dei costumi. 45 Mt 26, 52.
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sono vicini alla porta». Entrarono e li uccisero. Uno di essi fuggì spaventato dietro a un mucchio di corde, e vide sette corone scendere a incoronarli (285bc; P] XVIII, 14).
11. Un fratello interrogò il padre Mosè: «Vedo davanti a me ciò che devo compiere, ma non ci riesco». Gli disse: «Se non diventi morto come coloro che sono sepolti 46, non puoi venirne a Capo».
12. Il padre Poemen raccontò di un fratello che chiese al padre Mosè in che modo si diviene morti al prossimo. L’anziano gli disse: «Se l’uomo non si pone nel cuore di essere già da tre giorni 47 nella tomba, non giunge a questo stato» (285d; P]J X, 63).
13. A Scete dicevano che un giorno il padre Mosè, andando a Petra, si stancò molto lungo la strada. E disse fra sé: «Come potrò qui raccogliere l’acqua per me?». E venne a lui una voce che disse 48: «Entra e non preoccuparti». Entrò allora e incontrò alcuni padri. Ma aveva soltanto una piccola brocca d’acqua. Preparò un po’ di lenticchie e così la consumò tutta.
46 È un tema dominante della dottrina di Mosè l’Etiope, come si vede dal primo, secondo e ultimo numero dei «capitoli» inviati a Poemen (vedi sotto) e dal brano seguente, il quale — come capita anche altre volte — è in chiara connessione con quello che lo precede e ne fa un’esplicazione e un'applicazione. Divenire morti significa dunque piangere su se stessi e il proprio peccato, non giudicare gli altri, non far loro alcun male, non misu-
rare se stessi (cf. nota 37, pp. 381s.), essere indifferenti alle ingiurie e alle lodi (cf. nota 81, p. 123). Fondamento biblico di questa dottrina è senza dubbio la teologia dell’Apostolo: nella morte di Cristo siamo morti al peccato una volta per tutte (cf. Rm 6, 10s.); la nostra vita di risorti è nascosta col Cristo in Dio; mortifichiamo dunque le membra che sono sulla terra (cf. Col 3, 3ss.).
47 P]J X, 63 dice «tre anni» invece che «tre giorni»; comunque, già putrefatto (cf. Gv 11, 39) e del tutto irrecuperabile. 48 C£. Mt 3, 17 e 17, 5; Gv 12, 28.
Mosè
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L’anziano, angustiato, entrava e usciva 4? da quella cella prene ven a, ggi pio di ica car e, nub una che o ecc Ed . Dio do gan su Petra e riempì tutti i suoi otri. Chiedono quindi all’anziaenint «Ho : loro e dic egli Ed ?». ivi usc e i rav ent no: «Perché o tat por hai mi tu o, Ecc — : ole par ste que con tato causa a Dio sto que Per i. serv i tuo ai e ber da dar da ua acq ho qui e io non a» dat man l’ha ce egli ché fin Dio do gan entravo e uscivo, pre (285d-288a).
3° en em Po e dr pa al iò inv sè Mo e dr pa il che li ito Sette cap Colui che li metterà in pratica sfuggirà a ogni castigo e vivrà nella pace, sia che viva nel deserto sia in mezzo a dei fratelli.
1 (14). Bisogna che l’uomo sia morto al suo prossimo, per non giudicarlo in nulla (288b). 2 (15). Prima di uscire dal corpo, l’uomo deve rendersi
morto a ogni azione malvagia, così da non fare male a nessuno. 3 (16). Se l’uomo non conserva nel cuore il pensiero di essere peccatore, Dio non lo esaudisce. Disse il fratello: «Che cosa significa avere nel cuore il pensiero di essere peccatore?». Dice l’anziano: «Significa che chi porta il peso dei propri peccati non guarda quelli del prossimo».
4 Binomio biblico carico di significato: cf. Dt 28, 6; Gv 10, 9, ecc.
20 Contrariamente alla suddivisione dei codici principali, il Cotelier prosegue la numerazione progressiva dei detti di Mosè, giungendo fino al n. 18, perché alcuni dei «sette capitoli» sono unificati in un sol brano. Nel Migne e nella sua riedizione ateniese si troverà perciò questa numerazione
(segnalata tra parentesi), mentre qui si è preferito seguire la correzione presentata dal Guy nell’edizione francese.
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4 (17). Se l’azione non concorda con la preghiera, l’uomo si affatica invano 21, Disse il fratello: «Che cosa significa l’accordo dell’azione con la preghiera?». Dice l’anziano: «Significa non commettere più quei peccati per i quali preghiamo 52. Infatti, quando l’uomo ha rinunciato alle proprie volontà, Dio si riconcilia con lui e accoglie la sua preghiera». (18) E il fratello chiese: «Che cosa aiuta l’uomo in ogni sua fatica?». Gli dice l’anziano: «È Dio che aiuta; sta scritto infatti: Dioè nostro rifugio e nostra forza, aiuto nelle tribolazioni che sopravvengono con violenza 53» (288bc). 5 (18). Disse il fratello: «A cosa servono i digiuni e. le veglie dell’uomo?». Dice a lui l'anziano: «Servono a umiliare
l’anima. Sta scritto infatti: Guarda la mia umiliazione e la mia fatica, e perdona tutte le mie colpe 54. Se l’anima produce questi frutti, per essi il Signore si impietosisce su di lei». 6 (18). «Che cosa bisogna fare — chiese il fratello — al sopraggiungere di ogni tentazione e di ogni pensiero suggerito
dal nemico?». Gli dice l’anziano: «Bisogna piangere di fronte alla bontà di Dio perché ci aiuti; e troveremo presto la quiete, se la nostra invocazione sarà compiuta con conoscenza 57. Sta
scritto infatti: I/ Signore è il mio aiuto e non temerò quel che può farmi l’uomo 56».
21 Cf. Fil 2, 16. 52 La forma concisa significa evidentemente: «quei peccati dai quali preghiamo di essere liberati». 23 Sal 45,2. 24 Sal 24, 2. 93 Con «conoscenza», cioè, secondo il linguaggio del Nuovo Testamento, in modo degno della vocazione cristiana e tale da poter essere accolto da Dio, in quanto conforme alla misteriosa preghiera dello Spirito in noi (cf. Rm 8, 26). 56 Sal 117,6.
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7 (18). Il fratello chiese: «Se un uomo colpisce il suo servo per una colpa da lui commessa, cosa deve dire il servo?». L’anziano rispose: «Se è un servo buono, dirà: — Abbi pietà, ho peccato». «Non dirà nient’altro?». Dice l’anziano: «No. Dal momento in cui prende su di sé il rimprovero e dice: — Ho peccato, il suo padrone ha subito pietà di lui. Conclusione di tutto questo è: non giudicare il prossimo. Infatti, quando la mano del Signore uccise ogni primogenito in terra d’Egitto, non rimase casa in cui non vi fosse un morto» 57. Dice a lui il
fratello: «Che cosa significa questo?». «Significa — dice l’anziano — che, se prestiamo attenzione a guardare i nostri peccati,
non vediamo quelli del prossimo. Sarebbe follia se un uomo che ha in casa il proprio morto, lo lasciasse, per andare a piangere quello del prossimo. Morire al prossimo signitica che tu porti i tuoi peccati e non ti preoccupi di nessuno, se questo è
buono, o quest'altro cattivo. Non fare del male a nessuno, e non pensare contro alcuno nulla di male nel tuo cuore. Non disprezzare chi commette il male, non accondiscendere a chi fa del male al suo prossimo 58 e non gioire con chi fa del male al suo prossimo. Non dire male di nessuno; di’ invece: — Il Signore conosce ogni uomo 59. Non essere complice di chi fa maldicenza, non rallegrarti di ciò che egli dice, ma non odiare chi parla male del prossimo 60, Questo è non giudicare. Non avere ostilità verso nessuno, non conservare inimicizia nel tuo cuore e non odiare chi nutre inimicizia contro il suo prossimo. La pace è questo. In tutto ciò consolati con il pensiero: la fatica dura breve tempo e il riposo per sempre, grazie al Verbo di Dio. Amen» (288c-289c).
2Î C£. Es 12, 30. 28 Cf. Sal 14, 3. 29 Cf. Gv 2, 24. 60 Cf, Sal 100, 5.
Matoes
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MATOES
Come altri anziani famosi, visse a Ratto, attuale Tor, nella
penisola sinaitica, sul canale di Suez. La serie sistematica riporta di lui pochi detti, non permettendo così di conoscere una personalità tanto forte e unitaria, come appare dai brani che seguono. È vero però che | ’apoftegma n. 2 figura anche nella serie sistemati ca, ed esso è un po’ il fondamento e la chiave degli altri di Matoes, fondamento tanto più significativo perché è costituito da una parola della Scrittura e dalla sua interpretazione (cf. Introd,, p. 14). I brani seguenti dimostrano come Matoes fosse giunto davvero all’umiltà dei santi che sono vicinissimi a Dio. Doroteo si rifà più di una volta al detto basilare di Matoes, il n. 2, nelle prime pagine della sua istruzione sull’umiltà (IL, 33 e 35), e conclude con esso un suo pensiero sulla costruzione e l'armonia delle virtù dell'anima (XIV, 151): «Il costruttore deve porre ogni pietra sul fango... Il fango è l'umiltà, perché è fatto con la terra, che è sotto aî piedi di tutti... Il coronamento [del tetto] è l'umiltà. Essa infatti è corona e custodia di tutte le virtù. E come ogni virtà dev'essere accompagnata dall’umiltà... così anche la perfezione delle virtà ha bisogno dell’umiltà. Progredendo nella virtù i santi giungono naturalmente all'umiltà. È questo che vi dico sempre: — ». ore cat pec de ve si più to tan , Dio a na ici avv si uno più to an Qu o er gg le ro vo la un o sc ri fe re «P : eva dic es to Ma e dr 1. Il pa 9c; (28 » co po i dur che ma io, niz l’i dal so co ti fa o un a ro e duratu
. ) 1 1 I I V PJ 2.Il padre Matoes disse: «Quanto più l’uomo si avvicina a Dio, tanto più si vede peccatore. Il profeta Isaia infatti, quando vide Dio, si proclamò miserabile e impuro» 6! (PJ XV, 28). 61 Cf, Is 6,5.
332
Matoes
3. Disse ancora: «Quand’ero giovane, dicevo fra me: Forse faccio qualcosa di buono. Ma ora che sono invecchiato, vedo che non ho in me nessuna opera buona» 62 (289d).
4. Il padre Matoes disse: «Satana non sa a quale passione l’anima soggiace; semina, ma non sa se mieterà: talora sono pensieri di fornicazione, talaltra pensieri di maldicenza, e allo stesso modo anche per le altre passioni. Somministra poi all'anima la passione, alla quale la vede propendere» 6 (PJ X, 35).
e om «C se: dis gli e es to Ma re pad dal ò rec si lo tel fra Un 5. mai quelli di Scete fanno più di quanto non dica la Scrittura, amano cioè i propri nemici più di se stessi?» &. Il padre Matoes gli disse: «lo però non amo ancora come me stesso nemmeno chi mi ama» (292a). 6. Un fratello chiese al padre Matoes: «Che devo fare se viene a trovarmi un fratello in giorno di digiuno o la mattina presto? La cosa mi angustia». Gli dice l’anziano: «Se invece di rattristarti, mangi assieme al fratello, fai bene 6. Ma se non aspetti nessuno e mangi, questa è una tua volontà». 62 Questo detto è collegato al precedente e mostra il reale progresso in Dio di questo santo. Nella storia della spiritualità si possono trovare tanti passi paralleli. Da santa Teresa del Bambin Gesù ne riportiamo uno fortemente analogo: «All’inizio della mia vita spirituale, verso l’età dai tredici ai quattordici anni, mi chiedevo ciò che più tardi avrei avuto da acquistare perché credevo che mi fosse impossibile capire meglio la perfezione; ho riconosciuto ben presto che, più si va avanti su quel cammino, più ci crediamo lontani dalla mèta, così ora mi rassegno a vedermi sempre imperfetta, e trovo in
ciò la mia gioia...» (MA 209, p. 203). 63 Il brano n. 3 di Macario illustra in modo plastico, sceneggiato con grande abilità, questa affermazione. 64 Cf. Mt 5, 44. 65 Vedi quanto ha fatto il padre Mosè (n. 5) non temendo le critiche di alcuni.
Matoes
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7. Il padre Giacobbe raccontò: «Mi recai dal padre Matoes e, quando stavo per andarmene, gli dissi: — Voglio recarmi alle Celle. Mi disse: — Salutami il padre Giovanni! Quando giunsi dal padre Giovanni, gli dissi: — Il padre Matoes ti saluta. E l'anziano a me: — Il padre Matoes, ecco veramente un israelita nel quale non vi è inganno 6. Dopo un anno, ritornai dal padre Matoes e gli riferiti il saluto del padre Giovanni. E l'anziano disse: - Non sono degno delle sue parole. Ma, quando tu odi un anziano che loda il suo prossimo più di se stesso, sappi che egli è giunto a grande misura: questa infatti è la perfezione, lodare il prossimo più di se stessi» (292ab). 8. Il padre Matoes raccontò: «Un fratello venne da me e mi disse: — La maldicenza è peggio della fornicazione. E io dissi: — Questo discorso è duro &. Mi dice: — Tu invece cosa ne pensi? Dissi: — Certo la maldicenza è cattiva, ma si può curarla in fretta. Il diffamatore può pentirsi ripetutamente e dire: — Ho parlato male. Ma la fornicazione è la morte del corpo 68» (292bc). 9. Un giorno il padre Matoes si recò da Raito alla regione di Magdolo e aveva con sé il suo fratello. Il vescovo prese l'anziano e lo fece presbitero. Mentre pranzavano insieme, il vescovo disse: «Perdonami, padre, so che non volevi questa cosa. Ma ho osato farlo per essere benedetto da te». E l'anziano gli disse umilmente: «Certo il mio pensiero ne aveva poca voglia; ma questo soprattutto mi affligge, che devo separarmi dal fratello che è con me, e non riesco a fare da solo tutte le preghiere». Gli dice il vescovo: «Se tu sai che è degno, io lo ordino». «Se sia degno non lo so, gli dice il padre Matoes, questo solo so, che è migliore di me». Allora ordinò anche lui. Ma
66 Gv 1, 47. 67 Cf. Gv 6, 60. 68 Cf. 1 Cor 6, 18.
Matoes
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entrambi morirono senza essersi avvicinati all’altare per offrire il sacrificio. L’anziano diceva: «Confido in Dio, di non avere
troppa colpa per l’ordinazione se non celebro l'Eucaristia, perché l'ordinazione è per coloro che sono irreprensibili» 69 (292c-
293a; P] XV, 27).
dal no ro ca re si i an zi an tre che se dis es to Ma 10. Il padre ce Di . ola par a un li rg de ie ch per la fa Ke to det io uz fn padre Pa rispi la ro pa a Un a? dic vi che ete vol a cos he «C o: an zi an loro l’ e dic e, at nd «A . e» al tu ri pi «S : no co di Gli ». e? al or rp tuale o co più o zz re sp di il , ete qui la del più ne io az ol ib tr la e at loro, am della gloria, il dare più del ricevere». 11. Un fratello chiese al padre Matoes: «Dimmi una parola». Gli disse: «Va’, prega Dio di porti nel cuore compunzione e umiltà. E pensa sempre ai tuoi peccati, e non giudicare gli altri, ma poniti al di sotto di tutti. E non coltivare amicizia con un fanciullo, né conoscenza con una donna, né avere per amico un ere-
tico. Recidi la spavalderia. Trattieni la tua lingua e il tuo ventre, così da non bere vino, nemmeno un poco. Quando qualcuno parla di qualche argomento, non contendere con lui, ma, se parla bene, di’: — Sì; se parla male, di’: — Tu sai quel che dici. É non discutere con lui su ciò che ha detto. Questa è l’umiltà» (293ab).
12. Un fratello chiese al padre Matoes: «Dimmi una parola». Gli disse: «Per ogni cosa recidi da te lo spirito di contesa; piangi e fa’ lutto 79, perché si è avvicinato il tempo» 71. 13. Un fratello chiese al padre Matoes: «Che devo fare? La mia lingua mi è causa di afflizione: quando giungo in mez69 Ricorre più volte il timore sacro di accostarsi all’altare e il rifuggirne per umiltà (cf. Teodoro di Ferme 25 e Isacco delle Celle 1). 70 C£. Gc 4,9. 71 Cf. Lc 21,8.
Matoes / Marco discepolo di Silvano
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zo agli altri, non riesco a trattenerla, ma in ogni loro buona azione trovo da giudicarli e accusarli. Che devo dunque fare?». L’anziano gli rispose: «Fuggi nella solitudine. È debolezza infatti. Chi vive con dei fratelli, non deve essere un cubo, ma una sfera, per poter rotolare verso tutti». E disse: «Non
per virtù vivo in solitudine, ma per debolezza; sono forti infatti quelli che vanno in mezzo agli uomini» 72 (2930). MARCO DISCEPOLO DI SILVANO
L'abbiamo già visto porre ad Arsenio una domanda sulla rinuncia a qualsiasi conforto nella propria cella (n. 22). Il suo maestro Silvano era maestro anche di Zenone e Zaccaria (cf. pp. 193 e 197). Le storie di Marco manifestano la radicalità della sua rinuncia agli affetti e della sua obbedienza tutta sovrannaturale al padre spirituale. L'ultimo racconto ci mostra come il Signore sia venuto a prendere il suo servo fedele mentre era ancora giovane, ancora soltanto discepolo e figlio, e insieme
72 Questa affermazione non va assolutizzata; in ogni caso bisogna tener conto della grandissima umiltà di Matoes che gli faceva affermare senz'altro che quanto faceva lui era la parte dei più deboli; come sempre in simili casi, bisogna pure tener conto dell’eventuale sfumatura che l’anziano può sottolineare in rapporto all'esigenza specifica dell’interlocutore. Tutta-
via la conclusione di questo detto, data la premessa, rimane un po’ strana e
poco convincente, perché altre volte è affermato con forza che non si può nella solitudine risolvere ciò di cui non si è venuti a capo nella vita comune
(cf. Longino 1; PJ VII, 33 = N 201; P] X, 110 = N 243). Questo brano è indi-
cativo della dialettica non risolta tra la vita comune e la vita solitaria (cf. pp. 146s., 271ss., 300ss.) e dell’«impasse» in cui inevitabilmente ci si trova quando si spinge troppo avanti la teoria in astratto sulla maggiore o minore perfe-
zione di oggettive quel che ciascuno vuole (cf.
uno stato di vita. Certo sono sempre valide delle considerazioni sui vantaggi o i rischi dell’una o l’altra strada, ma in ultima analisi conta è il concretarsi per il singolo della chiamata di Dio che dà a il proprio carisma (cf. 1 Cor 7, 7) nel modo e nel luogo che egli Nisteroo 2).
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Marco discepolo di Silvano
abbia suggellato la sua grandezza spirituale col dargli il presenti mento della morte (cf. p. 476; N 622). Questo miracoloso presentimento del transito ritorna più volte nei racconti sui padri del deserto. I pellegrini in Egitto devono essere stati molto colpiti da un simile prodigio, perché lo rievocano ripetutamente — Moschos riferisce parecchi casi (cc. 5, 8b, 90, 91, 93, 160). Secon-
do l’autore dell’Historia Monachorum (I, 65), ron solo il grande Giovanni di Licopoli (cf. Bessarione 4) si sarebbe addormentato in questo modo, ma egli avrebbe visitato un cenobio della Tebaide nel quale «i monaci erano così santi che potevano tutti compiere dei miracoli, e nessuno tra loro si era mai ammalato prima di morire, quando giungeva per ciascuno l’ora del transito, egli l’annunciava in anticipo a tutti, quindi sdraiatosi si addormentava» (XVII, 3).
1. Raccontavano che il padre Silvano aveva a Scete un discepolo di nome Marco, molto obbediente, il quale era scrivano. Il vecchio l’amava per la sua obbedienza, ma aveva anche altri undici discepoli che soffrivano perché amava lui più di loro. Udendo ciò, gli anziani si rattristarono. Si recarono da lui un giorno e lo rimproverarono. Egli allora uscì conducendoli con sé, e bussò ad ogni cella dicendo: «Tu, fratello, vieni, perché ho bisogno di te». E non vi fu uno che lo seguisse subito. Quando giunse.alla cella di Marco, bussò dicendo: «Marco». All’udire la voce dell’anziano egli balzò fuori immediatamente. E lo mandò a compiere un servizio. Chiese poi agli anziani: «Padri, dove sono gli altri fratelli?». Quindi, entrando nella cella di Marco, prese in mano il suo quaderno, e vide che aveva cominciato a scrivere un omega, ma, alla voce dell’anziano, non aveva
voltato la penna per completarlo 73. Dissero allora gli anziani: 73 Anche in questo caso si trova un sorprendente riscontro in santa Teresa del Bambin Gesù: un mese dopo il suo ingresso in Carmelo, scrivendo una lettera interruppe a metà la parola suora, al suono della campana,
Marco discepolo di Silvano
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«Davvero, padre, colui che tu ami lo amiamo anche noi, perché
Dio lo ama» (293d-296a; PJ XIV, 5).
2. Raccontavano che il padre Silvano passeggiava un giorno a Scete con gli anziani. Poiché voleva mostrare loro l’obbedienza del suo discepolo Marco e il motivo per cui l’amava, vedendo un piccolo cinghiale, gli disse: «Vedi, figliuolo, questo piccolo bufalo?». Gli dice: «Sì, padre». «E le sue corna, non
sono eleganti?». Dice: «Sì, padre». Gli anziani si stupirono della sua risposta e furono edificati dalla sua obbedienza (296b). 3. Scese a Scete un giorno la mamma del padre Marco per vederlo e venne in grande pompa. L’anziano le uscì incontro; ella gli disse: «Padre, di’ a mio figlio di uscire, perché io lo veda». Il vecchio, entrato, glielo disse, ed egli uscì per vedere
sua madre: indossava un grembiule fatto di pezze ed era annerito dal fumo della cucina. É poiché era uscito per ubbidienza, chiuse gli occhi e disse: «Salve salve salve!». Ma non li guardò. Sua madre non lo riconobbe, e mandò dunque di nuovo a chiedere all’anziano: «Padre, mandami mio figlio, perché io lo veda». Ed egli disse a Marco: «Non ti ho detto: — Esci, perché tua madre ti veda?». «Sono uscito, padre, secondo la tua parola, ma, ti prego, non dirmi di uscire un’altra volta, perché io non ti disobbedisca». Uscì l’anziano a dire alla madre: «È lui che vi ha incontrato e vi ha detto: — Salve!». Quindi la con-
gedò dopo averla consolata (296bc; P] XIV, 6).
4. Un’altra volta gli avvenne di uscire da Scete e di andare al monte Sinai e vi si trattenne. La madre di Marco mandò a scongiurare l’anziano con lacrime, perché suo figlio uscisse e potesse vederlo. L’anziano glielo permise; ma, appena egli lasciando suo... Riprese più tardi a scrivere e disse: «Ho interrotto questo mio bigliettino di risposta proprio nel momento in cui avrei voluto dire tante cose... La vita è piena di sacrifici, è vero! Ma quale onore!» (L 28, p. 427).
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Marco discepolo di Silvano / Milesio
ebbe indossato il mantello per uscire e venne a salutare l’anziano, subito scoppiò a piangere e non vi andò (296cd).
5. Raccontavano del padre Silvano che, quando voleva andare in Siria, il suo discepolo Marco gli disse: «Padre, non voglio andar via di qui, ma non lascio andare neppure te; padre, rimani qui altri tre giorni». E al terzo giorno morì (PJ XVIII, 15). MILESIO
1. Un giorno in cui il padre Milesio passò per un certo luogo, vide un monaco tenuto fermo da qualcuno, come se avesse commesso un omicidio. L’anziano, avvicinatosi, inter-
rogò il fratello e, appreso che era vittima di una falsa accusa, disse a coloro che lo tenevano stretto: «Dov'è l’ucciso?». Glielo mostrarono, ed egli, avvicinatosi, disse a tutti di pregare. E, mentre protendeva le mani verso Dio, il morto si alzò e gli raccontò tutto. «Di’ chi ti ha ucciso», gli disse l'anziano davanti a tutti. Ed egli: «Entrando in chiesa ho dato al presbitero del denaro, ed egli si è levato contro di me e mi ha ucciso. Quindi mi ha preso e gettato nel monastero del padre; vi prego dunque, prendetegli il denaro e datelo ai miei figli». Allora l’anziano gli disse: «Va’ e dormi, fino a che il Signore venga e ti risve-
gli» (297a; PJ XIX, 9).
2. Del padre Milesio raccontavano che, mentre viveva con due discepoli ai confini della Persia, due figli del re, fratelli secondo la carne, andarono a caccia, come erano soliti fare. Tesero le reti per un lungo tratto, forse quaranta miglia, per cacciare e uccidere con le lance tutto ciò che si trovasse entro le reti. Ma vi si trovò dentro anche l’anziano con i suoi discepoli. Vedendolo con i capelli lunghi, selvaggio di aspetto, furono presi da stupore e gli chiesero: «Sei un uomo o uno spirito?». Disse loro: «Sono uomo e peccatore, e sono
Milesio / Motio
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uscito dal mondo per piangere i miei peccati. E adoro Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente 74». Ma essi gli dissero: «Non vi è altro dio che il sole, il fuoco e l’acqua — che essi veneravano —, vieni a sacrificare ad essi». «Queste sono creature, disse loro, e voi siete in errore. Convertitevi, vi prego, e riconoscete il vero Dio che ha creato tutte queste cose». Ma essi: «Tu dici che è vero Dio colui che è stato condannato e crocifisso?». E l’anziano: «Colui che ha crocifisso il peccato e ucciso la morte, questi dico che è Dio vero». Ma essi torturarono lui e i tratelli, per costringerlo a sacrificare 75. E, dopo averli molto tormentati, decapitarono i due fratelli, mentre continuarono a torturare l'anziano per più giorni. Infine, secondo la loro arte, lo posero in mezzo e gli lanciarono frecce, uno di fronte, l’altro da tergo. Ma egli disse loro: «Poiché vi siete trovati d’accordo nel versare sangue innocente, domani a quest'ora in un attimo vostra madre sarà privata dei suoi figli e del vostro amore, e voi con le vostre frecce verserete l’uno il sangue dell’altro». Essi disprezzarono la sua parola e il giorno dopo andarono a caccia. Un cervo scappò via da loro. Saliti sui cavalli, corsero per catturarlo; ma, nel lanciargli contro le frecce, se le infissero l’un l’altro nel cuore, secondo ciò che il vecchio aveva loro detto, maledicendoli. E morirono (297bcd; PJ VII, 12).
MoTIO
Il secondo racconto ci fornisce i soli dati biografici che di lui si possiedono. L’episcopato di Cirillo di Alessandria si estese dall'anno 412 al 444, perciò l'ordinazione di Motio deve risalire a questo periodo.
74 C£. Mt 16, 16. 79 Sacrificare agli idoli, apostatando dall’unico vero Dio.
Motio
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1. Un fratello chiese al padre Motio: «Se vado a fissare dimora in un luogo, come vuoi che viva colà?». Gli dice l'anziano: «Se abiti in un luogo, non desiderare di farti una rinomanza in alcuna cosa, come per esempio: — Non vado alla liturgia; oppure: — Non prendo parte al banchetto fraterno, perché queste cose producono una rinomanza vana, e te ne verrebbero poi dei fastidi. Infatti la gente corre là dove trova questo genere di cose». «Ma che devo fare allora?», chiese il fratello. Gli dice l’anziano: «Dove tu abiti, comportati come gli altri, e fa’ ciò che vedi fare a coloro della cui pietà sei certo. E troverai la quiete; questa infatti è umiltà, che tu sia uguale a loro. E la gente, vedendo che non ti distingui dagli altri, ti considererà uguale a tutti, e nessuno ti disturberà» (3002).
2. Il padre Isacco raccontò del padre Motio, di cui era discepolo, che entrambi divennero vescovi. L'anziano dapprima aveva costruito un monastero presso Eracla; quando poi partì di là, si recò in un altro luogo e anche lì ne costruì un altro; per opera del diavolo vi si trovò un fratello che lo odiava e lo tormentava; l'anziano allora partì di là e si ritirò nel suo villaggio nativo, si costruì un monastero, e vi si chiuse dentro. Trascorso
del tempo, vennero da lui gli anziani del luogo da cui era partito, portando con sé il fratello che laggiù aveva ostilità contro di lui, e gli chiesero di prenderlo con sé nel monastero. Quando giunsero dove viveva il padre Sores, lasciarono presso di lui i loro mantelli e il fratello che aveva quella ostilità. Quando bussarono, l'anziano gettò giù la scaletta 76, si sporse dalla finestra, li riconobbe,
e disse: «Dove
sono i vostri mantelli?». Dissero:
76 Abbiamo così anche un’immagine della cella di un «recluso»: per rendere più difficile a se stesso l’uscita e a eventuali visitatori l’accesso, sbarrava la porta in modo tale che si potesse passarla soltanto abbattendola. Il minimo di comunicazioni indispensabili con l’esterno avveniva attraverso una finestra del piano superiore da cui, come qui si vede, il recluso poteva calare una scaletta.
Motto / Meghezio
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«Sono là col tal fratello». All’udire il nome del fratello che lo aveva fatto soffrire, per la gioia l'anziano imbracciò un'’ascia, abbatté la porta e uscì correndo là dov'era il fratello. Per primo gli si prostrò davanti e lo abbracciò. Lo condusse poi nella sua cella; e per tre giorni li trattenne affabilmente e stette con loro; cosa che non era solito fare. Quindi partì con loro, e dopo di ciò divenne vescovo, poiché era molto celebre. Il beato Cirillo con-
sacrò vescovo anche il suo discepolo, il padre Isacco (300bcd). MEGHEZIO
Come indica chiaramente il secondo apoftegma, sono qui congiunti detti che appartengono a più di un anziano di nome Meghezio. L'ultimo detto — riportato come anonimo in altre raccolte (PJ] X, 105 = N 238) — riprende un tema molto diffuso,
quasi stereotipo, già presente nella retorica classica: la «lode del tempo passato», il giudizio amaro sulla generazione presente a confronto delle precedenti. Questa sentenza ritorna più volte con varianti più o meno accidentali, nelle raccolte anonime (cf. PJ X, 114 = N 228; PJ XVII, 19 = N 349, ecc.), dimostrando così che si tratta di una tradizione diffusa, non tanto di un pensiero caratteristico di uno o più anziani ben determinati. Nella raccolta alfabetica, vediamo che si pronunciano in questo senso anziani famosi (cf. Antonio 23 e Isacco delle Celle 7; Macario 25,
ecc.). Abbiamo già considerato (nota 67, p. 278) come questo tema non sia soltanto un luogo comune, ma rifletta anch'esso il pensiero profondo dei padri sull’acuirsi della lotta escatologica (cf. Introd., pp. 535.) all'avvicinarsi dell'ultimo giorno.
1. Raccontavano che il la sua cella; e se gli veniva il go, non ritornava nella sua delle cose di questo mondo,
padre Meghezio soleva uscire dalpensiero di abbandonare quel luocella, perché non aveva nessuna tranne un solo ago, con cui cuciva
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Meghezio / Mios
le foglie di palma. Faceva tre piccoli canestri al giorno, per il suo sostentamento (300d). 2. Di un altro padre Meghezio raccontavano che era molto umile; era stato istruito dagli egiziani e aveva avuto consuetudine con molti padri, anche con il padre Sisoes e con il padre Poemen. Viveva presso un fiume nelle vicinanze del Sinai. Avvenne che uno dei santi si recò da lui come egli stesso raccontava, e gli chiese: «Come vivi, fratello, in questa solitudine?». E Meghezio: «Digiuno un giorno sì e un giorno no e mangio un pezzo di pane». Il fratello gli dice: «Se vuoi ascoltarmi, mangia ogni giorno metà pane». È, facendo così, trovò la quiete (3012).
3. Alcuni padri chiesero al padre Meghezio: «Se rimane qualcosa di cotto per il giorno seguente, vuoi che i fratelli lo mangino?». Dice loro l’anziano: «Se è andato a male, non è bene che i fratelli siano costretti a mangiarlo e si ammalino; lo si getti via. Ma se è buono e lo si getta per lusso e se ne cuoce un altro, questo è male» (301ab).
4. Disse anche: «All’inizio, quando ci incontravamo e ci ammonivamo l’un l’altro con discorsi utili all'anima, diventavamo cori e cori, e salivamo ai cieli. Anche ora ci incontriamo,
ma poiché lo facciamo per dir male l’uno dell’altro, ci trasciniamo in basso» (PJ X, 105). MIos
1. Il padre Mios, quello di Belos, disse: «Obbedienza per obbedienza: se qualcuno obbedisce a Dio, Dio obbedisce a lui» 77 (301b). 77 Questo testo dice con altre parole quanto è rivelato in un salmo: «Il Signore fa la volontà di quelli che lo temono» (Sal 144, 19). L’obbedienza ta
Mios
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2. Il padre Mios raccontò di un padre di Scete, che proveniva da una famiglia di schiavi. E divenne pieno di discernimento. Ogni anno si recava ad Alessandria per portare ai padroni il suo salario. Essi gli venivano incontro e gli si gettavano ai piedi. L'anziano versava dell’acqua in un catino e la portava per lavare i piedi dei suoi padroni. Ma essi gli dicevano: «No, padre, non imporci questo!». Ma egli diceva loro: «Io mi dichiaro vostro servo, e un servo pieno di gratitudine, perché mi avete lasciato libero di servire Dio; io voglio lavarvi, e voi accettate questo mio salario». Ma essi discutevano non volendo accettare. Diceva quindi loro: «Se non volete accettare, rimarrò qui come vostro schiavo». Essi allora con venera-
zione gli lasciavano fare quel che desiderava. Lo congedavano quindi con grande onore e gli davano molti beni perché facesse elemosine per loro; e per questo divenne rinomato e amato a Scete (301cd; PJ XV, 31).
3. Un soldato chiese al padre Mios se Dio accoglie la penitenza. Egli, dopo averlo istruito con molti discorsi, gli disse: «Rispondimi, carissimo: quando il tuo vestito si strappa, lo getti via?». Dice: «No, lo cucio e continuo a usarlo». Dice l'anziano: «Se dunque tu hai pietà del tuo abito, Dio non avrà pietà della sua creatura?» 78 (301d-304a).
veramente prodigi, perché l’uomo obbediente è trasformato nel Cristo fattosi obbediente fino alla morte (cf. Fil 2, 8) e in lui viene glorificato, deificato (cf. Iperechio 8). Chi recide a poco a poco la propria volontà giunge fino a «non avere più affatto volontà propria. Qualsiasi cosa gli succeda ne è contento, come se fosse stato lui a volerla. Proprio quando non vuole più fare la sua volontà, si trova a farla sempre» (Doroteo, Irs. I, 20). É questo il più grande miracolo dell’obbedienza e della rinuncia a se stessi. Ma comporta una lotta equivalente al martirio (cf. nota 158, pp. 422s.). 78 C£. Gio 4, 10s.
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Marco l’Egiziano
Marco L’EGIZIANO
È altra persona dal Marco discepolo di Silvano incontrato sopra. Non si sa se sta lo stesso Marco che Palladio incontrò ancor giovane presso Macario d'Alessandria a Scete. Di questo Marco, Macario Alessandrino avrebbe raccontato a Palladio: «Ho notato che, alla distribuzione dei divini misteri, io non die-
di mai la comunione all’asceta Marco, ma dall'altare gliela porgeva un angelo, di cui io vedevo solo il pollice della mano». E Palladio aggiunge: «Questo Marco era giovane; recitava a memoria l'Antico e il Nuovo Testamento; era mite in sommo grado e prudente senza confronto» (HL, 18). Raccontavano che il padre Marco l’Egiziano visse per trent'anni senza uscire dalla sua cella; vi era un presbitero che soleva venire a celebrare per lui la santa Eucaristia. Il diavolo, vedendo l’ammirevole costanza di quell'uomo, tramò contro di lui la tentazione di giudicare il prossimo. Dispose che un ossesso andasse dall’anziano col pretesto di chiedergli preghiere; ma quest’ossesso, prima di ogni altro discorso, disse così all’anziano: «Il tuo presbitero ha odore di peccato, non lasciarlo più entrare da te». Quell’uomo pieno di spirito divino gli disse: «Figlio, tutti gettano via l'impurità, ma tu me l’hai portata qui; sta scritto: Non giudicate per non essere giudicati 79. Anche se è un peccatore, il Signore lo salverà, poiché sta scritto: Pregate gli uni per gli altri per essere sanati 8°». E con questa parola, pronunciando una preghiera, fece fuggire il diavolo da quell’uomo, e lo rimandò sano. Quando, secondo il solito, giunse il presbitero, l'anziano lo ricevette con gioia; e il buon Dio, vedendo l’innocenza dell'anziano, gli mostrò un segno. Quando il presbitero fece per
9Mt7,1. 80 Gc 5, 16.
Marco l’Egiziano / Macario il Cittadino
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mettersi di fronte alla santa tavola, come lo stesso anziano rac-
contò: «Vidi un angelo del Signore discendere dal cielo e porre la sua mano sulla testa del chierico; e questi divenne come colonna di fuoco 81. E io, preso da stupore per la visione, udii una voce che mi diceva: - Uomo, perché ti meravigli di questa cosa? Se un re terreno non permette che i suoi magnati stiano sporchi di fronte a lui, ma li vuole ornati di grande gloria, quanto più la potenza divina non purificherà quelli che servono i santi misteri stando dinanzi alla gloria celeste?». Marco l’Egiziano, il grande e forte atleta di Cristo, fu reso degno di questo dono, perché non aveva giudicato il chierico (304abc). MACARIO IL CITTADINO
Macario d’Alessandria o «il Cittadino» è così ricordato dal: la tradizione per distinguerlo da Macario il Grande o «l’Egiziano». Di fatto però le fonti non sono sempre riuscite a distinguere e banno confuso i due Macario, attribuendo gli stessi episodi ora all’uno e ora all’altro. Il terzo apoftegma, ad esempio, attribuisce a questo Macario e non all’altro (vedi invece N 16) il fatto di recarsi da un fratello ogni giorno, per quattro mesi consecutivi. Palladio (HL, 18) attribuisce a questo Macario il delizioso episodio della pelle di iena, che è stato riportato e commentato nell’introduzione (p. 44) e che l’Historia Monachorum (c. XXD riferisce a Macario il Grande. E così ancora per altri episodi. Ma di questo Macario vi sono anche parecchie notizie chiare e distinte. In uno studio recente è stata condotta la ricostruzione e l'attribuzione delle due fonti (Guillaumont 1975). Socrate, uno degli autori di storia ecclesiastica del V secolo, confronta i due Macario designando Macario l’Egiziano con l’espressione biblica «vaso di elezione» (cf. At 9, 15) e dicendo che egli era molto gra-
81 Cf. Es 13,21.
Macario il Cittadino
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ve e austero, mentre Macario d'Alessandria, pur essendogli simile in tante cose, era più ilare e sapeva meglio dilettare e attirare i giovani (HE, IV 23). Macario d'Alessandria, nato nel 293, sopravvisre mori per ne, nten nova morì che , ello frat e tro maes suo se al l’indopo anno che qual 393, nel io, enar cent evo, long ancor più contro con Palladio che lo vide presbitero alle Celle. Egli provenisua la dopo to subi rio Maca de gran al o unit era si va da Scete, dove della a Prim . anni 40 di tà all’e nuti avve o, esim batt il e one ersi conv 17), (HL, adio Pall di a dett a rio, Maca ndo seco il one, conversi
ria. sand Ales ad ere icci past di one essi prof la to cita eser avrebbe (una e ibil cred o men r anco e a tard più o molt e font una ndo Seco suo il one ersi conv a dell a prim , ria) enda legg o molt a copt vita mestiere sarebbe stato invece quello di fare il mimo. Come a Mosè ex-ladrone si presentano dei ladroni, che alla sua vista sono presi da compunzione, si convertono e si danno alla vita monastica (cf. p. 322), così vanno un giorno a trovare Macario ex-mimo sette
mimi, che prima mormorano contro di lui e in seguito restano monaci con lui. Le fonti gli attribuiscono moltissime lotte contro il demonio e moltissimi prodigi. Per un certo tempo fu fortemente tentato di lasciare la sua vita di penitenza e solitudine per andare a Roma a guarire gli infermi. Infine una notte sgominò la tentazione camminando a lungo nel deserto, dopo essersi caricato sulle spalle una cesta da due moggi piena di sabbia. A un tale che lo incontrò e gli disse: «Cedimi il tuo carico e non ti affaticare»,
rispose: «Tormento colui che mi tormenta ®, perché, se gli dono riposo, mi reca dei pensieri dicendo: — Alzati, va’ all’estero» (HL, 18). Abbiamo già visto (cf. b. 301) come Macario d'Alessandria fu esiliato insieme all’altro Macario, fra il 373 e il 375, a motivo della persecuzione ariana. Rufino racconta che furono confinati in
un'isola del delta abitata da soli pagani. In seguito alla guarigione della figlia indemoniata del sacerdote pagano del luogo, la popolazione dell'isola si convertà distrusse il tempio pagano ed edificò 82 Cf. N 12.
Macario il Cittadino
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una chiesa. I due Macario poterono ritornare nel loro deserto (HE, II, 4). L'autore dell'Historia Monachorum bha incontrato Macario d'Alessandria mentre era ancora a Scete, e sottolinea la
sua grandezza dicendo che in quel luogo di difficilissimo accesso «non vi sono che uomini perfetti, perché nessuno che non sia perfetto può restare in quel luogo che è selvaggio e privo di ogni cosa necessaria alla vita» (XXIII, 1). Riporta poi un episodio, che concerne entrambi i Macario, il quale sarà ripreso dalla serie sistematica latina (PJ XX, 15) e da altre fonti. L'esempio di grande povertà dei due santi e una frase arguta del secondo Macario avrebbe indotto a compunzione un ricco tebano che «si spogliò delle sue vesti e cominciò a vivere da monaco, facendo molte elemosine». Le Chiese orientali, compresa quella greco-ortodossa, venerano come santo anche questo Macario. 1. Il padre Macario il Cittadino andò un giorno a tagliare rami di palma, e i fratelli con lui. Il primo giorno gli dissero: «Vieni a mangiare con noi, padre!». E andò a mangiare con loro. Anche il giorno seguente gli dissero di mangiare. Ma egli non volle e rispose loro: «Voi avete bisogno di mangiare, figliuoli, perché siete ancora carne, ma io ora non voglio mangiare» (304d).
2.Il padre Macario si recò dal padre Pacomio di Tabennesi; e Pacomio gli chiese: «Quando vi sono dei fratelli indisciplinati, è bene castigarli?». Il padre Macario gli disse: «Castiga e giudica con giustizia quelli che sono sotto di te, ma non giudicare nessuno di quelli che sono fuori. Sta scritto infatti: Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudica Iddio 83» (304d-305a). 8 1 Cor 5, 12s. Questa applicazione va al di là della portata diretta del testo paolino, in cui «quelli di dentro» sono i cristiani, e «quelli di fuori» i pagani.
348
Macario il Cittadino
3. Per quattro mesi il padre Macario si recò ogni giorno da un fratello, e non lo trovò neppure una volta a prendersi riposo dalla preghiera. Disse allora con stupore: «Ecco un angelo in terra!» 84.
84 Soprattutto per questo sguardo rivolto costantemente a Dio, come
quello dei cherubini e dei serafini (cf. Bessarione 11), la tradizione ha amato chiamare «angelica» la vita di coloro che si sono consacrati a Dio (cf. PJ V, 34) nella verginità (cf. Lc 20, 36) e nella lode perenne a lui (cf. Mt 18, 10). Chi conduce una vita di preghiera, vive in grande comunione con gli angeli. Questi giocano infatti un grande ruolo negli apoftegmi: li vediamo intervenire spesso, per consigliare, consolare, rimproverare, rassicurare gli anziani. Chi è purificato dalle lacrime, dalla mortificazione, dall’obbedienza, dalla preghiera continua, diventa simile agli angeli (cf. Evagrio, Preghiera 113),
come è detto più volte (cf. Arsenio 42; Giovanni di Tebe; Carione 2; N 46, ecc.). É un aspetto del dominio sulla creazione, del superamento delle sue
barriere, di cui si è a lungo trattato nell’introduzione (pp. 42-45). La tradizione monastica, soprattutto orientale, ha sviluppato con ampiezza la dottrina della «vita angelica».
NILO
Nilo di Ancira era discepolo di san Giovanni Crisostomo. Era sposato e aveva un figlio e una figlia; d'accordo con la moglie, si ritirò col figlio, per condurre vita monastica sul monte Sinai, mentre moglie e figlia si ritirarono, allo stesso scopo, in Egitto. Fu autore di molte lettere e scritti ascetici, di fatto però sono stati attribuiti a lui molti scritti di Evagrio Pontico: poiché questi fu condannato dal Concilio di Costantinopoli del 553, i bizantini,
che non potevano confessarlo pubblicamente e d'altronde non volevano rinunciare alla lettura delle sue opere largamente presenti anche nella Filocalia, le camuffarono così sotto altri nomi soprattutto quello di Nilo. Le sentenze qui raccolte sono tratte dallo scritto sulla preghiera, il De oratione di Evagrio Pontico, attribuito dai manoscritti greci a Nilo, mentre quelli siriaci e arabi, di molto precedenti, lo attribuiscono a Evagrio Pontico, cut sicuramente appartiene. Le sue opere ascetiche sono quelle più esenti dalle punte meno ortodosse del suo pensiero, ma la Chiesa siriaca ha epurato il più possibile da queste punte le stesse opere speculative, ha tramandato con grande ampiezza gli scritti di Evagrio e lo venera come padre della Chiesa. Di fatto non si finirebbe mai di scegliere, dal trattato sulla preghiera e da altre sue opere, massime, frasi, brani stupendi da aggiungere a questa scelta già così suggestiva ma tanto breve. Alcuni esempi, dal trattato Sulla preghiera: «Se tu sei un “sopportatore” pregherai sempre con gioia» (23); «Se tu aspiri all’orazione, rinuncia a tutto per ottenere tutto» (36);
350
Nilo
«Ogni guerra ingaggiata contro di noi dagli spiriti non è scagliata per nient'altro che per l’orazione spirituale, poiché essa è loro molto ostile e odiosa, ma a not è salutare e molto opportuna» (49);
«Beato il monaco che considera la salute e il progresso di tutti come suo proprio, con piena gioia» (122); «Monaco è colui che è separato da tutto e unito a tutto» (124). Come si vede, sono cose bellissime, molto alte, di una luminosità e un’acutezza quasi inebrianti. Dov'è allora la non ortodossia e perché la condanna? Da un lato bisogna ricordare gli eccessi e gli equivoci della polemica antiorigenista (ch. pp. 174, 187ss., 220s., 279s.). D'altro canto però
bisogna riconoscere che, leggendo ampiamente e a fondo le opere di Evagrio, si trovano delle dottrine sulla creazione, sulla restaurazione finale di tutto — perfino dei demoni —, sulla natura dell’uomo, che non sono conformi alla Scrittura. Di questo appunto si lagna con Barsanufio un fratello che si era messo a leggere, fra altre cose, la più grossa opera speculativa di Evagrio, le Centurie gnostiche. E Barsanufio esplode: «Fratello, che disgrazia e catastrofe la nostra generazione». E gli sconsiglia recisamente tali letture (ep. 600). Per contro, è chiaro non solo che Barsanufio conosceva bene gli scritti di Evagrio, ma che essi, seppure con precauzioni e selezioni, nel monastero di Seridos erano a disposizione, erano letti e ben noti; costituiscono infatti una delle fonti prin-
cipali delle istruzioni di Doroteo, come risulta chiaramente dall'indice patristico dell'edizione francese. Evagrio è di gran lunga la persona più richiamata, molto più degli stessi Barsanufio e Giovanni. I quali a loro volta hanno sentito moltissimo il suo influsso. E, come si è già detto (cf. pp. 279s.), anche Cassiano l'aveva
sentito molto. Come talora è stato fatto, si possono trasferire i pensieri di Evagrio sostituendo «cuore» a «intelletto» e «amare» a «conoscere». Ma qui sta îl punto, evidentemente non si tratta solo di sostituire qualche parola; ci si trova di fronte a una visione dell’uomo che, per il peso della filosofia platonica in cui Evagrio era stato educato e per il fascino di certe ebbrezze spirituali, è mol-
te volte al limite, o addirittura lo supera, di una spiritualizzazione intellettualistica che si discosta dalla rivelazione biblica, dall’incar-
Nilo
351
nazione, dall'economia sacramentale. E allora si capisce l’intuizione sana e vera che ci può essere — nonostante tutte le esagerazioni e i limiti detti sopra — nella seguente storia, molto impressionante,
raccontata da Giovanni Moschos: Un monaco straniero giunto alle Celle voleva a tutti i costi abitare nella cella di Evagrio. Il presbi tero glielo negava dicendo che ivi abitava un «tremendo demone, quello che aveva fatto errare Evagrio e lo aveva allontanato dalla retta fede e gli aveva ispirato odiose dottrine». L'altro insistette e lo lasciarono abitare dove desiderava. La domenica seguente venne alla celebrazione dell'Eucaristia e tutti si rallegrarono, pensando che le cose andassero bene. La domenica dopo non lo videro. Alla fine della celebrazione si recarono alla sua cella e lo trovarono impiccato (Pr. spir. 177). Certo bisogna fare la tara a questa storia, il cui autore è un antievagriano agguerrito; tuttavia, come
si è detto, chi conosce Evagrio vi percepisce anche l'intuizione non infondata dei rischi che comportano le dottrine non sufficiente mente incentrate sull’incarnazione di Cristo. 1. Disse il padre Nilo: «Tutto quanto farai per vendicarti di un fratello che ti ha offeso, ti sarà di inciampo nel tempo della preghiera» (30542).
2. Disse anche: «La preghieraè germe di mitezza e di dominio della collera» (305b).
zste tri la ro nt co o di me ri è a er hi eg pr a «L e: ch 3. Disse an za e lo sconforto». ai lo dal e di sie pos che llo que di ven ’, «Va : ora anc se 4. Dis poveri 1. Prendi la croce e rinnega te stesso 2, per poter pregare senza distrazioni». 1 Mt 19,21. 2 Mt 16, 24.
352
Nilo / Nisteroo
5. Disse anche: «Di ciò che saprai saggiamente sopportare con pazienza, troverai il frutto nella preghiera».
6. Disse anche: «Se desideri pregare come si deve, non avere l’anima triste, se no corri invano» 3.
7. Disse ancora: «Non volere che ti avvenga come a te pare, ma come piace a Dio; durante la preghiera sarai allora libero da turbamenti e pieno di gratitudine» (305bc). 8. Disse anche: «È beato quel monaco che si ritiene la spazzatura di tutti» 4.
9. Disse anche: «Il monaco che ama la quiete rimane invulnerabile alle frecce del nemico 5; ma quello che si mescola alla gente riceve spesso delle ferite».
10. Disse anche: «Il servo che non si prende cura delle opere del suo signore, si prepari alle sferzate» 6. NISTEROO
È già stato ricordato accanto a Giuseppe di Panefisi (cf. p. 255) secondo la menzione che di lui, Giuseppe e Cheremone, fa Cassiano descrivendo il desolato territorio da loro abitato. Cassiano afferma che la zona di Panefisi, un tempo fertilissima, era ridotta a una tale desolazione (cf. p. 219) che le si potevano applicare letteralmente le parole del salmo 106, 33s.: «Cambiò i 3 Cf. Gal 2,2. 4C£. 1 Cor 4, 13. 2 Cf. Ef 6, 16.
6 Cf, Lc 12, 47s. Questo testo di Nilo figura soltanto nel cod. D (ripreso
dal Cotelier), perciò è omesso dal Guy nella sua traduzione francese.
Nisteroo
353
fiumi in deserto; le fonti di acqua in sete; la terra fertile in salse-
dine...» (Coll. XI, 3). In un'oasi di questo territorio viveva il
padre Nisteroo, cui Cassiano attribuisce due conferenze, una sul-
la «scienza spirituale» e l’altra sui «carismi divini». La necessità di esaminarsi ogni sera davanti a Dio, enunciata nel detto n. 5 di Nisteroo, è più volte affermata dai maestri di Gaza come l’inse-
gnamento tradizionale «dei padri» (cf. Doroteo, Ins. IV. 52; XI,
117; Giovanni, ep. 291). Gli apoftegmi che seguono sono pochi ma molto ricchi, e ci mostrano un esempio di grande umiltà, povertà, libertà di spirito.
1 (Guy 2). Il padre Nisteroo il Grande camminava un giorno nel deserto con un fratello. Alla vista di un drago, fuggirono; e il fratello gli chiese: «Hai paura anche tu, padre?». Rispose: «Non ho paura, figlio, ma è bene che siamo fuggiti, perché non avrei potuto sfuggire allo spirito di vanagloria»
(305cd; PJ VIII, 12).
2 (Guy 3). Un fratello chiese a un anziano: «Qual è l’opera buona, che io possa fare e in essa vivere?» 7. E l'anziano disse: «Dio sa ciò che è buono 8; ma ho udito che uno dei padri ha interrogato il padre Nisteroo il Grande, amico del padre Antonio, e gli ha chiesto: — Qual è l’opera buona che io possa fare? E gli ha detto: — Non sono forse uguali tutte le opere? La Scrittura dice che Abramo era ospitale? e Dio era con lui; Elia amava la quiete 10 e Dio era con lui: David era umile 1! e Dio era con lui. Quel che vedi che la tua anima desidera secondo Dio, fallo, e custodisci il tuo cuore» (305d-308a).
? Cf. Lv 18, 5 e par. 8 C£f. Mt 19, 16s. ? Cf. Gn 18, 1ss. 10 Cf. 1 Re 17,5.
11 Cf. 1 Sam 18, 23.
Nisteroo
354
3 (Guy 4). Il padre Giuseppe chiese al padre Nisteroo: «Che cosa devo fare con la mia lingua? Perché non riesco a tenerla a freno». Dice a lui l'anziano: «Quando parli, hai pace?». Dice: «No». «Dunque, perché parli se non hai pace? Taci piuttosto. E se capita che vi sia un discorso, presta molto ascolto piuttosto che parlare» (308ab).
4 (Guy 5). Un fratello vide che il padre Nisteroo aveva due tuniche e gli domandò: «Se un povero viene a chiederti un vestito, quale gli dai?». Gli rispose: «Il più bello». «Se poi te lo chiederà anche un altro, cosa gli darai?». «La metà di quello rimastomi». «E se te lo chiederà un altro ancora, che gli darai?». «Taglierò quello che mi è rimasto, ne darò a lui la metà, e con l’altra metà mi cingerò i fianchi». Dice ancora il fratello: «E se qualcuno ti chiederà anche questo?». Dice l'anziano: «Gli darò quel che mi è rimasto, poi andrò a nascondermi in qualche luogo, finché il Signore mi mandi da coprirmi; non lo cercherò da nessun altro» (308bc). 5 (Guy 6). Il padre Nisteroo disse: «Bisogna che il monaco sl esamini mattina e sera: — Che cosa abbiamo fatto di ciò che Dio vuole, e che cosa di ciò che non vuole? E così com-
portarsi di stare come si te, non
tutta la vita. In tal modo visse il padre Arsenio. Cerca ogni giorno dinanzi a Dio senza peccato. Prega Dio parla a una persona presente. Non darti una legge da giudicare nessuno. Deve essere estraneo al monaco il
giurare, il mentire, il maledire, l’insultare, il ridere. Colui che è
onorato e lodato più di quanto vale, ne riceverà gran danno». 6. Raccontavano del padre Nisteroo, che visse a Raito e che ogni anno si prendeva tre settimane per cucire dei cestini,
sei per settimana !2 (S 1). 12 Il resto dell’anno si dedicava interamente alla preghiera e si accontentava dello scarso guadagno che poteva procurargli così poco lavoro.
Nisteroo il Cenobita
33)
NISTEROO IL CENOBITA
È evidentemente altra persona dall'omonimo che lo precede ed è il Nisteroo în rapporto col padre Poemen di cui si parla anche in un detto di quest’ultimo (n. 131), dal quale risulta che il padre Nisteroo doveva avere un discepolo molto difficile da sopportare. Il detto n. 2 figura nella serie sistematica (XV, 30) in una stesura molto più ampia, che lo introduce raccontando come Poemen udì la fama di Nisteroo e volle conoscerlo. Ma non ci sono indicazioni per dedurre dove esattamente fosse il cenobio in cui viveva Nisteroo. La lettera 291 di Giovanni di Gaza citata sopra (p. 353) è una risposta alle tante domande di Doroteo, il quale fra l’altro chiederà come potesse il padre Nisteroo affermare: «Io e l'asino siamo una cosa sola». Giovanni, rispondendogli, dice: «Le cose perfette sono dette per i perfetti e le altre per coloro che sono sotto la legge. Questi infatti sono ancora messi alla prova da un pedagogo (cf. Gal 3, 23-24), e quando muoiono al mondo come il padre Nisteroo, allora possono dire: — Io sono un asino. Non esaltarti nel tuo spirito, ne trarresti del danno».
1. Il padre Poemen raccontava del padre Nisteroo: «Come il serpente di bronzo che Mosè fece per curare il popolo 13, così era l'anziano: egli possedeva ogni virtù e in silenzio curava tutti» (308d).
2. Il padre Poemen domandò al padre Nisteroo donde traesse tanta virtù che, qualsiasi disguido capitasse nel cenobio, non parlava né vi si immischiava. Rispose: — Perdonami, padre: all’inizio, quando entrai in monastero, dissi al mio pensiero: — Tu e l’asino siete una cosa sola: come l’asino viene picchiato e non parla, insultato e non risponde nulla 14, così anche tu: secondo le 13 C£. Nm 21,9. 14 Cf. Mc 14, 60s. e par.
Nisteroo il Cenobita / Nicone
356
te, a nte fro di to enu div o son to men giu un e com mo: sal del ole par 30). XV, PJ a; 309 8d(30 15» te con pre sem sarò e io
NICONE
a o vol dia il fa e om «C ri: pad dei uno a ese chi lo Un fratel e: dic gli ano nzi l’a E . i?» ion taz ten le ti san ai rovesciare addosso ai. Sin e nt mo sul a tav abi che , one Nic me no di re, pad «Vi'era un
vò tro vi 16, ta ani far un di da ten la nel ò rec si Ed ecco un tale che
E — e: dir di ì ger sug le di in Qu lei. con cò pec e a la sua figlia da sol stato l’anacoreta padre Nicone a farmi questo. Quando arrivò suo padre e seppe la cosa, prese la spada e andò per assalire l'anziano. Bussò alla porta, l'anziano uscì, ed egli trasse la spada per ucciderlo, ma la sua mano si disseccò. Il faranita andò allora a parlare ai presbiteri riuniti ed essi mandarono a chiamare l'anziano. Quando egli giunse, lo colpirono con molte battiture, e volevano cacciarlo. Ed egli li pregò con queste parole: — Lasciatemi qui per amore di Dio, perché io possa fare penitenza. Lo scomunicarono per tre anni, e diedero ordine che nessuno si recasse da lui. Per tre anni egli venne ogni domenica in chiesa e faceva penitenza. E supplicava tutti: — Pregate per me. Ma in seguito colui che aveva commesso il peccato e aveva gettato sull’anacoreta la tentazione divenne preda del demonio. Confessò poi davanti all'assemblea: — Io ho commesso il peccato e ho calunniato il servo di Dio. Tutta la gente andò a prostrarsi dinanzi all’anziano e diceva: — Perdonaci, padre! Egli disse loro: — Quanto a perdonarvi, vi è già stato perdonato. Ma quanto a rimanere, non resterò più con voi, perché non si trovò uno che avesse discernimento e compassione di me. E così se ne andò di là». Disse quindi l’anziano al fratello: «Vedi come il diavolo rovescia le tentazioni addosso ai santi?» (309abc). 15 Sal 72, 22b-23a.
16 Abitante dell’altopiano di Faran.
Netra / Niceta
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NETRA
Come il testo che segue ci dice, fu, assieme all’obbedientissimo Marco (cf. p. 335), uno det discepoli del padre Silvano, che con lui vissero per un certo periodo di tempo sul monte Sinai. La città di cui divenne vescovo, Faran, fa parte dell'altopiano omonimo,
che occupa una vasta area delle penisola sinaitica.
Raccontavano che il padre Netra, discepolo del padre Silvano, nel tempo in cui visse nella sua cella sul monte Sinai,
provvedeva con moderazione alle necessità del corpo. Ma quando divenne vescovo di Faran, si costrinse in molte cose a una dura ascesi. Il suo discepolo gli disse: «Padre, quando eravamo nel deserto non praticavi una tale ascesi». «Là vi era la solitudine, dice l’anziano, la quiete e la povertà, e dovevo soste-
nere il mio corpo così da non ammalarmi e non cercare ciò che non avevo. Ma ora siamo nel mondo e vi sono tante occasioni: anche se mi ammalo, qui c’è chi mi cura; faccio dunque così per non perdere la mia monasticità» (312a; P] X, 36). NICETA
Il padre Niceta raccontò di due fratelli che si unirono per vivere insieme. L'uno pensò fra sé: «Farò ciò che il mio fratello vuole». Allo stesso modo pensava l’altro: «Farò la volontà di mio fratello». E vissero molti anni con grande amore. Ma quando il nemico vide questo, venne per dividerli. E, stando sulla finestra, si mostrò all’uno come colomba, all’altro come
cornacchia. «Vedi quella colomba?», disse l'uno. «E una cornacchia», disse l’altro. E cominciarono a litigare dicendo l’uno una cosa, l’altro l’altra. Levatisi, lottarono fino al sangue, con perfetta gioia del nemico. E si separarono. Dopo tre giorni ritornarono in sé e si riunirono, si gettarono l’uno ai piedi
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Niceta
dell’altro e confessarono ciò che ognuno di essi aveva creduto di vedere nell’uccello apparso loro; riconosciuta la tentazione del nemico, rimasero insieme fino alla fine, e non si separarono mai più (312bc).
XOIO
Di lui non si sa nulla. Lo stretto parallelismo del primo brano con i nn. 2 e 8 di Sisoes ha fatto pensare ad alcuni studiosi (cf. Chitty, p. 49, nota 129) che questo nome sia quello di Sisoes storpiato e si tratti quindi della stessa persona.
1. Un fratello domandò al padre Xoio: «Se mi trovo in qualche luogo e mangio tre pezzi di pane, è forse troppo?». L’anziano gli dice: «Sei arrivato per caso in un granaio, fratello?». Disse ancora: «E se bevo tre bicchieri di vino, è forse
troppo?». Gli dice: «Se non ci fosse il diavolo, non sarebbe ai e addic si non i infatt vino Il o. tropp è c’è, se ma o; tropp monaci che vivono secondo Dio» (312c).
e id ba Te a ll de io Xo e dr pa il e ch tò on cc ra i 2. Uno dei padr nco in là, di a iv rt pa re nt me e, ai; Sin e nt mo si recò un giorno sul r pe i at ol ib tr o am si , re ad «P o: nd me ge e ss di trò un fratello che gli epr n no é ch er «P o: an zi an l’ lui a ce Di . a» gi og pi di za la mancan ahi eg pr e ch to er «C lo: tel fra il ce di i Gl ». o? Di te gate e supplica er «C se: dis o an zi an L' ». e! ov pi n no ma e, ch li pp su mo ia cc fa e mo tamente non pregate con intensità; vuoi vedere che è così?». É te A 1. en am at di me im ve ov Pi a. er hi eg pr in lo cie al ni ma tese le 1 Cf. Es 9, 23. Cf. Introd.,, nota 17, p. 22.
Xoio / Xanthia
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quella vista il fratello ebbe timore, cadde con la faccia a terra prostrandosi davanti a lui. Ma l’anziano fuggì; e il fratello raccontò a tutti l'accaduto 2. E quelli che udirono diedero gloria a
Dio 3(312d-313a).
XANTHIA
1. Il padre Xanthia disse: «Il ladrone pendeva dalla croce e fu giustificato da una sola parola 4; e Giuda, che era stato annoverato con gli apostoli 5, in una sola notte perse ogni fatica 6 e piombò dai cieli all'inferno 7. Perciò nessuno che compie il bene si deve gloriare, poiché tutti quelli che hanno avuto fiducia in se stessi sono caduti» (313ab). 2. Un giorno il padre Xanthia salì da Scete a Terenuti. Dove sostò, gli portarono un po’ di vino per rifocillarlo dallo sforzo. Alcuni, udito che era là, gli condussero un indemoniato.
E il diavolo cominciò a insultare l'anziano: «Mi avete portato da un bevitore di vino?». L’anziano non avrebbe voluto cacciarlo 8, ma, a causa dell’insulto, disse: «Confido in Cristo, che non finirò
questo bicchiere prima che tu sia uscito». Appena l’anziano
2 Ricorre qui il richiamo altrove ancora più esplicito (cf. nota 22, p. 453) ai luoghi evangelici in cui il Signore ordinava di non divulgare la fama dei suoi miracoli, ma l'ordine veniva trasgredito e la fama si divulgava sempre più; cf. Mc 1, 44s.; Lc 8, 56 e par. 3 Come è già stato notato (cf. nota 9, p. 308), la frase sembra compor-
re due luoghi dell’Evangelo: Lc 2, 18 e Mt 9, 8. I padri citavano a memoria e risuonavano in loro espressioni simili di testi paralleli o assonanze tra diversi contesti (cf. Introd., p. 20). 4 Cf. Lc 23, 42. 9 C£. At 1, 16. 6 Cf. Gv 13, 30 e par. ” C£. Is 14, 12ss. Cf. Introd., p. 42. 8 Per sfuggire alla fama del miracolo.
Xanthia
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cominciò a bere, il diavolo gridò: «Mi bruci, mi bruci!» 9. E, prima che avesse finito, uscì, per la grazia di Cristo (P] XIX, 16).
3. Il medesimo disse: «Il cane è migliore di me, perché si affeziona e non viene in giudizio» 10(313c).
? L’anziano, forte della sua umiltà e libertà di spirito, non si lascia intimorire dall’accusa del demonio, ma lo sfida in nome di Cristo e lo vince. 10 Cf. Gv 5, 24. Un testo di Poemen un po’ più esplicito aiuta a capire meglio il concetto (n. 41): «L’annientamento è l’essere al di sotto delle ‘creature irrazionali e sapere che esse non vengono condannate».
OLIMPIO
Non si sa nulla di lui, nemmeno se si tratti di una stessa
persona vissuta in parte a Scete e in parte alle Celle o di due persone diverse. Come nota giustamente il Chitty (p. 35), il primo racconto è significativo sotto vari aspetti: il desiderio pagano di visioni, cosa che non riguarda i cristiani, e per contro l'umiltà dei padri, pronti a cogliere anche la lezione del sacerdote pagano nella sua parte positiva. Altre volte è sottolineato che esse sono molto pericolose e possono venire dai demoni (cf. Antonio 12; PJ XV, 68-71). «Un fratello interrogò un anziano: — Come mai certuni hanno rivelazioni e vedono gli angeli? L’anziano rispose: — Figlio mio, beato colui che vede sempre i suoi peccati perché un tale uomo è sempre vigilante» (cf. PE, III 35, 24-25).
1. Il padre Olimpio raccontò: «Un giorno discese a Scete un sacerdote pagano e pernottò nella mia cella. Vedendo la vita dei monaci, mi chiese: — Voi che vivete così, non avete alcuna visione da parte del vostro Dio? Gli dico: — No. Il sacerdote mi dice: — A noi invece, quando compiamo le sacre celebrazioni al nostro Dio, egli non tiene nascosto nulla, ma ci rivela i suoi
misteri. E voi che fate delle fatiche tanto grandi, veglie, ritiri, ascesi, dici che non avete visioni? Certamente, se non avete
visioni, avete nel cuore pensieri malvagi che vi separano dal vostro Dio; per questo egli non vi rivela i suoi misteri. Andai a
Olimpio / Orsisio
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riferire agli anziani le parole del sacerdote: si meravigliarono e dissero che è realmente così: infatti i pensieri impuri separano Dio dagli uomini» (313cdì). 2. Il padre Olimpio, che viveva alle Celle, fu tentato di fornicazione. Il pensiero gli disse: «Va’, prendi moglie!». Alzatosi, fece del fango e formò una donna; e disse a se stesso: «Ecco tua moglie: c’è bisogno di lavorare molto, per mantenerla». E lavorava affaticandosi molto. Il giorno seguente, fattosi di nuovo del fango, formò anche una figlia, e disse al suo pensiero: «Tua moglie ha generato! Devi lavorare di più per poter nutrire e coprire tua figlia». Così facendo, si esaurì. Disse allora al suo pensiero: «Non posso sopportare tanta fatica». Disse allora: «Se non puoi sopportare questa fatica, non cerca-
re moglie». Vedendo il suo sforzo, il Signore tolse da lui la tentazione, ed egli ebbe pace (313d-316a). ORSISIO
1. Disse il padre Orsisio: «Un mattone non cotto, messo . rno gio sol un e ist res non me, fiu un a ino vic to en am nd fo per che , omo l’u per è ì Cos . tra pie me co ro atu dur è Ma se è cotto, dal pe ep us Gi me co to cia bru è non se 1; ha un sentire carnale ne vie tà, ori aut di one izi pos una a o nd de timore di Dio 2, acce che e, son per ste que di i ion taz ten le i att meno. Sono molte inf pro la e osc con chi che e ben È . ini uom i agl o zz me vivono in i dat fon o son che lli Que . ere pot del o pes il ga fug pria misura mo si de me l que di e lar par l vuo si Se 3. li bi mo im o nella fede son an Qu o. ren ter mo uo era non che à dir si , pe ep us Gi santissimo
1 C£. Rm 8, 5ss. 2 Cf. Gn 39, 7ss. 3 Cf. Col 1, 23 e 1 Cor 15, 58.
364
Orsisio
to fu tentato, e in quale terra, dove non vi era traccia di culto di Dio 4! Ma il Dio dei suoi padri 5 era con lui, e lo trasse fuori da ogni tribolazione 6, ed ora egli è con i suoi padri nel regno dei cieli. Lottiamo anche noi, dunque, riconoscendo la nostra
misura. Così soltanto potremo a-stento sfuggire il giudizio di
Dio! 7» (316ab; PJ XV, 51).
2. Il padre Orsisio disse: «Credo che, se l’uomo non custodisce bene il proprio cuore, dimentica e trascura tutto quello che ha udito. E così il nemico, trovando posto in lui 8, lo abbatte. Come una lucerna, fa luce se è rifornita d’olio, ma, se ci si
dimentica di mettere l’olio 9, a poco a poco si spegne, e la tenebra si impadronisce di lei. Non solo, ma se un topo le giunge vicino e cerca di mangiare lo stoppino, non può finché l’olio non sia consumato; se vede invece che non solo non fa luce, ma non si sente più nemmeno il calore del fuoco, allora, mentre cer-
ca di strappare lo stoppino, rovescia anche la lucerna. È se essa è di terracotta si spezza. Se invece è di bronzo, il padrone di casa di nuovo la rifornisce di olio. Così avviene per l’anima negligente, a poco a poco lo Spirito Santo si allontana da lei, finché essa rimane priva del suo calore. Quindi il nemico, dopo aver divorato lo zelo dell’anima, consuma nella malvagità anche il corpo. Ma se l’uomo è in buona disposizione verso Dio, ed è semplicemente trascinato alla negligenza 19, Dio che è misericor4 Cf. nota 89, p. 127. ? È uno dei modi in cui Dio si rivela e si fa chiamare, moltissime volte nell’Antico Testamento, da Gn 46, 3 in avanti. 6 Cf. Sal 33, 7;53,9 e par.
? Cf. Rm 2,3. 8 Cf. Mt 12, 44.
? Cf. Mt 25, 3ss.
10 Viene presentata qui l’innegabile distinzione tra l’infermità che porta a singole debolezze, compresenti alla «buona disposizione» verso Dio, e l’infermità di un atteggiamento non buono, di rifiuto della grazia, che genera debolezze tanto radicate da divenire un abito e da oppotre sempre più resistenza all’azione dello Spirito.
Orsisio
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di hi, tig cas dei o rd co ri il e re mo ti suo il lui in o dioso, ponend di ia od st cu a all e a nz la gi vi a all lo do en on sp di e isc orn rif nuovo lo a all o fin , ità bil sta a lt mo n co , ure fut e cos le del ta vis in sso se ste sua visita» 1! (316cd; PJ XI, 37).
11 Questa frase è un esempio quanto mai tipico di discorso che si
muove tutto nell’alveo della Scrittura — in questo caso, come per lo più, nel Nuovo Testamento —, evocandone varie pagine, pur senza una citazione
precisa. L’anziano mostra di averla assimilata dentro di sé a tal punto che
le sue parole sono praticamente un mosaico di numerosi passi incentrati sul tema della «visita» del Signore, la sua seconda venuta: cf. Fil 3, 13; 1 Pt 1, 13; 2, 12;4,7;1 Gv2, 28; 5, 18, ecc. Cf. Introd., pp. 18s. e 50s.
POEMEN
È difficile a suo riguardo fissare dati biografici ampi e sicuri. Abbiamo già incontrato parecchie volte (cf. Indice dei nomi) questo nome che percorre con insolita frequenza tutta la collana. Nella serie sistematica latina solo quattro su venti capitoli non riportano detti di Poemen, e nella serie alfabetica ci troviamo di fronte a un fatto senza alcun paragone: sotto un unico nome più di 200 detti, che costituiscono più di un ottavo di tutta la raccolta, mentre il massimo numero di apoftegmi attribuiti ai maggiori anziani si aggira sui 40-50. Di fronte a un numero così enorme
di detti e di fronte ad alcuni problemi di cronologia, sono stati posti dei dubbi: si tratta di un solo Poemen o di due Poemen vissuti in epoca diversa? Tutti questi detti sono davvero autentici oppure molti non risalgono veramente a Poemen e gli sono soltanto stati attribuiti dalla tradizione? Tuttavia, in quest’ultimo caso, si tratterebbe sempre di un personaggio di grande fama e ascendente, al cui nome si attribuisce molta autorità. Rufino dice di aver incontrato a Pispir un Giuseppe e un Poemen nell'anno 373 (HE, II, 8). Cassiano avrebbe incontrato quest'ultimo a Scete, quindi attorno al 395 circa (Coll. II, 17-26). Se il detto n. 2 di Antonioè stato davvero indirizzato a Poemen — ma queste individuazioni nelle raccolte degli apoftegmi sono spesso meno che sicure —, Poemen sarebbe stato già monaco prima della morte di Antonio, cioè prima del 356; d'altronde, dal racconto sulla mor-
Poemen
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te di Arsenio (n. 416), Poemen appare essergli sopravvissuto, quindi sarebbe morto non prima del 449-50. Con la testimonianza di Rufino i dati possono ancora corrispondere: Poemen poteva essere relativamente giovane a quell'epoca ed essere morto centenario, come alcuni altri di cui si ba notizia. E molto più improbabile invece che lo stesso grande Antonio abbia potuto parlare direttamente con lui; in questo caso gli anni di Poemen diventerebbero davvero un po’ troppi, almeno 120-130! A parte la menzione di un Poemen nel detto di Antonio, pare non ci siano altri elementi che configurino e localizzino la persona di un Poemen diverso dal fratello di Anub e Paisio (nn. 2, 3, 180; ct. Anub 1),
vissuto a Scete prima della devastazione, in contatto coi grandi Giovanni Nano, Agatone e Mosè. Quest'ultimo, come abbiamo visto, scrisse per lui i sette capitoli di vita ascetica (pp. 328-330). Il Chitty (p. 79, nota 67) propende a concludere che Poemen sia una singola persona, vissuto un centinaio di anni, tra il 350 e il 450 circa, trasferitosi a Terenuti dopo il saccheggio di Scete. La testimonianza dei tre grandi di Gaza aiuta ad appoggiare questa tesi: Poemen è conosciutissimo e citatissimo nel monastero di Seridos; Doroteo, Barsanufio e Giovanni citano molti più detti di Poemen
che non di Antonio e Arsenio; e non mostrano il
minimo sospetto che si potesse trattare di due persone diverse. Inoltre, pur in tanta ampiezza, il messaggio di Poemen è profondamente unitario e si articola attorno ad alcuni filoni fondamentali: è significativo che la serie sistematica latina porti ben 23 detti di Poemen in un unico capitolo, quello del discernimento (c. X). Da qui deriva tanta conoscenza della fragilità propria e altrui, e quindi tanta umiltà, l'accusa continua di se stessi (n. 95), il non giudicare, il non confrontarsi, il tacere (passim), il non insegnare (127, 157), il non sovrapporre il proprio parere a quello di un altro (105), la grande condiscendenza e misericordia che si esprime in questi modi: nel non rimproverare un fratello che pecca, anzi, nel coprire il suo peccato (113, 114), nel com-
prendere la situazione interiore di ciascuno non pretendendo più di quanto egli in quel momento può capire e fare (22, 51, 92), e
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Poemen
il grande senso della misura (12, 129). È evidente come queste caratteristiche non potevano non esercitare una forte attrattiva
su Doroteo e contribuire molto a plasmare il suo pensiero. Tre delle 16 lettere che di lui conosciamo si aprono introducendo un pensiero di Poemen; così pure l'istruzione XIII: «Bisogna soppottare le tentazioni senza turbamento e con rendimento di grazie», si apre col detto n. 13 di Poemen: «Il segno da cui si riconosce il monaco, sono le tentazioni». (Ins. XIII, 138). E ancora, come abbiamo detto, Poemen è citato più e più volte. Con molto entusiasmo Doroteo conclude un paragrafo della istruzione sul biasimare se stessi, dicendo: «Davvero se uno compisse migliaia di opere, ma non tenesse ben ferma questa via [del biasimare se stesso], non cesserebbe mai dal far soffrire e dal soffrire egli stesso, perdendo così tutte le sue fatiche. Quale gioia invece, quale sollievo non prova colui che, dovunque vada, biasima se stesso, come disse il grande padre Poemen! Qualsiasi danno, disonore 0 tribolazione l’incolga, a priori se ne ritiene degno e non è mai turbato. Vi è mai uno stato più esente da sollecitudini che questo?» (Ins. VII, 81).
1. Quando era giovane, il padre Poemen andò un giorno da un anziano, per sottoporgli tre pensieri. Giunto che fu dall’anziano, ne aveva dimenticato uno. Ritornò nella sua cel-
la e, nel porre la mano sulla chiave per aprire, si ricordò della domanda che aveva dimenticato. Lasciò la chiave nella toppa e ritornò dall’anziano; e questi gli disse: «Hai fatto presto a venire, fratello!». Ed egli gli raccontò: «Nel muovere la mano per prendere la chiave, mi sono ricordato del pensiero che cercavo; per questo non ho aperto e sono ritornato. Ma la strada era molto lunga». L’anziano gli disse: «Pastore ! di
! E appunto il significato del nome greco mowtiv, che la serie latina traduce con «pastor».
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greggi 2; e il tuo nome
(317ab; PJ XI, 19).
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sarà rinomato in tutto l’Egitto» 3
2. Paisio 4, il fratello del padre Poemen, era un tempo in relazione con alcuni al di fuori della sua cella, ma il padre Poemen non voleva. Fuggì dal padre Ammone e gli disse: «Mio fratello Paisio intrattiene relazione con qualcuno e io non ho pace». Il padre Ammone gli dice: «Poemen, vivi ancora? Va’, siedi nella tua cella, e mettiti in cuore di essere già da un anno nel sepolcro» 5 (PJ XVI, 8). 3. Vennero un giorno nei monasteri, dove viveva il padre Poemen, i presbiteri di quella regione. Il padre Anub entrò da lui e gli disse: «Raduniamo oggi qui i presbiteri». E stette a lungo in piedi senza ricevere risposta. Se ne andò allora rattristato. Quelli che vivevano attorno a lui gli chiesero: «Padre, perché non gli hai dato risposta?». Disse loro il padre Poemen: «La cosa non mi riguarda: sono morto; ora, un morto non parla. Non credano quindi che io sia qui dentro con loro!» (317bc; P] X, 38).
2 Cf. Gn 47, 3. Un codice porta la variante «angeli» invece che «greggi»; in greco infatti c'è la differenza di una sola lettera: @yy&Awv-ayeXov, perciò può trattarsi di un puro errore di trascrizione. Forse senza pensarci il copista ha ritenuto ovvia la denominazione «pastore di angeli», sulla base della dottrina tradizionale della vita monastica come vita angelica (cf. nota 84, p.348). 3 Come sempre, è chiara l’intenzione introduttiva nel porre questo brano in testa agli altri. Si potrebbe vedere una grande sproporzione fra la profezia — realmente avveratasi — della rinomanza di Poemen e l'occasione che l’ha in qualche modo provocata; è invece una conferma significativa della dottrina degli anziani sul grande male della dimenticanza (cf. nota 42, p. 383). Poemen merita tanta lode per aver lottato contro di essa. 4 È il fratello minore di Poemen, Anub e gli altri, che li faceva spazientire con trovate di imprevedibile leggerezza; cf. nota 110, p. 135. ? Cf. Mosè, passirz e nota 46, p. 327.
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4. Prima che arrivasse il gruppo del padre Poemen, vi era in Egitto un anziano molto rinomato e stimato. Quando il padre Poemen e i suoi salirono da Scete, la gente lo abbandonò e andò dal padre Poemen. Il vecchio ne era invidioso e parlava male di loro. Il padre Poemen lo seppe, si rattristò e disse ai suoi fratelli: «Che facciamo con questo grande anziano? La gente ci ha messo in una situazione penosa, lasciando lui e venendo da noi che non siamo nulla. Come possiamo guarire quell’anziano?». Disse poi: «Preparate qualcosa da mangiare, prendete un otre di vino, e andiamo da lui per mangiare insieme. Forse in questo modo potremo farlo guarire». Presero il cibo e partirono. Quando bussarono alla porta, il suo discepolo chiese: «Chi siete?». Dissero: «Di al padre: — C'è Poemen che vuole essere benedetto da te!». Ma quando il discepolo glielo riferì, l'anziano gli fece dire: «Vattene, non ho tempo!». Ma essi rimasero nella grande arsura, dicendo: «Non ce ne andremo finché l’anziano non ci avrà
degnati di vederlo» 6. L'anziano allora, alla vista della sua umiltà e della sua pazienza, preso da compunzione, aprì loro. Entrati, mangiarono con lui. Mentre mangiavano, disse: «In verità, non vi è solo ciò che ho udito di voi, ma quel che io vedo nelle vostre azioni è cento volte di più». E da quel giorno divenne loro amico (317c-320a; P] XVII, 8).
5. Il governatore della regione volle un giorno conoscere il padre Poemen, e l’anziano non lo ricevette. Egli prese allora il figlio di sua sorella, sotto pretesto che fosse un malfattore, e lo gettò in prigione dicendo: «Se l’anziano verrà e intercederà per lui, lo lascerò libero». La sorella venne a piangere presso la porta dell’anziano, ma egli non le diede risposta. Essa lo insultava dicendo: «O tu dalle viscere di bronzo, abbi pietà di me, perché è il mio unico figlio!». Ma egli le mandò a dire: «Poe-
é Variante (che si dà altre volte nella traduzione latina) di PJ XVII, 8: «della sua benedizione» invece che «di vederlo».
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3/1
men non ha generato figli». A queste parole, essa se ne andò, e il governatore, saputolo, mandò a dire a Poemen: «Basta che tu dica una parola di comando, e io lo libererò». L’anziano ribatté: «Interrogalo secondo le leggi, e, se è degno di morte,
che muoia; se no, fa’ come vuoi». A queste parole, il sovernatore lo lasciò andare (317ab; PJ VIII, 13).
6. Un giorno in cenobio un fratello peccò. Vi era in quei luoghi un anacoreta che da molto tempo non usciva. Si recò da lui l'abate del cenobio, per raccontargli il caso del fratello caduto, ed egli disse: «Cacciatelo!». Lasciato il cenobio, il fratello entrò in una gola dei monti, e si fermò lì e piangeva. Avvenne che dei fratelli, che stavano andando dal padre Poemen, lo udirono piangere; avvicinatisi, lo trovarono in grande pena. E lo pregarono di alzarsi per andare dall’anziano. Ma egli si rifiutò dicendo: «Io muoio qui». Giunti dal padre Poemen, gli raccontarono la cosa. Dopo averli consolati, mandò a dire a quel monaco: «Il padre Poemen ti chiama». E il fratello venne da lui. L’anziano, vedendo che era tribolato, si alzò ad abbracciarlo. E, intrattenendosi amichevolmente con lui, lo pregò di mangiare.
Quindi il padre Poemen mandò uno dei suoi fratelli a dire all’anacoreta: «Da molti anni desideravo vederti, perché avevo sentito parlare di te. Tuttavia, per la pigrizia di entrambi, non ci siamo incontrati; ma ora, per volontà di Dio e poiché si presenta un'occasione, datti pena di venire fin qui e ci vedremo». Egli non soleva uscire di cella ma, udendo le parole dell’anziano, disse: «Se non glielo avesse rivelato Iddio, non mi avrebbe mandato a chiamare». Alzatosi, venne da lui; si salutarono con gioia e si sedettero. Il padre Poemen gli disse: «In un certo luogo vi erano due uomini ed entrambi avevano un morto. L'uno lasciò il suo morto e andò a piangere quello dell’altro»7. A queste parole l’anziano fu preso da compunzione, si rammentò di ciò che ave? C£. Mosè, Sette capitoli 7 [18].
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Poemen
va fatto e disse: «Poemen, su su in cielo, ma io giù giù sulla terra» (320a-321a; P] IX, 7).
7. Un giorno molti anziani si recarono dal padre Poemen; ed ecco, uno di quelli che vivevano con lui aveva un figlio il cui viso era stato stravolto all’indietro per operazione del diavolo 8. Suo padre, vedendo il gran numero di anziani, condus-
se il fanciullo fuori del monastero e si sedette a piangere.
Avvenne che un anziano uscì; e al vederlo, chiese: «Uomo,
per-
ché piangi?». Questi disse: «Sono della famiglia del padre Poemen; ed ecco che il fanciullo è stato colpito da questa prova?. E mentre volevamo presentarlo all’anziano abbiamo avuto timore, perché egli non vuole vederci 10. Se ora poi viene a sapere che sono qui, manderà qualcuno a cacciarmi. Ma io, vedendo voi qui presenti, ho osato venire qui. É ora, padre, se vuoi, abbi pietà di me, conduci dentro il fanciullo e pregate per lui». L’anziano lo prese, entrò, e si comportò saggiamente, non lo presentò subito al padre Poemen, ma cominciò dai fratelli più piccoli dicendo: «Fate un segno di croce sopra il fanciullo». Dopo che l’ebbe fatto segnare da tutti, uno dopo l’altro, lo condusse infine dal padre Poemen. Egli però non permise che si avvicinasse. Ma essi lo pregarono con queste parole: «Fa’ anche tu, padre, come tutti». Egli si alzò gemendo e pregò: «Sana, o Dio, la tua creatura, perché non sia domina-
8 La specificazione «del diavolo» è propria soltanto della traduzione latina; il testo greco dice semplicemente kat’ èvépyerov che, sulla base di 2 Ts 2,9 è assunta dai padri come formula tecnica ad indicare l’operazione diabolica, lasciando cadere il tò catavé del testo neotestamentario.
? Il termine greco relpaouòc equivale, più esattamente, a «tentazione». Ricondurre in molti casi la malattia all’azione demoniaca è una costante patristica, perfettamente consona all’Evangelo, corrispondente alla visione unitaria dell’uomo che la Scrittura ci offre. Molti fenomeni che si manifestano nella mente e nel corpo hanno una radice profonda nello spirito che solo il discernimento spirituale riesce a cogliere. 10 Cf. nota 8, p. 360; l’anziano voleva evitare la fama del miracolo.
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ta dal nemico» 1. E con un segno di croce lo guarì subito e /o restituì sano a suo padre 1? (321ab; PJ XIX, 10).
8. Un giorno un fratello lasciò la regione in cui viveva il padre Poemen per andare in terra straniera, e vi incontrò un anacoreta, che era molto amato, e tanti si recavano da lui. Il
fratello gli parlò del padre Poemen, e all’udire la sua virtù, egli provò desiderio di conoscerlo. Dopo qualche tempo dal ritorno del fratello in Egitto, anche l’anziano venne in Egitto da quella regione straniera a trovare il fratello che un tempo si era recato da lui; gli aveva detto infatti dove viveva. Al vederlo, questi si stupì e provò grande gioia. «Fammi la carità di condurmi dal padre Poemen», gli chiese l’anacoreta. Allora il fratello, presolo con sé, andò dall’anziano e gli parlò di lui, raccontandogli che era un grande uomo, molto amato e stimato nella sua regione. Disse anche: «Gli ho detto di te, ed è venuto col desiderio di conoscerti». Poemen lo ricevette con gioia e, dopo essersi salutati, si sedettero. Lo straniero cominciò a parlare della Scrittura e di cose spirituali e celesti. Ma il padre Poemen voltò la faccia e non gli diede risposta 13. Vedendo che non gli parlava, se ne andò rattristato, e disse al fratello che lo aveva condotto lì: «Tutto questo viaggio è stato inutile; sono venuto dall’anziano ed ecco che non vuole nemmeno parlare con me!». Il fratello entrò allora dal padre Poemen e gli disse: «Padre, è venuto per te questo grande uomo, che gode di tanta gloria nella sua terra. Perché dunque non gli hai parlato?». Dice l’anziano: «Egli parla di cose celesti; io invece sono di quaggiù e parlo di cose terrene 14. Se mi avesse parlato delle passioni dell’anima, gli avrei risposto. Ma le cose spirituali, 1! Questa formula, che riecheggia numerosi testi biblici, si riscontra frequentemente, con diverse varianti, nelle liturgie orientali. 12 Lc 9, 42. 13 C£. Gv 19,9. 14 Cf. Gv 3, 12.
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queste io non le so». Il fratello uscì e disse all’anacoreta: «L’anziano non parla facilmente della Scrittura, ma se qualcuno tratta con lui delle passioni dell’anima, gli risponde». Preso e «Ch se: chie gli e iano ’anz dall trò rien egli ne, zio pun com da ioni pass e dall to ina dom sono hé Perc e? padr fare, cosa devo o ess «Ad : disse gli e a gioi con rdò gua lo o zian L’an dell'anima». argo ti ques su a bocc tua la apri to: gius sei venuto nel modo diso, icat edif o molt tro, L'al 15. » beni di pirò menti e io la riem sua a nell rnò rito ne se E 16. » via! vera la rio prop è se: «Questa tal un re ntra inco di esso conc gli aver di Dio ando razi térra, ring
santo (321b-324b; PJ X, 39).
e cer car in e mis e ion reg la del e or at rn ve go il rno gio Un 9. un tale del villaggio del padre Poemen; e tutti vennero a pregare l'anziano di andare a liberarlo. Egli disse: «Datemi tempo tre giorni e poi verrò». Pregò quindi così il Signore: «Signore, non concedermi questa grazia! Se no non mi lasceranno più
stare in questo luogo». Andò quindi a pregare il governatore, ma questi gli disse: «Padre, preghi per un ladro?». E l'anziano si rallegrò di non aver ottenuto da lui la grazia !?.
10. Alcuni raccontavano che un tempo il padre Poemen e i suoi fratelli lavoravano a fabbricare stoppini 18, ma il lavoro non procedeva, perché non avevano da comprare fili di lino.
15 Cf. Sal 80, 11. 16 P] X, 39 invece che «vera via» dice «via dell’amore». 17 Non si possono astrarre questi brani, di per sé paradossali, dal con-
testo generale dei detti e da quello globale della personalità di un anziano. Qui si vuole dipingere in modo colorito, tralasciando altri aspetti, la difesa della solitudine, il timore della rinomanza. Non si esclude affatto che l’anzia-
no potesse impegnarsi contemporaneamente a pregare molto per il bene di quel ladro, così come in un caso diverso, ma in certo modo parallelo, abbiamo letto di Arsenio (n. 28), che avrebbe pregato molto per la dama che aveva rimandato tanto duramente. 18 Per le lucerne a olio.
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Un loro amico raccontò la cosa a un commerciante di fiducia. Ma il padre Poemen non voleva accettare nulla da nessuno, per non dare fastidi. Il commerciante invece, che voleva fare qualcosa per l’anziano, fece finta di aver bisogno di stoppini e venne a prenderli con un cammello. Quando quel fratello giunse dal padre Poemen e seppe che cosa aveva fatto il commerciante, disse con l’intenzione di lodarlo: «In realtà, padre, li ha presi senza averne bisogno, per farci un piacere». Il padre Poemen, udendo che li aveva presi senza averne bisogno, disse al fratello: «Alzati, prendi a prezzo un cammello, e riporta qui gli stoppini. Se non li riporti, Poemen non rimarrà qui con voi. Non voglio recar danno a nessuno, perché, se non ne ha bisogno, in cambio del mio guadagno ci rimette lui». Il fratello se ne andò in grande pena e riportò gli stoppini. Altrimenti l’anziano si sarebbe allontanato da loro. Quando poi Poemen li vide, si rallegrò come chi avesse trovato un grande tesoro 19 (324bcd).
11. Un presbitero di Pelusio sentì dire di alcuni fratelli: «Spesso sono in città, frequentano i bagni e si corrompono». Quando venne al raduno dei fratelli tolse loro l’abito monasti-
co. E dopo questo il suo cuore lo colpì 20 ed egli fu preso da pentimento; stravolto dai suoi pensieri, come ubriaco, venne
dal padre Poemen portando anche gli abiti dei fratelli, e raccontò all’anziano la cosa. E l’anziano gli dice: «Non hai tu nulla dell’uomo vecchio? Svestilo! 21», Il presbitero disse: «Ho parte con l’uomo vecchio!». E l’anziano a lui: «Dunque tu pure sel come i fratelli; anche se hai solo un po’ dell’uomo vecchio, tuttavia soggiaci al peccato». Il presbitero allora, andatosene,
19 C£. Sal 118, 162.
20 Normalmente si dice che è il cuore ad essere colpito (letteralmente «trafitto»); qui sia cuore che pensieri sono personificati, a mostrare il grande
turbamento del presbitero che si trova in loro balia. 21 Cf. Col3,9.
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chiamò i fratelli; e, dopo aver chiesto perdono agli undici 22, li rivestì dell’abito monastico e li congedò (324d-3254a).
12. Un fratello interrogò il padre Poemen: «Ho commesso un grave peccato e voglio fare penitenza per tre anni». «È molto»; gli dice l’anziano. «Per un anno?», chiese il fratello. «È molto», disse l'anziano. Quelli che erano presenti dissero: «Per quaranta giorni?». «E molto», ripeté. E poi: «Io dico che se l’uomo si pente con tutto il cuore e non ritorna a commettere il peccato, anche in tre giorni il Signore lo accoglie» (325ab; PJ X, 40). 13. Il padre Poemen ha detto: «Il segno da cui si riconosce il monaco appare nelle tentazioni» 23 (PJ VII, 13). 14. Disse anche: «Come la guardia del corpo dell’imperatore gli è sempre
accanto pronta,
così l’anima
deve essere
pronta di fronte al demone della fornicazione».
15. Il padre Anub interrogò il padre Poemen sui pensieri impuri che il cuore dell’uomo genera, e sui desideri vani. Il padre Poemen rispose: «Forse che la scure si vanta senza colui che con essa taglia? 24. Anche tu non dar loro posto, e non perdere in essi le tue forze; e saranno inefficaci» (325c; PJ X, 41).
16. Il padre Poemen disse ancora: «Se non fosse venuto Nabuzardan, l’arcicuoco, il tempio del Signore non sarebbe stato incendiato 25. Ciò significa: se l’anima non cercasse la 22 Pare riferirsi a una struttura di governo costituita da un collegio di dodici anziani (chiaramente ad imitazione del collegio apostolico). Il Guy, nella sua traduzione, omette «agli undici», probabilmente sulla base di una diversa tradizione manoscritta. 23 È cioè il suo comportamento nelle tentazioni a mostrare se egli sia o no un vero monaco. n 24 Ts 10, 15. 25 Cf. 2 Re 25, 8s. Questa lettura allegorica, che vede nel tempio il tipo
dell’anima, è derivata da Origene. Cf. Introd., pp. 34s., soprattutto nota 42.
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soddisfazione del cibo, lo spirito non cadrebbe nella lotta contro il nemico».
17. Raccontavano che il padre Poemen, invitato a mangiare contro la sua volontà, vi andò piangendo, per non disubbidire al fratello e non rattristarlo (325cd; P] IV, 30).
18. Il padre Poemen disse: «Non abitare in un luogo in cui vedi alcuni gelosi di te; altrimenti non progredirai» 26 (PJ X, 45). 19. Raccontarono al padre Poemen di un monaco che non beveva vino. «Il vino, disse, non è per nulla cosa da monaci» (PT IV, 31). 20. Il padre Isaia interrogò il padre Poemen sui pensieri turpi. Il padre Poemen gli rispose: «È come un cassettone pieno di vestiti; se si lasciano lì, col tempo marciscono. Così i
pensieri: se non li traduciamo in atti del corpo, col tempo svaniscono ovvero marciscono» (328a; PJ X, 42).
21. Il padre Giuseppe gli chiese la medesima cosa, e il padre Poemen gli rispose: «Se si mettono un serpente e uno scorpione in un vaso e lo si chiude bene, col tempo senz'altro muoiono. Così i pensieri cattivi suscitati dai demoni, con la pazienza spariscono» (P/ X, 43).
22. Un fratello venne dal padre Poemen a dirgli: «Semino il mio campo e del suo frutto faccio elemosina». «Fai bene», gli dice l'anziano. Quello se ne andò con ardore e continuò nella sua elemosina. Lo venne a sapere il padre Anub e disse al padre Poemen: «Non temi Dio 27, da parlare così al fratello?». 26 La gelosia altrui può indurre all’attaccamento a quei doni di cui gli altri sono gelosi o alla vanagloria per essi. 27 Cf, Le 23,40.
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L’anziano tacque. Dopo due giorni mandò a chiamare il fratello, e gli disse, in presenza del padre Anub: «Che cosa mi hai detto l’altro giorno? Avevo la mente altrove». E il fratello: «Ho detto che semino il mio campo e ne faccio elemosina». «Credevo che tu parlassi di tuo fratello che vive nel mondo, disse il padre Poemen, ma se sei tu che fai questo, non è lavoro da monaci». A tali parole, l’altro si rattristò e disse: «Non so fare nessun altro lavoro che questo, e non posso non seminare più il mio campo». Quando se ne fu andato, il padre Anub si prostrò dinanzi all’anziano e disse: «Perdonami!». Dice il padre Poemen: «Sapevo anch’io fin da principio che non è lavoro da monaci, ma ho parlato conforme al suo pensiero 28 e gli ho dato ardore nel progresso della carità. Ora invece se ne è andato afflitto e continua a fare lo stesso lavoro» (328abc; PJ X, 46).
23. Il padre Poemen disse: «Se un uomo pecca e non lo nega, dicendo: — Ho peccato, non rimproverarlo; altrimenti gli mozzi l’ardore. Se invece gli dici: — Non scoraggiarti, fratello, ma guardatene d’ora in poi, inciti la sua anima al pentimento»
(PJ X, 48).
24. Disse anche: «La tentazione è una buona cosa, perché rende l’uomo più provato» 29 (PJ X, 49).
25. Disse anche: «Un uomo che insegna, e non fa ciò che insegna, assomiglia a una sorgente: abbevera e lava tutti, ma non può purificare se stessa» (328d; P] X, 50). 28 È un punto essenziale del discernimento di un padre spirituale il conformarsi in qualche modo alla «misura» dell’interlocutore; assecondare, disporre ad accogliere e capire le intime mozioni dello Spirito, ma non prevenirle intempestivamente chiedendo qualcosa che Dio ancora non chiede e per cui quindi non dà la grazia necessaria. Questo è infatti uno dei tanti detti di Poemen che la serie sistematica raccoglie nel capitolo sul discernimento (cf. p. 367). 29 Cf. Gc 1, 12.
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26. Un giorno il padre Poemen, andando in Egitto, vide una donna seduta presso un sepolcro che piangeva amaramente. Disse allora: «Venissero anche tutte le dolcezze di questo mondo, non potrebbero distogliere la sua anima dal lutto. Così anche il monaco deve avere sempre in sé il lutto per i suoi peccati» 30 (328d-329a; PJ III, 10). 27. Disse anche: «Vi è un uomo che sembra tacere e il suo cuore giudica gli altri; costui parla sempre; e ve ne è un
28. Un fratello venne a dire al padre Poemen: «Padre, ho molti pensieri cattivi, che mi mettono in pericolo». L’anziano lo condusse fuori all’aria e gli disse: «Allarga il tuo petto e ferma i venti». «Non posso fare questo!», disse l’altro. «Se non puoi fare questo, gli dice l’anziano, non puoi nemmeno impe-
30 Non basta la compunzione; una costante dell’insegnamento dei padri, frequentissima in Poemen, è la necessità del vero e proprio «lutto», come quando si ha in casa un morto, come quando si piange presso un sepolcro (cf. Mosè, Sette capitoli 7 [18]; Poemen 6; 50; 72, ecc.). I padri sviluppano l’invito al lutto, révvoc, rivolto dalla Scrittura (G1 2, 12 e Gc 4,9) e
si sentono oggetto della beatitudine evangelica proclamata su coloro che sono in lutto (Mt 5, 4). Questo révvoc dà già in questa vita frutti di beatitu-
dine, consolazione, gioia profonda; tali frutti sono tanto più veri e duraturi quanto più permane l’abito del lutto, del pianto sul proprio peccato. Chi è
sempre più consapevole di essere continuamente salvato dalla morte e da un abisso di miseria, costui viene sempre più avvolto dalla dolcezza ineffabile della gratitudine e dello stupore commosso.
«Chi ha rivestito, come veste
nuziale, il lutto beato e pieno di grazia, questi ha conosciuto il sorriso spirituale dell’anima» (Climaco, Scala Par. VI, 68). Questo lutto beato viene detto dai padri yaportoroc, cioè operatore di gioia, secondo la profezia di Giacobbe sulla discendenza di Giuda (Gn 49, 12). Per esprimere la compresenza — che sfugge ai canoni razionali — della «tristezza secondo Dio» (cf. 2 Cor 7, 10) e della gioia spirituale i padri hanno coniato un termine intraducibile, la xapuoXvrn. Ancora il Climaco scrive (ibid4., 66): «Chi cammina continuamente nel lutto secondo Dio, non cessa di far festa ogni giorno».
re» (329ab; PJ X, 55).
no so vi o og lu so es st o ll ne e «S e: ss di 29. Il padre Poemen to la ma è o ltr l’a , te ie qu a ll ne e ne tre, e l’uno vive nella solitudi no io mp co tre i , ra pu e nt me n co e rv se o rz e ringrazia, il te un’opera sola» (PJ X, 52).
a rv ce la e mz Co o: tt ri sc ta «S e: ss di en 30. Il padre Poem !. o3 Di 0 te, a am br a mi a im an l’ sì co e, anela alle fonti delle acqu il do an qu e, i il tt re i lt mo no ra vo di o rt Come i cervi nel dese
er av po do e, e qu ac le al re ni ve di o veleno li brucia, braman i e ch an sì co i, il tt re i de no le ve l da vo ie bevuto, trovano soll
i de no le ve l da si ar no so o rt se de l ne monaci che vivono ni ve r ca pe ni me do la e to ba sa o il an am br i e ag lv ma ni mo de re alle fonti delle acque, cioè al Corpo e al Sangue del Signore, per essete purificati dall'’amarezza del Maligno» (329bc;
PJ XVIII, 17).
31. Il padre Giuseppe chiese al padre Poemen: «In che modo bisogna digiunare?». Il padre Poemen gli dice: «Vorrei che chi mangia ogni giorno mangiasse poco, così da non saziarsi». Gli dice il padre Giuseppe: «Padre, quando eri più giovane non digiunavi a giorni alterni?». L’anziano disse: «In verità, digiunavo anche tre e quattro giorni e una settimana intera. I padri, che erano capaci, hanno provato tutte queste cose, e hanno trovato che è bene mangiare ogni giorno, ma poco; e ci hanno tramandato la via regale, che è leggera» ?2 (PJ X, 44).
31 Sal 41,2. 32 Riecheggiano probabilmente in questa frase varie espressioni bibliche estratte dal loro contesto e qui diversamente composte: Mt 22, 16; Gc 2, 8; t11, 530.
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32. Raccontavano che il padre Poemen, quando stava per andare alla liturgia, si raccoglieva circa un’ora per discernere i suoi pensieri; solo dopo usciva (329d; PJ XI, 22). 33. Un fratello chiese al padre Poemen: «Mi hanno lasciato un’eredità; che devo farne?». «Va’, gli dice l'anziano, ritorna fra tre giorni e te lo dirò». Ritornò come gli era stato fissato, e l’anziano gli disse: «Che ti devo dire, fratello? Se ti dico: — Da’ i tuoi soldi alla Chiesa, lì ne riceveranno del pane 3; se ti dico: — Dalli a un tuo parente, non ne avrai frutto; se ti dico: — Dalli ai poveri, sarai senza sollecitudini; fa’ quindi quello che vuoi, la cosa non mi riguarda» (329d-332a; PJ X, 56). 34. Un fratello chiese al padre Poemen: «Che cosa significa: non rendere male per male 342». Dice l’anziano: «Vi sono quattro specie di questa passione: la prima, del cuore; la seconda, degli occhi; la terza, della lingua; la quarta, non fare
male per male. Se riesci a conservare puro il tuo cuore, non arriverà agli occhi; ma se arriva agli occhi, guardati dal parlare; ma se anche parlerai, tronca in fretta, per non fare male per
male» (332ab; PJ XVIII, 18).
35. Il padre Poemen disse: «Il vigilare, lo stare attenti a se stessi 35, e il discernimento, queste tre virtù sono guide 36 dell'anima» (PJI, 12).
36. Il padre Poemen disse: «Il gettarsi dinanzi a Dio, il non misurare se stessi 37, e il buttare dietro di sé la propria volontà, questi sono gli strumenti dell'anima» (PJ XV, 34).
33 Equivale a dire: li mangeranno, se ne impossesseranno. 341 Ts 5, 15.
35 C£. Gn 24, 6 e par. Vedi nota 5, p. 82. 36 PJ I, 12 sostituisce a «guide» la variante «le operazioni». 37 Questo non significa certo non esaminarsi davanti a Dio, anzi misu-
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37. Disse ancora: «Da qualsiasi pena tu sia colto, la vittoria è il tacere».
38. Disse anche: «È abominio dinanzi al Signore ogni comodità del corpo». 39. Disse anche: «Il lutto è duplice: opera e custodisce» 38.
40. Disse ancora il padre Poemen: «Quando ti viene un pensiero sulle necessità del corpo e le soddisfi una volta, quando ti viene una seconda volta e di nuovo le soddisfi, se viene una terza volta, non badarci, perché è un pensiero vano» 3° (332c; PJ X, 57).
41. Raccontò anche che un fratello chiese al padre Alonio: «Che cos'è l’annientamento?». L'anziano disse: «E l’essere
rarsi è altra cosa; è ripiegarsi su di sé, attribuirsi importanza, avere un’alta opinione di sé, avere egocentrismo e autonomia spirituale. Bisogna rinunciare al giudizio sulla propria anima (vedi 1 Gv 3, 20: «anche se il cuore ci rimprovera, Dio è più grande del nostro cuore»), a misurarsi secondo un proprio metro di misura (cf. 2 Cor 10, 12ss.), a chiedersi a che punto si è, a confrontarsi con altri. Tutto bisogna rimettere a Dio soggiacendo alla sua Parola e alle indicazioni e al giudizio mediati dalla Chiesa e dal padre spirituale (cf. Introd., p. 64). Non è detto, certo, che l’espressione abbia sempre tutta questa gamma di significati. In sé potrebbe averli, ma è difficile, caso per caso, definirne esattamente il valore. 38 Questa breve sentenza concentra in una sintesi densissima la dottrina patristica del ritorno verso lo stato primigenio di innocenza attraverso il lutto e più propriamente il lavacro del pianto sul proprio peccato (cf. nota 97, p. 402). Tutto ciò non si capirebbe senza tener conto di un insegnamento
più esplicito dei padri su questa materia; ma, dato che tale insegnamento
non manca, non c'è dubbio che si riallacci mirabilmente ad esso l’uso dei
due verbi operare e custodire, in cui si compendia il precetto dato ad Adamo nell’Eden (cf. Gn 2, 15). Cf. Introd., pp. 44s. 39 Significa che, per tentazione diabolica o per suggestione psicologica, si può pensare di dover interrompere più volte, per soddisfare necessità del corpo, il lavoro o la preghiera che si sta compiendo.
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al di sotto delle creature irrazionali e sapere che esse non vengono condannate» 49 (P] XV, 36). 42. Disse ancora: «Se l’uomo si ricorda di ciò che dice la
Scrittura: Iu sarai giustificato dalle tue parole e dalle tue parole sarai condannato *, sceglierà piuttosto di tacere».
43. Disse anche: «La distrazione è l’inizio dei mali» 42
(332cd; P] II, 12a).
44. Raccontò anche che il padre Isidoro, presbitero di Scete, disse una volta al popolo: «Fratelli, non siamo forse venuti in questo luogo per la fatica? E ora, qui non vi è più 40 Cf. Xanthia 3. 41 Mt 12, 37.
42 Sentenza analoga a quella espressa in uno degli apoftegmi editi da Nau (N 65): «La dimenticanza è la radice di tutti i mali». Essa «rende prigioniera la mia mente e mi impedisce di accorgermi, tanto che mi porta fino al peccato», aveva detto a Cronio (n. 2) un monaco andato per interrogarlo. Custodire invece incessantemente nella memoria il ricordo di Dio è fonte di ogni bene, di salvezza, di gioia, è difesa contro il nemico. «Mi sono ricordato di Dio e ho gioito», dice — secondo la versione dei LXX - il versetto di un salmo (76, 4) molto caro alla tradizione patristica. «Ricordarsi di Dio è più
necessario che respirare», dice Gregorio Nazianzeno (Horz. 27; PG 36, 16). «...non solo il Cristo è più unito a noi dei nostri congiunti per sangue ed anche dei genitori, ma perfino di noi stessi; perciò nulla è più connaturale all'anima che riflette, del pensiero di Cristo. Tanto da poter affermare che pensare al Cristo è l'occupazione propria delle anime battezzate, sia perché ci è familiare e connaturale, sia perché è migliore di tutte e più dolce di qualunque cosa ci possa rallegrare. Intendo parlare di coloro che dopo il battesimo non si sono troppo inariditi...», così scriveva Nicola Cabasilas, autore bizantino del XIV secolo, in perfetta conformità con la tradizione che lo ha preceduto (cf. La vita in Cristo VI, 4, p. 281). Fin dall’origine i padri greci hanno insistito moltissimo sulla memoria, attribuendole un ruolo capitale per la vita cristiana; Basilio ha sviluppato intorno ad essa un’ampia dottrina, ripresa da tutti i padri dopo di lui: il pensiero di Dio si imprime come un sigillo indelebile in chi custodisce la memoria pura, incessantemente rivolta a lui; così diventiamo veramente abitazione di Dio, tempio suo (cf. Regulae fusius 2: PG 31, 921; ep. 2: PG 32, 229).
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fatica. Perciò io ho preparato il mio mantello e me ne vado dove ci sia fatica: là troverò quiete» (PJ VII, 14).
45. Un fratello chiese al padre Poemen: «Quando vedo qualcosa, pensi che debba parlarne?». L’anziano gli disse: «Sta scritto: Rispondere prima di aver ascoltato è stoltezza e vergogna 4. Se sei interrogato parla, se no taci» (332d-333a; P] X, 58).
46. Un fratello chiese al padre Poemen: «L'uomo può contare su di una sola azione?». E l’anziano gli disse: «Il padre Giovanni Nano ha detto: — Io desidero essere messo a parte di un po’ di ogni virtù» 44. 47. L'anziano raccontò anche che un fratello chiese al
padre Pambone se è bene lodare il prossimo. E gli disse: «E meglio tacere». 48. Il padre Poemen disse pure: «Anche se l’uomo costruisse un cielo nuovo e una terra nuova 4, non potrebbe essere senza sollecitudini».
49. Il padre Poemen disse: «L'uomo ha bisogno dell’umiltà e del timore di Dio come del respiro che esce dalle sue narici» (333b; P] XV, 32).
50. Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare?». L'anziano gli disse: «Quando Abramo entrò nella terra della promessa, si comperò un sepolcro, e in virtù di esso ere-
ditò la terra» 46. Dice il fratello: «Che cos'è un sepolcro?». E l’anziano a lui: «Un luogo di pianto e di lutto» 47, 43 Prv 18, 13. 44 Cf. Giovanni Nano 34.
5 Cf. Ap 21, 1.
46 Cf. Gn 23, 4ss.
47 Cf. nota 30, p. 379.
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51. Un fratello disse al padre Poemen: «Se do a mio fratello un po’ di pane o qualche altra cosa, i demoni macchiano questa azione come se fosse fatta per piacere agli uomini». Gli dice l'anziano: «Anche se è fatta per piacere agli uomini, avremo tuttavia dato al fratello ciò di cui ha bisogno». E gli raccontò questa parabola: «Vi erano due agricoltori che vivevano nella stessa città. L'uno, dopo aver seminato, ricavò un po’ di raccolto non puro. L'altro, che non si era dato cura di seminare, non ricavò assolutamente nulla. Se sopraggiunge una carestia, chi dei due avrà da vivere?». «Quello che ha avuto il raccolto scarso e non puro», rispose il fratello. Dice l’anziano: «Seminiamo dunque anche noi un poco anche se impuro, per non morire di fame» (333bc; PJ XIII, 6). 52. Il padre Poemen ha riportato queste parole del padre Ammone: «Un uomo passa tutto il suo tempo a portare la scure e non riesce ad abbattere l’albero; ve n’è un altro invece che è esperto nel tagliare e con pochi colpi lo fa cadere». E diceva che la scure è il discernimento (P/ X, 59). 53. Un fratello chiese al padre Poemen: «L'uomo, come deve condurre la sua vita?». L'anziano rispose: «Guardiamo Daniele, contro cui non fu trovata accusa, se non perché serviva il Signore Dio suo» 48 (333d; PJI, 13).
54. Il padre Poemen disse: «La volontà dell’uomo è un muro di bronzo ‘9 fra lui e Dio e una pietra di inciampo 50, Se l’uomo l’abbandona, anch'egli dirà: Ne/ wzî0 Dio scavalcherò il muro 51. Ma se alla volontà concorre la pretesa di giustizia, l’uomo si procura afflizione» 52 (333d-336a; PJ] X, 60). 48 C£. Dn 6, 13. 49 C£. Ger 1, 18. 20 Cf, Is 8, 14. 21 Sal 17,30.
?2 Come altre volte, troviamo in Doroteo di Gaza una più ampia spie-
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55. Raccontò anche che un giorno in cui gli anziani erano seduti a mangiare, il padre Alonio stava in piedi a servirli. Vedendolo, lo lodarono, ma egli non rispose affatto. Presolo in disparte, uno gli disse: «Perché non hai risposto alle lodi degli anziani?». «Se avessi risposto, gli dice il padre Alonio, sarei sembrato accogliere la lode» (PJ XV, 39). 56. Il padre Poemen disse: «A parole, gli uomini sono perfetti; a fatti, sono ben poco» (PJ VIII, 14b).
57. Il padre Poemen disse: «Come il fumo fa fuggire le api e porta via la dolcezza del loro lavoro, così il rilassamento del corpo caccia dall'anima il timore di Dio e dissolve tutto il suo lavoro» (336ab; PJ IV, 32).
58. Un fratello si recò dal padre Poemen nella seconda settimana di Quaresima e, dopo avergli aperto i suoi pensieri e aver trovato pace, gli disse: «Ero stato quasi trattenuto dal venire qui oggi». «Perché?», gli domanda l’anziano. «Mi ero detto, dice il fratello, che avresti potuto non aprirmi a causa della Quaresima». Il padre Poemen gli dice: «Noi non abbiamo imparato a chiudere la porta di legno, ma piuttosto quella della lingua» (P] XIII, 5). gazione: «Il Maligno fa il male, quando si associa una pretesa di giustizia. Il Maligno, è il diavolo; egli fa il male quando si associa una pretesa di giusti-
zia, quando cioè si associa alla nostra pretesa di giustizia... Quando infatti ci attacchiamo alla nostra volontà e seguiamo le nostre pretese di giustizia, pro-
prio quando crediamo di fare qualcosa di buono inganniamo noi stessi e non sappiamo che ci stiamo perdendo... Per questo il padre Poemen diceva... [segue testo di Poemen e commento di Doroteo]. È propriamente una morte se la pretesa di giustizia si trova assieme alla volontà, è un gran pericolo, un grande flagello. È la rovina completa per quel misero... Chi persuaderà 62-63). V, (Ins. giova? gli che ciò lui di meglio sa altro un tal uomo che un però dove 15, 11, Prv da tratta è ..» Maligno. «Il Doroteo: da La frase citata a citando Doroteo, lmente Probabi giusto». al si dice: «...quando si associa memoria, ha mutato un po’ il testo e ne ha esteso il senso.
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59. Il padre Poemen disse anche: «Bisogna fuggire i desideri del corpo, perché l’uomo, quand’è vicino al combattimen-
to del corpo, assomiglia a uno che sta sopra un pozzo profondissimo; il nemico, quando vuole, lo getta giù facilmente; ma se è lontano dai desideri del corpo, assomiglia a un uomo che è molto distante dal pozzo così che, anche se il nemico lo trascina per gettarlo giù, mentre lo tira e gli fa violenza, Dio gli manda il soccorso» (336bc). 60. Disse anche: «L'indigenza, la tribolazione, l’angustia,
il digiuno, questi sono i mezzi della vita solitaria. Sta scritto infatti: — Se ci fossero questi tre uomini, Noè, Giobbe, Danie-
le, vivo io, dice il Signore 53. Noè è immagine del non possedere nulla, Giobbe del dolore e Daniele del discernimento; se dunque nell’uomo vi sono queste tre opere, il Signore abita in lui (PJI, 14). 61. Il padre Giuseppe raccontò: «Mentre sedevamo con il padre Poemen, egli nominò il padre Agatone. — É giovane, gli dicemmo, e perché lo chiami padre? Il padre Poemen disse: — La sua bocca gli ha meritato di essere chiamato padre» (336d; PJ XV, 40).
62. Venne un giorno dal padre Poemen un fratello e gli disse: «Padre, che cosa devo fare? Sono tribolato dalla fornica-
zione. Ed ecco, sono andato dal padre Ivistione, e mi ha detto: — Non devi lasciarla indugiare su di te». Dice a lui il padre Poemen: «Le opere di padre Ivistione sono in alto con gli angeli e non vede che io e te siamo nella fornicazione. Se il monaco trattiene il ventre e la lingua e si mantiene estraneo [al mondo], fatti animo, non morirà 54» (336d-337a; P] V, 9).
23 C£. Ez 14, 20. 24 C£. Gv 11, 26.
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63. Il padre Poemen disse: «Insegna alla tua bocca a dire ciò che il tuo cuore racchiude» 55 (P] VIII, 14a). 64. Un fratello chiese al padre Poemen: «Se vedo la caduta di un fratello, è bene nasconderla?». L'anziano gli rispose: «Nell'ora in cui copriremo la caduta del fratello, anche Dio coprirà la nostra; nell’ora in cui la sveleremo, anche Dio svelerà la nostra» (P] IX, 6).
65. Il padre Poemen disse ancora che un tale aveva chiesto una volta al padre Paisio: «Che devo fare alla mia anima, che è insensibile e non teme Dio?». L'anziano gli disse: «Va’, attaccati a un uomo che tema Dio, e nello stargli vicino imparerai anche tu a temere Dio» (337b). 66. Disse ancora: «Se il monaco vince due cose, può divenire libero dal mondo». «Quali?», chiese il fratello. Disse: «Il
ristoro della carne e la vanagloria» (PJI, 15).
67. Il padre Abramo, discepolo del padre Agatone, chiese al padre Poemen: «Come mai i demoni mi combattono?». «Ti combattono i demoni? — gli dice il padre Poemen —. Non combattono contro di noi, finché facciamo le nostre volontà; infatti le nostre volontà sono demoni 56, e sono esse che ci tormentano, 2.Cf. Ec 21, 26; Sal 14,2. 26 Se si isolasse questo brano di Poemen dal contesto generale della demonologia degli apoftegmi e della dottrina dei padri, l'affermazione: «le
nostre volontà sono demoni», potrebbe facilmente essere equivocata. Cf. anche Pitiroun, ove si dice che a ogni passione corrisponde un demone, e, più formalmente, Giovanni di Gaza (ep. 304): «i demoni infatti sono le passioni, secondo la Scrittura». Si vuol dire forse con questo che i demoni non sono che «una rappresentazione» del dramma del combattimento interiore? La risposta, per il realismo stesso della concezione della salvezza, dell’opera della redenzione, della vittoria del Cristo e della lotta dell’anima, deve essere assolu-
tamente negativa. D'altronde, a ogni pagina degli apoftegmi, il corpo a corpo del discepolo del Cristo con lo spirito delle tenebre è presentato come il tema
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finché le compiamo. Vuoi vedere con chi combatterono i demoni? Con Mosè e quelli simili a lui» (337bc; PJ X, 62).
68. Il padre Poemen disse: «Questa è la regola di vita che Dio ha prescritto a Israele: astenersi da ciò che è contro natura 27, cioè dall’ira, dal furore, dalla gelosia, dall’odio, dalla maldicenza contro il fratello e dal resto, che è detto nell'Antico Testamento».
69. Un fratello chiese al padre Poemen: «Dimmi una parola». Gli dice: «Ciò che i padri posero come inizio dell’azione è il lutto». «Dimmi un’altra parola», dice ancora il fratello. «Finché puoi — gli risponde l’anziano —, compi del lavoro manuale, per farne elemosina. Sta scritto infatti: — Elemosina e fede purificano i peccati 58». Dice il fratello: «Che cos'è la fede?». E l’anziano a lui: «Fede misericordia» 59 (337 cd).
è vivere con umiltà e fare
stesso della vita cristiana; essa è tutta lotta «non contro la carne e il sangue, ma
contro i principati, le potestà, i dominatori cosmici di questa tenebra» (Ef 6, 12) — vedi anche Introd., pp. 51ss. Si deve piuttosto dire esattamente il contrario: l’intimo stesso dell’uomo, le sue passioni, le sue concupiscenze, non sono
che manifestazione di un’operazione diabolica, che lo insidia da ogni parte e
che cerca di conquistarne il cuore. Vedi a riguardo anche Matoes 4: «Il padre Matoes disse: “Satana non sa a quale passione l’anima soggiace; semina, ma non sa se mieterà: talora sono pensieri di fornicazione, altra volta pensieri di poi a nistr Sommi ni. passio altre le per anche modo stesso allo e enza, maldic all'anima la passione, alla quale la vede propendere”». 57 La parola di Dio, dunque, fin dall’Antico Testamento rivela e definisce ciò che è essenzialmente bene e ciò che è male. La formula «contro natura» risente peraltro palesemente di categorie del linguaggio stoico: un certo «stoicismo popolare» è del resto comunemente riconosciuto come elemento caratteristico della mentalità dell’epoca. Il bene consiste nell’adeguarsi alla «natura» della realtà, mentre il male contraddice l’intima struttura
dell’essere: esso è quindi «contro natura». 58 Cf. Prv 15, 27. 59 È una definizione molto interessante della fede, sulla linea, evidentemente, dell’epistola di Giacomo che, in modo complementare alla dottrina di Paolo, afferma che la fede senza le opere sia inefficace e morta (cf. Gc 2, 17-26).
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70. Un fratello disse al padre Poemen: «Se vedo un fratello di cui ho udito che è caduto, non voglio portarlo nella:mia cella. Ma se ne vedo uno buono, gioisco con lui». «Se fai un po’ di bene al fratello buono, disse l’anziano, all’altro fanne il doppio, perché questi è il malato» (PJ XVII, 23). Vi era in cenobio un anacoreta di nome Timoteo. Il superiore sentì voce di una tentazione riguardo a un fratello e interrogò Timoteo sull’argomento; questi gli consigliò di cacciare il fratello. Quando lo ebbe cacciato, la tentazione di quel fratello si posò su Timoteo, finché non cadde in peccato. Allora Timoteo pianse davanti a Dio dicendo: — Ho peccato, perdonami! E gli giunse una voce che gli disse: — Timoteo, non credere che ti abbia fatto questo per nessun’altra ragione, se non perché hai disprezzato il tuo fratello nel tempo della sua tentazione 6% (337d-340a).
71. Il padre Poemen disse: «Per questo giacciamo in mezzo a tentazioni tanto grandi, perché non custodiamo i nostri nomi e il nostro posto, come dice la Scrittura 61: guardiamo la
donna cananea, che aveva accettato il suo nome, e per questo il Salvatore le diede pace 6, E anche Abigail, quando disse a David: — Il peccato è in me!, ed egli l’ascoltò e l’amò 4. Abigail è immagine dell’anima, e David della divinità: se l’anima si accusa dinanzi al Signore, il Signore la ama» (340b).
72. Una volta il padre Poemen andò con il padre Anub nella zona di Diolco. Giunti vicino alle tombe, videro una don-
na che si batteva forte il petto e piangeva amaramente &. Si fermarono ad osservarla. Un poco oltre incontrarono un tale; e 60 Cf. Lc 8, 13. 61 Così dice la Scrittura in tanti luoghi in cui presenta l’uomo che si riconosce indegno e peccatore. 62 Cf. Mt 15, 27. 63 Cf. 1 Sam 25, 23-35.
64 Cf, Mt 26, 75.
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il padre Poemen gli chiese: «Che ha quella donna da piangere amaramente?». Gli disse: «Le sono morti il marito, il figlio, il fratello». A queste parole, il padre Poemen dice al padre Anub: «Io ti dico che, se l’uomo non uccide tutti i desideri
della carne 6 e non possiede questo lutto, non può diventare monaco; poiché tutta la vita e lo spirito di questa donna è nel lutto» (340bc). 73. Il padre Poemen disse: «Non misurare te stesso 66, ma aderisci a chi sa vivere bene» (P] XV, 35).
74. Raccontava pure che, quando un fratello si recava dal padre Giovanni Nano, gli offriva quell’amore di cui l’Apostolo dice: L'amore è paziente, è benevolo 81. 75. Raccontava anche ciò che il padre Antonio aveva detto del padre Pambone: per il timore di Dio fece sì che lo Spirito di Dio abitasse in lui 68 (340d).
76. Uno dei padri raccontò di quando il padre Poemen e i suoi fratelli vivevano in Egitto; e la loro madre, benché lo desiderasse, non poteva vederli. Li aspettò un giorno mentre andavano in chiesa e si fece loro incontro; ma essi, vedendola,
le voltarono le spalle e le chiusero la porta in faccia. Ella si mise a piangere e gridare presso la porta, con molti gemiti, e diceva: «Che io possa vedervi, figli miei diletti!». Udendola, il padre Anub entrò dal padre Poemen per chiedergli: «Che dobbiamo fare con questa vecchia che piange presso la porta?». Dal di dentro, egli la udì piangere con grandi gemiti, e le
6 Citazione composita di Col 3, 5 e Ef 2, 3. 66 Cf. n. 36 e nota relativa. 67 1 Cor 13,4. 68 Cf. 1 Cor 3, 16.
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disse: «Perché gridi così, vecchia?». Ma essa, udendo la sua
voce, gridava ancora di più e diceva con lacrime: «Vi voglio vedere, figli miei! Che male c’è se vi vedo? Non sono forse vostra madre? Non vi ho allattato io? Ora ho tutti i capelli
bianchi! Nell’udire la tua voce, sono rimasta sconvolta». L’anziano le chiede: «Vuoi vederci qui o vuoi vederci nell’al di là?». Lei gli domanda: «Se non vi vedo qui, vi vedrò nell’al di là?». Le dice: «Se ti fai violenza per non vederci qui, ci vedrai di là». Ella se ne andò allora felice, dicendo: «Se davvero vi
vedrò di là, non voglio vedervi qui» (340d-341b; PJ] IV, 33).
77. Un fratello chiese al.padre Poemen: «Che cosa sono le cose alte?» 69, L'anziano gli dice: «Il giudizio». 78. Un giorno vennero dal padre Poemen alcuni eretici, che cominciarono a parlar male dell’arcivescovo di Alessandria, dicendo che sarebbe stato ordinato dai presbiteri 70. L’anziano, dopo aver taciuto, chiamò il fratello e gli disse: «Prepara la tavola, falli mangiare, e rimandali in pace».
79. Il viveva con «Che devo misurare te
padre Poemen raccontò che un fratello, il quale altri fratelli, aveva chiesto al padre Bessarione: fare?». L’anziano gli aveva detto: «Taci, e non stesso» (341c).
62 Cf. Rm 11, 20; 12, 16. Vedi Antonio 2.
70 Questa diceria corrisponde a un sospetto che appare anche altrove, secondo il quale per un certo tempo il vescovo di Alessandria non sarebbe stato ordinato da altri vescovi — conforme alla consuetudine della Chiesa fissata in norma a Nicea, nel IV canone del I concilio ecumenico —, ma dallo stesso collegio presbiterale che l’aveva eletto. Se questo è veramente avvenuto, con ogni probabilità poteva esserlo solo prima del 325, anno del concilio, salvo casi di ordinazioni manifestamente irregolari. È quindi un po’ singolare — ma non è questa la sede per approfondire l'argomento — che il tema emerga in questi termini tanti anni dopo.
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80 (Guy 81). Disse anche: «Non attaccarti col tuo cuore a colui di cui il tuo cuore non è sicuro».
81 (Guy 82). Disse ancora: «Se disprezzi te stesso avrai quiete, in qualunque luogo tu viva».
82 (Guy 83). Raccontò pure che il padre Sisoes diceva: «C'è una vergogna che porta con sé il peccato 71 di non aver timore» 72,
83 (Guy 84). Disse anche: «La volontà propria, il riposo e l'abitudine a queste cose, abbattono l’uomo». 84 (Guy 85). Disse ancora: «Se sei silenzioso, avrai quiete in qualsiasi luogo abiterai» (341cd). 85 (Guy 86). Disse anche che il padre Pior cominciava ogni giorno.
86 (Guy 87). Un fratello chiese al padre Poemen: «Se l’uomo è molto invischiato in una qualche colpa, e poi si converte, sarà perdonato da Dio?». L'anziano gli disse: «Il Dio che ha comandato agli uomini di fare questo, non lo farà ancor più Egli stesso? Egli infatti ha dato a Pietro quest'ordine: Perdona al tuo fratello fino a settanta volte sette 73».
87 (Guy 88). Un fratello chiese al padre Poemen: «È bene pregare?». Dice a lui l’anziano: «Il padre Antonio ha detto che dal volto di Dio esce questa voce: Cornsolate il mio popolo, dice il Signore, consolate 74» (344a). 71 C£. Eccli 4, 21.
72 Il vergognarsi di temere Dio davanti agli uomini per rispetto umano porta con sé la mancanza di timore di Dio. O si teme l’Uno o si temono gli altri. Cf. Sisoes 41. 73 Mt 18, 22. 74 C£. Is 40, 1.
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88 (Guy 89). Un fratello chiese al padre Poemen: «Può l’uomo dominare tutti i suoi pensieri e non cederne nessuno al nemico?». E l’anziano disse: «C'è chi riceve dieci e dà uno» 75. 89 (Guy 90). Quello stesso fratello pose la medesima domanda al padre Sisoes, e questi gli disse: «Certo vi è chi non cede nulla al nemico».
90 (Guy 91). Vi era un grande esicasta sul monte di Athlibis. Lo assalirono dei predoni, e l'anziano gridò; i suoi vicini, udendolo, presero i ladri e li mandarono al governatore, che li gettò in carcere. I fratelli allora si rattristarono, e dissero: «Per causa nostra sono stati arrestati». É andarono dal padre Poemen a riferirgli la cosa. Ed egli scrisse a quell’anziano: «Pensa a come è avvenuta la prima consegna in carcere, e allora capirai il senso della seconda: infatti, se tu
prima non fossi stato fatto prigioniero da ciò che è dentro di te, non avresti compiuto la seconda consegna» 76. All’udire la lettera del padre Poemen, che era rinomato in tutta la regione e non usciva mai dalla sua cella, egli si alzò; andò in città e trasse fuori dal carcere i ladri, e pubblicamente li mise in libertà (344ab).
91 (Guy 92). Il padre Poemen disse: «Non è monaco chi 7° C'è un curioso rovesciamento della parabola delle mine raccontata dall’evangelista Luca. Là il servo buono lodato dal Signore è colui che ha
ricevuto una mina e l’ha fatta fruttare fino a dieci (Lc 19, 16s.). Qui c’è chi
riceve dieci e dà uno, cioè chi resiste fino all’ultino ma poi cede, mentre il servo buono è colui che non cede nulla al nemico, come afferma il testo
seguente. Cf. Introd., p. 36. 76 Altre volte abbiamo visto un anziano aiutare egli stesso i suoi depredatori con grande indifferenza e libertà di spirito (vedi nota 16, p. 311). In questo caso invece il primo movimento istintivo dell’anziano era stato di difendere i propri beni: gridando, egli aveva mostrato di essere «prigioniero» della propria passione.
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è n no 77, le ma per le ma e nd re chi co na si lamenta, non è mo monaco chi si adira» (344bc; PJ X, 54). 92 (Guy 93). Alcuni anziani si recarono dal padre Poemen e gli chiesero: «Se vediamo dei fratelli che sonnecchiano durante la liturgia, vuoi che li scuotiamo, perché rimangano desti durante la veglia?». Ma egli disse loro: «Veramente, se io vedo un fratello che sonnecchia, metto la sua testa sulle mie ginocchia e lo lascio riposare». 93. Raccontavano che un fratello aveva la tentazione della bestemmia, e si vergognava a dirlo. Quando sentiva parlare di grandi anziani, si recava da loro per manifestarla, ma, quando arrivava, si vergognava a confessarla. Si recò parecchie volte
anche dal padre Poemen; l’anziano capì che aveva dei pensieri
e si rattristò, perché il fratello non li diceva. Un giorno, prevenendolo, gli disse: «Ecco, da tanto tempo vieni qui con dei pensieri da manifestarmi, e quando arrivi non vuoi dirmeli, ma te ne vai ogni volta turbato portandoli con te. Dimmi, figliolo,
cos'è che hai?». Gli dice: «Il demonio mi tenta a bestemmiare Dio, e mi vergognavo a dirlo». Appena gli ebbe raccontato la cosa, ne fu subito liberato. L’anziano gli disse: «Non affliggerti, figliolo; ma, quando ti viene questo pensiero, di’: - Io non c'entro; la tua bestemmia ricada su di te, Satana! 78. La mia anima non vuole questa cosa. É, ogni cosa che l’anima non vuole, dura poco». Il fratello se ne andò guarito (344c-345a).
94 (Guy 95). Un fratello interrogò il padre Poemen: «Vedo che trovo aiuto dovunque vado». L'anziano gli dice: «Quelli che hanno la spada in mano ?9, hanno Dio che ha 7 C£, Rm 12, 17. 18 Cf. Sal 7, 17. 79 Cf. Lc 22, 36. Nella tradizione cristiana, sulla base di Eb 4, 12, la spada è la Parola di Dio. Cf. Arsenio 31 e Amoe 2.
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o am si se , hé rc pe ; te en es pr o mp te nel o lor di misericordia coraggiosi, ci userà misericordia». a im as bi mo uo l’ e «S e: ss di en em Po e 95 (Guy 96). Il padr se stesso, resiste dappertutto».
ce di ne mo Am e dr pa il e ch e ch an tò on cc 96 (Guy 97). Ra
si me co ra pa im n no e a ll ce in i nn 'a nt ce va: «Vi è chi passa
deve vivere in cella» (345ab).
un gi mo uo l’ se e, ch e ss di en em Po 97 (Guy 98). Il padre à dr ve si ®0, ri pu i per ro pu è to Tut o: ol st po ’A ge al detto dell te ri a cio fac e om «C lo: tel fra il ce Di . ra tu ea cr i ogn peggiore di mo uo l’ «Se : ano nzi l’a e Dic ». no? ssi ssa l’a del re gio peg nermi un te et mm co che uno e ved se he anc , ola par sta que a arriva assassinio, dice: — Lui ha commesso solo questo delitto,_io invece commetto assassinii ogni giorno».
98, Il fratello fece la stessa domanda al padre Anub, riterendogli ciò che il padre Poemen gli aveva detto. Il padre Anub gli disse: «Se l’uomo arriva a questa parola e vede le mancanze del fratello, con la sua giustizia le fa sparire». Gli dice il fratello: «Qual è la sua giustizia?». L'anziano rispose: «Il biasimare sempre se stesso» (345bc). 99. Un fratello disse al padre Poemen: «Se cado in qualche miserevole colpa, il mio pensiero mi consuma e mi condanna dicendomi: — Perché sei caduto?». Dice a lui l’anziano: «Nel momento in cui l’uomo cade in una mancanza e dice: — Ho peccato, subito trova quiete».
100. Un fratello chiese al padre Poemen: «Perché i demoni persuadono la mia anima a stare con chi è superiore a me e mi fanno disprezzare chi è inferiore?». Dice a lui l’anzia80 Tt 1, 15.
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no: «Per questo l’Apostolo disse che in una grande casa non vi sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di terracotta. Se dunque uno si purifica da tutti questi, sarà un recipiente pregevole, utile al padrone, preparato per ogni opera buona» 81 (345cd). 101 (Guy 103). Un fratello chiese al padre Poemen: «Perché non riesco a diventare libero nel dire agli anziani i miei pensieri?». Dice a lui l'anziano: «Il padre Giovanni Nano disse che di nulla il nemico gode tanto come di chi non manifesta i suol pensieri» 82,
102 (Guy 104). Un fratello disse al padre Poemen: «Il mio cuore è sfinito, se mi capita di affaticarmi un po’». L'anziano gli dice: «Non ammiriamo forse come Giuseppe, un giovane di diciassette anni, sopportò la tentazione fino alla fine? E Dio l’ha glorificato 83. E non vediamo anche Giobbe, come non desistette dal mantenere la pazienza fino alla fine? E le tentazioni non riuscirono a scuoterlo dalla speranza in Dio» (3482). 103. Il padre Poemen disse: «In cenobio sono necessarie tre opere: una umile, una in vista dell’ubbidienza, un’altra che è mossa e sollecitata da un pungolo, per il bene del cenobio» 84. 81 Cf. 2 Tm2, 20s. Al fratello, cheè tentato di evitare i confratelli più
immaturi, ritenendoli «vasi spregevoli», l'anziano suggerisce di operare questo discernimento, piuttosto che riguardo al prossimo, nell’intimo del suo cuore, scartando tutto ciò cheè male: questi, infatti, sono i veri «vasi spregevoli» di cui parla san Paolo. 82 È esperienza e convinzione costante dei padri; nelle principali raccolte di apoftegmi questo detto non appare in bocca a Giovanni Nano, ma a Teona secondo Cassiano e a un anonimo nella serie edita dal Nau (PJ IV, 25 e V, 13). Può ben darsi tuttavia che Poemen l’abbia udito da Giovanni Nano, come qui è detto. 8 Cf. Gn 37,2 - 41,5.
84 Significa che in cenobio ognuno è stimolato a impegnarsi per la costruzione della vita comune.
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104. Un fratello interrogò il padre Poemen: «In un momento di necessità ho chiesto a uno dei santi 85 qualcosa in prestito e me l’ha dato in elemosina. Se Dio poi provvederà anche a me, farò anch’io la carità ad altri o piuttosto a chi l’ha fatta a me?». Gli dice l’anziano: «E giusto presso Dio farla a lui, perché gli appartiene». Dice a lui il fratello: «E se gli restituisco e non vuole accettare, ma mi dice: — Va’, usalo come
vuoi per fare la carità, che cosa devo fare?». L'anziano gli dice: «Finora la cosa era sua, ma se di sua iniziativa te la cede, senza
che tu gli abbia chiesto nulla, è tua. Ma se tu chiedi a un monaco o a un secolare e non vuole accettare, decidi così: fa’ la carità a nome suo, con il suo consenso» (348ab).
105. Raccontavano che il padre Poemen non volle mai sovrapporre il suo parere a quello di un altro anziano, ma piuttosto lo lodava in tutto (348c; P] XV, 41). 106 (Guy 108). Il padre Poemen disse: «Molti dei nostri padri divennero valorosi nell’ascesi. Ma, quanto alla sottigliezza dei pensieri, che si raggiunge mediante la preghiera, soltanto uno o due».
107 (Guy 109). Una volta, mentre il padre Isacco sedeva accanto al padre Poemen, si udì la voce di un gallo. E gli chiese: «Padre, ve ne sono qui?». Ma l’altro gli rispose: «Isacco, perché mi costringi a parlare? Tu e quelli che sono simili a te odono queste cose; ma chi è vigilante non se ne cura». 108 (Guy 110). Raccontavano che, se alcuni venivano dal
padre Poemen, li mandava prima dal padre Anub, perché era 8 Così vengono chiamati i cristiani negli Atti degli Apostoli (9, 13.32, ecc.) e così amò chiamarli la tradizione, rimasta viva ancora oggi presso alcune Chiese d’Oriente. L’appellativo si fonda non su virtù personali eccellenti, ma sul dono oggettivo dello Spirito Santo ricevuto nel battesimo.
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maggiore di età; ma il padre Anub diceva loro: «Andate dal mio fratello Poemen, perché egli ha il carisma della parola» 86. Ma se il padre Anub era seduto vicino al padre Poemen, alla sua presenza il padre Poemen non parlava per nulla (348cd). 109. C°era un secolare che conduceva una vita molto pia, e si recò dal padre Poemen. Capitarono poi dall’anziano anche altri fratelli, che gli domandavano una parola. L’anziano disse a quel fedele: «Di’ una parola ai fratelli!». Ma egli lo pregava: «Perdonami, padre, io sono venuto per imparare!». Tuttavia, costretto dall’anziano, disse: «Sono un secolare, vendo verdure
e faccio commercio, sciolgo i grandi fasci e ne faccio di piccoli,
compro a poco e vendo a molto. Non so parlare per nulla della
Scrittura. Ma racconto una parabola: Un uomo disse a un suo amico: — Vieni con me, perché ho grande desiderio di vedere il re. L'amico gli dice: — Vengo con te fino a metà strada. L'uomo chiede poi a un altro amico: — Vieni, conducimi dal re. Ed egli: — Ti porto fino al palazzo del re. Dice poi a un terzo: — Vieni con me dal re. — Vengo, risponde, e ti accompagno al palazzo; mi fermo e parlo e ti introduco dal re». Gli chiesero quale fosse il significato della parabola. Rispose: «Il primo amico è l’ascesi, che conduce fin sulla strada; il secondo è la castità, che giunge fino al cielo, il terzo è la misericordia 7, che introedi no ro da an ne se li tel fra I ». Dio re al o fin a alt nte fro a e duc ficati (348d-349b).
110 (Guy 111). Un fratello viveva fuori non vi salì per molti anni; e diceva ai fratelli: ho e non sono salito al villaggio, mentre voi occasione». Lo riferirono al padre Poemen, 86 Cf. Introd., p. 59.
dal suo villaggio e «Ecco quanti anni ci andate ad ogni e l’anziano disse: o.
87 Due codici hanno «obbedienza» invece che «misericordia» (cf. PG 65, nota 56, 347-348).
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«Io salivo di notte e facevo il giro del villaggio, perché il mio pensiero non si gloriasse come se io non vi salissi» (349bc).
111 (Guy 113). Un fratello chiese al padre Poemen: «Dimmi una parola». Gli disse: «Quando la caldaia è sul fuoco, non può toccarla né una mosca né alcun rettile. Ma quando è fredda, allora vi si posano sopra. Così anche il monaco: finché resiste nelle opere spirituali, il nemico non trova modo di abbatterlo».
112 (Guy 114). Il padre Poemen aveva detto: «Questa Chi ha un mantello, lo venda e chi ha quiete, la lasci e prenda
Giuseppe raccontò che il padre è la parola scritta nell’Evangelo: compri una spada 88. Ciò significa: la via stretta 89» (349c-352a).
113 (Guy 115). Alcuni padri chiesero al padre Poemen: «Se vediamo un fratello che pecca, vuoi che lo rimproveriamo?». Dice loro l'anziano: «Quanto a me, se ho bisogno di passare di là e lo vedo peccare, passo oltre e non lo rimprovero».
114 (Guy 116). Il padre Poemen disse: «Sta scritto: — Test:monia ciò che i tuoi occhi hanno visto 9. Ma io vi dico 21: non rendete testimonianza nemmeno di ciò che toccate con mano.
In questo genere di cose un fratello prese un abbaglio: gli parve di vedere un fratello che peccava con una donna. Dopo essere stato molto combattuto, andò a colpirli con un piede, credendo
88 Lc 22, 36. 82 Cf. Mt 7, 13s. 20 Prv 25, 7.
21 Cf. Mt 5, 21.27.31, ecc. Questa impostazione del discorso: «Sta scritto... ma io vi dico...» è quella del Signore nel grande discorso della montagna che compendia, interpreta e completa tanta parte dell’insegnamento veterotestamentario. Usando tale formula, l'anziano mostra una coscienza molto forte del suo magistero e della sua conformità al Cristo (cf. Introd., pp. 63s.).
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che fossero loro, e disse: — Smettetela dunque! Fino a quando? Ed ecco che erano fasci di grano! Per questo vi ho detto: anche se toccate con mano, non accusate» (352ab).
115 (Guy 117). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare? Sono tentato di fornicazione e trascinato all’ira».
Dice l'anziano: «Per questo David disse: — Colpivo il leone e soffocavo l’orso 92, che vuol dire: troncavo l’ira e comprimevo la fornicazione con le mie pene».
116 (Guy 118). Disse anche: «Non è possibile trovare amore più grande di questo, che qualcuno ponga la sua anima per il suo prossimo #; se qualcuno sente una parola cattiva che lo affligge e, pur potendo risponderne una simile, lotta per non dirla; oppure, se è trattato con arroganza, sopporta e non ricambia, questi pone l’anima sua per il suo prossimo» (352bc;
PJ XVII, 10).
117 (Guy 119). Un fratello chiese al padre Poemen: «Chi è un ipocrita?». Gli dice l'anziano: «Ipocrita è chi insegna al suo prossimo una cosa a cui egli non è ancora arrivato. È scritto infatti: — Perché osservi il bruscolo nell'occhio del tuo fratello, ed ecco la trave sta nel tuo occhio? 9. E il seguito».
118 (Guy 120). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che cosa significa: adirarsi invano 9 contro il proprio fratello?». Rispose: «Con qualsiasi angheria il fratello ti tiranneggi, se ti adiri con lui ti adiri invano. Ma se vuole separarti da Dio, allora adirati» 9 (352c-353a; PJ X, 47). 22 73 94 2 96
Cf. Cf. Mt Cf, Cf.
1 Sam 17, 35. Gv 15, 13. 7, 3s. Mt 5, 22. Agatone 5.
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119 (Guy 121). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare per i miei peccati?». Gli disse: «Chi vuole riscattare i peccati, li riscatta col pianto; e chi vuole ottenere le virtù, le ottiene col pianto; piangere infatti è la strada che ci hanno lasciato la Scrittura e i padri, dicendoci: — Piangete! 7. Non vi è altra strada che questa».
120 (Guy 122). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che cos'è il pentimento del peccato?». E l'anziano disse: «Il non commetterlo più. Per questo i giusti sono stati chiamati immacolati 98, perché hanno abbandonato i peccati e sono divenuti giusti». 121 (Guy 123). Disse anche: «La malvagità degli uomini è nascosta dietro le loro spalle» 99 (353b).
"I Cf. Gl 1, 13; 2, 12-13; Gc 4, 9. Il tema del pianto è strettamente con-
nesso a quello del lutto, già considerato (vedi nota 30, p. 379). Vi è in materia una letteratura ampissima; è infatti uno dei temi «classici» della tradizione patristica. È visto come un aspetto essenziale, non marginale, connesso al fulcro della vita spirituale; è un discorso strettamente legato a quello sul battesimo. Col battesimo infatti il cuore di pietra è diventato un cuore di carne (cf. Ez 11, 19 e 36, 26) capace di ardere e consumarsi al pensiero dei propri peccati e dell’infinita misericordia di cui è oggetto. La vita spirituale non è acquisto e somma di meriti, ma discesa nella valle del proprio nulla e del pianto dei peccati commessi dopo il battesimo. Attraverso questa discesa si attua il ritorno verso lo stato edenico, verso l’innocenza battesimale. Basti pensare ancora una volta alla straordinaria coscienza della propria nullità che aveva santa Teresina e al suo abbandono infantile e fiducioso all'amore misericordioso di Dio. I padri hanno visto nel lavacro purificatore delle lacrime il segno di una particolare interiorizzazione e attualizzazione del lavacro battesimale e l'hanno spesso chiamato come un secondo battesimo. Cf. nota 38, p. 382; vedi anche Arsenio 41 e 42; Dioscuro 2; Poemen 208 e 209, ecc. 98 Cf. Sal 14, 2; 118, 1.
99 Mosè (n. dietro le tratta del
Questa sentenza è il compendio del pensiero illustrato dagli anziani 2) e Pior (n. 3) nella famosa scena della cesta o del sacco caricati spalle, che lasciano scorrere via tutta la sabbia di cui erano pieni. Si rifiuto dell’uomo di riconoscere il proprio peccato.
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122 (Guy 124). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare con questi turbamenti che mi sconvolgono?». Dice a lui l'anziano: «In ogni nostra pena, piangiamo dinanzi alla bontà di Dio, finché egli ci faccia misericordia» 100,
123 (Guy 125). Il fratello lo interrogò ancora: «Che devo fare delle amicizie inutili che ho?». Disse: «C'è chi si estenua fino alla morte preoccupandosi delle amicizie di questo mondo; ma tu, non avvicinarti, non toccarle 101, e se ne andranno da sé».
124 (Guy 126). Un fratello chiese al padre Poemen: «Può un uomo essere morto?». Gli dice: «Se cade nel peccato, diviene un cadavere. Ma se giunge al bene, vivrà e lo com-
pirà» 192 (353bc).
125 (Guy 127). Il padre Poemen raccontò che il beato padre Antonio aveva detto: «La grande forza dell’uomo è il gettare sopra di sé il proprio peccato, davanti al Signore, e aspettarsi la tentazione fino all’ultimo respiro» 193, 126 (Guy 128). Fu chiesto al padre Poemen a chi è detta la parola della Scrittura: «Non preoccupatevi per il domani» 104, E l’anziano disse: «A un uomo che si trova in tenta-
100 Cf, Sal 122, 2d.
101 Cf. Col 2, 21. quelcare prati a fa si come e saper a volev llo frate il e ment abil Prob 102 lo che i padri insegnano ripetutamente (vedi nota 46, p. 327), cioè l’indifferenza e la morte al peccato, al prossimo e ad ogni cosa. Poemen invece rovescia argutamente il senso della domanda e l'impostazione del problema: la vera morte è quella provocata dal peccato; chi invece opera la giustizia gode della pienezza di vita. Occorrerebbe quindi chiedersi non come si fa a morire, ma come si fa a vivere. 103 Cf. Antonio 4.
104 Cf. Mt 6, 34.
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zione e si scoraggia dicendo: — Per quanto tempo rimarrò in questa tentazione?, è stato detto di non preoccuparsi, ma di
riflettere piuttosto dicendo ogni giorno: — Oggi». 127 (Guy 129). Disse anche: «Insegnare al prossimo è compito di un uomo sano e senza passioni. Perché, che vantaggio c’è nel costruire la casa di un altro e nel distruggere la propria?» (353d).
128 (Guy 130). Disse anche: «Che utilità c'è, se uno va ad apprendere un'arte e non la impara?».
129 (Guy 131). Disse ancora: «Tutto ciò che passa la misura, proviene dai demoni». 130 (Guy 132). Disse ancora: «Se un uomo vuole costruire una casa, per poterla erigere raccoglie molto materiale e diverse specie di strumenti. Così anche noi, prendiamo un po’
di ogni virtù» (353d-3562).
131 (Guy 133). Alcuni padri chiesero al padre Poemen: «Come poté il padre Nisteroo sopportare così il suo discepolo?». Dice loro il padre Poemen: «Se fossi stato io, avrei messo anche un cuscino sotto la sua testa». «E cosa avresti detto a
Dio?», chiede il padre Anub. Dice il padre Poemen: «Avrei detto: — Tu dicesti: Leva prima la trave dal tuo occhio, e poi ci vedrai bene per levare il bruscolo dall'occhio del tuo fratello 105». 132 (Guy 134). Disse il padre Poemen: «La fame e il sonno non ci lasciano vedere queste cose semplici» 106, 105 Mt 7,5. 106 È un’altra critica alla mancanza
di discernimento nella pratica
dell’ascesi (cf. nota 104, p. 133 e nota 32, p. 227). Stanco per il troppo digiuno e le troppe veglie, il monaco non capisce e trascura dei doveri quotidiani molto semplici.
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133 (Guy 135). Disse anche: «Molti sono diventati forti, ma pochi senza irritare» 107 (356b).
134 (Guy 136). Disse ancora, gemendo: «In questa casa sono entrate tutte le virtù, tranne una; e senza questa l’uomo resiste a stento». Gli chiesero quale fosse. E disse: «Che l’uomo biasimi se stesso». 135 (Guy 137). Il padre Poemen diceva spesso: «Non abbiamo bisogno di nient'altro che di uno spirito vigilante».
136 (Guy 139). Uno dei padri chiese al padre Poemen: «Chi è che dice: — Io ho parte con tutti quelli che ti temono 198?» E l’anziano disse: «Lo dice lo Spirito Santo». 137 (Guy 142). Il padre Poemen raccontò che un fratello chiese al padre Simone: «Se esco dalla mia cella e trovo un fratello distratto, anch’io mi distraggo con lui; e se lo trovo che
ride, anch’io rido con lui. Se poi rientro nella mia cella, non mi è più possibile di trovare quiete». Dice a lui l'anziano: «Vuoi uscire dalla tua cella e trovare chi ride e ridere anche tu, e tro-
vare chi parla e parlare anche tu, e poi rientrare nella tua cella e ritrovare te stesso come eri prima?». «E allora?», dice il fratello. E l'anziano rispose: «Dentro conserva la vigilanza e fuori conserva la vigilanza» (356c).
138 (Guy 143). Il padre Daniele raccontava: «Ci recammo una volta dal padre Poemen e mangiammo insieme. Dopo aver 107 Questa sentenza è connessa alla precedente e insiste sullo stesso tema: molti sono diventati forti nell’ascesi, ma pochi senza mancare di carità e irritare il prossimo; o forse il verbo potrebbe avere un valore intransitivo — ma il concetto sostanzialmente non cambia — e significare: «senza esagerare» o qualcosa di simile. 108 Cf. Sal 118, 63.
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mangiato insieme, ci disse: —- Andate, riposate un po’, fratelli. I
fratelli andarono a riposarsi un po’, e io rimasi per parlare con lui da solo. Egli, alzatosi, andò nella sua cella. Quando mi vide andare verso di lui, si distese come addormentato. Questo era il suo modo di agire, fare tutto in segreto 109» (356cd).
139 (Guy 144). Il padre Poemen disse: «Se vedi visioni o odi voci, non raccontarle al prossimo, perché questo provoca lotte» 110 (356d-357a).
140 (Guy 145). Disse anche: «La prima volta fuggi, la seconda fuggi, la terza diventa una spada» 1!!. 141 (Guy 146). Il padre Poemen disse ancora al padre Isacco: «Alleggerisciti della tua parte di giudice, e avrai ristoro nei tuoi pochi giorni» 112,
142 (Guy 147). Un fratello si recò dal padre Poemen; e mentre alcuni sedevano insieme, lodò un fratello dicendo che
odiava il male. Il padre Poemen disse a quello che parlava: «E cos'è l’odio del male?». Il fratello rimase sorpreso e non seppe rispondere. Alzatosi, si inchinò di fronte all’anziano e gli disse: «Dimmi, che cos'è l’odio del male?». «L'odio del male è questo, disse l'anziano: se uno odia i propri peccati e giustifica il suo prossimo». 143 (Guy 148). Un fratello, recatosi dal padre Poemen,
gli chiese: «Che devo fare?». L’anziano gli disse: «Va’, avvici109 Cf. Mt 6, 6. Vedi anche Arsenio 43. L’anziano finge di essere addormentato per non avere il vanto di vegliare mentre gli altri dormivano. 110 Provoca invidie e gelosie, quindi discordie. 111 Per evitare i rapporti con gli altri, che distolgono dal dovere della solitudine chi è chiamato ad essa. 112 È lo stesso pensiero espresso in Giovanni Nano 21.
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nati a colui che dice: — Che cosa voglio? 113 e troverai quiete» (357b). 144 (Guy 151). Il padre Giuseppe raccontò che il padre Isacco disse: «Sedevo una volta vicino al padre Poemen, e lo vidi andare in estasi. Poiché avevo con lui molta confidenza,
mi inchinai e lo pregai: — Dimmi, dov’eri? Messo così alle strette, disse: — Il mio pensiero stava con la santa Madre di Dio, Maria, che piangeva presso la croce del Salvatore; e anch'io avrei voluto piangere sempre così». 145 (Guy 153). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare con questa pesantezza che mi opprime?». Dice a lui l'anziano: «Le barche piccole come le grandi hanno delle cinghie; così, quando non tira vento favorevole, i barcaioli legano
attorno al petto la fune da rimorchio e le cinghie e per un po’ tirano la barca, finché Dio mandi il vento. Ma se vedono scen-
dere l’oscurità, allora ancorano la barca piantando un piolo, perché non si muova. Il piolo è l’accusare se stessi» (357c). 146 (Guy 154). Un fratello interrogò il padre Poemen sugli assalti dei pensieri. E l’anziano gli disse: «Questa cosa è come un uomo che ha alla sinistra il fuoco e alla destra un vaso d’acqua. Se il fuoco divampa, prende l’acqua dal vaso e lo speene. Il fuoco è la semina del nemico, l’acqua è il gettarsi dinanzi a Dio» (357 cd).
147 (Guy 155). Un fratello chiese al padre Poemen: «È meglio parlare o tacere?». L’anziano disse: «Chi parla per amore di Dio fa bene, e chi tace per amore di Dio fa ugualmente bene».
113 A uno cioè che abbia chiaro dove vuole arrivare, il fine essenziale della sua vita.
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148 (Guy 156). Un fratello chiese al padre Poemen: «Come può l’uomo evitare di parlar male del prossimo?». Dice a lui l’anziano: «Noi e i nostri fratelli siamo due immagini: quando l’uomo guarda a se stesso e si vede spregevole, trova encomiabile il suo fratello; ma quando gli sembra di essere buono, trova che il fratello a suo confronto è cattivo» (357d-360a).
149 (Guy 157). Un fratello interrogò il padre Poemen sull’accidia 114. E l’anziano gli disse: «All’inizio di tutto sta l’accidia, e non vi è passione peggiore; ma se l’uomo riconosce che è accidia, trova quiete».
150 (Guy 158). Il padre Poemen disse: «Nel padre Pambone 115 abbiamo visto tre attività corporali: ogni giorno digiuno fino a sera, silenzio e molto lavoro manuale».
151 (Guy 159). Il padre Poemen raccontò che il padre Teona diceva: «Anche se qualcuno acquista la virtù, Dio non dà la grazia a lui da solo, perché sa che non potrebbe essere fedele nel suo sforzo. Ma se va a vivere con un compagno, allora Dio rimarrà con lui» (360ab).
152 (Guy 160). Un fratello disse al padre Poemen: «Voglio entrare in cenobio e abitarvi». Gli dice l'anziano: «Sappi che, senza dimenticarti di ogni rapporto e di ogni occupazione, non
puoi condurre la vita cenobitica. Infatti non puoi disporre nemmeno di un solo bicchiere».
153 (Guy 161). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare?». Gli disse: «Sta scritto: Annurcerò la mia ingiustizia e mi ricorderò del mio peccato 116». 114 Cf. nota 3, p. 81.
115 C£. pp. 420-424. 116 Sal 37, 19.
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e e on zi ca ni or «F e: ss di en em Po e dr pa Il 154 (Guy 162). ri ie ns pe di e ar rl pa o en mm ne i ma ve de n no mo uo maldicenza, l’ esa e ol vu na pe ap hé rc pe e; or cu in i rl va co né , re ne di questo ge ce ro fe è se lo So o. gi ag nt va va ca ri ne n no e, or cu minarli nel suo con essi, troverà quiete» 117 (360bc).
155 (Guy 163). I fratelli del padre Poemen gli dicevano: «Andiamo via di qua, perché i monasteri di questo luogo ci disturbano, e perdiamo le nostre anime; ecco, ci sono anche
dei bambini che piangono; non ci lasciano praticare il raccoglimento». Dice loro il padre Poemen: «Per le voci degli angeli volete andar via di qua?».
156 (Guy 164). Il padre Vitimio domandò al padre Poeso scu mi io e me, di tro con to sta tri rat è no cu al men: «Se qu e: dic gli ano nzi L'a . e?» far o dev che a, ett acc non con lui e se È o. don per li ag nd ma do e li tel fra due «Prendi con te altri sti que da o en mm ne se ma ; que cin non accetta, prendine altri cia las si non se E o. ter sbi pre un si lascia persuadere, prendi ti, bar tur za sen Dio ga pre o, cas sto convincere nemmeno in que
uocc pre za sen ere ess sa pos tu e perché egli stesso lo convinca pazioni» 118 (360cd).
n e m e o P e r d a p Il . 5) 16 157 (Guy . » o l r a r e v o r p m i r a le va ui eq o prossim
disse: «Insegnare al
a tu la e r e i p m o c n o N « e: ch an e ss Di . 6) 16 y u G ( 8 5 1 » lo el at fr al te on fr di i rs ia il um o st to ut pi o i r a s s e c e n È volontà. (360d-361a).
o H « : n e m e o P e dr pa al se 159 (Guy 167). Un fratello chie e. il ib ss po te ie qu la a tt tu li el at fr ai trovato un luogo che offre 117 C£. nota 42, p. 258. 118 Cf. Mt 18, 16s.
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Vuoi che vada a vivere là?». L'anziano gli disse: «Dimora dove non rechi danno al tuo fratello».
160 (Guy 168). Il padre Poemen disse: «Questi tre punti sono utili: temere Dio, pregare senza interruzione 119, e fare del bene al prossimo». 161 (Guy 169). Un fratello disse al padre Poemen: «Il mio corpo è diventato debole, ma le passioni non si indeboliscono». L’anziano gli dice: «Le passioni sono rovi pieni di spine». 162 (Guy 170). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che devo fare?». L’anziano gli dice: «Se il Signore ci protegge, di cosa ci preoccupiamo?». «Dei nostri peccati», dice il fratello. E l’anziano dice: «Entriamo nella nostra cella 129, sediamoci, e pensiamo ai nostri peccati; e il Signore in ogni cosa verrà con noi» (361ab).
163 (Guy 171). Un fratello che andava al mercato chiese al padre Poemen: «Cosa vuoi che faccia?». L’anziano gli dice: «Diventa amico di chi ti fa violenza, e venderai in pace la tua merce».
164 (Guy 172). Il padre Poemen disse: «Insegna alla tua bocca a dire ciò che il tuo cuore racchiude» 121. 165 (Guy 173). Interrogarono il padre Poemen su ciò che può contaminare. Rispose: «Se siamo attivi e vigiliamo con
cura, non troveremo in noi contaminazione» (P/ XI, 21). 119 120 121 do così la se. Manca colta così
C£.1 Ts 5, 17. Cf, Mt 6, 6. È lo stesso detto numerazione. Il in alcuni codici, vasta di Poemen
del n. 63 che l’edizione ateniese omette spostan-
Guy invece lo riporta nella sua traduzione francema è presente in altri (la composizione della racvaria molto da manoscritto a manoscritto).
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166 (Guy 174). Il padre Poemen disse: «Dalla terza generazione di Scete e dal padre Mosè in poi, i fratelli non hanno più fatto progressi» (361c). 167 (Guy 175). Disse anche: «Se l’uomo sta al suo posto 122, non subisce turbamento» (P] XV, 38).
168 (Guy 181). Un fratello chiese al padre Poemen: «Come devo vivere in cella?». Gli dice: «Quanto a ciò che è manifesto, vivere in cella significa: lavoro manuale, mangiare
una volta al giorno, silenzio e meditazione. Ma progredire in segreto nella cella 123 significa portare con sé l’accusa di se stessi in qualsiasi luogo si vada. Non trascurare i tempi della liturgia delle ore e delle preghiere nascoste; e se ti accade di avere tempo libero dal tuo lavoro manuale, vieni alla celebrazione comune 124 e prega tranquillamente. Conclusione di tutto questo: procurati una buona convivenza, e sta’ lontano da una cattiva» (361cdì). 169 (Guy 182). Un fratello chiese al padre Poemen: «Se un fratello mi è debitore di pochi soldi, vuoi che glieli domandi?». Dice a lui il padre Poemen: «Domandaglieli una volta sola». Gli dice il fratello: «Che farò dunque, perché non riesco a dominare il mio pensiero?». E l’anziano a lui: «Lascia stagnare il tuo pensiero, soltanto non affliggere il fratello» (364a). 170 (Guy 183). Accadde che alcuni padri, fra cui vi era anche il padre Poemen, si recassero in casa di un pio cristiano.
Mentre mangiavano, fu servita della carne; ne mangiarono tutti, tranne il padre Poemen, e i fratelli si meravigliarono che
122 Il testo greco dice propriamente: «custodisce il suo posto». Cf. n. 71. 123 Cf. Mt 6, 6. 124 C£. nota 39, p. 100.
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non mangiasse, conoscendo il suo discernimento. Quando si alzarono, gli chiesero: «Tu sei Poemen e hai agito così?». L’anziano rispose loro: «Perdonatemi, padri; voi avete mangiato e nessuno si è scandalizzato. Ma se avessi mangiato io, dato che molti fratelli vengono vicino a me, avrebbero potuto rimanerne turbati e dire: — Poemen ha mangiato carne e noi non ne mangiamo?». E ammirarono il suo discernimento (364ab). 171 (Guy 184). Il padre Poemen disse: «Io dico che sono gettato anch’io nel luogo in cui è gettato Satana» 125.
172 (Guy 185). Il medesimo disse al padre Anub: «Volgi i tuoi occhi, per non guardare la vanità ‘26. La libertà infatti fa perire le anime». 173 (Guy 187). Un giorno Paisio si azzuffò con un fratello, in presenza del padre Poemen, fino al punto che scorreva il sangue dalle loro teste, ma il padre Poemen non disse loro assolutamente nulla. Entrò il padre Anub e, vedendoli, disse al padre Poemen: «Perché hai lasciato lottare così i fratelli, senza
125 È un’umile confessione della debolezza della natura, così soggetta
alle tentazioni da credersi a volte come all’inferno. È un pensiero caro a Sil-
vano del Monte Athos, monaco russo morto in concetto di santità nel 1938.
Il Signore più volte gli fece capire questo pensiero apparentemente paradossale: «Tienti consapevolmente nell’inferno e non disperare». È per questo che si soffrono gli assalti dei demoni, per ricordarsi della propria debolezza e pervenire all’umiltà perfetta (cf. Dagli Scritti, pp. 34-35; 74-75), per partecipare al dolore e al peccato di tutti gli uomini e sentirsi a ogni istante con loro salvati gratuitamente da Dio. É un aspetto essenziale della grande prova di fede subita da santa Teresa del Bambino Gesù verso la fine della sua vita: «Egli permise che l’anima mia venisse invasa dalle tenebre più fitte... Abbiate pietà di noi, o Signore, perché siamo poveri peccatori... O Gesù, se è necessario che la mensa, profanata da essi, venga purificata da un’anima che vi ama, io accetto di mangiarvi da sola il pane del dolore fino a quando non vi piacerà di introdurmi nel vostro luminoso regno» (Ms C, pp. 256-258). 126 Sal 118, 37.
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dir loro niente?». Dice il padre Poemen: «Sono fratelli, faranno la pace di nuovo». Dice il padre Anub: «Che cosa? Hai visto che hanno fatto così e dici: — Faranno la pace di nuovo?». Dice il padre Poemen: «Mettiti bene in mente che io non ero qui» 127 (364bc).
174 (Guy 188). Un fratello chiese al padre Poemen: «Dei fratelli vivono con me; vuoi che dia loro ordini?». «No, gli dice l’anziano, fa’ il tuo lavoro tu, prima di tutto; e se vogliono vive-
re, penseranno a se stessi». Il fratello gli dice: «Ma sono proprio loro, padre, a volere che io dia loro ordini». Dice a lui l'anziano: «No! Diventa per loro un modello, non un legislatore».
175 (Guy 189). Il padre Poemen disse: «Se un fratello viene da te e tu noti che non trai ‘alcun vantaggio dalla sua visita, cerca nella tua mente e vedi che pensiero vi fosse prima del suo arrivo. È capirai allora perché non ne trai vantaggio. Se farai ciò con umiltà e saggezza, sarai senza macchia con il tuo prossimo e porterai le tue mancanze. Infatti chi permane nella pietà non cadrà, perché il Signore è davanti a lui. Io vedo che con questo modo di vivere l’uomo si procura il timore di Dio» (364cd). 176 (Guy 190). Disse anche: «Se un uomo ha un fanciullo che vive con lui, e, trascinato verso di esso da una qualsiasi passione dell’uomo vecchio 128, continua a tenerlo con sé, costui assomiglia a un uomo che ha un campo mangiato dai vermi» (36542).
gtru dis non ità vag mal «La : ora anc se Dis ). 191 uy 177 (G
se mai la malvagità; ma, se qualcuno ti fa del male, fagli del bene, per distruggere la cattiveria con la bontà 129». 127 C£, n.2. 128 Cf. Ef 4, 22 e par. 129 Rm 12, 21.
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178 (Guy 197). Disse anche: «Quando David si azzuffò col leone, lo afferrò per la gola e lo uccise subito 130, Se dunque anche noi tratteniamo la nostra gola e il nostro ventre, vinciamo per l’aiuto di Dio il leone invincibile». 179 (Guy 198). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che
devo fare? Al sopraggiungere della tentazione, sono scosso». É l’anziano disse: «La violenza fa sì che si scuotano piccoli e grandi» 131, 180 (Guy 199). Raccontavano che il padre Poemen viveva a Scete con due suoi fratelli. E il più piccolo li faceva tribolare 132. Dice allora all’altro: «Questo più piccolo ci snerva. Alzati, andiamo via di qui 133», E se ne andarono abbandonandolo. Quando egli vide che tardavano e che erano molto distanti, cominciò a correr loro dietro gridando. Dice il padre Poemen: «Aspettiamo il fratello, perché fa fatica». Quando li ebbe raggiunti, fece un inchino e disse: «Dove andate lasciandomi solo?». L'anziano gli dice: «Tu ci tormenti, per questo ce ne andiamo». Dice loro: «Sì, sì, dove volete, andiamo insieme!». Vedendo la sua innocenza,
l'anziano dice al fratello: «Ritorniamo, fratello. Non agisce così di sua volontà, ma è il diavolo che fa a lui queste cose». Si volsero indietro e ritornarono alla loro cella (365bc).
181 (Guy 200). Il superiore di un cenobio chiese al padre Poemen: «Come posso acquistare il timore di Dio?». Dice a lui il padre Poemen: «Come possiamo acquistare il timore di Dio se di dentro abbiamo il ventre pieno di formaggio e di vasi di stoccafisso?» 134, 130 Cf, 1 Sam 17, 35.
131 Cf, Ap 13, 16 e par.
132 Cioè il Paisio più volte incontrato. Cf. nota 110, p. 135. 133 C£, Gv 14, 31. 134 Da questo brano, come dal n. 174 (cf. Isacco delle Celle 2: «Sono for-
se il superiore di un cenobio, da dargli ordini?») — e da altri di altri anziani —, non è esente una certa polemica con la vita cenobitica (cf. nota 72, p. 335).
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182 (Guy 201). Un fratello interrogò il padre Poemen: «Padre, vi erano due uomini, uno era monaco e l’altro secola-
re; una sera il monaco pensò di gettare l’abito la mattina dopo, e l’altro pensò di diventare monaco. In quella notte entrambi morirono. Come saranno giudicati?». E l'anziano disse: «Il monaco è morto da monaco e il secolare da secolare, perché se ne sono andati come erano».
183 (Guy 202). Il padre Giovanni raccontò: «Ci recammo un giorno dalla Siria a trovare il padre Poemen, e volevamo interrogarlo sulla durezza di cuore 135, ma l’anziano non conosceva il greco e non vi era l'interprete. Vedendoci rattristati, l'anziano cominciò a parlare in lingua greca 136 dicendo: — La natura dell’acqua è molle, quella della pietra dura. Ma un vaso appeso sopra la pietra gocciola gocciola e fora la pietra. Così anche la parola di Dio è tenera, ma il nostro cuore è duro. Tuttavia, se l’uomo ascolta spesso la Parola di Dio, il suo
cuore si apre a temere il Signore» (365d-368a; PJ XVIII, 16).
184 (Guy 203). Il padre Isacco si recò una volta dal padre o dat i, pied sui a cqu d’a po’ un a tav get si che o end ved e, Poemen tatrat uni alc mai me «Co e: diss gli lui con a enz fid con che aveva rsi ide rec a o fin per re nge giu da po cor loro il nte ame no così dur no han noi «A : men Poe re pad il lui a e Dic 137, delle membra?» ». ni io ss pa le ma o, rp co il n no re de ci uc a o at insegn
o ss po n no se co e tr e st ue «Q e: ch an e ss Di 185 (Guy 204). e rt pa in ma o; nn so il e i nt me du in gli , bo sopprimerle, cioè il ci possiamo limitarle» (368ab). 135 C£. Mt 19, 8. Li. so. il in te rl de oc gl utori, i co a ns ol az io al ne l’ is di ta nt ed gli e, e 136 Il Signore dono delle lingue. let a all so pre va ave che e, en ig Or di o cas il co, 137 È famoso, e non uni tera la parola di Mt 19, 12.
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186 (Guy 205). Un fratello interrogò il padre Poemen: «Mangio molta verdura», gli disse. E l’anziano a lui: «Non ti giova. Mangia invece il tuo pane e un po’ di verdura. E non andare nella casa paterna per le tue necessità». 187 (Guy 206). Del padre Poemen raccontavano che, se degli anziani gli sedevano dinanzi e parlavano di altri anziani, qualora nominassero il padre Sisoes egli diceva: «Lasciate stare il padre Sisoes! Le sue azioni sono al di là di quel che si possa raccontare» 158,
188 (Guy 24). Disse anche: «Insegna' al tuo cuore a custodire ciò che insegna la tua lingua» (S 1). 189 (Guy 152). Un fratello interrogò il padre Poemen: «Danneggio la mia anima vicino al mio abate. Devo rimanere ancora presso di lui?». L'anziano sapeva che ne aveva danno e si stupiva che gli domandasse se doveva rimanere con lui. E gli disse: «Rimani, se vuoi». Egli se ne partì e restò con lui. Ritornò a dire al padre Poemen: «Danneggio la mia anima». Tuttavia l'anziano non gli disse: «Vattene da lui». Venne per la terza volta e disse: «Davvero, non ci resto più». Gli dice l’anziano: «Ecco, ora sei salvo, va’ e non restare più con lui». Gli disse poi: «Un uomo che vede il danno della sua anima non ha bisogno di intetrogare. Sui pensieri occulti si devono fare domande, ed è compito degli anziani giudicare; ma quanto ai peccati manifesti, non importa domandare, bisogna troncare subito» (S 2; PJ X, 61).
190 (Guy 190). Il padre Poemen disse: «Il padre Pafnuzio era grande e si rifugiava nelle piccole liturgie» 159 (S 3). e 2. -46 446 pp. 138 Cf. iarich o end vol ato, ific sign pio dop un ia abb e fras la 139 Può darsi che se des ten pre non che o fatt il sia io: nuz Paf di tà mil l’u mare più aspetti del
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191 (Guy 102). Un fratello interrogò il padre Poemen: «Come devo essere nel luogo dove abito?». Dice a lui l’anziano: «Abbi sentimenti da straniero nel luogo dove abiti, per non cercare di gettare davanti a te 140 la tua parola, e avrai riposo» (S 4). 192 (Guy 149). Disse ancora: «Questa voce grida all'uomo fino all’estremo respiro: — Oggi convertitevi 141» (S 5) 193 (Guy 140). Il medesimo disse: «David scrisse a Gioab: - Continua la guerra e ti impadronirai della città e la distruggerai 142, Ora, la città è il nemico» (S 6).
194 (Guy 141). Disse ancora: «Gioab disse al popolo: Fatevi coraggio, divenite figli di potenza, e combatteremo per il popolo del nostro Dio 14, Ora, noi siamo questi uomini» (S 7). 195 (Guy 186). Disse anche: «Se Mosè non avesse condotto i greggi a Mandra, non avrebbe visto colui che era nel roveto» 144 (S 8).
liturgie solenni, sia che fosse fedele alla celebrazione anche delle «piccole liturgie», cioè l’ufficio divino delle ore minori, ricorrendovi con fede nel-
l’aiuto che mediante queste preghiere il Signore gli dava. 140 Cioè di ostentare, di far valere. 141 La frase è probabile composizione di due parole essenziali ricorrenti nella Scrittura, che ci richiamano alla necessità continua della conver-
sione e ci confortano nella certezza della perenne attualità dell’invito del Signore: «Ascoltate oggi la sua voce» (Sal 94, 5); «Convertitevi a me e sarete salvi, tutti i confini della terra» (Is 45, 22); «Convertitevi a me con tutto il vostro cuore, in digiuno, pianto e lutto» (G1 2, 12 e par.). 142 Cf. 2 Sam 11, 25.
14 Anche in questo caso si compongono due citazioni bibliche. La
prima, 2 Sam 13, 28, è esattamente letterale; la seconda richiama con qualche variante 2 Re 10, 3. 144 Cf, Es 3, 1s. Cf. Cronio 4, che contiene la spiegazione di questo detto.
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196. Un fratello domandò al padre Poemen: «Come mai ora siete in questo luogo?». Egli disse: «Vorrei che io e i miei 9). (S i» qu o am si , co ec ed e, et Sc a o im fratelli moriss
197 (Guy 176). Disse ancora: «Ciò che l’uomo ha visto e . 10) (S ?» mo si os pr al o arl egn ins può me co , ito tod cus ha non
e em si as e viv che mo uo n «U e: ch an e ss Di ). 198 (Guy 177
n no , ato ult ins : tra pie di a nn lo co a un me co ad altri, deve essere . 11) (S a» lz na in si n no to, ica rif glo ra; si adi
199 (Guy 178). Disse anche: «L'uomo non può conoscere i nemici che vengono dal di fuori, ma quando lo assalgono dal di dentro, se combatte li caccia» 14 (S 12).
200 (Guy 179). Disse anche: «Il non prevedere nulla non ci permette di progredire verso il meglio» (S 13). 201 (Guy 180). Disse ancora: «Non affidare la tua coscienza a un uomo nel quale non hai fiducia piena» 146 (S 14). 202. Disse il padre Poemen: «Io dico che nel luogo in cui
vi è da combattere, là io lotto» (S 15).
203 (Guy 192). Il padre Poemen sentì parlare di uno che resisteva sel giorni senza mangiare, e che soleva adirarsi. Disse allora l'anziano: «Ha imparato a sopprimere il cibo per sei giorni, ma non ha imparato a cacciare l’ira» (S 16). 145 Se conosce se stesso e le sue passioni, l’uomo ha le armi per vincerle, mentre non può prevedere gli assalti imprevisti che gli vengono dall’esterno. 146 Il testo letteralmente dice: «riguardo al quale non hai ricevuto piena certezza»: è la pliroforia, la certezza data da Dio, sul cui significato si è già detto qualcosa (vedi nota 6, p. 150).
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204 (Guy 193). Il padre Poemen disse: «Per questo siamo in così grandi fatiche, perché non ci prendiamo cura del nostro fratello, che la Scrittura ci ha comandato di accogliere 147; o non vediamo la donna cananea che seguiva il Signore gridando e supplicando che guarisse sua figlia, e il Salvatore l’accolse e le diede pace 148» (S 17). 205 (Guy 194). Il padre Poemen disse: «Se l’anima si allontana da chiunque ami disputare a parole e dalla confusione e turbamento umani, lo Spirito di Dio la visita, e allora può generare, lei che era sterile» 149 (S 18)
206 (Guy 195). Un fratello chiese al padre Poemen: «Come devono essere quelli che vivono in cenobio?». E l’anziano gli dice: «Chi vive in cenobio deve considerare tutti come uno solo 159, custodire la sua bocca e i suoi occhi, e così
sarà nel riposo senza sollecitudini» (S 19).
207 (Guy 196). Disse il padre Poemen a proposito dei servi di Semei 151; «Anche il giustificare se stessi è cosa materiale; queste cose distruggono chi le possiede» (S 20).
208 (Guy 138). Un fratello chiese al padre Poemen: «Che 147 C£. 1 Cor 11, 33. 148 Cf. Mt 15, 21-28.
| 149 Cf. nota 11, pp. 298s. 150 Perché deve credere al dono della comunità tanto da esser convinto che a tutti e a ciascuno è data un’unica grazia e ciò che è di uno è di tutti e reciprocamente, ma prima di tutto perché deve vedere e amare nel suo fratello la presenza di Uno solo, cioè Dio. e | 151 Cf. 1 Re 2, 39-45: Salomone aveva ingiunto a Semei di non uscire assolutamente da Gerusalemme. I servi di Semei fuggirono a Gat e Semei per andare a riprenderli infranse l’ordine ricevuto. Salomone, saputolo, fece
uccidere Semei. L’apoftegma dà un’interpretazione allegorica dell’episodio:
la fuga dei servi è il giustificare se stessi, mossi dall’istinto naturale; il padrone dei servi, cioè chi giustifica se stesso, viene distrutto.
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posso fare per i miei peccati?». L'anziano gli dice: «Piangi su te stesso, perché la liberazione dai peccati e il possesso delle virtù si acquistano entrambi col lutto» (S 21). 209 (Guy 150). Disse ancora: «Piangere è la via che ci hanno trasmesso la Scrittura e i padri» 152 (S 22).
PAMBONE
Nacque verso il 304; ebbe rapporti con Antonio e fu uno
dei primi compagni di Ammonio a Nitria (ct. p. 133). Prima del 340 era già stato ordinato presbitero, e abbiamo visto Macario partecipare all’Eucaristia celebrata da lui (Macario l'Egiziano 2). È uno degli anziani più popolari e più spesso ricordati, la serie alfabetica infatti l'ha già nominato più volte (cf. Indice dei nomi). Con ogni probabilità non si tratta però dello stesso Pambone incontrato a Scete da Teofilo di Alessandria (Teofilo 2). Questi infatti fu eletto vescovo nel 385, mentre, secondo la notizia di Palladio, Melania incontrò Pambone durante la sua visita
a Nitria nel 374 e fu presente alla sua morte avvenuta in quell’anno; ne ebbe in ricordo una cesta, unse e seppellì il suo corpo (HL, 10). Insieme ad Antonio e ad altri, Pambone fu chiamato da Atanasio ad Alessandria nel 355 per dare testimonianza della retta fede contro gli ariani. Poco prima della sua morte, nel 374, fu esiliato nei dintorni di Neocesarea di Palestina insieme ad Ammonio, Isidoro, Pafnuzio e altri, da parte del governatore
Valente che voleva pale di Alessandria; 46). Pambone fu in li» già ricordati (cf.
porre un candidato ariano sul seggio episcoMelania li seguì, li aiutava e li serviva (HL, una certa misura maestro dei «quattro fratelp. 171). La storia ecclesiastica di Socrate (IV,
23) racconta che la sua chiamata alla solitudine si sarebbe fatta
152 Cf. n. 119.
Pambone
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sentire quando gli fu insegnato da un presbitero il versetto del salmo 38, 2: «Dissi: custodirò le mie vie per non peccare con la mia lingua». Non volle udire il seguito, sostenendo che questo gli bastava. Dopo 19 anni disse che aveva appena cominciato a praticarlo. Questa straordinaria osservanza del silenzio è senza dubbio l'aspetto più emergente della sua personalità; Poemen richiama questo insegnamento, secondo cui tacere è ancor meglio
che lodare il prossimo (Poemen 46), e sintetizza in questi termi. ni le opere di Pambone: «Ogni giorno digiuno fino a sera, silenzio e molto lavoro manuale» (Poemen 150). Isidoro di Scete (n. 6) lo affianca ad Antonio e lo definisce perfetto, di perfezione irraggiungibile. Girolamo lo ricorda in una lettera, assieme a Macario e Isidoro di Scete (ep. 22), e afferma che lo Spirito Santo parlava per sua bocca; Palladio dice che spesse volte passava anche un trimestre senza dare risposta a una domanda rivoltagli, dicendo che non aveva ancora capito. Perciò le sue risposte erano accolte come oracoli di Dio e si diceva che avesse più di Antonio il dono dell’esattezza nel parlare (HL, 10; cf Introd., p. 65).
1. Vi era un tale chiamato padre Pambone, e di lui si racconta che insistette per tre anni a pregare Dio con queste parole: «Non glorificarmi sulla terra!» 153. E Dio lo glorificò tanto, che nessuno poteva fissarlo in viso, per la gloria del suo volto 154 (368bc).
2. Un giorno vennero dal padre Pambone dei fratelli, e uno di essi lo interrogò così: «Padre, io digiuno un giorno sì e un giorno no, e mangio due pani. Salvo la mia anima o m’inganno?». Parlò anche un altro: «Padre, dal mio lavoro manuale
ricavo ogni giorno due monete; ne tengo un po’ per il vitto, il
153 Cf. Gv 7, 18 e 17,4.
154 Cf. 2 Cor 3, 7.
Pambone
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resto lo do in elemosina. Mi salvo o mi perdo?». Ma benché gli ponessero molte domande, non diede loro risposta 15. Dopo quattro giorni, stavano per partire, e i chierici li consolavano dicendo: «Non rattristatevi fratelli; vi ricompenserà Iddio. È così l’abitudine dell’anziano; non parla subito, se Dio non gli dà una certezza». Entrarono allora dall’anziano e gli dissero: «Prega per noi». Dice loro: «Volete andare?». Dicono: «Sì». Egli, prendendo su di sé le loro azioni, scrive in terra 156 e dice: «Pambone, digiunando un giorno sì e un giorno no, e mangiando due pani, per questo forse diventa monaco?». «No». «Pambone lavora per due monete e le dà in elemosina. Per questo forse diventa monaco?». «Nemmeno». Disse quindi rivolto a loro: «Le azioni sono buone; ma ti salverai se custodisci la coscienza pura nei riguardi del prossimo» 197. Se ne andarono con gioia, rassicurati (368c-369a; PJ X, 65).
3. Quattro monaci di Scete si recarono un giorno dal padre Pambone. Erano vestiti di pelli, e ognuno proclamò la virtù del suo compagno: il primo digiunava molto, il secondo non possedeva nulla, il terzo possedeva un grande amore; gli raccontano anche del quarto, che da ventidue anni viveva nell’obbedienza a un anziano. Il padre Pambone rispose loro: «Io vi dico, la virtù di costui è la più grande. Ognuno di voi infatti domina con la sua volontà la virtù che possiede, ma questi, recisa la sua volontà, fa la volontà di un altro. Codesti uomini, se persistono fino alla fine, sono confessori» 158 (369ab; PJ XIV, 7). 155 Cf. Gv 19,9.
156 Cf. Gv 8, 6.
157 C£. Gc 1, 27. Questa espressione può essere considerata equivalente all’altra più volte incontrata (cf. soprattutto Mosè, passi) della morte al prossimo: non giudicarlo, essere indifferenti alle lodi e alle ingiurie, non lasciarsi irretire nei peccati altrui (cf, 1 Tm 5, 22), ecc. 158 L’obbedienza comporta una lotta così dura che quanti la compio-
no sono chiamati anche «confessori», «martiri», allo stesso modo di coloro che giungono fino alla testimonianza cruenta (cf. nota 77, pp. 342s.). Ma tut-
Pambone
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4. Atanasio di santa memoria, arcivescovo di Alessandria,
pregò il padre Pambone di scendere dal deserto ad Alessandria. Quando fu disceso, al vedere là un’attrice, scoppiò in pianto. Quelli che erano con lui gli domandarono: «Perché ti sel messo a piangere?». «Due cose, disse, mi hanno commosso:
una, la sua rovina; l’altra, che io non ho tanto ardore di piacere a Dio quanto essa ne ha di piacere a uomini turpi». 5. Il padre Pambone disse: «Per grazia di Dio, da quando ho rinunciato al mondo, non mi sono mai pentito di nessuna parola da me detta» (369bc). 6. Disse anche: «Il monaco deve portare un vestito tale da poterlo mettere fuori dalla cella per tre giorni senza che nessuno lo prenda». 7. Accadde un giorno al padre Pambone di camminare con dei fratelli in terra d’Egitto; e vedendo dei laici seduti, disse loro: «Alzatevi e salutate i monaci per essere benedetti; poiché essi parlano continuamente con Dio e le loro bocche sono sante» (PJ XVII, 11). 8. Raccontano che il padre Pambone, al termine della sua vita, nell’ora stessa della morte, disse agli uomini santi che lo circondavano: «Da quando sono venuto in questo luogo del deserto, e ho costruito la mia cella e l’ho abitata, non mi ricordo di aver mangiato pane non guadagnato col lavoro delle mie mani, né fino ad ora mi sono pentito di una sola parola che ho detto. Eppure me ne vado a Dio come uno che non ha neppure cominciato a servirlo» (369cd; PJI, 16). ta la vita consacrata a Dio è un martirio: Antonio scendeva ad Alessandria a
incoraggiare confessori e martiri, desiderando la loro stessa sorte, ma poi rientrava nella sua solitudine, al «martirio della coscienza» (VA 47, 1, Cre-
maschi, pp. 169 e par.). Cf. p. 78.
Pambone
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9. In questo superava molti: se lo si interrogava su una parola della Scrittura o su un problema spirituale, non rispondeva subito, ma diceva di non conoscere la questione. Se si insisteva a interrogarlo, non dava risposta (369d-372a). 10. Il padre Pambone disse: «Se hai cuore, puoi salvarti».
11. Il presbitero di Nitria chiese: «Come devono comportarsi i fratelli?». Essi risposero: «Con grande ascesi e custodendo la coscienza pura nei confronti del prossimo» 159, 12. Del padre Pambone raccontavano che, come Mosè ricevette l’immagine della gloria di Adamo quando il suo volto fu glorificato 160, così anche il volto del padre Pambone risplendeva come folgore 161, ed egli era come un re seduto sul suo trono 162, Lo stesso era del padre Silvano e del padre Sisoes. 13. Dicevano del padre Pambone che il suo volto non sorrideva mai. Un giorno i demoni, per farlo ridere, legarono un uccello a un bastone e lo trascinavano facendo fracasso e dicen-
do: «Aah! Aah!». Vedendoli, il padre Pambone rise. I demoni allora cominciarono a danzare dicendo: «Uah! Uah! Pambone ha riso!». Ma egli rispose loro: «Non ho riso; ho deriso la vostra impotenza, perché siete tanti a portare quell’uccello» (372b).
14. Il padre Teodoro di Ferme chiese al padre Pambone: «Dimmi una parola». Con molta fatica gli disse: «Va’, Teodoro, abbi misericordia con tutti, perché la misericordia trova accesso sicuro davanti a Dio» 183, 159 Vedi sopra, nota 157. 160 Cf. Es 34,9 e Gn 1, 26s. 161 Cf. Mt 17,2.
162 C£. Sal 28, 10 e 46,9.
Eb rovesciamento curioso un con richiamare sembra testo Questo 163 mzser:corottenere per grazia della trono al fiducia con 4, 16: «Accostiamoci
Pisto
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PISTO
Il padre Pisto raccontò: «Andammo in sette anacoreti dal padre Sisoes, che abitava a Clisma, per pregarlo di dirci una parola. Disse: — Perdonatemi, sono un uomo incolto. Mi recai allora dal padre Or e dal padre Athrés. Il padre Or era ammalato da diciotto anni. Mi inchinai davanti a loro pregandoli di dirmi una parola. — Che devo dirti?, chiese il padre Or, va’ e fa’ ciò che vedi. Dio è di colui che si tiranneggia in tutto, cioè fa violenza a se stesso. Il padre Or e il padre Athrés non provenivano dalla stessa regione, ma giunsero a una grande pace fra loro, fino a quando uscirono dal corpo. Grande era l’ubbidienza del padre Athrés e molta l’umiltà del padre Or. Passai alcuni giorni presso di loro per osservarli. E vidi un grande miracolo, operato dal padre Athrés. Qualcuno portò loro un po’ di pesce, e il padre Athrés volle prepararlo per l’anziano. Aveva in mano il coltello per tagliare il pesce, e il padre Or lo chiamò: — Athrés! Athrés! Lasciò il coltello in mezzo al pesce e non tagliò il resto 164, Ammirai la sua grande ubbidienza, perché non disse: — Abbi pazienza finché taglio il pesce. Chiesi al padre Athrés: — Dove hai trovato una tale obbedienza? Mi disse: — Non è mia, ma dell’anziano. É mi prese dicendo: — Vieni, guarda la sua obbedienza! Cosse il pesce e lo guastò intenzionalmente, quindi lo portò all’anziano. Questi lo mangiò senza dir nulla. Gli chiese: — È buono, anziano? — Buonissimo! Dopo questo,
gliene portò un po’ di molto buono, e disse: — L'ho guastato, anziano. — Sì, rispose, l'hai guastato un po’. — Hai visto l’ubbidienza dell’anziano?, mi disse il padre Athrés. Me ne andai da dia e trovare grazia...». Abbiamo tradotto con «accesso sicuro» e «fiducia» lo stesso termine greco parrisia (cf. nota 60, p. 111). Le parole chiave del detto di Pambone, misericordia, trovare e parrisiz sono fra le parole costitutive del versetto biblico, ma in esso sono poste in un rapporto diverso; tuttavia l’uno non nega l’altro, così come in tutti i doni di Dio vi è stretta concatenazione e circolarità: la fiducia ci ottiene la misericordia e viceversa.
164 Cf. Marco 1.
Pisto / Pior
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loro. E cercai con tutte le mie forze di custodire ciò che avevo visto. Il padre Sisoes raccontò ai fratelli queste cose. Uno di noi lo pregò: — Facci la carità, dicci anche tu una parola! Disse: — Chi sta saldo nella convinzione di essere indegno di stima 16, adempie a tutta la Scrittura 166. E un altro di noi gli chiese: — Padre, che cosa significa vivere da stranieri? Gli disse: — Taci e è Questo a. riguard mi Non di’: vada, tu luogo i qualsias in vivere da stranieri» (372c-373b; PJ XV, 43). PIOR
Fu presbitero a Nitria contemporaneamente a Pambone. È ricordato da Palladio (HL, 10 e 39), Rufino (HE, 31), e Sozomeno (HE, VI, 29). Prima di stabilirsi in un luogo solitario fra Nitria e
Scete, visse forse qualche anno presso Antonio, per raggiungere il quale sarebbe partito molto giovane da casa sua. Le fonti sottoli neano la sua grande ascesi: non voleva rivedere la sua vecchia sorella, che dopo 50 anni dalla sua partenza, saputolo ancora vivo, voleva a tutti i costi rivederlo. Si cibava soltanto di pane e olive e beveva da un pozzo acqua pessima, amara e salata, che nessuno riusciva a bere. I visitatori si portavano l’acqua da casa; alla sua 165 Tutta questa frase dall’inizio è di fatto una perifrasi di un’espressione greca intraducibile: Ò KatéYov TÒ dyngpLotov Èv Yvooei, «colui che tiene fermo nella conoscenza l’apsifiston...»; è un termine coniato con a/fa
privativo e psifos, parola che significa voto, suffragio. Vuol dire considerarsi insignificanti, non reclamare né da se stessi né dagli altri approvazioni, suffragi, lodi. Doroteo lo affianca al biasimare se stessi e al non giudicare gli altri (ep. 2, 187). Barsanufio lo usa più volte, unendolo al non darsi importanza, al non misurare se stessi, al ritenersi terra e cenere, ecc. (cf. ep. 257; 259; 271; 278, ecc.). Una volta lo definisce molto semplicemente: «l’apsiftston è non paragonarsi a nessuno e non dire a proposito di un’opera buona:
“Io ho fatto questo”» (ep. 272). 166 «Adempiere la Scrittura» è espressione neotestamentaria usata soprattutto per l'adempimento supremo delle Scritture nella passione del Cristo; vedi Gv 19, 28 e par.
Pior
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morte nessuno riuscì a vivere nel luogo dove era vissuto lui. Eppure sarebbe stato facile far diventare l’acqua dolce, a lui che un giorno fece scaturire l’acqua per dei fratelli che cercavano di scavare un pozzo e, non trovando acqua, stavano per desistere scoraggiati. Un
detto di Poemen sintetizza mirabilmente la figura di Pior dicendo quest’unica cosa, che «ogni giorno cominciava» (Poemen 85).
1. Il padre Pior, dopo aver lavorato presso un tale per la mietitura, si ricordò di dover ricevere il suo salario; ma poiché l’altro fece finta di niente, ritornò al monastero. Quando la stagione lo richiamò, dopo aver mietuto presso di lui lavorando con zelo, ritornò al suo monastero senza che l’altro gli desse nulla. Al termine del terzo anno, dopo aver compiuto il consueto lavoro, l’anziano se ne andò senza aver ricevuto niente.
Ma l’altro, dopo che il Signore ebbe visitato la sua casa, andò in giro per i monasteri con il salario in cerca del santo. Appena l’ebbe trovato, cadde ai suoi piedi e gli diede il denaro dicendo: «Me l’ha dato il Signore». L'anziano gli ordinò di portarlo in chiesa al presbitero (373bc). 2. Il padre Pior mangiava passeggiando. A chi gli chiese: «Perché mangi così?», disse: «Non voglio fare dei pasti un lavoro, ma un’occupazione secondaria». A un altro che poneva la medesima domanda rispose: «Perché, mentre mangio, la mia anima non provi un godimento materiale» (PJ IV, 34).
3. Si tenne una volta un consiglio a Scete su di un fratello che aveva peccato. I padri parlavano, ma il padre Pior taceva. Infine, alzatosi, uscì e, preso un sacco, lo riempì di sabbia e se lo caricò sulle spalle 167, Mise poi un po’ di sabbia in un cestino e se lo pose davanti. I padri gli chiesero: «Cosa significa
167 C£. nota 99, p. 402.
Pior / Pitiroun
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ciò?»: Disse: «Questo sacco, che contiene tanta sabbia, sono i
miei peccati. Sono molti. E li ho lasciati dietro di me per non darmene pena e non piangerli. Ed ecco che questi piccoli sbagli del mio fratello mi stanno davanti e io mi preoccupo di giudicarli. Non bisogna fare così. Devo piuttosto portare i miei davanti a me, darmene pena, e pregare Dio di perdonarmi». Allora i padri, alzandosi, dissero: «Questa è davvero la via della salvezza» (373c-376a).
PITIROUN
L'autore dell’Historia Monachorum dice che successe ad Antonio e Ammone (cf. p. 120) sul monte di Pispir. Là egli lo incontrò, nell’anno 394. Rufino invece, nel 373 (HE, II, 8), non avrebbe incontrato a Pispir né Ammone né Pitiroun, ma soltan-
to Poemen e Giuseppe. L’Historia Monachorum riporta questo stesso unico detto di Pitiroun, in. termini sostanzialmente identi-
ci; e aggiunge qualche dato: «Compiva molti miracoli; fra gli altri cacciava apertamente i demoni. Di fatto, poiché aveva preso la successione di Antonio e del suo discepolo Ammone, è a buon diritto che aveva ricevuto l’eredità dei loro carismi... Questo padre non mangiava che due volte la settimana, la domenica e il quinto giorno. La sua dieta era una piccola schiacciata di farina d'orzo; non poteva prendere modellato così» (HM, 15).
altro, perché l'abitudine l'aveva
Il padre Pitiroun, il discepolo del padre Antonio, disse: «Chi vuole cacciare i demoni, soggioghi prima le passioni. Perché, quando si vince una passione, si caccia anche il suo demone.
Un demone, disse, accompagna l’ira. Se domini l’ira, è cacciato il suo demone. E allo stesso modo per ogni passione» 168 (3762). 168 Cf. nota 56, pp. 388s.
Pistamone / Pietro Pionita
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PISTAMONE
Un fratello interrogò il padre Pistamone: «Che devo
fare? Vendere il mio lavoro manuale mi turba». L’anziano rispose: «Anche il padre Sisoes e gli altri vendevano il loro lavoro manuale, ciò non è male. Ma quando vendi, di’ una volta sola il prezzo dell’oggetto. Se poi desideri abbassare un po’ il prezzo, sta in te. Così troverai quiete». Chiese ancora il fratello: «Se in qualche modo ho il necessario per vivere, vuoi che mantenga un lavoro manuale?». «Qualsiasi cosa tu abbia, rispose l'anziano, non abbandonare il tuo lavoro ma-
nuale. Fa” quel che puoi, purché senza agitazione» (376b; PJ VI, 11).
PIETRO PIONITA
L'abbiamo già incontrato nei detti di Agatone (n. 1). Ma, come osserva il Chitty (p. 80, nota 117), il fatto che egli introduca il primo racconto di Agatone è con ogni probabilità dovuto a un errore redazionale del compilatore della serie alfabetica, il quale, nell’Asceticon di Isaia di Scete (cf. p. 199), si è trovato di fronte a un gruppo di apoftegmi in cui i nn. 1 e 2 di Agatone seguivano al 2° di Pietro Pionita. Se così non fosse e se i dati biografici risultanti dai detti che seguono sono fondati, Pietro Pionita avrebbe cambiato molti luoghi durante la sua vita monastica: Arsenoe,
sede del suo maestro Lot, le Celle,
Scete, Raito. Non si sa di lui nient'altro che quanto risulta dai detti seguenti e dal suo essere il più noto discepolo del padre Lot. Barsanufio inizia una sua lettera con la frase del detto n. 2: «La tua chiave apre la mia porta», per dire che egli’ non riesce a resistere alle insistenze di un fratello e continua a rispondergli, non sopportando di nascondergli le meraviglie di Dio (ep. 90).
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Pietro Pionita
1. Raccontavano che il padre Pietro Pionita, che viveva alle Celle, non beveva vino. Quando invecchiò, i fratelli gli fecero un po’ di vino annacquato e lo pregarono di accettarlo. Disse: «Credetemi, lo considero come vino aromatizzato» 199, E condannò se stesso a motivo di quel vino (376c; PJ IV, 35).
2. Un fratello disse al padre Pietro, il discepolo del padre Lot: «Quando sono nella mia cella, la mia anima è in pace. Ma se viene da me un fratello e mi racconta le cose di fuori, la mia
anima si turba». Il padre Pietro disse ciò che il padre Lot diceva: «La tua chiave apre la mia porta». «Che significa?», chiede il fratello all’anziano. Questi risponde: «Se viene da te qualcuno, tu gli dici: - Come stai? Donde vieni? Come stanno i tratelli? Ti hanno accolto oppure no? E con questo apri la bocca del fratello e odi ciò che non vuoi». «E così, dice l’altro. Che
deve dunque fare l’uomo se un fratello si/reca da lui?». L’anziano dice: «La regola, in una parola, è il lutto. Dove non vi è lutto, non è possibile custodire se stessi». «Quando sono in cella, dice il fratello, il lutto è con me; ma se viene a trovar-
mi qualcuno o se io esco dalla cella, non lo trovo». «Non ti è ancora sottomesso, dice l’anziano, ma lo hai come in uso. Sta scritto nella legge che, se acquisterai uno schiavo ebreo, ti servirà per sei anni; il settimo lo rimanderai libero. Ma se gli dai moglie e se genera dei figli nella tua casa, e non vuole andarsene a causa della moglie e dei figli, lo condurrai alla porta di casa e gli forerai l’orecchio con una lesina e sarà tuo schiavo per sempre» 170. Dice il fratello: «Che significa questa parola?». Dice l’anziano: «Se un uomo si affatica in una cosa secondo le sue forze, in qualsiasi momento la cerchi per usarla la troverà». Gli dice: «Fammi la carità, spiegami questa parola». «Nemmeno un figlio bastardo, dice l’anziano, rimane schiavo
169 Cioè come liquore, che i monaci non usavano affatto bere. 170 Cf, Es 21, 1-6.
Pietro Pionita / Pafnuzio
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!7! e» dr pa o su ia sc la n no o in nu ge io di qualcuno, ma il figl (376c-377a; PJ XI, 26).
3. Raccontavano che il padre Pietro e il padre Epimaco vivevano insieme a Raito. Mentre mangiavano tutti riuniti, li forzarono ad andare al tavolo degli anziani. Vi andò solo il padre Pietro, e con grande fatica. Quando si alzarono, il padre Epima-
co gli disse: «Come hai osato andare al tavolo degli anziani?». Rispose: «Se fossi rimasto a sedere con voi, i fratelli mi avrebbero forse pregato di benedire per primo e avrei potuto essere come il più grande di voi. Vicino ai padri invece ero il più piccolo di tutti e il più meschino nei miei pensieri» (377ab). 4. Il padre Pietro disse: «Non bisogna esaltarsi quando il Signore opera qualcosa per mezzo nostro, ma piuttosto ringraziare che ci ha concesso di essere chiamati da lui». Diceva di reputare questo più utile di ogni virtù 172, PAFNUZIO
Cassiano, che l’incontrò a Scete, ne parla a lungo e ripetutamente. Abbracciò la solitudine su consiglio del grande Antonio. Fu discepolo di Macario e successe ad Isidoro come presbitero di uno dei quattro raggruppamenti di Scete (cf. p. 301) — in cui avrebbe voluto che gli succedesse Daniele (ct. p. 166) — verso 171 L’anziano parte dall’interpretazione allegorica della norma dell’Esodo sugli schiavi per concludere col versetto dell’Evangelo che la riprende, Gv 8, 35, e per farne-una curiosa applicazione: «Dopo un certo numero di anni nessuno resta schiavo, tutti vogliono la libertà, ma se uno è tuo figlio genuino, rimane. Significa: il lutto, la compunzione, rimarrà presso di te in
tuo potere solo quando sarà connaturato a te, sottomesso, come un figlio sincero», 172 Il brano contrappone virtù, intesa come qualcosa che si ottiene con un certo sforzo da parte nostra, e puro dono di Dio, che vale molto di più.
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Pafnuzio
il 373, e lì si trovava nel 399, anno in cui Teofilo d’Alessandria promulgò la condanna dell’antropomorfismo (cf. p. 221). In un primo momento fu l’unico a Scete ad avere le idee chiare contro questa eresia, ad accogliere la lettera di Teofilo e a darne pubbli
ca lettura. È altra persona dal Pafnuzio detto Kefala già incontrato (cf Antonio 29; Matoes 10). È invece lo stesso Pafnuzio che rimandò severamente il giovanetto Eudemone (cf. p. 192). Cassiano ci dice che gli altri anacoreti lo soprannominarono bufalo, perché «godeva di abitare sempre nella solitudine, ne
aveva un desiderio, per così dire, innato. Anche i più illustri uomini del suo tempo ammiravano la sua gravità e la sua mirabile costanza...» (Coll. XVIII, 15). Divenne oggetto di grande invidia da parte di qualcuno; un fratello inscenò una tremenda calunnia, da cui egli non si difese, finché il colpevole non rivelò l'inganno. Soltanto in forza delle preghiere di Pafnuzio, il suo persecutore fu liberato dallo spirito del male di cui era preda. Come abbiamo già visto (cf. p. 272), solo di lui, dei due Macario
e di Mosè, Cassiano dice che seppero meravigliosamente unire la perfezione della solitudine, della rinuncia completa e di una carità inesauribile (Coll. XIX, 9).
1. Il padre Pafnuzio raccontò: «Camminando per strada, mi accadde di smarrirmi a causa della foschia e di trovar-
mi vicino a un villaggio. E vidi alcuni che si intrattenevano in modo turpe. E mi fermai a pregare per i miei peccati. Ed ecco venire un angelo con una spada a dirmi: — Pafnuzio, tutti quelli che giudicano i loro fratelli periranno con questa spada; tu invece poiché non hai giudicato, ma hai umiliato te stesso davanti a Dio, come
se fossi stato tu a commettere
quel peccato, per questo il tuo nome è scritto nel libro dei viventi 173» (377). 173 Cf. Fil 4,3 e par.
Pafnuzio
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2. Raccontavano che il padre Pafnuzio difficilmente beveva vino; un giorno mentre camminava, piombò in mezzo a una banda di ladri e li trovò che stavano bevendo vino. Il capo dei ladroni lo conosceva e sapeva che non beveva vino. Vedendo che veniva da una grande fatica, riempì un bicchiere di vino; e, prendendo in mano la spada, disse all’anziano: «Se non bevi, ti
uccido». L'anziano, sapendo di fare la volontà di Dio, poiché voleva guadagnare il ladrone 174, prese e bevve. Il capo dei ladroni s’inchinò davanti a lui dicendo: «Perdonami, padre, perché ti ho dato dispiacere». E l’anziano disse: «Confido in Dio che, per questo bicchiere, ti userà misericordia nel secolo pre-
sente e in quello futuro 175». Dice il capo dei briganti: «Io confido in Dio, che d’ora in poi non farò più male a nessuno». Così l'anziano guadagnò tutta la banda, poiché aveva rinunciato per il Signore alla propria volontà (377c-380a; P] XVII, 12). 3. Il padre Poemen raccontò che il padre Pafnuzio diceva: «In tutto il tempo della vita degli anziani, mi recavo da loro due volte al mese, ed ero dodici miglia distante da loro, e dicevo loro ogni pensiero, e non mi rispondevano altro che questo: — In qualsiasi luogo tu vada, non misurare te stesso 176 e starai in pace».
4 (Guy 5). Vi era a Scete col padre Pafnuzio un fratello, ed era tentato di fornicazione. E diceva: «Anche se prendessi dieci donne,
non
soddisferei la mia
brama».
L'anziano
lo
confortava dicendo: «No, figliolo, è una guerra dei demoni». L’altro non se ne convinse; andò in Egitto e prese moglie. Dopo qualche tempo accadde all’anziano di salire in Egitto e d’incontrarlo che portava dei cestini di conchiglia. L'anziano
174 C£. 1 Cor 9, 19ss. 175 Espressione biblica; cf. Ef 1, 21.
176 Cf. nota 37, pp. 381s.
Pafnuzio
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cedis tuo e, tal il no so «Io : gli dir a lui fu ma e, non lo riconobb se: dis e se an pi o an zi an l’ a, ni mi no ig lla que in o ol nd de Ve polo». e tal a re ge un gi e à it gn di lla que re cia las to tu po «Come hai o: nd me ge e ss Di ». e? nn do ci die le se for o es pr sei Ti ignominia? ». ne pa il le ar ur oc pr a to en st e a sol a un o es pr ho ne ità «In ver », a? nz te ni pe i erv ess uò «P o. an zi an l' e dic gli «Torna con noi!»,
tut o at on nd ba ab , ora All ». «Sì se: dis o an zi an dice il fratello. L’
e nn ve di za en ri pe es ta es qu n co e e et Sc a to, lo seguì 177. Andò un monaco provato (380abc).
a ll de o rt se de l ne va ve vi e ch lo el at fr 5 (Guy 6). A un o? os tu ut fr in i qu i sta ne te é ch er «P : ro ie ns pe Tebaide venne un Alzati, va’ in cenobio, e lì farai frutto». Alzatosi, venne dal padre Pafnuzio e gli manifestò il suo pensiero. E l’anziano gli disse: «Va’, rimani nella tua cella e fa” una preghiera al mattino, una alla sera e una di notte; quando hai fame mangia, quando hai sete bevi e quando hai sonno dormi; rimani nel deserto, e non lasciarti persuadere da quel pensiero». Andò anche dal padre Giovanni e gli riferì le parole del padre Pafnuzio. Dice il padre Giovanni: «Non pregare affatto, soltanto rimani nella tua cella» 178. Andò poi dal padre Arsenio e gli riferì tutto. E l’anziano gli dice: «Attieniti a ciò che i padri ti hanno detto; più di questo, non ho nulla da dirti». Se ne andò rassicurato (380cd).
6 (Guy 4). La madre Sarra mandò a dire al padre Pafnuzio: «E forse l’opera di Dio 179 quella che tu hai fatto lasciando disonorare il tuo fratello?». E il padre Pafnuzio disse: «Pafnu-
177 C£. Lc 5, 28.
178 C£. nota 10, pp. 83s. 179 L'espressione «l’opera di Dio» è usata spesso per indicare la vita secondo Dio, totalmente consacrata a lui (cf. Antonio 13; Sisoes 37; Silvano
9, ecc.). L'origine di questa formula è nel Vangelo di Giovanni (6, 29), ove qualifica l'obbedienza fondamentale del cristiano, la fede.
Pafnuzio / Paolo / Paolo il Cosmeta
435
zio è proprio qui con l’intenzione di fare l’opera di Dio, e non ha a che vedere con nessuno» 180 (S 1).
PAOLO
Uno dei padri raccontò di un certo padre Paolo, che era originario del Basso Egitto e abitava nella Tebaide: costui atferrava con le mani cerasti, scorpioni e serpenti, e li spaccava a metà. I fratelli gli si inchinarono davanti dicendo: «Dicci che opera hai compiuto per ricevere una tal grazia». «Perdonatemi padri, disse lui, se uno acquista la purità, tutto gli si sottomette come ad Adamo quando era nel Paradiso, prima di trasgredire il precetto 181» (380d-381a; P] XIX, 11).
PAOLO IL COSMETA
1. Il padre Paolo il Cosmeta e Timoteo suo fratello dimoravano a Scete; e spesso scoppiava fra loro una lite. «Fino a quando rimarremo così?», chiese il padre Paolo. E il padre Timoteo disse: «Fammi la carità; quando ti vengo davanti, sopportami. È quando anche tu verrai da me, anch’io ti sopporterò». E facendo così ebbero quiete per i giorni che loro restarono (3812).
2. Questo stesso padre Paolo e Timoteo erano cosmeti a Scete ed erano disturbati dai fratelli. Disse allora Timoteo a suo fratello: «Perché vogliamo quest'arte? Non ci lasciano in
180 La domanda della madre casi più volte incontrati di anziani de anche gravi, convinti che non propria vocazione alla solitudine,
Sarra si riferisce probabilmente a uno dei che si astengono dall’intervenire in vicensia loro compito ma sia invece tradire la al distacco, all’agire soltanto attraverso la
preghiera (cf. Arsenio 28; Giovanni Nano 47; Poemen 2; 9; 173, ecc.).
181 Cf. Gn 1, 28. Vedi Introd., pp. 42ss.
Paolo il Cosmeta / Paolo il Grande
436
pace tutto il giorno!». E il padre Paolo rispose: «Se la nostra mente sta desta, ci basta il raccoglimento e la solitudine della notte» (381b).
PAOLO IL GRANDE
Si tratta probabilmente di Paolo primo eremita, secondo la tradizione che risale a una vita molto leggendaria di Girolamo. Secondo Atanasio, il primo eremita fu Antonio; secondo Girolamo, Antonio ebbe un giorno una rivelazione: mentre era tentato di pensare che non c’era nessuno più perfetto di lui, gli fu risposto che ce ne era uno di gran lunga migliore. Antonio si mosse alla sua ricerca e lo incontrò. Paolo, appartenente a una famiglia ricca e colta, era fuggito da giovane in un luogo solitario durante la persecuzione di Decio e Valeriano, cioè tra il 249 e il 251, venti anni prima del ritiro di Antonio. Avrebbe trovato un luogo che sembrava preparato apposta da Dio, costituito da una grotta, una palma e una sorgente. Sarebbe vissuto fino a 113 anni; e Antonio avrebbe avuto rivelazione della sua morte in modo da arrivare in tempo a coglierne l’ultimo respiro e a comporre il suo corpo 182. Cassiano menziona entrambi, Paolo e Antonio, come iniziatori della vita solitaria (Coll. XVIII, 5-6).
1. Il padre Paolo il Grande, il Galate, disse: «Un monaco
che ha poche esigenze nella sua cella ed esce per qualche sollecitudine, viene deriso dai demoni. Anch'io l’ho provato» (381b). 2. Il padre Paolo disse: «Io sono nel fango, affondato fino al collo 18, e piango dinanzi a Dio, dicendo: — Abbi pietà di me» (381c). 182 Girolamo, VP, pp. 219-235. 183 Cf. Sal 68, 3.
Paolo il Grande / Paolo il Semplice
437
3. Raccontavano che il padre Paolo passava la Quaresima con una misura di lenticchie e una brocchetta d’acqua. É restava chiuso fino alla festa, occupandosi di un cestino: lo intrecciava e lo disfaceva 184. PAOLO IL SEMPLICE
È molto rinomato. Il soprannome gli fu attribuito a motivo delle grandi prove cui lo sottopose il suo maestro, Antonio il Grande, per ottenergli il dono di un’obbedienza soprannaturale,
cieca e assoluta. Varie fonti parlano di lui (HM, Palladio, Rufino, Sozomeno), e sostanzialmente coincidono pur differenziandosi nei dettagli, i quali facilmente vengono variati nella trasmissione di una tradizione orale molto diffusa, quindi raccontata più volte e da più bocche. Paolo era maritato; ma, accortosi che la moglie lo tradiva, vide in questo un segno di una diversa chiamata divina. Fuggî presso Antonio, per essere istruito da lui nella vita monastica. Antonio lo provò in mille modi: lo lasciò fuori alcuni giorni, a digiuno, sotto il caldo cocente; gli fece rompere un vaso di miele e gli disse di raccogliere il miele con un cucchiaio stando attento a non raccogliere insieme anche la sabbia; gli fece fare dei lavori inutili, fare e disfare corde, cucire e
scucire un mantello. Ed egli «non uscì in borbottamenti, né si scoraggiò né si indignò». Antonio infine «si commosse», vide che «era estremamente semplice e la grazia agiva in lui» (HL, 22), lo fece abitare in una cella a qualche miglio di distanza da lui, quindi cominciò a mandargli i posseduti da demoni che egli stesso non riusciva a cacciare, e si racconta che per opera di Pao-
lo, «erano subito cacciati» (HM, XXIV, 10). La tradizione lo ha
soprannominato «il Semplice».
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184 Non mangiava, perciò non aveva bisogno di guadagnare; faceva e
disfaceva il cestino per non restare ozioso (cf. N 424).
438
Paolo il Semplice
Il beato Paolo il Semplice, discepolo di sant'Antonio, raccontò ai padri questo fatto. Un giorno in cui si recò in un monastero per visitarlo e per l’utilità dei fratelli, dopo l’abituale scambio di conversazione entrarono nella santa chiesa di Dio per celebrare la consueta liturgia. Il beato Paolo — così raccontò — osservava tutti quelli che entravano in chiesa, con quale animo venivano alla liturgia; gli era stata data infatti da Dio questa grazia, di vedere ciascuno come era nell’anima, come noi ci vediamo l’un l’altro in volto. Tutti quelli che entravano avevano un aspetto luminoso e
il volto raggiante, e
ognuno aveva il suo angelo che si rallegrava su di lui. Ma uno — disse — lo vide nero e tenebroso in tutto il corpo, e dei demoni lo stringevano ai due lati tirandolo verso di sé da una parte e dall’altra, con una cavezza che gli avevano passato nel naso, e il suo santo angelo seguiva da lontano triste e abbattuto. Paolo, versando lacrime e battendosi il petto con la mano, sedeva davanti alla chiesa e piangeva tanto su colui che gli appariva in quelle condizioni. Ma gli altri, al vedere questo fatto strano, cioè l’improvviso cambiamento di Paolo, mosso alle lacrime e al dolore, lo pregavano di dir loro perché piangesse, temendo che lo facesse per un giudizio su tutti loro. E lo pregavano di entrare con loro alla liturgia. Ma egli, respintili, rimase seduto fuori a lamentarsi fortemente su colui che gli era apparso in quello stato. Dopo non molto, allo sciogliersi della liturgia e all’uscita di tutti, di nuovo Paolo osservò ciascuno, per sapere come uscivano. E vide quel-
l’uomo, che prima aveva tutto il corpo nero e tenebroso, uscire dalla chiesa luminoso in volto e bianco nel corpo, e i demoni lo seguivano da molto lontano, mentre il santo angelo accanto a lui lo accompagnava radioso, entusiasta e molto felice di lui. Allora Paolo, alzatosi con gioia, gridava benedi-
cendo Dio con queste parole: «O ineffabile amore per gli uomini e bontà di Dio!». Salito poi su di un alto gradino, diceva a gran voce: «Venite e vedete le opere di Dio, come
Paolo il Semplice
439
sono grandi e degne di ogni stupore 18. Venite e vedete colui che vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità 186, Venite, adoriamo e prostriamoci 187 a Lui e diciamo: — Tu solo puoi cancellare i peccati». Accorsero in
fretta tutti, per udire le sue parole; e quando tutti furono riuniti, Paolo raccontò ciò che gli era apparso davanti all’ingresso della chiesa, e ciò che invece gli era apparso dopo. E pregò quell’uomo di dire la causa per cui il Signore gli aveva improvvisamente donato una trasformazione tanto grande. Egli, scoperto da Paolo, raccontò con franchezza di fronte a tutti la sua situazione: «Sono un peccatore, disse, da lungo tempo fino ad ora sono vissuto nella fornicazione. Ma ora, entrato nella santa
chiesa di Dio, ho sentito leggere il santo profeta Isaia, o piuttosto, Dio che parla attraverso di lui: — Lavatevi, diventate puri,
togliete dai vostri cuori le vostre malvagità dinanzi ai miei occhi, imparate a fare il bene; e anche se i vostri peccati fossero come porpora, li renderò bianchi come neve. E se volete e mi ascolterete, mangerete i beni della terra 188, Io, il fornicatore, riprese, colpito nell'anima dalla parola del profeta e gemendo nel mio spirito dissi a Dio: — Poiché tu sei il Dio venuto nel mondo a salvare i peccatori 189, compi anche in me peccatore e indegno queste cose che hai promesso per mezzo del profeta. Ecco che da ora ti do promessa, m’impegno e di cuore confesso a te, che non farò più nulla di male; ma rinuncio a ogni trasgressione e ti servirò da ora con coscienza pura 19%,
Oggi, o Signore, e da questo momento, accogli me che mi pento e cado ai tuoi piedi e mi terrò lontano in futuro da ogni peccato. Con questi patti, proseguì, uscii di chiesa, deciso nella
185 Sal 45,9.
186 1 Tm 2,4. 187 Sal 94, 6. 188 Cf, Is 1, 16-19.
189 C£. 1 Tm 1, 15. 190 C£.1Tm3,9.
440
Paolo il Semplice / Pietro di Diu
mia anima a non commettere più nulla di male dinanzi a Dio». Udito ciò, tutti gridarono a una voce sola a Dio: «Cozze si sono rivelate grandi le opere tue, Signore, tutte le hai fatte con sapien-
za» 191, [Il beato Paolo così concluse]: «Conoscendo dunque, cristiani, dalle divine Scritture e dalle sante rivelazioni, quanta 192 Lui in ente eram sinc iano rifug si che o color per ha Dio bontà come e e, cadut denti prece loro le enza penit nella e correggono di ti pecca dei conto er chied senza ssi prome beni i egli ridoni ha come é, perch zza, salve a nostr della mo eria disp prima, non sono si che o color e lavar di Isaia ta profe il promesso mediante e neve, e lana come hi bianc rli rende di e ti pecca infangati nei di così 19, te celes mme sale Geru della beni dei di farli degni nuovo per mezzo del profeta Ezechiele ci promette con giuramento di non perderci: — Vivo io, dice il Signore, non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva 19» (381c-385b;
PJ XVIII, 20).
PIETRO DI DIU
Pietro, il presbitero di Diu, se pregava costretto a stare davanti a loro, poiché era prete; della sua umiltà, si poneva di dietro confessando cati, come è scritto nella vita del padre Antonio. do non rattristava nessuno (385c).
191 Sal 103, 24.
192 Cf. Sal 30, 20. 193 Cf. Eb 12, 22. 194 Cf. Ez 18, 32; 33, 11.
con altri era ma, a motivo i propri pecE così facen-
ROMEO
Si tratta del grande Arsenio, come si è già detto (pp. 92ss.). Romeo è la traduzione greca dell’appellativo dato agli elleni dai popoli dell’Asia Minore e Medio Oriente, per indicare la loro provenienza dalla nuova Roma.
1. Venne un giorno un certo monaco di Roma, che era stato un gran personaggio al palazzo imperiale, e si mise ad abitare a Scete molto vicino alla chiesa; e aveva un servo che lo servi-
va. Il presbitero, che conosceva la sua infermità e sapeva da quali agi provenisse, se per dispensazione divina qualcosa veniva donato alla chiesa, lo mandava a lui. Dopo venticinque anni di vita a Scete, ricevette il dono di scrutare nei cuori e divenne famoso. Uno dei grandi egiziani, che ne aveva sentito parlare,
venne a conoscerlo, aspettandosi di trovare in lui una qualche eccezionale ascesi del corpo. Entrato, lo salutò; e dopo la preghiera, si sedettero. L’egiziano vide che indossava morbide vesti e aveva sotto di sé una stuoia, una pelle e un piccolo cuscino; aveva anche i piedi puliti dentro a dei sandali. A questa vista si scandalizzò, perché in quel luogo non usava un tal modo di vivere, ma una vita dura. L’anziano, che leggeva nei cuori, capì che si era scandalizzato, e disse al suo servo: «Fa° festa oggi a causa del padre». Vi era per caso un po’ di verdura, e la cosse; quando fu ora, alzatisi, mangiarono. L’anziano aveva anche un
442
Romeo
po’ di vino, per la sua infermità. E bevvero. A sera, recitarono i dodici salmi e
si coricarono; cosi anche la notte. All’alba,
l’egiziano, alzatosi, gli disse: «Prega per me». E se ne andò senza averne tratto alcuna utilità. Dopo che si fu un po’ allontanato, l’anziano, che voleva aiutarlo, lo fece richiamare. Quando giunse, lo accolse di nuovo con gioia; e gli domandò: «Di che regione sei?». «Egiziano», risponde. «Ma di quale città?». «Non sono per nulla cittadino!». «Qual era il tuo lavoro nel tuo villaggio?». «Facevo il custode». «Dove dormivi?». «In campagna». «Avevi, gli chiede, un letto sotto di te?». Gli dice: «Ah, sì! In campagna avrei dovuto mettere sotto di me un letto!». «Come dormivi dunque?». «Per terra». Dice poi: «Che cibo avevi nei campi? Che vino bevevi?». Dice l’altro: «C'è forse da mangiare e da bere nei campi?». Gli chiede: «Come dunque vivevi?». «Mangiavo pane secco e, se la trovavo, un po’ di carne salata e acqua». E l’anziano, di risposta: «Grandi disagi! E c'è un bagno nel villaggio, per lavarsi?». «No. Quando vogliamo, andiamo nel fiume». Quindi l’anziano, dopo avergli tratto fuori tutte queste risposte e aver appre-
so le strettezze della sua vita di prima, poiché voleva essergli utile gli raccontò la sua antica vita nel mondo: «Io, che ora tu vedi vile, vengo dalla grande città di Roma e sono stato un grande nel palazzo imperiale». Appena ebbe inteso l’inizio del discorso, l’egiziano fu preso da compunzione e si mise ad ascoltare attentamente le sue parole. L'altro proseguì: «Lasciai dunque la città e venni in questo deserto. E ancora, io, che tu vedi, avevo letti tutti d’oro con coperte preziose; e al loro posto Dio mi ha dato questa stuoia e questa pelle. E poi, i miei abiti erano di grande valore; e al posto di quelli porto questi vili vestiti; ancora, si facevano pranzi molto costosi; ora invece Dio mi ha dato questo po’ di verdura e questo bicchiere di vino. Molti schiavi erano al mio servizio; ed ecco, al loro posto Dio ha colpito il cuore di questo anziano perché mi servisse. Invece del bagno, mi verso questo po’ d’acqua sui piedi; e i sandali li porto per la mia infermità; invece di musiche e cetre
Romeo / Rufo
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dico i dodici salmi. E così anche la notte, in luogo dei peccati che commettevo, ora celebro in pace la mia piccola liturgia. Ti prego dunque, padre, di non scandalizzarti per la mia infermità». A queste parole, l’egiziano, ritornato in sé, esclamò: «Guai a me, che da tanta ristrettezza che avevo nel mondo sono venuto a questo ristoro, e possiedo ora ciò che non pos-
sedevo allora! Tu invece da grandi agi sei giunto a questa strettezza, e da grande gloria e ricchezza sei venuto all’umiltà e alla
povertà». Se ne andò molto edificato; gli divenne amico, e si recò spesso da lui per edificazione, poiché era un uomo dotato di discernimento e pieno del buon profumo dello Spirito San-
1 (385c-389a; PJ X, 76).
2. Fu lui a raccontare che vi era un anziano il quale aveva un buon discepolo; e un giorno, per malumore, lo cacciò fuori con il suo mantello; ma il fratello rimase fuori seduto. E l'anziano, aprendo, lo trovò seduto; gli si inchinò allora davanti dicendo: «O padre, l’umiltà della tua larghezza d’animo ha vinto il mio malumore. Entra; d’ora innanzi tu sei anziano e padre, io più giovane e discepolo» (389ab; P] XVI, 17). RUFO
1. Un fratello chiese al padre Rufo: «Che cos'è l’isichia 2 e qual è la sua utilità?». L'anziano gli dice: «L'isichia è il rimanere in cella con timore e conoscenza di Dio, tenendosi lontano dal ricordo delle offese e dalla superbia; questa isichia, che è 1 Cf. 2 Cor 2, 15. 2 Si è lasciata qui la semplice traslitterazione del termine greco, di cui
nella lingua italiana non è in uso un equivalente, mentre sono in uso i suoi
derivati «esicasta, esicasmo». Questo termine, dal significato molto ricco, è stato via via tradotto con differenti espressioni: solitudine, raccoglimento,
tranquillità, unione con Dio e simili, ognuna delle quali è soltanto molto approssimativa.
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Rufo
aoc fu in i rd da dai co na mo il ce is od st cu ù, madre di tutte le virt a rc ce , lo el at fr Sì, o. an sc ri fe lo e ch ia sc ti del nemico 3 e non la
hé rc pe e, rt mo a tu a ll de o od es l’ do an rd co ri di procurartela, a» im an a tu a ll su la gi Vi 4. à rr ve o dr non sai in che ora il la (389bc).
e dr pa un a so es om tt so ve vi hi «C e: ss di fo 2. Il padre Ru È . o» rt se de l ne lo so da ra ti ri si spirituale ha più merito di chi at qu e, ss di i, id «V i: dr pa i de o un to ta on riferì ciò che aveva racc il 5; o Di a o at gr e o rm fe in mo uo l’ o, im pr tro ordini nel cielo: il o, rz te il e; rv se e te is rs pe sa es in e tà li ta pi secondo, chi pratica l’os
i ch , ne di or to ar qu il ; mo uo de ve n no e ne di tu chi persegue la soli to et gg so sta gli e e ual rit spi e dr pa un a e on si vive nella sottomis per amore del Signore: per la sua obbedienza costui portava un collare e un bracciale d’oro, e aveva più gloria degli altri. Io — 3 Cf. Ef 6, 16. 4 C£. Lc 12, 39. ? Cf. Giuseppe di Tebe; Coprio 1. Abbiamo visto che, con forza ancora più grande, Poemen diceva: «Se nello stesso luogo vi sono tre, e l’uno vive nella solitudine e nella quiete, l’altro è malato e ringrazia, il terzo serve con mente pura, i tre compiono un’opera sola» (n. 29). La malattia è tenuta in
grande onore presso i maestri del discernimento e della condiscendenza, coloro cioè che non si muovono su una linea volontaristica e non sopravvalutano il povero sforzo dell’uomo rispetto alle prove passive mandate da Dio per purificare e conformare all'immagine del suo Figlio sofferente. «Non scoraggiamoci nella malattia, poiché l’Apostolo ha detto: “Quando sono
debole, allora sono forte” (2 Cor 12, 10). Rendiamo grazie a Dio in tutto... (cf. 1 Ts 5, 18)» (Barsanufio, ep. 74). «Dove vi è debolezza, là vi è invocazio-
ne di Dio» (ibid., ep. 510). La malattia costituisce in uno stato di beatitudine, la beatitudine degli afflitti, non resta che invocare e rendere grazie. «La malattia vale più di una disciplina ed è contata come una pratica ascetica o anche di più a colui che la sopporta con pazienza e rendendo grazie a Dio. E da questa pazienza egli raccoglie il frutto della salvezza. Così dunque, invece di indebolire il corpo con i digiuni, esso si indebolisce da s& (1514., ep. 78). Il medesimo pensiero si trova in Sincletica 8, che conclude poi con queste parole: «E questa la grande ascesi: resistere nelle malattie ed elevare a Dio inni di grazie». Secondo Diadoco di Foticea, Basilio Magno e altri grandi della tradizione, la malattia equivale alla tentazione, al martirio stesso.
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Rufo / Romano
disse — chiesi alla mia guida: — Come mai costui che è il più piccolo ha gloria più grande degli altri? — Perché, mi rispose, chi pratica l'ospitalità segue il proprio volere, chi vive nel deserto si è ritirato di sua volontà; ma costui, che rimane sottomesso, ha
abbandonato ogni sua volontà e pende da Dio e dal proprio padre; per questo ha ricevuto gloria: più grande degli altri; perciò, o figli, è buona l’ubbidienza che è compiuta per il Signore. Avete cominciato a intravedere, figliuoli, una piccola traccia di
questa virtù. O ubbidienza, salvezza di tutti i fedeli! O ubbidienza, madre di tutte le virtù! O ubbidienza, rivelatrice del
regno! O ubbidienza, che apri i cieli e innalzi gli uomini da terra! O ubbidienza, nutrimento di tutti i santi, da te allattati e per
mezzo tuo resi perfetti! O ubbidienza, che abiti con gli angeli!» (389c-392a). ROMANO
Quando il padre Romano stava no accanto a lui i suoi discepoli e gli mo vivere?», E l’anziano disse: «Non ad alcuno di voi qualcosa senza aver
per morire, si radunarochiesero: «Come dobbiaricordo di aver mai detto prima fatto il pensiero di
non adirarmi se non avesse eseguito ciò che avevo detto. E
così abbiamo sempre vissuto in pace» (392b).
SISOES
Fra i padri del deserto, è una delle più grandi autorità, cui molti altri si richiamano. Fu discepolo del grande Macario di Scete e maestro di un Abramo, che lo seguì sempre con grande fedeltà. Alla morte di Antonio, cioè nel 357, si ritirò sul monte di Anto-
nio — prima a Pispir, quindi nella «montagna interiore» —, lasciando Scete perché troppo affollata per i suoi gusti. Se è vero quanto afferma Sisoes stesso secondo il detto n. 28, cioè che egli visse 72 anni sulla montagna di Antonio, se prima di questo periodo era già monaco a Scete, e se dopo di esso lo troviamo a Clisma, signifi-
ca che anch'egli fu molto longevo, almeno centenario. Sono pressoché certamente da attribuire a lui i detti che incontreremo sotto il nome di Titoes (pp. 486s.). Pare certo però che ci siano altri due
Stsoes, anche se la tradizione li ha uniti sotto un unico nome,
Sisoes di Tebe, che visse a Calamon nel Faiyààm (cf. p. 141). A dif ferenza del grande Sisoes, che appare tanto condiscendente e dolce pur nella radicalità della sua vita, questo secondo Sisoes si distinQue nettamente per una certa durezza, come gli dice il suo discepolo (n. 51), tanto che fu perfino rimproverato da un angelo per eccesso di ascesi (n. 33). A lui sono attribuiti, fra i detti qui sotto riportati, 1 nn. 32-33, 35, 37, 51-52.
Il grande Sisoes è una personalità molto ricca, che non può essere schematizzata in poche parole. Tuttavia alcuni elementi emergono con particolare forza: una tale immersione in Dio, per cui non si accorgeva se aveva mangiato 0 no (n. 4), un’umiltà tale
Sisoes
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da «considerare il proprio fratello più intelligente e superiore in tutto» (cf. n. 13, ripreso da Doroteo, Ins. II, 33)e da essere pieno
di timore nonostante le visioni inviategli dal Signore al momento della morte (n. 14), una fiducia illimitata nella preghiera e un coraggio quasi sfrontato con Dio nel supplicarlo (n. 12), una misericordia paragonabile soltanto a quella del padre Poemen, tale da ritenere sufficiente per il perdono una penitenza sincera di soli tre giorni (n. 20; cf. Poemen 12). I tre santi di Gaza si richiamano più volte all'insegnamento di Sisoes. In vari detti di altri anziani ritroviamo la presenza di Sisoes. Ebbe conoscenza e familiarità con i più grandi, come Ammonio di Raito (n. 26), che lo visitò a Clisma, e Pambone di Nitria, che umilmente lodava (n. 53).
1. Un fratello, offeso da un altro, venne dal padre Sisoes e gli disse: «Sono stato offeso da un fratello e voglio vendicarmi». Ma l'anziano lo esortò: «No, figliolo, lascia piuttosto a Dio la vendetta». Ed egli: «Non mi darò pace finché non mi sarò vendicato». Disse allora l’anziano: «Preghiamo, fratello!». E alzatosi disse: «O Dio, non abbiamo più bisogno che tu ti prenda cura di noi, perché noi ci vendichiamo da soli». A queste parole il fratello cadde ai piedi dell'anziano dicendo: «Non contenderò più con il fratello; perdonami, padre!» (392bc; PJ XVI, 10).
2. Un fratello chiese al Quando vado in chiesa, spesso mi trattengono». «È una cosa discepolo Abramo chiese allora: domenica e un fratello beve tre
padre Sisoes: «Cosa devo fare? vi è anche un pranzo fraterno e pesante», dice l'anziano. Il suo «Se vi è un raduno di sabato o di bicchieri, è molto?». «Se non esi-
stesse Satana, rispose l'anziano, non sarebbe molto» (PJ IV, 37).
3. Il discepolo del padre Sisoes gli disse: «Padre, tu sei diventato vecchio; andiamo dunque vicino a una zona abitata». L'anziano rispose: «Dove non vi sono donne, lì andiamo». E il discepolo gli disse: «E dov'è un luogo senza donne se non
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il deserto?». L'anziano deserto» (392d).
Szs0es
disse allora:
«Portami
dunque
nel
4. Il discepolo del padre Sisoes diceva spesso: «Alzati, padre, mangiamo!». «Figliolo, egli rispondeva, non abbiamo già mangiato?». «No, padre!». «Se non abbiamo mangiato, egli diceva, porta il cibo e mangiamo» (PJ IV, 38).
5. Il padre Sisoes disse un giorno con franchezza: «Credimi, da trent'anni non prego più Dio per i peccati, ma prego così: Signore Gesù, proteggimi dalla mia lingua. E fino ad ora ogni giorno cado e pecco a motivo della lingua» ! (393a; P] IV, 39). 6. Un fratello disse al padre Sisoes: «Come mai le passioni non si allontanano da me?». Gli dice l’anziano: «I loro strumenti sono dentro di te. Da’ loro il loro pegno, ed esse se ne andranno»? (PJ X, 68).
7. Il padre Sisoes abitò un tempo sul monte del padre Antonio; e poiché il suo servo tardò a raggiungerlo, per dieci mesi non vide uomo. Passeggiando per il monte, trovò un faranita che cacciava bestie selvagge. «Donde vieni?, gli dice l'anziano, e da quanto tempo sei qui?». Rispose: «In verità, padre, sono da undici mesi su questo monte e non ho visto 1 L’anziano esprime qui in modo un po’ paradossale la dottrina sostanzialmente contenuta nella Lettera di Giacomo: la lingua è un fuoco che fa divampare un grande incendio, un male che contamina tutto il corpo (Gc 3, 5-6 e passim). Sisoes intende dire: da essa derivano tanti altri peccati, da questi inoltre si è custoditi se essa è tenuta a freno. 2 Probabilmente: «Soddisfa l’esigenza positiva delle passioni ed esse cesseranno dall’importunarti». Se è da intendersi in questo modo, l’apoftegma si riferisce alla dottrina molto diffusa della indeterminatezza in sé della passione (ravoc); spetta al soggetto definirne il valore morale, orientandola positivamente o negativamente; è comunque impossibile sradicarla e porsi in quella situazione di impassibilità (Ora£L0), che proponevano come ideale gli stoici.
Sisoes
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nessuno tranne te». A queste parole l’anziano ritornò in cella e si batteva il petto dicendo: «Ecco, Sisoes, credevi di aver fatto
qualcosa, e non hai fatto ancora nemmeno come questo fedele» (393ab; P] XX, 5).
8. Sul monte del padre Antonio ebbe luogo l'Eucaristia, e lì fu trovato un piccolo otre di vino. Uno degli anziani, preso un orciolo e un bicchiere, lo portò al padre Sisoes e glielo diede; ed egli bevve; così pure una seconda volta, e lo accettò. Glielo offrì anche una terza, ma egli non lo prese dicendo: «Basta, fratello; non sai forse che c’è Satana?» (PJ IV, 37).
9. Un fratello si recò dal padre Sisoes sul monte del padre
Antonio; e mentre parlavano, chiese al padre Sisoes: «Padre, non
sei ancora giunto alla misura del padre Antonio?». L’anziano gli dice: «Se avessi uno solo dei pensieri del padre Antonio, diventerei tutto come fuoco. Però conosco un uomo? che con fatica può portare il proprio pensiero» (393bc; P] XV, 44). 10. Un giorno venne dal padre Sisoes un uomo di Tebe, che voleva farsi monaco. L'anziano gli chiese se nel mondo avesse qualcuno. Disse: «Ho un figlio». «Va’, gli dice l’anziano, gettalo nel fiume, e quindi potrai diventare monaco». Quando se ne andò per gettarlo, l'anziano mandò un fratello a impedirglielo. E mentre lo sollevava per gettarlo, il fratello disse: «Fermati! Cosa fai?». Ed egli: «L’abate mi ha detto di gettarlo» 5. E il fratello: «Ma in seguito ha detto: — Non gettarlo»
(393c-396a; PJ XIV, 8).
3 Questo testo è evidentemente collegato al n. 2 che ne è anche la spiegazione: il male non sta tanto nel bere tre bicchieri di vino, ma nel fatto che Satana può farne occasione di peccato. 4 Sisoes parla di sé secondo l’espressione usata dall’apostolo Paolo in 2 Cor 12, 2 e dice che, pur essendo tanto inferiore al grande Antonio, la sua mente è tanto elevata, riceve da Dio grazie tali, che a stento può portarle. > Cf. Gn 22, 10-12.
450
Sisoes
11. Un fratello chiese al padre Sisoes: «Satana ha perseguitato così gli antichi?». L'anziano gli dice: «Adesso lo fa di più, perché il suo tempo si avvicina $, e si agita» (PJ XV, 45). 12. Una volta Abramo, il discepolo del padre Sisoes, fu tentato dal demonio. L’anziano vide che era caduto, e levatosi in
piedi tese le mani al cielo dicendo: «O Dio, sia che Tu voglia sia che Tu non voglia, non ti lascerò se non lo guarirai» 7. E all'istante fu guarito 8 (PJ XIX, 14). 6 Cf. Lc 21, 8. Due versioni latine variano per spiegare meglio: «perché avvicinandosi il tempo dei castighi si angustia di più» (Rf 174); «poiché si avvicinano i castighi, quando egli con le sue legioni sarà tribolato, poiché conosce lo stagno di fuoco e di zolfo (Ap 20, 10) nel quale arderà» (Pasc 25, 2). ? Cf. nota 77, pp. 342s. Di questa sfrontata audacia con Dio si hanno altri esempi in santi giunti a grande intimità con lui e ad un abbandono semplice e infantile. Un biografo di san Filippo Neri ha scritto: «Et haveva tanta fede in Dio, che pareva che confidasse di farlo fare a modo suo, sicome una volta in particulare, mi ricordo che, venendoli raccomandato un infermo, si
voltò sorridendo a noi altri circostanti e disse: “Che vogliamo fare? Vogliamo farlo guarire?”. Et rispondendo noi di sì, esso sogiunse, a quello che l’haveva
raccomandato: “Dilli, che non voglio che mòra”. Sicome in altre occasioni, mi
ricordo che diceva: “Voglio che il tale guarisca in ogni modo” et così era. Et diceva a questo proposito, alle volte, che bisognava violentare Dio Nostro Signore» (Carlo Gasbarri, Filippo Neri nella testimonianza dei contemporanei,
ed. Città Nuova, Roma 1974, p. 90). L’8 settembre 1890, giorno della sua professione, santa Teresa di Gesù Bambino, animata dalla sicura fiducia di essere
la Regina, la sposa del Re, che poteva ottenere da lui qualsiasi favore (cf. MA 218), pregò con questa parrisia il Signore per la sua infelice sorella Leonia: «...per Leonia, fate che sia vostra volontà che ella sia visitandina, e, se non ha la vocazione, vi domando di dargliela. Voi non potete rifiutarmi questo». (Dalla deposizione al processo di canonizzazione di Teresa da parte di Leonia divenuta infine visitandina col nome di suor Francesca Teresa, cf. Piat, Léonie, p. 81). Il già menzionato monaco ortodosso (cf. nota 125, p. 412) Silvano del Monte Athos, di cui è in corso la canonizzazione, raccontava questo episodio:
«San Paisio pregava per il suo discepolo che aveva abbandonato il Cristo. Il Signore volendo consolare il suo servo gli apparve e gli disse: “Paisios, tu preghi per colui che mi ha rinnegato?”. Il santo non smise per questo di pregare per l’errante e di piangere. “O Paisios, tu mi hai uguagliato nella carità” disse il Signore» (dagli Scritti, p. 41). 8 C£. Mt 8,3 e par.
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13. Un fratello interrogò il padre Sisoes: «Vedo che il ricordo di Dio permane in me». L’anziano gli dice: «Non è gran cosa se il tuo pensiero è con Dio. È cosa grande invece vedere se stessi al di sotto di ogni creatura. Infatti questo e la fatica del corpo conducono all’umiltà»? (396b; PJ XV, 47).
14. Del padre Sisoes raccontavano che, mentre stava per morire e i padri erano seduti accanto a lui, il suo volto risplendette come il sole 10. E disse loro: «Ecco, è venuto il padre Antonio». E dopo un po’ disse: «Ecco, è venuto il coro dei profeti». Il suo volto risplendette ancor di più e disse: «Ecco, è giunto il coro degli apostoli». Quindi si raddoppiò lo splendore del suo volto, ed ecco, sembrava che egli parlasse con qualcuno. E gli anziani lo pregarono dicendo: «Con chi parli, padre?». Rispose: «Ecco, gli angeli sono venuti a prendermi, e prego che mi lascino fare un po’ di penitenza». Gli anziani gli dicono: «Non hai bisogno di far penitenza, padre!». Ma egli dice loro: «Non sapevo davvero di aver mai cominciato!». É tutti capirono che era perfetto. Di nuovo il suo viso divenne improvvisamente come il sole; tutti furono presi da timore 11, E disse loro: «Vedete, il Signore è venuto e dice: Portatemi il vaso [eletto] 12
? Questo testo afferma il grande valore della fatica del corpo e il suo rapporto con l’umiltà. Tale rapporto era espresso con molta chiarezza in un brano di Mosè (Sette capitoli 5 [18]). Ma la punta del detto di Sisoes è la prima affermazione: il ricordo incessante di Dio — cui è finalizzata tutta l’opera del monaco (cf. nota 42, p. 383) — per sé non conterebbe nulla senza l’umiltà profonda che fa vedere se stessi al di sotto di tutte le creature. È ovvio che il ragionamento procede per assurdo, perché non si può dare umiltà profonda che non discenda dalla preghiera e non si può dare immersione vera, incessante, in Dio, che non dia frutti di umiltà profonda. Ma anche per questo la forza dell’affermazione è tanto grande. In breve, nulla conta se non c’è l’umiltà (cf. p. 477). 10 Cf. Mt 17,2.
11 Cf. Mt 17, 6.
12 C£. At 9, 15.
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del deserto». E subito emise lo spirito 13. E vi fu come un lambc). (396 15 o fum pro n buo di a pien fu casa la a tutt E 14. po
15. Il padre Adelfio, vescovo di Nilopoli, si recò dal padre per o van sta ndo Qua o. oni Ant re pad del te mon sul Sisoes, man fece li o, min cam il o ser des ren rap int che ma pri , ene andars e Com o. iun dig di po tem era tre men o, tin mat dal giare, fin a. port alla e sar bus elli frat dei o ecc la, tavo la ato par ebbero pre perra, est min di po’ un o lor ’ «Da : olo cep dis suo Disse allora al non ché per o, lfi Ade re pad il e dic a, sci «La ti». ché sono affatica ano nzi L'a o». tin mat dal fin gia man oes Sis re pad il che ano dic l’ascoltò con attenzione, quindi disse al fratello: «Va’, offri!». Vedendo la minestra, chiesero: «Avete ospiti? Mangia forse con voi anche l’anziano?». «Sì», rispose il fratello. Cominciarono allora ad angustiarsi e a dire: «Dio vi perdoni, perché ora avete fatto mangiare l'anziano! Non sapevate che [per questo] è capace di macerarsi per molti giorni?» 16, Il vescovo li udì e si prostrò dinanzi all’anziano dicendo: «Perdonami, padre, io ho
pensato al modo umano, tu invece alla maniera di Dio». Il padre Sisoes gli disse: «Se Dio non glorifica l’uomo, la gloria degli uomini è nulla» 17 (396c-397a; PJ VIII, 15).
16. Alcuni si recarono dal padre Sisoes per udire da lui una parola, e non disse loro nulla. Tutto quel che disse fu: «Perdonatemi». Vedendo i suoi canestri chiesero al suo discepolo Abramo: «Perché fate questi canestri?». Egli disse: «Qua e là troviamo modo di venderli». L’anziano, udendo, disse: «E Sisoes di qua e di là trae il suo cibo» 18. Trassero molta utilità 13 C£. Gv 19, 30.
14 15 16 17
Cf. Cf. Cf. C£.
Mt 28, 3. Gv 12,3. Macario 10. Gv 8, 54.
18 Queste due risposte esprimono noncuranza nei riguardi del corpo, rinuncia ad esso, distacco.
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sua la dal ati fic edi ia, gio con no ro da an ne se e , ole par da queste
umiltà (397ab; P] XV, 46).
17. Il padre Ammonio di Raito interrogò il padre Sisoes: «Quando leggo la Scrittura, il mio pensiero ama elaborare un discorso per avere una risposta da dare se mi interrogano». «Non è necessario, rispose l’anziano, trai piuttosto dalla purità dello spirito sia d’essere senza sollecitudini che di parlare» 19
(PJ VIII, 16).
18. Un laico si recò un giorno con suo figlio dal padre Sisoes sul monte del padre Antonio. Lungo la strada accadde che suo figlio morì. Non se ne turbò, ma lo portò con fede dall’anziano e gli cadde dinanzi con il figlio, come facendo la prostrazione per essere benedetto da lui. Quindi il padre si alzò, lasciando il fanciullo ai piedi dell'anziano e uscì. Questi, credendo che gli stesse prostrato dinanzi, gli disse: «Alzati, esci!» 20, Non aveva visto che era morto. L'altro si alzò immediatamente e uscì; suo padre, vedendolo, andò fuori di sé e, entrato
dall’anziano, gli annunciò l'accaduto. Nell’apprenderlo, l’anziaAllo21. se avvenis che voluto avrebbe non perché ò, rattrist si no nessua dirlo non di uomo quell' a e ingiuns lo discepo suo il ra no 2, fino alla morte dell’anziano (397c; P] XIX, 13). 19 Non è escluso che sia qui presente la reticenza più volte incontrata nel parlare della Scrittura e la messa in guardia contro la pretesa di voler capire troppo (cf. Introd., pp. 26ss.), ma in questo caso Sisoes raccomanda
soprattutto, conformemente all'insegnamento evangelico (cf. Lc 12, 11s.), di non preoccuparsi in anticipo di quello che si dovrà dire. 20 Cf. Mt 9, 5 e Mc 1, 25. Vedi nota 9, p. 151. 21 Cf. Xanthia 2; Poemen 7, e note relative. 22 Quest’ordine, certo non a caso, è espresso negli stessi termini in cui
più volte il Vangelo riferisce il comando di Gesù di non diffondere la fama
dei suoi miracoli (cf. Lc 5, 14; 8, 56 e par.). Il «fino alla morte dell’anziano»
riecheggia l’esplicitazione che Gesù unisce a quest'ordine dopo la trasfigurazione, nel racconto di Matteo: «Non dite la visione a nessuno finché il figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti» (17, 9).
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19. Tre anziani si recarono dal padre Sisoes, poiché avevano sentito parlare di lui. Gli dice il primo: «Padre, come posso salvarmi dal fiume di fuoco?» 23. Ma egli non rispose. Il secondo gli dice: «Padre, come posso salvarmi dallo stridore dei denti 24 e dal verme che non muore 252». Il terzo gli dice: «Padre, cosa posso fare? Il ricordo della tenebra esteriore 26 mi uccide». L’anziano rispose loro dicendo: «Io non mi ricordo di nessuna di queste cose. Poiché Dio ama essere misericordioso, spero che mi userà misericordia». A questo discorso gli anziani se ne andarono rattristati, ma egli, non volendo lasciarli partire afflitti, li richiamò indietro, per dir loro: «Beati voi, fratelli! Vi ho invidiato infatti, perché il primo di voi ha parlato del fiume di fuoco, il secondo del tartaro e il terzo della tenebra. Se il vostro spirito possiede un tale ricordo, è impossibile che voi pecchiate. Che cosa farò io, duro di cuore 27, che mi rifiuto di sapere che vi è
anche un castigo per gli uomini? É per questo pecco ogni momento». Gli si prostrarono dinanzi e dissero: «Corze avevamo udito, così pure abbiamo visto» 28 (397d-400a).
20. Alcuni chiesero al padre Sisoes: «Se un fratello cade, non ha forse bisogno di far penitenza per un anno?». Egli disse: «Questo
discorso è duro» 29. Ed essi: «Forse sei mesi?».
Disse di nuovo: «È molto». «Per quaranta giorni?» «È molto». Gli dicono: «E allora? Se un fratello cade e vi fosse subito un banchetto fraterno, dovrebbe entrare anch’egli al banchetto?». Dice loro l'anziano: «No. Ha bisogno di far penitenza per qualche giorno. Confido in Dio che, se costui si pente con tutta l’anima, anche in tre giorni Dio lo accoglie» (400ab). 23 24 25 26
C£. Cf. C£, Cf.
Dn 7, Mt 8, Is 66, Mt 8,
20. 12. 24. 12.
21 C£. Ez3,7epar. 28 Sal 47, 8.
29 C£. Gv 6, 60.
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21. Un giorno in cui il padre Sisoes venne a Clisma, alcuni fedeli si recarono da lui per vederlo. E benché gli dicessero
molte cose, non rispose loro una parola. Infine uno di essi dis-
se: «Perché affliggete l'anziano? Non mangia. Perciò non può nemmeno parlare» 30, L'anziano disse: «Io mangio quando ne ho bisogno» (400bc). 22. Il padre Giuseppe chiese al padre Sisoes: «In quanto tempo bisogna troncare le passioni?». «Vuoi sapere il tempo?», gli dice l'anziano. «Sì», dice il padre Giuseppe. E l’anziano dice: «Nel momento in cui viene la passione, troncala
subito».
23. Un fratello chiese al padre Sisoes di Petra come si deve vivere. L'anziano gli disse: «Daniele ha detto: Now bo mangiato il pane dei desideri 31». 24. Del padre Sisoes raccontavano che, quando era seduto in cella, chiudeva sempre la porta 32 (P] XX, 6a). 25. Degli ariani 33 vennero un giorno dal padre Sisoes sul monte del padre Antonio e cominciarono a parlar male degli ortodossi. Ma l’anziano non rispose loro nulla 34. Quindi, chiamato il suo discepolo, disse: «Abramo, portami il libro di sant'Atanasio e leggilo». Ascoltarono in silenzio la rivelazione della loro eresia. Quindi li congedò in pace (400cdì).
26. Il padre Ammonio venne un giorno da Raito a Clisma per incontrare il padre Sisoes. Vedendolo afflitto di aver 30 31 32 33 34
Tanto è sfinito dalla stanchezza. Dn 10, 3. Come Daniele, bisogna fare penitenza. Per maggior garanzia del suo raccoglimento. C£. nota 1, p. 78. C£. Mt 27, 12.14 e par.
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lasciato il deserto gli disse: «Ma perché ti affliggi, padre? Cosa potevi fare ormai nel deserto, così vecchio?». L'anziano lo fissò con durezza dicendogli: «Che mi dici, Ammonio? Non mi basterebbe forse nel deserto la sola libertà del pensiero?» 35 (400d-401a).
27. Sedeva un giorno il padre Sisoes nella sua cella; e al suo discepolo che bussava, l’anziano gridò: «Fuggi, Abramo, non entrare! Adesso non c’è tempo qui» 36.
28 (Guy 54). Un fratello chiese al padre Sisoes: «Come hai potuto abbandonare Scete e la vita col padre Or, per venire a vivere qui?». Dice a lui l'anziano: «Quando Scete cominciò ad essere affollata, saputo che il padre Antonio era morto,
io partii e venni qui sul monte. E poiché qui ho trovato il silenzio e la solitudine, sono rimasto per un po’ di tempo». «Da quanto tempo sei qua?», gli dice il fratello. E l’anziano a lui: «Settantadue anni» (401ab). 29 (Guy 42). Il padre Sisoes disse: «Quando qualcuno si prende cura di te, non devi dare ordini» 37.
30 (Guy 29). Un fratello chiese al padre Sisoes: «Se camminiamo per una strada e la nostra guida si smarrisce, bisogna dirglielo?». L’anziano gli dice: «No». E il fratello: «Dobbiamo dunque lasciarci condurre da lui fuori strada?». «E che?, dice l’anziano, vuoi forse prendere un bastone e picchiarlo? Io so di fratelli che erano in cammino e la loro guida di notte si 3° Per chi sa accettarla, la libertà della rinuncia a ogni cosa nel deserto ha una grande forza vitale. 36 Non c’è tempo libero, tanto l'anziano era occupato, assorto, nel colloquio con Dio. 37 Stai sottomesso, affidati, resta libero da sollecitudini, non farti parte
dirigente in nessuna cosa.
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smartì; erano dodici e sapevano tutti di essere fuori strada, ma
ognuno lottava per non dirlo 38, Fattosi giorno, la loro guida si accorse che avevano perso la strada e disse loro: — Perdonatemi, mi sono smarrito!
E tutti dissero: — Lo sapevamo,
ma
abbiamo taciuto. A queste parole, fu preso da ammirazione e disse: — I fratelli resistono fino alla morte per non parlare. E diede gloria a Dio 39. La lunghezza del cammino per il quale avevano errato era di dodici miglia» (401bc).
31 (Guy 28). Vennero un giorno i saraceni e spogliarono l'anziano e il suo fratello. Se ne andarono allora nel deserto per trovare qualcosa da mangiare. L'anziano trovò degli escrementi di cammello e, spezzatili, vi trovò dei grani di orzo: mangiò un granello e tenne l’altro in mano. Il fratello, arrivando, lo trovò che mangiava e gli disse: «È carità questa? Hai trovato del cibo e mangi da solo senza chiamarmi?». Dice a lui il padre Sisoes: «Non ti ho fatto torto, fratello; ecco, ho custo-
dito in mano la tua parte» (401cdì). 32 (Guy 30). Raccontavano che il padre Sisoes il Tebano abitò a Calamon di Arsenoe, e un altro anziano era malato nell’altra laura. Come lo seppe se ne addolorò, poiché digiunava a giorni alterni e quello era il primo giorno in cui non mangiava. Quando dunque ne ebbe notizia, disse al suo pensiero: «Che fare? Se vado, i fratelli forse mi costringeranno a mangiare. E se aspetto fino a domani, egli forse morirà. Farò dunque così: vado e non mangio». E se ne andò digiuno, adempiendo al comandamento di Dio 49 e senza violare il regime di vita che osservava per amore di Dio (401d-404a). 38 Cf. Giovanni Nano 17. 5? C£. Le 13, 13 e par. 40 Come si è già visto (cf. nota 5, p. 294), il comando per eccellenza, senza specificazioni, è quello dell'amore. Da esso dipendono tutti gli altri (cf. Mt 22, 40 e par.); l’amore è la pienezza, il pieno adempimento della legge (cf. Rm
13, 10).
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33 (Guy 31). Uno dei padri raccontò che il padre Sisoes di Calamon, volendo un giorno vincere il sonno, si appese a una roccia del monte di Petra. Ma un angelo venne a scioglierlo e gli ingiunse di non farlo mai più e di non trasmettere ad altri una tale tradizione.
34 (Guy 32). Uno dei padri chiese al padre Sisoes: «Se vivo nel deserto e viene un barbaro per uccidermi, e io sono più forte di lui, devo ucciderlo?». L'anziano disse: «No. Consegnalo piuttosto a Dio. In qualsiasi tentazione incorra, l’uomo deve dire: — Questo è accaduto per i miei peccati. Se invece è una cosa buona, è dispensazione di Dio» (404ab). 35 (Guy 33). Un fratello chiese al padre Sisoes il Tebano: «Dimmi una parola!». Ed egli: «Che devo dirti? Leggo il Nuovo Testamento e mi volgo all’ Antico» 41. 36 (Guy 34). Un fratello interrogò il padre Sisoes di Petra su ciò che aveva detto il padre Sisoes il Tebano. E l’anziano disse: «Io mi corico nel peccato e mi alzo nel peccato».
37 (Guy 35). Raccontavano del padre Sisoes il Tebano che, quando finiva la liturgia, fuggiva nella sua cella. E dicevano: «Ha un demonio» 42. Ma egli compiva l’opera di Dio. 38 (Guy 36). Un fratello chiese al padre Sisoes: «Padre, che devo fare? Sono caduto». «Rialzati!», gli disse l’anziano. «Mi sono rialzato, dice il fratello, e sono caduto di nuovo».
«Rialzati ancora e ancora», gli dice l’anziano. Disse allora il fratello: «Fino a quando?». E l’anziano: «Fino a che tu non sia preso o nel bene o nella caduta. L'uomo infatti si presenta al giudizio nello stato in cui si trova» 4 (404c). 41 Cf. Introd., p. 40.
42 C£. Mt 11, 18 e Gv 10, 20.
©
e ion diz tra la del e ebr cel to mol go luo un a chi pec 43 Questa frase ris
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o dev he «C o: ian anz un a ese chi lo tel fra Un . 37) 39 (Guy fare? Sono afflitto a motivo del lavoro manuale. Mi piace intrecciare la corda, ma non sono capace di farlo». L'anziano disse: «Il padre Sisoes ha detto: — Non bisogna fare un lavoro che ci dia soddisfazione» (405a).
40 (Guy 38). Il padre Sisoes ha detto: «Cerca Dio, ma non cercare dove dimora» 44,
41 (Guy 39). Disse anche che il vergognarsi [degli uomini] e il non temere Dio portano spesso al peccato 4. 42 (Guy 40). Un fratello interrogò il padre Sisoes: «Che devo fare?». Gli dice: «La cosa che cerchi è il molto tacere e l'umiltà. E scritto infatti: — Beati coloro che in questo perseverano 46. Così puoi reggerti». 43 (Guy 41). Il padre Sisoes disse: «Renditi spregevole e getta dietro di te la tua volontà e liberati dalle sollecitudini. Così troverai la quiete» (405ab; PI, 17).
44 (Guy 45). Un fratello chiese al padre Sisoes: «Che cosa posso fare contro le passioni?». E l’anziano gli disse: «Ognuno di noi è tentato dalla propria concupiscenza» ‘. 45 (Guy 46). Un fratello chiese al padre Sisoes: «Dimmi patristica. Da Giustino in poi, moltissimi padri greci e latini riportano come
loghion di Gesù le parole: «Nella situazione in cui vi (0 f#) troverò, in questa vi (o tî) giudicherò» (cf. PG 65, nota 56, coll. 403s.). 44 Dio si è incarnato, ma la sua divinità rimane trascendente, inafferrabile; non si può pretendere di impossessarsene o di esaurire il suo mistero. 4 Cf. Poemen 82. 46 C£. Is 30, 18. 47 C£. Gc 1, 14. Le passioni hanno origine dal cuore dell’uomo; cf. Mt 15, 18s. Vedi anche Poemen 15.
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una parola». Gli disse: «Perché mi costringi a parlare inutilmente? Ecco, fa’ ciò che vedi».
46 (Guy 47). Un giorno il padre Abramo, il discepolo del padre Sisoes, partì per un servizio, e l'anziano non volle essere servito da alcun altro. Diceva: «Devo permettere a un altro di aver consuetudine
con me,
eccetto
il mio
fratello?».
Non
accettò, e sopportò da solo la fatica, finché il suo discepolo non fu tornato.
47 (Guy 48). Raccontavano che un giorno il padre Sisoes, mentre era seduto, gridò a gran voce #8: «O sventura!». «Che hai, padre?», gli dice il suo discepolo. E l’anziano a lui: «Cerco un solo uomo con cui parlare e non lo trovo» 49 (405c). 48 (Guy 49). Un giorno il padre Sisoes se ne andò dal monte del padre Antonio al monte della Tebaide, che si trovava più lontano, e si stabilì in quel luogo. Vivevano lì dei meliziani 59, che abitavano a Calamon di Arsenoe. Alcuni, udendo
che si era recato in quella regione più lontana, desideravano vederlo; ma dicevano: «Che facciamo? In quel luogo vi sono dei meliziani. Sappiamo che l’anziano non ne soffre alcun danno. Ma che non accada a noi, mentre vogliamo incontrare l'anziano, di cadere nella tentazione di eresia». E non andaro-
no a trovare l'anziano per non imbattersi negli eretici (405cd).
49 (Guy 50). Raccontavano che il padre Sisoes si ammalò. E parlava con alcuni degli anziani seduti accanto a lui. 48 C£. At 7, 60e par. 43 Anche l’anziano, come il filosofo Diogene, cerca «un uomo», che sia capace di dire e di intendere le realtà dello spirito. 20 Si tratta dei seguaci di Melizio di Licopoli, fautore di uno scisma in Egitto all’inizio del IV secolo. Pare che il disaccordo fra Melizio e il vescovo di Alessandria fosse dapprima su questioni disciplinari; ma in seguito vi fu una convergenza dei suoi seguaci su alcuni punti della dottrina ariana.
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Gli dicono: «Cosa vedi, padre?». Dice loro: «Vedo alcuni che vengono verso di me e li prego di lasciarmi fare un po’ di penitenza». Uno degli anziani gli dice: «E se ti lasciassero fare, avresti forza anche adesso di fare penitenza?». E l’anziano a lui: «Anche se non potessi farla, almeno gemerei un po’ sulla mia anima, e mi basterebbe» (405d-408a).
50 (Guy 51). Raccontavano che il padre Sisoes, quando giunse a Clisma, si ammalò. Mentre era seduto in cella con il suo discepolo, ecco bussare alla porta. L’anziano, accortosene, disse al suo discepolo Abramo: «Di’ a chi bussa: — Io, Sisoes,
sulla montagna, io, Sisoes, sul mio giaciglio» 71. A queste parole, l’altro sparì (408ab). 51 (Guy 52). Il padre Sisoes il Tebano disse al suo discepolo: «Dimmi che cosa vedi in me, e io ti dirò che cosa vedo in te». «Tu sei buono di spirito, gli dice il discepolo, ma un po’ duro». E l’anziano a lui: «Tu sei buono, ma rilassato di spirito».
non rono cosa cibi ne».
52 (Guy 53). Raccontavano che il padre Sisoes il Tebano mangiava pane. Il giorno di Pasqua i fratelli gli si prostradinanzi a chiedergli di mangiare con loro. Rispose: «Una sola posso fare: o mangiare con voi il pane, o tutti quanti i che avete preparato». Gli dissero: «Mangia soltanto paÉ così fece.
53 (Guy 43). Se si interrogava il padre Sisoes riguardo al padre Pambone, diceva: «Pambone era grande nelle sue opere» (S 1).
51 Il Sisoes infermo e debole nella sua malattia, costretto a rimanere adagiato sul suo giaciglio, è il medesimo che è salito sul monte per affrontare il demonio in una lotta corpo a corpo. Al presentarsi coraggioso dell’atleta di Cristo, il demonio fugge spaventato.
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54 (Guy 44). Il padre Sisoes disse a un fratello. «Come va?». Egli disse: «Padre, perdo le giornate». E l’anziano: «Anche quando ho perso la giornata, io ringrazio» (S 2).
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L'abbiamo già incontrato come maestro di Zenone, Marco, Netra. Era nativo di Palestina e fu monaco a Scete. I dati essenziali della sua vita, trasferimento da Scete al Sinai forse verso il 380, quindi dal Sinai in Palestina, sono già apparsi trattando dei suoî discepoli (cf. p. 193; Marco 4 e 5). Dai detti che seguono emerge una figura eccezionalmente austera. Quello che non a caso il raccoglitore ha posto per ultimo, coincide con quanto affermava il n. 12 di Pambone. Esso diceva che, a somiglianza del patriarca Mosè, il volto di Pambone «risplendeva come folgore ed egli era come un re seduto sul suo trono. Lo stesso era del padre Silvano e del padre Sisoes». In questo modo Silvano viene allineato fra i più grandi e i più famosi. 1. Il padre Silvano si recò un giorno in un monastero assieme al suo discepolo Zaccaria. Prima che ripartissero, li fecero mangiare un po’. Quando se ne furono andati, lungo la strada il discepolo trovò dell’acqua e voleva berne. Gli disse allora l'anziano: «Zaccaria, oggi è digiuno!». Ed egli a lui: «Padre, non abbiamo già mangiato?». «Quello che abbiamo mangiato, disse l'anziano, faceva parte del banchetto fraterno. Ma noi ora, figliolo, manteniamo il nostro digiuno» (408c; PJ IV, 40).
2. Un giorno il padre Silvano, mentre sedeva con dei fratelli, andò in estasi e cadde con la faccia a terra. Quando, dopo
molto tempo, si alzò, piangeva. I fratelli lo pregavano: «Che hai, padre?». Ma egli taceva e piangeva. Poiché lo costringevano a parlare, disse: «Sono stato rapito e portato innanzi al giu-
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dizio. E ho visto molti di noi andare al castigo, e molti laici entrare nel regno». L’anziano entrò in stato di lutto e non voleva più uscire dalla sua cella. Ma se anche era costretto a uscire, si copriva il viso con il cappuccio dicendo: «Perché dovrei vedere questa luce che passa e che non porta con sé nessuna utilità?» (408cd; PJ III, 15).
3. Una volta il suo discepolo Zaccaria entrò da lui e lo trovò in estasi, e le sue mani erano spalancate verso il cielo. Chiusa la porta, uscì. Venendo poi verso l’ora sesta e l’ora nona, lo trovò così. Verso l’ora decima, bussò e lo trovò che si
riposava. E gli dice: «Padre, che hai oggi?». «Figliolo, disse, oggi sono stato poco bene». Afferrandogli i piedi, l’altro gli disse: «Non ti lascerò, se non mi dirai che cosa hai visto». «Sono stato rapito in cielo 52, gli disse l’anziano, e ho visto la gloria di Dio e ivi sono rimasto fino ad ora e adesso sono stato rimandato indietro» (409a; PJ XVIII, 21). 4. Una volta, mentre il padre Silvano viveva sul monte Sinai, il suo discepolo Zaccaria partì per un servizio, e disse all’anziano: «Fa’ scorrere l’acqua e innaffia il giardino». Questi, uscendo, si coprì il viso con il cappuccio e guardava soltanto dove metteva i piedi. In quel momento si recò da lui un fratello. E al vederlo da lontano, si domandò cosa mai facesse. Quando entrò da lui, gli disse: «Dimmi, padre, perché hai coperto la tua faccia con il cappuccio e così hai innaffiato il giardino?». «Figlio mio — gli dice l'anziano —, perché i miei occhi non vedessero gli alberi e il mio spirito non fosse distolto dal suo lavoro per osservarli» (409ab; PJ XI, 28).
5. Un certo fratello si recò dal padre Silvano sul monte Sinai; e, vedendo i fratelli al lavoro, disse all’anziano: «Now 92 C£. 2 Cor 12,4.
464
Silvano
lavorate per un cibo che perisce 33. Maria ha scelto la parte buona». «Zaccaria, disse l’anziano al suo discepolo, da’ al fratello un libro e mettilo in una cella senza niente». Quando giunse l’ora nona, egli stava attento alla porta, se lo mandassero a chiamare per il pranzo. Ma poiché nessuno venne a prenderlo, alzatosi, andò dall’anziano e gli disse: «Padre, non mangiano i fratelli oggi?». «Sì», gli dice l’anziano. Chiede: «Perché non mi avete chiamato?». «Perché sei un uomo spirituale, dice l’anziano, e non hai bisogno di questo cibo. Ma noi che siamo carnali dobbiamo mangiare e perciò lavoriamo. Tu invece hai scelto la parte buona, leggi tutto il giorno e non vuoi mangiare un cibo materiale». A queste parole, egli si prostrò a terra e disse: «Perdonami, padre». L'anziano gli dice: «Anche Maria ha assolutamente bisogno di Marta; per merito di Marta infatti anche Maria è lodata» 55 (409bcd; PJ X, 69). 6. Chiesero un giorno al padre Silvano: «Padre, che regime di vita hai praticato per raggiungere una tale saggezza?». Rispose: «Non ho mai lasciato nel mio cuore un pensiero che potesse far adirare Dio» (PJ XI, 30). 7. Raccontavano che il padre Silvano rimase nascosto nella sua cella con dei piccoli ceci, e con essi fece un lavoro di cento setacci. Ed ecco giungere dall'Egitto un uomo che aveva un asino carico di pani. Dopo aver bussato alla porta, li depose. L'anziano, presi i setacci, caricò l’asino e lo congedò 56 (412a). 93 Gv 6, 27. 24 Lc 10, 42.
22 Solo una certa misura di lavoro rende di fatto possibile la contemplazione (cf. Lucio): il servizio reso al Signore da Marta consente alla sorella Maria di stare ai suoi piedi ad ascoltarlo. 56 Il testo presenta qualche difficoltà di interpretazione, ma il senso globale pare chiarissimo: senza necessità di uscire dalla sua cella, dove è custodito «nel segreto», senza bisogno di scambiare una parola, Silvano ottiene da Dio, al momento giusto e nella giusta misura, il nutrimento necessario
Silvano
465
8. Raccontavano intorno al padre Silvano che il suo discepolo Zaccaria uscì un giorno senza di lui. Presi dei fratelli, abbatté la siepe del giardino e ne eresse una più grande. Quando se ne accorse, l'anziano prese il suo mantello, uscì e disse ai fratelli: «Pregate per me». Al vederlo, essi gli caddero ai piedi dicendo: «Padre, dicci che cos'hai». Egli disse loro:
«Non entrerò, il mio mantello non scenderà dalle mie spalle,
finché non avrete riportato la siepe al posto di prima». Essi l’abbatterono di nuovo e la eressero com'era. E così l’anziano ritornò nella sua cella 57 (412ab).
9. Il padre Silvano disse: «Io sono un servo e il mio Signore mi ha detto: — Compi l’opera mia e io ti nutrirò. Non domandare da che parte viene. Sia che io abbia, sia che rubi, sia che prenda a prestito, tu non domandare. Lavora soltanto, e io ti nutrirò. Perciò, se io lavoro, vivo del mio guadagno, se invece non lavorassi, mangerei la carità degli altri». 10. Disse anche: «Guai a quell’uomo, la cui fama è maggiore della sua opera». 11. Il padre Mosè chiese al padre Silvano: «Può l’uomo cominciare ogni giorno?». L’anziano disse: «Se è laborioso, può cominciare ogni giorno» 58 (412c; PJ XI, 29).
12. Uno dei padri raccontò che un tale incontrò un giorno il padre Silvano e, vedendo che il suo viso e il suo corpo erano fulgenti come quelli di un angelo, cadde con la faccia a terra. E diceva che pure alcuni altri avevano avuto questo carisma. per continuare la sua vita di solitudine. Il detto n. 9 conferma questa interpretazione e dà le ragioni spirituali più profonde di tale comportamento.
27 Non perché gli importasse della siepe, ma perché avevano fatto una cosa di loro iniziativa, quindi fuori dell’obbedienza e senza la sua benedizione. 58 Cf. Giovanni Nano 34; Poemen 85; Pambone 8, ecc.
Simone / Sopatro
466
SIMONE
Si tratta probabilmente dello stesso Simone di cui Poemen (n.
137) racconta un insegnamento sulla vigilanza per non distrarsi.
1. Venne un giorno un magistrato per vedere il padre Simone. Questi, saputolo, prese la sua cintura e se ne andò su un albero di palma a mondarlo. Quando giunsero, essi si mise-
ro a gridare: «Anziano, dov'è l’anacoreta?». Rispose: «Non vi è nessun anacoreta qui!». A queste parole, se ne andarono (412cd; PJ VIII, 17).
2. Un’altra volta venne un altro magistrato per vederlo, e i chierici lo prevennero per dirgli: «Padre, preparati, perché il magistrato, avendo sentito parlare di te, viene per ricevere la tua benedizione». «Sì, rispose, mi preparo». Indossato quindi il suo vecchio mantello, prese in mano pane e formaggio e si sedette all’ingresso mangiando. Quando il magistrato giunse con il suo seguito e lo videro, lo disprezzarono: «È questo l’anacoreta di cui abbiamo sentito parlare?». É ritornarono subito indietro (412d-413a; P] VIII, 18).
SOPATRO
Un tale interrogò il padre Sopatro: «Dammi un precetto, padre, e io lo osserverò». Gli disse: «Che nessuna donna entri nella tua cella: e tu non leggere gli apocrifi 59, e non discutere sulla questione dell'immagine 60, perché questa non è eresia, 5? In genere, libri para-biblici, non ammessi nel Canone delle Scrittu-
re, abitualmente di origine ereticale o almeno di contenuto dottrinalmente dubbio.
60 Cioè della rappresentazione antropomorfica di Dio (p. 221) nelle
Scritture, e del senso più o meno realistico da dare all’espressione che detinisce l’uomo «immagine» di Dio (cf. Gn 1, 26).
Sopatro / Sarmata
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ma ignoranza e amore di contesa da entrambe le parti: è impossibile infatti che tutto il mondo comprenda questo proN“
blema» (4134). SARMATA
Era discepolo di Antonio e in intima comunione con lui,
come risulta dalla lettera inviata da Serapione di Thmuis ai discepoli di Antonio nel 356, subito dopo la sua morte. La Cronaca di Girolamo (PL 27, 689) dice di lui che morì martire di un'incursione saracena nella «montagna interiore» di Antonio
nel 357. Sulla base di questa notizia, il martirologio romano lo celebra 11 ottobre.
1. Il padre Sarmata disse: «Preferisco un uomo che ha peccato, se sa di aver peccato e si pente, a un uomo che non ha peccato e si ritiene operatore di giustizia» 61(413b).
2 (Guy 3). Raccontavano che il padre Sarmata spesse vol.del lio sig con su ], nza ite pen [di rni gio ta ran qua va nde pre si te padre Poemen. E trascorrevano come un nulla, per lui. Un mmi «Di : ese chi gli e men Poe re pad il lui da ne ven giorno cia spe di e ent «Ni e: diss Gli !». ica fat ta tan o dop o vist cos'hai ». dici lo me non se io lasc ti n «No : men Poe re le». E il pad — no: son al o dic se : sola a cos una o vat tro «Ho e: L'altro diss Va’, se ne va; se gli dico: — Vieni, viene».
npe «I a: at rm Sa e dr pa il ò og rr te in lo tel fra Un 4). uy (G 3
sieri mi dicono: — Non lavorare; piuttosto mangia, bevi, dor61 L'unico «operatore di giustizia» in cui si realizza la profezia del Sal 14, 2 è il Cristo e noi possiamo esserlo soltanto in lui, per partecipazione, e non da noi. Chi dice di non aver peccato, s’inganna.
468
Sarmata / Serapione
mi». L’anziano gli disse: «Quando hai fame, mangia; quando hai sete, bevi; quando hai sonno, dormi». Giunse per caso da il che ciò riferì gli lo fratel il e no, anzia altro un lo fratel quel che «Ciò disse: gli iano l’anz a Allor . detto aveva ata Sarm padre sforzi ti do quan o: quest fica signi detto ha ti ta Sarma il padre più, ne poter non a fino sete la soffri e fame molta di patire vien ti e molto io propr vegli do quan e bevi; e allora mangia ). (413c iano» l’anz detto ha ti o quest : dormi , sonno 4. Lo stesso fratello interrogò di nuovo il padre Sarmata, dicendogli: «I pensieri mi dicono: — Esci e va’ a trovare i fratelli». E l’anziano disse: «In questo non ascoltarli, ma di’: — Ecco, ti ho ascoltato prima, ma in questo non posso ascoltarti» (413dì). 5 (Guy 2). Disse anche: «Se l’uomo non sta attento a fuggire finché può, rende il peccato inevitabile». SERAPIONE
È difficile identificarlo, date le molte persone che la tradizione ricorda sotto questo nome. C'è un Serapione vescovo di Thmuis, famoso per la sua lotta contro gli ariani e per dei testi liturgici molto belli che gli vengono attribuiti. C'è un Serapione della regione di Arsenoe, padre di molti monasteri e superiore di circa diecimila monaci, i quali al tempo della mietitura raccoglievano tanto grano, che superava molto lo stretto necessario per loro, così che egli ne inviava una grande quantità ai poveri di Alessandria (HM, 18); c'è un Serapione detto il Sindonita, perché era vestito di una semplice sindone; di lui Palladio racconta una vita molto avventurosa (HL,
37): si vendette due volte come schiavo, prima a una famiglia di mimi pagani, poi a una famiglia manichea, per convertirli alla fede cristiana. Conosceva a memoria la Scrittura. Era sempre itinerante. finché andò a Roma in pellegrinaggio e qui morì. Ci può essere una certa analogia fra l’apoftegma n. 4 e un episodio raccontato da Pal-
Serapione
469
ladio: durante il suo soggiorno a Roma avrebbe smascherato l’orgoglio di una vergine che viveva da 25 anni nella solitudine, ma non aveva ancora raggiunto l'indifferenza al giudizio degli uomini. Abbiamo visto che alcune fonti lo confondono con Bessarione (cf. pp. 147s.). Secondo alcuni, è lui l'anziano di cui Dio si servì per operare la famosa conversione della peccatrice Taide; l’apoftegma n. 1 è forse un frutto di questa tradizione. Non si riesce a dire nulla di più preciso, tranne che Serapione era precedente a Cassiano e a lui noto: il padre Piamun di Diolco, cui è attribuita la conferenza n. 18 sulle diverse specie di monaci, racconta con maggior precisione l'apoftegma n. 4, per affermare qual è la vera e non presunta umiltà di cuore (Coll. XVIII, 11).
1. Un giorno il padre Serapione passò per un villaggio dell'Egitto e vide una meretrice nella sua cella. L’anziano le disse: «Aspettami questa sera tardi, perché voglio venire da te e trascorrere la notte vicino a te». Ella rispose: «Bene, padre».
Si preparò e stese il letto. A sera, l'anziano venne da lei e, entrato in cella, le chiese: «Hai preparato il letto?». Ella disse: «Sì, padre», e chiuse la porta. Ed egli a lei: «Siccome abbiamo una regola, aspetta un po’, finché non l’abbia adempiuta». E l'anziano diede inizio alla sua liturgia; cominciando il salterio, a ogni salmo faceva una preghiera, supplicando Dio per lei, perché si pentisse e si salvasse. E Dio l’ascoltò. La donna stava tremante e in preghiera vicino all’anziano; e quando questi ebbe finito tutto il salterio, cadde a terra. L'anziano pol, cominciando a leggere l’Apostolo, ne lesse molto. E così concluse la liturgia [delle ore]. La donna allora, presa da compunzione e accortasi che era venuto da lei non per peccare, ma per salvarle l’anima, gli si gettò ai piedi dicendo: «Fammi la carità, padre, e conducimi dove io possa piacere a Dio» 62. L'anziano 62 L'espressione «piacere a Dio» è biblica; cf. Gn 5, 22; 6, 9; Eb 11, 5s.,
ecc.
Serapione
47/0
allora la portò in un monastero di vergini e l’affidò alla madre; e disse: «Prendi questa sorella e non imporle giogo o regola come alle altre; ma, se desidera qualcosa, daglielo; e permettile
di uscire quando vuole». Quando ebbe trascorsi pochi giorni, disse: «Io sono peccatrice, voglio mangiare ogni due giorni». Dopo alcuni giorni, disse: «Io ho molti peccati, voglio mangiare ogni quattro giorni». E dopo pochi giorni pregò la madre dicendo: «Poiché ho rattristato molto Dio con le mie colpe, fammi la carità, mettimi in una cella, sbarrala, e dammi attra-
verso un pertugio un po’ di pane e il lavoro manuale». La madre fece così ed essa piacque a Dio per tutto il tempo che le rimase da vivere 6 (413 d-416c).
2. Un fratello chiese al padre Serapione: «Dimmi una parola». «Cosa posso dirti?, dice l'anziano, che hai preso ciò che era delle vedove e degli orfani e lo hai messo in questa finestra» 6. Infatti l’aveva vista piena di libri (PJ VI, 12).
3. Disse il padre Serapione: «Come i soldati del re non osano guardare né a destra né a sinistra © quando gli stanno di fronte, così, se l’uomo sta dinanzi a Dio intento a lui con timore in ogni momento, non può spaventarlo nulla che provenga dal nemico» (416cd; P] XI, 31).
4. Un fratello si recò dal padre Serapione. L’anziano lo invitò a pregare secondo la consuetudine. Ma egli, dicendosi peccatore e perfino indegno dell’abito monastico, non voleva acconsentire. Cercò pure di lavargli i piedi, ma egli, usando 6 Cf, 1 Pt 4,2. 64 Si è già visto (nota 99, p. 130) che vengono chiamate finestre anche le cavità cieche all’interno della grotta, che servivano ai monaci come scaffali.
6 Cf. Nm 20, 17 e par.
Serapione / Serino
4/1
ancora gli stessi argomenti, non accettò. Lo fece quindi mangiare, e anche l’anziano cominciò a mangiare. E lo ammoniva con queste parole: «Figlio, se vuoi avere giovamento per la tua vita spirituale, persevera nella tua cella, bada a te stesso 66 e al tuo lavoro manuale, perché l’uscire non ti porta tanta utilità quanta il rimanere in cella». Egli fu molto amareggiato da queste parole e cambiò di aspetto, tanto che ciò non poté sfuggire all’anziano. Allora il padre Serapione gli disse: «Hai detto fino ad ora che sei peccatore e accusavi te stesso di essere perfino indegno di vivere. E ti sei tanto inferocito perché ti ho ripreso con amore? Se vuoi essere umile, impara a sopportare con fortezza ciò che ti viene dagli altri, e non gettare su di te vane parole» 9. Nell’udire questo, il fratello si prostrò dinanzi all’anziano, e se ne andò molto edificato (416d-417a; P] VIII, 9). SERINO
1. Raccontavano intorno al padre Serino, che lavorava molto e mangiava in tutto due pani. Venne da lui il padre Giuseppe, suo compagno, che era pure un grande asceta, e gli disse: «Nella mia cella io osservo il mio regime di vita ma, se esco,
accondiscendo ai fratelli». «Non è grande virtù, gli dice il padre Serino, se custodisci le tue norme quando sei nella tua cella, ma piuttosto quando esci dalla tua cella» 6 (417D).
2.Il padre Serino disse: «Ho passato la mia vita mietendo, cucendo e intrecciando corde. E con tutte queste cose, se
66 Cf. Gn 24, 6. 67 Cf. Mt 12, 36. i 68 Altre volte altri dicono il contrario, cioè che bisogna accondiscen-
dere ai fratelli e limitarsi in privato all'osservanza delle norme. Su questo punto, come su altri, le posizioni sono sfumate a seconda dell’anziano che parla e dell’interlocutore che ascolta.
Serino / Spiridione
4/2
la mano
di Dio non mi avesse nutrito, non avrei potuto
saziarmi» 99, SPIRIDIONE
Come si vede dal detto n. 2 e come risulta da altre fonti, era sposato con prole, cosa a quei tempi ancora possibile a un vescovo. Fu uno dei vescovi impegnati nella lotta antiariana che parteciparono al concilio di Laodicea del 343; forse, ma non è altrettanto sicuro, era stato presente anche al concilio di Nicea, il primo grande concilio ecumenico, nel 325. È un santo molto popolare, sia in Oriente che in Occidente. Le sue reliquie vennero portate a Costantinopoli nel VII secolo e nel XV secolo trasferite a Corfù, città di cui Spiridione divenne patrono. E popolare a Venezia, a Napoli, e altrove; è il patrono della colonia greca in Corsica ed è perfino rivendicato dai carmelitani al loro ordine! Su di lui vi è una vasta tradizione, in gran parte leggendaria, consistente in biografie, panegirici, poemi, e molti racconti tramandati per via orale. Rufino, Socrate, e più diffusamente Sozomeno, banno scritto di lui. Sozomeno (HE, I, 11) aggiunge altri episodi a quelli che figurano qui sotto: il suo denaro era a disposizione di tutti. Era così libero di spirito che non esitò, un giorno di Quaresima in cui non vi era altro in casa, a far cuocere per un ospite della carne — contrariamente alle rigide abitudini di quei tempi e di quei luoghi — e a mangiarne egli stesso, citando la parola dell’Apostolo: «Tutto è puro per i puri» (Tt 1, 15). Un giorno diede una lezione di Scrittura a un vescovo erudito che pretendeva unire scienza sacra e profana. Questi, citando le parole dell’Evangelo: «Prendi il tuo lettuccio e cammina» (Mc 2, 9), 59 Può darsi che l’anziano voglia semplicemente dire: «Tutto dipende dalla provvidenza di Dio; se egli non benedice il lavoro dell’uomo, questo ‘non frutta». O forse vi è un significato più profondo, che si rifà alla parola della Scrittura: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4, 4 = Dt 8, 3).
Spiridione
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aveva sostituito al koaBatoc dell’Evangelo un termine più raffinato della lingua classica. Spiridione lo rimproverò dicendo: «Sei tu migliore di colui che ha detto kooBatoc, che ti vergogni di usare le sue parole?». E dicendo questo si alzò e si allontanò sotto gli occhi della folla. Altri episodi ancora, ripresi da una biografia su di lui, si trovano nell'Everghetinés (II 37, 3-5). 1. Spiridione era pastore: possedeva tanta santità da esser fatto degno di divenire anche pastore di uomini. Fu scelto per l’episcopato di una città di Cipro, di nome Trimitunte. Per la sua grande modestia, anche da vescovo continuava a pascolare le pecore. Una volta, nel pieno della notte, dei ladri, sopraggiunti nascostamente sul gregge, cercarono di rubare le pecore. Ma Dio, che salva il pastore, salvò anche le pecore, perché i ladri rimasero legati presso il gregge da una forza invisibile. Giunse l’alba e il pastore venne dalle pecore. E come trovò i ladri con le mani dietro la schiena, capì ciò che era accaduto. Quindi si mise a pregare e liberò i ladri. Dopo averli molto ammoniti ed esortati a sforzarsi di vivere col frutto di fatiche giuste piuttosto che con l’ingiustizia, li congedò regalando loro un capro. E disse amabilmente: «Perché non sembri che abbiate vegliato invano» (417cdì). 2. Raccontavano anche che aveva una figlia, di nome Irene, vergine, e partecipe della pietà del padre. Un conoscente le affidò un prezioso gioiello; ed ella, per essere più sicura, lo nascose sotto terra. Ma poco tempo dopo lasciò questa vita. In seguito venne colui che le aveva affidato l’oggetto; non trovando la vergine, si rivolse a suo padre, l’abate Spiridione, ora con pretese, ora con suppliche. L’anziano, che riteneva una grande sventura la perdita dell’oggetto depositato, si recò alla tomba della figlia e invocò Dio di mostrargli anzi tempo la risurrezione promessa; e non s’ingannò nella sua speranza. Subito la vergine apparve viva al padre; e dopo aver indicato il luogo dove
474
Spiridione / Saiò / Sarra
il gioiello era nascosto, subito si allontanò. L'anziano lo prese e lo restituì (417d-4202). SAIÒ
Si raccontava di due anziani che vissero insieme, il padre Saiò e il padre Mui. Il padre Saiò era molto ubbidiente, ma molto rozzo. Per metterlo alla prova, l'anziano gli disse: «Va’ a rubare». Ed egli, per ubbidienza, andò a rubare ai fratelli, ringraziando il Signore di tutto. L'anziano prese le cose rubate e nascostamente le restituì. Un giorno, mentre erano in cammi-
no, gli vennero meno le forze e l’anziano lo lasciò affranto. Quindi venne a dire ai fratelli: «Andate a prendere Saiò che giace sfinito». Andarono e lo ricondussero (420ab). SARRA
Iutto ciò che si può sapere di lei è quanto risulta da questi apoftegmi; non si hanno altre notizie, sebbene dovesse essere molto celebre, se venivano a visitarla perfino dei padri di Scete. Visse 60 anni sempre nello stesso luogo, probabilmente presso il ramo orientale del delta del Nilo, fra Scete e Pelusio, dato che sono menzionate queste due località come punti da cui giungevano i visitatori. Barsanufio le rende grande onore; perché, dopo avere ripreso in una sua lettera (ep. 237) il detto n. 5 di Sarra, lo convalida subito ponendolo în parallelo a una parola dell’Apostolo (Gal 1, 10): «Se to piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo».
1. Raccontavano che per tredici anni la madre Sarra fu violentemente combattuta dallo spirito di fornicazione, e non pregò mai perché il combattimento cessasse; diceva piuttosto: «O Dio, dammi forza!» (420b).
Sarra
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2. Un giorno, questo medesimo spirito di fornicazione l’assalì con particolare violenza, insinuandole le vanità del mondo. Ella, che per il timore di Dio e per la sua ascesi non cedeva, salì subito nella sua cella a pregare. Le apparve allora lo spirito di fornicazione in forma corporea e le disse: «Tu mi hai vinto, Sarra». Ma ella disse: «Non io ti ho vinto, ma il mio Signore, Cristo» (420c).
3. Raccontano di lei, che abitò per sessant'anni sopra al fiume, e non si sporse mai per guardarlo (PJ VII, 19). 4. Due anziani della regione di Pelusio si recarono un giorno dalla madre Sarra. Per strada, dicevano fra loro: «Umiliamo questa vecchia!». «Guarda, le dicono, che il tuo pensiero non si esalti e tu non dica: — Ecco, gli anacoreti vengono da me che sono una donna!». «Quanto alla natura, dice loro la madre Sarra, sono una donna, ma non quanto al pensiero» (420cd; P] X, 73).
5. La madre Sarra disse: «Se prego Dio perché tutti gli uomini siano pienamente soddisfatti di me, mi troverò a far penitenza alla porta di ognuno. Pregherò piuttosto perché il mio cuore sia puro con tutti» (P/ X, 74).
6. Disse ancora: «Metto il mio piede sulla scala per salire, e prima di salire mi pongo davanti agli occhi la morte» (421). 7. Disse anche: «Fare elemosine è comunque cosa buona: anche se si fanno per piacere agli uomini, si volgono poi in cosa gradita a Dio» 70. 70 Tesi singolarmente tollerante riguardo al problema della purezza di intenzione, sulla quale la maggior parte dei padri appare estremamente recisa nell’escludere ogni possibilità di contaminare con considerazioni mondane l’opera che va offerta unicamente a Dio (cf. Forta). Sullo stesso argomen-
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Sarra / Sincletica
8. Si recarono un giorno dalla madre Sarra dei monaci di Scete, ed ella offrì loro un canestro contenente dei cibi. Ma essi lasciarono quelli buoni e mangiarono quelli guasti. Disse loro: «Siete davvero monaci di Scete». 9. Disse ancora ai fratelli: «Io sono un uomo, e voi siete donne» (S 1).
SINCLETICA
Visse nel IV secolo; era di famiglia nobile, come indica il suo nome che significa appunto nobile, senatoriale. I suoi genitori, di origine macedone, molto ricchi, si stabilirono ad Ales-
sandria. Alla loro morte Sincletica, che già da tempo aveva cominciato
in casa a praticare una grandissima
austerità,
si
ritirò in luogo solitario portando con sé la sorella cieca. Si diede a una vita di grande digiuno e preghiera. Le era così familiare il digiuno da non stimare nulla uguale ad esso; lo riteneva custodia e fondamento di tutto il resto. Se mai le capitava per necessità di mangiare più del solito, le accadeva il contrario che a quelli che mangiano: il suo volto diventava pallido e il suo corpo deperiva (cf. PG 28, 1492). Subì molti assalti del demonio; ma lo combatteva con grande discernimento e con le armi spirituali. La sua fama attirò molte giovani, che desideravano condurre vita monastica sotto la sua direzione. Ella dapprima non voleva, per amore della solitudine e della vita nascosta. Quindi acconsentò ma preferiva per lo più edificarle con il silenzio e le lacrime piuttosto che con le parole. Morì a 84 anni dopo aver sofferto indicibilmente gli ultimi 3-4 anni di vita, colpita prima da tubercolosi e da grandi febbri, poi da un can-
to esistono talora posizioni più sfumate, che tentano di mediare fra i due estremi (cf. Poemen 51).
Sincletica
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cro che le devastò il volto e le fece perdere la vista e la parola. Riuscì tuttavia ad annunciare la sua morte tre giorni prima che avvenisse. Un suo contemporaneo, qualificato come PseudoAtanasio, scrisse di lei una biografia (PG 28, 1487-1558). Questa santa gode molta popolarità specialmente nella Chiesa bizantina. La ricorda nella sua storia Niceforo Callisto, autore ecclesiastico del XIV secolo (HE, VIII, 40), nel capitolo în cui parla di Antonio il Grande e di Paolo il Semplice. L’Everghetinòs riprende e rimaneggia parecchi apoftegmi e brani della sua vita. Anche la raccolta sistematica latina di detti attesta la sua fama: mancano soltanto 6 dei 28 seguenti apoftegmi. Alcuni brani, più brevi nei manoscritti più antichi, appaiono ampliati in redazioni seguenti, il'che attesta la ricchezza di una tradizione orale che li trasmetteva e li variava. Doroteo riporta il detto n. 27 per convalidare la sua affermazione: «Qualsiasi virtà senza umiltà non è virtà» (Ins. XIV, 151). Il detto n. 14
(secondo il Cotelier) figura soltanto nel ms. D, come n. 13. Manca nei codici A, B, C, E, E J, L quindi il Guy lo omette nella sua traduzione francese.
1 (Guy 2). La madre Sincletica disse: «Per coloro che si avvicinano a Dio, all’inizio vi è lotta e grande fatica 7!, ma poi gioia indicibile 72. Come quelli che vogliono accendere il fuoco: prima sono disturbati dal fumo e lacrimano e poi raggiungono ciò che cercano. Perché dice, il nostro Dio è fuoco che consuma 73, Così anche noi dobbiamo accendere il fuoco divino con lacrime e con stenti»(421ab). 71 In modo analogo scriverà due secoli dopo il patriarca del monachesimo occidentale, san Benedetto, nel Prologo della sua Regola: «...la via della salvezza, i cui inizi non possono essere che stretti. Col progredire poi della vita [monastica] e della fede, con cuore dilatato e indicibile dolcezza di amo-
re si corre la via dei precetti di Dio». 72 C£.1Pt1,8.
73 Cf. Eb 12, 29 (Dt 4, 24).
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Sincletica
2 (Guy 3). Disse anche: «Noi che facciamo professione di eran temp la o grad mo som in e eder poss mo bia dob vita, ta ques bra sem ndo qua e anch do, mon nel no vivo che ro colo so pres za; mpeinte all’ a olat mesc è ta ques a, anz per tem la no ichi che prat in no rda gua : sensi altri gli tutti con o can pec hé ranza, perc 41). IV, (PJ e» ent tam ina ord dis no rido e ente modo sconveni si no le ve i al im an gli e om «C e: ch an to det 3 (Guy 4). Ha
al ta uni a er hi eg pr la ì cos ti, for più i ac rm fa sono cacciati da . 42) IV, PJ ; bc 21 (4 o» iv tt ca ro ie ns pe il cia cac 74 o un gi di
4 (Guy 5). Ha detto anche: «Non ti seducano le delizie dei ricchi del mondo come se quel vuoto piacere fosse di qualche utilità. Essi onorano l’arte culinaria e tu digiunando superi con cibi semplici l'abbondanza del loro vitto. É detto infatti: Un'anima che è nelle delizie si diletta di favi ?5. Non saziarti di pane e non desidererai il vino» (P] IV, 43).
5 (Guy 6). Chiesero alla beata Sincletica se il non possedere niente è bene perfetto. «Perfettissimo, rispose, per chi può; perché quelli che lo sopportano hanno tribolazione nella carne 76, ma quiete nell’anima: come infatti si lavano gli abiti resistenti sbattendoli e torcendoli con forza, così anche l’anima forte, mediante l’indigenza volontaria, diventa più forte ancora» (421cd; PJ VI, 13).
6 (Guy 7). La madre Sincletica disse: «Se ti trovi in un cenobio, non cambiare luogo: ne riceveresti gran danno: come l'aquila che si allontana dalle uova le rende improduttive e ste74 C£. Mt 17, 21. D Prv 27,7. 76 Cf. 1 Cor 7, 28; la citazione è quasi testuale, ma il contesto è completamente rovesciato; è un caso tipico, come quelli già visti nell’Introd., p. 38, nota 49.
Sincletica
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rili, così si raffredda e muore la fede di un monaco o di una
vergine, se errano di luogo in luogo» (421d-424a; PJ VII, 15). 7 (Guy 8). Disse anche: «Sono molte le insidie del diavolo. Non riesce a scuotere l’anima con l’indigenza? Presenta l’esca della ricchezza. Non ci riesce mediante insulti e offese? Le getta innanzi lodi e gloria. Sconfitto dalla buona salute, fa ammalare il corpo. Se non può ingannare con i piaceri, tenta con pene non volute 77 di far uscire dalla retta via: sceglie come vuole malattie molto gravi perché, nello scoraggiamento, si offuschi l’amore per il Signore. Giunge fino a spezzare il corpo con febbri violentissime e lo tormenta con una sete insopportabile. Se subisci queste cose tu che sei peccatore, ricordati del castigo futuro e del fuoco eterno e delle pene che il giudizio comporta, e non perderti d’animo di fronte alle cose presenti. Rallegrati, perché Dio ti ha visitato, e abbi sulla lingua quel dolce detto: — Con castighi mi ha castigato il Signore, ma non mi ha dato in balia della morte î8. Se sei di ferro, scacci la ruggine attraverso il fuoco. Se invece, pur essendo giusto, ti ammali,
progredisci da cose grandi a più grandi; sei d’oro? ma è proprio attraverso il fuoco che diventi più provato. Ti è stato dato un angelo nella carne? Esulta! Guarda a chi sei divenuto simile: sei stato reso degno della sorte di Paolo 79. Sei provato col calore ardente? Sei castigato dal gelo? La Scrittura dice: — Siazz0 passati attraverso fuoco e acqua e ci hai condotto al refrigerio 80. Ti è accaduto di soffrire così? Attendi il refrigerio. Praticando la virtù, grida le parole del santo che dice: — Io soro misero e afflitto 81. Questa doppia tribolazione ti renderà perfetto. Dice TT Cioè non scelte volontariamente dalla persona che le subisce. 78 Sal 117, 18. Il brano di Sincletica termina qui in sette degli otto codici analizzati dal Guy. Continua come segue soltanto nel cod. D, nel testo del Cotelier e nella serie sistematica latina. 73 C£. 2 Cor 12, 7. 80 Sal 65, 12. 81 Sal 68, 30.
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Sincletica
infatti: — Nella tribolazione mi hai dilatato 8. Soprattutto con questi esercizi esercitiamo l’anima: teniamo bene davanti agli occhi il nemico!» (424abc; PJ VII, 16).
8 (Guy 10). Disse anche: «Quando l’infermità ci disturba, non rattristiamoci se per l’infermità e l'abbattimento del corpo non abbiamo forza di salmeggiare con la voce. Tutto questo ci è accaduto per purificarci dalle passioni, perché il digiuno e il dormire per terra sono stati stabiliti per contrastare i piaceri. Ma se la malattia ha già affievolito le passioni, questo motivo è superato. É questa la grande ascesi: resistere nelle malattie ed elevare a Dio inni di grazie» 8 (424cd; PJ VII, 17).
9 (Guy 11). Disse anche: «Non sollevare il pretesto di essere caduto in una malattia perché troppo provato dal digiuno, perché anche quelli che non digiunano cadono spesso nelle stesse malattie. Hai iniziato qualcosa di buono? Non lasciarti sviare se il nemico vuole interromperti, perché egli è vinto dalla tua sopportazione 84. Quelli che cominciano a navigare, dapprima colgono il vento favorevole; ma dopo aver spiegato le vele, allora affrontano il vento contrario. I naviganti non vuotano la nave subito al sopraggiungere del vento contrario, ma o si fermano per un poco, 0 lottano contro la bufera, quindi riprendono a navigare. Così anche noi: se al sopraggiungere di un vento contrario spieghiamo la croce a mo’ di vela, senza timore porteremo a termine la navigazione» (424d-425a; PJ VII, 18). 10 (Guy 20). Disse anche: «Quelli che accumulano la ricchezza sensibile con fatiche e affrontano i pericoli del mare, se guadagnano molto, desiderano di più. E stimano un nulla le 82 8 84 tengono
Sal 4,2. Cf. nota 5, p. 444. I codd. B, C, J, seguiti dalla traduzione francese del Guy, non conla rimanente parte del testo.
Sincletica
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cose che ora hanno, e tendono a quelle che non hanno. Ma noi
che non abbiamo nessuna di quelle ‘cose che essi bramano, per il timore di Dio non vogliamo possedere nulla» (425ab; P] X, 70).
11 (Guy 19). La beata Sincletica disse: «Imita il pubblicano, per non essere condannato con il fariseo 85. Imita la mitezza di Mosè 86, per convertire il tuo cuore di pietra in fonti di acque 87» (P] XV, 50). 12 (Guy 22). Disse ancora: «È pericoloso che insegni chi non è passato attraverso l’esperienza della vita; come uno che abbia una casa pericolante: accogliendo degli ospiti li danneg-
gerà, se la casa crolla. Così coloro che non hanno prima costrui-
to se stessi, mandano in perdizione anche quelli che a loro si accostano. Con le parole chiamano alla salvezza, ma con il loro cattivo comportamento fanno del male a chi li segue». 13 (Guy 23). Disse anche: «È cosa buona non adirarsi; ma, se succede, non ti è concesso per la passione lo spazio di un giorno. Dice infatti: - Non tramonti il sole 88. E tu aspetti finché tutto il tempo della tua vita sia tramontato? Perché odiare l’uomo che ti ha rattristato? Non lui ti ha fatto del male, ma il diavolo. Odia la malattia e non il malato» (425c).
14. Disse anche: «Quanto più gli atleti fanno progressi, tanto più è forte l'avversario che attaccano».
15 (Guy 24). Disse ancora: «C'è un’ascesi stimolata dal nemico, perché pure i suoi discepoli la praticano 89. Come pos85 Cf. Lc 18, 10-14.
86 87 88 82
Cf. Cf. Cf. C£.
Nm 12, 3. Sal 113, 8. Ef 4, 26: «Non tramonti il sole sulla vostra ira». Teodora 6 e Macario 11; P] XVI, 16.
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siamo dunque distinguere la divina, regale ascesi, da quella tirannica e demoniaca? È chiaro: dalla moderazione. Sottoponi tutto il tuo tempo alla regola del digiuno: non digiunare quattro o cinque giorni e rompere il digiuno un altro giorno con una grande quantità di cibo. La mancanza di misura è sempre perniciosa 99, Se sei giovane e sano, digiuna; giungerà infatti la vecchiaia con la malattia. Finché puoi, accumula nutrimento, per trovare ristoro 91 quando non potrai» (425cd; PJ X, 72).
16 (Guy 25). La beata Sincletica disse: «Se siamo in un cenobio dobbiamo preferire l’ubbidienza all’ascesi, perché questa insegna la superbia, quella l'umiltà» 9 (425d; PJ XIV, 9).
17 (Guy 26). Disse ancora: «Dobbiamo guidare la nostra anima con discernimento e, se siamo in cenobio, non cercare
ciascuno il suo ® e non servire alla propria volontà, ma ubbidire a colui che ci è padre secondo la fede» (428a; P] XIV, 10). 18 (Guy 27). La madre Sincletica disse: «È scritto: — Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe 9. Col divenire come serpenti s'intende non ignorare gli assalti e le insidie del demonio, perché il simile viene riconosciuto più rapidamente dal simile. La semplicità della colomba significa la purità dell’agire» (428b; PJ XVIII, 22).
19 (Guy 1). Disse la madre Sincletica: «Molti di quelli che vivono sul monte fanno ciò che fa la gente del mondo e si perdono. È possibile, vivendo assieme a molti, praticare con la volontà una vita solitaria e, vivendo da soli, essere con la mente in mezzo alla folla» (S 1; PJ II, 14). 90 Cf. Poemen 129. 91 C£. Mt 11, 29.
22 Cf. nota 104, p. 133. 5 Cf. 1 Cor 13,3. 24 Mt 10, 16.
Sincletica
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20 (Guy 9). Disse anche: «Nel mondo, se commettiamo un fallo anche senza volere, siamo gettati in prigione; e noi, imprigioniamo dunque noi stessi a causa dei nostri peccati, affinché questo atto volontario della memoria ? allontani il castigo futuro» (S 2).
21 (Guy 12). Disse anche: «Come si dissipa un tesoro scoperto, così qualsiasi virtù, quando è resa notoria e manifesta, svanisce. Come la cera si scioglie dinanzi al fuoco %, così l’anima è svuotata dalle lodi e abbandona la fatica» (S 3; P] VIII, 19).
22 (Guy 13). Disse anche: «Come è impossibile essere contemporaneamente sia erba che seme, così è impossibile che, avendo gloria mondana, diamo frutti celesti 9?» (S 4; PJ
VIII, 20).
23 (Guy 14). Disse ancora: «Figlioli, tutti vogliamo salvarci, ma a motivo della nostra connaturale negligenza ci allontaniamo dalla salvezza» (S 5). o ers rav att ché per o, iam gil «Vi he: anc se Dis . 15) uy (G 24 mo. lia vog non se he anc o ran ent ri lad i tà ili sib sen la nostra o end sal mo fu il se a, cas una rsi eri ann non Come può . 32) XI, PJ 6; (S ?» te er ap re est fin le a ov tr no er st ’e ll da
mse o am si noi che na og is «B e: ch an e ss Di . 16) uy (G 25 o ri fuo di dal o on ng ve o li qua i ni mo de i ro nt pre armati co
è ta vol tal e, nav a un me co a, im an L’ 98. ro nt de di nascono dal del te tan cos ro sie pen il e iem ins e i, cat pec tri nos dei 95 È la memoria o irl tod cus a e. omo l’u del ni sio pas le ate ion rig imp ere ten a , giudizio di Dio nella vigilanza. 96 Cf. Sal 67,3. 97 C£. Gv 5, 44.
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98 Sul problema dell’identificazione passioni-demoni e sull’interpretazione di questa tesi, vedi nota 56, pp. 388s.
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Sincletica
sommersa dai flutti esterni, talaltra affonda per il peso della stiva. Così anche noi talvolta siamo portati a rovina dai peccati
che commettiamo esternamente, talaltra ci perdiamo a causa degli intimi pensieri. Bisogna dunque non soltanto guardarsi dagli assalti che provengono dal di fuori dell’uomo, ma eliminare anche lo scaturire degli intimi pensieri» (S 7; PJ XI, 33). 26 (Guy 17). Disse anche: «Quaggiù, non riusciamo a conseguire la mancanza di sollecitudini. Poiché la Scrittura dice: — Chi crede di stare în piedi, guardi di non cadere 99. Navighiamo nell’incertezza. La nostra vita infatti dal salmista è chiamata mare 190, Ora, nel mare ci sono alcune zone irte di
scogli, altre abitate da bestie pericolose, altre tranquille. Noi crediamo di navigare nella parte tranquilla del mare, e che la gente sia nelle parti agitate dai flutti. Noi camminiamo di giorno guidati dal sole di giustizia 101; ma avviene spesso a chi vive nel mondo di svegliarsi nella tempesta e nella tenebra e di riuscire a salvare la propria nave; a noi invece, che siamo in mare
calmo, accade di affondare per negligenza, perché abbandoniamo il timone della giustizia» (S 8; P] XI, 34).
27 (Guy 18). Disse ancora: «Come è impossibile fabbricare una nave senza chiodi, così è impossibile che l’uomo si salvi senza umiltà» (S 9; PJ XV, 48). 28 (Guy 21). Disse anche: «Vi è una tristezza utile e una tristezza dannosa 102, Tristezza utile è quella che ci fa piangere
99 1 Cor 10, 12. 100 Così alcuni padri interpretano dei versetti di salmi, ad es. Sal 64, 8 e 113,3.
101 Cf. MI 3, 20. 102 L’apostolo Paolo parla di una tristezza secondo Dio che opera la
conversione e di una tristezza secondo il mondo che opera la morte (cf. 2 Cor 7, 10).
Sincletica
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per i nostri peccati e per l’infermità del prossimo e fa sì che non veniamo meno dalla risoluzione di giungere alla perfezione del bene. Ma c’è anche una tristezza che viene dal nemico: è del tutto assurda,
e certuni la chiamano
accidia. Bisogna
dunque estinguere questo spirito soprattutto con la preghiera e con la salmodia» (S 10; P] X, 71).
TITOES
La vita copta di Pacomio menziona un Titoes della comunità di Tabennesi: capo degli infermieri e superiore delle monache. Si sa troppo poco per poterlo identificare con questo Titoes. Altri è incline a pensare che si tratti di una storpiatura del nome Sisoes e che di fatto anche questi apoftegmi siano da riportare a lui. Appoggia questa ipotesi non solo il contenuto di alcuni di essi, ma anche il fatto che ne ritroviamo un paio nella serie sistematica sotto il nome di Sisoes (Titoes 3 = Sisoes: XI, 67; Titoes 7 = Sisoes: XV, 61, secondo alcuni manoscritti; vedi Guy, Recherches..., p. 196).
1. Del padre Titoes raccontavano che se non faceva presto ad abbassare le braccia quando stava in preghiera, il suo spirito era rapito in alto. Perciò, se accadeva che dei fratelli pregassero assieme a lui, si affrettava ad abbassare le braccia, perché il suo spirito non venisse rapito e rimanesse a lungo in tale stato (428b).
2. Il padre Titoes ha detto: «Dominare la propria lingua, ecco la vera estraneità» 1! (PJ IV, 44).
3. Un fratello chiese al padre Titoes: «Come posso custodi1 Cf. nota 7, pp. 296s.
Titoes / Timoteo
487
re il mio cuore?». L'anziano gli dice: «Come possiamo custodire il nostro cuore, se sono aperti la bocca e il ventre?» (PJ XI, 27).
4. Del padre Titoes, il padre Matoes ha detto: «Non si trova uomo capace di aprire la bocca contro di lui per alcun motivo; ma come l’oro puro viene pesato sulla bilancia 2, così è il padre Titoes» (428c).
5. Quando il padre Titoes risiedeva a Clisma, un giorno
disse soprappensiero al suo discepolo: «Figlio, versa l’acqua per le palme». «Padre, siamo in Clisma!» 3, disse l’altro. E l'anziano: «Cosa faccio a Clisma? Riportami sul monte!». 6. Sedeva un giorno il padre Titoes e un fratello era vicino a lui. Non sapendolo, gemette. E non si accorse che un fratello stava vicino a lui, perché era in estasi. Quindi, inchinatosi davanti
a lui, disse: «Perdonami,
fratello, non
sono
ancora
diventato monaco, perché ho gemuto davanti a te» (428cd).
7. Un fratello chiese al padre Titoes: «Qual è la via che conduce all’umiltà?». L’anziano dice: «Questa è la via dell’umiltà: continenza, preghiera, e ritenersi al di sotto di ogni creatura» (428d-429a).
TIMOTEO
1. Il padre Timoteo, presbitero, disse al padre Poemen: «Vi è in Egitto una donna, che fa la meretrice, e dà quanto 2 C£. Zc 13,9.
3 A Clisma (l’attuale Suez), abbondantemente irrigata, non vi era alcun bisogno del lavoro penoso di attingere l’acqua. L’anziano, come per subitanea illuminazione, si accorge di essere «disceso» in una situazione troppo comoda, e immediatamente decide di ritornare all’asprezza della montagna.
488
Timoteo
guadagna in elemosina». Il padre Poemen disse: «Non rimarrà nella fornicazione, perché in lei appare il frutto della fede». Avvenne poi che la madre del presbitero Timoteo si recasse da lui, ed'egli le chiese: «Ha continuato a far la meretrice quella donna?». Ella rispose: «Sì, e ha aumentato i suoi amanti, ma anche le sue elemosine». Il padre Timoteo lo riferì al padre Poemen, e questi disse: «Non rimarrà nella fornicazione». La madre di Timoteo ritornò e gli disse: «Sai che quella meretrice voleva venire con me, perché tu pregassi per lei?». Egli riferì al padre Poemen quanto aveva udito. Gli dice: «Va’ tu piuttosto a incontrarla!». Il padre Timoteo andò e l’incontrò. Ed ella, nel vederlo e nell’ascoltare da lui la parola di Dio 4, fu presa da compunzione e pianse, e gli disse: «Da oggi aderirò a Dio 5 e non commetterò più fornicazione». E, entrata subito in un monastero, piacque a Dio 6 (429ab).
4 Cf. nota 115, p. 139. 9 C£. 1 Cor 6, 17. © Cf. Gn 5, 22 e par. (vedi nota 62, p. 469).
IPERECHIO
Di lui il Tillemont scriveva: «Non sappiamo nulla della storia dell'abate Iperechio, se non che gli si danno i titoli di beato e di prete. Ma dovette essere molto celebre, poiché ritroviamo molte sue sentenze nelle storie dei padri» (Memoires, X, 470).
La serie sistematica latina infatti, oltre ai doppioni qui sotto segnalati, riporta undici brani che non figurano nella raccolta alfabetica. I testi dell'una e dell'altra serie sono tratti, talora con qualche rimaneggiamento, da una breve opera composta di 160 sentenze: Esortazione degli asceti o Adhortatio ad monachos, secondo il titolo latino (PG 79, 1473-89). Si tratta di frasi brevi,
spesso brevissime, per lo più molto forti e dense, concernenti molteplici aspetti della vita monastica. Alcuni esempi: «L'albero della vita che si eleva in alto è l'umiltà» (17); «La bocca del
monaco sia aperta per la Parola di Dio, e il suo cuore mediti incessantemente le parole di Dio senza distrazione» (125); «La sottomissione del monaco si conosce non nelle grandi cose, ma nelle minime» (131); «Sopporta, monaco, perché è breve la fati-
ca della sopportazione, infiniti i secoli della quiete» (138).
1. Il padre Iperechio ha detto: «Come il leone è terribile contro gli onagri !, così il monaco provato contro i pensieri di concupiscenza» (429c; PJ IV, 45). 1 Cf. Ec 13,19.
Iperechio
490
2. Ha detto anche: «Il digiuno è per il monaco un freno contro il peccato; chi lo rigetta, finisce per diventare come un cavallo pazzo per le femmine»? (PJ IV, 46).
3. Disse anche: «Chi non domina la sua lingua nel momento dell’ira, non dominerà nemmeno le passioni della carne» (P] IV, 49). 4. Disse anche: «E cosa buona mangiare carne e bere
vino, e non mangiare con maldicenza le carni dei fratelli» 3.
5. Disse ancora: «Con insinuazione il serpente cacciò Eva dal Paradiso 4. A lui è simile chi parla male del prossimo: perde l’anima di chi ascolta e non salva la propria» (429cd; PJ] IV, 52).
6. Disse ancora: «Tesoro del monaco è la povertà volontaria. Che il tuo tesoro sia nel cielo 5, fratello. Là sono i secoli
di quiete senza fine» (429d; P] VI, 14).
7. Il padre Iperechio disse: «Il tuo pensiero sia sempre
nel regno dei cieli, e lo erediterai ben presto» 6 (429d-432a; PJ XI, 35).
8. Disse anche: «La gloria del monaco è l’obbedienza. Chi la possiede, sarà esaudito da Dio, e con franchezza starà di fronte al Crocifisso, perché il Signore crocifisso si fece obbediente fino alla morte 7». 2 Cf. Ger 5, 9. Il testo greco nell’Adbortatio aggiunge: «Un giovane senza freno pecca senza misura». 3 Cf. nota 104, p. 133. 4C£ Gn3,1.
? Cf. Mt 6, 20 e par. 6 Questo pensiero, connesso col precedente, riecheggia lo stesso brano evangelico del tesoro nei cieli (cf. Mt 6, 19-21). ? Cf. Fil 2, 8.
FOCA
Visse fra il V e il VI secolo, prima a Scete, poi a Gerusalemme, nel monastero di Teognio, al Getsemani, che rappresentava un baluardo dell'ortodossia calcedonese. Per contro, molto vicino, sul Monte degli Ulivi, vi erano i monasteri di Melania, condotti
da Geronzio, capo dell'opposizione contro Calcedonia. A Gerusalemme, la situazione era tutt'altro che pacifica. Sembra invece che la situazione delle due Chiese delle Celle, in Egitto (vedi detto n. 1) non sta di altrettanta contrapposizione e lotta, bensì di relativa convivenza pacifica, pur nella caccia a rubare proseliti all'altra parte. È possibile che anche a Scete, come prospetta il Chitty (p. 148, p.
164,
nota 45),
siano sorti a un
certo. punto
questi binomi di
monasteri, uno calcedonese accanto a quello precalcedonese.
1. Il padre Foca, che era del cenobio del padre Teognio di Gerusalemme,
soleva raccontare:
«Quando
io vivevo
a
Scete, giunse alle Celle un tale di nome Giacomo il Giovane, il cui padre secondo la carne era anche il suo padre spirituale. Le Celle avevano due chiese: una degli ortodossi, l’altra degli scismatici. Poiché il padre Giacomo aveva il dono dell’umiltà, era amato da tutti, sia da quelli che appartenevano alla Chiesa, sia dagli scismatici 1. Gli ortodossi gli diceva1 Cf. nota 7, p. 161.
492
Foca
no: — Sta’ attento, padre Giacomo, che gli scismatici non ti ingannino e non ti trascinino alla loro comunione! Altrettanto gli dicevano gli scismatici: — Sappi, padre Giacomo, che restando in comunione con i difisiti 2, perdi la tua anima: sono nestoriani e falsificano la verità. Il padre Giacomo, che era un uomo semplice, pressato dalle cose che gli venivano dette da entrambe le parti e caduto nel dubbio, se ne andò a supplicare Dio: si nascose in una cella ritirata, fuori dalla laura, rivestito di abiti funebri, come se stesse per morire. Infatti i padri egiziani sono soliti conservare fino alla morte la tunica e il cappuccio del santo abito ricevuto nella vestizione monastica, e in essi si fanno avvolgere per la sepoltura; solo la domenica li indossano, per la santa Comunione, per riporli poi subito 3. Egli dunque andò in quella cella e si mise a supplicare Dio e a macerarsi nel digiuno, finché cadde a terra e vi rimase steso. Soleva raccontare di aver patito molto in quei giorni da parte dei demoni, soprattutto nella mente. Trascorsi quaranta giorni 4, vede entrare da lui un fanciullo pieno di gioia che gli dice: — Padre Giacomo, che fai qui? Illuminato all'istante, egli ricevette forza dalla visione e disse: — Signore, tu sai che cos’ho: gli uni mi dicono: — Non lasciare la Chie-
2 Cf. nota 8, p. 162. > Da notare questa tradizione molto antica e ancora in uso in alcune Chiese di Oriente. L’abito della professione monastica è segno di una nuova immersione nella grazia battesimale di morte e risurrezione in Cristo. Esso viene indossato, sotto l’abito di ogni giorno, per ogni nuovo incontro nel banchetto eucaristico e viene quindi rivestito dopo la morte, alla sepoltura, come abito nuziale per l’incontro definitivo con il Signore e come segno dell'immortalità di cui si spera di essere rivestiti. La consacrazione monastica è vista non tanto come qualcosa che si aggiunge al battesimo, quanto come qualcosa che fa rifiorire e potenzia i doni del battesimo. 4 I periodi di particolari penitenze sono di quaranta giorni, come per Mosè sul monte (cf. Es 24, 18) e per il cammino di Elia (cf. 1 Re 19, 8), come per il digiuno del Signore nel deserto (cf. Mt 4, 2 e par.). Come Elia dopo quaranta giorni vide una teofania, così quest’anziano ha una visione che lo conferma nella via del Signore.
Foca
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sa!, e gli altri mi dicono: — I difisiti ti ingannano! E io, smarrito, non sapendo che fare, sono venuto qui. Il Signore gli rispose: — Dove sei, lì stai bene. A queste parole si trovò subito davanti alle porte della santa chiesa degli ortodossi dei sinodi» (432a-433a).
2. Il padre Foca raccontò anche questo: «Il padre Giacomo, dopo essersi trasferito a Scete, fu violentemente tentato dal demone della fornicazione. É poiché era in pericolo di cadere, venne da me e mi palesò la sua situazione. Mi disse: — Da lunedì andrò in quella grotta, ma ti prego in nome del Signore di non dirlo a nessuno, nemmeno a mio padre; conta quaranta giorni e, quando saranno compiuti, fammi la carità di venire da me portando la santa Comunione. Se mi trovi morto seppelliscimi; se mi trovi vivo, fa’ che io riceva la santa Comunione. Udite le sue parole, al compiersi dei quaranta del e Comunione santa la portando lui da recai mi giorni avvicinal mi appena vino; di po’ un con comune pane bianco sua dalla usciva che cattivo odore forte alla grotta, sentii un sempre. per riposa beato Il — mio: cuor bocca. Dissi allora in mise si vide, mi Come semivivo. trovai lo Ma entrando da lui, gesto col e poteva, che poco quel destra a muovere la mano
Ce — dissi: Io Comunione. santa della mano faceva cenno alla Incerto serrata. era ma bocca, la aprirgli di l’ho. Cercai allora arbuun da legnetto un trovai e sul da farsi, uscii nel deserto
e, on ni mu Co a nt sa la al ne io az ip ec gue prezioso. Con la part ne pa l de a ic ll mo e ch al qu ii id um in riprese forza. Poco dopo e, tr al e ll de i rs po ne ie gl ’ po un po do comune e gliela porsi; no or gi il o, Di di ia az gr r pe , sì co E e. rn de en pr quanto poteva ra be li a, ll ce a ri op pr a ll ne e ss re di si seguente venne con me e aic rn fo a ll de ne io ss pa a ri te le de a ll da to, con l’aiuto di Dio, zione» (433abc).
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Felice / Filagrio FELICE
Alcuni fratelli si recarono dal padre Felice insieme a dei laici, e lo pregarono di dir loro una parola. Ma l’anziano taceva. Poiché insistevano molto, disse loro: «Volete udire una
parola?». Gli rispondono: «Sì, padre». Dice dunque l’anziano: «Una parola non è possibile adesso. Quando 1 fratelli interrogavano gli anziani e facevano ciò che questi dicevano, Dio provvedeva per loro come dovevano parlare. Ma ora, poiché chiedono e non fanno ciò che odono, Dio ha tolto agli anziani il dono della parola; e non sanno cosa dire, perché non vi è chi metta in pratica» 5. All’udire queste parole, i fratelli dissero gemendo: «Padre, prega per noi» (433 cd; PJ III, 18). FILAGRIO
Vi era un sant'uomo di nome Filagrio che viveva nel deserto di Gerusalemme, e che lavorava e faticava per guadagnarsi il pane. Mentre era al mercato e vendeva il suo lavoro, ecco che un tale lasciò cadere una borsa con mille monete. L'anziano, trovatala, rimase sul posto pensando: «Chi l’ha perduta, dovrà venire». Ed eccolo arrivare piangendo. L’anziano lo prese in disparte e gli diede la borsa. L'altro voleva trattenerlo per dargliene una parte, ma l’anziano non volle. Si mise allora a gridare: «Venite a vedere cos'ha fatto un uomo di
? Cf. più nessun carismatica oggettiva, a
nota 115, p. 139; vedi anche Isacco delle Celle 7: «Non vi darò ordine, perché voi non li custodite». Abbiamo visto la parola dell’anziano, ispirata da Dio, operante in virtù della sua forza volte anche del tutto indipendentemente dalla volontà e dalla
consapevolezza dell'anziano. Ma la scintilla che fa scattare questa possibilità
di operazioni è la fede di chii interroga. Come Gesù non poteva fare miracoli là dove non c’era fede, così gli anziani non possono parlare se la loro parola non ha rispondenza nella fede dell’interlocutore.
Filagrio / Forta
495
Dio!». Ma l’anziano, fuggendo di nascosto si allontanò dalla
città, per non ricevere gloria6 (436a; PJ VI, 15). FORTA
Disse il padre Forta: «Se Dio vuole che io viva, sa come trattarmi; se non vuole, che mi giova vivere?». Così non accet-
tava nulla da nessuno, sebbene giacesse a letto malato. Diceva; «Se qualcuno mi porta qualcosa, ma non per amore di Dio, né io ho qualcosa da dargli, né egli riceve da Dio la ricompensa, perché non l’ha portata per amore di Dio. Anzi, il donatore riceverà offese; chi è consacrato a Dio e guarda lui solo, deve agire
così
piamente
da
non
considerare
l’essere offesi anche migliaia di volte» (436b).
6 Cf. Gv 6, 15.
insulto
nemmeno
CHOMAI
Raccontavano che il padre Chomai in punto di morte disse ai suoi figli: «Non abitate con degli eretici, non abbiate rapporti con alti personaggi, le vostre mani non siano spalancate
per raccogliere, ma piuttosto spalancate nel dare» (436c). CHEREMONE
Fu uno degli iniziatori della vita a Scete, quando, come Macario andò a raccontare ad Antonio (n. 26), non vi era ancora
chiesa e celebrazione dell'Eucaristia a Scete e quindi i monaci dovevano recarsi alla chiesa di Nitria distante 40 miglia (cf Macario 2). Questa distanza è molto grande e certo Macario ne era preoccupato. Come abbiamo visto, egli venne poi ordinato presbitero e sorse attorno a lui la prima chiesa a Scete. Altre ordinazioni seguirono la sua e, come sappiamo, ben presto furono quattro i presbiteri e le chiese a Scete (cf. p. 301). Non ci sono elementi per dire se questo Cheremone abbia più tardi lasciato Scete per Panefisi e sia lo stesso Cheremone, venerando vegliardo di cento anni, incontrato da Cassiano a Panefisi, cui Cassiano attribuisce tre conferenze (XI-XIII). Intorno al padre Cheremone di Scete raccontavano che la sua grotta distava quaranta miglia dalla chiesa, e dodici
Cheremone
497
miglia dalla palude e dall’acqua; e così portava nella cella il suo lavoro e due recipienti d’acqua, caricandoseli sulle spalle, uno da una parte e uno dall’altra. Quindi si sedeva nella sua cella e praticava il raccoglimento (436c).
PSENTAISIO
È uno dei tanti discepoli del grande Pacomio, il padre della vita cenobitica, che già è stato menzionato come tale (cf. Gelasio 5) e che già abbiamo incontrato nella sua sede di Tabennesi a colloquio con Macario il Cittadino (n. 2).
Il padre Psentaisio e il padre Suro e Psoio dissero: «Nell’ascoltare le parole del nostro padre, l'abate Pacomio, fummo
grandemente edificati e incitati allo zelo delle opere buone. Vedendo poi che anche quando taceva, era la sua vita a parlare, eravamo stupefatti e ci dicevamo l’un l’altro che credevamo che tutti i santi fossero stati creati da Dio fin dal seno materno! santi e immutabili, e non liberi nella loro volontà; e che i pec-
catori non potessero vivere piamente per il creati così. Ma ora vediamo manifestamente questo nostro padre; il quale, da figlio di divenuto così amante di Dio e si è rivestito
fatto di essere stati la bontà di Dio in genitori pagani, è di tutti i comanda-
menti di Dio. Forse anche noi, e forse tutti possono seguirlo,
come egli segue i santi. Perché sta scritto: — Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo 2. Moriamo dunque e viviamo con quest'uomo 3, perché egli ci conduce a Dio per via diritta» (436d-437a). 1 Cf. Sal 21, 10; Is 49, le par. 2 Mt 11, 28.
3 Cf. 2 Tm2, 11. Cf. Introd., pp. 58s.
OR
Ci troviamo forse di fronte a due personaggi con lo stesso nome; non avendo però elementi sicuri, possiamo ipotizzare così la vita di un eventuale unico Or: dalla breve notizia che ne dà Palladio, sappiamo che morì prima del 391: «Su questa montagna della Nitria visse un asceta di norme Or. Alla sua straordinaria virtà rese
testimonianza tutta la comunità dei fratelli e particolarmente la donna di Dio Melania, venuta sulla montagna prima di me. Io non lo trovai vivo. Raccontavano che mai aveva mentito, né giurato, né maledetto alcuno, né parlato senza necessità» (HL, 9). Que-
ste ultime parole, coincidenti con l’apoftegma n. 2, sono indicative della lode di lui che veniva tramandata di bocca in bocca. Fondamento indispensabile, come sempre, e corona di tutto è l'umiltà, che in lui appare molto grande. La tradizione degli apoftegmi non
è univoca: solo due degli otto manoscritti considerati dal Guy contengono i detti dal 9 al 15. Cinque di questi manoscritti aggiungono come pezzo supplementare il detto n. 2 di Orsisio. In tutti questi manoscritti tranne uno, non si tratta di una diversa attribuzio-
ne, da Orsisio a Or, ma di un doppione, che ha soltanto l’inizio diverso: «Il padre Or disse al padre Sisoes...». I suoi rapporti col padre Sisoes sono attestati anche dal detto n. 28 di quest’ultimo, che parla di una convivenza dei due anziani a Scete. Da esso si ricaverebbe, o che Or abitò a Scete prima di andare a Nitria, 0 che Sisoes abitò a Nitria invece che a Scete, e l’apoftegma dica genericamente Scete, come altre volte, per abbracciare anche Nitria. Ma soprattutto abbiamo già incontrato Or in un eloquente episodio
500
Or
raccontato da Sisoes a Pisto (pp. 425s.). L’'anziano infermo a letto di ito spir a, enz idi ubb , ltà umi di e ion lez nde gra una dà da 18 anni sacrificio, amore al silenzio.
un che o or od Te e dr pa del e Or e dr pa del 1. Raccontavano he «C o: ser dis si e o ng fa col la cel a un do en ru st co o an av giorno st fan il no ro ia sc la o, nd ge an Pi . ?» so es ad faremo, se Dio ci visitasse . 19) , III PJ ; ab 37 (4 ! la cel a ri op pr la nel no nu og o go e si ritiraron n no , mai a iv nt me n no Or e dr pa il che no 2. Raccontava giurava, non malediceva nessuno e non parlava che in caso di necessità (P] XX, 7).
3. Il padre Or soleva dire al suo discepolo Paolo: «Guarda di non portare in questa cella una parola estranea» (P/ XX, 8). 4. Paolo, il discepolo del padre Or, andò un giorno a comperare dei rami di palma, e trovò che altri l'avevano preceduto e avevano dato una caparra. Il padre Or non aveva mai dato caparra per nessuna cosa, ma a un certo momento mandava i soldi e comperava. Il discepolo andò allora anche in un altro luogo per i rami, e il giardiniere gli disse: «Un tale mi ha dato una caparra e non è più venuto, prendi dunque tu i rami». Li prese, venne dall’anziano, e gli comunicò la cosa. Nell’udirla, l'anziano si diede dei colpi alle mani e disse: «Quest'anno Or non lavora!» 2. Non lasciò entrare i rami, e
glieli fece riportare donde venivano? (437bc). 1 A questo pensiero, la forza della compunzione fu tale che non poterono continuare un lavoro in comune fuori dalla loro cella, ma dovettero ritirarsi ognuno nella solitudine e nell’intimità della propria cella. 2 Temeva di sfruttare pigramente il lavoro altrui e, come Poemen (n. 10), di gravare su altri. 3 Letteralmente il testo dice: «nel loro luogo», che è espressione biblica (cf. Gn 18, 33; 29, 3, ecc.).
Or
501
5. Il padre Or disse: «Se vedi che io ho un pensiero contro qualcuno, sappi che anch'egli ha il medesimo contro di me» 4. 6. Dalle parti del padre Or vi era un conte di nome Longino, che faceva molte elemosine. Quando uno dei padri venne da lui, lo pregò di condurlo dal padre Or. Il monaco, giunto dall’anziano, lodò il conte: «E buono e fa molte elemosine». L'anziano rifletté e disse: «Sì, è buono». Il monaco cominciò
quindi a pregarlo: «Padre, permettigli di venire a vederti». L'anziano rispose: «Di certo mi vede anche senza passare questa valle» 5 (437c-440a).
7. Il padre Sisoes domandò al padre Or: «Dimmi una parola». Gli disse: «Hai fede in me?». Disse: «Sì». Gli disse allora: «Va e fa’ anche tu ciò che mi hai visto fare». Gli chiese: «Che cosa vedo in te, padre?». L'anziano gli disse: «Che il mio pensiero è al di sotto di tutti gli uomini».
8 Dicevano del padre Or e del padre Teodoro che ponevano buoni inizi e ringraziavano Dio sempre‘. 9. Il padre Or disse: «Corona del monaco è l'umiltà» 7.
4 Il giudizio contro il fratello rende colui che lo formula colpevole del-
lo stesso difetto che pretende di giudicare nell’altro: perciò, chi si rende-col-
pevole di tale giudizio si espone inevitabilmente a essere giudicato alla stessa stregua. 5 L’anziano intende dire che lo vedeva lo stesso, spiritualmente, in
virtù della comunione profonda in spirito stabilita dalla carità. 6 Espressione che riecheggia Ef 5, 20 e Col 3, 17. ? In un’appendice presente in qualche manoscritto della serie sistematica, questo detto di Or appare nella forma seguente: «Gli anziani dicevano: “Corona del monaco è l’umiltà”» (n. 15). Non è quindi solo Or che parla, ma gli anziani in genere solevano fare questa affermazione sull’umiltà. La variante è molto significativa per rilevare l’importanza attribuita a questa dottrina.
Or
502
10. Disse anche: «Colui che è stimato e lodato più di quel che si merita, sarà molto punito; ma chi non è affatto stimato dagli uomini, sarà glorificato dall’alto» 8 (440b). 11. Disse anche: «Se si insinua in te un pensiero di superbia o di orgoglio, fruga nella tua coscienza se hai custodito tutti i , mali loro dei isti rattr ti e ? ci nemi tuoi i ami se , nti ame and com se ti consideri servo inutile 10 e più peccatore di tutti. E allora non penserai di te così alto come se tu avessi realizzato tutto». Sapeva infatti che questo pensiero distrugge tutto (PJ XV, 54). 12. Disse ancora: «In ogni tentazione, non accusare nes-
suno, ma soltanto te stesso, dicendo: — Questo mi accade per i miel peccati».
13. Il padre Or disse: «Non dire nel tuo cuore queste cose contro il tuo fratello: - Io sono più vigilante e più ascetico!, ma sottomettiti alla grazia di Cristo con spirito di povertà e amore non finto !!, per non cadere nello spirito di vanagloria e perdere la tua fatica 12. Sta scritto infatti: — Colui che crede di stare in piedi, guardi di non cadere 33. Sii condito con sale nel Signore 14» (440c; PJ XV, 55).
14. Disse ancora: «O fuggi del tutto gli uomini, oppure prenditi gioco del mondo e degli uomini, facendoti folle in molte cose» 15 (P7 VIII, 24). 8 Eco della nota dottrina biblica del rovesciamento dei valori mondani nel giudizio di Dio (cf. Lc 16, 15 e 1 Cor 1, 27s.). ? Cf. Mt 5, 44.
10 11 12 13 14 15
Cf. Le 17, 10. C£. 2 Cor 6, 6. C£.1Ts3,5. 1 Cor 10, 12. Cf. Col 4, 6. Cf. nota 82, pp. 123s.
Or
503
15. Disse anche: «Se hai parlato male del tuo fratello e la tua coscienza ti percuote, va’ a inchinarti dinanzi a lui e digli: — Ho parlato male di te, e assicuralo che non ti farai più beffe di lui, perché la maldicenza è la morte dell’anima» (440cd).
INDICI
INDICE SCRITTURISTICO
ANTICO TESTAMENTO Genesi
wo
wo
wo
1,1:119 1, 26: 168, 248, 466 1, 26s.: 424 1, 28: 43, 435 2,7:168 2, 15: 44, 382 2,17:139 3, 1:490 3, 15: 42, 43, 214 3 , 17: 267 3 2 0-23: 153 3 2 2: 469, 488 6 9 469 104 8 ,9:22, 9 1 1,9:251 14, 18-20: 27, 170 14, 19: 119, 177 18, 1ss.: 353 18, 2ss.:31, 143 18, 33:200 19, 25.: 143 19, 2ss.:31 19, 30: 268 22, 10-12: 449 23: 267 23, 488.:35, 384
24,
6: 82, 124, 283, 381, 471 27,38: 237 29, 3:500 37,2 -41,5:397 39, 7ss.: 363 41, 40: 237 42, 36ss.: 117 46, 3: 127, 364 47,3:369 49, 12:379
Esodo
3, 1s.: 286, 417 9, 23: 22,359 12, 30: 36, 330 13, 21: 215, 277, 345
129,
Numeri
12,3: 481 12,3 (LXX):31 20, 17: 155, 470 21,9: 33, 355 22, 28: 65 Deuteronomio
4, 24: 477 8,3: 472 10, 17: 107 25, 4: 253 28, 6: 328 32, 7:45, 91 Giosuè
237 .: 33, 4, 7ss 10, 12: 149 10, 12-13: 204
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2,6:90 5, 1ss.: 35, 285 17,35: 401, 414 18, 23: 353 25, 23-35: 390
Levitico
2 Samuele
18, 5: 353
11, 25: 20, 417
1 Samuele
Indice scritturistico
508
12, 13:31 13, 28: 20, 417 1 Re
2,394: 419 10219 19 8492
18, 18, 21, 24, 28,
2: 50 11: 62, 76 10: 498 2: 329 10: 424
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2°
Re
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Tobia
53, 2704
138 (139), 12: 94
3, 16: 169
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140, 3: 178
2 Maccabei 3, 34: 195
62 (LXX: 61), 12:21 64, 8: 484
Proverbi
Giobbe
67, 3: 22, 483
.
1,21:311
pera DA 34, 21: 165 40 25,43 Salmi
a
144, 19: 342
65, 12: 479
1, 7: 261
68, 30.479
1 , 19: 386
72, 22b-23a: 356 73 (74): 43 73, 13-14: 43 76, 4: 383 76,5: 324
80, 11: 63, 374
81, 6: 152, 315
$ 7) 39°
15, 27: 389 18, 13:] 384 25, 7: 63, 400 27,7: 478 Ecclesiaste (Qoelet)
3. 1:274
4, 2: 480
89, 4: 157
7,17:395
13. 19: 489
89, 10: 142
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94, 5: 417 94, 6: 439 100, 5: 330
e Suoi APoenza
17,31: 151
102, 10: 253
2, 11: 249
509
Indice scritturistico
Giona 4, 10s.: 343 Zaccaria
Geremia
Malachia 3, 20: 484
> 7 >
“» “» o o o
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o
1, 18: 385 5, 1:179 5,9: 490 20, 14:319 23, 29:21
3,2:165 13,9: 487
o
1,9: 18
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Amos
5 3 3 6 6 6 6 6 6 6 6 6 7 7 7 7 7 >
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1, 13: 402 2,2:223 2, 12: 19, 241, 379, 417 2, 12-13: 402
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o
Gioele
5 > 5
>
o
10, 15: 376 14, 11ss.: 42 14, 12: 32, 277 14, 12ss.: 360 26, 11: 223 30, 15: 286 30, 18: 459 40, 1: 22, 393 45, 22: 417 49, 1: 498 55,9: 37,319 55, 11: 283 297 5:, 58 59, 2: 129 66, 24: 51, 454
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o
1, 16: 18 1, 16- 19: 439
Daniele
>
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Isaia
3 4 4 4 d, d, 3 3
o
4,21: 393
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o
Ecclesiastico (Siracide)
Matteo
o a
>
wo
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Nuovo TESTAMENTO
>
9,
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9 9 9
> o
Ezechiele
8 8 8 8 9
>
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Indice scritturistico
22, 13: 49, 172 22, 16: 380 22, 40: 242, 457 23, 4: 139, 237 23, 12: 242 24: 278 24, 12: 278 24, 165.: 54, 307 24, 33: 54, 307 24, 46: 49 25, 1-13: 50 25, 358.: 364 25, 34: 224 25, 36:37, 239 26, 44:57,95 26, 52: 326 26, 75: 390 27, 12.14: 57, 455 27,46: 134 27,50: 88 27, 59s.: 39 28, 3: 55, 452 Marco
1, 25: 151, 165, 453 1, 445.:360 2,9: 472 5,34: 118 5, 42: 134,310 9, 23: 185 9, 48: 191 13, 12:54 13, 35ss.: 48 13,36: 49 14, 60s.: 355 Luca
2, 18: 308, 360 2, 18.20: 183 2,36:30 4,30: 55, 167
8, 56: 360, 453 9, 42:373 10, 20: 198 10, 30: 320 10, 38-42: 30 10, 39: 46 10, 42: 82, 464 11, 1:311 12, 11s.: 453 12, 35-48: 51 12, 39: 444 12, 478.: 352 135, 13: 457 16, 15: 502 16, 19-23: 33 17, 10: 502 17, 22: 54, 88 18, 8: 278 18, 9-14: 30 18, 10ss.: 179 18, 10-14: 177, 481 18, 13: 121, 142 18, 24: 268 19, 16s.: 38, 394 20, 25: 257 20, 36: 348
21, 8: 48, 53, 334, 450 21, 19: 230, 249 21, 20: 54, 307 21, 26: 47 21, 34: 87 21,36: 48, 90 400 22,36:395, 53, 23, 29: 54, 88
Indice scritturistico
Romani
2,3:364 5, 3ss.: 290 6, 4: 64 6, 10s.: 327 8, 5ss.: 363 8, 18:50 8, 26: 329 8, 33:22, 117 11, 20:392 11, 33:82 12,5: 46
18ss.: 123 275.:502 8:50 16: 391 18: 123 , 2: 49, 54, 278 ,5: 181 , 10: 123 48, 90 > 11:19, 13: 352 125.: 347 13: 226 17: 488 18: 333 7
o
o
4 4 4 4 4 5 6 6 6 7 : 335 7 2 8: 38, 478 77 2 9: 47 o
35: 25 60: 88, 460 7:310 13.32: 398 15: 265, 345, 451 11, 24:33, 109 17, 24:90 20, 24: 153 24,5: 152
1, 1, 2, 3, 3,
o
4, 7, 8 9 9,
1 Corinti
o
1, 16: 42, 360 2,21: 142 4,32: 46
10: 256 11: 240 15: 46 16: 392 17: 202, 241, 395 21:413 10: 457 10: 121 21: 218
>
o
Atti degli Apostoli
288,
12, 12, 12, 12, 12, 12, 13, 14, 14,
o
dé
wo
wo
1,5: 293 1,47:33,333 2, 24:330 3, 12:373 4, 14: 35, 62, 181 4,35: 35 4,50: 298 5, 24: 22, 361 5, 44: 483 6, 15: 495 6, 27: 464 6, 29: 434 6, 3 48-51: 40 6, 60: 55, 3334, 54 > 421 > 18: 8 6:55, 422 8 ,35: 431 8, 44: 137 8, 54: 452 10, 9: 328 10, 20: 55, 458 11, 26: 387 11,39: 327 12, 3: 55, 452 12,8: 281 12, 13: 56, 305 12, 27:57, 108, 134 12, 28: 327 13, 8: 57 13, 12: 257 13, 27:42 13,30: 42,360 13, 34:38 13, 34s.: 294
o
Giovanni
14, 26: 84, 325 14, 31: 57, 113, 414 15, 13: 401 16, 4:57, 107 17,1:57,107 17/,4:421 17, 12:42 17, 16:47 18, 22: 167 19, 9: 57, 3734, 22 19, 23:57, 216 19, 28: 426 19, 30: 55, 58, 452
o
23, 40: 32, 377 23, 40ss.: 32 23, 42: 30, 42, 360 23,43: 179 24,32: 198 24,51: 195
511
,33 1:47 8, 12: 83 9, 19ss.: 433 10, 12: 4845, 02 278 54,: 11, 19 11, 33: 419 12, 11: 244 13, 1-3: 116 13,3: 482 13, 4:391 152 8: , 13 14, 33:50 15: 228 15, 28: 64
912
Indice scritturistico 1 Timoteo
15, 30: 153 15, 49: 49, 172 15, 58: 363
1, 15: 439 2,4: 439 3,9:439 5, 22: 422 6,7:311
2: 222, 389 6: 352, 444
2 Corinti
Galati 1, 10: 216, 474 2,2: 352 2,13: 162 3, 23-24: 355 4,22-5,1:34 4, 26: 270
Efesini
1, 21: 433
w»
2, 1-3: 256 2, 8: 45, 343, 490 2, 12: 222 2,1 6: 91, 104, 320, 329 3,8: 50 3,9: 49 3,1 3: 365 3, 2 0:50 3,2 1: 64 4, 3: 432 o
o
>
o
1,9: 83 2, 15: 443 3,7:421 4,16: 96 5,3:49 5, 10: 107, 121 5, 16: 46 6, 6: 502 7,10: 379, 484 10, 12ss.: 382 11, 14: 256 11, 27: 19, 153, 241 12, 2: 449 12, 285.: 33 12, 4: 463 12, 7:33, 479 12,8: 127 12, 10: 444
Filippesi
2 Timoteo 2, 11:59, 498 2, 208.: 397 2, 20.21: 18 2, 21: 274 4,7:109, 153 4, 8: 223 4,17:211
>
Tito
Colossesi
1, 15: 14, 396, 472 2,11: 283
1, 23: 363 2,21: 403 3, 3ss.: 327 3,5:391 3,9:375 3, 17:501 4,5: 225 4, 6: 502
Ebrei
1 Tessalonicesi 3,5: 169, 502 5, 6ss.: 48 5, 15: 381 5, 5, 17: 142, ‘293, 5, 18: 444
410
4, 12: 62, 129, 395 4, 16: 424 5, 7:57 6,5:50 7:170 10, 23: 270 11, 5s.: 469 11, 20: 152 11, 27:30 12, 2: 286 12, 7b: 230 12, 22: 244, 440 12, 23: 270 12, 29: 477 13, 7:46
2
MNI
2 Tessalonicesi
6: 177, 481 6: 225
2,9:372 3,10: 202 3, 12: 19, 241
Giacomo
1, 12:378 1, 14: 459
Indice scritturistico 1, 27: 422 2,5: 225
1, 22: 248 2, 12:365
2,8:380
4, 2:470
2,11:219
4,7:365
2, 17-26: 389
5, 8:52, 268
4,5:39
2 Pietro
3, 5-6: 448
4, 9:
19, 48, 90, 334,
3719, 402
4,9-5,3:48 5, 16: 344 .
1 Pietro
3,11: 223
513 4, 18: 90, 263 5, 18:365
Giuda
3: 165 Apocalisse
3, 14:39, 47,49,223 — 3,10:53, 278 1 Giovanni 2,3:29
5, 2-9: 181
10, 10: 127 13, 16: 22, 414
2.28: 365
20, 10: 53, 450
1,8:223, 477
3, 20: 382
21, 1: 22, 384
1, 13: 365
4,4:324
21,4: 223
INDICE DEI NOMI DELLE PERSONE*
Abramo (discepolo di Agatone): 62, 110, 137-138, 139, 388
Abramo
(discepolo di Sisoes): 137,
446, 447, 450, 452, 455, 456, 460,
461 Abramo Abramo Acacio: Achille Adelfio:
delle Celle: 137, 253 iberico: 218 298 (o Achilla): 37, 125-128, 199 452 Agatone: 12, 22, 25, 51, 57, 96, 110-
60,
61,
90,
110,
115,
125,
130-
Amoe: 62, 125, 127, 128-130, 199, 229, 230, 231, 271, 395 Andrea: 143, 295, 297
168,
134, 154, 420
Antianò: 144 Antonio:
12, 15, 18, 22, 24, 25, 26,
27, 29, 32, 36, 44, 47, 48, 53, 54, 55, 60, 61, 76, 77-92, 93, 94, 120, 122, 133, 248,
123, 147, 255,
125, 191, 263,
130, 208, 264,
131, 227, 275,
132, 231, 276,
Agostino: 79, 280
277, 302, 354,
278, 306, 362,
284, 307, 366,
285, 314, 367,
290, 341, 391,
301, 353, 392,
Aiò: 144, 301, 321
393,
403,
421,
422,
426,
428,
120, 125, 130, 137, 139, 140, 203, 254, 294, 297, 367, 387, 388, 401, 429
Alessandro
(discepolo di Arsenio):
21,99, 100, 103, 109, 118
Alonio: 139-140, 382, 386 Amelineau: 54 Ammonata: 144-145 Ammone (o Ammonas): 22, 31, 44, 51, 55, 88, 120-124, 125, 127, 132, 297, 309, 369, 385, 396, 428
Ammonio di Raito: 28, 447, 453, 455, 456 Ammonio (o Amun) il Nitriota: 26,
431, 432, 434, 436, 437, 438, 440, 446, 448, 449, 451, 452, 453, 455, 456, 460, 467, 477, 495 Anub:
32,
59,
123,
135-137,
204,
367, 369, 376, 377, 378, 390, 391, 396, 398, 399, 404, 412, 413, 420 Aphù (o Apfì): 141
Apollo: 31, 46, 84, 127, 141-143, 150, 207, 274 Arcadio (imperatore): 108, 262 Ares: 62, 137, 138-139
“ Anche là dove non si è insistito nel porre punti interrogativi, non si pretende certo di aver risolto tutti i complessi casi di omonimie.
Indice dei nomi delle persone Ario: 78 Arsenio:
12, 21, 22, 27, 33, 46, 51, 54, 57, 62, 76, 83, 92-109, 118,
125, 220, 321, 402,
128, 224, 335, 406,
166, 238, 348, 434,
168, 271, 354, 435,
190, 208, 212, 284, 294, 295, 367, 374,395, 441
Atanasio di Alessandria: 47, 60, 78, 79, 80, 125, 131, 132, 266, 420, 422, 436, 455
156,
515
Ciro: 290-291 Coprio: 27, 28, 170, 289-290, 444
Costantino (imperatore): 90 Cotelier J.B.: 71, 72, 73, 264, 265, 328, 352, 477,479
Cremaschi L.: 11, 79, 423 Cronio: 35, 36, 46, 208, 251, 262, 284-287, 298, 383, 417
252,
175,
Athrés: 425
Barsanufio di Gaza: 41, 42, 94, 110, 111, 135, 139, 152, 200, 263, 276,
277, 295, 302, 303, 350, 367, 426, 429, 444, 474
Basilio di Cesarea: 12, 76, 122, 125, 146-147, 156, 187, 284, 383, 444 Benedetto da Norcia: 197, 203, 239, 258, 280, 477 Beniamino: 60, 76, 133, 154-155 Bessarione: 20, 23, 45, 51, 56, 76, 147-153, 173, 204, 336, 348, 392,
Damaso (papa): 92 Daniele (discepolo di Arsenio): 28, 55, 56, 58, 97, 98, 99, 100, 102, 104, 105, 107, 108, 109, 118, 128, 166-171, 279, 405, 431
Daniele di Scete: 166 De Lubac H.: 35 Decio (imperatore): 436 Diadoco di Foticea: 293, 444
Diocleziano (imperatore): 78 Diogene (filosofo): 460 Dioscuro d'Alessandria: 161 Dioscuro di Nachias (= Dioscuro di Nitria?): 19, 49, 171-172, 402
Dioscuro di Nitria: 171-172, 221 Doroteo di Gaza: 41, 111, 120, 132,
469 Biarè: 155
Bishoi (o Psoio): 301
134, 139, 140, 146, 200, 203, 230, 263, 273, 276, 295, 296, 298, 302,
Cabasilas Nicola: 383
331, 343, 350, 353, 355, 367, 368,
Campagnano L.: 205
385, 386, 426, 447, 4717
Carione: 197, 198, 232, 287-289, 348 Cassiano: 26, 28, 59, 133, 141, 146, 189, 219, 229, 246, 255, 272, 279-
284, 301, 302, 322, 353, 366, 397, 431, Caterina da Siena: 227 Cheremone: 255, 352, Chitty: 193, 359, 362, Chomai: 495
323, 350, 352, 432, 469, 495
Dòérries H.: 41 Dositeo di Gaza: 111, 276 Dula: 149, 173, 191
Efrem Siro: 62, 179-181, 229 Elia: 46, 51, 52, 87, 148, 203-205
495 367, 429, 491
Chouraqui A.: 21 Cirillo di Alessandria: 28, 170, 171, 199, 220, 339, 341
Cirillo di Scitopoli: 205
Elia del cenobio di san Saba: 205 Elladio: 186-187
Epifanio di Cipro: 22, 23, 28, 31, 32, 46, 133, 220, 276
170,
Epimaco: 431 Eraclio: 206-207
174-179,
190, 218,
516
Indice dei nomi delle persone
Eucaristo: 12, 56, 140, 182-183, 224
Eudemone: 192, 432 Eudossia (imperatrice): 193,221
Giovanni delle Celle: 32, 45, 265, 333 Giovanni di Cilicia: 206, 264-265
Eulogio: 183-185, 196, 255
Giovanni di Colonia: 166
Euprepio: 185-186, 311 Eutimio: 43, 93, 157, 205
Giovanni
Evagrio Pontico: 12, 22, 31, 51, 82,
350, 355, 367, 388 Giovanni di Licopoli: 149, 150, 229, 336 Giovanni di Tebe (discepolo di
110, 111, 135, 276, 277, 302, 303,
83, 112, 131, 174, 185, 187-192, 200, 221, 237, 264, 280, 290, 297,
301, 302, 348, 349, 350, 351; vedi anche Nilo
Amoe): 271, 348
Giovanni Geometra: 125 Giovanni il Cenobita: 246 Giovanni il Persiano: 19, 31, 32, 51,
Felice: 139, 494
Filagrio: 494-495 Filippo Neri; 450
269-271 Giovanni l’Eunuco: 211, 263-264
Foca: 162, 260, 491-493 Forta: 475, 495
Giovanni Moschos: 36, 43, 206, 264,
Francesco d'Assisi: 124
336, 351 Giovanni Nano: 18, 26, 31, 33, 37, 73, 128, 129, 140, 144, 164, 229245, 278, 301, 367, 384, 391, 397,
Gasbarri C.: 450 Gelasio: 157-165, 498 Gennadio: 279, 303
406, 435, 457, 465 Giovenale (vescovo di Gerusalem-
Germano: 272, 279, 280, 281
Geronzio: 165, 491 Giacobbe: 117, 333 Giacomo: 44, 179, 270, 491, 492, 493
di Gaza: 41, 61, 65, 94,
me): 157, 163
Girolamo: 260-261,
269,
Giovanni (?): 135, 415, 434 Giovanni (arcivescovo): 184 Giovanni (diacono di Roma): 11
Giovanni (discepolo di Paolo): 44, 271-273
Giovanni (superiore di un cenobio): 133, 282
Giovanni Cassiano: vedi Cassiano Giovanni Climaco: 32, 48, 93, 200, 296, 379 Giovanni Crisostomo: 80, 125, 131,
156, 174, 175, 183, 221, 250, 262,
267, 280, 349
Giovanni Damasceno: 173 Giovanni della Tebaide: 265, 266
174, 175, 221, 246, 276,
277, 279, 421, 436, 467
Giuliano l’Apostata: 176 Giuseppe: 117, 455, 471 Giuseppe (fratello di Poemen): 366, 377,380, 387, 400, 407, 428
Giuseppe di Panefisi: 26 (?), 28, 85 (?), 192, 213, 255-260, 294, 352, 354
Giuseppe di Pelusio: 286 Giuseppe di Tebe: 92, 275, 444 Giustiniano (imperatore): 292 Giustino: 459 Gregorio XI: 227 Gregorio di Nazianzo (o: il Teolo-
go): 12, 125, 142, 156-157, 187,
203, 383 Gregorio di Nissa: 125
Indice dei nomi delle persone Gregorio Magno: 239 Guillaumont: 345 Guy J.C.: 11, 30, 34, 45, 46, 51, 72, 73, 76, 93, 94, 141, 166, 190, 206, 218, 226, 227, 231, 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242, 244, 245, 246,
248, 296, 394, 401, 408, 415, 434, 462, 481,
249, 321, 395, 402, 409, 416, 456, 467, 482,
260, 328, 396, 403, 410, 417, 457, 468, 483,
261, 352, 397, 404, 411, 418, 458, 477, 484,
262, 353, 398, 405, 412, 419, 459, 478, 486,
264, 376, 399, 406, 413, 420, 460, 479, 499
278, 393, 400, 407, 414, 433, 461, 480,
2717 Innocenzo I: 221, 280 Iperechio: 22, 45, 51, 112, 133, 343, 489-490 Irene: 473
Isacco (?): 398, 406, 407, 415
(discepolo
di Motio):
340,
341 Isacco delle Celle: 137, 208, 232, 251-254, 278, 284, 334, 341, 414, 494 Isacco di Tebe: 26, 273-275, 311 Isaia di Gaza: 199 Isaia di Scete: 29, 37, 38, 41, 110, 126, 127, 129, 137, 199-202, 301,
314, 377, 429 Ischirione: 49, 53, 54, 278 Isidoro di Pelusio: 249-251 Isidoro di Scete: 19, 45, 232, 246249, 266, 289, 321, 323, 324, 383, 420, 421, 431
Isidoro Presbitero: 266-268 Ivistione: 387
45,
197,
Jalqut Ha-makiri: 21 Kimchi: 21 Lanne: 143 Leonia (suor Francesca Teresa): 450 Longino:
52,
157,
194,
217,
292,
296-299, 335
Longino (conte): 501 Lot:
111,
150,
259,
292,
294-295
429,430 Lucio: 217, 292-294, 296, 464 Lutero: 41
Macario d'Alessandria (o: il Cittadi-
Ierace: 262, 284 Ilarione: 32, 38, 133, 174, 177, 276-
Isacco
517
198,
no): 44, 133, 272, 301, 312, 344, 345-348, 432, 498
Macario l’Egiziano 12, 61, 164, 231, 298, 345, 481,
14, 15, 20, 111, 112, 188, 197, 232, 246, 300-321, 346, 420, 495
37, 123, 204, 272, 323, 421,
(o: il Grande): 38, 44, 54, 56, 125, 147, 151, 208, 209, 227, 278, 279, 280, 326, 332, 341, 431, 432, 446,
Mani: 226 Marcellino: 16 Marco: 97, 99, 462
Marco (discepolo di Silvano): 193, 335-338, 344, 357, 425 Marco l’Egiziano: 344-345 Maria (madre di un auriga d’Alessandria): 176 Maria (moglie di Eucaristo): 182 Massimiano (imperatore): 78 Matoes: 12, 14, 22, 26, 33, 48, 164, 232, 331-335, 389, 432, 487
Matta el Meskin: 301 Meghezio: 341-342 Melania l’anziana: 188, 420, 499 Melania la giovane: 188, 491 Melizio di Licopoli: 460
>
2518
Indice dei nomi delle persone
Milesio: 338-339 Mios: 342-343 Mosè l’Etiope: 12, 19, 54, 83, 106, 107, 246, 272, 279, 301, 332, 346, 367, 369, 411, 422, 432, 451,
Paisio (fratello di Poemen): 55, 135, 22, 36, 37,51, 197, 198, 237, 312, 321-330, 371, 379, 402, 465
Motio: 206, 339-341 Mui: 474
Nabarnugi: vedi Pietro iberico Nau F.: 11, 135, 156, 194, 219, 247, 383, 397 Nestorio: 162 Netra: 357, 462
Nettario (patriarca di Costantinopoli): 187 Niceforo Callisto: 477 Niceta: 357-358 Nicone: 164, 356
369, 412, 414 Palladio: 130, 132, 154, 187, 190, 209, 246, 262, 266, 284, 301, 302, 322, 344, 345, 346, 420, 421, 426, 437, 468, 499
Pambone: 12, 27, 38, 55, 58, 65, 83, 92, 112, 133, 150, 220, 222, 246, 248, 251, 253, 254, 304, 384, 391, 408, 420-424, 425, 426, 427, 447,
461, 462, 465 Paolo: 43, 435
Paolo (discepolo di Antonio): 90 Paolo (discepolo di Or): 500 Paolo (superiore di Giovanni): 44, 271, 272
Paolo di Ferme: 209 Paolo Everghetinés: 200, 224, 473, 477
Nilo: 12, 46, 51, 190, 349-352; vedi
anche Evagrio Nisteroo: 31, 33, 255, 335, 352-354,
404 Nisteroo il Cenobita: 355-356
Olimpo: 362-363 Onorio (imperatore): 108 Or: 19, 48, 123, 237, 425, 456, 499503
Paolo il Cosmeta: 435 Paolo il Grande: 267, 436-437 Paolo il Semplice: 18, 20, 26, 51, 61, 262, 437-440, 477
Paris M. von: 94
Pascasio di Dumio: 150, 262, 298 Paschos P.B.: 71
Pelagio (diacono di Roma): 11 Perrone L.: 11 Piamun di Diolco: 469
Origene: 24, 34, 175, 189, 221, 280,
Piat R.P.: 450 Pietro (discepolo di Isaia): 199, 200
Orsisio: 19, 31, 37, 50, 51, 127, 363365, 499
Pietro (discepolo di Macario): 308 Pietro di Diu: 440 Pietro iberico (Nabarnugi): 193
Pacomio
Pietro Pionita: 35, 111, 294, 429-431
294, 376, 415
di Tabennesi:
15, 39, 58,
147, 157, 158, 163, 347, 486, 498
Pafnuzio di Scete: 51, 166, 192, 246, 2/2, 273, 279, 301, 314, 318, 334,
416, 420, 431-435 Pafnuzio Kefala: 89, 432 Paisia: 242 Paisio (?): 282, 367, 388, 450
Pior: 133, 393, 402, 426-428
Pirone: 321 Pistamone: 429 Pisto: 12, 297, 425-426, 500
Pitiroun: 388, 428 Poemen: 12, 14, 17, 18, 19, 22, 23, 24, 26, 27, 31, 32, 33, 34, 35, 36,
519
Indice dei nomi delle persone 38, 44, 45, 48, 49, 56, 57, 58, 59, 61, 94, 100, 108, 110, 133, 135, 136, 137, 197, 198, 219, 232, 247, 249, 255, 257, 290, 298, 313, 323, 355, 361, 366-420, 433, 435, 444, 447, 466, 467, 476, 482, Psentaisio: 58, 498
51, 52, 53, 95, 62, 63, 82, 83, 123, 129, 132, 139, 150, 172, 234, 237, 244, 263, 275, 278, 327, 328, 342, 421, 427, 428, 453, 459, 465, 487, 488, 500
Sincletica: 12, 21, 22, 31, 33, 38, 51, 52, 96, 133, 444, 476-485 Sisoes: 19, 28, 33, 49, 51, 53, 55, 56,
57, 58, 92, 110, 151, 258, 278, 301, 307, 342, 359, 393, 394, 416, 424, 425, 426, 429, 434, 446-462,
486, 499, 500, 501 Sisoes il Tebano: 40, 55, 60, 446, 457, 458, 461 Socrate (storico della Chiesa): 80, 188, 345, 420, 472
Pseudo-Atanasio: 477 Psoio: vedi Bishoi Psoio (discepolo di Pacomio): 498
Sopatro: 466-467
Regnault L.: 11
Spiridione: 472-474 Sulpicio Severo: 229
Romano: 445
Romeo: 92, 441-443; vedi anche Arsenio Rufino di Aquileia: 136, 150, 221, 246, 263, 275, 278, 279, 346, 366, 367, 426, 428, 437, 472 Rufo: 443-445 Saba: 43, 93, 157, 166, 205, 206, 301
Saiò: 474 Sarmata: 467-468 Sarra: 12, 52, 434, 435, 474-476 Scolastica: 239
Serapide: 175, 176 Serapione: 39, 148, 279, 468-471
Serapione di Arsenoe: 468 Serapione di Sindonia: 468 Serapione di Thmuis: 467, 468 Seridos: 111, 276, 350, 367 Serino: 471-472 Silvano: 33, 37, 193, 194, 197, 293, 335, 336, 337, 338, 357, 424, 434, 462-465
Sores: 340 Sozomeno: 437,472
187, 188, 289, 322, 426,
Suro: 498
Taide: 469 Teodora: 12, 53, 220, 224-228, 309, 481
Teodoro 501 Teodoro Teodoro Teodoro
(compagno di Or): 48, 500,
di Eleuteropoli: 218 di Ennaton: 164, 217, 292 di Ferme: 42, 53, 57, 102,
, 1 5 2 , 9 , 1 6 2 1 2 8 0 2 , 4 6 1 , 0 5 1 , 3 0 1 252, 263, 294, 311, 334, 424
Teodoro Teodoro Teodoro Teodosio
di Scete: 218 il Grande (imperatore): 108 Studita: 94 II: 131, 162
Teodosio (imperatore): 92 Teodosio (seguace di Dioscuro
di
Alessandria): 157, 161, 162, 163 Teodoto: 218-219 Teofilo di Alessandria: 20, 51, 96, 101, 102, 171, 175, 176, 190, 220224, 225, 237, 247, 248, 252, 262, 267, 420, 432
Silvano del Monte Athos: 412, 450 Simeone Stilita: 158, 159, 160
Teognio: 491
Simone: 405, 466
Teona: 212, 219-220, 397, 408
220
Indice dei nomi delle persone
Teopempto: 305, 306 Teresa di Gesù Bambino (santa): 82, 332, 336, 402, 412, 450
Tillemont L.S. Le Nain de: 148, 208, 220, 267, 489
Vitimio: 125, 126, 127, 315, 409 Xanthia: 22, 32, 42, 51, 52, 360-361,
383, 453 Xoio: 20, 22, 38, 56, 359-360
Timoteo (anacoreta): 390
Timoteo (arcivescovo): 105 Timoteo (cosmeta): 435
Timoteo (presbitero): 62, 487-488 Titoes: 238, 297, 446, 486-487
Vacato di Nicopoli: 158, 159 Valente: 420 Valeriano (imperatore): 436
Zaccaria (discepolo di Silvano): 193, 335, 462, 463, 464, 465
Zaccaria (figlio di Carione): 92, 192, 197-198, 246, 287, 288, 289, 321
Zaccaria (vescovo di Saha): 230 Zenone: 28, 51, 164, 193-196, 298, 335, 462 Zoilo: 21, 103, 109
INDICE DEI NOMI DELLE LOCALITÀ
Alessandria: 131, 145, 176, 183, 247, 248, 297,308, 460, 468,
78, 154, 188, 262, 343, 476
100, 161, 189, 266, 346,
103, 170, 220, 276, 392,
105, 171, 222, 277, 420,
130, 175, 224, 292, 423,
Alto Egitto: 147
Berito: 160
Besandùk: 174 Betania: 55, 58 Betlemme: 55, 279
Calamon: 446, 457, 458, 460 Calcedonia: 157, 161, 199, 217, 292,
Celle: 154, 221, 363,
Arianzo: 156 Arsenoe: 294, 429, 457, 460 Asia Minore: 78, 293, 441 Assouan: 132 Atene: 244 Athlibis: 394
Basso Egitto: 435 Belgio: 143 Bellefontaine: 120, 200 Belos: 342
Cairo: 93, 130
Canopo di Alessandria: 93, 101, 109 Cappadocia: 146, 205
Apa Hieronicos: 292 Apeliote: 278 Arabia d’Egitto: 269
Baramùs: 301
Bolsena: 170
293, 491
Amwàs: vedi Emmaus Antiochia: 111, 159
Babilonia: 108, 167, 226 Bahnasa (o: El-Bahnasa): vedi Ossirinco
Bisanzio: 93 Bitinia: 131
121, 183, 253, 429,
127, 186, 254, 430,
130, 131, 137, 142, 187, 188, 192, 209, 333, 346, 351, 362, 491
Cenobio della Grotta: vedi Laura di san Saba Cesarea: 146
Chévetogne: 143 Cilicia: 292 Cipro: 174, 175, 176, 177, 473
141, 229;
Clisma: 230, 425, 446, 447, 455, 461,
487; vedi anche Suez Corfù: 472 Corsica: 472 Costantinopoli: 90, 92, 94, 156, 159,
160, 161, 162, 175, 187, 193, 262,
267, 280, 292, anche Bisanzio Costanza: 174
349,
472;
vedi
Crisoroa: 149
Damanhur: vedi Hermopolis parva
522
Indice dei nomi delle località
Deir-el-Balah: 276 Diolco: 279, 390 Dobrondja: 279
Hermopolis parva: 171 Hersek: vedi Elenopoli
Dumio: 150
Ibora: 187 Ikoston: 217 Israele: 389
Edessa: 179 Efeso: 162, 180, 199
Egitto: 17, 22, 36, 37, 40, 47, 78, 81, 93, 170, 203, 267, 281,
103, 171, 206, 269, 288,
127, 174, 207, 276, 292,
132, 182, 252, 278, 302,
131, 178, 237, 277, 300,
146, 188, 265, 279, 303,
161, 199, 266, 280, 310,
311, 313, 325, 326, 330, 336, 349, 369, 370, 373, 379, 391, 423, 433,
Kefr She'’arta: 194 Khashm el Qaoud: 209 Laodicea: 472 Laura di san Saba: 205 Lico: 132
Licopoli: 132 Lykos: 150
460, 464, 469, 487, 491
El-Bahnasa: vedi Ossirinco
Magdolo: 333
Elenopoli: 131 Eleuteropoli: 174, 199, 218
Mar Rosso: 78, 243
El-Farma: vedi Pelusio
Medio Oriente: 78, 441 Menfi: 109 Mesopotamia: 179 Monte Athos: 412, 450 Monte degli Ulivi: 132, 188, 491 Monte di S. Antonio: 78
Marsiglia: 280
Emmaus: 157, 159 FEnnaton: 183, 217, 292, 293, 296 Eracla: 340
Eraclea: 259 Faiyùm: 141, 294, 446 Faran: 103, 168, 356, 357 Fenicia: 284 Ferme: 208, 209, 215 Francia: 150, 200
Napoli: 472 Nazianzo: 156
Neocesarea di Palestina: 420 Nicea: 78, 131, 392, 472
Nicopoli: vedi Emmaus Galazia: 130 Gaza: 174, 193, 194, 199, 218, 276, 302, 322, 353, 367, 447
Gerara: 193, 197 Gerusalemme: 56,
Nilo: 78, 110, 249, 474
135,
141,
149,
219,
Nilopoli: 452 Nisibi: 179
157,
162,
163,
174, 188, 193, 218, 279, 305, 491,
494 Getsemani: 491 Giuda (deserto di): 205, 206 Grande Laura: vedi Laura Saba
Nitria: 90, 127, 130, 131, 154, 171, 186, 188, 193, 221, 262, 266, 278, 280, 284, 304, 319, 420, 424, 426,
496, 499 di san
Occidente: 197, 200, 224, 323, 472 Oktokedekaton: 217, 224
523
Indice dei nomi delle località Oriente: 124, 161, 224, 323, 398, 472 Ossirinco: 141
247, 248, 253, 257, 278, 279, 288, 239, 290, 300, 301, 304, 307, 310,
311, 312, 314, 315, 318, 319, 321, Palestina: 93, 131, 146, 157, 160, 161, 166, 168, 174, 176, 196, 199, 200, 205, 206, 218, 276, 277, 279, 281, 301, 462 Panefisi: 184, 219, 255, 256, 272, 275, 279, 352, 496 Parigi: 71, 72 Pelusio: 144, 201, 249, 375, 474, Pempton: 217 Persia: 338 Petra: 103, 105, 165, 313, 327, 458 Pispir: 78, 120, 275, 284, 366, 446 Ponto: 187, 189 Porfiriti: 262
Raito: 455 Roccia Roma: 267, Russia:
159, 193, 221,
297,
475
328, 428,
264, 331, 333, 354, 429, 431,
di S. Macario: 301 92, 98, 101, 170, 188, 221, 280, 346, 441, 442, 468, 469 124
Saha: 230 Salamina: 174 Scete: 37, 54, 55, 86, 93, 97, 98, 101, 105, 106, 108, 110, 115, 120, 121,
126, 127, 130, 131, 134, 135, 137, 138, 166, 198, 214, 236,
139, 168, 199, 215, 238,
142, 188, 203, 222, 239,
143, 192, 208, 229, 241,
147, 193, 209, 230, 242,
151, 195, 210, 231, 245,
154, 197, 211, 232, 246,
323, 324, 325, 326, 327, 332, 336,
337, 343, 344, 346, 347, 360, 362, 366, 420, 433, 474,
367, 422, 434, 476,
370, 426, 435, 491,
383, 427, 441, 493,
411, 429, 446, 496,
414, 418, 431, 432, 456, 462, 499
Scizia: 279 Sinai: 78, 93, 168, 193, 286, 337, 342, 349, 356, 357, 359, 462, 463 Siria: 93, 161, 193, 195, 292, 338, 415
Solesmes: 200 Suez: 219, 230, 331, 487; vedi anche Clisma Tabennesi: 146, 147, 486, 498 Tanis: 219, 279 Tarnut: vedi Terenuti Tebaide: 100, 110, 128, 144, 157, 197, 231, 257, 288, 336, 359, 434, 435, 460
Tebe: 449 Terenuti: 135, 310, 360, 367 Terra Santa: vedi Palestina Thawata: 276 Thmuis: 190, 255 Tiro: 18, 189 Tor: vedi Raito Trimitunte: 473 Tura: 93, 105, 108, 109, 110
Valle del Salnitro Natrùn): 300 Venezia: 200, 472
(=
Wadi
en
ELENCO DEI PRINCIPALI TERMINI TECNICI*
Anacoreta: 147
Filosofia: 188, 250 Follia: 123-124 Fuori: vedi dentro
Apoftegma: 11 Apsifiston: 426
Guadagnare (il fratello): 168
Accidia: 81, 407
Agape: 107
Atleta (vedi anche lottatore): 218 Isichia, esicasta: 205
Cenobio: 147 Certezza: vedi pliroforia Compunzione (vedi anche lutto): 402 Custodia: 37, 114, 405 Dentro, fuori: 96
Laura: 205
Liturgia: vedi sinassi Lottatore (vedi anche atleta): 97 Lutto (vedi anche compunzione): 379, 382, 430
Detto: vedi apoftegma Diaconico: 161 Dimenticanza: 383 Dioratico: 132, 149 Discernimento: 112, 367, 378, 385
Fremita: vedi anacoreta Esicasta: vedi isichia
Meditazione: vedi meleti Meleti: 24, 127 Memoria: 219-220, 318, 383, 483
Misura (perfezione): 140 Misurare (se stessi; vedi anche apsifiston): 381-382, 391
Estraneità (straniero): 296-297, 426,
Monastero (vedi laura): 206
anche
cenobio
486 Etiope: 206
Opera di Dio: 434-435
Fanciullo-anziano: 197, 302
Parrisia: 111-112, 424-425, 450
*Inumeri rimandano al testo o alla nota più diffusa di spiegazione del termine o a qualche luogo particolarmente significativo per illustrare il valore dell’espressione.
e
Elenco dei principali termini tecnici Pensiero: 116, 164, 258, 290
525
Servitore: 95
Perfezione: vedi misura
Sfrontatezza: vedi parrisia
Pliroforia: 65, 150, 418 Pneumatoforo: 89
Sinassi: 100 Straniero: vedi estraneità
Precetto: 38, 294, 45/
Tedio (noia, sconforto): vedi accidia
Raccoglimento (solitudine, quiete, unione con Dio): vedi isichia Rinuncia: 86-87 Rivelazione sicura: vedi pliroforia
Tentazione: vedi pensiero Vigilanza: vedi custodia Visioni: vedi dioratico
APOFTEGMI NOMINATIVI DELLA RACCOLTA ALFABETICA GRECA PRESENTI NELLA SERIE SISTEMATICA LATINA P}] Riportiamo qui sotto l'indice della serie latina e l'indicazione dei detti nominativi della raccolta alfabetica ivi contenuti. Questo elenco viene così a costituire una specie di indice sistematico, parziale ma prezioso, dei temi principali del presente volume.
Cap. I - Il progresso spirituale secondo i Padri 1= 2 = 3 = 4 =
Antonio 3 Antonio 6 Gregorio 1 Evagrio 6
6 = Zaccaria 1
7 = Teodoro di Ferme 5 8 = Giovanni Nano 34
9 = Giuseppe di Tebe 10 = Cassiano 5 11 = Nisteroo 2
12 13 14 15 16 17
= = = = = =
Poemen 35 Poemen 53 Poemen 60 Poemen 66 Pambone 8 Sisoes 43
18 = Chomè 19 = Euprepio 5 20 = Euprepio 6 23 = Matoes 11
Cap. II - La quiete in Dio 1= 2= 3= 4= 5 = 6 = 7 =
Antonio Antonio Arsenio Arsenio Arsenio Arsenio Arsenio
10 11 1e2 7e8 25 21 28
8 = Evagrio 2 9 = Mosè 6 10 = Mosè 7
11= Nilo 9 12a = Poemen 43 12b = Poemen 59 13 = Sisoes 3
Cap. III - La compunzione 1 = Arsenio 4la
2= Ammone 1 3 = Evagrio 1 4=Elial
5 = Teofilo 5 6 = Giovanni Nano 9 7 = Giacomo 3 8 = Macario 12
321
Apoftegmi presenti in P] 9 10 11 12 13
= = = = =
Macario Poemen Poemen Poemen Poemen
34 26 72 39 50
14 = Pambone 4 15 = Silvano 2 16 = Sincletica 1 18 = Felice 19=Or1
Cap. IV - Il dominio di sé 1 2 3 4 5 6
= = = = = =
Antonio Arsenio Arsenio Arsenio Arsenio Arsenio
18 14 15 17 18 19
7 = Agatone 15 8 = Agatone 11 9 = Achilla 4 10 = Achilla 3 11 = Ammoes 3 12 = Beniamino 2 13 = Dioscuro 1
15 = Epifanio 4 16 = Elladio 1 17 = Zenone 6
18 = Teodoto 1 19 = Giovanni Nano 3 20 = Giovanni Nano 5 21 = Isacco 4
22 = Isidoro 2 23 = Isidoro 3 24 = Cassiano 3 26 = Macario 10 27 = Macario 16
28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39
= = = = = = = = = = = =
Macario 17 Poemen 16 Poemen 17 Poemen 19 Poemen 57 Poemen 76 Pior 2 Pietro Pionita 1 Sisoes 8 Sisoes 2 Sisoes 4 Sisoes 5
40 = Silvano 1 41 = Sincletica 2
42 43 44 45 46 49 51 52 55
= = = = = = = = =
Sincletica Sincletica Titoes 2 Iperechio Iperechio Iperechio Iperechio Iperechio Isidoro 8
3 4 1 2 3 4 5
63 = Teofilo 3
Cap. V - La fornicazione 1 = 2 = 5-6 7 =
Antonio 22 Geronzio = Ciro 1 Matoes 8
8 = Poemen 14 9 = Poemen 62 10=Sarra 1 11=Sarra2
528
Apoftegmi presenti in P]
Cap. VI - Il monaco non deve possedere nulla 1 = Antonio 20 2 = Arsenio 29 3 = Arsenio 20
9 = Isacco 7 10 = Cassiano 7 11 = Pistamone
4 = Agatone 6
12 = Serapione 2
6 = Teodoro di Ferme 1
13 = Sincletica 5
7 = Giovanni il persiano 2 8 = Isacco delle Celle 8
14 = Iperechio 6 15 = Filagrio
Cap. VII - La pazienza e la forza 1= Antonio 1
11 = Matoes 1
2 = Agatone 13
12 = Matoes 2
3 4 5 6 7
13 14 15 16 17
= = = = =
Ammone 3 Bessarione Teodoro di Teodoro di Teodoro di
6
Ferme 2 F. 24 Ennaton 2
8 = Giovanni Nano 13 9 = Macario 4 10 = Macario 12
= = = = =
Poemen 13 Poemen 44 Sincletica 6 Sincletica 7 Sincletica 8
18 = Sincletica 9 19 = Sarra 3 27 = Arsenio 11
Cap. VIII - Non fare nulla per essere visti 1= Antonio 14 2 = Antonio 15 3 = Arsenio 31
10 = Mosè 8 11= Motio 1 12 = Nisteroo 1
4 = Eulogio
13 = Poemen 5
5 = Zenone 1
14 = Poemen 63 e 56
6 = 7= 8= 9 =
15 16 17 18
Teodoro di Ferme 3 Teodoro di F. 7 Teodoro diF.9 Serapione 4
= = = =
Sisoes 15 Sisoes 17 Simone 1 Simone 2
Cap. IX - Non bisogna giudicare nessuno
1 = Antonio 21
5 = Giuseppe di Panefisi 2
2 = Bessarione 7
6 = Poemen 64
3 = Isacco di Tebe 1
7 = Poemen 6
4 = Mosè 2
9 = Pior3
Apoftegmi presenti in P]
Cap. X - Il discernimento 1 = 2a = 2b = 3 = 4= 5 = 6 = 7 =
Antonio Antonio Antonio Antonio Antonio Arsenio Arsenio Arsenio
8 12 13 16 23 5 12 22
8 = Agatone 1 9 = Arsenio 39 10 = Agatone 5 1la = Agatone 8 11b = Agatone 10 12 = Agatone 14 13 = Agatone 19 14= Achilla 1 15 = Abramo 1 16 = Ammone 4
17 18 19 21
= = = =
Daniele 4 Daniele 6 Euprepio 7 Efrem 3
22 = Zenone 4
23 24 25 26 27 28
= = = = = =
Teodoro Teodoro Teodoro Teodoro Giovanni Giovanni
di Ferme 4 di F. 10 di F. 8 di F. 16 Nano 2 Nano 7
29 = Giuseppe di Panefisi 3 30 = Giuseppe di Pan. 5 31 = Giuseppe di Pan. 4 32 = Isacco 5
33 = Longino 1 34 = Macario 36 35 = Matoes 4
36 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 62 63 64 65 68 69
= = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = = =
Netra Poemen 3 Poemen 8 Poemen 12 Poemen 15 Poemen 20 Poemen 21 Poemen 31 Poemen 18 Poemen 22 Poemen 118 Poemen 23 Poemen 24 Poemen 25 Poemen 27 Poemen 29 Poemen 177 Poemen 91 Poemen 28 Poemen 33 Poemen 40 Poemen 45 Poemen 52 Poemen 54 Poemen 67 Mosè 12 Poemen 168 Pambone 2 Sisoes 6 Silvano 5
70 = Sincletica 10 72 = Sincletica 15 73 = Sarra 4 74 = Sarra 5 76 = Romeo 1
529
Apoftegmi presenti in P]
530 Cap. XI - La vigilanza laeb= Arsenio9e 10
2 = Agatone 2 e 29b 3 = 4= 5 = 6 = 7 = 8 = 9 =
Ammoes 1 Ammoes2 Alonio 1 Alonio 3 Bessarione 11 Daniele 5 Evagrio 3
17 = Isidoro 4
18 = Cassiano 6 19= 20 = 21 = 22 = 23 = 26 = 27 =
Poemen 1 Ammonio il Nitriota 2 Poemen 165 Poemen 32 Poemen 65 Pietro Pionita 2 Titoes 3
10 = Evagrio 4 11 = Teodoro di Ennaton 3
28 = Silvano 4 29 = Silvano 11
12= Teona 13 = Giovanni Nano 10
30 = Silvano 6 31 = Serapione 3
14 = Giovanni Nano 11
35 = Iperechio 7
15 = Giovanni Nano 18
37 = Orsisio 2
16 = Giovanni Nano 20
Cap. XII - Bisogna pregare continuamente e con vigilanza
1 = Arsenio 30 2= 3 = 6 = 7 =
Agatone9 Bessarione 4 Epifanio 3 Isaia 7
8 = Giuseppe di Panefisi 7 9 = Lucio 10 = Macario 19 11 = Titoes 1
Cap. XIII - Bisogna praticare con gioia l'ospitalità e la misericordia 1 = Giuseppe di Panefisi 1 4= Mosè 5 2 = Cassiano 1 3 = Cassiano 3
5 = Poemen 58 6 = Poemen 51
Cap. XIV - L’obbedienza
1 = 2= 3 = 4 = 5 =
Arsenio 24 Ares Giovanni Nano 1 Giovanni il discepolo di Paolo Marco 1
6 = Marco 3
7 8 9 10 11
= = = = =
Pambone Sisoes 10 Sincletica Sincletica Iperechio
19 = Rufo 2
3 16 17 8
Apoftegmi presenti in P]
531
Cap. XV - L’umiltà 1= Antonio 2 2 = Antonio 4 3 = Antonio 7 4 = Antonio 17 5 = Arsenio 3 6 = Arsenio 4 7 = Arsenio 6 8 = Arsenio 16 9a = Arsenio 32 9b = Arsenio 40 e 41b 10 = Arsenio 42 11=Anub1 12 = Ammone 9
26 27 28 29
13 = Aphu
41 = Poemen 105
14 16 17 18 19 20 21 22 23
42 = Teofilo 2 43 = Pisto 44 = Sisoes 9
= = = = = = = = =
Daniele 3 Carione 1 Zaccaria 3 Zaccaria 5 Teofilo 1 Teodoro di Ferme 6 Teodoro di F. 25 Giovanni Nano 22 Giovanni delle Celle 2
= = = =
Macario 11 Matoes 9 Matoes 2 Mosè 4
30 = Nisteroo il cenobita 2 31 32 34 35 36 38
= = = = = =
Mios2 Poemen Poemen Poemen Poemen Poemen
49 36 71 41 167
39 = Poemen 55 40 = Poemen 61
45 = Sisoes 11 46 = Sisoes 16 47 = Sisoes 13 50 = Sincletica 11 51 = Orsisio 1 54=Or11
24 = Coprio 3
55 = Or 13
25 = Macario 1
56= Or 10
Cap. XVI - La sopportazione 1 2 3 4 5
= = = = =
Gelasio 1 Évagrio 7 Giovanni Nano 8 Giovanni di Tebe Isidoro 1
7 8 9 10 17
= = = = =
Mosè 3 Poemen 2 Poemen 37 Sisoes 1 Romeo 2
6 = Macario 18
Cap. XVII - La carità 1 = Antonio 32
2 = Antonio 9
532
Apoftegmi presenti in P]
3 = Ammonio di Nitria 1 4 = Ilarione 5 = Arsenio 13
8 = Poemen 4 10 = Poemen 116 11 = Pambone 7
6 = Agatone 4
12 = Pafnuzio 2
7 = Giovanni Nano 17
23 = Poemen 70a
Cap. XVIII - Anziani dotati del dono di vedere le realtà spirituali 1 = Arsenio 27 2 = Arsenio 33
12= Mosè 1 13 = Mosè 9
3 = Daniele 7
14 = Mosè 10
4 = Daniele 8 5=Efrem1 6= Efrem2 7= Zenone 5
15 16 17 18
8 = Giovanni Nano 14
20 = Paolo il Semplice
9 = Macario 3 10 = Macario 6 11 = Macario 5
= = = =
Marco 5 Poemen 183 Poemen 30 Poemen 34
21 = Silvano 3 22 = Sincletica 18 34 = Ischirione
Cap. XIX - I santi anziani che facevano miracoli 1 = Bessarione 1
8 = Macario 7
2 = Bessarione 2
9 = Milesio 1
3 4 5 6 7
= = = = =
Bessarione 3 Bessarione 5 Elia 2 Macario 15 Macario 15
10 11 13 14 16
= = = = =
Poemen 7 Paolo Sisoes 18 Sisoes 12 Xanthia 2
Cap. XX - La vita straordinaria di alcuni anziani 1 2 3 4
= = = =
Bessarione 4b Macario 33 Eucaristo Macario 2
5 = Sisoes 7
6a = Sisoes 24 6b = Sisoes 14 7=0r2 8=Or3 16 = Macario 38
INDICE GENERALE
Elenco delle principali sigle e abbreviazioni biblio5
pag.
grafiche .
INTRODUZIONE Premessa . La Sacra Scrittura nei detti dei padri del deserto 1. La memorizzazione della Scrittura . 2. Citazioni, allusioni, risonanze bibliche . 3. La fede nella Scrittura. .. 4. Ermeneutica ed esegesi 5. Rapporto tra il Vecchio e il Nuovo Testamento 6. Categorie bibliche e sintesi teologiche Parola di Dio e parola dell’anziano.
» » » » » » » » » »
11 11 14 14 17 23 29 38 41 59
Nota editoriale
»
71
Prologo al libro delle parole degli anziani
»
75
VITA E DETTI DEI PADRI DEL DESERTO
A
Ammone, (o Ammonas) 120
Achille (o Achilla), 125 Antonio il Grande, 77 Arsenio, 92 Agatone, 110
Amoe, 128 Ammonio (o Amun) il Nitriota, 130 Anub, 135
534
Indice generale
Abramo, 137 Ares, 138 Alonio, 139
Aphù, vescovo di Ossirinco, 141 Apollo, 141 Andrea, 143
Aiò, 144
Z Zenone, 193
Zaccaria, 197
H
Ammonata, 144
B
Basilio, 146 Bessarione, 147 Beniamino, 154
Biarè, 155
T
Gregorio il Teologo, 156
Isaia di Scete, 199 Elia, 203 Eraclio, 206
O
Teodoro Teodoro Teodoro Teodoro Teodoto,
di Ferme, 208 di Ennaton, 217 di Scete, 218 di Eleuteropoli, 218 218
Teona, 219
Gelasio, 157 Geronzio, 165
Teofilo arcivescovo, 220 La madre Teodora, 224
A
I
Daniele, 166 Dioscuro, 171 Dula, 173
Giovanni Nano, 229 Giovanni il Cenobita, 246 Isidoro di Scete, 246 Isidoro di Pelusio, 249
E
Isacco, presbitero delle Celle, 251 Giuseppe di Panefisi, 255
Epifanio, vescovo di Cipro, 174 Efrem, 179 Eucaristo, secolare, 182 Eulogio, presbitero, 183
Giacomo, 260 Ierace, 262 Giovanni l’Eunuco, 263 Giovanni di Cilicia, 264 Giovanni delle Celle, 265
Euprepio, 185 Elladio, 186 Evagrio, 187
Giovanni della Tebaide, 266 Isidoro Presbitero, 266 Giovanni il Persiano, 269
Eudemone, 192
Giovanni di Tebe, 271
Indice generale Nisteroo, 352
Giovanni discepolo del padre Paolo, 271 Isacco di Tebe, 273
Giuseppe di Tebe, 275 Ilarione, 276 Ischirione, 278
Nisteroo il Cenobita, 355 Nicone, 356
—
Netra, 357 Niceta, 357
Lu) nd bn
K
Xoio, 359
Cassiano, 279 Cronio, 284 Carione, 287
Xanthia, 360
Coprio, 289
O
Ciro, 290
Olimpio, 362 Orsisio, 363 A
Lucio, 292 Lot, 294
II
Longino, 296
Poemen, 366
Pambone, 420 M
Pisto, 425 Pior, 426 Pitiroun, 428
Macario l’Egiziano, 300
Pistamone, 429
Mosè, 321
Pietro Pionita, 429
Matoes, 331
Pafnuzio, 431
Marco discepolo di Silvano, 335
Paolo, 435
Milesio, 338 Motio, 339
Paolo il Cosmeta, 435 Paolo il Grande, 436
Meghezio, 341
Paolo il Semplice, 437
Mios, 342
Pietro di Diu, 440
Marco l’Egiziano, 344 Macario il Cittadino, 345 P
N
Romeo, 441 Rufo, 443
Nilo, 349
Romano, 445
93)
536
Indice generale
x
D
Sisoes, 446
Foca, 491
Silvano, 462
Felice, 494
Simone, 466
Filagrio, 494
Soprato, 466
Forta, 495
Sarmata, 467
Serapione, 468 Serino, 471 Spiridione, 472
x
Saiò, 474
Chomai, 496
Sarra, 474
Cheremone, 496
T
w
Titoes, 486 Timoteo, 487
Psentaisio, 498
Y
O)
Iperechio, 489
Or, 499
Sincletica, 476
INDICI
Indice scritturistico .
pag. 507
»
514
Indice dei nomi delle località.
»
521
Elenco dei principali termini tecnici .
»
524
Apoftegmi nominativi della raccolta alfabetica greca presenti nella serie sistematica latina P]
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Indice dei nomi delle persone
Il Librò delle parole degli anziani rappresenta un clas-
sico della spiritualità cristiana e un documento stori-
co del monachesimo sviluppatosi nel deserto egiziano fin dai primi secoli del cristianesimo. L’anonimo com-
pilatore del V secolo raccolse in modo organico gli apoftegmi circolanti al suo tempo in due serie, di cui
la-priacipale è quella alfabetica (A/phabeticon), qui presentata in pregevole traduzione italiana.
Il modo di vita e gli insegnamenti dei primi anacoreti
mostrano quanto essi fossero legati all’intera tradizione della spiritualità, alla quale diedero un contributo pro-
prio e peculiare di grande novità e originalità.
ISBN 88-311-140b-9
Il