Ur dei Caldei. I misteri di un'antica cittá della Mesopotamia
 9788868011154

Table of contents :
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Citation preview

Il celebre archeologo Sir Leonard Woolley racconta le attività di scavo che portarono alla luce le rovine dell'antica città della Mesopotamia, Ur dei Caldei, dalle sabbie del deserto. Iniziato nel1922, il suo lavoro segnò il ritrovamento di numerosi reperti di valore, tra cui lo Stendardo di Ur, la tomba intatta della regina Puabi e centinaia di documenti scritti. Dodici anni di scavi che fecero riaffiorare, oltre a tombe e templi, uno strato di argilla alluvionale, che Woolley interpretò come prova all'origine del mito del diluvio sumerico, ripreso dalla Torah e dalla Bibbia. Ed è proprio attraverso il confronto con la Bibbia che gli episodi dell'Antico Testamento sembrano trovare, attraverso gli scavi di Ur, un preciso fondamento storico. Una pagina appassionante di archeologia scritta da uno dei suoi principali pionieri.

Leonard Woolley (1880-1960), è stato un archeologo inglese, noto per i suoi scavi a Ur e a Karkemish. Consider:ato uno dei primi archeologi moderni, nel1935 è stato insignito del titolo di cavaliere per i suoi contributi all'archeologia.

Edizioni Ghibli

20,00 euro

9

LEONARD WooLLEY

UR DEl CALDEI l misteri di un'antica città

della Mesopotamia

� p-·� G H l B L l

Titolo originale dell'opera: Excavations at Ur.

© 2016

-

Edizioni Ghibli

via Mario Pichi, 3, 20143, Milano [email protected] www.edizionighibli.it ISBN: 9788868011154 Distribuzione: - Mimesis Edizioni (Milano - Udine) www.mimesisedizioni. it Via Monfalcone 17/19 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono +39 02 24861657 l 02 24416383 Fax: +39 02 89403935 E-mail: [email protected] L'editore ha effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli aventi titolo rispetto ai diritti dell'opera. Pertanto resta disponibile ad assolvere le proprie obbligazioni.

1.

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caprone nel bosco )) della tomba PG l 1237.

Indice

p. 15

23 44 61 105 127 141 185 220 243 281

lntroduzione L Il. III. IV. v. VI. VII. VIII. IX.

Gli inizi di Ur e il Diluvio I periodi Uruk e Jamdat Nasr La Necropoli Reale Al'Ubaid e la I dinastia di Ur L'età di mezzo La III dinastia di Ur I periodi Isin e Larsa I periodi cassita e assiro N abucodonosor II e gli ultimi giorni di U r Appendice. Le «liste dei Re » sumere

7

Indice delle figure fuori testo

frontespizio di fronte a p. 32 32

I.

Il

cc

caprone nel bosco» della tomba PG/r237·

2 - 3· Vasellame dipinto del periodo al'Ubaid. 4-6. Divinità femminili di creta del periodo al'Ubaid. IO.

Vasi del periodo Jamdat Nasr; sopra: due vasi d'argilla dipinta; sotto: vasi di alabastro e di diorite.

33

II.

Un muro del palazzo di Warka decorato con mosaici di coni colorati.

4B

12.

Bacile di steatite nella tradizione Jamdat Nasr. Cinghiale di steatite del periodo Jamdat Nasr.

33

7-

4B

13-

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14- La camera tombale del re A-bar-gi; si scorgono il tetto a volta e l'arco della porta.

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15- Bacile d'oro rinvenuto nella tomba della regina Shub-ad. L'elmo d'oro di Mes-kalam-dug.

64

r6.

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17- L'acconciatura della regina Shub-ad.

Bo

rB.

Br

1 9- Modellino d'argento di una barca a remi rinvenuto nella tomba del re A-bar-gi.

8r

20. Lira decorata rinvenuta nella tomba PG l 1237.

Boccale d'oro rinvenuto nella tomba della regina Shub-ad.

cc

Br

21.

Scacchiera intarsiata con le

g6

22.

Lo

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stendardo di Ur )) : la pace.

97

23- Lo

cc

stendardo di Ur )) : la guerra.

pedine )).

ll2

24- Impronta di sigillo del periodo di Sargon.

ll2

25. Tempio di Nin-kharsag costruito da A-anni-pad-da: le ro­

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26.

vine della piattaforma. Sigillo della III dinastia.

9

di

fronte

a

p.

I13

27. Impronta di sigillo del tipo Mohenjo-daro.

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28. Sigillo cilindrico di conchiglia rinvenuto nella tomba di un soldato, periodo della Necropoli Reale.

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29· Sigillo di pietra verde del periodo di Sargon.

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30. La statua acefala di Entemena, governatore di Lagash.

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31 - 32. La Ziggurat di Ur-Nammu vista di fronte e da tergo.

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33· Mausoleo di Bur-Sin; la scala che conduce alle camere tom­ bali.

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34·

176

35·

Mausoleo di Dungi; le scale viste dalla camera tombale sot­ tostante alla stanza 5· Cucchiaio d'avorio per il rito della libagione, rinvenuto nel livello di Nabucodonosor dell'E-nun-makh.

177

36. Mausoleo di Dungi; le tavole per le offerte nella stanza 5·

177

37· Un condotto di scarico ad anelli di terracotta.

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38. Scena dalla stele di Ur-Nammu.

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39· Colonna di mattoni crudi della III dinastia.

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40.

Teste sco! pite di diorite e marmo; periodo della III dina­ stia o di Larsa.

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41.

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42.

L'ingresso al numero 15 del Vicolo Paternoster: i gradini testimoniano del dislivello tra la strada e il pianterreno. Cortile centrale di una casa del periodo di Larsa. La porta in fondo conduce alla stanza degli ospiti.

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43 - 48.

>. Nel 1929 gli scavi al Cimitero Reale di Ur erano vicini alla con­ clusione. In base alle prove di cui ero allora in possesso, mi ero con­ vinto che il cimitero precedeva, ma di pochissimo, la I dinastia di Ur; i tesori rinvenuti nelle tombe testimoniavano di una civiltà straordi­ nariamente evoluta, e tanto piu necessario diventava perciò ricostruire passo passo il cammino che l'uomo aveva dovuto percorrere per rag­ giungere quell'alto livello artistico e culturale. Ciò significava, pre­ sumibilmente, che occorreva scavare a maggiore profondità ; ma giu­ dicai piu conveniente cominciare con un assaggio su scala ridotta, che poteva essere condotto con un dispendio minimo di tempo e de­ naro. Partendo perciò dal livello immediatamente sottostante a quello in cui avevamo trovato le tombe, aprimmo una piccola fossa, di ap­ pena un metro e mezzo di lato all'imboccatura, e procedemmo at­ traverso lo strato di frammenti che è tipico d'ogni sito archeologico­ un miscuglio di mattoni di fango decomposti, ceneri e cocci, assai si­ mile a quello in cui erano state scavate le tombe. Tale strato conti­ nuava per circa un metro e poi, di colpo, s'interrompeva : non c'erano piu cocci di stoviglie, non c'era piu cenere, ma solo fango pulito e ba­ gnato, e il lavorante arabo nel fondo della fossa mi annunciò di aver raggiunto il terreno vergine ; non c'era piu nulla da scoprire, disse qui stava perdendo del tempo. Scesi nella fossa, esaminai il terreno e riconobbi che aveva ra­ gione ; ma poi misurai i livelli e scoprii che « il suolo vergine » non si trovava alla profondità che mi sarei aspettato, giacché, secondo i miei calcoli, Ur, in origine, non era stata costruita su una collina ma su un basso tumulo appena piu alto dei circostanti acquitrini; e dato che non amo veder sconvolte le mie teorie se non da prove inconfu' C . . J. GADD in Th�

History and Monum> erano insolitamente fitte, quando notammo con stupore che una di esse, contenente una bara d'argilla, intersecava un grosso muro di mattoni crudi. Seguendo, in profondità, la fac87

ciata del muro, trovammo un gran numero di otri d'argilla, un vaso di alabastro e un rettangolo segnato da sottili strisce grige che rap­ presentavano una cassetta di legno. Raschiando via la terra dalla su­ perficie, scoprimmo nella cassa, una di fianco all'altra, due daghe con la lama d'oro e l'impugnatura ornata di borchie d'oro, e fra l'una e l'altra un sigillo cilindrico di conchiglia bianca recante l'iscrizione « Mes-kalam-dug il Re >> . Accanto alla cassetta c'era una bara di legno contenente il corpo di un uomo, ma gli oggetti che si accompagna­ vano alla salma non erano del tipo che ci si attenderebbe nel corredo di una persona di rango regale, e il muro non soltanto scendeva an­ cora nel suolo, ma col procedere del nostro scavo, si articolò via via fino a formare un ampio quadrato di cui la bara occupava umilmente un angolo ; fummo certi che non poteva ancora trattarsi della tomba del re. Sotto il pavimento di argilla battuta su cui era adagiata la bara ap­ parvero altri vasi di coccio, che formavano un vero e proprio strato uniforme delimitato dal muro, e qui, ma in un angolo diverso da quello in cui si trovava la bara, c'era una seconda salma d'uomo, con le sue armi e vasi di rame e di pietra. Rimosso questo pavimento d'ar­ gilla, vennero alla luce un altro strato di vasi e un'altra sepoltura, e piu sotto ancora strati di offerte alternati a strati di argilla battuta. Poi incontrammo terra vergine fino alla base del muro di mattoni crudi, e a questo livello apparve u n unico grande bacile d'argilla ca­ povolto, che nascondeva due o tre scodelle poste su un pezzo di stuoia - il pasto preparato per il dio del mondo dei defunti. Scendemmo ancora e all'improvviso apparvero dei blocchi di pie­ tra calcarea cementati con argilla verde e disposti ad arco ; pensammo che si trattasse della sommità di una volta di pietra, e vedendo che la curva formata dalle pietre si accentuava bruscamente sospettammo che qualche saccheggiatore avesse aperto una breccia nel tetto ; ma dopo un'altra mezz'ora di lavoro constatammo con gioia che la strut­ tura continuava e che ci trovavamo in presenza di una piccola cupola 88

assolutamente intatta. La scoperta fu particolarmente emozionante, perché la cima della cupola era sorretta, in origine, da robuste travi infilate tra pietra e pietra, le quali, deteriorandosi, avevano lasciato nel tetto una mezza dozzina di buchi attraverso i quali potemmo guardare nell'oscurità sottostante, e con l'aiuto delle torce elettriche , riuscimmo a distinguere sul pavimento le sagome di grandi vasi verdi, di rame, e a cogliere il luccichio di oggetti d'oro. Scendemmo fino al livello cui giungeva la sommità dei muri del sepolcro, e ai quattro angoli, sull'argilla compatta che riempiva lo spazio tra i muri della camera e le fiancate della fossa, trovammo ce­ neri di fuoco, vasi d'argilla in frantumi e ossa d'animali. Davanti alla porta del sepolcro erano adagiate le carcasse di tre pecore. Tirammo via le pietre che bloccavano la porta e nell'interno, sotto i resti delle travi putrefatte cadute dal soffitto, apparvero cinque corpi, quattro dei quali di uomini - servitori, a giudicare dal loro modesto abbi­ gliamento, mentre il quinto era di una donna; la quale aveva il dia­ dema d'oro caratteristico delle persone d'alto rango, un mantello chiuso da un lungo spillo ricurvo, d'oro, di cui non avevamo vai visto l'eguale, e teneva in mano un boccale d'oro scanalato e graffito, mentre al suo fianco c'era un sigillo cilindrico d'oro, il primo che avessimo mai tro­ vato : si trattava, evidentemente, della regina. Ora il rituale della sepoltura era finalmente chiaro. La salma reale con le persone del seguito, molte o poche, veniva deposta nella cripta ; poi la porta veniva murata e nel piccolo cortile di fronte all'ingresso veniva compiuto il sacrificio; infine tutto veniva riempito lasciando affiorare alla superficie solo la sommità della cupola. Attorno a que­ sta venivano allora accesi dei falò e cominciava una festa funebre, liba­ gioni al morto venivano versate in uno scarico d'argilla che scendeva nella terra accanto alla tomba, e poi altra terra veniva gettata nella fossa. Seguiva l'offerta dei cibi per gli dèi sotterranei, collocati sotto un recipiente d'argilla che li riparava dalla terra di copertura ; e poi, 89

nella fossa piena a metà, veniva eretto, con mattoni crudi, quello che sarebbe diventato un edificio sotterraneo. La copertura di questo edificio avveniva per gradi ; si cominciava col portare sul posto dell'argilla, che, dopo essere stata uniformemente battuta, diventava un compatto pavimento su cui venivano sparse delle offerte e adagiato il corpo di una vittima umana sacrificata durante questa seconda parte del funerale ; il tutto veniva ricoperto con uno strato di terra, cui seguiva un altro pavimento battuto, altre offerte e un'altra vittima in onore del monarca defunto, e questo si ripeteva per quasi tutta l'altezza dei muri ; poi una metà dell'edificio veniva ricoperta con una volta di mattoni crudi, e in questo sepolcro sussi­ diario veniva deposto il corpo di colui che possiamo supporre esser stato la vittima piu illustre, e qui il re Mes-kalam-dug dedicò alla re­ gina anonima le sue spade d'oro e il sigillo con il suo titolo. Poi anche questa camera veniva sepolta insieme al resto della fossa, e fuori terra veniva probabilmente eretta una specie di cappella funeraria che per­ petuasse la santità del luogo. A ciascuna fase di questa elaborata procedura doveva corrispon­ dere un rito religioso, e l'intera cerimonia doveva durare molto a lungo; molto probabilmente i particolari variavano a seconda dei casi, ma la scoperta della seconda tomba reale (sfortunatamente saccheg­ giata) sovrastata da strati di offerte esattamente corrispondenti a quelli testè descritti dimostra che non si tratta di un caso isolato ma del ri­ tuale consueto per la sepoltura di un re. Ora, non si era mai trovato in Mesopotamia nulla di simile a que­ ste tombe ; non esisteva alcun parallelo archeologico all'epoca, alla ric­ chezza, all'architettura e soprattutto al rituale di cui esse testimonia­ vano. Per di piu, la letteratura sumera non conteneva il minimo ac­ cenno al sacrificio umano come parte integrante di un funerale regale, e tale pratica sembrava estranea a tutte le tradizioni sumere note. Quando riportammo alla luce il cimitero io non dubitai che quelle tombe, cosf diverse dalle solite, fossero tombe di re, e pubblicando un 90

primo resoconto delle nostre scoperte espressi senza esitazione tale opi­ nione, !ungi dall'immaginare che avrebbe dato luogo a una lunga controversia. Tuttavia la mia interpretazione fu immediatamente con­ traddetta, e gli eruditi sono ancor oggi in disaccordo. Secondo la teoria opposta alla mia, le tombe sarebbero quelle delle vittime del Sacrificio della Fertiìità. Nella Sumeria dei tempi storici, la princi­ pale cerimonia religiosa dell'anno era destinata ad assicurare la ferti­ lità dei campi, del bestiame e dell'uomo; il grande dio patrono della città-stato veniva fatto scendere dal suo tempio affinché celebrasse le nozze con la dea ; almeno in teoria, il re rappresentava la parte del dio. Ora, nella mitologia di molti popoli il raccolto è strettamente col­ legato con la leggenda del dio che muore durante l'inverno e rinasce in primavera - Tammuz o Adone ne sono un esempio - e quindi il Sacrificio della Fertilità implica l a morte degli attori principali; na­ turalmente, se uno di essi è il re, questi non può essere sacrificato, e perciò sarà sostituito da qualcuno che per breve tempo gode del titolo e della condizione di re e poi deve scomparire. Le tombe di Ur sareb­ bero dunque le tombe di questi effimeri « re », sacrificati insieme alle loro non meno effimere corti per il bene del paese. Che non si trat­ tasse di re autentici è provato, si afferma, in primo luogo dall'assenza in tutti i testi sumeri in nostro possesso di ogni accenno al sacrificio umano in onore di re terreni, in secondo luogo dal fatto che i nomi trovati in queste tombe (come quelli graffiti sui sigilli cilindrici) non trovano riscontro nelle « liste dei Re » sumere. Alla teoria del Sacrificio della Fertilità si possono opporre, a mio avviso, valide obiezioni. È verissimo che nessun testo sumero parla di sacrifici umani in relazione alle sepolture reali, ma poiché non esiste un solo testo che descriva uno di questi funerali, l'argomento è privo di valore. D'altra parte, vi sono alcuni testi che descrivono i riti annuali della Fertilità, e che non contengono il minimo accenno a sacrifici umani, e da que­ sto silenzio è lecito concludere che nessun sacrificio del genere aveva 91

luogo. Se, come afferma la teoria, le tombe fossero destinate alla coppia prescelta per rappresentare le due divinità nel > è lecito credere che la tradizione sia antichissima e che nel concetto di regalità sia sempre stato insito un elemento divino. E se monarchi come A-kalam­ dug e Mes-kalam-dug erano al tempo stesso re e dèi il problema re­ lativo alle loro tombe viene meno. Dio non può morire, e la « morte >> di un dio-re è semplicemente il suo passaggio in un'altra sfera, dove egli continuerà a vivere mantenendo il proprio stato e dove perciò avrà bisogno della sua corte, del suo carro e delle sue guardie. Forse la parola « sacrificio >> è, in questo contesto, equivoca. Ho già fatto osservare che gli uomini e le donne del seguito trovati nei sepolcri e nei > non sembrano aver subito violenza alcuna, ma che probabilmente bevvero la droga già preparata per l'occasione e si addormentarono tranquillamente; e inoltre che essi non erano dotati neppure di quel minimo di suppellettili tombali - recipienti per il cibo e le bevande - che a giudicare dalle tombe private era in­ dispensabile al defunto. Essi non furono le vittime di un massacro brutale e spietato ; si direbbe che non erano neppure considerate come dei morituri ; al contrario, si apprestavano a continuare a servire il loro re e padrone in condizioni diverse, assicurandosi in tal modo, con ogni probabilità, nell 'altro mondo un'esistenza assai meno nebulosa e tetra di quella che le credenze sumere promettevano agli uomini morti normalmente. La carica di fede che rende possibile considerare la morte come la porta della vita non era sconosciuta nelle epoche primitive. Noi siamo sempre tentati di applicare ciò che sappiamo intorno ai periodi storici meglio conosciuti al passato che ignoriamo, ma non sempre tale sistema è prudente. I testi sumeri che rendono conto delle idee dei Sumeri sull'altro mondo tracciano, è vero, un quadro piut­ tosto deprimente : 94

La terra

è il loro cibo, il loro nutrimento creta,

Fantasmi, come pipistrelli, battono laggiu le ali; Sulla porta e sui pilastri la polvere si ammucchia indisturbata;

ma nessuno di questi testi è piu antico del 2000 a. C. Ora, al tempo della III dinastia (2100 a. C. circa) le usanze funebri degli abitanti di Ur subirono un mutamento profondo, e fra le altre cose l'arreda­ mento della tomba venne ridotto al minimo ; le tombe dei bene­ stanti di quel periodo e dell'epoca di Larsa che ad esso segui sono addirittura meschine a paragone di quelle del nostro cimitero prato­ dinastico. Il mutamento dei riti dovrebbe riflettere un mutamento nelle credenze religiose; non v'è dubbio che nei tempi piu antichi l'in­ dividuo si faceva scrupolo di portare con sé nell'altro mondo tutto quanto gli occorreva o poteva permettersi per i propri bisogni e svaghi in questo. Uno degli oggetti facenti parte del corredo delle tombe dimostra chiaramente l'esistenza durante il periodo arcaico di credenze di cui, in seguito, non si trova piu traccia ; in due delle tombe reali e in molte tombe comuni, sia del cimitero protodinastico che di quello del periodo di Sargon, troviamo dei modellini di barche costruite in genere con bitume - quella rinvenuta nella tomba di A-bar-gi era d'argento - e carichi di recipienti per cibi e bevande. Si è avanzata l'ipotesi che si tratti di un'esca destinata ad allontanare dal morto un demone che potrebbe fargli del male, ma è assai piu probabile che l'oggetto in questione sia destinato all'uso del defunto stesso, una im­ barcazione che traghetterà l'anima nell'altro mondo; comunque sia, si tratta di una usanza di cui non abbiamo trovato altri esempi nelle migliaia di tombe di Ur che datano dal 2000 a. C. fino agli ultimi giorni di vita della città. Ci troviamo di fronte a un periodo storico di cui, prima degli scavi di Ur, non si sapeva assolutamente nulla, e dobbiamo considerarlo alla luce delle testimonianze che quegli scavi ci offrono; cosi facendo, l'unica conclusione cui possiamo giungere è che le tombe in questione sono sepolcri di re e di regine defunti, che 95

vennero sepolti come i loro sudditi, tanto che il corredo delle loro tombe non contiene nulla che non avremmo potuto trovare anche in una tomba comune - cosi, ad esempio, in una tomba comune tro­ vammo una donna che portava l'acconciatura d'oro già osservata nelle dame di corte delle tombe reali, e accanto alla bara c'era un altro og­ getto a noi ben noto, la lira; o ancora, il corpo di una bambina di sei o sette anni era ornato da un'acconciatura non meno elaborata di quella di Shub-ad, ma in miniatura, cerchietti d'oro appesi sulla fronte, minutissime foglie di faggio d'oro sorrette da coroncine di lapislazuli e corniola nei capelli ; teneva stretta in mano una tazza d'oro alta non piu di cinque centimetri e accanto a lei c'erano due bacili d'argento e un boccale scanalato, riproduzioni in piccolo di quelli della tomba della regina. Ma re e regine erano anche semidivini, e la loro morte non è che il passaggio a un'altra vita, e per questo, a differenza dei comuni mortali, essi riposano in cripte che hanno muri e tetto e sono accompagnati dagli uomini e dalle donne della loro corte. Scavando verso i limiti del cimitero giungemmo a un gruppo di tombe che sembravano staccate dalle altre. Erano tutte tombe di uo­ mini, e assai povere, non contenendo altro che il minimo indispensa­ bile, una tazza o bacile e un vaso d'argilla. Ma accanto alla salma c'era sempre un'arma, una daga di bronzo o la punta di una lancia, e tale uniformità era cosi insolita che concludemmo doversi trattare del re­ parto militare del cimitero. Notammo poi un altro particolare. In ogni tomba c'era un sigillo cilindrico di foggia speciale ; di conchiglia bianca scolpita, insolitamente grande (lungo circa quattro centimetri con un diametro di circa tre centimetri, che è quasi il doppio delle misure dei cilindri normali) e sempre con il medesimo soggetto ripe­ tuto con minime varianti : l'eroico cacciatore e il leone nell'atto di so­ praffare l'ariete o il toro (fig. 28). Le figure sul sigillo simboleggiano certamente la vittoria in combattimento, e io ritengo che questi bel­ lissimi cilindri fossero qualcosa di analogo alle medaglie militari, di­ stribuite alle truppe per il valore dimostrato sul campo ; senonché in96

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vece di una medaglia, il soldato riceveva un oggetto che testimoniava dei suoi meriti ogni qual volta egli apponeva il proprio nome su un documento. Non saprei suggerire un'altra interpretazione che spieghi la singolarità e a un tempo l'uniformità di questi sigilli trovati in quello che sembra essere un cimitero di soldati semplici. Una di tali tombe, tuttavia, benché disadorna quanto le altre, conteneva un oggetto che la distingueva da tutte; accanto alla salma giaceva una statuetta di pietra calcarea raffigurante una donna. Non era la figura di una dea (come abbiamo già fatto osservare, una delle caratteristiche piu curiose del cimitero è la quasi totale assenza di sim­ boli religiosi) ; era una donna qualsiasi, ritta in piedi e con le mani giunte in atteggiamento di preghiera ; per quanto grande fosse il suo valore ai nostri occhi, poiché si trattava dell'unica statua umana di quel periodo che trovammo ad Ur, non si può dire che fosse molto bella, né potemmo trovare una spiegazione al fatto che un uomo, unico tra le migliaia sepolte nel cimitero, avesse portato con sé nella tomba l'immagine di una donna. Forse la spiegazione piu semplice e piu probabile è quella sentimentale. Finora, cercando di dare al lettore un'idea delle tombe e di de­ scrivere alcuni dei tesori in esse contenuti, ho detto ben poco circa le condizioni degli oggetti al momento della scoperta. È vero che non occorreva molta immaginazione per apprezzare al suo giusto valore la tomba di Mes-kalam-dug, dato che qui gli oggetti erano in gran parte d'oro, e l'oro non si deteriora; un bacile d'oro può essere ammaccato o schiacciato, ma il colore e la superficie rimangono intatti e ogni par­ ticolare della fattura e della decorazione spicca nettamente come nel giorno in cui è uscito dalle mani dell'artigiano; ma vi sono altri ma­ teriali meno resistenti - ho già detto come l'argento si corroda e ad­ dirittura svanisca - che vengono gravemente danneggiati sia dal de­ terioramento naturale sia dal peso della massa di terra di dieci o quin­ dici metri sotto la quale sono rimasti sepolti per cinquemila anni. Spesso è assai difficile nmuovere un oggetto di importanza eccezio97

naie senza danneggiarlo ulteriormente ; talvolta è perfino difficile ac­ certare la natura e l'importanza dell'oggetto ; quasi sempre è neces­ sario un lavoro di riparazione o restauro prima che l'oggetto possa es­ sere esibito, e il restauro può essere l'operazione piu laboriosa di tutte. Prenderò come esempio una delle due statue di caproni rinvenute nel grande « pozzo della morte JJ. La figura era costruita nel modo seguente : la testa e le gambe erano di legno scolpito, le corna di lapi­ slazuli e gli occhi erano tenuti fermi da chiodi di rame conficcati nella testa ; il tutto era poi stato ricoperto con una sottile lamina d'oro che un leggero strato di bitume teneva incollata al legno. La testa e le gambe erano incastrate in un corpo rudimentale di legno, che era poi stato modellato nella forma definitiva con del gesso e ricoperto con uno spesso strato di bitume ; una sottile lamina d'argento venne fis­ sata sul ventre, e sul bitume che copriva dorso e fianchi furono pre­ muti ad uno ad uno i riccioli del vello, di conchiglia bianca, e, sulle spalle, di lapislazuli ; anche l'albero era di legno rivestito di lamina d'oro, e le foglie e i fiori d'oro massiccio erano stati fissati dopo la sistemazione del tronco e dei rami. Quando le trovammo, entrambe le statue erano in uno stato de­ plorevole. Il legno era scomparso, il bitume era una polvere secca, il gesso ridotto a briciole e pallottole irregolari ; una delle statue giaceva sul fianco, completamente appiattita, per modo che i riccioli di con­ chiglia dei fianchi si toccavano e l'animale non era piu che un profilo deformato; l'altra, ancora ritta, conservava un minimo di profondità ma era tutta insaccata, le zampe erano staccate dal corpo, appiattite, contorte. Nulla, all'infuori della terra circostante, teneva insieme i frammenti di conchiglia e lapislazuli, e se quella posizione andava perduta non avremmo piu avuto alcuna indicazione per restaurare la figurina ; tutto il blocco venne perciò solidificato con una copiosa colata di cera calda, e quindi applicammo dei teli intrisi di cera su ogni parte esposta, finché l'ariete si trovò interamente avvoltolato al pari di una mummia e poté essere rimosso. 98

Per i l restauro, ammorbidimmo i bendaggi incerati scaldandoli quanto bastava per poter staccare l'uno dall'altro i fianchi dell'a­ nimale e ripulirne la parte interna; nella quale introducemmo in seguito altri teli incerati ; quindi togliemmo i bendaggi esterni e, ri­ scaldando lentamente la cera riuscimmo a spingere il corpo nella sua forma originale, e ciò senza rimuovere i riccioli del vello che ora aderivano allo strato di cera interno. Il deterioramento totale dell'ar­ gento che ricopriva il ventre facilitò, in realtà, il nostro compito, giacché ci permise di lavorare sul corpo dall'interno attraverso un'a­ pertura relativamente larga. Le zampe furono raddrizzate, e infilando strumenti sottilissimi nell'interno vuoto, cercammo di spingere all'in­ fuori il piu possibile l'oro ammaccato, dopo di che introducemmo dei fili di rame e una miscela bollente di cera e bitume per dare solidità al tutto. La testa presentava difficoltà maggiori, perché la sottile la­ mina d'oro s'era frantumata in diciotto piccoli frammenti, i quali erano malamente schiacciati e contorti ; fu necessario appiattirli ad uno ad uno, ridare a ciascuno la curvatura originale operando sulla faccia interna, e poi si dovettero trovare gli incastri per far comba­ ciare tutti i pezzetti, sempre badando alla curvatura esterna. Fu un vero e proprio puzzle a tre dimensioni, ma a poco a poco anche la testa riprese forma. Usammo una materia plastica per riempire il corpo e per fissare i fili delle gambe, ricoprimmo il ventre con una vernice d'argento in sostituzione del metallo scomparso, e la statua fu in tal modo completa (frontespizio). Naturalmente questi metodi non possono riprodurre tutta la fi­ nesse dell'originale ; per ottenere la quale bisognerebbe smembrare completamente l'oggetto rinvenuto e ricrearlo; ma cosi facendo an­ drebbe perduto qualcosa che ha una certa importanza sentimentale, se non scientifica : l'oggetto ricostruito è in realtà una copia, com­ pletamente nuova, del capolavoro antico, e non si può esser certi al cento per cento della sua fedeltà. Per quanto riguarda le antichità di Ur abbiamo preferito un restauro che mira a manomettere il meno 99

possibile l'oggetto a una ricostruzione che può fare miglior figura ma deve di piu all'intervento dell'uomo d'oggi. Un altro esempio chiarirà meglio questo aspetto del problema. Nella piu grande delle tombe reali, che era stata saccheggiata minuziosa­ mente dai ladri, restava ancora, nell'ultima camera di pietra, un an­ golo da sgombrare, e noi avevamo ormai perduto ogni speranza di scoprire alcunché quando all'improvviso trovammo un frammento d'intarsio di conchiglia, e un minuto dopo la mano del capo operaio, frugando delicatamente la terra, metteva a nudo l'angolo di un mo­ saico di lapislazuli e conchiglia. Si trattava del famoso « stendardo >> di Ur, ma allora non avevamo la minima idea di che cosa potesse es­ sere : il sostegno di legno era completamente polverizzato, e le tessere, benché mantenessero fino a un certo punto le loro rispettive posizioni nella terra, erano tutte libere ; le pietre cadute dalla volta avevano piegato e contorto il pannello, in origine perfettamente piatto, mentre, polverizzandosi il legno, i frammenti erano sprofondati nel sotto­ stante spazio vuoto e il loro diverso spessore rendeva ora la super­ ficie dell'insieme gibbosa e irregolare. Rimuovere la terra senza gua­ stare ulteriormente il mosaico si rivelò una operazione cosi delicata che dovemmo !imitarci a lavorare su mezzo centimetro quadrato per volta - ogni sezione appena ripulita veniva fissata con la cera, ma con la cera bollente si mescolava una tal quantità di terriccio che il pannello diventava invisibile. Quando infine potemmo sollevarlo dal suolo, sapevo che avevamo trovato qualcosa di grande valore, ma non avrei saputo dire esattamente di che cosa si trattasse. Ora, sarebbe stato possibile dividere il mosaico pezzo per pezzo e ricostituirlo da zero su un nuovo pannello di legno : l'artigiano moderno non sarebbe stato da meno dell'antico, ma in tal caso il mosaico sarebbe stato opera sua. Ciò che noi facemmo fu invece questo. I due lati del pannello furono staccati, sul retro delle tessere vennero applicati dei teli im­ bevuti di cera e la loro superficie fu ripulita alla meglio ; poi vennero 100

adagiati, a faccia in giu, su una lastra di vetro, la cera venne riscal­ data e ammorbidita, dopo di che il mosaico venne premuto con le dita finché, guardando dal di sotto, non si vide che ogni tessera era a contatto diretto col vetro. Il pannello era adesso perfettamente piatto, ma il disegno era molto deformato ; nel corso dei secoli le tes­ sere s'erano staccate, e negli interstizi era filtrato del terriccio e della polvere di bitume, e ora anche della cera, per modo che alcune si accavallavano, altre era�o molto distanti l'una dall'altra. L'operazione successiva fu di rimuovere i teli incerati dal retro lasciando il mo­ saico virtualmente libero sul vetro, dopo di che eliminammo ogni corpo estraneo e, spingendoli con le dita lateralmente, riavvicinammo i pezzi tra loro fino a farli combaciare perfettamente gli uni con gli altri. Ciò fatto, applicammo sul retro teli e cera e un sostegno adeguato. Il risultato di un lavoro del genere è che il mosaico non ha piu quella regolarità e compattezza che gli aveva dato l 'artista sumero, ma in compenso sappiamo che la sua opera non ha subito se non quelle modifiche portate dai millenni; le tessere di conchiglia e di lapislazuli che egli mise insieme, nessun altro ha separato e ridisposto (figg. 22 - 23). Nel caso dello « stendardo >> il lavoro di restauro fu al contempo un processo di scoperta; il recupero del mosaico sul terreno era stato condotto, si può dire, alla cieca, e solo quando i pannelli furono ripuliti e cominciarono a prender forma nel laboratorio potemmo renderei conto della loro importanza. Si tratta di due pannelli prin­ cipali, ciascuno dei quali è un rettangolo di cinquantacinque cen­ timetri per ventidue, c di due pezzi triangolari ; i primi erano disposti a guisa di una tenda capovolta, di cui i secondi chiudevano le due estremità, e il tutto era fissato all'estremità di un'asta e, a quanto sem­ brerebbe, veniva portato in processione ; quando lo trovammo era ada­ giato contro la spalla di un uomo, forse l'alfiere del re. Il mosaico si compone di numerose figure di profilo, di conchi­ glia, incastonate in un fondo di lapislazuli ravvivato qua e là da mac­ chie rosse. Le facciate triangolari presentano scene mitologiche di ani101

mali : i pannelli principali illustrano rispettivamente la Pace e la Guerra. Su un lato si vedono il re e la famiglia reale a banchetto. Sie­ dono su una fila di sedie, e il loro costume è costituito dal « sottanino » di pelle di pecora, mentre la parte superiore del corpo è nuda ; sono assistiti da servi, e a una estremità della scena si scorge un musicante che suona su una piccola arpa e accanto a lui una cantatrice, con le mani sul petto, canta accompagnata dallo strumento. Queste figure occupano la striscia superiore dello stendardo ; nelle due strisce sottostanti si vedono altri servi, o cortigiani, che portano il bottino strappato al nemico e vivande per il banchetto - uno di essi trascina una capra, un altro porta due pesci, un terzo è curvo sotto il peso di un grosso involto, e cosf di seguito, con la ripetizione di parecchie figure. Sull'altra faccia, al centro della striscia superiore, si trova il re, che spicca per la piu alta statura, il quale h a dietro di sé tre cortigiani o membri del seguito, e un palafreniere nano che conduce due asini aggiogati al cocchio vuoto del re, mentre l'auriga cammina dietro di esso, reggendo le redini ; davanti al re, alcuni sol­ dati conducono al suo cospetto, affinché decida della loro sorte, una fila di prigionieri, nudi e con le braccia legate dietro la schiena. Nella seconda striscia, sempre sull'altra faccia, viene la falange dell'esercito regio, fanteria pesante a ranghi compatti con elmi di rame identici a quelli da noi rinvenuti nella tomba del re, e lunghi mantelli di un tessuto rigido che ritengo essere feltro (ancor oggi i pastori dell'Anatolia portano mantelli analoghi) e con asce di guerra in mano ; precede la fanteria leggera, senza mantelli, armata di asce o lance corte, la quale è già impegnata in combattimento con l 'esercito nemico i cui guerrieri nudi stanno fuggendo o cadendo. Nella striscia inferiore abbiamo i carri da guerra, ciascuno trainato da due asini e con due uomini a bordo, uno dei quali è l'auriga e l'altro un guerriero che scaglia giavellotti leggeri : quattro di questi sono legati in una faretra sul davanti del cocchio. I carri avanzano sul campo di battaglia e con un tocco di realismo l 'artista dello « sten102

dardo » ci mostra gli asini della retroguardia che procedono adagio, mentre quelli che tirano gli altri carri si eccitano sempre piu via via che incontrano i cadaveri sparsi sul terreno finché quelli dell'avanguardia si lanciano in un galoppo che minaccia l'equilibrio dell'equipaggio. Lo « stendardo » è indubbiamente un'opera d'arte, ma ha un va­ lore anche maggiore come documento storico, giacché abbiamo qui la piu antica illustrazione particolareggiata di quell'esercito che con­ dusse la civiltà sumera dal suo primo insediamento sulle rive del Golfo Persico alle montagne dell'Anatolia e fino alle sponde del Medi­ terraneo. Da molti esempi rinvenuti nelle loro tombe, sappiamo che le loro armi, sia nel disegno che nella fattura, superavano di gran lunga ogni strumento di guerra in possesso dei loro contemporanei e che trascorsero duemila anni prima che altre nazioni ne adottassero di simili ; dal quadro che lo « stendardo '' ci dà dell'organizzazione dell'esercito possiamo arguire che esso non temeva confronti con qual­ siasi altra forza potesse essergli opposta a quel tempo. Il carro da guerra, che doveva ispirare agli Ebrei del tempo del Giudici un ter­ rore quasi superstizioso, era già in uso presso i Sumeri duemila anni prima, e la falange che valse ad Alessandro le sue grandi vittorie fu da essi anticipata : non stupisce che, fin quando i loro avversari non seguirono il loro esempio, questi guerrieri non tr.ovassero forze capaci di opporsi alla loro avanzata. Uno degli aspetti piu sorprendenti della civiltà di cui le tombe testimoniano è lo sviluppo delle forme architettoniche. L'ingresso alla tomba di A-bar-gi era sormontato da un'arcata di mattoni perfetta­ mente regolare, e il soffitto era formato da una volta di mattoni a botte le cui estremità terminavano ad abside ; una volta simile aveva il sepolcro di Shub-ad, e altre tombe avevano volte di blocchi calcarei squadrati; troviamo anche una cupola completa costruita su una inte­ laiatura a raggiera di travi e sorretta da nervature a crociera secondo l'uso moderno. In questi edifici sotterranei le colonne non erano ne­ cessarie, ma poiché, come vedremo, la colonna era molto usata nel 103

periodo immediatamente successivo, è evidente che doveva essere nota anche nel periodo del cimitero. In definitiva, possiamo affermare che tutte le forme architettoniche fondamentali usate oggi erano già note agli abitanti di Ur nel III millennio prima di Cristo. Il nostro Cimitero Reale, come ho detto, risale all'ultima parte del periodo protodinastico, che dà inizio alla civiltà sumera propria­ mente detta. Era una civiltà urbana di tipo molto evoluto; i suoi artisti, capaci talvolta di un realismo straordinariamente vivido (come nel caso dell'asino mascotte del cocchio della regina Shub-ad) segui­ vano per lo piu modelli e convenzioni la cui eccellenza era stata sperimentata da molte generazioni precedenti ; i suoi artigiani posse­ devano una conoscenza della metallurgia e un'abilità tecnica che ben pochi popoli antichi hanno eguagliato e che devono essere il risultato di molti anni di lavoro e di un lungo perfezionamento ; i suoi mercanti commerciavano con paesi lontani, la sua agricoltura era prospera, le sue forze armate erano organizzate scientificamente e l'arte dello scri­ vere era diffusa tra tutti i suoi membri. In tutte queste cose i Sumeri erano ben piu evoluti degli Egiziani, che all'inizio del periodo prato­ dinastico sumero cominciavano appena ad emergere dalla barbarie, e quando l 'Egitto fa il primo grande passo avanti sulla via della civiltà, durante il regno di Menes, primo re della valle del Nilo, la nuova èra è contraddistinta dall'introduzione di modelli e idee che derivano dalla civiltà che già da secoli fiorisce nella valle inferiore dell'Eufrate. La Sumeria fu la pioniera del mondo occidentale e ad essa possiamo far risalire buona parte dell'arte e del pensiero degli Egiziani e dei Babilonesi, degli Assiri, dei Fenici, degli Ebrei, e in ultima analisi perfino dei Greci ; gli oggetti da noi trovati nel Cimi­ tero Reale non erano soltanto capolavori in se stessi, né interessanti solo in quanto illustravano le conquiste di una razza sconosciuta in un'epoca di cui, prima, non esistevano testimonianze di sorta; ma erano documenti che ci permisero di scrivere un nuovo capitolo della storia del mondo moderno. 104

IV.

Al'Ubaid

e

la I dinastia di Ur

Nel 1919 il dottor Hall, che conduceva delle ricerche per incarico del Museo Britannico, visitò circa quattro miglia a nord-ovest delle ro­ vine di Ur-centro, un piccolo tumulo che, dalle indicazioni di super­ ficie, prometteva ritrovamenti d'un genere insolito; l'archeologo iniziò gli scavi e subito incontrò una costruzione di mattoni piano-convessi. Mise a nudo tre lati di un piccolo edificio rettangolare e contro la facciata sud-orientale rinvenne una massa di oggetti sotto un cumulo di mattoni crudi. C'era una statuetta d'uomo, di pietra, scolpita nello stile sommario e primitivo a noi già noto attraverso esemplari isolati reperiti altrove, ma inoltre c'erano monumenti di tipo alquanto insolito : un grande bassorilievo di rame di oltre due metri per uno, raffigurante, in stile araldico, un'aquila che artiglia due cervi; parti anteriori di leoni, quasi in grandezza naturale, di legno e bitume rivestito di rame, con gli occhi incastonati e i denti di conchiglia bianca tra i quali sporgeva la lingua di pietra rossa ; frammenti di colonne di legno incrostate di madreperla, pietra rossa e schisto nero; fiori d'argilla con petali bianchi, neri e rossi, e altre teste di animali, anche queste di rame ma su scala piu piccola. In complesso si trattava di una scoperta importantissima, e poiché Hall non poté completare gli scavi, spet­ tava ovviamente alla spedizione comune riprenderli al piu presto possibile. Durante la stagione 1923-24 aprimmo perciò un secondo 105

campo ad al'Ubaid (tale è il nome del piccolo tumulo) e gli scavi vennero ripresi nella speranza di poter far nuova luce sul carattere dell'edificio e di scoprire altri oggetti. Il lavoro del dottor Hall ci aveva messi sull'avviso. Le statue di rame da lui rinvenute erano gravemente corrose e frantumate, sicché, nonostante la loro importanza scientifica, non si potevano considerare se non come l'ombra degli originali; delle teste di leone ben poco s'era salvato ol tre all'« anima ll di bitume con gli occhi e la bocca inca­ stonati, delle colonne si poterono raccogliere e asportare soltanto i frammenti sparsi dell'incrostazione, e il grande bassorilievo di rame, di cui si poté ricuperare intatta soltanto una testa di cervo, dovette essere ricostruito pezzo per pezzo, e sotto molti aspetti la validità di tale ricostruzione era per lo meno discutibile. Se quindi avessimo incontrato altri oggetti dello stesso genere dovevamo essere assoluta­ mente certi che i nostri mezzi fossero adeguati al delicatissimo compito che la loro rimozione e trasporto rappresentavano. Lo scavo che aveva riportato in luce le prime statue era partito da un angolo dell'edificio ed era stato interrotto quasi al centro di esso, allorché gli scavatori avevano incontrato, in parte intaccandola, una massa particolarmente compatta di mattoni crudi. Riprendemmo il lavoro da questo punto e seguendo i mattoni - con una certa difficoltà, perché non presentavano una « facciata ll ben distinta - scoprimmo che si trattava del fianco di una scala perpendicolare all'edificio prin­ cipale; i gradini, ancora intatti al fondo della scala, erano grandi lastre di pietra calcarea bianca, il primo esempio dell'impiego archi­ tettonico della pietra che si fosse riscontrato nella Mesopotamia meri­ dionale, se si eccettua una rampa analoga che conduceva alla torre a ripiani di Abu Shahrein, un rudere circa dodici miglia a sud di Ur. Un esame piu approfondito rivelò che la costruzione stessa altro non era che una massa di mattoni pieni, una piattaforma cui si accedeva dalla rampa di scale, sottostruttura di un edificio ormai scomparso (fig. 25)· 106

Seguendo il muro tra la scala e l'angolo piu lontano della piatta­ forma trovammo, sotto una massa di mattoni crudi di un periodo posteriore (una nuova piattaforma edificata sulle rovine della vecchia), un altro mucchio di oggetti in parte simili a quelli rinvenuti dal dot­ tor Hall e in parte diversi. Nell'angolo formato dalla scala e dal muro giacevano due colonne di legno alte circa tre metri, incrostate di ma­ dreperla, schisto e pietra rossa e altre colonne e travi ricavate da tron­ chi di palma e rivestite di lamina di rame ; raccolte in un solo mucchio c'erano quattro statue di rame, raffiguranti dei tori rampanti con la testa voltata di fianco; allineati lungo il muro c'erano dei bassorilievi di rame con figure di bestiame accovacciato e frammisti ad essi dei fregi di mosaico in cui le figure, delineate in pietra calcarea bianca o in conchiglia, spiccavano su uno sfondo di schisto nero ed erano in­ corniciate con listelli di rame; e dovunque, frammenti o esemplari intatti dei fiori d'argilla incrostata con i gambi cuneiformi che erano già apparsi durante i primi scavi. Un giorno un operaio disseppelH sotto i miei occhi una tavoletta oblunga, di pietra calcarea bianca, che recava una iscrizione ; la porsi al signor Gadd, che mi stava accanto, ed egli la lesse ad alta voce : > . Era la pietra di fon­ dazione dell'edificio, e la piu importante di tutte le nostre scoperte. A una prima lettura può apparire come una cosa non special­ mente eccitante, una lista di nomi quasi impronunciabili, ma noi era­ vamo eccitatissimi. Il primo nome era sconosciuto a noi e a chiunque altro, ma il secondo era quello del primo re della I dinastia di Ur se­ condo le « liste dei Re » sumere. Nella introduzione a questo libro ho spiegato l'importanza eccezionale della scoperta che dava un fon­ damento storico a una dinastia considerata fino a quel giorno mitica; ma poiché apparteneva al tempio di al'Ubaid, la tavoletta non di­ mostrava soltanto l'attendibilità delle « liste dei Re » : ci consenti, per giunta, di datare l'edificio, per modo che gli oggetti ad esso col107

legati poterono essere collocati al loro giusto posto nella evoluzione dell'arte mesopotamica, e a sua volta ciò significava che la « I dinastia di Ur » non sarebbe piu stato un fatto isolato ma avrebbe avuto un suo contenuto specifico ; la frase avrebbe d'ora in poi indicato un pre­ ciso periodo storico le cui caratteristiche potevamo studiare alla luce di elementi concreti. Senonché gli oggetti cui la scoperta della tavoletta commemora­ tiva veniva ora a prestare un interesse anche maggiore, ci diedero non poche preoccupazioni; erano cosf fitti nel terreno che talvolta ne restavano esposti sei o sette simultaneamente, e la rimozione di cia­ scuno richiedeva attenzioni particolarissime ; inoltre, come temevamo, erano in condizioni disastrose. Dei quattro tori di rame, quello in cima a tutti gli altri era ap­ pena riconoscibile, solo un mozzicone di gamba e una massa di pol­ vere verde ne indicavano l'esistenza. Il secondo aveva un aspetto piu promettente, ma il metallo era rotto in mille pezzi ed era a tal punto corroso che andava in polvere al minimo tocco (passai tre settimane a prepararlo e quando infine lo sollevammo si sbriciolò istantanea­ mente); con gli altri due avemmo maggior fortuna, e oggi si trovano al Museo Britannico e a Filadelfia, due figure ammaccate e contorte ma tuttavia ben riconoscibili, che ancora conservano un resto della loro ori­ ginale perfezione e a cui il fatto di essere le piu antiche statue di rame che ci siano pervenute conferisce un valore inestimabile. I bassorilievi di rame presentarono minori difficoltà e solo uno di essi venne scar­ tato in quanto troppo frammentario per essere rimosso, e tuttavia la testa, di metallo pieno e piu solida delle lamine ribadite che forma­ vano il corpo dell'animale, costituisce un oggetto di gran pregio. Le colonne incrostate erano completamente appiattite e il legno s'era polverizzato, ma la maggior parte delle tessere aveva press'a poco conservato la posizione d'origine e soltanto quelle lungo i bordi s'erano spostate e giacevano sparse. Le estraemmo dal terreno a sezioni, ap­ plicando tela di sacco incerata alle tessere che giacevano a faccia in 108

su e incollando invece la tela di sacco sul retro di quelle che in origine ricoprivano la parte delle colonne che, cadendo, era rimasta a contatto del suolo : in tal modo, una volta asportata, la decorazione poté essere fissata tal quale su una nuova cc anima » (i nostri fusti di benzina ci­ lindrici erano dell'esatto di ametro richiesto, e servirono perfettamente allo scopo) senza turbare l'ordine dei singoli frammenti di pietra e madreperla, mentre altre sezioni e le tessere sparse nella terra ven­ nero messe da parte in attesa della ricostruzione definitiva. I fregi di mosaico vennero tenuti insieme con teli intrisi di cera, in attesa che le autorità del Museo Britannico decidessero a quale trattamento sottoporle. I fregi erano due. Uno era semplicissimo, una fila di uccelli, probabilmente colombe, intagliate alquanto rozzamente in pietra calcarea bianca (che a mio avviso doveva essere, in origine, dipinta a colori vivaci) su uno sfondo nero. L'altra era molto piu elaborata nel soggetto e raffinata nella esecuzione. Consisteva, per quasi tutta la sua lunghezza, in una processione di mucche intagliate in pietra calcarea (in origine probabilmente dipinta) o in conchiglia (probabilmente lasciata bianca), ma nel centro era raffigurata una scena con personaggi umani : a lato di una stalla di canne, dalla porta della quale stanno uscendo due vitelli, si vedono uomini seduti su bassi sgabelli e intenti a mungere gli animali; l'uomo siede sotto la coda della mucca e la munge da tergo ; i vitelli, che portano la mu­ seruola, sono legati alle testiere delle mucche, in modo da stimolare queste a dar latte. Sull'altro lato della stalla due uomini, senza barba e con indosso il gonnellino di pelle di pecora che nelle epoche poste­ riori sembra sopravvivere come costume ufficiale di preti e re-sacer­ doti, fanno colare il latte, attraverso un filtro, entro un recipiente ai loro piedi, mentre altri due raccolgono il liquido già filtrato entro grandi otri. È una tipica scena di vita pastorale, ma il costume degli attori giustifica la supposizione che si tratti di qualcosa di piu. Sappiamo che in epoche successive esistettero delle fattorie sacre annesse ai templi, 109

e il fregio potrebbe rappresentare la preparazione, ad opera dei preti, del latte della dea-madre Nin-kharsag, che era il nutrimento dei re. Che questa scena, in apparenza cosf domestica, abbia in realtà un si­ gnificato religioso sembra poi confermato dal fatto che nello stesso fregio, in mezzo alle figure di animali in movimento, si trova inserito un piccolo pannello che non ha alcun rapporto col resto : esso mo­ stra un toro barbuto rampante in un paesaggio collinoso assalito da un'aquila a testa di leone, che, appollaiata sul dorso dell'animale, lo sta dilaniando ; si tratta sicuramente dell'illustrazione di una leggenda mitologica, e la sua presenza in questo contesto non può non influen­ zare la nostra interpretazione del fregio intero. Era evidente che tutti gli oggetti rinvenuti appartenevano al tem­ pio, ed era altrettanto evidente che la grande maggioranza di essi aveva carattere architettonico; presi in se stessi la loro importanza era già considerevole, ma il loro valore sarebbe aumentato enormemente se fossimo riusciti a collocarli al loro giusto posto nello schema archi­ tettonico generale. A prima vista una tale impresa potrebbe apparire irrealizzabile, giacché dell'edificio cui essi appartenevano non un solo mattone era rimasto in situ, e della piattaforma su cui l'edificio si inal­ zava la parte superiore era andata distrutta, cosicché non se ne poteva ricostruire neppure la pianta di base. Per nostra fortuna, tuttavia, la posizione in cui ciascun oggetto giaceva era qui assai indicativa. Il tempio non si era disintegrato per un lento processo di erosione na­ turale, ma era stato distrutto d'un sol colpo e deliberatamente ; su ciò non c'erano dubbi. I muri erano stati scalzati e poi abbattuti dall'in­ terno, per modo che di fronte alla piattaforma trovammo ammassati grandi blocchi intatti di muri di mattoni crudi, alla cui facciata, ora rivolta a terra, erano ancora attaccati i frammenti dei fregi - fummo costretti a demolirli per raggiungere la faccia interna dei fregi. Là dove, come talvolta accadde, si trovavano sullo stesso blocco di mattoni i frammenti di due diversi fregi, era possibile calcolare l'ordine di suc­ cessione e la distanza esatta tra l'uno e l'altro : potemmo cosf stabilire 1 10

le posizioni relative della fila di giovenche di rame e del mosaico di conchiglia con il bestiame. Sotto i blocchi caduti, e per lo piu al livello del suolo, giacevano gli altri oggetti. Il dottor Hall aveva rinvenuto, a lato della scala, il grande bassorilievo di un'aquila, le parti anteriori di leoni di rame che dovevano aver appartenuto a una porta, e fram­ menti di colonne rivestite di mosaici ; noi sull'altro lato della scala trovammo altre due colonne adorne di mosaici e due ricoperte da lamine di rame, tutte appiattite al suolo e press'a poco perpendicolari alla facciata; poco discosto, c'era il mucchio formato dalle quattro sta­ tue di tori di rame. Erano tutti elementi architettonici che, se non propriamente liberi, si potevano per lo meno rimuovere con relativa facilità ; il nemico aveva divelto i leoni, abbattuto le colonne (che tra­ scinarono nella caduta i grandi bassorilievi), e aveva poi scagliato ogni cosa dal bordo della piattaforma; aveva raccolto in un mucchio le sta­ tue di tori, e aveva infine scalzato i muri facendoli crollare. Noi quindi prendemmo nota dell'esatta distanza di ogni oggetto dal muro, e dell'angolo esatto che formava rispetto a questo, e misu­ rando la pendenza del cumulo di rovine addossato alla facciata del muro e le posizioni relative degli oggetti contenuti nel cumulo stesso potemmo farci un'idea abbastanza precisa del punto da cui ciascuno di essi era caduto. L'unico vero errore da noi commesso riguarda le rosette di terracotta a forma di fiore, che io ritenni essere state elementi decorativi liberi e in posizione eretta, mentre non c'è dubbio che erano incastonate nella muratura in modo che solo la capocchia affiorasse ; tutte furono trovate vicinissime al muro della piattaforma e apparen­ temente libere, ma ciò è dovuto al fatto che avevano ornato la parte inferiore del muro del tempio, che era stato demolito dopo il crollo della parte superiore. Circa l'interno dell'edificio nulla ci è dato sa­ pere, ma la ricostruzione della facciata, se non altro, non può essere molto lontana dal vero. Il tempio vero e proprio occupava soltanto un angolo della piat­ taforma e l'ingresso principale si apriva in cima alla rampa di gra111

clini di pietra ; era un po' arretrato rispetto al ciglio della piattaforma e davanti ai battenti c'era un portico con un tetto a due spioventi, sor­ retto da travi e colonne rivestite di rame lucidato. Delle colonne adorne di mosaici reggevano l'architrave, sopra il quale era incastrato nel muro il bassorilievo di rame dell'aquila e dei due cervi scoperto dal dottor Hall, mentre le parti anteriori dei leoni occupavano gli angoli rientranti a fianco della porta vera e propria, che in tal modo sembra­ vano difendere. Lungo il ciglio della piattaforma, sullo sfondo del muro del tem: pio, erano piazzate le statue di leoni e tori, e alle loro spalle, proba­ bilmente, erano incastonati nel muro i fiori d'argilla, in modo da creare l'effetto di animali in un prato fiorito. Piu in alto, s�lla fac­ ciata, veniva il bassorilievo di rame del bestiame accovacciato, e im­ mediatamente sopra il fregio di mosaico con la scena della mungitura; e piu in alto ancora il fregio con gli uccelli, con le sue figure piu ardite e piu rozze. Le balaustrate di mattoni della scala erano certamente ri­ vestite di pannelli di legno, perché trovammo lungo i gradini, in terra, i chiodi di rame coi quali il legno era stato fissato ; nella parte infe­ riore la piattaforma era di mattoni cotti, e qui i mattoni erano pro­ babilmente scoperti; la parte superiore, di mattoni crudi, era proba­ bilmente imbiancata, e cosi era il muro di mattoni crudi del tempio sovrastante. Possiamo raffigurarci l'intero edificio come una costruzione di aspetto vivace e fantasioso, l'oro e i colori della decorazione in vivido contrasto con i muri bianchi, e dobbiamo ammirare l'abilità con cui gli elementi decorativi sono graduati secondo la loro distanza dalla base - le statue in basso, poi le figure in rilievo, poi le figure piatte profilate contro lo sfondo nero dei fregi - e la conoscenza della pro­ spettiva che sceglie effetti piu semplici e piu forti per il fregio piu alto. All'epoca in cui lo riportammo in luce era di gran lunga il piu antico edificio noto in Mesopotamia, il piu antico del mondo che fosse stato possibile ricreare piu o meno com'era in realtà. Da allora, sono stati 1 12

24. Impronta di sigillo del periodo di Sargon.

25. Tempio di Nin-kharsag costruito da A-anni-pad-d a : le rovine della piattaforma.

26. Sigillo della 111 dinastia.

2]. Impronta di sigillo del tipo Mohenjo-daro.

28.

2y.

Sigillo cilindrico di conchigl i a rinvenuto

Sigillo di pietra verde del periodo di Sargon.

nella tomba di un soldato, periodo della Necropoli Reale.

scoperti edifici piu antichi; ma il tempio di al'Ubaid resta ancor oggi la piu perfetta illustrazione dell'architettura e dell'arte della I dina­ stia di ur : Al'Ubaid ci permise di fare un'altra scoperta, non cosi sensazio­ nale ma tuttavia di grande interesse. In un secondo e piu piccolo tumulo che s'innalzava in prossimità del tempio trovammo alcune tombe. In confronto a quelle del piu antico cimitero di Ur erano poverissime, poiché contenevano ben po­ chi oggetti oltre al vasellame, ma nondimeno la loro importanza è grandissima. Era naturale supporre che fossero contemporanee del­ l'edificio di A-anni-pad-da, giacché il terreno che circonda un tempio è sacro ed è quindi, in genere, un luogo ideale per seppellire i morti ; ma per di piu, alcuni recipienti d'argilla, d'una forma molto partico­ lare, che trovammo nelle tombe, erano rappresentati esattamente nella scena della mungitura sul fregio di mosaico; le tombe potevano perciò essere attribuite sicuramente alla I dinastia di Ur, e poiché contene­ vano una gran varietà di vasellame usato in quel periodo, ci trovammo ad avere un perfetto punto di riferimento per datare le successive sco­ perte. In tutti gli scavi, si tratti di edifici o di cimiteri, il vasellame costi­ tuisce il grosso dei ritrovamenti. In ogni paese la forma dei recipienti d'argilla d'uso comune varia da età a età, seguendo il progredire o il decadere della civiltà, l'apparire di nuove condizioni sociali, l'intro­ duzione di nuove invenzioni o semplicemente il mutare della moda : alcuni tipi possono restare costanti per un lungo periodo, ma in gene­ rale il vasellame muta coi tempi, e se è vero che ciò vale anche per tutti gli altri oggetti, i vasi, essendo i piu numerosi e (poiché la terracotta, nonostante la sua fragilità, è virtualmente indistruttibile) i meglio conservati, costituiscono il miglior indice per la datazione. In un paese come l'Egitto, dove il vasellame domestico di ogni epoca è stato minu­ ziosamente studiato e catalogato, si può stabilire l'età di una rovina semplicemente passeggiando sui tumuli e osservando i cocci che affio113

rano in superficie ; in Mesopotamia, nel 1923, si conosceva ben poco del vasellame di qualsiasi periodo, e quello delle età piu antiche era · completamente sconosciuto. Ricuperare oltre cento forme diverse di vasi e scoprire il tipo di impasto usato per fabbricarli, con la certezza che tutti appartenevano a un periodo storico ben definito, fu cosa della massima importanza, e quando passammo a scavare le ricche tombe di Ur fu in parte grazie alle tombe di al'Ubaid che potemmo datarle correttamente. Ad Ur, nella parte sud dell'area del Cimitero Reale, trovammo, sopra le fosse, una massa di detriti suddivisa in tre strati ben distinti, quello di mezzo di un colore scuro, polvere di mattoni cotti e car­ bone di legna, e gli altri due d'un grigio chiaro, pietra calcarea fran­ tumata mescolata a una gran quantità di cocci, impronte di sigilli e tavolette ; i tre strati, nel loro insieme, sembrano essere i resti dei ma­ gazzini del tempio, bruciati e rasi al suolo. Questi edifici devono es­ sere posteriori al cimitero, perché i ruderi giacciono sopra le fosse, ma non di molto, perché quando furono distrutti il terreno nel quale le fosse erano state scavate era ancora scoperto, non sepolto sotto quei cumuli di detriti che col passare del tempo si sarebbero inevitabil­ mente formati. Non è impossibile che fossero delle cappelle collegate con le vecchie tombe reali, ma non si può esserne certi ; in ogni caso devono essere state, o aver compreso, delle camere in cui venivano conservate le offerte fatte dai re, perché le impronte di sigilli proveni­ vano in massima parte dai coperchi di grandi vasi e due di esse recano il nome di Mes-anni-pad-da, re di Ur e fondatore della I dinastia, mentre in mezzo ai detriti trovammo il sigillo, un cilindro di lapisla­ zuli, della moglie di Mes-anni-pad-da, madre, come si può supporre, di quell'A-anni-paci-da che eresse il tempio di al'Ubaid. Anche qui dunque, nella capitale dello stato, la I dinastia ha la­ sciato una traccia, ma a parte queste poche testimonianze scritte, ben poco di quel periodo sopravvive. Sappiamo che dopo il periodo Jamdat Nasr la Ziggurat e i circostanti edifici religiosi vennero ricostruiti, e 1 14

di essi abbiamo potuto ritrovare la pianta ; nel caso di molti altri tem­ pli sono stati disseppelliti i ruderi di costruzioni di mattoni piano-con­ vessi, che attestano come almeno le fondamenta risalgano al periodo protodinastico, ma non possiamo collegarli in modo sicuro con la I di­ nastia. Benché nelle « liste dei Re » quest'ultima segua immediata­ mente la I dinastia di Erech, introducendo quindi il primo periodo dinastico, è archeologicamente assodato che giunse relativamente tardi in quel periodo 1• Ciò è dimostrato da numerose testimonianze rac­ colte in varie località, ma perfino ad Ur possiamo constatare che il Cimitero Reale, che è protodinastico, precede la I dinastia; può darsi che i prosperi regni dei sovrani locali Mes-kalam-dug e A-kalam-dug abbiano consentito a Mes-anni-pad-da di estendere la propria egemo­ nia su tutta la terra dei Sumeri e di figurare cosi nelle « liste dei Re ». Perciò gli edifici di Ur, che per comodità di esposizione abbiamo defi­ nito della I dinastia, vennero forse fondati, e in certi casi ne abbiamo la certezza, anteriormente, anche se si ergevano ancora ai tempi di Mes-anni-pad-da e di suo figlio. Ma vi è una rilevante eccezione. La Ziggurat del periodo protodinastico è completamente sepolta entro quella di Ur-Nammu, e noi non facemmo nessun tentativo per riportarla alla luce ; tutto ciò che sappiamo è che era assai piu piccola dell'edificio della III dinastia che sorge ancor oggi, e tuttavia di di­ mensioni imponenti, poiché ad esempio il blocco principale misurava senza le scale circa cinquanta metri per quaranta al livello del suolo. Sorgeva in posizione molto arretrata su un terrapieno cinto da una muraglia munita di robusti contrafforti e in parte occupato da edifici l

Forse, dopo la caduta delle genti Jamdat Nasr (che, personalmente,

collegherei alla

dinastia di Erech) si apri un interregno durante il quale i vari stati conservarono la loro indi­ pendenza nel senso che nessuno di essi, fino all'avvento di Mcs-anni-pad-da di Ur, riusd ad assicurarsi il dominio dell'in[ero paese; e in tal caso le

«

liste dci Re >> sarebbero letteralmente

esatte. O forse l 'ordine di successione delle numerose dinastie primitive elencate nelle liste è confuso: alcune di esse devono essere state in parte o del tutto contemporanee e la loro siste­ mazione può essere arbitraria; Ur potrebbe esser stata collocata per prima perché raggiunse una importanza maggiore o perché (come indica la durata dci regni dei suoi monarchi) era meglio docum> che ho testè descritto - e modellini di barche di terracotta. Erano stati gettati nelle condutture, ma non per errore, giacché al fondo di un solo tubo trovammo non meno di quaranta vasi intatti e i frammenti di altrettanti spezzatisi nella caduta. Mi è accaduto di tro­ vare dei cocci, e una volta un vaso intero, in quelle che erano senz'om­ bra di dubbio delle condutture domestiche - un incidente può capitare a chiunque; ma qui si trattava di tutt'altro. Il pantheon sumero com­ prende gli dèi del mondo delle tenebre, tra i quali si distingue Ea, signore delle acque sotterranee; in relazione a questa divinità gli antichi parlano dell'« apsu >>, il territorio oscuro e misterioso che giunge fino alle acque del sottosuolo. Ora, non vi è nulla di strano nell'idea di versare libagioni a una divinità sotterranea dentro un buco nel terreno o un pozzo - in questo modo l'offerta raggiunge direttamente il dio, e tale usanza è comune a molti popoli. Io ritengo 125

che i nostri « scoli » fossero umili versioni deli'« apsu ». Servirsi di una volgare conduttura per uno scopo del genere può offendere la nostra sensibilità moderna, ma in Oriente si è meno schizzinosi su queste cose e in genere si cerca di raggiungere il fine> coi mezzi che si trovano a portata di mano; un tubo di quindici metri, anche se non raggiunge veramente le acque del sottosuolo, avvicina per lo meno l'offerta al dio.

126

v.

L'età di

mezzo

Le mura della cittadella del Dio-Luna, per quanto massicce, non poterono assicurare lunga durata all'impero. Se possiamo fidarci della tradizione, la dinastia di Mes-anni-pad-da si protrasse complessiva­ mente per cinque generazioni e poi ebbe fine. Le « liste dei Re », che in seguito alle nostre scoperte di al'Ubaid s'erano guadagnata una certa attendibilità storica, si perdono di nuovo, a questo punto, in un groviglio di dinastie intorno alle quali non sappiamo assoluta­ mente nulla salvo il fatto che sono incredibili; in esse si parla di una II dinastia di Ur, ma si tratta solo di un nome al quale non siamo in grado di collegare un solo oggetto rinvenuto in sito. È mio dovere informare il lettore che alcuni miei colleghi hanno po­ lemizzato con me perché nella mia relazione ufficiale sul Cimitero Reale ho classificato un gruppo particolare di sepolture sotto la voce « Tombe della II dinastia » . Pure, non avevo mancato di avvertire che il termine era unicamente di comodo - un modo pratico e ap­ prossimativo per distinguere le tombe intermedie tra la I e l a III di­ nastia di Ur, che non voleva in alcun modo sottintendere un rap­ porto con l'ignota II dinastia, sebbene un simile rapporto non fosse da escludere. Il gruppo comprendeva quindici tombe, dieci delle quali normali e diverse una dall'altra soltanto per il contenuto, che segna la transi­ zione tra il Cimitero Reale e le tombe del periodo di Sargon, ma si av127

vicina piuttosto a quest'ultimo, mentre cinque erano grandi fosse con­ tenenti sepolture multiple che ricordano, per la disposizione, una o due delle tombe reali del periodo anteriore. Nessuna, beninteso, regge il paragone con la ricchezza delle vecchie tombe reali, ma sono tuttavia piu ricche delle tombe del periodo di Sargon. Nel vasellame, nei vasi di metallo come negli utensili e nelle armi, si trovano molti tipi peculiari a questo gruppo; numerosi sono gli esemplari del periodo precedente ma assai piu numerosi sono i « pezzi » che appartengono nettamente al periodo di Sargon ; e le acconciature sia degli uomini che delle donne sono tutte del tipo di Sargon. La migliore delle tombe singole constava di una fossa rivestita di mattoni in cui c'era un sarcofago di legno col coperchio a due spioventi contenente la salma di un uomo. Intorno alla bara erano disposti molti vasi d'argilla, parecchi dei quali dipinti in rosso, un grande vassoio scanalato di rame, su cui erano posati vasi e bacili di rame, un coltello e la punta di una freccia, e i corpi interi di due pecore ; a capo della bara era infissa nel suolo una fila di !ance, come nella tomba di Mes-kalam-dug nel cimitero piu antico. Sulla testa dell'uomo si accavallavano sei nastri d'oro, e c'erano inoltre un piccolo orecchino d'oro e un cordoncino d'oro ritorto, che in origine era attorcigliato intorno a una ciocca di capelli; al collo quattro collane di pietre colorate, corniola, agata, diaspro, calcedonio, sarda, e d'oro, a una delle quali era appeso un amuleto raffigurante una capra, una statuetta di squisita fattura d'oro massiccio. Sulla spalla destra c'era un fermaglio d'argento che aveva tenuto chiuso il mantello e sulle braccia vari braccialetti, una semplice fascia d'oro sul destro e sul sinistro tre d'oro e due d'argento, e con questi un grande sigillo cilindrico di lapislazuli ; all'altezza della vita c'erano una daga di rame montata in oro e una testa d'ascia d'argento ; altre armi di rame giacevano accanto al corpo. Due orec­ chini d'oro e un anello per capelli, fatto con un filo d'oro intrec­ ciato a spirale, erano collocati davanti alla testa (ma non indossati)

e vari recipienti di rame e d'argilla completavano il corredo della bara. Le tombe multiple possono contenere fino a venti corpi. La stra­ tificazione indica che tutti appartengono allo stesso periodo, sono stati sepolti nello stesso tempo ; i corpi piu « illustri » venivano chiusi nelle bare, e il loro corredo era molto simile a quello testè descritto ; le altre salme non erano ammucchiate in una > come nelle antiche tombe reali, ma giacevano staccate l 'una dall'altra, generalmente ravvolte in una stuoia, non necessariamente allo stesso livello ma a diverse altezze mano a mano che la fossa veniva riem­ pita ; ma sebbene in tal modo ottenessero un certo stato individuale, pure la maggior parte dei corpi, spesso riccamente adorni di orna­ menti personali d'oro e di pietre semipreziose, non avevano affatto quelle suppellettili considerate indispensabili per il defunto - quei recipienti per il cibo e le bevande di cui il viaggiatore per un altro mondo ha bisogno. Le offerte erano tutte collocate intorno alle se­ polture piu importanti. Sotto tale aspetto, dunque, le tombe di que­ sto gruppo sembrano perpetuare, sia pure con qualche modifica, la tradizione delle tombe reali del cimitero piu antico e collegare que­ ste ultime con i mausolei della III dinastia che descriverò piu avanti. Sembra infatti che si tratti delle tombe di personaggi abbastanza im­ portanti per essere considerati semidivini e perciò degni di ricevere dopo la morte quegli onori che sono l'attributo degli dèi piu che degli uomini ; ma ciò non significa che si tratti delle tombe dei re della II dinastia di U r. Cronologicamente esse sembrano precedere di poco il tempo di Sargon di Akkad 1 • Un oggetto di eccezionale interesse venne scoperto nel terriccio che riempiva una delle tombe multiple ; c'erano, qui, tracce di scavi 1

Un

autorevole studioso è incline a collocarle immediatamente dopo Sargon e prima

della 111 dinastia di Ur, e ci� in base a uno dei sigilli cilindrici il cui stile si avvicina molto a quello della 111 dinastia; ma a questa teoria oppongo il vasellame, le armi e i vasi di metallo e le stratificazioni, la cui tt:stimonianza mi pare definitiva.

129

posteriori ed era difficile stabilire con sicurezza se l'oggetto in que­ stione avesse appartenuto alla tomba o dovesse invece essere colle­ gato con i detriti colà introdotti al tempo degli scavi, nel qual caso esso apparterrebbe al periodo di Sargon. Si tratta, comunque, di un sigillo circolare di steatite, con sopra incisa la figura di un toro gib­ buto eseguita nello stile di Mohenjo-daro e con una iscrizione nei caratteri della Valle dell'Indo. Sapevamo che Ur aveva avuto rap­ porti con l'India a una data ancora anteriore, giacché nel Cimitero Reale erano venuti alla luce grani di corniola con disegni geome­ trici imbiancati artificialmente mediante un procedimento chimico, esattamente identici agli esemplari di Mohenjo-daro, ed è impossi­ bile che, nei due paesi, due diversi artigiani abbiano inventato la stessa cosa piu o meno nello stesso tempo; ad Ur non troviamo grani del medesimo tipo in epoche piu tarde, ma in India quest'arte si è tramandata fino ai nostri giorni. Oggetti minuscoli come i grani di una collana possono, beninteso, far molta strada passando di mano in mano, e la loro pres�za non significa necessariamente un contatto diretto fra i due paesi in questione. Ma diverso è il caso allorché si tratta di un oggetto strettamente personale qual è appunto un sigillo : e quando constatiamo che dal periodo di Sargon in poi tali sigilli si fanno sempre piu numerosi, a volte importati dall'India, a volte eseguiti da artigiani sumeri a imitazione degli originali indiani, non vi è che una conclusione possibile. Nel periodo di Sargon, se non prima (come sembrerebbe indicare il sigillo della tomba) il commer­ cio tra il paese dei Sumeri e la V alle dell'Indo aveva raggiunto un tale sviluppo che varie ditte commerciali indiane di Mohenjo-daro o di altre città della zona giudicarono conveniente installare nelle città della valle dell'Eufrate i loro rappresentanti. Finché non vengano alla luce nuove testimonianze in altre loca­ lità, dobbiamo tenere in sospeso il problema della datazione delle nostre tombe della « II dinastia n e dei rapporti con l'India, e dobbia­ mo ammettere che, da un punto di vista storico, dopo la distruzione 130

del tempio di A-anni-paci-da al'Ubaid si apre un vuoto totale (la du­ rata del quale non è sicura, dato che dipende da una cronologia intorno alla quale si hanno opinioni contrastanti) fino al tempo in cui, intorno al 26oo a. C., la città di Lagash diventa la massima po­ tenza del paese. Ad Ur trovammo una piccola stele di granito su cui è inciso il nome di Ur-Nina, fondatore di una lunga dinastia di monarchi di Lagash, e la sua presenza qui significa senza dubbio ch'egli era sovrano anche di Ur. La pietra è scolpita molto rozza­ mente, ed è doloroso pensare che Ur, dove sotto la I dinastia si erano avute tante stupende opere d'arte, sia poi caduta sotto il dominio di popolazioni completamente barbare ; forse gli abitanti della città si ribellarono, giacché il nipote di Ur-Nina si vanta di aver conquistato Ur, ma il tentativo nòn si ripeté e Lagash, quantunque il suo dominio fosse cosi limitato che i suoi monarchi non figurano nelle « liste dei Re », mantenne la propria autorità su Ur per parecchie generazioni. In un punto periferico del sito trovammo un cono d'argilla con un'iscrizione - una sorta di « prima pietra » commemorativa - che segnalava la costruzione di un tempio ad open. di Enannatum I, quarto discendente in linea diretta da Ur-Nina, ed è significativo che il tempio fosse dedicato non già a Nannar, il dio patrono di Ur, ma al dio di Lagash. Ad Enannatum succedette Entemena, e dei suoi rapporti con la città di Ur abbiamo una eloquente testimonianza. Mentre eravamo occupati a sgombrare l'area dietro la Ziggurat, sul pavimento di un passaggio che taglia il muro di cinta costruito da N abucodonosor nel VII secolo a. C. trovammo una grande statua di diorite raffigurante un uomo vestito del tradizionale costume sumero di pelle di capra e che aveva il dorso e le spalle ricoperte da una lunga iscrizione in cui erano elencate le > . Questi coni erano già noti e figuravano nelle teche di molti musei, ma ora per la prima volta li vedevamo in posizione, come i costruttori li avevano collocati quat­ tromila anni prima. Che essi siano stati trovati in situ è naturalmente di grande importanza scientifica, giacché non soltanto essi ci dicono che un certo re costru1 un certo tempio, ma valgono a identificare con assoluta sicurezza un edificio da noi dissepolto e ci forniscono una data precisa; ma al tempo stesso provammo una commozione ben poco scientifica alla vista di quelle file regolari di rosette biancastre che neppure gli abitanti di Ur avevano visto una volta che la muraglia era stata ultimata e intonacata. Lo scavo della Ziggurat vera e propria fu un lavoro colossale. Verso la metà del secolo scorso J. E. Taylor, allora console britan­ nico a Basra, fu incaricato dal Museo Britannico di esplorare alcune antiche località della Mesopotamia meridionale, e tra queste egli vi­ sitò Ur, ch'era a quel tempo un luogo di difficile e pericoloso accesso. Colpito dalla evidente importanza di un tumulo, che per la sua al­ tezza, superiore a quella di tutte le altre rovine, egli ritenne giusta­ mente essere la Ziggurat, Taylor l 'attaccò dall'alto, scendendo in pro­ fondità nella muratura dei quattro angoli. La scienza dell'archeo­ logia « campale >> non era ancora stata inventata e il fine dello sca­ vatore era a quel tempo la ricerca di oggetti che potessero arricchire le vetrine dei musei : la preservazione degli edifici non era neppure considerata. Al piu grande monumento di Ur Taylor arrecò danni che oggi noi non possiamo non deplorare, ma riusd nel suo intento 146

e se non altro poté provare l 'importanza del sito che piu tardi doveva rivelarsi cosi ricco. Nascosti nel muro dell'ultimo ripiano della torre egli trovò, ad ogni angolo, dei cilindri di terracotta su cui erano graf­ fite lunghe iscrizioni con la storia dell'edificio. I testi risalgono al 550 a. C. circa, ossia al tempo di Nabonido, l'ultimo dei re di Babi­ lonia, e affermano che la torre, fondata da Ur-Nammu e da suo figlio Dungi, ma lasciata da questi a mezzo e non ultimata dai re succes­ sivi, egli, Nabonido, aveva restaurato e portato a termine. Queste iscrizioni non soltanto ci davano i primi ragguagli espliciti sulla Zig­ gurat stessa, ma ci consentivano di riconoscere nel sito, chiamato dagli Arabi poteva essere il santuario in cui venivano deposte le vivande preparate che in seguito dovevano essere distribuite tra i sacerdoti di Nannar. Era­ vamo giunti a questa conclusione allorché una ulteriore scoperta venne a confermarla. Incassate nel muro di fondo della > e ancora, nel muro d'angolo di una delle stanze in essa comprese, trovammo dei loculi di mattoni contenenti dei grandi cilindri di rame coperti di iscrizioni; tre recavano il nome di Nur-Adad re di Larsa (1750 a. C. circa) e uno il nome di Marduk-nadin-akhe di Babilonia (uoo a. C. circa); a parte i nomi diversi i testi sono praticamente identici, e par155

!ano del > per la comodità dei passeggeri. Ur era insomma una tipica città del Medio Oriente ; i suoi vicoli stretti e tortuosi sono i prototipi di quelli della moderna Bagdad, e ad Aleppo, ancora settantacinque anni fa, il passaggio di un carro o di una carrozza in una via era cosi raro da richiamare una folla di curiosi. Non c'erano allora, come ci sono oggi in molte 200

città orientali, quegli scoli domestici che da ogni casa scendono direttamente sulla strada per confluire tutti in un canaletto scavato nel centro, ma allora come oggi la spazzatura delle abitazioni e le immondizie venivano tranquillamente rovesciate nella via, e poiché non esisteva un sistema di nettezza urbana, restavano H, a farsi cal­ pestare dai passanti. Il livello della strada, di conseguenza, andava via via sollevandosi, ed è questo un fenomeno comune a tutte le città, i vi compresa Londra : ma ad Ur, naturalmente, il processo fu molto piu rapido. Com'è logico, ogni casa nuova veniva costruita piu in alto del livello stradale, ma il continuo crescere di questo signi­ ficava che, durante il periodo delle piogge, un torrente di immondizie avrebbe invaso il pianterreno : la sola cosa da fare era dunque di aggiungere un nuovo strato di mattoni. Cosi si risolveva il problema provvisoriamente, ma con l'andare del tempo era necessario un se­ condo strato, e poi un terzo : e cosi all'infinito. Nel periodo in cui le case lungo il Vicolo Paternoster furono abitate, il livello stradale sall complessivamente di oltre un metro e venti, e la soglia della casa n. 15, ad esempio, era stata via via rialzata corrispettivamente, tanto che gli inquilini dovevano scendere ben sei gradini per raggiungere il pavimento originale dell'edificio (fig. 41). Il dislivello tra il pavi­ mento e la via risultò utilissimo per datare gli edifici. E inoltre spie­ gava la ricostruzione di molte case. Veniva, a lungo andare, il mo­ mento in cui, alzandosi la soglia e restando l'architrave al suo posto originale, la porta si faceva troppo bassa; era quindi indispensabile ricostruire tutto. Si abbattevano allora i vecchi muri fino al livello dei soffitti del pianterreno, e si costruiva su di essi, piazzando le travi del nuovo soffitto a una altezza adeguata al nuovo pavimento, por­ tato frattanto al livello o sopra il livello stradale ; ogni qual volta sca­ vammo sotto l'ammattonato di una casa, constatammo che i muri con·· tinuavano a scendere fino a un pavimento sepolto un metro piu sotto, e talvolta fino a un terzo pavimento ancora piu basso. Come materiale da costruzione erano usati sia i mattoni crudi 201

che cotti. La facciata, che dava sulla via, era interamente di mattone cotto - o per lo meno, fino al livello cui giungono i muri rimasti in piedi, che è praticamente quello del primo piano; può darsi che, di H in su, fosse di mattoni crudi. Nell'interno le pareti avevano uno zoccolo di mattoni cotti mentre la parte superiore era di mattoni crudi; lo zoccolo era talvolta un semplice rivestimento contro l'umi­ dità di tre soli mattoni sovrapposti, talvolta poteva raggiungere anche l'altezza di un metro e mezzo, né ciò sembra dipendere da conside­ razioni pratiche ma piuttosto dalle disponibilità economiche del pro­ prietario ; comunque la parte di mattoni crudi, e forse l 'intera parete, era intonacata e imbiancata. Nessuna finestra si apriva sulla via, o per lo meno, non al pianterreno; se c'erano finestre al piano superiore (ma i muri sopravvissuti non sono alti abbastanza per ragguagliarci su questo particolare) dovevano avere delle gelosie di giunchi intrec­ ciati entro una intelaiatura di legno (ne trovammo di simili in una finestra cassita) e corrispondere alle cortine di legno della casa araba d'oggi. Di conseguenza le vie non dovevano presentare nulla di inte­ ressante all'occhio del passante, chiuse com'erano tra muri ciechi, in­ terrotti solo dalle porte delle case ; c'era forse, ogni tanto, una bottega aperta sulla via, ma la maggior parte dei negozi era raggruppata nei bazar: questi erano vasti recinti muniti di porte, le quali di notte venivano chiuse, suddivisi in piccoli cubicoli allineati lungo stretti corridoi probabilmente ricoperti da tettoie; il solo esempio da noi trovato è il Viale del Bazar, tra il Vicolo Paternoster e la Piazza del Fornaio, ma si può ritenerlo tipico. Non mancò di colpirci il fatto che tutte le case del periodo lsin­ Larsa ad Ur erano costruite secondo lo stesso modello. Non ce n'e­ rano due esattamente uguali; l'architetto aveva dovuto adattare la pianta a lotti di terreno di dimensioni diversissime e spesso di forma irregolare, ma si era costantemente attenuto a un modello ideale col­ laudato dall'esperienza e dettato dalle condizioni locali, e ad esso aveva sempre cercato di avvicinarsi il piu possibile. Tale modello (fig. o) 202

Sezione

V teolo cieco

® Fig. o Pianta di una casa privata.

consiste sostanzialmente in un cortile centrale sul quale si aprono tutte le stanze. Tre fattori sembrano aver suggerito questa forma, e cioè il clima della Mesopotamia meridionale, il bisogno di privacy domestica molto sentito nel Medio Oriente e l'uso della schiavitti do­ mestica ; vedremo ora in quale misura questi tre elementi influenza­ rono l'architettura. 203

Una tipica casa di medie dimensioni come il n. 3 in Via Gaia servirà di illustrazione per tutte, almeno per quanto riguarda la di­ sposizione, giacché per i particolari dovrò attingere anche da altre case ; e citerò, nel corso della descrizione, i « Testi dell'Auspicio Do­ mestico n che, in forma di aforismi superstiziosi, contengono alcuni principi cui l'architetto sumero doveva attenersi. La porta d'ingresso è piccola e senza pretese (« se la porta di casa è molto grande, quella casa verrà distrutta ») e si apre verso l'interno (« se la porta di casa si apre verso l'esterno la donna di quella casa sarà un tormento per il marito ») su una piccola anticamera ammat­ tonata, dove in un angolo si apre un condotto di scarico coperto da un vaso pieno d'acqua, in modo che chi entra possa lavarsi i piedi prima di procedere oltre ; la seconda porta, che introduce nella casa propriamente detta, si apre in un muro laterale in modo che dalla via lo sguardo non possa penetrare nell'interno ; il visitatore o il servo della casa annunciavano la presenza di un estraneo in modo che le donne potessero ritirarsi. Agli stipiti della seconda porta erano appese delle maschere di terracotta del dio Puzuzu, un talismano contro il vento di sud-ovest portatore di febbre, e scendendo un gradino (« se la soglia del cortile è piu alta della soglia di casa la padrona di quella casa sarà piu in alto del suo signore ») si entrava nel cortile centrale. Questo era ammattonato e leggermente inclinato verso il centro, dove si apriva la bocca di una conduttura che scaricava l'acqua nel sotto­ suolo (« se l'acqua si raccoglie nel mezzo del cortile grande sarà la fortuna del padrone ») e torno torno si aprivano le porte delle stanze a pianterreno. La funzione di ciascuna di esse si può perfettamente ricostruire. La porta piu larga, che si trova nel lato del cortile parallelo alla facciata della casa, dà accesso alla stanza di ricevimento in cui veniva introdotto il visitatore. Si tratta invariabilmente di una stanza ampia e bassa, con la porta in uno dei lati piu lunghi, esattamente identica al liwan, o stanza degli ospiti, della moderna casa araba ; di giorno 204

una si apriva nel muro di fondo un vano quadrato simile a un caminetto da cui partiva una scanalatura scoperta che risa­ liva il muro ma si arrestava prima di aver raggiunto il tetto ; era un caminetto per bruciare l'incenso e la canna serviva per assicurare il « ti­ raggio >> e al tempo stesso per convogliare il fumo verso la parte supe­ riore della « camera >>. In un angolo c'era un altare di mattoni (di solito crudi) intonacati, e questo intonaco era modellato in modo da creare un effetto di pannelli; in un caso trovammo infissi nel pavi­ mento di bitume dei « piedi >> forati per tener ferme, a qualche cen­ timetro dal suolo, delle lunghe aste orizzontali, che servivano, è la sola spiegazione possibile, a fissare l'estremità inferiore delle tende tese attraverso la cappella quando l'altare non era in uso. A volte nell'altro angolo della cappella una porta dava su un piccolo ripo­ stiglio che poteva essere uno spogliatoio ma che, dato il gran numero di tavolette che spesso conteneva, era piu probabilmente l'archivio di famiglia. Nelle case come nelle cappelle erano assai comuni figu­ rine di terracotta e bassorilievi di divinità o di devoti ; in una casa (il n. 3 del Vicolo Paternoster) ne trovammo una insolitamente grande, la parte superiore del corpo di un dio barbuto che ancora conserva buona parte della superficie originale dipinta; almeno in parte queste statuine dovevano essere collegate ai riti che si svolgevano nella cap­ pella, ossia dovevano rappresentare gli dèi personali o della famiglia 213

del proprietario, il teraphim della storia di Giacobbe e Rachele, quando la fanciulla rubò gli dèi domestici a Laban suo padre (figg. 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48). La scoperta di queste cappelle domestiche, intorno alle quali i testi letterari non contengono il minimo accenno, gettò una luce del tutto nuova sulla religione privata dei Sumeri. Salta subito agli occhi la grande importanza attribuita all'unità e alla continuità della famiglia. Il capo di casa, quando muore, non viene trasportato a un cimitero comune dove sarebbe presto dimenticato e in ogni caso resterebbe sepa­ rato dai suoi discendenti ; al contrario, egli continua a far parte della famiglia, restando nella casa e partecipando a quel rituale dom estico di cui era un tempo Gran Sacerdote e di cui ora è Gran Sacerdote suo figlio. Quando cominciammo a scavare le prime tombe del periodo di Larsa fummo delusi dalla loro povertà ; all'infuori di un paio di vasi d'argilla e di quegli oggetti strettamente personali, come sigilli, orecchini o anelli di cui la salma non poteva decentemente venir pri­ vata, la piu bella cripta situata sotto la casa piu agiata non contiene assolutamente nulla; le tombe piu ricche non reggevano il confronto con le piu misere del vecchio Cimitero Reale. La spiegazione è sem­ plice. Il morto del periodo di Larsa non aveva bisogno di un corredo tombale perché aveva nella casa stessa, a sua disposizione, tutto ciò che gli occorreva. I cibi e le bevande sulla porta della cripta erano necessari perché lo spirito del defunto potesse, uscendone, rifocillarsi (i « Testi dell'Auspicio » ci assicurano che non era infrequente im­ battersi, nella casa, nel fantasma di un antenato) e cosi rientrare in famiglia animato da sentimenti amichevoli ; ma non appena rientrato in casa, tutto era a sua completa disposizione. Può darsi perfino che, in certa misura, le cerimonie sull'altare di famiglia fossero destinate al morto sottostante - il primogenito aveva il titolo di « mescitore d'olio al genitore » ; ma in primo luogo erano dedicate al dio per­ sonale che era l'incarnazione della famiglia e suo patrono. Sui sigilli cilindrici di questo periodo, come già al tempo della III dinastia, il 214

soggetto piu comune è la scena in cui il proprietario del sigillo viene introdotto alla presenza di Nannar o Nin-gal dall'anonimo dio per­ sonale che fa da intermediario e intercessore : quei sublimi dèi erano troppo importanti e troppo remoti per essere avvicinati dagli uomini comuni e occorreva perciò l'aiuto di un intercessore divino; l'inter­ cessore, in quanto divinità familiare, poteva essere avvicinato diret­ tamente dai membri della famiglia e appunto a lui, nella cappella della casa, erano dedicate le preghiere e le offerte di tutte le gene­ razioni - egli era il dio « di Abramo, di !sacco e di Giacobbe » . Un'altra importante scoperta per la comprensione della religione dei Sumeri - e intorno alla quale, ancora una volta, i testi letterari tacciono - riguarda l'esistenza di cappelle pubbliche aperte diret­ tamente sulla via. Di quando in quando si incontrava lungo i muri di una strada una porta contrassegnata (talvolta, se non sempre) da grandi bassorilievi di terracotta appesi agli stipiti in sostituzione delle modeste maschere di Puzuzu delle case private. Dalla soglia pochi gradini di mattoni immettevano in un cortile pavimentato che in certi casi era un semplice recinto scoperto, come la Cappella del Bazar all'angolo del Vicolo Paternoster e la Cappella Carfax, in altri un edificio piu elaborato con un santuario cintato e delle stanze sussidiarie, come la Cappella Pa-sag e la Cappella del Caprone nel Vicolo della Chiesa. Valga per tutte la descrizione della Cappella Pa-sag (fig. 52). Come le altre cappelle era stata costruita nel tardo periodo di Larsa. Si entrava nel cortile non già direttamente ma attraverso un atrio ; nell'angolo a sinistra, quello che in origine era un semplice vano era stato trasformato in un armadio chiuso in cui trovammo nume­ rosi oggetti votivi, il modellino in argilla di un carro, letti in mi­ niatura, un sonaglio d'argilla, coti e oltre trenta teste di mazza di pietra, su una delle quali si leggeva una dedica a Pa-sag. Entrando ci si trovava di fronte il santuario, la cui porta, contrassegnata da sti­ piti ornati da arditi bassorilievi, era fiancheggiata da due piedestalli di 215

mattoni alti circa settanta centimetri, uno dei quali era piatto mentre l'altro aveva in cima una cavità rettangolare rivestita di bitume e destinata evidentemente alle offerte liquide. Di faccia al santuario sor­ geva un altare di mattoni con la sommità rivestita di bitume; accanto c'era una tazza d'argilla e a maggior distanza trovammo altre tazze d'argilla e il teschio di un bufalo. Vicino alla porta del santuario c'era un piedestallo rettangolare di pietra calcarea, alto circa settanta centi­ metri, che aveva nella parte superiore una cavità a forma di tazza e sui quattro lati dei bassorilievi piuttosto rozzi raffiguranti uccelli e figure umane : si tratta di un altare per le libagioni simile a quello che si vede sulla grande stele di Ur-Nammu. Verso l'angolo est giaceva la figura in pietra calcarea (e assai brutta) di una dea, collocata in origine sopra un dado di legno cavo; nell'interno del dado trovammo la statuetta di rame di un'altra dea ma le braccia, che dovevano essere di qualche altro materiale, mancavano. Nel cortile trovammo altri vasi di terra­ cotta, alcune macine di lava nera e dei pestelli di pietra. Un tempo il santuario si chiudeva con una porta costituita da una intelaiatura di legno con pannelli di vimini. Nel muro di fondo, dirimpetto alla porta, si apriva una nicchia la cui parte inferiore era occupata da un piede­ stallo di mattoni intonacato; su di esso stava l'effige, di pietra calcarea, della dea Pa-sag. Era piccola, rozzamente scolpita e in tempi antichi si era rotta ed era stata ricomposta alla meglio con bitume; i piedi man­ cavano e perciò era stata infissa nella base di fango perché si mante­ nesse eretta ; benché artisticamente assai modesta e priva di qualsiasi valore intrinseco era stata trattata con rispetto e i suoi umili adoratori avevano fatto del loro meglio per riparare i danni da essa subiti. Sul pavimento trovammo molti piccoli grani (la collana della dea), vasi di argilla, un braciere per l'incenso, e sessantaquattro tavolette scritte relative alle attività commerciali del piccolo tempio. Come le altre, la cappella di Pa-sag venne fondata da qualche pio cittadino, che sacrificò a questo scopo una parte della propria abi­ tazione, ed era mantenuta grazie a sottoscrizioni volontarie. Cele216

brava le funzioni un prete di passaggio, al quale erano probabilmente riservate le due stanze sul retro, provviste di un ingresso particolare sulla Via Diritta, e che veniva retribuito con le offerte dei fedeli o con le modeste donazioni del fondatore del sacrario o di altri be­ nefattori. Conosciamo ormai perfettamente il carattere dei grandi templi sumeri e babilonesi. Essi erano dedicati ai massimi dèi, erano costruiti dai re ed erano ricchissimi, dato che il dio della città era anche il mag­ gior proprietario terriero dello stato. All'altro capo della scala sap­ piamo ora che c'era la cappella domestica per il culto del dio perso­ nale, il quale aveva lo stesso nome della famiglia che rappresentava. La cappella pubblica è qualcosa di diverso da entrambi questi luoghi di culto. Nasce per iniziativa privata ma serve un fine pubblico ; è dedicata non già alle grandi divinità o al patrono di questa o quella famiglia, ma a uno di quegli dèi minori che i Sumeri contavano a migliaia. Pa-sag, ad esempio, aveva la funzione di proteggere i viag­ giatori nel deserto ; soltanto chi si disponesse a partire aveva bisogno del suo aiuto, ma in quella particolare circostanza la dea era, natu­ ralmente, indispensabile, e la piu elementare prudenza consigliava di sostare nel suo tempio per una preghiera e un'offerta. Queste divi­ nità minori erano potenze « settoriali », di cui c'era bisogno a in­ termittenze ma che, volta per volta, erano assai provvidenziali; poiché erano « minori >> potevano essere avvicinate direttamente dal cittadino, ma non godevano di una posizione tale che lo stato dovesse sovven­ zionarle ; il fatto che i loro templi fossero fondati e mantenuti da privati cittadini laici dimostra la loro importanza nel quadro delle cre­ denze religiose popolari. Non c'era nulla, nella vita, che non rientrasse nell'ambito speciale di questo o quel dio - ecco perché c'erano tanti dèi - e il saggio, in tutte le azioni che intendeva intraprendere, sapeva invocare la divinità apposita. I nostri scavi nei quartieri residenziali ci hanno fornito un qua­ dro particolareggiato delle condizioni di vita ad Ur durante il pe217

riodo di Larsa, ma la zona scavata era relativamente ristretta e per farci un'idea della città nel suo insieme dobbiamo ricorrere ad altre testimonianze. I tumuli di rovine di Ur sono molto estesi, ma non rappresentano tutta la città, giacché i quartieri abitati solo per un periodo relati­ vamente breve non formarono tumuli affatto, o li formarono cosf bassi che l'elevazione generale del livello della piana finf per assor­ birli del tutto. Cosf, ad esempio, trovammo delle case Larsa scavando in una zona assolutamente piatta circa mezzo miglio a sud-est della Ziggurat. Un miglio a nord-est del Temenos trovammo la « Casa del Tesoro » di Sin-idinnam di Larsa, e ad est di questo punto si estende un vasto tratto pianeggiante in cui le case della stessa epoca sono fitte come nell'area del Vicolo Paternoster. La cittadella di Ur - la « Città Vecchia » - rappresentava soltanto un sesto della « Grande Ur » quale risulta dai nostri scavi d'assaggio ; ma al di là della zona dove gli edifici sono piu fitti cominciavano le case dei sobborghi, piu distanziate - trovammo ad esempio tracce di edifici piu o meno fitti fin nei pressi del tempio di al'Ubaid, che dista quattro miglia dalla città, e c'erano, a cinque o sei miglia da Ur, numerose cittadine satelliti (dove conducemmo vari scavi d'assaggio) che in so­ stanza altro non erano se non l'estrema periferia della capitale. Am­ messo che, per quanto riguarda la densità della popolazione, l'area da noi scavata costituisca un > come di­ mostrano le tavolette trovate nelle case dei suoi mercanti. Negli sta­ bilimenti di Ur si lavoravano le materie prime importate di lontano, talvolta da paesi oltremare; i documenti di carico di una nave mer­ cantile che risali il Golfo Persico per scaricare sui moli di Ur elencano oro, minerale di rame, legname duro, avorio, perle e pietre preziose. È vero che lo scettro della supremazia era passato in altre mani, ma né Isin né Larsa potevano rivaleggiare commercialmente con questa città dalle antiche tradizioni mercantili, che occupava una posizione chiave con la sua rete di canali navigabili in comunicazione con la costa ; la Ur del tempo di Rim-Sin era in realtà piu grande e proba­ bilmente piu prospera di quanto non fosse stata ai tempi di Ur­ Nammu.

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VIII.

I periodi cassita e assiro

Il dodicesimo anno del regno di Samsu-iluna di Babilonia, figlio del grande Hammurabi, l'anno 1729 a. C., secondo i nostri calcoli ', era ufficialmente chiamato « quello in cui egli distrusse le mura di Ur J> . Le rovine della città dicono con eloquenza quanto tale distru­ zione sia stata radicale. Le fortificazioni furono smantellate - e que­ sto, a dire il vero, è il meno che potessimo attenderci ; ogni tempio da noi disseppellito era stato saccheggiato, demolito e incendiato ; ogni casa era stata divorata dal fuoco ; insomma, quella grande città cessò completamente di esistere. Nelle case, là dove i muri rimasti in piedi erano bassi, si notava sulla superficie dei ruderi una spessa coltre di polvere, sabbia e cenere, segno evidente che le rovine erano rimaste in abbandono per molto tempo, quanto bastava perché l'azione gra­ duale del vento e della pioggia riempisse tutte le cavità per poi iniziare l'ordinata sepoltura della città morta. Naturalmente alcuni tornarono a quelle che erano state le loro case, ma non avevano né la forza mo­ rale né i mezzi per ricostruirle. Là dove i muri della casa erano an­ cora abbastanza alti, si rintanavano tra le rovine, rappezzando le pa­ reti sfondate con vecchi mattoni, stendendo un nuovo pavimento di fango sopra i detriti che ricoprivano le vecchie stanze, e qui si ferma­ vano, accontentandosi del pianterreno, che richiedeva meno fatica e ' Secondo il sistema cronologico del professar Sidney Smith.

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meno materiale; non ritroviamo piu, nella casa cassita, quelle scale che avevano caratterizzato le abitazioni del periodo di Larsa. Anche le case cassite dei periodi posteriori, che non erano piu semplici rimaneggia­ menti di antiche rovine ma fondazioni indipendenti erette in un mo­ mento in cui Ur godeva di nuovo di una relativa prosperità, avevano un solo piano; la pianta seguiva talvolta la tradizione, un cortile centrale su cui si affacciano tutte le stanze, ma a quanto ci risulta (sebbene, dato che disseppellimmo un numero assai limitato di case di questo tipo, sia pericoloso generalizzare) l'edificio a due piani era caduto in disuso. Anche i templi, s'intende, dovevano essere ricostruiti ; comunque andassero le cose, gli dèi avevano bisogno di una dimora. Né il pro­ blema, si potrebbe credere, era di difficile soluzione, giacché, se non altro, restava la terra e gli dèi erano grandi proprietari terrieri : anche in tempi durissimi le rendite avrebbero perciò dovuto bastare a finanziare un vasto programma edilizio. Ma le cose non sembrano essere andate cosL Può darsi che Babilonia controllasse ormai tutte le fonti di reddito, che il conquistatore Marduk avesse incamerato i beni di N annar : sta di fatto che i sacerdoti di N annar non poterono far fronte alla situazione. Il Gig-par-ku, il tempio di Nin-gal, è l'unico edificio che rechi tracce concrete del tentativo di riparare i danni ap­ portati dalle truppe babilonesi, e proprio qui si vede chiaramente quanto misere fossero le risorse dei restauratori ; l'edificio è rimediato alla meglio, i mattoni non recano alcuna dedica, e il vecchio mate­ riale è utilizzato abbondantemente. Negli altri templi non trovammo traccia di lavori analoghi, e i muri di Kuri-galzu si ergono diretta­ mente sopra quelli di Larsa ; là dove il vecchio tracciato venne se­ guito fedelmente, è lecito arguire che fosse rimasta qualche costru­ zione fuori terra a servir da guida, qualcosa di piu concreto, insomma, della mera tradizione relativa alla forma del tempio ; doveva in ogni caso trattarsi di opere cos1 misere che, quando si volle intrapren­ dere una vera e propria ricostruzione, fu necessario anzitutto spazzar 221

via i miseri muri malamente rimessi in piedi dai fedeli impoveriti. Samsu-iluna distrusse da cima a fondo la città di Ur, ma la sua vittoria ebbe conseguenze di ben piu vasta portata. Mi sono spesso riferito, specie nell'ultimo capitolo, alle tavolette da noi rinvenute du­ rante gli scavi ; ce n'erano migliaia e migliaia ' . Fino al tempo di Samsu-iluna questi documenti, lettere, contratti, conti ecc. , sono scritti nella lingua sumera, la lingua della gente di Ur. Dopo quella data le tavolette sono in lingua babilonese. Già durante il regno dei re di Larsa la vecchia lingua locale subiva la concorrenza di quella del Nord semitico, e l'uomo d'affari di Ur era bilingue ; ma dopo la caduta di Ur la supremazia del Nord si affermò incontrastata. La lingua sumera venne ancora mantenuta per scopi religiosi, esattamente come il latino è rimasto la lingua dei riti della Chiesa cattolica, ma era una lingua morta. Fuori dai templi, nessuno la usava, e perfino i preti dovevano apprendere quella che era stata la lingua naturale dei loro compatrioti poche generazioni prima, e non sempre la impara­ vano a perfezione ; perfino ricopiando un antico testo accadeva che si macchiassero di veri e propri « strafalcioni >> da scolaretto. La vec­ chia espressione che indicava la supremazia universale, « re di Sumer e di Akkad » era ormai un anacronismo, giacché Sumer aveva ces­ sato di esistere. Non stupisce che gli sbandati e gli esuli ritornati alle rovine di Ur, e le generazioni successive che si costruirono una casa attenendosi piu o meno all'antico modello sopra i tumuli che na­ scondevano le tombe ormai dimenticate dei re della III dinastia, non avessero cuore, seppure avevano i mezzi, di riparare i vecchi monu­ menti dell'ex capitale. Gli dèi, naturalmente, dovevano essere in qualche modo sistemati - se non altro per ragioni prudenziali ; ma l

Un volume pubblicato dal dottor Lcgrain tratta di millcottoccnto tavolette, ma queste

contengono esclusivamente testi commerciali della III dinastia di Ur, e comunque non sono che un 'antologia; quelle del periodo Isin-Larsa sono di gran lunga piu numerose; ottocentottanta sono state pubbl icate dal dottor Figulla, che ha inoltre pubblicato duecento documenti com­ merciali dd tardo periodo babilonese.

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non c'era neppur da pensare di far rivivere le glorie di un passato con cui ogni vincolo era stato spezzato. La I dinastia di Babilonia si spense ingloriosamente. Già lo stesso Samsu-iluna s'era trovato in difficoltà per respingere un popolo di invasori chiamati Cassiti; i suoi successori si videro strappare la su­ premazia « dai re dei paesi sul mare » da una parte, e dai Cassiti dall'altra; ma in seguito questi ultimi finirono per affermarsi come i signori e gli eredi di tutto l'impero babilonese. Per raggiungere una simile posizione costoro dovevano essere valorosi guerrieri, ma una volta conquistato il potere non sembra che abbiano saputo usarlo. Il primo periodo cassita è una pagina bianca nella storia della Meso­ potamia ; politicamente i re non ebbero alcun peso, le arti stagna­ rono, nessun edificio di rilievo sorse a dar lustro ai nomi dei mo­ narchi e nessun documento scritto rende conto del loro dominio. Ecco dunque perché a Ur, per quasi duecentocinquant'anni, le case piuttosto squallide dei cittadini privati costituiscono la sola prova del­ l'esistenza della città che l'archeologo abbia potuto produrre. E poi di colpo, intorno al qoo a. C., si verifica un mutamento radicale. SaH al trono Kuri-galzu II, un re cassita che si rivelò un formidabile costruttore. Ur è piena dei suoi monumenti, e la sua attività edilizia non fu meno intensa in altre città meridionali da gran tempo dimenticate dal governo centrale. È sempre interessante speculare sui motivi che possono aver indotto un monarca a cambiar politica, e non c'è dubbio che Kuri-galzu doveva avere le sue ragioni. Forse influf su di lui il fatto che l'Assiria, uno stato vassallo di Babi­ lonia, cominciava a dar segni di indipendenza, che a nord-ovest i Mitanni costituivano ormai una potenza formidabile, e che, nel cuore dell'Asia Minore, gli lttiti avevano formato uno stato che già aveva manifestato delle mire sulla Siria ed era evidentemente pronto ad appoggiare l'intrigo politico con la forza delle armi, senza badare alle distanze. Con queste minacciose nubi che si addensavano a oc­ cidente e a settentrione, il re cassita ritenne forse prudente consoli223

dare i suoi interessi nel Sud ; il modo piu facile e tradizionale per ingraziarsi le città soggette era di sposare la causa dei loro dèi, e la ricostruzione dei templi gli avrebbe procurato il favore sia del popolo che degli dèi medesimi. Ho l'impressione che i moventi di Kuri-galzu fossero politici piu che strettamente religiosi, ma comunque sia egli diede l'avvio a un piano edilizio ambiziosissimo. Per mettere in atto il quale, tuttavia, la qualità dovette essere sacrificata alla quantità. È vero che Kuri-galzu costruf generalmente in mattone cotto, il che è piu di quanto abbiano fatto i suoi successori, il materiale standard dei costruttori del tardo periodo babilonese essendo infatti il mattone crudo; ma ben di rado egli poté permettersi il bitume, che sostitu! con intonaco di fango ; e mentre ai templi della III dinastia gli strati di mat­ toni sono disposti per tutto lo spessore del muro, i muri cassiti, cosi solidi all'apparenza, sono formati generalmente da due sottili facciate di mattoni che racchiudono una intercapedine riempita con cocci di mattoni e fango; i mattoni rotti venivano prelevati dai vecchi edi­ fici in corso di riparazione, e per le facciate veniva utilizzata ogni sorta di mattoni interi disponibile, per modo che il muro risulta composto da una mescolanza eterogenea di mattoni di epoche e misure diver­ sissime. Nondimeno gran parte delle opere di Kuri-galzu si sono con­ servate meglio degli edifici di tutte le epoche antecedenti. Naturalmente la prima preoccupazione del re deve essere stata il restauro del tempio centrale del Dio-Luna. È tutto ciò che possiamo dire per quanto riguarda la Ziggurat, giacché il rifacimento della torre nel tardo periodo babilonese portò alla demolizione di ogni opera posteriore a Ur-Nammu e a suo figlio Dungi; ma gli edifici circostanti recano il segno ben visibile dell'intervento di Kuri-galzu . Il rivestimento che i re di Larsa avevano aggiunto alla muraglia di Ur-Nammu che sosteneva la terrazza della Ziggurat era caduto in rovina ; questa facciata venne ora rifatta con mattoni speciali che riproducevano le mezze colonne e le nicchie della torre d'ingresso di Warad-Sin. Quando scavammo lungo il ciglio della terrazza venne 224

41J· Tomb� reale

con tre

cripte di pietra.

so. Peso d i pietra usato dai merca n t i .

51 .

L'altare, la tavola per le offerte e il camino per l'incenso di una

52 .

«

cappella di famiglia

>>

del periodo di Larsa.

La cappella di Pa-sag vista dalla via.

in luce il muro di Kuri-galzu e sulle prime pensammo di aver ter­ minato il nostro lavoro ; poi, nei punti in cui il rivestimento esterno era caduto, dietro una intercapedine riempita con mattoni frantu­ mati, scoprimmo un secondo muro di mattoni cotti, ma piu antico, che risaliva al tempo di Larsa; e finalmente, là dove anche questo era caduto, si scorgeva la muraglia di mattoni crudi di Ur-Nammu, con i suoi coni commemorativi d'argilla; fu un singolare caso di stratificazione verticale. Non soltanto il muro di sostegno della terrazza ma tutto il sovra­ stante circuito di stanze « inframurali >> venne ricostruito, e cosi il grande cortile di N annar ai piedi della terrazza, con la sua cerchia di magazzini e il suo portale d'ingresso monumentale; tutto ciò sulla falsariga dell'antico tracciato, ma senza riprodurre sulla facciata esterna delle mura quei complicati motivi ornamentali a mezze co­ lonne che avevano contraddistinto l'opera degli architetti di Larsa. Nondimeno, i robusti contrafforti che interrompevano la parete liscia delle mura dovevano creare un effetto non meno imponente del gioco, in verità un po' cincischiato, delle mezze colonne; questa, almeno, fu la nostra impressione allorché, riportando in luce la facciata del grande cortile, scoprimmo la muraglia a grandi contrafforti quadrati di Kuri­ galzu che poggiava sul vecchio muro a colonne; il confronto era tutto a vantaggio dell'opera posteriore. Kuri-galzu fu in primo luogo un restauratore, come del resto si fa continuamente scrupolo di dichiarare egli stesso, e le iscrizioni sui suoi mattoni riportano che « egli ha rinnovato per Nannar l'E-gish­ shir-gal, la sua casa diletta » (che è l'insieme del perimetro della Zig­ gurat) o, come afferma in termini piu espliciti il cardine di una porta, « l'E-gish-shir-gal, il tempio che dai tempi remoti era in rovina egli edificò e rimise al suo posto », ma la ricostruzione fu di tali pro­ porzioni che egli poteva a buon diritto vantarsi - come fa in un altro cardine - di aver > disposti verti­ calmente ; la forma era quella classica delle bare persiane, oblunga con una estremità arrotondata e l'altra quadrata, e due manici di rame massiccio ai due capi (fig. 58). Sono state dissepolte innume­ revoli tombe persiane, ma fino ad oggi si è trovato un solo sarcofago di metallo come questi, e la presenza di una simile rarità va tenuta presente, di contro alla apparente povertà degli edifici, quando cer­ chiamo di valutare le condizioni di vita ad Ur sotto il dominio persiano. La scoperta dei sarcofagi, sia detto per inciso, ebbe poi un curioso seguito. Uno di essi era in pessime condizioni, il metallo essendosi gravemente deteriorato, e l'altro relativamente ben conservato, ma, sebbene con una certa difficoltà, riuscimmo a rimuovere sia l'uno che l'altro e a trasportarli a Londra. Qui essi rimasero per parecchi anni, e infine, trattandosi di due esemplari gemelli, uno di essi venne donato al museo della città di Birmingham. Quelle autorità stavano cercando di montare, per esporlo al pubblico, un oggetto che aveva tutta l'ap­ parenza di un rottame malconcio, quando un lembo di metallo cor­ roso si staccò da uno dei « cerchioni » rivelando u n disegno graffito. 276

Una ripulitura sistematica mise in luce su entrambi i cerchioni una vivacissima decorazione di fiori e animali; anche il sarcofago del Mu­ seo Britannico venne allora trattato allo stesso modo e diede risultati analoghi. Quasi nello stesso tempo venne pubblicata una relazione su un oggetto rinvenuto in Persia e che si trova oggi in un museo ame­ ricano, una fascia di rame che, come ora sappiamo, è il cerchione di un sarcofago, e sulla quale si trovano riprodotti gli stessi disegni : tale è, anzi, la somiglianza da far pensare che provenga dalla stessa bot­ tega in cui furono costruite le nostre bare. Ma se vennero fabbricate a Ur o in Persia non c'è modo di sapere. Un altro sarcofago persiano, trovato quasi al livello attuale del suolo, ci riserbò una sorpresa non minore. Era stato saccheggiato e non conteneva ormai che pochi frammenti di ossa rotte e neppure un vaso d'argilla ; ma tra la polvere che ricopriva il fondo i ladri non ave­ vano notato una collezione di circa duecento impronte di sigilli di creta. « Collezione JJ è la parola, giacché i blocchetti di argilla fresca erano stati premuti contro i sigilli (si vedevano ancora chiaramente le impronte digitali e non c'erano fori in cui si fosse potuto infilare una stringa) e poi cotti per renderli permanenti; erano illustrazioni dei sigilli raccolti nel gabinetto di un collezionista. E costui doveva avere gusti tutt'altro che provinciali ; la Grecia, l'Egitto, Babilonia, l'As­ siria, la Persia, tutti sono rappresentati e testimoniano del complesso di influenze artistiche che ebbe a subire la valle della Mesopotamia sotto il dominio cosmopolita dei Persiani e dei Macedoni. Le tavolette datate delle case persiane ci portano fin verso la fine del IV secolo a. C. - ne abbiamo una del regno di Alessandro il Grande e una del settimo anno del regno di Filippo il Macedone, 316 a. C. Ma anche se ad Ur vi sono ancora dei ricchi e raffinati col­ lezionisti, la città sta ormai spegnendosi. La religione di stato della Persia era adesso il monoteismo di Zoroastro e gli antichi dèi non contavano piu nulla; anche se i templi non furono scientemente di­ strutti, l'abbandono in cui caddero fu loro altrettanto fatale. Nell'in277

terno della Zona Sacra, a ridosso del muro di sud-ovest della Zig­ gurat, un vasaio persiano sistemò la propria fornace e avviò un sacrilego commercio ; trovammo i suoi