Uno chef per amico. La mia cucina tra tradizione e innovazione 8851198810, 9788851198817

A chi non piacerebbe, mettendosi ai fornelli, avere accanto un vero chef che ci guidi passo passo e magari ci dia l'

270 68 43MB

Italian Pages 288 [326] Year 2022

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Uno chef per amico. La mia cucina tra tradizione e innovazione
 8851198810, 9788851198817

Table of contents :
Frontespizio
Colophon
L’autore
Sommario
Introduzione
Benvenuti in cucina con me
Come usare questo libro
Preparati di base
Brodo
Burri aromatizzati
Fondo bruno e fondo vegano
Fumetto di pesce
Maionese
Lezioni di cucina #estrazione
Oli aromatizzati
Salsa bisque
Lezioni di cucina #essiccazione
Salsa teriyaki
Magie della cucina molecolare
Aria di cavolo rosso
Chips italiane di tapioca
Cotica soffiata
Lezioni di cucina #soffiatura
Foglie d’autunno
Gel alla mela verde e wasabi
Perlage di cavolo rosso
Spugna al cioccolato
Spugna di zucca
Amuse-bouche e antipasti
Carpaccio di Chianina
Lezioni di cucina #gelificazione
Cervello di seppia
Fegatino toscano
Fegatino 2.0
Scacchi
Finto pomodoro
Lezioni di cucina #sferificazione
Fragole di Wagyu
Olive
Paccheri chips
Pianeta caprese
Polpo marinato
Scampo tequila, sale e limone
Spuma di patate al tartufo
Lezioni di cucina #sifone
Tacos ceviche
Tartare di cervo
Tonno del Chianti
Tuorlo disidratato
Uovo CBT
Lezioni di cucina #kappatura
Zucca
Primi
Bottoni burro e salvia
Cappelletti al cinghiale
Fusilli all’anatra
Minestra delle favole
Minestrone 2.0
Parmigiana moderna
Plin al parmigiano
Ribollita
Lezioni di cucina maneggiare i #crudi
Risotto ai frutti di bosco ed erborinato
Risotto al piccione
Risotto al sesamo
Spaghetti con acqua dei peperoni e salsa Red Gold
Lezioni di cucina #flambatura
Spaghettoni al peperone arrosto
Tagliatelle di farro al pesto non pesto
Tagliatelle marroni
Tagliolini al riccio di mare
Tortelli di patate mugellani
Lezioni di cucina cottura a bassa temperatura (#cbt)
Triangoli vegani
Secondi
Baccalà alla livornese
Branzino con gel alla mela verde e wasabi
Filetto di manzo CBT
Guancia con purè di sedano rapa
Gunkan e nigiri di Wagyu
Insalata belga marinata
Insalata di mare
Lingua con fondo di cipolla e gambero blu
Maialino CBT
Melanzana parmigiana
Peposo del Brunelleschi
Petto d’anatra con gelato al gorgonzola e il suo fondo
Polpette di lampredotto
Rosa di daikon
Salmone marinato
Salmone CBT
Lezioni di cucina #marinatura
Seppie e piselli 2.0
Tartare di anatra
Tataki di tonno
Triglia croccante alle nocciole
Wagyu tartare king
Dolci
Bavarese
Biscotti di Prato
Girella
Panettone al cioccolato
Pera
Tartelletta ai lamponi
Terra di campagna
Torta Sacher
Uovo
Pane e dintorni
Pan Brioche
Pane toscano
Schiacciata toscana
Le ricette che avete amato di più
Cacio e pepe della Tasmania
Carbozucca
Crema all’aglio
Focaccia alle cipolle di mia nonna
Involtini di grotta
Linguine con ragù di polpo e mandorle
Pappa al pomodoro a modo mio
Pasta al pomodoro
Pasta “Toscana in autunno”
Pici all’aglione
Polpo “A Lucia’, guarda qua”
Quando il Mugello incontra Trapani
Spaghetti alla gallinella di mare
Ziti della domenica
Indice alfabetico delle ricette

Citation preview

© 2022, DeA Planeta Libri s.r.l. Redazione: Via Inverigo, 2 − 20151 Milano Con la collaborazione di Alessia Moffa. Fotografie: © Marco Manetti, Daniel Casalini e Daniele Rossi. Postproduzione: Daniel Casalini. Prima edizione ebook: febbraio 2022 ISBN 978-88-511-9952-4 www.deaplanetalibri.it ebook.deagostinilibri.it @DeAPlanetaLibri @DeAPlanetaLibri @DeAPlanetaLibri Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org

L’autore Daniele Rossi, nato e cresciuto nel Mugello, ha scoperto la passione per la cucina fin da bambino, in famiglia. Dopo aver lavorato per diversi anni in vari ristoranti in Italia e all’estero, oggi si dedica alla condivisione di tutto ciò che ha imparato, tramite i suoi canali social, e mette la sua esperienza al servizio di ristoranti e hotel attraverso consulenze culinarie. Collabora con la testata Giallo Zafferano e ha partecipato a vari programmi televisivi, tra cui una miniserie per Sky Italia, dedicata alla cucina della sua terra, la Toscana.

@danielerossichef @danielerossichef

Sommario L’autore Introduzione Benvenuti in cucina con me Come usare questo libro Preparati di base Brodo Burri aromatizzati Fondo bruno e fondo vegano Fumetto di pesce Maionese Lezioni di cucina #estrazione Oli aromatizzati Salsa bisque Lezioni di cucina #essiccazione Salsa teriyaki

Magie della cucina molecolare Aria di cavolo rosso Chips italiane di tapioca Cotica soffiata Lezioni di cucina #soffiatura Foglie d’autunno Gel alla mela verde e wasabi Perlage di cavolo rosso Spugna al cioccolato Spugna di zucca

Amuse-bouche e antipasti Carpaccio di Chianina

Lezioni di cucina #gelificazione Cervello di seppia Fegatino toscano Fegatino 2.0 Scacchi Finto pomodoro Lezioni di cucina #sferificazione Fragole di Wagyu Olive Paccheri chips Pianeta caprese Polpo marinato Scampo tequila, sale e limone Spuma di patate al tartufo Lezioni di cucina #sifone Tacos ceviche Tartare di cervo Tonno del Chianti Tuorlo disidratato Uovo CBT Lezioni di cucina #kappatura Zucca

Primi Bottoni burro e salvia Cappelletti al cinghiale Fusilli all’anatra Minestra delle favole Minestrone 2.0 Parmigiana moderna Plin al parmigiano Ribollita Lezioni di cucina maneggiare i #crudi Risotto ai frutti di bosco ed erborinato Risotto al piccione

Risotto al sesamo Spaghetti con acqua dei peperoni e salsa Red Gold Lezioni di cucina #flambatura Spaghettoni al peperone arrosto Tagliatelle di farro al pesto non pesto Tagliatelle marroni Tagliolini al riccio di mare Tortelli di patate mugellani Lezioni di cucina cottura a bassa temperatura (#cbt) Triangoli vegani

Secondi Baccalà alla livornese Branzino con gel alla mela verde e wasabi Filetto di manzo CBT Guancia con purè di sedano rapa Gunkan e nigiri di Wagyu Insalata belga marinata Insalata di mare Lingua con fondo di cipolla e gambero blu Maialino CBT Melanzana parmigiana Peposo del Brunelleschi Petto d’anatra con gelato al gorgonzola e il suo fondo Polpette di lampredotto Rosa di daikon Salmone marinato Salmone CBT Lezioni di cucina #marinatura Seppie e piselli 2.0 Tartare di anatra Tataki di tonno Wagyu tartare king

Dolci Bavarese

Biscotti di Prato Girella Panettone al cioccolato Pera Tartelletta ai lamponi Terra di campagna Torta Sacher Uovo

Pane e dintorni Pan Brioche Pane toscano Schiacciata toscana

Le ricette che avete amato di più Cacio e pepe della Tasmania Carbozucca Crema all’aglio Focaccia alle cipolle di mia nonna Involtini di grotta Linguine con ragù di polpo e mandorle Pappa al pomodoro a modo mio Pasta al pomodoro Pasta “Toscana in autunno” Pici all’aglione Polpo “A Lucia’, guarda qua” Quando il Mugello incontra Trapani Spaghetti alla gallinella di mare Ziti della domenica

Indice alfabetico delle ricette

INTRODUZIONE Mi chiamo Daniele Rossi e sono uno chef consultant, un consulente che i ristoranti chiamano per aggiornare, talvolta rivoluzionare, il proprio menu e il proprio concept in generale. Sei anni fa ho aperto il mio profilo Instagram e la mia popolarità è esplosa, ma questa è solo l’ultima parte della storia. Credo di aver sempre saputo che la cucina era la mia strada. Almeno da quando sono stato svezzato, a giudicare dalle foto della mia infanzia: un bambino dalle guance paffute, seduto sul seggiolone con la schiacciata toscana in bocca e l’espressione felice. La mia voglia di cucinare è nata in famiglia: con mia madre che non preparava piatti complessi ma ci metteva tutto l’amore del mondo, e soprattutto con mia nonna, pugliese, che per intrattenermi mi metteva a fare la pasta in casa. Per me all’epoca era solo un gioco divertente, ma crescendo a poco a poco ho scoperto quanto mi piacesse cucinare. È così che, un po’ più grandicello, mi ritrovai a trascorrere tutti i finesettimana dai miei zii, che avevano due pasticcerie a Firenze. Sospetto che mia nonna mi mandasse ad aiutarli con uno scopo preciso: evitare che le distruggessi casa nel tentativo di combattere la noia. Con il senno di poi, posso dire che è stata una grande trovata. Gli zii mi tenevano occupato a farcire tartine e bignè, ma non solo. Erano gli anni in cui iniziava ad andare di moda il business lunch, cioè mettere nel menu qualche piatto caldo per gli impiegati degli uffici che venivano a pranzo. È stato il mio primo contatto con la ristorazione. Il mio mentore è stato “il

Nonno”, così lo chiamavano: un cuoco anziano molto in gamba, che preparava piatti classici ma fatti a regola d’arte. Le sue lasagne con il pesto me le ricordo ancora. È stato lì che ho finalmente avuto la certezza: da grande volevo fare lo chef. Quello che ancora non sapevo è che prima avrei dovuto fare un bel po’ di gavetta. Anni a studiare durante la settimana e a dare una mano tutti i sabati e le domeniche nelle pasticcerie degli zii, a fare biscotti, millefoglie, la sfoglia… Quando c’era da preparare il buffet per un matrimonio o per un battesimo, mio zio veniva a prendermi la sera prima, dormivo a casa sua e alle tre di notte tutti in piedi per andare in pasticceria e mettersi al lavoro. Poi sono arrivati la scuola alberghiera e gli stage. Il primo l’ho fatto in un ristorante di pesce non lontano da casa. Ero assetato di sapere. Sarei dovuto andare solo di mattina a preparare i sughi, invece chiedevo di poter restare: volevo vedere il servizio, ero curioso di conoscere tutta la filiera, non solo i pentoloni che bollivano sui fornelli. A quindici anni ho fatto il primo stage estivo in un ristorante della zona e mi sono ritrovato catapultato in una puntata di Cucine da incubo. Il locale aveva moltissimi coperti, si cucinavano fiumi di pietanze senza alcuna attenzione agli sprechi e ai costi, si faceva tutto un po’ come capitava. Il cuoco era un tantino folle e durante il servizio regnava il caos. Sono rimasto scioccato, diciamo anche un po’ spaventato. Ma è stata una scuola pure quella. In seguito sono arrivati gli stage negli hotel a quattro stelle di Firenze e ho scoperto che una cucina poteva essere ben altro. Concluso il terzo anno di istituto alberghiero, la voglia di continuare a studiare sui banchi era poca, i soldi in famiglia ancora meno: quando mi hanno offerto un lavoro in un piccolo ristorante, ho accettato. Eravamo solo in due e facevamo tutto da soli. Poi c’è stato uno street food in cui mi pagavano due euro all’ora. Non ho mai avuto il coraggio di dirlo a casa. Ho

resistito per un’estate, ma intanto iniziavo a mettere in discussione la mia scelta. Sarei mai arrivato ad avere uno stipendio dignitoso? Valeva davvero la pena inseguire una passione, se questo significava lavorare dieci, dodici ore al giorno per una paga non certo adeguata? La risposta me l’ha data la crisi economica del 2008. Lavoravo in un ristorante come unico chef, ma guadagnavo poco e la mia famiglia attraversava un momento delicato. Ho lasciato la cucina per andare a lavorare in fabbrica. Per qualche anno ho fatto due mestieri, cercando di portare avanti la mia passione parallelamente al mio lavoro principale, ma poi la risposta, quella vera, ha iniziato a gridare sempre più forte dentro di me. Che cosa ci facevo lì? Mi sono licenziato e ho ricominciato daccapo. Mi sono iscritto a una scuola serale e ho preso il diploma. Da lì ho iniziato a viaggiare. Sono partito per New York per imparare la lingua e fare qualche stage. Mi sono ritrovato nella brigata di un ristorante che faceva cucina internazionale, cioè un po’ di tutto, dal sushi ai tacos messicani, dalla pizza al riso ai wrap. Lo chef era giapponese e tra i cuochi c’eravamo io, un giapponese e un coreano. Di notte io e i miei due colleghi dormivamo in una stanza con letti a castello, di giorno cucinavamo insieme. Ciascuno di noi insegnava agli altri quello che sapeva, perché nessuno ci spiegava nulla. Comunicavamo a gesti, perché non conoscevamo abbastanza bene l’inglese. Loro cucinavano in maniera tradizionale, quindi imparai a fare il kimchi, che è un po’ il piatto nazionale coreano, a base di cavolo cinese marinato. Appresi come fare il riso e il sushi, ma non quello che immaginiamo noi. Era molto più semplice e allo stesso tempo difficile. È stata una bella esperienza, di quelle che ti costringono a metterti in gioco.

Poi ci sono state esperienze in Francia, in Spagna, a Budapest, a Vienna, in Ucraina, in Sicilia, a Istanbul… Ogni volta che potevo partivo per viaggi formativi, se così vogliamo chiamarli. Le mie vacanze consistevano nel fare uno stage in un ristorante e approfittare del tempo libero per visitare i mercati al mattino, andare nelle campagne, parlare con le persone, mangiare nei ristoranti locali. Ho girato un sacco per cercare di conoscere il più possibile la cucina e la cultura dei paesi che ho visitato. Tornato a casa, provavo a riprodurre i piatti, a fare esperimenti. Era il modo migliore per scoprire altre cucine senza soggiornare all’estero per lunghi periodi. Fosse stato per me, mi sarei trasferito per un po’ in ognuno di quei paesi, ma il tempo che avevo a disposizione era contato, e così anche i miei risparmi. Arrivava sempre il momento in cui dovevo tornare in Italia a lavorare. Intanto, Instagram stava diventando pian piano il social per eccellenza e anch’io ho aperto una mia pagina. Non la curavo con assiduità, ma il mio nome ha preso a circolare di più nell’ambiente. Hanno iniziato a chiamarmi per delle consulenze. Mi ha contattato un ristorante che voleva risistemassi la cucina, dopo che il loro chef se n’era andato. Mi hanno dato carta bianca. Ci sono rimasto per tre anni. Ma non pensate che guadagnassi chissà quanto: ho accettato molti lavori sottopagati, a volte non sono stato pagato affatto. L’offerta era quella, prendere o lasciare. E io prendevo, perché se non avessi accettato, lo avrebbe fatto qualcun altro, e io volevo imparare. La mia paga sarebbe stata l’esperienza. Nel frattempo, studiavo sui libri come un pazzo. Il vero punto di svolta è arrivato qualche anno fa. Come chef me la cavavo bene, ma non ero certo al livello di oggi. La consapevolezza mi ha raggiunto, come uno schiaffo in pieno volto, dopo una cena che aveva riscosso un grande successo. Per tutti era stata straordinaria, ma io ero deluso da me stesso. Per me, era la cena peggiore che avessi mai preparato. Gli altri

mi davano del pazzo, ma io sentivo di poter fare molto, molto di più. Mi sono buttato nella formazione come non avevo mai fatto prima: studiavo e lavoravo, lavoravo e studiavo. Ho ripreso a fare lo sguattero e a lavorare in cucina. Continuavo a fornire consulenze a ristoranti e piccoli hotel, ma presto mi sono reso conto che nessuno prendeva davvero sul serio un ragazzo, sia pure con una certa esperienza alle spalle. Non se aveva solo venticinque anni, non se in cucina c’erano chef molto più anziani di lui. Ancora una volta, è stata molto dura, ma col tempo sono arrivati due ristoranti stellati. Ho cominciato a seguire degli hotel in Trentino e Alto Adige; per un locale nella mia zona ho ideato un concept innovativo, tutto basato sul chilometro zero, sul recupero e sull’abbattimento degli sprechi. Mi ci sono voluti due anni. Alla fine, alcuni chef famosi hanno iniziato a chiamarmi, chiedendomi di inventare dei piatti per loro. Il mio nome non sarebbe comparso: io avrei dovuto creare la ricetta e spiegare loro l’idea, la preparazione in dettaglio, la presentazione. A loro sarebbe rimasto il piatto e a me il compenso. Forse è stato allora che ho capito di avercela fatta davvero. Ho trasformato casa mia in un laboratorio dove realizzavo le nuove creazioni e giravo dei video esplicativi per i miei clienti. Ero diventato ufficialmente uno chef consultant. A quel punto avevo un laboratorio casalingo, avevo l’attrezzatura per girare i video e avevo, ovviamente, le competenze per parlare di cucina. Perché non sfruttare tutto questo per la mia pagina Instagram? Nel tempo libero, ho cominciato a postare ricette sempre più spesso. All’epoca c’erano solo le storie, perciò facevo tutto in tempo reale: giravo le storie mentre preparavo il piatto e dopo poche ore postavo una foto del risultato finale.

Mi ci è voluto un po’ per trovare il format giusto. All’inizio pubblicavo soprattutto ricette gourmet e non mi inquadravo mai, poi ho capito che dovevo abbassare un po’ il livello di difficoltà per riuscire a parlare a un pubblico più ampio, e soprattutto ho compreso che dovevo metterci la faccia. In poco tempo la mia fanbase è cresciuta, in seguito ho aperto anche il profilo TikTok ed eccomi qua. Se potessi tornare indietro, forse farei qualche piccolo cambiamento: non mi fermerei, tanto per cominciare, e magari farei un’esperienza nella cucina di una nave da crociera. Sarebbe stata una formazione bella tosta, che mi avrebbe dato disciplina, ma soprattutto mi avrebbe fatto crescere più velocemente. Invece, penso di non aver mai lavorato per più di un anno di fila in un unico posto, perché quando il lavoro diventava ripetitivo mi annoiavo e sentivo il bisogno di andare alla scoperta di nuovi mondi. Ma così è la vita, ho fatto delle scelte e comunque in qualche modo sono arrivato fin qui. Sono soddisfatto di quello che sono, anche se sento di avere ancora tanto da imparare. Il libro che avete tra le mani nasce da tutto questo: da quello che sono stato e da quello che sono oggi, anche grazie a voi.

Ringraziamenti Ci sono molte persone che vorrei ringraziare. Innanzitutto Annachiara Tassan ed Elisabetta Paniccia per aver creduto nelle potenzialità di questo progetto, Alessia Moffa e DeA Planeta tutta per la cura che hanno dedicato al libro. Non posso non ringraziare dal profondo del cuore il mio team, che ha sempre creduto in me: Simon Franzone, Vittoria Velardi, Benedetta Ucini, Marco Manetti e Daniel Casalini. Edoardo Tilli, insieme al suo team, è l’unico chef che mi sento davvero di ringraziare, per tutto quello che mi ha dato e

continua a darmi. Grazie infinite a tutti gli amici che mi hanno sempre sostenuto e ai fan che giorno dopo giorno mi seguono e mi apprezzano per quello che sono. Infine, non sarei arrivato fin qui senza la mia famiglia: nonna Maria che mi ha insegnato il rispetto e l’amore per la cucina, nonna Elena, i miei zii e cugini che mi hanno accolto e “accudito” nelle loro pasticcerie, in particolar modo zio Domenico, che mi ha fatto da secondo padre. E poi la mia compagna Nataliya, che sa sempre come sostenermi. Dulcis in fundo, ringrazio mia madre per tutti i sacrifici che ha fatto per me. I suoi insegnamenti e il suo amore mi hanno reso la persona che sono oggi. Questo libro è dedicato a lei.

Benvenuti in cucina con me Ieri, oggi, domani In Italia lo scontro fra tradizione e innovazione in cucina è quanto mai aperto. Perfino i più grandi chef, quando osano innovare un piatto classico, sono sottoposti a giudizi e c’è sempre qualcuno che arriccia il naso. Succede anche ai Bottura o Cannavacciuolo, e ancor di più ai giovani Instagrammer, che se si azzardano a proporre una variante vengono processati e condannati dal tribunale del web. Dal punto di vista del grande pubblico, se proprio uno chef vuole arrischiarsi a reinterpretare un piatto tradizionale, almeno deve avere una grande autorevolezza e una certa fama. Il giovane Instagrammer, invece, non viene perdonato. Per questo penso che ci sia un tempo per ogni cosa. Io stesso non mi sono permesso alcune innovazioni finché non ho sentito di avere i titoli e l’esperienza per farlo, e sui social tuttora non mi soffermo su determinati argomenti. Per come la vedo io, questo accade perché in Italia c’è un forte attaccamento alla cucina tradizionale. Per noi, il cibo più buono non è quello che mangi in questo o quel ristorante, ma quello che mangi a casa della mamma o della nonna. Perciò ci si aspetta che anche al ristorante venga cucinato alla stessa maniera. Sembra che i piatti tradizionali possano essere preparati in un modo solo, unico e immutabile nel tempo, e ogni innovazione non può far altro che snaturarli. L’idea che l’innovazione possa apportare un miglioramento non è contemplata.

Eppure, in questo ragionamento c’è un errore di fondo, perché nessuna tradizione è rimasta del tutto immutata nei secoli. Nessun piatto classico della nostra gastronomia attuale è esattamente com’era quando è stato inventato, e per fortuna! Secondo me non c’è innovazione senza tradizione e non c’è tradizione senza innovazione. Sembra una frase a effetto, ma è la verità: quello che era ieri non è quello che è oggi, e in futuro sarà diverso ancora, perché le cose si evolvono. Non ci vogliono dieci minuti ma anni, perfino secoli. Prendiamo il condimento italiano per eccellenza: il ragù. Oggi è una prelibatezza per la quale si usano tagli di carne scelti, ma in origine era ben altro: era un sugo nato dalla necessità di usare gli scarti degli scarti e puzzava talmente tanto che dentro si mettevano delle scorze di limone per mascherare l’odore. Il Peposo del Brunelleschi era carne bollita nell’acqua per ore, in un coccio posato davanti alla bocca delle fornaci. Il pepe è stato aggiunto dopo e così il pomodoro, che, per inciso, non ha fatto parte della cucina italiana fino alla scoperta dell’America nel 1492. La pizza stessa non è sempre stata come la conosciamo: i Romani la chiamavano “pitta” ed era una specie di schiacciata con farina di farro e senza lievito, su cui spalmavano strutto o alici, altro che pomodoro e mozzarella. E potrei fare mille altri esempi: la ribollita, la carbonara… Anche quella che chiamiamo tradizione, perciò, è frutto di un’innovazione. Dove è scritto, allora, che un piatto non si possa evolvere? Un miglioramento è sempre possibile. Bisogna solo trovare la chiave di volta, quella piccola novità che rappresenta un arricchimento. L’innovazione non solo è possibile, ma in un certo senso è inevitabile, perché noi cambiamo, e insieme a noi cambiano i nostri gusti, le nostre esigenze. Tanto per cominciare, in un mondo globalizzato le cucine di tutte le nazioni si stanno sempre più influenzando a vicenda e i nostri palati si stanno

abituando a nuovi sapori. In Italia, oggi, mangiamo molto più etnico rispetto a qualche anno fa. Se dovessimo essere puristi della tradizione, non dovremmo nemmeno prendere in considerazione il cibo giapponese, eppure solo a Firenze ci sono oltre cento ristoranti di sushi. Le cose vanno avanti, cambiano. In un mondo così aperto, in cui tutti viaggiano, in cui gli scambi culturali sono così facili, è normale e giusto che sulla nostra tavola ci siano sempre più contaminazioni fra tradizioni differenti. C’è poi la questione salute: oggi siamo più edotti su cosa faccia bene e cosa faccia male, siamo più attenti alla digestione, al colesterolo, alla glicemia… Prendiamo per esempio l’uso di olio in cucina: ora se ne adopera molto meno rispetto a qualche decennio fa. In un ristorante in cui lavoravo, per fare un pentolone di ragù ci rovesciavano dentro un boccione da cinque litri di olio. Quando, a distanza di anni, sono tornato nello stesso posto a fare il ragù a modo mio, lo hanno adorato e sono rimasti stupiti nello scoprire che usavo soltanto quattro cucchiai di olio. La cottura a bassa temperatura (CBT) è molto apprezzata negli ultimi anni perché va nello stesso senso: è una cottura più salutare, perché avviene senza grassi e mantiene intatte le proprietà degli alimenti molto più della cottura tradizionale. Come ho dimostrato nella ricetta del Filetto di manzo CBT, si può fare un buonissimo filetto di manzo anche senza cuocerlo alla griglia.

Lo sguardo al futuro, il cuore al passato Per me la cucina è il passato, il presente e il futuro. Se conoscete un po’ i miei piatti, sapete che c’è sempre un po’ di tradizione e un po’ di innovazione. Mi piace giocare con la tradizione, mantenendo i sapori classici, ma destrutturando i piatti combinando gli stessi ingredienti in modi diversi, come

nel Minestrone 2.0 o nella Melanzana parmigiana. Oppure, semplicemente, rispetto la ricetta originale ma le do una forma diversa, come nelle Polpette al lampredotto. Un gioco che mi piace molto è quello della food illusion, che consiste nel dare a un piatto una forma stravagante o ingannevole rispetto al suo vero sapore. È il caso del Finto pomodoro. È un’idea che mi attrae molto, ma in Italia non è ancora ben capita. Il fatto è che si può cucinare prefiggendosi molti obiettivi diversi: per saziarsi, per gustare, per sopravvivere… La food illusion fa parte di una cucina che non punta a saziare, ma a giocare, a stimolare i sensi offrendo qualcosa di nuovo e inaspettato. In passato si mangiava per sfamarsi, perché eravamo tutti più poveri e perché la cultura era diversa; di sicuro non si andava spesso al ristorante. Mia nonna mi raccontava che la sera in famiglia mangiavano un piatto unico con quello che c’era, se c’era, altrimenti andavano a letto senza cena. Spesso mangiavano anche le bucce. Oggi non è più così. Possiamo permetterci di gustare. Se andiamo a cena al ristorante non è per abbuffarci, ma per provare qualcosa di nuovo, per fare un’esperienza piacevole. La food illusion è un modo simpatico per trasformare la materia prima in un’illusione culinaria, ma con un senso. Può evocare un ricordo, o dare al cliente qualcosa in più. È una specie di parco divertimenti, per me. Il suo scopo è incuriosire e sorprendere, presentare un piatto in una forma diversa da come lo si mangerebbe a casa. La Pera, per esempio, riproduce a tutti gli effetti una pera, ed è quello che ti aspetteresti assaggiandola, ma quando la metti in bocca ricorda quasi uno strüdel. Food illusion sono anche gli Scacchi: sono di fatto dei fegatini toscani, ma è molto più ganzo presentarli così che sul solito crostino. D’altra parte, se si va al ristorante

per mangiare le stesse cose che si mangerebbero a casa, tanto vale mangiarle a casa. Un’altra frontiera da cui sono molto affascinato ultimamente è la cucina vegana. Ogni tanto qualcuno mi rimprovera di pubblicare poche ricette vegane. In realtà, vi svelo un’anteprima: quello che sto studiando e mettendo a punto negli ultimi tempi va proprio in direzione “verde”. Vorrei arrivare a elaborare dei piatti che abbiano lo stesso identico sapore sia nella versione classica sia nella versione vegana. Sono convinto che questa sarà la cucina del futuro, quella che mangeremo tra dieci anni. Io credo che ogni mio cliente debba poter mangiare nello stesso modo. Oggi se due persone, una vegana e l’altra no, vanno al ristorante, spesso accade che quella non vegana possa mangiare tutto e l’altra sia costretta ad accontentarsi di un’insalata o di un ripiego. Il mio sogno è diverso: se una delle due mangia i fusilli con il petto d’anatra, l’altra potrà mangiare lo stesso identico piatto, uguale nell’aspetto e con un gusto il più simile possibile a quello del suo commensale. Anzi, vorrei arrivare al punto in cui le differenze di sapore non siano distinguibili. L’ho sperimentato recentemente in una cena: nessuno è riuscito a distinguere tra la versione classica e quella vegana di uno stesso piatto. Ecco quello che voglio: dare alle persone il cento per cento. E questo non vale solo per chi ha fatto una scelta vegana, ma anche per chi deve seguire diete particolari. È un concetto ancora nuovo, al momento pochi chef stanno seguendo questa linea, ma sono convinto che il futuro sarà così. E allora perché concentrarmi sullo stile culinario che adottano tutti in questo momento? Preferisco concentrarmi su quella che ritengo sia la cucina del domani. Tuttavia, conservo anche profonde radici nel passato. Non dobbiamo dimenticare la tradizione, chi eravamo, perché parte

tutto da lì. Per me un piatto deve essere innovativo, ma anche saper evocare un ricordo. Mi piace capire la persona che ho di fronte e riuscire a emozionarla, farle vivere un momento di magia. Ognuno di noi si porta dentro dei sapori che appartengono alla sua infanzia, alla sua storia. E se ritroviamo quel sapore, il passato si risveglia dentro di noi e ne nasce un’emozione. A me per esempio succede ogni volta che assaggio la Minestra delle favole, che mia madre mi preparava con tanto amore quando ero bambino. È un po’ come il Pensatoio di Harry Potter, una specie di pozzo in cui si possono rivedere i ricordi. Ecco, il sapore è un ricordo. Posso proporre un piatto davvero originale, particolare, e poi metterci dentro quella scintilla di passato. Mi è capitato che qualcuno, mangiando, si sia messo a piangere e mi abbia confessato di aver rivissuto un ricordo. Credo sia il massimo complimento che potessero farmi, la somma espressione che uno chef possa raggiungere: arrivare alle emozioni delle persone. Non è facile, ma ci si può riuscire.

L’occhio vuole la sua parte Come avrete forse notato sfogliando rapidamente questo libro o guardando i miei profili social, l’impiattamento per me non è un semplice dettaglio, ma una componente fondamentale, direi integrante, della ricetta. L’occhio vuole la sua parte, perché è ormai dimostrato che mangiamo prima con la mente, poi con la bocca. Per costruire un piatto seguo tre regole auree. Tutto quello che è nel piatto deve: 1. essere commestibile; 2. avere un senso; 3. avere uno scopo.

L’obiettivo principale a cui puntare è valorizzare l’alimento, quindi non bisogna accumulare decorazioni senza un criterio, ma far risaltare quello che c’è. Mettere cose che non c’entrano con la pietanza significa impoverirla, anziché arricchirla. Se hai una Ferrari, è già bella di suo, non ci attacchi sopra gli adesivi. L’occhio deve vedere per prima cosa ciò su cui voglio attirare maggiormente l’attenzione. In quest’ottica mi piace riutilizzare ingredienti che sono già nella ricetta. Prendiamo una pasta al pesto: per ricordare gli ingredienti del pesto, possiamo tostare qualche pinolo e metterlo in cima alla pasta. Se abbiamo adoperato un formaggio particolare, possiamo usarne come decorazione qualche dadino, poi qualche microfoglia di basilico che dà freschezza, infine un bel filo d’olio. Possiamo anche pensare a una polvere di basilico, che rafforza l’odore e il sapore, oltre a migliorare l’estetica. Ed ecco qui un piatto dall’aspetto appetitoso, in cui non abbiamo utilizzato altri ingredienti se non quelli già contenuti nella ricetta, che abbiamo messo in evidenza. Poi si possono aggiungere altre guarnizioni, ma a una condizione: qualunque cosa mettiamo nel piatto fa parte del piatto stesso, quindi deve avere un senso. Mi fa arrabbiare tantissimo vedere piatti con guarnizioni non commestibili. Che senso ha servire una pasta con una rosa dentro? Mica mangi la rosa con il gambo. Nelle mie ricette ogni guarnizione è lì non per fare scena, ma per un motivo preciso. Non metto mai delle polveri solo perché sono colorate e belle da vedere. Anche i germogli non sono scelti a caso: sono sapori consoni alla pietanza che accompagnano. Di certo non decoro un dolce con germogli di pisello o di cipolla, perché saranno anche belli, ma quando li mangi sanno di cipolla. A un livello più avanzato, si può provare a giocare con le forme geometriche. Un piatto è più appetibile se è ben

presentato, se segue forme interessanti ai nostri occhi, soprattutto quando c’è precisione. Da tutti i manuali sulla gestione dello spazio casalingo abbiamo ormai imparato che vivere in una casa ordinata ci porta a essere più ordinati anche nella vita. Il caos porta caos, l’ordine porta ordine. In cucina vale lo stesso principio: mangiare un piatto ordinato permette a chi mangia di focalizzarsi sui sapori, di distinguerli e gustarli. È anche una forma di premura verso l’ospite: servire un piatto ben curato è un segno dell’attenzione meticolosa che lo chef ha avuto verso il suo cliente. E non è un dettaglio da poco: il cliente ha scelto di mangiare nel tuo ristorante, di spendere dei soldi, quindi è giusto che riceva delle attenzioni. Per questo non mi piace vedere, per esempio, i camerieri che impiattano i dolci. Il cameriere fa il cameriere. Allo stesso modo, lo chef non va in sala a stappare le bottiglie per poi tornare in cucina. Ordine non significa che le cose vanno necessariamente messe in fila, possono esserci diverse forme di ordine. Ordine significa che l’impiattamento deve avere un senso. Innanzitutto, occorre agevolare chi mangia: mettere dei pomodori già sbucciati è un’accortezza che evita al cliente di doverseli sbucciare da solo sporcandosi le mani; lo stesso vale per i crostacei, per esempio. Per il resto si può usare la fantasia. Si possono seguire delle forme geometriche: linea singola, linea doppia, cerchio, arco… Potete anche scegliere una forma geometrica per ciascuna delle componenti del piatto, purché le forme non siano in contrasto tra loro ma si armonizzino bene, oppure disporre nella stessa forma ciascun elemento. Si può optare inoltre per un impiattamento minimal o elaborato, verticale, orizzontale… Volendo si può optare anche per un effetto caos, ma studiato. Il mio Fegatino 2.0 ha la forma di un puzzle

posato su un piatto tutto schizzato: un caos al centro del quale ho messo una forma precisa. Anche le Seppie e piselli 2.0 sono un esempio di caos geometrico. In entrambi i piatti il caos è studiato e la mente lo percepisce. Anche con i colori si può dire molto. Sapevate, per esempio, che il rosso stimola l’appetito? Il verde, invece, dà un’idea di freschezza e di naturalezza. Il nero è seducente e, come si suol dire, sta bene su tutto. Il viola è il colore del momento, perché i cibi viola sono ricchi di antocianine, che aiutano a mantenere giovani la mente e il corpo, tanto che i nutrizionisti consigliano di consumare una certa quantità di cibi viola ogni giorno. Il marrone invece richiama subito alla mente la tradizione: la carne, la crosta del pane, il caffè. Il blu, a sorpresa, riduce la fame, per questo si usa pochissimo negli impiattamenti. Come regola generale, direi di non improvvisare: studiate la composizione e l’abbinamento dei colori prima di impiattare, perché una volta collocate le pietanze non potrete più cambiare idea, a meno di sostituire il piatto, rischiando anche di rovinare i cibi maneggiandoli troppo. Di solito io faccio degli schizzi a mano libera su un quaderno, cancello, cambio e solo quando sento di aver trovato la sistemazione definitiva passo all’azione. Giocate sulle compensazioni. Non riempite troppo il piatto, ma lasciate degli spazi pieni e degli spazi vuoti. I vuoti aiutano ad attirare lo sguardo sui pieni. Compensate i colori spenti accostandoli a colori accesi: i contrasti sono sempre accattivanti. Anche la scelta del piatto deve essere meditata. Un piatto quadrato vi permette di avere più spazio e di disporre gli elementi anche in posizione decentrata, mentre in un piatto tondo dovete per forza metterli al centro. Il bianco, poi, fa risaltare i colori della pietanza, mentre il nero è più azzardato e si può scegliere per creare un contrasto cromatico.

Fate delle prove, sperimentate diverse combinazioni: pian piano l’occhio acquisirà un certo allenamento all’estetica della portata.

Usate tutti i sensi In cucina tutti i sensi sono fondamentali, non solo la vista. A me piace moltissimo il rumore delle verdure tagliate con il coltello. È un suono che mi rilassa e mi aiuta a pensare. Suoni e odori sono una guida, perché se impari a riconoscerli è come avere un sesto senso. Quando dirigi una cucina devi tenere sotto controllo tutto quello che accade intorno a te: quello che fanno gli altri, i diversi cibi in cottura… Alla fine ti abitui a non guardare più quello che fai, ma senti i rumori e gli odori. Se la padella sfrigola di più, dici al collega di abbassare la fiamma; senti il forno, se la planetaria sta girando, se c’è un rumore diverso dal solito… Percepire e riconoscere i vari suoni ti aiuta a fare di più e meglio. Molti pensano che nei miei video io guardi in camera per vezzo. Non è così. Guardo in camera perché è quello che faccio ogni giorno mentre cucino. Guardo in camera perché sto usando il mio sesto senso. Quando sono tranquillo, mi piace mettere un po’ di musica, pur senza sovrastare i rumori della cucina. Mi dà allegria e anche ritmo nel lavoro. Mia madre diceva che la musica ti fa vibrare l’anima. Quando invece devo concentrarmi, ho bisogno di assoluto silenzio. Anche nei miei video metto sempre della musica per dare la carica, ma allo stesso tempo voglio che si sentano i rumori della preparazione: lo scopo è far sentire le persone come se fossero lì con me, far capire quali sono i suoni giusti che un piatto deve produrre mentre viene preparato.

E poi c’è, ovviamente, il senso del gusto. Sembra scontato, ma forse non lo è abbastanza. Bisogna assaggiare, capire, familiarizzare con gli alimenti. Nella mia cucina è fondamentale il riuso, non sprecare nulla, usare tutti gli ingredienti al cento per cento. Ma questo è possibile solo se si conoscono a fondo le materie prime e si sa come abbinare i sapori. Cucinare un piatto à la carte significa cucinare qualcosa con quel che si ha: è impossibile farlo senza una conoscenza approfondita di ciò che si ha a disposizione.

La prima regola è la pazienza Quando mia nonna mi faceva preparare la pasta fatta in casa, dopo un po’ mi annoiavo. Agli occhi del bambino che ero, fare la pasta e poi rimestare di tanto in tanto il ragù che bolliva nella pentola per ore era un lavoro lungo e noioso. «La cucina è come una donna: portale rispetto, dedicale tempo e soprattutto tanto amore…» mi ripeteva mia nonna quando mi lamentavo. Un insegnamento che mi risuona nelle orecchie ancora adesso, ogni volta che preparo una nuova ricetta. Perché la creatività può essere un lampo che arriva improvviso: mi capita spesso di avere un’idea per un piatto mentre ne sto realizzando un altro. Il problema è l’esecuzione. Per ottenere un piatto che sia esattamente come lo avevo immaginato, infatti, possono volerci mesi. Ma non è una questione di difficoltà della ricetta: la pazienza è necessaria anche per le cose più semplici. Ci vogliono dedizione e tanto impegno anche solo per ricreare ricette già pronte. L’inventiva poi verrà con l’esperienza, con il tempo. Per affinare la preparazione di un piatto, facile o difficile che sia, bisogna studiare, sperimentare variazioni, mettere un po’ più di questo o di quello… Che ci crediate o no, per molti anni la mia bestia nera è stata la pasta cacio e pepe. Passa per essere una ricetta banale e

invece, come accade per molte cose banali in apparenza, non lo è affatto. Fino a qualche anno fa era la mia ossessione: mi veniva una volta sì e una no. Finché non mi sono intestardito e ho deciso di scoprire tutti i suoi segreti. L’ho provata e riprovata non so più quante volte, ma credo siamo nell’ordine delle centinaia. E alla fine ho vinto io. Va anche detto che, a differenza di molti, io sono un grande autodidatta. Ho sempre studiato, comprato libri, cercato di fare più esperienze possibili. Mi sono sforzato di apprendere anche solo guardando cosa facevano gli altri e sperimentando. Ho provato, sbagliato, riprovato e sbagliato ancora. Non ho avuto mille maestri che mi hanno insegnato il mestiere: posso dire di aver imparato da me il 65 per cento di quello che so oggi. Con questo non intendo dire che frequentare scuole o corsi sia sbagliato, anzi. Qualunque strada scegliate, la perseveranza e l’impegno restano delle costanti, le uniche che vi permetteranno di farcela davvero.

Vuoi fare lo chef? Allora sì che ti serve pazienza! Tra i miei fan ci sono tanti studenti della scuola alberghiera, che spesso mi scrivono chiedendomi come si fa a diventare uno chef, perciò penso sia doveroso spendere due parole su questo tema. Oggi l’immagine dello chef è un po’ distorta: i più grandi vanno in tv, hanno milioni di follower sui social e sembra che conducano un’esistenza dorata, ma non è questa la vera vita di uno chef. Fare il cuoco è sacrificio, passione, non è esposizione mediatica. Prima di arrivare a quelle vette, c’è molta, molta strada da fare, e solo i più motivati riescono a percorrerla fino in fondo. La prima cosa che ti insegnano quando inizi è che la pazienza è tutto, perché ci vuole tanto tempo per raggiungere gli obiettivi. Molti pensano che la scuola alberghiera non serva

a niente, invece io credo che sia importante proprio perché, pur avendo forse dei metodi da aggiornare, rappresenta la prima sfida per un aspirante cuoco. Sono cinque anni in cui si cucina poco, ma si apprendono le basi di comportamento, i regolamenti… e già lì si capisce chi ce la farà e chi no. Di quaranta persone che frequentavano la mia stessa scuola, solo tre oggi fanno i cuochi. Quei tre hanno avuto pazienza. La giornata tipo, quando si fa questo lavoro, è alzarsi la mattina presto, entrare in cucina e lavorare tante, tante ore. Da una parte è giusto, soprattutto agli inizi, perché è un’esperienza molto formativa. Dall’altra parte, è un concetto vecchio. La vita è una e in tutto deve esserci un limite. Mi auguro che in una cucina più moderna le cose possano essere diverse, ma non so nemmeno io come, perché la ristorazione in Italia non viene sostenuta come meriterebbe e fare fronte alle spese di un ristorante è molto difficile. In parte è anche per questo che non ho ancora aperto un locale tutto mio. All’idea di dover trovare ogni mese il modo di pagare tutti, credo che non dormirei la notte. È pur vero che gli orari dipendono anche dal ruolo. C’è differenza tra uno chef e un leader. Lo chef è il capo, viene alle 10 e va via alle 15, la sera arriva alle 17 e alle 22 va a casa. Il leader, invece, è quello che si occupa davvero di tutto, quello che si alza prima la mattina, va a fare la spesa, porta i ragazzi con sé e li istruisce. Se c’è da rimanere un’ora in più, il leader resta, e se il lavapiatti ha bisogno di una mano va a lavare i piatti, non manda due o tre ragazzetti al suo posto. Bisogna anche dire che non tutti sono tagliati per essere degli chef. Non lo dico per scoraggiare, ma la verità è che uno chef deve essere molte cose. Non deve solo riuscire a creare piatti nuovi, ma anche essere un ottimo caposquadra, avere pazienza, mantenere la calma ed essere orientato alla soluzione dei problemi, riuscire a dirigere tutto. Ai livelli più alti, ci sono chef che non cucinano nemmeno più. Controllano, assaggiano

i piatti che escono, tengono d’occhio il personale, parlano con i clienti, con i fornitori, ascoltano le lamentele di tutti… e poi magari cucinano anche. Sono degli imprenditori, dei manager e anche un po’ degli psicologi, dei padri, delle madri. È dura. La cucina è composta da una squadra in cui ognuno ha il proprio ruolo, quello per cui è più predisposto. Per esempio, io non sarei un buon capopartita. Il capopartita dirige di solito un gruppo di cuochi, ma risponde a sua volta allo chef principale. Io so di non essere tagliato per stare al di sotto di qualcuno, perché non è nella mia indole. Al contrario, in una cucina ci sono persone perfette per eseguire, che sanno realizzare una ricetta anche più velocemente e meglio di chi l’ha inventata. Personalmente, se dovessi preparare ogni sera cento primi tutti uguali, dopo un mese diventerei pazzo, perché mi piace variare, amo la parte creativa e direttiva. Al contrario, un’altra persona può non essere molto creativa ma essere eccezionale nell’esecuzione. Non è che uno sia meno dell’altro: siamo due metà complementari, entrambe necessarie perché la cucina funzioni come dovrebbe. Uno chef non fa mai tutto da solo. Mantenere la giusta sintonia e il ritmo tra tutti i componenti della brigata è un altro dei compiti dello chef. Esiste una gerarchia perché è necessaria, ma il rispetto è qualcosa che bisogna anche sapersi guadagnare. Se uno è in difficoltà, gli si dà una mano, non lo si lascia scoppiare. Mi è capitato varie volte che tutti restassero stupiti vedendomi andare a lavare i piatti, ma per me è normale: il lavapiatti non è lo schiavo a cui si lanciano i piatti nel lavello e si va via perché è tardi. Quando in cucina ci sono io, non si va via finché tutti non hanno finito. Anzi, spesso chiedo a tutti, a turno, di andare alla plange, perché ogni tanto fa bene, fa squadra. Sembra un principio di buonsenso, invece nelle cucine non sempre è così. Stare in una brigata non è facile. E più si alza il livello, meno si guadagna e più competizione c’è. Potrei scrivere un libro solo sulle scene a cui ho assistito negli anni. Ho visto

gente in lacrime prendere a pugni un frigorifero fino a romperlo perché era stata rimproverata dallo chef. A me per primo è capitato che uno chef mi abbia detto: «Se ti dico che la forchetta è un cucchiaio, tu dici che è un cucchiaio». Questo è il clima che si respira in certe cucine. Bisogna avere un solido equilibrio per non esplodere, e se qualcuno ogni tanto tira un pugno al frigorifero, lo capisco. A eccezione di due o tre posti in cui ho lavorato, mi è capitato spesso di stare in cucina quindici ore al giorno, sette giorni su sette, senza mai un giorno libero, senza mai una mancia, senza mai un po’ di rispetto, e me lo presentavano pure come un privilegio. Hanno tentato di non pagarmi, di sfruttarmi e, quando mi hanno aiutato, a volte lo hanno fatto per un tornaconto personale, perché il mio nome faceva loro pubblicità. Non sono tutti così, beninteso, ma chi ha intenzione di intraprendere questo mestiere è meglio che sappia subito cosa aspettarsi. Prima delle migliaia di like, prima dei programmi in tv, c’è una gavetta lunga e molto, molto dura. Con questo non intendo demoralizzare nessuno, perché alla fine ciò che conta è sempre la vostra determinazione. Io sono la prova vivente che la pazienza e la dedizione possono portarti lontano. E per questo sarò sempre grato a mia nonna.

Come usare questo libro Cosa troverete In questo libro ho messo una selezione delle ricette più quotate del mio profilo Instagram, ma in gran parte troverete ricette inedite, che mi chiedevate da molto o che ho creato appositamente per questo volume. Volevo che rappresentassero il meglio della mia cucina fino a oggi. Lo considero un regalo per i miei fan e un omaggio di benvenuto per chi mi scopre ora. Mi piaceva l’idea di offrirvi un libro diverso, ricco di tecniche e di sapere a vari livelli, con approfondimenti, consigli e chicche che gli chef di solito non rivelano. Voglio mettervi a disposizione tutto quello che so. I capitoli Preparati di base e Magie della cucina molecolare, in particolare, sono dedicati ad alcune preparazioni e tecniche di base che poi ritroverete in forme diverse in molte ricette. Inoltre, nel libro ho inserito degli approfondimenti che vi permetteranno di familiarizzare con alcune tecniche. Per questo per ogni ricetta ho indicato anche quali tecniche prevede. Alcune ricette sono più semplici, altre medie, alcune francamente difficili. Per ciascuna ho indicato la difficoltà su una scala da 1 a 3. In molti casi, la complessità è data dalla presenza di diverse componenti, ma non è detto che dobbiate eseguire la ricetta esattamente com’è. Potete creare delle varianti, o anche solo trarre ispirazione. Non ho invece messo tempi di preparazione, ma vi invito a leggere in anticipo la ricetta che intendete preparare, per prendervi i vostri tempi e perché alcune ricette prevedono dei passaggi che vanno fatti qualche ora prima o anche il giorno prima. Non mi aspetto che vi cimentiate subito con tutte le ricette, né che vi riescano al primo colpo. Le ho pensate soprattutto come delle fonti di ispirazione: anche se non realizzate il piatto per intero, in ognuno potreste trovare un dettaglio per arricchire o migliorare qualcosa che cucinate di solito. Forse non tenterete immediatamente di fare il Pianeta caprese, ma magari la Polvere di pomodoro sì, e scoprirete che può dare uno sprint anche a un normale sugo di pomodoro. In vita mia ho comprato non so quanti libri di cucina, ma credo di non aver mai fatto una sola ricetta così com’era: li ho sempre usati per trarne spunti e idee. Mi piacerebbe che vedeste questo libro come uno stimolo a mettervi in gioco, a provare. Sono convinto che l’unico modo per migliorare sia uscire dalla propria comfort zone e sperimentare cose nuove, anche se lì per lì

possono spaventarci. Vi confesserò un segreto che resterà tra noi: ho mangiato perfino la pizza con l’ananas. Sì, perché in cucina, per capire, bisogna provare. Sono certo che tra voi ci sarà chi inizierà con una ricetta facile, chi leggerà tutto e si lascerà ispirare da qualche dettaglio e chi, sentendosi più sicuro, affronterà un piatto complesso. Migliorare la propria cucina è innanzitutto una questione di approccio, e forse anche da questo potrete capire quanto siete motivati a crescere. Se partite convinti che non ce la farete mai, avete ragione: non ce la farete mai. E se invece vi metteste in gioco e scopriste che potete farcela? Se non riuscite al primo tentativo, provate e riprovate. Cercate di capire che cosa non ha funzionato. Non ho forse scritto che l’ingrediente più importante in cucina è la pazienza? Non si diventa bravi di colpo, comprando il libro magico che vi svela il Grande Segreto e vi fa vincere in due giorni la stella Michelin. Se esistesse un libro così, state certi che lo avrei comprato anch’io, invece di stare qui per anni a sudare e imprecare a ogni fallimento. In queste pagine, come dicevano i maghi di una volta, non c’è trucco e non c’è inganno. L’unico vero trucco è leggere e provare le ricette più volte a distanza di tempo, perché solo così riuscirete a capirle ogni volta un po’ meglio. È quello che succede anche a me: sperimento qualcosa e poi la ripeto ancora e ancora, e a ogni tentativo la comprendo un po’ più a fondo, fino ad afferrarne la vera essenza. Comunque decidiate di usare questo libro, spero che per voi sia innanzitutto un gioco, un’avventura, magari formativa, ma in primo luogo piacevole. Buon divertimento!

Gli strumenti indispensabili in cucina Il primo strumento che ogni cuoco deve avere è un buon coltello. Avere strumenti più elaborati ma non i coltelli giusti è come per un calciatore preoccuparsi di avere la maglia fluorescente quando ha gli scarpini bucati. Adoperare il coltello giusto per ogni impiego vi permetterà di ottenere risultati migliori in meno tempo. Un set di coltelli di base dovrebbe comprendere: Coltello trinciante: è il primo coltello che un cuoco dovrebbe comprare. È il coltello multifunzione per eccellenza, con cui puoi sfilettare, tagliare, tritare. Santoku: un po’ più piccolo del trinciante, è ideale per tagliare, sminuzzare e affettare carne e pesce, perché ha delle tacche sulla lama che impediscono alle carni di attaccarsi.

Spelucchino: è un coltello a lama corta o curva, adatto a sbucciare e pelare. Coltello seghettato: serve per tagliare pane, dolci e cibi morbidi senza ridurli in briciole. Mannaia: utile per spezzare le ossa e fare a pezzi la carne. Coltello per disossare: ha una lama stretta e curva, adatta a separare la carne dalle ossa e dalle cartilagini. Coltello per affettare: la sua lama lunga e liscia è perfetta per tagliare fettine sottili. I miei coltelli Il mio set personale è composto da coltelli in stile giapponese ed è stato realizzato da un giovane artigiano senese, Arrotino di Siena. Nel mio set ho: Asanawa utility per le piccole lavorazioni; Kinbaku per disossare; Kitsune, che in giapponese vuol dire “volpe”, per tutti i tipi di taglio; Saku Sabaki, equivalente al trinciante, è il coltello che uso per quasi tutto; Shibari, per sfilettare e per tagliare fettine sottili.

Gli altri strumenti indispensabili in cucina sono: Planetaria: 200-300 euro è la spesa minima per una buona planetaria casalinga, dalle 500 in su se ne può avere una più performante e professionale. Consiglio una planetaria diretta, cioè con il motore in testa e la ciotola sotto. Quelle con il motore accanto alla ciotola devono poi trasferire il movimento alla ciotola attraverso delle cinghie che, alla lunga, si spezzano. Potete valutare anche di prendere un cooker, che ha le stesse funzioni della planetaria ma in più cuoce.

Essiccatore: serve per essiccare diversi tipi di alimenti nel giro di alcune ore, mantenendoli a una temperatura costante. Se ne possono ricavare polveri di qualsiasi cosa (per esempio polvere di pomodoro a partire dalle bucce). Un buon essiccatore è meglio di un forno. Ha un consumo energetico minimo e ha dei programmi appositi per mantenere la temperatura e ridurre i consumi. Anche il risultato cambia rispetto al forno: esteticamente può essere simile, ma l’essiccazione in essiccatore conserva meglio aromi e colore dell’alimento. Roner per la CBT (cottura a bassa temperatura): cuoce a bassa temperatura, mantenendo l’acqua in una vaschetta a una temperatura costante per il tempo che si desidera. Macchina e sacchetti per il sottovuoto: servono non solo per conservare gli alimenti, ma anche per la CBT, perché gli alimenti vanno chiusi in sacchetti sottovuoto prima di cuocerli. Nei ristoranti si usano macchine professionali a campana, che eliminano l’aria al 100 per cento ma hanno un costo elevato. A casa va benissimo una macchina a estrazione, che elimina circa l’88 per cento dell’aria e ha costi molto più contenuti. Sonda per misurare la temperatura degli alimenti al cuore: è utile per tutte le cotture: per la CBT ma anche per le cotture in forno e per i dolci. Estrattore: ne esistono a una vite o a due viti che ruotano, strizzando gli alimenti ed estraendone il succo a freddo. Gli estratti servono per molte cose in cucina, come maionesi aromatizzate, gel e perlage. Sifone: permette di realizzare spume, aria e altri composti “montati”. Cutter: è un tritatutto che, grazie alla rotazione molto veloce delle lame, sminuzza senza rovinare. Pentole e padelle di varie dimensioni e altezze. Non è necessario averne tante, ne bastano poche ma di forme differenti, adatte ai vari tipi di cottura. Ce ne sono in rame, alluminio, acciaio, ferro o antiaderenti. Per una cucina base, consiglio pentole e padelle antiaderenti e in acciaio. Per una cucina più professionale si va su alluminio, rame o ferro, perché restituiscono meglio il calore, in modo molto più diretto. D’altra parte, proprio per questo sono più difficili da usare, perciò le sconsiglio per tre motivi: richiedono grande attenzione durante la cottura perché il cibo si brucia facilmente; hanno un costo elevato; hanno bisogno di una manutenzione accurata, vanno lavate a mano, lucidate, unte con degli oli e bisogna stare ben attenti a non raschiarle. Teglie in silicone: sono utili perché hanno già una serie di accortezze per fare le cose con maggior precisione, per esempio delle tacche per misurare l’altezza del pan di Spagna o del biscuit.

Taglieri: sono indispensabili per preservare il piano della cucina. Sconsiglio quelli in legno perché sono meno igienici. Biber: è un contenitore alto e stretto dotato di un beccuccio. Si usa soprattutto per fare delle decorazioni o lasciar cadere sul piatto piccole quantità di un composto di consistenza fluida. Tappetini in silicone (silpat): si usano al posto della carta forno e hanno il vantaggio di essere lavabili e riutilizzabili. Zester: è una grattugia allungata e stretta. Quando si grattano formaggio, cocco, cioccolato e simili, permette di ottenere fiocchi molto più aerati. Passaverdure: per togliere le bucce non può essere sostituito dal frullatore a immersione. Bilancia: sembrerà scontato, ma forse non tanto. Dite la verità, pesate sempre tutto quando cucinate? Se la risposta è no, è ora di cominciare. Timer: se state preparando più cose contemporaneamente, puntate un timer per ognuna. Io ne ho diversi miei personali. Sono un aiuto indispensabile e comunque una sicurezza in più che consiglio a tutti, almeno finché non si prende dimestichezza con la gestione di diverse cose in contemporanea. Colino a maglie sottili. Frullatore a immersione. Mandolina giapponese.

PREPARATI DI BASE Molte delle ricette contenute in questo libro sono in realtà più semplici di quanto sembri, a patto che prima dedichiate un po’ di tempo e impegno a familiarizzare con alcune preparazioni di base. Consiglio caldamente a tutti di farlo perché un buon brodo, un olio aromatizzato o un fumetto di pesce fatto a regola d’arte possono trasformare radicalmente i vostri piatti, non solo quelli che vi propongo nel mio ricettario, ma anche i più semplici e quotidiani. Provate a cuocere il vostro “solito” risotto, quello di sempre, ma usando il brodo fatto a modo mio, e poi mi direte.

Brodo Nessun cuoco, professionista o no, può prescindere da un buon brodo vegetale o di carne, perciò rimbocchiamoci le maniche e iniziamo.

Ingredienti per 4 persone Carote 2 Cipolla dorée 1 Sedano 2 coste Prezzemolo 1 mazzetto Sale grosso Pepe in grani Chiodi di garofano 4 Acqua 2 ℓ Per il brodo di carne: Pollo o manzo 1 kg

Brodo vegetale Mondate tutte le verdure. Dividete la cipolla a metà e steccatela con almeno tre chiodi di garofano. Tostate la cipolla a parte per qualche minuto a secco, senza grassi, poi versate l’acqua fredda in una pentola e aggiungete verdure, prezzemolo, sale e pepe. Portate a ebollizione, quindi abbassate la fiamma. Lasciate sobbollire per circa 45 minuti. Il brodo vegetale più è ricco, più è buono, perciò se volete aggiungete pure altri ingredienti: pomodoro, funghi secchi, zucchine… quello che vi avanza.

Brodo di carne Il procedimento e gli ingredienti sono gli stessi del brodo vegetale: aggiungete soltanto un pollo tagliato a pezzi. Se preferite un brodo di carne di manzo, i tagli più usati sono punta di petto, spalla, muscolo. Il brodo nasce dagli scarti, dall’esigenza di usare in qualche modo i pezzi “poveri”. Calcolate circa un chilo di carne. La carne cotta si potrà usare poi per delle polpette o per un’insalata, ma considerate che saprà relativamente di poco perché avrà già dato al brodo tutto quello che aveva da dare. Il consiglio dello chef Per tirare fuori al meglio tutti i sapori dalle verdure e dalla carne si estrae a freddo, ossia si mettono tutti gli ingredienti in acqua fredda e poi la si porta a ebollizione. Se fate il contrario, cioè se versate gli ingredienti in acqua già bollente, li cuocerete ma non otterrete un’estrazione ottimale di tutte le loro proprietà.

Burri aromatizzati I burri aromatizzati si possono usare per mantecare una pasta, un risotto, un pan brioche e, in generale, nelle ricette in cui di solito usiamo il burro, se vogliamo conferire una nota di un sapore particolare, per esempio frutti di bosco. Potete anche realizzare dei burrini da tavola con l’aiuto di stampi e usarli in tutte le occasioni in cui una pietanza prevede l’accompagnamento con il burro. Per esempio, un burro alla fragola è molto buono da spalmare sul pane a colazione, mentre un burro allo spinacio si può offrire con un pan brioche prima di un pasto. Se poi avete appena cucinato dei gamberi, sapete che con le teste potete fare una salsina con cui aromatizzare il burro? Provate a spalmarlo sul pane e mi direte.

Preparazione Devo premettere che, per me, il burro è quello che si fa in casa. Il burro si ricava dalla panna, montandola fino a smontarla. A un certo punto, quando sarà montata a neve, vedrete che continuando a lavorarla con le fruste si separerà in una parte più liquida, il latticello, e una più solida, che è il burro. Sciacquatelo sotto l’acqua corrente e sarà pronto da usare. L’importante è che la panna abbia almeno il 35 per cento di grasso, altrimenti il burro non verrà. Se fate il burro da voi, per aromatizzarlo immettete gli ingredienti direttamente nella panna prima di smontarla. Se invece usate un burro comprato, lavoratelo “a pomata”, cioè a circa 8-10 °C. Poi aggiungete l’ingrediente con cui desiderate aromatizzarlo, in forma liquida o in polvere (per esempio, io lo aromatizzo spesso con la polvere di curcuma). Mettete tutto nella planetaria e lavorate il burro aromatizzato con le fruste elettriche per circa un minuto-un minuto e mezzo, fino a montarlo. Infine con la spatola dategli la classica forma a panetto e ponetelo in frigorifero a riposare. Potete anche metterlo in stampi e congelarlo, meglio con un abbattitore se ne avete uno a disposizione. Di seguito la ricetta di due burri che uso spesso.

Il consiglio dello chef Se fate il burro a casa, non buttate il latticello, ma usatelo per preparare una torta o un ciambellone.

Burro acido Ingredienti Burro dolce classico 200 g Vino bianco 180 g o aceto di riso o aceto di vino bianco Scalogni 2 (circa 60-70 g)

Tritate lo scalogno e fatelo soffriggere lentamente in 20-30 grammi di burro per un paio di minuti. Versate il vino (o l’aceto) e aspettate finché non si sarà ridotto alla metà. Fatelo ridurre molto piano, perché è così che si concentra il sapore. Una riduzione troppo rapida farà solo evaporare gli aromi. Togliete lo scalogno e filtrate il liquido. Mettete tutto nella planetaria e lavoratelo con le fruste fino a montarlo con il burro rimasto. Una volta raffreddato, lasciate riposare per quattro-cinque ore. Il burro acido è ottimo per mantecare alcuni risotti (vedi le ricette Risotto al piccione e Risotto al sesamo). Il consiglio dello chef Per il burro acido preferisco usare l’aceto di riso, che ha un gusto molto meno invasivo, più delicato rispetto all’aceto di vino.

Burro al nero di seppia Ingredienti Burro 200 g Nero di seppia

Lavorate il burro a pomata e aggiungete via via il nero di seppia con una spatola fino a incorporarlo tutto. La quantità di nero di seppia dipende da quanto deciso volete che sia il sapore finale. Questo burro è perfetto da mettere nel risotto al nero di seppia.

Fondo bruno e fondo vegano Qui entriamo nel campo delle riduzioni. Una riduzione non è altro che il processo con cui si fa restringere un liquido per ricavarne una salsa dal sapore concentrato, perfetta per insaporire il piatto. In questo ricettario troverete vari fondi: di cipolla, di peperone arrosto… Potete fare un fondo con qualunque cosa, anche con la selvaggina: cambiano gli ingredienti ma il procedimento resta identico. Qui vi do le due riduzioni di base: un fondo bruno, a base di carne, e un fondo vegano.

Fondo bruno Ingredienti Ossi di manzo 2 kg (in pezzi piccoli) Midollo 260 g Carote 4 Sedano 4 coste Cipolle 3 piccole Aglio 1 testa Alloro 4 foglie + 3 per la riduzione di vino rosso Concentrato di pomodoro 40 g Acqua fredda 3 ℓ Vino rosso corposo 1 ℓ Olio EVO Salvia Rosmarino Maggiorana

Timo Pepe nero in grani Ghiaccio tritato Burro di Normandia Sale

Disponete gli ossi su una teglia senza carta forno e infornate a 190 °C per circa 40 minuti. Mondate e tagliate a pezzetti carote, sedano e cipolle e spaccate a metà la testa d’aglio in senso orizzontale. In una casseruola versate un po’ di olio e fatevi sciogliere il midollo. Tenete la fiamma abbastanza viva e mescolate. Quando inizia ad attaccarsi sul fondo, aggiungete le verdure, le erbe aromatiche, il concentrato di pomodoro e un po’ di sale. Lasciate restringere molto bene le verdure con il midollo, poi sfumate con un bicchiere abbondante di vino rosso e cuocete finché la parte alcolica non sarà evaporata. Aggiungete gli ossi che avrete sfornato nel frattempo e qualche grano di pepe. A questo punto, per estrarre davvero tutti i sapori è necessario abbattere la temperatura, perciò versate nella pentola un po’ di ghiaccio tritato e 3 litri di acqua fredda. Lasciate sobbollire così per 12 ore. Nel corso della cottura vedrete formarsi sulla superficie una schiuma: sono le impurità. Via via che affiorano, toglietele con una schiumarola.

Il consiglio dello chef Ogni volta che avete abbondante liquido di cottura, fatelo sobbollire molto lentamente, in modo che l’acqua evapori e tutte le proprietà restino nella pentola, a formare una salsa densa. Mi raccomando: non sparate il fuoco al massimo, altrimenti i sapori evaporeranno insieme all’acqua.

Nel frattempo preparate la riduzione di vino rosso. Mettete in un pentolino tre foglie di alloro, il vino rosso e ancora qualche grano di pepe e a fiamma bassa fate ridurre finché non resteranno circa 150 grammi di liquido. Lasciate raffreddare la riduzione e conservatela in frigorifero. Passate 12 ore, prendete il brodo di verdure e ossa, filtratelo due volte con un colino a maglie strette e, quando si sarà raffreddato, mettetelo in frigo ancora per 12 ore. Trascorso questo tempo otterrete un composto gelatinoso, che avrà sulla superficie una specie di crosticina più consistente: si tratta del grasso rilasciato dalla carne. Toglietelo con un cucchiaio in modo che resti soltanto la parte proteica sottostante. Rimettete il brodo sul fuoco per altre 2 ore, a fuoco basso, finché non assumerà una consistenza densa, simile al miele. Il fondo bruno è perfetto come accompagnamento per carni arrosto o al forno, soprattutto se vi sono venute un po’ asciutte. Al momento di usarlo come salsa, mettete in un pentolino un po’ di burro di Normandia, che ha un sapore più dolce e rotondo. Aggiungete solo la quantità di fondo che vi serve e qualche goccia della riduzione di vino rosso, poi mescolate con una frusta a fuoco basso finché il tutto non si sarà amalgamato.

Il consiglio dello chef Il fondo bruno non è usato solo per condire la carne, ma è un insaporitore perfetto per moltissimi piatti. Provate a metterne qualche goccia in un ragù o in una salsa.

Fondo vegano Ingredienti Melanzana 425 g Cavolfiore 450 g Sedano 50 g Carote 150 g Barbabietole 100 g Funghi shiitake 60 g Sedano rapa 200 g Broccoli 100 g Cipolle 125 g Aglio 50 g Concentrato di pomodoro 10 g Alga kombu 9 g (facoltativa) Olio EVO 100 g (facoltativo) Gomma di xantana 0,4 g Sale 4 g Pectina 2 g Acqua 2,5 ℓ Ghiaccio 500 g

Affettate tutte le verdure molto finemente, con una mandolina o con l’affettatrice. Ungete tutto con un po’ di olio e “sporcate” con il concentrato di pomodoro. Mettete in forno preriscaldato a 140 °C. Ogni 20 minuti girate le verdure e la placca stessa, in modo che la cottura sia

uniforme. Quando le verdure sono belle arrostite, quasi secche, avete raggiunto il punto di cottura perfetto. Il tempo esatto dipende dalle verdure e dal vostro forno, ma calcolate un’ora o due. Una volta sfornate le verdure, mettetele in una casseruola con due litri e mezzo di acqua fredda e ghiaccio. A questo punto aggiungete l’alga kombu. Fate sobbollire come se fosse un ragù per circa 90 minuti. Quando il colore sarà di un bruno intenso, potete filtrarlo facendolo colare in una casseruola stretta e alta e aggiungete la gomma di xantana, il sale e la pectina. Il sale in questo caso non serve a salare, ma solo a esaltare il sapore. Cominciate poi la fase di riduzione. Fate cuocere a fuoco basso e lasciate ridurre finché la consistenza non diventerà leggermente mielosa. In questo caso saranno la pectina e la gomma di xantana a creare quella collosità che nel fondo bruno di carne è data dal collagene. Potete usare il fondo vegano in mille maniere, tutte le volte che avete bisogno di rinforzare un piatto con un’esplosione di sapore. Io, per esempio, l’ho usato per condire delle carote viola che ho poi cotto sottovuoto con la CBT (vedi la lezione Cottura a bassa temperatura). Il risultato era molto simile a un filetto di cervo, infatti le ho usate per sostituire proprio il filetto di cervo in una variante vegana del piatto. La gomma di xantana Questo ingrediente dal nome strano è il prodotto della fermentazione di un batterio e viene usato come addensante oppure come emulsionante, cioè per legare tra loro gli ingredienti, sia in cucina, sia in cosmesi (per esempio si trova nei dentifrici). In cucina è molto utilizzato nelle ricette senza glutine.

Il procedimento del fondo vegano è valido per ogni fondo di verdure, come il fondo di cipolle, il fondo di rape rosse, il fondo di peperone arrosto. Le verdure usate si possono

cambiare in base alla stagionalità, l’importante è rispettare sempre una proporzione: metà verdure con componente zuccherina, come la barbabietola, e metà verdure con più sali minerali, come il sedano, il broccolo, un’alga. Il consiglio dello chef Per la cottura delle verdure in forno, se il vostro forno dispone di un tiraggio dell’aria, meglio impostarlo. Di solito questa funzione è presente nei forni professionali, ma raramente si trova in quelli casalinghi. Se non lo avete, infilate tra il forno e lo sportello una piccola pallina di carta stagnola, affinché passi un po’ di aria. Questo permetterà all’umidità delle verdure di uscire e la cottura sarà più rapida.

Fumetto di pesce Il fumetto è simile a un brodo ricavato dai ritagli di pesce, con la differenza che il pesce viene fatto tostare un po’ prima di aggiungere l’acqua. È perfetto per bagnare un risotto, insaporire un ragù di pesce, finire una cottura, perfino cuocere la pasta… insomma, è utile in tutte quelle preparazioni in cui serve insaporire con un sentore di mare.

Ingredienti Ritagli di pesce 1,2 kg (meglio pesce bianco, come sogliola, rombo, gallinella, la cui testa è molto buona) Cipolla bianca 1 Porri 2 Scorza di limone 1 Pepe (facoltativo) 4-5 grani Vino bianco mezzo bicchiere Sedano 1 costa Carota 1 Prezzemolo 1 ciuffo Concentrato di pomodoro (facoltativo) 1 cucchiaio Olio EVO Ghiaccio tritato o acqua fredda

Preparazione Fate rosolare cipolla e porro in una pentola con un filo d’olio, poi aggiungete i ritagli di pesce e fateli tostare bene. Aggiungete anche la scorza di limone, il sedano, la carota e il prezzemolo tagliato non troppo finemente, e del pepe se vi piace.

Quando il pesce inizia ad attaccarsi alla pentola è buon segno: significa che gli zuccheri stanno caramellizzando. La parte migliore è tutta lì. Sfumate con mezzo bicchiere di vino bianco e lasciate evaporare la parte alcolica. Per ottenere il massimo del sapore, raffreddate il pesce prima di aggiungere l’acqua per fare il brodo. Se avete del ghiaccio, versatelo nella pentola per abbassare la temperatura il più possibile, altrimenti usate acqua fredda. Il livello dell’acqua deve arrivare circa un centimetro sopra il pesce. Riportate a bollore. Durante la cottura, con un mestolo schiacciate bene le teste in modo che rilascino i loro succhi, e dunque tutto il sapore. Man mano che vedete affiorare le impurità (la schiuma che si forma in superficie), toglietele con la schiumarola. Lasciate sobbollire piano per un’oretta, o comunque finché non si sarà ridotto alla metà, poi filtrate. Se vi piace una variante più ricca, aggiungete al porro e alla cipolla una punta di concentrato di pomodoro. Il consiglio dello chef Per avere un fumetto ancora più accattivante, che potete usare per esempio per condire dei ravioli di pesce, vi suggerisco una variante gourmet che ho messo a punto nel corso degli anni: agli ingredienti di base aggiungo 5 grammi di alga kombu, 5 grammi di dashi (un concentrato di brodo giapponese), 4-5 grammi di katsuobushi (fiocchi di tonnetto essiccato, fermentato e affumicato). Aggiungete questi ingredienti prima di mettere il ghiaccio. In confronto al fumetto normale, è un’esplosione di sapore: di solito chi lo prova non torna indietro.

Maionese #estrazione #essiccazione

La maionese è una salsa che può avere molte varianti, perché usando lo stesso procedimento di base si può aromatizzare in mille modi diversi: vi basterà imparare come si fa e poi potrete dare libero sfogo alla vostra creatività. Di solito io ne uso tre tipi: la maionese classica, la maionese aromatizzata e una versione “gourmet”. Non ho specificato a quante persone sono adatti questi ingredienti, perché dipende dall’uso che dovete fare della vostra salsa. Se vi rendete conto che la maionese ottenuta è poca potete farne altra, l’importante è rispettare le proporzioni.

Versione classica Ingredienti Olio di semi 200 mℓ Uovo 1 Sale un pizzico Limone o aceto un goccio (come preferite)

Mettete tutti gli ingredienti in un bicchiere per il frullatore a immersione e frullate a intermittenza. Vedrete che piano piano il composto si emulsionerà. Il risultato sarà una maionese leggera ma non troppo stabile, che tenderà a sgonfiarsi dopo un po’ di tempo, soprattutto a contatto con pietanze calde. La raccomando più che altro come accompagnamento.

Il consiglio dello chef Se desiderate ottenere una maionese dal gusto più delicato, usate l’olio di semi; per un gusto più amarognolo invece scegliete l’olio d’oliva.

Versione aromatizzata Ingredienti Tuorli d’uovo 3 Olio aromatizzato 200 mℓ (quello che preferite) Sale un pizzico

Il procedimento è lo stesso della maionese classica, con l’aggiunta di un pizzico di sale alla fine. Potete scegliere l’olio aromatizzato che preferite (vedi Oli aromatizzati). Potete anche aggiungere più olio, se vi piace: in teoria un uovo si può emulsionare con un litro e mezzo di olio al massimo.

Versione gourmet Ingredienti Tuorli d’uovo 3 Olio aromatizzato 200 mℓ (quello che preferite) Estratto dell’ingrediente 40 g che preferite Sale un pizzico

Con l’estrattore (vedi la lezione Estrazione) ricavate un estratto dell’ingrediente che vi interessa e filtratelo. Mentre montate la maionese con il frullatore a immersione, incorporate lentamente l’estratto. Non c’è una dose precisa,

dipende anche dal vostro gusto. Di solito in dosaggi come quello che stiamo considerando possiamo calcolare circa 40 grammi di estratto, ovvero due cucchiai. Io, per esempio, amo molto la maionese all’aneto. La preparo con olio aromatizzato all’aneto, a cui poi aggiungo estratto di foglie di aneto per rendere il colore più vivido e il sapore più intenso. Non rispetto un dosaggio preciso al milligrammo, ma incorporo l’estratto a poco a poco, fino a quando la maionese non diventa di un bel verde brillante. Il consiglio dello chef Una maionese si può aromatizzare in mille modi: con finocchietto, rapa rossa, perfino pomodoro… Però un ingrediente dalla forte acidità può smontare la maionese. È il caso del pomodoro. Per preparare una maionese aromatizzata al pomodoro, perciò, a una maionese classica si aggiungono aceto di pomodoro e polvere di pomodoro).

#estrazione Molti di voi conosceranno l’estrattore come strumento da cui ricavare ottimi estratti di frutta e verdura da bere al momento, ricchi di tutte le proprietà organolettiche e nutrizionali dell’ingrediente. Quello che forse non sapete è che l’estrattore è molto utile anche in cucina, perché gli estratti di frutta, verdura ed erbe varie possono essere impiegati in diversi modi: per aromatizzare un olio o una maionese, per donare un certo colore a un impasto, per una marinatura (vedi ricetta del Salmone marinato). Grazie all’estrazione, la vostra creatività in cucina si moltiplicherà, perché potrete arricchire con oli e salse aromatizzate qualsiasi piatto, anche il più semplice e veloce. Vi basterà estrarre il succo dell’ingrediente che preferite e aggiungerlo durante la preparazione dell’olio o della salsa (vedi le mie ricette per Oli aromatizzati e Maionese). Prezzemolo, erbe aromatiche, spinaci, carote… ben pochi sono i limiti a ciò che un estrattore vi consente di fare. L’estrattore è dotato di una o due viti che, girando lentamente su se stesse, estraggono il succo dell’ingrediente, spremendolo senza tritarlo (come invece fa la centrifuga). In commercio esistono vari tipi di estrattore. Quelli a una vite sono più adatti per le verdure, mentre quelli a due viti sono ottimi per le foglie di erbe aromatiche, come il basilico. Se in casa avete una centrifuga, per alcuni ingredienti può andare bene ugualmente, ma non è la stessa cosa: la centrifuga separa il succo dalla polpa ad alta velocità, perciò tende ad alterare le proprietà organolettiche. Inoltre non dà il massimo con gli ingredienti che contengono pochi liquidi, come la frutta secca e le erbe aromatiche. Un consiglio: non gettate lo scarto dell’estrattore. Potete essiccarlo, ridurlo in polvere e utilizzarlo per insaporire o per decorare i vostri piatti. Si conserva sottovuoto per tre anni.

Oli aromatizzati #estrazione #essiccazione #cbt

Gli oli aromatizzati sono ottimi per condire carne, pesce, patate e tutto ciò che ha bisogno di un tocco in più, perché insaporiscono molto. Anche una semplicissima fettina di tacchino ai ferri può cambiare sapore con l’olio aromatico giusto. Potete sbizzarrirvi e preparare un olio al rosmarino, al timo, alla maggiorana, all’aglio, al peperoncino, alla salvia. Si può fare anche al rafano, al peperone, al basilico… Come dite? L’olio al tartufo? Vi dico la mia: scordatevi di fare a casa un olio al tartufo fantastico, perché è molto costoso e molto difficile. L’aroma del tartufo, infatti, tende a svanire presto, quindi sprechereste un fungo pregiato per un risultato modesto. Gli oli al tartufo in commercio, ahimè, sono perlopiù chimici.

Spesso, quando si parla di oli aromatizzati, si pensa alla tecnica a freddo, in cui l’elemento aromatico viene messo in infusione nell’olio freddo e lasciato lì. In realtà, è molto più efficace l’infusione a caldo. In ristorazione la si fa con una macchina per il sottovuoto, non necessariamente di tipo professionale.

In un sacchetto per il sottovuoto mettete l’olio e l’ingrediente con cui volete aromatizzarlo, chiudete il sacchetto e fate cuocere a bassa temperatura. Potete usare un forno a vapore oppure un roner per la cottura sottovuoto; l’importante è che la temperatura resti sui 68-80 °C. La temperatura è davvero importante solo per alimenti che vanno cotti bene, come l’olio al peperoncino, che potrebbe sviluppare il botulino. Tenete la busta in cottura per 8 ore. L’ideale è metterla su la sera per il giorno dopo. Infine togliete la busta dall’acqua e lasciate raffreddare. Esiste però anche un metodo casalingo. Immergete nell’olio a freddo l’ingrediente prescelto e portate a bollore, non oltre gli 80-90 °C. Quando l’olio bolle spegnete, lasciate raffreddare e filtrate. Gli oli aromatizzati vanno conservati in un contenitore a chiusura ermetica per tre mesi al massimo. Potete anche tenerli nella loro busta, prendendo ogni volta solo la quantità che vi serve e poi richiudendo il sacchetto. Il consiglio dello chef Non è detto che si debba usare per forza l’olio d’oliva: dipende dall’ingrediente con cui volete aromatizzare l’olio. Tutte le erbe aromatiche a ramo – come salvia, rosmarino, dragoncello, ma anche peperoncino e aglio – stanno bene in olio d’oliva. Invece per ciò che ha già di suo un sapore intenso, come il rafano, è meglio l’olio di semi.

Esistono altri due modi per ottenere un olio aromatizzato. Nel primo, che si usa per piante aromatiche come sedano, prezzemolo, basilico, aneto, sbollentate 200 grammi di foglie per circa 30 secondi in acqua salata, raffreddate le foglie in acqua e ghiaccio e frullatele insieme a 100 grammi di olio di semi per 4-5 minuti. Filtrate e mettete a riposare una notte all’interno di una sac à poche in modo che l’acqua si separi dall’olio e dalle impurità. Dopo 12 ore dovreste quindi vedere tre diversi strati. A questo punto tagliate l’estremità della sac à poche per lasciar uscire le impurità, che si depositano in basso. Mettete il resto in un biber dotato di un tappo per olio aromatico, affinché colore e aromaticità non si disperdano. Potete anche conservare quest’olio in freezer, in un sacchetto sottovuoto, per circa sei mesi. L’altro modo è mettere nell’olio la pianta aromatica. Il rapporto deve essere sempre 1:2, cioè 200 grammi di foglie per 100 grammi di olio.

Lavate bene le foglie, poi a freddo mettetele in un robot da cucina con funzione cottura e frullate. Intanto portate tutto a 40-60 °C per 5 minuti. La pianta rilascerà così tutte le sue proprietà organolettiche. Infine filtrate e seguite lo stesso procedimento della sac à poche illustrato prima.

Salsa bisque La salsa bisque è simile al fumetto di pesce e, come il fumetto, si può usare come fondo di cottura o per insaporire piatti di pesce. Si differenzia perché è fatta solo con crostacei, che le conferiscono un sapore molto intenso.

Versione classica Ingredienti Teste e carapaci di crostacei (astice, aragosta, gamberi, pannocchie) almeno 1 testa di astice o aragosta e 8 teste di gamberi o pannocchie Cipolla 1 Carota 1 Sedano 1 Brandy mezzo bicchiere Concentrato 1 cucchiaio di pomodoro Ghiaccio tritato o acqua fredda Olio EVO

Tagliate tutto finemente perché la cottura della bisque è abbastanza veloce, quindi c’è bisogno che le verdure rilascino più sapore possibile in meno tempo. Togliete gli occhi ai crostacei perché sono amari, poi fate rosolare il pesce insieme alle verdure con un po’ di olio. Sfumate con il brandy, lasciate evaporare la parte alcolica e aggiungete una punta di concentrato di pomodoro. Aspettate che si bruciacchi appena. A questo punto, per estrarre al massimo tutti i sapori, è bene abbassare la temperatura prima di aggiungere l’acqua. Se lo

avete, versate del ghiaccio nella pentola, altrimenti usate acqua fredda. Una volta aggiunta l’acqua, fate cuocere per almeno 30-40 minuti. Schiacciate bene le teste con un mestolo affinché rilascino i loro succhi, perché il sapore è tutto lì. Man mano che in superficie si forma una schiuma bianca, toglietela con la schiumarola: si tratta delle impurità rilasciate dal pesce. A cottura ultimata, filtrate il brodo con un colino a maglie strette.

Bisque Red Gold Io preparo una mia personale versione della bisque, che chiamo Red Gold, Oro Rosso, perché tale la considero. Non si può fare con tutti i crostacei, ma solo con gamberi viola o rossi, e devono essere di primissima qualità e abbattuti termicamente (vedi la lezione Maneggiare i crudi).

Ingredienti Gambero viola o rosso 10 teste Olio EVO 20 g Acqua frizzante 30-40 g Concentrato di pomodoro biologico di prima qualità 1 cucchiaio Sale Pepe

Togliete gli occhi ai gamberi e a freddo mettete in un bicchiere da frullatore a immersione le teste, l’olio, l’acqua frizzante, il concentrato di pomodoro, un pizzico di sale, un pizzico di pepe se vi piace. Frullate fino a ottenere una crema dal colore rossobordeaux, poi filtrate con un colino a maglie molto strette.

Questa salsa dal profumo e dal sapore intensi può essere usata per insaporire altri piatti, per mantecare una pasta o un risotto, oppure se ne può mettere qualche goccia direttamente sul piatto, quando si vuole dare uno “sprint” al gusto. Il consiglio dello chef Uso l’acqua frizzante perché fa da antiossidante, cioè impedisce che si anneriscano gli ingredienti, e aumenta la digeribilità.

#essiccazione L’essiccazione è uno dei più antichi metodi di conservazione del cibo, e resta tuttora uno dei migliori, perché a differenza del congelamento o della salatura, non altera le proprietà dei cibi. Semplicemente, li disidrata privandoli dell’acqua. Se un tempo si essiccava all’aria aperta, sfruttando il vento e la luce del sole, oggi il metodo più diffuso in cucina è l’essiccazione con l’essiccatore. Potete usare anche il forno regolandolo sulla temperatura più bassa, di solito 60 °C, e tenendo lo sportello aperto, ma lo sconsiglio perché consumereste tantissimo. L’essiccazione è infatti un processo che richiede molte ore. Per lo stesso tempo l’essiccatore consuma quanto un’ora di televisione. Un essiccatore può essere un grande vantaggio in cucina: potete usarlo per disidratare e conservare frutta e verdura o la pasta fatta in casa. Ma non solo: potete anche riutilizzare alcuni scarti, essiccandoli e poi riducendoli in polveri che saranno ottime per insaporire e guarnire i vostri piatti. Per esempio, le bucce delle melanzane essiccate e polverizzate saranno perfette per dare sapore a un piatto a base, appunto, di melanzana, mentre le scorze di arancia o di limone essiccate potranno essere utilizzate in ogni preparazione che richieda una nota agrumata. Per ottenere una polvere vi basterà tritare l’ingrediente disidratato in un macinacaffè. Vi confido un segreto: io nell’essiccatore ci cuocio anche le meringhe e vengono benissimo.

Salsa teriyaki Questa salsa fa parte della mia storia e la uso spesso nei miei piatti. L’ho imparata durante il mio soggiorno a New York, dai cuochi con cui condividevo la camera. Nei momenti di calma in cucina, “giocavamo” a fare esperimenti, contaminando ricette delle rispettive tradizioni culinarie.

Versione classica Ingredienti Salsa di soia 150 mℓ Mirin 100 mℓ Amido di riso 10 g Acqua fredda 40-50 g Scalogno ½ Zenzero 15 g Zucchero 50 g

Mettete insieme mirin, salsa di soia, zucchero, scalogno e zenzero a pezzetti. Girate bene con una frusta e portate a bollore. Aggiungete l’acqua e l’amido di riso già mischiati e lasciate cuocere fino a che il liquido non si addenserà. Infine filtrate e lasciate raffreddare. Se chiusa bene, la salsa teriyaki si conserva a lungo. Il mirin Ingrediente fondamentale della salsa teriyaki, il mirin è simile al sakè, ma è più dolce e meno alcolico. Potete trovarlo nei negozi che vendono prodotti alimentari orientali, in alcuni negozi biologici oppure online.

MAGIE DELLA CUCINA MOLECOLARE In questo capitolo ho raccolto alcune preparazioni basate sui principi della cucina molecolare. Non si tratta di vere e proprie ricette, ma perlopiù di guarnizioni, che tuttavia hanno lo scopo di introdurvi ad alcune tecniche di base della cucina molecolare, come la sferificazione (trasformare un liquido in piccole perle sferiche simili al caviale) o la gelificazione (trasformare un liquido in gel). Sono tecniche che utilizzo spesso e che troverete in molti piatti di questo ricettario. Ma che cos’è la cucina molecolare? Quando si parla di cucina molecolare, non si può non citare Ferran Adriá, lo chef spagnolo che con il suo celeberrimo ristorante elBulli, per anni in testa alle classifiche dei migliori ristoranti al mondo, ha reso famosa l’arte della cucina molecolare. Ma tutto è iniziato da due scienziati francesi, Hervé This e PierreGilles De Gennes, rispettivamente un chimico e un fisico. Sono stati loro, negli anni Ottanta, a studiare per primi le trasformazioni chimiche che permettono a un alimento di cambiare la sua struttura molecolare, e

perciò di mutare forma e sapore senza addizione di sostanze chimiche. È così che, per esempio, si può trasformare un liquido in gel o si può cuocere un uovo senza fiamma. Magia? Forse, ma con tanta pazienza e un po’ di pratica potrete diventare dei maghi anche voi, nella cucina di casa.

Aria di cavolo rosso Difficoltà ●○○ #estrazione

L’aria è una sorta di schiuma con cui impreziosire il piatto a livello sia scenografico sia olfattivo, perché donerà un leggerissimo profumo alla pietanza. Si può ottenere da qualsiasi liquido: una bisque, un fumetto, un estratto di carota, di basilico… anche acqua e limone. L’unica regola è che il liquido di partenza non sia grasso. Se c’è una componente grassa, dovrete emulsionarlo con un liquido neutro, come l’acqua.

Ingredienti Estratto di cavolo rosso 1 ℓ Lecitina di soia in polvere 5 g

Preparazione Con un estrattore ricavate il succo dal cavolo rosso. In una vaschetta mischiate il liquido con la lecitina di soia, che è un emulsionante. Frullate con un frullatore a immersione tenendo la vaschetta inclinata. Per creare l’aria, un quarto del frullatore deve rimanere sollevato, non a contatto con il liquido. Per riuscirci occorre tenere il frullatore un po’ sospeso e inclinato. Questa ricetta è valida per qualunque tipo di aria, rispettando sempre le stesse proporzioni: 5 grammi di lecitina di soia per ogni litro di liquido.

Il consiglio dello chef Come avrete notato, non ho scritto quanto cavolo rosso vi serve, ma quanto liquido. Questo perché non esiste una quantità precisa. Bisogna considerare una serie di varianti, tra cui il fatto che le verdure non sono mai uguali: per quanto un produttore coltivi i suoi ortaggi nello stesso modo tutti i giorni, il cavolo che cresce nel campo A non sarà uguale a quello del campo B. Cambieranno il sapore e la concentrazione. Ve ne renderete conto chiaramente al momento dell’estrazione: da cavoli diversi otterrete diverse quantità di succo.

Chips italiane di tapioca Difficoltà ●●○ #essiccazione #soffiatura

Le chips sono una guarnizione golosa, ma sono buonissime anche gustate da sole come stuzzichini. Questa preparazione si presta a moltissime varianti. Al posto della tapioca potete usare un riso Carnaroli oppure del farro, o perfino la polenta. Per la colorazione e l’aromatizzazione potete provare con olive, capperi, nero di seppia…

Ingredienti per una teglia di chips per ciascun colore Tapioca 100 g (ma potete usare anche riso, farro o un altro cereale) Acqua 300 g Olio di semi Sale un pizzico

Per le chips verdi: Bietola lessata 130 g Per le chips rosse: Concentrato di pomodoro qualche goccia Aglio Basilico Olio EVO

Preparazione Iniziamo dalla preparazione di base, quella delle chips bianche, composte solo da acqua e tapioca. Mettete in una pentola acqua, sale e tapioca a freddo. Quando bolle, abbassate la fiamma e lasciate sobbollire fino a far stracuocere la tapioca, che alla fine deve essere trasparente (mentre il riso no). Se l’acqua non è sufficiente, potete aggiungerne altra, anche fredda. Una volta che la tapioca è cotta, frullatela e stendete su carta forno o su silpat. Mettete in essiccatore a circa 60 °C finché il composto non diventa una lastra che si stacca facilmente dal silpat. Ci vorranno circa 12 ore. Spezzate la lastra con le mani, a ricavare delle chips delle dimensioni che desiderate. A questo punto le chips vanno soffiate: portate l’olio di semi alla temperatura di 190 °C, poi immergete uno o due pezzetti alla volta e in meno di 5 secondi soffieranno e triplicheranno di volume, diventando come nuvole. Per le chips verdi, frullate insieme alla tapioca un po’ di bietola lessata e strizzata. La quantità dipende anche dal sapore e dal colore che volete ottenere, più o meno intenso. Per un colore più brillante, suggerisco di aggiungere alla fine un po’ di estratto di spinacio. Per le chips rosse, usate invece un ristretto di pomodoro con un po’ di aglio e basilico, per conferire alle chips un sapore che ricordi una pasta al pomodoro. Il ristretto si ottiene tritando l’aglio e il basilico e aggiungendo un filo d’olio e il concentrato di pomodoro. Portate sul fuoco con un goccio di acqua e fate andare. Quando raggiunge la consistenza di un pastello – una consistenza simile al pongo, o a una besciamella molto tirata – è pronto. Il procedimento è lo stesso anche per altri gusti, l’importante è che otteniate una crema liscia, facile da stendere.

Cotica soffiata Difficoltà ●○○ #essiccazione #soffiatura

Questo piatto rappresenta forse la quintessenza della cucina molecolare, in quanto prevede un solo ingrediente: la cotica o cotenna, ossia la pelle del maiale. Con la tecnica della soffiatura potete trasformare questo alimento povero per eccellenza in uno stuzzichino molto appetitoso. Non metto dosi perché si tratta solo di un assaggio da gustare in piccole quantità.

Ingredienti Cotica di maiale Olio di semi

Preparazione Fate bollire la cotica per diverse ore in acqua non salata, tamponatela e mettetela nell’essiccatore a 30-40 °C per almeno 24 ore. Quando risulterà secca, è il momento di soffiarla. Immergetela in olio a 190 °C e in pochi secondi diventerà come un popcorn. Se volete evitare la frittura classica, questo piatto viene bene anche con la friggitrice ad aria a 200 °C.

#soffiatura La tecnica di base impiegata per le chips e la cotica soffiata si chiama appunto soffiatura e potete usarla per ottenere una gran quantità di preparazioni appetitose. La soffiatura, infatti, permette di rendere croccanti alimenti che non lo sono. Per esempio, se siete golosi di riso soffiato, avete mai pensato di prepararlo a casa? Ma ci sono anche le patate soffiate e la pasta soffiata, della quale vi darò la ricetta più avanti (vedi Paccheri chips). Si possono soffiare perlopiù ingredienti che contengano amido, come polenta e cereali vari. Ma anche la pelle di pesce, perfino le squame (che si possono fare anche al forno, se il vostro forno raggiunge temperature molto alte, intorno ai 350 °C in pochi secondi). Il procedimento è lungo ma non difficile ed è lo stesso delle Chips italiane di tapioca: si fa stracuocere l’ingrediente in acqua, si frulla, si stende sul silpat e si fa essiccare. Infine, per la soffiatura vera e propria si frigge un po’ alla volta per pochi secondi, finché l’alimento non si sarà gonfiato. Il riso soffiato si ottiene con lo stesso procedimento: fatelo cuocere molto bene ma senza stracuocerlo, poi potrete essiccarlo e soffiarlo. Ebbene sì: anche se il riso soffiato è considerato un alimento salutare e privo di grassi, la verità è che c’è sempre una percentuale di olio, che aiuta molto nella soffiatura.

Foglie d’autunno Difficoltà ●○○ #estrazione

Ecco un procedimento facile per creare decorazioni di grande effetto. Io ho utilizzato degli stampi a foglia, ma potete sbizzarrirvi con le forme che più vi piacciono.

Ingredienti Burro 50 g Zucchero 50 g Farina 50 g Albume 50 g Sale un pizzico Per le foglie nere: Nero di seppia Per le foglie verdi: Estratto di spinacio Per le foglie rosse: Estratto di barbabietola

Preparazione Sciogliete il burro, ma non troppo: deve essere morbido ma non completamente liquefatto. Con un frullatore a immersione mischiate tutti gli ingredienti. Se volete dare alle foglie un po’ di sapidità, aggiungete un pizzico di sale. Quando il composto si sarà ben amalgamato, setacciatelo con un colino a maglie strette. Stendetelo sullo stampo della forma desiderata. Preriscaldate il forno a 160 °C in modalità statica e infornate per 6-7 minuti. Questo è il procedimento di base per le foglie di colore neutro. Nella fotografia qui accanto vedete delle foglie in altri tre colori. Per il nero ho usato del nero di seppia, per il rosso dell’estratto di barbabietola e

per il verde estratto di spinacio. Aggiungetene qualche goccia al composto mentre lo frullate. Non esistono dosi precise al milligrammo, dipende dall’intensità di colore e di sapore che desiderate ottenere.

Gel alla mela verde e wasabi Difficoltà ●●○ #gelificazione #estrazione

Qui vi propongo un gel (vedi Gelificazione) che mi piace molto perché in bocca dà una sensazione leggermente frizzante. L’obiettivo è familiarizzare con la tecnica della gelificazione, non facile ma di sicuro effetto.

Ingredienti Estratto di mela verde 100 g Wasabi 1 g Agar-agar 0,8 g

Preparazione Ricavate l’estratto di mela verde e incorporatevi un grammo di wasabi ogni 100 grammi di estratto. Mescolate con una frusta e sempre a freddo aggiungete l’agar-agar. Poi mettete il composto sul fuoco e portatelo a 80-85 °C. A questa temperatura comincerà a bollire e si attiverà l’agar-agar, che è un gelificante naturale. Fate sobbollire per almeno 10-15 secondi, dopodiché versate tutto su una placchetta e lasciate raffreddare anche a temperatura ambiente. Una volta raffreddata la lastra, frullate il composto con un frullatore a immersione in un bicchiere alto e stretto, passatelo in un filtro a maglia fine e poi distribuitelo sul piatto con un biber o una sac à poche.

Perlage di cavolo rosso Difficoltà ●●● #gelificazione #sferificazione

Per familiarizzare con la tecnica della sferificazione, vi propongo questo perlage di cavolo rosso, perché vi permetterà di scoprire una piccola meraviglia con cui potete divertirvi: il cavolo rosso cambia colore a seconda delle sostanze con cui viene a contatto, per una questione di acidità. Con l’aceto diventa rosa e poi tendenzialmente bianco, con il bicarbonato o il calcio diventa verde, a contatto con acqua salata sarà blu. Potete quindi usare il perlage di cavolo rosso in preparazioni diverse, declinandolo nel colore che preferite.

Ingredienti Estratto di cavolo rosso 1 ℓ Alginato 6 g

Lattato di calcio 13 g

Preparazione Estraete il succo del cavolo rosso con un estrattore, poi aggiungetegli l’alginato nella quantità di 6 grammi per ogni litro di liquido. Frullate con il frullatore a immersione per far sciogliere l’alginato. Ci vorranno diversi minuti. Cercate di tenere il frullatore più immerso possibile e di non incorporare aria nel composto. Se avete a disposizione una macchina sottovuoto professionale, del tipo a campana, versate il composto su una placchetta ed estraete l’aria più volte. Altrimenti, copritelo con una pellicola e mettetelo in frigorifero per almeno 12 ore, per far sì che l’aria salga e non rimanga all’interno del composto. Per un perlage perfetto è importante che nel liquido non ci sia aria. Il giorno dopo, mischiate al composto il lattato, che ha un sapore amaro. Fatelo sciogliere molto bene senza incorporare aria. Poi prelevate le gocce del composto (risulteranno leggermente gelatinose) con un biber o una pipetta a 99 gocce, e lasciatele cadere in un contenitore stretto e alto. Aspettate 20-30 secondi, girate tutto con un cucchiaio forato ed estraete le perle, che a questo punto saranno gelificate all’esterno e liquide all’interno, come un vero e proprio caviale. Immergete le perle in acqua fredda per due volte per mandare via il sapore amaro del lattato. Il perlage si può mantenere solo per alcune ore, coperto da un olio neutro o in acqua fredda. Il liquido invece si può conservare per alcuni giorni, così come il lattato pronto. Alginato & Co. La cucina molecolare si avvale di alcuni ingredienti che aiutano la trasformazione degli alimenti. I più frequenti sono: alginato, un addensante ed emulsionante ricavato da un’alga tipica dei climi freddi; lattato di calcio, un sale minerale derivato dal carbonato di calcio. È utile per regolare l’acidità dei composti e come coadiuvante per la gelificazione; gomma di xantana; agar-agar, un gelificante derivato dalle alghe rosse. Questi ingredienti sono in vendita online e in negozi specializzati, ma si trovano sempre più spesso anche al supermercato oppure in farmacia.

Spugna al cioccolato Difficoltà ●●○ #sifone

La spugna non è una preparazione che si possa mangiare da sola, ma è un perfetto accompagnamento per un dolce. Io l’ho usata su una torta Sacher “scomposta”, accanto a una spugna all’albicocca.

Ingredienti Uova 55 g Albumi 30 g Acqua calda 15 g Zucchero 25 g Cioccolato fondente al 50 per cento 50 g Farina 00 38 g Burro spray

Preparazione Pesate l’acqua, aggiungete lo zucchero e mescolate finché non sarà ben sciolto. Aggiungete il cioccolato sciolto a bagnomaria, la farina, le uova e gli albumi. Frullate il tutto con un frullatore a immersione. Versate il composto in un sifone (vedi la lezione Sifone) e caricate con due cartucce di gas. Fate riposare in frigorifero per almeno 2 ore, scuotendo il sifone di tanto in tanto affinché il composto si misceli perfettamente con il gas. Spruzzate del burro spray in un bicchiere da microonde, foratelo (non è indispensabile, ma è preferibile farlo sia per lasciar passare più aria, sia per evitare che il bicchiere si fonda) e riempitelo di

spuma fino a metà tenendo il sifone capovolto. Mettete in microonde per 20 secondi alla potenza massima, quindi, una volta sfornato, tenetelo a testa in giù per 2-3 minuti.

Spugna di zucca Difficoltà ●○○ #sifone

La preparazione di questa spugna di zucca è la base da cui partire per ogni spugna che preveda una purea, di frutta o di verdura che sia. Basterà sostituire la purea di zucca con quella che preferite. Con lo stesso procedimento, ma con qualche variazione negli ingredienti, potete realizzare anche delle spugne a un qualsiasi olio aromatizzato.

Ingredienti Uova 2 Farina 00 40 g Zucchero a velo 35 g Purea di zucca 40 g

Maizena 5 g Burro spray

Preparazione Cuocete la zucca in forno con tutta la buccia, poi prelevate la polpa, frullatela e setacciatela. Frullate insieme tutti gli ingredienti, poi filtrateli con un colino a maglie molto strette. Riversate il composto nel sifone e caricatelo con due cartucce di gas. Spruzzate l’interno di un bicchiere da microonde con un po’ di burro spray, quindi forate il bicchiere (per lasciar passare più aria e per evitare che il bicchiere si fonda), versateci il composto con il sifone fino a metà bicchiere, poi infilate nel microonde alla massima potenza per circa 20 secondi. Prendete il bicchiere, capovolgetelo e lasciatelo raffreddare per qualche minuto, poi estraete la spugna, che sarà pronta per guarnire i vostri piatti. Con lo stesso procedimento si possono fare spugne di vari gusti, per esempio ai piselli, alla fragola o ai frutti di bosco. Naturalmente, se la purea è salata non mettete lo zucchero. Il consiglio dello chef Per fare una spugna a un olio aromatizzato vi serviranno 50 grammi di uovo intero, 40 grammi di tuorlo, 45 grammi di zucchero, 1 cucchiaino di miele, 30 grammi di farina, 20 grammi dell’olio aromatizzato che preferite, 10 grammi di latte fresco, qualche goccia di colorante idrosolubile (se volete).

AMUSE-BOUCHE E ANTIPASTI Qui troverete delle ricette per aprire in bellezza i vostri menu: a seconda delle quantità preparate, possono essere considerati degli antipasti oppure degli amusebouche, cioè dei piccoli assaggini da offrire ai vostri ospiti in attesa dell’antipasto vero e proprio. In francese amuse-bouche significa letteralmente “divertimenti per la bocca”. In pratica sono degli stuzzichini di benvenuto. Sono più piccoli degli antipasti e sono più che altro accortezze per un ospite che vengono servite prima del pasto, magari per dare un’idea di quale direzione seguirà il percorso di degustazione. Possono essere anche spunti da sviluppare addirittura in un secondo, ma più spesso contengono abbinamenti e sapori particolari, che si apprezzano fino in fondo solo se gustati in piccole quantità, mentre in dosi maggiori possono risultare stucchevoli.

Carpaccio di Chianina Difficoltà ●●○ #crudi #essiccazione #estrazione #soffiatura

Qui abbiamo un semplice carpaccio di carne di Chianina, che ho poggiato su un cubetto di pan brioche tostato e decorato con polvere di olive, maionesi al rafano, all’aneto e al pomodoro, caviale di trota salmonata. L’arco è invece una tuile (ovvero una cialda sottile) alla carota.

Ingredienti per 4 persone Pan brioche 4 cubetti Carpaccio di Chianina 4 fette Burro spray Per guarnire: Maionese qualche goccia al rafano Maionese qualche goccia all’aneto Maionese qualche goccia al pomodoro Caviale di trota salmonata 5 g Tuile alla carota 4 Polvere di olive

Preparazione Da un Pan brioche ricavate 4 cubetti, spruzzateli su tutti i lati con del burro spray, per farli tostare bene, e tostateli in forno a 160 °C fino a doratura. Adagiate su ognuno una fettina di carpaccio di Chianina, poi procedete con le decorazioni. Partiamo dalla polvere di olive. Nell’essiccatore fate essiccare le olive denocciolate a 35-40 °C per 6 ore, poi polverizzatele con un macinacaffè, un cutter o anche a coltello. Per la maionese al rafano, in precedenza dovrete aver cotto sottovuoto l’olio con il rafano (vedi Oli aromatizzati). Quando sarà pronto, usatelo per montare una maionese (200 millilitri di olio al rafano, un uovo, un pizzico di

sale, un goccio di limone o di aceto, vedi la ricetta Maionese - versione aromatizzata). Anche la maionese all’aneto va preparata con olio aromatizzato, ma in più, per donarle un verde brillante e conferirle un sapore più fresco, aggiungete circa un cucchiaio di estratto di aneto (vedi Maionese - versione gourmet). La maionese al pomodoro è una Maionese classica. Con il frullatore a immersione emulsionate un uovo intero con 200 millilitri di olio di semi. Incorporate man mano aceto di pomodoro e polvere di pomodoro a piacere. Per ottenere la polvere di pomodoro, essiccate delle bucce di pomodoro in essiccatore a 30 °C per 4-6 ore, poi frullate tutto in un cutter e setacciate in modo che non rimangano rametti o altre impurità. Non usate olio al pomodoro per aromatizzare, perché l’acidità del pomodoro tenderebbe a smontare la maionese. Mischiate tutto e inserite la maionese in un biber. La tuile di carota è ricavata da un foglio vegetale che si può comprare. Sconsiglio di farla a casa perché è piuttosto laboriosa. Tagliate quattro strisce dal foglio vegetale e soffiatele a una a una in olio a circa 200 °C. Appena estratte dall’olio, con delle pinze piegatele nella forma desiderata.

Per un carpaccio perfetto Per il carpaccio si usa di solito una carne magra come è quella di Chianina, una razza tipicamente toscana. I tagli migliori sono noce, girello, scamone, da tagliare a fettine sottili. Potete farvela affettare dal macellaio, oppure affettarla a mano se avete una buona manualità. Ci vuole una carne molto fresca, che abbia una giusta frollatura, quindi che non sia troppo giovane (la frollatura è il processo con cui la carne viene lasciata riposare per qualche giorno dopo la macellazione, in modo che diventi più tenera). Per un buon carpaccio è necessario affidarsi a un macellaio di fiducia, perché la carne deve essere stata maneggiata con cura e soprattutto non deve aver subìto sbalzi termici. A differenza di quanto accade per il pesce, infatti, congelare la carne a casa prima di utilizzarla non risolve molto, se non è stata trattata con cura fin dalla macellazione. Mentre maneggiate la carne cruda, è importante che la sua temperatura resti sempre tra 8 e 10 °C. In estate aiutatevi con del ghiaccio.

#gelificazione La

gelificazione è una delle tecniche più classiche della cucina molecolare. Consiste nel trasformare un liquido in gel, come dice la parola stessa. In questo ricettario la troverete molte volte. È una preparazione molto scenografica, che suscita sempre un certo effetto nei commensali. Potete creare un gel da qualunque liquido, basta rispettare sempre questa proporzione: 0,8 grammi di agar-agar ogni 100 grammi di liquido. Il procedimento è quello descritto nella ricetta Gel alla mela verde e wasabi; è sufficiente sostituire l’estratto di mela verde e il wasabi con ciò che volete. Io uso molto i gel ricavati dagli estratti, come il gel di pera nella Terra di campagna, ma anche il gel di vino rosso. L’importante è che il pH non superi il 3,5 per cento per 100 grammi di liquido perché il gel potrebbe non legare. Per questo i gel alcolici, come il gel di aceto, sono più difficili da eseguire. Ma c’è il “trucco”, diciamo così: basta sapere che quando c’è una base alcolica o con pH superiore al 3,5 per cento bisogna aumentare la dose di agar-agar. Di quanto? C’è un solo modo per scoprirlo: mettersi lì e provare. Sappiate però che non sempre i cibi acidi sono i più scontati. In internet troverete varie tabelle con l’acidità degli alimenti più comuni. La gelificazione in realtà non è un’invenzione della cucina molecolare: le gelatine e i budini fanno parte della nostra tradizione culinaria da prima. Tuttavia, la cucina molecolare ha promosso l’uso dell’agar-agar come gelificante, al posto della tradizionale gelatina o colla di pesce. Derivato dalle alghe, in Giappone l’agar-agar era usato da secoli, mentre in Europa è arrivato a metà dell’Ottocento. Per il gel preferisco l’agar-agar alla gelatina per due motivi: gelifica anche a temperatura ambiente ed è più resistente al calore, quindi può essere messo su una pietanza calda perché per sciogliersi deve superare gli

80 °C. In più è vegano. La gelatina, invece, necessita del freddo per gelificare e non resiste al calore.

Cervello di seppia Difficoltà ●○○ #soffiatura

D’accordo, il nome può non essere invitante, ma il gusto lo è, eccome! E in più avrete la soddisfazione di aver ricavato uno stuzzichino da qualcosa che altrimenti avreste gettato via, ossia gli scarti di seppie, polpi e calamari.

Ingredienti per 4 persone Testa di seppia, polpo o calamaro 100 g Amido 100 g Zucchero 20 g Sale un pizzico Per guarnire: Maionese al prezzemolo Maionese al pomodoro

Preparazione Questa ricetta, che una volta ultimata assume una forma simile a quella del cervello, si prepara con la parte più coriacea della seppia, del polpo o del calamaro: la testa e la parte centrale in cui si trova la bocca. Frullate il pesce con un pari quantitativo di amido, lo zucchero e un pizzico di sale. Se volete dargli un sapore più deciso, potete aggiungere delle erbe. L’impasto deve risultare non troppo liquido, ma una crema densa, corposa. Versatelo in stampi a semisfera in silicone e infornate a 180 °C finché il “cervello” non raddoppierà il suo volume. Ci vorranno circa 10-12 minuti.

Per guarnire, ho usato una maionese al prezzemolo e una maionese al pomodoro. Quella al prezzemolo si ottiene come una Maionese classica a cui si aggiunge un po’ di estratto di prezzemolo. La maionese al pomodoro è una maionese classica. Con il frullatore a immersione emulsionate un uovo intero con 200 millilitri di olio di semi. Incorporate man mano aceto di pomodoro e polvere di pomodoro a piacere. Non usate olio di pomodoro per aromatizzare, perché l’acidità del pomodoro tenderebbe a smontare la maionese. Per ottenere la polvere di pomodoro, essiccate delle bucce di pomodoro in essiccatore a 30 °C per 4-6 ore, poi tritate tutto in un cutter e setacciate in modo che non rimangano rametti o altre impurità.

Fegatino toscano Difficoltà ●○○

Nel ricettario di un toscanaccio come me non poteva mancare un buon fegatino toscano. Vi darò la ricetta classica, ma anche due rivisitazioni di mia ideazione: il Fegatino 2.0 e gli Scacchi. Fate conto che siano tre gradi diversi di difficoltà di una stessa ricetta, dove il Fegatino toscano è il livello 1 e gli Scacchi sono il livello master. Queste tre varianti di fegatini sono il perfetto esempio di come, partendo da una ricetta tipica della tradizione, si possa renderla più particolare, contemporanea o addirittura futuristica. Gli Scacchi rappresentano infatti l’ultima frontiera della cucina, la cosiddetta food illusion: dare a un piatto una forma che è tutt’altro rispetto al suo contenuto.

Ingredienti per 4 persone Fegatini di pollo 250 g Alici sotto sale 5 Capperi dissalati 30 g Vin santo 45 g Brodo di pollo 100 g Senape 1 cucchiaino Colatura di alici 1 cucchiaino Cipolla rossa 1 Burro 35 g Olio EVO Rosmarino Salvia Sale

Preparazione Preparate un brodo di pollo come spiegato nella ricetta Brodo. Sbucciate e affettate a fettine sottili la cipolla e fatela stufare in padella con olio caldo per qualche minuto. Unite un rametto di salvia e uno di rosmarino. Dopo qualche altro minuto, aggiungete i fegatini e fateli soffriggere finché non

creeranno una leggera crosticina che serve a sigillare i sapori all’interno, evitando che si disperdano durante la cottura. Togliete salvia e rosmarino e sfumate con il vin santo. Quando la parte alcolica sarà evaporata, allungate con il brodo e cuocete ancora finché i fegatini non saranno ben cotti, poi spegnete il fuoco e aggiungete subito le alici e i capperi, il burro, la senape e la colatura di alici. Mescolate il tutto finché il composto non si sarà amalgamato, unite un po’ di salvia tritata e regolate di sale. A questo punto sminuzzate i fegatini con il coltello fino a ottenere quasi una purea, da spalmare rigorosamente su pane toscano (vedi la ricetta Pane toscano). Il top è versare sui crostini un goccio di olio a crudo.

Fegatino 2.0 Difficoltà ●○○ #gelificazione

Ingredienti per 4 persone Fegatini di pollo 250 g Capperi dissalati 30 g Vin santo 45 g Senape 1 cucchiaino Cipolla rossa 1 Gelatina 1 foglio Timo Alloro Pepe Olio EVO Sale se serve Acqua Per guarnire: Amarene sciroppate

Agar-agar 1 g ogni 200 g di salsa di amarene Pistacchio di Bronte 40 g Amaretti Acqua

Preparazione Per prima cosa create una salsa di amarena unendo al succo delle amarene sciroppate un po’ di acqua e aggiungendo un pizzico di agar-agar per gelificare. Mettete in ammollo la gelatina, che vi servirà più tardi. Affettate la cipolla e fatela rosolare bene in padella con un filo d’olio. Quando inizia a colorire, aggiungete mezzo bicchiere di acqua, abbassate la fiamma e lasciatela cuocere lentamente. In questo modo si perderà la nota acidula e resterà solo quella aromatica. Aggiungete i fegatini, timo, alloro, una spolverata di pepe e alzate di nuovo la fiamma. Per ora non mettete sale. Sfumate con un goccio di vin santo e lasciatelo evaporare, poi allungate con un po’ di acqua e fate cuocere lentamente. Quando la carne è ben cotta, togliete le erbe aromatiche e mettete il fegato in un bicchiere da frullatore a immersione; aggiungete capperi e senape, un dito di acqua e frullate tutto. Strizzate la gelatina e fatela sciogliere per qualche secondo nel microonde. Unitela al fegato frullato e amalgamate di nuovo con il frullatore a immersione. In questa ricetta, a differenza di quella originale, non mettiamo burro per rendere il piatto più leggero. Setacciate il composto con un colino a maglia fine e mettete il ricavato in stampini di silicone della forma che preferite. Consiglio il silicone perché è morbido e vi permette di togliere i fegatini dagli stampi senza rovinarli. Per sformarli, dovete prima abbatterli termicamente. Dopo, potrete anche conservarli in frigo per un paio di giorni. Posate i fegatini su un piatto e schizzateli con la salsa all’amarena. Aggiungete gli amaretti tritati e la granella di pistacchio. Il consiglio dello chef Attenzione! Il fegato, come tutte le interiora, deve cuocere molto bene, raggiungendo al cuore almeno 60 °C. Questo perché soltanto una cottura perfetta permette di eliminare tutti i microrganismi nocivi per la nostra salute.

Scacchi Difficoltà ●●●

Ingredienti per 4 persone Fegatini di pollo 250 g Alici sotto sale 5 Capperi dissalati 30 g Vin santo 45 g Brodo di pollo 100 g Cipolla rossa 1 Burro 35 g Gelatina 1 foglio Olio EVO Rosmarino Salvia Sale Per il rivestimento: Burro di cacao 200 g

Cioccolato fondente 200 g Cioccolato bianco 200 g

Preparazione Gli ingredienti e il procedimento sono gli stessi del Fegatino toscano, ma senza la colatura di alici e la senape. Aggiungeremo invece un po’ di gelatina per conferire al composto la giusta struttura, perché al momento di impiattare gli scacchi dovranno essere in grado di reggersi in piedi. Seguite dunque il procedimento del Fegatino toscano fino al momento di sminuzzare i fegatini cotti. Mettete i capperi (ma non la colatura di alici, né la senape). Strizzate la gelatina precedentemente reidratata e fatela sciogliere per qualche secondo nel microonde. Unitela al fegato e frullate tutto col frullatore a immersione fino a ottenere una crema liscia e abbastanza lenta, molto fluida. Regolate di sale. Versate la crema negli stampi e metteteli in abbattitore o in freezer finché non raggiungeranno la temperatura minima di -20 °C al cuore. Vi avverto fin d’ora: gli stampi non sono facili da maneggiare perché tendono a piegarsi. Diciamo che è un buon allenamento per sviluppare la manualità. Per l’impiattamento rivestiremo gli scacchi con burro di cacao, cioccolato bianco e cioccolato fondente, che si sposa molto bene con il sapore del fegato. Nella foto, vedete tre colorazioni: gli scacchi beige sono al naturale, quelli bianchi sono ricoperti con burro di cacao e cioccolato bianco, e quelli marroni con cioccolato fondente. Sciogliete insieme burro di cacao e cioccolato bianco. Quando il composto si sarà raffreddato fino a 35 °C , infilzate gli scacchi con uno stecchino e inzuppateli nel composto. A parte, temperate il cioccolato fondente come spiegato nel box qui accanto e inzuppatevi gli scacchi restanti. Il consiglio dello chef Per temperare il cioccolato fondente portatelo a 45 °C, versatene tre quarti su una superficie fredda e lavorate per qualche minuto fino a raggiungere i 31 °C. A questo punto riunitelo al quarto rimasto. Mescolate bene. Il composto dovrà aver raggiunto circa 28 °C. Riportatelo a 31 °C a bagnomaria.

Finto pomodoro Difficoltà ●●● #kappatura

Se mi seguite da un po’, di sicuro lo avete già visto, perché è uno dei piatti che più mi rappresentano: il finto pomodoro di coscia d’anatra. Il finto pomodoro in sé non è una mia invenzione, ma per molto tempo mi sono chiesto come dare a questo piatto una reinterpretazione originale. L’idea della coscia d’anatra mi è venuta grazie a uno dei miei “pallini”: il desiderio di non buttare via nulla in cucina. Avevo creato una serie di piatti usando l’anatra, ma sfruttavo molto il petto, mentre avanzavano sempre le cosce. Buttarle via sarebbe stato un peccato, perché tra l’altro sono buonissime, e allora mi sono detto: perché non usarle per un finto pomodoro? Ed ecco qui il risultato.

Ingredienti per 4 persone Cosce d’anatra 2 Carote 1 e ½ Sedano 1 costa Cipolla 1 Bacche di ginepro Alloro Timo 10 rametti Salvia 1 mazzetto Rosmarino 5 rametti Aglio 4-5 spicchi Vino rosso 1 bicchiere Concentrato di pomodoro 1 cucchiaio Brodo vegetale o acqua quanto basta per coprire tutto Fondo d’anatra Maggiorana Per la kappatura: Acqua minerale in bottiglia 340 mℓ Concentrato di pomodoro 80 g Carragenina K 3,4 g

Preparazione Per questa ricetta è preferibile procurarsi degli stampi a forma di pomodoro; in alternativa potete provare a modellare i pomodori con le mani, con la tecnica con

cui di solito fate le polpette, ma è molto laborioso (ve lo sconsiglio, anche perché il vostro composto dovrebbe mantenere sempre una temperatura tra i 4 e gli 0 °C, e invece toccandolo con le mani finireste per scaldarlo). Suggerisco di preparare questo piatto il giorno prima, perché alla fine i finti pomodori dovranno riposare per qualche ora. Fate un classico soffritto in cui le verdure, l’aglio e le erbe aromatiche dovranno appassire, non friggere: è importante. Devono restringersi molto. Le erbe aromatiche devono essere tante: man mano che le verdure appassiscono, il profumo dovrebbe riempire la stanza. Aggiungete il concentrato di pomodoro. Sfumate con il vino e fatelo evaporare bene: non deve rimanerne traccia. Otterrete un colore ambrato molto scuro.

Togliete le erbe e mettete nella pentola le cosce, prive della pelle perché l’anatra è molto grassa, e fatele rosolare. Quando saranno colorite, aggiungete del brodo freddo oppure dell’acqua fredda. È importante che siano freddi perché abbassando la temperatura riuscirete a estrarre tutti gli aromi. Tagliate le ossa in cima alla coscia per fare uscire più midollo possibile e insaporire ulteriormente. Socchiudete con un coperchio e lasciate cuocere molto lentamente per almeno due ore-due ore e mezza, o comunque finché la carne non si staccherà dalla coscia, sfaldandosi letteralmente. A quel punto, togliete l’aglio lasciandone solo uno spicchio, eliminate eventuali residui delle erbe aromatiche e, con i guanti, disossate le cosce. Rovesciate tutta la carne e le verdure in uno chinois, cioè un colino cinese. Raccogliete il succo che cadrà e tenetelo da parte. Passate carne e verdure in un mixer, quindi frullate e setacciate con un setaccio a maglie finissime. È un lavoro molto faticoso e ci vuole tempo, ma è un passaggio importante perché le ossa dell’anatra sono molto fragili, e voi non volete che i vostri ospiti si spacchino un dente, giusto?

Una volta finito, mettete il composto in una ciotola. Probabilmente sarà un po’ asciutto, e qui entra in gioco il succo tenuto da parte in precedenza. Fatelo restringere della metà e via via aggiungetelo alla carne per renderla ancora più saporita. Invece di aggiungere sale, aggiungete del fondo di anatra. Il composto deve rimanere abbastanza denso, non liquido. Per dare all’impasto una consistenza leggermente cremosa, fate un piccolo trito di timo e maggiorana e unitelo al resto. Prendete gli stampi a forma di pomodoro e con una sac à poche riempiteli con l’impasto, che sarà abbastanza compatto ma malleabile. Vi ricordo che il composto dovrebbe mantenere sempre una temperatura tra i 4 e gli 0 °C. Una volta riversato negli stampi, abbattete termicamente il composto, con l’abbattitore o in freezer. Nel frattempo, preparate il liquido per la kappatura, cioè per la copertura. Mischiate acqua naturale di bottiglia, il concentrato di pomodoro e la carragenina K. Portate ad almeno 80 °C; quando la temperatura scenderà a 70 °C, sarà il momento di fare la kappatura. Sformate i pomodori ormai solidificati, infilzateli con uno stuzzicadenti e immergeteli nel liquido per tre volte. Alla terza volta, posate i finti pomodori su un vassoio o su piatto e vedrete che si formerà una specie di involucro esterno. Lasciateli riposare per qualche ora. I finti pomodori si possono servire sia freddi sia tiepidi. Copriteli con la pellicola (non direttamente a contatto) e metteteli in un posto in cui restino intorno ai 30-40 °C fino al momento di servirli. Si accompagnano bene con una focaccia o con del pane; per un effetto più realistico, completate con piccioli di veri pomodori.

#sferificazione La sferificazione è una tecnica classica della cucina molecolare, inventata dallo chef spagnolo Ferran Adriá. Si tratta di trasformare un liquido in piccole perle simili a caviale. Una preparazione molto decorativa e anche piacevole in bocca perché si crea un contrasto tra la superficie gelificata delle perle e l’interno liquido: un effetto che ricorda il caviale. È una tecnica lunga e non facile, lo ammetto, ma come dico sempre, provare e riprovare con pazienza è l’unico vero segreto per riuscire. I passaggi sono quelli descritti nella ricetta del Perlage di cavolo rosso; semplicemente, al posto dell’estratto di cavolo rosso potete usare qualsiasi altro liquido. Attenzione, però: la gradazione alcolica fa cambiare le dosi. Se il pH del liquido supera il 3,5 per cento per 100 grammi di liquido, il perlage potrebbe non legare. Se volete sferificare un liquido alcolico, dovete aumentare leggermente le dosi di alginato. Per individuare gli alimenti acidi vi consiglio di non affidarvi solo al gusto, perché se non siete più che esperti potrebbe tradirvi. Meglio consultare una tabella con l’acidità degli alimenti più comuni: in internet ce ne sono molte. In commercio ci sono anche delle penne per misurare il pH, dal prezzo accessibile.

Fragole di Wagyu Difficoltà ●●○ #kappatura #crudi #marinatura

Sembrano fragole… ma non lo sono. Le innocenti e appetitose fragoline che vedete in foto sono in realtà una tartare di Wagyu, una pregiata carne di origine giapponese che amo particolarmente. La tartare è ricoperta da una glassa alla fragola con la tecnica della kappatura.

Ingredienti per 4 persone Carne di Wagyu 200 g Tuorlo d’uovo 1 Salsa di soia Trito di erbe spontanee di stagione Salsa Worcester Tabasco Per la glassa di fragole: Purea di fragole 100 ml Aceto di riso una punta Carragenina K 1,4 g Sale

Preparazione La tartare è composta da carne Wagyu marinata (per approfondire, vedi la lezione Marinatura). Marinate il tuorlo d’uovo in salsa di soia immergendolo nella salsa per alcune ore. Alla fine solo la parte esterna del tuorlo risulterà “cotta” e avrà formato una specie di pellicina. Prelevatela e usate soltanto quella, non la parte del tuorlo rimasta liquida. Setacciatela e mettetela in una sac à poche. Mischiate questa salsina alla carne, aggiungendo un trito di erbe spontanee, qualche goccia di tabasco e un po’ di salsa Worcester. Date al composto la forma di una fragola versandolo negli appositi stampini e

procedete con l’abbattimento termico. Questo passaggio è fondamentale perché la kappatura, cioè la copertura della glassa, avviene grazie al contatto tra il caldo della salsa alle fragole e il freddo della tartare. Frullate le fragole per ricavare una purea e setacciatela per togliere i semini. Aggiungete una punta di aceto di riso e 1,4 grammi di carragenina K (in genere se ne usano al massimo 2 grammi ogni 100 millilitri di liquido). Unite un pizzico di sale e portate a ebollizione partendo a freddo. Quando il composto arriva a sfiorare il bollore, spegnete e lasciate scendere la temperatura a circa 80 °C. A questo punto infilzate con uno stecchino le finte fragole abbattute termicamente e immergetele nella salsa alle fragole un paio di volte. Il liquido caldo, a contatto con la carne fredda, gelificherà all’istante. Mettete le fragole in frigorifero a riposare, affinché la gelificazione possa proseguire. Per renderle ancora più realistiche, potete decorarle con le vere foglie delle fragole.

Il Wagyu Letteralmente, Wagyu significa “manzo giapponese”. Si tratta, infatti, di una qualità di carne che proviene da mucche di razza Wagyu. Questa razza è allevata da lungo tempo in Giappone, dove è stata via via perfezionata attraverso incroci di razze diverse. La sua caratteristica principale è la marezzatura, la ricchezza di venature di grasso. La tipologia più nota di Wagyu è la Kobe, ma in realtà ne esistono varie tipologie, allevate in zone diverse del Giappone. Negli ultimi anni anche in Italia sono comparsi i primi allevamenti di Wagyu. I primi esemplari sono stati importati dal Giappone, ma l’allevamento prosegue nel nostro paese ormai da qualche tempo. Il risultato non vuole essere una carne Wagyu giapponese, ma qualcosa di diverso. Il grasso della Wagyu italiana ha un sapore molto rotondo, non aggressivo né stucchevole, con un leggero retrogusto di selvatico, molto appetibile. La mia filosofia è cercare di mangiare meno carne possibile, ma di elevata qualità. La mia predilezione per il Wagyu, noto per la sua marezzatura, potrebbe sembrare una contraddizione, ma la verità è che la carne di Wagyu contiene circa il 50 per cento di grassi insaturi, che a differenza dei grassi saturi portano molti benefici all’organismo. Il grasso di Wagyu si scioglie in bocca molto facilmente, per questo è appetibile anche crudo e conferisce alla carne un sapore particolare che una carne più magra non ha. Senza nulla togliere alla carne magra per eccellenza, almeno tra le italiane: la Chianina. Da buon toscano, la adoro! Semplicemente, si tratta di due gusti differenti, che si prestano a usi differenti in cucina. Mentre, per esempio, la Wagyu è buona sia cruda sia cotta, la Chianina va gustata cruda, proprio perché in cottura la sua carenza di grasso tende a renderla più dura.

Olive Difficoltà ●○○ #kappatura

Queste olive sono un altro perfetto esempio di food illusion, la tecnica per cui una pietanza sembra una cosa e invece è un’altra. In questo caso, le olive che vedete in foto sono fatte con ricotta di pecora e una goccia di composta di fichi, il tutto rivestito con una kappatura di nero di seppia. Si tratta di una ricetta semplice, che non richiede grandi lavorazioni, ma d’effetto. Ingredienti per circa 20 olive Composta di fichi Ricotta di pecora 100 g Sale Carragenina K 9 g Nero di seppia 30 g Acqua 98 g

Preparazione La composta potete acquistarla, oppure farla voi. Io metto in una pentola i fichi maturi, zucchero e un goccio di pectina, porto a bollore e lascio sobbollire finché la composta non si ritira abbastanza da non essere liquida, poi frullo tutto e setaccio. Prendete degli stampi a forma di oliva, stendete uno strato di ricotta, poi spremete un po’ di composta con l’aiuto di una piccola sac à poche e ricoprite con un altro strato di ricotta. Spatolate bene per rendere la superficie uniforme. Potete mescolare alla ricotta un pizzico di sale per contrastare la dolcezza della composta. Se non avete uno stampo apposito, stendete della pellicola per alimenti e fate una base di ricotta. Praticate un piccolo buco al centro, riempitelo con un po’ di composta e chiudete con un altro strato di ricotta. Chiudete la pellicola e avvolgetela ai lati, come a formare una caramella. Le olive non verranno tutte perfettamente uguali, ma è una buona soluzione domestica.

Abbattete la temperatura delle olive mettendole in un abbattitore o in freezer. Preparate la salsa per la kappatura mescolando a freddo in un pentolino l’acqua, il nero di seppia e la carragenina K. Lasciate cuocere finché il composto non arriverà a sobbollire, poi spegnete e lasciate raffreddare fino a 50 °C per avere una consistenza più corposa. Più la temperatura della salsa è bassa, più l’effetto sarà coprente. Quando le olive sono alla giusta temperatura (devono essere tra -20 e -25 °C al momento della kappatura), infilzatele a una a una con uno stuzzicadenti e immergetele nella salsa per la kappatura. Il liquido caldo, a contatto con le olive fredde, gelificherà all’istante. Infine disponetele su un piatto, maneggiandole con molta delicatezza. Tenetele in frigorifero fino al momento di servirle.

Paccheri chips Difficoltà ●●○ #soffiatura #crudi

La solita pasta? Non direi proprio. Questi paccheri sono soffiati, quindi molto croccanti, e ripieni di morbida tartare di tonno.

Ingredienti per 4 persone Paccheri 16 Filetto di tonno 450 g Sale Salsa teriyaki Olio EVO

Per guarnire: Maionese al wasabi 100 mℓ Esratto di prezzemolo 10-15 g Sesamo

Preparazione Il filetto di tonno va acquistato già abbattuto, oppure dovete abbatterlo termicamente (vedi la lezione Maneggiare i crudi). Fate stracuocere i paccheri in acqua leggermente salata. Dovranno cuocere circa 10 minuti in più rispetto al tempo di cottura indicato sulla busta, dopodiché scolateli e metteteli nell’essiccatore per 12-20 ore. Una volta essiccati, soffiateli gettandoli in olio a 185 °C. Mettetene pochi alla volta, perché se sono troppi abbasseranno la temperatura dell’olio e la frittura risulterà moscia. Per la maionese al wasabi preparate una Maionese classica con un uovo intero e un pizzico di pasta di wasabi. Aggiungete 10-15 grammi di estratto di prezzemolo per dare colore. Tagliate il filetto di tonno a strisce e poi a piccoli cubetti. Condite la tartare con un goccio di Salsa teriyaki, poi inseritela nei paccheri soffiati con una sac à poche. Per la guarnizione, tostate il sesamo in padella a secco o in forno a 160 °C per cinque minuti. Su ogni pacchero spargete un po’ di sesamo e finite con una punta di maionese al wasabi. Il consiglio dello chef Friggere gli alimenti poco alla volta – che si tratti di carni, verdure o quello che volete – è una delle cose da ricordare per una frittura perfetta. Per un risultato croccante, infatti, è fondamentale che l’olio rimanga a una temperatura costante. Immettere nella friggitrice troppi pezzi può invece abbassare la temperatura. Questo è vero soprattutto nel caso di alimenti che stemperano l’olio, come la patata.

Pianeta caprese Difficoltà ●●● #essiccazione #estrazione #soffiatura

Questo piatto richiede una buona dose di abilità tecniche, nonché una certa manualità. Il cuore del pianeta è composto da mozzarella lavorata con una tecnica particolare. Il disco intorno è una cialda di pomodoro su cui ho poggiato polvere di olio (bianca), polvere di pomodoro (rossa), polvere di origano, maionese al basilico, maionese al pomodoro. Forse non tutti proveranno questo piatto a casa, ma ve lo propongo comunque perché è un’incredibile fonte di ispirazione da cui potete rubare anche solo dei dettagli. E sì, è anche un guanto lanciato a chi ama le sfide.

Ingredienti per 4 persone Mozzarelle 4 da 100 g Latte fresco intero (dipende da quanto latte contiene la mozzarella) 100-150 mℓ Agar-agar 1,4 g ogni 100 g di composto Cialda al pomodoro Maionese al basilico Maionese al pomodoro Olio EVO 20 g Maltodestrina g di tapioca 40-60 Polvere di pomodoro Polvere di origano

Preparazione Iniziamo dal pianeta. Preparate un pianeta per ogni mozzarella. Frullate ogni mozzarella con del latte fresco intero fino a raggiungere un composto liscio e omogeneo, non troppo liquido. Pesate questa crema e aggiungete 1,4 grammi di agar-agar ogni 100 grammi di composto. Mettete in una pentola e portate a sfiorare il bollore. Per far attivare l’agar-agar bisogna arrivare a circa 80 °C.

Togliete dal fuoco e versate il composto in quattro stampi a semisfera. A questo punto dovete abbattere la temperatura, o in congelatore per un’ora o in un abbattitore per circa 10 minuti. Se usate il freezer di casa, fate prima raffreddare a temperatura ambiente e poi mettete in freezer. Il congelamento solidificherà i pianeti e li renderà più facili da sformare e maneggiare. Una volta sformati, metteteli da parte in frigo fino al momento dell’utilizzo. Mi raccomando, sollevateli con una spatolina, perché se li prenderete con le mani si rovineranno. Procedete preparando tutto ciò che vi serve per completare il piatto e fate l’impiattamento solo alla fine, per non rischiare di rovinare i pianeti. Per la polvere di olio, miscelate circa 20 grammi di olio extravergine d’oliva e 40-60 grammi di maltodestrina, che tenderà a sciogliersi. La maltodestrina ha un grande potere di inglobare i grassi e diventerà come una polvere bianca molto aerata, simile a neve. La polvere di pomodoro si ottiene facendo essiccare delle bucce di pomodoro in essiccatore a 30 °C per 4-6 ore e poi tritandole in un cutter. Prima di usare la polvere, setacciatela per eliminare rametti e altre impurità. Il disco intorno al pianeta è una tuile di pomodoro che si compra anche già fatta e a cui ho dato forma circolare, per poi soffiarla immergendola in olio a 200 °C per 4 secondi. Quando la estraete, tamponatela con un foglio di carta assorbente e tenetela pressata per 4-5 secondi per far sì che resti piatta. Per la maionese al basilico, con il frullatore a immersione emulsionate i tuorli d’uovo e l’olio (semplice, non aromatizzato perché renderebbe la maionese troppo amara) con dell’estratto di basilico, nella quantità che preferite in base all’intensità di sapore e colore che volete ottenere (vedi ricetta Maionese versione gourmet). La maionese al pomodoro è una maionese classica, composta da un uovo intero emulsionato con 200 millilitri di olio di semi. Mentre la lavorate con il frullatore a immersione, incorporate aceto di pomodoro e polvere di pomodoro a piacere. Non usate olio di pomodoro per aromatizzarla, perché l’acidità del pomodoro tenderebbe a smontarla. A questo punto è il momento di impiattare: prendete ogni semisfera di mozzarella (mi raccomando, sempre con la spatola), poggiatela sul disco di cialda di pomodoro e decorate metà disco con la polvere di olio e l’altra metà con la polvere di pomodoro. Sulla polvere di pomodoro lasciate cadere, alternandole, delle gocce di maionese al basilico e al pomodoro. Sulla polvere di olio spargete invece un po’ di polvere di origano, ottenuta essiccando l’origano e triturandolo. Terminate con qualche fiore e germoglio.

Il consiglio dello chef Le chips, come tutte le paste fillo e le cialde, appena estratte dall’olio caldo hanno una certa duttilità che permette di imprimere loro forme diverse, ma solidificano abbastanza in fretta. Consiglio perciò di maneggiarle rapidamente, così che poi mantengano la forma che gli è stata data.

Polpo marinato Difficoltà ●○○ #marinatura

Ecco un piatto fresco e per nulla difficile, se avete già pronto l’olio aromatizzato. Gran parte della mia cucina, in effetti, richiede tempo solo all’inizio, ma se inizierete a fare regolarmente gli oli aromatizzati e le polveri più usati, preparare le ricette sarà molto più semplice e veloce di quanto sembri.

Ingredienti per 4 persone Polpo 1 Caviale di storione Caviale di trota salmonata Maionese al wasabi Olio aromatizzato alle foglie di fico Olio al prezzemolo Salsa teriyaki Sedano 1 Limone ½ Pepe in grani Alloro 2-3 foglie Coriandolo in semi 1 cucchiaio

Preparazione Pulite il polpo e mettetelo a cuocere in acqua calda con sedano, limone, pepe in grani, alloro e coriandolo. Il polpo cuoce solitamente a circa 97 °C: cercate quindi di stare sotto la soglia del bollore. Dopo 20-25 minuti spegnete il fuoco e lasciate raffreddare il polpo nella sua acqua. Infine tiratelo fuori e tagliatelo con un taglio da sashimi, ossia a fettine sottili come in foto. “Sporcate” il polpo con la Salsa teriyaki e l’olio al fico, lasciate nel piatto per circa 10 minuti e poi aggiungete tutti gli altri componenti: caviale, maionese e, se volete, dei fiori e germogli per decorare. Le erbette

che ho usato per il tocco finale – aglio, basilico, senape selvatica e spinacio rampicante – non sono scelte a caso, ma in base a come si sposano con i sapori del piatto. Questo piatto è accompagnato da due oli: un olio aromatizzato alle foglie di fico e un olio al prezzemolo. Per l’olio al prezzemolo sbollentate 200 grammi di foglie per circa 30 secondi in acqua salata, raffreddatele in acqua e ghiaccio, e frullatele con 100 grammi di olio di semi per 4-5 minuti. Filtrate il tutto e mettete a riposare una notte all’interno di una sac à poche, in modo che l’acqua si separi dall’olio e dalle impurità. L’indomani tagliate l’estremità della sac à poche per lasciar uscire le impurità che si saranno depositate sul fondo. Mettete il resto in un biber dotato di un tappo per olio aromatico, affinché colore e aromaticità non si disperdano. Potete conservare quest’olio in freezer, in un sacchetto sottovuoto, per circa sei mesi. Per l’olio alle foglie di fico, lavate bene le foglie e in un robot da cucina con funzione cottura mettete a freddo 200 grammi di foglie in 100 grammi di olio. Frullate e intanto portate tutto a 40-60 °C per 5 minuti. La pianta rilascerà così tutte le sue proprietà organolettiche. Infine filtrate, mettete l’olio a riposare nella sac à poche e il giorno seguente tagliate via la punta, lasciando uscire le impurità.

Scampo tequila, sale e limone Difficoltà ●●○ #flambatura #crudi #marinatura

Qui abbiamo una tecnica nuova, la flambatura. Una tecnica di grande effetto, ma che va messa in pratica con attenzione e con gli strumenti giusti. Questo scampo è molto lavorato, lo ammetto, a dispetto del fatto che è crudo, ma il suo contrasto tra le note acide del limone e della tequila e la dolcezza del crumble vi premierà del tempo impiegato per prepararlo.

Ingredienti per 4 persone Scampi grandi 4 Tequila 50 mℓ Succo di limone 30 mℓ Zucchero di canna Pepe rosa Sale Scorza di lime Acqua 10 mℓ Per il crumble: Burro 50 g

Zucchero 50 g Farina 0 50 g Farina di mandorle 50 g Pepe rosa 5 g Per il gel al limone: Limone 1 Miele 1 cucchiaino Sale un pizzico

Preparazione Per questo piatto a base di scampi crudi vanno rispettate le indicazioni di p. 138 su come maneggiare i cibi crudi. Procuratevi degli scampi belli grandi e abbattete la temperatura. È preferibile usare un abbattitore, altrimenti potete metterli in freezer per un minimo di 96 ore, a patto che il freezer riesca a mantenere una temperatura costante di almeno -18 °C. Consiglio di mettere sottovuoto gli scampi prima di congelarli perché, oltre a essere più igienico, il sottovuoto conserva meglio le proprietà dell’alimento, limitando i danni che i cristalli di ghiaccio apportano alla consistenza dello scampo in fase di decongelamento. Una volta abbattuti gli scampi, togliamo il carapace, togliamo il budello e immergiamo la coda in una miscela di tequila, limone, un pizzico di sale e 10 millilitri di acqua per stemperare un po’. Lasciate le code nella marinatura per un minuto. Per il crumble al pepe rosa frullate insieme burro, zucchero, farina 0, farina di mandorle, pepe rosa, tutto freddo di frigo. Mettete in teglia il crumble, stendendolo su carta forno o silpat, e infornate a 160 °C per circa 15 minuti. Sfornate e lasciate freddare. Per fare il gel al limone non utilizzeremo addensanti, ma seguiremo un procedimento naturale. Prendete un limone biologico non trattato e fatelo bollire in acqua non salata per circa un’ora-un’ora e un quarto, fino a che non sarà talmente morbido che tenderà a rompersi. Frullatelo tutto intero, poi aggiungete un cucchiaino di miele e un pizzico di sale per aggiustare. A quel punto la nota amara sarà svanita quasi del tutto nell’acqua e resterà la parte aromatica e fresca dell’agrume. Per l’impiattamento, adagiate lo scampo sul crumble, spolverizzatelo con zucchero di canna e flambate con un cannello fino a caramellizzare lo zucchero. Completate lasciando cadere sugli scampi qualche goccia di gel al limone e guarnite con pepe rosa e scorza di lime grattugiata.

Il pepe rosa Quello che comunemente chiamiamo pepe rosa in realtà non è pepe. Non deriva infatti dalla stessa pianta del pepe, ma da una pianta originaria dell’America Latina, che dà bacche simili nell’aspetto a quelle del pepe ma differenti nel sapore. Il pepe rosa è molto più delicato del pepe classico e si sposa bene con il pesce.

Spuma di patate al tartufo Difficoltà ●○○ #sifone

La spuma di patate è una preparazione relativamente veloce, che può costituire un amuse-bouche a sé oppure accompagnare un altro piatto. In questo caso ho scelto di aromatizzarla al tartufo, ma potete scegliere la nota aromatica che preferite. L’obiettivo qui è soprattutto familiarizzare con lo strumento del sifone.

Ingredienti per 4 persone Latte 160 mℓ Panna fresca 160 mℓ Patate 250 g Agar-agar 1,4 g Tartufo Olio al tartufo Sale

Preparazione Sbucciate le patate e fatele a tocchetti. Unite tutti gli ingredienti in una casseruola, tranne l’olio al tartufo e il tartufo, che si gratta sulla spuma soltanto alla fine affinché non perda l’essenza. Cuocete lasciando il coperchio socchiuso e una volta che le patate cominciano a disfarsi frullatele con un frullatore abbastanza potente, meglio se con effetto pulse. Filtrate con un colino a maglie strette e aggiungete l’olio al tartufo mischiando con una frusta. Regolate di sale e riempite il sifone con il composto (vedi la lezione Sifone). Se avete un sifone termostatico, riempitelo con il composto caldo, altrimenti mettete il sifone in acqua calda a 60 °C. La spuma può essere servita anche fredda, ma io trovo che la temperatura ottimale sia di 50-60 °C.

Spruzzate la spuma dove vi serve: su un cucchiaio o in un bicchiere. Infine grattugiatevi sopra il tartufo e terminate con qualche goccia di olio al tartufo. La spuma di patate si può conservare sottovuoto per una settimana o in un contenitore per 24 ore. Per versarla di nuovo nel sifone, mettete la busta del sottovuoto in acqua calda e poi strizzatela nel sifone.

#sifone In origine il sifone era uno strumento nato per montare la panna e per realizzare cocktail, e i più lo conoscono per questi usi specifici, invece può regalarvi molte altre soddisfazioni. È utile infatti per preparare le spugne, ma anche spume dolci e salate. Il sifone ha la forma di un bicchiere alto e stretto su cui è montato un “cappello” con una leva. È qui che si mette l’anidride carbonica che serve a dare ai composti la consistenza spumosa. Potete usare il sifone con una grande varietà di composti: panna, formaggi, patate e verdure varie. Ma attenzione: per avere un risultato che abbia una certa struttura, ossia che si regga in piedi, è necessario che ci sia un elemento grasso, come nel caso di panna e formaggi. Per ciò che non ha una componente grassa occorre aggiungere colla di pesce, gelatina o agaragar. In commercio esistono anche miscele di amido, zuccheri, lecitina e altre sostanze che danno sostegno alla spuma (tipo Proespuma). Una spuma di pomodoro o un’aria di acqua di pomodoro, per esempio, hanno bisogno di un “supporto”. La spuma di patate è in parte sostenuta dall’amido di cui è ricca, ma di solito aggiungo comunque un po’ di agaragar (per ulteriori dettagli vedi la ricetta Spuma di patate). Attenzione alla temperatura a cui volete servire la spuma o l’aria: se è calda o dovete metterla su cibi caldi, usate l’agar-agar perché regge il calore, mentre la gelatina tende a smontarsi. Per familiarizzare con la tecnica del sifone, consiglio di partire da spume grasse, come la spuma di prosciutto cotto o di formaggio. Per una spuma di parmigiano, per esempio, basterà mescolare 250 grammi di parmigiano reggiano con 200 grammi di panna fresca, portare a ebollizione e lasciar riposare tutta la notte. Poi filtrate il liquido e immettetelo nel sifone. Ci vorrà almeno una carica di anidride carbonica. Il risultato finale sarà una spuma più aerata ma che piano piano tenderà a smontarsi. Se volete che abbia maggiore struttura, meglio aggiungere comunque uno stabilizzante.

Se volete ottenere una spuma calda, avete due alternative: versare nel sifone il liquido caldo oppure tenere il sifone in un bagno termostatico (o semplicemente a bagnomaria) prima di usarlo. Un ultimo accorgimento: qualunque liquido usiate, deve essere filtrato molto bene e non presentare grumi, altrimenti intaserà il sifone.

Tacos ceviche Difficoltà ●○○ #crudi #marinatura #soffiatura #essiccazione

In questa ricetta ho unito due piatti simbolo della cucina sudamericana: i tacos messicani e il ceviche peruviano. Il ceviche tradizionale non è altro che pesce crudo marinato in una salsa al lime, cipolle e peperoncino, infatti in lingua quechua ceviche significa “pesce crudo”. Ogni famiglia peruviana ha la propria ricetta del ceviche, perciò ne esistono molte varianti. Questa è la mia.

Ingredienti per 4 persone Capesante 8 Pomodoro ramato

Cipolla Coriandolo Lime 1 Peperoncino Sale Olio EVO Maionese al coriandolo Fogli vegetali alla patata 4 Fogli vegetali al peperone rosso 4

Preparazione Per il mio ceviche ho scelto delle capesante, che devono essere state abbattute termicamente in precedenza (vedi la lezione Maneggiare i crudi). Nella mia versione della salsa ho messo pomodoro ramato tagliato in tocchetti piccoli, cipolla tagliata a listarelle sottilissime, coriandolo, succo del lime strizzato a mano, un pezzetto di peperoncino, un pizzico di sale e olio. Fate macerare la salsa per almeno due ore in frigo. Riducete le capesante in tartare, poi fatele marinare nella salsa (vedi la lezione Marinatura) e lasciate riposare per un quarto d’ora abbondante. I tacos sono composti da fogli vegetali che si possono acquistare e ritagliare nella forma desiderata. Io ne ho usato uno alla patata e uno al peperone rosso. Prendete i fogli vegetali, ritagliateli a disco e immergeteli in olio a circa 190 °C per 4 secondi, scolateli e appoggiateli su uno stampo per cannoli, in modo che restino incurvati. Appena estratti dall’olio, infatti, i fogli vegetali sono duttili e possono essere modellati facilmente, però man mano che si raffreddano perdono questa caratteristica. Una volta data la forma desiderata, lasciateli in essiccatore un’ora per esaltarne la croccantezza, mantenere la forma e asciugare l’olio in eccesso. Mettete sui piatti un po’ di maionese al coriandolo su cui poggerete i tacos: servirà a renderli stabili. Deve essere una maionese molto leggera per cercare di equilibrare il gusto, perciò mentre la preparate (vedi la ricetta Maionese - versione gourmet) aggiungete sia l’estratto di coriandolo sia qualche goccia di lime per dare una nota fresca. Guarnite con maionese al coriandolo e un po’ di scorza di lime.

Tartare di cervo Difficoltà ●●○ #crudi #estrazione #essiccazione

Ed ecco un piatto che prevede la finta cenere, una ricetta che i miei follower continuano a chiedermi, perché è tanto scenografica quanto facile da fare. Qui l’ho usata come accompagnamento di una tartare di cervo. La carne di cervo è inusuale nella cucina italiana, eppure è tra le carni rosse più sane che ci siano perché molto magra e allo stesso tempo estremamente saporita.

Ingredienti per 4 persone Sella di cervo 50-60 g Maionese all’aglio Maionese all’aneto Polvere di alloro Polvere di fungo porcino Polvere di ginepro Polvere di cipresso Sale Olio EVO Per la finta cenere: Olio EVO 20 g Maltodestrina di tapioca 40 g Carbone vegetale Per la salsa al sesamo: Sesamo 250 g Sale Zucchero Salsa tonkatsu 200 m ℓ (aceto di riso 100 ml, soia 25 ml, sakè dolce 50 ml, katsuobushi 5 g, zucchero 15 g)

Preparazione Usate carne di sella di cervo. Tagliatela a strisce e poi a piccoli cubetti, condite con un pizzico di sale e un goccio d’olio. Per quanto riguarda le guarnizioni, per la finta cenere mischiate l’olio e la maltodestrina di tapioca: si formerà della polvere di olio. Aggiungete il carbone vegetale, quanto basta per dare colore. Le polveri di alloro, di ginepro e di cipresso si ottengono dalle foglie essiccate e tritate in un cutter. La polvere di fungo porcino si ottiene nello stesso modo, essiccando e poi tritando i funghi in un cutter. La maionese all’aneto è una maionese gourmet con aggiunta di estratto di aneto, mentre la maionese all’aglio si prepara con un olio aromatizzato all’aglio (vedi le ricette per la Maionese). Per la salsa al sesamo, tostate il sesamo in forno per 5 minuti a 160 °C. L’ideale sarebbe metterlo poi in una twin stones, ossia un macchinario dotato di due pietre che schiacciano come la macina di un frantoio, estraendo gli oli essenziali. Ne otterrete una crema di sesamo. Se non avete una twin stones, usate un cutter. Mescolate la crema con il tonkatsu e sale e zucchero quanto basta. Mettete la tartare nel piatto e aggiungete tutte le guarnizioni: qualche goccia di salsa al sesamo, di maionese all’aneto, di maionese all’aglio, tutte le varie polveri e la finta cenere. Se volete, completate con dei germogli. Io ho usato fiori di aglio orsino, cime di senape spontanea giapponese e fiori di purple shiso (basilico cinese). Il consiglio dello chef Quando condite la tartare mettete prima il sale e poi l’olio. Se fate il contrario, di fatto starete salando non la carne, ma l’olio, perché l’olio tende a coprire la carne con una patina.

Tonno del Chianti Difficoltà ●○○

Anche nel Chianti hanno il tonno? Ebbene sì, ma non quello che credete voi. Scommetto che alla prima occhiata la foto può ingannare. Sì, perché quello sott’olio non è tonno, ma carne di Wagyu: una rivisitazione della ricetta originale che prevedeva carne di maiale.

Ingredienti per 4 persone Wagyu (noce) 400 g Pepe nero 10 g Vino bianco 1 ℓ Acqua fredda 250 mℓ Alloro 2-3 foglie Rosmarino Sale grosso Coriandolo 10 g Olio EVO

Preparazione A vederlo nel vasetto sembra tonno… invece è Wagyu, la carne ricca di grasso che amo particolarmente. Per questo piatto il taglio ideale è la noce. Tagliate la carne a strisce abbastanza spesse, a ricordare i tranci di tonno. Versate in un recipiente il sale grosso per creare una base. Aggiungete la carne e ricoprite con altrettanto sale, poi fate riposare per ventiquattr’ore a temperatura ambiente, coprendo con pellicola. Una volta trascorso questo tempo, versate in una pentola il vino bianco e l’acqua. Aggiungete in infusione il pepe nero, il coriandolo, qualche foglia di alloro e portate a ebollizione. Nel frattempo, sciacquate la carne per farle perdere il sale, mettetela nella pentola, chiudete con un coperchio e lasciate cuocere per due ore e mezza-tre ore.

A cottura ultimata, aspettate che la carne si raffreddi nella pentola e con le mani sfilacciatela come se fosse tonno. Trasferite i pezzetti di “tonno” in un vasetto, dove si potrà conservare fino a un mese. Per conservarlo più a lungo, invece, il vasetto andrà sterilizzato, chiuso con tappi ermetici e trattato come si fa con le conserve. Aggiungete qualche ciuffetto di rosmarino e pressate la carne, infine riempite il vasetto con olio extravergine d’oliva.

Tuorlo disidratato Difficoltà ●○○

Il tuorlo disidratato è una ricetta semplicissima, che possiamo gustare da sola oppure servire come accompagnamento di un’altra pietanza. Si può usare, per esempio, su un french toast, un salmone con avocado, una carbonara in versione più moderna, un risotto… Il mio consiglio? Provatelo sull’insalata.

Ingredienti per 4 persone Tuorli freschissimi 4 Zucchero 100 g Sale 100 g

Preparazione Preparate una miscela di zucchero e sale in parti uguali, a costituire quello che si chiama “sale bilanciato”. Stendetelo a creare una base su cui appoggerete ciascun tuorlo. Ricoprite i tuorli con altro sale bilanciato e lasciateli riposare per almeno 12 ore, durante le quali cominceranno a disidratarsi. Trascorso questo tempo, ponete i tuorli in essiccatore a 35-40 °C fino a che la disidratazione non sarà completa: ci vorranno circa 24 ore. Infine, passate i tuorli sotto l’acqua fredda per eliminare un eventuale eccesso di zucchero e sale e riponeteli ancora in essiccatore per qualche ora, dopodiché saranno pronti per essere degustati, tagliati, grattati, frullati… a seconda di quello che vorrete farci.

Uovo CBT Difficoltà ●●○ #cbt #essiccazione

In questo ricettario l’avete già incontrata altre volte, ma ora ne parleremo più approfonditamente: è la CBT, la cottura a bassa temperatura, di cui l’uovo è uno degli esempi più classici. La cottura dell’uovo in sé è molto semplice. In questo piatto ho arricchito l’uovo con del pan brioche tostato, una quenelle di cipolla in agrodolce e una fonduta di parmigiano.

Ingredienti per 4 persone Uova 4 Pan brioche 4 fette Olio EVO Polvere di alloro Per la fonduta di parmigiano: Parmigiano 450 g Latte 250 g Agar-agar 2,5 g Per la cipolla in agrodolce: Cipolle rosse toscane 200 g Aceto di vino bianco 120 g Zucchero 160 g Sale 20 g circa Acqua 50 mℓ

Preparazione Prendete le uova intere, immergetele nell’acqua con un roner a 62,5 °C per circa 45 minuti. Il grado di cottura sarà come lo vedete in foto: una specie di uovo in camicia con l’interno ancora liquido. Se le desiderate più cotte, lasciatele nell’acqua un po’ di più. Tostate una fetta a testa di pan brioche, che poi dividerete in due (vedi la ricetta Pan brioche).

Per la fonduta di parmigiano, mescolate insieme parmigiano e latte e fondeteli in un pentolino. Aggiungete l’agar-agar e portate la fonduta a 80 °C. Poi frullatela, filtratela e sarà pronta. Se volete darle una forma particolare, come ho fatto io, versate la fonduta negli stampi che preferite e mettetela in abbattitore o in freezer per qualche ora. Sformatela e tenetela su un vassoio in frigo in attesa di servirla. Se non volete mettere la fonduta negli stampi, ma versarla direttamente sull’uovo, l’agar-agar non vi servirà. Per la quenelle di cipolle in agrodolce, tagliate le cipolle a fettine sottili e sbollentatele in acqua leggermente salata per qualche minuto. In una pentola versate l’aceto, lo zucchero e il sale, aggiungete l’acqua e le cipolle e lasciate sobbollire per qualche minuto, quanto basta per far sciogliere lo zucchero e il sale. Questo passaggio serve per far perdere alle cipolle la parte acida e più difficile da digerire. Quando le cipolle saranno cotte, fatele rosolare un po’ nel sughetto e poi lasciatele riposare per 12 ore. Per guarnire, spolverate con un po’ di polvere di alloro, ottenuta essiccando e tritando le foglie di alloro in un cutter.

#kappatura La kappatura è una tecnica che serve a rivestire una pietanza coprendola con una gelatina a cui possiamo dare il colore che desideriamo. Il nome viene dall’ingrediente che si usa per gelificare, ossia la carragenina K, un gelificante derivato dalle alghe rosse che si addensa istantaneamente a contatto con il freddo. Il procedimento consiste nel mettere a freddo in un pentolino il liquido che intendiamo usare per colorare, per esempio nero di seppia o purea di fragole. Si aggiunge il 2% di carragenina K, si scalda fino a far sobbollire e poi si lascia raffreddare fino a 50-80 °C. In generale, più la salsa è tiepida, più risulterà coprente. Abbattete termicamente l’alimento che intendete kappare e poi immergetelo nella salsa. L’abbattimento è fondamentale perché è proprio il contrasto tra caldo e freddo a far gelificare la salsa. In teoria, potreste kappare anche un cucchiaio, se lo infilate ghiacciato nel liquido. La kappatura si può usare per dolci e salati. In questo ricettario la vedremo, per esempio, nelle Fragole di Wagyu e nelle Olive. Attenzione: se al posto della carragenina K userete la gelatina, la kappatura non verrà. La gelatina per gelificare ha bisogno di tempo, mentre questo composto gelifica all’istante a contatto con qualcosa di freddo.

Zucca Difficoltà ●○○

Ormai avrete familiarizzato con la mia passione per gli stampi e per dare agli alimenti delle forme che non sempre sono quello che sembrano. Questa zucca è effettivamente composta da zucca, ma nasconde una sorpresa: un cuore al gorgonzola che si sposa perfettamente con la dolcezza della zucca.

Ingredienti per 4 persone Zucca 250 g Agar-agar 2,2 g Gorgonzola 150 g Latte 50 g Erbe aromatiche a piacere (rosmarino, salvia e timo) Sale Per il crumble: Farina 100 g Burro 100 g Zucchero 100 g Vaniglia 1 g

Preparazione Per questa ricetta vi servirà uno stampo a forma di zucca. Svuotate la zucca dei semi e riempitela con erbe aromatiche a piacere, come rosmarino, salvia e timo. Salate e avvolgete la zucca in carta forno e carta stagnola, poi mettete in forno a 250 °C per circa un’ora. Sfornate la zucca, togliete la buccia, frullate e setacciate la polpa. Una volta fredda, aggiungete l’agar-agar e portatela a 80 °C per renderla stabile e far attivare l’agar-agar. Consiglio di adoperare un robot da cucina con funzione cottura, ma si può fare anche in un pentolino. Mettete questa crema di zucca in una sac à poche. A parte preparate un po’ di fonduta con il gorgonzola (ma si può fare con qualsiasi formaggio) e il latte, fatela sciogliere e amalgamare bene e inserite anche questa in una sac à poche. Versate la zucca in ciascuno stampo fino a poco più di metà, poi con l’altra sac à poche create all’interno una sorta di sfera di fonduta, come se doveste fare il

ripieno di un cioccolatino. Ricoprite il ripieno con un altro strato di zucca e mettete in freezer, in modo che la zucca si solidifichi abbastanza da poterla sformare. Dovrà starci almeno 10 ore, mentre se avete l’abbattitore basterà un’ora. Una volta sformate le quattro zucche, mettetele su un piatto a temperatura ambiente. Se non dovete usarle subito, potete tenerle in frigo a 4 °C per due giorni al massimo. In alternativa, potete conservarle in freezer sottovuoto con una parte di aria per non schiacciarle. In questo modo si manterranno per circa sei mesi. Nella foto ho posizionato la zucca su un crumble, che può essere salato o dolce. Io l’ho fatto dolce. Mischiate tutti gli ingredienti: farina, zucchero, vaniglia, il burro a tocchetti. Sbriciolate l’impasto su una teglia e cuocetelo in forno a 180 °C per circa 10 minuti. Una volta raffreddato, sarà pronto per l’impiattamento. Il consiglio dello chef Se volete fare le cose per bene, per maneggiare tutti i preparati estratti da uno stampo (o comunque delicati) usate una spatola. Non è una sottigliezza da chef: sono fragili e prendendoli con le mani rischiereste di rovinare il lungo lavoro che avete fatto per ottenerli. E tutto questo solo per non usare la spatola.

PRIMI Ai primi piatti sono legati alcuni dei ricordi più cari della mia infanzia: la Minestra delle favole che mia madre mi preparava da piccolo, ma anche le paste fresche. Ancora oggi, ogni volta che le preparo, la mia mente va a quando aiutavo mia nonna da bambino, coperto di farina e impaziente di finire l’impasto per passare alla farcitura e alla preparazione del condimento. Ma fare la pasta fresca richiede tempo e cura, movimenti lenti e precisi… Se davvero volete migliorare la vostra tecnica di cucina, è qui che imparerete la prima e più importante lezione: la pazienza.

Bottoni burro e salvia Difficoltà ●●○ #estrazione #essiccazione

Ecco a voi una rivisitazione dei classici ravioli ricotta e spinaci. I bottoni sono composti da due paste: una classica e l’altra con aggiunta di estratto di spinaci. Come base, vi propongo una salsa al burro che è di fatto un roux con più burro.

Ingredienti per 4 persone Farina 0 400 g Uova 4 Ricotta 50 g Foglie di spinacio fresco Polvere di salvia Per la salsa al burro: Burro 80 g Farina 20 g Latte 100-150 mℓ

Preparazione Con 200 grammi di farina e 2 uova preparate una pasta all’uovo classica. Con i restanti 200 grammi di farina e le altre 2 uova fate un impasto a cui aggiungerete un po’ di estratto di spinaci, ottenuto mettendo le foglie nell’estrattore. Ne basterà qualche goccia, abbastanza per dare un bel colore verde brillante alla pasta. Non gettate via le foglie strizzate: potete metterle in essiccatore e ricavare una polvere di spinaci che riutilizzerete al momento di impiattare. Avvolgete i due impasti nella pellicola e mettete a riposare in frigorifero. Trascorsa un’ora, con la macchinetta lavorate l’impasto classico fino ad arrivare alla metà dei fori disponibili. Lavorate quindi l’impasto verde ricavandone delle tagliatelle molto strette, poi spennellate l’impasto classico con acqua e poggiateci sopra le tagliatelle verdi. Passate tutto con il mattarello. Le tagliatelle si incorporeranno nell’impasto giallo. A questo punto prendete il nuovo impasto “zebrato” (così si dice in gergo) e continuate a passarlo alla macchinetta fino a raggiungere lo spessore desiderato della sfoglia. Alla fine dovrete ottenere due sfoglie.

Stendetene una sul piano, fate dei mucchietti di ricotta a circa 3 centimetri di distanza l’uno dall’altro, coprite con l’altra sfoglia e con uno stampo apposito o con un coppapasta ritagliate i bottoni. Per la polvere di salvia lavate la salvia, tamponatela, asciugatela e mettetela in essiccatore a 30 °C per 24 ore, in modo che colore e aroma restino intensi, poi polverizzatela in un cutter. Per la salsa al burro, il procedimento è lo stesso della besciamella. Scaldate il latte e intanto, in un altro pentolino, lasciate sciogliere il burro. Poi spegnete la fiamma, aggiungete al burro la farina e mescolate con una frusta fino a ottenere un composto liscio e senza grumi. Riaccendete il fuoco e, quando il composto diventa dorato, versate il latte poco alla volta, mescolando. Versate la salsa al burro sul piatto, disponeteci sopra i bottoni, che avrete lessato in acqua salata, e spolverate con un po’ di polvere di salvia e polvere di spinaci.

Cappelletti al cinghiale Difficoltà ●●● #essiccazione

Se le pappardelle al cinghiale sono un caposaldo della cucina italiana classica, qui propongo invece dei cappelletti con ripieno al cinghiale conditi con un fondo al cinghiale, e l’aggiunta di un ingrediente inedito: le fave di cacao fermentate, che daranno al piatto una nota un po’ amara, acida e croccante.

Ingredienti per 4 persone Fondo di cinghiale 200 g Polvere di alloro Polvere di ginepro

Fave di cacao fermentate Per la pasta: Farina 00 330 g Farina di semola 70 g rimacinata Uovo 1 Tuorli 9 Olio EVO 20 g Per la farcia: Costa di sedano 1 Carota 1 Cipolla 1 Polpa di cinghiale 200 g (almeno) Salvia 100 g Concentrato di pomodoro 25 g Vino rosso 1 bicchiere Alloro Maggiorana Timo Rosmarino Olio EVO Bacche di ginepro Sale Pepe

Preparazione Preparate innanzitutto il fondo di cinghiale: il procedimento è quello del Fondo bruno. Fate una fontana con i due tipi di farina mescolati, versate nel mezzo l’uovo intero e i tuorli, unite l’olio e lavorate tutto prima con una forchetta e poi con le mani, fino a inglobare tutta la farina e creare un impasto omogeneo. Avvolgete l’impasto in una pellicola e mettete a riposare in frigorifero per un’ora. L’ideale, se potete, è metterlo in un sacchetto sottovuoto e passarlo nell’abbattitore per almeno una notte. Nel frattempo passate alla farcia. Fate soffriggere le verdure piano piano, meglio se in una pentola di acciaio, poi aggiungete le erbe aromatiche e fatele rosolare molto bene nell’olio. Una volta che le

verdure saranno soffritte e le erbe aromatiche avranno cambiato colore, toglietele. Tagliate la polpa di cinghiale a piccoli cubetti, metteteli nella pentola e fateli rosolare. Poi aggiungete il concentrato di pomodoro e aspettate che si attacchi leggermente sul fondo. Sfumate con il vino rosso e aspettate che evapori la parte alcolica, infine coprite con un coperchio e lasciate cuocere circa un’ora e mezza. Girate di tanto in tanto. A cottura ultimata, aggiungete qualche goccia di fondo di cinghiale, se volete dare più sapore, e regolate di sale e pepe. Setacciate con un colino a maglia fine, tenete il liquido da parte e passate il resto in un cutter fino a ricavare una purea abbastanza soda, della consistenza di un pâté. Se è troppo densa, allungatela con un po’ del liquido tenuto da parte. Stendete la pasta e ricavate dei dischi. Con un cucchiaino, su ciascuno posate un po’ di farcia, poi chiudeteli a mezzaluna e girateli attorno al pollice per dare la forma del cappelletto. Per una cottura perfetta, consiglio di abbattere termicamente i cappelletti e lessarli surgelati, ma potete consumarli anche appena fatti. Calateli in acqua bollente salata. Quando saranno cotti, scolateli e fateli saltare in una pentola sul fondo di cinghiale. Infine aggiungete la polvere di alloro, la polvere di ginepro e le fave di cacao fermentate. Il consiglio dello chef Le bacche di ginepro hanno un sapore molto invasivo. Per dare l’aroma evitando che diventi troppo forte, consiglio di toglierle prima di sfumare con il vino. Infilatele in una garza per poterle ripescare più facilmente. In alternativa, invece delle bacche potete mettere la polvere di ginepro.

Fusilli all’anatra Difficoltà ●●○ #flambatura

Sperimentate tutto il potere del fondo bruno come condimento per una pasta in questo piatto che potremmo considerare anche un piatto unico: dipende dalla quantità di petto d’anatra che sceglierete di metterci.

Ingredienti per 4 persone Anatra 1 petto + 1 carcassa Fusilli 320 g Capo d’aglio fermentato (aglio nero) 1 Acqua calda 250 ml

Bacche di ginepro 15 g Maggiorana Timo Alloro Salvia Rosmarino Foglie di borragine Fondo bruno d’anatra 100 g (con tutti gli ingredienti di p. 28 eccetto midollo e ossa di manzo, ma con una carcassa d’anatra e aggiunta di bacche di ginepro)

Preparazione Questo piatto prevede la preparazione di una pasta risottata, con l’aggiunta di acqua salata quanto basta per portare la pasta a cottura direttamente nel suo condimento. In questo caso, i fusilli cuoceranno nel fondo di anatra. Partite proprio dal fondo. Il procedimento è sostanzialmente lo stesso del Fondo bruno, con alcune differenze: non mettete il midollo, aggiungete le bacche di ginepro e naturalmente al posto delle ossa di manzo usate una carcassa di anatra (più o meno). Sbucciate l’aglio nero, mettetelo in 250 millilitri di acqua calda, frullatelo e unitelo al fondo. A parte incidete la pelle del petto d’anatra, flambatelo con la fiamma (vedi la lezione Flambatura) e appoggiatelo su un letto di maggiorana, timo, alloro, salvia e rosmarino molto abbondante. Infilate al cuore una sonda regolata a 44 °C e infornate a 160 °C finché la sonda non suonerà, segnalando che il cuore è arrivato alla temperatura desiderata. Sfornate il petto e fatelo riposare. Mettete i fusilli a cuocere in una casseruola d’acciaio con il fondo di anatra e la salsa d’aglio. Se il fondo non è abbastanza liquido, aggiungete un po’ di acqua calda. Portate a cottura la pasta in questa salsa. Scaloppate la carne, cioè tagliatela a fettine sottili, come per un carpaccio, e adagiate le fettine sulla pasta. Abbondate pure, e poi completate con foglie di borragine. Volutamente non ho usato sale in questa ricetta: mettetene solo un po’ alla fine se serve.

Il consiglio dello chef Risottare la pasta vuol dire cuocerla nel suo condimento, senza lessarla prima in acqua. In questo modo andremo a estrarre tutti gli amidi e la pasta acquisirà il massimo del sapore. L’ideale è usare una pasta che abbia avuto una lenta essiccazione, in modo che contenga più glutine. Mettete il condimento a bollire come se fosse l’acqua di cottura. Il liquido non dovrà essere troppo abbondante, ma in quantità tale per cui, quando la pasta sarà cotta, il condimento si sarà asciugato fino a formare una cremina. Mediamente, ci vorrà circa un litro di liquido per 320 grammi di pasta. A cottura ultimata, tutti gli amidi che si sono riversati nel condimento avranno creato una crema molto saporita. Saltate la pasta in questa crema per incorporare aria e far uscire ancora l’amido e poi servite. L’aglio fermentato L’aglio fermentato, o aglio nero, non è altro che aglio lasciato fermentare e ossidare per diversi mesi. La sua caratteristica principale è che risulta molto più delicato dell’aglio fresco ed è più digeribile. In compenso, dell’aglio fresco conserva tutti i benefici per la nostra salute. È un ottimo antiossidante e ha un sapore che rende questo piatto molto interessante.

Minestra delle favole Difficoltà ●○○

Questa ricetta semplicissima ha per me un grande valore, perché è legata a un ricordo molto tenero della mia infanzia. Mia madre me la preparava per farmi mangiare qualcosa di più salutare della pasta al sugo, della schiacciata o della pizza per cui andavo matto. Era una semplice minestra con i legumi, ma per invogliarmi l’aveva arricchita con un po’ di salsiccia e soprattutto aveva inventato questo nome, minestra delle favole, che ammantava tutto di un velo di magia. Io ne andavo pazzo, e non solo io. Nella mia classe era diventata una specie di mito, di cui ero molto orgoglioso: invitavo i miei compagni a venire a casa mia a mangiare “la minestra delle favole” e loro accettavano incuriositi dal nome. Il giorno dopo, era il nostro principale argomento di conversazione. A casa nostra non avevamo grandi disponibilità economiche, ma mia madre arricchiva il piatto come poteva. Andava a comprare i fagioli cotti in forno a legna, buonissimi. Al mondo ci sono tanti piatti buoni, ma i più buoni sono quelli preparati con l’ingrediente più importante: l’amore.

Ingredienti per 4 persone Fagioli cannellini cotti in forno a legna 250 g Ceci cotti in forno a legna 250 g Cipolla ½ Salsiccia ½ Pastina per minestre 100 g Concentrato di pomodoro 20 g Olio EVO Sale (se serve)

Preparazione Tritate finemente la cipolla e fatela soffriggere con un filo d’olio. Mettete nella pentola la salsiccia, fatela rosolare e poi aggiungete il concentrato di pomodoro. Mischiate bene e unite i fagioli e i ceci passati. Nel frattempo, lessate a parte la pastina. Fate insaporire il condimento a fiamma bassa per almeno 10 minuti (ovvero il tempo di cottura della pasta). Se serve, allungate con un po’ di acqua di cottura della pasta. Scolate la pasta, versatela nel tegame con il condimento e servite con un filo d’olio.

Minestrone 2.0 Difficoltà ●●○ #essiccazione #sifone

Come la maggior parte dei bambini, da piccolo non amavo le verdure. In questa ricetta, perciò, ho rivisitato il minestrone classico che mi preparava mia madre, inventando una versione “scomposta” che risulterà appetitosa per tutti. Le verdure sono indicative, perché il minestrone è un tipico piatto legato alla stagionalità, in cui si mettono le verdure del momento. L’idea è più che altro di fornire uno spunto per una reinterpretazione in chiave giocosa.

Ingredienti per 4 persone Pomodorini 12 Zucca 150 g

Cipolla dorata 50 g Zucchine 100 g Piselli 150 g Bietola 100 g Fagioli 50 g Porro ½ Sedano 50 g Carote 50 g Patate 250 g Pepe nero Sale Olio EVO Agar-agar 0,9 g ogni 100 g di prodotto Polvere di cipolla rossa Latte o acqua Facoltativi: Salvia 1 foglia Polvere di prezzemolo Polvere di spinacio o di cavolo rosso

Preparazione La sera prima mettete in ammollo i fagioli. Scolate i fagioli e metteteli in un tegame con la cipolla dorata, il porro e, se vi piace, anche una foglia di salvia. Cuocete per 30-40 minuti e poi frullate: otterrete una crema di fagioli che metterete alla base del piatto al momento di impiattare. Fate una purea di zucca e preparate una Spugna alla zucca Sbollentate tutte le verdure verdi in acqua leggermente salata, fatele raffreddare in acqua fredda e ghiaccio e frullatele fino a ottenere una passata. Aggiungete a freddo l’agar-agar e riportate ad almeno 80 °C. Se volete dare al piatto un effetto grafico, mettete le verdure in uno stampo. Io ho scelto un tourbillon, ma potete usare quello che preferite. Abbattete termicamente il composto per poterlo sformare meglio. Con uno scavino a sfera ricavate delle sfere di patata e cuocetele leggermente nel latte – ma si possono cuocere anche nell’acqua, come una patata lessa. Decorate poi le sfere di patata con polvere di cipolla rossa, ottenuta essiccando la cipolla e tritandola in un cutter. Sbollentate i pomodorini e privateli della buccia, salate e pepate.

Con carote e sedano preparate una leggera brunoise (piccoli cubetti), sbollentatela appena e conditela con sale e olio. Al momento di impiattare, create una base con la crema di fagioli, poggiateci sopra il tourbillon di verdure e tutto intorno alternate pomodorini, sfere di patate con polvere di cipolla rossa e spugna alla zucca. Spargete qua e là qualche pezzettino di brunoise di carota e sedano. In questo modo, a ogni boccone avrete la spugna, che sostituirà la minestra o i pezzettini di pane, e la croccantezza del sedano e della carota, che vi ricorderanno il minestrone classico. Se volete arricchire il piatto, date una spolverata di polvere di prezzemolo e polvere di spinacio o di cavolo, che si ricavano facendo essiccare le foglie e polverizzandole in un cutter. Il consiglio dello chef Quando fate raffreddare le verdure, fatelo sempre in acqua e ghiaccio. Il raffreddamento rapido vi permetterà di non perdere la clorofilla e quindi il colore verde.

Parmigiana moderna Difficoltà ●●○

I sapori della parmigiana classica ci sono tutti: ci sono le melanzane, c’è il parmigiano e c’è il pomodoro, ma l’aspetto non è quello che vi aspettereste. Qui abbiamo infatti dei cappelletti farciti con melanzana, ma non solo: nell’ottica di usare gli ingredienti al cento per cento, ho recuperato anche l’acqua delle melanzane per farne un fondo gustosissimo con cui condire i cappelletti. E il parmigiano? Non poteva mancare ma sotto forma di una salsa molto appetitosa.

Ingredienti per 4 persone Per il fondo di melanzana: Acqua di melanzana 200 g Salsa di soia 100 g Olio EVO 20 g Amido di mais 5 g

Acqua 20 mℓ Per la pasta: Farina 00 750 g Farina di semola 250 g Olio EVO 30 g Sale Tuorli 550 g Uova 4 Per la crema al parmigiano: Latte 200 mℓ Parmigiano reggiano 145 g Gomma di xantana o amido di mais (se necessario) Per la farcia: Melanzana 1 Cipolla ½ Olio Timo Per il sugo di pomodoro: Aglio 1 Olio Basilico Pomodoro 200 g

Preparazione Preparate la pasta facendo una fontana con i tuorli e i due tipi di farina mescolati, rompeteci dentro le uova, aggiungete l’olio, un pizzico di sale e mescolate prima con la forchetta e poi con le mani fino a incorporare tutta la farina. Avvolgete l’impasto nella pellicola o in un sacchetto sottovuoto e fatelo riposare per un’ora in frigorifero (o meglio ancora, se potete, abbattetelo termicamente con l’abbattitore per dodici ore). Mettete una melanzana su una teglia rivestita di carta forno e cuocetela a 200 °C per circa 45-60 minuti in forno statico. Mentre è ancora calda apritela e svuotatela. Prendete solo la buccia e rimettetela in forno statico a 60 °C con lo sportello leggermente aperto, fino a che non si sarà asciugata e sarà completamente disidratata. Potete ottenere lo stesso risultato anche in essiccatore a 42 °C. Sfornate la buccia di melanzana e tritatela in un cutter per ottenere una polvere. Prendete la polpa e l’acqua che la melanzana avrà rilasciato sulla carta forno e filtrate tutto con un colino, comprimendo bene la polpa per far

uscire tutta l’acqua, che raccoglierete in un pentolino. Aggiungete olio, salsa di soia, amido di mais e acqua e mescolate facendo cuocere a fuoco basso fino a far restringere un po’ il fondo di melanzana. Preparate un sugo di pomodoro: fate soffriggere leggermente un aglio in un po’ d’olio, aggiungete il pomodoro e le foglie di basilico fresche e aspettate che il sugo si restringa fino a diventare una salsa densa. Per la farcia, fate stufare mezza cipolla con un po’ di timo e un filo d’olio, poi aggiungete la polpa della melanzana e fatela ripassare e asciugare un po’ nella pentola, quindi tagliatela al coltello. Dividete l’impasto dei cappelletti in due panetti e ricavate da ciascuno una sfoglia con l’aiuto di una macchinetta per la pasta, passando gradualmente dal buco più largo al penultimo. Con un coppapasta tagliate dei cerchi di circa 5 centimetri di diametro. Su ciascuno posate un po’ di farcia con una sac à poche. Chiudete ogni cerchio prima a mezzaluna, poi avvolgeteli intorno al pollice per dare la forma di cappelletti. Per la crema al parmigiano, portate il latte a sfiorare il bollore (a circa 80 °C) e incorporate il parmigiano: non vi preoccupate se si straccerà, l’importante è che rilasci tutto il suo sapore. Frullate e lasciate riposare per almeno 12 ore, dopodiché filtrate tutto. Se la crema non è abbastanza densa, addensatela con un pizzico di gomma di xantana o semplicemente con amido di mais. Salate l’acqua quando bolle e calate i cappelletti. Quando saranno cotti, fateli mantecare nel fondo di melanzana e poi impiattate. Posate i cappelletti nel piatto, irrorateli ancora con un cucchiaio di fondo, un po’ di sugo di pomodoro e un po’ di crema al parmigiano. Completate con una spolverata di polvere di melanzana. Il consiglio dello chef Una volta preparati i cappelletti, li metto in abbattitore o in un contenitore in freezer. In questo modo manterranno meglio la forma e poi la cottura, e soprattutto posso prepararli in anticipo e poi usarli per un pranzo speciale. L’importante è buttarli nell’acqua bollente ancora congelati. Mai farli scongelare prima!

Plin al parmigiano Difficoltà ●●○

Piatto tipico delle Langhe, i ravioli del plin si distinguono dai ravioli classici perché sono più piccoli. Nella ricetta originale prevedono un ripieno di carni stufate, perlopiù avanzi di altre preparazioni. Il piatto era poi impreziosito dall’abbinamento con le nocciole, altro prodotto tipico piemontese. Il termine “plin” significa “pizzicotto”, dal gesto che si fa per dividerli gli uni dagli altri durante la preparazione.

Ingredienti per 4 persone Farina 00 280 g Farina di semola rimacinata 120 g Tuorli 13 Nocciole del Piemonte IGP

Polline (facoltativo) Germogli di daikon (facoltativo) Zafferano (facoltativo) qualche pistillo Per il ripieno: Parmigiano grattugiato 20 g Colla di pesce 4 g Panna fresca 100-120 g Per la salsa allo zafferano: Burro 50 g Farina 50 g Latte 100 mℓ Zafferano qualche pistillo Parmigiano grattugiato 1 cucchiaio

Preparazione Per la farcia, mettete in ammollo la gelatina a reidratare e portate sul fuoco panna e parmigiano a circa 60 °C, poi frullate e aggiungete alla gelatina. Mettete a riposare la farcia in frigo finché non si sarà solidificata. Il raffreddamento la renderà abbastanza malleabile da poterla usare, ma la sorpresa di questo piatto è che in cottura, superati i 30 °C, la gelatina si scioglierà, quindi risulterà impercettibile. Quello che resta sono dei plin che esploderanno in bocca, liberando un ripieno estremamente cremoso. Fate una fontana con i due tipi di farina mescolati, mettete al centro i tuorli e lavorate prima con una forchetta e poi con le mani, fino a inglobare tutta la farina e creare un impasto omogeneo. Avvolgete nella pellicola e mettete a riposare in frigorifero. Nel frattempo preparate la salsa allo zafferano. Mischiate la farina con il burro. Fate scaldare il latte e aggiungete qualche pistillo, poi versate il latte sulla farina e il burro fino a ottenere una crema molto lenta. Se si restringe troppo, aggiungete un altro po’ di latte. Date anche una leggera spolverata di parmigiano. Stendete la pasta con la macchinetta. Con una sac à poche con una bocchetta da circa 6 millimetri stendete la farcia in una striscia unica vicino al bordo della pasta. Ripiegate un lembo della pasta sulla farcia e con le dita schiacciate la farcia ogni 2 centimetri circa, come a ricavare dei piccoli cuscinetti. Con la rotella tagliate la pasta per tutta la

lunghezza della striscia e poi separate i singoli plin passando la rotella nei punti in cui avete schiacciato la farcia. Cuocete i plin in acqua salata per 30 secondi, schizzate il piatto con la salsa allo zafferano, che deve essere tiepida, e adagiateci sopra i plin. Guarnite con qualche nocciola, germogli di daikon, polline e, se proprio volete impreziosire, un po’ di polvere di zafferano o qualche pistillo. La regola è che non ci sono vere regole Spesso sento dire: «Io nella pasta fresca metto un uovo ogni cento grammi di farina», ma secondo me è un errore attenersi a una regola così rigida. La ricetta di una pasta fresca varia a seconda dell’uso che se ne deve fare: c’è quella che ha bisogno di più uova e quella che ne richiede meno, e quella vegana che non prevede l’uso delle uova… Per una tagliatella servirà un impasto più ruvido, leggermente più asciutto, mentre per una pasta ripiena ci vuole un impasto che risulti elastico. A maggior ragione se dobbiamo imprimere delle forme particolari: occorre un impasto più umido affinché la pasta non si spezzi. La regola dell’uovo ogni 100 grammi di farina, inoltre, è vecchia di quarant’anni e nel frattempo la quantità di proteine nelle uova è cambiata. Da questo dipende la capacità della farina di assorbire le uova. Insomma, chiunque abbia un po’ di dimestichezza con la pasta fatta in casa sa che ogni uovo può prendere anche 90 grammi di farina, oppure 110: la proporzione “un uovo ogni 100 grammi” è solo indicativa.

Ribollita Difficoltà ●○○

Tutte le cucine regionali d’Italia hanno piatti simili: dei minestroni a base di tutte le verdure che la terra offriva. Ma la ribollita per me ha una marcia in più, e non lo dico perché sono toscano. La sua caratteristica è che dopo la prima cottura viene lasciata riposare tutta la notte e il giorno dopo viene bollita di nuovo. È lì che si crea la magia: una concentrazione di sapori incredibile.

Ingredienti per 4 persone Fagioli cannellini secchi 380 g Aglio 2 spicchi Rosmarino 1 rametto Acqua fredda 2,5 ℓ

Biete 250 g Pane raffermo 250 g Verza 300 g Pomodori pelati 170 g Patate 2 Cavolo nero 300 g Sedano 2 coste Cipolla 1 Carote 3 Peperoncino secco o pepe nero (facoltativo) Timo fresco Sale fino Olio EVO

Preparazione Iniziate a preparare i fagioli la sera prima. Metteteli in ammollo in abbondante acqua fredda e il giorno dopo sciacquateli e scolateli. Cuoceteli in pentola in acqua non salata. In un tegame fate soffriggere un rametto di rosmarino e gli spicchi d’aglio con un po’ di olio, poi versate i fagioli e coprite con due litri e mezzo di acqua fredda. Lasciate cuocere per circa un’ora. Salate solo alla fine, altrimenti i fagioli si spaccheranno. Fate un trito con la cipolla, il sedano e le carote. In un altro tegame rosolate gli odori e il timo in un po’ di olio e aggiungete le patate, meglio se bollite prima. In alternativa, tagliatele a pezzettini, come sedano, carota e cipolla, e aggiungetele dopo che le verdure si saranno un po’ colorite. Unite i pomodori pelati. Mentre il tutto cuoce per qualche minuto, pulite verza, biete e cavolo nero e fateli a pezzettini. Aggiungete le verdure, i fagioli e poi il loro brodo di cottura fino a metà tegame. La verdura deve essere leggermente ricoperta. Lasciate cuocere tutto piano piano, senza coperchio, in modo che l’acqua evapori ma gli aromi e i sapori restino nella pentola. Coprite quando vedete che il liquido si è ristretto della metà e tutto è già cotto. Prendete un’altra pentola e distribuite sul fondo delle fette di pane, meglio se raffermo. Versateci sopra gran parte della ribollita e stendete

un altro strato di pane. Procedete così fino a fare due o tre strati. Non è un problema se c’è molto liquido, il pane lo assorbirà. Chiudete la pentola con un coperchio e lasciate riposare per tutta la notte. Il giorno dopo fate bollire di nuovo tutto. Se vi piace, aggiungete un po’ di peperoncino o pepe e condite con olio extravergine di oliva.

Maneggiare i #crudi Quando maneggiamo cibi crudi, carne o pesce che sia, occorre rispettare alcune regole fondamentali. 1. Avere sempre le mani pulitissime. Sembra scontato, ma meglio ripeterlo. 2. Stare attenti a mantenere il cibo a una temperatura costante di massimo 8-10 °C. Per questo è bene avere sempre a portata di mano del ghiaccio. Soprattutto nel caso del pesce, in estate chiedete al pescivendolo di mettere nell’incarto un po’ di ghiaccio, e mentre lavorate preparate una vaschetta con del ghiaccio su cui poggiare i pezzi di pesce. 3. Maneggiare l’alimento il meno possibile. Per il pesce bisogna procedere al congelamento preventivo del prodotto in freezer per un minimo di 96 ore a una temperatura di almeno -18 °C. Cioè dovete prendere l’alimento fresco e metterlo in congelatore per il tempo e alla temperatura indicati, per eliminare una parte dei microrganismi dannosi per la salute. Per prima cosa dovete quindi assicurarvi che il vostro congelatore di casa raggiunga i -18 °C (in genere ci arrivano tutti). Potete vederlo dal numero di stelle impresse sullo sportello: se sono tre, il freezer raggiunge una temperatura di -18 °C; se sono quattro, arriva a -20 o -25 °C. In alternativa, potete controllare sul manuale dell’elettrodomestico. L’ideale è comprare una sonda da infilare nel freezer per verificarne la temperatura effettiva, che non dipende solo dalle prestazioni dell’elettrodomestico: più il freezer è pieno, meno riesce a fare il suo lavoro. Prima di congelare il pesce, vi consiglio di spinarlo e metterlo sottovuoto in un sacchetto: aiuterà a limitare i “danni” del congelamento a livello di proprietà organolettiche.

Quando poi lo decongelate, non esponetelo direttamente a temperatura ambiente: lasciatelo decongelare lentamente sul ripiano più basso del frigorifero, che è il più freddo, perché questo rallenta la proliferazione dei microrganismi. È il Ministero della Salute a imporre il congelamento per il pesce consumato crudo a casa. Per la ristorazione, invece, non è sufficiente il congelamento, ma è richiesto l’abbattimento. Ma qual è la differenza? Il congelamento avviene nel freezer di casa, a una temperatura tra i -10 e i -25 °C. Permette di eliminare una parte degli agenti patogeni, ma priva l’alimento di gran parte delle sue proprietà organolettiche perché si formeranno dei cristalli che al momento del decongelamento romperanno le cellule del pesce. Proprio per limitare questo inconveniente, per quanto possibile, consiglio di chiudere il pesce in un sacchetto sottovuoto. Un gradino più su del congelamento c’è il surgelamento, che si esegue con macchinari in grado di portare la temperatura anche a -35 °C in pochissimo tempo. In questo modo le proprietà organolettiche vengono preservate e i cristalli che si formano non provocano alterazioni di sapore e consistenza durante il decongelamento. Perciò, a differenza di quanto si pensa, il surgelamento non è poi così male. C’è infine l’abbattimento, con cui l’alimento viene portato a basse temperature molto rapidamente da uno strumento apposito, l’abbattitore, allo scopo di eliminare germi e batteri quasi al cento per cento. È questa la differenza più importante rispetto al surgelamento, che ha invece lo scopo principale di prolungare la conservazione.

Risotto ai frutti di bosco ed erborinato Difficoltà ●●○ #essiccazione

Ecco un grande classico del mio ricettario. Di questo piatto adoro la sapidità dei formaggi (non c’è bisogno di aggiungere sale) abbinata alla polvere di frutti di bosco, che conferisce una nota acidula, ma soprattutto emana un profumo che fa venire l’acquolina in bocca.

Ingredienti per 4 persone Riso Carnaroli invecchiato 320 g Blu Mugello (o un qualsiasi formaggio erborinato) 150 g Latte fresco 50 mℓ

Polvere di frutti di bosco Burro 80 g Olio EVO Gran Mugello (o parmigiano) 80 g Vino bianco (consiglio Gewürztraminer) mezzo bicchiere Acqua bollente Lime

Preparazione Iniziate preparando una crema con il formaggio erborinato. Consiglio di farlo qualche ora prima, affinché possa riposare in frigo per un po’. Scaldate il latte a 60-70 °C e versateci dentro a tocchetti il Blu Mugello. Frullate, mettete da parte in un biber e lasciate riposare in frigo. Per creare la polvere di frutti di bosco, invece, frullate i frutti di bosco freschi e ricavate una purea che andrà setacciata. Usate solo la parte non filtrata, che stenderete su una placchetta rivestita di carta forno e farete essiccare in forno per alcune ore a 60 °C, con lo sportello socchiuso, oppure in essiccatore a 30 °C per 6-7 ore. Dopo l’essiccazione, frullate tutto in un frullatore, o meglio in un cutter, fino a ricavare una polvere molto aromatica e acidula, perfetta per pulire il palato. Tostate a secco il riso in una casseruola fino a che non raggiungerà una temperatura di circa 150 °C. Dopodiché sfumate con il vino, fate evaporare la parte alcolica e aggiungete acqua bollente man mano che serve. Il vino che preferisco per questo piatto è un Gewürztraminer, molto profumato e ottimo per sgrassare. Una volta ultimata la cottura, potete mantecare con burro ghiacciato, che porterà il riso a uno shock termico grazie al quale rilascerà altro amido. Aggiungete a questo punto una lacrima di lime, una spolverata di Gran Mugello e infine, durante la mantecatura, un cucchiaio circa di olio extravergine d’oliva. Lasciate riposare il riso in casseruola con il coperchio per circa un minuto: si formerà una cremosità spettacolare. Infine, potete impiattarlo con una spolverata di polvere di frutti di bosco e qualche goccia di Blu Mugello. Il consiglio dello chef La mantecatura dei risotti deve avvenire sempre almeno due minuti prima della fine della cottura.

Il consiglio dello chef In questa ricetta non uso sale, ma sfrutto i sali minerali presenti nei formaggi. È un principio che fa parte della mia filosofia in cucina: ogni ingrediente ha una sua sapidità e, se sappiamo conservarla ed esaltarla, darà sapore al piatto senza bisogno di aggiungere sale. Ne guadagneranno il palato e la salute. I risotti Tanti mi chiedono quali siano i segreti per un buon risotto. La verità è che non ce ne sono. O meglio, non ci sono esecuzioni valide per tutti i risotti. Il procedimento può variare molto, dipende dal tipo di risotto e da ciò che si vuole ottenere. Non è vero che si inizia sempre facendo soffriggere lo scalogno, per poi tostare il riso, aggiungere una certa quantità di acqua e infine chiudere con la mantecatura. In alcune delle ricette che ho proposto qui abbiamo tostato i chicchi a secco, poi siamo andati a sfumare con una componente acida e infine abbiamo bagnato con brodo o acqua calda. In altri siamo partiti con una tostatura nel burro e poi abbiamo cercato di calcolare l’acqua necessaria per la cottura senza aggiungerne altra, per completare con l’aceto alla fine, come nel risotto al sesamo. È come per la carne: non si cucina solo in padella, ma anche ai ferri, o in forno. E in base alla cottura cambia il risultato, perché il calore arriva in maniera differente. Una padella di ghisa trasmetterà un certo tipo di calore, un forno cuocerà in modo più uniforme su tutti i lati, i fornelli cuoceranno soprattutto sotto… Quindi, se dovessi indicare un errore classico che si fa con i risotti, è proprio questo: essere convinti che lo stesso procedimento vada bene per tutte le ricette. Se volete migliorare la vostra tecnica di cucina, dovete sperimentare e imparare a conoscere ogni variante. Però, qualche dritta posso darvela: 1. Il risotto non va stressato girandolo di continuo, va lasciato cuocere alla giusta temperatura. 2. Il piatto di servizio deve essere a temperatura ambiente. Il risotto esce a una temperatura di circa 70 °C. Versarlo su un piatto a temperatura ambiente crea uno shock termico grazie al quale il risotto si “rilassa” e gli amidi continuano a uscire. È lì che il risotto si esprime al massimo. Molti ristoranti, invece, scaldano il piatto, con il risultato che a tavola vi arriva un mattone. 3. Più un riso è invecchiato, meno tostatura richiede. Un riso invecchiato un anno richiede una tostatura di pochi minuti. Uno di due anni forse un minuto e dai due anni in su quasi niente, altrimenti i chicchi rischiano di rompersi. 4. I risultati migliori si ottengono cuocendo il risotto in una casseruola di acciaio o rivestita antiaderente. Anche l’alluminio e il rame sono ottimi, anzi il rame è il più usato dai professionisti. Tuttavia, a casa sconsiglio la cottura in rame o alluminio perché queste pentole irradiano il calore molto rapidamente, di conseguenza la cottura è difficile da gestire. Soprattutto per le pentole in rame, la differenza nel risultato non è così evidente da giustificare la complessità dell’operazione.

Risotto al piccione Difficoltà ●●○ #essiccazione

Il risotto al piccione è un piatto giocato su un contrasto tra l’acidità data dal riso, una nota dolce e il fondo molto sapido, che si contrappone al gusto un po’ forte della carne. A tutto questo si aggiungono varie polveri, che non danno solo aromaticità, ma trasmettono una sensazione di campagna, di bosco, un senso di “invecchiato” che trovo molto interessante.

Ingredienti per 4 persone Riso Carnaroli invecchiato due anni 320 g Fondo di piccione 160 g Aceto di riso mezzo bicchiere Piccione 4 petti

Polvere di pino mugo Polvere di spinacio Polvere di ginepro Polvere di alloro Burro acido Parmigiano grattugiato Zucchero

Preparazione Tostate leggermente il riso a secco in una casseruola. Essendo invecchiato due anni, non ha bisogno di essere tostato troppo, altrimenti il chicco si brucerà. Sfumate con l’aceto di riso, poi aggiungete acqua calda finché il riso ne richiede per arrivare a cottura. Cuocete normalmente, concludendo la cottura con burro acido (vedi la ricetta Burri aromatizzati) e parmigiano per mantecare, un pizzico di zucchero per equilibrare i sapori e ancora un po’ di aceto di riso. Alla fine il risotto avrà un sapore dolciastro, ma molto acidulo. Le dosi? Posso solo dire che il bilanciamento si raggiunge con l’esperienza, nient’altro. Assaggiate, assaggiate, assaggiate. A parte cuocete il petto di piccione sulla brace, se avete un camino a disposizione, altrimenti scottatelo su una piastra molto rovente, in modo da raggiungere al cuore i 45 °C. Scaloppate la carne, ossia tagliatela a fettine sottili. Mettete in una padella un cucchiaio di fondo di piccione (vedi la ricetta Fondo bruno, variando solo il tipo di carne utilizzata), le fettine di piccione e tutte le varie polveri di contorno. Le polveri si preparano tutte nello stesso modo: essiccando le foglie delle erbe aromatiche e poi tritandole con un cutter. Impiattate il riso, irroratelo con un po’ di fondo, adagiatevi sopra le fettine di piccione e guarnite con le polveri. Il consiglio dello chef Se vi avanza un po’ di risotto, potete farne delle chips! Aggiungete un po’ di parmigiano, frullate il risotto e stendetelo su un silpat o su un foglio di carta forno. Mettete in essiccatore, poi spezzate la lastra con le mani e buttate i pezzi in olio a 190 °C: le chips soffieranno in un attimo, diventando croccanti e molto appetitose.

Risotto al sesamo Difficoltà ●●● #essiccazione #estrazione

Questo risotto gioca sulla combinazione di molti sapori diversi, tutti in equilibrio tra loro: nero di seppia, polvere di cipresso, latte di capra, sesamo. A tutto ciò ho aggiunto un pizzico di Giappone: la salsa tonkatsu, che in patria si usa soprattutto come accompagnamento per la tipica cotoletta fritta, anch’essa chiamata tonkatsu.

Ingredienti per 4 persone Riso Carnaroli 320 g Polvere di nero di seppia

Polvere di cipresso Burro acido Aceto di riso Latte di capra 120 mℓ Burro Parmigiano grattugiato Per la salsa di sesamo: Sesamo 250 g Per la salsa tonkatsu: Aceto di riso 100 mℓ Soia 25 mℓ Sakè dolce 50 mℓ Katsuobushi 5 g Zucchero 15 g Per l’olio di fico: Olio 200 mℓ Fico 10 foglie

Preparazione Partiamo dalla salsa tonkatsu. Per prepararla mescolate tutti gli ingredienti a freddo, filtrateli e mettete da parte il liquido, che servirà per una piccola marinatura (vedi la lezione Marinatura). Tostate il sesamo in forno per 5 minuti a 160 °C. L’ideale sarebbe metterlo poi in una twin stones, ossia un macchinario dotato di due pietre che schiacciano come la macina di un frantoio, estraendo gli oli essenziali. Ne otterrete una crema di sesamo. Se non avete una twin stones, basta un cutter molto potente per avere un risultato simile. A questo punto versate nella crema di sesamo la salsa tonkatsu, ma non tutta insieme: consiglio di procedere di 20 grammi in 20 grammi e assaggiare di volta in volta. Il risultato deve essere un sapore molto spinto a livello di acidità. L’olio al fico si ricava dalle foglie di fico passate direttamente nell’estrattore. Potrete ricavare l’olio da questo estratto, seguendo il procedimento degli Oli aromatizzati. Tuttavia, vi consiglio anche un metodo diverso: prendete le foglie, togliete la nervatura interna che è amara e mettetele in un robot da cucina con funzione cottura insieme all’olio. Portate l’olio e le foglie a

circa 45-50 °C e frullate alla massima potenza per 7-8 minuti. Chi non ha un robot di questo tipo, potrà frullare nel frullatore per 10 minuti: l’azione meccanica delle lame scalderà comunque il composto. Otterrete un olio bello verde, molto aromatico. Negli ingredienti ho indicato 10 foglie per 200 millilitri di olio: fate dei tentativi in base al vostro gusto e al fatto che le foglie non sono tutte uguali. Per la polvere di nero di seppia stendete il nero di seppia su un foglio di carta forno e mettetelo in essiccatore a 35 °C per circa 12 ore. Poi frullate. La polvere di cipresso si ricava semplicemente da foglie di cipresso essiccate a 30 °C, tritate in un cutter e setacciate. Fate tostare il riso nel burro acido (vedi la ricetta Burri aromatizzati). Bagnate con il latte di capra, sempre caldo, perché i risotti si bagnano sempre con liquidi caldi, altrimenti il riso risulterà bollito. Poi proseguite la cottura aggiungendo acqua calda quanta il riso ne richiede. A fine cottura procedete con la classica mantecatura: spegnete il fuoco e aggiungete burro e parmigiano per renderlo cremoso. In ultimo, lasciate cadere qualche goccia di aceto di riso. Nell’impiattamento arricchite con qualche goccia di salsa al sesamo, le polveri di nero di seppia e di cipresso e l’olio al fico. Io ho decorato con dei germogli di nasturzio. Il consiglio dello chef Nel risotto va messa sempre una nota acida, e proprio a questo serve l’aceto di riso. Come anche il lime nella ricetta del Risotto ai frutti di bosco ed erborinato. Perché? Perché ogni volta che mangeremo un boccone, il risotto non avrà lo stesso identico sapore, quindi il palato non si addormenterà mai. Nel risotto l’acidità è tutto: è ciò che ti fa venire voglia di continuare a mangiare. Pensateci bene: cosa succede quando mangiate un pezzo di parmigiano, oppure mordete un limone? La vostra salivazione aumenta. È l’acidità a produrre questo effetto, e a spingervi a dare un altro morso.

Spaghetti con acqua dei peperoni e salsa Red Gold Difficoltà ●●○ #crudi

Questa ricetta è uno spaghetto risottato ai peperoni, solo in apparenza un piatto povero. In realtà, il peperone è arricchito da un ingrediente che di povero non ha nulla: una salsa bisque a modo mio, a base di gamberi rossi.

Ingredienti per 4 persone Spaghetti 320 g Peperoni dolci 12 Borragine Alice del Cantabrico 1 Burro 60-70 g

Acqua frizzante 1 ℓ Gamberi rossi 6-7 Olio EVO Sale Salsa bisque Red Gold 20-25 g

Preparazione Pelate a crudo i peperoni. Frullateli in acqua gassata, che impedisce l’ossidazione e rende più rotondo il gusto e più digeribili i peperoni. Filtrate il tutto e tenete da parte questo liquido. Non buttate il residuo del filtraggio: potete essiccarlo in essiccatore e ricavarne una polvere di peperone. In una casseruola mettete il burro e l’alice. Fate sciogliere, unite il succo del peperone e lasciatelo ridurre piano piano finché non si addenserà un po’. Pulite e abbattete termicamente i gamberi mettendoli in abbattitore a -20 °C per 24 ore o in freezer per 96 ore (vedi la lezione Maneggiare i crudi). Il consiglio dello chef Per questo piatto sconsiglio di usare i gamberi argentini perché hanno una consistenza diversa, sono meno saporiti e contengono molta ammoniaca. Sconsiglierei anche le mazzancolle, che risultano dure.

Preparate la salsa bisque Red Gold come spiegato nella ricetta a p. 41. Unite un paio di cucchiai di questa salsa alla riduzione di peperone. Per risottare gli spaghetti, versate in un tegame l’acqua di peperone insieme alla Red Gold, scaldate sul fuoco e quando il condimento sarà arrivato almeno a 90 °C aggiungete gli spaghetti crudi. Se la temperatura è più bassa, la pasta non cuocerà. Durante la cottura, gli spaghetti rilasceranno gli amidi nel sugo, perciò toccateli il meno possibile. Per girarli muovete la pentola. A fine cottura avrete una pasta cremosissima. Al momento di impiattare decorate con qualche foglia di borragine fresca, qualche pezzetto di gambero crudo condito con un po’ di olio e

sale, e chiudete con un filo d’olio. Niente pepe. Il consiglio dello chef Per questa ricetta consiglio di usare una pentola in acciaio a doppio fondo, perché distribuisce molto bene il calore, in modo più uniforme ma soprattutto meno diretto.

#flambatura La leggenda vuole che, alla fine dell’Ottocento, lo chef del Café de Paris di Montecarlo si sia visto arrivare il principe di Galles a sorpresa in un orario in cui la cucina era chiusa. Avendo solo delle crêpes e non sapendo come scaldarle, lo chef decise di bagnarle con un liquore e infiammarle. Fu un successo. Oggi la flambatura si ottiene con un cannello apposito, acquistabile a prezzi moderati, che emette una fiamma alla temperatura di 600-700 °C e si può manovrare come desideriamo, perché si tratta di fatto di una specie di accendino un po’ più grande. La flambatura ha lo scopo di andare a scottare o cuocere velocemente alcune parti specifiche del piatto, come nel caso del dorso dello Scampo tequila, sale e limone, oppure di sigillare. Di solito si usa per scottature superficiali, ma se tenete il cannello puntato per più tempo sull’alimento, può cuocere o persino bruciare. Ci sono anche altri metodi per flambare. Per esempio, se avete un camino potete posare la pietanza sui carboni ardenti fino a ottenere l’effetto desiderato. È un metodo che garantisce un risultato più gustoso e anche più naturale, perché non si usano gas, ma certo non si può dire che sia pratico. Oppure c’è il forno, ma occorre aspettare che si scaldi. Il cannello invece offre una fiamma diretta e precisa, quando serve e dove serve. Mi raccomando, tenete a mente due cose: 1. State attenti se dovete flambare qualcosa che contiene alcool, perché farà la fiammata. 2. Non usate il cannello su una pietanza già impiattata, a meno che non siate sicuri che la porcellana sia di ottima qualità. Per non rischiare, meglio flambare su una placchetta e poi spostare tutto sul piatto.

Spaghettoni al peperone arrosto Difficoltà ●○○ #essiccazione

Se avete in programma di cucinare dei peperoni arrosto, questa è una ricetta che vi permetterà di recuperare la loro acqua di vegetazione per risottare una pasta. Otterrete un piatto interessante perché ricco di sapori, molto dolce, con una nota leggermente amara. E tutto utilizzando un ingrediente che altrimenti avreste gettato via.

Ingredienti per 4 persone Spaghettoni biologici 360 g Peperoni a quattro punte (meglio rossi, se di stagione) 10-12 Burro 100 g Polvere di capperi di Pantelleria

Preparazione Mettete i peperoni su una teglia rivestita con carta forno e infornate a 180 °C. Fateli cuocere un’oretta girandoli a metà cottura. Sfornateli e infilateli in sacchetti di plastica per alimenti, chiudendoli con una pinzetta. Man mano che si raffreddano, rilasceranno tutta la loro acqua. Una volta freddi, chiudeteli sottovuoto oppure cercate di eliminare l’aria il più possibile a mano e chiudete la zip del sacchetto. Riponeteli in frigorifero per una notte, scolateli e poi strizzateli in un contenitore per raccogliere tutta l’acqua di vegetazione: più riuscite a estrarne, meglio è. Spellateli e gettate via la pelle perché sarà bruciata. Fate sciogliere e amalgamare il burro nell’acqua dei peperoni. Portate il liquido a sfiorare il bollore e aggiungete gli spaghetti crudi. Abbassate la fiamma al minimo, in modo che l’acqua resti più o meno a 92-93 °C, appena al di sotto della soglia di bollore, cioè quanto basta per cuocere la pasta. Se la temperatura aumenta, l’acqua evaporerà troppo velocemente e non basterà. Quando la pasta sarà cotta e avrà formato una cremina, impiattate. Al posto del sale, insaporite con una spolverata di polvere di capperi di Pantelleria, ottenuta essiccando i capperi a 40-50 °C e frullandoli in un cutter o un macinacaffè. Il consiglio dello chef Il numero di peperoni che servono per questa ricetta è indicativo: la quantità dipende dalla percentuale di acqua che contengono. Nel dubbio, meglio usarne uno o due in più che rischiare di ritrovarsi con poco liquido. Con i peperoni arrosto potete preparare un classico contorno, un altro primo… io ci ho fatto perfino il gelato.

In cucina non si butta via niente Le nostre nonne ce lo ripetevano sempre, ed è una regola che cerco di rispettare il più possibile nella mia cucina. Vorrei però partire da una premessa: le generazioni passate compravano in grandi quantità, abituate dalla guerra a fare scorte perché “non si sa mai”. Mia nonna comprava un sacco di carne per poterla congelare e avere il freezer pieno, ma oggi non siamo più nel 1945 e questo non ha più senso. I supermercati sono a ogni angolo e sono sempre fornitissimi, perciò per evitare sprechi la prima regola è entrare nell’ottica di acquistare solo quello che ci serve. Se abbiamo bisogno di sei mele, compriamo soltanto quelle, e non una cassetta intera, dicendoci che poi ci faremo un dolce: sappiamo bene che non lo faremo mai. Se programmeremo la spesa in modo intelligente, non avanzerà nulla e non dovremo ricorrere ai famosi piatti svuotafrigo. Questo è vero a casa e ancora di più in un ristorante. Credo sia una delle prime cose che uno chef dovrebbe imparare: studiare la materia, conoscerla, amarla e quindi sfruttarla al cento per cento. In un ristorante gettare via qualcosa ha un costo, mentre conoscendo a fondo gli alimenti e il loro valore se ne possono ricavare cose davvero straordinarie. Per esempio, se facciamo delle cipolle caramellate, le bucce e gli strati più esterni che abbiamo scartato saranno ottimi per fare un fondo di cipolla, oppure da essiccare per avere una polvere di cipolla; dalle foglie si può ricavare un olio alla cipolla; le radici lavate, asciugate e fritte diventano croccanti, buonissime. E così della cipolla avremo usato tutto. Allo stesso modo, quando abbiamo un’anatra dobbiamo saperla sfruttare tutta, non solo il petto per fare i fighi, ma anche le ossa, le ali, la pelle. Perfino i gusci di vongola si possono riutilizzare perché sono molto saporiti, essendo stati in mare e a contatto con il mollusco. Provate a buttarli in una pentola con acqua fredda, portate a bollore, fate sobbollire per 30-40 minuti e filtrate: otterrete un’acqua che sa di mare, perfetta per cuocerci la pasta. Questo è il vero segreto della cucina: capire quello che abbiamo davanti e saperlo valorizzare, anziché aggiungere ancora ingredienti. La ribollita e il peposo, che vedremo più avanti, nascono come piatti poveri, in cui utilizzare gli avanzi. Se restava un po’ di cicoria, un cavolo o una patata, ce li buttavano dentro per insaporire. Lo stesso ragù, che oggi è una ricetta prelibata, preparata con pezzi di carne scelti, in origine era un piatto di recupero fatto con gli scarti degli scarti. Oggi invece, grazie alla tecnologia e al sapere, abbiamo un ragù ben più invitante. Il recupero è anche questo: prendere i piatti poveri del passato e portarli nel futuro in una chiave più moderna. Recuperare significa, per esempio, raccogliere l’acqua dei peperoni arrosto e farci un primo, o usare l’acqua in eccesso della melanzana per una salsa, insomma tirare fuori altri piatti da quello che altrimenti avreste gettato via. Un altro aspetto di questo discorso è cercare di rispettare la stagionalità. Acquistando alimenti di stagione e sfruttandoli al massimo, risparmieremo in molti modi: a livello economico, ma anche in fatto di energia e inquinamento. Pensate solo a quanta energia elettrica e carburante ci vogliono per produrre, trasportare e conservare in frigorifero una verdura fuori stagione, che poi non avrà comunque lo stesso sapore di una fresca.

Piuttosto, esistono metodi per conservare tutto l’anno i prodotti di stagione. L’essiccatore, da questo punto di vista, è uno strumento che può tornare molto utile. Se vi avanzano dei funghi, per esempio, potete essiccarli e ottenere una polvere di funghi ottima per insaporire o per farci un risotto. Anche quando ho delle verdure in più, le taglio a striscioline, le metto nell’essiccatore tutte insieme e poi le frullo per ridurle in polvere, ed ecco un ottimo dado per il brodo, senza sali e senza glutammato. E avete mai pensato di recuperare le scorze delle arance che avete spremuto? Potete sbucciare le arance con un pelapatate ed essiccare le bucce. Se sono biologiche, se ne può ricavare una polvere di arancia per insaporire un dolce o una crema. Se non lo sono, potete quantomeno usarle per profumare l’armadio. Personalmente, essicco anche gli scarti di mela, cannella, zenzero e li uso per delle tisane buonissime.

Tagliatelle di farro al pesto non pesto Difficoltà ●○○

Ho rivisitato il pesto classico con una tecnica che permette di ottenere una salsa di un bel verde brillante, impedendo che il basilico si ossidi. Anziché usare solo i pinoli, ho abbinato la salsa di basilico con un crumble di frutta secca. Come pasta, ho preferito il sapore delicato delle tagliatelle di farro. Il risultato è un piatto molto fresco, estivo e digeribile.

Ingredienti per 4 persone Tagliatelle di farro 360 g Foglie di basilico 150 g Olio EVO Parmigiano 100 g Gomma di xantana Noci di macadamia 20 g Pinoli 20 g Mandorle 20 g Noci 20 g Sale

Preparazione Per questa rivisitazione del pesto a modo mio, tostate in forno la frutta secca per circa 5 minuti a 180 °C, dopodiché tritatela al coltello o con un cutter. Sbollentate il basilico in acqua leggermente salata per 30 secondi e successivamente fatelo raffreddare in acqua e ghiaccio. Strizzate le foglie come se fossero spinaci, mettetele nel frullatore e frullate aggiungendo l’olio, la gomma di xantana e il parmigiano. Se serve, potete aggiungere un goccio di acqua. Assaggiate e aggiustate di sale. Otterrete un composto cremoso e di un bel verde acceso. Passate ora a lessare le tagliatelle.

Mantecate la pasta con la salsa al basilico a fuoco spento, così da non superare i 65 °C. In questo modo rimarrà di un colore brillante. Oltre questa temperatura, infatti, il parmigiano tenderebbe a formare grumi e il colore della salsa diventerebbe più scuro. Una volta impiattato, spolverate con il crumble di frutta secca tritata molto finemente.

Tagliatelle marroni Difficoltà ●●● #essiccazione

Le tagliatelle marroni sono molto simili nella preparazione ai Cappelletti al cinghiale, con la differenza che nei cappelletti il condimento è dentro, mentre nelle tagliatelle è fuori.

Ingredienti per 4 persone Polpa di cervo 500 g Tagliatelle 250 g Concentrato di pomodoro 50 g Carota 50 g Cipolla 50 g

Sedano 50 g Cioccolato fondente al 70 per cento 20 g Fondo di cervo 170 mℓ Polvere di bacche di ginepro Polvere di alloro Fave di cacao fermentate Alloro Salvia Timo Maggiorana Rosmarino Vino rosso 150 mℓ Olio EVO Sale Pepe

Preparazione Tagliamo la polpa di cervo a tocchetti e facciamo una brunoise di carota, sedano e cipolla (ossia, dovete tagliarli prima a julienne e poi a dadini). In una pentola fate soffriggere la brunoise e a parte in una padella d’acciaio fate rosolare la carne con l’olio e le erbe aromatiche senza mai mettere sale, che potrebbe far perdere liquidi. Via via che le erbe si anneriscono, toglietele e cambiatele. Se la carne si attacca sul fondo della padella, si caramellizza, il che va benissimo. Man mano che si rosola, toglietela. Sfumate con il vino rosso e andate a recuperare tutti i succhi. Aggiungete il concentrato di pomodoro a sedano, carota e cipolla, poi sfumate con ulteriore vino rosso. Unite verdure e carne, ma non le erbe aromatiche, che ormai avranno dato tutto il loro aroma e potrebbero risultare amare. Coprite lasciando il coperchio leggermente socchiuso e fate cuocere per circa 3 ore e mezza-4 ore a fiamma molto bassa, girando di tanto in tanto. Chiudete con un pezzettino di cioccolato, che si scioglierà dando una nota acida, e non dolce come si pensa comunemente. Cuocete le tagliatelle in acqua salata e conditele con un mestolo di fondo di cervo (vedi la ricetta Fondo bruno) e un mestolo di ragù di cervo a persona.

Alla fine spolverate con un po’ di polvere di alloro, polvere di bacche di ginepro e con fave di cacao, che conferiranno una nota croccante, acida, amara, aromatica al piatto.

Tagliolini al riccio di mare Difficoltà ●●○ #essiccazione #crudi

I ricci di mare non sono facili da trovare e ancor meno da pulire, ma garantiscono dei tagliolini da urlo. Unica accortezza: acquistateli da un pescivendolo di fiducia e verificate che siano stati pescati nel modo giusto. Ci sono infatti delle leggi molto restrittive, che ne permettono la raccolta solo in alcuni periodi dell’anno e con modalità precise.

Ingredienti per 4 persone Farina 00 400 g Uova 4 Ricci di mare freschi 1 kg Burro 120 g Polvere di zenzero

Preparazione Preparate una pasta fresca classica. Fate una fontana con la farina, rompete all’interno le uova e impastate finché non avrete incorporato tutta la farina. Avvolgete la pasta con la pellicola e lasciate riposare in frigorifero. Trascorsa un’ora, preparate i tagliolini dividendo l’impasto in panetti e passandoli in una macchinetta per la pasta. Aprite i ricci di mare, puliteli, estraete tutta la parte buona (quella rossa, ossia le uova) e tenetela da parte. Con il resto del riccio fate un burro aromatizzato, avendo cura di setacciarlo in modo che il tutto si emulsioni molto bene (vedi la ricetta Burri aromatizzati). Lessate i tagliolini e conditeli con questo burro aromatizzato. Completate con una spolverata di polvere di zenzero, ottenuta mettendo in essiccatore delle fettine di zenzero fresco a 60 °C. Una volta impiattata la pasta, all’interno aprite uno spazio, come a formare un nido, e adagiateci sopra la parte rossa del riccio cruda.

Tortelli di patate mugellani Difficoltà ●●○

Qui troverete due ricette in una: non solo i tortelli, ma anche la ricetta del ragù toscano, o meglio del ragù come lo preparano nella mia zona, il Mugello. Perché si sa, paese che vai, ragù che trovi.

Ingredienti per 4 persone Per la pasta fresca: Farina 00 230 g Farina di semola 70 g Uova 3 Per il ragù toscano: Cipolle dorate 2 Carote 3 Sedano 3-4 coste Salvia Rosmarino Pepe Sale Olio EVO Carne macinata di manzo 1 kg Carne macinata di maiale (o salsiccia) 250 g Concentrato di pomodoro 1 cucchiaio generoso Passata di pomodoro 400 g Vino rosso 1 bicchiere Per il ripieno: Aglio 2 spicchi Patate 200 g Uovo 1 Parmigiano 2 cucchiai grattugiato Concentrato di pomodoro 35-40 g Sale Prezzemolo tritato

Olio EVO

Preparazione Iniziamo dal ragù, che richiede una lunga cottura. Soffriggete gli odori nell’olio insieme alla salvia e al rosmarino, così che vengano rilasciati tutti gli aromi. Con le mani amalgamate i due macinati per avere un prodotto più uniforme. Una volta che le verdure saranno ben tostate, aggiungete la carne e fatela rosolare. Attenzione: la pentola deve essere capiente e la fiamma va tenuta viva, altrimenti la carne risulterà bollita. Sfumate con il vino rosso. Quando la parte alcolica sarà evaporata, aggiungete il concentrato di pomodoro, fate rosolare qualche minuto e versate la passata di pomodoro. Se occorre, allungate con un po’ di acqua. Socchiudete il coperchio e lasciate cuocere dolcemente per almeno 3 ore. Verso la fine regolate di sale e pepe (se vi piace). Intanto, dedicatevi alla pasta fresca. Create la classica fontana avendo già miscelato le farine in precedenza. Aggiungete le uova e con una forchetta mescolate il tutto, poi impastate fino a ottenere una palla liscia e uniforme. Fatela riposare per almeno un’ora in frigo, avvolta nella pellicola. Infine passate al ripieno: lessate le patate in acqua leggermente salata, poi privatele della buccia e schiacciatele con uno schiacciapatate. Tritate l’aglio e fatelo soffriggere con un po’ d’olio, aggiungendo il concentrato di pomodoro e il prezzemolo. Fatelo andare sul fuoco a fiamma bassa per qualche minuto. Unite le patate schiacciate al soffritto insieme al parmigiano e all’uovo. Il ripieno sarà pronto! Dividete la pasta in due panetti e passate una metà alla volta nella macchinetta per la pasta, procedendo via via dai buchi più grandi al penultimo, per assottigliare gradualmente la sfoglia. Stendete poi una sfoglia, con una sac à poche fate dei mucchietti di farcia a 3 centimetri di distanza l’uno dall’altro e coprite con l’altra sfoglia. Sigillate bene i bordi dei tortelli, avendo cura di far uscire il più possibile l’aria dal ripieno, altrimenti si apriranno in cottura. Sbollentate i tortelli e saltateli con il ragù.

Cottura a bassa temperatura (#cbt) La cottura a bassa temperatura, comunemente abbreviata in CBT, è un metodo di cottura in cui i cibi vengono cotti a lungo a una temperatura bassa, normalmente tra i 50 e gli 85 °C e comunque non oltre i 100 °C. La cottura avviene sigillando i cibi in sacchetti sottovuoto e immergendoli in una vaschetta piena di acqua. L’acqua viene mantenuta a una temperatura costante da un roner, ossia da un termostato su cui si impostano la temperatura e la durata della cottura. Una volta terminata la cottura, l’alimento si può mangiare direttamente oppure si può “finire” saltandolo in padella o grigliandolo per insaporirlo di più. Il grande vantaggio della CBT è che cuoce uniformemente ma conserva tutti i liquidi dei cibi e tutte le loro proprietà organolettiche: sapore, colore e consistenza. Gli alimenti cotti così risultano quindi più nutrienti e anche più sani, perché necessitano di pochissimi grassi per cuocere e non hanno quasi bisogno di sale. Se vi preoccupa il consumo di energia, sappiate che un roner in funzione per circa otto ore consuma meno di un’ora di forno. La CBT può sembrare una tecnica complessa, ma in realtà è amica di chi ha poco tempo, perché la cottura non richiede il vostro intervento, perciò potete farla di notte, per esempio. Una volta cotti, gli alimenti si possono congelare nei loro sacchetti: quando ne avrete bisogno, potrete tirarli fuori e prepararli in fretta. Inoltre, se non siete troppo esperti in cucina, un roner potrebbe diventare il vostro migliore alleato: un conto, infatti, è cuocere un arrosto su fiamma, sapere quando è rosolato abbastanza, quanta acqua aggiungere, girarlo, bagnarlo e così via, un conto è chiuderlo in un sacchetto, impostare il roner e lasciare che faccia tutto lui. Per la cottura basta rispettare alcune semplici regole: Immergete i sacchetti nella vasca quando l’acqua è già calda e poi impostate il timer. Potete immergere più sacchetti con alimenti diversi per sfruttare il roner a pieno carico, ma tutti devono essere

completamente immersi nell’acqua. In ogni caso non esagerate, altrimenti sarà più difficile mantenere costante la temperatura. Rispettate i tempi e le temperature previsti per ciascun tipo di cibo. Nel libretto di istruzioni del roner troverete di sicuro una tabella per gli alimenti principali. Almeno finché non prendete dimestichezza con la tecnica, controllate di tanto in tanto il livello dell’acqua e, se serve, rabboccatela. Se non consumate subito il cibo cotto, raffreddatelo rapidamente con acqua fredda e ghiaccio e mettetelo in freezer per evitare la proliferazione di agenti patogeni. Se avete un abbattitore, ancora meglio. Per rigenerare ciò che avete congelato, portate l’acqua alla stessa temperatura a cui avete cotto l’alimento e immergetevi il sacchetto. Basteranno pochi minuti. Non rigeneratelo a temperatura più alta, altrimenti il sapore risulterà alterato.

Triangoli vegani Difficoltà ●●○

Questa ricetta è un esempio dei molti modi in cui si può usare un fondo vegano. Qui è il condimento con cui insaporiremo i nostri triangoli vegani. Si tratta di un piatto estivo, che rende al meglio se preparato con verdure colte durante la crescita. Ho scelto di usare una farina di tipo 1, una farina meno raffinata, perché è un piatto vegano, ma soprattutto perché è molto più saporita!

Ingredienti per 4 persone (20 triangoli) Per la pasta: Farina di semola 120 g Farina di tipo 1 280 g Acqua tiepida 200 mℓ Zafferano ½ cucchiaino o curcuma Per il ripieno:

Patata lessa 1 Melanzana 1 Zucchine 2 Peperone rosso ½ Timo Maggiorana Cipolla 1 Sale Per il condimento: Fondo vegano Baby carote 4 Baby melanzane 4 Baby zucchine 4 Olio EVO

Preparazione Create una fontana con le due farine. Al centro versate l’acqua tiepida in cui avrete sciolto lo zafferano o la curcuma e lavorate l’impasto prima con la forchetta e poi con le mani fino ad assorbire tutta la farina. La quantità di farina è indicativa, perché ogni farina ha un assorbimento diverso: può assorbire 10 millilitri di acqua in più o in meno. Avvolgete la pasta con la pellicola e mettetela a riposare in frigorifero. Intanto preparate la farcia. Posate la melanzana intera su una teglia rivestita con carta forno e infornatela insieme al peperone e alla cipolla a 165 °C per circa 45 minuti. Dopo i primi 20-25 minuti, aggiungete le zucchine private delle estremità. Sfornate le verdure, spellate il peperone e frullate tutto insieme alla patata lessa. Unite un trito di maggiorana e timo. Aggiustate di sale. Le verdure vanno sfornate quando saranno ben asciutte, altrimenti rilasceranno troppa acqua. Se il composto è abbastanza asciutto da poterlo maneggiare va benissimo, se invece è troppo liquido ripassatelo leggermente sul fuoco. Fatelo andare in una pentola antiaderente a fiamma medio-bassa per una ventina di minuti, mescolando spesso. In questa maniera gli zuccheri si caramellizzeranno ed evaporerà l’ultima parte di acqua. Deve perdere più del 50 per cento dei liquidi, fino a trasformarsi in un impasto umido ma corposo.

Fate riposare il composto finché non tornerà a temperatura ambiente e trasferitelo in una sac à poche. Prendete la pasta e stendete la sfoglia con la macchinetta, passando via via dal primo buco al penultimo. Ricavate dei quadrati e ponete al centro di ognuno circa un cucchiaino da caffè di impasto. Bagnate tutti e quattro i lati del quadrato con un pennello umido e poi chiudete i lembi a coppie. Dati quattro lati A, B, C, D, chiudete tra loro i lati A e D e poi i lati B e C. Poi avvicinate le due punte superiori che si sono formate. In questo modo otterrete una specie di stella. A questo punto sigillate tutti i bordi e ritagliate con una forbice le imprecisioni. Questa è la forma che ho scelto per dare un tocco di originalità, ma potete chiudere i ravioli come preferite. Versate un po’ del fondo vegano in una casseruola e mettete a cuocere nell’acqua salata i triangoli finché non verranno a galla. Su una griglia di ghisa grigliate leggermente le baby verdure. Quando i triangoli vengono a galla, scolateli, versateli nella casseruola con il fondo e lasciateli insaporire portandoli a cottura un ultimo minuto. Aggiungete le baby verdure e finite con un filo d’olio. Io ho decorato con qualche fiore di aglio orsino, basilico viola, cima di spinacio rampicante. Il consiglio dello chef Questi triangoli sono lunghi da fare, ma si possono preparare in anticipo. Metteteli in freezer su una teglia: dopo circa mezz’ora si saranno solidificati e potrete trasferirli in sacchetti gelo, oppure metterli sottovuoto senza togliere completamente l’aria. Potrete così conservarli in freezer e utilizzarli all’occorrenza. Anche il fondo si può conservare in un sacchetto sottovuoto e congelare. Per cuocere il tutto basterà versare il fondo vegano in una casseruola, far scaldare l’acqua e versare le piramidi direttamente nell’acqua calda, poi saltarle nel fondo come prevede la ricetta.

SECONDI Anche se ultimamente i primi vanno per la maggiore – da quando sono talmente ricchi da essere di fatto dei piatti unici –, i secondi restano nel cuore di tutti noi, soprattutto per la loro storia, che è anche la nostra. Un tempo il secondo era la portata regina della tavola, quella destinata a stupire davvero i commensali, e alcuni sapori sono impressi indelebilmente nella nostra mente e sulle nostre papille gustative. In questa sezione, perciò, ho riproposto in una chiave più moderna alcuni grandi classici della cucina italiana, come l’anatra all’arancia, il baccalà alla livornese, l’insalata di mare, la guancia, il peposo, seppie e piselli… e naturalmente il lampredotto.

Baccalà alla livornese Difficoltà ●●○ #cbt #essiccazione

Il baccalà alla livornese è un piatto della tradizione. Questa è la mia versione modernizzata, in cui vedrete anche la tecnica dell’oliocottura, ossia della cottura immergendo gli alimenti in olio.

Ingredienti per 4 persone Baccalà dissalato 400 g Pomodori 1 kg Olio EVO quanto basta per coprire il baccalà Polvere di pomodoro Maionese al basilico Polvere di olive taggiasche Chips a foglia al pomodoro Sale

Preparazione Preparate la maionese con estratto di basilico, seguendo la ricetta della Maionese - versione gourmet. Prendete dei bei pomodori, frullateli e passateli con una garza di etamina o un colino a maglie molto strette, facendo gocciolare piano piano l’acqua in un recipiente. Fate restringere un po’ l’acqua di pomodoro lasciandola sobbollire finché non si sarà ridotta di circa la metà, per conferirle un sapore più intenso. Non serve aggiungere altro, se non un pizzico di sale. Non buttate via le bucce e i semi, ma essiccate tutto in essiccatore e poi tritate in un cutter per ricavare la polvere di pomodoro. Preparate le chips a foglia seguendo la ricetta delle Foglie d’autunno, aromatizzandole con concentrato di pomodoro. Cuocete il baccalà con la tecnica dell’oliocottura: scaldate l’olio a 60 °C, immergetevi il baccalà e tenetelo immerso per 7-8 minuti. Se avete l’attrezzatura per la CBT (vedi la lezione Cottura a bassa temperatura) chiudete in un sacchetto sottovuoto l’olio e il baccalà e fate cuocere a 60 °C.

Una volta pronto, scolate il baccalà dall’olio ed eliminate la pelle. Al momento di impiattare, versate in ogni piatto un po’ di acqua di pomodoro, posatevi sopra il trancio di baccalà e riproducete la pelle ricoprendolo di polvere di pomodoro e un po’ di polvere di olive taggiasche. Posate la chips a foglia e guarnite con delle gocce di maionese al basilico. Il consiglio dello chef Non gettate via la pelle del baccalà. Non è buona da mangiare così com’è, ma provate a essiccarla e poi soffiarla in olio a 190 °C per qualche secondo: ne ricaverete delle chips molto croccanti, che potete anche usare come accompagnamento per questo piatto.

Branzino con gel alla mela verde e wasabi Difficoltà ●●○ #crudi #essiccazione #estrazione #gelificazione

In questo piatto ho giocato sul contrasto tra la dolcezza della polvere di barbabietola, la delicatezza del branzino, la sapidità del caviale di aringa e il gel alla mela e wasabi, fresco e allo stesso tempo leggermente frizzante. Come si diceva in una pubblicità di qualche anno fa, per molti ma non per tutti. C’è un solo modo per scoprire se fa per voi: provarlo!

Ingredienti per 4 persone Branzino (o ricciola) 4 filetti Mela verde 1 Agar-agar 1,4 g ogni 100 mℓ di estratto di mela verde

Wasabi un pizzico Caviale di aringa Polvere di barbabietola

Preparazione In questo piatto il branzino va consumato crudo, quindi dovrete acquistarlo già abbattuto termicamente, oppure pulirlo e poi abbatterlo (vedi la lezione Maneggiare i crudi). Pulite i branzini, sfilettateli e tagliateli a carpaccio. Se il branzino non è stato già abbattuto, mettete le fette in una busta sottovuoto e tenetele in freezer ad almeno -20 °C per 96 ore, oppure in abbattitore alla stessa temperatura per almeno 24 ore. Una volta abbattuto, conservate il pesce in frigorifero a 4 °C fino al momento di servirlo. Estraete il succo di barbabietola con un estrattore, eliminate l’acqua ed eventualmente tenetela da parte per un’altra preparazione. Essiccate invece la polpa residua a 40 °C per 6-7 ore, poi passatela in un cutter per ottenere la polvere di barbabietola. Per il gel alla mela verde e wasabi, ricavate dall’estrattore il succo di mela verde, filtratelo e unitelo al wasabi. Aggiungete 1,4 grammi di agar-agar ogni 100 millilitri di succo. Portate sul fuoco a 80 °C, poi fate raffreddare, frullate e avrete il gel. A questo punto componete il piatto: alla base spargete la polvere di barbabietola, che ha un sapore dolce, qualche goccia di gel e il caviale di aringa, che invece è molto sapido. Adagiate su questo letto il carpaccio di branzino. Io ho terminato con qualche fiore di aglio e qualche germoglio di daikon, che dà freschezza.

Filetto di manzo CBT Difficoltà ●●○ #cbt #essiccazione

Qui non si butta via niente: il filetto, la parte nobile del piatto, è accompagnato da un fondo bruno ricavato dagli ossi avanzati; le punte degli asparagi sono usate come decorazione, mentre il resto è stato trasformato in crema e in polvere. Per un risultato che si scioglie in bocca, grazie anche alla cottura CBT. La prova che tecnica e conoscenza sono fondamentali per ridurre al minimo i costi senza intaccare la qualità.

Ingredienti per 4 persone Filetto di manzo 1 kg Fondo di manzo 100 g

Asparagi 1 mazzo Olio EVO Burro Aglio Rosmarino Timo Salvia Sale Gomma di xantana (facoltativa) Erbe aromatiche

Preparazione Pulite il filetto di manzo, poggiatelo su una pellicola e avvolgetelo come un salame per dargli forma. Forate la pellicola per far uscire l’aria in eccesso e legate le estremità. Inserite il filetto in un sacchetto e mettetelo sottovuoto. Scaldate l’acqua con un roner per la CBT a 52-53 °C, immergetevi la carne e lasciate cuocere per 2 ore e mezzo a 50 °C. Una volta che la carne si è raffreddata, mettetela in acqua e ghiaccio per bloccare la temperatura. Non saltate questo passaggio, perché è molto importante per impedire la proliferazione dei batteri. Poi tenete il filetto a temperatura ambiente fino al momento di servirlo, in modo che sia alla stessa temperatura anche al cuore. Pelate gli asparagi e bolliteli in acqua salata per 7-8 minuti, oppure cuoceteli sottovuoto con la CBT, a 65 °C per 8 minuti. Tenete da parte quattro punte da arrostire sul fuoco più avanti. Frullate invece tutto il resto per fare una salsa: le altre cime e i gambi, anche la parte legnosa. Condite con un pizzico di sale e un filo d’olio. Se volete, aggiungete un po’ di gomma di xantana per evitare che l’acqua si divida dalla polpa. Mettete tutti gli scarti dell’asparago in essiccatore a 35-40 °C per 5-6 ore, o comunque finché non si asciugano, poi frullate tutto in un cutter per ottenere la polvere di asparagi. Al momento di impiattare, mettete in una padella burro, aglio, rosmarino, timo e salvia e rosolate i filetti irrorando la superficie con questo burro salato fino a sigillare la carne molto bene. Ci vorranno circa due minuti. Fate poi un trito di erbe aromatiche, tagliate a fette il filetto e fate rotolare ogni fetta nel trito.

Arrostite in un padellino le punte di asparagi che avevate tenuto da parte. Accanto a ogni filetto versate un po’ di salsa di asparagi, irrorate con il fondo di manzo e appoggiate una punta di asparago. Rifinite con la polvere di asparagi.

Guancia con purè di sedano rapa Difficoltà ●●○ #estrazione #essiccazione

Per questo piatto classico potete usare guancia di manzo oppure di maiale. Entrambi i sapori si sposano benissimo con i gusti particolari che ho scelto per questa ricetta: una delicata crema di sedano rapa accostata all’intensità del passion fruit e del caramello mou.

Ingredienti per 4 persone Guance di manzo 4 o di maiale Fondo di manzo Sedano Carota

Cipolla Concentrato di pomodoro Vino rosso Brodo di carne Per la crema di sedano rapa: Sedano rapa 1 Panna 50 mℓ Latte 200 mℓ Sale Olio EVO Per decorare: Passion fruit 4 Polvere di cavolo viola Polvere di prezzemolo Polvere di barbabietola Polvere di fungo porcino Per il caramello mou: Zucchero di barbabietola integrale (va bene anche di canna o normale) 165 g Glucosio 125 g Panna 150 mℓ Burro 50 g Vaniglia 5 g Sale (facoltativo)

Preparazione Sbucciate il sedano rapa, ricavatene delle semisfere con uno scavino a sfera e mettetele da parte. Tagliate a pezzettini tutto il resto del sedano rapa, unite latte e panna e mettete a cuocere sul fuoco. Regolate con un pizzico di sale e un filo d’olio e immergete anche le semisfere. Una volta cotto tutto, togliete le semisfere e frullate il resto, ottenendo un purè di sedano rapa. Tagliate il passion fruit e tenete da parte i semi. Passate a preparare un caramello mou leggermente allungato (con circa il 35 per cento di panna in più rispetto alla ricetta originale). In un pentolino a doppio fondo versate lo zucchero e fatelo sciogliere un po’ senza girarlo. Aggiungete un pizzico di sale, se volete.

Portate la panna e il glucosio a 90-100 °C per ridurre lo shock termico rispetto allo zucchero, che nel frattempo avrà raggiunto una temperatura di circa 100 °C. Per questo state attenti a non toccare mai lo zucchero con le mani e per girarlo usate una spatola che resista alle alte temperature. Unite quindi la panna e il glucosio allo zucchero e lasciate sobbollire un po’. Prima di aggiungere il burro e la vaniglia, controllate la consistenza del composto. Se mettendone qualche goccia su un piatto non cola, è pronto. Quindi versatelo in una terrina e unite il burro e l’estratto di vaniglia, mescolando bene. Brasate le guance. Preparate un classico trito di sedano, carota e cipolla, fate rosolare le verdure in un filo d’olio, aggiungete un po’ di concentrato di pomodoro. Mettete nel tegame la guancia, sfumate con vino rosso e aspettate che evapori la parte alcolica. Aggiungete un po’ di brodo e fate cuocere piano. A cottura quasi ultimata, trasferite la carne in un pentolino con del fondo di manzo e finite di cuocerla. Una volta pronta sarà tenerissima. Su ogni piatto mettete come base il caramello mou, spargete sopra la crema di sedano rapa con una spatolina, posizionate le semisfere, spolverate con le polveri di cavolo viola, barbabietola, fungo porcino e prezzemolo, spargete i semi di passion fruit e infine adagiate la guancia brasata. Le polveri si fanno tutte alla stessa maniera: estraete con un estrattore la polpa di ciascun ingrediente ed essiccatela con l’essiccatore a 30 °C per circa 8 ore. Alla fine tritate il residuo secco in un cutter. Il consiglio dello chef Usate il fondo di manzo anche se scegliete di preparare una guancia di maiale. Al massimo potete aggiungere degli ossi di maiale, ma vi sconsiglio di fare un fondo interamente a base di maiale perché verrebbe troppo forte.

Gunkan e nigiri di Wagyu Difficoltà ●○○ #crudi

Chi ha detto che il sushi debba essere solo di pesce? In questa ricetta vi presento due tagli classici del sushi, i gunkan e i nigiri, realizzati però con carne di Wagyu, una carne piacevolmente grassa che, come sapete, amo in modo particolare. La tecnica di preparazione del riso spiegata in questa ricetta è valida un po’ per tutte le forme di sushi, come i temaki (i coni di alga nori ripieni di riso) e gli uramaki (rotolini di riso con ripieno all’interno).

Ingredienti per 4 persone Riso Nishiki o originario 500 g Aceto di riso puro 120 mℓ Zucchero semolato 58 g Sale 22 g

Carpaccio di Wagyu (noce o picanha) 240 g Alga kombu 5 g

Preparazione Mettete a reidratare l’alga kombu in circa 50 millilitri di acqua. Lavate bene il riso fino a che l’acqua non sarà limpida, scolatelo e lasciatelo risposare per 15 minuti. Mettetelo in un coccio o una pentola a doppio fondo con mezzo litro di acqua, aggiungete l’alga kombu e portate a sfiorare il bollore. Chiudete con il coperchio per 3 minuti e fate cuocere a fiamma bassa, poi spegnete e lasciate il riso nella pentola ancora per un quarto d’ora. Nel frattempo, unite a freddo aceto di riso, sale e zucchero e mixate. Ci vorrà un po’, ma deve sciogliersi bene tutto. Appena il riso è cotto, versateci sopra il mix di aceto di riso con sale e zucchero e “stagliate”, cioè, invece di girare il riso normalmente, usate la paletta di legno come se fosse una lama, muovendola in orizzontale in modo da mescolare il riso senza schiacciarlo né appallottolarlo. Con un ventaglio (o con ciò che avete a disposizione) fategli aria per abbassare la sua temperatura a 40 °C e far evaporare l’aceto. Bagnatevi le mani con un goccio di acqua e aceto di riso, prendete circa 25 grammi di riso per volta e con le mani create delle polpette. Prendete il Wagyu e tagliatelo a striscioline che stenderete sulle polpette di riso. Potete metterlo sia crudo sia scottato alla piastra per alcuni secondi. Se optate per il crudo, ricordatevi di rispettare le norme sugli alimenti crudi: prendete la carne da un macellaio di fiducia e assicuratevi che sia sempre mantenuta a una temperatura di 8-10 °C al massimo. I tagli più adatti per questa ricetta sono noce e picanha.

3 regole per fare un ottimo sushi anche a casa 1. Utilizzate ovviamente carne e pesce di altissima qualità. 2. Trattate carne e pesce secondo le norme previste per i crudi. La carne non dovrà aver subito sbalzi di temperatura, perciò prendetela da un macellaio di cui vi fidate davvero. Il pesce va abbattuto termicamente portandolo a -20 °C in abbattitore per 24 ore o in freezer per 96 ore. Attenetevi alle norme descritte nella lezione Maneggiare i crudi a p. 138. 3. Scegliete riso di altissima qualità. Quello che molti considerano un dettaglio è in realtà la regola più importante per la riuscita del sushi. Il riso è l’ingrediente fondamentale per qualsiasi preparazione di sushi, che siano nigiri, uramaki, gunkan, chirashi o altro. Il tipo migliore è il Nishiki, un buon riso invecchiato che può costare fino a 50 euro al chilo. Esistono comunque diverse ottime marche, anche importate dal Giappone, a prezzi molto più accessibili, intorno ai 5-6 euro al chilo.

Insalata belga marinata Difficoltà ●○○ #marinatura

A molti l’indivia belga non piace per il suo retrogusto amarognolo, ma provate questa versione marinata in una salsa zuccherina e poi mi direte. Si tratta di un piatto perfetto per coloro che hanno fattto una scelta vegana.

Ingredienti per 4 persone Indivia belga 2 cespi Aceto di mele 250 mℓ Aqua frizzante 230 mℓ Zucchero 130 g Sale 1 cucchiaio

Ginepro 3 bacche Alloro 2 foglie Per la crema di sedano rapa: Sedano rapa 1 Panna 50 mℓ Latte di soia 250 mℓ Sale Olio EVO Per decorare: Spugna di pane Cipolla Cavolo viola Perlage di aceto balsamico Acetoselle Nasturzio Fiori eduli Spinacino rampicante Perlage di carota Polvere di barbabietola

Preparazione Preparate una marinatura con aceto di mele, acqua frizzante, sale, zucchero, ginepro, alloro (vedi anche la lezione Marinatura). Tagliate i cespi di insalata a metà nel senso della lunghezza. In un sacchetto per il sottovuoto mettete la marinatura e l’insalata a freddo, chiudete e lasciate marinare per qualche ora. Estraete l’insalata dalla marinatura, cospargetela con un po’ di zucchero e cuocetela su una piastra di ghisa. Il piatto in sé è pronto. Se volete, potete divertirvi con varie aggiunte. Nel piatto in foto ho accompagnato l’insalata con una crema di sedano rapa. Per farla, sbucciate il sedano rapa, tagliatelo a pezzettini, unite il latte di soia e mettete a cuocere sul fuoco. Regolate con un pizzico di sale e un filo d’olio. Una volta cotto il tutto, frullate, ottenendo un purè. Sull’insalata ho messo cipolla, cavolo viola, erbette e fiori vari, un perlage di aceto balsamico, un perlage di carota, polvere di barbabietola e una spugna di pane.

Per la spugna di pane, ho bagnato leggermente la mollica di pane con un estratto di zucca e l’ho messa nel sifone. In alternativa, potete seguire il procedimento descritto per la Spugna di zucca. Per i perlage, leggete la ricetta del Perlage di cavolo rosso. Per la polvere di barbabietola, mettete la barbabietola in un estrattore. Lasciate lo scarto in essiccatore a 35-40 °C per 8 ore, poi passate in un cutter.

Insalata di mare Difficoltà ●○○ #cbt #essiccazione #soffiatura

Ecco un piatto unico, a modo mio. L’insalata di mare è declinata qui in tre versioni: un antipasto adagiato su un letto di nero di seppia, un primo piatto con del farro e un secondo posato su una mezzaluna di seppia.

Ingredienti per 4 persone Seppie 2 Polpo 4 tentacoli Cozze 16 Vongole 16 Gamberi rossi 4 Farro 240 g Chips di farro Nero di seppia Olio EVO

Aglio 1 spicchio Pepe Scorza di limone o ravanello (facoltativo) Per i pomodorini confit: Pomodori datterini 12 Sale Olio EVO Zucchero a velo Maggiorana Timo

Preparazione Lavate il farro e fatelo cuocere per circa 30 minuti. Pulite le cozze e le vongole e fatele aprire nella maniera classica, ovvero mettendole in padella con uno spicchio d’aglio e un filo d’olio. Copritele con un coperchio: quando si apriranno, saranno pronte. Pulite le seppie, i gamberi e il tentacolo di polpo. Tagliate tutto a tocchetti, distendete ciascun tipo di pesce in un sacchetto del sottovuoto e senza condire chiudete i sacchetti. Mettete tutto in una vaschetta e cuocete con un roner a bassa temperatura a 60 °C. Il gambero sarà pronto in 5-6 minuti circa, per la seppia ci vorrà una decina di minuti, mentre il polpo dovrà cuocere per un’ora. Infine, lasciate raffreddare tutto con acqua e ghiaccio in modo da bloccare la cottura. Sbollentate per 30 secondi i pomodorini per togliere la buccia e conditeli con sale, olio, zucchero a velo, maggiorana, timo. Metteteli su una teglia con carta forno e infornate a 100 °C per 2 ore. Passate a impiattare. Per l’antipasto, stendete su ciascun piatto una striscia di nero di seppia e poggiate un pezzettino di ogni tipo di pesce. Per l’insalata di farro, condite il farro con i pomodorini, un pezzetto di gambero, un pezzetto di polpo e uno di seppia a persona; insaporite con sale, olio e pepe. Per il secondo, con un coppapasta ricavate quattro mezzelune dal corpo delle seppie e sopra di esse distribuite tutti i vari componenti. Tra un pezzo e l’altro ho infilato delle chips di farro. Per crearle, dovete far stracuocere il farro, stenderlo su carta forno o silpat, essiccarlo a 60 °C

per circa 12 ore, spezzare con le mani la lastra ottenuta e soffiare le chips in olio a 190 °C per qualche secondo. Rifinite con germogli vari, sale, olio, pepe e, se vi piace, qualche scorza di limone e qualche fettina di ravanello. Il consiglio dello chef Salate il farro a fine cottura, altrimenti tende a spaccarsi. In generale, preferisco salare tutto alla fine per avere sempre il controllo dei sapori.

Lingua con fondo di cipolla e gambero blu Difficoltà ●●○

Lingua e gamberi? Certo che sì: se sapete come abbinare i sapori, non c’è limite alla vostra fantasia. Gli unici limiti, come dice qualche saggio, sono quelli che ci poniamo nella nostra mente. Qui ho nobilitato uno scarto per eccellenza, la lingua, accostandolo a un ingrediente ricercato.

Ingredienti per 4 persone Gamberi blu 4 Lingua di manzo o maiale 1 Carote 3 Sedano 3 coste Cipolla 1 Pomodoro 1 Chiodi di garofano Sale

Per la guarnizione: Lamponi 4 Maionese all’aneto Olio EVO Per il fondo di cipolla: Cipolle dorate 5 Acqua fredda 1,2 ℓ Sale

Preparazione Mettete in acqua fredda carote, sedano, cipolla, pomodoro e chiodi di garofano, portate a bollore, salate e poi immergetevi la lingua. La cottura dipende dalla dimensione della lingua, ma ci vorrà circa un’ora e mezza. Una volta cotta, spellate la lingua mentre è ancora calda e poi raffreddatela in acqua leggermente salata e ghiaccio. Non gettate via l’acqua di cottura, perché vi servirà per i gamberi. Per il fondo, mettete le cipolle in forno a 180 °C su carta forno. Devono arrostire, fin quasi a bruciare. Poi trasferitele in una pentola con ghiaccio e acqua, per un totale di 1,2 litri compreso il ghiaccio. Fate sobbollire per circa 90 minuti. Filtrate tutto e lasciate restringere finché il fondo non risulterà denso come miele. Aggiungete un pizzico di sale, ma il sapore sarà comunque dolciastro perché la cipolla dorata è molto zuccherina. Per la maionese all’aneto, preparate una maionese aromatizzata con olio all’aneto; per donarle un verde brillante e conferirle un sapore più fresco, aggiungete circa un cucchiaio di estratto di aneto (vedi la ricetta Maionese - versione gourmet). Scottate leggermente i gamberi nell’acqua della lingua perché si insaporiscano, poi passateli in una padella rovente con un filo d’olio per renderli più croccanti: praticamente dovrete immergerli nell’acqua della lingua per 2 minuti e poi 2 minuti in padella. Tagliate la lingua a fette e cuocetele su una piastra, un minuto per lato. Su ogni piatto mettete una fetta di lingua e un gambero e irrorate con il fondo di cipolla. Guarnite con la maionese all’aneto, il lampone e qualche germoglio se vi piace.

Il consiglio dello chef In realtà il fondo di cipolla è una tipica preparazione di recupero, in cui possono finire tutti gli scarti del bulbo: la buccia come gli strati più esterni e bruttini. Ogni volta che avete degli scarti di cipolla o delle cipolle che stanno invecchiando, potete usarle per preparare un fondo. Nei sacchetti sottovuoto si conserverà per alcuni giorni. Così eviterete sprechi e avrete un po’ di fondo da usare all’occorrenza.

Maialino CBT Difficoltà ●●○ #cbt #essiccazione

Pensate che il maialino al forno non si batta? Bene, allora provate questo. Mentre il forno tende a seccare gli alimenti, in questa preparazione la cottura CBT mantiene il maialino tenerissimo e ricco dei suoi succhi. Per dargli uno sprint in più, al momento di impiattarlo l’ho panato in tre polveri diverse: polvere di pomodoro, polvere di paprika e polvere di nero di seppia.

Ingredienti per 4 persone Filetto di maiale 1 Burro salato 100 g (o chiarificato) Salvia Rosmarino Aglio Fondo bruno Polvere di pomodoro Polvere di nero di seppia Polvere di paprika Per la giardiniera: Broccolo ¼ Carota ¼ Sedano ¼ Cipolla ¼ Peperone rosso ¼ Peperone giallo ¼ Zucchina ¼ Melanzana ¼ Acqua 100 mℓ Aceto di vino bianco o di riso 100 mℓ Zucchero 25 g Sale 8 g Grani di pepe 3 g Chiodi di garofano 3

Preparazione

Pulite il maialino e avvolgetelo in una pellicola, così da dargli una forma e poterlo cuocere in modo omogeneo. Mettetelo sottovuoto, immergetelo in una vaschetta di acqua con un roner per la CBT e cuocete a 60 °C per un’ora (vedi la lezione Cottura a bassa temperatura). Una volta cotto, estraete il maialino dall’acqua e abbattetelo termicamente in acqua e ghiaccio o in abbattitore. Fate riposare la carne per almeno 4 ore; prima di usarla, assicuratevi che sia tornata a temperatura ambiente. Mettete il burro e gli aromi in una padella di acciaio e “nappate” il filetto, cioè fate in modo che sia rivestito di questo condimento su tutti i lati. Continuate finché il filetto non risulterà dorato esternamente. Spegnete il fuoco e aspettate qualche minuto che i succhi si concentrino. Non usate burro dolce, ma burro salato o acido (vedi ricetta Burri aromatizzati). Tagliate il filetto a fette spesse. In un piatto mettete della polvere di pomodoro, polvere di paprika e polvere di nero di seppia e fateci rotolare il filetto. Per ottenere la polvere di pomodoro, essiccate delle bucce di pomodoro in essiccatore a 30 °C per 4-6 ore, poi tritate tutto in un cutter e setacciate in modo che non restino rametti o altre impurità. Per la polvere di nero di seppia, stendete il nero di seppia nell’essiccatore e tenetelo a 35 °C per 12 ore. Tritate in un cutter la lastra ottenuta. Al momento di impiattare versate un po’ di fondo bruno sul piatto e poggiateci sopra il filetto. Io ho guarnito il piatto con una giardiniera. Tagliate tutte le verdure a piccoli pezzetti. Portate a sobbollire l’aceto, l’acqua, lo zucchero, il sale, il pepe, i chiodi di garofano e le verdure. Fate cuocere le verdure per 4-5 minuti, in modo tale che risultino cotte ma leggermente croccanti.

Melanzana parmigiana Difficoltà ●○○

Sapete già che in cucina mi piace riprendere piatti tradizionali e rivisitarli. Qui ho scomposto una parmigiana di melanzane, servendo le melanzane intere decorate come una bandiera dell’Italia, con una salsa verde al basilico, una fonduta di parmigiano e un ristretto di acqua di pomodoro.

Ingredienti per 4 persone Melanzane 4 Pomodori ramati 20 Per 100 g di fonduta di parmigiano: Parmigiano 200 g Latte 150 g Per la salsa al basilico: Basilico 100 g Sale Gomma di xantana Olio EVO

Preparazione Fate un ristretto di acqua di pomodoro. Prendete dei bei pomodori ramati, frullateli e passateli con una garza di etamina o un colino a maglie molto strette, facendo gocciolare piano piano l’acqua in un recipiente. Fate restringere un po’ l’acqua di pomodoro lasciandola sobbollire finché non si sarà ridotta di circa la metà e avrà preso un bel colore bordeaux. Aggiungete un pizzico di sale. Per preparare la salsa al basilico, prima sbollentatelo in acqua leggermente salata, poi passatelo in acqua e ghiaccio, infine frullate le foglie con un goccio d’olio, la gomma di xantana e un pizzico di sale. Non esiste una dose per la gomma di xantana, posso solo dire di andarci molto cauti.

Per la fonduta di parmigiano scaldate il latte fino a sfiorare il bollore, aggiungete il parmigiano, frullate con un mixer e infine filtrate. Se la fonduta è troppo densa, potete aggiungere un po’ di latte. Cuocete le melanzane intere in forno a 180 °C per circa 40 minuti. Sfornatele e sbucciatele fino alle estremità. Mettetele a scolare dell’acqua e tamponatele. Calcolate una melanzana a testa, ma se risultano piccole potete usarne due, aperte a libro una sull’altra. Guarnite infine le melanzane già impiattate con le salse, a richiamare la bandiera italiana.

Peposo del Brunelleschi Difficoltà ●○○

Questo spezzatino molto speziato, tipico dei dintorni di Firenze, si cuoceva tradizionalmente in ciotole di terracotta che venivano posate all’imbocco delle fornaci e lì lasciate a sobbollire per molte ore. Per questo pare che il peposo fosse il ristoro preferito dai fornacini. Più che mai nella prima metà del Quattrocento. In quel periodo tutta l’area intorno a Firenze pullulava di forni in cui si producevano i mattoni per l’imponente opera che l’architetto Filippo Brunelleschi stava realizzando a Firenze: la cupola di Santa Maria del Fiore. In un certo senso, quindi, dovremmo ringraziare Brunelleschi anche per aver ispirato questo capolavoro culinario.

Ingredienti per 4 persone Muscolo di manzo 2 kg Vino rosso (Chianti) 1 ℓ Aglio 3 spicchi Pepe nero in grani 35 g Olio EVO Concentrato di pomodoro 1 cucchiaio Rosmarino Salvia Alloro Sale

Preparazione Pulite la carne, tagliatela a tocchetti di circa 2 centimetri. In una pentola che possa andare in forno scaldate un po’ d’olio con l’aglio, il rosmarino e la salvia. Dopo qualche minuto, quando l’olio si sarà insaporito, aggiungete la carne e fatela rosolare a fuoco medio fino a che non si sarà sigillata da ogni lato. Una volta che si sarà imbrunita, aggiungete le foglie di alloro, il pepe, il concentrato di pomodoro e versate il vino fino a coprire la carne. Fate

riprendere il bollore in modo che evapori la parte alcolica, chiudete con un coperchio e infornate a 140 °C per 3 ore, girando la carne ogni 30 minuti. Verso fine cottura regolate di sale. Sfornate e servite.

Cuocere la carne come si deve Per una cottura perfetta della carne ci sono un paio di cose che è importante sapere. Innanzitutto, la dimensione della pentola varia in base al tipo di cottura che dovete fare. Per lo stufato ci vuole una pentola piccola con coperchio, così ci vorrà poca acqua e la carne cuocerà nel proprio succo, risultando tenera e saporita. Anche per l’arrosto è preferibile una teglia piccola ma con un po’ di spazio ai lati, in cui i succhi rimangano a costituire il sughetto di cottura, ma nello stesso tempo non ristagnino, facendo sembrare la carne lessa. Nella bollitura un tegame piccolo vi permette di coprire la carne impiegando una quantità di acqua sufficiente ma modesta. In un tegame grande, invece, dovrete aggiungere troppa acqua per arrivare a coprire tutto, di conseguenza i succhi si diluiranno troppo. Nella cottura in padella, al contrario, ci vuole molto spazio, perché i succhi evaporino e la carne si insaporisca. Il secondo dettaglio riguarda la temperatura di cottura. La carne non deve cuocere né troppo né troppo poco, ma quel tanto che basta perché si verifichino alcune reazioni chimiche. Semplificando, ecco le temperature ideali per la cottura delle varie carni: vitello e agnello: tra 55 e 70 °C; manzo: tra 45 e 65 °C; maiale e pollame: tra 65 e 70 °C. Il modo migliore per controllare la temperatura è dotarsi di una sonda con un ago che si infila al cuore della carne.

Petto d’anatra con gelato al gorgonzola e il suo fondo Difficoltà ●●○ #flambatura

Questo piatto è apparentemente minimal ma in realtà piuttosto complesso, perché richiede precisione nell’aspetto e nell’esecuzione. È un petto d’anatra alla piastra, accompagnato da porro al forno e da un gelato al gorgonzola, che consiglio di sperimentare perché si sposa benissimo con questa carne.

Ingredienti per 4 persone Petti d’anatra 2 Porri 2 Fondo d’anatra

Per il gelato al gorgonzola: Latte 360 mℓ Gorgonzola 120 g Latte magro in polvere 5 g Farina di semi di carrube 2 g Trealosio 50 g Destrosio 30 g Sale 4 g

Preparazione Preparate il gelato al gorgonzola. Unite tutte le polveri e mixate, poi versatele a poco a poco in 80 millilitri di latte a una temperatura non superiore ai 40 °C. Fate scaldare il latte restante e aggiungetelo insieme al gorgonzola. Frullate fino a ottenere la consistenza di una crema inglese. Lasciate raffreddare il composto in una terrina con acqua e ghiaccio e mettetela a riposare in frigorifero per 7 ore. Una volta pronto, versate tutto nella gelatiera. Prendete i due porri e tagliateli a metà, avvolgeteli nella carta stagnola e passateli in forno a 180 °C per circa 55 minuti. Sfornateli e finiteli con una leggera flambatura (vedi la lezione Flambatura). Cuocete i petti d’anatra alla piastra, assicurandovi che raggiungano i 44 °C al cuore. Per la preparazione del fondo d’anatra potete seguire la ricetta del Fondo bruno, sostituendo il manzo con l’anatra. Per ogni piatto calcolate mezzo petto di anatra e mezzo porro. Condite i petti con un po’ di fondo d’anatra, che nella foto ho messo al centro del piatto per un effetto più geometrico. Sul porro posate il gelato al gorgonzola.

Polpette di lampredotto Difficoltà ●○○ #estrazione

Se la stavate cercando, eccola qui: la ricetta dello street food fiorentino per eccellenza. Il lampredotto è una parte dello stomaco di vitello, precisamente l’abomaso, quindi in pratica si tratta di trippa. Se state arricciando il naso è perché non lo avete mai mangiato come si fa a Firenze: in un panino, condito con salsa verde o con un po’ di peperoncino. Queste polpette si basano sulla ricetta originale del lampredotto, che mi è stata gentilmente concessa da un anziano signore fiorentino. Perciò qui avete di fatto due ricette in una: potete seguire solo la prima parte per preparare un lampredotto a regola d’arte, oppure proseguire con le polpette.

Ingredienti per 4 persone

Lampredotto già pulito e bollito 600-700 g Carote 2 Pomodori 2 Cipolle 2 Alloro Bacche di ginepro Pepe Peperoncino (facoltativo) Per le polpette: Pangrattato Olio per friggere Latte 20 mℓ Uova 4 Farina 0 o 00 Pane senza crosta 4 fette Maionese all’aglio Maionese al prezzemolo Per la salsa verde: Prezzemolo 100-120 g Capperi sott’aceto 1 cucchiaio Acciughe sott’olio 3 filetti Tuorlo sodo 1 Pane raffermo 4 g Aceto di vino bianco 30 g Aglio 1 spicchio Olio EVO Sale Pepe nero

Preparazione Tagliate a pezzi grossi tutte le verdure, aggiungete le spezie e portate tutto a bollore in una pentola con acqua leggermente salata. Aggiungete il lampredotto intero e fate cuocere a fiamma media per circa 35 minuti. Per la salsa verde, basta frullare insieme tutti gli ingredienti indicati. Il panino al lampredotto si può condire anche con maionese piccante, ossia una Maionese con aggiunta di pesto di peperoncino.

Ora si possono preparare le polpette. Una volta freddato il lampredotto, scolatelo insieme a un po’ di verdure di cottura, battete tutto a coltello e formate delle polpette semplicissime, con l’aggiunta di due uova e un po’ di mollica di pane raffermo bagnata nel brodo del lampredotto. Mischiatele altre due uova e il latte e sbattete fino ad amalgamare. Passate le polpette prima nella farina, poi nel latte e uovo e infine nel pangrattato. Se preferite una panatura più spessa, ripetete l’operazione una seconda volta. Friggete in olio ben caldo, pochi pezzi alla volta per non far abbassare la temperatura dell’olio. Ho accompagnato le polpette con maionese all’aglio e maionese al prezzemolo “modificata”. La maionese all’aglio si prepara con estratto di aglio (vedi la ricetta Maionese - versione gourmet). La maionese al prezzemolo si fa con l’estratto di prezzemolo, a cui in questo caso ho aggiunto un’alice e qualche cappero frullato per ricordare la salsa verde.

Rosa di daikon Difficoltà ●●○ #sferificazione #marinatura

Simile a una grossa carota bianca, il daikon è in realtà una radice di origine asiatica imparentata con i cavoli. Fino a qualche anno fa non era molto usato in Italia, ma ora si sta diffondendo sempre di più, anche per le sue proprietà nutrizionali. È ricco di minerali, ma soprattutto ha una grande capacità di bruciare i grassi, perciò è perfetto per sgrassare la bocca e aiutare la digestione. Non a caso, in Giappone è usato per accompagnare la tempura (frittura). Qui lo propongo in forma di rose ripiene di caviale e perlage di cavolo rosso.

Ingredienti per 4 persone Daikon 1 Aceto di riso 160 g Acqua 200 mℓ Zucchero 40 g Sale 10 g Pepe nero 2 g Coriandolo 2 g Caviale Beluga Caviale di trota salmonata Perlage di cavolo rosso

Preparazione Pulite il daikon e con la mandolina affettatelo a fettine molto sottili nel senso della lunghezza, quindi immergetelo in acqua fredda. A parte mettete in un pentolino aceto di riso, acqua, zucchero, pepe, sale, coriandolo e portate a ebollizione. Fate bollire finché il liquido non si sarà ridotto della metà. Filtrate e lasciate freddare. Immergete le fette di daikon nel liquido. Se avete l’attrezzatura per il sottovuoto, mettete il daikon e la marinatura in un sacchetto e chiudete. Se

non avete il sacchetto, lasciate marinare il daikon in una vaschetta di plastica. Dopo qualche ora le fettine di daikon avranno preso una grandissima acidità e una bella freschezza e saranno perfette per pulire la bocca. Avvolgete ogni fetta su se stessa a formare dei coni che poi riempirete, alternandoli, con i caviali e il perlage di cavolo rosso. Per la preparazione del perlage, vedi la ricetta Perlage di cavolo rosso.

Salmone marinato Difficoltà ●○○ #marinatura #crudi #estrazione

Pare che ormai 73 famiglie italiane su 100 comprino salmone con una certa regolarità. Nonostante non sia un pesce nostrano, il salmone si è dunque ricavato un posto fisso sulle nostre tavole. Qui lo propongo in una versione molto semplice: marinato nell’estratto di rape rosse.

Ingredienti per 4 persone Salmone fresco 400 g Rape rosse 1-2 (dipende da quanto succo contengono)

Preparazione Abbattete termicamente il salmone portandolo a -20 °C in abbattitore per 24 ore o in freezer per 96 ore, come prevedono le norme del Ministero della Salute (vedi Maneggiare i crudi). Estraete il succo dalle rape rosse e immergetevi il salmone per alcune ore. Tutto qui. Vedrete che in questa soluzione zuccherina il pesce acquisirà colori e aromi particolari. Più tempo il salmone resterà nella marinatura, più il colore penetrerà fino al cuore.

I tagli del pesce Quando si ha a che fare con pesci di grandi dimensioni, il pesce viene suddiviso in parti che vengono usate per preparazioni diverse in base alle loro caratteristiche. Nel caso del salmone, per esempio, la parte dorsale, quella più vicina alla pinna dorsale, è la più ricca di grassi, perciò è la più adatta per cotture alla griglia e cotture lunghe. La parte appena sottostante ha un certo equilibrio tra grassi e carne magra, perciò è molto versatile. Si usa per diverse preparazioni, tra cui anche tartare e sushi. La pancia è ricca di Omega-3 e molto saporita, per questo è considerata una prelibatezza. La coda, invece, è la parte meno pregiata perché è più magra e ha una venatura centrale, per questo in genere viene tritata.

Salmone CBT Difficoltà ●○○ #cbt #marinatura

Tra i viaggi che ho fatto, sono stato diverse volte in Ucraina, dove ho avuto modo di soggiornare per alcuni mesi, andarmene in giro, assaggiare piatti nei ristoranti, parlare con la gente e carpire qualcuno dei loro segreti culinari. Continuavano a mangiare salmone abbinato a panna acida, che si utilizzava dappertutto. Anche l’aneto e l’aglio erano sempre presenti. Questo piatto è legato al ricordo di quei viaggi. Non è una ricetta tradizionale ucraina, ma una mia creazione nata dall’unione di quei sapori.

Ingredienti per 4 persone Salmone 400 g Panna acida 120 g

Zucchero 80 g Sale 160 g Acqua 1,6 ℓ Olio all’aneto Coriandolo Aneto

Preparazione In questa ricetta il salmone viene cotto sottovuoto con la tecnica della CBT, ossia a bassa temperatura. Non raggiungerà quindi la temperatura di 60 °C necessaria per abbattere gli agenti patogeni. Di conseguenza, dovrete trattare il salmone come se fosse un crudo, abbattendolo termicamente in freezer per 96 ore a una temperatura di -20 °C, oppure in abbattitore per 24 ore (vedi la lezione Maneggiare i crudi).

Create una marinatura mescolando il sale e lo zucchero in 1,6 litri di acqua fredda. Immergete il salmone in questa salsa per circa 45 minuti. Sciacquate il pesce, tamponatelo e chiudetelo nei sacchetti sottovuoto per la CBT (vedi la lezione Cottura a bassa temperatura). Immergete il sacchetto nella vaschetta per la CBT e cuocete per un’ora a 40 °C. Quando lo estrarrete, avrà la consistenza di un burro, tanto che potrete tagliarlo con un cucchiaio in qualsiasi verso. Al salmone ho accostato una panna acida. Si trova anche già pronta, ma se volete prepararla voi, il giorno prima versate un bicchiere di panna fresca in una ciotola e aggiungete qualche goccia di limone, poi copritela con una garza sterile umida e lasciate riposare in frigorifero. L’indomani vedrete che è avvenuta la magia: i batteri hanno trasformato la panna in panna acida, modificandone anche la consistenza. Riponetela in frigorifero.

Al momento di usarla, scolate la parte liquida e utilizzate quella più cremosa, in cui i batteri hanno agito più velocemente. Mettete la panna acida in una sac à poche e distribuitela a nido sul piatto accanto al salmone. Con il manico di un cucchiaino scavate un piccolo buco nella panna, in cui verserete dell’olio all’aneto (per la preparazione, vedi la ricetta Oli aromatizzati).

Condite il salmone con un pizzico di coriandolo e qualche foglia di aneto. Se volete dare un sentore di affumicatura, potete usare un affumicatore. In questo caso, io ho bruciato nell’affumicatore del legno di faggio e ho lasciato il salmone e la panna acida sotto la campana per 20-30 secondi: non di più, altrimenti il sapore diventa troppo forte. Il consiglio dello chef In questa ricetta non ho messo né sale né pepe perché il salmone sarà già molto saporito. Se vi piace, potete invece condire con qualche goccia di Salsa teriyaki.

#marinatura In queste ultime due ricette abbiamo familiarizzato con la tecnica della marinatura, in cui si immerge un alimento in un liquido per un tempo più o meno lungo, al fine di conferire all’alimento sapori e talvolta consistenze diversi. Se le marinature di base sono piuttosto comuni, come la marinatura della carne prima di cuocerla alla brace, non tutti sanno che dietro la marinatura si nasconde un mondo. Ne esistono diversi tipi: sotto sale, sotto zucchero, a contatto diretto, indiretto, sotto altre fonti… Alcune marinature intervengono solo sul sapore, come nel Salmone marinato, mentre altre alterano la consistenza perché destrutturano l’alimento, come nel caso del Salmone CBT. Il Salmone marinato viene immerso in un liquido zuccherino che non influisce sulla sua consistenza. Il Salmone CBT, invece, tramite la marinatura con il suo “sale bilanciato” viene di fatto sottoposto a una prima cottura che lo renderà tenero come burro. La salinità cuoce le carni destrutturandole, cioè agendo sui grassi del salmone e sulla parte proteica, mentre lo zucchero serve per bilanciare i sapori, in modo che il pesce non diventi troppo salato. Il risultato è che quando estrarrete il filetto sarà molto più morbido e avrà perso una percentuale di grasso. Le marinature possono quindi servire a fare una prima cottura, come quando si faceva il carpaccio condito con succo di limone e un filo d’olio e la carne si cuoceva per un processo chimico, a causa dell’acidità e non del calore. Lo stesso processo avviene, per esempio, quando si marina l’uovo nella salsa di soia. Altre volte invece le marinature servono alimento l’imprinting (diciamo così) di all’opposto per attenuare un sapore, come spesso viene sottoposta a marinatura per intenso.

per insaporire, per dare a un un altro alimento, oppure si fa con la selvaggina, che stemperare un gusto troppo

Seppie e piselli 2.0 Difficoltà ●●○ #cbt

Ecco un classico piatto di seppie e piselli, a cui ho dato però una forma stravagante, allo scopo di renderlo originale. Sono infatti dell’opinione che quando si va al ristorante si paghino non solo il piatto, ma anche l’idea e la presentazione. Il piatto in sé è semplicissimo. Tutta la difficoltà sta nella tecnica. La composizione finale richiede un po’ di tempo e, soprattutto, molta precisione.

Ingredienti per 4 persone Seppie grandi 2 Piselli 200 g (meglio se freschi) Nero di seppia 20 g Sale Pepe Agar-agar 1,6 g Olio EVO

Preparazione Sbollentate i piselli in acqua salata per circa 10 minuti e poi fateli raffreddare in acqua e ghiaccio. Frullateli e aggiungete l’agar-agar. Portate a sfiorare il bollore per 30 secondi, per attivare l’agar-agar. Setacciate con un colino a maglie strette. Continuate a frullare aggiungendo un filo d’olio e regolate di sale. Trasferite la purea di piselli in due stampi plissé e abbattete termicamente in abbattitore o in freezer, poi sformateli e conservateli in congelatore. Pulite le seppie, togliendo tutte le parti più coriacee come alette, testa e tentacoli. Frullate il corpo della seppia finché non otterrete una crema setosa. Stendetela in due stampi, mettetela in sacchetti per il sottovuoto, togliete

l’aria e mettete in cottura CBT a 60 °C per 10 minuti. Una volta terminata la cottura, raffreddate con acqua e ghiaccio. Infine mettete in abbattitore. Sformate i plissé. A questo punto avrete due dischi di seppia e due dischi di piselli. Disponete su un tagliere i dischi e aspettate che si decongelino quanto basta per poterli tagliare. Con l’aiuto di un righello, dividete ogni disco in quattro parti della stessa misura. È un lavoro di precisione, perché poi dovrete ricomporre ogni disco accostando, alternandole, una parte bianca e una verde. Una volta tagliati, con molta delicatezza sformateli e ricomponeteli nei quattro piatti che avrete schizzato appena con del nero di seppia. Condite con sale, olio e pepe. Aspettate una ventina di minuti che i dischi tornino a temperatura ambiente e servite. Il consiglio dello chef Con gli scarti della seppia potete fare un Cervello di seppia. Potrete servirlo come amuse-bouche prima di questo piatto. Così non getterete via nulla e l’effetto stupore sui vostri ospiti sarà assicurato. Sempre seguendo la ricetta del Cervello di seppia, potete anche scegliere di cuocere il tutto in un forno a vapore e nello stesso identico tempo avrete degli gnocchetti di seppia.

Tartare di anatra Difficoltà ●●○ #essiccazione #crudi

In origine era l’anatra all’arancia. Qui l’anatra è servita in forma di tartare, ma ho conservato l’abbinamento di sapori con l’arancia, da cui ho ricavato una salsa.

Ingredienti per 4 persone Petti d’anatra 2 Arance 2 Sale Olio EVO Pepe Agar-agar 1 g Miele Rafano Per la maionese al miele e senape: Olio di semi 200 mℓ Uovo 1 Sale un pizzico Limone o aceto (come preferite) un goccio Senape 1 cucchiaio Miele 1 cucchiaino

Preparazione Preparate una maionese classica (vedi la ricetta Maionese) montando insieme tutti gli ingredienti soliti, a cui aggiungerete la senape e il miele. Tagliate un’arancia a fettine sottili, fatela essiccare a 35-40 °C per circa 24 ore e dividete poi le fette in spicchi. Prendete i petti d’anatra e preparate la tartare tagliandoli prima a fettine, poi a striscioline e infine a cubetti. Condite con sale, olio e pepe.

Spremete l’altra arancia, aggiungete un pizzico di agar-agar, un goccio di miele e di rafano. Cuocete a fuoco medio per qualche minuto, poi spegnete e lasciate raffreddare. Una volta che il composto si sarà raffreddato, giratelo con energia. Otterrete una salsa che per consistenza ricorda un po’ la crema inglese. Infine componete il piatto: disponete la tartare a mezzaluna e guarnite con gli spicchi di arancia essiccata, la maionese e vari germogli che doneranno freschezza e acidità al piatto. Al centro versate invece un po’ di salsa all’arancia.

Tataki di tonno Difficoltà ●○○ #crudi

Il tataki è una preparazione giapponese in cui la pietanza viene servita appena scottata in padella, in modo da formare solo una sottile crosta esterna. Viene tradizionalmente accompagnato con salsa ponzu.

Ingredienti per 4 persone Tonno 480 g Caviale 5 g Avocado Lime Chips (facoltative) Sale

Per la salsa ponzu: Soia 100 mℓ Mirin 30 mℓ Succo di limone 30 mℓ Maizena 10 g

Preparazione Mescolate e portate sul fuoco tutti gli ingredienti della salsa ponzu, fatela addensare leggermente, quanto basta perché assuma la densità di uno sciroppo. Prendete un avocado bello maturo, dalla polpa cremosa. Pulitelo, frullatelo e condite la crema con un pizzico di sale e qualche lacrima di lime per dargli freschezza e non farlo annerire. Comprate del tonno abbattuto termicamente, oppure fatelo voi, mettendolo nell’abbattitore per 24 ore o in freezer a una temperatura di -20 °C per 96 ore (vedi la lezione Maneggiare i crudi). Scottate il tonno sui due lati per qualche minuto, su una padella antiaderente rovente. Sul fondo del piatto tracciate una striscia di salsa ponzu, adagiatevi sopra il tonno e guarnitelo con una goccia di salsa di avocado e il caviale. Potete aggiungere delle piccole chips per inserire una componente croccante (vedi per esempio la ricetta Chips italiane di tapioca). Accanto al tonno ho posato una quenelle di salsa di avocado. La quenelle Molto usata negli impiattamenti dei ristoranti, la quenelle non è altro che una crema o un composto di consistenza cremosa a cui, al momento di servire, viene data una forma ovale. In genere fa da accompagnamento a un’altra pietanza.

Triglia croccante alle nocciole Difficoltà ●○○

Non solo triglie alla livornese o fritte: qui la triglia indossa una livrea insolita e croccante, fatta di una panatura di nocciole, con accompagnamento di crema di zucca e maionese al rafano.

Ingredienti per 4 persone Triglie di scoglio 8 Zucca 200 g Uovo 1 Nocciole tritate Maionese al rafano Gomma di xantana un pizzico

Salvia Rosmarino Sale Olio EVO Carbone vegetale (facoltativo) Pangrattato

Preparazione Avvolgete la zucca con tutta la buccia nella carta forno e poi nella carta stagnola con salvia e rosmarino. Infornate a 250 °C per circa un’ora, dopodiché togliete la buccia, che a quel punto verrà via con un cucchiaino. Frullate la polpa con un pizzico di gomma di xantana, sale e un filo d’olio a lucidare. Private le triglie delle lische e spinatele molto attentamente, poi bagnatele in un uovo sbattuto, impanatele leggermente nel pangrattato, passatele di nuovo nell’uovo sbattuto e impanatele con le nocciole tritate. Fate cuocere le triglie in padella con carta forno, in modo che la panatura non si sciupi nel contatto diretto con il fondo e mantenga un sapore molto delicato. Cuocete davvero poco, un minuto per lato. Impiattate le triglie insieme alla crema di zucca e qualche goccia di maionese al rafano. Nella foto ho sporcato la crema di zucca con del carbone vegetale. La maionese al rafano si ottiene preparando una Maionese - versione aromatizzata a cui aggiungerete un Olio aromatizzato al rafano.

Wagyu tartare king Difficoltà ●○○ #crudi

Per la regina delle tartare, preparata con il mio amato Wagyu, ho creato questa ricetta con tanto di corona, in cui il sapore del Wagyu è accompagnato ed esaltato dal condimento con l’uovo, dalla salsa guacamole e dalla maionese al rafano.

Ingredienti per 4 persone Fesa di noce di Wagyu 200 g Tuorlo 1 Avocado 1 Fiori di zucca 4 (uno a testa) Salsa di soia Mirin Maionese al rafano Olio Lime Sale Per il riso: Riso Nishiki o originario 500 g Aceto di riso puro 120 mℓ Zucchero semolato 58 g Sale marino 22 g Alga kombu 5 g

Preparazione Essiccate i fiori di zucca non nell’essiccatore ma nel microonde: stendete la pellicola per microonde su un piatto quadrato e disponetevi sopra i fiori. Ungeteli con un po’ di olio e copriteli con dell’altra pellicola per microonde, praticandovi dei piccoli fori. Fate cuocere per 30 secondi alla massima potenza. Otterrete delle specie di chips. Imprimete ai fiori la forma tondeggiante avvolgendoli intorno a un bicchiere. Preparate una salsa tipo guacamole sbucciando, denocciolando e frullando un avocado bello maturo. Condite la crema ottenuta con un po’ di sale e di lime, che non farà annerire la salsa e la renderà più fresca.

La maionese al rafano si ottiene preparando una Maionese - versione aromatizzata a cui aggiungerete un Olio aromatizzato al rafano. Preparate il riso, che costituirà la base per la carne. Sciacquatelo bene, scolatelo e lasciatelo riposare per un quarto d’ora. Mettetelo in un coccio o una pentola a doppio fondo con mezzo litro di acqua e l’alga kombu precedentemente reidratata in 50-60 millilitri di acqua fredda. Portate a sfiorare il bollore. Chiudete con il coperchio per 3 minuti e fate cuocere a fiamma bassa, poi spegnete e lasciate il riso nella pentola ancora per un quarto d’ora. Appena il riso è cotto, versateci sopra l’aceto di riso con sale e zucchero e “stagliate”, cioè invece di girare il riso normalmente, usate la paletta di legno come se fosse una lama, muovendola in orizzontale in modo da mescolare il riso senza schiacciarlo né appallottolarlo. Con un ventaglio (o con ciò che avete a disposizione) fategli aria, in modo da abbassare la sua temperatura a 40 °C e far evaporare l’aceto. Quando il riso sarà freddo, formate quattro cerchi con un coppapasta. Tagliate la carne a striscioline e poi a cubetti, quindi conditela con salsa di soia, mirin e un tuorlo d’uovo, che andranno a creare una specie di marinatura. Al momento di impiattare, disponete su ogni piatto un disco di riso e posateci sopra la tartare. Guarnite con un po’ di maionese al rafano e qualche goccia di guacamole. Concludete sistemando intorno a ogni disco un fiore di zucca, come se fosse una corona.

DOLCI Finora ci siamo concentrati su ricette salate, ma la verità è che i dolci sono da sempre nel mio DNA, grazie ai miei zii pasticceri. Si dice spesso che ogni cuoco abbia una propensione spiccata o per il dolce o per il salato, mai per entrambi. Può darsi, ma quando preparo i dolci le mie mani vanno da sole, ricordando i movimenti che ho fatto e visto fare innumerevoli volte dai miei zii. Il mio ricettario è in gran parte salato, ma non so immaginare il mio compleanno senza una Torta Sacher, né il Natale senza un buon panettone… Le portate principali saranno anche salate, ma alla fine un bel dolce ci vuole! E, da buon nipote di pasticceri, vi dico subito che in pasticceria esiste una sola regola: pesare tutto, ma proprio tutto, uova comprese.

Bavarese Difficoltà ●●●

La bavarese classica è un dolce al cucchiaio simile a un budino. E, sorpresa, a dispetto del suo nome non è stata inventata in Baviera, ma da pasticceri francesi. Ve la propongo qui in versione torta, con una base di biscuit al cacao e un inserto ai frutti di bosco immerso in una crema bavarese alla vaniglia e cioccolato bianco. Il tutto coperto da una glassa specchio. Facile? Meno di quanto possa sembrare. La difficoltà di questa torta sta nella precisione.

Ingredienti per 4 persone Per il biscuit: Albumi 250 g Cacao in polvere 100 g Zucchero 160 g Tuorli d’uovo 215 g Per la crema bavarese: Latte 250 g Zucchero 60 g Tuorli d’uovo 90 g Gelatina 10 g Cioccolato bianco 270 g Panna semimontata 650 g Per l’inserto ai frutti di bosco: Frutti di bosco freschi 250-300 g Glucosio 20 g Gelatina 10 g Per la glassa a specchio: Zucchero 300 g Glucosio 300 g Latte condensato 175 g Acqua 250 g + 75 g Gelatina 22 g Burro di cacao 140 g Colorante 3 g

Preparazione Mettete la gelatina a reidratarsi nell’acqua. Per il biscuit, montate lo zucchero e il tuorlo d’uovo, poi aggiungete il cacao. A parte montate l’albume e poi mescolate tutto con movimenti dall’alto verso il basso per non smontare l’impasto. Stendetelo su una teglia rivestita con carta forno e infornate a 180 °C per 15 minuti. Sfornate e spolverate con dello zucchero per mantenere l’umidità. Passate alla crema bavarese al cioccolato bianco: mischiate tuorli e zucchero come a fare una crema inglese, poi portate a ebollizione il latte e rovesciatevi dentro lo zucchero con i tuorli. Portate a 82 °C. Spegnete il fuoco, aggiungete il cioccolato tritato e la gelatina strizzata ed emulsionate con un frullatore a immersione. Una volta che il composto si sarà raffreddato fino a circa 35 °C, unitelo alla panna semimontata (ossia montata per metà). Frullate i frutti di bosco, setacciateli e unite glucosio e gelatina. Portate sul fuoco e fate rapprendere, poi versate tutto in uno stampo e mettete in freezer. Per la glassa a specchio, mischiate zucchero, glucosio e 250 millilitri di acqua. Portate a ebollizione fino a 110 °C, poi aggiungete il latte condensato sciolto in 75 millilitri di acqua e aspettate che riprenda a bollire. Unite la gelatina, il burro di cacao e il colorante. Emulsionate con un frullatore finché non si sarà sciolto tutto, quindi lasciate risposare la glassa per una notte. Infine, assemblate le varie componenti. In uno stampo di silicone versate la bavarese, poi la gelée ai frutti di bosco, altra bavarese e infine il biscuit. Una volta che avrà riposato in freezer per almeno una notte o in abbattitore per qualche ora, fino a raggiungere i -25 °C, sformatela, capovolgetela e procedete alla glassatura. Coprite con la glassa a specchio, dopo averla portata alla temperatura di 35-40 °C. In alternativa, potete semplicemente spruzzare del burro di cacao colorato.

Il consiglio dello chef Attenzione al momento di incorporare la panna semimontata nella crema bavarese: se la crema al cioccolato è più calda di 35 °C farà sciogliere la panna, mentre se la panna è troppo montata e troppo fredda potrebbero formarsi dei grumi.

Biscotti di Prato Difficoltà ●○○

Semplicissimi, eppure buonissimi. I biscotti di Prato appartengono alla mia terra e alla mia infanzia: uno di quei cibi che, quando li metto in bocca, mi fanno tornare improvvisamente bambino. Tutti, ogni tanto, abbiamo bisogno di sapori così.

Ingredienti per 4 persone Uova 150 g Zucchero 185 g Farina setacciata 500 g Burro 120 g Mandorle con la buccia 220 g Lievito per dolci 9 g (1 bustina) Scorza di limone Zucchero semolato

Preparazione Mettete in una planetaria le uova, lo zucchero, il burro a temperatura ambiente, la scorza di limone e il lievito. Mescolate con la frusta a foglia (in gergo “foglia kappa”) e, un po’ alla volta, aggiungete metà della farina setacciata. Unite le mandorle e continuate ad aggiungere la farina. Togliete l’impasto dalla planetaria e lavoratelo a mano, lasciando da parte un po’ di farina con cui continuerete a spolverare via via l’impasto. Preparate una teglia rivestita di carta da forno e formate dei panetti. Preriscaldate il forno statico a 180 °C. Spolverate i panetti con zucchero semolato e infornate per 30 minuti. Una volta sfornati i panetti, tagliateli a fette spesse circa un pollice. Stendete i biscotti sulla teglia e infornate di nuovo per 10 minuti a 160 °C, per renderli più croccanti e farli asciugare bene.

Girella Difficoltà ●●○

Il grosso ostacolo delle girelle sono le piegature, che vanno fatte per bene, affinché l’interno risulti morbido e arioso come deve essere. Ve lo dice uno che è praticamente cresciuto in una pasticceria. Ma se imparerete la manualità, alla fine sarete in grado di sfornare girelle a profusione. In questa ricetta ho accompagnato le girelle con una crema inglese al cioccolato. Ingredienti per 15-20 girelle Lievito di birra 15 g Zucchero 140 g Latte 300 mℓ Farina di Manitoba 700 g Tuorli 85 g Burro per l’impasto 70 g Burro per sfogliare 275 g Per la crema inglese al cioccolato: Latte intero 300 mℓ Tuorli 150 g Sale un pizzico Panna fresca 180 g Vaniglia 1 g Zucchero 110 g Cioccolato fondente 50 g al 70 per cento Scorza di limone

Preparazione Iniziate dalla crema inglese. Unite latte, panna, vaniglia e scorza di limone e portate a sfiorare il bollore. A parte, sbattete i tuorli con lo zucchero e un pizzico di sale, quindi aggiungete il latte caldo con la vaniglia, togliendo la scorza. Rovesciate tutto in un altro pentolino e portate la crema a 85 °C, poi filtrate con un colino.

Fate fondere il cioccolato a bagnomaria e aggiungetelo alla crema ancora calda, poi fate raffreddare velocemente. Anche fredda, la crema resterà comunque abbastanza liquida perché non contiene amido. Per la girella, in una planetaria mescolate tutti gli ingredienti tranne il burro e i tuorli, lavorando l’impasto con la frusta a foglia. Non appena l’impasto prenderà consistenza, sostituite la foglia con il gancio e aggiungete i tuorli un po’ alla volta finché non saranno del tutto assorbiti. Incorporate a questo punto 70 grammi di burro “a pomata”, cioè morbido ma non sciolto, e lavorate l’impasto finché non lo assorbe. Con le mani preparate una sorta di panetto, stendetelo un po’ con il mattarello e lasciatelo riposare un paio d’ore. Prendete il burro che vi servirà per la sfogliatura. Fate delle fettine e disponetele su un foglio di carta forno in modo da formare un quadrato. Copritelo con un altro foglio di carta forno e pigiatelo con le mani. Infilatelo in congelatore. Quando sarà freddo, avrete un foglio di burro. Una volta che l’impasto avrà riposato, stendetelo a creare una striscia lunga almeno mezzo metro e fate una sessione di pieghe. Poggiate il foglio di burro al centro della striscia di impasto, poi piegate l’impasto in due, e poi ancora su se stesso. Praticate sopra due segni per ricordarvi che avete fatto due pieghe. Lasciate riposare la sfoglia una mezz’ora, poi giratela dalla parte aperta e stendete ancora l’impasto a formare di nuovo una striscia lunga almeno mezzo metro. Individuate il centro e fateci un segno. Ripiegate su se stessa prima la parte destra e poi la parte sinistra. Avrete così i due estremi della pasta che quasi si toccano al centro della sfoglia. Ora chiudete le due parti a libro. Stendete di nuovo la sfoglia così piegata. Infine, tagliate la sfoglia a strisce di 2-3 centimetri, poi con un pennello passate del burro fuso su ogni striscia e arrotolatela su se stessa. Fate lievitare le girelle per un’oretta, poi infornate a 170 °C per circa 2530 minuti. Potete anche congelarle e cuocerle il giorno dopo. Servitele accompagnate dalla crema inglese al cioccolato.

Panettone al cioccolato Difficoltà ●●●

Quando lavoravo in pasticceria, i panettoni per me erano off limits. Potevo dare una mano, guardare mentre venivano preparati, ma niente di più. Erano talmente complessi e delicati che solo mani esperte potevano toccarli. Adesso che sono diventato grande e modestamente un po’ di esperienza ce l’ho anch’io, li preparo da me e sì, vengono buonissimi. Solo una nota: non usate farina semplice, ma la farina per panettoni, che è addizionata con altri ingredienti studiati appositamente. Le dosi che fornisco sono per circa quattro panettoni da un chilo. Potete anche farne di meno, ma lo sconsiglio, perché con dosi inferiori la planetaria non lavorerebbe bene. E comunque, una volta che affrontate questa faticaccia, fate in modo che ne valga la pena!

Ingredienti per 4 panettoni da 1 kg Primo impasto: Farina speciale per panettone 600 g Lievito madre essiccato 130 g Acqua 400 ml Farina di Manitoba (240-280 W) 150 g Tuorli 100 g Lievito di birra 1 g Burro 200 g Vaniglia 1 g Secondo impasto:

Farina speciale 400 g Burro 175 g Zucchero 150 g Tuorli 150 g Acqua 60 ml Cioccolato 600 g Vaniglia 1 g Per la copertura (dosi orientative): Mandorle normali 200 g Mandorle armelline 20 g Zucchero 220 g Albumi 2-4 Vaniglia 1 g Acqua

Preparazione Partite con il primo impasto: mescolate farina, lievito madre, farina speciale, acqua e lievito di birra. Lavorate l’impasto fino a che non si forma una palla abbastanza liscia. Aggiungete a poco a poco i tuorli e la vaniglia, portate il tutto a 25-26 °C e unite il burro un po’ alla volta facendolo amalgamare. Quando sarà arrivato a 26-27 °C, l’impasto si sarà omogeneizzato. Quando si staccherà dalle pareti, vorrà dire che è pronto. Mettete 50 grammi di impasto in un biber dove avrete segnato quattro tacche. In questo modo potrete misurare quanto cresce, come una spia. Quando l’impasto quadruplica di volume e arriva alla quarta tacca, è pronto. Versate il resto dell’impasto in un contenitore unto con il burro lungo tutta la superficie, e tappatelo con un sacchetto di plastica alimentare in modo tale che crei una camera al cui interno si formi il 70 per cento di umidità. Lasciatelo riposare per 13 ore a una temperatura di 27, massimo 28 °C. In genere nelle pasticcerie si inizia alle sei di sera per poter lavorare l’impasto la mattina dopo. Trascorse 13 ore, immettete questo preimpasto in un secondo impasto. Cominciate a lavorare la farina speciale del secondo impasto con l’acqua. Aggiungete lo zucchero, poi i tuorli e la vaniglia e, una volta che saranno stati assorbiti, il burro. Raffreddate il cioccolato in frigorifero per un’ora. Una volta che avrete fatto amalgamare il burro, l’impasto dovrà avere una temperatura di 26,5 °C al massimo. Dovete fare in modo che, quando immetterete il cioccolato, non si sciolga. Versatelo nella planetaria facendola girare molto piano per inglobarlo.

Controllate la “maglia”, cioè l’elasticità dell’impasto: prendete un pezzetto di pasta e tiratelo. Se si allarga bene, potete fare finalmente l’“impuntatura”, una sorta di lievitazione che serve a stabilizzare l’impasto. Lasciatelo quindi riposare in un contenitore sempre chiuso con la pellicola, a 27 °C, per circa un’ora-un’ora e un quarto, in modo tale che cominci a raddoppiare di volume. A questo punto è arrivato il momento di sporzionare, cioè tagliare l’impasto per creare diversi panettoni delle dimensioni desiderate. Con il tarocco dividete l’impasto e pesate i pezzi per adeguarli agli stampi che avete. I singoli pezzi vanno poi “pirlati”, cioè sigillati cercando di portare i bordi sotto il panetto, a formare una palla. Mettete i pezzi negli stampi e disponete tutti gli stampi su una teglia, distanziati in modo che circoli aria. Chiudeteli tutti di nuovo con dei sacchetti, a formare la camera d’aria. Dovranno riposare a una temperatura di 26-27 °C per 5 ore. Trascorso questo tempo, potete infornare i panettoni oppure completarli seguendo questo procedimento. Se volete fare una copertura di mandorle (cioè la tipica crosticina sopra il panettone), dovete avere una twin stones (un attrezzo dotato di due pietre girevoli in grado di tritare). In alternativa potete usare un cutter, ma il risultato non sarà lo stesso. Tritate alcune mandorle normali e armelline (che avrete lasciato in ammollo per una notte in un velo d’acqua zuccherata) con lo zucchero, gli albumi e un goccio di vaniglia. Per le dosi, orientative, molto dipende dal vostro gusto; l’importante è che il tutto abbia una consistenza abbastanza densa. Quando il panettone sarà lievitato, copritelo con questo trito, aiutandovi con una sac à poche con una bocchetta piatta. Infine decorate il panettone a piacere. Io ho usato chicchi di cioccolato e di zucchero e qualche mandorla intera. Dopo aver preriscaldato il forno a 190 °C, infornate per circa 35-40 minuti. Per controllare la cottura, dopo almeno 35 minuti bisogna aprire il forno, infilzare il panettone alla base con uno spiedo e capovolgerlo infilando al centro un termometro. Se la temperatura al cuore è di 95 °C, il panettone è cotto a puntino. Sfornatelo e lasciatelo asciugare capovolto per almeno 13 ore.

Il consiglio dello chef Ricordatevi di controllare spesso la temperatura dell’impasto, che non deve mai superare i 27 °C. L’attrito con la frusta e i bordi della planetaria tende infatti a generare calore. L’ideale è stare sui 24,5 °C. Anche tutti gli ingredienti, burro compreso, devono essere intorno ai 23-24 °C. A temperature più alte si innesca una serie di reazioni che compromettono il risultato: parte la lievitazione, il burro si slega, l’impasto si incorda e il lievito muore… insomma, un disastro. Per lo stesso motivo bisogna essere molto veloci nel seguire la ricetta, evitando di lasciar lavorare la planetaria per tempi troppo lunghi. Anche in questo sta la difficoltà del panettone.

Pera Difficoltà ●●●

Questa finta pera è composta da una base di bavarese alla vaniglia in cui ho inserito un cuore liquido alla mela a ricordare il sapore di uno strüdel. È una ricetta che richiede una buona manualità e una certa precisione, ma l’effetto in tavola è assicurato.

Ingredienti per 4 persone Panna semimontata 200 g Vaniglia liquida 1 g Gelatina 2 fogli Per la bavarese alla vaniglia (275 g): Latte 250 g Zucchero 60 g Tuorli 90 g Per il cuore alla mela: Mele 3 Succo di pesca 200 ml Stecche di cannella 2 Zucchero muscovado 2 cucchiai Grappa 1 bicchierino Limone 1 goccia Per la copertura: Cioccolato bianco 350 g Burro di cacao 350 g Colorante giallo Polvere di cacao

Preparazione Mettete in ammollo la gelatina per farla reidratare. Intanto partite dal ripieno, che è una sfera alla mela. Tagliate le mele a piccoli cubetti e mettetele in padella con un goccio di limone, la grappa, le stecche di cannella, lo zucchero e mezzo bicchiere d’acqua. Portate tutto

sul fuoco finché i dadini di mela non si saranno ammorbiditi e fate asciugare un po’. A questo punto aggiungete il succo di pesca. Versate tutto in stampi a sfera e abbattete termicamente in freezer o in abbattitore. Passate alla crema: preparate la crema inglese mischiando tuorli e zucchero, poi portate il latte a sfiorare il bollore e rovesciatevi dentro lo zucchero con i tuorli. Portate a 82 °C. Spegnete il fuoco. Una volta che il composto si sarà raffreddato fino a circa 35 °C, pesatene 275 grammi e uniteli alla panna semimontata (ossia montata per metà), quindi aggiungete la vaniglia e la gelatina precedentemente sciolta nel forno a microonde. Otterrete così una crema bavarese in cui la crema inglese e la panna semimontata sono quasi a pari peso. La crema inglese sarà appena un pizzico in più della panna semimontata. Amalgamate bene tutto e versate negli stampi a forma di pera, riempiendoli fino a metà. Quando le sfere di ripieno saranno congelate, posatene una su ogni stampo a forma di pera e poi coprite con altra crema, fino a riempire tutto lo stampo. Mettete le finte pere in abbattitore o in freezer per almeno 12 ore. Nel frattempo fondete insieme il cioccolato e il burro di cacao, aggiungete qualche goccia di colorante giallo e frullate, avendo cura di non incorporare aria. Quando le pere sono pronte, portate il cioccolato e il burro di cacao a una temperatura di circa 35-40 °C, infilzate le pere sulla cima con uno stuzzicadenti e immergetele nella copertura, poi appoggiatele su una teglia e fatele stabilizzare in abbattitore per 5 minuti, oppure in freezer per il tempo necessario. Sporcate un pennello con il cacao in polvere e spennellate le pere. Soffiate anche il cacao direttamente sulle pere per creare l’effetto della buccia di una vera pera. Se volete, potete posare sul piatto una foglia di pero, per accentuare l’illusione. Aspettate circa un’ora che le pere tornino a temperatura ambiente e poi servitele.

Il consiglio dello chef Per questa ricetta ho usato dello zucchero muscovado, uno zucchero di canna non raffinato a cui viene aggiunta un po’ di melassa.

Tartelletta ai lamponi Difficoltà ●●○

Le tartellette, i classici cestini di pasta frolla di solito ripieni di crema e frutta, sono una piccola golosità perfetta per la fine del pasto, ma anche per una merenda. Qui le propongo ripiene di namelaka e lamponi, a loro volta farciti con crema pasticcera. Perciò qui troverete di fatto quattro ricette in una: le tartellette, la crema pasticcera, la mia pasta frolla “moderna” e la namelaka, la crema-mousse senza uova, setosa e leggera, che potete impiegare per farcire mille dolci diversi. Ingredienti per 4 tartellette Lamponi 50 Per la pasta frolla moderna: Burro 150 g Zucchero a velo 95 g Mandorle in polvere 30 g Sale 1 g Vaniglia in polvere 1 g Farina 0 250 g Tuorlo grande 1 Per la namelaka: Latte 50 ml Glucosio (facoltativo) 7 ml Cioccolato bianco 160 g Gelatina 10 g Panna fresca con il 30 per cento di grassi, non zuccherata 320 g Vaniglia 2 g Per la crema pasticcera: Latte 350 ml Panna fresca con 150 g il 30 per cento di grassi Tuorli 130 g Vaniglia 1 g Zucchero 140 g Amido di riso 35-40 g

Preparazione

Per fare la pasta frolla mescolate farina, mandorle in polvere, burro, sale e zucchero fino a che l’impasto non “sabbierà”, ossia assumerà una consistenza sabbiosa. Aggiungete il tuorlo e la vaniglia fino a dare all’impasto una consistenza compatta, poi fate una palla, avvolgetela nella pellicola e lasciatela riposare in frigorifero per almeno un’ora. Stendete la pasta frolla, dandole uno spessore di 3-4 millimetri, poi disponetela negli appositi stampi per tartellette, che farete riposare di nuovo in frigorifero per almeno un’ora. Preriscaldate il forno statico a 160 °C e cuocete le tartellette per 18 minuti. Una volta cotte, aspettate che si raffreddino prima di farcirle. Nel frattempo preparate la namelaka. Mettete la gelatina a reidratarsi in 250 millilitri di acqua fredda per 10 minuti. Riscaldate panna, vaniglia, latte e glucosio, portando tutto a 80 °C. Versate il composto caldo sul cioccolato bianco e mixate. Aggiungete la gelatina strizzata e mescolate. Riempite le tartellette di namelaka fino a metà e riponetele in frigorifero. Se non usate subito la namelaka, o volete usarla per altre preparazioni, trasferitela in una sac à poche e portatela alla temperatura di 4 °C mettendola in frigorifero. Dopo alcune ore il composto si solidificherà e assumerà una consistenza cremosa. Infine, è il momento della crema pasticcera, che ho arricchito con un po’ di panna. Di solito lo faccio soprattutto nei mesi invernali, mentre nei mesi estivi meno grassi ci sono, meglio è. Scaldate il latte e la panna fino a ebollizione. Nel frattempo mescolate tutti gli altri ingredienti con una frusta, finché lo zucchero non avrà cominciato a sciogliersi e il composto avrà assunto un colore arancione o comunque chiaro. Quando il latte e la panna inizieranno a bollire, versateci dentro il composto. Attendete qualche secondo, poi cominciate a girare con una frusta. Abbassate la fiamma continuando a mescolare e vedrete che la crema si formerà in meno di 10 secondi. Versatela in una terrina fredda di freezer e mischiate energicamente fino a che non sarà diventata fredda. Se avete l’abbattitore, coprite la terrina con della pellicola e portatela a 4 °C. La pellicola dovrà essere direttamente a contatto con la crema. Prendete le tartellette, posizionate sulla namelaka i lamponi e con un biber riempiteli uno a uno con la crema pasticcera. Per decorare ho aggiunto foglie di purple shizo (basilico cinese), foglie di menta e fiori di basilico viola. Infine ho lucidato il tutto con un po’ di gelatina spray.

Il consiglio dello chef Quando aggiungete il burro alla pasta frolla, deve essere freddo per poterlo lavorare, altrimenti si scioglierà e perderete il controllo della pasta. La namelaka Un nome strano per una crema che lascia senza parole. Il nome namelaka è di origine giapponese. È qui che è nata, infatti, questa crema vellulata che si scioglie in bocca. Non a caso, namelaka significa “molto cremosa”. In questa ricetta la uso per farcire le tartellette, ma si presta alle preparazioni più disparate, per esempio stesa su una crostata o come farcia per dei bignè.

Terra di campagna Difficoltà ●●● #estrazione #gelificazione

Sembra un prato a primavera questa Terra di campagna, che altro non è se non una crema di cheesecake ricoperta da due diversi crumble, uno al cacao e uno al cioccolato, con l’aggiunta di gocce di gel alla pera. Decorando con fiori e germogli, l’illusione ottica sarà perfetta.

Ingredienti per 4 persone Per il crumble al cacao: Farina 00 100 g Zucchero di canna 40 g Zucchero a velo 40 g Burro 80 g Cacao amaro in polvere 40 g Vaniglia 1 g Sale

Per la crema cheesecake: Panna 270 ml Agar-agar 0,8 g Tuorli 77,5 g Zucchero 160 g Crema spalmabile al formaggio 500 g Per il crumble al cioccolato: Cioccolato fondente 200 g Burro 150 g Farina 00 180 g Per il gel alla pera: Estratto di pere mature 200 g Agar-agar 2,8 g

Preparazione Preparate il crumble al cacao. Versate la farina setacciata e il cacao amaro in polvere in una planetaria, poi aggiungete lo zucchero di canna, lo zucchero a velo, la vaniglia, il burro freddo di frigo a tocchetti e un pizzico di sale. Fate “sabbiare”, ossia mescolate in modo da ottenere delle briciole grossolane. Foderate una leccarda con carta forno e spargetevi sopra il crumble al cacao. Cuocete in forno statico preriscaldato a 180 °C per 10 minuti, fino a quando le briciole non risulteranno croccanti, poi lasciatele raffreddare fuori dal forno. Se volete delle briciole più fini, passate tutto in un cutter. Per la crema cheesecake, mescolate panna e agar-agar e portate a bollore. Mescolate con una frusta i tuorli e lo zucchero, poi versateci sopra la panna bollente. Continuando a lavorare con la frusta, sciogliete nel mix il formaggio spalmabile. Versate tutto in una teglia antiaderente e infornate in forno statico a 120 °C per 40 minuti. Quando la crema sarà cotta e comincerà a separarsi, mixate tutto con un frullatore. Mettetela in una vaschetta coprendola con la pellicola a contatto e ponetela in abbattitore a 4 °C per 4-5 ore. Se non avete un abbattitore, versate il composto su una placchetta molto fredda, mescolando per qualche minuto; una volta raffreddato versatelo in una vaschetta e trasferitelo in frigo, sempre coprendolo con la pellicola a contatto. Per il crumble al cioccolato, sciogliete il cioccolato fondente a bagnomaria. Quando raggiungerà una consistenza fluida e lucida, incorporate il burro a fiocchi, stando attenti che la temperatura del cioccolato non scenda troppo. Aggiungete la farina setacciata un po’ alla volta.

Bagnate e strizzate un foglio di carta forno e foderateci una teglia. Quando il composto diverrà omogeneo, stendetelo sulla teglia e ricopritelo con altra carta forno. Mettete la teglia prima in abbattitore a -4 °C, poi in forno a 250 °C per 10 minuti circa. Per il gel alla pera, con l’estrattore estraete il succo delle pere mature e unite l’agar-agar. Mettete sul fuoco e portate a 80 °C. Fate sobbollire per qualche secondo, poi versate tutto su una placchetta, filtrandolo bene, e fate gelificare. Frullate il tutto per ottenere il gel. Infine, è il momento di comporre il dolce. Alla base create una spirale di crema cheescake con una sac à poche con bocchetta da 8. Ricoprite la spirale a piacere con i due crumble al cioccolato e al cacao, poi con un biber lasciate cadere qua e là delle gocce di gel alla pera. Finite con germogli vari, come quelli di daikon, per dare l’impressione visiva di un prato, ma anche per dare un tocco di freschezza e acidità extra.

Il consiglio dello chef Se usate il cioccolato fondente, consiglio di non aggiungere nulla, mentre il cioccolato al latte si presta a essere aromatizzato con menta fresca, liquirizia o frutta secca. Se usate il cioccolato bianco, invece, mettete il 20 per cento di burro in meno e potrete aromatizzarlo con sapori più delicati, come la lavanda o la vaniglia. Gli aromi vanno sempre incorporati prima di aggiungere il burro.

Torta Sacher Difficoltà ●●●

Chi mi segue da un po’ sa bene che ho un rituale: a ogni compleanno preparo la mia torta preferita, la Sacher. Sempre sia lodato il pasticcere austriaco Franz Sacher, che a soli sedici anni inventò questa torta per il cancelliere Klemens von Metternich. Era il 1832 e da allora la ricetta originale della Sachertorte è rimasta segreta. La si può mangiare soltanto acquistandola all’Hotel Sacher di Vienna e nelle sue filiali. Questa è la mia ricetta.

Ingredienti per 4 persone Tuorli 130 g Albumi 200 g Zucchero a velo 45 g Burro 135 g Farina 00 140 g Zucchero 200 g Confettura 330 g di albicocche Panna liquida 278 g Cioccolato fondente al 70 per cento 75 + 165 g

Preparazione Montate il burro ammorbidito con lo zucchero a velo e, a poco a poco, aggiungete i tuorli d’uovo. Una volta che si saranno incorporati, unite 75 grammi di cioccolato fuso a bagnomaria, a temperatura non superiore ai 45-50 °C. A parte, semimontate gli albumi con lo zucchero. In altre parole, dovete montarli ma non completamente, perché dopo continueranno a montare anche in forno. Quando gli albumi sono semimontati, aggiungete la farina. Unite e amalgamate i due composti, cioè quello preparato con i tuorli e quello preparato con gli albumi. Versate tutto su una teglia foderata con carta forno. Infornate a 180 °C per circa 30 minuti, dopodiché spegnete il forno e lasciate la torta all’interno per altri 10 minuti. Dividete la torta a metà con un taglio orizzontale, ricavando due dischi.

Sul disco inferiore spalmate la confettura di albicocche. Poggiate sopra l’altro disco e ricoprite con un velo fine di confettura. Questo donerà umidità e la piacevolezza giusta al palato. Portate la panna a circa 70 °C e versatevi dentro 165 grammi di cioccolato tritato. Amalgamate questa ganache e versatela a circa 40 °C sopra la torta. Decorate la torta a piacere e ponetela in frigo per almeno due ore.

Uovo Difficoltà ●●●

Un uovo come dessert? Certo che sì, se è fatto di crema cheesecake e nasconde un cuore di gelée ai frutti di bosco! Il finto uovo è uno dei miei piatti iconici a cui sono più affezionato. L’ho creato come dolce di Pasqua durante il primo lockdown e l’ho dedicato alla mia famiglia, che in quel momento non potevo vedere. L’ho ideato pensando, con un certo divertimento, alle uova sode che mia madre mi faceva dipingere per la messa della domenica di Pasqua e all’ossessione che mio padre aveva per la New York Cheesecake. Per tutti questi motivi non potevo non includerlo nel ricettario.

Ingredienti per 4 persone Per la gelée ai frutti di bosco: Frutti di bosco in purea 75 g

Succo di limone 2,5 g Pectina 1 g Zucchero 17,5 g Per la crema cheesecake: Panna 125 g Scorza di limone 5 g Tuorli 62,5 g Gelatina 2 g (un foglio) Zucchero 40 g Panna semimontata 75-80 g Crema spalmabile al formaggio 125 g Per la copertura: Cioccolato bianco 175 g Burro di cacao 175 g Colorante del colore dell’uovo Colorante marrone Colorante nero

Preparazione Iniziate dalla gelée, che andrà a costituire il ripieno. Mettete tutto sul fuoco e fate cuocere per 5-10 minuti a fiamma molto bassa, poi versate in stampini a sfera o semisfera e abbattete termicamente. Passate alla crema cheesecake. Fate scaldare la panna con la scorza di limone. Aggiungete i tuorli e lo zucchero mischiati insieme, rimettete sul fuoco e portate a 85 °C. Togliete la scorza. Sempre mescolando, unite il foglio di gelatina reidratato in acqua fredda e fate raffreddare. Aggiungete la crema spalmabile al formaggio, mischiate e poi unite la panna semimontata. Versate la crema cheescake in stampi a forma di uovo, mettete all’interno la semisfera ai frutti di bosco congelata, ricoprite nuovamente di crema fino ai bordi e abbattete il tutto. Quando le uova saranno abbattute, portate il cioccolato e il burro di cacao a una temperatura di 35-40 °C e unite il colorante per riprodurre il colore del guscio. Infilzate le uova con uno stuzzicadenti e immergetele in questa copertura.

Con un pennellino schizzate l’uovo con il colorante marrone e nero per riprodurre i puntini del guscio. Per far raffreddare subito la copertura e poterla maneggiare, spruzzateci sopra del ghiaccio spray alimentare. Aspettate che le uova si raffreddino fino a raggiungere una temperatura di 4 °C anche al cuore, che tornerà liquido o semiliquido, poi potete servirle.

PANE E DINTORNI Non poteva mancare nel mio ricettario una sezione piccola ma essenziale dedicata alla panificazione, in cui ho inserito un classico pan brioche, che costituisce la base della panificazione dolce, e i miei due grandi amori: il pane toscano, rigorosamente senza sale, e la schiacciata.

Pan Brioche Difficoltà ●○○

Una ricetta facile e buonissima, che può accompagnare meravigliosamente i vostri risvegli, ma anche abbinarsi a dei piatti salati. È il caso, per esempio, del Carpaccio di Chianina, dove ho usato come base proprio del pan brioche tostato.

Ingredienti per 4 persone Per il pastello: Farina di Manitoba 20 g Acqua 30 mℓ Latte intero 60 g Per l’impasto: Sale 4 g Latte intero 120 g Farina di Manitoba 320 g Lievito di birra 10 g

Zucchero 56 g Burro 45 g Per la doratura: Tuorlo 1 Latte 20 g Per la rifinitura: Sale di Maldon Burro fuso

Preparazione Create un pastello, cioè mescolate energicamente farina, acqua e latte e mettete sul fuoco finché non assume una consistenza simile al pongo, quasi una besciamella molto tirata. Lasciatelo raffreddare. Nella ciotola della planetaria unite 120 grammi di latte intero, la farina di Manitoba, il lievito di birra (che potete sciogliere nel latte o aggiungere direttamente nella planetaria), lo zucchero e il pastello. Con la frusta a foglia cominciate a lavorare l’impasto. Non appena avrà iniziato a prendere consistenza, sostituite la foglia con il gancio. Fate amalgamare e poi, a poco a poco, mettete il burro “a pomata”, cioè ammorbidito a temperatura ambiente, e il sale. Una volta inglobato il tutto, fate lievitare l’impasto finché non sarà almeno raddoppiato di volume, poi sgonfiatelo e formate delle palline da 70-80 grammi. Aspettate di nuovo che il volume raddoppi. Per la doratura, mescolate il latte e il tuorlo, sbatteteli insieme e spennellate il liquido sui panetti quando saranno lievitati. Scaldate il forno statico a 170 °C e cuocete per circa 30 minuti. Appena sfornati, spennellate sui pan brioche un po’ di burro fuso e spargete qualche granello di sale di Maldon.

Pane toscano Difficoltà ●○○

Si dice che il pane toscano “sciocco”, cioè senza sale, sia nato a Firenze per colpa dei pisani. Nel XII secolo, durante gli scontri tra le due città, i pisani avrebbero bloccato nel porto di Pisa il sale destinato a Firenze, e così i fiorentini avrebbero fatto di necessità virtù. Oggi il pane sciocco è una tradizione ancora viva e costituisce un accompagnamento perfetto per i cibi più sapidi.

Ingredienti per 4 persone Farina di tipo 1 500 g Acqua fredda 375 mℓ Lievito di birra 3 g Olio EVO 20 g Miele biologico 10 g

Preparazione Mescolate farina, acqua e lievito. Aggiungete l’olio a filo e il miele. Impastate tutto e lasciate riposare l’impasto finché non raddoppierà di volume. Una volta che è raddoppiato, cominciate a fare una sessione di pieghe. Inumidite le mani e il piano di lavoro. Prendete l’impasto al centro e sollevatelo. Poggiate un’estremità sul piano di lavoro, sollevate l’altra estremità e richiudetela su quella poggiata sul piano, come fosse un libro. Girate l’impasto di 90 gradi e ripetete l’operazione. Procedete così per tre volte. Questo passaggio serve per allungare la maglia glutinica, incorporare anidride carbonica e dare forza e struttura all’impasto. Aspettate che l’impasto raddoppi di nuovo, poi fate un’altra sessione di pieghe. Ripetete questo procedimento per tre volte. Infine, “pirlate” l’impasto, cioè cercate di portare i bordi sotto il panetto a formare una palla, per sigillare l’impasto. Mettete in forno statico a 200 °C per 20 minuti, poi abbassate a 160 °C e proseguite la cottura per altri 15 minuti. Per una maggiore digeribilità, potete seguire un procedimento un po’ diverso: dopo la prima lievitazione, anziché fare le pieghe, potete mettere l’impasto in un contenitore per alimenti e lasciarlo riposare in frigorifero fino al giorno dopo per far avvenire la “maturazione”. È il processo per cui le sostanze complesse vengono trasformate almeno in parte in sostanze semplici e quindi più digeribili. Quando l’impasto sarà “maturo”, fate le sessioni di pieghe, sempre con la stessa modalità: piegate, aspettate che raddoppi di volume e poi piegate di nuovo, per tre volte. Il consiglio dello chef Per la cottura ho usato una pentola di vetro Pyrex. Va bene anche una pentola in ghisa. In alternativa, potete usare una teglia non troppo larga rivestita di carta forno; sul fondo del forno poggiate un pentolino di acqua per mantenere l’umidità ed evitare che l’impasto si secchi.

Schiacciata toscana Difficoltà ●○○

Ogni regione ha la sua versione della focaccia, e anche nella stessa Toscana la schiacciata ha diversi nomi: ciaccia, schiaccia, schiacciata… In generale, la schiacciata toscana si distingue per i buchi sulla superficie e perché è croccante all’esterno ma morbida dentro. Per questo è uno degli street food classici della regione, perfetta per essere tagliata e farcita, per esempio con qualche fetta di finocchiona.

Ingredienti per 4 persone Farina 00 300 g Farina di Manitoba di media forza (220-240 W) 200 g Acqua 340 mℓ

Lievito di birra 3 g (2 g in più se fa molto freddo) Olio EVO 20 g Malto o miele 5 g (facoltativo) Sale

Preparazione Mescolate l’acqua (consiglio acqua fredda di bottiglia, se usate la planetaria), le due farine e il lievito sbriciolato. Impastate e poi aggiungete il miele o il malto, l’olio extravergine d’oliva e infine il sale. Una volta impastato il tutto, lasciate riposare nel forno spento per almeno un’ora-un’ora e mezza (i tempi variano a seconda della temperatura ambientale), dopodiché fate una sessione di pieghe. Inumidite le mani e il piano di lavoro. Prendete l’impasto al centro e sollevatelo. Poggiate un’estremità sul piano di lavoro, sollevate l’altra estremità e richiudetela su quella poggiata sul piano, come fosse un libro. Girate l’impasto di 90 gradi e ripetete l’operazione. Procedete così per tre volte. Questo passaggio serve per allungare la maglia glutinica, incorporare anidride carbonica e dare forza e struttura all’impasto. Fate tre sessioni di pieghe, a distanza di 40 minuti l’una dall’altra. Lasciate lievitare l’impasto in una teglia, coprendolo con un coperchio o un’altra teglia. Ogni tanto spruzzateci sopra dell’acqua, perché deve rimanere umido. Trasferitelo poi su un’altra teglia rivestita di carta forno. Premete leggermente i polpastrelli sull’impasto per creare i classici buchi, poi spargete sulla superficie ancora un po’ di olio, acqua e sale, che andranno a raccogliersi nei buchi. Infornate a 230 °C per 7 minuti, poi abbassate a 190 °C e proseguite la cottura per 9 minuti. Infine togliete la teglia e posate la schiacciata direttamente sulla griglia del forno per altri 9 minuti a 190 °C. Una volta cotta, lasciatela raffreddare per qualche minuto e sarà pronta da gustare.

LE RICETTE CHE AVETE AMATO DI PIÙ Finora ci siamo dedicati all’alta cucina, ma nel mio ricettario non potevano certo mancare i piatti che più avete apprezzato tra quelli che ho proposto sui miei profili social. Molti di questi li ho pubblicati anche più di una volta e ciononostante continuate a chiedermeli, perciò eccoli qua, nero su bianco e sempre a portata di mano. Sono ricette basiche, ma ricche di sapore. Perché ogni tanto anche gli chef hanno voglia di qualcosa di semplice e gustoso.

Cacio e pepe della Tasmania Difficoltà ●○○

Questa variante della classica pasta cacio e pepe prevede l’uso del pepe della Tasmania, che ho scoperto qualche anno fa grazie ad Alessandro Borghese e di cui mi sono subito innamorato. È molto più delicato del pepe normale ed è anche scenografico, perché dona alla pasta un colore violaceo.

Ingredienti per 4 persone Spaghetti 400 g Pecorino romano DOP 320 g Pepe della Tasmania

Preparazione Lessate la pasta. Nel frattempo grattugiate il pecorino in una terrina e scioglietelo con un po’ di acqua di cottura della pasta. Pestate il pepe della Tasmania in un mortaio e unitelo alla pastella di cacio. Scolate la pasta, versatela nella terrina e mescolate energicamente in modo che il formaggio non superi i 60-65 °C, altrimenti si straccerà. Mescolare energicamente serve proprio a non dare al formaggio il tempo di stracciarsi. Lo stesso procedimento vale anche per una cacio e pepe classica. Il consiglio dello chef Dopo lungo studio, posso dire che ci sono tre dettagli fondamentali per ottenere una cacio e pepe perfetta: 1. il pecorino non deve essere troppo stagionato; 2. non esagerate con l’acqua per scioglierlo; 3. state attenti a non far scaldare troppo il formaggio, quindi mescolate energicamente e non rimettete la pasta sul fuoco per farla saltare.

Carbozucca Difficoltà ●○○

Una delle ricette che vanno per la maggiore sul mio profilo Instagram è la Carbozucca, un matrimonio goloso tra la zucca e il carboidrato per eccellenza: la pasta. Io ho usato degli spaghetti, ma potete scegliere il formato che preferite. Con la cremosità della zucca e del taleggio, sentirete che sapore!

Ingredienti per 4 persone Zucca 250 g Taleggio 100 g Latte 100 g Uovo 1 Aglio confit qualche spicchio Salsiccia 85 g Pasta 200 g Rosmarino secco Aglio Salvia Olio EVO Sale Semi di zucca tostati Pepe (facoltativo) Vino rosso (facoltativo)

Preparazione Tagliate a metà la zucca e riempitela con un rametto di salvia, rosmarino, olio, un pizzico di sale, qualche spicchio di aglio in camicia oppure confit (cotto in olio d’oliva a 100 °C per 2 ore). Avvolgetela con tutta la buccia nella carta forno e poi nella stagnola e cuocetela in forno statico a 200 °C per un’ora e mezza, quindi spegnete il forno e lasciatela lì finché non si raffredda. Una volta raffreddata, frullate la polpa e aggiustate di sale. Spellate la salsiccia e fatela sfrigolare in padella senza aggiungere nulla, perché ha già il suo grasso. Potete anche sfumarla con vino rosso, se vi piace. Per la fonduta, mescolate latte e taleggio e riscaldateli in microonde a 80 °C, poi frullate. Lessate la pasta e scolatela due minuti prima della fine della cottura. Rovesciatela nella pentola della salsiccia. Unite la crema di zucca, l’uovo sbattuto e la fonduta di taleggio. Portate a cottura così per due minuti e otterrete una crema simile a quella di una carbonara. Se vi piace, date alla fine una spolverata di pepe, proprio come per una carbonara. I semi che vedete in foto sono semplicemente i semi della zucca recuperati, tostati, sbucciati e leggermente salati.

Crema all’aglio Difficoltà ●○○

Questa crema semplicissima, composta solo da aglio e olio, è squisita da spalmare sul pane e risulterà molto digeribile, quindi potrete godervi il sapore senza timore di uccidere chi vi rivolgerà la parola.

Ingredienti per 4 persone Aglio 2 teste Olio EVO fino a coprire gli agli

Preparazione Sbucciate le teste di aglio. Mettetele in un pentolino di acciaio o in qualsiasi pentola adatta alla cottura in forno. Ricoprite gli agli con olio extravergine d’oliva e infornate a 100 °C per 2 ore. Frullate tutto fino a ottenere una crema.

Focaccia alle cipolle di mia nonna Difficoltà ●○○

Questa è la ricetta di uno dei sapori della mia infanzia. Mia nonna era di origine pugliese, perciò sulla sua tavola non mancava mai la focaccia con le cipolle. E per me era la focaccia più buona del mondo. Proprio perché è una ricetta di famiglia, non ci sono dosi precise. Mia nonna prendeva una manciata di farina e mi diceva: «Metti tanta farina così». Se le chiedevo a che quantità corrispondesse, prendeva un’altra manciata e mi rispondeva: «A questa». Idem per le cipolle e per tutti gli altri ingredienti. La cosa sorprendente è che le veniva sempre uguale! Per aiutarvi, vi darò comunque delle dosi orientative. Nella ricetta originale le cipolle sono cipolle dorate e i pomodori sono i ciliegini, entrambi prodotti tipici della zona da cui veniva mia nonna. Solo dopo essersi trasferita in Toscana ha iniziato a usare, di quando in quando, cipolle rosse e datterini. Ingredienti per 2 teglie da 20×30 cm Per l’impasto: Farina 00 250 g Farina di semola rimacinata 250 g Acqua 320 mℓ Lievito 3-4 g Olio EVO 10-20 g Sale un pizzico Zucchero un pizzico Per il condimento: Cipolle dorate (ma anche rosse vanno bene) 10 Pomodori ciliegino (o datterino) 200 g Sale Origano Olio EVO

Preparazione Sciogliete il lievito nell’acqua tiepida e impastate con la farina. A mano a mano che versate l’acqua, controllate che la farina la assorba tutta. L’impasto deve essere abbastanza umido, ma non troppo. Se vedete che è bello morbido con 320 millilitri di acqua, fermatevi, altrimenti aggiungetene ancora un po’.

Mettete l’olio, un pizzico di sale e un pizzico di zucchero, che servirà ad aiutare la lievitazione. Mentre l’impasto cresce, fate stufare le cipolle. Prendete delle cipolle dorate, se l’avete anche qualche cipolla rossa, e tagliatele a fettine sottilissime. Mettete in una pentola olio e cipolle, fate rosolare e aggiungete un pizzico di sale affinché le cipolle perdano la loro acqua. Unite i pomodorini e un bicchiere di acqua. Chiudete con il coperchio e fate stufare per 45 minuti. Quando le cipolle saranno belle appassite, spegnete e lasciate raffreddare. Controllate l’impasto. Quando sarà raddoppiato di volume, spolveratelo con un po’ di farina e stendetelo prima con le mani, poi con il mattarello, senza esagerare. La pasta non deve lievitare troppo in cottura, ma rimanere di un certo spessore. Prendete una teglia, rivestitela con carta forno e ungetela con un filo d’olio. Appoggiatevi sopra metà dell’impasto e spargetevi sopra le cipolle e i pomodorini, tenendone da parte un po’. Chiudete capovolgendo sulla farcitura l’altra metà dell’impasto. Usando il lato liscio di un coltello tagliate tutti i bordi, poi schiacciate leggermente per sigillare. Spargete sulla superficie altre cipolle con pomodorini e irrorate con un filo d’olio. Con uno spruzzino spruzzate un po’ di acqua sulla superficie e con i polpastrelli create dei piccoli avvallamenti. Dovete assicurarvi che la focaccia sia bella umida. Cospargete con un pizzico di sale e origano e mettete in forno a circa 180 °C per 40 minuti. Ricomponete l’impasto avanzato, fatelo lievitare di nuovo e stendetelo per fare un’altra focaccia.

Involtini di grotta Difficoltà ●○○

La provola di grotta è un formaggio che viene fatto stagionare in grotta per qualche mese. Qui l’ho usato per farcire dei semplici involtini e poi ho finito la cottura con un po’ di senape, che dà un tocco originale e sorprendente.

Ingredienti per 4 persone Manzo (taglio noce o sottofesa) 20 fette Patate lesse 4 Provola di grotta 150 g Prosciutto crudo 20 fette Vino bianco 60 mℓ Farina 00 Senape 60 g Olio EVO

Preparazione Distendete le fette di carne sul tagliere, dopodiché adagiate su ognuna una fetta di prosciutto crudo, un pezzetto di patata lessa e uno di provola. Arrotolate la carne fermando le estremità con uno stuzzicadenti e passatela nella farina. Scaldate l’olio e rosolate gli involtini da ogni lato fino a doratura. Sfumate con il vino bianco e aggiungete la senape. Quando la parte alcolica del vino sarà evaporata, coprite con un coperchio e servite. Il consiglio dello chef Per questa ricetta non ho usato sale, come avrete notato: ho sfruttato la sapidità del prosciutto, bilanciando con la dolcezza della provola.

Linguine con ragù di polpo e mandorle Difficoltà ●○○

Come potevo rendere più appetitosa e originale una ricetta tradizionale già di per sé gustosa come un ragù di polpo? Ci ho pensato e ripensato e alla fine ho trovato l’idea: con una bella spolverata di mandorle lamellate e tostate. Il contrasto di sapori e di consistenze mi ha soddisfatto in pieno. E voi che ne dite?

Ingredienti per 4 persone Polpo 1 kg Passata di pomodoro biologica 420 g Mandorle tagliate a lamelle Prezzemolo Porri 50 g Olio EVO

Linguine 480 g Concentrato di pomodoro 40 g Vino rosso 1 bicchiere Carote 50 g Sedano 50 g Alloro 3 foglie Chiodo di garofano 1

Preparazione Pulite bene il polpo e tagliatelo a tocchetti. Create una brunoise (piccoli cubetti) di sedano e carota. Tagliate a julienne il porro. Rosolate e fate stufare tutto in un tegame con un po’ di olio. Aggiungete l’alloro e il chiodo di garofano per insaporire, poi mettete nella pentola il polpo. Fate rosolare e versate il vino. Una volta sfumata la parte alcolica a fuoco alto, abbassate e aggiungete la passata di pomodoro, il concentrato di pomodoro e le verdure. Fate cuocere il tutto a fiamma molto bassa fino a che non si sarà ristretto di almeno la metà. A questo punto togliete le foglie di alloro e il chiodo di garofano. Infine date una spolverata di prezzemolo. Lessate la pasta, scolandola ancora bene al dente. Versatela nel tegame con il polpo e fatela risottare alcuni minuti. Al momento di impiattare, versateci sopra una bella pioggia di mandorle tostate. Il consiglio dello chef Se al momento di risottare la pasta sentite che manca un po’ di sale, insaporite con un goccio di salsa di soia.

Pappa al pomodoro a modo mio Difficoltà ●○○

Ci sono molti modi di fare la pappa al pomodoro. Ogni zona della Toscana ha una propria ricetta. La “vera” pappa al pomodoro si dice sia fatta con l’aglio rosso, ma c’è anche chi la fa con l’aglione, con l’aglio bianco… Io la prediligo con la cipolla rossa toscana, come si fa nella mia zona, perché ha una cottura breve ma conferisce al piatto un sapore molto interessante. È fondamentale che il pomodoro sia molto, ma molto buono. Io utilizzo una passata di pomodoro biologico del Mugello prodotta da un’azienda locale, Lunica del Mugello, la sola che coltivi ancora questo tipo di pomodoro. Il Mugello un tempo era un po’ il giardino di Firenze. Ora ha un clima poco adatto all’agricoltura, ma le poche cose che vi si coltivano hanno una qualità eccezionale, come questo pomodoro, che considero uno dei più buoni al mondo.

Ingredienti per 4 persone Passata di pomodoro fresco (oppure una passata di pomodoro di ottima qualità, se fuori stagione) 450 g Pane toscano raffermo 4 fette Cipolla rossa 1 Basilico fresco un mazzetto Olio EVO Sale Pepe (se vi piace) Timo Burrata

Preparazione Fate un soffritto di cipolla e timo, poi versate il pomodoro. Non metto quasi sale, se non quel pizzico che basta per esaltare il sapore, perché questi pomodori sono davvero saporiti. Togliete il timo, unite una manciata di basilico fresco e fate insaporire. Poggiate le fette di pane (deve essere pane toscano invecchiato, tagliato a fette molto sottili) sul sugo e coprite con il coperchio. Spegnete la fiamma e lasciate che il pane assorba tutti i liquidi e tutta l’umidità.

Versate un po’ di olio a filo e montate la pappa al pomodoro girandola energicamente con una frusta fino a farla diventare soffice, vellutata e saporita. Per aggiungere un tocco in più, ho completato il piatto con un po’ di burrata.

Pasta al pomodoro Difficoltà ●○○

Nonostante tutti i piatti elaborati che cucino praticamente ogni giorno, sapete qual è il mio piatto preferito? Esatto: la pasta al pomodoro. Nella sua semplicità, per me è la cosa più buona, quella che più di tutte sa di casa. A me piace con tanto, tanto pomodoro. Il segreto è farla con un pomodoro eccellente, perché il sapore è tutto lì. Io uso i pomodori biologici maturati al sole e raccolti a mano dell’azienda Lunica del Mugello. In stagione potete usare pomodori freschi, anche datterini o ciliegini. L’importante è che sappiano di qualcosa e non solo di acqua. Fuori stagione consiglio invece una passata, ma di qualità sopraffina.

Ingredienti per 4 persone Pasta 320 g Passata di pomodoro (fresco se di stagione, altrimenti una passata di ottima qualità) 480 g Aglio 1 spicchio Olio EVO Basilico Sale Parmigiano grattugiato (facoltativo)

Preparazione Spellate uno spicchio di aglio e mettetelo in una padella con un po’ d’olio. Aggiungete il pomodoro, che non deve cuocere tanto, contrariamente a quanto si pensa. Soprattutto se state usando una passata, ricordate che è già stata cotta in precedenza, quindi sarà stata portata a temperature sufficienti a uccidere tutte le spore. Con una cottura eccessiva si rischia di perdere le proprietà organolettiche, i sapori che rappresentano il vero segreto per la riuscita di questo sugo. Lessate la pasta. Portate il pomodoro a 60-70 °C, fate restringere il sugo con le foglie di basilico, poi versateci la pasta scolata al dente. Aggiustate con un pizzico di sale se il pomodoro è un po’ sciapo, ma mettete meno sale possibile:

piuttosto, accentuate la sapidità con un ottimo formaggio, come un parmigiano. Finite con un bel filo d’olio extravergine toscano biologico, dal sapore più agretto. Se vi piace, una spolverata di parmigiano ci sta proprio bene. Il consiglio dello chef Se state usando dei pomodorini, dopo la cottura passateli in un passaverdure per eliminare le bucce e i semi, che sono aciduli. Tenete da parte questo scarto ed essiccatelo nell’essiccatore: otterrete una polvere di pomodoro perfetta per dare sapore.

Pasta “Toscana in autunno” Difficoltà ●○○

Il cavolfiore è un tipico ortaggio dei mesi freddi, spesso ingiustamente snobbato. Qui l’ho usato per una pasta insaporita con le alici. Provate e ditemi se non è da leccarsi i baffi!

Ingredienti per 4 persone Pasta di semola 320 g di grano duro trafilata al bronzo Cavolfiori 1 di medie dimensioni Cipolla bianca 1 Alici 12 filetti Aglio 1 spicchio Pangrattato 100 g Olio EVO Sale

Preparazione Tagliate finemente le cipolle. Mentre soffriggono, tagliate a pezzetti il cavolfiore, eliminando la parte interna. Calate la pasta. Consiglio quella di semola di grano duro trafilata al bronzo, ottima per raccogliere tutto il sugo. Appena la cipolla sarà pronta, aggiungete il cavolfiore, un paio di mestoli di acqua di cottura della pasta, un pizzico di sale, chiudete con il coperchio e fate cuocere per circa 10-15 minuti a fiamma medio-bassa. Poi frullate tutto. In una padella fate sciogliere in olio extravergine 12 alici con uno spicchietto d’aglio. Aggiungete il pangrattato e fatelo tostare. Una volta cotta, saltate la pasta nella padella per qualche minuto, poi impiattatela formando un nido. Date una spolverata di pangrattato tostato e posate su ogni nido un’alice come guarnizione. Un filo d’olio e… buon appetito!

Pici all’aglione Difficoltà ●○○

Molti pensano che l’aglione sia l’aglio normale: errore! L’aglione è tipicamente toscano, soprattutto della Valdichiana. È più grande dell’aglio normale, ma soprattutto ha un sapore più delicato ed è molto più digeribile. Non a caso viene chiamato “l’aglio del bacio”.

Ingredienti per 4 persone Farina di tipo 1 350 g Acqua 160-180 mℓ Sale 1 pizzico Olio EVO 1 cucchiaio Aglione 1 spicchio

Passata di pomodoro biologica 1 ℓ Basilico qualche foglia Sale Pepe Vino bianco

Preparazione Impastate l’acqua con la farina e l’olio fino a formare una palla liscia e omogenea. L’impasto dovrà essere abbastanza elastico. Copritelo e lasciatelo riposare per 30 minuti in frigorifero. Formate delle piccole strisce con l’impasto. Allungate poi ogni striscia con le mani a formare i pici. Mi raccomando, non fatevi ingannare dalle dimensioni se vi sembrano fini, perché in cottura si gonfieranno. Per la preparazione del sugo, tritate l’aglione molto finemente, fino a ottenere una sorta di pasta. Potete farlo andare con olio extravergine d’oliva per qualche minuto, per poi sfumarlo con qualche goccia di vino bianco. Infine aggiungete la passata di pomodoro e qualche foglia di basilico. Aggiustate di sale e pepe. Lessate i pici in acqua salata, saltateli nella padella con il sugo e godetevi questo piatto della tradizione toscana, oltretutto vegano! Il consiglio dello chef Io ho utilizzato una farina di tipo 1 invece della 0, perché è più gustosa e naturale. Ricordate che una farina meno raffinata necessita di più acqua rispetto alla farina di tipo 0: circa 8 millilitri in più ogni 100 grammi di farina.

Polpo “A Lucia’, guarda qua” Difficoltà ●○○

Il piatto a base di polpo più classico che ci sia prende il nome dal borgo napoletano di Santa Lucia, popolato da pescatori. Qui i polpi venivano presi con un piccolo inganno: si depositavano sul fondale alcune anfore legate tra loro e si aspettava. Quando i polpi cercavano rifugio istintivamente nelle anfore, queste venivano tirate su con delle corde.

Ingredienti per 4 persone Piccoli polpi puliti e lavati 1 kg Passata di pomodoro biologica 1 kg Olive nere 150 g Capperi 30 g

Aglio in camicia 3-4 spicchi Timo Vino rosso mezzo bicchiere Pane Basilico Olio EVO

Preparazione Insaporite l’olio con aglio e timo, poi fate rosolare i polpi già puliti e lavati per qualche minuto. Non appena cominceranno a rilasciare la loro acqua, irrorate con il vino e fate evaporare la parte alcolica. A questo punto versate il pomodoro, aggiungete olive e capperi e lasciate cuocere a coperchio socchiuso e fiamma molto bassa per circa un’ora e mezza. Infine aggiungete un po’ di basilico. Tostate delle fette di pane. Al momento di servire, posatele direttamente nei piatti e versateci sopra i polpi con il loro sugo, affinché il pane si impregni del condimento. Il consiglio dello chef Spesso in questa ricetta si usa il prezzemolo, ma io preferisco il basilico, che dona un ottimo aroma e un bel profumo. Provatelo!

Quando il Mugello incontra Trapani Difficoltà ●○○ #crudi #marinatura

Che cosa succede quando un’ottima ricotta del Mugello incontra un bel tonno trapanese a crudo? Che si sposano, ovviamente! E dalla loro unione nasce un primo tanto facile quanto buono.

Ingredienti per 4 persone Spaghetti 360 g Ricotta 450 g Pomodori datterini 450 g Basilico 120 g Pinoli 120 g Tonno fresco (abbattuto) 150 g Sale Olio EVO Pepe (facoltativo)

Preparazione Frullate i datterini con basilico e pinoli, con l’aggiunta della ricotta, come a fare un classico pesto. Regolate di sale e frullate ancora un po’. Lasciate da parte un po’ di pinoli per la guarnizione: potete tostarli in padella per qualche minuto a fiamma media. Lessate la pasta in acqua salata mentre preparate il sughetto. Tagliate il tonno a listarelle e poi a pezzetti, a mo’ di tartare, e conditelo prima con un pizzico di sale e poi con un filo d’olio. Lasciatelo marinare un po’ nel suo condimento. Il tonno dovrà essere stato abbattuto in precedenza, come impongono le norme per il consumo di pesce crudo (vedi la lezione Maneggiare i crudi). Quando la pasta sarà cotta, versatela in una casseruola con il sugo. Gli spaghetti non devono cuocere ulteriormente ma solo amalgamarsi con il

condimento, un po’ come un matrimonio veloce, di quelli che si celebrano a Las Vegas. Impiattate e irrorate ancora con un po’ di sugo. Spargete in cima a ogni piatto la tartare di tonno e una cascata di pinoli tostati.

Spaghetti alla gallinella di mare Difficoltà ●○○

Uno spaghetto da re preparato con uno dei pesci più poveri che ci siano, perché si trova facilmente e a prezzi molto economici. La gallinella di mare è un pesce tipico dei nostri mari, ma non gode di grande popolarità perché ha molte spine. Peccato, perché invece è molto saporita, infatti è indicata appunto per i sughi e le zuppe.

Ingredienti per 4 persone Spaghetti 320 g Gallinelle di mare 700 g Concentrato 50 g di pomodoro Olive nere denocciolate 15 Fiori di cappero 3 Aglio in camicia 1 spicchio Pomodorini pachino 10 Sale Pepe (facoltativo) Olio EVO Timo Scorza di limone Basilico Prezzemolo Per il brodo: Teste e lische delle gallinelle Carote 2 Sedano 3 coste Cipolla bianca 1 Alloro 1 foglia Vino bianco Salsa di soia Sale (se serve) un pizzico Olio EVO

Pepe nero (facoltativo)

Preparazione Pulite la gallinella: tagliate i filetti a tocchetti e mettete da parte testa e lische. Iniziate dal brodo: tagliate grossolanamente carota, sedano e cipolla, metteteli in un tegame insieme a una foglia di alloro, quindi aggiungete le teste e gli scarti della gallinella e irrorate con un filo d’olio. Fate insaporire per qualche minuto. Quando il pesce comincia ad attaccarsi al fondo, sfumate con il vino bianco. Una volta evaporato l’alcol, versate un po’ di salsa di soia e aggiungete acqua fredda fino a coprire tutto. Con un cucchiaio togliete via via la schiuma che si forma. A cottura ultimata, filtrate. Tagliate a metà i pomodorini. Tagliate a rondelle le olive e i capperi. In una padella mettete un bel filo d’olio, un rametto di timo, l’aglio in camicia. Aggiungete i tocchetti di gallinella, fateli rosolare leggermente e poi unite pomodorini, olive, capperi e concentrato di pomodoro. Lasciate cuocere per qualche minuto e alla fine regolate di sale. Scottate leggermente gli spaghetti in acqua bollente salata. Intanto prelevate qualche mestolo di brodo di pesce bollente e versatelo in una padella. Non appena gli spaghetti saranno abbastanza ammorbiditi da finire tutti sott’acqua, trasferiteli nella padella e lasciateli cuocere nel brodo. A cottura ultimata, versate sugli spaghetti il condimento e fateli saltare con basilico, prezzemolo tritato e scorza di limone. Prima di servire, date una bella spolverata di scorza di limone.

Ziti della domenica Difficoltà ●○○

Questa pasta infornata è un tipico piatto che mia nonna e mia madre preparavano la domenica. Do delle dosi indicative, ma la verità è che non ho mai visto né mia madre né mia nonna pesare qualcosa. Questa è una ricetta che si prepara “a sentimento”. Se avanza, il giorno dopo “l’è più bona”. Anzi, farla avanzare per la sera e per l’indomani era quasi una regola. Nella preparazione trovate anche la ricetta delle polpette come le faceva mia nonna.

Ingredienti per 4 persone Passata di pomodoro 1 ℓ Ziti 500 g Parmigiano grattugiato Basilico Per le polpette: Macinato di manzo 400 g Macinato di maiale 200 g Pan carré o mollica di pane 4 fette

Latte 120 mℓ Uova 2 Prezzemolo Sale Pangrattato Per 1 ℓ di besciamella: Farina 50 g Burro 50 g Latte 1 ℓ Noce moscata

Preparazione Preparate una classica besciamella, che resti abbastanza liquida. Scaldate il latte e intanto, in un altro pentolino, fate sciogliere il burro, poi spegnete, aggiungete la farina e mescolate con una frusta fino a ottenere un composto liscio e senza grumi. Riaccendete il fuoco e quando il composto diventa dorato versate il latte poco alla volta, poi unite la noce moscata e mescolate. Lessate gli ziti e fateli raffreddare in acqua fredda. Per le polpette, mescolate i due macinati e impastateli con la mollica ammorbidita nel latte, il prezzemolo, le uova e un pizzico di sale. Formate delle polpette, poi passatele nel pangrattato. A questo punto avete due opzioni: potete cuocere le polpette in forno a 180 °C fino a doratura, oppure potete friggerle in olio a 180 °C per alcuni minuti. Non devono essere stracotte, perché poi continueranno la cottura in forno. Disponete in una teglia uno strato di ziti, poi conditeli con un po’ di passata di pomodoro, qualche polpetta, besciamella, qualche foglia di basilico, una spolverata di parmigiano. Andate avanti a strati come per una lasagna. All’ultimo strato terminate con pomodoro, besciamella, polpette e parmigiano, che formerà la crosticina. Infornate per almeno 40 minuti a 180 °C, poi accendete il grill solo sopra per rendere il tutto croccante. Il consiglio dello chef Dopo aver lessato gli ziti, mia nonna li lasciava raffreddare a temperatura ambiente, ma da chef vi consiglio di passarli in acqua fredda con la stessa concentrazione di sale dell’acqua in cui abbiamo cotto la pasta.

Indice alfabetico delle ricette Aria di cavolo rosso Baccalà alla livornese Bavarese Biscotti di Prato Bottoni burro e salvia Branzino con gel alla mela verde e wasabi Brodo Burri aromatizzati Cacio e pepe della Tasmania Cappelletti al cinghiale Carbozucca Carpaccio di Chianina Cervello di seppia Chips italiane di tapioca Cotica soffiata Crema all’aglio Fegatino 2.0 Fegatino toscano Filetto di manzo CBT Finto pomodoro Focaccia alle cipolle di mia nonna Foglie d’autunno Fondo bruno e fondo vegano Fragole di Wagyu Fumetto di pesce Fusilli all’anatra Gel alla mela verde e wasabi Girella Guancia con purè di sedano rapa Gunkan e nigiri di Wagyu

Insalata belga marinata Insalata di mare Involtini di grotta Lingua con fondo di cipolla e gambero blu Linguine con ragù di polpo e mandorle Maialino CBT Maionese Melanzana parmigiana Minestra delle favole Minestrone 2.0 Oli aromatizzati Olive Paccheri chips Pan brioche Pane toscano Panettone al cioccolato Pappa al pomodoro a modo mio Parmigiana moderna Pasta al pomodoro Pasta “Toscana in autunno” Peposo del Brunelleschi Pera Perlage di cavolo rosso Petto d’anatra con gelato al gorgonzola e il suo fondo Pianeta caprese Pici all’aglione Plin al parmigiano Polpette di lampredotto Polpo “A Lucia’, guarda qua” Polpo marinato Quando il Mugello incontra Trapani Ribollita Risotto ai frutti di bosco ed erborinato Risotto al piccione Risotto al sesamo

Rosa di daikon Salmone CBT Salmone marinato Salsa bisque Salsa teriyaki Scacchi Scampo tequila, sale e limone Schiacciata toscana Seppie e piselli 2.0 Spaghetti alla gallinella di mare Spaghetti con acqua dei peperoni e salsa Red Gold Spaghettoni al peperone arrosto Spugna al cioccolato Spugna di zucca Spuma di patate al tartufo Tacos ceviche Tagliatelle di farro al pesto non pesto Tagliatelle marroni Tagliolini al riccio di mare Tartare di anatra Tartare di cervo Tartelletta ai lamponi Tataki di tonno Terra di campagna Tonno del Chianti Torta Sacher Tortelli di patate mugellani Triangoli vegani Triglia croccante alle nocciole Tuorlo disidratato Uovo Uovo CBT Wagyu tartare king Ziti della domenica Zucca

Tavola dei Contenuti (TOC) Copertina Frontespizio Colophon L’autore Sommario Introduzione Benvenuti in cucina con me Come usare questo libro Preparati di base Brodo Burri aromatizzati Fondo bruno e fondo vegano Fumetto di pesce Maionese Lezioni di cucina #estrazione Oli aromatizzati Salsa bisque Lezioni di cucina #essiccazione Salsa teriyaki Magie della cucina molecolare Aria di cavolo rosso Chips italiane di tapioca Cotica soffiata Lezioni di cucina #soffiatura Foglie d’autunno Gel alla mela verde e wasabi Perlage di cavolo rosso Spugna al cioccolato Spugna di zucca Amuse-bouche e antipasti Carpaccio di Chianina Lezioni di cucina #gelificazione

Cervello di seppia Fegatino toscano Fegatino 2.0 Scacchi Finto pomodoro Lezioni di cucina #sferificazione Fragole di Wagyu Olive Paccheri chips Pianeta caprese Polpo marinato Scampo tequila, sale e limone Spuma di patate al tartufo Lezioni di cucina #sifone Tacos ceviche Tartare di cervo Tonno del Chianti Tuorlo disidratato Uovo CBT Lezioni di cucina #kappatura Zucca Primi Bottoni burro e salvia Cappelletti al cinghiale Fusilli all’anatra Minestra delle favole Minestrone 2.0 Parmigiana moderna Plin al parmigiano Ribollita Lezioni di cucina maneggiare i #crudi Risotto ai frutti di bosco ed erborinato Risotto al piccione Risotto al sesamo Spaghetti con acqua dei peperoni e salsa Red Gold Lezioni di cucina #flambatura Spaghettoni al peperone arrosto Tagliatelle di farro al pesto non pesto Tagliatelle marroni Tagliolini al riccio di mare

Tortelli di patate mugellani Lezioni di cucina cottura a bassa temperatura (#cbt) Triangoli vegani Secondi Baccalà alla livornese Branzino con gel alla mela verde e wasabi Filetto di manzo CBT Guancia con purè di sedano rapa Gunkan e nigiri di Wagyu Insalata belga marinata Insalata di mare Lingua con fondo di cipolla e gambero blu Maialino CBT Melanzana parmigiana Peposo del Brunelleschi Petto d’anatra con gelato al gorgonzola e il suo fondo Polpette di lampredotto Rosa di daikon Salmone marinato Salmone CBT Lezioni di cucina #marinatura Seppie e piselli 2.0 Tartare di anatra Tataki di tonno Triglia croccante alle nocciole Wagyu tartare king Dolci Bavarese Biscotti di Prato Girella Panettone al cioccolato Pera Tartelletta ai lamponi Terra di campagna Torta Sacher Uovo Pane e dintorni Pan Brioche

Pane toscano Schiacciata toscana Le ricette che avete amato di più Cacio e pepe della Tasmania Carbozucca Crema all’aglio Focaccia alle cipolle di mia nonna Involtini di grotta Linguine con ragù di polpo e mandorle Pappa al pomodoro a modo mio Pasta al pomodoro Pasta “Toscana in autunno” Pici all’aglione Polpo “A Lucia’, guarda qua” Quando il Mugello incontra Trapani Spaghetti alla gallinella di mare Ziti della domenica Indice alfabetico delle ricette