Un'etica per tre comunità. L'etica di Gesù in Matteo, Marco e Luca 8839405976, 9788839405975

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Un'etica per tre comunità. L'etica di Gesù in Matteo, Marco e Luca
 8839405976, 9788839405975

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Giuseppe Segalla, professore di Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, membro della Studiorum Novi Testamenti Socie­ tas, per dieci anni ha partecipato ai lavori della Pontificia Commissione Bi­ blica. Per i tipi Paideia ha edito La

preghiera di Gesù al Padre (Gv. 17)

e

La

cristologia del Nuovo Testamento. Il saggio di Giuseppe Segalla si pone sulla scia dei lavori che ne­ gli ultimi vent'anni sono stati dedicati al tema, precedentemente trascurato, dell'etica di Gesù quale si riflette nelle tradizioni dei singoli autori neotestamentari. Fondandosi sull'analisi della lin­ gua e delle forme letterarie quanto sull'esame dell'ambiente so­ cio-culturale e della teologia propri di ciascuno dei tre sinottici, lo studio mostra in quali modi i tre evangelisti abbiano inter­ pretato la tradizione etica di Gesù alla luce delle esigenze della propri.t comunità, sviluppando una riflessione teologica e pa­ storale che può fungere da paradigma anche per la varietà e la complessità dei problemi etici che la chiesa si trova oggi ad af­ frontare.

Studi biblici, dir. Giuseppe Scarpat

ISBN 88.394.0597.6

91JJJUU Lire 40.000

Studi biblici

126

Giuseppe Sega/la

Un'etica per tre comumta .

'

L'etica di Gesù in Matteo, Marco e Luca

Paideia Editrice

Tutti i diritti sono riservati

© Paideia Editrice, Brescia 2000

ISBN

88.394.0 597·6

In dice del volume Il

Premessa

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Introduzione

17 17 19 19 21

26 28 31 31 37 43 44 44

Capitolo I L'etica matteana fra comandamenti di Dio (legge e profeti) e comandamenti del Signore (il vangelo) Introduzione 1. Lo studio dell'etica mattcana fra etica cristiana ed etica giudaica (rassegna) 1. L'etica matteana fra cristologia ed escatologia nei grandi commenti 2. L'etica matteana nelle teologie di Matteo: fra giudaismo riformato e novità cristiana 3· L'etica matteana nelle «etiche del Nuovo Testamento>>: compimento della torà o decadenza dali'esistenza cristiana in un'etica giudaica/cattolica? 3. 1 . Le «etiche del Nuovo Testamento» che danno un giudizio positivo 3.2. Le «etiche del Nuovo Testamento» che criticano l'etica matteana (Schulz e Marxsen) 4· L'etica matteana nelle monografie ad essa dedicate: fra etica teologica e analisi socio-religiosa della comunità in cui è praticata 4. 1 . Mon ografie teologiche di etica matteana 4.2. L'analisi socio-religiosa situa l'etica matteana all'interno di una comunità giudeo-cristiana 5· Conclusione n. La complessa struttura teologico-comunitaria dell'etica matteana nel quadro di un'etica giudeo -cristiana 1. La formulazione letteraria dell'etica matteana

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73 77 So

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1 02 102

I. I. Le forme linguistiche 1 .2. Le forme letterarie dell'etica matteana 1.3. L'etica matteana nella struttura letteraria del vangelo I+ Conclusione 2. La configurazione teologica dell'etica matteana: cristologico-teologica, ecclesiale ed escatologica 2. I. La fondazione cristologico-teologica: l'autorità etica i.2. L'orizzonte ecclesiale: il complesso soggetto etico dell'etica matteana 2.3 . L'orizzonte escatologico spazio-temporale: storia ed eschaton 3· L'ambiente socio-religioso ebraico dell'etica matteana Epilogo. Torà ebraico-rabbinica o Gesù maestro e signore di una giustizia maggiore?

Capitolo2 L'etica di Marco per le «genti» Introduzione 1. Modelli interpretativi dell'etica marciana 1. Etica e narrazione: analisi strutturale-narrativa ed ermeneutica fenomenologica {Dan Otto Via) 2. Due tesi escatologico-ermeneutiche opposte (S. Schulz e W. Marxsen) 2. 1 . S. Schulz: dall'apocalittica alla storia e all'etica 2.2. W. Marxsen: l'etica come continua novità escatologica 3· Il modello sistematico del metodo storico-critico (Schrage, Schnackenburg e Si:iding) 3.1. W. Schrage: l'etica marciana è l'etica del discepolato 3.2. R. Schnackenburg: un'etica concentrata nella fede e nella sequela 3·3· Th. Soding: l'imperativo dell'etica del regno, fondato nell'indicativo del regno di Dio 4· Il modello letterario-narrativo (R. Beck, R.B. Hays e F. Mat�ra) 4· r. R. Beck: l'etica della storia narrata ossia la non violenza che salva

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4.2. R.B. Hays: l'etica del «prendere la propria croce» 4-3- Frank Matera: etica per il regno di Dio 5. L'etica e la legge in Marco 5 . 1 . Heikki Sariola: critica redazionale 5.2. Camille Focant: un'anal isi socio-religiosa 5 ·3· W.R.G. Leader: analisi narrativa n. Alla ricerca di una metodologia e di un principio euristico m. Il messaggio etico di Marco collocato nella trama del vangelo 1. La collocazione strategica del messaggio etico nella trama narrativa di Marco 2. Le tre forme narrative in cui si configura l'etica marciana 2. 1 . La forma di narrazione/annuncio-richiesta 2.2. La forma della nan·atio, seguita da quaestio e responsio: l'etica proposta è fare la volontà di Dio, rivelata e interpretata da Gesù 2. 3. L'etica marciana nella forma letteraria della quaestio-responsio 3· L'etica teologico -cristologica di Marco: la struttura triforme e il principio unificante 3. 1. L'articolazione dell'etica marciana in base alle tre forme letterarie: radicalizzazione cristologica e universalizzazione antropologica 3.2. I modelli di riferimento e l'identità teologico-etica dell'etica marciana 3-3- I criteri di giudizio morale 3·4· I due livelli storici: l'ethos di Gesù e l'etica marciana Epilogo. Un'etica cristologica fra due mondi

Capitolo] L'etica narrativa per modelli di Luca-Atti Introduzione 1. Metodologia ed ermeneutica nello studio dell'etica lucana 1 . Sintesi insufficienti 2. Panorama metodologico ed ermeneutico 2. 1. Le metodologie classiche eludono il problema dell'etica lucana

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I68 I7I

2.2. La vivacità ermeneutica degli anni '6o-'7o 2.3. Nuove metodologie e proposte recenti

degli anni '8o

I79 179 I8I I 82 I8 3 I8 5 I86 1 88 I90 2IO

2I 2 2I 5

3· Riflessione metodologica ed ermeneutica 3· 1. Metodologie in dialogo 3.2. L'ermeneutica teologica

II. Il modello narrativo dell'etica lucana 1. Il quadro semantico di azione: beneficare, servire, donare 2.l1 quadro morfologico-narrativo 3· Un quadro sistematico 3· 1 . Legge mosaica ed etica lucana 3.2. Etica narrativa ed economia del regno di Dio Conclusione Epilogo. Simposio greco e banchetto lucano Indice dei passi citati

Premessa Questo volume raccoglie tre articoli da me pubblicati negli ultimi quattro anni (1995-1999).' Pur non rispon­ dendo ad un disegno unitario, i tre saggi sono accomu­ nati da uno stesso metodo di esposizione (uno status quaestionis della ricerca cui segue una mia proposta) e da una stessa metodologia, redazionale e composizio­ nale. È mia intenzione, con questa monografia, continua­ re l'umile servizio intrapreso con il lavoro precedente Introduzione all'etica biblica del Nuovo Testamento

(1989): offrire un 'ampia rassegna critica della ricerca sull'etica neotestamentaria in campo internazionale, apportandovi un mio, sia pur modesto, contributo. Mi permetto di dedicare quest'opera all'editrice Pai­ deia e ai suoi infaticabili animatori quale riconosci­ mento del grande contributo che hanno dato e conti­ nuano a dare alla cultura biblica italiana di alto profilo scientifico, a livello storico, letterario e teologico. Padova,

10

aprile zooo.

Giuseppe Segalla

1. I tre articoli sono apparsi in: Teologia 20 ( 1995) 34-74; 22 ( 1997) 1 1 1 - 1 62; 24 ( 1 999) 14-7 1 .

II

Introduzione Mentre all'etica di Gesù viene riservato sempre, e giu­ stamente, un largo spazio nelle «etiche del Nuovo Te­ stamento»,' l'etica dei singoli vangeli solo negli ultimi venti anni ha attirato l'attenzione degli studiosi, pro­ piziata dai due nuovi metodi, redazionale e composi­ zionale: il primo mette in luce l'apporto del redattore alla tradizione di Gesù, trasmessa oralmente o per i­ scritto; il secondo considera il vangelo in se stesso co­ me composizione narrativa, in cui ha una sua partico­ lare articolazione anche l'etica. Nella mia opera del 1989 non avevo dedicato un ca­ pitolo particolare all'etica di sinottici-Atti; e lo senti­ vo come una lacuna da colmare, anche perché negli ul­ timi anni, non solo le «etiche del N.T.» includono sem­ pre anche l'etica dei sinottici, ma vi si sono dedicate e vi si dedicano pure diverse monografie specifiche. Di questo tema perciò mi sono occupato negli anni '90 con alcuni seminari di ricerca, nella Facoltà Teolo­ gica dell'Italia Settentrionale (Milano), studiando suc­ cessivamente l ' etica di Luca-Atti, di Matteo e di Mar­ co. La presente monografia ne raccoglie i risultati. Il metodo qui praticato è alquanto diverso da quel­ lo seguito nella mia precedente Introduzione. Non mi limito infatti ad offrire uno status quaestionis ragiona­ to della ricerca, ma propongo pure una mia interpre­ tazione, tenendo conto degli studi precedenti e lavo­ rando peraltro sempre direttamente sui testi. 1. Per la storia della ricerca rimando alla mia precedente opera: Introdu­

zione all'etica biblica del N. T.,

Brescia 1 989, 145- 192 (L'etica di Gesù).

13

Come accennavo sopra, in questa ricerca i due me­ todi più promettenti sono quello redazionale che si av­ vale dello studio del vocabolario, del linguaggio e del­ le espressioni proprie di un vangelo rispetto agli altri; e quello composizionale, che considera l'opera come composizione letteraria, unità globale a sé stante con una sua identità propria nella redazione delle tradizio­ ni di Gesù, raccolte, interpretate e organizzate in un racconto continuo. Dai risultati dei due metodi si per­ viene anche ad una struttura teologica specifica di o­ gnuna delle tre etiche. Tre problemi connessi al tema dell'etica sono toc­ cati solo marginalmente: il rapporto dell'etica dei sin­ goli vangeli con l'etica di Gesù, l'ambiente culturale e la comunità che riflette. A tali problemi si accenna so­ lo nelle conclusioni e negli epiloghi. A tal proposito vorrei esprimere solo l'idea che me ne sono fatta nel percorso della ricerca. Per quanto concerne il rapporto con l'etica della tradizione di Gesù, si potrebbe accogliere quanto dice F.J. Matera senza la sua radicalizzazione: «preferisco parlare dell'etica di Gesù, mediata da questi scrittori piuttosto che parlare di etica marciana, matteana . . »; certamente gli evangelisti erano convinti di trasmette­ re e di interpretare l'etica di Gesù, non di proporre una .

2

loro propria etica.3

Quanto all'ambiente culturale i risultati sono più precisi ancorché sintetici: l'ambiente di Matteo è deci­ samente giudeo-cristiano; 4 Marco si pone fra quello 2.

Frank G. Matera, New Testament Ethics, Louisville, Kem. 1996, 9· 3· Il percorso critico verso il Gesù storico è stato eseguito egregiamente da H. Merklein nella sua opera classica Die Gottesherrschaft als Handlungs­ prinzip. Untersuchung zur Ethik ]esu, Wiirzburg 1978 e tre successive edi­ zioni (per un giudizio critico si veda la mia Introduzione, cit., 172-176. 4· Per un'ulteriore conferma si veda il mio La tradizione di Gesù e la rivela­ zione di Dio ad Israele in Matteo, in La rivelazione attestata. La Bibbia fra testo e teologia. Studi in onore di C.M. Martini, Milano 1998, 197-234.

giudaico e quello ellenistico con attenzione a quest'ul­ timo; mentre Luca (Lc.-Atti) è chiaramente orientato al confronto con l'ambiente greco-romano. Più sfuma­ to è il discorso sulla comunità cui era rivolta l'etica dei singoli evangelisti. s Quale significato, infine, possono avere per noi og­ gi le tre diverse interpretazioni dell'etica di Gesù, ela­ borate dai tre primi evangelisti ? Basti, a questo propo­ sito, pensare alla diversa interpretazione del matrimo­ nio indissolubile in Mt. e in Mc.-Lc. Il problema del­ l'unità essenziale nella diversità è oggi di grande attua­ lità. Cosa constatiamo nella interpretazione dell'etica di Gesù da parte degli evangelisti ? L'etica di Gesù, che è l'etica del regno di Dio e della sequela, di cui lui è il modello supremo, consiste in motivazioni, atteggia­ menti e comportamenti radicali più che in precise norme concrete, ancorché pure queste talora ci siano, le halakot presenti soprattutto in Matteo. Dato che l'etica di Gesù si presenta con questa configurazione, si presta ad essere interpretata in modo duttile, adat­ tandosi a situazioni nuove, come alla legislazione ro­ mana del matrimonio in Mc. IO,I- 1 2. Ciò, per un ver­ so mette in luce la profonda ricchezza del messaggio etico di Gesù, mai esaurito nelle sue interpretazioni ed applicazioni, per altro verso lo rivela capace di essere coniugato e praticato in ambienti culturali diversi, conservando la sua fondamentale identità. Così Mat­ teo privilegia il rapporto di Gesù con la legge e le ha­ lakot farisaiche, mentre Luca insiste di più su modelli narrativi di comportamento ideale (solo in lui si leg­ gono le parabole esemplari), e Marco rimane più lega­ to al rapporto della metanoia con la fede nel vangelo di Gesù Cristo. 5.

Sulla comunità ecclesiale riflessa nei singoli vangeli si veda il mio Evan­

gelo e Vangeli, Bologna '1994.

La morale cristiana che si nutre della novità escato­ logica del regno presente e compiuto in Gesù, se vuoi rimanere fondata sulla roccia, deve radicarsi nel suo messaggio etico, come hanno fatto gli evangelisti. Su questo solido fondamento si sono costruite e si pos­ sono costruire diverse case. Sono le diverse etiche dei primi tre vangeli, sulla cui scia anche oggi possiamo continuare, aperti a culture diverse e a conseguenti co­ munità diverse, ma tutte radicate nell'identità dell'uni­ ca etica di Gesù.

Capitolo I

L'etica matteana fra comandamenti di Dio (legge e profeti) e comandamenti del Signore (il vangelo) 1

Introduzione Di «comandamenti» (entolai) il vangelo secondo Mat­ teo parla, in verità, poco; il sostantivo che ricorre solo in tre testi, si riferisce ai comandamenti della torà: non si deve trascurare neppure il più piccolo, perché trascu­ rando i comandamenti minimi si sarà minimi nel re­ gno dei cieli (Mt. 5 , I 9 ); per entrare nella vita occorre os­ servare i comandamenti del decalogo più quello del­ l'amore al prossimo (Mt. I 9,J7- I 8): così risponde Ge­ sù, in prima battuta, al giovane ricco; infine il massi­ mo comandamento «nella torà>> è quello di amare Dio e amare il prossimo (Mt. 22,3 6-40). Il corrispondente verbo «comandare» (entellesthai) compare solo nell'ul­ timo versetto del vangelo: «insegnando loro (a tutti i popoli) ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt. 28,2o), vale a dire quanto sta scritto nel vangelo. Pochi testi, certo, quattro, di cui tre propri di Mt., ma importantissimi: i primi tre riguardano i comanda­ menti di Dio nella torà (Mt. 5 , I 9; 1 9, 17- 1 9; 22,40), mentre l'ultimo concerne tutto l'insegnamento etico del Signore cui «fu dato (da Dio) ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt. 28, I 8). Parliamo perciò giustamente di etica matteana, non 1. La rassegna più recente di etica matteana si può trovare in Armin Wou­ ters, "··· wer den Willen meines Vaters tut». Eine Untersuchung zum Ver­ standnis vom Handeln im Matthii.usevangelium, Regensburg 1992, 17-37· La rassegna degli studi su Matteo di A. Sand (Das Matthii.us-Evangelium, Darmstadt 1 9 9 1 ) all'etica non dedica che alcune pagine nella discussione intorno al discorso della montagna (pp. 1 44-150).

solo nel senso stretto di «comandamenti» ave compa­ re il vocabolario esplicito (i testi, come abbiamo visto, sono pochi), ma anche nel senso più ampio di tutte le indicazioni prescrittive che riguardano l'agire dell'uo­ mo nel suo rapporto con Dio e con gli altri uomini. Non ci fermeremo però ad esaminare le singole in­ dicazioni etiche (sarebbe impossibile), ma piuttosto le richieste fondamentali, che costituiscono l'orizzonte specifico dell'etica matteana. È noto che la parenesi e­ tica occupa uno spazio privilegiato in Mt.; egli insiste sulla prassi cristiana, insegnata da Gesù come condi­ zione per entrare nel regno di Dio e nella vita (Mt. 7, I 5-2 I ; I 9, I 7- I 8 ; 25t3 I -46), anche se pure a questo li­ vello, fondamentale, la terminologia non ci soccorre molto; infatti il verbo poiein (fare) in Mt. ricorre 84 volte, 47 in Mc., 8 8 in Le. e ben I I O in Gv. Non è per­ ciò tipico di Mt. il singolo vocabolo etico, ma specifici sono piuttosto i sintagmi di carattere etico. Uno dei problemi più cruciali dell'etica matteana è la radicalità delle richieste, specie nel discorso della montagna e la possibilità umana di metterle in pratica! L'etica matteana è stata oggetto di studi complessivi solo in questi ultimi anni, che hanno visto moltipli­ carsi pure i grandi commenti e gli studi socio-religiosi della comunità matteana nel suo stretto rapporto con la torà e con l'ambiente giudaico. Il presente studio si avvale di vari metodi: della cri­ tica redazionale, della composizione letteraria, del me­ todo socio-religioso e di quello più propriamente teo­ logico, il quale ultimo diviene come l'orizzonte erme­ neutico globale in cui includere i risultati degli altri. Procederò in due momenti successivi come nella mia analoga rassegna sull'etica lucana: 3 anzitutto una re2. Cf. G. Lohfink, Per chi vale il discorso della montagna?, Brescia 1990 (ed. or. 198 8). 3· V. sotto, cap. 3 (L'etica narrativa per modelli di Luca-Atti).

censione, necessariamente sintetica, degli studi sull'eti­ ca matteana (I) e quindi una proposta di sintesi artico­ lata (n). I. LO STUDIO DELL' ETICA MATTEANA FRA ETICA CRISTIANA ED ETICA GIUDAICA (RASSEGNA)

Organizzeremo la rassegna degli studi secondo il ge­ nere di opera in cui l'etica matteana viene trattata: 1. i commenti al vangelo; 2. le teologie di Mt.; 3· le etiche del Nuovo Testamento; 4· le monografie vere e pro­ prie sull'etica matteana, di carattere teologico e di ge­ nere socio-religioso. 1 . L 'etica matteana fra cristologia

ed escatologia nei grandi commenti 4

Prendiamo in considerazione in particolare tre grandi commenti recenti (Luz, Sand e Gnilka), tralasciando quello di Davies-Allison perché più impegnato sul pia­ no critico-letterario che teologico. Il problema di fon­ do emerge nel commento al discorso della montagna e si concentra sul problema del rapporto fra cristologia, escatologia (regno dei cieli) ed etica (esigenze radicali per entrare nel regno). Per U. Luz {1, 1 89- 1 9 1 . 2 1 7; una sintesi a p . 4 1 9 ove si distingue l'etica matteana da quella di Gesù) la cri­ stologia come racconto evangelico di Gesù costituisce la base dell'etica matteana. Non vi sono in Mt. indi4·

W.D. Davies - C. Allison,Jr., The Gospel according to Saint Matthew, 1. /ntroduction and Commentary on Matthew 1- VII; 11. Commentary on Matthew Vl//-XVI/1, Edinburgh 1988 e I99Ii J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, 1 (I,I-IJ-58); n (14,I-z8,zo), Brescia 1990 e 1991 (ed. or. 1986 e 1988); U. Luz, Das Evangelium nach Matthaus, 1 (1-7); 11 (8-17), Einsie­ deln-Neukirchen 1985. '1989 e 1992; A. Sand, Il Vangelo secondo Matteo, 1

(1,1-16,zo); n (16,zr-z8,zo), Brescia 1992 (ed. or. 1986).

cazioni etiche separate dalla cristologia, quasi un ma­ nuale di etica a sé stante; sarebbe un'interpretazione er­ rata. Le indicazioni etiche vanno lette invece nel qua­ dro della narrazione di Gesù, che offre la salvezza con l'amore misericordioso e le guarigioni; egli è insieme maestro e salvatore. L'articolazione di cristologia ed etica in Mt. sarebbe perciò analoga a quella dell'allean­ .za del popolo d'Israele con Dio nell' A.T., che fonda le sue norme sulla precedente storia della liberazione dal­ la schiavitù. Pur in questo quadro più ampio della nar­ razione evangelica, le norme etiche sono però procla­ mate come condizioni necessarie per entrare nel regno. A. Sand (I, 228-244) legge invece l'etica matteana nell'orizzonte globale del messaggio di Gesù. Ora tale messaggio pone al centro l'annuncio del regno di Dio, una realtà presente in Gesù in quanto in lui si rivela il Dio misericordioso; il regno si compirà nel futuro, mentre il presente è il tempo intermedio della prova, in cui il regno con le sue esigenze etiche viene conse­ gnato alla chiesa di Cristo. Si rimane nella promessa solo se si agisce secondo il regno e, in tal modo, si spe­ rimenta la comunione con Dio. La cristologia viene quindi ordinata all'escatologia, cioè all'annuncio del regno, da cui scaturisce l'esigenza etica per potervi en­ trare e rimanere. Sand però non tiene sufficientemente conto della situazione postpasquale, in cui Gesù Si­ gnore è anche giudice come Figlio dell'uomo (Mt. 2 5 , 3 1-46). Nella sua precedente monografia Sand qualifi­ cava la volontà di Dio etica come volontà salvifica per l'uomo. L'etica matteana è perciò insieme dono e pro­ messa.5 ]. Gnil�a (I, 428-4 3 5 ), anche se meno impegnato a livello teoretico, legge comunque l'imperativo etico nell'orizzonte cristologico dell'offerta della salvezza e 5· A.

Sand, Das Gesetz und die Propheten, Regensburg

20

1974.

del perdono al popolo di Dio (Mt. 4,23-25), che a sua volta è legato all'annuncio del regno. L'offerta della salvezza è destinata ad un uomo che si pone davanti a Dio come «povero nello spirito», uno che aspetta tutto da Dio. In tale prospettiva viene esclusa ogni idea di ri­ compensa dovuta, quasi che il regno sia frutto della prestazione umana. Gnilka tenta perciò di unire insie­ me cristologia (offerta della salvezza ed imperativo eti­ co) con l'escatologia (il regno come dono e come idea­ le da raggiungere). Il regno come grazia precede l'azio­ ne dell'uomo; ma Gnilka non dice quale sia e soprat­ tutto perché sia necessaria questa azione. Sembra tema l'accusa protestante di considerare l'azione umana co­ me diritto ad una ricompensa. In realtà Mt. parla chia­ ramente di «ricompensa>>, come vedremo più avanti. Gnilka e Luz pongono dunque al centro la cristo­ logia, mentre Sand fa prevalere nell'imperativo etico la centralità dell'annuncio gesuano del regno. Il proble­ ma di fondo però è il rapporto fra dono/promessa del­ la salvezza presente/futura e l'imperativo etico. Le stes­ se beatitudini all'inizio del discorso della montagna, pur contenendo chiaramente un imperativo etico, ne conservano tuttavia il carattere primario di promessa come giustamente sostengono Davies-Allison (r, 440). Il limite dei commenti è di concentrare l'etica mat­ teana nel discorso della montagna con i problemi con­ seguenti anche della lunga Wirkungsgeschichte. Essa andrebbe invece inquadrata nell'orizzonte globale di tutto il vangelo. È quello che tenteremo di fare. 2. L 'etica matteana nelle teologie di Matteo:

fra giudaismo riformato e novità cristiana 6

Iniziamo con W Trilling, che dedica all'etica mattea­ na gli ultimi due capitoli della sua monografia ( 19 59), 6. In ordine cronologico: W. Trilling, Ilvero Israele. Studi sulla teologia di

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un classico della Redaktionsgeschichte (Il vero Israele, 2 1 2-267). Egli legge l'etica matteana nell'orizzonte del­

l'escatologia e dell'ecclesiologia. Il problema centrale sarebbe quello della legge (Mt. 5 , 1 7-2o), ove individua due temi specifici di Mt. : la sovranità di Dio come so­ vranità di Cristo e il popolo di Dio come chiesa di Cri­ sto. La teologia matteana è centrata nella ecclesiologia; la chiesa è il vero Israele {titolo), perché Israele ha ri­ fiutato il. regno di Dio offerto in Gesù e perciò gli è stato tolto e donato ad un popolo (ethnos) nuovo (Mt. 2 1 ,43), la chiesa dei popoli, che l'ha accolto e che por­ ta frutti. Con l'Israele storico vi è continuità storica: la chiesa rivendica per sé la Bibbia ebraica come norma etica (Mt. 5.17-20). Ma vi è al contempo una disconti­ nuità in quanto l'Israele storico ha rifiutato appunto il regno. La tensione fra continuità e discontinuità si ri­ vela in tre modi: 1 . Mt. riconduce tutto alla volontà di Dio come prin­ cipio superiore, che abbraccia tutta l'etica, al posto della torà; Gesù porta la rivelazione nuova ed ultima della volontà di Dio; 2. inoltre centra l'etica nel comandamento dell'am6re al prossimo; per gli ebrei era uno dei comandamen­ ti, mentre in Mt. diviene criterio della prassi cristiana: l'amore non può essere legge; 3· infine, in Gesù si compie la volontà salvifica del Padre: Gesù la rivela e la compie. E la chiesa continua a compiere nella storia quella stessa volontà salvifica. Ultimo fondamento dell'etica matteana è l'elezione di Dio: la chiesa è il popolo eletto cui è promesso il regno di Dio. L'elezione è passata dall'Israele storico al vero Israele, cui è ora affidato. Mt. quindi fonda l'e­ Matteo, Casale Monf. 1 992 (ed. or. 1 959, 31 975); G. Strecker, Der Weg der Gerechtigkeit. Untersuchung zur Theologie des Matthaus, Gottingen 1 962, 3197 1 ; H. Franke mo lle jahwe Bund und Kirche Christi. Studien zur Form­ und Traditionsgeschichte des �Evangeliums» nach Matthaus, Miinster ,

-

1 974· '1984.

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ti ca nell'ecclesiologia del vero Israele, comunità di co­ loro che si aprono alla rivelazione salvifica del Padre in Gesù; la promessa della salvezza sta nell'elezione di Dio, compiuta in Gesù e che continua a compiersi nella chiesa. Questa tesi del Trilling è oggi duramente criticata. G. Strecker nella sua opera Der Weg der Gerechtig­ keit (1 962) legge l'etica matteana nel quadro della sto­ ria della salvezza. In Mt. si ha un processo di storiciz­ zazione e periodizzazione a causa del ritardo della pa­ rusia; la chiesa deve vivere nel tempo e il cristiano è or­ mai di casa nel mondo. Il passato di Gesù è un passato santo, su cui si riflette. Si distingue perciò la tradizio­ ne dalla redazione: la prima rivela una cristologia bas­ sa ed umile, la seconda invece una cristologia elevata. Si evidenzia un rapporto stretto fra cristologia e disce­ polato. La richiesta etica è comprensibile perché la vita cristiana è resa possibile nel mondo; l'escatologia ne è il motivo portante, in quanto la comunità aspetta il giudizio e la salvezza alla fine dei tempi. La missio­ ne centrale di Gesù si evidenzia nel rapporto fra pro­ messa di salvezza e corrispondente esigenza etica; Ge­ sù viene a portare un regno, che si realizza compiuta­ mente solo alla fine dei tempi. Il tempo di Gesù è il tempo della «via della giustizia superiore», inserita nella storia. Gesù stesso compie per primo la giustizia di Dio (Mt. 3,16), che realizza la salvezza escatologica. Per Mt. la storia è storia della salvezza. Gesù è iniziatore-fondatore della salvez1.a c la chiesa si colloca fra un passato che fonda la salvezza (la storia di Gesù) e un futuro che la porterà a compi­ mento. Nel presente la via della giustizia superiore è insieme promessa ed esigenza. Il messaggio etico per­ ciò viene posto al centro del messaggio di Gesù. L'a­ zione passata di Dio in lui non è solo azione salvifica, ma anche modello e richiesta etica. 23

In sintesi: la storia della salvezza è fondata nel pas­ sato di Gesù, è presente nella via della giustizia, pro­ messa e compito insieme, è futura nel compimento fi­ nale del regno dei cieli. H. Frankemolle nella sua ricerca del 1 974, inquadra l'etica matteana nella teologia della nuova alleanza. La prassi è considerata nell'orizzonte della ecclesiologia, nella continuità (rapporto storico e analogia teologica) fra la comunità di Jhwh e la comunità di Cristo, la chie­ sa. Mt. letterariamente si richiama all'opera deutero­ nomistica e a quella del Cronista: Dio fedele e un po­ polo infedele, che viene esiliato e poi ritorna dall'esi­ lio, convertendosi e rinnovando l'alleanza; Deutero­ nomista e Cronista sono in fin dei conti, una proie­ zione letteraria del ritorno. Letto su questo sfondo, Mt. rivela una situazione a­ naloga, creata da Gesù, che restaura l'alleanza con la comunità mediante la sua morte-risurrezione. Per di­ mostrare questa sua tesi, Frankemolle sviluppa due te­ matiche: quella della nuova alleanza e quella del regno. Quanto alla nuova alleanza, la trova nella finale di Mt. (28 , 1 6-2o): «lo sarò con voi»; il «Dio con noi» è parte essenziale dell'alleanza, e corrisponde alla presenza salvifica di Jhwh in mezzo al suo popolo nell'A.T. Ge­ sù compie la promessa, e la chiesa, vero popolo di Dio che risponde alla sua chiamata al regno, compie l'anti­ ca alleanza nella nuova, di cui Gesù è il mediatore. Mt. 28, 1 6-20 narra la rinnovazione dell'alleanza mediante l'Inviato di Jhwh, Gesù morto e risorto, Signore glo­ rioso. L'alleanza è un'azione gratuita di Dio, promes­ sa e compiuta in lui. Su questo sfondo vanno collocati i comandamenti, che legano il singolo e il popolo a Jhwh. L'etica matteana ha il suo centro nel doppio co­ mandamento dell'amore e nel collegamento dei co­ mandamenti alla volontà di Dio, rendendo la legge un evento personale. All'alleanza che include i comanda-

menti, si aggiunge il regno col suo ordinamento inter­ no: di qui si parte per fondare l'etica. Alleanza e pro­ messa del regno sono due elementi legati fra loro, che fondano e caratterizzano l'agire cristiano. Dei due pe­ rò il principale è la rinnovazione dell'alleanza, che crea il nuovo popolo di Dio. L'ecclesiologia convoglia in sé cristologia (il Signore, Dio con noi, è il mediatore della nuova alleanza} ed escatologia (regno di Dio e suo ordinamento), che si realizza nella chiesa. Le tre monografìe recensite leggono l'etica mattea­ na sullo sfondo dell'A. T. (la chiesa vero Israele, la torà messianica e la nuova alleanza nel regno) e la incentra­ no nella ecclesiologia in cui convergono cristologia ed escatologia (Trilling e Frankemolle}, mentre Strecker sottolinea fortemente l'escatologia presente e futura come orizzonte della «via della giustizia» sullo sfondo teologico di «storia della salvezza» . 3·

L 'etica matteana nelle «etiche del Nuovo Testamento»: compimento della torà o decadenza dall'esistenza cristiana in un 'etica giudaicafcattolica?7

Nelle «etiche del N.T.» che presentano l'etica mattea­ na si possono distinguere due grandi modelli di inter­ pretazione: uno positivo ed uno critico. 7· B. Gerhardsson, The Ethos of the Bible, tr. dallo svedese di St. Wester­ blom, Exeter 198 1 ; E. Lohse, Etica teologica del Nuovo Testamento, Bre­ scia 199I (ed. or. 19 88); W. Marxsen, «Christliche» und christliche Ethik im Neuen Testament, Giitersloh I989 (ree. critica di G. Segalla: Rivista Bi­ blica 27 [I 989] 46I -467); R. Schnackenburg, Il messaggio morale del Nuo­

vo Testamento, 1. Da Gesù alla chiesa primitiva; 11. l primi predicatori cri­ stiani, Brescia I989 e I990 (ed. or. I986. I987); W. Schrage, Etica del Nuo­ vo Testamento, Brescia I999 (ed. or. ' 1 9 89); S. Schulz, Neutestamentliche Ethik, Ziirich I987; A. Verhey, The Great Reversal. Ethics and the New Testament, Grand Rapids, Mich. I 984.

3 . 1 . Le «etiche del Nuovo Testamento»

che danno un giudizio positivo

Secondo W. Schrage (pp. 1 3 6- 145) Mt. sottolinea la parenesi etica come compimento della torà, interpre­ tata da Gesù; di conseguenza mette in luce il legame fra Israele e chiesa. Il problema centrale è la corretta interpretazione della torà, un programma di etica cri­ stiana per tutti i tempi. Cinque ne sono i punti carat­ terizzanti: I. l'etica è in relazione alla persona e all'opera di Ge­ sù, il quale, non solo insegna, non solo interpreta la torà, ma è il «Dio con noi», che la porta a compimen­ to con parole ed opere (Mt. 3, 1 5 ). Si passa dalla mis­ sione ad Israele (Mt. 1 0, 5 -6.23) a quella universale (Mt. 28,19-20). Essere discepoli di Gesù significa fare la vo­ lontà del Padre, da lui rivelata e compiuta per primo: l'indicativo della salvezza fonda l'imperativo etico. 2. Il discepolato supera l'obbedienza alla torà per in­ cludere la partecipazione all'evento di Cristo: croce, persecuzione, umiltà, servizio, opere di amore, comu­ nione di destino con Gesù. Mt. , in questa prospettiva, critica sia i farisei che gli antinomisti (tesi di G. Barth; v. sotto). 3 · In cosa consiste il «di più» di cui parla Mt. 5,20? Si deve superare la discrepanza fra dire e fare, evitare di agire per ambizione; e inoltre l'etica matteana è concentrata nel comandamento dell'amore (ha più im­ portanza in Mt. che in Mc. ) ed è il criterio base della nuova interpretazione della torà. 4· Si attua un confronto critico con la legge cultuale (Mt. 23,23 ss.); 5. e infine Gesù non è un nuovo Mosè; egli porta in più la giustizia come dono di Dio (Mt. 5 ,6; 6,3 3); in questa tesi si sente l'influsso del paolinismo luterano. La trattazione di R. Schnackenburg (n, 1 5 8 - 1 74) è

piuttosto descrittiva. L'etica matteana è la «via della giustizia cristiana» (tesi di G. Strecker: cf. sopra); si e­ sprime come compimento della legge con al centro il comandamento dell'amore. Soggetti ne sono i «figli del regno» (Mt. 8, 1 2; 1 3 ,3 8), discepoli di Gesù; il luogo in cui si pratica è la chiesa, comunità di fratelli e sorelle. E. Lohse nella sua Etica teologica (pp. 8 5-87) condi­ vide la valutazione positiva dell'etica matteana: «L'in­ cisiva accentuazione del comandamento dell'amore preserva l'etica di Matteo dal fraintendimento in ter­ mini di legge)) (p. 87). B. Gerhardsson (The Ethics of the Bible, 3 3 -62) pri­ vilegia addirittura l'etica matteana all'interno del Nuo­ vo Testamento. E la interpreta come esplicitazione del­ lo Shema· (Deut. 6,4- 5; cf. 30,1 1- 14: confessione del monoteismo jahwistico e conseguente amore totale a Dio), la preghiera che l'ebreo recita ogni giorno. In con­ trasto con l'interpretazione unilaterale di escatologia futura (Schweitzer e Weiss), che riduce l'etica mattea­ na ad «etica ad interim» e ne esalta di conseguenza la rottura con l'etica giudaica, Gerhardsson invece ne mette in luce la continuità fondamentale nel monotei­ smo e nella richiesta di una prassi corrispondente, cen­ trata nel comandamento dell'amore. L'idea-guida è Gesù, venuto a compiere «legge e profeti» (Mt. 5 , 1 7). Come ? Attraverso una divisione nella risposta al suo messaggio: c'è chi comprende e crede e chi no (para­ bola del seminatore: p. 34). La giustizia sovrabbondan­ te di cui egli parla, definisce un'osservanza della legge compiuta (quella tradizionale era appunto non-com­ piuta), perché richiede tutto il cuore indiviso e com­ pleto (teleios) (Mt. 5 ,48). Perciò i comandamenti sono radicalizzati a partire dal cuore. Oltre al cuore, l'amo­ re di Dio esige tutta la mente e tutte le forze (cioè la ricchezza e il potere conseguente: il mammona). An­ che nell'amore al prossimo è il cuore che conta fino ad

amare i nemici. La ricompensa non è su questa terra, ma nel regno dei cieli (Mt. 25,3 I -46) tanto che la ri­ compensa terrena elimina quella celeste (Mt. 6, I -6. I 6I 8; I0,42). Gesù è il modello supremo dell'etica per­ ché ama Dio con tutto il cuore e tutte le forze, e per­ ciò compie nel modo più perfetto e massimo Deut. 6, 4-5 . Egli è Figlio di Dio, ma passando per la via del Servo di Dio con tutto il cuore, la mente e le forze; per questo. amore obbediente riceve dal Padre ogni po­ tere su cielo e terra (Mt. 28, I 8) e comanda ai suoi di­ scepoli di seguirne i principi fondamentali, continuan­ do la sua opera. « Legge e profeti>> non sono aboliti, ma portati a compimento (Mt. 5 ,I 7-48); i cristiani saran­ no perseguitati come i profeti e Gesù, perché il vange­ lo provoca divisione. Col battesimo i popoli entrano nella chiesa, si sottomettono alle parole di Gesù sul regno di Dio, costi quel che costi. Vi saranno dei capi, in primo luogo Pietro. E concludendo, sintetizza: «Matteo vuoi rammentare ad ognuno - anche nella chiesa - che in ultima analisi deve riandare all'opera perfetta dell'amore obbediente che Cristo Gesù rea­ lizza con la nuova alleanza» (p. 62). La trattazione diA. Verhey (The Great Reversal, 8 292) è modesta e segue il criterio storico della separazio­ ne della comunità matteana dalla sinagoga. Il principio ermeneutico è quello di G. Barth: «Matteo presenta Cristo in modo da guidare la chiesa in un modello di vita al contempo distinto dai rappresentanti della sina­ goga... e opposto all' antinomismo di alcuni settori del movimento cristiano (contro la torà)» (p. 82).

3.2. Le «etiche del Nuovo Testamento» che criticano l'etica matteana (Schulz e Marxsen) Due esegeti, ambedue protestanti, ambedue rappresen-

tanti della teologia kerygmatica, formulano un giudi­ zio critico sull'etica matteana sia pure con motivazio­ ni diverse. S. Schulz (op. cit., 447-466) definisce Matteo «il ma­ nuale dell'etica cristiana per la chiesa di tutti i tempi (Mt. 28, r 8-2o)» (p. 447). La finale di Mt. (28,r 8-2o) è il criterio ermeneutico dell'etica matteana, in antitesi sia con l'A. T. sia con gli antinomisti entusiasti che re­ spingono la legge (sarebbero secondo lui degli gnosti­ ci). Matteo presenta quindi una nuova legge, la nuova via della salvezza. L'etica è fondata sulla cristologia: Gesù è il modello, che compie tutta la giustizia e quin­ di la legge; e i cristiani lo devono seguire; il peccato perciò è definito come trasgressione della legge (ano­ mia) (Mt. 7,23; I J,4r ; 24,1 2). In Matteo è certo pre­ sente anche l'indicativo della salvezza: la misericordia illimitata di Dio (Mt. r 8,21-34) e Gesù che muore «per la remissione dei peccati» (Mt. 20,28; 26,2 ss.). Ma l'ac­ cento cade comunque sull'imperativo, sulla via salvifi­ ca della legge delle opere. Schulz indugia a lungo sulle varie interpretazioni date nel corso della storia al di­ scorso della montagna (pp. 45 7-463) e alla fine, trat­ tando dell'etica sociale (donna, schiavi, stato), sostiene che Mt. , con la sua argomentazione giuridica, cade pro­ gressivamente nella casistica verso un'etica praticabile nel mondo, abbandonando l'etica radicale di Gesù; e si avvicina in modo ormai inarrestabile all'etica a due stadi dei cattolici. Ancor più severo è il giudizio di W. Marxsen (op. cit., 204-2 1 7. 293), che identifica l'etica «cristiana» pro­ priamente detta con l'etica dell'esistenza cristiana au­ tentica nella sequela di Cristo, mentre l'applicazione pratica di tale etica sarebbe un adattamento alla vita nel mondo, un'etica cristiana, ma non ((cristiana». An­ che lui muove da Mt. 28, r 6-2o (p. 206). Per l'ambiente giudaico Jhwh che è in cielo si rende presente sulla

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terra mediante la torà. Analogamente per Mt. Gesù ri­ sorto, che è in cielo, si rende presente sulla terra me­ diante le sue indicazioni etiche. Formulata in modo ra­ dicale, la tesi suona: la chiesa possiede dovunque e per sempre il libro di Mt. , scrittura sacra dei discepoli, cor­ rispondente alla torà. La chiesa ne deve vivere e ne può vivere finché il Signore ritornerà per il giudizio finale (p. 207). Il rapporto fra etica e cristologia è pre­ sto detto . .L'etica è una dottrina, non legata alla cristo­ logia. Gesù è il maestro di giustizia e legislatore che comanda di compiere le opere buone, di mettere in pratica i suoi comandamenti così da meritare la sal­ vezza. E non più il salvatore che dona un essere nuo­ vo, il quale, conseguentemente, agisce in modo nuo­ vo. Insomma conta più l'imperativo che l'indicativo: «La cristologia diviene dottrina... l'etica diviene una cosa a sé, ma non è più un aspetto della cristologia» (p. 2 1 7). Al Dio misericordioso che dona e perdona si sostituisce il Dio che richiede le opere per la salvezza (p. 216). Quali sono i limiti di questi due grandi esegeti ? Il primo è costituito dal pregiudizio kerygmatico-lutera­ no di derivazione bultmanniana: l'etica cristiana è quel­ la ideale che abbraccia tutta l'esistenza «nuova» e non ha bisogno di norme particolari, e tanto meno esige o­ pere. Il secondo limite è dato dalla metodologia: non conoscono l'analisi della composizione che spiega co­ me Mt. z8,1 6-zo rimanda non solo alle indicazioni eti­ che («quanto io ho comandato»), ma anche, e in pri­ mo luogo, alla presenza salvifica di lui che innerva la struttura stessa del vangelo (Mt. I 8,1 8-2o e 1 ,23). Infi­ ne, anche a livello di critica redazionale, è discutibile che Matteo presenti Gçsù come maestro e non come salvatore; se è vero che Mt. 23,8 (red.) è Gesù stesso che dice «solo uno è il maestro» e perciò nessuno deve farsi chiamare «rabbì» nella chiesa, tuttavia nel raccon30

to evangelico mai i discepoli chiamano Gesù «mae­ stro)), ma piuttosto «Signore)), Per quanto riguarda Dio che dona e perdona, basta leggere Mt. r8. L'interpretazione critica dell'etica matteana, mette sì in luce la peculiarità di Matteo nel sottolineare la ne­ cessità della prassi dell'amore, ma è guidata da una pre­ giudiziale che impedisce di interpretare il vangelo nel suo insieme e si fonda su un'analisi unilaterale. 4·

L 'etica matteana nelle monografie ad essa dedicate: fra etica teologica e analisi socio-religiosa della comunità in cui è praticata

Le monografie dedicate specificamente all'etica mat­ teana iniziano a comparire da dopo la metà del nostro secolo e la studiano sotto il profilo teologico, mentre quelle più recenti, in ambiente americano, pongono l'accento sull'ethos piuttosto che sull'etica; usando il metodo socio-religioso e la sociologia della conoscen­ za, studiano il comportamento come espressione del­ l'appartenenza ad un gruppo socio-religioso, che nel nostro caso è quello giudeo-cristiano. 4.1.

Monografie teologiche di etica matteana 8

Uno degli iniziatori della Redaktionsgeschichte, G. Barth, fu anche il primo che dedicò uno studio speci8. In ordine cronologico: G. Barth, Das Gesetzewersti:indnis des Evange­ listen Matthi:ius, in G. Bornkamm - G. Banh - H.J. Held, Oberlieferung und Auslegung im Matthi:iusevangelium, NeukirchenfVIuyn ( I96o) 1I968, 54-I 54; R. Hummel, Die Auseinandersetzung zwischen Kirche undJuden­ tum im Matthi:iusevangelium, Miinchen I96J , 'I966; R. Thysman, Com­ munauté et directives éthiques. La catéchèse de Matthieu, Gembloux I974; H. Giesen, Glaube und Handeln. Eine redaktionskritische Untersuchung zum dikaios yne-Begriffim Matthi:iusevangelium, Frankfurt I 98z; R. Mohr­ lang, Matthew an d Pau l. A Comparison of Ethical Perspectives, Cambridge I 984; A. Wouters, ... wer den Willen meines Vaters tut» (ci t. n. 1 ) . •

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fico all'etica matteana come interpretazione della leg­ ge; scrisse il suo contributo nella miscellanea di studi redazionali su Matteo, che ebbe un successo immedia­ to, tanto da vedere cinque edizioni in otto anni ( 1 9601968): Oberlieferung und Auslegung im Matthaus­ evangelium, 5 4 -1 54· Nel suo saggio egli sottolinea for­ temente la cristologia, mentre l'escatologia è assente in relazione all'etica matteana. Per quanto concerne la leg­ ge, secondo lui il Gesù matteano non predica una no­ va lex (come fu interpretato nella chiesa posteriore), ma una nuova interpretazione di «legge e profeti», con­ trapposta a quella del rabbinato (pp. I48-I49), mentre d'altro canto critica gli antinomisti (Mt. 5 , 1 7 ss.; 7, 1 5 s.; 24, I I s.), che vorrebbero abolire e porre la legge nel passato (Mt. I I,I 3); non è però antignostico, ma piut­ tosto non gnostico (p. I 53 ), perché gli an tino misti non rifiutavano l'A. T. come gli gnostici. Riconoscere i due fronti opposti (giudaico e antinomistico) aiuta a porre l'etica matteana nella sua giusta luce: né nova lex che soppianta l'antica né abolizione del valore della legge, ma convalida di legge-profeti (contro gli antinomisti carismatici) e sua nuova interpretazione (contro quel... la rabbinica). L'influsso di questa tesi esplicativa per­ dura fino ad oggi. In questa prospettiva, l'ambiente che si riflette in Matteo sarebbe quello giudeo-cristia­ no. Dai recenti studi socio-religiosi, come vedremo in seguito, questa tesi viene confermata. I criteri di fondo per la nuova interpretazione della legge, sono il comandamento dell'amore e la sequela di Gesù. Parlare ed agire sono uniti nel «fare la volon­ tà del Padre». Gesù compie e insegna la volontà di Dio. La sua morte espiatrice media il perdono dei peccati e permette il compimento della volontà di Dio, da lui stesso rivelata. La legge come mediazione della volontà di Dio ha valore permanente per la comunità, ma il suo compi-

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mento ultimo è rimandato alla venuta del Signore nel­ la gloria. Barth in tal modo avvicina Mt. a Paolo, in quanto la possibilità di compiere la volontà di Dio è data solo con la morte espiatrice di Gesù. L'accentua­ zione della legge, presente in Matteo, sarebbe dovuta alla polemica antinomista, mentre la critica alla sua interpretazione farisaica proviene dal confronto con la comunità giudaica, in cui la chiesa matteana vive. Qualche anno dopo, nel 1963 , R. Hummel, anch'e­ gli un classico della Redaktionsgeschichte, nel suo Die

Auseinandersetzung zwischen Kirche und judentum im Matthausevangelium sostiene invece che l' «etica

matteana è la torà messianica, intesa come dono ed im­ pegno, nova /ex. Il metodo usato è lo studio delle con­ troversie in Mt., attraverso cui legge il confronto fra chiesa e giudaismo. Gesù interpreta l'originaria volon­ tà di Dio, rivelando la nuova torà messianica, che va insegnata e praticata. Matteo rimane all'interno del mondo giudaico, in cui la torà è insieme dono e impe­ gno. Gesù è messia-salvatore dei peccati in quanto ri­ porta l'uomo alla comunione con Dio. L'uomo non diviene un «uomo nuovo» (come in Paolo), ma è chia­ mato a praticare la torà interpretata dal messia; egli come salvatore conduce l'uòmo peccatore alla comu­ nione con Dio. Gesù è perciò insieme maestro e me­ diatore. R. Thysman, nel suo saggio del 1974 Communauté et directives éthiques. La cathéchèse de Matthieu col­ loca l'insegnamento etico di Matteo ancora più pro­ fondamente nell'ambiente ebraico. L'etica matteana è per una comunità divisa fra due mondi: giudeo-cri­ stiano ed etnico-cristiano. La nozione di «giustizia» tipica di Matteo, proviene dall'etica giudaica, ma è pre­ sentata come superiore a quella degli scribi e farisei, per una diversa interpretazione della torà (Mt. 5,1720 ) Le linee portanti sono: la purezza del cuore, la co.

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noscenza amorosa dell'originaria volontà di Dio, i punti essenziali della torà come il decalogo e le diretti­ ve più importanti quali la misericordia, la giustizia e l'amore, il comandamento dell'amore come criterio ul­ timo ed infine l'imitazione figliale della misericordia e perfezione del Padre. La casistica (le halakot) viene da lui letta alla luce dei sei grandi ordini (sedarim) in cui è divisa la Mishnah,9 pur essendo purtroppo la Mish­ nah posteriore alla redazione di Matteo. H. Giesen nella sua monografia del 1982 Christliches

Handeln. Eine redaktionskritische Untersuchung zum di kaios yne Begriff im Matthausevangelium prende in esame il concetto di dikaiosyne col metodo della criti­ -

ca redazionale. La sua tesi suona: «La giustizia è la co­ munione con il Padre donata in Cristo, e il suo corri­ spondente è fare la sua volontà; giustizia come salvez­ za e giustizia come pratica sono due aspetti della 'giu­ stizia' che si corrispondono» . Nell'A. T. la giustizia ha un carattere prevalentemente teologico-salvifico; è l'a­ zione di Dio in favore del suo popolo e non una qualità morale del popolo.'o Il senso etico proverreb­ be solo dalla rivelazione di Gesù. Centro della giusti­ zia in senso etico è l'amore al prossimo, che abbraccia tutti i comandamenti. La giustizia come dono ed im­ pegno ha in Gesù il suo supremo modello, e la sua origine nel Padre che invia il Figlio e rende così possi­ bile la giustizia dell'uomo. La fragilità di questa tesi, in sé molto bella, emerge facilmente dall'esigua base su cui si fonda. Delle sette volte che Matteo usa dikaiosyne, una volta sola ha chia­ ramente senso salvifico (Mt. 3,1 5). L'accento perciò ca­ de sull'aspetto pratico, per quanto si debba ammettere 9· Per una presentazione più ampia si veda G. Segalla, Evangelo e Vangeli, Bologna ' 1 993, 1 IJ-I 14. Io. B . � rzybilski, Righteousness in Matthew and his World of Thought, Cambndge 1 980. 34

presente anche un tratto di concezione teologico-sal­ vifica di giustizia, applicata però solo a Gesù e alla sua missione, che si rivela nel battesimo. Nel 1984 R. Mohrlang con una tesi sostenuta alla facoltà di teologia di Oxford, Matthew and Paul, ten­ ta un confronto serio fra le prospettive etiche di Mat­ teo e di Paolo che, soprattutto in ambiente luterano, o vengono giudicati opposti come legge e grazia (cf. so­ pra, Schulz e Marxsen) oppure si cerca di avvicinarli (cf. sopra, Barth e Giesen). Scopo dichiarato è quello di dimostrare che vi è di­ versità di accento, ma non opposizione fra le etiche di Matteo e di Paolo. Il metodo usato è quello classico, storico-critico, privilegiando ovviamente la critica re­ dazionale. La strategia messa in opera consiste nel con­ frontare cinque motivazioni dell'etica, dapprima sepa­ ratamente in Mt. e Paolo e quindi fra loro: I . la legge, 2. la ricompensa e la punizione, 3. la relazione con Cristo e il ruolo della grazia, 4· il motivo dell'amore, 5 . la forza interiore che permette la prassi cristiana. A conclusione dell'analisi risulta che le due strutture etiche sono appunto diverse ma non opposte. Men­ tre Matteo focalizza direttamente l'etica (ciò che si de­ ve fare), il primo interesse di Paolo è invece la dinami­ ca teologica che sta dietro all'etica (ciò che Dio ha fat­ to e fa). L'uno sottolinea la responsabilità umana, l'al­ tro la grazia di Dio .. » (p. u8). In sintesi: mentre Mat· teo evidenzia l'imperativo, Paolo sottolinea l'indicati­ vo. I fattori che spiegano la diversità fra i due sono molteplici, ma a mio avviso il principale è il diverso genere letterario: vangelo da una parte, letteratura epi­ stolare dall'altro; prospettiva del Gesù storico in Mt. , anche se alla fine si presenta agli undici come Signore risorto, prospettiva nettamente postpasquale in Paolo. .

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I limiti di questo lavoro, coraggioso, sono moltepli­ ci. Anzitutto a livello metodologico: l'esclusione della fonte Q e del conseguente confronto di Matteo con Luca, che contiene quasi tutto il materiale etico di Mat­ teo per confrontare Matteo solo con Marco: se facilita il compito, ne rende fragile il risultato. In secondo luo­ go, a livello teoretico: quanto affermato alla fine sul mo­ tivo della diversità (diverso genere letterario, diverso ambiente socio-religioso) andava precisato all'inizio come principio critico-guida. Infine, le stesse cinque motivazioni dell'etica, date all'inizio per scontate, an­ davano criticamente motivate. Il risultato più convincente, del resto scontato, è la centralità della persona di Gesù nell'una e nell'altra struttura etica e il superamento della opposizione fra legge e grazia. L'ultima, forse la più impegnativa, monografia sul­ l'etica matteana, sotto il profilo teologico, è del 1992, redatta come tesi di dottorato da Armin Wouters «. . .

wer den Willen meines Vaters tut». Eine Untersuchung zum Verstandnis vom Handeln im Matthausevange­ lium. Si può dire che è la prima monografia vera e pro­ pria sull'etica matteana nel suo insieme. La tesi difesa è

che per Matteo l'agire presente del cristiano nella chie­ sa è determinato dall'azione passata del Padre in Cri­ sto Gesù e dal futuro regno di Dio. Dio rivela in Gesù la sua volontà salvifica. Il «regno dei cieli» riguarda il futuro, mentre il «regno di Dio» si realizza nel pre­ sente mediante il «regno del Figlio dell'uomo», che Gesù ha portato sulla terra. L'impianto teoretico è fon­ dato sulla distinzione in Matteo fra i tre sintagmi «re­ gno dei cieli» (3 1 volte), «regno di Dio» (5 volte) e «re­ gno del Figlio dell'uomo» (2 volte): la sovranità del Padre, che vuole la salvezza si compie progressivamen­ te attraverso il regno del Figlio dell'uomo, che conti­ nua nel regno di Dio sulla terra nella chiesa per com-

piersi nel futuro «regno dei cieli». La prassi del disce­ polo (sequela) deve rispondere alla volontà di Dio: or­ dinamento divino e sovranità di Dio che è salvezza per l'uomo. Il discepolo lo può mediante la prassi di Gesù, che costituisce l'indicativo etico. Che significato ha la prassi cristiana ossia l'impera­ tivo ? Significa la risposta positiva e riconoscente alla prassi dell'amore di Dio, rivelatosi compiutamente in Cristo. I punti nodali della dimostrazione sono: 1 . analisi delle categorie del «regno (dei cieli, di Dio, del Figlio dell'uomo): Gesù è insieme legislatore e giu­ dice (Mt. 5-7 e 2 5 ); 2. la giustizia superiore consiste nel compiere la vo­ lontà di Dio, interpretata autorevolmente e in modo definitivo da Gesù; 3· la comunità continua la prassi di Gesù; 4· Gesù, Dio con noi, porta un'alleanza nuova, ri­ fiutata dal popolo di Israele, accolta dal nuovo ethnos, la chiesa che porta frutto. La prassi cristiana deve cor­ rispondere al regno di Dio, mentre il suo contrario è l'anomia. Escatologia ed ecclesiologia, mediante la per­ sona di Gesù, legislatore e giudice, vengono legate in­ sieme nell'orientamento al futuro «regno dei cieli». 4.2 .

L 'analisi socio-religiosa situa l'etica matteana all'interno di u na comunità giudeo-cristiana

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Dagli anni '9o cominciano a comparire monografie che interessano soltanto indirettamente l'etica matteana, in 1 1 . M.H. Crosby, House of Disciples. Church, Economics & fustice in Mat­ thew, New York 1988; ]. Andrew Overman, Matthew's Gospel and For­ mative fudaism. The Social World of the Matthean Community, Minnea­ polis 1 990; A.]. Saldarini, Matthew's Christian-fewish Community Chi­ cago-London 1994; G. Scheuermann, Gemeinde im Umbruch. Eine so­ zialgeschichtliche Studie zum Matthausevangelium, Wurzburg 1 996.

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quanto studiano il vangelo di Matteo come testo-spec­ chio della comunità per cui è stato scritto: con le sue difficoltà interne (Mt. 7 e 1 8) e nel suo confronto po­ lemico ed apologetico con un giudaismo emergente do­ po la caduta di Gerusalemme nel 70, ma non ancora consolidato (Mt. 5 -6 e 23). La comunità matteana sa­ rebbe nettamente giudeo-cristiana, un gruppo all'inter­ no del variegato mondo giudaico. Leggendo queste monografie recenti, si ha l'impres­ sione di camminare su un terreno ancora molto insi­ curo a livello storico, perché i dati propriamente so­ ciologici, che riflettono cioè rapporti di ruolo all'in­ terno della comunità o il rapporto con altri gruppi al­ l'interno del mondo giudaico e di quello socio-politi­ co, sono piuttosto scarsi e dovrebbero trovare confer­ me esterne al testo per essere assodati. Il confronto con fonti nuove e lo studio rispettivo di testi matteani, in ogni caso, produce un avanzamento nelle conoscen­ ze, sia pure ipotetiche, della comunità cristiana per cui fu scritto il vangelo. Passiamo perciò in breve rassegna le monografie sinora apparse, considerandole sotto il profilo dell'etica matteana. M.H. Crosby nella sua opera dal titolo significativo House of Disciples ( 1 9 88 ) studia il rapporto fra «chie­ sa, economia e giustizia (sociale)». Il capitolo centrale, «EthosfEthics: J esus/Church» (pp. 1 26-146), parte dal­ la caratteristica di Matteo di unire insieme Gesù-chie­ sa-etica (J. Meier) e considera di conseguenza la confi­ gurazione della chiesa di Matteo come comunità fami­ liare che si raccoglie nelle case (famiglie) di ricchi be­ nestanti, e ne deduce una tensione fra ethos (costume o insieme di valori e abitudini) ed etica (comporta­ menti richiesti), fra un ambiente patriarcale capitalista (che tende a capitalizzare le risorse) e la figura di una comunità di familiari, uguali pur con diversi ruoli al­ l'interno di una casa/famiglia, in cui si deve condivide-

re tutto. L'etica che ne deriva, sia dalla narrazione che dalla parenesi, non è né teleologica né deontologica, ma un'etica della responsabilità davanti a Dio per la propria casa/famiglia e per tutti coloro che la costitui­ scono. «Non perciò 'opzione per i poveri', - conclude alquanto polemicamente Crosby - ma una decisione da prendere per rendere giustizia al povero con la ri­ distribuzione dell'accumulo dei beni, argomentando da quanto chiede Gesù al giovane ricco, se uno sceglie di seguire Gesù. È, in fin dei conti, l'opzione del disce­ polato» (p. I45). L'etica matteana è quella del discepo­ lo di Gesù, fedele e obbediente, responsabile di fronte alla volontà salvifica del Padre per gli uomini. Con ciò viene esaltato l'aspetto socio-economico di giustizia re­ sponsabile all'interno della comunità cristiana. Il testo centrale in favore di questa tesi è ovviamente Mt. I 2, 46-5 2 (p. I 26). Il discorso di Crosby è chiaramente o­ rientato ad un'ermeneutica, che attualizza l'etica mat­ teana in funzione di una controcultura che si oppone al capitalismo sfrenato odierno. Su un altro piano si pongono le due opere posterio­ ri, legate fra loro, perché Overman è discepolo di Sal­ clarini, come appare del resto dal titolo stesso: Mat­

thew 's Gospel and Formative judaism. The Social World of Matthean Community (I990) di ].A. Over­ man e Matthew's Christian-]ewish Community (I994) di A.]. Saldarini. Sono nate ambedue sulla scia degli

ampi studi animati da E.P. Sanders sul rapporto fra giudaismo e cristianesimo dal I al IV secolo attraverso un loro confronto sempre più profilato e tendente alla chiusura dell'uno nei confronti dell'altro.'2 Uno dei 1 2 . In particolare E.P. Sanders with A.I. Baumgarten and Alan Mendelson (edd.), jewish and Christian Self-Definition, 2. Aspects of judaism in the Graeco-Roman Period, London 1 98 1 ; inoltre J. van Amerrsfoort - J. van Oort (edd.), juden und Christen in der Antike, Kampen 1990; ].D.G. Dunn (ed .), jews and Christians. The parting Ways. A.D. 70 to IJJ, Tii­ bingen 1992.

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documenti riportati in questa ricerca sono le Omelie contro i giudei, pronunciate da Giovanni Crisostomo ad Antiochia nella seconda metà del rv secolo, ove, proprio nella prima, egli se la prende con dei cristiani che partecipavano alle feste giudaiche della e nella sina­ goga, in particolare alla festa delle Capanne e a quella del Kippur; il che vuoi dire che si manteneva ancora un rapporto di vicinanza e parentela fra il gruppo giu­ deo-cristiano, che comprendeva anche i gentili, e la si­ nagoga giudaica. Questa osmosi la possiamo presup­ porre tanto più nella comunità matteana, che gli studio­ si collocano o ad Antiochia o comunque in una città fra la Galilea del nord e la Siria, ove viveva un gruppo consistente di ebrei. Sia Overman che Saldarini affrontano il tema dell'e­ tica matteana nella prospettiva del confronto con la to­ rà, privilegiando le halakot di Matte o, l'ordinamento interno alla comunità (Pietro responsabile, gli aposto­ li, gli scribi cristiani, i missionari itineranti, i profeti, ecc.), la polemica con scribi e farisei (Mt. 23) e la loro interpretazione della torà. Essi polemizzano con la te­ si di Trilling, che ravvisa nella chiesa cristiana il « vero Israele», cui è stato dato il regno, tolto all'Israele sto­ rico. Trilling proietterebbe sulla comunità di Mt. quan­ to è avvenuto secoli dopo nel giudaismo rabbinico con­ solidato. Alla fine del I secolo il giudaismo era ancora nella sua fase iniziale, formativa; dopo la distruzione del tempio esso continuò ancora per parecchio tempo diviso in quella varietà di gruppi o partiti presente in esso prima del 70. Su questo sfondo la comunità giu­ deo-cristiana di Matteo si poteva considerare ancora un sottogruppo all'interno del giudaismo come lo era­ no stati gli esseni, i sadducei, i farisei e gli ebrei greciz­ zati della diaspora, ad esempio in Alessandria. La po­ lemica aspra è comprensibile proprio fra due gruppi che provenivano dalla stessa matrice. Matteo quindi

mantiene tutto il patrimonio etico dell'A. T. (torà e profeti) e polemizza contro la loro interpretazione da parte del gruppo rivale (scribi e farisei), proponendo la sua interpretazione, quella di Gesù, messia che com­ pie legge e profeti. Il comandamento del Signore por­ ta a compimento la rivelazione dei comandamenti di Dio nell'A. T., interpretandoli nell'orizzonte del regno di Dio. Saldarini, per dimostrare la sua tesi contro Trilling, si sforza di interpretare ethnos in Mt. 2 1 ,4 3 nel senso di un «gruppo di capi» che sostituisce le guide precedenti del popolo d'Israele (a suo favore è il seguente v. 45). Non quindi «popolo» ma «gruppo di capi» andrebbe tradotto. Inoltre egli sostiene che «tut­ ti i popoli» di Mt. 28,19 includerebbe anche il popolo d'Israele. È questo il punto meno convincente della sua pur buona argomentazione perché dà sensi diversi al­ lo stesso vocabolo ethnos: una volta «gruppo di capi», altra volta «popolo>>. In Matteo ethnos può indicare sia le «genti» (ossia i gentili) in opposizione polare ai «giudei» (Mt. 6,J 2; 1 0, 5 . 1 8; 1 2,1 8 . 2 r , ecc.) sia i popoli tutti (Mt. 24,7·9. 1 4; 2 5 ,32; 28,19). Perciò ethnos in Mt. 2 1 ,43 sembra indicare il popolo nuovo, la chiesa com­ posta di giudeo-cristiani aperti alle genti, com'era sta­ to preannunciato del resto anche dai profeti (/s. 2 e Mich. 4) e praticato nella diaspora. Quello che mi sembra interessante, in queste ricer­ che, a livello di etica matteana è l'asserzione della pre­ senza nella chiesa di un'autorità simile a quella che vi era nel rabbinato di Jamnia. Essa continuava a inter� pretare in modo autentico ed obbligante la tradizione etica di Gesù: Pietro e il gruppo degli apostoli (Mt. 1 6, 1 8- 1 9 e 1 8,r 8) si servivano per l'interpretazione de­ gli «scribi istruiti nel regno di Dio, che sono come un capofamiglia che estrae dal suo magazzino cose vec­ chie e cose nuove» (Mt. 1 3 , 5 2). Su un altro piano si muove il recentissimo lavoro di 41

G. Scheuermann, una tesi diretta da H.J. Klauck, Ge­ meinde im Umbruch uscito nel 1996. Egli confronta

lo statuto comunitario di Matteo con statuti di gruppi religiosi del 1-11 s�ecolo d.C. in area greco-romana: lo statuto degli Iobacchi ateniesi ( r 6 r - 1 79 d.C.), un grup­ po religioso dionisiaco; lo statuto comunitario trovato a Lavinio sui colli Albani ( 1 3 6 d.C.), una tavola di mar­ mo che comprendeva la fondazione e le prescrizioni date dal patrono per un gruppo religioso, e la descri­ zione di un raduno della comunità di ((cultus Dianae et Antinoe» il 9 giugno di ogni anno; ed infine la rego­ la della comunità di Qumran (x QS), ben più nota dei due precedenti documenti. A parte il tentativo di inserire la comunità di Mat­ teo nel più ampio ambiente socio-religioso greco-ro­ mano, mi sembra (come appare del resto chiaramente dalle tabelle elaborate alle p. 27-28), che sarebbe stato sufficiente il confronto con la regola di Qumran, con cui la comunità di Matteo ha le affinità più forti, pro­ prio perché è una comunità, non solo religiosa, ma an­ che ebraica. Ancor più vicina alla struttura interna della comunità matteana è quella della sinagoga ebraica (pp. 95 -234). Nella parte dedicata a Matteo si esaminano in particolare i capitoli 1 8 e 23; nel primo si ha lo spec­ chio di una comunità divisa, guidata da responsabili con norme interne, che mirano a regolare i conflitti in­ sorgenti e a proteggere i più deboli. In Mt. 23 invece è riflesso il confronto polemico con la comunità giudai­ ca sorella, con cui ha in comune la struttura comuni­ taria, un'articolazione di funzioni (il profeta, il sapien­ te, l'esperto nell'interpretazione della Scrittura e della tradizione di Gesù, i maestri), mentre i raduni si face­ vano nelle case piuttosto che in un luogo particolare come la sinagoga.

5.

Conclusione

Dagli ultimi studi, l'etica matteana risulta sempre più inserita nel mondo giudaico come un'etica comunita­ ria, in cui compaiono non solo le richieste etiche di ca­ rattere personale sulla scia dell'interpretazione della tradizione etica di Gesù, ma anche la struttura comu­ nitaria, in cui vi erano persone responsabili della guida della comunità, a livello etico e disciplinare, e persone con compiti specifici di predicazione e insegnamento etico. In questa comunità si erano verificate già delle divisioni e di conseguenza si presentavano dei proble­ mi che riguardavano la prassi cristiana. Essa non do­ veva ridursi agli aspetti più vistosi dell'esperienza del­ la fede quali i carismi di guarigione, la predicazione ca­ rismatica e la mensa comune, ma doveva tradursi nella prassi del discepolato di Gesù, la prassi della carità che condivide, che perdona, che ama persino i nemici, una prassi che parte dal cuore e non risparmia neppure i pastori (Mt. 1 8, 1 -4; 2J,8 - I J). L'etica matteana si eser­ cita e porta frutti nella chiesa giudeo-cristiana, popolo nuovo che deve inglobare tutti i popoli, realizzando co­ sì il regno di Dio sulla terra in una controcultura sia nei confronti di quella giudaica com'era ispirata dai suoi capi «scribi e farisei» sia e ancor più di quella gre­ co-romana. Etica nuova perché compie quella precedente (legge e profeti) nel nuovo orizzonte del regno di Dio, pre­ dicato e portato da Gesù Signore, maestro terreno e giudice escatologico.

II. LA COMPLESSA STRUTTURA TEOLOGICO- COMUNITARIA DELL ' ETICA MATTEANA NEL QUADRO DI UN ' ETICA, GIUDEO-CRISTIANA

Dalla rassegna degli studi sull'etica matteana, passo qui a proporre la breve sintesi di una ricerca, svolta in un seminario. La prospettiva in cui mi pongo è quella teo­ logico-ermeneutica, fondata su un serio studio dei te­ sti interessati, a livello di formulazione letteraria e con­ seguente configurazione teologica. È imprescindibile perciò, nello studio della formulazione letteraria l'uti­ lizzo della critica redazionale, morfologica e struttu­ rale. La configurazione teologica, che ne deriverà, ter­ rà conto dell'articolazione cristologica ed ecclesiale del­ l'etica matteana in un orizzonte temporale che nel pre­ sente del discepolo e della sua comunità si volge al passato della rivelazione etica di legge e profeti inter­ pretati da Gesù, e si apre al futuro spazio-temporale sino alla fine dei tempi (Mt. 28,r 6-2o). r.

La formulazione letteraria dell'etica matteana 11

La base di ogni formulazione letteraria è quella lingui­ stica, che a sua volta si esprime in forme letterarie e infine si articola nella collocazione delle formulazioni letterarie all'interno della composizione-struttura del vangelo. Saranno questi i tre passi che intraprendere­ mo per mettere in luce la configurazione letteraria dell'etica matteana.

1 3 . Per questa parte sono utili W. Schenk, Die Sprache des Matthiius. Die Text-Konstituenten in ihren makro- und mikrostrukturellen Relationen ' Gottingen 1987, con bibliografia, e U. Luz, Das Evangelium 1, 3 5-5 5·

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I . I . Le forme linguistiche Esamineremo anzitutto sei forme linguistiche, tipiche di Matteo: la giustizia superiore, il «fare la volontà del Padre mio», l' «essere perfetti», «imparare - essere di­ scepoli», la formula «se vuoi», per concludere con «fa­ re frutti» e «la ricompensa» .

I . I . La giustizia (dikaiosyne) superiore, opposta al­ l'iniquità (anomia). È indubbio che la formula lingui­ stica più propria di Mt. è quella composta con dikaio­ syne in senso etico, che ricorre 7 volte nel vangelo, sem­ I.

pre redazionale, e costituisce il nucleo semantico-strut­ turale del discorso della montagna ove ricorre ben 5 delle 7 volte. Nelle «beatitudini» (Mt. 5,3 - 1 2), che aprono il di­ scorso della montagna, dikaiosyne compare in due ag­ giunte redazionali: «Beati coloro che hanno fame e se­ te della giustizia» (Mt. 5 ,6), la quarta delle nove; e «Bea­ ti i perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli» (Mt. 5.10) che in forma di inclusione conclude le otto prime beatitudini con la promessa, nella prima e in questa ottava, del «regno dei cieli». Nel­ le due beatitudini menzionate, la giustizia è l'esistenza cristiana col suo rivelarsi nella prassi, anche pubblica, per cui il cristiano può, a causa di essa, venir persegui­ tato. Il terzo testo costituisce il centro del programma, che guida le sei antitesi: «Vi dico infatti che se non so�

vrabbonda la vostra giustizia più (di quella) degli seri­ bi e farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt. 5,

20). La giustizia maggiore è condizione necessaria per entrare nel regno dei cieli, annunciato e portato da Ge­ sù. La giustizia dei «figli del regno» (Mt. I J,J 8), cioè di coloro che appartengono al regno, è qualificata «mag­ giore» (pleion) a quella degli scribi e farisei, che pure 45

rimane giustizia, ma che non perviene all'altezza richie­ sta dalla sovranità salvifica di Dio, rivelatasi in Gesù. La «giustizia superiore» è il comportamento diverso (antitetico) richiesto da Gesù nelle seguenti antitesi, qualificato da Mt. 5 , 1 7 come compimento di «legge e profeti». Il quarto e quinto testo con dikaiosyne fa da cornice al seguente cap . 6 (Mt. 6, 1 .33); si tratta ancora della «giustizia del regno», diversa da quella degli scribi e farisei e illustrata con tre esempi di pietà ebraica: l' ele­ mosina, la preghiera e il digiuno: «Guardate di non fa­ re la vostra giustizia davanti agli uomini per essere visti da loro» (Mt. 6, I ): l'azione è la stessa, la maniera di compierla e l'intenzione invece sono diverse. A con­ clusione dell'esortazione a non preoccuparsi per il ci­ bo e il vestito, Matteo aggiunge «la sua giustizia)) al detto Q, che si legge in Le. I 2,3 I : «Cercate il regno [di Dio] e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in più)) (passivo divino) (Mt. 6,3 3).'4 La ricerca del regno (cf. le parabole del tesoro e della perla in Mt. I 3,44-46) si deve tradurre nello sforzo di praticare la giustizia del regno. Tale «giustizia)) guida anche la pa­ renesi del cap. 7, che conclude il discorso della monta­ gna. La «giustizia superiore)) o «del regno)) è dunque la categoria etica che dice la novità nel compimento di «legge e profeti)) e funge da struttura di base del di­ scorso della montagna matteano. È perciò una cate­ goria etica, diversa dalla dikaiosyne teologica di Paolo. Fuori del discorso della montagna dikaiosyne ricor­ re altre due volte. All'inizio della sua missione, Gesù qualifica il suo battesimo per mano di Giovanni Bat­ tista come «compiere ogni giustizia)) (Mt. J , I 5 ), cioè 14 . S � ques �o testo cf. G. Segalla, La ricerca di Dio come ricerca del regno . m Quaerere Deum. Atti della XXV Settimana biblica, Bre­ scia 1 980, 84- 1 23.

net. Smottm,

la volontà salvifica di Dio; in tal modo si risolve l'im­ barazzo della fede cristiana nel raccontare il battesimo di penitenza, cui Gesù si sottopose. Il secondo testo è ancora in rapporto col Battista; si tratta del commento alla parabola dei due figli, propria di Mt. ( 2 1 ,28-3 I ) : uno che fa la volontà del padre e l'altro no: «Venne infatti a voi Giovanni nella via della giustizia {la con­ dotta del Battista conforme alla volontà di Dio) e non gli avete creduto (il discorso è rivolto ai sacerdoti e ca­ pi del popolo), mentre i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto» (Mt. 2 I ,3 I ) . Meno significativi sono l'aggettivo dikaios, che qua­ lifica Giuseppe nel senso della pietà giudaica (Mt. I , I 9 ); Gesù d'altro canto promette la ricompensa a chi accoglie il giusto e il profeta» (Mt. I0,4 I ) ed infine nei discorsi escatologici in forma parabolica, i giusti sono opposti agli iniqui (Mt. I 3 , I 7.43-49) oppure ai male­ detti (Mt. 2 5 ,37.46) . La giustizia superiore qualifica il discepolo di Gesù, figlio del regno, non solo nei confronti di «scribi e fa­ risei», ma anche dei pagani (Mt. 5,47; 6,7; r 8, r 7) . L'opposto di dikaiosyne è l'anomia (iniquità: ne­ gazione o non osservanza del nomos, interpretato da Gesù), che ricorre 4 volte solo in Mt. e sempre in con­ testo di escatologia futura: in Mt. 7,23 gli operatori di iniquità sono i «falsi profeti», che non praticano il di­ scorso della montagna, anche se hanno l'apparenza dei «discepoli» (agnelli all'esterno), e perciò vengono allontanati dal Signore. Nella spiegazione della para­ bola della zizzania seminata in mezzo al buon grano (Mt. r 3,24-30 e 3 6-43 ) l'iniquità compare una seconda volta: «Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, e rac­ coglieranno dal suo regno tutti gli scandali e coloro che fanno l'iniquità». Nella requisitoria contro gli scribi e i farisei di Mt. 23 l'iniquità è associata all'ipocrisia ed è l'unico testo in cui è opposta alla giustizia: «Così an47

che voi all'esterno apparite giusti agli uomini, ma al­ l'interno siete pieni di ipocrisia e di iniquità» (2 3,28). L'ultimo testo è ancora in una cornice escatologica, e qui iniquità viene contrapposta ad agape e per il moltiplicarsi dell'iniquità (a causa di molti falsi profe­ ti), l'amore di molti si raffredderà» (Mt. 24, 1 2). In conclusione, la giustizia superiore, che caratteriz­ za il comportamento dei figli del regno, discepoli di Gesù, diverso da quello degli «scribi e farisei» e dei «pa­ gani», ha ovviamente carattere etico, è la categoria che struttura il discorso della montagna, e, sia pure indi­ rettamente, viene identificata con l'agape (Mt. 24, 1 2). L'opposto è l'iniquità, che compare precipuamente in contesto escatologico come motivo di condanna defi­ nitiva per coloro che la praticano (Mt. 7,23; 2 5 ,46). «...

1 . 1 .2. Tre sintagmi con la «volontà del Padre mio» e verbi diversi: «[are», «essere fatta» ed «essere». Un se­

condo sintagma, proprio di Matteo, è quello costruito con la «volontà del Padre mio» e tre forme verbali di­ verse. Anzitutto «fare la volontà del Padre mio», che ri­ corre 3 volte in luoghi strategici del vangelo. Nel fina­ le escatologico del discorso della montagna è prean­ nunciata come condizione imprescindibile per entrare nel futuro regno dei cieli: «Non chiunque mi dice: Si­ gnore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che sta nei cieli» (Mt. 7,2 1) e cioè mette in pratica la volontà di Dio, rivelata da Ge­ sù nel discorso della montagna. Al centro del vangelo, nell'episodio, comune ai tre sinottici, con apoftegma finale sui veri parenti di Gesù (Mt. 1 2,46-5 0 l Mc. 3, 3 1 -3 5 l Le. 8,19-21 ), solo Matteo lega con un gar (in­ fatti) l'apoftegma finale al detto precedente che identi­ ficava madre e fratelli con i suoi discepoli e per di più qualifica la «volontà di Dio» come «volontà del Padre

mio»: Chiunque infatti fa la volontà del Padre mio, lui è mio fratello e sorella e madre (Mt. 1 2,50). Alla fine della breve parabola matteana dei due figli Gesù chie­ de agli ascoltatori: «Chi dei due ha fatto la volontà del padre ? E rispondono: Il primo» (Mt. 2 1 ,3 1) cioè colui, che, pur avendo rifiutato a parole, andò poi a lavorare nella vigna. Il secondo sintagma costruito con «la volontà del Padre» si legge pure strategicamente all'inizio e alla fine del vangelo: la terza domanda della preghiera di Gesù, propria di Matteo: «sia fatta la tua (del Padre) volontà come in cielo così in terra» (Mt. 6, 1o) viene ripetuta tale e quale da Gesù nell'agonia al Getsemani: «Padre mio, se questo (calice) non può passare senza che lo beva, sia fatta la tua volontà» (Mt. 26,42), ed è la passione e la croce. Mentre «fare la volontà del Padre» esalta l'agire del discepolo di Gesù nel suo aspetto attivo, «sia fatta la volontà del Padre» lo considera sotto quello passivo: egli deve accettare la volontà misteriosa del Padre fino alla dedizione totale nella morte. Ciò viene confermato dal terzo sintagma con la «volontà del Padre», unita al verbo «essere» per dire la cura che egli ha dei piccoli e la responsabilità davan­ ti a lui dei pastori. Il detto di Gesù conclude la para­ bola della pecora perduta e ritrovata nella formulazio­ ne matteana: «Così non è volontà del Padre vostro (var. mio) che è nei cieli che si perda uno di questi piccoli» (Mt. 1 8, 1 4); per questo non si devono scandalizzare (Mt. 1 8 ,6), né disprezzare (Mt. 1 8,1o), ma se qualcuno si perde, andarlo a cercare.

1 . 1 .3. L 'agire agapico del discepolo di Gesù che dona tutto ed ama anche i nemici: come agire da «perfetti/ teleioi». Un terzo sintagma proprio di Matteo a carat­ tere etico è l' «essere perfetti», che ricorre 2 volte, solo 49

in Mt. (5,4 8 e 1 9,2 1 ). «Voi dunque siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt. 5,46): suona la conclusione del comando di amare i nemici (Mt. 5,4346 / Le. 6,27-3 6) come sua ultima fondazione. « Perfet­ to>> (nell'A. T. applicato alla vittima sacrificate che do­ veva essere senza difetto) esprime la compiutezza, la totalità, l'integrità dell'essere in senso morale ed esi­ stenziale. Ma in cosa consiste la totalità, l'integralità della peFsona umana e in relazione a che cosa misurar­ la? Non in relazione ad una perfezione personale co­ me nella filosofia stoica, ma in rapporto alla dedizione totale a Dio nell'amore al prossimo senza limiti: senza limiti perché include nel prossimo anche i nemici (Mt. 5,43-47) e senza limiti perché disposto a donare tutto ai poveri, seguendo Gesù (Mt. 1 9,2 1 ) com'era stato chiesto al giovane ricco. 1 . 1 .4. Imparare - divenire discepoli, manthanein e matheteuein. Una quarta espressione, tipica di Mat­ teo, in contesto etico, è costituita da due verbi fra loro complementari: «imparare (da Gesù)» e «farsi (diveni­ re) suoi discepoli>>, I due verbi connotano il rapporto fra maestro (didaskalos) e discepolo (mathetes). Delle 3 volte che viene usato manthanein, una non ha valore etico, ma didascalico, ed è parallela a Mc. 1 3, 28 (Mt. 24,3). Nelle altre due, proprie di Mt., il verbo è all'imperativo, e perciò in funzione parenetica. Gesù, nel primo, risponde alla critica dei farisei perché man­ giava con i pubblicani e i peccatori con questo invito: «Andate e imparate cosa significa: Misericordia voglio e non sacrifici» (Os. 6,6), perché non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt. 9, 1 3 ). Gesù ri­ manda dunque i farisei al profeta Osea per giustificare il suo comportamento in contrasto con le norme cul­ tuali (il sacrificio), ma in accordo con la misericordia, richiesta da Dio; in tal modo compie i profeti (Mt. 5 ,

I 7). I grandi profeti pongono sempre in primo pia­ no la giustizia e l'amore, criticando l'accento posto dal popolo, specie dai capi e dai ricchi, sulle leggi cultuali. Il secondo testo col verbo «imparare» è ancora più im­ portante, perché centrato nella persona stessa di Gesù come modello da seguire: un logion proprio di Mt., che prolunga l'inno di giubilo comune con Le. (Mt. I I , 2 5 -27 / Le. 1 0,2 1 -22): «Venite a me (voi) tutti che siete affaticati e gravati (da pesi) e vi farò riposare. Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me, ché mite sono e umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime (persone) (Ger. 6, I 6); il mio giogo infatti è soave e il mio peso leggero» (Mt. I I ,28-3o). Va subito notato lo stretto rapporto di questo invito con la terza beatitu­ dine propria di Matteo: «Beati i miti., perché erediteran­ no la terra» (Mt. 5,5). In Gesù il suo discepolo trova il modello e l'aiuto per realizzarlo, in quanto gli dona la quiete e il riposo; e il suo giogo è soave e il peso legge­ ro. Gesù indica la via pratica e giusta per una vita buo­ na e felice in luogo della sapienza anticotestamentaria che pure invitava ad imparare dai suoi meshalim; e il suo giogo soave sostituisce il giogo pesante dell'inter­ pretazione della torà, che talora rischiava di annullare la parola di Dio (Mt. I 5,6). Più originale e significativo è il verbo matheteuein, mai usato nella letteratura greca prima del N.T., nep­ pure nei LXX; ed anche nel N.T., fuori delle 3 volte che ricorre in Mt. ( 1 3,52; 27, 57; 28, 19) ricorre solo un'altra volta in Atti 1 4,2 1 . Mt. 27,57 riporta un parti­ colare storico che riguarda Giuseppe di Arimatea, «an­ che lui era divenuto discepolo di Gesù (ematheteuthe to lesou)», apparteneva cioè al gruppo dei discepoli più ampio dei dodici apostoli. Gli altri due testi sono più importanti sotto il profilo etico. Mt. 1 3 , 5 2 ci aiuta a gettare lo sguardo su un gruppo presente nella comu­ nità matteana, gli scribi cristiani, che interpretavano la

tradizione di Gesù, utilizzando due fonti: la venerata torà e i profeti (Mt. 5 . 1 7) e il nuovo patrimonio di in­ dicazioni pratiche portate dalla novità dell'irruzione nel mondo del regno di Dio con la persona e la mis­ sione di Gesù. Il logion sta a conclusione del capitolo delle parabole e contiene un paragone: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo per il regno dei cieli (e perciò esperto di esso come lo scriba era esperto della torà) è simile ad un capofamiglia che estrae dal suo ma­ gazzino cose nuove e cose vecchie». Gli scribi cristia­ ni, interpretando l'A. T. usavano come criterio primo la novità del regno di Dio, portato da Gesù, certamen­ te anche sul piano etico. Ancora più significativo è l'ultimo testo, che riporta il mandato missionario del Signore risorto, apparso agli undici sul monte della Galilea: «Andate dunque (è il «dunque» parenetico che segue l'annuncio del pote­ re supremo dato a Gesù nel cielo e sulla terra) e fate miei discepoli tutti i popoli (matheteusate), battezzan­ doli ... e insegnando loro ad osservare tutto quanto io vi ho comandato ... » (Mt. 28, 1 9a.2ob). Per osservare i comandamenti di Gesù, occorre essere suoi discepoli e viceversa non si può essere discepoli senza imparare e mettere in atto la prassi insegnata dal maestro Gesù (Mt. 7,23.24-27; 2 5,3 1 -46, ecc.). Non basta il battesi­ mo per essere discepoli; è necessario mettere in pratica il comportamento comandato da Gesù, contenuto nel vangelo, sul modello che è lui stesso (Mt. 1 1 ,28-30). Divenire discepoli di Gesù comporta quindi l'inse­ gnamento della prassi comandata da lui e interpretata dagli scribi cristiani, contenuta nel vangelo, e la sua pratica. 1 . 1 . 5 . L 'appello alla volontà libera: «se vuoi f ei the­ leis». La formula «se vuoi (ei theleis)» o «se volete (ei thelete)» è tipica pure di Matteo, anche se proviene dal-

la tradizione, perché una delle 5 volte che la usa, è co­ mune con gli altri due sinottici: «Se qualcuno vuoi ve­ nire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua cro­ ce e mi segua» (Mt. r6,24 l Mc. 8,34 l Le. 9,23). Mt. I I , I4 e 1 7,4 non sono significativi, mentre gli altri due te­ sti propri di Mt. (I9, I 7.2 I ), sottolineano con forza l'ap­ pello alla volontà libera del giovane ricco: il primo in relazione alla richiesta fondamentale etica dell'antica alleanza «Se vuoi entrare nella vita, osserva i coman­ damenti» ( I 9, I 7), esplicitati poi nel riferimento al de­ calogo e al comandamento dell'amore al prossimo (I9, I 8- I 9 ); il secondo in rapporto alla richiesta radicale della sequela: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi i tuoi beni e dalli ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, e seguimi» (Mt. I 9,2I ).

r . r .6. Ifrutti e la ricompensa (misthos). L'ultima for­ mula linguistica tipica di Mt., anche se non gli è esclu­ siva, riguarda l'orizzonte escatologico dell'etica; per questo l'abbiamo tenuta per ultima. Si esprime in due sintagmi: «fare frutti (poiein kar­ pous)» e «la ricompensa (ho misthos)» unita a verbi di­ versi (essere, avere, ricevere, dare). Il primo sintagma «fare frutto (-i)» ricorre 9 volte in Matteo, o in Marco e 6 in Luca, di cui 4 comuni con Matteo e perciò della fonte Q: i primi due in due detti di carattere apocalittico, pronunciati dal Battista (Mt. J,8 . I o l Le. 3,8-9): la condizione necessaria per evitare l'ira di Dio; gli altri due in Mt. 7,I 7 (Le. 6,46), risulta­ no incastonati in un brano tipicamente matteano, che ammonisce la comunità a guardarsi dai falsi profeti, of­ frendo come criterio di discernimento il «fare frutti buoni» in opposizione polare al «fare frutti cattivi» (Mt. 7, I 5-2o). In questo brano la formula ricorre ben 5 volte delle 9 complessive: «Dai loro frutti li ricono­ scerete (i falsi profeti) ... Così ogni albero buono pro-

duce frutti buoni, mentre l'albero guasto produce frut­ ti cattivi. Non può un albero buono produrre frutti cattivi né un albero guasto produrre frutti buoni (detto sapien­ ziale). Ogni albero che non produce buon frutto, viene tagliato e gettato nel fuoco (detto escatologico)» (Mt.

7, I 6- I 9). Come risulta dal v. I9, ove si parla del «fuo­ co», questi detti vanno collocati nello stesso orizzonte escatologico del discorso di minaccia del Battista. Un ultimo testo, proprio solo a Mt., e molto signi­ ficativo per la sua teologia, si legge nella conclusione applicativa della parabola dei vignaioli omicidi (Mt. 2 I , 33 -43): «Per questo vi dico che il regno di Dio sarà tol­ to a voi (cf. subito dopo al v. 4 5 : i gran sacerdoti e i fa­ risei) e sarà dato ad un popolo (la chiesa, composta di ebrei e gentili e guidata dai suoi responsabili), che farà i suoi (del regno) frutti>) (Mt. 2 I ,43). I capi della chiesa (Mt. I 6, I 6; I 8, I 8- I9) faranno fruttificare la nuova co­ munità che è il regno di Dio sulla terra, non per sé, co­ me i capi di Israele, ma per il padrone del regno. Per Mt. «fare frutti)) significa mettere in pratica l'eti­ ca del regno, predicata da Gesù. Non basta possedere il regno di Dio; occorre farlo fruttificare per il Signore in modo che abbia da estendere a tutti gli uomini la sua sovranità salvifica. Il secondo termine escatologico, proprio di Matteo, misthoslricompensa ricorre 8 volte in Mt. ( 5 . I 2.46; 6, 1 .2. 5. I 6; I 0,4 1 .4 1 .42; 20,8), I in Mc. (9,4 I) parallelo a Mt. I0,42 e 3 in Le. (6,23.3 5; Io,7), di cui uno parallelo a Mt. (Le. 6,23 l Mt. 5 , 1 2) nell'ultima beatitudine, quel­ la dei perseguitati «a causa di me (Mt. ) l del Figlio dell'uomo (Le. ))) cui Gesù annuncia: «Godete ed esul­ ' tate perché la vostra ricompensa è grande nei cieli)), Gli altri sei testi sono propri di Mt. , ed hanno tutti sen­ so escatologico tanto che l'evangelista cambia il testo parallelo di Le. I0,7 «perché l'operaio (l'apostolo e il 54

missionario itinerante) è degno della sua ricompensa (misthou)» in «è degno del suo nutrimento (trophes)» (Mt. r o, r o ) , perché qui si tratta di una ricompensa ter­ rena. La ricompensa in Mt. è quindi sempre e coeren­ temente quella futura, mai però quantificata, ma la­ sciata alla generosa liberalità di Dio. La ricompensa celeste non ammette il concorso con quella terrena: colui che compie la sua giustizia (atti di pietà: elemo­ sina, preghiera e digiuno) «davanti agli uomini» per farsi vedere e lodare, non riceverà la ricompensa cele­ ste, perché «ha già ricevuto la sua ricompensa» (Mt. 6, I .2. 5 . I 6). La ricompensa celeste è legata alla prassi del regno: accettare di essere perseguitati a causa di Gesù (Mt. 5 , 1 2), amare i nemici (Mt. 5,46), compiere le opere di pietà «di nascosto» solo davanti a Dio (6, 1 .2. 5 . 1 6), offrire un aiuto al missionario cristiano (Mt. 10, 4 1 s.). 1 . 1 .7. Le sette espressioni linguistiche esaminate sot­ tolineano aspetti diversi dell'etica matteana. La più spe­ cifica di Matteo, sotto il profilo etico e socio-religio­ so, è certamente «la giustizia maggiore», il «di più», che distingue i discepoli di Gesù dagli «scribi e farisei» e dai gentili. La giustizia superiore è insieme l'interpre­ tazione compiuta di «legge e profeti» operata da Gesù ed il suo compimento nella prassi del regno. L'espressione più comprensiva, sotto il profilo teo­ logico, è invece «fare la volontà del Padre (mio)»: vo­ lontà salvifica, rivelata e attuata da Gesù fino alla sua passione e morte; e che dev'essere attuata anche dal di­ scepolo per poter appartenere alla sua famiglia ed en­ trare nel futuro regno dei cieli. «Imparare - divenire discepoli» dice invece l'assolu­ ta dipendenza dell'etica matteana da Gesù come mae­ stro e modello. «Essere perfetti» e «se vuoi» evidenziano l'aspetto antropologico di libertà e dedizione totale. 55

Infine «fare frutti (buoni)» e «la ricompensa» cele­ ste inquadrano l'etica matteana nell'orizzonte ultimo, escatologico: entrare nel futuro regno dei cieli. r .2.

Le forme letterarie dell'etica matteana

Dalle forme linguistiche passiamo a quelle letterarie, che hanno rapporto con la loro funzione, nel nostro caso, pratica. Pretendono, in altre parole, di essere «at­ ti linguistici>>. Notiamo anzitutto con G. Strecker lo stretto rap­ porto in Matteo tra la forma dell'annuncio e quella del­ l'insegnamento pratico: in Matteo «troviamo legate in­ sieme le due forme del didaskein e del keryssein (Mt. 4,23; 9,3 5; 1 1 , 1 ) in testi redazionali: due sommari i pri­ mi due e la conclusione del secondo discorso in Mt. 1 1 , 1 . Le due forme per sé sono distinte. Didaskein si rapporta all'insegnamento etico di Gesù, mentre kerys­ sein ha essenzialmente carattere di proclamazione, in­ dica un annuncio, una chiamata alla decisione, cui si può rispondere con la conversione oppure col rifiuto. Ma tale distinzione è plausibile solo a prima vista, perché quanto al contenuto, risulta che anche l'inse­ gnamento di Gesù ha carattere di annuncio (cf. Mt. 7, 24 ss.) e d'altro canto, quando Gesù proclama il regno di Dio, ciò non avviene senza insegnamento. Ne risul­ ta un'ampia, reale identità fra dottrina ed annuncio, fra insegnamento e predicazione. Secondo r o,7 Gesù co­ manda ai discepoli di predicare (keryssein) la vicinan­ za del regno, mentre il comando missionario del Ri­ sorto dice che gli undici devono 'istruire' tutti i popo­ li (28,1 9-20): la predicazione del regno e l'insegnamen­ to etico sono profondamente legati fra loro>>. l ! Un'u' S· G. Strecker, Theologie des Neuen Testaments. Bearbeitet, erganzt und herausgegeben von F.W. Horn, Berlin - New York 1 996, 3 97·

nione stretta dunque tra le due forme principali della predicazione di Gesù: annuncio e insegnamento. Le forme particolari dell'insegnamento etico, sem­ pre strettamente legate all'annuncio del regno, sono molto varie, anche se prevale la didachè parenetica di tipo apodittico con orientamento escatologico, di cui il modello complessivo più ricco e più noto è il discor­ so della montagna (Mt. 5-7). Non si può parlare quin­ di della riduzione dell'etica escatologica di Gesù a ca­ sistica (Schulz) o considerare il vangelo come la torà cristiana in sostituzione di quella mosaica (W. Marx­ sen). La casistica, frequente nel discorso della monta­ gna, non lo è spesso se non nella forma; in realtà si tratta di casi paradigmatici. Però si hanno anche esem­ pi di vera e propria casistica, in cui si riflette il volto della comunità matteana. Tale casistica applica alla si­ tuazione concreta i principi etici fondamentali dettati da Gesù come in Mt. 1 8, 1 5 - 1 7 per le tensioni e divi­ sioni nella comunità; e Mt. 5,3 1-3 2 l 19,9 per l'indisso­ lubilità del matrimonio. Si hanno anche forme di etica sapienziale come in Mt. 1 2,33-37 l Le. 6,43-4 5 prove­ niente dalla tradizione Q, ed altre proprie di Mt. come in Mt. 1 1 ,2 5 -30 (in parte parallelo a Le. 10,2 1-22); an­ che qui, a differenza di Le., Mt. fa seguire all'annuncio l'insegnamento pratico in forma di parenesi. All'interno del discorso della montagna viene usata una grande varietà di forme letterarie come l'interpre­ tazione della torà mosaica nelle antitesi (5.21 -48), la cri­ tica della prassi ebraica (o pagana) in funzione di una nuova prassi {6, I - I 8), comandi apodittici con sanzio­ ne escatologica (7, 1 -2 1 ) e la forma letteraria delle bea­ titudini (5,3 - 1 2) ove pure sono uniti strettamente an­ nuncio e insegnamento etico. Si ha, infine, anche la forma parabolica in funzione etica come la parabola dei due figli di fronte al coman­ do del padre (Mt. 21 ,28-32) o quella solenne del giu57

dizio finale in base alle opere di misericordia verso i «fratelli minimi>> di Gesù (Mt. 25,3 1 -46). L'insegnamento particolare di Gesù (la sua dida­ chè), distinto da quello dei farisei e sadducei (Mt. 1 6, 12 red.) dev'essere annunciato a tutti i popoli in modo che divengano tutti suoi discepoli (Mt. 28,20). È que­ sto il messaggio finale del vangelo. Anche se alcune forme letterarie sono simili a quelle dell'A.T. (leggi apodittiche, casistiche, detti sapienzia­ li), tuttavia in Mt. non si ha alcun codice; l'insegna­ mento pratico è annuncio, buona novella della salvez­ za, perché rivela la volontà del Padre, che intende sal­ vare l'uomo, tutto l'uomo e tutti gli uomini, sottomet­ tendoli alla sua sovranità, nel suo regno, in cui si ha gioia e salvezza definitiva (Mt. 2 5,2 1.2 3).

1 .3. L 'etica matteana nella struttura letteraria del vangelo Ove si collocano le forme linguistiche e letterarie pro­ prie dell'etica matteana nella struttura letteraria del vangelo ?'6 L'articolazione letteraria dell'etica mattea­ na forma una specie di grande arco che abbraccia tutto il vangelo: dal primo discorso, il discorso della monta­ gna (Mt. 5-7) che si conclude con il giudizio escatolo­ gico, passa per il discorso missionario (Mt. 10), quello delle parabole, che ha pure una parte etica (Mt. I J, I 8 2J.J6-4J), quello alla comunità (Mt. 1 8) per finire nel discorso escatologico (Mt. 23-2 5) e il Getsemani (Mt. 26,42) con un potente flash back su tutto il vangelo nel comando missionario del Signore risorto (Mt. 28, 1 8-2o). Al centro sta l'apoftegma sulla nuova famiglia di Gesù, costituita da «coloro che fanno la volontà del Padre mio» (Mt. 1 2,46- 50). 1 6. Per la struttura letteraria di Mt. si veda G . Segalla, Evangelo e Vangeli, Bologna ' 1 994, 42-68.

Esaminiamo anzitutto le quattro grandi inclusioni che fanno da cornice agli orientamenti di base per fer­ marci poi all'etica comunitaria, che si colloca al centro della struttura. 1 . 3 . 1 . Le quattro grandi inclusioni letterarie (socio­ religiosa, cristologica, etica ed escatologica) dell'etica matteana nella struttura del vangelo. La prima inclu­ sione, in parallelismo antitetico, vede contrapposte le 8 + I beatitudini dell'inizio (Mt. 5,3 - 1 2) agli 8 + I «guai»

della requisitoria finale contro gli scribi e i farisei di Mt. 2.J, I-J6, che riprendono in forma polemica la cri­ tica già espressa in forma sapienziale-catechetica in Mt. 6, 1 - I 8. Il parallelismo antitetico evidenzia lo specifico dell'etica del regno nei confronti di quella farisaica, ove l'antitesi però verte più sulla prassi che sull'interpreta­ zione della torà (Mt. .2.3,2-J). È nel comportamento pra­ tico (ethos) che si evidenzia la diversità socio-religio­ sa. Gli stessi responsabili della comunità cristiana de­ vono infatti guardarsi da forme di ambizione, proprie, secondo Mt., degli scribi e farisei (Mt. 23,8-I I). Il secondo arco inclusivo è quello cristologico: la fe­ de in Gesù che compie la volontà salvifica del Padre (Mt. J , I 5 ; .2.6,48) è il fondamento ultimo dell'etica mat­ teana. L'arco corre dalla terza domanda del Padreno­ stro: «Si faccia la tua volontà» (Mt. 6, Io) alla stessa pre­ ghiera ripetuta da Gesù nel Getsemani (Mt. 26,48); ma inizia ancor prima, nell'incontro col Battista per il bat­ tesimo: «lascia ora, perché così è conveniente per noi portare a compimento ogni giustizia» (Mt. 3,I 5). È l'unico testo in cui «giustizia» supera il senso etico per abbracciare tutto il piano salvifico che Gesù deve at­ tuare nella sua missione (la volontà del Padre appun­ to) come «colui che porta il peccato degli uomini» ac­ cettando di essere annoverato fra i peccatori. Oltre al grande arco di Mt. J,I 5; 6, 10 e 26,48, ve n'è uno inter59

no, minore, che va da Mt. 5,5 a Mt. I I ,29-3 0 col tema inclusivo della mitezza: «Beati i miti perché eredite­ ranno la terra» (5,5) e «Imparate da me, ché sono mite ed umile di cuore» (Mt. 1 1 ,29). Qui è al centro la stes­ sa persona di Gesù quale modello supremo e al con­ tempo come maestro che insegna quanto egli stesso rivela nella sua persona e nel suo insegnamento etico, giacché «il suo giogo è soave e il suo peso leggero» (Mt. I I ,JO ). La terza inclusione è propriamente etica: il compi­ mento di «legge e profeti» (Mt. 5 . I 7): i comandamenti di Dio rivelati nella «legge e profeti>> vengono riaffer­ mati e portati a compimento da Gesù, che alla fine ri­ torna ancora sui comandamenti, ma su quelli suoi, che costituiscono l'interpretazione definitiva della volontà di Dio da compiere. Di essi Gesù parla proprio nella conclusione del vangelo, ove il Signore risorto coman­ da di fare discepoli tutti i popoli: « ... insegnando loro ad osservare quanto vi ho comandato» (Mt. 28,2oa), con l'assicurazione della sua presenza «sino alla fine del mondo». L'arco è qui fra i comandamenti di Dio (Mt. 5 , I 7-20) e quelli di Gesù: preannunciati in 5,20, rivelati nel corso del vangelo e sintetizzati nel coman­ do missionario alla fine. I comandamenti di Dio ven­ gono riaffermati, reinterpretati e compiuti dai coman­ damenti di Gesù. Con ciò viene asserita la continuità dell'etica di Gesù con quella di «legge e profeti», ma anche il suo superamento nel compimento. Il discepo­ lo di Gesù è spiritualmente un ebreo, che assume in un modello etico nuovo, in fin dei conti in Gesù stesso, quanto di vero c'era nella «legge e profeti». L'ultimo arco inclusivo è quello escatologico. Per quanto concerne i discorsi di Gesù è forse quello più comprensivo. Tale ultima inclusione, escatologica, di­ ce la serietà della volontà di Dio, rivelata e compiuta da Gesù e attuata dai suoi discepoli. L'arco parte dalla 6o

finale del discorso della montagna (Mt. 7,1 3-27) che prefigura il giudizio ultimo, dove vengono condanna­ ti i falsi profeti che «compiono l'iniquità» cioè non os­ servano quanto Gesù ha comandato; e si conclude con la similitudine della casa fondata sulla roccia o sulla sabbia che significa rispettivamente il saggio «che ascol­ ta e mette in pratica» e lo stolto «che ascolta e non met­ te in pratica». E l'arco si chiude con l'ultimo discorso, escatologico, dei capitoli 24-25 con le tre parabole: del­ le dieci vergini come monito ad essere preparati (2 5,1I 3), dei talenti come illustrazione dell'impegno quoti­ diano a far fruttificare il regno (2 5,14-30) e infine la pa­ rabola escatologica del giudizio finale del Figlio del­ l'uomo col monito severo all'impegno della carità con­ creta ( 2 5,3 1 -46). La secca alternativa fra entrare nel re­ gno, essere benedetti, beati ed entrare nella gioia del Signore da una parte e l'essere esclusi dal regno, l'esse­ re maledetti e condannati dall'altra è la conseguenza ultima dell'attuazione o meno del comando di Gesù, la cui essenza è l'amore attivo. Non basta né solo pre­ gare (Signore, Signore !) né compiere opere prodigiose né la familiarità con Gesù (abbiamo mangiato con te); occorre praticare l'esigente etica dell'amore concreto, che dona e si dona. In ciò consiste la giustizia superio­ re del regno di Dio, rivelata da Gesù.

1 .3. 2. Il luogo dell'etica: la comunità ecclesiale mis­ sionaria come grande famiglia di Gesù al centro della struttura. L'arco interno dei discorsi di Gesù, nella

struttura del vangelo, è dato dalla corrispondenza fra quello missionario di Mt. I O e quello ecclesiastico di Mt. r 8, ambedue costitutivi della comunità cristiana mtsstonana. Fra Mt. ro e I 8, a conclusione della parte narrativa che precede il discorso in parabole (Mt. 1 3) vi è un a­ poftegma che definisce la nuova famiglia di Gesù, la

chiesa dei discepoli (Mt. I 2,46- 5o) in chiave etica. L'e­ pisodio è noto. L'evangelista interviene sulla tradizio­ ne, come abbiamo già detto, legando sintagmaticamen­ te con un gar (infatti) l'apoftegma finale alla sorpren­ dente risposta di Gesù a chi gli aveva annunciato l'ar­ rivo dei suoi parenti per trovarlo e parlargli: « Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? E, stesa la sua ma­ no sui suoi discepoli disse: - Ecco la mia madre e i miei fratelli. Chiunque infatti fa la volontà del Padre mio, lui è per me fratello, sorella e madre» (Mt. 1 2,48b- 5o). In tal modo i suoi discepoli sono identificati con «colui che fa la volontà del Padre mio» e sono i suoi fratelli, la sua famiglia. Fra i sinottici solo Mt. chiama «fratelli» per altre sei volte i suoi discepoli, membri della sua nuova comunità ( I B,q.2 I ; 23,8; 2 5 ,40 e 28, Io); fuori di Mt. una volta sola in Gv. 20, 1 7. Il «fare la volontà del Padre», rivelata da Gesù, e di cui egli è il modello supremo (Mt. 26,42) costituisce i discepoli co­ me suoi fratelli e sorelle. Non basta un'appartenenza sociologica, esterna («abbiamo mangiato e bevuto con te>> o «fatto cose straordinarie nel tuo nome»); è ne­ cessaria un'appartenenza autentica, che si verifica nel­ la pratica della volontà del Padre al seguito di Gesù. Va inoltre notato che la nuova comunità-famiglia è in­ centrata nella persona stessa di Gesù «è mio fratello, sorella e madre»; l'unico Padre è quello celeste (Mt. 2J,9).17 Prima e dopo questa definizione eminentemente eti­ ca del discepolo di Gesù e della comunità-famiglia in­ torno a lui, vi sono due capitoli che delineano il modo di costituirsi e la costituzione di base della nuova co­ munità. Il discorso missionario di Mt. I O offre una serie di norme pratiche per i missionari itineranti che 1 7. Su questo argomento si ha la bella monografia di S. Grasso, Gesù e i suoi fratelli. Contributo allo studio della cristologia e dell'antropologia nel Vangelo di Matteo, Bologna 1 992.

vanno a portare l'annuncio e la venuta salvi fica del re­ gno di Dio, muniti dell'autorità stessa conferita loro da Gesù; il mondo cui sono inviati è quello giudaico e greco romano, da cui saranno pure perseguitati; anche la persecuzione e l'essere condotti davanti ai tribunali però sarà motivo di annuncio del vangelo. Il discorso ecclesiastico di Mt. I 8 offre delle raccomandazioni per una comunità divisa, con problemi interni; il discorso si rivolge anzitutto ai pastori della comunità per ri­ chiamare la loro responsabilità nei confronti dei pic­ coli: non scandalizzare, non disprezzare, cercare chi è perduto, tenendo presente che «non è volontà davanti al Padre vostro nei cieli che si perda uno di questi pic­ coli» (I 8, I - I 4 ), i credenti in Gesù ( I 8 ,6); la seconda parte invece riguarda il rapporto orizzontale tra i fra­ telli nella comunità in cui accadono conflitti e divisio­ ni, per cui oltre al principio del perdono incondizio­ nato ( I 8, 2 I -3 5) vi è registrata anche la casistica della correzione fraterna ( I 8 , I 5 - I 7) e la costituzione di re­ sponsabili nel dirimere le questioni pratiche, cui viene dato il potere «celeste» di «legare e sciogliere» (Mt. I 8, I 8); e viene ricordata infine la comunità in preghie­ ra, radunata nel nome di Gesù (I8,I9-2o). I + Conclusione La formulazione letteraria a livello linguistico, modo­ logico e strutturale ha dimostrato l'importanza fon­ damentale dell'etica matteana nel configurare il disce­ polo di Gesù, la necessità della sua pratica per entrare nel regno di Dio sulla terra e nel futuro regno dei cie­ li. In sostanza occorre: praticare la giustizia maggiore della carità senza limiti, la volontà di Dio rivelata da Gesù, la donazione totale di se stessi al discepolato, la risposta libera e positiva alla chiamata del maestro ed una continua vigilanza.

2.

La configurazione teologica dell'etica matteana: cristologico-teologica, ecclesiale ed escatologica

La formulazione letteraria dell 'etica matteana costitui­ sce la base solida della configurazione teologica: orien­ tando alla fondazione cristologico-teologica ossia al­ l'autorità che fonda l ' etica (la volontà del Padre, rive­ lata da Gesù), delineando l ' orizzonte ecclesiale in cui è praticata e da cui risulta un soggetto etico complesso (come appare dal posto che l'etica matteana occupa nel­ la struttura del vangelo); e prospettando infine il suo orizzonte spazio-temporale in una cornice escatologi­ ca (dalla grande inclusione fra il primo e l 'ultimo di­ scorso). 2. r .

La fondazione cristologico-teologica: l'autorità etica

L ' autorità che fonda la via della «giustizia superiore>> è quella di Dio Padre, che ha rivelato Gesù nella sua persona e nella sua parola: la sua volontà salvifica, il suo regno o sovranità sull ' uomo, la nuova comunità di «fratelli-sorelle», figli dello stesso Padre, in contra­ sto con la società politica, fondata sul potere (Mt. zo, 24-28 par.), anche se questo tratto non è specifico di Matteo, ma di Luca. Tale autorità etica si esprime in quattro modi: come volontà salvifica del Padre, rivelata e compiuta da Ge­ sù; come regno-sovranità di Dio, che si realizza con la prassi del regno condizione indispensabile per entrar­ vi; come comandamenti di Dio e di Gesù; ed infine in lui come maestro e giudice. In ciascuno di questi quat­ tro modi di rivelarsi, la cristologia è strettamente lega­ ta alla teologia.

2. 1 . 1 . La volontà salvifica del Padre, da compiere.

La volontà del Padre, che Gesù rivela, è una volontà salvifica universale; egli intende infatti arrivare in Ge­ sù a tutti i popoli della terra (Mt. 28,19-20), ma anche a tutte e singole le persone, specie i più piccoli e di­ sprezzati, e persino quelli che si smarriscono lontani dal «gregge» custodito: «Così è volontà davanti al Pa­ dre mio (var. vostro) che non si perda nessuno di questi piccoli» (Mt. I 8,14). I piccoli sono i bambini da non disprezzare (1 8, Io), ma anche i credenti in Gesù, i semplici, che possono essere scandalizzati; i «fratelli minimi» del Figlio dell'uomo (quelli che hanno fame, sete, ecc.) di cui egli è il patrono; per cui l'aiuto offer­ to loro è considerato fatto a Gesù e in fin dei conti a Dio stesso. Il Padre vuoi salvare tutto l'uomo (nella sua integrità fisico-psichico-spirituale), ogni uomo («neppure uno») e tutti gli uomini («tutti i popoli»). Ora, questa volontà salvifica si concretizza nel do­ vere corrispondente da parte del discepolo di Gesù, che deve sentirsi responsabile dei fratelli-sorelle davan­ ti a Dio; in particolare i pastori della comunità che so­ no responsabili della comunità loro affidata (Mt. I 8; 2J,8-12); ma anche tutti i fratelli-sorelle della comuni­ tà, chiamati ad aiutare tutti gli uomini in una carità sen­ za confini, che include anche i nemici. L'etica matteana è perciò il riflesso pratico nel di­ scepolo e nella comunità di Gesù della volontà salvifi­ ca del Padre, che in lui si è rivelata. La responsabilità della salvezza dei fratelli e persino di tutti gli uomini di fronte a Dio. «Fare la volontà del Padre» significa perciò, fondamentalmente, essere discepoli di Gesù, missionari inviati a guarire, a portare il regno di Dio, ad aiutare chi ha bisogno. Il dovere deriva dalla volon­ tà del Padre, per la mediazione del Figlio Gesù.

2. 1.2. Il regno-sovranità di Dio e le condizioni per

entrarvi. Il regno di Dio (dei cieli: tipico di Mt. ) sta al centro della predicazione di Gesù anche in Mt. (5 5 volte; Mc. 20 volte; Le. 46 volte). E appare strettamen­

te legato all'etica del discepolo centrata nell'amore con­ creto al prossimo fino ad includervi i nemici. Ciò appare in modo evidente in due testi, che strut­ turano il vangelo. Il primo è costituito da due detti di Gesù, che introducono il discorso della montagna; il primo è. la beatitudine ottava, aggiunta da Mt. : «Beati i perseguitati a causa della giustizia» (Mt. 5 , 1 o), cioè a causa della condotta cristiana, che ovviamente si scon­ tra con chi la rifiuta e rifiuta coloro che la praticano, il potere religioso o politico. La giustizia, la prassi cri­ stiana, non è innocua; disturba qualcuno a livello so­ ciale; l'etica matteana perciò non è intimistica né indi­ vidualistica, ma si rivela nella carità concreta, nella di­ fesa dei deboli, nel perdono e nel dono totale di sé. Sem­ pre nel discorso della montagna si parla del nesso in­ dissolubile fra regno dei cieli ed etica rivelata da Gesù, nell'introduzione alle antitesi: «Vi dico infatti che se la vostra giustizia non è superiore a quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt. 5,2o). L'altro testo si legge nell'ultimo discorso: il grande affresco del giudizio escatologico operato dal Figlio dell'uomo, seduto sul suo trono glorioso. A quelli alla sua destra che hanno praticato le opere di misericordia dirà: «Venite (voi) benedetti dal Padre mio ('benedet­ ti' corrisponde a 'beati' delle beatitudini iniziali), eredi­ tate il regno preparato per voi fin dall'origine del mon­ do�� (Mt. 2 5 ,34). Anche qui si ha uno stretto rapporto fra cristologia e teologia. Il re giudice sul trono è il Fi­ glio dell'uomo (Mt. 2 5 ,34), ma il regno, possesso eter­ no di Dio, è quello «preparato dal Padre fin dalla crea­ zione del mondo)); le opere di misericordia, a loro volta, sono compiute in favore di «questi miei fratelli più piccoli)) (2s ,4o). Il regno di Dio, preparato e quin66

di donato dal Padre, è concesso a coloro che hanno praticato la carità concreta ai «fratelli minimi» di Ge­ sù. Non è una ricompensa acquisita per diritto, ma uno spazio in cui trovano posto solo esistenze domi­ nate dalla sovranità dell'amore salvifico di Dio, che si verifica nell'amore concreto ai fratelli sul modello e con l'aiuto di Gesù. Nel regno sono dunque coinvolte etica, cristologia e teologia: Dio Padre come origine prima e meta ultima della beatitudine-benedizione del suo regno, ove si entra solo rivestiti della «giustizia supenore».

2. I . 3 . I comandamenti di Dio e i comandamenti del Signore. La figura legata più chiaramente all'etica co­

me prassi della giustizia superiore è quella dei coman­ damenti. La «torà e i profeti» contengono i coman­ damenti di Dio: possono essere «minimi» (Mt. 5 > I 9), mentre «il massimo comandamento nella legge» (Mt. 22,36) è costituito dai due comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo (22,37-39): «A questi due co­ mandamenti è appesa la legge e i profeti>> (22,40). Ge­ sù li conferma e li compie nella linea profetica, in con­ trasto con la prassi di scribi e farisei. I comandamenti di Dio nella torà, in particolare i dieci e i due dell'amo­ re a Dio e al prossimo sono assoluta volontà di Dio; perciò ogni interpretazione che svuota il comandamen­ to originario e ne nega la sostanza, va rigettata come «ipocrisia» (Mt. I 5,4-7). Tale ipocrisia viene condanna­ ta non solo da Gesù, ma veniva già bollata dagli anti­ chi profeti come !s. 29, I 3 (LXX) citato in Mt. I 5. 7-9. Oltre a confermare e interpretare i comandamenti di Dio nella torà contro una interpretazione che ne svuota la sostanza, cioè l'amore al prossimo, enfatiz­ zando le leggi cultuali (Mt. 5,I7-48; I 5,I -2o) e favo­ rendo l'ipocrisia, propone anche lui nuovi comandi sia nel modo di fare il bene (Mt. 6, I -6. I 6- I 8) e qui sia-

m o nell'ethos - sia più spesso con comandi assoluti, motivati talora con una concezione di Dio che a noi può sembrare ingenua (Mt. 6,2 5-34) tal altra con argo­ menti sapienziali (Mt. 6,24; 7, 1 - 5 ) oppure con motiva­ zioni escatologiche (Mt. 7,1 J -14). Molte altre volte pe­ rò si tratta di comandi apodittici come quelli in Mt. 6, 38-42, le regole che devono seguire gli apostoli e i mis­ sionari itineranti in Mt. 10 o le norme che devono reg­ gere l'ordinamento interno della comunità in Mt. 1 8. I comandamenti di Dio, sempre validi, e i comanda­ menti di Gesù che li interpretano e li compiono, ven­ gono confermati dal Signore risorto come colui cui il Padre ha dato ogni potere nei cieli e sulla terra. È lui che, comparendo per l'ultima ed unica volta agli 'un­ dici', ingiunge di andare in tutto il mondo e fare suoi discepoli tutti i popoli «battezzandoli ... e insegnando loro ad osservare quanto ho comandato a voi. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt. 28,1 9-20). Tutto il vangelo di Mt. alla fin fine vie­ ne concepito come una specie di nuova alleanza con Dio in Gesù, una costituzione del regno di Dio sulla terra con norme che lo configurano come una comu­ nità familiare, la chiesa; e detta un modo di compor­ tarsi (ethos) dei suoi membri, discepoli di Gesù. La novità assoluta rispetto ad ogni altra costituzione reli­ giosa, greco-romana ed ebraica (Qumran e la sinago­ ga): è che la nuova alleanza mediante la sua costituzio­ ne comunitaria ed etica non è circoscritta ad un parti­ colare gruppo religioso (Qumran) o anche a tutto un popolo, il popolo d'Israele come la sinagoga, ma è una chiesa che va estesa a tutti i popoli della terra, ed è per tutta la storia dell'umanità sino alla fine del mondo. La garanzia divina è la presenza attiva di Gesù: «Ed ecco io sono con voi ... »; questa promessa finale sigilla la promessa isaiana che l'evangelista vede realizzata nel concepimento straordinario di Gesù all'inizio del van68

gelo, ove è chiamato «Dio con noi» (Mt. 1,23 = fs. 7, 14 LXX). La presenza di Gesù come la shekinah di Jhwh nell'antica alleanza, è sigillo della nuova allean­ za. La prassi del regno è assicurata dalla presenza con­ tinua del suo mediatore.18

2. 1-4- La presenza di Gesù, maestro e giudice, garan­ te escatologico della prassi del regno. Garanzia dell'eti­

ca matteana è dunque la persona stessa di Gesù, mes­ sia crocifisso e Signore risorto. È lui l'unico maestro (Mt. 23,8 . 1 o) che dà autorevolezza divina al suo inse­ gnamento, costitutivo di una comunità che deve allar­ garsi a tutti i popoli della terra e costitutivo pure del­ l'identità etica dei suoi membri. La serietà escatologica dell'etica matteana si rivela nella finale dei due discorsi che rispettivamente aprono e chiudono l'insegnamen­ to di Gesù: il discorso della montagna e quello escato­ logico. In ambedue Gesù maestro si rivela alla fine giu­ dice ultimo, che accoglie nel regno dei cieli chi ha mes­ so in pratica quanto ha insegnato, ma esclude inesora­ bilmente non solo chi l'ha respinto, ma anche chi ha solo ascoltato e non messo in pratica e persino chi ha esercitato carismi nel suo nome, ma non ha praticato la giustizia superiore.

2.2. L 'orizzonte ecclesiale: il complesso soggetto etico dell'etica matteana Come abbiamo già detto, è fuor di dubbio che l'etica matteana non sia per il singolo, che non sia un'etica 1 8 . Su questo tema della presenza divina neii'Emmanuele di Mt., si veda la recente suggestiva monografia di D.D. Kupp, Matthew's Emmanuel. Di­ vine presence and God's people in the First Gospel, Cambridge 1996 che studia i tre testi (Mt. 1,23 = fs. 7, 14; 18, 19-20; 28,19-20) sullo sfondo del te­ ma nell' A.T. e considerandoli punti focali attraverso cui leggere la story di tutto il vangelo, unendo il metodo storico-critico a quello narrativo e socio­ religioso.

individualistica, orientata magari al sociale (cf. sopra, la monografia di Crosby). Ogniqualvolta la si giudica sotto questo profilo, ci si imbatte immancabilmente in assurde conseguenze. L'etica matteana è chiaramente un'etica del regno di Dio, della chiesa di Gesù, della co­ munità da lui fondata su Pietro (Mt. 1 6, 1 8) e sugli a­ postoli ( 1 8 , 1 8), comprendente tutti i discepoli che han­ no accolto e accoglieranno la nuova alleanza con tutte le sue alte esigenze pratiche. Va perciò considerata anzitutto all'interno dell'oriz­ zonte ecclesiale; ora la chiesa è un soggetto etico com­ plesso che si esplica nella forma personale e in quella comunitaria, strettamente legate fra loro. In un secon­ do momento considereremo l'etica ecclesiale del disce­ polo nel rapporto col mondo sociale in cui si inscrive. Il soggetto dell'agire morale è molteplice, anche se qualificato sempre dal doppio riferimento costante a Gesù e alla comunità, e attraverso di essa al mondo tut­ to («tutti i popoli)) di Mt. 28, 19 che non va mai dimen­ ticato). Il soggetto primo è il discepolo di Gesù, colui che, compiendo la volontà del Padre, si è posto alla sequela del Signore, praticando la via della giustizia superiore ed entrando così nel regno dei cieli (Mt. 5,20), già pre­ sente nella comunità cristiana. Egli trova nel vangelo di Matteo le norme che configurano il suo atteggiamen­ to interiore e il suo comportamento sia in rapporto con Dio sia in relazione col prossimo, all'interno della comunità e col mondo esterno (ebrei e gentili). Oltre ai comandamenti validi della torà, egli sa che il vinco­ lo del matrimonio è indissolubile, che deve superare le tensioni inevitabili tra fratelli nella comunità, che vi sono peccati da correggere, perdono da concedere sem­ pre, che gli è richiesta una generosità senza limiti nel donare e senza confini nell'amare; e inoltre dovrà ac­ cettare di buon grado la persecuzione sia da parte del-

la sinagoga che dei re della terra. Inoltre troverà o cer­ cherà molte altre indicazioni più concrete presso gli esperti cristiani (gli scribi istruiti nel regno di Dio); es­ si le ricaveranno dal patrimonio sacro della tradizione etica di Gesù e di quella anticotestamentaria ebraica. Vi sono poi, all'interno della comunità almeno due altre categorie di persone, cui si danno delle norme par­ ticolari, che valgono per loro: i responsabili della dif­ fusione del regno portato da Gesù e i pastori della co­ munità. Per costoro si può parlare di un'etica dell'ob­ bedienza al comando di Gesù e di un'etica di respon­ sabilità verso coloro cui sono inviati. I primi sono gli «apostoli» itineranti, ricordati an­ che nella Didachè, uno scritto apostolico molto vicino a Matteo, e per i quali dà delle norme alla comunità che li accoglie (Did. u,I -6) . Il discorso missionario di Mt. IO è una specie di vademecum per il loro compor­ tamento da apostoli mandati da Gesù per l'annuncio e l'invito al regno di Dio: con I 5 imperativi (Io, 5 b- I 5), il modo di comportarsi di fronte alle persecuzioni (Io, I 6-23) per ritornare, infine, ad alcune norme pratiche (I o,24-42) con una struttura complessiva di a b a'. '9 I secondi interessati a livello comunitario sono i pa­ stori, responsabili guide della comunità, cui è rivolto in particolare il discorso di Mt. I 8. Le raccomandazio­ ni date riguardano: la tentazione del potere e dell'onore, appena accen­ nato in I 8, I (cf. Mc. 9,33-3 5 / Le. 9,46 e 22,24), e svi­ luppato in Mt. 23,8- I 2, con il logion conclusivo che rovescia la concezione mondana del potere: «Il più grande �i .voi sia il vostro servo» (2J, I I ), l'autorità co­ me serv1z10; la cura dei piccoli da non scandalizzare e da non di­ sprezzare (I 8,6- I o); ' 9· D.J. Weaver, Matthew's Missionary Discourse. A Literary Critica/ Ana­ lysis, Sheffield 1 990.

la ricerca di coloro che si allontanano e si perdono (I 8, 1 2- 1 3· I4); la mediazione implicita nella riconciliazione tra membri della comunità che hanno subito qualche of­ fesa o danno ( I 8� I 5 - 1 8). Meno configurati risultano i doveri di altre persone nella comunità con vari ministeri come gli «eunuchi per il regno dei cieli» (Mt. I9, 1 2), gli scribi cristiani di cui parlano Mt. 1 3 , 5 2 e 23,34, esperti nell'interpretare la tradizione etica che include nuovo e antico; e infine i «sapienti» e i «profeti» di cui parla solo Mt. 23,34. Si ha infine anche un soggetto etico collettivo, la co­ munità cristiana nella sua responsabilità di fronte al mondo cui è chiamata a portare il regno di Dio secon­ do il mandato missionario del Signore risorto. Gesù configura questo dovere con figure simboliche: la co­ munità cristiana è «sale della terra» e «luce del mon­ do», è come una città posta sul monte perché sia visi­ bile a tutti, un faro che orienta verso il porto (Mt. 5, I 3-1 5). Da notare la parenesi conclusiva: «Così risplen­ da la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli» (Mt. 5 . 1 6). Alla fine del racconto evangelico è alla comunità nel suo insieme, rappresentata dagli «undici» che viene dato dal Signore il comando mis­ sionario di fare suoi discepoli tutti i popoli, trasmet­ tendo loro l'insegnamento etico di Gesù, la sua nuova alleanza con Dio nel suo regno. In conclusione, si possono distinguere chiaramente almeno tre soggetti etici in Mt. : il singolo discepolo, i responsabili della comunità con ruoli diversi e la co­ munità stessa nel suo insieme di fronte al mondo. Che etica ne risulta? Un'etica della responsabilità del regno affidato da Gesù alla sua comunità, perché sia diffuso in tutto il mondo, un'etica di responsabilità dei fratel­ li-sorelle e addirittura del mondo davanti al Padre, che

ha inviato Gesù come mediatore della nuova alleanza per tutti gli uomini. Le esigenze radicali della volontà del Padre mirano sempre alla salvezza globale dell'uo­ mo e a quella universale degli uomini tutti, in una pro­ spettiva eminentemente positiva ed aperta. E così sia­ mo introdotti al terzo orizzonte della configurazione teologica dell'etica matteana: quello spazio-temporale. 2.3.

L 'orizzonte escatologico spazio-temporale: storia ed eschaton

Tra le coordinate spaziali e quelle temporali dell'etica matteana, prevalgono in modo massiccio le seconde, perché è tipica di Mt. la «periodizzazione storica» (G. Strecker), a partire dalla genealogia iniziale fino alla prospettiva finale aperta sulla «fine di (questo) eone» e perciò del tempo. Tra i luoghi dell'attività di Gesù, il monte ha un'im­ portanza simbolica particolare: il monte su cui Gesù pronuncia il discorso della montagna (Mt. 5 , 1 ) e quel­ lo della Galilea alla fine (Mt. 28, 1 6), il monte che ave­ va comandato agli «undici» di raggiungere; è il monte della rivelazione ultima, della missione universale e del­ la nuova alleanza come antitipo del Sinai ove fu stipu­ lata la prima alleanza col popolo di Israele e con la quale fu costituito come popolo di Dio. Inoltre, sem­ pre in codice spaziale, tutti i popoli, sparsi nel mondo, sono i destinatari della missione universale della chie­ sa, rappresentata dagli «undici». Ma le coordinate storico-temporali sono ben più im­ portanti per l'etica matteana. Il nucleo originario è il presente della comunità cristiana che si apre anzitutto al passato, alla storia del popolo d'Israele, a partire da Abramo (Mt. 1 , 1 ) attraverso Davide e i suoi discen­ denti fino a Gesù, messia davidico; al centro della sto­ ria d'Israele sta la figura di Mosè come legislatore (Mt. 73

8,4; 19,7; 22,24; 23,4), considerato però in Matteo an­ che tipo del bambino Gesù nel racconto dell'infanzia per la persecuzione a morte e l'esilio (Mt. 2); insieme ad Elia, Mosè compare, infine, a fianco di Gesù nella trasfigurazione (Mt. 1 7,3-4) a prefigurare la sua glorio­ sa fine (anche Mosè, secondo la leggenda giudaica, fu assunto in cielo come Elia). Questa storia però non de­ ve rimanere chiusa nel popolo d'Israele, ma dovrà a­ prirsi nel futuro ad abbracciare tutti i popoli, in un mo­ vimento però inverso rispetto a quello sognato dai pro­ feti fs. 2 e Mich. 4, ove sono i popoli che muovono in pellegrinaggio verso Gerusalemme, mentre invece gli 'undici' dal monte della Galilea sono inviati a tutti i popoli; sono loro che vanno ad annunciare il regno di Dio. Il presente della comunità matteana dunque si fon­ da nel passato e si apre al futuro universale ed escato­ logico. L'etica ecclesiale del discepolo è orientata al presen­ te della comunità, in modo da configurarla nella sua identità, diversa da quella ebraica e pagana, specie nel grande discorso della montagna. È fondata su un pas­ sato santo, in cui Dio ha rivelato la sua volontà, scritta nella legge così da essere valida per sempre (Mt. 5 , 1 71 8). Perciò il discepolo di Gesù considera Scrittura san­ ta sempre valida «legge e profeti» . Si presuppone che i rotoli che li contengono vengano letti nella comunità come libro sacro insieme al vangelo. Gesù è venuto a compiere la volontà di Dio, quella già rivelata nella legge e nei profeti (Mt. 3 , 1 5; 26,39-43). Il vangelo rac­ conta questo compimento e tramanda con autorevo­ lezza per iscritto il passato santo di Gesù maestro e Si­ gnore, quanto egli ha insegnato; e diviene perciò il co­ dice fondamentale di condotta del discepolo e della chiesa (Mt. 28, 19-20). Al presente l'etica proposta in Matteo alla comunità 74

presuppone delle tensioni, proprio sul piano pratico e non su quello cristologico, come in Giovanni. Ne pos­ siamo rilevare quattro, di cui tre col mondo ebraico e una all'interno della stessa comunità. Anzitutto la tensione fra un passato santo remoto (legge e profeti) e un passato santo recente, Gesù che li porta a compimento nella sua persona e nel suo in­ segnamento, seguendo la linea critica dei profeti nei confronti della torà nel suo insieme di leggi cultuali e morali (cf. Os. 6,6 in Mt. 9, I 3 e I 2,7). In secondo luogo la tensione con l'interpretazione farisaica della torà e la loro casistica che arriva talora ad annullare la parola di Dio (Mt. I 5 ,7); anche Mosè del resto ha dato delle norme che non corrispondeva­ no all'originaria volontà di Dio e ciò «a causa della du­ rezza del cuore» (Mt. I9,8); l'interpretazione cristiana, ispirata a Gesù, rivela l'originaria volontà di Dio sul­ l'uomo, la famiglia, la comunità, il mondo. Una terza tensione è fra teoria e prassi nel gruppo ebraico dei capi; anche se interpretano bene la torà mo­ saica (Mt. 23 ,3), tuttavia non mettono in pratica le co­ se essenziali della torà ed anche gli atti di pietà che praticano sono inficiati dalla ricerca di onore e ammi­ razione (Mt. 6, I - I 8). Mentre «l'ipocrisia dei farisei» in vario modo è attestata anche dai tre sinottici (Mt. 23, 28 l Mc. 1 2,I 5 l Le. I 2, I ) l'aggettivo corrispondente «ipocriti» è tipico di Mt. (I4 volte contro 3 di Le. e I di Mc.). Delle I 4 volte: 3 volte ricorre in Mt. 6,2. 5 . I 6 (confronto con gli atti di pietà tipici dell'ambiente fa­ risaico) e 6 volte nell'aspra polemica contro di loro in Mt. 23, I 3 -36 ai vv. I 3 · 1 5·23.25 .27.29; altri due vanno nello stesso senso (Mt. I 5 ,7; 22, I 8), mentre gli ultimi due ricorrono in un detto sapienziale (Mt. 7, 5 l Le. 6, 42) e in un altro parabolico (Mt. 24,5 1 l Le. I 2,46, che invece di «ipocriti» ha «infedeli»). La tensione più pro­ nunciata sembra sia dunque quest'ultima, contro l'in75

terpretazione casistica e l'ethos dei farisei, con cui pe­ raltro i cristiani condividevano «legge e profeti» come gran parte della loro interpretazione. Un'ultima tepsione possiamo rilevare, e questa al­ l'interno della comunità a vari livelli. La comunità si configura come una societas mixta, dov'è presente gra­ no e zizzania «sino alla mietitura», cioè «sino alla fine del mondo» (Mt. I J,24-3 0.36-43). Nei confronti dei responsabili della comunità viene elevata la critica di cercare. potere e onori (Mt. I 8, I ; 23,8- 1 2); a livello di dottrina pratica vi sono i falsi profeti, che insegnano (Mt. 5 , I 9) e praticano (7, I 5-20) un'etica falsa, che si rivela tale dai frutti e nel giudizio finale (Mt. 7,2 I -23); infine a livello di comportamento verso colui che pec­ ca occorre praticare la correzione fraterna nella forma progressiva indicata da Mt. I 8, I 5 - I 7; si dà anche il ca­ so che uno possa essere escluso dalla comunità se non accetta la correzione ( I 8 , I 7). Il peccato dunque si dif­ ferenzia a seconda dei soggetti diversi sopra ipotizza­ ti: nel singolo discepolo, nei responsabili della comu­ nità e nei falsi profeti e falsi carismatici, che travisano l'insegnamento di Gesù e non lo mettono in pratica. La storia presente della comunità è proiettata verso l' eschaton in un orizzonte apocalittico, come risulta almeno da tre discorsi: il discorso della montagna, il di­ scorso in parabole (Mt. I 3) e ovviamente quello esca­ tologico. Chi non pratica l'etica insegnata da Gesù, del­ l'amore concreto senza limiti e senza condizioni, vie­ ne cacciato fuori dal regno nelle «tenebre ove sarà pian­ to e stridore di denti», espressione, questa, tipica di Mt. ove ricorre 6 volte (8, 1 2; I 3 ,42. 50; 22, I 3 ; 24, 5 I ; 2 5 ,30), mentre in Luca solo una volta ( I 3 ,28)!0 L'orizzonte escatologico-apocalittico del discorso della montagna dice la serietà con cui si deve prendere 20. D.C. Sim, Apocalyptic Eschatology in the Gospel of Matthew, Cam­ bridge I 996.

la prassi dell'amore concreto comandata da Gesù, la giustizia superiore, il compimento della torà. L'orizzonte temporale escatologico dell'etica mat­ teana vive il presente del regno di Dio fra un passato remoto {legge e profeti), un passato recente che lo com­ pie in Gesù (il vangelo) e il futuro ultimo del giudizio finale di carattere apocalittico ove i destini di benedi­ zione o maledizione sono definitivamente assegnati. Il tempo intermedio è destinato alla pratica dell'etica esi­ gente di Gesù in una comunità di fratelli-sorelle in lui, solidali fra loro e in cui i responsabili debbono consi­ derarsi «servi»; è un tempo destinato continuamente alla missione verso tutti i popoli, dei quali la comunità cristiana è resa responsabile dal Signore per la predica­ zione e la diffusione universale del regno di Dio. 3·

L 'ambiente socio-religioso ebraico dell'etica matteana

Una parola infine sul mondo socio-religioso in cui va collocata l'etica matteana, dato che il particolare ethos di un gruppo lo configura anche nella sua identità so­ cio-religiosa, distinguendolo da altri gruppi, che con­ vivono nello stesso ambiente. La comunità giudeo-cri­ stiana di Matteo conviveva all'interno del mondo ebrai­ co, ancora vario ai primi albori del giudaismo rabbini­ co, dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70. Dob­ biamo qui ricordare che noi poniamo la redazione del vangelo dopo l'So. Il problema che ci si presenta, a livello socio-religio­ so è il seguente: la comunità giudeo-cristiana presup­ posta dal vangelo va configurata ancora all'interno del mondo ebraico o invece già separata ed opposta ad es­ so? La tesi sostenuta più di frequente fino ad un re­ cente passato era la seconda: ricordando la birkat ham­ minim (la maledizione degli eretici) del concilio di Jam77

nia cui si ricorre anche per Gv., osservando che Mt. parla delle «loro sinagoghe» (Mt. 4,23; 10, 1 7; 1 2,9; 23, 34), e ancor più fondandosi sulla conclusione della pa­ rabola dei vignaioli omicidi, ove Gesù afferma che il regno di Dio sarà tolto all'Israele storico e dato ad un altro popolo che produrrà i suoi frutti, il «vero Israe­ le» (Mt. 2 1 ,43), si deduce che la chiesa matteana era già un gruppo a sé stante e contrapposto al popolo ebraic�. È questa la tesi classica di Trilling, ripetuta da quelli che sono venuti dopo di lui ed anche da me in Evangelo e vangeli (pp. 87-92). Ma è una tesi storicamente fragile per vari motivi: 1 . anzitutto perché si fa una lettura del testo come specchio, e questo metodo va usato con cautela; 2. in secondo luogo, è discutibile anche il ricorso al­ la birkat hamminim in quanto il testo che lo dovrebbe comprovare sembra dire piuttosto il contrario; Mt. 1 0, 17 non dice che gli apostoli cristiani saranno cacciati «dalle sinagoghe» (come in Gv. 9,22; 1 2,42; 16,2), ma piuttosto giudicati e flagellati «nelle sinagoghe» (e ciò presuppone un gruppo che vive ancora all'interno del­ l' ambiente ebraico); 3 · infine, se si colloca la comunità di Matteo nella Si­ ria, forse ad Antiochia, occorre ricordare che in quella capitale della Siria persino nella seconda metà del IV secolo c'erano dei cristiani che frequentavano, almeno in alcune feste {le Capanne e il Kippur) la sinagoga, secondo la testimonianza di Giovanni Crisostomo; 21

2 1 . Giovanni Crisostomo scrive l e Adversus ludaeos Orationes (Logoi ka­ ta loudaion) nel J86-3 87. Nella prima egli apostrofa i suoi cristiani così:

«Che cos'è questo morbo? Si hanno continue e frequenti feste dei ... mise­ rabili giudei: le trombe (all'inizio dell'anno), le tende (festa dei tabernaco­ li), i digiuni (lo jom kippur), e molti del nostro gruppo, che dicono di con­ dividere i nostri sentimenti: alcuni assistono a tali feste, altri vi partecipa­ no e si uniscono ai loro digiuni. Voglio che questa cattiva consuetudine sia bandita dalla chiesa» (PG 48, 844-84s). Nella terza omelia se la prende con i cristiani che celebrano la pasqua con i giudei il 14 di Nisan.

è perciò poco plausibile che la comunità giudeo-cri­ stiana di Matteo verso la fine del I secolo fosse già se­ parata ed opposta all'ambiente ebraico. Si comprende invece meglio Matteo se lo si colloca in un ambiente di aspre dispute tra gruppi ebraici di­ versi, ciascuno dei quali pensava di conoscere e prati­ care l'autentica volontà di Dio, rivelata nella torà e da loro interpretata o da un loro capo carismatico come il Maestro di giustizia. Basti pensare al gruppo seces­ sionista, di cui si ha un'ottima documentazione a Qum­ ran, datato dal n secolo a.C. al I d.C., praticamente al 68-69, quando le legioni romane vi passarono per as­ sediare Gerusalemme. Lì i toni contro il sacerdote em­ pio e il culto nel tempio di Gerusalemme sono anche più virulenti e più aspri che non la critica di Mt. 6 o la filippica contro i farisei in Mt. 23. Mi sembra perciò più plausibile la tesi recente di Overman-Saldarini, so­ pra presentata, secondo cui la comunità giudeo-cristia­ na di Mt. si considerava e veniva considerata un'haire­ sis (un partito come quello dei sadducei e dei farisei), il «partito dei Nazorei» com'è chiamato negli Atti (24, 5 . 14; 28,22) all'interno del mondo ebraico. L'asprezza della controversia con altri partiti o gruppi come quel­ lo dei farisei sul piano del comportamento, si può spie­ gare appunto per il fatto che si trattava di due partiti «fratelli», che sostenevano due interpretazioni diverse della stessa torà. L'avere in comune con l'altro partito «legge e profeti» e un particolare costume religioso da essi dipendente chiarirebbe la massiccia presenza in Mt. dell'A. T. e della tradizione ebraica senza mai spiegarla ai suoi lettori come fa Marco. Se i missionari cristiani erano condotti nelle sinagoghe per essere giudicati e puniti (Mt. xo, x 7) vuol dire che partecipavano ancora alla vita e alla liturgia ebraica, e lo faranno per lungo tempo, e in diversi modi, come ci attesta verso il 1 6o d.C. lo stesso Giustino (Dial. 47).

79

EPILOGO. TORÀ EBRAICO-RABBINICA O GESÙ MAESTRO E SIGNORE DI UNA GIUSTIZIA MAGGIORE ?

A conclusione di questa presentazione, sia pure sinte­ tica dell'etica matteana, che si pone fra comandamenti di Dio e comandamenti del Signore, vorrei utilizzare l'opera recente di uno dei massimi conoscitori e stu­ diosi della tradizione giudaico-rabbinica, rabbino lui stesso, appartenente alla corrente ebraica liberale, Ja­ cob N eusner: per mettere in luce la vicinanza e la di­ versità dell'etica matteana e dell'etica del giudaismo rabbinico, che all'epoca in cui fu composto Matteo era ancora in formazione. J. Neusner nel breve saggio Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù intende confrontarsi col Gesù del vangelo di Matteo e in particolare col discorso della montagna. Perché ha scelto proprio Matteo fra i van­ geli? « ... ho scelto questo vangelo perché particolar­ mente adatto per il dialogo con la torà o giudaismo» (p. 10). «Una discussione sincera può nascere dal mo­ mento che il particolare ritratto che Matteo fece di Gesù proveniva da un gruppo ebraico, fu rivolto al resto di Israele e sottolineò che egli non era venuto a distruggere ma a dare compimento alla torà» (pp. 2627). Nella discussione dunque vi è in comune il carat­ tere sacro della torà e «ciascuna delle due parti deve accettare la buona fede dell'altra» (p. 27). Nell'inter­ pretare la torà scritta Neusner si appella continuamen­ te alla torà orale, cioè alla Mishnah e al Talmud babi­ lonese. Ciò che egli intende fare è «riaffermare sem­ plicemente la torà del Sinai sopra e contro il Gesù di Matteo» (p. J I ). La torà del Sinai, che comprende torà scritta ed orale, è un assoluto per l'ebreo, una specie di 22

22.

J. Neusner, Disputa immaginaria tra un rabbino Casale Monf. I 996 (ed. or. I 99 3 )

stro seguire?,

.

8o

e Gesù. Quale mae­

costituzione dell' Eterno Israele (espressione spesso ri­ petuta da Neusner), è essenzialmente comunitaria (fa­ miglia e società) e costituisce la comunità, si rivolge al «presente mondano» e cerca di regolarlo secondo la volontà di Dio, espressa nella torà, utilizzando perciò la casistica, cioè la soluzione dei casi concreti che si presentano nella vita. La devozione a Dio si esprime nell'obbedienza assoluta alla torà. E l'aver studiato la torà, essere esperti della torà è conseguentemente il criterio per stabilire il rango sociale nell'assemblea di Israele, per cui uno studioso della torà, il rabbi, ha un posto superiore a quello del padre. Ma se il padre è esperto della torà, allora assume lui il rango superiore a quello dell'esperto, che non è padre. Perciò la torà è il criterio di giudizio dell'importanza di una persona nella comunità ebraica. È per questo che rabbi Aqiba può lasciare la moglie col suo consenso per dedicarsi solo allo studio della torà. Torà del Sinai ed Eterno Israele sono inscindibili come torà e vita in questo mondo nella comunità. L'etica, se si può parlare di eti­ ca, è quella della torà del Sinai (scritta ed orale) asso­ lutizzata e quasi personificata, interpretata autorevol­ mente dal rabbino. La sua validità è dimostrata dalla sua praticabilità nel mondo e nel tempo. Gesù invece presenta un'etica che «era rivolta se­ condo Matteo, agli individui, mentre la torà parla a tut­ ti noi» (p. I 6): una morale personale in contrasto con un'etica comunitaria (Neusner ovviamente non deve aver letto Mt. IO e I 8-2o e tanto meno 28,1 6-2o!). In secondo luogo, il Gesù di Matteo contrappone il cielo alla terra: «Nessuna affermazione di Gesù sul regno dei cieli mi dice che qui, dove noi siamo, possiamo co­ struire, possiamo obbedire alla torà, formando così un regno di sacerdoti e un popolo santo. Egli parla del cielo e non della terra; le sue regole sono regole per il suo tempo e il suo luogo... Egli chiama me, ma io so8I

no parte di un noi» (p. 1 62). Infine, l'etica di Gesù è im­ praticabile, perché non affronta i casi concreti, è apo­ dittica ed orientata al futuro escatologico. Ma l'opposizione più radicale fra le due etiche, al di là di questi caratteri diversi, risiede nella cristologia, che scalza l'assolutezza della torà e di alcuni dei suoi comandamenti come quello dell'onore dovuto ai geni­ tori e l'osservanza del sabato. Neusner, conseguente­ mente,_ si vede costretto a comparare la persona stessa di Gesù con la torà: «Ho comparato Cristo e la torà, ma la comparazione è errata, perché al centro non sta né il maestro né il padre (nel ran go da assumere nel­ l'assemblea d'Israele), ma la torà. E la conoscenza del­ la torà che conferisce all'uomo un certo rango. Il det­ to di Gesù (Mt. 10,34-37 «Chi ama il padre e la madre più di me . . » cit. a p. 5 5 e Mt. 1 2,46-50 sui parenti spi­ rituali che sostituiscono quelli naturali (cit. a p. 61) può essere letto allo stesso modo ? N o di certo, perché il discepolato a Gesù è unico (non invece quello del rabbi ebreo in relazione alla torà). Non è il discepola­ to alla torà, che ognuno può studiare approfonditamen­ te, che conferirà un rango sovrannaturale al rapporto fra due persone, il maestro e il discepolo. È unicamen­ te il discepolato a Gesù Cristo ad essere in discussione e solo Gesù è chiamato alla missione. 'Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli è mio fratello e mia sorella' non equivale a 'chiunque diviene un sag­ gio, maestro della torà entra nel rango della torà. La prima affermazione è . . . specifica rispetto a Gesù, l'al­ tra è generale e applicabile a chiunque. La torà sta in un mondo, Cristo in un altro ... la predicazione di Ge­ sù ... ruota intorno a lui e non intorno al suo messag­ gio» (p. 68). E in maniera ancor più chiara e drastica una pagina più avanti così continua la sua stringente argomenta­ zione. In ambiente ebraico l'onore ai genitori è analo-

go a quello dovuto a Dio (p. 70 ). È così anche con Ge­ sù ? No. > nella seconda (Mc. 8,34-38). Nella prima parte Gesù annuncia la sua futura pas­ sione e morte. Pietro non accetta l'annuncio, non ac­ cetta cioè né la conversione né il «credere nel vange­ lo». Di conseguenza diviene Satana, cioè un impedi­ mento per Gesù: «uno che non pensa le cose di Dio, ma quelle degli uomini» (Mc. 8,3 3b) e per questo vie­ ne rifiutato come discepolo. Anche i discepoli di Gesù

126

durano fatica a convertirsi e a credere, ancorché ab­ biano fatto da tempo il passo iniziale decisivo di ab­ bandonare tutto e seguire Gesù. Nella seconda parte (Mc. 8,34-3 8), Gesù nella sua catechesi, enuclea le richieste etiche, derivanti dall'an­ nuncio appena dato, che va accolto nella fede. La sua struttura sintagmatica rivela la logica interna dell'inse­ gnamento di Gesù. Anzitutto, come abbiamo detto, è un discorso rivolto alla folla, e quindi a tutti (8,34a). In 8,34b è registrato un detto o apoftegma radicale con tre imperativi come condizione della sequela: 1. «rinneghi se stesso» 2. «e prenda la sua croce» 3 . «e mi segua» sulla via misteriosa che porta Gesù alla morte-risurrezione, annunciata. A questi tre imperativi, che mirano allo spossessa­ mento di sé per affidarsi completamente alla guida per­ sonale di Gesù, superando lo scandalo della croce, se­ guono quattro garfinfatti, che intendono fondare il tri­ plice imperativo assoluto (Mc. 8,3 5 -3 8). 1. Il primo è un motivo apocalittico ossia di escato­ logia futura: l'antitesi paradossale di salvare - perdere la propria vita (psyche): «Chi infatti vuoi salvare la pro­ pria vita, la perderà, chi invece perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (8,3 5 ). Va no­ tato il chiasmo semplice, efficacissimo salvare-perde­ re/perdere-salvare. Perché e come ciò avvenga non lo dice Gesù. È una condizionale escatologica, cui rispon­ de il v. 3 8, finale. 2. Seguono due gar, collegati in una argomentazio­ ne di tipo sapienziale, pure in forma dialettica: «Infatti, che giova a un uomo guadagnare il mondo intero, e rovinare la propria vita? Infatti cosa darebbe l'uomo in cambio della sua vi­ ta?» (Mc. 8,36-37). La risposta è ovviamente «nulla». L'antitesi qui è

spostata dal radicale salvare-perdere al guadagnare il mondo intero - perdere la vita f (perdere il mondo in­ tero, cioè tutto) - salvare la propria vita. La condizio­ ne per salvare la,propria vita è la disponibilità a per­ derla e a perdere anche la propria ricchezza (Mc Io, I 7-22). 3. Il quarto gar riguarda in modo più preciso la per­ secuzione di coloro che fanno professione di fede in Gesù e �eguono una prassi in antitesi con quella del mondo (Mc. 8,3 8). Anche questo argomento è escato­ logico, come il primo, perché si ha una condizionale escatologica in parallelismo sinonimico: «Infatti chi ( se uno) si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Fi­ glio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc. 8,3 8). Ora, vergognarsi di Gesù e delle sue parole significa rinnegarlo come ha fatto Pietro e mettersi dalla parte del mondo in netto contrasto col programma iniziale: «Convertitevi e credete nel vangelo>>. In conclusione, questa prima parenesi di Gesù, con-· seguente al primo annuncio della sua passione, esem­ plifica il programma iniziale per il vero discepolo sul paradigma della sua stessa «via», che rivela il modo di pensare di Dio, in opposizione a quello degli uomini. .

=

2. I .2.2. La richiesta di rovesciare le usuali categorie sociali come conseguenza della seconda predizione del­ la passione (Mc. 9,30- 50). - Mentre l'annuncio-rispo­

sta della prima predizione della passione orientava al­ l'etica personale del discepolo in antitesi con la menta­ lità e la prassi del mondo esterno («la generazione adul­ tera e peccatrice»), il secondo annuncio (Mc. 9,30- 50) riguarda l'etica comunitaria, i rapporti sociali all'inter­ no del gruppo. L'introduzione narrativa è simile a quella preceden1 28

te: «E, usciti di là (dal luogo della trasfigurazione) pas­ savano attraverso la Galilea ed (egli) non voleva che alcuno lo sapesse. Infatti insegnava ai suoi discepoli e diceva loro» (9,30-3 u) . È dunque un insegnamento ri­ servato ai discepoli, che comprende i tre elementi del­ la forma letteraria: I . la predizione della passione-morte-risurrezione (9,3 I b); 2. la reazione dei discepoli «che non comprendeva­ no la parola e temevano di interrogarlo» (9,3 2); 3. l'insegnamento pratico che si dilunga in tutto il resto del capitolo (9.33-5 0). La catechesi è un dialogo didattico, che prende av­ vio dalla discussione dei dodici «lungo la via» su «chi era il più grande» (Mc. 9,3 3-34). È questo il tema fon­ damentale, applicato in modo variato a situazioni che si verificano nella comunità. Gesù si pose in cattedra («SÌ sedette») come mae­ stro, «chiamò a sé i dodici e dice loro» (9,3 5a). L'im­ portanza di quanto Gesù insegnerà viene sottolineata dai suoi gesti solenni: siede in cattedra, chiama e an­ nuncia il comportamento che i discepoli devono pra­ ticare in comunità, in contrasto con l'aspirazione ad essere ••più grandi» uno dell'altro. Ciò rivelava la non conversione e il non . credere nel vangelo della passio. ne-morte-nsurrezione. Quali richieste avanza Gesù in relazione al suo an­ nuncio che > (cf. Mc. 1 1 , 1 7), incluso il popolo ebraico, da cui provengono Gesù e i primi di­ scepoli.

3.2.

I modelli di riferimento e l'identità teologico-etica dell'etica marciana

I due modelli dj etica cui Mc. si riferisce, nel senso di una prassi coerente all'interno di un sistema religioso o socio-politico, che presuppone un modo di pensare l'uomo, la società e un conseguente modo di agire: sono quello ebraico del 1 secolo col suo riferimento al­ la torà scritta ed orale e quello politico greco-romano . costitui to dall'orizzonte religioso-politico dell'impero, in cui era inserita anche la Palestina del I secolo. Per quanto riguarda il primo, biblico-ebraico, nel modello marciano si rivela una chiara continuità con i comandamenti di Dio (i dieci e i due dell'amore), scritti nella torà, non invece con la torà nel suo complesso, che non viene mai nominata come tale (nomos) e di cui alcune norme anche scritte, sacrali-cultuali, vengo­ no relativizzate con il ricorso alla ragione; ed anche la «tradizione degli antichi», orale o casistica, viene criti­ cata quando sia in contrasto coi comandamenti di Dio. Niente è esplicitamente abrogato, ma tutto passato al vaglio critico dei comandamenti principali, dello sta­ tuto originario del matrimonio (Gen. 1 -2) e della ra­ gione critica. Perciò il modello marciano di etica come «fare la volontà di Dio�� rivelata da Gesù e in lui, si distingue dal modello ebraico, che si fonda sulla torà scritta ed orale. Si può dire che la torà scritta viene as­ sunta criticamente e inserita in un nuovo orizzonte di pensiero e di orientamento pratico: il vangelo di Gesù Cristo. Quanto al secondo modello, costituito dal comples­ so orizzonte dell'impero romano e della sua struttura che permeava tutte le istituzioni, si può dire che la co­ munità cristiana di Mc. costituiva un antimodello, una antisocietà religiosa, in quanto rivoluziona completa­ mente l'ordine su cui era costituito: il primo dev'esse-

re l'ultimo, il capo dev'essere il servo di tutti, invece di salvare la propria vita si deve essere disposti a per­ derla e così via. Praticamente vengono opposte due vi­ sioni dell'ordine, che lega insieme gli uomini: quello che regna nella «famiglia di Dio» creata da e in Gesù e quello che unisce gli uomini nella società politica degli interessi reciproci; semplificando: la prima è quella del­ l'amore-servizio, la seconda è quella del potere-domi­ nio e del patrono-cliente. E tuttavia la vita pratica del discepolo di Gesù, della comunità cristiana e della sua strutturazione con dei responsabili, può realizzarsi all'interno del mondo e della società politica e non fuori come una setta. Il cri­ stiano sa che l eschaton è iniziato con Gesù e continua nella sua comunità di discepoli; ma questo «già» con­ vive con il «non ancora>> sia all'interno della comunità (e perciò vi è spazio per la parenesi) e tanto più all'in­ terno della grande società politica. Pur rispettando le leggi che stanno alla base del bene comune «monda­ no», è una comunità che costituisce un cosciente ami­ modello al suo interno. Non è quindi una setta come la comunità ebraica con le sue leggi che la separavano, anche sotto il profilo socio-religioso, dal mondo poli­ tico e dalle «genti», ma non si identifica neppure con l'ordine socio-politico, pur convivendo e vivendo al suo interno. È la sua propria forte identità che diviene criterio di distinzione sia dal modello ebraico di etica religiosa sia dal modello socio-politico. Per questo la comunità cristiana, per la sua prassi in contrasto con ambedue i modelli, veniva colpita dalla persecuzione. '

3-3-

I criteri di giudizio morale

Quali sono i criteri per il corretto giudizio morale di un atteggiamento o comportamento, offerti da Mc. ? Criterio fondamentale, come abbiamo già più volte 1 57

ricordato, è il vangelo di Gesù Cristo, la narrazione del­ la vita-passione-morte-risurrezione di Gesù, su cui si fonda e cui risponde la richiesta pratica. Credere nel vangelo ed esse�e discepoli di Gesù richiede un essere nuovo ed un agire nuovo, che capovolge (inverte-con­ verte) gli usuali criteri che regolano l'agire degli uomi­ ni nel mondo. Con Gesù si è compiuto il tempo, è ve­ nuto il regno di Dio ed in esso nasce una nuova co­ munità, antimodello della società nella quale vive. Il seèondo criterio è il ricorso alla torà come guida all'agire morale. In essa si registra un modello origi­ nario, che fu distrutto dalla «durezza del cuore», cioè dal peccato e che Gesù viene a restaurare come una creazione nuova secondo la volontà salvifica di Dio. Nella torà si trovano gli orientamenti fondamentali (i dieci e i due comandamenti e lo statuto originario del matrimonio) accolti da Gesù nel nuovo orizzonte del regno di Dio. Il terzo criterio è la ragione critica e sapienziale, che trova la sua applicazione più concreta in Mc. 7, 1 -23; ma compare anche in Mc. 8,36 come pure nella critica profetica della osservanza scrupolosa della legge cul­ tuale, trascurando la giustizia (Mc. 1 2,33). Il criterio ultimo, l'orizzonte globale è dunque il van­ gelo di Gesù Cristo. È in questo orizzonte che va col­ locato qualsiasi discorso etico. Più che di un'etica mar­ ciana si potrebbe forse parlare di un modello etico, da­ to che si rapporta ad una persona e alla sua vita più che a dei principi. E tuttavia il rapporto alla persona di Gesù include anche la torà e la ragione critica. Nel comportamento pratico si lascia dunque largo spazio alla creatività all'interno di orientamenti fondamentali ben precisi.

1 58

due livelli storici: l'ethos di Gesù e l'etica marciana

3+ l

L'evangelista Marco intende narrare il vangelo di Ge­ sù Cristo, la sua pro-esistenza, pro-morte e risurrezio­ ne come «buona notizia» per tutti, per tutte le «genti>>. L'ultimo problema che ci poniamo è di storia della tradizione di Gesù. Si può distinguere l'ethos di Gesù com'è stato tramandato nella tradizione e la riflessio­ ne su di esso fatta da Marco mediante il suo vangelo, cioè l'etica marciana? Penso lo si possa e lo si debba fare. Gesù col suo comportamento e col suo insegna­ mento distingue nettamente il suo ethos che si ispira alla volontà di Dio e al suo regno che viene a portare; lo distingue nettamente dall'ethos degli ebrei del suo tempo (senza abolire la torà) e da quello delle «genti» (senza voler uscire dal mondo per creare una setta). Marco racconta l'ethos di Gesù, la sua vita pubblica sino alla morte-risurrezione (almeno l'annuncio). Lo racconta, mettendo in luce, pella sua composizione, un'etica: l'etica del discepolo di Gesù, della comunità cristiana e dei suoi capi. Si può certalllente dire che nel suo racconto si individuano alcuni criteri che orienta­ no il «credente nel vangelo di Gesù Cristo» e la co­ munità in cui è chiamato a vivere; criteri che abbiamo precedentemente esposto. Tali criter� dimostrano una finalità ed una funzione coerenti. La finalità è quella di far C:apire che l'etica cristiana è costituita, non da un codice di comportamento pro ­ posto ed imposto dall'esterno, ma da un essere nuovo, che è Gesù stesso, e da un conseguente agire nuovo: atteggiamento interiore (il cuore) e comportamento e­ steriore. Tale novità risalta come antimodello sullo sfondo dei modelli ebraico e greco-romano, presenti nel 1 secolo. Tale «anti-» significa non solo «contro, in contrasto con», ma anche «per, in luogo dei molti». Si 1 59

rivela come un «essere per gli altri, per i molti»: è un essere primo che si fa ultimo per gli ultimi e ne accetta le conseguenze sino a subire la violenza della persecu­ zione. La forza propulsiva viene da Gesù stesso, dalla sua persona com'è vissuta e come intende far apparte­ nere gli altri a sé in una famiglia come madri, sorelle e fratelli di lui. La nuova famiglia si crea intorno e me­ diante la croce ed inizia nel mondo il regno di Dio, anche se non ancora compiuto, e perciò con difficoltà e fallimenti come appare dalla stessa vicenda degli apo­ stoli nel vangelo. La funzione che vedo in quest'etica, coerente, è di renderla accessibile a tutti, non solo agli ebrei, ma an­ che alle «genti» al di sopra di tutto ciò che chiude l'uomo in sé nella sua famiglia, nel suo clan, nella sua religione, nel suo stato e così via in difesa di sé e in tensione violenta con gli altri. Non divide né esclude, ma è aperta ad includere chi liberamente la accetta nella fede. Questa universalizzazione dell'etica non può avvenire che nell'orizzonte del vangelo di Gesù Cristo, del regno di Dio e della sua volontà salvifica. EPILOGO. UN'ETICA CRISTOLOGICA FRA DUE MONDI

L'etica marciana è un'etica nuova, cristologica, che si colloca fra due mondi, quello ebraico e quello greco­ romano, spostata però verso quest'ultimo per l' aper­ tura alle «genti», ma fortemente radicata anche nell' am­ biente ebraico dell'ethos di Gesù. Matteo è sbilanciato verso il mondo ebraico, Luca verso quello ellenistico; Marco sta nel mezzo, non nel senso della medietas; al contrario nel senso di una fortissima identità, svestita dell'istituzionalità, che appare in primo piano in Mat­ teo, e priva di quella narratività esemplare che caratte­ rizza l'etica di Luca-Atti. La vita di Gesù non è solo 1 60

modello etico, ma fondamento dell'etica del discepo­ lo, conseguenza del tempo compiuto, del regno venu­ to, del vangelo annunciato, della famiglia di Dio co­ stituita. Si potrebbe forse dire che per la sua forte iden­ tità cristologica, affermata proprio dal prologo inizia­ le (Mc. I , 1 . I 5 ) la sua etica risulta quasi «estranea» ad un ebreo (tanto che deve spiegare i costumi ebraici) e, non solo « estranea», ma anche irritante per un greco­ romano e per i valori in esso coltivati. L'etica marciana «estranea» ad ambedue i mondi, non è comprensibile se non nell'orizzonte della fede in Dio, di quel Dio che si è rivelato nel vangelo di Ge­ sù Cristo, che richiede la sequela. Come si configuri praticamente una persona o una comunità guidata da tale etica lo si dice poco; c'è ben poca catechesi pratica nel senso normativo, ma vi sono indicatori sufficienti per orientarsi in un'esistenza nuova, che si configura su quella di Gesù. ,

Capitolo

3

L 'etica narrativa per modelli di Luca-Atti ' Introduzione Negli ultimi dieci anni all'etica lucana sono state dedi­ cate almeno quattro monografie.1 È di questa etica che intendiamo qui occuparci. Dobbiamo anzitutto giustificare il termine «etica» applicato all'opera lucana (Luca-Atti). Luca infatti in­ tende raccontare nel vangelo la storia di Gesù, che con­ tinua negli Atti con quella della chiesa delle origini: il suo nascere, il suo progressivo svilupparsi nella missio­ ne, che arriva con Paolo fino alla capitale dell'impero r . Per non appesantire una nota bibliografica che potrebbe essere amplis­ sima, mi limito a segnalare quanto è più pertinente al tema trattato, in tre brevi sezioni: a) Rassegne di teologia lucana: F. Bovon, Lucle théologien. Vingtcinq ans de recherches (I9JO-I9JJ), Genève ' 1 988 (' 1978); E. Rasco, La teologia de Lucas: Origen, desarrollo, orientacions, Roma 1974; M. Rese, Das Lukas­ Evangelium. Ein Forschungsbericht, in ANRW II.2 5,3 , Berli n - New York 1 9 8 5 , 2 2 5 8 - 2 3 27; W. Radi, Das Lukas-Evangelium, Darmstadt 1988. b) Trattazioni dell'etica lucana in «etiche del Nuovo Testamento»: R. Schnackenburg, Die sittliche Botschaft des Neuen Testaments, I l . Die Ur­ christlichen Verkundiger Freiburg 1988, 1 34- 147 (ed. it. Il messaggio del N. T. , 11. l primi predicatori cristiani, Brescia 1990, 1 7 5 - 1 91); W. Schrage, Ethik des Neuen Testaments, Gottingen 1982, 146- 1 54 (ed. it. Etica del N. T., Brescia 1999, 1 8 1- 195; S. Schulz, Neutestamentliche Ethik, Ziirich 1987, 466-484 (la più unitaria sotto il profilo ermeneutico). c) Trattazioni monografiche: F.W. Horn, Glaube und Hande/n in der Theologie des Lukas 1986 ( ' 1 9 83); Ph.Fr. Esler, Community and Gospel in Luke-Acts. The Social and Politica/ Motivations of Lucan Theology, Cam­ bridge 1987 (rist. 1989); Halvor Moxnes, The Economy of the Kingdom. Social Conflict and Economie Relations in Luke's Gospel, Philadelphia 1988; P. B ohlmann, jesus und der Taufer. Schlussel zur Theologie und Ethik des Lukas, Cambridge 1997 (non preso in considerazione). 2. Cf. nota precedente.

romano (Atti 28, I I -3 1 ) . E tuttavia questa stessa storia di Gesù, della chiesa delle origini e dei suoi primi gran­ di missionari intende essere anche una parenesi, cioè un modello da credere e da continuare nella prassi del regno di Dio. Per tre motivi, che riprendo da F.W. Horn,l si può parlare di «etica lucana»: 1 . anzitutto perché si studia l'ethos di una storia pas­ sata, ma in quanto sempre valido e attuale per l'oggi; 2. perché, in secondo luogo, si cerca di mettere in luce le.. concrete esigenze, presenti nella parenesi narra­ tiva lucana e il loro contesto sociale; 3 · perché, infine, si riflette sulla fondazione, le con­ dizioni e le motivazioni dell'agire cristiano in Luca. La tesi ermeneutica che qui intendiamo dimostrare è che l'etica lucana è prevalentemente caratterizzata dalla narrazione,4 e che il modello originario e supre­ mo è Gesù stesso, con la sua vita e la sua parola come si esprime lo stesso Luca all'inizio degli Atti: «O Teo­ filo, abbiamo composto già il primo discorso (libro) che riguardava tutte le cose che Gesù iniziò a fare e ad insegnare)) (Atti I , I ) . Prima di esporre la tesi, delinee­ remo brevemente il quadro della ricerca attuale e la metodologia usata. 3· F.W. Horn, op. cit. (n. 1), 1 2. 4· In due studi recenti ho letto delle affermazioni che orientano in questo senso. La prima è di J. Gnilka, nella sua trattazione della teologia lucana: «lm Evangelium wird die Ethik weitgehend narrativ (corsivo mio) in Gleichnissen und Parabeln entfaltet. In der Apostelgeschichte wird vor al­ lem Weisung fiir die Gemeinde geboten• (Theologie des Neuen Testa­ ments, Freiburg i.Br. 1994, 2 1 8). La seconda è di J . Jervell, in un suo sag­ gio sull'interpretazione lucana di Gesù come teologia biblica; parla della teologia lucana in questo modo: «lt is an historical narrative in pictures (corsivo mio), not dealing with compositions, but with texts in the pro­ cess of an ongoing interpretation and preaching. lt is like a kaleidoscope . . . with a serious of pictures and scenes and fragments. There is no devel­ oped doctrine of God or Christ, but the subject is always jesus who acts

and speaks in various situations» (Th e Lucan lnterpretation of]esus as Bib­ lica/ Theology, in S. Pedersen (ed.), New Directions in Biblica/ Theology, Leiden 1 994, 77-92: 9 1 ).

I. METODOLOGIA ED ERMENEUTICA NELLO STUDIO DELL' ETICA LUCANA I . Sintesi insufficienti

Le opere di teologia lucana, a partire da Conzelmann, di cui parleremo dopo, non danno praticamente alcu­ no spazio all'etica lucana, se si fa eccezione di H. Flen­ der/ che la interpreta come «vita del cristiano negli or­ dinamenti del mondo»; specie nei dialoghi e nel viag­ gio verso Gerusalemme si insegna al cristiano come comportarsi in un mondo ricreato dalla rivelazione di Gesù, e quindi aperto a Dio.6 Le recenti «etiche del Nuovo Testamento» tendono a concedere uno spazio sempre maggiore anche alle etiche dei singoli sinottici come risultato dell'applica­ zione della critica redazionale (W. Schrage, S. Schulz R. Schnackenburg), ma non sempre tengono conto che l'opera lucana è composta di due libri e soprattutto non cercano un centro ermeneutico unitario, pur presen­ tando una ricca serie di tematiche vi si nota dunque una duplice deficienza, metodologica ed ermeneutica. F. Bovon, che ci offre un ampio panorama delle ri­ cerche sulla teologia lucana, legge l'etica lucana all'in­ terno del tema «la chiesa» (pp. 3 2 1 -3 27. 403 -442); uti­ le la bibliografia (pp. 309-3 26); ma nell'aggiunta della seconda edizione dopo il 1977 (fino al 1988) riporta in una nota7 solo il titolo dell'importante opera di Horn apparsa nel 1983 e in seconda edizione nel 1 986. Men5· H. Flender, Heil und Geschichte in der Theologie des Lukas, Miinchen 1 968, 68-83 (Das Eingehen des Christusbotschaft in die weltlichen Ord­ nungen). 6. Nelle 250 pagine dell'opera di G.C. Bottini, Introduzione all'opera di Luca. Aspetti teologici, Jerusalem 1992, si cerca invano qualcosa sull'etica lucana. Si veda invece la più recente teologia degli scritti lucani (P. Pokor­ ny, Theologie der lukanischen Schriften, Gi:ittingen 1998), che al tema de­ dica l'ultimo capitolo, «Der handelnde Mensch•, pp. 1 77- 1 9 5· 7· F. B ovon, op. cit. (n. 1), 443 n. 75 ·

tre Bovon afferma che non vi è alcuno studio comples­ sivo di etica lucana, dà relazione di alcune monografie su quattro temi: povertà e comumone, perseveranza, comunione frat�rna e preghiera. Le sintesi che abbia­ mo finora non sono dunque soddisfacenti. È necessa­ rio perciò esaminare, in modo più ampio, gli studi re­ centi sull'etica lucana. 2.

Panorama metodologico ed ermeneutico

Pur essendo toccata dalla metodologia, l'etica lucana sembra più aperta ad una grande varietà di opzioni ermeneutiche. Ne offriamo un breve panorama, uti­ lizzando l'ottima sintesi, che ne ha già stilato Horn.8 Egli distingue anzitutto tre fasi della ricerca in base al­ le successive metodologie usate (critica letteraria, mor­ fologica e redazionale) per illustrare infine le attuali op­ zioni ermeneutiche. 2. r .

Le metodologie classiche eludono il problema dell'etica lucana

La critica letteraria va alla ricerca delle fonti di Luca e le identifica, oltre che in Mc. e Q (teoria delle due fon­ ti), anche in una fonte ebionitica (SLc), di cui Luca si sarebbe servito nella parenesi a lui propria. Il metodo storico-religioso (A. Jiilicher ed altri) isti­ tuisce un confronto dell'etica lucana con l'etica della filosofia cinica e con quella giudeo-ellenistica. Sotto l'influsso dell'ambiente ellenistico (utopie sociali e co­ munismo di amore), Luca si sarebbe servito della fon­ te ebionitica, giudaica. Questo sincretismo nell'inter­ pretazione dell'etica lucana, a parte la debolezza del principio storico-religioso «analogia e perciò genealo8. F.W. Horn, op. cit. (n. 1 ), 24- 34.

166

gia», ne oscura comunque la chiara specificità cristiana. Con K.J. Kautsky (1 8 54- 1938) inizia il dibattito sul cosiddetto socialismo di Luca. Contro l'interpretazio­ ne ecclesiastica, i socialisti si servono di Luca come di un'arma ideologica nella lotta classista dei poveri con­ tro i ricchi. Luca viene considerato uno «scrittore so­ cialista», che propone un «comunismo di amore». Il metodo morfologico, iniziato da M. Dibelius e R. Bultmann, ponendo l'accento sulle tradizioni orali che precedono la redazione lucana, non trova alcuna pare­ nesi in Luca; è contro questa tesi che polemizza H. Flender.9 Le raccomandazioni della povertà, del di­ stacco dai beni di questo mondo, proprie a Giacomo e Luca, riflettono il pietismo dei poveri (anawim), pre­ sente nella tradizione giudaica prelucana. J .H. Cadbury al contrario sostiene che lo stesso evangelista sarebbe autore di una forte parenesi contro i ricchi: « Gesù par­ la dell'elemosina, della ricchezza... , non ai poveri ma ai ricchi possidenti». E così anticipa già il metodo redazionale. Ma l'iniziatore riconosciuto della critica redaziona­ le lucana è H. Conzelmann col suo Die Mitte der Zeit (19 54). Egli sostiene che Luca è uno storico e perciò descrive la comunità primitiva del passato in forma ideale per illustrare «l'unità della chiesa» e suo scopo è l'edificazione e non la parenesi. Però poi distingue fra insegnamenti storici riservati solo ai discepoli in mis­ sione e quelli validi sempre come la parenesi di Gio­ vanni Battista (Le. 3,1o-q). Sintesi della concezione etica lucana sarebbe la sequela, orientata al martirio." '0

9 · Cf. sopra, p . 1 6 5 n . 5 · 10. J.H. Cadbury, The making of Luke-Acts, London 1927 (rist. 1968), 262. 1 1 . H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit. Studien zur Theologie des Lukas, Tiibingen 19 54, 4· Verbesserte und erganzte Auflage 1962, 2 1 8 («Nicht Imitatio, sondern Nachfolge") (ed. it. Il centro del tempo. La teologia di Luca, Casale Monf. 1 996, 247).

Gli articoli di Hauck (plousios) e di Bammel (pto­ chos) nel GLNT (a cura del Kittel) sostengono rispet­ tivamente che i ricchi vanno identificati con i giudei nemici di Gesù e i poveri con gli anawim, che critica­ no i ricchi. Più equilibrati invece sono i due corrispon­ denti articoli di H. Merklein nel recente DENT: van­ no distinti ricchi, buoni e cattivi, e la beatitudine dei poveri è una proclamazione del tempo escatologico e non una critica profetica di tipo sociale; rimane incer­ to, secondo lui, a chi si riferisca concretamente nella comunità lucana il discorso ai ricchi: se a quelli fuori o a quelli dentro la comunità stessa. A parte l'interpretazione pregiudiziale socialista, le altre metodologie praticate nella prima metà del no­ stro secolo (le tre critiche) tendono a negare un'etica propria di Luca perché essa appartiene o alle fonti (cri­ tica letteraria) oppure alla tradizione orale, registrata dallo storico Luca che descrive un ideale etico del pas­ sato (critica morfologica e redazionale); se di etica si può parlare si tratterebbe semmai di una sincresi di eti­ ca ellenistica e giudaica (critica storico-religiosa). Dalle metodologie classiche nello studio dei sinot­ tici sembra sia precluso l'accesso ad un'etica lucana. A monte delle metodologie sembra vi sia però anche una pregiudiziale protestante contro l'etica come presta­ zione dell'uomo, in favore di un'etica «cristiana» della grazia, vicina a Paolo. 11

2.2.

La vivacità ermeneutica degli anni 'Go- '70

Di contro al risultato deludente delle metodologie clas­ siche della prima metà del nostro secolo, a partire da12. Si veda, a tal proposito, l'appassionata difesa di un'etica «cristiana• da parte di W. Marxsen, «Christliche » und christliche Ethik im Neuen Testa­ ment, Giitersloh 1989 (tr. ingl. New Testament Foundations of Christian Ethics, Edinburgh 1993), e la mia lunga recensione critica in: Rivista Bibli­ ca 37 ( 1 989) 461 -467.

J68

gli anni '6o in poi si fa sempre più vivace lo sforzo er­ meneutico di attualizzare l'etica lucana in rispondenza al clima culturale dell'interesse sociale per i poveri e il terzo mondo, e la corrispondente critica al capitalismo all'interno sia della chiesa cattolica (a partire dal con­ cilio Vaticano n) sia di quella evangelica. 11 Horn, nella sua monografia, distingue alcuni model­ li �ttuali di interpretazione, che ci permettiamo di se­ guire. L'interpretazione cattolica 14 critica la tesi «storica» di Conzelmann e sostiene che il discorso di Luca sul possesso o la rinuncia al possesso ha per scopo «la ri­ forma della chiesa del suo tempo», una riforma che dovrebbe partire dall'alto, dai responsabili della co­ munità (Le. I6, I - I 7, I o). La prova si avrebbe nella di­ stinzione fra mathetai e laos; il discorso viene rivolto ai mathetai (cf. ad es. Le. 1 2,41 ) per i quali valgono il messaggio e le esigenze radicali. L. T. Johnson 1 5 propone un'interpretazione simbo­ lica, in cui i poveri sono coloro che accolgono il mes­ saggio del profeta (Mosè, Gesù, l'apostolo), mentre i ricchi sono quelli che lo rifiutano. Per W. Schmithals 16 la pietà dei poveri e la rinuncia alla ricchezza è una richiesta radicale in funzione di una situazione attuale di persecuzione. La rinuncia totale ha di mira la fedeltà nella confessione di fede in un temI 3. A questa tendenza reagiscono con appassionata sofferenza gli epigoni della teologia kerygmatica, che vedono la fede e la teologia svendute e svuotate dall'interesse recente per il problema sociale. Oltre al preredente saggio di W. Marxsen, si veda l'introduzione di H. Conzelmann al suo ot­ timo studio, Heiden]uden Christen, Tiibingen I 9 8 1 , 1 - s . 14. H.G. Degenhardt, Lukas-Evangelist der Armen. Besitz und Besitzver­ sicht in den lukanischen Schriften, Stuttgan 1965. I s . L.T. Johnson, The literary Function of Possessions in Luke-Acts, Mis­ soula 1977. 1 6. w. Schmithals, Lukas-Evangelist der Armen: ThViat 12 ( I973-74) I n ­ I 67.

po in cui, a causa della fede, i cristiani possono perde­ re tutto, anche la vita. E. Franklin '7 propone invece un'interpretazione pa­ storale. In una situazione difficile per il ritardo della pa­ rusia, per il rifiuto del messaggio cristiano da parte degli ebrei e per lo scandalo della croce, l'evangelista inten­ de sostenere la fede nella signoria di Gesù che la co­ munità si trova in pericolo di perdere. La comunità lu­ cana quale comunità escatologica è una «comunità di poveri» 'posta fuori del mondo, chiusa in sé, orientata a superare le proprie difficoltà. Molta eco ha suscitato la monografia di L. Schott­ roff e W. Stegemann, tradotta anche in italiano: Gesù di Nazareth speranza dei poveri.'8 Nel terzo capitolo studia l'etica lucana dando il titolo emblematico: «La sequela di Gesù come solidarietà tra cristiani ricchi e stimati e quelli poveri e disprezzati». L'etica lucana sarebbe un'etica sociale, mutuata in parte dall'ambien­ te filosofico dei neopitagorici e dal giudaismo. La po­ vertà volontaria radicale sarebbe concepita come una critica ai ricchi nella comunità. E i cristiani, mediante la prassi dell'amore e della solidarietà, tendono a crea­ re una comunità di persone, socialmente (non più clas­ si sociali) ed economicamente (non più ricchi e pove­ ri) uguali. Le monografie fin qui menzionate non presentano l'etica lucana nel suo insieme, ma affrontano piuttosto un problema particolare: quello della povertà-ricchez­ za o meglio dei ricchi-poveri, e si studiano di indagare la funzione (sociale, pastorale, istituzionale, ecc.) del I 7. E. Franklin, Christ the Lord. A Study in the Purpose and Theology of Luke-Acts, London I975· I 8 . L. Schottroff - W. Stegemann, jesus von Nazareth - Hoffnung der Ar­ men, Stuttgart I 978 (ed. it. Gesù di Nazareth speranza dei poveri, Torino I98 8). Su Luca si veda il terzo capitolo •La sequela di Gesù come solida­ rietà tra i cristiani ricchi e quelli poveri e disprezzati•, pp. I I 5 - I 2o.

1 70

buon annuncio ai poveri, della minaccia ai ricchi e dell'invito pressante al distacco dalla ricchezza in fa­ vore dei poveri. La loro motivazione ermeneutica pro­ viene più dall'orizzonte culturale attuale che non da uno studio scientifico dell'orizzonte storico-sociale di Luca. 2 . 3 . Nuove metodologie e proposte recenti

degli anni 'Bo

Tre monografie recenti, con discreto successo editoria­ le, affrontano il problema dell'etica lucana con mag­ gior rigore metodologico, applicando nuove metodo­ logie, provenienti dalla scienza sociologica. Le prendia­ mo perciò in considerazione più accurata. 2.3 . 1 . L'etica lucana (Luca-Atti) come «credere ed agire» (F. W. Horn).'9 Nella sua grossa monografia, che

in tre anni ha visto due edizioni, Horn applica una metodologia sincronica all'opera lucana costituita da Vangelo-Atti, partendo però da Atti, perché nel se­ condo libro Luca sembra esprimere la sua concezione teologico-etica in modo più autonomo. Gli Atti of­ frono il modello di una «comunità di amore» e Paolo, nel discorso di addio ai presbiteri di Efeso (Atti 20, I 8b-3 5) esalta la beneficenza, richiamandosi al detto di Gesù: «È più bello dare che ricevere» (Atti 20,3 5d). Tornando al vangelo, Gesù nelle parenesi ai ricchi (Le. 1 2, I 3 -34; I 6, I -3 1 ) richiede loro di beneficare i poveri anche con l'elemosina (Le. I I ,4 I ; I 2,3 3; Atti 9,36, ecc.). La beneficenza va praticata persino verso i nemici (so­ lo Luca) ed è dunque la richiesta fondamentale. Le comunità «lucane» sono qualificate come «comu­ nità di poveri» (Le. I ,46- 5 5 ; 6,2o; I 6, I 9-3 I ). Per confi1 9. Cf. sopra, p. 163

n. I.

gurare questo quadro Luca avrebbe utilizzato una tra­ dizione ebionitica, coniugandola però insieme alla pa­ renesi, che raccomanda di beneficare i poveri. La tra­ dizione ebioniti.ca prelucana rifletterebbe una comu­ nità giudeo-cristiana, che vedeva nella sua povertà un segno del vero Israele in contrasto con l'Israele ricco. La descrizione della prima comunità storica dei disce­ poli con Gesù come persone che hanno lasciato tutto, famiglia, beni, sicurezze sociali, è redazionale ed inten­ de spingere anche la sua comunità a seguirne l'esem­ pio di distacco. Ma la condizione fondamentale per il distacco da tutto è l'umiltà. La parenesi lucana è fondata e motivata dal rappor­ to col kyrios, il Gesù storico ora assunto in cielo. Egli ritornerà e giudicherà in base alla sua richiesta radicale di distacco dai beni terreni e di corrispondente be­ neficenza ai poveri (Le. 6,46). Luca retroproietta nell'annuncio di Gesù la situa­ zione e l'esortazione rivolta alla sua comunità. Gesù, già nella sua missione terrena, come kyrios, ha istruito la sua comunità per il tempo in cui non sarebbe più stato presente. Fede in Gesù, Signore della comunità e agire conseguente, umiltà, distacco, beneficenza: sono strettamente unite insieme nel cristiano e nella comu­ nità cristiana. Mentre si esclude perciò ogni ideale ebio­ nitico di povertà in quanto scelta critica nei confronti della ricchezza - semmai questo sarebbe stato presen­ te nella fonte, l'ideale della povertà viene coniugato insieme alla richiesta fondamentale della beneficenza che implica umiltà, distacco dai beni terreni e amore be­ nefico ai nemici. Quali sono gli aspetti positivi di questa ricerca? Anzitutto la metodologia sincronica di Luca-Atti, che richiede di studiare l'opera nel suo insieme. Pone in luce, in secondo luogo, lo specifico dell'etica lucana: la sua fondazione nella fede in Gesù, Signore, maestro e

giudice; la sua sottolineatura della beneficenza ai po­ veri fine dell'umiltà e della povertà volontaria; la chie­ sa, comunità di poveri come comunità escatologica. Infine la tesi della fonte ebionitica, anche se ipotetica, dimostra che la tradizione, utilizzata da Luca, è radi­ cata in ambiente giudaico. 2 . 3 .2. L 'ambiente socio-comunitario dell'etica luca­ na (Ph.F. Esler)!0 Nel suo studio dell'etica lucana Esler utilizza il metodo funzionale socio-politico. Il sottoti­ tolo dell'opera suona infatti: The Social an d Politica[ Motivations of Lukan Theology. Purtroppo non co­

nosce la monografia di Horn, nonostante pubblichi la sua opera nel 1 989, vale a dire sei anni dopo la com­ parsa dell'opera tedesca; è un peccato che non si sia confrontato con una tesi, che si colloca congiuntamen­ te a livello storico e teologico. La sua interpretazione infatti si pone in contrasto polemico con la teologia lucana di Conzelmann e di altri, in quanto Luca non sarebbe affatto interessato ad un teologia astratta, ma scriveva in risposta ai pro­ blemi concreti della sua comunità. Il fine che si pro­ poneva Luca non era teologico, ma funzionale. Le condizioni sociali in cui viveva la comunità sti­ molarono Luca a reinterpretare la tradizione cristiana in modo che potesse rispondere ai suoi problemi. Qua­ li ? Erano problemi di due specie: il primo religioso, il secondo socio-politico. Il primo motivo di difficoltà sociale era la compo­ sizione mista e complessa delle comunità cristiane, che raggruppavano cristiani provenienti da un vasto rag­ gio di esperienze religiose diverse e andava dai cristia­ ni che giungevano alla fede dal paganesimo idolatra sino a quelli che vi giungevano da un giudaismo con20.

Cf. sopra, p. 163

n. 1 .

173

servatore. Di conseguenza la comunione di mensa tra etnico-cristiani e giudeo-cristiani costituiva una seria minaccia alla solidarietà etnica dei giudei, per cui i giu­ deo-cristiani erapo pressati dai loro connazionali ebrei ad abbandonare la comunità di mensa e di ritornare alla legge mosaica nella sua integrità tradizionale. I giudeo-cristiani rimasti fedeli alla comunità cristiana si estraniarono progressivamente dalla sinagoga fino ad esserne cacciati. Il secondo motivo di difficoltà si collocava invece sull'asse socio-economico, fonte pure di turbamenti. Nella comunità cristiana erano presenti persone, che appartenevano a diversi ceti sociali: dai più elevati co­ me i decurioni (consiglieri del sistema municipale ro­ mano) sino a quelli più bassi dei mendicanti. I ricchi erano invitati ad una generosità disinteressata ben di­ versa dall'usuale rapporto patrono-cliente, ove il do­ no dato veniva ricambiato con interessi o deferenza. Inoltre i soldati romani potevano pensare che la fede cristiana fosse in contrasto con la fedeltà politica a Ro­ ma, dato che Gesù era stato giustiziato da un prefetto romano e Paolo aveva pure avuto i suoi guai con l'au­ torità ufficiale di Roma. Questa la duplice fonte, religiosa e sociale, dei pro­ blemi presenti nelle comunità lucane. Luca vi rispon­ de reinterpretando le tradizioni cristiane che egli ac­ curatamente aveva raccolto (Le. I , I -4). Rassicura anzi­ tutto i giudeo-cristiani raccontando che la loro comu­ nità di mensa con gli etnico-cristiani risale ad un co­ mando divino dato prodigiosamente a Pietro e confer­ mato poi dalla comunità madre giudeo-cristiana di Gerusalemme (Atti IO- I I). Ricorda inoltre ai pii ebrei che i giudeo-cristiani sono il vero Israele, onorano Ge­ rusalemme e il tempio, osservano le feste e le prescri­ zioni della torà: dal vangelo dell'infanzia in cui i per­ sonaggi principali sono presentati come dei pii ebrei, I74

sino alla fine degli Atti, ove Paolo nel discorso ai capi delle sinagoghe di Roma afferma: «lo, fratelli, non avendo fatto nulla contro il popolo o i costumi patri (tois ethesi tois patrooiis), fui consegnato dai gerosoli­ mitani prigioniero nelle mani dei romani» (Atti 28, 1 7). È solo per il rifiuto di Israele a credere in Gesù che Gerusalemme e il tempio sono abbandonati da Dio ai nemici. La comunione di mensa con i gentili «che te­ mono Dio» è iniziata proprio dagli ebrei di lingua gre­ ca, critici verso il tempio e Israele (cf. il discorso di Ste­ fano in Atti 7). Sul piano socio-economico Luca ri­ porta una forte parenesi ai ricchi, che si salveranno so­ lo mediante la loro generosità verso i poveri. A livello politico, il messaggio ai Romani consisteva in un'apologia dell'autorità romana: Gesù fu ricono­ sciuto innocente per ben tre volte dal prefetto romano Pilato (Le. 23,4. 1 4.22), e Paolo fu spesso difeso dai ma­ gistrati romani; d'altronde la religione cristiana non è una nuova setta da temere, ma lo sviluppo dell'antica religione ebraica. In tal modo Luca legittima il movimento cristiano settario e lo giustifica anche per i cristiani scossi da passioni sociali o politiche. E dipinge un universo sim­ bolico, da cui l'ordine istituzionale della sua comunità assume giustificazione e significato. Passiamo ad una breve valutazione critica di questa tesi di Esler, indubbiamente nuova nel suo insieme. Va criticata anzitutto la sua contrapposizione radicale fra teologia e sociologia, fra storia ed attualità, tra verità e sua funzione. La verità non va ridotta alla sua funzione, per quanto importante; ha un suo valore al di là della funzione che può assumere in una data co­ munità, in un certo ambiente e momento storico. In ordine a questa tesi, funzionale, mi pare sinceramente forzata l'identificazione di asphaleia, scopo che si pro­ pone l'evangelista (Le. 1 ,4), con la «rassicurazione» 175

della sua comunità a livello religioso e socio-politico (p. 67); il suo significato è invece l' «assicurazione» che il fondamento della catechesi ricevuta dall'esimio Teo­ filo è veritiero iq senso storico-teologico. La funzione socio-religiosa, che si può ipoteticamente ammettere, si fonda in ogni caso sulla verità storico-teologica; e non viceversa. Venendo alla sua «funzione», è da dire che Esler ri­ costruisce la comunità lucana col metodo dello «spec­ chio»; .o'ra, se non si hanno conferme esterne a quanto si ricava dal testo stesso, il discorso rimane molto ipo­ tetico. Tuttavia lo sfondo socio-religioso della comunità lu­ cana, ricostruito accuratamente sulle fonti greco-ro­ mane è utile pe.c concretizzare il possibile scenario sto­ rico, in cui porre poveri e ricchi anche all'interno della comunità e le persecuzioni morali o reali subite dai membri di tale comunità.

L 'etica lucana come economia del regno ossia la comunità cristiana come società alternativa (Halvor Moxnes)!' Lo studioso norvegese Moxnes parte da un testo difficile e importante del vangelo, Le. r 6,r4, 2.3-3-

ove i farisei vengono squalificati quali «avidi di dena­ ro, philargyroi», un testo proprio solo di Luca. E cer­ ca di illustrarlo con la sua ricerca. Gesù e l'evangelista Luca, che ne raccoglie e interpreta la tradizione, al­ l' accumulo dei beni contrappongono la condivisione e la ridistribuzione. Moxnes fa uno studio della Palesti-

2 1 . Cf. op. cit. (n, 1), capp. 6-10. Un altro breve, interessante studio di Mox­ nes tratta del banchetto cristiano come luogo in cui si realizzava l'imitatio ]esu e l'esperienza di una nuova comunità con ruoli istituzionali nuovi (Meals and the New Community in Luke: SEA 5 1 ( 1 986) 1 5 8-1 87; inoltre il più recente articolo sintetico nel volume miscellaneo, curato daJ-H. Ney­ rey, The Social World of Luke-Acts. Models for lnterpretation, Peabody, Mass. 199 1 : «Patron-Client Relations and the New Community in Luke­ Acts•, pp. 241 -268.

na del tempo di Gesù, della distinzione della popola­ zione in classi sociali (l'élite esigua da una parte e dal­ l'altra la stragrande maggioranza dei contadini e degli artigiani sempre insicuri) e della distribuzione della ricchezza e delle risorse economiche in una «econo­ mia di contadini». Lo studio utilizza modelli presi dall'antropologia so­ ciale ed economica per identificare interazioni sociali e scambi economici. L'economia contadina com'era quella della maggior parte degli abitanti di Palestina del 1 secolo, era conservatrice, e creava una reciprocità negativa fra ricchi, che sfruttavano i poveri accumu­ lando i beni, e i poveri sfruttati ed emarginati. Vigeva invece una reciprocità fra pari, tra ricchi ed élite che si scambiavano favori; la reciprocità più comune poteva essere quella tra patrono e cliente, fra disuguali quin­ di, ma legati tra loro da interessi. L'alternativa, l'eco­ nomia del regno, proposta da Luca, è una reciprocità generalizzata, cioè una completa ridistribuzione delle risorse da parte dei «benefattori» senza chiedere nulla in cambio, né onori né servizi: dare senza ricevere per­ ché il patrono supremo che ricompensa è Dio stesso in cielo (Le. 6,3 5; 1 2,33; 14,14). In tal modo chi riceve­ va dal benefattore non diveniva suo cliente; la conse­ guenza di tale comportamento era la libertà del popo­ lo indigente, perché si rompeva il perverso meccani­ smo di patrono-cliente. Si realizzava così un rovescia­ mento totale del sistema vigente. Dio è il primo bene­ fattore e il ricco di élite dev'essere solidale col povero contadino del villaggio, ma anche con le classi relativa­ mente ricche e non elitarie come Zaccheo di Gerico o come coloro che praticavano un mestiere disprezzato. Sul tema dell'economia vi sono somiglianze e diffe­ renze fra vangelo e Atti. Nel vangelo i farisei sono de­ scritti alla luce del conflitto sociale interno ad Israele: stanno dalla parte dell'élite e utilizzano la legge di pu1 77

rità per sfruttare i contadini e la gente semplice; perciò sono qualificati come «avidi di danaro». L'ideale del­ l'economia del regno rappresenta il rovesciamento del­ le relazioni socia,li in fatto di denaro, di economia e di potere (Le. 1 , 5 1 - 5 3 ; 6,20-26; 1 6, 1 9-3 1 ). Nel regno di Dio sono inclusi non solo i poveri, ma anche i fuori casta, pubblicani e peccatori; a tutti viene data ospita­ lità nel regno. Negli Atti il conflitto si sposta fra grup­ pi di cr�denti in Cristo e la società che li circonda; per cui i farisei sembrano acquisire una funzione positiva nei confronti della comunità cristiana. Il tema della be­ neficenza è invece comune ai due libri, anche se la fun­ zione è diversa: nel vangelo ha un'importanza struttu­ rale, mentre in Atti descrive l'uomo giusto (Atti 9,36; 10,2-4; 24, 17). Altre somiglianze fra vangelo e Atti so­ no: 1 . le donne patrone in Le. 8,1-3 ; Atti 9,36-43, e Li­ dia, Aquila e Priscilla; 2. la beneficenza in favore dei poveri nel vangelo, e negli Atti per i poveri della co­ munità, per cui nella, comunità delle origini non vi era alcun «indigente», realizzando in tal modo l'ideale deu­ teronomista (Atti 4,34 Deut. 1 5,4); 3 · avarizia e avi­ dità sono due vizi «stigmatizzati» in ambedue i libri. È però solo il vangelo che propone un sistema di re­ lazioni sociali ed economiche che si possono qualifi­ care come «economia del regno» in contrasto col vec­ chio ordine socio-economico. Tale economia viene realizzata nella comunità ideale delle origini. La prospettiva di Luca-Atti non è quella dall'alto, ma dal basso: l'esigenza della solidarietà con coloro che hanno poche risorse. I ricchi egoisti non vanno identificati con dei ricchi cristiani, ma con quelli ester­ ni alla comunità cristiana. Luca si sforza di guardare il mondo «dal punto di vista del povero». L'iniziatore e la guida di tale rovesciamento, l'economia del regno, è però Gesù stesso. Ciò che si raccomanda non è sem­ plicemente di fare della beneficenza, ma di cambiare i =

rapporti strutturali in modo che il povero sia liberato dai suoi legami di schiavitù nei confronti del potere e della ricchezza. Il vangelo intende quindi liberare i cri­ stiani dalla concezione mondana che legittima le strut­ ture di dominio e di sfruttamento del popolo, riguar­ danti non solo il povero, ma anche tutti coloro che so­ no emarginati nella società (pp. 1 68 - 1 69). L'analisi socio-economica di Moxnes è illuminante perché ci fa capire il conflitto tra due modelli di socie­ tà: quello mondano di dipendenza socio-economica dei poveri e degli «altri» dai ricchi che hanno potere, e quello del regno di Dio, praticato da Gesù dove il po­ vero e gli «altri» sono liberati e con la libertà viene lo­ ro restituita la dignità e la possibilità di realizzarsi. L'e­ conomia del regno è dunque il rovesciamento utopico dei rapporti usuali nel mondo fra élite e non élite, fra poveri e ricchi. Lo strumento usato per questo studio è la funzione che hanno i testi e l'analisi socio-econo­ mica di essi, facendo ricorso all'ambiente storico, in cui è vissuto Gesù e in cui è stata scritta l'opera lucana. 3·

R iflessione metodologica ed ermeneutica

Possiamo trarre qualche conclusione pratica sotto il profilo metodologico ed ermeneutico dagli studi del­ l'etica lucana, appena recensiti ? Tentiamo di farlo di­ stinguendo, appunto, metodologia ed ermeneutica. 3.1.

Metodologie in dialogo

Per studiare l'etica lucana sotto il profilo letterario, oc­ corre anzitutto mettere in opera la critica redazionale, iniziata da Conzelmann ed oggi molto più raffinata; essa si avvale del confronto sinottico, della stilistica e della concezione teologica dell'evangelista. Insieme alla critica redazionale, diacronica, va coniugato anche 179

il metodo sincronico, posto oggi giustamente in pri­ mo piano, vale a dire la struttura letteraria, semantica e funzionale dell'opera lucana nel suo insieme di Van­ gelo-Atti. Orma� non si può più studiare la teologia o l'etica lucana prescindendo dagli Atti. Semmai, come fa Horn, occorre partire dal secondo libro per scopri­ re la concezione di Luca, proprio perché ivi è meno legato alle fonti e si muove con più libertà. Alle �etodologie letterarie si affiancano con sem­ pre maggior vigore quelle socio-funzionali, che accam­ pano il loro diritto ad intervenire non solo per la ra­ gione storica, ma anche per quella teologica, in quanto la rivelazione cristiana è una rivelazione nella storia e attraverso la storia umana con i suoi conflitti, le sue tensioni e divisioni. Dato che si ricorre a Luca da un secolo a questa parte per un suo particolare interesse «sociale», occorre partire da serie basi storiche e non da precomprensioni ermeneutiche, come fu la prima produzione degli anni '6o-'7o. È quello che tentano di fare le monografie di Esler e di Moxnes: ricostruire l'ambiente sociale e politico oltre a quello religioso-cul­ turale, cui era già pervenuta la critica storico-religiosa passata. Mentre però la ricostruzione dell'ambiente socio-politico è più solida, in quanto fondata su una seria documentazione storica, letteraria, archeologica ed epigrafica, la ricostruzione della composizione del­ la comunità cristiana partendo dall'opera lucana è una operazione molto più rischiosa e delicata, in quanto il criterio interno usato è quello dello «specchio»: quan­ to Luca scrive dovrebbe rispecchiare indirettamente i problemi della comunità per cui scrive. Egli però, nel suo prologo-dedica, ne nomina uno solo esplicitamen­ te: consolidare e assicurare la base storico-teologica della catechesi ricevuta dall'esimio Teofilo (Le. 1 ,4). Interpretare asphaleia come «rassicurazione» sul pia­ no socio-religioso e socio-politico come fa Eisler per 1 80

avallare la tesi funzionale in luogo di quella storico­ teologica, mi sembra proprio forzare il testo. Moxnes a tale riguardo è molto più cauto e dice chiaramente il carattere ipotetico della ricostruzione della comunità e l'incertezza con chi vadano identificati i ricchi egoi­ sti del vangelo. Le varie metodologie, redazionale, strutturale e so­ ciologica, vanno usate dunque in dialogo critico fra di loro senza pretese egemoniche e soprattutto rispet­ tando sempre il testo e l'intenzione dell'autore. 3 .2 .

L 'ermeneutica teologica

Proprio perché le metodologie sono strumentali, do­ vrebbero lasciare spazio alla comprensione teologica dell'etica lucana. L'ermeneutica è quella che pone la do­ manda ultima al testo: quella della verità, della realtà, della Sache, non solo storica ma anche metastorica, teologica, quella cui rimanda l'evangelista stesso per fondare e motivare l'etica che propone, utilizzando la tradizione di Gesù e le tradizioni della chiesa delle ori­ gini. Va evitato perciò l'errore di contrapporre dialet­ ticamente l'analisi storico-sociale e la comprensione teologica come fa Esler. L'una non esclude l'altra. Pro­ prio per rispettare l'intenzione dell'autore, che si pone certo all'interno della storia, ma anche all'interno di una tradizione storica autorevole come quella di Gesù e come quella kerygmatica della chiesa primitiva. In­ somma Luca è insieme storico e teologo. Non intende certo proporre una teologia astratta, ma una teologia fondata su una persona storica, che ne è insieme fon­ damento e senso: la persona storica di Gesù morto e risorto. Il contributo obiettivo del metodo funzionale so­ ciologico, ove sia fondato seriamente su fonti storiche, è quello di porre in luce l'attualizzazione che l'evan-

gelista fa della tradizione storica di Gesù e della chiesa delle origini. II. IL MODELLO NARRATIVO DELL 'ETICA LUCANA

Molte sono le questioni sul tappeto, poste dalla vivace ricerca dell'etica lucana, favorita per un verso da nuo­ ve meto�ologie e per l'altro da situazioni attuali, ana­ loghe a quelle con cui sembra avesse a che fare l'evan­ gelista. Ce ne poniamo alcune in forma dialettica prima di proporre un abbozzo di etica lucana: l'etica lucana è etica del Signore Gesù o etica sapienziale? È un'etica per modelli narrativi o per parenesi concreta ? È un'eti­ ca individuale o comunitaria ? 21 È guidata da un elo­ gio dei poveri e della povertà (ideale ebionita) o dalla minaccia escatologica ai ricchi? In che rapporto sta con l'A. T. e in particolare con la legge mosaica: la ignora, la rifiuta, la accoglie? Qual è il soggetto etico: il cri­ stiano o qualsiasi uomo? La risposta a questi problemi, almeno in parte, sarà data dalle conclusioni cui siamo pervenuti in un semi­ nario di ricerca sull'etica lucana, che qui registriamo. Si procede per passi successivi, partendo dal testo lucano con le sue caratteristiche specifiche, lessicali e morfologiche; si passa poi ad un quadro sistematico in cui si cerca di dimostrare come il modello narrativo corrisponda alla parenesi specifica di Luca, e come si sintetizzi nell'economia del regno. Si perverrà così alla fondazione cristologico-escatologica e al soggetto eti­ co ed infine, nella conclusione, ad un breve confronto dell'etica lucana con quella paolina. Lasciamo invece in secondo piano l'ambientazione socio-politica e co22.

Su questo problema si veda S. Sarai, Individuai und Gemeinde Ethik

bei Lukas: AJBI 9 ( 1 98 3 ) 8 8 - 1 27.

m unitaria, già ben presentata nelle due monografie so­ _ pra recensite. 1 . Il quadro

semantico di azione: beneficare, servire, donare

Luca impiega un suo vocabolario specifico per descri­ vere e raccomandare l'agire morale cristiano. È parten­ do da questo vocabolario specifico che meglio e con maggior sicurezza si potrà cogliere l'etica lucana. La voce più specifica è il verbo euergeteo. Il parti­ cipio euergeton da Pietro viene applicato a Gesù nel suo discorso a Cornelio in parallelo con iomenos (sa­ nando), anche se il primo è più ampio e non è coperto completamente dal secondo: «Gesù di Nazaret, che Dio unse di Spirito santo e potenza, il quale passò be­ neficando e sanando tutti quelli che erano padroneg­ giati dal diavolo, perché Dio era con lui» (Atti IO,J8). E solo Luca che, nell'istruzione di Gesù ai discepoli sull'autorità, riportata nel quadro del discorso di ad­ dio dell'ultima cena, una sorta di testamento,'3 ricorda che i re pagani che tiranneggiano il popolo sono chia­ mati euergetaifbenefattori (Le. 22,25 ), mentre Gesù si definisce ho diakonon / colui che serve: «Voi invece non così, ma colui che è più grande in mezzo a voi sia il più giovane (cioè servo; cf. Atti 5,6 in questo sen­ so) e colui che governa come colui che serve. Chi è in­ fatti più grande, colui che è a tavola o colui che serve ? Non è colui che sta a tavola ? Ma io in mezzo a voi so­ no come colui che serve» (Le. 22,27-28). Questo testo rappresenta il cuore dell'antropologia e dell'etica luca­ na, il suo centro illuminante e dinamico. 24 Il centro è 23. Sul discorso di addio come testamento di Gesù cf . l'ottima trattazione di X. Léon-Dufour, Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Te­ stamento, Torino 1983 (ed. or. 1982), 2 2 1 -236. 24. Per un tentativo di enucleare l'antropologia lucana si veda G. Segalla,

Gesù stesso come modello originario, contrapposto ai re delle genti, chiamati «benefattori))' ma in realtà ti­ ranni; il vero benefattore è colui che serve (Atti I 0,3 8). Il servizio richiede umiltà: chi è il più grande si deve considerare comè il giovane servo e colui che coman­ da come colui che serve e si sacrifica (la cena eucaristi­ ca). Viene in mente qui spontaneamente l'indimenti­ cabile scena giovannea della lavanda dei piedi, anche lì nel quadro dell'ultima cena. Intorno a questo nucleo centrale,' cristologico-antropologico-etico, si sviluppa tutta l'etica lucana. Semanticamente vicino a ho diakonon e neoteros è ho doulos l il servo (nel contesto di allora significava 'schiavo'); ed anche qui abbiamo un detto di Gesù ri­ portato dal solo Luca: «Così anche voi, quando avete fatto tutto ciò che vi è stato prescritto (passivo divino: Fitzmyer, n, I I 46), dite: Siamo servi inutili (cioè che non hanno diritti da accampare, ma solo un servizio da compiere). Abbiamo fatto tutto ciò che dovevamo fare)) (Le. I 7, I o). Dai ricchi si esige la beneficenza, che si concretizza nell'«elemosina))' presente solo in Le. (1 1 ,4 I ; I 2,33) ed

Atti (9,36; I o,2.4; 24,1 7) .

Intorno a queste espressioni, proprie di Luca, si col­ locano altri verbi, frequenti nella sua opera come di­ domildare e i suoi composti: diadidomildistribuire (3 su 5 nel N.T.: Le. I I,22; I 8,22; Atti 4,3 5), apodidomil restituire (tipico di Mt. e Lc.IAtti), antapodidomi l da­ re in contraccambio (Le. I 4, I 2-I4 e poi solo in Paolo). Nello stesso quadro semantico di beneficare rien­ trano anche altre due espressioni tipicamente lucane: eleemosyne eccetto in Mt. 6,I-4 (ambiente giudeo-cri­ stiano), solo in Le. ( I I ,4I; I2,33) e Atti (3,2.3 . I o; 9,36I 0,2.4; 24, I 7), il concreto «beneficare)); e hyparchonta l Quattro modelli di KUomo nuovo» nella letteratura neotestamentaria: Teo­ logia 1 8 ( 1 993) I I J - 1 65.

beni propri (delle 1 4 volte che ricorre nel N.T., in Le.­ Atti compare ben 9), su cui non si deve contare (Le. 1 2, 1 5-2 1 ) e cui si deve rinunciare (Le. 1 4,33) per condivi­ derli con i poveri (Atti 4,32). Questo quadro semantico unitario, proprio di Le.­ Atti, descrive il discepolo di Gesù come uno che serve

e benefica sul suo esempio e perciò dona senza riserve e limiti, distribuisce i suoi beni, restituisce a chi ha tol­ to e invita a mensa coloro che non possono ricambia­ re, rinuncia ai suoi beni per condividerli con i poveri con l'elemosina, divenendo così puro. Andrebbe però distinto il servire ministeriale proprio di Gesù e dei missionari dal servire-beneficare dei discepoli credenti in cui peraltro sono inclusi anche i missionari e i capi di comunità, anzi in modo eminente. Il quadro seman­ tico è comunque coerente. Fuori di esso rimangono i termini tipici per la legge scritta (nomos) e consuetudinaria (ethos) e ancor più en­ tole (delle quattro volte che viene usato, solo una ha senso positivo, nel contesto giudaico del vangelo del­ l'infanzia in Le. 1 ,6). La legge e i comandamenti non sono ovviamente al centro dell'etica lucana. Infine, per quanto concerne il rapporto con l'etica paolina, va detto che pneuma non ha valenza etica, ma ecclesiale. 2. Il quadro morfologieo-narrativo

Dal quadro semantico, ove prevalgono i verbi attivi di donare-servire, passiamo a quello morfologico. Data l'importanza dell'agire per gli altri, servendo e facen­ do loro del bene, è ovvio aspettarsi che le forme lette­ rarie rivelanti l'etica lucana siano prevalentemente quelle narrative; ed infatti la forma letteraria più usata per l'etica è quella narrativa, che descrive modelli reali o racconta «parabole-esempio»,'1 proprie solo di Lu­ z

5.

Anche se questa definizione di Jiilicher viene criticata da V. Fusco, che

185

ca, mentre la parenesi vera e propria si esaurisce in al­ cune raccomandazioni di Giovanni Battista che pre­ ludono la parenesi del regno, predicata e praticata da Gesù, e manca la parenesi apostolica. Paolo stesso l'u­ nica volta che fònda il suo discorso etico, lo motiva con un detto agrafo di Gesù: «È meglio dare che rice­ vere» (Atti 20,3 5 ) . Il significato del privilegio dato alla narrazione è il fatto che Gesù stesso, la sua persona storica, è promo­ tore e guida della prassi del regno col suo comporta­ mento e il suo insegnamento (Atti r , r ). L'etica lucana è perciò un'etica in azione, che presuppone una realtà nuova: quella del regno di Dio, impersonata da Gesù. 3·

Un quadro sistematico

L'etica lucana va letta dunque nel quadro storico-nar­ rativo che Luca vuoi disegnare nella sua opera in due volumi. Il suo sguardo è rivolto al passato storico: la storia di Gesù e il suo prolungamento nella chiesa pri­ mitiva che nella missione alle genti arriva fino a Ro­ ma. È però un passato che parla al presente ed è in fun­ zione del presente. La certezza storica che Luca vuoi trasmettere è al contempo certezza salvifica, una storia che fonda la salvezza escatologica dell'uomo e indica la via su cui camminare, un nuovo modo di agire nel regno di Dio. Come periodizza Luca la storia della sal­ vezza? Conzelmann, fondandosi sul testo di Le. r 6, r 6, la divideva in tre periodi: quello dell'A.T. fino al Battista, quello di Gesù libero dal demonio, e quello della chiesa. Ma oggi si preferisce pensare che Luca la divida in due grandi periodi: quello della promessa ad propone come più pertinente quella di «Storie di giudizio» in quanto in­ tendono indurre il lettore a un giudizio (Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, Roma 1983, I J8-14o), tuttavia mi sembra ancora utile, se si evita l'intenzione moralistica, e l'esempio opera come un giu­ dizio in funzione di una conseguente decisione etica-esistenziale.

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Israele {legge e profeti) fino a Giovanni Battista; e quello del compimento, realizzato da Gesù, che, dopo l'ascensione, continua, sia pure in altro modo, nella chiesa mediante la forza e la guida dello Spirito, invia­ to da Gesù.'6 Questa prospettiva di due periodi ben distinti sembra però contraddetta dalla finale degli At­ ti; Paolo convoca «i notabili ebrei» (Atti 28, 1 7), cui «rende testimonianza del regno di Dio, e cercava di persuaderli a riguardo di Gesù partendo e dalla legge di Mosè e dai profeti». Però nei due testi: Le. 1 6, 1 6 e Atti 28,23 l'espressione «legge e profeti» ha un signifi­ cato diverso: nel primo indica l'economia della salvez­ za fondata su legge e profeti, mentre nel secondo «leg­ ge e profeti» sono considerati sacra Scrittura, che testi­ monia la messianicità di Gesù e la sua vicenda di mor­ te-risurrezione salvifica (cf. Le. 4,1 8-2 1; 24,26-27.44;

Atti 1 7,2-3).

La direttiva principale dell'opera lucana è dunque quella storico-narrativa e non quella tematica. Perciò troviamo delle differenze nei due libri che compongo­ no la sua opera. Ad esempio «farisei» e «legge» ven­ gono valutati diversamente nel Vangelo e in Atti: men­ tre nel vangelo i farisei vengono criticati come «avidi di danaro» (Le. 1 6,14), gli Atti ne offrono invece una immagine positiva; al contrario la legge, mentre viene riaffermata nel vangelo (Le. 1 6,17), negli Atti invece viene messa in crisi dalla missione ai gentili e già pri­ ma nell'ambiente giudeo-cristiano ellenistico (Atti 6-

7; 1 5,8-1 1 . 1 3-21).

La linea narrativa è ovviamente meno unitaria di quella tematica, e tuttavia presenta un centro erme­ neutico unitario, rilevato già sopra nel quadro seman­ tico, che permane con una sua identità propria al di là delle diversità dovute ai vari ambienti storici e ai diz6. È questa già la posizione del Flender (cf. sopra, n. 5). Per una breve di­ scussione si veda J. Gnilka, Theologie des N. T. , cit. (n. 4), 20 1 .

versi problemi presenti nella missione terrena di Gesù e poi in quella della chiesa, che la continua. In questa prospettiva di insieme l'etica narrativa si presenterà in m '?do teologicamente organico, ma va­ rio nelle sue espressioni formali e storiche. 3. I .

Legge mosaica ed etica lucana 17

La periodizzazione della storia della salvezza in eco­ nomia di «legge e profeti» fino a Giovanni, per lascia­ re quindi posto all'annuncio del regno di Dio (Le. 1 6, I 6): influisce sull'etica lucana nel suo rapporto con la legge. Come economia di salvezza la legge finisce con Giovanni, mentre nel suo contenuto etico e in parte cultuale viene ancora osservata durante la vita di Gesù e in quella della chiesa giudeo-cristiana di Gerusalem­ me; e tuttavia non è mai tematizzata, a parte il breve detto di Gesù in Le. I 6,17. Il problema della legge sorge con la missione ai gen27. In ordine cronologico si hanno le seguenti monografie sull'argomento. Anzitutto J. Jervell, che è intervenuto a diverse riprese sul tema, Luke an d the People of God, Minneapolis 1 972; Die Mitte der Schrift. Zum lukani­ schen Verstandnis des Alten Testaments, in Die Mitte des Neuen Testa­

ments. Einheit und Vielfalt Neutestamentlicher Theologie. Fs. fur E. Schweizer zum 70. Geburtstag, hrg. U. Luz e H. Weder, Gottingen 1983,

79-96 (ove, a p. 8 8 sostiene che delle due parti della Scrittura, legge e pro­ feti, Luca sottolinea quella profetica, tanto che anche Mosè è considerato profeta); inoltre The Lucan Interpretation of ]esus as Biblica/ Theology, cit. (n. 4) (sostiene che Luca è conservatore nei confronti della legge, che sarebbe valida non solo per il passato, ma anche per il presente; vi si riflet­ te quindi il punto di vista giudeo-cristiano); S.G. Wilson, Luke and the Law, Cambridge 1983; M. Klinghardt, Gesetz und Volk Gottes. Das Ver­

standnis des Gesetzes nach Herkunft, Funktion und sein Ort in der Ge­ schichte des Urchristentums, Tiibingen 1988: contro la tesi giudaica di Jer­ vell, egli sostiene che le leggi di purità per i gentili vengono sostituite dalla rinuncia alla ricchezza e dal suo uso per i poveri, mentre le leggi cultuali valgono per i farisei, anche se è richiesta pure a loro la rinuncia alla ric­ chezza. Tutti i vari gruppi cristiani, etnico-cristiani e giudeo-cristiani de­ vono riferirsi ad una stessa norma comune, quella di Gesù (pp. 3 1 2-3 1 3). E tuttavia non discute mai nella pur grossa monografia Le. 16,17.

x88

tili. La legge mosaica, ad iniziare dalla circoncisione (Atti I 5 , I ) secondo il decreto emanato nel concilio di Gerusalemme (Atti I 5 , I 3 h- I 9) non è più valida per gli etnico-cristiani, in quanto legge che configura un po­ polo particolare con leggi etiche insieme a leggi cul­ tuali e consuetudinarie (ethe). Nomos è distinto da ethos l ethe l legge consuetudi­ naria (Le. I ,9; 2,42; Atti 6, I4; I 5, I ; 26,3; 28, I 7); e può significare sia la legge cultuale sia quella etica, mentre entole non ha alcuna importanza a parte il suo uso per i comandamenti in Le. I 8,20. La legge mosaica è valida nel suo insieme per l' epo­ ca di Israele ed anche per la comunità giudeo-cristiana (i personaggi del vangelo dell'infanzia sono esemplari a tale riguardo ed anche la comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme osserva il sabato e frequenta il tem­ pio); ma non è più valida per la comunità attuale di Luca; anche Le. I 6, I 7 potrebbe essere inteso nel senso della testimonianza continua a Gesù, data dalla legge, tanto più che subito dopo (Le. 1 6, I 8) Gesù detta un principio per il matrimonio cristiano in contrasto con la legge deuteronomistica sul divorzio (Deut. 24, I-4), anche se è conforme a certi ambienti giudaici, ad esem­ pio a quello sacerdotale ed anche a qualche ambiente ellenistico (Klinghardt). Rimane comunque valida per l'aspetto morale come appare dalla sua sintesi nel comandamento dell'unico amore di Dio e del prossimo (tipico di Le. 10,26-28), illustrato dalla parabola del buon samaritano, e dalla necessità dell'osservanza dei comandamenti (Le. I 8, I 920 ), verificata dalla disponibilità a rinunciare alla ric­ chezza per i poveri. Però non è più il punto di riferi­ mento fondamentale del discepolo di Gesù. Infatti quelle poche volte che la legge mosaica è giudicata va­ lida (Le. I o,26 ss.; I 6, I 7- I 8; I 8,I9-20 ss.) viene subito dopo reinterpretata da Gesù. L'osservanza scrupolosa

della legge morale e cultuale può infatti convivere con la mancanza di quell'amore che la riassume, come ri­ sulta dalla figura del fratello maggiore nella parabola del padre miseric;ordioso verso il figlio perduto (Le. I 5 , 29-3 0) e dal rifiuto del giovane ricco di dare i suoi be­ ni ai poveri (Le. I 8,23);18 la fondazione parenetica del­ le due esigenze in ambiente giudeo-cristiano farisaico si trova in Le. I I ,42. La continuità con «legge e profeti» è letta da Luca più sul p iano cristologico-ecclesiale, cioè come testi­ monianza e profezia (Jervell) che non su quello etico, ove la continuità di fondo è unita con la discontinuità della nuova interpretazione di Gesù. La legge mosaica, almeno per gli etnico-cristiani, che erano la maggioranza nella comunità lucana, non fun­ zionava più quale riferimento globale per l'agire cri­ stiano; per il cristiano il riferimento ultimo erano la per­ sona e l'insegnamento di Gesù sul regno di Dio. 3 .2. Etica narrativa

ed economia del regno di Dio

Per comprendere l'etica lucana occorre dunque partire dai modelli narrati e inquadrarli nel regno di Dio ini­ ziato con Gesù (Le. 4, I 6-2 1 ) e da lui annunciato pre­ sente dopo Giovanni Battista (Le. I 6,I 6), esaminare poi il loro rapporto con la parenesi, e in particolare con la parenesi sociale, la fondazione cristologico-esca­ tologica e il soggetto etico. 3.2. 1 . I modelli etici di comportamento. Distinguia­ mo subito i modelli reali da quelli parabolici, esem­ plari; all'interno dei due poi vanno distinti modelli e z8. Su questo testo si veda l'ottima monografia di V. Fusco, Povertà e se­

quela. La pericope sinottica della chiamata del ricco (Mc. Brescia 1 99 1 ; su Luca alle

pp. 105 - 1 14.

ro, rJ-J I

parr.),

contromodelli. Va detto subito che i modelli intendo­ no condurre ad un giudizio e quindi ad una decisione pratica. 3 .2. I . I . I modelli reali. - Il modello supremo dell'agi­

re buono è Dio stesso, Dio Padre, mediato dall'inse­ gnamento e dalla prassi di Gesù: i figli del regno de­ vono amare anche i nemici, e divenire così «misericor­ diosi com'è misericordioso il vostro Padre» (Le. 6,36; fuori di Luca oiktirmon solo in Giae. 5,1 1). Tale mise­ ricordia del Padre viene narrata da Gesù in modo ine­ guagliabile nella parabola del padre che accoglie con una grande festa il figlio perduto e ritrovato (Le. I 5 , I I-p). Il cuore del racconto rivela il cuore del padre: «quando lo vide di lontano ne ebbe compassione (es­ planchnisthe)» (Le. I 5,2o); la parabola, oltre a difen­ dere il comportamento di Gesù verso i peccatori ha anche un valore parenetico, come risulta evidente dal­ l'incontro del padre col figlio maggiore, invidioso, e dal tentativo di convincerlo a partecipare alla festa e a condividere il suo amore misericordioso verso il fra­ tello; il figlio maggiore, in questa prospettiva, funge quasi da contromodello (Le. I 5,2 5-3 I). Il gentile invi­ to del padre è un invito alla conversione. Gesù è il modello originario: impersona il regno di Dio, la sua volontà salvifica verso i poveri, i peccatori, i malati, gli oppressi; è lui che annuncia l'anno giubi­ lare di grazia, il tempo nuovo (Le. 4, 1 8-21). Come Dio è agathourgon / benefattore degli uomini {nel discor­ so di Paolo a Listri: Atti I4,1 7), così anche Gesù è pas­ sato in mezzo agli uomini euergeton kai iomenos pan­ tas... (Atti IO,J 8: nel discorso di Pietro a Cornelio). «Benefaciendo» ingloba ed è più ampio di «sanando)). È la figura emblematica di «colui che serve>) a mensa; la sua vita e morte sono un dono «per voi», significato simbolicamente nell'eucaristia (Le. 22,1 9-20.27). L'a-

more misericordioso del Padre, narrato e raccoman­ dato da Gesù, si rivela nel suo amore per i poveri, i peccatori, gli emarginati, chiamati ad entrare ed essere accolti nel regno, di Dio, ove si sperimenta la salvezza offerta gratuitamente; ed è sulla croce come martire e Servo di Jhwh che Gesù offre il modello supremo del­ l'amore misericordioso ai nemici cui perdona (Le. 23, 34) e dell'amore benefico che salva il malfattore croce­ fisso con lui (Le. 23,42-43); ed è l'ultima beneficenza, operata da Gesù sulla terra. Maria, proprio nel prologo narrativo del vangelo, viene presentata come modello di credente (Le. 1,263 8.4 5) e di umile «serva del Signore» (Le. 1,3 8) per una missione unica di salvezza. E canta questa sua umiltà in servizio di Dio per gli uomini nel Magnificat: «(Dio) ha guardato all'umiltà (povertà in senso biblico) della sua serva» . Servizio totale a Dio nella fede è il modello che in lei Luca ci presenta. Gli apostoli sono i primi discepoli di Gesù (Le. 6, 1 3; 9,8; r 1 ,49; 17,5; 22,14; 24,ro; Atti 1 ,2.26), i primi cittadini del regno di Dio: abbandonano tutto e ven­ gono inviati senza danaro, senza difesa (bastone), sen­ za provviste di cibi o vestiti (Le. 9,1 -3) per annunciare il regno di Dio e sanare i malati (Le. 9,2), cioè a conti­ nuare la missione e l'opera salvifica di Gesù. Anche lo­ ro sono «a servizio» totale del regno di Dio, e perciò a servizio degli uomini senza assicurazioni e ricompen­ se umane Zaccheo è modello dell'uomo ricco, ma religiosamen­ te emarginato, che, entrato ed accolto nel regno di Dio portato da Gesù, si converte e si salva: restituisce il quadruplo a chi ha rubato (giustizia) e dà la metà dei suoi beni ai poveri (beneficenza). E Gesù conclude: «Oggi è venuta la salvezza per questa casa, perché an­ che lui è figlio di Abramo» (Le. 1 9,9). La conversione spirituale è dimostrata dal nuovo comportamento. Tut-

ta la narrazione di Zaccheo riflette una forte impronta lucana. La vedova povera, che getta nel tesoro del tempio, cercando di scomparire, gli ultimi spiccioli, ponendo tutta la sua fiducia nel Signore (Le. 2 1 , 1 -4) è il model­ lo del povero che ripone la sua fiducia in Dio e non nel danaro; ed è confrontata dialetticamente con il contromodello degli scribi «che divorano le case delle vedove e con ipocrisia fanno lunghe preghiere» (Le. 20,4 5 -47; cf. la lunga preghiera del fariseo nella para­ bola corrispondente in Le. 1 8,1 1 - 1 2 e la breve pre­ ghiera del pubblicano subito dopo in 1 8, 1 3 ). Il con­ tromodello è caratterizzato da superbia, ambizione e avidità di danaro contro carità e giustizia. Molte donne popolano i racconti di Luca e sono modello di benefattrici di Gesù e del gruppo apostoli­ co (Le. 8,1-3; e poi, negli Atti TabithafDorcade, Atti 9,39; Lidia, 1 6, 1 4- 1 s; Priscilla ed Aquila, IS, I-3). So­ no donne ricche, credenti in Gesù, entrate a far parte del regno di Dio, che mettono a disposizione di Gesù e dei missionari cristiani i loro beni e le loro case, e aiutano i poveri; nell'ambiente sociale greco-romano alcune di loro possono configurarsi come «patrone»!9 Fra di loro carattere parenetico assumono Marta e Ma­ ria nel racconto paradigmatico di Le. 10,38-42; il pro­ blema, qui posto, non è il «servire», ma il come servi­ re: e cioè l'inscindibilità del servizio ai missionari e ai poveri dall'ascolto della parola di Dio. Cornelio è il modello del soldato romano, un gentile «pio e temente Dio» (simpatizzante della religione e­ braica) eticamente caratterizzato come uno «che fa molte elemosine al popolo (ebraico) e prega Dio con­ tinuamente» (Atti 1 0,2). Ed è proprio per questa sua vita pia e caritatevole che il Signore lo fa entrare in 29. Si veda al riguardo l'articolo di H. Moxnes, Patron-Ciient, ci t. (n. 2 1 ).

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modo prodigioso nella comunità cristiana per mezzo di Pietro. Una vita buona prepara dunque l'entrata nel regno di Dio. Barnaba (Giu�eppe) è il modello del missionario e­ semplare, che vende tutti i suoi beni e ne pone il rica­ vato ai piedi degli apostoli (Atti 4,3 6) per il sostenta­ mento della prima comunità cristiana. Contromodel­ lo, raccontato subito dopo (Atti 5 , 1 -u), sono i coniu­ gi Anan�a e Saffira. Paolo è pure il modello per eccellenza del missiona­ rio e dei presbiteri, capi di comunità cristiane. La nar­ razione più elevata è l'autoritratto che dipinge lui stes­ so di sé nel commovente addio ai presbiteri della co­ munità di Efeso a Mileto: lavorava per sé, per i suoi col­ laboratori, per i deboli - disinteressato predicava il van­ gelo della salvezza (Atti 2o, I 8b-3 5). Si potrebbe aggiungere il modello della comunità ideale di Gerusalemme descritto da Luca nei sommari di Atti 2,43-47; 4,32-37: comunione dei beni materiali e spirituali. 30 Alla fine di questa prima carrellata di modelli reali, ci possiamo chiedere, in modo sintetico: quali elemen­

ti hanno in comune? Tre sono i principali: 1 . Il distacco dal danaro e dai beni propri, sino al di­

stacco più profondo, quello da se stessi con l'umiltà; un distacco che si concretizza positivamente nella be­ neficenza e nell'attività a servizio del prossimo come le guarigioni «nel nome di GesÙ» (Atti 3,6-8). 2. La conseguenza sociale, a livello strutturale, della beneficenza e della solidarietà sino alla messa in co­ mune dei beni è la ridistribuzione dei beni, accumulati dai ricchi e sottratti ai poveri. 3 · L'amore misericordioso motiva il servizio agli al­ tri senza esigere nulla in contraccambio (Le. 1 7, 1 0). JO.

Cf. ]. Dupont,

L 'unione

tra i cristiani,

Apostoli.

194

in

Nuovi studi sugli Atti degli

Terzo elemento è quindi la gratuità assoluta dell'amo­ re concreto e servizievole al prossimo. Il contromodello per eccellenza, in ambiente giudai­ co, è costituito da scribi e farisei. Luca infatti caratte­ rizza i farisei come «avidi di danaro» (Le. 1 6,q), per cui «prendono in giro Gesù» che aveva affermato pe­ rentoriamente: «non potete servire Dio e mamona» (Le. I 6, I J ). Gesù per questo li condanna: «Voi siete coloro che giustificano se stessi davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è elevato fra gli uomini è oggetto di disgusto davanti a Dio» (Le. 1 6, I 5 ). Nel discorso di condanna-minaccia contro i fari­ sei, Gesù li accusa di badare alla purezza esterna, cul­ tuale, ma non a quella interna, vera (Le. I I ,39-40), e consiglia loro: «Date piuttosto in elemosina ciò che avete e allora tutto è per voi puro» (Le. I I ,4 I). Ecco la nuova, autentica purezza, quella del regno di Dio. Nei versetti seguenti ( 1 1 ,42-44) Gesù consiglia di unire al­ la purezza cultuale (il pagamento della decima) anche le cose più importanti: la giustizia verso il prossimo e l'amore a Dio. Questo contromodello va collocato nel­ l'ambiente sociale della Palestina di Gesù. Flavio Giu­ seppe lo conferma; egli descrive i farisei come persone che ci tenevano alla diversità e distinzione del loro ce­ to sociale elitario e all'onore conseguente. Invece di es­ sere critici verso i nobili e i ricchi in favore del popo­ lo, erano in pratica d'accordo con loro, specie sotto gli Asmonei e in particolare sotto la regina Alessandra.31 Anche loro praticavano il modello patrono-cliente co­ me appare dalla parenesi di Gesù in Le. I4,7- I I . Il clien­ telismo mirava al potere ed agli onori. La stessa rigida distinzione cultuale di puro e impuro, estesa dai sacer­ doti al popolo, e caratteristica loro secondo le fonti rabbiniche, Flavio Giuseppe e i vangeli,31 era volta ad 3 1 . Flavio Giuseppe, Bellum I, I I O- I 14.57 1 . 3 2 · H . Moxnes, The Economy, cit. (n. 1), sui farisei alle pp.

19 5

1 0- 2 1

(p. 1 1 ).

accrescere la ricchezza dei ricchi (cf. la denuncia degli scribi in Le. 20,47). I farisei erano quindi, sotto il pro­ filo socio-religioso, una classe superiore rispetto ai po­ veri, cui si rivolg�va il messaggio del regno, predicato e portato da Gesù; loro non ospitavano i poveri, forse con la scusa delle leggi di purezza legale. Negli Atti però i contromodelli non sono più i farisei, ma perso­ ne esterne alla comunità cristiana e al mondo giudai­ co, come il procuratore Felice (Atti 24,26). Conclùdendo il quadro dei modelli e contromodel­ li, si possono così sintetizzare schematicamente i tratti dialettici delle due figure: I . amore misericordioso e benefico - mancanza di giustizia e di amore 2. ridistribuzione dei beni - accumulo di beni e ric­ chezza 3· distacco dal danaro e dai beni - avidità di danaro 4· umiltà e gratuità - interesse, legato allo stato eli­ tario e agli onori.

3.2.1 .2. Modelli narrativi figurativi o parabolici. An­ che nelle parabole di Gesù, proprie di Luca, ricorre la stessa dialettica tra modello e contromodello. - Mo­ dello positivo per eccellenza è il buon samaritano del­ la parabola che illustra all'esperto della legge (nomikos) cosa significa «il prossimo» nel comandamento «ama il prossimo tuo come te stesso» (Le. 10,25-36; la para­ bola ai vv. 30-3 5). Gesù non dà una risposta halachica di tipo legale, ma racconta una parabola; la risposta è quindi aggadica, ma implicitamente argomentativa at­ traverso la trama del racconto. Gesù infatti rovescia completamente i termini della questione con la sor­ presa finale del povero «scriba», che si vede costretto ad accettare l'insegnamento implicito nella parabola esemplare. Invece di dare una definizione dell'oggetto in questione: «chi è il mio prossimo ?», costruisce nar-

rativamente l'oggetto, identificando il prossimo con «chi si trova nel bisogno o in una situazione dispe­ rata». E il soggetto etico, il modello, viene identificato addirittura con un samaritano. Per chi conosce l'am­ biente palestinese del tempo comprende bene la rivo­ luzione che sta sotto questa semplice strategia narrati­ va: i samaritani erano disprezzati dai giudei. Ora nella parabola è il samaritano e non un giudeo che aiuta l'e­ breo ferito, mentre non lo fanno il sacerdote e il levi­ ta, persone distinte del mondo ebraico. Sarebbe come se oggi un arabo musulmano si fermasse in Israele a soccorrere un ebreo ferito. «Va' e fa' tu pure lo stes­ so !» - conclude Gesù: aiuta il tuo prossimo, cioè qual­ siasi uomo, quando si trova in una situazione difficile, senza alcuna distinzione. Lui ha bisogno di te e tu lo puoi aiutare, puoi essergli «prossimo» e questo basta. Ad una domanda astratta, di carattere etico, Gesù ri­ sponde con un racconto vivace, i cui protagonisti so­ no delle persone vere, che interagiscono o come «non prossimo» o come «prossimo» nei confronti del ferito derubato. Il contromodello nella parabola sono nien­ temeno che il sacerdote e il levita. Ma si hanno tre parabole, che presentano intenzio­ nalmente dei contromodelli. Anzitutto quella del ricco stolto, che pensa di assicurare la sua vita con l'accumu­ lo dei beni, prodotti in una stagione favorevole (Le. 1 2, I J-2 I ); il versetto di passaggio alla parenesi, tipica­ mente lucano e sapienziale conclude: «Così è di colui che tesaurizza per sé e non arricchisce per Dio» ( 1 2, 2 1 ). La parenesi conseguente ( 1 2,22-34) spiega cosa si­ gnifica la strana espressione «chi non arricchisce per Dio»; ed anche qui lo stile è tipicamente lucano: «Ven­ dete i vostri beni e dateli in beneficenza, fatevi delle borse che non si sgualciscono, un tesoro inesauribile nei cieli» (Le. 22,3 3• simile, ma diverso da Mt. 6,zo s.). La seconda e terza parabola fanno da cornice (Le. 197

r 6, r - 8 e 1 9-3 1 ) ad una parenesi su mamona ( r 6,9- 1 3 ). La parabola del fattore disonesto, all'inizio (Le. r 6, r 8 ) ha funzione argomentativa, in quanto intende inse­ gnare il buon uso ,dei beni terreni. La seconda parabo­ la, conclusiva, quella del ricco impietoso e del povero Lazzaro (Le. r 6, I 9-3 1 ), è invece un modello narrativo, che intende dimostrare le conseguenze ultime di un comportamento egoistico ed impietoso: la perdizione escatologica senza speranza; ed è l'opposto del buon uso dei bèni, illustrato nella parabola di inizio. La parenesi mediana (Le. r 6,9- 1 3 ), costituita da una serie di detti collegati fra loro dalla parola gancio «amenfessere saldo, essere fedele, aver fiducia» (nella fase antecedente della tradizione orale aramaica, di cui è rimasto solo mamona) si riassume nel detto finale: «non potete servire Dio e mamona ( r 6, r 3 d).n Ma­ mona è la ricchezza, in quanto è «ciò in cui l'uomo pone la sua fiducia», la sua sicurezza; e per di più è «in­ giusta» (Le. 1 6,9), perché appartiene ad un «altro», e dev'essere perciò condivisa. Ed anche qui l'argomen­ tazione è costituita da una similitudine: «Nessuno può servire due padroni: infatti o odierà l'uno e amerà l'al­ tro, o si attaccherà al primo e disprezzerà il secondo» ( r 6, r 3abc). Le tre parabole: del ricco stolto, del fattore disone­ sto e del ricco impietoso, hanno tutte per tema il buon uso dei beni terreni e del danaro, che simbolicamente li rappresenta. Si deve imitare, non il ricco stolto o il ricco impietoso, ma il fattore disonesto: donare i beni (che non sono propri) ai poveri così da essere accolti da loro «nelle tende eterne» (Le. I 6,9 ). Si ha infine una parabola il cui modello è dialettico. 3 3 · Per la tradizione aramaica precedente cf. J. Dupont, Le beatitudini u, Alba 1 977, 25 9-267. Per la logica del contesto redazionale lucano si veda l'articolo recente di R.A. Piper, Social Background and Thematic Structure in Luke 16, in Fs. f Neirynck 11, Leuven 1 992, 1636-1662 (pp. 1653 s.).

I due personaggi sono contrapposti nel racconto stes­ so, il fariseo giusto e il pubblicano peccatore (Le. I 8, 9-I4). Il contenuto della parabola sembra voglia inse­ gnare come si deve pregare. Ma l'evangelista la intro­ duce interpretandola nel possibile senso etico: «Al­ l'indirizzo di alcuni, convinti da se stessi di essere giu­ sti e sprezzanti gli altri, disse pure questa parabola» ( I 8,9). Ciò che viene condannato nel comportamento del fariseo non è solo il suo orgoglioso vantarsi davan­ ti al Signore di essere giusto, ma anche e soprattutto il disprezzo per gli altri, i pubblicani peccatori, inferiori a lui; e ciò conferma il contromodello dei farisei sopra delineato. All'avidità di danaro si univano l'orgoglio, l'ambizione e il disprezzo degli altri. Al contrario amo­ re misericordioso e benefico ed umiltà camminano in­ sieme nel regno di Dio, ove sono accolti tutti gli uo­ mini senza distinzione. Se volessimo riprendere lo schema dialettico reale del modello e contromodello, sopra delineato, si vede che esso è uguale a quello figurativo, ora descritto, con una sottolineatura in più: l'amore benefico verso i po­ veri non deve aspettarsi ricompense terrene; la ricom­ pensa si avrà «nei cieli» (Le. I 2,3 3 ), «nella risurrezione dei giusti» (Le. I4,I4). 3 .2.2. Dai modelli narrativi alla parenesi ai ricchi. Abbiamo già riscontrato che due dei modelli narrativi parabolici si prolungavano in un commento pareneti­ co ( 1 2, I 3-2 I in 22-34 e r 6, r - 8 in 9- 1 3 ). Vi è anche al­ tro materiale parenetico in Lc.-Atti. Ma non è così am­ pio come in Matteo. Comunque ciò che è importante per la nostra tesi è che il poco materiale parenetico è coerente con l'etica narrativa, che lo precede o segue. La prima parenesi viene posta sulle labbra di Gio­ vanni Battista ed intende illustrare la conversione ri­ chiesta, nella sua concretezza etica. Tale materiale è 199

proprio di Luca (Le. 3,1o-q} e contiene delle indica­ zioni, che preludono e preparano il regno di Dio, an­ nunciato subito da Gesù. Le indicazioni concrete ri­ guardano due categorie sociali: 1 . chi possiede in so­ vrappiù deve condividere con chi è povero vestiti e ci­ bo, realizzando in tal modo la ridistribuzione e la con­ divisione dei beni accumulati (Le. 3,1o- 1 1). 2. A colo­ ro che praticavano un mestiere condannato dal giudai­ smo ufficiale, i soldati e i pubblicani, non chiede di abbandonare la loro professione, ma di praticarla con giustizia ed equità senza fare violenze o estorcere con la violenza o esigere di più del dovuto (Le. I 3 , I 2-14). Amore che condivide e giustizia che rispetta i diritti altrui: ecco quanto richiede il Battista per dimostrare la conversione avvenuta. Il presupposto morale di un tale comportamento è la rinuncia all'avidità del dana­ ro (pubblicani e soldati} e all'accumulazione dei beni a scapito dei poveri (i possidenti}. Gesù, nella redazione lucana, comanda in particola­ re la beneficenza; Luca la aggiunge anche dove non compare nel parallelo sinottico, come nel comando del­ l' amore ai nemici: «Amate i vostri nemici, beneficate

coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledico­ no, pregate per coloro che vi diffamano» (Le. 6 , 27 l Mt. 6,44). «Fare del bene, beneficare» gli altri, anche i ne­

mici, è fondamentale per Luca. Dio è misericordioso e benefattore; Gesù è pure misericordioso e benefattore; anche il discepolo di Gesù lo deve essere. La novità è l'estensione del comandamento della beneficenza ai ne­ mici, che vengono poi specificati in due modi nuovi: co­ loro che maledicono e coloro che diffamano. Gesù è il modello supremo e originario: muore come un marti­ re perdonando ai suoi crocifissori (Le. 23,34). Il perdo­ no fraterno senza limiti era fondamentale già nella co­ munità cristiana prelucana come risulta dalla fonte Q (Le. 1 7,3-4 l Mt. 1 8,23-3 5). Ma Luca lo accentua. 200

Una seconda caratteristica della parenesi di Gesù in Luca è il rovesciamento dei comportamenti usuali, un contromodello da evitare (Le. 22,24-30). Si hanno due testi parenetici che invitano ad un rovesciamento tota­ le del comportamento: chi è invitato e chi invita ad un banchetto, nella cornice di un banchetto, cui Gesù è invitato da un «notabile dei farisei» (Le. 1 4, 1 ), in gior­ no di sabato. E Gesù, invitato di spicco, approfitta per impartire alcuni insegnamenti legati proprio all'essere invitati oppure all'invitare ad un convito. Contro la lotta per i primi posti, agli invitati consiglia di assider­ si all'ultimo posto; se non fosse il suo, il padrone vie­ ne, lo invita ad andare avanti e così ha onore davanti a tutti i commensali (Le. 14,10). Anche se a prima vista il consiglio sembra una semplice norma di cortesia o al massimo di saggezza popolare, contiene in sé il ro­ vesciamento del comportamento (primo-ultimo), tipi­ co di Gesù, che ricorre poi nel contesto solenne del­ l'ultima cena (Gesù si comporta come «colui che ser­ ve», cioè come ultimo: Le. 22,27). Il secondo monito è rivolto al padrone che invita al banchetto: «Quando tu inviti a pranzo o a cena, non invitare i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini perché anche loro non abbiano ad invitarti a loro volta e ti contraccambino. Ma tu, quando offri un festino, invita i poveri, gli stor­ pi, gli zoppi, i ciechi. E beato sarai tu allora perché non hanno da contraccambiarti. Ti sarà infatti contraccam­ biato (passivo divino: Dio ti ricambierà) nella risurre­ zione dei giusti» (Le. 14, 1 2- 1 4). Gesù invita dunque i ricchi a condividere gratuitamente i loro beni, il loro cibo (parabola del ricco e del povero) con i poveri in luogo del rapporto interessato patrono-cliente, tipico dell'ambiente socio-culturale del tempo. I poveri sono i clienti di Dio. Lui ricompenserà ciò che si fa per i po­ veri «nella risurrezione dei giusti»: motivo escatologi­ co, questo, che può spingere all'amore gratuito. 20 1

Nel racconto dell'ultima cena, tipico di Luca, fra i sinottici, è il discorso di addio ai discepoli, in cui fa ri­ entrare la disputa sul «più grande», che Matteo e Mar­ co riportano in al�ro luogo (Mt. 20,2 5-27 / Mc. 1 0,424 5 ), verso la fine del ministero di Gesù. Luca la pro­ pone qui perché il servizio a mensa diviene il simbolo paradigmatico del «servizio agli altri». Anche in que­ sto caso Gesù contrappone il suo modello di autorità al contromodello dei «re delle genti»: 34 «I re delle na­ zioni dominano su di esse e coloro che esercitano il po­ tere si fanno chiamare 'benefattori'. Ma voi ... non sia così! Al contrario, chi è maggiore divenga come il più giovane (neoteros) e chi governa come colui che serve. Chi è infatti più grande: colui che è a tavola o colui che serve? Non è colui che è a tavola? Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Le. 22,24-27). La lavanda dei piedi, nella tradizione giovannea dell'ulti­ ma cena, è l'illustrazione concreta più plastica di que­ sta parenesi. A parte il comandamento della beneficenza e dell'a­ more misericordioso ai nemici, che vale per tutti, la pa­ renesi lucana di Gesù sembra rivolta principalmente a chi è ricco e a chi ha autorità per ricordare al primo il dovere di condividere, al secondo il governo come ser­ vizio umile di coloro che governa. La condivisione dei beni è anche il contenuto della parenesi del Precursore e l'autorità come servizio è im­ plicita nel suo comandamento a pubblicani e soldati (ambedue rappresentanti dell'autorità romana) di esse­ re giusti ed equi. Lo stesso orientamento di base è in­ sito nel detto di Gesù ricordato da Paolo: «Vi è più gioia nel donare che nel ricevere» (Atti 20,3 5 ). È facile constatare come la parenesi specificamente 34· Sul banchetto come luogo in cui la nuova comunità mostra il suo vol­ to, e la cui espressione più emblematica è l'ultima cena e il discorso di ad­ dio, cf. il suggestivo articolo di H. Moxnes, sopra citato (n. 2 1 ).

202

lucana venga personificata dai modelli narrativi sopra presentati: Gesù, Maria, Zaccheo, le donne che sov­ vengono Gesù e i primi missionari, la comunità di Ge­ rusalemme, Pietro e Paolo. L'insistenza sul «beneficare» e il «servire», sul «do­ nare senza limiti» e sul rovesciamento dei ruoli sociali ci porta al problema più dibattuto in epoca moderna: la questione dell'etica sociale in Luca. 3 . 2 . 3 . L 'etica sociale nell'opera lucana.H Dall'accen­ tuazione lucana della condivisione-beneficenza, del­ l'interesse per i poveri, dello spirito di servizio umile verso i «piccoli» deriva il suo carattere sociale. Costretti ad essere brevi, rimandiamo per l'ambien­ te culturale e storico-sociale alle monografie sopra ci­ tate di Horn, Eisler e Moxnes, e qui ci limitiamo alla prospettiva propriamente teologica. Ora, a questo livello, si deve dire che, mentre l' evan­ gelista ha ben presente la situazione sociale del suo tempo e in particolare della Palestina del 1 secolo, le soluzioni che dà non hanno carattere socio-politico, ma teologico, per cui giustamente Moxnes parla di «e­ conomia del regno di Dio>>. Lo possiamo constatare nel suo affrontare tre problemi: quello della povertà e dei poveri, quello della donna e quello degli schiavi. Luca, anzitutto, non esalta affatto la povertà; non è un ebionita né un filosofo cinico. E tanto meno un ri­ voluzionario per cui la condanna dei ricchi rappresen­ ti la lotta dei poveri contro i ricchi, per imporre una giustizia sociale, magari con la violenza. Tant'è vero che negli Atti non si trova mai la parola ptochosjpove3 5. Sull'etica sociale di Luca-Atti e l'ambiente sociale in cui va posta, oltre alle monografie di Esler e Moxnes, citate alla n. 1, si possono leggere due brevi articoli recenti, rispettivamente di Mary Ann Beavis ("Expecting Nothing in Retum•. Luke's Picture ofthe Marginalized) e di Halvor Mox­ nes (The Social Context of Luke's Community), apparsi in lnterpretation 48 ( 1 994) 3 5 7-368 e 3 79-389.

203

ro e l'unica volta che si parla di endeesfindigente (Atti 4,34) è per negare che nella comunità cristiana di Ge­

rusalemme ce ne fossero; situazione, che riflette piut­ tosto quell'ideai� di condivisione dei beni donati da Dio, che si legge nell'antico codice deuteronomista (Deut. I 5 ,4 LXX). Non la povertà, ma i poveri sono il centro di interesse dell'evangelista. Sono essi l'oggetto della beatitudine del regno e già in questo mondo ne beneficiano attraverso il rispetto della loro dignità (cf. l'offerta della vedova), l'invito fatto ai ricchi di condi­ videre con i poveri i loro beni mediante la beneficen­ za, l'invito a mensa di poveri ed handicappati, la con­ divisione realizzata nella comunità cristiana, luogo del regno di Dio. Nell'economia del regno si viene, in tal modo, ad eliminare la povertà e a far scomparire i po­ veri. Siccome il cristiano sul modello di Gesù è «uno che serve>> con la sua persona e con i suoi beni, poveri e malati sono i primi a ricevere le premurose attenzio­ ni della comunità cristiana. Se di rivoluzione si volesse parlare, si tratterebbe di rivoluzione della carità. La stessa cosa vale per il problema della donna.16 Nell'opera lucana essa balza in primo piano, ed è la donna ricca ed abbiente, anche se non vi manca la po­ vera vedova. Ma con ciò non si elabora alcun program­ ma di emancipazione sociale. La donna semmai sem­ bra essere più vicina al regno di Dio, perché è sempre presentata in luce positiva come colei che già in Maria è credente ed umile «serva del Signore». Le donne che incontriamo, a parte la povera vedova e le malate gua­ rite, sono al seguito di Gesù e benefattrici di lui e del suo gruppo, modelli eminenti di pratica dell'etica del regno di Dio, predicata da Gesù. Infine, lo stesso vale per il problema degli schiavi, 36. Su questo argomento si può leggere ora la monografia di Seim Turid Karlsen, The Double Message. Patterns ofGender in Luke-Acts, Edinburgh 1 994, che io però non ho potuto avere tra mano.

204

tanto che nell'uso di doulosfschiavo prevale il senso fi­ gurato su quello reale. La politica dall'etica lucana è la­ sciata da parte. Gesù è realista. Sa che i re delle genti dominano e sfruttano; ma egli si dimostra leale verso lo stato (Le. 20,22-25). Soldati e pubblicani, strumenti del potere romano, sono invitati a continuare il loro mestiere con onestà. L'interesse sociale per i poveri, i malati, gli emarginati, non implica nessuna rivoluzio­ ne o ribellione contro ricchi e potenti. Se non vi è un'etica della povertà, nell'opera lucana vi è però, e molto sviluppata, un'etica della ricchezza, presente nella parenesi ai ricchi. La ricchezza ha due aspetti come il diritto e il rovescio di una medaglia: è un mezzo per beneficare i poveri, perfino i nemici e per aiutare la comunità cristiana con la condivisione della casa (luogo di riunione dei cristiani) e dei beni (beneficenza) nella gratuità assoluta, senza neppure quell'interesse del padrone ricco che attraverso la pro­ tezione e l'aiuto materiale intende legare a sé il cliente povero. Ma la ricchezza può essere anche un pericolo per la salvezza se l'uomo ricco pone la sua fiducia e si­ curezza nella mamona e serve la ricchezza invece di servire Dio. Esaminiamo i due aspetti analiticamente. La ricchez­ za può essere mezzo di beneficenza (Luca sottolinea il donare gratuito). Già nella parenesi di Giovanni Batti­ sta ricorre l'invito alla condivisione del cibo e del ve­ stito rivolto a chi ne ha in più (Le. 3 , 1 2). E Gesù rifiu­ ta apertamente l'etica del contraccambio, sia essa pra­ ticata in ambiente giudaico che ellenistico. Il dono de­ v' essere assolutamente gratuito. Il beneficare poi ab­ braccia tutti, anche i nemici poveri. È il ricco che di­ viene «prossimo» al bisognoso come il mercante sama­ ritano della parabola; ed è la persona con autorità che deve porsi a servizio degli altri, all'ultimo posto. La vera purezza, nuova, del regno, consiste nel vendere i 20 5

propri beni e darli in beneficenza ai poveri (Le. r r ,4 r ). La carità concreta dimostra il distacco interiore dalla ricchezza, e insieme l'amore al prossimo; è questa la pu­ rezza autentica del cuore. Zaccheo, ricco, ma conside­ rato peccatore pe�ché pubblicano, è il modello che per­ sonifica la nuova legge della purezza. Paolo, nel suo discorso di addio ai presbiteri di Efeso è pure un mo­ dello di disinteresse e di carità concreta: a nessuno ha chiesto danaro o vestiti, il suo servizio fu gratuito (At­ ti 20,33)i si è procurato lui, col suo lavoro, quanto era necessario per vivere, anzi, col ricavato, ha pure aiuta­ to i collaboratori e i deboli della comunità (Atti 20, 343 5 ), fondando questa sua attività gratuita su un detto di Gesù (20,3 5d). La vera ricchezza è il regno di Dio: «Cercate il suo regno e queste cose vi saranno date in sovrappiù» (Le. 1 2,3 r ) . Anche la ricchezza materiale dev'essere posta a servizio della vera ricchezza, quella presso Dio (Le. 1 2,2 1 ). E lo si fa con la ridistribuzione dei beni ai poveri. Ma la ricchezza può costituire anche un pericolo: il servizio alla ricchezza è in opposizione dialettica al ser­ vizio di Dio. È questo il principio fondamentale del discorso sulla ricchezza. «Servire mamona» significa il possesso egoistico e idolatrico; la ricchezza diviene il dio, in cui si pone fiducia e sicurezza, come risulta dal­ la parabola del ricco stolto. Non è quindi beatificata la povertà e maledetta la ric­ chezza; ma sono beatificati i poveri e minacciati i ric­ chi. I «guai» ai ricchi (Le. 6,24-26) mirano alla loro con­ versione, la minaccia escatologica dovrebbe indurii a condividere la loro ricchezza con i poveri in modo da trovare chi li accoglie «nelle tende eterne» (Le. r6,9). La parenesi lucana sembra essere rivolta ai ricchi cri­ stiani della comunità perché accettino la nuova econo­ mia del regno di Dio. Ai ricchi non si chiede di ven­ dere tutto e darlo ai poveri, almeno non a tutti; non a 206

Zaccheo. Ciò valeva per la comunità dei «dodici»; per la chiesa delle origini come richiesta libera; e per casi particolari anche nella chiesa lucana. Ciò che è sempre richiesta è invece la beneficenza e la condivisione gra­ tuita. In tal modo si evita di fare della ricchezza un mez­ zo di sicurezza propria e di dominio sugli altri, accu­ mulando beni e privandone in corrispondenza i pove­ ri: la legge perversa che spesso vige nella nostra società capitalista. La beneficenza e il servizio umile nel regno di Dio è per tutti gli uomini senza distinzione, e arriva ad includere persino i nemici; ed è per tutto l'uomo nella sua integrità corporale (guarigioni), sociale (con­ dizione socio-economica) e spirituale (la comunione con Dio). Dov'è fondata l' «economia del regno», che propo­ ne una comunità alternativa alla società mondana, strutturata, questa, sullo sfruttamento, sul potere, sul dominio, sull'accumulo dei beni privandone i poveri ? 3 .2.4.

La fondazione cristologico-escatologica. Quali

sono dunque i punti di riferimento e le motivazioni di un'etica, che rovescia il modo comune di agire e di or­ ganizzarsi fra gli uomini ? Non è certo un'etica della legge se non nel senso ra­ dicale dell'unico comandamento fondamentale dell'a­ more a Dio e al prossimo, interpretato da Gesù con la sua vita e la sua parola. La legge mosaica non viene abolita, ma neppure viene collocata al centro dell'eti­ ca; essa, con le decisioni del concilio di Gerusalemme, viene praticamente abbandonata, nel suo insieme, al­ meno per gli etnico-cristiani. La fondazione dell'etica è dunque in Gesù stesso co­ me modello originario e come maestro che insegna la nuova etica del regno, invitando ad un nuovo tipo di economia che privilegia i poveri e i deboli; un'etica co­ struita perciò a partire dalla prospettiva dei poveri. Es-

sa contiene pochissime norme concrete; essendo nar­ rativa, rimanda a modelli complessivi, che indicano la via pratica da seguire, nel rapporto con gli altri. «Ser­ vizio umile» e «b,eneficenza senza limiti» sono le due parole d'ordine. Gesù peraltro motiva la sua richiesta di distacco dal­ la ricchezza con la beneficenza ai poveri, ricordando la «ricchezza presso Dio» (Le. 1 2,21), i poveri da farsi amici per. essere da loro accolti dopo la morte nelle ten­ de eterne (Le. 1 6,9), e la ricompensa «nella risurrezione dei giusti» (Le. 14, 1 4). Quest'etica è la nuova giustizia, per cui coloro che la praticano sono «giusti» e come tali risorgeranno. Il motivo escatologico della ricom­ pensa eterna presso Dio per la beneficenza e la ridistri­ buzione dei beni ai poveri ricorre continuamente con varia formulazione simbolica (il cielo, il tesoro inesau­ ribile, la borsa che non sgualcisce, le tende eterne, ecc.). Il regno di Dio, che si instaura sulla terra, porta an­ che il benessere fisico e sociale a tutti gli uomini, oltre a quello spirituale, proprio perché spinge alla ridistri­ buzione dei beni e alla solidarietà nel servizio recipro­ co. Però gli uomini, e in particolare i ricchi, devono accogliere l'invito al regno e alla sua nuova economia terrena in funzione di quella celeste. In tal modo la buona economia celeste farebbe funzionare bene an­ che quella terrena, in favore dei poveri, degli emargi­ nati e dei peccatori. 3 .2.5.

Chi è il soggetto etico? Di fronte ad un'etica

così radicale ed esigente ci possiamo chiedere a chi è rivolta, chi è il soggetto etico interessato. In linea di principio è rivolta a tutti gli uomini, ebrei e gentili, tutti invitati ad entrare nel regno di Dio. Ma chi la ac­ coglie e la pratica concretamente è il discepolo di Ge­ sù, che accetta di entrare a far parte del regno, da lui praticato e predicato, regno della condivisione e del 208

servizio di amore agli altri senza limiti e a tutti i livelli. I gentili sono invitati a convertirsi, a ritornare a Dio, dimostrandolo con «opere degne della conversione» (Atti 26,20 ). E le opere della conversione sono appun­ to le opere di amore, di beneficenza, di servizio. Il di­ scepolo di Gesù, il convertito dagli idoli al Dio viven­ te è uno che si fa prossimo agli altri senza limiti di persone e senza limiti nel dono gratuito. È «uno che serve», e lo è in primo luogo chi nella comunità eserci­ ta il potere, è rivestito di autorità ed è il primo sul­ l'esempio di Gesù nell'ultima cena, che serve a mensa. È uno che si mette sempre all'ultimo posto per alline­ arsi con gli ultimi. Questo modo coerente di agire ri­ vela l'essere, la purezza del cuore (Le. 1 1 ,40-4 1 ), ani­ mata dall'umiltà di fronte a Dio {le parabole dei servi inutili e del fariseo-pubblicano) e agli altri (prendere gli ultimi posti e non giudicare né disprezzare), e dal­ l'amore gratuito senza limiti, fondato a sua volta sul servizio a Dio nel suo regno. Una via dura, difficile che passa attraverso la pos­ sibile persecuzione, maledizione e persino la morte del martire come Gesù, perché, nonostante la presenza di­ namica del regno di Dio nel mondo, rimane in esso pre­ sente - e come! - il contromodello mondano. La comu­ nità cristiana è una cellula del regno di Dio in un mon­ do che gli è ancora e sempre ostile, che serve mamona e il potere, che accumula e sfrutta, creando i poveri; ed è perciò un mondo in cui vi sono poveri, malati, emar­ ginati, diseredati, perseguitati, oppressi, e così via. Il soggetto etico è dunque il discepolo di Gesù, mem­ bro del suo regno, cioè della comunità cristiana, che nelle sue decisioni si lascia guidare dalla nuova etica del regno di Dio, presente in Gesù. Tra i discepoli vanno però distinti coloro che si dedicano totalmente al ser­ vizio del regno come i missionari e i capi di comunità, e i credenti che vivono una vita ordinaria, esercitando

la loro professione; a tutti è comunque richiesto lo spi­ rito di umiltà e di servizio, nell'obbedienza al modello personale e alla parola di Gesù.

Conclusione L'etica lucana, essendo un'etica narrativa non si iden­ tifica con una legge, ma con una persona storica, quel­ la di Gesù, con la sua storia, una storia ora narrata. Il modello da seguire, il criterio dell'agire è il comporta­ mento di Gesù e il suo insegnamento, costituito da bre­ vi sentenze sapienziali o profetiche. Pochissime nor­ me e invece ideali altissimi, apertissimi, espressi con di­ vina semplicità. Sconvolgimento di ogni modello cor­ rente di etica sia giudaico che greco-romano, anche i più elevati. Eppure questa etica ha affascinato i veri cri­ stiani e le vere comunità cristiane di ogni tempo, che hanno tentato seriamente di realizzarla. Per profilare più specificamente l'etica lucana, pos­ siamo brevemente confrontarla con quella paolina sul problema tipico delle opere (della legge). Mentre per Paolo prima viene l'essere nuovo, donato da Dio con la giustificazione mediante la fede e poi la possibilità e l'agire nuovo, in Luca invece è l'agire che precede e ri­ vela l'essere interiore nuovo, sono «le opere di con­ versione» come le chiamano sia Giovanni Battista (Le. 3 ,8) sia il Paolo degli Atti (Atti 26,2o). E l'uomo, sia ebreo che gentile, può col suo comportamento buono disporsi ad accogliere il regno, il battesimo, lo Spirito. Basti pensare alla figura emblematica di Cornelio. In­ somma Luca è ottimista mentre Paolo è pessimista nei confronti dell'uomo sotto il profilo etico-religioso. Inoltre lo Spirito, a differenza di Paolo, non ha valen­ za etica, ma carismatica. E tuttavia anche per Luca è ne­ cessario il dono previo e l'intervento di Gesù e del re­ gno di Dio per cambiare l'uomo e la società degli uo210

mini. Ma sembra che per lui e la sua comunità non siano necessarie molte norme etiche, come risulta invece dal­ la parenesi delle lettere paoline. Quella che Luca inten­ de descrivere è la fede e la prassi cristiana e la sua pra­ tica nella comunità cristiana delle origini: un'esperien­ za entusiasmante, tanto che anche le controversie sor­ te nella chiesa vengono infine tutte risolte pacificamen­ te e con grande edificazione del lettore. Alla fine di questo tentativo di offrire una carta di identità dell'etica lucana, se ne potrebbe tentare qual­ che qualifica, una sorta di tratti sintetici. È un'etica del regno di Dio, misericordioso e benefi­ co, che vuole far partecipi in Gesù tutti gli uomini della sua volontà salvifica, e in questo senso supera la legge mosaica, riservata ad un popolo particolare, elet­ to da Dio. È l'etica specifica di Gesù, dei suoi discepoli e della sua comunità, un'etica della condivisione, della bene­ ficenza e dell'amore misericordioso in contrapposi­ zione all'etica mondana egoista della ricchezza e della potenza economica e politica come strumento di sicu­ rezza e di potere. È un'etica universale perché il prossimo non è più oggetto di amore, ma soggetto responsabile dell'amo­ re benefico e servizievole, che si rende prossimo ad ogni persona bisognosa di aiuto, sia essa familiare, conna­ zionale o perfino nemica. È perciò un'etica della responsabilità e della condi­ visione, che spinge il soggetto umano, chiuso nella sua pur retta intenzione e pietà misurata sulla legge, ad a­ prirsi all'altro, povero, emarginato, peccatore e così via, di cui si sente responsabile. Il prossimo è «l'altro». L'e­ tica lucana privilegia l'altro come uomo che il disce­ polo di Gesù si sente chiamato a servire invece di pri­ vilegiare la legge con cui confrontarsi, pur contenendo la legge il comandamento fondamentale dell'amore. lI I

Che l'etica lucana sia di bruciante attualità non oc­ corre dimostrarlo, in un mondo in cui il solco fra ric­ chi e poveri si fa sempre più profondo per l'accumulo di beni in mano dei ricchi a sfavore dei poveri. Ma per metterla in praticà a livello personale e comunitario oc­ correrebbe ritornare a quell'entusiasmo delle origini cristiane che Luca ci narra con racconti e parabole in­ dimenticabili. Dobbiamo ricordarlo. La sua narrazio­ ne è una pittura e non una fotografia. Rappresenta l'i­ deale; neppure la vera, storica comunità cristiana delle origini raggiungeva l'ideale; e ciò viene documentato da qualche smagliatura nella narrazione lucana, costi­ tuita da aneddoti concreti negativi come quello di Ana­ nia e Saffira (Atti 5 ). Comunque, quanto narra Luca di Gesù e della comunità cristiana e del suo sviluppo mis­ sionario non intende essere solo una bella storia pas­ sata, edificante, come pensava Conzelmann di Luca; è una storia che parla sempre anche al presente e invita a non aver timore di essere in pochi ad accogliere il mes­ saggio etico del regno di Dio, portato da Gesù; ma in­ vita i pochi a prendere sul serio il messaggio e a tra­ durlo nella storia di oggi, facendosi carico dei molti «altri» con la condivisione, lo spirito di servizio, la be­ neficenza, l'amore misericordioso. In tal modo la nar­ razione modello si traduce continuamente in storia at­ tuale di salvezza per l'uomo in Gesù e nel suo regno. EPILOGO. SIMPOSIO GRECO E BANCHETTO LUCANOl7

In questo breve epilogo vorrei sintetizzare l'etica nar­ rativa lucana e la nuova comunità che vi si rivela con 37· Un breve, illuminante contributo è quello, più volte citato (n. 2 1 ) di H. Moxnes, Meals and new community in Luke; più recente, con una buona sintesi e ampia bibliografia, Peter K. Nelson, Table Motifs, in Leadership and Discipleship. A Study of Luke 22:24-30, Atlanta, Ga. 1994, 5 1 -74. 212

una figura reale e al contempo simbolico-paradigmati­ ca: il banchetto, ove è presente Gesù e che egli confi­ gura su di sé (vangelo) o il banchetto di chi è discepo­ lo di Gesù (Atti). È tipico di Luca-Atti il descrivere il banchetto come luogo in cui Gesù insegna, analoga­ mente al simposio greco, di cui il modello più alto è il Simposio di Platone. Luca non solo racconta dei ban­ chetti in cui Gesù insegnava (ad es. 5,27-32; 14,1 -24) e nell'ultima cena (Le. 22,1 4-30), ma narra anche parabo­ le di banchetti: l'invito al grande banchetto (Le. 14,1 s 24), la posizione dei servi e del padrone (1 7,7-8) oppu­ re la ricompensa degli schiavi che il padrone trova fe­ deli, e che serve, rovesciando i ruoli usuali (Le. 1 2,37). Ora, si può facilmente osservare una grande diffe­ renza fra il simposio greco e il banchetto lucano. L'uno si celebra in un ambiente distinto, ove un'élite intellet­ tuale discute di alti argomenti filosofici dopo la cena, mentre si beve del vino insieme (sim-posio); vi sono schiavi e flautista, che vengono però allontanati durante la discussione, i partecipanti fungono da maschere che rappresentano tesi diverse sul tema trattato. Confron­ tandolo col banchetto lucano, questo si distingue dal simposio, in primo luogo, per il suo carattere demo­ cratico a livello sociale, in secondo luogo perché l'in­ segnamento non è di carattere teorico-pratico, ma sem­ mai pratico-teorico, si insegna cioè con l'azione, col servizio agli altri («Io sono mezzo a voi come uno che serve» o «come un medico che cura i malati») e infine perché i , ruoli e i ranghi sociali vengono rovesciati: il primo deve porsi all'ultimo posto, quello del servo. Il banchetto lucano si distingue inoltre anche da quelli degli ebrei osservanti come i farisei; essi poneva­ no limiti nella partecipazione (solo i membri delle ha­ burot) per motivo della purezza legale; distinguevano molto bene i ruoli sociali e seguivano la prassi del pa­ trono-cliente per cui i favori dati erano ricambiati. 213

Il banchetto lucano rappresenta perciò, in miniatu­ ra, la nuova comunità cristiana, seguace di Gesù. Chi sono gli invitati al banchetto del regno? Tutti senza li­ mite e senza alcuna distinzione di puri e peccatori, po­ veri e ricchi, gentili (Cornelio) ed ebrei; Gesù inoltre invita i ricchi ad offrire il loro banchetto a poveri ed handicappati, che non possono ricambiare. Nessun li­ mite perciò è posto nella comunità, aperta a tutti, non elitaria. Inoltre i ruoli interni al banchetto (servi-ser­ viti/primi-ultimi) vengono rovesciati. Chi è primo de­ v'essere ultimo e servo di tutti. L'invitato poi deve pra­ ticare anche lui l'umiltà, e porsi all'ultimo posto. La concezione teologica che sta alla base di questo modello nuovo è il regno di Dio ove Dio è Signore e benefattore di tutti. Egli rompe ogni divisione e uni­ sce tutti nel suo regno, offre a tutti il necessario me­ diante la condivisione; e la guida della comunità non è più gerarchica in senso mondano, ma di umile servi­ zio sull'esempio originario di Gesù. Il banchetto luca­ no, rivoluzionario rispetto al simposio greco e al ban­ chetto farisaico, rivelava la novità portata da Gesù e dalla comunità cristiana. E la comunità cristiana delle origini si è plasmata proprio nel banchetto e mediante il banchetto: nel banchetto eucaristico, nella catechesi impartita durante le riunioni liturgiche e nel seguente costume cristiano che si instaurava con i pasti presi in comune nelle grandi case dei cristiani più abbienti co­ me appare dai sommari, anche se ideali, degli Atti.

Indice dei passi citati ANTICO TESTAMENTO Genesi 1 -2: 1 10, I 56 I,27: 1 4 5 2,24: I45

Esodo 5 , 16: I48 20, 1 2: 139. 148 20, 1 3 - 1 6: 148 2 1 , 1 7: 139

Levitico 1 1 , 1 6: 140 20,9: 139

Numeri 30,3: 139

Deuteronomio 5 , 1 6: 139

S , I 7-20: 148 6,4-5 : I 5 0 1 5·4 = 204 I 5 ,8: I78 24, I-4: I 89 24,1 : 145 1

Samuele

1 5 ,22: 1 p 2

Maccabei

I,J: 1 54 7·34-36: 104

Siracide 16,3: I 54

Isaia z: 41, 74 7·I4: 69 29,I3: 67, 88, I39 48,14: 1 54 56,7: 1 14, 1 16 5 8 , 1 3: I 5 4

Geremia 6,!6: p

Salmi

Osea

10,36: 1 5 4 13,2 1 : 1 54 39.9= 1 54 142,10: 1 54

6,6: 50, 75

Michea 4= 4 1 , 74

NUOVO TESTAMENTO Matteo I , I : 73 1 ,23: 69 1, 19: 47 1,23: 30 3,8-1o: 53 3 , 1 5 : 26, 34, 46, 59, 74 3,16: 23 4·23-25: 2 1 4·23: 56. 78 5,1: 73 5·3 - 1 2: 57. 59 5·5= 4S. 5 1 5,6: 26, 45

5,10: 4s, 66 5,12: 54· 55 5,13-I 5: 72 5 , I 6: 72 5 , 1 7: 27, 46, 5 1, 52, 6o S , 1 7 s s : J2, 67, 74 5·17- 20: 22, 33 5,19: 1 7, 67, 76 5,20: 26, 45· 66, 70 5,2 1 -48: 57 5·23: 142 5,31- p: 57 o 145 S .43 -47= 50 5.46: 50, 5 5

215

5·47= 47 5.48: 50 6, 1-33 : 46 6,1-8: 57· 59 6,! -6: 28, 67 6,1-4: 1 84 6, 1-2.5- 16: 54. 5 5 6,1 : 46 6,z: 73 6,5: 75 6,7: 47 6,1o: 49, 59 6,12: 142 6, 14: 142

6, I 6- I 8 : 28, 67 6,I6: 75 6,20-2I : I97 6,24: 68 6,25-34: 68 6,p: 4 I 6,3 J: 26, 46 6,3 8-42: 68 6,44: 200 7,I -2 I : 5 7 7, I-5: 68 7.5: 75 7,I 3 -27: 6 I 7·I 3 - I4: 68 7ri5-21: I 8 7·I 5 -20: 53 · 76 7·I 5 s : 3 2 7,I6-I9: 54 7,I7: 5 3 7,2I -23 : 76 7r2 I : 48, I 54 7,23: 29, 47r 48, 5 I 7o24-25 : 56 8,4: 74 8,12: 27, 76 9, I3: 50, 75 9,3 s: 56 I0,5 - I 8 : 4I Io,sh- I s : 7I Io,s-6: 26 10,7: 56 IO, IO: 5 5 IO,I 6-23: 7I I O, I 7: 78, 79 I0,23: 26 I0,24-42: 7 I I0,34-37: 82 I0,4I -42: 54· 55 I0,4I : 47 I I ,I: 56 I I , I 3 : 32 I I, I4: 5 3 1 1 ,25-30: 57 1 1 ,25-27: 5 1 I I,28-3o: 5 I , 5 2 , 60 12.7: 75 12,9: 78;

12,I8-2 I : 4 I 12,3 I: 49 I 2,32-3 3: 57 I2,46-5o: 4I, 58, 62 1 12,50: 49, 62, I 54 I 3 , I3-36: 75 I 3 , I 3: 75 I3, I 5: 75 I 3 , I 7-43: 47 I 3, I 8-23: 5 8 , 72 I3,24-30: 47r 76 I3,25: 75 I 3,27: 75 I3,28: 76 I3,29: 75 I3,36-43: 47· 58, 76 I },38: 27, 45 I 3,4 I: 29 I3,42: 76 I 3 ,44-46: 46 I 3 ,5o: 76 I 3,52: p , 72 I4,46- so: 82 I 5 , I -20: 67 I S ,4-7: 67 I 5 ,7-9: 67 I 5,7: 75 I 5,I6: 5 I I 6,I6: p , 54 I 6, I 8- I9: 4I, 70 16,24: 53 I7,4: 53, 74 I 8, I - I4: 63 I 8, I-4: 43 I 8,I: 7Ir 76 I 8,6-Io: 7I I 8,6: 49 · 63 I8, Io: 49, 65 I 8, I 2 - I J : 72 I 8,I4: 49r 6s, 73 I 8, 1 5-I8: 72 I 8, I 5-I7: 6 3 I 8 , I 5 : 63 I 8,I7: 47 I B,I 8-2o: 30 I 8, I 8 -I 9: 54 I 8, I 8 : 41, 63, 70

216

I 8, I9-20: 63 I 8,2 1-3 5 : 63, 200 I 8,2 I -34: 29 , 62 I9,4-6: 1 45 I9,7: 74 I9,8: 75 I9o9: 57· I45 1 9,12: 72 I 9,I7-I9: I 7, I 9 I 9,I7: 5 3 I9,2I : so, 5 3 20,8: 54 20,24-28 : 64 20,25 -27: 202 20,28: 29 2 I ,28-J2: 5 7 2 I ,28-3 I: 47 2 I 03 I: 47 2 I ,3J-43: 4I, 54 2 I ,43: 22, 78 22, I 3 : 76 22, I 8: 7s 22,24: 74 22.36-40: I 7, 67 22,36: I 5 I 2J,2-3: 5 9. 75 23·4: 74 23,8- I 3 : 43 23,8- 1 2: 65 23,8- 1 1 : 30, 59, 62, 69 23 r 9: 62 23,I0: 69 23, 1 1 : 7 I ; 23,2355: 26 23,28: 48, 73 23,3 I : I 54 23,34: 72 24·3: 50 24,7·9: 4 I 24,I I s : 32 24,1 2 : 29, 48 24, p : 75r 76 25,I-I3: 6 I 2 5 , I 4-30: 6 I ; 25,30: 76 25,3 I-46: I 8, 20, 28, 52, 61

2 5, } 2: 4 1

3,6: 88 103, I I4, 1 20

2 S , J 4: 66

3,7- 1 2 : 10 3

2 5 ,37- 46: 47

3 , 1 3- 1 9: 1 0 3

2 5.40: 62, 66 26,2

ss:

7, 1 6 -2 3: 1 3 8 , 140 7, ! 8 - !9: 140

3 ,20 - J S ; 10 3

2 S ,46: 4 8

7 , 1 9: 109, I I 5 , 1 20, 1 3 8

3,20 -2 l ; 1 0 3

29

7,2 1 -23: 1 1 4, 140

3 ,20: 1 3 6

8,3-3 8: 9 5

3·24-27= 93

26,39- 43: 74

8, 14-2 1 : 1 1 2

3·3 1 - J S : 48, 97· I O ! ,

26,42 : 49, 5 8 , 62 26, 48: 5 9

7, 1 5 : u4, 1 1 9

1 36, 1 4 1 , 143

8 , ! 7: 88 8,22-26: 1 03

2 7,5 7= 5 1

3,3 1 : 1 3 6

2 8 , x o: 62

8,2 7-30: 1 03 , 1 26

3,32: 1 3 6

8,27: 88 97

28, x 6 - 2o: 24, 29, 30,

3 •3 3 : 9 8 , 1 3 6

44· 8 !

8,29: 1 26

3,34 .J 5 : 1 20, 1 36

8,3 1 -3 8 : 96, 106, 1 2 S ,

2 8 , x 8 : 1 7, 28, s 8

4, 1 -34: 1 1 2

8,3 1 -3 3 : 1 26

6 s , 68, 74 28, 1 9: p , 70

4, I I - 1 2: 108

8,3 1 : 1 2 5

4,21 - 22: 1 0 1

8,3 2 -33: 1 2 5

5 , p : 94

8, 3 3 : x 2 5 , 1 26

5·34= 99

8,3 4-3 8: 1 2 5 , 1 26, 1 2 7,

28, 1 6: 6 3

3.34: 1 37

28, 1 9-20: 26, p, 56,

28,20: 1 7 , 6o

1 26, 1 3 4

4, 10 ss: 94

8,3 1 -3 2: 1o6, 1 2 S , 1 26

Marco

6, 1 -6: 1 03 , 1 20, 1 3 6

1 , 1 : 100, I l 9, 1 20, ! 6 !

6,6b: 1 03

1 , 2- 1 5 : 1 07, l 1 9

6,7. 1 3 : 97, 1 03

1,2- 3 : 8 8 , 1 24

6, 12: 97, 103, 1 24

1 ,4: 1 2 3 , 1 24

6,!4- 1 5 : 1 03

1,1

t:

to6 8,34: S J , 1 2 7, I S J , 8, J S -3 8 : 1 2 7 8, J 5: 1 26, 1 2 7

6, x 8 : I I 2

1 37

1 , 14- I S : 9 S • 97 • 99 • 1 03 ,

1 34

8, J 4-37= 9 1 , 97. 100,

6, J 5 = 94

8,36-3 7: 1 2 7, 1 5 8

xo8, I I 9, 1 22, 1 23 ,

6,4s - s z : I I 2

8,38: 1 o r, 1 26, 1 28 , 1 34

138 1,15:

1 23 ,

1 ) 4, 1 4 } ,

6, s z : 8 8

9,3o- so: 1 2 8

1 33,

7, 1 -2 3 : 10 7, I I 2, I I 3 ,

9,3 0-J I : 1 29

S J , 1 54,

I l 5 , 1 20, 1 3 7, 143,

125, l

7, 1 - s : 1 3 8

16!

1 , 1 6 - 20: 94, 97,

xor,

r o 8 , 1 2 2, 1 2 3 , 1 24 1 , 2 1 - 2 8 : 1 03 1 ,24: 1 0 3

9,3 1 : 106, 1 2 5 , 1 29 9,J 2-34= 1 2 5 , 1 2 9

7,3- 4: 109, 1 3 8 7, 5 : 1 3 8

2, 1 - 1 2: IOO, I I6

7,6: 1 3 7

2 , 1 4 - 1 6 : 94

7,8 - 1 3 : 1 3 8

2, 1 7: 1 00

7,8: 1 3 8

2,24 - 26: ! 1 2

9,3 1 - so: 1 3 5

7, 1 - 2: 1 3 8

2 , 1 3 - 1 7: I I 6

2, 2 1 -22: 1 07, 1 14, I l S

9,30: 1 25

7,1 -4: 1 3 8

7, 6- 1 3 : 1 3 8 7. 6. 1 9.29: 88, 1 3 8

1 ,44= 1 1 2

158

7, 1 0-1 3: 1 0 1 7, 1 0: 1 1 2

9.3 2: 1 2 5

9,33-so: 1 29, 1 3 5 9·33 - 37= 9 5 · 96 9,33-3 5 : 7 1 , 1 0 1 9,33-3 4: 106 9,3 5 - 4 1 : 1 3 2 9,3 5 -37: 1 2 5 , 1 3o 9 .3 5 -J 6: 1 00 9 · 3 5 = 1 0 1 , 1 29 9,3 6-5o: 1 29

2,2 7: I 1 4

7, I I : 1 3 8

3 , 1 - 5 : 1 03

7, 1 3: 1 3 9

9,3 8 -4 1 : 1 3 0

7, 1 4- 1 5 : 140

9·4 1 : 54· 1 3 2

3.4: l l 2, l l 4 J, S : 8 8

7. 1 4- 2 3: 1 3 8, 1 39

217

9,40: 1 3 2

9,42: 1 3 0 9>43-48; 130 9·43-47= 99 9,50: 101 I O, I - 1 6: 144 10, 1 - 1 2: I 5, 101, I lO 1 0, 1 : 99, 144 10,2: 1 1 2 10,3-4: l 12 10,5. 1 9: 1 1 2 10,6: 99 1 0, 1 3 - 1 6: IO I, I IO 1 0,14- I P 97 1 0, 1 7-J I = 1 0 1 , 1 10 1 0, 1 7-22: 128 1 0, 1 7-20: 97· 100 1 0, 1 9: 1 14 10,2-9: 145 10,2: 145 10,4: '45 10,5: 145 ro,6: 146 1 0,8-9: 145 10,10-12: 145 I O, l l - 1 2: 1 4 5 , 146 1 0, 1 } : 146 1 0,14- 1 5 : I46, I47 I O, I 5: '45 I o,r6: I46 I0,17-3 I : I47 I O, I 7-27= 148 I O, I 7: I48 I 0,2I : 148 I 0,22b: 97, 149 1 0,23-27: 148, 149 I0,23-24; 149, I 50 1 0,24: '49 I0,25: I49 1 0,26: 97. 149 10,27: 97· 100 10,28-3 1 : 148, 149 r o,p-34: 106 r o,p: 1 2 5 . 1 3 1 , I 3 3 I0,33-34: 1}2, 1 3 5 10,3 3 : 1 } ! I O,J5-45: 95, 97, 100, ro6, I} I , 1 3 5

10,3 5-41: 125 10,36-p: 103 10,40: 100 10,4 1-45 = 101, ' 3 5 10,42 -45 : 1 2 5 , ' 33 · 202 10,42-44= ' 3 3 10,42: 1 3 2, 1 5 2 1 0,43 -44= 109 10,45: I J I, 1 33, 1 3 5 1 0,46-p: 95 1 1,6: 104 "·' 5- 19: 104 1 1,17: 1 14, 1 1 6, l 5 5 1 1, 1 8: "4 1 1,20-24: 121 1 1 ,22-25: 101, 144 1 2, 1 -40: 1 50 1 2, 1 J - 1 7: 1 0 1 , 121, 15 I 1 2,14: I I2, 1 5 2 1 2, 1 5 : 73 1 2,20-}0: 1 50 12,28-34: I l l, 1 12, "4· 121, 1 50 12,28: 1 50 12,J I : 1 50 1 2,}2-33 = 1 50 1 2,33: I lO, I 5 I , I 58 12,34: I 50 IJ,I -} 5 : IOI 1 3 ,I-27: 99 I J,2: 94 1 3 ,9- 1 3 : I O I I 3 ·9= 101 1 3 , 10; 94, IOI 1 3, 1 4- 1 7: 1 1 2 I J, I4; I02, 104 1 3,28: 50 1 3.32: IOO 14,3-9: 103 14,9: IO! 14,22-25: 101 '4·28: 101 14,}6-49: lO} 14,36.4 1: 104 '4·5 8 : 1 16 1 5 ,27-}2: 1 04, 105 ' 5 .38: 107

218

' 5 ·43-p: 104 l 5,48: 104 1 6, 1 : 103 ! 6,7: 101

Luca 1 , 1 -4 : 174 1 ,4: 174, 1 8o 1 ,6: ! 8 5 1,9 : I 89 1,26-}8: 192 1 ,3 8: 192 1,46- 5 5 : ' 7 ' 1 ,45 = 192 1,5 1-n: 178 2,42: 1 8 9 3,8-9: 53 J,8: 210 3,10-14: 1 67, 200 J,Io- 1 1 : 200 3,12: 205 4,16-2 1 : 190 4,1 8-2 1 : 1 87, 1 9 1 5 . 1-r r: 2 1 2 5 ,27-32. 2 1 3 6,1 3 : 192 6,20-26: I78 6,2}-} 5: 54 6,23: 54 6,24-26: 2o6 6,q-3 6: 50 6,27: 200 6,J 5: ' 77 6,J6: '9' 6,42: 75 6,4}-45= 57 6,46: 5 3 8,1-3: 1 78, 1 93 8,19-2 1 : 48 9,1 -3: 192 9,2: I 92 9,I 8 : 192 9,2}: 5 3 9·46: 7 1 10, 1 - 1 2: 92, 95. 97 ro,5: 88 I0,7: 54

1 0, 1 } - 16: 95 1 0, 1 7-22: 92 1 0,2 3 - 3 1 : 92

l 5 .29- 30: 190 1 6, 1 - 8: 19 8, 1 99

6, 3 8: l 54 7· 1 7: 1 5 4

16,9-1 3: 198

9,22: 78

1 0,25-36: 1 96

16,9: 198, 206, 208

1 0,26

! 6 , 1 9-3 1 : 1 98

9,3 1 : 1 54

ss:

1 89

1 0,26-28: 1 8 9

1 6 , 1 3: 1 9 5

1 2 ,42: 78 !6,2: 78

1 0,32-52: 92

!6, 14: 1 76, 1 9 5

1 0,38-42: 1 8 3 , 1 93

16,1 5 : 195

I o, p : 5 7

!6,!6: ! 86, 1 87

1 , 1 : 164, 1 86

1 0,5 2: 8 8, 97

! 6 , 1 7- 1 8 : 1 8 9

1 ,2.26: 1 92

1 1 , 1 2 . 1 5 : 92

1 6 , 1 7: 1 87, 1 8 8, 1 89

2,4J-47= 194

1 6, I 8 : I 89

J,2-3 . I O: I 8 4

l

1 ,20- 2 5 : 95

A tti

I I,22-25: 1 00

1 6, 1 9- 3 1 : 1 78

J,6-8: 194

1 1 ,22-24. 98

1 7·3 -4= 200

4. 3 2- 3 7= 194 4·32 = 1 8 5

1 1 ,22: 1 84

1 7, 5 : 1 92

I I ,J9-40: 1 9 5

17,7 -8: 2 1 J

1 1 ,40-4 1 : 109

1 7, 1 0: 1 8 4, 194

4,3 5: 1 84

1 1 ,4 1 : 1 7 1 , 1 84, 1 9 5 ·

I 8 ,9-I4: I 99

4·3 6: 1 94

I 8,9: 1 99

5 , 1 - I I : 194

l

206

4,)4: 1 78, 104

I 8, I I - 1 2 : 1 93

5,6: 1 83

1 1 ,49= 1 9 2

1 8, 1 3: 1 93

6,7: 1 87

1 2, 1 - 1 2: 99

! 8, 1 9-20: 1 89

6,14: 1 89

1 2, 1 : 75

1 8,2o: 1 89

9,)6-4 3 = 1 78

1 2,4: 88

1 8,22: 1 84

9,J6: 1 7 1 , 1 78, 1 84

1 2,9: 94

1 8,2 3 : 1 90

9.39= 193 IO-I 1 : 1 74

I,41-44= I90, 1 9 5

1 2, 1 3 - )4: 1 7 1

1 9·9= 1 92

1 2, 1 3 -2 1 : 19 7, 1 99

20,22-2 5 : 20 5

10,2-4: 1 78, 1 84

1 2, 1 5- 2 1 : 1 8 5

20,45 -47= 1 93

10,2: 1 93

1 2,2 1 : 1 97 . 206, 208

20,47= 196

10,3 8 : i 8 J, 1 84, 1 9 1

1 2,22-)4: 1 97

2 1 , 1 -4: 1 92

1 4, I 7: 1 9 1

1 2,28-34: 9 5 · 1 00

22, 1 4- 3 0: 2 1 3

14,2 1 : p

1 2,3 r : 46 2o6

22, 1 4: 1 92

1 5, r : 1 89

1 2, 3 J : 88, 1 7 1 , 1 77·

22,1 9-20: 1 9 1

1 5 , 8 - u : 1 87

1 84. 1 97· 1 99

22,24-30: 202

I S , I 3 -2 I : 1 87

l l ,J7: 1 1 3

22,14-27: 102

1 5, 1 Jh-I9:

u,4 r : 169

22,24: 71

! 6, 1 4- 1 5 : 1 87, 1 9 3

1 2,46: 7 5

22,2 5 : 1 8 3

1 7,2-J: ! 87

I J , I 2- I 4: 200

22,27-28: 1 8 3 , 1 9 1 , 20 1

r 8, 1 - 3 : 1 93

1 4 , 1 -24: 2 1 3

1 89

2 3 ·4= 1 75

2o, I 8b-3 5 : 1 7 1 , 194

1 4 , 1 : 201

2 3 , 1 4: 1 7 5

2o,J 3 : 206

1 4,7- 1 1 : 1 9 5

2 3 ,22: 1 7 5

20,J4-3 5 : 206

1 4 , 1 0: 20 1

2J,J4: 105, 1 92, 200

20,J 5 : 1 7 1, 1 86, 202

1 4 , 1 2- 1 4: 1 84, 201

2 3 ,42-43 : 1 92

24, 5 - 14: 79

1 4 , 14: 1 77, 1 99, 208

24,26-27·44= 1 8 7

24, 1 7: 1 78, 1 84

14· 3 3 = 1 8 5

24,26: 196

1 5 , 1 1 -3 2: 1 9 1

Giovanni

26,3: 1 89

1 5 ,25-J I : 1 9 1

4.34: ' 5 4

26,2o: 209, 2 1 0

219

28, 1 1 -3 I : 1 64 28,17: 175· 1 87, I 89 28,22: 79 28,23: I 8 7 Romani 5 , 1 2-2 1: 133

Efesini 6,6: I 54 Ebrei ' I0,7: 1 54

Giacomo s , u : 191 r Giovanni 2,I 7: I 54

Per i tipi della Paideia Editrice stampato da Grafiche 4 (Padenghe) Brescia, ottobre zooo