Un mondo sovvertito. Esperienze di lavoro in case rifugio per vittime di violenza domestica 9788860873217, 8860873215

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Un mondo sovvertito. Esperienze di lavoro in case rifugio per vittime di violenza domestica
 9788860873217, 8860873215

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Giuliana Ponzio

UN MONDO SOVVERTITO Esperienze di lavoro in case rifugio per vittime di violenza domestica

Postfazione di Benedetta Guerrini Degl 'Innocenti

Le Lettere

Copyright © 20 l O by Casa Editrice Le Lettere- Firenze ISBN 978 88 6087 321 7 www.lelettere.it

a Sandra Filippini

PREMESSA

Non è possibile avviare una riflessione sulle case rifugio per donne maltrattate, fortemente volute e create proprio da donne che si erano formate all'interno del movimento femminista, senza ricondurre questa esperienza all'ambito del pensiero politico di genere e delle sue implicazioni. L e case rifugio vogliono essere i n questo senso l'intreccio di luoghi simbolici e reali dell'autodeterminazione, che pas­ sa necessariamente, nelle vittime di violenza, sia dal rico­ noscimento degli effetti traumatici subiti, sia dal supera­ mento di paradigmi e stereotipi di una cultura coniugata tradizionalmente al maschile. Luoghi nati quindi da una politica delle donne che sa calare il simbolo nella realtà e impastarlo nel quotidiano per provocare in ogni azione e in ogni pensiero un cambiamento dell'esistente. Proprio in questo senso le case rappresentano anche una sfida in qua­ lità di contenitori di istanze contradditorie, dato che l'even­ to traumatico della violenza, che pur spinge le donne ad al­ lontanarsi, provoca danni tali da indurle ad arroccarsi su posizioni difensive e ostili al cambiamento. Le case rifugio, allora, non sono i luoghi dell'astrazio­ ne, ma sono i luoghi in cui professionalità e ambiti teorici si compenetrano con la concretezza del fare e con la capa­ cità tutta femminile di creare relazioni e di gestirle a sva­ riati livelli. In questo senso le case possono essere viste co­ me veri e propri "laboratori", indispensabili proprio per 7

l'osservazione quotidiana, nella rilevazione sia del danno sia dei primi indizi della riparazione. Proprio da tale osservazione si evidenziano nelle don­ ne, giorno dopo giorno, non solo le conseguenze psico-fi­ siche della violenza che spaziano dalla possibilità di danni fisici permanenti a stati di ansia, paura, tensione, insonnia e altro, ma anche il "lavoro" che il maltrattante ha com­ piuto sulla loro mente. Nei loro atteggiamenti, nelle loro scelte, nella loro confusione e perdita di punti di riferi­ mento, è riconoscibile il tentativo di modificazione messo in atto dal partner del loro stesso pensiero, l'alterazione o il disconoscimento delle loro percezioni, la rottura con il loro universo di riferimento. Tramite questa operazione mi­ rata al controllo, il maltrattante ha inteso sottrarre alla don­ na spazi sempre più consistenti di pensiero autonomo, po­ tenziale riserve di forze di contrasto alla violenza. Nella struttura, si può osservare quotidianamente l'enti­ tà di tale "colonizzazione", che prevede di conseguenza l'instaurazione di un sistema basato su due "verità": quel­ la pervasiva imposta dall'aggressore, che prevede la rottu­ ra con la propria soggettività, e quella che ancora è in gra­ do di riferirsi a spazi mentali autonomi sopravvissuti. Ne emerge infatti un dato molto significativo e cioè che le donne vittime di violenza accolte nella casa si muovono, a specchio di questo sistema, su un doppio binario a sche­ ma contrapposto, entro cui esse quotidianamente oscillano ed entro cui si coagula la loro ambivalenza.

È uno schema in cui gli aspetti di forza e debolezza, in­

tesa come conseguenza del danno, giocano una partita spes­ so impari quando le donne sono state esposte a maltratta­ mento per anni. In questi casi la forbice tra gli opposti si di­ varica troppo e per le vittime diventa più difficile far emer­ gere l'elemento della forza, svalutato e messo a tacere. Dall'esposizione prolungata a processi traumatici e di modificazione del pensiero, consegue inoltre, da parte del­ le vittime, un aspetto di identificazione con l'aggressore, che perpetua così la sua presenza. Nella casa rifugio può infrangersi l'immagine stereoti­ pa e ideale della vittima a fronte di una realtà che vede

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spesso donne con modalità anche maltrattanti, rivendicati­ ve e manipolatorie. Sono due aspetti contrapposti, che sem­ brano far riferimento a universi differenti, ma che nella mente della donna si sono di forza sovrapposti e confusi. Non è sempre facile tenere insieme l'aspetto della don­ na che, in quanto vittima ha subito, pagandone le conse­ guenze, e quello della donna che, proprio per lo stesso mo­ tivo, può anche assumere modalità proprie dell'aggressore, utilizzandone anche le stesse strategie che tanto le hanno recato danno. Conciliare e ricucire in un tutt'uno queste due parti spes­ so indivisibili, anche se può spesso mettere a dura prova, si­ gnifica però non solo restituire alla donna la sua interezza, ma anche avere un piano di realtà sugli effetti del maltrat­ tamento. Anche i modelli di intervento diventano più com­ plessi, orientati non solo al riconoscimento della vittimiz­ zazione, ma anche al riconoscimento e alla riparazione del danno. La sfera relazionale costituisce uno degli ambiti più dan­ neggiati, entro cui il movimento a doppio binario è costi­ tuito dall'alternanza tra poli contrastanti (fiducia-sfiducia, amico-nemico, buono-cattivo e simili) più o meno accen­ tuati. In questo senso nella struttura si può riscontrare una sostanziale difficoltà a costruire relazioni di fiducia, così traumaticamente capovolte dalla violenza. Dato che gli ef­ fetti del maltrattamento permangono ben oltre la fine della relazione, nella casa si assiste al paradosso che il partner abbandonato, anche se fisicamente assente, impedisce alla donna di riconoscere gli strumenti utili di contrasto al suo potere. D'altra parte, se esistono situazioni rispetto alle quali stabilire una relazione potrà sembrare molto arduo, il mo­ do per metterle in atto da parte delle operatrici andrà cer­ cato caso per caso, come un grimaldello da studiare, come un'elaborazione di strategie, a seconda dei casi, per trova­ re un varco nella diffidenza e nello stesso tempo riuscire a mantenere aperto il contatto nonostante i frequenti attacchi provocatori per interromperlo. Ritengo che questa sia una base di partenza indispensabile per la riuscita di un pro-

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getto di uscita dalla violenza ma che rappresenti una sfida spesso difficile per chi lavora nelle case. In questo scritto farò riferimento all'esperienza di due case rifugio a indirizzo segreto dell'Associazione Artemi­ sia, restringendola ad un periodo che va dal 1999 al 2007, durante il quale sono state compiute osservazioni quoti­ diane e sono stati messi in atto per le donne, insieme a in­ terventi di protezione e sostegno, anche percorsi mirati al­ la valorizzazione del pensiero autonomo e quindi delle ri­ sorse personali. Non avrei potuto scrivere queste pagine senza il soste­ gno e l'apporto del mio gruppo di lavoro sulla casa rifugio. Ogni componente d eli' equipe ha portato il suo prezioso contributo all'interno della struttura, ha contribuito con ri­ flessioni e proposte mirate alla miglior comprensione del­ le situazioni in atto e all'instaurazione di buone pratiche di lavoro, ognuno ha ricercato in modo paziente e capillare, nella vita quotidiana delle ospiti, i loro punti di forza, le lo­ ro fragilità e l'entità del danno subito. Ma certamente non avrei potuto scrivere queste pagine se tutto il nostro gruppo di lavoro non avesse potuto usu­ fruire per anni di una supervisione che ci ha guidato, chia­ rito, sostenuto, indicato di volta in volta strumenti di lavo­ ro indispensabili. La supervisione, contenitore di tutta l'esperienza di lavoro del gruppo, è ed è stata fondamenta­ le non solo come luogo di accoglimento e contenimento della sfera emotiva, ma anche come luogo in cui potevano venir ritoccati modelli di intervento ed elaborate modalità utili per un approccio nei casi in cui la diffidenza e l'osti­ lità rendessero difficile la relazione. Questo scritto si divide in tre parti. Nella prima ho cer­ cato di mettere a fuoco le finalità e gli obiettivi di una strut­ tura protetta, la specificità dell'esperienza di lavoro in una casa rifugio rispetto a quella di un centro di prima acco­ glienza, nonché i dati di riferimento su cui si è basato que­ sto lavoro. Nella seconda e nella terza parte, ho cercato di sottoli­ neare, all'interno dell'inscindibilità dei fattori debolezza e forza, quei casi in cui o il primo o il secondo sono diventa-

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ti prevalenti. La mia decisione di dare spazio prima alle si­ tuazioni più complesse, non è dovuta né a una loro preva­ lenza numerica né a una sottovalutazione di tutti quei casi in cui la forza, le risorse e le capacità sono riuscite a pren­ dere il sopravvento. È dovuta piuttosto al fatto che questi casi rappresentano un nodo problematico all'interno della struttura e necessi­ tano quindi di particolare riflessione e confronto nelle mo­ dalità di intervento. Più precisamente quindi, nella seconda parte ho incen­ trato il focus sui singoli effetti del maltrattamento osserva­ ti nella casa, prendendo in considerazione quelle situazio­ ni in cui l'aspetto del danno e dell'impotenza è stato così devastante da rendere difficilissima e a volte impossibile la sopravvivenza di uno spazio mentale autonomo su cui co­ struire dei punti di forza e di contrasto. Dall'osservazione effettuata in casa rifugio ho anche evidenziato le aree più compromesse e interessate a modalità distorte, con la con­ seguente percezione da parte delle donne più danneggiate che anche la struttura che le sta sostenendo, si trasformi in luogo ostile e infido. Nella terza parte invece ho posto l'accento su determi­ nate situazioni in cui l'aspetto della forza potesse attivarsi o riattivarsi, segnalando la presenza di punti di aggancio da cui partire. In questi casi, pur mantenendosi in gradi diver­ si l'ambivalenza e l'aspetto della debolezza, la forbice del doppio binario si riduce a dimensioni che non compromet­ tono un esito positivo e la casa rifugio viene vissuta dalle donne come luogo ricco di sinergie e promotore di cam­ biamento. In questi casi uno dei fattori più rilevanti del buon an­ damento del percorso di uscita, consiste sicuramente nella possibilità di costruire o ricostruire relazioni di fiducia.

È

un percorso molto accidentato, ma non impossibile, costi­ tuito da tentativi di volta in volta diversi, da attuare giorno dopo giorno e a cui porre la massima cura ed attenzione. Accade spesso che in queste circostanze le donne rie­ scano a portare alla luce tutte le loro risorse, usandole e va­ lorizzandole.

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Sia nella seconda che nella terza parte ho evidenziato alcune modalità ricorrenti che diventano veri e propri indi­ catori all'interno della casa, in grado di rilevare i diversi stadi dei percorsi di uscita dalla violenza. Dai dati risulta che il 64,6% delle donne accolte nella struttura sono straniere, ma al di là delle varie culture di provenienza che hanno il loro peso in ambiti diversi, le os­ servazioni compiute confermano che l'esposizione alla vio­ lenza determina effetti, meccanismi e danni trasversali a ogni cultura. Semmai possono essere più o meno presenti strumenti di contrasto o spazi mentali di autonomia laddo­ ve esistano culture in cui la violenza sulle donne non sia socialmente stigmatizzata e vengano messe in atto pres­ sioni da parte di famiglie d'origine perché la donna si ri­ congiunga al partner. Rispetto alle donne italiane, inoltre, le straniere trovano maggiori difficoltà di reinserimento e, proprio per questo, a volte tornano dai partner, dopo este­ nuanti ricerche di lavoro e alloggio. I nomi riferiti ai singoli casi sono del tutto fittizi e si ri­ feriscono sia a donne italiane che a donne straniere. Il 70% delle donne accolte nel periodo a cui fa riferi­ mento questa rilevazione, entra nella casa rifugio con dei bambini. I minori costituiscono quindi una parte molto ri­ levante della struttura che si avvale di interventi integrati, che tengano conto di questa realtà. Purtroppo tali interven­ ti hanno ricevuto una limitazione dalla recente normativa che prevede l'impossibilità di effettuare nella struttura os­ servazioni sulla relazione madre-bambino senza il consen­ so del padre e neppure, se questo consenso non è dato, ad avviare valutazioni psicodiagnostiche o terapie sui minori che non siano state richieste dal Tribunale. Queste disposi­ zioni fanno sì che interventi utili per i bambini, vittime di violenza assistita o diretta, possano attivarsi solo in tempi molto lunghi, togliendo alle strutture protette la stessa tem­

pestività di interventi messa in atto per le madri, che co­ munqu e si possono avvalere di percorsi relativi recupero delle capacità genitoriali. . N onos�ante l' inscindibilità quotidiana tra madri e figli, Il focus d1 queste osservazioni sarà centrato su pensieri,

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aspetti e atteggiamenti delle donne e di conseguenza anche sul loro modo di porsi nella gestione dei bambini. Proprio perché frutto di un'esperienza lavorativa e di un'osservazione sul campo, il mio lavoro rispetterà questa impostazione nella consapevolezza che la scelta di eviden­ ziare solo alcuni aspetti più vistosi di questa realtà non esaurisce di certo l'intreccio molto più complesso di altri fattori che intervengono rendendo più dinamico e variato quello scenario che ho voluto per chiarezza fissare con mo­ dalità piuttosto schematiche. Partendo dal piano di un'osservazione della realtà quo­ tidiana, ho scelto di non utilizzare riferimenti bibliografici nel testo, rimandando soltanto alla letteratura generale sul­ l'argomento in appendice.

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PARTE PRIMA

LA CASA RIFUGIO

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Dati di riferimento

La riflessione da cui ha origine questo scritto, fa riferi­ mento a un'esperienza di lavoro all'interno di due case rifu­ gio per donne e minori vittime di violenza domestica, dal 1 999 al 2007. I dati di riferimento a questo periodo indica­ no che il 64,6% delle donne accolte sono straniere. Di que­ ste il 1 4,3% proviene dalla Comunità Europea (calcolando anche gli ultimi ingressi dalla Romania, dal l o dicembre 2007, come facente parte della UE), il 40,5% dall'Europa non comunitaria in special modo dall'Albania e dalla Ro­ mania, prima che entrasse nella UE), il 7, l % dall'Asia Cen­ trale (Russia, Moldavia), il 7,2% dall'Asia del Sud (Filippi­ ne, Giappone, Sry Lanka), il 1 6,7% dall'Africa del Nord (Marocco, Egitto), il 7, l% dall'Africa sub Sahariana (Etio­ pia, Senegal, Isole Mauritius), il 7,1% dal Sud America (Pe­

rù, Equador). Sempre in riferimento allo stesso periodo, il 70,9% del­ le donne accolte entrano nella struttura con figli minori, mentre le donne sole costituiscono il 29, l%. Per quello che riguarda i minori il 7 3,8% dei bambini accolti sono stranieri. Di questi il l 6,7% proviene dalla Co­ munità Europea, il 37, l o/o dall'Europa non comunitaria (in special modo dall'Albania e dalla Romania prima del 2007), il 4,2% dall'Asia Centrale (Russia, Moldavia),

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1'8,4% dall'Asia del Sud (Filippine, Sry Lanka, Giappo­ ne), il 16,7% dall'Africa del Nord (Marocco, Egitto), il 10,6% dall'Africa sub Sahariana Senegal, Isole Mauritius), il 6,3% dal Sud America (Perù, Equador). Il 91,4% delle donne italiane risulta sposata o convi­ vente con un connazionale, mentre l'8,6% è sposata o con­ vive con uno straniero. Tra le donne straniere, il 60,5% è sposata o convivente con un connazionale, il 35,2% con un italiano e il 4,3% con uno straniero non connazionale. Per quello che riguarda maltrattamenti subiti dalla donne nell'infanzia, solo nel 2007, il dato statistico ne rivela la presenza nel 3 3,3% dei casi.

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Un'esperienza particolare

Per chi si occupa di violenza domestica, nella quale ven­ gono coinvolte donne e bambini, lavorare in una casa rifu­ gio può rappresentare un'esperienza particolare e molto in­ teressante, per certi versi diversa e complementare rispetto a quella maturata nei centri antiviolenza di prima acco­ glienza. Le donne che si presentano a un centro con la richiesta di essere seguite, in genere danno voce solo ad alcune par­ ti di sé che in quel momento o prevalgono emotivamente o che sono ritenute da loro più importanti. La paura, le vio­ lenze e i soprusi che emergono dal loro racconto sono ele­ menti gravissimi che richiedono la massima attenzione e che costruiscono un'immagine della donna-vittima giusta­ mente preponderante, mentre però, dietro questo ruolo pre­ valente, a volte rimangono irrintracciabili una serie di aspetti che a questa si costellano. Ne emerge un ritratto ne­ cessariamente non privo di zone d'ombra, in quanto tali aspetti sono identificabili spesso soltanto tramite l'osser­ vazione quotidiana di comportamenti, atteggiamenti o di­ namiche, che ne permettono una visione più complessa. L'aspetto della quotidianità, del contatto giorno dopo giorno tra donna e donna, tra chi sostiene e le donne, tra madri e figli, costituisce lo spaccato concreto di una realtà

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contaminata dalla violenza e in questo senso la casa rifugio può rappresentare un'occasione di approfondimento molto valida e in certo modo complementare rispetto alle valuta­ zioni del centro.

È

proprio all'interno della casa che si rende possibile un'osservazione capillare rispetto a come e in quale dire­ zione si muovono le donne, a come negli atteggiamenti e nelle scelte di ogni giorno traspaiano gli effetti di quanto hanno subito, a come l'influenza e l'effrazione psichica esercitata su di loro dal maltrattante abbia plasmato la loro mente e le loro convinzioni. La quotidianità risulta quindi il fattore che determina la specificità del lavoro nella struttura e che, favorendo il ma­ nifestarsi di quegli aspetti di danno altrimenti irrintraccia­ bili, permette anche di definirne alcuni indicatori che ne segnalino la presenza. Ma la quotidianità nella casa è affiancata anche alla fre­ quentissima attivazione di situazioni di emergenza anche gravi, in cui, ad esempio, può essere necessario trovare so­ luzioni immediate, o far fronte fisicamente a un maltrat­ tante o fargli perdere le tracce all'uscita dal Tribunale, op­ pure spostare velocemente una donna di nascosto in un luo­ go più sicuro, o accorrere sul luogo dove l'aggressore ha massacrato di botte la donna rompendole il naso, la bocca o un braccio, solo per citare alcune situazioni. Che l'esperienza della casa si svolga tra i poli del­ l'emergenza e della quotidianità, appare d'altronde chiaro fin dal momento stesso in cui avviene un inserimento, ca­ ratterizzato da ambedue queste esigenze. Da un lato quella di organizzare velocemente la fuga in segretezza tramite pia­ ni ideati di volta in volta e sempre esposti al rischio, tute­ landola nello stesso tempo con l'applicazione delle proce­ dure legate all'emergenza, e dall'altro quella inerente alle prime necessità delle donne e dei bambini accolti e che ri­ guardano la risoluzione di problemi legati alla quotidianità. L'ingresso nella struttura inoltre rappresenta e racchiu­ de in sé l'elemento specifico e caratterizzante di questa esperienza e cioè il fatto che da quel momento si anima e prende vita uno scenario che prima era affidato solo alle

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parole e ai racconti della donna nella loro necessaria par­ zialità. Con lei adesso ci sono in carne e ossa quei bambini di cui ha parlato, oppure di cui ha parlato il Servizio Sociale. Questi bambini sono disorientati, spesso piangono, hanno paura, qualcuno non vuole entrare nella casa, a volte chie­ dono del padre o di tornare a casa. Le madri, dominate a loro volta dalla paura, dall'ango­ scia e dalla confusione, spesso in lacrime, faticano a fron­ teggiare queste difficoltà. Alcune cercano di consolarli con parole adeguate, altre con parole che non sono funzionali alla situazione, altre li ignorano, prese da altre priorità. Allo stress della fuga, a cui in genere si accompagnano da subito continue minacce o blandizie telefoniche da par­ te del partner, si aggiunge il fatto che molte di loro, scap­ pando da casa, non sono riuscite a portar via neanche un cambio di biancheria, o il latte in polvere per il bambino, o i propri documenti, per non destare sospetti o per la preci­ pitazione degli eventi. L'aspetto dell'emergenza si intreccia quindi da subito a quello della normalizzazione della vita quotidiana, fonda­ mentale per l'attenuazione di una serie di disturbi legati al­ la situazione. Lavorare in una struttura del genere costituisce vera­ mente un'esperienza particolare anche per il notevole im­ patto emotivo di cui è permeata. Chi interviene ogni gior­ no al suo interno può contare solo su un proprio setting in­ terno, che non trova nessun ausilio esteriore tutelante, ma che anzi è messo a dura prova dalla continua esposizione a forti sentimenti, nonché ai tentativi di coinvolgimento a va­ ri livelli da parte delle donne. Mai, come nelle case, chi interviene assorbe quotidia­ namente l'urto di una gamma di emozioni, che vanno dal­ la contaminazione del dolore delle vittime, dell'orrore dei loro racconti, alla percezione che trasmettono di una real­ tà stravolta dominata dalla loro impotenza, in cui il rischio di essere contagiate e coinvolte è molto alto, se l'attenzio­ ne non è sempre costante. Ai rischi della contaminazione, si aggiungono molto

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spesso sensi di frustrazione di fronte alla difficoltà di mol­ te donne a differenziarsi dall'aggressore e da quegli aspetti del danno che le immobilizzano o le inducono a scelte sba­ gliate, adatte solo a ritorcersi contro di loro o i loro figli. A ciò va aggiunta inoltre la percezione di essere co­ stantemente esposte a un rischio potenziale, legato non so­ lo ai momenti di emergenza, ma al fatto che gli stalker comprendono nel loro mirino anche chi partecipa a sot­ trarre le donne al loro controllo. Essere individuate, ad esempio, nelle udienze in Tribunale, come testimoni o sem­ plici accompagnatrici, oppure rivelare la propria presenza in occasione delle visite protette ai bambini o quant'altro, può diventare l'esca utile al maltrattante per mettere in at­ to azioni persecutorie a vari livelli di gravità. Sono sentimenti che sperimentano tutti coloro che in­ tervengono sulla violenza domestica, ma il fatto che nella casa tale esposizione avvenga pressoché quotidianamente, ne determina la gravità e i possibili effetti negativi, richie­ dendo la necessità di una costante supervisione.

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Scenari di fuga e strategie di persecuzione

La casa rifugio è una struttura protetta a indirizzo se­ greto rivolta a quelle situazioni in cui la violenza sulle don­ ne e minori minacci la loro incolumità psicofisica e si ren­ da quindi necessario un veloce o immediato allontana­ mento dal maltrattante. L'obiettivo primario della struttura è quindi la protezione e la tutela. Se si tiene conto che in Italia ogni anno vengono uccise in media cento donne per mano di mariti, ex mariti, convi­ venti, ex conviventi, fidanzati, ex fidanzati, si può capire come mai esse siano più che mai bisognose di tutela. Il fe­ nomeno della persecuzione (stalking) è diffusissimo nel momento in cui le donne, all'interno di una situazione ca­ ratterizzata dalla violenza, decidono di interrompere la re­ lazione. Il maltrattante, non accettando in genere la fine del rapporto e la perdita dell'oggetto del suo controllo, può da­ re inizio a varie forme di violenza tra cui la persecuzione, che possono avere esiti di varia gravità, anche letali. La fuga e la rottura della relazione può quindi allargare il fronte del rischio e in questo senso l'allerta e le misure di protezione non vanno mai diminuite. La casa rifugio diventa uno dei luoghi di elezione dove si palesano non solo gli svariati scenari delle fughe, ma an­ che le strategie più comuni usate dal maltrattante per met-

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tere in atto atti persecutori e intimidatori nei confronti del­ le partner. La maggior parte delle donne che decidono di sfuggire alla violenza, lo fanno a seguito di un episodio particolar­ mente spaventoso, che in alcuni casi ha messo a repenta­ glio la loro vita. Molte di loro prendono i figli e si precipi­ tano fuori casa senza soldi e documenti, altre aspettano che il compagno sia andato al lavoro per raccattare veloce­ mente qualcosa temendo che lui ritorni all'improvviso per controllare la situazione, altre ancora riescono a program­ mare la fuga qualche giorno prima portando a un'amica piccoli sacchetti per volta con le cose indispensabili, salvo poi non riuscire a scappare perché il partner si è insospet­ tito di qualche strano movimento e ha raddoppiato la sor­ veglianza. In ogni caso, quando donne e bambini riescono ad al­ lontanarsi, a volte di sera, a volte di mattina presto, il pri­ mo pensiero è quello di mettere tra loro e il pericolo una di­ stanza immediata, tanta è la paura di ritrovarsi in quello scenario così spaventoso che le ha spinte ad allontanarsi. La maggior parte delle volte non sanno dove andare, perché un'eventuale amica le può ospitare una notte, ma quello sarà il primo posto dove il partner le andrà a cerca­ re e spesso le amiche preferiscono non aver a che fare con i partner violenti perché hanno, a loro volta, paura. Lo stes­ so discorso vale per i parenti o gli stessi genitori, a loro vol­ ta minacciati e terrorizzati anch'essi dal maltrattante. Im­ possibili da utilizzare, per gli stessi motivi, le vicine di ca­ sa, che a volte diventano preziose segnalanti o chiamano la polizia in aiuto della donna, costituendo sostegni spesso preziosi, ma solo momentanei. Allora le donne o si rivol­ gono alle Forze dell'Ordine o vengono accompagnate dal­ le stesse, intervenute sul luogo, al Pronto Soccorso, oppu­ re si rivolgono a enti assistenziali, alle parrocchie, alle chie­ se dei loro culti se sono straniere, ai Servizi Sociali, ai Cen­ tri Antiviolenza. Altre ancora salgono su un treno o su un autobus, ricordandosi di qualche lontano parente o amico che le potrebbe aiutare, ben decise a non rientrare a casa da quella sera stessa. Insieme a loro ci sono nella maggio-

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ranza dei casi dei bambini spaventati, frastornati, che han­ assistito a botte urli e insulti, che hanno sovvertito le lo­ ro abitudini, lasciato i loro giochi, la loro casa, spesso sen­ no

za un adeguato sostegno da parte delle madri disperate. Questo è lo scenario di emergenza, in cui si effettua l'in­ gresso nella casa rifugio di un nucleo che necessita di pro­ tezione. Ad aumentare ansia e paura, nel momento in cui il partner si accorge della fuga, il cellulare della donna inizia a squillare e, se lei non risponde, fioccano messaggi di ogni tipo che alternano minacce a blandizie. Ma il maltrattante non si ferma qui e comincia setac­ ciare parenti, amici, conoscenti della donna chiedendo, mi­ nacciando, urlando, oppure facendo la vittima e ripetendo che la sua vita è finita e si ucciderà se loro non gli rivele­ ranno dove la compagna e i bambini si trovano. A volte l'ex partner perde addirittura giorni di lavoro o prende pe­ riodi di ferie per appostamenti nei luoghi dove pensa di po­ ter rintracciare la donna, tipo il posto di lavoro, la scuola dei figli, il Servizio Sociale o semplicemente gira per le strade, spesso facendosi aiutare anche da suoi amici, nella speranza di scovarla. A volte, se ne ha la possibilità, può anche arrivare a scrivere articoli su qualche giornale o a ingaggiare detective privati. Più spesso però viene privile­ giata una pressione capillare presso la famiglia d'origine (soprattutto per le donne straniere), per avere notizie o per chiedere intercessione affinché la relazione si ricompon­ ga, o addirittura offrendo denaro a questo scopo, sia per minacciare ritorsioni familiari, o cancellazione del per­ messo di soggiorno. In genere la persecuzione è mirata non tanto alla ricer­ ca dei figli, per i quali il maltrattante molto spesso non mo­ stra interesse se non in quanto strumenti per arrivare alla donna, di cui desidera in alternativa o la distruzione o la .

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nappropnaz10ne. Infatti in alcune situazioni particolarmente rischiose, può anche rendersi necessario un allontanamento dalla cit­ tà stessa. Questa misura, se da un lato può risultare parti­ colarmente utile quando la protezione è rivolta a un nucleo o a una donna straniera troppo rintracciabile dalla comuni-

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tà di riferimento, dall'altro però comporta la pesante rottu­ ra di una rete di legami affettivi e di sostegno delle donne stesse, accompagnata dalla percezione di essere penalizza­ te per un reato non commesso da loro.

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Quali obiettivi

Posto che l'obiettivo primario della casa rifugio resta quello della protezione e della sicurezza, non secondari ma correlati al primo diventano di fondamentale importanza altri obiettivi a cui tendere nel periodo di permanenza nel­ la struttura. Innanzi tutto, per la maggior parte delle donne accolte, la costruzione o la ricostruzione dell'autonomia è il primo passo a cui tendere. Autonomia economica, che prevede la ricerca, a volte estenuante, di un posto di lavo­ ro, indispensabile spesso alle immigrate per il rinnovo del permesso di soggiorno. Alcune donne hanno già avuto esperienze lavorative pri­ ma di conoscere il partner, ad altre non è stato mai per­ messo, dal compagno stesso, di intraprenderle, altre anco­ ra hanno perso la loro occupazione con la fuga e la messa in atto delle strategie di protezione. Se da un lato trovare un lavoro risulta spesso un'impresa difficoltosa, dall'altro pe­ rò nella struttura tale ricerca può trasformarsi in uno stru­ mento significativo per far emergere risorse o difficoltà del­ la donna, valutarne la maggiore o minore adesione al pia­ no di realtà, i diversi livelli di autostima. Ma a fianco e parallelo all'indipendenza economica e abitativa, anzi proprio perché queste possano essere attua­ te pienamente, è indispensabile porsi anche l'obiettivo di

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un'altra autonomia, quella del pensiero, senza la quale la prima sarebbe incompleta e precaria. È un obiettivo diffi­ cile per molte donne, a cui l'autonomia può far paura per­ ché non ne hanno mai avuto l'esperienza, perché ne sono sempre state scoraggiate, perché un passo in quella dire­ zione ha scatenato temibili reazioni. Così può accadere che tale concetto, non avendo neppure mai avuto la possibilità di essere mentalizzato, non riesca a trasformarsi in un va­ lido obiettivo. Tuttavia nel breve tempo del soggiorno nel­ la casa rifugio, appare indispensabile impostare un inter­ vento educativo che si muova in questa direzione. Tale intervento consisterà da un lato nel sollecitare le donne, dove è possibile, a una rilettura di ciò che è loro ac­ caduto nella relazione di maltrattamento, rivelandone i meccanismi, i ruoli e le finalità. Dall'altro si insisterà nel favorire le risorse personali, rafforzandole tramite strategie di

empowerment, mirate anche a potenziare e sostenere ini­

ziative che mostrino aderenza con il piano di realtà. Anche fornire modelli alternativi rispetto alle modalità relazionali consolidate nel maltrattamento, può costituire un tentativo di intaccarne alcune caratteristiche frequenti, come una tendenza alla polarizzazione che spesso sfocia nell'atteggiamento: tutto-niente. Uno schema del genere produce infatti un allontanamento delle donne dal piano di realtà, che necessita invece di confronti, passaggi, articola­ zioni e mediazioni, per cui l'obiettivo di proporre una let­ tura alternativa coniugata con azioni concrete che ne avva­ lorino il senso, resta uno dei punti di fondo per il raggiun­ gimento dell'autonomia. Nella struttura le donne con figli costituiscono la maggio­ ranza e il sostegno alla genitorialità rappresenta quindi un ul­ teriore importante obiettivo. Molte donne che entrano nella casa presentano infatti nella gestione dei propri figli, reali dif­ ficoltà conseguenti al loro coinvolgimento nella relazione vio­ lenta, incrementate anche dalla percezione indotta di essere madri incapaci. Per molte altre il sostegno alla genitorialità ri­ mane un obiettivo più sfocato, in quanto tale funzione non ha mai potuto avere in loro la possibilità di mentalizzarsi per la sua totale inesistenza nella loro vita fin da bambine.

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PARTE SECONDA

UN MONDO SOVVERTITO

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Il danno

Straniere o italiane che siano, in genere le donne che ar­ rivano nella casa rifugio manifestano a diversi livelli i dan­ ni causati dall'esposizione alla violenza. Mentre al mo­ mento dell'ingresso nella struttura possono ancora esserne visibili ed evidenti sui loro corpi i segni fisici, come ema­ tomi, occhi pesti, costole fratturate, strascichi dolorosi e non curati di reiterate violenze coniugali o quant'altro, tut­ to l'aspetto meno "rumoroso" del maltrattamento, fatto di controllo, impoverimento e progressivo isolamento mo­ strerà i suoi effetti in azioni, comportamenti e dinamiche che quotidianamente potranno esplicitarsi nella struttura. Inoltre il dato a cui si sta facendo riferimento, parla, so­ lo per l'anno 2007, di una percentuale abbastanza elevata (33,3%) di casi in cui è stato possibile rilevare un maltrat­ tamento nell'infanzia e questo dato sarebbe molto più ele­ vato se si estendesse anche a forme di trascuratezza, vio­ lenza assistita, istituzionalizzazione precoce ecc. Di que­ sta percentuale presente nella struttura, fanno parte anche donne che, proprio in ragione delle situazioni pregresse, sono incorse nella loro vita adulta solo in relazioni mal­ trattanti, reiterando i danni subiti. In casi più complessi può accadere anche che il mal­ trattamento si sia aggiunto a situazioni già compromesse

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da un disagio aggravandolo, oppure addirittura scatenan­ dolo se latente. In questi casi, l'intervento nella struttura può essere efficace solo se affiancato da professionalità di­ verse o da percorsi terapeutici, che comunque però abbia­ no ben presente l'impatto devastante della violenza subita. L'osservazione quotidiana effettuata nella casa rifugio per un periodo prolungato, diventa quindi di fondamentale importanza nella rilevazione dei segni non visibili del mal­ trattamento, che si costituiscono poi all'interno della strut­ tura come veri e propri indicatori del danno subito. Spaesamento, confusione, difficoltà nel costruire rela­ zioni, scarsa presenza del piano di realtà, la cui lettura, per la perversa distorsione operata dall'aggressore, risulta co­ munque povera e tendenzialmente chiusa in opposte pola­ rità, rappresentano alcuni degli elementi riscontrabili nei comportamenti delle donne che fanno ricorso alla struttu­ ra.

A questi si aggiunge, sempre sullo stesso asse di gravi­

tà, la loro percezione, indotta dal partner, di essere le re­ sponsabili delle violenze per la loro insipienza o incapaci­ tà o inadeguatezza, al punto da favorire in alcuni casi la de­ penalizzazione delle violenze, tramite comportamenti as­ solutori del crimine compiuto su di loro. Una volta allontanate dalla "scena del crimine", per le donne della struttura inizia quindi un cammino spesso dif­ ficile, dove non è più in gioco la loro incolumità fisica, ma la ricostruzione giorno dopo giorno della loro integrità e autonomia di pensiero. L'allontanamento rappresenta quin­ di solo il primo indispensabile passo di un percorso che de­ ve rimettere in discussione e smontare la visione del mon­ do distorta e perversa dell'aggressore. "Mi ha cambiato la testa", dice per tutte una donna del­ la casa, riferendosi al marito e con queste semplici parole essa definisce un processo di controllo da parte del partner, tendente a invadere tutti gli spazi mentali della vittima, espropriandola della sua visione del mondo e dei suoi stru­ menti per interpretarlo.

È esperienza quotidiana della struttura confrontarsi con tale inquinamento, che modifica, impone, sovverte l'identità

di appartenenza delle singole donne, rendendole deboli e im-

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potenti. Come è anche esperienza quotidiana osservare che un percorso di uscita dalla violenza si verifica tanto più ce­ lermente, quanto più l'inquinamento risulta meno pervasivo. Specchio di questo mondo interno confuso ed incerto, nel­ la casa si riscontra quasi sempre tra le donne un movimento a doppio binario, che di volta in volta si coniuga in modi di­ versi, e che corrisponde all'ambivalenza delle loro percezio­ ni. L'osservazione rileva che nella maggior parte dei casi il lo­ ro pensiero oscilla tra spinte contrapposte che segnalano co­ me un grafico quotidiano le tappe del loro percorso. Mentre la parte più inquinata e quindi più debole, im­ pone loro valutazioni, previsioni, azioni, comportamenti dannosi, l'aspetto invece sfuggito alla contaminazione e quindi potenzialmente forte, suggerisce loro pensieri di op­ posta valenza. Le donne della struttura si muovono in genere all'inter­ no di questa contraddizione e in genere le due spinte op­ poste tendono a convivere con maggiore o minore preva­ lenza dell'una sull'altra. Nel caso però che la parte più de­ bole e danneggiata sia dominante rispetto all'altra, non so­ lo il percorso di uscita dalla logica della violenza diventa molto più complesso, ma anche la struttura può diventare nella mente di queste donne un luogo incomprensibile, co­ me la realtà stessa che le circonda. Proprio questi casi più complessi, se da un lato rappre­ sentano in modo più eclatante lo stravolgimento, l'effrazio­ ne, la perversione logica di cui sono vittime, dall'altro, pro­ prio per queste caratteristiche non sono in grado di utilizza­ re gli strumenti di aiuto loro offerti. Nella casa si assiste più che mai al paradosso che le vittime vengono penalizzate due volte dal maltrattamento, la prima in modo diretto, la secon­ da privandole della possibilità di uscime definitivamente. In questo senso soffermarsi su questa grave contraddi­ zione, vuol dire affrontare uno dei nodi più complessi del­ la casa. L'osservazione della struttura ha potuto individuare nel tempo alcune aree o aspetti ad esse costellati in cui si con­ densano molti indicatori del danno subito, che necessite­ ranno in alcuni casi di livelli diversi di percorso.

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L'area della relazione

La maggior parte delle donne accolte nella struttura, no­ nostante l'oggettiva situazione di rischio che ne ha deter­ minato la fuga, continuano per molto tempo a non "capa­ citarsi", termine ricorrente tra loro, di come proprio il part­ ner, supposta figura di riferimento affettivo, potesse assu­ mere atteggiamenti crudeli e offensivi e, nello stesso tem­ po, senza soluzione di continuità, potesse anche tornare a un comportamento gentile e affettuoso. Il tentativo di ren­ dere compatibili questi due aspetti di fatto inconciliabili, forzatamente genera l'impossibilità di "capacitarsi" in quanto segnala che il maltrattante ha imposto come stru­ mento di controllo un ordine binario fatto di opposti, entro cui la salvezza o la limitazione del danno dipendono dalla "bontà" o dalla cattiveria dell'aggressore. Gli effetti di un simile stravolgimento compiuto nel­ l' ambito degli affetti, sono particolarmente visibili nella ca­ sa, dove si evidenzia la percezione da parte di molte donne che le relazioni si trasformino sempre in esperienze dan­ nose e deludenti, regolate al loro interno da meccanismi tendenti alla loro sopraffazione e umiliazione. Creare, modificare, mantenere e, se necessario, gesti­ re una relazione diventa quindi nell'esperienza della strut­ tura un obiettivo complesso, da cui però può dipendere

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anche la possibilità di uscita dalla violenza. La casa rifugio si configura da subito come luogo dove l'ambito relazionale risulta uno dei nodi più complessi e do­ ve quotidianamente le donne hanno l'occasione di speri­ mentare nuovi rapporti con le altre ospiti della struttura, con chi le sta aiutando, con quel mondo esterno da cui il partner le aveva molte volte tenute lontane per isolarle. Basti pen­ sare alla rottura dei legami imposta dall'isolamento a cui moltissime donne sono state sottoposte, tramite l'allonta­ namento dalle famiglie d'origine, dagli amici, dalle reti di conoscenze. Isolamento reso più grave in quanto motivato dal partner con accuse e svalorizzazioni di tutti i punti di ri­ ferimento familiari e amicali della donna, rinnovando in lei la percezione di spaesamento e sconcerto già presente. Questo è in genere il bagaglio che una donna porta con sé quando entra nella casa sola o con i figli e da cui attin­ gerà nell'instaurare nuove relazioni con altre ospiti, entra­ te anch'esse con un bagaglio molto simile, e con chi le sta aiutando, che al contrario si muove in un sistema percetti­ vo diverso. Fin dal primo momento dell'ingresso nella struttura, ciò che caratterizza la maggior parte delle donne, è la loro di­ sperata necessità di stringere legami, di comunicare, di so­ stenere le altre ospiti e di esserne sostenute, di uscire dal­ l'isolamento e dalla solitudine. Non è detto però che tale bi­ sogno, del tutto naturale in un momento così difficile, rie­ sca a esentare la donna dalla percezione inquinata dei le­ gami che alberga dentro di lei. Molto presto però le relazioni instaurate possono inca­ nalarsi nella direzione segnata dal danno e al bisogno del legame si sostituisce la percezione che tale legame sia in­ fido, pericoloso e da distruggere. Da un lato questo bisogno e dall'altro questa percezio­ ne di paura e pericolo costituiscono il doppio binario entro cui si muovono le donne della struttura, alternando moda­ lità diverse e contrapposte. Tali modalità, che per il loro ri­ petersi diventano veri e propri indicatori all'interno della struttura, possono intrecciarsi o alternarsi anche veloce­ mente senza soluzione di continuità, senza che una diven-

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ti del tutto prevalente rispetto all'altra e senza che le don­ ne ne percepiscano la linea di confine.

Fiducia-sfiducia Fiducia e sfiducia sono due elementi contrapposti pre­ senti nelle donne accolte nella casa, che si muovono tra il bisogno di affidarsi e la certezza che la fiducia sarà tradita. Dai loro racconti emerge che nella relazione con il partner la naturale aspettativa di fiducia non solo era stata disatte­ sa ma veniva stravolta, inquinata e ribaltata contro di loro. Di conseguenza il sospetto e la paura di affidarsi nella lo­ ro percezione sono intimamente legati all'affettività, ali­ mentando modalità che oscillano tra queste due esigenze opposte e inconciliabili. Se poi questo doppio binario è iniziato da lontano, dal­ le prime figure di accudimento, forse a loro volta invi­ schiate in contesti disfunzionali, allora il danno che trova le sue radici fin nell'infanzia è stato ulteriormente rinforzato e peggiorato dalla relazione di maltrattamento. Date queste premesse, va ridimensionata l'aspettativa che all'interno della casa rapporti siano naturalmente im­ prontati alla fiducia reciproca, e se ci si basa su questo as­ sunto in molti casi si rischia di creare uno stereotipo inve­ ce di rappresentare un nodo problematico da affrontare e contemporaneamente si rischia anche di penalizzare chi nello stereotipo non rientra. La storia di Rosa testimonia di un rapporto difficile con la famiglia d'origine, in cui era utilizzata da entrambi i ge­ nitori come strumento di controllo reciproco, cosicché fin da piccola aveva dovuto imparare a giostrarsi tra l'uno e l'altra nel modo che le sembrava più conveniente. Fuggita da casa ancora minorenne e bisognosa di una figura affet­ tiva di riferimento, si era ben presto affidata a un partner, che, dimostratosi poi violento e controllante, l'aveva con­ fermata nella percezione che tutti i legami, anche i più stret­ ti, funzionano nel modo di cui lei aveva esperienza. Nel suo caso l'alternanza fiducia-sfiducia, con una serie

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di altri atteggiamenti costellati a questo binomio, è parti­ colarmente evidente. Quando entra nella struttura con il suo bambino, Rosa appare molto espansiva e manifesta un forte desiderio di instaurare un rapporto affettivo con le altre ospiti e di col­ laborazione con chi la sta aiutando. Si può osservare però abbastanza presto che questo suo bisogno è comunque caratterizzato da modalità intrusive e totalizzanti, senza nessuna percezione di limiti. Infatti non mostra alcuna capacità di contenimento, invade lo spazio altrui e si lascia invadere, controlla e si lascia con­ trollare, in un rapporto confusivo e invischiato. Le sue re­ lazioni con le altre ospiti sembrano svilupparsi sempre di più sul terreno scivoloso della convenienza, su cui in­ combe quotidianamente la certezza del tradimento e del disinganno. Naturalmente anche chi è preposto al suo aiuto e al suo sostegno viene avvicinato con le stesse modalità che, non potendo essere assecondate, alimentano in lei la sensazio­ ne di non potersi fidare. Proprio per la commistione tra l'aspetto affettivo e quel­ lo della convenienza, Rosa finisce per giostrarsi nelle rela­ zioni a scopo difensivo, triangolandole o tradendole lei stessa quando inevitabilmente le accade di diffidarne. Un ulteriore aspetto che viene a costellare questa so­ stanziale confusione di piani, questo muoversi in una logi­ ca creata appositamente per danneggiarle, si manifesta nel­ l'incapacità, comune a molte donne della struttura, di dif­ ferenziare le relazioni utili per loro, come quelle di aiuto, da quelle che invece potrebbero nuocere. Anche per Debo­ ra il confine tra questi due spazi è stato reso inintelligibile e, nel periodo in cui è ospite della casa rifugio, viene aiu­ tata in modi diversi da strutture in rete e da chi interviene a suo supporto. In un primo momento sembra che Debora abbia identificato questo ambito come positivo, mentaliz­ zandolo come utile alla soluzione di alcuni suoi problemi, dando quindi la prevalenza all'aspetto della fiducia. Ben presto però i due piani tendono a riconfondersi e Debora convinta di essere vittima di qualche imprecisato sopruso, 37

inizia a fare piccoli furti proprio in una delle strutture che la stanno sostenendo. Questa confusione di piani induce spesso molte donne della casa anche a fidarsi di persone che non sono in grado di dare un aiuto effettivo in quanto coinvolte in logiche e di­ namiche simili alla loro. Può accadere così che proprio quel compagno traditore e violento, da cui sono fuggite, possa ridiventare nella loro mente qualcuno di cui fidarsi ancora una volta, grazie alla riattivazione da parte del partner di manovre invischianti e seduttive e del suo utilizzo di un lin­ guaggio noto e pronto ad attecchire in un terreno già da lui predisposto.

Vittima-aggressore Sempre nell'ambito del movimento su doppio binario, viene evidenziata in alcune donne della struttura, un'altra modalità, legata alla precedente e caratterizzata dal conti­ nuo andirivieni tra due poli, nei quali esse si identificano al­ ternativamente come vittime o come aggressori. Proprio a seguito dell"'invasione" con cui il maltrattante ha occupa­ to e modificato la loro mente, impedendo loro di differen­ ziarsene, esse possono muoversi indifferentemente su due piani sovrapposti e contrapposti mentre l'identificazione in ambedue i ruoli può essere da loro vissuta senza apparen­ te contraddizione. Yvonne, entra in casa rifugio con due tigli, di cui il mag­ giore è frutto di una violenza sessuale, a seguito della qua­ le si è allontanata dalla famiglia d'origine, provvedendo al sostentamento suo e del bambino fino all'incontro con il marito attuale. L'uomo inizia i maltrattamenti quando lei resta incinta del secondo bambino, rinnovandole poi per anni anche la violenza sessuale. Nonostante si trovi ades­ so in un luogo sicuro e protetto, il contagio con la visione del mondo del partner è tale che essa continua a dar voce, autorevolezza e credito a ciò che il marito aveva pronosti­ cato per lei e per il suo futuro. "Ha detto che mi porterà via il bambino", oppure: "Ha detto che è tutta colpa mia e che 38

mi denuncerà", ripete disperandosi, e nella sua mente quell"'ha detto" non lascia spazio né al dubbio né ad altre possibilità. Nella struttura Yvonne presenta tutti quegli elementi che la caratterizzano come vittima duramente provata. Vive in uno stato di perenne allerta e in una condizione di forte stress, è assalita da continue crisi di pianto, accompagnate da tachicardie e sensazioni di svenimento quando rievoca gli episodi di violenza subiti. Nonostante per anni abbia provveduto a una casa e a due figli, nella struttura non vuo­ le uscire se non accompagnata e, se si allontana da sola an­ che di poco, si perde, si disorienta e viene sopraffatta da una sensazione di inettitudine e impotenza. Anche nelle modalità messe in atto nel porsi in relazio­ ne sia con chi le porge aiuto sia con le altre ospiti, Yvonne porta come primo impatto la parte di sé identificata nel ruo­ lo di vittima, quale effettivamente essa è. Tali modalità si caratterizzano per l'uso, tendente all'eccesso, di toni sup­ plichevoli o il bisogno di scusarsi per ogni sua richiesta an­ che normalissima o di ringraziare senza nessuna necessità. Il suo atteggiamento sembra riportare strategie utilizza­ te all'interno della relazione di maltrattamento nel tentati­ vo di limitare il danno. Nella quotidianità della struttura, Yvonne però, giorno dopo giorno, inizia a evidenziare un'altra parte di sé che, in contrasto con la precedente, si esplicita in quei comporta­ menti violenti e maltrattanti di cui essa stessa era l'oggetto. L'indice più vistoso di questa contaminazione e quindi del danno sta nel fatto che l'aggressore è riuscito a far sì che una parte di Yvonne si identificasse in lui, tagliandole di netto la piena possibilità di differenziarsi. Così le sue relazioni si caratterizzano nella casa per que­ sto doppio binario che porta in genere a rotture e a delu­ sioni. Yvonne urla e insulta ma poi cambia totalmente re­ gistro, a specchio dell'aggressore in cui affetto e violenza erano confusi insieme Proprio per questo il tentativo di far spazio a concetti che l'aiutino a leggere la contraddizione in cui si muove, si presenta come lungo e altalenante, sollevando un ulteriore 39

aspetto problematico della struttura. L'inconciliabilità, cioè, che spesso si presenta tra la necessaria lunghezza di un per­ corso di uscita dalla violenza e l'urgenza di protezione e tutela.

La prevalenza del ruolo di vittima Per altre donne il tipo di relazione in cui si sentono più sicure sembra essere quello in cui esse rivestono, in modo molto accentuato, il ruolo di vittima, che tende quindi a di­ ventare prevalente. Nelle donne che si muovono con modalità di questo ti­ po, sembra che tra le strategie usate per limitare il danno dell'esposizione alla violenza, quella più frequente consi­ stesse nel "tener buono" l'aggressore tramite un forzato adeguamento alla sua volontà, con un conseguente raffor­ zamento della percezione di impotenza propria della vitti­ ma. La polarità contrapposta in queste situazioni resta co­ munque in sottofondo e in genere l'aspetto dell'aggressività prende poco spazio, esplicitandosi di preferenza tramite modalità rivendicative o manipolatorie tendenti però sem­ pre a esaltare la condizione di vittima. È il caso di Maria, che quando entra nella casa rifugio reca sul corpo i segni di violenze ripetute, sotto forma di li­ vidi, cicatrici e fratture. Il suo racconto è pieno di zone oscure che Maria tralascia o sfiora appena perché la sua so­ glia di sopportazione ormai è molto alta e perché non ritie­ ne rilevanti episodi di violenza che invece lo sono oggetti­ vamente. La sua storia è il resoconto di estenuanti strategie per te­ nere buono un partner molto pericoloso, per accontentarlo in tutto, per non contrastarlo mai, mettendo in atto com­ portamenti remissivi per non scatenare le sue furie. Ne de­ riva la conseguente percezione di sé come vittima impo­ tente il cui tono è quasi sempre di scusa, come se non vo­ lesse disturbare e fin dall'inizio, i suoi atteggiamenti sono improntati all'umiltà. Tale modalità, che nel tempo non su­ bisce grosse variazioni, è sempre estremamente compia40

cente e desiderosa di approvazione, tanto che non è mai chiaro se quello che dice è vero o è detto per "passar bene", cosa che per lei è di primaria importanza. Non ha mai un moto apertamente aggressivo o, se le sfugge, se ne scusa subito. In realtà per lei "passar bene" significa mostrasi umile, vittima, succube, di poco valore, persona che si ac­ contenta. Ai colloqui di lavoro, si presenta chiedendo il mi­ nimo e quasi scusandosi, poi una volta assunta, lavora il doppio delle sue ore gratis e si fa sfruttare, convinta però per questo suo sacrificio di "passar bene". D'altra parte il terrore e il senso di impotenza in cui è vissuta la hanno così svuotata e impoverita, da concederle solo spazio per posizioni di difesa, qualsiasi esse siano. Al­ l'interno di questa generale riduzione delle sue capacità, nella casa si evidenzia subito che Maria è in grado di gestire la sua vita solo in un ambito abbastanza ristretto e limita­ tamente a quei settori che le erano consentiti dal partner. Per quello che riguarda invece la capacità di prendere de­ cisioni o assumersi responsabilità, Maria è stata privata di risorse da mettere in campo. Dopo anni e anni in cui il re­ stare in vita dipendeva dal suo annullamento come perso­ na, le sembra naturale che altri facciano tutto ciò che spet­ terebbe a lei, che addirittura la sostituiscano in qualsiasi funzione che esuli da quelle entro cui limitatamente le era stato concesso muoversi e che richiederebbero l'attivazio­ ne di altre capacità al momento ancora silenti. Nella stessa condizione si trova Elvira che non sa se la separazione in corso dal marito sia consensuale o giudizia­ le, né se l'affido richiesto per i figli sia esclusivo o condi­ viso, in quanto ritiene che la sua figura vicaria sia il legale che la assiste al quale spetta di prendere tutte le decisioni di cui Elvira non ritenere neppure di dover venire a cono­ scenza o di poterne discutere. È talmente convinta di non poter avere voce in capitolo sulla questione che la delega al legale diventa più che altro un affidamento totale, crean­ dole così nuove aspettative sempre però nella logica del­ l'attesa deresponsabilizzata della soluzione dei problemi. D'altra parte durante la relazione, per le donne poteva diventare molto pericoloso prendere decisioni o assumersi 41

responsabilità. Le loro decisioni infatti, da quelle più sem­ plici come la scelta dei cibi o l'acquisto di un paio di calze ad altre più significative, erano sempre criticate e svaluta­ te dal partner, quando non diventavano, molto spesso, ve­ ra e propria causa di violenze ed insulti. Nel tempo quindi esse giocoforza hanno smesso di prenderle, nel migliore dei casi con la coscienza di farlo per sopravvivere, nel peg­ giore per un senso di inadeguatezza e di incapacità, come nel caso di Maria e di Elvira.

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La sfera cognitiva

L'orizzonte cognitivo delle donne accolte nella struttu­ ra appare in molti casi molto ristretto, come se durante la relazione con il partner, fosse stato loro concesso di muo­ versi solo in uno spazio concettualmente ridotto ali'essen­ ziale. In alcune di loro infatti sono attive solo linee di fun­ zionamento condizionate dall'intrusione del partner e quin­ di spesso soggette alla sua visione del mondo. Molte donne, prima di imbattersi in una relazione di maltrattamento, erano in possesso di un'organizzazione cognitiva basata sull'assimilazione di concetti e parame­ tri condivisi dal loro universo di riferimento. L'esperien­ za sconvolgente della violenza e del controllo sulla loro mente, rappresenta un vero e proprio attacco a tale orga­ nizzazione, nel tentativo di scardinarla tramite l'introdu­ zione intenzionale di concetti e parametri paradossali, at­ ti a colpevolizzare, impoverire, svuotare di senso le loro percez10m. Il restringimento e lo stravolgimento delle capacità co­ gnitive rappresenta uno degli aspetti che in genere sono presenti in molte donne, soprattutto nei primi tempi del lo­ ro ingresso. All'inizio sembrano non essere in possesso di strumenti concettuali utili a muoversi o a comunicare, ma in genere successivamente le loro capacità cognitive ten43

dono a migliorare, facilitando l'uscita dall'isolamento. In alcuni casi però, sempre a livello cognitivo, è stata osservata una modalità di funzionamento meno omogenea. In genere si tratta di situazioni caratterizzate dalla presen­ za di alti livelli di reazioni post traumatiche da stress, op­ pure in cui il terrore e l'imprevedibilità della violenza si sono configurati anche come agenti scatenanti rispetto al risveglio o all'aggravamento di danni pregressi. In queste circostanze le donne possono evidenziare dif­ ficoltà saltuarie o ricorrenti nel momento dell'assimilazio­ ne dei concetti, anzi a volte dello stesso concetto, determi­ nando così un andamento "a sbalzi", che prevede cioè l'av­ vicendamento anche molto veloce di diverse modalità di apprendimento. Nella struttura sono stati osservati casi in cui sembra che determinate informazioni o spiegazioni vengano assimila­ te tanto da essere correttamente utilizzate dalla donna a suo beneficio, fino a quando all'improvviso quelle stesse in­ formazioni o spiegazioni sembrano diventare a quella stes­ sa donna incomprensibili, come fosse intervenuto un fat­ tore azzerante che la riporta cognitivamente indietro. Tale azzeramento è comprovato dal fatto che questo ritorno è connotato dalla richiesta delle stesse informazioni già ri­ cevute in precedenza, ma che adesso le sembrano risultare incomprensibili o comprensibili solo in modo spezzato e frammentario. In alcuni casi, gli "sbalzi" sembrano far riferimento a un più generale restringimento delle capacità cognitive do­ vuto all'isolamento o addirittura a un regime di schiavitù in cui alcune donne sono state tenute. È ad esempio il caso di Santina, sposata a diciassette anni, che per tutti gli anni del matrimonio è stata praticamente chiusa in casa, con il ma­ rito maltrattante come unico interlocutore. Santina è com­ pletamente estranea al contesto sociale in cui vive e il suo orizzonte cognitivo è assai limitato e sembra dar spazio più che alla capacità di assimilare nuovi concetti, all'arrocca­ mento su alcune formule ripetitive che la tranquillizzano. All'interno di questo contesto Santina può passare da mo­ menti in cui sembra che le informazioni fornite trovino ac44

cesso alla sua mente, a momenti immediatamente succes­ sivi in cui di tali informazioni non esiste più alcuna traccia. In altri casi può accadere che lo "sbalzo" avvenga in connessione a eventi scatenanti, come la riattivazione da parte del partner di atti di violenza o minacce. Il caso di Barbara, quarant' anni, è molto significativo in questo senso. Anche lei nella struttura procede "a sbalzi". Già nel suo racconto dei maltrattamenti subiti, presenta una tendenza alla frammentazione e la difficoltà a mettere in­ sieme tutti i pezzi della narrazione regolata non da un filo logico e coerente ma dallo spaesamento e dali'angoscia. Così la narrazione non riesce ad avere dei contorni leggibili in chiave di riferimenti temporali ma si avvita intorno ai due episodi più gravi che l'hanno indotta a mettersi in sal­ vo, mentre di tutto il resto emergono solo brandelli, che vanno ricollocati con pazienza nel tempo. Al momento del suo ingresso nella casa Barbara sembra mantenere questa modalità frammentata e confusa su mol­ ti piani, in special modo su quello cognitivo. Anche lei met­ te in atto modalità contrastanti, passando all'improvviso, come se fosse accaduto un corto circuito, da un fase un cui si mostra apparentemente adeguata, a un'altra in cui di nuo­ vo è dominata dall' incoerenza e dall' incapacità di elabora­ re anche i più semplici concetti. Questo secondo aspetto appare in genere in concomitanza a notizie ricevute ri­ guardanti il compagno. Con il passare del tempo e la rarefazione dei contatti con l'ambito frequentato dal partner, Barbara si tranquillizza ed entra in una fase di relativo equilibrio. I suoi "sbalzi" sono molto rari, nella casa appare serena e adeguata fino a quando accade un fatto che rifrantuma la sua linearità e la ripiomba nel caos. Un giorno viene pedinata dal marito ed è costretta a rifugiarsi in un negozio, da cui viene chiama­ ta la polizia. L'uomo urla, la insulta, la minaccia, però si dilegua prima che arrivino le Forze dell'Ordine. Da quel momento, dalla riattivazione di tutti i suoi sentimenti di ter­ rore e ansia, l'ingranaggio della mente di Barbara si incep­ pa nuovamente, tutto le ridiventa incomprensibile, come se il partner urlante e minaccioso fosse ancora lì con lei. Per 45

un lunga fase i suoi processi cognitivi subiranno un rallen­ tamento mentre i momenti di blocco saranno prevalenti ri­ spetto a quelli più funzionali.

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Alcune esperienze di frammentazione

L'osservazione nella casa mette in luce anche situazio­ ni caratterizzate da forte frammentazione, da un procedere "a macchia" che si evidenzia non solo nella mancata pos­ sibilità di collegare funzioni riguardanti il pensiero e la me­ moria, anche nel conseguente restringimento delle altre funzioni, che appaiono limitate. Uno degli aspetti caratte­ rizzanti tali situazioni di scollegamento, può essere rap­ presentato, per esempio, dal fatto che in questi casi la don­ na risulta incapace di avere e di dare di sé un'immagine unitaria o di assumere comportamenti legati da nessi che evidenzino linee di funzionamento integrate. In molti casi, la linea di funzionamento che è concessa alla donna ri­ guarda sfere limitate e non concede operazioni troppo com­ plesse, in altri le donne riescono a muoversi secondo linee più ampie ma non connesse tra loro. In ogni caso però è sempre il piano di realtà a risultare vago e confuso, fonte di minaccia e paura. Nella casa, per Gloria, affrontare la concretezza della quotidianità, riuscire a organizzarsi, a muoversi su un pia­ no che non sia quello illusorio della sua fantasia, non fa che attivarne la frammentazione. Così ogni volta che esce scon­ fitta da un i ncontro-scontro con la realtà, si rinnova in lei la percezione, presente fin dall'infanzia e rinforzata dal mal47

trattante, di essere del tutto stupida e incapace. Gloria, che è una donna capace e intelligente, funziona "a macchia", dove può e dove comunque non si sente troppo minacciata. Anche Pia da un lato possiede queste caratteristiche, ag­ gravate però dalla presenza molto accentuata di aspetti scis­ si e dalla difficoltà di accesso che mostra a entrare in rela­ zione. Vittima di violenza per anni, Pia mostra anche nel­ l'atteggiamento corporeo le conseguenze di ciò che ha su­ bito. Nel suo racconto, fatto a voce bassissima e monoto­ na, emergono fatti di estrema gravità che contrastano con la sua mimica facciale impassibile e con le espressioni ver­ bali tendenti a minimizzarli. È difficile seguire la sua narrazione perché non si riesce a rintracciare uno schema temporale in cui inserirla. Alle ri­ chieste di precisazione, Pia risponde di non ricordare, cam­ bia argomento o cita un periodo di riferimento che smenti­ rà subito dopo. Il passato si confonde con il presente, il ge­ nerale con il particolare, rendendo l'accesso a questa storia sconnesso e difficile. Nonostante il flusso delle sue parole sia inarrestabile, si evidenzia da subito che per lei è di fondamentale impor­ tanza tornare sempre e solo su alcuni fatti che ripete insi­ stentemente sempre con le stesse parole, senza aggiungere mai nuovi particolari e sempre con lo stesso tono di voce privo di inflessioni. All'inizio Pia evidenzia difficoltà che sembrano più cir­ coscritte al campo cognitivo, in quanto mette in atto le ti­ piche modalità "a sbalzi" presenti in altre situazioni. Pro­ gressivamente però vengono alla luce comportamenti e ca­ ratteristiche del tutto scollegate tra loro, che stanno a se­ gnalare un contesto più problematico. Dal punto di vista identitaria, Pia si rappresenta in modo frammentato, for­ nendo spezzoni di sé a seconda dell'interlocutore e segna­ lando al sua difficoltà a leggersi come un tutt'uno unitario. Anche per quello che riguarda il comportamento e gli atteggiamenti, Pia resta imprigionata in questo universo di­ sarticolato. In breve tempo assume anche mimiche faccia­ li e atteggiamenti corporei molto contrastanti tra loro, in nessuna connessione con gli eventi presenti. A volte nel gi48

ro di poche ore e senza motivo apparente, può alternare un atteggiamento disteso e aperto al dialogo, caratterizzato da una postura rilassata e da un tono di voce regolare, a un at­ teggiamento del tutto opposto. In quest' ultima modalità, Pia appare in una postura raggomitolata e tesa, i suoi occhi sono rivolti in basso e il suo sguardo è rivolto da sotto in su, la sua voce monotona e senza inflessioni. In questi mo­ menti entrare in contatto con lei sembra impossibile, perché Pia non ascolta, avvitandosi senza sosta nel suo malessere e nella sua solitudine.

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L'incapacità di proteggersi

All'interno della casa si possono poi riscontrare altri aspetti che convivono e si intrecciano con i precedenti e che a essi sono correlati. Una conseguenza molto grave del­ l'esposizione prolungata alla violenza consiste nel fatto che le donne perdono progressivamente la percezione dell'or­ rore in cui stanno vivendo e del reale pericolo a cui sono esposte. D'altra parte l'aggressore si è mosso minimizzan­ do e stravolgendo la dinamica degli episodi di violenza, de­ finendoli come irrilevanti nella sua scala di valori. Ciò che dalla donna all'inizio poteva essere vissuto come terribile e pericoloso, viene infatti giorno dopo giorno smussato dal maltrattante presentato e derubricato a un episodio di scar­ sa importanza ed entità, ma soprattutto legittimato da un comportamento della donna da lui giudicato grave. In questo modo vengono capovolte due oggettive per­ cezioni di fondo della donna, quella della non gravità del suo comportamento e quella invece della gravità del mal­ trattamento. Un tale stravolgimento, che è alla base di tutte le rela­ zioni connotate dalla violenza, provoca una serie di spo­ stamenti e conseguenze. Nel caso della capacità di proteg­ gersi, se la percezione del pericolo e dell'orrore dell'even­ to dovrebbero costituire gli elementi che attivano il senso 50

di protezione, lo smantellamento continuo di tale perce­ zione può portare molte donne a non vederne la necessità o a considerarla una misura eccessiva. Nel momento in cui esse scappano da casa la paura e il terrore attivano in loro un istinto a fuggire, a nascondersi e a mimetizzarsi, che successivamente dovrebbe evolversi nella scelta di strategie di protezione se contemporanea­ mente non intervenisse un processo di sottovalutazione pro­ prio di quel pericolo da cui proteggersi. Quando esse si allontanano, sole o con i propri figli, è la percezione della gravità della violenza che ha il sopravven­ to, è il terrore provato la mattina stessa o la notte a spinger­ le a chiedere protezione e a essere inserite in una struttura a indirizzo segreto. Ma la lettura del terribile episodio può su­ bire variazioni, se visto e valutato con l'occhio dell'aggres­ sore "insediato" dentro di loro e nutrito dall'isolamento e dalla mancanza di modelli di confronto alternativi. Anche a questo proposito si instaura quindi un movi­ mento a doppio binario, in cui si intrecciano anche un'al­ tra serie di motivazioni a esso costellate. Una maggiore difficoltà nella percezione della gravità del maltrattamento è riscontrabile in quei casi in cui esso ri­ sale a esperienze molto più lontane nel tempo, come l'in­ fanzia o l'adolescenza, durante le quali la donna può es­ serne stata la vittima diretta o può aver assistito alla vio­ lenza tra i genitori e in famiglia. È il caso di Luigina, il cui padre, soprattutto quando era ubriaco, "gonfiava di botte" la madre, lei e le sue sorelle. La madre a sua volta, terrorizzata e spaventata, si faceva scu­ do delle figlie nel tentativo di limitare le violenze. L'incontro con il futuro marito sarà già connotato da una serie di segnali che Luigina però non è in grado di ricono­ scere, o di cui, se li riconosce, non valuta la pericolosità. L'uomo appare da subito "geloso", controllante e manesco, ma lei riferisce di "schiaffi leggeri", "di spintoni che non fanno male", di "qualche pizzicotto", che però provoca un vasto ematoma. L uigina minimizzerà fino al giorno in cui il marito la spedisce ali'ospedale con il naso e le costole rotte. 51

Al suo ingresso nella casa affermerà di non voler mai ù pi avere a che fare con il partner, che definisce "una bestia come mio padre", ma poi alla fine, forse anche in ragione di questo, tornerà con lui. Non essendoci mai state per lei le condizioni per identificare il concetto di protezione e per mentalizzarlo, i tentativi di aggancio su questo piano non hanno trovato terreno disponibile, riportandola in un con­ testo molto pericoloso. Si intreccia poi ai precedenti un altro fattore che contri­ buisce a generare confusione, ambivalenza e incertezze ri­ spetto alla necessità di protezione richiesta dalla struttura, ed è costituito dal fatto che i maltrattanti sono coinvolti in legami affettivi con le loro vittime, che perciò faticano a identificarli come tali. Molte donne della casa, a momenti in cui si rendono ef­ fettivamente conto che da parte del partner non esiste nes­ suna motivazione al cambiamento, ne alternano altri in cui sono convinte che con il loro aggressore sia sempre possi­ bile avviare una comunicazione "tra pari" che proceda se­ condo un ordine lineare e condiviso. D' altronde il partner spesso alterna modalità violente, umilianti e svalutanti, ad altre seduttive, manipolatorie e rassicuranti. Infatti, molte donne perdono fiducia nelle loro percezioni anche per que­ sta duplicità, sperando così che il maltrattante "possa cam­ biare'', "ragioni", "capisca i suoi errori", "si penta", "torni indietro", per usare le loro stesse parole. In questa situazione confusa e ambivalente, la decisio­ ne di una donna di allontanarsi da casa dopo un episodio particolarmente grave di violenza (di solito non il primo) da parte del partner, rappresenta comunque un momento di rottura del legame e contiene in sé elementi molto destabi­ lizzanti. Alcune donne che entrano in casa rifugio manife­ stano particolare difficoltà a viversi al di fuori di quel le­ game che si continua ad alimentare anche solo tramite la lo­ ro rabbia ma anche tramite il bisogno di controllare quali sono i movimenti del partner e non solo per potersi sentire davvero al sicuro. Questa presenza interna forte, connota­ ta dali' ambivalenza, non può costituire però una base di partenza perché si attivi l'aspetto della protezione, in quan52

to il partner paradossalmente è ancora troppo presente per poter essere tenuto a distanza. In molti casi allora, la donna che ha dato prova di gran­ de forza allontanandosi da una situazione rischiosa e inso­ stenibile, può essere ambivalente e confusa rispetto al rin­ saldare tale scelta tramite strategie di protezione successive. Un esempio apparentemente banale può essere rappre­ sentato dalla resistenza che alcune dimostrano nel voler cambiare scheda del cellulare all'ingresso della struttura. Questa è una delle misure di protezione che vengono mes­ se in atto nella casa in quanto, nel momento stesso in cui il maltrattante si accorge della fuga, il cellulare della donna inizia a squillare e, se lei rispondesse, il partner rimette­ rebbe in atto tutti gli strumenti di convincimento già col­ laudati. Anche se la donna non risponde, il cellulare viene invaso da messaggi a "doppio binario", che possono con­ tenere minacce, insulti, offese, colpevolizzazioni e alterna­ tivamente blandizie, promesse di cambiamento, giuramen­ ti o anche annunci di suicidio imminente. Sono armi che il partner ha sperimentato con successo durante la relazione e può succedere che alcune donne ne vengano ancora invi­ schiate. Che sarebbe necessario per la donna proteggersi da un impatto del genere, ne fanno testo spesso le crisi di sconforto o il ritorno di alcuni disturbi o sintomi che anda­ vano attenuandosi o sparendo all'interno della struttura. Ar­ mida, ad esempio, viene di nuovo colta da attacchi di pa­ nico e vomita appena ha notizie dal partner, Silvana ha in­ cubi notturni, Lella smette di mangiare e si rintana in casa ma proprio il consenso alla chiusura di questo canale di co­ municazione non è sempre così scontato e nella casa è di­ ventato un indicatore del livello di protezione. Un altro indicatore significativo in questo senso è costi­ tuito dalla violazione dei vincoli e delle regole della strut­ tura, che sono costruite intorno alla donna e ai suoi figli per la loro tutela. Questo fatto può far pensare che la forbice tra la percezione del rischio e il bisogno di protezione sia de­ stinata ad allargarsi. Tale divaricazione può segnalare un cambiamento degli obiettivi ritenuti prioritari al momento dell'ingresso nella struttura, in base ai quali peraltro era 53

stato avviato un procedimento giudiziario di tutela. Succe­ de spesso che progressivamente l'obiettivo prioritario del­ la protezione lasci spazio ad altre istanze che diventano di volta in volta prioritarie ma che non sono neppure ricono­ scibili come tappe di un auspicabile processo di autono­ mia. Così, ad esempio, Vincenza, decide di rientrare nella casa in cui vive ancora il marito che la sta perseguitando, da sola e senza attendere le Forze dell'Ordine, per pren­ dersi alcuni vestiti che valuta indispensabili, Jenny non ri­ tiene pericoloso rivelare l'indirizzo segreto della struttura ad alcuni amici che sono rimasti in contatto con il partner, Lilly accetta di nascosto l'invito a cena del marito, solo per citare alcuni casi. In ognuna di queste situazioni, in cui evidentemente si intrecciano anche tutti gli altri elementi rilevati rispetto al­ l'incapacità di proteggersi, la violazione alle regole di si­ curezza della struttura può rappresentare il primo inizio di una serie di movimenti "divergenti" da parte di queste don­ ne, trasformandosi successivamente nella tendenza a di­ sertare i colloqui e gli appuntamenti, nel muoversi cioè non secondo un progetto condiviso ma tramite azioni e scelte personali che spesso poco hanno a che fare con la prote­ zione e le mettono a rischio. Nel caso di Beatrice si intrecciano parecchi dei fattori indicati, dal maltrattamento nell'infanzia e adolescenza al­ la sottovalutazione del pericolo, ma il suo esplicito rifiuto ad adeguarsi alle strategie di protezione è soprattutto con­ notato dalla sua difficoltà a differenziarsi dal partner e dal conseguente timore di rompere la relazione con lui. È sfuggita per un soffio a una sua coltellata, mentre ave­ va in braccio il bambino di pochi mesi e viene collocata in casa rifugio dalle Forze dell'Ordine. Dal suo racconto emerge che Beatrice ha rotto ogni rapporto con la famiglia di origine da quando, sedicenne, se ne è allontanata a cau­ sa delle percosse subite. Proprio per questo fatto Beatrice da un lato odia e teme la violenza mentre dall'altro la sot­ tovaluta e non ritiene necessario proteggersi. Nel suo caso risulta particolarmente difficile la rilevazione della violen­ za che emerge saltuariamente, ma viene subito minimizza54

ta. Si apre così una divaricazione tra i fatti realmente acca­ duti, tali da indurre le autorità a richiedere la protezione del nucleo e la percezione del pericolo di Beatrice che segue al­ tri criteri di valutazione. Il suo netto rifiuto di cambiare scheda al cellulare rien­ tra in questa divaricazione e rimanda inoltre al suo vero ti­ more che un gesto del genere stia a significare la rottura del rapporto con il partner, per lei comunque unica figura affettiva di riferimento. La sua priorità, nel breve periodo di soggiorno nella struttura, sembra quindi essere non tanto la protezione sua e del bambino, ma quella del legame e del compagno. Esiste poi un altro aspetto, di non poco conto, se lo si considera come un'ulteriore conseguenza del danno subi­ to, i cui effetti si estendono nel tempo ben oltre gli eventi scatenanti, come una sorta di contagio difficile da debella­ re. In particolare, va sottolineato l' atteggiamento che alcu­ ne donne tengono nel corso dell'iter giudiziario sia civile che penale riguardante gli episodi di violenza. Nel mo­ mento infatti in cui esse, sporta la denuncia, entrano nella casa rifugio che comunica al Tribunale dei Minori l'inseri­ mento dei bambini nella struttura, viene messa in moto una macchina giudiziaria a tutela della donna e dei minori, che si avvale dei contributi, delle segnalazioni e delle osserva­ zioni sia da parte della struttura stessa che dei Servizi So­ ciali o di altre strutture e professionisti che si occupano del caso. Si costituisce cioè intorno alla donna e, nel caso, ai suoi figli, una rete di tutela e sostegno in attesa di provve­ dimenti del Tribunale stesso. È importante sottolineare questo aspetto per capire che uno spostamento da parte della donna rispetto alla valuta­ zione del pericolo e alla protezione, soprattutto nel caso di presenza di minori, possono produrre non solo effetti ne­ gativi sull'iter giudiziario intrapreso, ma anche costituire un attacco alla sua credibilità, trasformandosi in un vero e proprio boomerang. Ritrattazioni, passi indietro, pessimi padri che diventa­ no "buoni", visite protette che non vengono rispettate o quant'altro sono tutti spostamenti riscontrabili in alcune 55

donne della casa, dietro ai quali però è sempre riconoscibile la sfiducia nelle proprie percezioni, che le portano a rica­ dere nei giochi del partner che annuncia cambiamento, mi­ naccia suicidio, promette un nuova vita, quando pesante­ mente non colpevolizza. Accanto a questo possono essere presenti anche altri fattori che spingono la donna a fare dei passi indietro, come la cultura di provenienza, le convin­ zioni religiose, le pressioni della famiglia di origine, le dif­ ficoltà oggettive a ricostruirsi una vita da sole con i propri bambini. Questi aspetti "divergenti" inoltre provocano uno scol­ lamento tra il dovere di protezione che la casa ha nei con­ fronti delle donne e soprattutto dei minori e la scarsa per­ cezione che esse ne hanno. Questa contraddizione costi­ tuisce uno dei nodi problematici più complessi della strut­ tura in quanto da un lato rischia di incrinare la relazione di aiuto e dall' altro rischia di esporre i minori a messaggi con­ trastanti.

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La mancanza di previsione

Legata all'ambito della protezione, ma con connotazio­ ni specifiche che meritano un'attenzione a parte, esiste un'altra area problematica che assume particolare spazio e rilievo nel percorso di uscita dalla violenza di alcune don­ ne ospiti della casa: quella dell'incapacità di prevedere le conseguenze delle loro azioni, anche se tali conseguenze appaiono, in tutta evidenza, prevedibilmente disastrose. Nelle situazioni di rischio, infatti, la capacità di previsione diventa uno strumento di vitale importanza contro la reci­ diva, eppure proprio tale strumento sembra venir meno lad­ dove sarebbe più necessario. Nell'osservazione effettuata su donne ancora inserite nel­ la casa o nel monitoraggio successivo riferito a donne appe­ na reinserite in una situazione di autonomia, non è raro ri­ scontrare che la mancanza di previsione può essere presente anche in quelle di loro che nella relazione di maltrattamento avevano imparato a schivare la violenza del partner. Esse era­ no diventate infatti molto abili nel prevedeme le mosse, nel­ l'interpretare i segnali di un'escalation della violenza stessa, "camminando sulle uova" per disinnescare la crisi. Ma la mancanza di previsione riscontrata nella casa, si connota subito della corrosione o della scarsa presenza di fattori più complessi. 57

Ciò che caratterizza questa "falla" che spinge alcune donne ad azioni chiaramente e prevedibilmente dannose per sé e per i propri figli è la debolezza o l'oscuramento del nesso causa-effetto, pesantemente capovolto nella lo­ gica della violenza, che viene sostituito da altre istanze, ri­ , spondenti, a loro volta a valutazioni slegate dalla realtà. E quindi proprio un piano di realtà stravolto dalla stessa lo­ gica e pertanto aperto a suggestioni infondate o dannose, a costituire il riferimento di un nesso logico sovvertito. In un simile contesto, rispetto alla previsione, a nulla va­ le mettere in guardia la donna, facendole presente i rischi pur così evidenti in cui può incorrere se compirà alcune azioni. Proprio a causa della "falla" nella percezione azio­ ne-conseguenza, la donna è convinta di fare la cosa giusta e se non sarà possibile modificare la sua lettura delle real­ tà, non sarà certo un'esperienza sbagliata a ricostruire un anello mancante. Nella casa rifugio si possono osservare svariate situa­ zioni di questo tipo, che producono di volta in volta conse­ guenze di peso diverso, ma le storie di Irma e di Flavia sem­ brano rappresentare uno scenario significativo. Quando Irma entra in casa rifugio con due bambini, sta scappando da una gravissima situazione di violenza. Il part­ ner, alcolista, ha anche precedenti penali e vive di loschi affari. Irma piange in continuazione descrivendo con mol­ ta lucidità episodi di gravissima violenza da parte del com­ pagno, che dice di non voler incontrare mai più. Lei ha trascorso la sua infanzia in un piccolo paese, ma di questa parte della sua vita non sa raccontare nulla, nem­ meno un episodio, e definendola solo "normale". Quando incontra il partner ha già superato la trentina, si trasferisce con lui in un'altra città e la coppia ha due bambini. Gli epi­ sodi di violenza iniziano subito, anche in presenza dei figli, e Irma vive nel terrore. Nel suo racconto emerge da subito un aspetto di incongruenza, comune d' altronde ad altre donne ospiti della casa. Nonostante infatti l'uomo sia peri­ coloso e quasi sempre ubriaco, Irma però decide di affi­ dargli i bambini mentre va a lavorare, dato che lui ufficial­ mente è disoccupato ed è sempre, in casa, dove entrano ed 58

escono persone con cui l'uomo intrattiene invece commer­ ci illeciti di vario tipo, tra cui spaccio di droga. In realtà, co­ me emerge dall' osservazione della casa, non è stata solo l'imprescindibile necessità di sistemare i figli che aveva re­ so prioritaria questa sua scelta, ma, fin da allora, un insie­ me di fattori "mancanti", come la mancanza di protezione, di previsione, di riuscire a tenere insieme il concetto di vio­ lenza su di lei e quello di pregiudizio o pericolo sui figli. Ir­ ma infatti spiega che il padre "non li ha mai toccati", la­ sciando intendere che questo fatto è sufficiente a farla star tranquilla. Quando la situazione si fa sempre più grave, tanto che lei capisce che per la sua incolumità deve allontanarsi il più presto possibile, la sua paura è tale che decide di sali­ re su un treno insieme ai bambini e di scendere in un po­ sto dove nessuno, e soprattutto il compagno, la possa ri­ trovare. Al momento del suo ingresso in casa rifugio è spaurita e molto timorosa di poter essere rintracciata, ma successi­ vamente la sua situazione si normalizza anche perché ap­ pare chiaro che il partner non sta ricercando né lei né i bam­ bini né ha messo in atto strategie persecutorie nei suoi con­ fronti, come spesso accade. La vita di Irma lentamente tor­ na alla normalità, dando spazio ali' emergere di una serie di elementi di forza che si concretizzano nell'attivazione di risorse tese ali ' autonomia. Infatti quando esce dalla struttura, è in possesso di un lavoro, di una soluzione abitativa e di alcune nuove amici­ zie che costituiscono una rete di sostegno. Nonostante queste favorevoli circostanze, Irma però sembra attingere sempre a un piano di realtà confuso e im­ preciso, nel quale ben presto riprendono sopravvento pro­ prio gli aspetti "mancanti", traducendosi in scelte illogiche e prevedibilmente rischiose. Siccome il suo lavoro, che tra l'altro le offre anche l'abitazione, si scosta dalle sue previsioni, decide di !a­ sciarlo improvvisamente, senza però averne trovato prima un altro, pur sapendo che quella è la sua unica fonte di red­ dito. Contemporaneamente firma anche un contratto d'af59

fitto per un appartamento, pur non avendo i soldi per pa­ garlo, nella certezza, del tutto ipotetica, che le sue nuove amiche, non ancora consultate, le avrebbero prestato il de­ naro necessario. Così Irma viene a trovarsi senza lavoro e senza casa, ma ciò che domina il suo pensiero non è la consapevolezza di aver effettuato scelte avventate, quanto lo stupore che nessuna amica le abbia prestato i soldi in quell a circostanza. Questa percezione spostata rispetto al­ la lettura degli eventi, importante indicatore del danno, avrà tra l'altro l'effetto in Irma di indebolire la sua fiducia nelle relazioni amicali che non hanno corrisposto alle sue previsioni. Nonostante la difficoltà della situazione, Irma però rie­ sce in un tempo abbastanza breve a trovare un nuovo lavo­ ro e una soluzione abitativa, fino a quando richiede di es­ sere urgentemente riaccolta nella casa rifugio. Telefona in modo concitato, molto spaventata, dato che l'ex partner, tornato a vivere con lei, la minaccia di morte. Spiega di averlo ricercato perché sul lavoro stava attraversando un momento difficile c aveva bisogno di qualcuno a cui affi­ dare i bambini. A fronte di altre soluzioni più complesse, in un momento di reale difficoltà, aveva previsto di potersi fi­ dare ancora una volta di lui in base a fattori non verificati. Fattori che da un lato contenevano la previsione del tutto gratuita che il compagno fosse cambiato e dall'altro riba­ divano la sua percezione che lui fosse un padre affidabile e sicuro in quanto "non toccava" i bambini. Così il cerchio sembra essersi chiuso sul punto di par­ tenza, anche se l'esperienza della casa racconta cose di­ verse. Irma infatti riuscirà in seguito una volta per tutte a uscire da quella brutta situazione, ma il prezzo più pesan­ te verrà comunque pagato dai bambini, sballottati e trasci­ nati da questi eventi. Anche la storia di Flavia si muove all'interno di coor­ dinate analoghe a quelle di Irma, anche se coniugate in cir­ costanze diverse. Quando entra nella casa rifugio è terro­ rizzata dali'idea fissa che il partner possa rapirle la figlia e portarla nel suo paese d'origine in un altro continente, per farla allevare dalla sua fami&}ia. L' uomo ha già mi60

nacciato più volte di mettere in atto questo progetto, tanto più che ha nelle sue mani il passaporto della bambina. La loro relazione di coppia si caratterizza per botte, minacce e insulti, ma quello che ha indotto Flavia a chiedere aiuto è stata proprio la paura del rapimento, cui tra l'altro anche l'autorità giudiziaria ha dato credito attivando visite pro­ tette tra padre e figlia e costringendo successivamente l'uomo a consegnare il passaporto. Il suo percorso all'in­ terno della casa rifugio non è semplice perché Flavia, se da un lato evidenzia un buon livello di capacità ad esempio in campo lavorativo, dall'altro però presenta, come Irma, di­ verse difficoltà rispetto a una serie di funzioni riguardan­ ti la bambina stessa, come la capacità di contenimento e di ascolto o il pensiero stesso della protezione che, al di là della paura del rapimento, non trova mai reale spazio nel­ la sua mente. Lo conferma il fatto che, nonostante la paura del rapi­ mento continui a essere evocata durante tutto il suo per­ corso nella casa, un giorno improvvisamente Flavia an­ nuncia di voler tornare con il partner. Lui si è rifatto vivo, le ha promesso una casa e nuove prospettive e così lei esce dalla struttura, vanificando anche le misure cautelari attua­ te dal Tribunale nei suoi confronti e in quelli della figlia. Con un colpo di spugna sembra che Flavia abbia cancella­ to tutte le sue paure, ma in realtà a tutti quegli elementi mancanti che già erano presenti nella casa, se ne aggiun­ gono altri, come l'incapacità di connettere gli eventi e di prevederne le conseguenze, in un quadro che rimanda an­ che a danni pregressi, come i maltrattamenti da lei subiti nell'infanzia e adolescenza. Dopo circa sei mesi Flavia chiede di nuovo aiuto. La convivenza con il partner è andata malissimo, le violenze sono ricominciate e allora si è allontanata da casa, provve­ dendo a trovare una nuova soluzione abitativa per sé e la bambina, ma lasciando che il padre veda la figlia, questa volta senza alcun provvedimento. Nonostante il clima tra loro sia tesissimo e pieno delle solite minacce, Flavia una o due volte la settimana lascia che il partner porti la bam­ bina fuori da solo e che la riporti la sera, immemore della 61

paura di rapimento o spinta da altre necessità che adesso le si presentano come prioritarie. Come però poteva essere prevedibile, lui una sera rapisce davvero la figlia, portan­ dola nel suo paese d'origine, chiudendo così il cerchio, an­ che in questo caso, sul suo punto di partenza.

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Le aspettative irrealizzabili

Sempre connessa a una percezione vaga e distorta della realtà, nella struttura si evidenzia spesso nelle donne la ten­ denza a formulare richieste irrealizzabili. Una volta entra­ te in casa rifugio, molte sono portate a ritenere che chi le sta aiutando sia dotato di poteri quasi magici, tramite i quali possa assolvere a tutte le loro necessità. E più la violenza, l'isolamento c il controllo sono stati gravi e protratti nel tempo, più ha potuto prendere spazio la visione del partner come detentore di un potere illimitato, da cui dipende an­ che la sopravvivenza. È interessante notare come dai racconti emergano due li­ velli diversi e contradditori in cui la realtà di queste donne si è mossa. Esiste un primo scenario in cui esse sono dav­ vero le persone di primo piano in quanto mandano avanti la casa, allevano i figli, a volte guadagnano per tutti e due, mediano le difficili relazioni con parenti e amici, a volte si pongono come uniche soccorritrici del partner in difficol­ tà e salvatrici della coppia. Ma all'interno di questo scena­ rio ne esiste un altro che si sovrappone e si intreccia con il primo. È il piano della violenza, del disconoscimento del suo ruolo positivo, della svalutazione che accompagna le azioni della donna e conseguentemente della sua totale esclusione da ogni livello decisionale, non solo sempre sco63

raggiato e impedito, ma anche grosso fattore di rischio. Ancora chiuse in questo gioco che le immobilizza nel­ l'impotenza, molte donne accolte nella struttura, ritengo­ no che anche chi le sta aiutando sia provvisto di un potere che esse però non sono in grado di valutare, in quanto atti­ nente a quel piano di realtà che risulta vago e lontano. In base a questa percezione tanto più forte quanto più generi­ ca e confusa, le aspettative e le richieste formulate nella ca­ sa sono spesso impossibili da realizzare immediatamente o senza l'intervento di successivi fattori ancora inesistenti. In questi casi può accadere, proprio in forza di quella per­ cezione, che tali aspettative vengano rivendicate come do­ vute, attivando anche sentimenti di ostilità e rabbia nei con­ fronti di chi non risponde alle richieste. Questo sembra essere l'atteggiamento di Palmira che è stata tenuta dal marito per più di dieci anni in stato di schia­ vitù, chiusa in casa senza possibilità di uscire da sola, ne­ anche per fare la spesa. È straniera, ma vive in Italia da an­ ni e non ne conosce la lingua, non avendo mai avuto la pos­ sibilità di usarla. Oltre alle violenze fisiche, le veniva anche spesso imposto di stare confinata in una stanza con la bam­ bina, soprattutto quando in casa venivano o i fratelli o gli amici del marito per cenare o fare festa. Le era proibito ogni contatto che non fosse deciso prima dal marito e che non avvenisse in sua presenza. Entrare in casa rifugio significa per Palmira mettere fi­ ne alle violenze dirette e all'incubo concreto di ogni gior­ no, ma la tortura inflittale continua a prolungare i suoi ef­ fetti anche successivamente la rottura della relazione. Oltre agli incubi e alla paura, Palmira sembra muoversi in un contesto a lei totalmente sconosciuto, in cui accenna i pri­ mi incerti passi. Le sue aspettative non riescono a trovare spazio nei modi e nei tempi della realtà concreta, che però lei non riesce ad afferrare e controllare. Se quella di Palmira può considerarsi una situazione estrema, anche molte altre donne però si muovono all'in­ temo della forbice aperta tra aspettative irrealizzabili ed ef­ fettive possibilità di soddisfarle. Più ampia è l'apertura della forbice, più frequente è la 64

possibilità di atteggiamenti rivendicativi e conflittuali nel­ la struttura. Palmira diventa ostile, Maria assume toni molto lamen­ tosi e ricattatori, Pia si sente tradita e si irrigidisce. Può ac­ cadere che, se chi le sta aiutando non risponde alle loro aspettative, nella loro percezione la persona si trasformi in soggetto inaffidabile da cui guardarsi. Le aspettative irrealizzabili quindi, oltre a essere uno de­ gli indicatori del danno subito, possono quindi anch'esse trasformarsi in strumenti negativi e contrari al processo di autonomia.

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Lo spazio della genitorialità

Come viene rilevato dai dati, il 70,8% delle donne en­ trano nella casa insieme a uno, due o tre figli e quindi i bambini e le bambine sono parte integrante della vita al­ l'interno della struttura. Essi in genere sono stati testimoni di episodi di violen­ za sulla madre e hanno vissuto situazioni dominate da ur­ la, minacce, insulti c paura, oppure sono stati loro stessi vittime dirette di violenza o di abusi, e, a loro modo, come le madri, ne evidenziano gli effetti e i danni. Sarebbe necessario in queste circostanze che essi potes­ sero contare su un genitore protettivo, ma la gravità e l'or­ rore che ha travolto le loro madri, le ha rese nella maggio­ ranza dei casi indisponibili a riconoscere i molti bisogni dei bambini che esulino da un semplice accudimento. Le pressanti istanze di sopravvivenza e l' impoveri­ mento mentale, non hanno permesso alle madri di dare spazio a un pensiero più complesso riguardo ai propri fi­ gli, permettendo loro di allargarsi all'ascolto dei segnali di sofferenza dei propri bambini e alla consapevolezza che anche loro possono aver subito danni molto gravi, non ri­ solvibili solo con lo svanire del ricordo, come molte sem­ brano pensare. Ciò che l'osservazione vuole qui evidenziare riguarda 66

queste difficoltà delle donne che, a seconda dei casi, si dif­ ferenziano nei modi e nella gravità, ma che in genere si ar­ ticolano in alcune modalità abbastanza ricorrenti. D'altra parte, nel bagaglio di svalutazioni che le donne della casa portano con sé, particolarmente costanti appaio­ no quelle riguardanti il loro modo di gestire i figli. Le ac­ cuse più comuni loro rivolte sono quelle di essere delle cat­ tive madri, incapaci, inaffidabili o stupide, il tutto proferi­ to di fronte ai bambini e teso intenzionalmente a svuotare di importanza il loro ruolo materno. Tale manovra inoltre, martellata a volte per anni ha impedito loro di vedere con chiarezza che le svalutazioni del partner non erano mirate alla costruzione di un buon rapporto madre-figli, ma sem­ mai alla sua distruzione. Quello da cui comunque non si può prescindere è che, in una situazione caratterizzata dal­ la violenza, i bambini stessi vengono necessariamente coin­ volti in un contesto stravolto e disordinato, in cui i ruoli si confondono e le figure genitoriali non rivestono più la lo­ ro funzione di protezione e cura. In un contesto del genere essi possono venir percepiti dal padre come strumenti per svalorizzare ed esautorare la madre, o anche dalle stesse madri come mezzo di difesa o di mediazione. Lo scenario della violenza mina alle basi l' ordine naturale che distingue i ruoli degli adulti da quelli dei bambini, la distinzione nei compiti e nelle funzioni tra genitori e figli, trasformando in questo stravolgimento i bambini in piccoli adulti agli oc­ chi di entrambi i genitori. Affrontare questo problema con le madri si configura spesso come un nodo delicatissimo in quanto da un lato es­ se, pur non avendo avuto modo di mentalizzare aspetti im­ portanti di genitorialità, non sono più disposte ad accettare nessuna messa a punto su questo piano, mentre dall'altro avrebbero invece veramente bisogno di essere sostenute. Spesso nella casa si assiste impotenti al rifiuto di molte madri non solo a mettere in atto alcuni comportamenti di evidente utilità per i bambini, ma anche ad attivare nei lo­ ro confronti interventi idonei a valutare il danno subito. An­ che per quello che riguarda il recupero le capacità genito­ riali, le stesse madri che nella casa spesso invocano la pre67

senza di figure vicarie, non sono sempre disponibili a even­ tuali suggerimenti sul loro modo di gestire il ruolo mater­ no rispetto a contenimento, differenziazione, protezione. D' altra parte su questo terreno pesano anche una serie di fattori familiari, transgenerazionali e culturali molto radi­ cati. Santina, ad esempio, resta fermamente ancorata alla cer­ tezza che i bambini maschi del suo paese di origine siano diversi dagli altri e che non possono "essere contrariati". Proprio per quel che riguarda la capacità di protezione dei bambini, nella casa si osserva come questa sia una del­ le funzioni spesso meno presenti e meno attive nel pensie­ ro delle madri, che comunque, con il loro allontanamento, li hanno sottratti alla situazione di violenza. Si osserva pe­ rò che la stessa difficoltà che esse evidenziano nel proteg­ gere se stesse mettendo in atto strategie più elaborate di tu­ tela, si manifesta anche nei confronti dei loro figli. D'altra parte spesso sono stati i bambini stessi a proteggere la ma­ dre dalle violenze, acquistando nella percezione materna una posizione confusa e ingannevole. Da tutto ciò, il fatto che le aree della protezione, del con­ tenimento e del ruolo adultizzato dei propri bambini, risul­ tino carenti, sta a testimoniare una conseguenza inevitabi­ le del contesto di violenza e costituisce nella casa un im­ portante indicatore in questo senso.

Protezione e contenimento Il pensiero della protezione verso i propri figli, già così ambiguo e stravolto, è naturalmente molto più debole se al danno subito dalla relazione di maltrattamento, se ne ag­ giunge per alcune donne un altro che ha origini in un falli­ mento relazionale più lontano, riferibile anche alla presen­ za neli'infanzia di figure a loro volta non protettive o as­ senti, o al fatto che esse stesse siano state vittime di vio­ lenza assistita o diretta, oppure di abbandoni o istituzio­ nizzazioni o trascuratezze. ' In questi casi, come si evince dai loro racconti, esse stes68

se bambine si erano trovate in situazioni di pregiudizio e di confusione di ruoli, in cui poteva essere stato necessario proteggere la madre, o essere percepite come salvatrici del­ la pace familiare, addossandosi quindi fin da allora compi­ ti inadatti alla loro età. In questi casi il recupero delle capacità genitoriali di­ venta più difficoltoso, in quanto sarebbe necessario che queste madri facessero ricorso a un territorio già presente nella loro mente, anche se momentaneamente o per lungo tempo messo a tacere dal sovvertimento della violenza. Nella loro storia però niente sta a indicare che si possa es­ sere formato quello spazio mentale in cui concetti come protezione o contenimento o ascolto di una figlia possano aver trovato terreno per svilupparsi e di conseguenza il dan­ no di tale mancanza ha il suo peso in termini di possibilità di recupero. Come Natalia che, quando entra nella struttura, dirà: "Ho fatto quello che mia madre non ha mai avuto il corag­ gio di fare" e quel passo, che indica la presenza in quel mo­ mento di una forza e di un coraggio notevoli, la porterà a chiedere ospitalità, soprattutto "per il bene del bambino", come afferma. Sembrerebbe quindi che l'aspetto della for­ za potesse costituire in lei un riferimento e un argine che chiedesse solo di essere irrobustito, ma nella quotidianità della casa tale argine è andato ben presto sfaldandosi per­ ché legato alla sfera di quelle intenzioni che non corri­ spondono alla presenza di un reale e radicato pensiero. Le sue difficoltà legate alla protezione e al contenimen­ to del bambino sono strettamente intrecciate e, segnalando la presenza di un danno pregresso, scavalcano e ostacola­ no la forza del suo proposito (''il bene del bambino"), che prevede non solo il fondamentale allontanamento dalla si­ tuazione di violenza, ma anche l'attivazione successiva, giorno dopo giorno di scelte più piccole, di aggiustamenti, di spostamenti, a segnalare la presenza di un pensiero for­ te in questo senso. Nella famiglia d'origine di Natalia si intrecciano vio­ lenza e povertà, il padre beve e perde continuamente il la­ voro e lei fin da bambina viene investita di doveri che non 69

le competono. La madre, a sua volta invischiata in quel contesto, non riesce a costituire un argine protettivo ma an­ zi si appoggia a lei spingendola "con le buone o con le cat­ tive" ad assecondare sempre il padre per "tenerlo buono" in modo da non innescare l'insorgere della violenza. Se non raggiunge l'obiettivo, le vengono addossate le colpe e la responsabilità del fallimento. Ancora giovanissima, Natalia decide di abbandonare la casa paterna, ma non, come spiegherà, per sfuggire ai mal­ trattamenti, bensì alla povertà. Questo spostamento rispetto alla percezione della gra­ vità degli eventi, rimarrà costante nella sua mente, condi­ zionando scelte e atteggiamenti successivi. Poco dopo intreccia una relazione da cui nasce un bam­ bino, nella speranza di costruirsi una famiglia diversa dal­ la sua. Il partner però si rivela ben presto molto simile a suo padre, sia perché beve sia per gli atteggiamenti violen­ ti sia perché, nonostante le promesse, perde continuamen­ te il lavoro e i mezzi di sussistenza si fanno scarsi. Così Natalia si allontana, fuggendo ancora una volta da una situazione in cui violenza e povertà si intrecciano e chiede di essere ospitata in casa rifugio perché vuole che la sua vita cambi una volta per tutte. Nella struttura però si evidenzia, giorno dopo giorno, che essa ravvisa come sue priorità non tanto i bisogni e le necessità del bambino, quanto piuttosto l'urgenza di allon­ tanare da sé lo spettro della povertà, percepita come l'even­ to più grave della sua vita. Mentre quindi tutto il suo impegno è rivolto a colmare questa esigenza, Natalia non riesce a trovare nella sua men­ te, rispetto al figlio, un pensiero che non si organizzi nei termini che le sono da sempre familiari. Il doppio binario entro cui si muove prevede infatti modalità atte a "tenerlo buono" alternate ad altre invece dominate da atteggiamen­ ti molto aggressivi nei suoi confronti, ambedue comunque caratterizzate da una notevole incapacità di contenimento. Natalia dall'ingozzarlo di merendine purché non pianga o dal comprargli tutto ciò che chiede senza limiti, assecon­ dandolo senza nessun contenimento in ogni richiesta, pas70

sa ad atteggiamenti ingiustificatamente duri e aggressivi, quando la situazione inevitabilmente le sfugge di mano. Lo stesso spostamento rispetto alla gravità degli eventi, condiziona anche gli aspetti della protezione. Natalia, ad esempio, non riesce proprio a vedere quanto possa risulta­ re pregiudizievole per il bambino affidarlo a persone ina­ deguate, o rifiutare appuntamenti significativi per il benes­ sere del piccolo, non ritenendoli importanti, o non preoc­ cuparsi se lui è sempre presente al racconto delle violenze subite. Il medesimo trasferimento della gravità degli eventi, fa sì che Natalia sia proiettata totalmente sull'aspetto lavora­ tivo, di per sé importantissimo e indispensabile, ma in lei così totalizzante nei suoi obiettivi da segnalare la mancan­ za di uno spazio riferito al ruolo materno. D'altra parte il bambino, a sua volta avvertendo una cer­ ta instabilità nella figura materna abbastanza sfuggente e poco protettiva, rende le sue richieste affettive sempre più pressanti e non si stacca un minuto da lei, provocandone grande affaticamento e insofferenza.

Adultizzazione Rispetto al fenomeno dell'adultizzazione, valutabile co­ me un indicatore dell'esposizione a situazioni di violenza da parte dei bambini, l'osservazione della casa evidenzia nelle madri una tendenza a favorirla e valorizzarla, proprio perché quel ruolo stravolto assunto dai figli le ha spesso protette o salvate dai maltrattamenti più gravi. Il persistere di questa visione ne perpetua il mantenimento, alimentato dalla percezione delle madri che l'adultizzazione dei bam­ bini costituisca una dimostrazione positiva di maturità da incoraggiare e potenziare. Di segno opposto, ma della stessa valenza a indicare una visione alterata del coinvolgimento dei bambini in un con­ testo di maltrattamento, si può intendere l'atteggiamento di altre madri certe che i loro bambini siano invece troppo piccoli per capire, vedere o sentire ciò che sta succedendo 71

intorno a loro, oppure perché "erano nell'altra stanza", o "stavano dormendo". In tutti e due i casi, però, i loro figli, appena entrati nel­ la casa, non vogliono mai lasciare sola la madre per paura che le succeda qualcosa quando loro non sono presenti, mentre il fatto di averla sotto gli occhi allenta la loro pau­ ra e la loro ansia tramite la sensazione di controllo che ne ncevono. Rispetto all'atteggiamento di molte donne nei confronti del ruolo di piccoli adulti esercitato dai loro bambini, nella casa si osserva che molti di loro sono presenti a qualsiasi ti­ po di discorso, altri sono addirittura chiamati in causa a con­ fermare il racconto della madre, altri ancora vengono con­ siderati alla stregua di coetanei a cui la madre confida i pro­ pri guai e da cui vuole essere consolata. Germana percepi­ sce il figlio, che frequenta le elementari, come un suo pari, in grado di accogliere e contenere le sue ansie e i suoi ti­ mori. Considerandolo come un suo prolungamento, non rie­ sce a diversificarsi da lui e a vederlo veramente per quello che è, un bambino spaventato con le sue necessità e i suoi bisogni. Davanti a lui, Germana trova naturale piangere e disperarsi, rievocare le violenze del partner, come trova na­ turale che quel bambino di nove anni non solo sia al cor­ rente di tutto l'iter legale inerente alla separazione, ma le ricordi gli appuntamenti con il legale o con il Servizio So­ ciale. D'altra parte proprio quel bambino aveva rivestito il ruolo di suo salvatore correndo dalla vicina a chiedere aiu­ to perché il padre stava prendendo a calci la mamma. Che dietro il salvatore si nasconda soprattutto un bambi­ no terrorizzato e bisognoso di cure e protezione, non può ap­ partenere al suo pensiero ancora coinvolto in quel contesto. Nella casa sono state osservate anche alcune situazioni particolari in quanto caratterizzate dalla presenza di figlie adolescenti. In questi casi la difficoltà che caratterizza le madri, a differenziarsi dai figli e a gestire il loro ruolo ge­ nitoriale, appare in tutta la sua evidenza. Gabriella e Chiara, partendo proprio da questa difficol­ tà, si muovono con le figlie ado_Iescenti in modi apparente­ mente opposti. 72

Gabriella entra nella casa con due figli, una quindicenne e un bimbo che frequenta la materna. Dietro di lei una fa­ miglia d'origine che ha sempre coperto con omertà abusi intrafamiliari, avvolgendoli nel segreto. Gabriella, nei con­ fronti della figlia quindicenne, si muove in uno schema ag­ gressivo-seduttivo, nel quale le due modalità si alternano, sempre nell'ottica che la ragazzina sia un'adulta come lei. La ritiene anche "un'amica", a cui dire tutto, rendendo­ la complice di tutte le sue bugie e le sue manipolazioni e fa­ cendole giurare di non rivelare a nessuno quei segreti. La ragazzina è confusa, caricata di un ruolo che forse da un lato la lusinga, ma che dall'atro non riesce a reggere, così ogni tanto sente la necessità di sfogarsi e chiedere aiuto. Allora Gabriella diventa aggressiva e, sentendosi tradi­ ta, la accusa anche di "fare la spia", o di essere inaffidabi­ le, trattandola come un'adulta ora buona con lei e ora cat­ tiva e quindi da punire. L'incertezza di un modello di riferimento, inducendola anche a farsi forte di atteggiamenti autoritari e coercitivi, la spinge inoltre a formulare richieste perentorie e molto ele­ vate nei confronti della figlia e ad assumere atteggiamenti molto aggressivi se tali richieste non vengono soddisfatte. In particolare, alla ragazzina, considerata come adulta, vie­ ne imposto di sostituirsi alla madre nei confronti del fra­ tellino, compresa la cura e l'accudimento, trascurando i suoi bisogni e i suoi spazi da adolescente. Al tentativo del­ la figlia di riapproprirarsi del suo spazio di adolescente, Ga­ briella risponde anche qui con l'aggressività di chi ha su­ bito un torto da un altro adulto, salvo poi ricorrere ad at­ teggiamenti seduttivi nei quali naturalmente la ragazzina viene subito invischiata. Se Gabriella si muove tra aggressività e seduzione, Chiara, simile nell'incapacità di differenziarsi e nel perce­ pire la figlia quattordicenne come "amica", si muove se­ guendo uno schema diverso. Tende infatti a identificarsi con la ragazzina, ad assumere atteggiamenti adolescenzia­ li che la portano a invadere gli spazi della figlia, a propor­ si all'esterno sullo stesso piano della ragazzina, senza così riuscire a fornirle nessun contenimento. La figlia, divisa tra 73

complicità e fastidio, aggredisce la madre frequentemente, ma Chiara, invischiata nelle sue difficoltà, non è in grado di recepire la richiesta di aiuto che si nasconde dietro questa rabbia e, di fronte al suo fastidio per quell'ingerenza, ne subisce frequenti aggressioni nell'incapacità di riconoscersi un ruolo materno autorevole. Sempre nell'ambito di quell'aspetto del danno che sov­ verte e confonde, è riscontrabile in molte madri della casa a sovrapporre i bambini al partner maltrattante, quando es­ si riproducono il linguaggio usuale del padre o le sue espressioni offensive, spesso senza conoscerne la portata o il significato. Questo evidente segno di disagio viene in ge­ nere vissuto dalle donne come il rinnovarsi di un'ulteriore violenza contro di loro, come se i bambini fossero l'incar­ nazione del partner. "Sei come tuo padre", "diventerai come tuo padre" so­ no espressioni ricorrenti che esprimono dietro l'apparente preoccupazione, il non riconoscimento non solo del disagio dei figli e dell'effetto di tali affermazioni, ma anche della confusione tra adulti e bambini, tra chi causa il disagio e chi ne soffre gli effetti.

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PARTE TERZA

IL L ENTO RIEMERGER E DELL' ORDIN E

Il recupero degli elementi di forza

Mantenendo come punto di partenza il rapporto tra gli aspetti di forza e debolezza che giocano il loro ruolo fon­ damentale nel processo di uscita dalla violenza, l'osserva­ zione nella casa ha potuto evidenziare un gran numero di si­ tuazioni in cui, a differenza dei casi precedenti, le conse­ guenze del maltrattamento appaiono più circoscritte e non coinvolgono in modo così devastante e pervasivo gli aspet­ ti più importanti e significativi della vita personale. In que­ sti casi diventa possibile per le donne far ricorso o far rie­ mergere tutti gli elementi di forza sopravvissuti, come ri­ sorse e capacità personali prima umiliate e soffocate. In ge­ nere nella casa viene osservato che questa possibilità so­ pravvive più facilmente nei casi in cui l'esposizione alla violenza è stata meno prolungata nel tempo, oppure in cui sono meno presenti danni o situazioni personali pregresse di difficoltà. In molti casi però, vengono anche osservate situazioni diverse, in cui l'aspetto della forza e delle risor­ se è riuscito a resistere ad anni di violenze, a volte solo in forza della sopravvivenza di un piccolo spazio proprio, in cui si sono concentrate le capacità. Per una di loro può es­ sere stata la passione di cucinare, per un'altra quella di cu­ cire o ricamare, per un'altra ancora leggere o curare le pian­ te, oppure altre esigenze diverse. Che questo piccolo spa77

zio, scoraggiato o ostacolato dal partner, costituisse un pun­ to forte e significativo, viene alla luce nella casa, dove tale spazio è il primo a riemergere e a farsi strada, divenendo uno degli indicatori più positivi. Ciò non toglie che queste stesse donne siano soggette alle dinamiche e agli atteggiamenti propri delle vittime di maltrattamenti, che anch'esse si muovano su un doppio bi­ nario e presentino diversi gradi di ambivalenza e che spes­ so non sia facile aiutarle perché ancora per buona parte coinvolte in un contesto distorto. Quello però che le con­ traddistingue è la crescente prevalenza della forza sulla de­ bolezza con la conseguente possibilità di avviare processi di contrasto alla violenza subita. Oltre a quello già sottolineato, nella casa si può osser­ vare nelle donne la presenza anche di altri fattori che, se­ gnalando la progressiva ripresa di contatto con le proprie percezioni e i propri desideri, diventano ulteriori indicato­ ri molto importanti. Rintracciare, definire, valorizzare tali fattori con paziente e attenta osservazione quotidiana, si­ gnifica iniziare a rimettere ordine in un ammasso disordi­ nato e indistinto in cui le donne sono state precipitate. Uno di questi consiste nella capacità di portare avanti e costruire relazioni.

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L a capacità di costruire relazioni

Alcune donne entrano nella struttura proprio grazie al sostegno e all'aiuto di amiche o persone di cui si sono fi­ date e con cui continuano a mantenere una relazione di fi­ ducia per lungo tempo. Il fatto di essere riuscite a creare questi rapporti rappresenta non solo la presenza di capaci­ tà strategiche e di protezione, ma soprattutto un'inversione di tendenza, una crepa nella percezione dei legami come pericolosi e da evitare. Nell'osservazione quotidiana della casa si rileva spesso che allargare questa crepa costituisce comunque un processo dialettico e non sempre facile. An­ che qui le donne si muovono su un doppio binario, che può assumere le diverse polarità di fiducia-sfiducia, buono-cat­ tivo, ecc. anche qui l'aspetto negativo può prevalere sul­ l'altro. Quello che però si osserva è l'assenza di una rigida polarizzazione foriera di angosciose rotture, mentre le oscillazioni non arrivano a inficiare un legame che appare da l?reservare. E un legame che può avere il primo inizio all' ingresso nella casa, quando le donne già presenti organizzano un'ac­ coglienza a base di cibi, consigli, consolazioni, pianti in comune e che successivamente si consolida in relazioni po­ sitive capaci di prevalere su sospetti, dubbi e paure. Quan­ do ciò avviene, nella struttura si riscontra una forte spinta 79

all'inversione di tendenza tramite l'attivazione di un vola­ no positivo basato su circuiti di sostegno e collaborazione reciproca, contrapposti a quelli vissuti e interiorizzati du­ rante il maltrattamento. Lo dimostra il fatto che molte donne che all'interno del­ la struttura hanno stretto legami positivi, li portano avanti anche dopo l'uscita dalla casa. Due di loro hanno deciso di condividere un appartamento, un'altra ha ospitato a casa sua l'amica che era in difficoltà, un'altra ancora si è mobilitata per trovare lavoro e collocazione a una donna in uscita. Il caso di Angela sembra racchiudere in sé molti degli elementi osservati. È una donna di una certa età che decide di uscire da una situazione invivibile e che lascia la casa in cui vive da an­ ni, in un susseguirsi di incertezze per il suo futuro, ma an­ che di grande determinazione a sopravvivere. Ha intorno a sé il sostegno di alcune amiche, con cui da anni riesce a mantenere rapporti nonostante il marito la controlli e le ab­ bia anche più volte spaccato il cellulare a questo proposi­ to. Angela però escogita sempre nuove strategie per man­ tenere il contatto con le amiche, anzi dal suo racconto emerge la straordinaria capacità che possiede per cercare di difendere e proteggere quello a cui non può rinunciare. Quando decide di chiedere aiuto, si presenta accompa­ gnata e sostenuta dalle sue amiche di sempre, che le offro­ no tutta la loro disponibilità. Da subito però si evidenzia anche un altro suo punto di forza che riguarda il tipo di relazione che Angela ha con queste amiche e l'immagine di sé che sta dietro questo ti­ po di relazione. Pur aiutata e sostenuta da loro, Angela non si pone mai come una vittima incapace e bisognosa di qualcuno che de­ cida per lei. Con loro certamente si sfoga, recrimina, pian­ ge, ma poi, sulla gestione della sua vita, chiede consiglio, si consulta, ma non affida mai a nessuno le sue scelte. An­ gela resta a sua volta un forte sostegno per le amiche, an­ che quando è all'interno della struttura. La presenza di questi elementi di forza viene evidenzia­ ta ancora di più dal fatto che -entra nella casa rifugio in un 80

momento particolare, in cui è l'unica ospite. Poco dopo ar­ riveranno altri nuclei, ma al momento l'impatto potrebbe essere un fattore scoraggiante e negativo, se lei non faces­ se ricorso a uno spazio proprio, fatto di piccoli attaccamenti a cose concrete che da sempre sono state sue con piacere. Angela non desidera molto uscire, ma non per disorien­ tamento o paura, ma perché, come afferma, proprio nel pe­ rimetro di una casa sono contenuti la maggiore parte dei suoi interessi e lì si sente "al suo posto". Quando altre don­ ne e bambini entreranno nella struttura successivamente, Angela svolgerà un ruolo fondamentale nei loro confronti, accogliendole, proteggendole, adottando un ruolo di me­ diatrice di conflitti e di presenza costante nelle loro vite bi­ sognose di punti di riferimento. È anche vero che dietro quest' immagine così soccorre­ vale, ne esiste un'altra in filigrana che mette in luce aspet­ ti di Angela un po' manipolatori e anche aggressivi. Spes­ so ricorre a bugie e piccoli sotterfugi, o mostra una certa propensione a diffidare, segnalando modalità conseguenti ai lunghi maltrattamenti subiti. Ma in realtà la presenza di questi atteggiamenti non diventa mai prevalente e in lei ha sempre la meglio l'affettività, la voglia di condividere quel­ la casa su cui, lei rivendica quasi il diritto di primogenitu­ ra. Quando ritornerà nella sua abitazione, da cui nel frat­ tempo il marito è stato allontanato da un provvedimento del Tribunale, Angela lascerà un vuoto nella struttura ma consegnerà anche un'immagine di sé molto utile anche al­ le altre donne della casa.

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Le risorse

Molto spesso nella casa si osserva che la capacità di co­ struire relazioni si accompagna alla presenza o alla riatti­ vazione delle risorse personali e che questi elementi con­ giunti costituiscono due punti di forza particolarmente ri­ levanti. Tra i primi effetti del maltrattamento si riscontra sempre nelle donne la perdita di vista, se non la sparizione delle loro iniziative e risorse personali, cosicché la sopravviven­ za anche minima di uno di questi aspetti, può diventare un indicatore molto significativo. Nella struttura questi aspetti possono essere rilevati pro­ prio nell'osservazione quotidiana, perché all'inizio appa­ iono sotto la specie di fatti apparentemente minimi e poco vistosi, già connotati però di quell'inversione di tendenza rispetto al pensiero del partner, che già si era osservata nel costruire legami. Molto spesso è la presenza di questi aspetti non vistosi che costituisce la base per arrivare successivamente a scel­ te autonome, più consistenti. Nella casa comunque sono proprio queste inversioni di tendenza ad assumere una grande valenza. Nel caso precedente di ;\ngela le sue risorse erano riu­ scite a sopravvivere all'esposizione alla violenza, ma in 82

moltissimi altri casi è indispensabile interrompere la rela­ zione di maltrattamento perché si possano far strada a ini­ ziative personali sempre scoraggiate e svalutate dal partner, quando non proprio impedite come negative e apportatrici di danno. Se poi molte donne hanno già dato prova, durante l'espo­ sizione alla violenza, di aver saputo ricorrere a strumenti e strategie per limitare il danno, li hanno vissuti però non co­ me loro capacità positive di attivare protezione, ma come atteggiamenti di incerta valutazione, su cui non sempre ri­ cevevano il dovuto sostegno dall'esterno e che, certamente, erano oggetto di colpevolizzazione da parte del partner. Tanti sono i fatti "non vistosi" osservati nella casa, re­ stituiti al loro valore e a una valutazione sicura. Carlotta, ad esempio, che non poteva mai andare a comperare niente di sua iniziativa perché solo il marito faceva la spesa al su­ permercato ogni quindici giorni senza consultarla, riscopre la gioia di andare tutte le mattine alle bancarelle a scegliersi la verdura e la frutta e in breve tempo scopre che le piace cucinare e nella casa lo fa spesso per tutte, Lia riprende a lavorare a maglia e fornisce bellissime sciarpe alle altre donne. Ambedue, solo per citare due esempi, con le loro piccole azioni, assolvono un compito prima impensabile, cioè quello di iniziare a smontare il sistema percettivo del partner che ancora risiede in loro. Nel momento in cui Carlotta cucina per tutte infatti si mettono in moto a cascata una serie di effetti del tutto op­ posti a quelli distruttivi del maltrattamento. Carlotta infat­ ti non solo ascolta e dà valore a un suo desiderio, e cioè a se stessa, ma si sente legittimata a metterlo in atto, e il met­ terlo in atto tramite la condivisione con altre donne signi­ fica riconoscere la possibilità di relazioni positive. Nella casa, proprio per la valenza che vi è sottintesa, questi percorsi "virtuosi" possono spesso richiedere tempi più o meno lunghi e, proprio per la stessa valenza, sono an­ ch'essi soggetti ad alternanze e oscillazioni, ma il volano innescato tende comunque a produrre effetti che generano empowerment, offrendo così nuove spinte in avanti. 83

4 La cura di sé

La cura di sé, nelle sue molteplici forme, costituisce un aspetto di grande rilevanza in quanto si connota da subito come uno degli elementi potenzialmente eversivi rispetto al contesto di violenza vissuto. In quel contesto infatti veniva indotta nella donna una doppia percezione, consistente da un lato nello svilimento e nell'umiliazione del corpo e dal­ l' altro nella conseguente certezza che prendersi cura di sé diventasse un' azione riprovevole o, quanto meno, una col­ pevole perdita di tempo. In quel contesto, prendersi cura di sé, già tradizionalmente soppiantato in valore dal prendersi cura dell' altro all' interno dell' universo femminile, viene cancellato, bollato, deriso e manipolato, cosicché nella don­ na, parallelamente alla cancellazione del suo pensiero, si de­ termina anche una frattura verticale con la percezione del proprio corpo. Il corpo diventa infatti solo un oggetto pic­ chiato, violentato, insultato e comunque usato dal partner. Molte donne sono costrette a cambiare gusti e inclinazioni, a vestirsi e pettinarsi come vuole il partner, anche violando cultura e tradizione dei paesi d'origine. Altre non possono uscire di casa quando sentono il bisogno di muoversi, op­ pure sono costrette a farlo anche quando sono malate. Ben presto esse perdono contatto con le reali esigenze del proprio corpo, disimparando ad ascoltarne i bisogni e 84

perdendo il piacere e il significato positivo della cura di sé. In realtà ciò che temono i maltrattanti è ben più ampio in quanto prendersi cura di sé significa rimettersi al centro della propria vita, dar valore ai propri desideri, fare delle scelte che possono sfuggire al controllo. In questo senso ogni piccolo pensiero o azione che se­ gnali uno spostamento nella percezione della donna rispet­ to all' attenzione al proprio corpo e alle sue necessità, si può trasformare in potente mezzo di contrasto a quel contesto e al processo di influenza subito. Nella quotidianità della casa si possono osservare di­ verse forme attraverso cui le donne iniziano a sperimenta­ re o risperimentare questo nuovo spazio, dalla cura per i proprio corpo e della salute al desiderio di avere spazi per sé e di difenderli. In genere, dato che molte delle donne che entrano nella struttura sono state appunto vittime di pesanti svalutazioni sul loro aspetto fisico, di controlli sul modo di vestire, di inaccessibilità al denaro per uso personale, pur lavorando. Antonia, ad esempio, si sentiva sempre dire che era brutta e che "puzzava di vecchio", Lucia che "faceva schifo", Amalia che "si vestiva come una puttana", Franca, che era un po' robusta veniva paragonata a tutti gli animali più gof­ fi e grossi, con aggiunta di epiteti inerenti alla loro man­ canza di intelligenza. In quel contesto stravolto, mirato al loro controllo e im­ poverimento, esse erano state indotte a pensare che il part­ ner avesse ragione e alcune di loro avevano fatto sforzi di­ sumani o per dimagrire o per migliorare il loro aspetto, al­ tre invece si erano lasciate andare, abbandonandosi alla tra­ scuratezza. In ambedue i casi era stato spezzato il reale con­ tatto con il proprio corpo, manipolato o negato dal partner a suo piacimento. Date queste premesse, nella struttura si può osservare che è proprio all' interno di questa sfera che, una volta al di fuori di quel contesto, alcune donne segnalano in modi di­ versi il riaffiorare di un contatto con il proprio corpo tramite desideri, pensieri o piccole azioni. E ancora, date queste premesse, si può anche osservare che quel riaffiorare rive85

ste il significato di un'inversione di tendenza di notevole portata che va al di là dell'azione stessa, in quanto capace di innescare processi di contrasto al funzionamento mal­ trattante. Quando Franca entra nella casa rifugio è vestita in mo­ do sciatto, è piuttosto grossa e mal messa, perché lei e i suoi bambini arrivano addirittura da un'altra città, da cui sono dovuti scappare per sfuggire a una situazione invivi­ bile. Franca porta ancora nel suo corpo i segni di una bru­ tale violenza, che la fanno star male e che necessiterebbe­ ro di cure mediche, ma per molto tempo non ne parla, un po' perché se ne vergogna, un po' perché è abituata a sop­ , portare qualsiasi tipo di malessere senza dargli peso. E co­ munque una donna con grandi capacità, che, nonostante i traumi subiti, è stata in grado di costruire nella casa rela­ zioni durevoli, non assumendo quasi mai atteggiamenti di tipo rivendicativo, ostile o vittimistico. Dopo qualche tempo di permanenza in casa rifugio, Franca decide, dopo molte esitazioni e molti ripensamen­ ti, di andare, dopo anni e anni, da un parrucchiere e questa scelta apparentemente banale, metterà in moto non solo uno spostamento significativo nel suo modo di percepirsi, ma anche e soprattutto la sua possibilità di contrapporsi al giudizio del partner. Il taglio diverso, il colore cambiato, rispondente a quel­ lo preferito prima del matrimonio e successivamente ab­ bandonato per proibizione del marito, l'avevano riportata a un'immagine di sé altra e dimenticata e da tempo. Questa scelta "piccola", la prima che Franca compie nell' ambito della cura di sé, produce a cascata una serie di altre scelte sempre nella stessa direzione. Dopo poco tempo decide di affrontare la tanto temuta visita medica e la vergogna a es­ sa legata per la brutalità della violenza subita. Anche quel­ la visita rappresenta per lei uno spostamento enorme ri­ spetto alla percezione di essere non connivente, ma parte offesa nel contesto della violenza subita. Questi passi la portano successivamente a costituirsi parte civile nel pro­ cesso contro l'ex marito, posizione che all'inizio aveva ri­ fiutato, convinta di non esserne legittimata. Franca quindi, 86

attraverso queste e altre scelte, piano piano rimette ordine nella confusione, ricollocando fatti ed eventi nella giusta prospettiva. Ma l'ordine ha preso inizio dall'ascolto vali­ dato della percezione del suo corpo. Anche nei confronti dei bambini, ridiventare soggetto ha provocato in lei un ul­ teriore spostamento in quanto si è sentita in grado a sua volta di prendersi cura di loro e di riconosceme le necessi­ tà, prima a lei ignote come le sue. La perdita di contatto con il proprio corpo non riguarda naturalmente solo l'attenzione al proprio aspetto, ma an­ che l'ascolto e il giusto valore da attribuire alla propria sa­ lute fisica e psichica. D'altra parte, manifestare la presen­ za di qualche malessere, può diventare fonte di offese o n­ torsioni nel contesto maltrattante. Se poi il malessere è di natura psicologica, questo fatto può diventare un'arma ve­ ra e propria nelle mani del partner, che la ritorcerà contro la donna, per uno svilimento aggiuntivo. È la storia di Piera, per la quale una visita medica rap­ presenta riconoscere come degno di ascolto un suo males­ sere fisico sempre messo da parte. Quando entra nella ca­ sa soffre di fortissimi dolori alla schiena che periodica­ mente la bloccano e che lei minimizza come un evento tra­ scurabile, su cui non soffermarsi. Rifiuta di ricorrere a un medico, quasi fosse un segno di debolezza e racconta con orgoglio di non aver mai dato peso ai suoi malesseri, di es­ sere stata in piedi con la febbre, di essersi trascinata una gamba gonfia per mesi senza fame parola con nessuno, quasi che trasformarsi in una bestia da soma fosse da lei percepito come un valore. Emerge però anche che, nel con­ testo di violenza vissuto, qualsiasi suo malessere veniva ri­ torto contro di lei dal partner sotto forma di colpevolizza­ zioni od offese. Il giorno in cui Piera decide di prendere un appuntamento per accertare le cause del suo mal di schie­ na segna un "piccolo" evento non trascurabile, a seguito del quale lei, iniziando a parlare dei risultati di esami e di radiografie, comincia a dare nome e concretezza al suo ma­ lessere e quindi al suo corpo, prima totalmente negato. Sempre per restare nell' ambito di una scarsa o errata va­ lutazione di malesseri psicofisici, molte donne che entrano 87

nella casa evidenziano da subito, a seguito delle violenze subite non esclusa quella sessuale perpetrata dal partner stesso, una serie di disturbi di vario genere, come, ad esem­ pio, attacchi di panico, insonnia, ansia immotivata, distur­ bi del! ' alimentazione oppure forme depressive. Anche in queste situazioni, la percezione indotta nelle donne rispetto al loro star male segue le stesse tracce e lo stesso spostamento riservato ali' ascolto di sé, con l' ulte­ riore aggravante di un giudizio "depistante" da parte del partner sul loro stato psichico con conseguente difficoltà di un accertamento corretto del disturbo. Senza contare che 1 ' accusa di "pazzia" diretta in questi casi dal partner con­ tro la donna, non solo peggiora il suo disagio, ma diventa uno stmmento di controllo su di lei, in quanto può scatenare pesanti conseguenze nel suo contesto amicale e sociale. Inoltre questa valutazione sprezzante e colpevolizzante del malessere porta inevitabilmente ad un pericoloso rovescia­ mento di ottica in cui le responsabilità possono rimbalzare da chi provoca il danno a chi ne subisce gli effetti. A seguito di tale rovesciamento, le donne subiscono un' ulteriore violenza tramite l'errata percezione di essere nella relazione "la mela marcia" (come Ingrid veniva defi­ nita dal compagno), e di conseguenza vengono spinte a comportarsi come se dovessero sempre rimediare a una lo­ ro mancanza, a un disturbo insito nella loro "natura" e non imputabile ali' azione del maltrattante. In questo scenario rovesciato non può esistere spazio per una reale cura di sé, che presupporrebbe una diversa collo­ cazione tra le responsabilità, le cause e gli effetti. Alcune donne che al loro ingresso nella struttura erano ali' interno di questa logica, raccontano di non aver mai parlato con lo specialista del contesto di violenza in cui il disturbo si era manifestato, non ravvisandone la connessione. Altre, che comunque avrebbero voluto parlare di ciò che succedeva in famiglia, non avevano potuto farlo perché si erano ri­ volte allo specialista sempre accompagnate dal partner, al­ tre ancora, soprattutto nei casi di violenza sessuale reitera­ ta da parte del partner stesso, avevano taciuto per l' incer­ tezza e la vergogna. 88

Nella casa queste donne con molta fatica iniziano a rac­ contare ciò che non hanno mai avuto il coraggio di dire a nessuno e la validazione della loro sofferenza costituisce il primo gradino di uno spostamento della loro percezione di sé nella direzione di sentirsi finalmente soggetti perché ascoltate e credute. Questo primo gradino può rappresen­ tare l'inizio di un ulteriore lento spostamento nell'attribu­ zione delle responsabilità e nella conseguente possibilità di collegare i disturbi ali'esposizione alla violenza. Il caso di Ingrid riassume in sé molti di questi aspetti. Quando entra nella struttura fugge da una situazione mol­ to grave. Porta via con sé due bambine che sono state sem­ pre testimoni di tutte le violenze e sulle quali lei, sia per la sua situazione psicofisica sia per le svalutazioni reiterate da parte del partner, non è in grado di esercitare nessuna autorevolezza. Oltre i pugni mirati sempre alla testa e le strette alla go­ la, Ingrid è sottoposta a un continuo stupro coniugale con­ dito di offese e intimidazioni. È una donna che non ha an­ cora quarant'anni e che aveva iniziato due o tre anni fa a manifestare un forte malessere accompagnato da attacchi di panico, palpitazioni ricorrenti, depressione, nausea e vo­ mito ogni volta che si accostava al cibo. La reazione del marito di fronte a tali sintomi era stata non solo quella di grande fastidio, ma soprattutto quella di attribuire alla "paz­ zia" della moglie il suo star male. Ingrid fu convinta del fatto di avere "qualcosa che non andava", di essere appun­ to "la mela marcia" che stava rovinando la famiglia e ogni volta che i disturbi si presentavano, se ne vergognava come di un difetto da nascondere. Quando le sue condizioni peggiorano e gli attacchi di panico si fanno sempre più forti e frequenti, il marito stes­ so, da tempo convinto che lei sia "fuori di testa", si pre­ mura di accompagnarla da uno specialista, al quale spiega i disturbi della moglie senza ovviamente accennare al con­ testo in cui sono apparsi, mentre Ingrid non può che con­ sentire, perché lei stessa non è in grado di vederne la con­ nessione. Quando entra in casa rifugio, assumendo gli psicofar89

maci prescritti, la notizia che lei è "una malata di mente", "una pazza", "una psicolabile" ha già fatto il giro non solo degli amici comuni, ma viene anche insinuata al Servizio Sociale e agli insegnanti della scuola delle bambine, con un'ulteriore perdita di credibilità e autorevolezza di Ingrid come madre. Pur essendo convinta di essere lei "la mela marcia", qual­ cosa però inizia a cambiare per Ingrid quando, dopo qual­ che tempo che vive nella casa, si accorge che riesce a man­ giare senza nausea, dapprima solo ogni tanto, poi sempre più spesso. Anche la tachicardia diminuisce sensibilmente, ma lei fatica ancora a collegare il suo allontanamento dal contesto di violenza al miglioramento di quello che lei con­ sidera un problema legato solo alla sua natura. Il cambia­ mento si fa più accentuato dal momento in cui lngrid si ren­ de conto che molti dei suoi disturbi si riaffacciano se per un caso lei ritorna, anche solo indirettamente, in contatto con il marito, tramite notizie riportate su di lui. Quando un'ami­ ca le telefona parlandole del partner, Ingrid sente di nuovo nausea e non mangia per tre giorni. Dato che questi eventi si ripetono più volte, Ingrid stessa inizia fare collegamenti tra l'attenuarsi e lo sparire dei suoi sintomi e la lontananza dal terribile contesto vissuto. Questa acquisizione diventa per lei il primo punto chiaro, sperimentato nella confusione e caotica del suo star male e proprio partendo da questo pun­ to Ingrid riacquista la percezione di poterlo in parte con­ trollare, evitando certe situazioni. La nuova consapevolezza, la spinge a un diverso ascol­ to dei propri sintomi e quando tornerà dallo specialista, In­ grid sarà in grado almeno di dare nome alla sua confusa sofferenza e di inserirla in un contesto. Ma al di là del­ l'importanza che questa decisione avrà nella cura dei suoi disturbi, resta il fatto che lei si è ripresa il controllo, la re­ gia della sua salute psicofisica, sempre precedentemente gestita e guidata dal marito.

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La capacità di chiedere aiuto

La capacità di chiedere aiuto è un'importante fattore che può accelerare e potenziare il processo di uscita dalla vio­ lenza e che è strettamente collegato sia alla capacità di co­ struire relazioni, che alla cura di sé e alla corretta perce­ zione del piano di realtà. Anzi, nell'esperienza della strut­ tura, la consapevolezza della richiesta di aiuto, non intesa come sostituzione o vicariato, costituisce in genere il gra­ dino successivo rispetto alla percezione di sé come sog­ getto che riconosce le proprie necessità. Nell' osservazione quotidiana si assiste spesso a picco­ li passi che segnalano però il progredire di un processo te­ so alla riappropriazione di spazi cancellati dal contesto maltrattante e il cambiamento di qualità della richiesta di aiuto può costituirne un indicatore. La richiesta di aiuto, per così dire passiva, legata al regime di controllo vissuto e alla conseguente deresponsabilizzazione da parte delle donne, può rappresentare comunque una prima fase di di­ sorientamento dopo l'ingresso nella struttura. D'altra par­ te esse avevano imparato presto che chiedere aiuto al par­ tner poteva essere la scelta peggiore da fare, perché pote­ va metterle a rischio, scatenando eventi o parole impreve­ dibili, tutte contro di loro. L a negazione dei loro bisogni con la conseguente certezza che non fosse necessario chie91

dere aiuto, era la risposta difensiva più comune. Successivamente però, le donne della casa che per sva­ riati motivi sono in grado di riattivare punti di forza e ri­ sorse, lo evidenziano anche tramite una diversa consape­ volezza nella richiesta d'aiuto. Nel momento in cui Piera chiede di essere accompagnata a quella visita medica sem­ pre considerata una perdita di tempo, non solo inizia a pren­ dersi cura di sé, ma confessa anche il suo bisogno di so­ stegno. Questa "semplice" richiesta segnala quindi un ini­ zio di inversione di rotta rispetto alla logica del maltrattan­ te, tanto più che tramite questa scelta Piera dimostra di es­ sere in grado di stabilire una relazione di fiducia con chi la sta aiutando. La scelta di fidarsi delle persone nella casa, inoltre, sembra interrompere la sequela di legami inaffida­ bili che ha sperimentato in precedenza e in questo senso per lei la costanza e la certezza di questo legame innesche­ ranno un volano positivo in controtendenza. La cura di sé unitamente alla capacità di chiedere aiuto costituiscono anche una base di partenza indispensabile per migliorare le capacità genitoriali. Quando le donne della struttura chiedono effettivo sostegno non solo per i propri figli ma anche per affrontare le loro difficoltà nel gestirli, esse compiono un passo molto significativo. Arrivare a que­ sta richiesta presuppone in genere nella donna una mag­ giore consapevolezza di sé, un distacco dal contesto di­ storto vissuto che le ha indotte a chiedere protezione ai lo­ ro bambini. Nel momento in cui esse ridiventano in grado di dar voce ai propri bisogni, può trovare spazio anche il riconoscimento dei figli come soggetti anch' essi bisogno­ si di attenzione e ascolto. L' osservazione rileva anche però che tale riconosci­ mento implica non solo gradi di consapevolezza, ma so­ prattutto la mentalizzazione del ruolo materno che in mol­ te donne non si è potuta formare. Così, quando Caterina ri­ chiede il sostegno di un percorso sulla genitorialità e spe­ ra che i suoi bambini possano presto essere presi in carico per una valutazione del danno subito, esprime molto di più di una richiesta di aiuto. Innapzi tutto segnala la sopravvi­ venza nella sua mente di un pensiero relativo al ruolo ma92

terno e nello stesso tempo segnala anche la sua percezione che i disagi dei bambini non siano dovuti a cause di vario genere, ma siano da collegarsi con l'esposizione alla vio­ lenza, mettendo così ordine e punti fermi nel caos confuso e indistinto dei loro vari disagi. Dare un nome, ricollocare cause ed effetti al loro posto, aiuta di conseguenza Cateri­ na a riappropriarsi del controllo sui suoi bambini e conse­ guentemente ad adoperarsi per il ristabilimento dei reci­ proci ruoli. Non sarà assolutamente un percorso facile, perché agli occhi dei suoi figli lei è sempre apparsa l'elemento debole da proteggere contro il padre e loro non solo l'hanno sem­ pre fatto, ma continuano a farlo anche nella casa, cercando di non !asciarla mai da sola.

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Il piano di realtà

Un altro indicatore molto positivo che nella casa può es­ sere quotidianamente osservato e che costituisce la base non solo per il recupero delle risorse personali ma anche per la loro realizzazione, è costituito dalla capacità delle donne di riappropriarsi del piano di realtà. Se si considera che l'allontanamento da questo piano costituisce uno degli elementi di maggior rilevanza utiliz­ zati dal partner per tenerle sotto controllo, appare evidente come ogni piccola modifica in questo senso rappresenti per le donne un segnale molto importante. Al momento dell'ingresso nella struttura, molte di lo­ ro appaiono estranee a ogni riferimento con il mondo rea­ le in cui hanno vissuto, di cui non possiedono nessuno strumento di controllo. Nella loro mente pertanto può tro­ vare spazio solo ciò che il maltrattante ritiene reale, sen­ za possibili alternative. Le strategie usate dal partner per ottenere il suo scopo possono essere varie, ma tra le don­ ne della casa ne emergono soprattutto due utilizzate più comunemente. Una di "svuotamento", che consiste nel sottrarre alla donna tutte le occasioni di contatto con il contesto in cui vive, privandola così di ogni reale punto di riferimento, e l'altra, conseguente, di "riempimento" che prevede l' inserimento nella mente della donna di una 94

percezione falsata e impoverita della realtà. A volte, nella casa, possono presentarsi anche situazio­ ni di donne in cui il maltrattamento ha aggravato una pree­ sistente scarsa percezione di tale piano per danni pregres­ si, ma nelle quali comunque l' allontanamento dall'esposi­ zione alla violenza, favorisce la possibilità di un recupero alla comprensione del contesto in cui stanno vivendo. Dai racconti delle donne, emerge che, ad esempio, il partner ostacolava in tutti i modi l'accesso a territori in cui normalmente esse erano solite muoversi, a partire dal fare la spesa, dal parlare con le maestre dei figli, dall'imparare l'italiano se sono straniere, dall'amministrare le spese di casa, dalla custodia dei documenti personali, al punto tale che esse a poco a poco ne perdevano la capacità. Contem­ poraneamente molte donne che entrano nella casa sono spa­ ventate e temono minacce e profezie del partner, che non trovano riscontro a un esame di realtà (''Se ti rivolgi all'as­ sistente sociale ti porterà via i bambini", è una delle tante), ma a cui la donna non ha più strumenti da contrapporre. In questo contesto, ogni piccola spinta o movimento in controtendenza, diventa un indicatore molto importante. Se una donna straniera chiede di fare un corso di italia­ no per poter capire bene cosa le dicono le maestre o il pe­ diatra, o se un'altra vuole andare di persona a informarsi come farsi rilasciare il duplicato di un documento, oppure si adopera per essere parte attiva nella separazione dal par­ tner o per capirne i meccanismi, significa che nella loro mente sta trovando spazio la necessità di riappropriarsi di punti di riferimento propri e concreti. Un esempio può essere quello di Renata, nella quale il distacco dal contesto in cui vive, si manifesta anche nella sua incapacità di organizzazione e gestione del denaro. Da anni infatti, come racconta, l'accesso ai soldi che entrava­ no in casa le era totalmente inibito, nel senso che a lei non era consentito neppure di fare la spesa o di comperare qual­ siasi altra cosa che non passasse dalla richiesta e dal per­ messo del marito. Una volta la settimana lui faceva la spe­ sa al supermercato, comperando senza consultarla quello che lui riteneva utile e nelle quantità che lui riteneva idonee. 95

A lei era consentito solo l' acquisto giornaliero del pane e del latte e se gli acquisti finivano prima o i cibi erano ina­ datti al bambino o sgraditi a lei, Renata doveva arrangiar­ si, ricorrendo di nascosto ali' aiuto delle vicine. Quando entra nella casa, per la prima volta entra in pos­ sesso di una somma, certamente non elevata, che le viene elargita dal Servizio Sociale ogni mese, Renata da un lato colloca questo fatto tra gli eventi che sanciscono il suo al­ lontanamento dal partner, dall'altro però non è in grado né di mettere in relazione l'entità della somma con i prezzi correnti del mercato, né di stabilire una priorità tra gli ac­ quisti più o meno necessari. Al di là del comprensibile pia­ cere che prova nel poter finalmente maneggiare del dena­ ro senza restrizioni, Renata appare del tutto disorientata e priva di strumenti di controllo e valutazione. Quando va a fare la spesa, compra a casaccio senza guardare i prezzi né orientarsi sulle quantità. Come se avesse a disposizione una somma ben più elevata della sua, non si sofferma sulle of­ ferte speciali né sulle occasioni, comperando anche cose inutili senza alcun criterio, cosicché in breve tempo finisce i soldi a disposizione, ricadendo in una sensazione di im­ potenza. Con il sostegno e l'incoraggiamento di chi la sta aiutando, Renata inizierà lentamente a gestire il suo dena­ ro partendo dall'esperienza quotidiana di fare la spesa, e questo sarà il primo passo per iniziare a riappropriarsi del contesto in cui vive. Nel "semplice" gesto di confrontare i prezzi dei vari alimenti, di valutarne la giusta quantità e la reale necessità, in lei nel contempo si fanno strada sia l' as­ sunzione di responsabilità che la percezione di poter con­ trollare la realtà valutandola con parametri precisi. Il fatto che tutti questi elementi vengano in lei attivati nel fare la spesa, toglie a quest'operazione ogni aspetto di banalità, rendendola anzi un traguardo irto di difficoltà. Il fatto quin­ di che Renata diventi in grado di gestire in modo adeguato il suo denaro, costituisce un indicatore molto positivo del superamento proprio di quelle stesse difficoltà, senza ca­ dere in atteggiamenti rivendicativi e sempre lontani dal pia­ no di realtà propri di altre situazioni più danneggiate. Un caso diverso, sempre costruito però intorno alla let96

tura fittizia della realtà operata dal partner, è quello di Mar­ cella. Sposa un suo compagno di Università prima ancora di laurearsi e continua gli studi fino a quando, non molti mesi dopo, resta incinta. Il marito, ossessivamente geloso, la spinge a lasciare gli studi "per il momento". Nel frat­ tempo però anche lui, pur non avendo ancora raggiunto la laurea, lascia definitivamente l'Università, per trovare un'altra occupazione più redditizia. Nella realtà dei fatti l'uomo non cercherà mai un lavoro e dedicherà il suo tem­ po a controllare la moglie nei suoi minimi movimenti. Chi dovrà lavorare sarà Marcella, sempre accompagnata e scor­ tata da lui, che diventa fisicamente violento contro di lei per motivi di "gelosia". Quando entra nella casa con la bambina, Marcella fa la donna delle pulizie ed è convinta che un eventuale riaccesso all'Università per concludere il ciclo di studi quasi alla fine, comporterebbe difficoltà in­ sormontabili per lei, sia dal punto di vista burocratico che da quello didattico. Emerge che queste affermazioni pro­ venivano dal partner che, dicendosi informato, le aveva pas­ sato una versione dei fatti non riscontrabile nella realtà. Marcella però ci aveva creduto e pur non avendo mezzi e possibilità per riprendere gli studi in quel momento, aveva soprattutto accantonato insieme a quel progetto, un lega­ me che nella sua mente la teneva ancorata a una percezio­ ne di sé come donna capace di controllare e organizzare la propria vita. Il fatto che, dopo un certo periodo di perma­ nenza nella struttura, Marcella decida di andare personal­ mente in segreteria dell'Università per informarsi sulle rea­ li procedure per il riaccesso alla facoltà, non significa che sia ancora nelle condizioni di mettere in atto quel proget­ to, ma significa certamente una ripresa di contatto con la re­ altà e con quella parte di sé oscurata da tempo.

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PER FINIRE

Pochissime parole per concludere. Non so se questa escursione day to day nel sovvertimento e nella perdita di riferimenti delle vittime, possa aver contribuito a offrime uno spaccato reale e concreto, ampliando così la cono­ scenza del fenomeno della violenza domestica, che spesso corre il rischio o di essere semplificato o di essere confuso con il più usuale conflitto familiare. Queste due letture degli eventi possono contenere in sé conseguenze più o meno pesanti rispetto ai processi di tu­ tela delle donne e dei bambini e minore attenzione alla fa­ se successiva ali' allontanamento. In realtà, se il momento dell'esposizione alla violenza contiene in sé gravissimi fat­ tori di rischio, un' eccessiva semplificazione può portare al convincimento che, messa fine agli eventi, il più sia fatto, mentre invece è solo all'inizio un percorso irto di difficol­ tà conseguenti al maltrattamento. Il continuo altalenare tra pensieri e atteggiamenti con­ trastanti che l' osservazione rileva nelle donne della casa te­ stimonia in loro l 'esistenza di un passaggio cruciale che consiste nella progressiva consapevolezza di non viversi più all'interno della relazione con il partner ma di consi­ derarlo la loro controparte con ciò che tutto questo com­ porta. Mentre infatti, prima dell' allontanamento, i loro sfor­ zi, le loro strategie di protezione e di coping erano tutti ri­ volti alla conservazione della relazione stessa, tali strumenti 99

possono rivelarsi armi spuntate o addirittura confusive nel momento in cui le donne sono chiamate a modalità di pro­ tezione che hanno il fine opposto, quello cioè della rottura del rapporto. Rottura che, oltre tutto, prevede il riconoscersi come persone capaci di assumersi la gestione della propria vita, punto di forza delle donne che il partner, nelle rela­ zioni di maltrattamento, tende intenzionalmente a distrug­ gere. In questo senso non è pensabile che la cessazione della violenza e l'allontanamento seppur volontario, che pure mettono in sicurezza e fanno cessare il rischio, rappresen­ tino in sé e per sé il punto di arrivo di quello che invece è un processo di consapevolezza durante il quale le donne lentamente "si capacitano", per usare le loro parole, di ciò che è loro accaduto, della gravità degli eventi, della neces­ sità di adottare misure di protezione che le collochino e le confermino fuori dalla relazione. Non tener conto dell'esistenza di tale processo e dei tempi più o meno lunghi che esso comporta significa sem­ plificare, non riconoscere gli effetti della violenza e pena­ lizzare ulteriormente le donne. L'esperienza della casa, avvalorata spesso da successivi follow up relativi a situazioni ormai esterne o dal fatto che dal 1 999 al 2007, periodo a cui statisticamente si riferisce questa ricerca, il 6,15 % delle donne ha chiesto a distanza di tempo di essere nuovamente accolta nella struttura protetta, sta a significare non tanto l'incapacità o la "stupidità" del­ le donne stesse, come tra le righe traspare con maggiore o minore evidenza nel pensiero comune, ma certamente al dif­ ficoltoso percorso di riappropriazione della propria proget­ tualità che va a colludere con altri fattori di contrasto alla costruzione per loro di una vita autonoma (difficoltà a tro­ vare lavoro e quindi soluzioni abitative, disapprovazione delle famiglia d'origine, solitudine e quant'altro). Nella casa rifugio si tocca con mano, giorno dopo gior­ no, non solo dalle violenza che la donna racconta ma, ap­ punto, dal sovvertimento mentale subito che impronta i suoi pensieri, che non si è trattato di un "dissidio tra co­ niugi" o di un "conflitto" -tra i due (che presupporrebbe una 1 00

corresponsabilità tra le parti), come spesso viene definita una relazione caratterizzata dalla violenza. Se così fosse si darebbe credito alla possibilità di un'interazione tra le due parti coinvolte, di una possibilità all'accordo e alla media­ zione che le donne tanto auspicherebbero, non riuscendo invece a "capacitarsi"che questo non avvenga. Nelle case, appunto, si tocca con mano che derubricare a conflitto una relazione basata sul potere del partner nei confronti della donna può avere per la stessa gravi conse­ guenze, prima fra tutte il mancato riconoscimento di ciò che ha subito con il conseguente disconoscimento degli ef­ fetti dovuti ali' esposizione alla violenza. Sul piano poi del­ la sua tutela e di quella dei suoi bambini, tale derubrica­ zione può rappresentare un grave rischio La casa allora può diventare luogo non solo di prote­ zione, ma di ricollocazione degli eventi di violenza in un' ottica più precisa, nella quale in modo inequivocabile vittima e aggressore si differenzino nettamente rispetto al­ la responsabilità degli eventi stessi. Sempre la casa sta a testimoniare giorno dopo giorno la fondamentale importanza che per le donne comporta non solo ricollocare gli eventi nella loro giusta prospettiva ma, soprattutto, di conseguenza validare la loro percezione ini­ ziale rispetto alla gravità dell'accaduto. Si può osservare infatti come nelle donne tale processo di riacquisizione va­ da di pari passo con il riemergere dei punti di forza, rista­ bilendo l'ordine sovvertito dalla violenza. Era mia intenzione, nell'accingermi a scrivere queste pagine, non solo dare uno spaccato della gravità e della complessità del fenomeno della violenza e dei suoi effetti a breve e a lungo termine, ma anche sottolineare la funzio­ ne specifica delle case rifugio, preposte alla protezione ma di fatto attrezzate professionalmente anche per una presa in carico globale delle donne e dei loro bambini rispetto ai danni causati dall'esposizione alla violenza. Nonostante nel tempo e soprattutto negli ultimi anni l'at­ tenzione alla violenza domestica si sia potenziata, a volte chi ha esperienza diretta di lavoro con le vittime percepisce però che ancora la distanza tra la conoscenza teorica e spa101

zio mentale disponibile a tenere a mente tutte le implica­ zioni specifiche del fenomeno è ancora molto presente. Nella casa rifugio, in cui il lavoro di rete con diverse agenzie è fondamentale, tale distanza è spesso percepibile, determinando talora anche situazioni di criticità rispetto al percorso di uscita dalla violenza. Sarebbe quindi auspicabile nell'interesse delle vittime, una lettura comune del fenomeno e delle sue conseguenze, a partire dalla condivisione di griglie e indicatori rispon­ denti alla sua complessità.

POSTFAZIONE di Benedetta Guerrini Degl'Innocenti

Nell' Ottocento la grande sfida morale è stata lo schiavismo, nel Novecento il totalitarismo. Nel nuovo secolo una delle sfide più impegnative sarà quella della violenza sulle donne. Mentre l ' affermazione dei diritti all' eguaglianza e il divieto di discrimi­ nazione sono parte integrante del sistema dei diritti umani sin dagli inizi, i l tema della violenza contro le donne entra nel di­ battito internazionale su questi temi solo molto tardi e ancora oggi incontra resistenze e conflittualità. La violenza contro donne giovani e adulte è un problema dal­ le proporzioni pandemiche. I dati finora disponibili mostrano che oltre il 50% delle donne in tutto il mondo subisce almeno una volta, nell ' intero corso della propria vita, dalla nascita alla morte, violenza fisica o sessuale, da uomini che, nella maggior parte dei casi, sono mariti, partner, familiari o conoscenti. Nel­ le donne di età compresa tra i quindici e i quarantaquattro anni gli atti di violenza causano più decessi e disabilità del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e della guerra. La violenza contro le donne, la violazione dei diritti umani a oggi più diffu­ sa, distrugge vite, frattura comunità e rallenta lo sviluppo. Può assumere forme diverse e realizzarsi in diversi ambiti: violenza tra le mura domestiche, abuso sessuale nelle scuole, molestia sessuale sul lavoro, stupro da mariti o estranei, violenza nei cam­ pi profughi o come tattica di guerra. Accanto a queste ci sono altre forme, più subdole, di discriminazione che minano alla ra­ dice la straordinaria opportunità che le donne rappresentano dal 1 03

punto di vista economico e sociale. "Le donne reggono metà del cielo". recita un detto cinese, ma in molte parti del mondo le bambine non possono andare a scuola, le donne sono emargina­ te e non è un caso che questi paesi siano soffocati dalla miseria, dal fondamentalismo e dal caos. All' inizio degli anni Novanta le Nazioni Unite e la B anca Mondiale hanno cominciato a sostenere che le donne e le bam­ bine rappresentavano un potenziale. "Le donne sono la chiave per la fine della fame in Africa", ha dichiarato il Project Hunger. Il Center far Global Development ha diffuso un importante la­ voro in cui spiegava perché e come mettere le bambine al cen­ tro dello sviluppo e l' organizzazione umanitaria Care concentra sulle donne i suoi sforzi nella lotta alla povertà. Secondo alcuni studiosi, i paesi mussulmani sono stati più colpiti dal terrorismo perché le donne avevano un livello di istruzione basso ed erano poco presenti nel mondo del lavoro (Kristof, WuDunn, 2009) 1 • M a i l problema della violenza oggi non riguarda soltanto i paesi poveri o culturalmente arretrati. Al contrario la violenza, soprattutto contro donne e bambini, è tutta intorno a noi e nes­ suno può sentirsi completamente al riparo dai suoi effetti (De Zulueta, 1 993)2• Entrare in contatto con il trauma psichico che la violenza in­ fligge alle vittime vuoi dire trovarsi faccia a faccia con la vul­ nerabilità dell' essere umano e, al tempo stesso, con la sua stra­ ordinaria capacità di compiere azioni malvagie. Certe violazio­ ni delle convenzioni che regolano la convivenza civile possono essere troppo orribili per essere profferite ad alta voce: la rispo­ sta più comune alle atrocità può allora consistere nel bandirle dalla coscienza; questo è il senso del termine "indicibile". Nel conflitto fra il desiderio di negare eventi orribili e il de­ siderio di denunciarli a gran voce sta la dialettica centrale del trauma psicologico. Coloro che sono sopravvissuti ad atrocità spesso raccontano le loro storie in un modo così frammentato, contraddittorio e fortemente impregnato di emotività da minare la propria credibilità e sottostare così al doppio imperativo di ri­ velare la verità e nascondere il segreto al tempo stesso. Solo

1 N . D Kristof-S. WuDunn ( 2009) , Half the Sky: Tuming Oppression into Op­ portunity _f{n- Women W