Tuffarsi. Autobiografia di un'Immagine
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Raffaele K Salinari

TUFFARSI Autobiografia di un'Immagine Prefazione di Marco Dotti

Edizioni Punto Rosso l Carta Materiali Resistenti

Finito di stampare nell'ottobre 2010 presso Digitai Print, Segt:ate, Milano EDIZIONI PUNTO ROSSO Via G. Pepe 14- 20159Milano Telefoni e fax 02/874324e 02/875045 [email protected]·

www. pnntorosso.it

Redazione delle Edizioni Pw1to Rosso: Nw1zia Augeri, Alessandra Balena, Eleonora Bonaccorsi, LaUia Cantelmo, Loris Caruso, Serena Daniele, Cin­ zia Galimberti, Dilva Giarulelli, Roberto Mapelli, Francesca Moretti, Stefa­ no Nutini, Giorgio Riolo, Roberta Riolo, Nelly Rios Rios, Erica Rodati, Raffaele

K. Salinari, Pietro Senigaglia, Domenico Scoglio, Fiallca Venesia.

CARTA SOC. COOP.

ARL

Via dello Scalo S. Lorenzo 67- 00185Roma Centralino: 0645495659 (9 linee r.a.] - fax: 0645496323 [email protected]&: www. carta.org Redazione di Carta: Marco Calabria, Giatùuca Carmosino, Saralt Di Nella, Enzo Mangini, Rosa Mordenti, Giuliano Santoro, Lorenzo Sansonetti, An­ tonella Tancredi, Matteo Micalella, Gabriele Savona. In copertina:

La Tomba deiTuffatore (parlit:ola,.)

Collana "Materiali mistenti" La collana ''Materiali resistenti" nasce dall'esigenza di ripensare alla radice i

concetti-soglia

per Wl nuovo

pensiero della liberazione

possibile.

Oltrepassando le parole guida del novecento, abbiamo voluto creare WlO spazio di cultllia e pratica politica segnato dalla rottUia epistemologica con idee quali rivoluzione, democrazia, partecipazione, libertà, sviluppo, e ripensarle

alla

luce delle domande e delle esperienze che

la

costruzione di

w1 "altro mondo possibile'' ci pone. In questa collana "eretica" sono ospitati autori e testi di frontiera, che con le loro inlmagini speriamo contribuiscano ad illuminare nn non-ancora che è già presente ed opera nella sensibilità e nelle rugenze dd secolo.

Di,.tto,. Editoriale della Collana: Raffaele K Salinari

Indice 5

Prefazione di Marco Dotti Incipit hnago:

Confittor

8

Introduzione

9

Tuffo hnaginalis

17

Tuffo e ritualità

33

n tuffo cosmogonico in Occidente ...

52

. . . Ed

in Oriente

76

L'ultimo tuffo

97

Tuffo non tuffo

132

Alchemiche inunersioni

150

Tuffi metamorfici

163

Nel Grande Blu

175

Tuffi attraverso lo specchio

182

n tuffo taumaturgico: !ophia-mania

192

Excipit hnago: autobiografia

in una

Immagine

198 199

Bibliografia e sitografia

3

Al tn.Jfo dtnlro di mt; al .rno

tn.fforsifoori

Nota: per i •'IJalboli di origine semitit:a, grem • sansmta riportati in tp�esto testo si i salto di utiliZ'(!IT" una traslittera'(jone semplificakl, seçondo lo resa grafica di uso piìl çomune in italiana

4

Prefazione di Marco Dotti

Non escludere il terzo

Stirne Gottes FarlJen triittmf, Sport des Wnhnsùms snfte Fingei Georg Trakl, In dem Nnchmittngg!fliistert Ogni volta che, deliberatamente, si costringeva a pensare, Martin Eden vedeva «il pericolo disperato che incombeva su di lui». Eppu­ re, protagonista dell'omonimo romanzo di Jack London, Martin Eden non indietreggiava. Se avesse avuto paura, scriveva infatti London, sarebbe tornato nostalgicamente indietro, diacronicamente verso una retro-polarici della vita. Ma Eden si trovava gi9. altrove, in una temporalici diversa, non lineare, coincidente in gran parte con le forme di quella «Valle delle Ombre)) dove il pericolo più grande con­ sisteva nell'assenza apparente di qualsiasi pericolo e nel non provare spavento alcuno. Neppure dinanzi al mysterittm fremetuhtm. Proprio perché privo di spavento, Martin Eden «si immergeva più profondamente nell'ombrlll), lentamente, avvolto nel cuore nero del­ le acque del stto oceano. Quello di Eden (11omen omen) fu dunque un tuffo sincronico dt11lro la vita. Eden, osserva Raffaele K. Sa!U1ari tra le pagine di questo profondo "scavo" che assume al tempo stesso le forme di w1a plolll,ée immaginale, è inesorabilmente, vertiginosamen­ te attratto dalla tenebra. Ma che cos'è, la tenebra? Cosa, il nero cui Eden aspira? Cosa (non "dove"), il confine mobile delle acque? L'ul­ timo atto di Martin Eden, marinaio diventato scrittore per amore di una domu, Rud1 Morse, è l'abbandono (!,elossenheit e gottheit, nel lessi­ co di Ecklurt, Bohme e Silesius), il tentativo di sciogliersi dell'om­ bra nella vastici (oceanica la direbbe William James) del mare, «per mai più ricomparire - scrive, appunto, Salinari - né rinascere in for­ ma umanlll) . Ma l'azione del marinaio di London è confortata, se

così si può dire, e smossa dai versi di The Gameli oJ Proserpi11e di Al­ gem011 Charles Swinbume, esplicitamente richiamato in più luoghi del romanzo : «From hope md fear set free, l We thank with brief dunksgiving l Whatever gods may be l l11at no !ife lives far ever; l That dead men rise up never; l Tiut even d1e weariest river l Winds somewhere safe to sew>. All'o ssessione del ritomo, Martin Eden oppone la gioia del non ritomo, del perdersi, dello sciogliers� del confondersi . . . that 110 lift livtsJor evn; certo, ma soprattutto affm­ ché, perché "i morti non risorgano più". C'è Ull a lettura ingenua, po ssibile ma ingenua, del romanzo di London: sarebbe d\lllque - il suo - U1l socialismo di dennncia, carto­ graflll e mhier de dolia11ct sull'impo ssibilità di non volgere al nero, mal grigio i colori della felicità e del riscatto sociale �'amore di Martin Eden per la borghese Ruth, la sua fame da autodidatta, il suo tentati­ vo di salire la china sociale attraverso la scrittura, mezzo borghese per eccellenza). Ma la domanda rimane, il nodo rimane insoluto: che cosa è il nero? Senza la domanda, senza l'interrogazione radicale, che invece si pone, il romanzo di London rimarrebbe confinato su U1l piano interalmente e integralmente imcritto in un orizzonte bor­ ghese, in w1'impossibilità di riscatto individuale, di contatto, di con­ tratto, segnata dalla fiducia (disattesa) e dalla speranza (mai abba­ stanza vana) "che i morti rito mino". Ma i morti non rito mano mai, in ogni caso e qualnnque condizione si ponga. Lo scandalo della Re­ surrezione è la resurrezione stessa, non il "tuffo" immemoriale del Cristo. Accanto, ma non complementare alla lettura ingenua, c'è poi quella che aspira a nn socialismo dell'impossibile, che non nega l'ombra, ma vi si immerge, l'affmvtrsn. Non risorge, ma insorge. Su quest'altra riva magistralmente ci conduce Salinari che, da parte sua, già ci aveva traghettato con altri suoi lavori come ( 11omt11 ome11, anche qui) il Costello di Sabbio e, in altri termini, con altri termini, Ilgioco del Mo11do. Può farlo perché in fondo è di lui che ci parla, dei suoi salti, del suo tuffarsi, sui libri, nelle storie, nella vita come di chi abbia at­ traversato il nero con tanti- direbbe Nietzsche - esercizi di into ssi­ cazione volontaria. Come sottotitolo triadico, Il gioco del Mo11do, nel mezzo dei più familiari "Scissione" e "Ricongiw1gimento" recava appUll to "Insurrezione". Trttum111,- Vereilli,K,Illlf, separazione e scissio6

ne scriveva G. H. Lessing. in vista di ricongiunzione degli opposti nel teczo mai escluso: comm11nio (la cui eco è percepibile fmo alla marxianagemeimvem1) o AU-Geist (Novalis) . È in questo tutto, in que­ sto infmito attraversamento, in questa irrequieta insurrezione che si nasconde il senso profondo del percorso di Salinari, il suo, i suoi, di­ rebbe Pavese, "dialoghi con Leucò". Nel cuore del mito. Lettore di London era anclte Jacques Mayol, che considerava Martin Eden il suo livre de chent. Yogi, non solo apneista esperto di tecniclte di respirazione apprese in Oriente, dove era nato (precisa­ mente a Saigon, il 1 aprile 1927) . Mayol fu il primo uomo a scendere sotto i cento metri, nel 1976. Come ben ricorda Salinari, Mayol af­ fermava di non poter morire nel "suo" elemento, l'acqua, dove ave­ va già abbandonato la sua aninta intmortale. Eppure anclte lui, come Martin Eden, sceglie un elemento clte non gli è meno affme. Se Eden, marinaio divenuto scrittore ha lasciato la sua anima sulla car­ ta, e getta il proprio corpo nel mare, Mayol, mistico divenuto apnei­ sta, lascia l'aninta sul fondo, e il corpo lo consegna allo spazio del respiro. Quando decise il "gran passo", abbandonando anche il cor­ po, si tolse la vita impiccando si. Solo quel gesto, osserva Salinari, «era accettabile per il grande apneistm>. Nei suo libri sullo yoga, Mayol affermava clte il non-respiro, come il respiro, può venire da sé. Basta non foczare, basta non temere, basta ascoltare il respiro più grande, il non-respiro più grande, quello del mondo. Né respiro, né non respiro, dunque, il gesto di soffocarsi, il 22 dicembre 2001, nei pressi dell'Isola d'Elba, ma la necessità di assicurarsi un altro "non", il non-ritomo, un'apnea totale, il nero, la condizione più temuta e, forse per questo, anclte la più (intimamente) ricercata dagli apneisti. Non il tentativo, dmtque, di forzare oltre il lecito i limiti dell'umano, morendo per un incidente sul percorso, ma intmergersi in un altro mare, anche qui dove thnt no 1ift linsfor ewr. Riempiendo di dolcezza anclte l'istante di un tuffo infinito. Chi pareggia l'eternità al tempo e il tempo all'etemità- scriveva il ciabattino Jakob Biihme, così caro a Karl Marx e a Rs.ffaele K. Salinari -costui si libera da ogni contesa, senza fuggirla.

Incipit Imago: Conliteor

Se il sog11o 11011 è vtro lltmmtiiO il sog1mtore lo è N. S. Momaday COI!jiltor: questo libro è nna celebrazione, nn «sacrificio>>. Da quando ho memoria di me non ho mai guardato nno specchio d'ac­ qua senza provare l'irresistibile fascino di tuffarmi. Il tuffo è stato, è, e sempre per me sarà, la quintessenza stessa della gioia di vivere: la sua biografia è la mia. Ogni Immagine descritta in queste pagine 1110 Immaginata, ogni mito vissuto, ogni eroe interpretato, ogni divinità evocata, ogni rito officiato. Oh tu che leggi, fa' che questa confes­ sione le assolva pienamente.

8

Introduzione

A.ssiotni per la m111fe, 1111trimento per il corpo, estasi per l'nllitno E. Zolla

ccKatapontismo s»: la sommersione capitale; ccbaptein»: il bagno purificatore nelle acque lustrali; ccordalia acquatica>>: la separazione del colpevole dall'innocente nelle acque della giustizia; «sacrificio ri­ tuale»: il ricongiungimento dell'uomo a se stesso; «apnea>>: il viaggio nel Grande Blu; ma anche balzo e piroetta, salto e acrobazia, tra­ smutazione e deposizione, immersione e riemersione, dissoluzione e coagulazione, gioco ed estasi, iniziazione e conoscenza, mantica e rammemorazione, ascensione e caduta, sogno e rtverie, attraversa­ mento e ritomo, soglia e limite, specchio e riflesso, azione e medita­ zione, vita, morte e resurrezione . . . in un'Immagine: il tuffo. Scorrono nel tempo le sue metafore; tomano ad essere evocate le divinità che lo presiedono; si intrecciano i miti che lo accompagna­ no; le favole ne colgono l'essenza e ce la porgono; brillano i suoi riti nel folgorante «Ora>>: crogiolo psichico in cui, subitaneamente, si fondono tutte le fascinazioni. L'ccora>> fascinoso è wu delle manifestazioni di Kairos, dio dell'at­ traversamento : possiamo andare con lui incontro all' epopteio, la > esperienza, non ha definizione oggetti­ va, e perciò viene semplicemente denominata dall'uso astratto del pronome dimostrativo: «Felice chi entra sotto terra dopo aver visto ptelle tose: conosce la fine della vita, cono sce anche il principio dato da Zeus)). (Cfr., Pindaro, frammento 137) . E l'Im1o n Demetm di Omero (vv. 476-482), svela l'essenza misteri­ ca dello «sguardo dell'anima>>: «E Demetra a tutti mostrò i riti miste­ nei [ ...] i riti santi, che non si possono trasgredire né apprendere né proferire: difatti una attonita reverenza per gli dèi impedisce la voce. Felice colui - tra gli uomini viventi sulla terra - che ha visto qJttlle tosr. chi invece non è stato iniziato ai sacri riti, chi non ha avuto questa sorte, non avrà mai un uguale destino, da morto, nelle umide tene­ bre marcescenti laggiw>. Giorgio Colli, così commenta l'uso astratto del pronome dimo­ strativo in questo frammento pindarico: «Sembra difficile immagina­ re - certo i poeti esagerano - che la contemplazione dell'effige di w1a dèa faccia conoscere, a un gra.tl numero di iniziati, il principio e la fme della vita. Eppure, allarga.ttdo lo sguardo, non dovrebbe sfuggi­ re che l'uso astratto del pronome dimostrativo, per indicare l'ogget­ to della conoscenza, è nello stile del gra.ttde misticismo speculativo basti pensare al linguaggio delle Upm1ishnd - proprio perché la para­ dossalità grammaticale allude alla sconvolgente immediatezza di ciò che è lonta.ttissimo dai sensi. E rimanendo in Grecia, nell'epoca della sapienza come in quella della filo sofia, è facile verificare la frequenza con cui l'atto della conoscenza suprema è chiamato Wl veder&>. (Cfr. , Colli 1, I p. 28) . E dwtque l'ÙJftllfD di «allargare lo sguardO>>, ci regala la visiont: «il principio e la fme della vita>>, simboleggiato nell'effige di una Dèa; l'arrivo dell'Intelletto alla sua molteplicità indivisa: chi apprende «chi è)) saprà anche da dove viene. Del tutto a.ttalogamente, nella cosmologia orientale induista: 12

"Devi è l'ene wa primordiale, che progetta e produce l'evoluzione dell'universo. E chiamata vimada-sakti, dove vimada significa «deli­ berazione, ragionamento, piano» e sakti «energia>> [ . . . ] . È la poten­ zialità e la misura matenu del mondo. Considerata dal pwtto di vista dell'essenza divina che tutto contiene, essa è soltanto «Questa>>; è in­ vero il «Questa>> primigenio che emerge dalla totalità indiscrintinata latente. È la quintessenza del «Questa>>, il primo, puro oggetto di esperienza conosciuto alla suprema, divina Esperienza di Sé, dalla quale lei stessa è emersa. Ciò che l'uomo più tardi chiamerà [ . . . ]. Di qui la dignità di ogni cosa peritura, su tutti i livelli: per questo la somma totale delle cose è adorata come Dèa Altissinta, Madre ed Energia Vitale". (Cfr:, Zimmer, p. 1 83 .gg.) . A questa divinità rinvia dunque anche la figura di Demetra, consi­ derando la radice di entrambi i nomi che, nel ceppo linguistico in­ doeuropeo, designano la divinità: Dew e il Dyn11s indù, il Moz-Do persiano, il DiVIIS latino; tutti derivano dal termine sanscrito DIV «splendente>>. Ciò suggerisce che, in epoca arcaica, questa radice in­ dicasse la >, essendo il lwninoso una determi­ nate dell'esperienza mistica, alla quale potrebbe riferirsi anche il si­ gnificato essenziale di Da.imon: «luce una>> (monos), luce individuale; ovvero la luce che guida l'iniziato. De-meter significa dwtque Madre luminosa (meter, mottt), ma anche Matrice; viene infatti raffigurata con wta torcia in mano, vestita d'abiti scuri, gli stessi con i quali si era presentata ad Eleusi: si allude così alla duplice natura del vela­ mento e del disvelamento. «Questo>>, dwtque, è l'esperienza del ricongiungimento con la to­ talità del Mondo, l'insieme delle relazioni tra le cose che ci attraver­ sano nella realtà del nostro tempo, del nostro esserci. Ed è in questo Weltinnenraum «spazio interiore del Mondo>>, che l'Immagine poeti­ ca ci fa entrare; dice Rilke: «Un Sfilo spazio compenetra ogni essere: spazio interiore del Mondo. Uccelli taciti ci attraversano. Oh, io vo­ glio crescere, guardo fuori ed Ùl me ecco cresce l'albera>>. Qui un certo sgllordo diventa visione; la poesis di un'Immagine ricrea la relazio­ ne col Mondo: «ricrea il Mondo>>. Illuminante, è il caso di dirlo, la definizione che Benjamin dà del­ l'Immagine nei suoi «possngt.J)> di Parigi: «Non è che il passato getti la 13

sua luce sul presente o il presente sul passato, ma Immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l'adesso in wu co­ stellazione. In altre parole: Immagine è la dialettica nell'immobiliti. Poiché mentre la relazione del presente col passato è puramente temporale, quella tra ciò che è stato e l'adesso è dialettica: non di na­ tura temporale ma Immaginale». (Cfr., Benjamin, p. 3 1 8). TI Mondo, allora, è identiti e rivelazione; i gesti sono tutti egnal­ mente sacri e tutti egualmente potenti, qu9.1ldo si riconoscono in «Questo»: «< figli del Mondo sono in contatto immediato con il divi­ no, se sono in grado di considerare e trattare OJIIi co.ro come parte in­ tegr9.1lte della sua mutevole sempitema autorivelazione [...]; concen­ tr9.1ldosi su questa veriti si dovrebbe infine riuscire a cogliere l'iden­ titi fondamentale della persona individuale con il Sé universale>>. (Cfr., Zimmer, pp. 1 87-189) . Senza di noi in tempo e in >. (Cfr. , Bachelard 3, p. 17) . Ofelia scende nello stagno facendosi abbracciare dall'elemento come in Wla deposizione; Martin Eden cerca la > nell'o­ ceano; il salto di Saffo e quello del tuffatore nella tomba di Paestum, riassumono il loro ultimo atto poetico. E ancora, il «tuffo trattenuto» di Ulisse verso il canto fascinoso delle Sirene, sarà specu­ lare a quello metamorfico di Glauco e Colapesce che, invece, tra­ sformeranno il loro corpo nel mare. Lontano nel tempo, incastona­ to come la Via Lattea nello spazio della cosmologia indù, ci attende il «tuffo rovesciatO>> di Siva: archetipo di ogni permanenza rituale sotto Wla cascata. 16

Tuffo Imaginalis

Q11tsfo Immogùmziollt 11011 tosfmisce dell�rrtole, ma svela il reo /e 110scosto H. Corbin

Per il tuffatore che si specchia nel riflesso delle acque, il mistero nasce in quella presenza che lo ri-guarda: egli sente che il Mondo è nna proiezione di se stesso. Prima ancora di tuffarsi, inunerge lo sguardo in quello delle acque: l'occhio ha qui Wl tocco delicato, mentre scorge l'Immagine. «La vera Immagine naturale, quella che stupisce il bambino e che incatena il sognatore, associa in effetti il riflesso e la profonditi. In seno all'acqua davvero riflettente noi scopriamo Wl essere intimo e profondo». (Cfr., Bachelard 3, p. 1 8). «Per comprendere in modo adeguato il significato di questo sim­ bolismo, occorre anzitutto rilevare che l'ordito rappresenta l'elemen­ to immutabile e principiale, mentre la trama l'elemento variabile e contingente)). (Cfr., Guénon, p. 100) . Già proteso con il corpo verso il salto, il tuffatore potrebbe allora Immaginarsi come parte di Wl «incrocio nniversale,, tra il corpo ver­ ticale e la superficie orizzontale delle acque: il tuffo come Immagine paradigmatica dell'incontro tra macro e microcosmo, tra l'elemento creatore e la singola vita caratterizzata. Il nodo che il tuffo genera, tra la trama del corpo e l'ordito della superficie acquatica, tesse allora, nella sua essenzialità microcosmica, la tela macrocosmica del Mondo. Un'Immagine come questa si com­ prende appieno solo con I'Imogillntio vero: la facoltà che coglie il Mondo nella sua «realtà in attm,, il Mondo Immaginato nella sua fo· tolitò: per ricongiungersi pe­ ricolosamente all'elemento della creazione originaria poiché, come dice Hesse: e del «bios della zoéJ>. Feclmer, con la sna sensibilità naturalistica, declina l'antica idea platonica dell'A11imn Mt111tfi proprio come insieme delle complemen­ tarietà animiclte tra esseri viventi: «Un'anima è per me non soltanto il riflesso che altri esseri ne ricevono, ma deve avere in sé pienezza e riccltezza di sensazioni e impulsi vitali. Non già la rende anima ciò che io dell'anima della pianta ho in me, ma precisamente ciò che di essa in me non ho». (Cfr., Feclmer, p. 21). La Vita, la zoé, ci ha creato come singole bios afftnché fossimo parte della sua varietà, e dwtque assicurassimo in questo modo «ciò che continua ad accadere», il suo eterno fluire, partecipando attiva­ mente al fatto che «la zoé non ammette l'esperienza della propria di­ struzione»; è questa la verità che il «tuffo sacriftcale» onora e restitui­ sce con il gesto, come dice l'etimologia stessa di celeb". «Una celebrazione non sempre sta a significare salti di gioia o fe­ stival di canti e danze, ma può anzi implicare elementi più interiori e più pacati e reca in sé, comunque, invariabilmente, la consapevolez-

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za che i nostri atti hanno un significato più profondo e più trascen­ dente di quello che appare, anche se noi possiamo non essere in gra­ do di tradurre questo significato in parole. La celebrazione trasmette Wl senso di solidarietà. co smica, di fra­ tellanza umana, e spesso di un'associazione con il divino in virtù della quale tutte le nostre azioni vengono rese liturgiche, significative ed espressive, dando voce a ciò che è ora, e creando quanto sta per essere. Celebrare significa prendere consapevolezza dei ritmi della vita e solennizzare il loro cadenzato ricorrere [ . . . ] . Ciò che si celebra è ciò che continua ad accadere, come la stessa parola ttltber suggeri­ sce. Non è necessario aderire ad una concezione ciclica o a spirale del tempo, ma bisogna avere una certa coscienza ritmica che ci renda capaci di celebrare autenticamente, ossia di trascendere la routine della vita quotidiana, clte tanto facilmente si riduce, se non è aninta­ ta da spirito di celebrazione, a una mediocrità. deprimente e mono­ tona [ . . . ] . La sola cosa in grado di soffocare il potere celebrativo dell'uomo è la superficialità. le cui cause possono essere numerose, ma il cui rimedio efficace è w1o solo : la contemplazione>>. (Cfr., Pa­ nikkar, pp. 38-39) . Nel tuffo rituale vedico la contemplazione è essenziale: il sogget­ to contempla se stesso e le acque che lo riflettono, si ferma un breve momento in attesa di un segnale dal Mondo; una brezza sottile, un'increspatura dell'acqua, un brivido del corpo, il canto di incorag­ giamento degli astanti: ognuno di questi segnali, interiori o esteriori, viene colto come rottura di un intenso momento contemplativo. Nella dottrina sacrificale vedica si condensa inoltre l'intimo rappor­ to tra il tuffo rituale e le «acque della creazione)); lo riprenderemo quando narreremo la storia di Narada. Le acque, più antiche di tutto il resto delle manifestazioni, sono dunque la linfa vitale del Mondo, del Visibile e dell'Invisibile, di ciò che si vede con lo sguardo degli occhi e di ciò che si coglie soltanto con lo «sguardo dell'animru>: nel «sacrificio)) vedico del tuffo acco­ starsi alle acque con l'illftllfo di immergersi nell'essenza stessa della Realtà., nella Madre, consente l'apertura di questo «sguardm>. L'intento del «tuffo sacrificale)) vedico dunque, nulla ha a che vede35

re con qualcosa di doloroso o mortificante, bensì con un pmsiero agente del riçonoscimtllfo, Wl qpemtore che partecipa della rigenerazione continua e costante, «dando voce a ciò che è ora, e creando quanto sta per essere», poiché la «�i del bio.r», l'Angelo del Mondo, se non è curato, non è celebmto nel suo splendore, deperisce e si mortifica sino alla completa consunzione. Il senso del sacro che il «tuffo sacrificale» vedico esprinle, allora, non è altro che la consapevolezza dell'interconnessione .r11i gt��eris che vive tra tutte le cose; se noi esistiamo come «vita caratterizzata>>, come bios, lo dobbiamo al congiw1to di tutte le altre forme della Ma­ nifestazione Mondo: la ziii. Non è po ssibile vivere «Un'esistenza che i �omi e le notti non esauriscono prinla della morte», come dice il Satapatha-Brlihamana (X, 4, 3, 1), se non si riconoscono queste connessioni e non le si rin­ nova onorandole. Il «tuffo sacrificale» vedico è un gesto che ricono­ sce il valore della retta intenzione (11i1Jnh), nel rigenerare questa for­ ma globale di alterità. «L'uomo deve, prinla di ogni altra cosa e costantemente, tendere a realizzare l'unità in se stesso, in tutto ciò che lo costituisce, secondo tutte le modalità della sua manifestazione umana: wlità nel pensiero, wlità nell'azione, e pure, che è forse la cosa più difficile, unità tra pensiero e azione. È però importante osservare che, per quanto ri­ guarda l'azione, ciò che conta essenzialmente è l'intenzione (nqynh), giacché è questo il solo elemento che dipenda interamente dall'uo­ mo, senza che sia influenzato o modificato dalle contingenze este­ riori come sono sempre i risultati dell'azione». (Cfr., Guénon, p. 70) . Il tuffo come «sacrificio» rappresenta plasticamente nei Veda il ri­ conoscimento delle relazioni tra il celebrante ed il processo che rige­ nera il Mondo; l'inlmersione nelle acque riassume, nel microcosmo di un gesto, il processo macrocosmico della creazione: percepiamo «il corpo come creato dall'anima». Il tuffo vedico è dunque un atto paradigmatico, cioè un gesto che riproduce di continuo il principio di generazione dell'inizio dei tempi: «Un sacrificio non soltanto ri­ produce esattamente il sacrificio iniziale rivelato da un dio, ab origine, all'inizio dei tempi, ma awie11e anche in quel medesimo momento mitico prinlordiale; in altri termini, ogni sacrificio ripete il sacrificio

iniziale e coincidt con esso [ . . . ] . Per mezzo del paradosso del rito il tempo profano e la durata sono sospesi [ . ] cioè qualsiasi ripetizio­ ne di Wl gesto archetipico so spende la durata, abolisce il tempo pro ­ fa.tlo e partecipa del tempo mitico». (Cfr., Eliade 1, pp. 43-44) . Questo è anche lo scopo del tuffo sciamanico, del >. In altri passi l'Essere supremo viene emesso dalle acque, «riscaldate» da Brailmii stesso, cioè dall 'entità che che guarda se .

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stessa, non esiste neanche la totalità che l'ha generata ed in questo stesso sguardo si rispecchia. Un'Immagine che Angelus Silesius, nel suo Ptll'!,rino Chmtbito, esprime ma.gistralmente con questi versi: «. (Cfr., Panikkar, pp. 465-476) . Quando Giordano Bruno, monaco ed alchimista, descrive le ope­ razioni ispirate dalla «saggezza della MateriiD>, pratica questa modali­ tà di entrare in connessione con l'ordine .Siti gtnttis delle cose; per questo viene arso vivo dal potere che, invece, tende ad espropriare il singolo individuo dal gesto sacrificale che gli consente di comunicare direttamente con la Madre Materia. Vedremo che anche il processo alchemico nasce dall'incontro, tra­ mite un tuffo, tra il corpo grezzo dei metalli e l'Acqua Regia; attra­ verso continue fasi di coagulazione e condensazione si purificano gli elementi attraverso cui si dispiega il procedere dell'Opera., sino al­ l'Oro dei Filosofi: l'elemento totalmente purificato. Analogamente, in alcune sue forme rituali - il NtidntJ o alchimia interiore taoista l'origine dell'Oro è nelle lunghe meditazi01u che «sciolgono» l'Io del saggio, sino a «ricoagularlo» in ogni aspetto nella Natura. Ed infme, tornando all'India vedica, dobbiamo evidenziare la re­ lazione tra liberazione e tuffo, cioè tra Oro spirituale e «sacrificio» 39

acquatico, incarnata dalla «divinità dei nodi e dell'acqua>>: VaC\llla . "Nella mitologia classica, Varw1a è il dio delle acque. I Briihmll.lla gli attribuiscono già tale funzione. «Varw1a è nelle acque» [ . . . ] . Ciò che entra nelle acque è assorbito in lui. «Quando il sole entra nelle ac­ que, diventa VaCUila>> [ . . . ]. Il rapporto che unisce Varw1a alle acque può essere espresso come Wl legame coniugale: >. «Basterebbe soltanto ad Wl uomo moderno w1a sensibilità meno chiusa al miracolo della vita, per ritrovare l'esperienza della rinnova­ zione [ ] il prestigio della fine di Wl passato e dell'inizio di Wla "vita nuova"». L'«esperienza della rinnovazione» è !'«essere in comu­ nione» col gesto, «in comwlione» con la Vita attraverso il gesto; non ci si tuffa pensando ad altro: nell'istante del salto si è Wla cosa sola con il gesto ed il Mondo nel quale lo si esprime. (Cfr., Eliade 1, p. 81). Questa >. Come si vede qui, ed anche nel mito successivo, siamo ancora nella piena fase matriarcale della civilizzazione greca arcaica in cui, non essendo ancora stato stabilito il rapporto causa-effetto tra coito 53

e fecondazione, le donne erano portlltrici assolute del potere della riproduzione e, da questo, discendeva anche l'adorazione arcaica della Dèa: divinità unica ed onnipotente, Principio femminile del Mondo che «concepisce puledri senza l'aiuto di uno stllllone)). Proseguiamo ora con la descrizione del mito omerico e orfico della creazione: «Certuni dicono che tutti gli dèi e tutte le creature viventi nacquero dal fiume Oceano che scorre attorno al mondo, e che Teti fu la madre di tutti i suoi figli. Gli Orfici dicono invece che la Notte dalle ali nere, wu dèa che si impone persino al rispetto di Zeus, fu amatll dal vento e depose Wl uovo d'argento nel grembo dell'Oscurità; e che Eros, chiamato anche Fanete, nacque da quel­ l'uovo e mise in moto l'Universo. Eros fu Wl ermafrodito dalle ali d'oro, e poiché aveva quattro teste, di voltll in voltll ruggiva come un leone, muggiva come un toro, sibilava come un serpente o belava come un ariete. La. Notte, che chiamò Eros col nome di Ericepeo e di Fetonte Protogeno, visse con lui in una grotta e assunse il triplice aspetto di Notte, Ordine e Giustizia. Dinanzi a quella grotta sedeva l'inesorabi­ le madre Rea che, battendo le mani su un bronzeo tllmburo, costrin­ geva gli uomini a prestllre attenzione agli oracoli della dèa. Fanete creò la terra, il cielo, il sole e la lwu; ma la triplice dèa imperò sul­ l'Universo, fmché il suo scettro passò nelle mani di Urano)). Qui compare Eros nella sua manifestllzione primigenia, quella di un dnimo11 co smogonico, un Demiurgo ermafrodito che mutll forma e concepisce con la Notte l'Ordine e la Giustizia: in altre parole che trae il Cosmo dal Cao s. Ritroveremo Eros ermafrodito nella cosmo­ gonia orfica e, come principio acquatico del Mondo, insieme ad Afrodite natll dalla spuma feconda dei genitali recisi di Urano, sia nella simbologia alchemica del &bis, sia nel mito di Narciso. Infine Graves ci propone il mito olimpico della creazione nel qua­ le, da una parte ci avviciniamo alla classica teogonia olimpica che, pur partendo dalla Madre Terra, sarà ben presto divisa tra divinità maschili e femminili, ed alla fme vedrà prevalere il patriarca Zeus; dall'altra, ritroviamo il concetto centrale del sonno cosmogonico cl1e si sostllnzia nelle acque della creazione; mitologema che ritrove­ remo anche nella cosmogonia induistll. 54

«All'inizio di tutte le cose, la. Madre Terra. emerse dal Caos e gene ­ rò nel sonno suo figlio Urano. Da.ll'alto delle montagne Urano guar­ dò la. dèa. con occhio amoro so e versò piogge feconde nelle sue pie­ ghe segrete, e essa. generò erba., alberi e fiori, uruta.mente a.ll e belve e agli uccelli. Quelle stesse piogge fecero poi scorrere i fiumi e colma­ rono d'acqua. i bacini, e così si formarono laghi e mari>). (Cfr, Gra.­ ves, pp. 21 -26) . Infine, ma. non per importanza., è per noi necessario riportare w1a. cosmogonia. orfica., in particolare quella. contenuta. nel cosiddetto «papiro di Derveni>), risalente al IV secolo a.C., nel quale la. diviniti primordiale è Metis. Potenza. acquatica. fluida., polimorfa., come Eros ed Afrodite, essa. emerge da.ll 'uovo cosmico portando in sé il germe di tutte le cose. Mentre in Esiodo la. dèa. è subaltema. a. Zeus, per gli orfici essa. è invece centrale poiché ha. Ull a. caratteristica. che la. Ulli sce essenzia.lmente a. Dioniso: è androgina., diph11is, come la. natura inti­ ma. del dio , ma anche Eros e Afrodite, en­ trambi principi creatori, hanno una natura acquatica e con il tuffo un rapporto simbolico essenziale: Afrodite, da nphròs, spuma, nasce dopo che i genitali di Urano sono stati gettati nelle acque da Crono, e le hanno così fecondate; «tuffo cosmologicm> del principio fecon­ datore all'interno della «somma di tutte le virtualillb>. Questo è il «primo tuffo>>, che genera a sua volta la Bellezza, il veicolo dell'uma­ nità verso la restituzione dell'anima a se stessa; Venere essendo l'A­ nima del Mondo, come dice Platino. Il tema della castrazione del sovrano al potere come atto necessa­ rio alla successione lo troviamo anche nella mitologia ittita, in parti­ colare in un ciclo risalente al XIII secolo a.C., animato da divinità di origine babilonese ed hurrita. Il topo.s della castrazione viene qui ri­ portato con caratteristiche simbolicamente identicl1e a quelle della Ttot.onin di Esiodo: Kwnarbi, il nuovo sovrano, inghiotte i genitali di Anu, il cui nome significa "cielo" (come Urano), il veccluo re, e così lo detronizza prendendone il po sto. Anche nella lotta tra Horo s e Seth, il figlio di Iside e Osiride strappa i testicoli all'avversario, e così trionfa. Nel mito della nascita di Afrodite, la spuma sempre cangiante del mare rappresenta la pre-esist:enza - la come diceva Aristotele - continua, nascosta, cosmica, che può mantenendo la propria sostanza; ovvero la spuma simboleg­ gia l'insieme della realtà archetipica essenziale, di ciò che giace nel fondo e non semplicemente sotto tutti i nostri pensieri: il principio vi­ tale consustanziale ad ogni determinazione del nostro esserci. Afrodite è, infatti, nnntlìommot� rinasce cioè continuamente dalle bianche spume del mare; ma nphros significa ancl1e sperma: dice il poeta riferendosi al prodotto (�ros to ti­ dos) ed ), agisce come Eros e «non fa né subisce violenza>,. L'Immagine di Eros che si «tuffa nel­ l'anima>) come nelle acque, la sua t,mzio, suggerisce che l'amore è al centro del Mondo, non solo come forza trasfiguratrice delle cose, ma come ricongitmgimento che l'anima ricerca per «trovare se stes­ Sa>). E allora, il «tuffo di Eros,,, può divenl:llre «il segno dell'esperien­ za noetica fonda.menl:ll!e dell'uomm,, suggerisce Corbin. Platino, nelle Enneadi, traccia in questo senso l'analogia più ardil:ll e visionaria: quella tra Eros, Mrodite e l'anima. Ovvero tra l'amore, la bellezza e la psiche, WUte da. Wl principio fluido, da. quello >.7/NON �uvou], legame essenziale, che attraversa queste tre componenti del­ la Vil:ll, facendone w1'Uniti: «E che il bene sia lassù, lo prova anche l'amore che è congenito all'anima: perciò Ero s è nuzialmente unito alle anime persino nelle pitture e nei nliti. Poiché, es sendo essa qual­ cosa di diverso dal dio e tutl:llvia derivante da. lui, l'anima è necessa­ riamente innamoral:ll di lui e, finché è lassù colma dell'amore celeste, mentre quaggiù, è piena di amore volgare [ ]. Ogni anima dunque è un'Mrodite; ed a ciò intendono alludere la nascil:ll di Mrodite e la nascil:ll di Eros che le si accompagtla>). (Cfr., Platino, VI 9, 8-9) . L'anima dw1que si innamora del «tuffo di Eros)), come dell'acqua che egli rappresenl:ll e simboleggia con la sua «forma senza forma>) ed il comporl:llm ento che «non fa né subisce violenza>). Ecco che tuffarsi nelle acque è seguire il desiderio dell'anima di ricongiungersi a ciò che essa ama: «Forte di quesl:ll conoscenza della profonditi il lettore comprenderà infine che l'acqua è anche Wl tipo di destÙJo, non più soll:llnto il vano destino delle imm agini fuggevoli, il vano destino di un sogtlo interminabile, ma Wl destino essenziale che trasforma incessantemente la sosl:llnza dell'essere,,. (Cfr., Bachelard 2, p. 12) . Vedremo, parlando della m1JO di Vi�llU, come quesl:ll riflessione di . . .

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Bachelard "risuoni" perfettamente con la visione Induista delle ac­ que della creazione: la loro capaciti di jorsi deslù1o per chi, immergen­ dosi, vuole fmalmente cercare l'origine dell'esistenza. Molto oppor­ tunamente, dw1que, Bachelard ci ricorda «l'eraclitismo dell'acqua», l'acqua come forma del destino; e poiché Dioniso è il «dio che scorre», l'acqua è il suo analogo elementare. L'Immagine ci riporta così a quella ciclicitÀ della vita nella Vita che rappresenta la garanzia del suo stesso fluire: il ciclo del bios nella �· Dioniso, il «dio venturm>, nascosto nell'ombra di ogni tuffatore è, allo stesso tempo, ccii dio che muore» ed anche cd'archetipo della vita indistruttibile»; nella sua ciclica esistenza risiede la coniugazione es­ senziale degli opposti: la via dell'ccessere e sapere di essere»: « e fu pwuto dal Cronide con la ceciti. (Cfr., Iliade VI, vv. 1 28- 140) . Qui alcuni autori hanno voluto vedere Wl antico sfondo iniziatico, in cui un uomo-lupo (Licut:go) insegue Wl giovinetto sino al tuffo nel mare. Anche Perseo scaglia il suo esercito contro Di01uso e con­ tro le ccdonne del mare» cl1e lo accompagnano; secondo un'altra tra­ dizione: . Nel culto dioni­ siaco presso At:go: ccLe donne invocano il dio e [ ] lo clliama.tlo con le trombe perché risorga dalle acque» ed emet:ga così dal paese dei morti. Riprenderemo questo rito più avanti. (Cfr., Plutarco, 35 p. 96) . Vedremo come per i greci il pontos, l'alto mare, è a.t1che la porta . . .

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dell'Ade dove, secondo alcw1e ritualità ortiche, il dio dimora per W1 periodo del suo ciclo. Il dio si tuffa anche nella Lymne Alkyonia, il lago Alcionio, in m1a catabasi alla ricerca della madre per riportarla sulla terra, come riferisce Pausania (II, 37, S-6) . Infme bisogna ricor­ dare come il mitologema dionisiaco lo vuole divinità me viene dal mare. D'altra parte non solo Dioniso sfugge così ai suoi nemici; Ta­ cito per esempio, riferisce dei popoli germani che nei loro canti fol­ kloristici dicevano: «Gli eroi sono spesso dei campioni di nuoto e tuffll>, mentre in W1 bassorilievo ritrovato durante gli scavi di Ninive viene raffigurato Wl gruppo di uomini me si getta nel fiume per sfuggire dalle frecce dei guerrieri schierati sulla riva. (Cfr., Eliade 3, I p. 389) . «Quello che era il pm1to essenziale, e che per migliaia di anni ri­ mase il nucleo della religione dionisiaca, il fondamento della sua esi­ stenza, dopo tali evidenti testimonianze non può più essere messo in dubbio [ . .]. Lui, l'indistruttibile . Il nesso tra «saltimbanco», altro significato della parola ��:ufltçrtj(!, ed il «tuffarsi>> è ancor più stretta se si pensa che un'altra accezione della stessa parola è «palombaro», cioè qualcuno che si immerge nell'acqua per lavorarci. (Cfr., De Agostino, p. 108) . Questi frammenti, tratti dai canti X e XL delle Dionisiache di Non­ no, ci dicono del tuffo come parte delle attività del tiaso del dio, che non disdegna il gesto acrobatico, quello nel quale la sua prorompen­ te vitalità è resa in modo sfottente ed impudico, e però con abilità circense; acrobazia, danza, balzo, tuffo: sono manifestazioni dioni­ siache che conducono invariabilmente tutte all'estasi del sacro spn· mgmòs, lo smembramento del dio. Questo ci consente di aprire una breve digressione sulla storia del tuffo come disciplina sportiva; uno dei primi a trattare il tema fu Oronzio De Bernardi che, nel 1794, pubblicò a spese del Re di Na­ poli, un piccolo volume con diciotto illu strazioni, intitolato : L 'Uomo !flllt,gginnte, os.rin l'nrte mgionntn del mtofo. Nel secolo dopo il tedesco Gutz Muths, partendo dal libro di De Bernardi, impostò un proprio metodo di insegnamento, divenendo così il divulgatore moderno del 62

tuffo come disciplina. Nel 1 833, a seguito della seconda edizione del suo libro, Muths organizzò Wl concorso pubblico che comprendeva prove di tuffi, prove di partenze «a tuffo», e prove di nuoto. Nacque così la prima scuola di nuoto a Berlino sul fiume Sprea, che usava come trampolino il ponte Unterbaum. I primi tuffi si ispirano alle modalità e alle tecniche degli Halloren, salinari del 1700 di Halle sul Saale, che iniziano a tuffarsi nel fiume per necessità igienica alla fine del loro lavoro. Si arriva così al 1 843, quando il maestro di ginnastica H. O. Kluge pubblica il libro Nuoto t gimmsticn di .rnhi, nel quale vengono elencati più di cinquanta specie di tuffi: con rincorsa e senza, a due, ad avvitamento, a caduta, a ca­ priola, a capofitto etc.; in sintesi le basi per i tuffi sportivi odierni. I tuffi come specialità olimpionica entrano in scena nel 1904 a Saint Louis (per le gare femminili si dovd. aspettare il 1920) . . . ma questa è un'altra storia. Torniamo ora all a relazione tra gesto del tuffo e gesto della ven­ demmia, che produce il vino dell'estasi dionisiaca: questa illustra i due aspetti nei quali il dio assomma gli elementi di un'esperienza di radicale diversità rispetto alla vita quotidiana. Sia il tuffo nel mare, infatti, sia l'ebbrezza data dal vino, sono costitutivi del culto di Dio­ niso; di un dio che fa dell'estasi, dell'uscire da sé, la cifra del suo stesso essere. ccMa il caso più impressionante, nel quale l'acqua rischia di assu­ mere le sue fenomenologie un po' tutte insieme, lo incontriamo nel­ l'anfora del Pittore di Priamo ... che risale al 520-510 a.C.>>. (Cfr., Pie­ rantoni, p. 173). Le due facce dell'opera, conservata presso il Museo di Villa Giulia a Roma, rappresentano iconograficamente la relazione tra tuffo e vendemmia: ebbrezza del salto nel mare ed ebbrezza del vino; poli· tos, oÙJos. Su un lato dell'anfora vediamo sette figure di giovani don­ ne, probabilmente Ninfe, che si bagnano; wu si tuffa direttamente dalla spiaggia, altre si preparano al salto da Wl trampolino più alto, mentre un'altra ancora sembra rinfrescarsi sotto una cascata. L'altra faccia del vaso, invece, ritrae sette satiri che, insieme a Dioniso, col­ gono l'uva.

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Nell'antica Grecia le figure iconografiche del tuffo sono rare poi­ ché, come abbiamo visto, il gesto è reputato fondamentalmente par­ te di Wl rituale. A questo proposito vale la pena citare il culto di Dio· I!Jsos Mefn11nigis ad Ermione dove, ci ricorda Pausania (II, 37, S-6), si svolgevano concorsi di tuffi e di nuoto. DiDI!JSOS Melnmigis è la divi­ nità che presiede alle Apature, riti di passaggio per giovanetti e gio­ vanette; ed è allora logico pensare che il tuffo fosse il rito che em­ blematizzava il transito tra w1'età e l'altra; esattamente come il tuffo della «Tomba del tuffatore» simboleggerà, sempre in chiave dionisia­ ca, quello tra la vita e la morte. Anche nell'episodio delle donne di Tanagra, sempre ricordato da Pausania (IX, 20, 4), esse si tuffano nel mare prima di partecipare al rito dionisiaco. (Cfr., D'Agostino, pp. 1 1 5-1 16) . La relazione tra Dioniso ed il tuffo è letteralmente essenziale: il dio è la natura stessa dell'acqua o, meglio, è acquoreo nella sua inti­ ma dinamica. Dioniso, a differenza di Ero s che è . (Cfr., Col­ li 1, I p. 26) . Forse questo rende ragione della carica erotica di un rapporto sot­ to la cascata, mche nella sua forma più prosaica: la doccia. Dioniso, dunque, è la «divinità del tuffo, come pura attività Iudica, come gio­ co fme a se stesso, senza nessuna riutrie sulla materialità dell'acqua, la sua natura eraclitea e nemmeno come «sacrificio, di restituzione; egli è il salto acquatico come essenza del rapporto con il piacere fisi­ co. (Cfr., Deonna, p. 53) . Proprio questa espressione totalmente fisica, infmtile, del rappor­ to tra Dioniso ed il tuffo ludico, gioioso, esprime la forma più stret­ ta ed autenticamente dionisiaca del legame tra una vita qualunque e la ciclicità sensuale del dio. Dioniso, infatti, è mche il «dio bambino,, quello che si balocca senza altro scopo che il gioco come forma primordiale della creazione: il bambino che si tuffa giocoso, come ogni adulto che ripete il gesto imparato nell'infanzia, è il dio i11 persrmn che gioca con l'apparenza del Mondo; che si ri-conosce nel Mondo. «Come un vortice impetuo so afferra il nuotatore, come la miste­ riosa potenza del sogno il dormiente, così l'incanto ch'esce dalla presenza del dio s'impadronisce di chi gli si avvicina, e lo conduce dove vuole. Tutto si trasforma in lui, egli appare mutato ad i suoi stessi occhi)). (Cfr., Rohde, p. 3 1 1) . Tornare bambini nell'istante del tuffo è , in fondo, l a forma più pura del rapporto con il Mondo attraverso il suo elemento creatore. Il JJortisismo di ogni tuffato re, lo vedremo nel mito di Narciso, ripro­ duce questa attrazione verso l'elemento primordiale; l'acqua fuori di noi chiama l'acqua che è in noi e le dice di raggiungerla: come una madre richiama il figlio perduto. 65

Ogni gioco è, allora, come 1.l1l tuffo: 1.l1l richiamo a riprendere il nostro posto all'interno della materia primigenia ). Non a caso, nel periodo alessandrino, esisteva una forte identificazione tra la figura di Siva e quella di Dioniso; ba­ sti pensare che, nel mito di Arianna, Dioniso di ritomo dall'India, la raccoglie sull'isola di Nasso dove l'aveva abbandonata Teseo. En­ trlllllbi divinità. particolari, entrlllllbi protettori di w1'uma.nità. eccen­ trica e bestie feroci, entrllllb l i mwtiti di Wl corteo "poco raccoman­ dabile" di satiri, menadi, santoni ed altri invasati, entrlllllbi tanto se­ duttivi quanto lllllbigui, essi simboleggiano l'esistenza stessa; legati sia alla distruzione sia alla rigenerazione che ne consegue. Siva e Dioniso sono, infatti, divinità. mutanti, nel senso che nasco­ no come personaggi semidiv:U.ù e vengono poi "beatificati" dai loro seguiti popolari, e dunque "assunti" a div:U.1ità.. Entrlllllbi esprimono la saggezza che viene dall'azzannare la Vita in tutte le sue forme, come testimoniano sia l'animale preferito da Dioniso, la pantera profumata - «il solo animale fornito dall a natura di un odore grade­ vole che le permette allo stesso tempo di attirare e catturare le sue vittime,, - sia quello di Siva, la tigre. (Cfr., Detienne 4, p. X) . Il carro nuziale su cui Dioniso celebrò le nozze con Aria.tma era 86

trainato da sei pantere: gli erano state consacrate a motivo della loro bellezza ferina e del profumo che emanavano. Per tntto l'invemo erano rimaste vicino al loro dio poi, eccitate dalla primavera, erano partite per le montagne. Furono catturate nella Panfilia, dove gli aro ­ mi delle vigne le avevano attirate. Si stabilisce così la relazione mito­ logica tra la pantera e il vino: potevano infatti essere catturate pro ­ prio grazie alla bevanda dionisiaca per eccellenza; bastava spargeme in prossimità di un punto di abbeveramento e le fiere, attirate dal profumo, si avvicinano, bevevano e, approfittando della loro ubria­ chezza, erano prese facilmente. Questa attrazione fatale per gli aro­ mi si ritrova, speculare, nello stile di caccia della pantera che, come abbiamo visto, emana un profumo intenso al quale la loro preda non può resistere. Dioniso ha come animale-simbolo anche il toro, che lo rappre­ senta nella follia orgiastica con la quale punisce chi non accetta il suo rituale; in perfetto parallelismo Siva cavalca il toro N aneli, sim­ bolo della forza bruta per eccellenza ma anche della potenza ripro­ duttiva più ricercata; dalla testa del dio indiano, inoltre, sprizza tulo zampillo d'acqua, il sacro fiume Gange, che egli riceverà sulla testa in un «tnffo rovesciato». «Perché da Dioniso faccio cominciare il discorso sulla sapienza? Con Dioniso, i.11vero, la vita appare come sapienza, pur restando vita fremente: ecco l'arcano. In Grecia Wl dio nasce da un'occhiata esal­ tante sulla vita, su Wl pezzo di vita che si vuole fermare. E questo è già cono scenza [ ] . Nel contemplare Dioniso l'uomo non riesce a staccarsi da se stesso: Dioniso è un dio che muore. Nel crearlo l'uo ­ mo è stato trascinato a esprimere se stesso, tntto se stesso, e qualco­ sa ancora al di là di sé. Dioniso non è un uomo: è un animale e as­ sieme un dio, così manifestando i pw1ti terminali delle opposizioni che l'uomo porta in sé». (Cfr., Colli 1, I p. 1 5) . Esattamente come nella definizione di Dioniso, Siva: « È l a vitalità dalla quale ha origine con forza irrefrenabile il Fenomeno della For­ ma in Espansione [ ] neutro pregnante, è pienezza non maschile o femminile, buono o cattivo, ma maschile e femminile, buono e catti­ vo. Siva è la sua personificazione. Ogni lampo delle membra dello Yogin divino volteggiante, ogni freccia del suo arco, sono essenzial. . .

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mente identici a quella sostanza divina di quiete e riposo eterni». (Cfr., Zimmer, p. 169) . Significativo, anche per la nostra analisi, è che sia la divinità greca sia quella indiana, sono molto cari alle donne. Bachofen ha insistito nel descrivere Dioniso come il «dio delle donne», ambiguo persua­ sore e seduttore dell'animo femminile, «dai bei boccoli biondi e pro­ fwnati>>, come lo descrive Euripide: l'esistenza dionisiaca, infatti, non esisterebbe senza le Baccanti, che ne interpretano il volere dopo essere entrate in estasi. Questo perché il Principio vitale, sia distrut­ tore che ricreatore è, per Bachofen, essenzialmente combinazione di maschile e femminile. Siva, d'altra parte, ha in Parvati o Durga, la moglie e paredra inseparabile, con la quale agisce nel Mondo sia la salvezza sia la distruzione, attraverso la tnmn-!,lflltr. il potere delle te­ nebre, che viene scatenato da Durga chiudendo i suoi occhi sul Mondo, o da Kali divinità guerriera, altra sodale del dio. Dice Bachofen: «La forza magica con cui il signore fallico dell'e­ suberante vita naturale ha condotto su nuove strade il mondo delle donne si manifesta in fenomeni che trascendono i limiti della nostra esperienza, nonché quelli della no stra forza di Immaginazione; e tut­ tavia relegare questi fenomeni nel regno dell'invenzione poetica si­ gnificherebbe tula scarsa confidenza con le oscure profondità della natura umana, con la forza di tuta religione che appagava i bisogni sensuali e sovrasensibili, con l'eccitabilità del mondo sentimentale femminile, che tanto indissolubilmente combina l'immanente e il trascendente, e infme una totale incomprensione del grandissimo fa­ scino della lussureggiante natura meridionale. In tutti gli stadi del suo sviluppo il culto donisiaco ha mantenuto lo stesso carattere che aveva quando per la prima volta fece il suo ingresso nella storia. Con la sua sensualità e il significato che di all'offerta dell'amore sessuale, intimamente connaturato alla condizione femminile, esso è entrato in un rapporto d'elezione con il mondo delle dom1e piegandolo in una direzione affatto nuova. In quel mondo ha trovato le sue più leali alleate, le sue serventi assidue, e sul suo entusiasmo ha fondato tutta la propria forza. Dioniso è il dio delle donne nel senso più pie ­ no della parola». (Cfr., Kerényi 1, p. 134) . E d infme, entrambi ham1o tula spiccata caratteristica comune: 88

come bambini spesso agiscono; poiché è all 'interno della «psiche preistorica>> infantile che vive il dio volubile e fermo, vendicativo e generoso, vitalmente appassionato e creativamente distruttivo che identifica Dioniso- Siva.. I due, proprio per queste caratteristiche molto "infantili", sono arrivati ad essere considerati divinità vere e proprie in epoche tardive, essendo caratterizzati da. \Ula vicinanza al­ l'umano troppo stretta. per poter coltivare il distacco tipico degli dèi; basti pensare che Dioniso è figlio di una mortale che a sua volta di­ verrà immortale: induce ad m1a forma di simpatia per le altre manifestazioni del Mondo; la. stessa. simpatia istintiva che prova. chi, con questo intento gioioso, si tuffa nelle «ac­ que della creazione». L'elemento primigenio ci conduce immediatamente all'interno di uno stato di coscienza cosmica, nella quale le manifestazioni della. Realtà assumono contorni diversi. L'Immagine di noi stessi che ci tuffiamo, diviene il simbolo del percorso iniziatico verso la consape­ volezza. dell'unione con il Mondo ; l'immersione nell'elemento purifi­ catore conduce all 'unione con l'essenza del Cosmo. Non ci si purifica se non attraverso l'incontro con ciò che si vuole incontrare: se stessi; l'acqua «dentro» il corpo si purifica al contatto con l'acqua. «fuori»; un processo alchemico nel quale l'operatore, il soggetto che cerca il ricongiungimento, si unisce alla materia opera­ ta, le acque, diventando tutt'uno con essa: finalmente con se stesso. E, come nella. cosmogonia occidentale il serpente Ofione è il sim­ bolo della forza primigenia che bisogna domare affmché il Cosmo si separi dal Caos ed il Mondo venga. creato, cosi in Oriente il serpen­ te, il HÒ!fl, rappresenta, allo stesso tempo, il principio conservatore e quello distruttore, intimamente legato all'acqua. 89

«l IIO!f' sono geni superiori all'uomo. Abitano paradisi subacquei situati sul fondo di fiumi, laghi e mari [ . . . ] sono custodi dell'energia vitale accumulata nelle acque della terra, nelle fonti, nei pozzi e negli stagni. Sono anche i guardiani delle ricchezze delle profonditi mari­ ne [ . . . ]. Le principesse-serpente, celebri per la loro intelligenza e il loro fascino, figurano tra le antenate di molte dinastie dell'India me­ ridionale: una llli.gini o un lllilfl nell'albero genealogico danno lustro». (Cfr., Zimmer, p. 64) . Come non notare qui, oltre il richiamo a d Ofione, almeno altri due parallelismi: il primo relativo al mito di Pitone, sconfitto da Apollo che si impossessa così del luogo per fondarci il suo tempio pitico, e la leggenda medioevale di Melusina, la do1ma serpente che alcwte dinastie, come i Lusingano, vollero effigiare all 'origine della loro casata? «N eli'.lji.genin Ùl Tn11ride di Euripide vengono menzionate come si­ gnore dell'oracolo prima di Apollo le dee Gaia e Temi, madre e fi­ glia. Vi si narra dell'uccisione del serpente [ . . . ]. In Euripide esse di­ fendono il loro privilegio, in quanto la Terra, la "Notturna", invia sogni oracolari, con cui il piccolo Apollo non può competere, finché non viene insediato da suo padre Zeus sul trono di Delfi. Ma Dioni­ so dal canto suo non è dimenticato. Il Pamaso, dove Leto porta da Delo il suo figlioletto tenendolo fra le braccia - così egli saetta il ser­ pente - è già il monte delle feste bacchiche in onore di Dioniso. Il "trono" di Delfi era il tripode, un treppiedi con un paiolo, su cui se­ deva la Pizia. Secondo wu delle no stre fonti dotte fu però Dioniso colui che per primo di sua iniziativa assunse il ruolo di Temi, datrice di oracoli [ . . . ]. Dopo le prime due signore dell'oracolo [ . . . ] la fonte cita al terzo posto quale possessore del tripode non Apollo, bensì Pitone, l'essere a forma di serpente il cui nome è ricavato da una ra­ dice semitica, ma contemporaneamente anche Dioniso. Il nome gre­ co del serpente era Delphine, e alla base di esso sta il mito, comune ai Greci ed agli Ittiti, della temporanea vittoria del mostro a forma di serpente, che viene vinto solo quando il suo avversario, smembrato e fatto prigioniero, recupera le sue membra [ . . . ] . Questo a Delfi può riferirsi solo a Dioniso fatto a pezzi. Il vincitore defmitivo e l'ucciso­ re del serpente è Apollo, e uno dei suoi nomi, conservato nella lette90

ratura mistica, era anche Dio'!Jsotlotis, "coui il cui dono fu Dioniso"». (Cfr., Kerényi 1, pp. 202-203) . I l serpente riveste nn ruolo fondamentale nel culto di Dioniso: in nn passo delle Dionisiache di Nonno di Panopoli (XX, 293-362), si dice che fu questo animale a suggerirgli di assaggiare l'uva. «Attorno ad esso [tronco della vite, IL do.] avvolgendo il sinuo so dorso nn dra­ go suggeva il nettare del frutto dolce stillante, e con ingorde fauci il liquore di Bacco succhiando versava il succo del grappolo divenuto vino e dalla gola aperta gocce purpuree gli arrossavano la barba [ . . .]. E alla vista del grappolo pregno e rosseggiante rugiada, Bacco intese gli antichi oracoli della fatidica Rea>). Secondo Eliano, nel suo u noftltrl tii!Jii 0/Jimo/i, le serpi nascono dal midollo osseo dei morti: si ripropone qui il binomio vita-morte che è la determinante della doppia natura del dio. Nei riti dionisiaci le Baccanti mettono a ri­ schio la propria vita tramite la manipolazione di serpenti veleno si: «che leccavano le guance)). (Cfr., Bocconti, v. 698) . Dodds, dopo aver illustrato nna lnnga serie di culti analoghi, da quello di Sabazia ai minatori del Kentucky, passando attraverso il menadismo macedone ed il Vangelo di San Mltrco 16-18: «,, riporta, seppur esitando, l'affermazione di Dieterich secondo il quale: «Ii rito non può assolutamente significare altro che l'nnione sessuale fra di­ vinità ed i.niziatm). (Cfr., Dodds, p. 336) . Kerényi invece si sofferma sulla manipolazione delle serpi vive ci­ tando Andromaco, medico personale di Nerone e specialista in vele­ ni: «l serpenti velenosi - échitl1mi, le vipere - destinati ad essere dila­ niati nel culto di Dioniso, potevano essere catturati quasi senza peri­ colo al termine della primavera [ . . .]. Questa data corrisponde pres­ sappoco al giorno in cui tuttora, nel villaggio abbruzzese di Cocullo, i strpori presentano a san Domenico vipere vive. Le serpi gravide, se­ condo Andromaco, dovevano essere risparmiate, la qual cosa con­ corda pure con un tratto fondamentale della religione dionisiaca: la conservazione dell'embrione. Le più antiche raffigurazioni delle Me­ nadi mostrano chiaramente che i loro serpenti erano animali perico­ losi [ . . . ]. L'esempio di Cocullo dimostra che [questa tradizione, n. do.] ha. potuto tenersi viva con inaudita tenacia. Nella religione di 91

Dioniso questa familiarità. aveva un suo significato particolare. TI ser­ pente è un fenomeno della vita, in cui la vitalità. stessa, connessa con il freddo, la lubricità, la mobilità., produce un effetto ambivalente. Presso i Minoici e presso i Greci le donne in atto di celebrare tene­ vano in mano un serpente. Noi abbiamo visto che esso poteva for­ mare un contesto mitologico insieme a una vite ricca di grappoli». (Cfr., Kerényi l, pp. 76-77) . E ancora, secondo Zimmer: «In Mesopotamia i due serpenti era­ no considerati il simbolo del dio della guarigione, Ningishizida; in Grecia furono perciò attribuiti al dio della medicina, Asclepio [ . . . ] . Come un fiume cl1e si snoda sinuoso il serpente striscia sul terreno; vive sotto terra ed emerge dal suo buco come lo zampillo di una sorgente. È un'incarnazione delle acque della vita che escono dal corpo profondo della Madre Terra. La terra è la madre primordiale della vita; nutre della sua sostanza tutte le creature e poi di nuovo le divora [ . . .]. D'altra parte il serpente è la forza della vita nella sfera della materia animata. Al serpente si attribuisce un'indomabile vitali­ tà.: ringiovanisce cambiando pelle [ . . .]. Così è connesso con Vi�t}U, con gli etemi antagonismi>>. (Cfr. , Zimmer, p. 74) E il serpente come simbolo dell'arte medica lo troviamo anche presso il santuario dedicato ad Eshmw1 o Eclunoun, presso Sidone in Libano, uno dei più importanti nel Mediterraneo. La leggenda narrata da Photius (Bibliothem Codex 242), dice come del giovane cacciatore Eslunun si fosse innamorata la dèa Astarte o Astronoe e come egli, forse per sfuggire al suo amore, forse per donarglielo per sempre, si fosse evirato. La dèa, cl1e con il nome pwuco di Tanit ve­ niva associata a Venere, lo fece rinascere sotto forma divina e con poteri taumaturgici, legati alla resurrezione. Il dio guaritore era vene­ rato già. nel VI secolo a.C., vale a dire due secoli prima della diffu­ sione in Grecia del culto di Asclepio, cl1e ripropone le stesse caratte­ ristiche di quello fenicio. Un tempio simile si trova ancl1e a Nora, in Sardegna, nel quale è stata rinvenuta la raffigurazione di Wl uomo domliente, disteso, attomo al cui corpo è avvolto un serpente: un evidente rimando al rito dell'incubazione. Sul tema complesso dell'evirazione ricordiamo solo come il culto di Di01uso avesse questo gesto come centrale: «Circa lo smembra.

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mento del dio [ . . . ] che si trattasse di un toro, di un ariete, o di un a.l­ tro anima.le di sesso maschile, la. virilità amputata. doveva. fare ritomo a.lla. Gr1111de Madre, a.ffmché il ciclo inflllito delle nascite si perpe­ trasse». (Cfr., Kerényi l, p. 257) . Il serpente, dunque, è legato a. Dioniso e a.ll'a.cqua.: nell'iconogra­ fia. indiana. classica. questo a.nima.le ne è la. zoomorfizza.zione. Questa. introduzione sulla. natura. a.cquorea. e duplice del serpente, ci serve per proporre un episodio nel qua.le Vi�qu, nella. sua. inca.ma.­ zione infantile, Knqa., si tuffa. in un lago infestato da. Wl serpente ma.lva.gio, per liberare il posto da.lla. sua. presenza. e, a.llo stesso tem­ po, restituire il serpente a.lla. sua. intima. natura.. Un episodio di >. (Ibid, p. 82) . Ecco che allo n il dio si scioglie dalle spire, e cominci!!. 11. schill.ccill.­ re le teste del serpente che, sempre più debolmente, reagisce ai colpi terribili, sinché non sviene riconoscendo !11. ver11. natun del suo anta­ gonista, e invocandone il perdono: «Ho solo agito secondo la mia natura. Poiché mi hai creato dotandomi di forza e veleno, mi sono comportato in questo modo. Se avessi agito altrimenti avrei viol11.to le leggi che tu hai stabilito per ogni creatura secondo il suo genere; avrei sfidll.to l'ordine dell'wliverso e suei stato perciò passibile di punizione: ma on pur colpendomi mi hai benedetto con il dono più alto, il tocco della tu11. mano. La mia forz11. è mmientata, il mio veleno esaurito; ti imploro di risparmiarmi la vita e di ordinarmi cosa devo fue)). (Ibid, p. 83) . l>. Sg_ffo fisu nel gesto dell'ultimo tuffo 19. su9. essenza. poetic9., 19. composizione estrem9. e finrue, 9.ttr9.Versando così 19. sogli9. dell'im­ mormlità utistic9.. E così fuà pure Orfeo, leg9.to 9. Dioniso nei Misteri orfico-dioni­ si9.ci: dopo 19. morte etenu di Euridice, egli rifium il cmto e 19. gioi9. offendendo le Me1udi che lo uccidono e lo dilmimo, nutrendosi di p9.rte del suo corpo per poi getmme la tesm nell'Erebo. La tesm mozzam cade nel mue, come tul m9.c9.bro contenitore di tutm 19. su9. poesia non ancora espressa, per sempre congelam tra le acque dello Stige dilla morte dell'9.m9.t9., e d9. qui 1uvigherà sino ill'isola di Le­ sbo, dove viene raccolm dille Ninfe e sepolm nel smtuario di Apol­ lo, che 9.limenterà con i suoi versi orfici; il corpo viene seppellito dille Muse ai piedi dell'Olimpo. La sua lira invece infissa nel cielo a form9.re 19. costellazione omonim9.. Un vero e proprio «ka.mponti­ smos della testa>>, nello stesso mare che accoglie quello di Saffo. Se di9.ffio credito ille classiche ricerche del Dodds, trovig_mo que­ sto lnitologema della «tesm parlante>> in diverse culture: «Finrumente, il suo io m9.gico sopr9.vvive nella tesm, clte canm e continu9. a d9.re oracoli per molti anni atlCOr9. dopo la sua morte. Questo fa pensare 9.1 Settentrione: mli teste mmtiche compaiono nella mitologia norve­ gese e nell9. tradizione idattdese». (Cfr., Dodds, p. 195) . Qui di seguito riporti9.ffi O Wl p9.SSO che descrive rucuni stucchi rinvenuti in occ9.sione dell9. scoperm di nn luogo di culto presso Porm Maggiore 9. Roma. L'milisi è interessmte perché cerca di lega­ re, in mmiera originrue e articol9.m, l'ipotesi clte il luogo fo sse nn centro di cultura pimgorica, ill'idea jnnghiatu di , nell9. qurue il soggetto deve percorrere il c9.ffiffiino verso 19. piena consapevolezza del Sé. Quello che a noi interessa qui, è l'mruogia tra evoluzione personrue e rinascim, insito nell'idea pitagorica del Mon­ do : il c9.ffiffiino dell'attima attraverso le varie reincamazioni, ripro­ durrebbe in cltiave m9.crocoslnic9. il c9.ffimino della singola esistenZ9.. In generrue, possi9.ffio dire che le tradizioni filosofiche arcaiche hatmo in comnne quesm convergenza tra lnicro e m9.croco smo, ove i fenomeni clte si sviluppmo su scru9. cosmic9. sono la magnificg_zio99

ne di quelli interiori e viceversa: ciò può servire a chiarire il nostro «processo di individuazione11, di conoscenza personale, attraverso l'analoga conoscenza del Mondo, del quale non silllllo altro che Wl compendio. Fatte queste premesse, analizzilllll o lo stucco che ritrae il «salto di Saffo)), l'ultimo tuffo della poetessa di Lesbo. L'episodio narra della pena d'lllllo re di Saffo, respinta dal sogget­ to lllllato e, forse, suicida nel mare del promontorio di Leucade, luo ­ go peraltro consacrato proprio al «katapontismosll. Lo stucco chiari­ sce comunque che Saffo, pur cercando la morte, non muore: viene per così dire "accompagnata" verso un'altra vita dagli dèi benevoli che, già prima del suo gesto defmitivo, prevedono per lei un destino di rinascita. Da questo punto di vista la relazione tra tuffo nelle ac­ que e rigenerazione palingenetica, è chiarissinla. "21 aprile 1917. Una voragine si apre sotto un binario della linea Roma-Napoli, nei pressi di Porta Maggiore, e viene scoperta una ba­ silica sotterranea a tre navate, di cui la centrale termina in w1'abside semicircolare. Gli esperti hanno modo di stabilire che i muri perime­ trali ed i pilastri erano stati ottenuti scavando prima il terreno secon­ do le forme e profondità volute, e poi riempiendo gli scavi di malta e calce; il tempio era stato successivlllllente vuotato di tutta la terra attraverso Wl lllllpio foro adattato in ultimo a lucemaio; il pavimen­ to della parte centrale veniva così investito dalla luce che cadeva dal­ l'alto. L'aspetto più sorprendente della basilica, o almeno quello che più colpisce il visitatore, sta nella presenza di un gran numero di stucchi, perfettamente conservati, che riecheggiano alcuni temi fon­ damentali della mitologia greca. Il giomale Notii}t SIIJ!i scovi, nella prima comwucazione che della scoperta venne data al mondo scientifico, avanzò con molta pruden­ za l'ipotesi che il monumento fosse stato adibito al culto di qualche religione misterica. In seguito lo studioso belga Franz Cumont, no­ tando che la caratteristica principale del tempio consisteva nel suo essere sotterraneo, si richilllll ò agli spelei mitriaci. Ma bisogna dire che la maggior parte della decorazione in tema è in netta contraddi­ zione con i riti connessi alla religione di Mitra: due soli elementi, il toro e i gemelli, potrebbero riallacciarsi a tale culto; però, come ver­ rà chiarito, questi due stucclu si riferiscono a tutt'altra sinlbologia. 1 00

Nel 1923, infme, lo storico ed archeologo francese Carcopino di­ mostrava l'appartenenza della basilica ad wu setta neopitagorica. Carcopino, con lUla buona dose di fort\Ula, si era imbattuto in Wl passo poco cono sciuto di Plinio il Vecchio, là dove si accenna ad \Ula certa erba che aveva la proprietà di rendere affascinante all'altro sesso chi=que riusciva a trovarla nelle campagne: cosa che capitò a Faone, e la povera Saffo, innamoratasi perdutamente di lui senza es­ seme corrisposta, si uccise lanciandosi dal promontorio di Leucade. Ora, dice Plinio: «a ciò credevano non solo quelli che si interessava­ no di magia, ma anche i pitagorici». L'episodio di Saffo fa parte degli stucchi della basilica, ed occupa anzi w1a posizione predominante: tutta la parte superiore dell'abside semicircolare [ . . . ] . I n quest'abside appare \Ul a figura femminile sul ciglio di Wl pro­ montorio. Sulla testa ha Wl velo gonfiato dalla brezza marina. Sem­ bra che la fanciulla stia per tuffarsi nelle onde lievemente agitate del mare. Nella mano sinistra ha \Ula cetra. Eros la spinge premendole col braccio le spalle. Nel mare Wl tritone stende Wl velo per ricever­ la, mentre Wl altro tritone suona la buccina. Su WlO scoglio siede Wl giovane pensoso, con la guancia al palmo della mano. In alto si vede Apollo che impugna l'arco rituale. Lo stucco si riferisce all'ultimo episodio della vita di Saffo, così come è stato tramandato dalla leggenda: respinta da Faone per la sua brut­ tezza fisica, Saffo si uccide lanciandosi in mare dalla rupe di Leuca­ de. Viene subito in mente \Ula considerazione: suscita meraviglia il fatto che i pitagorici abbiano posto in risalto Wl episodio tanto in contrasto col loro ideale di vita; il pitagorismo, analogamente all'i­ dealismo cristiano, interpreta la vita umana come Wl perfeziona­ mento in vista dell'immortalità, per cui non è consentito all'uomo di accorciare la durata della prova e scrollarsi di dosso il fardello. L'episodio di Saffo può essere compreso soltanto se non lo si va­ luta come il dramma di lUla morte volontaria, ma come Wl rito di n­ generazione che Saffo affronta con grande fede: il salto nel mare è simbolo di rinnovamento, e in questo senso si ritrova in altri raccon­ ti mitologici [ . . . ]. L'argomento meriterebbe \Ula più approfondita indagine [ . . .] . Ma è certo che il tuffo può essere spiegato solo come allegoria della liberazione dell'anima dal peso del corruttibile corpo, 101

per ht sopravvivenza della purificata anima al di là della morte. È an­ che eia riferire l'autorevole testimonianza di Carcopino: «Se noi guardiamo attenl:llmente la Saffo della basilica, non possiamo scor­ gere nessuna agitazione nel suo atteggiamento; Sa.ffo è l'esempio classico di w1a rigenera.zione sacramentale e morale che trasforma gli iniziati»". (Cfr., Carotenuto, p. 390 �-) · A questo pw1to, per completezza di informazione, dobbiamo dire cl1e, secondo alcune interpretazioni letterali del passo di Plinio, Saf­ fo si tuffa sì nel mare, ma non per suiciclarsi; cerl:llm ente non vi muore clato clte, nel passo in oggetto, non lo si dice affatto. Esiste però un'interpretazione più "rituale" di questo tuffo che, alcune let­ ture dello stesso Plinio, descrivono come decisamente iniziatico e non, invece, come inizialmente mosso eia follia amorosa suicicla. Zolla, ad esempio, lo inserisce tra questi: «Di indizi [sul tuffo i.nizia­ tico] è cosparsa l'antichità. Il tuffo iniziatico vi era celebrato, gli ini­ ziati anelavano sotto il nome di pesci, non soll:lln to per il voto del si­ lenzio che li legava. Come le cosmogonie parlav11.110 di acque pri­ mordiali dalle quali tutto era affiorato, nel grembo delle ac que era naturale che si ritenessero celate le ragioni ultime delle cose. E noto clte a Lesbo e in Etruria Wl clero amministrava il tuffo sacramentale. Plinio, nel passo sul salto di Saffo, informa che era usata w1'erba al­ lucinogena per infondere forza e colorito a.lle istruzioni preliminari del clero, che forse eseguiva w1a pantominu in cui Wl demone inse­ guiva il Cll.lldiclato e lo precipitava da.ll 'alto di una rupe. Una barca aspettava di sotto». (Cfr., Zolla 1, p. 68) . L a lettura dello studio so J . Hubaux esalta specificamente il signifi­ cato iniziatico del «salto di Saffo», e lo riposiziona 11.11cora più pro ­ fonclamente a.ll 'intemo della tradizione orfico-dionisiaca, collocan­ dolo tra i riti costitutivi di una setta di boptae legati a.ll'antica dèa Co­ tyto o Cotitto, originaria della Traci.a., e cl1e poi si sarebbe insediata a Roma lw1go il Tevere, nelle bettole dei viaggiatori fluviali. Qui di seguito proponiamo alcw1i versi dell'Appt��dix virgiliana, e successivamente una loro interpretazione eia parte del grecista G. Curcio nel 1905, che getta una luce interess11.11te sul culto della dèa e sulla sua progressiva degenerazione, metafora. di ogni mito e culto cl1e progressivamente si perde e si incarna nelle forme più disparate, 102

spesso talmente lontane dall'originale da essere irriconoscibili, ma sempre vitali e capaci di suscitare una certa attrazione. >, i fiori morti rimarranno nell'acqua, a formare il fango del suo giaci­ glio. Giustamente, poetizza Rimbaud, l'Immagine dominante di Ofelia non è quella del corpo che sprofonda nell'acqua fangosa del fondo, ma quella sua essenza niltfale che galleggia perennemente alla superficie, come una niltfea o un giglio (!Js) acquatico, circondato dalla sua chioma fluente e ondeggiante, avvolto >. «Sul filo dell'acqua tutto si allwtga, la veste e la chioma. Sui ciot­ toli del greto, il ruscello gioca ancora, come wta chioma vivente [ ] Quando Tramarine, in una delle favole della Robert, oppressa dalle preoccupazioni e dai rimorsi si butta in mare, viene subito cat­ turata dalle ondine che le fanno indossare inlmediatamente defmitiva: il suicidio. Le citazioni che ri­ portiamo sono tratte dalle due ultime pagine del racconto. «Ogni volta che si costringeva deliberatamente a pensare, vedeva il pericolo disperato che incombeva su di lui. In verità si trovava nel­ la Valle delle Ombre, ed il pericolo consisteva appWlto nel fatto che non era spaventato. Se avesse avuto paura sarebbe tornato verso la vita. Poiché invece era privo di spavento si immergeva sempre più profondamente nell'omb[ll)> . Dice Bachelard: «Quotidianamente la tristezza ci uccide; la tristezza è l'ombra che precipita nei flutti». Qui l'ultimo tuffo è decisamente tale: la volontà di Martin Eden è quella di arutegare nelle profondità dell'oceano, di sciogliere questa «ombrll>> nel vasto mare per mai più ricomparire, né rinascere in for­ ma umana. Eden è attirato vertiginosamente dalla tenebra senza ci­ tomo, dalla «luce nerll>> senza resurrezione. "Ecco cos'era . . . proprio questo! Strano non averci pensato pri­ ma! Aveva fmalmente la spiegazione suprema: si era abbandonato inconsapevolmente a quella corrente, e ora Swinbume gli mostrava che era la via d'uscita. Voleva riposare, ed ecco il ripo so l'attendeva. Guardò il finestrino aperto, da settimane si sentì felice. Alla fme ave­ va scoperto la cura della sua malattia. Riprese il libro e lesse la strofa ad alta voce lentamente: «Da troppa fede nella vita, dalla speranza e dal timore liberati, noi ringraziamo con breve preghiera gli dèi chiWlque siano, che ness\Ula vita vive eternamente, che i morti non risorgano mai più, che anche il fiume più debole alla fme laggiù nel mare trova riposo» . . . La vita era malata, o, piuttosto, tale era dive125

nuta: una cosa insopportabile. «Che i morti non morgano m111 più» . . . Che cosa aspettava? Era tempo di 1111dare". La. sommersione del marinaio, abituato a combattere con le onde, ad opporsi alla loro forza, è qui una lotta che, invece, cambia decisa­ mente segno: non più Wl corpo a corpo con l'acqua, per vincerne la resistenza e galleggiare avanzando ma, al contrario, la volontà ferrea di ingann are il proprio istinto di sopravvivenza e sprofondare per la­ sciarsi cullare dalle profonditi dell'oceano; morire in eterno. L'Im­ magine che guida Martin Eden verso l'abisso è, allora, quella del raggiungimento delle «verdi tenebre,,, come le chiamava Baudelaire. Qui l'«>". (Cfr., Dotti, p. 85 .gg.) . Martin Eden scende dunque nella tuffandosi nell'ac­ qua salata dell'oceano, nella sua acqua salata; prima di sommergersi ne riconosce il sapore e quasi la consistenza; non è acqua dolce, tranquilla; è acqua profonda e pericolosa, piena di vita animale tra le più vitali: è qui che vale la pena morire, ricapitolando i ricordi della propria esistenza passata per il breve e lw1ghissimo tragitto verso la fme. «Sarebbe mai possibile descrivere davvero il passato senza le Im­ magini della profondità? E si potrebbe forse avere un'Immagine del­ la projo11ditò pie1m se non si è meditato sulle rive di wl'acqua profon127

da? Il passato della nostra anima è un'acqua profonda>). (Cfr., Bache­ lard 2, p. 67) . Martin Eden si tuffa, dopo aver meditato per un istante densissi­ mo di ricordi, guardando il mare; non si tuffa però dalla nave, ma si lascia scivolare in acqua dall'oblò della cabina. Si tufferà nell'acqua stessa, con un tuffo speciale: inarcandosi su di essa, come un delfmo che solleva il corpo sull'onda appena lo spazio per una nuova im­ mersione. «Si rivolse con la testa all'ingiù, e cominciò a nuotare ver­ so la profondità dell'oceano con tutta la sua forza e la sua volontà. Andava sempre verso il basso. Aveva gli occhi aperti e guardava la traccia spettrale, fosforescente, lasciata dagli sgombri . . . In giù, in giù, nuotò finché le braccia e le gambe furono stanche e si agitarono debolmente. Sapeva di essere a wu grande profondità . . . aveva in­ gannato la volontà di vivere...)).

IlMngister Lllffi: !�t/timo lr.doJJt Analogo nel risultato fmale, ma diverso nelle intenzioni, è invece il tuffo nel lago di Belpwlt del Mngisl" l.Jufi del Gioco delle perle di tJe· tro, Josef Knecht. Il Mngister non sembra voler morire, ma il contat­ to con l'acqua fredda, glaciale, il tuffo pericoloso per lo stato della sua precaria salute fisica, e soprattutto della sua anima, si trasforma immediatamente in una sfida mortale, alla quale egli non si sottrarrà pur di giocare sino in fondo le sue perle di tJetro. Anche se sembra oramai fiaccato dall'esistenza, il Mngisl" affron­ terà la lama gelata dell'acqua come un duello : sarà la morte eroica il coronamento della sua carriera; una morte acquatica che viene a porre sul capo la corona di alloro per la sfida impo ssibile, che nessu­ no può vincere, ma che premia con la gloria eterna chi la affronta. Il Mngist", infatti, non si lascia andare alla morte, ma le resiste sino alla fme; né tantomeno le si sottrae, uscendo dall'acqua: capisce che la posta in gioco è il passaggio alla maturità del discepolo, figlio del suo miglior amico, e ripagare così quel legame che, in gioventù, gli aveva dato la possibilità di formarsi e diventare Mngister. Qui il tuffo è realmente un atto eroico, di una fisicità estrema, come la sfida che rappresenta: il Mngisl" non è preparato ma, pro128

prio per questo, la affronta. L'ultimo tuffo porterà a compimento il percorso di tutta una vita: questa è l'intuizione che il gesto trasmette alla consapevolezza oramai sopita., risvegliando in lui l'mtico gioca­ tore che tanto si era appassionato alle perle di lll!fro. Anche qui il tuffo è la conclusione della storia, e le citazioni sono tratte dalle ultime due pagine. «Qumdo era uscito di casa., Knecht non aveva avuto nessuna in­ tenzione di fare il bagno e di nuotare perché aveva troppo freddo e dopo il malessere notturno non si sentiva molto bene. Ora., al tepore del sole, eccitato da ciò che aveva visto, invitato amichevolmente dall'allievo, pensò che il rischio non era tanto grave. Soprattutto però temeva cl1e, qumto l'ora mattutina aveva avviato e promesso potesse svmire e mdare perduto, se avesse abbmdonato il giovme e l'avesse deluso rifiutando con la fredda ragionevolezza dell'adulto w1 saggio di energia. Lo sconsigliava, è vero, il senso di incertezza e di debolezza che gli aveva lasciato il rapido viaggio in montagna., ma forse quel malessere lo si poteva rapidamente superare con un atto di forza e con un gesto impetuosa>>. Il tuffo è qui più metaforico cl1e mai; trapassa rapidamente dal «gesto impetuosa>> che scaccia il malessere, all 'abbraccio della morte cl1e compie Wl destino. Questa Immagine di Hesse racchiude dun­ que, come ogni tuffo, un duplice significato. L'inizio del gesto, la sua motivazione, il suo i11tipit, la sua stessa ragione, è raccogliere la sfida per non deludere l'allievo. Qui siamo nel campo di quella «Immaginazione materiale>> del tuffo che Bachelard cl1iamll «11.cqu11. violenta>>. L11. valenz11. del tuffo nell'«11.cqu11. violenta>>, pericolosa, come la avverte giustamente il Mn· ,gister, è già quella di un gesto di sfida per un elemento nel quale «la vittori11. è più rua>> poiché > di cui sono maestri i pittori cinesi, che mostrano qui lU1 masso, lì lU1 timpano di lU1 tetto, laggiù la cima di lU1 albero, lascian­ do il resto all'imm aginazione. Anche quando il codice sarà stato de­ cifrato e le tecniche ci sarann o note, non potremo pretendere di mi­ surare il pensiero di quei nostri lontani antenati, avviluppato com'è nei suoi simboli. «Non più si odono le loro parole per le molte età trascorse». Noi riteniamo di aver decifrato in parte questo codice. Il pensiero che sta dietro quelle grandi età remote è anch'esso eccelso, nono­ stante la stranezza delle sue forme. La teoria su «come ebbe inizio il mondo» sembra comportare lo spezzarsi di ='armonia, lUla sorta di «peccato originale» cosmogonico per effetto del quale il cerchio del­ l'eclittica (assieme allo zodiaco) venne inclinato rispetto all'equatore e ne nacquero i cieli del mutamento [ ] . Questo è quanto era noto a Platone cl1e sapeva ancora parlare la lingua del mito arcaico; nel costruire la prima filo sofia moderna, egli rese il mito consono al proprio pensiero. Noi abbiamo accolto con fiducia i suoi indizi come p=ti di riferimento anche là dove egli dichiara di esprimersi «non del tntto seriamente». Platone ci ha dato lUla prima norma em­ pirica, ed egli sapeva ciò che diceva. Dietro Platone si erge il corJJI(s imponente delle dottrine attribuite a Pitagora". Coerentemente de Santillana conclude così: «Quali sono le informazioni cl1e, in tempi duri e perigliosi lU1 uomo di buona famiglia dovrebbe affidare ai di­ scendenti? Il ricordo di ='antica nobiltà è il modo per preservare gli orcn1m imptrii, gli ort:m1o ltgis, e gli orcnnn m1111di [ ] . I canti polinesiani insegnati nei riservatissimi lvhnrt·wOIIOIIlfl, erano in gran parte astro­ nomia.>>. (Cfr., de Santillana, pp. 25-27) . Il «tnffo rovesciato» di Siva svela, in questa prospettiva, lU1 signifi­ cato diverso: il fiume sacro simbolizzerebbe la Via Lattea che, dopo la scoperta della Precessione degli Equinozi assume, in età arcaica, il . . .

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rango di plUlto di riferimento dal quale si poteva supporre avessero preso inizio le mutazioni; il tempo di Kronos: "Ciò sarebbe accadu­ to quando il sole equinoziale di primavera abbandonò la sua posi­ zione nei Gemelli nella Via Lattea. Allorché ci si rese conto che il sole si era lU1 tempo ifftttimmtllft trovato in tale posizione, si pensò che la Via Lattea potesse segnare la pista che il sole aveva abbando­ nato [ ]. Diciamo quindi che la Via Lattea era lU1 «plUlto» di riferi­ mento dal quale si poteva dire aver avuto inizio la Precessione". (Ibid, p. 289) . E allora, questa è l'Immagine corrispondente: "In effetti ). (Cfr., Porfirio, pp. 82-83) . Il passaggio delle Sirene, ed il «tuffo trattenutO>) sono, allora, sim­ boli tra i tanti contenuti nell'OdiJ:ren, tra i «molti modi del raccontO>) come dice Porfirio nel suo commento, ad indic9.re la possibilità di una doppia lettur9., iniziatica e profa.tu, dell'oper9.. Se il canto delle Sirene, udito mercé il «tuffo trattenutO>), svel9. ad Ulisse un ulteriore frantmento di verità fwtzionale al percorso, questo verrà completato soltmto in prossimità dell'Antro. Il ca.ttto, allo stesso tempo tremen­ do e fascino so, lo metterà solo alle pendici della sapienza; ma ciò che svela, nasconde allo stesso tempo. E dwtque Ulisse non accede alla sapienza proprio perché non si tuffa, come non entra nel regno dei morti; solo i fatti, ciò che app9.re, gli viene svelato, non l'imper­ scrutabile essenza. Tra il celato ed il manifesto, la luce e la tenebra, il noto e il parzial­ mente ignoto, il canto «emersO>) suggerisce, allude, indic9. analogie, apre la psiche verso l'infinita gantma di possibili manifestazioni della realtà, ma non svela: solo l'immersione nell'Antro delle Ninfe com­ pleterebbe l'iniziazione. Avrebbe potuto Ulisse tuffarsi? Entrare nel regno di Ade ed uscime come avevg_ fatto Ercole? No, non è quello 147

il volere degli dèi che lo muovono. Altri seguiram1o le Sirene nel loro mondo e riceveranno un altro tipo di iniziazione. Ulisse, abbiamo detto, 9.1Utoda i b.cci che lo trattengono dando ordini precisi; dalla sua legatura accurata dipenderà infatti la possibi­ lità di ascoltare il canto delle Sirene senza tuffarsi ed evitare così una prova iniziatica che non era la sua. Ora, nel testo di Omero, questi legami vengono defmiti con due termini complementari e non solo sinoninll : tanto peimtn quanto deSIIIoi; il primo indica anche la rotta da seguire. Il termine peimr, in particolare, denota sia i punti di riferimento che tracciano un percorso, sia la rotta che la nave deve aprirsi nello spazio marino, il po11tos, l'alto mare. Peimr evoca dwtque il senso del legame cui costringe il seguire la rotta giusta; non dimentichiamo che è stata Circe a svelargli sia il segreto del «tuffo trattenuto», sia la rotta da tracciare. Il passaggio, il tragitto, la rotta, possono dunque essere concepiti come un legame, una porta stretta attraverso la qua­ le passare per arrivare allo scopo. Ad Itaca, intanto, Penelope tesse la sua tela; anch'essa è ispirata da Adtena, dèa della metis, che l'ha resa abile nella tessitura di trame di tela quanto di astuzie. E dwtque, il tuffo mancato di Odisseo è il ri­ sultato di un calcolo di rotta e di legami: il gesto è Wl punto della rotta per tornare ad I taca. I legami ordinati da Ulisse, abbiamo detto, sono opera della metis, che consente al cacciatore di intrecciare le reti ed al pescatore le nas­ se. Odisseo è uomo dalla metisumana in tutti i sensi: durante la guer­ ra di Troia lo vediamo sia come abile condottiero in campo aperto, sia come incursore notturno. Quando vuole convincere gli altri guerrieri, la sua parola si adatta agli uditori; quando salpa dall'isola di Calipso, si mostra capace di tagliare perfettamente le assi di una nave; è un buon nocchiero e, soprattutto dimostra sempre di essere accorto e prudente, artefice di mille trame e sotterfugi. Per questo la sua dèa protettrice è Adtena, nata dalla testa di Zeus dopo che egli ha inghiottito Metis, la sua prima spo sa, ancora gravi­ da della Pallade: «Zeus re degli dèi per prima fece sua sposa Metis, che moltissime cose conosce tra gli dèi e gli uomini mortali. Ma quando lei stava la dèa Adtena occhio azzurro per partorire, allora 1 48

ingannatone il cuore con un tranello con parole insinuanti la pose giù nel ventre>>. (Cfr., Esiodo v. 886 .gg.) . Il Cronide ha assimilato la Grande Dèa, così ci dice Esiodo, poi­ ché senza la sua metis non avrebbe potuto vincere la lotta per il pote­ re, né mantenerlo. Sul piano umano la mttis di Ulisse consentirà sì al­ l'eroe di fare ritorno ad Itaca, ma al prezzo di "trattenere" il suo tuf­ fo verso la verità delle Sirene. (Cfr., Detienne 3, p. 221 .gg.) .

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Alchemiche immersioni

MiUe e miUe snu,i hm1no terento, ma In Dottrina non ha ri��tlnto neSSJtnn tleUe Sltt impronte: esso si nasconde nei t,trllltli spazi P. Chiarelli

Giabir ibn I;Iayyan, latinizzato in Geber, è stato forse il più grande alchimista musulmano. Nato intorno all'anno 813, introdusse il pro­ cedimento della distillazione dell'acqua, e produsse la cosiddetta Ac­ qua Regia: una miscela formata da un volume di acido nitrico e tre volumi di acido cloridrico concentrati; inoltre isolò il mercurio, uno dei due dell'Opera. Molte attribuzioni però non si riferi­ scono a lui, ma al nome sotto il quale si è raccolto l'immenso rorp11s gebtrinno. L'Acqua Regia, il Solvente Universale, è il composto nel quale è possibile sciogliere l'oro puro e dunque tutti gli altri metalli . L'idea del Solvente Universale è consustanziale alle varie fasi dell'Opus Magnum, che consiste in wu serie ripetuta di dissoluzioni e succes­ sive coagulazioni, il noto sol11t et tont,llln, per arrivare ad ottenere ma­ terie purissime e, alla fine di Wl lungo cammino, l'Oro dei Filosofi. Il misterioso francescano Paolo di Taranto (XIII sec.), sotto il nome del grande Geber, scrive la S11mmn perftttionis mngisttrii; w1a vera e propria sintesi dell'alcltimia occidentale, nella quale sono de­ scritte, oltre alle caratteristiche dei vari metalli, le sette operazioni ca­ noniche: sublimazione, distillazione, calcinazione, soluzione, coagu­ lazione, fissazione, fluidificazione, e la formula dell'Acqua Regia. Paolo di Taranto è l'autore del trattato alchemico Theorin etpmtim, scritto sempre sotto il nome di Geber, e probabilmente anclte del Testnmenflun, nell'accezione con la quale i cattolici parlano dell'Anti­ co come del Nuovo Testamento. Uno dei passaggi descrive ancl1e l'Acqua della Vita, l'Elisir cl1e serve all'alcllimista per avere il tempo necessario all'Opera. Questo ci consente di individuare bene le relazioni cl1e passano ! 50

trg_ il b9.ttesimo come ncrllffi ento, il suo simbolismo cristiano, ed il Corp11s nkht111it11111 che, per ll1cw1i, sg_rebbe wu modilità opentiv9. per raggiungere, llttrllverso 19. co'fitmctio oppositomm, 19. verità. divinll dellg_ Resurrezione. Per questi 9.depti, tn i quili trovillffi o Fulcanelli, l'g_utore del cJg_s­ sico Il Misttro delle Cnttedmli, ed il suo 9.llievo e biognfo Canseliet, 1'111chimi9. è un «cammino operg_tivo» di purificg_zione spiritull1e; un «b9.ttesimo continuo nell'g_cqug_ viva.», espres sione 111 contempo 111 chemicll e biblicg_ che, secondo Ezecltiele e Z9.cc9.ri9., > - ciò clte vuoi dire: io sono ÙJ persoJJn la fede clte hai professato e quella clte te l'ha ispirata, quella per cui hai garmtito e quella che ti ha gui­ dato, quella che ti ha riconfortato e quella clte ora ti giudica, poiclté io sono in persona l'Immagine voluta infute da te stesso [ . . . ] . Non è nel potere di un essere ummo distruggere la propria idea celeste, ma è in suo potere tradirla, separarsene, non avere di fronte a sé, all'in­ gresso del Ponte Chinvat, che la caricatura abominevole e demonia­ ca del suo io abbandonato a se stesso". (Cfr., Corbin, pp. 66-67) . Chinvat è il nome che porta og11i ponte: ogni passaggio necessario e pericoloso. Il pon te -p ontos è wu metafora che ci trasporta al di là della nostra isola, per comunicare con l'arcipelago delle altre mmife­ stazioni. Il battesimo, l'immersione in queste acque che abbraccimo e, allo stesso tempo, separmo le isole, è il gesto simbolico del ricon­ giungimento attraverso l'elemento che unisce mentre distingue. Il «ponte Chinvat» si attraversa solo se si sa nuotare nel pontos-mare sul ! 57

quale esso è 9.rditamente e pericolos9.ffi ente sospeso. (Cfr., C9.cci9.ri, p. 1 4 �.) . Il b9.ttesimo allon è: «Ung_ cerimonig_ di purificg_zione mercé g_cqug_ che, eseguim g_ dovere, consente di vedere l'g_quilg_ dellg_ M9.esti nel C9.SO di un monuc9., o 19. tortorg_ dellg_ s9.pienzg_ nel cuo d'un profe­ tg_, essendo fine del b9.ttesimo 19. rivelg_zione dello spirito custode qui ed on, altrimenti presente solo in punto di morte. Al perverso sem­ brerà ung_ stregg_, al giusto ung_ vergine di luce». (Cfr., Zollg_ 2, p. 1 48) . L'alchimism cercg_ dwtque 1 9. produzione dell'Oro dei Filosofi come memforg_ fisic9. del19. sug_ tr9.smumzione in individuo consg_pe­ vole dello spirito guid9. che lo condurrà all'incontro con gli altri «chi è)) dell9. Ma.nifesmzione. L'alchimi9., scienu tndizionale mtic9. e se­ grem, resm, in questo senso, ung_ modalità oper9.tiV9. complem e complesu, che 9.ttr9.verso i secoli h9. sempre tenuto 9. b9.d9. chi vole­ V9. semplicemente truformg_re i vili met9.lli in oro, svia.ndoli con le formule vel9.te di quel lingug_ggio inizig_tico che solo l'g_depto, uriv9.­ to 9.d Wl grg_do superiore di evoluzione spirituale, può comprendere. Il «prof9.fiQ)), colui che «resm al di fuori dal tempiO)), cioè dall9. co­ noscenzg_ inizi9.tic9., non riesce g_ percorrere 19. str9.d9. del testo alche­ mico, dei suoi rimmdi, delle sue 9.pp9.renti contr9.ddizioni ed 9.porie, del suo velg_re mettendo in bellg_ evidenzg_. In quesm Arte, come 9.b­ bi9.ffio detto, il tuffo, il b9.ttesimo, l'immersione dei metalli, nppre­ senm, nel microcosmo dell'Athmor, del crogiuolo alchemico, lo stesso processo di purificg_zione che deve subire 19. psiche dell'9.dep­ to per ricongiwtgersi allo Spirito. Trovi9.ffi o, dwtque, diverse men­ zioni del «tuffo nell'OrO)) nei libri di alchimi9. oper9.tin. Impossibile d9.re conto di tutte; ci limiti9.mo qui 9.d alcune brevi cimzioni tr9.tte dalle illustrg_zioni delle mvole di Alchimia t Mistico di A. Roob. "I met9.lli, rg_ffigunti come b9.mbini, vengono «spinti 9.ttr9.verso S9.tuntQ)). Ung_ volm concluso il processo digestivo [ . . . ] vengono ri­ spumti fuori, r9.vviv9.ti e purificg_ti in un bg_gxto di disti119.to mercuri9.­ le". "Allorché questo S9.tumo viene b9.ttezzg_to con 19. sug_ stessg_ 9.C­ qm, il corvo nero fugge". "Le energie cre9.trici inc9.nt9.te dal cigno gig_cciono come p9.ralizzg_te nelle tenebro se «9.cque egizie del m9.te­ rialismQ))". "Il re cg_duto in mue stri119. g_ pieni polmoni: 9. chi mi 9-iu­ terà d9.rò W19. grande ricompenu". "I filosofi sono soliti dire clte nel ! 58

nostro mare devono esserci due pesci". "Della colljllllclio si dice: qui l'anima si tuffa verso il basso". (Cfr., Roob, pp. 1 94- 198-21 4-3 58-455) .

Nelle diverse fasi dell'Opera dw1que, il tuffo è centrale. Il contat­ to tra il corpo del metallo da purificare e l'Acqua Regia, è la metafo­ ra operativa del «tuffo catartico» e rigeneratore, propria di ogni lu­ strazione rituale; da quelle dei Misteri orfico-dionisiaci alla guarigio­ ne del cieco dalla nascita operata da Gesù nella piscina di Siloe: "Poi gli disse: «Vai, lavati nella piscina di Siloe>> (che significa: 'Mandato') ; egli dw1que ui andò, si lavò e ritornò che ci vedeva". (Cfr., Giovanni 9,1-41). E il «tuffo nell'Oro>> come forma di «rigenerazione del vegliardo», altra figura cara a quella parte della simbologia ermetica che tratta dell'Elisir di lw1ga vita, viene ancora regolarmente praticato da Wl ! 59

personaggio di Walt Disney noto a molti: Paperon de' Paperoni. L'arzillo vegliardo, infatti, si tuffa costantemente nelle SI/t monete d'oro, riacquistando con questa pratica antichissima il vigore fisico e psichico. Walt Disney era notoriamente Wl cultore delle arti tradizionali, massone dichiarato che, tra l'altro, si è fatto ibernare al momento della morte, come una mununia moderna avvolta da nuvole di gas criogeno, in attesa del risveglio dal «sonno senza sogni>>. Disney ha riversato questa sua simbologia in molte delle figure a cartoni ani­ mati, basti pensare alla «bella addormentata>>, o ai «sette nani>>: chiari epigoni dei Telchini di Rodi, divinità nane e grandi artefici, come Efesto. In specifico Paperone si inserisce, ovviamente in maniera ca­ ricaturale, proprio nella configurazione rnitica della rigenerazione at­ traverso il contatto col metallo simbolo della purezza spirituale. Il tuffo di Paperone ci dice molto su queste forme odieme di de­ generazione e, al contempo, di residualità permanente di antichi miti; il vecchio capitalista, infatti, ne ha completamente sconvolto l'essenza originaria: la purificazione del corpo e dell'anima; ma ne ha invece mantenuto il significato lo!,hii!(!lfo, ridotto cioè a mero gesto di potere e dominio: il tuffo nelle monete d'oro. Abbiamo analizzato altrove questo processo che porta, nel mon­ do governato dal pensiero bioliberista, alla degenerazione del Sim­ bolo in Logo. Qui vogliamo solo ribadire che permane comwtque, all'interno di questi gesti lo!,hii!(!lfi, una carica di re-esistenza che possiamo ancora cogliere, se li guardiamo con lo «sguardo dell'ani­ mlll> . (Cfr:, Salinari 3, p. 25) . In questo caso l'antecedente mitologico è certamente quello lega­ to alla storia di re Mida. Il sovrano di Macedonia era figlio della Grande Dèa Ida e di un satiro di cui però non si conosce il nome. Questa ascendenza gioca un ruolo centrale nella storia di Mida che ospita nella sua reggia il Satiro Sileno, amico di Dioniso. Il Satiro si è perso, addormentando ­ si ubriaco nella foresta, mentre il tiaso del dio marciava dalla Tracia verso la Beozia. Viene raccolto dai giardinieri del sovrano che lo in­ ghirlandano e lo portano al co spetto del re, al quale racconta splen­ dide storie su di un continente che giace al di là del fiume Oceano, 160

popolato da Giganti ed al quale sbarra il passo nn immenso gorgo. Mida ascolta deliziato il Sileno e lo accoglie all a sua corte per di­ versi giorni, sinché Dioniso, preoccupato per l'assenza dell'amico, non lo manda a cercare. Grato al re per l'ospitalità concessa al Sati­ ro, il dio esaudisce il desiderio di Mida: >.

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Tuffi metamorfici

Nel Sito aspetto tal dt11tro mifei, ptal sifi Gln11ro nel!,llsfar de l'erba che 1fl rotJsorlo in mar de li altri dèi Dante Gln11to: il Vtcchio deU'ordnlin atptatica In alcuni casi il tuffo è l'agente di wta trasformazione metamorfi­ ca: dell'uomo in uomo-pesce. È così nel caso di Glauco Antedonio, figlio di Antedone o Poseidone, o semplicemente marinaio della cit­ tà di Antidone in Beozia, e di Colapesce, Nicola-pesce. In entrambi questi casi - uno narrato tra i miti classici, l'altro appartenente a quelli popolari - le favole, i personaggi diventano metà uomini e metà pesci, dopo il processo di trasformazione che li vede tuffarsi in acqua per completare l'effetto metamorfico iniziato sulla terra. A differenza degli altri miti, come quello di lno-Leucotea e di suo figlio Palemone che si trasformano totalmente in divinità marine, Glauco e Colapesce "confermano", mercé il gesto del tuffo, proprio quella loro natura peculiare. Entrambi, infatti, con modalità loro proprie, tomano ad affacciar­ si regolarmente alla superficie delle onde, o a passare del tempo sul­ la terra, per poi rituffa.rsi in acqua, come veri e propri delfini semiu­ mani. Nel loro caso il tuffo è l'operatore della trasformazione o, per meglio dire, il suo catalizzatore, essendo il processo iniziato, per Glauco, con l'ingestione di wt'erba - Dante dirà che lo rende simile agli dèi - e per Colapesce da un'invocazione scriteriata della madre «che era un po' stregru>. Glauco Antedonio un giomo notò la virtù curativa di una certa erba: un pesce morto posato su quell'erba era tontato in vita. L'erba era stata piantata da Kronos nell'età dell'oro : Glauco assaggiò l'erba e sentì l'impulso di gettarsi in mare; divenuto immortale «fissò)) nel­ l'elemento acquatico la sua trasformazione. 163

ccEi dwtque non credea ch'entro quell'acque ragion avesser le cru­ deli Parche, e lieto già da l'una a l'altra sponda, passando l'avo lusin­ ghiero, e l'onda, o ne seguisse il corso, o pur col nuoto obliquo la fendesse, alto il sostenta; e s'a ritroso va, non lo ritarda, ma lo se­ conda, e seco torna indietro. Non più placido il mar bagna co' flutti dell'Antedonio Glauco il ventre e i fianchi>,. (Publio Papinio Stazio, Lo Tebnide, IX vv. 485-490) . Glauco diviene sì immortale, ma continua ad invecchiare, segno che le due cose non sono immediatamente la stessa. E come vec­ chio canuto e stanco si innamora di Scilla, che però lo respinge per­ ché decrepito. Anche lei sarà vittima di un tuffo metamorfico opera­ to da Circe: Glauco chiede alla maga un filtro per far innamorare di lui la bella Scilla; Circe cerca di convincerlo a stare con lei. Quando il dio la respinge, la maga si vendica di Scilla trasformandola in un mostro che si getterà in mare. Simile sorte, invecchiare in eterno, toccherà a Titono, giovane mortale del quale si innamorerà Aurora. La figlia di Iperione e Teia era stata pwtita da Afrodite, che l'aveva sorpresa nel talamo con Ares, con la condanna a legarsi solo con giovani mortali. Per questo la dèa del mattino chiede a Zeus per il suo giovane amante l'imm o r­ talità, ma dimentica l'eterna giovinezza. Titono invecchierà irrime­ diabilmente, sinché Aurora non sarà costretta a rinchiuderlo nel suo palazzo, abbandonandolo al suo destino. Pausania (9, 22, 7) dice che in Antidone si poteva visitare il «salto di Glaucm,, cioè il luogo dal quale il marinaio aveva spiccato il tuffo. Per Zolla il trasmutare di Glauco è null'altro che wu modalità per riassumere la propria intima natura, una forma di ccriassimilazione,, f111 ale di ciò che ci è stato alienato : ccLa f111ale riassimilazione di ciò che è stato alienato [la nostra natura universale, 11.dn.) è descritta da Dante nel Canto I del Pnmdiso. Egli contempla Beatrice f111o a che Le si assintila: si fa dentro quale Lei è, al modo stesso di Glauco, il giovane adepto greco che osò il tuffo iniziatico e nel mare diventò pari agli dèi, trasumanando: riassorbendo in sé ciò che da sé aveva alienato, attuando ciò che prima era stato latente e potenziale,,. (Cfr., Zolla l, p. 109) . Il tuffo di Glauco attiva le potenzialità latenti nell'erba, riportando 164

il soggetto alla sua natura acquorea: lo completa. Per altre interpre­ tazioni, Glauco riceve, mercé la pianta divina ed il tuffo rituale, lo «stato di grazill)> che, nelle filosofie mistiche, è lo stadio fmale del­ l'uomo rinnovato. Qui si evidenzia la correlazione tra pianta dell'im­ mortalità e tuffo. Come abbiamo visto il tuffo è un gesto di rinnova­ mento, di continua rinascita. Nel mito di Glauco esso diventa addi­ rittura l'operatore dell'immortalità, dell'entrata nel regno in cui «non credea ch'entro quell'acque ragion avesser le crudeli Parche>>. Le fonti mitologiche sono anche concordi nel collegare il salto in mare e questo particolare tipo di immortalità, con l'acquisizione di capacità profetiche molto apprezzate dai naviganti. Glauco, inoltre, amministra una sorta di «giustizia acquatiCI!)>, legata all'ordalia, una prova divina che abbiamo incontrato anche nel tuffo di Teseo per ordine di Minosse: ), dice Caro tenuto. Teseo, uccisore del Minotauro, verrà punito dell'abbandono di Arianna con Wl "reale" tuffo suicida: la morte del re suo padre Egeo che, vedendolo arrivare ancora con le vele nere, si getterà da una rupe dando il nome all'omonimo mare. «Come il fiume per i sumeri, così il mare per i greci è una forma dell'aldilà; per fame ritorno è necessario l'assenso degli dèi. Una di queste prove del mare mostra ancora più nettanlente i tratti dell'or­ dalia per immersione. Nel IV libro delle Storit, Erodoto narra l'epi­ sodio di Phronime, la vergine saggia, calWllliata dalla matrigna e consegnata dal padre ad un mercante di nome l11emison, il Giusti­ ziere. Giunti in alto mare, l'uomo lega la fanciulla a una corda, la lancia nelle onde e la ripesca viva: il mare ha reso il suo verdettm). (Cfr., Detienne 2, p. 22) . Un particolare tipo di ordalia wusce, in un unico complesso mito ­ logico, l'erba dell'immortalità e l'ordalia con l'acqua. Apollodoro ci narra della lotta di Zeus con i Giganti: il sovrano degli dèi deve con­ solidare il suo potere sconfiggendoli, ma la loro madre Gea cerca di dare ai figli l'immortalità che li renderà invincibili. Zeus riesce co­ mwlque a giocare Gea sottraendo ai Giganti l'erba dell'immortalità, la stessa che invece mangeranno gli Olimpici per restare al potere per sempre. Insieme all'ambrosia, che li rende giovani, essi avranno dunque i due phnrmnko11 necessari allo scopo. In Esiodo, agli effetti di questi due phnrmnko� si oppone l'acqua dello Stige, che viene per questo usata dagli dèi come forma di ordalia: gli Olimpici, in caso di contesa, inviano Iride «messaggera dai piedi velocv, ad attingerla in uno dei rami periferici del fiume Oceano che circonda la terra, e nei quali questa acqua primordiale si genera, per portarla ai contendenti in una brocca d'oro. Essi la versano sulla terra e ne bevono un sor­ so: il colpevole cade per terra e resta avvinto nel sonno per un aru1o intero, senza poter dunque acco stare alle labbra i divini nutrimenti. (Cfr., Esiodo, v. 780 �.) .

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Il RDmn11zo di Ales.rrmdro: scnçço n/ rt Un simile mitologema, quello dell'erba o della fonte dell'eterna giovinezza, lo ritroviamo anche nel Poema di Gif.!pmesh e nel RDmn11zo di Alesstmdro, nna raccolta di racconti leggendari sulla vita di Ales­ sandro Magno, costituitasi ad Alessandria d'Egitto a partire dal se­ colo successivo alla sua morte. Nel testo, in particolare in alcnne versioni greche dello pseudo-Callistene, si narra sia della fonte della giovinezza sia dell'erba. Questo episodio è presente anche nella ver­ sione siriaca, ebraica e latina del racconto, nonché in tutte quelle medioevali. Nella versione diffusa in ambito islamico, compagno e guida di Alessandro, Iskandar in dicitura arabo-persiana, è al-Hic!r, Xezr in persiano, che significa la. troviamo in un altro tuffo tra.smutante che però, proprio per la malvagità del protagonista, è destinato a. fallire: «Kay Khusraw, l'Amleto ira.nico, fu perseguitato da uno zio assassino, fondò un'Età dell'Oro e poi si allontanò malinconicamente verso il Grande Aldilà. Afriisiyiib, lo zio malvagio, durante i suoi disperati tentativi di impa­ dronirsi della. sacra legittimità., la ; a ogni tentativo la. Gloria. sfuggiva. attraverso uno sbocco che immetteva. in un fiume che scorreva ver­ so l'Aldilà. Il primo di questi sbocchi si chiamava Haosravah, l'origi­ nale nome in avestico di Kay Khusra.w». (Cfr., de Santillana, p. 241).

Colnpesre: il lltjfo nmm:hico Diversa ancora è la storia. di Colapesce: il bambino-pesce che si trasforma progressivamente con il suo continuo stare nel mare. In questa leggenda popolare siciliana. è la madre che, esasperata dalle continue perma.nenze del figlio nell'acqua., invoca su di lui la trasfor­ mazione: >. (36 1). Il corpo, allora, viene trasformato da Venere nel fiume che porta il suo nome: anche se l'amore per la Ninfa gli è stato fatale, la sua forma immortale sarà l'acqua. Mensola farà la stessa fine, trasforma­ ta in acqua mentre entra nel fiume per sfuggire alla vendetta di Dia­ na: «La sventurata era già a mezzo l'acque, quand'ella i piè venir men si sentia, e quivi, sì come a Diana piacque, Mensola in acqua allor si convertia; e sempre poi in quel fiume si giacque il nome suo, ed an­ cor tuttavia per lei quel fiume è Mensola chiamatO>>. (413). E cos� come aveva promesso Venere, i due amanti sono ricongiw1ti per sempre nelle acque dell'Amo, nel quale si tuffano i loro rispettivi fiumi . . .

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Nel Grande Blu

sta thDII!,t into SIJIIItfhing rich nnd sfrnll!,t. Whntpotions ha� I dnmk of Syren ftnrs? W. Shakespeare

A

«) del segreto delle Sirene, poiché evita. di seguirle nel loro re­ gno; altri invece accetteranno la sfida e si immergeranno per essere baciati da loro. 176

L'anossia controllata, diaframma sottile e sempre fragile che sepa­ ra dall'a.tmegamento o dalla sincope, diventa allora l'atto consapevo­ le di lUla ricerca nella quale l'incontro con l'Immagine fatale non può avvetùre che in presenza della morte, condizione finale dell'as­ soluto. Jacques Mayol, il primo a scendere sotto i 100 metri, sosteneva di non poter morire nel suo elemento, l'acqua, dove aveva già lasciato la sua anima immortale. Quando ha deciso di lasciare il suo corpo, si è tolto la vita impiccandosi: solo quel gesto era accettabile per il grande apneista, proprio come per Empedocle, mistico per il quale l'acqua era l'elemento dell'Amore, la fine non poteva cl1e essere tra le fiamme dell'Etna. Mayol ha sempre cercato di superare i limiti imposti dallo stato umano alla frequentazione del Gra.t1de Blu; l'uomo che si sentiva più affme ai delfmi cl1e agli altri mammiferi della sua razza - la radice dtlph richiama infatti la presenza dell'utero - ha coltivato il respiro come Wl fiore splendente che illWlÙna la mente al momento dell'im­ mersione verso le profondità abissali. Ogni apneista conosce questa sensazione di pienezza, di beatitudine, che potrebbe però mutarsi ra­ pidamente in pa.tlico, lasciando il posto ad lUla «fame di aria>) che non può essere soddisfatta. Nelle lWlghe apnee, quelle che tocca.t1o gli otto minuti, quando ciò che sostiene non è solo l'aria nei polmoni, ma il vero e proprio Pm110, l'energia vitale dell'aria che sciama lWlgo il corpo per sostene­ re la mente, è l'a.t1ima che respira; tutta la vita è ridotta e concentrata verso Wl pw1to invisibile che si rispecchia nel colore assoluto ed ine­ sprimibile delle acque. Immerso in Wl acquoreo Yn11tm, l'apneista profondo cerca il bi11d11, la «goccia>), il pw1to da cui ema.tu, e nel quale ritorna, tutta la Realtà; il Grande Centro in cui si a.tlllulla.tlo serenamente le polarità e si apre il sipario della m1Jti, oltre il quale il tuffatore trova, seppure per Wl solo momento, . La sua etimologia deriva dalla radice sanscrita ynm- che significa «piegare, sottomettere, controllare, in altre parole ottenere il controllo dell'energia insita in un elemento o in un essere)). Al centro dello Yn11fm si trova il bùu/11. TI bùuftt, la «goccia)), è .

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Tuffi attraverso lo specchio

Fùgiomo dipoterei enlmte, Fmfnì. Fint,iamo che lo specchio sin morbido come 1111 w/o e che si posm atfmlltf"snre. Tò, adesso sta diwntm1do come nna specie di nebbia... Entmrci è la coso pi1ìfacile del mondo. Alice

Il vetro è Wl «fluido ad alta densità>>; la sua natura essenziale è dnnque quella di Wl liquido. Anche il nostro tempo è Wl fluido, come lo specchio che ci riflette: guardandoci allo specchio vediamo il flusso del tempo che passa; e questo non sarebbe possibile se lo specchio non fluisse lui stesso. Lo specchio è eracliteo e dionisiaco; eracliteo perché in esso si riflette il tutto che scorre: non ci si può specchiare due volte nello stesso specchio poiché la figura che ci ri­ manda è sempre diversa; dionisiaco, poiché riflette l'etemo ciclo del­ la nascita, dell'evoluzione e della morte. Dioniso, abbiamo visto nel frammento orfico, cccrea il Mondo guardandosi allo specchio». Questo è possibile poiché il riflesso del dio esprime il suo principio liquido, acquoreo; in altri tenllini, per­ ché Dioniso crea il mondo attraverso la determinante essenziale del­ lo specchio: l'Immagine del Mondo non sarebbe se essa non fluisse, come il tempo, come la Vita stessa, come Dioniso. La natura dello specclUo è fisicamente discontinua: esso non è omogeneo in tutte le sue parti; questo significa clte le linee di rottu­ ra, o di attraversamento, di nno specchio, sono sempre diverse, spe­ cifiche, strettamente correlate a chi lo attraversa o frantuma. Non c'è Wl solo modo di frantumare o attraversare lo specclUo : ad ognnno il suo poros, il suo passaggio attraverso la densa fluiditi del riflesso. E questo, come vedremo, si collega strettamente alla na­ tura dell'attraversatore o del frantumatore: il poros dell'attraversa­ mento o della rottura, trasmuta non solo la forma o la densiti dello specchio, la sua composizione fisica, ma anche quella dell'attraversa1 82

tore; come in Wl processo alchemico, la materia operata influenza l'operatore e viceversa. Questo significa che ogni attraversamento porta in Wl nniverso differente, a seconda dell'intento di chi lo compie. A volte è solo l'a­ nima che entra nello specchio; il corpo rimane nella rima tra i due mondi; ed è questo sdoppiamento, il temporaneo distacco, che con­ sente, eventualmente, di tomare indietro. In altre occasioni è l'essere tutto, anima e corpo, che attraversa: allora è anche il corpo materiale che deve mutare la sua natura. Ciò che si trova dall'altra parte, è sempre ammirato: «stupore in­ fantile»; questo spiega il naturale onirismo dell'attraversamento, del «tuffo nello specchio»: l'anima incontra se stessa; il mondo degli specchi è il suo Doppio. Se il corpo segue l'anima non si toma in­ dietro: si rimane dall'altra parte senza accorgersene; come se fosse semplicemente vivere dentro wta realtà speculare della quale non ri­ cordiamo più il senso originario. Quante volte abbiamo attraversato nno specchio e non lo ricordiamo? Da dove siamo partiti, dov'è fi­ nita la nostra persona originaria? Lo specchio che si attraversa, nel quale ci si tuffa per ritrovarsi dall'altra parte o, semplicemente, ritrovarsi, non è allo ra lo specchio che si "riflette" nel verso di Mallarmé: «Oh specchio, fredda acqua della noia nel tuo riquadro gelato . . . ». La soglia speculare dell'attra­ versamento identifica piuttosto lo Speatbtm tn/!ills di Vincent de Beauvais, morto nel 1 264 che, nell'omonima enciclopedica opera, dispone il Mondo come in Wl teatro catrottico in cui tutto si spec­ cltia nel proprio riflesso; come dio si specchia nell'uomo, secondo la famosa frase di Maestro Eckart: «L'occhio con cui io vedo Dio è il medesimo occhio con cui Dio vede me; il mio occhio e quello di Dio sono lo stesso occhio, lo stesso vedere e riconoscere e amare». Nei versi del mistico medioevale troviamo tutte le componenti Im­ maginali dello Spwtbtm m/!i11S, quello che attraverseranno Alice, Lord Patchougue, Orfeo ed il Poeta di Cocteau. Vincent de Beauvais indicava con questo termine la perfetta visio111, esatta e completa, identificata dalla parola «speculum,,, speccltio appwtto. E allora questo specchio non solo si lascio attraversare, ma sifa attraversare, affascina mutando, al contempo, la propria natura e 183

quella dell'attraversatore; così come lo sguardo del dio di Maestro Eckart muta il suo stesso vedere e, contemporaneamente, il vedere di chi lo guarda. Lo Speatlllm, dtmque, è il ri.rpecchinmento, la forma della riflessione che, partendo dal sé, apre al Mondo : apre il Mondo. E questo spec­ chio muta consistenza a seconda di chi lo attraversa, mutando al contempo le percezioni dell'attraversatore. Potremmo ipotizzare che, se il Poeta di Cocteau avesse attraversato lo specchio sul cami­ netto di Alice, avrebbe assunto la prospettiva della bambina, e vice­ versa. Lo specchio che si fn attraversare muta la sua struttura proprio perché trasmuta quella del corpo che lo attraversa. E non potrebbe essere che cos� data la natura acquorea di questo attraversamento, di questo >, come la fantasia delle conturbanti Ninfe; quello di Lord Patchougue, invece, va in pezzi ma ferisce solo simbolicamente il 184

suo attraversatore. Per il Poeta si trasforma in wt'acqua mercuriale, mentre Orfeo viene accompagnato attraverso wto specchio che si li­ quefa al tocco dei guanti: ad ognwto il suo specchio, ad ogtlWlO il suo tuffo. TI «tuffo nello specchio» di Alice è: cu\lice stava sulla mensola del caminetto mentre diceva cos� sebbene non sapesse spiegarsi come fosse arrivata las sù. E certo il cristallo cominciava a svanire, come wta nebbia lucente. L'istante dopo Alice attraversava lo specchio e saltava agilmente nella stanza di dietro. La prima cosa che fece fu di guardare se ci fosse il fuoco nel caminetto, e fu tanto contenta di ve­ dere che ce n'era WlO vero, pieno di fiamme vive, come quello che aveva lasciato nel salotto». (Video : Alice ntfmtJtTSll !o specchio) . Anche per Topolino l'attraversamento sarà fonte di meraviglia e divertimento : dopo aver letto il racconto di Alice, si addormenta ed il suo Kn, il suo Corpo di Sogno come lo definivano gli antichi egizi, attraversa lo specchio ritrovandosi in Wl mondo di oggetti parlanti con i quali, ad Wl certo pwtto, ballerà il tip-tap come Fred Astaire. (Video: Topolù1o ntfmlltrSll lo specchio) . L'onirismo legato all'attraversamento dello specchio è connatura­ to dwtque all'essenza stessa del Ka, che è fatto di due cose: >. Allo sguardo attonito di Orfeo, continua: «Vi rivelo il segreto dei se­ greti: gli specchi sono le porte attraverso le quali la morte viene e và. Del resto, guardatevi tutta la vita in uno specchio e vedrete la morte lavorare come api in Wl alveare di vetrm>. D'altra parte, non dice forse Sofocle, riferendosi alle aninte: «Ronza lo sciame dei morti>>? (Video: Otfeo, attmverso lo specchio) . I giudici condanneranno la Principessa ed autorizzeranno Orfeo a riportare Euridice tra i viventi, a condizione però cl1e egli non la guardi mai più. Non è facile seguire questa regola nella vita quotidia­ na della coppia; sino a quando Euridice incrocia incidentalmente lo sguardo di Orfeo nello specchietto retrovisore della macchina e vie­ ne così ricacciata nel regno dei morti. 1 89

Un gruppo di artisti, le Baccanti, fa in quel mentre irruzione a casa di Orfeo accusandolo di essersi appropriato delle opere di Cé­ geste. Orfeo viene mortalmente ferito e si ritrova anch'egli tra i morti assieme ad Euridice. La Principessa-Morte però, per riscattar­ si, si mette d'accordo con Heurtebise e li rimanda tm i vivi: «Davanti al Poeta, la Morte deve sacrificarsi>). Orfeo, tomato a casa, ritrova la sua Euridice. Entrambi sono convinti che sia stato solo un incubo. Nell'originale opera teatrale, degli anni venti, Heurtebise è un ve­ traio che svela ad Orfeo il segreto del tuffo nello specchio: «Gli specchi, sapete, hanno un po' a che fare con il vetro. È il nostro me­ stiere)). E, perché non vi siano dubbi sulle intenzioni dell'autore, il testo teatrale a questo punto recita: «Orfeo, con le mani in avanti, in­ guantate di rosso, s'annega nello specchim). Alla fme della tragedia, Orfeo ringrazia con una preghiera Dio e riconosce in Heurtebise il suo angelo custode. (Cfr., AA.VV. Otfto, pp. 63-1 10) . L a storia narra che Heurtebise apparve a Cocteau in un ascenso­ re, dove gli svelò il suo nome, identico a quello del fabbricante del­ l'elevatore. L'angelo gli dice di essere, al medesimo tempo, il suo ispiratore, un messaggero di morte e l'Immagine celeste del suo amante Raymond Radiguet, morto prematuramente; Cocteau, in uno stato di ebbrezza che dura una settimana, scrive il poema L 'tuge He�trtebise. L'amico e sodale artistico Man Ray "fotografa" addirittu­ ra l'angelo immortalandolo in uno dei suoi famosi Royo,gmmme. La relazione onirico-simbolica tra la figura dell'angelo e la dinamica del tuffo nello specchio alla ricerca dell'amore perduto nella Morte, ri­ sulta così singolarmente illuminata da questa visione. Lo specchio nel quale si tuffa il protagonista di Le .rmg d}/11 poìte, era invece costituito, per rendere l'effetto di un vero e proprio liqui­ do, da una vasca di mercurio in cui si immergeva l'attore! Anche in Wl film recente, The Imnginntittm oJ Doctor PnrnoSSJtS, compare in più scene l'attraversamento di uno specchio, che qui rappresenta la soglia verso la mente del Dottor Pamassus stesso: una porta verso il suo Immaginale, nel quale si muoveranno i prota­ gonisti in cerca della loro anima.

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Il tuffo delpoeta affratmo lo specchio, jean Cocteau,

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Il tuffo taurnaturgico: sopbia-mania

Per q11011fo ht mmmit1iper ogt1i via, i cot!Jitli dell'n11imn not1 li trovemi Eraclito >, dice Platone nel Fedro: sophia-mmlin. Il grande filosofo specifica però che la mania di cui par­ la è quella