Truffaut legge Roché

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Sandro Volpe

Truffaut legge Roché

l’Unità TuttoTruffaut

© 1996 Sandro Volpe Prima edizione 1996 La form a intermedia. Truffaut legge Roché L’Epos Società editrice, Working papers del Circolo Semiologico Siciliano

Sandro Volpe è ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Palermo. Si occupa di francesistica e di teoria della letteratura. Ha pubblicato tra l’altro: L ’occhio del narratore (1984), I l tornio di B inet (1991), Controcampi (1995)-

Introduzione, 7 1. Verso Roché, 17 Cinema letterario: istruzioni per l’uso, 17 La doppia vocazione, 21 Rileggendo Roché, 28 2. Jules et Jim, 33 Preludio biografico, 33 Dal romanzo al film, 36 Tipologia degli interventi, 43 Fenomenologia degli interventi, 67 3. Les deux anglaises, 83 La scommessa, 83 Procedimenti narrativi, 88 Tre voci, 99 Interventi: altri frammenti per una conclusione, 111 Note, 127 Riferimenti bibliografici, 149

Avvertenza I testi di Roché e di Truffaut che costituiscono l’oggetto della comparazione vengono qui proposti in originale. Tutte le altre citazioni (comprese le interviste e gli interventi critici del regista) sono tradotte in italiano, per ragioni di accessibilità. Quando utilizzo versioni correnti queste vengono segnalate in bibliografia; le altre traduzioni, ove non indicato altrimenti, sono mie. I numeri di pagina delle opere straniere si riferiscono all’edizione italiana, quando citata in bibliografia; alle edizioni originali negli altri casi.

Introduzione

l. Truffaut legge Roché. Resistendo alla tentazione di virgolettare un verbo che evoca diverse realtà: l’in­ stancabile lettore, il co-sceneggiatore, la voce stessa del regista che si sovrappone —con ritmo inconfondibile - alle immagini delle Deux anglaises. Si ripete spesso una sua osservazione polemica, che viene purtroppo cristallizzata fuori dal suo contesto: «il problema del­ l’adattamento è un falso problema». Non ci sono ri­ cette - è il suo suggerimento - immediatamente di­ sponibili per tutti gli usi: un prêt-à-penser rassicurante per sceneggiatori frettolosi. Sgombrare il campo da quel falso problema è il modo migliore per comincia­ re a riflettere sui veri problemi della trasposizione. Una buona metà della filmografia truffautiana trae ispirazione da opere letterarie, attraversando bulimicamente la molteplicità dei generi: ogni opera pone nuovi interrogativi e impone scelte differenziate. Per chi affronta i rapporti tra letteratura e cinema quei film costituiscono un eccellente repertorio di soluzioni: quasi sempre felici, comunque meditate e mai bana­ li. Ne abbiamo scelti due - Jules et Jim e Les deux an­ glaises - non soltanto per possibili preferenze di ordi­ ne estetico, ma perché rispondevano in modo ideale a un insieme di requisiti. Innanzitutto, lavorando sui testi originali, la comune matrice linguistica; in se­ condo luogo, confrontandosi con lo stesso romanzie­ re e con lo stesso co-sceneggiatore (Jean Gruault), un comune percorso narrativo; in terzo luogo, propo­ nendo un uso marcato del commento, una comune di­ rezione d’indagine. 7

Quest’ultimo aspetto, che dominerà gran parte delle analisi portate avanti nel secondo e nel terzo capitolo, richiede una serie di ossservazioni preliminari di ordi­ ne teorico: cercheremo di concentrarle in queste pagi­ ne introduttive, tuttavia consapevoli di affrontare in modo sommario questioni su cui tornare piu diffusamente in altra sede. Bersaglio prediletto dei puristi, re­ liquia preziosa dei letterati, quell’uso del commento invoca spettatori attenti e non prevenuti. 2. Rispondendo a un questionario dei “Cahiers du Cinéma”, Italo Calvino descriveva nel ’66 la «tenta­ zione letteraria» del cinema1 che «ha sempre sofferto di gelosia nei confronti del testo scritto» (in Calvino 1995: 1533). Da quella gelosia è scaturita una vera e propria passione mimetica che con l’avvento del so­ noro ha poi trovato le sue forme predilette nelle di­ verse voci narrative che hanno via via affiancato l’im­ magine: dalle voci interiori alle voci di commento. L’uso del commento, in particolare, è stato stigma­ tizzato da chi, come Etienne Fuzellier (1964: 119), vi ha visto una vera e propria infrazione alla «regola del gioco»: l’introduzione nell’estetica cinematografica di un elemento che appartiene all’estetica del romanzo. In anni piti recenti Seymour Chatman (1978: 271) ha scritto che la «voce narrativa fuori campo non è piu di moila», ma una simile certezza non sembra scalfire l'uso ( nimmque sostenuto che se ne continua a fare. Il tri leim di i imbonii) è sempre lo stesso: una «spia» ili lei in arida da parie dei sostenitori, un tradimento della purezza e della specificità da parte degli avversa­ r i 2. Soluzione comoda, facile 3; ma, rovesciando la prospettiva, soluzione economica che permette di rein­ tegrare elementi letterari a sostegno dell’immagine 4 e di aprirle nuovi orizzonti, «rendendo possibile l’e8

steriorizzazione dei pensieri piu intimi» (Martin 1955: m). 3. Parlando di commento abbiamo fin qui semplificato al massimo i termini della questione, che è stata af­ frontata negli ultimi decenni in modo piuttosto radi­ cale dagli studiosi, con un arricchimento progressivo della terminologia dal quale l’analisi ha tratto senza dubbio notevole giovamento 5. E, con le varie forme di commento che ci apprestiamo a definire, limitiamo il nostro discorso a quella che André Gaudreault (1988: 108) definisce narrazione al cinema^, che potrebbe in­ cludere le diverse pratiche di narrazione seconda attra­ verso l’utilizzazione di un narratore in voce offo in vo­ ce over». Con il riferimento alYoffe all’over si prendono in con­ siderazione due termini del «fuori campo sonoro» 7 che rimandano innanzitutto a una precisa cognizione del­ lo spazio fuori campo, a quei sei segmenti descritti da Noël Burch (1969: 23-37) 8 e cosi riassunti da Marc Vernet (1976: 167): «quattro corrispondenti ai bordi deH’inquadratura (anche se i due laterali sono i piu evo­ cati), uno corrispondente a ciò che si trova dietro la scenografia o dietro un elemento situato nel campo vi­ sivo, un altro corrispondente a ciò che accade, per la diegesi, dietro la macchina da presa». Spazio contiguo che costituisce una sorta di fuori campo scenografico: la fonte sonora resta esclusa in modo temporaneo. C ’è tuttavia un altro tipo di fuori campo —definiamolo in via preliminare fuori campo narrativo —in cui la fon­ te sonora non si situa allo stesso livello di contiguità, ma corrisponde a una molteplicità di situazioni. La prudenza terminologica è d’obbligo, perché le diverse tradizioni teoriche hanno messo in gioco un vocabo­ lario differenziato, complicando un po’ le cose. 9

Negli studi di lingua inglese il primo tipo di fuori campo viene definito «^(abbreviazione di offscreen), il secondo over9 \ qui, come riassume Sarah Kozloff (1988: 3), «la voce viene da un altro tempo e spazio, il tempo e spazio del discorsco». Se l’offe omogeneo, non si può dire altrettanto dell ’over, voce che può ap­ partenere a un personaggio della storia o a un narra­ tore10 esterno rispetto all’universo diegetico del film. In ambito francese l’off viene spesso usato in modo assolutamente estensivo11, contrapposto a quanto si trova dentro il campo visivo, ovvero in12-; si confon­ dono in tal modo tre livelli diversi, quella gradazio­ ne del fuori campo che per Francis Vanoye (1979: 61) comprende il diegetico «vicino», il diegetico «lonta­ no» (spazialmente e/o temporalmente) e l’extra-diegetico. Questa divisione ha ricevuto una piu precisa defini­ zione da Michel Chion (1985: 3z): il suono fuori cam­ po (hors-champ) è quello «la cui causa non è visibile si­ multaneamente nell’immagine, ma che resta per noi situato immaginariamente nello stesso tempo dell’a­ zione mostrata, e in uno spazio contiguo a quello che mostra il campo dell’immagine»; mentre il suono offe quello che «giunge da una fonte invisibile situata in un altro tempo e/o in un altro luogo rispetto all’azione mostrata nell’immagine» x3. La delimitazione di una frontiera tra bors-champ e off potrebbe apparire abbastanza ovvia, ma non riceve unanimi consensi: per François Jost (in Gaudreault e Jost 1990: 73) Yoff ricopre l’identica zona àe\Y horschamp di Chion (il fuori campo contiguo), allargan­ do oltre misura il raggio d’azione AeìYover, in linea con la tradizione anglosassone H. Il confine fra offe over risulta dunque, nelle diverse teorie, piuttosto va­ riabile e ciò contribuisce a creare una certa confu­ to

sione A: ma la distinzione, convenzionale nei termi­ ni, risulta essenziale in un’ottica narratologica. 4. Elementi comuni di un fuori campo narrativo, Yoff e Yover acquistano una precisa fisionomia se ricondot­ ti a una delle distinzioni proposte da Gerard Genette nel capitolo dedicato alla voce del suo Discours du récit: quella tra un narratore «eterodiegetico» e uno «omodiegetico» 1(\ Distinzione di persona trascurata anche negli studi esplicitamente genettiani x7, e il piu delle volte sovrapposta a problemi di livello, con un’insistenza sul carattere «extradiegetico» del narratòre18 a scapito di quello «eterodiegetico». Lo stesso Jost (1983: 206) che pili di ogni altro ha evidenziato le potenzialità del Discours genettiano in ambito cinematografico —de­ scrive il narratore eterodiegetico come «molto raro», pur confessando successivamente «di aver sottovaluta­ to questa possibilità di intervento del narratore» x9 . L’opposizione tra un narratore esterno rispetto alla diegesi e un narratore-personaggio è in fondo riconduci­ bile alla semplice domanda: la voce del narratore cor­ risponde a un corpo visibile? Cosi formulata, la distinzione genettiana viene tradotta in immagine, ac­ quistando al contempo quel tratto sonoro che solo con­ venzionalmente veniva impiegato nella tipologia let­ teraria. In questo senso, tornano utili le osservazioni di Mary Ann Doane: la voce offe legata a un corpo, appartiene a un personaggio della diegesi, mentre la voce over è una voce «disincarnata» 20, radicalmente estranea alla diegesi (Doane 1980: 41-42). La voce off diegetica 21 è quella che Chion definisce «voce-sogget­ to» e che, come ricorda Metz (1991: 160), «corrispon­ de a una sorprendente varietà di situazioni diverse». Tra Yover e Yoff non mancano ovviamente le proposte di ulteriori varianti intermedie: Metz (1991: 61) de­ ll

scrive la voce peridiegetica (esempio: L ’orgoglio degli Amberson), non proveniente dalla diegesi «ma dai suoi dintorni, dintorni al tempo stesso vaghi e vicini» 22; Chion (1988: 98) suggerisce invece una voce di pettego­ lezzo, anch’essa periferica ma talvolta visibile; in en­ trambi i casi si tratta di sottocategorie dai tratti piut­ tosto sfuggenti e tutto sommato ridondanti rispetto alla considerazioni fin qui esposte. Ben altro rilievo, a nostro avviso, dovrebbe essere dato alla voce interiore molto frequentemente posta sul versante dell’over e in­ vece - in quanto omodiegetica - collocabile a pieno ti­ tolo nel territorio sonoro dell ’off. 5. Una volta precisati i contorni del fuori campo nar­ rativo - e cosi delineato il rispettivo ruolo della voce over e della voce off- è possibile riprendere il discor­ so interrotto sull’uso del commento nella trasposi­ zione cinematografica. Un uso che, per Jules et Jim e per le Deux anglaises, risulta notevolmente ampio: ab­ bondanza di interventi over in entrambi i casi, pre­ senza dell’(^soprattu tto nel secondo. Luoghi privi­ legiati - assieme al dialogo - di una infiltrazione del testo letterario nella sceneggiatura secondo modi al­ quanto diversificati che pongono, per chiunque vo­ glia andare al di là di uno sguardo meramente im ­ pressionista (e dunque non soltanto per lo studioso), il problema di una riorganizzazione dei materiali te­ stuali al fine di metterne a fuoco una eventuale stra­ tegia complessiva. In questa direzione, il suggerimento operativo viene da due studi abbastanza recenti: Gérard-Denis Farcy (i993) e Yannick M ouren (1993) hanno definito un quadro tipologico delle possibili trasformazioni subi­ te dal testo letterario nella trasposizione secondo pro­ cedure che possono essere ricondotte (anche se il rife12

rimento non viene esplicitato) alle quattro operazio­ ni retoriche descritte dal Gruppo JJ. nella Retorica ge­ nerale: soppressione, aggiunzione, soppressione/aggiunzione e permutazione (1970: 65-68). Se il vocabolario utilizzato è piuttosto variabile 23, le pro­ cedure vengono comunque applicate in modo detta­ gliato, in entrambi i casi, soltanto alla storia^A\ Farcy si occupa anche del discorso narrativo, ma con cate­ gorie diverse. Quel tipo di descrizione, molto interessante e ricca di suggerimenti, può tuttavia generare un equivoco: l’i­ dea che quelle trasformazioni siano limitate al piano del contenuto, laddove alcuni degli interventi piu in­ teressanti si situano al contrario sul piano espressivo. O, per esprimerci con maggiore chiarezza, appare ab­ bastanza sterile un’analisi votata alla rigida separazio­ ne dei due versanti: se soppressioni e aggiunzioni ope­ rano con maggiore visibilità sulla catena evenemenziale, sostituzioni e spostamenti intervengono in modo mas­ siccio nei frammenti testuali, nella miriade di piccole trasformazioni veicolate nel film dai dialoghi con vo­ ce in, dai monologhi e dalle lettere con voce off, dai commenti con voce over. Per tornare a un problema terminologico, riteniamo opportuno riformulare le quattro categorie del muta­ mento in una quadripartizione che renda piu elastica e leggibile la descrizione delle trasformazioni testuali: parleremo dunque di amplificazione (aggiunzione), condensazione (soppressione) e come già anticipato di sostituzione (soppressione/aggiunzione) e. spostamento (permutazione). Terminologia piuttosto semplifica­ ta 25 che si rivolge a un insieme di processi spesso dif­ ficili da distinguere, e, talvolta, impossibili da catalo­ gare in modo esaustivo, come nel caso dello sposta mento che, come osserva Garcia (1990: 96), «riguarda 13

un numero incalcolabile di punti [...] e volerne fare un repertorio completo assomiglierebbe piu che altro a un’assurdità». 6. La collocazione dell’adattamento cinematografico all’interno della letteratura comparata è un dato ac­ quisito nel recente dibattito teorico 2\ Ct»