Trattato sull’emendazione dell’intelletto e sulla via per dirigerlo nel modo migliore alla vera conoscenza delle cose

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T ractatus de intellectus em endatone , ET DE VIA, QUA O PTIM E IN VERAM RERUM CO G N ITIO N EM DIRIGITUR.

T rattato sull’emendazione dell’intelletto , E SULLA VIA PER DIRIGERLO NEL M O D O MIGLIORE ALLA VERA CONOSCENZA DELLE COSE.

P resentazione

Il Trattato sull’emendazione dell’intelletto fu pubblicato soltanto nel 1677, in latino negli Opera posthuma, e in nederlandese nei Nagelate Schriften. Dalle informazioni che traiamo dall’aw ertenza anteposta all’opera dagli editori, nonché dai riferimenti che si scorgono qua e là ne\Y Epistolario (Ep6, 37 e 60), possiamo ipotizzare che si tratti di uno dei primi lavori. I fre­ quenti rimandi a una “mia filosofia”, identificabile contenutisticamente con il Breve trattato, potrebbero far pensare che il TIE sia stato composto prima di quest’ultimo o al più nello stesso periodo. Ciò induceva Gebhardt a leg­ gere il riferimento dell’Ep6 come rivolto a entrambe le opere, considerate come una unica bipartita, collocando quindi la composizione del TIE stesso entro il 1661. Tenendo però conto dell’impianto ancora fortemente baconiano e cartesiano (da cui Spinoza prende le distanze in Ep2) si potrebbe tutta­ via supporre che l’opera testimoni l’incontro e l’affrancamento del pensiero spinoziano da questi autori, collocandolo quindi negli anni subito seguenti la cacciata dalla sinagoga di Amsterdam, dunque intorno al 1656-57. L’incipit del trattato, con il suo tono fortemente esistenziale - al di là delle eco classi­ che e della letterarietà dello stile - sembrerebbe confermare la tesi, renden­ do testimonianza dell’esperienza biografica della conversione di Spinoza alla vita filosofica. Tuttavia, se gli scarsissimi dati di cui disponiamo rendono indubbiamen­ te problematico stabilire una datazione esatta, vi sono nondimeno ragioni più strettamente filosofiche che inducono a presentare il TIE come l’opera prima di Spinoza. Da un lato, infatti, è già presente in esso la logica del sin­ golare e della necessità tipica del suo sistema, ma sono assenti, almeno espli­ citamente, altre tesi fondamentali, inerenti alla teoria della mente e alle pas sioni. In queste pagine, lo spinozismo si mostra quindi in forma estremameli te densa, ridotto in qualche modo alle sue linee e tensioni portanti, e ripor­ tato al suo fondamento esistenziale e biografico. A maggior ragione, pertan­ to, sarà consigliabile intraprendere proprio da qui la lettura delle opere di Spinoza.

Avvertenza al lettore

Questo Trattato sull’Emendazione dellTntelletto1 ecc, che qui, Benevolo Lettore, ti presentiamo imperfetto, fu scritto dall’Autore già molti anni or sono, fu sempre sua intenzione perfezionarlo, ma impe­ dito da altre occupazioni e infine rapito dalla morte, non potè condur­ lo al termine desiderato. Contenendo però molte riflessioni eccellenti e utili, che non dubitiamo affatto saranno di non poco giovamento all’o­ nesto ricercatore della verità, non abbiamo voluto privartene. E affin­ ché non fossi troppo severo verso le molte cose oscure, appena sbozzate e non rifinite, che si incontrano qua e là, abbiamo voluto avvisartene, perché non ne fossi ignaro. Addio2.

1. Prologo. a) Conversione alla filosofìa e ricerca del vero bene.

[1] Dopo che l’esperienza mi ebbe insegnato come fossero vane e futili tutte quelle cose che capitano così frequentemente nella vita quo­ tidiana; e vedendo che ciò che mi atterriva o che temevo, in sé non aveva niente né di buono né di cattivo se non in quanto l’animo ne veni­ va scosso, decisi infine di cercare se esistesse qualcosa di veramente buono e che fosse di per sé accessibile, e da cui solo, abbandonati tutti gli altri, l’animo3 potesse venire affetto; meglio ancora, se esistesse qual­ cosa che, ima volta trovato e acquisito, mi facesse godere in eterno di una continua e somma letizia4. [2] Dico “alla fine decisi”, perché in un primo momento sembrava assai avventato voler lasciare il certo per qualcosa di ancora incerto. Vedevo infatti gli agi che s’acquistano con gli onori e le ricchezze, e mi pareva chiaro che avrei dovuto evitare di ricercarli se volevo dedicarmi seriamente ad altra e nuova impresa; mi accorgevo anche che se poi l’autentica felicità si fosse trovata in essi, io inevitabilmente ne sarei rimasto privo. Tuttavia, se avessi ricercato solo gli agi ma poi la felicità non si fosse trovata davvero lì, io ne sarei rima­ sto comunque escluso. [3] Meditavo dunque se fosse mai possibile arri­ vare a una nuova regola di vita, o almeno alla certezza su quale fosse, pur non mutando l’ordine e l’impostazione abituale della mia vita, ma lo tentai spesso invano. Infatti, le cose che per lo più si incontrano nella vita e, almeno per ciò che si può dedurre dalle loro azioni, che vengo­ no stimate dagli uomini come Sommo Bene, si riducono a queste tre: le ricchezze, gli onori e i piaceri dei sensi. La mente è così distratta da que­ ste tre cose che non riesce in nessun modo a immaginare un qualche altro bene5. [4] Infatti, per quanto riguarda il piacere dei sensi, l’animo ne viene tanto rapito come se trovasse appagamento in un qualche bene, e ciò gli impedisce del tutto di pensare ad altro. Tuttavia, dopo il godimento di quel piacere segue ima grande tristezza, che se non sospende del tutto la mente, la turba e la stordisce. Anche perseguendo onori e ricchezze la mente si distrae non poco, soprattutto qualora onori e ricchezze siano cercati come fini in se stessi3, perché allora li si suppone essere il Sommo Bene. [5] Dalla ricerca degli onori, poi, la mente viene distratta molto di più, perché si ritiene sempre che essi siano dei beni di per sé e si considerano 3 Queste cose si potrebbero spiegare più ampiamente e distintamente, vale a dire distinguendo tra le ricchezze che si ricercano o per sé o in vista degli onori o del piacere sensuale o della salute e dell’incremento delle scienze e delle arti. Ma a d si rinvia a suo luogo, perché qui non ci interessa indagarlo così accuratamente.

come fine ultimo al quale tutto viene indirizzato. Inoltre, al consegui­ mento di onori e ricchezze non consegue, come per i piaceri sensua­ li, la penitenza, ma quanto più se ne possiede di entrambi, tanto più si accresce la letizia e tanto più siamo incitati a darci da fare per accrescerli entrambi. Se invece in qualche caso la nostra speranza resta delusa, allora nasce in noi ima grande tristezza. Del resto, la ricerca degli onori è di grande impedimento giacché, per conseguirli, bisogna necessariamente prendere a modello di vita i più, evitando ciò che tutti gli altri evitano e cercando ciò che tutti cercano. [6] Vedendo dunque che tutte queste cose mi ostacolavano nella mia impresa di darmi ima qualche nuova regola di vita, anzi, che vi erano tanto contrarie che diventava necessario rinunciare alle une o all’altra, fui costretto a stabilire cosa mi fosse più utile; infatti, come ho detto, mi sembrava di lasciare un bene certo per uno incerto. Ma dopo un po’ di riflessione, mi accorsi che se, tralasciate quelle, mi fossi accinto a trovare questa nuova regola, avrei lasciato un bene per sua natura incerto (come si può chiaramente desumere da quan­ to detto), per un bene incerto non per sua natura (cercavo infatti un bene immutabile), ma solo quanto al suo conseguimento. [7] Meditando a lungo sulla questione, arrivai alla conclusione che, pur­ ché avessi potuto decidermi completamente, avrei abbandonato dei mali certi per un bene certo. Vedevo, infatti, che versavo in estremo pericolo e che ero costretto a cercare con tutte le forze un rimedio, per quanto incerto; come uno colpito da una malattia mortale il quale, prevedendo una morte certa se non si apporti un rimedio, è costretto a cercarlo con tutte le forze, anche se incerto, perché in esso è riposta tutta la sua speranza. Ma quei presunti beni ai quali i più aspirano non solo non apportano nessun rimedio utile a conser­ vare il nostro essere, ma anzi lo impediscono; e sono di frequente causa della rovina di chi li possiede , e sempre causa della rovina di chi è da loro possedutob. [8] Infatti, ci sono moltissi­ mi esempi di persone che hanno subito persecuzioni fino a morirne, a causa delle proprie ricchezze, o che per acquistare ricchezze si sono esposte a così tanti pericoli da pagare infine a prezzo della vita la loro scelleratezza. Né sono meno coloro i quali, per conquistare o difendere l’onore, hanno sofferto nel modo più penoso. E sono poi innumerevoli gli esempi di quelli che con i loro stravizi si sono affrettati la morte. [9] Mi sembrava in effetti che tutti questi mali erano sorti dal fatto che ogni felicità o infelicità risiede unicamente b Ciò è da dimostrare più accuratamente.

nella qualità dell’oggetto a cui l’amore ci unisce. Infatti, per ciò che non si ama non sorgeranno mai liti, non ci sarà tristezza se verrà a man­ care, nessuna invidia se sarà posseduto da un altro, nessun timore, nes­ sun odio; in una parola, nessun turbamento dell’animo; passioni, tutte queste, che certamente sono strettamente connesse all’amore di ciò che può perire, come sono tutti quei beni di cui abbiamo parlato. [10] Ma l’amore per una cosa eterna e infinita nutre l’animo unicamente di letizia, priva di ogni tristezza; cosa che è da desiderare in sommo grado e da ricercare con tutte le forze6. In verità, non ho usato senza ragione l’espressione “purché potessi riflettere seriamente”. Infatti, sebbene capissi con tutta chiarezza queste cose, tuttavia, non potevo ancora spogliarmi di ogni desiderio di ricchezze, piaceri e successi. b) Determinazione del fine ultimo e regole di vita.

[11] Vedevo solo questo: per il tempo in cui la mente meditava questi pensieri, si distoglieva da quei falsi beni, e pensava seriamente a una nuova regola di vita; e ciò mi fu di grande consolazione. Infatti, vedevo che quei mali non avevano una natura tale da non voler cede­ re a dei rimedi. E benché all’inizio queste pause fossero rare e duras­ sero pochissimo, una volta che iniziai a comprendere sempre meglio quale fosse il vero bene, esse furono sempre più frequenti e lunghe, in particolare dopo che mi resi conto che l’acquisizione di ricchezze o il piacere e la gloria nuocciono nella misura in cui li si cerchi per se stes­ si e non piuttosto come mezzi per giungere ad altro. Se li si cerca come mezzi, invece, resteranno contenuti entro certi limiti e non saranno di nessun ostacolo, ma anzi saranno di grande aiuto per arrivare al fine per il quale si cercano, come avremo modo di mostrare a suo luogo. [12] Qui mi limiterò a dire brevemente, che cosa intenda per vero bene e anche cosa sia il Sommo Bene. Per una retta comprensione di ciò, occorre notare che bene e male si dicono solo in senso relativo, sicché una sola e medesima cosa può esser detta buona e cattiva a seconda dei diversi punti di vista, e lo stesso vale per perfetto e imperfetto7. Niente, infatti, considerato nella sua natura, si dirà per­ fetto o imperfetto, soprattutto dopo che avremo saputo che tutto ciò che accade, accade secondo un ordine eterno e secondo determinate leggi di Natura. [13] Poiché, però, l’umana debolezza non consente di arrivare a capire quell’ordine, nel frattempo l’uomo concepisce un’altra natura umana molto più forte della sua, e contemporanea­ mente, non vedendo ostacoli, è incitato a cercare i mezzi che lo con­ ducano a quella tale perfezione: tutto ciò che può essere un mezzo per pervenirvi si chiama vero bene. Il Sommo Bene è il pervenirvi, di modo che egli con altri individui, se è possibile, goda di tale natura.

A suo luogo, mostreremo quale sia questa natura, che corrisponde alla conoscenza dell’unione che la mente ha con tutta la Natura'. [14] Questo è dunque il fine al quale tendo: acquisire una tale natura e cer­ care che molti insieme a me l’acquisiscano; cioè fa parte della mia feli­ cità anche l’impegnarmi perché molti altri comprendano ciò che io ho compreso e perché il loro intelletto e i loro desideri si accordino con i miei8. Perché ciò avvenga, è necessario d capire della Natura quello che basta ad acquisire una simile natura umana; quindi fondare una società tale quale è da desiderare, affinché quan­ ti più uomini è possibile vi giungano nella maniera più facile e sicura. [15] Inoltre occorre applicarsi alla filosofia morale e alle norme sull’educazione dei bambini. E poiché la salute non è piccolo mezzo per conseguire questo scopo, occorre predisporre una scienza medica completa. E poiché poi molte cose difficili sono rese facili dalla tecnica, grazie alla quale possiamo gua­ dagnare in vita molto tempo e molta comodità, nemmeno la meccanica è affatto da disprezzare. [16] Ma prima di tutto è necessario escogitare un modo per guarire l’intelletto e, per quanto è possibile all’inizio, per purificarlo, affinché conosca felice­ mente le cose, senza errore e quanto meglio possibile9. Da tutto que­ sto ognuno già potrà vedere che voglio dirigere tutte le scienze ad un unico fine e scopo': pervenire alla somma perfezione umana, di cui dicevamo. E così, tutto ciò che nelle scienze non ci fa affatto avanza­ re verso il nostro fine , sarà da abbandonare come inutile. Cioè, per dirlo in una parola, tutte le nostre azioni, come pure i pen­ sieri, sono da dirigere a questo fine. [17] Ma poiché, mentre ci curia­ mo di conseguirlo e ci diamo da fare per riportare l’intelletto sulla retta via, è pur necessario vivere, siamo pertanto costretti, innanzitut­ to, a supporre come buona qualche regola di vita, vale a dire queste10: 1. Parlare al livello della gente comune, e fare tutte quelle azioni che non portano alcun impedimento al raggiungimento del nostro scopo. Infatti, possiamo ottenere da costoro non pochi vantaggi, solo che con­ cediamo alla loro intelligenza ciò che è possibile concedere. Inoltre, in questo modo porgeranno orecchie propense ad ascoltare la verità. 2. Godere dei piaceri nella misura sufficiente a conservare la salute. 3. Infine, cercare denaro, o qualsiasi altra cosa del genere, quan­ to basta a conservare la vita e la salute, e conformarsi agli usi sociali non contrari al nostro scopo. c Ciò si spiegherà più diffusamente a suo luogo. d Nota che qui mi preoccupo solo di enumerare le scienze necessarie al nostro scopo, senza tener conto della loro serie. e II fine delle scienze è unico e tutte vanno dirette ad esso.

2. Esposizione generale del metodo. a) I modi della conoscenza e la determinazione del migliore.

[18] Poste così queste regole, mi accingerò al primo compito che è da assolvere prima di tutti: emendare l’intelletto, e renderlo adatto a conoscere le cose nel modo che occorre per conseguire il nostro fine11. Per ottenere questo, l’ordine naturale esige che qui riassuma tutti i modi di percepire che finora ho avuto per affermare o negare qualcosa senza lasciar dubbi, in modo che scelga il migliore di tutti e cominci contemporaneamente a conoscere le mie forze e la mia natu­ ra che desidero perfezionare. [19] Se faccio un’accurata disamina, tutti questi modi si possono ridurre senza problemi a quattro12: 1. c’è una percezione che abbiamo per sentito dire o da qualche altro segno, che viene detto arbitrario13. 2. C’è una percezione che abbiamo per esperienza vaga14, cioè tramite un’esperienza non determinata daU’intelletto; viene chiamata così solo perché, essendocisi offerta occasionalmente e non avendo noi nessun altro esperimento che la contrasti, essa continua a restare valida come non smentita. 3. C’è una percezione dove l’essenza della cosa si inferisce da un’altra cosa, ma non adeguatamente. Ciò accade o quando da un qualche effetto risaliamo alla sua causa, oppure quando si conclude da un qualche universale che è sempre accompagnato da una qualche proprietà1. 4. Infine, c’è una percezione nella quale la cosa è percepita mediante la sua sola essenza, o tramite la conoscenza della sua causa prossima15. [20] Illustrerò tutto con esempi. Solo per sentito dire conosco il giorno della mia nascita e che ebbi certi genitori e simili cose, delle quali non ho mai dubitato. Per esperienza vaga so che morirò: lo affermo perché ho visto altri simili a me morire, sebbene non tutti abbiano vissuto per il medesimo tempo né siano morti per la stessa malattia. Inoltre, per esperienza vaga so anche che l’olio è adatto ad 1 Quando succede ciò, non comprendiamo della causa niente oltre ciò che com­ prendiamo dell'effetto. Ciò si constata a sufficienza dal fatto che allora la causa non viene espressa se non con termini generalissimi, come “dunque c'è qualcosa”, “dun­ que c’è una qualche potenza", eccetera. O anche dalla constatazione che la causa viene espressa negativamente: “dunque non è questo o quello'', eccetera. Nel secon­ do caso si attribuisce alla causa, in virtù dell’effetto, qualcosa che si concepisce chia­ ramente, come mostreremo nell’esempio; ma non si attribuiscono altro che proprie­ tà, non certo l'essenza particolare della cosa.

alimentare la fiamma e che l’acqua è atta a estinguerla, so poi che il cane è un animale che latra e l’uomo un animale dotato di ragione, e con questo genere di conoscenza conosco quasi tutto ciò che serve alla vita quotidiana. [21] In questo modo traiamo invece conclusioni da un’altra cosa: avendo percepito chiaramente di sentire un tale corpo e nessun altro, da ciò, dico, ne ricaviamo l’evidente conclusio­ ne che l’anima è imita al corpo e che questa unione è la causa di tale sensazione*; ma quale sia quella sensazione e quell’unione, non pos­ siamo assolutamente comprenderlo*1. Oppure, conosciuta la natura della vista e, insieme, che sua pro­ prietà è mostrare una medesima cosa più piccola se posta a grande distanza piuttosto che se osservata da vicino, ne concludiamo che il sole è più grande di quanto appaia, e altre cose simili. [22] Infine, la cosa si conosce per sua sola essenza quando per il fatto che conosco qualcosa, so cosa sia conoscere qualcosa, oppure per il fatto che conosco l’essenza dell’anima, so che essa è unita al corpo. In questa maniera, noi conosciamo che due più tre fa cinque e che se si danno due linee parallele a una terza esse sono anche fra loro parallele, ecce­ tera. Tuttavia, sono state assai poche le cose che fino ad ora ho potu­ to conoscere in questo modo. [23] Ma affinché tutto ciò si comprenda meglio, mi servirò di quest’unico esempio16. Si danno tre numeri: se ne cerca un quarto che stia al terzo come il secondo al primo. A questo punto, qualsiasi mercante dice di sapere cosa bisogna fare per trovare il quarto, per­ ché certamente non ha scordato l’operazione che ha ascoltato da sola e senza dimostrazione dal maestro. Altri ricavano invece un assioma universale dall’esperienza di casi semplici, dove cioè il quarto nume­ ro è manifesto di per sé, come nella successione 2, 4, 3, 6, in cui spe­ rimentano che moltiplicando il secondo per il terzo e dividendo per il primo ottengono per quoziente 6; e vedendo che si ottiene lo stes­ so numero che senza fare l’operazione sapevano proporzionale, ne

*Da questo esempio risulta illustrato con chiarezza ciò che ho appena notato. Infatti, con quell’unione intendiamo precisamente la sensazione stessa, ossia l'effet­ to dal quale abbiamo concluso una causa della quale non intendiamo nulla. 11 Tale conclusione, benché certa, non è tuttavia abbastanza sicura se non per colo­ ro che prestano massima attenzione. Infatti, se non stanno molto attenti a se stessi, cadranno ben presto in errore, giacché concependo le cose così in astratto, e non anche per la loro vera essenza, sono subito confusi dall’immaginazione. Infatti, quel che in sé è uno, è immaginato molteplice dagli uomini, e a quelle cose che concepiscono in modo astratto, separato e confisso, impongono dei nomi che usano per significare altre cose più familiari. Perciò accade che immaginano queste cose allo stesso modo in cui sono soliti immaginare quelle alle quali imposero tali nomi la prima volta.

concludono che l’operazione è adatta a trovar sempre il quarto numero proporzionale. [24] Ma i matematici, in base alla dimostra­ zione della Prop. 19 del libro 7 degli Elementi di Euclide, sanno quali numeri sono tra loro proporzionali, cioè lo sanno in base alla natura della proporzione e alla sua proprietà, secondo la quale il numero che risulta dal prodotto del primo con il quarto è uguale al prodotto del secondo con il terzo. Tuttavia, non vedono l’adeguata proporzionali­ tà dei numeri dati e, se la vedono, non la vedono in virtù di quella proposizione, ma intuitivamente, senza fare alcuna operazione. [25] Affinché scegliamo tra questi il miglior modo di percepire, si richiede che enumeriamo brevemente quali siano i mezzi necessari per conseguire il nostro fine, vale a dire: 1. Conoscere esattamente la nostra natura, che desideriamo per­ fezionare, e pure della natura delle cose tanto quanto è necessario. 2. Affinché possiamo dedurne correttamente le differenze, le affi­ nità e la contrarietà delle cose. 3. Affinché si concepisca correttamente che cosa esse possano o non possano patire. 4. Affinché ciò si paragoni con la natura e la potenza dell’uomo. E da ciò apparirà facilmente la somma perfezione alla quale l’uomo può pervenire. [26] Detto questo, vediamo quale modo di conoscenza si debba scegliere. Per quanto riguarda il primo, appare da sé che non possiamo affatto percepire l’essenza della cosa per sentito dire, senza contare la grande incertezza di questo modo, come risulta dal nostro esempio. E poiché l’esistenza di una qualche cosa singolare non si conosce se non se ne sia conosciuta l’essenza (come poi si vedrà), ne concludia­ mo chiaramente che tutto ciò che ci pare certo ma solo per sentito dire dovrà essere escluso dalle scienze. Infatti, nessuno potrà mai essere convinto dal semplice ascolto, a meno che non sia stato prece­ duto da un’intellezione vera e propria. [27] Per ciò che concerne il secondo modo di conoscenza*, si deve dire che nessuno ha grazie ad esso l’idea della proporzione che cerca. A parte questo, si tratta di un’indagine oltremodo incerta e senza fine, e senz’altro, in questo modo, delle cose naturali non si percepi­ rà mai nulla più che gli accidenti, i quali non si intendono mai chia­ ramente se non avendone già conosciute le essenze. Quindi, anche questo secondo modo è da escludere.

*Qui tratterò dell'esperienza alquanto più prolissamente, ed esaminerò il meto­ do di procedere degli empirici e dei filosofi recenti.

[28] Circa il terzo occorre pur dire che esso ci dà l’idea della cosa e che ci porta alla conclusione senza pericolo d’errore, ma tuttavia non sarà di per sé il mezzo per conseguire la nostra perfezione. [29] Solo il quarto modo comprende adeguatamente l’essenza della cosa e senza pericolo d’errore, perciò dovrà essere impiegato più di tutti gli altri. Dunque, ci prenderemo cura di spiegare come esso sia da applicare per comprendere le cose che ci sono ignote, e affinché ciò avvenga nel modo più rapido. b) L’idea vera e il metodo come conoscenza riflessiva.

[30] Avendo stabilito quale conoscenza ci sia necessaria, bisogna ora insegnare la via e il metodo con il quale conosciamo ciò che dob­ biamo conoscere. Affinché ciò avvenga, occorre in primo luogo con­ siderare che non incorreremo in un’indagine all’infinito: per giunge­ re al miglior metodo per ricercare il vero, non è necessario un altro metodo per ricercare il metodo per la ricerca del vero, e per cercare il secondo metodo non ne serve un terzo, e così via all’infinito. Infatti, in questo modo non si giungerebbe mai alla conoscenza del vero, anzi non si arriverebbe a nessuna conoscenza. Qui, piuttosto, il problema si pone come per gli strumenti materiali, a proposito dei quali si potrebbe argomentare nello stesso modo. Infatti, per forgia­ re il ferro occorre un martello e, per avere un martello, è necessario farlo, ma per farlo occorre un altro martello e altri strumenti, e per avere questi occorreranno altri strumenti, e così via all’infinito. Ma in questo modo si cercherebbe invano di provare che gli uomini non hanno alcuna possibilità di forgiare il ferro17. [31] Tuttavia, come gli uomini all’inizio poterono fare cose facilissime con gli strumenti innati, per quanto faticosamente e imperfettamente, e fatte queste ne eseguirono altre più difficili con minore fatica e maggior perfezione, allo stesso modo, procedendo gradatamente dai lavori più semplici agli strumenti e dagli strumenti ad altri lavori e ad altri strumenti, arrivarono al punto di eseguire tanti e tanto difficili lavori con poca fatica. Parimenti, anche l’intelletto con la sua forza innatak si dota dei suoi strumenti intellettuali, con i quali acquisisce altre forze per altre opere intellettuali1, e da queste opere si forma altri strumenti, cioè la possibilità di indagare ulteriormente; e così avanza gradatamente fino al culmine della sapienza. [32] Che poi l’intelletto si comporti così, sarà facile vederlo, non appena si capisca quale sia il metodo di ricer-

kPer forza innata intendo ciò che in noi non viene causato da cause esterne. Spiegherò ciò in seguito, nella mia Filosofia. 1 Qui le chiamo opere, nella mia Filosofia si spiegherà cosa sono.

ca del vero e quali siano quegli strumenti innati, dei quali solo ha bisogno per costruire con essi altri strumenti in modo da procedere oltre. Per mostrarlo, procedo come segue. [33] L’idea vera™ (abbiamo infatti un’idea vera)18 è qualcosa di diverso dal suo ideato. Infatti, una cosa è il cerchio, altra cosa è l’idea del cerchio, giacché l’idea del cerchio non è qualcosa che abbia cir­ conferenza e centro, come il cerchio, né l’idea di corpo è essa stessa un corpo. Ed essendo qualcosa di diverso dal suo ideato, sarà anche per se stessa qualcosa di intelligibile. Ossia: l’idea, considerata nella sua essenza formale, può essere l’oggetto di un’altra essenza oggetti­ va, e di nuovo quest’altra essenza oggettiva sarà anche, in sé conside­ rata, qualcosa di reale e di intelligibile, e così via all’infinito. [34] Per esempio: Pietro è qualcosa di reale. La vera idea di Pietro è l’essenza oggettiva di Pietro, ma è in sé anche qualcosa di reale e del tutto diversa da Pietro stesso. Essendo dunque l’idea di Pietro qualcosa di reale, avente ima sua essenza peculiare, sarà anche qualcosa di intel­ ligibile, cioè oggetto di un’altra idea, la quale avrà in sé oggettivamen­ te tutto ciò che l’idea di Pietro ha in sé formalmente; ma poi anche l’idea dell’idea di Pietro avrà di nuovo una sua essenza, la quale potrà nuovamente essere assunta come oggetto di un’altra idea, e così via all’infinito. Di ciò ognuno può fare esperienza, quando si rende conto di sapere che cosa sia Pietro e anche di sapere di sapere, e di nuovo che sa di sapere che sa, eccetera. Ne risulta che, per conosce­ re l’essenza di Pietro, non è necessario conoscere l’idea stessa di Pietro, e ancor meno l’idea dell’idea di Pietro. Vale a dire: affinché io sappia qualcosa non è necessario che io sappia di sapere, e tanto meno è necessario sapere che so di sapere, o almeno non più di quan­ to, per conoscere l’essenza del triangolo ho bisogno di conoscere quella del cerchio". Nelle idee delle idee avviene invece il contrario: infatti, per sapere di sapere, è necessario prima di tutto sapere. [35] Ne viene che la certezza non è altro che la stessa essenza oggettiva, cioè la certezza è il modo in cui sentiamo l’essenza formale19. Ne risulta, di nuovo, che alla certezza della verità non è necessario disporre di nessun altro segno che dell’idea vera. Infatti, come abbia­ mo mostrato, affinché io sappia non è necessario che io sappia di m Nota che qui cercherò non solo di mostrare ciò che ho appena detto, ma anche che il nostro procedimento finora è stato giusto e inoltre altre cose molto necessarie a sapersi. " Nota che qui non cerchiamo in che modo la prima essenza oggettiva ci sia innata. Infatti ciò riguarda l ’indagine sulla natura, dove spiegheremo questo aspet­ to più diffusamente e contemporaneamente mostreremo che all'infuori dell'idea non c’è alcuna affermazione né negazione, né alcuna volontà.

sapere. Da ciò segue ancora che non può sapere cosa sia la somma certezza se non colui che abbia l’idea adeguata o l’essenza oggettiva di qualcosa, e ciò perché la certezza e l’essenza oggettiva sono il medesimo. [36] Perciò, non avendo bisogno la verità di alcun segno, ma essendo sufficiente, per eliminare ogni dubbio, avere le essenze oggettive delle cose o, che è lo stesso, le idee, ne segue che il vero metodo non consiste nel cercare il segno della verità dopo aver acqui­ sito conoscenza delle idee, ma il vero metodo è la via attraverso cui cercare0 la verità stessa, o le essenze oggettive delle cose o le idee (questi termini hanno tutti lo stesso significato) nell’ordine dovuto. [37 ] D’altro canto, il metodo deve trattare necessariamente del ragio­ namento o dell’intellezione: cioè, il metodo non è lo stesso ragionare per conoscere le cause delle cose, e ancor meno è il conoscere le cause delle cose; è piuttosto il conoscere che cosa sia l’idea vera, distinguen­ dola dalle altre percezioni e investigandone la natura, al fine di poter conoscere la nostra capacità di intellezione, e costringere la mente a conoscere secondo quella norma tutto ciò che è da conoscere; dando­ le come aiuti determinate regole, e anche facendo in modo che la mente non sia affaticata da ricerche inutili. [38] Se ne ricava che il metodo non è nient’altro che una conoscenza riflessiva, o idea di idea20; e poiché non si dà idea dell’idea se prima non si è data idea, ne segue che non si dà metodo se prima non si dà idea. Perciò, sarà buono quel metodo che mostri come sia da dirigere la mente secon­ do la norma dell’idea vera data. Inoltre, poiché il rapporto che inter­ corre tra due idee è lo stesso che vi è fra le essenze formali di quelle idee, ne consegue che la conoscenza riflessiva dell’idea dell’Ente per­ fettissimo, sarà superiore alla conoscenza riflessiva delle altre idee; cioè sarà perfettissimo quel metodo che mostra come si debba dirige­ re la mente secondo la norma dell’idea data dell’Ente perfettissimo21. [39] Da ciò si comprende facilmente in che modo la mente, aumentando le sue conoscenze, acquisti nello stesso tempo altri stru­ menti con i quali avanzare più facilmente nella conoscenza. Infatti, come si può ricavare da quanto detto, prima di tutto deve esistere in noi l’idea vera come strumento innato, conosciuta la quale si capisca contemporaneamente la differenza che c’è fra una tale conoscenza e tutte le altre. In questo consiste una parte del metodo. Ed essendo per sé chiaro che la mente conosce tanto meglio se stessa quanto più conosce della Natura, ne segue che questa parte del metodo sarà tanto più perfetta quante più cose la mente conosce, e sarà perfettis­ simo quando la mente attende, o riflette, sulla conoscenza dell’Ente perfettissimo. [40] Inoltre, quante più cose la mente conosce, tanto 0 Cosa sia il ricercare dell'anima, lo spiegherò nella mia Filosofia.

meglio conosce sia le proprie forze sia l’ordine della Natura: quanto meglio poi conosce le sue forze, tanto più facilmente conosce l’ordi­ ne della Natura, e tanto più facilmente più astenersi da operazioni inutili. Tutto il metodo, come abbiamo detto, consiste in questo. [41] Si aggiunga che l’idea si ha oggettivamente nello stesso modo in cui il suo ideato si ha realmente. Se dunque vi fosse in Natura qualcosa che non avesse nessuna relazione con le altre cose, anche se ce ne fosse un’essenza oggettiva, che dovrebbe convenire totalmente con quella formale, nemmeno questa avrebbe nessuna relazione con le altre ideeP, cioè, di essa non potremmo conoscerne né> concluder­ ne niente. Viceversa, quelle cose che hanno relazioni con altre, come le hanno tutte quelle che esistono in Natura, saranno conosciute, e anche le loro essenze oggettive avranno lo stesso rapporto, cioè da esse si dedurranno altre idee, che a loro volta saranno in rapporto con altre, e così cresceranno gli strumenti per procedere oltre22. Ed è proprio questo che cercavamo di dimostrare. [42] Inoltre da ciò che s’è appena detto, ovvero che l’idea deve convenire totalmente con la sua essenza formale, risulta nuovamente che, affinché la nostra mente possa riprodurre completamente il modello della Natura, essa deve derivare tutte le sue idee da quella che riproduce l’origine e la fonte di tutta la Natura, di modo che questa sia anche fonte di tutte le altre idee. [43] A questo punto ci si meraviglierà forse che noi, dopo aver detto che buon metodo è quello che mostra come sia da dirigere la mente secondo la norma dell’idea vera data, proviamo questa dottri­ na con un ragionamento, il che sembrerebbe mostrare che questa non sia per sé nota, e si può persino dubitare se noi ragioniamo bene. Se ragioniamo bene dobbiamo cominciare da una data idea, e poiché l’iniziare da una data idea necessita di dimostrazione, dovremmo di nuovo provare il nostro ragionamento, e poi di nuovo quell’altro e così all’infinito. [44] Ma a ciò rispondo: se qualcuno, nelle sue inda­ gini sulla Natura, avesse proceduto per caso in questo modo, ossia acquisendo nell’ordine dovuto altre idee secondo la norma di un’idea vera data, non dubiterebbe mai della sua verità^, giacché la verità, come si è mostrato, manifesta se stessa, e tutte le cose gli giungereb­ bero in modo addirittura spontaneo23. Ma poiché ciò non succede mai, o raramente, sono stato costretto a trattare l’argomento in que­ sto modo, perché ciò che non possiamo conseguire per caso lo con­ seguiamo tuttavia con un piano organizzato, ma anche perché risul-

PEsser in relazione ad altre cose significa venir prodotta da altre o produrne altre. a Così anche qui non dubitiamo della nostra verità.

tasse chiaro che per provare la verità e per ragionare bene non abbia­ mo bisogno di nessun altro strumento che della verità e di un buon ragionamento. Infatti, di buon ragionamento ho dato prova e cerco ancora di darla con un altro ragionamento. [45] Si aggiunga anche che in questo modo gli uomini si abituano alle loro meditazioni inte­ riori. Il motivo poi per cui capiti raramente che le indagini sulla Natura si facciano nel debito ordine, è dato dai pregiudizi, le cui cause spiegheremo poi nella nostra Filosofia. Inoltre, c’è bisogno di fare ampie e accurate distinzioni, come mostreremo, e ciò è molto laborioso. Infine, a causa dello stato delle cose umane che, come già mostrato, è estremamente mutevole. E vi sono ancora altre ragioni, su cui non indaghiamo24. [46] Se per caso qualcuno mi chiedesse perché, subito e prima di tutto, abbia esposto proprio con quest’ordine le verità della Natura, dacché la verità manifesta se stessa, a costui rispondo e contempora­ neamente lo esorto a non voler respingere quelle verità come false a causa dei paradossi che per caso si incontrino qua e là, ma prima ci si degni di esaminare l’ordine nel quale le proviamo e allora si sarà certi che abbiamo raggiunto la verità. E questa è stata la causa per cui ho fatto queste premesse. [47] Se poi, per caso, qualche scettico restasse ancora in dubbio, sia sulla prima verità che su tutte quelle che dedurremo secondo la norma della prima, egli o parlerà certamente contro coscienza, o noi ammetteremo che ci sono uomini completamente accecati nell’animo fin dalla nascita, oppure a causa di pregiudizi, cioè di qualche circo­ stanza esterna. Infatti, non sono consapevoli nemmeno di se stessi: se affermano qualcosa o ne dubitano, non sanno di dubitare o di affer­ mare; dicono di non sapere niente, e ciò stesso (di non saper niente) dicono di ignorarlo. Ma neppure questo lo dicono in senso assoluto, infatti, finché non sanno niente, temono di confessare di esistere, tanto che alla fine devono tacere, per non supporre qualcosa che abbia odore di verità. [48] In definitiva, con essi non bisogna parla­ re di scienza: infatti, per quanto riguarda le usanze di vita e di socie­ tà, la necessità li spinge a supporre di esistere e a cercare il proprio utile, e ad affermare e negare molte cose sotto giuramento. Inoltre, se qualcosa viene loro provato, non sanno se l’argomentazione sia pro­ bante o difettosa. Se negano, ammettono o obiettano, non sanno di negare, ammettere o obiettare. Perciò bisogna considerarli come automi che mancano completamente di mente25. [49] Riprendiamo ora il nostro progetto. Fin qui abbiamo espo­ sto in primo luogo il fine a cui ingegnarci di dirigere tutte le nostre riflessioni. In secondo luogo abbiamo stabilito quale sia la migliore

percezione, con l’aiuto della quale possiamo pervenire alla nostra perfezione. In terzo luogo abbiamo conosciuto quale sia la prima via sulla quale la mente debba incamminarsi per iniziare bene; essa è di procedere con leggi certe nell’indagare, secondo la norma di qualun­ que idea vera data. Affinché ciò avvenga, il metodo deve assicurare: in primo luogo, deve distinguere l’idea vera da tutte le altre percezio­ ni, dalle quali deve tener lontana la mente; in secondo luogo deve dare regole, in modo che le cose ignote vengano percepite secondo tale norma; in terzo luogo deve stabilire un ordine perché non ci affatichiamo in ricerche inutili. Conosciuto questo metodo, abbiamo visto in quarto luogo che esso sarà perfettissimo quando avremo l’idea dell’Ente perfettissimo. Quindi fin dall’inizio occorre­ rà fare massima attenzione a giungere quanto prima alla conoscenza di tale ente26. 3. Prima parte del metodo: fenomenologia dell’errore, a) L’idea finta.

[50] Iniziamo dunque dalla prima parte del metodo, la quale, come s e detto, consiste nel distinguere e separare l’idea vera da tutte le altre percezioni, e impedire alla mente di confondere le idee false, le idee finte e le idee dubbie con le idee vere. Ho intenzione di dar qui ampie spiegazioni sul problema per intrattenere i lettori nell’esa­ me di una cosa tanto necessaria, e anche perché ci sono molti che dubitano delle idee vere, perché non hanno fatto attenzione alla distinzione che c’è tra la percezione vera e tutte le altre, di modo che sono come uomini i quali, vegliando, non dubitano di vegliare; ma dopo che una volta in sogno, come sovente avviene, credettero che certamente vegliavano e si accorsero poi che ciò era falso, dubitaro­ no anche della veglia: questo succede perché non distinsero mai tra il sonno e la veglia. [51] Frattanto avverto che qui non spiegherò l’es­ senza di ogni percezione e non ricorrerò a una spiegazione attraver­ so la causa prossima, giacché tale compito appartiene alla Filosofia, ma esporrò solo ciò che il metodo richiede, ossia cosa riguardi la per­ cezione finta, falsa e dubbia, e in che modo liberarci da ognuna di esse. Iniziamo dunque dall’idea finta. [52] Poiché ogni percezione è o della cosa considerata come esi­ stente o della sua sola essenza, e poiché le finzioni per lo più si rife­ riscono alle cose considerate come esistenti, parlerò dunque prima di quest’ultima, nella quale, cioè, si finge la sola esistenza e si conosce, o si suppone di conoscere, la cosa che in tale atto si finge. Per esem­ pio, fingo Pietro, che io conosco, andare a casa, farmi visita, e altre

cose simili1'. Ora chiedo: tale idea che cosa ha per oggetto? Vedo che essa riguarda solo cose possibili, ma non invece cose necessarie né impossibili. [53] Chiamo impossibile una cosa la cui natura su p p o ­ sta esistente> implica che è contraddittorio che essa esista; necessaria ima cosa la cui natura implica che è contraddittorio che essa non esi­ sta; possibile, ima cosa la cui esistenza, per sua stessa natura, non implica che sarebbe contraddittorio che essa esistesse o non esistes­ se, ma la cui necessità o impossibilità di esistere dipendono da cause a noi ignote finché fingiamo la sua esistenza, sicché se la sua necessi­ tà o impossibilità che dipende da cause esterne ci fosse nota, noi non potremmo fingere niente di tale cosa. [54] Ne consegue che se c’è un qualche Dio o un qualche essere onnisciente, egli non può fingere niente. Infatti, per ciò che ci riguarda, una volta che so di esistere, non posso fingere di esistere o non esistere8, e nemmeno posso finge­ re che l’elefante passi per la cruna di un ago, né, dopo aver conosciu­ to la natura di Dio, posso fingerlo esistente o non esistente*. Lo stes­ so è da intendere della chimera la quale, per sua natura, è contraddit­ torio che esista. Da questi esempi risulta chiaro ciò che ho detto, ossia che la finzione di cui qui trattiamo non riguarda le verità eter­ ne11. Mostrerò subito che nessuna finzione concerne le verità eterne. [55] Ma prima di procedere oltre, occorre notare per inciso come la stessa differenza che passa tra l’essenza di una cosa e l’essenza di un’altra, passa fra Fattualità o l’esistenza dell’una e l’attualità o resi­ stenza dell’altra. Perciò, se volessimo considerare l’esistenza, per esempio di Adamo, solo mediante l’esistenza in generale, sarebbe come se, per concepirne l’essenza, attendessimo alla natura dell’ente, per giungere alla definizione “Adamo è un ente”. Perciò, quanto re­ sistenza si concepisce in generale, tanto più confusamente la si conf Si veda ciò che annotiamo in seguito a proposito delle ipotesi che noi cono­ sciamo chiaramente: ma la finzione sta nel dire che esse esistono come tali nei corpi celesti. 8 Poiché la cosa, purché sia conosciuta, manifesta se stessa, abbiamo bisogno solo di un esempio, senza altra dimostrazione. Allo stesso modo sarà per la sua con­ traddittoria: basterà solo esaminarla perché essa si mostri falsa, come risulterà tra breve, quando parleremo della finzione relativa all 'essenza. *Nota che, sebbene molti dicano di dubitare dell’esistenza di Dio, tuttavia essi non conoscono di Dio altro che il nome, oppure fingono qualcosa a m i danno il nome di Dio: dò non si accorda con la natura di Dio, come mostrerò poi a suo luogo. u Ver verità eterna intendo quella che, se è affermativa, non potrà mai essere negativa. Così, la prima verità eterna è “Dio esiste’’; invece non è verità eterna “Adamo pensa”. “La chimera non esiste” è verità eterna, ma non la è invece “Adamo non pensa”.

cepisce e tanto più facilmente la si attribuisce fittiziamente a qualsia­ si cosa; al contrario, quando la si concepisce più in particolare, allo­ ra la si intende con più chiarezza, e difficilmente (quando non pre­ stiamo attenzione all’ordine della natura) la si attribuisce a una cosa che non sia quella stessa cui appartiene. Ciò è degno di nota27. [56] Abbiamo ora da considerare quelle che comunemente sono dette finzioni anche quando sappiamo chiaramente che la cosa non è realmente come la fingiamo. Per esempio, sebbene io sappia che la terra è rotonda, tuttavia niente mi vieta di dire a qualcuno che la terra è una semisfera, simile alla metà di un’arancia in una scodella, o che il sole si muove intorno alla terra e simili. Se esaminiamo questi casi, non noteremo niente che non si accordi con ciò che si è già detto, a patto di tener presente che qualche volta abbiamo potuto errare e ora siamo consci dei nostri errori; inoltre, che possiamo fingere, o alme­ no ritenere che altri uomini siano nello stesso errore o possano cade­ re nel medesimo in cui siamo caduti noi precedentemente. Affermo che possiamo fingere questo perché non ce ne risulta né l’impossibi­ lità né la necessità. Così, quando dico a qualcuno che la terra non è tonda eccetera, non faccio altro che richiamare alla mente l’errore, nel quale per caso fui o potei scivolare, e poi fingo o ritengo che colui a cui lo dico sia ancora nel medesimo errore o vi possa cadere. E fingo ciò, come ho detto, finché non ne vedo né l’impossibilità né la necessità, giacché se la vedessi non avrei potuto affatto fingere, e si sarebbe dovuto dire solo che ho fatto qualcosa. [57] Restano da notare le supposizioni che vengono fatte nelle discussioni, e che talvolta riguardano anche gli impossibili. Per esem­ pio quando diciamo: supponiamo che questa candela ardente ora non arda, o supponiamo che arda in un qualche spazio immaginario, ossia dove non ce nessun corpo. Talvolta vengono supposte cose del genere, benché deU’ultima in particolare si comprenda chiaramente l’impossibilità. Ma quando si fa ciò, non si finge affatto. Infatti, nel primo esempio, non ho fatto altro che richiamare alla memoria un’al­ tra candela non ardente (oppure ho concepito la stessa senza fiam­ ma)* e, nella misura in cui non bado alla fiamma, ciò che penso di

xDopo che avremo parlato della finzione che riguarda le essenze, apparirà chia­ ro che la finzione non forma né offre alla mente niente di nuovo, ma che vengono solo richiamate alla memoria delle cose che sono nel cervello o nell’immaginazione e che la mente esamina confusamente tutte insieme. Per esempio, si richiamano alla memoria la parola e Valbero, e quando la mente esamina confusamente senza distin­ zione, ritiene che Valbero parli. Lo stesso sì intende dell’esistenza, soprattutto, come s'è detto, quando viene concepita in modo tanto generale quanto l’ente, giacché allo­ ra si assegna facilmente a tutte le cose che si presentano contemporaneamente alla memoria. Il che è assai degno di nota.

quella candela lo intendo anche di questa. Nel secondo esempio non si fa altro che astrarre il pensiero dai corpi circostanti affinché la mente si applichi alla sola contemplazione della candela considerata in sé, per poi concluderne che la candela non ha nessuna causa che la distrugga, di modo che se non vi fossero corpi circostanti, questa candela, e anche la fiamma, resterebbero immutabili, o simili. Dunque qui non c’è alcuna finzione ma pure e semplici asserzioniy28. [58] Passiamo ora alle finzioni che riguardano le essenze da sole oppure insieme con qualche attualità, o esistenza. A proposito di esse, è da considerare soprattutto questo: che la mente ha tanta mag­ giore potenza di fingere, quante meno cose conosce e quante più tut­ tavia percepisce, e, parimenti, quante più cose conosce, tanto più quella potenza diminuisce. Per esempio, come abbiamo visto sopra, così come finché pensiamo non possiamo fingere di pensare e non pensare, così pure, conosciuta la natura del corpo, non possiamo fin­ gere che una mosca sia infinita, oppure, conosciuta la natura dell’a­ nima2, non possiamo fingere che essa sia quadrata, sebbene possiamo dire tutto ciò a parole. Ma, come dicevamo, quanto meno gli uomini conoscono la natura, tanto più facilmente possono fingere molte cose, per esempio che gli alberi parlino, che gli uomini si mutino all’i­ stante in pietre o in fonti, che negli specchi appaiano spettri, che il niente diventi qualcosa, che anche gli dèi si mutino in bestie e in uomini, e altre infinite assurdità del genere29. [59] Qualcuno forse crederà che la finzione e non l’intellezione ponga il limite alla finzione stessa, cioè: avendo finto qualcosa e aven­ do voluto asserire, con una certa libertà, che esso esiste nella natura così, allora in seguito non possiamo pensarlo in altro modo. Per esem­ pio, dopo che ho finto (per dirla con costoro) una determinata natu­ ra del corpo, ed essendomi voluto persuadere liberamente che essa esista realmente in quel modo, non mi è più lecito, per esempio, fin­ gere una mosca infinta e dopo che ho finto l’essenza dell’anima non posso pensarla quadrata, eccetera. [60] Ma questo deve essere esamiy Lo sfesso si deve intendere delle ipotesi che si fanno per spiegare alcuni movi­ menti che accompagnano i fenom eni celesti; se non che da esse, se si applicano ai moti celesti, si conclude la natura dei cieli, la quale tuttavia può essere diversa, soprattutto considerando che, per spiegare tali moti, si possono concepire molte altre cause. 2 Spesso capita che l ’uomo richiami alla memoria il termine “anima" e allo stes­ so tempo form i una qualche immagine corporea. Poiché queste due idee vengono rappresentate insieme, crede facilmente di immaginare e fingere un 'anima corporea: perché non distingue il nome dalla cosa stessa. Qui postulo che i lettori non siano precipitosi a rifiutare questa spiegazione, e spero non lo faranno, purché esaminino con attenzione gli esempi e insieme ciò che segue.

nato. In primo luogo, o negano o concedono che noi possiamo inten­ dere qualcosa. Se lo concedono, ciò che dicono della finzione dovrà dirsi necessariamente anche dell’intellezione. Se invece lo negano, vediamo noi, che sappiamo di sapere qualcosa, che cosa dicono. Costoro dicono che l’anima può sentire e percepire in molti modi non se stessa né le cose che esistono, ma solo quelle che non sono in lei né in alcun luogo; cioè che l’anima può con la sua sola forza creare sen­ sazioni o idee, che non hanno per oggetto le cose; tanto che sotto que­ sto aspetto la considerano come qualcosa di divino. Inoltre dicono che noi, o la nostra anima, abbiamo ima tale libertà da poter limitare noi stessi o se stessa, anzi la sua stessa libertà. Infatti, dopo aver finto qualcosa e avergli dato l’assenso, non può pensare o fingere quella cosa in altro modo; e anzi viene costretta da quella finzione a far sì che anche le altre cose vengano pensate in quel modo per non contraddi­ re la prima finzione. Cosicché, a tal proposito, sono costretti, a causa della loro finzione, ad ammettere le assurdità che qui espongo e per respingere le quali non ci affatichiamo con alcuna dimostrazione30. [61] Ma lasciando costoro ai loro deliri, ci cureremo di trarre dalle parole scambiate con essi, qualcosa di vero per il nostro discorso, e cioè: la mente, quando si concentra su una cosa che è finta e falsa per sua natura, al fine di esaminarla e conoscerla, e ne deduce nel debito ordine ciò che è da dedurne, facilmente ne mostrerà la falsità3; e se la cosa finta è per sua natura vera, quando la mente la prende in consi­ derazione per conoscerla e inizia a dedurne nell’ordine dovuto ciò che ne segue, felicemente andrà avanti senza interruzione alcuna, così come abbiamo visto che dalla falsa finzione precedentemente presa ad esempio, l’intelletto si è prestato subito a mostrare l’assurdità di questa e delle altre conseguenze che se ne sono dedotte. [62] Se conosciamo la cosa in modo chiaro e distinto, non dovremmo dunque temere in nessun modo di fingere alcunché. Infatti, se per caso diciamo che gli uomini vengono mutati istantaneamente in bestie, ciò lo si dice in maniera assai generica, così che non c’è nella mente nessun concetto, cioè idea, vale a dire coerenza di sog­ getto e predicato: se infatti ci fosse, la mente vedrebbe anche il mezzo e la causa del come e del perché avvenga ima cosa del genere; infine, non si fa nemmeno attenzione alla natura di soggetto e predicato31. 3 Benché mi paia di concludere questo in base all’esperienza, e qualcuno dica che ciò sia nulla giacché manca una dimostrazione, se la desidera, l’avrà così: poiché in natura non si può dare nulla che contrasti con le sue legge, ma accadendo tutto secondo certe leggi, in modo da produrre secondo determinate leggi effetti determi­ nati con incontrastabile concatenazione, ne segue che l ’anima, quando concepisce la cosa secondo verità, seguiterà a formare oggettivamente i medesimi effetti. Vedi in seguito, dove parlo dell’idea falsa.

[63] Inoltre, a patto che la prima idea non sia finta e che da ess vengano dedotte tutte le altre idee, l’avventatezza a fingere poco a poco svanirà. Del resto, poiché l’idea finta non può essere chiara e distinta, ma solo confusa, e ogni confusione procede dal fatto che la mente conosce solo in parte una cosa intera o composta di molte parti, e non distingue il noto dall’ignoto (e senza contare che prende contemporaneamente in considerazione i molti elementi che sono contenuti in ciascuna cosa, senza preoccuparsi di alcuna distinzione), ne segue, in primo luogo, che se l’idea è idea di ima qualche realtà semplicissima, essa non può essere se non chiara e distinta, giacché quella cosa dovrà essere conosciuta non parzialmente ma tutta intera o per niente affatto32. [64] In secondo luogo, segue che se una cosa che è composta di molte parti, viene divisa col pensiero in tutte le sue parti più semplici, e si prendono queste in esame, ciascuna separatamente, allora sparirà ogni confusione. In terzo luogo, segue che la fin­ zione non può essere semplice, ma risulta dalla composizione di diverse idee confuse, che sono di diverse cose e azioni esistenti in Natura; o meglio risulta dall’attenzione simultanea (ma senza assen­ so) fatta a tali idee diverseb. Infatti, se fosse semplice, sarebbe chiara e distinta, e quindi vera. Se risultasse dalla composizione di idee distinte, anche la loro composizione sarebbe chiara e distinta e quin­ di vera. Per esempio, conosciuta la natura del cerchio e anche quella del quadrato, non possiamo comporre quelle due idee e farne un cer­ chio quadrato, o un’anima quadrata e simili33. [65] Di nuovo concludiamo brevemente, e vediamo come non sia affatto da temere che la finzione sia confusa con l’idea vera. Infatti, quanto alla prima finzione di cui abbiamo precedentemente parlato, nella quale la cosa è concepita in modo chiaro, abbiamo visto che non potremmo fingere nulla rispetto a tale cosa, se anche l’esistenza di questa cosa che concepiamo chiaramente fosse una verità eterna; ma se l’esistenza della cosa concepita non è una verità eterna, bisogna curarsi solo di confrontare l’esistenza della cosa con la sua essenza, e contemporaneamente fare attenzione all’ordine della Natura. Circa la seconda finzione, la quale abbiamo detto essere un’attenzione simul­ tanea ma priva di assenso a diverse idee confuse (che sono di diverse cose e azioni esistenti nella Natura), abbiamo visto pure che una cosa

bNota bene che la finzione, considerata in sé, non differisce molto dal sogno, se non perché nei sogni non si offrono le cause, le quali si offrono per mezzo dei sensi a chi veglia, dalle quali si deduce che quelle rappresentazioni, in quel momen­ to, non vengono prodotte da cose esistenti all’esterno. Ma l ’errore, come presto risulterà chiaro, è un sognare da svegli, e, se si manifesta completamente, si chiama delirio.

semplicissima non può essere finta ma solo conosciuta, e lo stesso per una cosa composta, purché si presti attenzione alle parti semplicissi­ me di cui si compone. Anzi, non possiamo fingere, a partire da esse, nessuna azione che non sia vera, giacché siamo costretti allo stesso tempo a osservare come e perché tale cosa avvenga. b) L’idea falsa.

[66] Compresi così questi aspetti, passiamo ora all’indagine sull’i­ dea falsa per vedere cosa riguardi e come possiamo evitare di cadere in false percezioni. In entrambi i casi, non sarà un compito difficile dopo l’indagine sull’idea finta. Infatti, tra queste due non si dà altra differenza se non che l’idea falsa suppone l’assenso, cioè (come abbiamo già notato) che, mentre si offrono le rappresentazioni, non si offrano cause alcune dalle quali poter dedurre, come fa colui che finge, che quelle rappresentazioni non nascono da cose esistenti all’e­ sterno, e che il formarle sia nient’altro che sognare a occhi aperti, cioè da svegli. L’idea falsa riguarda dunque o (per dir meglio) si riferisce all’esistenza di una cosa, di cui si conosce l’essenza, oppure all’essen­ za, allo stesso modo che l’idea finta. [67] Quella che si riferisce all’e­ sistenza, si corregge allo stesso modo della finzione: infatti, se la natu­ ra di una cosa conosciuta suppone l’esistenza necessaria, è impossibi­ le che ci inganniamo circa l’esistenza di quella cosa; ma se l’esistenza della cosa non è una verità eterna, come lo è invece la sua essenza, ma la necessità o impossibilità di esistere dipende da cause esterne, allo­ ra l’idea falsa è da intendere allo stesso modo della finzione: infatti si corregge allo stesso modo34. [68] Per quel che riguarda l’altro genere di idea falsa, che si rife­ risce all’essenza, o anche ad azioni, tali percezioni sono necessaria­ mente sempre confuse, composte di diverse percezioni confuse di cose esistenti in natura, così come gli uomini credono che nelle selve, nelle immagini, negli animali e nelle altre cose vi siano degli spiriti; che ci siano dei corpi dalla cui sola composizione risulti l’intelletto; che i cadaveri ragionino, camminino, parlino; che Dio inganni, ecce­ tera. Ma le idee che sono chiare e distinte, in nessun modo possono essere false: infatti le idee delle cose che si concepiscono chiaramen­ te e distintamente sono o semplicissime o composte di idee semplicis­ sime, cioè dedotte da idee semplicissime. E che l’idea semplicissima non possa essere falsa potrà constatarlo ciascuno, solo che sappia cosa sia il vero, ossia l’intelletto35, e contemporaneamente cosa sia il falso. [69] Infatti, per quanto riguarda ciò che costituisce la forma del ve­ ro, è certo che il pensiero vero si distingue da quello falso non tanto per una denominazione estrinseca, quanto piuttosto per una intrinseca.

Infatti, se un qualche costruttore concepisce correttamente una costruzione, sebbene essa non sia mai esistita né esisterà, nondimeno il suo pensiero è vero, e il pensiero rimane lo stesso, che la costruzio­ ne esista o meno. Al contrario, se qualcuno dice che, per esempio, Pietro esiste e tuttavia non sa che Pietro esiste, quel pensiero rispetto a colui che pensa è falso o, se si preferisce, non è vero, sebbene Pietro esista realmente. Né questa enunciazione, “Pietro esiste”, è vera se non rispetto a colui che sa con certezza che Pietro esiste. [70] Ne segue che nelle idee c’è qualcosa di reale, per cui le idee vere si distin­ guono dalle false: su ciò dovremo ora investigare per ottenere la migliore norma di verità (infatti abbiamo detto che dobbiamo deter­ minare i nostri pensieri in base a una norma dell’idea vera data, e che il metodo è conoscenza riflessiva), e conoscere le proprietà dell’intel­ letto. Né bisogna dire che questa differenza nasca dal fatto che il pen­ siero vero è il conoscere le cose attraverso le loro cause prime, aspet­ to sotto il quale, in virtù di quanto sopra spiegato, certo differisce molto dal pensiero falso. Infatti, si dice vero anche il pensiero che implica obiettivamente l’essenza di un qualche principio che non ha causa e si conosce in sé e per sé. [71] Perciò la forma del pensiero vero deve risiedere proprio nel pensiero stesso, senza relazione ad altro; né riconosce l’oggetto come causa, ma deve dipendere dalla stessa poten­ za e natura dell’intelletto. Infatti, se supponiamo che l’intelletto per­ cepisca un qualche nuovo ente mai esistito — come alami pensano facesse l’intelletto divino prima della creazione (la quale percezione certamente non potè nascere da alcun oggetto) — e da tale percezio­ ne ne deduca altre legittimamente, tutti quei pensieri sarebbero veri e non determinati da nessun oggetto esterno, ma dalla sola potenza e natura dell’intelletto. Perciò quel che costituisce la forma del pensie­ ro vero va ricercato proprio nel pensiero stesso e dedotto dalla natu­ ra dell’intelletto. [72] Per svolgere dunque questa indagine, prendia­ mo in esame una qualche idea vera, il cui oggetto sappiamo per certo dipendere dalla nostra forza di pensare e non aver alcun oggetto nella Natura; in tale idea, per quanto detto, potremmo infatti indagare più facilmente ciò che vogliamo. Per esempio, per formare il concetto di sfera ne fingo una causa a piacere, cioè che un semicerchio ruoti intor­ no al centro e che la sfera nasca quasi da questa rotazione. Tale idea è certamente vera, e sebbene sappiamo che nella natura mai nessuna sfera ha avuto origine così, tuttavia questa percezione è vera ed è un modo facilissimo di formare il concetto di sfera. Si noti inoltre che questa percezione afferma che il semicerchio ruota, la quale afferma­ zione sarebbe falsa se non fosse unita al concetto di sfera, o alla causa che ne determina tale movimento, o, in assoluto, se fosse una nuda

affermazione. Infatti, la mente tenderebbe allora ad affermare il solo movimento del semicerchio, che non è contenuto nel concetto di semicerchio, né ha origine dal concetto della causa che determina il moto. Perciò la falsità consiste solo in ciò: che di una qualche cosa si afferma ima qualche proprietà non contenuta nel concetto stesso che ne abbiamo formato, come affermando per esempio del semicerchio il moto o la quiete. Ne segue che i pensieri semplici non possono non essere veri, come l’idea semplice del semicerchio, del movimento, della quantità, eccetera. Qualunque affermazione questi contengano corrisponde esattamente al loro concetto né si estende oltre. Perciò ci è lecito formare a piacere idee semplici, senza timore alcuno di errore. [73] Resta dunque da ricercare per quale potere la nostra mente possa formarle, e fino a che punto si estenda tale potere: infat­ ti, appurato ciò, sapremo facilmente quale sia la somma conoscenza cui possiamo giungere. E certo, infatti, che questa sua potenza non si estende all’infinito: quando affermiamo di qualche cosa alcunché che non sia contenuto nel concetto che ce ne formiamo, ciò indica un difetto della nostra percezione, ossia che abbiamo idee quasi mutila­ te e tronche. Abbiamo infatti visto che il moto del semicerchio dà ori­ gine a un’idea falsa, quando si presenti alla mente da solo, ma che esso stesso dà origine a un’idea vera se unito al concetto di sfera o al concetto di una qualche cosa che determina questo movimento. Sicché, se, come appare a prima vista, appartiene alla natura dell’en­ te pensante formare pensieri veri, cioè adeguati, è certo che le idee inadeguate sorgono in noi soltanto da questo: che siamo parte di un qualche ente pensate, alcuni pensieri del quale costituiscono la nostra mente in modo intero, altri solo in parte36. [74] Ma si deve considerare ancora qualcosa che non è valso l pena osservare riguardo alla finzione e rispetto a cui è massimo l’er­ rore: quando accade che certe cose che si offrono all’immaginazione si diano anche nell’intelletto, ossia si concepiscano in modo chiaro e distinto. Perché allora, finché non si distingue ciò che è distinto da ciò che è confuso, la certezza, cioè l’idea vera, viene mescolata con idee non distinte. Per esempio, alcuni Stoici udirono per caso il ter­ mine “anima” e anche che essa è immortale, concetti che immagina­ vano assai confusamente; immaginavano poi, e nello stesso tempo intendevano, che i corpi sottilissimi penetrano tutti gli altri e non vengono penetrati da alcuno. Immaginando tutte queste cose insie­ me, e accompagnandosi a tale immaginazione la certezza del detto assioma, erano senza dubbio sicuri che la mente fosse quei corpi sot­ tilissimi e che quei corpi sottilissimi non fossero divisibili eccetera. [75] Ma anche da questo ci liberiamo, sforzandoci di esaminare tutte

le nostre percezioni in base alla norma di un’idea vera data, evitando, come abbiamo detto all’inizio, quelle che abbiamo per sentito dire o per esperienza vaga. Si aggiunga che tale errore nasce perché le cose si concepiscono troppo astrattamente: infatti è per sé chiarissimo che ciò che concepisco nel suo vero oggetto, non posso applicarlo a un altro. Infine, l’errore nasce anche dal fatto che gli uomini non capi­ scono gli elementi primi di tutta la Natura, quindi procedendo senza ordine e confondendo la Natura con assiomi astratti, benché veri, confondono se stessi e sovvertono l’ordine della Natura. Ma noi, se procediamo il meno astrattamente possibile e cominciamo, non appena si può, dagli elementi primi, cioè dalla fonte e origine della Natura, non dovremo in alcun modo temere questo errore. [76] Per quel che riguarda poi la conoscenza dell’origine della Natura, non si deve temere di poterla confondere con nozioni astrat­ te. Infatti, quando alcunché è concepito astrattamente, come sono tutti gli universali, nell’intelletto sono sempre compresi con una por­ tata più vasta di quanto possano esistere nella Natura i loro casi par­ ticolari. Quindi, essendovi in natura molte cose la cui differenza è così esigua da poter fuggire quasi all’intelletto, può allora succedere facilmente (se si concepiscono astrattamente) che esse vengano con­ fuse. Ma l’origine della Natura, come poi vedremo, non può esser concepita astrattamente, ossia universalmente, né si può estendere più ampiamente nell’intelletto che nella realtà, né ha alcuna somi­ glianza con le cose mutevoli. Circa l’idea di essa non è da temere nes­ suna confusione, purché (come già visto) abbiamo la norma della verità; vale a dire: questo ente è unico, infinito2, cioè è tutto l’essere e oltre ad esso non è dato alcun essere3. c) L’idea dubbia.

[77] Fin qui s’è detto dell’idea falsa, resta da indagare sull’idea dubbia, cioè da cercare quali siano quelle cose che possono indurci in dubbio e, contemporaneamente, come si toglie il dubbio. Parlo del vero dubbio della mente, e non di quello che possiamo vedere qua e là quando qualcuno dice a parole di dubitare, sebbene il suo animo non dubiti. Non è compito del metodo, infatti, emendare questo, ma ciò riguarda piuttosto l’indagine sull’ostinazione e la sua emendazio­ ne. [78] Ora, nell’anima non si dà nessun dubbio causato dalla cosa 2 Questi non sono attributi di Dio che ne mostrino l’essenza, come mostrerò nella Filosofia^. a Ciò è già stato dimostrato più sopra. Se infatti tale ente non esistesse, non potrebbe nemmeno esser prodotto; perciò la mente potrebbe intendere di più di quanto la natura possa fornire, cosa che più sopra si è dimostrata essere falsa.

stessa di cui si dubita, cioè, se nell’anima c’è un’unica idea, che sia essa vera o falsa, non ci sarà nessun dubbio e nemmeno certezza, ma solo quella tale sensazione, infatti in sé l’idea non è altro se non quel­ la tale sensazione. Ma il dubbio avrà luogo a causa di un’altra idea, così poco chiara e distinta che non possiamo da essa concluderne alcunché di certo circa la cosa di cui dubitiamo, cioè l’idea che ci getta in dubbio non è chiara e distinta. Per esempio, se uno non ha mai pensato alla fallacia dei sensi, sia causata dall’esperienza sia da qualcos’altro, non dubiterà mai che il sole sia più grande o più picco­ lo di quello che appare. Perciò i contadini in genere si meravigliano quando sentono che il sole è molto più grande del globo terrestre. Ma meditando sulla fallacia dei sensi nasce il dubbio. Cioè, uno sa che talvolta i sensi lo hanno ingannato, ma lo sa solo confusamente: infat­ ti non sa come i sensi ingannino, e se dopo aver dubitato acquisterà una vera conoscenza dei sensi, e di come per mezzo di essi vengano rappresentate le cose a distanza, allora nuovamente il dubbio verrà tolto. [79] Da ciò segue che non possiamo revocare in dubbio le idee vere, sotto l’ipotesi che forse esiste un qualche dio ingannatore, che ci inganni persino nelle cose più certe, se non quando non abbiamo nessuna idea chiara e distinta di Dio. Cioè, se ci volgiamo alla cono­ scenza che abbiamo dell’origine di tutte le cose, e non troviamo nulla che ci insegni che egli non sia ingannatore, evincendo ciò con quella stessa conoscenza con cui, esaminando la natura del triangolo, evin­ ciamo che i suoi tre angoli sono uguali a due retti