Trattato della pietra filosofale; L'arte dell'alchimia
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Table of contents :
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San Yommaso D'Aquino

TRATTATO DELLA PIETRA FILOSOFALE- L'ARTE DELL'ALCHIMIA

UUID: lc2fe978-efcd-lle8-bd69-17 532927e555 Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write http: //write. streetlib .com

Indice

VITA DI SAN TOMASO . INTRODUZIONE

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TRATTATO DI SAN TOMASO D'AQUINO DELL'ORDINE DEI FRATI PREDICATORI SU

LA PIETRA FILOSOFALE

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CAPITOLO I CAPITOLO II

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CAPITOLO III

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CAPITOLO IV

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CAPITOLOV.. . .. . . ...... . ... . ....... . .. . ... .. . .. .. ........ . .. . . .. ..

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CAPITOLO VI

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CAPITOLO VII

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CAPITOLO VIII CAPITOLO IX

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TRATTATO DI SAN TOMASO D'AQUINO INTORNO ALL'ARTE DELL'ALCHIMIA DEDICATO AL FRATE REGINALDO CAPITOLO I

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CAPITOLO II ......... ................................................................... .... .................. ................... 57 CAPITOLO III .

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CAPITOLO N

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CAPITOLO V .

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CAPITOLO VI

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CAPITOLOVII

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CAPITOLO VIII ............................... ................................ ............................... ........ 72

Copyright 2018 by David De Angelis- tutti i diritti sono riservati

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SAN TOMASO D'AQUINO nacque l'anno 1227 nel Castel­ lo di Rocca-Secca presso l'Abazia di Monte Cessino, ovvero, se­ condo alcuni autori, nella stessa città di Aquino. La sua fami­ glia, una delle più antiche e delle più nobili del Regno di Pu­ glia, gli fece principiare gli studi fino dall'età di cinque anni nella Abazia di Monte Cassino, e in età di tredici lo mandò al­ l'Università di Napoli. Passati appena due anni in questa città, il suo gusto per la solitudine, nato a un tempo da motivi di pietà e dall'avversione ai politici tumulti d Italia, gli ispirò la risoluzione di abbraccia­ re la vita religiosa. Si fece ricevere come novizio nell'Ordine di San Domenico; ma i suoi parenti si sforzarono tosto di far va­ cillare questa sua risoluzione; preghiere, minacce, cattivi tratta­ menti, prigionia, e turpi insidie tese alla sua innocenza, tutto ciò fu da essi adoperato per smuover/o, ma inutilmente. Avendo poi gli ordini dell1mperatore Federico II e del Papa Innocenzo IVfatte cessare le violenze contro cui lottava da un anno, egli

poté fare liberamente la sua professione nel 1243 nel Convento dei Domenicani di Napoli. Si recò allora a Colonia per studiar­ vi la .filosofia sotto Alberto Magno, il quale accompagnò a Pari­ gi quando quel dotto professore fu chiamato a una cattedra del Collegio di San Giacomo. Ritornarono entrambi a Colonia nel 1248, e Tomaso vi fu ordinato sacerdote. Nonostante il suo amore per la solitudine e la meditazione, predicava sovente, perché tale era lo spirito del­ l'Ordine e la volontà dei suoi superiori; ma attendeva meno a farsi ammirare che a istruire ed edificare; e lo stesso scopo si proponeva nelle sue lezioni di teologia e nelle opere che compo­ neva durante le ore di ozio; opere insignì che gli acquistarono fama di sommo ingegno. Ritornò nel 1253 a Parigi, dove trovò ben presto occasioni di segnalare il suo zelo e la sua abilità a fa­ vore dell'istituzione della vita religiosa. I privilegi concessi dai Sommi Pontefici dispiacquero all'Università di Parigi, che non volle più ammettere nel suo seno codesti religiosi. Guglielmo di Sant'Amore, dottore della Sorbona e canonico di Beauvais, compose su tal soggetto un'opera in cui, mentre sosteneva le ra­ gioni dell'Università, impugnava altresì l'istituzione degli Or­ dini mendicanti; e San Tomaso scrisse un libro per fare la apo­ logia di questi Ordini. La causa fu chiamata al Tribunale di Roma, e i due scrittori, che già erano venuti a paragone delle loro forze, furono scelti per andarvi a perorare ciascuno per la loro parte. Tomaso fu vincitore. Egli si distinse in quelle discus­ sioni per una savia moderazione, astenendosi da ogni parola che modesta non fosse, né sostituendo le ingiurie alle ragioni come i controversisti solevano fare. Ritornò in Francia nel 1255 per prendere i suoi gradi accademici e il dottorato nell'Univer2

sità di Parigi, poi venne di nuovo in Italia per invito di Urbano IV che lo incaricò di comporre un offizio proprio per la solenni­ tà del SS. Sacramento che questo Pontefice aveva di fresco isti­ tuita; e un tal lavoro fece acquistare gran vanto al dotto religio­ so. Nel 1269 lo troviamo ancora a Parigi, dedito alla predica­ zione e all'insegnamento; giacché per modestia aveva voluto ri­ manere semplice religioso, rinunziando a tutte le distinzioni a cui il favore dei Sommi Pontefici Innocenza IV e Clemente IV e del santo re di Francia Luigi IX gli permetteva di aspirare. Nel 1271, per le vive istanze di Carlo d'Angiò, fu mandato a Napoli dal Capitolo generale del suo Ordine per insegnarvi la teologia. Due anni dopo il papa Gregorio X lo invitò a recarsi a un con­ cilio generale da lui convocato in Lione, alfine di riunire i greci scismatici con la Chiesa Romana. Il santo Dottore ammalò per via, ed essendosi fatto trasportare all'Abazia di Fossa Nuova nella Diocesi di Terracina, qui vi morì. Dante Alighieri afferma nel suo "Purgatorio" che San Tomaso fosse fatto morire (forse per veleno) dallo stesso Carlo d'Angiò, il quale temeva che nel concilio si trattassero affari poco favorevoli a lui e che il santo Dottore parteggiasse contro di esso. Questo fatto è accennato anche dal Villani. Giovanni XX lo canonizzò nell'anno 1323, e disse in tale occasione, nel concistoro, che non era pur necessario ricercare con tanta accuratezza i miracoli cui poteva avere operati in vita, ma che si doveva aver principalmente riguardo alle im­ portanti questioni che aveva tanto mirabilmente risolte; e San Pio V lo dichiarò dottore della Chiesa nel 1567. Tomaso d'Aquino si attenne al metodo scolastico usato al 3

suo tempo nelle scuole e la sua latinità non è migliore di quello che il suo secolo permettesse, ma si riconoscono in lui un vasto ingegno, ampiezza e profondità di cognizioni, e una solidità di ragionamento che gli assicurano il primo luogo fra i teologi, e che lo fecero soprannominare "!:Angelo della Scuola" ovvero il "Dottor Angelico': La sua dottrina sopra la grazia e la predestinazione è la più adottata nelle scuole di Teologia; e si chiamano quelli che la seguono Tomisti per distinguerli dagli Scottisti, Razionalisti etc.

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I 1\ rr l{() J) u· Z I() N .I� .

Le critiche che verranno a noi dirette perché abbia­ mo avuto a caro di trarre dall'oblio questa vecchia opera alchimistica che risplende al nome del Santo di Aquino, saranno aspre e molteplici; ma si rassomiglieranno in fondo a quelle che datano da due secoli. Possiamo dun­ que dire che non le ignoriamo, e che appunto per questa ragione, ben sapendo come da uomini sapienti siano sta­ te confutate, non ci siamo un attimo arrestati, a causa di esse, nel nostro lavoro. Senza rimandare i lettori ai libri di questi sapienti, rari oggidì, i quali a ogni modo non tutti saprebbero bene consultare, e poiché il compito che ci siamo prefissi ci obbliga di far conoscere gli ammae­ stramenti della antica Sapienza, noi qui richiameremo brevemente i principali articoli della controversia. La grande, la sola obiezione che si può fare contro l'autenticità del libro di San Tomaso, non è basata su al­ cun fatto, alcun atto, alcun anacronismo, alcuna contradi­ zione costituente una prova valevole in paleografia o in 5

bibliografia. Questa obiezione si riassume così: ''L'Alchi­ mia essendo (secondo l'opinione dei critici moderni) un'opera del Demonio o quando mai un pietoso sogno, non può avere ad essa prestato fede un santo, un potente genio qual fu Tomaso d'Aquino, colui che fu sopranno­ minato a buon diritto da Pico della Mirandola Spiendor Theologiae, da Erasmo Vir non sui saeculi, da Vives Scriptor de schola omnium sanissimus, la cui dottrina fu approvata con decreti dall'Università di Parigi e da tre papi, Innocenzo V, Urbano VI e Giovanni XXII". Si tratta, come si vede, della sostituzione di un ap­ prezzamento personale alle prove precise come base d i ragionamento. Per il che noi potremmo servirei del me­ desimo procedimento e capovolgere la proposizione così: "La scienza occulta, essendo la più alta delle scienze, o meglio la sola Scienza, è ben naturale che un uomo straordinario come San Tomaso la abbia conosciuta e praticata". Infatti, nel grosso torno in folio, intitolato: Sancti Tomae Aquinatis in quatuor libros sententiarum Petri Lombardi (Parigi 1659), noi leggiamo, al Lib. II, Di­ stinct. VII, Quaest III, Solutio 6, pag. 74, le seguenti paro­ le: " (Sicut) Alchymistae faciunt aiiquid simile curo quantum ad accidenta exteriores: sed tamen non faciunt verum aurum: Quia forma substantiatilis auri non est per caiorem ignis quo utuntur alchymistae SED PER CALO­ REM SOLIS IN LOCO DETERMINATO UBI viget virtus mineralis: Et ideo tale aurum non habet operationem 6

consequentem speciem. Et similiter in aliis, quae per eo­ rum operationem fiunt". Ora, chi non si accorgerà, leg­ gendo questo passo, che nel suo autore è una conoscenza profonda delle leggi e delle teorie alchimistiche? Si tratta in primo luogo, non già di sapere se San Tomaso condan­ na l'Alchimia, ma se l'ha studiata. Ed ecco che questo pas­ so ne è la prova; egli sa in che consiste la sua pratica; svela anche il grande segreto nelle parole che noi abbiamo sot­ tolineato, con il più perfetto linguaggio alchimico. San Tomaso dunque conosceva questa scienza. La condanna egli formalmente? Se i critici leggessero qualche trattato d'Alchimia con spirito imparziale, certo con stupore riconoscerebbero che gli stessi Adepti usano spesso un linguaggio simile. Insignium medicinarum nomina clangunt, dice Weiden­ feld, iis ipsis incognitis et cortices dantur pro nucleis. Qual è dunque la teoria di San Tomaso? Che gli Al­ chimisti non fabbricano oro ma semplicemente trasmu­ tano gli accidenti esteriori dei metalli. Vuoi dir ciò con­ dannare l'Alchimia? E' evidente che no. Egli insegna che non si può trasformare la materia nè cambiare la sua inti­ ma natura, poichè la materia è una. Ma riconosce che possono cambiarsi gli accidenti, le specie, per parlare il linguaggio scolastico. E che forse gli Alchimisti hanno mai insegnato una cosa differente da questa? E gli scien­ ziati moderni non sono anche arrivati alla medesima con­ clusione, che, cioè, non esistano corpi semplici, e che le 7

differenze fra l'uno e l'altro corpo derivino soltanto dai diversi aggruppamenti di atomi, di modo che essi non possano esser considerati se non come modifìcazioni di un unico elemento? San Tomaso attacca dunque, nel succitato passo, gli empirici, come hanno fatto tutti i veri Adepti. Dicendo tale aurum non habet operationem consequentem spe­ ciem, egli indica l'oro di questi empirici, o soffìatori, che si ottiene col calore del fuoco, per calorem ignis. Ma poi­ ché egli stesso dice che il vero oro si ottiene per calorem solis, in loco determinato, è evidente che colui il quale co­ noscerà il significato delle parole enigmatiche calor solis, cioè l'atanòr costruito secondo le regole date dal grande Atanòr della Natura, è evidente, diciamo, che questa per­ sona riuscirà a produrre il verum aurum quod ha bebit operationem consequentem speciem. Che ci sia permesso qui citare Paracelso è fare il con­ fronto. "Ora, egli dice, l'operazione del corso celeste è mirabile, poiché, ancorché il lavoro dell'artista sia stimato in sé meraviglioso, nondimeno ciò è degno di grande am­ mirazione che il Cielo cuoce, digerisce, penetra, dissolve e riverbera molto meglio che l'Alchimista, di modo che il corso del cielo insegna il corso e il regime del fuoco nel­ l'arcano che si vuol preparare". Non è questo, con un fraseggiamento differente, il pensiero medesimo di San Tomaso? Tale raffronto fra il Gran Maestro della medicina occulta e il Gran Maestro 8

della filosofia scolastica turberà non poco gli scettici e gli increduli; per noi invece è un appoggio considerevole. Onde possiamo concludere che San Tomaso, similmente a tutti gli Alchimisti non empirici, ha proibito, per il con­ seguimento della Grand'Opera, l'uso del fuoco ordinario. Inoltre, per rispondere sempre ai suddetti critici, sup­ ponendo che la differenza fra l'opera alchimica e quella teologica di lui sia oltremodo sensibile, come essi vorreb­ bero, sarebbe forse la prima volta che una contradizione di tal fatta si sia manifestata in un uomo di genio? Basta conoscere un poco il genere umano per non fare uso di tali argomenti. Non dimentichiamo poi che San Tomaso incarna il Medio Evo, e che un punto incontestato, e in­ contestabile d'altronde, è che egli fu il più illustre disce­ polo del Grande Alberto. Ora, sarebbe ben difficile e ben paradossale di voler discolpare quest'ultimo di aver prati­ cato la Magia e l'Alchimia, se veramente la colpa esiste. E sarebbe forse più incredibile ancora di pretendere che un Maestro, il quale annetteva una sì grande importanza alla Scienza del Mistero, non ne abbia insegnato al suo disce­ polo almeno qualche nozione. Il libro che noi traduciamo sarebbe dunque il riassun­ to prezioso di quegli insegnamenti che San Tomaso avrebbe raccolto dalla bocca medesima del maestro, con la venerazione che sempre gli porta. Nulla si oppone alla verosimiglianza di questo fatto. Ma, si dirà, è, questo trattato, un'opera di gioventù 9

sconfessata più tardi. Oltre che è certo come in nessuna parte dei suoi libri si trovi questa sconfessione, si potreb­ be rispondere che non sta all'autore portare un giudizio su la propria opera poiché egli s'inganna infallibilmente quasi sempre. L'esperienza acquistata per mezzo di una lunga pratica, l'evoluzione costante del suo spirito, gli fanno sempre riguardare i suoi primi saggi come giochi di fanciulli, mentre che i medesimi appaiono ancora come belle opere a coloro che hanno evoluto in un'altra v1a. Il trattato De Lapide Philosophico, a qualunque epoca della vita di San Tomaso appartenga, può dirsi bene di lui, secondo ogni probabilità, e poiché una tradizione co­ stante conferma questa Probabilità, essa diviene una cosa certa, tanto più che prove precise d'inautenticità nessuno ha mai potuto mettere in campo. Non è inutile poi notare a questo punto quale fosse veramente il compito della Alchimia nei tempi di mezzo. Si crede in generale ch'essa fosse un oggetto di orrore, d'anatema e di maledizione, similmente ai malefici, agli avvelenamenti, agli omicidi. Niente di tutto ciò. "La Pie­ tra Filosofale, - come osserva giudiziosamente il com­ mentatore di Bonaventura De Perriers - era quasi un ar­ ticolo di fede nel Medio Evo". Non staremo qui a citare tutti gli autori ecclesiastici che ne parlano in effetto con ammirazione; ci sarà suffi­ ciente ricordare Marbode (De Lapidum), Giacomo Della lO

Voragine (Legenda Aurea), Pietro De Natalibus (Catalogus Sanctorum), il quale spiega, nella vita di Santa Margherita da Cortona, come la Pietra Filosofale possa cacciare il cat­ tivo genio. Era inoltre l'Alchimia una delle scienze esatte dell'e­ poca. Senza far parte delle it sette arti a causa del suo in­ segnamento iniziatico, veniva studiata nondimeno come l'aritmetica, la cosmologia, la fisica, la musica, e ci resta­ no di essa trattati di Alberto Magno, Santa Ildegarda, Ubaldo di Sant'Armando, e altri. Non si attribuiva la sua invenzione al Demonio, come non si imputava al medesi­ mo quella del Trivium o del Quadrivium. Per parlare in stile universitario, era la e Chimica, di questa epoca; anzi possiamo bene affermare che la "Chimica di oggi sia la vera genuina figlia dell"'Alchimia". Ogni uomo dunque, che volesse essere nel vero senso della parola erudito, non doveva ignorarla.

È ammissibile allora che una scienza tanto importan­ te, cosi feconda in punti metafisici di comparazione, e coltivata dai più gravi personaggi, sia sfuggita allo studio di San Tomaso d'Aquino; e che egli non si sia curato di apportarvi il possente spirito di investigazione che lo ca­ ratterizza? Può essere che il vasto campo di osservazione delle trasformazioni della materia lo abbia lasciato indif­ ferente, mentre al corso degli astri, alla formazione delle meteore, ai fenomeni del movimento la sua grande men­ te aveva prestato attenzione?

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Altrove (Opuscol. de regimine principum; lib. Il, cap. VII), San Tomaso insegna che un re deve possedere molta quantità di ricchezze in oro e argento. Teoria d'un alta portata politica, ma che sarebbe ben difficile spiegare senza supporre il tacito appoggio del­ l'Alchimia. "Senza ricchezze è molto difficile di arricchir­ si o dice enigmaticamente Lao-T se. Sembrerebbe vano, in effetto, comandare a un mor­ tale d'essere ricco senza facilitare a lui i mezzi per arriva­ re a tanto. E se riavviciniamo questa asserzione alla usan­ za che avevano gli Adepti di rimettere il loro segreto nel­ le mani dei potenti, dei re o dei papi, per il bene di tutti, si acquisterà la certezza che San Tomaso designa la Gran­ de Opera con queste parole misteriose. San Tomaso ammette, per altro, l'Alchimia in diversi passi delle sue opere. Vedere p. e. Summa Theoiogica, 2,2, quaest. 77, art. 2., e Lib. 4, Meteorum initio. In un altro libro (Opusculum XXVI: De judiciis astro­ rum) egli parla dell'Astrologia giudiziaria, della quale di­ sapprova gli abusi ma che non condanna espressamente. Questo Opusculum, che tutti ritengono per autentico, è dedicato ad fratrem Reginaldum ordinis predicatoria. Ora, questo Frate Reginaldo è precisamente il medesimo al quale è dedicato il secondo trattato d'Alchimia da noi tradotto. Un appoggio inoltre, preziosissimo alla nostra tesi, ci 12

sarà dato dal Reverendo Padre del Castagne, religioso dell'Ordine di San Francesco d'Assisi, dottore in Teologia, consigliere, elemosiniere generale del Re di Francia e ve­ scovo della città di Saluzzo. Nessuno avrà sospetti su l'or­ todossia di un tale personaggio. Nelle sue Opere medici­ nali e chimiche (Parigi, 1661) dedicate a Francesco Favre vescovo di Amiens e gran maestro dello Oratorio del Re, noi leggiamo (II parte, pag. 4) quanto segue: "Ma anche che diremo di questo grande Dottore Angelico San To­ maso d'Aquino, dell'Ordine dei Venerabili Padri Predica­ tori? Egli pure faceva questa santa opera dell'Oro Potabi­ le ! Io posseggo il suo originale scritto in latino che co­ mincia: "Sicut litium inter spinas". Senonché l'abate Langlet du Fresnoy è l'autore che sembra aver meglio di ogni altro compreso l'Opera alchi­ mica di San Tomaso e che gli ha reso giustizia nel miglior senso della parola. "Io convengo, egli dice, che un zelo in­ discreto ha fatto mettere sotto il nome di quest'uomo illu­ stre qualche trattato che non gli appartiene; ma ve ne sono altri che sarebbe difficile contestargli. Quello della natura dei minerali (De esse et essentia mineralium), non è degno veramente d'un si gran filosofo, non più del Co­ mentario su la Torba che gli si attribuisce. Pertanto, il suo Tesoro d'Alchimia dedicato a Frate Reginaldo, suo com­ pagno e amico, non respira che la pratica d'una filosofia singolare e segreta che ha veduto esercitare da Alberto Magno, il quale egli cita in questo libro come suo mae­ stro in tutte le cose e specialmente in questa scienza ... Questo trattato non è composto se non di otto pagine, ed 13

è ciò che io ho veduto di migliore in tal genere, per chi lo sa intendere. Una simile opm10ne d'uno dei pm sapienti stonCl dell'Ermetismo è preziosa. Il piccolo trattato dedicato a Frate Reginaldo potrebbe bastare difatti per il compi­ mento di tutta l'Opera senza il soccorso d'alcun altro maestro. Meglio è dunque far tacere ogni obiezione. ac­ cettare una autenticità simile a ogni altra riguardante la maggior parte delle opere antiche, e che, lungi dal limita­ re la gloria del Santo d'Aquino, non fa che aggiungere a essa maggior luce, aumentando con un simile gioiello di scienza arcana la serie incomparabile dei capolavori che ha legato alla Chiesa. A ogni contestazione possibile in fine noi opporremo l'esempio del Liber cruditionis principum, stampato per la prima volta nell857 sotto il nome di San Tomaso e che era stato da poco scoperto nella Biblioteca del Vaticano. Nessuno ne ha messo in dubbio l'autenticità; pur tut­ tavia mai non ne era stata fatta menzione dapprima e nessun'altra prova c'era, perché potesse essere attribuito a San Tomaso, se non quella che al principio dell'opera si era trovato scritto il nome di questo grande Dottore. È precisamente il caso del "Trattato della Pietra Filosofale". Il nome di San Tomaso vi si trova scritto per tradizione, e se la prova è sembrata sufficiente dopo più di sei secoli per attribuirgli un manoscritto sconosciuto, a maggior ra­ gione sarà tale per la sua opera alchimistica che ha ben al14

tri antecedenti. Aggiungiamo che nessuno dei trattati ermetici di San Tomaso d'Aquino è stato messo all'Indice dal Concilio di Trento. I due trattati di cui noi pubblichiamo la traduzione italiana, si trovano riuniti al Torno III del Theatrum che­ micum (Argentorati, in 8"., 1613), sotto il titolo generale di: Secreta Alchimiae. Il primo trattato è intitolato De Lapide Philosophico. Si trova anche in parte nelle seguenti edizioni:

- l 0) S. Thomas de Esse et Essentia Mineralium, Vene­ tiis, 1488. Questa edizione, pubblicata un po' più di duecento anni dopo la morte dell'Angelico Dottore e su i prirnordii dell'arte della stampa, prova che la gloria alchimica di lui era già di lunga data e che i manoscritti ne dovevano es­ sere allora molto diffusi.

È questo trattato De Esse et Essentia Mineralium, o secondo altri De Esse et Essentia Metallorum, o ancora De Essentiis Essentiarum, che l'Abate Langlet du Fresnoy non crede autentico, come noi abbiamo veduto più so­ pra. Ma è probabile ch'egli non abbia conosciuto se non queste tre ultime edizioni le quali sono visibilmente mu­ tilate e appaiono quasi come sbozzature della prima cita­ ta. Difatti, mancano in esse il primo e gli ultimi tre capi15

toli che si trovano al Torno III del Theatrum chemicum che noi abbiamo tradotto; inoltre vi si riscontrano nume­ rose varianti.

È incontestabile che questo trattato porta tracce nu­ merose di rimaneggiamenti, così come scorrezioni gran­ dissime. Il testo ne diviene talora così oscuro che si crede­ rebbe scritto cabalisticamente, con tutto che cosi non sia. Noi abbiamo seguito in questa traduzione il testo del Tomo III accordandolo con quello delle altre edizioni e di qualche manoscritto che offre lezioni più corrette, sen­ za lusingarci tuttavia d'aver superato tutte le difficoltà. Per terminare la bibliografia di questo primo trattato, noi sappiamo, per mezzo di un documento segretissimo, che esisteva, nel secolo XVII, una traduzione italiana del­ la parte mutilata di questa opera, che era stata fatta su l'e­ dizione di Venezia, ma che non era stata mai stampata. Era un manoscritto in foglio che si potrebbe trovare og­ gidì in qualche biblioteca privata, se le vicissitudini del tempo lo hanno rispettato. Quanto al secondo trattato che si trova egualmente al Torno III del Theatrum chemicum, intitolato Thesaurus Akhemiae e dedicato al Frate Reginaldo, noi ne conoscia­ mo le edizioni seguenti:

- l 0) Thomae Aquinatis Secreta Alchimiae; Coloniae, 1579. 2°) Id., Secreta Alchimiae, magnalia, 16

m

Lugduni,

senza data. - 3°) Id. Lugduni Batavorum, 1598.

- 4 o) Thomae Aquinatis, Alchirniae magnalia; ltem, Thesaurus Aichimiae, in 8°, Lugduni 1602. Non ritorneremo su gli elogi che Langlet du Fresnoy ha fatto di questo trattato. Esiste ancora un'opera di San Tomaso la cui traduzio­ ne non ha potuto trovar posto in questo libro, ma la sua importanza è minima. Essa è intitolata Liber Lilii bene­ dirti nuncupaturrt, etc. Si tratta di un comentario su una poesia alchimica di 18 versi (Theatrum chemi,cum, Torno IV, pagina 959). È forse questa l'opera di cui il Rev. Padre Del Castagno pos­ sedeva il manoscritto della mano medesima di San To­ maso. Nondimeno, noi crediamo piuttosto che si tratti d'un altra opera oggi andata perduta. Infine, segnaliamo il Comentario su la Torba di cui parla il più volte nominato Langlet du Fresnoy, ma che a ogni modo noi non conosciamo sotto il nome del Dottor Angelico. Prima di imprendere la lettura di questo trattato, ri­ cordiamoci che gli Adepti raccomandano la preghiera e sopra tutto la purezza del cuore. Che gl'increduli mediti­ no su queste parole della Scrittura: 17

Altissimus DE TERRA creavit medicamentum quod sapiens non despiciet (Etti., c. 38, v. 4), alle quali non può darsi che un senso alchimistico. E queste altre: La Sapien­ za ha la lunghezza dei giorni alla sua destra, e alla sua si­ nistra le ricchezze e la gloria. (Proverbii, cap. III, 16). Mi­ rabile definizione della Pietra Filosofale, che è al medesi­ mo tempo, secondo tutti gli autori, una medicina che pro­ lunga la vita e una sorgente inestinguibile di ricchezze, mentre che la scienza che vi conduce è la Sapienza per eccellenza. L'Adepto si ricorderà inoltre che la conoscenza per­ fetta di tutte le combinazioni del Tarocco è necessaria per il compimento dell'Opera. Questo segreto, rinnovato qui per la prima volta dopo tre secoli, si trova contenuto implicitamente nell'opera dal titolo: Il Toson d'oro o il fiore dei tesori, in cui è succintamente e metodicamente trattato della Pietra dei Filosofi, per il grande filosofo Sa­ lomone Trimosino precettore di Paracelso; (Parigi, 1613). Vi si troveranno ventidue figure colorate che rappresen­ tano le ventidue fasi delle sette operazioni principali del­ la trasmutazione. Noi daremo egualmente a meditare le sentenze sim­ boliche che accompagnano le tavole mirabili d'un'opera ermetica quasi sconosciuta, ma la più elevata e la meglio ispirata, forse, che esista. Ars Laboriosa Convertens Humiditate Ignea Metalla. Caliditas Humiditas Algor Occulta Sivitas. 18

Cunctipotens Author Lucis Omnia Regit. Author Mundi Omnipotens Rex. Iticunde Generat Natura Ignea Solis. In Gehenna N ostrae Ignis Scientiae. Aurifica Ego Regina. Album Quae Vehit Aurum. Trium Elementorum Receptaculum Reco ndo Aurifo­ clinam. Separando Venerum Leniter Philosophiis Homoge­ neam Viscositatem Resuscitat. Medicinam Ego Rubeam Creo Universalem Regiam­ que In Utero Soli. Solus Altiora Laboro. Queste sentenze ci dànno, in qualche modo, la chia­ ve assoluta dell'Opera, e noi termineremo augurando al Lettore, come hanno fatto sempre tutti gli Adepti, la più perfetta riuscita nelle loro esperienze, s'essi vorranno porre la loro confidenza e la loro speranza unicamente in Dio.

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C� 1\ .IJ I 1, () LJ () I - DEI CORPI SUPERCELESTI

Aristotele, nel primo libro delle "Meteore", insegna che è bello e lodevole ricercare, per mezzo di profonde investigazioni, la Causa prima che dirige l'ammirabile concerto delle cause seconde; e i saggi, poiché vedono ef­ fetti in tutte le cose, pervengono a scrutarne le cause oc­ culte. Noi vediamo cosi i corpi celesti esercitare una note­ vole azione su gli elementi e per la sola virtu della mate­ ria di un solo elemento, come, per esempio, dalla materia dell'acqua essi possono estrarre le modalità aeriforme e igniforme. Ogni principio naturale di attività produce, nella sua durata di azione, una moltiplicazione di sé stesso, similmente al fuoco che, 21

comunicato al legno, estrae da questo una più grande quantità di fuoco. Noi parleremo dunque degli agenti più importanti che esistono nella natura. I corpi supercelesti si presentano sempre, ai nostri occhi, rivestiti della forma materiale di un elemento, ma non partecipano affatto della materia di questo elemento, e quelle sfere sono d'una essenza molto più semplice e sottile, che le apparenze concretizzate d'esse stesse, le quali noi scorgiamo semplicemente. E Rogerio ha assai bene esposto tutto ciò: Ogni principio di attività, egli dice, esercita là sua azione per la sua propria similitudine, trasformandosi questa ultima allo stesso tempo in princi­ pio passivo ricevitore, ma senza differenziare specificata­ mente dal principio attivo che l'ha generata; per esempio, la stoppa, messa presso il fuoco, in modo che non ne sia a contatto, dal fuoco avrà moltiplicata la sua specie come ogni altro principio di azione, e questa specie sarà molti­ plicata e raccolta nella stoppa, tanto per l'azione naturale e continua del fuoco come per l'attitudine di passività che possiede la stoppa; poi si ,vivificherà fino al compi­ mento completo dell'atto del fuoco. Onde è manifesto che la similitudine del fuoco non è punto differente dal fuoco stesso, in specie. Ma certi principii possiedono una azione specifica intensiva di tal forza ch'essi possono cor­ roborarla con la loro propria similitudine moltiplicando­ si e riformandosi senza interruzione in tutte le cose; cosi il fuoco. Altri, al contrario, non possono moltiplicare la 22

loro specie per similitudine e trasmutare ciascuna cosa in sé stessi: cosi l'uomo. Difatti, l'uomo non può operare per mezzo della moltiplicazione della sua similitudine come opera per mezzo del suo atto proprio, poiché la complessità del suo essere l'obbliga sempre a compiere una pluralità di azio­ ni. È per questa ragione, come lo prova Rogerio nel libro De rulluentiis, che, se l'uomo potesse al contrario produr­ re un'azione possente mediante la sua similitudine, come il fuoco, senza dubbio la sua specie sarebbe veramente un uomo. Conseguentemente, allorché i corpi supercelesti esercitano la loro azione su un elemento, essi operano per loro similitudine e inoltre producono qualche cosa di somigliante a loro stessi e quasi della medesima specie . Dunque, giacché essi producono l'elemento dello ele­ mento e la cosa elementata della cosa elementare, ne consegue necessariamente che vengono a partecipare essi stessi della natura dell'elemento. E, per meglio compren­ dere ciò, occorre osservare che il Sole produce dal Fuoco corpi saturati di acqua urinaria e corpi cristallini sferici. Tu devi sapere anche che ogni principio di attività,

siccome è provato nel libro De Influentiis, moltiplica la sua similitudine secondo una linea perpendicolare diritta e forte, ciò che si vede evidentemente nell'esempio preso della stoppa e del fuoco, che si uniscono dapprima in un punto preso su una linea perpendicolare ideale; ciò che si vede egualmente quando l'urina o il cristallo sono esposti al sole e ricevono l'influenza dei raggi solari che sono la 23

loro similitudine. Se si opera con l'intermediario di uno specchio, allorché il raggio del sole sarà proiettato per­ pendicolarmente, lo si vedrà traversare interamente l'ac­ qua o il corpo trasparente senza rompervisi a causa dello estremo coefficiente della potenza di sua azione; se, al contrario, esso è proiettato in una linea diritta non per­ pendicolare, si romperà alla superficie del corpo, e un nuovo raggio si formerà in una direzione obliqua, tro­ vandosi preso il punto di congiunzione di questi due rag­ gi, su la linea perpendicolare ideale. E questo è il punto dell'energia massima del calore solare, perocché, se vi si metterà della stoppa o altro corpo combustibile, s'infiam­ merà immediatamente. Resulta dunque da tutto ciò che, quando la similitudi­ ne del sole (ovverosia i raggi del sole) è corroborata dal­ l'azione continua del sole medesimo, essa genera il fuoco. Il Sole possiede cosi il principio e le proprietà del Fuoco, come viene provato per mezzo degli specchi ardenti. Questa specie di specchi si costruiscono d'acciaro perfettamente terso, e di tal forma o disposizione che, riunendo il fascio dei raggi solari, essi li proiettano secon­ do una linea unica d'una grande forza incandescente. Si pongono questi specchi presso città o castelli o qualsivo­ glia altro luogo, e si vedrà che qualche cosa prenderà fuo­ co, come lo afferma Atan nel suo libro degli Specchi Ar­ denti.

È manifesto che il Sole e gli altri corpi supercelesti 24

non partecipano in alcuna maniera della materia dell'Ele­ mentale, e di conseguenza sono esenti di corruttibilità di leggerezza e di pesantezza. Qui occorre procedere a una distinzione fra gli ele­ menti: certi son semplici e infinitamente puri, non aven­ do la virtù trasmutatrice necessaria per evolvere fino a un altro piano di modalizzazione, poiché la materia ond'essi sono formati, trovandosi limitata da quella più perfetta forma che a lei stessa possa convenire, .essi non ne desiderano d'altra sorta; e di questi elementi probabil­ mente son formati i corpi supercelesti. Imperocché noi poniamo realmente l'acqua sopra il firmamento e il cristallino. Così possiamo dire altrettanto degli altri elementi; ed è di questi Ele­ menti che sono composti i corpi supercelesti, per la po­ tenza divina o per le intelligenze nelle quali essa si è mi­ nisterializzata. Da questi elementi non possono esser ge­ nerate né la gravità né la leggerezza, perché sono acciden­ ti che non appartengono se non alle terre grossolane e pesanti. TUttavia essi producono il fenomeno della colo­ razione, perché le diversità nella luce sono dovute a un fluido della serie imponderabile. Questi Corpi Supercelesti appaiono in effetto di color dorato, e inoltre scintillano come se siano colpiti essi stes­ si da un raggio di luce, similmente a uno scudo che scin­ tilli e lanci il suo baleno allorché è battuto dai raggi del sole. Gli Astrologi attribuiscono dunque a quesi elementi 25

la causa della scintillazione e del colore dorato delle Stel­ le, come hanno sufficientemente provato !sacco e Roge­ rio nel libro De Sensu; e poiché esse stelle sono generate da certe qualità dei detti elementi, ne consegue che è insi­ to nella natura elementale di possederli. Ma, come questi elementi sono, per lor natura, d'una infinita purità e non mai confusi con alcuna sostanza in­ feriore, accade obbligatoriamente che nei corpi celesti essi devono trovarsi incorporati cosi proporzionalmente che non possono separarsi gli uni dagli altri. Il che non dovrà affatto meravigliare, imperocché, cooperando con la Natura mediante i procedimenti dell'artista, io ho sepa­ rato da me stesso i quattro Elementi di parecchi corpi in­ feriori, al fine di ottenerli ciascuno separatamente, sia il fuoco, sia l'acqua o la terra. Io ho purificato nel miglior modo possibile ciascuno di questi elementi, l'uno dopo l'altro, per mezzo di un'operazione segreta, e dopo ciò, li ho congiunti e ho ottenuto una cosa ammirabile che non era sottomessa ad alcuno degli elementi inferiori, poiché, !asciandola il più lungamente possibile nel fuoco, non ne restava consumata e non subiva alcun cambiamento. N o n ci stupiamo dunque se i corpi celesti sono di una natura incorruttibile, poiché essi sono composti interamente di elementi, e non v'è dubbio che la sostanza da me ottenu­ ta partecipava molto della natura di questi corpi. Ed è per questa ragione che Ermogene, che fu tre volte grande in filosofia, si esprime cosi: Fu per me una alta gioia, a nul­ l'altra eguale, di pervenire alla perfezione della mia ope­ ra e di vedere la Quinta Essenza senza alcun miscuglio 26

della materia degli elementi inferiori. Una parte di fuoco possiede maggior energia poten­ ziale che cento parti di aria, e di conseguenza una sola parte di fuoco può agevolmente domare mille parti di terra. Noi ignoriamo le proporzioni ponderali assolute se­ condo le quali s'opera la miscela di questi elementi; non­ dimeno, per la pratica della nostra arte, abbiamo osserva­ to che, quando i quattro elementi sono estratti dai corpi e purificati ciascuno separatamente, occorre, per operare la loro congiunzione, prendere a pesi eguali l'acqua, l'aria e la terra, e aggiungere soltanto una sedicesima parte di fuoco. Tale composizione è veramente formata di tutti gli elementi, con tutto che le proprietà del fuoco domini­ no ancora su quelle degli altri. Poiché, gettandone una parte su mille di mercurio, si vedrà che si coagula e di­ venta rosso. Ed è perciò evidente che una tale composi­ zione è d'una essenza quasi somigliante a quella dei corpi celesti, imperocché, nella trasmutazione, essa si compor­ ta alla maniera del principio attivo più energico. Ripeteremo dunque, in fine, che siccome dice il gran­ de filosofo Aristotele, è bello e lodevole ricercare, per mezzo di profonde investigazioni, la Causa prima che di­ rige l'ammirabile concerto delle cause seconde, e perveni­ re a scrutarne la forza occulta.

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- DEI CORPI INFERIORI ; DELLA NATURA E DELLE "

PROPRIETA DEI MI NERALI E PRIMIERAMENTE DELLE PIETRE.

Noi tratteremo ora dei corpi inferiori. Ma, poiché questi si dividono in minerali piante e animali, comince­ remo con lo studiare la natura e la proprietà dei Minerali. I Minerali si dividono in Pietre e Metalli. Questi ulti­ mi sono formati secondo le leggi e i medesimi rapporti quantitativi delle altre creature; soltanto la loro costitu­ zione particolare risulta da un più gran numero di opera­ zioni e di trasmutazioni che quella degli elementi o dei corpi supercelesti, poiché la composizione della loro ma28

teria è pluriforme. La materia che compone le pietre è dunque d'una na­ tura assai inferiore, grossolana e impura, e possiede più o meno di terrestreità a seconda del grado di purità della pietra. Come dice Aristotele nel suo libro Delle Meteore (che certuni attribuiscono ad Avicenna), la pietra non è formata di terra pura; si tratterebbe piuttosto di una terra acquosa, cosi che noi vediamo certe pietre formarsi nei fiumi e il sale estrarsi dall'evaporazione dell'acqua salata. Quest'acqua, possedendo molta terrestreità, si coagula sotto una forma pietrificata per il calore del sole o del fuoco. La Materia onde si compongono le pietre è dunque un'acqua grossolana; il principio attivo: il calore o il fred­ do che coagulano l'acqua e ne estraggono l'essenza lapidi­ forme. Questa costituzione delle pietre è provata dall'e­ sempio degli animali e delle piante che risentono la pro­ prietà delle pietre e ne producono essi stessi; il che meri­ ta d'esser considerato con la più grande attenzione. Alcune di queste pietre si trovano difatti coagulate negli animali per l'effetto del calore, e qualche volta pos­ seggono proprietà più energiche di quelle che non pro­ vengono dagli animali e si sono formate secondo la via ordinaria. Altre pietre invece sono formate per l'azione della natura stessa attivata dalla virtu di altri minerali. Im­ perocché, dice Aristotele, si ottiene, col miscuglio di due acque differenti, l'acqua detta "Latte della Vergine" che si 29

coagula da sé stessa in pietra. Cosi, egli continua, se si me­ scola del litargirio, sciolto nell'aceto, con una soluzione di sale alcalino, benché questi due liquidi siano molto chia­ ri, quando viene operata la loro congiunzione, essi for­ meranno immediatamente un'acqua spessa e bianca come il latte. Imbevuti di quest'acqua, i corpi che si vor­ ranno trasformare in pietre, si coaguleranno senza alcu­ no indugio. Difatti, se la calce d'argento o un altro corpo simile è innaffiato di quest'acqua e trattato subito dopo chimicamente con un fuoco dolce, esso si coagulerà. Il Latte della Vergine possiede dunque veramente la pro­ prietà di trasformare le calci in pietre. Noi vediamo in egual modo nel sangue, negli ovi, nel cervello o per i ca­ pelli e altre parti di animali, formarsi delle pietre, d'una efficacia e di una virtù mirabilissime. Se si prende, per esempio, del sangue umano e si lascia putrefare nel leta­ me caldo, per metterlo poi cosi nell'alambicco, esso distil­ lerà un'acqua bianca simile al latte. Se si aumenterà in ap­ presso il fuoco, esso distillerà una sorta di olio. Infine, si rettifichi il fondo che resta nell'alambicco per renderlo bianco come neve. Allora, mescolando con l'olio che gli viene versato sopra, verrà fuori una pietra tersa e rossa, d'una efficacia e d'una virtù assai notevoli per arrestare il flusso del sangue e guarire gran numero d'infermità. Noi ne abbiamo egualmente estratta una dalle piante, col metodo seguente: abbiamo bruciato alcune piante nel fornello di calcinazione, di poi abbiamo convertito questa calce in acqua, l'abbiamo distillata e coagulata; allora essa si è trasformata in una pietra dotata di virtù più o meno 30

grandi a seconda delle virtù delle piante adoperate e della loro diversità. Alcune producono pietre artificiali, le qua­ li, all'esame il più minuzioso, appaiono simili alle pietre naturali; per esempio sono stati fatti giacinti artificiali che non differiscono per nulla dai giacinti naturali, e cos1 pure dei zaffiri con un procedimento identico. Si dice che la materia di tutte le pietre preziose sia il cristallo che è un'acqua con pochissimi caratteri di terre­ streità e coagulata sotto l'azione di un freddo estremo. Si polverizza alquanto cristallo su un piano di marmo; s'im­ beve di acque forti e di dissolventi energici per parecchie volte di seguito, diseccandolo e polverizzandolo di nuovo per inumidirlo ancora coi dissolventi fino a che questa miscela non formi più che un corpo ben omogeneo; essa miscela si mette di poi nel letame caldo nel quale si con­ verte un certo termine in acqua; si distilla questa per chiarificarla e farla volatizzare in parte. Si prende allora un altro liquido fatto di vetriolo rosso calcinato e di orina di bambino; si mescola e si distilla questo liquido col pri­ mo un gran numero di volte e col medesimo sistema, se­ condo il peso e le proporzioni necessarie; si torna a met­ terlo nel letame affinché avvenga più intimamente la mi­ scela, e quindi si coagula chimicamente a fuoco lento. Ot­ terremo così una pietra preziosa simile in tutto al Giacin­ to. Quando si vuol fare un Zaffiro, il secondo liquore deve esser formato di orina e di azzurro invece che di ve­ triolo rosso, e cosi delle altre pietre, secondo la diversità dei colori, l'acqua da adoperarsi dovrà essere della stessa natura della pietra che si vuol generare. Il principio attivo 31

è dunque il calore o il freddo, e sia che il calore sia dolce o che il freddo sia intensissimo, sono sempre essi che estraggono dalla materia la forma della pietra che non esisteva se non in embrione e come sepolta nel fondo dell'acqua. Si possono distinguere nelle pietre, come in tutte le cose, tre attributi, e cioè: la sostanza, la virtu e l'a­ zione. N o i possiamo giudicare le loro virtu dalle azioni occulte ed efficaci che producono, nello stesso modo che giudichiamo le azioni della natura e dei corpi supercele­ sti. Non vi ha dubbio dunque ch'esse possiedano certe proprietà e virtu occulte caratteristiche dei corpi superce­ lesti, e che partecipino della loro sostanza; il che tuttavia non vuol dire ch'esse siano composte della sostanza me­ desima delle stelle, ma che possiedono le virtù eccelse dei quattro elementi, imperocché certe pietre partecipa­ no un poco della complessione delle stelle o corpi super­ celesti, come ho accennato nel trattato di questi corpi. Dopo aver isolato in un corpo qualsiasi i quattro elemen­ ti, io li purificai e, così purificati, li coordinai; raccolsi in tal modo una pietra d'una efficacia e d'una natura così mirabili che i quattro elementi, grossolani e inferiori di nostra sfera, non avevano alcuna azione su essa. Parlando appunto di questa operazione, Ermogene, (il Padre, come lo chiama Aristotele, che fu tre volte gran­ de in filosofia e che conobbe tutte le scienze non solo nel­ la loro essenza ma anche nella loro applicazione) Ermo­ gene, dico, cosi esclama a riguardo di questa operazione: 32

- Oh quale grande felicità per me vedere la Quinta Es­ senza sprovvista delle qualità inferiori degli elementi! Appare dunque, evidentemente, che certe pietre par­ tecipano un poco della Quinta Essenza; la qual cosa ben si manifesta nelle operazioni di nostra arte.

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DELLA COSTI TUZI ONE E DELLA ESSENZA DEI METALLI .

I Metalli sono formati per natura, ciascuno secondo la costituzione del Pianeta che gli corrisponde; ed è così che l'artista deve operare. Esistono dunque Sette metalli che partecipano ciascuno d'un pianeta, e sono: l'Oro che viene dal Sole e che ne porta il nome; l'Argento, dalla Luna; il Ferro, da Marte; l'Argento vivo da Mercurio; lo Stagno, da Giove; il Piombo, da Saturno; il Rame e il Bronzo, da Venere. Questi metalli prendono, per altro, il nome del loro pianeta.

Della Materia essenziale dei Metalli.

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La materia prima di tutti i metalli è il Mercurio. In al­ cuni esso si trova congelato leggermente; in altri forte­ mente. Onde si può stabilire una classificazione dei me­ talli basata sul grado di azione del loro pianeta corrispon­ dente, su la perfezione del loro zolfo, sul grado di conge­ lazione del mercurio e di terrestreità ch'essi possiedono; il che loro assegna un posto in rapporto agli altri metalli. Cosi il Piombo non è se non mercurio terrestre, ov­ vero che partecipa della terra, fievolmente congelato e mischiato con un solfo sottile e poco abbondante; e simil­ mente all'azione del suo pianeta, che è fievole e lontana, esso si trova in un grado di inferiorità rispetto allo stagno, al rame, al ferro, all'argento e all'oro. Lo Stagno è argento vivo sottile, poco coagulato, me­ scolato con solfa grossolano e impuro; per questa cagione esso è sotto la dominazione del rame, del ferro, dello ar­ gento e dell'oro. Il Ferro è formato d'un mercurio grossolano e terre­ streiforme e d'un zolfo terrestre e molto impuro; ma l'a­ zione del suo pianeta lo coagula fortemente. E' perciò che non si trova sopra a lui se non il rame, l'argento e l'o­ ro. Il Rame è formato d'un solfo possente e d'un mercu­ rio molto grossolano. L'Argento è formato di zolfo bianco, chiaro, sottile, non ardente, e d'un mercurio sottilmente coagulato, lim3 J�

pido e chiaro, sotto l'azione del pianeta Lumi. Perciò esso non si trova se non sotto la dominazione dell'oro. L'Oro, in verità il più perfetto di tutti i metalli, è com­ posto d'un solfo rosso, chiaro, sottile, non ardente, e d'un mercurio sottile e chiaro, fortemente messo in azione dal Sole. È per questa ragione che non può essere bruciato dal solfo, come accade per tutti gli altri metalli.

È dunque evidente che si può fare l'oro con tutti que­ sti metalli, e che con tutti, eccetto che con l'oro, si può fare l'argento. Ciò viene provato dal fatto che dalle minie­ re d'oro e di argento si estraggono altri metalli mescolati con marcassiti d'oro e di argento. E nessuno dubita che questi metalli si sarebbero trasformati da sé stessi in oro e in argento se fossero restati nella miniera il tempo neces­ sario perché l'azione della natura avesse potuto manife­ starsi. Quanto al sapere se si può fare artificialmente l'oro con gli altri metalli distruggendo le forme di lor sostanza, e in qual maniera si opera, ne parleremo nel trattato Del­ l'essere e dell'essenza delle cose sensibili. Ma qui noi l'ammettiamo come verità dimostrata.

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- DELLA TRASMUTAZI ONE DEI METALLI E PRI MI ERAMENTE DI QUELLA CHE SI COMPI E PER ARTIFI ZI O.

La trasmutazione dei Metalli può compiersi artificial­ mente cambiando l'essenza d'un metallo con l'essenza di un altro, poiché ciò che è in potenza può, evidentemente, ridursi in atto, come dice Aristotele o Avicenna: gli Alchi­ misti sanno che le specie non possono mai essere trasmu­ tate realmente, ma soltanto allorché è stata operata la ri­ duzione nella materia prima. Ora, questa materia prima di tutti i metalli si avvicina molto, secondo l'opinione dei più, alla natura del Mercurio. Ma, quantunque questa ri­ duzione sia in gran parte opera della natura, pur non è 37

inutile di aiutarla per mezzo dell'arte; ora ciò che non è cosa facile, e appunto accade che, nel fare una simile ope­ razione, si commettono gran numero di errori, e che i più dissipano invano la loro giovinezza e le loro forze, e seducono i re e i grandi con vane promesse che non rie­ scono a mantenere, non sapendo riconoscere i libri erro­ nei e impertinenti, né le false operazioni descritte dagli ignoranti, e in fine non ottengono se non un risultato completamente nullo. Avendo dunque considerato che questi, dopo operazioni minuziose, non erano mai arriva­ ti alla perfezione, io credetti che questa scienza fosse una falsa scienza. Rilessi i libri di Aristotele e di Avicenna, De secretis secretorum, ove trovai la verità talmente velata sotto ogni sorta d'enigmi da sembrare ogni frase vuota di senso; les­ si i libri dei loro contradittori e vi trovai follie simiglianti. Infine considerai i principii della NATURA, e vidi in essi la VIA DELLA VERITA'. Osservai in effetto che il Mercu­ rio penetrava e attraversava gli altri metalli, imperocché, se si spalma un pezzo di rame con argento vivo misto con altrettanto sangue e argilla, questo pezzo di rame sarà pe­ netrato interiormente ed esteriormente, e diventerà bian­ co, con tutto che questo colore non sia durevole. Si sa di già che l'argento vivo si mischia coi corpi e li penetra. Io considerai dunque che, se questo mercurio era ritenuto, esso non poteva più scorrere, e che se avessi potuto tro­ vare un mezzo per fissare la disposizione delle sue mole­ cole coi corpi, ne sarebbe conseguito che il rame e gli al­ tri corpi uniti a lui non sarebbero più cotti da quegli altri 38

corpi che, bruciandoli ordinariamente, non hanno alcuna azione sul mercurio. lmperocché questo rame sarebbe al­ lora simile al mercurio e ne possederebbe le medesime qualità. Io sublimai dunque una quantità di mercurio assai grande perché la fissazione delle sue qualità interne non fossero alterate, ossia perché esso non si sottilizzasse af­ fatto al fuoco. Cosi sublimato, lo feci disciogliere nell'ac­ qua al fine di operarne la riduzione in materia prima, in­ zuppai largamente con questa acqua alquanta calce d'ar­ gento e dell'arsenico sublimato e fissato; poi feci scioglie­ re il tutto in un po' di letame caldo di cavallo; congelai la soluzione e ottenni una pietra chiara come cristallo, avente la proprietà di dividere, di rompere le particelle dei corpi, di penetrarli e di fissarvisi saldamente in tal modo che un po' di questa sostanza gettata su una grande quantità di rame la trasformava immediatamente in un argento si puro che era impossibile di trovarne migliore. Volli anche provare se potevo allo stesso modo converti­ re in oro il nostro solfo rosso. Ne feci allora bollire al­ quanto nell'acqua forte a fuoco lento; quando quest'ac­ qua fu tutta divenuta rossa, la distillai nell'alambicco, e ot­ tenni come risultato, nel fondo della cucurbita, solfo ros­ so puro che congelai con la pietra bianca suddetta al fine di renderla egualmente rossa. Ne gettai poi una parte su una certa quantità di rame, e ottenni dell'Oro purissimo. Quanto al procedimento occulto che usai, io non l'in­ dico che nelle sue linee generali e non lo metto qui affin39

ché nessuno incominci a operare se non quando avrà co­ nosciuto perfettamente i modi di sublimazione, di distil­ lazione e di congelazione, e sarà bene esperto nello sce­ gliere la forma dei vasi e dei fornelli e nel conoscere la quantità e la qualità del fuoco. Ho anche operato allo stesso modo per mezzo del­ l'Arsenico, e ho ottenuto del buon Argento, ma non di perfettissima purezza; ho ottenuto egualmente il medesi­ mo risultato con l'Orpimento sublimato; ma questo me­ todo si chiama trasmutazione d'un metallo in un altro.

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- DELLA NATURA E DELLA PRODUZ IONE D'UN NUOVO SOLE E D' UNA NUOVA LUNA PER LA VI RTU' DEL SOLFO ESTRATTO DALLA PI ETRA MI NERALE

Esiste tuttavia un modo più perfetto di trasmutazio­ ne, il quale consiste nel cambiamento del mercurio in oro e in argento per mezzo dello Zolfo rosso o bianco, chiaro, semplice, non bruciante, come l'insegna Aristote­ le nei Segreti dei Segreti in un metodo vago e confuso, poiché questo è il SEGRETO DEI SAGGI: - La Divina Provvidenza ti consiglia di nascondere il tuo disegno e di compiere il Mistero che io ti esporrò oscuramente, nomi41

nando qualcuna delle cose dalle quali si può estrarre que­ sto principio veramente possente e nobile. Simili libri non sono pubblicati per il volgo ma per gli Iniziati. Se qualcuno, avendo fiducia nelle sue forze, volesse accingersi all'Opera, io lo esorto di non farlo a meno che non sia molto esperto e abile nella conoscenza dei princi­ pii naturali, e che sappia adoperare con discernimento i modi di distillazione, di soluzione, di congelazione e so­ prattutto le diverse specie e gradi del Fuoco. Per altro, l'uomo che vuole effettuare l'Opera per avarizia, non vi perverrà mai. Solamente colui che lavora con saggezza e discernimento, vi perverrà. La pietra minerale, della quale ci si serve per produr­ re questo effetto, è precisamente il solfo bianco o rosso chiaro, che non brucia e che si ottiene con la depurazione e la congiunzione dei quattro elementi. Enumerazione delle Opere Minerali. Prendi dunque, nel nome di Dio, una libbra di questo zolfo; trituralo fortemente su un piano di marmo e imbe­ vilo con una libbra e mezza di olio di oliva purissimo, di quello onde si servono i Filosofi; riduci il tutto in una pa­ sta che metterai in una pentola; così la farai sciogliere al fuoco. Quando tu vedrai salire una schiuma rossa, ritire­ rai la materia dal fuoco e lascerai scendere la schiuma 42

senza cessare di agitare con una spatola di ferro; poi met­ terai nuovamente al fuoco, e così -

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farai più volte fino a che non otterrai la consistenza del miele. Dopo ciò, rimetti la materia sul marmo dove si congelerà subitamente come fosse carne o fegato cotto; tagliala allora a piccoli pezzi della forma e della grandez­ za di un'unghia, e insieme con un peso eguale di quintes­ senza di olio di tartaro, rimettila ancora al fuoco per circa due ore. Racchiudi subito l'opera in un'anfora di vetro ben lu­ tata can il luto di sapienza, che lascerai cuocere a fuoco lento per tre giorni e tre notti. Dopo metterai la anfora e la medicina nell'acqua fredda per tre altri giorni, e taglie­ rai di nuovo a piccoli pezzi l'opera e la metterai in una cucurbita di vetro sopra l'alambicco. Distillerai cosi un'ac­ qua bianca simile al latte, che è il vero "Latte della Vergi­ ne". Quando quest'acqua sarà distillata, aumenterai il fuo­ co e travaserai in un'altra anfora. Prendi dunque a questo punto della aria pura e perfetta, poiché è questa che con­ tiene il fuoco. Calcina nel forno di calcinazione la terra nera che resta nel fondo della cucurbita fino a che diven­ ga bianca come neve; rimettila nell'acqua distillata sette volte, affinché una lamina di rame infocata, smorzata per tre volte, divenga perfettamente bianca. Che si faccia la stessa cosa per l'acqua come per l'aria; alla terza distilla­ zione, troverai l'olio e tutta la tintura simile al fuoco in 43

fondo alla cucurbita. Ricomincerai allora una seconda e una terza volta, e raccoglierai l'olio; subito dopo prende­ rai il fuoco che è in fondo alla cucurbita e che sarà simile a sangue nero e molle; lo distillerai e lo proverai con la lamina di rame come hai fatto con l'acqua; ed ecco ora che tu possiederai la maniera di separare i quattro ele­ menti. Ma il modo di unirli è ignorato da tutti. Prendi quindi la terra e triturala su un piano di vetro o di marmo molto pulito; inzuppala con un peso eguale di acqua fino a formarne una pasta; metti questa in un alambiceo per distillarla col suo fuoco; inzuppa di nuovo ciò che ti resterà nel fondo della cucurbita con l'acqua che avrai distillato fino a che sia completamente assorbi­ ta. Dopo inzuppala d'un'eguale quantità di aria, serven­ doti di questa come ti sei servito dell'acqua, e otterrai una pietra cristallizzata, la quale, gettata in piccola quantità sopra una grande di Mercurio, converte questo in vero Argento. Tale è la virtù del solfo bianco non ardente, for­ mato dei tre elementi: terra, acqua e aria. Se ora prenderai una diciassettesima parte del fuoco e la mescolerai coi tre sopraddetti elementi, distillandoli e inzuppandoli come si è detto, otterrai una pietra rossa, chiara, semplice, non bruciante, della quale, se tu getterai una piccola parte su molto mercurio, questo sarà conver­ tito in Oro obrizzo purissimo. Questo è il metodo per conseguire la Pietra Minerale. 44

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DELLA PI ETRA NATURALE ANI MALE E VE GETALE

Esiste un'altra pietra, la quale, secondo Aristotele, è una pietra e non è una pietra. Essa è allo stesso tempo minerale, vegetale e animale; si trova in ogni luogo e in tutti gli uomini, ed è essa che tu devi far imputridire nel letame e mettere, dopo questa putrefazione, in una cucurbita nell'alambicco; ne estrar­ rai allora gli elementi nella maniera sopraddetta, opere­ rai la loro congiunzione e otterrai una Pietra che non avrà meno efficacia e di virtu. E non stupirti se io ho det­ to di renderla putrefatta nel letame caldo di cavallo, come deve fare l'artista, poiché, se il pane di frumento vi sarà anche messo, dopo nove giorni lo vedrai trasformato in vera carne mista a sangue. È per questa ragione, io cre­ do, che il Signore Iddio ha voluto scegliere il pane di gra45

no preferibilmente a ogni altra materia, imperocché esso forma il nutrimento del corpo più particolarmente di ogni altra sostanza, e perché da esso si possono con gran facilità estrarre i quattro elementi e farne un'opera eccel­ lente. Da tutto ciò che abbiamo detto si deduce che ogni corpo composto può essere ridotto in minerale, non solo per mezzo della Natura ma anche dell'Arte. Sia benedetto Iddio che dette agli Uomini un tal pote­ re, poiché, imitatori della Natura, essi pos sono trasmuta­ re le specie naturali in breve tempo, mentre la Natura in­ dolente non compie il suo lavoro se non dopo lunghissi­ mo termine. Ecco gli altri metodi di trasmutazione dei metalli che si trovano nei "Libri delle Rose", in Archelao, nel settimo libro dei "Precetti" e in diversi altri trattati di Alchimia.

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c: 1\ l) I 'f O IJ () V I I DEL MODO D' OPERARE CON LO SPI RI TO

C'è anche un modo d'operare per mezzo dello spiri­ to; a proposito occorre sapere che esistono quattro sorta di Spiriti, chiamati così perché essi si volatizzano al fuoco e partecipano della natura dei quattro elementi, e cioè: il Solfo che possiede la natura del Fuoco, il Sale ammoniaco, il Mercurio che possiede la proprietà della Acqua e che è pure chiamato "servo fuggi­ tivo", e l'Orpimento o Arsenico che possiede lo spirito della Terra. Certuni hanno operato con l'aiuto di uno di questi spiriti, sublimandoli e convertendoli in acqua, di­ stillandoli e congelandoli; poi, avendoli gettati sul rame, hanno operato la trasmutazione. Altri si sono serviti di due di questi spiriti; altri di tre; altri, infine, di quattro; ed ecco come. 47

Dopo aver sublimato ciascuno di questi elementi se­ paratamente, un gran numero di volte, fino a vederli fis­ sati, e averli distillati e disciolti nell'acqua forte e imbevu­ ti di dissolventi energici, si riuniscono tutte queste acque; si distillano allora e si congelano nuovamente tutte insie­ me, e si ottiene una pietra bianca come cristallo, la quale, gettata in piccola quantità su un metallo qualunque, lo cambia in vera Luna. Si dice generalmente che questa pietra è composta dei quattro elementi a un altissimo grado di epurazione. Altri credono che si debba compor­ re d'uno spirito unito con i corpi; ma io non credo che questo metodo sia buono, e lo credo a ogni modo ignora­ to da tutti, benché Avicenna ne faccia breve menzione nella sua "Epistola". Ciò io proverò quando avrò tempo e luogo necessari.

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C: L\ P I 'r C) Ij () \' l I I - DELLA PREPARAZIONE DEI FERM ENTI DI SATURNO E DI ALTRI METALLI.

Prendi dunque due parti di Saturno (Piombo) se tu vuoi compiere l'Opera del Sole, o anche due parti di Gio­ ve (Stagno) per l'Opera del Sole, o anche due parti di Gio­ ve (Stagno) per l'Opera della Luna. Aggiungi una terza parte di Mercurio al fine di formare un amalgama che sarà una sorta di pietra fragilissima, la quale tu triterai con cura sul marmo inzuppandola di aceto molto forte e di acqua contenente in soluzione del sale comune ben preparato; poi la farai asciugare per tornare a inzupparla, e cosi più volte fino a che la sostanza avrà assorbito il massimo dell'acqua. Allora la imbeverai con acqua d'allu­ me al fine di ottenere una pasta molle che dovrà essere disciolta nell'acqua. Come sarà ben sciolta, distillerai que­ sta soluzione tre o quattro volte, la congelerai e otterrai la Pietra che converte Giove in Luna. 49

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C� 1\ P I 1, () I_j () I X - DEL PROCESSO DI RI DUZI ONE DI G IOVE OVVERO DELL' OPERA DEL SOLE.

Per conseguire l'Opera del Sole, prendi alquanto ve­ triolo depurato, rosso e ben calcinato, e scioglilo nell'uri­ na di bambino. Distilla il tutto, e continua a distillare fin­ ché non avrai ottenuto un'acqua molto rossa. Allora tu mescolerai quest'acqua con l'acqua suddetta prima della " congelazione, mette rai questi due corpi nel letame per qualche giorno affinché essi s'incorporino meglio, e li di­ stillerai e congelerai insieme. Otterrai allora una pietra rossa simile al Giacinto, della quale una parte, gettata su sette parti di Mercurio o di Saturno ben depurato, si cam­ bierà in Oro obrizzo. 51

Si trovano in altri libri gran copia di altre operazioni, esposte con infinita confusione, che, certamente, non possono se non indurre gli uomini in errore, e delle quali non mette conto parlare. Non è stato per cupidità che io ho parlato della Scien­ za, ma al fine di riconoscere gli effetti mirabili della Na­ tura e ricercarne le cause, non solamente generali, ma an­ che speciali e immediate, non solamente accidentali ma anche essenziali, cosi come della separazione degli ele­ menti dei corpi. Questa Opera è proprio vera e perfetta, ma essa esige molto lavoro, e io soffro tanto dell'imperfezione del mio corpo, che non tenterei d'imprenderla se non spinto da pressante necessità. Ciò che ho detto qui dei minerali è ampiamente sufficiente.

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- DELLE TRE RACCOMANDAZI ONI AL FRATE REG I NALDO.

Per le tue preghiere assidue, mio carissimo fratello, io mi propongo di descriverti in questo mio breve tratta­ to, diviso in otto capitoli, certe regole semplici ed efficaci per le nostre operazioni, e insieme il segreto delle veritie­ re tinture; ma prima vorrò indirizzarti tre raccomanda­ Ziom. La prima: non prestare attenzione alle parole dei Fi­ losofi moderni o antichi, che hanno trattato di questa scienza, poiché l'Alchimia consiste interamente nella ca­ pacità dell'intendimento e nella dimostrazione sperimen­ tale. I Filosofi, volendo nascondere la verità delle scienze, hanno parlato quasi sempre figuratamente. 54

La seconda: non apprezzar mai e non stimare la plu­ ralità delle cose né le composizioni formate di sostanze eterogenee, imperocché la Natura non produce niente se non per similitudine, e benché il cavallo e l'asino produ­ cano il mulo, pur questa non è una generazione imper­ fetta, come quella che può effettuarsi per il caso eccezio­ nalmente con parecchie sostanze. La terza: non essere indiscreta, ma sorveglia le tue parole e, come un figlio prudente, non gettar le perle ai porci. Tieni sempre presente, nella tua mente, il fine per il quale tu hai impreso l'Opera. Ritieni per certo che, se non dimenticherai mai queste regole che a me furono date dal Grande Alberto, non sarai costretto ad andar mendi­ cando presso i re e gli altri grandi della terra, ma, al con­ trario, i re e i grandi ti copriranno di onori. Tu sarai am­ mirato da tutti, servendo con questa Arte i re e i prelati, perocché, non solamente tu potrai sovvenire ai loro biso­ gni, ma ancora riuscirai a recar soccorso a tutti gli indi­ genti, e ciò che tu darai cosi, varrà quanto una preghiera nella Vita Eterna. Che queste regole s1eno dunque ben custodite nel profondo del tuo cuore, sotto un triplice suggello inviola­ bile, imperocché nell'altro mio libro, fatto per il volgo, io ho parlato da filosofo, mentre in questo, confidando nel­ la tua discrezione, ho rivelato segreti d'importanza gran­ dissima. 55

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C: i\ J) I rr O 11 () I I - DELL' OPERAZI ONE.

Come l'insegna Avicenna nella sua epistola al re Assa, noi cerchiamo di ottenere una sostanza veritiera per mezzo di parecchie intimamente fissate; la quale sostan­ za, essendo messa nel fuoco, lo mantiene e lo alimenta; e che sia inoltre penetrativa e che tinga il mercurio e gli al­ tri corpi; tintura realissima avente i pesi richiesti e sor­ passante per eccellenza tutti i tesori del mondo. Per fare questa sostanza, come dice Avicenna, occor­ re aver molta pazienza, nessuna fretta, e gli istrumenti necessan. Molta pazienza, poiché, secondo Geber, la precipita­ zione è opera del Diavolo; perciò colui che non ha molta pazienza, deve tralasciare un simile lavoro. Nessuna fretta, perché in qualsiasi azione naturale ri57

sultante dalla nostra arte, il modo e il tempo sono rigoro­ samente determinati. Gl'istrumenti necessari non in gran numero, come si vedrà in appresso, poiché la nostra Opera si compie per mezzo di una cosa, di un vaso, di una sola via e di una sola operazione, secondo l'insegnamento di Ermete. E' permesso formare la medicina con diversi princi­ pii agglomerati; nondimeno non c'è bisogno di materie e di cose estranee, se non del fermento bianco o rosso. Tutta l'Opera è puramente naturale; basta osservare i diversi colori a seconda del tempo in cui appaiono. N el primo giorno, occorre levarsi la mattina di buon'ora e vedere se la vigna è fiorita e si trasforma in te­ sta di corvo. Poi essa passa per diversi colori tra i quali oc­ corre notare il bianco intenso, poiché è questo appunto che noi aspettiamo e che rivela il nostro Re, cioè l'elisir o la polvere semplice che ha tanti nomi per quante sono le cose del mondo. Ma per spiegarmi in poche parole, la nostra materia, o magnesia, è l'Argento vivo preparato con l'orina d'un fanciullo di dodici anni, appena emessa, e che non è stato mai adoperato per la Grand'Opera. Si chiama volgar­ mente Terra di Spagna o Antimonio. Ma nota bene che io non intendo parlare del mercurio comune onde si serve qualche sofista, e che non mena se non a un risultato me­ diocre, nonostante le grandi spese a cui dà occasione; per 58

il che, se tu avessi voglia di lavorare con simil gente, ma­ lamente perverresti alla verità dopo interminabili cotture e digestioni. Segui dunque piuttosto Alberto Magno bea­ tissimo, mio maestro, e lavora con l'argento vivo minera­ le, imperocché in lui solamente è il segreto dell'Opera. Poi tu opererai la congiunzione delle due tinture, bianca e rossa, provenienti dai due metalli perfetti che, soli, dàn­ no una tintura perfetta; il mercurio non comunica questa tintura se non dopo averla ricevuta; perciò, mescolandoli tutt'e due, si mescoleranno meglio con esso e lo penetre­ ranno più intimamente.

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C= i\ IJ i rr C) I_J C) I I I DELLA COMPOSI ZI ONE DEL MERCURI O E DELLA SUA SEPARAZI ONE.

E quantunque l'Opera nostra si compia per mezzo del solo nostro Mercurio, occorre nondimeno servirsi del fermento rosso o bianco. Esso si mescola allora più facil­ mente col Sole e la Luna, poiché questi due corpi molto partecipano della sua natura e sono anche più perfetti de­ gli altri. La ragione n'è che i corpi sono più perfetti a se­ conda della quantità di mercurio che contengono. Cosi il Sole e la Luna, contenendone più che gli altri, si mischia­ no al rosso e al bianco e si fissano nel fuoco, perocché è il solo Mercurio che rende perfetta l'opera; in esso noi tro­ viamo tutto ciò che ci manca per la nostra opera, senza aver bisogno di aggiungervi altro. Il Sole e la Luna non sono a lui estranei, perché essi 60

sono ridotti, al cominciamento dell'Opera, nella loro ma­ teria prima, ovvero nel mercurio. Essi hanno dunque da lui l'origine. Alcuni si sforzano di compiere l'Opera per mezzo del solo mercurio o della semplice magnesia; lavandoli nel­ l'aceto molto forte, cocendoli nell'olio, sublimandoli, bru­ ciandoli, calcinandoli, distillandoli; estraendo in fine la loro quintessenza e mettendoli alla tortura e a una infini­ tà di altri supplizi per mezzo degli elementi. Credono cosi che la loro operazione sarà di gran profitto mentre invece non arrivano che a un tenue risultato. Ma credi a me, figlio mio, tutto il nostro Mistero con­ siste solamente nel regime e nella distribuzione del Fuo­ co e nella direzione intelligente dell'Opera. N o i non avremo che poco da fare. È la virtù del fuoco ben diretto che influisce su la nostra opera, senza che noi dobbiamo lavorare, né molto spendere, poiché io sup­ pongo che, quando la nostra opera fosse nel suo stato pri­ miero, cioè: "Prima Acqua" o "Latte della Vergine", o "Coda del Dragone", e fosse ben disciolta, allora essa si calcina, si sublima, si distilla, si riduce, si lava, si congela da sé stessa, e, per la virtu del fuoco ben proporzionato, si compie in un vaso unico senza alcuna altra operazione manuale. Sappi dunque, figlio mio, come i Filosofi hanno par­ lato figurativamente delle operazioni manuali, e affinché tu sia ben sicuro della purgazione del nostro mercurio, lo 61

te ne insegnerò la semplice operazione. Prendi dunque del Mercurio minerale o Terra di Spagna, o Antimonio, o Terra nera, che non sia stato mai adoperato dapprima in alcun'altra opera. Prendine venti­ cinque libbre, o poco più, e falle passare attraverso un panno di lino non tanto lento; questo è il vero lavaggio. Guarda bene, dopo l'operazione, se restano nel panno sporcizie o scorie, perché, in questo caso, il mercurio non potrà essere adoperato nella nostra opera. Se niente appa­ re, tu puoi giudicarlo eccellente. Ricordati che non occor­ re aggiungere altro a questo mercurio e che l'Opera cosi può essere compiuta.

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C� 1\ IJ I 1, () Ij () I V DEL MODO DI FARE L'AMAL GAMA.

Poiché la nostra opera si compie per mezzo del solo mercurio senza l'aiuto di alcun'altra materia straniera, io qui tratterò brevemente della maniera di fare l'Amalga­ ma. La quale operazione è molto mal compresa dalla maggior parte dei Filosofi che credono che l'Opera possa compiersi per mezzo del solo mercurio senza essere per­ tanto unito alla sua sorella o compagna. Ti dico dunque con tutta sicurezza che tu devi lavora­ re col mercurio unito al suo compagno, senza aggiungere alcun'altra materia di sorta estranea al mercurio; e sappi che l'Oro e l'Argento non sono per nulla estranei al Mer­ curio, ma al contrario partecipano della sua natura più che tutti gli altri corpi. Ed è perciò che, ridotti nella loro primitiva natura, si chiamano "sorelle" o "compagne" del 63

Mercurio, poiché della loro composizione e della loro fis­ sazione risulta il "Latte della Vergine". Se tu comprenderai chiaramente tutto ciò e non ag­ giungerai nulla di estraneo al mercurio, sii certo che arri­ verai a conseguire la effettuazione de' tuoi voti.

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(� A P I 'f () L () \1 DELLA COMPOSI ZI ONE DEL SOLE E DEL MERCURI O.

Prendi il sole comune ben depurato, cioè cotto al fuo­ co, donde deriva il fermento rosso; prendine due once e taglialo in piccoli pezzi con le pinzette; aggiungi quattor­ dici once di mercurio che esporrai al fuoco in una tegola concava, poi sciogli l'oro agitandolo con una bacchetta di legno. Quando sarà ben sciolto e mischiato, metti il tutto nell'acqua chiara, in una scodella di vetro o di pietre, lava­ lo e nettalo più volte fino a che nell'acqua non appaia più alcunché di nero; allora, se tu ti metterai in ascolto, senti­ rai la "voce della tortora" in questa nostra terra. Quando dunque l'acqua apparirà purificata, metti l'amalgama in un pezzo di cuoio ben ,legato nella sua parte superiore, in forma di sacco; poi premi fortemente perché essa pas­ si a traverso. Quando due once saranno state così spinte fuori, le quattordici che restano nel cuoio sono atte a es65

sere adoperate per la nostra operazione. Sta' ben accorto di non estrarne se non due once giuste, né più né meno. Se ve ne sono di più, togli; se ve ne sono di meno, aggiun­ gi. E queste due once così spremute, che sono chiamate "Latte della Vergine", le serberai per la seconda operazio­ ne. Travasa ora la materia in un vaso di vetro e metti questo vaso nel fornello più sopra descritto. Poi, accesavi una lampada sotto, mantienila sempre viva con tutto ar­ dore, giorno e notte. Che la fiamma sia interamente rac­ chiusa e che avvolga l'atanòr il quale sarà ben fissato sul fornello e b en lutato col luto di sapienza. Se, dopo un mese o due, tu potrai osservare i fiori splendenti e i colori principali dell'Opera, cioè il nero, il bianco, il giallo citrino e il rosso, allora senza alcun'altra operazione delle tue mani, per la direzione del Fuoco soltanto, ciò che era manifesto, sarà, e ciò che era nasco­ sto, sarà manifesto. Così è che la nostra materia perviene da sé stessa all'elisir perfetto, convertendosi in una polve­ re sottilissima chiamata a terra morta" o "uomo morto nel sepolcro", "magnesia secca"; questo spirito è nascosto nel sepolcro, e l'anima ne è quasi separata. Quando ventisei settimane saranno trascorse dal giorno in cui ebbe principio l'Opera, allora ciò che era grosso diventerà sottile, ciò che era rude diventerà molle, ciò che era dolce diventerà amaro, e per la virtu occulta del Fuoco la conversione dei principii sarà compiuta. 66

Allorché le tue polveri saranno completamente asciutte e tu avrai finito queste operazioni, di cui ben ti ho parlato, tu tenterai, figlio mio e fratello mio dilettissi­ mo, la trasmutazione del Mercurio. In seguito ti insegnerò le due altre operaz10m, con ogni massima chiarezza, poiché tu devi sapere che una parte della nostra opera non può trasformare se non sette parti di mercurio ben depurato.

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C� l-\ P i rf () lJ C) V I DELL'AMALG AMA I N B IANCO.

Deve eseguirsi il medesimo metodo per ottenere il fermento bianco o fermento della Luna. Si mescola que­ sto fermento bianco con sette parti di Mercurio ben puri­ ficato, come si è fatto per il rosso. Poiché nell'opera in bianco, non entra nessun'altra materia che il bianco, e nell'opera in rosso nessun'altra materia che il rosso; simil­ mente, la nostra acqua, divenendo rossa e bianca a secon­ da del fermento usato e del tempo occorso per l'opera, si può tingere il mercurio in bianco, come è stato fatto per il rosso. Notiamo inoltre che l'argento in fogli è più utile qui dell'argento in verghe, poiché il primo si lega più facil­ mente al mercurio, e si deve amalgamare col mercurio freddo e non caldo. Qui, molti hanno errato volendo 68

sciogliere la loro amalgama nell'acqua forte per purificar­ la, mentre, se avessero esaminato la natura e la composi­ zione dell'acqua forte, avrebbero riconosciuto ch'essa non può se non distruggere l'amalgama. Altri, volendo la­ vorare con l'oro o con l'argento secondo le regole di que­ sto libro, errano con l'affermare che il sole non ha umidi­ tà, e lo fanno sciogliere nell'acqua corrosiva, poi lo lascia­ no digerire in un vasello di vetro ben chiuso per qualche mese; ma vale meglio al contrario che la Quintessenza sia estratta per la virtu del fuoco sottile in un vaso di cir­ colazione chiamato a causa di ciò "Pellicano". Il Sole minerale, cosi come la Luna, ha anche in sé tante immondizie che la sua purificazione è necessaria, e non è per nulla un lavoro di donna o un gioco di fanciulli. Invece, la dissoluzione, la calcinazione e le altre operazio­ ni per il conseguimento della Grand' Opera sono un lavo­ ro d'uomini gagliardi.

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DELLA SECONDA E DELLA TERZA OPERAZIONE.

Questa prima parte terminata, procediamo al compi­ mento della seconda. Occorre aggiungere sette parti di mercurio al corpo ottenuto nella nostra prima opera, chiamato, "Coda di Dragone" o "Latte della Vergine". Fa' passare il tutto attraverso il cuoio e serbane sette parti; lava e poni il tutto nel vaso di ferro, poi nel fornello come hai fatto la prima volta, e vi metterai il medesimo tempo, o press'a poco, fino a che la polvere sia di nuovo formata. Dopo ciò, raccoglierai questa polvere e la trove­ rai molto più fina e sottile della prima, poiché essa è più digerita. Una parte ne tinge sette volte sette in Elisir. Procedi allora alla terza operazione, come hai fatto 70

per la prima e per la seconda; aggiungi ai pesi della pol­ vere ottenuta nella seconda operazione sette parti di mer­ curio depurato, e mettilo nel cuoio in tal modo che ne re­ stino sette parti del tutto, come più sopra. Fa' cuocere il tutto di nuovo, riduci in polvere sottilissima, la quale, se sarà gettata sul mercurio, ne tingerà sette volte quaranta­ nove parti, ciò che fa trecento quarantatré parti. La ragio­ ne n'è che più la nostra medicina è digerita, più essa di­ venta sottile; più essa è sottile e più è penetrante; più essa è penetrante e più materia trasforma. Per finire, ricordati bene che, se non si ha del mercu­ rio minerale, si può indifferentemente lavorare col mer­ curio comune. Quantunque quest'ultimo non abbia il medesimo valore del primo, pure può dare un buon pro­ fitto.

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C: i\ P i rr C) lj C) V I I I - DELLA M ANI ERA DI LAVORARE LA M ATERI A O M ERCURI O.

Passiamo ora alla tintura del Mercurio. Prendi una coppella d'orefice e intonacane un po' l'interno con gras­ so, e mettivi la nostra medicina secondo la proporzione richiesta; il tutto a fuoco lento; e quando il mercurio co­ mincia a fumare, getta la medicina racchiusa in cera ver­ gine o in carta, e prendi un grosso carbone infocato, spe­ cialmente preparato per quest'uso, e mettilo nel fondo del crogiolo; poi fa' cuocere a fuoco violento, e allorché il tutto sarà liquefatto, gettalo in un tubo spalmato di gras­ so, ed ecco avrai dell'Oro o dell'Argento finissimi, secon­ do il fermento che avrai adoperato. Se tu vuoi moltiplicare la medicina, opera col letame di cavallo secondo il modo che ti ho insegnato oralmente, 72

come tu sai, e che non voglio scrivere, perché è peccato rivelare questo segreto agli uomini del secolo, che ricer­ cano la Scienza piuttosto per vanità che per fine di bene e per l'omaggio dovuto a Iddio nostro Signore, al quale glo­ ria e onore siano nei secoli dei secoli. Amen! Nota bene che io ho sempre veduto compiere dal Beatissimo Alberto Magno quest'opera la quale ora ho descritto in stile volgare, per mezzo della Terra di Spagna o Antimonio; ma io ti consiglio di non imprendere che il Piccolo Magistero da me brevemente qui esposto, nel quale non è alcuno errore, e che si compie con poca spe­ sa, poco lavoro e poco tempo. Allora tu arriverai all'inten­ to. Ma, o Frate Reginaldo, mio carissimo fratello, non imprendere giammai il Gran Magistero, poiché, per la tua salute e per il dovere della predicazione del Nostro Signore Cristo Gesu, tu devi piuttosto agognare le im­ mense ricchezze e la gloria della Vita Eterna, che i beni terrestri e temporali. Qui finisce il Trattato di Frate Tomaso D'Aquino, del­ l'Ordine dei Predicatori del Santo Domenico, su la molti­ plicazione alchimica, dedicato al suo diletto fratello e amico in Gesù Cristo, il Frate Reginaldo, per il Tesoro se­ gretissimo.

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