Tommaso d’Aquino: il futuro del pensiero cristiano
 8804434236,  9788804434238

Table of contents :
Perché un libro su Tommaso dAquino filosofo ..............7
imperatore re conti monasteri e liberi ..............44

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Antonio Livi TOMMASO D'AQUINO Il futuro del pensiero cristiano

MONDAD ORI

Il nostro indirizzo Internet è http:/www.mondadori.com/libri © 1997 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano I edizione Leonardo saggistica novembre 1997

ISBN 8 8-04-43423-6

TOMMASO D'AQUINO

Ringrazio il dottor Paolo Carlani, dell'università Lateranense, per la attenta revisione delle bozze e ancora di più per i preziosi sugge­ rimenti che mi ha fornito durante la redazione di questo libro.

Prologo

Perché un libro su Tommaso d'Aquino filosofo

Se Tommaso fosse vivo Marx è morto (non ci si crede più, non lo si discute nemmeno, non suscita entusiasmi né avversione: non "parla " ) e prima di lui era morto Hegel assieme a Giovanni Gentile e agli ultimi crociani. Comunismo e fascismo, in filosofia, non sono più vi­ vi. Kant, invece, è vivo e operante (tutto l'Ottocento e tutto il Novecento, sia in Europa sia in America, sono un concerto di variazioni sui temi kantiani) . Heidegger è vivissimo, e grazie a lui è vivo anche Nietzsche ( quello che proclamò: «Dio è mor­ to! » ) . Sono vivi e "parlano" ancora persino alcuni antichissi­ mi filosofi: Parmenide, Platone� Aristotele. Tommaso d' Aqui­ no, invece, è come se non fosse mai esistito: non che sia morto, non è proprio mai veramente vissuto nella vita filosofica di og­ gi, almeno in Italia; ma è in buona compagnia: nemmeno il grande Plotino (che ha riempito di sé la tarda antichità e poi tutto il Medioevo, e il Rinascimento e il Romanticismo tede­ sco) è ora conosciuto, studiato, compreso se non da pochi, iso­ lati specialisti. l Tommaso d'Aquino è in Italia, oggi, non una "voce" viva del dibattito filosofico ma un semplice nome, e per di più un nome che evoca un "Medioevo teologico" (secondo la fortu­ nata espressione di Alessandro Ghisalberti), che per molti è come dire una cultura ierocratica e superstiziosa, un'epoca di fanatismo bellicoso (le Crociate) e di sterili discussioni metafisiche (la Scolastica) . Tutti sanno certamente che Tom­ maso - un teologo santo, che la Chiesa ha proclamato "dot­ tore comune" , cioè universale- ha anche sviluppato una sua 7

originale e coerente filosofia, per cui dovrebbe interessare gli storici della filosofia e i filosofi di professione, se non altro perché da Tommaso ha preso l'avvio una scuola filosofica il tomismo - che, con alterne vicende, non ha mai cessato di esistere e che dunque vanta ben sette secoli di vita. I cattoli­ ci, poi, non possono ignorare che da Leone XIII in poi la Chiesa ha raccomandato lo studio della filosofia «secondo il metodo e i principi di Tommaso » . Nonostante ciò - o forse proprio per il carattere tradizionalista e " ufficiale" assunto dal tomismo tra Ottocento e Novecento - pochi in Italia si interessano della filosofia tommasiana, e pochissimi hanno letto qualche pagina delle sue opere. Nella scuola italiana, nell'elenco dei "classici" da leggere per integrare lo studio storico della filosofia, Tommaso compare certamente, ma non è quasi mai scelto dai docenti di storia e filosofia, che si limitano a far leggere Platone (sempre) , Aristotele (qualche volta) e magari anche Agostino, ma non Tommaso. È questo il motivo per cui di Tommaso le persone colte, e anche nu­ merosi filosofi di professione, ripetono stereotipi moltO\su­ perficiali e spesso anche del tutto falsi, come quello per cui Tommaso avrebbe "battezzato" Aristotele, costruendo così una filosofia subordinata alla teologia ("philosophia ancilla theologiae"), priva pertanto di autonomia scientifica e di in­ teresse critico per l'uomo di oggi. Sono esattamente le mede­ sime false nozioni storiografiche contro le quali combatteva Gilson agli inizi del Novecento: la verità, evidentemente, tar­ da a farsi strada. Luoghi comuni, stereotipi, ignoranza dei testi e del conte­ sto storico spiegano questa lacuna nella cultura filosofica del Novecento italiano (dico " italiano" perché altrove alcuni in­ tellettuali laici hanno studiato e fatto conoscere Tommaso negli ambienti culturali più influenti: così in Francia lo stori­ co della filosofia Étienne Gilson dell' Académie française e il filosofo della politica Jacques Maritain, autore di Humani­ sme intégral; così in Inghilterra lo scrittore Gilbert K. Che­ sterton e il presidente della British Academy, Sir Anthony Kelly; così in Germania il filosofo moralista Josef Pieper e ne­ gli Stati Uniti il filosofo sociale Alasdair Maclntyre). Ma, sic­ come è una lacuna che non giova al prestigio della cultura italiana né favorisce lo sviluppo della ragione critica, è quan8

to mai necessario riscoprire la figura e il pensiero di Tomma­ so, e per questo ritengo utile ora ricordare con la massima oggettività gli elementi biografici e dottrinali che sostanziano la proposta filosofica del grande pensatore medioevale, rin­ tracciandone l'eredità nelle vicende del pensiero occidentale dal Duecento ai nostri giorni. Perché Tommaso è davvero, per gli storici della filosofia e per i cultori della filosofia teoretica, una figura con cui occor­ re assolutamente confrontarsi. Se Heidegger lo avesse cono­ sciuto, se si fosse confrontato con lui, ben diverso sarebbe stato il suo giudizio sulla storia del pensiero occidentale e ben diverse sarebbero state le sue proposte teoretiche (come ve­ dremo alla fine, pp. 1 92-95 ) . Se Emanuele Severino lo avesse compreso (perché, conoscerlo, l'ha conosciuto bene alla scuola di Gustavo Bontadini nei lunghi anni passati all'uni­ versità Cattolica di Milano), non potrebbe essere così chiuso nel suo monismo razionalistico che esclude il divenire, la creazione, Dio.2 Se Edmund Husserl avesse seguito la strada del collega Franz Brentano ( buon conoscitore di Tommaso) , l a scuola fenomenologica non avrebbe avuto l a sola eccezio­ ne di Edith Stein nella via del recupero di un vero realismo metafisica (si veda, più avanti, pp. 1 62-65). Se i fautori del "pensiero debole" o "postmetafisico" si confrontassero con la metafisica non razionalistica di Tommaso, non avrebbero come unica alternativa il sistema idealistico con la sua inne­ gabile vocazione alla violenza totalitaria.

Come Tommaso faceva filosofia Non si può separare un sistema di pensiero dalla personalità del suo autore. Personalità e pensiero si illuminano a vicen­ da. Questo vale per tutti i pensatori (basti citare Platone, Aristotele, Plotino, Descartes, Spinoza, Kant, Hegel) , ma va­ le ancora di più per i massimi pensatori cristiani, Agostino e Tommaso. Quest'ultimo, in particolare, ci ha lasciato un pa­ trimonio dottrinale, una mole di scritti che ha del prodigio­ so, ma soprattutto uno spirito, una mentalità, un modo di vedere e di dire le cose che oltrepassano i limiti del suo tem­ po. L'Aquinate è grande per ciò che ha detto, ma ancora più 9

grande per il modo e il motivo per cui l'ha detto. Additare Tommaso come maestro significa essenzialmente additarne lo spirito e il metodo, chiave del progresso autentico del sa­ pere filosofico di oggi. Più importante di quanto ha scritto è il suo atteggiamento spirituale, il "perché", l'intentio pro­ fundior con la quale ha studiato la verità umana e rivelata. La sua validità è dovuta principalmente alle disposizioni in­ teriori che animano la sua ricerca. Come dice bene Luigi Bo­ gliolo, lo spirito del tomismo è realismo, vale a dire: non idealismo, non astrattismo, non apriorismo, non razionalismo, non si­ stematismo, non chiusura mentale, non verità confezionata in formule umane irreformabili. Realismo significa accettazione della verità rivelata dalla realtà delle cose e della fede, signifi­ ca ascoltarla con pienezza di disponibilità interiore, nella co­ scienza sempre viva della profondità che essa contiene e della perenne inadeguatezza dell'espressione umana a esprimerla tutta, un vivo senso della storicità del vero, frutto di collabo­ razione di tutta l'umanità . . . Realismo significa vivo senso di una verità sempre in crescita, non in se stessa,- ma nel suo rapporto con l'uomo: una verità che si sviluppa con la storia del singolo, non meno che con la storia dell'umanità e della Chiesa.3

Questo principio della verità umana e cristiana in continuo sviluppo vitale, Tommaso lo esprime bene con l'immagine del germe che si espande fino a divenire albero maestoso, quasi riecheggiando la parabola evangelica del granello di senapa, delineando insieme il principio dello sviluppo storico della fi­ losofia e del dogma cattolico. L'atteggiamento spirituale di Tommaso nello studio della verità ha uno dei suoi aspetti più affascinanti in quell'avverbio «quodammodo)) continuamente adoperato e che esprime così bene il suo esprit de finesse, l'assenza di boria intellettuale:4 uno spirito in cui emergeva una piena armonia delle virtù umane e cristiane, un pieno equilibrio, un assoluto domÌ1J.io interiore della ragione sulla sensibilità e sul sentimento, un eroismo in atto dell'uomo e del cristiano nella ricerca del vero. La scelta della vita religiosa in un ordine mendicante rivela subito un'indole indipendente, anticonformista, ribelle al be10

nessere sociale di cui godeva la sua famiglia. In tale disposi­ zione rimarrà sempre, anche quando, ormai celebre, saprà opporre un netto rifiuto alla proposta di diventare arcivesco­ vo di Napoli. D'altra parte, la quantità e la qualità dei suoi scritti testi­ moniano una straordinaria forza di volontà, i cui segni alcuni studiosi credono di poter scorgere persino nell'illeggibile gra­ fia (tormento dei paleografi ) , nella violenta rapidità di una scrittura che sfuma al massimo le sagome dei segni grafici, quasi per lasciare libero sfogo all'impeto dell'ispirazione che urge dentro. Il rigoroso controllo dell'espressione e la serena compostezza dello stile, allo stesso tempo, rivelano l'ascetico dominio della sua emotività, l'ansia di non ostacolare il gra­ duale e paziente disvelamento della verità. Ma l'opera di Tommaso non è solo un miracolo di volontà; è più ancora un miracolo di carità. Forse pensava proprio a sé quando scrive­ va: .3 Ma, in concreto, in che cosa consisteva questa crisi? In primo luogo, è necessario ricorda­ re che il Sacro Romano Impero, sorto con il re franco-germa­ nico Carlo Magno nel secolo IX, da allora in poi era stato in­ cessantemente assediato dall'Islam e minacciato dalle orde asiatiche (il 1241 è l'anno della provvidenziale disfatta dei mongoli a Liegnitz) , e di conseguenza la cristianità del Due­ cento è fortemente condizionata dal fatto di riconoscersi mi­ noranza in mezzo a uno sconfinato mondo non cristiano. L'Oriente pagano, ricco di cultura e di scienza, preme inces­ santemente alle frontiere, e non soltanto quelle geografiche. Nel cuore dell'Asia, nel Karakorum, verso il 1 253-54, alla corte del gran khan si svolge un dibattito celebre tra due frati francescani e alcuni religiosi maomettani e buddisti. Forse in questo caso si può parlare, come è stato fatto, di un compito missionario intrapreso quasi per sbaglio; ma, in ogni caso, nel Duecento la cristianità si vede sfidata ben oltre le sue frontiere geografiche. Già da quattro secoli il mondo islami­ co, che aveva invaso l'Europa, si era imposto non soltanto per il suo potere militare e politico, ma anche per la sua filo­ sofia e la sua scienza che, per mezzo delle traduzioni dalla lingua araba a quella latina, si erano installate in buona parte nel cuore della cristianità, per esempio nell'università di Pari­ gi, dove poi troveremo Tommaso d'Aquino. È anche vero che questa filosofia e questa scienza non erano propriamente di origine e di carattere islamici; trasmettevano piuttosto l'anti­ ca sapienza greca, soprattutto quella di Aristotele, penetrata nel mondo intellettuale dell'Europa cristiana attraverso vie politico-militari; ma in ogni modo rappresentano per l'Occi18

dente cristiano soprattutto qualche cosa di strano, di nuovo, di pericoloso, in quanto "pagano" . Nello stesso tempo la cri­ stianità del Duecento subisce in politica un radicale perturba­ mento, entrando definitivamente « in una età in cui cessa di essere una unità teocratica>>;4 basti ricordare che nel 1 2 1 4 per la prima volta un re di quelle che saranno poi le nazioni europee vince niente di meno che l'imperatore nella battaglia di Bouvines. Nello stesso periodo iniziano le guerre di religio­ ne dentro la stessa cristianità, e furono guerre combattute con inimmaginabile crudeltà; con l'eresia degli albigesi (cata­ ri e valdesi) per alcuni decenni il cattolicesimo romano sem­ brò avere perduto definitivamente il Sud della Francia e il Nord dell'Italia. L'antico monachesimo, considerato come baluardo spirituale, sembrava aver perduto anch'esso gran parte della sua forza come istituzione, considerato cioè nella sua totalità, malgrado tutti gli eroici tentativi di riforma ( Ciuny, Citeaux ecc. ) . E per ciò che si riferisce ai vescovi, un rispettabile priore domenicano belga ( forse condiscepolo di Tommaso durante il tirocinio a Colonia presso Alberto Ma­ gno) poté scrivere il seguente apologo: nel 1 248 a Parigi un chierico doveva predicare davanti al sinodo dei vescovi, e mentre stava cercando un argomento appropriato, gli appar­ ve il demonio che gli disse: > di Aristotele. Nel 1 270 inoltre, il vescovo di Parigi, Étienne Tempier, dichiarò incom­ patibili con l'ortodossia tredici proposizioni averroiste, di cui la prima dice: «L'intelletto di tutti gli uomini è uno solo e identico di numero>> . Le discussioni che seguirono furono violentissime, e sfociarono nella dichiarazione pronunciata dallo stesso Tempier nel 1 277 (tre anni dopo la morte di Bo­ naventura e dello stesso Tommaso) contro 2 1 9 proposizioni riguardanti l'insegnamento di certi maestri della facoltà delle arti, fra cui appunto Sigieri e poi anche Boezio di Dacia ( di 32

cui si ignorano le date di nascita e di morte), anch'egli rap­ presentante della corrente averroista. Nell'elenco delle posi­ zioni condannate, oltre alle tesi degli averroisti, figuravano però anche diverse tesi dello stesso Tommaso. Il decreto si­ gnificò quindi una reazione globale contro l'aristotelismo da parte della corrente teologica tradizionale, di ispirazione ago­ stiniana, che in esso vedeva un pericolo per la fede. Sembra che Sigieri, in seguito alle critiche di Tommaso e alla condanna ecclesiastica, abbia poi modificato le sue posi­ zioni fino ad avvicinarsi notevolmente, per quanto riguarda il problema dell'intelletto, alle posizioni tomiste. Sottoposto a processo, sarà assolto dall'accusa di eresia e morirà a Orvieto verso il 1284, pugnalato dal suo segretario, improvvisamente impazzito. Dante lo porrà in Paradiso, accanto ad altri spiriti illustri, quale rappresentante della grande filosofia aristoteli­ ca: « Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, l è 'l lume d'u­ no spirto che 'n pensieri l gravi a morir li parve venir tardo: l essa è la luce etterna di Sigieri, l che leggendo nel Vico delli strami [università di Parigi], l sillogizzò invidiosi veri " .2o La teoria della doppia verità, attribuita a Sigieri, verrà poi effet­ tivamente sostenuta nel Trecento da Marsilio di Padova e nel Quattrocento da Pietro Pomponazzi.

La filosofia francescanà: Bonaventura da Bagnoregio

Il più grande e il più vicino dei d ottori contemporanei di Tommaso fu Giovanni Fidanza (chiamato poi Doctor se­ raphicus per la sua ardente pietà), il quale nacque a Civita di Bagnoregio presso Viterbo il 1 2 1 8 , o, come altri vogliono, il 1 2 1 7. Narra egli stesso come da bambino, caduto vittima di un morbo mortale, sia stato guarito istantaneamente da Francesco d'Assisi, il quale con un segno di croce gli avrebbe augurato ogni bene con le parole latine Bona ventura, sicché il ragazzo da allora fu chiamato Bonaventura. Entrato nel­ l'ordine del Poverello d'Assisi, compì gli studi a Parigi, ove in seguito svolse il magistero di teologia, ostacolato dai maestri secolari, che non ammettevano il pubblico insegnamento da parte dei frati, ritenendolo incompatibile con i fini ascetici 33

professati da francescani e domenicani. Dopo lunghe lotte la controversia fu risolta in favore dei religiosi, per l'energica difesa oltre che di Bonaventura da Bagnoregio anche di un al­ tro giovane frate italiano dell'ordine dei domenicani, Tom­ maso d'Aquino (vedi più avanti, pp. 77-85 ) . Bonaventura, fedelissimo allo spirito del fondatore France­ sco d'Assisi, visse però una vita intellettuale ed ebbe cariche ecclesiastiche che il Poverello non aveva -':llai voluto per sé. Fu eletto generale del suo ordine e poi scelto da papa Gregorio X come cardinale e vescovo di Ostia e Anzio ( 1 273); parte­ cipò ai lavori del concilio di Lione e lì morì nel 1 274, lo stes­ so anno in cui morì l'amico Tommaso d'Aquino, ma qualche mese dopo di lui (che, proprio per l'improvvisa e misteriosa morte, non era potuto giungere a Lione) . Tra le sue opere ri­ cordiamo: i Commentarii in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi, ove sviluppa il pensiero del suo maestro Alessandro di Hales; il Breviloquium o piccola somma teolo­ gica; il trattato De reductione artium ad theologiam (sulla teologia come causa e fine ultimo dell'unità delle scienze), l'1tinerarium mentis in Deum e altre opere che sviluppano il contenuto di quelle citate; il suo orientamento, sulla base di una visione metafisica-teologica della realtà, è nel Duecento l'espressione migliore dell 'agostinismo antiaristotelico (nel­ l'ultima opera, le Collationes in Hexaemeron del 1 273, Bo­ naventura critica direttamente le tesi di Aristotele sul mondo e sull'uomo).

Metafisica e teologia Il medioevale, in quanto medioevale cristiano, è convinto di pensare con Agostino; e con Agostino il medioevale incentra la propria problematica sul binomio Deus et anima.21 Tutta­ via, come abbiamo visto, dagli inizi del Duecento è entrato nell'Occidente cristiano Aristotele con la sua metafisica ra­ zionale, diventata razionalistica con Averroè; il medioevale sa di dover fare i conti con Aristotele, che sarebbe appunto " il Filosofo " , di fronte al "Teologo" (Agostino). Aristotele è il filosofo di un filosofare precristiano ed extracristiano, ado­ perabile anche come anticristiano; il medioevale è più o me34

no perplesso di fronte all'aristotelismo, ma non può non ci­ conoscerne il valore, così come riconosce valore a un platoni­ smo vagamente conosciuto attraverso testi neoplatonici e agostiniani. Tommaso crederà di potere e di dover assumere elementi e strutture dal filosofare di Aristotele; invece Bona­ ventura crede di potere e di dovere rimanere nell'universo di discorso di Agostino, pur valorizzando nella propria teoresi elementi e suggestioni del filosofare aristotelico o aristoteliz­ zante. Giustamente osservava a questo proposito Giovanni Di Napoli: Bonaventura è un pensatore francescano, e lo è non solo e non tanto per la sua appartenenza all'ordine di frate Francesco, di cui egli è stato generale per diciassette anni, ma per la peculia­ rità del suo spirito e del suo modo di pensare. Bonaventura non disdegna l'astratto, ma all'astratto preferisce il concreto; non ignora e non mortifica il concetto, la precisazione razio­ nale, ma dà la maggiore importanza all'afflato volontaristico, allo slancio affettivo, alla portata pratico-vitale di ogni posi­ zione ideale; non condanna e non svaluta la ricerca e lo studio del reale, ma predilige il divenire nella storia e della storia; di qui la sua poca tenerezza per una pura elaborazione concet­ tuale, in forma di scolasticismo asettico e agnostico; in lui Pa­ rigi non uccide certo Assisi, sibbene, se da una parte Assisi è integrata da Parigi per essere pip autenticamente e feconda­ mente se stessa, Parigi viene redenta dalla mera accademicità e dalla astratta razionalità sistemante.22

Tra il Duecento e il Trecento, la scuola francescana prose­ guirà con Giovanni Duns Scoto su questa linea volontaristica e di predilezione per il concreto. Bonaventura delinea una metafisica nella quale domina la distinzione tra l'uno, cioè Dio, e il molteplice, inteso come complesso di creature individue e distinte ma contingenti e li­ mitate, nelle quali si manifesta la vita, la sapienza, la bontà e l'amore di Dio, come luce che Dio stesso vi imprime creando­ le (le rationes semina/es di Agostino, che a sua volta aveva derivato questa nozione dagli stoici, attraverso i neoplatoni­ ci). L'attività di questa luce costituisce la forma della materia, o meglio l'individuazione cosmica e umana degli enti, ciascu­ no dei quali tende ad attuare la massima perfezione di cui la 35

sua essenza è capace, secondo la triplice attività della stessa luce divina insita nel creato, e cioè secondo l' actus essendi,

1'actus appetendi, 1'actus efficiendi.

Dio è presente in ogni intelletto Quindi Dio è l'essere per eccellenza; da buon francescano, Bonaventura ha un particolare amore per la natura, anche quella materiale, poiché tutto l'universo è manifestazione evi­ dente dell'esistenza di Dio; ma, oltre a questa evidenza di ca­ rattere estrinseco, Bonaventura, analogamente ad Agostino e ad Anselmo, insegna che Dio è presente in ciascun essere, specialmente nell'anima umana, secondo quella luce di cui si è parlato: > .23 Così si intende la sua piena concordanza con Anselmo; ambedue ritengono comune a tutti la nozione di Dio, e pole­ mizzano con coloro che negano la sua esistenza dimostrando 36

loro che tale negazione è l ogicamente impossibile, una volta ammessa la nozione di D io: > argomenta il santo francescano, nessuna proposizione è più vera di quella che ha come predi­ cato lo stesso soggetto; ora, quando si dice > . l 7 Per quanto riguarda i l terzo gruppo, sono da segnalare il commento ai quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo e i commenti critici a tutte le opere di Aristotele, Boezio, Pseudo-Dionigi e all'opera anonima chiamata Liber de causis (che nel Medioevo era attribuita ad Aristotele, mentre si trat­ ta di uno scritto neoplatonico); infine, altre opere di grande importanza , riguardanti di nuovo il primo gruppo, sono i due opuscoli De principiis naturae e De ente et essentia, e inoltre il Liber de veritate catholicae (idei (detto poi Summa 61

contra genti/es) il De aeternitatae mundi, il De unitate intel­ lectus, il De substantiis separatis, il De regimine principum e il Compendium theologiae.

Il capolavoro: la "Summa theologiae " Le opere di Tommaso sopra elencate non possono essere clas­ sificate distinguendo rigidamente tra opere filosofiche, teolo­ giche e didattiche, poiché in ognuna di esse si trova la tratta­ zione del sapere sia filosofico sia teologico. L'opera poi che riassume e approfondisce genialmente tutta la sua produzio­ ne in una sintesi nuova e tuttora insuperata per la sua organi­ cità e completezza è la Summa theologiae, la cattedrale di cri­ stallo, come è stata definita. La " summa " è un genere letterario assai diffuso ai tempi di Tommaso: si conoscono, fra le altre, la Summa theologica di Alessandro di Hales, la Summa aurea di Guillaume d'Auxerre, a parte la notissima Summa Sententiarum di Pietro Lombardo. Tommaso d'Aqui­ no aggancia saldamente la filosofia alla teologia, in una vi­ sione unitaria che esprime. l'universalità e quindi l'attualità perenne del pensiero cristiano. Fu scritta > , 65

come diceva Aristotele. Sembra accertato che Tommaso ab­ bia scritto questo trattato di sintesi filosofica all'inizio del suo insegnamento nell'università di Parigi. Tolomeo di Lucca dice che Tommaso lo compose , per i confratelli e i compagni di scuola, prima di essere maestro. Bernardo Guido colloca l'opuscolo tra quelli che Tommaso scriveva «ad instantiam diversarum personarum» , come risposta alle richieste che gli giungevano da diverse persone. Tutto ciò sta a indicare che non fu scritto come lavoro di scuola, come lezione universitaria, ma come servizio agli universitari per lo studio personale. Lo scopo più immediato di Tommaso è presentare una sin­ tesi della discussione sull'ente e l'essenza. Questi sono i primi elementi del pensiero umano, quelli che sorreggono tutti gli altri. L'opuscolo cerca una fondazione metafisica e una visio­ ne globale della realtà, visione che sembra necessaria a Tom­ maso come preparazione per una più profonda comprensio­ ne delle verità proposte dalla rivelazione cristiana. Il testo riflette anche le scelte filosofiche che Tommaso ha operato al­ l'inizio del suo ufficio di teologo: chi deve parlare di Dio ha bisogno di parlare anche dell'ente e dell'essenza. Il trattato costituisce una novità non soltanto perché è una delle prime opere di Tommaso, ma anche perché è una delle prime sintesi di filosofia cristiana. Le circostanze storiche hanno favorito la nascita del trattato. La data di composizio­ ne ci risulta ancora imprecisa. Avendo avviato l'insegnamen­ to di filosofia come maestro sentenziario nel 1 252 presso la cattedra retta dal domenicano Elia Brunet de Bergerac, Tom­ maso tiene le sue lezioni sul testo di Pietro Lombardo e ne scrive il commento: Scriptum super Sententiis. Dal 1 252 al 1 256 svolge questo ruolo di commentatore con totale dedi­ zione. Alla fine di questo periodo è nominato, dopo grandi lotte di potere all'interno dell'università, reggente della catte­ dra di teologi a . Il trattato è scritto prima di questa data, conformemente alla testimonianza esplicita di Tolomeo da Lucca. Tommaso fa un discorso filosofico sul fondamento del no­ stro sapere, ossia sui principi dai quali la ragione umana deve procedere. I principi sono decisivi nel processo verso la verità per la quale è data all'uomo l'intelligenza. La conoscenza del66

la verità sull 'ente è il necessario punto di partenza della filo­ sofia . Tutto il sapere umano dipende da ciò che si sa intorno all'ente. Di ogni ente conosciuto la mente individua l'essenza, significata nel linguaggio con i concetti. Nell'ente finito (cioè, limitato) i modi di essere sono due, la sostanza e l'accidente. La maggior parte del trattato studia l'essenza dell'ente visto nella sua d imensione sostanziale. Pa rtendo dalle sostanze composte di materia e forma, quelle a noi più note, Tommaso giunge alle sostanze semplici, quali sono l'anima umana, gli angeli o sostanze separate, e Dio. L'ascesa intellettuale verso la realtà trascendente di Dio partendo dai dati dell'esperienza costituisce il nucleo del trattato. Da questo vertice raggiunto con la sola ragione Tommaso discende attraverso i vari gradi dell'essere, fondando la molteplicità degli enti sostanziali. Il concetto di ente si risolve nel concetto di atto. Soltanto l'esse­ re assoluto (Dio) è atto puro, mentre gli enti partecipano del­ l'atto e hanno una certa composizione con la potenza, e alcu­ ni anche con la m ateria, che è una specie determinata di potenza . L' uomo viene visto da Tommaso come l'ente che sta al centro di questo grande orizzonte dell'essere, tra il vertice dell'essere puro che è Dio, e la base della materia prima, che è pura potenza. L'uomo partecipa dello spirito per l 'anima, e della materia per il corpo. Tommaso cita i testi della tradizione filosofica, comincian­ do da Platone e da Aristotele, ma interviene anche con le sue intuizioni metafisiche. Il pensiero di Aristotele è come la base della tradizione, ma il discorso si snoda in un riferimento co­ stante ai filosofi arabi, tra i q uali soprattutto Avicenna e Aver­ roè. Le fonti neoplatoniche sono rappresentate dal Liber de causis, come vedremo meglio più avanti (pp. 1 35-37). L'opuscolo giovanile prende già posizione nelle questioni radicali della filosofia. Nel corso della sua vita Tommaso svi­ lupperà in modo più preciso queste prime intuizioni, restan­ do però fedele ai punti di partenza: composizione di materia e forma nell'ente cosmico e quindi nell'uomo, unicità della forma sostanziale nel composto, composizione di atto e po­ tenza in tutte le creature, semplicità entitativa in Dio come Essere assoluto e puro atto, partecipazione graduale di que­ sto principio nella scala ordinata degli enti, analogia dell'en­ te, linguaggio umano come segno dell'ente nella misura in cui 67

lo si conosce. E mentre presenta questo sviluppo della verità, Tommaso si preoccupa di denunciare gli errori che la defor­ mano: la concezione averroista dell'intelletto separato e uni­ co e l'ilemorfismoi9 universale insegnato da Avicebron.

La polemica contro l'aristotelismo spurio

Oggi sembra accertato che Tommaso abbia scritto l'opuscolo

De unitate intellectus a Parigi nell'anno 1 270, prima del 1 0

dicembre, data della condanna di tredici proposizioni d a par­ te del vescovo Étienne Tempier, le cui prime due sono materia di questo testo. Che Tommaso non faccia menzione di un ta­ le documento è prova della sua anteriorità. Egli si trovava per la terza volta a Parigi dove aveva fatto ritorno nel 1 269. In precedenza aveva insegnato nell'università di Parigi fino al 1 259. Aveva conosciuto le lotte universitarie contro i frati e preso parte attiva nella difesa contro gli attacchi da parte dei maestri secolari. La sua promozione alla cattedra era stata lenta e difficile proprio per quella accanita opposizione. Dal 1 259 era stato di nuovo in Italia svolgendovi una costante at­ tività dottrinale al servizio dell'ordine e della Chiesa. L'obbe­ dienza lo portava di nuovo a Parigi per l'insegnamento della teologia, appunto in quell'anno 1 269. Al suo arrivo, l'univer­ sità si trova in una crisi profonda. La crisi procede dalla fa­ coltà delle arti. Questa facoltà si è sviluppata in modo sor­ prendente a partire dal 1 250. La crescita è qualitativa. Il fattore decisivo è stato l'introduzione dei testi di Aristotele come base dell'insegnamento. La condanna che pesava su questi libri dal lontano 1 2 1 5, anche se in parte rinnovata da Urbano IV nel 1 263 con la proibizione di insegnare la dottri­ na dei libri natura/es, non aveva sortito alcun effetto pratico. Sui libri di Aristotele si era formata una nuova generazione di giovani maestri. Dal 1 265 comincia a spiccare tra questi Si­ gieri di Brabante, polemista instancabile. Ci sono attorno a lui altri maestri, come Boezio di D'a cia e Berniero di Nevilles. Mentre la facoltà di filosofia cresce, si sente diminuire il ruo­ lo della facoltà di teologia. Bonaventura da Bagnoregio ha la­ sciato l'insegnamento nel 1 257 (cfr. pp. 33-34). Restano sulla cattedra Gerard de Abbeville, Robert de la Sorbonne, Pierre 68

de Tarentaise, successore di Tommaso fino al 1 264, ed Étien­ ne Tempier, vescovo di Parigi dal 1 26 8 , che diventerà celebre per le condanne dottrinali del 1 270 e del 1 277. La prima è pronunciata quando Tommaso si trova a Parigi. Al suo arri­ vo lo sviluppo della facoltà delle arti attira l'attenzione di tut­ ti. La crisi è arrivata alle soglie della facoltà di teologia, per­ ché si diffondono dottrine che a volte sono in contrasto con la fede. Questo avviene in modo palese intorno ai temi di an­ tropologia. I giovani professori seguono i filosofi, anzitutto Aristotele e il suo commentatore Averroè. La documentazio­ ne storica in proposito è ancora scarsa, e il documento di maggior rilievo è proprio l 'opuscolo di Tommaso, che fra l'altro è il primo a parlare degli aristotelici parigini designan­ doli come averroisti. Nel prologo egli accenna a questa situa­ zione critica degli studi a Parigi e afferma che da un certo tempo si sono moltiplicati coloro che accettano l'interpreta­ zione di Averroè sulla dottrina di Aristotele riguardo all'intel­ letto umano. Fra i maestri della facoltà delle arti non c'era ancora l'abitudine di pubblicare le lezioni, ma si usavano le reportationes, ossia le note prese dagli studenti. Nelle mani di Tommaso è capitato uno di questi scritti provenienti dai professori. Forse non si tratta di lezioni, ma di incontri in cir­ coli più ristretti. Questo è deducibile da ciò che Tommaso di­ ce alla fine dell'opuscolo, quando fa l'analisi critica di alcuni pensieri dello scritto e muove '"a ll'autore l 'accusa di parlare « in angulis et coram pueris» , ossia quasi in segreto, negli an­ goli, davanti agli inesperti. La questione presentava due versanti: quello della fede e quello della ragione. Sostenere che esiste un solo intelletto come unico soggetto spirituale di tutta l'umanità implicava negare la spiritualità (e quindi la libertà e l'immortalità) del­ l'anima dei soggetti singoli, per i quali tutto finirebbe con la morte del corpo, il che comporta l'abolizione dell'intero ordi­ ne morale, come osserva espressamente l'Aquinate nel proe­ mio richiamandosi ai suoi scritti precedenti sullo stesso argo­ mento. Si tratta di un errore > , ossia degli angeli della teologia cristiana, come afferma esplicitamente l'opuscolo fin dal titolo: De substantiis separatis seu de Angelorum natura. L'opuscolo, lasciato purtroppo incompleto, si interrompe al capitolo 20 nell'edizione leonina; esso si divide in due parti. La prima inizia passando in rassegna le opinioni degli «anti­ chi filosofi » , a cominciare da Talete, sulla natura degli spiriti puri. Il posto d'onore appartiene a Platone e Aristotele, di cui 72

si espongono i punti in cui convengono (cap. 3 ) e quelli in cui differiscono (cap. 4), ma il protagonista dell'opuscolo è il fi­ losofo arabo-ebreo Avicebron, caposcuola dei fautori dell'ile­ morfismo universale nell'opera Fons vitae, allora largamente diffusa nell'ambiente dei teologi di Parigi (capp. 5-8), seguito da Avicenna (cap. 1 0), dai platonici (cap. 1 1 ) e da Origene (cap. 1 2 ) . La seconda parte tratta anzitutto della creazione divina tanto nelle sostanze materiali quanto in quelle spiri­ tuali (cap. 1 8 ), della loro natura, cioè assoluta spiritualità (cap. 1 9) ; segue la loro distinzione in > poco felici, ma accetta la dialettica platonica della partecipazione, pur integrandola con le nozioni aristoteliche di atto e di potenza. Già i neoplatonici greci e arabi avevano parlato di un accordo (symphonia) di Platone e Aristotele, ed è ciò che espressamente fa anche l'Aquinate nella prima parte 73

del trattato, lì dove troviamo il sorprendente titolo: De con­ venientia positionum Aristotelis et Platonis, mai prima ap­

parso nelle sue opere. E si tratta di punti capitali. I due massi­ mi pensatori dell'antichità vanno anzitutto d'accordo là dove si tratta « del modo di esistere » delle sostanze spirituali, in quanto tutte, essendo enti per partecipazione, derivano dal primo Ente per essenza, o «altissimo Iddio>> secondo Platone, come anche afferma Aristotele nella Metafisica. Convengono anche nella «condizione propria della loro natura >> , cioè di spiriti puri i quali però sono composti come enti di atto e po­ tenza. Infine ambedue ammettono la Provvidenza divina uni­ versale, poiché non solo Platone ma anche Aristotele pone il «Bene sommo come il solo Signore e sovrano>> . Si può osser­ ·vare subito che in questa tesi è Platone a dominare, mentre Aristotele viene citato dopo con un etiam. Nel capitolo 4 in­ vece sono elencati i punti di divergenza, ma si tratta di aspet­ ti secondari dei due sistemi: una conclusione questa che Tom­ maso giustifica come il risultato di varie letture; per Fabro si tratta di « un'evoluzione che è forse un evento unico nella sto­ riografia medioevale, al quale finora poco si è badato » .23 Nei capitoli seguenti l'Aquinate rivendica il secondo capo­ saldo della sua metafisica, ossia la « spiritualità assoluta >> de­ gli enti spirituali, con una polemica serrata agli argomenti del Fons vitae di Avicebron, già indicato come il vero responsabi­ le dell'ilemorfismo universale, teoria che i suoi fautori vole­ vano attribuire ad Agostino, cosa che l'Aquinate nega risolu­ tamente. In tempi recenti gli studiosi di Tommaso rivolgono la loro attenzione con preferenza a questo trattato che non è più ope­ ra di un principiante in filosofia che ha bisogno di citare altri, o si limita a una sola questione, benché fondamentale, ma ap­ partiene al pensatore maturo, in pieno possesso del metodo e del proprio pensiero. Oggi il trattato suscita interesse come uno dei documenti di maggior valore, non soltanto per la solu­ zione del problema che propone, ma anche per la visione d'in­ sieme del pensiero filosofico e per l'ermeneutica storica fatta da Tommaso. In realtà, come sostiene Abelardo Lobato, «è uno dei capolavori del pensiero dell'Aquinate » .24 A giudicare dal titolo potrebbe sembrare che si affrontino soltanto questioni teologiche di scarso interesse filosofico. In 74

realtà, le sostanze separate sono di grande importanza per la conoscenza del nostro universo. A coloro che dicevano che l'uomo, essendo mortale, non deve avere cura se non delle cose dei mortali, Aristotele rispondeva che dobbiamo trovare il tempo di occuparci di ciò che di divino e immortale, per quanto piccolo e nascosto, è presente in noi per il fatto di es­ sere uomini e di avere intelletto, poiché sapere un poco delle cose profonde e superiori vale più che sapere molto delle cose banali. Per Tommaso è valido questo stesso criterio di verità. La verità si identifica con l'essere. Perciò la conoscenza delle sostanze separate, per quanto limitata, può risultare vera­ mente utile per l'uomo. Sostanza separata è anche Dio e la conoscenza di Dio è decisiva per l'umana esistenza . In questo terzo opuscol o filosofico, dunque, Tommaso parla anche di Dio, ma il suo oggetto non è espressamente Dio. La ricerca è incentrata sugli enti spirituali che sono tra l'uomo e Dio. In nessun'altra opera come in questo trattato della maturità Tommaso ha fatto un discorso filosofico di ca­ rattere storico, con l'analisi delle fonti. Il giudizio degli studiosi sul testo è altamente positivo. Pos­ siamo raccoglierne alcune testimonianze. Étienne Gilson - il più grande storico della filosofia medioevale - lo ritiene •• un'opera di ricchezza storica incomparabile » , 2s sia per l'ar­ gomento sia per l'uso delle fonti della tradizione. Per Esch­ mann •• è uno dei più importanti �critti di metafisica dell'A­ quinate » . 26 Henle, lo studioso del pensiero neoplatonico nell'opera di Tommaso, pensa che il trattato è •< la più bella sintesi della dottrina platonica che si trovi in tutto il corpus tomistico >> Y Cornelio Fabro mette in risalto l'importanza della partecipazione e della causalità nelle formulazioni pre­ cise e dense del testo. Per Dondaine, Tommaso va molto al di là delle circostanze che hanno dato origine storica al volume. Infine Lescoe, che ne ha fatto un'edizione critica, una versio­ ne in inglese e alcuni studi di rilievo, afferma che tra le opere minori di Tommaso > ; ! il che si comprende pienamente se si considera, con lo stesso Tommaso (ma è ciò che pensavano anche Platone, Aristotele e Platino), che « quasi tutta la ricerca filosofica si orienta alla conoscenza di Dio » . 2 Su questa base teocentrica della filosofia nella sua dinamica sapienziale si spiega la grande apertura mentale di Tommaso nei confronti della filo­ sofia di tutti i tempi: da quella dei pagani a quella degli ebrei, dei musulmani e degli stessi cristiani di altre scuole. Come scriveva Toccafondi, Tommaso ha sempre presente che, es­ sendo la conoscenza intellettiva umana essenzialmente di­ scorsiva, 78

sarebbe ingenuo pretendere l'uniformità di pensare filosofica­ mente con un unico sistema e seguendo un'unica via. Ma sem­ pre respinge l'eclettismo, mira decisamente alla sintesi del sa­ pere, sempre raggiungibile tesoreggiando la verità, che nei suoi molteplici aspetti non manca di rilucere negli innumere­ voli e a volte anche più disparati modi umani di concepire. Il che richiede appunto la necessità di passare al vaglio con criti­ ca costruttiva le varie asserzioni. E questo vaglio è dato dai primi principi della ragione, ai quali l'uomo tanto istinriva­ mente (spinto dalla natura), quanto filosoficamenre (convinto dalla loro perspicua ed irresisti bile evidenza ) , immobiliter adhaeret. E in tal modo l'Aquinate invariabilmenre si compor­ ta in tutte le questioni che tratta, dove non si contenra di ne­ gare semplicemente ciò che altri affermano o viceversa, ma dà sempre le ragioni più profonde così delle proprie come delle altrui affermazioni o negazioni, e quando è in tema di vere opinioni, discutendole e rilevandone il pro e il contro con in­ vidiabile liberalità e rara equanimità .3

All'analisi che l'Aquinate conduce intorno alla logica e alla storia del pensiero appare fondamentale una distinzione di carattere sia teoretico sia pratico: la distinzione fra recta ra­ tio e fides. E perché tale distinzione sia storicamente inequi­ vocabile, Tommaso distingue la produzione filosofica precri­ stiana da quella che segue l'avvento del cristianesimo, in quanto la prima è frutto della sol à. ragione, mentre la secon­ da è opera della ragione illuminata dalla Rivelazione e so­ praelevata dalla grazia. Con questa distinzione Tommaso si inoltra nell'esplorazione del pensiero precristiano sintetizzan­ do le tappe più importanti che la ragione ha raggiunto con i pensatori classici. Attraverso l'esame dei luminari del pensie­ ro antico, vede nell'opera di Aristotele lo sforzo massimo e il risultato più alto che la ragione abbia mai raggiunto; il siste­ ma aristotelico gli si presenta come il più omogeneo e il più perfetto, in quanto la filosofia successiva (ellenismo, neopla­ tonismo, pensiero romano e pensiero islamico), pur avendo avuto grandi pensatori, non ha espresso verità tali da supe­ rarlo. È comprensibile dunque che Tommaso, impegnato a individuare criticamente la natura, il valore e la funzione del­ la ragione, consideri Aristotele la fonte più autorevole, l'ar­ gomento più probante del valore della ragione umana. 79

La creatività di Tommaso Dal primo momento del suo arrivo alla cattedra, Tommaso ha lasciato trasparire le doti del suo genio. Il suo insegna­ mento era originale, creativo, da maestro. La creatività di Tommaso era palese. Parlando di lui, Guglielmo di Tocco in un solo paragrafo (come a bbiamo visto a p. 6 0 ) ha messo ben otto volte l'aggettivo "nuovo" . La novità era caratteristi­ ca del professore Tommaso. Il suo successo scolastico suscita­ va non solo l'ammirazione dei discepoli, ma anche la curio­ sità e una certa emulazione dei colleghi fin da quando si trovava nella comunità di San Giacomo di Parigi. In questa metà del Duecento, quando Tommaso sale alla cattedra parigina, si possono cogliere i frutti di un lento lavo­ ro di penetrazione della filosofia pagana nelle scuole. Aristo­ tele è entrato dappertutto, nonostante alcuni divieti ecclesia­ stici, mitigati al tempo da Gregorio IX. Il pensiero filosofico come tale (anche non direttamente funzionale alla teologia) ha suscitato interesse. Sono proprio i teologi i primi a occu­ parsi delle opinioni filosofiche, a studiare i nuovi libri che vengono tradotti dall'arabo in latino nei grandi centri di To­ Iedo e Palermo. Aristotele acquista la più grande autorità in filosofia, è il Filosofo. Accanto a lui suscita interesse il pen­ siero dei commentatori arabi, Avicenna e Averroè, e di alcuni ebrei come Avicebron. La facoltà delle arti di Parigi riceve un grande incremento dalle opere dei filosofi, che diventano te­ sto per la scuola. L'insegnamento sui libri di Aristotele ha rin­ novato la filosofia a Parigi. Nelle lezioni di teologia, quando Tommaso commenta le Sentenze, non può non chiamare in causa, ogni volta che Io richieda la questione, il pensiero dei filosofi. E Io stesso fanno altri maestri, come Bonaventura, in quanto eredi di una tradizione che si è incrementata con il tempo. Peraltro, nello stesso ordine dei frati predicatori la filosofia, quando Tommaso inizia il suo insegnamento, aveva già acqui­ stato il suo diritto di cittadinanza. Nelle costituzioni del 1 22 8 era ancora vietato ai frati l'uso dei libri dei filosofi; poi però l 'influsso di Alberto di Colonia, forse il primo che comprese a fondo la situazione culturale dell'Occidente, fu decisivo. Al­ berto concepì un piano di riforma degli studi, perché anche i 80

cristiani di Occidente dovevano conoscere il Filosofo. Il suo programma mirò a introdurre Aristotele nelle scuole: > . Quanto a Tommaso, la sua costruzione metafisica presenta novità notevoli rispetto ad Aristotele, il quale non ha concepito l'essere intensiva­ mente, come una realtà a sé stante, bensì come un atto che accompagna una realtà determinata e in particolar modo la sostanza. L'essere (ente), per Aristotele, ha come analogato principale la sostanza e non l'actus essendi sic et simpliciter o l'esse ipsum subsistens. Ma Tommaso è originale anche ri­ spetto a Platone e ai platonici: infatti, pur facendo proprio il concetto di partecipazione e l'iter speculativo dell'exodus e del reditus, egli non li applica all'Uno, alla Verità, alla Bontà e alla Bellezza come avevano fatto i neoplatonici, bensì all'es­ sere (esse). Come Battista Mondin ha mostrato a più riprese, anche sulla scorta degli studi storico-critici di Cornelio Fabro e di Étienne Gilson, la sintesi metafisica di Tommaso è una sintesi geniale: è una nuova grande e possente cattedrale - come le meravigliose cattedrali gotiche del Medioevo - in cui si trova molto materiale platonico e aristotelico, dove persino il dise­ gno è in parte mutuato dai neoplatonici. Ma ciò che funge da cemento e che tiene saldamente insieme l'intero edificio è frutto della genialità di Tommaso: è il concetto intensivo del­ l'esse come actualitas omnium actuum e perfectio omnium perfectionum, principio primo e fondamento ultimo di ogni cosa. La metafisica tommasiana dell'essere, insomma, si può di­ re sia platonica sia aristotelica, e comunque è soprattutto tommasiana; "sostanzialmente" è tommasiana, e "formai98

mente" è sia platonica sia aristotelica. Il tomismo non è né una specie di aristotelismo né una specie di platonismo, ma è un nuovo, coerente sistema che può essere detto di impianto aristotelico-platonico oppure platonico-aristotelico.

Il punto di partenza della metafisica Tutto il sistema metafisica è strutturato da Tommaso a parti­ re dalla nozione di esperienza del mondo, che la ragione pos­ siede come prima conquista di ciò che la circonda. Se tutta la scienza metafisica per Tommaso è fondata sulla nozione di ente, ne consegue la necessità di una coscienza; egli non con­ sidera l'oggetto come qualcosa di assolutamente indipenden­ te dal soggetto, ma lo vede in relazione al soggetto, cioè in rapporto alla coscienza con cui è appreso e giudicato; il pri­ mo principio della metafisica tomista è sintesi di soggetto e oggetto, quale prima autorivelazione della ragione che si ap­ prende come coscienza dell'essere in quanto verum, cioè in­ telligibile; la verità, infatti, è per Tommaso percezione intel­ lettuale dell'adeguamento del soggetto conoscente all'oggetto conosciuto.29 Perciò errano coloro che giudicano il pensiero dell'Aqui nate alla luce di un arido oggettivismo, che offu­ scherebbe la ricchezza e la fecondità del soggetto, quali il ge­ nio di Agostino aveva rivelato. Per Tommaso la realtà è l'essere degli enti; non solo l'opa­ ca e insignificante presenza del mondo quale mi appare nelle sue manifestazioni fenomeniche, percepite dai sensi (quella presenza senza senso che provoca la nausea nel celebre ro­ manzo di Sartre) , ma l'essere pieno di senso, cioè la realtà ap­ presa e intesa razionalmente in un quid che esiste. Dalla co­ scienza antologica perciò abbiamo l 'essere come primo valore metafisica. La coscienza antologica, dunque, è la valo­ rizzazione dell'essenza di Aristotele (usia) mediante l'actus essendi che ne è la base, il fondamento: l'atto di essere, infat­ ti, è l'essere stesso come atto; nei suoi confronti, la potenza che lo limita negli enti finiti è appunto l'essenza; di qui la ne­ cessità logica di sta bi lire tra l 'essere e l' essenza di un ente concreto una specifica distinzione. Tale distinzione è necessa­ ria per comprendere la diversità di valore che intercorre tra 99

l'essenza (astratta ) di un ente e la sua concreta esistenza; in­ fatti non tutti gli enti, per il fatto che si apprendono come possibili in base a un'essenza astratta conosciuta, hanno di fatto l'esistenza, in quanto questa è una determinazione at­ tuale percepita dalla coscienza an tologica tramite i sensi; quindi è un aspetto particolare dell'ente che connette l'ogget­ to al soggetto che l'ha appreso come ente, cioè come essenza che si dà nella realtà, in base alla nozione di essere, nozione universalissima e trascendente che sostanzia la coscienza sog­ gettiva. L'esistere, dunque, non è l'essere, ma ne è una deter­ minazione, una particolare attuazione che la ragione coglie e giudica attraverso i sensi che lo avvertono. Come abbiamo visto, l'essenza per Tommaso è quello che era per Aristotele, ossia "ciò che una cosa è " , mentre l'esi­ stenza è attività di ciò che è, atto di essere; così la sostanza si può dire sinonimo di ente, in quanto è considerata "ente in sé esistente " , mentre l'accidente è ciò che non ha in sé la ragio­ ne di essere. La causa è l'origine dell'ente mentre l'effetto ne è il prodotto; il fine è il motivo fondamentale di tutti gli atteg­ giamenti esistenziali dell'essere, nelle sue determinazioni sia generiche sia specifiche; tali determinazioni, per Tommaso, sono appunto le categorie. L'essere delle cose è dunque la prima notitia metafisica del­ la realtà, sia soggettiva che oggettiva, intesa come nozione originaria della mente che crea la coscienza antologica. Non si tratta di una concezione dell'essere statica, alla maniera di Parmenide, ma di una visione metafisica realistica, con fon­ damento logico nella prima evidenza del senso comune, quel­ la del mondo come insieme di enti diversi; la nozione tomma­ siana dell' essere non esclude insomma la molteplicità del reale. L'essere infatti è l'atto fondamentale e originario che cogliamo come elemento comune di un insieme innumerevole di enti, tra i quali ci siamo noi stessi e le cose che apprendia­ mo per mezzo della sensazione. In tal modo torn ano a ri­ splendere di nuova luce il concetto socratico, l'idea di Plato­ ne, l'essenza aristotelica e la verità agostiniana, in una sintesi metafisica che costituisce l'apporto essenziale con cui Tom­ maso contribuisce alla storia del pensiero. Sicché il mondo della nostra esperienza è costituito da una molteplicità di enti; ciascuno di essi risulta composto di ma1 00

teria e di forma: di materia, intesa come capacità o potenzia­ lità a divenire; di forma, come attuazione di detta capacità o possibilità.

Dal mondo a Dio Ogni ente, nella sua individualità e perfettibilità, è ordinato alla realizzazione di sé in rapporto con gli altri enti. Si tratta di una molteplicità di enti di cui la ragione non solo constata l'ordine e l'armonia, ma cerca l'origine, cioè la causa, per possederne il valore. Ora il molteplice, essendo per sua natu­ ra contingente, deve postulare l'Uno necessario; vi deve esse­ re cioè un principio trascendente e assoluto il quale, oltre a costituire la dinamica e il fine di tutti gli esseri, come aveva insegnato Aristotele, deve esserne, per Tommaso, causa libe­ ra, assoluta ed eterna, che lo produce dal nulla e lo governa con quella sapienza e armonia con cui si manifesta . Gli enti molteplici di cui è costituito l'universo sono distinti l'uno dall'altro per la loro individualità, caratterizzata dalla composizione di materia e forma ; cosicché il principio dell'in­ dividuazione dell'essere è, per Tommaso, la determinazione quantitativa che la materia riceve dalla forma (materia quanti­ tate signata) . Ciò riguarda la metafisica del molteplice cosmi­ co, cioè la cosmologia; il mondo però è c;onsiderato da Tom­ maso come un organismo in cui ciascuna parte, pur avendo individualità per se stessa, contribuisce efficacemente all'ar­ monia e perfezione dell'insieme. Queste sostanze, al pari degli esseri cosmici, postulano me­ tafisicamente una causa da cui hanno avuto il loro essere. Ta­ le causa non può essere un cieco impulso, inteso come anima­ zione della materia: se così fosse non ne potrebbe risultare ordine e perfezione; né può essere una natura materiale, giac­ ché si confonderebbe con il molteplice e non potrebbe essere causa delle sostanze immateriali; non può essere neppure una potenza misteriosa, immanente negli esseri, inaccessibile alle capacità razionali, poiché è proprio la ragione a rendersi con­ to dell'impronta razionale e trascendente di cui è sostanziato l'intero universo. Ne consegue che il molteplice, sia materiale sia spirituale, è opera di un Essere incausato e causante, tra101

scendente e personale, la cui natura contiene in sé in modo eminente, infinito ed eterno, tutto il valore antologico e per­ fettivo che la ragione riscontra nell'insieme degli enti dell'e­ sperienza. Siamo giunti così al culmine del problema, alla ri­ cerca cioè dell'Essere-causa , dell'Uno-principio, donde ha origine il molteplice degli enti e anche il fine del loro dinami­ smo. Tale indagine ci trasferisce dal problema metafisica a quello teologico, rimanendo, s'intende, sempre nel campo della ragione naturale. Dio è l'Essere come Soggetto e Persona,Jo colui che libera­ mente crea e governa l'universo: è causa assoluta a cui cia­ scuna creatura deve la sua esistenza e tutte le sue perfezioni, sia attuali sia possibili. La sua natura è infinita e onnipotente, la sua essenza è perfezione in atto, perciò nel suo essere non si può dare alcuna distinzione tra essenza ed esistenza. Tale distinzione, infatti, è necessaria per spiegare la costituzione antologica degli enti molteplici e finiti, nei quali l'essenza in­ dica la potenza e l'esistenza esprime l'attuazione di tale po­ tenza; ma in Dio non può aver luogo alcuna potenza, in quanto la sua essenza è atto purissimo, cioè perfezione totale e inesauribile eternamente in atto. Ma - si domanda giustamente Tommaso - come si spiega la creazione ? Se Dio è purissimo atto, semplicità assoluta, co­ me può derivare da Lui l'essere di enti materiali, limitati, di­ versi tra loro e, si direbbe, contrastanti con la natura del Creatore ? La sapienza classica in genere, specialmente con Platone e Aristotele, aveva affermato l'eternità del mondo, ma rimaneva la difficoltà metafisica secondo la quale non si può ammettere l'eternità di enti per loro natura contingenti, mutabili e corruttibili, poiché l'eternità è immutabilità, incor­ ruttibilità, necessità e perfezione. Né d'altra parte il mondo può essersi dato da sé l'esistenza, giacché il contingente non può essere causa di se stesso; rimane da vedere come ha fatto Dio a crearlo. La creazione è per la filosofia cristiana attività libera, pro­ pria della natura divina, con la quale si hanno dal nulla le creature. Dio non genera il mondo, non produce gli esseri de­ rivandoli (come immaginava Plotino) dalla sua essenza spiri­ tuale, ma li trae dal nulla con l'atto eterno del suo pensiero onnipotente; perciò si spiega come la natura materiale, pur 1 02

essendo diversa da quella umana, sia anch'essa effetto della creazione, della perfezione e della provvidenza di Dio. Sicché la creazione di cui parla la Rivelazione, esaminata alla luce della ragione, costitui sce per Tommaso un valore positivo della ragione, una conquista irrinunciabile del pensiero. Ciò non significa che l'Aquinate voglia razionalizzare la fede, sot­ toponendola al vaglio della comprensibilità meramente ra­ zionale: si tratta di una elevazione delle facoltà umane con la quale la ragione acquista sempre più coscienza del suo valore in relazione intima con le verità eterne che Dio ha rivelato al­ l'uomo.

Le cinque vie per arrivare alla certezza metafisica che esiste una prima causa Alla stessa maniera Tommaso procede per provare l'esistenza di Dio; a tale proposito osserva che l'argomento di Anselmo di Aosta non costituisce una prova vera e propria dell'esi­ stenza di Dio, poiché in esso non viene distinto metafisica­ mente l'essere logico (o possibile) da quello reale (o sussisten­ te ) . Non a priori d unque ma a posteriori si può provare l'esistenza di Dio, precisamente att(averso cinque argomenti, le celebri cinque vie, che si richiamano in parte al processo dimostrativo aristotelico e che sono elencate nella Summa theologiae, I, q. 2, a. 3 come cinque diversi argomenti (nella Summa contra genti/es Tommaso adopera invece solo l'argo­ mento del divenire, della causalità, dei gradi di perfezione e dell'ordine: manca la terza via ) . 1 ) L a prima via riguarda il moto, ossia il movimento3 1 a cui tutte le cose sono soggette e che implica un "motore", os­ sia una causa motrice:

Se dunque l'ente da cui una cosa è mossa è a sua volta mosso [cioè, è soggetto al movimento], è necessario che sia mosso da altro e questo da altro ancora: ma non si può così procedere all'infinito, perché allora non vi sarebbe un primo motore e per conseguenza non vi sarebbe nessun motore, in quanto i motori secondi non muovono se non sono mossi dal primo . . . 103

perciò è necessario giungere a un primo motore non mosso da altro: in esso tutti riconoscono Dio.

2) La seconda via ha per oggetto la causa effici ente e consi­ ste in u no sviluppo dell'argomento del motore immobile; rut­ to il creato infatti è ordinato da una connessione di cause ef­ ficienti, le quali, a loro volta, essendo effetti di altre cause, l'una connessa all'altra, richiedono necessariamente un prin­ cipio efficiente che non sia effetto di altri e sia causa prima di tutte: . 4 ) La quarta via si occupa dei > . Come si vede, i l processo dimostrativo tomistico è caratte­ rizzato da una base oggettiva ed empirica che lo differenzia da quello dell'agostinismo (Agostino, Anselmo, Bonaventu­ ra, Descartes) . Tommaso infatti non accetta la possibilità d i una conoscenza di Di o per immediata e mistica intuizione, ma procede secondo una indagine schiettamente razionale nella quale i dati fondamentali dell'esperienza sono gli stru­ menti di cui la ragione si serve per acquistare la coscienza cri·

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tica dell'esistenza di Dio. Con ciò non si può affermare che l'Aquinate non abbia fiducia nella contemplazione mistica; questa per Tommaso sarà efficace come coronamento ed ele­ vazione, allorché la ragione dal suo livello naturale si trasfe­ risce coscientemente e liberamente nel livello divino, non più attraverso l'esperienza, ma per mezzo della Rivelazione e del­ la fede; e a questo proposito mi piace ricordare che Tommaso è uno dei più grandi mistici della storia. Lo schema logico delle cinque vie conferma che si tratta di un'argomentazione a base fortemente empirica, ossia capace di ottenere il consenso di chiunque comprenda l'universalità e l'evidenza degli aspetti che Tommaso prende in considera­ zione per cercarne filosoficamente il fondamento. Ecco come Battista Mondin presenta tale schema logico, basato su quat­ tro momenti: 1 ) Si attira l'attenzione su un determinato fenomeno (il diveni­ re, la causalità secondaria, la possibilità, i gradi di perfezione, il finalismo); 2) si evidenzia il suo carattere relativo, dipenden­ te, causato, vale a dire la sua contingenza: ciò che è mosso da altri; le cause seconde sono a loro volta causate; il possibile ri­ ceve l'essere da altri; i gradi di perfezione ricevono la perfezio­ ne da un massimo; il finalismo richiede sempre intelligenza, mentre le cose naturali in sé stesse ne sono prive; 3) si mostra che la realtà effettiva, attuale di un fenomeno contingente non si può spiegare facendo intervenire' una serie infinita di feno­ meni contingenti; 4) si conclude dicendo che l'unica spiegazio­ ne valida del contingente è Dio: Lui è il motore immobile, la causa incausata, l'essere necessario, il sommamente perfetto, l'intelligenza ordinatrice suprema.32

Da questo schema logico deriva che ciascuna via e tutte le vie nel loro insieme, pur essendo una rigorosa e geniale dimo­ strazione metafisica, confermano ed esaltano la certezza che di Dio hanno tutti g l i uomini per via del senso comune; tale certezza è intuitiva e universale (sia pure non espressa o male espressa), ma pur sempre basata su una inferenza, non sull'e­ videnza immediata di Dio. Infatti Tommaso, prima di esporre le prove dell'esistenza di Dio, ha cura di ribadire che noi non possiamo avere una conoscenza di Dio immediata, ma dob­ biamo partire da ciò che è immediato - il mondo, le cose del1 05

conosciute attraverso i sensi - per arrivare con il �;'ìgioriamento all'evidenza (mediata, appunto) di una prima causa trascendente, che è l'Essere sussistente. Tommaso rifiu­ ta dunque ogni ipotesi di ontologismo; ma, se si comprende bene la differenza tra " evidenza immediata " e "evidenza me­ diata da una inferenza " , si comprenderà anche che quest'ulti­ ma può essere non solo scientifica (cioè consapevole, rigoro­ sa e capace di dialettica per convincere gli altri ) ma anche spontanea, intuitiva, popolare, comune a tutti (come è ap­ punto la certezza del senso comune) , e la prima non fa che confermare la seconda. Su questo punto, insomma, non c'è sostanziale disaccordo tra Tomrnaso e Bonaventura (cfr. più sopra, pp. 6 8-72).

f;�sperienza

Dio è conosciuto, sia pure imperfettamente, grazie all'analogia dell'essere Dio dunque esiste: noi lo conosciamo certissimamente come l'Essere-causa che crea dal nulla l 'universo e lo governa con ordine e amore infinito. Ma che cosa si può sapere intorno alla divina essenza? Come la ragione umana può comprende­ re la natura di Dio? Tale pretesa non contiene forse l'errore dell'antropomorfismo? E come può l'uomo ragionare di Dio senza evitare il pericolo di tale errore? Sarà forse costretto a concludere con l' agnosticismo, rifugiandosi poi nel mistici­ smo irrazionalistico? Tommaso non ha queste preoccupazio­ ni, e dimostra con semplicità e chiarezza come il pericolo del­ l'antropomorfismo e lo scoglio dell'agnosticismo teologico possono essere nettamente eliminati con la dottrina dell'ana­ logia. Per cogliere bene il senso di tale dottrina è necessario anzi­ tutto tener presente la triplice distinzione di termini che ca­ ratterizza le relazioni tra gli esseri, il loro genere e la loro spe­ cie, ovverosia il triplice concetto di equivocità, univocità e analogia: a) si dice equivoco il termine che si applica a più esseri con significato del tutto diverso, come per esempio il termine "gallo" attribuito all'abitante della Gallia e il termine "cane" riferito alla costellazione; 1 06

b ) il termine univoco è quello che conviene a molti esseri in modo identico, come per esempio il termine " bestia" convie­ ne a ogni semplice animale e il termine " uomo" a ciascun in­ dividuo razionale; c) il termine analogico è quello che si applica a molti esseri con un modo di significare in parte equivoco e in parte uni­ voco; si tratta di « termini medi >> aveva insegnato Alberto di Colonia « tra quelli univoci e quelli equivoci, e sono attribuiti agli oggetti secondo la sostanza, rispetto a uno a cui sono proporzionati » . Ciò premesso, Tommaso esclude che si possa parlare di Dio in senso equivoco (contro l'agnosticismo) o in senso uni­ voco (contro l 'antropomorfismo); rimane perciò il senso ana­ logico, con cui si giunge alla coscienza della essenza divina indirettamente, secondo l'analogia che si può stabilire critica­ mente per via di affermazione, di rimozione e di eminenza. Tali modi di concepire analogicamente Dio - che Tommaso riprende dallo Pseudo-Dionigi - consistono concretamente in questo: a) affermazione significa considerare che ogni creatura contiene un complesso di perfezioni, come l'essere, l'esistere, la vita, l 'intelligenza, la libera volontà, la bontà, la bellezza ecc . ; queste perfezioni sono valori positivi che la creatura non si può dare da sé, ma li riceve�dall'autore che dal nulla l'ha creata. Ora, siccome nessuno può dare ciò che non ha, ne consegue che Dio deve avere in sé almeno quelle perfezio­ ni di cui sono fornite le creature; b) rimozione significa che, negli enti, oltre alle perfezioni si notano le imperfezioni, caratterizzate dal limite metafisica al quale sono soggetti, come la finitezza, la potenzialità, la gra­ dazione (da quelli meno perfetti a quelli antologicamente più perfetti). Queste imperfezioni sono dovute al fatto che tutte le creature per natura sono soggette alla causa che le ha trat­ te dal nulla, cioè a Dio. Sicché tali imperfezioni devono esse­ re rimosse dalla nozione della natura divina, in quanto Dio è atto purissimo, Essere metafisicamente per sé sussistente; c) eminenza vuol dire che, se le perfezioni degli esseri crea­ ti sono proporzionate al loro limite e al loro grado di essere, nella natura divina si devono trovare in grado eminente, cioè illimitate e infinite, secondo l 'infinità e l'eternità di Dio stes107

so. Da ciò si deduce che Dio va concepito come « Colui che è » , cioè pienezza di essere, di vita, d'intelligenza , di libera vo­ lontà; è tutto l'amore, tutta la giustizia, tutta la potenza, tut­ ta la sapienza, la verità assoluta. Su queste basi critiche della teologia razionale, considerate come necessari praeambula (idei, l'Aquinate costruisce l'edi­ ficio della teologia soprannaturale alla luce della Rivelazione nonché di tutta la tradizione cristiana, con tale coerenza e profondità da divenire nei secoli, fino a oggi, la guida ricono­ sciuta dei teologi. Tommaso distingue una duplice forma di analogia: di attri­ buzione e di proporzionalità. L'analogia di attribuzione inter­ corre tra realtà che possono essere designate con uno stesso termine, ma in ciascuna delle quali la nozione significata dal termine si trova in modo del tutto diverso, in quanto in una di tali realtà la nozione stessa si trova intrinsecamente e formal­ mente, mentre in tutte le altre realtà si trova in modo estrinse­ co e solo in dipendenza da quella unica cosa e in ordine a essa; quest'ultima si chiama analogato principale mentre le altre realtà si chiamano analogati inferiori. L'esempio classico è quello della salute, nozione analoga che viene attribuita in ma­ niera propria all'essere vivente (analogato principale) e in mo­ do subordinato e derivato ai cibi, all'aria, agli esercizi fisici ecc. (analogati inferiori). È chiaro che il rapporto fra l'ente analogato principale e gli enti analogati inferiori è un rappor­ to di causalità estrinseca (efficiente e finale): nell'esempio che a bbiamo fatto, certi cibi e certi esercizi fisici vengono detti sa­ ni in quanto causano (contribuiscono a causare o mantenere) la sanità dell'uomo.JJ L'analogia di proporzionalità si dà inve­ ce fra termini che hanno come referente enti che posseggono tutti intrinsecamente la nozione indicata nel termine stesso, sia pure non in modo identico ma solo somigliante; l'analogia di proporzionalità, a sua volta, si suddivide in propria e metafo­ rica (quest'ultima è usatissima in poesia, ma anche nel lin­ guaggio comune, come quando l'aggettivo "ridente" si appli­ ca a una cittadina) . Il caso più importante in cui il linguaggio umano fa uso dell'analogia di proporzionalità propria è quan­ do si dice che il mondo e Dio " sono" : le cose create e il Creato­ re hanno in comune l'essere, anche se "sono" in modo diverso; li unisce una somiglianza proporzionale propria, avendo con 1 08

l'essere un intrinseco rapporto di possesso, quantunque in gra­ di e in modi del tutto diversi.34 Come osserva Raimondo Spiazzi,

la dipendenza causale è il fondamento antologico che rende possibile l'analogia di attribuzione nell'ordine gnoseologico; la trascendenza delle proprietà analoghe - che si infrangono nei diversi termini proporzionali costituendoli in reciproche somiglianze - è il fondamento dell'analogia di proporzionalità nell'ordine gnoseologico. Se noi possiamo stabilire dei rappor­ ti o proporzioni o analogie tra la creazione e Dio è perché nel­ la realtà stessa esistono dipendenze e somiglianze: fondamenti di analogia.35 Gli studiosi contemporanei hanno riscoperto nel principio di analogia un fecondo indirizzo metodologico, ossia

un modo di argomentare rigoroso che, in forza di quell'intel­ lettua lismo possibile grazie all'analogia e che si colloca agli antipodi del razionalismo, non elimina il mistero (come giu­ stamente pretende la sensi bilità contemporanea) ma non ri­ nuncia neppure a usare discretamente della ragione anche a quei livelli superiori che si rivelano decisivi per dare significa­ to alla vita umana . . . In altri termini, l'atteggiamento filosofi­ co tommasiano, adeguatamente esseozializzato, sembra in grado di contribuire a gettare un ponte tra i due filoni fonda­ mentali del pensiero contemporaneo tra i quali c'è scarsa co­ municazione: da un lato il filone empiristico e dell'analisi iin­ guistica, con la sua esigenza di chiarezza, di rigore e di rapporto con le scienze; dall'altro il filone del pensiero esisten­ ziale ed ermeneutico, con la sua domanda di profondità.36 Tom maso al riguardo si esprime invero in modo assai esplicito, e distingue ciò che del mistero ci è permesso d i co­ noscere in virtù dell'analogia e ciò che invece rimane incono­ scibile:

A partire dagli effetti noi sappiamo che Dio esiste e che Egli, in quanto causa di tutti gli enti, è del tutto trascendente rispet­ to a essi e del tutto diverso. Questo è l'estremo e più perfetto esito della nostra conoscenza nella vita presente, e per questo dice giustamente Dionigi nella Teo logia m istica che noi ci 1 09

uniamo a Dio senza poterlo conoscere; infatti, di Lui sappia­ mo bene che cosa non è, ma non possiamo capire affatto che cosa sia in positivo. Per q uesto stato nostro di ignoranza ri­ guardo alla conoscenza più sublime [sublimissimae cognitio­ nis ignorantia], la Scrittura dice che Mosè si avvicinò alla nu­ be impenetrabile nella quale era Dio » Y

L'antropologia L'uomo per Tommaso è la creatura che riassume e supera tut­ te le perfezioni del creato; l'essere umano è un composto uni­ tario di materia e forma: la materia è il complesso degli ele­ menti corporei, la forma è l'anima. L'anima è sostanza spirituale, creata direttamente da Dio, al momento della co­ stituzione antologica dell'umano individuo. Si tratta di un'a­ zione diretta di Dio con la quale l'uomo è tale in virtù di un principio trascendente che è forma e vita del suo essere. Tale principio è sostanza semplice, cioè inestesa; è pura forma, la cui natura è essere spirituale, quindi analoga a quella divina; perciò intende, vuole ed è libera. Da qui Tommaso prende occasione per rivendicare l'autonomia dell'anima individuale contro l'averroismo, secondo il quale (come già abbiamo det­ to) vi sarebbe un intelletto unico e universale. che attuerebbe la conoscenza nei singoli esseri razionali. Se ciò fosse vero non potrebbe esistere la persona singola, con la sua autono­ mia conoscitiva e con la sua libertà, ma vi sarebbe una cono­ scenza unica, un'anima sola, che attuando la conoscenza in tutti gli individui in modo uniforme non sarebbe di nessuno, e l'anima umana perirebbe col corpo; il che ripugna alla ra­ gione, cioè all'esperienza e al senso comune. Come ogni composto fisico, anche il composto umano ri­ sulta da una materia attualizzata dalla rispettiva forma so­ stanziale, che è l'anima intellettiva. Su questo punto Tommaso accetta in pieno l'antropologia di Aristotele, aggiungendovi però la sua specifica e originale dottrina dell'atto di essere; in­ fatti, per l'Aquinate l'anima è la forma del corpo, ma l'atto di essere dell'individuo è l 'atto dell'anima stessa . Di conseguen­ za, Tommaso arriva a concepire filosoficamente la sussistenza dell'anima separata dal corpo dopo la morte; infatti, in tale si1 10

tuazione l'anima umana è sempre un composto: l'essenza at­ tualizzata dall'atto di essere. Dunque, l'immortalità dell'ani­ ma umana - che per la filosofia cristiana è un presupposto teo­ logico irrinunciabile - è una verità filosofica derivante dalla concezione metafisica dell'anima come forma sussistente di essenza ed esse, e pertanto capace di conservarsi nell'essere an­ che quando non entra più in composizione con la materia. Co­ me scrive Gilson,

la riflessione di Tommaso d'Aquino dipende totalmente - qui come altrove - dal fatto che egli sottomette la ricerca filosofi­ ca all'evidenza empirica, anche quando questa sembra impli­ care una certa contraddizione. L'evidenza empirica è che l'uo­ mo è un essere materiale, giacché ha un corpo, ma allo stesso tempo è capace di pensare, ossia ha una facoltà che è propria degli enti spirituali; deve dunque avere per natura qualcosa in comune con gli animali (corpi che non pensano) e qualcos'al­ tro in comune con gli angeli (enti che pensano ma non hanno corpo). Tommaso, volendo rispettare la natura dei fatti, non ha accolto la tesi di Empedocle o di Galliano, per i quali l'ani­ ma sarebbe una mera qualità fisica del corpo; e nemmeno ha accolto la tesi di Platone che concepisce l'anima come una so­ stanza immortale che non ha bisogno del corpo. Tommaso conserva sia l'unione sostanziale dell'anima con il corpo che la possi bilità di una autonoma sussistenza dell'anima stessa, e questa conciliazione gli è possibile proprio in virtù della sua specifica antologia dell'essere.38 Per Tommaso la natura dell'uomo, pur essendo composta come quella di tutti gli altri enti creati, è in ciascuna persona concretamente esistente qualcosa di assolutamente unitario. Ciò che modernamente chiamiamo l'io (e la conoscenza dell'io costituisce una delle evidenze del senso comune) è appunto l'unità sostanziale dell'uomo, della persona umana nella sua concreta e individuale esistenza. Non c'è un vero e proprio dualismo nell'antropologia tomista, perché l'uomo è un solo ente, una sola sostanza; scrive infatti l'Aquinate: « L'anima co­ munica alla materia corporale l'atto di essere di cui essa stessa sussiste; da tale materia corporale e dall'anima intellettiva ri­ sulta un unico soggetto, dato che l'essere del composto è il me111

desimo essere dell'anima>> .39 Come giustamente scrive Miche­ le Federico Sciacca,

l'uomo, per la sua corporeità, è radicato nel mondo materiale, ma per la sua anima intellettiva trascende la natura ed è ri­ spetto a essa autonomo e indipendente. Questa tesi consente all'Aquinate di correggere con Aristotele il platonismo disin­ carnato del suo tempo, e di respingere con Platone e il platoni­ smo il naturalismo dell'Aristotele averroista. In altri termini, all'interno della formula aristotelica - «L'anima è la forma so­ stanziale del corpo» - egli introduce una concezione spirituale di essa che ne salva la trascendenza.40 Anche in questo specifico argomento la sintesi filosofica di Tommaso garantisce uno straordinario equilibrio, tanto che nei secoli successivi ci si richiamerà proprio all'antropologia di Tommaso quando si vorranno evitare gli opposti rischi del materialismo naturalistico e dello spiritualismo disincarnato; come giustamente sottolinea ancora Sciacca, l'antropologia tommasiana si può compendiare nel considerare

l'uomo nel mondo e non per il mondo: questa l'antropologia di Tommaso, non spiritualistica né materialistica, ma dell'uo­ mo integrale; cosmologica e teologica insieme, ma nel senso che il suo essere nel mondo a cui è intrinseca una finalità su­ permondana rende impossibile il cosmologismo che è sempre naturalismo; e il suo "essere-per-Di o " attraverso il mondo evita il teologismo, che è sempre un comodo pretesto per eva­ derne ed eluderne l 'impegno per cui l'uomo è stato creato creatura intelligente incarnata, "cittadino" del mondo e non in esso due volte prigioniero: della "prigione" del corpo e di quella della terra.41 L'anima dunque è sostanza autonoma; contiene un com­ plesso di facoltà distinte e inseparabili di cui si serve per la sua complessa attività, sia nella sfera del mondo corporeo sia in quella dello spirito: « L'anima umana » insegna l'Aquinate «ha bisogno di molteplici attività e potenzialità . . . poiché es­ sa si trova sul limitare dei due mondi, quello delle creature spirituali e quello delle corporee, e perciò in essa si incontra­ no le potenze della sua natura e delle altre » . Come si vede, 112

l'uomo non solo è principe dell'universo, essendone la crea­ tura più perfetta, ma è anche la creatura unica che, oltre a vi­ vere coscientemente nello spazio e nel tempo, partecipa della divina eternità. Le potenze dell'anima sono ordinate gerar­ chicamente secondo i generi, come quello vegetativo, sensiti­ vo e intellettivo. Sicché > dice Tom­ maso dice; e poi prosegue:

l'oggetto dell'intelletto è la stessa essenza del bene desiderabile, mentre il bene desiderabile, l'essenza del quale è nell'intelletto, è oggetto della volontà . . . Ma da un punto di vista relativo in rapporto ad altro, si può constatare che la volontà è talora su­ periore all'intelletto, cioè quando l'oggetto della volontà è po113

sto in una cosa più pregevole dell'oggetto dell'intelletto, come se dicessi che l 'udito [paragonato alla volontà] è relativamente più nobile della vista [paragonata all'intelletto] in quanto la co­ sa che suona è più pregevole di un'altra, che è colorata; per quanto in sé e per sé la vista sia superiore al suono . . . L'atto del­ l'intelletto dunque consiste nell'intendere l'essenza della cosa conosciuta presente nel soggetto intelligente; l'atto della vo­ lontà, invece, si compie in quanto la volontà si protende la cosa stessa come è in sé nella sua realtà oggettiva.43 Ciò significa, più brevemente, che > , in quanto la volontà si esprime positivamen­ te solo appetendo e raggiungendo il bene che l'intelletto le presenta come vero; in tal modo l'intelletto .44 Que­ sto infl usso metafisico di Dio creatore nelle azioni della crea­ tura viene chiamato concorso (concursus) e significa che il rapporto tra Dio (come prima causa ) e la creatura non si per­ de mai, nemmeno quando la creatura è a sua volta una causa (causa secunda); ma il concorso divino, proprio perché tra­ scendente, non altera bensì rende possibile la natura delle operazioni specifiche di ogni ca usa seconda; se si tratta di una causa seconda libera, come nel caso dell'uomo, il con­ corso divino non elimina tale libertà ma è proprio ciò che la rende possibile e la attua.

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La gnoseologia La conoscenza per Tommaso non è semplice contatto mate­ riale dei sensi con gli oggetti esterni (Democrito, Epicuro) , né ricordo di una lontana visione (Platone) ; non è neppure il ri­ sultato di una intuizione dell'azione di Dio nel mondo a ope­ ra di una illuminazione divina ( Agostino e Bonaventura) ; è frutto di un processo astrattivo, già insegnato da Socrate e approfondito da Aristotele. Infatti a Socrate viene attribuita da Platone la scoperta dell'astrazione intellettiva dalla quale ha origine il concetto o conoscenza universale, cioè la verità metafisica delle cose sensibili; Aristotele poi aveva insegnato che l'intelletto agente costituisce il principio attivo di ogni soggetto conoscente. I pensatori i slamici finirono per cor­ rompere questa dottrina separando l'intelletto dal soggetto e identificandolo con una potenza unica, come si è visto, che esisterebbe al di fuori e al di sopra del mondo e che attuereb­ be la conoscenza nei singoli soggetti. Tommaso, insomma, sviluppa e approfondisce il processo astrattivo analizzato da Aristotele, poiché si rende conto della necessità dell'astrazio­ ne da parte dell'intelletto individuale per la conoscenza delle cose. Gli enti del mondo della nostra esperienza, infatti, essendo di natura materiale, differiscono dalle potenze intellettive, le quali sono di natura spirituale; perciò è impossibile la cono­ scenza intuitiva, intesa come contatto immediato fra l'intel­ letto e le cose. D'altra parte l'intelletto, pur essendo spiritua­ le, non può cono scere intuitivamente neppure l'oggetto spirituale (l'anima, gli angeli, Dio), poiché la sua natura, co­ stituendo la forma del corpo, implica un legame metafisica con la materia che non le permette alcuna conoscenza se non per mezzo di analogie e astrazioni che trovano il loro princi­ pio o punto di partenza nell'esperienza sensibile. Quindi l'in­ telletto, facoltà spirituale, è privo di idee che non derivino dall'esperienza; senza l'esperienza è «tamquam tabula rasa in qua nihil scriptum est» , una tavoletta bianca su cui nulla v'è di quanto è in noi e attorno a noi. Perciò nel processo conoscitivo è necessario distinguere due momenti importanti, la sensazione e l'intellezione. In Tommaso si riscontra dunque, come in Aristotele, un 1 15

giusto empirismo che però non impedisce di concepire l'espe­ rienza come dotata anche di nozioni intellettuali: egli scrive: ; ora siccome l'operare dipende dall'intelletto e dalla volontà, ne consegue che la virtù può essere speculativa, se perfeziona l'attività intellettiva o pratica, se si riferisce all'at­ tività volitiva, analogamente alle virtù dianoetiche e pratiche 125

dell'etica aristotelica. Dette virtù sono inerenti alle facoltà umane e sono necessarie « al conseguimento della felicità >> . Ma secondo Tommaso, e conformemente alla dottrina cri­ stiana, la virtù deve essere considerata sotto due aspetti, cioè naturale e soprannaturale: mentre ogni essere ragionevole, infatti, può tendere alla felicità naturale perché proporziona­ ta alla sua natura, la felicità soprannaturale (alla quale di fat­ to gli uomini sono destinati) è in rapporto alla grazia e richie­ de di partecipare ai frutti della redenzione. A tal fine non sono sufficienti le virtù umane, sia speculative sia pratiche, ma sono necessarie le virtù teologali; queste non appartengo­ no alla natura dell'uomo, come l'intelligenza, la scienza ecc. (virtù speculative) o come la prudenza, la giustizia, la fortez­ za e la temperanza (virtù pratiche), ma sono abiti sopranna­ turali, infusi direttamente da Dio come effetto della redenzio­ ne, e sono la fede, la speranza e la carità, intese non in senso umano, ma in funzione esclusivamente soprannaturale: «La felicità dell'uomo>> insegna Tommaso,

ha due gradi: l'uno è proporzionato alla natura umana . . . l'al­ tro poi costituisce la beatitudine che eccede la natura umana e a esso l'uomo può pervenire mediante la virtù divina, per una certa partecipazione alla divinità. Questi principi si dicono virtù teologali, sia perché hanno Dio per oggetto, in quanto per mezzo di esse ci dirigiamo sicuramente a Dio, sia perché ci sono infuse solo da Dio, e infine perché ci sono note nelle Sa­ cre Scritture per effetto della divina rivelazione.55 Come si vede, la morale tommasiana è coerentemente inse­ rita in un sistema ordinato, in cui i valori umani trovano la loro sublimazione in quelli divini; qui l'anima raggiunge il fi­ ne ultimo, la felicità piena, il sommo Bene, Dio. Si ha così la sintesi del pensiero morale classico, inteso da Tommaso come necessario fondamento umano, e di quello cristiano, eleva­ zione e deificazione per mezzo delle virtù teologali, delle qua­ li la carità, intesa come dono totale di sé a Dio e al prossimo, è la più importante, perché la sua piena attuazione compren­ de e presuppone le altre.

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La dottrina del bene comune Intimamente connessa con la concezione morale, nel pensiero di Tommaso, è la dottrina politica intesa come oggettività della morale stessa in armonia con la metafisica e la teologia. La società per Tommaso è fattore indispensabile al completa­ mento del singolo; perciò Aristotele aveva giustamente inse­ gnato che l'uomo è socievole per natura. L'attività di uno, in­ fatti, si riversa nell'intera comunità di cui fa parte. Ma il valore della società è subordinato a quello della persona umana, giacché la stessa società non si può concepire se non in funzione del bene dei singoli. Bene non significa il bene egoistico e particolare di questo o di quell'individuo, di que­ sta o di quella categoria, ma si tratta del bene-fine, cioè del fi­ ne a cui ciascun uomo tende; in tale senso Tommaso lo chia­ ma «bonum commune>> . L'elemento insostituibile della società è la famiglia; tutti hanno il diritto di formarsi una famiglia; a essa presiede lo sposo e padre come monarca nel suo regno, come Cristo nel­ la sua Chiesa. Il matrimonio, oltre che rappresentare un valo­ re umano di amore e di fecondità, è un mezzo efficace di san­ tificazione, è un sacramento, è una unione divina che nessuna umana autorità può sciogliere, neppure gli stessi coniugi; la sua natura è feconda di grazia santifiqmte. I figli sono il frut­ to dell'amore dei coniugi; al padre spetta il diritto e il dovere di educarli secondo i valori umani e cristiani. Pari al diritto della famiglia è quello della proprietà privata, intesa come mezzo necessario per il conseguimento del bene naturale, sia individuale sia comune; il raggiungimento di questo fine co­ stituisce un mezzo necessario per · il conseguimento del fine ultimo, sia in ordine alla natura, sia in ordine alla grazia. Alla società presiede un'autorità costituita, così come la ragione presiede alle altre facoltà, e come la ragione non può presentare se non il bene come oggetto da desiderare, così uf­ ficio dell'autorità è promuovere il bene tra i cittadini. Per at­ tuare questa funzione si serve delle leggi che costruisce, pro­ pone e impone per il bene comune. L'efficacia delle leggi è riposta nella fonte donde il legislatore le attinge, cioè nella legge eterna e nella legge naturale, giacché «la prima regola della ragione è la legge natural e >> scrive l'Aquinate «sicché 1 27

ogni legge fatta da un'autorità umana in tanto corrisponde al concetto ideale di legge in quanto è derivata dalla legge natu­ rale; se, al contrario, discorda in qualche punto dalla legge naturale, non sarà legge, ma corruzione della legge» .5 6

La miglior forma di governo: autorità elette dal popolo Circa la forma di governo Tommaso dichiara la convenienza di una monarchia elettiva, in cui il principe diriga la cosa pub­ blica con la collaborazione e il consiglio dei rappresentanti di tutte le categorie sociali elette dal popolo: « Al popolo spetta l'elezione dei governanti » insegna Tommaso > Y Il monarca nei con­ fronti della società deve essere ciò che l'anima è rispetto al cor­ po; deve governare analogamente alla Provvidenza divina, che dirige le cose della natura, giacché Dio lo ha posto in sua vece nel governo degli uomini, affinché illumini e diriga, provveda ed elevi il consorzio sociale di cui è capo. Ove il principe non agisse in tal senso, la sua opera sfocerebbe nella tirannide; ma se tale tirannide compromettesse il bene comune, la società avrebbe il diritto di deporre il principe. I governanti, dunque, devono possedere in sommo grado la prudenza, la giustizia, la saggezza e soprattutto la capacità di imitare la Provvidenza divina, apprestando ai cittadini tut­ ti i mezzi necessari al raggiungimento del fine sociale, cioè del bene comune. I mezzi principali per tale fine sono la concor­ dia dei cittadini, l' incremento dell'istruzione, il progresso economico e così via. Connessa e metafisicamente superiore all'autorità politica è la potestà della Chiesa, la cui natura è direttamente divina e riguarda, in prospettiva missionaria, tutti i popoli della terra. La sua funzione è spirituale; il suo fine è il conseguimento della felicità eterna, fine soprannaturale a cui tende l'umanità redenta da Dio per mezzo di Gesù; i suoi mezzi sono le verità della rivelazione, i sacramenti e la liturgia. È istituita e voluta da Cristo stesso, perpetuata dagli apostoli e dai loro succes­ sori, i quali costituiscono una monarchia gerarchica con a ca­ po il romano pontefice. Il singolo, la società, tutti i popoli, 128

compresi i loro reggitori, debbono alla Chiesa sottomissione e obbedienza per tutto ciò che concerne l'eterna salvezza. È compito della Chiesa intervenire nelle questioni politiche, quando i reggitori della cosa pubblica abusano del potere e turbano l'ordine naturale e il bene comune, quali premesse indispensabili e necessarie condizioni per la vita soprannatu­ rale. In tal senso lo Stato è subordinato alla Chiesa, come i mezzi al fine, il corpo all'anima, il particolare all'universale, l'umano al divino.

La pedagogia Il rapporto pedagogico per Tommaso si esplica in ordine alla dottrina della potenza e dell'atto: chi educa ha la scienza in atto e la comunica all'educando, cioè a chi ha la scienza an­ cora in potenza, sicché quest'ultimo attua le sue potenze co­ gnitive per mezzo dell'attività del maestro. Tale attività però costituisce un aiuto estrinseco, cioè un mezzo di cui l'educan­ do si serve per realizzare la sua personalità; perciò il maestro costituisce il modello, l'ideale che l'educando si propone di attuare in sé. Ma per Tommaso è necessario disti nguere i maestri dal Maestro: i maestri sono coloro che - dal di fuori - mirano in diversi modi allo sviluppo e alla educazione della persona umana; il maestro, invece, l' 11nico vero maestro inte­ riore, è, come già aveva insegnato Agostino, la Sapienza in­ carnata, la vera luce della verità e della vita, la fonte inesauri­ bile per il possesso - " dal di dentro" - di tutti i valori sia umani sia divini. Anche da un punto di vista meramente na­ turale, c omunque, la visione pedagogica di Tommaso è schiettamente teocentrica, opposta cioè a quello che poi sarà il soggettivismo e l'antropocentrismo moderno. L'Aquinate è realista anche nella pedagogia: l' oggetto dell'apprendimento (inventi o) è il mondo reale, nella sua complessità e nel suo ordine metafisica, che conduce la mente a Dio come Causa prima dell'essere di ogni cosa; e il soggetto dell'apprendimen­ to è l'uomo dotato di capacità per adeguarsi in qualche modo all'universo in tutta la sua ampiezza ( «anima, quodammodo omnia » ). Il ruolo dell'insegnante è quindi radicalmente ridi­ mensionato, in quanto non vi è vera educazione se non per 129

un personale passaggio dell'anima del discente dalla potenza di apprendere all'atto: atto che viene causato esteriormente, non tanto dall'insegnamento del maestro quanto dalla realtà in atto, cioè dall'intelligibilità del reale. Per Tommaso l'educazione è dunque attivazione da fuori di un processo che si svolge essenzialmente al di dentro: « La causa principale [del processo d'apprendimento] è di natura interiore » ; « Col proprio lume interiore intellettuale il mae­ stro non causa il lume dell'intelletto nel discepolo; ma muove il discepolo per mezzo della propria dottrina [del proprio sa­ pere] a questo: che il discepolo medesimo per virtù del pro­ prio intelletto formi concezioni [idee, concetti, conoscenze] intelligibili >> : s s la "causa" essenziale, cioè, è di natura interio­ re e agisce nell'interiore del soggetto che deve educarsi . Ri­ troviamo quindi in Tommaso l'aspetto più tipico della filoso­ fi a di Socrate, ossia il principio della maieutica : non è la levatrice a dare il bambino alla madre, essa soltanto aiuta la madre a mettere al mondo la nuova creatura; il bambino non è opera della levatrice ma della sua genitrice; analogamente, il maestro non dà il sapere (che può essere prodotto soltanto dalla mente dello scolaro): può soltanto stimolare i processi della mente; il vero maestro è soltanto quel lu me interiore, che scopre, acquisisce, costruisce il proprio sapere e la pro­ pria esperienza intellettuale per via di apprendimento, di in­ ventio ( scoperta ) . Come scrive il celebre pedagogista Aldo Agazzi esponendo la filosofia tomista dell'educazione,

l'insegnamento sarà efficace ed autenticamente educativo del­ l'intelletto alle proprie funzioni, soltanto se il maestro, ricco della sua doctrina, saprà proporla alla mente investigatrice del suo scolaro al modo come le cose e la realtà del mondo si pro­ pongono da sé e si incontrano da parte della mente umana. Apprendimento dunque; e un insegnamento in termini di ap­ prendimento, visto non dalla parte del maestro, ma delle ca­ pacità interiori dello scolaro ad esercitare e conseguire l'abito del pensare>> .59

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L'uso delle fonti pagane da parte di Tommaso: un modello di dialogo interculturale per il nostro tempo

Tommaso d'Aquino è stato, al di là di ogni dubbio, uno dei più grandi pensatori che la storia a bbia conosciuto, oltre che un uomo di grande fede. Ciò che lo spingeva a dedicare la maggior parte del suo tempo allo studio era un autentico amore per la sapienza, intesa non in quanto fine a se stessa ma in quanto mezzo per giungere a Dio. Egli ha lasciato a noi una immensa mole di scritti di carattere filosofico e teologico apportando fra l'altro, nella sua epoca, una vera e propria ri­ voluzi one nel modo di fare sia filosofia sia teologia. Come abbiamo già osservato, egli fu infatti il primo a dare una cor­ retta lettura delle opere di Aristotele, liberandolo dalle inter­ pretazioni negative dovute ai filosofi arabi e inserendolo co­ me base di un sistema filosofico-teologico rigorosamente razionale in un periodo ancora dominato dall'agostinismo neoplatonico. È però chiaramente dimostrato che nella sua monumentale opera Tommaso non si servì solo di Aristotele, ma ricorse in modo equilibrato anche al pensiero di Platone, di Agostino e dello Pseudo-Dionigi (autori, questi ultimi, da lui citati moltissimo, come ho già detto) . Ci apprestiamo ora a vedere come e in che misura egli si servì di questi autori nel­ l'elaborazione del suo pensiero.

Platone Platone era senza dubbio una delle auctoritates con cui Tom­ maso doveva confrontarsi, perché era stato da sempre consi­ derato il filosofo pagano più vicino al cristianesimo e la sua fi­ losofia era stata ampiamente utilizzata fin dal primo filosofo cristiano, Giustino (sec. II), che era stato e rimase platonico. Cornelio Fabro afferma che di Platone l'Aquinate poteva co­ noscere direttamente il Timeo nella versione-commento di Calcidio (che ispira il platonismo umanista della scuola di Chartres) e forse anche il Fedone e il Menone; la dottrina pla­ tonica era diffusa anche dalle opere di Cicerone e specialmente nel commento al Somnium Scipionis di Macrobio; la fonte però principale del platonismo medioevale è stato Agostino 6 o 131

e ciò deve orientare circa il senso preciso dell'antitesi platoni­ smo/aristotelismo che domina il Medioevo e sta al centro del­ l'attività di Tommaso e delle polemiche suscitate dalla sua opera. Perché è noto che Agostino non lesse mai direttamente alcuna opera di Platone e conobbe solo il platonismo della tar­ da elaborazione di Plotino, le cui Enneadi erano state tradotte dal retore Mario Vittorino, al quale si può riconoscere di aver accostato i termini della speculazione neoplatonica alla teolo­ gia cristiana dell'Occidente. Nelle controversie del Duecento Platone è perciò presente solo indirettamente, e ciò spiega per­ ché una mente critica come Tommaso avesse avuto il proposi­ to di scrivere un commento o uno studio diretto del Timeo pla­ tonico; egli non ebbe a disposizione se non scarsi elementi, insufficienti per tentare un'interpretazione di Platone, a diffe­ renza di quanto egli poté fare per Aristotele. Fonte principale per la conoscenza di Platone dovette essere per Tommaso lo stesso Aristotele, che parla del suo maestro ateniese nelle in­ troduzioni ai suoi trattati: il primo libro dell Etica nicoma­ chea, della Metafisica, dei trattati Dell'anima e Sulla genera­ '

zione e corruzione. 6 '

Nella filosofia di Tommaso sono chi aramente di origine platonica nozioni importanti come quella di partecipazione e quella di trascendenza; e anche nella struttura generale è evi­ dente la presenza di Platone.62 Tommaso, comunque, avendo imparato a giudicare Plato­ ne principalmente dai riferimenti critici che ne ha fatto Ari­ stotele nei suoi trattati, non si è lasciato indurre ad adottare nel suo sistema la teoria delle idee quale è stata rimaneggiata dall'agostinismo. Egli, per esempio, respinge la dottrina del­ l'iperuranio platonico, che presuppone l'eternità dell'anima e va contro il cristianesimo affermando che non l'uomo intero ma solo l'anima è immortale; così come non accetta il duali­ smo, la preesistenza e la metempsicosi. Tommaso poi dichia­ ra l'insostenibilità intrinseca della teoria di Platone secondo cui le idee si trovano innate nella nostra mente:

Primo perché, se l'anima possiede una nozione naturale di tut­ te le cose, non sembra possibile che cada in tale oblio di que­ sta conoscenza naturale da ignorare persino di possedere tale conoscenza. Nessuno infatti dimentica quello che conosce per 1 32

natura. Secondo, la falsità di tale teoria appare chiaramente dal fatto che, quando abbiamo la mancanza di un dato senso, viene a mancare la scienza di quelle cose che sono percepite per mezzo di esso. Ora questo non avverrebbe, se nell'anima fossero innati i concerti di tutte le cose inrelligibili.63

Aristotele Circa la conoscenza che Tommaso ebbe di Aristotele e delle sue opere, dobbiamo ricordare che negli anni in cui visse Tommaso ben poche delle opere di Aristotele erano conosciu­ te, e quelle che lo erano, lo erano per lo più grazie alle tradu­ zioni di Boezio (alcune parti della logica ) e dei filosofi arabi. Se le traduzioni di Aristotele fatte da Boezio non presentava­ no problemi di carattere interpretativo o dottrinale, lo stesso non si p uò dire per quelle dall'arabo, che riguardavano i l trattato Sull'anima e l a Metafisica e contrastavano decisa­ mente con la dottrina cristiana ( quando non addirittura con quella musulmana stessa ) . Ovviamente la cosa creò problemi sia ai filosofi e ai teologi occidentali, sia alla stessa autorità ecclesiastica. Sappiamo che Tommaso fece la sua prima cono­ scenza di Aristotele all'università di Napoli leggendo testi della logica e della filosofia natura l� con i maestri Martino di Dacia e Pietro d'Irlanda. Secondo Cornelio Fabro tale fatto > , Tommaso si allontana decisa­ mente da Aristotele . Per costui ciò che costituisce l'ente in quanto ente è la sostanza, perché essa sola possiede l'entità in modo autonomo, e così tutta l'indagine metafisica di Aristo­ tele cammina in direzione della sostanza. Invece per Tomma­ so ciò che costituisce l'ente in quanto ente è l'essere, poiché, per definizione, l'ente non è altro che ciò che possiede l'esse1 34

re, o meglio ciò che partecipa dell'essere. Tommaso rimedia insomma alla deviazione di Aristotele risolvendo di studiare l'ente non secondo una sua modalità (sostanza, essenza, for­ ma, atto), ma proprio secondo ciò che lo costituisce come en­ te, cioè l'essere. Ecco la scoperta originale di Tommaso: sco­ perta capace di dar vita a un nuovo sistema filosofico, più solido, più completo e armonioso di quelli dei Greci e così valido che ancor oggi può servire a integrare e a valorizzare i sistemi filosofici moderni ( si veda, su questo, in particolare per quanto riguarda Heidegger, alle pp. 1 92-96) . Tommaso considera Aristotele come il filosofo pagano che aiuta a capire il cristianesimo; per esempio, egli approva la dotrrina del «maestro di color che sanno» (Dante) , e afferma, contro il dualismo di Platone, che l'uomo è sinolo di materia e forma, ma non è un ente materiale, pur incominciando il suo cammino gnoseologico attraverso la conoscenza sensibi­ le. Così come le prove dell'esistenza di Dio riprendono le di­ mostrazioni cosmologiche di Aristotele, dove Dio più che > .53 L'altra possibile opzione caratterizza il rea lismo metafisica; esso > .54 Ma - precisa Gilson - il vero realismo, al di là delle etichette, è raro, perché anche la Scolastica formalista ed essenzialista, dalla fine del Medioevo a Smirez e poi fino a oggi, è una forma di razionalismo che elimina dalla filosofia gli aspetti non concettualizzabili del reale. D'altra parte, non è vero realismo, anche se si oppone esplicitamente all'ideali­ smo, il pensiero esistenzialista, che cade nell'irrazionalismo perdendo il carattere di vera filosofia. Qui sta la grandezza di Tommaso; nell 'essere riuscito, con la sua metafisica dell'actus essendi, a costruire un'antologia che può > . 6 1 Logicamente il quadro metafisica che la Stein ot­ tiene non è quello dell'Aquinate, bensì un quadro analogo che ne rispecchia punto per punto le linee essenziali ( ma non tutte ) . Al quadro metafisica dell'essere la Stein affianca (e contrappone) un quadro altrettanto imponente e dettagliato, quello dell'evidenziazione fenomenologica delle essenze. Tut­ to quanto si trova in Tommaso - la materia, la forma, l'atto, la potenza, la sostanza, l'azione, l'anima, il corpo, Dio, gli angeli - si trova anche nella Stein, ma sotto il profilo della ei­ deticità essenziale (intuizione delle essenze) e non, come in Tommaso, sotto il profilo dell'attualità reale, che è l'attualità dell'essere, l'actus essendi. L' universo della Stein non è più quello reale bensì, come lo chiama lei stessa, un > ,

19 Aristotele chiama intelletto passivo o possibile quella funzione della

mente che recepisce i dati dell'esperienza. Cfr. Piccolo glossario tomistico, in fondo al presente volume.

20 Cfr. Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, X, vv. 1 32-1 3 8 . S u Siger l'opera più autorevole è quella d i Pierre Mandonnet, Siger de Bra­ bant et l'averroisme latin au XIII siècle, Ed. Université de Louvain, Lou­ vain 1 9 1 1 . Successivamente il filosofo belga del Duecento è stato studiato da un dotto belga dei nostri giorni: Fernand Van Steenberghen, Maitre Si­ ger de Brabant, Pubi. Universitaire Vander Oyez, Louvain-Paris 1 977. 21 Bonaventura, Soliloquia, 1 , 2, 7. 22 Giovanni Di Napoli, La visione dell'uomo in Bonaventura da Bagnore­

gio, in Doctor Seraphicus, 23 ( 1 976), p. 1 3 .

2 3 Bonaventura, D e mysterio sanctissimae Trinitatis, 1 , 2 , 3 .

24 Ibid. 25 « Anima

novit Deum et se ipsam et quae sunt in seipsa sine adminiculo sensuum exteriorum >> (Bonaventura, Commentarii in quattuor libros Sen­ tentiarum, 3, 2).

2 6 Luigi Stefanini, Sommario storico della filosofia, SEI, Torino 1 928, p. 1 09; l'aggettivo "peripatetico", qui usato da �tefanini, equivale ad "aristotelico". 27 Bonaventura, Breviloquium, Il, 1 2 .

2 8 Ibid. 29 Bonaventura, Collationes in Hexaemeron,

1 , 2, 3. Il criterio etico di Bo­ naventura è in sintonia con gli orientamenti del francescanesimo; si veda in proposito: Antonino Poppi, Studi sull'etica della prima scuola francescana, Centro Studi Antoniani, Padova . 1 996.

30 Alberto Magno, Opera, a cura di J. Borgnet, Paris 1 939, vol. 27, p. 247. 31 Roberto Masi, Il significato storico di Tommaso d'Aquino, in Aquinas, 1 963, p. 333.

2. Vita e opere di Tommaso d'Aquino l Sulla biografia di Tommaso i dati più sicuri e aggiornati si trovano nell'o­ pera accuratissima di Jean-Pierre Torrell, Initiation à Saint Thomas d'A­ quin, Ed. du Cerf, Paris, 1 996.

205

2 Cfr. Les poésies de Rinaldo d'Aquino, a cura di O. Tallgren, in Memoires de la Societé néophilologique de Helsingfors, 1 91 7.

3 Tommaso, Contra retrahentes a Dei eu/tu et religione, 9, n. 803. 4 Tolomeo da Lucca, Historia ecclesiastica, trad. it., Mondadori, Milano 1 960, p. 1 1 52.

5 Come si sa, furono denominate corpus dionysianum, nel Medioevo, le opere dello Pseudo-Dionigi, l'anonimo neoplatonico del V secolo d.C., ri­ tenuto dai medioevali quel Dionigi filosofo ateniese convertitosi dopo l'in­ contro con Paolo all'Areopago di Atene.

6 Cfr. In I librum "Sententiarum ", d. 8, q. 4, a. 2; d. 25, q. l, a. 4. Si veda in proposito quanto a fferma Étienne Gilson in lntroduction à la philo­ sophie chrétienne, Vrin, Paris 1 96 0, pp. 99-1 00; si veda anche: R a u l Echauri, L a noci6n del "esse " en las primeros escritos d e Santo Tomtis de Aquino, in Sapientia (Buenos Aires), 1 996, pp. 59-70. 7 Si vedano le osservazioni di Étienne Gilson, Avicenne en Occident au

Moyen-Àge, in Archives d'Histoire doctrinale et littéraire di Moyen-Àge, 1 969, p. 1 08 .

8 Tommaso, D e regimine principum,

1 , 8-10.

9 Si veda su questo periodo E.H. Weber, La controverse de 1 2 70 à l' Uni­ versité de Paris et son retentissement sur la pensée de Saint Thomas, Vrin, Pa ris 1 970. 10 Il significato profondo, anche filosofico-teologico, di questa inquietante decisione è oggetto di molti studi, e molte ipotesi sono state avanzate; tra le più convincenti si veda quella di Giuseppe Mario Pizzuti (per un'inter­ pretazione storicizzata di Tommaso, in Dall'esistenzialismo all'utopia: alle frontiere della metafisica, Ermes, Potenza 1 9 9 1 , pp. 75- 1 05); secondo lui, la rinuncia di Tommaso (il quale sarebbe morto subito dopo) contiene co­ me un suo ultimo insegnamento, ossia la necessità di adorare Dio nel silen­ zio, evitando il pericolo del razionalismo nel quale facilmente incorre an­ che il filosofo più consapevole dell'infinita trascendenza di Dio rispetto alla ragione. 1 1 Si veda Rocco Cacòpardo, Se veramente Tommaso d'Aquino, come scrisse Dante, fu assassinato, Rizzoli, Milano 1 997.

12 Guglielmo di Tocco, Vita Sancti Thomae, 6, 5 1 , ed. Dominicus Prum­ mer, Herder, St Maximin 1 924, p. 1 23 . 1 3 Cfr. Concilio Vaticano II, decreto Presbyterorum ordinis, n . 1 6; dichia­ razione Gravissimum educationis, n. 1 O. 14 Cfr. Pierre Mandonnet, Des écrits authentiques de St. Thomas d'Aquin, St Pau], Freiburg 1 9 10.

1 5 Cfr. Martin Grabmann, Die Werke des hl. Thomas von Aquin, Aschen­ dorff Verlag, M unster 1 949. 1 6 Ibid., p. 30. 1 7 Marie-Dominique Chenu, Introduction à l'étude de Saint Thomas d'A-

206

quin, Vrin, Paris 1 9502 ; trad. i t. Introduzione allo studio di San Tommaso, Fiorentina, Firenze 1 953, p. 243.

1 8 Ibid., p. 282.

19 Si consulti il Piccolo glossario tomistico, in fondo al volume. 20 Tommaso, De unitate intellectus, 4. 2 l Aristotele, qui citato da Tommaso, parla della società civile come fatto naturale in Politica, I, l . 22 Tommaso, In II librum "Sententiarum " Petri Lombardi, d . 1 0, q. l , a . 2, scrive: «Ab eis [philosophis] e a quae contra fidem non sunt accipiamus, aliis resecatis>> . 2 3 Cornelio Fabro, Presentazione, in: Tommaso d'Aquino, Opuscoli filoso­ fici, a cura di A belardo Lobato, Città Nuova, Roma 1 989, p. 1 8. 24 Abelardo Lobato, Introduzione, in Tommaso d'Aquino, Opuscoli filo­ sofici, cit., p. 155. 2 5 Étienne Gilson, Le thomisme, Vrin, Paris 1 9656, pp. 2 1 6- 1 7. 2 6 I. Eschmann, A Catalogue o( St. Thomas Works, in Étienne Gilson, The Christian Philosophy o( St. Thomas Aquinas, Doubleday, New York 1 955, p. 3 8 1 .

2 7 Cfr. R . Henle, A note, i n Modern Schoolman, 30, 1 957, p. 278. 3. La rivoluzione culturale di Tommaso Tommaso, In I librum "Sententiarum " Petri Lombardi, Prologo, q. 1 , a . 1 , c. 2 Tommaso, Summa contra genti/es, I, c. 4. 3 Eugenio Toccafondi, Valore perenne della gnoseologia tomista, in Aqui­ nas, 1 960, p. 237. Si legga in proposito quello che scrive lo stesso Tomma­ so: « Quando nos posuerimus opiniones aliorum et induxerimus eorum ra­ tiones, et solverimus eas, et posuerimus rationes in contrarium, minus inerit nobis quod videamur condemnare dieta aliorum gratis, id est sine de­ bita ratione, sicut qui reprobant dieta aliorum ex solo odio•> (In Aristotelis librum "De coelo et mundo ", I, lect. 22).

4 Aristotele, Analitici secondi, II. 5 Marie-Dominique Chenu, La théologie camme science au XIII siècle, Vrin, Paris 1 957, p. 74. Per Tommaso certamente la teologia non è soltan­ to "scienza delle conclusioni" come qualche volta è stato affermato. Ma la conclusione rappresenta sempre una parte importante e preziosa del suo lavoro.

6 Ciò è stato provato dal punto di vista storiografico dall'opera di Étienne Gilson, a cominciare dal saggio del 1 93 1 intitolato L'esprit de la philo­ sophie médiévale (2 voli., Vrin, Paris) . 207

7 Étienne Gilson, Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin, in Archi­ ves d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age, 1 ( 1 92 6 - 1 92 7), p. 1 1 8 .

8

Cfr. Tommaso, In Boethii librum "De Trinitate", VI , 1 , 3 .

9 Cfr. ibid., V, 4 . I O Cfr. ibid. , Il, q. l , a. l . I l Tommaso, In primum librum "Metaphysicorum " Aristotelis, !, n. 34.

1 2 Cfr. Ibid., n. 35. 1 3 Tommaso, In primum librum "Ethicorum " Aristotelis ad Nichomacum expositio, I, l .

1 4 Ibid. 1 5 Ibid. 1 6 Ibid. 17

Ibid., l, 2.

1 8 Ibid. 1 9 Ibid.

2 0 Ibid. 2 1 Ibid. 2 2 Cfr. Tommaso, Quaestiones disputatae de veritate, q. 1, a. 1 . 2 3 Ibid. q. 2 1 , a .

l.

24 Tommaso, Summa theologiae, l, q . 4, a .

l ad 3.

25 Tommaso, Quaestiones disputatae de potentia Dei, q. 7, a. 2 ad 9. 26 Ibid. 2 7 Tommaso, In primum librum "Sententiarum " Petri Lombardi, 7, 2 ad 9. 28 Tommaso, In librum "De Hebdomadibus", 2, n. 32. 29 litici, a cura di Raimondo Spiazzi, Massimo, Milano 1 985; Commento alla "Politica " di Ari­ stotele, a cura di Lorenzo Perotto, Studio Domenicano, Bologna 248

1 995. Segnaliamo infine, come strumento per un primo approccio all'insieme della filosofia di Tomrnaso, l'antologia curata da Rober­ to Cossi S. Tommaso d'Aquino. Pagine di filosofia, Studio Domeni­ cano, Bologna 1 988; più specialistico è il volume L'etica filosofica in Tommaso d'Aquino, a cura di Umberto Galeazzi, Città Nuova, Roma 1 9 89.

Tommaso: studi storico-critici sulla sua filosofia

Purtroppo, per quanto riguarda l'interpretazione del pensiero di Tommaso, non disponiamo di un'edizione italiana dell'opera più autorevole, quella di Étienne Gilson, Le thomisme (Vrin, Paris 1 9656); disponiamo invece della traduzione italiana di altre due opere gilsoniane che possono servire da introduzione alla dottrina filosofica di Tommaso, soprattutto per quanto riguarda la metafisi­ ca dell'actus essendi e la teologia naturale: si tratta di Étienne Gil­ son, Elementi di filosofia cristiana (tit. orig.: Elements o( Christian Philosophy, 1 960), trad. it., Morcelliana, Brescia 1 973, e Introdu­ zione alla filosofia cristiana (tit. orig.: Introduction à la philosophie chrétienne, 1 960), trad. it., Massimo, Milano 1 983; in entrambe le opere Gilson intende per filosofia cristiana la filosofia di Tommaso, che per lui è il più originale e coerente sistema di pensiero generato dalla Rivelazione e capace di piena autogiustificazione razionale. Un testo direttamente italiano, e di non minore importanza scientifica, è quello di Cornelio Fabro, Introduzione a san Tomma­ so. La metafisica tomista e il pensiero moderno, Ares, Milano 1 9972, dove è sapientemente illustrato il valore del pensiero metafi­ sica tommasiano alla luce delle istanze critiche dei contemporanei (Heidegger). A questo si può aggiungere un'opera del filosofo sici­ liano Michele Federico Sciacca, scritta poco prima di morire ( 1 975) e intitolata Prospettiua sulla metafisica di san Tommaso ( L'Epos, Palermo 1 9902). Ultimamente Battista Mondin (uno studioso di grande acume e di notevoli capacità divulgative) ha approntato due preziosi strumenti di studio per affrontare il pensiero di Tommaso: Il sistema filosofico di Tommaso d'Aquino, 2• ed. aggiornata, Massimo, Milano 1 992; e il Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso d'Aquino, Studio Domenicano, Bologna 1 992; ambedue questi testi uniscono il rigore e l'aggiornamento critico alla limpidità dell'espressione e al­ l'eliminazione di apparati bibliografici non essenziali. Studi fondamentali su alcuni aspetti particolari della filosofia di 249

Tommaso, fra i tanti, sono questi che si raccomandano per il carat­ tere divulgativo e la reperibilità: a) metafisica e teologia naturale: Jacques Maritain, Sette lezioni sull'essere e sui principi della ragione speculativa, trad. it., Massi­ mo, Milano 1 9 8 1 ; ( ? ? ? ) Breve trattato dell'esistenza e dell'esistente, Morcelliana, Brescia 1 965; Étienne Gilson, L'ente e l'essenza, trad. it., Massimo, Milano 1 989; Joseph de Finance, Essere e agire nella filosofia di san Tommaso, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vatica­ no, 1 989; Cornelio Fabro, La nozione metafisica di partecipazione secondo san Tommaso d'Aquino, SEI, Torino 1 9653; Michele Fede­ rico Sciacca, Prospettive sulla metafisica di san Tommaso, Città Nuova, Roma 1 980; Giorgio Giannini, Tesi di antologia tomista, Città Nuova, Roma 1 9 80; Mario Pangallo, Il principio di causalità nella metafisica di san Tommaso, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1 99 1 ; b) gnoseologia e d epistemologia: Jacques Maritain, I gradi del sapere, trad. it., Morcelliana, Brescia 1968; Cornelio Fabro, Perce­ zione e pensiero, Morcelliana, Brescia 1968; AAW, Noetica, critica e metafisica in chiave tomistica, Libreria Ed. Vaticana, Città del Va­ ticano 1 9 9 1 ; Marco D'Avenia, La conoscenza per connaturalità in san Tommaso d'Aquino, Studio Domenicano, Bologna 1 992; c) cosmologia: Juan ]osé Sanguineti, La filosofia del cosmo in Tommaso d'Aquino, Ares, Milano 1988; d) antropologia ed etica: Romano Pietrosanti, L'anima umana nei testi di san Tommaso: partecipazione, spiritualità, immortalità,

Studio Domenicano, Bologna 1 995 (in appendice, trad. it. della Quaestio disputata de anima); Angel Rodrfguez Luiio, La scelta eti­ ca, Ares, Milano 1 988; Sofia Vanni Rovighi, L'antropologia filoso­ fica di san Tommaso, Vita e Pensiero, Milano 1 972; Carlos Cardo­ na, Metafisica del bene e del male, trad. it., Ares, Milano 1 99 1 ; Mario Gigante, Genesi e struttura dell'atto libero in san Tommaso, Morano, Napoli 1 980; AAVV, L'anima nell'antropologia di san Tommaso d'Aquino, Massimo, Milano 1 982; Angelo Campodoni­ co, "lntegritas ": metafisica ed etica in san Tommaso, Nardini, Fi­ renze 1 997; e) sociologia e politica: Rocco Buttiglione, Metafisica della cono­ scenza e politica in san Tommaso d'Aquino, CSEO, Bologna 1 988; Sergio Cotta, Il concetto di legge nella "Summa Theologiae", Giap­ pichelli, Torino 1 955; Roberto Bagnulo, Il concetto di diritto natu­ rale in san Tommaso d'Aquino, Giuffré, Milano 1 9 83; Giuseppe Cenacchi, Il lavoro nel pensiero di san Tommaso d'Aquino, Nuova Coletti, Roma 1 977; Vittorio Possenti, Giorgio La Pira e il pensie­ ro di san Tommaso, Massimo, Milano 1 983; Reginaldo Pizzorni, Il 250

fondamento etico-religioso del diritto secondo san Tommaso d'A­ quino, Massimo, Milano 1 985; f) estetica: Umberto Eco, Il problema estetico in san Tommaso d'Aquino, Bompiani, Milano 1 9702; g) pedagogia: Felice Adalberto Bednarski, L'educazione dell'af­ fettività alla luce della psicologia di Tommaso d'Aquino, Massimo, Milano 1 983.

25 1

Indice

Prologo ì



Perché un libro su Tommaso d'Aquino filosofo 1 Il mondo della cultura all'epoca di Tommaso Il Sacro Romano Impero a contatto con l'Islam, 1 7 - La società feudale: imperatore, re, conti, monasteri e liberi comuni, 2 1 L'unità culturale dell'Europa cristiana e la Scolastica, 24 La filosofia francescana: Bonaventura da Bagnoregio, 33 - La visione francescana della scienza: Ruggero Bacone, 42 - La visione domenicana della scien­ za: Alberto di Colonia, 44 -

-

51

2 Vita e opere di Tommaso d'Aquino

Frate mendicante e professore universitario, 51 - Le grandi opere e gli opuscoli, 60 - Il trattato giovanile sul­ l'ente e l'essenza, 64 - La polemica contro l'aristotelismo spurio, 68 - Platone, Aristotele e Avicebron nella critica di Tommaso, 72 ìì

3 La rivoluzione culturale di Tommaso

I rapporti tra ragione e fede, 77 La scelta della me­ tafisica di Aristotele, 85 - Il realismo empirico-metafisi­ co, 87 La metafisica come sistema aperto, 96 - Dall'eti­ ca alla politica, 1 2 1 - L'uso delle fonti pagane da parte di Tommaso: un modello di dialogo interculturale per il no­ stro tempo, 1 3 1 -

-

141

4 L a filosofia d i Tommaso nella storia : condannata come eretica, ufficializzata, dismessa Il vescovo di Parigi condanna l'aristotelismo di Tomma­ so, 1 4 1 - Leone XIII e il tomismo dell'Ottocento, 143 - Il tomismo nel Novecento: fioritura dei filosofi laici di ispi­ razione tomistica, 1 4 7 Epilogo

167

Perché Tommaso, scartato dalla teologia del Novecento, sarà la guida del pensiero cristiano dopo il Duemila Modernismo e progressismo contro il tomismo ?, 1 67 La Ch iesa, Tommaso e le prospettive del terzo millennio, 1 80 - Tommaso e la filosofia postmoderna, 1 8 8

203

Note

225

Piccolo glossario tomistico

24 7

Bibliografia italiana essenziale Tommaso: la vira, le opere, il pensiero, 24 7 Tommaso: studi storico-critici sulla sua filosofia, 249 -

L'origina lità di Tom m as o con siste nel fatto di n on voler e ss ere per nie nte origin ale . Tom m aso re spin ge la ten tazione d i scegliere q u alco s a , p erché la verità d ell ' e ssere lo obb liga a scegliere tutto .