Terra di conquista. 9788831175517

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Terra di conquista.
 9788831175517

Table of contents :
Terra di Conquista
Una premessa geopolitica
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Introduzione
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I sacri confini
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Nel blu, dipinto di blu
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Chiare, fresche et dolci acque
note
Andando per i mari
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I chokepoints
Il canale di Suez
Gli stretti turchi: Bosforo e Dardanelli
Il canale di Panama
Gli stretti del Medio Oriente
Gli stretti di Malacca e della Sonda
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Le risorse energetiche
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Oro, platino e...
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Che fame!
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Il land grabbing
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Armi e dintorni
Le spese militari
Il commercio di armamenti
Le guerre dimenticate
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Conclusioni
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Terra di Conquista © 2020, Città Nuova Editrice via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma tel. 063216212 - e-mail: [email protected] ISBN 978-88-311-7551-7

Finito di stampare nel mese di febbraio 2020 dalla tipografia STR Press Srl via Carpi, 19 - 00071 Pomezia (Roma)

Un ringraziamento particolare va a Vincenzo Alessandro e a Pierluigi Bozzoli per i preziosi suggerimenti e i pertinenti rilievi al presente lavoro, di cui sono l'unico responsabile

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Una premessa geopolitica Stiamo vivendo una Seconda guerra fredda? Oppure siamo già dentro una Terza guerra mondiale a pezzi? O è solo il risultato di una fase di caos globale? Ci troviamo di fronte alla fine della supremazia dell'Occidente e all'inizio di quella dell'era asiatica? I cambiamenti climatici influenzano la conflittualità? Ognuna di queste ipotesi è al contempo esatta e incompleta, perché individua un aspetto e ne trascura altri che concorrono a formare un quadro complesso. Proviamo a comprendere quel che sta accadendo attraverso uno sguardo globale, non limitato a un singolo elemento o a un fenomeno isolato, per quanto importante esso sia. Innanzitutto individuiamo alcuni punti fondamentali. Primo: l'attuale momento non è più caratterizzato dalla contrapposizione ideologica, tipica della seconda metà del XX secolo, con il suo bipolarismo e con la sua divisione del mondo tra le democrazie occidentali e i regimi comunisti, egemonizzati rispettivamente da USA e URSS. Delle due relative alleanze militari, NATO e Patto di Varsavia, è sopravvissuta solo la prima, saltuariamente messa in discussione da Washington: le amministrazioni repubblicane non la ritengono sufficientemente allineata alle posizioni statunitensi in termini di spese per la difesa, tanto che nel corso degli anni si sono attivate coalizioni a geometria variabile da utilizzare in diverse situazioni. Basti pensare alla guerra condotta solo da alcuni paesi della NATO contro la Libia di Gheddafi o alla guerra combattuta insieme da Stati Uniti e Russia contro il Califfato dell'ISIS in Siria, nonché nel luglio 19 all'ipotesi statunitense per una coalizione armata di controllo dello stretto di Hormuz001, Le coalizioni si compongono e si scompongono di volta in volta in relazione al variare momentaneo degli interessi nazionali dei protagonisti e dello scacchiere d'azione. Secondo: al bipolarismo si è sostituito un multipolarismo che vede, oltre alle due potenze statunitense e russa, il protagonismo di Cina e, a seguire, India. Le economie di Pechino e di New Delhi sono in netta 3

crescita e stanno trascinando con sé anche quelle dei paesi dell'area, al punto che molti osservatori notano che l'asse della politica mondiale si sta spostando da Occidente a Oriente. L'organismo che dovrebbe tentare di coordinare a livello globale il multipolarismo e i rapporti (spesso difficili) tra gli Stati, 'ONU, è stato progressivamente emarginato e depotenziato dall'interesse nazionalistico delle superpotenze che siedono nel suo Consiglio di Sicurezza, interessate a garantirsi una propria libertà d'azione più che ad assicurare un nuovo ordine mondiale fondato su principi di giustizia e di pace. Terzo: si stanno facendo passi avanti nel settore delle energie rinnovabili, ma non al punto da mettere in crisi in tempi brevi gli assetti produttivi e commerciali delle energie non rinnovabili (petrolio e gas in primis), con le conseguenti alleanze e tensioni per l'accaparramento di tali risorse, come testimonia esemplarmente l'instabilità permanente del Medio Oriente e del Nord Africa, l'area Middle East North Africa (MENA). Quarto: i rapidi cambiamenti climatici, connessi anche al modello di sviluppo intrapreso da oltre un secolo002, si stanno presentando come una minaccia globale; il surriscaldamento del pianeta, con la desertificazione e la crescente penuria di acqua, provoca fenomeni estremi sia nei paesi più sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, con diverse conseguenze, tra cui anche i cosiddetti profughi ambientali. L'inquinamento dell'aria e dei mari - si pensi all'isola galleggiante di plastica nell'oceano Atlantico, grande quattro volte la Francia - pone nuove sfide che non sembrano però ancora essere entrate prioritariamente nell'agenda politica dei governi. Quinto: la globalizzazione, in realtà fenomeno non nuovo nella storia dell'umanità e in passato semplicemente più limitato dal punto di vista geografico e commerciale, è oggi una realtà che unisce in tempo reale paesi ed economie agli antipodi, con un'accelerazione senza precedenti dovuta agli sviluppi tecnologici (l'informatica, internet, i mezzi di trasporto, ecc.). Assistiamo di conseguenza a una serie di fenomeni contemporanei quali l'intensificazione dei flussi di comunicazione mediante tecnologie sofisticate, la delocalizzazione industriale accelerata, lo sviluppo delle imprese multinazionali e transnazionali, la ridefinizione del peso specifico delle potenze economiche con 4

conseguente sconvolgimento dei confini e delle identità dei soggetti economici classici, la mondializzazione dei flussi finanziari ed economici e una dissociazione dell'economia finanziaria da quella economica. La globalizzazione vede la crescita del divario Nord/Sud, dovuto a meccanismi di scambio ineguale da un lato con un capitale finanziario e con gli investimenti delle multinazionali in grado di muoversi liberamente, dall'altro con le tariffe doganali vigenti che impediscono ai paesi pudicamente definiti in via di sviluppo di inserirsi nel mercato mondiale003. Permane evidente un'iniqua distribuzione e un'altrettanto iniqua gestione delle risorse alimentari che causano fame e povertà nel mondo, mentre emerge sempre più la supremazia delle imprese transnazionali e l'assenza o la debolezza dei meccanismi democratici di governo sovranazionale. La globalizzazione non si limita solo al settore commerciale, economico o culturale, ma inevitabilmente comporta anche quella dei popoli, per cui si hanno migrazioni crescenti dalle aree più in difficoltà (colpite da sottosviluppo, carestie, desertificazione, guerre, ecc.) verso quelle più ricche. Questo, ad esempio, è avvenuto già in Italia a suo tempo con l'emigrazione verso l'America tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento (si stimano nove milioni di persone) e poi dal Sud verso il Nord Italia nel secondo dopoguerra (circa sei milioni verso il triangolo industriale Milano-Torino-Genova), sino ad arrivare a oggi con la cosiddetta fuga dei cervelli e dei giovani verso l'UE o gli Stati Uniti (si parla di quattro milioni di italiani residenti all'estero, soprattutto verso Regno Unito, Germania, Francia e Svizzera)004. Sesto: la drammaticità di questi fenomeni e la tendenza nazionalista ad avere uno sguardo puramente locale, incapace di andare oltre e di vedere l'insieme, nel XXI secolo stanno producendo nei governi e nei popoli atteggiamenti sovranisti, cioè di chiusura (in realtà impossibile) verso i mutamenti del mondo contemporaneo, che in primo luogo devono essere compresi e poi gestiti su scala globale, unico modo per affrontarli e per tentare di risolverli. Emergono di conseguenza atteggiamenti quali "Deutschland uber alles005", "America first", "Prima gli italiani", che di fatto prefigurano uno scontro di tutti contro tutti alla ricerca solo del proprio immediato interesse contingente. 5

Tutti questi fenomeni si intrecciano nelle società creando situazioni a volte contraddittorie, complesse da comprendere nelle loro interconnessioni che si relazionano su più livelli, evidenti o nascosti, trasparenti o opachi. La bussola geopolitica può essere di aiuto per orientarci meglio. Dalla caduta del Muro di Berlino si è ripreso a parlare di geopolitica. Ma cos'è veramente? La geopolitica è una scienza relativamente giovane che si sviluppò tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento per individuare i nessi tra il territorio nelle sue complesse articolazioni (clima, ambiente, risorse, ecc.) e l'azione politica dei governi, cercandone le leggi che avrebbero condizionato e determinato positivamente o negativamente certi comportamenti degli Stati. Si arrivò così al determinismo geografico che intendeva evidenziare l'inevitabilità, per così dire, di politiche più o meno espansive dovute alle caratteristiche di un territorio abitato da un popolo: la teoria dello spazio vitale, che sottolineava la necessità ineluttabile di occupare nuovi territori da parte di un popolo in crescita, non a caso fu fatta propria dal nazismo006. Gli Stati venivano considerati come organismi viventi che nel tempo si sviluppano e crescono come le piante e gli animali, riprendendo le teorie evoluzionistiche di Darwin, trasponendole dall'osservazione naturalistica a quella sociopolitica. I risultati non solo erano scientificamente non plausibili, ma anche pericolosissimi, ancor più se esse venivano coniugate poi con teorie superomistiche e razziste che costituivano il milieu culturale dell'epoca. Anche le caratteristiche climatiche di un territorio venivano considerate più che decisive per i comportamenti sociali delle popolazioni e per la loro evoluzione scientifica, politica ed economica. In sostanza, la geopolitica degli albori cercava nell'ambiente e nel territorio giustificazioni (pseudo)scientifiche all'azione di espansione coloniale e imperiale avviata secoli prima con la scoperta del continente americano e poi proseguita sull'intero globo007, sino a condurre con la Prima e la Seconda guerra mondiale allo scontro nazionalistico tra le varie potenze, tese a espandersi ai danni l'una dell'altra e a strapparsi i territori conquistati. Oggi questo determinismo è definitivamente tramontato e la geopolitica si presenta come un utile e prezioso strumento, seppur non 6

l'unico, per comprendere meglio il mondo contemporaneo e le sue dinamiche008. Anche storici che facevano riferimento alla rivista «Annales d'histoire économique et sociale»009 infatti affermavano che per poter comprendere e spiegare i fatti del mondo, passato o presente, occorre utilizzare diverse discipline, dall'economia alla sociologia, dalla geografia al diritto, e così via. È necessaria insomma una visione multidisciplinare e globale per capire un mondo complesso. Lo sguardo geopolitico ci aiuta a comprendere cosa sta succedendo nel mondo contemporaneo, al di là delle semplificazioni che spesso ci vengono presentate. Caso esemplare è quello ricorrente su molti mass media dell'uso dell'espressione "è un conflitto tribale", che in realtà non chiarisce nulla dato che il termine tribù indica semplicemente un gruppo umano: è ovvio che un conflitto deve essere tra due gruppi sociali, ma nessun accenno viene fatto all'elemento più importante, ovvero la causa scatenante del conflitto. Anzi, potremmo dire che la locuzione è vagamente spregiativa, se non addirittura razzista (dato che viene usata prevalentemente per il continente africano).

note

001 Washington, "Vogliamo una coalizione internazionale per difendere le petroliere", 10 luglio 2019, https://www.repubblica.it/esteri/2019/07/10/news/usa_coalizione_internazionale_per_difend ref=RHPPLF-BH-I230841852-C4-P6-S1.4-T1. 002 In realtà, l'azione umana sul territorio ha avuto certamente effetti sui mutamenti climatici sin dai suoi primordi. Già con il passaggio all'economia agricola i nostri antenati modificarono l'ambiente, disboscando, creando sistemi irrigui e così via. Tale azione nel corso dei secoli divenne sempre più invasiva e con la Seconda rivoluzione industriale gli effetti crebbero esponenzialmente. 003 Il sociologo statunitense Immanuel Wallerstein, recentemente scomparso, individuava tre livelli nel sistema-mondo: nucleo centrale (società capitaliste industrializzate), semiperiferia (paesi a sviluppo intermedio), periferia (paesi meno sviluppati), tutti in un rapporto dinamico. 004 L'ISTAT rileva tra il 2013 e il 2017 la crescita del numero di emigrati diplomati (+32,9%) e laureati (41,8%): 28.000 laureati nel solo 2017. https://www.istat.it/it/files/2018/12/Report-Migrazioni-Anno-2017.pdf. A livello mondiale, nel 2019, i migranti sono arrivati a 272 milioni (3,5% della popolazione globale), con un aumento di 52 milioni rispetto al 2010 (Fonte UN/DESA, 17 settembre 2019).

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005 In realtà essa è una frase dell'inno nazionale tedesco del 1918 (ma risale a un testo romantico scritto nel 1841 da Heinrich Hoffman per una melodia di Haydn), poi fatta propria dal nazismo per sottolineare la finalità espansiva del regime. 006 Vedi tra gli altri lo statunitense Alfred Thayer Mahan (1840-1914), che sottolineò l'importanza fondamentale del potere marittimo; il tedesco Friedrich Ratzel (1844-1904), con la teoria dell'espansionismo come tendenza naturale progressiva degli Stati e con il concetto di Lebensrau (spazio vitale); l'inglese Halford John Mackinder (1861-1947), con la tesi dell'Heartland (cuore del mondo), la regione euroasiatica centrale come forza alternativa alla potenza marittima inglese; lo svedese Rudolf Kjellén (1864-1922), con il concetto di Stato-organico; il tedesco Karl Haushofer (1869-1946), con i concetti del fattore spazio come determinante per lo sviluppo dello Stato, della Wehr-Geopolitik (geopolitica della guerra); il tedesco Otto Maull (1887-1957) con la teoria ambientale-deterministica dello:Stato-organico. 007 W. Reinhard, Storid del colonialismo, Einaudi, Torino 2002. 008 Per un approfondimento vedi G. Ferro, Fondamenti di geografia politica e geopolitica, Giuffré, Milano 1994; C. Jean, Geopolitica, Laterza, RomaBari 1995; G. Lizza, Territorio e potere. Itinerari di geografica politica, UTET, Torino 1996; Id., Geopolitica. Itinerari del potere, UTET, Torino 2001. 009 Tra questi ricordiamo Marc Bloch, Lucien Febvre, Henri Pirenne, Fernand Braudel e Jacques Le Goff. Un approccio analogo lo ha avuto il sociologo Immanuel Wallerstein ed è presente anche nelle analisi di altri studiosi come Ilya Prigogine, uno dei pionieri della cosiddetta "scienza della complessità".

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Introduzione Lo storico romano Tito Livio scriveva che «bellum se ipsun alet»010, cioè che la guerra alimenta sé stessa. Il concetto è stato ripreso nel XX secolo dal presidente statunitense Dwight D. Eisenhower (repubblicano, già generale dell'esercito011) nel suo famoso discorso d'addio alla nazione del 17 gennaio 1961, con cui metteva in guardia la società dal potere occulto del complesso militare-industriale, capace di condizionare le scelte di politica estera e della difesa. La guerra ha contrassegnato la storia dell'umanità sin dai primordi, vedendo forze contrapposte usare di volta in volta armi sempre più letali e sofisticate, dalla clava all'arco sino ai sistemi letali autonomi, i cosiddetti killer robot. Tali conflitti sono causati, ieri come oggi, da molteplici ragioni, prevalentemente connesse al controllo di ricchezze e di risorse, per ottenere le quali nei secoli sono state tirate in campo numerose motivazioni, dalla religione al diritto divino, dalle ideologie (liberismo, nazionalismo, fascismo, nazismo, comunismo, ecc.) al razzismo, dall'esportazione della civiltà e della democrazia al rispetto dei diritti umani, dalla difesa dei confini sacri a quella della sicurezza. Se scorriamo la storia troveremo un lunghissimo elenco di motivazioni che hanno "costretto" paesi a entrare in guerra: i Romani erano soliti intervenire in aiuto di qualche città all'interno della quale loro stessi avevano fomentato ribellioni, sollecitando le loro richieste di aiuto a Roma, creando così, passo dopo passo, un impero sterminato per l'epoca e realizzando la pax romana012. In tempi relativamente più recenti, le due Guerre dell'oppio videro la sconfitta della Cina guidata dalla dinastia Qing che dovette accettare l'istituzione di tale commercio sul proprio territorio ad opera della Gran Bretagna nel corso del XIX secolo (il liberismo imposto a cannonate). La fantasia umana è apparsa particolarmente ricca nel trovare le più svariate giustificazioni per sostenere azioni armate, al punto che in tempi recenti si è parlato di peacekeeping e di peace-enforcing per definire missioni militari di vero e proprio combattimento anche in 9

territori lontani in nome della sicurezza internazionale o dei diritti umani dei civili013. Ci si muove su un orizzonte senza più confini. La globalizzazione del XXI secolo ha comportato un'integrazione non solo assai avanzata economicamente su scala planetaria, ma anche estremamente rapida nelle sue interconnessioni. Ne sono un esempio i riflessi immediati dell'andamento delle borse asiatiche su quelle occidentali (o viceversa) o le procedure di sistemi come i colossi dell'ecommerce, Amazon o Alibaba su tutti. La stessa globalizzazione viene a volte presentata come nemico ectoplasmatico, mentre in realtà essa è un fenomeno di antica data. Basti pensare ai commerci e ai rapporti esistenti all'interno dell'Impero romano o di quello cinese della dinastia Yuan: la differenza tra allora e oggi è sostanzialmente nella rapidità sempre più elevata di questi passaggi, compreso quello delle notizie. La moderna tecnologia consente comunicazioni in tempo reale e provoca reazioni cronologicamente analoghe, che non sono sempre le più opportune e meditate. La guerra si muove su tempi di reazione sempre più ridotti al punto da comportare un'accelerata tendenza a utilizzare l'intelligenza artificiale nell'ambito della difesa perché i tempi di reazione umana non riescono a stare al passo con le nuove tecnologie. Di qui deriva la crescente adozione di sistemi d'arma letali autonomi - Lethal Autonomous Weapons Systems (LAWS) - capaci di rispondere in tempi sempre più brevi a presunte minacce014. Se nel XX secolo è stata inventata la bomba nucleare, un'arma di distruzione di massa con una potenza incommensurabile rispetto a quelle precedenti, oggi missili sempre più precisi e rapidi sono in grado di colpire obiettivi civili e militari. Attacchi vengono portati ormai da droni comandati a distanza di centinaia di chilometri, confermando le nuove frontiere delle tecnologie belliche. I conflitti, le armi usate e le relative vittime (civili e militari) sì svolgono in questo XXI secolo in un quadro dalle relazioni internazionali assai fluide, per non dire confuse. Già nel 1988 Ignacio Ramonet parlava di geopolitica del caos, indicando 10

il venir meno di quell'equilibrio del terrore e del bipolarismo che aveva dominato la seconda parte del XX secolo, in cui Washington e Mosca, rispettivamente con le due alleanze militari della NATO e del Patto di Varsavia, si erano confrontate nel corso della Guerra fredda015. I due blocchi si minacciarono di distruzione reciproca, riarmandosi in modo crescente, senza però passare all'azione diretta né sul Vecchio Continente né altrove, ma sostenendo questo o quel governo e i relativi movimenti armati di opposizione negli altri continenti, dall'Africa all'America Latina sino all'Asia. La crisi dell'URSS e del Patto di Varsavia prima, l'allargamento a est della NATO e l'ampliamento analogo dell'UE poi, l'emergere di nuove potenze come la Cina e l'India, la crescente concentrazione della ricchezza e le sperequazioni economiche globali hanno segnato una cesura tra il Novecento e il terzo millennio, ma in realtà sono la prosecuzione storica di processi in atto da tempo. Già da decenni si parlava di paesi sviluppati e sottosviluppati (poi, più pudicamente, in via di sviluppo) e anche di sfruttamento da parte dei paesi avanzati delle ricchezze dei più poveri. Basti pensare, come abbiamo già detto, all'espansione coloniale europea, apparentemente inarrestabile dalla scoperta delle Americhe in poi, fermata solo dalla guerra intestina tra le potenze stesse con il primo e il secondo conflitto mondiale. Oggi i dati sulla concentrazione della ricchezza mondiale e sulla sperequazione sono spaventosi: l'1% detiene più ricchezza del restante 99% della popolazione mondiale, mentre 8 miliardari detengono la ricchezza di metà della popolazione mondiale. L'82% dell'incremento di ricchezza globale registrato nel 2018 è finito nelle casseforti dell'1% più ricco, mentre la metà più povera del mondo (3,7 miliardi di persone) ha avuto lo 0%. Il valore (come capitalizzazione di borsa) di diverse aziende multinazionali è enorme: per dirne solo alcune, Apple raggiunge i 911 miliardi di dollari nel 2018, Microsoft 695, Amazon 624, Facebook 518, Alibaba 471 16. Tra quelle del comparto petrolio e gas troviamo la Sinopec con 426 miliardi di dollari, la Royal Dutch Shell con 388, la China National Petroleum Corp (CNPC) con 346, la BP con 299, la ExxonMobil con 290, la Total con 209 17. Per fare un confronto, il bilancio del governo federale degli Stati Uniti è 11

intorno ai 200 miliardi di dollari. La potenza condizionante degli interessi di queste e altre aziende multinazionali appare evidente e, pertanto, è possibile comprendere come i governi operino sulla scena internazionale in relazione a una molteplicità di interessi che spesso non corrispondono a quelli rappresentati nelle dichiarazioni politiche pubbliche attraverso i mass media. Gli stessi governi spesso non hanno il potere di operare su scala mondiale come invece fanno le multinazionali. Non si può dimenticare però che le relazioni tra gli Stati - a parte la nuova frontiera del cyberspazio018 - si svolgono prevalentemente sullo spazio terrestre che, oltre a contenere risorse preziose, è anche via commerciale, barriera naturale o area strategica. Per lo sfruttamento di queste risorse o l'utilizzo di questi spazi, i popoli si sono scontrati nel corso dei secoli e lo continuano a fare ancora oggi, cercando di rappresentare il più delle volte le cause di questa conflittualità diffusa con motivazioni giustificative che tendono a offuscare le reali radici dello scontro. Confini terrestri, marittimi e aerei, risorse di vario genere (alimentari, energetiche, minerarie, di legname, ecc.), aree strategiche sono le fonti reali, ma spesso ignorate, delle tensioni e dei conflitti. Pertanto, quando questi avvengono, è sempre importante cercare di conoscere approfonditamente gli elementi geopolitici che caratterizzano la disputa per comprenderne le vere dinamiche, nonché le cause e le finalità.

note 010 Lo attribuiva a Marco Porcio Catone in Ab urbe condita, vol. XXXIV, 9, 011 Tra l'altro guidò nel 1944 l'operazione Overlord, cioè lo sbarco in Normandia, e poi le truppe statunitensi sino alla sconfitta della Germania. 012 Publio Cornelio Tacito nel suo Agricola fa dire al generale Calèdone Calgaco la frase Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (dove fanno il deserto, lo chiamano pace) allo scopo di infiammare i cuori dei suoi uomini contro i Romani. 013 U. Gaudino, Ascesa e declino dell'interventismo umanitario, in «Sistema

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Informativo a Schede», 12 (2016), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-a-schede-sis/sistema-aschede/finish/275/4359. Un approfondimento a parte meriterebbe l'analisi del passaggio dalla politica della difesa dei confini al concetto della sicurezza, che amplia globalmente l'azione militare delle forze armate. 014 L'accelerazione estrema dei sistemi d'arma usati sul campo di battaglia fa sì che la reazione umana appaia troppo lenta, analogamente alla capacità di valutazione delle diverse informazioni in tempi adeguati. Pertanto l'uso sempre più spinto di complessi sistemi d'arma sta portando a impianti LAWS capaci di selezionare, individuare e colpire un obiettivo in tempi brevissimi, i cosiddetti &é//er robots. Di essi se ne discute in sede internazionale a Ginevra presso la Convention on Certain Conventional Weapons (CCW). 015 I. Ramonet, Geopolitica del caos, Asterios, Trieste 1998. 016 https://www.verafinanza.com/le-50-societa-piu-grandi-del-mondonel2018/. 017 https://www.offshore-technology.com/features/largest-oil-andgascompanies-in-2018/. 018 Tale frontiera; oltre a essere violata dagli apparati di.Stati avversari, è soggetta anche ad attacchi di hacker e di altri soggetti, anche con finalità opposte, come nel caso delle vicende connesse all'attività dell'organizzazione Wikileaks di Julian Assange o dello scandalo dei Panama Papers con oltre 11 milioni di documenti riservati relativi a 214.000' società offshore denunciatonel 2016 dall'International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ).

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I sacri confini Il limes, cioè il confine, rappresentava per l'Impero romano la linea fortificata che lo separava dagli altri territori i cui popoli non erano a esso sottomessi, come il vallo di Adriano lungo 117 km e costruito in Britannia a partire dal 122 d.C., o la Grande muraglia cinese, lunga oltre 8.000 km e realizzata a partire dal 215 d.C., fu edificata per proteggersi dalle invasioni mongole provenienti dal nord. Il confine, come si può comprendere facilmente, è una creazione umana, dato che in natura non esistono linee che sulle carte geografiche sembrano dividere nettamente un paese da un altro. Tant'è che, se ci trovassimo a passarle in un viaggio via terra, la stessa morfologia del territorio ci rammenta che esse rappresentano un artificio dei governi e non hanno nulla di naturale: l'ambiente che ci circonda alla dogana è spesso identico da un lato e dall'altro, mentre solo proseguendo il viaggio ci vorrà del tempo - più o meno lungo - per trovare delle differenze apprezzabili non solo nell'ambiente, ma spesso anche nella popolazione. Anche i confini naturali, come ad esempio le catene montuose o i fiumi, sono così definiti da noi per rappresentare comunque l'esigenza delle relazioni tra uomo e territorio, analogamente a quel che fanno in natura gli animali. Non troveremo mai in matura una striscia rossa per terra che rappresenta il confine, a meno che non l'abbia tracciata la mano umana (con relativo spreco di tempo e di vernice, dato che poi gli elementi meteorologici la cancellano a poco a poco). Come non troveremo mai nelle zone di confine popolazioni con caratteristiche culturali, linguistiche, sociali radicalmente diverse. Anzi, spesso questi nuclei di popolazione sono il pretesto per avanzare rivendicazioni proprio in merito alla ridefinizione dei confini. Nella storia del XX secolo, ad esempio, Hitler utilizzò inizialmente tali richieste proprio basandosi sul concetto della Grofdeutschland (Grande Germania) e acquisendo prima con l'Anschluss l'Austria, poi i Sudeti nel 1938, poi nel 1939 Danzica e altre aree (il corridoio di Danzica, la Prussia Occidentale, la Posnania e parti dell'Alta Slesia), nonché il territorio di Zichenau, avviando così il secondo conflitto mondiale. La presenza di 14

comunità russofone è un elemento che ha giocato un ruolo non trascurabile nella recente vicenda dell'Ucraina, come permane aperta la questione di Kaliningrad che è un'exclave sul mar Baltico, cioè un territorio russo separato dalla presenza intermedia di altri Stati come la Bielorussia (dove peraltro la lingua russa è usata dal 67% della popolazione), la Lettonia (con un quarto della popolazione russa) e la Lituania (con una comunità russofona del 5%)019. Nella leggenda e nella storia, i confini hanno comunque sempre avuto un'importanza non trascurabile. Basta pensare al leggendario fratricidio a opera di Romolo contro Remo a causa del solco scavato (il pomerium) dal primo e dileggiato dal secondo, stando a quanto raccontano Livio e Plutarco. Nella storia reale i casi connessi alle contese sui confini terrestri sono infiniti. Altre volte è lo Stato stesso che si divide. La separazione dell'Impero romano d'occidente e quello d'oriente nel 395 è un caso esemplare di uno stesso Stato che si divide come avviene in biologia con la scissione delle cellule. In tempi più recenti abbiamo avuto la separazione del Sud Sudan dal Sudan attraverso un sanguinoso conflitto che, peraltro, perdura ancora all'interno del Sud Sudan. Né va dimenticato il tentativo di secessione degli Stati confederati del Sud nei confronti di quelli del Nord, conflitto che causò la terribile Guerra civile americana (1861-1865)020. Possiamo pensare ai mutevoli confini degli Stati medievali sia in Italia sia in Europa, solo per rimanere nel Vecchio Continente, dove, attraverso molteplici vicende, alcuni nobili riuscirono a prevalere su altri per dar vita poi alle diverse monarchie nazionali. Nella nostra penisola l'eredità medievale si è protratta sino alla fine dell'Ottocento dando luogo a quel complesso fenomeno chiamato Risorgimento, che secondo alcuni ha visto il proprio completamento con la partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale in chiave antiaustriaca. Il confine, comunque, rappresenta la demarcazione della sovranità territoriale di uno Stato, chiamato a mantenerlo intatto da eventuali violazioni da parte di altri o a prevenire l'ingresso di popolazioni indesiderate. Il Vallo di Adriano in Britannia, la Grande muraglia cinese, la linea Maginot in Francia, la recinzione di rete metallica in Ungheria, il 15

muro in costruzione tra Stati Uniti e Messico sono solo alcuni esempi dell'azione degli Stati in tal senso. Altre volte sono elementi naturali (catene montuose o altro) a rappresentare un ostacolo al passaggio di forze ostili - le Alpi non lo furono per le armate di Annibale -, anche se oggi le possibilità di trasporto delle truppe sono infinitamente superiori a quelle del passato e le capacità di colpire a enorme distanza sono sempre più crescenti. Avvicinare un esercito o posizionare armamenti nei pressi di un confine è un indice significativo di intenzioni ostili, costituisce una minaccia per il vicino, crea timore solo per la prossimità in sé stessa di truppe in grado di portare avanti un attacco militare. Nel caso italiano, va ricordata, nel complesso quadro storico del Risorgimento, l'azione di Camillo Benso conte di Cavour che nel 1859 rafforzò le truppe piemontesi al confine con la Lombardia, allora territorio dell'Impero austroungarico, provocando dapprima la reazione di Vienna, il successivo intervento francese in base agli accordi segreti di Plombières e l'avvio della Seconda guerra d'indipendenza. Il posizionamento attuale di sistemi antimissile statunitensi Aegis Ashore (dal costo di 800 milioni di dollari) nell'Est Europa, in Romania e in Polonia, vicino ai confini della Russia, è stato presentato come protettivo da missili di corto e medio raggio eventualmente provenienti dal Medio Oriente e in particolare dall'Iran, peraltro distante oltre 3.000 km. A parte l'interrogativo relativo a quali misteriosi contrasti possa avere Teheran con Bucarest o con Varsavia, è noto che i missili sono più facilmente intercettabili nella fase di partenza che in quella di arrivo. È quindi evidente che il posizionamento in quei due paesi ha altri scopi, tanto che Mosca, comprendendone bene le vere finalità, ha duramente protestato021. In altri casi i confini vengono varcati da formazioni armate non ufficiali ma che si muovono nel quadro di azioni militari destabilizzanti gestite da governi che non vogliono essere direttamente coinvolti. Nel periodo della Guerra fredda nel 1979, gli Stati Uniti appoggiarono in vario modo l'opposizione armata al governo sandinista, al punto che 16

nel 1986 gli USA furono condannati dalla Corte internazionale di giustizia per «uso illegale della forza». Più recentemente, militari russi (seppur non ufficialmente) hanno partecipato alla guerra civile in Ucraina, nel Donbass022. Le radici dell'instabilità africana e mediorientale affondano nelle spartizioni del potere coloniale e imperiale europeo, potere che nel primo caso cominciò a definire i confini dei territori africani con la Conferenza di Berlino, detta anche Conferenza dell'Africa Occidentale o Conferenza sul Congo del 1884-1885, e nel secondo con l'accordo anglo-francese Sykes-Picot, ufficialmente definito Accordo sull'Asia Minore, del 1916. Popolazioni, culture, religioni, lingue diverse venivano unite o divise dalle potenze coloniali interessate a spartirsi, più o meno pacificamente, questi territori in base ai propri interessi, analogamente a quanto avveniva nel Medioevo europeo (e oltre) in cui i sudditi di un signore transitavano alle dipendenze di una corona o di un'altra in base a matrimoni nobiliari, scambi consenzienti di feudi o eventi bellici. Tali spartizioni territoriali, basate sul puro interesse nazionale delle potenze e totalmente incuranti delle realtà di questi spazi, hanno condotto inevitabilmente sia a scontri tra le potenze stesse (culminati nella Prima e nella Seconda guerra mondiale), sia all'interno di quelle aree rese disomogenee e instabili, allora come oggi. Basti pensare al vasto Impero ottomano e al suo progressivo indebolimento, che ha scatenato gli appetiti di diversi Stati europei, compresa l'Italia che nella guerra del 1911-1912 riuscì a strappare dapprima le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica e poi anche l'arcipelago greco del Dodecaneso nel mar Egeo. Se si osservano le carte geopolitiche nel corso dei secoli (vedi carte 1 e 2), nulla appare più variabile dei confini, spesso ampollosamente definiti dai governi sacri, inviolabili, eterni e quant'altro. Nell'epoca contemporanea, la globalizzazione e il cyberspazio hanno comunque fatto assumere al confine territoriale un'importanza diversa. Le nuove tecnologie permettono di operare attraverso spazi virtuali e 17

anche di portare significativi attacchi ad altri paesi senza addirittura lasciare traccia dell'identità dell'attaccante: nel 2007, uno dei paesi più informatizzati del mondo, l'Estonia, fu sottoposto a un attacco cibernetico, di cui fu sospettata la Russia di Putin, ma senza trovare prove concrete. L'Iran fu attaccato nella centrale nucleare di Natanz dal virus Stuxnet nel 2010. Anche gli Stati Uniti lo furono nel 1999 (Moonlight Maze) e nel 2003 (Titan Rain). E via dicendo. L'enorme difficoltà tecnologica a individuare esattamente l'aggressore, rappresenta significativamente lo stravolgimento dell'azione umana, che non ha più bisogno in questi casi di azioni sul territorio023.

Carta n. 1 -I confini in Europa nell'814 all'epoca di Carlo Magno Il confine terrestre nella cyberwar fare non ha più senso. Pertanto azioni aggressive anche di organizzazioni criminali o terroristiche possono operare in tali modalità con esiti potenzialmente dannosissimi: un attacco cibernetico alla torre di controllo di un aeroporto internazionale avrebbe, ad esempio, conseguenze drammatiche.

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Carta n. 2 - I confini in Europa nel 1924 dopo la Prima guerra mondiale024 Nella guerra convenzionale il confine terrestre rappresentava e rappresenta tuttora un simbolo spaziale da abbattere, da difendere o da creare, come ha tentato di fare il sedicente califfato islamico dell'ISIS tra l'Iraq e la Siria nel suo primo momento di espansione nel 2014 quando intendeva creare un vero e proprio Stato territorialmente definito e che come tale è stato sconfitto nel marzo del 2019 con la caduta di Baghuz, ultima roccaforte in mano ai jihadisti025. Se vogliamo ricordare qualche linea di confine oggetto di rivalità tra i paesi, possiamo pensare all'annoso contenzioso sul Kashmir tra India e Pakistan (ambedue potenze nucleari), che da circa 70 anni non trovano un accordo in merito e ogni tanto si scambiano gentilmente cannonate. L'occupazione cinese del Tibet nel 1950 in quanto rivendicato da Pechino è un altro esempio, a cui potrebbe seguire la questione dei confini contesi della Cambogia con i vicini oppure la vicenda del Golan strappato alla Siria con la guerra dello Yom Kippur nel 1973 e occupato ora stabilmente da Israele, che ha un altro irrisolto, drammatico contenzioso con i palestinesi026. L'elenco potrebbe continuare all'infinito o quasi, ma già questi pochi esempi ci indicano che la questione dei limes terrestri, più o meno aspramente contesi rimane, di calda attualità. 19

note 019 Questione ancor più complessa è quella di Hong Kong, in passato colonia britannica e ora territorio autonomo nel sud-est della Cina con un sistema politico diverso da quello di Pechino. 020 Si stima un milione di morti, di cui due terzi militari, cifra superiore al totale dei morti di tutte le guerre a cui gli USA hanno partecipato.

021 A. Timofejchev, Scudo antimissile, una minaccia per la Russia?, 17 maggio 2016, bhttps://it.rbth.com/difesa/2016/05/17/scudo_antimissile_una_minaccia_per_la_russia_5937 Scudo anti-missile USA in Romania e Polonia minaccia la Russia, https://it.sputniknews.com/politica/201706274689022-difesa-Europageopolitica-NATO-Grushko/. Infatti le piattaforme utilizzate possono lanciare sia missili antimissile sia missili da crociera Tomahawk a lunga gittata. M, Dinucci, Sotto lo "scudo" missili nucleari Usa in Europa, 20 agosto 2019, https://ilmanifesto.it/sottolo-scudo-missili-nucleari-usa-in-europa. 022 Speech by the NATO Secretary General Jens Stoltenberg to the Ukrainian Rada, 10 luglio 2017, https://www.nato.int/cps/en/natohq/opinions_146017.htm? selectedLocale=en; Ucraina: foto (cronaca) dalla guerra, https://www.panorama.it/news/esteri/ucraina-foto-dalla-guerra/. 023 E, Greco, Cyber War e Cyber Security. Diritto internazionale dei conflitti informatici, contesto strategico e strumenti di prevenzione e contrasto, in «Sistema Informativo a Schede» 11 (2014), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-a-schedesis/sistema-a-schede/finish/87/1020; R. Zampetti, Sicurezza nazionale e spazio cibernetico: una minaccia "invisibile" nell'era digitale, «Sistema Informativo a Schede» 1 (2015), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/1t/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-a-schede-sis/sistema-a-schede/finish/132/1329; AA.VV., La rete a stelle e strisce, in «Limes» 10 (2018). 024 https://upload,wikimedia.org/wikipedia/commons/e/ea/Europa_814.png; https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/87/Cartina_Europa_1924.svg. 025 Rimane operativa la minaccia dell'azione terroristica, che prescinde dalla consistenza territoriale e che si articola su un piano globale, come hanno dimostrato i vari attentati eseguiti in vari paesi del mondo. 026 Resta insoluto il problema dei confini di Israele e dello Stato palestinese, che secondo l'ONU dovrebbero occupare i territori individuati nel 1947 e che invece nella realtà sono andati modificandosi, essendosi Israele continuamente espanso a partire dalla Guerra dei sei giorni del 1967. Vedi F. Mini, Che guerra sarà, Il Mulino, Bologna 2017, pp. 76 ss.

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Nel blu, dipinto di blu Da poco più di un secolo lo spazio aereo è divenuto strategicamente importante grazie ai fratelli Wright, che nel 1903 riuscirono a far decollare e volare il primo apparecchio. Controllare lo spazio aereo apparve subito importante quanto quello terrestre e le nuove macchine volanti vennero immediatamente utilizzate anche per scopi bellici sia con funzioni di ricognizione sia con funzioni aggressive. L'1 novembre 1911 l'aviatore italiano Giulio Gavotti lanciò la prima bomba contro le milizie turche, ma la guerra aerea si sviluppò con la successiva Prima guerra mondiale027, Il bombardamento aereo massiccio - dopo la sperimentazione tedesca sulla città di Guernica nel 1937 durante la Guerra civile spagnola divenne sistematico contro obiettivi non solo militari, ma anche civili (tra cui Londra, Coventry, Amburgo, Dresda, Milano, ecc.) durante la Seconda guerra mondiale a opera di tutti i paesi coinvolti, sino ad arrivare al bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki nell'agosto del 1945. Le nuove tecnologie nel corso degli anni hanno permesso grazie ai radar e ai satelliti un controllo crescente dello spazio aereo, ma anche la possibilità di utilizzarlo per scopi commerciali con il trasporto rapido di merci e di passeggeri, e con finalità militari. Rimanendo nel settore civile, alcuni dati ci fanno capire pienamente l'importanza dei cieli nell'economia globalizzata del XXI secolo: con oltre 100.000 voli giornalieri nel 2018 sono stati trasportati ben 4,3 miliardi di passeggeri, nonché 62,5 milioni di tonnellate di merci per un valore di 6,2 trilioni di dollari028. Questi cieli affollati di vettori commerciali necessitano di un attento controllo, affinché non si creino pericolosi ingorghi sulle nostre teste e le rotte possano ospitare il traffico crescente di aeromobili. Radar, satelliti e comunicazioni istantanee pertanto appaiono utili e indispensabili. Rotte e aree lontane si possono controllare a km di distanza, vederne dettagliatamente tutti gli elementi persino in condizioni meteorologiche avverse, operando di conseguenza. Ciò può essere assai utile anche in casi di calamità naturali, per azioni di 21

soccorso, per monitorare l'agricoltura, per osservare i mutamenti climatici o per controllare il traffico o lo svolgimento di manifestazioni. Ma può servire anche per altro, creando con i vari mezzi a disposizione una rete di sistemi di sorveglianza e di spionaggio altamente sofisticata, in grado di acquisire informazioni riservate, comunicazioni telefoniche, messaggi cifrati e anche d'indirizzare con precisione un possibile attacco sugli obiettivi individuati. Appare ovvio che gli Stati che dispongono di sistemi spaziali satellitari godono di un vantaggio enorme rispetto a coloro che ne sono sprovvisti: hanno occhi dal cielo che osservano e comunicano in tempo reale informazioni preziose, che in caso di crisi di qualunque genere possono rappresentare un vantaggio senza paragoni rispetto all'avversario. È per questo che le grandi potenze si sono impegnate a realizzare i propri sistemi satellitari, ma anche a ipotizzare azioni di accecamento dei sistemi altrui: le cosiddette guerre stellari. Non a caso è stato siglato un trattato sullo spazio extra-atmosferico, entrato in vigore nel 1967 e che vieta di collocare armi nucleari o ogni altro genere di armi di distruzione di massa nell'orbita terrestre, sulla Luna o su altri corpi celesti, o posizionarli nello spazio extra-atmosferico. Rimane comunque la minaccia dei satelliti-killer capaci di attaccare i sistemi satellitari di altri paesi, tanto che nel 2018 Donald Trump stabilì di formare uno Space command per difendersi dall'accresciuta capacità spaziale di Mosca e Pechino, che si avviano a insidiare la supremazia statunitense nel settore. I satelliti, operanti in varie orbite e connessi alle stazioni al suolo, divengono strumento fondamentale per un'informazione in tempo reale in grado di acquisire ed elaborare milioni di dati relativi allo spostamento delle persone, dei veicoli, dei treni, delle navi, degli aerei e di quant'altro: secondo l'United Nations Office for Outer Space Affairs (UNOOSA), ben 80 sono i paesi che dispongono di questi sistemi e 5.168 i satelliti in orbita nel giugno 2019 29. Cieli affollati, insomma. Alcuni paesi dispongono anche di sistemi missilistici in grado di colpire obiettivi in altri continenti con estrema precisione a migliaia di km di distanza: già all'epoca della crisi degli euromissili nei primi anni Ottanta del secolo scorso, il missile Pershing II con un'autonomia di circa 1.800 km e dotato di testateinucleari dalla potenza sino a 400 kt030, aveva un 22

Errore Circolare Probabile (CEP) di 30 metri: in poche parole poteva cadere nei dintorni dell'obiettivo nell'arco di un raggio massimo di circa 30 metri031. Il missile strategico LGM-30G Minuteman III, di cui 600 esemplari sono attualmente in dotazione alle forze statunitensi, con testata sui 300 kt e con un raggio d'azione di 13.000 km, ha un CEP tra i 120 e i 240 metri032, Il missile UR-100N/SS-19 Stiletto, di cui 120 sono in dotazione alle forze armate russe, con testata tra i 500 e i 750 kt e con raggio d'azione di 10.000 km, ha un CEP tra i 220 e i 380 metri033. Peraltro non va dimenticata la minaccia invisibile dei sottomarini armati di missili con testate convenzionali o nucleari, che possono avvicinarsi via mare all'obiettivo e colpirlo in modo imprevedibile e rapido, contrariamente ai sistemi missilistici basati a terra nei silos, aviotrasportati o autotrasportati, comunque individuabili dai satelliti034. Elicotteri, aerei, missili, droni sono assistiti da reti satellitari nella loro azione di penetrazione dello spazio aereo di altri paesi. Normalmente questa azione avviene per lo più senza spargimento di sangue e serve per avere informazioni precise e aggiornate sugli eventuali avversari, per possibili interventi cruenti successivi sia con armi di tipo convenzionale sia di tipo nucleare. I satelliti, operando da varie orbite di altezza e con elevate capacità di osservazione, oltre a rappresentare una rete di ricognizione e di sorveglianza sempre più accurata (anche attraverso le nuvole), agevolano i paesi che ne sono dotati, consentendo loro, come già detto, di godere di un vantaggio su un avversario che ne è sprovvisto. Il generale di squadra aerea e direttore nazionale degli armamenti, Carlo Magrassi, ha infatti dichiarato nel 2017 che i satelliti «diventano fondamentali "moltiplicatori di forza" nell'esercizio del comando e controllo delle Unità Operative anche rischierate a grande distanza dalla Madre Patria, nei diversi Teatri terrestri e marittimi»035. Nuova frontiera nell'ambito dello spazio aereo sono i droni, aeromobili guidati a distanza, che possono operare con scopi sia di ricognizione e di sorveglianza sia di attacco. Negli ultimi anni essi sono progressivamente divenuti uno dei sistemi più usati per tali scopi, rappresentando uno strumento utilissimo in campo civile in vari ambiti 23

(protezione civile, monitoraggio del territorio, urbanistico, ecc.) e in campo militare (sorveglianza, controllo, ricognizione, attacco). Nel caso di utilizzo per attacco è da segnalare il dibattito sia sui "danni collaterali", cioè sulle vittime civili (di cui non si riesce a sapere con esattezza il numero036), sia sui targeting killings, cioè sulle uccisioni mirate e sulla loro legalità nell'ambito della cosiddetta guerra al terrorismo. Essi permettono di svolgere azioni anche rischiose senza pericoli per gli equipaggi che li controllano da remoto: il rischio è semmai riservato solo ai civili che per caso si trovano nell'area dell'attacco. Sono ormai decine i paesi in possesso di questi nuovi sistemi (soprattutto nell'ambito della ricognizione e sorveglianza), ma risulta che attualmente siano gli Stati Uniti quelli che più li usano per attacchi (in Afghanistan, Somalia, Pakistan, Yemen e altrove)037. Caso eclatante è stato quello del generale iraniano Qassem Soleimani, comandante del corpo militare della Niru-ye Qods, chiamata anche Forza Quds, ucciso in Iraq nel gennaio 2020 con un missile Hellfire a guida laser lanciato da un drone Mq9, detto pure Reaper (mietitore) della statunitense General Atomics dal costo di circa 16-17 milioni di dollari. Questo omicidio mirato rientra nella strategia di pressione militare, politica ed economica contro Teheran, accusata da parte statunitense di terrorismo e di volersi dotare dell'arma nucleare. Peraltro, il Segretario alla Difesa Mark Esper ha dichiarato poi di non avere prove precise d'intelligence sulla minaccia di prossimi attacchi alle ambasciate statunitensi, come affermato invece dal presidente Trump per giustificare questa uccisione extragiudiziale038. La potenzialità destabilizzante di un simile attacco tramite drone è stata testimoniata sia dalla risposta missilistica iraniana sulle basi militari di Erbyl e Ain al-Asad in Iraq, sia dal successivo abbattimento del Boeing 737 civile dell'Ukraine International Airlines a Teheran ad opera di un errore della difesa antiaerea iraniana, nonché dall'ulteriore accresciuta tensione nell'area mediorientale. Insomma lo spazio aereo è sempre più area di confronto e di scontro 24

dove, a vari livelli qualitativi e quantitativi, gli Stati si rapportano nella loro azione geopolitica connessa agli spazi utilizzabili e necessari sia in campo civile sia in campo militare per basi, centri di controllo, aeroporti, basi di lancio, ecc. Esemplare in tal senso è proprio il Mobile User Obijective System (MUOS), un sistema di telecomunicazioni satellitari militari (MATCOM) ad alta frequenza - Ultra High Frequency (UHF) - e a banda stretta (non superiore a 64 kbit/s), gestito dal dipartimento della difesa degli Stati Uniti e strutturato con quattro basi terrestri (Geraldton in Australia, Niscemi in Sicilia, Chesapeake nel sud-est della Virginia, USA, Wahiawa nell'isola di Oahu, Hawaii) e quattro satelliti (più uno come supporto di riserva). Esso ha lo scopo di garantire il collegamento delle forze navali, aeree e terrestri statunitensi in movimento in qualsiasi parte del mondo, aumentando in misura significativa sia la velocità sia la quantità delle informazioni trasmesse.

Carta n. 3 - Schema del funzionamento del MUOS Come si vede in questo caso, la connessione tra terra, cielo e mare per il controllo spaziale del pianeta a scopi militari è evidente e, nel caso del MUOS, è fondamentale il rapporto di salda alleanza e di disponibilità territoriale da parte degli alleati di Washington. Altrettanto salda non appare l'alleanza, ad esempio, tra Washington e Ankara, che ospita nella base di Incirlik, nel sudest della Turchia a 70 miglia dal confine con la Siria, alcune decine di bombe nucleari B61 degli USA. A seguito del tentato colpo di Stato avvenuto nel 2016, organizzato - secondo il presidente Erdogan - dal predicatore e politologo turco Fethullah Giùlen, esule negli Stati Uniti, i rapporti non sono dei migliori, 25

I rapporti turchi con Israele sono altalenanti e anche questo non aiuta la comprensione tra gli Stati Uniti, strenui sostenitori di Tel Aviv, e Ankara, la quale, tanto per complicare le cose, ha deciso di comprare sistemi d'arma (in particolare i missili S-400) dai russi, a cui più volte ha strizzato l'occhiolino durante la crisi siriana. Alcuni ipotizzano addirittura che le bombe B61 già siano state ritirate o che lo saranno presto039 e Trump ha annunciato nel luglio 2019 che la fornitura degli aerei F35 sarà annullata perché creerebbe problemi tecnici di sicurezza internazionale con la compresenza dei missili (e dei relativi tecnici) russi, interessati a conoscere meglio le caratteristiche degli F35 40

note 027 Va ricordato che il maggior generale italiano Giulio Douhet fu uno dei primi sostenitori del bombardamento strategico, ipotizzando anche attacchi contro le città e i civili nel suo libro I/ dorzinio dell'aria del 1921. 028 https://www.statista.com/statistics/564717/airline-industry-passengertraffic-globally/; «IATA Cargo Strategy» 2 (2018), https://www.iata.org/whatwedo/cargo/Documents/cargo-strategy.pdf. 029 http://www.unoosa.org/. 030 Le bombe lanciate sulle due città giapponesi avevano una potenza oscillante tra i 15 e i 20 kt. Un chilotone (kt) equivale all'energia liberata dall'esplosione di una quantità di mille tonnellate di tritolo. 031 D. Evans - B. Hannah -J. Schwalbe, Nonstrategic nuclear Forces Movingbeyond the 2018 Nuclear Posture Review, National Security Perspective, in «Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory» 2019, https://www.jhuapl.edu/Content/documents/NonstrategicNuclearForces.pdf. 032 https://missilethreat.csis.org/missile/minuteman-iii/. 033 http://missiledefenseadvocacy.org/missile-threat-andproliferation/missile-proliferation/russia/ss-19-stiletto/. 034 Non è casuale che la Gran Bretagna si sia limitata ad avere una flotta di sottomarini armati, senza ritenere necessario avere basi di lancio terrestri. Vedi S. N, Kile - H. M. Kristensen, British nuclear forces, https://www.sipri.org/sites/default/files/SIPRIYB18c06.pdf. 035 L. Tatarelli, Lancio di OPTSAT-3000, "occhi duali" per la sicurezza e la difesa, 2 agosto 2017, http://www.reportdifesa.it/lancio-di-optsat-3000occhi-duali-per-la-sicurezza-e-la-difesa/. 036 Droni militari: proliferazione o controllo?, rapporto di ricerca Istituto di

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Ricerche Internazionali IRIAD, in «Sistema Informativo a Schede» 4 (2017), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-4450/sistemainformativo-a-schede-sis/sistema-a-schede/finish/281/4392; F Flamini, La corsa agli armamenti. L'uso della forza e i droni armati. Il rapporto Italia-NATO; in «IRIAD Review» 10 (2018), http://www.archiviodisarmo.it/index. php/it/archivio-online/finish/292/4712; D. Ferretti, Droni: attore non protagonista? Un'analisi del contenuto della stampa italiana nel periodo 2015-2017: E. Farruggia, Droni e opinione pubblica. L'analisi dei focus group, in «IRIAD Review» 10: (2018); http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/entra-nella-banca-datidisarmonline-categoria-documenti-esterni/finish/267/4729. 037 V. Boulanin - M. Verbruggen, Mapping the Development of Autonomy în Weapon Systems, 2017, https://www.sipri.org/publications/2017/otherpublications/mapping-development-autonomy-weapon-systems. 038 D. Cole, Esper won't confirm intelligence about President's claim that Soleimani was targeting 4 US embassies, gennaio 2020, https://edition.cnn. com/2020/01/12/politics/mark-esper-us-embassies-soleimanicnntv/index.html 039 H, M. Sapolsky, Tirze to Pull US Nuclear Weapons Out of Turkey, 17 maggio 2019, https://www,defenseone.com/ideas/2019/05/get-us-nuclearweapons-out-turkey/157101/. 040 http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/F-35-turchia-usa-casa-biancamissili-f1186657-4c78-4b6e-b231-db736a2f006b.html.

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Chiare, fresche et dolci acque La frase contenuta nella canzone numero CXXVI del Canzoniere di Francesco Petrarca si ispirava alle acque di un fiume, ma il poeta nel XIV secolo non poteva immaginare allora l'importanza strategica che esse avrebbero avuto alcuni secoli dopo. In seguito ai cambiamenti climatici si sta iniziando a sviluppare una certa attenzione all'ambiente naturale, che però non sembra comportare decisioni adeguate per invertire la rotta di uno sviluppo umano globale prevalentemente predatorio e distruttivo. L'acqua, dolce e salata, è l'elemento fondamentale della vita sul nostro pianeta e la crescente scarsità idrica insieme all'inquinamento dei fiumi, dei laghi e dei mari va ponendo una sfida drammatica alla sopravvivenza umana delle prossime generazioni.

Graf. n. 1- Tipologia di acque nel mondo (mln km cubici) Secondo stime dell'UNESCO, nel 2050 7 miliardi di persone in 60 paesi (ipotesi pessimista) o 2 miliardi in 48 paesi (ipotesi ottimista) dovranno confrontarsi con la mancanza d'acqua potabile. Uno studio realizzato da Marina Palmarini già nel 2011 riportava dati drammatici: 7 miliardi le persone che nel 2015 popoleranno la Terra; saranno 9 miliardi nel 2050; 1 miliardo e 400 milioni le persone che, oggi, non dispongono di sufficiente acqua potabile; potrebbero sfiorare i 3 miliardi nel 28

2025; 2,6 miliardi le persone che, oggi, non hanno ancora accesso a servizi sanitari di base; 1,8 miliardi le persone che, nel 2025, vivranno in regioni con assoluta mancanza d'acqua; 30.000le persone che ogni giorno muoiono per malattie dovute all'assenza di acqua potabile e servizi; Ogni 8 secondi un bambino perde la vita perché ha bevuto acqua contaminata; Anche se il 71% della superficie terrestre è ricoperta da acqua, di questa ben il 97,5% è salata e quindi inutilizzabile041. Nel 2018, secondo un rapporto di Wateraid, 850 milioni di persone avevano difficoltà ad accedere all'acqua, mentre già il 60% della popolazione mondiale viveva in zone dove cominciava a scarseggiare l'acqua: 289.000 bambini sotto i 5 anni muoiono annualmente per carenza di acqua042. Insomma i dati sono preoccupanti: secondo il Ministero dell'ambiente, «la desertificazione rappresenta una minaccia per circa un miliardo degli abitanti degli oltre 100 paesi a rischio e per un quarto delle terre del Pianeta»043. Secondo recenti studi, il 61% della foresta amazzonica, principale polmone verde del pianeta, è a rischio a seguito della deforestazione attuata per sfruttarne i terreni, processo sempre più avallato dal nuovo presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro, che considera la protezione dell'ambiente un ostacolo allo sviluppo economico del proprio paese, a fronte di un aumento della richiesta mondiale di olio di palma, carne e soia044. Infatti i dati appaiono preoccupanti: dall'ascesa al potere di Bolsonaro (1 gennaio 2019) gli incendi sono aumentati esponenzialmente arrivando a oltre 82.000 nei primi 7 mesi dello stesso anno, distruggendo 3.500 kmq di foresta045. Il ciclo globale dell'acqua che evapora dai bacini idrici e dai mari formando le nuvole che poi la rilasciano altrove bagnando i terreni è 29

estremamente delicato e la deforestazione e la desertificazione interferiscono pesantemente. Una delle conseguenze è che la scarsità dell'acqua la rende sempre più preziosa al pari del petrolio o dell'oro.

Fig n. 1 - Schema del ciclo dell'acqua46 Comunque, a prescindere dall'emergenza ambientale contemporanea, la risorsa acqua è sempre stata fondamentale. Le origini di Roma sono legate al fiume Tevere e all'isola Tiberina, in tempi lontani approdo di barche provenienti dal fiume e dal mar Tirreno che portavano merci da scambiare con le locali popolazioni agricole e pastorali. Non è un caso che molte città europee siano sorte lungo i fiumi: in Francia la Senna bagna Parigi, Rouen e Le Havre, mentre il Danubio attraversando l'Europa tocca Vienna, Bratislava, Budapest e Belgrado047. E questo avviene anche altrove. Il Mekong nel suo lungo corso tocca Vientiane (Laos), Phnom Penh (Cambogia) sino al suo delta vicino a Ho Chi Min (Vietnam). Ancor più lungo è il percorso del Nilo, le cui fonti si spingono sino al Ruanda e al Burundi, toccando poi nel percorso Kenya, Tanzania, Uganda, Etiopia, Sud Sudan, Sudan e Egitto, L'intervento umano sul corso dei fiumi o dei laghi volto a utilizzarne l'acqua per vari scopi (agricoltura, industria, centrali idroelettriche, ecc.) può modificarne le dimensioni, il flusso e la portata con conseguenze potenzialmente anche disastrose per coloro che sono a valle, scatenando contenziosi che possono sfociare in vere e proprie guerre interne agli Stati o con quelli confinanti. Oppure si possono inquinare le acque con azioni dalle conseguenze dannose, come spesso accade con gli scarti industriali. 30

Basti pensare solo a quello che potrebbe causare l'immissione di prodotti inquinanti sull'alterazione della risorsa idrica. In Italia un'azienda chimica, ora chiusa, ha inquinato con i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche utilizzate in molte applicazioni industriali e prodotti di largo consumo) una grande falda freatica che serve una popolazione di diverse centinaia di migliaia persone nell'area tra Vicenza, Verona, Treviso e Padova, causando enormi problemi sanitari in ambito endocrino e oncologico, nonché 136 milioni di euro stimati di danni048, La magistratura sta avviando oggi il processo ai responsabili, anche in relazione alle gravi carenze di controlli istituzionali. Va ricordato il disastro di Bhopal in India, dove lo stabilimento chimico della multinazionale statunitense Union Carbide a seguito di un incidente nel 1984 rilasciò oltre 42 tonnellate di isocianato di metile, un composto chimico utilizzato per la produzione di pesticidi. A distanza di anni vi sono ancora centinaia di tonnellate di rifiuti contaminati e la falda freatica è fortemente inquinata dato che le acque sotterranee contengono livelli tossici di solventi clorurati. Non si conosce il numero esatto delle vittime, dato che si parla di 25.000 morti e di oltre mezzo milione di persone ammalate049. La creazione di una diga, oltre ai vantaggi, può causare una riduzione della portata dell'acqua rendendo difficili i rapporti tra Stati confinanti: quella costruita sul Tigri a Ilisu in Turchia ha effetti devastanti sul territorio e sulla popolazione locale (80.000 persone costrette a emigrare). Anche sull'Eufrate è stata costruita un'altra megadiga, quella di Ataturk050. La nascita in Turchia dei due fiumi storici della Mesopotamia consente ad Ankara di condizionare i rapporti con i due paesi che ne ricevono le acque, Siria e Iraq: si potrebbe dire che la Turchia ha i rubinetti in mano, con tutto quello che ne consegue. Gli Stati pertanto si possono scontrare proprio per la gestione di acque comuni: il bacino idrografico, cioè il territorio le cui acque confluiscono verso lo stesso fiume, diventa così un'area comune e, se non vi è un'intesa tra le parti "condominiali", non di rado sorgono conflitti di varia intensità sino alla guerra armata vera e propria. Anche nella vicenda israelo-palestinese la questione dell'acqua rimane uno dei motivi di scontro a causa dell'elevato prelievo da parte israeliana a 31

scapito dei palestinesi. Anna Tatananni scrive così; Dal punto di vista economico e sociale si verificano forti squilibri: basti constatare che nei Territori Palestinesi Occupati la popolazione palestinese è la metà di quella israeliana, ma consuma soltanto il 10-15 per cento dell'acqua che viene consumata in Israele. In Cisgiordania, i coloni israeliani usano una quantità di acqua procapite sei volte maggiore di quella che usano i palestinesi, il consumo dei quali risulta molto al di sotto degli standard internazionali, sia per quantità sia per qualità51.

Si comprende bene come in questo conflitto, l'ineguale utilizzo delle risorse idriche costituisca uno degli elementi di tensione permanente tra i due popoli. La spartizione delle acque del Nilo risale all'epoca coloniale inglese: con la diga di Assuan, inaugurata nel 1970, Egitto e Sudan si accordarono per la gestione di queste acque. Ma oggi l'Etiopia, paese in crescita demografica ed economica, intende costruire sul proprio territorio la Grande diga della rinascita che conterrà tra i 60 e i 70 miliardi di metri cubi di acqua e produrrà oltre 5.000 MW. Questa opera però comporterà la riduzione della portata del Nilo Bianco, importante affluente del Nilo, ed effetti preoccupanti per due paesi a valle, cioè Sudan e Egitto. Anche gli altri paesi del bacino idrografico rivendicano un maggior utilizzo delle acque del Nilo e sempre quelli a valle mostrano ulteriori preoccupazioni in merito. «Egitto, dono del Nilo», ma senza più quelle acque (o con un loro forte ridimensionamento) Il Cairo vede scenari futuri desertici, nonostante la creazione del lago Nasser e che la realizzazione sul Nilo della diga di Assuan, operativa dal 1970, da tempo abbia creato una riserva d'acqua considerevole sia per il fabbisogno agricolo sia per quello energetico del paese: si parla di 162.000 kmq052. Problemi interni, con lo spostamento forzato di un milione e mezzo di persone, furono creati dalla realizzazione della gigantesca diga delle Tre Gole in Cina sul fiume Azzurro (Yangtse). Non bisogna però credere che i cosiddetti idroconflitti siano fenomeni localizzati solo nei paesi in via di sviluppo, dato che i cambiamenti climatici e il surriscaldamento del pianeta stanno coinvolgendo in modo 32

sempre più evidente anche i paesi industrializzati. Infatti, le società multinazionali delle acque stanno ormai da diversi anni puntando a impadronirsi di un mercato lucroso, che è testimoniato già dalla martellante pubblicità su acque che depurano, snelliscono e producono altri effetti "miracolosi". La svizzera Nestlé Waters (proprietaria in Italia di numerosissimi marchi nel settore, tra cui Claudia, Giara, Giulia, Levissima, Limpia, Lora Recoaro, Panna, Pejo, Perrier, Pra Castello, San Bernardo, San Pellegrino, Sandalia, Tione, Ulmeta, Vera, Acqua Brillante Recoaro, Batik, Beltè, Chinò, Gingerino Recoaro, Mirage, Nestea, One-o-one, San Pellegrino, Sanbitter) aveva già nel 2016 un fatturato di 7 miliardi di euro, mentre la francese Danone Eaux (con marchi come Evian, Vittel, Volvic) arrivava "solo" a 5. Per quel che riguarda l'Italia il mercato delle acque è arrivato nel 2017 a 3 miliardi di euro053. A livello mondiale Transparency Market Research, società specializzata in consulenze di mercato, stima che nel 2024 il mercato varrà 307,2 miliardi di dollari054. Il mercato delle acque è diventato dunque un importante business, che ha portato le aziende a operare su scala internazionale, stipulando accordi con governi che a volte hanno sottoscritto contratti svantaggiosi per la popolazione locale, suscitando proteste e movimenti di resistenza rispetto alle politiche di privatizzazione delle acque e di aumento dei loro costi. Se in Italia si è tenuto anche un referendum abrogativo sulla privatizzazione dell'acqua (giugno 2011), peraltro con applicazioni conseguenti purtroppo assai modeste, in altri paesi le lotte sono state più violente. È il caso della rivolta della città di Cochabamba in Bolivia, dopo che nel 2000 il governo aveva accordato la privatizzazione monopolistica al consorzio imprenditoriale Agua de Tunari, composto dalla multinazionale Bechtel, dall'impresa statunitense Edison, da un'impresa spagnola e da due imprese boliviane, con il successivo forte aumento delle tariffe e addirittura con la concessione del controllo della raccolta delle acque piovane055. Ci si trova di fronte quindi a conflitti di varia intensità sia tra gli Stati sia all'interno di essi, che sicuramente nel prossimo futuro andranno crescendo in relazione al surriscaldamento del pianeta. 33

Le politiche adottate, dalla creazione di dighe056 alla privatizzazione dell'acqua, passando per la contaminazione dei mari e dei bacini idrici di acqua dolce, renderanno il settore sempre più sofferente e allo stesso tempo strategicamente conteso. Basti pensare alle note vicende del lago Aral posto tra il confine nord dell'Uzbekistan e il Kazakistan sud-occidentale, fino a mezzo secolo fa il quarto lago del mondo per estensione e oggi ridotto del 75% a causa del massiccio prelevamento idrico sui suoi due affluenti Amu Darya e Syr Darya.

Carta n. 4 - Il lago di Aral nel 1960 e nel 2010 57Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Aralsee.gif Possiamo anche ricordare, colpiti dall'intervento umano e dalla siccità, il lago Ciad in Africa (condiviso da Ciad, Camerun, Nigeria e Niger, e ridotto del 90%: da 28.000 kmq a 1.500 kmq), il Poopé (il secondo più grande lago della Bolivia, passato da 3.500 kmqa soli 1.000), il fiume Colorado (che ormai solo raramente sfocia nel golfo del Messico), il lago Owens in California e così via. L'acqua diviene quindi una risorsa sempre più scarsa e sempre più contesa, simbolo dell'azione devastante dell'uomo sull'ambiente e contemporaneamente motivo di scontro interno o esterno, sociale o militare.

note 34

041 M, Palmarini, War for water La risorsa idrica e la globalizzazione dell'economia, in «Sistema Informativo a Schede» 4-5-6 (2011), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-a-schede-sis/sistema-a-schede/viewcategory/55.

042 The Water Gap. The State of the World's Water 2018, https://washmatters.wateraid.org/sites/g/files/jkxo00f256/files/The%20Water%20Gap%20S 043 https://www.minambiente.it/sites/ default/files/archivio/allegati/desertificazione/Schede/Scheda_3.pdf.

044 Brasile, lo scienziato silurato da Bolsonaro per i dati sulla deforestazione: "Non staremo zitti", 17 agosto 2019, https://www.repubblica.iv/esteri/2019/08/17/news/ brasile_lo_scienziato_silurato_dal_presidente_per_i_dati_sulla_deforestazione_non_staremo ref=RHRS-BH-I23382071 1-C6-P10-S1.6-T1.

045 La superficie della foresta amazzonica si è ridotta dal 1979 a oggi del 17%, mentre il Brasile è divenuto il secondo esportatore mondiale di carne. Infatti, i terreni devastati da questi incendi vengono poi utilizzati al 75-80% per l'allevamento, per il 10-15% per l'agricoltura (soia, olio di palma), per il 10% in ambito minerario (gas, petrolio, oro, manganese) e per il 2-3% per la raccolta di legname. https://www.corriere.it/esteri/19_settembre_01/ esportazione-carne-numero-incendi-69 1981b0ccf7-11e9-92446e75990727b6.shtml. Bolsonaro nella 74° Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre 2019 ha affermato che «è un errore affermare che è patrimonio dell'umanità e un malinteso confermato dagli scienziati dire che le nostre foreste amazzoniche sono i polmoni del mondo», https://www.repubblica.it/esteri/2019/09/24/news/assemblea_onu_jair_bolsonaro_l_amazzo ref=RHPPLF-BH-1236867262-C8-P7-S4.4-T1. 046 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Ciclo_del_agua_para_completar.jpg. 047 Purtroppo anche il Danubio risente dell'inquinamento a opera dell'uomo, al punto che è stata istituita nel 1998 la International Commission for the Protection of the Danube River (ICPDR), un'organizzazione internazionale composta da 14 Stati cooperanti e dall'Unione Europea. http://www.icpdr.org/main/. Sull'ipotesi di riuscire a ridurne l'inquinamento nei prossimi 20 anni, vedi l'intervista a Ivan Zavadsky dell'ICPDR in https://it.euronews.com/2019/04/25/1-icpdr-20-annidi-lavoro-per-ridurre-l-inquinamento-del-danubio.

048 https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/reach/progetto_PFAS_sintes vedi anche C. Zunino, Disastro Pfas, la Provincia di Vicenza ha nascosto l'inquinamento per tredici anni, 20 marzo 2019, https://www.repubblica.it/cronaca/2019/03/20/news/disastro_pfas_la_provincia_di_vicenza_ 222114177/; Danimarca, stop all'uso di Pfas in padelle antiaderenti e cartoni alimentari impermeabili, 10 settembre 2019, https://www.ilmessaggero.it/economia/news/danimarca_stop_all_uso_di_pfas_in_padelle_an 4724818.html.

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049 Sul disastro e sulle conseguenze vedi I/ più grave disastro industriale della storia è ancora in corso, 22 luglio 2018, https://www.ilpost.it/2018/07/22/disastro-bhopal-decontaminato/, nonché D. Lapierre - J. Moro, Mezzanotte e cinque a Bhopal, Mondadori, Milano 2001. 050 Va ricordato che le dighe menzionate fanno parte di un grande progetto turco, il progetto dell'Anatolia sud-orientale, in turco Güneydogu Anadolu Projesi (GAP), che prevede ben 22 dighe sui fiumi Tigri ed Eufrate per alimentare 19 centrali idroelettriche e l'economia nazionale. 051 A, Tatananni, I conflitti per l'acqua. Le aree e i caratteri più significativi dei conflitti per l'acqua in Medio Oriente, in «Sistema Informativo a Schede» 8 (2013), http://Awvww.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-0817-4450/sistema-informativo-a-schede-sis/sistema-a-schede/finish/90/67.Ead., I conflitti per l'acqua. Le aree e i caratteri più significativi dei conflitti per l'acqua in Africa, in «Sistema Informativo a Schede» 4 (2013), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-a-schede-sis/sistema-a-schede/finish/90/63; Ead., I conflitti per l'acqua. Le aree e i caratteri più significativi dei conflitti per l'acqua nelle Americhe, in «Sistema Informativo a Schede» 7 (2013), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-aschede-sis/sistema-a-schede/finish/90/66. 052 Con la costruzione della diga si è realizzato un grande lago artificiale di 6.000 kmq, per l'83% in Egitto, mentre la parte restante è nel Sudan, dove viene chiamato lago di Nubia. 053 https://www.mineracqua.it/images/i-numeri-chiave.pdf. 054 Acque minerali un mercato in crescita globale, 28 novembre 2018, http://host.fieramilano.it/es/node/8195. 055 Tra i vari testi sul tema vedi M. Rusca - M., Simoncelli, Hydrowar Geopolitica dell'acqua tra guerra e cooperazione, Ediesse, Roma 2004, p. 229; V. Shiva, Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2008, p. 158; E. Bompan - M. Iannelli, Water grabbing. Guerre nascoste per l'acqua nel XXI secolo, EMI, Bologna 2018. 056 Ovviamente le dighe hanno anche effetti positivi sia con la creazione di bacini di riserva idrica, sia per la produzione idroelettrica di tipo rinnovabile, sia con la prevenzione di piene, ecc.

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Andando per i mari Anche le acque marine possono essere motivo di contrasto sia tra i gruppi sociali sia tra gli Stati. Come è noto, i paesi rivieraschi considerano la fascia marina adiacente alla costa come mare territoriale, cioè facente parte integralmente del proprio spazio sovrano, esercitandovi le proprie leggi e svolgendovi le proprie attività in totale indipendenza. In base alla Convenzione internazionale siglata a Montego Bay, in Giamaica, nel 1982, le acque territoriali comprendono un'area fino a 12 miglia nautiche058 dalla costa; a esse vanno aggiunte la zona contigua (sino a 24 miglia) e la zona economica esclusiva (sino a 200 miglia): ognuna di queste ultime due comprende nel computo la fascia precedente. La zona contigua, che va dal limite esterno delle acque territoriali per ulteriori 12 miglia verso il mare aperto, consente solo il controllo sulle navi in transito, teso a prevenire o reprimere infrazioni alle leggi doganali, fiscali, sanitarie o di immigrazione. Attraverso la Zona Economica Esclusiva (ZEE), lo Stato gestisce le risorse naturali, può esercitarvi la giurisdizione riguardo l'installazione e l'uso di strutture sia artificiali sia fisse, la ricerca scientifica, nonché provvedere alla protezione e alla conservazione dell'ambiente marino. È interessante ricordare che in origine i primi limiti delle acque territoriali erano legati alla gittata dei cannoni di eventuali navi nemiche, ma oggi con il potenziamento dei sistemi d'arma (non solo cannoni059, ma anche missili e altro) essi sono collegati soprattutto al controllo e allo sfruttamento di vari spazi marini. Queste fasce si applicano anche alle isole, che permettono in più di un caso di estendere ulteriormente l'azione degli Stati proiettandoli ancor più distanti dalla linea della terraferma. Quindi ogni paese rivierasco può esercitare la propria azione in diversi 37

modi e a vari livelli sugli spazi marini, svolgendo attività di pesca esclusiva, di trivellazione dei fondali e di prelievo da eventuali giacimenti di gas e/o di petrolio, di controllo e, eventualmente, di inibizione del passaggio di navi non autorizzate.

Carta n. 5 - Schema del regime internazionale del mare060 Ovviamente lo schema teorico delle norme internazionali suddette è soggetto ai limiti della realtà, in cui giocano contemporaneamente particolarità geofisiche, rivalità, accordi e alleanze economiche e politiche, tendenze espansive, trasformazioni dell'ambiente costiero o marino (si pensi alla comparsa o scomparsa di isole a seguito di un terremoto, di un fenomeno vulcanico, di un innalzamento o di un abbassamento del livello del mare). In quest'ultimo caso, a parte il mito di Atlantide raccontato da Platone, è nota la vicenda dell'isola 38

Ferdinandea, situata oggi a circa 7 metri dalla superficie marina, nel canale di Sicilia, tra Sciacca e l'isola di Pantelleria - sorta in seguito a un'eruzione nel 1831 e inabissatasi l'anno seguente - che suscitò subito l'interesse dello Stato borbonico (essendo nelle sue acque territoriali) e anche della Francia e della Gran Bretagna, leggermente più distanti, ma comunque assai interessate ad avere una base di appoggio nel Mediterraneo. Oggi, con lo scioglimento progressivo dei ghiacci e il conseguente innalzamento del livello del mare, stanno scomparendo le isole Kiribati nel Pacifico, l'isola di Jean-Charles in Louisiana, nonché cinque isole delle Solomon, come anche altre in Micronesia. La popolazione che le abita di conseguenza deve progressivamente spostarsi in altre aree meno a rischio, divenendo di fatto profughi ambientali. Secondo un rapporto della Banca Mondiale del 2018, incentrato sulle regioni dell'Africa subsahariana, dell'Asia meridionale e dell'America Latina, 143 milioni di persone - o circa il 2,8% della popolazione di queste tre aree - potrebbero essere costretti entro il 2050 a spostarsi all'interno dei loro paesi o altrove per sfuggire agli impatti dei cambiamenti climatici061. A parte l'emergenza dei profughi ambientali e ritornando al regime giuridico degli spazi marini, è utile ricordare che le norme stabilite vanno poi declinate nel confronto con la realtà. Ne sono un esempio le Bocche di Bonifacio, tra la Corsica e la Sardegna, che nel punto più stretto distano appena 11 km. In questo caso, in merito all'esercizio della sovranità sulle acque territoriali, i due paesi interessati, Italia e Francia, sono di fatto obbligati a trovare un accordo. In altre parole, le acque territoriali corse e sarde si sovrappongono, arrivando sul territorio dell'isola antistante. Altro caso di acque territoriali contese è quello relativo all'area marittima mediterranea intorno all'isola di Cipro, divisa in due parti dal 1974, con la Repubblica Turca di Cipro del Nord (riconosciuta solo da Ankara) e la Repubblica di Cipro, riconosciuta internazionalmente e uno dei più piccoli paesi dell'UE. Il conflitto irrisolto si trascina da un quarantennio più o meno silenziosamente, ma negli ultimi anni le risorse energetiche presenti nei fondali della zona economica esclusiva 39

hanno riaperto le tensioni. Nel 2018 la Marina militare turca ha bloccato nel Mediterraneo orientale la nave perforatrice italiana Saipem 12000, diretta verso Cipro per trivellare un giacimento concesso all'ENI in licenza da Nicosia nel blocco 3 nelle acque della sua "zona economica esclusiva", ma conteso dalla Turchia, a sud-est dell'isola a 50 chilometri dal luogo previsto per le esplorazioni di idrocarburi, con la motivazione dello svolgimento in zona di delicate manovre militari. In occasione della crisi curdo-siriana dell'ottobre 2019, l'UE ha deciso di difendere le rivendicazioni territoriali della Repubblica di Cipro (e le relative concessioni alla francese Total e all'italiana ENI), dichiarando di voler adottare «misure restrittive nei confronti delle persone fisiche e giuridiche responsabili o coinvolte in attività di perforazione di idrocarburi nel Mediterraneo orientale» mentre Parigi ha inviato nella zona due navi militari062. Sono spazi marini contesi che possono creare tensioni e conflitti quando non si riesce a raggiungere un accordo. Lo stesso vale per altre situazioni, altrettanto scottanti, come, ad esempio, nel caso dello sfruttamento del mar Caspio, nei cui fondali vi sono giacimenti di gas e di petrolio, che fanno gola ai paesi rivieraschi (Russia, Kazakistan, Turkmenistan, Iran e Azerbaigian), tutti interessati a sfruttarne non solo le ricchezze, ma anche la superficie come via di trasporto. L'Energy Information Administration (EIA) stima che il mar Caspio potrebbe avere ben 48 miliardi di barili di petrolio e 292 mila miliardi di piedi cubi di gas naturale: questa ricchezza subacquea va spartita tra i vari attori, le cui acque territoriali a volte si vanno sovrapponendo e per cui occorre arrivare a una comune intesa. Inoltre va ricordato che questi immensi giacimenti fanno concorrenza all'altro grande bacino petrolifero del golfo Persico/Arabico063, dove la maggioranza dei governi ha rapporti amichevoli con quelli dell'Unione Europea e degli Stati Uniti, mentre nell'area del mar Caspio la presenza e l'influenza russa pesa diversamente sugli equilibri mondiali dell'energia. Come si vede, il controllo del mare s'interseca chiaramente con le risorse e con le politiche energetiche all'interno di un gioco globale di 40

confronto/scontro tra gli Stati e in particolare tra le superpotenze statunitense, cinese e russa. Spostandoci in un altro quadrante, quello del mar Cinese Meridionale, troviamo anche qui situazioni di forte tensione, dato che Pechino, oltre l'antica contesa con Taiwan064, rivendica la sovranità di alcune isole contro altri paesi: per le isole Paracel si confronta con il Vietnam, per le isole Spratly con Malaysia, Filippine, Taiwan, Brunei e Vietnam, per le isole Scarborough Shoal con Taiwan, Filippine e Indonesia. Un po' più a nord, le isole Diaoyu/Senkaku, formalmente giapponesi, sono rivendicate da Cina e Taiwan065. Senza voler entrare qui nei dettagli dei motivi specifici delle rivendicazioni e nelle azioni conseguenti dei diversi contendenti, è importante comprenderne comunque le motivazioni variamente articolate. A parte le rivendicazioni di tipo nazionalistico che spesso hanno un grande impatto sull'opinione pubblica dei paesi, sia essa più o meno libera o manipolata, innanzitutto va considerato che in questo tratto di mare passa un terzo del commercio mondiale, vi sono importanti giacimenti di petrolio e vi si esercita una grande attività di pesca. La presenza di queste isole, sparse tra i paesi contendenti, permette a chi ne esercita la piena sovranità non solo di controllare gli spostamenti delle flotte navali militari e commerciali, ma anche di operare per un raggio di 200 miglia nautiche intorno a esse per sfruttamento ittico e energetico in base ai limiti della zona economica esclusiva. A nord, rimane irrisolta la rivendicazione giapponese delle isole Kurili con la Russia, che alla fine della Seconda guerra mondiale le occupò, aprendo un contenzioso ancora oggi assai vivace tra Tokyo e Mosca.

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Carta n. 6 - Le isole disputate nel mar Cinese Meridionale Altre volte la determinazione delle acque territoriali è fondata anche su motivazioni di sicurezza militare. Il golfo di Taranto, che copre una zona del mar Ionio compresa tra Punta Meliso di Santa Maria di Leuca (in Puglia) e Punta Alice di Cirò Marina (in Calabria) con una linea di 60 miglia nautiche, rappresenta una rivendicazione marittima non in linea con le norme internazionali. Tuttavia, essendovi a Taranto un'importante base navale italiana e NATO, tale estensione abnorme del mare territoriale è utile anche a proteggere l'area militare da un possibile avvicinamento di navi con intenzioni ostili. Anche la baia di Pietro il Grande, dove si trovano le città di Vladivostok, Nakhodka, Bolshoy Kamen, Fokino, nonché Vostochny (il più grande porto russo sull'oceano Pacifico), è un'area marittima particolarmente estesa, tanto che gli Stati Uniti ne contestano l'ampiezza e nel dicembre 2018 il cacciatorpediniere americano McCampbell è passato vicino alla base della Flotta del Pacifico della Marina militare russa, nel quadro di quella politica di "punture di spillo" tipica della Prima guerra fredda (e anche della Seconda attuale). Non è stata una puntura di spillo invece la battaglia aeronavale intrapresa nel 1981 dalla flotta statunitense contro Gheddafi nel golfo della Sirte, rivendicato anch'esso interamente come acqua territoriale dal leader libico e non riconosciuto come tale da Washington: due aerei libici furono abbattuti. Un'ulteriore crisi (con l'operazione El Dorado Canyon) ci fu nel 1986, sempre tra la flotta statunitense e il governo libico, scontro che portò a un bombardamento su Tripoli e a morti e feriti da ambedue le parti. 42

In questi casi la rivendicazione delle acque territoriali da parte libica e quella di acque internazionali da parte statunitense si andavano inserendo in un contesto pluriennale di forte tensione politica connessa al non allineamento di Tripoli, grande produttrice di petrolio, con l'Occidente e alle sue aperture verso i sovietici, all'ostilità verso Israele e al sostegno al terrorismo.

note 058 Il miglio nautico o marino internazionale è equivalente a 1.852 m. La United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS o trattato di Montego Bay) è stato firmato da 157 paesi, ma gli Stati Uniti (insieme ad altri 13 paesi) non lo hanno sinora ratificato, mentre Israele (insieme ad altri 14 paesi) non lo ha neppure firmato. 059 Già nella Seconda guerra mondiale il cannone 381/50 modello 1934 della OTO Ansaldo aveva una gittata di 44 km. Oggi si hanno cannoni che arrivano a 100 miglia nautiche, per non parlare dei missili Sea Launch Cruise Missile (SLCM) con gittata enormemente superiore. Pertanto oggi quell'antico parametro connesso alla gittata dei cannoni navali non ha più alcuna validità. 060 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Zonmar-it.svg. 061 AA.VV. Groundstwell: Preparing for Internal Climate Migration, The World Bank, Washington 2018, hrtps://openknowledge.worldbank.org/handle/10986/29461.

062 V. Nigro, Cipro, Eni rinuncia: la nave Saipem fa dietrofront. Media greci: I turchi hanno minacciato di speronarla, 23 febbraio 2018, https://www.repubblica.it/esteri/2018/02/23/news/eni_cipro_saipem_nave_piattaforma_tusc 189577201/; Eni-Cipro, la prepotenza turca paga, Saipem 12000 trivellerà altrove, 23 febbraio 2018, https://www.remocontro.it/2018/02/23/eni-ciprola-prepotenzaturca-paga-salpem-12000-trivellera-altrove/; G. Di Feo, Guerra în Siria, UE: sanzioni per difendere il petrolio, non per salvare i curdi, 15 ottobre 2019, https://www.repubblica.it/esteri/2019/10/15/news/guerra_in_siria_ue_sanzioni_per_difender 238565367/. 063 Oggetto di un'altra disputa internazionale sin dagli anni "70 è la denominazione del golfo: i governi della penisola arabica ne rivendicano orgogliosamente l'appartenenza geografica facendo leva sul panarabismo e sul nazionalismo arabo, mentre a livello internazionale sembra prevalere la dizione che fa riferimento alla Persia. 064 Dopo la guerra civile, i nazionalisti, sconfitti dalle truppe comuniste, si rifugiarono nell'isola di Taiwan e da allora i due governi (Pechino e Taipei) si fronteggiano con il primo che ne rivendica la sovranità e il secondo che la

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respinge grazie al sostegno statunitense. 065 Nel China's National Defense in the New Era del Ministero della difesa cinese, pubblicato nel luglio 2019, si afferma che «Le isole del mar Cinese Meridionale e le isole Diaoyu sono parti inalienabili del territorio cinese». http://eng.mod.gov.cn/publications/2019-07/24/content_4846452.htm.

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I chokepoints I chokepoints (letteralmente, strozzature) sono aree naturali terrestri o marittime, La loro morfologia è tale da obbligarne il passaggio attraverso. Gli stretti navali come il canale di Suez o quello di Panama (realizzati artificialmente) o il Bosforo e i Dardanelli in Turchia rappresentano chiaramente esempi importanti di questi spazi geopoliticamente strategici, in quanto possono consentire o impedire il passaggio di navi mercantili o militari, condizionando l'economia mondiale e i rapporti tra le nazioni. Per comprendere l'importanza dei chokepoints marittimi dal punto di vista commerciale e geopolitico, si consideri il volume di barili di petrolio che vi passa annualmente, destinato alle economie del mondo intero e che, se interrotto improvvisamente, potrebbe causare pesantissime ripercussioni non solo dal punto di vista energetico. Un assaggio di questo, nell'ambito delle tensioni crescenti tra Washington e Teheran, è stato rappresentato dall'attacco portato prima nel maggio 2019 a due petroliere saudite, una norvegese e una degli Emirati, poi nel giugno successivo a due navi petroliere nello stretto di Hormuz, la Front Altair e la Kokuka Corageous. Il successivo arrembaggio delle forze speciali inglesi sulla nave petroliera iraniana Grace 1, transitante nello stretto di Gibilterra e accusata di violare l'embargo europeo (non del Consiglio di Sicurezza dell'ONU066) alla Siria, e la conseguente ritorsione iraniana con il sequestro della nave inglese Stena Impero, transitante nello stretto di Hormuz, nel luglio 2019 sono tappe di un'escalation pericolosa. L'insicurezza della navigazione in quelle acque, unita alle sanzioni imposte da Washington contro Teheran, sta di fatto sempre più impedendo all'Iran di esportare il proprio greggio (nel maggio 2018, 2 milioni e 500.000 barili al giorno, un anno dopo solo 400.000 067). A complicare il quadro nel luglio 2019 giunge la proposta statunitense di creare una coalizione di una ventina di paesi che costituiscano una flotta militare incaricata della sicurezza nell'area, la cui guida spetterebbe "naturalmente" a Washington, che fornirebbe «le navi per il controllo e comando delle attività», mettendo ulteriormente sotto pressione l'Iran068. 45

Carta n. 7 - Volumi giornalieri di transito attraverso i chokepoints petroliferi marittimi mondiali 2016 (mln barili)069

Graf. n. 2 - Flussi di petrolio attraverso i principali chokepoints mondiali nel 2016 (min di barili annui)070 Limitandoci al mar Mediterraneo e al mar Nero sono numerosi i chokepoints che possono condizionare la navigazione: dalle Bocche di Bonifacio allo stretto di Messina, dal canale di Suez al Bosforo e ai Dardanelli, dal canale di Sicilia a Gibilterra, dal canale di Corinto a quello di Minorca, dallo stretto di Citera a quello di Carpatos071. Seppur di diversa importanza, questi chokepoints contrassegnano lo spazio marittimo dell'antico Mare Nostrum evidenziando le numerose aree critiche dove accordi o controversie hanno segnato la storia di questi territori. Si ricordi quale valenza ha lo stretto di Gibilterra, le antiche Colonne d'Ercole, autentica porta del Mediterraneo, da cui non solo si possono controllare i movimenti delle flotte, ma anche se ne può condizionare l'ingresso o l'uscita: la sua larghezza minima è di appena 14 km. Non è 46

casuale infatti che la grande potenza navale del Regno Unito se ne sia assicurata il controllo dapprima con il trattato di Utrecht del 1713, poi con quello di Siviglia del 1729 sino al referendum del 1967. Nonostante le periodiche rivendicazioni spagnole di sovranità, Gibilterra rimane saldamente nelle mani di Londra a conferma dell'importanza strategica dello stretto, anche se con il canale di Suez ha perso in parte la sua importanza in quanto non più unica porta di accesso al Mediterraneo. Le Bocche di Bonifacio, come già detto, sono invece l'esempio positivo di uno spazio marino condiviso in base a un accordo internazionale tra Italia e Francia: altrimenti, già solo considerando il limite di 12 miglia nautiche, ci si troverebbe sul suolo corso o sardo. Ovviamente, se si cercasse Invece il casus belli, le Bocche di Bonifacio sarebbero l'ideale per un incidente diplomatico (sequestro di imbarcazioni o altro).

Carta n. 8 - I principali chokepoints marittimi nel mar Mediterraneo e nel mar Nero072

Il canale di Suez L'apertura del canale di Suez, avvenuta nel 1869 attraverso il territorio egiziano, ha permesso al traffico navale di evitare la lunga circumnavigazione dell'Africa e di passare attraverso i 193 km dal mar Rosso a quello Mediterraneo e viceversa. Nel 2018 vi sono transitate oltre 18.000 navi con 983,4 milioni di tonnellate di merci trasportate; esso rappresenta la terza rotta mondiale per il traffico di petrolio e di 47

gas073. Qui passano anche le navi e le supernavi con i container delle merci commerciate tra Europa/Nord America e sud-est asiatico, a conferma del crescente ruolo economico della Cina. Questo importantissimo canale fu realizzato dalla compagnia francese Compagnie universelle du canal maritime de Suez, mentre la proprietà era al 44% del governo egiziano e per il rimanente francese. A causa dei debiti egiziani, la quota fu venduta al Regno Unito nel 1875: le due superpotenze del XIX secolo se ne assicuravano così il controllo, utilizzandolo come trampolino di lancio utile anche per la penetrazione nel continente africano. Nel corso dei conflitti successivi divenne area strategica da conquistare e da difendere dai vari contendenti finché nel 1956 il presidente Nasser lo nazionalizzò scatenando la reazione armata di Francia e Regno Unito (la cosiddetta crisi di Suez), nonché la minaccia d'intervento russo in difesa del Cairo. La pressione statunitense su Londra e Parigi pose fine al conflitto nel 1957 a cui seguì la presenza della Forza di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF), prima missione di peacekeeping dei caschi blu. Questa breve digressione storica ci fa capire quale importanza sulla scena politica ed economica mondiale abbia questo canale artificiale, per di più raddoppiato nell'agosto 2015 al punto che vi possono passare navi di ogni stazza in concorrenza con quello di Panama, altro chokepoint che mette in comunicazione due oceani, quello Pacifico e quello Atlantico. È comprensibile il forte interesse delle grandi potenze (e non solo esse) con cui seguono le vicende egiziane in relazione sia alle tensioni nell'area nordafricana e mediorientale sia all'instabilità interna al paese stesso. Non a caso l'Egitto è il terzo importatore mondiale di armi nel quinquennio 2014-2018 con una quota del 5,1% sul totale globale: tra i suoi fornitori troviamo in primis Francia, Germania, Russia e Stati Uniti, seguiti da Bulgaria, Canada, Cina, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Finlandia, Italia, Olanda, Spagna, Sudafrica074.

Gli stretti turchi: Bosforo e Dardanelli 48

Una terza area interessante è quella rappresentata dal Bosforo e dai Dardanelli che mettono in comunicazione il mar Nero con quello Egeo e il mar Mediterraneo. Due chokepoints importanti perché dalla penisola della Crimea e dal porto di Sebastopoli si può muovere la flotta navale militare russa del mar Nero (dotata anche di sottomarini e di grandi unità) e la Turchia, alleato NATO, può serrarne il passaggio in caso di crisi. Lo stretto dei Dardanelli è lungo 62 km e la larghezza minima è di 1,2 km, mentre il Bosforo è lungo 32 km con una larghezza minima di 550 m. Un doppio imbuto che condiziona l'azione navale di Mosca, che non a caso cerca sempre di corteggiare Ankara. Durante la Prima guerra fredda (e anche oggi) non era raro trovare allarmanti notizie circa minacciose manovre navali sovietiche (ora russe), che però non erano accompagnate dall'informazione che tali navi erano passate sotto l'attento controllo dell'alleato NATO turco075. Peraltro, l'esibizione militare in esercitazioni navali, terrestri o altro fa parte del corredo politico che serve a mostrare i muscoli ai vari attori concorrenti sulla scena mondiale e/o agli alleati: anzi spesso la nuova muscolatura viene presentata in fiere internazionali o in occasione di feste nazionali, durante le quali gli addetti militari delle varie ambasciate cercano di carpirne le novità specifiche. Un po' come i pavoni maschi che fanno la ruota con le piume per affascinare le femmine, anche se quel corteggiamento è meno pericoloso delle manovre militari. Certamente si può immaginare anche un'eventuale azione militare russa terrestre sulle rive dei due stretti al fine di garantirne la sicurezza per il passaggio navale, ma il tutto diverrebbe più complesso e difficile da gestire, senza dimenticare la vulnerabilità anche aerea di una flotta costretta a muoversi in fila in uno spazio ristretto.

Il canale di Panama Spostandoci nel continente americano, lo stretto di Panama, canale artificiale lungo 80 km con un transito annuale di 13.548 navi e di 241 milioni di tonnellate di merce nel 2017 76, evita dal 1920 la circumnavigazione dell'America Latina. Fu costruito dagli Stati Uniti con un contratto di affitto con il governo locale dapprima per un periodo di 49

100 anni, poi perpetuo e infine restituito nel 2000, mantenendo però il diritto per gli USA di difendere il canale da ogni minaccia relativa alla sua accessibilità continuata e neutrale. Confrontando i dati commerciali di Suez con quelli di Panama, appare evidente la disparità tra i due chokepoints: il primo raccoglie una mole maggiore di traffico anche in relazione all'aumento dell'interscambio con l'area asiatica e in particolare quella cinese, nonché grazie alla suaccennata possibilità di accesso da parte delle nuove supernavi, che invece hanno difficoltà con lo stretto latinoamericano077. Nell'ambito della competizione con Washington e della penetrazione cinese su nuovi mercati, Pechino ha avanzato anche un'ipoteca sul canale di Panama attraverso un progetto che prevede la creazione di un canale analogo e concorrente attraverso il Nicaragua. Infatti nel 2013 è stato approvato dal Parlamento nicaraguegno un disegno di legge che concede per 50 anni per la costruzione dell'opera alla Hong Kong Nicaragua Canal Development Investment Company (HKND), con altri 50 anni seguenti all'effettiva entrata in funzione del canale. Il progetto, però, non si è concretizzato e nel 2018 ne è stato annunciato l'annullamento.

Carta n.9- Il progetto del canale di Nicaragua078 Anche se tale ipotesi per ora rimane puramente sulla carta, appare di rilievo la sfida che Pechino intende lanciare a Washington nel tentativo 50

di penetrare nel "cortile di casa" statunitense, cioè i mercati dell'America Latina, analogamente a quanto già è avvenuto nel continente africano. Infatti la Cina nel settembre 2018, durante il Forum sulla cooperazione Cina-Africa, ha promesso all'Africa una pioggia di 60 miliardi di dollari tra aiuti, investimenti e prestiti. Un milione di cinesi sono già presenti sul continente nero, dove Pechino ha stretto rapporti commerciali ed economici con tutti i paesi africani (eccetto l'eSwatini), costruendo strade, porti, ferrovie, ponti, ospedali, ottenendone in cambio diritti di pesca, materie prime, prodotti alimentari, ecc. La Belt & Road cinese vi si sta espandendo a macchia d'olio al punto che si insegna in alcune scuole locali anche il mandarino (in Kenya e Uganda)079.

Gli stretti del Medio Oriente Se poi ci spostiamo dal continente americano a quello asiatico, troviamo altri chokepoints di grande importanza. Nell'area mediorientale, meritano di esserne ricordati due, lo stretto di Hormuz (nel golfo Persico/Arabico) e quello di Baab el-Mandeb (all'entrata del mar Rosso). Il primo è un braccio di mare lungo una cinquantina di chilometri dove - come anzidetto - passano ogni giorno quasi 19 milioni di barili di petrolio080 destinati, in ordine decrescente, a Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Stati Uniti, Arabia Saudita e altri paesi081, cioè il 40% delle importazioni mondiali di petrolio. Nel secondo, il cui nome in arabo significa "La porta del pianto funebre", si stima che nel 2016 il volume di petrolio transitatovi sia stato di 4,8 milioni di barili al giorno.

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Carta n. 10- Gli stretti di Hormuz e Baab el-Mandeb082 Dal golfo Persico/Arabico, su cui si affacciano alcuni dei grandi produttori di petrolio del mondo, è obbligatorio per il trasporto marittimo passare attraverso lo stretto di Hormuz, le cui acque prospicienti sono in parte territorialmente iraniane e pertanto facilmente sottoposte all'azione di controllo delle forze navali nazionali. Una crisi internazionale con Teheran potrebbe facilmente portare al blocco del traffico con conseguenze immaginabili. Ma se l'influenza di Teheran su Hormuz è un dato di fatto, la crisi in atto nello Yemen dal 2015 deve essere letta non solo come scontro interno tra due fazioni083 a cui partecipano anche molti altri attori stranieri (la coalizione saudita appoggiata dagli Stati Uniti da un lato e l'Iran dall'altro), ma pure in connessione al controllo dello stretto di Baab elMandeb. Infatti, in caso di vittoria degli Huthi, ciò permetterebbe a Teheran di estendere la propria influenza anche qui controllando, direttamente nel primo caso e indirettamente nel secondo caso, i due importanti chokepoints mediorientali. L'accresciuta egemonia persiana sconvolgerebbe i già instabili equilibri dell'area che vedono da tempo contrapposti politicamente e religiosamente Arabia Saudita e Iran (sunniti i primi, sciiti i secondi)084. A complicare il quadro, oltre ai tentativi d'inserimento nell'instabilità yemenita anche da parte delle formazioni terroristiche islamiche, nel corso degli anni, dato l'intenso traffico mercantile, è andata anche 52

crescendo la minaccia dei pirati somali, al punto che nel tempo sono state attivate diverse missioni internazionali di contrasto085.

Gli stretti di Malacca e della Sonda Spostandoci in Estremo Oriente, troviamo un altro chokepoint importante come quello di Malacca, il passaggio marittimo più breve per il commercio tra l'Africa e golfo Persico/ Arabico da un lato e il grande mercato orientale dall'altro, in primis quello cinese: solo per il petrolio vi passano circa 1,4 milioni di barili al giorno per transitare poi nel mar Cinese Meridionale086. Proveniente soprattutto dai paesi del golfo Persico/Arabico, ma anche dall'Angola, e per lo più raffinato a Singapore, il petrolio poi si dirige verso i diversi importatori dell'area, prevalentemente verso la Cina.

Carta n. 11 - Lo stretto di Malacca tra l'Indonesia e la penisola malese087

Graf. n. 3 - Flussi verso i principali importatori di petrolio nel mar 53

Cinese Meridionale nel 2016 (%) Nell'area vi è anche lo stretto della Sonda, in Indonesia, che mette in comunicazione il mar di Giava con l'oceano Indiano, che però ormai è poco usato per la difficile navigazione dovuta a zone con bassi fondali, forti correnti marine e per la presenza di piattaforme petrolifere. Non va dimenticato infatti che le dimensioni delle petroliere sono condizionate dalle rotte e dagli stretti che devono attraversare al punto che è in vigore un sistema internazionale di classificazione di valutazione del tasso di trasporto, Average Freight Rate Assessment (AFRA): nel corso degli anni sono state costruite delle superpetroliere sempre più grandi - come il Very Large Crude Carrier (VLCC) e l'UltraLarge Crude Carrier (ULCC) -, che però per le loro dimensioni non possono passare in tutti gli stretti. Da questo rapido excursus sui chokepoints marittimi siamo in grado di comprendere la loro importanza geopolitica e di conseguenza gli interessi spesso contrastanti sul loro controllo in quanto strumento non secondario sia d'influenza sull'area circostante sia nelle relazioni globali. Nel caso di una guerra, lo scopo sarebbe quello di danneggiare il più possibile l'avversario: il blocco dei flussi di petrolio, come anche quello di altre merci, si potrebbe rivelare un'arma potentissima, che, insieme ad altre, potrebbe condizionare gli eventi e le decisioni. Due alti ufficiali cinesi, Qiao Liang e Wang Xiangsui, nel loro libro Guerra senza limiti: l'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, scritto nel 1996, avevano individuato diverse forme di guerra che possono essere condotte anche contemporaneamente, tra cui la guerra commerciale e quella delle risorse, a cui stiamo assistendo nei casi già accennati tra Stati Uniti, Cina e Iran. Essi all'epoca non avevano indicato la cyberwar, divenuta oggi un'importante realtà, ma comunque avevano delineato un quadro d'insieme che aiutava a comprendere la complessità, i rischi e le prospettive del duro confronto tra gli Stati.

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Tab. n. 1 - Le diverse tipologie di guerre088 Pertanto, quando si assiste alle minacce o agli scontri in atto in queste zone geopoliticamente strategiche, è opportuno cercare di comprendere gli interessi, diretti e indiretti, palesi o occulti, dei vari protagonisti sull'influenza e sulla gestione dei chokepoînts proprio perché importantissimi per l'economia mondiale.

note

066 Sono oggetto di dibattito la validità giuridica e l'applicabilità di un embargo stabilito unilateralmente da uno o più paesi contro un altro al di fuori del quadro delle Nazioni Unite. In tal caso si prefigura un atto d'imperio, cioè di forza, da parte del paese o dei paesi che decidono l'embargo costringendo con la forza anche altri paesi terzi a doverlo rispettare, pur se non d'accordo con tali decisioni. Vedi a questo proposito M. Brunelli, Il regime sanzionatorio contro l'Iran. Una valutazione dell'impatto a livello politico, economico e sociale e un'analisi sui nuovi scenari e sulle potenzialità strutturali nel periodo post-embargo, in «Centro Alti Studi per la Difesa CEMISS», 2017, htips://www.difesa.it/'SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Rcerche_da_pubblicare/AL_R_04 L. R. Galeotti, Le sanzioni nel quadro del diritto internazionale, https://aisberg.unibg.it/retrieve/handle/10446/118565/240586/Le%20sanzioni%20nel%20q F. Marrella, Unione Europea. Sanzioni economiche e contratti internazionali, https://iris.unive.itv/retrieve/handle/10278/3660906/45857/Sanzioni%20economiche%20e% La possibilità di attuare l'embargo anche con misure coercitive è ovviamente connessa alla forza militare esercitata dal paese che non riconosce la validità dell'embargo: è il caso della Cina in merito all'embargo applicato all'Iran, per cui sarebbe molto difficile ipotizzare un'azione violenta nei confronti di una nave di Pechino. 067 A. Scott, Hormuz, venti di guerra Usa-Iran sulle rotte del petrolio, 15 giugno 2019, https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2019-06-14/ le-minehormuz-venti-guerra-e-misteri-attacchi-petroliere-200144.shtml?

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uuid=ACq0ZOR. Non va dimenticato che, rallentando le esportazioni di greggio iraniano a seguito del ritiro statunitense dall'accordo sul nucleare con Teheran e delle nuove sanzioni avviate da Trump dalla primavera di quell'anno che obbligano gli altri paesi a non commerciare con lo Stato persiano, crescono parimenti invece le esportazioni totali di petrolio saudita, che infatti hanno conosciuto una crescita ininterrotta dall'aprile 2018. https://www.jodidata.org/oil/database/customisablecharts.aspx#cdSaudiArabia. 068 Vogliamo una coalizione internazionale per difendere le petroliere, 10 luglio 2019, https://www.repubblica.it/esteri/2019/07/10/news/usa_coalizione_internazionale_p er_difendere_lo_stretto_di_hormuz230840071/?ref=RHPPLF-BH-I23084 1852-C4-P6-S1.4-T1. 069 https ://www.eia.gov/beta/international/regions-topics.php? RegionTopicID=WOTC. 070 ibid. 071 Per un approfondimento, vedi European Parliament - Directorate General for Internal Policies Policy Department B: Structural and Cohesion Policies - Fisheries: Jurisdictional Waters in Tbe Mediterranean and Black Seas, https://www.unimc.it/maremap/it/ temi/risorse-biologiche/studidelparlamento-europeo/J urisdictionalWatersintheMediterraneanandBlackSeas.pdf. 072 https://d-maps.com/carte.php?num_car=3124&lang=it. 073 Mediterraneo, il Canale di Suez aumenta la capacità di trasporto e di competitività. Uno studio di SRM e AlexBank, 16 febbraio 2019, http://www.reportdifesa.it/mediterraneo-il-canale-di-suez-aumenta-lacapacita-di-trasporto-e-di-competivita/. 074 https://www.sipri.org/databases/armstransfers. 075 La flotta russa mostra i muscoli nel Mediterraneo orientale, https://www.analisidifesa.it/2018/08/la-flotta-russa-mostra-i-muscoli-nelmediterraneo-orientale/. 076 Il pedaggio per tonnellata prima del 2013 era di 2,21 dollari per navi mercantili, militari, ospedaliere o di appoggio, per le altre categorie si riduceva a 1,23 dollari per tonnellata. Vedi L. Bruni - R. Mazzanti, Aspetti geografici dell'ampliamento del Canale di Panama, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», serie 14, 1 (2018), pp. 155-167. Oggi si aggira mediamente sui 5,8 dollari per tonnellata, Il Canale di Panama, https://ensight.com/2018/05/08/il-canale-di-panama/. 077 Non è casuale che sia in corso un ampliamento del canale di Panama proprio per rispondere alle nuove dimensioni delle navi, ampliamento però assai discusso per la sua realizzazione. Vedi ibid.

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078 Nostra elaborazione su carta https://en.wikipedia.org/wiki/Nicaragua_Canal. 079 Sulla penetrazione cinese in Africa vedi F Mini, cit., pp. 94-95. 080 World Oil Transit Chokepoints, 25 luglio 2017, https://www.eia.gov/beta/international/regions-topics.php? RegionTopicIDb=WOTC. 081 The Strait of Hormuz is the world's most important oil transit chokepoint, 20 giugno 2019, https://www.eia.gov/todayinenergy/detail.php? id=39932. 082 https://d-maps.com/carte.php?num_car=32&lang=it. 083 Nella guerra civile si scontrano gli huthi alleati con le forze fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, che controllano la capitale Sana'a con le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, con sede a Aden. 084 L'Arabia Saudita, sostenitore dell'islamismo nella sua versione radicale wahabita e tradizionale alleato di Washington, deteneva nel 2016 circa 117 miliardi del debito estero statunitense. 085 Tra queste l'Ocean Shield della NATO, la Combined Task Force 151nell'oceano Indiano, la EU NAVFOR Somalia-Operazione Atalanta. Sulla pirateria contemporanea vedi S, D'Auria, Pirateria marittima da Terzo Millennio, http://gnosis.aisi.gov.it/gnosis/Rivista33.nsf/ServNavig/3314.pdf/$File/33-14.pdfPOpenElement. 086 https://www.maritime-executive.com/article/strait-of-malaccakeychokepoint-for-oil-trade. 087 https://d-maps.com/carte.php?num_car=3650&langz=it. 088 Q. Liang - W. Xiangsui, Guerra senza limiti. L'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, LEG, Gorizia 2001. Tra l'altro è interessante notare che gli autori nella loro analisi avevano messo già allora in evidenza la pericolosità di Osama Bin Laden e della sua rete terroristica Al Qaeda.

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Le risorse energetiche Come abbiamo visto, già solamente parlando di aree geografiche particolari come i chokepoints non si è potuto evitare il tema delle risorse energetiche, in primis del petrolio, oggi la principale fonte energetica mondiale, seguita dal carbone e dal gas089. Il consumo di queste risorse energetiche è fortemente differenziato nel mondo, come anche la sua produzione. I due grafici seguenti sui principali produttori e consumatori di petrolio evidenziano chiaramente la differenza tra i primi, molto più numerosi (i più rilevanti sono una ventina a cui se ne aggiungono altri 79), e i secondi, meno numerosi (i più rilevanti sono appena undici, seguiti da altri 74 con quote decisamente meno significative). Tra questi ultimi "energivori" vi sono diversi paesi dell'Unione Europea, oltre ai colossi come Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Corea del Sud.

Graf. n. 4-I primi venti paesi produttori mondiali di petrolio nel 2016 (k barili al giorno)090 https://www.indexmundi.com/map/?v=88&l=it.

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Graf. n.5 - I primi venti paesi consumatori mondiali di petrolio nel 2016 (k barili al giorno)091 https://www.indexmundi.com/map/?v=91&l=it. Venti tra pochi paesi di antica industrializzazione e altri di più recente sviluppo consumano il triplo di quanto ne consumano gli altri 170: i primi dieci ne consumano più del doppio degli altri 170, mentre il primo arriva a poco meno del totale degli altri 170. Paesi voraci di energia che tendono ad accrescere il proprio bisogno di petrolio e per cui il mercato mondiale diviene un terreno di accordi e di concorrenza commerciali, ma anche di scontri e di guerre vere e proprie. I paesi produttori sono corteggiati, adulati, pressati nelle vendite: il prezzo delle merci energetiche (siano esse petrolio o carbone o altro) può essere fondamentale per lo sviluppo e la sicurezza di un altro, può cementare i rapporti di collaborazione reciproca o causare tensioni internazionali. L'attuale modello di sviluppo economico mondiale soffre di una fame crescente di energia e per essa si è pronti a tutto. Basti pensare all'area mediorientale, produttrice di quasi un terzo del petrolio mondiale e pertanto regione estremamente importante per l'economia globalizzata del nostro pianeta. Non è un caso che tale area sia divenuta così rilevante in seguito alla Seconda rivoluzione industriale e all'avvento del motore a scoppio tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento: l'Impero ottomano che allora governava quei territori divenne pertanto la preda ambita dei protagonisti della Prima guerra mondiale e fu smembrato con rapacità dai vincitori al termine 59

della stessa. Il famoso accordo segreto stipulato nel 1916 dal diplomatico francese Francois Georges-Picot e da quello britannico Mark Sykes prevedeva che le due potenze si spartissero quei territori, mentre agli arabi e ai curdi, impegnati nella guerriglia contro l'Impero ottomano, veniva promessa l'autonomia e l'indipendenza, ipotesi rapidamente svanite dopo il conflitto092. Qui, dopo la Prima guerra mondiale, Francia e Gran Bretagna allargarono la loro sfera d'influenza politica, militare ed economica, rafforzando i propri imperi coloniali. Con la fine del secondo conflitto mondiale il colonialismo propriamente detto si dissolverà gradualmente anche in seguito alle lotte per l'indipendenza dei popoli sottomessi, dall'India all'Algeria. I paesi una volta dominati diventano dei partner con cui trattare accordi, creare alleanze, istituire scambi commerciali. L'importanza del controllo delle fonti energetiche rimane tutt'oggi comunque al centro dell'attenzione dei governi, anche alla luce del fatto che tutte le proiezioni future indicano un incremento significativo di questi consumi, dato che solo il 17,5% dell'energia prodotta viene da fonti rinnovabili093. Il resto proviene dal petrolio, dal gas, dal carbone, dal nucleare. L'Asia, continente in crescita, consuma oggi la metà del petrolio e del gas disponibile estraendolo dal Medio Oriente, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dal Canada e dal Brasile, ma nel 2040 ne consumerà i due terzi094. Le proiezioni disponibili ci indicano comunque una crescita continua del fabbisogno energetico. Va tenuto presente che nel mondo il consumo medio di energia per abitante è di circa 2,5 kW annui, ma in alcuni paesi più ricchi è dieci volte superiore (come nel caso della Norvegia): se tutti gli abitanti del nostro pianeta consumassero al massimo si andrebbe al collasso. L'equilibro si mantiene perché i poveri consumano al di sotto del fabbisogno. Fino a quando questo potrà continuare? Fino a quando queste disuguaglianze potranno resistere nelle forme attuali? Le previsioni per i prossimi decenni indicano le energie non rinnovabili ancora al centro dello sviluppo e pertanto ci si deve attendere ancora un duro confronto sull'accaparramento di tali risorse. L'insuccesso della conferenza COP 25 di Madrid del dicembre 2019 sul clima ne è una conferma. 60

Le aree ricche di petrolio, di gas, di carbone, di uranio e altro saranno sempre oggetto d'interesse internazionale ed è utile ricordare i paesi che dispongono delle più importanti riserve mondiali di petrolio e di gas.

Graf. n. 6 - Riserve provate dei paesi produttori di petrolio 2017 (%)095 https://rienergia.staffettaonline.com/nv14/img/atlante. pdf.

Graf. n. 7 - Riserve provate dei paesi produttori di gas 2017 (%)096 ibid. L'esame dei grafici mostra che il Medio Oriente si presenta costantemente come l'area principale sia delle esportazioni di petrolio e di gas sia delle riserve accertate di queste due preziose materie prime. Ciò significa che su questo scacchiere la complessa partita continuerà ancora per lunghi anni e l'instabilità che lo caratterizza non è destinata nel breve tempo a diminuire, anche alla luce delle importanti riserve detenute dall'Iran, il cui governo non appare inserito nel quadro delle alleanze statunitensi come invece la maggior parte degli altri paesi dell'area. Le recenti tensioni nell'area dello stretto di Hormuz possono essere lette anche all'interno dell'attuale capacità statunitense di esportare 61

grandi quantità di greggio senza dover dipendere più energeticamente da quello stretto, vitale invece per il commercio iraniano e per i rifornimenti di altri paesi, i quali in caso di crisi e di blocco dovrebbero rivolgersi inevitabilmente a Washington e al suo alleato Riad. Nel settembre 2008 gli USA esportavano quotidianamente 3,8 milioni di barili di petrolio, nel luglio 2019 sono arrivati ad esportare ben paesi dell'area. Le recenti tensioni nell'area dello stretto di Hormuz possono essere lette anche all'interno dell'attuale capacità statunitense di esportare grandi quantità di greggio senza dover dipendere più energeticamente da quello stretto, vitale invece per il commercio iraniano e per i rifornimenti di altri paesi, i quali in caso di crisi e di blocco dovrebbero rivolgersi inevitabilmente a Washington e al suo alleato Riad. Nel settembre 2008 gli USA esportavano quotidianamente 3,8 milioni di barili di petrolio, nel luglio 2019 sono arrivati ad esportare ben 12 milioni di barili, grazie al boom della produzione di shale (scisto bituminoso), al punto da poter diventare nel giro di pochi anni forse il più grande esportatore097. Questa potenza estrattiva è dovuta alla nuova tecnica del fracking, cioè alla fratturazione idraulica delle rocce di scisto nel sottosuolo che avviene iniettando a forza acqua, sabbia e altri prodotti chimici. Tale processo utilizza però grandi quantità di sostanze inquinanti che restano per lo più nel sottosuolo, con il pericolo di contaminare le falde acquifere. Inoltre, secondo alcune associazioni ambientaliste, questo sistema può provocare da un lato fenomeni sismici098, dall'altro ritardare l'impegno governativo nelle energie alternative. Dal punto globale l'autosufficienza energetica statunitense potrebbe influenzare molto i rapporti internazionali, eventualmente consentendo a Washington una diversa politica in Medio Oriente e all'Europa occidentale di rifornirsi altrove rispetto sia ai paesi arabi e africani, sia alla Russia (aumentando però ancor più la dipendenza da oltreoceano). Altra area importante per la disponibilità di petrolio, seppur meno nota al grande pubblico, è quella del mar Caspio, di cui abbiamo già accennato a proposito delle acque territoriali spartite tra gli Stati rivieraschi della Federazione Russa, l'Azerbaigian, l'Iran, il Turkmenistan e il Kazakistan. Alcune stime parlano di una presenza di idrocarburi 62

addirittura superiore a quella del golfo Arabico/Persico099, In questo caso, però, essi non possono essere trasportati via mare con le petroliere, ma necessariamente attraverso oleodotti e gasdotti posti sul suolo. La decisione di posizionare un oleodotto su un preciso percorso che può attraversare uno o più Stati ha un'enorme rilevanza perché consente ai paesi coinvolti, dal produttore a quelli intermedi, di poter condizionare i rapporti internazionali. La rete terrestre e sottomarina degli oleodotti e dei gasdotti rappresenta molto bene l'intreccio dei vari interessi che uniscono o dividono i governi. In caso di crisi internazionale, il flusso energetico può essere interrotto non solo dal produttore, ma anche da quello sul cui territorio passa l'infrastruttura: la chiusura dei "rubinetti" può danneggiare diversi attori e la partita si complicherebbe ancora di più. Investire miliardi per realizzare una pipeline sul territorio di un paese non completamente affidabile è un grosso rischio per il paese esportatore e potrebbe creare notevoli problemi. L'Ucraina è un palese esempio in tal senso, in quanto posta a metà strada tra il fornitore russo e gli acquirenti europei100. Infatti, da anni è in corso una lotta in sordina (per così dire) per agevolare o impedire la realizzazione di queste pipeline. Ricordiamo il caso della TAP che porterebbe il gas del mar Caspio in Puglia attraverso la Turchia, la Grecia e l'Albania (paesi fidati per l'UE), e quello del South Stream che avrebbe portato il gas russo in Italia aumentando la dipendenza dell'UE da Mosca, fatto che suscita le preoccupazioni di molti attori europei nonché degli Stati Uniti101.

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Carta n, 12 - Gasdotti russi esistenti e previsti in Europa102 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d7/Major_russian_gas_pipelin Nel caso del mar Caspio si vorrebbe costruire la Trans Caspian Pipeline (TCP), gasdotto che andrebbe dal Turkmenistan sino a Baku in Azerbaigian, passando per la Georgia e finendo in Turchia103 a Ceyhan, saltando Russia e Iran. Un altro progetto è quello già accennato del South Stream, che dalla Russia dovrebbe attraversare il mar Nero, la Bulgaria, la Grecia e arrivare in Italia in Puglia e in Friuli, ma che è stato sospeso in seguito al conflitto scoppiato in Ucraina. Il gas naturale dall'Azerbaigian, altro paese dell'area caspica, passerebbe verso ovest attraverso la South Caucasus Gas Pipeline (SCPX) transitando per la Georgia sino ad arrivare alla Trans Anatolian Pipeline (TANAP) in Turchia104 e di lì alla Trans Adriatic Pipeline (TAP) passando per la Grecia, l'Albania, il mare Adriatico e arrivando in Italia, dove è attesa a Melendugno (Lecce) da un vivace movimento di contestazione preoccupato per i lavori che interesseranno 56 km di percorso e per la temuta deforestazione degli ulivi pugliesi, già duramente colpiti dalla Xylella. In Italia non sembra però esserci una conoscenza diffusa del grande gioco relativo alla TAP e il tutto rimane limitato a un dibattito locale.

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Non va dimenticata la vicenda della Cecenia, proclamatasi nel 1991 repubblica autonoma indipendente dopo la dissoluzione dell'URSS, che, in quanto produttrice di petrolio e area di passaggio di pipeline di petrolio e di gas dal mar Caspio al terminal di Novorossisk sul mar Nero, rappresenta un territorio strategicamente importante per Mosca, al punto che il separatismo è stato sconfitto nel 2009 dopo un lungo e duro conflitto armato con la Russia105.

Carta n. 13 - Infrastrutture petrolifere e di gas naturale nelle regione del mar Caspio106 Spostandoci su un altro quadrante, la partita asiatica appare interessante anche da questo punto di vista dato che la Cina si mostra molto propensa a realizzare linee di rifornimento terrestri passanti per aree "calde" come Afghanistan107 e Pakistan: dall'Iran via Pakistan o Afghanistan potrebbero passare queste linee di rifornimento energetico (come nel caso del progettato "gasdotto della pace" IranPakistan-India, fortemente osteggiato da Washington in opposizione a Teheran), ma vi sarebbero anche altre ipotesi come il TurkmenistanAfghanistan-Pakistan-India (TAPI), capace di una portata sino a 33 miliardi di metri cubi di gas annui, appoggiato da Stati Uniti e Arabia Saudita e che taglia fuori l'Iran. Come si vede, Kabul risulta comunque strategico per il passaggio delle 65

pipeline, siano esse provenienti dall'Iran o dal Turkmenistan, destinate al Pakistan, all'India o alla Cina. Le implicazioni però, non solo per chi esporta e per chi importa ma anche per i paesi di transito, sono assai diverse: l'Iran per rifornire la Cina potrebbe teoricamente passare per l' Afghanistan (dove però gli USA mantengono una loro presenza militare, anche con l'impegno di impedire tale transito) o per il Pakistan (paese dai rapporti ambivalenti con Washington, ma condizionato dall'eventuale transito finale della pipeline proprio sul territorio conteso del Kashmir con l'India). Per ora, il passaggio del petrolio e del gas iraniani via terra a Kabul è praticamente impossibile, circondato com'è il paese persiano dalla presenza diretta delle forze statunitensi o da paesi filoamericani.

Carta n. 14 - Il tracciato del TAPI108 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/ed/TAPI-EIA.png. Nel frattempo comunque la Cina sta stringendo i rapporti economici e commerciali con Islamabad, attraverso il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), lungo 1.400 km e del valore di oltre 50 miliardi di dollari, con la zona di libero scambio del porto di Gwadar, nella provincia meridionale del Belucistan e facente parte della Nuova via della seta cinese. Insomma la partita è complessa: mentre gli Stati Uniti cercano di 66

bloccare le esportazioni iraniane, obbligando i propri partner/alleati a comprare in America o presso l'Arabia Saudita e gli altri paesi mediorientali, Cina e Russia si muovono tentando di creare non solo reti commerciali alternative, ma anche accordi finanziari tesi a non usare più il dollaro nelle transazioni internazionali, mettendo in crescente difficoltà Washington109, La concorrenza russa della Novatek, per esempio, sarebbe in grado di offrire il gas a 6 dollari per milione di British Thermal Unit (BTU) dal terminale della penisola siberiana di Jamal ai paesi europei, a prezzi inferiori di quello statunitense (6,4 $) e ancor meno di quello australiano (10,8 $). La russa Gazprom e la cinese CNPC si sono accordate per il gasdotto Sila Sibiri-2 ("Forza della Siberia"), che collegherà i centri siberiani di estrazione del gas di Irkutsk e Jakutja all'estremo oriente russo e alla Cina, per fornire da fine 2019 e per un trentennio 38 miliardi di metri cubi all'anno di gas. Senza voler descrivere dettagliatamente il reticolo mondiale delle pipeline che trasportano o dovrebbero trasportare petrolio e gas attraverso i diversi progetti in corso, è possibile comprendere come questo sistema interconnesso di fatto condizioni i rapporti internazionali sia nei collegamenti in atto sia in quelli irrealizzati. Questo reticolo può spiegare i tentativi dei vari attori di attivare o di bloccare rapporti economici e politici in grado di influire sugli equilibri instabili del nostro pianeta: anche questa è guerra economica. Insomma, una dura partita con sgambetti e contromosse continue e, a complicar le cose, senza arbitro.

Carta n. 15 - Schema di alcuni gasdotti in Asia centrale110 https://dmaps.com/carte.php?num_car=5160&lang=it. 67

Carta n. 16 - La rete delle pipeline in Medio Oriente111 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/83/0il_and_Gas_Infrastructur gif. Altra fonte energetica è rappresentata dai materiali fossili usati nelle centrali nucleari, negli anni passati presentate come la soluzione ideale alla produzione energetica. Tuttavia, in particolare dopo i noti disastri di Chernobyle Fukushima, nonché per il problema irrisolto delle scorie radioattive, hanno perso molto appeal al punto che l'energia nucleare copriva nel 2018 appena il 5% di quella mondiale, per di più in decrescita dalla quota del 7% del 2000 112. Inoltre la disponibilità della materia prima, l'uranio, è limitata a pochi paesi e questo comporta un ulteriore restringimento del mercato. Ciò non toglie che paesi ricchi di uranio divengano oggetto di grande interesse per quelli dotati di centrali (e di armi) nucleari, come nel caso del Niger dove la Francia è presente con una missione militare (la cui produzione energetica nazionale è fortemente basata sulle centrali nucleari), a cui si è aggiunta l'Italia, ufficialmente per contrastare il terrorismo e, per pura casualità, grande acquirente di energia elettrica proprio dal paese d'oltralpe113. A livello mondiale, data l'ampia disponibilità, il carbone invece, rimane ancora la fonte principale di energia (26%), seguito dal petrolio e dal gas, mentre le energie rinnovabili arrivano complessivamente appena al 15%. Il carbone, principale incriminato dell'inquinamento in molti paesi, 68

tra cui la Cina, è accusato di essere il responsabile dell'emissione di 14,8 miliardi di tonnellate di CO2, cioè il 46% del totale globale. Se apparentemente il costo dell'energia prodotta con il carbone appare conveniente, le conseguenze sanitarie e ambientali del suo utilizzo sono assai pesanti. Le previsioni, connesse anche agli accordi internazionali per la protezione dell'ambiente e del clima, fanno ritenere che esso andrà scemando d'importanza, ma, come detto, esso riveste per ora un ruolo rilevante ed è prodotto in larga misura da Cina, Stati Uniti, India, Australia e Russia, che spesso ne sono anche i principali consumatori. Se la Cina ha affermato di voler rispettare gli accordi di Parigi, l'amministrazione Trump ha dichiarato di volerne uscire, ma queste affermazioni - rassicuranti o meno - comunque non cambiano lo stato delle cose e le conseguenze di cui sopra nel breve periodo. Non va dimenticato che il trasporto del carbone non può avvenire attraverso le pipeline, ma solo attraverso mezzi ruotati, ferrovie o via nave, elemento che ne complica la distribuzione, In una situazione conflittuale anche le navi e le ferrovie, al pari delle pipeline, potrebbero essere obiettivo privilegiato di attacchi con conseguenti difficoltà nell'approvvigionamento. È opportuno ricordare, nella Seconda guerra mondiale, la situazione dell'Italia, il cui regime fascista pensava di poter contare per la produzione industriale sul carbone estratto in Sardegna, in particolare nel Sulcis. Vi era una piccola dimenticanza: la minaccia navale britannica che di fatto, insieme all'aviazione, mise in crisi tali rifornimenti e di conseguenza in ginocchio la nostra produzione bellica.

Tab. n. 2 - Domanda mondiale di energia 2017-2018 (%)114 IEA, Global Energy & CO2 Status Report. The latest trends in energy and emissions in 2018, https://www.iea.org/geco/data/.

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Tab. n, 3 - Produzione mondiale di elettricità 2017-2018 (%)115 Ibid.

Carta n. 17 - Distribuzione mondiale di riserve certe di uranio nel 2018 (%)116 IAEA, Uranium 2016: Resources, Production and Demand, http://www.oecd-nea.org/ndd/pubs/2016/7301-uranium-2016.pdf.

note 089 Vedi BP Statistical Review of World Energy 2019, https://www.bp.com/content/dam/bp/businesssites/en/global/corporate/pdfs/energy-economics/statistical-review/bp-statsreview-201 9-full-report.pdf. 092 Vedi per i curdi il trattato di Sèvres del 1920 con il miraggio di un Kurdistan, poi annullato con il trattato di Losanna del 1923. Il mondo arabo a sua volta si trovò a essere parcellizzato in molte diverse entità statali sulla base del motto romano «Divide et impera». Sulla vicenda araba testimonianza interessante è l'autobiografia di Thomas Edward Lawrence, I sette pilastri della saggezza, in cui l'ufficiale dei servizi segreti britannici racconta la propria attività di sostegno alla guerriglia araba contro i turchi. A volte sembra che la storia si ripeta non solo nel caso dei ribelli libici sostenuti da varie potenze occidentali dapprima per abbattere il regime di

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Gheddafi nel 2011 e poi per combattersi dal 2014 in una sanguinosa guerra civile, ma anche in quello dei curdi siriani, dapprima sostenuti da Washington in quanto oppositori dell'ISIS e del regime di Assad, ma lasciati poi nel 2019 all'azione militare repressiva di Ankara, che li considera invece terroristi, con conseguenze ulteriormente destabilizzanti dell'area mediorientale. AA. VV., il mito curdo, in «LiMes» 7 (2017). 093 Tracking Sdg7: The Energy Progress Report 2018, http://trackingsdg7.esmap.org/data/files/downloaddocuments/tracking_sdg7-the_energy_progress_report_full_report.pdf. 094 International Energy Agency (IEA), World Energy Outlook 2018, https://webstore,iea.org/download/summary/190?fileName=EnglishWEO2018-ES.pdf. 097 https://www.macrotrends.net/2562/us-crude-oil-production-historicalchart; C. Burroughs, Entro 5 anni gli Usa diventeranno il più grande esportatore di petrolio del mondo, superando Russia e Arabia, 30 marzo 2019, https://it.businessinsider.com/shale-oil-gli-stati-uniti-piugrandeesportatore-di-petrolio-rivoluzione-fracking/; M. Sisti, Gli Usa banno quasi raggiunto l'indipendenza energetica: si apre un nuovo capitolo nella storia delle relazioni internazionali, 5 settembre 2019, https://it.businessinsider. com/gli-usa-hanno-quasi-raggiunto-lindipendenzaenergetica-si-apre-unnuovo-capitolo-nella-storia-delle-relazioniinternazionali/. 098 2011 Oklaboma Induced Earthquake May Have Triggered Larger Quake, 6 marzo 2014, https://www.usgs.gov/news/2011-oklahoma-inducedearthquake-may-have-triggered-larger-quake. 099 L'US Energy Information Administration stima 48 miliardi di barili di petrolio e 292 trilioni di metri cubi di gas naturale in riserve probabili nei bacini del Caspio. Quasi il 75% del petrolio e il 67% delle riserve di gas naturale si trovano entro 100 miglia dalla costa. Vedi https://www.eia.gov/beta/international/regions-topics.php? RegionTopicID=CSR. 100 L. Grassia, Russia-Ucraina, guerra del gas per bollette e penali non pagate, 6 marzo 2018, https://www.lastampa.it/economia/2018/03/06/news/russia-ucraina-guerradel-gas-per-bollette-e-penali-non-pagate-1.33988638. 101 C, Dominelli, Dal South Stream al Tap: le vie del gas tra progetti falliti e nuove rotte, 10 maggio 2017, https://www.ilsole24ore.com/art/dalsouthstream-tap-vie-gas-progetti-falliti-e-nuove-rotte-AEMRelJB. 103 Come si può notare, oltre ad accogliere oltre 3 milioni di profughi ed eventualmente usarli come minaccia verso l'UE, la Turchia appare sempre come area di passaggio di queste pipeline (TAP, TCP, ecc.) rendendola ancora più strategica per l'Europa occidentale. 104 Questa pipeline servirebbe sia la TAP verso ovest sia la Nabucco West

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Pipeline verso nord. 105 Sul drammatico conflitto ceceno vedi la scheda dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/entra-nella-banca-datidisarmonline-categoria-guerre-ed-areedi-crisi/finish/255/3062.

106 U.S. Energy Information Administration, Overview of oil and natural gas în the Caspian Sea region, 26 agosto 2013, https://www.eia.gov/beta/international/analysis_includes/regions_of_interest/Caspian_Sea/c 107 Non va dimenticato che il paese, oltre a essere un grande produttore di oppio (circa 8.000 tonnellate nel 2018), è ricco anche di rame, ferro, oro, litio, cobalto, terre rare e idrocarburi. Vedi United Nations Office on Drugs and Crime, World Drug Report 2019, 1 Executive summary. Conclusions and policy implications, https://wdr.unodc.org/wdr2019/prelaunch/WDR19_Booklet_1_EXECUTIVE_SUMMARY.pdf. 109 Fabrizio Poggi nota che «il 18° vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) - fondato nel 2001, ne fanno parte Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizia, TadZikistan, Uzbekistan e, dal 2017, anche India e Pakistan - aveva deciso il passaggio alle valute nazionali nelle transazioni reciproche, con l'intermediazione dell'Unione interbancaria, strumento di investimento della SCO nelle aree di cooperazione», 19 settembre 2018, https://www.lantidiplomatico.it/dertnews-Cinarussia_A_Tutto_Gas/82_25442/. 112 IAEA, Global Energy & CO2 Status Report. The latest trends în energy and emissions in 2018, https://www.iea.org/geco/data/. 113 A, Negri, La missione italiana in Niger fa gli interessi della Francia, http://espresso.repubblica.it/internazionale/2018/01/29/news/missioneitaliananiger-1.317686.

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Oro, platino e... Carbone e uranio sono al contempo risorse energetiche e minerarie in quanto, allo stato naturale, vengono estratti appunto con un lavoro minerario. Oltre a essi però vi sono diversi materiali preziosi come oro, platino, argento, rame, zinco, coltan, terre rare, cobalto, ecc. utilizzati alcuni come bene rifugio alternativo alle valute, altri nell'ambito industriale (automobilistico, elettrico, informatico, ecc.). Le miniere d'oro già nel passato scatenarono scontri tra Stati per il possesso dei territori dove questo minerale abbondava: ne è l'esempio la guerra anglo-boera nel Sudafrica tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo (culminata con la vittoria dell'Impero britannico nel 1902, interessato anche ai ricchi giacimenti di diamanti e all'oro scoperto nel Transvaal). Oppure la corsa all'oro negli Stati Uniti in California, Nevada, Colorado, Alaska, ecc. durante il XIX secolo: i nativi americani ne furono le prime vittime durante le guerre indiane per le Black Hills dove furono scoperti giacimenti del prezioso metallo. Il possesso di oro è stato per secoli elemento fondamentale di riferimento per indicare la ricchezza di una persona o di uno Stato, ma nell'economia mondiale oggi vi è anche una molteplicità di altri elementi che concorrono a garantire tale condizione a uno Stato. Uno Stato ricco di risorse naturali non è automaticamente uno Stato saldo e florido, come dimostra il caso drammatico della Repubblica Democratica del Congo (RDC)117: si stima abbia risorse minerarie per 24.000 miliardi di dollari, tra cui la più grande riserva mondiale di coltan e riserve importanti di diamanti, rame, cobalto, tungsteno, tantalo e stagno. Ciò ha attratto 13 miliardi di dollari d'investimenti esteri dal 2002 al 2014. Minerali e petrolio contano per il 94% del totale delle esportazioni. La RDC produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale. Il cobalto, che viene impiegato in numerosissimi settori e applicazioni, viene venduto a tre aziende che producono batterie per smartphone e automobili in Cina e in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono a loro volta le imprese che vendono prodotti elettronici e automobili in Europa e in America. 73

La guerra e l'instabilità ormai permanente in RDC, con una posizione nell'indice di sviluppo umano al 176° posto su 186 e con il 59% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà assoluta118, hanno fatto sì che il 98% dell'oro sia esportato illegalmente, che il 50% delle miniere e il 64% dei minatori artigianali sia controllato dai gruppi armati119. Inoltre la RDC è il primo produttore mondiale di diamanti (18 milioni di carati)120 e la lotta per il relativo controllo delle miniere e del commercio ha provocato il violento fenomeno dei Blood Diamond (diamanti insanguinati), con connesse guerre e stragi, non solo in RDC, ma anche in Angola, Sierra Leone, Liberia, per lo più conflitti dimenticati o ignorati dall'opinione pubblica occidentale. Insomma, questo, come altri, è un caso evidente di un paese ricchissimo di risorse i cui abitanti invece sono poverissimi.

Carta n. 18 - Disponibilità mondiale di oro 2012 (kg)121 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Map_of_gold_production.svg.

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Tab. n. 4 - Oro: produzione e riserve nel 2017 122 https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_gold_production. Senza voler fare un elenco della distribuzione di tutte le risorse minerarie nel mondo con i relativi accordi, tensioni o conflitti per la gestione, è opportuno citare anche paesi come il Cile, grande produttore di rame, i cui tentativi di nazionalizzazione da parte del presidente Allende (contrastato dagli Stati Uniti, che avviarono nell'America Latina l'operazione Condor tesa a contrastare l'influenza socialista e comunista nell'area) provocarono un feroce colpo di Stato da parte dei militari nel 1973 e l'instaurazione della dittatura durata sino alla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo. Persino la vicenda dell'autoproclamazione d'indipendenza dell' Abcasia dalla Georgia, con il successivo intervento militare della Russia sia nel conflitto del 1991-1993 sia in quello del 2008, non può essere disgiunta dalla presenza di giacimenti di piombo, rame, zinco e carbon fossile nel paese. Parliamo anche di qualcosa poco noto: le terre rare. Come dice il nome stesso, si tratta di 17 elementi chimici della tavola periodica, poco conosciuti dai più ma di elevatissimo valore, più dell'oro e dei diamanti123, Sono usati come superconduttori, microchip, magneti, laser, schermi a colori, catalizzatori nell'optoelettronica, nelle fibre ottiche, nell'ambito di aerospazio e difesa, energia nucleare, computer e telefoni, acciaio e automobili elettriche e in tutti gli altri settori strategici delle moderne tecnologie. Il 95% della produzione mondiale (105.000 tonnellate annue) è cinese, mentre quella degli altri paesi (nell'ordine Australia, USA, Russia, Thailandia, Malaysia) è decisamente inferiore: 17.200 tonnellate annue tutti insieme124. La guerra dei dazi avviata dall'amministrazione Trump contro la Cina infatti ha dovuto rallentare quando Pechino, velatamente ma non troppo, gli ha inviato un messaggio su un possibile blocco delle forniture di questi elementi che metterebbe in crisi il settore industriale elettronico statunitense125. Come si può osservare, la globalizzazione, decantata o detestata che sia, unisce le economie molto più di quello che si pensi, non solo per lo 75

scambio di merci finite, ma anche e soprattutto per le materie prime. L'intuizione dei padri fondatori dell'Unione Europea fu quella di comprendere che gli Stati del Vecchio Continente, se avessero messo in comune le proprie risorse e connesso le proprie economie, avrebbero evitato i numerosi conflitti vissuti nel corso dei secoli, a partire dalla contesa per il controllo delle risorse (ferro e carbone, su tutti) della Ruhr, dell'Alsazia e della Lorena che a lungo hanno messo contro Francia e Germania126. Combattere contro il partner che fa parte del proprio sistema economico diventa un vero atto di autolesionismo. Nella vita tutto può accadere, è accaduto, sta accadendo e accadrà, ma certo è un deterrente che può aiutare a evitare almeno in parte i disastri di cui il genere umano è particolarmente esperto. Tanto per citare un caso d'attualità, una delle conseguenze della Brexit, in mancanza di accordo con la UE, riguarda ad esempio il comparto automobilistico: le automobili costruite prevalentemente in Gran Bretagna, ma in parte anche in Germania e in Francia che forniscono a Londra componentistica per 11,4 miliardi di euro, durante il processo di produzione dovranno passare varie volte avanti e indietro le dogane, pagando dazi del 10% che si ripercuoteranno sul prezzo finale della macchina. La Rolls-Royce importa il 92% di parti, analogamente alla Bentley. Si ipotizza che la Ford possa chiudere gli impianti e spostarli nel gruppo Volkswagen. Il danno comunque sarebbe anche per gli esportatori di automobili nel Regno Unito, dato che il 90% del venduto viene dall'estero127. Il risultato finale è che ci si danneggia a vicenda, mentre Trump sostiene palesemente una Brexit senza accordi, che permetrerebbe al colosso statunitense di fare migliori affari con una Gran Bretagna in difficoltà economiche128, dicono i maligni, aggiungendo che un indebolimento dell'UE o addirittura un suo collasso dovuto al sovranismo in ascesa sarebbe ancor più gradito oltre oceano (e probabilmente anche in Russia) in base al vecchio detto latino Divide et impera129. Come al solito, ci sono due possibili soluzioni: accordarsi per cooperare, dovendo cercare faticosamente un compromesso tra i vari interessi, o tentare di usare la forza per costringere l'altro paese a fornire le 76

materie prime nelle modalità volute dal più forte, ipotesi che di solito va per la maggiore e che spesso danneggia non solo i due contendenti, ma coinvolge sia i paesi alleati dell'uno o dell'altro, nonché quelli neutrali.

note 117 Non va dimenticata la drammatica eredità coloniale belga, che sfruttò profondamente questo paese, senza preparare una classe dirigente locale, per cui alla fine del dominio del paese europeo nel 1960 si avviò una situazione di profonda crisi, connessa poi anche alla guerra di secessione del Katanga fomentata dalle multinazionali interessate a mantenere il controlo lo sulle ricchezze di quel territorio. Per un approfondimento sulla RDC, vedi la scheda informativa dell'Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/entra-nellabancadati-disarmonline-categoria-documenti-esterni/finish/267/4796. 118 Con meno di 1,25 dollari al giorno. 119 A, Stocchiero, Il traffico dei minerali: il caso del Congo e le misure per farvi fronte, intervento al convegno «Il gigante in ginocchio», Roma 25 novembre 2017. 120 Altri principali produttori sono la Russia (15 milioni di carati), l'Australia (10 milioni di carati), il Botswana (7 milioni di carati) e il Sudafrica (5 milioni di carati). 123 Sono scandio, ittrio, lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio. 124 A. Richiello, Questi 17 metalli rari decideranno chi sarà il padrone del mondo, 23 marzo 2018, http://espresso.repubblica.it/affari/2018/03/21/news/questi-17-metalli-raridecideranno-chi-sara-il-padrone-del-mondo-1.319822. 125 Tale guerra al settembre 2019 è già costata agli USA 300.000 posti di lavoro. Vedi G. Di Donfrancesco, La guerra dei dazi ha già distrutto 300mila posti di lavoro negli Usa, https://www.ilsole24ore.com/art/la-guerra-dazihagia-distrutto-300mila-posti-lavoro-usa-ACxH3tj?refresh_ce=1. 126 J. Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori, Milano 2004. 127 O. A. Eideh, Brexît, con il no deal a rischio mercato dell'auto e occupazione. Ecco i numeri, 23 gennaio 2019, https://www.ilfattoquotidiano.1t/2019/ 01/23/brexit-con-il-no-deal-a-rischiomercato-dellauto-e-occu. pazione-ecco-i-numeri/4917572/; E. Franceschini, Brexst la Nissan lascia Londra, 3 febbraio 2019, https://www.repubblica.it/esteri/2019/02/03/ news/brexit_la_nissan_lascia_londra-218197355/ ; Brexit, case auto europee: "No deal sarebbe un terremoto", 23 settembre 2019,

77

https://www.repubblica.it/economia/2019/ 09/23/news/ brexit_case_auto_europee_no_deal_sarebbe_un_terremoto_-23 6689363/? ref=RHRS-BH-I0-C6P8-S1.6-L; AA.VV, Brexit e il patto delle anglospie, in «LiMes» 6 (2016); AA.VV., La questione britannica, in «Limes» 5 (2019). 128 Adnkronos, 2 giugno 2019. 129 AA.VV., Antieuropa. L'impero europeo dell'America, in «LiMes» 4(2019).

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Che fame! La popolazione mondiale è passata da 1,65 miliardi di persone nel 1900 agli attuali 6,9 miliardi e secondo un rapporto della FAO crescerà ulteriormente arrivando nel 2050 a 9 miliardi130. Ciò richiederà un aumento della produzione agricola del 70% e questo pone delle difficili sfide anche nel settore alimentare, vista anche la sperequazione della ricchezza tra il Nord e il Sud del pianeta, tra i paesi più avanzati e quelli più poveri. La fame nel mondo è un drammatico indicatore di questo divario, che l'ONU, con le sue agenzie - Food and Agriculture Organization (FAO) e World Food Program (WFP) - e l'azione della società civile attraverso una miriade di ONG cercano di fronteggiare e di risolvere. Il Rapporto Globale sulle crisi alimentari del WFP afferma che: Circa 113 milioni di persone in 53 paesi del mondo hanno vissuto situazioni di insicurezza alimentare acuta nel 2018; nel 2017 erano 124 milioni. Il numero di persone colpite da crisi alimentari nel 2018, 113 milioni, è calato leggermente rispetto ai 124 milioni del 2017. Tuttavia il numero di persone toccate da crisi alimentari nel mondo è rimasto ben al di sopra dei 100 milioni negli ultimi tre anni e il numero dei paesi coinvolti è aumentato. Inoltre, 143 milioni di persone in altri 42 paesi sono a un passo dalla fame acuta. Circa due terzi di quanti soffrono la fame acuta si trovano in soli otto paesi: Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Nigeria, Sud Sudan, Sudan, Siria e Yemen. In 17 paesi la fame acuta è rimasta invariata o è aumentata. Clima e disastri naturali hanno spinto 29 milioni di persone nella fame acuta nel 2018, mentre 13 paesi, incluso Corea del Nord e Venezuela, non vengono considerati in questa analisi a causa della mancanza di dati131.

È interessante notare che, secondo il rapporto del WEP, ben 74 milioni di persone che soffrono la fame nel mondo vivono in zone colpite da guerre, mentre altri 29 milioni in zone sottoposte a problemi climatici e altri 10 in zone economicamente depresse132. 79

Graf. n.8 - Numero di persone che soffrono la fame in aree di conflitto nel 2018 (min)133

Graf. n.9- Numero di persone che soffrono la fame in aree colpite climaticamente nel 2018 (mln)134

Graf. n. 10 - Numero di persone che soffrono la fame in aree economicamente depresse nel 2018 (mln)135 Secondo la FAO solo un quinto della popolazione mondiale si alimenta sufficientemente, mentre circa un terzo è mediamente alimentato: la 80

parte rimanente, ossia la metà della popolazione mondiale, soffre la fame. L'industria alimentare utilizza i tre quarti delle risorse agricole globali per produrre solo il 30% dell'offerta alimentare mondiale136. La biodiversità è sempre più minacciata dal massiccio uso di fertilizzanti per aumentare la produttività dei terreni e dall'espansione delle terre destinate a seminativo. Secondo uno studio condotto dal Barilla Center for Food and Nutrition, «dei 13,5 miliardi di ettari di superficie mondiale, attualmente circa 8,3 (il 61%) sono destinati a pascoli e foreste, mentre solo 1,6 miliardi sono riservati all'agricoltura. Ulteriori 2 miliardi di ettari sono considerati adatti alla coltivazione irrigua»137. Nel mondo della globalizzazione, anche il settore alimentare è investito da pratiche crescenti di concentrazione industriale. Infatti già nel 2014 dieci società multinazionali controllavano più del 70% del mercato con 450 miliardi di dollari di fatturato annuo e 7.000 miliardi di capitalizzazione138, Quali sono? Alcune sono note, altre meno: Nestlé, Pepsicola, Coca Cola, Unilever, Mondelez, Kellogg's, Danone, Mars, Associated British Fruits, General Mills. Gran parte della popolazione del pianeta, in un modo o nell'altro, ha a che fare con loro: come consumatore o come vittima di politiche agricole rapaci, a volte come tutti e due. La crescita demografica mondiale ha come conseguenza da un lato l'aumento della richiesta di cibo, dall'altro l'aumento del costo dei prodotti alimentari di base e, pertanto, le grandi aziende del settore si impegnano nel reperire sempre nuovi terreni da destinare all'allevamento e all'agricoltura (soprattutto monocolture a danno della biodiversità). Molti di questi terreni sono proprio presso i paesi in via di sviluppo (soprattutto in Africa), i cui governi stipulano accordi per la cessione temporanea o definitiva di immense aree da destinare a tali scopi. Simili accordi danneggiano sia le popolazioni locali costrette ad abbandonare i territori, spesso inurbandosi e andando a costituire gruppi sociali emarginati, sia i suoli sottoposti a eccessivo sfruttamento sia i bacini idrici e le falde acquifere.

note 81

130 Food and Agriculture Organization of the United Nations - Earthscan, The state of the world's land and water resources for food and agriculture Managing systems at risk, 2011, http://www.fao.0rg/3/a-i1688e.pdf. 131 https://it1.wfp.org/comunicati-stampa/rapporto-globale-sullecrisialimentari-la-fame-acuta-colpisce-ancora-oltre-100.

132 http://www.fsinplatform.org/sites/default/files/resources/files/GRFC%202019_Abridged%20

133 htrp://www.fsinplatform.org/sites/default/files/resources/files/GRFC%202019_Abridged%20 134 ibid. 135 ibid. 136 T. Careddu, Povertà e diritto al cibo, 10 luglio 2019, http://www.altrenotizie.org/in-evidenza/8518-poverta-e-diritto-al-cibo.html. 137 https://www.barillacfn.com/m/publications/pp-accesso.pdf. 138 P. Griseri, Industria alimentare, ecco chi sono i padroni del cibo, 19 dicembre 2014, https://www.repubblica.it/salute/alimentazione/2014/12/19/news/i_padroni_del_cibo103273466/.

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Il land grabbing Il fenomeno del land grabbing (accaparramento di terre) avviene a opera di società pubbliche e/o private, nonché fondi di investimento, che fanno riferimento ai paesi più ricchi come Stati Uniti, Europa, paesi del Golfo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti), Singapore, Russia, Brasile, India, Cina. Oggetto di queste attenzioni, come già detto, sono prevalentemente i governi dei paesi poveri, con cui si stringono accordi iniqui ai quali a volte la corruzione non è estranea e che permettono di fare affari particolarmente convenienti per gli investitori. Tali contratti tra le società estere e i governi, usualmente proprietari delle aree in questione, escludono spesso la popolazione residente, compromettendone la sussistenza e le attività commerciali. Possono durare fino a 99 anni, non prevedono specifiche garanzie per le comunità locali e consentono pratiche agricole che portano all'impoverimento dei suoli e allo sfruttamento eccessivo delle risorse agricole. Il land grabbing si è andato sviluppando da un ventennio con un picco tra il 2007 e il 2011 e ora sta rallentando. Gli ultimi dati disponibili ci dicono che «la cumulazione dei contratti di acquisto o locazione di terra in corso di negoziazione, conclusi e falliti, ha raggiunto il numero di 1.800 circa per una dimensione totale di 71 milioni di ettari»139. L'83% di questi contratti è stato concluso positivamente per complessivi 42 milioni di ettari di terra e i paesi che hanno reso disponibili questi territori sono in particolare Perù, Repubblica Democratica del Congo, Ucraina, Brasile, Filippine, Sudan, Sud Sudan, Madagascar, Papua Nuova Guinea e Mozambico. Interi territori vengono affittati o ceduti: nel Mali, ad esempio, la Malibya Agriculture ha affittato ben 100.000 ettari per mezzo secolo, utilizzando poi massicciamente l'acqua del Niger e sottraendola alla popolazione locale. Non va dimenticato che, oltre ai fini alimentari, questi terreni sono sfruttati anche per realizzare biocombustibili, la cui 83

produzione si sta incrementando anno dopo anno. Secondo una recente ricerca di Naomi Bellucci, l'utilizzo di questi miliardi di ettari è così ripartito: 1.562.293 ha (7%) sono destinati a colture alimentari; 13.905.329 ha (62%) a colture non alimentari, per lo più combustibili; 2.133.144 ha (9%) a uso flessibile; 4.986.070 ha (22%) hanno una funzione multiuso e possono essere utilizzati contemporaneamente per colture appartenenti a differenti categorie140. Esemplare in tal senso è la deforestazione della foresta tropicale dell'Amazzonia, attuata per sfruttarne il suolo, che nel giro di pochi anni si degrada, desertificandosi e contribuendo negativamente ai cambiamenti climatici. E più aumenterà la temperatura, più aumenteranno i prezzi dei prodotti alimentari in quanto l'agricoltura risente immediatamente di tutto ciò. È opportuno ricordare ancora una volta che le risorse agricole e naturali, insieme anche a eventi climatici come la siccità ad esempio, giocano un ruolo importante nel generare i conflitti. Questo dato è stato rilevato sia dall'ONU sia dalla Banca Mondiale, la quale in un suo studio nota questa stretta connessione143. È interessante infatti notare che il numero di persone denutrite era sceso dai 945 milioni del 2005 ai 783,7 del 2014 per poi risalire a 820,8 nel 2017 soprattutto a causa dell'aumento dei conflitti!144.

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Carra n. 19 - Il land grabbing nel mondo145 Fonte: nostra elaborazione su dati https://landmatrix.org/. Legenda: Evidenziati in nero i maggiori paesi investitori nel land grabbing, in grigio chiaro quelli che hanno ceduto più terre, mentre il Brasile in grigio scuro appartiene ad ambedue le categorie.

note 139 A, Stocchiero (a cura di), I padroni della terra, rapporto sull'accaparramento della terra 2019, FOCSIV, Roma 2019. 140 N. Bellucci, Il fenomeno del land grabbing in Africa, in «IRIAD Review» 3 (2018), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/archivioonline/finish/292/4653. 143 AA.VV., Natural Resources and Violent Conflict Options and Actions, The World Bank, Washington 2003, http://documents.worldbank.org/ curated/en/578321468762592831/pdf/282450Natural0resources0violentOconflict.pdf. Vedi anche R. Arezki-M. Briickner, Food Prices and Political Instabiltty, International Monetary Fund, Working paper, 2011; Crescita dei prezzi alimentari e instabilità politica, https://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2011/wp1162.pdf. 144 http://www.fao.org/state- of-food-security-nutrition/en/.

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Armi e dintorni Le spese militari Per gestire al meglio i rapporti in modo pacifico, le grandi e le medie potenze hanno accresciuto in misura significativa le spese per la difesa che attualmente sono tornate a livelli della Guerra fredda. Secondo le stime del prestigioso SIPRI, dai 1.493 miliardi di dollari del 1988 si è passati - dopo la caduta del Muro di Berlino e l'implosione dell'URSS ai 1.014 del 1996 (nell'epoca dei cosiddetti dividendi della pace, in realtà di brevissima durata) per poi riprendere a crescere costantemente dal 1999 (1.038 miliardi di dollari), ben prima dell'attentato alle Twin Towers del 2001 e dell'avvio della guerra permanente al terrore, sino ad arrivare ai 1.780 del 2018 146. Vi è però un dato che non deve sfuggirci: l'incremento delle spese militari non è uguale per tutti i paesi, anzi. Contrariamente a quel che si pensi, è molto differenziato: mentre alcuni le riducono nonostante gli inviti ad aumentarle, altri le mantengono invariate ed altri ancora le fanno crescere continuamente. Vediamole un po' insieme queste stranezze che spesso sfuggono non solo all'opinione pubblica, ma anche ai mass media e a molti politici. Nel periodo 2000-2018, fase internazionale di crisi economica, gli Stati Uniti passano da 429,4 miliardi di dollari a ben 633,5, la Russia dai 24,3 a 64,1, la Cina da 41,2 a 239,2 (qui sta il vero balzo), l'India da 29,1 a 66,5, la Germania da 43,7 a 46,1, la Francia da 52,1 a 59,5, la Gran Bretagna da 41,8 a 46,8. L'Austria scende da 5,1 a 4,7, la Grecia da 7,7 a 4,9, l'Italia da 32,6 a 26 146. L'Iran, vista l'aria che tira, passa da 5,8 a 12,6, mentre Israele cresce da 13,9 a 15,6, la Turchia di Erdogan da 14,7 a 22 148.

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Graf. n. 11 - I primi 15 paesi per spesa militare nel 2018 (%)(nostra elaborazione su dati SIPRI 2019) Considerando la spesa militare nell'arco temporale che va dal 2000 al 2018 emerge la posizione largamente dominante di Washington, seguita a distanza dal nuovo vero rivale, cioè Pechino. Il tradizionale avversario, cioè Mosca, quello temutissimo al punto di aver fatto denunciare a Trump il trattato sui missili di medio raggio INF e di aver fatto attivare manovre, basi e dislocazioni di armamenti lungo il confine orientale della NATO, si ferma a un modesto terzo posto, con quasi il 10% delle spese statunitensi. Seguono distanziate di poco Parigi, Londra e Berlino. Se poi consideriamo solo i dati relativi al 2018, la distanza appare ancora maggiore: Mosca si posiziona al sesto posto a livello mondiale per spese per la difesa. Solo i maggiori paesi alleati della NATO coprono quasi la metà della spesa mondiale (48,6%), mentre se valutiamo l'intera Alleanza Atlantica arriviamo a ben 925.149 milioni di dollari (quasi il 52%). Eppure la versione che va per la maggiore ipotizza un'invasione dell'armata russa lungo le pianure sarmatica e germanica, riprendendo il tradizionale leit motiv della Prima guerra fredda, che va sempre bene e ha una sua certa presa sull'opinione pubblica europea, in quanto connesso sia ai tristi ricordi dell'epoca comunista sia all'attualità autoritaria e illiberale del regime di Putin, che prosegue nel solco dell'antica impostazione zarista e sovietica149. L'incremento delle spese per la difesa, comunque, corrisponde a un profondo mutamento del quadro mondiale, in cui gli Stati Uniti non rimangono più l'unica superpotenza superstite della Guerra fredda: la Russia va lentamente riprendendosi un suo parziale ruolo sullo scenario internazionale, mentre la Cina va sviluppando una politica di espansione commerciale ed economica sullo scacchiere mondiale. In realtà è Pechino che 87

preoccupa Washington, visto che non si sta limitando a un'espansione economica e commerciale sul pianeta, ma sta incrementando negli anni la sua potenza militare in modo significativo: la vera sfida è tra i due grandi paesi rivieraschi dell'oceano Pacifico150.

Graf. n_ 12 - USA, Russia, Cina: spese per la difesa a confronto 20002018 (mld $) (nostra elaborazione su dati SIPRI 2018) Nel giro di pochi anni la Cina infatti è passata dai 41 miliardi del 2000 agli 88 del 2006, ai 138 del 2010 sino ai 239 del 2018: ha quasi sestuplicato la spesa, divenendo la terza potenza militare mondiale secondo il Global Fire Power, con oltre 2 milioni e mezzo di militari, con un imponente arsenale convenzionale dotato, tra l'altro, di 13.000 carri armati, 2.700 aerei da combattimento, due portaerei, 76 sottomarini151. Pechino in questi ultimi anni sembra aver avviato un piano di rafforzamento della propria flotta militare, anche nella prospettiva di esercitare una maggiore presenza sui mari rispetto alla grande potenza della US Navy. Anche se ha forti limiti confrontare solo quantitativamente gli arsenali152, è evidente che non siamo al livello delle forze armate statunitensi, non solo dotate di sistemi d'arma all'avanguardia, ma anche dislocate presso circa 600 basi con 150.000 uomini all'estero in un'ottantina di paesi (di cui sono ospiti più o meno graditi) e dotate, tra l'altro, di ben 24 portaerei e 5.000 aerei da combattimento. La dislocazione massiccia delle proprie truppe all'estero garantisce agli Stati Uniti una proiezione di potenza globale che i concorrenti a oggi non possono certamente insidiare: la Russia, venuto meno l'impero sovietico, si trova a disporre di poche basi in Bielorussia, in Kazakistan, 88

in Tagikistan, in Armenta e in Kirghizistan, così come anche in Siria e in Vietnam, nonché in Ossezia del Sud, Abkhazia e Transnistria, oltre alla penisola della Crimea passata dall'Ucraina alla Russia con un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale153, Poca roba rispetto a Washington, si potrebbe dire, ma comunque non trascurabile. Muovendosi (almeno attualmente) con un'altra ottica prevalentemente economica e commerciale, la Cina, invece, ha solo due piccoli punti di appoggio militare a Gibuti154 e in Tagikistan, per ora.

Carta n. 20 - Basi militari statunitensi nel mondo155

Carta n 21 - Basi militari russe nel mondo156 Il Medio Oriente si conferma, come al solito, area di profonda instabilità, non solo per la vicenda irrisolta del conflitto israelopalestinese, ma anche grazie anche agli interventi armati occidentali, dapprima in Iraq (2003) alla ricerca di armi di distruzione di massa inesistenti, poi in Libia (2011) contro Gheddafi per tutelare la popolazione civile e far precipitare di fatto il paese nel caos di una guerra civile prolungata, nonché in Siria (2011), dove forze governative, 89

ribelli, terroristi islamici di varie fazioni, curdi, milizie iraniane, hezbollah libanesi, militari turchi, oltre a russi e americani, partecipano alla danza macabra che ha provocato finora circa 400.000 morti, di cui 21.000 minori e 13.000 donne, nonché circa 12 milioni di profughi157. Ultima in ordine di tempo la guerra nello Yemen (2015), di cui già si è parlato precedentemente. Per tutto questo quadro servono armi e munizioni, al punto che tale area ne assorbe (pagandole profumatamente) una quota rilevante. È comunque interessante notare che non si hanno dati certi sulla spesa militare del territorio in questione (i bilanci non sono affidabili o addirittura non pubblicati), stimata intorno all'11% di quella mondiale.

Il commercio di armamenti Attualmente sono diverse decine le guerre nel mondo e verso di esse vi è un flusso di armi e di munizioni ininterrotto che proviene in particolare da una decina di paesi, che di fatto detengono l'oligopolio del settore con il 90% dell'export. Chi sono questi paesi benemeriti? Forse non sorprenderà trovare nel quinquennio 2014-2018 nomi conosciuti come gli Stati Uniti (con il 36% del mercato), la Russia (con il 21%), la Francia (con il 6,8%), la Germania (con il 6,4%), la Cina (con il 5,2%), la Gran Bretagna (con il 4,2%), la Spagna (con il 3,2%), Israele (con il 3,1%), l'Italia (con il 2,3%), l'Olanda (con il 2,1%) e il resto del mondo con appena il 10%. Per lo più sono i grandi protagonisti della scena mondiale insieme ad alcuni loro alleati: il blocco occidentale dei primi dieci nel suo insieme copre il 60%. Potremmo dire che le guerre, ma anche le guerriglie, gli attentati e quanto altro sono riforniti direttamente o indirettamente da questi paesi che inondando il mondo di queste particolari merci in nome della sicurezza, volenti o nolenti, contribuiscono alla sua destabilizzazione. Non è un caso che il Medio Oriente come area d'importazione sia passato dal 20% del 2009-2013 al 35% del 2014-2018, quasi raddoppiando. Anche nel 2018, il 35% del volume totale delle importazioni di armi a livello globale era destinato al Medio Oriente che, quindi, risulta essere la seconda regione importatrice per il periodo di riferimento, dopo l'Asia e l'Oceania. Già tra i due quinquenni precedenti 2007-2011 e 2012-2016 si era registrato un aumento del 90

flusso di armi verso il Medio Oriente (+86%). Anche andando indietro nel tempo, si può notare questo incremento significativo: nel quinquennio 2003-2007 il Medio Oriente importava il 2% del totale mondiale di armamenti, mentre nel 2008-2012 già era passato al 17% (dati SIPRI). Notevoli sono i flussi di armamenti e munizioni inviati dai paesi dell'UE verso il Medio Oriente158. Pure per l'export italiano di armamenti e munizioni l'area mediorientale e nordafricana è diventata rilevante al punto da rappresentarne nell'ultimo triennio una quota quasi del 52%. Vendiamo armi e munizioni ai nostri dirimpettai per poi stupirci dei profughi che fuggono da quelle guerre e guerriglie alimentate anche da noi.

Tab. n. 5 - Export italiano di materiale d'armamento verso paesi area MENA 2014-2018 (nostra elaborazione su dati MAECI) Possiamo dire che le Primavere arabe sono state sicuramente un ottimo affare per i produttori e i commercianti di armi e di munizioni, inviate a forze armate nazionali, forze di autodifesa, formazioni irregolari, gruppi di vario genere, creando poi un ulteriore mercato di seconda mano che spazia per tutta l'area mediorientale, nordafricana e oltre. Parte degli arsenali saccheggiati del deposto rais Gheddafi è finita nel Sahel, in Burkina Faso, in Costa d'Avorio, in Mali, in Libano, in Siria, in Iraq159. Il gran mercato dell'usato non conosce frontiere né dazi, contribuisce a rendere più caldi i paesi in questione e limitrofi. Al mercato nero e a quello ufficiale corre parallelo il cosiddetto mercato grigio di armi, cioè forniture semiclandestine in cui i governi non vogliono apparire per destinatari che pubblicamente potrebbero non essere graditi all'opinione pubblica o nei rapporti internazionali160.

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Tab. n. 6 - Primi 10 esportatori e importatori mondiali di maggiori sistemi d'arma 2014-2018 (%) (nostra elaborazione su dati SIPRI 2019) Il commercio di armamenti si presenta di fatto con una duplice veste di semplice prodotto industriale e, contemporaneamente, di strumento di influenza politica. A utilizzare ambedue le finalità sono le principali potenze, che attraverso di esso stabiliscono legami sì economici, ma anche e soprattutto politici e militari, magari inviando missioni di assistenza militare nell'ambito di specifici accordi di cooperazione, che legano l'acquirente al venditore ben oltre l'aspetto puramente commerciale. Il settore appare dunque florido vista la crescita continua del fatturato: per i maggiori sistemi d'arma (aerei, navi, mezzi corazzati, ecc.), si è passati globalmente dai 19,3 miliardi di dollari del 2000 ai 25,8 del 2010 sino ai 27,5 del 2018. Se l'incremento è generalizzato per tutti, merita di essere segnalato quello italiano, passato dai 208 milioni di dollari del 2000 ai 611 del 2018, l'unico paese tra i primi dieci al mondo ad aver triplicato il proprio export. Se aggiungiamo che, secondo l'ONU e il SAS161, siamo il secondo paese al mondo per esportazione di armi piccole e leggere (pistole, fucili, mitra, ecc.) dopo gli Stati Uniti, il Bel Paese appare rivestire un ruolo non trascurabile. Dal punto di vista normativo, in Italia esiste la legge 185 del 1990 che vieta all'art. 1 l'export a paesi in guerra o dove non vi è il rispetto dei diritti umani; tuttavia, per una clausola successiva, secondo cui tale norma non si applica ai paesi con cui si è stilato un accordo di cooperazione militare, di fatto spesso essa è inapplicata. Inoltre, l'art. 1 92

prevede eventuali deroghe governative da tali divieti, previo parere consultivo del Parlamento. Per sicurezza i governi italiani non lo hanno mai interpellato, a conferma del ruolo ormai prevalente dell'esecutivo nei confronti del legislativo, che supinamente non esige il rispetto delle proprie prerogative. Se consideriamo poi che sono decine e decine i paesi con cui si è stipulato un accordo di cooperazione militare, è chiaro come di fatto la legge venga tranquillamente aggirata, come fece a suo tempo notare in Parlamento lo stesso Mattarella162 Ne sono riprova, ad esempio, le esportazioni dapprima verso la Libia di Gheddafi, poi verso l'Egitto di Al Sisi (dove, come tanti altri, è stato barbaramente ucciso Giulio Regeni dagli apparati di un regime repressivo), infine verso l'Arabia Saudita e il Kuwait, impegnati nella guerra nello Yemen e indicati anch'essi - analogamente agli huthi - come responsabili di crimini contro l'umanità dall'ONU. Maria Carla Pasquarelli, nel suo ampio e documentato studio, rileva a questo proposito che: Emerge con forza che nelle valutazioni riguardanti il rafforzamento delle relazioni nell'ambito della Difesa, troppo spesso non è prevalso lo spirito della legge 185/90, che pure prevede le "apposite intese intergovernative" come uno degli strumenti per favorire il commercio di armi. Infatti, sussistono alleanze, o sono in attesa di esame parlamentare, con Paesi in stato di guerra, sotto embargo, in cui sono evidenti e gravi le violazioni dei diritti umani o la cui militarizzazione abbia raggiunto un livello allarmante.

Teoricamente esiste anche una normativa europea, la Posizione Comune 2008/944/PESC che rappresenta l'unico accordo regionale in materia di esportazioni di armi convenzionali giuridicamente vincolante. Essa definisce otto criteri comuni da prendere in considerazione al momento di autorizzare l'export di armi e munizioni vietandolo nel caso in cui il paese destinatario non rispetta gli obblighi internazionali, in particolare le sanzioni (incluse le misure di embargo sulle armi adottate dall'ONU, dall'UE e dall'OSCE) e gli accordi internazionali; lo Stato destinatario non rispetta i diritti umani e il diritto internazionale umanitario, in particolare lo Stato membro deve rifiutare la licenza qualora esista un rischio evidente che

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la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario (Posizione Comune, art. 2, par. 2, lett. c) o a fini di repressione interna (art. 2, par. 2, lett. a), dove per repressione interna si intendono anche: «la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti, le esecuzioni sommarie o arbitrarie, le sparizioni, le detenzioni arbitrarie e altre gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali definiti nei pertinenti strumenti internazionali in materia di diritti umani (...)» (lett. b); la tecnologia e le attrezzature militari da esportare possano provocare o prolungare conflitti armati o aggravare tensioni o conflitti in corso nel paese di destinazione finale; esiste un «rischio evidente che il destinatario utilizzi la tecnologia o le attrezzature militari da esportare a fini di aggressione contro un altro paese o per far valere con la forza una rivendicazione territoriale» (Posizione Comune, art. 2, par. 4); la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano potenzialmente avere effetti sulla sicurezza nazionale degli Stati membri e dei paesi amici e alleati e se vi è rischio che il materiale in questione possa essere utilizzato contro le loro stesse forze o quelle di Stati membri, di paesi amici e alleati; il paese di destinazione finale sostiene o incoraggia il terrorismo e la criminalità organizzata internazionale, se non adempie ai suoi impegni internazionali (in particolare riguardo al non ricorso alla forza) e se non si impegna per la non proliferazione e il disarmo; vi è rischio di sviamento o di riesportazione della tecnologia o delle attrezzature militari da esportare verso un utilizzatore finale non accettabile o una destinazione finale non accettabile (per esempio, organizzazioni terroristiche o singoli terroristi), tenendo conto dei legittimi interessi di difesa e sicurezza interna del paese destinatario, della sua capacità tecnica di utilizzare la merce da esportare e della sua capacità di esercitare un efficace controllo delle esportazioni; la prospettata esportazione possa costituire ostacolo allo sviluppo sostenibile del paese destinatario, esaminando a tal riguardo i livelli di spesa dello stesso nel settore militare e quelli nel settore sociale163.

Come si vede, sono criteri analoghi a quelli della legge 185/90 e, per coerente omogeneità, anch'essi di fatto sono aggirati ampiamente, come si evince dalle Relazioni annuali presentate dal Consiglio dell'UE164: al Medio Oriente sono stati autorizzati invii di armi e munizioni nel 2013 per 7,5 miliardi di euro, nel 2014 per 31, nel 2015 94

per 78,8, nel 2016 per 74,7, nel 2017 per 47. Aree calde, ma ottimi mercati per i materiali bellici europei. Il risultato finale viene chiaramente descritto da Valentina Ricca in un suo documentato studio: Le rivalità regionali, i conflitti, il fallimento dello Stato, la criminalità organizzata, il terrorismo, l'esigenza di sicurezza interna, di fare fronte alla minaccia jihadista radicale, di rinforzare le frontiere e di impedire i traffici illeciti di beni e persone, hanno condotto alla proliferazione incontrollata di armi e all'accumulo di stock di armamenti in entrambe le regioni che, sebbene servano ad aumentare la sicurezza, stanno anche alimentando tensioni regionali e conflitti di ogni genere. Pertanto, gli Stati membri dell'Unione, che esportano armi nel tentativo di arginare tali pericoli e aumentare la sicurezza europea, potrebbero ottenere il risultato contrario e alimentare ciò che volevano evitare, con ripercussioni sulla sicurezza dell'Europa165.

Anche l'Arms Trade Treaty, il trattato Internazionale sul Commercio degli Armamenti, adottato dall' Assemblea Generale dell'ONU il 2 aprile 2013 con 154 voti a favore, 3 contrari e 23 astenuti, riprende in linea di massima i criteri dei due testi suddetti. Realizzato dopo un'intensa campagna internazionale della società civile, entrato in vigore il 24 dicembre 2014 e firmato sinora da 104 Stati (l'ultimo è stato il Canada nel giugno 2019), vede però 33 Stati che non lo hanno ancora ratificato (tra questi Israele, Ucraina e Stati Uniti), mentre altri 57 non ne fanno neppure parte, tra cui paesi importanti come Cina, Russia, Arabia Saudita, Iran, India166. Quindi, oltre a contenere alcune debolezze strutturali (tra cui la mancanza di trasparenza pubblica), la normativa è indebolita dal fatto che, per un verso o per un altro, i più grandi produttori di armi non la applicano, volendosi tenere liberi nell'utilizzare di volta in volta questo commercio in relazione ai propri interessi nazionali. Ecco dunque che, nonostante specifiche normative nazionali, europee e internazionali, il mercato degli armamenti si sviluppa in relazione con le diffuse situazioni di crisi e di conflitto nel mondo.

Le guerre dimenticate 95

Crisi e conflitti sono sempre più assenti nell'informazione generalista in molti dei mass media al punto di giungere alla definizione di "guerre dimenticate", di cui poco si sa, compreso il connesso numero esatto di vittime, data anche l'assenza spesso di testimoni, di anagrafi, di fonti giornalistiche, ecc. Infatti, sia le televisioni sia i quotidiani, soprattutto in Italia, riservano pochissimo spazio agli esteri e, all'interno di questa sezione, ancor meno ai teatri di crisi e di conflitto. Invece, nel 2018 ben oltre 50 conflitti di varia intensità sono stati registrati dall'Uppsala Conflict Data Program/Peace Research Institute (UCDP/PRIO) di Oslo, con quasi 60.000 morti totali: nella stragrande maggioranza i conflitti sono intrastatali (guerre interne tra due fazioni, ad esempio forze governative contro ribelli), seguiti da quelli intrastatali con interventi esterni (cioè con la partecipazione di forze armate di paesi esteri o di formazioni irregolari comunque straniere), concentrati soprattutto in Africa e in Asia167. Le guerre contemporanee sono caratterizzate dall'essere asimmetriche (forze armate statali contro formazioni irregolari) e periferiche, cioè esterne al paesi più ricchi. Né va dimenticato l'incremento delle vittime civili passate da un terzo dei morti nella Prima guerra mondiale a più della metà nella Seconda, sino ad approdare a medie dell'80% in quelle contemporanee, in cui donne e bambini sono i più colpiti, anche con violenze sessuali168.

Tab. n. 7 - Grandi guerre (10.000 o più morti nel 2019 o nel 2018)

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Tab n 8 - Conflittu medi (almeno 1.000 morti annui e meno di 10.000 morti dirette violente) fig.043-45.jpg

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Tab. n. 9 - Conflitti minori (100-999 morti nell'anno corrente o passato)

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Tab n. 10 - Scontri (meno di 100 morti nel 2019 o nel 2018) Fonte: i dati disponibili sul numero delle vittime delle crisi e dei conflitti, come già detto, è spesso impreciso e diverge dalle fonti utilizzate, pertanto le cifre sono forzatamente approssimative. Nostra sintesi su dati di agosto 2019 tratti da https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_ongoing_armed_conflicts. Papa Francesco ha parlato di Terza guerra mondiale a pezzi, proprio per indicare la diffusione della conflittualità che affligge gran parte del nostro pianeta e il coinvolgimento di tantissimi paesi, che va ben oltre il numero dei conflitti.

Carta n. 22 - Conflitti nel mondo 2018 Legenda: la diversa gradazione del colore grigio/nero corrisponde al 99

crescente numero di vittime169 https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_ongoing_armed_conflicts. In Europa, attualmente, vi è solo il conflitto in Ucraina, mentre nell'America Latina si segnalano la vicenda della Colombia, nonché la guerra contro i narcotrafficanti in Messico. La Russia è anche impegnata nello scacchiere siriano contro l'estremismo islamico e a sostegno del regime di Assad, nell'area mediorientale che è sempre tra le più instabili, analogamente all'Africa. Né vanno dimenticate la tensione permanente tra India e Pakistan, la persecuzione dei rohingya in Myanmar (Birmania), la guerriglia islamica nelle Filippine, in Indonesia, in Thailandia, per dirne solo alcune. Ci troviamo di fronte a un mondo in guerra, dove elementi religiosi, politici ed economici si intrecciano a livello locale e internazionale, provocando anche movimenti migratori di profughi che si indirizzano verso zone più sicure all'interno di quei paesi o verso aree estere contigue, nonché (ma in misura decisamente minore) verso altri continenti. Eppure, come dicevamo, scarseggia l'informazione sul tema o, per meglio dire, essa è sapientemente dosata. Dopo la guerra del Vietnam il sistema informativo è stato sottoposto a un processo teso a impedire la diffusione di notizie e immagini che potessero turbare, colpire, sensibilizzare l'opinione pubblica: in quella guerra gli inviati dei mass media, con i loro drammatici e veritieri reportage, nonché le testimonianze dei reduci, contribuirono largamente a erodere il precedente consenso ad essa che vi era negli Stati Uniti, dove era stata presentata nella consueta cornice della lotta del bene contro il male, della democrazia contro il comunismo. Dalla guerra del Golfo in poi è stata invece portata avanti una narrazione da un lato basata su fake news per costruire l'immagine del cattivo (esemplare quella del possesso di armi di distruzione di massa da parte del regime di Saddam Hussein, servita a giustificare l'attacco), dall'altro fondata su notizie circa attacchi chirurgici con assenza di vittime civili (denominate asetticamente "danni collaterali") e di relative immagini di sangue e di morte170. Emerge in questi anni la figura del giornalista embedded, al seguito delle truppe e da esse informato, con gli ovvi condizionamenti di censura e di rewsmaking che questo comporta. Le guerre vengono mal raccontate, semplificando, o addirittura ignorate. 100

La nuova frontiera è quella dell'information warfare, la guerra dell'informazione in cui le diverse potenze si impegnano per costruire false notizie, condizionare l'opinione pubblica, penetrare nei social e così via171. Le nuove tecnologie informatiche, d'altro canto, permettono la raccolta d'informazioni (immagini, testimonianze, reportage) anche da parte di altri soggetti che riescono a volte a utilizzarle nella rete con risultati rilevanti: ne sono un esempio da un lato l'utilizzo dei filmati degli attentati terroristici per chiamare a raccolta e rafforzare la guerra santa contro gli infedeli, dall'altro il ruolo svolto da soggetti non qualificabili come reporter professionisti (blogger, testimoni occasionali che riprendono gli eventi, ecc.). Permane comunque, seppur in varia misura, la tendenza dei governi a cercare di controllare e condizionare l'informazione: nelle dittature e nei regimi autoritari questo avviene in forme violente e brutali, nei paesi democratici in forme meno eclatanti e visibili. Basti pensare al controllo e alla repressione in paesi come la Russia, la Turchia, la Cina: va citata certamente la vicenda della giornalista russa Anna Stepanovna Politkovskaja, nota per il suo impegno sul tema dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per l'opposizione al presidente Putin e uccisa nel 2006. Più recentemente, si possono ricordare la drammatica fine del giornalista saudita Jamal Khashoggi, massacrato il 2 ottobre 2018 dentro il consolato di Riad a Istanbul o quella del giornalista slovacco, Jan Kuciak, ucciso nella sua casa il 21 febbraio dello stesso anno. Nel mondo nel 2018 ben 80 giornalisti sono stati uccisi per la loro attività di denuncia della delinquenza, di informazione della corruzione e della prevaricazione istituzionale, di documentazione delle vicende belliche, mentre ben 348 sono detenuti in carcere, di cui più della metà in Iran, Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Cina. A metà 2019 già altri 21 giornalisti sono stati uccisi, mentre 395 sono in carcere. Nel corso degli anni anche in Italia i giornalisti sono stati oggetto sia di minacce da parte della delinquenza organizzata sia di duri attacchi politici da varie parti con relativi tentativi d'intimidazione172. Tale informazione, condizionata, controllata o repressa, pertanto non è in grado di far conoscere al pubblico le notizie, comprese quelle sulle crisi e sui conflitti. Della partecipazione italiana in forma attiva ai 101

bombardamenti sulla Libia, quindi della nostra entrata in guerra contro il regime di Gheddafi, si è saputo solo successivamente nel 2012 grazie a una dichiarazione di un generale dell'Aeronautica Giuseppe Bernardis al giornalista Gianluca Di Feo173. All'epoca il governo affermava di offrire solo l'appoggio logistico ai paesi attaccanti, mentre il Parlamento non aveva deliberato nessuno stato di guerra, come prevedrebbe invece l'art. 78 della Costituzione italiana. La maggior parte delle aree di crisi e di conflitto, con le cause, gli interessi e i relativi attori diretti e indiretti, rimane comunque un buco nero dell'informazione e totalmente ignota alla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica, permettendo così ai governi e alle lobby di agire più facilmente174.

note

146 https://www.sipri.org/sites/default/files/Data%20for%20world%20regions%20from%201988 Nell'ambito delle spese militari globali 105 miliardi di dollari è la cifra stimata relativa agli arsenali nucleari, a oggi in possesso di una decina di paesi, alcuni dei quali sottoscrittori del trattato di Non Proliferazione Nucleare (USA, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia), altri non firmatari (Israele, India, Pakistan, Corea del Nord). Le spese per questi arsenali coinvolgono, però, anche paesi non possessori di tali armi di distruzione di massa, ma che le ospitano sul proprio territorio (Italia, Belgio, Olanda, Germania e Turchia), in quanto concorrono alle spese per queste basi. In Italia, inoltre, tali armi sono in dotazione a reparti e aerei dell'aviazione nazionale (attualmente i Tornado, da sostituire con gli F35) presso la base di Ghedi Torre (BS). 147 Sulla spesa militare italiana vedi le analisi del rapporto MILEX 2018 relative agli anni 2006-2018, https://drive.google.com/file/d/1UDycskQrQteJYY4H4rnf1ZK70M7IN9xn/view. 148 https://www.sipri.org/databases/milex. 149 Sull'autoritarismo del regime, vedi i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, https://Awww.amnesty.it/rapporti-annuali/rapportoannuale-2017-2018/europa/russia/; https://www.hrw.org/worldreport/2019/country-chapters/russia. Vedi anche Opening statement by UN High Commissioner for Human Rights Michelle Bachelet, 42" session of the Human Rights Council, 9 settembre 2019, https://reliefweb.int/report/world/global-update-42nd-session-human-rightscouncil-opening-statement-un-high-commissioner. 150 Vedi il Chira's National Defense in the New Era del ministero della

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difesa cinese, http://www.xinhuanet.com/english/201907/24/c_138253389.htm. 151 Secondo alcuni, una terza portaerei sarebbe in costruzione. Vedi Cina, esperto: abbiamo bisogno di tre portaerei per difenderci, 9 gennaio 2019, http://Awww.askanews.it/esteri/2019/01/09/cina-esperto-abbiamobisognodi-tre-portaerei-per-difenderci-pn_20190109_00167/; https://www.globalfirepower.com/country-military-strength-detail.asp? country_id=china. Y. Ji, La Cina naviga verso i "mari lontani" e J. Hailong, Alle origini del pensiero navale cinese, in «LiMes», cit. 7 (2019). 152 Sono diversi i criteri di valutazione della potenza militare effettiva, tra cui quello tecnologico, la prontezza operativa, la motivazione delle truppe, la loro dislocazione e così via. Durante la Prima guerra fredda vi furono delle lunghe ed estenuanti trattative tra NATO e Patto di Varsavia per una riduzione mutua e bilanciata delle forze che sostanzialmente non produssero risultati apprezzabili proprio per i motivi suddetti. Oggi la stessa problematica - corsi e ricorsi storici, direbbe Giovambattista Vico - si ripropone in Europa a proposito dei missili a corto raggio oggetto del trattato INF, denunciato ormai da Trump e a seguire anche da Putin. La Russia è accusata di averli in dotazione, ma fa notare che sono sul proprio territorio nazionale, mentre gli USA stanno dislocando i propri nei territori dei paesi alleati europei in vicinanza con il confine orientale. 153 https://sputniknews.com/military/201512191032030941-russianbasesabroad/. 154 A Gibuti, che si affaccia sullo stretto di Baab el-Mandeb dal lato africano, si trovano, non casualmente, diverse basi militari di Stati Uniti, Francia, Giappone, Cina, Arabia Saudita e Italia. Altri tre paesi europei (Germania, Gran Bretagna e Spagna) utilizzano le basi militari dei paesi alleati. 155 Una lista incompleta è reperibile su https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/eb/American_bases_worldwide.svg; https://www.huffpost.com/entry/us-military-bases-abroad_b_8131402. 156 https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Russian_military_bases_abroad 157 https://en.wikipedia.org/wiki/Casualties_of_the_Syrian_Civil_War. Supporto è stato dato alle forze ribelli anche da Israele, Francia, Giordania, Arabia Saudita, Qatar, al regime da Iraq, Cina, Bielorussia, Venezuela e Corea del Nord. 158 V. Ricca, Normativa e prassi europee sull'esportazione di materiali di armamento. focus sulle regioni nordafricana e mediorientale, in «RIAD Review», 1-2 (2019), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/entra-nellabanca-dati-disarmonline-categoria-documenti-esterni/finish/267/4746. 159 http://www.conflictarm.com/reports/ investigating-cross-borderweapontransfers-in-the-sahel/; http://www.nigrizia.it/notizia/non-sololibiche-le-arminel-sahel.

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160 Dall'Italia, ad esempio, partì un grosso carico di armi nel 2011 durante la rivolta contro Gheddafi con destinazione ignota e le successive indagini della magistratura si arenarono scontrandosi con il segreto di Stato. G. Cocco, Armi sui traghetti, il segreto di Stato fa affondare L 'inchiesta, 6 aprile 2013, http://Awww.lanuovasardegna.it/olbia/cronaca/2013/ 04/06/news/armi-sui-traghetti-il-segreto-di-stato-fa-affondare-l-inchiesta1.683 1787; https://www.armietiro.it/ armi-fantasma-e-istruttori-italiani-perabbatteregheddafi-armi-3859. Il traffico illecito di armi piccole e leggere (CALW Small Arms and Light Weapons) Analisi e prospettive di azione alla luce della Conferenza di Revisione Revcon 3, in «IRIAD Review» 3 (2019), http://www.archiviodisarmo.it/index.php/it/entra-nella-banca-datidisarmonline-categoria-documenti-esterni/finish/267/4757. 161 http://www.smallarmssurvey.org/fileadmin/docs/H-Research_Notes/SASResearch-Note-43.pdf. 162 Sugli accordi di cooperazione militare vedi M. C. Pasquarelli, La cooperazione bilaterale dell'Italia nell'ambito della difesa, in «Sistema Informativo a Schede» 3 (2016), http://Awww.archiviodisarmo.it/index.php/it/2013-05-08-17-44-50/sistemainformativo-a-schede-sis/sistema-a-schede/finish/275/4119; sulla denuncia di Mattarella vedi la XIV legislatura seduta 619 del 3/5/2005 in merito alla ratifica dell'accordo di cooperazione militare con l'Algeria. http://documenti.camera.it/Leg14/BancheDati/ResocontiAssemblea/sed619/s240.htm. 163 V. Ricca, Normativa e prassi europee sull'esportazione di materiali di armamento: focus sulle regioni nordafricana e mediorientale, in «IRIAD Review», 1-2 (2019), cit. 164 Le relazioni UE sono sempre relative ai due anni precedenti, per cui l'ultima, pubblicata nel 2018, è relativa al 2016. 165 Ibid. 166 https://www.thearmstradetreaty.org/treaty-status.html? templateld=209883. 167 http://www.pcr.uu.se/ digitalAssets/667/c_667494-1_1-k_armed-conflictby-conflict-type-1946-2018.pdf. Vedi anche https://www.guerrenelmondo.it/?page=static1258218333. 168 M, Simoncelli (a cura di), Dove i diritti umani non esistono più. La violazione dei diritti umani nelle guerre contemporanee, Ediesse, Roma 2010. 170 Basti pensare alla questione degli attacchi con i droni militari e al numero ignoto delle vittime civili da essi causato. 171 Questo non avviene solo in guerra, come ha dimostrato la vicenda di Facebook e di Cambridge Analytica nel 2018. 172 Si pensi alle recenti minacce di ritiro della scorta al giornalista Roberto

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Saviano da parte dell'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini. Vedi http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Minaccia-di-ritirare-scorta-aSavianoequivale-a-intimidazione-di-stato-dice-Consiglio-d-Europa9905£021-83e445ad-b3e5-703c68869741.html; vedi anche https://rsf.org/en/italy. 173 G. Di Feo, L'Italia bombarda in silenzio, http://espresso.repubblica.it/ palazz0/2012/02/24/news/1-italia-bombarda-in-silenzio-1.40845. 174 E. Remondino, La televisione va alla guerra, Eri Rai - Sperling & Kupfer; Roma-Milano, 2002; Id., Niente di vero sul fronte occidentale. Da Omero a Bush, la verità sulle bugie di guerra, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019; C. Fracassi, Bugie di guerra. L'informazione come arma strategica, Mursia, Milano 2003.

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Conclusioni La nostra breve rassegna su alcuni elementi geopolitici che possono costituire motivo di accordo o di scontro tra le comunità, tra i governi e anche tra le alleanze si è chiusa non a caso sugli aspetti militari e dell'informazione, inscindibilmente connessi agli interessi che tutti gli elementi considerati suscitano. Se l'analisi geopolitica non basta a spiegare tutti i fenomeni delle relazioni internazionali, essa però è certamente una chiave di lettura che aiuta a meglio definirli, inquadrarli, comprenderli nella loro complessità. Non va comunque dimenticato che memorie di antiche violenze, pregiudizi atavici, identità e intolleranze culturali, etniche, religiose e quant'altro possono giocare un ruolo non secondario nei rapporti tra gli Stati e anche al loro interno tra i gruppi sociali, con forze centrifughe e indipendentiste. È sufficiente pensare all'Italia e ai pregiudizi contro i meridionali ("i terroni") che a lungo hanno segnato la cultura del nostro paese, al punto che si sono costituite forze politiche che si riconoscevano solo nella parte settentrionale, praticando per anni sprezzanti slogan separatisti. Fuori dal Bel Paese, situazioni più o meno analoghe si trovano nel Regno Unito (si pensi alla Scozia) o nella Spagna (il caso della Catalogna) o in Belgio (Fiamminghi e Valloni) o in Canada (la questione del Québec) e così via. Se si va a guardare, si trova un elenco fitto di gruppi e partiti che vogliono separarsi per unirsi magari a qualcun altro o ergersi a Stato autonomo, come è avvenuto tra Sudan e Sud Sudan, per poi proseguire in un'ulteriore guerra intestina nel nuovo paese175. Possiamo anche ricordare il pregiudizio antisemita che ha segnato la storia europea, affondando le radici nella vulgata che attribuiva la colpa della morte di Gesù Cristo agli Ebrei, dimenticando da un lato la corresponsabilità dei Romani (del governatore Ponzio Pilato in primis e dei suoi legionari che lo crocifissero), dall'altro che lo stesso Gesù era ebreo. Ciò nonostante, questo nei secoli ha portato all'accusa del deicidio, ai ghetti, ai pogrom e alla soluzione finale tentata dal regime 106

nazista, con l'aiuto di vari governi europei alleati (quello fascista in Italia, quello di Vichy in Francia, quello ungherese del Partito delle Croci Frecciate, ecc.)176. In generale non va dimenticato che spesso nel corso della storia è servito e serve tuttora indicare qualche gruppo sociale come il colpevole, il nemico, il responsabile di tutti i mali: da Nerone con i cristiani per l'incendio di Roma, alla caccia medioevale alle streghe sino all'odierno astio diffuso contro i migranti stranieri177. Questo, insieme al panem et circenses, serve ai governanti per far concentrare l'attenzione dei governati su gruppi minoritari distogliendola da problemi e questioni ben più rilevanti e che potrebbero mettere in difficoltà la cabina di regia. È importante ricordare che gli eventi contemporanei sono fenomeni complessi e che le spiegazioni semplicistiche sono quanto meno incomplete se non addirittura fuorvianti, hanno lo scopo di alimentare timori e raccogliere un facile consenso che, sia negli Stati democraticamente più avanzati sia in quelli più autoritari, serve sempre e comunque ai governi178. Non è stato casuale che in tutti e tre i governi totalitari della prima metà del secolo scorso (comunismo, fascismo e nazismo) si è data estrema importanza al controllo dell'informazione. Come si è potuto osservare in questa breve panoramica geopolitica, i rifornimenti energetici, le risorse naturali come quelle alimentari, gli spazi territoriali sono tutti elementi alla base delle relazioni internazionali, che condizionano accordi, alleanze, antagonismi, concorrenze, boicottaggi e quant'altro. L'osservazione geopolitica ci permette di rilevare una serie di elementi fondamentali all'interno delle dinamiche che intercorrono sia negli Stati sia tra gli Stati. Lo sfruttamento di un bacino idrico (fiume, lago, falda) può costituire una risorsa preziosa per lo sviluppo di un territorio e di una comunità, piccola o grande che sia, ma può innescare anche tensioni di diversa entità con altri attori esclusi o danneggiati da tali azioni. Si ricordi ad esempio in Italia la recente vicenda del lago di Bracciano, vicino Roma, le cui acque nel 2017 in una fase di siccità furono oggetto di un forte prelievo a opera dell'azienda ACEA per il 107

rifornimento idrico della Capitale, a cui ha corrisposto l'opposizione dei comuni lacustri preoccupati del danno ecologico apportato179. In questo caso il tutto si è svolto pacificamente attraverso le vie politiche e legali, ma - come abbiamo accennato nelle pagine precedenti purtroppo non è sempre così. Altre volte ci si accorda con reciproca convenienza e relativo profitto, altre volte si va verso uno scontro che può evolvere, ed evolve, in vera e propria guerra armata, però spesso giustificata agli occhi dell'opinione pubblica con altre motivazioni diverse da quelle scatenanti. In questo nostro percorso è apparso raramente e in posizione assai defilata un attore della scena internazionale ormai tristemente relegato ai suoi margini. Stiamo parlando dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che, come sappiamo, fu fondata nel 1945 alla fine della Seconda guerra mondiale, proprio con lo scopo di superare l'insuccesso della Società delle Nazioni e per costituire un punto di riferimento internazionale per la soluzione di eventuali conflitti, al punto di essere dotata di un apposito Consiglio di Sicurezza composto permanentemente dalle potenze vincitrici del conflitto e a rotazione anche da altri paesi. La successiva costituzione da parte americana dell'Alleanza Atlantica con la NATO nel 1949 e poi da parte sovietica del Patto di Varsavia nel 1955 in piena Guerra fredda di fatto affossarono già da allora le possibilità per 'ONU di svolgere un ruolo significativo nel quadro mondiale. Il diritto di veto dei membri permanenti (art. 27, c. 3) ne ha bloccato ripetutamente le decisioni in caso di crisi, soprattutto durante la Guerra fredda, ma anche negli anni successivi (in totale per quasi 300 volte)180. La mancanza di una capacità d'imporsi giuridicamente sulla volontà degli Stati, l'assenza di proprie forze armate, la contribuzione su base volontaria dei membri sono altri elementi che hanno contribuito al suo depotenziamento. Si potrebbe dire che l'ONU è riuscita a fare anche troppo nonostante questi enormi ostacoli, attivando missioni di peacekeeping, organizzando azioni di aiuto umanitario a popolazioni colpite da disastri, adottando normative internazionali, cercando comunque di essere un punto di riferimento, malgrado l'azione di boicottaggio delle maggiori potenze.

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Negli anni più recenti la società civile si è rivelata una grande alleata dello spirito e delle tematiche delle Nazioni Unite proprio in quanto essa si è mossa indipendentemente dai governi, condizionati da interessi e da alleanze, riuscendo ad attivare sinergie trasversali su scala mondiale e a conseguire importanti obiettivi. Sono il risultato di campagne e di iniziative intraprese dalla società civile internazionale accordi e trattati come quelli che mettono al bando le mine antiuomo (Ottawa Treaty, 1997) e le cluster bombs, le cosiddette bombe a grappolo (Convention on Cluster Munitions CCM, 2008), quelli che tentano di regolare il commercio mondiale di armi (Arms Trade Treaty ATT, 2014) e di mettere al bando le armi nucleari (Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons TPNW, 2017). La società civile internazionale, nella sua multiforme varietà, da anni si è mossa su questioni come quella dell'acqua o dell'ambiente. Ricordiamo la recente iniziativa mondiale avviata da una giovanissima ragazza svedese, Greta Thunberg, sulla crisi ambientale, che ha avuto un grosso impatto sul mondo giovanile, ma molto meno su quello politico, che sembra faticare ad adottare politiche conseguenti agli allarmi lanciati da anni da scienziati ed esperti. La logica che prevale in molti governi è connessa a orizzonti di breve durata, fondati sulle prossime elezioni e alla ricerca di un facile consenso, che provocano decisioni e azioni con effetti deleteri come hanno dimostrato le pagine precedenti. Uno slogan di questi anni affermava che era importante pensare globalmente e agire localmente: i ritardi nell'adozione di politiche energetiche alternative e rispettose dell'ambiente sono ormai evidenti. Il presidente statunitense Trump ha affermato più volte il proprio scetticismo in merito alla crisi climatica e ridotto di conseguenza i finanziamenti pubblici alle relative agenzie. Anche i governi cinesi non sembrano essere molto sensibili su questo, continuando a usare massicciamente il carbone come fonte energetica181. Ma non è qui il caso di fare un elenco delle dimenticanze, delle disattenzioni o delle trascuratezze dei vari governi, mentre è utile cercare di comprendere che l'azione umana predatoria, tesa a sfruttare al massimo l'ambiente e anche gli uomini che vi abitano, è fallimentare e suicida, perché distrugge più di quel che crea. Le foreste abbattute per far posto alle monocolture delle multinazionali sono un esempio, come lo è l'utilizzo prevalente di fonti non rinnovabili 109

e inquinanti. Il massiccio uso della plastica, connesso alla risorsa petrolifera, alla sua lavorazione e ai giganteschi interessi economici collegati, sta contribuendo all'inquinamento globale al punto che tracce di poliestere, poliammide, polietilene e polipropilene sono state ritrovate nell'estate del 2018 sul ghiacciaio dei Forni, nel Parco Nazionale dello Stelvio, mentre si stima che il mare raccolga il 10% di tutta la plastica prodotta a livello mondiale. Nell'oceano Pacifico vi è il cosiddetto Pacific Trash Vortex, un grande accumulo galleggiante di plastica e spazzatura (stimato tra i 700.000 e i 10 milioni di kmq di superficie). Neppure i poli si salvano da tutto ciò182. L'attuale modello di sviluppo basato sullo sfruttamento dei territori, delle loro risorse e delle popolazioni a opera di altri soggetti variamente privilegiati sta mostrando tutti i suol limiti, anzi il suo fallimento. L'emergenza climatica da un lato e la diffusa conflittualità dall'altro sono due facce della stessa medaglia di un pianeta depredato. E tutto questo, come abbiamo detto, ha poi drammatiche conseguenze anche sulle popolazioni che vivono sui territori dove l'azione umana rapace genera caos e distruzione. Intere generazioni non hanno mai conosciuto la pace e migrano altrove per cercare condizioni di vita accettabili, senza sapere che i predatori vogliono solo le loro risorse, ma non le persone di quei territori sconvolti. I milioni di persone colpite da questo insieme di fenomeni si muovono e si muoveranno comunque sempre più, ponendo sfide politiche, sociali ed economiche senza precedenti ai cosiddetti paesi ricchi. Chiudersi in sé stessi, erigere muri e barriere di filo spinato, cercare d'ignorare le vere cause e d'inventarne altre può apparire pagante nell'immediato, ma significa solo rinviare la risposta al problema. Gli attuali assetti mondiali che vedono una minoranza privilegiata a fronte di una maggioranza in crescente difficoltà sono in evidente crisi. Potranno reggere ancora per qualche anno, ma poi tutte le future generazioni dovranno pagare un prezzo inimmaginabile. Unico leader mondiale a mostrare una fortissima sensibilità sulla complessità e gravità della crisi, papa Francesco, con la sua enciclica Laudato sii del 2015, ha delineato chiaramente tali problemi e ha indicato un percorso. Occorre un atto di coraggio lungimirante e d'impegno attivo per 110

comprendere che ci si salva o ci si perde tutti insieme. Altre alternative non ci sono.

note 175 https://en.wikipedia.org/wiki/Lists_of_active_separatist_movements. 176Sul collaborazionismo vedi https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/collaboration, nonché A. Chiappano - F. Minazzi, Pagine di storia della shoah: nazifascismo e collaborazionismo in Europa, Kaos, Milano 2005. 177 È utile rammentare che la xenofobia è un fenomeno assai più diffuso nel mondo di quanto si possa immaginare, come dimostra, ad esempio, quanto sta avvenendo in Sudafrica. Vedi B. Thlagale, Questo odio in Sudafrica è come il nazismo, 22 settembre 2019, https://www.africarivista. it/buti-thlagale-questa-ondata-di-odio-in-sudafrica-e-come-lagermanianazista/146299/; South African president condemns anti-foreigner violence, 3 settembre 2019, htrps://www.theguardian.com/world/2019/sep/03/ south-african-presidentcondemns-anti-foreigner-violence; I. Bremmer, What the Xenophobic Violence Gripping South Africa Means for Future of Country, 6 settembre 2019, https://time.com/5671003/what-the-xenophobic-violence-grippingsouth-africa-means-for-future-of-country/. 178 Vedi E Mini, cit., 2017, pp. 110ss. 179 Siccità, prelievi da Bracciano: respinto il ricorso di Acea, https://www.ilsole24ore.com/art/siccita-prelievi-bracciano-respinto-ricorsoacea-AEolrc4B. 180 https://www.securitycouncilreport.org/un-security-councilworkingmethods/the-veto.php. 181 Non è casuale l'assenza di vari leader mondiali alla conferenza ONU sul clima tenutasi nel settembre 2019, tra cui Bolsonaro e Trump (quest'ultimo, a conferma del suo disinteresse, presente poi solo come spettatore per breve tempo). In tale occasione solo 77 paesi aderiscono all'obiettivo zero emissioni entro il 2050, mentre la Russia annuncia la ratifica dell'accordo di Parigi.

182 F. Borgogno, La mia scoperta al Polo Nord, anche qui è arrivata la plastica, 24 agosto 2018, https://www.repubblica.it/ambiente/2018/08/24/ news/la_mia_scoperta_al_polo_nord_anche_qui_e_arrivata_la_plastica204778273/; https://www.greenme.it/informarsi/ambiente/antartideplasticagreenpeace/. Vedi anche il recente rapporto di UNDP - UNFCCC, The Heat is On. Taking Stock of Global Climate Ambition, settembre 2019, https://www.undp.org/content/undp/en/home/librarypage/environmentenergy/climate_chan global-outlook-report-2019.html.

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Table of Contents Terra di Conquista

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Una premessa geopolitica note Introduzione note I sacri confini note Nel blu, dipinto di blu note Chiare, fresche et dolci acque note Andando per i mari note I chokepoints Il canale di Suez Gli stretti turchi: Bosforo e Dardanelli Il canale di Panama Gli stretti del Medio Oriente Gli stretti di Malacca e della Sonda note Le risorse energetiche note Oro, platino e... note Che fame! note Il land grabbing note Armi e dintorni Le spese militari Il commercio di armamenti Le guerre dimenticate 112

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note Conclusioni note

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